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Full text of "Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni. Compilazione di Gaetano Moroni romano"

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C  3  72*> 


DIZIONARIO 

DI  ERUDIZIONE 

STO  RICO -ECCLESIASTICA 

DA  S.  PIETRO  SINO  Al  NOSTRI  GIORNI 

SPECIALMENTE      INTORNO 

AI  PRINCIPALI  SANTI,  BEATI,  MARTIRI,  PADRI,  AI  SOMMI  PONTEFICI,  CARDINALI 
E  PIÙ  CELEBRI  SCRITTORI  ECCLESIASTICI,  AI  VARI!  GRADI  DELLA  GERARCHI \ 
DELLA  CHIESA  CATTOLICA,  ALLE  CITTA.  PATRIARCALI,  ARCIVESCOVILI  E 
VESCOVILI,  AGLI  SCISMI,  ALLE  ERESIE,  AI  CONC1LII ,  ALLE  FESTE  PIÙ  SOLENNI, 
AI  RITI,  ALLE  CEREMONIE  SACRE,  ALLE  CAPPELLE  PAPALI  ,  CARDINALIZIE  F. 
PRELATIZIE,  AGLI  ORDINI  RELIGIOSI,  MILITARI,  EQUESTRI  ED  OSPITALIERI,  NON 
CUE    ALLA    CORTE   E  CURIA  ROMANA    ED  ALLA  FAMIGLIA    PONTIFICIA,  EC.    EC.    EC. 

COMPILAZIONE 

DEL  CAVALIERE  GAETANO  MORONI  ROMANO 

PRIMO  AIUTANTE  DI  CAMERA  DI  SUA  SANTITÀ 

GREGORIO     XVI. 


AOL.  XXXI. 


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DIZIONARIO 


DI  ERUDIZIONE 


STORICO -E  CC  LE  SI  ASTICA 


G 


GIO 

(jUOVANNI  (s.),  apostolo  ed  e- 
Tnn^elista.  tacque  a  Belsaida  nella 
Galilea,  era  figlio  di  un  semplice 
pescatore  nomato  Zebedeo,  e  di 
Snlome,  e  fratello  cadetto  di  s. 
Giacomo  detto  il  Maggiore.  Pare 
che  prima  di  traini  al  Salvatore 
egli  fosse  discepolo  di  s.  Giovanni 
Battista.  Alcuni  scrittori  lo  pren- 
dono per  quell'altro  discepolo  col 
quale  s.  Andrea  seguitò  Gesù  Cri- 
sto. Egli  aveva  circa  venticinque 
anni  quando  fu  chiamato  con  Gia- 
como suo  fratello  ad  essere  disce- 
polo del  Signore,  che  die  loro  il 
soprannome  di  Boanerges,  che  si- 
gnifica figli  del  tuono,  indicando 
con  ciò  quella  viva  fede  e  quello 
zelo  ardentissimo  con  cui  avrebbe- 
ro annunziato  la  legge  di  Dio 
senza  temere  la  possanza  degli  uo- 
mini. S.  Gioranni  fu  testimonio 
dei  principali  miracoli  del  Salva- 
tore, e  n'  ebbe  contrassegni  parti- 
colari d'  affetto,  per  cui  nel  santo 
▼angelo  è  distinto  col  titolo  di 
discepolo  diletto  del  Signore.   Ge*ù 


GIO 

lo  scelse  con  s.  Pietro  e  s.  Giaco- 
mo per  essere  testimonio  di  sua 
trasfigurazione  sul  Tabor,  e  di 
sua  agonia  nell'orto  degli  Ulivi  ;  fu 
incaricato  con  s.  Pietro  di  allesti- 
re l' ultima  Pasqua,  e  durante  la 
cena  posò  il  suo  capo  sul  seno  del 
Salvatore.  Allorché  Gesù  dichiarò 
che  uno  di  quelli  che  erano  a 
mensa  con  lui  lo  avrebbero  tradito, 
s.  Pietro,  secondo  s.  Girolamo,  de- 
siderando conoscere  chi  sarebbe 
stato  il  traditore,  si  rivolse  a  Gio- 
vanni, cui  sapeva  avere  col  Signo- 
re una  santa  familiarità.  11  Signo- 
re gli  disse  essere  colui  al  quale 
avrebbe  dato  un  boccone  di  pane 
intinto  nel  piatto,  e  questi  lispo- 
sta  non  fu  intesa  che  da  Giovan- 
ni.  Leggesi  in  s.  Gio.  Crisostomo 
eh'  egli  fa  il  solo  degli  apostoli 
(In1  non  abbandonò  Ge>ù  durante 
la  m  passione.  Parecchi  credono 
ch'egli  fosse  quel  giovine  corni!» 
di  una  tonaca  di  lino,  che  se- 
guiva C.cmi,  e  che  si  salvò  qua»i 
nudo  per    uon    cadere   in   mano  dflì 


6  GIO 

soldati.    Eia   a    piedi    della    croce 
quando  il    Salvatore    morendo  gli 
commise  la    cura    di    sua  madre  , 
dandolo  ad    essa    qual   figlio.    Ge- 
sù   non  ha   sdegnato,  come  osser- 
va  san    Paolo,    di    chiamarci    suoi 
fratelli,   e  ci  ha    tutti  raccomanda- 
ti in    questa  qualità  alla  sua  bea- 
tissima Madre  ;  ma  s.  Giovanni  è  il 
primogenito  dei  suoi  figli  adottivi. 
Egli  solo  ebbe  il  privilegio  di  es- 
serne trattato  come  s'  ella  fosse  sta- 
ta sua  madre  naturale,  e   di  ren- 
derle reciprocamente  tutti    i  dove- 
ri del  più  tenero    e    rispettoso  fi- 
gliuolo. Questo  privilegio  fu  la  ri- 
compensa del    suo    coraggio    e  del 
suo  fervore   nel    servigio    del    suo 
divino  Maestro.    Secondo    s.  Giro- 
lamo,   la    sua  castità    gli    procurò 
quest'  insigne    favore  :     Gesù,    egli 
dice,  commise  la  cura  di  una  ma- 
dre vergine  ad  un    discepolo    ver- 
gine. S.  Ambrogio,  s.    Gio.  Griso- 
stomo,  s.  Epifanio    ed    altri  padri 
hanno  fatto  la  stessa    osservazione. 
Allorché  Maria  Maddalena  e  le  al- 
tre sante  donne  annunziarono  che 
non    aveano     trovato     il    corpo   di 
Gesù  Cristo  nel  sepolcro,  Giovan- 
ni fu  il    primo    a    recarvisi.   Egli, 
illuminato    dall'amore,    riconobbe 
Gesù  che    gli  apparve   sotto    finto 
sembiante    sulla    riva  del    lago    di 
Tiberiade,  e  lo  additò  a  s.  Pietro. 
Fu  con   lo  stesso  Pietro  imprigio- 
nato per    aver    guarito    un   zoppo 
in    nome    di    Gesù    Cristo;     ma  i 
magistrati    non     osando    punirli    li 
posero  in    libertà,    proibendo    loro 
con   minaccie  di  continuar    a    pre- 
dicare.  Siccome    s.    Giovanni    non 
tenne    in    conto  tali    minaccie,    fu 
messo  in  carcere  una  seconda  vol- 
ta e  battuto  con    verghe.    Accom- 
pagnò    s.    Pietro    a    Samaria    per 
comunicare  lo  Spirito  Santo  a  quel- 


GIO 

li  che  il  diacono  Filippo  avea  con- 
vertiti,   e  vi  annunziò    il   vangelo. 
Intervenne  nell'anno  5i   al  primo 
concilio  di  Gerusalemme,  e  erede- 
si  che  quivi  sia  rimasto  assai  tempo, 
allontanandosene  però  qualche  volta 
per  predicare  il  vangelo.  Dicesi  che  la 
Partia  sia  stato  il  teatro  principa- 
le delle  sue  apostoliche  fatiche.  Le 
relazioni  dei  missionari  che  in  que- 
sti ultimi  tempi  si  sono  recati  alle 
Indie  orientali,  contengono  che  gli 
abitanti  di  Bassora  sono    persuasi, 
giusta  un'antica  tradizione,    che  s. 
Giovanni    abbia    piantato    la   fede 
nel    loro    paese.     Fece    in    seguito 
predicazioni  in    diverse    parti    del- 
l' Asia    minore  ,     e    vi    istituì    dei 
pastori.  Dimorava   abitualmente  in 
Efeso,  né  si  allontanava  da  quella 
città  che  per  visitare  le  chiese  vi- 
cine. Sappiamo  dal  greco  Apollonio 
ch'egli  risuscitò  un  morto  ad  Efeso. 
S.  Epifanio  accerta  che  il  santo  e- 
vangelista  venne  in   Asia    per  una 
disposizione    speciale    dello    Spirito 
Santo,  a  fine  di  opporsi    alle  ere- 
sie   di  Ebione  e  di  Cerinto.  Nella 
seconda  persecuzione    generale  che 
si    accese    nel    g5,    s.    Giovanni  fu 
preso    per    ordine    del    proconsole 
d'Asia;  e  mandato  a  Roma    fu  con- 
dannalo ad  essere    tuffato    in    una 
caldaia  d'olio  bollente ,   ma  ne  usci 
incolume.  Questo  miracolo  non  com- 
mosse punto  i    pagani,    i    quali   lo 
attribuirono  a  magia,  e  s.  Giovan- 
ni  venne  esiliato  neh'  isola  di  Pat- 
mos.  Colà  ebbe  quelle   visioni  che 
riferisce  nell'Apocalisse,  opera  alle- 
gorica  nella  quale  dà  consigli    alle 
chiese  d'Asia,  predice  la  grandezza 
futura,  i   progressi    del    cristianesi- 
mo, e  le  cose    che    devono    succe- 
dere  nella   consumazione  de'  secoli. 
L'anno  97   s.   Giovanni    ritornò   in 
Efeso,    e  prese    la    cura  di  quella 


GIO 

chiesa,  giacché  s.  Timoteo  che  n'e- 
ra vescovo  avea  ottenuto  la  palma 
del  martirio.  Egli  portava,  secon- 
da Policrate,  una  piastra  d'oro  so- 
pra la  fronte,  ad  esempio  del  som- 
mo sacerdote  de'  giudei ,  e  questa 
era  come  il  segno  distintivo  del 
sommo  sacerdozio  presso  i  cristia- 
ni. Secondo  l'opinione  più  comu- 
ne, egli  scrisse  il  suo  vangelo  quan- 
do ritornò  dall'  isola  di  Patmos , 
principalmente  per  confutare  gli 
errori  sparsi  da  lìbione  e  Cerinto 
contro  la  divinità  di  Gesù  Cristo, 
perciò  incomincia  dalla  generazio- 
ne eterna  del  Verbo  creatore  del 
mondo.  Egli  si  propose  ancora  di 
supplire  alle  omissioni  degli  altri 
tre  evangeli  ,  quindi  insiste  parti- 
colarmente sulle  azioni  del  Salva- 
tore, dal  principio  del  suo  mini- 
stero infino  alla  morte  di  s.  Gio- 
vanni Battista.  Lo  scrisse  in  greco, 
lingua  parlata  dai  popoli  a'  quali 
lo  destinava,  ma  ne  fu  fatta  quasi 
subito  una  versione  in  siriaco.  Teo- 
doreto  lo  chiama  una  teologia,  che 
la  mente  umana  non  può  affatto 
intendere,  e  che  le  sarebbe  stato 
impossibile  d' immaginare.  Perciò 
gli  antichi  hanno  paragonato  il 
santo  evangelista  ad  un'aquila  che 
s' innalza  nell'aere,  e  che  1'  occhio 
dell'  uomo  non  può  seguire.  Per  la 
stessa  ragione  i  greci  gli  hanno 
dato  il  titolo  di  Teologo  per  ec- 
cellenza. Abbiamo  altresì  di  s.  Gio- 
vanni tre  epistole  :  la  prima  è  in- 
dirizzata a  tutti  i  cristiani,  massi- 
me a  quelli  ch'egli  avea  converti- 
ti ;  le  altre  due  sono  dirette  una 
ad  Eletta,  l'altra  a  Caio:  in  tutte 
e  de  raccomanda  l' adempimento 
del  precetto  della  canta.  Egli  in- 
culcava altrui  quella  carità  di  cui 
ridi  sloso  avvampava,  e  per  la 
quale  intraprese  lunghi  viaggi,  sop- 


GIO  7 

portò  tante  fatiche,  vinse  tante  dif- 
ficoltà, affrontò  tanti  pericoli.  Racco- 
mandavala  come  il  grande  e  prin- 
cipale precetto  del  cristianesimo  ;  e 
quando  per  l'avanzata  sua  età  non 
poteva  più  fare  lunghi  discorsi,  fa- 
ceasi  portare  alle  adunanze  de'  fe- 
deli,  e  sempre  ripetea  loro  di  a- 
marsi  scambievolmente.  S.  Giovan- 
ni morì  in  pace  ad  Efeso,  il  terzo 
anno  di  Traiano,  in  età  di  circa 
novantaquattr'anni.  Fu  seppellito 
sopra  un  monte  fuori  della  città. 
Si  portava  via  per  divozione  la 
polvere  della  sua  tomba,  la  quale 
operava  miracoli,  e  si  edificò  sopra 
questa  tomba  una  magnifica  chiesa, 
che  poscia  i  turchi  convertirono  in 
moschea.  I  greci  celebrano  la  di  lui 
festa  a'  26  di  settembre,  ed  i  lati- 
ni a'  27  dicembre.  La  Chiesa  com- 
memora inoltre  il  suo  martirio , 
cioè  il  glorioso  trionfo  da  lui  ripor- 
tato uscendo  miracolosamente  in- 
colume dall'olio  bollente,  come  si 
è  detto;  e  nel  luogo  dove  accadde 
questo  miracolo,  presso  la  porta  det- 
ta dai  romani  Latina,  venne  eretta 
una  chiesa  sotto  i  primi  imperatori 
cristiani ,  chiamata  Chiesa  di  san 
Giovanni  avanti  Porta  Latina 
{Vedi).  La  festa  di  san  Giovan- 
ni avanti  la  porta  Latina  celebra- 
si a'  6  di  maggio  :  è  stata  ,  già  è 
moltissimo  tempo,  celebrata  in  mol- 
te chiese  coli'  astinenza  dalle  opere 
servili,  ed  era  una  volta  di  obbli- 
go in  Inghilterra. 

GIOVANM  Crisostomo  o  Cri- 
sostomo (s.),  celebre  dottore  della 
Chiesa.  Nacque  in  Antiochia  verso  il 
3  i  i  ;  il  padre  suo,  chiamato  Secondo, 
era  generale  di  cavalleria  e  coman- 
dava in  Sina  le  truppe  dell'impero, 
e  sua  madre  aomavasi  Antusa 
Rimasta  <  *>  1  vedova  all'età  di  ven- 
l'annij  avendo  oltre  a  Giovanni  an- 


8  GIO 

che  una  figlia,   prese    saggia   cura 
di  essi.  Giovanni  studiò  l'eloquen- 
za sotto   Libanio,    uno   de'  più  fa- 
mosi oratori  di  quel  tempo,  ed  in 
breve  superò  il  suo  maestro;  pari 
avanzamenti  fece  nella  filosofia  sot- 
to Andragazio.    A  vent'anni   prati- 
cò ai  tribunali,  e  vi  disputò  anche 
con  straordinario  successo.  La  sua 
nascita    illustre    e    il    suo  raro  ta- 
lento avrebbero  potuto  fargli  con- 
seguire i  primi  posti    dell'impero; 
ma  conosciuti  i  pericoli  della  vita 
mondana ,  abiurò  le  vanità  del  se- 
colo, e  vestito  un    abito    da    peni- 
tente, con  lunghe  veglie  e  frequenti 
digiuni  distrusse  in  sé  stesso  l'imperio 
delle  passioni,  applicandosi  alla  me» 
ditazione  delle  divine  scritture.    S. 
Melezio  vescovo  d'Antiochia,  che  il 
conobbe,  lo  trasse  al  servigio  del- 
la Chiesa,  e  dopo  averlo  egli  me- 
desimo istruito,  tenendolo  tre  anni 
nel  suo  palazzo,  Io   ordinò  lettore. 
Sebbene  dotato    di    somma    facon- 
dia e  ricco  di    preziose   cognizioni, 
amava  la  taciturnità;  ciò  non  per- 
tanto s' intratteneva  volentieri  sulle 
verità  eterne  con  persone  virtuose, 
e  in  particolar  modo  con    Basilio, 
uno  de'suoi  compagni  di  studio,  ed 
intimo  amico,  il  quale   aveva    ab- 
bracciato   la    vita    monastica.   Una 
stretta  amicizia  legava  s.  Gio.  Gri- 
sostomo  eziandio  con  Massimo,  che 
fu    poscia    vescovo    di    Seleucia,  e 
con  Teodoro,  che  divenne  vescovo 
di   Mopsuesta,  anch'essi  suoi  condi- 
scepoli; e  fu  per   ricondurre    que- 
st'ultimo alla    sua    vocazione ,    che 
indirizzogli   due  patetiche  esortazio- 
ni, nelle  quali  trovasi,    dice   Sozo- 
meno,  un'eloquenza  soprannaturale. 
I  vescovi  della    provincia,    che    co- 
noscevano il  merito  di   Giovanni  e 
del  suo  amico   Basilio,    adunaronsi 
per  innalzarli  all'episcopato.  Il  pri- 


GIO 

mo  se  ne  fuggì,  e  si  tenne  nasco- 
sto fino  a  che  furono    riempite  le 
sedi    vacanti  ;    il   secondo    fu   fatto 
vescovo  di  Raffanea ,  e  siccome  do- 
vette   la    sua    nomina   ad   un    pio 
stratagemma  del  suo  amico,  si  la- 
gnò con  esso  per  aver  verso  di  lui 
così  adoperato.  S.  Gio.  Grisostomo 
fece  la  sua  apologia,  scrivendo  l'am- 
mirabile   trattato    del    Sacerdozio: 
egli   non   avea   allora   che    ventisei 
anni.  Nel  3 74  si  ritirò    presso   al- 
cuni santi  anacoreti  che  abitavano 
sulle  montagne  vicine  ad  Antiochia, 
e    dopo    aver  passato    quatti*'  anni 
con  essi,  due  altri  ne  passò  in  un 
antro.    L' umidità    del   luogo   e  le 
austerità   che    praticava    gli    cagio- 
narono una  pericolosa  malattia,  per 
cui  nel  38 1   fu  costretto  ritornare 
ad  Antiochia  per  rimettersi  in  sa- 
lute. In  quell'anno  stesso    fu  ordi- 
nato diacono  da  s.  Melezio;  poscia 
Flaviano,  che   a  questo   succedette 
sulla  sede  di  Antiochia,  lo  innalzò 
al  sacerdozio    nel  386,  lo  nominò 
suo  vicario,  ed   incaricollo   di    an- 
nunziare ai   popoli  la  divina  paro- 
la. Egli  sostenne  questo  importan- 
te uffizio  col  più    grande   successo, 
ed    ebbe    sempre  per  uno  de'suoi 
più  essenziali  doveri  la  cura  e  l'am- 
maestramento de'  poveri.    Per    do- 
dici anni  fu  la   mano,  V occhio,  la 
bocca  del  suo    vescovo.    Predicava 
più  volte  alla  settimana,  e  sovente 
anche  parecchie  fiate   in    un  gior- 
no; la  sua  eloquenza  faceva  accor- 
rere a'  suoi  sermoni  i  giudei,  i  pa- 
gani, gli  eretici,  che   trovavano  le 
più  solide  confutazioni  de'  loro  er- 
rori; e  tale  fu  il  frutto  della    sua 
predicazione,  che  giunse  a  far  cam- 
biar faccia   ad    Antiochia.    Nel  se- 
condo anno  del  suo  ministero  apo- 
stolico una   forte  sedizione    scoppiò 
ad    Antiochia,    a    cagione   di    una 


GIO 

gabella     imposta     dall'   imperatore 
Teodosio  I.   Il   popolo  nel   suo   fu- 
rore stritolò  la  statua  dell'  impera- 
tore, de' suoi   due  figli,  e  dell'im- 
peratrice Flacilla  morta   poco  tem- 
po innanzi.   I    magistrati    procedet- 
tero colla  maggior  severità    contro 
i   colpevoli,  e  già   parlavasi  di  con- 
fisca  di  beni,  di  abbruciare    vivi   i 
sediziosi,  e  di  smantellare  la  città; 
per  cui  la  costernazione    era  gene- 
rale. Il  vescovo    Flaviano ,    benché 
in  età  molto  avanzata,   tocco  dalla 
disperazione  del  suo  gregge,  si   re- 
cò a  Costantinopoli  per    implorare 
la  clemenza  dell'imperatore,  ed  in- 
dirizzogli   quel   celebre  discorso,   la 
cui    compilazione    vieue    principal- 
mente attribuita    a    s.    Gio.   Griso- 
stomo,  e  che  trovasi  in  gran  par- 
te nella  sua  omelia  XXI  sulla  se- 
dizione d'Antiochia.  Teodosio,  com- 
mosso fino  alle  lagrime,    rimandò 
il   vescovo  col  perdono  generale  del 
suo    popolo.    Durante    l'assenza  di 
Flaviano,  il    nostro  santo   fu   inca- 
ricato della  cura   d'istruire    il    po- 
polo, e  continuò  dopo  il  di  lui   ri- 
torno   le    sue    fatiche    evangeliche 
collo   stesso    zelo    e    col    medesimo 
successo:  egli  era   l'ornamento  e  la 
delizia  d'Antiochia  e  di   tutto   1'  o- 
riente,  perchè  la  sua  rinomanza  s'e- 
ra estesa  fino  ai  confini    dell'impe- 
ro.   Rimasta  vacante  la  sede  di  Co- 
stantinopoli  nel  397,  per  la  morte 
di   Nettario,    l'imperatore    Arcadio 
volle    innalzarvi    s.    Gio.     Crisosto- 
mo; quindi  commise  al  conte  d'O- 
riente   d  impossessarsi    di  esso  con 
qualche  stratagemma.    Il    conte    a- 
dunque,  col   pretesto  di  visitare    in 
sua  comprimila  le  tombe  de'martiri, 
lo  trasse  fuori   della   città,  e  lo  mise 
in   mano  don    officiale   che  lo  con- 
durr    a     Costantinopoli  ,    tfavfl     In 

consacrato  nel  16  febbraio  3q8,  da 


GIO  9 

Teofilo  patriarca  di  Alessandria. 
Incominciò  il  suo  episcopato  col  re- 
golare la  sua  casa  diminuendone 
le  esorbitanti  spese;  riformò  i  co- 
stumi del  clero,  raffrenò  l'immode- 
sto vestire  delle  femmine,  tolse  l'a- 
buso de'  giuramenti,  convertì  un 
gran  numero  di  pagani  e  d'ereti- 
ci, e  ridusse  sul  buon  sentiero  mol- 
ti indurati  peccatori.  Fra  le  vedo- 
ve che  si  consacrarono  a  Dio  sot- 
to la  sua  direzione,  contavasi  O- 
limpiade,  Salvina,  Procula,  Panta- 
dia,  tutte  e  quattro  distinte  per  la 
loro  nascita:  l'ultima,  vedova  di 
Timaso  primo  ministro  dell'impe- 
ratore ,  fu  fatta  diaconessa  della 
chiesa  di  Costantinopoli.  S'  Gio- 
vanni Grisostomo,  strettamente  vi- 
vendo, profondeva  le  sue  rendite 
a  sollievo  de'  poveri;  se  Antiochia 
avealo  veduto  spendere  per  essi 
tutto  il  suo  patrimonio,  lo  vide 
Costantinopoli  vendere  per  il  me- 
desimo oggetto  la  ricca  suppelletti- 
le che  gli  avea  lasciato  .Nettario , 
ed  in  una  gran  carestia  anche  dei 
vasi  sacri.  Fondò  parecchi  spedali, 
fra  cui  due  per  gli  stranieri  ;  e  le 
sue  larghe  limosine  gli  meritarono, 
dice  Palladio,  il  soprannome  di  I:- 
lemoainierc.  Infiammato  da  un  san- 
to zelo  per  la  propagazione  del  van- 
gelo, mandò  un  vescovo  missiona- 
rio presso  i  goti,  un  altro  in  mez- 
zo agli  sciti  nomadi  ,  altri  ancora 
nella   Persia  e  nella    Palestina. 

Intanto  l'imperatore  Arcadio  la» 
sciavasi  governare  dai  suoi  favoriti: 
l'eunuco  Eutropio,  successo  nella 
carica  di  primo  ministro  al  tradi- 
tore Rufino,  fu  eziandio  innalzato 
alla  dignità  dì  console;  ma  il  Ilio 
orgoglio  e  la  sua  ambiaionc  ca- 
aionarongli  la  ma  perdita,  e  l'im- 
peratrice   Eudossia  pure  ti  coutil 

fui.    II     popolo     lolleTOtsi    cullilo    di 


io  GIO 

lui,  e  l'armata  chiedeva  la  sua  mor- 
te. Cercò  Eutropio  un  asilo  presso 
gli  altari  di  cui  avea  violato  tante 
volte  i  privilegi;  la  chiesa  venne 
bentosto  investita  da  una  banda 
di  soldati  furibondi  contro  di  lui, 
e  fu  d'uopo  di  tutta  1'  eloquenza 
del  santo  arcivescovo  perchè  quello 
sciagurato  potesse  godere  dell'  im- 
munità del  santuario.  S.  Giovanni 
Grisostomo  pronunziò  in  questa 
occasione  un  eloquente  discorso  sul 
falso  splendore  e  sulla  nullità  delle 
grandezze  mondane,  indi  rivoltosi 
al  popolo,  lo  esortò  a  perdonare 
al  colpevole  :  il  popolo  ne  fu  com- 
mosso, e  si  calmò  la  sedizione.  Eu- 
tropio fu  rilegato  nell'isola  di  Ci- 
pri ;  ma  il  suo  avversario  Gaina, 
che  comandava  i  goti  al  servizio 
dell'  imperatore ,  trovò  modo  di 
fàrnelo  richiamare  dopo  pochi  me- 
si, e  di  farlo  condannare  a  per- 
dere la  testa  .  Gaina  divenuto 
potente,  ed  imbaldanzito  per  la 
debolezza  di  Arcadio  ,  si  fé'  a 
credere  che  tutto  gli  dovesse  es- 
ser permesso  ,  e  osò  domandare 
una  chiesa  per  gli  ariani;  ma  il 
santo  arcivescovo,  sempre  inflessi- 
bile quando  il  richiedea  il  suo  do- 
vere, seppe  resistergli  ;  ed  allor- 
quando questo  superbo  favorito, 
essendosi  ribellato  al  suo  signore, 
pose  l'assedio  a  Costantinopoli,  Gio- 
vanni si  recò  da  lui ,  e  parlogli 
con  tale  energia  che  lo  fece  ritrarsi 
colle  sue  truppe. 

Nel  medesimo  anno  4°°j  i'  n0" 
stro  santo  tenne  un  concilio  in 
Costantinopoli  in  cui  Antonino  ar- 
civescovo d'  Efeso  fu  accusato  di 
simonia  e  di  altri  delitti.  L'impor- 
tanza dell'  accusa  fece  risolvere  il 
santo  di  recarsi  sul  luogo,  ad  on- 
ta del  rigore  della  stagione,  e  del 
cattivo  stalo  di  sua  salute,  per  iu- 


GIO 

formarsi  esattamente  dei  fatti.  Si 
tennero  molti  sinodi  sì  ad  Efeso 
che  nelle  vicine  città  :  e  Antonino 
convinto  di  simonia,  vi  fu  deposto, 
ed  altri  vescovi  dell'  Asia,  della 
Licia,  e  della  Frigia  subirono  la 
stessa  pena.  Dopo  la  festa  di  Pa- 
squa del  40I>  s-  Giovanni  Griso- 
stomo  ritornò  alla  sua  sede,  es- 
sendone stato  assente  cento  giorni, 
e  il  dì  appresso  montò  il  pulpi- 
to per  dimostrare  quanto  fosse  lie- 
to di  rivedere  1'  amato  suo  greg- 
ge. Ma  la  sua  letizia  venne  ben 
presto  turbata  dalla  malevolenza 
de'suoi  nemici,  per  cui  ebbe  a  sos- 
tenere fiere  persecuzioni.  Severia- 
no  vescovo  di  Gabala  in  Siria , 
al  quale  era  stata  affidata  la  cu- 
ra della  chiesa  di  Costantinopoli 
durante  1'  assenza  del  santo,  osò 
dalla  cattedra  evangelica  attaccare 
s.  Giovanni  Grisostomo,  e  tentò  di 
sollevare  il  popolo  contro  di  lui  ; 
ma  venne  scacciato  come  un  ca- 
lunniatore. Altri  due  nemici  più 
pericolosi  aveva  s.  Gio.  Grisostomo 
nelP  imperatrice  Eudossia  ed  in 
Teofilo  patriarca  di  Alessandria. 
Quest'  ultimo  avea  scacciato  dal 
deserto  di  Nitria  quattro  abbati* 
accusati  di  origenismo,  ed  essendo 
essi  stati  ricevuti  da  s.  Giovanni 
Grisostomo,  che  ne  fece  l'apologia, 
Teofilo  punto  ai  vivo  propose  di 
vendicarsi.  Eudossia  dopo  la  ca- 
duta di  Eutropio  governò  dispo- 
ticamente l'imperatore  e  l'impero. 
Questa  principessa,  la  quale  secon- 
do Zosimo,  era  di  una  insaziabile 
avarizia,  avea  riempita  la  corte  di 
delatori,  i  quali  dopo  la  morte  dei 
ricchi  impadronivansi  dei  loro  be- 
ni a  pregiudizio  degli  eredi.  Il  san- 
to pastore  si  accorava  per  tali  a- 
busi,  ed  Eudossia  risolvette  di  far- 
lo   deporre.    Perciò     ella    chiamò 


GIO 

Teofìlo,  che  giunto    a  Costanlino- 
li    nel    mese    di    giugno    del    4°3> 
con    molti  vescovi  dell'  Egitto,    che 
erano  a  lui  devoti,  tenne  il  famo- 
so conciliabolo  detto     Sinodo  del- 
la   Quercia.    S.    Gio.    Grisostorno 
venne  accusato  di  aver  deposto  un 
diacono  che  avea  percosso  un  suo 
servo  ;  ordinato    dei    sacerdoti    nel- 
la sua  cappella  domestica  ;  vendu- 
to   delle    suppellettili   appartenenti 
alla  chiesa,  e    dissipatene  le  rendi- 
te ;  comunicato    delle   persone,  che 
non   erano   digiune  ;    e  deposto  dei 
vescovi  che    non    erano  nella  giu- 
risdizione   della    sua    provincia.    In 
queste  accuse  tutto   era    frivolo    o 
falso.    11    santo,  che    dal  suo  can- 
to   aveva    radunato  quaranta    ve- 
scovi    a    Costantinopoli  ,     fu  cita- 
to a  comparire  ;  ma  ricusò  di  pre- 
sentarsi,   perchè    eransi  violate    a- 
perta mente  le    leggi  volute  dai  ca- 
noni. Ciò    nulla    meno  il    raggiro 
la  vinse,  e    fu  contro    di  lui  pro- 
nunziata la    sentenza    di  deposizio- 
ne, che  venne  approvata  da  Arca- 
dio,   al  quale    fu    accusato  il  santo 
per  giunta  d'aver  paragonato  l'im- 
peratrice   a  Gezabele.    Fu    segnato 
un  ordine  di  esilio,  ed  il  santo  ar- 
civescovo congedossi  dal  suo  greg- 
ge con  un  discorso  il  più  commo- 
vente. Erano  già  passati  tre  giorni 
dall'ingiusta  condanna,  ed  egli   non 
era     ancora    partito,  perciocché    il 
popolo   vi  si   opponeva  minacciando 
una    sedizione.     Finalmente    senza 
che  il   popolo  se  ne  avvedesse  an- 
dò egli  stesso  a  mettersi  nelle  ma- 
ni dell'  ullìziale  incaricato  di  con- 
durlo in    Bitinia.  Tosto    Severiano 
montò    sulla  cattedra    per  provare 
che     Giovanni     era     stato     deposto 
giustamente  ;     ma   venne  interrotto 
dai  clamori     dei     cristiani,   che    ri- 
domandavano il  loro  pastore.   Nel- 


GIO  ii 

la    notte    seguente    essendosi    fatte 
sentire    delle    scosse   di    terremoto, 
Eudossia    pentita   per  lo    spavento 
andò  subilo   da  Arcadio  per    chie- 
dergli il    richiamo  dell'arcivescovo; 
locchè    ottenuto    scrisse    subito    al 
medesimo  una  lettera  piena  di  sti- 
ma e  di  affetto  ,    invitandolo  a  ri- 
tornare .     Quando    il    popolo    ven- 
ne a  sapere  che    il    suo  arcivesco- 
vo   ritornava,     gli    andò    incontro 
con  fiaccole  accese,  lo  condusse  trion- 
fante   in    città,    ed    i    suoi    nemici 
fuggirono:    il  di  lui  ristabilimento, 
secondochè    riferisce    Sozomeno,  fu 
ratificato  da  una  adunanza  di   ses- 
santa vescovi.  Sventuratamente  que- 
sta calma  non  durò  molto.  Essen- 
dosi   eretta    una  statua    d' argento 
in  onore  dell'imperatrice  davanti  la 
chiesa  di    s.    Sofìa,  se    ne    celebrò 
la  dedicazione  con  giuochi    pubbli- 
ci, e  con   istravaganti  superstizioni 
che   disturbavano    il  divino  ofìizio  : 
s.     Giovanni  Grisostorno    non  potè 
far  a  meno  di  disapprovare  quegli 
abusi.   L'imperatrice  se  ne  tenne  ol- 
traggiata, i  nemici   di   Giovanni  fu- 
rono   richiamati    a   Costantinopoli, 
ed  egli  fu  nuovamente  condannato  , 
abbenchè    avesse   quaranta    vescovi 
in  suo   favore.   Mandò  Arcadio    nel 
sabbato  santo  una  banda   di  solda- 
ti   per    scacciare     il    pastore    dalla 
sua  sede  :   la  chiesa  fu  profanata   e 
contaminata  di  sangue.   S.   Giovan- 
ni   Grisostomo  ricorse  al  Pontefice 
Innocenzo    I,  il    quale    annullò    le 
procedure    fatte    contro    di   lui.   O- 
norio     imperatore    d'occidente     di- 
chiarassi  pure    iu    suo  favore,   ma 
Arcadio    subornato    ricusò    la  con- 
vocazione del   concilio   richiesto   dal 
Pontefice  e    da  Onorio,  ed  intimo 
al  santo  l'ordine  espresso  «li  andar* 
sene  ■•!   luogo  del  suo    esilio.  Egli 
trovavasi    in    chiesa    allorché    na- 


12  GIO 

vette  quest'ordine,  quindi  salutati  i 
vescovi    che   avea   al    suo  fianco  , 
entrò  nel    battistero   per   dare    un 
addio  a  s.  Olimpiade  e  alle  diaco- 
nesse che  si    struggevano  in  lagri- 
me ;  poscia   usci  per  una  porta  se- 
greta,   temendo  che  il   popolo  non 
si  ammutinasse.  Un  offìziale  noma- 
to Lucio    il  meno    a   Nicea  in  Bi- 
tinia,  ove  giunse  ai   20    di    giugno 
del  4°4-  Poco   tempo  dopo  la  sua 
partenza    s'appiccò    il    fuoco    alla 
chiesa  di  s.  Sofia    e  al  palazzo    in 
cui     adunavasi    il    senato.    Non   si 
mancò    di     addossare     agli    amici 
del    santo  la  colpa  di   quest'incen- 
dio, e  parecchi  di  essi  furono  posti 
alla   tortura    per  iscoprire  i  colpe- 
voli. Tigrio  sacerdote,  dopo  essere 
stato     crudelmente  tormentato,    fu 
mandato  in    bando  ;  Eutropio  let- 
tore di  s.    Sofia    morì  in  prigione, 
in  conseguenza    degli  orribili    stra- 
zi sofferti.  Essi  sono  amendue  no- 
minati   nel  martirologio  romano  ai 
12   di  gennaio.  Nel  mese  di  luglio 
del  4°5   s.  Giovannni    Grisostomo 
fu   trasferito  a  Cucuso,  piccola  città 
d'  Armenia    nei  deserti  del    monte 
Tauro,    luogo    destinatogli    da  Eu- 
dossia,    ove    arrivò    dopo    settanta 
giorni  di  penosissimo  cammino  sot- 
to  un  cielo  cocente,  estenuato  dal- 
la febbre  cagionatagli  dalle  fatiche 
del   viaggio ,    dalla     brutalità  delle 
guardie,  e    dalla    privazione    quasi 
continua  del    sonno.   Il   vescovo  ed 
il  popolo  di  Cucuso  rispettosamen- 
te 1'  accolsero,    e   parecchi  suoi  a- 
mici   vennero    da    Antiochia  e    da 
Costantinopoli    per    consolarlo.     11 
suo  zelo    però    non    rimase    ozioso 
colà:  mandò    dei    missionari    nelle 
contrade   dei  goti ,  nella  Persia,    e 
nella  Fenicia,    e    nominò  Costanzo 
prete  di  Antiochia  superiore   gene- 
rale delle  missioni  della  Fenicia  e 


GIO 

dell'  Arabia.    Scrisse  diecisette    let- 
tere ad  Olimpiade,  che   sono  veri 
trattati    di  morale.    Le    incursioni 
degli  isauri   che  devastavano  l'Ar- 
menia   lo    costrinsero    a   rifugiarsi 
nel  castello  di  Arabisso  sul  monte 
Tauro.   Ritornato   a   Cucuso    dopo 
la    ritirata    dei    barbari ,    poco  vi 
stette .    I   suoi    nemici   instigarono 
l' imperatore  ad  ordinare  che  fosse 
trasportato    a     Pitionto   sulle    rive 
del  Ponto  Eusino  vicino  alla    Col- 
chide.    Due    offiziali    incaricati    di 
condurlo,  lo    facevano    camminare 
colla   testa    nuda,   calvo  com'  era, 
ora    sotto    un    sole    cocente,    ora 
sotto  la    più    dirotta    pioggia.    Le 
sue  forze  erano  sfinite  quando  ar- 
rivò  a  Comana    nel  Ponto:  tutta- 
via si   volle  farlo  passar  oltre,   ma 
la  sua    debolezza   divenne  sì  gran- 
de,   che  fu   mestieri     ritornare    in- 
dietro, e  fu  alloggiato  nell'oratorio 
di    s.    Basilisco   martire,    vicino   a 
Comana,    ove  morì  il    giorno  ap- 
presso,   14  settembre  del    4°7>  d°" 
pò  aver  ricevuta  la   santissima  co- 
munione. Egli  era  stato  arcivesco- 
vo nove  anni    e    sette  mesi    circa, 
ed    avea  vissuto    settantatre    anni, 
secondo    il  p.  Stilting.     I  suoi  fu- 
nerali furono    onorati  da  un  con- 
corso  prodigioso  di  vergini,  di  mo- 
naci    e  di     persone    d'  ogni    stato, 
eh'  erano    venute    dalle  piò   remo- 
te contrade;  e  il  suo  corpo  fu  se- 
polto presso  quello  di  s.    Basilisco. 
A'  27  gennaio  del  438  s.  Proclo  lo 
fece     trasportare    solennemente     a 
Costantinopoli,    ove  venne  deposto 
nella   chiesa   degli   Apostoli   in  cui 
d'ordinario    seppellivansi  gl'impe- 
ratori e  gli  arcivescovi.  In  seguito 
le  di  lui  reliquie  furono  traslatate 
a  Roma,   e  collocate  sotto  l'altare 
che    porta    anche    il    nome   di    s. 
Giovanni  Grisostomo,  nella  cappel- 


GIO 

la  del  coro  della  basilica  vaticana. 
J  latini  celebrano  la  sua  festa  ai 
27  di  gennaio,  giorno  in  cui  av- 
venne in  Costantinopoli  la  trasla- 
zione del  suo  corpo ,  e  i  greci 
ai  i3  di  novembre:  questi  ulti- 
mi celebrano  ancora  la  memoria 
di  lui,  di  s.  Basilio,  e  di  s.  Gre- 
gorio IN'azianzeno  ai  3o  di  gennaio. 
11  Dome  di  Crisostomo,  che  signi- 
fica Bocca  d'  oro,  fu  dato  a  s. 
Giovanni  poco  tempo  dopo  la  sua 
morte,  trovandosi  negli  scritti  di 
s.  Efiem,  di  Teodoreto  e  di  Cas- 
siodoro. 

Opere  di  s.    Giovanni  Grisostomo. 

Giorgio  e  Niceforo  ci  assicurano 
che  s.  Gio.  Grisostomo  aveva  com- 
posto più  di  mille  libri.  JN'oi  dare- 
mo il  catalogo  di  quelli  che  ci  re- 
stano, giusta  l'edizione  del  p.  Mont- 
faucon,  detta  dei  Benedettini,  pub- 
blicata a  Parigi  dal  17  18  al  1738, 
in  tredici  volumi  in  foglio,  in  gre- 
co ed  in  latino. 

Il  tomo  I  contiene:  1.  le  due 
Esortazioni  a  Teodoro;  2.  i  due 
libri  della  Compunzione;  3.  i  tre 
libri  della  Provvidenza  ;  4-  '  *-ve  1'* 
bri  contro  i  nemici  della  vita  mo- 
nastica ;  5.  il  Paragone  d'un  re  e 
d'un  monaco;  6.  il  libro  contro  gli 
ecclesiastici  che  tengono  nelle  loro 
case  in  luogo  di  sorelle  delle  fem- 
mine che  diconsi  sottointrodotte; 
7.  che  le  femmine  regolari  non  de- 
vono abitare  cogli  uomini  ;  8.  il 
trattalo  della  Virginità  ;  9.  i  due 
libri  ad  una  giovane  vedova;  io. 
i  sei  libri  del  Sacerdozio  ;  1  1.  il  di- 
scorso pronunziato  nel  giorno  di  sua 
ordinazione;  1?..  cinque  omelie  sul- 
la natura  incomprensibile  di  Dio  ; 
1 3.  sette  altre  omelie  contro  gli 
anomei  ;    1  \.  il  panegirico  ili  s.  li- 


GIO  .3 

logono;  1  ">.  il  trattato  contro  i  giu- 
dei e  i  gentili;  16.  otto  discorsi 
contro  i  giudei;  17.  discorso  sul- 
l'anatema ;  1 8.  discorso  sopra  le 
strenne;  19.  sette  discorsi  sopra 
Lazzaro.  Vi  sono  ancora  in  que- 
sto tomo  alcune  opere  falsamente 
attribuite  a  s.  Gio.  Grisostomo,  co- 
me un  settimo  libro  del  Sacerdo- 
zio ;  una  omelia  sopra  gli  scherzi; 
un  trattato  contro  i  giudei,  i  gen- 
tili e  gli  eretici,  ec. 

Il  tomo  II  contiene:  1.  vent'u- 
na  omelia  sopra  le  statue,  o  sulla 
sedizione  d'Antiochia;  1.  due  ca- 
techesi ,  o  istruzioni  ai  catecume- 
ni; 3.  tre  omelie  contro  il  demo- 
nio; 4-  nove  omelie  sulla  Peniten- 
za; 5.  un'omelia  sulla  nascita  di 
Gesù  Cristo;  6.  un'altra  sul  bat- 
tesimo di  Gesù  Cristo;  7.  due  sul 
tradimento  di  Giuda;  8.  le  omelie 
sopra  la  Croce  e  sul  buon  Ladro- 
ne; 9.  un'omelia  sulla  risurrezio- 
ne de' morti  ;  io.  una  sulla  risur- 
rezione di  Gesù  Cristo;  II.  un'al- 
tra sull'Ascensione;  12.  due  ome- 
lie sulla  Pentecoste;  i3.  sette  pa- 
negirici di  s.  Paolo;  i4-  >  panegi- 
rici dei  santi  Melezio,  Luciano,  Ba- 
bila,  Giuventino  e  Massimino,  Pe- 
lagia,  Ignazio,  Eustazio,  Romano, 
martiri;  dei  Maccal>ei,  e  delle  san- 
te Berenice,  Prosdocia  e  Donnina  ; 
i5.  l'omelia  sui  martiri  dell'Edit- 
to, 16.  l'omelia  sul  tremuoto.  Tro- 
vansi  nel  medesimo  tomo  altre  o- 
melie  che  sono  evidentemente  sup- 
poste. 

II  tomo  III  può  esser  diviso  in 
due  parti  :  la  prima  contiene  tren- 
taquattro  belle  omelie  sopra  di- 
vi-i  tc>ti  della  Scrittura,  e  sopra 
molte  virtà  cristiane;  la  seconda 
delle  altre  omelie  sopì  a  diverti  ■r- 
gomenti,  e  le  lettere  del  santo  I 
diciassette  che  sono  dirette  a  s    O- 


i4  GIO 

limpiade,  meritano  piuttosto  il  no- 
me di  trattati  che  di  lettere;  e 
quella  al  monaco  Cesario  non  può 
attribuirsi  al  santo  dottore,  com- 
battendosi in  essa  l'eutichianismo 
che  non  era  ancora  noto  ai  tempi 
del  Grisostomo. 

Il  tomo  IV  contiene:  i.  sessan- 
tasette omelie  sulla  Genesi  ;  2.  otto 
discorsi  sulla  Genesi;  3.  cinque  o- 
melie  sopra  Anna  madre  di  Sa- 
muele, e  tre  sopra  Saule  e  sopra 
Davidde:  tutte  recitate  in  Antiochia. 
II  tomo  V  contiene  cinquantot- 
to omelie  sopra  i  salmi.  11  Griso- 
stomo  ne  aveva  composto  certa- 
mente un  numero  maggiore,  per- 
chè aveva  spiegato  lutto  il  Salte- 
rio. Nell'appendice  di  questo  tomo 
"vi  sono  delle  altre  omelie  a  lui 
falsamente  attribuite. 

11  tomo  VI    contiene:     1.    delle 
eccellenti    omelie   sui     sette    primi 
capitoli  d'Isaia;    2.    le    omelie    so- 
pra alcuni  passi  di  Geremia,  sopra 
Daniele,   sopra  s.   Giovanni  ec;  3. 
due    bei    discorsi    sopra    l'oscurità 
delle  profezie;  4-  le   omelie    sopra 
Melchisedecco,  contro  gli  spettacoli, 
ed  alcuni   altri  subbietti  ;  5.  la  Si- 
nopsi  dell'antico  Testamento.  L'O- 
pera   imperfetta    sopra    s.    Matteo 
non  è  di  s.  Gio.  Grisostomo,  e  di 
ciò  ne  convengono   tutti    i    critici  : 
ella  è  uscita  dalla  penna   d'un  a- 
riano  {V.  le  omelie  19,  22,  28  ec), 
che   insegna    ancora   coi    donatisti 
(omelia    i3    e     14)  che   conviene 
ribattezzare  gli  eretici.  Quest'auto- 
re scriveva  verso  il  cominciare  del 
settimo  secolo,  e  bisogna  che  fosse 
latino,  perchè  cita  la  Scrittura  se- 
condo la  Bibbia  latina.  La  sua  o- 
pera ,    divisa    in     cinquantaquattro 
omelie,  porta  il  titolo    $  imperfet- 
ta, perchè  l'ultima  omelia    non  i- 
spiega  che  una  parte  del   cap.    2  5 


GIO 

di  s.  Matteo,  e  nulla  ci  è  nelle  pre- 
cedenti sui  cap.  i4,  i5,  16,  17, 
18  dello  stesso  evangelista. 

Il  tomo  VII  contiene  il  Com- 
mentario sopra  s.  Matteo ,  distri- 
buito in  novanta  omelie:  l'antica 
versione  latina  ne  ha  novant'  una, 
perchè  la  decimanona  v'  è  divisa 
in  due.  Tutte  queste  omelie  furo- 
no predicate  in  Antiochia,  proba- 
bilmente nell'anno  3go.  Ci  ha  in 
questo  commentario,  oltre  alla  spie- 
gazione letterale  del  testo  evange- 
lico, un  compiuto  trattato  della 
morale  cristiana. 

Il  tomo  VIII  contiene  ottant'ol- 
to  omelie  sul  vangelo  di  s.  Gio- 
vanni. L'edizione  latina  di  Morel 
non  ne  ha  che  ottantasette,  perchè 
la  prima  ne  forma  la  prefazione. 
Anche  queste  furono  predicate  in 
Antiochia,  nell'anno  3o,4  :  s' aggi- 
rano principalmente  sopra  la  con- 
sustanzialità  del  Verbo.  Avvi  nello 
stesso  tomo  parecchie  altre  omelie 
a  torto  attribuite  a  s.  Gio.  Griso- 
stomo. 

Il  tomo  IX  contiene:  1.  cinquan- 
tacinque omelie  sugli  atti  degli  a- 
postoli,  che  furono  recitate  a  Co- 
stantinopoli nel  4ot  '■>  2-  trentadue 
omelie  sull'epistola  a'  romani,  com- 
poste in  Antiochia ,  com'  è  facile 
avvedersene  dalla  Vili  e  dalla  XXX. 
Seguono  vari  scritti  attribuiti  a  s. 
Gio.  Grisostomo,  risguardanti  la 
penitenza,  l'elemosina  il  digiuno,  i 
catecumeni,  gli  eretici,  l'Annunzia- 
zione  della  B.  Vergine,  la  remis- 
sione de'  peccati,  la  fede,  la  spe- 
ranza e  la  carità. 

Il  tomo  X  contiene:  1.  quaran- 
taquattro omelie  sulla  prima  epi- 
stola a  que' di  Corinto;  2.  altre 
trenta  sulla  seconda;  3.  il  Com- 
mentario sopra  l'epistola  ai  galati , 
il    quale    non    è    diviso    in  omelie. 


GIO 

Vi  sono  diverse  altre  opere  in  que- 
sto tomo  erroneamente  attribuite 
al  santo  dottore. 

Il  tomo  XI  contiene:  i.  venti- 
quattro omelie  sull'epistola  a  quei 
d'Efeso,  recitate  in  Antiochia;  i. 
altre  sedici,  compreso  il  prologo, 
sull'  epistola  a  quei  di  Filippi,  det- 
te a  Costantinopoli  ;  3.  dodici  sul- 
l'epistola a  quei  di  Colossi,  ed  al- 
tre sedici  sulla  prima  e  seconda 
a  quei  di  Tessalonica  ,  altresì  re- 
citate a  Costantinopoli;  4-  vent'ot- 
to  sulle  due  epistole  a  Timoteo, 
che  pare  sieno  state  dette  in  An- 
tiochia ;  5.  sei  sull'epistola  a  Tito, 
e  tre  su  quella  a  Filemone.  Se- 
guono poi  altri  scritti  che  portano 
il  nome  di  s.  Gio.  Grisostomo. 

Il  tomo  XII  contiene:  r.  tren- 
taquattro omelie  sull'epistola  agli 
ebrei,  predicate  a  Costantinopoli  ; 
2.  undici  altre  omelie  predicate 
pure  a  Costantinopoli  ,  e  pubbli- 
cate per  la  prima  volta  dal  p. 
Montfaucon.  Vi  sono  inoltre  quat- 
tro omelie  attribuite  a  Severino 
di  Gabala,  e  quarant'otto  sopra 
diverse  materie,  chiamate  anche 
egloghe,  le  quali  sono  estratti  di 
scritti  di  s.  Gio.  Grisostomo  o  veri 
o  supposti.  Più  una  liturgia,  che  fu 
composta  dopo  la  di  luì  morte , 
come  tutte  le  altre  che  ne  porta- 
no il  nome  ;  giacché  nessun  auto- 
re contemporaneo,  né  quelli  che 
scrissero  la  di  lui  vita,  o  parlaro- 
no delle  sue  azioni,  dissero  che  a- 
vesse  egli  composta  una  liturgia. 
Vennero  altresì  aggiunte  due  ora- 
zioni, alcune  altre  omelie,  tre  di- 
scorsi in  onore  di  s.  Stefano,  che 
non  sono  certamente  scritti  da  s. 
Gio.  Grisostomo. 

Nel  tom.  XIII  il  p.  Montfaucon 
dà  conterza  del  suo  lavoro,  poi 
ci  dà    la    vita    del   santo    dottore 


GIO  i5 

scritta  da  Palladio,  quindi  quella 
che  ha  scritta  egli  stesso.  Segue 
la  sinopsi  delle  cose  più  notevoli. 
Poscia  vi  sono  tredici  omelie  o 
discorsi  ricavati  da  un  mss.  di  set- 
te e  più  secoli,  e  tradotti  in  lati- 
no da  Gualtiero  Taylor  inglese; 
ma  ad  eccezione  della  prima  non 
sono  né  del  genio,  né  dello  stile 
di  s.  Gio.  Grisostomo.  Seguono  va- 
ri estratti  degli  scritti  del  santo 
fatti  da  Fozio,  coi  giudizi  pronun- 
ziati sui  medesimi  e  colle  testimo- 
nianze degli  antichi ,  come  Ndo, 
Sinesio,  s.  Cirillo  d'Alessandria,  s. 
Agostino,  ec.  intorno  alla  dottrina 
e  alla  pietà  di  s.  Gio.  Grisostomo. 
Trovasi  poscia  l' Onomasticon  o 
Dizionario  per  la  spiegazione  dei 
vocaboli  greci  che  questo  santo  usò 
in  un  significato  non  comune;  il 
catalogo  di  tutte  le  opere  stam- 
pate col  nome  di  s.  Giovanni  Gri- 
sostomo in  questa  edizione;  final- 
mente il  dotto  editore  nota  in  una 
tavola  generale  ciò  che  avvi  di  più 
importante  in  ogni  sorte  di  mate- 
rie in  ciascun  tomo. 

Fra  tutte  le  prime  traduzioni 
latine  di  s.  Gio.  Grisostomo  non 
avvi  che  quella  del  p.  Fronton  le 
Due  (Parigi  1609-13,  6  voi.  in 
foglio,  gr.  e  lat.  ),  che  sia  esatta. 
Il  p.  Montfaucon  l'ha  seguita  nella 
sua  edizione,  ch'é  la  più  compiuta 
di  quante  ne  abbiamo ,  e  non  ha 
tradotto  se  non  le  opere  che  non 
aveva  tradotto  quel  dotto  gesuita. 
Quelli  che  possono  far  a  meno  del- 
l' aiuto  d'una  traduzione  preterisca- 
no 1'  edizione  greca  l'atta  dal  cav. 
Enrico  Saville  ad  Etone  in  Inghil- 
terra nel  1G12,  in  9  voi.  in  foglio. 
Un'edizione  greca  fu  fatta  anche  a 
Verona  nel  i52(),  in  4  voi.  in  fo- 
glio. Varie  opere  di  s.  Gio.  Griso* 
storno  furono  tradotte  in  francese; 


i6  GIO 

ed  in  italiano  furono  tradotti  i  sei 
libri  del  Sacerdozio,  dal  p.  Scipio- 
ne d'  Aflitto;  i  tre  libri  della  Prov- 
videnza, da  Cristoforo  Serarrighi  ; 
il  trattato  delle  Virginità  ,  da  Sil- 
vestro Gigli  ;  alcune  omelie  ed  al- 
tre cose.  V.  Argelati,  Bibl.  dei  vol- 
garizzatori italiani. 

GIOVANNI  Damasceno  (s.).  Nac- 
que sul  finire  del  secolo  VII  ,  e 
secondo  alcuni  verso  l'anno  676, 
in  Damasco,  città  della  Siria,,  per 
cui  fu  detto  Damasceno  ;  da'  sara- 
ceni fu  altresì  appellato  Mansur , 
cioè  riscattato.  Suo  padre,  cbe  seb- 
bene cristiano  era  tenuto  in  grande 
stima  dagli  stessi  saraceni,  ed  aveva 
la  carica  di  segretario  o  consigliere 
di  stato,  confidò  la  sua  educazione 
ad  un  greco  religioso,  uomo  di  rara 
virtù  e  sapere  ,  chiamato  Cosimo , 
eh'  era  stato  preso  sul  mare  dai  sa- 
raceni. Questo  religioso  formò  il  suo 
allievo  nelle  scienze  e  nelle  virtù 
con  tanto  successo,  che  il  califfo, 
ammirato  del  merito  di  Giovanni, 
Io  fece  governatore  di  Damasco.  I 
pericoli  da' quali  Giovanni  si  vedeva 
attorniato,  e  il  riflesso  della  falsità 
dei  beni  terreni,  lo  staccarono  ben 
presto  dal  mondo,  in  guisa  che  di- 
spensati i  suoi  beni  ai  poveri  ed 
alle  chiese,  si  ritirò  segretamente 
nella  laura  di  s.  Saba  presso  Ge- 
rusalemme, ove  gli  tenne  dietro 
il  suo  maestro  Cosimo,  che  fu 
poscia  vescovo  di  Maiuma  in  Pa- 
lestina. Giovanni  santificossi  nel  suo 
ritiro  colla  pratica  di  tutte  le  vir- 
tù, e  specialmente  di  una  profonda 
umiltà  e  di  una  cieca  obbedienza , 
osservando  scrupolosamente  gli  av- 
visi del  suo  direttore,  che  aveagli 
data  per  prima  regola  di  sua  con- 
dotta di  non  far  mai  la  volontà 
propria.  Fu  innalzato  al  sacerdozio, 
e  gli  fu  permesso  d'impiegare  i  suoi 


GIO 

talenti  in  difesa  della  Chiesa.  L'im- 
peratore Leone  l'Isaurico  avea  nel 
726  pubblicato  un  editto  contro  il 
culto  delle  immagini.  GÌ'  iconoclasti 
insuperbiti  per  la  protezione  di  que- 
sto principe ,  si  erano  fatti  molli 
partigiani  ;  e  siccome  il  guasto  della 
loro  eresia  allargavasi  ogni  dì  più, 
il  sauto ,  affine  di  porre  argine  ai 
progressi  del  male,  scrisse  i  suoi  tre 
discorsi  sopra  le  immagini.  Né  si 
contentò  di  scrivere  soltanto  contro 
gì'  iconoclasti  ;  ma  percorse  tutta  la 
Palestina  per  confortare  i  fedeli 
perseguitati  da  essi.  Collo  stesso  di- 
segno si  recò  a  Costantinopoli,  sen- 
za lasciarsi  impaurire  dalla  potenza 
di  Costantino  Copronirao,  il  quale 
favoreggiava  apertamente  i  nemici 
della  Chiesa  ;  e  tornato  in  Palesti- 
na, eh'  era  sotto  il  dominio  del  ca- 
liffo dei  saraceni,  continuò  a  difen- 
dere la  fede  cattolica  coi  dotti  suoi 
scritti.  Dicesi  che  l' imperatoi'e  Leo- 
ne fu  talmente  irritato  del  suo  zelo, 
che  ne  fece  contraffare  la  scrittura, 
e  immaginata  una  falsa  lettera  in 
cui  Giovanni  gli  prometteva  di  con- 
segnargli la  città  di  Damasco ,  la 
rimise  al  califfo ,  il  quale  fece  per 
ciò  tagliare  al  santo  la  mano  destra  ; 
ma  questo  fatto  non  è  certo.  S. 
Giovanni  Damasceno  morì  verso  l'an- 
no 754,  secondo  alcuni,  e  secondo 
altri  verso  il  780 ,  neh'  età  di  circa 
cento  e  quattr'  anni,  com'  è  notato 
ne'  leggendari  de'  greci  ;  e  la  sua 
festa  celebrasi  ai  6  di  maggio.  Nel 
duodecimo  secolo  fu  trovata  la  sua 
tomba  davanti  la  facciala  della  chie- 
sa della  laura ,  secondo  che  narra 
Foca  nella  sua  descrizione  di  Pa- 
lestina. 

Opere  di  s.  Giovanni  Damasceno. 

1.  Il  libro  della  dialettica. 

2.  Il  libro  delle  eresie,   che    è  un 


GIO 

compendio  di  s.  Epifanio.  Intor- 
no alle  altre  eresie  posteriori  a 
questo  santo,  prende  ciò  che  ne 
dice  dagli  scritti  di  Teodoreto,  di 
Timoteo  da  Costantinopoli,  ec. 
Vi  parla  peraltro  di  parecchi  ere- 
tici di  cui  nessun  altro  autore  fa 
menzione ,  e  vi  confuta  il  mao- 
mettismo. 

3.  I  quattro  lihri  della  fede  orto- 
dossa, i  quali  sono  un  corpo  di 
teologia  :  il  primo  tratta  di  Dio 
e  de'  suoi  attributi  ;  il  secondo 
della  creazione  degli  angeli,  del- 
l' uomo  ,  della  libertà,  della  pre- 
destinazione; il  terzo  del  mistero 
dell'Incarnazione;  il  quarto  dei 
Sacramenti,  ec. 

4-  I  tre  discorsi  sulle  immagini. 

5.  11  libro  della  sana  dottrina  ,  il 
quale  ,  propriamente  parlando , 
non  è  che  una  professione  di  fede 
ragionata. 

6.  Il  libro  contro  i  monofisiti. 

7.  11  libro  o  dialogo  contro  i  ma- 
nichei. 

8.  La  disputa  contro  un  saraceno, 
f).  Gli  opuscoli  sui     dragoni    e  sui 

maliardi  ,  di  cui  non  abbiamo 
che  un  frammento. 

10.  Il  libro  della  Trinità,  il  quale 
se  non  è  di  s.  Giovanni  Dama- 
sceno, è  almeno  un  estratto  delle 
sue  opere. 

11.  La  lettera  a  Giordauo  sul 
Trisagio. 

12.  La  lettera  sul  digiuno  della 
quaresima. 

i3.  Il  libro  degli  otto  vizi  capita- 
li: il  santo  dottore  ne  contala 
otto  perché  distingueva  la  vana- 
gloria dalla  superbia]  con  gli 
antichi   autori   ascetici. 

14.  11    libro   della    virtù  e  del   vizio. 

1 5.  11  trattato  della  natura  oom« 
posta,  contro  gli  ai  el  ili  0  mono- 
fisiti ;   il    trattato    delle    due    >o- 


GIO  i7 

Ionia,  contro  i  monoteliti  ;  il  li- 
bro contro  i  nestoriani  :  sono 
tutte  confutazioni  degli  errori  sul 
mistero  dell'Incarnazione. 

1 6.  11  discorso  sopra  quelli  che  sono 
morti  nella  fede,  il  quale  nou  è 
di  s.  Giovanni  Damasceno,  come 
né  anche  parecchi  altri  opuscoli 
che  si  trovano  nel  toni.  II  della 
nuova  edizione  delle    sue    opere. 

17.  Una  Professione  di  fede,  che 
alcuni  autori  non  vogliono  che 
sia  del  santo  ;  ed  alcune  Prose, 
Odi  ed  Inni  per  diverse  feste , 
che  non  si  può  assicurare  che 
sieno  tutte  di  lui. 

Nel  secondo  tomo  si  trova  :    1 .  un 
commentario  sulle  epistole    di  s. 
Paolo;   2.   i   Paralleli,  cioè  com- 
parazioni delle  sentenze  de'  padri 
con  quelle  della    Scrittura  sopra 
un  gran  numero   di    Tenta  mo- 
rali ;  3.    parecchie  omelie    sopra 
differenti  soggetti. 
II  p.  Le  Quien,  domenicano,  ha 
dato  una  buona  edizione    greco-la- 
tina delle  opere  di  s.   Gio.  Dama- 
sceno, con  note  e  dissertazioni,  Pa- 
rigi   17 12,  due  voi.    in    foglio,    la 
quale  fu  riprodotta  in  Venezia  nel 
1748  con  molti  miglioramenti.  Lo 
stesso  p.  Le  Quien  avea    promesso 
un  terzo  tomo  che  avrebbe  conte- 
nuto molie  opere  falsamente  attri- 
buite al    santo    dottore ,    nel    qual 
numero  era  la  storia  del  santo  ro- 
mito Barlaamo,  e  ili   Giosalàtte  fi- 
glio d'un   re  delle  Indie.  Nel  Calii- 
logus  mts.   Bibliotlucar   Bernensisi 
aiulore  I.   R.   Sinnc    bibliothccario, 
stampato  nel    17O0,    parlasi    di   un 
manoscritto  di  un  Etymologicon  di 
s.   Giovanni    Damaseeno  ,   che  soin- 

miniitra  delle  correxioni  importanti 
pei  disionari  d'  Eskhio  e  di  Sui  la 

<.ln\  \\\|  >,,  llrur.iM  (1      \  1 
lo  nel  villaggio  di  Harnham,  nella 


vol    un. 


i8  G  IO 

provincia  di  Deirois  ,  passò  nel 
paese  di  K.ent,  ove  usò  alla  scuo- 
la di  s.  Teodoro  di  Cantorbcry, 
e  vi  studiò  lettere  ed  insieme  le 
massime  di  pietà  sotto  il  sauto  ab- 
bate Adriano.  Tornalo  in  patria 
si  ritirò  nel  monistero  di  Whitby, 
dal  quale  fu  tratto  per  innalzarlo 
alla  sede  vescovile  di  Hagustad  ; 
poscia  passò  a  quella  d'  Yorck.  La- 
sciò anche  questo  vescovato  per 
chiudersi  nel  monistero  di  Beverley, 
che  avea  fatto  fabbricare,  e  dal 
quale  derivò  il  suo  soprannome  di 
Beverley.  Ivi  passò  il  resto  de'suoi 
giorni  negli  esercizi  della  peniten- 
za e  dell'orazione,  terminando  feli- 
cemente la  sua  mortale  carriera  ai 
7  di  maggio  del  721,  nel  qual  gior- 
no il  martirologio  romano  fa  men- 
zione di  lui.  Questo  santo  vesco- 
vo fu  anche  onorato  del  donò  dei 
miracoli. 

GIOVANNI  di  Biudlingtox  (s.). 
Nato  a  Brindlington  o  Burlington, 
porto  di  mare  dell' Yorckshire,  stu- 
diò ad  Oxford,  e  ritornato  in  pa- 
tria, vi  prese  l' abito  de'  canonici 
regolari  di  s.  Agostino.  Divenne 
ben  presto  modello  d'ogni  virtù, 
e  fu  successivamente  precettore, 
limosiniere  e  priore  del  suo  mo- 
nistero. Dopo  aver  esercitato  que- 
sta carica  per  diciassette  anni,  chiu- 
se la  sua  santa  vita  a'  io  ottobre 
1376.  Nella  sua  vita  scritta  dal 
Surio,  ed  in  Walsingham  leggonsi 
molti  miracoli  operati  per  sua  in- 
tercessione. 

GIOVANNI  Calidita  (s.).  Figlio 
di  un  ricco  signore  di  Costantino- 
poli per  nome  Eutropio,  ma  dimo- 
rante in  Roma  ov'egli  nacque,  ab- 
bandonò in  età  ancor  tenera  la  casa 
paterna  per  andai'  a  vivere  tra  gli 
acemcti,  religiosi  che  dimoravano 
non  lungi  da  Costantinopoli,  i  qua- 


GIO 

li  erano  così  chiamati  perchè  di- 
visi in  molti  cori  cantavano  gior- 
no e  notte  le  laudi  del  Signore, 
significando  un  tal  nome,  uomini 
che  non  dormono  mai.  Giovanni 
coperto  di  poveri  cenci  tornò  in 
patria  sei  anni  dopo,  e  scelse  ad 
abitazione  una  casuccia  in  vicinan- 
za o  meglio  un  oscuro  angolo  della 
stessa  casa  dei  suoi  genitori  e  paren- 
ti, che  senza  sapere  chi  fosse  lo  man- 
tenevano colle  loro  limosiue.  Viven- 
do in  questo  modo  santificossi  coll'o- 
razione  continua  e  colla  pratica  del- 
la mansuetudine,  dell'umiltà,  della 
pazienza  e  della  mortificazione.  So- 
lo all'estremo  del  viver  suo  si  die 
a  conoscere  a  sua  madre.  Morì 
nel  4^°  ?  e  come  avea  chiesto  fu 
sepolto  nel  suo  abituro,  dal  qua- 
le egli  avea  avuto  il  nome  di  Cu- 
libila.  I  suoi  parenti  fabbricarono 
in  appresso  nella  di  lui  casa  pa- 
terna e  sulla  sua  tomba,  nel  rione 
di  Trastevere  a  Roma,  una  chiesa 
che  porta  il  suo  nome.  Appresso  a 
questa  chiesa  i  religiosi  beuefratel- 
li  fabbricarono  il  loro  ospedale,  e 
poscia  nel  1 640  esseudo  caduta  la 
chiesa  la  riedificarono,  ed  allora  tro- 
varono il  di  lui  corpo;  altri  dico- 
no che  si  rinvenue  prima.  Una 
marmorea  iscrizione  che  si  legge 
nell'interno  della  chiesa  attesta  che 
il  sacro  corpo  si  venera  sotto  l'al- 
tare maggiore.  Il  capo  di  questo 
santo  conservasi  nella  chiesa  di  s. 
Stefano  a  Besauzoue  nella  Franca 
Contea.  Egli  è  onorato  ai  i5  gen- 
naio. 

GIOVANNI  da  Cahstrano  (s.). 
Ebbe  per  padre  1111  genlduomo 
d'Angiò  eh'  crasi  stanzialo  nel  re- 
gno di  Napoli,  e  nacque  a  Capi- 
strano  nel  1 385.  Recatosi  a  stu- 
diare a  Perugia ,  ivi  riportò  la 
laurea  dottorale    nel    diritto  civile 


CIO  010  19 

e  canonico,  e  sposò  la  figlia  d'uno  la  ed  Alfonso  di  Aragona,  rappa- 
dei  più  ragguardevoli  della  città,  cilicò  le  famiglie  degli  Oronesi  l 
JVelle  contese  insorte  nel  1 4 1 3  Lanzicni,  pose  fine  alle  contese 
tra  questa  città  e  Ladislao  re  di  che  tenevano  in  discordia  pareo- 
Napoli,  fu  incaricato  di  negoziare  chic  città,  e  calmò  più  fiate  delle 
la  pace,  per  cui  fece  più  viaggi,  violente  sedizioni.  Eletto  due  'volte  a 
ma  non  avendo  ottenuto  l'effètto  vicario  generale  degli  osservanti  o 
che  si  aveva  dapprima  sperato,  i  francescani  riformati  d'Italia,  eser- 
perugini  insospettiti  che  favorisse  citò  questo  impiego  per  lo  spazio  di 
segretamente  il  re  di  Napoli,  lo  sei  anni,  e  contribuì  non  poco  a 
imprigionarono  nel  castello  di  Bruf-  consolidare  la  riforma  eh'  era  sta- 
fà.  Questa  circostanza  gli  fece  se-  ta  stabilita  da  s.  Bernardino  da 
riamente  considerare  la  instabilità  Siena,  del  quale  imitava  le  virtù 
delle  cose  umane,  e  siccome  avea  e  la  divozione  ai  santi  nomi  di 
di  fresco  perduta  la  moglie,  ri-  Gesù  e  di  Maria.  11  Papa  Euge- 
sol vette  di  consagrarsi  alla  peni-  nio  IV  lo  fece  suo  nunzio  in  Si- 
tenza  ìiell'  ordine  di  s.  Francesco,  cilia,  ed  a  Carlo  VII  re  di  Fran- 
ed  impaziente  d'ogni  indugio  si  eia;  lo  spedì  anche  ai  duchi  di 
tagliò  i  capeUi  e  fece  dare  alla  Borgogna  e  di  Milano  per  distac- 
sua  veste  la  forma  d'un  abito  re-  carli  dal  concilio  di  Basilea,  e  si 
ligioso.  Ottenuta  la  libertà,  ven-  valse  di  lui  nel  concilio  di  Firen- 
dette  tutti  i  suoi  beni,  con  cui  ze  per  la  conciliazione  dei  greci 
pagò  il  suo  riscatto,  distribuendo  coi  latini.  Giovanni  da  Capistrano 
il  rimanente  ai  poveri;  poscia  en-  dopo  avere  attraversato  lo  stato 
Irò  nel  convento  dei  francescani  di  Venezia,  scorse  la  Carintia  , 
del  Monte  in  Perugia:  egli  era  la  Carinola,  il  Tirolo,  la  Baviera 
allora  in  età  di  treni' anni.  Fu  e  l'Austria,  predicando  dovunque- 
provato  con  ogni  sorta  di  umilia-  con  grandissimo  frutto.  Pari  suc- 
zioni  e  di  penitenze,  che  il  suo  cesso  ebbero  le  sue  apostoliche  fa- 
fervore  superò  vittoriosamente.  Do-  tiche  nella  Boemia,  nella  Polonia 
pò  la  sua  professione  egli  si  fece  e  noli'  Ungheria  ;  nella  Moravia 
una  legge  di  non  più  fare  che  un  convertì  quattromila  ussiti.  Avendo 
pasto  il  dì:  solamente  nei  lunghi  Maometto  II  preso  d'  assalto  Co- 
e  penosi  viaggi  faceva  la  sera  una  stantiuopoli  nel  maggio  del  i  j 
leggiera  colazione;  e  visse  trenta-  il  Papa  Nicolò  V  incaricò  Gio- 
sei  anni  senza  far  uso  di  carne,  vanni  da  Capistrano  di  esor  tare 
Il  suo  sonno  non  eccedeva  le  tre  i  principi  cristiani  a  prendere  le 
o  quattro  ore,  e  questo  lo  pren-  armi  contro  il  comune  nemico  ; 
deva  BOpra  le  nude  tavole,  inopie"  e  Calisto  111,  che  successe  a  Nico- 
gando  il  restò  della  notte  nella  lo  V  nel  i.jn,  lo  mandò  a  pre- 
preghier*  e  nella  contemplazione,  dicare  una  crociata  nell'Alemagna 
Egli  possedeva  lo  spirito  di  coni-  e  neh'  L  agheria.  La  vittoria  dai 
punuone,    e    lo  inspirava    coti    le  cristiani    riportata  sopra  Maometto 

sue   prediche    mi    peccatori    più   in-  11,   per    CUI    In   Costretto    di     I 

limati,  aveva  allusi  un'attitudine  vergognosamente   l'assedio  che 

particolare  pei   estinguere  gli  odi!,  posto    »    Belgrado,  viene  dagli 

rimise  la  pace  tra  la  cittì  d'Aqui  nei   utuibuilu  uuu  meno  all'ei 


io  GIO 

valore  del  principe  Uniade ,  che 
allo  zelo  ed  attività  di  s.  Giovan- 
ni da  Capistrano,  ch'era  con  lui 
e  che  incoraggiva  i  soldati  in  mez- 
zo ai  pericoli,  tenendo  in  mano  la 
croce,  ed  esortandoli  a  vincere  o 
morire.  Tre  mesi  dopo  questo  fatto, 
Giovanni  spirò  tranquillamente  nel 
convento  di  Villech  presso  Sirmich, 
ai  23  ottobre  i/\.56,  in  età  di 
settantun  anno.  Leone  X  approvò 
un  officio  in  suo  onore  per  la 
città  di  Capistrano,  e  per  la  dio- 
cesi di  Sulmona  ;  Gregorio  XV  lo 
beatificò,  Alessandro  Vili  lo  ca- 
nonizzò nell'anno  i6go,  e  Benedet- 
te XI II  pubblicò  la  bolla  di  sua 
canonizzazione  nel  1724.  Il  suo 
corpo  trovasi  presentemente  ad 
Elloc,  presso  Vienna  d'Austria,  e 
la  sua  festa  si  celebra  il  2  3  otto- 
bre, giorno  della  sua  morte. 

S.  Giovanni  da  Capistrano  com- 
pose diverse  opere  ,  di  cui  le 
principali  sono:  i.°  un  Trattato 
dell'  autorità  del  Papa,  contro  il 
concilio  di  Basilea  :  2.0  lo  Specchio 
de' preti;  3.°  un  Penitenziale  ;  4-° 
il  Trattalo  del  giudizio  finale  ;  5.° 
il  Trattato  dell'  Anticristo  e  della 
guerra  spirituale  ;  6.°  alcuni  tratta- 
ti sopra  diversi  punti  di  diritto 
civile  e  canonico.  Le  sue  opere 
contro  gli  ussiti  e  contro  Rockisa- 
na  capo  di  questi  eretici  in  Boe- 
mia ,  come  pure  i  suoi  libri  Del- 
la Concezione  della  santa  tergi- 
ne, e  della  Passione  di  Gesù  Cri- 
sto, intorno  a' quali  si  può  vedere 
Benedetto  XIV,  De  canon,  sanct., 
non  furono  mai  stampati. 

GIOVANNI  Climaco  (s.).  Nacque 
verso  1'  anno  52 5,  e  credesi  origi- 
nario della  Palestina.  La  riputazio- 
ne che  fino  dalla  sua  gioventù 
acquistossi  nelle  scienze  umane  gli 
fecero  dare  l'onorevole  soprannome 


GIO 

di  Scolastico.  Rinunziò  al  mondo 
in  età  di  sedici  anni,  per  dedicarsi 
alla  vita  contemplativa  nei  deserti 
del  Sinai,  ove  si  pose  sotto  la  di- 
rezione d'  un  vecchio  anacoreta  no- 
mato Martirio.  Dopo  quattr' anni  di 
fervoroso  noviziato ,  in  cui  s' era 
imposto  il  più  rigoroso  silenzio,  e 
la  più  perfetta  obbedienza,  pronun- 
ziò i  voti  monastici.  Morto  Marti- 
rio nell'  anno  56o,  ritirossi  nel  ro- 
mitaggio di  Thole,  alle  falde  del 
monte  Sinai.  La  sua  celletla  era 
forse  cinque  miglia  lungi  dalla  chie- 
sa, ove  si  recava  tutti  i  sabbati  e 
le  domeniche  per  ascoltarvi  l'ofli- 
zio  e  comunicarsi  co' monaci  e  co- 
gli anacoreti  del  deserto.  Col  con- 
tinuo esercizio  della  contemplazione 
ei  si  acquistò  una  perfetta  purezza 
di  cuore ,  e  collo  studio  indefesso 
dei  libri  sacri  e  delle  opere  dei 
santi  padri  si  rese  uno  dei  più  sa- 
pienti dottori  della  Chiesa.  Tutta- 
via egli  desiderava  celare  i  suoi  rari 
talenti  e  le  grazie  singolari  ond'e- 
ra  arricchita  l'anima  sua,  per  ti- 
more di  perdervi  il  prezioso  tesoro 
dell'  umiltà.  Scavossi  una  grotta  in 
una  vicina  roccia,  per  rinchiuder- 
visi  tratto  tratto;  e  allorché  ivi  sog- 
giornava, abbandonavasi  con  fervore 
più  che  da  uomo  a  tutti  gli  eser- 
cizi della  contemplazione.  Ma  la 
sua  santità  e  la  sua  dottrina  ri- 
splendevano  senza  eh'  ei  lo  volesse, 
per  modo  che  molta  gente  veniva 
da  tutte  parti  a  consultarlo.  Accu- 
sato di  gittare  il  tempo  in  vani 
discorsi  per  mercarsi  la  stima  degli 
uomini,  condannossi  ad  un  rigoro- 
so silenzio,  e  passò  un  anno  intiero 
senza  parlare  mai  con  nessuno  : 
questa  prova  di  modestia  die  a  di- 
vedere la  falsità  dell'  accusa ,  e  fu 
scongiurato  di  non  tenere  più  oltre 
sepolto    il  talento  che  Dio    aveagli 


GIO 

dato,  e  di  non  privare  del  soccorso 
di  sue  cognizioni  quelli  che  a  lui 
ricorrevano.  Poco  appresso,  cioè  ver- 
so 1'  anno  600,  fu  eletto  abbate  del 
monte  Sinai,  e  superior  generale 
di  tutti  i  monaci  e  di  tutti  gli  ana- 
coreti di  quella  contrada.  Pregato 
dal  beato  Giovanni  abbate  di  Rai- 
ta,  monastero  posto  vicino  al  mar 
Rosso,  di  scrivere  qualche  trattato 
per  la  perfezione  dei  solitari ,  egli 
compose  l'eccellente  libro  intitolato 
Climax ,  cioè  Scala ,  per  cui  gli 
venne  l' appellativo  di  Climaco. 
Questo  libro  è  scritto  a  foggia  di 
aforismi  o  di  sentenze  che  com- 
prendono gran  sensi  in  poche  pa- 
role; lo  stile  n'è  didascalico  e  con- 
ciso. Contiene  due  parti  :  la  prima 
è  la  Scala  santa,  composta  di  tren- 
ta gradi ,  i  quali  sono  altrettante 
virtù  cristiane  e  religiose ,  di  cui 
egli  insegna  la  pratica  per  mezzo 
ili  saggi  consigli;  la  seconda  è  una 
lettera  in  particolare  all'abbate  di 
Raita,  sulle  qualità  di  un  superio- 
re, e  sulla  maniera  colla  quale  de- 
ve contenersi  verso  i  suoi  religiosi. 
S.  Giovanni  Climaco  dopo  aver  go- 
vernato quattr*  anni  con  straordi- 
naria saggezza  il  monistero  del 
monte  Sinai,  ritornò  nella  sua  pri- 
ma solitudine,  ove  mori  ai  3o  mar- 
zo del  6o5 ,  in  età  d' ottant'  an- 
ni. In  tal  giorno  celebrasi  la  sua 
festa. 

GIOVANNI  (s.),  soprannominato 
Colobo  o  Nano  per  la  piccolezza 
di  sua  statura.  Ritirossi  con  un  suo 
fratello  nel  deserto  di  Sceti,  e  quivi 
sotto  la  disciplina  di  un  santo  ro- 
mito, adoperossi  di  tutta  forza  a 
vincere  sé  stesso,  spezialmente  colla 
mortificazione  e  colla  umiltà.  Or- 
dinatogli dal  suo  direttole  di  pian- 
tare in  un  terreno  arido  il  basto- 
ne che  teneva  iu    mano,   e   di  in- 


GIO  2i 

naffiarlo  tutti  i  giorni  insino  a  che 
producesse  frutto,  non  esitò  ad  ob- 
bedire, tuttoché  il  fiume  a  cui  do- 
vea  attignere  l' acqua  fosse  molto 
lontano.  Narrasi  che  avendo  ciò  ese- 
guito per  tre  anni  continui,  il  ba- 
stone produsse  dei  frutti ,  cui  il 
vecchio  romito  portò  alla  chiesa,  e 
dispensò  ai  fratelli,  dicendo  loro  : 
«  Prendete  e  mangiate  il  frutto 
dell'obbedienza".  Leggesi  in  Sulpi- 
zio  Severo,  che  Postumiano^  il  qua- 
le era  in  Egitto  nel  4°2>  vide  que- 
st'  albero  coperto  di  foglie.  Questo 
santo  divenne  celebre  fra  gli  anti- 
chi padri  dei  deserti  d'  Egitto,  per 
la  sua  dolcezza,  umiltà  e  pazienza. 
Avvicendava  l'esercizio  della  pre- 
ghiera col  travaglio  delle  sue  ma- 
ni ,  ed  occupavasi  a  tessere  delle 
stuoie  ;  ma  il  suo  spirito  era  assor- 
to nella  contemplazione  per  modo, 
che  sovente  guastava  il  suo  lavoro, 
perchè  dimenticavasi  ciò  che  faceva. 
Quando  parlava  di  Dio,  i  suoi  di- 
scorsi erano  pieni  di  fuoco.  Converfi 
una  giovine  per  nome  Paesia ,  la 
quale  erasi  data  alla  scorrettezza,  e 
divenuta  fervorosa  penitente  passò 
il  rimanente  de'  suoi  anni  nelle 
austerità,  e  mori  nel  deserto.  Quan- 
do s.  Giovanni  fu  presso  a  morire, 
i  suoi  discepoli  lo  pregarono  di  la- 
sciar loro  alcune  massime  proprie 
a  condurli  alla  perfezione  ;  ond'e- 
gli  disse  loro  :  «  Io  non  ho  mai 
seguito  la  mia  volontà,  né  insegnato 
agli  altri  ciò  che  non  ho  prima 
praticato  io  stesso  ".  Spirò  verso  il 
cominciamento  del  quinto  secolo  ; 
è  onorato  a'  i5  di  settembre,  e  nel 
calendario  de'  cofli  è  menzionato  ai 
17  di  ottobre. 

GIOVANNI     della    Croce    (s.). 
Figlio  cadetto  di  Gonzales  «li   ,* 
pes,  nacque  nel    1  j  ji  a  Fonlibera, 
presso  Avila,  nella  Castiga  vecchia. 


22  CIO 

Di    venturi  anno    vestì    P  abito    dei 
carmelitani  nel  convento  di  Medina 
del  Campo,  avendo  scello  quest'or- 
dine religioso  a  preferenza  di  ogni 
altro  per  la  gran  divozione  che  aveva 
alla  santa  Vergine.  Nessun  novizio 
mostrò    mai    maggior    sommissione 
di  lui,  maggiore  umiltà,  fervore,  ed 
amore  alla  croce:   virtù  che  in  lui 
si  accrebbero  ognor  più.    Compi  il 
suo    corso    teologico     a    Salamanca 
praticando  le  più  austere  penitenze, 
e  in  età  di  venticinque  anni  fu  or- 
dinato sacerdote.   Allorché  s.  Tere- 
sa, intesa  alla  riforma  del  Carme- 
lo, fondò    il    suo    primo    monistero 
di   uomini  in  una  povera    casa  del 
villaggio  di    Durvelle,    Giovanni  vi 
si  ritirò,  e    passarono    appena  due 
mesi  che  vi  si  aggiunsero  alcuni  al- 
tri religiosi,  che  nella  prima  dome- 
nica d'avvento  del     i568  rinnova- 
rono   con    lui    la    loro    professione. 
Tale  si  fu  l'origine  dei  Carmelita- 
ni scalzi   [Fedi).   L'esempio    e  le 
esortazioni  di  Giovanni  inspirarono 
agli  altri  lo  spirito  di  ritiro,  di  umil- 
tà e  di   mortificazione.   Ardente  del 
fuoco  della  divina  carità,  nulla  ago- 
gnava maggiormente  che  di  imitare 
Gesù    sofferente,    d'essere    a    parte 
delle  sue  umiliazioni ,  di  portar  la 
sua  croce,   di    servire    il    prossimo 
per  amore  di   lui.  La  sua  vita  olTre 
un  continuo  avvicendamento  di  gra- 
vi tribolazioni  e   di    favori    celesti. 
Cooperò  con    s.    Teresa    pel    buon 
successo  della  riforma,  e  nel    i5y6 
fu  da  lei    fatto    direttore    del  con- 
vento d'  Avila,   ove  persuase  le  re- 
ligiose a  rinunziare  a'  parlatori! ,  e 
corresse  quegli   abusi  che  non  sono 
compatibili  con  una   vita  austera  e 
penitente.  Le  sue  prediche,  piene  di 
unzione,  erano  ascoltate  con  somma 
premura,  e  molte  persone    che  vi- 
vevano nel  mondo  affidarono  a  lui 


GIO 
la    direzione    della    loro    coscienza. 
Gli  antichi   religiosi  dell'  ordine,  ri- 
guardando la  riforma  come  una  ri- 
bellione, nel  loro  capitolo  tenuto  a 
Placenzia    condannarono    Giovanni 
della  Croce  qual    profugo    ed    apo- 
stata ;  quindi  mandarono  uffiziali  di 
giustizia  a  levarlo  dal  convento  per 
trarlo  in   prigione.  Se  non  che  co- 
noscendo la  venerazione  che  il  po- 
polo d"  Avila  aveva  per  lui,  lo  fe- 
cero  condurre   a    Toledo  ,   ove   fu 
chiuso  in  una  oscura  celletta,  e  te- 
nuto a  pane  ed  acqua,    con  pochi 
pesciolini  soltanto.   Dopo  nove  mesi 
riebbe  la  libertà    pel    credito    di  s. 
Teresa,  e  fu  fatto  anche  superiore 
del    piccolo   convento   del    Calvario 
posto  nel  deserto.  Nel    i5y9  fondò 
quello  di  Baesa,  e  due  anni  appres- 
so gli    fu    affidato    il    governo    del 
convento  di  Granata.   Nel    i585  fu 
eletto  vicario  generale  dell'  Andalu- 
sia, e  primo  definitore    dell'ordine 
nel    i588,  nel  qual   tempo  fondò  il 
convento  di  Segovia.  Questi  diversi 
uffizi   non  gli  fecero  mai  scemare  le 
sue  austerità,   i  suoi   fervorosi  eser- 
cizi, il  suo  amore  per  l'abiezione,  e 
l'insaziabile  desiderio  di  patire.  IN  è 
ammiravasi  meno    in    lui    l' amore 
pel  prossimo,  massime   pei  poveri, 
per    gli    ammalati ,    pei   peccatori  ; 
amava  teneramente  eziandio  i  suoi 
stessi  nemici,  e  sempre  rendeva  loro 
bene  per  male.   Nondimeno  le  cat- 
tive   disposizioni    covate    contro    di 
lui,  si  ridestarono  allorché  nel  ca- 
pitolo tenuto  a   Madrid  nel    l5gl  , 
disse    liberamente    la    sua    sentenza 
contro  gli  abusi  che  si  tolleravano 
o  voleansi  introdurre  da  alcuni  ca- 
pi dell'ordine;   laonde    venne    spo- 
gliato de'suoi  impieghi .   Ridotto  al- 
lo stato    di     semplice     religioso,   i  i- 
tirossi  nel  solingo  convento  di    Pe- 
gnuela ,    posto    nelle    montagne    di 


GIO 
Sierra-Morena.  Giovanili  riguardane 

do  il  suo  esilio    come    una   felicità, 
ne    scusava  gli  autori,  e  non   volle 
die   i  suoi     amici     informassero    il 
padre  vicario  generale  del  modo  in- 
giusto col  quale  era   trattato.   Alle 
accuse    che  gli   venivano   intimiate, 
null'altro  rispose    se    non   che    sof- 
frirebbe con  giubilo  qualunque  pe- 
na, e  riponendo   in  Dio   il  suo  uni- 
co conforto,  si  diede    tutto  alla  au- 
sterità e  alla  contemplazione,  e  fu 
ricompensato  coi  più  segnalati   favo- 
ri  spirituali.  Finalmente  cadde  ma- 
lato,  né  potè  a  lungo  celare  il  suo 
stato,  e  mancandogli  aPegnuela  i  ne- 
cessari soccorsi,  il  suo  provinciale  gli 
propose  di  passare  a  Baesa  o  ad  Ube- 
da. L'amore  de  patimenti  gli  fece  sce- 
gliere il  convento  ili  Ubeda,  appunto 
perchè    governato    da    uno    de'  suoi 
contrari.   La   fatica    del    viaggio  ac- 
crebbe l'enfiagione  che  avea  ad  una 
gamba,  e  che  fu    bentosto  accom- 
pagnata da    ulcere,  cosicché  si  do- 
vette ricorrere  ad    operazioni   dolo- 
rose, eh'  ei  sopportò  senza  mandare 
un   lamento,  come  con   invitta    pa- 
zienza soffrirà   eziandio  i   duri  trat- 
tamenti  del    priore.    Ma    venuto  al 
convento  di  Ubeda  il  provinciale,  co- 
nobbe quanto  ingiustamente  il  nostro 
santo  fosse  stalo  perseguitato,  e  disse 
che  un  tale  modello  di  viriti  dorerà 
ormai    essere    conosciuto    non    solo 
d,\  suoi  fratelli,  ma  eziandio  da  tut- 
to  il   mondo.    Allora    il  priore  com- 
prese l'indegnità  ili    sua    condotta, 
ne  chiese  perdono  al  santo,  e  non 
tesso   mai   di    deplorare   le   sue    pas- 
sile stranezze.  Giovanni  sempre  lie- 
to   in     mezzo     a' suoi     dolori,     spirò 

placidamente  a'  i  \  dicembre  i5qi, 

in  età  di  f<)  anni.  Dopo  la  SU  i 
morte  fu  glorificato  da  Dio  con 
molli  miracoli  Benedetto  \lll  ca- 
nonizzollo  \\  27  dicembre    1726,  e 


GIO  23 

la  sua  festa  si  pose  nel  Breviario 
romano  a'  1  \  novembre.  Il  suo  cor- 
po trovasi  a  Segovia,  ed  un  brac- 
cio ed  una  gamba  sono  ad  Ubeda. 
S.  Giovanni  della  Croce  aveva  com- 
poste alcune  opere  spirituali  in  lin- 
gua spaglinola,  che  furono  tradotte 
in  italiano,  in  latino  ed  in  france- 
se. Le  principali  sono  :  La  salita 
al  Carmelo  j  La  notle  oscura  del- 
l' anima  ;  La  viva  fiamma  dell'a- 
more j  L.a  cantica  del  divino  amo- 
re. Vi  si  trovano  eccellenti  massime 
ed  importanti  istruzioni  intorno  a 
tutto  ciò  che  avviene  nella  vita  spi- 
rituale fino  al  più  eminente  grado 
di  perfezione.  Egli  stabilisce  delle 
regole  sicure  contro  le  insidie  del 
demonio,  della  carne,  del  mondo  e 
dell'  amor  proprio.  I  suoi  libri  so- 
no pieni  di  saviezza  e  dottrina  ce- 
leste ,  come  si  espresse  la  sagra 
congregazione  de'rili;  essi  sono  scrit- 
ti con  uno  stile  così  sublime  ed  am- 
mirabile, che  si  giudica  ben  a  ra- 
gione aver  egli  avuta  una  scienza 
infusa. 

GIOVANNI  Colombi*!  (s.).  Usci 
va  \\^\  una  delle  più  antiche  lànn- 
glje  di  Siena,  e  funse  la  primaria 
magistratura  del  suo  paese  mollo 
onorevolmente,  ma  con  poca  reli- 
gione. Tatto  proposito  di  mutai 
sita,  rinunziò  la  sua  canea,  dispen- 
sò ai  poveri  una  gran  pule  dei 
suoi  beni  ,  e  diedesi  alla  più  rigo- 
rosa penitenza,  e  all'esercizio  delle 
opere  di  misericordia,  accogliendo 
nella  sua  casa  i  poveri  e  ^li  am- 
malati, ai  quali  prodigava  le  più 
tenere  cure.  Egli  aveva  un  tìglio  e 
una  figlia,  ed  essendogli  morto  l'u- 
no, e  fallisi  l'altra  religiosa,  ven- 
dine il  resto  dei  suoi  hciii  per  im- 
piegariM  il  ricavato  in  opere  di 
pietà.    Sua    moglie,  eh '.  »il  ■ 

tuosa,    erasi    di    già    impegn  ita  al 


a4  GIO 

pari  di  lui  a  passare  i  suoi  giorni 
in  una  perfetta  continenza.  Molte 
persone,  tocche  dai  suoi  esempli,  si 
unirono  a  lui  e  si  posero  sulle  sue 
orme.  Tutti  insieme  soccorrevano  i 
malati  ed  i  poveri,  li  esortavano  a 
far  frutti  degni  di  penitenza,  a  sof- 
ferire volentieri  in  espiazione  dei 
loro  peccati,  e  a  consagrarsi  al  ser- 
vigio di  Dio.  Siccome  essi  aveano 
sempre  sul  labbro  il  sacro  nome  di 
Gesù,  furono  appellati  Gesuati (Ve- 
di). Essendosi  di  molto  accresciuto  il 
loro  numero,  Giovanni  ne  formò  una 
congregazione  che  abbracciò  la  re- 
gola di  s.  Agostino,  e  prese  a  pro- 
tettore s.  Girolamo.  Nel  1367  si 
recò  a  Viterbo,  ove  Urbano  V  ap- 
provò il  suo  istituto,  accordandogli 
molti  privilegi  ;  e  trentacinque  gior- 
ni dopo  morì,  ai  3r  di  luglio,  nel 
qual  giorno  celebrasi  la  sua  festa. 
GIOVANNI  di  Dio  (s.).  Nacque 
nel  1 49^  da  poveri  genitori  a  Mon- 
te Maggiore  in  Portogallo.  Per  vo- 
glia di  viaggiare  abbandonò  in  te- 
nera età  la  famiglia  e  la  patria  ; 
ma  ben  presto,  privo  d'ogni  soc- 
corso, fu  costretto  porsi  al  servi- 
gio di  un  ricco  personaggio  in  O- 
ropesa  nella  Castiglia,  del  quale 
custodì  le  mandre.  Nel  i522  si 
arruolò  in  una  compagnia  di  fan- 
ti, e  servì  nelle  guerre  che  allora 
dividevano  la  Fi-ancia  e  la  Spa- 
gna ;  militò  anche  nella  guerra  che 
1'  imperatore  Carlo  V  fece  contro 
i  turchi  in  Ungheria.  11  mal  esem- 
pio de' suoi  compagni  corruppe  la 
sua  virtù,  e  fecegli  abbandonare 
quasi  tutti  gli  esercizi  di  pietà. 
Ritiratosi  dalla  milizia,  nel  i536 
passò  nell'Andalusia,  e  si  pose  al  ser- 
vigio di  una  ricca  dama  in  qualità 
di  pastore.  Allora  la  rimembranza 
de'  suoi  disordini  gli  svegliò  in  cuo- 
re  il  più  vivo  pentimento,  e    co- 


GIO 

minciò  a  consacrare  la  maggior 
parte  del  giorno  e  della  notte  agli 
esercizi  della  preghiera  e  della 
mortificazione.  A  fine  di  soddisfa- 
re alla  divina  giustizia  pensò  re- 
carsi in  Africa,  per  quivi  procac- 
ciare agli  schiavi  cristiani  tutti  i 
soccorsi  che  per  lui  si  potessero, 
sperando  ancora  di  poter  ottenere 
in  queste  contrade  la  corona  del 
martirio.  Trovandosi  a  Gibilterra, 
s'avvenne  in  un  gentiluomo  porto- 
ghese, che  colla  moglie  e  quattro 
figlie  veniva  condotto  in  esilio  a 
Ceuta  in  Barbaria,  e  Giovanni  per 
impulso  di  carità  si  offerì  di  ser- 
virlo. Appena  arrivati  a  Ceuta  il 
gentiluomo  cadde  malato,  e  ben 
presto  trovossi  ridotto  ad  un  estre- 
mo bisogno.  Giovanni  dopo  aver 
venduto  il  suo  piccolo  equipaggio 
per  nutrire  i  suoi  padroni,  trava- 
gliò ne 'pubblici  lavori  e  nell'arte 
del  libraio,  e  li  assistette  col  de- 
naro che  ne  ricavava.  Ritorna- 
to in  Ispagna  vendette  immagi- 
ni e  libretti  di  pietà  per  gua- 
dagnar di  che  vivere.  In  Grana- 
ta udì  l'anno  i538  un  sermone 
del  celebre  p.  Giovanni  d'  Avila, 
e  ne  restò  tanto  commosso  che 
struggendosi  in  lagrime  riempì  di 
grida  e  di  lamenti  la  chiesa,  e  si 
mise  a  correre  per  le  vie  gridan- 
do, percuotendosi,  e  strappandosi 
i  capelli  come  un  forsennato  , 
per  cui  la  ciurmaglia  credendolo 
pazzo  Io  inseguiva  a  colpi  di  ba- 
stoni e  di  pietre  ;  finche  alcune 
caritatevoli  persone,  mosse  a  pietà 
di  lui,  lo  condussero  dal  venera- 
bile Giovanni  d'  Avila,  che  conob- 
be non  esser  esso  quale  appariva, 
ne  udì  la  confessione  generale,  e 
diegli  salutari  ricordi,  prometten- 
dogli la  sua  assistenza.  Ma  ritor- 
nando poscia  a  dar  segni    di  pa?-. 


GIO 

zia  fu  rinchiuso  nell'ospedale,  e  si 
adoperarono  i  più  violenti  rimedi 
per  guarirlo  da  questa  pretesta 
malattia ,  locchè  egli  sofferiva  per 
ispirilo  di  penitenza  in  espiazione 
de'  suoi  peccati  passati.  Giovanni 
d'Avila,  avvisato  del  fatto,  andò  a 
visitarlo,  e  consigliollo  a  cangiar 
pensiero  e  ad  occuparsi  di  qualche 
cosa  da  cui  potesse  derivare  mag- 
gior utile  a  sé  ed  al  prossimo. 
Giovanni  si  giovò  degli  ammoni- 
menti del  suo  direttore  ,  tornò 
nel  suo  stato  naturale,  e  si  pose 
a  servire  per  qualche  tempo  i  ma- 
lati dell'  ospedale,  dal  quale  uscì 
a'21  ottobre  i53g.  Dopo  un  pel- 
legrinaggio alla  Madonna  di  Gua- 
dalupa  in  Estremadura  ,  ritornato 
in  Granata  cominciò  a  vender 
legne  sul  mercato,  impiegando  in 
sollievo  de'poveri  il  poco  guadagno 
che  ne  ritraeva.  Nel  i54o  prese  a 
pigione  una  casa  per  ricoverarvi  i 
poveri  malati,  a'  bisogni  de'  quali 
con  operosa  carità  provvedeva.  Co- 
sì ebbe  principio  1'  Ordine  della 
Carità.  V.  Benefratelli.  Gli  abi- 
tanti di  Granata,  edificati  dello  zelo 
di  Giovanni,  gareggiavano  nel  som- 
ministrare soccorsi  a  questo  pio 
stabilimento.  L'arcivescovo  lo  pre- 
se sotto  la  sua  protezione,  e  som- 
ministrò somme  considerabili  per 
renderlo  permanente;  il  qual  e- 
sempio  eccitò  la  carità  di  altre 
virtuose  persone.  Bella  prova  del- 
l'amore che  Giovanni  avea  pe' suoi 
poveri  malati,  fu  un  giorno  in  cui 
appiccatosi  il  fuoco  al  suo  ospizio, 
esponendo  sé  stesso  al  pericolo  per 
salvarli,  li  trasporti)  l'un  dopo  l'al- 
tro sul  dorso  frammezzo  alle  fiam- 
me. Né  la  sua  carità  reshingevasi 
entro  i  confini  del  suo  spedale,  ina  si 
estendeva  a  tutti  i  poveri  della  pro- 
vincia,   e  a     chi  somministrava    di 


GIO  *5 

che  vivere,  a  chi  procacciava  lavoro  ; 
premurosamente  provvedeva  alle 
giovanette  che  dall'inopia  poteano 
esser  tratte  a  peccare,  e  nulla  intra- 
metteva  per  ritrarre  dalla  vita  mal- 
vagia quelle  che  vi  si  erano  lasciate 
trascinare.  A  vita  sì  operosa  egli  u- 
niva  rigida  penitenza,  continua  o- 
razione  e  profonda  umiltà.  Dopo 
essersi  per  dieci  anni  indefessamen- 
te affaticato  nel  servigio  del  suo 
spedale,  cadde  infermo;  e  di  que- 
sta malattia  furono  cagione  le  fa- 
tiche che  avea  fatto  all'  occasione 
di  un'inondazione,  per  trarre  dal- 
l' acqua  molti  arnesi  pertinenti  ai 
poveri,  e  salvare  la  vita  a  un  uo- 
mo che  stava  per  affogarsi.  Egli 
procurò  dapprincipio  di  non  dar 
a  conoscere  la  sua  malattia,  per 
non  essere  obbligato  di  rallentare 
le  sue  fatiche  e  le  sue  austerità; 
ma  divenne  sì  pericolosa  che  non 
potè  più  celarla.  Essendosi  di  ciò 
sparsa  la  voce,  una  dama  virtuo- 
sa, nomata  Anna  Ossorio,  venne  a 
visitarlo,  e  trovollo  coricato  co'suoi 
abiti ,  senza  altra  coperta  che  una 
sudicia  casacca:  il  povero  infermo 
non  avea  fatto  altro  che  mettere 
in  luogo  della  pietra  che  ordina- 
riamente servitagli  di  origliere,  un 
cesto  nel  quale  era  uso  riporre 
le  limosine  eh'  ei  raccoglieva  fuori 
per  la  città.  Gli  ammalati  e  i  po- 
veri si  struggevano  in  lagrime  in- 
torno al  di  lui  letto.  Anna  Ossorio 
tocca  a  questo  spettacolo,  avver- 
tì segretamente  1'  arcivescovo  dello 
stato  al  quale  era  ridotto  il  sau- 
to, e  colla  di  lui  autorità  lo  per- 
suase di  abbandonar  lo  spedale, 
e  lo  condusse  in  sua  casa  perchè1 
fosse  curato  ;  ma  i  rapidi  prog 
si  della  sua  malattia  tolsero  <>.;ni 
speranza  della  sua  guarigione.  Tut- 
ta  la    gente  mostravasi    costernata 


26  G  I O 

al  pericolo  in  cui  si  trovava  que- 
sto uomo  di  Dio  ;  tutta  la  nobil- 
tà e  i  magistrati  vennero  a  visi- 
tarlo pregandolo  di  dare  la  sua 
benedizione  alla  città,  il  che  fece, 
persuaso  dall'arcivescovo.  Indi  si 
rivolse  colle  più  patetiche  esorta- 
zioni a  tutti  quelli  ch'erano  pre- 
senti ,  raccomandando  ad  essi  i 
suoi  poveri  e  i  suoi  fratelli  che 
avevano  la  cura  dello  spedale.  L'ar- 
civescovo celebrò  la  messa  nella 
camera  di  lui,  e  gli  amministrò 
gli  ultimi  sacramenti;  e  Giovanni 
stando  in  ginocchio  davanti  all'al- 
tare, spirò  agli  8  di  marzo  i55o. 
I  suoi  funerali  furono  celebrali 
con  molta  solennità  dall'  arcivesco- 
vo, dal  clero  secolare  e  regolare 
di  Granata,  dalla  corte  e  dalla  no- 
biltà; e  venne  sepolto  nella  chiesa 
de' minimi  di  s.  Francesco  di  Pao- 
la della  stessa  città.  Avendo  poscia 
Iddio  glorificato  il  suo  servo  con 
molti  miracoli,  Urbano  Vili  lo 
beatificò  nel  i63o,  e  Alessandro 
Vili  lo  canonizzò  nel  1690.  II 
suo  corpo  fu  trasportato  nel  1664 
nella  nuova  chiesa  de'suoi  discepo- 
li in  Granata  medesima  dedicata 
al  santo  ;  e  il  giorno  della  sua  mor- 
te è  consagrato  alla  celebrazione 
della  sua  festa. 

GIOVANNI  Dormiente  (s.).  V. 
Dormienti  (  i  sette  ss.  ). 

GIOVANNI  d'Egitto  (s.).  Nato 
nel  3o5  in  bassa  condizione,  ap- 
prese il  mestiere  di  falegname,  ma 
in  età  di  venticinque  anni  abban- 
donò il  mondo,  e  si  pose  sotto  la 
direzione  di  un  antico  anacoreta, 
col  quale  rimase  circa  dodici  anni. 
Morto  questo,  passò  altri  quatlr'au- 
ni  in  diversi  tnonisteri  del  vicina- 
to; poscia  ritirassi  soletto  sopra  un 
burrone  presso  Licopoli,  e  murò  la 
porta    della    sua    celletta,    non  la- 


GIO 

sciandovi  che  una  finestrella ,  per 
cui  poter  avere  il  necessario,  e  dal- 
la quale  facea  pure  delle  istruzio- 
ni a  quelli  che  venivano  a  visi- 
tarlo. Cinque  giorni  della  settima- 
na si  tratteneva  solo  con  Dio,  ne 
si  lasciava  vedere  che  il  sabba to 
e  la  domenica,  e  solo  dagli  uomi- 
ni. Non  mangiava  che  una  sola 
volta  il  dì,  ne  mai  usava  pane,  né 
cibo  cotto.  Possedeva  il  dono  della 
profezia,  e  scuopriva  a  quelli  che 
il  visitavano  finanche  i  loro  più 
segreti  pensieri  ;  aveva  ancora  il 
dono  dei  miracoli,  e  guariva  le 
malattie  coll'olio  da  lui  benedetto, 
per  cui  il  suo  nome  divenne  ben 
presto  famoso.  L'  imperatore  Teo- 
dosio I  lo  consultò  sull'  esito  della 
guerra  ch'era  per  rompere  al  ti- 
ranno Massimo,  e  n'ebbe  promessa 
di  prospero  successo,  il  che  avve- 
ratosi, fermamente  ritenne  doversi 
le  sue  vittorie  alle  orazioni  del 
santo.  E  quando  Eugenio  prese  la 
porpora  in  occidente  nell'anno  392, 
Teodosio  mandò  al  santo  eremita 
l'eunuco  Eutropio,  con  ordine  di 
menarglielo  a  Costantinopoli  ,  o 
almeno  di  consultarlo  per  sapere 
se  dovesse  muovere  contro  Euge- 
nio ,  o  aspettarlo  in  oriente.  Gio- 
vanni, pregato  il  messo  di  non  ob- 
bligarlo ad  intraprendere  tal  viag- 
gio, gli  disse  che  l'imperatore  vin- 
cerebbe, ed  aggiunse  che  morreb- 
be in  Italia,  e  che  uno  de'  suoi  fi- 
gli regnerebbe  in  occidente  :  predi- 
zione che  verificossi  interamente.  A 
Palladio,  che  fu  poscia  vescovo  di 
Elenopoli,  e  che  scrisse  la  vita  del 
santo,  predisse  che  sarebbe  vesco- 
vo, ma  che  avrebbe  a  sostene- 
re gravi  persecuzioni,  come  avven- 
ne. Molti  distinti  personaggi  ed  e- 
semplari  anacoreti  ricorrevano  a  lui 
nei   loro    spirituali    e    corporali    bi- 


GIO 

sogni  ;  anche  s.  Petronio  con  altri 
sci  monaci ,  uno  de'  quali  fu  gua- 
rito da  una  terzana  che  lo  tor- 
mentava ,  si  recarono  a  visitarlo , 
e  furono  trattati  colla  più  cordiale 
carità  nell'ospizio  eh 'erasi  eretto  vi- 
cino alla  celletta  del  santo,  ove  i 
suoi  discepoli  ricevevano  i  forestie- 
ri. Così  visse  sino  all'eia  di  no- 
vantanni. Nei  tre  ultimi  giorni  di 
sua  vita  non  volle  veder  nessuno, 
e  postosi  in  ginocchio  per  orare , 
rese  tranquillamente  Io  spirito  nel- 
l'anno 3cj4  o  3cp,  probabilmente 
ai  18  di  ottobre,  in  cui  i  cofti  e  gli 
egiziani  ne  celebrano  la  festa.  I 
martirologi  latini  ne  fanno  men- 
zione ai   27   di   marzo. 

GIOVANNI  (s.),  detto  Y  Eterno- 
tiniere.  Nacque  in  Amatunta  nel- 
l' isola  di  Cipro,  di  nobile  e  ricca 
famiglia.  Fu  maritato  ed  ebbe  dei 
Gglij  morti  i  quali  e  rimasto  ve- 
dovo, si  segregò  dal  mondo,  distri- 
buì a'  poveri  i  suoi  beni,  e  tutto 
si  diede  agli  esercizi  della  cristia- 
na pietà.  Rapidamente  avanzossi 
nella  perfezione,  e  divulgatasi  la 
(ama  della  sua  eminente  santità 
venne  eletto  patriarca  di  Alessan- 
dria l'anno  (iott.  Arrivato  in  Ales- 
sandria fu  suo  primo  pensiero  di 
farsi  dare  una  lista  esatta  dei  po- 
veri della  città,  ed  ahbenchè  fos- 
sero in  numero  di  oltre  settemila 
e  cinquecento,  s'incaricò  di  provve- 
dere ai  loro  bisogni.  \el  giorno  di 
sua  consagrazione  pubblicò  un 
gio  ordinamento  contro  la  disu- 
guaglianza dei  pesi  e  delle  misure 
che  davan  luogo  all'oppressione  dei 
poveri,  e  proibì  ai  suoi  officiali  dì 
.k  1 1  ilare  alcuna  torta  di  presenti , 
per  tema  che  vi  si  commettessero 
delle  ingiustizie.  Poscia  distribuì  ai 
mouisterì  e  agli  spedali  ottomila 
pezze  doro,  che  si   trovavano    nel 


OIO  27 

tesoro  della  sua  chiesa.  Dava  un'u- 
dienza pubblica  in  ogni  mercoledì 
ed  in  ogni  venerdì,  con  una  bon- 
tà straordinaria,  e  versava  conti- 
nuamente nel  seno  de'  poveri  le 
ricche  entrate  della  sua  sede,  co- 
me pure  le  considerabili  somme 
che  rimetteangli  molte  doviziose 
persone.  Un  mercante  avendo  rot- 
to il  suo  naviglio  in  mare  due 
volte,  a  lui  si  rivolse,  ed  ebbe  tan- 
to da  poter  racconciare  i  suoi  affa- 
ri; accadutagli  una  terza  volta  si- 
imi sciagura  ,  ricorse  di  nuovo 
al  suo  pastore,  che  gli  fece  dona- 
re un  naviglio  appartenente  alla 
chiesa.  La  carila  del  santo  pa- 
triarca si  estese  oltre  i  confini 
della  sua  diocesi,  e  sovvenne  molti 
sventurati  sudditi  dell'impero  d'o- 
riente ch'eransi  riparali  in  Egitto 
dal  furor  de'  persiani.  Grandi  som- 
me di  danaro  ed  abbondanti  prov- 
vigioni spedì  a  Gerusalemme  sac- 
cheggiata dagl'  infedeli  ,  e  molli 
operai  egiziani  per  rifabbricarvi  le 
chiese;  atterrate.  Incaricò  due.  ve- 
scovi ed  un  abbate  d'andar  iu  Per- 
sia a  riscattarvi  i  prigionieri.  Li 
Provvidenza,  iu  cui  confidava,  gli 
porse  sempre  i  mezzi  di  supplite 
a  sì  rilevanti  spese  che  superavano 
le  di  lui  forze.  Quanto  a  sé  vi\e- 
va  poverissimamente  e  praticava 
tutte  le  austerità  dei  solitari.  A- 
dempiva  colla  maggior  esattei 
tutti  gli  uffizi  del  suo  ministero,  e 
il  suo  /elo  per  conservare  intatto 
il  deposito  della  fede,  eguagliava 
il  suo  amore  pei  poveri  kdop 
vasi  ;i  premunire  1  fedeli  contro  d 
veleno   dell' errore,   e   a     ricondurre 

all'unità  1  nemici  «Iella  Chii  5 1  Col- 
l'opera  di  Sofronio  e  di  Giovanni 
Mosco  purgò  li  sua  diocesi  da  ogni 
straniera  dottrina,  e  convertì  molli 
<- 1  etici,  tra  i  quali  1  u  va  ì  ini   Pai  ti 


•28  GIO 

con  Nicela  governatore  di  Alessan- 
dria pei*  visitare  1'  imperatore  a 
Costantinopoli;  ma  avvertito  in  li- 
na visione  della  vicinanza  di  sua 
morie,  lo  lasciò  a  B.odi  ;  quindi 
passò  in  Cipro ,  e  morì  qualche 
tempo  dopo  ad  Amatunta,  verso 
il  6rg,  in  età  di  sessantaquattro 
anni.  Jl  suo  corpo  fu  in  appresso 
portato  a  Costantinopoli,  dove  fu 
conservato  per  molti  anni.  L' im- 
peratore de'  turchi  ne  fece  un  do- 
no a  Mattia  Uniade  re  d' Unjjhe- 
ria,  cho  lo  fece  riporre  nella  sua 
cappella  di  Buda.  Nel  1 53o  fu 
trasferito  a  Toll  vicino  a  Presbur- 
go,  e  nel  i632  nella  cattedrale 
medesima  di  Presburgo.  I  greci 
l'onorano  agli  n  di  novembre, 
giorno  della  sua  morte;  il  marti- 
rologio romano  ne  fa  menzione  ai 
23  di  gennaio,  in  cui  si  pone  la 
traslazione  delle  sue  reliquie,  e  la 
sua  festa  si  celebra  a'3o  dello  stes- 
so mese. 

GIOVANNI  Francesco  Regis  (s.). 
Discendente  di  nobile  casato,  ebbe 
i  natali  nel  villaggio  di  Fonteco- 
perta,  diocesi  di  Narbona,  a'  3  r 
gennaio  i5g7.  Studiò  a  Beziers 
sotto  i  gesuiti,  e  dimostrò  fin  dai 
suoi  prim'anni  uno  straordinario 
fervore  negli  esercizi  di  pietà  e  di 
devozione.  All'età  di  diciott'anni 
fu  colto  da  una  pericolosa  malat- 
tia, da  cui  risanato  fece  gli  eser- 
cizi spirituali  per  deliberare  intor- 
no la  scelta  di  uno  stato  di  vita. 
Senti  ardentissimo  desiderio  di  fa- 
ticare per  la  salute  delle  anime 
nella  compagnia  di  Gesù,  e  co- 
municollo  al  suo  confessore,  che  lo 
confermò  nella  sua  commendevole 
risoluzione.  In  questo  tempo  es- 
sendo venuto  il  p.  Francesco  Sua- 
rez,  provinciale  de' gesuiti,  a  visi- 
tare il    collegio   di  Beziers,    Regis 


GIO 

domandò  di  poter  entrare  nella 
compagnia,  il  che  accordatogli,  si 
recò  tutto  lieto  a  Tolosa,  e  vi  co- 
minciò il  suo  noviziato  agli  8  di- 
cembre 1616.  Due  anni  dopo,  fat- 
ti i  suoi  voti,  fu  mandato  a  Ca- 
hors  perchè  vi  terminasse  la  ret- 
torica,  e  il  seguente  anno  a  Tour- 
non  per  farvi  il  corso  di  filosofia, 
ove  meritò  per  la  sua  santa  con- 
dotta d' essere  chiamato  1'  angelo 
del  collegio,  e  diede  i  primi  saggi 
del  suo  zelo  nell'evangelico  mi- 
nistero. Le  domeniche  e  le  feste 
andava  a  predicare  ne' vicini  vil- 
laggi, e  ragunava  i  fanciulli  con 
un  campanello,  per  ispiegar  loro  i 
primi  elementi  della  dottrina  cri- 
stiana. Imprese  a  santificare  il  bor- 
go d'Andance,  da  cui  sbandi  la 
crapula,  tolse  i  giuramenti  e  l'im- 
purità; vi  ristabilì  l'uso  frequente 
della  comunione,  v'  istituì  la  con- 
fraternita del  ss.  Sagramento,  e 
distese  egli  stesso  le  regole  di 
quella  santa  pratica,  che  poi  si 
sparse  per  tutto,  ma  di  cui  egli  de- 
v'essere riguardato  come  istituto- 
re. Finito  il  suo  corso  di  filosofia 
nel  1621,  gli  fu  commessa  la  cu- 
ra di  recarsi  ad  insegnare  le  uma- 
ne lettere  a  Billon,  poscia  ad  Auch, 
e  finalmente  a  Puy;  nel  qual  im- 
piego non  isfuggì  fatica  per  inspi- 
rare a' suoi  scolari  in  un  colf  a - 
more  allo  studio,  quello  della  vir- 
tù, edificandoli  col  proprio  esempio. 
Poich'  ebbe  insegnato  per  ben  set- 
t'anni  1'  umanità,  diede  mano  ai 
suoi  studi  di  teologia  in  Tolosa 
nel  1628,  in  cui  fece  rapidi  avan- 
zamenti. Nel  i63o  fu  ordinato  sa- 
cerdote, ed  apparecchiatosi  colla 
preghiera  e  colla  penitenza  alla 
offerta  del  santo  sagrifizio,  celebrò 
la  sua  prima  messa  con  sì  grande 
fervore,  che   quelli    che    vi  assiste- 


GIO 

vano     non      poterono     lasciare    di 
piangere  con  esso   lui.  ÌN'ello  stesso 
anno    la  peste    fece   sentire  i    suoi 
guasti  nella   città  di  Tolosa:    Ilegis 
riguardando    questo    flagello    come 
una    occasione    che    presenta  vagli 
Iddio  di  esercitare    la    sua    carità, 
ottenne  con  molte  istanze    da'suoi 
superiori    la    permissione    di    dedi- 
carsi    al    servigio     degli    appestati. 
L'anno  vegnente  fece  un  terz'anno 
di  noviziato,     come   si     accostuma- 
va presso  i  gesuiti  al  compimento 
degli   studi  ;    e   mentre    affa  ti  cavasi 
nel  ritiro  alla   propria   santificazio- 
ne, fu  costretto  di    recarsi  a  Fon- 
tecoperla  per  dar  sesto  ad    alcuni 
affari  della    sua  famiglia.   Quindi  fu 
mandato     al  collegio    di     Pamiers 
per  occuparvi    il  posto  di  un    reg- 
gente ch'erasi   ammalalo.    Nel  me- 
desimo    tempo     i    suoi    superiori  , 
vedendo  in  lui    una  vera    vocazio- 
ne per  la     vita    apostolica,    lo    de- 
stinarono    alle    missioni.    La    ciltà 
di    Montpellier    divenne     il    primo 
teatro   del   suo  zelo:   i  suoi  discor- 
si   erano    pieni  di    tanta     forza  ed 
unzione ,  che    i    più    indurati    pec- 
catori ne  uscivano   vivamente  com- 
punti;  la    sua  carità  non  conosceva 
alcun    limite,    visitava    le  carceri   e 
gli   spedali,  andava  d'uscio  in  uscio 
a  sollecitare    le  limosine  a  prò  dei 
poveri,  de'  quali    specialmente    era 
sempre  affollato  il    suo  confessiona- 
le ,    e  li    assisteva    in    ogni    modo 
possibile.  Di    là     passò    a   Sommic- 
res,    capitale    del    Lavonage,    dove 
trovò    uni     crassa    ignoranza,    con 
tutti   i   vizi  che  le  tengono  dietro  : 
tolse    a    distruggerli,  ed    ebbe    la 
dolce  consola/ i< »iif   ili    vedere  le  sue 
fatiche  coronai.-  dal   più    felice  suc- 
cesso; il   rigore  della  stagione  non 
impedivalo     ili     entrare     ne  I' 
più  inaccessibili  di  tutto  il    pa 


GIO  99 

In  mezzo   a    tanti    travagli    le    sue 
austerità  erano  straordinarie  :  tutto 
il   suo  nutrimento  riducevasi  in  pa- 
ne ed  acqua  ,  cui    aggiungeva    tal- 
volta alcun  po'  di    latte  e    qualche 
frutto;   non   lasciava    mai    il  cilicio; 
e  quel   poco  di   riposo  che  accorda- 
va alla  natura,  pigliatalo  sopra  una 
panca  o  sopra   il  suolo.   Nel     i633 
il   vescovo  di  \  iviers  lo  chiamò  nel- 
la sua  diocesi,  che  da  cinquantanni 
era   il   centro  del  calvinismo    ed    il 
teatro  delle  più  crudeli  rivoluzioni. 
11  p.  Regis  fece    dappertutto    delle 
missioni  che  produssero   ottimi    1 f- 
fetti,  e  rivolse  le   sue   cure   princi- 
pali   alla    riforma    de' parrochi.    Il 
conte  De  la  Mothe-Brion  entrò  per 
lui  nella  via  della  penitenza,  e  col 
suo  zelo  e  colle  sue  limosine    con- 
tribuì non  poco  al  buon  esito  del- 
le   pie    imprese     del  santo  missio- 
nario. L'anno  seguente  fu  chiamato 
dai    suoi    superiori    a    Puy  ;    quivi 
scrisse  al  generale  della  società,  per 
essere  impiegato  nelle  missioni   del 
Canada,  e  mandato  presso  gli  mo- 
ni e  gì'  irochesi.  La  risposta  fu  con- 
forme al  suo  desiderio;  ma  il  conte 
De  la  Mothe  insistette  sì  vivamente 
presso   il   provinciale  di    foiosa,  che 
il  santo  ritornò  nella  diocesi  di  \  1- 
viers.    Ivi   si  diede   alla  conversione 
dei   calvinisti,  e  ali  istruzione  >:   _ 
abitanti    della    cittadella    di    Cliev- 
lard,  eh'  erano  immersi  in  una  pro- 
fonda ignoranza  del    cristianesimo  ; 
e  molto  ebbe  a  soffrire    in    qi 
paese  mezzo  selvaggio.   Il  coni. 
la   Mothe   fondò   una   missione  per- 
petua a  Cbeylard,  cedendo  per  tem- 
pre ai  gesuiti   un  capitale  di    - 
mila  Branchi   pel   mantenimento  « l • 

due    religiosi  ,    e    la    elsa    che    BfCI  ' 
in  città   per  servir  loro  d 
Dopo   qu>  sta    missione    il     p.     I 
ne  fece  una  a   Privas,  la  quale  BOB 


3o  GIO 

ebbe  meno  felice  riuscita.  Poscia  il 
vescovo  di  Valenza  lo  chiamò  nel- 
la sua  diocesi,  e  pregollo  di  eser- 
citare il  suo  zelo  nel  borgo  di  san- 
ta Aggreva,  posto  in  mezzo  ai  mon- 
ti, e  ripieno  di  eretici,  dove  ebbe 
occasione  di  praticare  molte  eroi- 
che virtù.  Verso  la  fine  del  i635 
recossi  a  Marles  nel  Vivarese,  e 
passato  l' inverno  fece  ritorno  a 
Puy-  I  quattro  ultimi  anni  della 
sua  vita  furono  impiegati  a  santi- 
ficare il  Velay.  Nelle  stagioni  estive 
faceva  le  missioni  a  Puy,  e  in 
quelle  d'inverno  trascorreva  i  borghi 
e  i  villaggi  delle  diocesi  di  Puy,  di 
Vienna,  di  Valenza  e  di  Viviers. 
La  sua  fidanza  in  Dio  rendevalo 
intrepido  in  mezzo  ai  pericoli  :  viag- 
giava di  giorno  e  di  notte,  cam- 
minava sovente  siili'  orlo  dei  pre- 
cipizi ,  valicava  monti  coperti  di 
neve,  e  passava  torrenti  impetuosi 
per  giungere  ad  un  povero  popolo 
che  lo  stava  aspettando.  Per  la  san- 
ta sua  causa  alfi  dittava  coraggiosa- 
mente l' ira  e  il  disprezzo  degli  uo- 
mini perversi,  e  procurava  ogni 
mezzo  per  convertirli.  Il  martirio 
eia  l' oggetto  de'  suoi  più  ardenti 
desideri!  ;  ma  alla  fine  consunto  da 
tante  fatiche  e  disagi  fino  all'  ulti- 
mo sofferti,  logoro  da  tante  auste- 
rità praticate,  restò  vittima  del  suo 
zelo  e  della  sua  carità,  e  morì  san- 
tamente alla  Lousvec,  dove  avea 
cominciato  l'ultima  sua  missione, 
verso  la  mezza  notte  dell'  ultimo  dì 
dell'  anno  i  640,  avendo  quasi  qua- 
rantaquattr'anni  di  età.  Fu  seppel- 
lito il  2  gennaio  nella  chiesa  della 
Lousvec,  e  la  sua  tomba  divenne 
ben  presto  ogg<'lto  di  venerazione 
pe  molti  miracoli  con  cui  piacque 
a  Dio  di  glorificare  il  suo  servo. 
L'eroismo  delle  virtù  di  s.  Gio- 
vanni Francesco  Regis  essendo  slato 


GIO 

maturamente  esaminato  a  Roma , 
e  giuridicamente  comprovata  l'au- 
tenticità de' miracoli,  fu  beatificalo 
nel  17 16  da  Clemente  XI;  e  Cle- 
mente XII  lo  canonizzò  nel  1737, 
supplicatone  da  Luigi  XV  re  di 
Francia,  da  Filippo  V  re  di  Spa- 
gna, e  dal  clero  di  Francia.  La  sua 
festa  si  celebra  il  giorno  16  di 
giugno. 

GIOVANNI  Gualberto    (s.).  U- 
scito  da  una  nobile    e    ricca  fami- 
glia stabilita  a  Firenze,  fu  allevato 
con  molta  cura    nelle    massime    di 
pietà  e  nello  studio  delle  umane  let- 
tere ;  ma  appena  entrò  nel  mondo 
restò  affascinato  da'  suoi    piaceri,  e 
corse  dietro  alla  corruzione  del  se- 
colo. Essendo  stalo  il    suo    fratello 
Ugo  ucciso  da    un  gentiluomo    del 
paese,  egli   formò  il  disegno  di  ven- 
dicarlo colla  morte  dell'  uccisore,  e 
già  scontratosi  con  esso  in  una  via, 
tratta  la  spada,  stava  per  compiere 
la   meditata  vendetta;  quando  quel- 
l' infelice,  geltandosegli  a' piedi,  col- 
le braccia  stese  in  forma  di  croce, 
lo  scongiura  in  nome  della  passio- 
ne di   Gesù  Cristo,  di  cui  in   quel 
giorno,  eh'  era  il  venerdì  santo,  ce- 
lebra vasi  la   memoria ,    di   non  vo- 
lergli  torre  la   vita.    Un   tal    alto , 
tali  parole  commossero  siffattamente 
Giovanni,  che  rientrato  in  sé  stesso, 
perdonò  al  gentiluomo,  ed  abbrac- 
ciatolo in  segno  di    amicizia ,  seguì 
il  suo  cammino  fino    alla   badia  di 
s.   Minialo,  che  apparteneva  all' or- 
dine di  s.    Benedetto,    ove   entrato 
in  chiesa  si  pose  fervorosamente    ad 
orare.    Uscito   dalla   chiesa,  si  reca 
dall'abbate,  gli    si  getta  ai   piedi, 
e  gli   chiede  l'abito  monastico.  Do- 
po qualche  difficoltà  pel  timore  che 
aveasi  del  di   lui   padre,  gli  fu  per- 
messo di  osservare  in  abito   da  se- 
colare gli    esercizi    della    comunità. 


GIO 

Passali  alcuni  giorni,    egli  si   tagliò 
da    sé    i    capelli ,    e     venissi    d' un 
abito  da  monaco  che   avea   tolto  a 
prestito.    Suo    padre,    avvertito  del 
fatto,  corse  irato    al    convento  ;   ma 
tocco  dai  motivi  che  aveano  deter- 
minato il  figlio  a  ritirarsi  dal  mon- 
do, vi  acconsenti  e  diedegli    la  sua 
benedizione.     Il     giovane     religioso 
colla    più    viva    compunzione    del 
cuore  si  abbandonò  alle  più  austere 
pratiche  della  penitenza,  continuan- 
do dì  e  notte    la    sua    orazione ,  e 
divenne  in  poco  tempo  un  compiu- 
to modello  di   tutte  le  virtù,  sicché 
i    religiosi    del    monistero    lo    desi- 
gnarono a  successore  del  morto  ab- 
bate. Ma  egli  rifiutò  umilmente  tale 
dignità,  e  desiderando  di   vivere  af- 
fatto solingo,   dopo  aver   visitato  il 
romitaggio  di   Camaldoli,    si    ritirò 
a    \allombrosa.    Quivi     trovò    due 
romiti,  coi  quali  si    unì    egli  e    il 
suo  compagno;  indi    tutti    insieme 
lòrmarono  il  disegno  di  fabbricarvi 
un    piccolo    convento,    e    radunarvi 
una  comunità  sotto  la  primitiva  re- 
gola   austera    di    s.    Benedetta   La 
badessa  di    s.    Ilario    donò    loro  il 
luogo  necessario   per  la  costruzione 
della   fabbrica;  e  quando    il   moni- 
stero   fu    compiuto,    il     vescovo    di 
Paderborn,  ch'avea  seguito  l'impe- 
ratore Enrico   111   in    Italia,    venne 
a  consagrarne   la  cappella.  Il  nuovo 
ordine   ni  approvato    nel    1070    da 
Papa   Alessandro  II,  come  anco   la 
regola  che  vi  si   osservava  ,  la  quale 
ora  la  medesima  di  s.    Benedetto, 
con   alcune  costituzioni  aggiunte  da 
s.  Giovanni  Gualberto    Egli   ne  fu 
il    primo    abbate,   e   coli  edificante 

suo     esemplo    condusse     l    suoi    ino- 
liaci alla   perfezione.    Fondò  il  mo- 

iiinUto   di   s.    Salvi,  quelli  (Itila  Aio- 
ila,   ili    l'assi^iiano,   di    Rozzuolo, 
di   Monte    Salano,    e    stabilì    delle 


GIO  3i 

riforme  m  alcuni  altri.  Oltre  ai  re- 
ligiosi di  coro  riceveva  anche  dei 
fratelli  conversi  perché  attendessero 
alle  funzioni  esteriori;  e  si  tiene  che 
questa  sia  la  prima  volta  che  si 
trovano  per  questo  modo  i  mona- 
ci divisi  in  due  classi.  S.  Giovanni 
Gualberto  si  distinse  eziandio  per 
la  sua  carità  verso  i  poveri,  per 
assistere  i  quali  spesso  vuotava  i 
serbatoi  del  suo  monistero.  Assi- 
curasi che  in  una  grave  penuria 
egli  moltiplicò  le  provvigioni  del 
monistero  di  Rozzuolo,  ove  i  po- 
veri accorrevano  da  ogni  parte  ; 
guarì  molti  malati  colle  sue  ora- 
zioni, ed  ebbe  anche  il  dono  della 
profezia.  Egli  per  umiltà  non  ave- 
va voluto  ricevere  nemmeno  gli 
ordini  minori,  tenendosi  indegno  di 
esercitare  le  mcnoine  funzioni  della 
Chiesa.  Il  Papa  s.  Leone  IX,  tratto 
dalla  fama  della  di  lui  santità,  fe- 
ce un  viaggio  a  Passignano  per  ve- 
derlo e  intertenersi  con  lui.  Stefano 

I  X  detto  X  ,  ed  Alessandro  II  ebbero 
aneli' essi  una  particolare  venerazio- 
ne per  la  sua  persona.  Morì  a  Pas- 
signano ai  12  di  luglio  1073,  in  età 
di  sessantaquattr'  anni,  e  fu  cano- 
nizzato nel  1  1 93    da  Celestino    III. 

II  giorno  in  cui  passò  di  questa 
vita  è  consagrato  alla  celebra/ione 
della  sua   festa.    V.  Yu.LOMi!Ros\\f. 

GIOVANNI  Cwzio  o  di  Kexti 
(s.).  Xato  circa  il  i4°3,  nel  villag- 
gio di  cui  porta  il  nome,  nella  dio- 
cesi di  Cracovia,  passò  la  sua 
v'me//a  nell'innocenza,  e  compiuti  i 
primi  studi  passò  .1  quelli  di  filosofia 
e  teologia  nell'università  di  Cracovia, 
e  divenne  dottore  e  professore  Qui- 
m  insegnò  pei  più  .inni  con  esito 
(èlice,    illuminando    la  mente    dei 

suoi    discepoli    eolla    sui    dodi  111  1 . 

formando    1  loro    cuori    alla    piei  > 

co'  suui  discuisi  e  co  siiui  esempi- 


3}  GIO 

Elevato  a!  sacerdozio,  ebbe  il  go- 
verno della  parrocchia  d'Ilkusi,  in 
cui  fece  risplendere  il  suo  zelo,  la 
sua  prudenza,  la  sua  carità  stra- 
ordinaria verso  i  poveri.  Alcuni 
anni  dopo,  richiesto  dall'università, 
riprese  il  suo  offizio  di  professore 
e  lasciò  la  parrocchia  ;  non  trala- 
sciò per  altro  di  occuparsi,  in  tut- 
ti i  momenti  che  il  suo  impiego 
gli  lasciava  liberi,  per  il  bene  del 
prossimo,  soprattutto  colla  predi- 
cazione. Fece  il  pellegrinaggio  di  Ge- 
rusalemme, ed  ardendo  del  desiderio 
di  terminare  i  suoi  giorni  col  mar- 
tirio, non  temette  di  predicare  ai 
turchi  Gesù  crocefisso.  Oltre  que- 
sto viaggio  fece  quattro  volte  quel- 
lo di  Roma  per  visitare  le  tombe 
de'santi  apostoli,  andando  a  piedi 
e  portando  egli  stesso  il  suo  fardel- 
lo. Questo  santo  prete,  di  cui  tut- 
ti i  giorni  furono  consagrati  alla 
virtù,  fu  veduto  più  volte  privar- 
si del  suo  cibo  e  delle  sue  vesti, 
per  darli  a  quelli  che  ne  aveano 
bisogno;  praticava  le  più  austere 
mortificazioni ,  era  coperto  di  un 
cilicio,  digiunava  e  si  dava  fre- 
quentemente la  disciplina  ;  tren- 
t' anni  innanzi  la  sua  morte  egli 
si  astenne  interamente  dal  mangiar 
carni.  Morì  a'24  dicembre  i4?3, 
nel  settantesimo  anno  di  sua  età,  e 
molti  miracoli  furono  operati  per 
sua  intercessione.  La  sua  veste  di 
porpora,  eh'  egli  aveva  portata  co- 
me dottore,  fu  conservata  religio- 
samente, e  se  ne  vestiva  il  deca- 
no della  scuola  di  filosofia  il  gior- 
no ch'entrava  in  possesso,  facendo- 
gli giurare  d' imitare  gli  esempi 
e  le  virtù  di  s.  Giovanni  Canzio  odi 
Kenti,  come  ne  indossava  la  veste.  Fu 
canonizzato  da  Papa  Clemente  XIII, 
a' 16  luglio  1767;  eia  sua  memo- 
ria è  in    grande  venerazione  nella 


GIO 

Polonia  e  nella  Lituania.  Lasciò 
alta  fama  del  suo  sapere,  ma 
nessuna  delle  sue  opere  giunse  fi- 
no a    noi. 

GIOVANNI  da  Matua  (s.).  Sor- 
ti i  natali  a  Faucon,  sulle  fron- 
tiere della  Provenza ,  da  genitori 
ragguardevoli  per  nobiltà  e  reli- 
gione, verso  la  metà  del  XII  seco- 
lo. Egli  fu  sempre  infiammato  fin 
dalla  sua  giovinezza  del  desiderio 
di  perfezionarsi  nella  pratica  delle 
cristiane  virtù,  ed  oltremodo  cari- 
tatevole verso  i  poveri.  Mentre 
studiava  ad  Aix  recavasi  ogni  ve- 
nerdì allo  spedale  per  servire  gli 
ammalati,  e  procurar  loro  lutti 
que'soccorsi  che  poteva.  Ritornato 
a  casa  del  padre,  ottenne  il  per- 
messo di  ritirarsi  in  un  picco- 
lo romitorio  non  molto  lungi  da 
Faucon,  per  darsi  interamente  a 
Dio;  ma  siccome  le  frequenti  vi- 
site de*  suoi  amici  non  gli  la- 
sciavano gustare  quella  solitudine  cui 
desiderava,  pensò  di  abbandonare  la 
cella,  e  pregò  il  padre  che  il  man- 
dasse a  Parigi  per  istudiarvi  teo- 
logia. Ivi  fu  addottorato,  e  poco 
dopo  celebrò  la  sua  prima  messa. 
Nello  stesso  giorno  per  celeste  in- 
spirazione divisò  di  adoperarsi  a 
tutto  suo  potere  pel  riscatto  di 
quegli  sventurati  cristiani  che  ge- 
mevano sotto  il  duro  giogo  degli 
infedeli,  e  ritiratosi  si  dispose  col- 
la preghiera  e  colla  penitenza  a 
ricevere  i  lumi  dello  Spirito  Santo 
a  tant'  uopo  necessari.  Avendo 
egli  udito  parlare  del  santo  eremi- 
ta Felice  di  Valois  (  Vedi) ,  re- 
cossi a  lui  per  pregarlo  di  rice- 
verlo nel  suo  romitorio  ed  istruir- 
lo sui  mezzi  della  perfezione.  Fe- 
lice non  riguardollo  come  disce- 
polo, ma  come  un  compagno  che 
Dio   gli     avea    mandato  ;    ed    en- 


V 


GIO 

trambi  esercìtaronsi  nella  pratica 
di  tutte  le  virtù.  Giovanni  comu- 
nicò a  Felice  il  suo  pensiero  di 
dedicarsi  alla  liberazione  degli  schia- 
vi cristiani,  e  Felice  non  dubitan- 
do punto  che  un  cotale  disegno 
non  provenisse  da  Dio  3  offerse 
lutto  se  stesso  pel  prosperevole  riu- 
scimento.  I  due  santi  raddoppiaro- 
no le  loro  mortificazioni  e  pre- 
ghiere, alììne  di  ottenere  da  Dio 
novelli  schiarimenti  sulla  condotta 
che  doveano  tenere  per  recare  ad 
effetto  il  nobile  desiderio  inspira- 
togli dalla  carità.  Verso  la  fine 
del  1197  si  partirono  per  Pcoma, 
ove  il  Pontefice  Innocenzo  III 
li  accolse  favorevolmente,  appro- 
vò il  loro  disegno,  e  ne  formò  un 
nuovo  ordine  religioso,  sotto  gli 
auspicii  della  ss.  Trinità,  di  cui  Gio- 
vanni fu  dichiarato  primo  mini- 
stro generale.  Ritornati  in  Fran- 
cia, il  re  Filippo  Augusto  aggradi 
e  favoreggiò  l'instituzione  del  loro 
ordine  nel  suo  regno.  Valcario  III, 
signore  di  Chutillon,  donò  loro  un 
luogo  nelle  sue  terre  per  edificar- 
vi un  convento,  e  divenuto  questo 
troppo  angusto  ,  diede  ad  essi 
Cerfroid,  ove  edificarono  un  mo- 
nistero  che  fu  sempre  riputato  il 
centro  dell'  ordine  dei  trinitari.  S. 
Giovanni  di  Matita  recossi  a  Tu- 
nisi l'anno  1202,  e  liberò  cento- 
dieci schiavi.  Fieduce  in  Proven- 
za ammassò  grandissima  quantità 
di  danaro,  di  che  servissi  a  pro- 
curare la  libertà  ad  una  molti- 
tudine di  sventurati  oppressi  sotto 
i  furi  de'  mori  di  Spagna.  Nel 
12  io  fece  un  secondo  viaggio  a 
Tunisi,  ove  i  maomettani  ^li  fece- 
ro assai  soffrire,  irriluti  dei  11  ardore 
con  cui  confortava  i  prigionieri  a 
sostenere  pazientemente  i  loro  mali, 
ed  a  morire  anziché  rinnegare  la 
vol,   xxxi. 


GIO  33 

fede.  Allorché  lo  videro  entrare  in 
mare  con  centoventi  schiavi  da 
lui  riscattati,  quegli  infedeli  por- 
tarono via  il  timone  del  vascello  e 
lacerarono  le  vele,  affinchè  perisse 
in  mezzo  alle  onde.  Giovanni  pie- 
no di  fiducia  in  Dio,  fatti  spiegare 
i  mantelli  de' suoi  compagni  a  mo- 
do di  vele,  si  mise  ginocchioni  sul- 
la tolda  o  tavolato  del  vascel- 
lo a  cantar  salmi  col  Crocifis- 
so in  mano  lungo  tutto  il  cammi- 
no ;  e  il  vascello  in  pochi  dì  ap- 
prodò felicemente  al  porto  d'  Ostia. 
Sentendo  il  santo  venir  meno  le 
sue  forze,  passò  a  Pioma,  ove  vis- 
se ancora  due  anni,  pure  occupato 
neh'  esercitare  le  opere  di  miseri- 
cordia, e  nel  predicare  la  peniten- 
za. Morì  santamente  a'  2 1  dicem- 
bre del  I2i3,  e  fu  seppellito  in  s. 
Tommaso,  ove  vedesi  ancora  la  sua 
tomba;  ma  il  corpo  di  lui  venne 
poscia  trasportato  in  Ispagna.  11  Pa- 
pa Innocenzo  XI,  nel  1679,  ^ss"  'a 
sua  festa  agli  b'  febbraio.  V.  Tri- 
nitari. 

GIOVACI  (s),  detto  di  Mou- 
lier.  Prete  che  fioriva  nel  sesto  se- 
colo. Sappiamo  da  s.  Gregorio  di 
Tours,  eh'  egli  era  uato  nella  Gran 
Lretagna,  e  menò  vita  ritirata  a 
Chiuon  o  Caion,  città  della  diocesi 
di  Tours.  Aveva  presso  la  chiesa 
una  cella  ed  un  oratorio  con  un 
piccolo  giardinetto  che  coltivava 
colle  sue  proprie  mani,  e  in  cui 
piantò  alcuni  allori,  all'ombra  dèi 
quali  usava  sedere  per  legl 
e  far  orazione.  Fu  seppellito  nel- 
la sua  solitudine  ,  e  più  malati 
guarirono  per  di  lui  intercessio- 
ne. E  menzionato  nel  martirolo- 
gio romano  a' 27  di  giugno,  e 
pure  in  quelli  di  Francia  e  d'  In- 
ghilterra. 

GIOVANNI  1   P\()L<)  (     )Ser- 


34  CtIO 

virono  ambedue  come  officiali  nel- 
le armate  di  Giuliano  l'Apostata, 
e  riportarono  la  palma  del  marti- 
rio  in  Roma.  Essi  ottennero  una 
doppia  vittoria,  avendo  conculcato 
gli  onori  del  mondo  e  trionfato 
della  crudeltà  dei  carnefici.  Collo- 
casi comunemente  il  loro  martirio 
nel  362,  sotto  il  prefetto  Apronia- 
no.  Il  martirologio  romano  dice 
ch'erano  fratelli,  e  che  Giovanni 
era  prefetto  del  palazzo,  e  Paolo 
primicerio  della  vergine  Costanza  , 
figlia  dell'imperatore  Costantino. 
Nei  sacramentari  di  s.  Gelasio  e 
di  san  Gregorio  ,  come  ancora 
nell'antica  liturgia  gallicana,  evvi 
una  messa  propria  per  questi  santi 
martiri,  i  cui  nomi  sono  stati  mai 
sempre  celeberrimi  nella  Chiesa  fi- 
no dal  quinto  secolo,  e  la  loro  fe- 
sta  si   celebra  a'  26  di   giugno. 

GIOVANNI  di  Reomay  (s.).  Na- 
to nella  diocesi  di  Langres,  si  fe- 
ce monaco  a  Lerino.  Essendo  poi 
stato  richiamato  dal  suo  vescovo, 
fondò  la  badia  di  Reomay  in  Ror- 
gogna,  sotto  la  regola  di  s.  Ma- 
cario. Divenne  celebre  per  la  sua 
santità  e  i  suoi  miracoli,  e  mori 
in  età  di  quasi  cento  e  vent'anni, 
verso  la  metà  del  sesto  secolo.  E- 
gli  è  uno  dei  fondatori  della  vita 
monastica  in  Francia,  ed  è  men- 
zionato nel  martirologio  romano 
sotto  il  giorno   28  di  gennaio. 

GlOVANiM  da  s.  Facondo  di 
Suiagun  (s.).  Nacque  a  Sahagun 
0  s.  Fagnndez  nel  regno  di  Leo- 
ne in  Ispagna.  I  suoi  genitori , 
Giovanni  Gonzalez  da  Castrillo,  e 
Sanca  Martinez  ,  erano  amendue 
ragguardevoli  per  la  loro  nascita  e 
per  le  loro  virtù.  Fece  i  suoi  studi 
tra'  benedettini  di  s.  Fagondez  o 
Facondo,  ed  abbracciato  lo  stato 
ecclesiastico,  si  unì    al    vescovo    di 


GIO 

Rurgos,  che  gli  diede  delle  prove 
di  stima,  conferendogli  un  cano- 
nicato della  cattedrale:  egli  posse- 
deva ad  un  tempo  tre  piccoli  be- 
nefizi, la  cui  nomina  apparteneva 
all'abbate  di  s.  Facondo.  La  sua 
condotta  era  stata  mai  sempre  ir- 
reprensibile, ma  volendo  perfezio- 
narsi vieppiù ,  rinunziò  i  suoi  be- 
nefìzi ,  non  riserbandosi  che  una 
cappella ,  in  cui  diceva  la  messa 
ogni  dì,  predicava  sovente,  ed  i- 
struiva  nei  misteri  della  fede.  Po- 
scia domandò  al  suo  vescovo  la 
permissione  di  passare  a  Salaman- 
ca, ove  attese  per  quattr'anni  allo 
studio  della  teologia,  e  fu  chia- 
mato alla  direzione  delle  anime 
nella  chiesa  parrocchiale  di  s.  Se- 
bastiano. Dopo  aver  praticato  per 
ben  nove  anni  delle  grandi  auste- 
rità, e  prodotto  dei  frutti  mera- 
vigliosi colle  frequenti  istruzioni  che 
vi  faceva,  deliberò  di  lasciare  in- 
tieramente il  mondo,  e  nel  1 4^3 
si  ritiiò  fra  gli  eremitani  di  s.  A- 
gostino  in  Salamanca,  dove  a'  28 
agosto  1  \6.\  professò  i  voti  solenni. 
Avendogli  i  suoi  superiori  ordina- 
to di  esercitarsi  nella  predicazio- 
ne, annunciò  la  parola  di  Dio  con 
zelo  straordinario.  La  sua  indole 
soave  rendevalo  più  atto  d'ogni  al- 
tro a  spegnere  i  semi  della  discor- 
dia; e  per  lui  videsi  cessare  quello 
spirito  di  odio  e  di  animosità  che 
regnava  soprattutto  tra  i  nobili  in 
Salamanca,  e  che  prodticeva  tutto 
giorno  eliciti  funesti.  Eletto  nel  r  47  r 
priore  del  convento,  condusse  santa- 
mente i  suoi  religiosi  per  la  via 
dell'esempio ,  praticando  il  primo 
tuttociò  ch'esigeva  dagli  altri.  Pas- 
sò di  questo  secolo  agli  1  1  di  giu- 
gno '479,  e  molti  miracoli,  ope- 
rati innanzi  e  dopo  la  sua  morte, 
fecero  pubblica    testimonianza  della 


GIO 
specchialo  stia  santità.  Fu  beatifi- 
cato da  Clemente  \!1I  nel  ilìoi, 
e  canonizzalo  nel  if>qo  ria  Ales- 
sandro Vili.  Benedetto  XIII  ordi- 
nò elio  fòsse  inserito  il  suo  officio 
nel  breviario  romano,  sotto  il  gior- 
no  i?.  di  giugno. 

GIOVANNI  (s.),  detto  il  Sileni 
zioso.  Nato  a  Psicopoli  nell'Alme- 
nia  nel  4^4»  restò  assai  giovine 
orbato  rie'  genitori,  che  con  gran 
«■tira  aveanlo  cristianamente  alleva- 
t«>  ;  e  rimasto  possessore  «li  consi- 
derabile facoltà,  consacrolla  ari  usi 
|iii.  Fabbricò  a  Nicopoli  una  chie- 
sa in  onore  della  B.  Vergine,  e 
un  uionislero  nel  quale,  tulio  in- 
tento alla  propria  santificazione,  si 
rinchiuse  con  dieci  persone  anima- 
te dallo  slesso  fervore.  L'arcivesco- 
vo «li  Sebaste,  conscio  delle  -virtù 
«li  Giovanni,  Io  astrinse  a  lasciare 
la  sua  solitudine,  e  malgrado  la 
sua  ripugnanza  innalzollo  alla  sede 
episcopale  di  Colonia  in  Armenia, 
benché  non  avesse  ancora  che  ven- 
totz' anni.  Governò  la  sua  diocesi 
con  molto  fruito  per  Io  spazio  rli 
dieci  anni,  serbando  lo  spirito  del 
sua  slato  primiero,  e  continuando 
negli  stessi  esercizi,  per  quanto  gliel 
consentivano  i  doveri  del  suo  mi* 
insterò.  Poscia  rinunziò  l'episcopa- 
to per  andare  in  Palestina,  e  riti- 
rossi  nella  laura  rli  s.  Saba,  il  «pia- 
le avendolo  accolto  senza  conoscer- 
lo, lo  pose  ai  servigi  dell'economo. 
Questi  lo  occupò  ad  attigner  acqua, 
e  portar  pietre  agli  operai  impie- 
gati a  fabbricare  un  nuovo  spella- 
le, e  Giovanni  obbediva  con  gì. ru- 
de semplicità,  conservando  un  con- 
tinuo silenzio.  S.  Saba,  conoscen- 
do poscia  i  rioni  straordinari  che 
trovatami  in  Ini,  volle  che'BOfl  ti 
occupasse  elio  della  contemplazione, 
«•  permisegli  rli  andare  a  vivere  in 


GIO 

una  cella  separata.  Ivi  passò  tre 
anni,  stando  fino  a  cinque  giorni 
per  settimana  senza  prender  alcun 
cibo,  e  non  uscendone  che  il  sab- 
bato  e  la  domenica  per  assistere 
all'uffizio  pubblico  della  chiesa.  Fu 
poscia  fatto  economo  della  laura  , 
e  per  «piatirò  anni  esercitò  quel- 
l'uffizio. S.  Saba  edificalo  dalle  sue 
virtù  Io  condusse  ad  Elia  patriar- 
ca di  Gerusalemme,  per  farlo  or- 
dinare sacerdote.  Allora  Giovanni 
fu  costretto  di  dichiarare  al  pa- 
triarca ch'egli  era  e  lo 
pregò  di  tenere  la  cosa  in  se;  laon- 
de Elia  ricusò  di  consagrarlo,  sen- 
za addinne  il  motivo.  S.  Saba  tor- 
nossene  molto  rammaricato,  ti 
tnendo  ebe  Giovanni  avesse  in  pas- 
sato commesso  qualche  delitto;  ma 
ricorso  a  Dio,  seppe  per  rivelazio- 
ne la  cosa,  e  lagnossi  col  suo  di- 
scepolo perchè  gliela  avea  tenuta 
occulta.  Giovanni  vergendosi  sco- 
perto stava  per  abbandonare  la 
laura,  ma  il  «anto  abbate  ve  lo  trat- 
tenne promettendogli  di  serbare  il 
segreto.  Giovanni  passò  i  qualtr'an- 
ni  successivi  senza  mai  parlare  con 
nessuno,  se  non  con  quello  chi 
portava  da  mangiare  ;  ed  -svendo 
stato  s.  Saba  costretto  nel  5o3  ad 
allontanarsi  dalla  laura  ,  a  motivo 
di  una  sedizione  colà  insorta,  Gio- 
vanni si  ritirò  in  un  deserto  vici- 
no, ove  visse  sei  anni  in  assoluto 
silenzio,  né  d'altro  si  nutrì  che  rli 
erbe  e  «li  radici.  Richiamato  s.  Sa- 
ba alla  laura  nel  5  i  o,  andò  subito 
a  ritrovare  Giovanni  nella  solitudi- 
ne, e  lo  ricondusse  nella  sua  cel- 
letla,  ove  continuò  a  menare  una 
vita  «la  angelo  fino  al  558,  In  cui 
morì  nell  età  rli  cento  e «piattr'anni, 
■etlantaaei  «lei  quali  ne  avea  p  • 

nel    deserto.    S.    Giovanni     il    Silen- 
zioso è  onoralo  a'  i  3  di  ni 


3G  GIO 

GIOVANNI  («.),  martire.  V.  Ci- 
ro (s.). 

GIOVANNI  ($.),  martire.  V.  An- 
tonio,  Giovanni  ed  Eustachio  (ss.). 
GIOVANNI    Nepomuceno    (  s.  ). 
Trasse  i  natali  nella  piccola    città 
di  Nepomuck  in  Boemia,  posta  al- 
cune   leghe  lungi  da  Praga ,    verso 
l'anno    i33o.  1  suoi  virtuosi    geni- 
tori nulla  risparmiarono  per  dargli 
una  eccellente  educazione ,  ed  egli 
al  pronto  ingegno  e    alla    costante 
applicazione  accoppiava  somma  dol- 
cezza, pietà    e  candore.    Fu    man- 
dato alla   celebre  università  di  Pra- 
ga, ove  oltre  la  filosofìa  studiò  an- 
che   teologia    e    diritto    canonico , 
nelle  quali    facoltà  prese    il    grado 
di  dottore.  Egli  avea  diretto    tutti 
ì  suoi  studi  collo  scopo  di  abbrac- 
ciare   il    sacerdozio,    e    consacrarsi 
senza  riserva  a  procurare    la    glo- 
ria  di  Dio;  e  raddoppiando  il  fer- 
vore si  dispose  colla  orazione  e  col 
digiuno    a    ricevere    1'  unzione    sa- 
cerdotale. Tosto  il  suo  vescovo  gli 
affidò  il    pergamo    della    Madonna 
di  Tein  ;  e  i  primi  travagli  del  suo 
zelo    produssero    ammirabili    fruiti. 
Fatto  canonico  della  cattedrale  non 
cessò  di  travagliare    per  la    salute 
delle  anime.  Il  giovane  imperatore 
Venccslao  IV  udì  parlare  del  me- 
rito di  questo  servo  di  Dio,  e  vo- 
lendo conoscerlo  lo  nominò  predi- 
catore nell'avvento  alla    6ua  corte. 
Giovanni    si     avvide    pur    troppo 
quanto  questa  commissione  doves- 
se essergli  ardua  e  pericolosa,  nul- 
lameno    accettolla ,    e    la    sostenne 
con    applauso    del    principe    e   dei 
cortigiani;    anzi    Venceslao    se    ne 
senti  tocco  per  modo,  che   rallcn- 
ne  per  alcun  tempo  il  corso    del- 
le sue  sregolate  passioni,  e  per  dare 
al  Nepomuceno  un  attestalo  di  sti- 
ma olFcrsegli  la  sede    vescovile   di 


GIO 

Leilmeritz.    Il    virtuoso    canonico, 
che    non    cercava    le    dignità   e  le 
grandezze,  ricusò    il    vescovato ,    e 
così  pure  la  cospicua  prevostura  di 
Wischcradt    coli'   onorevole    titolo 
di   cancelliere  ereditario  del   regno. 
Accettò  in  seguito    il  posto    di    li- 
mosiniere     maggiore    dell'  impera- 
tore ed  imperatrice  ,   perchè    quel- 
l' uffizio    gli    dava    modo    di    sod- 
disfare alla  sua    tenerezza    verso    i 
poveri,  dei  quali   fu  1'  avvocato  ed 
il  padre.   La  pia   imperatrice    Gio- 
vanna,  figlia   d'Alberto   di  Baviera, 
scelse    Giovanni    a    direttore    della 
sua  coscienza,  ed  avea    bisogno  di 
tal  guida  in  mezzo  ai   gravi    ram- 
marichi che  cagionavale   la  gelosia 
dell'imperatore  suo  sposo.   Ella   a- 
vanzò  sempre  più  nella  perfezione; 
ma   la  di  lei  pietà  non   fece  che  iu- 
nasprire  la   ferocia   di  Venceslao,  il 
quale  accecato  dalla    sua    malnata 
passione,   prese  in   sinistro  senso  le 
più  sante  azioni   della  sua  sposa,  e 
concepì   il  sacrilego  disegno  di  ob- 
bligare Giovanni   a  rivelargli  le  di 
lei  confessioni.  Il  santo    rabbrividì 
d'orrore  alla  strana  ricerca,  e  rap- 
preseulogli  colla  più  rispettosa  ma- 
niera, che  ciò  offendeva  del  pari  la 
ragione  e  la  religione.  L' imperatore, 
che    nou   avrebbe  mai  credulo  che 
nessuno  osasse  resistere  alla  sua   vo- 
lontà,    restò     fortemente    sdegnato 
della  ripulsa  del  suo  elemosiniere; 
tuttavia  dissimulò  il  suo    dispetto, 
e  lo  rimandò  senz'altro  dirgli.  Ma 
non  lardò  molto  a  rinnovale    con 
minaccie  l'assalto,    e    ritrovando  il 
santo  fermo  egualmente  a  serbare 
l' inviolabile    sdeuzio  ,    ordinò    che 
fosse  tratto  in  prigione    e    barba- 
ramente tormentalo.  I  carnefici  lo 
stesero  su  d'una  specie  di  cavalletto, 
e  gli  bruciarono  i  fianchi  e  le  parti 
più    delicate  del    corpo   con   torcia 


GIO 

ardenti.  In  mezzo  a  questo  suppli- 
zio, Giovanni  non  pronunciava  che 
i  sacri  nomi  di  Gesù  e  di  Maria. 
Alla  fine  fu  staccato  dal  cavalletto 
ch'era  quasi  spirante.  Il  Signore 
visitò  il  suo  servo  in  prigione,  e 
riempillo  delle  più  dolci  consola- 
zioni. L'imperatrice  venuta  a  sa- 
pere ciò  ch'era  accaduto,  andò  a 
gittarsi  ai  piedi  dell' imperatore,  e 
le  riuscì  di  ottenere  che  il  sauto 
fosse  posto  in  libertà.  Alcun  tempo 
dopo  Giovanni  ricomparve  ^lla  cor- 
te, ma  ben  prevedeva  che  quella 
calma  non  sarebbe  di  lunga  du- 
rata ;  quindi  si  dispose  alla  morte 
consagrandosi  intieramente  agli  e- 
sercizi  di  pietà,  e  raddoppiando  il 
suo  zelo  nella  predicazioue.  Nell'ul- 
timo suo  discorso  prese  per  testo 
le  parole  :  Ancora  qualche  incunea- 
to, poi  non  mi  vedrete  piuj  al  fi- 
ne dello  stesso  discorso,  preso  quasi 
da  Un  entusiasmo  profetico,  pian- 
gendo dirottamente,  predisse  i  mali 
che  doveano  presto  piombare  sul- 
la Boemia,  e  si  accommiatò  dal 
suo  uditorio.  Poco  appresso*  men- 
tre ritornava  verso  sera  da  Bunt- 
zel,  ov'erasi  recato  a  visitare  la 
celebre  immagine  della  B.  Vergine 
eh' è  in  gran  venerazione  per  tutta 
la  Boemia,  fu  veduto  dall'  impe- 
ratore che  stava  ad  una  finestra 
del  suo  palazzo.  Costui  sentì  risve- 
gliarsi tutto  in  un  colpo  il  suo 
sdegno  e  la  sua  sagrilega  curiosi- 
tà; e  fattoselo  all'istante  condurre 
dinanzi  ,  intimogli  di  svelare  la 
confessione  dell'  imperatrice ,  o  di 
morire.  Il  santo ,  fermo  nel  suo 
proposito,  nulla  rispose,  per  cui 
\  eoceslao  cicco  d' ira  ordinò  che 
fosse  gettalo  nel  fiume,  lostochè  le 
tenebre  impedissero  al  popolo  di 
accorgersene.  Giovanni  fu  precipi- 
tato nel    Moldava,  culi:  numi  e  coi 


GIO  37 

piedi  legati,  dal  ponte  che  unisce 
la  grande  alla  piccola  città  di  Pra- 
ga, a'  16  maggio  i3S3,  ch'era  la 
vigilia  dell'Ascensione.  Appena  ri- 
mase soffocato  dalle  onde ,  il  suo 
corpo  ondeggiante  lunghesso  il  fiu- 
me fu  circondato  da  uno  splendo- 
re che  attirò  gran  folla  di  spetta- 
tori. Allo  spuntare  del  giorno  si 
svelò  l'orrendo  mistero,  e  gli  stessi 
esecutori  tradirono  il  segreto  del 
principe.  Tutta  la  città  accorse  per 
vedere  il  santo  corpo  ;  i  canonici 
della  cattedrale  vennero  a  levarlo 
con  pompa  solenne,  e  portaronlo 
nella  vicina  chiesa  di  s.  Croce  dei 
Penitenti ,  insino  a  che  gli  avesse- 
ro preparato  nella  loro  chiesa  un 
sepolcro  più  degno  di  lui.  Allor- 
ché tutto  fu  pronto,  i  canonici  e 
il  clero,  accompagnati  da  una  iu- 
numerabile  moltitudine  di  popolo, 
recaronsi  in  processione  alla  chiesa 
di  s.  Croce,  e  trasportarono  solen- 
nemente il  corpo  dell'invitto  marti- 
re alla  metropolitana.  Durante  la 
traslazione  parecchi  malati  di  morbi 
incurabili  ricuperarono  la  sanità,  e 
simigliatiti  miracoli  si  fecero  dipoi 
alla  sua  tomba.  Si  attribuisce  alla 
di  lui  intercessione  la  compiuta  vit- 
toria che  gì'  imperiali ,  comandati 
dal  duca  di  Baviera,  riportarono 
nel  1620  sotto  le  mura  di  Piaga, 
e  che  fece  ad  essi  ricuperare  il 
regno  di  Boemia.  Da  quel  tempo 
f  illustre  casa  d'Austria  ha  sempre 
avuto  una  singolare  divozione  per 
s.  Giovanni  Nepomuceno,  protomar- 
tire de!  sigillo  sagramentale  della 
confessione,  e  protettole  della  buo- 
na fama.  Gl'imperatori  Ferdi- 
nando Il  e  Ferdinando  III  sol- 
lecitarono la  di  lui  canonizzazio- 
ne, che  fu  poi  ottenuta  da  Car- 
lo VI.  A'  1  \  aprile  dell'anno  1719 
fu  aperto  il  suo  sepolcro,  e  fu  Uro- 


38  GIO 

vato  il  suo  corpo  affatto  spolpato, 
ma  le  ossa  erano  ancora  intiere  e 
perfettamente  unite,  e  la  lingua 
n'era  freschissima  e  ben  conserva- 
la. Egli  era  stato  onorato  in  Boe- 
mia come  martire  subito  dopo  la 
sua  morte;  ma  per  rendere  più 
autentico  e  più  generale  il  suo  cul- 
to, si  domandò  la  sua  canonizza- 
zione, e  si  produssero  nuovi  mi- 
racoli di  cui  fu  provata  la  verità 
giuridicamente  a  Roma  ed  a  Pra- 
ga. Innocenzo  XIII  confermò  il  cul- 
to che  gli  si  rendeva,  con  un  de- 
creto equivalente  a  un  decreto  di 
beatificazione,  e  Benedetto  XIII 
a'19  marzo  del  1729  ne  celebrò 
solennemente  nella  basilica  latera- 
nense  la  sua  canonizzazione.  Esiste 
nella  basilica  medesima  un  alta- 
re ehe  porla  il  nome  di  s.  Gio- 
vanni JN'epomuceno,  e  che  fu  de- 
dicato dallo  stesso  Benedetto  XIII. 
Anche  nella  chiesa  di  s.  Paolo  di 
Venezia  avvi  un  altare  dedicato  a 
questo  santo  martire,  e  se  ne  ce- 
lebra la  fèsta,  assegnata  a'  x6  mag- 
gio, con  di  voto  otta  vario.  Ne  am- 
pliarono il  culto  Benedetto  XIV 
e  Clemente  XIII,  il  quale  ordinò 
nel  1763  che  nello  stato  pontifì- 
cio se  ne  celebrasse  l'uffizio  a'  1 7 
maggio,  permettendo  poi  nel  1766 
a'gesuiti,  che  veuerano  questo  san- 
to per  protettore  della  buona  fa- 
ma, di  conformarsi  al  clero  seco- 
lare in  tal  celebrazione. 

GIOVANNI  GIUSEPPE  della 
Croce  (san).  Nacque  da  ragguar- 
devoli genitori  circa  l'anno  i654 
ad  Isola,  isola  dipendente  dal  regno 
di  Napoli.  Fin  dai  primi  auni  abi- 
tuossi  alla  mortificazione  e  alla  pre- 
ghiera, e  giovane  ancora  era  forni- 
to delle  più  sublimi  virtù.  Abbrac- 
ciò l'ordine  di  s.  Francesco,  nella 
1  dònna  stabilita    in    Ispagna    da  s. 


GIO 

Pietro  d'Alcantara,  e  da  poco  tem- 
po introdotta  in  Italia  ;  e  nel  suo 
noviziato  si  rese  ammirabile  colla 
perfezione  della  penitenza  ,  della 
contemplazione  e  dell'  umiltà.  Tre 
anni  dopo  la  sua  professione  fu 
mandato  dai  suoi  superiori  a  fon- 
dare in  Piemonte  il  convento  di 
Alila,  che  divenne  per  le  sue  cure 
immagine  perfetta  di  quello  che  s. 
Pietro  d'  Alcantara,  ancor  semplice 
chierico,  avea  un  tempo  fondato  a 
Pedroso  nell'  Estremadura.  Elevalo 
Giovanni,  malgrado  la  sua  reniten- 
za, alla  dignità  del  sacerdozio,  ot- 
tenne permesso  di  edificare,  alquan- 
to lungi  dal  convento,  e  sid  pendio 
di  una  montagna  assai  elevata,  un 
romitorio,  cui  fabbricò  egli  stesso, 
portando  sopra  le  proprie  spalle,  per 
terminarlo  più  prestamente,  le  le- 
gna, le  pietre  e  la  calce,  e  dandosi 
tanta  pena,  che  le  tracce  de  suoi 
passi  erano  tinte  di  sangue.  Essen- 
do stato  pregato  da'suoi  fratelli  di 
scrivere  alcune  regole  particolari 
per  la  loro  casa,  ne  fece  di  così  sa- 
vie,  che  furono  approvate  dalla 
santa  Sede.  Incaricato  poscia  della 
direzione  de'  novizi,  li  condusse  con 
tanta  prudenza  alla  perfezione  del 
loro  stato,  che  molti  di  essi  acqui- 
starono grande  riputazione  di  san- 
tità. Allorché  giunse ,  dopo  molte 
difficoltà ,  a  riunire  in  provincia 
sotto  il  titolo  di  s.  Pietro  d'  Alcan- 
tara i  conventi  dell'osservanza  d'I- 
talia stanziati  nel  regno  di  Napoli, 
egli  ne  divenne  il  primo  superio- 
re ;  ma  ebbe  a  soffrire  le  più  nere 
calunnie.  Giunto  finalmente  colla 
pazienza  a  far  tacere  gli  avversa- 
ri, diedesi  con  novello  ardore  alla 
contemplazione,  alla  penitenza  e  al- 
la più  esatta  osservanza  della  re- 
golare disciplina.  Questo  perfetto 
religioso,  favorito  di  grazie  straor- 


GIO 
dinarie,  del  dono  di  profezia  e  di 
quello  de' miracoli,  prolungò  il  cor- 
so della  sua  vita  i tifino  agli  anni 
ottanta,  e  santamente  si  addormen- 
tò nel  Signore  il  5  marzo  del  l'joy, 
nel  convento  del  monte  s.  Lucia 
nella  città  di  Napoli.  Il  Papa  Pio 
VI  lo  inscrisse  nel  catalogo  dei  bea- 
ti il  giorno  i5  maggio  del  1789; 
e  il  regnante  Pontefice  Gregorio 
XVI,  solennemente  canouizzollo  ai 
26   maggio  del    i83p. 

GIOVANNI  BATTISTA  della 
Concezione  (beato).  Nacque  ad  Al- 
niodovar  del  Campo,  vicino  a  Ca- 
latrava,  li  io  giugno  i56i,  da  Mar- 
co Garzias  e  da  Isabella  Lopez,  am- 
bedue di  antica  ed  illustre  famiglia. 
Cominciò  da  fanciullo  a  praticare 
austere  penitenze:  portava  il  cili- 
cio, davasi  ogni  giorno  la  discipli- 
na, dormiva  sopra  un  asse  con  una 
pietra  per  guanciale ,  e  digiunava 
<piasi  continuamente  in  pane  ed 
acqua.  Sillatta  maniera  di  vivere  gli 
produsse  una  malattia  di  languore, 
da  cui  perì>  si  rimise  in  capo  a  di\c 
anni.  Intanto  avendo  compiuto  il 
corso  di  umanità  e  di  filosofìa  sotto 
la  direzione  dei  carmelitani  scalzi, 
fu  mandato  dai  suoi  genitori  al- 
l' università  di  Baeza.  Terminali  i 
suoi  studi,  fece  ritorno  in  patria  e 
risolvette  di  rendersi  religioso.  Do- 
po qualche  perplessità  nella  scelta 
dell'  ordine ,  entrò  in  quello  dei 
trinitari  nel  convento  di  Toledo, 
ove  passalo  con  fervore  ammirabi- 
le l'anno  di  prova,  ricevette  il  sa- 
cerdozio, e  fu  impiegato  dai  supe- 
riori nella  predicazione  e  nella  di- 
rezione delle  coscienze.  Il  suo  raro 
ingegno  e  la  perfezione  delle  sue 
virtù  lo  resero  tosto  predicatore  là- 
inoso  e  confessore  rinomato ,  ope- 
rando numerose  conversioni,  e  cor- 
rendo in  folla  il  popolo  ai  suoi  di- 


GIO  39 

scorsi.  Siccome  da  qualche  tempo 
erasi  introdotta  la  rilassatezza  nella 
maggior  parte  dei  conventi  dei  tri- 
nitari, i  principali  membri  dell' or- 
dine si  radunai 0110  nel  i5q£,  e 
presero  risoluzione  di  fondare  due 
o  tre  case  in  ciascuna  provincia  , 
nelle  quali  fosse  messa  in  vigore 
1'  osservanza  delle  regole,  e  fossero 
aperte  a  tutti  i  religiosi,  ma  colla 
permissione  di  lasciarle  per  ritorna- 
re nel  loro  primo  convento.  Allor- 
ché la  rifórma  fu  stabilita,  il  p.  Gio. 
Battista  fu  uno  dei  primi  ad  ab- 
bracciarla ,  e  venne  incaricato  di 
governare  come  superiore  il  nuovo 
convento  di  Val-de-Pegnas.  Veden- 
do egli  che  la  riforma  poco  pro- 
sperava, e  che  non  si  sarebbe  ot- 
tenuto miglior  effetto  finché  non  si 
avesse  tolta  ai  religiosi  la  libertà 
di  ritornare  ai  loro  antichi  conventi, 
si  recò  a  Roma  nel  i5g8,  per  rap- 
presentarlo al  Papa  Clemente  Vili. 
Ottenuta  da  questo  Pontefice  una 
bolla  che  l'autorizzava  a  stabilire 
una  riforma  intera  nel  suo  moni- 
stero  ed  in  alcuni  altri  ,  riformò 
otto  case  :  numero  che  fu  poscia 
notevolmente  accresciuto.  Ma  per 
riuscirvi  egli  dovette  superate  gran- 
di opposizioni  per  parte  del  governo 
di  Spagna  e  dei  membri  dell'ordine, 
e  soffrire  eziandio  molte  persecu- 
zioni ed  insulti.  11  b.  Giovanni  del- 
la Concezione  è  chiamato  il  fondato- 
re  dei  Trinitari  scalzi,  perchè  una 
delle  pratiche  di  mortificazione  pre- 
scritte dalle  regole  della  riforma  era 
che  i  religiosi  dovessero  camminare 
a  pie  nudi;  e  menta  egualmente 
questo  titolo  per  le  cine  che  si 
pie>e  nel  rassodarla.  Impiegò  il  re- 
stante della  sua  vita  nel  governo 
delle  case  da  lui  riforniate,  e  mo- 
li a  Cordova  n'i4  febbraio  16 
Fu  glorificalo  da  Dio  coU*  operasi*» 


4o  GIO 

ne  di  molti  miracoli,  e  beatificato 
da  Papa  Pio  VII  ai  29  aprile 
1819. 

GIOVANNI  di  Dukla  (  beato  ). 
Nacque  in  Polonia,  nella  città  di 
Dukla,  e  giovine  ancora  entrò  fra  i 
minori  conventuali.  Di  poi  per  con- 
siglio di  s.  Giovanni  di  Capistrano, 
che  predicava  allora  in  Polonia,  si 
unì  agli  osservanti.  Ammira  vasi  so- 
prattutto in  lui  un  vivo  amore  per 
la  sua  regola,  somma  premura  di 
conservare  la  pace,  purezza  ed  ob- 
bedienza perfetta.  Le  sue  prediche 
produssero  parecchie  conversioni  di 
persone  d'  alto  affare.  Divenuto  cie- 
co qualche  tempo  prima  di  morire, 
non  ristette  perciò  di  esercitare  le 
funzioni  del  santo  suo  ministero 
infino  alla  beata  sua  morte,  che 
avvenne  a' 29  settembre  1484,  nel- 
la città  di  Leopoli.  Il  Papa  Cle- 
mente XII  approvò  il  di  lui  culto, 
e  concesse  ai  polacchi,  non  che  agli 
abitanti  della  Lituania,  di  onorarlo 
come  uno  dei  loro  patroni.  La  sua 
festa  si  celebra  ai    19  di  luglio. 

GIOVANNI  MarÌnone  (beato). 
Nacque  in  Venezia  a'  i5  dicembre 
1490,  e  dopo  aver  studiato  nell'u- 
niversità di  Padova,  abbracciò  Io 
stato  ecclesiastico,  e  servi  due  anni 
la  patria  chiesa  di  s.  Pantaleone. 
Quindi  accettò  il  posto  di  superio- 
re dello  spedale,  dove  si  riceveva- 
no gl'incurabili  e  gli  orfani;  e  du- 
rante la  pestilenza  che  nel  i528 
desolò  Venezia,  diede  chiare  prove 
della  sua  carità.  Fu  poscia  fatto 
canonico  di  s.  Marco,  ma  presto  la- 
sciò questo  benefìcio  per  entrare 
nella  congregazione  dei  chierici  re- 
golari, nuovamente  inslituila  in  que- 
sta città  da  s.  Gaetano  Tiene,  nel- 
la quale  fu  ricevuto  a' 9  dicembre 
i5?.8,  e  fece  i  suoi  voti  ai  29 
maggio    i53u.    Egli    fu    nominalo 


GIO 

P'ò  volte  superiore,  e  fu  zelante 
religioso  ed  austero  penitente  :  s. 
Andrea  Avellino,  che  si  gloriava 
di  averlo  avuto  a  maestro  e  diret- 
tore nelle  vie  della  pietà ,  diceva 
parlando  di  lui,  eh'  era  per  le  sue 
parole  e  per  le  sue  azioni  un'  im- 
magine della  santità.  In  Napoli  gli 
venne  commessa  la  direzione  di 
un  convento  di  religiose  che  gui- 
dò alla  perfezione  ,  ed  istituì  un 
Monte  di  pietà  che  divenne  assai 
celebre.  Ricusò  l' arcivescovato  di 
quella  città,  a  cui  il  Papa  volea 
nominarlo,  e  continuò  ad  esercita- 
re colà  il  santo  suo  ministero.  Le 
sue  virtù  gli  meritarono  da  Dio 
grazie  singolari;  per  cui  egli  ot- 
tenne la  guarigione  di  molti  am- 
malati, e  fu  favorito  del  dono  della 
profezia.  Assistito  nell'ultima  sua 
malattia  da  s.  Andrea  Avellino  e  dal 
b.  Paolo  di  Arezzo,  morì  ai  1  3  di- 
cembre i56i.  Clemente  XIII  au- 
torizzò il  culto  del  b.  Giovanni 
Marinone ,  con  decreto  degli  1  1 
settembre   1762. 

GIOVANNI  de  Paado  (b.).  Vir- 
tuoso francescano  della  stretta  os- 
servanza, nato  nel  regno  di  Leone 
nella  Spagna,  il  quale  fu  spedito 
dalla  congregazione  di  propaganda 
a  predicare  la  fede  nel  regno  di 
Fez  e  di  Marocco.  Il  suo  zelo  per 
la  conversione  degl'  infedeli  gli  con- 
citò contro  il  furore  dei  maomet- 
tani. Sopportò  colla  più  invilla  pa- 
zienza la  prigionia,  le  battiture  ed 
altri  tormenti ,  e  finalmente  con- 
sumò il  suo  sagrifizio  col  martirio 
del  fuoco  nel  iG3i,  a'  34  di  mag- 
gio ,  sotto  il  qual  giorno  Benedet- 
to XIV  inserì  il  suo  nome  nel 
martirologio  romano,  essendo  già 
stato  riconosciuto  il  suo  martirio 
da  Clemente  XI,  solennemente  bea- 
tificato da  Benedetto  XIII  nell  auuo 


GIO 

1728,  ed  elevato  il  suo  uffizio  al 
lito  doppio  per  l' ordine  france- 
scano. 

GIOVANNI  da  Parma  (beato). 
Nato  a  Parma  dond' ebbe  il  so- 
prannome, dell'  illustre  famiglia  dei 
Buratti,  fu  allevato  nella  pietà,  ed 
entrò  nell'ordine  di  s.  Francesco. 
Venne  scelto  per  insegnare  pubbli- 
camente la  teologia  a  Bologna,  a 
Napoli,  a  Roma,  ed  ovunque  mo- 
strassi non  meno  santo  ebe  dotto. 
Nel  1^4^  intervenne  al  concilio  di 
Lione  per  rappresentare  il  suo  ge- 
nerale die  non  potè  recarvisi  a  ca- 
gione di  sua  vecchiezza,  e  due  an- 
ni dopo  fu  eletto  egli  stesso  supe- 
riore generale  dell'ordine.  Prima 
sua  cura  fu  di  visitare  tutti  i  con- 
venti soggetti  alla  sua  giurisdizione, 
e  di  rimettervi  la  severa  disciplina. 
Convocò  parecchi  capitoli  generali, 
fra' quali  quello  di  Metz,  e  contri- 
bui  con  essi  possentemente  a  ri- 
chiamare i  frati  minori  alla  perfe- 
zione del  loro  istituto.  Il  Papa  In- 
nocenzo IV,  nel  r  1  j.6,  lo  spedì  le- 
gato in  oriente  per  trattare  il  di- 
licatissimo  affare  della  riunione  dei 
greci  alla  Chiesa  romana.  Egli  si 
procacciò  talmente  la  slima  ed  il 
rispetto  de' greci,  e  condusse  sì 
bene  il  suo  negoziato,  che  l'impe- 
ratore Ducas  e  il  patriarca  di  Co- 
stantinopoli spedirono  degli  inviati 
al  Pontefice.  Dopo  sett'anni  ritorni» 
dalla  stia  legazione,  e  si  diede  a  to- 
gliere gli  abusi  introdotti  nel  suo 
ordine,  e  moltiplicati  durante  la  sua 
assenza.  Convocò  perciò  un  capito- 
lo generale  a  Boma,  Del  ia56; 
ma  1  nemici  della  subordinazione 
si  sollevarono  contro  di  lui,  lo 
accusarono  di  credere  alle  predi- 
zioni dell'abbate  Gioachino,  che 
faceva  allora  grande  rumore,  e  lo 
sforzarono  a  lasciare  1'  ullizio.  Sgra- 


GIO  41 

vato  di  tanto  peso,  si  ritirò  nel 
convento  di  Gracchio,  dove  menò 
per  trentanni  una  vita  più  ange- 
lica che  umana.  Quindi  avendo 
inteso  che  i  greci  ritornavano  ai 
loro  antichi  errori,  chiese  a  Papa 
Nicolò  IV  la  permissione  di  faro 
un  nuovo  viaggio  in  oriente;  ma 
cessò  di  vivere  a  Camerino  nel 
1289,  in  età  di  ottantanni.  Mol- 
ti miracoli  attestarono  la  santità 
di  Giovanni,  per  cui  i  camerinesi 
gli  eressero  un  marmoreo  monu- 
mento, e  gli  renderono  pubblico 
culto,  che  fu  poscia  approvato  dal 
Pontefice  L'io  VI,  con  un  decreto 
che  pubblicò  la  congregazione  dei 
riti  li  5  agosto    1 78  r . 

GIOVANNI  di  Perugia  e  PIE- 
TR.0  di  S.\ssorF.Kr.\To  (beati),  am- 
bedue dell'ordine  de' frati  minori: 
sacerdote  il  primo,  semplice  frale 
converso  il  secondo.  Furono  di  quelli 
che  s.  Francesco  inviò  in  [spagna 
nel  12  ir)  e  1220  per  propagare 
il  suo  ordine,  e  procurare  ai  po- 
poli nuovi  mezzi  di  salute.  Essi 
avviaronsi  a  Tutolo,  città  elei  re- 
gno di  Aragona,  e  ^corsero  il  pae- 
se spargendovi  la  divina  parola.  Il 
loro  zelo  di  dilatare  la  lede  li 
condusse  a  Valenza,  città  allora 
occupata  dai  mori,  e  nella  (piale 
regnava  Azoto,  nemico  dichiaralo 
de' cristiani.  Essi  cominciarono  an- 
nunziare a  questo  popolo  le  veri- 
tà del  vangelo,  e  mostrare  la  fal- 
sità della  dottrina  niaouiellau  1  . 
ina  tosto  furono  presi  ed  impri- 
gionati per  online  ilei  re,  il  (pia- 
le adoperatosi  invano  per  espugna- 
re la  loro  costanza  con  lusinghe  e 
minaccio,  li  lece  decapitare,  circa 
l'anno  1  i3o.  Il  Papa  Clemente 
\l  confermò  il  culto  che  si  rende- 
v  1  .1  questi  santi  martiri  :  bene- 
detto XIV   approvi!  pel  loro  "ili- 


42  GIO 

ne,  come  pure  per  la  diocesi  di 
Valenza,  in  cui  soffrirono  il  mar- 
tirio, e  per  quella  di  Tutolo,  in 
cui  sono  custodite  le  loro  reliquie, 
l'officio  composto  in  loro  onore; 
finalmente  Pio  VI  a'  2  aprile  1783 
pubblicò  il  decreto  della  loro  bea- 
tificazione. Se  ne  celebra  la  festa 
a'  3   di   settembre. 

GIOVANNI  da  Pemma-saw-Gio- 
vanivi  (beato).  Nacque  nel  borgo 
di  tal  nome  nella  diocesi  di  Fer- 
mo, e  fu  sino  da'  più  ver  d'anni 
favorito  di  grazie  straordinarie. 
Entrò  nell'ordine  di  s.  Francesco, 
e  ne  divenne  uno  dei  sostegni  col- 
le sue  virtù,  e  zelo  per  la  regola- 
rità di  esso.  Fu  mandato  in  Fran- 
cia per  fondare  dei  conventi  nella 
Provenza  e  nella  Linguadoca ,  e 
per  insegnarvi  le  pratiche  dell'  i- 
stituto.  Egli  passò  ventici nqu'anni 
in  questo  uffizio,  poi  ad  istanza 
dei  religiosi  della  provincia  della 
Marca  fu  richiamato  in  Italia. 
Questo  santo  religioso,  dopo  avere 
degnamente  occupati  diversi  posti, 
morì  nella  sua  patria,  in  età  di 
settant'anni,  a' 3  aprile  127  1.  Pa- 
pa Pio  VII  confermò  il  culto  che 
si  rendeva  a  questo  beato,  e  per- 
mise di  celebrarne  1'  officio.  La  sua 
festa   è  stabilita   a' 5  d'ottobre. 

GIOVANNI  di  Ribera  (beato). 
Nacque  a  Siviglia  nel  mese  di  mar- 
zo del  i532.  L'illustre  suo  genito- 
re, d.  Pietro  Para  fan  di  Ribera  , 
duca  di  Alcala,  marchese  di  Ta- 
riffa e  conte  di  Meralles,  che  fu 
governatore  dell'  Andalusia  ,  per 
qualche  tempo  viceré  di  Catalogna 
e  poscia  di  Napoli,  pose  ogni  sol- 
lecitudine nell'educazione  del  lidio. 

o 

Gli  fece  cominciare  gli  studi  a  Sa- 
lamanca, lo  mandò  a  continuarli 
a  Siviglia,  indi  lo  richiamò  a  Sa- 
lamanca,  nella  cui  celebre   univer- 


GIO 

sita    ricevette   la    laurea    dottorale. 
D.   Giovanni   abbracciò   lo  stato  ec- 
clesiastico, e  a' 7    maggio    i55j   fu 
ordinato  sacerdote.  L'edificante  ma- 
niera   colla    quale    esercitò    il    suo 
santo  ministero.,  e  la    stima    gene- 
rale che  si    acquistò,    mossero    Fi- 
lippo  li   re  di  Spagna  a  nominar- 
lo alla  sede  vescovile    di  Badajoz  ; 
ma  poco  dopo  egli  fu  chiamato  ad 
occupare  un  posto  più  eminente.  Pri- 
ma ch'ei    fosse    stato   consacrato  e 
che  avesse  preso  possesso  della  sede 
di  Badajoz,  l'anno  1  568,  il  titolo  del 
patriarcato     d' Antiochia   in    parli- 
bus  venne  a  vacare,    come    altresì 
l'arcivescovato   di  Valenza.  Lo  sta- 
to di   questa    ultima  diocesi    esige- 
va delle  cure  particolari.     I    mori, 
che  avevano  per  sette  secoli  signo- 
reggiata    quasi    tutta   la    Spagna , 
sebbene  fossero  stati   nel    i^()i   in- 
teramente soggiogati   da  Ferdinan- 
do il  Cattolico,  conservavano     tut- 
tavia, sotto  la  fede  dei   trattati  ,   i 
loro  costumi  e    la    loro    religione  ; 
essi  erano  ancora   possenti   pel    lo- 
ro numero,   per  le  loro    ricchezze, 
e  andavano    sempre    crescendo,    a 
malgrado    dell'oppressione.   Di  que- 
sti    ve    ne    aveva    soprattutto    un 
gran  numero    a  Valenza,    dove   la 
mescolanza  delle  due   religioni  por- 
tava molta  rilassatezza  fra' cattolici. 
Un  tale    stalo  di    cose  recava    in- 
quietudine al  consiglio  di  Spaglia  ; 
le  ragioni  politiche   e  religiose    fa- 
ceano  desiderare  la  conversione  dei 
mori,  e  si   pensava  die  la  colloca- 
zione di  Ribera  sulla  sede  di  Va- 
lenza avrebbe    potuto    affrettare   il 
compimento    di   questo    desiderio. 
Il   Pontefice  s.  Pio  V    secondò   le 
intenzioni  del  re  di  Spagna,  e  men- 
tre Filippo  II  nominava   Ribera  al- 
l' arcivescovato  di  Valenza,    il  santo 
Padre  gli  dava  il  titolo  del  patriar- 


GIO 

calo  d'  Antiochia.  La  cerimonia 
della  sua  consacrazione  si  fece  l'an- 
no i5tìg,  e  il  Papa  gli  mandò 
subito  dopo  il  pallio,  con  una  let- 
tera affettuosa.  Il  santo  prelato  ap- 
pi icossi  tosto  indefessamente  a  to- 
gliere i  disordini  della  sua  diocesi, 
e  rimettervi  i  buoni  costumi.  Mul- 
to travagliò  per  procurare  la  con- 
versione de'  mori  ,  ma  scarso  frut- 
to raccolse  ;  per  cui  disperando 
della  buona  riuscita  ,  approvò  e 
persuase  l'espulsione  totale  di  que- 
gl' infedeli  ostinati  ed  incorreggibi- 
li ,  che  venne  rigorosamente  ese- 
guila d'ordine  di  Filippo  III,  suc- 
ceduto a  suo  padre  Filippo  11 
Sili  trono  di  Spagna.  Ribera  fu  in- 
vestito da  Filippo  111  della  digni- 
tà di  viceré  della  provincia  di  Va- 
lenza.  Fondò  nella  sua  città  arci- 
vescovile il  collegio  del  Corpus  Chri- 
sli,  lo  dotò  riccamente,  e  lo  prov- 
vide di  saggi  professori.  Egli  fa- 
voriva tutte  le  pratiohe  di  pietà, 
spezialmente  la  divozione  al  ss. 
Sagramento:  la  sua  dolcezza,  la 
sua  umiltà,  la  sua  pazienza,  le  sue 
cure  pei  poveri,  le  sue  abbondanti 
limosino  edificavano  tulli.  Morì 
nell'età  di  ottant'anni,  a' 6  gennaio 
1611,  e  fu  onorato  con  magnifici 
funerali.  Il  Papa  Pio  VI  lo  bea* 
tifico   ai    3o    agitilo   del    1796. 

GIOVANNI  RATT1STA  de  Ros- 
si (  il  ven.  ).  Nacque  a  Voltaggio, 
nella  diocesi  di  Genova  li  22  feb- 
braio [698,  e  fin  dalla  sua  fan- 
ciullata mostrò  in  sé  riunite  le  più 
belle  prerogative.  Lgli  aveva  dieci 
anni,  allorché  un  nobile  genovese 
chiamalo  Scorsa,  ch'era  venuto  col- 
la sua  .sjMtvi  a  passare  parte  della 
state  a  Voltaggio,  edificato  dalla  di* 
\o7Ìi)iii!  con  cui  Giovanni  era  solito 
servire  alla  messa  nella  chiesa  par- 
rocchiale di  s.    Maria,   lo  domandò 


GIO  43 

a'  suoi  genitori  per  condurlo  seco 
a  Genova;  e  il  padre  essendo  sialo 
accertato  che  avrebbe  ricevuto  una 
educazione  cristiana,  acconsentì  alla 
sua  partenza.  11  pio  fanciullo  pas- 
sati eh'  ebbe  tre  anni  nella  casa  dei 
suoi  protettori,  fu  chiamato  a  Ro- 
ma da  un  suo  cugino  per  nome 
Lorenzo  de  Rossi,  ch'era  canonico 
di  s.  Maria  in  Cosrnedin,  e  aveva 
saputo  il  bene  che  si  diceva  del  suo 
giovane  parente.  Collocato  nel  col- 
legio romano,  vi  fece  grandi  pro- 
gressi nelle  virtù  e  nelle  lettere;  ina 
mentre  occupa  va>>i  della  teologia 
scolastica,  una  infermità  che  gli 
sopravvenne,  cagionatagli  da  sover- 
chie austerità  ,  lo  costrinse  ad  ab- 
bandonare tale  scienza.  Intanto  de- 
siderando di  avanzarsi  sempre  più 
nella  perfezione,  associossi  alla  con- 
gregazione della  Scaletta,  fondata 
in  questo  collegio,  e  ne  divenne 
uno  de'  più  fervorosi.  Sempre  in- 
tento alla  propria  santificazione  , 
procurava  eziandio  in  ogni  guisa 
possibile  quella  dei  suoi  condiscepo- 
li, per  cui  fu  chiamato  l'apostolo 
del  collegio  romano.  Da  questo  col- 
legio passò  in  quello  dei  domeni- 
cani, per  seguirvi  la  spiegazione  che 
faceva  allora  della  Somma  di  san 
Tommaso  un  celebre  religioso  chia- 
mato il  p.  Gordon  :  dalla  (piale 
spieg*zione  trasse  tanta  utilità,  che 
diede  poscia  prove  del  suo  sapere 
in  parecchie  circostanze,  in  cui  fu 
necessitato  farlo  palese.  In  età  di 
M'dici  anni  ricevette  la  tonsura  cle- 
ricale, e  li  8  marzo  1721  pervenne 
al  sacerdozio.  Esercitando  con  an- 
gelico fervore  il  santo  suo  ministe- 
ro, crebbe  di  molto  il  SUO  zelo  pn 
la  salute  delle-  anime;  e  la  fonda- 
zione   dell'  Oipìtio    di  S.   Luigi   (ìcu- 

Mgti  pei-  alloggiarvi  le  povere  gio- 
vani   (he    111    Ruma    accanavano   il 


44  GI° 

pane,  fu  uno  dei    frutti    della    sua 
carità    verso    i    poveri.    Condiscese 
con  grande  fatica  ad  accettare  la  coa- 
diutoria  del  canonicato  di   suo  cu- 
gino in  s.  Maria  in  Cosmedin  t  alla 
morte  del  quale,  nel    1787,   ne  di- 
venne titolare.   Egli   donò    al  capi- 
tolo una  casa  che    aveagli    lasciata 
il  defunto,  e  scelse  invece  per  sua 
dimora  un  granaio.  La   fama  della 
santità  del  De  Rossi  trasse  la  gente 
in   folla    a    questa    collegiata ,    fino 
allora  quasi  deserta,    e    quando    si 
persuase  di   ascoltare  le  confessioni, 
tanta  divenne  l'affluenza    de' peni- 
tenti, che  per  potervi  attendere  fu 
costretto    a    domandare    un    breve 
per  essere  dispensato   dal  coro.  La 
situazione  della  chiesa  di  s.  Maria  in 
Cosmedin,  iti  un  rione  lontano  dal 
centro  di  Roma,  e  le  gravi  infermità 
ch'egli  aveva  contratto  in  questo  luo- 
go, lo  foizarono  a  lasciare  il  suo  vi- 
cinalo, e  ritornò  a  dimorare  alla  Tri- 
nità dei  pellegrini.  Egli  non  tralasciò 
tuttavia  le  sue  opere  eli  carità  in  que- 
sta collegiata;   ma  la  fatica  che  più 
gli  andava  a  grado  era  il  dirigere  i 
poveri   degli    spedali    e    le    persone 
piìi   miserabili    del    popolo.    Quindi 
i   prigionieri,   i  giovani  detenuti  nel- 
la casa    di  correzione  di  s.  Michele, 
le  femmine  di    mala  vita   rinchiuse 
nella  casa  a  questa    vicina,    prova- 
rono gli   effetti   dello   zelo  del  santo 
prete.   Allorché  Benedetto  XIV  sta- 
bilì un  catechismo  pubblico  pei  bir- 
ri, a  preferenza  d'  ogni  altro  scelse 
il  De  Rossi.  Egli  faticava  ancora  nel- 
le missioni,  faceva  spesso  gli  esercizi 
spirituali  d'  un  anno  in  più  moni- 
steri,  sia  a  Roma,  sia  nelle  diocesi 
vicine,  e  continuando  nella  pratica 
di  ogni  opera  buona,  chiuse  la  sua 
carriera  mortale  in  età  di  sessanta- 
sei   anni,    a' 23    maggio     1764.   A 
spese  dell'ospitale  della  ss.  Trinità, 


GIO 

poiché  egli  mori  allatto  povero, 
gli  furono  fatte  solennissime  esequie, 
e  fu  seppellito  nella  chiesa  dello 
stesso  spedale.  La  sua  santità  par- 
ve si  certa,  che  Papa  Pio  VI  per- 
mise l'anno  1781  di  cominciare  il 
processo  della  sua  canonizzazione , 
che  venne  proseguito  sotto  il  pon- 
tificato di  Pio  VII,  e  da  ultimo  il 
regnante  Papa  Gregorio  XVI  con 
decreto  ne  ha  approvato  le  virtù 
in  grado  eroico,  per  cui  si  spera 
di  vederne  sollecita  la  beatifica- 
zione. 

GIOVANNI  Leowudi  (il  ven.  ). 
Figlio  cadetto  di  Giovanni  Leonar- 
di e  di  Giovanna  Lippi  ,  nacque 
l'anno  [543,  nel  villaggio  di  Die- 
cimo,  così  chiamato  perchè  a  dieci 
miglia  da  Lucca.  Perfettamente 
corrispose  alle  cure  che  si  presero 
i  suoi  genitori  per  formarlo  alla 
virtù;  e  la  sua  candidezza  d'animo, 
e  la  sua  premura  di  porsi  fin  dalla 
prima  giovinezza  con  divozione  spe- 
ciale sotto  il  patrocinio  della  santa 
Vergine,  rende  credibilissima  l' o- 
pinione  eh'  egli  abbia  sempre  con- 
servato la  battesimale  innocenza. 
Egli  desiderava  di  abbracciare  lo 
stalo  religioso  ;  ma  per  ubbidire  il 
padre  s' iniziò  nella  professione  di 
speziale  sotto  un  dabbeo  uomo  di 
Lucca.  Quivi  il  p.  Francesco  Rer- 
nardini,  celebre  domenicano,  lo  fe- 
ce entrare  nella  confraternita  da 
lui  istituita,  che  si  chiamava  dei 
Colombini,  perchè  i  membri  di  essa 
colla  purezza  della  loro  vita  si  sforza- 
vano d'imitare  la  semplicità  della 
colomba.  Essi  erano  uomini  affatto 
spirituali ,  i  quali  si  davano  all'  o- 
razione  e  alla  pratica  di  diverse 
opere  di  pietà  e  di  penitenza,  unen- 
dosi tutte  le  mattine  e  tutte  le  sere 
in  casa  di  un  tessitore  chiamato 
Forami,  il  quale  viveva  celibe  nel 


GIO 

ritiro,  unicamente  occupato  in  Dio. 
Leonardi  visse  cos'i  fino  all'età  di 
ventisei  anni  ;  allorché  perduto  il 
padre,  seguì  il  consiglio  del  suo 
confessore  che  confortavalo  ad  in- 
traprendere gli  studi,  e  vi  fece  rapidi 
avanzamenti.  Ai  22  dicembre  1572 
fu  ordinato  prete ,  e  ritiratosi  in 
campagna  compì  il  suo  corso  di 
teologia;  poscia  fu  incaricalo  del- 
l' assistenza  di  una  chiesa  di  Lucca. 
Eletto  capo  della  confraternita  dei 
Colombini,  a  cagione  del  suo  zelo 
e  della  sua  abilità,  vi  facca  frequen- 
temenle  delle  conferenze  spirituali, 
come  pure  in  un  oratorio  ed  in 
una  chiesa  ch'egli  officiava.  Gua- 
dagnatasi colle  sue  edificanti  i- 
struzioni  la  generale  ammirazione 
e  l' approvazione  del  vescovo ,  ot- 
tenne il  possesso  di  una  chiesa  chia- 
mata la  Madonna  della  Rosa ,  e 
presa  a  pigione  una  casa  a  questa 
unita,  istituì  il  primo  settembre  del 
1 574  la  congregazione  de'  Chieri- 
ci regolari  della  Madre  di  Dio 
[Vedi).  La  città  di  Lucca  non  fu 
la  sola  che  raccolse  i  fruiti  del  suo 
zelo:  altre  parti  d'Italia  ne  pro- 
varono i  felici  effetti.  A  Pescia  egli 
fondò  una  congregazione  di  vergi- 
ni, sotto  il  titolo  stesso  della  Ala- 
tire  di  Dio  ,  ed  un'  altra  di  preti 
che  si  unì  poscia  ai  barnabiti  ;  ri- 
formò la  congregazione  di  Monte 
"V  ergine,  quella  di  "\  allombrosa,  ed 
altre  case  religiose.  Fu  incaricato 
per  qualche  tempo  dell'amministra* 
zione  spirituale  della  chiesa  di  Sie- 
na e  di  quella  della  diocesi  d' A- 
versa  nel  regno  di  Napoli.  Leonardi 
si  occupava  così  a  tutto  suo  potere 
in  procurare  la  gloria  di  Dio  ;  ma 
a  riuscirvi  ebbe  d'  uopo  di  tutta  la 
sua  costanza  per  superale  le  con- 
traddizioni che  dovette  sopportare. 
Finalmente    l' iuslituio   de' chierici 


GIO 


4; 


della  Madre  di  Dio  fu  approvato 
dalla  santa  Sede,  e  ottenne  anche 
una  casa  per  istabilirsi  in  Pioma. 
S.  Filippo  Neri  servì  utilmente 
Leonardi  in  queste  difficili  circo- 
stanze; e  il  ciotto  cardinale  Baro» 
nio  divenne  il  protettore  di  questa 
novella  congregazione.  Una  malat- 
tia contagiosa,  la  quale  nel  1609 
lece  grandi  guasti  in  Roma,  cagionò 
molte  fatiche  al  zelante  Leonardi, 
che  si  trovava  allora  colà ,  e  che 
divenne  l'infermiere  di  parecchi  dei 
suoi  fratelli  ai  quali  s'  era  appicca- 
to il  contagio.  Egli  stesso  fu  preso 
da  una  lenta  febbre  che  lo  con- 
dusse alla  tomba  ai  9  d' ottobre 
dello  stesso  anno,  in  età  di  sessan- 
tasei anni.  11  processo  per  la  sua 
canonizzazione  fu  cominciato  nel 
1G23  e  continuato  sino  al  1707, 
nel  quale  Benedetto  XIV  pubblicò 
il  decreto  che  prova  l'eroismo  del- 
le virtìi  di  questo  servo  di  Dio.  11 
venerabile  Giovanni  Leonardi  è  au- 
tore di  alcune  opere  di  pietà  e  di 
morale. 

GIOVANNI  I  (s.  ),  Papa  LV. 
Giovanni,  cui  alcuni,  confondendolo 
con  Giovanni  111,  gli  danno  il  no- 
me di  Catelino  ,  e  che  l'Ugurgieri 
chiama  Bernardino,  nacque  in  Sie- 
na, città  della  Toscana,  ed  ebbe  per 
padre  Costanzo.  Disputandosi  sulla 
di  lui  patria,  il  p.  Lgurgieri  nelle 
sue  Pompe  senesi  Jo  disse  nativo 
di  Siena,  e  nell'appendice  die  la- 
sciò mss.  a  tale  opera  confermò  la 
precedente  sua  opinione,  ed  aggiun- 
se che  fr.  Pietro  Castrucci  fioren- 
tino nella  sir.i  Settimana  stanca, 
stampata  in  Todi  nel  l655,  a  p. 
$53,  lo  conta  parimente  per  sane- 
sc.  All'opposto  Sigismondo  Tizio 
nel  t.  I  delle  sue  Storie  inedite,  a 
p.  1  "•.  lo  erede  nativo  di  Populo- 
nia  j  città  distrutta  nella   ! 


46  G I O 

scrivendo:  «Joanne.s  praelerea  Pon- 
tifex  M.  ejus  nominis  primus ,  et 
inarlyr  gloriosns,  sentcntia  cunclo- 
j  um  scribentium  Tuscus,  et  ut  opi- 
mo quorundam  est  recentium  Po- 
puloniensis  ".  Papa  s.  Gelasio  I  lo 
creò  cardinale  prete  del  titolo  dei 
ss.  Gio.  e  Paolo  in  Pammachio  , 
quindi  a'  i3  agoslo  del  523  fu 
eletto  Pontefice.  Chiamato  in  Ra- 
venna da  Teodorico  re  ariano,  fu 
da  questi  mandato  in  Costantino- 
poli nel  57.5,  a  richiedere  tre  cose 
all'imperatore  Giustino  I;  cioè,  che 
gli  ariani  costretti  da  Cesare  a  ri- 
cevere la  cattolica  religione  avessero 
il  permesso  di  ritornare  alla  loro 
setta;  che  agli  ariani  fossero  resti- 
tuite le  chiese  loro  lolle  nell'orien- 
te; e  che  ninno  per  l'avvenire  fosse 
costretto  ad  abiurare  l'arianesimo. 
Sulla  prima  richiesta  non  fece  Gio- 
vanni I  alcun  molto  all'imperato- 
re, ma  bensì  parlò  delle  altre  due. 
e  dicesi  che  le  ottenesse,  come  ri- 
porta l'autore  dell'  Istoria  Miserila, 
presso  il  Muratori  ,  Script,  rcr. 
Italie,  toni.  I,  pag.  2o3.  Il  Papa 
fu  costretto  da  prudenti  riflessi  a 
concedere  qualche  cosa  agli  stra- 
nieri polenti  dominatori ,  per  non 
perdere  all'alio  i  suoi,  poiché  il  re 
Teodorico  avrà  stabilito  esercitare 
coi  cattolici  d'Italia,  quanto  Giusti- 
no I  avesse  operato  contro  gli  ariani 
nell'oriente:  vegga n si  il  Baronio, 
ed   il   Pagi   all'anno  528,  n.   8. 

Giunto  Giovanni  I  a  Corinto  col 
Cavallo  (Vedi),  che  gli  avea  im- 
prestalo un  signore,  e  che  poi  nin- 
no potè  cavalcare,  si  portò  nel  525 
a  Costantinopoli  ,  ove  fu  ricevuto 
con  sommo  onore.  Dodici  miglia 
prima  delle  porte  della  città  fu  in- 
contralo da  tutto  il  popolo  con 
cerei,  e  poi  dall'imperatore,  che 
prostralo    sino   a  terra  gli  rese  qnc- 


G  I O 

gli  omaggi  che  prestalo  avrebbe 
allo  stesso  s.  Pietro»  In  Costantino- 
poli celebrando  Giovanni  I  nella 
cattedrale,  il  giorno  di  Pasqua  che 
cadea  a'  3o  marzo,  la  gran  messa 
in  lingua  latina  col  rito  romano , 
coronò  Giustino  1,  essendo  il  primo 
Papa  che  ornò  l' imperatore  con  le 
insegne  imperiali.  Giustino  I  con 
gran  solennità  ornò  il  Pontefice 
delle  vesti  augustali,  e  ne  concesse 
I'  uso  anche  ai  di  lui  successori  : 
Io  regalò  d'una  patena  (T'oro  or- 
nata di  gemme  del  peso  di  venti 
libbre,  d'un  calice  d'oro  di  cinque 
libbre,  di  cinque  vasi  d'argento,  e 
di  quindici  pallii  tessuti  in  oro,  i 
quali  doni  Giovanni  I  mandò  po- 
scia in  Roma  alle  patriarcali  basi- 
liche de'  ss.  Pietro  e  Paolo,  di  s. 
Maria  Maggiore  ,  e  di  s.  Lorenzo 
fuori  le  mura.  Tornato  il  Ponte- 
fice a  Ravenna  ,  fu  per  ordine  di 
Teodorico  messo  in  disagiata  pri- 
gione, in  cui  dopo  aver  crealo  quin- 
dici vescovi,  fra' quali  Lucifero  di 
Siena,  e  governato  due  anni,  nove 
mesi,  e  quattordici  giorni,  consu- 
mato dai  travagli  rese  lo  spirito 
a'  27  maggio  del  526.  Il  suo  cor- 
po qnattr' anni  dopo  fu  trasportato 
in  Roma  e  sepolto  nella  basilica  di 
s.  Pietro.  Vacò  la  sanla  Sede  un 
mese   e  ventisette   giorni. 

GIOVANNI  Il(s.),  Papa  LVIII, 
cognominato  Mercurio  per  la  sua 
eloquenza.  Nacque  in  Roma  da  Pro* 
jello  della  contrada  di  Monte  Celio, 
e  fu  annoveralo  d'alcuni  fra  i  Pon- 
tefici della  famiglia  Conti.  Essendo 
cardinale  prete  del  (itolo  di  s.  Cle- 
mente, fu  creato  Papa  nella  chiesa 
di  s.  Pietro  in  Vincoli  a' 3 1  di- 
cembre del  532.  Dichiarato  nemico 
della  simonia  ,  che  in  que'  tempi 
ammorbava  le  elezioni  de'  vescovi 
e  de'Pontefìei,  ottenne  da  Malarico 


GIO 

re  fi'  Italia,  che  questo  punisse  con 
la  regia  autorità  i  simoniaci,  cui  le 
pene  ecclesiastiche  non  giungessero 
a  correggere,  ed  emanasse  analoghe 
provvidenze.  Approvò  Giovanni  li 
come  cattolica  la  proposizione  dei 
monaci  della  Scizia  :  Uniti  de  Tri- 
ni tale  criicifixus  est  rarney  e  signi- 
ficò ai  monaci  acemeti  che  se  non 
desistevano  dal  condannarla  li  se- 
parerebbe dalla  Chiesa.  Veggasi  il 
Iforis ,  in  P'indie.  Muglisi,  tom.  I, 
cap.  3,  p.  924,  tom.  Ili,  cap.  1, 
p.  882  ;  Pelavio,  Theol.  dogmat. 
tom.  IV,  lib.  4  j  caP-  6  e  7  ;  e 
Lupo,  in  not.  ad  cap.  io  Synodi 
V.  Leggonsi  le  lettere  di  s.  Gio- 
vanni Il  all'  imperatore  Giustinia- 
no I,  e  al  senato  di  Costantinopoli 
su  questo  punto,  nel  Labbé,  Cone. 
tom.  IV,  col.  1746  e  17D1.  Gio- 
vanni li  in  una  ordinazione  nel  di- 
cembre creò  ventuno  vescovi ,  e 
quindici  preti.  Governò  due  anni, 
quattro  mesi,  e  venlisei  giorni.  Mo- 
rì a  27  maggio  del  535,  e  fu  se- 
polto nella  basilica  di  s.  Pietro. 
Vacò   la   se(]e  romana   sei   giorni. 

GIOVANNI  111,  Papa  LXÌlI.  Nac- 
que in  Roma  da  Anastasio  Cate- 
rino nobile  romano,  come  nana 
Evagrio  nell'  Hist.  eerl.  lib.  5,  ca- 
pitolo 16,  p.  435,  e  fu  creato  Pon- 
tefice a'  18  luglio  del  56o.  Rice- 
vette l'appellazione  di  Sagittario 
vescovo  di  Gap,  e  di  Salonio  ve- 
scovo di  Ambrati,  deposti  dal  loro 
vescovato  dal  concilio  di  Lione  II. 
Confermò  il  quinto  concilio  gene- 
rale, di  cui  fu  zelante  difensore. 
Consacrò  la  basilica  de' ss.  XII  Apo- 
stoli, e  V  eresse  in  titolo  cardinali- 
zio ;  e  dicesi  avere  ordinato  che 
gli  usurpaturi  de'  beni  ecclesiastici 
fossero  tenuti  a  restituirli  in  ragio- 
ne quadrupla.  Nel  nono  anno  del 
suo   pontificalo  ebbe  principio  il  re- 


GIO  \- 

gno  de'  longobardi  in  Italia.  Tu  due 
ordinazioni  nel  dicembre  Giovan- 
ni III  creò  sessant'uno  vescovi, 
treni' otto  preti,  e  tredici  diaconi. 
Governò  dodici  anni ,  undici  mesi, 
e  venlisei  giorni.  Morì  a'  i3  luglio 
del  ">-3,  v.  fu  sepolto  nel  Valica* 
no.  La  santa  Sede  vacò  dieci  me- 
si, e   venti   giorni. 

GIOVANNI  IV,  Papa  LXXIV. 
Figliuolo  di  Venanzio  Scolare  da 
Zara  o  Salona  nella  Dalmazia  , 
diacono  cardinale,  fu  eletto  Ponte- 
fice a'  ^4  dicembre  del  6{o.  Prima 
di  consecrarsi,  con  lettera  ai  vesco- 
vi della  Scozia,  condannò  quelli  che 
celebravano  la  Pasqua  all'uso  degli 
ebrei,  ed  esortò  quei  fedeli  a  cau- 
telarsi dalla  rinascente  eresia  dei 
pelagiani.  Condannò  in  un  concilio 
V Ertesi  (Fedi),  e  l'errore  de'monote- 
liti.  Dimostrò  conforme  alla  retta  fe- 
de  la  dottrina  di  Onorio  I,  delle  cui 
lettele  abusavano  gli  eretici,  e  lo 
purgò  dalle  calunnie  impostegli,  con 
lettera  che  si  legge  presso  il  Lab- 
be',  Conni,  tom.  V,  col.  1659,  che 
spedì  a  Costantino  figlio  e  succes- 
sore di  Eraclio,  pregandolo  di  rivo- 
care  l'Eclesi.  Dichiarò  che  i  monaci 
potevano  amministrare  le  parroc- 
chie che  a  loro  venissero  commes- 
se. Fece  Giovanni  IV  trasportare 
dalla  Dalmazia  le  reliquie  de"  SS. 
Venanzio,  Anastasio  e  Mauro  nella 
basilica  Lateranense.  Creò  dieciotto 
vescovi,  un  prete,  e  cinque  diaco- 
ni. Governò  un  anno  ,  nove  mesi  , 
e  dieciotto  giorni;  e  morì  agli  ir 
ottobre  del  64?  ,  venendo  sepolto 
nel  Vaticano.  Vacò  la  sede  un  me- 
se, e  tredici  giorni. 

GIOVANNI  V.  PapaLXWIY. 
Ebbe  per  padre  Ciriaco  d'  Antio- 
chia, fu  arcidiacono  cardinale  del 
Pontefice  s.  igatone,  il  quale  lo 
Mudi   al   concilio   generale    \  I    qual 


48  GIO 

uomo  di  singolare  religione  e  man- 
suetudine, erudito  in  tutte  le  scienze. 
Ritornato  da  questa  legazione  nel 
683  nel  pontificato  di  s.  Leone  II, 
portò  seco  le  imperiali  costituzioni 
con  le  quali  l' imperatore  Costanti- 
no liberò  i  patrimoni  della  Chiesa 
romana  in  Sicilia  e  in  Calabria 
dai  tributi  ed  altre  gravezze  da 
cui  per  l' avarizia  de'  ministri  im- 
periali venivano  oppressi.  Conosciu- 
tasi in  tal  favorevole  circostanza  la 
sua  rettitudine,  abilità  e  valore 
venne  impiegalo  in  altri  rilevantis- 
simi affari  in  vantaggio  della  Chiesa 
romana;  indi  venne  eletto  Papa  a'a3 
luglio  del  685,  e  fu  il  primo  conse- 
crato  senza  aspellare  l'abusiva  con- 
ferma della  corte  imperiale  di  Co- 
stantinopoli. In  una  ordinazione  nel 
dicembre  creò  Giovanni  V  tredici 
vescovi.  Governò,  quasi  sempre  in- 
fermo, un  anno  e  nove  giorni  ;  e 
inori  nel  primo  agosto  del  686. 
Era  di  singoiar  pietà  ,  prudenza  , 
zelo  e  dottrina.  Fu  sepolto  in  s. 
Pietro.  Vacò  la  santa  Sede  due 
mesi,  e  dieciotto  giorni. 

GIOVANNI  VI,  Papa  LXXXVII. 
Greco,  figlio  di  Petronio,  fu  eletto 
Pontefice  a' 28  ottobre  del  701. 
Dopo  la  sua  esaltazione  l' impera- 
tore Tiberio  Apsimaro  spedì  subito 
a  Roma  l'esarca  di  Ravenna  Teo- 
iìlato,  per  ottenere  anche  con  la 
forza  l'approvazione  d'un  adare. 
Ma  l'esercito  italiano  con  tal  energia 
si  oppose  all'esarca,  che  senza  l' in- 
terposizione di  Giovanni  VI  i  soldati 
l'avrebbero  ucciso.  Nel  concilio  che 
celebrò  in  Roma  nel  708,  dichiarò 
innocente  s.  Wilfrido  vescovo  di 
Yorck,  il  quale  essendo  stato  de- 
posto sino  dal  692 ,  appellò  alla 
Sede  apostolica.  La  sua  carità  lo 
mosse  a  riscattare  tutti  gli  schiavi 
fatti  da  Gisullo    duca  di  Beueveu* 


GIO 

to,  nelle  barbare  scorrerie  sulle  ter- 
re romane.  Governò  tre  anni,  due 
mesi,  e  dodici  giorni,  dopo  aver  in 
una  ordinazione  creati  quindici  ve- 
scovi ti  nove  preti,  e  due  diaconi. 
Mori  a'  g  gennaio  del  705 ,  e  fu 
sepolto  nelle  catacombe  di  s.  Se- 
bastiano nella  via  Appia ,  o  piut- 
tosto nella  basilica  di  s.  Pietro  come 
scrive  Anastasio  Bibliotecario.  La 
s.  Sede  vacò  un  mese  e  venti  giorni. 
GIOVANNI  VII,  P.  LXXXV1II. 
Nacque  da  Platone  Ianidega,  greco 
secondo  alcuni ,  o  meglio  nato  in 
Rossano  nella  Calabria ,  chiamata 
anticamente  Magna  Grecia,  diacono 
cardinale  di  s.  Maria  Nuova,  e  per- 
sonaggio eloquente  ed  assai  erudi- 
to, fu  eletto  Pontefice  il  primo 
marzo  del  705.  Nell'anno  707 
Ariberto  re  de'  longobardi  gli  re- 
stituì le  Alpi  Cozie.  Ricusò  di  ac- 
cettare e  di  esaminare  i  canoni 
del  concilio  Trullano,  che  gli  spedì 
l'imperatore  Giustiniano  II,  al  qua- 
le temeva  dispiacere  nel  condannar- 
li, per  lo  che  venne  criticato  da 
Anastasio  Bibliotecario,  perchè  fra 
tali  canoni  molli  ve  n'erano  ottimi, 
come  confessa  il  Lupo,  in  IVolis  et 
scholiis  ad  canone*  concila  Ind- 
ianij  laonde  doveva  approvare  quel- 
li che  ne  fossero  stati  degni,  e  con 
apostolica  autorità  condannare  quel- 
li che  lo  meritavano,  per  separare 
il  grano  dalla  paglia,  eoin'esprimesi 
1' Anastasio,  che  col  p.  Lupo  l'ac- 
cusa di  timidezza.  Governò  Gio- 
vanni VII  due  anni,  sette  mesi,  e 
diecisette  giorni.  In  un'  ordinazione 
creò  quindici  vescovi ,  nove  preti 
e  due  diaconi.  Morì  a'  17  ottobre 
del  707,  e  fu  sepolto  nel  Vaticano 
avanti  l'altare  della  Madonna,  chia- 
malo oggi  del  Sudario,  che  da  lui 
era  stato  fabbricato.  Vacò  la  sanla 
Sede  tre  mesi. 


GIO 
GIOVANNI     Vili,     Papa     CX. 
Romano,  figlio  di   Guido  o  Gondo 
arcidiacono  cardinale  di  Sergio  III, 
Tu  eletto  concordemente    Pontefice, 
e    consacrato    a'i4    dicembre    del- 
l'872.    Dicesi    avere    ordinato    che 
l' omicida    fosse    perpetuamente    ir- 
regolare, ed  essendo  prete  fosse  pri- 
vo   di    celebrare.    Impose    pena   di 
sacrilegio  a   chi   rubasse  dai   luoghi 
sacri    qualunque    cosa.    Il    Baronio 
ed  altri  scrivono  che  fu  il  primo  a 
pubblicare  i   diritti   e  le    preminen- 
ze   de'  cardinali.    Coronò    ed     unse 
imperatore  Carlo  II   il   Calvo   redi 
•Francia  neh' 875,  col  quale  si  por- 
tò in  Pavia  a  celebrare  un    conci- 
lio,    e    dopo     essersi     riveduti    in 
Vercelli,  il    Papa   tornò    in    R.oma. 
]Neir  876  scomunicò  Formoso  [Ve- 
di), che    gli  successe    neh' 891;    ed 
assalito  negli  stati    della   Chiesa   dai 
saraceni,  ^abbandonato    dai    principi 
per  la  parzialità  mostrata  per  Cur- 
io  li,    fu    costretto    domandare  la 
pace    da    quei    barbari    coli'  annuo 
tributo  di   venticinquemila  mancuzi 
d'argento,  moneta  di   quel   tempo, 
ed  inoltre  fuggire  dalla  prigione  in 
cui  l'avevano  posto  Lamberto  con- 
te di    Spoleto,   e    Adalberto    mar- 
chese di   Toscana  da  lui  condannati 
per  predatori  delle  città   dello  sta- 
to pontificio.  Quindi    dovette  pure 
uscire  da  Roma  per  sottrarsi  dalle 
insidie  di   alcuni  signori   romani,    e 
portatosi  per    la    seconda    volta  in 
Francia,  giunse  ad  Arles  nel  dì  del- 
la  Pentecoste  dell'877   o   8-8;  po- 
scia tornò  in  Roma  col  conte  Bosone, 
che    avea    adottato    per    figlio,    al 
modo  detto  al  voi.  XXVI,  p.  178 
e    279    del    Dizionario.   In    Roma 
Giovanni    X  111   ricevette  gli   amba- 
sciatori   dell'imperatore    Basilio,   il 
quale  ingannato  dall'  impostore  l'<> 
rio,  Io  avea  rimesso   nella    scile   di 

VOI         *XM 


GIO 

Costantinopoli  (Fedi),  pregando  il 
Papa  a  confermarne  il  possesso.  A 
questo  fine  con  aperto  dolo  assicu- 
rò Giovanni  Vili  che  non  solo  i 
partigiani  di  Fozio,  ma  quelli  an- 
cora del  partito  d'  Ignazio  e  di 
.Aletodio  avevano  consentilo  clic 
Fozio  fosse  restituito  alla  sua  sede. 
A  tuli  rimostranze  il  Papa  si  lasciò 
sedurre,  e  senza  ricercare  altro,  eb- 
be la  debolezza  di  scrìverle  per  mez- 
zo del  cardinal  Pietro  del  titolo  di 
s.  Grisogono ,  suo  legato  all'impe- 
ratore, a'  patriarchi  d'  oliente,  e  a 
tutti  coloro  che  ricusavano  di  co- 
municare coli' empio  Fozio,  che  con 
lui  liberamente  comunicassero,  e  lo 
restituì  alla  sede  Costantinopolita- 
na ;  credendo  ciò  necessario  per  la 
pace  della  Chiesa,  a  condizione  pe- 
rò che  Fozio  ai  legati  domandasse 
perdono  dell'iniqua  sua  condotta 
contra   la   Chiesa   romana. 

Questa    debolezza    d' animo    nel 
Pontefice   fece  dire  ad   alcuni  ,  che 
la  Chiesa  in    quel    tempo  era    go- 
vernata  da    una    donna  ,    come    si 
legge  nel  Lenglet,   Princ.  della  sto- 
ria   tom.   VII,  p.   Ij   e  fu  una  del- 
le cause  che  die  origine  alla  (àvola 
di   Giovanna    papessa    (Pedi),     il 
Baronio   rilevò    il    disdoro    die     in; 
provenne  alla    santa    Sede    per    la 
restituzione  di   Fozio,  e    monsignor 
de  Marca,  De  concord.  sac.  et  imo 
lib.    3,  cap.    i4,  §  4>  s'ingegnò   di 
giustificare  Giovanni   Vili:    questa 
controversia   venne  benissimo    trat- 
tata dal  p.  Nardi,   l'ite    de'  Ponte* 
fici,   tom.   II,    p.     1  5.    Conosciuto-i 
da  Giovanni  Nili  il  passo  falso  che 
avea  fatto,  e  rientralo  in  sé  stej 
proscrive   ?\\   atti    del    conciliabolo 
di  Fo/10.  il  (piale   corruppe   1    legati 
della  Chiesa  romana,   ed    iu\iù    Ma 
lino   in    Costantinopoli  ad  annuii. 11  - 
lo.    Presse   in   metropoli  Oviedo    • 
I 


5o  GIO 

ronò  imperatori  olire  Carlo  II,  an- 
che Lodovico  III  ,  e  Carlo  III  il 
Grosso,  e  donò  al  duca  di  Gaeta 
Docibile  il  patrimonio  di  Traetto 
e  la  città  di  Fondi,  acciocché  guer- 
reggiasse contro  i  saraceni.  Gover- 
nò dieci  anni  e  un  giorno,  moren- 
do a' 1.5  dicembre  dell'  882,  men- 
tre si  disponeva  a  partire  per  la 
Francia  per  riconciliare  i  principi 
discordi.  Fu  sepolto  nel  portico  Va- 
ticano. Vacò  la  santa  Sede  sette 
giorni. 

GIOVANNI  IX,  Papa  CXIX.  Fi- 
gliuolo di    Rampoaldo    da    Tivoli , 
Cu  monaco  benedettino,  e  poi  dia- 
cono cardinale.   Alla  morte  del  pre- 
decessore   Teodoro    s' intruse    Ser- 
gio III;  ma  cacciato  questi  da  Ro- 
ma,  fu    eletto   Papa  Giovanni  a' 1 2 
marzo  dell'898,  e  consacrato  nel  fine 
di  agosto.   Abrogò  tutto  quello   che 
era  stato    fatto    principalmente    da 
Stefano  VI    detto    VII,    contro     il 
Pontefice  Formoso  ,    e  per  cagione 
di  esso  ordiuò  nel  concilio  romano 
che  nessun  vescovo  potesse  passare 
dalla  sua  chiesa  alla   cattedra  pon- 
tificia :   legge  che    ben    presto  restò 
annullata.  Dopo  di  avere    in  detto 
concilio  restituito    ai    primi    ordini 
quelli  che  ri  erano    stati    degradati 
come  ordinati  da  Formoso,  scomu- 
nicò i  cardinali    Sergio,  Benedetto, 
Martino,  Giovanni,  Pasquale,  ed  al- 
tro   Giovanni,    come    violatori     del 
sepolcro  e  cadavere    del    medesimo 
Formoso.  Ratificò  l'unzione  di  Lam- 
berto,   ed  annullò  come    sorrettizia 
quella  di  Berengario;  proibì  che  nel- 
la morte  de'  vescovi  e  dei  Papi  fos- 
sero rubati  i  loro  palazzi ,    ed  or- 
dinò che    per    ovviare    ai    disturbi 
che  talora    seguivano    uella    consa- 
crazione    de'  Pontefici ,    si    facesse 
questa  con  l'assistenza  degli  amba- 
sciatori imperiali.  Dappoiché  1*  assi- 


GIO 

slenza  dei  commissari  o  ambascia- 
tori imperiali  nella  cousacrazione 
de' Papi  essendo  caduta  in  disuso, 
ad  onta  del  decreto  di  Adriano  II 
che  1' avea  proibita,  volle  ristabi- 
lirla, perchè  la  possente  famiglia  dei 
marchesi  di  Toscana  s' intromette- 
va nelle  pontificie  elezioni,  cacciando 
il  Papa  eletto  dai  suffragi  del  po- 
polo ,  e  sostituendovi  altri ,  come 
avea  fatto  col  suddetto  Stefano  VI 
detto  VII;  cosi  Giovanni  IX,  per 
prevenire  futuri  disordini,  emanò 
nel  concilio  il  seguente  decreto  , 
presso  il  Labbé,  Condì,  tom.  IX, 
p.  5o5,  can.  X.  «  Siccome  la  san- 
ta Chiesa  romana  che  noi  governia- 
mo per  la  grazia  di  Gesù.  Cristo,  si 
trova  esposta  ad  ogni  morte  di  Pon- 
tefice alla  violenza  ed  alle  corruzioni 
dell'  oro,  perchè  le  manca  l'  assi- 
stenza de'commissari  imperiali,  trop- 
po necessari  a  reprimere  i  tumulti 
e  gli  scandali  delle  elezioni ,  cos\ 
noi  vogliamo  che  d'ora  innanzi  il 
Pontefice  ,  eletto  dai  vescovi  e  da 
tutto  il  clero  dietro  la  domanda 
del  senato  e  del  popolo  romano  , 
venga  consacrato  in  presenza  dei 
commissari  imperiali  e  al  cospetto 
di  tutti  i  fedeli  ".  Le  riflessioni  che 
fece  il  Tommasini  su  questo  de- 
creto di  Giovanni  IX ,  le  ripor- 
tammo al  volume  I,  p.  299  del 
Dizionario.  Vedi  Elezione  dei 
Poxtefici,  ove  pure  si  tratta  di  que- 
sto argomento.  I  principi  aleman- 
ni dopo  la  morte  di  Arnolfo  aven- 
do eletto  il  giovane  Luigi  IV,  fi- 
glio legittimo  di  quell'  imperatore, 
scrissero  al  Papa  una  lettera,  colla 
quale  nel  tempo  stesso  che  si  scu- 
savano d'essere  stati  per  prepotenti 
ragioni  di  sana  politica  costretti  ad 
agire  senza  ordine  o  permissione 
del  Pontefice ,  lo  pregavano  osse- 
quiosamente che  volesse  confermare 


GJO 
la  loro  eler.ionc.  Nel  concilio  che 
relebrò  in  Ravenna,  ov' erasi  riti- 
iato  per  timore  dei  partigiani  di 
«Sergio  III,  ratificò  il  romano  ,  e 
confermò  nella  dignità  imperiale 
Lamberto,  ivi  presente.  Giovanni 
IX  governò  due  anni  e  quindici 
giorni,  e  mori  a'  26  marzo,  ovvero 
sul  principio  di  agosto  del  900. 
Fu  sepolto  nel  Vaticano,  e  vacò  la 
s.  Sede  dieci  giorni. 

GIOVANNI  X,  Papa  CXXVI.  Egli 
al  dire  del  Novaes  non  fu  già  romano, 
né  della  famiglia  Cenci,  come  da  alcu- 
ni si  scrive.,  ma  di  Ravenna,  secondo 
die  lo  prova  l'Amadesi  nella  Cro- 
lìolaxi  drgli  arcivescovi  di  Ravenna 
tom.  II,  p.  80,  ed  ebbe  per  padre 
Giovanni.  Però  nelle  Memorie  sto- 
riche intorno  la  terra  di  Tossi  gua- 
no, stampate  nel  1840  in  Imola 
dalla  tipografia  Renacci,  a  pag.  9, 
10,  r5q  e  seg.,  coli' autorità  di 
molti  scrittori  si  vuol  provare  cbe 
Giovanni  X  sia  di  Tossignano, 
della  famiglia  Cinci  o  Cenci  ori- 
ginaria romana,  feudataria  co' tito- 
li di  marchesi  o  di  conti  di  detta 
terra,  e  nato  nella  medesima;  ag- 
giungendosi cbe  la  famiglia  Cenci 
furono  senatori  d'Imola  dal  912 
ni  1272.  La  nobilissima  famiglia 
Cenci-Rolognetti  incomincia  il  suo 
albero  genealogico  con  questo  Gio- 
vanni X.  Da  vescovo  eletto  di  Bo- 
logna,  per  opera  della  famosa  im- 
pudica e  polente  Teodora  che  n' e- 
ra  invaghila,  passò  all'arcivescovato 
di  Ra\enna  ,  e  quindi  col  favore 
della  medesima  in  que'  Iagrimevoli 
tempi  anche  al  pontificato  li  3o 
aprile  del  91  4.  a^  dire  di  Luitpran- 
do,  Histor.  lib.  2,  cap.  i3.  Alcuni 
riferiscono  l' elezione  di  Giovanni 
X  all'anno  912,  ina  il  Muraioli, 
Annal.  d'Italia  all'anno  914  e  917, 
riporta   una   bolla,   che  dimostra  es- 


GIO  Si 

sere  stala  latta  nell'anno  9  1 4-   Il  Ra- 
ronio  ed   il    Papebrochio  credettero 
sulla   fede  di    Luitprando,  che  que- 
sto Pontefice  avesse  da  Teodora  un 
figlio    chiamato    Crescenzio ,    ma   il 
p.  ab.  d.  Felice  Pierini   nella  storia 
De  tempio  et  coenobio   ss.    Bonif.  et 
Alexii,  mostra   non  esser  ciò  vero, 
come   né  anche  aver  Crescenzio  con 
sacrilego  attentalo   fatto  morire  Re- 
nedetto  VII,  del  qual  delitto  lo  vuo- 
le reo  Ermanno  Contratto.  Giovan- 
ni  X  coronò  nel    916    in    impera- 
tore Rerengario  re  d' Italia,  il  qua- 
le dopo  la  funzione    confermò  alla 
Chiesa   romana   le  restituzioni  e  do- 
nazioni  fatte  da   Pipino,    da   Carlo 
Magno,  e  da  altri  imperatori.   Col 
di   lui    soccorso,  e  con  quello  di  Co- 
stantino   Porfirogenito     e    di     altri 
principi,  Giovanni   X    sconfisse    in- 
teramente  i   saraceni,    che  da  qua- 
rant'anni  si   erano  annidati  nel  ca- 
stello di    Garigliano  nella  Terra   di 
Lavoro,  aggiungendo  alcuni  scrittori, 
ch'egli   si   mise  alla   fronte  dell'ar- 
mata, e  vi   si  portò  egualmente  da 
Papa,  che  da    generale.    Spedi    un 
legato  a   Compostella   per    venerare 
in  suo  nome  il  corpo  di  s.  Giaco- 
mo,    e    dopo    aver     incontrato    in 
Mantova    Lgo  re  d'Italia,    con   lui 
si   collegò.   Secondo    i    più    critici  , 
Giovanni   X  confermò    l' arcivesco- 
vato di   Reims  ad   Ugone  figlio  del 
conte    d'  Aquitania  ,    il    quale    non 
avea   ancor  compito  cinque  anni  di 
età,  e  perciò    il    Baronie»    disse    al- 
l'anno  92  ~,   n.   9,   che  questo  fu  il 
primo     mostro    che    si    vide    nella 
Chiesa  di  Dio. 

Dopo  il  governo  di  quattordici 
anni,  due  mesi  e  tre  giorni,  Gio- 
vanni X  morì.  Il  progresso  fu  più 
lodevole  del  principio,  giacché  ot- 
tenuto il  pontificato  con  mezzi  pen- 
simi ,  non    Io    amministrò    poi   < 


52  GIO 

male;    oo  ti 'ebbe  a  dire  il  Baronio, 
all'anno  9t5,  n.   3,  che    essendovi 
entrato  come  invasore,  col  soprav- 
venuto consenso  del    clero    comin- 
ciò ad  essere  venerato  per  legittimo 
Pontefice.    Per    opera  di    Marozzia 
moglie  di  Guido  marchese   di  To- 
scana ,    la   quale    era    subentrata  a 
dominare  Roma  dopo    sua    madre 
Teodora,  fu  Giovanni  X  messo  in 
prigione,  e  soffocato  con  un  guan- 
ciale   a' 2    luglio    del    928,    come 
scrive  Luitprando  nel    lib.    3,  cap. 
11,   detronizzando  in   tal  guisa   l'o- 
dio   d' una    donna ,   chi    aveva    in- 
tronizzato 1'  amore  di  un'  altra,  sic- 
come osserva  il  Rossi,  Hìst.  Raven- 
nat.  lib.   I,  pag.   255,    adoperando 
le  parole  di  Luitprando.   Da  questi 
infelici  tempi  fino  al  secolo  passato 
si   propagò    per    tutti    gli    scrittori 
l' infamia  di  cinque    illustri    perso- 
naggi accusati    di    laidissima    vita , 
cioè  Adalberto  II    duca    di    Tosca- 
na ,    le    due   Teodore    madre    e  fi- 
gliuola, e  i  due  Pontefici  Sergio  III 
e  Giovanni  X  ;  ma  dopo  tanti  se- 
coli   si  trovò    nel    1753   un   vendi- 
catore della  fama  di  questi,  nel  p. 
d.  Fedele  Soldani  monaco   vallom- 
brosano,    il   quale  con  rara    erudi- 
zione  e  sodezza  di   ragioni  si  sforza 
di  purgarli  dalle  apposte  calunnie, 
nella    Lettera    nona    verificante    la 
discendenza    de'  serenissimi    duchi 
Estensi,  e  della  real  casa  di  Bruii- 
swickj  dagli  antichi  duchi   di   To- 
scana ec,  Arezzo   iy53.    Il  Mura- 
tori, Annali  d' Italia  an.   928,  di- 
fende ancora  questo  Pontefice,  e  lo 
dipinge  con   carattere    di    lodevole 
Papa.  E  nella    summentovata    sto- 
ria di  Tossignano,  a   p.  160   si  di- 
ce,  che  il  Pontefice   fu    carcerato , 
e  con    un    guanciale    soffocato    da 
Guido  marchese  di  Toscana,  figlio 
di  Alberto  il  Ricco,    il   quale  pri- 


GIO 

ma  aveagli  fatto  trucidare  il  fra- 
tello Pietro  detto  da  Tossignano 
perchè  ivi  stanziava  la  famiglia. 
Giovanni  X  fu  sepolto  nella  basili- 
ca Lateranense.  Poco  vacò  la  santa 
Sede. 

GIOVANNI  XI,  Papa  CXX1X. 
L'  Anonymus  Salemilanus  in  chr. 
cap.  i43,  e  Leone  Ostiense  in 
Chron.  Casin.  lib.  I,  cap.  61,  nar- 
ranno  che  Giovanni  è  romano  del- 
la famiglia  Conti,  figlio  di  Alberi- 
co console  romano ,  marchese  e 
conte  tusculano,  non  già  di  Sergio 
HI,  e  di  Marozzia,  come  alcuni 
hanno  copiato  da  una  penna  sati- 
rica, com'è  quella  di  Luitprando, 
lib.  3  Hist.  cap.  12.  V.  il  Mura- 
tori, Annal.  d'hai,  an.  911,  il 
quale  osserva  che  ciò  ammettendo, 
dovrebbe  essere  stato  Giovanni 
troppo  giovane,  mentre  che,  dopo 
la  morte  di  Guido  marito  di  Ma- 
rozzia fu  essa  sposala  da  Ugo  re 
d'Italia,  ch'erasi  ciecamente  inva- 
ghito della  sua  bellezza,  ciò  che 
dimostra  essere  pur  ella  ancor  gio- 
vane, e  però  non  in  istato  di  ave- 
re un  figlio  in  età  abile  al  pon- 
tificato, commesso  a  Giovanni  XI 
verso  i  i5  marzo  93 1,  in  età  se- 
condo alcuni  di  venti  anni,  al  di- 
re di  altri  di  venticinque.  Tutta- 
volta  sembra  che  Ugo  non  cono- 
scesse Marozzia  prima  del  matri- 
monio, e  che  in  conseguenza  esso  lo 
abbia  fatto  per  signoreggiare  Roma, 
essendo  noto  il  disprezzo  con  cui 
il  re  trattò  Alberico  II,  altro  figlio 
di  Marozzia.  Vedendo  Romano  col- 
lega dell'imperatore  Costantino  VIII, 
che  Alberico  II  fratello  di  Giovanni 
XI  avea  maggior  autorità  di  que- 
sti, dappoiché  morto  il  re  Ugo  si 
era  usurpato  la  tirannia  di  Roma, 
cercò  di  godere  di  tale  superiorità; 
quindi  con  preziosi  doni  ottenne  che 


GIO 

Alberico  II  scrivesse  a  nome  del 
Papa  suo  fratello,  a  Teolilatto  fi- 
glio di  Romano,  che  questi  avea 
fello  patriarca  di  Costantinopoli, 
Ja  concessione  a  lui  e  suoi  succes- 
sori del  pallio,  senza  ricorrere  ai 
sommi  Pontefici,  onde  i  patriarchi 
costantinopolitani  lo  accordarono  a 
tutti  i  vescovi  greci.  La  Chiesa  tol- 
lerò quest'abuso  per  otto  secoli, 
finché  nel  concilio  Lateranense  con- 
cesse ai  patriarchi  d'  oriente,  che 
dopo  aver  ricevuto  il  pallio  dal 
Papa,  lo  potessero  dare  ai  loro 
suffragane!,  previo  il  giuramento 
d'ubbidienza  e  fedeltà.  Giovanni 
XI  a\endo  governato  quattro  an- 
ni e  dieci  mesi,  soggetto  ora  a 
Maro/zia,  che  alcuni  come  dicem- 
mo suppongono  sua  madre,  ora  al 
principe  suo  fratello  Alberico  II, 
che  tino  dal  933  lo  tenne  prigio- 
ne, in  essa  miseramente  mori  cir- 
ca il  principio  del  gennaio  del  936, 
vittima  dell'ambizione  della  ma- 
dre e  della  crudeltà  di  suo  fratel- 
lo, e  fu  sepolto  in  s.  Giovanni  in 
Laterano.  Poco  vacò  la  romana 
Sede. 

GIOVANNI  XII,  Papa  CXXXIV. 
Ottaviano  fìllio  di  Alberico  II  con- 
te  tusculano,  della  famiglia  Conti, 
della  contrada  Via  Lata,  diacono 
cardinale  romano,  pronipote  di  Ser- 
gio III  e  di  Giovanni  XI,  fu  elet- 
to, o  piuttosto  ad  insinuazione  dei 
romani  si  fece  egli  Pontefice,  do- 
po i  20  agosto  del  9^6,  in  età 
di  sedici  o  diciotto  anni,  e  prese 
il  nome  tli  Giovanni  XII  :  è  forse 
il  primo  l'apa  che  nell'elezione  lo 
mutasse.  Per  la  disgrazia  di  quei 
tempi  infelicissimi,  dice  il  Baronio 
all'anno  g55s  nuin.  j,  fu  stimato 
meglio  tollerare  questo  potente  in- 
vasore, che  lacerare  la  Chiesa  con 
Va    pessimo    scisma;     e    perciò    la 


GIO  53 

Chiesa  cattolica  lo  venerò  per  Pon- 
tefice, considerando  minor  male  di 
soffrire  un  capo,  benché  mostruo- 
so, che  infamare  con  due  capi  un 
corpo  solo.  Nel  9Ì7  Giovanni  XII 
con  ardore  giovanile,  più  conve- 
niente ad  un  militare,  che  al  Vi- 
cario di  Cristo,  prese  al  suo  soldo 
le  truppe  ausiliari  del  duca  di 
Spoleto,  ed  unitele  alle  sue,  guidolle 
in  persona  contro  Pandolfo  prin- 
cipe di  Capua,  il  quale  sostenuto 
dall'esercito  di  Gisolfo  principe  di 
Salerno,  non  solo  resistè  a  quello 
del  Papa,  ma  lo  battè  fortemente, 
e  costrinse  Giovanni  XII  a  ritirar- 
si con  disordine  e  con  grave  per- 
dila nel  proprio  dominio,  e  a  do- 
mandargli proposizioni  di  pace , 
che  Pandolfo  gli  accordò  patteg- 
giando con  lui  amicizia  e  confe- 
derazione. 

EssendoGiovanni  XII  travagliato 
da  Berengario  II,  e  dal  suo  figlio 
Adalberto,  chiamò  in  Roma  il  re 
di  Germania  Ottone  I,  acciò  con 
un  esercito  lo  liberasse  da  tale 
vessazione.  Ottone  I  si  obbligò 
prima  con  giuramento  di  restituire 
alla  Chiesa  i  beni  che  gli  erano 
stati  tolti,  indi  scacciò  dall'  Italia 
Berengario  II  ed  Adalberto,  e  resti- 
tuì alla  santa  Sede  il  suo.  Rico- 
noscente Giovanni  XII  al  re,  a'i3 
febbraio  del  962  lo  coronò  impe- 
ratore, essendo  Ottone  I,  dopo  Ar- 
nolfo, il  primo  tedesco  che  fu  or- 
nato della  corona  imperiale,  e 
Giovanni  XII  il  primo  Pontefice 
che  trasferì  1'  imperio  ai  tedeschi. 
Non  andò  guari  che  Giovanni  XII, 
avvedutosi  che  Ottone  I  aspirava 
ni  dominio  d1  Italia  e  di  Roma, 
pacificatosi  con  Ad. liberto  ne  segui 
le  parti  contro  Ottone  I,  malgrado 
i  giuramenti  fatti;  laonde  adiratosi 
T  imperatore  partì  alla  volta  di   Ro- 


54  oro 

ma  nel  963  con  un  esercito  che  fu 
ricevuto  dai  romani,  i  quali  veden- 
do il  Papa  fuggitivo,  giurarono    di 
non  eleggere  più  Pontefice  alcuno 
senza  l'approvazione  dell'imperato- 
re. Questi,  passati  tre  giorni,  adu- 
nò un  conciliabolo,  in  cui  Giovan- 
ni XII    fu  accusato  di  enormi  de- 
litti,  fuorché  d'eresia,  e   fu  iniqua- 
mente degradato  dal  pontificato  ai 
6  novembre    dello  slesso  963,    ed 
eletto  in  sua  vece  l'antipapa  Leo- 
ne   Vili   (Vedi),  che    in  capo    a 
due  mesi  fu    cacciato    dai    romani 
ripristinando    Giovanni    XII.    Che 
questo    Papa  sia  stato  per   somma 
ingiuria  deposto,  e  che  questa  de- 
posizione   dal    Pontificato     non  sia 
stata    di     alcun    vigore,     lo  dimo- 
strano   il    Baronio,    Annali    eccles. 
ad  an.   963  ;  Pietro  de  Marca,  De 
concordia     sacerdotii     et    imperii  , 
lib.   I,  cap.    1 1  ;  Natale  Alessandro, 
Misi.  eccl.    saec.  IX  et  X,  dissert. 
16  ;  1'  abbate    Francesco     Antonio 
Mondelli  con  particolare  dissertazio- 
ne ;  se  possa  sostenersi  legittima  la 
deposizione  di  Giovanni  XII  fat- 
ta in  un  concilio  romano  da    Ot- 
tone 1  il  Grande,  eh' è  la   VI  del- 
la seconda    decade    par.   II,    p.    1, 
ed  altri    a'  quali  è    contrario  Gio- 
vanni  Launoy,   lib.  4»  Epist.    '  a(l 
Lud.   Maresium,    t.   V,   par.   2,  n. 
27,   p.    43o.    Co'medesimi  pregiu- 
dizi del   Launoy  contro  la  Chiesa, 
Giorgio     Cristoforo   Neller     profes- 
sore   di   canoni    nell'  accademia    di 
T reveri,  a'  23   maggio     1766    pro- 
pose e  sostenne  pubblicamente  que- 
sta proposizione  :   Et  Papani  acca- 
sari  posse   edam  extra  casum  de- 
viationis  a  jide  ,    docet    inler   alia 
exem pluni    Joannis  Xll  et    XXII 
(ossia  XXIII)  depositorum.  Non  ob- 
stante   can.   7  ,   dist.  1  \  ,   can.    6, 
disi.    4°-   Comparve    tosto  una    ri- 


GIO 

sposta  alla  falsità  del  Neller,  me- 
diante la  pubblica  difesa  della  sen- 
tenza contraria ,  che  fu  sostenuta 
nel  maggio  dell'  anno  medesimo. 
Passali  appena  tre  mesi,  il  Neller 
pubblicò  e  propose  in  disputa  la 
sua  apologia  a'3  settembre,  la  qua- 
le diede  occasione  al  libro  intito- 
lato :   Pythagoras    novus    excussiis, 

sive    disceptatio  in  apologiam 

prò  s.  provincia  romana  Joan- 
neni  XII  Papam,  ut  apostalam , 
reprobante,  et  corani  Ottone  M.  imp. 

Leonem   Vili  canonice   eligente 

Praeside  Georgio  Chrislophoro  Nel- 
ler     quam    Adeodatus    Ens    ca- 

nonicus  Leodiensis....  faciebat,  stam- 
pato da  Candido  Blancarte  a  Liegi 
nel  1767,  nel  quale  con  iscelta 
erudizione  si  convince  l'errore  del 
Neller. 

Rientrato  in  Roma  Giovanni  XII, 
si  vendicò,  come  si  dice,  dei  due 
principali  motori  della  sua  deposi- 
zione, facendo  ad  essi  tagliar  la 
lingua,  il  naso  e  le  dita;  ed  in 
appresso  celebrò  a'  26  febbraio  del 
964  "«  concilio,  in  cui  condannò 
Ottone  I,  e  l'antipapa,  come  an- 
cora i  vescovi  Sicone  di  Ostia , 
Benedetto  di  Porto,  e  Gregorio  di 
Albano,  per  aver  ordinato  Leone 
Vili,  ed  inoltre  privò  di  ogni  gra- 
do ed  onore  gli  ordinati  dall'anti- 
papa, e  spogliandoli  della  sua  veste 
fece  loro  scrivere  queste  parole: 
il  mio  padre  nulla  aveva,  e  perciò 
nulla  poteva  conferirmi.  Nello  stes- 
so concilio  pubblicò  un  canone , 
in  cui  vietò  ai  laici  sotto  pena  di 
scomunica  di  assistere  all'  altare , 
e  di  entrare  nel  presbiterio  quan- 
do si  celebra  la  messa.  Giovanni 
XII  dopo  il  governo  di  sette  anni, 
otto  mesi,  e  tredici  giorni,  mori  ai 
6  o  forse  a'  i4  '«agg'°  del  964. 
Luitprando  nemico  di  Giovanni  Xll, 


GIO 

complice  degli  scismatici,  e  adulato- 
re di  Ottone  I,  nel  lib.  6,  cap.  i  r, 
appresso  Duchesne,  toni.  Ili  ,  pag. 
633,  descrive  in  un  modo  abbomi- 
nevole  la  morte  del  Pontefice  ;  ma 
il  continuatore  di  Reginone,  beni  In- 
aridì'esso  a  lui  contrailo,  e  favo- 
revole all'impeiatore,  non  fa  motto 
delle  orribili  circostanze  della  mor- 
te di  Giovanni  XII,  come  avverte 
13  u  Mesnil,  Doctr.  et  disc i pi.  eccl. 
lib.  43,  §  5.  Su  questo  line  di 
Giovanni  XII  veggasi  Natale  Ales- 
sandro citato,  cap.  1,  art.  ai,  ed 
il  Baronio  ad  an.  r)63.  Tuttavia 
gli  scrittori  i  più  spassionati  non 
possono  difendere  la  sua  dissolu- 
tezza e  vita  scandalosa,  die  fu  fatto 
Papa  giovinetto,  senza  aver  lo  spi- 
rito e  la  vocazione  pel  sacerdo- 
zio. Fu  sepolto  nella  basilica  La- 
teranense.  Poco  vacò  la  romana 
Sede. 
GIOVANNI  MlI.PapaCWWIf. 

Giovanni  romano,  figlio  per  legitti- 
mo   matrimonio    di    Giovanni,  die 

pei  fu  vescovo,  da  vescovo  di  Nar- 
111  fu  eletto  Pontefice,  e  consacrato 
il  primo  ottobie  del  965.  Incorse 
nell'odio  della  nobiltà  romana,  per- 
chè  la  trattava  con  alterigia,  e  pe- 
rò insorto  contro  di  lui  un  tumulto 
spalleggiato  da  Rofìirdo  prefetto  di 
Roma,  fu  costretto  ritirarsi  a  Ca- 
pii.1  ,  ove  per  dieci  mesi  fu  con 
Mimmo  onore  trattato  del  principe 
PaudoMb,  alle  cui  richieste  nell'i- 
n  anno   fece   metropoli    quella 

città.      Approvò     ancora     l'erezione 

dell  rito    di     Maedel 

nel  •  ih  I  leguenle  nel    con- 

1  ilio    min. uni    du  In. 11  b  ivc- 

scov.le  Benevento  Partendo  uno. 
ne  I  alla  voli  »  di  Rome  per  1  «•  - 1 1  - 
tuire  il  Pontefice    alla    ma   sede,  ì 

1  uni. un  impauriti  1  u  In  iiii.i 

1  inni   \lll,  ma  non  | »« ■  t •  1  ono  evi- 


GIO 

tare  il  castigo,  che  di  dodici  ne  fece 
l'imperatore,  che  dopo  avere  resti- 
tuito alla  Chiesa  Ravenna,  ed  altre 
terre  usurpate  dai  Berengari,  nel 
o/>6  rimise  il  Papa  in  Roma.  Ivi 
Giovanni  XIII  riconoscente  coronò 
imperatore  il  di  Ini  figlio  Otlonc  II 
nel  967.  Se  Giovanni  XIII  fu  il 
primo  a  battezzare  o  benedire  con 
particolare  rito  e  cerimonie  le 
Campane  (fedi),  lo  dicemmo  a 
quell'articolo.  Convertiti  in  questo 
tempo  alla  fede  i  polacchi,  il  Papa 
mandò  ad  essi  per  confermarli  E- 
gidio  vescovo  tusculano.  Governò 
questo  Pontefice  sei  anni,  undici 
mesi  e  cinque  giorni  ;  mori  a  6  set- 
tembre del  9"i,  e  fu  sepolto  in 
s.  Paolo  fuori  le  mura  di  Roma. 
Vacò  la  santa  Sede  undici  «iorni. 
GIOVANNI  XIV,  Papa  CXLII. 
Pietro  di  Canevanova  vescovo  di 
Pavia  sua  patria,  diacono  cardinale, 
ed  arcicancelliere  dell'  imperatore 
Ottone  II,  fu  eletto  Pontefice  do- 
po i  io  di  luglio  del  984,  quindi 
in  riverenza  del  principe  degli  apo- 
stoli si  cambiò  il  nome ,  e  prese 
quello  di    Giovanni    XIV.    Se   ag 

0  Giovanni  XII,  o  Sergio  IV  ab- 
biano pei  primi  cambiato  il  nome, 
si  vegga  l'articolo  Nome  ni'Pon« 
tefici.  Dopo  il  governo  di  t 
otto  mesi,  Bonifacio  \  Il  antipapa, 
tornato  da  Costantinopoli,  lo  cacciò 
in   una   prigione   del    Castel    s.    An- 

.  ove  nel  gnigno  del  qtt'ì  mu- 
li di    fame  o  di  veleno,  e  fu  -epolto 

nel  Vaticana   Vaco  la  nula    Side 
anaii  die  1   n 

(.lo\  w\i   \\ .  Papi  «  ILI  II. 
Piglio  di  Rohei  lo,  1  ornano,  fu  eletto 
Pontefice  nel  dicecabie  del  o85    1 
pili  critici  non  lu  oootano  pai  l 
a  pel  | 1  li  mpo  >  he   nani      ih  1  - 

1  In    ni  .11  tu  .  onaaci  afe  1,  ciò  »  Ite    in 
que  tempi  rendeva  pienamente    1 


56  G I  O 

tcfice  l' eletto ,  come  vuole  Pape- 
broehio,  in  Propylaeo  p.  169,  o 
perchè  non  fu  vero  Papa  come  sti- 
mano Antonio  e  Francesco  Pagi , 
Crilic.  in  Baron.  ad  an.  986,  nu- 
mero 4>  Breviar.  gest.  Rom.  Pont. 
tom.  I,  p.  468,  l'ultimo  de' qua- 
li dice  non  poter  negarsi  che  prima 
di  Giovanni  XV,  detto  XVI,  sia 
stato  eletto  Giovanni  figliuolo  di 
Roberto ,  poiché  Mariano  Scoto , 
Gotifredo  di  Viterbo,  e  i  più  an- 
tichi cataloghi  ci  dimostrano  due 
Pontefici ,  chiamati  col  nome  di 
Giovanni,  fra  Benedetto  VII,  e  Gio- 
vanni XV.  In  fatto  la  cronaca  di 
s.  Massenzio  inserita  nel  tom.  II 
della  Biblioteca  Labbeana ,  toglie 
ogni  controversia  dicendo,  che  nel- 
1'  anno  seguente  (  985  )  passarono 
all'altro  mondo  tre  Pontefici  in 
Roma  ,  i  quali  furono  Giovanni 
XIV,  Bonifacio  VII,  e  Giovanni  fi- 
glio di  Roberto,  eletto,  morti  ve- 
ramente tutti  e  tre  in  detto  anno, 
ciò  che  l'autore  di  quella  cronaca 
trovò  degno  di  memoria.  Morì  dun- 
que Giovanni  XV  nello  stesso  di- 
cembre del  985,,  e  fu  sepolto  nel 
Vaticano.  Poco  vacò  la  Sede  ro- 
mana. 

GIOVANNI  XV,  detto  XVI, 
Papa  CXLIV.  Romano,  figlio  di 
Leone  che  dopo  il  matrimonio  di- 
venne prete,  della  contrada  Galli- 
na bianca,  essendo  sacerdote  fu  e- 
lcllo  Pontefice  ,  e  consacrato  nel 
dicembre  del  985.  Viene  chiama- 
lo Giovannni  XVI  da  quelli  che 
pongono  il  precedente  nel  novero 
de' Papi,  onde  poi  nelle  cronologie 
nacquero  degli  equivoci,  anche  per- 
chè il  presente  Pontefice  ne'suoi  di- 
plomi e  bolle  s'intitolò  Giovanni  XV. 
travagliato  da  Crescenzio  Numenta- 
uo,  il  quale  col  titolo  di  console  oc- 
cupò Castel   s.   Angelo,   fuggi    nel 


GIO 

la  Toscana ,  e  ricorse  ad  Ottone 
III;  Io  che  saputo  dai  romani  che 
ne  temevano  la  potenza,  subito  ri- 
chiamarono Giovanni  XVI,  il  qua- 
le nondimeno  fu  odiato  dal  clero, 
principalmente  perchè  arricchiva 
troppo  i  propri  parenti,  onde  al- 
cuni hanno  ricavata  1'  origine  del 
nepotismo.  Per  mezzo  di  Leone 
vescovo  di  Treveri  ottenne  la  pace 
tra  Etebredo  re  d'  Inghilterra,  e 
Riccardo  duca  di  Normandia.  Nel 
993  canonizzò  solennemente  nel 
concilio  Lateranense  Udahico  ve- 
scovo d'Ausburgo,  e  questa  fu  la 
prima  solenne  Canonizzazione  {Ve- 
di). Dicesi  aver  questo  Papa  con- 
ceduto la  città  di  Ferrara  {Vedi) 
a  Tedaldo  bisavolo  della  gran  con- 
tessa Matilde.  Governò  più  di 
dieci  anni  ;  fu  insigne  non  meno 
nella  scienza  delle  lettere ,  che 
delie  cose  militari  e  di  guerra, 
sulle  quali  compose  più  libri,  co- 
me rileva  Martino  Polono  in 
Chron.  p.  3.(4-  Mori  d'una  feb- 
bre gagliarda  nel  996,  a'3o  di  a- 
prile ,  come  dicono  alcuni,  e  fu 
sepolto  nel  Vaticano,  nell'oratorio 
di  s.  Maria.  Breve  fu  la  vacanza 
della  santa  Sede. 

GIOVANNI  XVII,  antipapa,  Pa- 
pa CXLVI.  Nacque  in  Pavia,  si 
fece  monaco  cassinese,  e  vuoisi  sia 
stato  anche  abbate  di  Nonantola, 
sebbene  altri  lo  dicono  nato  in  Ros- 
sano nella  Calabria,  di  bassa  con- 
dì/ione, chiamato  prima  Filagato. 
Avea  tenuto  a  battesimo  Ottone 
III,  e  Gregorio  V,  come  narra  il 
Papebrochio  in  Propylaeo  a  p. 
175,  e  col  nome  di  Giovanni  XVII 
s'intruse  nella  cattedra  di  s.  Pie- 
tro verso  il  principio  di  maggio 
del  997.  Della  sua  orrihile  puni- 
zione, e  mutilazioni  onde  gli  fu- 
rono anche  cavali  gli  occhi,  e  pei > 


GIO 

che  fu  noverato  tra  i  Papi,  lo 
dicemmo  ai  voi.  II,  p.  188,  e 
XVIII,  p.  3^7  del  Dizionario.  Mori 
dopo  dieci  mesi  d'  antipapato ,  fu 
di  corrottissimi  costumi,  e  venne 
sepolto  in  s.  Giovanni  in  Late- 
rano. 

GIOVANNI  XVII,  detto  XVII I, 
Papa  CXLVIII.  Chiamato  prima 
comunemente  romano  della  con- 
trada Biberatica  ,  ma  veramente 
di  Rapagnano  o  Ripagnano  nella 
diocesi  di  Fermo,  della  famiglia 
Siccone,  non  Secchi,  e  non  già  di 
nascita  vile  come  alcuni  hanno 
detto.  Quelli  che  lo  fanno  della 
illustre  famiglia  Secchi,  dicono  di- 
scendere dal  sangue  de' goti,  aven- 
te  per  tronco  Richmero  orna- 
to dall'  imperatore  Severo  verso 
l'anno  4^°  colla  dignità  di  patri- 
zio e  di  vicario  ;  che  propagossi  poi 
per  Milano,  Padova,  ed  altri  luo- 
ghi d'Italia,  celebre  nelle  lettere 
e  nelle  armi,  poi  unita  in  parentela 
coi  Pasqualighi  senatori  veneti,  on- 
de disse  Francesco  Sforza  duca  di 
Milano  nel  diploma  de'  11  giugno 
i485>  che  la  famiglia  Secco  si  do- 
vea  contare  tra  le  prime  d' Italia. 
11  conte  Orazio  Secco  di  Padova, 
paggio  dell'  imperatrice  Leonora  re- 
gina d'  Ungheria,  mori  glorioso  nel- 
l'assedio di  Vienna  d'Austria  fatto 
dai  turchi.  Il  Cardella  nelle  Me- 
morie storiche  de'  cardinali  tom. 
II,  par.  I,  p.  87,  dice  che  Giovan- 
ni per  gli  studi  fatti,  e  pel  merito 
tlclle  sue  virtù  fu  collocato  nel 
clero  romano,  e  divenuto  rispetta- 
bile ad  ogni  condizione  di  perso- 
ne, fu  tifato  cardinale  ila  Grego- 
rio V  del  ()!)•>•  Le.  notizie  della 
patria  e  della  famiglia  vera  ci  i 
questo    Papa,    le    abbi, uno  da  St.lt- 

1111  Borgia  pia  amplissimo  cardinale, 

ani    questo    titolo    Monumento    di 


GIO  57 

Giovanni  XVI  illustralo  per  Ste- 
fano Borgia  accademico  cortonesc} 
Roma  1750.  Questo  fu  il  primo 
saggio  degli  studi  e  vasta  erudizione 
di  quel  profondo  letterato,  ed  in 
esso  ammirasi  una  maturità  ed  al- 
tezza di  cognizioni ,  certo  non  da 
giovane  di  meno  che  quattro  lu- 
stri. In  una  pietra  palombina  ri- 
trovata nel  marzo  del  ir5o  nella 
pieve  di  s.  Maria  in  Rapagnano  o 
Ripagnano,  castello  di  Fermo,  si 
legge  un'  iscrizione  che  il  Borgia 
illustrò  col  Iodato  opuscolo ,  da 
cui  si  ricava,  che  Giovanni  nacque 
da  Sicco  o  Siccone,  e  da  Colomba 
in  detto  luogo,  e  che  passato  gio- 
vane in  Roma  vi  fu  ricevuto  da 
Petronio  console,  e  in  sì  fatta  gui- 
sa si  applicò  agli  studi  ,  che  con 
plauso  universale  meritò  di  essere 
Pontefice  a' 9  giugno  del  ioo3, 
dopo  il  dottissimo  Silvestro  II.  Ec- 
co 1'  identifica  iscrizione,  cui  il  Bor- 
gia congettura  a  p.  21,  che  Enea 
Silvio  vescovo  di  Fermo  facesse 
incidere  in  memoria  di  questo 
Papa. 

Joannes  ex  Siccon.  et  Coturno. 
in  a.  rapagnani  prop.  limi,  ortuni 
hab.  adii.  adol.  Rom.  duci,  ci  a 
Petron.  Cos.  Doni,  recepì,  adeo 
licter.  incub.  ut  tolo  TJrb.  ap.  pi. 
V.  id.  Jun.  A.  D.  MIIT.  fucr. 
Pont,  creai.  Par.  t.  rexit  Eccles. 
nani  regnat.  in  Coel.  pr.  k.  N09. 
seq.  obdorm.   in  pace. 

cioè 

Joannes  <•.<•  Siccone  et  Colomba 
in  arce  Rapagnani  propc  tinnurn 
orlimi  habuit.  Adiate  aduleseen* 
Roman»  duetti»  et  a  Petronio  cri- 
side   demi   neeplns   adeo   licteris  v>- 

cubuii,  ut  lotol  rbis  appiausu  ipiinto 


58  G I O 

idus  /unii  anno  Domini  MIII 
Jìierìt  Ponti f ex  creatiti,  panini  la- 
nieri rexit  Ecclesiam.  Nani  regna- 
timi* in  eoe  lo  pritlie  kalendas  no- 
vembris  seejitenlis  obdormivit  in 
pace. 

Fu  Giovanni  XVIII  eletto  dalla 
fazione  de'  conti  ttisculani  a'  9  e 
consacrato  Papa  a'i5  giugno  ioo3. 
Governò  cinque  mesi  e  venticinque 
giorni.  Mori  a'  7  dicembre  ioo3, 
secondo  il  Pagi,  ed  a  tenore  della 
riportata  iscrizione  terminò  di  vi- 
vere a' 3 1  di  ottobre,  e  fu  sepolto 
al  dire  del  Ciacconio  senza  addino- 
ne documento,  nella  cbiesa  del  ino- 
n  iste  PO  di  s.  Saba  in  Cella  nova; 
altri  dicono  più  probabilmente  con 
Giovanni  diacono  nel  libro  della 
basilica  Lateranense,  in  s.  Giovan- 
ni in  Laterano.  Vacò  la  santa  Se- 
de  tredici   giorni. 

GIOVANNI  XVIII,  detto  XIX, 
Papa  CXLIX.  Si  cbiamò  prima 
Fagiano  o  Fasano,  romano,  della 
contrada  Porla  Malodia,  fu  eletto 
Papa  e  consacrato  a'  26  dicembre 
ioo3.  Prese  il  nome  di  Giovanni 
XVIII,  come  si  legge  nelle  sue  bol- 
le, su  di  die  è  a  vedersi  il  Pagi, 
Breviar.  geslor.  RR.  PP.  tom.  I, 
p.  4^6.  Confermò  l'istituzione  del 
vescovato  di  Bainberga.  Concesse  il 
privilegio  degli  ornamenti  pontifi- 
cali a  Bernone  abbate  di  Riehenow. 
Nel  suo  pontificato  si  rinnovò  la 
concordia  tra  la  Cbiesa  romana  e 
la  costantinopolitana  disunite  per 
le  pretensioni  dell'orgoglioso  pa- 
triarca JYIicbele  Cerulario,  onde  il 
nome  di  questo  Papa  tu  messo  da 
Sergio  patriarca  ne' sagri  dittici  del- 
la sua  cbiesa.  Scrivono  alcuni  che 
verso  la  line  di  sua  vita  rinunziò 
il  pontificato,  per  ritirarsi  nell'ab- 
bazia de' benedettini  di  s.  Paolo  di 
Roma,  dove  abbracciò  la   vita  mo- 


GIO 

nastica,  ma  non  producono  monu- 
menti che  lo  comprovino.  Governò 
cinque  anni  ,  altrettanti  mesi ,  ed 
alcuni  giorni.  Morì  circa  il  fine  di 
maggio  del  1009,  e  fu  sepolto  nella 
basilica  Lateranense.  Però  il  p.  Gia- 
cobbe nella  sua  Bibl.  Pont.  p.  336, 
dice  che  fu  sepolto  nel  Vaticano 
con  un  epitaffio  in  versi  ,  eh'  egli 
riporta  dal  Vegio.  Breve  fu  la  se- 
de vacante. 

GIOVANNI  XIX,  detto  XX,  Pa- 
pa CLII.  Chiamato  prima  Romano, 
figlio  di  Gregorio  conte  tusculano 
della  famiglia  Conti ,  e  fratello  di 
Benedetto  Vili,  da  alcuni  creduto 
senza  sufficiente  fondamento  mona- 
co di  s.  Benedetto  nel  monistero 
di  s.  Anastasio  di  Roma;  da  laico 
che  era  e  senza  alcun  ordine  sa- 
cro, dopo  la  morte  del  fratello  (u 
eletto  Papa  dopo  i  6  giugno  io?. 4, 
prendendo  il  nome  di  Giovanni 
XIX  ,  come  si  vede  sottoscritto  in 
un  diploma  riportato  dal  Mabillon 
nel  Mas.  Ita!,  tom.  Il  ,  col  quale 
nel  1026  accordò  al  vescovo  di 
Selva  Candida  la  facoltà  di  cele- 
brare in  certi  giorni  nella  basilica 
Vaticana  i  divini  uffizi,  ed  in  molti 
altri  suoi  diplomi.  Non  si  piegò 
alle  preghiere  e  ricchi  doni  de'co- 
stantinopolitani,  che  lo  supplicavano 
di  concedere ,  che  la  loro  chiesa 
avesse  per  l'  oriente  il  titolo  di 
universale,  onde  si  riaccese  tra  le 
due  chiese  latina  e  greca  l'antica 
discordia,  come  nota  il  Glabro  li- 
bro 4>  c-  h  P-  4°5  pi'esso  il  Du- 
chesne,  Scriptor.  tom.  IV.  Portan- 
dosi in  Italia  nel  1026  Corrado  II 
il  Salico  ,  il  Papa  andò  ad  incon- 
trarlo a  Como;  lo  coronò  re  di 
Germania,  e  poi  in  Roma  con  le 
insegne  imperiali  nel  1027.  In  que- 
sta occasione  era  in  Roma  in  abito 
di  pellegrino  il    re  Canuto  il  Gran- 


GIO 

de  d'Inghilterra,  e  Rodolfo  III  re 
di  Borgogna.  Il  re  Canuto,  grato 
alle  distinzioni  e  benignità  usate- 
gli dal  Pontefice,  comandò  a' suoi 
sudditi  di  trasmettere  a  Roma  il 
Denaro  dì  s.  Pietro  [Vedi).  Insor- 
ta controversia  tra  i  Iimogesi  e  i 
parigini  se  s.  Marziale  dovesse  chia- 
marsi soltanto  confessore  come  con- 
tendevano i  primi,  o  apostolo  co- 
me volevano  i  secondi,  Giovanni  XX 
con  l'autorità  della  costituzione  Ad 
Pastoralem,  presso  il  Bull.  Rorn. 
toni.  I,  p.  34o,  e  nella  Raccolta 
de  concilii  del  Coleti  t.  XI,  col. 
5548,  decise  a  favore  de' parigini, 
ed  inoltre  fabbricò  nella  basilica 
vaticana  un  beli'  altare  al  santo. 
Nel  io32  permise  che  si  dasse  il 
culto  di  santo  all'  istitutore  de'ca- 
maldolesi  s.  Romualdo,  lo  che  fu 
equivalente  a  beatificazione.  Si  por- 
tò in  Aquileia ,  e  ne  consagrò  la 
chiesa  patriarcale.  Governò  più  di 
nove  anni,  e  morì  nel  io33,  ve- 
nendo sepolto  in  s.  Pietro.  La  sede 
vacante  terminò  a' <)  dicembre,  al- 
tri dicono  agli   8   novembre. 

GIOVANNI  XX,  detto  XXI,  Pa- 
pa CXCV.  Pietro  o  Gio.  Pietro 
figlio  di  Giuliano,  nato  nobilmente 
in  Lisbona  capitale  del  Portogallo, 
sino  da  fanciullo  si  portò  all'  uni- 
versità di  Parigi  ad  apprendere  le 
scienze,  nelle  quali  fece  meravigliosi 
progressi,  come  nella  filosofia  ari- 
stotelica ,  nell'  astronomia  ,  e  nella 
medicina  ,  e  lo  diede  a  conoscere 
colle  opere  che  pubblicò,  delle  qua- 
li tesse  un  esatto  catalogo  Giorgio 
Eggs ,  nel  suo  Pontificio  dotto  a 
p.  4^°  >  e  nt-'He  loro  Biblioteche  il 
Fabricio,  ed  il  p.  Lodovico  Jacopo 
a  p.  1 38.  Restituitosi  alla  patria  fu 
fatto  decano  e  maestro  delle  scuo- 
le di  Lisbona ,  e  poi  arcidiacono 
della   chiesa  di  Braga,   di   cui  in  se- 


G  I  O  -„) 

guito  ne  fu  eletto  arcivescovo,  quan- 
tunque poco  atto  fosse  al  governo, 
come  dice  il  Cai-delia.  Recatosi  in 
Roma  vi  acquistò  molto  credito, 
massime  nella  medicina,  onde  di- 
venne archiatra  di  Gregorio  X.  Si 
mostrò  sempre  mecenate  ai  giova- 
netti poveri  che  si  applicavano  al- 
lo studio,  molti  de' quali  provvide 
di  benefizi  ecclesiastici,  ed  aiutò 
del  proprio.  Nel  dicembre  1273  fu 
creato  vescovo  cardinale  di  Frascati, 
con  la  quale  dignità  intervenne  al 
concilio  generale  Lionese  II,  quin- 
di fu  eletto  Papa  in  Viterbo  a' 1  t» 
settembre  1  276,  e  col  nome  di  Gio- 
vanni XXI  fu  coronato  a'  20  dal 
cardinal  Giovanni  Orsini  diacono 
di  s.  Nicolò  in  Carcere  Tulliano. 
In  questo  medesimo  giorno  al  dire 
del  Papebrochio  ,  in  Propylaco 
par.  2,  p.  59,  n.  1,  sospese  la  co- 
stituzione di  Gregorio  X  intorno  al 
conclave,  per  ordinarla  in  diversa 
maniera.  Indi  a' 1 7  ottobre  rice- 
vette da  Carlo  I  re  di  Sicilia  il 
giuramento  per  questo  regno,  feudo 
della  Chiesa  romana.  Il  Papa  si 
applicò  a  pacificare  Filippo  III,  con 
Alfonso  X  re  di  Castiglia  ;  e  pro- 
curò ancora  che  il  re  di  Portogallo 
Alfonso  III  desistesse  di  opprimere 
le  chiese  del  suo  regno.  Mandò  le- 
gati a  Michele  imperatore  d'  orien- 
te ,  per  ratificare  l'unione  della 
chiesa  greca  colla  Ialina,  fatta  nel 
concilio  di  Lione  II;  e  procurò  con 
la  maggior  premura  di  mantenere 
quella  parte  della  Palestina,  ch'era 
ancora   in    potere  de' cristi. mi. 

Governò  Giovanni  \\l  otto  nie- 
si  senza  aver  creato  alcun  cardinale, 
dappoiché  Eraldo  ile  Lesini,  cli<; 
secondo  il  Ciacconio  egli  creò  cardi- 
nale, lo  fu  invece  da  Nicolò  III 
certo  che  se  (osse  rissuto  di  piti  1 
vrefobe  innalzato  a  tale   onore  il  u. 


6o  (>ìO 

Giovanni  da  Parma  generale  dell'or- 
dine  francescano.   Mori  a'  16  mag- 
gio 1277  m  Viterbo,  perlina   ferita 
die  sei  giorni   prima  si    fece  nel  ca- 
po, nella    rovina    d'una    bella    ca- 
mera  fatta  da  lui  fabbricare  presso 
il   palazzo   della  città   da  lui  restau- 
rato, sebbene,  come  di  robusta  com- 
plessione, discorrendo  co' suoi   fami- 
gliari  si    prometteva    una   lunga    vi- 
la.   Mentre  il   Pontefice  dormiva   «u 
detta  camera  repentinamente  crollò, 
<'d    egli    rimase    oppresso ,    e    quasi 
schiacciato   tra  le   travi   e   i  sassi  ro- 
vinati ;   ne  fu    estratto    semivivo,  e 
dopo  selle    giorni    cessò    di    vivere. 
Alcuni  dissero  die  morì  ai    i5,  al- 
ili  ai    16,  ma  nel  catalogo  de' mor- 
ti  della  cliiesa   di  Lisbona  vi  è  que- 
sta   memoria:    Aera    MCCCXf , 
XVII  hai.  /unii  (cioè  a'  16    mag- 
gio ),  oblìi  Papa  Joaimcs  XX f,  qui 
dedit  capitalo   domus  suas    ad  fa- 
ciendum  anniversarium.  Fu  sepolto 
nella     cattedrale     di     Viterbo.     Fu 
dotato   di  singolare  erudizione,  som- 
mamente affabile  cogl'inferiori,  mas- 
simaménte    letterati,     co' quali    fu 
grandemente    liberale ,    come    notò 
Xolora&O   da   Lucca,   Hìst.    ceri,    li- 
bro   ?.3,    cap.     nl\.    Molti    scrittoli 
religiosi    lo    dipingono    con    cattivi 
colori,  e  ciò  si   attribuisce  al   poco 
amore  eli' egli  ebbe  pei  monaci  e  pei 
frati,  contro  de'  quali    voleva   pub- 
blicare un  decreto,  al  dire  del  Mu- 
ratori,    Annali   d'Italia    all'anno 
1277.     Fu    nondimeno     fautore  e 
protettore    dell'  ordine    de'  minori. 
Vacò  la  santa  Sede  sei    mesi,  ed  ot- 
to o  nove  giorni. 

GIOVANNI  XXII,  Papa  CC1V. 
Jacopo  o  Giacomo  d' Euse  o  Eusa 
nacque  in  Cabors  città  di  Francia 
nell'  Aquilania,  da  Arnaldo  raccon- 
ciatole di  panni  ,  o  di  scarpe  al 
tljre  di  s.   Antonino,  o  oste  secondo 


GIO 
il   Villani.   Il   Baluzio  però  nelle  an- 
notazioni   alle    vite    de'  Pontefici   di 
Avignone  p.  689,  lo  dice  nobile,  ed 
Alberto    d'  Argentina    autore     con- 
temporaneo  lanciò   scritto    essere  di 
antica   nobiltà,   ed  era  in  grado  di 
saperlo   perchè    fu   mandato  dal  ve- 
scovo d'  Argentina    in    Avignone  a 
Benedetto  XII   successore  di  questo 
Papa;   altrettanto  sostiene  Giuseppe 
Cito.    Jacopo    siccome    uomo    d'  a- 
cuto    e  profondo   ingegno,  di  cuore 
magnanimo,  di   rara    prudenza  do- 
tati;,  ed   eccellente  nelle  divine    ed 
u inaue  scienze  fu  da  Roberto  re  di 
Napoli     e  conte    di    Provenza  fatto 
cancelliere,  e  per  opera  di   lui   Bo- 
nifacio    Vili     nel     1299     lo     pro- 
mosse al   vescovato  di   Frejus;    in- 
di    Clemente    V,   dopo    avere     sta- 
bilito    la     residenza     pontifìcia     in 
Francia    nella    città     d'  Avignone , 
di  questa    lo    dichiarò    vescovo  nel 
i3io,  col  quale  carattere  interven* 
ne    al   concilio  generale  di    Vienna. 
A' 2  1    dicembre  del    i3i2    o  1 3 ]  I 
Clemente   V   lo  creò  cardinale   ve- 
scovo di  Porto,  dopo    averlo  invia- 
to al   re    di     Francia   per     trattare 
e  conchiudere  gravi  affari,   uno  ilei 
quali  fu  la  controversia  insorta  tra 
il  re    e  l'arcivescovo    di    Lione,  e 
gli   altri    la    conferma     della    pace 
delle  Fiandre,  la   dichiara/ione  del- 
l'innocenza   di  Bonifacio  Vili,  e   la 
causa  de'templari.  Dopo  lunga   se- 
de  vacante   per   morte  di    Clemen- 
te  V,  a' 7   agosto    i3i6  fu   concor- 
demente eletto   Papa   in  Lione,  ove 
col  nome  di  Giovanni   Wll  ri  fe- 
ce coronare  a'  5  settembre  dal  car- 
dinal  Napoleone   Orsini   primo  del- 
l'ordine de'diaconi.    Le   particolari- 
tà  del   conclave  e  della   sua    elezio- 
ne   si   possono   leggere  nel   volume 
XXI,   p.  223  del  Dizionario.  Subi- 
lo dichiarò  che  come  il  picdecesso« 


GIO 

re  risiederebbe  in  Avignone  (  Ve- 
di), e  nel  fine  di  settembre  s'  avviò 
per  tale  città  e  vi  giunse  a' a  ot- 
tobre. A  quell'  articolo  abbiamo 
detto  le  principali  cose  riguardan- 
ti questo  Pontefice,  ed  i  cardinali 
che  successivamente  creò  in  sei 
promozioni,  dicendo  il  Cardella, 
che  in  esse  annoverò  al  sacro  col- 
legio trentaquattro  cardinali.  Tra 
questi  i  seguenti  furono  suoi  pa- 
renti :  Jacopo  de  Voye  di  Cahors 
figlio  della  sorella  ,  che  a  sé  so- 
stituì nel  vescovato  d' Avignone, 
morto  dopo  sei  mesi  ;  Bernardo  de 
Puyet  di  Cahors  figlio  di  altra  so- 
rella, fornito  di  rare  qualità  ;  Ar- 
naldo de  Voye  fratello  del  nomi- 
nato Jacopo,  cui  fece  vescovo  d'A- 
vignone; Raimondo  Ruffo  altro  ni- 
pote, ed  Umberto  duPuy  di  Mont- 
pellier suo  parente. 

Odoardo  II  re  d'Inghilterra  spe- 
dì un'ambasceria  a  Giovanni  XXII, 
assicurandolo  della  sua  ubbidienza, 
e  pagando  alla  santa   Sede  il  soli- 
to   tributo.   Similmente    Jacopo    li 
re  d'Aragona  mandò    ambasciatori 
ad  Avignone  per  giurare  al  nuovo 
Papa  fedeltà,  come  tributario  del- 
la   Corsica  e    della    Sardegna.    E- 
gualmente  Filippo  V  re    di   Fran- 
cia dichiarò  la  sua  venerazione  al- 
la Sede  apostolica,    onde  Giovanni 
XXII  nel  ringraziarlo  eli   diede  di- 
verse  paterne  esortazioni.    Essendo 
Dionisio  re  di   Portogallo  in    guer- 
ra col  suo    secondogenito,    il  Pon- 
tefice s' intromise  per  la  concordia. 
Avendo  il   Papa    saputo    che    Ber- 
nardo d'Ardigia  cantore  di  Poitiers, 
con    alcuui     altri    malvagi     aveva- 
no cospirato    contro    la    sua    vita, 
e  quella  de' cardinali,  che  tentaro- 
no di  avvelenare,  die  a  formare   il 
processo  a  diversi  soggetti,  che  poi 
elevò  al  cardinalato.  Tali  eospirato- 


GIO  6. 

ri  vedendo  fallito  l'iniquo  mezzo  del 
veleno,  ricorsero  alla  magia  che 
credevano  infallibile,  formando  Ire 
piccole  figure  di  cera,  somiglianti 
al  Pontefice,  che  mettevano  den- 
tro i  cerchi  ed  anelli,  e  le  passa- 
vano coi  coltelli,  credendo  sciocca- 
mente che  Giovanni  XXII  riceves- 
se questi  colpi  nella  persona.  Fu- 
rono presto  scoperti  gli  autori  dì 
si  nefande  cospirazioni,  cioè  il  suo 
medico,  il  suo  barbiere,  alcuni  pre- 
lati della  corte,  e  principalmente 
Giraud  vescovo  di  Cahors,  il  quale 
solo  fu  preso  dopo  la  fuga  degli 
altri,  quindi  processato  dal  cardi- 
nal Fredol,  il  quale  con  sentenza 
de'  4  maSS'°  '  3  i  7  lo  fece  pub- 
blicamente degradare,  condannan- 
dolo a  perpetua  prigione  .  Ma 
siccome  in  questo  tempo  mori  il 
cardinal  Jacopo  de  Voye  sunno- 
minato, per  le  magie  del  Giraud, 
il  cardinal  Fredol  consegnò  questi 
al  braccio  secolare,  che  lo  condan- 
nò ad  essere  decapitato,  quindi 
abbruciato  ,  dopo  di  essere  stato 
condotto  al  supplizio  attaccato  al- 
la coda   di   un  cavallo. 

Sollecito  Giovanni  XXII  al  suo 
apostolico  ministero,  con  la  costitu- 
zione Sol  oriens,  presso  il  Bull. 
Rorn.  tom.  Ili,  par.  1 1 „  pag.  i4^> 
canonizzò  s.  Ludovico  vescovo  di 
Tolosa,  stato  già.  suo  discepolo,  ed 
eresse  in  metropoli  la  cattedrale  di 
Tolosa.  Nel  seguente  anno  i3i8 
elevò  al  grado  metropolitico  Sa- 
ragozza nella  Spagna,  facendo  al- 
trettanto con  Sultania;  indi  con- 
fermò con  indulgenze  la  divozione 
di  salutare  con  tre  Ave  Maria  la 
B.  Vergine  al  tramontar  del  sole, 
al  segno  del  suono  della  campana, 
con  la  bolla  de'  i3  ottobre  1 3-1-8; 
mentre  dipoi  a' 7  maggio  iù-ì" 
concesse  dieci  giorni    d?  indulgenza- 


ir>.  G  I  O 

a   chi   genuflesso   recitasse  tre    volle 
In     suddetta     salutazione    angelica, 
ordinando  al   suo  vicario   in  Roma, 
che  quivi   la  comandasse  colle  me- 
desime   indulgenze.     Fu    s.    Bona- 
ventura, come  narra   nella  sua  vi- 
ta  Enrico    Sedulio,     cap.    r,     §3, 
che  nel  capitolo  generale  de'minori 
celebrato  in  Pisa   nel    1263,  istituì 
che    i  suoi    religiosi    al    tramontar 
del  sole  esortassero  i   fedeli  col  suo- 
no della    campana    a     salutare    la 
ss.    Vergine,  credendosi    ch'essa   in 
tale     ora     fosse  dal     santo    angelo 
Gabriele     salutata.     V.    P  Oldoino 
nelle  Addit.  al   Ciacconio   tom.   II, 
p.  4°4>  che  cita  il  p.  Matracci  in 
Ponti fìcibus  Mariani.'!.  Questa  di  vo- 
ta  usanza  abbracciata  dalla    chiesa 
di    Saintes     in   Francia     prima    di 
questa  epoca,    fu    dipoi  nel     i346 
ndottata   nel  concilio  di   Parigi.    Il 
Lambertini  però  nel  tom.  I,  Notif. 
«2,  p.   70,  num.    11,  racconta  che 
la  divozione  della    salutazione    an- 
gelica, che  dai   fedeli   si    recita  al- 
l'aurora, al   mezzodì  e  alla  sera,  si 
dice  da   alcuni   istituita   da  Urbano 
II,    almeno    per  la    mattina     e    la 
sera,   pel   felice  esito  della  crociata, 
e  per  tutto  il    mondo    cattolico,  e 
ch'essendo  durato  questo  pio    isti- 
tuto cento    trentantov'anni,    fu    ri- 
pristinato da  Gregorio  IX  coll'ag- 
giunta  della  salutazione  angelica  da 
recitarsi  nel   mezzogiorno.    Aggiun- 
ge il    Lambertini,    che   altri    sono 
di  sentimento  che  il  segno  di  mez- 
zodì  fosse  istituito  da  Lodovico  IX 
re  di   Francia,  altri  lo  attribuisco- 
no a   Calisto  III  per  eccitare  i  fe- 
deli a  pregare    per    l'esercito    cri- 
stiano   che  in   Ungheria  combatte- 
va per  la   fede.   Finalmente  si   sos- 
tiene   non  ritrovarsi  di  questa  trina 
angelica    salutazione    memoria    più 
antica    degli    statuti    di    Francesco 


GIO 

de  Puteo,  priore  della  gran  certo- 
sa, che  visse  nel  principio  del  se- 
colo XVI.  V.  Axgelus  Domixf,  ed 
Ave  M.aiua. 

Dopo    che    Clemente    V    stabilì 
la    pontificia    residenza    in   Francia 
nel     1  3o5  ,     fece     trasportare     da 
Roma  nel   palazzo  vescovile  di  Car- 
pentrasso   se  non   la  biblioteca,   una 
porzione    dell'  archivio    papale,     ed 
i    registri     degli    ultimi     due     suoi 
predecessori,    poscia  colle   cose  pre- 
ziose   furono  alla    sua     morte  por- 
titi   in     Avignone    ove     venne  fis- 
sata l'abitazione  del   Papa.   I   regi- 
stri  però  de'  precedenti   Pontefici   e 
le  molle  altre  carte    e   diplomi,  ed 
i   libri   della  biblioteca,    che  rimasti 
erano  in   Roma,  perchè    mal   sicuri 
nella   assenza  della  curia  papale,  e 
nelP  universale  sconvolgimento  del- 
la città,   vennero    insieme    al   teso- 
ro della  chiesa    romana    portati   in 
Asisi,    e    depositati    parte   nella  te- 
soreria e  parte   in  una  camera  so- 
pra  la   sacrestia  del  gran   convento 
de'frali   minori,  rei   qual    convento 
sotto   Onorio   IV   furono  già   depo- 
sitate certe    gioie.    Gli   asisinati   nel 
i320,    sotto   pretesto  di  aver  biso- 
gno di  denari  per   assoldar  uomini 
contro  i   perugini,   s'impadronirono 
del   tesoro ,    in    cui  oltre     le    robe 
della     santa    Se<\e    erano    anche     i 
deposili    di    alcuni    cardinali.    Gio- 
vanni   XXII  scrisse  dopo    il    i3^i 
diverse    lettere  a    vari  per  ricupe- 
rarlo,  ma  non   si  conosce   con  qual 
successo.     Il     tolto     consisteva     in 
molte  gioie    e  perle,  cose  d'  oro  e 
di    argento  d'ogni    genere,   mobili 
sacri    e     profani,    insigni     reliquie, 
gran    quantità    di   denari,    e  molti 
libri   massime    liturgici,    per  cui   il 
Pontefice    nel    13^6  ordinò  un  in- 
ventario del  superstite  tesoro,   libri 
e  diplomi   restati,  le  quali   cose  so- 


GIO 

lo  potè  conseguire  in  parie  il  suc- 
cessore Benedetto  XII  nel  1339. 
Dopo  ciò  rimasero  nel  tesoro  di 
Asisi  quasi  tutti  gli  originali,  di- 
plomi, ed  infinite  carte,  e  parec- 
chi libri  della  biblioteca,  ridotta 
a'quei  giorni  a  ben  poca  cosa.  Ed 
anche  di  tutto  questo  fu  fatto 
inventario  per  ordine  di  Benedet- 
to XII,  e  trasportato  nel  pa- 
lazzo d'Avignone,  grandissima  col- 
lezione che  però  non  tutta  ritornò 
a  Roma.  Di  luttociò  se  ne  legge 
dettagliata  descrizione  nelle  dotte 
Memorie  isteriche  degli  avvilivi 
ri  ella  santa  Sede  di  monsignor 
Gaetano  Marini,  a   p.    10  e  seg. 

Approvò    questo    Papa    l'ordine 
militare  ed  equestre  di    Cristo  {Ve* 
di),   e    per  l'amore  che  portava   a- 
gli   agostiniani  [Tedi),  assegnò  loro 
gli   uffizi    palatini    di    sagrista ,    bi- 
bliotecario, e  confessore   pontificio, 
il   primo  de'  quali    tuttora   godono. 
Eresse   l'abbazia  di    Monte    Cassino 
in  vescovato  ;  fece  bruciare  il   Tal- 
mud, empio  libro  degli   ebrei,  pie- 
no  di   bestemmie  contro  Gesù  Cri- 
sto e    la    divina    sua    Madre  ;   ca- 
nonizzò da    s.    Tommaso    da   Can- 
talupo    vescovo    di    Erfort,  con     la 
costituzione    Unigenilus  Filius,  pres- 
so il    Bull.    Rom.     t.    HI,   par.   II, 
p.     178.    Condannò    nel      i3ai     la 
dottrina     di     Giovanni    di    Poliaco 
teologo  di  Parigi,  il  quale  afferma- 
va doversi   ripetere  al   proprio  par- 
roco  la  confessione  fatta  ai  religiosi, 
onde  il    teologo    esemplarmente    si 
l'i  trattò.   Annullò  il   matrimonio  tra 
Carlo   IV   il    Bello,   e    Bianca  d'Ar- 
ias;   si    riserbò     le    elezioni     delle 
sedi  episcopali    in    molte  provinole 
d' Italia,  abolendo  il    suffragio    del 
popolo,  e  come  dicemmo   all'arti- 
colo   Francescano    ordine,   fece    al- 
cune   dichiarazioni    per    estinguere 


GIO  63 

la  famosa  questione  della  povertà 
di  Cristo  e  degli  apostoli,  sostenu- 
ta dai  domenicani  e  dai  france- 
scani. Dopo  la  morte  dell'impera- 
tore Enrico  VII,  essendo  stati  e- 
lelli  per  successori  Lodovico  di 
Baviera,  e  Federico  d'Austria,  eb- 
bero origine  le  funeste  e  gravi 
differenze  tra  Lodovico,  ed  il  Papa 
che  da  lui  per  disprezzo  veniva  chia- 
mato Giacomo  di  Cahors  o  Prete 
Janni.  Giovanni  XXII  scomunicò 
Lodovico,  che  prese  la  difesa  de- 
gli eretici  Fraticelli  [Fedi)  ,  fece 
eleggere  l'antipapa  Nicolo  V  (fe- 
di), ed  accaddero  tutte  quelle  lagri- 
mevoli  cose,  e  lo  scisma  che  de- 
scrivemmo ai  citati  articoli  ,  ed  a 
quelli  di  Baviera,  e  di  Germani*. 
Con  la  costituzione  Redemplioneni 
misit,  dei  18  luglio  i323,  Bull. 
Rom.  t.  Ili,  part.  II,  p.  188,  ca- 
nonizzò s.  Tommaso  d'  Aquino. 
Nel  i3s4  approvò  l'ordine  de'mo- 
naci  Olivetani,  e  nel  i325  ere^e 
il  vescovato  di  Cortona.  Fulminò 
l'interdetto  nella  provincia  di  Mag- 
debuigo  per  1'  uccisione  dell'arci- 
vescovo ;  enei  i328appvovò  lor- 
dine di  s.  Paolo  primo  eremita. 
Eccitatasi  nel  1 33 1  fra' teologi  la 
questione  se  le  anime  purgate  da 
ogni  colpa  ed  entrate  in  cielo  go- 
dessero prima  del  giorno  finale  la 
vista  chiara  di  Dio,  Giovanni  XXII 
come  dottore  privato  sembrava  o- 
pinare  per  la  negativa,  ma  poi 
formalmente  dichiarò  che  le  ani- 
me purgate  passavano  a  godere 
chiaramente    I    essenza   divina. 

Nel  i3Zi  risolvette  Giovanni 
\\1I  di  passare  eolla  corte  e  cu- 
ria pontificia  a  Bologna,  ma  non 
lo  effettuò  perchè  attendeva  clic- 
Filippo  VI  re  di  Francia  partisse 
alla  difesa  de'  santi  luoghi  della 
Palestina,   pel    quale    argomento   il 


64  G I O 

Papa  non    risparmiò   fatiche,  paci- 
ficando   i    principi  cristiani  ,    acciò 
rivolgessero  le  loro  armi  contro    i 
saraceni    di    Soria.     Nel    1 334    ri- 
formò   il     celebre     tribunale     degli 
Uditori  di  Rota  [Vedi).  Dicesi  aver 
egli   pubblicato    in    favore    de'  car- 
melitani  la  celebre  bolla  chiamala 
Sabbalina,  di    cui  si   tenne  propo- 
silo nel   voi.  X,  p.   57    del    Dizio- 
nario;  e     comandò     che     la     festa 
della  ss.    Trinità    si  celebrasse   so- 
lennemente   nella    domenica    dopo 
la  Pentecoste.    Dopo  avere    questo 
Papa  sofferto  apostolici  travagli,  pa- 
cificato   le    perturbazioni     dell    In- 
ghilterra, soccorso    il    re  di    Maio- 
lica    contro     i   saraceni  ,     ricevuto 
all'ubbidienza  l'antipapa, inviato  mis- 
sionari a  predicar  la  fede  agi'  infedeli, 
che  gravi  danni   avevano  recati   al- 
la repubblica  cristiana, principalmen- 
te alla  chiesa  orientale  ;  dopo  aver 
fatto  lega  contro  i   turchi    co're  di 
Francia,  di  Sicilia,  di  Cipro,  d'Ar- 
menia, con  l'imperatore  Andronico 
e    co'  veneziani;    e    dopo  il    gover- 
no di     anni   diceiolto ,  mesi  tre    e 
giorni  ventotto,  morì  per  una  diar- 
rea   in     Avignone,  a'  4     dicembre 
i334,   alle  ore  nove  della   mattina, 
con   più,    di    novanta    anni    di   età. 
Tale    male    gli     venne    pel    dolore 
che  senfi    della  rivoluzione    de'  bo- 
lognesi   contro    il  suo    nipote  car- 
dinal de  Poyet   legato,  che  fu  co- 
stretto  fuggire.   Terminò  di   vivere 
dopo  avere     ascoltato  la   messa,    e 
ricevuto  la    comunione,  e    raduna- 
to avanti  a  sé  i  cardinali,   a'  quali 
raccomandò    la    Chiesa,    ed  i  suoi 
parenti,    eh'  egli    non    avea     molto 
arricchiti,  e  fu  sepolto  nella  catte- 
drale.   Lasciò    il    tesoro    pontificio 
assai    ricco,  e    contò  gli     anni     del 
pontificato    dalla    sua    coronazione. 
Fu  Giovanni  XXI 1    di  erande  co- 


GIO 

stanza  nelle  avversità  ,  e  di  gran 
zelo  nelle  cose  della  Chiesa;  di 
vasta  scienza,  di  profondo  ingegno, 
eccellente  nel  trattare  i  più.  intri- 
gati affari  ;  eloquente,  sobrio,  fru- 
gale, modesto  e  giusto:  essendo 
vivace  ancora  nella  sua  età  decre- 
pita, era  facile  ad  irritarsi,  ma  la 
sua  collera  durava  poco;  diceva 
messa  ogni  giorno,  ed  era  fregiato 
di  altre  virtù.  Il  suo  colore  fu 
pallido,  e  la  sua  voce  esile  ;  pic- 
colo di  statura  fu  trovata  di  cin- 
que piedi  ,  quando  a'  g  marzo 
1759  il  suo  mausoleo  fu  traspor- 
tato in  altro  luogo  di  detta  catte- 
drale ,  avendone  trovato  il  corpo 
intiero.  Vacò  la  santa  Sede  quin- 
dici giorni. 

GIOVANNI  XXIII,  Papa  CCX  V 
Baldassare    Coscia     o    Cossa,    nac- 
que in  Napoli  da    Giovanni  conte 
di  Troia  signore  di  Procida,  o  co- 
me altri    vogliono  di  famiglia   me- 
diocre. Portatosi    a  Bologna,  dedi- 
to   com'egli    era  ai    piaceri    ed    ai 
divertimenti,  non  si  avanzò  molto 
nelle    scienze,    sebbene  fosse     fatto 
dottore    dell'uno     e    dell'  altro    di- 
ritto.    Il     solo  favore  di   Bonifacio 
IX,  ch'ebbe     la    destrezza    di  pro- 
cacciarsi, fu    la    sua    fortuna,  dap- 
poiché nell'anno    1 3g6  si    procurò 
l'arcidiaconato    di   Bologna,  indi   si 
porlo  in     Roma,    e    vi    ottenne   il 
posto  di  cameriere  segreto  del  Papi, 
il  quale  lo  promosse  a  protonota- 
rio  apostolico,  ad    uditore    di  rota, 
a    vescovo    d'  Ischia  ,   e  poi  a'  ?.  " 
gennaio  o    nel    febbraio    1402     lo 
creò    cardinale     diacono,    con    la 
diaconia  di   s.   Eustachio.   Dipoi   fu 
fatto  legato  della  provincia  di   Bo- 
logna, dell'esarcato  di    Ravenna,  e 
delle  città  di    Ferrara  e  di   Rimi- 
ni, con  ordine    di    far  uso  di   tut- 
ta la  forza  del  suo  zelo  e   destrez- 


GIO 

za    per     richiamare     all'  ubbidienza 
della    santa  Sede    tutte    le    città  e 
tene    situate    in    quelle    provincie, 
ch'erano  state  usurpate    dall'  altrui 
violenza  e  tirannia,    singolarmente 
di  Galeazzo  Visconti  che  avea  oc- 
cupato Bologna.    Le    dignità  eccle- 
siastiche non  gli   fecero    cambiare  i 
suoi  antichi    sentimenti,  né  la  sua 
condotta    fu    migliore.   I  successori 
di  Bonifacio  IX,   Innocenzo  VII,  e 
Gregorio   XII  non  ebbero  dal  car- 
dinal Baldassare  che  motivi  di  dis- 
gusto, e  l'ultimo  lo  richiamò   dal- 
la   legazione ,    privandolo  del    car- 
dinalato ,    anzi    il   Becchetti    nel    t. 
II ,    pag.    268    della    Storia     degli 
ultimi  quattro  secoli  della    Chiesa, 
aggiunge    che    Gregorio  XII  lo  e- 
scluse     dalla     comunione  de'  fedeli 
per  avere  usurpato  il  vescovato  di 
Bologna,  la    quale   città    era   stata 
ridotta  da    lui    in  tirannia,  e    pel- 
le   glandi   malvagità    commesse  da 
lui    contro    la    santa    Sede.    Narra* 
il    Sigonio  nel  libro  DeJ  vescovi  di 
Bologna     p.    ^61,  che    vendette    i 
fondi  del  collegio    Gregoriano     cui 
diede  alla  fazione  degli  Scaccardi,  e- 
mula  della  Mal  traversa,  ed  oltre  a 
ciò    alienò    la    pecunia  e    i    mate- 
riali    apparecchiati     per     la     fab- 
brica della  basilica  di  s.  Petronio. 
Assistè   al    concilio    di    Pisa  contro 
Gregorio  XII;  ed  Alessandro  V  che 
in  esso  fu  eletto  gli  restituì  la  di- 
gnità   cardinalizia    e    la    sua    lega- 
zione, con  l'aggiunta  di  quella  del- 
la  Marca,  e  con    la    presidenza  di 
alcune  altre  provincie;  avendo  col 
suo  mezzo  e  con    quello    di  Paolo 
Orsini   ricuperato  la  signoria  di  Ro- 
ma, mentre  Alessandro  V   vi  si  di- 
rigeva, a  dì  lui  preghiere  si    portò 
in    Bologna.    Ivi   cadde  subilo  infer- 
mo ,    e    tini    di   vivere    nella   notte 
de' 4  maggi0   i4io  per  un  cristie- 

VO!..    XX"*!. 


GIO  65 

re  attossicato,  come  dice  s.  Anto- 
nino in  Chron.  par.  Ili,  tit.  II, 
cap.  5,o  3.  Secondo  i  sospetti 
del  concilio  di  Costanza  contribuì 
alla  qualità  di  questa  morte  di  A- 
lessandro  V  lo  stesso  cardinal  Cos- 
sa,  sebbene  non  si  governava  che 
per  li  suoi  consigli  o  piuttosto  pei 
suoi  ordini.  Nel  terzo  giorno  di 
conclave  in  cui  erano  entrati  sedici 
cardinali,  essendone  assenti  altri  set- 
te, fu  eletto  Papa  a'  17  maggio, 
indi  col  nome  di  Giovanni  XXI li, 
a'  24  dello  stesso  mese  fu  ordinato 
prete  dal  cardinal  vescovo  d'Ostia, 
e  nel  giorno  seguente,  eh'  era  do- 
menica, fu  consacrato  nella  basilica 
di  s.  Petronio,  e  quindi  coronato 
dal  cardinal  Rinaldo  Brancacci.  Il 
Gobelino,  Cosmodr.  aetat.  5,  cap. 
90,  scrittore  contemporaneo,  ed  al- 
tri, affermano  che  molti  restarono 
scandalezzati  per  questa  elezione, 
per  aver  il  cardinale  vissuto  mon- 
danamente, onde  il  citato  s.  Anto- 
nino par.  Ili,  tit.  22,  cap.  6,  lo 
dipinse  uomo  grande  nelle  cose 
temporali,  per  la  sua  fina  politica, 
e  per  essere  nato  fatto  pel  mestie- 
re delle  guerre  ,  avendo ,  come  si 
dice,  cominciato  la  sua  vita  coll'e- 
sercitare  sul  mare  la  pirateria;  ma 
da  nulla  affatto  nelle  cose  spirituali. 
ISon  è  vero  ch'egli  si  dichiarò  Pa- 
pa da  sé  stesso,  solo  brogliò  il  pon- 
tificalo al  modo  detto  nel  voi. 
XXI,  p.  224  del  Dizionario.  Ve- 
di Teodorico  di  Meni,  che  in  qua- 
lità di  scrittore  delle  lettere  apo- 
stoliche e  di  abbreviatole  accom- 
pagnò poi  il  Papa  al  concilio,  nel- 
la Storia  dello  Scisma  d'occidente, 
Norimberga  1 53c>  ;  e  nella  Vita 
di  rapa  Giovanni  XXIII,  Franco- 
furti  ib?o.  Aggiungasi,  che  in  an- 
tichissimo codice  del  cardinal 
pranica  si  legge  della  elezione  di 
5 


GG  GIO 

Giovanni  XXIII:    quatti  fuisse  vi- 
llosa fama  est. 

Intanto  continuava  il  lungo  sci- 
sma che  avuta  l'origine  nel  i3y8, 
veniva  in  Avignone  e  nella  Spa- 
gna sostenuto  dall'  antipapa  Be- 
ìitdetto  XIII  [Vedi),  mentre  ad 
un  tempo  viveva  Gregorio  XII 
(  Vedi) ,  deposto  nel  concilio  di 
Pisa,  che  si  trattava  da  Papa,  e 
da  diversi  popoli  per  tale  era 
ancora  venerato,  per  cui  nel  gio- 
vedì santo  del  1.4  m  pubblicò  la 
consueta  bolla  in  Coena  Domi- 
ni, e  scomunicò  BaldassareCossa,  e 
l'autipapa,  con  quei  cardinali  ed  altri 
che  seguivano  il  loro  partito.  Essen- 
do morto  Roberto  re  de'  romani, 
Giovanni  XXI II  spedì  i  suoi  nun- 
zi agli  elettori  dell'impero,  affinchè 
gli  sostituissero  Sigismondo  di  Lu- 
xemburgo  re  d'  Ungheria,  il  qua- 
le regno  abbandonò  1'  ubbidienza 
di  Gregorio  XII,  per  seguir  quel- 
la di  Giovanni  XXIII.  Per  estin- 
guere lo  scisma  ordinò  che  nelle 
messe  solenni  dopo  V Agnus  Dei  si 
cantasse  il  salmo  Laetalus  sum 
con  alcuni  versetti.  Trovandosi  Gio- 
vanni XXIII  in  pericolo  di  cader 
nelle  mani  di  Ladislao  re  di  Na- 
poli che  aspirava  al  dominio  del- 
l' Italia  e  di  Roma,  nel  i4ii  si 
partì  da  Bologna  per  difenderla; 
e  dichiarando  che  il  regno  di  Na- 
poli apparteneva  a  Lodovico  d'An- 
giò,  con  questi  si  mise  in  viaggio 
per  Roma,  ove  giunse  con  gran 
giubilo  de'  cittadini  agli  1  1  apri- 
le, tenendogli  la  briglia  del  cavallo 
lo  stesso  Lodovico.  Indi  il  Papa  in- 
viò questi  col  generale  della  Chiesa 
contro  Ladislao,  che  fu  disfatto  a 
Roccasecca  nella  provincia  di  Ter- 
ra di  Lavoro,  come  dicemmo  nel 
voi.  XXVII,  a  p.  289  del  Dizio- 
nario.  Dipoi   a't)  dicembre   il   Papa 


GIO 

scomunicò  Ladislao,  lo  privò  dei 
regni  di  Napoli  e  Gerusalemme , 
e  pubblicò  contro  di  lui  la  cro- 
ciata. Ridotto  Ladislao  a  mal  par- 
tito, abbandonò  Gregorio  XII,  es- 
sendo l'unico  principe  che  l'ubbi- 
diva e  difendeva,  e  nel  \\  12  si 
sottomise  a  Giovanni  XXIII,  col 
quale  fece  a' 1 5  giugno  un  trattato, 
protestando  che  Lodovico  d'Angiò 
non  avea  diritto  alla  corona  di 
Napoli.  Ma  siccome  Ladislao  non 
operava  che  con  l'intendimento  di 
illudere  Giovanni  XXIII,  rompen- 
do la  concordia,  nel  i4«3  con  un 
esercito  occupò  Roma,  onde  Giovan- 
ni XXIII  fuggì  a  Siena,  a  Firenze,  a 
Bologna,  errando  per  le  città  lom- 
barde. 

Il  contegno  di  Ladislao  mosse 
Giovanni  XXII l  a  rivolgersi  a  Si- 
gismondo re  de'  romani  per  mezzo 
di  due  legati,  onde  questo  prin- 
cipe vedendosi  in  gran  credito  nel- 
la Chiesa,  ed  in  tutta  1'  Europa, 
disse  ai  cardinali  legati,  che  per 
estinguere  Io  scisma,  che  tanto 
affliggeva  la  Chiesa  universale,  era 
d'uopo  convocare  un  concilio  ge- 
nerale. Il  Papa  ci  convenne,  e  fu 
stabilita  la  città  di  Costanza  per 
il  luogo  del  concilio,  prometten- 
dogli Sigismondo  che  vi  esercite- 
rebbe l'autorità  suprema,  vi  avreb- 
be gli  onori  di  sommo  Pontefice, 
e  ne  potrebbe  sortire  quando  più 
gli  fosse  in  grado.  Giovanni  XXI lì 
in  questo  tempo  fece  la  terza  pro- 
mozione di  cardinali,  che  in  tutto  il 
pontificato  ne  creò  sedici,  fra' quali 
Tommaso  Brancacci  suo  nipote,  ve- 
scovo di  Tricarico.  Essendo  mortoagli 
8  agosto  1 .4 1 4-  Ladislao,  stimolato 
Giovanni  XXIII  dai  cardinali  e 
da  Sigismondo  ad  effettuare  la 
promessa  fatta  di  celebrare  il  pro- 
mulgato   concilio,    fu  costretto  av- 


OIO 

riarsi  a  quella  città  accompagnalo 

da  gran  corteggio,  come  una  vit- 
tima ornata  pel  sacrifizio.  Tutto- 
ciò  che  accadde  nella  celebrazione 
del  concilio,  le  accuse  fitte  contro 
Giovanni  XXI li,  la  sua  fuga,  la 
sua  deposizione  e  prigionia,  la  ri- 
nunzia di  Gregorio  XII,  la  depo- 
sizione di  Benedetto  XIII  dichia- 
rato scomunicato,  e  I'  elezione  di 
Martino  V ,  tutto  viene  detto  al- 
l'articolo Costatila  [le di),  ed  agli 
altri  relativi.  Fu  dunque  Baldas- 
sare  Cossa  deposto  dal  pontificato 
da  quelli  stessi  che  lo  aveano  ri- 
conosciuto per  Papa,  a'  29  maggio 
i4-i5,  cioè  dopo  cinque  anni  e 
tredici  giorni  che  l'avea  ottenuto. 
SVgli  veramente  avea  que' vizi,  che 
gli  si  opposero  come  provati  di 
una  maniera  invincibile,  ma  tanto 
più  degni  di  un  eterno  obblio;  la 
sua  umilia  e  la  sua  rassegnazione 
nel  ricevere  la  sentenza  della  sua 
deposizione,  sarebbero  sole  capaci 
ad  espiarli ,  come  rileva  il  Berca- 
stel  nella  Storia  del  cristianesimo, 
ove  lungamente,  e  con  molto  cri- 
terio descrive  la  storia  di  questi 
strepitosi    avvenimenti. 

Il  Zaccaria  nel  suo  Anli-lù-bbronio, 
t.  Il,  p.  35a,  parlando  dei  famosi  con- 
cili! di  Costanza  e  di  Basilea,  con- 
tro le  assertive  del  l'ebbi onio,  di- 
ce: che  il  concilio  generale  in  tem- 
po di  scisma  rappresenta  la  Chie- 
sa universale  in  quelle  cose,  che 
allo  sciama  si  appartengono  pei  sé 
scio;  il  concilio  generale  fuori  di 
questo  caso,  e  quando  abbiasi  certo 
e  indubitato  Pontefice,  non  rapare* 

senta  la  (Ini  si  universale,  se  non 
come  unito  al  Pontefice;  e  ciò  è 
tanto  mio,  che  se  da  questo  si 
disunisca  diviene  tosto  un  concilia- 
buio  melile  migliore  del  R. immense 
o  del    latrocinio  d'Efeso.    Quindi   il 


GIO  67 

Zaccaria,  quanto  a  Giovanni  XXIII 
ritenuto  per  Papa  dubbio,  essendo 
non  sicura  la  sua  legittimità,  lut- 
tavolta  il  concilio  di  Costanza  con- 
scio della  propria  limitata  autori- 
tà, tenne  questa  condotta  per  la 
deposizione.  Dicono  pertanto  gli 
atti  »  che  il  re  de' romani  Sigis- 
mondo, i  cardinali  e  i  deputati, 
e  molti  ajtri  proposero,  che  il  Pa- 
pa desse  alla  sentenza  della  sua  de- 
posizione assentimento,  promettesse 
di  ratificarla,  e  in  quanto  fosse 
mestiere,  egli  medesimo  rinunzias- 
se  ".  In  fatti  furono  deputati  cin- 
que cardinali  che  a  Giovanni  XXIII 
si  recassero  per  indurlo  ad  accet- 
tare la  condizione.  Giovanni  XXIII 
si  arrese,  e  confermò  dipoi  egli 
stesso  la  sentenza  della  sua  depo- 
sizione ;  laonde  ne'  concordati  di 
Narbona  tra  Sigismondo  e  i  legati 
del  concilio  da  una  parte,  e  l'ub- 
bidienza dell'  antipapa  Benedetto 
XIII  dall'altra,  piuttosto  a  volonta- 
ria cessione  di  Giovanni  XXIII, 
che  a  sentenza  del  concUio  si  ascri- 
ve, ch'egli  perdesse  il  pontificato. 
Tante  cautele  del  concilio  di  Co- 
stanza ben  mostrano,  quanto  egli 
tenesse  d'  oltrepassare  deponendo 
Giovanni  XXIII  la  sua  autorità. 
Inoltre  osserva  il  Zaccaria,  che  sa- 
rebbe ancora  a  vedere,  se  questi 
decreti  sicno  stati  fatti  in  tempo 
che  il  concilio  fosse  ecumenico,  e 
se  da  Martino  V  sieno  stati  ap- 
provati. 

Come  Baldassare  nel  1 4 1 9  scappò 
dalla  prigione,  come  si  portò  a  Firen- 
ze ai  piedi  di  Martino  V  da  cui  fu 
creato  cardinal  vescovo  di  Fra- 
scati, e  decano  del  sacro  colli 
con  distinzione  di  sedia  più  emi- 
nente, e  come  ivi  morì  a'  2?.  di- 
cembre, non  che  delle  solenni  e- 
sequie  fatte  nella  cattedrale)  e  del 


68  G  IO 

sontuoso  sepolcro  eretto  nel  tem- 
pio di  s.  Giovanni  Battista,  tutto 
si  dice  nel  voi.  XXV,  pag.  7  e  32 
del  Dizionario.  Nella  carcere  di 
Monaco,  ove  stette  per  cjuasi  quat- 
tro anni,  custodito  da  alcuni  tede- 
schi, che  non  intendevano  la  lin- 
gua di  Baldassare,  né  da  questo 
erano  intesi,  compose  i  seguenti 
Tersi ,  che  non  mostrano  meno  il 
suo  spirito  ed  il  suo  gusto  per 
le  lettere,  che  la  sua  passione  nel 
■vedersi  per  la  mutazione  di  sua 
sorte  abbandonato  e  tradito  dai 
suoi  nemici  ,  e  rinserrato  in  una 
cercere  chi  fino  allora  era  stato 
temuto  da  tutto  il  mondo. 

Qui  modo  summus    eram,  gau- 
dens  et  nomine  Praesul, 
Tristis  et  abjectus   nunc  mea 
fata  gemo. 
Excelsus  solio  nuper  versabar  in 
allo, 
Cunctaaue  gens  pedibus  oscu- 
la prona  dabat. 
Nunc  ego  poenarum  fundo    de- 
volvor  in  imo, 
Vultum    deformeni    quemque 
v'idere  piget. 
Omnibus  in  terris    aurum   mihi 
sponte  ferebant, 
Sed  nec  gaza  j'uvat,  nec  quis 
amìcus  adest. 
Sic  varians  fortuna    vices ,  ad- 
versa  secundis 
Subdit,  et  ambìguo  nomine  lu- 
dit  atrox. 

Vacò  la  s.  Chiesa  dalla  depo- 
sizione di  Giovanni  XXIII  sino 
alla  elezione  di  Martino  V,  due 
anni,  cinque   mesi  ed    otto  giorni. 

GIOVANNI,  Cardinale.  V.  s. 
Giovassi  I,  Papa. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni diacono  cardinale  della   regione 


GIO 

seconda  e    nona,   fiorì  nel   pontifi- 
cato di  s.  Gelasio  I  del  492- 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  de'  ss.  Gervasio 
e  Protasio  del  titolo  in  Vestina , 
ossia  s.  Vitale,  è  registrato  tra  i 
cardinali  di  s.  Gregorio  I  del  5go. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Gio- 
vanni prete  cardinale  del  titolo  di 
s.  Grisogono  in  Trastevere,  fiorì 
sotto  s.   Gregorio  I  del  5go. 

GIOVANNI,  Cardinale.  V.  Gio- 
vassi II,  Papa. 

GIOVANNI,  Cardinale.  V.  Gio- 
vassi IV  Papa . 

GIOVANNI,  Cardinale.  V.  Gio- 
vanni  V   Papa. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovanni 
prete  cardinale  del  titolo  del  Mai- 
tire  di     Cristo nella    via 

Appia,  visse    sotto  s.   Gregorio  III 
del  73  1. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Gio- 
vanni prete  cardinale  del  titolo 
di  s.  Marcello ,  trovasi  registrato 
fra  quelli  di  s.  Gregorio  III  del 
73i. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  del  titolo  dei 
ss.  martiri  Aquila  e  Prisca,  fiorì 
nel  pontificato  di  s.  Gregorio  III 
del  73 1. 

GIOVANNI  ,  Cardinale.  Gio- 
vanni cardinale  arciprete  di  s.  Su- 
sanna, intervenne  al  concilio  roma- 
no, celebrato  da  s.  Zaccaria  nel 
743  o    74I 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni consagrato  vescovo  di  Ferrara 
da  Adriano  I,  e  da  lui  e  da  s.  Leone 
III  decorato  di  vari  privilegi,  vieue 
dalla  più  parte  degli  scrittori  annove- 
rato nel  numero  de'  cardinali  di  s. 
Leone  III  del  795.  Il  Muratori 
nel  t.  Ili  delle  Ant.  ilal.  p.  12, 
ricorda  una  bolla  del  780 ,  in 
virtti  della    quale  Adriano  I  elesse 


GIO 
Giovanni  in  vescovo  di  Ferrara; 
ma  egli  crede  che  tal  bolla  sia 
falsa  a  cagione  della  data.  Il  Gua- 
rino afferma  di  aver  veduto  una 
bolla  data  in  Laterano  a'g  marzo 
772  contenente  i  mentovati  pri- 
vilegi. 

GIOVANNI  ,  Cardinale.  Gio- 
vanni vescovo  cardinale  di  Selva 
Candida,  si  crede  che  nel  pontifi- 
cato di  s.  Leone  III  del  795  e- 
sercitasse  gli  uffizi  di  bibliotecario 
e  cancelliere  della  Chiesa  romana. 
Egli  fu  indivisibile  compagno  di 
tal  Papa,  allorquando  nella  sua 
fuga  da  Roma  si  condusse  in  Ger- 
mania, e  in  Francia  da  Carlo  Ma- 
gno. Trovossi  presente  al  concilio 
celebrato  in  Roma  nell'  862  da 
Eugenio  II,  e  col  carattere  di  le- 
gato apostolico  si  portò  dall'impe- 
ratore Lodovico  I,  insieme  a  Teo- 
doro nomenclatore  ,  Sergio  duca, 
Quirino  suddiacono,  e  Leone  mae- 
stro delle  milizie  ,  per  giustificare 
il  Pontefice  dalle  calunnie  cui  e- 
ra  iniquamente  travagliato,  come 
eseguì  con  felicissimo  successo. 

GIOVANNI,  Cardinale.  V.  Gio- 
varvi VII  Papa. 

GIOa^  ANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni vescovo  cardinale  d'Albano,  fiori 
in'11'832  sotto  Gregorio  IV,  secondo 
I'  Assemanni  nella  serie  dei  biblio- 
tecari di  s.  Chiesa.  Ma  il  Galletti 
dice  che  il  bibliotecario  di  Gresro- 
rio  IV  fu  Leone ,  e  con  più  ra- 
gione. Il  Cardella  opina  che  sia 
quel  Giovanni  cardinale  che  sotto- 
scrisse la  bolla  di  Gregorio  V,  di 
uo  privilegio  pei  monaci  di  Su- 
biaco. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovanni 
vescovo  di  Velletri  e  cardinale,  inter- 
venne al  concilio  celebrato  da  s.  Leo- 
ne IV  in  Roma  ncll'853.  Il  Borgia 
dubita   del   suo  cardinalato,    ma  il 


GIO  69 

Labbé  nel  t.  IX,  p.  no  de'  Con- 
cila ,  tra  i  vescovi  sottoscritti  in 
detto  concilio,  pone  nel  sesto  luogo 
Giovanni  vescovo  di  Velletri,  che 
dice  Bellitrensis  in  vece  di  Veli- 
trensis,  per  errore  forse  del  co- 
pista. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale,  nell'  853  fu  al 
concilio  di  s.  Leone  IV. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni arcidiacono  cardinale  della  santa 
romana  Chiesa ,  sottoscrisse  nel- 
1'  853  il  concilio  di  s.  Leone  IV. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni diacono  cardinale  fu  al  concilio 
celebrato  in  Roma  da  s.  Leone  IV 
nell' 853. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  di  s.  Cecilia,  in- 
tervenne al  sinodo  tenuto  in  Ro- 
ma nell'  872   da  Giovanni   Vili. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni diacono  cardinale  della  santa  ro- 
mana Chiesa,  sottoscrisse  il  decreto 
da  Stefano  VII  emanato  contro 
Papa  Formoso  nell'  896. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni diacono  cardinale  nell'  896  ap- 
pose la  sua  firma  al  decreto  ingiu- 
stamente emanato  da  Stefauo  VI 
detto  VII  ,  contro  il  Pontefice 
Formoso. 

GIOVANNI,  Cardinale.  V.  Gio- 
varvi Vili  Papa. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  del  titolo  de' ss. 
Silvestro  e  Martino,  fiorì  sotto  A- 
gapito   II   del   9  [6. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  del  titolo  di  s. 
Susanna  ,  è  registrato  tra  i  cardi- 
nali di  Agapito  II  del   q^6. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni diacono  cardinale  venne  spedito 
da  Agapito  II  del  9  \G  col  caratte- 
re di  suo  legato  all' imperatore  Ot- 


7o  GIO 

tone  I,  per  indurlo  a  liberare  la 
Chiesa  romana  insieme  col  suo 
pastore  dalle  mani  de'nemici.  Resti- 
tuitosi a  Roma  intervenne  al  con- 
ciliabolo tenuto  dall'  antipapa  Leo- 
ne Vili  contro  il  Papa  Giovanni 
XII ,  il  quale  richiamato  poi  dai 
romani  abrogò  gli  atti  del  conci- 
liabolo, e  fece  mozzare  la  mano 
destra  al  cardinale,  in  pena  di  sua 
temerità  e  ribellione,  per  aver  sot- 
toscritto con  essa  la  sua  depo- 
sizione. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  di  s.  Croce  in 
Gerusalemme ,  è  notato  fra  quelli 
di  Giovanni  XV,  e  sottoscritto  ad 
una  bolla  di  Benedetto  Vili  del 
lòil. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  di  s.  Damaso, 
nel  993  sottoscrisse  la  bolla  di 
Giovanni  XVI,  per  la  canonizza- 
zione di  s.  Uldarico. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  de' ss.  Apostoli, 
sottoscrisse  nel  993  la  bolla  con  la 
quale  Giovanni  XV  detto  XVI  ca- 
nonizzò s.  Uldarico. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  de'  ss.  Quattro 
Coronati,  appose  la  sua  firma  alla 
bolla  di  canonizzazione  di  s.  Ulda- 
rico, emanata  da  Giovanni  XVI 
nel  993. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  del  titolo  di  s. 
Clemente,  sottoscrisse  la  bolla  con 
cui  Giovanni  XVI  nel  993  cano- 
nizzò s.   Uldarico. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni cardinale  diacono  ed  oblaziona- 
rio,  si  trova  sottoscritto  alla  bolla 
di  Giovanni  XVI  del  993,  per  la 
canonizzazione  di  s.  Uldarico ,  che 
fu  la  prima  nella   Chiesa. 

GIOVANNI,    Cardinale.  Giovan- 


do 

ni  diacono  cardinale,  sottoscrisse  nel 
993  la  bolla  di  Giovanni  XVI,  con 
cui  canonizzò  s.   Uldarico. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni vescovo  cardinale  di  Albano,  è 
registrato  tra  i  cardinali  di  Gio- 
vanni XVI  del  985  :  fu  biblioteca- 
rio di  s.  Chiesa  nei  pontificati  di 
Gregorio  V,  e  Silvestro  II;  e  si 
trova  sottoscritto  ad  una  bolla  di 
Giovanni  XVI ,  con  la  quale  con- 
fermò i  privilegi  del  monistero  di 
Fulda. 

GIOVANNI,  Cardinale.  V.  Gio- 
vanni IX  Papa. 

GIOVANNI,  Cardinale.  V.  Be- 
nedetto Vili  Papa. 

GIOVANNI,  Cardinale.  V.  Gio- 
vanni XVII  detto  XVIII  Papa. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  del  titolo  di  s. 
Croce  in  Gerusalemme,  viene  re- 
gistrato tra  i  cardinali  di  benedet- 
to   Vili   del    10  12. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  del  titolo  di  s. 
Susanna,  sottoscrisse  nel  sinodo  ro- 
mano di    Benedetto  Vili  del  1012. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  del  titolo  di  s. 
Marcello ,  intervenne  al  sinodo  di 
benedetto  Vili  del  101*2,  pel  de- 
creto a  favore  di  Villelmo  abbate 
di  s.   Benigno  di   Fluttuarla. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni diacono  cardinale,  intervenne  al 
sinodo  romano  di  Benedetto  \  HI 
del    1012. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni del  Papa  patrizio  romano,  fu 
crealo  cardinale  diacono  da  Gio- 
vanni XX  del  1024,  che  gli  con- 
ferì la  chiesa  di  s.  Agata  per  dia- 
conia; poi  seguì  il  Pontefice  (pian- 
do si  portò  a  cons-agrare  la  chiesa 
patriarcale  d' Aquilcia.  Nel  io36 
Benedetto    IX    lo    fece     vescovo    di 


GIO 

Palesi  ri  ria,  nell'anno  seguente  inter- 
venne al  coneilio  che  questo  Papa 
celebrò  in  Laterano,  e  morì  in  Ro- 
ma d'anni  38,  nel  io4o.  Fu  sepolto 
nella  sua  diaconia  con  lungo  epi- 
taffio in  versi,  riportalo  dall'  Cghclli 
nella  serie  de'  vescovi   Prenestini. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  del  titolo  di  s. 
Marcello,  sottoscrisse  la  bolla  che 
Giovanni  XX  nell'anno  1026  spedì 
al  vescovo  di  Selva  Candida  ,  ed 
altra  con  la  quale  quel  Papa  con- 
cesse un  privilegio  alla  patriarcale 
di    Grado. 

GIOVANNI,  Cardinal**.  Giovan- 
ni prete  cardinale  del  titolo  di  s. 
Grisogono,  nel  1026  sottoscrisse  la 
bolla  di  Giovanni  XX  in  favore 
del  vescovo  di  Selva  Candida ,  ed 
il  privilegio  da  quel  Papa  accorda- 
to alla  chiesa  di   Grado. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni cardinale  suddiacono,  sottoscrisse 
ad  un  privilegio  che  Giovanni  \\ 
del  1024  concesse  al  patriarca  di 
Grado. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Sotto- 
scrisse al  privilegio  della  chiesa  pa- 
triarcale di  Grado,  accordato  da 
Giovanni  XX  del  1024,  con  que- 
sta forinola  :  Giovanni  per  grazia 
del  Signore  diacono. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  di  s.  Calisto  in 
Trastevere,  appose  la  sua  firma  ad 
1.11  privilegio  di  Giovanni  XX  del 
1024,  in  vantaggio  della  chiesa  di 
Grado. 

GIOVANNI,  Cardiale.  Giovan- 
ni cardinale  \  escovo  di  Porto,  vide 
f  anima  di  benedetto  Vili  morto 
nel  1024,  tormentata  nel  fuoco  del 
purgatorio,  come  narra  s.  Pier  Da- 
miano :  appose  la  sua  sottoscrizione 
■d  una  bolla  ch'emanò  il  detto 
Papa  per  la  chiesa  di  Firenze 


GIO  71 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovali- 
m  vescovo  cardinale  di  Palestrina, 
fiorì  nel  pontificalo  di  Benedetto 
IX,  e  nel  io44:  in  quello  di  san 
Leone  IX  consagrò  l' altare  di  s. 
Agata  nella  diaconia  di  Roma. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni cardinale  nipote  di  Benedetto  IX 
del    io33,  e  veseoxo  Lavicanense. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Tre  car- 
dinali fiorivano  nel  pontificato  di 
Benedetto  IX  del  io33,  di  questo 
nome,  dell'ordine  de' preti,  e  tito- 
lari di  s.  Cecilia,  di  s.  Martino,  e 
di   s.   Da  ma  so. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni romano  figlio  di  Lorenzo.  V. 
Silvestro  111  Antipapa:  sembra 
che  sia  il  medesimo  che  il  se- 
guente. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni romano  fu  fatto  cardinale  e 
vescovo  di  Sabina  da  s.  Leone  IX 
del  1049,  in  sostituzione  di  altro 
Giovanni  che  nello  scisma  di  Be- 
iiidt  ito  IX  per  cinquanta  giorni 
occupò  il  palazzo  lateranense.  In- 
tervenne al  concilio  romano  di  Ni- 
colò II,  e  di  lui  si  fa  menzione  nei 
monumenti  Farfensi.  Nel  Mabillou 
toni.  IV,  lib.  5f),  n.  68,  degli  Alf 
ludi  benedettini,  si  narra  che  volen- 
do il  cardinale  saccheggiare  il  mo- 
nistero  di  Farla ,  si  portò  con  ar- 
mata mano  alla  chiesa  di  s.  An- 
gelo in  Tancia,  dipendente  da  tal 
monastero,  e  rovesciato  l'altare  u 
prese  le  sacre  reliquie.  Ma  portan- 
dosi alla  sua  residenza  il  cielo  da 
sereno  divenne  procelloso,  onde  il 
cardinale  si  ricovrò  in  luogo  detto 
l'Aja,  ove  ad  onta  della  dirotta 
pioggia  le  reliquie  restarono  asciutti- 
Sorpreso  il  cardinale  dd  terrore  pel 
prodigio,  nella  notte  per  giudi/io 
divino  lu  colpito  d'apoplessia,  t 
per  sempre  perde   un   lato    del   SUO 


7i  GIO 

corpo,  onde  pentito  del  fallo  com- 
messo, restituì  le  reliquie  alla  chie- 
sa. Altri  dicono  che  questo  Giovan- 
ni sia  Io  stesso  che  il  precedente, 
che  s'intruse  nel  pontificato  col 
nome  di  Silvestro  III.  Certo  è  che 
s.  Leone  IX,  alle  querele  di  cin- 
quecento monaci  di  FarFa ,  confer- 
mò i  privilegi  che  il  cardinale  an- 
nientava. Dopo  tante  strane  vicen- 
de morì,  passati  quarantanni  di 
cardinalato. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  fiorì  nel  pontifi- 
cato di  s.  Leone  IX  del  1049,  e 
fu  arciprete  della  basilica  vaticana. 
GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni cardinale  vescovo  di  Tivoli,  è 
noverato  tra  i  cardinali  di  Vitto- 
re lì  del  io55,  indi  sottoscrisse  al 
concilio  Lateranense  di  Nicolò  II. 
GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  fu  creato  da  Ste- 
fano X  del  1057,  nel  cui  pontifi- 
cato morì. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  del  titolo  di  s. 
Marco,  è  registrato  tra' cardinali  di 
s.  Leone  IX,  ed  intervenne  al  con- 
cilio nel  io5c),  celebrato  in  Late- 
rano  da  Nicolò  II. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni vuoisi  che  sia  uno  di  quei  car- 
dinali, che  Nicolò  II  creò  in  Osi- 
mo  agli  8   marzo    1  o5g. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  di  Nicolò  II  del 
io58,  intervenne  con  Alessandro 
li  alla  dedicazione  della  chiesa  di 
Monte  Cassino. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni cardinale  vescovo  Tusculano, 
creato  da  Alessandro  II  del  1061, 
fu  presente  alla  consagrazione  che 
fece  il  medesimo  della  basilica  di 
Monte  Cassino;  ed  egli  nello  stesso 
tempo  consagrò  un  altare  della  b\ 


GIO 

Vergine,  ed  una  chiesa  sotto  l'invo- 
cazione di  s.  Martino,  in  compa- 
gnia di  sei  altri  vescovi.  Nello  sci- 
sma dell'antipapa  Clemente  III  si 
tenne  costantemente  unito  a  s.  Gre- 
gorio VII,  e  finì  di  vivere  nel  1088, 
o  nel  pontificato  di  Pasquale  lì. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni cardinale  vescovo  di  Porto,  crea- 
to da  Alessandro  II  nel  1066,  in- 
tervenne alla  consagrazione  della 
chiesa  di  Monte  Cassino.  Nemico 
dell'antipapa  Clemente  III,  ad  on- 
ta delle  minacce  dell'  imperatole 
restò  sempre  fedele  a  s.  Gregorio 
VII,  di  cui  fu  uno  degli  elettoli, 
e  con  grande  impegno  cooperò  in 
Terracina  all'elezione  di  Urbano 
II,  nel  cui  pontificato  pieno  di  me- 
riti morì,  dopo  aver  assistito  alla 
consagrazione  di  Lamberto  vesco- 
vo d'Arras,  fatta  in  Roma  nel  1093. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni cardinale  prete  della  basilica  dei 
ss.  XII  Apostoli,  fu  creato  da  A- 
lessandro  II   dopo  il   1066. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni, francese  di  nazione,  monaco  e 
poi  abbate  del  monistero  di  Dol 
nella  Bretagna  minore,  da  s.  Gre- 
gorio VII  del  1073  fu  creato  car- 
dinale prete  del  titolo  de' ss.  Sil- 
vestro e   Martino  a'  Monti. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni fu  creato  diacono  cardinale,  e 
poi  arcidiacono  di  s.  Chiesa  ,  da 
s.  Gregorio  VII  del  io-3,  che  ab- 
bandonò per  seguir  l'antipapa  Cle- 
mente III. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni monaco  e  XXII  abbate  del  mo- 
nistero di  Subiaco  dell'ordine  di 
s.  Benedetto,  essendo  levita  del  sa- 
cro  palazzo,  fu  da  s.  Gregorio  \  1 1 
del  1073  creato  diacono  cardinale 
di   s.   Maria  in  Domnica. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovali- 


GIO 

ni  di  Gubbio  da  Urbano  II  del  1088 
fu  creato  cardinale  prete  di  s.  Ana- 
stasia; indi  nel  iio5  fu  deputato 
da  Pasquale  II  alla  legazione  del- 
l' Umbria,  nel  qual  tempo  d'ordi- 
ne e  commissione  del  Papa  con- 
sagrò  vescovo  di  Gubbio  s.  Gio- 
vanni da  Lodi,  dopo  la  cui  prezio- 
sa morte  fu  incaricato  dalla  santa 
Sede  di  scriverne  la  vita,  e  di  for- 
mare processo  autentico  delle  sue 
virtù  e  miracoli,  ch'egli  fedelmen- 
te trasmise  a  Pasquale  II,  sotto 
del   quale  morì. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni cardinale  diacono  creato  da  Ur- 
bano II  del  1088  ,  e  forse  fu 
quello  chiamato  di  s.  Maria  in 
Cosmedin  o  scuola  greca,  che  con- 
fermò con  giuramento  quanto  Pa- 
squale II  nella  sua  prigionia  ac- 
cordò ad  Enrico  V  sulle  investi- 
ture de' benefìzi  ecclesiastici. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni diacono  cardinale  di  s.  Adriano, 
creato  da  Urbano  I  del  1088, 
sottoscrisse  diverse  bolle. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  del  titolo  di  s. 
Cecilia,  creato  da  Pasquale  II  del 
i  099,  intervenne  aiconcilii  di  Gua- 
stalla e  di  Laterano,  fu  del  nu- 
mero degli  elettori  di  Gelasio  II, 
e  di  quelli  che  restali  in  Roma 
acconsentirono  a  quella  seguita  in 
Cluny  di  Calisto  li  :  forse  visse  si- 
no al    1  1  28. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni monaco  di  Monte  Cassino,  fu 
da  Pasquale  II  del  1099  fatto 
cardinale  prete  di  s.  Eusebio.  Si 
condusse  a  Benevento  con  Calisto 
li,  e  a  di  lui  persuasione  il  conte 
Rainulfo  restituì  al  nominato  mo- 
nistero  i  beni  che  gli  avea  in- 
giustamente involati.  Approvò  l'e- 
lezione di  Calisto  li  fatta  in  Fran- 


GIO  73 

eia,  concorse  a  quella  di  Onorio  li, 
e  morì  verso  il    1123. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni monaco  dell'ordine  di  s.  Bene- 
detto, abbate  del  monistero  di  s. 
Paolo  nella  via  Ostiense,  fu  da  Pa- 
squale II  del  1099  creato  cardi- 
nale prete  del  titolo  di  s.  Maria 
in  Trastevere,  e  si  trovò  ai  comizi 
per  l'elezione  di  Gelasio  II. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni da  Pasquale  II  fu  fatto  prete 
cardinale,  indi  lo  spedì  in  Francia 
legato  apostolico  col  cardinal  Be- 
nedetto, dove  in  Valenza  del  Del- 
finato  celebrò  nel  1100  un  sinodo 
con  ventiquattro  padri,  nel  quale 
furono  discusse  due  gravissime  cau- 
se, una  riguardante  Ugono  abbate 
di  Flavigny,  l'altra  Nortgaudo  ve- 
scovo d'Autun;  ed  un  altro  ne  ce- 
lebrò in  Poitiers,  al  quale  inter- 
vennero ottanta  o  centoquaranta 
vescovi,  di  concerto  con  s.  Ivone  di 
Chartres,  ad  oggetto  di  esaminare 
e  decidere  la  causa  del  re  Filippo 
I  ,  pel  suo  commercio  riprovevole 
con  Bertrada  ,  avendo  ripudiato 
Berta  sua  moglie.  Il  concilio  colpì 
il  re  con  sentenza  d'anatema. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni cardinale  diacono  di  s.  Nicola 
in  Carcere,  nel  ri 23  sottoscrisse 
la  bolla  di  Calisto  II,  a  favore  del 
monistero  di  s.  Remigio  di  Pro- 
venza. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni nacque  da  onesti  genitori  in 
Bologna,  abbracciò  l'istituto  dei 
camaldolesi  ,  dove  si  avanzò  tal- 
mente nell'esercizio  della  religio- 
sa perfezione,  che  ne  giunse  il  buon 
odore  fino  in  Sardegna,  por  cui 
Costantino  re  di  quell'isola  volle  che 
ivi  fossero  introdotti  per  suo  mezzo 
i  camaldolesi.  Pasquale  II  approvò 
l'elezione  fatta  di   lui    nel    1  1  i  \    in 


74  01 0 

priore  generale  della  sua  congre- 
gazione, ed  Onorio  li,  secondo  alcuni 
suo  concittadino,  nelle  tempora  del 
dicembre  i  1 26  lo  creò  cai  dinaie,  e  «li 
conferì  il  vescovato  d' Ostia,  ch'egli 
teneva  prima  del  pontificato.  Il  Pa- 
pa si  prevalse  di  lui  nel  governo 
della  Chiesa,  siccome  personaggio 
di  sperimentata  prudenza;  indi  il 
cardinale  difese  a  tutto  potere  In- 
nocenzo li  contro  l'antipapa  Ana- 
cleto II,  dopo  avere  concorso  alla 
sua  elezione,  e  averlo  conseerato.  In- 
nocenzo Il  ancora  se  ne  servì  ne- 
gli a  Sari  più  ardui  della  santa  Se- 
de, per  la  quale  non  risparmiò 
rischi  ed  enormi  fatiche  ,  onde 
procurargli  la  pace.  Pieno  di  me- 
riti e  di  gloria  mori   nel    11 33. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni canonico  regolare  della  congre- 
gazione di  s.  Frediano  di  Lucca  , 
nel  giorno  delle  ceneri  1  i44  IU 
da  Celestino  II  creato  cardinale 
diacono  di  s.  Maria  Nuova  ;  con- 
corse alle  elezioni  di  Lucio  II, 
Eugenio  III,  ed  Anastasio  IV,  nel 
di  cui    pontificato   morì   nel    11 53. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni  di  Napoli  nel  ii5o  fu  da  Eu- 
genio III  creato  cardinale  diacono 
de'  ss.  Sergio  e  Bacco;  concorse 
alle  elezioni  di  Anastasio  IV,  e  di 
Adriano  IV,  sotto  del  «piale  ter- 
minò di   vivere. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni francese,  monaco  ed  abbate  be- 
nedettino ilei  tnonislero  di  Dol 
nella  provincia  di  Bourges,  in  da  Eu- 
genio III  nel  l  i5o  creato  cardina- 
le, e  se  ne  mostrò  ben  degno  pel 
suo  gran  senno  e  valore  nel  ma- 
neggio degli  all'ari  ecclesiastici,  on- 
de lasciò  alla  posterità  copiosi  mo- 
numenti del  suo  ingegno.  Il  Pan- 
vinio  gli  attribuisce  il  titolo  dei 
ss.   Silvestro    e  Martino    ai    Monti, 


GIO 

però  gli    attuari  del   Ciacconio     ne 
dimostrano  la   falsità. 

GIOVANNI  ,  Cardinale.  Ca- 
varmi fu  da  Alessandro  III  del 
1  1 5(j  creato  cardinale  prete  dei 
ss.  Giovanni  e  Paolo,  e  nel  11 78 
sottoscrisse  una  bolla  di  tal  Papa, 
per  Oprando  abbate  del  monistero 
di  s.  Simpliciano  nella  diocesi  di 
Milano. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Gio- 
vanni nel  marzo  del  1  1 78  fu  da 
Alessandro  III  creato  cardinale  dia- 
cono di  s.  Angelo,  indi  da  Lucio 
III  inviato  legato  a  Costantinopoli 
per  ridurre  alla  Chiesa  romana  gli 
scismatici,  i  quali  con  percosse  ini- 
quamente lo  cacciarono,  onde  tor- 
nato in   Roma  morì  nel    1182. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni prete  cardinale  del  titolo  di  s. 
Marco  alle  l'alatine  ,  sottoscrive 
molte  bolle  di    Lucio   III  del   1181. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni lombardo  di  nazione,  vescovo  di 
Toscanella,  nel  1181J  fu  da  Cle- 
mente III  creato  cardinale  prete 
del  titolo  di  s.  Clemente,  in  tem- 
po del  quale  avendo  Celestino  111 
decorato  Viterbo  della  cattedra  ve- 
scovile, l'unì  alla  chiesa  di  Tosca- 
nella, insieme  a  L'ieda  e  Civita- 
vecchi;!.  Intervenne  alla  solenne 
consagi azione  che  Celestino  111  le- 
ce della  chiesa  di  s.  Lorenzo  iu 
Lucina  di  Roma.  In  Viterbo  ac- 
colse insieme  a  quattordici  cardi- 
nali Innocenzo  111,  il  quale  vi  con- 
sagrò la  chiesa  di  s.  Marco,  e  poi 
nel  ii«i')  trasferì  il  cardinale  al 
vescovato  di  Albano.  Neil'  ultimo 
anno  di  questo  ebbe  lite  coli  abba- 
te di  Grottal'errata,  riguardante  i 
diritti  della  chiesa  di  s.  Nicolò  di 
Nettuno,  che  il  Papa  decise  in  fa- 
vore del  cardinale.  Sembra  ch'egli 
abbia  latta  una  visita  generale  di  Stta 


GIO 

diocesi,  e  che  perciò  tenesse  ordi- 
nazione in  s.  Maria  di  Nemi  di 
pertinenza  allora  de'  monaci  di  s. 
Anastasio,  come  dicemmo  parlan- 
do di  Nemi  all'  articolo  Genzano. 
I  monaci ,  per  la  contrarietà  che 
mostrarono  sempre  ai  vescovi,  cre- 
dendo lesi  i  loro  privilegi,  caccia- 
rono dalla  chiesa  gli  ordinati.  Mo- 
rì in  Roma  nel  12  io. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni patrizio  salernitano,  monaco 
cassinese,  nella  Pentecoste  del  1  191 
fu  da  Celestino  III  creato  cardina- 
le prete  del  titolo  di  s.  Stefano  a 
Monte  Celio,  indi  legato  d'Alema- 
gna.  Dopo  la  morte  del  Papa  es- 
sendo slato  eletto  suo  successore 
da  dieci  cardinali,  per  soffocare 
nel  suo  nascere  uno  scisma  e  di 
funeste  conseguenze,  con  eterna 
gloria  del  suo  nome  cede  spon- 
taneamente al  diritto  di  elezione,  e 
guadagnò  que'  voti  a  favore  del 
cardinal  Lotario  Conti,  il  quale 
restò  canonicamente  eletto  col  no- 
me d'Innocenzo  III.  Questi  lo  de- 
corò di  onorevoli  legazioni,  prima 
nel  regno  di  Napoli,  insieme  col 
cardinal  Gherardo,  per  invitare  i 
baroni  di  quel  dominio  a  desistere 
di  favorire  il  tiranno  Mareualdo, 
ed  a  mantenersi  fedeli  a  Federico 
11,  di  cui  il  Papa  era  tutore.  Si 
trasferì  in  seguito  con  lo  stesso  ca- 
rattere nella  Sicilia,  per  mantene- 
re nella  debita  ubbidienza  quel- 
1'  isola  dalla  santa  Sede  data  in 
investitura  a  Federico  II.  In  que- 
sta legazione  per  la  bravura  del 
cardinale,  il  conte  di  Lameste  giu- 
stiziere del  regno ,  promise  con 
pubblico  e  solenne  giuramento  di 
ubbidire  agli  ordini  della  Chiesa 
romana.  Passò  in  seguito  nella  Sco- 
zia e  nell'Irlanda,  ed  ivi  pure  di- 
portasi   da    fedele     ministro    della 


GIO  75* 

santa  Sede,  con  l'esercizio  delle  più 
sublimi  virtù,  e  tra  le  altre  di  una 
eroica  astinenza  dal  vino  e  dalle 
carni,  né  sembra  doversi  valutare 
la  taccia  che  di  avaro  gli  die  Ro- 
gerio  Ovedeno  storico  inglese.  Men- 
tre si  trovava  in  Irlanda  Innocen- 
zo III  gli  scrisse  diverse  lettere,  in- 
culcandogli di  eliminare  il  detesta- 
bile abuso  ivi  introdottosi,  che  i 
figli  e  i  nipoti  succedessero  agli 
avi  ne'  benefizi  ecclesiastici.  Morì 
nel  1208  o  nel  12  io  in  Roma, 
o  verso  il  1 2 1 2  secondo  il  Ciac- 
conio. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Gio- 
vanni suddiacono,  notaio  aposto- 
lico, e  pontifìcio  cappellano,  insi- 
gnito del  titolo  di  maestro,  nel 
marzo  o  dicembre  120J  Innocen- 
zo III  lo  creò  cardinale  diacono 
di  s.  Maria  in  Via  Lata,  e  vice- 
cancelliere di  s.  Chiesa.  Avendo 
Giovanni  re  d' Inghilterra  eccitala 
una  fiera  persecuzione  contro  gli 
ecclesiastici  di  quel  regno,  il  Pa- 
pa per  I'  esperienza  che  aveva  del- 
la fedeltà ,  saviezza  e  valore  del 
cardinale,  lo  spedì  colà  per  legato, 
ove  restò  per  due  anni;  indi  in 
coinpaguia  del  cardinal  Pietro  si 
trasferì  nelle  Gallie  per  stabilir 
la  pace  tra  i  re  di  Francia  e  d'In- 
ghilterra, ove  persuase  il  primo  a 
riprendere  la  ripudiata  moglie.  Fu 
onorato  di  diverse  lettere  da  In- 
nocenzo   III,  e   morì   nel    12  io. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni cappellano  pontificio  ossia  udi- 
tore di  rota,  nel  marzo  o  dicem- 
bre !2o5  Innocenzo  III  lo  creò  car- 
dinale diacono J  sottoscrisse  varie  sue 
bolle,  intervenne  all'elezione  di  O- 
norio   III,  e   morì    nel    12 17   circa. 

GIOVANNI,  Cardinale.  Giovan- 
ni nel  121  1  fu  da  Innocenzo  III 
crealo     cardinale    prete     del    titolo 


76  GIO 

di  s.  Prassede,  indi  Io  deputo  giu- 
dice in  una  causa,  e  poscia  Jo 
inviò  legato  in  oriente,  ove  fu 
imprigionato  dal  duca  Teodoro 
Comneno,  ma  per  la  mediazione 
di  Giovanni  vescovo  di  Crotone 
nel  12 17  fu  liberato.  Intervenne 
ai  sagri  comizi  di  Onorio  III,  e 
morì  verso   il    1121. 

GIOVANNI  m  Raousi,  teologo 
distinto  del  secolo  XV.  Entrò  da 
giovine  nell'ordine  di  s.  Domeni- 
co; la  perizia  acquistata  nelle  lingue 
orientali  fu  per  lui  un  soccorso  per 
penetrare  i  sensi  più  reconditi  del- 
le divine  Scritture ,  ed  arricchirsi 
di' quanto  gli  scrittori  greci  antichi 
e  moderni  hanno  di  più  raro.  Pre- 
se la  laurea  dottorale  a  Parigi ,  e 
nel  1^.16  fu  eletto  procuratore  ge- 
nerale del  suo  ordine  presso  la  cor- 
te di  Roma,  sotto  il  Papa  Marti- 
no V,  che  lo  nominò  uno  de' suoi 
teologi  al  concilio  di  Basilea.  Fu 
pure  scelto  a  presiedervi  in  luogo 
del  cardinale  Giuliano  Cesarmi  che 
non  poteva  trovarvisi  all'apertura. 
Giovanni  giunse  a  Basilea  nel  1 4-3  1 , 
e  vi  perorò  con  molta  forza.  In 
seguito  parlò  per  otto  mattine  nel 
concilio,  per  combattere  la  dottrina 
degli  ussiti.  Fu  spedito  a  Costan- 
tinopoli in  qualità  di  legato,  all'ine 
d'  indurre  l'imperatore  Giovanni 
Paleologo  ed  il  patriarca  Giuseppe 
a  mandare  deputati  a  Basilea  per 
trattarvi  la  riunione;  il  che  otten- 
ne. Ma  i  greci  non  avendo  fatto 
nessun  conto  di  quanto  i  loro  am- 
basciatori avevano  promesso  al 
concilio,  fu  Giovanni  inviato  nuo- 
vamente a  Costantinopoli  con  mol- 
ti altri,  e  dopo  molte  conferenze 
giunse  a  far  sottoscrivere  alcuni 
articoli.  Egli  trovavasi  ancora  a  Co- 
stantinopoli quando  il  senato  di 
Ragusi    a' 3o    dicembre    i/j.35    Io 


GIO 

propose  per  un  vescovato  della 
Dalmazia,  che  non  volle  accettare. 
Ottenuto  finalmente  quanto  bra- 
mava dall'imperatore  e  dal  patriar- 
ca, tornò  a  Basilea  ,  dove  credesi 
che  arrivasse  coli' ambasciatore  del 
Paleologo  in  principio  di  febbraio 
1437.  Poco  dopo  fu  deputato  pres- 
so il  Pontefice  Eugenio  IV  in  occa- 
sione della  divisione  che  manifestossi 
nel  concilio  a'  7  maggio  di  quel- 
l'anno, ed  in  appresso  fu  inviato 
per  la  terza  volta  a  Costantinopoli. 
Questa  nuova  negoziazione  non  sor- 
fi  un  esito  felice  ;  Giovanni  si  ri- 
mise in  mare,  e  arrivò  a  Venezia 
l'8  febbraio  1 438.  Dopo  tal  epo- 
ca la  storia  di  questo  legato  è  in- 
certa. Alcuni  pretendono  col  padre 
Echard,  che  abbia  sempre  aderito 
al  concilio  di  Basilea,  e  che  dal- 
l'antipapa Felice  V  sia  stato  fatto 
vescovo  d'  Argo  nel  Peloponneso, 
e  quindi  cardinale,  come  scrivem- 
mo al  volume  IV,  pag.  171  del 
Dizionario.  Altri  vogliono  che  ab- 
bia abbracciato  il  partito  di  Eu- 
genio IV,  e  che  questo  Pontefice 
gli  conferisse  il  vescovato  d'Argo 
al  suo  ritorno  dal  terzo  viaggio  di 
Costantinopoli.  Secondo  l'opinione 
più  comune  egli  visse  fino  do- 
po l'anno  1 44-3-  Gli  scritti  che 
di  lui  ci  rimangono  sono:  i.°  Il 
lungo  discorso  da  lui  recitato  nel 
concilio  di  Basilea  contro  gli  errori 
degli  ussiti ,  riportato  nella  storia 
di  quel  concilio,  e  dal  Bzovio  nel 
toni.  XVI  degli  annali  ecclesiasti- 
ci. 2.0  Gli  atti  della  sua  legazione 
a  Costantinopoli,  che  trovatisi  fra 
quelli  del  concilio  di  Basilea ,  e 
quattro  lettere  sul  medesimo  sog- 
getto, che  veggonsi  manoscritte  nel- 
la biblioteca  del  granduca  di  Fi- 
renze. 3.°  Una  relazione  de' suoi 
viaggi  in    oriente  ,  conservataci  da 


GIO 

Leone  Allacci.  4-°  Un   sermoue  in 
lode  di  s.  Benedetto,  pronunciato  a 
Roma  nel    i43o    in    presenza    dei 
cardinali.  La  sua  opera    sui    nomi 
indeclinabili   ed    alcuue    espressioni 
della  Bibbia,  che   condusse    a  fine 
in  Costantinopoli,  non  si  trova. 
GIOVANNI  (s.)  d'Acri.  V.  Acri. 
GIOVANNI  BATTISTA  e  TOM- 
MASO (ss.),  Ordine  equestre.  In  Ac- 
cona,  non  in  Ancona,  alcuni  zelanti 
e  pii  gentiluomini  gli  dierono  ori- 
gine per  soccorrere    gl'infermi ,    da 
loro  caritatevolmente  accolti  in  di- 
versi ospedali  appositamente  eretti, 
che  poscia  furono    ridotti    in    com- 
mende a  causa  delle  pingui  lascite, 
e    di    molti    privilegi    conceduti  ai 
medesimi    dai    sommi    Pontefici,    i 
quali  avendo  innalzato    i    gentiluo- 
mini al  grado  di  cavalieri,  sotto  gli 
auspico  de'  ss.  Gio.  Battista  e  Tom- 
maso, li  obbligarono  quindi  a  fare 
la  guerra  ai    masnadieri,    per  faci- 
litare e  rendere  sicuro  1'  accesso  dei 
pellegrini  a  Terra  Santa ,    secondo 
alcuni  autori  che  scrissero  degli  or- 
dini militari    ed  equestri.  L'  ordine 
fu    chiamato    anche    di    Tolemaide 
e  d'Acri,  nomi  co' quali  si   chiamò 
Accona  o  Accaron.  Alessandro    IV 
approvò  l'ordine,   e  Giovanni  XXII 
lo  confermò  sotto   la    regola    di    s. 
Agostino.  Alfonso  X  il  Savio  re    di 
Castiglia,  avendo  chiamato  nel  suo 
stato   molti  di  questi   cavalieri    per 
guerreggiare  contro  i  mori,  li  ricolmò 
di  benefizi,    e    nel    suo    testamento 
gli    lasciò    considerabili     ricchezze; 
ma  per  le  perdite  fatte  nella  Siria, 
indebolitosi  1'  ordine,  venne  riunito 
al   Gerosolimitano,  che  in  molte  co- 
se ne  somigliava  l'istituto  e  lo  spi- 
rito. Il  padre  Bonanni,  che  nel  Ca- 
talogo degli    ordini  militari  ne    ri- 
porta a  p.  L1X  la  figura,  dice  che 
l' insegua    consisteva    in    una  croce 


GIO  77 

rossa  piana,  terminata  con  le  punte 
a  martello,  e  in  mezzo  di  essa  era- 
no le  immagini  de'  ss.  Gio.  Batti- 
sta e  Tommaso. 

GIOVANNI  POLI    o    GIOVAN- 
NOPOLI.  Borgata  o    piccola    citta 
che    Giovanni    Vili    dell' 872    fab- 
bricò sulla  via  Ostiense,  per  mette- 
re al  coperto  la  basilica  di  s.  Pau- 
lo dalle  incursioni    e  piraterie    dei 
saraceni,  e  dalle  vessazioni  delle  ma- 
snade, onde  gli  diede  il  suo  ponti- 
ficio nome.   In  processo    di    tempo 
andò    distrutta,    come    si    disse    al 
voi.  XII,  p.   211    del    Dizionario. 
GIOVENAZZO  (Juvenacen).  Cit- 
tà   vescovile    del    regno    delle    due 
Sicilie,  nella  provincia  di  Terra  di 
Bari,  posta  su  d'  una  roccia  in  ri- 
va al  mare    Adriatico ,    con    titolo 
di  ducato ,    capoluogo    di    cantone. 
L'origine  della  città    è    assai  anti- 
ca,  e  si  chiamò  Natiohim  Juvena- 
cium:  le  sue   mura,  e  l'elevato  ca- 
stello vecchio  dimostrano  come  fos- 
se un  tempo    validamente    munita. 
Rinchiude  oltre  la  cattedrale,  fatta 
edificare    dall'  imperatore     Federi- 
co I  nel  11 83,  diverse  altre  chiese, 
vari  ospedali,  ed  istituti  di  benefi- 
cenza per  l'educazione,  pei  fanciulli 
esposti,  pei  mendicanti  e  vagabon- 
di. Contiene  circa  settemila  abitanti, 
ed  ha   il    territorio    ridondante    di 
cereali  ,  vino ,  olio    ed    amandorle. 
Dicesi  che  sia  stata  fabbricata  sul- 
le rovine  dell'  antica  Ignatia,  e  fu 
signoria    della    nobile    famiglia    del 
Giudice. 

La  sede  vescovile,  al  dire  di  Com- 
man ville,  fu  eretta  verso  l'anno 
65 1,  sotto  la  metropoli  di  Bari, 
altri  più  tardi  fanno  fondata  que- 
sta sede ,  cioè  nel  decimo  o  uel 
decimoprimo  secolo,  ed  è  perciò 
che  alcuni  ne  fanno  pruno  vescovo 
Pandouo  del   q5i,   altri  Giovanili 


78  GIO 

del  107 1,  il  quale  intervenne  alla 
solenne  dedicazione  che  il  Papa  A- 
Jessandro  II  fece  della  basilica  di  Mon- 
te Cassino,  e  governò  venticinque  an- 
ni. Nel  1096  gli  successe  Pietro  che 
consacrò  la  chiesa  di  s.  Eustachio 
di  Padula  nella  diocesi;  nel  1  1  1 3 
Bernerio  che  ottenne  dalla  regina 
Costanza  le  decime  sulla  città  ,  in 
suffragio  dell'  anima  del  suo  defun- 
to marito  Boeniondo  principe  di 
Antiochia.  Orso  del  1124  seguen- 
do le  parti  di  Anacleto  II  antipa- 
pa ne  ottenne  un  privilegio.  Berto 
del  1172  sperimentò  con  la  sua 
chiesa  la  munificenza  del  re  Gu- 
glielmo. Paolino  del  11 84  consacrò 
il  nuovo  battisterio.  Pietro  nel 
1226  eletto  dal  capitolo,  fu  con- 
fermato da  Onorio  HI.  Leonardo 
de  Sermineto,  monaco  di  Fossa  - 
nuova,  ben  accetto  ad  Innocenzo  IV 
per  esemplarità  di  vita  e  lettera- 
tura, nel  12  53  fu  promosso  a  que- 
sta chiesa.  Salvio  eletto  dal  capito- 
lo, fu  confermato  da  Gregorio  X 
nel  1275.  Fr.  Giovanni  da  Traili 
de' minori,  a'2  maggio  1283  con- 
sagrò solennemente  la  cattedrale. 
Fr.  Guglielmo  inglese  de' minori, 
nel  i32Q  ottenne  dal  re  Roberto 
la  reintegrazione  dei  diritti  spettanti 
alla  chiesa.  Giacomo  Morola  o  Mo- 
roni  nel  i333  divenne  vescovo  del- 
la patria.  Bonifacio  IX  nel  1390 
dalla  sede  di  Tropea  trasferì  a  que- 
sta Francesco  Balmolino  ;  gli  suc- 
cesse Grimaldo  de  Turcoli  di  Gio- 
venazzo.  Nel  i/±55  Calisto  III  fece 
commendatario  di  questa  chiesa  il 
cardinal  Antonio  de  la  Cerda  del 
titolo  di  s.  Grisogono.  Ebbe  a  suc- 
cessore il  vescovo  Ettore  Galgano 
d' Aversa  nel  1 4^7  >  cne  ottenne 
dal  re  Alfonso  1  la  conferma  di 
tutti  i  privilegi.  Nel  1462  Pao- 
lo II  fece  vescovo  della   patria  Ma- 


GIO 

lino  Morola  o  Moroni.  Pietro  di 
Recanati,  vescovo  del  1 4-7  '  >  otten- 
ne dal  re  Ferdinando  un  diploma 
in  favore  di  Giovenazzo  :  interven- 
ne alla  canonizzazione  che  in  Ro- 
ma celebrò  Innocenzo  Vili  di  s. 
Leopoldo  IV,  marchese  d'  Austria. 
Gli  successe  nel  1  4f)^  Giustiuo  Plan- 
ca  nobile  di  Giovenazzo,  oriondo 
romano.  Leone  X  nel  1  o  1  7  vi  co- 
stituì perpetuo  amministratore  il 
cardinale  Lorenzo  Pucci,  il  quale 
rassegnò  la  sede  con  diritto  del  re- 
gresso a  Giacomo  Tramarino  di 
Giovenazzo,  e  poi  fece  altrettanto 
con  Marcello  Planca  pure  di  Gio- 
venazzo. Nel  1^28  fu  da  Clemen- 
te VII  fatto  vescovo  Lodovico  For- 
conio,  virtuoso  ed  egregio  aquilano. 
Giovanni  de  Piibera  spagnuolo  del 
1  J49  intervenne  al  concilio  di  Tren- 
to, il  quale  trasferì  le  monache 
benedettine  nell'interno  della  città, 
presso  la  chiesa  de'  ss.  Gio.  e  Pao- 
lo, e  fu  benemerito  ed  esempi. ne 
vescovo.  Sebastiano  Barnaba  eresse 
nella  cattedrale  una  cappella  al  ss. 
Crocefisso,  ed  ottenne  da  Grego- 
rio XIII  l'indulgenza  perpetua  per 
quelli   che   la   visitassero. 

Lodati  vescovi  furono  Luciani) 
de  Rossi,  e  Gio.  Antonio  Vipera- 
Di,  Gregorio  Santacroce,  e  Giulio 
Masi  nobile  fiorentino,  il  quale  ab- 
bellì la  cattedrale,  ornò  la  cappella 
del  Crocefisso,  rinnovò  il  battiste- 
rio, eresse  una  cappella  alla  Beata 
\  ergine  di  Loreto,  e  fuori  della 
città  la  chiesi  di  s.  Maria  della 
Misericordia,  chiamò  i  cappuccini 
a  stabilirsi  in  Giovenazzo,  e  pose 
la  prima  pietra  alla  loro  chiesa  di 
s.  Carlo.  Il  vescovo  Carlo  Maranta 
napoletano,  nobile,  dotto  ed  illu- 
stre, celebrò  il  sinodo,  pose  la  pri- 
ma pietra  nella  chiesa  di  s.  Maria, 
e   de' ss.    Giusto,    Carlo    e    Filippo 


GIO 

fuori  della  città,  e  nel  ìG">-j  fu 
trasferito  alla  sede  di  Tropea  da 
Alessandro  VII.  Il  vescovo  Michele 
Vaginali  rifece  l' episcopio ,  e  il 
convento  de'  minori  conventuali  ; 
gli  successe  nel  1 67 1  Agnello  Ai- 
feri,  come  il  predecessore  de'  minori 
osservanti:  ristorò  la  cattedrale,  fe- 
ce altri  miglioramenti  all'episcopio, 
consagrò  la  chiesa  de'cappuccini,  sos- 
tenne ancor  lui  grave  lite  coi  cittadi- 
ni di  Terlizzi,e  si  esercitò  in  diverse 
pie  opere.  Nel  1693  Innocenzo  XII 
nominò  vescovo  fr.  Giacinto  Chyur- 
lia,  di  nobilissima  ed  antichissima 
stirpe  greca,  che  in  più  modi  si  rese 
benemerito  di  questa  chiesa  :  eresse 
per  le  povere  orfane  il  pio  luogo 
detto  il  Monte  della  Carità,  edificò 
e  consagrò  la  chiesa  di  s.  Felice, 
ingrandì  il  monastero  delle  mona- 
che benedettine  di  s.  Gio.  Batti- 
sta, e  fece  quelle  altre  commende- 
voli  cose  che  si  leggono  Dell'  Italia 
sacra  dell'  Ughelli  ,  tom.  VII,  p. 
770  e  seg.  La  continuazione  della 
serie  de'  vescovi  si  legge  nelle  an- 
nuali Notizie  di  Roma.  Mentre  era 
vescovo  di  Gioveuazzo  Paolo  de 
Mercurio  di  Camerata,  fatto  vesco- 
vo nel  1731  da  Clemente  XII,  il 
Pontefice  Benedetto  XI\  a' 26  no- 
vembre 1749  eresse  in  cattedrale 
la  chiesa  di  Tei  lizzi  [Fedi),  e  1'  u- 
nì  a  quella  di  Giovenazzo,  ed  il 
primo  vescovo  di  Giovena770  e 
Terlizzi  uniti  Cu  Giuseppe  Orlandi 
monaco  celestino,  di  Tricase,  fatto 
dallo  stesso  Benedetto  XIV  nel 
17I2.  Indi  di  Giovenazzo  e  Ter- 
lizzi ne  fu  ultimo  vescovo  Michele 
Continisi  d'  Altaiuura,  fallo  vescovo 
da  Pio  \  I  nel  1  7 7G,  dappoiché  nel- 
la nuova  circoscrizione  ili  diocesi, 
ohe  Pio  VII  fece  ad  istanza  del  re 
Ferdinando  I,  per  l*  autorità  della 
bolla  De  uiiliori  domiiiicae,  \  Lai. 


GIO  79 

pulii  1818,  soppresse  le  sedi  di 
Giovenazzo  e  Terlizzi,  e  le  assegnò 
alla  diocesi  di  Molfetta  [Vedi),  di 
cui  fece  vescovo  nel  1820  monsi- 
gnor Filippo  Giudice  Caracciolo  di 
Napoli,  che  poi  il  Papa  che  regna 
creò  cardinale,  avendolo  sino  dal 
1 833  traslato  alla  sede  di  Napoli.  Il 
medesimo  regnante  Gregorio  XVI, 
ad  istanza  dell'  odierno  monarca 
delle  due  Sicilie  Ferdinando  II,  re- 
stituì a  Giovenazzo  ed  a  Terlizzi 
l' onore  di  cattedrali  vescovili,  la- 
sciandole unite  a  Molfetta;  e  nel 
concistoro  de'  19  maggio  1837,  fe- 
ce vescovo  di  Molfetta,  Giovena/zo 
e  Terlizzi  l'attuale  monsignor  Gio- 
vanni Costantini  di  Cosenza,  essen- 
do tulte  e  tre  le  sedi  immediata- 
mente soggette  alla  santa  Sede. 

La  cattedrale  di  Giovenazzo  è 
sacra  a  Dio ,  sotto  l' invocazione 
della  Assunzione  della  B.  Vergine, 
essendo  composto  il  capitolo  della 
dignità  dell' arcidiaconato,  di  sedici 
canonici,  compresi  il  teologo  ed  il 
penitenziere ,  di  venti  mansionari, 
e  di  altri  preti  e  chierici  addetti  al 
divino  servizio.  La  cattedrale  ha  il 
batlisterioj  e  la  cura  parrocchiale  è 
affidata  all'  arciprete.  Non  avvi  al- 
tra parrocchia,  ma  alcuni  conven- 
ti e  monasteri  di  religiosi  d'ambo 
i  sessi,  un  conservatorio  di  donzel- 
le ,  diversi  sodalizi  ,  ospedale  e 
monte  di  pietà. 

GIOVIAMO,  Cardinale.  Gioca- 
no prete  cardinale  del  titolo  di  S. 
Emiliaua,  fiorì  nel  4g4>  nel  ponti- 
ficato di   s.   Gelasio  I. 

GIOVIMANO,  Cardinale.  Gio- 
viniano  cardinale  prete  del  titolo 
di  s.  Sabina,  intervenne  al  concilio 
romano  dell'853,  tenuto  da  s.  Leo- 
ne IV. 

GIOVJNIÀNO,  eresiarca  del  IV 
secolo.   Passò   i     primi    anni     li»    le 


8o  G  I  P 

austerità  della  vita  monastica  in  un 
monastero  governato  da  s.  Ambro- 
gio, in  uno  de'sobborghi  di  Milano, 
dal  quale  uscito,  si  recò  in  Roma, 
ove  cominciò  a  seminare  i  suoi  er- 
rori. Dopo  esser  caduto  nell'  em- 
pietà lasciò  la  "vita  mortificata  ,  e 
si  diede  allo  stravizzo ,  vantandosi 
tuttavia  di  essere  monaco.  Predi- 
cando egli  una  dottrina  piacevole 
ai  sensi ,  ebbe  in  Roma  molti  se- 
guaci dell'  uno  e  dell'  altro  sesso. 
]  suoi  errori  furono  molti  :  egli  di- 
ceva che  la  verginità  non  era  pre- 
feribile al  matrimonio  ;  che  i  bat- 
tezzati non  potevano  più  peccare; 
che  tanto  merita  chi  digiuna,  quan- 
to chi  mangia  ringraziando  Dio  ; 
che  in  cielo  tutti  hanno  premio 
eguale  ,  e  che  tutti  i  peccati  sono 
eguali  ;  che  Maria  non  restò  ver- 
gine dopo  il  parto.  Quest'  ultimo 
errore  fu  tenuto  ancora  da  Incma- 
ro,  Wicleffo,  Pietro  Martire,  e  Mo- 
lineo,  e  con  questi  anche  da  Sa- 
muele Rasnagio.  S.  Girolamo  e  s. 
Agostino  scrissero  contro  Giovinia- 
no,  il  quale  fu  condannato  in  un 
co'  suoi  seguaci  dal  Pontefice  s.  Si- 
ricio  in  un  sinodo  romano  tenuto 
nel  390,  e  poco  appresso  in  un 
altro  celebrato  da  s.  Ambrogio  in 
Milano.  Finalmente  essendo  stato 
esiliato  dall'imperatore  Teodosio,  e 
di  poi  anche  da  Onorio  in  Boas 
sulle  coste  della  Dalmazia ,  morì 
miserabilmente  fra  la  crapula  e  la 
lascivia,  circa  l'anno  f\.\i. 

GIOVINO  (s.).   V.  Giova  (s.). 

Gì O VITA   (s.).    V.   Faustino  e 

GlOYITA    (SS.). 

G1PSARIA.  Sede  vescovile  del- 
la Mauritiana  Cesariana,  nell'A- 
frica occidentale,  sotto  la  metropo- 
li di  Giulia  Cesarea.  Germano  suo 
vescovo  intervenne  nel  4-H  alla 
conferenza  di  Cartagine. 


GIR 

GIRACLA.  Città  vescovile  di 
Sardegna,  situala  nella  parte  set- 
tentrionale ,  all'  oriente  di  Sassari. 
Giracla  o  Gisara  fu  eretta  nel  se- 
colo XII,  e  nel  principio  del  se- 
colo XVI  fu  unita  ad  Otana,  la 
qual  sede  nel  medesimo  secolo 
venne  unita  ad  Alghero  (Vedi). 
La  chiesa  cattedrale  era  sotto  lin- 
vocazione  di  s.  Antioco;  aveva  un 
piccolo  capitolo  composto  delle  di- 
gnità dell'  arciprete,  del  decano,  e 
di  cinque  canonici.  11  vescovo  or- 
dinariamente risiedeva  in  Arderà, 
luogo  della  diocesi,  e  ne  fu  il  pri- 
mo Pietro  del  1 1 1 6,  che  poi  as- 
sistette allaconsagrazione  della  chie- 
sa di  s.  Saturnino,  fatta  dall'arci- 
vescovo di  Cagliari,  essendo  questa 
sede  allora  sulfraganea  della  me- 
tropoli di  Sassari.  Gli  successe 
Mariano  Thelle,  e  dopo  di  lui 
sedettero  altri  quindici  vescovi  si- 
no al  i49F>  riportati  dal  Mattei 
nella  Sardinia  sacra  a  p.  2 1 3  e 
seg.  Questa  chiesa  fu  conosciuta 
con  differenti  nomi,  cioè:  Gira- 
clensis,  Bisargensis,  Bisarcluensis, 
Guisarchensis  ,  Giphardensis,  Gra- 
vellensisy  e  Gisardensis.  Al  pre- 
sente è  vescovo  d'Alglrero  mon- 
signor Pietro  Raffaele  Arduini  dei 
minori  conventuali ,  già  vescovo 
di  Carra  ìli  partibus,  fatto  dal  le- 
gnante Gregorio  XVI  nel  concisto- 
ro de'3o  gennaio    1 8  J  3. 

GIRAMONA  o  GIROMUNTA. 
Sede  vescovile  nella  Mauritiana  Ce- 
sariana, nell'Africa  occidentale,  sot- 
to la  metropoli  di  Giulia  Cesarea. 
Reparato  suo  vescovo  fu  alla  con- 
ferenza di  Cartagine  del  4^4>  <\uuì- 
di  venne  esiliato  dal  re  dei  van- 
dali  Unnerico. 

GIRARDO  (s.),  monaco  di  Fon- 
tenelle.   V.  Vandregesilo    (s.). 

G1UARDO,   Cardinale.   Giraldo 


GIR 

prete  cardinale  del  titolo  in  Fa- 
sciola, ossia  de 'ss.  Nereo  ed  Achil- 
leo, è  sottoscritto  ad  una  bolla  da- 
ta in  Laterano  da  Onorio  II  nel 
1129,  a  favore  del  monistero  di 
Vendòme  nelle  Gallie. 

G1RAUD  Bernardino,  Cardina- 
le. Bernardino  de'  conti  Giraud  no- 
bile romano ,  nacque  in  Roma  ai 
i4  luglio  172 1,  e  meritò  per  gli 
studi  e  felice  ingegno  di  essere  fatto 
a'  26  aprile  1763  da  Clemente 
XIII  uditore  di  rota,  e  quindi  dal 
medesimo  promosso  alla  nunziatu- 
ra di  Parigi,  dichiarandolo  nel  con- 
cistoro de'  6  aprile  1767  arcive- 
scovo di  Damasco  hi  partibus.  Si 
guadagnò  la  grazia  del  re  Luigi 
XV,  che  con  piacere  la  sera  fa- 
ceva una  partita  di  giuoco  con  lui. 
Dai  numeri  8296  e  83  18  de  Dia- 
ri di  Roma  del  1 77  1  si  ha  come 
Clemente  XIV  con  breve  speciale 
l'autorizzò,  come  nunzio  di  Parigi, 
di  ricevere  in  suo  nome  la  solenne 
professione  di  madama  di  Francia 
Luisa  Maria  monaca  teresiana  scal- 
za nel  monistero  di  s.  Dionigi,  fi- 
glia del  re,  e  come  il  Papa  par- 
tecipò in  concistoro  al  sacro  colle- 
gio la  seguita  solenne  professione 
nelle  mani  del  nunzio,  il  quale  di- 
cesi che  in  questa  funzione  fu  au- 
torizzato vestire  gli  abiti  cardinali- 
zi. Quindi  lo  stesso  Clemente  XIV 
li  17  giugno  di  detto  anno  lo  creò 
cardinale  prete,  ma  riserbandolo  in 
petto  lo  pubblicò  nel  concistoro 
de'  19  aprile  1773,  per  cui  si  leg- 
ge nel  numero  8468  del  Diario, 
che  il  Papa  dichiarò  cameriere  d'o- 
nore il  conte  Stefano  fratello  del 
cardinale,  acciò  quale  ablegato  apo- 
stolico gli  presentasse  in  Viterbo 
la  berretta  cardinalizia.  Ritornato 
in  Roma  gli  conferì  per  titolo  la 
chiesa  della    ss.  Trinità    al    monte 

VOL.    XXXI. 


GIR  8r 

Pincio,   avendolo  fatto    arcivescovo 
di   Ferrara,  al  modo   che  dicemmo 
al  voi.  XXIV,  p.    184  del    Dizio- 
nario. Si  narra    che    nel    conclave 
in  cui  fu  eletto  Pio  VI  Braschi,  il 
cardinale  potè  riuscire    a  fare    an- 
nullare l'esclusiva  che    1'  ambascia- 
tore di  Francia  voleva  dare  al  por- 
porato Braschi,  mostrando  una  let- 
tera  autografa  del  re  Luigi    XVI, 
ove  questi  dichiarava    nulla    avere 
da  dire  contro  il  cardinal  Braschi. 
Per  gratitudine   Pio   VI  accettò  la 
di  lui  rinunzia    all'arcivescovato  di 
Ferrara,  ed  offrendogli    quella    ca- 
rica che  più  gli  piacesse,  egli  scel- 
se quella  di  pro-uditore,  che    funse 
sino  alla  morte.    La  benevolenza  di 
Pio    VI    giunse    a    tal    segno,   che 
spesso  lo  andava  a    visitare  nel  di 
lui  bel  palazzo  in    Borgo ,    palazzo 
che  poi  acquistò  la  nobile  famiglia 
Torlonia,  e  ne  parleremo  a  Palaz- 
zi di  Roma.  Quando  però  Pio  VI 
nel     1782    si    decise    di    andare  a 
Vienna,  il  cardinale  vi   si    oppose, 
e  tanto  si  disgustarono    eh'  egli    si 
astenne  di  recarsi  alla    consueta  u- 
dienza,  mandandovi  il  proprio  udi- 
tore Rovarelli  che  fu   poi  cardina- 
le.  Prima    che    il    Pontefice    ritor- 
nasse in  Roma ,    sorpreso  il  cardi- 
nale da  una  colica  morì  d'anni  ses- 
santuno  e  circa  tre  mesi,  la  notte 
venendo    il    3    maggio     1782,   nel 
detto  palazzo  di  sua  famiglia.  Nel 
numero  768  del   Diario  si  raccon- 
ta  l'ultima   sua   infermità,   e  quan- 
to andiamo  a  riportare    in  succin- 
to.  Il  suo  cadavere    Cu    trasportalo 
nella  chiesa  di  s.  Maria    in  Valli- 
cella,  ove  ne'  funerali  cantò  la  mes- 
sa il   cardinal  Zelada    alla    presen- 
za  di   dieciotto    cardinali  ;    indi     fu 
tumulato   avanti  la  cappella  genti- 
lizia   di  sua    famiglia,  dedicata  alla 
Venuta    dello    Spirito    Santo    Con 

r, 


82  GIR 

sua  disposizione  testamentaria  ordi- 
nò la  celebrazione  di  tremila  mes- 
se in  suffragio  della  propria  ani- 
ma ;  lasciò  duecento  scudi  ai  po- 
veri della  sua  parrocchia  di  s.  Gia- 
como a  Scossacavalli;  le  sue  pia- 
nete  nobili  le  donò  al  titolo  ed  alla 
chiesa  che  ne  contiene  il  corpo,  al- 
tri paramenti  sacri  e  calici  alla  det- 
ta parrocchia  ;  due  rispettabili  le- 
gati ai  conti  Alessio  e  Ferdinando 
suoi  fratelli;  la  paga  in  vita  a  mol- 
ti famigliari,  oltre  la  consueta  di- 
stribuzione di  tremila  scudi  a  tutta 
la  famiglia,  ed  in  luogo  del  cor- 
ruccio e  quarantene  dispose  sei  me- 
sate a  cadauno  de'  suoi  famigliari. 
Del  resto  istituì  eredi  i  poveri,  e 
per  essi  il  Papa  Pio  VI,  acciò  ne 
disponesse  nel  modo  che  credeva 
più  conveniente,  al  quale  donò  un 
quadro  di  Giulio  Romano  rappre- 
sentante la  sacra  Famiglia.  Nel  nu- 
mero i324  poi  del  Diario  del 
1787  si  legge  l'iscrizione  sepolcra- 
le di  marmo,  decorata  di  vago  or- 
nato di  fini  marmi  a  più  colori  , 
posta  sulla  sua  tomba  d'ordine  di 
detto  Pontefice,  perciò  essa  termi- 
na con  queste  espressioni:  Cui  mo- 
numentimi faci  uni  est  fussu  D.  N. 
Pii  FI  Pont.  Max.  Quem  in  sub- 
sidium  eeenorum  heredem  ex  te- 
stamento reliquit.  Si  sa  che  Pio  VI 
erogò  1'  eredità  a  vantaggio  dilla 
fabbrica  del  Conservatorio  Pio, 
nella  erezione  d'  una  scuola  di  di- 
segno nelle  Scuole  cristiane  a  s. 
Salvatore  in  Lauro,  ed  in  altre  li- 
inosinc.  Dal  (in  qui  detto  resteran- 
no confutate  le  calunnie  sparse 
mentre  Pio  VI  era  in  Vienna,  cioè 
ch'egli  avea  trovato  presso  l'im- 
peratore Giuseppe  11  dei  rescritti 
ilei  cardinale ,  che  lo  autorizzava 
di  cose  ignorate  dal  Papa,  che  pei- 
ciò  questi    divisava    piendere    forti 


GIR 

misure,  e  che  il  cardinale  non  era 
morto,  ma  fuggito  in  Francia,  di- 
cendosi essersi  preso  un  cadavere 
all'ospedale  di  s.  Spirito,  ponendo- 
gli sul  volto  la  maschera  del  car- 
dinale. Né  deve  tacersi,  che  i  fra- 
telli Giraud,  allorché  Pio  VI  armò 
contro  le  armate  repubblicane,  cor- 
risposero all'  invito  ch'egli  fece  nel 
1796  a' suoi  sudditi  di  aiutarlo, 
ed  offrirono  trenta  uomini  con  ve- 
sti, armi  e  cavalli,  esibendosi  pronti 
a  militare  eglino  slessi  come  volon- 
tari, come  si  legge  nel  tom.  I,  p. 
i43  della  Relazione  dell'avversi- 
tà ce.  di  Pio  FI,  del  eh.  monsig. 
Baldassarre  Questo  cardinale  fu  an- 
noverato alle  congregazioni  conci- 
storiale, dell'esame  de'  vescovi,  del 
concilio,  de'  vescovi  e  regolari,  del- 
la rev.  fabbrica,  della  visita,  e  del- 
l' indulgenze  e  sagre  reliquie.  Fu 
protettore  dell'ordine  gerosolimita- 
no, di  quello  de'  monaci  girolami- 
ni,  di  quello  de'  minori  osservan- 
ti, riformati,  e  del  terz' ordine  di 
s.  Francesco  ;  dei  monistcri  di  s. 
Rosa  e  delle  duchesse  di  Viterbo, 
di  s.  Chiara  di  Sezze,  della  ss.  Tri- 
nità di  Todi,  de'  ss.  Filippo  e  Gia- 
como d'Ischia,  e  del  Divino  Amo- 
re di  Monlefiascone  ;  del  capitolo 
e  clero  di  Rimini,  del  collegio  dei 
dottori  di  Viterbo,  e  delle  univer- 
sità de' candellottari  e  cappellata; 
delle  città  di  Viterbo,  Loreto,  Ke- 
pi, e  di  s.  Elpidio,  del  Porto  di 
l'i  1  ino,  di  Mont  Olmo,  Montefio- 
re ,  Barberano,  Campi,  Capo  di 
Monte,  Lugnano,  e  Castiglione  del- 
la Teverina.  Dal  suddetto  conte 
Ferdinando  fratello  del  cardinale 
nacquero  Pietro,  Giovanni,  Giu- 
seppe e  Francesco  :  fra  questi  si 
distinse  il  conte  Giovanni  celebre 
commediografo  romano,  la  cui  bella 
biografia  scrisse  il  eh.    Luigi   Car- 


GIR 

(Tinnii,  e  si  legge  nel  giornale  di 
Roma  l' Album  nnin.  4?j  ^el  '  83c), 
col  ritratto  somigliante  del  conte, 
bene  inciso,  del  quale  abbiamo  in 
sedici  tomi  le  Opere  edite  ed  ine- 
dite,  Roma  1840  pel  Monaldi.  V. 
il  Diario  di  Roma  n.°  4o,  del  i844- 
GIRBA,  GERBA,o  GIRPA.  Vi 
furono  due  città  vescovili  di  que- 
sto nome  nell'Africa  occidentale, 
questa  e  la  seguente.  Questa  Gir- 
ila, detta  anche  Gisipa,  nella  pro- 
vincia proconsolare,  sotto  la  me- 
tropoli di  Cartagine,  ebbe  per  ve- 
scovi :  Manilio,  che  nel  255  fu  al 
concilio  cartaginese,  adunato  da  s. 
Cipriano  ;  Quodvultdeus,  che  nel 
4- 1 1  con  altri  vescovi  cattolici  tro- 
vossi  alla  conferenza  di  Cartagine; 
Urbano,  che  nel  4^°  fu  rilegato  da 
Unncrico  re  de'  vandali;  e  Donalo, 
clic  sottoscrisse  al  concilio  riunito 
nel  52 5  in  Cartagine  da  Bonifacio, 
GIRBA  o  GIRBITA.  Sede  ve- 
scovile della  provincia  di  Tripoli, 
nell'Africa  occidentale.  Furono  suoi 
vescovi:  Proculo,  che  fu  al  conci- 
lio di  Cabarsussa  nel  394;  Fausto, 
che  intervenne  alla  conferenza  di 
Cartagine,  e  poi  fu  esiliato  nel  4§4 
da  Unnerico;  e  Vincenzo,  che  nel 
5i5  si  portò  al  concilio  cartagine- 
se, qual  rappresentante  la  provin- 
cia  Tripolitana. 

GIRGENTI  (/fgrigentin).  Città 
eoo  resilienza  vescovile  nel  regno 
delle  due  Sicilie,  nella  provincia 
Valle  minore  di  Girgenti,  capo- 
luogo della  medesima,  di  distretto 
e  di  cantone.  È  sede  di  una  corte 
eliminale,  e  di  un  tribunale  civile. 
Si  estende  sul  pendio  d'una  mon- 
tagna, detta  già  colle  di  Minerva, 
della  (piale  dea  nella  parte  più 
erta  si  vedeva  un  tempio.  Con* 
Uniscono  ai  piedi  di  e>vi  i  fiumi 
Drago    e  Sambiagio,    che    uniti  si 


GIR  83 

gittano  al   mare  col   nome  di  Àca- 
gras.    Occupa    l'antica    Omphace, 
luogo    munito    ed    artificiosamente 
edificato     da     Dedalo    cretese    per 
servire  a  Cocalo  di   reggia.  Fu  poi 
fortezza    che  guardava    il    sottopo- 
sto Agrigento,  il  quale  si  compone 
ora   di   un  ammasso  di  ruderi,  che 
dicesi     Girgenti    vecchio.    La    città 
presenta  una    vista  amenissima,  ma 
poco  è  lodala    la    sua  costruzione, 
ed  anguste  ne  sono  le  vie.  Girgen- 
ti  ha   un  castello  fortificato ,    ed  è 
piazza    di    guerra    di    terza  classe. 
Possiede   un  gran  numero  di   cine- 
se, compresa  la  cattedrale,  ed  am- 
pie e  ricche  case  religiose,  con  va- 
ri stabilimenti    benefìci  :    la    catte- 
drale fu  costrutta  nel  luogo   e  coi 
rottami  dell'antico  tempio  di    Gio- 
ve ;  è  un  vasto  edilizio,    ben    illu- 
minalo, e   di    una  struttura  intera- 
mente acustica,  per  cui   ha  un  no- 
tabile    e  curioso  eco.  Questo    edi- 
ti/io, oltre  a   molti  monumenti  dei 
suoi    vescovi ,    contiene    un   antico 
sarcofago,   considerato  pei    bassori- 
lievi   di    cui    è    adorno  come  una 
meraviglia   dell'arte;   esso  serve  di 
fonte  battesimale.  Ila  un'accademia 
di  studi,  con  biblioteca,  e  copioso 
gabinetto  di   medaglie.     Il     palazzo 
municipale  è  il  più    distinto  tra  1 
palazzi.    Questa    città     fa    qualche 
commercio  col  mezzo  del  suo  pic- 
colo  porlo     sul    Mediterraneo    sci- 
vaio   nel    1782,  con   molo,    e    mu- 
nito di   baloardo  ed  opportuno  fa- 
ro;   questo   porto   è    il    solo    della 
costa    meridionale     dell'  isola  ,   ma 
non  può  ricevere  che    piccoli    na- 
vigli.  Presso   il   lido    s' innalza    nel 
porto   il   caricatore  de'  grani,   giac- 
ché può   la  città  chiamarsi   l'empo- 
rio di   Sicilia  per  tale  negozia/ione. 
Il   territorio  circonvicino   è  filile  e 
delizioso.  Presso  al  Drago  vi   sono 


84  GIR 

due  sorgenti  di  nafta  o  petroleo; 
a  qualche  disianza  all'est  della  cit- 
tà vi  è  un'abbondante  miniera  di 
zolfo  in  attività ,  e  più  lunge  al 
nord  si  scuopre  il  vulcano  Macca- 
luba, le  cui  eruzioni  consistono  in 
gas  idrogeno. 

Girgenti  vecchio  occupa    il    sito 
dell'antica  Agrigento:  in  mezzo  alle 
maestose  rovine    di  questa  vasta  e 
bella  città  s' innalzano    molti    con- 
venti ;  fra  gli  avanzi  degli    antichi 
templi  si  osservano  quelli  di   Gio- 
ve Atabirio  od  Olimpico,  di  Giunone 
Lucina,  della  Concordia,  di  Apollo, 
di  Venere,  di  Vulcano,   di    Diana, 
di  Ercole,  di    Castore   e    Polluce, 
di  Esculapio,  di  Cerere,  e  di  Pro- 
serpina;   vi  si  scoprono    ancora  di 
tratto  in    tratto  dei    vasi    di  gran 
bellezza,  ed  altre  importanti    anti- 
chità.   L'imponente    aspetto    delle 
rovine  di  Girgenti    ricordano    alla 
memoria    epoche    ed     avvenimenti 
famosi  ;  essa  si  estendeva    in  dieci 
miglia,    e    comprendeva    immensa 
popolazione  di    ottocentomila    abi- 
tanti, tutti  dediti   alle     arti   ed    al 
lusso,  ove  capolavori  del  genio  de- 
gli antichi  decoravano  le  sue  mu- 
ra, avendovi  Zeusi  dipinto    Vene- 
re,   studiando   le    forme   delle   più 
avvenenti    e    perfette    donzelle    di 
Agrigento.     Meraviglioso    prodigio 
architettonico  fu  il  tempio  di  Giove 
Olimpico,    splendidamente  costrui- 
to dai  siciliani  emulatori  della  Gre- 
cia, lungo    trecentosessanta    piedi , 
largo  sessanta,  alto  sopra  terra  cen- 
toventi. Negli  opposti  suoi    portici 
stavano  i  preziosi    bassorilievi ,    di 
cui  quello  all'oriente    mostrava  ef- 
figiata   la    battaglia    dei  giganti,  e 
quello    all'  occidente    l' eccidio    di 
Troia  ;    gli     smisurati     avanzi    di 
questo  edifizio   possono  dare  idea  di 
sua  sontuosità,  e  fu  chiamato  per- 


GIR 

ciò  anche  palazzo  de'  giganti.  In 
mezzo  a  tante  rovine  Agrigento 
presenta  ancora  un  tempio  intatto 
nella  forma,  già  consacrato  alla  Con- 
cordia, di  cui  sono  celebrati  i  gre- 
ci profili,  la  nobile  dorica  sempli- 
cità, e  la  conveniente  ed  elegante  giu- 
sta distribuzione  delle  parti.  Esso  è 
lungo  centoventidue  piedi  e  largo 
cinquantadue,  fu  convertito  in  chiesa, 
e  deve  la  sua  conservazione  al  corpo 
di  s.  Gregorio  che  vi  si  venera.  Gir- 
genti fu  patria  d'Empedocle  filo- 
sofo e  poeta,  di  Carcino  poeta  tra- 
gico, di  Acrone  capo  degli  empiri- 
ci, di  Metello  cantore,  di  Evhemer, 
di  Fcace  architetto,  e  di  altri  uo- 
mini celebri;  ebbe  ancora  molti 
illustri  ecclesiastici,  fra' quali  nomi- 
neremo il  cardinal  Lodovico  Co- 
nato arcivescovo  di  Palermo,  e  pa- 
store di  altre  chiese.  Una  gran  pi- 
scina era  fuori  della  città,  profonda 
venti  cubiti,  e  del  circuito  di  sette 
stadi,  ove  si  conservava  immensa 
quantità  di  pesce  pei  pubblici  con- 
viti :  testimonianza  del  lusso  a- 
grigentino  è  pure  la  grandiosità 
dei  superstiti  sarcofagi  e  sepolcri. 
Narrasi  del  ricchissimo  Gellia  agri- 
gentino, che  manteneva  pubblica 
tavola  da  mangiare  per  qualunque 
numero  di  forestieri  che  si  trovas- 
se nella  città,  i  quali  dai  suoi  pag- 
gi venivano  invitati;  esempio  che 
fu  poi  da  altri  seguito  ;  ed  in  un 
giorno  avvenne,  che  novanta  cava- 
lieri di  Gela  arrivati  nella  cruda 
stagione  in  Agrigento,  trovarono 
pronte  altrettante  clamidi  e  tuni- 
che per  cambiarsi  di  vestiario.  Lo 
smodato  lusso  aminoli  talmente  gli 
agrigentini,  che  stretti  da  duro  as- 
sedio furono  indotti  ad  ordinare, 
che  le  sentinelle  nelle  notturne  vi- 
gilie non  potessero  avere  più  d'una 
coltre    e  di    due  guanciali.    Di  A- 


GIR 

grigento    ci    lasciò     una    magnifica 
descrizione  Diodoro  Siculo. 

Pretendesiche  Agrigentoabbia  pre- 
so il  suo  nome  dal  monte  Agragas, 
nome  comune  alla  montagna  ove 
fu  eretto,  ed  al  fiume  che  le  scorre- 
va ai  piedi.  Furono  i  cittadini  di 
Gela  che  impresero  a  fabbricarla, 
ma  la  colonia  per  la  sua  magnifi- 
cenza, e  numero  degli  abitanti,  su- 
però in  breve  la  madre  patria. 
Credesi  fondata  nel  primo  anno 
della  cinquantesima  olimpiade,  cioè 
58o  anni  avanti  l'era  volgare:  Tu- 
cidide narra  che  fu  fondata  dagli 
abitanti  di  Gela  584  anni  avanti 
Gesù  Cristo.  Il  suo  governo  talora 
fu  democratico,  e  talora  monarchi- 
co. Falaride  esule  della  sua  patria 
Astapilea  nell'  isola  di  Creta,  fu  il 
primo  ad  usurparvi  il  supremo  po- 
tere. Incominciò  a  regnare  con  la 
generosità  e  colla  dolcezza,  ma  usò 
della  maggior  severità  nel  reprime- 
re le  sedizioni.  Vi  è  però  dell'esa- 
gerato nei  racconti  delle  sue  tiran- 
nie, anzi  si  reputa  fàvola  da  molti 
critici  la  formazione  di  un  toro  di 
bronzo  eseguita  dallo  scultore  Pe- 
rdio, per  dare  altrui  lenta  e  tor- 
mentosa morte,  la  quale  vi  trovò 
egli  slesso  d' ordine  di  Falaride , 
che  sdegnato  di  tanta  atrocità  con- 
sacrò ad  Apollo  la  macchina  orren- 
da. Abbiamo  centoquarantasei  let- 
tere di  Falaride,  che  se  fossero 
autentiche  tornerebbero  a  suo  grau- 
d' elogio,  per  la  saviezza  ed  umanità 
di  sentimenti  in  esse  espressi.  Indi 
i  romani  ed  i  cartaginesi  si  dispu- 
tarono a  lungo  il  dominio  di  questa 
città.  A  m  dea  re  distrusse  Agrigento 
circa  4°f»  ;,n,n  prima  dell'era  vol- 
gare. Dipoi  nelle  sue  vicinanze  nel- 
l'anno 34o  della  medesima  era,  1 
cartaginesi  furono  sconfitti  dai  si- 
racusani diretti  da  Timolcouc.  Ric- 


GI  R  85 

dificaia  fu  quindi,  e  presa  dai  ro- 
mani l'anno  210.  Questa  città  fu 
una  delle  prime  in  Sicilia  ad  essere 
occupata  dai  saraceni,  allorché  fu- 
rono costretti  a  togliersi  dall'  asse- 
dio di  Siracusa  nell'anno  825  o 
828  di  nostra  era.  Tali  invasori  si 
ribellarono  poscia  nel  935  contro 
il  loro  governatore,  persona  ingiu- 
sta e  rapace ,  per  cui  il  califfo 
Fatimata  mandò  dall'  Africa  un  e- 
sercito  per  castigarli  :  poterono  re- 
sistere fino  all'anno  94°>  essendo 
stati  soccorsi  dai  palermitani,  an- 
ch' essi  ribelli  ai  maomettani.  Fu 
in  tali  luttuose  circostanze ,  che 
l'antica  Agrigento  maggiormente 
soffrì,  e  fu  saccheggiata.  Soltanto 
nel  1089  o  1093  fu  ricuperata 
dai  cristiani  comandati  da  Piuggero 
duca  di  Puglia  ;  divenne  quindi 
dopo  Siracusa  una  delle  città  più 
considerabili  della  Sicilia ,  ebbe  i 
suoi  signori  particolari ,  e  seguì  la 
sorte  dell'  isola  ;  soggiacque  alla  do- 
minazione greca,  nel  11 54  si  sot- 
tomise a  Palermo,  e  fece  parte  del 
regno. 

La  fede  cristiana  fu  propagata  in 
Girgenti  nei  primi  tempi  della 
Chiesa,  e  secondo  la  tradizione  s. 
Libertino  ordinato  da  s.  Pietro  ne 
fu  il  primo  vescovo,  e  soffrì  il  mar- 
tirio sotto  gì'  imperatori  Vespasia- 
no e  Domiziano j  verso  l'anno  96 
dell'  era  volgare.  Altri  dicono  con 
Commanville  fondata  la  sede  nel 
quinto  secolo ,  suffraganea  di  Pa- 
lermo, e  secondo  le  notizie  greche 
di  Siracusa  :  al  presente  è  suffira- 
gaueo  Girgenti  della  metropoli  di 
Monreale.  Verso  l'anno  «)(>  n'era 
vescovo  s.  Gregorio,  al  tempo  de- 
ci' imperatori  Valeriano  e  Gallieno, 
e  morì  nel  262.  Fra  i  successori 
di  s.  Gregorio  noteremo  particolar- 
mente s.    Potamione    che    fiorì   nel 


86  GIR 

pontificato  di  s.  Agapito  I  del  535, 
e     dell'  imperatore     Giustiniano     I. 
S.  Gregorio  II,  dell'ordine    di  san 
Basilio,  trovossi  al  concilio   di    Co- 
stantinopoli del  553.  11  Boiler  par- 
la di  s.  Gregorio  nato  nel  55g    a 
Pretoria  presso  Agrigento,  che  nel- 
l' età  di    trent'  uno   anni    fu    eletto 
■vescovo  dì  questa    chiesa.    Essendo 
poi  stata   la  città  soggetta  ai  sara- 
ceni pel  corso  di   più  di   un  secolo 
e   mezzo,   non  vi  furono  più  vesco- 
vi dopo  l' 8^5  sino  al   1093,    nel 
qua]  anno  il  duca  Ruggero  chiamò 
in   Sicilia  s.   Gerlando  suo  parente, 
per  occupare  la    sede    di    Girgenti. 
Questa  scelta  venne  approvata    dal 
Pontefice  Urbano  II,  il  quale  con- 
sacrò egli  medesimo  il    nuovo    ve- 
scovo nel  detto  anno     1093.    Morì 
s.   Gerlando  nel    r  1  o4,  e  si  celebra 
la  sua  festa    a'  2 5    febbraio,    ed  ai 
20    marzo  giorno  della  sua  trasla- 
zione alla  cattedrale,  che    fu  a  lui 
dedicata.  Gli  successe  Drogo,  secon- 
do la   predizione    del   predecessore, 
ma  visse  sei  mesi,  onde  nel    1  io5 
fu    eletto    Guarino,    nel    rri5    Al- 
berto, e  nel    11 27    Gualterio.  Fra 
gli   altri  vescovi  successori   nomine- 
remo Bartolomeo  del  1  172;  Rinal- 
do Acquaviva  del    1244  \  Bertoldo 
del  i3o3,  consacrato  in   Roma    dal 
Pontefice    Benedetto     XI  ;     Matteo 
Orsini  romano  dell'ordine  de' pre- 
dicatori, eletto  nel  \'òirj  ;  Ottaviano 
de    Labro    nobile    palermitano    del 
i35o;  fr.    Pietro    de  Curtibus  ca- 
talano, degli    eremitani   di   s.    Ago- 
stino del    1392;  Gillòrte  Riccobono 
palermitano,  cubiculario  di  Bonifa- 
cio IX  del    1393;    fr.   Filippo    de 
Ferrari,  carmelitano  di    Caltaniset- 
ta ;   fi-.   Lorenzo    napoletano  cisler- 
ciense,   nel    1422    fatto    da    Marti- 
no  V;  Bernardo  Bosco  canonico  di 
s.   Pietro  nel    i.|3(),    che    inlerven- 


GIR 

ne  al  concilio  di  Basilea  ;    il  beato 
Matteo  IH  da  Cimarra  de' minori, 
il  quale  rinunziato  il  vescovato,  mo- 
rì santamente  a'  7    febbraio    1 45 1  : 
dipoi    Clemente    XIII    con    decreto 
de' 2 1    febbraio   1767    ne    approvò 
il  culto  immemorabile.  Ne  fu  suc- 
cessore nel    i445  fr.  Antonio  Pon- 
ticorona    domenicano   di    Palermo  ; 
indi  nel    i45i   divenne  vescovo  fr. 
Domenico  Xart  di  Barcellona,  mo- 
naco   cistercense;    nel    1 4-7 2.    Gio- 
vanni   III    de    Cardelli    o    Coltelli 
benedettino;  nel  1 479  Giovanni  IV 
de  Castro    di    nobile    famiglia   spa- 
gnuola   di    Valenza,    eletto    da    Si- 
sto IV,  indi  da   Alessandro  VI  nel 
1496    creato     cardinale    del    titolo 
delle  ss.   Aquila  e   Prisca,  chiamato 
il  cardinal  ti'  Agrigento  j  nel  1  5o6 
Giuliano    Cibo    genovese,    fatto  da 
Giulio  II  di    cui  era  cubiculario  e 
consanguineo,  intervenne    al  concilio 
generale    Lateranense    V,    e    morì 
nel    i537.  Paolo    III    fece    vescovo 
d'Agrigento  Pietro  II  Tagliavia,  che 
Giulio  III   nel    1 553   creò  cardina- 
le   del  titolo    di    s.    Calisto  ;    Pao- 
lo IV  vi  nominò  il  cardinal  Ridolfo 
Pio  de'  signori  di   Carpi  ;   Gregorio 
XIII  nel    1 574    Cesare  Manelli  no- 
bile di   Messina;  Gregorio  XIV  nel 
1590    Francesco  del    Pozzo   nobile 
messinese;  Urbano  Vili  nel    1624 
il  cardinal  Ottavio  Ridolfì    fioren- 
tino del   titolo  di  s.  Agnese,  cui  die 
per  successore  nel    1627  Francesco 
Trahina  palermitano,  terminando  la 
serie  che  si   legge  nella   Sicilia  sa- 
cra con   Lorenzo  Gioeni  e    Cardo- 
na  nobile  di  Palermo,  fatto  vescovo 
nel    1730  da    Clemente    XII.    I  di 
lui   successori  si    leggono    nelle  an- 
nuali Notizie  di  Roma.  Per  morte 
del  vescovo  monsignor  Ignazio  M.011- 
temaguo,  il  regnante   Papa  (nego- 
rio  XVI,  nel  concistoro  de'  17  giù- 


GIR 

gno  i844>  dichiarò  successore  il 
dottissimo  p.  Domenico  Maria  Giu- 
seppe Lo- Iacono,  preposito  generalo 
dei  teatini ,  consultore  delle  sagre 
congregazioni  de'vescovi  e  regolari,  e 
dell'indice,  esaminatore  del  clero 
romano  e  de'vescovi,  non  che  dot- 
tore in  sacra  teologia,  della  diocesi 
dì  Girgenli. 

La  cattedrale  è  dedicata  a  Dio  in 
onore  dell'Assunzione  della  13.  Ver- 
gine e  di  s.  Giacomo  apostolo.  Il  ca- 
pitolo ha  quattro  dignità,  la  prima 
<•  quella  del  decano,  le  altre  sono 
del  cantore,  dell'arcidiacono  e  del 
tesoriere  ;  vi  sono  ventidue  cano- 
nici, compresi  il  teologo  ed  il  pe- 
nitenziere, sessanta  mansionari,  e 
diversi  preti  e  chierici  addetti  al- 
l' ufficiatura  della  cattedrale.  In 
questa  un  canonico  maestro  cap- 
pellano esercita  le  funzioni  di  par- 
roco; avvi  un  magnifico  batlisterìo, 
e  tra  le  reliquie  ivi  si  venera  con 
gran  divozione  il  corpo  di  s.  (Mer- 
lando vescovo  e  patrono  di  Gir- 
genti.  L'episcopio  ampio  e  conve- 
niente, resta  contiguo  alla  cattedra* 
le.  Inoltre  nella  città  vi  sono  altre 
Ire  parrocchie,  munite  del  sacrò 
fonte,  una  chiesa  collegiata,  undici 
conventi  e  monisteri  di  religiosi, 
tre  monisteri  di  monache ,  alcuni 
conservatoni,  diversi  sodalizi,  l'o- 
spedale, il  monte  di  pietà,  il  semi- 
nario con  collegio  ,  ove  i  giovani 
alunni  ■>'  istruiscono  nella  teologia, 
nel  gius  canonico,  e  nell'ecclesiasti- 
ca disciplina.  Ampia  è  la  diocesi, 
contenente     molti     luoghi  ,     indicati 

nella  lettera  apostolica ,  Ecclesiat 
l  hiversalis,  emanata  dal  medesimo 
Pontejfit  i    G  >  XVI  a*  i5  mag- 

gio  dello    SteSSO    .inno    lSj|.  COn  la 

quale  nella  circostansa  che    furono 

erette  nella  Sicilia  (piatirò  nuove 
diocesi,  con  disinemln amenti   di   al- 


G  I  II  87 

tre  già  esistenti,  furono  tolte  circi 
sessantamila  anime  da  questa  di 
Gii'genti,  ascendendo  quelle  restate 
a  circa  duecento  ventimila.  Ouni 
nuovo  vescovo  è  tassato  nei  libri 
della  camera  apostolica  in  fiorini 
cinquecento,  quorum  vero  valor 
asccndit  ad  decem  mille  plus  mi- 
nus  durata    monetae    neapolitanar. 

GIROALDO  (s.),  abbate  d.  Fon- 
tenelle.    f^.  Va.vdp.egesilo  (s.). 

G1ROLAMI  Raffaele  Cosmo, 
Cardinale.  Raffaele  Cosimo  Girola- 
mi,  patrizio  fiorentino,  nacque  a'  ro 
settembre  16-0,  dedicatosi  agli  stu- 
di fece  tali  progressi  nelle  scienze, 
che  potè  a  buona  ragione  il  pub- 
blico annoverarlo  tra  i  più  dotti 
ed  eccellenti  teologi  del  suo  tempo. 
Rinunziato  il  canonicato  che  go- 
deva nella  metropolitana  di  Firenze, 
si  trasferì  a  Roma ,  do\e  appena 
giunto,  il  cardinale  Renato  Impe- 
riali lo  prese  per  aiutante  di  stu- 
dio, senza  pregiudizio  di  continuare 
a  coltivare  le  scienze,  per  l' avan- 
zamento delle  quali  istituì  nel  i6q5 
un'accademia  nella  propria  casa, 
che  veniva  frequentata  da  uomini 
eruditi  e  letterati ,  e  che  poi 
V  autorità  ili  Clemente  XI  si  pei 
petuò,  e  tuttora  per-evera  e  gran- 
demente fiorisce  nell'archiginnasio 
o  università  romana  sotto  il  nome 
di  Accademia  teologica,  di  cui 
parlammo  al  voi.  I ,  p.  \~  e  (.8 
del  Dizionario  ,  mentre  nel 
XVI,  p.  •,. 8  e  »g  riportammo  al- 
tre notizie  della  medesima ,  delle 
dispute,  degli  accademici,  e  delle 
sue  costituzioni.  A  questa  beneme- 
rita ed  illustre  accademia  il  Giro- 
lami      lasciò     diecimila     scudi,     col 

frutto    ile' quali    si    dovessero   pre- 
miare  quegli  accademici  ,    che 
ingegn  ■  >•   i  d"i  e  te  lo  1  ssera  me* 
ritato.  Clemente  X.1  lo   ammise  in 


88  GIR 

prelatura,  indi  tra  i  votanti  di  se- 
gnatura, lo  dichiarò  segretario  della 
congregazione  delle  indulgenze,  con- 
sultore de' riti  e  del  s.  offìzio,  ed 
esaminatore  de'  vescovi.  Benedetto 
XIII  dopo  averlo  consacrato  arci- 
vescovo di  Damiata,  nel  1728  lo 
promosse  alla  carica  di  assessore 
del  s.  offìzio,  e  dopo  dieci  anni 
Clemente  XII  lo  trasferì  a  quella 
di  segretario  della  congregazione 
de'  vescovi  e  regolari.  Benedetto 
XIV,  in  ricompensa  de' suoi  singo- 
lari meriti,  a'g  settembre  1 743  lo 
creò  cardinale  dell'ordine  de' preti, 
col  titolo  di  s.  Marcello,  lo  fece 
prefetto  alla  detta  congregazione  dei 
vescovi  e  regolari,  e  di  quella  del- 
le indulgenze,  e  prolettore  dell'ac- 
cademia teologica  da  lui  fondata. 
Mori  in  Roma  a'  2  1  febbraio  1 748 
d'anni  settantotto  non  compiti, 
con  riputazione  di  dotto  e  di  pio, 
e  fu  sepolto  nel  mezzo  della  chie- 
sa del  suo  titolo ,  in  una  tomba 
fregiata  con   magnifico  elogio. 

GIROLAMINE  o  GIROLAMI- 
TE,  monache.  Narra  il  p.  Bonanni 
a  p.  LXV  del  Catalogo  degli  or- 
dini religiosi,  part.  II,  Delle,  vergini 
a  Dio  dedicate,  che  non  è  certo 
se  l'ordine  eremitano  di  s.  Girola- 
mo fosse  da  questo  santo  dottore 
istituito,  dappoiché  siccome  egli  si 
ritirò  dal  commercio  degli  uomini 
in  un  luogo  presso  Betlemme,  mol- 
ti vollero  imitarlo  e  si  chiamarono 
eremiti  di  s.  Girolamo,  come  no- 
tò l'Azorio  nel  libro  XIII  delle 
Istituzioni  morali.  Fra  gli  altri 
fiorì  nella  Spagna  Pietro  Fernan- 
dez,  il  quale  abbandonata  la  regia 
corte,  insieme  cou  alcuni  compagni 
si  unì  alla  celebre  congregazione 
degli  eremiti  di  s.  Girolamo,  in 
un  luogo  detto  Lupiana,  vicino  a 
Toledo,    clic    poi  da    Gregorio  XI 


GIR 
nel    1373    fu  approvata     e  stabili- 
ta.  Ne   fu  imitatrice  Maria  Garzia 
Alvarez  di  Toledo,  nobilissima  ma- 
trona de' duchi  d'Alva,     la    quale 
impiegò    le  sue    facoltà    nella   fab- 
brica di  un    monistero,    in  cui  vi- 
vessero monache  dell'  ordine  di    s. 
Girolamo,    e   lo    dedicò  a  s.   Pao- 
la Romana,  la    quale  fu  discepola 
del  santo    dottore    insieme  con  al- 
tre vergini,  come    si  ha  da   Palla- 
dio nel  cap.    125  della  sua  Istoria. 
Clemente  XI  con  decreto  del  1 702 
permise  a  tutto  l'ordine  de'monaci 
girolamini  di  fare  I'  uffizio  e  mes- 
sa di  s.  Paola  ,  considerata  da   al- 
cuni scrittori  dell'ordine  monaca  di 
questo,  ciò    che  già    avea  concesso 
Sisto  V  con  rito  doppio  di  secon- 
da classe     ai   monaci     di    Spagna. 
Dipoi    Innocenzo    XIII     nel     1723 
concesse    indulgenza  plenaria  nella 
festa    di    tale    santa,  a    quelli    che 
visitassero  una  chiesa  della  congre- 
gazione di     Lombardia    nel  giorno 
della  festa,  confessati  e  comunicati, 
come    si    legge    nella     costituzione 
Inj'unctae    nobis.  Vestirono    queste 
vergini    nel     principio    una    tonaca 
bianca,    con   pazienza  grigia   di   la- 
na, e  si  sottoposero   alla  direzione 
del  p.    Pietro  Fernandez.    Poi     u- 
sarono  tonaca  bianca,  e  cappa  ne- 
ra    aperta    nella     parte     anteriore, 
senza    cappuccio,  e  con    velo  nero 
sul  capo,  al   modo  che  si   vede  nel- 
la figura    prodotta    dal  p.    Bonan- 
ni.   V.    Girolamini,    ordine  mona- 
stico. 

Il  p.  Annibali  nel  compendio 
della  Storia  degli  ordini  religiosi, 
nel  tom.  II,  par.  II,  parlando  a  p. 
32i  della  congregazione  girolarai- 
na  di  Spagna,  dice  che  il  moni- 
stero  di  s.  Paola,  ove  entrò  Ma- 
ria Garzia,  già  esisteva,  e  n'era  su- 
pcriora una  sorella  quando  essa  vt 


GIR 

si  ritirò  nella  sua  tenera  età,  in- 
di essendone  uscita  con  Maggiora 
Gomez  pia  vedova,  andò  per  To- 
ledo domandando  la  limosina  pei 
poveri  carcerati  ,  quando  il  re  di 
Castiglia  Pietro  il  Crudele,  s'inva- 
ghì di  sua  rara  bellezza.  Allora 
Maria  fuggì  all'eremo  di  Sisla,  ove 
era  una  congregazione  di  di  vote 
donne,  e  quando  morì  la  superio- 
ra essendosi  disciolta,  con  quelle 
che  la  componevano  si  portò  a  To- 
ledo, ove  con  l'eredità  de'genitori 
comprò  una  casa  grande,  cui  fu 
dato  il  nome  di  s.  Paolo,  nella 
quale  vestirono  l'abito  de'girolamini, 
e  fecero  i  voti  solenni,  finché  Maria 
in  età  decrepita  ivi  morì  a' io  feb- 
braio 1 4^6.  Aveva  ordinato  che 
il  suo  corpo  si  portasse  alla  Ma- 
donna di  Sisla,  non  essendovi  an- 
cora nel  luogo  di  s.  Paolo  la  chie- 
sa, ma  bramando  i  suoi  parenti  di 
farla  seppellire  nella  cattedrale,  al- 
la fine  fu  consegnato  ai  padri  gi- 
rolamiui ,  che  lo  portarono  cou 
gran  pompa  a  seppellire  nella  lo- 
ro chiesa  di  Sisla.  Nel  i5io  que- 
ste religiose  furono  incorporate,  con 
altri  monistcri  fondati  nella  Spa- 
gna, all'oidine  di  s.  Girolamo  nel 
capitolo  generale  di  questo,  ed  al- 
lora fu  che  stabilirono  di  fare  i 
voti  solenni,  si  obbligarono  alla 
clausura ,  e  lasciato  il  nome  di 
beale  o  divote  di  s.  Paolo  di  Ma- 
ria Gatzia,  furono  tenute  per 
vere  monache.  Adottarono  le  stes- 
se osservanze  de'  girolamini  di  Spa- 
gna, così  da  nero  cambiarono  in  co- 
lor tanè  lo  scapolare  e  la  cappa:  di- 
cesi che  fu  Leone  \  che  assegnò  loro 
le  costituzioni  de'monaci  girolami- 
ni di  Spagna,  in  vece  di  quelle 
delle  religiose  di  s.  Marta  di  Cor- 
dova, che  loro  erano  state  date 
.Li    Siato    IV     nei     i  ì. 7  3.     Queste 


GIR  89 

monache  ebbero  anche  delle  obla- 
te.  Anna  di  Zuniga,  religiosa  del 
monistero  di  s.  Paolo  di  Toledo, 
descrisse  le  vite  di  seltantaquattro 
monache  morte  nel  medesimo.  Del- 
la pia  fondatrice  scrisse  il  Siguen- 
ca  ne\Y Istoria  dell'ordine  eremita- 
no di  s.  Girolamo,  lib.  4,  cap.  46. 
GIROLAMINI,  Ordine  monasti- 
co. Il  b.  Tommaso  da  Siena,  det- 
to per  umiltà  o  per  la  picciolez- 
za  della  statura  Tommasuccio,  pro- 
fesso del  terz'  ordine  di  s.  France- 
sco ,  ebbe  molti  discepoli  i  quali 
osservando  la  medesima  regola  vi- 
vevano sotto  la  di  lui  disciplina. 
Alcuni  di  questi  discepoli,  in  nu- 
mero di  sette  o  otto,  abbandonati 
diversi  eremi  nei  quali  abitavano 
sopra  una  montagna  delle  Alpi,  si 
portarono  nelle  Spagne  essendo  re 
di  Castiglia  e  di  Leone  Alfonso 
XI,  padre  di  Pietro  il  Crudele  che 
nel  i35o  gli  successe,  e  si  ritira- 
rono in  due  eremi,  uno  detto 
della  Madonna  di  Villaescua,  vi- 
cino ad  Ovasco,  lungo  il  Buine 
Taxunna,  e  l'altro  della  Madonna 
di  Castanal,  nelle  montagne  di  To- 
ledo. Cominciarono  quindi  a  mol- 
tiplicarsi ,  onde  alcuni  passarono 
nel  regno  di  Valenza  presso  alla 
città  di  Gandia,  ed  altri  nel  re- 
gno di  Portogallo,  tutti  col  Bue 
d'imitare  il  dottore  s.  Girolamo 
ritirato  e  penitente,  che  presele» 
per  avvocato  e  protettore.  Molte 
persone,  anche  di  nascita  illustre, 
in  breve  unironsi  ad  essi,  e  tra  que- 
ste anche  Pietro  Ferdinando  o 
Fernanda!  Pecha  di  Gualdafàira 
o  Guadal.ijua  ,  ciambellano  del 
re  d.  Pietro,  il  quale  vedendo  le 
barbarie  del  suo  monarca,  perciò 
denominato  il  Crudele,  abbandonò 
la  corte,  rinunziò  alle  vanità  del 
mondo,  e    si  ritirò  Dell' eremo  del  « 


gq  G  I  R 

la  Madonna  di  Villaescua ,  nel 
che  fu  imitalo  dal  suo  fratello  d. 
Alfonso  Pecha,  il  quale  perciò  fe- 
ce rinunzia  del  vescovato  di  Jaen. 
Questo  Pietro  Ferdinando  o  Fer- 
nandez  da  alcuni  si  vuole  autore 
degli  eremiti  girolamiui  di  Spagna, 
perchè  spargendo  persone  maligne 
essere  eglino  infetti  degli  errori  dei 
beguardi,  eretici  di  quel  tempo,  e 
che  il  loro  tenore  di  vita  non  era 
approvato  dalla  santa  Sede,  cam- 
biarono la  vita  solitaria  in  ceno- 
bitica e  monastica ,  e  spedirono 
in  Avignone  al  Papa  Gregorio  XI 
lo  stesso  Pietro  Ferdinando,  con 
fi*.  Pietro  da  Roma,  uno  de'  di- 
scepoli del  I).  Tommasuccio,  pas- 
sato d'Italia  nella  Spagna ,  aline 
di  porsi  nelle  mani  del  Poute- 
lice. 

Giunti  in  Avignone  ove  risiede- 
va Gregorio  XI,  ottennero  quanto 
bramavano,  poiché  il  Papa  per 
consiglio  del  cardinal  Pietro  Cor- 
sini, colla  bolla  Sane  petitio,  de  iS 
ottobre  1372  o  1 3y3,  confermò 
il  loro  ordine  sotto  il  titolo  di  s. 
Girolamo,  ed  oltre  la  regola  di  s. 
Agostino  che  ad  essi  prescrisse, 
diede  loro  ancora  le  costituzioni 
che  si  osservavano  nel  convento 
di  s.  Maria  del  Sepolcro,  situato 
fuori  le  mura  di  Firenze,  e  ch'e- 
ra dell'ordine  di  s.  Agostino,  del 
quale  diamo  qui  un  cenno.  Barto- 
lomeo di  Bonone  pistoiese,  mosso 
dal  zelo  di  servire  Dio,  cominciò 
a  vivere  nei  deserti  l'anno  i3i3, 
ed  a  lui  si  unirono  alcuni  divoti 
compagni  che  nel  i33j  ottennero 
da  Giovanni  di  Gaetano  Orsini 
cardinale  legato  in  Toscana,  di 
poter  vivere  sotto  la  regola  di  s. 
Agostino ,  e  portare  quell'  ahito 
che  aveansi  formato.  Nel  i34B  si 
posero    a  fabbricare    la  chiesa  che 


GIR 

comunemente  si  dice  di  s.  Maria 
della  Caujpora,  o  s.  Maria  di  s. 
Sepolcro  a  Colombaia,  un  miglio 
distante  dalla  porla  Romana  di 
Firenze,  con  monistero  annesso  , 
ch'eglino  cominciarono  ad  abitare 
li  18  novembre  [3  7o.  Per  quan- 
to dunque  si  narrò,  alcuni  scritto- 
ri de'  girolamini  di  Spagna  fecero 
autore  di  essi  Pietro  Ferdinando, 
ciò  che  come  si  è  detto  non  è  vero, 
anzi  va  notato,  che  avendo  questi 
eremiti  ottenuta  una  chiesa  dedi- 
cata a  s.  Bartolomeo  apostolo,  po- 
sta nelle  viciuauze  dell'eremo  del- 
la Madonna  di  Villaescua  ,  col 
permesso  dell'arcivescovo  di  Toledo, 
e  del  consiglio  e  consoli  di  Lu- 
piana,  andarono  al  possesso  della 
medesima,  e  di  tutte  le  sue  en- 
trate nel  1370,  cioè  tre  anni  pri- 
ma che  Pietro  Ferdinando  Pecha 
otteuesse  da  Gregorio  XI  quanto 
si  è  detto,  e  fabbricarono  intorno 
alla  chiesa  molte  celle,  nelle  quali 
dimoravano  gli  uni  dagli  altri  se- 
parali. Il  p.  Ermenegildo  di  s. 
Paolo,  religioso  dell'  ordine  di  s. 
Girolamo,  pretende  che  l'ordine 
sia  stato  fondato  dal  santo  dotto- 
re in  Betlemme,  che  poi  non  sia 
mancato  mai  nella  Chiesa,  e  che 
gli  ordini  di  s.  Basilio,  di  s.  A- 
gostino,  e  di  s.  Benedetto  non 
sieno  che  rami  del  girolamino.  Vi 
sono  inoltre  scrittori  dello  stesso 
ordine,  i  (piali,  gli  uni  asseriscono 
che  l'ordine  girolamino  abbia  avuto 
la  sua  origine  dai  profeti,  e  che  poi 
lo  stabilisse  s.  Antonio,  e  dilatas- 
se s.  Girolamo,  stendendosi  quindi 
per  tutto  il  mondo,  ora  mantenen- 
dosi da  sé  medesimo,  ora  mutan- 
do nome  od  uuendosi  ad  altri, 
senza  però  lasciar  mai  d'essere  l'or- 
dine di  s.  Girolamo.  Da  ciò  infe- 
riscono che  non  solo  tutti  gli  an- 


GIR 

tichi  anacoreti,  e  tutti  i  santi  fon- 
datori degli  altri  ordini  regolari 
sieno  stati  girolaniini  insieme  coi 
loro  discepoli,  ma  vogliono  altresì 
che  girolamini  sieno  molti  santi 
che  d'  altronde  non  furono  re- 
golari. 

Gli  altri   storici  riconoscono  l'o- 
rigine   dell'  ordine  girolamino    dai 
discepoli    del  b.    Tommasuccio    da 
Siena  del    terz'  ordine  di  s.   Fran- 
cesco ,    che    morì    in     Foligno    nel 
1377;   i   quali   discepoli   passarono 
tome     si  è    detto  dall'  Italia    nella 
Spagna,  e    quivi   diedero   principio 
negli  eremi    alla  congregazione    gi- 
rolamina,     che    riconosce    per    suo 
primo  convento  e    capo  dell'  ordi- 
ne quello  di  s.   Bartolomeo  di  Lu- 
piana,  residenza   del   generale,   per- 
chè in  questo    cominciarono  a  me- 
nare   vita     cenobitica    e    monastica 
lasciando  la  solitaria.  Quando  Gre- 
gorio XI    diede  a    questi    religiosi 
la    regola  di  s.    Agostino    e  le  co- 
stituzioni    del  convento    degli   ago- 
stiniani di    s.    Maria   del    Sepolcro, 
prescrisse  loro  anche  la  forma    ed 
il  colore  dell'  abito,   che   consisteva 
in  una  tonaca  di  panno  bianco,  in 
uno  scapolare,  piccolo  cappuccio,  e 
mantello,  tutto  di  colore    naturale 
detto  tanè,  cioè  lana   naturale  sen- 
za  tinta,  e  di  mediocre  prezzo.  Di 
queste     divise    volle     if     medesimo 
Papa     vestire     colle    proprie    mani 
Pietra    Ferdinando  Pecha,  il  qua- 
le d'allora    in  poi   si   fece  chiamare 
Ferdinando    di    Guadalajara,  ed   il 
suo    compagno    Pietro    da    Roma. 
Questi   dm;    furono     anche   i   primi 
che    fecero   i  voti   solenni   nelle   ma- 
ni  di   Gregorio  XI,   il   «piale  eresse 
le   celle    poste     intorno     alla   chiesa 
di  s.  Bartolomeo  in   monislero,  di 
cui  fece  priore  lo  stesso  Ferdin  ni- 
do, colla    lacollà  di   fondarne  altri 


GIR  9 1 

quattro,  ed  unirli  a  questo,  e  di 
ammettere  alla  solenne  professione 
gli  altri  eremili  della  sua  congre- 
gazione rimasti  nella  Spagna.  Tor- 
nò Ferdinando  in  quel  regno  in- 
sieme al  suo  compagno  Pietro,  e 
giunto  a  s.  Bartolomeo  di  Lupia- 
na  il  primo  febbraio  1  3 ~4>  ^ece  ■*■ 
so  delle  facoltà  ricevute,  edificando 
ivi  un  monistero  a  cui  prescrisse 
dei  regolamenti  per  mantenervi 
l' osservanza,  e  la  fabbrica  fu  ter- 
minata in  meno  d'un  anno,  con 
abbondanti  limosine  somministrate 
dalla  liberalità  de'  parenti  dello 
stesso  Ferdinando.  Rinunziò  quin- 
di 1'  uffizio  di  priore,  e  fece  eleg- 
gere in  suo  luogo  Ferdinando  Ya- 
nez  di  Caceras,  il  quale  era  il  so- 
lo sacerdote  che  allora  fosse  nel- 
l'ordine, perchè  Alfonso  Pecha,  il 
quale  per  imitare  il  suo  fratello 
avea  rinunziato  la  sede  vescovile 
di  Jaen,  ed  erasi  unito  a  lui  pri- 
ma della  conferma  dell'ordine,  dal- 
la Spagna  n'  era  partito  in  pelle- 
grinaggio per  Roma ,  dove  cede 
tutti  i  suoi  beni  al  monistero  ili 
s.  Bartolomeo  di  Lupiana.  Dopo 
l'elezione  del  nuovo  priore,  Ferdi- 
nando di  Guadalajara  fondò  altri 
monisteri,  e  li  unì  secondo  la  bol- 
la del  Papa  al  primo.  Intanto  sic- 
come avanti  di  abbracciare  la  vi- 
ta cenobitica  questi  eremiti  si  c- 
rano  moltiplicati  in  maniera,  che 
alcuni  di  essi  passarono  a  fondale 
un  cremo  nel  regno  di  Valenza 
vicino  alla  città  di  Gandia,  ed  al- 
tri nel  regno  di  Portogallo,  perciò 
avendo  udito  che  quelli  rimasti 
iu  Castiglia  avevano  abbracciata 
la  vita  cenobitica,  ed  avevano  fon- 
dato l'ordine  di  s.  Girolamo,  vol- 
lero imitarli  con  viveir  ancoi  essi 
in  comunità,  e  colle  medesime  os- 
servante.   I     pruni     furono    quelli 


92  GIR 

del  regno  eli  Valenza,  che  dall'  e- 
remo  di  Gandia  erano  stati  co- 
stretti a  passare  ad  un  altro  da 
<  >si  fondato  in  Catalva,  e  per  fare 
la  detta  mutazione  ottennero  la 
licenza  nel  i3y4  da  Gregorio  XI, 
onde  fecero  i  voli  solenni,  e  pen- 
sarono a  fondar  dei  conventi  in 
quel  regno,  mentre  Ferdinando 
Yanez,  priore  di  s.  Bartolomeo  di 
Lupiana,  fece  acquisto  nel  i38y 
del  celebre  santuario  della  Madon- 
na di  Guadalupe  nell'Estremadura. 
Quei  di  Portogallo  che  abitavano 
tiell'  eremo  di  Penalonga,  dove  li 
avea  stabiliti  un  certo  F.  Vasco 
portoghese,  uno  dei  compagni  del 
li.  Tommasuccio,  i  quali  erano 
passati  dall'  Italia  nella  Spagna, 
volendo  ancor  essi  imitare  la  vita 
monastica ,  ed  osservare  le  regole 
degli  altri  ,  ricorsero  a  Bonifacio 
IX,  che  loro  accordò  quanto  do- 
mandavano, ed  insieme  di  erigere 
I'  eremo  di  Penalonga  iu  moni- 
stero  dell'ordine  ili  s.  Girolamo, 
e  di  godere  degli  stessi  privilegi 
accordati  da  Gregorio  XI  a  quel- 
li  di   Castiglia  e  di   Valenza. 

Altri  eremiti  della  Catalogna  nel 
1 3i)3  fecero  la  stessa  risoluzione, 
ed  ottennero  tutto  dall'antipapa 
Clemente  VII,  cui  allora  ubbidiva 
erroneamente  la  Spagna  ed  altre 
nazioni,  pel  fatale  notissimo  sci- 
ama, e  ciò  ad  istanza  di  Jolanda 
regina  d'Aragona  che  fece  loro 
fabbricare  il  monistero  di  Valla- 
toti. Acquistarono  dipoi  questi  re- 
ligiosi altri  monisteri,  e  tra  questi 
ij nello  di  Majorada,  ch'era  del  ter- 
z'ordine  di  s.  Francesco  ,  i  di  cui 
abitatori  si  portarono  da  Ferdinan- 
do di  Gùadalajara,  e  riceverono 
dalle  di  lui  mani  l'abito  dei  giro- 
lamini,  approvando  questo  cam- 
biamento    l  altro    antipapa    Bene- 


GIR 
«letto  XIII.  Ferdinando  fondò  nel 
medesimo  tempo  il  monistero  di 
Talavera,  e  poscia  fatto  priore  di 
quello  della  Madonna  di  Sisla,  con- 
sumato dalle  austerità  e  penitenze, 
rinunziò  il  priorato,  e  si  ritirò  nel 
monistero  di  Nostra  Signora  o  Ma- 
donna di  Guadalupe,  io  cui  morì 
nel  1402,  con  fama  di  gran  san- 
tità e  virtù,  particolarmente  d' u- 
miltà,  per  la  quale  non  volle  mai 
ricevere  gli  ordini  sacri,  benché 
versatissimo  nella  lingua  latina,  e 
nelle  divine  scritture,  e  quantun- 
que ne  fosse  istantemente  pregato. 
Qui  noteremo  che  i  monaci  della 
Campora  seguendo  la  regola  di  s. 
Agostino,  come  gli  altri  ad  esem- 
pio loro,  non  presero  subito  il  no- 
me di  girolamini,  così  il  cardinal 
Doinenichi  arcivescovo  di  Ragusa 
a  nome  del  Pontefice  Gregorio  XII, 
con  lettera  del  1408  comunicò  lo- 
ro la  facoltà  di  denominarsi  giro- 
lamini :  questo  monistero  di  s.  Ma- 
ria della  Campora,  come  il  più  an 
lieo,  divenne  il  capo  della  congre- 
gazione italiana,  e  poi  fu  unito  alla 
badia  fiorentina  de'  benedettini  con 
bolla  di  Eugenio  IV  del  1 4^4-  H 
Novaes,  Vite  de  Pontefici  t.  IV, 
p.  1 99,  dice  che  i  girolamini  ven- 
ticinque anni  prima  ebbero  in  Ro- 
ma la  chiesa  e  monistero  di  s.  Pie- 
tro in  Vincoli,  che  poi  passò  in 
proprietà  de'  canonici  regolari  del 
ss.  Salvatore.  Dopo  la  morte  ili 
Ferdinando,  l'ordine  fece  ulteriori 
progressi,  onde  nel  l4*5  in  dal 
medesimo  celebrato  il  primo  ca- 
pitolo generale. 

Ogni  convento  sino  a  quell'an- 
no aveva  eletto  il  suo  superiore, 
perlocchè  le  osservanze  già  comin- 
ciavano ad  essere  diverse  nei  mo- 
nisteri. Per  mantenere  1'  unifor- 
mità   ricorsero  1     mouaci     all'anti- 


GIR 

papa  Benedetto  XIII  ,  ed  a  Ini 
domandarono  la  facoltà  di  raduna- 
re i  capitoli  generali,  e  l'antipapa 
con  una  bolla  de'  18  ottobre  i4'4 
ordinò  che  tutti  i  priori  e  procu- 
ratori de'  monisteri  si  adunassero 
in  avvenire  in  un  luogo  atto  per 
celebrarvi  il  capitolo  generale,  ma 
che  per  la  prima  volta  lo  tenesse- 
ro in  quello  della  Madonna  di 
Guadalupe,  al  di  cui  priore  diede 
autorità  di  spedire  le  lettere  con- 
vocatone, sotto  la  presidenza  di 
due  padri  certosini,  e  li  esentò  nel 
tempo  stesso  dalla  giurisdizione  dei 
vescovi  rispettivi.  In  virtù  di  que- 
sta bolla  pertanto  tennero  il  loro 
primo  capitolo  generale  nel  moni- 
stero  dalla  Madonna  di  Guadalu- 
pe a'  26  luglio  1^1 5;  ed  elessero 
per  primo  generale  il  p.  Diego  di 
Alcarona  priore  di  s.  Bartolomeo 
di  Lupiana,  e  da  quel  tempo  io 
poi  i  priori  di  questo  monistero 
sono  stati  sempre  generali,  che  per 
conseguenza  vi  risiedono,  e  non 
possono  allontanarsi  più  di  cinque 
leghe,  ed  il  monistero  di  Guada- 
lupe  divenne  perciò  come  allro  ca- 
po dell'ordine.  Però  il  p.  Bonan- 
ni  dice  che  prima  di  questo  tem- 
po l'ordine  avea  il  generale,  che 
ogni  tre  anni  si  eleggeva  da  otto 
definitori  scelti  dall'ordine.  Tenne- 
ro poi  il  secondo  capitolo  genera- 
le nel  14^,  il  terzo  nel  i4'9> 
ed  in  seguito  lo  hanno  adunato 
sempre  ogni  tre  anni.  Dopo  la  de- 
posizione di  Benedetto  XIII,  e  la 
legittima  elezione  del  Pontefice 
Martino  V ,  ottennero  da  questi 
l'approvazione  di  quanto  loro  ora 
stato  accordato  dall'antipapa,  sic- 
come dopo  alcuni  anni  confermò 
tutto  anche   Innocenzo   Vili. 

Nel  i447  appena  eletto  Nicolò  V 
designò  di  unire  in    un    sol    corpo 


GIR 

lutti  gli  ordini  che  in  quel  tempo 
prendevano  il  nome  di  s.  Girola- 
mo. Per  venire  a  capo  di  ciò,  proi- 
bì ai  girolamini  di  Spagna  di  con- 
vocale il  capitolo  generale  ,  e  co- 
mandò loro  di  portarsi  a  Roma  , 
dov' egli  avea  intimato  il  capitolo 
pel  giorno  di  Pentecoste  del  141^ 
Tutti  i  monisteri  di  quel  regno 
deputarono  dodici  religiosi,  ai  quali 
commisero  di  fare  quel  tanto  clu- 
giudicato  avrebbero  pia  spediente, 
raccomandando  però  d'  opporsi  con 
tutte  le  forze  alla  divisata  unione. 
In  fatto  seppero  essi  tanto  bene 
adoperarsi  col  Papa,  che  le  cose 
restarono  nello  stato  in  cui  erano, 
lo  che  non  riuscì  a  quelli  di  Por- 
togallo, i  quali  essendosi  separati 
dagli  spaglinoli,  col  formare  una  con- 
gregazione a  parte,  dipoi  ad  istanza 
di  Filippo  II  re  di  Spagna  e  ci i 
Portogallo  di  nuovo  furono  uniti 
nel  1 5c)5  da  Clemente  Vili  sotto 
il  governo  del  medesimo  generale. 
In  detti  due  regni  i  girolamini 
hanno  diversi  monisteri ,  ed  alcuni 
magnifici  e  ricchi,  ne'quali  dispen- 
sano copiose  limosine  ai  poveri  mas- 
sime pellegrini,  e  in  determinati 
giorni  con  maggiore  abbondanza  : 
colle  limosine  di  questi  religiosi  s. 
Giovanni  di  Dio  fondò  il  suo  pri- 
mo ospedale.  Sono  ivi  sempre  stati 
tenuti  in  sì  alta  stima,  die  i  ri- 
spettivi monarchi  hanno  loro  com- 
partito molti  privilegi  ,  e  diversi 
loro  religiosi  sono  stati  impiegati  a 
riformare  nelle  occorrenze  vari  or- 
dini e  monisteri  di  altri  istituti  , 
non  che  ordini  militari  ed  eque- 
stri. I  loro  più  celebri  conventi  o 
monisteri  nella  Spagna  furono  quel- 
lo di  s.  Bartolomeo  di  Lupiana  ca- 
po dell'ordine,  quello  della  Ma- 
donna di  Guadalupe  considerato 
pure   per  tale,  quello  di  s.  Lorenzo 


94  GIR 

dell'  Escuriale  con  la  cura  della 
biblioteca  reale,  dov'è  la  sepoltura 
dei  re  di  Spagna ,  e  quello  di  s. 
Giusto  presso  Placencia  nelFEstre- 
madura,  in  cui  si  ritirò  il  poten- 
tissimo imperatore  Carlo  V,  dopo 
aver  ceduto  i  numerosi  suoi  stati, 
parte  a  Ferdinando  1  suo  fratello, 
parte  a  Filippo  II  suo  figlio.  Robert- 
son parlando  di  questa  risoluzione 
di  Carlo  V,  dice  che  in  s.  Giusto 
seppellì  nella  solitudine  e  nel  si- 
lenzio la  sua  grandezza,  la  sua  am- 
bizione, e  tulli  que' vasti  progetti 
che  per  un  mezzo  secolo  empiuto 
avevano  l'Europa  di  agitazioni  e 
di  paure;  che  i  suoi  divertimenti 
si  limitavano  a  passeggiate  sopra 
un  piccolo  cavallo,  il  solo  che  aves- 
se conservato,  alla  cultura  d'un 
giardino,  ed  a  lavori  di  meccanica. 
Ivi  assisteva  due  volte  al  giorno 
all'uffizio  divino,  leggeva  libri  di 
divozione,  e  particolarmente  le  ope- 
re di  s.  Agostino  e  di  s.  Bernardo, 
e  praticò  nel  loro  intero  rigore 
le  regole  della  vita  monastica.  Nel- 
l'eccesso della  sua  divozione  cer- 
cando d'inventare  alcun  atto  di  pie- 
tà, che  potesse  rendere  segnalato 
il  suo  zelo ,  si  fece  nella  chiesa 
di  s.  Giusto,  benché  vivente,  e  di- 
steso sulla  bara,  celebrare  i  fune- 
rali, al  modo  detto  al  voi.  XXVIII, 
p.  32  e  33  del  Dizionario,  oltre 
quanto  di  lui  dissi  all'articolo  Ger- 
mania, ed  ivi  morì  a' 2  i  settemhre 
i558. 

Nei  nominati  ed  altri  monisteri 
de'  girolamini  di  Spagna  fiorirono 
molti  religiosi  illustri  per  nobiltà 
di  sangue,  per  pietà  e  per  dottri- 
na, ed  alcuni  di  essi  furono  pro- 
mossi alle  dignità  ecclesiastiche  di 
que'  regni.  Questi  religiosi  dell'  an- 
tico loro  abito  hanno  conservato 
solamente  lu  tonaca  bianca,  poiché 


GIR 

mutarono  il  color  tanè  dello  sca- 
polare,  che  ora  portano  anche  più 
stretto,  in  nero,  ed  hanno  aggiunto 
al  cappuccio  una  mozzetta  nella 
parte  anteriore  tonda  ,  nella  poste- 
riore appuntata.  Quando  escono  da 
casa  portano  una  cappa  nera  lun- 
ga sino  a  terra  ed  assai  increspata, 
e  cingono  la  tonaca  con  una  cin- 
tura di  cuoio  :  il  p.  Bonauni  nel 
Catalogo  degli  ordini  religiosi  par- 
te I,  cap.  CXY1II,  ne  riporta  la 
figura  ed  alcune  notizie.  Questi  re- 
ligiosi si  levano  a  mezza  notte  per 
due  il  mattutino,  fanno  ogni  gior- 
no mezz'ora  di  orazione  mentale 
avanti  il  vespero,  e  mezza  dopo  la 
compieta.  Ai  digiuni  della  Chiesa 
aggiungono  quelli  di  tutto  l'avven- 
to, del  lunedì  e  martedì  dopo  la 
quinquagesima,  di  tutti  i  venerdì 
dell'anno,  dei  tre  giorni  delle  le- 
gazioni, e  delle  vigilie  della  Pur't- 
fieazione  e  Natività  della  B.  Ver- 
gine, e  di  s.  Girolamo.  Nel  venerdì 
santo  digiunano  in  pane  ed  acqua, 
e  nei  mercoledì  non  mangiano  mai 
carne,  neppure  fuori  di  convento. 
Adunano  il  capitolo  generale  ogni 
tre  anni,  nella  terza  domenica  dopo 
Pasqua,  in  cui  il  generale  ed  al- 
tri superiori  domandano  di  essere 
liberati  dal  peso  del  loro  uffizio. 
Hanno  degli  oblati  ,  e  le  monache 
Girolamine  (  /  edi  )  con  oblate  : 
gli  oblati  e  le  oblate  portano  una 
veste  bianca  senza  scapolare,  ed 
un  mantello  di  color  tanè.  Dalla 
congregazione  girolamina  di  Spa- 
gna ebbe  origine  quella  de'  Giro- 
lamìni  monaci  d'Italia  (fedi). 
Di  quest'ordine,  oltre  gli  scrittoli 
che  parlano  degli  ordini  monastici, 
ne  trattano  l'Azorio,  Morali  isti- 
tuzioni, e  Pietro  Varga  spaglinolo 
nella  Cronaca  dell'  ordine. 
G I ROL  A  MINI,  Ordine  monastico, 


GIR 

o  monaci   eremiti    girolamini    del- 
l'osservanza  di    Lombardia.   Auto- 
re di  questa  congregazione  d'Italia 
fu    Lupo     di   Olmedo,   lungo     della 
diocesi   d'  Avila  nella  Spagna,    ove 
nacque    nel    i  3^0  :  alcuni   lo  fecero 
della     famiglia    Gonzalez,    altri    di 
quella  de'  Ferrari  di    Valenza,    ed 
altri    pretendono  ola;   fosse    fratello 
di   s.    Vincenzo    Peneri.    Sino  da 
fanciullo    attese  a   praticare  le   più 
sode   virtù,  e  si   applicò  alle  scien- 
ze, per  apprendere  le  quali  si   por- 
tò a    Perugia,     dove  allora   lo  stu- 
dio di   queste  mirabilmente  fioriva. 
Strinse  quivi   amicizia   con   Oddone 
Colonna,   che    studiava   nella   stessa 
città,   il   quale    divenne    poi   cardi- 
nale,   e  nel    i4'7   Papa  col   nome 
di  Martino    V.     Terminati     Lupo 
gli  studi    ritornò    alla   patria,   e  da 
Ferdinando     I     re    d'  Aragona     fu 
inviato  all'antipapa  Benedetto  XIII, 
riconosciuto  fatalmente    in  quel  re- 
gno come  fosse  legittimo  successo- 
re di   s.    Pietro,    non  che  alla  re- 
pubblica di    Genova  ,  ed  a  diversi 
principi   d'Italia.  Ritornato  a   corte, 
volle    il  re   innalzarlo     alle     prime 
dignità,    ma  invece    Lupo  genero- 
samente le  ricusò,  per  ritirarsi  nel 
nionistero  di   Guadalupe   dell'ordi- 
ne de  Girolamini  di  Spagna  (Te- 
di), e    vestirvi    come  fece    1'  abito 
de' religiosi   girolamini.    Ivi   uni  al- 
lo studio  delle  umane  lettere   I'  o- 
razione   ed  altri    esercizi    di  pietà, 
rc'quali   s'impiegava    continuamen- 
te,  onde   in    breve  fu   giudicalo  a- 
liile     per    tutti   i   gradi    dell'ordine, 
di     quello    eziandio    di    generale     a 
cui    ih    eletto   nel     i  j.aa,    quantun- 
que egli   per   la   sua   umiltà   facesse 
validi    resistenza.  In    questa  carica 
mostrò  il  suo  zelo  per   la  regolare 
osservanza,  ed  impiegò   tutta    la  sua 
autorità   per    estirpale  certi  abusi, 


G  I  R  o,5 

che    con     pena     vedeva     introdotti 
nell'ordine.  Esortava  gli  assenti  con 
lettere,    ed    i    presenti    con    efficaci 
esortazioni     e    con    l' esempio    alla 
pratica   delle  virtù,  ed    alla     osser- 
vanza  della   regola;    voleva   bandire 
dal    refettorio  l'uso  delle  carni,  ed 
infondere   ne'religiosi    lo  spirito    del 
ritiro   e  della   solitudine.   Preveden- 
do  però,     die     avrebbe    incontrato 
delle  contraddizioni  rinunziò  al   ge- 
neralato,   e    si    ritirò    per    qualche 
tempo    tra' certosini,    per     formare 
sull'esempio   di   questi     l'idea   della 
riforma  dell'ordine    suo,   che  con- 
tinuamente    meditava.     Appena    si 
assicurò  che    alcuni   religiosi   erano 
risoluti   secondarlo  nelle    sue    sante 
intenzioni,    che  nel     *424  s'   portò 
in  Roma  a'  piedi  del  Pontefice  Mar- 
tino  V,   il  quale  memore  dell'anti- 
ca  amicizia   l'accolse  amorevolmen- 
te; ed  esposegli  il  disegno  concepito 
d'istituire   un   nuovo  ordine  di   mo- 
naci  sotto  il   titolo  di   s.  Girolamo, 
qualora     i     girolamini     di     Spagna 
si  fossero  ostinati  in  opporsi  all'in- 
tenzione   che    aveva  di    riformarli. 
11   Papa   chiamò    a   Roma    dalla 
Spagna    i    definitori    dell'ordine,    e 
questi   seppero    s'i    bene  rappresen- 
targli   che  sarebbe  stato   meglio  ili 
non   introdurre  novità   alcuna,   che 
Martino  V   li     rimandò  in   pace  ai 
loro    monisterì.     Non    volendo    poi 
che  Lupo     restasse  affitto    delus  >, 
l'autorizzò   con    una   bolla   di  fon- 
dare    una     congregazione    sotto     il 
titolo   di  monaci   eremiti  di  s.     Gi- 
rolamo,  nelle    montagne  di    Cagal- 
la  nella  diocesi  di  Siviglia,  lo  creò 
generale     perpetuo    di    questa   con- 
gregazione, e   gli   accordò  con  altre 
bolle   la   conferma    di   que-t  i 
la  regola  di   s.   Agostino,  e  tra  idi 
altri     molti    privilegi   la    comunica- 
zione, di    quelli  degli    alili   eremiti 


96  GIR 

girolamini.  Lupo  tornato  in  Impa- 
glia gittò  i  fondamenti  della  sua 
congregazione  nel  monistero  di  s. 
Girolamo  dell'  Acella  sul  monte 
Cagalla,  ed  aggiunse  alla  regola  di 
s.  Agostino  altre  rigorose  costitu- 
zioni ,  cavate  in  parte  da  quelle 
de'  certosini.  Ordinò  in  queste  tra 
le  altre  cose,  che  i  religiosi  non  i- 
studiassero  nel  monistero,  ne  po- 
tessero uscir  da  questo  per  anda- 
re a  studiare  nella  università,  te- 
mendo che  la  scienza  li  facesse 
orgogliosi  ;  che  non  fosse  lecito 
alle  donne  entrare  nelle  loro  chie- 
se, che  non  mangiassero  carne  né 
facessero  uso  di  panni  lini  se  non 
nelle  infermità ,  che  digiunassero 
dalla  festa  di  s.  Girolamo  (ino  a 
Pasqua,  e  che  avendo  dato  loro  il 
nome  di  monaci  portassero  la  co- 
colla in  coro,  e  fuori  del  moni- 
stero,  simile  a  quella  dei  bene- 
dettini. Il  p.  Lupo  fondò  quindi 
altri  cinque  monisteri  sulle  nomi- 
nate montagne,  ed  in  breve  tempo 
ebbe  molti  seguaci  della  sua  di- 
sciplina. Ottenne  quindi  il  p.  Lu- 
po il  monistero  di  Castellazzo  lun- 
gi un  miglio  circa  da  Milano, 
fatto  già  fabbricare  da  Giovanni 
Galeazzo  duca  di  quello  stato,  per 
gli  eremiti  girolamini  di  Spagna, 
i  quali  abitandovi  sino  dal  i4oi 
domandarono  di  essere  uniti  ai 
monaci  dell'  osservanza,  come  so- 
no chiamati  dai  romani  Pontefici 
in  più  bolle.  Il  p.  Lupo  essendo- 
si portato  colà,  fece  rinnovare  a 
quegli  eremiti  la  professione,  ed 
avendogli  il  duca  di  Milano  offer- 
te molte  rendite  le  ricusò,  dicen- 
do che  non  si  poteva  accordare 
la  povertà  col  superfluo.  Nel  bre- 
ve corso  di  trent'anni  divenne  quel 
chiostro  un  seminario  di  santi,  e 
fiori   per  uomini  dotti,  fra  i  qua- 


GIR 

li  Jacopo  Occhioni,  Modesto  Fer- 
rari, Costanzo  Gazzaniga,  Gabrie- 
le Monti,  Innocenzo  da  Bergamo, 
Isidoro  da  Milano,  Girolamo  Va- 
gliani,  Leone  Caccia  ec.  Quindi 
per  ordine  del  p.  Antonio  di  Breb- 
bia,  superiore  del  monistero  di 
Castellazzo,  fu  convocato  nella  chie- 
sa il  capitolo  nel  ì^.t.5  a'  11  feb- 
braio ,  e  tutti  fecero  la  solenne 
professione  di  osservare  fedelmen- 
te tutte  le  costituzioni  già  da  Mar- 
tino V  approvate,  e  di  ubbidire 
a  tultociò  che  nelle  sue  bolle  e- 
1  a  stato  in  avanti  ordinato  ai  mo- 
naci girolamini.  Il  p.  Lupo  am- 
maestrò i  monaci  all'orazione,  pe- 
nitenza, digiuno,  trattenendoli  in 
santi  colloqui.  Stabilita  in  tal  mo- 
do dal  p.  Lupo  una  perpetua  al- 
leanza coi  monaci  di  Castellazzo  , 
■vi  lasciò  al  governo  il  p.  Alvaro 
spagnuolo,    e  se  ne  parti. 

Da  Milano  passò  il  p.  Lupo  a  Ge- 
nova per  prendervi  il  possesso  di  un 
altro  monistero,  chiamato  Quarto 
per  essere  distante  quattro  miglia 
dalla  città,  nel  quale  trovavasi  un 
monistero  di  girolamini  già  fonda- 
to da  d.  Alfonso  Pecha  di  Gua- 
dalajara.  A  seconda  dell'  invito 
de' monaci  il  p.  Lupo  trattò  con 
essi  il  nuovo  sistema  di  vita  che 
dovevano  intraprendere;  diede  lo- 
ro la  cocolla,  prescrisse  le  costi- 
tuzioni che  dovevano  osservare,  e 
ne  ricevè  solenne  promessa  di  per- 
petua osservanza.  Poco  dopo  aven- 
dolo chiamato  a  Roma  Martino  V,  nel 
1426  gli  diede  il  monistero  e  la  chiesa 
de'  santi  Alessio  e  Bonifacio  sul  mon- 
te Aventino,  già  diaconia  cardinalizia, 
già  de'monaci  benedettini,  indi  de'ca- 
nonici  regolari  premonstratensi,  e  tal 
concessione  ebbe  luogo  nel  seguente 
modo.  Era  commendatario  di  detto 
monistero  il  cardinal    Alfonso    Ca- 


GIR 

rillo  spagnuolo,  mentre  i  ormonici 
pretnonstratensi  che  allora  l'abita- 
vano erano  ridotti  a  piccolissimo 
numero;  come  ancora  essendo  de- 
caduti dall'antica  disciplina,  scema- 
vasi  l'antico  splendore  del  celebre 
monistcro  e  del  contiguo  magnifi- 
co tempio.  Tuttociò  dispiacendo 
al  cardinal  Carillo,  volle  porvi  ri- 
paro, e  siccome  era  amico  del  p. 
Lupo,  lo  giudicò  attissimo  all'uopo. 
Il  cardinale  pertanto  ottenne  da 
Martino  V  un  diploma  de'  27  a- 
prile  1426,  per  l'autorità  del  qua- 
le i  canonici  regolari  premonstra- 
tensi  dovettero  cedere  il  monistero 
e  la  chiesa  con  tutte  le  sostanze 
che  gli  appartenevano,  al  p.  Lupo 
ed  ai  suoi  religiosi.  Questi  quanto 
più  presto  poterono  si  trasferirono 
nel  luogo,  ivi  diligentemente  osser- 
vando le  leggi  imposte  dal  p.  Lupo. 
Inoltre  il  Papa  Martino  V  conces- 
se al  p.  Lupo  altri  privilegi  con- 
giuntamente a  quelli  che  già  go- 
deva la  chiesa  de'  ss.  Alessio  e 
Bonifacio  fino  dalla  sua  fondazione, 
e  di  più  nel  1428  gli  accordò 
tutte  le  indulgenze  già  concedute 
a  tutte  le  chiese  di  Roma.  Gelo- 
sissimo il  p.  Lupo  di  mantenere 
in  questo  monistero  la  solitudine, 
fece  rigorosissime  leggi  spettanti 
alla  chiusura  del  medesimo,  e  tra 
le  altre  quella  che  non  potessero 
i  monaci  uscir  fuori  del  chiostro 
se  non  per  cagioni  rilevantissime. 
Per  tal  modo  i  monaci  girolamini 
salirono  in  Roma  in  grande  esti- 
mazione, e  servirono  di  edifica- 
zione  agli   altri. 

La  chiesa  de' ss.  Alessio  e  Boni- 
facio  sul  monte  Aventino  è  pure 
una  cklle  vaiti  antiche  abbazie  pri- 
vilegiate  di  Roma,  i  cui  abbati 
sistemano  il  sommo  Pontefice  al- 
lorché celebrava  solennemente,  eo- 

>OL.     XX\I. 


GIR  97 

me  nelle  processioni  e  stazioni , 
chiesa  che  poi  fu  fatta  titolo  car- 
dinalizio da  Sisto  V.  V.  Ciiif>\ 
de' ss.  Alessio  e  Bonifacio,  al  qua! 
articolo  citammo  1'  opera  erudi- 
tissima del  p.  abbate  d.  Felice  Ae- 
rini, che  ne  fece  l' importante  isto- 
ria. Questa  chiesa  col  monistero 
annesso,  secondo  i  critici,  sarebbe 
posteriore  al  secolo  quinto,  in  ori- 
gine fu  consagrata  a  s.  Bonifacio, 
e  poscia  dedicata  ancora  a  s.  A- 
lessio  ,  nome  col  quale  oggi  è  più 
nota.  Ivi  sono  le  memorie  di  Ser- 
gio vescovo  di  Damasco  che  vi  fu 
sepolto  nell'anno  98»,  il  qua- 
le dal  famoso  Crescenzio  che  do- 
minò Roma  come  tiranno  fu  pre- 
posto al  compimento  del  moniste- 
io,  depositando  il  vescovo  nella 
chiesa  l'immagine  della  Beata  Ver- 
gine da  lui  portata  da  Edessa  ; 
vi  è  pure  memoria  di  Crescenzio 
nipote  del  precedente,  che  arricchì 
il  cenobio  di  nuove  possidenze,  e  vi 
morì  monaco  benedettino,  tra'  quali 
noteremo  che  fiorirono  santi  ed  illustri 
religiosi,  fra' quali  s.  Adalberto  ve- 
scovo di  Praga  ed  apostolo  de'l>oemi, 
s.  Gaudenzio  suo  fratello,  s.  Anasta- 
sio, e  s.  Bonifacio  apostolo  de' rus- 
si meridionali,  finché  Gregorio  1\ 
die  la  chiesa  ed  il  monistero  ne! 
i23i  ai  nominati  premonstratensi. 
Nel  pontificalo  del  predecessore  Ono- 
rio IH  ebbe  luogo  la  dedicazione 
della  chiesa  fatta  dal  Papa,  assi- 
stito dai  cardinali  ,  da  Marco  -Ni- 
colai arcivescovo  di  \  enezia,  . 
molli  altri  vescovi  e  prelati,  il  mar- 
tedì santo  del  121".  Tra  lo  altre 
memorie  sepolcrali  faremo  am 
menzione  di  quella  di  Leone  dei 
Massimi,  morto  a' 23  aprile  del 
1012.  sepolcro  ch'egli  a\ca  .1 
nato  al  mio  figlie  Stefano,  ed  aNa 
sua    figlia  ;.    il   deposito  del    cardinal 


9^  G  I  R 

liianfrancesco  de'  conti  Guidi  di 
Bagno  titolate  della  chiesa,  con  la 
statua  scolpita  da  Domenico  Guidi, 
che  vivendo  vi  avea  fatto  degli 
abbellimenti  alla  confessione}  di 
Giuseppe  Brippio  poeta  latino  del 
secolo  XV,  e  dello  stesso  beneme- 
rito p.  Nerini  abbate  del  mona- 
stero, sepolto  avanti  1'  altare  mag- 
giore. Neil'  annesso  monastero  il 
chiostro  è  retto  da  ventotto  colon- 
ne, cioè  dodici  di  granito  bigio, 
tre  di  granito  rosso,  cinque  di 
marmo  salino,  sei  di  cipollino,  una 
di  marmo  bigio,  ed  una  di  pavo- 
nazzetto.  Il  monistero  fu  ampliato 
dai  monaci  nella  mela  del  decorso 
secolo,  ed  essendo  stato  comprato 
nel  1810  da  Carlo  IV  re  di  Spa- 
gna, ne  fece  una  casa  di  delizia 
per  la  sua  amena  ed  elevata  po- 
sizione, e  poi  dopo  averla  abitata, 
munificamente  la  donò  ai  monaci  al 
loro  ritorno.  L'  archivio  del  moni- 
stero  de'  ss.  Alessio  e  Bonifacio 
conteneva  molle  preziose  notizie 
tanto  riguardanti  essa,  che  la  con- 
gregazione de'  girolamini  di  Lom- 
bardia; ma  nelle  ultime  e  note  po- 
litiche vicende,  quando  Roma  fu 
occupata  dai  napoletani,  l'archivio 
con  altri  dieciotto  archivi  fu  por- 
tato nel  monistero  delle  Vergini 
nella  via  delle  Muralte,  e  poi  ven- 
duto come  cartaccia  ai  droghieri 
e  pizzicagnoli.  Tuttora  esiste  nel 
monistero  il  Bollano  girolamino 
riunito  e  disposto  dal  citato  p. 
Nerini  dottissimo,  ma  è  inedito,  e 
senza  la  munificenza  del  lodato 
monarca  che  acquistò  il  locale,  non 
esisterebbe  ne  biblioteca  né  altro 
che  al  monistero  appartiene. 

Inoltre  Martino  V  dispose,  per- 
chè passasse  buona  armonia  tra 
questa  congregazione  e  i  girolami- 
ni di  Spagna,  mediante    bolla    del 


G  I  R 
1 4. 1 7 ,  che  il  p.  Lupo  restasse  fa- 
coltizzato  di  potere  ricevere  tutti 
que'  monaci  spagnuoli  che  avessero 
bramato  passare  nella  sua  congre- 
gazione ,  con  questo  però ,  che  i 
monaci  spagnuoli  dovessero  por- 
tare seco  loio  i  beni,  che  già  ave- 
vano dato  all'  altro  istituto.  Ordi- 
nò altresì  il  benefico  Pontefice,  che 
i  inonisteri  degli  eremili  girolami- 
ni, i  quali  volessero  abbracciare  le 
costituzioni  del  p.  Lupo,  potessero 
farlo  con  la  licenza  de'  superiori; 
che  si  ricevessero  vicendevolmente, 
non  meno  sani  che  infermi,  nei  ri- 
spettivi monisteri,  come  se  fossero 
stati  della  medesima  congregazio- 
ne; e  che  finalmente  vi  fosse  fra 
loro  la  comunicazione  de' suffragi 
pei  religiosi  defunti.  In  tal  modo 
Martino  V  facoltizzò  il  p.  Lupo  di 
dilatare  i  confini  della  sua  congre- 
gazione, farvi  delle  aggregazioni, 
con  illimitato  potere  di  ammini- 
strare, visitare,  e  correggere  quanto 
al  p.  Lupo  fosse  piaciuto  e  creduto 
convenevole,  segnatamente  per  la 
congregazione  d'Italia,  che  portasse 
il  titolo  di  s.  Girolamo,  Ballar,  et 
si  prò  cunelorum.  Sembrando  poscia 
a  lui  che  la  regola  di  s.  Agostino 
fosse  poco  confacente  alla  professio- 
ne monastica,  si  affaticò  per  com- 
porre una  regola  nuova,  cavata 
dagli  scritti  di  s.  Girolamo,  e  pre- 
sentatala al  Papa  nel  i4^9»  Mar- 
tino V  l'approvò,  e  sciolse  i  reli- 
giosi dall'  obbligo  di  osservare  la 
regola  agostiniana.  Fatte  tutte  que- 
ste cose,  il  p.  Lupo  volle  come  ge- 
nerale recarsi  alla  visita  de'  suoi 
monisteri  di  Spagna,  e  Martino  V 
gli  diede  l' autorità  di  comporre 
alcune  divisioni  insorte  tra  i  ve- 
scovi di  Castiglia,  e  lo  costituì  am- 
ministratore dell'arcivescovato  di 
Siviglia,  il  quale  ria  vacante  per  es- 


GIR 
scine  stato  privato  d.  Diego  Maldo- 
nato  di  Annaia,  come  fautore  nel 
celebre  concilio  di  Costanza  del- 
l'antipapa Benedetto  XIII.  Soddis- 
fece il  p.  Lupo  egregiamente  all<- 
sue  incombenze,  e  mentre  dimorava 
in  Siviglia  lece  acquisto  dell'  abba- 
zia di  s.  Isidoro  del  Campo,  lo  che 
diede  motivo  ad  alcuni  di  dare  al- 
la sua  congregazione  il  nome  di 
s.  Isidoro.  Passò  ancora  per  ordine 
del  Papa  in  Portogallo  in  qualità 
di  visitatore  della  congregazione 
de' canonici  secolari  di  s.  Gio.  E- 
vangelista.  Indi  per  amore  della 
solitudine  rinunziò  ad  Eugenio  IV 
all'  amministrazione  della  chiesa  di 
Siviglia ,  ed  avendone  reso  conto 
appena  giunto  da  Roma,  si  ritirò 
nel  suo  monistero  di  s.  Alessio,  do- 
ve menando  una  vita  molto  au- 
stera e  santa,  ne  fu  ridotto  al  fi- 
ne da  una  febbre  ardentissitna  . 
Domandò  con  somma  umiltà  i  san- 
ti sacramenti,  e  munito  di  questi 
moii  a'  i3  aprile  1 4^3,  in  età  di 
mtatre  anni  ,  alla  presenza  di 
tulli  i  suoi  religiosi  piangenti,  e  fu 
sepolto  nella  stessa  chiesa  nella  tri- 
buna, con  1'  onorevole  epigrafe  in- 
torno alla  figura  in  bassorilievo, 
che  dice:  IIic  jacet  reverendus  in 
Xp"o  pater  frater  Luppus  de  Ol- 
meto NA~CION  ISPANUS  BESUSCITATOR 
F.T  REFORMATOR  AC  PRIMUS  GENERALI* 
l'RAEPOSlTUS  ORD1NIS  MON ACHORUM    HE- 

r.F.MiT\r.r\i    sc"i     Jkronimi    prioroue 

IH  JL'S    MONASTERI!    QUI    OCIIT      DIE      III 

aprilis    A.     D.    mccccxxxhi.     Poh?. 

Dlfl    EUGtHIl  PPr.   1111  AttHO  TERTIO. 

Filippo  II  re  di  Spagna  nel  i  >g5 
volle  che  i  sette  monisteri  della 
congregazione  del  p.  Lupo  di  Ol- 
medo,  esistenti  ne'  suoi  regni  ,  si 
unissero  a  quelli  degli  eremiti  gì» 
rolamini,  per  cui  alla  congregazio- 
ne restarono  i  soli    monisteri    d'I- 


Gflfc 

talia,  essendo  allora  il  principale 
quello  di  s.  Pietro  dello  Spedaiet- 
to  nella  diocesi  di  Lodi,  come  re- 
sidenza del  generale,  con  titolo  di 
eonle  dello  Spcdalefto,  con  l'uso 
della  mozzelta  e  della  mantellet- 
ta  come  i  prelati,  e  per  concessio*- 
ne  di  Paolo  V  e  di  Urbano  "Nili 
anco  de'  pontificali  ,  col  privilegio 
di  conferire  a'  suoi  religiosi  gli  or- 
dini minori.  Per  questo  monistero 
principale  e  per  altri  situati  in 
quelle  parti  la  congregazione  xi  n 
ne  chiamata  l'ordine  de'girolaml 
ni  di  Lombardia.  Dopo  la  morte 
del  p.  Lupo  i  suoi  religiosi  lascia- 
rono la  regola  da  lui  cavata  dagli 
scritti  di  s.  Girolamo,  e  tornarono 
a  quella  di  s.  Agostino  che  tutto 
ra  professano  i  superstiti  monaci  , 
poiché  nel  loro  calendario  rifor- 
mato nel  capitolo  generale  del 
i6i43  a'28  febbraio  si  legge:  die. 
28  fe.bruarii  translaiio  s.  Augusti- 
ni  episcopi,  ac  Ecclesiae  dottori*, 
duplex,  sub  cujus  regula  nos  quo- 
(jue  militamus,  D.  Pier  Luigi  Gal- 
letti abbate  cassinense,  avendo  tro- 
vato nella  badia  del  suo  ordine  in 
Firenze,  un  cronico  d'una  badia, 
poi  annessa  a  quell'altra,  e  detta 
già  delle  Campora ,  e  parendogli 
di  aver  scoperto  da  questo  la  ?é- 
ra  origine  dell'inclito  ordine  giro- 
lamino,  lo  mandò  al  cardinal  Qu  - 
lini,  il  quale  in  una  lettera  latini 
de'  3 1  maggio  I754s  e  poi  con 
un'altra  italiana  de'  1  ì  giugno 
giunte,  indirizzollo  collo  stesso  sen- 
timento del  p.  Galletti,  al  p.  d. 
Felice  Maria  .\erini  abbate  g< 
rale  de' monaci  girolamini,  dir  pr< 
curò  «li  abbattere  le  ragioni  del  p 
(.alletti  con  la  letlcia:  Hyeroni- 
minnae  fantiUàe  velerà  itionumt  n 
1,1  ad  amplisi.   />/>    <  tiri- 

ui.ru  iti-.   Placentiae    1  -  5  j.    Allora 


ioo  GIR 

il  p.  abbate  Gallclli  pubblicò  la 
Lettera  intorno  la  vera  e  sicura 
origine  del  ven.  ordine  de  pp.  gì- 
rolamini,  Roma  i  755,  nella  quale 
egli  più  fortemente  propugna  la 
sua  prima  sentenza.  V.  inoltre  il 
p.  d.  Norberto  Caymi  monaco  gi- 
volamino,  autore  della  Vita  del  ven. 
Lupo  d'Olmedo,  ristoratore  dell'an- 
tico ordine  girolamino }  e  fondato- 
re, della  congregazione  de'  monaci 
di  s.  Girolamo  detta  di  Lombar- 
dia, ce,  stampata  in  Bologna  nel 
i  754.  In  quest'  opera  giudiziosa 
ed  erudita  vi  sono  dettagliate  no- 
tizie su  questa  congregazione,  e  si 
correggono  le  altre  due  vite  del 
ven.  Lupo,  dettate  negli  idiomi  ita- 
liano e  latino  dal  p.  d.  Pio  Ros* 
si.  Il  p.  Annibali  nel  suo  Com- 
pendio della  storia  degli  ordini  re- 
ligiosi, parlando  del  girolamino  nel 
tom.  II,  par.  II,  a  pag.  33o,  dice, 
ebe  il  p.  Nerini  procuratore  gene- 
rale di  questa  congregazione  ed 
abbate  del  monistero  di  s.  Alessio, 
pretese  di  far  vedere  nel  citato  li- 
bro ebe  il  suo  ordine  fu  istituito 
da  s.  Girolamo,  che  da  questo  san- 
to dottore  in  poi  ha  sempre  du- 
ralo nella  Chiesa  fino  a'  tempi  no- 
stri; ma  che  il  lodato  Galletti,  poi 
vescovo  di  Cirene,  con  la  nomina- 
ta dissertazione,  cui  non  fu  rispo- 
sto, dimostrò  la  falsità  dell'  asser- 
zione ,  e  quale  fu  la  vera  epoca 
della  istituzione  dell'ordine  giro- 
lamino nella  Chiesa.  Benedetto  XIV 
nel  1755  con  la  costituzione  Ro- 
manum,  data  a' 20  gennaio,  Bull. 
Magn.  tom.  XIX,  pag.  117,  con- 
cesse ni  detto  p.  abbate  Nerini  ge- 
nerale della  congregazione  girola- 
inina  d'Italia,  ed  ai  successori  di 
lui,  un  posto  nelle  cappelle  ponti- 
fìcie tra  gli  altri  abbati  generali 
degli  ordini  monastici. 


GIR 
Di  questa  congregazione  di  gi- 
rolumini  non  vi  sono  religiose  o 
monache,  avendo  il  p.  Lupo  d'  01- 
medo  ne'  suoi  statuti  proibito  e- 
spressamente  di  riceverne,  e  sebbe- 
ne dopo  la  di  lui  morte  sieno  stati 
variati  in  alcuni  punti  ,  come  in 
quello  di  non  istudiare,  in  questo 
però  di  non  aver  monache ,  sono 
stati  sempre  osservati.  Radunano 
questi  monaci  ogni  tre  anni  il  lo- 
ro capitolo  generale,  in  cui  eleg- 
gono il  generale,  i  definitori,  i  vi- 
sitatori, e  gli  abbati  de'  moniste- 
ri.  Debbono  levarsi  a  mezza  notte 
per  dire  il  mattutino;  non  posso- 
no mangiar  carne  nei  monisteri  ; 
oltre  ai  giorni  prescritti  dalla  Chie- 
sa, sono  tenuti  a  digiunare  in  al- 
tri molti,  e  dal  primo  di  ottobre 
fino  a  Pasqua  non  si  deve  dar  lo- 
ro pietanza  nelle  sere  di  lunedì , 
mercoledì  e  sabbato,  così  ordinan- 
do le  loro  costituzioni  approvale 
da  Paolo  V  nel  161  1.  In  quanto 
all'abito,  i  sacerdoti  hanno  una  to- 
naca bianca  legata  con  cintura  di 
cuoio,  e  lo  scapolare  di  color  tanè 
a  cui  è  attaccalo  piccolo  cappuc- 
cio. In  coro  e  per  la  città  polli- 
no cocolla  parimente  di  color  tanè, 
e  quando  sono  nel  monistero  usa- 
no la  sola  tonaca  e  lo  scapolare , 
adoperando  la  berretta  quadia  [iu- 
re di  color  tanè.  I  frati  conversi 
hanno  ancor  essi  la  tonaca  bianca, 
e  lo  scapolare  tanè,  ma  in  vece 
della  cocolla  portano  un  mantello, 
anzi  al  presente  i  monaci  quando 
escono  non  usano  più  la  cocolla , 
ma  una  cappa  color  tanè.  I  frati 
conversi ,  cioè  quelli  che  danno 
irrevocabilmente  sé  stessi  e  i  loro 
beni  presenti  e  futuri,  diritti  ed 
azioni  alla  congregazione,  porta- 
no un  abito  ed  un  mantello  ta- 
nè; e  gli  oblati  che  vivono  nei  ino- 


GIR. 
•mieli  usano  la  veste  del  medesi- 
mo colore,  che  loro  scende  fino  al 
ginocchio,  a  differenza  di  quelli  che 
stanno  fuori  dei  monisteri,  i  quali 
vestono  come  i  secolari.  11  p.  Bonan- 
ni  nella  parte  I,  pag.  CXIX  del 
Catalogo  degli  ordini  religiosi,  par- 
la di  questi  monaci,  e  ne  riporta 
la  figura,  citando  il  cronista  del- 
l'ordine p.  Pietro  Varga. 

G1ROLAMINI  DELLA  CONGREGA- 
ZIONE del  b.  Pietro  da  Pisa,  Frati 
eremiti  dell'ordine  di  s.  Girolamo. 
Riconosce  la  sua  origine  dal  bea- 
to Pietro  da  Pisa,  nato  in  questa 
città  a'  16  febbraio  1 355  da  Pie- 
tro Gambacorta,  e  da  una  donna 
dell'  illustre  famiglia  dei  Galandi , 
in  tempo  che  il  suo  padre  domi- 
nava Pisa  ed  altre  città  della  To- 
scana. Va  però  avvertito  che  il  cri- 
tico cronista  di  questa  congrega- 
zione, dice  che  Pietro  fosse  figlio 
di  Gerardo  germano  di  Pietro  Gam- 
bacorta, e  per  conseguenza  nipote 
di  questo  Pietro,  non  costumandosi 
in  que'  tempi  ed  anche  dopo  im- 
porre il  nome  del  proprio  genito- 
re ai  rispettivi  figli.  Essendo  egli 
di  tre  mesi,  i  di  lui  genitori  fu- 
ìono  costretti  a  fuggire  per  avver- 
sa fortuna  dalla  patria,  e  seco  por- 
tarono il  bambino  Pietro,  che  poi 
leccio  educare  nobilmente,  anche 
negli  esercizi  cavallereschi,  i  quali  e- 
gli  apprese  molto  bene,  quantun- 
que attendesse  più  di  proposito  a 
quelli  della  pietà  cristiana,  e  co- 
minciasse a  concepire  abbonimen- 
to per  le  vanità  terrene.  Dopo 
la  morte  della  madre ,  e  quan- 
do la  fortuna  erasi  di  nuovo  di- 
chiarala favorevole  per  suo  pa- 
dre, ritornato  perciò  al  possesso  di 
Pisa,  il  nostro  beato  csseudo  allo- 
ra d'anni  venticinque,  rinunziò  a 
tutte   le  mondane  speranze,  abbau- 


GIR  101 

donò  la  patria,  e  vestito  di  poveri 
pauni  si  ritirò  in  un  luogo  defer- 
to, per  menarvi  vita  austera  e  pe- 
niteule.  Non  sembra  affatto  veridi- 
co quanto  narra  il  p.  Papebrochio, 
ch'egli  sebbene  siasi  applicato  ben 
presto  alla  pietà,  nel  1377,  aiu- 
tato da  Andrea  suo  fratello  cugi- 
no, levò  a  forza  la  beata  Chiara 
sua  sorella  cugina  dal  monistero 
in  cui  erasi  ritirata  per  servire  a 
Dio,  e  che  dopo  averla  tenuta  rin- 
chiusa per  cinque  mesi,  commosso 
dalla  di  lei  costanza  nel  santo  pro- 
posito ,  si  determinò  d' imitarla  : 
questa  assertiva  del  Papebrochio  e 
di  pochi  altri,  non  pare  verosimi- 
le. Certo  è  che  verso  il  1375  o 
1 377  uscì  da  Pisa,  e  dopo  di  aver 
visitato  le  più  celebri  solitudini  del- 
la Toscana  e  dell'  Umbria,  e  fer- 
matosi alquanto  in  quelle,  si  riti- 
rò finalmente  iu  quella  parte  del 
monte  Cessana  detta  Montebello, 
sei  miglia  lungi  da  Urbino,  da  cui 
scendendo  per  cercare  limosina  nei 
paesi  convicini,  e  con  quelle  che  gli 
facevauo  coloro  che  lo  visitavano, 
n'  ebbe  in  tanta  abbondanza,  che 
gli  riuscì  di  fabbricare  nella  sua 
solitudine  una  chiesa  dedicata  alla 
ss.  Trinità,  la  quale  fu  compita 
nel  1  38o  :  altri  congetturano  che  la 
chiesuola  fu  a  lui  data  da  Oddone 
Colonna  vescovo  d'Urbino  poi  Mar- 
tino V.  Accanto  a  questa  chiesa 
fece  erigere  una  casa  capace  di 
molli  eremiti,  de  'quali  poco  dopo 
dodici  si  unirono  a  lui,  dappoiché 
essendosi  manifestala  la  vita  santa 
del  b.  Pietro,  molti  concorsero  per 
seco  lui  unirsi,  e  tra  tanti  ne  scel- 
se dodici:  il  primo  fu  Pietro  Tucani 
di  Pisa,  che  si  vuole  partito  da  det- 
ta città  insieme  col  beato  Pietro, 
il  secondo  il  b.  Pietro  spaglino- 
lo,  il  terzo  il  b.  Angelo    di  Corsi- 


ioa  GIR 

ca,  il  quarto  Pietro  di  Antonio 
Jacobini  Faltibene,  il  quinto  Pie- 
tro di  Giovanni  spagnuolo,  il  se- 
sto Arcangelo  di  Giovanni  Sabba 
di  Gubbio,  il  settimo  Giovanni  di 
Albania,  l'ottavo  il  b.  Andrea  da 
Sicilia,  il  nono  Pietro  Paolo  di 
mastro  Pietro  di  Gualdo,  il  deci- 
mo Alessio  d'Alessio  di  Duracchio 
in  Albania,  l'undecimo  Paolo  da 
Como  in  Lombardia,  e  il  duodeci- 
mo il  b.  Benedetto  di  Sicilia,  sic- 
come apparisce  da  un  antico  dipin- 
to in  tavola.  Il  bealo  Pietro  Gual- 
cerano  che  si  attribuisce  a  questa 
congregazione,  visse  da  eremita  nel 
monte  di  s.  Berlolo  sopra  Pesa- 
ro con  alcuni  altri  compagni,  tut- 
ti di  ottimi  costumi  e  di  santa 
vita,  e  mori  nel  i4i8, cioè  prima 
che  quel  conventino  e  chiesa  di 
s.  Berlolo  venisse  in  potere  della 
congregazione  pisana,  lo  che  ac- 
cadde nel  i442>  ventiquattro  anni 
dopo  la  morte  del  b.  Pietro  Gual- 
cerano,  laonde  questi  non  deve  ri- 
tenersi girolamino.  Non  deve  an- 
noverarsi tra  i  primi  compagni  del 
b.  Pietro  da  Pisa  Bartolomeo  Mer- 
cati di  Cesena,  il  quale  vesti  que- 
sto abito  nel  1 4» 9,  vale  a  dire 
trentanove  anni  dopo  l'erezione  del- 
la congregazione.  11  pio  fondatore 
per  t'uggire  ogni  occasione  di  va- 
nagloria non  volle  essere  chiamato 
Pietro  Gambacorta,  cognome  illu- 
stre di  sua  famiglia  ,  ma  Pietro 
da  Pisa,  e  diede  ai  suoi  segua- 
ci il  nome  di  eremiti  di  san 
Girolamo,  elello  da  lui  per  pro- 
tettore di  sua  congregazione.  Nel 
i3q3  a'  -xi  ottobre  essendo  stati 
assassinati  il  padre  e  due  fratelli 
del  beato,  da  Giacomo  Appiani  se- 
gretario del  medesimo  padre,  il 
demonio  diede  un  liero  assalto  al 
servo  di  Dio,   tentandolo  di  andare 


GIR 

a  vendicare  la  loro  morte.  Trion- 
fò di  questa  fiera  tentazione  pro- 
strandosi avanti  a  Dio,  ed  adorando 
l'ordine  della  sua  provvidenza,  e 
per  confondere  di  più  il  tentato- 
re, afflisse  il  suo  corpo  con  orri- 
bili austerità,  flagellandolo  aspra- 
mente, e  stringendolo  con  un  giac- 
co  fatto  a  punte,  e  con  un  cili- 
cio; raddoppiò  i  digiuni  e  le  vi- 
gilie, adagiandosi  quando  oppresso 
dal  sonno,  per  lo  più  sopra  la  nu- 
da  terra. 

Intanto  il  b.  Pietro  prescrisse  ai 
suoi  cremiti  alcune  costituzioni,  nelle 
quali  comandò  loro  di  fare,  siccome 
egli  faceva,  quattro  quaresime  ogni 
anno,  cioè  la  comune,  l'altra  dal  lu- 
nedì delle  rogazioni  lino  alla  Pen- 
tecoste, la  terza  dal  primo  giorno 
di  agusto  (ino  all'  Assunta,  e  la 
(piarla  dal  primo  novembre  lino  a 
Natale.  Ordinò  altresì  di  flagellar' 
SÌ  e  ili  digiunare  in  tulli  i  lune- 
dì e  venerdì  dell'anno,  e  di  ag- 
giungere al  digiuno  la  disciplina 
anche  in  tutti  i  giorni  di  quare- 
sima. Proibì  di  ricevere  nell'ordi- 
ne quelli  che  non  avessero  com- 
pito dieciotto  anni,  e  quelli  che 
passavano  i  cinquanta.  Osservavano 
i  buoni  religiosi  tutte  queste  cose, 
con  l'esempio  del  loro  comune  [la- 
dre, che  ne  faceva  altre  molte  di 
piìi,  e  perseverò  in  un  tenore  di 
vita  asprissima  fino  alla  morte;  si 
levavano  a  mezza  notte  per  dire 
il  mattutino,  dopo  il  quale  si  fer- 
mavano in  coro  a  fare  nell'estate 
due  ore  di  orazione,  e  uell'  inver- 
no tre;  cibo  ordinario  era  poco 
pane  con  pochi  frutti  o  erbe  cotte. 
secondo  il  piacere  del  superiore: 
dovevano  ogni  giorno  accusarsi  nel 
refettorio  delle  loro  colpe,  e  la 
povertà  si  osservava  da  essi  con 
tanta  esattezza,  che   tutto    avevano 


gir 

in  connine,  ed  il  superiore  aveva 
il  pensiere  di  dare  ad  ognuno  ciò 
che  gli  abbisognava.  Vita  cotanto 
esemplare  acquistò  loro  stima  dai 
virtuosi,  ed  odio  dai  libertini,  che 
lacerarono  il  buon  nome  di  sì  san- 
ti eremiti,  spargendo  maliziosamen- 
te che  ingannavano  con  la  loro 
vita  i  semplici,  ch'erano  lupi  co- 
perti con  la  pelle  di  agnello  per 
guadagnarsi  il  credito  del  popolo, 
ed  osarono  aggiungere  che  la  loro 
vita  austera  non  era  per  virtù  di- 
vina, ma  per  arte  magica  da  essi 
praticata.  Gl'inquisitori  per  queste 
relazioni  false,  fecero  delle  rigoro- 
se ricerche,  onde  questi  santi  ere- 
miti furono  costretti  ad  uscire  di 
tratto  in  tratto  dalla  loro  solitudi- 
ne per  essere  esaminati.  Allora  fu 
che  il  b.  Pietro  ricorse  al  Papa 
Martino  V,  il  quale  informato  pie- 
namente della  santità  di  lui  e  dei 
suoi  discepoli,  diede  loro  una  bolla 
a' 2 1  giugno  I4"2  r)  m  virtù  della 
quale  furono  esentati  dalla  giuris- 
dizione degl'inquisitori,  annullando 
le  scomuniche,  e  tutti  gli  atti  a- 
vanzati  contro  i  religiosi.  Superata 
questa  tempesta,  il  b.  Pietro  coi 
compagni  vennero  in  seguito  in  più 
alta  stima  presso  i  buoni,  ed  aven- 
do già  dei  conventi  in  diversi  luo- 
ghi, ed  in  Venezia,  in  questa  cit- 
tà ne  fu  esibito  altro,  cioè  l'ospe- 
dale di  s.  Giobbe,  fatto  fabbrica- 
re da  Lucia  Contarmi,  moglie  del 
nobile  uomo  Enrico  Delfino,  il 
quale  si  fece  poi  discepolo  del  bea- 
to. Questi  nel  i4^5  si  portò  in 
Roma,  ove  contrasse  amicizia  col 
b.  Nicola  di  Furca  Palena,  autore 
d'una  congregazione  del  terz'ordi- 
ne  di  s.  Francesco,  la  quale  nel 
1 44^*  fu  unita  a  questa  stessa  del 
b.  Pietro,  abbracciando  i  seguaci 
l'istituto  eremitico,  siccome  aveva- 


GIR  io3 

no  fatto  poco  prima  anche  i  di- 
scepoli del  b.  Angelo  di  Corsica, 
fondatore  di  un'altra  congregazione 
parimenti  del  terz'ordine  di  san 
Francesco,  quattro  o  cinque  con- 
venti della  quale  ,  per  una  bolla 
di  Eugenio  IV  del  i432,  furono 
dati  a  quella  dello  stesso  b.  Pie- 
tro, che  in  tal  guisa  andò  crescen- 
do nel  numero  de' religiosi  e  dei 
conventi. 

Il  b.  Pietro  passò  da  Roma  a 
Venezia,  quivi  chiamato  da  alcuni 
affari  della  sua  congregazione,  e  qui- 
vi morì  santamente  il  primo  giu- 
gno i435,  d'anni  ottanta.  Cercano  i 
critici  il  luogo  in  cui  fu  egli  se- 
polto, e  benché  la  più  probabile 
opinione  sembri  quella  di  chi  Io 
vuole  tumulato  nella  chiesa  di  s. 
Girolamo  con  monistero  di  reli- 
giose agostiniane,  ciò  non  ostante 
ignorasi  il  luogo  di  sua  sepoltura, 
sebbene  il  p.  Papebrochio  affermi 
che  i  funerali  gli  furono  celebrati 
in  s.  Marco.  Nel  1601  indarno  lo 
cercò  nel  detto  monistero  delle  mo- 
nache di  s.  Girolamo  il  nunzio  di 
Venezia  Pannocchieschi  Delci  arci- 
vescovo di  Pisa;  dopo  molti  an- 
ni si  rinnovarono  le  ricerche  ad 
istanza  di  Cosimo  III  granduca  di 
Toscana  ,  ma  non  produssero  ef- 
fetto, e  tale  fu  pure  l'esito  di  quel- 
le eseguite  nel  17 17.  Nel  pontifi- 
cato di  Benedetto  XIV,  credendo 
le  monache  di  avere  rinvenuto  la 
sepoltura  del  b.  Pietro,  per  mezzo 
di  monsignor  patriarca  ottennero 
dal  Papa  il  breve,  Riceviamo,  del 
1747,  pif?sso  >'  senatore  Flaminio 
Coruaro,  De  eccks.  Venet.  dee.  1, 
pag.  i5?.,  la  facoltà  di  rinnovare 
te  indagini  con  l'assistenza  del  me- 
desimo patriarca,  e  le  analoghe 
cure  del  mentovato  senatoie,  ma 
le  perquisizioni  egualmente    riusci- 


io4  GIR 

rono  inutili.  Il  Papa  Clemente  VII 
fu  il  primo  a  chiamare  con  titolo 
di  beato  Pietro  Gambacorta  fonda- 
tore degli  eremiti  di  s.  Girolamo, 
indi  col  medesimo  titolo  ne  autoriz- 
zarono il  culto  i  Papi  Paolo  III,  s. 
Pio  V,  Gregorio  XIII,  e  Clemente 
Vili,  finché  i  religiosi  dell'ordine 
supplicarono  Alessandro  Vili  di 
concedere  loro  di  celebrare  l'ufficio 
ecclesiastico  in  tutto  l'ordine,  lo 
che  il  Pontefice  accordò ,  avendo 
pure  sottoscritto  il  decreto  per  la 
beatificazione,  nominando  per  po- 
nente della  causa  il  cardinal  Ca- 
sanata  protettore  dell'ordine.  Il  di 
lui  immediato  successore  Innocen- 
zo XII  a' 9  dicembre  i(»g3  con- 
fermò il  decreto  della  congregazione 
dei  riti  dei  5  di  tal  mese,  nel  quale 
si  approvava  il  culto  immemorabile 
del  b.  Pietro  Gambacorta  fondato- 
re de' poveri  eremiti  di  s.  Girola- 
mo in  Monlebello  presso  Urbino. 
La  vita  del  b.  Pietro  sta  in  latino 
ne'  Bollaudisli,  Acta  ss.  j'unii  tom. 
Ili,  die  17;  la  scrisse  pure  in  ita- 
liano il  gesuita  p.  Antonio  Bonue- 
ci,  che  fu  stampata  in  Roma  dal 
Salvioni  nel  1716.  Siccome  poi  per 
la  riunione  della  congregazione  del 
b.  Nicola  di  Furca  Palena  ai  gi- 
rolnmini,  questi  divennero  padroni 
in  Roma  della  Chiesa  di  s.  Ono- 
frio [Vedi)  verso  quest'epoca,  cosi 
a  quanto  di  essa  dicemmo  a  quel- 
l'articolo, aggiungeremo  le  seguenti 
notizie. 

Nel  portico  le  tre  storie  a  fre- 
sco della  vita  di  s.  Girolamo,  sono 
lavori  pregevoli  del  Domenichino, 
fatti  per  ordine  del  cardinal  Giro- 
lamo Agucchio  mentre  era  titolare 
della  chiesa,  secondo  l'Alveri:  sotto 
il  medesimo  portico  sostenuto  da 
colonne  antiche  evvi  la  cappellctta 
sacra  alla  Beata  Vergine  del  Rosario, 


GIR 

la  quale  oltre  all'avere  per  di  fuo- 
ri, sopra  l'ingresso  due  sibille  del 
Baglioni,  anche  l' interno  è  ben  a- 
dorno  con  marmi,  pitture,  e  qua- 
dro del  Bassano  in  cui  effigiò  la 
nascita  di  Gesù  Cristo.  L'interio- 
re parte  della  chiesa  ha  una  sola 
navata  con  cinque  cappelle,  due  da 
un  lato,  tre  dall'altro,  ed  il  cap- 
pellone grande  in  mezzo,  ossia  l'al- 
tare maggiore.  La  prima  delle  cap- 
pelle a  dritta,  entrando,  è  dedica- 
ta a  s.  Onofrio,  ed  è  tutta  abbel- 
lita di  buone  pitture  d'antica  scuo- 
la. Nella  seconda,  sacra  alla  Ma- 
donna di  Loreto,  il  quadro  dell'al- 
tare è  opera  di  Annibale  Caracci; 
la  Coronazione  fu  colorita  da  un 
sue  scolare,  e  le  altre  pitture  l'e- 
segui Gio.  Battista  Ricci  da  Nova- 
Fa.  L'altare  maggiore  dalla  cornice 
in  giù  fu  dipinto  da  Baldassare 
Peruzzi,  e  dalla  cornice  in  su  da 
Bernardino  Pinturicchio.  Segue  la 
cappella  del  ss.  Crocefisso.  Nella 
cappella  seguente  il  quadro  del  b. 
Pietro  da  Pisa  è  pittura  del  cav. 
Francesco  Trevisani  ,  mentre  due 
suoi  scolari  dipinsero  i  laterali.  11 
quadro  dell'ultima  cappella,  rappre- 
sentante s.  Girolamo,  fu  colorito  da 
Pier  Leone  Ghezzi  ;  la  pittura  late- 
rale dalla  parte  del  vangelo  è  di 
Pietro  Nelli,  quella  di  contro  è  opera 
di  Nicolò  Ricciolino.  La  volta  della 
sagrestia  la  dipinse  Girolamo  Pesci, 
ed  il  quadro  dipinto  sulla  tavola 
rappresenta  s.  Girolamo,  s.  Cate- 
rina, s.  Sebastiano  ed  il  b.  Nico- 
la di  Furca  Palena,  opera  stimata 
di  Benigno  Vangelini,  compita  nel 
164.8.  11  chiostro  del  contiguo  con- 
vento de'  girolamini  è  adorno  di 
venti  colonne  di  marmo,  ed  in  es- 
so si  vedono  le  storie  di  s.  Ono- 
frio dipinte  a  fresco  dal  cav.  d'Ar- 
pino,  e  sono  le  prime    quattro  en- 


GIR 
trancio  da  mano  destra  ,  essendo 
state  le  altre  colorite  da  Sebastia- 
no Strada,  e  da  altri  pittori.  Nel 
corridore  superiore  è  una  bella  Ma- 
donna col  Bambino  dipinta  a  fre- 
sco dal  celebre  Leonardo  da  Vinci. 
Nella  libreria  de'  religiosi  sonovi  i 
busti  del  Barclay  e  del  Tasso,  se- 
polti in  chiesa,  con  alcuni  mano- 
scritti ed  oggetti  serviti  al  secondo, 
che  quivi  mori.  La  rinomata  quer- 
cia di  Tasso  perì  a'  22  settembre 
1842,  e  fu  celebrata  coi  versi  del 
eh.  cav.  Andrea  Belli,  i  quali  insie- 
me ad  altro,  che  riguarda  il  ri- 
nomato albero,  si  leggono  a  p.  89 
e  seg.  nel  libro  intitolato  Fiori 
sparsi ,  del  quale  feci  affettuosa 
menzione  al  voi.  XXIV,  pag.  3i5 
del  Dizionario.  Alcune  notizie  ed 
iscrizioni  di  questa  chiesa  si  leg- 
gono a  pag.  263  e  seg.  del  Mar- 
tinelli ,  Roma  ex  ethnica  sacra. 
Ridolfino  Venuti  descrive  questa 
chiesa  a  pag.  965  della  sua  Roma 
moderna.  Il  medesimo  a  p.  1234 
parla  dell'altra  chiesa  che  i  giro- 
lamini  hanno  sul  Monte  Mario 
suburbano  di  Roma,  verso  il  fi- 
ne delle  vigne  del  colle,  chiamata 
volgarmente  s.  Onofrio  in  Cam- 
pagna. Essa  è  dedicata  a  s.  Fran- 
cesco d'Asisi,  e  fu  eretta  col  con- 
tiguo convento  dall'abbate  Barto- 
lomeo Neri.  Clemente  XI  a  como- 
do dei  vignaiuoli  de'Iuoghi  circon- 
vicini l'eresse  in  parrocchia,  quale 
confermò  Leone  XII  nel  riordina- 
mento delle  parrocchie  di  Roma , 
ed  in  cura  de'  medesimi  girolami- 
ni.  Ha  tre  altari,  ed  il  principale 
è  dedicato  a  s.  Francesco,  e  gli 
altri  due  alla  ss.  Trinità  ed  a  s. 
Sebastiano.  Benedetto  XIII  conta- 
giò questa  chiesa  unitamente  all'al- 
tare maggiore  a'  2  luglio  1728,  e 
due  giorni  dopo  consngrò  gli  altri 


GIR  io5 

due  altari.  Vi  si  celebra  la  festa 
di  s.  Francesco  a'  \  ottobre,  e  quel- 
la di  s.  Onofrio  agli  1  1  giugno. 
Fu  frequentata  di  visite  da  Bene- 
detto XIII,  che  soleva  abitare  il 
vicino  convento  de' domenicani  di 
s.  Maria  a  Monte  Mario.  Il  Papa 
che  regna  Gregorio  XVI,  portan- 
dosi su  questo  delizioso  colle,  e- 
gualmente  più  volte  la  visitò. 

Dopo  la  morte  del  beato  fonda- 
tore, il  primo  generale  fu  il  b.  Bar- 
tolomeo da  Cesena  sunnominato , 
il  quale  fondò  altri  conventi,  e  nel 
suo  governo,  che  durò  quindici  an- 
ni, la  memorata  congregazione  del 
b.  Nicola  di  Furca  Palena  si  unì 
interamente  a  questa  de'  girolami- 
ni,  a'  quali  Eugenio  IV  accordò 
molti  privilegi  colla  bolla  Provenil 
del  i437.  Questi  religiosi  ottennero 
quindi  di  ricevere  gli  ordiui  sacri, 
e  di  tenere  ogni  anno  il  capitolo 
generale,  che  Nicolò  V  nel  i£53 
ordinò  che  invece  si  radunasse  ogni 
tre.  Poscia  Sisto  IV,  ed  Alessan- 
dro VI  fecero  alcune  variazioni  in- 
torno ai  loro  capitoli  generali.  Nel 
1  4  14  essendo  ancora  generale  il  b. 
Bartolomeo  da  Cesena  furono  stese 
le  prime  costituzioni  dell'ordine,  ed 
in  queste  medesime  fu  moderato 
il  rigore  prescritto  dal  b.  Pietro 
da  Pisa,  e  dipoi  nel  1 54o  furono 
esse  ridotte  in  miglior  forma  dal 
p.  Bernardo  da  Verona  allora  ge- 
nerale, ed  accettate  dal  capitolo  di 
tutto  l'ordine  tenuto  in  Rimiri  nel 
1  "i  [a,  dopo  la  protesta  di  tutti  i 
capitolari,  che  non  obbligassero  ad 
alcun  peccato  mortale,  e  non  si 
potessero  costringere  i  professori 
dell'  istituto  a  far  voti  solenni,  quali 
ancora  non  facevano.  Nel  capitolo 
generale  del  l6aa,  furono  appro- 
vate nuove  costituzioni,  abbracciate 
dipoi   anche   in   quello   del    l63 


io6  GIll 

pubblicate  nell'altro  del    iG^i.     In 
un  altro  del    1 644  furono  fatte  al- 
tre   dichiarazioni    sopra    di    queste 
costituzioni,  e  sono  quelle  che  pre- 
sentemente si  osservano    in   questa 
congregazione,    con  aver    soppresso 
tra   le  altre  cose  l'astinenza   perpe- 
tua.  Siccome    poi    i    religiosi    face- 
vano   solamente    voti    semplici,    e 
potevano    disporre    anche    de'  loro 
beni,    s.     Pio     V    con     la    costitu- 
zione  Lubrìcum  vitae  gewis,   de'  r  7 
novembre    i568,  ordinò  loro  di  fa- 
ve i   voti   solenni,    lasciando   in   li- 
bertà chi  non   voleva  emetterli.   In 
sequela    di    questa    costituzione,    il 
cardinal  Luigi   Cornavo    protettore 
dell'ordine,  si   recò  al  convento    di 
s.   Onofrio    di   Roma,    e    vi    ricevè 
la  professione  de'  religiosi  girolami- 
ni    che    vi    abitavano,    siccome    fu 
fatto  ancora   con  altri  conventi  del 
medesimo  ordine,  e    questa    profes- 
sione venne    eseguita    promettendo 
di   osservare  la  regola    di    s.    Ago- 
stino   data    loro    dal    medesimo    s. 
Pio   V,   il   quale    confermò   la    con- 
gregazione, nel  1567  accordò  ai  re- 
ligiosi  i   privilegi    degli  ordini  men- 
dicanti, e   nel    1 S7 1    con    la    bolla 
Religioni*  zelus  confermò   gli    altri 
che    già    godevano.    Gregorio    XII 
nel    1 58  1    fece  altrettanto,  ma  Pao- 
lo V   derogò  al  privilegio  concesso 
da    Martino    V,    d'esenzione    dalla 
giurisdizione  degl'inquisitori,  a'qua- 
li     li    assoggettò.     Alessandro     \  lì 
avendo  soppresso  nel    16%    l'ordi- 
ne de' canonici    regolari  di    s.   Spi- 
rito, e  quello  de' crociferi,    diede   i 
conventi  e  monisteri  loro  alla  con- 
gregazione del   b.   Pietro    da    Pisa. 
Inoltre  a  questa  congregazione    si- 
no  dal      1 53  r     erasi     unita  quella 
degli  eremiti   di    s.   Girolamo,    isti- 
tuiti da  fr.  Bartolomeo    di  Giaco- 
mo Mercati,    i  quali    avevano    dei 


GIR 

conventi  nella  diocesi  di  Padova 
e  di  Verona,  e  quella  degli  ere- 
miti del  monte  Segestero,  fondali 
dal  b.  Lorenzo.  Segui  l'unione  di 
questi  secondi  nel  1579,  e  facen- 
dosi menzione  nel  martirologio  di 
iìn  s.  Alberto  da  Genova,  i  reli- 
giosi del  b.  Pietro  da  Pisa  voglio- 
no che  sia  stato  della  congregazio- 
ne di  monte  Segestero,  e  che  mo- 
risse nel    i4jo. 

Prima  delle  ultime  politiche  vi- 
cende si  divideva  questa  congre- 
gazione in  due  provincie,  cioè  di 
Ancona  e  di  Treviso,  oltre  alcuni 
conventi  nel  Tirolo  ed  in  Baviera, 
i  quali  appartenevano  a  certi  ere- 
miti, che  nel  1695  ad  istanza  del- 
l'imperatore Leopoldo  l  si  uniro- 
no a  questi  d'Italia,  e  professando 
la  medesima  regola  si  moltiplica- 
rono poscia  in  que'  paesi  con  os- 
servare rigorosa  mente  le  costitu- 
zioni dell'ordine,  non  mangiando 
mai  carne,  incedendo  scalzi,  vesten- 
do panni  grossi  dello  slesso  colore 
e  forma  ili  quelli  del  b.  Pietro, 
portando  la  barba,  ma  non  molto 
lunga.  Quoti  religiosi  girolamim 
usano  tonaca  legata  con  cintura  ili 
cuoio,  con  cappuccio  la  cui  moz- 
zetta  scende  davanti  e  di  dietro 
sino  alla  cintura.  In  casa  portano 
berretta  quadrata,  e  quando  esco- 
no vanno  con  cappa  increspata  si- 
no al  collo,  tutto  di  color  tanè, 
e  cappello  nero.  Nei  venerdì  deb 
l'anno  digiunano.  In  tutti  i  giorni 
di  lunedi,  mercoledì  e  venerdì  del- 
la quaresima  fanno  la  disciplina, 
ed  eziandio  ne' lunedì,  mercoledì  e 
venerdì  dell'avvento,  anche  se  ca- 
dono in  giorni  festivi.  Ogni  sei 
anni  giusta  i  decreti  della  sa- 
gra visita  apostolica  dell'anno  174*1 
e  nella  terza  domenica  dopo  Pa- 
squa  radunano  il  capitolo  generale 


GIR 
in   cui    eleggono  il   loro    superiore, 
ed     in     ogni     triennio     il     capitolo 
provinciale.     Morendo    il    generale, 
il    provinciale    di   quella    provincia , 
nella    quale    dimorava     il    defunto, 
prendeva  il  governo  dell'ordine  fino 
alla  elezione  del  nuovo,  che  si  faceva 
in   lai    caso  dai    provinciale    dell'al- 
tra    provincia,  e  dai   priori   di    Ro- 
ma,  di     Pesaio,     di    "\  enezia,  e     di 
Padova,  quando  quei  conventi  esiste- 
vano.    Il   convento    di    Montebello 
era  il    capo    della   religione,    nella 
«piale    sono    fioriti     molti    servi    di 
Dio,   alcuni   de'  quali  con   titolo  di 
bealo,   e   varie   persone  illustri    per 
la  dottrina  e  per    le  dignità  eccle- 
siastiche.   11   p.    Burnirmi  nella   par- 
te I  del   Catalogo  degli  ordini  re- 
ligiosi, a  p.  CXXI  riporta  la  figu- 
ra d'un   antico  eremita   con  zocco- 
li  di     legno,   e  barba   lunga,  ed     a 
p.   CXX1I   produce  la  figura  d'uno 
degli    odierni    religiosi ,   parlandone 
compendiosamente.   Da   questa  con- 
gregazione    sono     usciti      diecisetle 
beati,  tra'quali    il    beato   Pietro  fon- 
dature,    ed  il   beato    Nicola   propa- 
gatore si   veuerano  sugli   altari,   ed 
altri    trentatre  fiorirono   in     santità 
e  miracoli.   Cinque  sono  i     vescovi 
della  medesima   congregazione.   Gli 
scrittori   poi    sono    circa   trenta,     e 
su  diverse    materie,    come    teologi- 
che, scolastiche,   polemiche,   morali, 
isteriche  ec.  :  essi  diedero  alla  luce 
vari  volumi,  altri  restarono   mano- 
scritti.   Di    questo   online    oltre   gli 
storici  degli    ordini   regolari,  scris- 
sero  1'  Azorio   nelle   Istituzioni  mo- 
rali, I.    i3,  cap.   II;  Roderico  nel- 
le   Quest.    Reg.    t.    \  II,   qu.    3,    art. 
9;  Silvestro    Maurolico ,     e  Pietro 
Bonacciolo  nell'opera  intitolila  :    /■'■ 
remo    Pisano.    Il    padre    Giovanni 
Battista  Gobati  ci  ha  dato  il   Bui- 
larium    ordini*  s.    Hieronynu   con- 


GIR  io- 

gregationis  b.  Petti  de  Pisis  col- 
lect.  ac  notis  1 '/lustra /.,Patavii  1775; 
ed  il  padre  Giovanni  Battista  Sa- 
janelli  ha  formato  le  Croniche  stam- 
pate in  tre  volumi  in  foglio  da 
Antonio  Zalta  in  Venezia  nel  1708, 
intorno  al  primo  volume;  il  secon- 
do volume  fu  stampato  in  Pado- 
va da  Gio.  Battista  Conzalti  17G0; 
ed  il  terzo  dal  medesimo  stampa- 
tore nel     i"fìi. 

GIRQLAMIM,  Eremiti  di  Fie- 
sole. Questa  congregazione  fu  isti- 
tuita dal  beato  Carlo  dei  conti 
Guidi  di  Monte  Granelli  di  Baeno 
nella  Romagna  toscana,  diocesi  di 
Sar/ana,  il  quale  con  Redoue  del 
medesimo  Monte,  Gualterio  fioren- 
tino, ed  altri  compagni,  si  ritirò 
in  luogo  solitario  nel  mezzo  dei 
monti  di  Fiesole  (Fedi),  nell'an- 
no 1  3 8 6  ;  altri  però  fanno  inco- 
minciare la  fondazione  di  qualche 
anno  avanti  sotto  la  regola  del 
terzo  ordine  di  s.  Francesco,  della 
quale  il  b.  Carlo  era  già  profes- 
so, ovvero  al  dire  di  altri  sotto 
la  regola  cavala  dagli  scritti  di  s. 
Girolamo.  L'  approvò  Innocenzo 
VII,  ma  prevenuto  dalla  morte 
non  potè  emanarne  la  bolla,  la 
quale  pubblicò  il  successore  Gre- 
gorio XII  nel  1  ^f  1  ">,  Sacra  nonnul- 
laruiìì,  data  in  Castro  Montis  Fio- 
rum  Arimin.  dioecesis,  8  id.  jul., 
Bull.  Rorn.  t.  Ili,  par.  II,  pag. 
4 io.  Morì  il  fondatore  in  Venezia, 
dov'erasi  portato  per  islabilire  un 
nuovo  convento,  a'5  settembre  1  \i~, 
ed  è  dagli  storici  annoverato  tra 
i  beati.  Le  sue  reliquie  furono 
trasferite  nel  convento  di  Fiesole, 
ma  dopo  la  soppressione  della  con- 
gregazione il  >uo  corpo  fu  porta- 
to a  Firenze,  e  riposa  venerato 
nella  chiesa  delia  compagnia  detta 
la   buca  di  s.    Cimiamo.   In    segui- 


ioS  GIR 

to    Eugenio    IV  l'approvò,    e  col 
suo   consenso  la    congregazione  ab- 
bracciò   la  regola    di    sant'  Agosti- 
no, come  si  legge  nella  bolla  Super 
gregem,     tlat.    Florentiae  ,7     cai. 
augusti    i44'>  Bull.    Rom.    t.  Ili, 
par.  Ili,  }>.   33.    Il  Pontefice  volle 
che  si  chiamasse  la   Congregazione 
di  s.     Girolamo  di    Fiesole,  e  di- 
chiarò il   monistero  di  Fiesole  ca- 
po dell'ordine,  e  residenza  del  ge- 
nerale. In     processo    di  tempo    la 
congregazione  giunse  ad  avere  più 
di    quaranta    conventi    in     diversi 
luoghi  d' Italia,    tra  i  quali  quello 
di   Roma  de'ss.  Vincenzo  ed  Ana- 
stasio    a    Trevi,  con     la    contigua 
chiesa,  parrocchia  che  allora  com- 
prendeva il  palazzo  pontificio     del 
Quirinale,  luogo  che  diede  a  que- 
sti   religiosi     Paolo    V    nel    1612. 
Vivevano  questi  eremiti  con    par- 
ticolari costituzioni,  e   vestivano  di 
lana  color  tanè,  con    cappa   incres- 
pata   intorno    al     collo,     e     aperta 
nella    parte     anteriore  ;     cingevano 
cintura  di    cuoio,   andavano    scalzi 
con  zoccoli   di   legno,   l'uso  de'qua- 
li    poi   lasciarono.  In   Milano  erano 
chiamati  frali  di    s.  Anna,    dalla 
chiesa     presso    cui    abitavano.     Ma 
essendosi  i  religiosi  raffreddali  nello 
spirito  dell'istituzione,  diminuiti  di 
numero,   ed  essendosi    tra  di    loro 
introdotti  molti  abusi,  il  Pontefice 
Clemente    IX  li    soppresse  con    la 
bolla    Romanus    Pontifex,  data  ai 
G  dicembre  1668,  Bull.  Rom.  toni. 
VI,  p.   3o4-    Di  essi  scrisse  1'  Azo- 
rio  nelle  Islit.  inorai   t.  I,  Iib.    i3, 
cap.  II  ;  e  il  p.  Bonanni    nel    Ca- 
talogo degli    ordini    religiosi,  pari. 
1,  p.  CXX,  ove    ne  riporta   la    fi- 
gura. 

GIROLAMO  (s.)  della  Carità' 
di  Roma,  Areicon  fraternità  e  con- 
gregazione in   comunità    di  sacer- 


GIR 

dati.   In  quanto  alla     orciconfratcr- 
nita,  agli  articoli    Arcico> fraterni- 
tà di  s.  Girolamo  della    Carità, 
e  Carceri  di  Roma,    non    che  Go- 
vernatore di  Roma,  per  ciò  che  ri- 
guarda   la  visita    de'  carcerati,    ed 
altro     relativo,    abbiamo    detto  le 
cose    principali    che    riguardano   sì 
celebre   e  benemerito    sodalizio ,    e 
delle  molte  e     varie  opere  di  pie- 
tà in  cui  si    esercitano  i    suoi  ag- 
gregati,   dappoiché    essa    patrocina 
le  cause  de'  poveri    pupilli   e    delle 
vedove    ne' tribunali;  dota    zitelle; 
distribuisce  l'elemosine,  massime  al- 
le donne    condannate  ;    amministra 
l'eredità  lasciata  da  Benedetto  Gre- 
co, al  modo  che  dicemmo  al    voi. 
XXVIII,  pag.   21  3  del  Dizionario; 
dirige  il   monistero  di    s.  Giacomo 
alla   Lungara,  di  cui    parlammo  ai 
voi.  I,  p.    1 35,  e    XVII,  p.    20    e 
35  del   Dizionario:  ed  ha  cura  del- 
le carceri   Inuocenziane  in   via  Giu- 
lia, che  da   lei    in   particolar   modo 
dipendono,    e    in    quel    modo    che 
descrisse     il     eh.    monsignor    Carlo 
Luigi    Monchi  DÌ  ,    appartenente     a 
questo   illustre   pio  luogo,  nella  sua 
opera    intitolata:    Degli    istillili    di 
pubblica  carità,  ec,  tom.  II,    pag. 
2^7,    cap.    XI,    ArciconfraternUa 
della   Canta.    A    tuttociò   si    deve 
aggiungere  ch'essa   ha  sede  nel  lo- 
cale presso  la   propria   chiesa  dedi- 
cata a  s    Girolamo,    amministra  e 
dirige  le  cose  della  medesima,  do- 
ve mantiene  la    detta  congregazio- 
ne dei  sacerdoti  in  comunità    del- 
l'oratorio, che  ivi  risiede  per  decoro 
del  culto  divino,  adempimento  de'pii 
legati  di  messe,  ec,  e  per  soddisfare 
le  altre  obbligazioni  assunte  dai  sa- 
cerdoti dacché  fu  cominciato  a  pro- 
seguire quauto  s.  Filippo  Neri  isti- 
tuì nell'oratorio,  per  cui  essi  sacer- 
doti sino  d'allora  assunsero  il  nome 


GIR 

di  preti  dell'oratorio.  Come  ancora 
i  medesimi  sacerdoti  ivi  sono  per 
predicare  nella  detta  chiesa  in  tutte 
Je  feste,  e  per  udire  assiduamente 
le  confessioni  ed  altro,  come  per 
l'assistenza  spirituale  delle  anime , 
segnatamente  de'  carcerati,  sì  per 
confessarli,  che  per  le  prediche  e 
per  gli  spirituali  esercizi,  che  loro  si 
danno  due  o  tre  volte  la  settima- 
na, in  un  all'adempimento  delle 
sacre  cerimonie  delle  cappelle  po- 
ste nelle  medesime  prigioni. 

Quando  la  chiesa  di  s.  Girola- 
mo venne  in  proprietà  della  con- 
gregazione della  Carità,  furono  scel- 
ti i  migliori  sacerdoti  che  fosse 
possibile,  tanto  per  l'uffiziatura,  che 
per  istruire  il  popolo  ne'  doveri 
cristiani,  come  perchè  venissero  nel- 
lo spirituale  assistiti  i  carcerati. 
Questi  sacerdoti  o  pii  operai  co- 
minciarono subito  a  conciliarsi  la 
venerazione  di  tutti  per  la  loro 
santità  di  vita,  zelo  per  le  anime, 
dottrina  ,  e  vestire  conforme ,  che 
meno  la  barba  lunga  e  il  cappello 
a  barchetta  ,  tuttora  si  osserva.  Il 
primo  di  essi  fu  Pietro  Spatario 
di  Arezzo,  a  cui  si  unirono  subito 
altri  ottimi  sacerdoti.  Il  Piazza  nel- 
V  Eusei'ologio  romano,  trattato  VI, 
capo  VII,  Di  s.  Girolamo  detlo 
della  Carità  a  piazza  Farnese  t 
narra  che  s.  Filippo  Neri  fece  par- 
te di  tal  collegio  di  sacerdoti  tren- 
talre  anni,  ed  erano  con  lui  altresì 
in  quel  tempo  altri  preti  di  se- 
gnalata virtù,  come  il  venerabile 
servo  di  Dio  Buonsignor  Caccia- 
guerra  sanese,  Persiano  Rosa,  che 
con  s.  Filippo  fondò  il  benemeri- 
to e  celebratissimo  istituto  romano 
dall' arciconfraternita  della  ss.  Tri- 
nità dei  Pellegrini,  Francesco  Mar- 
supini  ,  e  Pietro  Spada  ri  aretini , 
stati  successivamente   confessori  del 


GIR  i 09 

santo.  Qui  pure  si  venera  ancora 
la  stanza  dov' egli  abitò,  e  dove 
diede  principio  ai  ragionamenti,  e 
conferenze  spirituali.  All'  articolo 
Filippini  (  Vedi)  ,  abbiamo  detto 
quando  s.  Filippo  entrò  in  questa 
casa,  siccome  ammesso  dall' arci- 
confraternita fra  i  sacerdoti ,  che 
ufficiavano  la  loro  contigua  chiesa, 
ricusando  il  consueto  emolumento, 
contento  della  sola  camei-a ,  e  di 
potere  con  gli  altri  indefessamente 
occuparsi  al  giovamento  spirituale 
de'  prossimi  ;  che  molti  uomini  per 
nascita,  per  dottrina  e  per  pietà 
insigni  ne  frequentarono  l' oratorio 
nel  1 558  da  lui  istituito,  ed  a  sue 
spese  eretto,  il  quale  il  santo  volle 
che  stasse  aperto  ogni  sera  ,  per 
quei  pii  esercizi  neh'  articolo  no- 
minali. Ivi  s.  Filippo  diresse  le  vi- 
site degl'infermi  negli  ospedali,  e 
delle  sette  chiese.  Dicemmo  pure 
del  modo  come  il  santo  con  alcu- 
ni compagni  si  portò  alla  chiesa  di 
s.  Giovanni  de'  fiorentini  per  il  suo 
culto  ed  uffiziatura,  ed  ove  inco- 
minciò il  suo  convitto  con  alcune 
costituzioni ,  continuando  però  ad 
abitare  nella  casa  di  s.  Girolamo  ; 
e  finalmente  coni' eresse  la  congre- 
gazione dell'  oratorio,  e  passò  a  ri- 
siedere nella  casa  di  s.  Maria  in 
Vallicella,  partendo  coi  discepoli  da 
quella  di  s.  Girolamo  nel  1 583. 
Qualche  tempo  dopo  la  partenza 
di  s.  Filippo  da  questo  luogo,  la 
congregazione  ossia  arciconfrater- 
nita approvò  ai  preti  che  vi  ri- 
masero di  proseguire  gli  esercizi  ivi 
istituiti  dal  santo:  laonde  conti- 
nuarono i  sacerdoti  ad  esercitare 
quanto  avea  prescritto  s.  Filippo 
nella  sua  congregazione ,  per  cui 
continuarono  a  chiamarsi  padri,  come 
tuttora,  ad  onta  delle  opposizioni 
insorte  e    giuridicamente    dibattute 


i  io  GIR 

e  superale  dai  medesimi.  Il  citalo 
Piazza  aggiunge  che  l' arciconfra- 
ternita  prima  agi'  individui  della 
congregazione  dei  preli  e  chierici 
faceva  insegnare  le  belle  lettere,  e 
la  musica ,  per  gli  ora  tori  i  sacri  e 
notturni  che  dall  epoca  di  s.  Filip- 
po sino  al  declinare  del  decorso  se- 
colo nelle  sere  delle  feste  di  precet- 
to da  Ognissanti  alla  domenica  del- 
le Palme  avevano  luogo  nel  conti- 
guo oratorio,  de'quali  pure  si  parlò 
all'articolo  Filippini.  Questo  one- 
sto e  dilettevole  trattenimento,  es- 
sendo diminuite  le  rendite,  ora  sol- 
tanto con  iscelta  orchestra  ed  elet- 
ta di  professori  cantanti,  si  suole  ce- 
lebrare la  sera  della  festa  dell'Imma- 
colata Concezione  agli  8  dicembre, 
e  quello  eseguito  nel  i  8  j  3  era  inti- 
tolato Giuditta,  lavoro  poetico  del 
celebre  Jacopo  Ferretti,  posto  in 
musica  dal  valente  maestro  Pietro 
Ravalli;  questo  argomento  allego- 
rico alla  festività  meritò  di  essere 
ripetuto  in  quella  dell'anno  1 844- 
I  sacerdoti  della  congregazione 
dell'oratorio  dì  s.  Girolamo  della 
Carità  vestono  come  i  filippini  del- 
la Vallicella,  cioè  con  sottana  nera 
di  lana  lunga  e  aperta  nel  davan- 
ti, fermata  con  pochi  bottoni  da 
un  lato,  e  da  una  cintola  o  fascia 
pur  di  lana  nera  che  tiene  chiusa 
la  sottana  :  usano  collare  aperto 
davanti,  con  sopraccollare  bianco 
e  liscio  come  usano  tutti  i  filippi- 
ni tranne  quelli  della  Vallicella  che 
lo  portano  pieghettato;  il  terraiuolo 
lo  portano  lungo  come  tutti  gli 
altri,  per  cui  l'abito  è  tutto  filip- 
pino. La  professione  poi  ossia  le 
loro  obbligazioni,  sono  l'attendere 
al  confessionale,  ed  anche  udire  le 
confessioni  degl'  infermi  se  richie- 
sti, fare  il  discorso  tutte  le  fe- 
ste   di  precetto  ,    come    si    usa  in 


GIR 

tutte  le  chiese  de'  filippini  ,  nel- 
le quali  si  riuniscono  in  coro  a 
cantare  il  vespero  e  compieta  : 
nella  sola  Vallicella  si  fa  il  sermo- 
ne in  tutti  i  giorni.  Né  quanto  si 
è  detto  resta  smentito  dal  non  ave- 
re i  padri  in  superiore  uno  di  loro. 
come  istituì  s.  Filippo,  e  tutti  i 
filippini  praticano,  come  non  han- 
no l'amministrazione  ile' fieni  onde 
mantenersi,  dappoiché  1'  arcicon fra- 
ternità di  s.  Girolamo  li  ritiene 
ed  amministra,  deputando  un  pre- 
lato fra  i  loro  colleglli,  che  tieni- 
le parli  di  supcriore  ;  mentre  la 
congregazione  dei  sacerdoti,  non 
avendo  superiore  elettivo,  sempre 
ebbe  una  rispettosa  deferenza  al 
decano,  che  sta  iti  luogo  di  supe- 
riore per  le  cose  interne,  per  cui 
nelle  annuali  Notizie  di  Roma  , 
Dell'  articolo  Ordini  religiosi,  alla 
categoria  delle  Congregazioni  in 
comunità,  si  legge  per  seconda  e 
dopo  quella  dell'  Oratorio  di  s.  l'i- 
lippo  Neri  con  superiore,  Sacer- 
doti dell'  oratorio  di  s.  Girolamo 
della  Carità,  /uno.  />.  Pasquale 
Marciala  decano,  eh*  è  1  odierno 
Di  questo  istituto  e  chiesa  ne  fu 
prelato  deputato  monsignor  Gin. 
Angelo  Braschi,  che  divenuto  Pon- 
tefice col  nome  di  Pio  \  1  ,  esortò 
i  deputati  dell'  arciconfraternita  a 
stabilire  nella  casa  dei  sacerdoti  la 
tavola  comune,  per  cui  allora  qual- 
cuno si  ritirò.  In  questa  congre- 
gazione di  sacerdoti  fiorirono  di- 
versi uomini  illustri  per  pietà  e 
per  dottrina,  fra  i  quali  oltre  i  no- 
minati primi  sacerdoti  che  si  ag- 
giogarono a  Pietro  Spatario  ed  a 
s.  Filippo  Neri,  sono  a  nominarsi: 
Teseo  Raspa  deputato  ;  Francesco 
detto  lo  Spagnuolo  ;  Leonardo  Vel- 
li ini  ;  il  fermano  Pensabene  Tur- 
cheli  i    poi   fondatore    della     congie- 


GIR 

gozionc  di  Fermo;  il  fiorentino 
Vittorio  dell' Ancisa  fondatore  del 
monistero  delle  stabilite  in  Firenze; 
e  il  piacentino  Enrico  Pietra  fondato- 
re della  congregazione  dei  padri  del- 
la dottrina  cristiana.  Vanno  pure 
nominati  Giulio  Sansedonio  di  Sie- 
na poi  vescovo  di  Grosseto  ;  Gia- 
como Celestino  ;  Pietro  Nicola  Leo- 
pardi patrizio  di  Recanati,  fonda- 
tore del  collegio  di  Gesù  a  Reca- 
nati, morto  nel  i5o,i;  il  ven.  Gio- 
vanni Leonardi,  poi  fondatore  della 
congregazione  dei  chierici  regolari 
della  Madre  di  Dio;  Agostino  Ador- 
no, uno  de'  fondatori  de'  chierici  re- 
golari minori;  Benedetto  Buonmat- 
tei  fiorentino,  celebre  pei  suoi  due 
libri  della  lingua  toscana  ;  il  dot- 
tissimo liturgico  Giuseppe  Catalano 
autore  di  rinomate  ed  utili  ope* 
re;  l'eruditissimo  vicentino  Gio- 
vanni Marangoni  ,  che  die  alle 
stampe  interessanti  opere  di  sacra 
e  profana  letteratura,  fra  le  quali 
la  vita  del  suddetto  servo  di  Dio 
Ruonsignore  Cacciagliene,  e  di  al- 
cuni compagni  suoi,  e  di  s.  Filippo 
in  s.  Girolamo,  Roma  17 12;  ove 
sono  raccolte  molte  importanti  no- 
tizie di  questa  congregazione.  Tra 
gli  altri  servi  di  Dio  nomineremo 
inoltre  Giuseppe  Piossi  di  Castel 
Velerc  in  Calabria;  ed  Alberto 
Cherufìni  viterbese,  noto  per  diver- 
se operette  spirituali,  una  delle 
quali  porta  per  titolo:  Del  racco- 
glimento interiore,  Roma  1809.  Ap- 
partenne pure  a  questa  congrega- 
zione Francesco  Stracchini  vescovo 
di  Segni,   morto  nel    1828. 

La  chiesa  e  la  casa  dell'  arci- 
confraternita  di  s.  Girolamo  della 
Carità  e  della  congregazione  de' sa- 
cerdoti dell'oratorio  di  s.  Girolamo 
è  nei  rione  Regola  vicino  al  pa- 
lazzo   Farnese,   e  dicemmo    altrove 


GIR  m 

che  vuoisi  fabbricala  ncll'  antica 
casa  di  s.  Paola  matrona  romana, 
dove  il  dottore  della  Chiesa  s.  Gi- 
rolamo fu  alloggiato  mentre  si 
trattenne  in  Roma,  chiamatovi  da 
s.  Damaso  1  Papa  che  governò 
la  Chiesa  dal  367  al  384-  In  que- 
sto luogo  fu  eretta  una  chiesa 
in  onore  del  santo  dottore,  e  do- 
po essere  stata  chiesa  collegiata, 
la  ottennero  i  minori  osservanti, 
i  quali  poscia  furono  traslocali 
alla  chiesa  di  san  Bartolomeo  Del- 
l' isola  Licaonia,  o  al  dire  del  Fa- 
nucci  a  quella  di  s.  Pietro  in  Mon- 
torio ,  indi  l' ebbe  la  congrega- 
zione degli  aulicorum  urbis,  se- 
condo il  Martinelli ,  finché  Cle- 
mente VII  a'  22  settembre  i5i/± 
la  diede  all'arciconfraternita  della 
Carità,  che  allora  aduna  vasi  nella 
chiesa  di  s.  Andrea  in  Piscinula 
nel  none  medesimo  Regola,  la 
quale  è  oggi  sagrestia  di  s.  Maria 
di  Monserrato.  V.  Notizie  sull'ori- 
gine, ed  istituto  della  ven.  arcicon- 
fralemita  della  Carità  in  s.  Gi- 
rolamo, riunite  neW  occasione  del- 
la sacra  visita  ordinata  dalla  san- 
tità di  nostro  Signore  Papa  Leo- 
ne XII;  le  Consti luliones  archicon- 
fraternitatis  Charitalis  de  urbe, 
Romae  i6o3  ;  il  breve  d'  Inno- 
cenzo XII  de'  18  settembre  «694, 
Ad  pastorale  fastigium,  col  quale 
confermò  gli  statuti.,  eie  costituzioni 
da  lui  approvate,  inserite  nello  stes- 
so breve,  e  pubblicate  nel  1694-  H 
Panciroli  ne  Tesori  nascosti  di  Ro~ 
ma,  tratta  a  p.  375  e  seg.  della  chie- 
sa ed  arciconfraternita  eruditamen- 
te, e  dice  che  la  chiesa  era  dei 
minori  osservanti  che  passarono 
a  s.  Bartolomeo  all'Isola,  e  che  fu 
data  alla  congregazione  de'  nobili 
cortigiani  eretta  poi  in  arciconfra- 
ternita,  che   la  gode   tuttora,  su   di 


uà                    GIR  GIR 
che    può    consultarsi   la    bolla    di  e.lhnìca  sacra,  insieme  a  tre  epitaf- 
Leone  X  altrove  citata,  Illius  qui  fi  in  versi  di  defunti  sepolti   nella 
charilas,    de'  27    gennaio  dell' an-  chiesa.  Nella  piccola  parte  che  ri- 
nò   \Sio.  Ridolfino  Venuti,  Roma  mane   del    primo  oratorio    fondato 
moderna  p.  566  dice,  che  la  chie-  e  fabbricato     da    s.  Filippo    Neri, 
sa  fu    data  nel   i535  al    sodalizio,  sulla    porta  è    scolpita  in   marmo 
che  nell'oratorio  vi  sono  i  ritratti  questa     iscrizione:     Primum    beati 
di    diversi    benefattori,    che  vi    si  Plidippi  Neri  Fiorentini  Oratoriutn. 
praticano  ogni    sera  diverse    opere  Anno  Domini fllDLP III.  Nel  1660 
di  pietà,  e  dal  giorno  d'  Ognissanti  la  chiesa  fu  riedificata    in  un  alla 
sino    alla    domenica    delle    Palme,  facciata  estèrna  con  architetture  di 
come    in     quello    di  s.    Maria    in  Domenico    Castelli.  L'  altare  mag- 
Vallicella,    in  ogni    festa    avevano  fiiore,    adorno  di     belli    marmi     e 
luogo  oratorii  in  musica.  Nella  chie-  metalli    dorati,    venne    eretto    con 
sa  si   solennizza  la  festa  di  s.    Fi-  disegno  di  Carlo  Rainaldi,  e  come 
lippo,  e  l'uffizio    è  tutto    proprio  la    tacciala,    a    spese    di    Fantino 
e  di  rito  di  prima  classe  con  l'ot-  Renzi  romano,    che  quivi  appresso 
tava,    e  se  ne  fa  commemorazione  ha  il  deposito  con  Scipione  Renzi, 
nei  suffragi  e  nell'orazione  A  cunctis.  coi  loro  busti  di   bronzo.   Su  det- 
Quivi    è    l'oratorio   e  la  sua  chie-  to  altare  ammira  vasi  il  celebratis- 
sa  a  parte,  dove   ogni     sera,  e    le  simo  quadro  a  olio  del  Dominiclii- 
feste     mattina    e  sera,    si     pratica  no,  rappresentante  la  comunione  di 
quanto  prescrive  s.  Filippo,  al  qual  s.    Girolamo,    il  quale  fu    eseguito 
oratorio     presiedo    uno    dei    padri  in  musaico  per  la  basilica  Vaticana, 
deputato     dalla     congregazione.     I  e  l'originale    forma  al  presente   u- 
padri    fanno    la    visita    delle    sette  no   de'    principali    ornamenti  della 
chiese    insieme    ai     fratelli    ascritti  contigua     galleria    de'  quadri .     La 
all'oratorio,  i  più  diligenti  de'qua-  buona    copia     di    questo    prezioso 
li    ricevono    qualche    premiazione ,  dipinto,  posta  all'  antico  luogo    di 
e  nelle    feste  di    precetto    visitano  esso,  venne  operata  nell'anno  1797 
qualche  spedale  massime  quello  di  da  Antonio  Corsi  con  maestria.  La 
s.  Spirilo,  oltre    l' infermeria  delle  cappella  della  famiglia  Spada,  che 
carceri  nuove.  trovasi  la  prima    a  destra,  entran- 
Nell'   annesso    ospizio    conserva-  do,    è   disegno  del    Borromini  :    la 
si    con    venerazione    la    memorata  statua    giacente  in   abito  senatòrio, 
stanza    ridotta    a    cappella  ,    nel-  dalla    parte  stessa,  insieme  alle  al- 
la quale    egli    ebbe    spesso  lunghe  tre    scolture  sono  lavori  di  Ercole 
conferenze  col     cardinal     san  Car-  Ferrata;  quelle    incontro    sono    di 
lo  Borromeo,  con  s.  Ignazio  Loio-  Cosimo  Fancelli  ,   e    gli  angeli  ge- 
la, con  s.  Camillo  de  Lellis,  e  con  nullessi  che    sostengono   un   panno 
s.  Felice  da    Canlalice.  Nel    1687  finto    venato  sono  opere  di    Anto- 
la  restaurò    dalle  fondamenta,    ed  nio  Giorgetti.   Un  illustre  individuo 
abbellì  con  pitture   il  cav.  Ascanio  di  detta  famiglia    Spada,    il  cardi- 
Pantera   di    Colle,    come  si    legge  nal  Alessandro,  già  deputato  del  pio 
nella    iscrizione    ivi  esistente    sulla  stabilimento,    morendo  a'  16  dicem- 
poi'ta,    e    riportala    dal    Martinelli  bre  18 13  gli  lasciò  per  gli  atti  del 
a    pag.     112     della  sua  Roma  ex  Bartoli  un  legato  di  diecimila  scudi 


GIR 
espressamente  per  la  difesa  depo- 
veri,  per  cui  1'  arciconfìaternita  in 
questa  chiesa  gli  celebrò  solenni 
esequie,  pontificando  la  messa  il  de- 
putato monsignor  Stefano  Seerra 
vescovo  di  Orope.  Verso  l'altare  mag- 
giore si  vede  a  mano  destra  l'altare 
del  Crocefisso,  fatto  di  buoni  marmi. 
L'  immagine  del  ss.  Crocefisso  è 
di  legno,  ed  è  quella  che  secondo 
l' antica  tradizione  parlò  interior- 
mente a  s.  Filippo,  mentre  questi 
celebrava  la  messa  innanzi  alla 
medesima.  Sul  gradino  dell'altare 
si  venera  una  divota  immagine  del- 
la B.  Vergine  Addolorata,  dipinta 
da  Francesco  Manno.  L'  altare  è 
privilegiato    in    perpetuo. 

Nella  cappella  de'Mariscolti  vi- 
cina all'altare  maggiore,  il  quadro 
sull'  altare  rappresentante  la  Beata 
Vergine  con  Gesù,  e  le  altre  pit- 
ture in  cui  sono  alcuni  santi,  ven- 
nero eseguite  da  Durante  Alberti: 
il  sepolcro  prossimo  del  conte 
Montauli,  con  una  grande  cornice 
di  pietra  detta  Montauto,  è  dise- 
gno di  Pietro  Berrettini  da  Corto- 
na. La  cappella  di  s.  Filippo  al- 
l'opposto late,  eretta  nel  17  io  ed 
architettata  da  Filippo  Juvara  per 
ordine  dell'avvocato  Tommaso  An- 
tarnori,  e  della  quale  sono  patroni 
i  di  lui  discendenti,  è  tutta  in- 
crostata di  marmi  sopraffini  fre- 
giati di  vari  lavori  di  metalli  do- 
rali, con  istucchi  nella  volta  tut- 
ti messi  ad  oro.  Sull'altare  poi  avvi 
Ja  maestosa  statua  del  santo,  scol- 
pita da  Pietro  Le  Gros.  11  qua- 
dro di  s.  Carlo  Borromeo  nella 
seguente  cappella  è  opera  di  Pie- 
tro Barbieri,  che  colorì  anche  il 
quadro  e  la  volta  della  sagrestia: 
nel  quadro  rappresentò  la  Beata 
Vergine  col  Bambino,  s.  Girolamo, 
e  s.  Filippo;  nella  volta  dipinse 
voi.    XXXI. 


GIR  11  1 

una  gloria.  Neil'  ultima  cappella 
si  vede  un  pregevole  quadro  che 
vuoisi  del  Muziano,  rappresentante 
il  Salvatore  in  atto  di  dare  le 
chiavi  a  s.  Pietro.  Tutta  In  soffit- 
ta è  intagliata  e  dorata.  Nell'an- 
nesso oratorio,  che  limane  sul  la- 
to destro  della  chiesa,  il  quadro 
della  Beata  Vergine,  s.  Filippo  e 
s.  Girolamo  è  del  Romanelli.  In 
questa  chiesa  vi  è  1'  indulgenza 
plenaria  perpetua  :  la  festa  di  s. 
Girolamo  si  celebra  a'  3o  di  set- 
tembre, nel  quale  giorno  ogni  quat- 
tro auni  il  senato  romano  offre  a 
questa  chiesa  un  calice  con  pate- 
na d'  argento,  e  quattro  torce  di 
cera.  Nella  medesima  festività  si 
fa  dopo  la  messa  pontificale  la 
processione,  in  cui  si  porla  il  brac- 
cio di  s.  Girolamo,  alla  quale  in- 
tervengono moltissime  zitelle  dal- 
1  arciconfìaternita   dotate. 

GIROLAMO  (s.),  Gesuati,  o  chie- 
rici apostolici  di  s.  Girolamo.  P. 
Gesuati. 

GIROLAMO  (s.),  il  più  sapiente 
dottore  della  Chiesa  Ialina,  nacque 
nella  piccola  città  di  Stridone  o 
Strinomium,  vicina  ad  Aqui'eia,  cir- 
ca l'anno  33 1.  Suo  padre  chia- 
mato Eusebio,  uomo  ricco,  man- 
dolio  a  Roma,  ov'  ebbe  a  maestro 
il  celebre  Donato,  e  fece  rapidi 
progressi  nelle  lettere  umane  e  nel- 
I' eloquenza;  si  occupò  assiduamente 
nella  lettura  de' grandi  classici  au- 
tori ,  e  raccolse  con  fatica  ed  at- 
tenzione una  scelta  biblioteca,  co- 
piando eziandio  molti  libri  di  sua 
mano.  La  sua  gioventù  non  andò 
esenle  da  trascorsi;  ma  riconobbe 
poscia  i  suoi  errori,  e  ne  fece  pe- 
nitenza. Giunto  all'età  virile,  si  po- 
se a  viaggiare  nelle  contrade  ove 
polca  perfezionarsi  nelle  scienti".  < 
visilò  le  più  celebri  scuole  delle 
8 


JCfoemorvfc,  ftp. 


n4  GIR 

Gallie.  Si  mette  il  suo  arrivo  a 
Treveri,  in  compagnia  d'un  suo 
compatriotta  e  parente  per  nome 
Bonoso,  poco  dopo  l' anno  370. 
Quivi  prese  la  risoluzione  di  vive- 
re in  perfetta  continenza,  e  comin- 
ciò a  cangiare  i  suoi  studi.  Passa- 
to in  Aquileia,  ov' era  vescovo  s. 
Valeriano,  strinse  amicizia  con  pa- 
recchi dotti  e  virtuosi  ecclesiastici, 
i  nomi  dei  quali  trovansi  spesso 
ne'  suoi  scritti.  Lasciò  Aquileia ,  a 
quanto  sembra,  per  recarsi  a  Stri- 
done  sua  patria,  avendo  inteso  che 
sua  sorella  erasi  sviata  dal  cammi- 
no della  virtù,  in  cui  egli  ebbe  la 
ventura  di  rimetterla.  Tornò  quin- 
di a  Roma,  risoluto  di  vivere  nel 
ritiro,  e  di  non  occuparsi  di  altro 
chede'suoi  studi.  Scorgesi  dalle  sue 
lettere  al  Pontefice  s.  Damaso  I, 
eh'  egli  riconosceva  di  aver  ricevuto 
il  battesimo  in  questa  città.  Tille- 
niont  è  d' avviso  che  non  vi  fosse 
battezzato  se  non  dopo  il  suo  ri- 
torno d'  Aquileia  ,  perchè  il  santo 
mette  la  data  della  sua  conversio- 
ne al  tempo  in  cui  si  trovava  nelle 
■vicinanze  del  Reno;  ma  Martianay 
e  Fontanini  sostengono  con  mag- 
gior verisimiglianza  che  avesse  ri- 
cevuto il  battesimo  a  Roma  prima 
di  viaggiare  nelle  Gallie.  Non  mol- 
to dopo  il  suo  ritorno  a  Roma 
comprese  che  il  soggiorno  di  que- 
sta città  non  era  favorevole  alla 
risoluzione  fatta  di  vivere  in  una 
perfetta  solitudine;  quindi  deter- 
minò di  andarsi  a  seppellire  in 
qualche  assai  lontana  contrada.  Par- 
fi  con  Evagrio  prete  d'  Antiochia  , 
accompagnato  da  Innocenzo,  da 
Eliodoro  e  da  Ilas,  e  con  essi  tra- 
versò la  Tracia,  il  Ponto,  la  Biti- 
nia,  la  Galazia,  la  Cappadocia  e  la 
Cilicia.  Fcrmossi  qualche  tempo  ad 
Antiochia  per  giovarsi  delle  lezioni 


GIR 

di  Apollinare,  che  spiegava  la  Scrit- 
tura con  molta  riputazione,  e  che 
non  avea  per  anco  fatto  scisma 
nella  Chiesa.  Poscia  si  ritirò  nel 
deserto  di  Calcide  che  di  videa  la 
Siria  dall'  Arabia,  e  che  allora  era 
sotto  il  dominio  de'  saraceni.  Non 
andò  guari  che  la  morte  gì' involò 
Innocenzo  ed  Ilas  ;  ed  Eliodoro  lo 
lasciò  per  tornar  in  occidente.  Tut- 
tavia egli  stette  ancora  per  quat- 
tr' anni  in  questa  solitudine,  uni- 
camente inteso  allo  studio  ed  alle 
opere  di  penitenza.  Egli  vi  ebbe  a 
soffrire  diverse  sorta  di  malattie; 
ma  le  sue  pene  maggiori  gli  pro- 
venivano dalle  tentazioni  violente 
che  sopravvennero  ad  assalirlo  ;  e 
mentre,  come  dice  egli  stesso,  co- 
perte le  squallide  membra  d' orri- 
do sacco,  abbronzita  la  pelle  dal 
cocente  ardore  del  sole,  estenuato 
dai  digiuni,  erasi  fatto  socio  degli 
scorpioni  e  delle  fiere  per  timore 
del  fuoco  eterno,  immagina  vasi  di 
essere  in  mezzo  alle  danze  delle 
fanciulle  romane,  e  la  sua  mente 
ardeva  d' impuri  desideri.  S.  Giro- 
lamo affine  di  raffrenare  più  age- 
volmente gli  sviamenti  della  sua 
immaginazione,  alle  austerità  della 
penitenza  aggiunse  il  più  laborioso 
di  tutti  gli  studi,  quello  della  lin- 
gua ebraica ,  e  quind'  innanzi  si 
tenne  sempre  molto  attento  a  mo- 
derare il  suo  gusto  per  la  lettera- 
tura profana.  In  seguito  i  differenti 
partiti  che  dividevano  la  chiesa  di 
Antiochia,  quello  di  Melezio  cioè, 
quello  di  Paolino,  e  quello  di  "\  i- 
tale,  cagionarongli  molta  inquietu- 
tudine,  venendo  egli  incessantemente 
spinto  a  dichiarare  qual  era  il  par- 
tito che  seguiva.  Stanco  s.  Girola- 
mo delle  loro  moleste  e  ripetute 
istanze,  e  pel  cattivo  slato  di  sua 
salute,    risolse    di    abbandonare  la 


GIR 

solitudine,  e  tornarsene  in  Antio- 
chia presso  Evagrio;  ma  prima  di 
eseguire  il  suo  disegno  ne  scrisse 
replicatamenle  al  Papa  s.  Damaso  I, 
per  consultarlo  intorno  alla  disputa 
eh'  ivi  agitavasi  sul  significato  e  sul- 
1*  uso  della  parola  ipostasi,  vale  a 
dire  se  era  da  ammettere  in  Ge- 
sù Cristo  una  sola  ipostasi  o  tre, 
colla  quale  questione  ed  ambiguità 
gli  ariani  ed  i  sabelliani  cercavano 
ili  allucinare  i  fedeli.  Benché  secon- 
do il  Butler  (giacche  nel  voi.  XIX, 
p.  85  del  Dizionario  dicemmo  che 
professasse  un'ipostasi  e  tre  perso- 
ne )  non  si  abbia  la  risposta  di  quel 
Papa ,  è  però  certo  eh'  egli  rico- 
nobbe con  tutta  la  Chiesa  d'  occi- 
dente Paolino  per  patriarca  d'An- 
tiochia. Anche  s.  Girolamo  lo  ri- 
conobbe, e  ricevette  dalle  sue  ma- 
ni il  sacerdozio  prima  del  finire 
dell'  anno  377,  senza  però  obbligar- 
si particolarmente  ad  alcuna  chie- 
sa. Poco  dopo  ritirassi  nella  Pale- 
stina, ne  visitò  i  santi  luoghi,  e  fe- 
ce la  sua  principal  dimora  a  Bet- 
lemme. Su  di  che  sono  a  veder- 
si gli  articoli  Betlemme  e  Gerusa- 
lemme. Intorno  all'  anno  38o  si 
portò  a  Costantinopoli,  essendone 
vescovo  s.  Gregorio  Nazianzeno,  del 
quale  grand' uomo  egli  si  gloria  in 
molti  de' suoi  scritti  d'essere  stato 
discepolo.  Il  Papa  s.  Damaso  I,  che 
occupavasi  seriamente  della  estin- 
zione dello  scisma  di  Antiochia, 
avendo  convocato  un  concilio  a 
Roma  nel  38 1  o  382,  s.  Girola- 
mo vi  si  recò  con  s.  Epifanio  e 
Paolino  d'Antiochia.  Passato  l'in- 
verno questi  due  vescovi  tornarono 
in  oriente;  ma  s.  Girolamo  fu 
trattenuto  o  richiamato  a  Roma  dal 
Papa  che  lo  adoperò  nei  maggiori 
allàri  della  Chiesa,  e  lo  incorni  >cu- 
zò   qual   suo  segretario   di  risponde* 


GIR  1  1 5 

re  alle  lettere  che  gli  scrivevano 
i  vescovi  per  consultarlo  sui  con- 
cilii  e  sulle  chiese.  La  nobiltà  ed 
il  clero  facevano  a*  gaia  a  gio- 
varsi de'suoi  lumi,  onde  perfezio- 
narsi nella  cognizione  della  Scrit- 
tura ,  e  nella  pratica  delle  mas- 
sime della  pietà.  Egli  era  insieme 
il  direttore  di  molte  dame  romane, 
commendevoli  per  le  loro  virtù  ;  in 
fra  le  altre  di  s.  Marcella ,  di  A- 
sella  sua  sorella,  di  Albina  loro 
madre,  dell'illustre  Melania,  di 
Marcellino,  di  Felicita,  di  Lea,  di 
Fabiola,  di  Leta,  e  di  Paola  colle 
sue  figlie.  Le  lettere  ch'egli  scri- 
veva a  queste  dame  e  ad  altre  pie 
persone,  sono  eccellenti  trattati  sul- 
le diverse  virtù  della  vita  cristiana. 
La  generosa  libertà  con  la  quale 
s.  Girolamo  avea  sovente  parlato 
contro  1'  avarizia,  la  mollezza,  e  la 
vanità  degli  abitanti  di  Roma,  gli 
aveva  suscitato  molti  nemici,  e  tra 
questi  assai  ecclesiastici  ,  i  quali 
eransi  appropriali  in  parte  i  rim- 
proveri del  santo  dottore.  Per  or- 
dine di  s.  Damaso  I  commentò  e 
tradusse  s.  Girolamo  nel  latino  i- 
dioma  la  versione  de'seltanta  ;  lo 
stesso  fece  dell'edizione  ebraica  tras- 
portata in  latino,  e  con  esatta  sol- 
lecitudine emendò  il  testo  Ialino 
del  nuovo  Testamento,  confron- 
tandolo col  testo  greco.  Morto  il 
Pontefice  s.  Damaso  I,  egli  si  vide 
oppresso  da  mille  calunnie  :  quindi 
risolse  di  ritornarsene  in  oriente 
per  cercarvi  un  pacifico  asilo.  .Nel- 
l'agosto del  385  s'imbarcò  con  suo 
fratello  Pauliniano,  col  prete  Vin- 
cenzio ed  alcuni  monaci,  e  con  essi 
giunse  a  Gerusalemme  versola  metà 
dell'inverno,  donde  nella  primevi  1  1 
passò  in  Egitto.  Dimorò  un  mi  se 
in  Alessandria,  ove  si  giovò  incito 
delle  lezioni  del  celebre  D;dimo   il 


n6  GIR 

Cieco  ;  poscia  percorse  i    principali 
monisteri  di  Egitto,  e  in    fine  tor- 
nato in  Palestina  si    fermò   a  Bet- 
lemme. S.  Paola,  che  lo  aveva  se- 
guito, gli  fece  fabbricare  un  moni- 
stero,  e  pose  sotto  la  sua  direzione 
quello    in    cui    aveva    radunato    le 
religiose  ch'ella  governava.  Divenu- 
to troppo  ristretto  il  monistero  che 
abitava  s.    Girolamo,    egli    mandò 
Pauliniano  suo  fratello    in    Dalma- 
zia a  vendere  una  tenuta  che  an- 
cora ci   avea ,    onde    impiegarne  il 
prezzo  ad  ampliarlo  ;   e  intorno    a 
quel  tempo  fece    fabbricare    anche 
un  ospizio  pei  pellegrini.    Il    santo 
dottore  ritirato  in  una  celletta,  ve- 
stito di  ruvidi  panni,  non  cibandosi 
che  di  pane  bigio  e  di  poche  erbe, 
sebbene    travagliato    da     frequenti 
malattie  non  si    rimase    dallo  stu- 
diare   1'  ebraico,     e    dall'  attende- 
re  ai    suoi    commentari     sopra     la 
Scrittura  ;    ed    occupossi    eziandio 
con     zelo    indefesso     a     confutare 
tutte    l' eresie    de'  suoi    tempi.     Ai 
continui  rammarichi  che  gli  cagio- 
navano   i     pericoli    dei     fedeli    di 
oriente,  e    le    perdite    che    questa 
Chiesa  avea  sofferto  per  gli  scismi 
e  per  l'eresie,   venne    ad    aggiun- 
gersi la    nuova    dei   saccheggi    che. 
le  truppe  di  Alarico  avevano  por- 
tato in   occidente.    Roma   era    sta- 
ta    saccheggiata    e    quasi    rovinala 
nell'anno  4IO>    e  un'orrida    care- 
stia   avea    finito     di    sterminarla  : 
uomini     e    donne    abbandonarono 
la     loro   patria    per    sottrarsi    alla 
morte  o  alla    cattività,  e  un  gran 
numero  rifuggissi  a  Betlemme.  San 
Girolamo   nulla    risparmiò  per  nu- 
trirli, consolarli,  e     procacciar     lo- 
ro un  asilo  ;  ma  a  grande  stento  po- 
tè egli  medesimo   sottrarsi  al  furore 
dei  barbari,  i  quali   nel   41  *    inva- 
sero la    Palestina.    Ebbe    altresì    a 


GIR 
soffrire  le  più  crudeli    persecuzioni 
per  parte    dei    pelagiani.    Nel    4' 7 
una   masnada  di  scellerati,  mandata 
da  questi  eretici,  venne  ad    assalire 
i  servi  di  Dio  che  viveano  sotto  la 
condotta  di  s.   Girolamo.    I    moni- 
steri   furono  distrutti  dalle  fiamme, 
e  i  monaci  e    le    vergini    costrette 
alla     fuga  ;    alcuni    furono    crudel- 
mente battuti  ;   un    diacono    venne 
trucidato;  il  santo  dottore  scampò 
ai   più.  cattivi    trattamenti  di    quei 
furibondi,  ritirandosi    in    una  forte 
torre  ;  Eustochia  e  la  vergine  Pao- 
la si  salvarono  a  stento  dal    fuoco 
e  dalle  armi  che  le  circondavano  , 
e  le    persone    che    loro    appartene- 
vano soffrirono    ogni  sorta  di   tor- 
menti. S.   Girolamo  non  sopravvis- 
se   lungamente    a    questa    persecu- 
zione ;    e    dopo    aver    trionfato    dei 
vizi  e  delle  eresie,  dopo  aver  pas- 
sato   la    sua    vita    nelle    fatiche    e 
nella  penitenza,  consunto  da   lenta 
febbre  fu  disciolto  dai    legami    del 
corpo  ai  3o  settembre  4"20»  m  el11 
di  ottantanov'  anni  ,  secondo  1'  opi- 
nione di   Martianay    approvata   dal 
p.   Stilting.   Fu  sepolto   sotto  le  ro- 
vine del  suo  monistero  a    Betlem- 
me ;  ma  il  suo  corpo    fu  poi   tras- 
portato aRoma,  ove  si  conserva  tut- 
tora nella  Chiesa  di  s.  Maria  mag- 
giore (Fedi).  La  Chiesa  celebrava  la 
sua  festa  a'  3o  settembre    fino    dal 
tempo  di  Beda  e  di    Usuardo,  co- 
me    ricavasi     da'  loro   martirologi: 
trovavasi  altresì  notata  nei  più  an- 
tichi ,    e    nel    Sacramentario    di    s. 
Gregorio.  Non    puossi    negare   a   s. 
Girolamo    il  merito    di    una    gran 
fede  congiunta  a  molte  altre  virtù 
cristiane.  Se  si  lasciò  prevenire  da 
Teofilo  d'  Alessandria  contro  s.  Gio. 
Grisostomo,  ciò  fu  perchè  egli  era 
uomo,  e  come  tale  soggetto  egli  pure 
ad  essere  sorpreso.  Se  fu  odiato  du- 


GIR 
inule  la  sua  vita,  Io  fu  dagli  ere- 
liei,  «lai  monaci  e  dagli  ecclesiasti- 
ci indisciplinati  ,  i  quali  non  pote- 
vano soffrire  eh'  egli  combattesse  o 
i  loro  errori  o  i  loro  vizi.  Fu 
egli  al  contrario  amalo  ed  ammi- 
rato dai  giusti,  i  quali  onorarono 
la  sua  santità,  e  videro  con  gioia 
i  lavori  eh'  egli  intraprendeva  per 
l' utilità  della  Chiesa.  È  questa 
la  testimonianza  che  ne  rende  Po- 
sluiniano,  testimonio  oculare  del- 
le opere  di  virtù  di  s.  Girolamo. 
Anche  s.  Agostino  chiamavalo  uo- 
mo santo  ed  ammirabile,  il  di  cui 
cuore  sembra  vagli  si  pieno  d'amo- 
re e  di  zelo  per  la  gloria  di  Gesù 
Cristo,  die  non  temè  di  parago- 
narlo a  quello  di  s.  Paolo. 

Sulla  patria  di  s.  Girolamo  ab- 
biamo: Pietro  Stancovich ,  Della 
patria  di s.  Gì /ola ino,  Venezia  1824 
pel  Picolti;  e  Giovanni  Capor  dal- 
rnatino,  Della  patria  di  s.  Girola- 
mo, risposta  all'opuscolo  di  Pietro 
Stancovich,  Roma  1828  pel  Bour- 
liè.  In  onore  di  s.  Girolamo  e  sot- 
to il  nome  di  Girolamini  [Vedi), 
furono  istituiti  diversi  ordini  reli- 
giosi.  Viene  creduto  da  molti  scrit- 


tori  di   non 


autorità    ch'egli 


poca    ...„.„.    ...  .D. 

fosse  stato  creato  cardinale  da  san 
Damaso  I,  ovvero  in  grado  corri- 
tpondente  oggidì  alla  dignità  cardi- 
nalizia, e  per  tale  trovasi  dipinto 
in  antiche  immagini,  e  nelle  grot- 
te vaticane.  Scolpito  in  marmo  in 
abito  di  cardinale  fino  dal  i4^°j 
come  attesti»  il  Piazza  nell'  Emero- 
Iorio  di  ìionia  a' 3o  settembre.  Il 
(pule  aggiunge  che  dipintesi  il  spil- 
lo  dottore   eoo    vari     simboli,    tutti 

rappresentanti  lo  di  lui  segnalate 
azioni.  Viene  dunque  effigiato  in 
atto  di  penitente  per  l'austerità  del- 
la vita  a  cui  si  diede  mila  solitu- 
dine; con  la  candela  accanto,   per* 


GIR  1 1 7 

cbè  nelle  ore  notturne  rubate  al 
sonno  egli  scrisse  e  dettò  immensi 
volumi;  con  l'immagine  del  Cro- 
cefisso e  con  testa  di  morto*  per- 
chè tutto  fu  occupalo  ed  intento 
nel  meditare  la  passione  di  Cristo; 
con  la  tromba  all'orecchio,  per 
quelle  parole  ch'egli  lasciò  scritte: 
Sur  gite  rnortui,  venite  ad  j  udiri  uni; 
col  cappello  o  porpora  cardinalizia, 
per  aver  esercitato  in  Roma  ap- 
presso s.  Damaso  I  quello  che  og- 
gidì esercitano  i  cardinali;  col  leo- 
ne a  lato,  o  perchè  abitasse  nelle 
solitudini  della  Siria,  o  perchè 
qualcuno  di  quegli  animali  gli  si 
addomesticò  ,  raccontandosi  che 
mentre  il  santo  leggeva  a' suoi  di- 
scepoli, entrò  nella  scuola  un  leone 
zoppicante  onde  tutti  fuggirono, 
ma  il  santo  avendo  accolto  senza 
timore  il  leone,  questo  alzò  la  zam- 
pa addolorata  per  la  puntura  di 
una  spina,  per  cui  il  santo  lo  ri- 
sanò, onde  l'animale  non  volle  da 
lui  mai  più  partirsi  ;  altri  spiega- 
no il  simbolo  del  leone,  con  allu- 
sione alla  magnanima  intrepidezza 
di  s.  Girolamo,  con  la  quale  fece 
fronte  coi  ruggiti  di  sua  voce  e 
zelo  apostolico,  e  con  la  forza  del- 
la sua  eloquenza  e  dottrina  ai  più 
ostinati  e  famosi  eretici  del  suo 
tempo;  finalmente  si  rappresenta 
con  un  sasso  in  mano  in  alto  di  per- 
cuotersi, per  quanto  egli  scrive  di 
sua   aspra  penitenza. 

Opere  di  s.   Girolamo. 

Nel  dare  l'elenco  delle  opere  di 
s.  Girolamo  seguiremo  l'ordine  in 
cui   son   poste  nell'edizione   falla 

dai    benedettini. 

11  tomo  1  contiene  la  Biblioteca 
sacra,  cioè   tulli  i  libri  della  Seul 


,  1 8  GIR  GIR 
tura,  che  s.  Girolamo  tradusse  in  5.  L'  apologia  sopra  i  suoi  libri 
latino  dal  greco  e  dall'ebreo.  contro  Gioviniano.  6.  Il  libro  con- 
II  tomo  II  contiene  :  i.  Il  libro  tro  Vigilanzio.  7.  Il  dialogo  con- 
dei  nomi  ebrei,  in  cui  il  santo  tro  i  luciferiani.  8.  La  lettera 
dottore  spiega  le  etimologie  dei  contro  la  traduzione  di  Origene 
nomi  propri  che  s'incontrano  nel  fatta  da  Rufino,  e  l'apologia  con- 
vecchio e  nel  nuovo  Testamento  :  tro  Rufino.  9.  I  dialoghi  contro  i 
vengono  appresso  alcuni  frammen-  pelagiani. 

ti  greci  dello  stesso  libro  tradotti  Nel  tomo  V  sono  poste  le  o- 
in  latino.  2.  Il  Dizionario  dei  luo-  pere  attribuite  a  s.  Girolamo,  e 
ghi  ebrei,  o  Geografia  sacra  per  una  raccolta  di  documenti  risguar- 
l'intelligenza  della  Scrittura.  3.  Il  danti  la  storia  di  questo  santo. 
libro  delle  Questioni  ebraiche  sul-  Delle  opere  di  s.  Girolamo  fu- 
la  Genesi.  4-  Sedici  lettere  sopra  rono  fatte  molte  edizioni.  Martia- 
alcuni  luoghi  difficili  dell'  antico  nay ,  benedettino  della  congrega- 
Testamento.  5.  Il  commentario  sul-  zione  di  s.  Mauro,  ne  pubblicò 
l'Ecclesiaste,  composto  circa  fan-  una  a  Parigi  dal  1693  al  1704. 
no  388.  6.  La  traduzione  delle  due  in  cinque  volumi  in  foglio,  che  fu 
omelie  di  Origene  sul  Cantico  dei  molto  lodata.  Neil'  ultimo  volume 
Cantici ,  verso  il  383.  Seguono  pose  una  vita  di  s.  Girolamo,  che 
molte  opere  risguardanti  la  Scrit-  ristampò  in  francese  con  aggiunte 
tura,  attribuite  al  santo  dottore.  nel  1706,  nella  quale  difende  il 
Nel  tomo  III  sono  raccolti  i  santo  dottore  contro  Baillet  ,  che 
commentari  di  s.  Girolamo,  che  parlando  di  lui  adopera  espressio- 
furono  scritti  in  diversi  tempi.  ni  molto  dure,  e  contro  alcuni 
Il  tomo  IV  comprende:  1.  Il  critici,  che  non  hanno  abbastanza 
commentario  sul  vangelo  di  san  pesato  bene  i  termini  di  cui  egli 
Matteo,  verso  il  3g8.  2.  Molte  si  serviva.  Vallarsi,  oratoriano  di 
lettere  in  cui  il  santo  dottore  spie-  Italia,  ne  fece  un'  altra  a  Verona 
ga  parecchie  difficoltà  del  nuovo  nel  1738,  in  undici  volumi  in  fo- 
Testamento.  3.  I  commentari  del-  glio,  con  una  vita  del  santo,  e 
l'epistole  di  s.  Paolo  ai  galati,  agli  con  note  molto  utili:  questa  edi- 
ebrei,  a  Tito,  e  a  Filemone.  La  zione  fu  riprodotta  a  Venezia  nel 
seconda  parte  di  questo  tomo  1 766,  in  24  volumi  in  piccolo,  con 
contiene  le  lettere  di  s.  Girolamo,  aggiunte  e  correzioni  dello  stesso 
che  sono  divise  in  molte  classi,  editore.  Il  marchese  Scipione  Maf- 
parecchie  delle  quali  sono  veri  fei  ed  altri  dotti  diedero  mano  in 
trattati  ;  e  le  opere  ascetiche  e  quest'opera  al  p.  Vallarsi, 
polemiche,  delle  quali  indicheremo  GIROLAMO  EMILIANI  o  MIA- 
soltanto  le  principali,  r.  La  vita  NI  (s).  Nato  in  Venezia  da  nobile 
di  s.  llarione,  di  s.  Paolo  eremi-  famiglia  nel  148 r,  si  diede  dappri- 
ta  e  di  s.  Malco.  2.  Il  catalogo  ma  alle  armi,  e  servì  con  onore  nelle 
degli  scrittori  illustri,  scritto  nel  guerre  che  la  repubblica  ebbe  a 
392,  e  diviso  in  35  capitoli,  nel-  sostenere  in  quel  tempo  ;  ma  eletto 
l'ultimo  de'  quali  parla  delle  sue  governatore  di  Castelnovo  ,  sulle 
opere.  3.  Il  libro  contro  Elvidio.  frontiere  di  Treviso ,  vi  fu  fatto 
4-  I  due  libri    contro  Gioviniano.  prigione  e  caricato  di  catene.  In  tale 


GIR 

stato  pianse  sulle  sregolatezze  della 
sua  gioventù  ,  e  santificò  le  sue 
sofferenze  coli'  orazione  e  colla  pe- 
nitenza. Ricuperata  la  sua  libertà, 
si  credette  tenuto  della  sua  libera- 
zione al  patrocinio  della  Madre  di 
Dio,  e  giunto  a  Treviso  sospese  le 
sue  cateue  ad  un  altare  a  lei  inti- 
tolato. Ritornato  a  Venezia,  si  con- 
sacrò intieramente  alla  pratica  di 
ogni  maniera  di  virtù  cristiane ,  e 
fece  in  particola!-  modo  risplendere 
con  larghi  soccorsi  la  sua  carità 
verso  i  poveri,  in  una  carestia  ac- 
compagnata da  morbo  epidemico , 
che  vi  menava  gran  strage.  Indi 
intenerito  dalla  sorte  dei  poveri 
fanciulli,  cui  la  morte  avea  tolto  i 
loro  genitori  ,  li  raccolse  in  una 
casa ,  ed  imprese  ad  alimentarli  , 
a  inspirare  ad  essi  sentimenti  di 
virtù,  ed  insegnar  loro  la  dottrina 
cristiana.  Simiglianti  ricoveri  per 
gli  orfanelli  stabilì  a  Rrescia  ,  a 
Bergamo  e  in  altri  luoghi ,  e  fon- 
dò anche  delle  case  di  ritiro  per 
Je  donne  ravvedute.  Occorrendo 
pertanto  trovare  un  luogo,  in  cui 
si  potesse  informare  i  membri  della 
nuova  congregazione  cogli  esercizi 
ad  essa  convenienti,  il  santo  scelse 
a  tale  oggetto  Somasca,  villaggio 
posto  tra  Bergamo  e  Milano.  Egli 
soggiornò  lungo  tempo  nella  casa 
che  quivi  si  avea  procurato  ,  ed  è 
] icrciò  che  i  suoi  discepoli  furono 
«letti  chierici  regolari  Somaschi 
(/  edi),  al  quale  articolo  non  solo 
riporteremo  le  notizie  di  sì  fiori, 
do  istituto,  ma  ancora  le  altre  che 
riguardano  il  santo.  In  detto  vil- 
laggio morì  il  servo  di  Dio  agli  8 
di  febbraio  i5^7  da  una  malat- 
tia contagiosa  che  aveva  contrat- 
to servendo  i  malati.  Egli  fu  so- 
lennemente beatificato  da  Benedet- 
to XIV,  e  canonizzato  nel    1767  da 


GIR  119 

Clemente  XIII.  Nel  1769  la  santa 
Sede  approvò  I'  officio  in  suo  ono- 
re, e  ne  permise  la  recita  per  ce- 
lebrarne ogni  anno  la  festa  ai  20 
di   luglio. 

GIROLAMO,  Cardinale.  Giro- 
rolamo  canonico  regolare  lateranen- 
se,  della  congregazione  di  s.  Fre- 
diano di  Lucca,  dove  al  dire  del- 
lo Stadel  trasse  i  natali ,  da  Ales- 
sandro III  nel  11 65  fu  creato 
diacono  cardinale  di  s.  Maria  Nuo- 
va, e  morì  verso  il    1178. 

GIRONA  (Gerunden).  Città  con 
residenza  vescovile  di  Spagna  nella 
Catalogna,  si  estende  sul  versatolo 
e  a' piedi  d'una  montagna  scoscesa, 
e  la  parte  bassa  è  attraversata  dal 
Ter  che  riceve  1'  Ona  :  è  sede  di 
un  tribunale  ecclesiastico,  residenza 
d' un  governatore ,  e  di  un  com- 
missario speciale  di  polizia.  Girona 
o  Gerona  è  una  città  forte  in  for- 
ma di  triangolo,  con  titolo  di  du- 
cato, capoluogo  della  provincia  del 
suo  nome  :  i  suoi  bastioni  in  buo- 
no stato  sono  protetti  da  molti 
forti ,  il  più  importante  de'  quali, 
chiamato  Mont-Jouy ,  occupa  la 
sommità  della  montagna  Girona. 
Quantunque  assai  ben  fabbricata,  è 
triste  e  monotona  ;  le  strade  sono 
strette,  pulite  e  ben  lastricate.  Fra 
le  sue  tre  piazze  pubbliche,  una  è 
grandissima.  L'edifizio  più  osser- 
vabile si  è  la  cattedrale,  la  cui  fac- 
ciata è  maestosa,  e  l' interno  ricco 
di  ornamenti  :  contiene  i  sepolcri 
di  Raimondo  Berenger  conte  di 
Tolosa,  e  della  sua  sposa.  La  sua 
collegiata  è  degna  di  menzione  per 
la  sua  bella  architettura  di  stile 
gotico,  ed  in  una  delle  sue  cappel- 
le si  venera  il  corpo  di  s.  Narciso. 
Vi  sono  delle  altre  chiese,  moniste- 
ri  e  conventi:  in  quello  de' cap- 
puccini si  ammira  un  bagno  arabo 


lao  GIR 

di  elegantissima  architettura.  Pos- 
siede inoltre  un  collegio  con  bi- 
blioteca, una  casa  di  religiose  per 
la  gratuita  educazione  delle  fan- 
ciulle, ed  altri  benefici  ed  utili  sta- 
bilimenti. Il  commercio  è  poco  flo- 
rido :  i  dintorni  producono  princi- 
palmente vino,  olio  e  frutta,  e  so- 
novi  miniere  di  piombo  e  di  an- 
timonio. 

Questa  antichissima  città  men- 
zionata da  Tolomeo,  da  Plinio,  da 
Antonino  e  da  altri,  dava  un  tem- 
po il  titolo  di  conti ,  e  poscia  di 
principi  ai  figli  maggiori  dei  re  di 
Aragona.  Sostenne  fortemente  di- 
versi assedi;  nel  i663  il  mare- 
sciallo di  Hocquineour,  dopo  set- 
tanta giorni  di  attacco  fu  obbligato 
a  ritirarsi,  e  nel  1684  il  marescial- 
lo di  Bellefonds  fece  altrettanto  ; 
ma  nel  1694  fu  presa  dai  francesi 
comandati  dal  duca  maresciallo  di 
Noailles,  e  venne  restituita  agli  spa- 
gnuoli  dopo  la  pace  di  Riswich  nel 
1697.  Durante  la  guerra  di  suc- 
cessione, dopo  aver  giurato  fedeltà 
a  Filippo  V,  si  arrese  nel  1705 
all'  arciduca  Carlo  ,  che  riconobbe 
per  re;  e  persistendo  nella  sua  ri- 
bellione il  maresciallo  di  Noailles , 
prese  di  assalto  la  città  bassa,  il 
i5  gennaio  171  1,  essendosi  già 
resa  per  capitolazione  la  città  alta. 
Nel  1809,  dopo  una  lunga  ed  osti- 
nata resistenza,  cadde  in  potere  dei 
francesi  :  ad  altre  deplorabili  vi- 
cende è  andata  soggetta  Girona  per 
le  politiche  vicende,  che  ancora  la- 
cerano la  Spagna. 

Le  fede  di  Gesù  Cristo  si  pre- 
tende predicata  in  Girona  fino  dal 
tempo  degli  apostoli,  ed  alcuni  di- 
cono che  s.  Massimo  ordinalo  da 
s.  Giacomo  apostolo  ne  fu  il  primo 
vescovo,  e  che  s.  Anatalone  disce- 
polo di  s.   Barnaba  è  stalo  hio  sue 


GIR 

cessore.  Secondo  la  più  comune 
opinione  ne  fu  primo  vescovo  san 
Narciso.  Comraanville  dice  che  la 
sede  vescovile  fu  eretta  verso  l'an- 
no 5oo  sotto  la  metropoli  di  Tar- 
ragona  ,  della  quale  è  tuttora  suf- 
fraganea.  Nell'anno  1017  si  voleva 
dismembrare  la  diocesi  per  erigere 
un  vescovato  nel  borgo  di  Besalu, 
ma  per  l' opposizione  del  vescovo 
di  Girona  non  ebbe  effetto,  perchè 
fu  soppresso  appena  stabilito.  Leo- 
ne X  creò  il  suo  cugino  Giulio  de 
Medici  cardinale,  ed  amministrato- 
re della  chiesa  vescovile  di  Giro- 
na, indi  nel  i5iZ  divenne  Papa 
col  nome  di  Clemente  VII.  Per 
la  rinunzia  che  di  questa  sede  fece 
a  Pio  VII  nel  18 19  monsignor 
Antonio  Alluè,  il  Papa  dichiarò 
successore  monsignor  Giovanni  Mi- 
chele Perez  Gonzalcz,  in  morte  del 
quale  Leone  XII  nel  concistoro  dei 
27  giugno  1825  fece  vescovo  di 
Girona  monsignor  Dionisio  Casta- 
no-y-Bermudez,  nato  nella  villa  ili 
Nobes  diocesi  di  Toledo.  Al  pre- 
sente la  sede  è  vacante. 

La  cattedrale  è  dedicata  a  Dio, 
sotto  r  invocazione  dell'  Assunzione 
della  Beata  Vergine.  Il  capitolo  si 
compone  di  otto  dignitari,  cioè  del- 
l'arcidiacono  Mayot ,  che  chiamasi 
1'  arcidiacono  di  Girona,  e  che  è  la 
prima  dignità,  dell' arcidiacono  di 
Besalu,  dell'arcidiacono  di  Silva, 
dell'arcidiacono  d'  Ampudia  ,  del- 
l'abbate di  s.  Filiu,  del  decano, 
del  sagrestano,  e  del  cantore.  Vi 
sono  inoltre  trentasei  canonici,  com- 
presa la  prebenda  del  penitenziere, 
e  centoquaranta  beneficiati.  Nella 
cattedrale  vi  è  il  fonte  battesimale 
con  la  cura  di  anime.  L'  episcopio 
è  contiguo  alla  cattedrale,  oltre  la 
quale  nella  città  sonovi  altre  quat- 
tro   parrocchie,    nove    monasteri   e 


GIR 

conventi  di  religiosi,  cinque  moni- 
steri  di  monache,  il  seminario  con 
gli  alunni,  diverse  confraternite,  e 
tre  ospedali.  La  diocesi  è  ampia  , 
contenendo  trecento  cinquanta  par- 
rocchie. Ogni  nuovo  vescovo  è  tas- 
sato ne'  libri  della  camera  aposto- 
lica in  fiorini  mille  e  quattrocen- 
to, pridetn  vero  ascendebant  ad 
ceti  tieni  sexaginta  circiter  mi  Ma  re- 
galami de  Vcllon,  nonmdlis  pen- 
sionibus  gravati,  come  si  legge  nel- 
1'  ultima  proposilio  concistoriale. 

Nella  diocesi  di  Girona  tra  i 
monisteri  nullius  vi  è  un  moniste- 
io  regolare  di  benedettini  che  si 
provvede  in  concistoro  il  suo  ab- 
bate, sotto  il  titolo  di  monistero 
di  s.  Stefano  di  Banola  suffraganeo 
di  Girona  :  Monaslerii  s.  Stephani 
de  Banolas  Gerunden  dioecesis. 
Bannoles  o  Banolas ,  Bannoliae  3 
Aquae  calidae,  piccola  città  di 
Spagna  nella  Catalogna,  presso  Gi- 
rona. Per  morte  dell'abbate  Bene- 
detto d'  Olmera-y-de  Desprat  il  re 
di  Spagna  Ferdinando  VII  nominò 
suo  successore  il  p.  Luigi  de  Flu- 
via-y-de  Berart  di  Barcellona  pre- 
posto maggiore  del  monistero  dei 
monaci  benedettini  di  s.  Cucufate, 
ed  il  regnante  Pontefice  Gregorio 
XVI  lo  preconizzò  abbate  di  san 
Stefano  ,  nel  concistoro  de'  1 7  di- 
cembre i832.  La  chiesa  abbaziale 
e  parrocchiale  è  dedicata  a  Dio  sot- 
to l'invocazione  di  s.  Stefano  pro- 
tomartire, in  cui  tra  le  reliquie  si 
venera  il  corpo  di  s.  Martiniano 
vescovo  e  martire.  La  residenza 
dell'abbate  è  presso  tal  chiesa. 
Ogni  nuovo  abbate  è  tassato  nei 
libri  della  camera  apostolica  in  fio- 
tini  s5o,  verus  antan  ilhrum  valor 
asserititi'  iri  praesentìarum  ascen- 
dere ad  13,000  rinitrr  rc^alìum 
monetile    de    hclloti    noneupatae  , 


GIR  i2i 

secondo  il  contenuto  dell'  ultima 
proposilio  concistoriale.  Altri  moni- 
steri  nullius  sono  quelli  della  Bea- 
ta Vergine  de-Amer-y-Rossas  del- 
l'ordine pure  di  s.  Benedetto;  del 
ss.  Salvatore  de  Breda  del  mede- 
simo ordine;  di  s.  Pietro  di  Cam- 
porotondo  del  medesimo;  di  s.  Pie- 
tro de  Gallicantu  seti  Gallicantus, 
e  di  s.  Pietro  di  Rodas,  egualmente 
ambedue  benedettini. 

Conciliì  di  Girona, 

Il  primo  fu  tenuto  l'anno  5 1 7, 
sotto  il  regno  di  Teodorico.  Set- 
te vescovi  vi  fecero  dieci  cano- 
ni ,  sotto  la  presidenza  del  ve- 
scovo di  Tarragona  Giovanni,  il 
quale  avea  pregato  il  Papa  s.  Or- 
misda di  scrivere  ai  vescovi  di 
Spagna  per  obbligarli  ad  osservare 
la  disciplina.  Ciò  fu  eseguito  dal 
Pontefice  con  lettera  nella  quale 
raccomandò  loro  di  osservare  i  ca- 
noni, e  di  tenere  i  concilii  almeno 
una  volta  1'  anno.  Tra  gli  altri 
punti  di  disciplina  vi  si  ordinarono 
due  Litanie  ,  la  prima  il  giovedì  , 
il  venerdì,  e  il  sabato  dopo  la  Pen- 
tecoste ;  la  seconda  il  primo  gio- 
vedì di  uovembre,  e  i  due  giorni 
seguenti.  R.egia  tona.  X;  Labbé  to- 
mo  IV;  Arduino  toni.   II. 

Il  secondo  si  adunò  nel  10G8, 
e  fu  presieduto  dal  cardinal  Ugo 
di  Bianco,  legato  del  Papa  Ales- 
sandro II,  col  l'autorità  del  (piale  vi 
confermò  la  tregua  di  Dio  sotto 
pena  di  scomunica  contro  i  tras- 
gressori :  vi  si  fecero  quattordici 
canoni  contro  gli  abusi  del  tempo. 
Raluzio  toni.  IV,  Murciae  hispan. . 
d'Agnine  toni.  IV,  Coutil,  fusa  . 
Arduino   toni.    VI. 

Il   Lcnglet    nelle     Tavole!! 
nologithe  riporta  due  altri  concilii, 


1*2  GIR 

il  primo  del  1078,  di  cui  tratta 
1'  Arduino  nel  tom.  VI;  per  la  li- 
bertà ecclesiastica  il  secondo  del 
1097,  del  quale  parla  pure  il  Labbé 
nel  tom.  X.  11  p.  Mansi  poi  nel 
tom.  IV,  coli.  139  e  seg.  dell'ap- 
pendice, riporta  gli  statuti  di  molti 
sinodi  tenuti  in  Girona.  E  incerto 
1'  anno  del  primo,  riguardante  al- 
cuni punti  di  disciplina  ecclesiasti- 
ca; il  secondo  sinodo  tenuto  nel 
1261  riguarda  i  divini  oflizi,  le 
ordinazioni  de' sacerdoti,  e  l'accet- 
tazione de'  chierici  ;  proibì  ai  preti 
ed  ai  beneficiali  l'esercizio  dell' av- 
vocatura, se  non  gratuitamente  pei 
parenti  e  pei  poveri;  quanto  ai  mo- 
naci e  canonici  regolari  ,  soltanto 
pei  loro  monisteri.  Il  terzo  sinodo 
del  1 267  prese  delle  precauzioni 
contro  le  indecenze  che  commet- 
tevansi  nelle  chiese,  come  le  danze 
e  canzoni  disoneste.  Il  quarto  ce- 
lebrato nel  1274  vietò  ai  laici  di 
seppellire  con  solennità  nei  cimite- 
ri della  chiesa,  con  pena  di  seo- 
inunica;  si  promise  che  i  decreti 
del  concilio  di  Lerida  sarebbero 
osservati  ;  si  convenne  che  i  pre- 
Iati  prendessero  vigilante  cura  della 
correzione  de'  loro  dipendenti  ;  fu- 
rono fatti  de'  regolamenti  acciò 
nessun  beneficiato  ignorasse  la  lin- 
gua latina,  e  si  stabilirono  diversi 
regolamenti  per  la  disciplina  ec- 
clesiastica, al  mantenimento  del- 
la maggior  proprietà  delle  chie- 
se ,  ai  contratti  matrimoniali  ,  ai 
parrochi,  ai  monaci,  e  canonici  re- 
golari, ed  ai  parziali  loro  benefizi 
e  doveri,  non  che  alle  scomuniche 
e  ad  altre  cose. 

G1RUTARSI  o  GIRUS  TARA- 
SI. Sede  vescovile  della  Numidia 
iteli'  Africa  occidentale,  sotto  la 
metropoli  di  Cirta.  Feliciano  suo 
vescovo,     dopo     la     conferenza     di 


GIS 

Cartagine,  nel   4^4>   fu   esiliato    da 
Unnerico   re  de'  vandali. 

GIS1PA.  Sede  vescovile  della 
provincia  proconsolare,  nell'Africa 
occidentale,  sotto  la  metropoli  di 
Cartagine ,  e.  detta  pure  Gasapa. 
Il  vescovo  Redento  fu  al  concilio 
di  Cartagine  nel  5a5  sotto  Bonifa- 
cio; e  Melloso  sottoscrisse  la  lettera 
de'  vescovi  della  sua  provincia  al 
concilio  Lateranense,  celebrato  dal 
Pontefice  s.  Martino  I.  Altro  ve- 
scovo chiamato  Gennaro  intervenne 
alla   conferenza   di   Cartagine. 

G1SLENO  (s.).  Visse  per  qual- 
che tempo  da  eremita  in  una  fo- 
resta dell' Hainaut,  sul  fiume  Hai- 
ne ,  ed  essendosi  ritirate  presso 
di  lui  parecchie  persone  desidero- 
se di  condurre  vita  perfetta,  fon- 
dò un  monistero  ,  che  mise  sot- 
to la  regola  di  s.  Basilio  o  dei 
monaci  di  oriente,  ed  intitolò  del 
nome  di  s.  Pietro  e  di  s.  Paolo. 
Egli  governò  questo  monistero  con 
somma  prudenza  e  santità  per 
piìi  di  trentanni,  e  morì  ai  9  otto- 
bre del  681.  11  martirologio  ro- 
mano ne  fa  menzione,  e  dice  che 
prima  era  stato   vescovo. 

GISORS  (Giwrtium).  Città  del- 
la Francia  nel  dipartimento  d'Eu- 
re,  capoluogo  di  cantone,  in  una 
pianura  fertile,  divisa  in  due  parti 
dall'  Epte.  Ha  la  chiesa  parrocchia- 
le di  bella  architettura,  le  cui  pi ìi 
pregiate  opere  di  scoltura  sono  di 
Giovanni  Goujon.  1/  origine  risale 
al  1097  per  un  castello  edificato 
da  Guglielmo  re  d'  Inghilterra,  che 
tra  questa  e  la  Francia  fu  poi 
oggetto  di  discordia.  Enrico  I  re 
d'  Inghilterra  fece  di  Gisors  una 
piazza  forte,  che  nelle  guerre  fu 
presa  e  ripresa.  Divenne  capitale 
del  Vexin-Normand,  prima  con  ti- 
tolo di   contea,  poi   di  ducato.    Nel 


GIÙ 

i  e  1 8  dai  i4  ai  21  di  gennaio  vi 
fu  tenuto  un  concilio,  o  meglio 
un'assemblea,  per  la  crociata  nella 
quale  il  re  di  Francia  Lodovico  VI, 
e  il  re  di  Spagna  presero  la  cro- 
ce; Dizionario  de  condili.  Il  Papa 
Calisto  II  ed  Enrico  I  re  d'  In- 
ghilterra vi  ebbero  un  abbocca- 
mento nel  1120;  e  Filippo  II 
Augusto  n'ebbe  pure  uno  nel  r  188 
con  Enrico  II  re  d'  Inghilterra,  al- 
la notizia  della  presa  di  Gerusa- 
lemme fatta  da  Saladino.  Quivi  lo 
stesso  Enrico  II  rifugiossi  nell'an- 
no seguente ,  dopo  aver  perduto 
una  battaglia  contro  Riccardo.  Gi- 
sors  nel  secolo  decorso  venne  do- 
nato al  conte  d'Eu,  in  cambio  del 
principato  di  DombeSj  riunito  alla 
corona  di   Francia. 

GITTA  o  GITTO.  Sede  vesco- 
vile dell'  Africa  occidentale,  forse 
nella  provincia  Tripolitana.  11  suo 
vescovo  Catulino  trovossi  alla  con- 
ferenza di  Cartagine  del  41  l  con 
altri  vescovi  cattolici,  e  vi  riconob- 
be l'unità  della   Chiesa. 

GIUBILEO  o  GIUBBILEO,  /«- 
hilaeum  .  E  un'  indulgenza  ple- 
naria e  straordinaria  concessa  dal 
sommo  Pontelice  alla  Chiesa  uni- 
versale ,  o  parzialmente  a  Roma 
massime  nell'anno  santo,  o  ad  al- 
tri luoghi  e  chiese,  con  piena  re- 
missione di  tutti  i  peccati  a  coloro 
che  degnamente  Io  acquistano  , 
con  avere  soddisfatto  alle  opere  in- 
giunte; giacché  il  Papa  in  questo 
tempo  autorizza  i  confessori  ad 
assolvere  i  casi  riservati,  a  secon- 
da delle  facoltà  compartite  nelle 
relative  bolle.  Nelle  guerre,  epi- 
demie, terremoti  ed  altre  disgra- 
zie che  gravitarono  sui  popoli,  fu- 
rono sempre  paternamente  solle- 
citi i  romani  Pontefici,  di  eccitare 
i    fedeli     ad    implorare   il    divino  a- 


GIU  ia3 

iuto,  con    l'esercizio  di    opere  pie, 
fervorose     orazioni ,     riconciliazioni 
con   Dio,    ed   altro;    promettendo 
ai     medesimi   fedeli    il  premio  del- 
l'assoluzione delle  più   gravi   colpe 
anche    riservate,   1'  indulgenza   ple- 
naria del    giubileo,    ed    altre  ana- 
loghe grazie    spirituali.   Dopo  dire- 
mo come  i  giubilei  si  dividono  in 
due  classi,  ordinari    e  straordinari. 
Giubileo  è    voce  ebrea,  e  significa 
remissione,  riposo,  e  tromba  :  poi- 
ché tra  gl'israeliti   ogni  cinquante- 
simo anno  era    tempo  di   generale 
remissione,    come  si   legge  al  cap. 
XXV   del   Levitico;  ond' erano  in 
quell'anno    gli   ebrei  esenti   da  ga- 
belle ,    le   terre    e  le  case  loro   ri- 
tornavano a'  primi   padroni,    e  ri- 
cuperavano   gli    schiavi   la   libertà. 
Era    anno    di     riposo,     perciocché 
interdetto  era  di   lavorare  la  terra 
o    fare    altri    servili  oflìzi    in  quel 
tempo;    ed  in  fine    quest'anno  era 
annunciato  a  suono   di   trombe  dai 
sacerdoti    dell'  antica    legge.    Altra 
etimologia  l'accennammo  al  voi.  Il, 
p.    101    del    Dizionario j  il   Sarnel- 
ìi   ne  tratta   nel  tom.   X  delle  Lett. 
eccl.  lett.  L,    num.    i3;   il  p.  Me- 
nochio  nelle  sue  Sluore  al   t.   I,   p. 
368,   Dell'anno    cinquantesimo  del 
giubileo    degli    ebrei:  e  s.     Isidoro 
vescovo    ispalense,   nelF  Origin.   lib. 
5,    per  non    dire  di    altri.   II  car- 
dinal  Jacopo  Gaetani  nel   suo  trat- 
tato  Del  giubbileo,  cap.   XV,  scris- 
se :  »    Beato  quel    popolo   il   (piale 
sa  che  cosa   sia  il  giubbileo,   infeli- 
ci   coloro  ,    che    per     negligenza  o 
per     inconsiderazione     lo     abbiano 
trascurato    con   isperanza   di   perve- 
nire ad  un  altro  ".  Tr .  IifDULGBifZB. 
Francesco     Antonio     Zaccaria     nel 
suo   Trattato  dell'anno  santo    sto- 
rico,   ceremoniale  ,    morale   e  pole- 
mico,   con  una    pratica    istruzione 


i&4  GIÙ 

per  guadagnare  il  santo  giubileo, 
ed  aggiunte,  Roma  i8?4,  a  Pag- 
XX  riporta  il  catalogo  critico  de- 
gli autori  che  degli  anni  santi  in 
particolari  opere  hanno  trattato. 

Siccome    tuttociò  che  praticava- 
61  dagli   ebrei  non  era  che  l'imma- 
gine    di   quello    che    dovevano  at- 
tendere    i   cristiani   dalla    legge  di 
grazia,    secondo  il    cap.    X,   v.    il, 
della    prima    epistola    di   s.    Paolo 
ai  corinti,  è  facile  cosa  lo  spiegare 
che  il    giubileo    ossia    anno  giubi- 
lare   che  avevano   ogni  cinquante- 
simo   anno    gl'israeliti,    raffigurare 
dovesse    la    remissione    de'  peccati, 
che  Gesù    Cristo  avea    procacciato 
«■olio    spargere    il     suo    sangue    ai 
fedeli  della  nuova  alleanza,  riconci- 
liandoli a  Dio,  e    mettendoli   in   i- 
slato    di  rientrare    al  possesso    dei 
beni     spirituali     di     cui    prima     si 
trovavano    privi   per    lo   peccato.   I 
romani  Pontefici  quali   dispensato- 
li  de'  tesori    spirituali  della   Chiesa 
cattolica,  consistenti  ne' soprabbon- 
danti meriti    di  Gesù  Cristo    e  di 
tutti   li  santi,  dispensano   per  mez- 
zo delle  loro  bolle,  costituzioni,  bre- 
vi  ec.   di   quando   in   quando  parte 
di  questi    tesori,  e  sono  le    indul- 
genze particolari    a  quelle  persone 
che  reputano  degne;  o  quando  ad 
una  intera    nazione     ne  dispensano 
in   maggior    copia,  si  chiamano  in- 
dulgenze   plenarie;    o  se  sono    tali 
tesori     dispensati     a     benefìcio     di 
tutta   la   Chiesa    cattolica,  si   pub- 
blica    la     plenaria     indulgenza     in 
forma     di     giubileo.     Il    Muratori 
nel   t.   Ili    delle    Disscrt.    sopra  le 
antichità  italiane,  nella  dissertazione 
LXV  111,   Della   redenzione    depec- 
cati  per   cui    molti    beni    colarono 
una.    volta    ne'  sacri    luoghi,  e  del- 
l'origine delle  siine   indulgente,  di- 
ce che    dopo    il  mille  e  forse  un- 


GIL" 

che    prima    cominciarono  i  sommi 
Pontefici,     e  i    vescovi     allorché  si 
faceva  la    Dedicazione    della  chie- 
sa   (Pedi),    a    rimettere  ai    popoli 
concorrenti     una  tenue  parte  delle 
loro  penitenze.    Copiose  indulgenze 
si  distribuirono  a  chi  visitava  il  tem- 
pio di  s.  Giacomo  di  Compostella,  o 
altri   luoghi  e  santuari  di  gran  di- 
vozione, o   militavano  contro  i  pa- 
gani   ed    eretici,  o    s'  impiegavano 
in  altre  opere  singolari  di  religio- 
ne   o    carità  cristiana.    Certamente 
sul    principio   non  si    concedevano 
se    non  indulgenze    di  pochi  gior- 
ni ed  anni,    riserbandosi  le  plena- 
rie alle  sole    Crociate  [Vedi),   sic- 
come consta  da  un  breve  di  Ales- 
sandro III   del    1 1 7 7,  col  quale  e- 
gli    concesse    l'indulgenza  di    venti 
giorni   a  chiunque  visiterà  la  chie- 
sa di  s.  Maria  della  Carità  in  Ve- 
nezia ;  essa    fu   perpetua,   e  perpe- 
tue   si     cominciarono  a    concedere 
altre     indulgenze.     Si    dice     inoltre 
che     Alessandro    III     accordò    alla 
chiesa  di    Compostella    un    giubi- 
leo.  11   Ferrari   nella    sua   Biblioth. 
canon.,  verb.   Annus    sanctus,    ri- 
porta  le    sentenze  di   molti   scritto- 
ri, che    asseriscono  risalire  l'origi- 
ne   dei    nostri     giubilei    dai    tempi 
degli    apostoli  ;     ed   il   Petavio    nel 
suo  Radon,  dice  che  i  cristiani  nei 
primordi  della  Chiesa    celebrarono 
due      giubilei   ,    cioè     negli     anni 
4»)  e    5o.    Altre    tradizioni   dichia- 
rano,   che     dai     primi    secoli    del 
cristianesimo    i    popoli    furono  so- 
liti  ogni  cento  anni   recarsi   iu  Ro- 
ma onde  ottenere  1'  espiazione  dei 
loro  peccati  per  mezzo  dell'univer- 
sale    giubileo.     Bonifacio  Vili   per 
la    tradizione    dei    precedenti    giu- 
bilei celebrati  in  Roma,  nel    1 3oo 
con    la    celebre    costituzione    Anti- 
rpiorum  per    la  prima    volta  pub- 


GIÙ 

blicò    il    giubileo     romano,    conce- 
dendo a  chiunque  visitava  le  prin- 
cipali chiese  di  Roma  la  remissio- 
ne ed  assoluzione    di  tutte    le  col- 
pe    più  gravi ,  anche  riservate.    A 
tale    clamorosa   notizia    e    promul- 
gazione d'indulgenza  si  commosse- 
ro   tutti    i   regni    della     cristianità 
occidentale,  per   ottenere   la    quale 
bastava    il    solo    viaggio    di  Roma, 
ed    eseguire    le  opere  ingiunte  da 
quel  Pontefice.    V.     il    Vittorelli  , 
Istoria   dei  giubilei   pontificii,    R.o- 
ma    i625;    ed  il   Zaccaria,    Storia 
letteraria  t.   II,  p.  83  e  seg.  Quar- 
ti  P.    M.,     Trattato    del   giubileo , 
Venezia    1698.  Olimpio  Ricci,  Dei 
giubilei    universali    celebrali     negli 
anni  santi,    Roma    i6y5.    Angelo 
R.occa,  De  sacrosanto  jubilaeo  an- 
no   1600  commentarìus .  Oper.  1. 1, 
p.    197   e  seg.    Ed  il    supplemento 
del   Giornale  ecclesiastico  di  Roma 
del   1790,    ove    essendovi    un    bel 
trattato  sulle    indulgenze,  si  spiega 
ancora  cosa  sia  giubileo,  donde   de- 
rivi questa  parola;  del  giubileo  de- 
gli ebrei;    perchè    si  chiami    anno 
santo;  sua  origine;  sue  variazioni; 
differenza    tra  il  giubileo    e    le  in- 
dulgenze, cioè  dei  privilegi  partico- 
lari che  sono    annessi    ai    giubilei, 
i  quali    non  sono   annessi    alle  in- 
dulgenze   plenarie.  Alcuni    peraltro 
col  Bellarmino  non  ammettono  que- 
sta pretesa  distinzione,  dicendo  che 
il  giubileo  e   l'indulgenza    plenaria 
sono  lo  stesso  in  quanto  all'elfetto, 
dicendosi    dai    Papi    in    concedere 
indulgenze    plenarie     in    forma    di 
giubileo,  ad  instar    Jubilaci,  come 
lo  chiama  Sisto  IV  nella  bolla  Que- 
madmodum   del    i4?3,  colla  quale 
sospese  le    altre  indulgenze    duran- 
te l'anno  santo,  il  quale  Alessandro 
VI  pel  primo  permise    a  ciascuno 
di   lucrarlo  nella  sua  diocesi. 


GIÙ  1  x  > 

Anno    santo  ,   giubileo,    e    cen- 
tesimo   sono  una  medesima  appel- 
lazione di    quel    tempo  favorevole, 
che  ne  concede    la  remissione    dei 
peccati,    dopo  che    Bonifacio   Vili 
ne  rinnovò  la  celebrazione,  e  con- 
fermò   la  consuetudine  centenaria  ; 
e  sebbene  Clemente  VI   ne  ridusse 
la    celebrazione  ad   ogni   cinquanta 
anni,    Urbano    VI    lo    restrinse    a 
trentatre    anni,     e     Paolo   II     sta- 
bilì che    si    rinnovasse   ogni   venti- 
cinque   anni,    il  tempo    e  1'  indul- 
genza si    continuò  a  chiamare    giu- 
bileo ed  anno  santo.    Fu  altissimo 
intendimento     quello     del     magna- 
nimo  Bonifacio   Vili   di    ripristina- 
re in    Roma,    centro    della  religio- 
ne di   Gesù   Cristo,   la  celebrazione 
dell'  anno    giubilare  ,     poiché    con 
una     tale     istituzione     sempre    più 
strinse  i  soavi    vincoli    di   carità    e 
riverenza    ubbidienziale  che  lesrano 
alla  santa  Sede   le    nazioni   cattoli- 
che, come  a   maestra  della    fede  e 
capo  della  religione.  Narra  il  Berni- 
ni ne\V  Istoria  delle   eresie  p.   699, 
che    nel  pontificato     di    Paolo     V 
e  nell'anno  1617  Gio.   Giorgio  du- 
ca   di    Sassonia    fece    celebrare     il 
centesimo  terminato  da'luterani  con 
un    solenne  triduo,  e  coniazione  e 
spargimento  di  monete  coH'iscrizione: 
saeculum  lutheranorum,  in  memoria 
della   infelice  propagazione  di  quella 
setta  ;  e  ad  imitazione  di   tal  prin- 
cipe anche    il    conte    palatino    fece 
fare  una  gran    festa  in  commemo- 
razione    del   fatale  calvinismo,  con 
dispute    dogmatiche,    e  conclusioni 
contro  la    potestà    pontificia,  regi- 
strando in  esse  le  cagioni  della  lo- 
ro   alienazione   all'  ubbidienza    del 
Papa,  e    pretesa  riforma.   I   pretesi 
riformati  celebrarono  ancora  le  al- 
tre memorie  centenarie    della    loro 
funesta   ribellione  contro   la   Chiesa 


1^6  GÌ  U 

romana,  festeggiando  quelle  della 
Confessione  d'Augusta,  della  pace 
religiosa  di  Passavia,  della  furino- 
la di  concordia  della  pace  di 
M  mister  e  di  Osnabfuck,  ec.  V. 
Carlo  Drelincourt,  il  quale  trat- 
ta de'giubilei  delle  chiese  riforma- 
te col  suo  linguaggio  di  calvinista 
nel  libro  intolalo,  Da  labile  de» 
eglises  réforrhées  avec  V  examen 
du  J ubile  de  Feglise  romaine  . 
Il  Beigicr  nel  Dizionario  Elicici. 
all'articolo  Giubileo  dice  che  questa 
pratica  della  Chiesa  romana  non 
poteva  non  muovere  la  bile  dei 
protestanti;  e  che  in  occasione  del 
giubileo  dell'  anno  santo  1750 
uno  tra  essi  compose  un  libro  in 
tre  volumi  per  provarne  l'abuso:  il 
Bergier  ne  dà  un  sunto,  e  vitto- 
riosamente ne  confuta  le  storielle 
e  i  sarcasmi.  Altra  confutazione 
la  presenta  la  stessa  storia  di  tutti 
gli  anni  santi  da  noi  compendiata  al- 
l'articolo 4iuio  Santo  (redi),  ove 
dicemmo  quante  immense  spese  fe- 
cero i  Papi  in  tal  tempo,  e  come 
i  pellegrini  d' ogni  nazione  furono 
accolli,  albergati,  serviti,  alimen- 
tati ed  assistiti ,  sovente  dalle  per- 
sone più  rispettabili. 

All'articolo  An.vo  Santo  inoltre  si 
è  parlato  non  solo  della  sua  origine 
e  di  luttociò  che  lo  riguarda,  ma 
si  fece  pure  la  compendiosa  storia 
dei  XX  anni  santi  celebrati  dai 
Papi,  e  quando  essi  cominciarono 
dopo  il  giubileo  celebrato  in  Ro- 
ma, a  parteciparlo  per  tutto  l'or- 
be cattolico  a  benefìzio  di  tutti. 
L'estensione  del  giubileo  romano 
fu  prima  negata,  come  fece  Cle- 
mente VI  con  Ugo  re  di  Cipro 
ed  altri  principi ,  però  lo  concesse 
al  capitolo  generale  che  gli  ago- 
stiniani tennero  in  Basilea  nel  i35r. 
Buuifacio  IX    allargò  le  mani    con 


GIÙ 

tulli   i   principi   che  successivamen- 
te  ne  lo  chiesero,   ed   anco   nell'an- 
no   slesso     del    giubileo.     Dopo    il 
romano    fu  esteso    pure   da  Nicolò 
V,  da  Sisto  IV,  da  Alessandro   VI, 
da    Clemente  VII,    da    Giulio    III 
e  da   Gregorio  XIII.     Dopo    Ales- 
sandro  VI     prevalse     proso    i    Pa- 
pi ad  esempio  di    tal   predecessore 
il  generale  costume  di  concedere  a 
tutto  il  cristianesimo  il  giubileo  do- 
po terminato  l'anno  santo  di  Roma. 
Oltre  la   descrizione  delle  cerimo- 
nie che  accompagnano  la  promulga- 
zione, l'apertura,  la  celebrazione  e 
la  chiusura  dell'anno  santo,  riportate 
nel    citalo   articolo,    nel   voi.   Vili, 
p.   200  e  seg.  del   Dizionario  par- 
ticolarmente   descrissi    le    Funzioni 
dell'apertura  e.  chiusura  della  por- 
ta santa,   nell'anno  santo    del  giu- 
bileo   universale.   Per  questo  argo- 
mento   si    possono    consultare  tutti 
gli     articoli     relativi,    e  quello    di 
Porte    Sante  .      Oltre    questi    giu- 
bilei    universali     ordinari ,    che    i 
Pontefici   ordinariamente  celebrano 
ogni    venticinque  anni   in   Roma,  e 
poscia     promulgano     per    tutto     il 
cristianesimo,    i   nuovi   Pontefici    sì 
in  Roma    che  per    tutto    il  mondo 
cattolico  straordinariamente  ne  pub- 
blicano e  concedono  uno  alla   loro 
esaltazione  al  pontificato,  come  pu- 
re ne  concedono  altresì  straordina- 
riamente pei    bisogni  della  cristia- 
nità,   sì   in  Roma    che  altrove.   Pei 
giubilei  che  i   medesimi  Papi  cele- 
brano per  la    loro  elezione    e  per 
altre  cause  in  Roma,  nel  voi.  Vili, 
p.   210    e  seg.    del   Dizionario  ab- 
binilo    parlato     delle    Funzioni     e 
processioni  dei  giubilei  straordinari. 
Qui  appresso   noteremo  la  maggior 
parte  dei    Pontefici   che  promulga- 
rono siffatti  giubilei  straordinari. 
Sisto  V    dunque  per    impellale 


GIÙ 

ila  Dio  un  felice  e  salutevole  go- 
verno della  repubblica  cristiana, 
pubblicò  il  giubileo  con  la  bolla 
Virium,  Òqi5  maggio  1 585,  Bull. 
Boni.  t.  II,  p.  49°  del  Cherubini, 
e  const.  V,  Bull.  Boni.  t.  IV,  par. 
IV,  p.  i32  del  Cocquelincs.  A  lu- 
crale l'indulgenza,  Sisto  V  si  por- 
tò processionai  mente  a'  27  maggio 
dalla  chiesa  d'Araceli  fino  alla  ba- 
silica di  s.  Maria  Maggiore. 

Paolo  V,  eletto  a'  i  6  maggio  1 6o5, 
a'  23  giugno  pubblicò  la  bolla 
Quod  in  otnni  i-ila,  presso  il  Bull. 
t.  V,  par.  Ili,  p.  1 38,  per  ottene- 
re dalla  divina  clemenza  uu  felice 
governo  della  Chiesa  universale. 
Altrettanto  fece  il  successore  Gre- 
gorio XV. 

Urbano  Vili,  eletto  nel  1623, 
dopo  avere  concesso  il  giubileo  per 
la  sua  assunzione  al  trono  pontifi- 
cio, per  Ja  pace  universale  pub- 
blicò nel  1628  un  giubileo  straor- 
dinario con  le  preci  della  divozio- 
ne delle  quaranta  ore,  nelle  tre 
principali  basiliche  di  Roma,  e  in 
due  chiese  di  qualunque  ordine 
regolare  in  tre  giorni  di  due  set- 
timane, ed  egli  stesso  si  portò  nel 
mese  di  aprile  con  di  vota  nume- 
rosa processione  alla  chiesa  di  s. 
Maria  in  Trastevere,  descritta  dal- 
l' Oldoino  nelle  Addiz.  al  Ciacconio, 
t.  IV,  col.  5o2.  Dipoi  Urbano  Vili 
pel  felice  successo  delle  armi  del- 
l' imperatore  Ferdinando  li,  che 
guerreggiavano  in  Germania  contro 
quelle  degli  eretici,  a'  29  maggio 
1 63 1  intimò  con  la  costituzione 
Alias,  presso  il  Bull.  t.  VI,  parte 
1,  p.  267,  un  giubileo  di  tre  mesi, 
che  poi  prorogò  ad  altri  tre  mesi 
con  la  costituzione  Alias  de'  27 
agosto,  p.  285;  e  poscia  altro  a'i5 
dicembre  universale ,  con  la  co- 
stituzione   Supplici,    p.     21)6,    nel 


GIÙ  127 

quale  pel  fine  medesimo  ordinò 
tre  solenni  processioni  in  Roma, 
dalla  chiesa  di  s.  Maria  dell'Ani- 
ma, alle  tre  basiliche  vaticana,  la- 
teranense,  e  liberiana,  con  tre  gior- 
ni di  digiuno,  e  diverse  indulgen- 
ze. Innocenzo  X  pubblicò  il  giu- 
bileo dopo  la  sua  elezione,  me- 
diante la  costituzione   Iinmensae. 

Alessandro  VII,  ad  esempio  del- 
l'immediato predecessore  Innocenzo 
X,  dopo  essergli  succeduto  a'7  a- 
prile  i655,  li  14  maggio  con  la 
costituzione  Unigenitus,  presso  il 
Bull.  t.  VI,  par.  IV,  p.  2,  pub- 
blicò un  giubileo  universale  pei' 
un  saggio  governo.  Altro  ne  pro- 
mulgò a'  21  luglio  1 656,  con  la 
costituzione  E  suprema,  loc.  cit.  p. 
127,  per  implorare  il  divino  soc- 
corso nelle  necessità  di  quel  tem- 
po, come  avevano  praticato  Paolo 
V,  ed  Urbano  Vili.  Indi  con  la 
costituzione  Omnipctens  Deus,  lo- 
co citato  par.  V,  p.  293,  intimò 
a'26  febbraio  i663  altro  giubileo 
per  lo  stesso  fine.  Due  altri  giu- 
bilei pubblicò  altresì  per  avere 
propizio  il  celeste  aiuto  contro  i 
turchi,  il  primo  a'2  marzo  1 66  r , 
con  la  costituzione  Ex  ano,  loc. 
cit.  p.  i3?;  l'altro  a'  7  marzo 
i  664  con  la  costituzione  Quod  jatrt, 
loc.  cit.  p.  355.  Clemente  l\  con 
la  costituzione  Plaeuit,  pubblicò  il 
giubileo    nella  sua   esaltazione. 

Clemente  X,  eletto  a'  29  api  ile 
1  670,  per  ottenere  dalla  divini 
clemenza  un  salutare  governo,  pub- 
blicò il  giubileo  universale  straor- 
dinario, con  la  costituzione  Cui» 
inscrutabilìs,  de'  16  giugno.  Dipoi 
nel  1672  per  pacificare  i  principi 
cristiani,  e  muoverli  contro  il  tur- 
co comune  nemico,  a' 5  novembre 
pubblicò  un  giubileo  con  la  costi- 
tuzione Inter  grax-issimas. 


i28  GIÙ 

Innocenzo  XI,  sapendo  che  l'e- 
sercito ottomano  marciava  su  Vien- 
na, ordinò  pubbliche  preci  in  Ro- 
ma, ed  un  pienissimo  giubileo 
pei  tutta  la  Chiesa,  mediante  la 
costituzione  In  suprema  ,  degli 
ii  agosto  i683,  Bull,  t.  Vili,  p. 
281. 

Alessandro  Vili,  eletto  a' 6  ot- 
tobre 1689,  per  ottenere  un  pro- 
spero governo  alla  Chiesa,  pubblicò 
il  giubileo  straordinario  con  la  co- 
stituzione Coelestis,  degli  1  1  dicem- 
bre, Bull.  tom.  IX,  p.  6. 

Innocenzo  XII,  eletto  a'  12  luglio 
1691-,  con  la  costituzione  Ad  Ca- 
tholicae,  de'  12  novembre,  Bull,  to- 
mo IX,  p.  i38,  pubblicò  il  giubi- 
leo pel  l'elice  governo  del  ponti- 
ficato. 

Clemente   XI,  creato    a'  2  3    no- 
vembre 1700,  per  ottenere  da  Dio 
gli  opportuni    lumi    a    ben    gover- 
nare la  Chiesa,  inlimò  a' 5  febbraio 
1701    il  giubileo  straordinario  con 
la  costituzione  In  supremo,  presso 
il  Bull.  tom.  X,  par.  I,  p.  li.  Per 
la  fiera  guerra    che    ardeva  tra   la 
Francia,  l' impero,  e  la  Spagna  per 
la  successione  di  questa,  ad  implo- 
rare da  Dio  tranquillità  alla  Chie- 
sa, e  pace  tra'principi,    pubblicò  il 
giubileo    con    la    costituzione    Ex 
eminenti,  loc.  cit.  pag.     164,    data 
a' 2  dicembre    1705.  Per    le    cala- 
mità che  affliggevano  nel    1709  lo 
stato  ecclesiastico,  a'  4  gennaio  con 
la  bolla  Ad  augendum,  Bull.  Maga. 
tom.  Vili,  p.  69,  intimò  il  giubi- 
leo, con  processioni  ed  altre  opere 
pie  che  prescrisse.    Indi    nel    1713 
per    l' epidemia    de'  bovi    che   fece 
strage  nel  medesimo   stato,  pubbli- 
cò il    giubileo    con    la    costituzione 
Inter  diulurnas,  de'  i4  ottobre,  loc. 
cit.  p.    129,  con  ingiungere  diversi 
esercizi  di  pietà,    oltre    una  solcn- 


GIU 

ne  processione  cui  Clemente  XI  in* 
tervenne  coi  cardinali.  Minacciando 
i  turchi   la  repubblica  di    Venezia, 
il   Papa   intimò  un  giubileo  univer- 
sale pel  felice   successo    delle  armi 
venete;  ed  altro  universale  ne  pub- 
blicò con  la  costituzione    Ubi  pri- 
mus,    de'  3 1     maggio     171 S,    Bull. 
Rom.  tom.  XI,  par.  II,  p.  53  ;  ed 
altro  agli  8  ottobre ,  con  la  costi- 
tuzione Curn   nos ,    presso   il  Bull. 
Magn.  tom.  Vili,  p.    162,  con  in- 
dulgenza plenaria  a  tutti  quelli  che 
intervenissero    alle    processioni   che 
dai    vescovi    si    ordinerebbero    per 
due  giorni  nelle  loro  diocesi,  o  fa- 
cessero   altre    pie    opere    da    esso 
prescritte.    Di    altre    processioni   di 
penitenza    fatte    da    Clemente    XI 
ne' giubilei  del    17 18  e    17  19,    ne 
parlammo   al    citato  voi.  Vili,  p 
2 1 1   del  Dizionario. 

Innocenzo  XIII,  eletto  agli  8 
maggio  172 1  ,  nel  primo  concisto- 
ro pubblicò  la  costituzione  Super- 
ni, presso  il  Bull.  Rom.  tom.  XI, 
par.  II,  p.  21 3,  pel  giubileo  stra- 
ordinario per  un  felice  governo. 

Benedetto  XIII,  eletto  a'29  mag- 
gio 1723,  per  ottenere  dalla  di- 
vina misericordia  un  ottimo  e  fe- 
lice governo  del  suo  pontificato,  ai 
io  giugno  pubblicò  il  giubileo  u- 
ni versale  straordinario,  col  dispo- 
sto della  costituzione  Cum  inserii- 
tabilis,  presso  il  Bull.  Rom.  t.  XI, 
par.  II,  p.  3 17,  intimandolo  nel 
concistoro  de'  12  dello  stesso  me- 
se. La  processione  però  che  per 
questi  giubilei  si  soleva  fare  dalla 
chiesa  di  s.  Maria  degli  Angeli,  per 
la  villa  di  Sisto  V  a  s.  Maria 
Maggiore,  il  Papa  la  fece  in  vece 
dalla  chiesa  della  Minerva  del  suo 
ordine  domenicano,  a  quella  di  s. 
Maria  in  Vallicella  di  cui  era  di- 
votissimo  per  venerarsi  in  essa  san 


GIÙ 

Filippo  Neri.  Dipoi  per  ottenere 
colle  preghiere  de'  fedeli  il  divino 
aiuto  nelle  necessità  de'tempi,  e  la 
sospensione  de'flagelli  da  Dio  mi- 
nacciati, coi  terremoti,  pioggie  di- 
rotte ed  altri  gastighi,  Benedetto 
XIII  emanò  la  costituzione  Cum 
fustus,  a  2  gennaio  1728,  loc.  cit. 
t.  XII,  p.  169,  con  la  quale  pub- 
blicò il  giubileo  di  due  settimane 
per  tutta  l'Italia  ed  isole  adiacen- 
ti, dovendosi  a  tale  effetto  sospen- 
dere i  pubblici  teatri.  Afflitta  poi 
1'  Italia  ,  e  principalmente  Roma, 
nel  1730,  con  un'epidemia  di  raf- 
freddori, il  Papa  a'20  gennaio,  per 
ottenerne  da  Dio  il  termine,  con- 
cesse il  giubileo  di  due  settimane, 
cominciando  nella  prima  domeni- 
ca di  quaresima,  prescrivendo  la 
santa  comunione,  e  la  visita  di  una 
delle  tre  basiliche,  cioè  s.  Giovan- 
ni in  Laterano,  o  s.  Pietro,  o  s. 
Maria  Maggiore. 

Clemente  XII,  elevato  alla  cat- 
tedra apostolica  a' 12  luglio  i73o, 
per  sedervi  degnamente  a'  q  set- 
tembre emanò  la  bolla  Ibi  pii- 
mum,  presso  il  Bull.  Boni.  toni. 
XIII,  p.  32,  con  cui  pubblicò  il 
giubileo  straordinario.  Pei  frequen- 
ti terremoti  con  grave  danno  sen- 
titi nel  regno  di  Napoli  nel  feb- 
braio 1 73 1 ,  il  Papa  per  placare 
l' ira  divina  con  le  orazioni,  pub- 
blicò un  giubileo  in  Roma  dai  1 5 
ai  26  aprile,  esortando  nello  stesso 
tempo  i  fedeli  a  suffragare  le  ani- 
me di  quelli  che  vi  erano  periti. 
Proseguendo  in  alcuni  luoghi  il 
terremoto,  ed  aggiugnendosi  l'epi- 
demia de'bovi,  che  dalla  Germa- 
nia e  dalla  Svizzera  erasi  dilata- 
ta nello  stato  veneto,  nel  Ferrare- 
se, e  nella  Romagna,  Clemente  \II 
dopo  aver  preso  le  più  opportune 
provvidenze  si  rivolse  al  divino 
voi.    XXXI. 


GIÙ  129 

aiuto,  implorandolo  col  giubileo 
che  promulgò  per  1'  Italia  a  mezzo 
della  bolla  E  sublimi,  loc.  cit.  p. 
217,  a'29  febbraio  i~3:>.  Nel  1  7 3  4 
poi,  discacciati  gì'  imperiali  dal  re- 
gno di  Napoli,  essi  gravitarono  sui 
domimi  della  Chiesa,  laonde  il  Pa- 
pa, siccome  bramoso  della  pace  u- 
niversale,  con  fiducia  si  rivolse  a 
Dio,  pubblicando  un  giubileo  uni- 
versale con  la  bolla  Ecclcsiae,  loc. 
cit.  toni.  XIV,  p.  9.  Nel  1739  ai 
7.5  aprile  intimò  altro  giubileo 
colla  bolla  Quam,  loc.  cit.  pag. 
367,  onde  pregare  Dio  in  favore 
delle  armi  imperiali  minacciate  dai 
turchi,  cui  erasi  unito  il  ribelle 
Ragoski   principe  ungarese. 

Benedetto  XIV,  assunto  al  pon- 
tificato a' 1  7  agosto  1740,  nel  con- 
cistoro degli  1  1  novembre  con  la 
costituzione  Laetitiora ,  presso  il 
suo  Bull.  tom.  I,  p.  1,  pubblicò 
il  giubileo  universale  per  un  salu- 
tare governo  del  pontificato,  per 
cui  impose  per  ottenerlo  l'ubbidien- 
za interna  ed  esterna  alla  bolla 
/  nigoutu?  contro  i  giansenisti  , 
ed  in  Roma  fece  disporre  gli  abi- 
tanti colle  missioni  nelle  chiese; 
indi  a'  20  dello  stesso  mese  si  por- 
tò egli  stesso  in  processione  dalla 
chiesa  di  s.  Maria  degli  Angeli  , 
per  la  villa  di  Sisto  V  poi  Ne- 
groni,  ed  ora  Massimo,  alla  basi- 
lica di  s.  Maria  Maggiore.  Nel 
1 744»  minacciato  lo  stato  ecclesia- 
stico dalla  peste,  e  l' Europa  dal- 
la guerra,  ricorse  il  Papa  al  divi- 
no patrocinio,  intimando  un  giu- 
bileo per  l'Italia  ed  isole  adiacen- 
ti, con  la  costituzione  in  Suprcm,:, 
de'20  novembre,  presso  il  Bull.,  loc. 
cit.   p.    \  [o. 

Clemente  XIII,  creato  li  \  lu- 
glio 1  758,  per  un  provvido  governa- 
mento,  promulgò  il  giubileo  slraor- 

9 


i3o  GIÙ 

dinario,  con  la  costituzione  Ut  prì- 
mum,  degli  1 1  di  detto  mese,  pres- 
so il  Guerra,  Epitome  tom.  1,  p. 
237.  Quindi  accompagnato  dalla 
famiglia  pontificia,  e  dal  sacro  col- 
legio composto  di  ventisette  cardi- 
nali, a' 17  novembre  il  Papa  si  por- 
tò nella  chiesa  di  s.  Maria  degli  An- 
geli, ove  celebrò  messa;  indi  dalla 
villa  di  Sisto  V  ricoperta  ne'viali  di 
apposite  tende,  a  piedi  si  recò  sino 
a  s.  Giovanni  in  Laterano,  seguito 
da  molta  prelatura,  nobiltà  e  po- 
polo innumerabile,  che  ivi  benedì 
col  ss.  Sagramento  precedentemen- 
te esposto.  Nel  1761  pei  bisogni 
di  s.  Chiesa,  Clemente  XIII  pub- 
blico in  Roma  il  giubileo  di  una 
settimana,  da  incominciarsi  a'  3o 
maggio  in  cui  cadeva  la  festa  di 
Pentecoste:  prescrisse  la  visita  di 
una  delle  tre  basiliche  lateranense, 
vaticana  o  liberiana,  o  l'interven- 
to alla  processione  ch'egli  stesso 
fece  nel  dì  seguente,  malgrado  il 
freddo  e  la  minacciante  pioggia , 
dal  Vaticano  alla  chiesa  di  s.  Spi- 
rito, seguito  dai  cardinali ,  dalla 
prelatura,  dalla  famiglia  e  corte 
pontificia,  e  da  tutto  il  clero:  per 
lucrare  l' indulgenze  prescrisse  an- 
cora il  digiuno  del  mercoledì,  ve- 
nerdì e  sabbato,  il  fare  limosina 
a' poveri,  ed  il  pregare  secondo  la 
di  lui  intenzione,  ec. 

Clemente  XIV,  eletto  a'  19  mag- 
gio 1769,  nel  concistoro  degli  1  1 
settembre  intimò  il  giubileo  straor- 
dinario per  impetrare  da  Dio  un 
felice  governamento  :  ne  stabilì  la 
durata  in  due  settimane  con  in- 
dulgenza pienissima ,  ingiunse  tre 
giorni  di  digiuno,  la  confessione, 
la  comunione  ed  altre  pie  opere. 
Per  dargli  principio  egli  stesso  ai 
17  dello  stesso  mese  si  portò  alla 
chiesa  di  s.  Maria  degli  Angeli,  e 


GIÙ 

da  questa  a  piedi  processionalmen- 
te  col  clero  secolare  e  regolare,  ac- 
compagnato da  ventitré  cardinali, 
e  da  tutta  la  sua  famiglia  nobile, 
e  da  innumerabile  popolo,  alla  ba- 
silica di  s.  Maria  Maggiore.  Nel 
concistoro  poi  de'  18  dicembre  con- 
cesse lo  stesso  giubileo  per  tutto 
il  mondo  cattolico,  da  pubblicarsi 
dai  rispettivi  vescovi  di  residenza, 
e  però  con  la  lettera  enciclica 
Cum  a  Deo,  de' 22  di  detto  me- 
se, presso  il  Guerra  loc.  cit.  p.  23 1, 
diretta  ai  patriarchi,  primati,  ar- 
civescovi e  vescovi  di  tutta  la 
Chiesa,  secondo  il  costume  de'no- 
velli  Pontefici,  esortò  tutti  a  pre- 
gare Dio  per  la  speciale  assistenza 
di  cui  aveva  bisogno  per  ben  go- 
vernare il  gregge  cattolico.  Nello 
slesso  giorno  con  la  lettera  apostoli- 
ca Cum  attente,  diretta  ai  medesimi 
prelati,  spiegò  le  opere  ingiunte  per 
l'acquisto  del  giubileo  nella  stessa 
forma  dell'  indulgenza  dell'  anno 
santo.  Con  breve  poi  de'  1 6  mar- 
zo 177  r,  diretto  agli  arcivescovi 
e  vescovi  dello  stato  pontificio , 
Clemente  XIV  concesse  un  giubi- 
leo dal  giovedì  santo  sino  alla  do- 
menica in  albis,  prescrivendo  la 
visita  d'una  chiesa,  la  confessione, 
la  comunione,  la  limosina,  ed  altre 
opere  di  pietà,  per  ottenere  da  Dio 
opportuni  aiuti  nelle  attuali  cala- 
mità della  Chiesa. 

Pio  VI,  eletto  a'  1 5  febbraio  1 77  5, 
per  implorare  il  soccorso  del  cielo 
nel  governo  del  pontificato,  sospe- 
se i  teatri  ed  altri  spettacoli,  or- 
dinò gli  esercizi  spirituali  di  s.  I- 
gnazio,  e  le  pubbliche  preghiere 
con  un  giubileo  di  otto  giorni. 
Riconoscendo  in  seguito  il  Ponte- 
fice come  segni  manifesti  de' divi- 
ni gastighi  la  rivoluzione  di  Fran- 
cia,  la    guerra    ed    altri    inlortum 


GIÙ 

che  desolavano  l'Europa,  non  ri- 
sparmiò esercizi  di  pietà,  processio- 
ni di  penitenza,  missioni,  pubbliche 
e  solenni  preghiere  con  indulgenza 
di  giubilei.  Come  ancora  fece  più 
volle  esporre  le  insigni  reliquie 
che  si  venerano  in  Roma.  L' im- 
mediato suo  successole  Pio  VII, 
trovandosi  come  Pio  VI  in  diverse 
gravissime  calamità,  promulgò  giu- 
bilei, e  per  ottenere  il  divino  aiu- 
to nel  governo  della  Chiesa  uni- 
versale li  pubblicarono  altresì,  co- 
me si  dice  alle  loro  biografie,  i 
Papi  Leone  XII,  Pio  Vili,  e  Gre- 
gorio XVI  regnante ,  il  quale  ne 
promulgò  eziandio  pei  diversi  bi- 
sogni in  cui  trovossi  la  Chiesa,  pel 
cholera,  e  per  altri  avvenimenti 
di  cui  siamo  stati  testimoni. 

Sì  è  dunque  veduto  che  i  giu- 
bilei si  dividono  in  due  classi  or- 
dinari e  straordinari,  sono  straor- 
dinari quelli  che  i  romani  Ponte- 
fici sogliono  al  mondo  cristiano 
concedere  dopo  la  loro  coronazione, 
dopo  l'anno  santo,  e  anche  per 
sopravvenute  necessità  della  Chiesa 
e  dello  stato.  Gli  ordinari  si  ridu- 
cono a  tre,  cioè  a  quello  diCom- 
postella,  a  quello  di  Lione,  e  prin- 
cipalmente al  romano  di  cui  ab- 
biamo particolarmente  trattato.  In 
quanto  a  quello  di  Compostella  è 
noto  che  quando  la  festa  di  s.  Gia- 
como Maggiore  cade  in  domenica, 
a  Compostella,  ove  per  antica  tra- 
dizione riposano  le  ossa  del  gran- 
de apostolo  e  protettore  della  Spa- 
gna, vi  è  giubileo  per  tutto  quel- 
l' anno;  e  questo  è  propriamente 
il  giubileo  di  Compostella.  Simile 
è  l'altro  di  Lione  non  molto  noto. 
Protettore  di  quella  chiesa  prima- 
ziale  è  s.  Gio.  Battista.  In  quel- 
l'anno adunque  in  cui  la  festa  del 
santo  Precursore    concorre  con    la 


GIÙ  i3i 

festa  del  Corpus  Domìni,  fino  dal- 
l'anno i43>  1 ,  per  apostolica  conces- 
sione, celebrasi  ivi  un  giubileo. 
Nel  1734  si  celebrò  per  la  quarta 
volta,  onde  il  celebre  p.  Domenico 
de  Colonia  pubblicò  colle  stampe 
in  Lione,  V  Instruction  sur  le  j li- 
bile de  l'egliie  primatial  de  Lyon 
à  l'occasion  du  concours  de  la 
Fcte  Dieu  avec  celle  de  la  Nati- 
vite  de  s.  Jean  Baptiste,  qui  ar- 
ride le  24  fuin  de  cede  année 
1734.  Ma  il  romano  giubileo,  lo 
ripeteremo  ancora,  è  il  più  rispet- 
tabile del  cristianesimo,  per  cui 
appellasi  comunemente  anno  san- 
to, e  con  ragione:  i.°  Perchè  in 
quest'anno  la  Chiesa  invita  tutti  i 
fedeli  a  procurare  con  più  forte 
impegno  la  loro  santificazione  col- 
le opere  di  penitenza  e  di  pietà, 
onde  meglio  si  dispongano  a  con- 
seguire la  plenaria  indulgenza  del 
giubileo.  2.0  Perchè  la  Chiesa  in  que- 
st'anno apre,  e  più  universalmente, 
e  più  autenticamente,  e  più  abbon- 
dantemente il  tesoro  di  cui  è  deposi- 
taria del  santo  de'santi  a  perfetta  san- 
tificazione di  tutti  quelli  che  ne  vo- 
gliono approfittare.  Non  poteva  es- 
sere a  meno  che  i  protestanti  nemici 
delle  indulgenze,  ai  giubilei,  e  mas- 
sime al  romano  specialmente,  non 
facessero  guerra.  Molti  ne  novera 
il  Lipenio,  alcuni  il  Fabricio  nella 
Bibliografia  antiquaria  a  p.  444 
Tra  gli  altri  vogliono  essere  ricor- 
dati Teodoro  Thumm  nel  trattato 
De  jubilco  antichi  istiano,  et  de  in- 
dulgentiis,  Tubingae  1625.  Gio. 
Ernesto  Schmidel ,  De  jubilaco 
romano  anni  i65o,  Amsterdam 
1 G54-  Giovanni  Faes,  De  jubi- 
lco romanorum  Pontifìcum,  Elm- 
stad    16-6. 

GIUDA  (s.),  apostolo,  chiamato 
anche    Taddeo t    che    in    siriaco  si- 


i32  GIÙ 

gnifica  lode,  confessione j  e  nel  le- 
sto greco  di  s.  Matteo  distinto  col- 
t'aggiunto  di  Lebbeo,  che  secondo 
s.  Girolamo  indica  uomo  (V  inge- 
gno e,  d'intelligenza.  Egli  era  fra- 
tello di  s.  Giacomo  il  Minore  ,  di 
s.  Simeone  vescovo  di  Gerusalem- 
me, e  di  un  Giuseppe,  e  figlio  di 
Cleofa  e  di  Maria  sorella  della  13. 
Vergine,  quindi  cugino  germano  di 
Gesù  Cristo;  ebbe  moglie  e  figli. 
Secondo  le  costituzioni  apostòliche 
egli  occupa  vasi  nei  lavori  della 
campagna,  prima  che  Gesù  Cristo 
lo  chiamasse  all'apostolato.  Il  van- 
gelo nulla  ci  dice  di  lui  fino  al 
luogo  dov'è  annoverato  fra  gli  a- 
postoli,  e  poscia  non  ci  nana  se 
non  che  nell'ultima  cena  egli  chie- 
se al  Salvatore  perchè  manifestossi 
a' suoi  discepoli  e  non  al  mondo. 
Dopo  la  discesa  dello  Spirito  Santo 
si  unì  agli  altri  apostoli  per  dif- 
fondere neir  universo  la  dottrina 
del  divino  maestro.  Secondo  Nicc- 
fero,  Isidoro  e  i  martirologi  ,  s. 
Giuda  predicò  nella  Giudea  ,  nella 
Samaria,  neh'  ldumea,  nella  Siria 
e  nella  Mesopotamia.  Leggesi  iti 
s.  Paolino,  eh'  egli  piantò  la  fede 
nella  Libia.  Neil'  anno  6?.  ritornò 
a  Gerusalemme,  dopo  il  martirio 
di  s.  Giacomo  suo  fratello,  ed  as- 
sistette all'elezione  dell'altro  suo 
fratello  s.  Simeone,  cui  fu  affidato 
il  governo  di  quella  chiesa.  Secon- 
do la  più  comune  opinione,  l'apo- 
stolo s.  Giuda  morì  in  Persia  per 
la  fede,  ove  conseguì  il  martirio 
coll'apostolo  s.  Simeone.  Quelli  che 
lo  fanno  morire  in  pace  a  Berito, 
nella  Fenicia,  lo  confondono  con 
Taddeo,  uno  dei  settantadue  di- 
scepoli, che  predicò  la  fede  in  E- 
dessa.  Il  menologio  dell'imperato- 
le Basilio,  e  alcuni  scrittori  greci 
collocano  la  sua  morte    ad   Ararat 


GIÙ 

nell'Armenia,  che  dipendeva  allora 
dall'impero  de' parti,  ed  era  ri- 
guardata per  conseguenza  come 
facente  parte  della  Persia;  e  gli 
armeni  onorano  ancora  s.  Giuda 
e  s.  Bartolomeo  come  loro  primi 
apostoli.  Abbiamo  di  s.  Giuda  una 
epistola,  ch'è  l'ultima  delle  sette  ca- 
noniche, indirizzata  a  tutte  le  chie- 
se di  occidente,  ed  in  ispezieltà  ai 
giudei  convertiti,  i  quali  erano  sta- 
ti l'oggetto  principale  delle  sue  fa- 
tiche: egli  parla  con  forza  contro 
gli  eretici,  principalmente  contro  i 
simoniaci,  i  nicolaiti  ed  i  gnostici. 
Alcuni  hanno  dubitato  della  cano- 
nicità di  questa  epistola;  ma  la 
tradizione  della  Chiesa  cattolica, 
che  risulta  da  tante  testimonianze 
dell'antichità,  l'attribuisce  a  san 
Giuda  apostolo,  e  la  colloca  nel 
numero  dei  libri  ispirati.  La  festa 
di  s.  Giuda  si  celebra  ai  28  d'ot- 
tobre, in  un  a  quella  di  s.  Simeo- 
ne apostolo,  e  i  corpi  d'  entrambi 
si  venerano  a  Roma,  nel  proprio 
altare  nella  basilica  vaticana,  ove 
nel  quadro  è  rappresentato  quan- 
do i  santi  gettano  in  faccia  agli 
stregoni  di  Persia  i  serpenti  che 
con  arte  magica  aveano  adunato. 
GIUDEA.  Regione  dell'Asia  sul- 
le rive  del  Mediterraneo,  fra  que- 
sto mare  a  ponente,  la  Siria  al 
nord,  le  montagne  che  stanno  al 
di  là  del  Giordano  all'  oriente,  e 
l'Arabia  al  mezzodì.  La  sua  lun- 
ghezza presa  dalla  Siria  Antioche- 
na sino  all'Egitto,  era  di  settanta 
leghe,  e  la  larghezza  dal  -Mediter- 
raneo sino  alla  Arabia  Petrea  di 
trenta  leghe.  Anticamente  fu  que- 
sta regione  chiamata  Paese,  o  Tenui 
di  Canaan  dal  nome  di  Canaam, 
figlio  di  Cam,  i  discendenti  del  qua- 
le l'occuparono  prima  di  tutti; 
poscia  Palestina  a  cagione  de'  fili- 


GIÙ 

stei,  detti  dai  greci  e  dai  romani 
palesimi,  e  siccome  questi  popoli 
dimoiavano  lungo  le  coste,  così 
furono  riconosciuti  pei  primi,  ed 
il  rimanente  del  paese  ne  portò  il 
nome;  quindi  Terra  Promessa  in 
rispetto  alle  promesse  fatte  dal  Si- 
guore  più.  volte  ai  patriarchi  Àbra- 
mo, Isacco  e  Giacobbe  di  darla 
alla  loro  posterità;  regno  di  Giu- 
da dal  nome  della  più  considera- 
bile delle  tribù  discese  da  Giacob- 
be, che  chiamandosi  anche  Israele 
fu  pure  detta  Terra  d'Israele,  e  fi- 
nalmente Terra  Santa  per  essere 
stata  santificata  dai  misteri  del  Re- 
dentore. E  irrigata  dal  Giordano, 
da  qualche  torrente,  e  da  un  gran 
numero  di  ruscelli  e  fontane  ;  le 
sue  più  alte  montagne  sono  il  Li- 
bano e  l'Anti-Libano,  essendo  le 
altre  più  nominate  quelle  di  Ga- 
laad ,  Hermon,  Arnon  ,  quelle  dei 
moabiti,  quelle  del  deserto,  il  Car- 
melo, le  montagne  d'Efraim  e  dei 
Filistei,  il  Taborre  ,  il  Garizim, 
l'Hebal,  il  Sion,  il  Moria  ec,  ol- 
tre quelli  che  il  vangelo  chiama 
Montana  Judaeae.  Lo  storico  Gio- 
selfo  fa  una  vantaggiosa  pittura  di 
questo  fertile  paese,  ed  i  viaggia- 
tori ce  lo  rappresentano  in  diver- 
si modi,  abbondante  di  grano,  oli- 
vi, vino,  datteri,  mele,  balsami  e 
fruita.  Questo  paese  prima  abbon- 
dava di  tutto,  ed  offriva  ovunque 
un  terreno  ricchissimo,  com'è  ce- 
lebrato dalla  sacra  Scrittura.  I  giu- 
dei, ebrei,  o  israeliti  lo  coltivavano 
sino  la  sommità  delle  loro  mon- 
tagne, e  la  quantità  del  suo  bestia- 
me si  può  giudicare  dai  molti  sa- 
grilìzi  che  tàeevansi  ogni  giorno  ; 
ma  al  presente  non  si  vedono  che 
vasti  deserti  e  rovine,  essendo  la 
Giudea  ridotta  ad  uno  slato  assai 
deplorabile    dopo     che    soggiacque 


GIÙ  i33 

al  dominio  degli  ottomani  .  Sot- 
to il  nome  di  Giudea  o  Terra 
Santa  in  generale  si  comprendeva- 
no le  dodici  tribù  dei  figli  d'Israe- 
le: e  la  Giudea  particolare,  o  re- 
gno di  Giuda,  non  avea  che  quelle 
di  Giuda  e  beniamino  ,  dopo  la 
divisione  accaduta  sotto  Geroboa- 
mo  sino  alla  cattività  di  Babilonia, 
colle  città  di  Gerusalemme  per  ca- 
pitale; Betlemme,  Ascalona  ,  Azot , 
Joppe,  ec.  Fu  poscia  divisa  la  Giu- 
dea in  sei  parti  ,  cioè  in  Galilea  , 
Samaria,  e  Giudea  propria  al  di 
qua  del  Giordano  verso  il  Medi- 
terraneo ;  ed  al  di  là  dello  stesso 
fiume,  in  Traconite,  Iturea  o  Pe- 
lea, ed  Idumea.  La  Giudea,  prima 
dell'  arrivo  degli  ebrei  ,  era  gover- 
nata dai  re  cananei,  i  quali  eser- 
citavano nelle  proprie  città  un  po- 
tere assoluto.  Allorché  Giosuè  ne 
fece  la  conquista,  governolla  come 
luogotenente  del  Signore,  ed  ese- 
cutore de' suoi  comandi,  e  ad  esso 
successero  gli  anziani  per  circa  quia • 
dici  anni.  Dopo  una  specie  d' a- 
narchia  che  durò  sette  o  otto  an- 
ni fu  poscia  governata  dai  giudici 
durante  3  i  7  anni,  e  in  fine  da  va- 
ri re,  cioè  da  Saulle  e  suoi  suc- 
cessori sino  alla  cattività  di  Babi- 
lonia  per  507  anni. 

Dopo  la  cattività  la  Giudea  ri- 
mase soggetta  ai  re  di  Persia,  poi 
ad  Alessandro  il  Grande,  e  posci  1 
ai  suoi  successori,  ora  ai  re  di  Si- 
na, ora  a  quelli  di  Egitto ,  essen- 
dovi però  molta  diversità  nel  go- 
yerno  particolare  del  sommo  sa- 
cerdote, ed  i  capi  della  famiglia  di 
David.  Durò  questo  Slato  circa  36t» 
0  36o  anni  sino  a  (inula  Macca- 
beo, 1  cui  successori,  ristabiliti  gli 
alfin   della  Giudea   e  la  religione, 

restarono  in  possesso  della  sovrana 
autorità    sino   al    regno   di    Lrude   il 


i34  GIÙ 

Grande,  per  circa  1 35  anni,  quando 
egli    fu    dichiarato    re    dal    senato 
romano.  1  suoi  stati   dopo   la    sua 
morte  furono  divisi  fra  i    suoi    tre 
figli,  e  fu  allora  che  la  Giudea  fu 
ridotta  in  provincia  romana.  Dopo 
la  caduta  dell'  impero  romano,  gli 
arabi  ed  i  maomettani  saraceni  se 
ne  resero  padroni  nel  636.    I  cri- 
stiani   nel     1099    vi    fondarono    il 
regno    di  Gerusalemme  [Vedi),  ed 
in  fine  questa  contrada  contenente 
i    luoghi  santificati  da  Gesù  Cristo, 
dalla  B.  Vergine,  e  dagli  apostoli, 
cadde  sotto  il  dominio  della  Porta 
ottomana     nel     1 5i 7.    Comprende 
essa  presentemente  i  paesi  di  Gaza, 
di  Elkahil  o  Ebron  ,  di    Elhuds  o 
Gerusalemme,  di  Naplusa  1'  antica 
Sichem,  di    Hartè ,    di    Nazareth  o 
Juret-Catfra-Kanna,  di  Safet,  ed  in 
fine  il  paese  di    là    dal    Giordano. 
La  Giudea  è  rappresentata  in  due 
medaglie  di  Vespasiano;  celebre  è  il 
trionfo  di  Tito  per  la  conquista  della 
Giudea,  ed  ancora  nel   foro  roma- 
no esiste  il  suo  arco  trionfale:    la 
Giudea  similmente  è  rappresentata 
in  un'  altra  medaglia  di   Nerva  ;  il 
simbolo  della  Giudea  è    la  palma, 
albero  che  prima  vi  era  assai    co- 
mune ,   le   cui   frutta    erano    buo- 
nissime a  mangiarsi,  comesi  legge 
in  Pausiana.   V.  Palestina,  Ebrei, 
e  i    relativi  articoli.    Nel    tom.    Ili 
della  Collezione   classica    dell'  avv. 
Martinelli  si  leggono  erudite  noti- 
zie sulla    Giudea,    sua    estensione, 
territorio,  cosa  fosse    nell'epoca  di 
Gesù    Cristo    e  dopo    i    turchi  ;  e 
della  sua  descrizione    ne'  tempi    di 
Gesù    Cristo  e    dopo  i    turchi  ;  e 
della   sua    descrizione   ne' tempi  di 
Ecateo,    che    rimontano    a    quelli 
dei  Maccabei.  L'abbate  Terzi  nel- 
la    Siria    sacra,    a    pag.    3i5    e 
seg.    riporta    la    cronologia    storica 


GIÙ 

de'  patriarchi ,  profeti ,  giudici ,  e 
regnanti  della  Siro-Palestina.  Qui 
riporteremo  quella  pubblicata  dal 
eh.  Cesare  Cantù  nella  sua  ap- 
pludita  Storia  universale ,  il  quale 
si  protesta  che  sulla  varietà  de'  si- 
stemi intorno  alla  creazione  del- 
l'uomo, egli  adottò  quello  dell'  Ar- 
te di  verificare  le  date. 

CRONOLOGIA    DEGLI    EBREI. 

Patriarchi. 

Adamo  .  .  creato  il  4963  m.  il4o33 

Set nato  il  4834  3934 

Enos 4729  3824 

Chenan 4^3g  3729 

Malaliele 4569  3674 

Jared 4^°4  3542 

Enoc 4^4a  3978 

Matusalem 4277  33o8 

Lamech 4°9°  33  1 3 

Noè 3908  29  58 

Sem 34o8  2808 

Diluvio  33o8. 

Arpàcsad 33o6  2868 

Chenan  il  giovine  .    3  201  28^1 

Sale 3 1 7  1  2-38 

Heber 3o4i  2637 

Paleg 2907  2666 

Reù 2777  2538 

Sarug 2645  241 5 

Nacor a5i5  2367 

Terah 2436  2291 

Abramo 2366  2  191 

Isacco 2266  2086 

Giacobbe 2206  2o5g 

Levi 2 1 1 7  1980 

Cheat 2084  i{P» 

Amram 2016  1^79 

Mosè 1725  160  5 

Uscita  d'Egitto   i645. 

Giosuè  governa  dal    i6o5  al  i58o 


GIÙ 

Caleb  ed  i  vecchi j  anarchia 
i58o-i562 

Prima  schiavitù   1062-1 554- 

Giudici. 

Ottoniele i554  i5 1 4 

Seconda  schiavitù  i5i4-i49^« 

Aod  e  Samgar    .  .  1^96  i4i6 

Terza  schiavitù  1 4 1 6- 1 396. 

Debora  e  Barac  .  .  1396  i356 

Quarta  schiavitù  1 356- 1 349. 

Gedeone *349  '^09 

Abimelecco 1^°9  i3o6 

Thola i3o6  1283 

Jair 1283  1261 

Quinta  schiavitù  1261-1 243. 

Jefte ,  .  •  1243  1237 

Abisan 1237  i23o 

Ahialon i23o  1220 

Abdon 1220  1212 

Sesta  schiavitù  1 2 1 2- 1 1 72. 

Sansone 1  172  1 1S1 

Eli 1  i5i  1 1 12 

Interregno,  1 1 1 2- 1 092- 

Samuele. *°92  1080 

Re. 

Saulle 1082  io4o 

Davide io4o  1001 

Isboset  pretendente   1040  io33 

Salomone 1001  962 

Scisma  delle  dieci  tribù,  962. 

I.  —  Re  d'Israele. 

Geroboamo  1 962  943 

Nadab 943  942 

Baaza 94^  919 

Eia 919  918 

Zamri,  otto  giorni, 


GIÙ  i35 

Homri 918  907 

Acabbo   ..../...   907  888 

Ocosia 888  887 

Gioram 887  876 

Jeù 876  848 

Gioacas 848  832 

Gioas 832  817 

Geroboamo  II.   ...  817  776 

Interregno,  776-767. 

Zaccaria    767  766 

Sellum 766 

Manahem 766  754 

Faceja 754  753 

Faceo 753  726 

Osea 726  718 

Distruzione  del  regno  dJ Israele  da 
Salmanasar  re  d'Assiria  718. 

II.  —  Re  di  Giuda. 

Roboamo 962  946 

Abiam 946  g44 

Asa 944  9°4 

Giosafat 904  880 

Joram,  dopo  regnato  4 

anni  con  suo  padre  880  877 

Ocosia 877  876 

Atalia 876  870 

Gioas 870  83  1 

Amasia 83 1  8o3 

Ozia  o  Azaria  ....  8o3  ^5i 

Gionatan 752  737 

Acas 737  723 

Ezechia 723  694 

Manasse 694  640 

Aruon 640  639 

Giosia 639  608 

Gioacas 608 

Eliachimo  Gioachino  608  597 
Gioachino  o  Gecouia  .  .  .  .  597 

Sedecia 597  587 

Distrutto  il  regno  di  Giuda,  587, 
da  Nabucodònosor  IT,  re  d'Assi- 
ria,  padrone  di  Gerusalemme   nel 


i36  GIÙ 

606.  La  cattività  di  Babilonia  dura 
70  anni,  6o6-536. 

Profeti  ebrei. 

Si  annoderanno  quattro  profeti 
maggiori: 

Isaia v.  8o3  723 

Geremia  conBarucv.  63q  597 

Ezcchiello v.  600 

Daniele v.  53o 

E  dodici  profeti  minori. 

Osea v.  8o3  723 

Giona  ...........  v.  800 

Amos v.   780 

Michea  da Morasti  v.  749  679 

Joele  . v.  700 

Naum v.  700 

Sofonia v.  63o 

Abdia v.  626 

o  secondo  altri ....  v.  800 

Abacucco v.  608 

A  ggeo v.  5 1 6 

Zaccaria v.  5i6 

Malachia v.  5 1 2 

Possono  eziandìo  porsi  nel  novero 
de'  profeti  ebrei  : 

Natan v.  1040 

Gad v.  1040 

Achia v.  r)bo 

Addo v.  946 

Semaja  .  .  .• v.  946 

Jehù v.  940 

Azaria v.  940 

Elia    v.  900 

Eliseo v.  880 

Michea  figliuol  diJem- 

la v.  860 

Oded v.  730 

llolda  profetessa  .  .  .  v.  63 ò 

Semaja  JS1  eelamita  .  .  v.  6-20 

llahania v.  620 

Esdra v. 


GIÙ 

Sommi  pontefici  giudei. 

Per  testimonianza  dello  storico 
Giuseppe,  a' suoi  tempi,  da  mille 
anni;  trovavasi  presso  gli  ebrei  una 
non  interrotta  successione  di  som- 
mi pontefici,  eletti  di  padre  in  fi- 
gliuolo. La  lista,  per  mala  ventu- 
ra, non  ci  fu  trasmessa  colla  du- 
rata del  pontificato  di  ciascuno  dei 
sommi  pontefici,  e  le  ricerche  dei 
dotti  per  supplirvi  riuscirono  in- 
fruttuose. Noi  ci  restringeremo  dun- 
que a  ricordar  i  nomi  conosciuti, 
indicando  per  alcuni  l'epoca  appros- 
simativa, in  cui  esercitarono  il  gran 
sacrificio. 

Aronne,  i644"I6o5;  Eleazaro, 
Phinees,  Abisua,  Bocchi,  Ozi,  Zara- 
ja,  Marajoth,  Amaria,  Eli,  ii5s; 
Achitob,  11  12;  Achia,  Àbiatar, 
Sadoch  (regnando  Salomone),  Achi- 
maas,  Azaria  I  ,  Joachas,  Joanib, 
Josafat,  Giojada  I  (regnando  Joas), 
Zaccaria,  Sedecia ,  Azaria  II  (le- 
gnando Osias),  Joathan,  Uria,  ÌNe- 
ria,Odea, Selum,  Helcia,  Azaria  III, 
Saraja  (regnando  Sedecia),  Jose- 
dee,  Gesù  o  Giosuè,  v.  536  ;  Gioa- 
chino, 462;  Eliasib,462-44i  ;  gover- 
na Neemia 445-43 3;Giojada II  44  '  " 
397;  Gionatan  397-35o;  Jesù  3()<-  : 
Jaddo  35o-324;  Onia  1  3  2  j-3o3; 
Simone  I  3o3-284;  Eleazaro  28J- 
260;  Manasse  26o-233;  Onia  II 
233-219;  Simone  II  219-195; 
Onia  111  195-170;  Jesù  o  Jason 
172-173.:  Menelao,  Lisimaco,  An- 
tioco, re  di  Sìria,  s1  impadronisce 
di  Gerusalemme,  170;  Matalia , 
168-166. 

Pontefici  e  re  Maccabei. 

Giuda    Maccabeo.  .166  161 

/llcitno 1 63  1 60 

Giona ta 161  \\  \ 

Simone  111. i-i  \  i36 


GIÙ 

Gioanni  Ircanol.  .  .  1 36  107 

Aristobolo  1 107  106 

Alessandro  Junneo  .106  79 

Alessandra 79  70 

Ircauo  II 70  4° 

Aristobolo  II  e  An- 
tigono      70  4° 

Re  stranieri. 

Erode 4°  av-  C.  r  d.  C. 

Archelao,  tetrarca  1   d.   C.  1 3 

Filippo,  idem  .  .   1  34 
Liode  A n tipa,  i- 

(lem 1  39 

Ponzio    Pilato  , 

procuratore  .  .  27  36 

Aristobolo  III 34 

Agrippa  1 39  44 

A  grippa  j uniore  .  44  9° 

Continuazione  de' sommi  pontefici 
giudei. 

Antigono,4o-35;Hananel,  3o-3o; 
Jesìi,  3o-23;  Simone  figliuolo  di 
Boeth,  2  3-6;  Mattia,  6-1  av.  G.  C. 
Joazar  verso  l'anno  4  dopo  G.  C.  ; 
Eleazaro,  Jesù,  figliuolo  di  Siali, 
A  nano,  Ismaele,  Eleazaro,  Simone, 
Caifo,  Gionala ,  Teofilo ,  Simone 
Canleras  (Claudio  regn.),  Mattia, 
Elionea,  Giuseppe,  Anania,  Ismaele, 
Giuseppe,  Cabi,  Anano  v.  6  1  ;  Jesù 
figliuolo  di  Damneo;  Jesìi  figliuolo 
di  Gamaliele;  Mattia,  Fanaja. 

Gerusalemme  presa  da  Tito,  fi- 
gliuolo di  Vespasiano,  mina  del 
tempio  ,  e  dispersione  de'  giudei, 
l  anno   70  dopo   C. 

GIUDICE  (del)  Guglielmo,  Car- 
dinale. Guglielmo  del  Giudice  o 
de  la  Juice,  francese,  nacque  pres- 
so Roserio  nella  diocesi  ili  Limo- 
ges  da  una  sorella  di  Clemente  VI. 
Siccome  celebre  e  dotto  giurceon- 
HillOj  lo  zio  a' 20  dicembre    i3J2 


GIÙ  i37 

Io  creò  cardinale  diacono  di  s.  Ma- 
ria  in    Cosmedin  ,    arciprete    della 
basilica     vaticana,    protettore    del- 
l' ordine  de'  minori  ;     e    poi    Urba- 
no V  lo  fece  dell'  ordine    de'  preti 
col  titolo  di  s.    Clemente.    Fu    de- 
corato di  molte  legazioni,  la  prima 
delle  quali  fu  quella  di  Napoli,  in 
cui    la    sua    destrezza   insieme   con 
quella  del  cardinal  Guido  di  Bou- 
logne,  dopo  diversi    trattati    ricon- 
ciliò nel     i35o    Lodovico    I  re   di 
Ungheria,    colla    regina    di    Napoli 
Giovanna  I,  con  soddisfazione  uni- 
versale,    singolarmente     del    Papa. 
Avendo    il    cardinale    ottenuto    da 
Clemente  VI  colla  porpora    1'  arci- 
diaconato  della  chiesa    di    Alba    in 
Ungheria  ,  incontrò  non  lievi  con- 
traddizioni con  Andrea  vescovo    di 
Alba,  e  con    Tommaso    custode  di 
quella  chiesa.   Per  la  qua!  cosa  In- 
nocenzo VI,  con  sua  lettera,  lo  rac- 
comandò a  Lodovico  I.  Dallo  stesso 
Pontefice     nel     i3  56    fu     mandato 
nella  Spagna  per  comporre    le  di- 
scordie tra  i    re  di   Castiglia,  e  di 
Aragona  ,     tra'  quali     stipulò    una 
tregua,   che   però    venne    poco  os- 
servata.   Terminata    la   tregua,    ad 
onta  delle    sollecitudini    del    cardi- 
nal   legato,    ripresero    le    armi,    e 
combatterono  con  maggior   furore. 
Fra   tante  gravi  occupazioni  si  ado- 
però per  restituire   all'antico  lustro 
e  decoro    1'  ecclesiastica    disciplina  , 
non    che    a     sostenere    gl'interessi 
della  religione.  Venne  incaricato  <li 
sciogliere  dalla  scomunica    dell'  in- 
terdetto   Pietro   il    Crudele  re  d   \ 
ragona,  che  con   pubblico  scandalo 
aveva     ripudiala     bianca     figlia     ili 
Pietro  dina    di  bourbon,  quindi  fat- 
ta uccidere,  per  tenere  presso  di  se 
femmine  disoneste,  purché  pentito 
de' suoi   falli  si    disponesse   al    rav- 
vedimento ;  ma  il    principe    inerii- 


i-38  GIÙ 

deli  anche  contro  i  domestici,  usur- 
pò sacrilegamente  i  beni  della  Chie- 
sa, fu  disfatto  dal  fratello  Enrico 
in  guerra,  e  vi  perde  miseramente 
la  vita.  Edificò  il  cardinale  un  pa- 
lazzo in  Avignone,  nei  recinti  della 
parrocchia  di  s.  Agricola,  che  di- 
poi fu  cambiato  in  monistero  di 
monache.  Concorse  col  suo  suffra- 
gio alle  elezioni  d' Innocenzo  VI , 
Urbano  V,  e  Gregorio  XI,  cui  vo- 
gliono alcuni  che  come  primo  dia- 
cono imponesse  la  tiara  nella  cat- 
tedrale d'Avignone,  ma  egli  in 
quell'epoca  apparteneva,  come  di- 
cemmo, all'  ordine  de'  preti.  Morì 
indetta  città  ai  28  aprile  del  1 3y4 > 
e  trasferito  nel  monistero  di  Casa 
di  Dio,  fu  sepolto  nel  coro  di  quella 
chiesa,  sotto  una  semplice  lapide, 
presso  il  mausoleo  di  Clemente  VI. 
GIUDICE  (del)  Pietro,  Cardi- 
nale. Pietro  de  la  Montre  o  de  la 
Juice  o  del  Giudice,  francese,  nato 
in  Juice,  diocesi  di  Limoges,  fra- 
tello del  cardinal  Guglielmo,  e  cu- 
gino di  Gregorio  XI ,  professò  nel- 
l' ordine  di  s.  Benedetto,  dove  fu 
fatto  priore  del  monistero  di  s. 
Liberata  nella  diocesi  d' Agen ,  e 
nel  i3/f2  dallo  zio  Clemente  VI, 
abbate  di  Angeliaco  e  di  Grasse 
nella  Gallia  Narbonese.  Divenuto 
nell'università  d'Orleans  dottore  in 
diritto  canonico ,  fu  promosso  nel 
1 344  a'  vescovato  di  Saragozza , 
e  dopo  due  anni  trasferito  a  quel- 
lo di  Narbona,  dove  nel  1 35 1  ce- 
lebrò un  concilio  provinciale  nella 
chiesa  di  BezierSj  e  nel  i368  in- 
tervenne a  quello  di  Lavaur,  indi 
nel  1 369  si  trovò  presente  alla  tras- 
lazione del  corpo  di  s.  Tommaso 
d'  Aquino.  Nel  i3y4  tenne  un  con- 
cilio nella  metropolitana  di  Narbo- 
na, mosse  una  lite  nella  curia  ro- 
mana ai  suoi  vescovi  suffragane-!,  a 


GIÙ 

motivo  del  giuramento  di  fedeltà 
eh'  essi  ricusavano  di  prestargli,  e 
ne  riportò  favorevole  decisione.  Gre- 
gorio XI  lo  trasferì  alla  chiesa  di 
Rouen,  e  poi  a' 20  dicembre  1 37 5 
lo  creò  cardinale  prete  del  titolo 
di  s.  Clemente.  Ma  dopo  undici 
mesi,  quando  seguiva  il  Papa  nel 
viaggio  di  Roma ,  fu  sorpreso  da 
malattia,  e  trasportato  a  Pisa  morì 
d'anni  cinquantasette  nel  1876, 
lasciando  nel  suo  testamento  cin- 
quantamila fiorini ,  ignorandosi  se 
ai  parenti,  famigli,  o  poveri.  Il  suo 
cadavere  fu  trasportato  in  Narbo- 
na ,  e  sepolto  nella  metropolitana 
in  magnifico  avello  di  marmo  bian- 
co con  la  sua  statua,  fattosi  da  lui 
costruire  mentre  viveva. 

GIUDICE  (del)  Marino,  Cardi- 
nale. Marino  del  Giudice  o  di  Vul- 
cano, nato  in  Amalfi,  divenne  ca- 
nonico della  metropolitana ,  e  poi 
arcivescovo  nel  1 362  per  volere  di 
Innocenzo  VI,  indi  ne  fece  rinun- 
zia a  Gregorio  XI  nel  i3y5.  Ur- 
bano VI  gli  conferì  1'  arcivescovato 
di  Taranto ,  coli'  amministrazione 
della  chiesa  d'  Aversa ,  quindi  lo 
spedì  nunzio  in  Ungheria  al  re 
Lodovico  I,  e  nelle  tempora  del- 
l' avvento  1 38 1  lo  creò  cardinale 
prete  del  titolo  di  s.  Pudenziana  , 
camerlengo  di  s.  Chiesa,  ed  arci- 
prete di  s.  Maria  Maggiore.  Le 
molte  legazioni  da  lui  con  gran  lo- 
de sostenute ,  singolarmente  per 
mantenere  i  popoli  nell'  ubbidienza 
al  legittimo  Pontefice,  gli  acqui- 
starono gran  riputazione.  Ad  onta 
però  di  tanti  meriti,  carcerato  in 
Nocera  nel  regno  di  Napoli  per  or- 
dine di  Urbano  VI,  come  reo  di 
lesa  maestà,  fu  condannato  a  mor- 
te in  Genova  nel  i385  con  altri 
cardinali. 

GIUDICE  (del)  Francesco,    Cor- 


GIÙ 

dinaie.  Francesco  del  Gindice  dei 
duchi  di  Giovenazzo ,  principi  di 
Cellamare,  genovese  d'  origine  e 
nato  in  Napoli  a' 7  dicembre  del 
1647  >  portatosi  a  Roma  venne 
ammesso  da  Clemente  IX  tra'pro- 
tonotari  apostolici,  indi  destinato 
da  Clemente  X  alla  vicelegazione 
di  Bologna,  e  poi  al  governo  della 
città  di  Fano,  e  per  ultimo  dal 
medesimo  annoverato  tra'  chierici 
di  camera.  Innocenzo  XI  gli  af- 
fidò la  presidenza  dell'  Annona,  e 
secondo  il  Novaes  lo  fece  gover- 
natore di  Roma,  ed  Alessandro 
Vili  ad  istanza  di  Carlo  li  re  di 
Spagna,  del  quale  la  sua  famiglia 
era  benemerita,  a'i3  febbraio  1690 
lo  creò  cardinale  prete  col  titolo 
di  s.  Maria  del  Popolo,  a  cui  ag- 
giunse la  prefettura  della  congre- 
gazione dell'immunità,  ed  in  se- 
guito la  carica  di  segretario  del 
s.  offizio  ,  annoverandolo  alle  con- 
gregazioni del  buon  governo,  dei 
vescovi  e  regolari,  del  concilio,  dei 
riti,  di  propaganda  ed  altre.  Visse 
in  tanta  grazia  ed  estimazione  di 
detto  re,  che  lo  fece  protettore 
della  corona  e  ministro  degli  affa- 
ri della  monarchia  presso  la  santa 
Sede,  nel  pontificato  d'  Innocenzo 
XII.  Questo  Papa  che,  siccome  suo 
affine,  da  cardinale  gli  si  era  mo- 
strato amorevole,  a  segno  di  ri- 
nunziargli  una  pingue  abbazia,  di- 
venuto Pontefice,  per  l'indifferenza 
ch'ebbe  pei  parenti,  non  gli  diede 
alcun  segno  di  benevolenza;  onde 
il  cardinale  lasciò  Roma,  si  recò 
in  Ispagna,  e  fu  fatto  primo  mi- 
nistro e  supremo  inquisitore  della 
monarchia.  Indi  fu  dichiarato  aio 
del  priucipe  d'Asturias,  viceré  di 
Sicilia,  e  nel  1698  arcivescovo  di 
Monreale.  Giunta  in  Madrid  la 
novella    sposa    di    Filippo  V,    Eli- 


GIÙ  i3<) 

sabetta  Farnese,  questa  procuran- 
do l'elevazione  dell'abbate  poi  car- 
dinal Alberoni,  la  fortuna  del  car- 
dinal del  Giudice  cominciò  a  de- 
clinare all'  occaso,  e  finì  poi  di 
precipitare  a  cagione  di  un  edit- 
to da  lui  pubblicato,  in  cui  proi- 
bivansi  alcuni  libri,  del  che  la 
corte  dichiarandosi  offesa,  il  re  lo 
privò  della  carica  di  aio  del  suo 
primogenito,  e  gli  fece  intendere 
che  si  contentasse  di  rinunziare 
quella  di  supremo  inquisitore.  Al- 
lora il  cardinale  tornò  in  Italia, 
incontrò  la  grazia  dell'imperatore 
Carlo  VI ,  come  affettuoso  della 
casa  d'Austria,  ed  olire  gl'immen- 
si benefizi  che  da  lui  ottenne,  fu 
destinato  suo  oratore  presso  la  san- 
ta Sede,  ed  incaricato  d'affari.  Di- 
messo il  titolo  passò  ad  essere  ve- 
scovo suburbicario,  e  poscia  anche 
di  Ostia  e  Velletri,  cui  in  morte 
compartì  que'segnalati  favori  chenon 
aveva  potuto  in  vita,  attesa  la  bre- 
vità del  suo  governo.  Dappoiché 
oltre  ad  aver  lasciato  alla  catte- 
drale di  Velletri  gran  quantità  di 
sacri  arredi,  le  donò  una  somma 
considerabile  in  denaro,  con  la 
quale  si  potesse  aggiungere  a  de- 
coro di  quella  chiesa,  quattro  sa- 
cerdoti per.  la  quotidiana  uffizia- 
tura,  cou  l'obbligo  di  cantare  sul- 
l' organo,  oltre  alcune  cappellanie 
con  l'obbligo  della  messa:  il  ri- 
manente fu  impiegato  in  ornamen- 
to e  restaurazione  di  quel  tempio. 
Cooperò  col  suo  voto  alle  esalta- 
zioni d'  Innocenzo  XII,  Clemente 
XI,  Innocenzo  XIII,  e  Benedetto 
XIII,  morendo  in  Roma  decano 
del  sacro  collegio  a'  1  o  ottobre 
1725,  d'anni  settantotto.  Trasferi- 
to a  Napoli  il  cadavere,  rimase 
sepolto  nella  chiesa  del  Carmine 
de'suoi  ma^tjioi  i. 


i4o  GIÙ 

GIUDICE  (del)  Nicolò,  Cardi- 
nale. Nicolò  del  Giudice,  nobile 
napoletano  de'  principi  di  Cella- 
mare,  duchi  di  Giovenazzo,  nacque 
a'iG  giugno  1G60.  Fino  dall'ado- 
lescenza il  cardinal  Francesco  Sfor- 
za lo  chiamò  in  Roma,  sotto  la 
cui  direzione  avendo  applicato  al- 
la pietà  ed  agli  studi  nel  semina- 
rio romano,  ottenne  la  laurea  di 
dottore  dell'  una  e  dell'  altra  legge 
nell'università  romana.  Nel  i6o,3 
fu  ammesso  da  Innocenzo  XII  in 
prelatura  e  tra  i  protonotari  apo- 
stolici, indi  tra' chierici  di  camera, 
colla  presidenza  delle  strade  e 
della  grascia,  a  cui  lo  deputò  Cle- 
mente XI.  Questi  nel  1716  lo 
fece  suo  maggiordomo,  nella  quale 
carica  ebbe  un  sinistro  incontro 
col  cardinal  Allhann,  che  quan- 
tunque virtuoso  era  caldo;  perse- 
verò nella  medesima  sotto  Inno- 
cenzo XIII,  e  Benedetto  XIII,  il 
quale  agli  11  giugno  1725  lo 
creò  cardinale  diacono  di  s.  Ma- 
ria ad  Martyres,  onde  fu  il  primo 
ad  avere  questa  diaconia  allora  e- 
ìetla,  e  lo  ascrisse  alle  congregazio- 
ni del  concilio,  di  propaganda, 
della  consulta,  ed  altre.  Dopo  a- 
ver  continuato  per  alcun  tempo 
eoi  titolo  di  pio-maggiordomo  a 
presiedere  alla  famiglia  e  palazzo 
pontifìcio,  fu  dall'imperatore  Carlo 
VI  nominato  protettore  degli  stali 
austriaci  presso  la  santa  Sede.  Il 
genio  predominante  di  questo  car- 
dinale era  di  fare  acquisto  di  qua- 
dri di  eccellente  mano,  e  di  gem- 
me che  per  la  loro  rarità  e  bel- 
lezza avessero  il  pregio  della  sin- 
golarità e  preziosità.  Nou  mancò 
di  beneficare  altamente  i  dotti,  i 
letterati,  i  commendabili  per  na- 
scita e  costumi,  con  tal  munifi- 
cenza e  liberalità,  che  talvolta  pie* 


GIÙ 

venne  i  loro  bisogni  senza  atten- 
derne le  preghiere,  e  non  facendo 
conto  del  denaro  divenne  oggetto 
di  universale  ammirazione.  Si  tro- 
vò presente  ai  comizi  per  Clemen- 
te XII,  e  Benedetto  XIV,  e  mori 
in  Pvoma  a' 3o  gennaio  1  743,  in 
età  di  ottantatre  anni,  ed  il  suo 
cadavere  fu  trasferito  nella  chiesa 
del  Carmine  di  Napoli,  a  tenore 
della  sua  testamentaria  disposizione. 
GIUDICE  Caracciolo  Filippo, 
Cardinale.  Filippo  Giudice  Carac- 
ciolo de'  principi  di  Villa,  nacque 
in  Napoli  il  dì  27  marzo  1783, 
da  Francesco  duca  di  Gesso  e  da 
Maria  d'  Artois,  ne'  quali  ad  illu- 
stre nobiltà  si  congiunse  la  cristia- 
na pietà.  Era  ancor  fanciullo  quan- 
do assalito  da  grave  infermità, 
per  le  reliquie  di  s.  Filippo  Neri  si 
riebbe  per  prodigio,  il  perchè  nel- 
l'età di  anni  dieciselte  entrò  nella 
congregazione  de'padri  dell'oratorio 
del  medesimo  santo  in  Napoli,  o- 
ve  fecesi  esemplare  altrui  d'  ogni 
virtù  ;  fu  preposto  al  maneggio 
degli  aliali  temporali,  coltivando 
le  sacre  scienze ,  e  le  opere  del 
sacerdotale  ministero.  Nel  conci- 
storo de'  17  febbraio  1820  Pio 
VII  Io  fece  vescovo  di  Molfetta, 
non  valutando  la  sua  modesta  re- 
nitenza. In  questo  ministero  fece 
spiccare  la  vigilanza,  la  misericor- 
dia, il  zelo  per  Io  splendore  del 
culto  divino,  e  la  carità  pei  pove- 
ri. 11  regnante  Ferdinando  II,  re- 
putandolo degnissimo  di  governare 
la  metropolitana  chiesa  di  Napoli, 
a  questa  lo  trasferì  nel  concistoro 
de'i5  aprile  i833  il  Papa  che  re- 
gna Gregorio  XVI,  indi  in  quello 
dei  2f)  luglio  lo  creò  cardinale 
dell'  ordine  de'  preti.  L'  avviso  di 
questa  dignità  ed  il  berrettino  ros- 
so,   il    Pontefice    gitelo  trasmise    a 


GIÙ 
mezzo  della    guardia    nobile  Cesa- 
re  de'  marchesi    Costo,     deputando 
alla  cousegna  della   berretta  cardi- 
nalizia   monsignor  Lodovico  Altie- 
ri ,    la    cui    imposizione    avendola 
solennemente  fetta   il   re,   tutto  de- 
scrivemmo   nel    voi.  V,    p.    164  e 
seg.  del    Dizionario  :   il   re    decorò 
la   guardia    del    titolo    ed     insegne 
di  cavaliere   dell'ordine  di  France- 
sco  I.  Dipoi    portatoci   il    cardinale 
in  Roma,  ricevette  dalle  mani    del 
Papa  il  cappello  e  V  anello  cardi- 
nalizio, e    la    chiesa    di  s.    Agnese 
fuori   le  mura    per  titolo,  annove- 
randolo  in  pari   tempo  alle  congre- 
gazioni   cardinalizie    dei    vescovi  e 
regolari,   dei     riti,    della    disciplina 
regolare,  e    dell'indulgenze  e  sacre 
reliquie.    Molto    il  cardinale    operò 
in   bene     della  sua     arcidiocesi,  ed 
il    flagello  del   morbo     cholera    gli 
porse  occasione    di  dar  prove  non 
ordinarie    del  grande  amore  eh'  ei 
portava   al   >uo  gregge.  Negli   undi- 
ci anni    che  governò  la     chiesa  di 
Napoli,  questa   in   più    modi   bene- 
Lieo  con  opere  memorande  :   la  più 
lodata   è  quella    dell  1     restaurazio- 
ne e  dell'  abbellimento  della   chie- 
b  1  cattedrale,  ch'egli   intraprese  con 
inimitabile  grandezza  d'animo,   non 
perdonando     a    spesa    veruna    per 
rivestirla    ili    marmi    e     di   stucchi 
colorati,  e    per    richiamare  a   nu  >- 
v.i    vita  le   antiche  colonne   di    gì  l- 
nito  e   i     monumenti    sepolcrali,  a 
cui    aveva     latto  ingiuria     un 
meo    colta,    come    si  pag. 

delle   Memorie  storiche 
ilei  vescovi  ed  arcivescovi  di  Napoli 
di  d.   Lorenzo    Loreto.    Siffatta  o- 
pera    non    pule  da     lui    esser 
mineiata     e    condotta    innanzi 
non     perché     viveva     modesl 
h  ùgale  in    nindi)  mirabile.  Essa  po- 
trà ancora  ricevere  compimenl 


Gli  1  ,  t 

l'alto  di  sui  ni l ì  111 1  volontà,  crii  quale 
gli  consagrò  quanto  sarebbe  rim  •■ 
di  sue  sostanze.  Morì  ti'  anni  cin- 
quantanove,  a'?.<)  gennaio  iN|  i,  do- 
po una  lunga  e  travagliosa  ma- 
lattia, nel  giorno  sacro  a  S.  I  àan- 
cesco  di  Sales,  da  lui  adottalo  per 
protettore  e  modello  nel  governo 
episcopale.  Sebbene  avesse  coman- 
dato che  ne'  suoi  funerali  in  cui 
occorrono  circa  quattromila  du- 
cati, se  ne  spendessero  trecento, 
essi  furono  celebrati  con  la  con- 
sueta magnificenza.  11  di  lui  cada- 
ti 

vere  fu  sepolto  nella  sepoltura  de- 
gli  arcivescovi,    sotto    la    sagre! 
della    cattedrale    di  Napoli.   Di   lui 
abbiamo    stampate  sei     lettere   pa- 
storali su  diversi  argomenti,  \' Elogio 
funebre    recitato    nella     cattedrale, 
di     Mot 'f<tta   in     morte     del  s.     P. 
Pio    ìli.    Napoli    i8^3.     Trattalo 
di   s.    Cecilio     Cipriano  sulla   mor- 
talità, volto  in    italiano  da   F.    C 
G.    C.   Napoli    1837.     Osservazioni 
pacifiche  sopra   di  un'opera   intito- 
lata le  usure,  stampala  nell'  anno 
i83i.R.oma  iSìj.  Vello  scorso  an- 
no   184+,   in    Napoli,    dai    torchi   di 
Saverio  Giordano,    si    è   pubbl 
1'  Orazione    recitata    nella     chi 
metropolitana  di  Xapoli   (del   can. 
d.    Luigi   Monforte)    per  le  solenni 
esequie     del     cardinal     ar 
Filippo     Giudice    Caracciolo,     con 
un  cenno  biografico  e  con  le  iscri- 
zioni (del   can.   d.  Salvatore    Guar- 
racino). 

GIUDICE  o  GII  DICI.    Chi    ha 
autorità   di    _  0  ehi    giudi- 

ca, fudex,  cognit.  >i .    V  11   è    1. 
argomento  il   parlare  delle  differen- 
ti   .,,1  la    di    giudici,    ilei    I  ao    .1 

11  rapp  ggi  ed 

,ii  loro  clienti;  ma  solo  i\uc  alcu- 
na ei  '"I  '.aie  vii^li  antichi  umilici 
palatini    e  della  romana  curia,  che 


142  GIÙ 

figurarono  nei  primi  secoli  della 
Chiesa.  Dei  doveri  dei  giudici  eru- 
ditamente ne  tratta  il  Martinetti 
nel  suo  Codice  d' economia  pub- 
blica a  pag.  355  e  seg.  Il  p.  Me- 
nochio  nelle  sue  Stuore,  nel  t.  Ili, 
p.  4£4i  tratta  Della  perplessità 
degli  areopagili,  e  d'alcuni  altri 
giudici  in  sentenziare.  Innumerabi- 
li  poi  e  noti  sono  i  trattatisti  di 
quanto  risguarda  i  giudici,  e  pa- 
recchi sono  gli  articoli  di  questo 
Dizionario  relativi,  come  Tribuna- 
li di  Roma,  Congregazioni  Cardi- 
nalizie ,  Avvocati,  Difensori,  Udi- 
tori di  Rota,  ed  altri.  Pei  giudici 
in  partibus  possono  vedersi  gli  ar- 
ticoli Commissioni  e  Delegati.  Il 
Muratori  nelle  sue  Dissertazioni 
discorre  delle  diverse  specie  degli 
antichi  giudici,  delle  qualità  che 
anticamente  dovevano  avere,  dei 
giudici  minori  eletti  dal  popolo  e 
dalle  città ,  dei  giudici  palatini  e 
de'giudici  pubblici.  Il  Bernini,  Del 
tribunale  della  rota,  a  pag.  3, 
trattando  de'giudici  antichi  e  dei 
loro  nomi  dice,  che  tali  dottori 
furono  chiamati  Seniores,  Consilia- 
Hi,  e  Decuriones  reipublicae  ;  e 
che  negli  atti  degli  apostoli  si  fa 
spesso  menzione  di  questi  ecclesia- 
stici seniori,  come  di  giudici  distin- 
ti dagli  apostoli,  onde  eglino  rap- 
presentavano il  tribuuale  della  giu- 
dicatura pontificia,  e  gli  apostoli 
le  dignità,  che  da  essi  poi  con  al- 
tro nome  provenne  del  cardinalato. 
11  Galletti,  Del  primicerio  pag. 
207,  dice  che  gli  scabini,  de'quali 
parlammo  all'articolo  Conte  (Fedi), 
ed  altrove,  erano  giudici  minori 
della  città,  i  quali  si  eleggevano 
dal  popolo,  a  differènza  di  que'giu- 
dici  che  si  dicevano  sacri  palalii , 
i  quali  erano  eletti  dai  soli  re  o 
imperatori,  e  perciò   s' intitolavano 


GIÙ 

fudices  domni  regis,  et  domni  Un- 
peratoris,  e  talvolta  ancora  judices 
palatini.  Stimò  il  Du-Cange  che 
i  palatini  portassero  questo  no- 
me perchè  assistevano  ai  giudizii 
del  conte  del  palazzo;  ma  assiste- 
vano ai  loro  giudizii  anche  i 
chiamati  giudici  del  re  o  del- 
l'imperatore ,  che  per  conseguen- 
za non  erano  differenti  dai  pala- 
tini. Vuoisi  che  i  Pontefici  al  tem- 
po dell'imperatore  Giustiniano  I, 
che  fu  assunto  all'impero  nell'an- 
no 527,  trasportassero  le  cause  del 
loro  apostolico  palazzo  nel  patriar- 
chio lateranense,  onde  gli  uditori 
o  giudici  furono  detti  judices  pa- 
latini, e  judices  de  aula  latera- 
nensis,  ed  ebbero  abitazioni  in  quel 
palazzo,  come  attesta  il  Rasponi, 
De  patriarchio  Lateran.,  in  fine. 
Questi  giudici  palatini  furono  chia- 
mati anche  giudici  ordinarij  assi- 
stevano ai  Pontefici  quando  cele- 
bravano la  messa,  ed  interveniva- 
no col  clero  e  col  popolo  alla  lo- 
ro elezione;  quindi  in  processo  di 
tempo  le  loro  cariche  furono  chia- 
mate con  altri  vocaboli.,  forman- 
dosi di  ognuno  di  loro  altrettanti 
tribunali. 

Anticamente  il  clero  romano  che 
eleggeva  il  sommo  Pontefice,  era 
diviso  in  tre  classi,  cioè  in  sacer- 
doti, in  principali  del  clero,  e  nel 
restante  del  medesimo  :  esso  alla 
presenza  del  popolo  romano  che 
vi  prestava  il  consenso  senza  suf- 
fragio, elesse  i  successori  di  s.  Pie- 
tro sino  all'undecimo  secolo.  I  prin- 
cipali del  clero,  o  primati  della 
Chiesa  romana,  erano  l'arcidiacono 
capo  di  tutti,  i  sette  giudici  pala- 
tini, cioè  il  Primicerio  de'  notari 
ch'era  il  capo  di  questa  dignità, 
il  Secondocerio,  YArcario  o  Teso- 
riere, il  Saccellario,    il    Protoscri- 


GIÙ 

nano,  il  Primario  de  difensori  ed 
il  Nomenclatore,  tutti  uffiziali  co- 
spicui della  Chiesa  romana  che 
hanno  l'articolo  in  questo  Diziona- 
rio. 

Riporteremo  alcuni  fatti,  in  cui 
si  conosce  la  particolare  influenza 
e  potere  de'giudici  palatini  nell'an- 
tica curia  romana  ,  nelle  elezioni 
de' Papi,  e  in  altri  avvenimenti. 
Nell'elezione  di  Conone  Pontefice 
del  686  insorsero  gli  antipapi  Pie- 
tro e  Teodoro,  il  primo  portato 
da  gran  parte  del  clero,  il  secon- 
do dai  giudici  e  dall'esercito;  per 
togliere  lo  scisma  fu  eletto  un  ter- 
zo che  fu  Conone.  Alla  morte  di 
questi  ne' sacri  comizi  insorsero  gli 
antipapi  Teodoro  nominato,  e  Pa- 
squale ;  uiuno  volendo  cedere,  i 
giudici  coi  primati  della  milizia 
romana,  con  una  notabile  porzio- 
ne del  clero,  si  radunarono  nel  sa- 
cro palazzo,  e  quivi  nel  687  ele- 
varono al  pontificato  Sergio  I.  Nel 
1  1 59  fu  eletto  Alessandro  III  dai 
soli  cardinali,  per  cui  alcuni  di 
questi  malcontenti  uniti  al  clero 
ed  al  popolo  esaltarono  l'antipapa 
Vittore  IV,  che  l'imperatore  Fede- 
rico I  sostenne  con  le  armi.  Il 
Raronio  narra  che  alcuni  cardina- 
li, il  clero,  i  giudici,  gli  scrinali, 
i  senatori  ed  il  popolo  romano 
condussero  l'eletto  Vittore  IV  al 
sagro  palazzo,  acclamando  secondo 
il  consueto  :  Papa  Vittore  s.  Pie- 
tro l'elegge.  Nel  medesimo  modo 
Anastasio  Bibliotecario  riferisce  la 
elezione  dell'antipapa  Filippo  nel- 
l'anno  768. 

Nel  libro  Pollicitus  di  Benedetto 
canonico  di  s.  Pietro,  diletto  a  Gui- 
do di  Castello  cardinale  di  s.  Mar- 
co, poi  nel  Il43  Celestino  11,  de- 
scrivendosi il  modo  come  il  Papa 
nel  dì  del  s.   Natale  portavasi   a  s. 


GIÙ  i43 

Maria  Maggiore,  molte  cose  si  leg- 
gono sui  giudici  che  facevano  parte 
della  funzione  ricoperti  di  piviali, 
incedendo  intorno  al  Papa  ,  e  vi- 
cino al  prefetto  di  Roma,  riceven- 
do ciascuno  quattro  soldi  per  pres- 
biterio. Nella  mattina  di  Pasqua, 
giunto  il  Pontefice  nella  basilica 
lateranense,  i  giudici  lo  conduce- 
vano nella  gran  basilica  Iconiana, 
in  quella  camera  detta  triclinio. 
Nell'Ordine  romano,  scritto  da  Cen- 
cio Camerario  avanti  l'anno  1192, 
si  legge  come  il  Papa  dopo  la  mes- 
sa celebrata  in  s.  Maria  Maggiore 
tornava  coronato  al  palazzo,  sotto 
i  gradini  del  portico  gli  si  faceva- 
no incontro  i  giudici  e  gli  avvo- 
cati, ciascuno  de'  quali  riceveva  il 
presbiterio  d'un  meleguino,  e  nella 
cavalcata  i  giudici  in  piviale  cir- 
condavano il  Pontefice.  Nel  mede- 
simo Ordine  romano  si  legge  sul- 
l'elezione del  nuovo  Papa,  che  giun- 
to questo  alla  porta  del  palazzo 
lateranense,  i  giudici  lo  prendeva- 
no, e  conducevanlo  fino  alla  basi- 
lica di  s.  Silvestro,  mentre  il  pre- 
te cardinale  co'  tabellioni  e  co'me- 
desimi  giudici  facevano  le  solite 
laudi  o  lodi.  Nel  dì  che  il  nuovo 
Papa  si  coronava,  i  giudici,  gli 
scrinari,  e  gli  avvocati  erano  vestiti 
di  piviale;  nelle  cavalcate  i  giudi- 
ci cavalcavano  ornatamente  tutti 
vestiti  ,  ma  non  usavano  cavalli 
coperti.  11  Gattico  pubblicando  le 
cerimonie  fatte  nel  1046,  in  bene- 
dietionis  Clementis  II ,  et  in  coro- 
nalionis  Ilennci  et  Agnetis,  dice 
che  recandosi  l'imperatore  e  l'im- 
peratrice a  s.  Pietro ,  furono  in- 
contrati alle  fosse  di  castel  s.  An- 
gelo dal  conte  del  palagio  latera- 
nense, e  da  un  giudice  dativo.  Se- 
guita la  coronazione  in  s.  Pietro , 
il   Papa   con  alcuni    ministri    ed    il 


144  giù 

primicerio  de'  giudici  condusse  l'im- 
peratore, ed  il  secondicero  de'giu- 
dici  l'imperatrice;  questa  poscia  fu 
accompagnata  alla  camera  ove  avea 
da  pranzare  coi  vescovi,  dal  pri- 
nricero  e  dal  secondicero  de'  giu- 
dici. Dell'  intervento  de'  giudici  nei 
possessi  dei  sommi  Pontefici,  e  di 
altre  cose  loro  riguardanti,  ne  par- 
lammo all'articolo  Curia  Romana. 
Nella  celebre  concordia  eh'  ebbe 
luogo  tra  il  senato  e  popolo  ro- 
mano con  Clemente  III  nel  1187, 
col  settimo  articolo  si  convenne 
che  il  Papa  ne'  tempi  consueti  da- 
rebbe ai  senatori,  giudici,  avvocati, 
scrivani  ,  ec.  ,  i  donativi  chiamati 
presbiterii.  Dei  giudici  dativi ,  pa- 
latini, romani,  istituiti  dal  prefet- 
to di  Roma ,  ne  tratta  il  Nerini 
nell'erudita  opera  De  tempio  et 
coenobio  ss.  Boti,  et  Alexiì. 

Aggiungeremo  alcune  erudizioni 
generiche    sui     giudici    al    servigio 
della  santa  Sede.    Marcello    II    del 
ì555  prescrisse  la  forma  e  le  leg- 
gi   ai  giudici,   e  ne  ordinò  a  tutti 
l'osservanza.  Nel    i566    s.    Pio    V 
provvide  i  tribunali    di    giudici    di 
conosciuta  probità,  dichiarando  for- 
malmente   che    le    cariche    non   si 
dassero  se  non    al    merito    ed    alla 
virtù,  non  già  al  favore    e  all'in- 
teresse.  Gregorio  XIII  con  applau- 
so universale  ricomprò  l'ufììzio  del- 
l'avvocato fiscale,  e  tutti   i    fìscala- 
ti  della   Romagna,  venduti  dal  pre- 
decessore s.   Pio   V  pei  bisogni  del- 
la Sede    apostolica,    restituendo    a 
tutti  il   prezzo.  Dei   fiscali   ne  trat- 
tammo   all'articolo    Fisco    (Are//). 
Innocenzo  XII  con  la  bolla  Ad  ra- 
diciluSj  de'  3i   agosto    1692,  Bull. 
Rom.  tom.  IX,  pag.    364,   estinse 
diverse    straordinarie     giudicature, 
che    fino  allora  si  esercitavano  per 
privilegio  da  molti  prelati,  e  rimi- 


GIÙ 

se   tutte  le  cause   ai    giudici    ordi- 
nari, dappoiché  i  primi    prolunga- 
vano   i    giudizii    con    grave  danno 
de'  litiganti.   Indi  colla  costituzione 
Romanus  Pontifex,  loc.  cit.  p.  375, 
emanata  a'  17  settembre,  Innocen- 
zo XII    finì    di    estinguere    tutti    i 
tribunali    e  giudici   particolari  colle 
loro  non   utili   facoltà.  Per  comodo 
dei  litiganti  stabilì  nel  palazzo  del- 
la curia   Innocenziana  i   giudici  del 
tribunale  dell'A.   C.  al  modo  detto 
al  voi.  XIX,    pag.    42    e  seg-  Col 
medesimo  zelo   confermò    Innocen- 
zo XII  con  la  costituzione  LXXVII 
de' 4    dicembre    1693,    quelle    di 
Pio  IV,  Paolo  V  ed  Innocenzo  XI 
sopra  le  sportule  de'  giudici  e   dei 
tribunali  della  corte  e  curia  roma- 
na.  Per  comodo  de'  litiganti  avea- 
no  i  Papi  permesso,  che  si   giudi- 
cassero le  cause  ecclesiastiche    fuo- 
ri della  curia   romana,  e  però  spes- 
se volte  si    commettevano  a  perso- 
ne le  quali  mancavano  o  di  peri- 
zia, o    di    buona    fede  :    nascevano 
questi   abusi  dal  gran    numero  dei 
protonotari    non    partecipanti  ,     ai 
quali,  benché  non   forniti  de'requi- 
siti  opportuni,  commettevano  delle 
cause ,    come    costituiti    in    dignità 
ecclesiastica.    Volendo    però    Rene- 
detto  XIV  ovviare   a   questo  male, 
che  altri    Pontefici,  ed    il    concilio 
di  Trento  aveano  procurato  toglie- 
re, con  aver  prescritto  che  ne  fos- 
sero  eletti   i   giudici   ne'  sinodi   dio- 
cesani ,    o    in  quelli    provinciali;  e 
riflettendo   nello   stesso    tempo    che 
questi    concilii    per    diversi  impedi- 
menti  sempre  si  differiscono  ,    non 
celebrandosi   i    primi    com'era    or- 
dinato ogni   anno,   né   i   secondi  o- 
gni  triennio,  con  la  bolla   Qiuwn-is, 
de'  26  agosto    1 7 4 1  ,  B*U-    Magn. 
tom.   XVI,  pag.   4'>  comandò  che 
i   vescovi  co'i ispelli vi  capitoli  elcg- 


GIÙ 

gesserò  questi  giudici ,  quando  nei 
detti  sinodi  non  potessero  destinar- 
si. Quindi  nell'anno  seguente,  per 
soddisfare  alle  querele  de'  vescovi , 
Benedetto  XIV  con  la  bolla  Ad 
inilitantis  de'  3o  marzo,  loc.  cit, 
pag.  72  ,  prescrisse  quando,  ed  in 
quali  casi  debbansi  da'  medesimi 
giudici  concedere  o  negare  le  ap- 
pellazioni in  dette  cause.  Inoltre 
Benedetto  XIV  a'  1 5  febbraio  1742 
col  disposto  della  costituzione  Quan- 
tum, presso  il  suo  Bull.  tom.  I,  p. 
120,  confermò  l'abolizione  de'  tri- 
bunali e  giudici  privali  in  Roma, 
e  stabiPi  che  le  cause  avanti  ai 
tribunali  de'  giudici  non  decise  fra 
sei  mesi,  fossero  devolute  alle  cu- 
rie ordinarie.  Pio  VI  prescrisse  u- 
tili  regolamenti  pei  giudici,  e  per- 
chè amministrassero  rettamente  e 
spedilamente  la  giustizia,  ad  esem- 
pio di  Sisto  V,  invitò  tutti  i  suoi 
sudditi  a  portare  a  lui  qualunque 
reclamo,  o  alla  congregazione  a  ciò 
deputata  per  l'opportuno  rimedio, 
accordando  le  appellazioni  dai  giu- 
dici provinciali,  al  sacro  tribunale 
della  rota  romana,  o  ad  altri  giu- 
dici da  lui  prescelti.  Utilissime  dis- 
posizioni pubblicarono  sui  giudici 
i  Pontefici  Pio  VII,  Leone  XII,  e 
principalmente  il  regnante  Grego- 
rio XVI  coi  noti  codici  e  regola- 
menti, abolendo  i  giudici  partico- 
lari o  privativi.  Su  questo  punto 
si  possono  leggere  la  Raccolta  del- 
le leggi  e  disposizioni  di  pidddica 
amministrazione,  pubblicata  nell'o- 
dierno pontificato,  e  la  Pratica 
della  curia  romana. 

Ecco  1'  indicazione  del  vestiario 
de'  giudici  dello  stato  pontifìcio , 
secondo  le  disposizioni  del  cardinal 
segretario  per  gli  affari  di  stato 
interni  de'  28  settembre  1  833.  Tri- 
bunale di  appello.    Sottana  e  toga 

Si  1      «XI. 


GIÙ  ifo 

con  gran  coda  di  palmi  tre  e  mez- 
zo mercantili  di  castorino  nero  leg- 
giero o  Casimiro,  da  usarsi  in  tutte 
le  stagioni.  Mostre  all'intorno,  e 
bavaro  di  velluto  operato  nero. 
Manica  tonda  sino  al  ginocchio, 
ricca  di  gran  pieghe  a  riprese  sul 
bracciOj  e  con  guarnizione  interna 
di  velluto  operato  come  le  mostre. 
Fascia  di  amuerre  nero  ben  alta  , 
con  gran  cappio,  e  con  grandi  fran- 
gie  di  granoni  a  canutiglia  nera. 
Berretta  ottangolare  di  velluto  ne- 
ro, filettato  negli  angoli  di  un  cor- 
donetto di  seta  nera  che  li  mar- 
chi, con  fascia  nera  alta  circa  quat- 
tro dita  di  velluto  operato  come  le 
mostre,  e  con  gran  fiocco  di  seta 
nera  nel  mezzo  dei  quattro  pizzi. 
Collare  bianco  di  filoscio  ricamato, 
o  di  merletto  ad  arbitrio,  lungo  un 
palmo  circa.  Tribunale  di  prima 
istanza.  Sottana  e  toga  con  gran 
coda  di  palmi  tre  mercantili  di  ca- 
storino  o  di  Casimiro  leggiero  nero 
ad  arbitrio,  da  usarsi  in  tutte  le 
stagioni.  Mostre  all'  intorno,  e  ba- 
varo di  velluto  semplice  nero.  Ma- 
nica tonda  spaziosa,  ma  che  non 
giunga  al  ginocchio ,  con  pieghe 
a  riprese  sul  braccio,  e  con  guar- 
nizione interna  di  velluto  simile 
alle  mostre.  Fascia  di  amuerre  ne- 
ro ,  con  cappio  e  con  frangie  di 
seta  nera.  Berretta  ottangolare  di 
castorino  o  Casimiro  nero,  filettato 
agli  angoli  con  cordoncino  di  seta 
nera  che  li  marchi,  con  fascia  di 
velluto  nero  simile  alle  mostre  del- 
la toga,  e  un  fiocco  di  seta  nera 
nel  mezzo  di  quattro  pizzi.  Collare 
di  batista,  kingo  circa  un  palmo, 
con  guarnizione  di  merletto  o  fi- 
loscio. Assessori.  Lo  stesso  abito 
assegnato  ai  giudici  di  prima  istan- 
za, colla  sola  differenza  che  le  ma- 
niche saranno  a  bocca  di  lupo.  \  I 
10 


i46  GIÙ 

notato  che  l'abito  de'giudici  dei  tri- 
bunali di  prima  istanza  è  comune 
ai  governatori  dello  stato  pon- 
tificio. 

GIUDIZ1I    DI    DIO,    Prova    o 
Purgazioni.    Prove    che    facevansi 
altre   volte  innanzi    ai    giudici    per 
conoscere  la  verità  intorno    a  fatti 
nascosti,  indagare  i  delitti    o   l' in- 
nocenza delle  persone  accusate,  col 
duello,  coli'  acqua  fredda,  col  fer- 
ro, e  col  fuoco  :  probalio,  tentameli, 
experimentum.    Nei    tempi    antichi 
altro  non  s' intendeva  per   giudizii 
di  Dio  che  alauni  esperimenti  isti- 
tuiti non  già  dalla  Chiesa,  ma  da- 
gli ignoranti  troppo  creduli,  e  te- 
merari cristiani ,  con    invocare  nei 
medesimi  il  divino    aiuto,    dandosi 
a  credere  che  Dio  vendicatore  del- 
le azioni  cattive,   e    difensore   del- 
l' innocenza,  con    qualche    prodigio 
rivelerebbe  quelle    verità,   cui  non 
poteva    naturalmente    penetrare    e 
raggiungere  l'industria  umana.  Fu- 
rono  tali    diverse    prove  chiamate 
giudizio   di   Dio,    perchè    a    lui  si 
rimetteva  la  controversia ,   e  se  ne 
aspettava  col  risultato    una    giusta 
sentenza.     Questi    esperimenti     coi 
quali   uno    si    purgava    dal    delitto 
di  cui  credevasi  reo,  furono  ezian- 
dio   chiamati    purgazioni    volgari , 
quasi    introdotte    ed    inventate    dal 
volgo,  comechè  anche   tra    gli    ec- 
clesiastici e  monaci  fossero  in  uso, 
ed  approvate  venissero  con  le  loro 
benedizioni,  che  si  leggono  ne'  mes- 
sali e  rituali  antichi  :  fu  loro  dato 
il  nome  di  purgazioni    ogni    qual- 
volta l'accusato  offnvasi  di  purgare 
e    rimovere   l'apposto   delitto    con 
una  di  dette  prove.  Fra  queste  pe- 
rò non  deve  aver   luogo    il    giura- 
mento   ad    sancta    Dei    cvangelìa, 
antichissima    purgazione    legittima , 
approvata  dai  concilii  e  dai  padri , 


GIÙ 

ed  ancora  praticata  dal  Pontefice 
Pelagio  1,  il  quale  divenuto  ai  fran- 
cesi in  sospetto  di  eresia  per  l' af- 
fare dei  tre  capitoli,  si  purgò  colla 
Professione  di  fede  {Fedi),  che  nel 
55j  fece  al  re  Childeberto  I.  Narra 
il  continuatore  del  Cronico  di  Mar- 
cellino, che  questo  Papa  Pelagio  I 
accusato  dal  popolo  romano  di  fa- 
zione contro  il  predecessore  Vigilio, 
celebrate  con  Narsete  le  Litanie,  asce- 
so al  pulpito  nella  basilica  di  s.  Pie- 
tro, ed  avendo  sul  capo  il  vangelo,  si 
purgò  con  giuramento  dall'  accusa 
datagli,  come  già  aveva  fatto  Si- 
sto 111  nel  4^2,  e  dopo  di  lui  fe- 
ce ancora  s.  Leone  III  nell'8oo, 
pel  qual  giuramento  cessò  subito 
il  tumulto  del  clero  e  popolo  ro- 
mano. Che  il  giuramento  sul  van- 
gelo è  purgazione  canonica ,  legit- 
tima ed  antichissima,  può  vedersi 
nelle  decretali  di  Gregorio  IX,  li- 
bro 5,  tit.  De  purgatone  canonica. 
Né  anche  tra  le  purgazioni  vol- 
gari devono  aver  luogo  i  riti  usati 
in  questo  giuramento  detto  pure 
sagramento,  cioè  di  giurare  davan- 
ti ai  sepolcri  e  alle  reliquie  dei 
santi,  di  che  tratta  il  Ruinart,  Act. 
MM.  in  praef  §  70,  e  s.  Agostino 
nell'epist.  78,  num.  3,  sopra  le 
armi  benedette  dai  sacerdoti,  mas- 
sime dai  popoli  settentrionali,  e  di 
far  giurare  col  preteso  reo  altri 
per  testificare  quod  ipsi  credimi 
eum  veruni  jurasse ,  com'è  scritto 
nel  C.  Quoliens,  De  purga lione  ca- 
nonica, detti  perciò  compurgato- 
res,  sacramentarii,  e  conjuratores  j 
rito  usato  già  da  Roftiido  arcive- 
scovo di  Benevento ,  e  dal  quale 
ebbe  origine  la  forinola  furare 
quarta  rnanu,  quinta  manu,  ec,  cioè 
purgarsi  col  giuramento  di  quattro, 
cinque  o  più  persone  tutte  favore- 
voli all'  accusato  :  questo  rito  ven- 


GIÙ 

ne  usato  in  Italia  anche  sotto  i  re 
longobardi ,  come  apparisce  dalla 
legge  367  del  re  Rotali,  presso  il 
Muratori,  Rerum  ital.  script,  to- 
mo I,  par.  2.  Neppure  si  deve  no- 
verare tra  questi  giudizii,  la  pur- 
gazione per  Eucliaristiam,  rito  an- 
tichissimo nella  Chiesa  ,  come  di- 
mostra il  p.  Cristiano  Lupo  tom. 
IV,  p.  23o,  con  questo  modo.  Al- 
lorché l'accusato  intendeva  di  sgra- 
varsi dal  sospetto  di  qualche  mis- 
fatto, che  non  si  poteva  o  prova- 
re o  negare  con  ragioni  manifeste, 
era  egli  condotto  avanti  all'  altare 
ed  alla  ss.  Eucaristia,  e  prima  di 
ricevere  lo  stesso  corpo  del  Signo- 
re, protestava  egli  chiaramente  l'in- 
tenzione sua  ad  alta  voce  dicendo: 
Corpus  Domini  sit  mihi  ad  pur- 
gationem  ho  die ,  oppure  in  altra 
simile  forma.  Il  che  fatto,  niuno  più 
gli  recava  molestia,  lasciando  la  cu- 
ra a  Dio  di  punire  colui,  se  fal- 
samente avea  negato  il  commesso 
delitto  ,  o  fintamente  promesso 
qualche  altra  cosa.  Particolarmen- 
te i  vescovi  ed  i  preti ,  imputati 
di  qualche  colpa,  costumarono  di 
celebrare  la  messa,  ed  alla  comu- 
nione di  protestarsi  innocenti  con 
invocare  Dio  vendicatore.  La  pur- 
gazione dunque  per  Eucharistiam 
sotto  certe  forinole  fu  costumata 
in  altri  tempi,  perchè  in  essa  non 
avea  luogo  la  superstizione  o  ten- 
tazione alcuna  di  Dio,  siccome  ac- 
cadeva ne'  giudizii  candrntis  ferri, 
aquae  vel  pugnar,  ricordati  negli  sta- 
tuti beneventani.  Di  questi  adunque 
andiamo  a  parlare  brevemente,  sic- 
come minutamente  descritti  dal  Du 
Cange  in  Closs.  ;  dal  Mintene  ,  De 
anliq.  Ecrlrs.  ritib.  tom.  Ili  ,  li- 
bro III  ;  da  le  Broli,  Stona  1  ri- 
tira, tom.  II,  lib.  VI  ;  dal  Murato- 
ri, diss.    38,  Anliq.   ital.  ,    ed   altri, 


GIÙ  i47 

in  un  co' giudizii  panis  et  casei, 
e  crucis.  Il  giudizio  panis  et  casei 
consisteva  in  diverse  cerimonie  ec- 
clesiastiche, messa,  comunione  ed 
orazioni  ;  porgevasi  all'accusato  pa- 
ne e  formaggio  benedetti  ;  se  po- 
teva mangiarne  e  trangugiarli  era 
dichiarato  innocente,  se  no,  colpevole  ; 
le  forinole  si  leggono  presso  l'Eccardo. 
Il  giudizio  della  croce  di  cui  trovasi 
menzione  nella  legge  longobardica  X 
di  Carlo  Magno,  consisteva,  come  di- 
mostrò  il  Du  Cange,  che  quando  due 
litiganti  eleggevano  il  j'udirium  cru- 
cis, si  mettevano  ritti  in  piedi  avan- 
ti la  croce  in  chiesa,  colle  braccia 
stese  in  forma  di  croce  per  un 
tempo  determinato,  finché  si  reci- 
tasse una  parte  del  vangelo,  od  al- 
cuni salmi.  Colui  il  quale  durava 
più  a  tenere  così  in  alto  le  braccia 
era  vincitore,  perdendo  chi  prima 
le  abbassava.  Alcuni  esempi  di  que- 
ste purgazioni  o  giudizii  sono  ri- 
portati in  diversi  articoli  di  questo 
Dizionario  :  qui  appresso  noteremo 
i   più  celebri. 

Il  primo  chiamasi  giudizio  can- 
denlis  ferri  ovvero  ar  denti  s,  e  con- 
sisteva nel  dare  in  mano  al  pre- 
teso reo  un  ferro  rovente  ,  che  se 
nonne  risentiva  alcun  danno,  com- 
pariva la  verità  d'una  cosa,  e  l'in- 
nocenza sua;  ma  se  per  lo  contra- 
rio si  scottava,  porgeva  indizio  cre- 
duto certo  di  avere  mentito,  e  di 
essere  reo  del  delitto  impostogli. 
Gran  connessione  aveva  con  questo 
giudizio,  quello  de'  nove,  o  dodn  i 
vomeri,  sopra  i  quali  doveva  pas- 
sare coi  piedi  nudi  la  persona  ac- 
cusata. Nella  vita  di  s.  Cunegon- 
da imperatrice,  cap.  2,  abbiamo, 
eh'  essendo  stata  accusata  questa 
pissima  principessa  d' infedeli;'»  .il- 
I'  augusto  s.  Enrico  I,  suo  conaoP- 
te,  si   esibì    ella   di    fa*    palese    Ki 


148  GIÙ 

sua  innocenza  colla  pruova  del  fuo- 
co, e  però  co'  piedi  nudi  senza  le- 
sione passeggiò    sopra    dodici    ferii 
roventi.  Di  questo  gran  fatto    non  . 
vi  sono    testimonianze     contempo- 
ranee ,     serve    però     a    dimostrare 
che  anche  i    migliori    sono    sotto- 
posti    alle    calunnie    e    maldicenze 
altrui.  Vogliono  alcuni,  presso  Gra- 
ziano, 2,    quaest.   5,  cap.  Consulta- 
sti, 20,    che    il    Papa    Stefano      Y 
detto     VI    dell'  885,    scrivendo    al 
vescovo  di  Magonza  Uberto,  annul- 
lasse la    purgazione    che   si    faceva 
per  mezzo  di    un    ferro    infuocato, 
o  dell'  acqua  bollente  ;   ma    questo 
decreto  è  assai  sospetto  ai    critici , 
come  osserva  Van-Espen,  Jur.  Eccl. 
univ.  par.  3,  tit.  8,  §    32.    Il  se- 
condo giudizio,  prova,  o  purgazio- 
ne dicesi  dell'  acqua,  senza  spiegar- 
si se  fredda  o  calda.   Quello   del- 
l' acqua  fredda  .  è  mentovato  nella 
legge  LV  di  Lotario  I  :  il  preteso 
reo  veniva  legato  con    una    corda, 
e  gettato  in  mezzo  all'acqua  di  un 
lago,  se  vi  era,  o  di  altro  luogo  a 
questo  fine    preparato;    se    andava 
a  fondo  fino  ad  un  nodo  fatto  alla 
medesima  corda,   per    evitare  ogni 
pericolo   di   sommersione;    giudica- 
vasi  innocente,  se  poi  contro  il  na- 
turai corso    delle   cose    l' acqua    lo 
ributtava,  era  tenuto  per  reo,  qua- 
si che  1'  acqua  istessa  mostrasse  or- 
rore di  riceverlo  nel  suo  seno.  Non 
cosi    dolce    era    il    giudizio    aquae 
ferventis,  detto  pure  cacabum  dalla 
caldaia,  noto    nella    legge    XX    di 
Luitprando  lib.  5,  sotto  la  forino- 
la   inanimi    in    caldana    mitterej 
imperciocché  se  l'imputato  di  qual- 
che reità,  nel  tuffar  la  mano  nella 
bollente    caldaia    si    scottava ,    per 
certo  tenevasi  il  di  lui  misfatto,  ed 
all'  opposto  uscendone  sano  e  salvo 
la  sua  innocenza  era  in  sicuro.  Di- 


GIU 

sputano  gli  eruditi  se  Eugenio  II 
Papa  dell'  824,  istituisse  la  purga- 
zione o  prova  dell'  innocenza  per 
mezzo  dell'acqua  fredda,  nella  qua- 
le compariva  reo  chi  vi  galleggia- 
va dopo  l' immersione,  ed  innocen- 
te se  andava  a  fondo.  Per  la  parte 
affermativa  si  dichiara  il  p.  Mabil- 
lon  nel  tom.  I,  p.  161,  Veterani 
Analeclorum 3  appoggiato  su  di  un 
antico  codice  Remense  del  seco- 
lo IX.  Molto  si  è  scritto  su  la 
sincerità  di  questa  carta  impugna- 
la da  Natale  Alessandro,  Hist.  eccl. 
saec.  IX,  cap.  I,  che  in  suo  favore 
riporta  quattro  ragioni.  11  p.  Fran- 
cesco Pagi,  nel  Breviar.  Poni,  in 
vita  Eugenii  II,  n.  i5,  è  del  sen- 
timento del  Mabillon ,  e  procura 
di  abbattere  le  ragioni  di  Alessan- 
dro. Il  citato  Van  Espen,  De  pur- 
gatione  vulgari  et  canonica  cap.  4> 
§  16  e  17,  nulla  risolve,  stiman- 
do meglio  lasciare  indecisa  la  que- 
stione, ma  conviene  che  un  tal  rito 
fu  per  molti  secoli  fatuiliarissimo  , 
come  altre  purgazioni  volgari.  A. 
vero  dire  ardua  cosa  sembra ,  che 
Eugenio  II  inventasse  cotal  purga, 
e  ne  ordinasse  l'osservanza  a  tutti 
i  fedeli. 

Un  altro  giudizio  e  forse  il  più 
famoso  di  tutti  fu  quello  di  pas- 
sare pel  fuoco,  di  cui  in  occiden- 
te non  se  ne  trova  esempio  prima 
del  mille,  tuttavolta  si  legge  in 
Gedreuo,  che  sotto  Anastasio  I 
imperatore,  verso  l'anno  5o6,  un 
vescovo  cattolico  in  oriente  esibì 
ad  un  ariano  questo  partito,  ut 
per  ignem,  cuj'us  esset  fides  verter, 
probaretur;  recusante  ariano,  or- 
todoxus  intrans  in  ignem,  illaesu* 
exù'it.  Dai  greci  forse  gì'  italiani 
impararono  poscia  a  valersi  di  tal 
prova,  principalmente  per  convin- 
cere  i    vescovi  incolpati    di    simo- 


GIÙ 

nin.     Per    questa  cagione     divenne 
rinomato  s.  Pietro  monaco   vallom- 
brosano,  poi   creato  cardinale  e  ve- 
scovo   d'  Albano    da     s.     Gregorio 
VII,   chiamato    perciò     Igneo.    Es- 
sendo il  vescovo  di  Firenze  Pietro 
di  Pavia    accusato    dai   monaci  del 
monistero    di     s.    Gio.     Gualberto 
di    simonia,    s.     Pietro    nel     io63 
per  giustificarlo  si  espose  alla  pro- 
va del    fuoco,  in     mezzo  al    quale 
passeggiò    illeso    a    pas^o  lento,   ed 
essendogli  caduto  il  fazzoletto  tor- 
nò   indietro     a  raccoglierlo,     e     lo 
trovò  intatto  dalle  fiamme.   Questo 
strepitoso  fatto  viene  narrato  negli 
atti   di  s.  Gio.   Gualberto  fondato- 
re dei    vallombrosani,  dal    Villani, 
dal    Baronio,   dall  Ughelli,  e  da  al- 
tri.  JSon    minore   fama  si   acquistò 
il   giudizio    del   fuoco,    quando  Li- 
piando    prete    milanese    si     espose 
al     medesimo    giudizio     nel     1102 
per  far  conoscere   elevato  simonia- 
camenle  alla    metropolitana   di  Mi- 
lano    Grossolano,     per  cui    vestito 
degli  abiti     sacerdotali    passò  illeso 
tra   le     fiamme.    Per  dar  luogo    a 
questo    giudizio    alzavasi   una  gran 
catasta  di   legna,    con   lasciarvi   nel 
mezzo   un   sentiero   largo  un    brac- 
cio, per  cui   potesse  passare  un  uo- 
mo, il  quale  se  sortiva  illeso  con- 
.sidcravasi    innocente,  e  giudicavasi 
convinto  di  reità  il  suo  avversario. 
Altro  giudizio  di  Dio  fu  la  mono- 
machia, pugna  cioè  o  Duello   {Ve- 
di). Antichissima  è  l'origine  d»  que- 
sto    privato     combattimento  ,     sul 
quale,  su    le  armi  e    cerimonie  a- 
doperatevi   una    piena  dissertazione 
ci    diede  il    Muratori,    Antiq.  ital. 
diss.    39.     Se    un     monaco  o    una 
monaca,    ovvero   un    ecclesiatico  o 
un  vescovo,  un  conte  o  altro  pri- 
vilegiato    od    impedito    per    infer- 
mità o  per  età  troppo  fresca  o  as- 


GIU  149 

sai   decrepita,    veniva  sfidato  o  sfi- 
dava   al  duello,   per  difesa  de' loro 
stabili     o     diritti  ,     od     anche    era 
costretto    ad    oneri  rio,    non  era  in 
obbligo  di    agire    di    persona,  ma 
in  sua   vece    mandava  a   difendere 
le   ragioni  l'avvocato  secolare,  o  sia 
Difensore    {fedi),  o  altro  combat- 
tente,   appellato    perciò     campione 
o   vicario.    Per     quali     cause  si  u- 
sassero  questi  spuri  giudizii  vegga- 
si   nelle    leggi    longobardiche,     ove 
si    nota   la   giunta   fatta   sul  duello, 
col     titolo  :    Inlentionts    inule    per 
leges  potest  haheri  pugna.   Allorché 
dunque    non  si  poteva     chiarire  o 
purgare  qualche  occulto  delitto  per 
le  vie  ordinarie  della  giustizia,  con- 
certavasi   il  duello,  con  ferma  per- 
suasione, che  Dio,    siccome  protet- 
tole della    verità   e  della  innocen- 
za, concederebbe  la  •vittoria  a  chi 
se  la     meritava.    Non   solo    i    lon- 
gobardi,   ma    altre   nazioni  setten- 
trionali  calate   in   Italia,    in   Fran- 
cia,   ed    in    Inghilterra    ebbero    in 
uso  questo    barbarico    rito,   e    seco 
lo  portarono  ovunque  e  dilatarono, 
sino    a    confermarne    per  legittimo 
il    costume    con    pubblico  decreto. 
Prima  si   battevano  solamente  col- 
l'usare  per  armi  lo  scudo  ed  il  ba- 
stone,   poi     con    armi   micidiali;  e 
a  chi  anticamente  restava  vinto  nel 
conflitto,  propter    perj'urium,  quod 
ante  poenam  cotnmiserat }  dextera 
manus  amputatami-.    Tanta  fu  poi 
in   quei   tempi  la  sperauza    del   di- 
vino   patrocinio  in  quelle  abbomi- 
nevoli     battaglie     private,  che    chi 
era  destinato  a  combattere,  impie- 
gava    tutta    la     precedente     notte 
senza   dormire,  in  chiesa  al  sepol- 
cro   di    qualche  santo,  per    averlo 
propizio  nel  vicino  cimento. 

Tutti  convengono  che  i  romani 
Pontefici  non    approvarono    giani- 


r?o  GIÙ 

mai  le  superstizioni  delle  purga- 
zioni volgari,  i  cui  risulta  menti 
venivano  nelle  prove  considerati 
per  giudizii  di  Dio  ;  anzi  solenne- 
mente le  riprovarono,  come  si  ha 
dal  nominato  Graziano  e  dalle 
decretali  ove  leggonsi  i  divieti  di 
Celestino  III,  d' Innocenzo  III,  e 
di  Onorio  III  sul  duello,  e  sul 
ferro  rovente;  e  non  mancarono 
imperatori ,  i  quali  riprovarono  or 
l' una  or  l' altra  di  queste  prove 
volgari  ,  e  massimamente  quella 
della  croce.  Il  Muratori  cerca  fino 
a  qual  tempo  avessero  corso  que- 
sti giudizii,  e  coli' esempio  d'  una 
carta  del  ii32  riportata  dall'  U- 
ghelli  in  Archìep.  Barens.,  conte- 
nente i  patti  stabiliti  fra  Ruggie- 
ro I  re  di  Sicilia  e  i  cittadini  di 
Bari,  nella  quale  di  Ruggiero  è 
detto  :  Ferrimi  cacabum  pugnam 
a<juam  vobis  non  judicabit  vel  ju- 
dicari  faciet,  congettura  che  fino 
a  quell'anno  non  si  era  ancora 
del  tutto  estinto  1'  uso  di  essi,  e 
indi  conchiude:  Veruni  par  est 
credere ,  non  diutius  illa  stetisse  : 
illorum  cnim  exempla  saeculo  sub- 
sequenti  (cioè  nel  XIII)  nequa- 
quam  occurrunt.  Gli  statuti  di 
Benevento  ne  somministrano  per 
questo  secolo  un  autorevole  esem- 
pio, approvato  da  Innocenzo  HI, 
il  quale  nel  concilio  generale  di 
Laterano  IV  del  i%  i5,  can.  18, 
vietò  ai  chierici  e  sacerdoti  di  u- 
sare  alcuna  benedizione ,  o  altro 
rito  sacro  purgationi  aquae  fer- 
ventis,  vel  frignine,  seu  ferri  can- 
dentis  eie.  salvia  nihiloniinus  pro- 
hibitionibus  de  monomachiis ,  sive 
duellis  antea  promulgalis.  In  Fran- 
cia Luigi  il  Buono  limitò  il  giu- 
dizio di  Dio  alle  sole  controversie 
ecclesiastiche  o  religiose ,  e  il  di 
lui  figliuolo  Lotario  I    le    abolì    iu 


GIÙ 

qualunque  caso.    Tuttavolta,   come 
si  è  veduto,  tali  prove  furono  per 
qualche    tempo  riprodotte,    perchè 
poche  consuetudini    in  quel  tempo 
erano  universalmente    ricevute:  in 
fatti  nel    regno    di    Filippo  Augu- 
sto, che  mori  nell'anno  1223,  si   fa 
ancora    menzione    di    alcune  delle 
nominate  prove    e  purgazioni  vol- 
gari, sebbene  divenute  rare.  Certo 
è  che    Innocenzo    III  nel    concilio 
Lateranense  proibì    simili    giudizii 
di  Dio,  come  pur  fece  Onorio  III, 
altri     Pontefici    e    concilii ,   laonde 
ne'  secoli  posteriori  si  tenne    il  so- 
lo giuramento  per  legittima  e   ca- 
nonica   purgazione,    venendo  l'ini- 
quissimo  uso  del  duello  severamen- 
te   proibito    e  represso  colle    leggi 
ecclesiastiche    e    civili.     Contro     la 
prova  del  ferro  e  del  fuoco,  e  del- 
l'acqua scrisse    sino  dal  IX   secolo 
Agobardo,  dotto  arcivescovo  di  Lio- 
ne, le  cui    opere    furono  pubblica- 
te da    Papirio  Masson    nel     1606, 
e  poi  da  Stefano  Baluzio  nel   1666 
in  Parigi.    Il  più  volte  citato  Mu- 
ratori   nelle   sue  Dissert.    tradotte 
in  italiano    tratta  nella  38:   DeJ giu- 
dizii di  Dio,  o  sia  degli    speri  nienti 
usati  dagli  antichi  per  indagare  i 
delitti  o  l'innocenza   delle  persone. 

GIULIA  CESAREA.  V.  Cesa- 
rea, capitale  della  Mauritiana,  ora 
Algeri. 

GIULIA  (s).  Era  d'una  delle 
più.  illustri  famiglie  di  Cartagine, 
ed  allorché  Genserico  nel  4^9  si 
insignorì  di  quella  città,  fu  ven- 
duta come  schiava  a  un  mercan- 
te di  Siria  nomato  Eusebio.  Ella 
santificò  la  sua  schiavitù  colla  ras- 
segnazione, colla  preghiera,  e  con 
ogni  maniera  di  austerità.  Le  sue 
virtù  le  cattivarono  la  benevolen- 
za del  suo  padrone,  che  volle  se- 
co   condurla    in     un    viaggio    clic 


GIÙ 

intraprese  alla  volta  delle  Gallie. 
Sbarcato  egli  a  Capo  Corso,  si  unì 
alla  gente  del  paese  che  stava  ce- 
lebrando una  festa  in  onore  degl'id- 
dii.  Giulia  si  tenne  in  disparte, 
ma  non  potè  trattenersi  dal  de- 
plorare altamente  la  cecità  di  quei 
pagani.  Avvertito  di  ciò  il  gover- 
natore dell'isola,  procurò  che  Eu- 
sebio gliela  cedesse  ;  ma  il  mer- 
cante non  ne  fu  persuaso.  Quindi 
il  governatore  per  conseguire  il 
suo  intento  lo  iuvitò  a  pranzo,  e 
lo  fece  ubbriacare.  Quando  il  vi- 
de sepolto  nel  sonno,  fece  venire 
a  se  Giulia,  ed  usò  lusinghe  e  mi- 
nacele per  indurla  a  sagrifìcare. 
Le  coraggiose  ripulse  della  santa 
vergine  eccitarono  l'ira  del  gover- 
natore, per  cui  la  fece  battere  in 
faccia  e  strapparle  i  capelli,  indi 
comandò  che  fosse  appesa  ad  una 
forca,  e  così  s.  Giulia  consumò  il  suo 
martirio.  I  monaci  dell  isola  di  Gor- 
gona,  eh'  è  fra  la  Corsica  e  Livor- 
no, vennero  a  levare  il  di  lei  cor- 
po per  seppellirlo.  Desiderio  re  di 
Lombardia  lo  fece  trasportare  a 
Brescia  nel  763,  ove  fu  venerato 
dapprima  nella  chiesa  dell'antico 
monistero  intitolato  dal  nome  del- 
la santa,  e  poscia  fu  trasportato 
in  quella  di  s.  Pietro.  Essa  è  ono- 
rata a'23  di  maggio. 

GIULIANA  (s.).  Questa  santa 
vergine  fu  decapitata  sotto  l'im- 
perio di  Galeno  Massimiano,  do- 
po avere  sofferto  i  più  crudeli 
tormenti.  L'antico  martirologio  mss. 
ebe  trovasi  a  Corbia,  dice  ch'ella 
tofierse  a  Nieomedia  ;  l'autore  del 
martirologio  attribuito  a  s.  Giro- 
lamo, Beila  e  tutti  gli  altri  mar- 
tiroiogisli  collocano  la  sua  morie 
a  16  di  febbraio.  E  onorata  in 
modo  particolare  oe'Paesi  Bassi,  e 
s.  Gregorio  I   il  Grande  ci  fa   sapere 


GIÙ  i5i 

che  le  sue  reliquie  furono  tras- 
portate a  Roma  ;  havvene  però 
una  parte  a  Brusselles,  nella  chie- 
sa della  Beata  Vergine  della  Rena. 

GIULIANA  Falconieri  (s).  Nac- 
que della  illustre  famiglia  fiorenti- 
na di  tal  nome;  il  di  lei  padre 
Chiarissimo  era  fratello  del  beato 
Alessio  Falconieri,  il  quale  fu  eoa 
s.  Filippo  Benizi  una  delle  prime 
colonne  dell'  ordine  de'serviti.  Ap- 
pena cominciò  far  uso  della  ra- 
gione, sviluppossi  in  Giuliana  l'a- 
more alla  preghiera  e  alla  mor- 
tificazione, in  un  colle  più.  belle 
virtù.  Di  sedici  auni  lasciò  il  mon- 
do e  ricevette  da  s.  Filippo  Benizi 
il  velo  delle  M aniellate  [Fedi),  le 
quali  compongono  un  terzo  ordine 
dei  serviti,  e  furono  istituite  per 
servire  gl'infermi  e  per  esercitare 
altre  opere  di  pietà.  Quest'ordine 
di  cui  Giuliana  fu  non  solo,  come 
diremo  a  quell'articolo,  la  prima  reli- 
giosa, ma  anche  la  fondatrice  delle 
monache,  crebbe  non  poco  in  picco- 
lo spazio  di  tempo,  e  la  s^ta  vide- 
si  costretta  a  fare  le  funzioni  di 
priora.  Il  suo  fervore  e  le  sue 
austerità  le  meritarono  dal  cielo 
straordinari  favori.  Morì  nel  con- 
vento di  Firenze  1'  anno  i3|0  o 
i34i;  fu  beatificata  da  Innocen- 
zo XII,  ne  accrebbe  il  culto  Bene- 
detto XIII  nel  1729,  e  Clemente 
XII  terminò  il  processo  di  sua  ca- 
nonizzazione nel  1737,  e  solenne- 
mente la  canonizzò.  La  di  lei  fe- 
sta si  celebra  nel  giorno  di  sua 
beata  morte,  ai    iq  di  giugno. 

GIULIANI  G10.  Pietro,  Car- 
dinale.   ^.Giovanni    XXI  Papa. 

GIULIANO  (s.),  detto  \' Ospita- 
liere. Viveva  iu  Egitto,  e  avendo 
sposata  una  pia  donna  per  nome 
Basilissa,  si  diedero  fede  reciproca 
di    vivere     iu   perpetua     continenza. 


i5a  GIÙ 

Essi  praticavano  gli  esercizi  della 
vita  ascetica,  e  consagravano  tutti 
i  loro  redditi  a  sollievo  de'poveri 
e  de'malati;  anzi  tramutarono  la 
loro  casa  in  una  specie  di  ospita- 
le, curando  ciascuno  le  persone 
del  proprio  sesso  con  immensa  ca- 
rità. Basilissa  dopo  aspre  perse- 
cuzioni mori  in  pace  ;  Giuliano  le 
sopravvisse  alcuni  anni,  e  ricevet- 
te in  fine  la  corona  del  martirio 
con  Celso  fanciullo,  Antonio  prete, 
Anastasio,  e  Marcionilla  madre  di 
Celso.  Credesi  che  tutti  questi  san- 
ti patissero  a' 6  di  gennaio  del 
3i3  sotto  Massimino  II.  La  fe- 
sta di  s.  Giuliano  trovasi  notata 
in  molti   giorni  differenti. 

GIULIANO  (s.),  anacoreta  del- 
la Mesopo tamia,  nato  in  occidente. 
Giovanissimo  fu  venduto  comeschia- 
vo  in  Siria  ;  per  alcuni  anni  l'im- 
pazienza della  schiavitù  gliene  ag- 
gravò il  peso;  ma  poi  illuminato 
dalla  fede  seppe  far  tornare  i  di- 
sagi dello  suo  stato  a  propria  san- 
tificazione. Ricuperata  la  libertà 
per  la  morte  del  suo  padrone, 
passò  nella  Mesopotamia,  dove  ab- 
bracciò la  vita  solitaria,  ed  ebbe 
il  vantaggio  di  conoscere  s.  Efrem. 
Egli  aflievoliva  il  suo  corpo  con 
grandi  austerità,  e  lavorava  conti- 
nuamente in  far  vele  da  navi;  ri- 
guardavasi  come  un  colpevole,  e 
la  considerazione  del  giudizio  di 
Dio  facevagli  continuamente  ver- 
sare lagrime  di  compunzione.  Die- 
de sempre  fino  alla  sua  morte 
ammirabili  esempi  di  umiltà  e  di 
pazienza,  in  mezzo  alle  persecu- 
zioni che  furono  contro  lui  susci- 
tate. Leggesi  in  Sozomeuo  che  la 
sua  vita  era  tanto  austera ,  che 
non  pareva  aver  egli  corpo  ,  e 
s.  Efrem,  che  ne  scrisse  la  vita, 
riferisce  che    fu   onorato  del    dono 


GIÙ 

dei  miracoli.  Morì  verso  1'  anno 
370,  dopo  averne  passati  venti- 
cinque nel  suo  romitorio.  E  no- 
minato nel  martirologio  romano 
il  dì  9  di  giugno,  ed  è  anche  o- 
norato  ai    6  di   luglio. 

GIULIANO  (s.),  soprannomina- 
to Saba ,  che  in  siriaco  significa 
canuto  o  vecchio,  per  la  sua  pru- 
denza e  saggezza.  Dopo  aver  pas- 
sato parecchi  anni  in  una  caverna 
vicino  alla  città  di  Edessa,  ritirassi 
sul  monte  Sina  nell'  Arabia.  Egli 
aggiungeva  al  lavoro  delle  mani 
le  pratiche  più  rigorose  di  peni- 
tenza, e  l'esercizio  continuo  della 
preghiera  e  della  meditazione.  Pre- 
disse la  morte  di  Giuliano  l'Apo- 
stata, e  verso  l'anno  370  lasciò 
la  sua  solitudine  per  recarsi  ad 
Antiochia  ,  onde  confondere  gli 
ariani  ,  che  spacciavano  aver  egli 
abbracciata  la  loro  comunione.  In 
questa  città  operò  molti  miracoli, 
e  poiché  ebbe  reso  un'  autentica 
testimonianza  alla  verità,  ritornò 
nella  sua  cella  }  e  continuò  ad  i- 
struire  i  discepoli  eh'  erano  venuti 
a  porsi  sotto  la  sua  guida,  e  che 
edificarono  la  Chiesa  molto  tempo 
ancora  dopo  la  sua  morte.  S.  Gio. 
Crisostomo  parlando  di  lui,  dice  che 
era  uomo  di  prodigi.  Il  martiro- 
logio romano  lo  nomina  ai  14  di 
gennaio,  e  i  greci  l'onorano  ai  18 
ed  ai  24  d'ottobre. 

GIULIANO  di  Cilicia  (s.).  Nac- 
que ad  Anazarbo  in  Cilicia  da 
un  padre  seuatore ,  studiò  sacre 
lettere  ed  entrò  nell'  ecclesiastico 
ministero.  Durante  la  persecuzio- 
ne di  Diocleziano  nel  priucipio  del 
IV  secolo,  cadde  nelle  mani  di 
uno  spietato  giudice,  che  per  vin- 
cere la  di  lui  costanza  gli  fece 
patire  lungo  martirio.  Per  un 
anno  intero  lo  fece   trascinare  per 


GIÙ 

tutte  le  città  della  Cilicia,  e  dopo 
i  più  orribili  strazi,  essendo  ad 
Eges,  ordinò  che  fosse  gettato  nel 
mare,  cucito  in  un  sacco  con  degli 
scorpioni,  dei  serpenti,  e  delle  vi- 
pere. Il  mare  restituì  ai  fedeli  il 
corpo  del  santo  martire,  eh'  essi 
portarono  ad  Alessandria,  poi  in 
Antiochia,  ove  s.  Gio.  Crisostomo 
ne  recitò  il  panegirico  sulla  di  lui 
tomba;  nel  quale  dice  che  per 
virtù  delle  sue  reliquie  ottenevan- 
si  molte  guarigioni.  È  onorato 
ai    i6  di  marzo. 

GIULIANO  (s.),  primo  vescovo 
di  Mans,  che  fiori  verso  la  fine 
del  terzo  secolo,  e  intorno  alla  vi- 
ta del  quale  nulla  si  sa  di  parti- 
colare. 11  di  lui  culto  è  ab  anti- 
co molto  celebre  in  Francia ,  e 
molte  chiese  furongli  dedicate  e- 
ziandio  in  Inghilterra  sotto  i  re 
normanni.  Conservasi  il  suo  capo 
nella  cattedrale  di  Mans,  essendo 
state  bruciate  dagli  ugonotti  la 
maggior  parte  delle  sue  reliquie 
nel  i562.  La  sua  festa  celebrasi 
a'27  di  gennaio. 

GIULIANO  (s.).  Uscito  d'  una 
delle  migliori  famiglie  di  Vienna 
nel  Dellinato  ,  santificassi  nella 
professione  delle  armi.  Essendosi 
Crispino  governatore  della  provin- 
cia, dichiarato  contro  i  cristiani, 
Giuliano  si  ritirò  nell'Ai  vergila,  non 
tanto  per  timor  della  morte,  quan- 
to per  poter  più  facilmente  render 
servigio  ai  fedeli.  Sapendo  che  i 
persecutori  lo  cercavano,  usci  dul- 
ia casa  di  una  vedova  in  cui  sla- 
va nascosto,  e  diedesi  spontaneo 
in  mano  ai  soldati  incaricali  di 
prenderlo,  che  gli  mozzarono  il 
capo  presso  a  Brioude.  Ignoratasi 
il  luogo  in  cui  era  stato  seppel- 
lito, ma  Iddio  lo  scoperse  mira- 
col  osai  nenie  a    s.    Germano  d' Au- 


GIU  i53 

xerre,  allorché  passò  per  Brioude 
ritornando  d'Arles,  circa  il  4^'; 
indi  ne  fu  trasportato  il  capo  a 
\  ienna  col  corpo  di  s.  Ferreolo. 
La  sua  festa  è  segnata  ai  28  di 
agosto.  S.  Gregorio  di  Tours  ri- 
ferisce un  gran  numero  di  mira- 
coli operati  per  intercessione  di 
questo  martire,  e  parla  di  una  chie- 
sa a  lui    intitolata    a  Parigi. 

GIULIANO,  CRONIONE  e  BE- 
SA  (ss.) ,  martiri  d'  Alessandria, 
sotto  1'  imperalor  Decio.  Era  Giu- 
liano un  vecchio  venerando,  a 
cui  i  dolori  della  gotta  aveano 
tolto  il  poter  camminare  e  reg- 
gersi in  piedi.  Egli  confessò  la  di- 
vinila di  Gesù  Cristo,  come  Cro- 
nione,  uno  de'suoi  famigliari.  Fu- 
rono ambedue  legati  sopra  un  cam- 
mello, e  condotti  ignominiosamen- 
te  a  sollazzo  del  popolo  per  le 
contrade  d'  Alessandria  ;  poscia 
furono  crudelmente  flagellati  ,  e 
gettati  nel  fuoco.  Un  soldato  per 
nome  Besa,  il  quale  non  aveali 
abbandonati  per  tutto  il  tempo 
che  si  condussero  per  la  città,  ed 
aveali  anche  difesi  dadi  oltraggi 
dell'  insolente  popolaccio  ,  venne 
arrestato  come  nemico  degli  dei; 
e  per  la  sua  fermezza  nel  confes- 
sare la  fede  fu  condannato  alla 
morte.  Questi  tre  san  li  sono  men- 
zionati nel  martirologio  romano  il 
dì   27    febbraio. 

GIULIANO  (s.).  Fu  educato  a 
Toledo  nella  virtù,  e  in  tutte  le 
scienze  ecclesiastiche.  Avea  latta 
la  risoluzione  di  andare  con  Gu- 
dilano  suo  amico  a  [tassare  il  re- 
sto dei  suoi  giorni  nella  solitudine; 
ma  il  suo  vescovo  ne  lo  ritenne, 
ed  obbligollo  a  dedicarsi  al  servi- 
gio della  Chiesa.  Nel  680  venne  in- 
nalzato alla  sede  arcivescovile  ili 
Toledo,  e  vi  fece    ròplendere  lui- 


i54  Giù 

te  le  virlh  proprie  del  suo  mini- 
stero; fu  il  padre  de' poveri,  il  so- 
stegno de'deboli,  il  protettore  de- 
gli afflitti.  Presiedette  al  quattor- 
dicesimo concilio  di  Toledo,  e  mo- 
ri nel  690.  La  sua  festa  è  stabi- 
lita agli   8  di    marzo. 

GIULIANO    (s.)  ,   martire.     V. 
Montano  (s.). 

GIULIANO    (s),    martire.     V. 
Teodulo  (s.). 

GIULIANO  di  s.  Agostino  (b.). 
Nacque  in  Medinaceli  nel  regno  di 
Castiglia,  da  poveri  genitori  cbe 
lo  educarono  cristianamente,  e  lo 
posero  ad  imparare  l'arte  del  sar- 
to. Egli  era  molto  divoto^  e  per 
trovare  un  asilo  più  sicuro  alla 
sua  pietà  risolse  d'entrare  nell'or- 
dine di  s.  Francesco.  Ricevuto  tra 
i  novizi  da'padri  scalzi  della  provin- 
cia di  s.  Giuseppe  di  Castiglia  , 
diedesi  con  mollo  fervore  alle  pra- 
tiche di  penitenza;  ma  riputata 
stoltezza  la  sua  condotta,  fu  co- 
stretto a  deporre  l'abito  religioso, 
per  la  qual  cosa  ritornò  alla  pri- 
miera professione.  Il  p.  Torres  mi- 
nor osservante,  che  conobbe  la  sua 
virtù,  dopo  averlo  tenuto  seco 
qualche  tempo,  gli  ottenne  di  po- 
ter rivestire  1'  abito  religioso  nel 
convento  della  regolare  osservanza 
della  Madonna  di  Salieda  nella 
stessa  provincia  di  Castiglia.  Quivi 
ancora  furono  giudicate  le  sue  au- 
sterità effetto  di  singolarità  indi- 
screta e  di  pazzia,  e  dovette  la- 
sciare quel  sacro  ritiro.  Non  cam- 
biò per  ciò  il  suo  santo  propo- 
nimento, e  si  costrusse  una  ca- 
panna in  un  luogo  solitario  vici- 
no al  convento ,  ove  passava  le 
intere  giornate  e  le  notti  in  ora- 
zioni e  penitenze,  né  usciva  che 
per  mendicare  uno  scarso  alimen- 
to alla  porta  del  monislero,  e  per 


GIÙ 

raccogliere  ed    istruire    dei    teneri 
figliuoli  nella  dottrina  cristiana.  E- 
sperim  entata  per  tal  modo  la  sua 
virtù,  fu  richiamato  nel  convento, 
e  dopo  ripetute  prove  fu  ammesso 
ai    solenni    voti     della    professione 
religiosa.   Gi  aliano     si  diede  allora 
con     maggiore     libertà    di     spirito 
all'esercizio  di     tutte  le  virtù  cri- 
stiane   e    religiose,    e    alla    pratica 
delle    più    austere    penitenze,     che 
cercava  di  celare  agli  occhi  de'suoi 
confratelli.     Sebbene  laico  e    senza 
alcuna  letteratura ,    egli    predicava 
con    tanta  unzione  e   dottrina    che 
destava    meraviglia.    Colle     sue    o- 
razioni  e    colla    sua     vivissima    fe- 
de   ottenne    molti    miracoli     a   fa- 
vore de'suoi   fratelli.    Era  eziandio 
pieno    di    carità     pei   bisognosi,     e 
procurava     loro  abbondanti    limo- 
sine     da'ricchi,     che     volentieri    ne 
davano  pel    gran    concetto    che  a- 
veano    di    lui  :    egli    stesso    faceva 
parte  con   essi  del   suo  cibo,  pren- 
dendo   solo    per    sé    qualche  poca 
d'erba.   Nella  sua  ultima  malattia, 
essendogli    levato    il  suo  antico  a- 
bito,   si    discoperse   l'orribile    stra- 
zio che  faceva   delle  sue  carni  :  u- 
na     pesantissima     catena     e     ferrei 
cerchi  cingevano  tutto    il  suo  cor- 
po, di    cui    altro     non  reslava  che 
ossa  scarnate.    Mori    agli   8  aprile 
del    1 606  ,  e  il     Pontefice     Leone 
XII    lo  annoverò    fra' beati    ai   23 
maggio    del    1825. 

GIULIANO,  Cardinale.  Giuliano 
prete  cardinale  si  legge  sottoscritto 
ad  una  bolla  dell'  antipapa  Leone 
Vili  del  963. 

GIULIANO  Flavio  Claudio,  so- 
prannominato 1'  Apostata  perchè 
abiurò  il  cristianesimo  per  abbrac- 
ciare il  paganesimo.  Nacque  a  Co- 
stantinopoli a' 6  novembre  del  33  1 
da  Giulio  Costanzo,  e  fu  nipote  di 


GIÙ 
Costantino  il  Granile.  La  cura  del- 
la sua  educazione  fu  affidata  al  fa- 
moso Eusebio  di  Nicomedia;  Mar- 
donio  suo  aio  procurò  d'instiUare 
in  lui  tutte  le  ottime  qualità  «Iella 
mente  e  del  cuore.  Fece  rapidi 
avanzamenti  nelle  scienze,  entrò 
nel  clero,  ed  ebbe  anche  il  grado 
di   lettore.   Indi   fece  un   viario   in 

DO 

Atene,  ove  s'applicò  all'astrologia, 
alla  magia,  e  a  tutte  le  vane  il- 
lusioni del  paganesimo.  Quivi  si 
strìnse  in  particolar  amicizia  col  fi- 
losofò Massimo,  che  fu  la  principal 
i  igione  della  sua  rovina.  Nel  3  >  T» 
In  dichiarato  cesare;  ebbe  quindi 
il  comando  delle  armate  nelle  Gal- 
lie,  e  ne  riportò  strepitose  vittorie. 
Dopo  la  morte  di  Costanzo,  avve- 
nuta ai  3  di  novembre  del  36  r, 
si  recò  in  oriente,  ove  fu  ricono- 
sciuto imperatore,  come  era  già 
slato  in  occidente.  Rivestito  del- 
l' autorità  sovrana  occupossi  a  cor- 
nigere i  molti  abusi  ch'erano  sta- 
ti introdotti  nel  governo,  represse 
il  lusso  e  la  mollezza,  e  riformò 
la  sua  corte  ;  ma  nel  medesi- 
mo tempo  dichiarassi  empiamen- 
te a  favore  del  paganesimo:  ordi- 
ni) che  si  riaprissero  i  templi  , 
ristabilì  i  Sacrifizi,  instituì  i  ponte- 
fici ed  i  sacerdoti  ,  e  fece  rivivere 
tutta  le  più  superstiziose  pratiche 
dell'idolatria,  compresa  la  magia 
eh' eso iitò  egli  medesimo.  Fece  egli 
-<>  le  funzioni  di  pontefice  mas- 
simo con  tutte  le  cerimonie  pa_;  i- 
tforzandosi  di  cancellare  in  sé 
il  carattere  del  battesimo  col  san- 
gue delle  vittime.  Dichiarò  i  cri- 
stiani incapaci  ili  avere  cariche  nel- 
lo stnio,  proibì  loro  d'insegnare 
e  di  studiare  le  belle  lettere,  li 
caricò  d'imposte,  e  avvegnaché  ei 
professasse  la  tolleranza,  non  lasciò 
di  condannarne   parecchi    a    morte 


GIÙ  i55 

sotto  vari  pretesti.  Anzi  gli  alti 
pubblici  contemporanei  ci  fanno 
conoscere  un  gran  numero  di  cri- 
stiani, che  i  governatori  delle  di- 
verse provincie  dell'impero,  o  per 
ordine  o  colla  approvazione  di  Giu- 
liano, perseguitarono  crudelmente. 
Scrisse  contro  la  religione  cristiana, 
e  favorì  le  sette  che  l'alteravano  pro- 
fessandola ;  né  di  ciò  pago,  pretese  di 
provare  falsa  la  profezia  di  Gesù  Cri- 
sto sopra  il  tempio  di  Gerusalem- 
me, facendolo  rifabbricare  dopo 
quasi  trecent'anni  ch'era  stato  di- 
strutto da  Tito.  Ma  gli  operai  non 
ebbero  appena  scavate  le  fonda- 
menta, che  ne  sortirono  tanti  vor- 
tici infuocati,  ond'essi  rimasero 
spenti.  Questo  fatto  è  affermato  da 
tutti  gli  autori  di  quel  tempo,  ed 
eziandio  da  Ammiano  Marcellino 
eh'  era  pagano.  Si  può  vedere  in- 
torno a  ciò  1'  eccellente  dissertazio- 
ne di  Warburton.  Perì  misera- 
mente Giuliano  per  un  colpo  di 
freccia  ricevuto  nella  battaglia  con- 
tro i  persiani,  a'9.7  giugno  del  3'i>. 
Narrasi,  che  empiutasi  la  mano  del 
sangue  che  grondava  dalla  sua  fe- 
rita, Io  slanciasse  contro  il  cielo 
esclamando:  Hai  iin(o,  Galileo! 
giacché  egli  aveva  stabilito,  allor- 
quando avesse  finita  la  guerra  di 
Persia,  di  estinguere  ad  ogni  mo- 
do il  cristianesimo.  L'opera  ch'egli 
scrisse  contro  il  medesimo  fu  con- 
futata da  s.  Cirillo  d'Alessandria: 
Giuliano  però  attacca  il  giudaismo 
piìi  direttamente  che  la  religione 
cristiana;  siigli  a  la  dottrini  di 
Mosè  a  line  di  fu  la  comparire  me- 
no uggia  <li  quella  di  Platone;  m 
contro  la  Stoni  sacre  le  medesime 

obbiezioni  dei  man  toniti    e  dei    m  1- 
nichei  .     dcpi  une     più    ebe     può     gli 

scrittori  elmi,  e  per  una  inconce- 
pibile stravagante  si  sfora  di  con- 


1 56  GIÙ 

ciliare  il  giudaismo  col  paganesi- 
mo; sostiene  che  gli  ebrei  ed  i 
pagani  adorano  il  medesimo  Dio, 
che  hanno  essi  le  medesime  ceri- 
monie, che  Abramo  osservò  gli  au- 
gurii,  che  Mosè  conobbe  gli  Dei 
espiatori  ed  insegnò  il  politeismo. 
Le  principali  opere  di  Giuliano  che 
giunsero  fino  a  noi  sono:  la  Fa- 
vola allegorica,  una  Satira  dei 
Cesari,  il  Misopogon ,  eh' è  una 
satira  degli  abitanti  d' Antiochia  ; 
un  discorso  in  onore  di  Cibe- 
le,  un  altro  in  onore  di  Diogene 
il  Cinico,  ed  una  raccolta  di  ses- 
santatre lettere  scritte  con  nobiltà 
e  purezza  di  stile,  però  deturpata 
sovente  da  stravaganti  sofismi.  11 
suo  editto  contro  i  cristiani  può 
dirsi   in  fatti   un  vero  sofisma. 

GIULIO  ed  ARONNE  (ss.),  mar- 
tiri, bretoni  d'origine,  i  quali  sof- 
fersero sotto  il  regno  di  Dioclezia- 
no. Il  loro  martirio  avvenne  verso 
l'anno  287,  oppure  nel  3o3  o 
3o4)  a  Caerleon  sopra  1' Usk,  nella 
contea  di  Monmouth.  Sappiamo  da 
Giraldo  Cambrense,  che  antica- 
mente si  veneravano  a  Caerleon  i 
corpi  de' due  martiri,  e  che  vi  era- 
no due  chiese  ad  essi  dedicale.  So- 
no onorati  il  primo  giorno  di 
luglio. 

GIULIO  (s),  martire.  Era  sol- 
dato veterano,  e  serviva  nello  stes- 
so corpo  in  cui  erano  Pasicrate  e 
Valenzione ,  i  quali  poco  tempo 
prima  aveano  soiferto  il  martirio. 
Fu  accusato  dagli  stessi  suoi  offi- 
ciali di  professare  il  cristianesimo, 
davanti  a  Massimo  governatore  della 
seconda  Mesia  ;  e  perciò  fu  deca- 
pitato a' 27  di  maggio,  verso  1' an- 
no 3o2,  a  Durosloro  sul  Danubio. 
E  menzionato  sotto  questo  giorno 
nel   martirologio  romano. 

GIULIO    I    (s),  Papa  XXXVI. 


GIÙ 

Giulio  figliuolo  di  Piustico  romano, 
contato  da  alcuni   tra' canonici    re- 
golari, fu  dal   Papa    s.    Silvestro    I 
creato  cardinale    diacono    o    prete; 
indi  a' 26    ottobre    dell'anno    336 
fu  creato  Pontefice.  Assolvè  s.  Ata- 
nasio d'  Alessandria    dalle    calunnie 
degli  ariani,  nel  concilio  di  Sardi- 
ca    (Fedi),    considerato    quale    ap- 
pendice del  Niceno.  Diede  a'  Nola- 
rimedi)  l'ingerenza  di  raccogliere 
tuttociò  che  alla  santa  Sede   si  ap- 
parteneva, e  di    guardar    con    dili- 
genza gli  atti ,  le  donazioni  ,  i    le- 
gati ec.  Stabili  questo  Pontefice  nel 
giorno   2D  la  festività    del     Natale 
(Vedi),  ed  in  tre  ordinazioni    creò 
nove    o  dieci    vescovi,   dieciotto    o 
diecinove  preti ,    quattro    o  cinque 
diaconi.  Morì  a' 12   aprile  del  352, 
avendo    governato    quindici    anni, 
cinque  mesi,  e  diecisette  giorni.  Fu 
sepolto  nel  cimiterio    di    Calepodio 
nella  via  Aurelia,  e  quindi  traspor- 
talo nella   basilica    di  s.    Maria    in 
Trastevere  da   lui  rifabbricata.  Va- 
cò la  santa  Sede  venticinque  giorni. 
GIULIO    II,     Papa     CCXXVI. 
Giuliano  della  Piovere  nacque  a'  i5 
dicembre    1 4-4-^    >n   Albizola,    terra 
presso  Savona,  nella  Liguria,  stato 
di   Genova,  da   P«affaele  della  Rove- 
re  fratello  di   Sisto   IV,  e  da  Teo- 
dora  Manerola.   Mentre    lo    zio  Si- 
sto  IV  era  religioso  francescano,  lo 
tenne  sempre  presso  di  sé  ne' con- 
venti    dei    frati    minori  ;    divenuto 
cardinale    lo    die    in    educazione  a 
Nicolò  Pandolfini  poi  cardinale,  ed 
elevato  al  pontificato,  dal  noviziato 
de'  francescani    conventuali    di    Pe- 
rugia, ove   stava  per  «studiare  nel- 
l' università ,     lo     fece     vescovo    di 
Carpentrasso  nel    1 4? 3,    quindi    ai 
i5    dicembre    dell'anno    stesso    lo 
creò  cardinale  dell'ordine  de' preti, 
e  per  titolo  gli  diede  il  suo  antico, 


GIÙ 
cioè  la  Chiesa  di  s.  Pietro  in  Vincoli 
(Vedi),  da  Giuliano  beneficata.    In- 
oltre Sisto    IV  dichiarò   successiva- 
mente il   nipote  arciprete  della    ba- 
silica lateranense,  penitenziere  mag- 
giore, e  protettore    de' minori.    Nel 
1476  Io  trasferì   alla    chiesa    d'A- 
vignone, dichiarata  dallo  stesso  Pa- 
pa   metropolitana,    nella    quale    il 
cardinale  fondò  un   collegio    deno- 
minato della  Rovere;  indi  gli  con- 
ferì pure  i  vescovati  di  Coutances, 
di  Mande,  di  Bologna,  di  Verdun,  di 
Losanna  secondo  i  Sammartani.  di 
Viviers,  di    Albano,  di   Sabina  ,  di 
Ostia  e    Velletri    nel    i4&3,  nomi- 
nandolo eziandio  legato  d'  Avigno- 
ne. Tre  volte  si  portò  col  carattere 
di    legato    a    lalere    in    Francia    al 
re  Luigi   XI  ;  e    poi    in    Piacenza  , 
nella  Marca  d'  Ancona,  nella    pro- 
vincia   del    Patrimonio,    nella    Ro- 
magua,    nel    ducato    di    Spoleto  o 
Umbria,  e  nella  contea  Veoaissina. 
Alessandro    VI   nel    i5o2   lo     trav- 
iato    dal  vescovato    di    Bologn 
quello  di  Vercelli.   Edificò    in    Ro- 
ma il    portico    alla    Chiesa    de'  ss. 
XII  apostoli   (  Vedi  ),    ne    abbellì 
la  basilica,   e   fabbricò    un    palazzo 
per  uso  e   comodo  de 'cardinali   ti- 
tolari  presso  la  chiesa   di   s.   Pietro 
in   Vincoli    suo    titolo,    ch'essendo 
posseduta  dai  frati  di  s.   Ambrogio 
ad  Nemus,  egli  la  ottenne  da  Inno- 
cenzo   \lll    pei    canonici    regolari 
del   SS.    Salvatore,   passando    i    frali 
alla    chiesa     e    amnisterò    di    s.   Cle- 
mente.   In    Ostia   eresse   una    fortez- 
za ,  che  decorò  di    nobili    pittine  , 
riportandone   il   Galletti    le    iscrizio- 
ni. Risarà  il  castello  ih   Grottafèr- 
rata  a  difesa  di  queir  antica  abba- 
zia,  e   compartì    segnalati    benefizi 
.ni    alile    1  lii.  te    e    luoghi    piì   di 
Etoma    l 'inchi    1 1  goò  lo    tio    Sisto 
1\  ,  Giuliano  fu  1  ome    I  anima    «li 


GIÙ  1  > 

tutti  i  consigli  ilei  Papa.  Intervenne 
all'elezione    d'Innocenzo    Nili,    il 
quale   lo  onorò  di  particolare  bene- 
volenza    e    considera/ione  ,    lo    di- 
chiari) legato  a  Intere,  e  spedi   col 
cardinal   Giorgio  Costa   in   Xarni   a 
ricevere  il  ferro  della  sai  r  1  1  incia, 
che  divotamente  recò  in  Roma.  As- 
sistè  al   conclave   in  cui   uscì   eletto 
Alessandro    VI    Borgia,    col    quale 
nel  cardinalato    aveva    avuto    pub- 
bliche e  private    inimicizie,  per  cui 
destramente   ritirossi   in  alcuni  luo- 
ghi   d' Italia,    indi    in    Avignone,    e 
poi    in    Francia,    ove    si  guadagnò 
l'alletto    e  la    stima    dei    re    Cai  lo 
Vili,   e   Luigi    XII,   né  per  quante 
carezze  ed  esibizioni   gli    facesse    A- 
lessandro   VI  ,  mai   volle    ritornare 
in  Roma,  se    non    che    dopo    dieci 
anni,  cioè  alla  sua  morte,  avvenuta 
nell'agosto  i5o3;  onde  nel  conclave 
concorse  all'elezione  di  Pio  III,  che 
visse  soli   ventisei    giorni.    Qui    no- 
teremo che   narrano  gì' istorici  ave- 
re  il   cardinale   mentre  stava  in  Sa« 
vona  ricevuto  la   visita  del  cardinal 
Giovanni    de' Medici,     e     del     cav. 
Giulio   de'  Medici,   i  quali  andavano 
a     visitare   in    Genova     la    propria 
sorella   Maddalena  Cibo;  e  siccome 
Giovanni   divenne   Leone  X,  e  Giu- 
lio  Clemente    VII,  si   rimarcò    poi 
questa  combinazione.    Benché  Ales- 
sandro  VI  prima  di   morire  ai 
esortalo   i    cardinali    a    non    ci 
Papa  il   cardinale,    come    narra    lo 
Spondano  all'anno    i5o3,  numero 
8,     e    ad   onta     della     potenza   del 
.  mimale   d'  Amboise   che 

al  triregno,  secondo  la  predizione  che 

s.    I  '1  11,.  esco    di     Paola    aveva    latto 

in  Francia  il  cardinal  della  Rovere, 

questi  nell'età  di  Sessanta  ami;,  nel 
pruno  giorno  di  conclave  nel  quale 
erano  entrati  tirntaeinque  o  tivn- 
t' utto    sacri    elettori,    e    pruni     clic 


1 58  GIÙ 

fosse    serrato,    fu    eletto    Pontefice 
nella  notte   dell'  ultimo    di    ottobre 
venendo  il  primo  novembre    i5o3, 
nel     quale    fu    confermato    co'  voti 
dello    scrutinio ,    fatto    nello    stesso 
giorno  d'Ognissanti.  Preso  il  nome 
di    Giulio    II  ,    fu    coronato    a'  26 
dello  stesso  mese,  e  a'  5  dicembre 
con     solenne    cavalcata    si    recò    a 
prendere  possesso  della    patriarcale 
basilica    lateranense.    Siccome    per- 
sonaggio di  grande  espettazione,   il 
suo  innalzamento  a    tutti    piacque. 
Con  lettere  circolari    avvisò    su- 
bito Giulio  II   i  sovrani    della  sua 
esaltazione     al     trono    pontifìcio,  e 
dell'animo  cb'egli    aveva    di  repri- 
mere ed  abbattere  l' impero    degli 
ottomani,  pel  quale  fine  pregò  cal- 
damente Ferdinando  V    ed   Isabel- 
la monarchi  di  Spagna,  che  doves- 
sero far    la  pace    col    re  di    Fran- 
cia, come  seguì   nell'anno  seguente; 
indi  a'26  dicembre,  come  dicemmo 
all'articolo  Dispense  celebri   (Vedi), 
concesse  ad  Enrico  VIII  re  d'  Inghil- 
terra di  sposare  la  cognata  Caterina 
d'Aragona.  Volendo  Giulio  II  purgare 
lo  stato  ecclesiastico  dai   piccoli  ti- 
ranni, e  ad    ogni    costo  ricuperare 
alla  Chiesa  romana  quanto   gli  era 
stato  tolto  de'suoi   dominii,  ammo- 
nì con  somma  piacevolezza  il  doge 
di  Venezia  Loredano  a  restituirgli 
Faenza,  Rimini,  Ravenna,    Cervia, 
ed  altri  luoghi  occupati  dai  veneti. 
Tenendo  prigione  in  caste!    s.  An- 
gelo Cesare  Borgia,  gli  intimò  che 
non  sarebbe    libero  se    non    resti- 
tuendo le  città  e  i  luoghi     che  a- 
veagli  dato  Alessandro  VI,  ciò  che 
ottenne  al   modo  detto    all'articolo 
Borgia  (redi),  ed  agli  altri  relati- 
vi. Richiamò  dall'esilio  i    Colonne- 
si,    e  maritò    Lucrezia    sua    nipote 
in  casa   Colonna  (Fedi),  con  quel- 
la dote  ivi  descritta,  mentre  in  ca- 


GIU 

sa  Orsini   maritò  Felice    sua  figlia 
avuta  in  gioventù.  Giulio  II,  ceden- 
do alle  istanze  di  Enrico  VIII,  fe- 
ce trasportar    le    ceneri    dello    zio 
Enrico   VI   nel  sepolcro    di  West- 
minster,  ed  ordinò  il  processo  per 
la  di  lui  canonizzazione,    e    cano- 
nizzò i  ss.  martiri    Giovanni ,    Be- 
nedetto ,  Matteo  ,  Isaac  ,    Cristino , 
Atanasio,    Lorenzo,     Regumilio    e 
compagni,  camaldolesi.    Nel     i5o5 
ricevette  le  ambascerie  obbedienzia- 
li    di    Manoello    re   di  Portogallo, 
cui  concesse  quanto  domandava,  del 
re    Enrico  Vili,  e    dei    veneziani. 
Essendo     guarito     prodigiosamente 
Luigi  XII   re  di  Francia  dopo  aver 
preso  la  ss.  Eucaristia,  con  questa 
il  Papa  fece  fare  solennissime  proces- 
sioni  in  quel  regno;  quindi  si  ral- 
legrò col  re  di  Spagna   per  le  vit- 
torie riportate  sui  saraceni    dell'A- 
frica, ed  a   suo    vantaggio    impose 
una  decima  sul  clero.  Emanò  Giu- 
lio II  una   celebre  costituzione  con- 
tro la    simoniaca  Elezione  del  Pon- 
tefice (Vedi),  ed  avendo  concepito 
con   la  vasta  sua   mente  la   sontuo- 
sa e  magnifica  riedificazione    della 
Chiesa    di    s.   Pietro    in    Vaticano 
(Vedi),  diede  ad  essa  principio,  e 
con   immense  spese  potè  vedere  l'e- 
difizio  assai  avanzato,    istituendovi 
la  cappella  de'cantori  per  lui  detta 
Giulia.     Confermò     ed  arricchì    di 
privilegi   l'ordine  de'minimi   di   san 
Francesco  di     Paola,    e    nel    i5o6 
determinatosi   Giulio  II  di  togliere 
Perugia  (Vedi)  ai  Baglioni,   e  Bo- 
logna (Vedi)  ai  Bentivoglio,  lascian- 
do legato  in  Roma  il    cardinal  ve- 
scovo di   Frascati,   preceduto    dalla 
ss.  Eucaristia   ne   partì    a' 23  ago- 
sto, e  vi  fece  ritorno   a'27    marzo 
dell'anno  seguente  in  trionfo,  dopo 
avere  ricuperato    alla    santa    Sede 
quelle  signorie. 


GIÙ 

Nel  i5o7  spedì  legati  all'impe- 
ratore Massimiliano  I,  ed  al  re  di 
Francia  per  pacificare  le  loro  diffe- 
renze, e  per  indurre  i  principi  ad 
intraprendere  la  sacra  guerra  con- 
tro il  turco.  Nel  i5o8  fece  rinno- 
vare la  Moneta  pontificia  [Fedi), 
e  dal  suo  nome  i  carlini  furono 
detti  giulii.  Intanto  in  Cambray 
{Vedi),  ebbe  luogo  la  famosa  al- 
leanza tra  il  Pontefice,  Massimi- 
liano I,  Luigi  XII,  e  Ferdinando  V 
contro  i  veneziani,  i  quali  ritenen- 
do sempre  le  città  e  luoghi  della 
Chiesa,  eransi  impadroniti  di  Trie- 
ste e  della  contea  di  Gorizia.  Ri- 
dotti i  veneti  alle  più  grandi  an- 
gustie per  l'interdetto  fulminatogli 
dal  Papa,  e  per  le  formidabili  for- 
ze, che  gravitando  su  loro  gli  ave- 
vano fatto  perdere  molte  città, 
sommessamente  invocarono  il  per- 
dono da  Giulio  II,  che  come  pa- 
dre comune  formalmente  li  assol- 
vette dalle  censure,  ritirandosi  dal- 
la lega  di  Cambray,  e  ricevendo  le 
citlà  e  luoghi  di  ragione  della 
Chiesa.  I  francesi  furono  di  ciò  alta- 
mente rammaricati,  presero  le  parti 
del  duca  di  Ferrara  che  ricusava  re- 
stituire a  Giulio  li  le  saline  di  Co- 
macchio,  e  contro  di  lui  rivoltarono 
le  loro  armi.  Per  meglio  attende- 
re a  quota  guerra,  il  Papa  dopo 
avere  scomunicato  i  suoi  nemici 
passò  a  Bologna,  ciò  che  disappro- 
vando alcuni  cardinali  lini  alla 
Francia  si  ribellarono,  e  nel  Con- 
ciliabolo di  Pisa  (fedi),  osarono 
deporre  dal  pontilìcato  Giulio  II. 
QlICSti  al  modo  che  dicemmo  al 
voi.  X,  pag.  io,  del  Dizionario  li 
depose  da  tutte  le  dignità,  e  pro- 
mulgò la  celebrazione  ilei  concilio 
generale  Laterancnx-  V  (ledi),  ove 
ossequiosa  concorse  tutta  la  distia- 
'•ita,  e    che  terminò    il     successore 


GIÙ  09 

Leone  X.  Non  avendo  fatto  Luigi 
XII  re  di  Francia  d  giuramento 
ed  omaggio  del  regno  di  Napoli, 
il  Papa  ne  investì  Ferdinando  V 
re  di  Spagna,  e  nel  i5ii  passò 
in  Ravenna.  Unite  le  milizie  papa- 
li alle  spagnuole,  inutilmente  assa- 
lirono Ferrara  ;  Bologna  cadde 
nelle  mani  de'  francesi ,  e  poco 
mancò  che  non  vi  restasse  prigio- 
niero lo  stesso  Giulio  II,  che  ad- 
dolorato della  caduta  di  Bologna, 
per  segno  di  mestizia,  o  per  infon- 
dere venerazione  si  lasciò  crescere 
la  barba.  Dimenticando  il  Papa  i 
pericoli  corsi,  alla  testa  delle  sue 
truppe  assediò  la  Mirandola,  e  ad 
onta  della  neve,  delie  fulminanti 
artiglierie  che  gli  uccisero  a'fianchi 
molli  suoi  domestici,  da  generale  vin- 
citore vi  entrò  per  la  breccia  ;  ma  Ra- 
venna ed  altre  città  furono  prese 
dai  francesi,  a  costo  di  gravissime 
perdite.  Tutte  queste  guerre  sono 
descritte  agli  articoli  Ferrara  , 
Francia,  Venezia,  ed  altri  analoghi. 
Pacificò  Giulio  II  le  potenti  fami- 
glie romane  de' Colonnesi  e  degli 
Orsini,  ed  in  memoria  dell'avveni- 
mento fece  battere    una    medaglia 

o 

monumentale. 

Mentre  il  Papa  proseguiva  la 
celebrazione  del  concilio  generale  , 
fece  lega  coi  re  d'  Inghilterra  e  di 
Spagna,  coi  veneziani  e  con  Massi- 
miliano I  contro  Luigi  XII:  patto 
che  s'intitolò  sacra  unione;  ed  ai 
pontificii  domimi  aggiunse  per 
convenzione  di  federazione,  Mode- 
na, Reggio,  Parma  e  Piacenza.  Ma 
nel  giugno  i5i2  Giulio  11  comin- 
ciò a  peggiorare  per  una  diarrea  , 
per  la  quale  lungamente  languì  : 
a'  17  agosto  aggravò  talmente,  che 
dopo  quattro  giorni ,  lu  creduto 
morto  per  più  ore,  onde  1'  .d>l>.itc 
Pompeo  Colonna  poi  cardinale,  iu- 


1 6o  GÌ  U 

citò  il  popolo  a  ricuperare  l'antica 
libertà.  Ritornato  il  Papa  in  sen- 
timenti, per  mezzo   d' una    persica 
datagli  dal   medico    Scipione    Lan- 
cellotti,    di  che  il  Marini    ne'  suoi 
archiatri  tom.  I,  pag.  292,  sembra 
dubitarne,  chiamò  a  sé   i  cardinali 
e   vietò  loro  di  dare   il  suffragio  a 
quelli  da   lui  deposti,  e  vedendo  il 
duca    d'  Urbino    Francesco    Maria 
della     Rovere    suo    nipote    pentito 
dell'uccisione  del  cardinal  Alidosio, 
lo  perdonò.   Ripigliando  il  Papa   le 
sue    antiche    occupazioni  ,    ma   con 
debole  salute,   ricadde  infermo,  e 
nella  notte  del   20   venendo    il   1 1 
febbraio  i5i3,  sulle  undici  ore,  do- 
po aver  nel   giorno  precedente    ri- 
cevuto con  segni  della  maggior  pie- 
tà  i  sagramenti,  e  regolato  a  san- 
gue freddo    l'ordine    de'  suoi    mo- 
desti   funerali ,    rese    il   suo  spirito 
al   creatore  in  età  di   settanl'anni , 
avendone  regnato  nove,  tre   mesi, 
e  ventun  giorno,    ne'  quali    in    sei 
promozioni  creò  ventisette  cardinali, 
compresi    diversi    suoi    parenti,  coi 
quali  fu  assai  benefico,  come  dicesi 
all'articolo  Rovere  Famiglia    (  Ve- 
di). Fu  sepolto  nella  basilica  vati- 
cana accanto  alle  ceneri  dello    zio, 
donde  fu  trasferito  nelle  sagre  grot- 
te secondo  alcuni,  e  non  nel  son- 
tuoso mausoleo  o    cenotafio     edifi- 
cato per  suo    ordine,  ammirandosi 
una  sola   delle  quattro    facce    in  s. 
Pietro  in  Vincoli,  del  quale,  cele- 
bre per  la  meravigliosa  statua  del 
Mosè  di  Michelangelo  Buonarroti  , 
ne  parlammo  ai  voi.   XII,  p.  297, 
e  XIII,  pag.   7   del    Dizionario.  Il 
mausoleo    era   stato    destinalo    per 
collocarsi  sotto  la  cupola   vaticana, 
ma  avendo  spaventato  chi    doveva 
spendere   al    compimento ,    per    la 
vastità  dell'impresa,   Paolo  III  sta- 
bilì che  in    forme  più    ristrette    si 


GIÙ 

collocasse  in  detta  chiesa,  e  si  ap- 
poggiasse a  quel  muro  dove  in  og- 
gi si  vede.  Fu  dunque  il  cadavere 
del  gran  Giulio  II  tumulato  dietro 
l'altare  della  cappella  fabbricala  da 
Sisto  IV,  ove  ora  sta  quella  del 
coro  presso  il  monumento  di  bron- 
zo da  lui  eretto  allo  zio,  il  cui 
cadavere  come  il  proprio  nel  i^iy 
furono  nel  sacco  di  Roma  dall'  e- 
sercito  di  Carlo  V  profanati,  e  spo- 
gliali dalla  feroce  cupidigia  de' sol- 
dati. Dipoi  considerando  Urbano 
Vili  che  il  monumento  era  d'im- 
pedimento al  capitolo  nel  giorna- 
liero esercizio  delle  sacre  funzioni, 
lo  fece  trasportare  nella  cappella 
del  ss.  Sacramento  in  un  alle  ce- 
neri di  Sisto  IV,  di  Giulio  II,  e 
dei  cardinali  Galeotto  Franciotti 
della  Rovere,  e  Fazio  Santorio  sen- 
za veruna  iscrizione.  Ma  d.  Pietro 
De  Tois  sagrestano  della  basilica 
compose  l'iscrizione  che  ricordando 
i  quattro  personaggi  fu  ivi  posta 
in  terra.  Appena  dunque  si  legge 
per  terra,  in  un  angolo  quasi  a 
tulli  ignoto,  il  nome  di  Giulio  II 
rinnovatore  dell'incomparabile  tem- 
pio, e  del  grandioso  mausoleo  che 
ivi  si  era  destinato. 

La  gloria  di  Giulio  II  era  giun- 
ta al  più  alto  suo  punto,  ed  avea 
oltrepassato  le  sue  speranze.  Egli 
avea  riempiuto  l'Italia  e  l'Europa 
tutta  del  tenore  del  suo  nome. 
Vide  prima  di  morire  a'  suoi  pie- 
di i  di  lui  più  potenti  nemici.  11 
cardinal  Filippo  di  Luxemburgo, 
già  con  lui  riconciliato,  gli  doman- 
dò supplichevole  la  pace  per  Lui- 
gi XII  re  di  Francia,  la  cui  mo- 
glie regina  Anna,  cui  il  solo  no- 
me di  scisma  agitava  l'animo  suo 
religioso,  con  il  duca  di  Valois  e« 
rede  presuntivo  della  corona,  gli 
scrissero  con  termini  pieni  di  som- 


GIÙ 

messione.     Tuttavolta     il     lugubre 
spettacolo  della  tomba  spandendo  i 
suoi   tetri  colori  su  tutti  gli  oggetti, 
che  per  lungo    tempo    lo    avevano 
agitato,  il  fece  spesso   ripetere,  nei 
suoi  ultimi  momenti ,    queste    me- 
morande   e    gravi  parole.  »   Fosse 
a  Dio  piaciuto  che  io  non  fossi  mai 
stato  Papa,  o  almeno  che  io  avessi 
voltato  tutte  le  forze  della   Chiesa 
contro    i    nemici    della    religione  ". 
Fu  Giulio  li    d'animo    invincibile 
nelle  avversità,    implacabile    co'  ri- 
belli, né  tollerava  di  essere  oltrag- 
giato. Era  insieme  liberale,  corte- 
se, fedele  nelle  sue  promesse ,    be- 
nigno,   magnifico,    costante,  ed    a- 
cerrimo  difensore  della  libertà    ec- 
clesiastica   e  della    dignità    papale. 
La    sua    memoria    fu  attaccata  da 
alcuni  scrittori,  sì  per  essere   stato 
contrario  a  Luigi    XII,    come  per 
aver  egli  con  ardore  intrapresa  più 
volte  la  guerra,    animandola    colla 
sua  stessa  presenza  in   guisa  ,    che 
diverse  volte  corse  pericolo   di  re- 
starvi prigione.  Ma  oltre  che  Giu- 
lio II  fu  dopo  morte  commendato 
altamente  nel  concilio  generale  la- 
teranense,  dell'una  e  dell'  altra  ac- 
cusa egregiamente  lo  difendono  al- 
tri autori  più  spassionati,  dimostran- 
dolo doppiamente  glorioso,  pel  sa- 
cerdozio   santamente    esercitato,    e 
pel  principato  valorosamente  soste- 
nuto.   L'Italia    riguarderà    sempre 
nel  magnanimo  Giulio  II  una  delle 
principali  sue  glorie,  e  ne  farà  van- 
to perenne.  Per  riguardo  alla  con- 
trarietà di  Giulio  li  al  re  di  Fran- 
cia, veggasi  il  Rinaldi  negli  strinali 
eccl.  all'anno   i5i3,  n.    11    e    12, 
dicendo    tra    le    altre    cose,  che  il 
Papa,  non  solo  i  francesi,  ma   ezian- 
dio i   tedeschi   e  gli  spagnuoli    vo- 
leva cacciare  d'Italia,    per    acqui- 
starsi   il    titolo    di  liberatore    della 
vot.  *x\i 


GIÙ  161 

penisola.  In  quanto  alle  guerre  sos- 
tenute da  Giulio  II,  il  ven.  card. 
Bellarmino,  De  polest.  sum.  Pont, 
in  reb.  temp.  adv.   Barclajum,  cap. 

I  1,  dimostra  che  da  lui  furono  fatte 
giustamente,  ed  egregiamente  con- 
futa le  false  accuse  degli  avver- 
sari suoi.  Fra  questi  uno  de'  più 
maledici  fu  Pietro  Soave,  nella  de- 
testabile sua  Storia  del  concilio  di 
Trento.  Inoltre  per  riguardo  ad  al- 
cune accuse  contro  Giulio  II  si  può 
vedere  Angelo  anacoreta  di  Yal- 
lombrosa  circa  l'anno  1 5 1  1  nel  suo 
Apologedcum  prò  Julio  Papae  II 
contro,  consilium  Decii  ad  S.  H.  E. 
cardinales,  senza  nota  di  tempo 
né  di  luogo  della  stampa.  Lo  com- 
menda parimente  Francesco  Guic- 
ciardini, non  ostante  l'essere  que- 
sto un  severo  censore  de'  romani 
Pontefici,  ma  non  lascia  di  scrive- 
re con  alcuni  francesi,  che    Giulio 

II  per  forza  di  regali  giunse  al 
pontificato,  della  qual  falsissima  ac- 
cusa lo  difende  giustamente  lo  Spon- 
dano  citato,  all'anno  i5o3,num.  8: 
a  tutta  sua  discolpa  basterebbe  la 
costituzione  Cimi  tarn  divino,  che 
pubblicò  contro  la  simoniaca  ele- 
zione del  Papa.  Scrisse  il  p.  Fo- 
resti, jMappam.  istor.  tom.  Ili,  pag. 
258,  essere  stato  Giulio  II  un  gran 
Pontefice  dato  da  Dio,  quale  ab- 
bisognava in  tempi  tali  alla  sua 
Chiesa;  perchè  alle  volte  per  ma- 
lizia degli  uomini  è  necessario  che 
il  Pontefice,  oltre  le  chiavi  delle 
indulgenze,  usi  la  spada  della  po- 
tenza. Certo  è,  che  talora  il  Pa- 
pa oltre  l' uso  della  potestà  di 
sciogliere  colle  indulgenze  od  altro, 
è  necessario  che  si  serva  anche 
della  potestà  di  legare  colle  cen- 
sure. 

In    mezzo   alle    gravi    cure    del 
sacerdozio  e  dell'impero,  della  pa- 
1 1 


ito  GIÙ 

ce  e  della  guerra,  in  mezzo  a  fa- 
mose imprese,  formidabili  e  terri- 
bili, sempre  però  indirizzate  ad  un 
fine  grande  e  lodevolissimo,  per  le 
alte  ragioni  di  principe  e  di  Pon- 
tefice, Giulio  II  non  dimenticò  le 
arti  e  le  lettere,  anzi  apri  loro 
nell'alma  Roma  un  asilo  più  splen- 
dido e  potente  che  non  avevano 
latto  i  suoi  predecessori.  Fu  egli 
il  primo  veramente ,  che  formò 
nella  sua  capitale  quel  gran  seg- 
gio delle  arti,  che  ancora  florida- 
mente vi  si  mantiene;  fu  egli  che 
incominciò  il  bellissimo  ed  aureo 
secolo,  che  poi  fece  così  glorioso 
il  pontificato  dell'immediato  suc- 
cessore Leone  X.  Il  pensiero  ar- 
duo e  vasto  di  demolire  la  vecchia 
basilica  vaticana,  e  d'innalzare  con 
tanta  maestà  e  ricchezza  la  nuova, 
fu  tutto  di  Giulio  II;  egli  inco- 
minciò l'augusta  opera,  ne  gettò 
le  fondamenta,  e  la  proseguì  con 
ardente  zelo.  Fu  Giulio  II  che  ab- 
bellì Roma  di  molte  opere  di  Bra- 
mante e  di  Michelangelo  ;  che  die- 
de a  Raffaello  la  commissione  di 
dipingere  le  stanze  in  Vaticano  5 
che  protesse  Baldassare  Peruizi , 
Giuliano  da  s.  Gallo,  e  tanti  alili 
di  non  peritura  fama.  Quanto  alle 
lettere,  benché  non  fosse  egli  dot- 
tissimo, formò  nondimeno  nel  suo 
palazzo  una  doviziosa  biblioteca 
particolare,  diversa  dalla  Vaticana: 
ebbe  carissimi  il  Bembo,  il  Casti- 
glione, il  Flaminio,  l'inghirami  che 
avanti  al  sagro  collegio  ne  pro- 
nunziò l'orazione  funebre,  ed  altri 
scienziati,  e  soleva  dire  che  le  let- 
tere sono  argento  agli  uomini  di 
professione,  oro  ai  nobili,  diamanti 
ai  princìpi.  Il  celebre  avv,  d.  Car- 
lo Fea  a'  nostri  giorni  pubblicò 
l'erudito  opuscolo  intitolato  :  No- 
tizie   intorno    Raffaele    Sanzio  da 


GIÙ 

Urbino,  ed  alcune  di  lui  opere, 
intorno  Bramante  Lazzeri,  Giulia- 
no da  s.  Gallo,  Baldassare  Pe- 
ruzzi,  Michelangelo  Buonarroti  e. 
Pirro  Lìgorio  come  architetti  di  s. 
Pietro  in  Faticano,  per  le  loro  e- 
poche  principalmente  ;  e  paragone 
relativamente  dei  meriti  di  Giulio 
II,  e  Leone  X  sul  loro  secolo,  Ro- 
ma 1822.  In  questo  opuscolo  nel- 
la parte  seconda,  pag.  44  e  seg- 
tratta  esclusivamente  del  delicato 
e  gravissimo  argomento,  parallelo 
di  Giulio  li  con  Leone  X,  dicen- 
do che  a  Giulio  II  deve  Roma  la 
reintegrazione  in  gran  parte  degli 
stati  temporali  della  santa  Sede,  e 
che  dovrebbe  reputarsi  terzo  suo 
fondatore.  A  lui  doversi  il  mira- 
colo delle  arti  nella  basilica  vati- 
cana, opera  com'egli  l'appella  del 
secolo  e  di  tutti  i  secoli  passati , 
presenti  e  futuri;  per  lui  tanti  su- 
bliinf  geni  artistici  poterono  svi- 
luppare felicemente  il  loro  ingegno, 
e  prodursi  con  mirabili  opere.  A 
Giulio  II  doversi  il  cortile  di  Bra- 
mante in  Vaticano,  e  l'unione  del 
palazzo  pontificio  con  Belvedere; 
i  primi  elementi  del  museo,  sicco- 
me conservatore  de'  più  rari  mo- 
numenti, con  situare  in  Vaticano 
il  Laooconte,  l'Apollo,  il  torso  di 
Ercole,  l'Arianna  dormente,  l' Er- 
cole Commodiano,  Saliustia  in  for- 
ma di  Venere  ec.  A  lui  doversi  il 
condotto  sotterraneo  che  da  s.  An- 
tonino porta  l' acqua  al  giardino 
vaticano  e  al  cortile  di  s.  Dama- 
so  ;  chiese,  monisteri,  palazzi,  la 
curia  e  annesse  fabbriche  a  strada 
Giulia;  questa  strada,  quella  dei 
Banchi  ed  altre  ;  l'acquedotto  del- 
l'acqua Vergine  restaurato,  cloache, 
fontane,  opere  in  marmo,  in  bron- 
zo ;  la  zecca  in  Banchi  ove  fu  bat- 
tuto il  giulio    e  il    grosso    per    la 


GIÙ 

prima  volta.  A  lui  doversi  le  fab- 
briche di  s.  Pietro  in  Vincoli,  a'ss. 
XII  Apostoli,  a  s.  Agnese  fuori 
delle  mura,  nella  s.  Casa  di  Lore- 
to, la  fortezza  di  Civitavecchia  ed 
altre  opere  pubbliche,  tutte  o  ese- 
guite di  nuovo  con  celerità  sor- 
prendente, o  da  lui  restaurate.  Sog- 
giunge che  in  morte  lasciò  cinque 
milioni  di  ducati  d'oro,  onde  Leo- 
ne X  potè  largheggiare  profusa- 
mente in  munificenze  coi  letterati 
e  cogli  artisti,  continuando  le  im- 
prese del  predecessore,  come  l'edi- 
ficio dell'archiginnasio  romano  in- 
cominciato da  Alessandro  VI.  Fi- 
nalmente il  Fea  difende  Giulio  II 
dai  sarcasmi  dei  suoi  nemici,  ven- 
dica molte  delle  sue  opere  attri- 
buite a  Leone  X  da  Roscoe  ed  al- 
tri scrittori,  fa  il  confronto  delle 
azioni  de'  due  Pontefici ,  e  tutto 
con  le  debite  prove,  conchiuden- 
do che  il  pontificato  di  Giulio  li 
fu  la  vera  epoca  del  risorgimento 
e  della  grandezza  stabile  di  Roma, 
e  che  il  secolo  XVI  doveva  por- 
tare il  nome  di  Giulio  non  di  Leo- 
ne. Siccome  tutti  i  paragoni  e  con- 
fronti sono  per  natura  loro  odio- 
si, il  eh.  Kiccola  scrisse  contro  l'ar- 
gomento del  Fea  la  Lettera  al  si- 
gnor avv.  Carlo  Fea  commissario 
delle  antichità,  sul  di  lui  parallelo 
di  Giulio  II  con  Leone  X,  Roma 
1822.  Vacò  la  santa  Sede  dieci- 
sette giorni.  ^ 
GIULIO  III,  Papa  CCXXXI. 
Giovanni  Maria  Ciocchi,  detto  co- 
munemente del  Monte,  dalla  patria 
de'  suoi  maggiori,  chiamata  Monte 
Sansovino  nella  diocesi  d'Arezzo, 
per  cui  è  anche  considerato  areti- 
no. Nacque  a'  ir)  settembre  1  jS~ 
in  Roma,  nel  rione  di  Pai  ione,  pres- 
so le  case  dc'Millini,  da  Vincenzo 
famoso  giureconsulto ,    e    avvocato 


GIÙ  i63 

facondo  nella  curia  romana,  ove 
ancora  era  stato  celebre  avvocato 
concistoriale  suo  padre  Fabiano 
Ciocchi.  La  madre  di  Gio.  Maria 
fu  Cristofara  Saracini  o  Saraceni, 
dama  sanese.  Per  opera  del  cardi- 
nal Antonio  suo  zio,  in  Perugia  ed 
in  Siena  dov'ebbe  per  maestro  Lan- 
cellotto  Politi,  detto  poi  fr.  Am- 
brogio Caterino  domenicano  che  di 
venticinque  anni  era  stato  fatto 
lettore  di  quella  università,  si  ap- 
plicò allo  studio  delle  leggi  e  del- 
l'eloquenza, nella  quale  fece  tanto 
profitto,  che  quantunque  ancor 
giovane  potè  recitare  nella  quinta 
sessione  del  concilio  generale  La- 
teranense  V  un'  elegante  orazione 
avanti  Giulio  II,  per  cui  si  guada- 
gnò la  grazia  di  tutti  i  cardinali, 
e  la  protezione  del  Pontefice.  Que- 
sti, essendo  Giovanni  d'anni  venti- 
tre, nel  i5i2  lo  fece  arcivescovo 
di  Manfredonia  per  rinunzia  del- 
lo zio ,  che  pure  dopo  ott'  anni 
con  beneplacito  di  Leone  X  gli 
rassegnò  la  chiesa  di  Pavia,  che 
governò  per  lo  spazio  di  trenta- 
due  anni,  con  singoiar  zelo,  somma 
rettitudine,  e  soddisfazione  genera- 
le. Divenne  vicelegato  di  Romagna, 
indi  di  Perugia,  e  nel  pontificato 
di  Clemente  VII  due  volte  gover- 
natore di  Roma,  nell'eccidio  della 
quale  pel  famoso  sacco,  come  uno 
de'peisonaggi  più  ragguardevoli,  fu 
dato  in  ostaggio  a'  nemici,  salvan- 
do la  vita  per  una  cappa  del  cam- 
mino, al  modo  narrato  nel  volu- 
me VII,  p.  193  del  Dizionario, 
ove  pur  dicemmo  della  chiesi, 
perciò  da  lui  eretta  in  onoro  «li 
s.  Andrea  fuori  della  porta  Fla 
minia,  o  del  Popolo.  Paolo  111, 
die  per  la  virtù  e  per  l'eloquen- 
za  ili    Giovanni  lo  amava   estrema- 

mente  lino  dalla  gioventù,  lo  mau- 


164  GIÙ 

dò  ad  incontrare  Carlo  V  in  Ter- 
ragna, che  dopo  la  vittoria  di 
Tunisi  portavasi  in  Roma,  lo  no- 
minò vicelegato  a  Bologna,  lo  fe- 
ce amministratore  della  chiesa  di 
Polignano  da  lui  governata  per 
un  anno,  indi  lo  chiamò  in  Roma 
e  promosse  ad  uditore  della  came- 
ra, carica  che  sostenne  con  singo- 
iar lode,  finché  a'  22  dicembre 
i536  lo  creò  cardinale  prete  di  s. 
Vitale  in  Vestina,  indi  di  s.  Pras- 
sede,  e  nel  1 543  vescovo  di  Pa- 
lestina. Lo  stesso  Pontefice  lo 
nominò  legato  di  Bologna  e  di 
Romagna,  che  avea  separate  da 
Ravenna;  ed  anche  lo  fece  pre- 
siedere in  qualità  di  legato  alle 
città  di  Parma  e  Piacenza,  nel 
qual  tempo  ridusse  all'  ubbidienza 
della  Sede  apostolica  la  città  di 
Rimini,  e  compose  le  civili  discor- 
die che  ne  turbavano  la  quiete, 
fomentate  principalmente  dalle  no- 
bili famiglie  Gualdi  e  Tingoli.  In- 
oltre Paolo  III  lo  deputò  legato 
apostolico  e  primo  presidente  al 
concilio  di  Trento,  insieme  coi 
cardinali  Cervini  e  Polo.  In  tut- 
te queste  gravi  incumbenze  di- 
mostrò il  cardinal  del  Monte  tan- 
ta giustizia,  diligenza,  fedeltà,  ed 
accortezza,  che  per  molti  anni  fu 
stimato  non  esservi  il  simile  nella 
corte  romana,  ove  pure  riformò  col 
cardinal  Guidiccioni  il  sacro  tri- 
bunale della  rota. 

Per  morte  di  Paolo  III  entrati 
i  cardinali  in  conclave,  le  cui  par- 
ticolarità narrammo  ai  voi.  XV, 
p.  286,  e  XXI,  p.  241  del  Dizio- 
nario, dopo  aver  papeggiato  i  car- 
dinali Polo,  Toledo,  Cervini,  Sal- 
viati,  e  Carpi,  fuori  d'ogni  speran- 
za i  sacri  elettori  rivolsero  con- 
cordi tutti  i  loro  47  °  4^  vot' 
«ella  persona  del  cardinal  del  Mon- 


GIU 

te,  al  quale  erano  prima  contrari 
gl'imperiali  i  francesi  e  i  farnesiani  ; 
e  per  opera  principalmente  dei  cardi- 
nali di  Guisa,  di  Ferrara,  e  Crescen- 
zi,  conchiusero  la  di  lui  elezione  ai  7 
febbraio,  venerdì,  a  tre  ore  di  not- 
te, dell'  anno  i55o,  essendo  egli 
nell'età  d'anni  sessantadue.  Assun- 
se il  nome  di  Giulio  III,  a'  22 
dello  stesso  febbraio  fu  coronato 
dal  cardinal  Cibo  primo  diacono, 
ed  a' 24  giugno,  festa  di  s.  Giovan- 
ni, prese  solenne  possesso  nella 
basilica  Lateranense ,  e  passò  a 
desinare  ed  a  dormire  la  notte 
in  Castel  s.  Angelo.  Nel  primo 
giorno  del  pontificato  levò  la  ga- 
bella del  macinato,  e  quella  sui 
contratti,  oltre  la  munifica  libera- 
lità che  usò  verso  il  popolo  ro- 
mano, e  verso  i  cardinali  che  lo 
avevano  esaltalo,  come  narra  il 
Rinaldi  a  detto  anno,  num.  4;>n* 
di  nell'anno  seguente,  per  la  care- 
stia, ordinò  che  il  grano  fosse 
venduto  a  prezzo  determinato,  re- 
stando così  delusi  gli  speculatori  che 
lo  avevano  riposto,  al  dire  del 
Rinaldi  num.  7.  Fra  le  prime  cure 
di  Giulio  HI  diremo  ch'egli  volle  ce- 
lebrare Y^nno  Santo  decimo,  pro- 
mulgato dal  predecessore,  prese  le  a- 
naloghe  provvidenze,  ed  aprì  la  porta 
santa  a'24  febbraio;  ed  in  esso  si 
pose  in  esercizio  per  la  prima 
volta  la  benemerita  arcicon frater- 
nità della  ss.  Trinità  de'pellegrini. 
Indi  restituì  ad  Ottavio  Farnese 
lo  stato  di  Parma  {Vedi),  con 
la  condizione  di  non  ammettervi 
esteri  presidii,  assegnando  duemila 
scudi  al  mese,  onde  potesse  meglio 
difendersi;  e  lo  confermò  vessilli- 
fero di  s.  Chiesa  ;  restituì  alla 
grazia  della  santa  Sede  Ascanio 
Colonna,  e  Ridolfo  Baglioni.  Ema- 
nò saggie    disposizioni  sugli  eretici 


GIÙ 

che  differivano    la    loro  conversio- 
ne, e  pel  primo  fece  una  generale 
proibizione  dei    libri   ereticali.    Di 
nuovo   convocò  il  concilio   genera- 
le in    Trento,  che  Paolo  III  aveva 
trasferito  a  Bologna,  cui  spedì  per 
legato  il    cardinal  Crescenzi,  e  per 
nunzi  due  vescovi,  Pighini   di  Man- 
fredonia e    Lipoman    di   Verona  ; 
ma  fu  interrotto  nel   i552,  sì  per 
la  guerra  di  Parma,  dichiarata  dal 
Papa    e   da   Carlo    V    imperatore 
ad  Enrico  II  re  di  Francia  perchè 
collegato  con  Ottavio  Farnese,  co- 
me per    quella    che   i    luterani  a- 
veano  in  unione  di  detto  re  dichia- 
rata a  Carlo    V.  In  questa    circo- 
stanza, nella  dieta  di  Passavia,  l'im- 
peratore    fu     obbligato   alla     pace 
religiosa,    per    la    quale  accordò  il 
libero    esercizio    alla    pretesa    reli- 
gione   riformata.   Giulio  III   rilegò 
a    Firenze    il    cardinale    Farnese, 
zio    del    duca    di     Parma ,    il    cui 
stato  in    un     alla    Mirandola    sog- 
giacque  al    ferro  ed    al    fuoco,  or 
luna,  or  l'altra    delle  parti     pre- 
valendo, e  più  spesso  i  francesi  con 
perdita    delle    milizie    pontifìcie.    I 
francesi    fecero    una    diversione  in 
Piemonte,  per  cui  Ferdinando  Gon- 
zaga,   lasciata    l'impresa  di  Parma 
al    marchese   di  Marignano,  vi  ac- 
corse.  Il  Pontefice  di  natura  beni- 
gno, ascoltò  le  proposizioni  di  pace 
e    vi  convenne,    quando    ciò  igno- 
randosi   alla    Mirandola  ,  in  un'  a- 
zione    vi  morì  il    suo    nipote  Gio. 
Battista  Ciocchi.  Per  questa  guer- 
ra il    Papa  si    trovò    costretto  ad 
imporre    nuovi    dazi    ai    suoi  sud- 
diti che  perciò  mormorarono.   Sti- 
mando Giulio  III  suo  debito  prov- 
vedere alla   •vacillante  religione  cat- 
tolica in  Germania,  per  mezzo    di 
s.   Ignazio  Loiola  fondò    in  Roma 
il   Collegio   Cer manico  (T'ali),  che 


GIÙ  i65 

affidò  alla  direzione  del  santo,  ed 
ai  gesuiti  da  esso  istituiti,  che  il 
Papa  confermò,  e  colmò  di  lodi 
e  di  grazie,  concedendo  ai  mede- 
simi gesuiti  la  penitenzieria  di 
Loreto.  Nel  i553  avendo  i  sane- 
si  cacciati  gli  spagnuoli  dalla  città 
e  fortezze,  si  diedero  al  re  di  Fran- 
cia, onde  Carlo  V  spedì  in  To- 
scana un  esercito,  che  dovendo  pas- 
sare per  lo  stato  ecclesiastico,  i 
confini  furono  guarniti  con  otto- 
mila uomini  dal  Pontefice,  e  pas- 
sò a  Viterbo  per  conciliare  le  par- 
ti. Non  essendogli  riuscito,  tornò 
in  Roma,  e  soccorse  contro  i  sane- 
ni  il  duca  di    Toscana  Cosimo  I. 

Con  bolla   vietò    Giulio    III  che 
contemporaneamente  vi  fossero  nel 
sacro  collegio  due  fratelli    cardinali. 
Severamente  proibì  il  Talmud,  em- 
pio libro  degli  ebrei,  contenente  cose 
indegne,  contrarie  alle  leggi  divine 
ed  alla  fede  ortodossa,  determinan- 
do alcune  provvidenze  sui  beni  di 
quegli  ebrei  che  si  convertissero,  co- 
me per  gl'infedeli.  Nel    i553  con 
paterna  gioia  accolse  Simone  Sala- 
ca  monaco    basiliano ,    e    patriarca 
eletto  dell'oriente,  spedito  in  Roma 
dai  popoli  nestoriani  per  essere  dal 
Papa  confermato  e  consacrato,  co- 
me fece,  rimandandolo    alla  patria 
colmo    di    contentezza   e   di    doni  ; 
ma  dipoi    nel    i555    la    morte   gli 
impedì  di  ricevere  una  solenne  am- 
basceria di    Maria    regina    cattolica 
d' Inghilterra,  la  quale  restituiva  il 
regno  all'obbedienza  della  santa  Se- 
de, per  la  quale  molto  aveva  ope- 
rato il  Pontefice.    Riformò    la    da- 
teria   apostolica,  e  con  l'aiuto    del 
cardinal    Cervini    il    sacro  collegio, 
laonde  ordinò  che  i  cardinali    non, 
potessero  governare  piìi  d'  una  chie- 
sa, e  dentro  sei  mesi  rinunziassero 
le  altre;  assolvette  Carlo  V  per  le 


i66  GIÙ 

decime  esatte  sulla  Sicilia,  e  non 
erogate  per  la  guerra  d'  Africa  ; 
proibì  ai  secolari  d' intromettersi 
nei  punti  d'  eresia  ;  beatificò  il  do- 
menicano Gondisalvo  portoghese  , 
ma  il  Lambertini  ciò  attribuisce  a 
Pio  IV;  canonizzò  s.  Silvestro  mo- 
naco basiliano,  ed  istituì  la  sede 
vescovile  di  s.  Salvatore  nel  Bra- 
sile. Esortò  il  re  di  Polonia  a  re- 
primere gli  eretici  ;  sostenne  1'  ec- 
clesiastica immunità  nella  Spagna 
e  nella  Corsica  ;  ristabilì  il  concor- 
dato di  Nicolò  V  co' tedeschi;  coin* 
pose  i  tumulti  del  regno  di  Napo- 
li cagionati  dal  pretendere  il  fisco 
regio  impadronirsi,  come  nella  Spa- 
gna, de'beni  confiscati  agli  eretici 
dalla  inquisizione,  con  prescrivere 
ch'essi  si  applicassero  ai  parenti 
più  prossimi  ;  e  riprese  l'ambizione 
dei  regolari  che  brigavano  per  es- 
sere esaltati  alle  mitre.  Per  riguar- 
do alla  pace  d' Europa  più  volte 
vi  esortò  Carlo  V,  ed  Eurico  II, 
offrendosi  a  mezzo  dei  nunzi  per 
mediatore.  Per  comporre  le  guerre 
de'  sanesi  inviò  legati  in  Toscana 
i  cardinali  Cornaro  e  Gaetani.  Al- 
la medesima  pace  esortò  con  som- 
ma premura  il  viceré  di  Napoli, 
del  qual  regno  die  poi  nel  i555 
l' investitura  a  Filippo  II,  per  la 
cessione  fattane  dal  di  lui  padre 
Carlo  V.  Istituì  in  Roma  l' arci- 
confraternita  del  s.  Sepolcro ,  e 
scrisse  a  tutti  i  principi  cattolici, 
esortandoli  a  somministrare  limo- 
sine  per  la  restaurazione  delle  chie- 
se cristiane  nella  Soria.  Confermò 
agli  avvocati  concistoriali  l' antico 
privilegio  di  conferire  il  grado  di 
dottore,  dal  qual  collegio  erano 
usciti  l'avo,  il  padre,  e  secondo 
alcuni  egli  ancora.  Rifece  il  ponte 
palatino,  detto  Rotto  perchè  subito 
roviuò  a  cagione  della  poca  solidi - 


GIÙ 

tà.  Edificò  fuori  della  porta  Fla- 
minia la  villa  detta  la  Vigna  di 
Papa  Giulio,  di  cui  parleremo  al- 
l' articolo  Ville  di  Roma  ;  e  pel 
vescovo  di  Sebaste  fece  consacrare 
la  chiesa  di  s.  Maria  degli  Angeli. 
Dopo  aver  creato  in  quattro  pro- 
mozioni venti  cardinali,  e  regnato 
cinque  anni,  un  mese  e  sedici  gior- 
ni, in  età  di  circa  sessant'  otto  an- 
ni rese  lo  spirito  al  creatore,  sulle 
ore  io  de' a3  marzo  i555,  e  fu 
sepolto  nelle  grotte  vaticane  ,  al 
modo  detto  al  voi.  XII,  p.  298 
del   Dizionario. 

Era  Giulio  III  di  statura  gran- 
de, di  barba  folta  e  lunga,  di  oc- 
chi vivaci,  di  naso  lungo,  e  di 
sembiante  alquanto  grave;  ma  di 
animo  benigno,  generoso,  retto,  ed 
amante  della  giustizia  e  della  pace, 
alle  quali  virtù  univa  la  dottrina 
e  l'eloquenza.  Fu  particolarmente 
liberale  coi  cardinali,  in  maniera, 
come  osserva  1'  Oldoino  in  Ciacco- 
nio  tom.  III,  p.  7 £6,  che  se  qual- 
che giorno  passava  senza  aver  fatto 
ad  essi  una  grazia  singolare,  non 
poteva  prendere  sonno  nella  notte 
seguente:  non  usò  minor  liberali- 
tà co'  suoi  nemici ,  come  ebbe  a 
provare  il  vescovo  di  Pavia  Giro- 
lamo Rossi;  ed  al  cardinal  Ma- 
drucci  vescovo  di  Trento,  che  men- 
tre si  celebrava  il  concilio  lo  avea 
maltrattato,  non  solo  gli  fece  dare 
diecimila  scudi  che  per  certe  spe- 
se non  avea  potuto  ottenere  da 
Paolo  III,  ma  gliene  donò  altret- 
tanti, come  narra  il  Rinaldi  all'an- 
no i55o,  num.  4-  Vogliono  alcuni 
scrittoli  accusarlo  che  non  avesse 
corrisposto  con  Io  stesso  fervore 
negli  ultimi  anni  del  suo  pontifi- 
cato, al  zelo  che  da  cardinale  ave- 
va dimostrato  per  la  conservazione 
e   dilatazione    della    fede   cattolica , 


G  IU 

poiché,  concessi    dicono,    tutto    si 
occupava   ne'  divertimenti   della  sua 
villa,  alla  quale    spesso    si    portava 
co' cardinali,  a   passar  il   tempo    in 
banchetti   ed    in   allegria,  onde  tal- 
volta    rispondeva     lepidamente    ai 
cursori    quando    gli    domandavano 
se  eravi   concistoro,  Io  che  narram- 
mo al   voi.   XV,    199  del   Diziona- 
rio.  I\Ja  s'  egli   nella   villa  si    pren- 
deva qualche  sollievo,   non  lasciava 
di   procurare  con   impegno  la   buo- 
na   amministrazione    del    suo   apo- 
stolico   ministero.    Al    dire    del    p. 
Berthier  fu   Giulio   111   poco  rispet- 
talo dalla  sua    corte ,    perchè    non 
aveva  bastevole  gravità    nel   tratto, 
e  poco  dispiacque  la  sua   morte  ai 
sudditi,  perchè  li  caricò    d' imposi- 
zioni.  La  troppa  affezione  pei  suoi 
parenti,  e    la    troppo    poca    dignità 
nella  sua  condotta,   fecero  porre  in 
di»bbio  se   i    difetti    superavano    in 
lui   le  belle  doti   di  cui  era   ornato. 
Fu  per   altro,    soggiunge    lo    stesso 
p.    Berlhier,    un    Pontefice    zelante 
per  la  Chiesa,  ed  un  principe  a  cui 
non   mancavano   né    talenti    né    vi- 
ste.  II  Bercastel   poi    lo  dà  per  uno 
di  que' geni   subalterni,   che   brilla- 
no nel  secondo   rango,  e  s'eclissano 
nel   primo  ;   anima   di   tempra  sana, 
ma  di  corta  sfera ,    nata    per    ese- 
guire, ina  non  per  comandare.  Ma 
va  osservato,  che  coloro    che  sono 
elevati   in  dignità,  sono  soggetti  or- 
dinariamente a    vedersi    amplificati 
o  diminuiti   nei   difetti   e   nelle   vir- 
tù dai   sudditi  ,    e    particolarmente 
dai   partigiani   o  dai   nemici. 

Diverse  cagioni  della  sua  morte 
riportano  gli  scrittori  contempora- 
nei o  piìi  vicini  a'  quei  tempi,  e 
non  certamente  di  poltroneria  ed 
infingardaggine,  come  leggesi  nello 
Sfondano  all'anno  l555,  num.  4, 
e  nel  citato  Oldoino  a  p.    'J^\:  la 


GIÙ  167 

vera    causa    della    morte    di    Giu- 
lio III   fu   la  podagra,  cui  soprag- 
giunse la  febbre  che  in  pochi  giorni 
l'uccise,    siccome    è    descritto    nel 
diario  del   MassareHi  eh' è    nell'ar- 
chivio   vaticano,    arm.    LXI,    tomo 
XCI.   11  Panvinio  nella  di  lui  vita 
attribuisce  la   morte  al  cambiamén- 
to  della    maniera  di  vivere,  al  qua- 
le imprudentemente  lo  consigliaro- 
no  i   medici  per  salvarlo  dai  dolori 
intollerabili   della    podagra    che    lo 
tormentavano  a  segno,  che  in  tut- 
to   l'anno    santo    i55o    non    potè 
assistere  alle  sagre  funzioni  ,   come 
scrisse  il  Febei  ,  De   anno  jubilaci 
par.   II,  cap.  X,   p.    1 73.  Dalla  po- 
dagra  fu  poscia    di    frequente    tra- 
vagliato, massime  nell'  ultimo  anno 
di    sua    vita ,    che    lo    molestò  dal 
maggio  al   settembre,  e  poi  rinno- 
vatasi con   la   febbre  il  condusse  al 
sepolcro.  Altri   dicono,  che    veden- 
dosi Giulio  III  continuamente  pres- 
sato da    Baldovino    suo    fratello    a 
dargli   il  ducato  di  Camerino,  e  sa- 
pendo che    i    cardinali    erano  con- 
trari, si   tìnse   malato  per  non  con- 
vocare il  concistoro,  e  siccome  pri- 
ma gli   piacevano   i   cibi  grossolani, 
come    le    cipolle    grandi  di    Gaeta, 
per  far  credere    il   suo   mal    essere 
cominciò  ad  usar  parcamente  di  ci- 
bi delicati,  per  la  qual    mutazione 
contrasse    il    male    che    disprezzato 
in   principio  lo  condusse  alla  tom- 
ba.  Questo  Baldovino    a'  25  luglio 
i55o  ebbe  dal  duca  Cosimo  I,  con 
titolo  di   marchesato,  la  nativa  tu- 
ia di  Monte  Sansovino,    onde  per 
gratitudine   Giulio    HI    lo    soccorse 
contro  i  sanesi,  benché  gallese   1   - 
se  la   madre.   Allora    il   duca  diede 
una   sua   figlia   in   isposa  a  Fabiano 
del    Monte,   figlio    bastardo  di   Bal- 
dovino, e  dal   Papa    legittimato    ai 
i3   maggio    i5").>.   la    qual    princi- 


i68  GIÙ 

pessa  rimasta  vedova  passò  a  secon- 
de nozze,  con  Alfonso  duca  di  Ferra- 
ra, come  abbiamo  dal  Ciacconio, 
Vit.  Pont.  tom.  Ili,  col.  746.  Dal 
medesimo  Baldovino  nacque  Gio. 
Battista  del  Monte  summentovato, 
eh'  ebbe  per  moglie  Ersilia  Corte- 
se, figlia  naturale  di  Jacopo  Cor- 
tese nobile  modenese,  la  quale  go- 
dè in  Roma  una  grande  autorità 
in  tempo  di  Giulio  III,  ed  anche 
dopo,  come  lungamente  dimostra  il 
Tiraboschi,  scrivendone  la  vita  nel- 
la Biblioteca  modenese ,  tom.  II , 
p.    167. 

Inoltre  Giulio  III  creò  cardi- 
nali i  seguenti  suoi  parenti.  Pel 
primo  elevò  al  cardinalato  Inno- 
cenzo del  Monte,  di  bassa  condi- 
zione, perchè  figlio  d'un  bombar- 
diere della  rocca  di  Forlì  al  ser- 
vizio di  Baldovino  suddetto,  che 
n'era  veramente  il  padre,  e  perciò 
dopo  la  morte  dell'unico  figlio  Gio. 
Battista  legittimato,  ma  fece  una 
cattiva  riuscita.  Cristoforo  del  Mon- 
te, cugino  di  Giulio  III,  che  l'a- 
dottò nella  propria  famiglia,  e  me- 
ritamente lo  creò  cardinale.  Fulvio 
della  Cornia,  nobile  perugino,  figlio 
di  Giacoma  sorella  del  Papa,  il  qua- 
le lo  creò  cardinale,  eoj  egli  se  ne 
mostrò  degno.  Roberto  de' Nobili, 
nobile  di  Monte  Pulciano,  figlio  di 
Lodovica  sorella  del  Pontefice,  che 
lo  annoverò  al  sacro  collegio  di 
cui  divenne  il  principale  ornamen- 
to, e  fu  chiamato  V  Angelo  del  Si- 
gnore. Girolamo  Simone  fili,  nobile 
d'Orvieto,  figlio  di  Girolaina  so- 
rella di  Giulio  III,  che  l'innalzò 
al  cardinalato,  in  cui  visse  sessan- 
tanni. Questi  cinque  cardinali  furo- 
no creati  quasi  tutti  in  giovanile  età, 
ed  alle  loro  biografie  se  ne  ripor- 
tano le  notizie.  Nella  chiesa  di  s. 
Pietro  Montoiio  di  Iloma    vi  è  la 


GIÙ 

cappella  della  famiglia  del  Monte, 
architettata  e  dipinta  da  Giorgio 
Vasari,  che  descrivemmo  al  voi. 
XII,  p.  2  34  del  Dizionario.  Vacò 
la  santa  Sede  sedici  giorni. 

GIULIO,  Cardinale.  V.  s.  Giu- 
lio 1  Papa. 

GIULIO,  Cardinale.  Giulio  fu 
da  Celestino  II  nel  di  delle  Ceneri 
1 144  creato  cardinale  prete  del 
titolo  di  s.  Marcello,  indi  venne  da 
Alessandro  III  nel  1  1 58  trasferito 
al  vescovato  di  Palestrina.  Adriano 
IV  lo  dichiarò  legato  apostolico,  e 
lo  spedì  con  altri  due  cardinali  a 
Guglielmo  re  di  Sicilia,  per  pacifi- 
carlo con  la  santa  Sede,  ciò  che 
conchiuse  in  Benevento,  ma  fu  ori- 
gine delle  dissensioni  tra  il  Papa 
e  Federico  I  imperatore.  Il  cardi- 
nale restò  costantemente  fedele  ad 
Alessandro  III ,  il  quale  lo  inviò 
con  Pietro  cardinale  di  s.  Eusta- 
chio nell'  Ungheria  per  guadagnare 
quella  nazione  al  partito  del  le- 
gittimo Pontefice ,  come  gli  riuscì 
ottenere  colla  robustezza  di  sua 
eloquenza ,  e  colla  efficacia  degli 
argomenti  e  delle  ragioni  ;  dalle 
quali  mosso  quel  sovrano,  detesta- 
to lo  scisma  dell'antipapa,  riconob- 
be Alessandro  III  per  vero  capo 
visibile  della  Chiesa  cattolica.  Quan- 
do poi  il  Pontefice  fu  costretto 
fuggire  da  Roma  nel  i  161,  stabilì 
il  cardinale  suo  vicario  nell'  alma 
città,  la  quale  in  tempi  torbidi  e 
di  fazioni ,  fu  da  lui  regolata  con 
tal  prudenza  e  moderazione ,  che 
nella  sua  morte  il  popolo  romano, 
per  dare  un  pubblico  attestato  del 
suo  dolore,  comparve  per  tre  gior- 
ni vestito  a  lutto.  Contribuì  col 
suo  voto  alla  esaltazione  di  Lu- 
cio II,  Eugenio  III,  Adriano  IV  ed 
Alessandro  III;  e  pieno  di  meriti 
e  di  gloria  cessò  di  vivere   iu  Ro- 


GIÙ 

ma  nel  i  164,  o  nel  11  Gì»  secondo 
alili.  Il  Labbé  nella  collezione  dei 
concilii  riporta  un  concilio  celebra- 
to da  questo  cardinale  nella  città 
di  Foligno. 

GIULIOPOLI,  Juliopolìs.  Città 
vescovile  della  prima  Galazia,  nel- 
la diocesi  di  Ponto,  sotto  la  me- 
tropoli d'  Andra,  eretta  nel  VI  se- 
colo. Si  pone  nella  Bitinia,  e  si 
chiamò  da  altri  Gordo,  Gordiuco- 
me,  o  Juliogordus  :  Commanville 
la  denomina  Wopolis,  o  Heliopo- 
lis.  Il  fiume  Sangar  scorreva  anti- 
camente sotto  le  sue  mura ,  ma 
l'imperatore  Giustiniano  fece  in- 
nalzare un  argine  che  allontanollo 
di  più  di  5oo  piedi.  La  Notizia  di 
Filippo  di  Cipro  nota  che  Hielo- 
polis  e  Basilea  sono  la  medesima 
sede;  e  nel  diritto  greco  romano 
la  seconda  è  marcata  per  la  XXVIII 
metropoli.  L'  imperatore  Costanti- 
no Duca  gli  accordò  tale  distinzio- 
ne, di  cui  però  subito  la  privò. 
Avendo  Tarso  tenuto  le  parli  di 
Giulio  Cesare,  e  poi  del  nipote  Ot- 
taviano, fu  detta  anche  Giuliopoli, 
come  dice  il  Rinaldi  all'an.  58, 
n.  i4&-  Si  conoscono  undici  ve- 
scovi che  occuparono  la  sede  di 
Giuliopoli  :  il  primo  fu  Filadelfo 
che  sottoscrisse  nel  concilio  di  An- 
dra, ed  intervenne  a  quello  di  Ni- 
cea,  ed  i  successori  Fileto,  JMelifon- 
go,  Procliano,  Pantaleone,  Marti- 
rio, Giovanni,  Costantino  ,  Giorgio 
od  Ignazio,  N.,  e  Teodoro,  le  no- 
tizie de' quali  si  leggono  nell'  O- 
riens  Christ.  p.  4"^-  Al  presente 
Giuliopoli,  Juliopolitan,  è  un  tito- 
lo vescovile  in  partibus,  dell'arci- 
vescovato in  partibus  d'  Andra,  che 
conferisce  la  santa  Sede. 

GIUL1TTA  («.).  Era  ricchissima 
e  soggiornava  a  Cesarea  nella  Cap- 
padocia.    Essendosi    richiamata    al 


GIÙ  169 

pretore  per  avere  giustizia  contro 
un  uomo  possente  che  aveala  spo- 
gliata della  maggior  parte  de'  suoi 
averi,  costui  accusolla  d'esser  cri- 
stiana. Il  giudice  voleva  obbligarla 
a  sagrificare  agli  idoli,  ed  a  ca- 
gione della  di  lei  coraggiosa  ripul- 
sa, assolse  l'usurpatore  e  condannò 
Giulitta  al  fuoco.  Essendo  tutto 
preparato  pel  supplizio,  ella  si  po- 
se di  per  sé  stessa  sulla  catasta. 
Sembra  che  fosse  soffocata  dal  fu- 
mo, perciocché  le  fiamme,  innal- 
zandosi intorno  a  lei  a  guisa  di 
arco,  non  toccarono  punto  il  suo 
corpo,  che  ne  fu  ritratto  tutto  in- 
tiero dai  cristiani.  Ella  pati  sotto 
Diocleziano  circa  l'anno  3o3,  e  fu 
sepolta  nel  gran  vestibolo  della 
chiesa  di  Cesarea.  Riferisce  s.  Ba- 
silio, che  nel  luogo  ove  fu  deposta 
si  è  veduta  uscire  una  sorgente  di 
acqua  limpidissima,  mentre  tutte 
le  altre  del  dintorno  erano  salma- 
sire  e  malsane,  la  quale  conserva- 
va la  salute  e  risanava  i  malati. 
Santa  Giulilta  è  onorata  dai  greci 
e  dai  latini   ai   3o  di  luglio. 

GIULITTA  (s.).  V.  Qu.rico  e 
Giulitta  (ss.). 

GIUNTANO  (  s.  ) .  Nacque  a 
Briou,  nel  Poitou,  da  nobili  paren- 
ti, che  Io  fecero  istruire  con  cura 
nelle  virtù  e  nelle  lettere.  Rice- 
vette la  clericale  tonsura,  e  desi- 
derando di  vivere  nella  solitudine, 
si  rinchiuse  in  una  cella  che  avea- 
si  costrutta  a  Chaulnai.  Ebbe  cor- 
rispondenza spirituale  con  s.  Ra- 
degouda  regina  di  Francia  e  reli- 
giosa di  Poitiers,  per  cui  si  man- 
davano a  vicenda  dei  doni  ,  i 
quali  consistevano  in  istrumenti  di 
penitenza.  Aumentatosi  il  numero 
de'suoi  discepoli,  imprese  di  edifi- 
care un  monastero;  ma  fu  con- 
trariato   nel  suo  disegno,  ed  anche 


i7o  GIÙ 

accusato  eli  usurpare  i  possedimenti 
del  principe.  Si  recò  alla  corte  per 
giustificarsi ,  e  i)  re  Clotario  lo 
confermò  nel  possesso  di  ciò  clic 
gli  si  contrastava,  e  gli  diede  inol- 
tre la  terra  di  Maire,  dove  fab- 
bricò il  suo  monastero,  uno  dei 
primi  della  Francia,  nel  quale  in- 
trodusse la  regola  di  s.  Benedetto* 
Benché  abbate,  ri  tira  vasi  di  quan- 
do in  quando  in  una  cella  appar- 
tata, per  attendere  più  tranquilla- 
mente alla  contemplazione  ed  eser- 
citarsi nelle  opere  della  penitenza. 
Accorgendosi  che  si  avvicinava  al- 
la fine  della  sua  vita,  indicò  uno 
de'  suoi  più  cari  discepoli,  chia- 
mato Auremondo,  a  suo  successo- 
re. Morì  a'  i3  d'agosto  del  587, 
nel  qual  giorno  celebrasi  la  sua 
festa.  Le  sue  reliquie,  trasportate 
a  Noaille  nel  nono  secolo,  furono 
nel  i56()  sotterrate  per  timore  de- 
gli ugonotti,  e  non  furono  poscia 
mai  più  scoperte. 

GIUOCO.   Ricreazione,  sollazzo, 
trattenimento  allegro,  passatempo, 
esercizio  per  divertirsi  e  sollevarsi, 
ludus.    In   tal   modo  si  definiscono 
i  giuochi  o  divertimenti   particola- 
ri,  mentre  sotto  il  nome    di   giuo- 
chi  pubblici    si  denotavano    presso 
gli  antichi   grandi  e   magnifici  spet- 
tacoli, nei  quali  vedevansi    d'ordi- 
nario molte  truppe  di  combatten- 
ti  e    di  lottatori  disputarsi    il   pre- 
mio dei  diversi   esercizi  del  corpo. 
Tutte  le  nazioni  antiche  ebbero  di 
quegli  spettacoli  pubblici,  tanto  per 
divertirsi  o  per  esercitarsi  nell'arte 
ginnastica,  come  per  onorare  le  lo- 
ro feste,  le  loro  divinità,   la  memo- 
ria dei   loro  eroi,  qualche    avveni- 
mento, ec,  e  perciò  in  molti  rela- 
tivi articoli    di    questo    Dizionario 
si   parla  degli  spettacoli    o  giuochi 
pubblici,  come  dei  giuochi  privati. 


GIÙ 

Presso  i  greci  i  quattro  giuochi  più 
solenni  erano  gli   olimpici,    i   pitii, 
i   nemei,  e  gl'istmici,  che  celebra  - 
rotisi  in  Olimpia,  in  Delfo,  in  Ar- 
go, ed    in  Corinto.   Noi    dobbiamo 
le  lodi  immortali  di  Pindaro  a  quei 
giuochi,  che  attraevano    un    gran- 
dissimo concorso  di  spettatori  e  di 
combattenti  o  di   atleti,  e  negli   o- 
li inpici    anche  di  musici,  di   poeti, 
di   artisti,  di  oratori,   di  storici,  ec. 
Tra  le  istituzioni  che   contribuiro- 
no notevolmente  a    mantenere  uu 
legame  di  nazionalità  tra  le  popo- 
lazioni  della   Grecia,  cosi    varie  di 
origini,  di   caratteri  ,    e  di   politico 
ordinamento,  debbonsi   appunto   in 
ispecial   modo  noverare  le  solenni- 
tà, in   occasione  delle  quali    riuni- 
vansi  a    certe    epoche    determinate 
tutti  gli   abitanti  del  territorio  el- 
lenico.  Fino   dai  tempi  più  remoti 
ogni  città  greca    celebrava    i  giuo- 
chi de'  quali   faceva  rimontar  l'ori- 
gine alla  divinità.   Alcuni  di  questi 
cadevano    in    epoche,    che    difficil- 
mente    potrebbero    precisarsi     per 
cause  che  non  possono  che  conget- 
turarsi, e  diventarono  vere    solen- 
nità nazionali     comuni    a    tutte  le 
città.   Non   meno   famosi    di    quelli 
de'  greci    furono    i    giuochi    de'ro- 
rnani,  i  quali  tenevano  fra    le  co- 
se   sacre    i    giuochi    pubblici,  che 
facevano  o  per   placare  l' ira    degli 
dei,  o  per  conciliarsi  la  loro    bene- 
volenza, o  per  la  salute  del   popo- 
lo, o  per  acquistarne   la  grazia.   Si 
dividevano  tali  giuochi   in  eircensi, 
negli   spettacoli    de'  gladiatori,    nei 
giuochi  scenici,  e  questi   poi  in  sta- 
biliti, in  votivi,  ed    in  straordinari. 
I  circensi  furono    istituiti    da    Ro- 
molo in  occasione  del    ratto    delle 
sabine,  in   onore  del  dioConso,  cioè 
di   Nettuno.  Furono  per  lo  più  di 
sei  specie,  vale  a  dire  la  corsa  cou 


G I  U 

carri  o  cavalli  sette  volte  intorno 
al  circo,  essendo  divisi  i  giuocatori 
delle  carrette  nelle  fazioni  verde, 
rossa',  bianca,  e  cerulea,  e  per  un 
tempo  ve  ne  furono  aggiunte  due 
altre,  una  vestita  d'oro,  l'altra  di 
porpora  ;  la  lotta  degli  atleti,  cioè 
di  quelli  che  colla  forza  e  colla 
velocità  combattevano  coi  pugni  o 
alla  lotta,  e  si  chiamavano  anche 
ginnici,  e  nudus  perchè  combatte- 
vano gli  atleti  nudi ,  coprendo  so- 
lo le  pudende  con  brache  dette 
perizoma;  il  giuoco  di  Troia,  de- 
rivato da  Ascauio  figlio  di  Enea, 
che  consisteva  nel  correre  fanciulli 
a  cavallo,  formati  in  isquadroni,  e 
rappresentanti  una  specie  di  com- 
battimento; la  caccia  o  combat- 
timento degli  uomini  con  le  fiere, 
o  pure  le  fiere  fra  loro,  in  onore 
di  Diana  cacciatrice;  la  battaglia 
equestre,  o  combattimento  a  piedi 
ed  a  cavallo  con  l'uccisione  di 
molti;  e  la  navale,  cioè  delle  bat- 
taglie navali  con  vascelli,  che  pri- 
ma si  facevano  in  circhi  pieni  di 
acqua ,  poi  nelle  naumachie.  Gli 
spettacoli  de' gladiatori  ordinaria- 
mente avevano  luogo  negli  anfi- 
teatri in  onore  dei  defunti  od  al- 
tro, ove  atrocemente  si  feri  va  no  od 
uccidevano  :  erane  il  premio  la 
palma,  o  la  moneta.  I  giuochi  sce- 
nici consistevano  nelle  commedie, 
tragedie,  drammi,  e  cose  simili,  co- 
me satire  e  commedie  ridicole,  e 
mimi  ossia  poemi  licenziosi  e  pic- 
canti, che  si  rappresentavano  nei 
teatri. 

Gli  altri  tre  accennati  generi  di 
giuochi  erano  gli  stabiliti  o  deter- 
minati, i  votivi,  e  gli  straordinari. 
I  giuochi  stabiliti  o  detcrminati 
furono  quelli  che  si  facevano  in 
onore  di  qualche  deità,  ed  erano: 
i.   I  mcgalensi,  per  lo  più  scenici, 


GIÙ  171 

e  si  celebravano    nel    principio    di 
aprile  in  onore    della    dea    Gibele 
madre  degli  elei.   i.   I  cereali,    nei 
quali     le     mattone     piangevano    il 
rapimento  di   Proserpina    fatto    da 
Plutone,  e  per  otto  giorni  circa  si 
facevano  scaramuccie  a  cavallo.   ?>. 
I  floreali,  che    si    facevano    prima 
ai   7.8   di    aprile,  poi  nel  principio 
di   maggio,  acciò  venissero    bene  i 
fiori,  o  per  onorare  la  dea  Flora, 
e  si  celebravano  con  ogni  sorta  di 
dissolutezze,   moderate  però  da  Ca- 
tone il  Censore.  4-   I  marziali  coi 
giuochi  circensi  in   onore  di   Mar- 
te Ultore,  che  si  celebravano  verso  la 
mela  di    maggio.    5.   I    capitolini  a 
Giove     Capitolino,     per     aver  pre- 
servato    il     campidoglio  dai   galli  : 
altri   giuochi   capitolini,   sacri   pure 
a  Giove,  erano  detti  agones   Capi- 
tolini, e  furono    istituiti  da  Domi- 
ziano,    da    celebrarsi    ogni    cinque 
anni,  ed  in  questi  oltre  altri  spet- 
tacoli ,     vi    erano     ancora     contese 
letterarie    e  di   spirito,  conquistan- 
dosi a     forza  di    eloquenti  compo- 
sizioni e    di    musica  il  premio  che 
al  vincitore  era  stato  stabilito.    6.   I 
giuochi   romani  o    giuochi  grandi, 
i    quali     si     facevano     con    magni- 
ficenza e    per    onorare  le    divinità 
superiori,  dalle  none  agl'idi  di  set- 
tembre,   in  onore   di  Giove,    Giu- 
none, Minerva,  e    dei  Lari  di  Ro- 
ma,    e  questi     per  la     salute    del 
popolo  romano.    7.  I  plebei,  i  qua- 
li   si    facevano     nel    circo   verso   la 
metà  di  ottobre,  in   memoria  del- 
la ricuperata  libertà,  dopo  l'espul- 
sione dei     re.  8.    I  consuali  in  o- 
nore  di  Nettuno  circa  a'20  agosto, 
e  ciò  in  memoria  del     ratto  delle 
sabine.    9.    I    compitalizì    in   onore 
degli  dei   Lari,  e  della  dea  Man  1.1, 
e   si    celebravano   specialmente  dai 
servi,    io.   Gli   auguslali    ed   i   pth 


i72  GIÙ  GIÙ 
latini  erano  in  onore  di  Cesare  giorno  anniversario  di  loro  nasci- 
Augusto,  i  i.  Gli  apollinari  furo-  ta.  Vi  furono  pure  i  ludi  fuvenlu- 
no  ordinali  per  conciliare  ai  ro-  lis,  istituiti  da  Salinatore  in  occa- 
ruani  la  protezione  di  Apollo  ,  sione  d'  una  desolante  peste,  che 
ond'essere  sempre  vincitori  de'loro  fece  strage  della  gioventù,  e  i  giuo- 
nemici;  sacrificavansi  un  bove  e  chi  o  ludi  miscelli,  che  rappresen- 
due  capre,  e  si  apparecchiavano  tavansi  con  varie  sorta  di  spelta- 
conviti     innanzi    alla     porta    delle  coli. 

case.    12.    I  secolari,    che  avevano         Biondo    da  Forfi  ,    tradotto    da 
luogo  ogni  cento  e  dieci  anni,  per  Lucio    Fauno ,    nella    sua    Roma 
la  salute    e  conservazione  dell'  im-  trionfante,  parlando  de'giuochi  dei 
pero ,   i    quali    essendo    imminenti  romani,  de'loro   spettacoli,  e  pom- 
il  trombettiere  convocava  il   popolo  pe  che  vi    facevano,   dice  che  Ci- 
per    esserne    spettatore;    e    furono  cerone  nel  primo    libro  delle  leggi 
questi     celebrati    specialmente    per  dimostra,     che   non    per  altro  che 
tre  giorni     nel  campo     Marzio,     e  per     ricreare    e     tenere      in     festa 
per  tre  notti  continue  in  onore  di  il  popolo    furono    i  giuochi     intro- 
Giove,  di    Giunone,    di   Apollo,  di  dotti  e  ch'erano  congiunti  con  l'o- 
Diana,     di  Latona ,    delle    Parche,  nore  divino;    ed    aggiunge  che     la 
delle  Lucine,  di  Cerere,  di  Pluto-  legge    prefiggeva    quanto     si     fosse 
ne,  e     di  Proserpina,     per     tutti  i  dovuto    moderare     col     suono    dei 
teatri,  coi  sagrifizi  in  tutti  i  tem-  pifferi    e    col    canto  ,    perchè  Pla- 
pli;  finalmente  il    terzo  giorno  ven-  tone    voleva  che  non  vi   fosse  cosa 
tisette  fanciulli    ed  altrettante  fan-  atta  a  piegar  gli  animi  teneri,  quan- 
ciulle    cantavano  versetti   nel   tem-  to  la  varietà  dell'armonia  e  del  can- 
pio  di  Apollo.    I  giuochi   votivi    e-  to,  la  cui  forza  è  maravigliosa  ad 
vano  quelli  che    gl'imperatori  pri-  eccitare    e    svegliare    i    languidi,   e 
ma   di  andare   alla  guerra,  facendo  rallentare    i    pronti,   movendo    gli 
voto    a  qualcbe  deità,   prometteva-  animi  secondo   la  diversità  de'con- 
no  di     celebrare    quando     ne  otte-  centi.  Ascanio  Pediano  ragiona  degli 
Dessero    la    vittoria ,  come     i    ludi  ornamenti  che  usarono  gli  antichi 
vicioriae  istituiti  da  Siila,  ed  i  lu-  nei    loro    primi     giuochi     e  feste, 
di  triumphales ;  ed  a   questi  si  ag-  dicendo  che    quando  si    celebrava- 
giunsero  i  quinquennali,  decennali,  no  anticamente  i  giuochi  nel  foro, 
e    vicennali,    secondo  che  regnava-  solevano    ornar    la  scena  th   metta- 
no   cinque,     dieci,   o     vent'anni.   I  glie,  di    statue,    e  di  belle    pitture 
giuochi    straordinari  tra    i   romani  in    tavole,    parte    imprestate    dagli 
furono  i  funebri,  in  onore  dei  mor-  amici,  altre    fatte    venire  sino  dal- 
ti,  affine  di    placarne    le  ombre,  e  la  Grecia ,    non  essendo  ancora  e- 
consistevano    in  combattimenti  dei  dificati     in    Roma    i     teatri    e    gli 
gladiatori   presso  il  rogo;  ed  i  gio-  anfiteatri.    Giovenale    disse    che  il 
venali,    istituiti  da    Nerone  quando  popolo  romano  dominatore  del  mon- 
principiò    a    spuntargli     la     barba,  do,  due    sole  cose  avidamente  de- 
Vi  erano  altri  giuochi  straordina-  siderava,    pane    e  feste.     Cicerone 
ri,    come  i  natalizi,  e  questi  erano  anche    in  un'orazione  per  L.   Mu- 
onorati  dal  magistrato,  perchè  fatti  rena     loda     assai     questi      giuochi 
rappresentare    dagl'  imperatori   pel  pubblici,  e  dice    di  quanto  grande 


GIÙ 

sollazzo  e  piacere  fossero  al  popo- 
lo, sebbene  in  altro  luogo  noverò 
le  cause,  per  le  quali  si  credeva 
che  tali  giuochi  non  riuscissero 
accetti  agli  dei,  né  celebrati  retta- 
meute,  come  ancora  che  sarebbero 
funesti,  ed  alla  repubblica  di  fu- 
turo danno.  Egli  spezialmente  eb- 
be in  disprezzo  i  ludi  scenici,  ed 
i  primi  cristiani  li  avevano  estre- 
mamente in  orrore,  a  causa  del- 
le empietà  che  vi  si  commettevano, 
come  si  legge  in  Tertulliano,  il 
quale  dice  che  il  teatro  era  pro- 
priamente il  tempio  di  Venere, 
cioè  una  scuola  di  dissolutezza  e 
di  libertinaggio.  Altre  feste  de'ro- 
mani  enumerammo  all'articolo  Fe- 
rie, ed  in  molti  articoli  di  questo 
Dizionario,  ne'quali  si  parla  ezian- 
dio delle  feste,  giuochi  e  spettaco- 
li più  celebri  delle  primarie  na- 
zioni, città  e  luoghi. 

Il  Muratori  nel  t.  Il,  p.  i  delle 
sue  Dissert.  sopra  le  antichità  i- 
taliane,  ci  dà  la  XXIX:  Degli 
spettacoli  e  giuochi  pubblici  de'se- 
coli  di  mezzo,  della  quale  daremo 
un  estratto  con  diverse  aggiunte. 
Quali  pubblici  giuochi  e  spettaco- 
li magnifici  si  dassero  al  popolo 
d'  Italia  dopo  la  declinazione  del 
romano  impero,  e  prima  dell'anno 
millesimo  di  nostra  era,  poco  si 
può  conoscere,  perchè  non  resta- 
no che  pochi  pezzi  della  storia  di 
quei  tempi.  Oltre  di  che  è  pro- 
babile che  i  popoli  di  allora,  al- 
levati nella  barbarie  e  nella  sem- 
plicità, non  sapessero  e  non  curas- 
sero que' diletti  e  divertimenti  che 
i  greci  ed  i  romani  avevano  con 
tanta  profusione  di  denaro  prati- 
cato, e  che  con  tanto  studio  e 
concorso  il  popolo  correva  a  go- 
dere. Va  eccettuato  Teodorico,  in- 
clito re   dei    goti,  il  quale  benché 


GIÙ  i73 

barbaro  di  nazione  pure  portava 
in  cuore  un  animo  romano,  e  per 
quanto  potè  imitò  i  costumi  roma- 
ni :  egli  die  in  divertimento  al  po- 
polo ludos  circensium,  et  amphi- 
theatrum,  ut  edam  a  romani*  Tra- 
janus,  vel  Valenlinianus,  quorum 
tempora  sectatus  est,  appellarctur. 
Inoltre  Teodorico  entrò  a  guisa  di 
un  trionfatore  in  Roma,  e  diede 
al  popolo  un  congiario,  cioè  cen- 
tuni  vieinti  millia  modios  di  grano. 
Cassiodoro  attesta  che  Teodorico 
gran  cura  si  prese  de' giuochi  cir- 
censi ,  per  dar  piacere  al  popolo 
assuefatto  a  somiglianti  spettacoli, 
tuttoché  egli  non  li  approvasse  , 
su  di  che  può  vedersi  la  dissert. 
XXIII  del  medesimo  Muratori: 
Dei  costumi  degli  italiani,  dappoi' 
eh!''  cadde  in  potere  de'barbari  VI- 
talia.  Alla  riserva  de' giuochi  mi- 
litari, de'quali  grandemente  si  di- 
lettava la  nazione  de' longobardi 
dacché  s'impadronì  della  maggior 
parte  d'Italia,  altri  non  se  ne  co- 
noscono. Però  sotto  gì'  imperatori 
franchi  vide  l' Italia  qualche  ma- 
gnifico spettacolo,  ed  in  Pavia  nel- 
T877,  per  le  nozze  del  duca  Bo- 
sone,  con  la  figlia  di  Lodovico  II, 
ebbero  luogo  splendidi  giuochi  mi- 
litari ;  e  siccome  Teodorico  per 
tenere  in  esercizio  la  gioventù  a- 
vea  istituito  finti  combattimenti  e 
battaglie,  che  riuscivano  di  gusto- 
so spettacolo  al  popolo,  si  può 
congetturare  che  altrettanto  faces- 
sero in  Italia  i  franchi  e  i  longo- 
bardi. I  pavesi  nel  principio  del 
secolo  XIV  continuavano  ancora 
ad  esercitarsi  in  sì  fitte  pugne  per 
rendersi  più  abili  nelle  vere,  zuffe 
che  si  chiamarono  battaglinole.  A- 
vevano  anche  i  ravennati  antica- 
mente un'altra  specie  di  battaglia 
civili,     ma    che     talora    divennero» 


'74- 


01  U 


spettacoli  funesti  e  crudeli,     dappoi- 
ché  in  ogni   fèsta    fuori  della  città 
una   parte    del   popolo  contro  1'  al- 
tra  faceva   una  finta  battaglia,  che 
poi  degenerò  in  stragi   e  carnefici- 
ne. Forse  i  greci  dominatori    pro- 
vocarono o     al    meno     tollerarono 
ne'ravennati  le  gare  civili  per  meglio 
signoreggiarli  ,     arie  poi     da     altri 
con   lo    stesso     scopo     praticata    in 
Italia.    In    que'bellicosi   tempi  pro- 
babilmente usarono  finte  battaglie 
anco  le  altre  città  italiane,  per  far 
imparare  al  popolo  l'arte  e  le  fa- 
tiche   della     vera     milizia  :     presso 
Modena,  Novara,   Milano,   Orvieto, 
Siena  ec.   vi   furono  luoghi   per  ta- 
li esercizi,  né  deve   tacersi  che  spet- 
tacolo   favorito  de'  secoli   barbarici 
fu   il    Duello  [fedi),  ed   il    Torneo 
[Fedi),  derivati     dalle   fìnte  batta- 
glie, chiamandosi   il    secondo  anche 
giostra  ,  che  divenne    tanto  clamo- 
rosa e  splendida.  Altro  giuoco  mi- 
litare    praticato     dagli     italiani     fu 
quello    chiamato  bagordare  ed  ar- 
meggiare ,    e    consisteva,  che    gio- 
vani   per    lo   più   nobili,  a  cavallo, 
con  divisa  ed    armi  eguali   magi- 
camente guarniti  ,  o  facevano  mo- 
stra per  la  città   fìngendo  battaglie 
fra    loro,  o     incontrando     qualche 
principe,     lo  precedevano    poi     nel 
cammino    con     fare     deile    scappa- 
te    di    cavalli  ,     e     mostrando    di 
combattere    tra    loro    con  lande  e 
spade:    in     tal    modo    nel    ii65  i 
romani  onorarono    Carlo    I   d'An- 
giò,  fatto   da  Clemente    IV    re  di 
Sicilia.  Tanto  si    celebrò  in  Roma 
dal  popolo  romano. 

Nel  secolo  X11I  spettacoli  d'altra 
fatta  si  celebravano  in  Padova  per 
la  Pentecoste,  e  in  Treviso,  ivi  fi- 
gurandosi il  castello  dell'  onestà 
difeso  :  spettacolo  cui  concorsero  i 
veneziani,  i  padovani,  ed  altri  con- 


GIU 
vicini  colle  loro  bandiere.   Ma  quel- 
lo che  fra  i    giuochi   degli   italiani 
fu  in  maggior  credito,  e   più  fami- 
gliare, si  è  il    Curiani  habere,  os- 
sia tener  corte,  e    tener  corte  ban- 
dita, delle  quali,   delle  corti  plena- 
rie  e    delle    corti  dì    amore,    ne 
parlammo   al    volume    XVII ,     pa- 
gine   98   e    289    del     Dizionario. 
Per    conto  delle    corti  bandite  una 
volta     celebrate  ,     non     si     deve 
tacere  ,   che    vi    soleva    interveni- 
re un'  immensa  copia    di   cantam- 
banchi, buffoni,  ballerini  da  corda, 
musici,  souatori,  giuocatori,    istrio- 
ni  ed    altra    simile  gente,  che  coi 
loro  giuochi    e  canzoni  dì  e  notte 
divertivano     grandi     e     piccoli     in 
quelle  occasioni  :  essi  furono  chia- 
mati  in   toscano  giullari  e  giuoco- 
lari,  e  con    latino  d'  allora  jocula- 
res    e  joculatores.  Questa  razza  di 
fabbricieri  di  divertimenti  non  par- 
tivano   mai   senza    essere    bene  re- 
galati ;    ed  era  costume  che  le  ve- 
sti preziose,    generosi    cavalli,  vasi 
d'argento,  gioie,  ed  altre   cose  do- 
nate ai    medesimi    principi  ,   veni- 
vano  poi  distribuite  a  costoro,  im- 
perciocché   non    solevano     in    quei 
tempi     intervenire    i    gran    signori 
alle     feste    suddette ,    senza    offrir 
doni  ai    principi  in  atto  d'amicizia 
e    d'ossequio.   I  signori    di  Manto- 
va   e  di    Milano    tennero  magnifi- 
che   corti    bandite;     ed    uno    dei 
principali    pregi    di    esse   era  con- 
siderata  la    grande    abbondanza  di 
giuocolieri,    talché    se  ne   prendeva 
nota.  Costume    ancora  ben    osser- 
vato nei    tempi   antichi,  che     non 
vi  fu  quasi  alcuna    corte  di   prin- 
cipi   anche    saggi,    dove     non     si 
trattenesse  ben  pagato  qualche  buf- 
fone,   e    talvolta     più  d' uno.   So- 
levano i  gran  signori   ricrearsi  dal- 
le gravi    cure    con  delle  facezie  di 


G1L 

costoro,  ed  anche  di  udire  qualche 
verità  ridendo,  che  niun  altro  for- 
se   avrehbe    osato  di    porgere    alle 
loro    orecchie.    Rinomati    furono  i 
bulloni     degli     Estensi    signori     di 
Ferrara;   molto    se  ne     dilettò   Al- 
fonso I  re  d' Aragona  e  delle    due 
Sicilie,  il  celebre  cardinal  Scararu- 
po  Mezzarota,    il  cardinal  Ippolito 
de'  Medici ,  e  lo    slesso    Leone    X, 
massime  improvvisatori  e  poeti.  Uo- 
mini  di    cortei     ministrieri,     quasi 
piccoli   ministri  de'principi,  furono 
chiamati  coloro  che  coi  loro  giuochi, 
làcezie  e  lepidezze  tenevano  allegri 
i   principi    e     la     nobiltà,  abitando 
talvolta    in   corte.   In   un   magnifico 
convito  dato    in    Roma    dal  fanta- 
stico tribuno  Cola  di    Rienzo,  uno 
dei  diversi   buffoni,  vestito  di  cuo- 
io di  bue ,    con  le  corna  in    capo, 
giuoco  e    saltò.    Né    differente     fu 
il    costume    de'  tedeschi    e    francesi 
di  quei  tempi.  Nel  i356  l'impera- 
tore Carlo    IV    tenne  una  solenne 
corte  in    Metz,    cou  istrioni  e  mi- 
mi; altre    splendide   ne  tennero     i 
della    Scala    signori    di    Verona,    i 
Carrara    signori  di  Padova,   i  Ma- 
latesta  signori    di    Rimini,  ed  altri 
molti.   Grande    pure   fu   il   numero 
de'poeti   popolari,  decantatori   del- 
le favole  romanze,  che  dalla   Fran- 
cia  furono  portati   in  Italia*,   e   tut- 
ti  regalati    con   vesti    nuove  ed   al- 
tro.   \  i   furono    i   mimi  che   impa- 
rarono come  gli  autichi  ad   imitar 
le    azioni    delle    persone    plebee     o 
ridicole,   per    isvegliare    il  riso   ne- 
gli    uditoli,     formando     commedie 
con  estemporaneo    discorso.    Ninna 
»  là  vi     fu  che  non  avesse    saltim- 
banchi ,     cantimbanchi    ,     ciarlata- 
ni ,  oc.  ,  ciurmadori  con    bussolot- 
ti,   giuochi  spertissimi  di    mano,    in- 
viando   e     sembrando     sparire     le 
cose.  1    giuocolicri    condottieri     di 


GIÙ  i  -  '» 

orsi,  cui  istruiscono  a  ballare,  sono 
antichi.  I  pantomimi,  che  con  ge- 
sti rappresentavano  qualche  azione, 
furono  chiamati  mattaccini.  Nel 
secolo  XV  dagl'ingegni  italiani  si 
cominciò  a  rimettere  in  piedi  l'ar- 
te comica  e  tragica,  e  poi  s'  ag- 
giunse la  musica  alla  tragedia.  Nei 
secoli  XIII  e  XIV  si  trova  una 
specie  di  spettacoli  chiamati  rap- 
presentazioni ,  consistenti  nella  imi- 
tazione di  qualche  vera  o  verosi- 
mile, e  per    lo  più  sacra   azione. 

Curioso  ed  indecente  era  lo  spet- 
tacolo che  in  Venezia  ebbe  prin- 
cipio nel  1162,  e  termine  sotto 
Andrea  Grilti,  assunto  al  dogado 
nel  i523,  dappoiché  per  avere  i 
veneti  imprigionato  Ulderico  pa- 
triarca d' Aquileia  e  dodici  cano- 
nici, nell'  ultimo  giovedì  di  carne- 
vale si  tagliava  la  testa  ad  un  bue, 
figura  del  patriarca,  e  a  dodici  por- 
ci, figura  de' canonici,  mentre  il 
doge  e  i  senatori  assalii  vaso  ed 
abbattevano  castelli  di  legno,  in 
memoria  di  quelli  debellati  ai  ma- 
gnati del  Friuli.  Il  patriarca  d  A- 
quileia  era  tenuto  a  pagar  l'annuo 
tributo  d' un  toro,  con  dodici  por- 
ci, altrettanti  pani  e  del  vino:  solo 
si  conservò,  fino  alla  caduta  del- 
la repubblica,  la  decollazione  del 
toro  sulla  piazza  di  san  Marco, 
il  resto  della  disdicevole  funzione 
fu  abolito.  Nella  stessa  Venezia  si- 
no al  1 37C)  durò  il  costume,  che 
dodici  donzelle,  superbamente  ve- 
stite, erano  Del  primo  di  DB  i( 
condotte  per  la  città,  altra  volta 
si  portavano  come  in  processione 
altrettante  statue  di  legno  :  questa 
li  sta  detta  delle  Marie  è  descritta 
dal  Manzi  a  p.  \  1  del  suo  Di- 
scorso. * losì   per   aver    i    bolognesi 

presa  a  tradimento    nel    i.'.Si     Paca- 
ta,  e   cacciati    e    tagliati     a    petti    i 


176  GIÙ 

Lambertncci,  istituirono  la  ridicola 
festa  della  porchetta.  Di  molte  in- 
decenti e  ridicole  feste  e  spettacoli 
che  si  celebrarono  in  Italia ,  in 
Francia  ed  altrove,  ne  trattammo  a- 
gli  articoli  Calende,  Befana,  Epifa- 
nia, Carnevale, Festa,  ed  altri,  come 
in  quello  di  Fuoco  dicemmo  di 
quanto  tuttora  si  fa  nella  cattedra- 
le d'Orvieto.  Della  festa  e  curioso 
spettacolo,  che  avea  luogo  nella 
chiesa  de' ss.  XII  Apostoli  di  Ro- 
ma, ne  facemmo  menzione  al  voi. 
XIV,  p.  289  del  Dizionario. 

Fra  gli  spettacoli  de' nostri  mag- 
giori si  deve  riferire  quello  del 
corso  de' cavalli,  tuttavia  ritenuto 
in  Roma,  Firenze,  Bologna,  ed  al- 
tre città  d'Italia.  I  greci  ed  i  ro- 
mani antichi  furono  amantissimi 
de'  diversi  giuochi  di  cavalli ,  ed  i 
romani  soprammodo  si  dilettarono 
delle  corse  de'  cavalli  ne'  menzio- 
nati giuochi  circensi  ;  correndo  coi 
carri  o  coi  cavalli  i  cocchieri  nel 
principio  della  repubblica  erano 
uomini  ignobili  e  per  lo  più  ser- 
vi ;  ma  corrotti  poi  i  costumi,  non 
solo  i  nobili,  ma  molti  degli  stessi 
imperatori  si  misero  a  correre  col- 
la carretta  ne'circbi.  /^.Cavalli;,  del- 
le carrette  se  ne  parla  all'  articolo 
Carrozze,  come  dei  carri  trionfali 
e  del  carroccio.  Essendo  andato  in 
disuso  il  corso  de'  cavalli,  fu  dagli 
italiani  ripristinato,  ma  solamente 
con  cavalli  sciolti ,  o  pur  guidati 
da  qualche  ragazzo,  essendo  raris- 
simo quello  delle  carrette.  Un  pre- 
mio si  destinava  a' vincitori,  per  lo 
più  consistente  in  molte  braccia  di 
tela,  di  seta,  o  di  panno  di  lana, 
di  prezzo  non  volgare  ;  onde  poi 
fu  chiamato  questo  giuoco  correre 
il  palio,  o  correre  al  palio,  che  se 
il  palio  non  si  proponeva,  qualche 
altro  dono  si  soleva    espone.    Av- 


GIU 

vedutamente  si  assegnò  per  premio 
dei  drappi ,  onde  incoraggiare  con 
onori  nazionali  le  proprie  manifat- 
ture. Altri  premi  si  proponevano 
pei  secondi  onori,  ed  erano  per  Io 
più  di  animali,  come  di  cani  da 
caccia,  di  falconi,  di  astorri ,  ec.  ; 
e  finalmente  di  galli  o  d'  altri  ani- 
mali comuni  per  gli  ultimi  che 
arrivavano  alla  meta,  i  quali  era- 
no salutati  dal  popolo  astante  con 
fischi ,  e  voci  derisorie  e  disprez- 
zanti. 

IS'el  secolo  XIII  trovasi  già  usata 
la  corsa  de' cavalli ,  e  nell'anno 
1256  essendo  stata  liberata  Pado- 
va da  Eccelino,  la  repubblica  for- 
mò il  decreto  di  solennizzarne  il 
giorno  con  gran  festa  e  di  vota  pro- 
cessione, e  corso  di  cavalli,  pro- 
ponendosi per  premio  duodecim 
brachia  scharlali }  et  unus  spa- 
riverius  ,  cujus  pretium  non  ex- 
cedebat  summam  soldorum  sexa- 
ginla,  et  duae  chirothecae  di  ferro. 
INel  1279  in  Ferrara,  nella  festa 
di  s.  Giorgio,  si  correva  per  tre 
premi,  il  palio,  la  porchetta,  e  il 
gallo.  Dei  bolognesi  è  scritto  che 
nel  1281  per  s.  Bartolomeo  si  cor- 
reva al  palio  con  cavalli  ,  essendo 
il  premio  un  cavallo  ben  addobba- 
to, uno  sparviere,  ed  una  porchet- 
ta. Né  solamente  si  correva  con 
cavalli,  ma  ancora  si  usò  la  corsa 
d'uomini,  donne,  meretrici,  asini, 
ec.  Fu  eziandio  cosa  particolare  di 
que'  tempi,  che  qualora  per  qual- 
che rotta  era  costretto  il  popolo  a 
rifugiarsi  tra  le  mura  della  sua 
città,  il  vincitore  facea  correre  il 
palio  da  cavalli  sino  alle  porte  di 
quella  città ,  e  spesso  dagli  asini 
per  disprezzo  ;  quivi  inoltre  faceva 
battere  moneta,  con  altre  cose,  e 
corse  d'uomini  a  piedi,  e  di  don- 
ne pubbliche,  il  tutto  per  vendei- 


GIÙ 

ta  e  scorno  de' nemici,    prendendo 
Mille  loro  tene    ogni    sollazzo ,    ed 
esercitandovi   atti    di    potere.     Altri 
spettacoli  si     usarono    in    Firenze , 
Siena  ,  e  "\  enezia  ,    cioè    il   giuoco 
del  calcio,  le  regatte,  ec.  Nel   seco- 
lo XIV  era  costume  de' romani   il 
far  la    caccia    de' tori    non    domati 
nell'anfiteatro  di   Tito,   o  sia  il  Co- 
losseo [Vedi),    al  quale    articolo  si 
riportò  la  famosa  e  malaugurata  gio- 
stra del  i332.  Questa  gioslraè  pure 
descritta  dal  citato   Manzi  a  p.   7.5, 
ed  a  p.    io?,  ove  produce  un  do- 
cumento.  Delle    corse    de'  cavalli   e 
di  altri,  delle  caccie  de'tori,  che  nei 
bassi  tempi  e  ne'  tempi  successivi  si 
fecero  in  Roma,   massime    nel  car- 
novale e  nel    maggio,   coi    giuochi 
di    Agone    e    di    Testaccio ,    se    ne 
tratta    in    tutto   l'articolo  Carneva- 
le di  Roma.   Il   Manzi   nel   suo  Di- 
scorso    eruditamente     discorre    dei 
giuochi   di   Agone    e    di    Testaccio, 
e  degli   autori  che  ne  fecero  la  de- 
scrizione.  Il   Crescimbeni  nello  Sla- 
to di  s.  Maria  in   Cosmedin,  a  p. 
87    e  seg.,  pure  ne  ha  scritto,  ri- 
portando la   bolla     di     Martino    V, 
con  la  quale  fece  gonfaloniere  del 
popolo  romano  Pietro  Astalli,  alla 
qual  carica  era  unita  la  presidenza 
de'  giuochi  Testacei  o  di  Testaccio, 
e  quelli  di  Agone,  sebbene  vi  assi- 
stessero in  abito  il  senatore  di  Ro- 
ma, coi   conservatori    e  col  senato. 
I  Da   bella   memoria   di   simili   giuo- 
chi,  forse  quelli   rappresentati   sotto 
Paolo  III,  la  possedeva   in  un  qua- 
dro la   romana  famiglia  Mignanelli. 
In    poche     parole    descrisse     questi 
giuochi  il    p.    Casimiro    da    Roma 
nelle  Aleni,   stor.   delle  < -hit  re,  a  p. 
386,  dicendo  che  i  giuochi  di  Te- 
staccio  erano  soliti    celebrarsi  nella 
domenica  ultima  del  carnevale,  cioè 
nella  quinquagesima,  in  cui  si   uc- 
voi      XXXI. 


GIÙ  177 

cidevano  tredici  tori  ;  ed  erano  pre- 
cipitate dal  monte  Testaccio  sei 
carrette  coperte  con  palio  rosso,  ed 
entravi  un  porco  vivo,  al  cui  spet- 
tacolo concorreva  popolo  innume- 
1  abile,  che  nel  i5^5  fu  giudicato 
di  sessantamila  persone.  Gli  altri 
giuochi  si  celebravano  in  piazza 
Navona  nel  giovedì  grasso,  e  con- 
sistevano in  diverse  mascherate,  una 
delle  quali,  rappresentante  un  eser- 
cito composto  delle  arti  della  città, 
superò  il  numero  di  tremila  per- 
sone. 

Sul  carnevale  del  medio  evo  in 
Roma,  da  ultimo  ci  diede  un  eru- 
ditissimo articolo  il  dotto  storico 
ed  annalista  Antonio  Coppi,  e  pub- 
blicato ne'fascicoli  3  e  4  dell'  an" 
no  primo  del  giornale  romano  II 
Saggiatore,  di  cui  daremo  un  bre- 
ve sunto.  Osserva  il  chiaro  scritto- 
re che  quando  Roma  era  ne' suoi 
primordi,  i  nostri  maggiori,  fruga- 
li e  tutti  alla  guerra  intenti,  for- 
mavano il  loro  prediletto  diverti- 
mento colle  corse  dei  cavalli  e  dei 
carri,  e  colle  pugne  de' gladiatori 
e  de'pugili.  Non  eravi  da  principio 
edifìcio  alcuno  che  servisse  di  como- 
do agli  spettatori  e  di  ornamento 
alla  cosa.  Fu  soltanto  dopo  un'in- 
signe preda  fatta  sopra  i  latini  , 
che  Tarquinio  Prisco  disegnò  il 
luogo  pel  circo  dipoi  detto  Massi- 
mo, e  con  rozzi  pali  innalzò  po- 
chi palchi,  da  cui  in  luoghi  distin- 
ti assistessero  allo  spettacolo  i  pa- 
dri, i  cavalieri,  la  plebe;  e  per 
rendere  più  sontuosa  la  festa  egli 
fece  in  tali  occasioni  venire  a  Ro- 
ma cavalli  e  pugilatori  delia  sub- 
urbana  Iti  uria.  Ai  rozzi  legni  che 
da  principio  formavano  lo  stecca- 
to de  luoghi  destinati  a*  pubblici 
spettacoli,  furono  sostituiti  edilìzi 
tali,  che    dopo   dieciotto    secoli   di 

12 


i73  GIÙ 

esistenza,  ci  attestano  ancora  la  so- 
lidità ilei  l'opera.    Sciolto  1'  impero, 
mancarono    a  Roma    i    mezzi  per 
celebrare    spettacoli    sontuosi  e    i 
combattimenti     delle    fiere  ;    e    gli 
anfiteatri  ed   i  circhi  cominciarono 
a  rovinare.     I  duelli    ed    i    tornei 
introdotti  dai  popoli    settentrionali 
in  Italia,  furono  adottati  anche  in 
Roma,  e    sostituiti  agli     spettacoli 
de' gladiatori    e  de'pugilatori  ;    co- 
me   alle  caccie    delle    fiere    furono 
sostituite    quelle  de'lori,    che    con 
minore  dispendio  si   avevano   dalle 
suburbicarie  campagne.     Facevansi 
tali   giuochi  ogni    qualvolta    lo  ri- 
chiedesse   qualche    motivo  di    pub- 
blico giubilo,   siccome  si  celebraro- 
no nel    i?.65     in    Roma    all'arrivo 
di  Carlo  d'Angiò  conte  di  Proven- 
za, destinato  re  di  Napoli,  e  descrit- 
ti da   Saba  Malaspina,  cogli   onori 
a  lui  fatti  dal  popolo   romano,  co- 
me di  sopra  notammo.    11    Monal - 
deschi  ci  conservò  la   memoria  del- 
la solènnissima   caccia  di   tori   fatta 
in  Roma    nel    i332,    di    cui    pure 
parliamo  in    questo    articolo.    L'e- 
poca poi  in  cui  i  romani  de'  lem- 
pi  di   mezzo     sfoggiarono    tutta   la 
loro  magnificenza  in  simili    spetta- 
coli, si    era    quella    del    carnevale, 
dappoiché  quanto  di  sontuoso    po- 
teva fornire  una   pompa    secolare- 
sca, quanto  la  grandezza  e  le   for- 
ze   del  pubblico    erario    Dolevano 
somministrare,     tutto     impiegava! 
per  le  feste  carnevalesche.   11   circo 
Agonale  ed   il  campo  di  Testaccio 
erano  i   luoghi    allora     destinati  ai 
giuochi  del  carnevale.    La  più  an- 
tica   memoria   relativamente  a  que- 
sto oggetto    è  un    islromento   del- 
l' insigne  archivio  di    s.   Alessio  di 
Roma,  in  cui  si  legge  che  nel  ii56 
il  dello  monte  viene  chiamato  mon- 
te thl  pallio.  Da  un  breve  di  Gre- 


GIÙ 

gorio  X  del  1271  s>i  rileva  come 
il  Papa  rimproverò  al  vicario  tem- 
porale di  Roma,  perchè  avesse  in- 
timato a  diverse  circonvicine  città 
ut  certani  comitivam  ad  urbcni 
trasmitterent  causa  ludi  di  testaccio 
vulgariter  nuncupati,  qui  in  dieta 
urbe  annis singulis exercelur.  Altro- 
ve dicemmo  che  alcune  comuni  di 
città  e  castella  mandavano  uomini  a 
Roma  per  accrescere  decoro  allo 
spettacolo,  e  contribuire  al  manteni- 
mento della  pubblica  tranquillità. 
Nel  celebre  codice  di  Cencio  Ca- 
merario abbiamo  una  disposizione 
pontificia,  in  cui  è  ordinato,  che 
in  die  carnis  privii  circa  vesperas 
in  domo  domini  Papae  dentar 
pauperibus  sex  fìdandi  de  pane, 
uiius  bos3  et  quinque  cassine  vini. 
In  vari  archivi  di  Roma  si  con- 
serva la  descrizione  del  notaio 
Nardo  Scocciapile,  relativa  al  car- 
nevale celebrato  nel  1872  con  gran 
solennità  dal  potente  Malhaleno. 
II  notaio  Nantiporto  ci  lasciò  le 
relazioni  dei  carnevali  del  i\Ù~)  e 
1 4^7-  I'1  questo  secolo  e  meglio 
nel  seguente  lo  spettacolo  carneva- 
lesco si  perfezionò,  divenne  più  di- 
gnitoso e  meno  clamoroso,  ed  a- 
ualogo  allo  spirilo  nazionale  ed  al- 
le ricchezze  del  popolo. 

Di  questi  giuochi  se  ne  trat- 
ti pine  negli  statuti  antichi  di 
Roma  lib.  3,  cap.  209  usque  ad 
219,  mai  però  il  dotto  Cancellieri 
ne  pubblicò  la  descrizione  come 
promise  in  diverse  sue  opere.  Ben- 
sì nel!'  archivio  di  Campidoglio  si 
conserva  un  suo  mss.  inedito  in  cui 
parla  delle  feste  carnevalesche,  ed 
a  lungo  de'giuochi  di  Agone  e  ili 
Testaccio.  Essi  dopo  il  secolo  XVI 
a  poco  a  poco  andarono  in  disu- 
so, restando  solo  nel  primo  di 
maggio   il    giuoco    della    cuccagna 


GIL 

folto  dagli  svizzeri,  che  cosso  nel 
pentiBcalo  di  Urbano  Vili.  La 
Cesta  della  cuccagna  si  è  ripetuta 
in  Roma  in  mezzo  al  Iago  di  piaz- 
za Navona  sotto  il  governo  fran- 
cese, ed  anche  dopo.  Nel  secolo 
passato  la  giostra  fu  fatta  in  di- 
versi cortili  dei  palazzi  di  Roma, 
come  si  legge  nei  Diari  di  Roma, 
dicendosi  il  numero  36o5  quella 
brillante  fatta  eseguire  nel  proprio 
dal  principe  Rospigliosi  nel  174°; 
il  numero  |(!)3  quella  del  1747 
mi  cortile  di  Barberini,  con  l'e- 
sercizio delle  quattro  teste  ed  un 
torneo  a  cavallo;  il  numero  5c)58 
racconta  come  nel  settembre  1 7  55, 
nel  giardino  accanto  al  fonte  di 
Termini,  si  die  principio  alla  cac- 
cia del  toro  e  della  bufala,  con 
fantocci  in  bilico  artifiziosamentc 
guarniti  ,  con  cani  ammaestrali 
per  orecchiare  i  tori,  e  se  ne  fe- 
cero sei  in  tale  anno;  ed  il  nu- 
mero 570  del  J780  narra  come 
in  giugno,  per  la  prima  volta,  nel 
palazzo  o  anfiteatro  Correa  o  sia 
nel  mausoleo  d'  Augusto,  si  per- 
mise la  giostra  del  toro  e  della 
bufala,  proibita  •'nostri  giorni  da 
Pio  Vili:  del  palazzo  o  anfitea- 
tro Correa ,  ridotto  nella  forma 
che  si  vede  dal  marchese  Fran- 
cesco Saverio  Vivaldi  Armentieri, 
ne    parla     il     Cancellieri     nel     suo 

Menato  ■    p.    66.  Della   denota* 

/ione  dei  pubblici  spettacoli  di 
Roma,  siccome  n'é  presidente  mon- 
nor  Governatore  di  Roma  (le- 
di),  cosxi  se  ne  parla  a  quell'  arli- 
eolo.  Gli  spagmsoli  sono  agili  e 
•  libili  giostratori  dei  tori;  anche 
in   altri     lunghi    tal   guglia    ai. 

SI      l'i. 

Ili    quanto    BÌ    giuochi   privati,    di 

instati  ancora  se  nt  la  menzione  in 
voi  luoghi  di  auesto    Dizionario, 


GIÙ  I-,, 

Si  dice  che  durante  la  guerra  di 
Troia  i  greci  per  minorare  la  noia 
della  lentezza  con  cui  procedeva 
l'assedio,  e  per  alleviare  le  loro  fa- 
tiche ,  si  divertissero  con  diverse 
maniere  di  giuochi.  Ad  imitazione 
de'  greci,  i  romani  ebbero  altresì 
i  loro  giuochi.  I  più  conosciuti  e- 
rano  quelli  del  pari  o  dimori,  dei 
trochi,  dei  ladri  o  ladroncelli,  il 
quale  ultimo  giuoco,  secondo  alcu- 
ni scrittori,  si  avvicinava  al  nostro 
giuoco  degli  scacchi,  ed  esegui  vasi 
su  di  una  tavola,  la  di  cui  super- 
fìcie era  lavorata  a  modo  di  scac- 
chiere. A  questi  si  possono  aggiun- 
gere due  giuochi  che  detti  furono 
in  appresso  d'azzardo,  cioè  quello 
degli  ossiccUi,  e  quello  dei  dadi; 
tultavolta  si  osserva  che  sino  al 
fine  della  repubblica  i  giuochi  che 
delti  furono  poscia  di  azzardo,  era- 
no rigorosamente  vietati.  I  germa- 
ni, secondo  la  relazione  di  Tacito, 
abbandonavano  alla  passione  del 
giuoco  con  tale  frenesia,  che  dopo 
di  avere  tutto  perduto,  arrischia- 
vano le  persone  loro,  ossia  la  loro 
libertà  in  un  solo  getto  di  dadi, 
e  allora  il  vinto,  benché  piti  gio- 
vane e  più  robusto,  si  lasciava  le- 
gare, condurre  ove  voleva  il  vin- 
citore, e  anche  vendere  agli  stra- 
nieri. Sant'Ambrogio  parlando  degli 
unni,  dice  che  dopo  avere  arri- 
schiate al  giuoco  le  loro  armi  e 
tutto  quello  che  avevano  di  più 
caro  o  più  prezioso,  esponevano 
ancora  al  giuoco  la  loro  vìi  1.  «  -1 
uccidevano  per  soddisfare  il  vinci- 
tore. DoSSaulx,  in  un  libro  intito- 
lato: Dilla  passione  del  giuoco  à  ti 
tempi  antichi  fino  ai  nostri.  1 

alla    prima     orìgine   del     giuoco,     lo 

■egw  1  ostantemente  in  lutti  1  luo- 
ghi, lo  sinopie  presso  i  sdì  iggi, 
come  anche  nel  seno  delK   u  1 


i8o  GIÙ 

incivilite  e    corrotte;    ma    tuttavia 
sembra  ad  esso  che  mai  il  giuoco 
non  fosse  così  attivo,  così  funesto, 
riè  così  universalmente  esteso,   co- 
me tra  le  nazioni  odierne.  Parlan- 
do dei  francesi  dice,  che  il  giuoco, 
accolto  da  prima  dalla  nobiltà,  fu 
introdotto  da  cortigiani  avidi  e  dis- 
occupati fin  presso    al  trono;  ch'es- 
so quindi  sedusse  i  re  franchi  e  le 
loro  famiglie;  che  sotto  Francesco 
I  cominciò  il  giuoco    ad    essere  in 
favore  alla  corte,  e  si  fortificò  sot- 
to Enrico  II;  che  l'esempio  di  En- 
rico IV  diede    sfortunatamente    ai 
giuocatori  un'audacia  ed    una  spe- 
cie di  considerazione  che  propaga- 
rono quella  epidemia  fino  nel  cen- 
tro delle  provincie;  che  il  cardinal 
Mazzarini  durante    la    minorità  di 
Luigi  XIV  sembrò  accrescere  quel 
disordine,  e  che   il    giuoco    e  l'in- 
trigo   trovaronsi    finalmente    come 
naturalizzati    alla  corte.     Allora   si 
videro  i  signori  francesi  più  agiati 
scorrere  l' Italia,  la  Spagna  e  l'In- 
ghilterra, non  già  per  mostrare  ad 
esempio  dell'antica  cavalleria  la  lo- 
ro lealtà  ed  il  loro  valore,  ma  per 
esercitarvi  il  mestiere    vilissimo  di 
giuocatori,  e  di  quelli  che  nel  lin- 
guaggio francese  detti  furono  in  se- 
guito   cavalieri    d'industria.     Indi 
il  chiaro    scrittore    inveisce   contro 
tutte  le  classi  de' cittadini    che  vo- 
gliono   giuocare,    o    tener    giuoco 
nelle  loro  case  con  gravissimo  dan- 
no della  gioventù.  Spesso  le    fami- 
glie e  gli  amici  solo   si    riuniscono 
per  disputarsi  col  giuoco  il  denaro 
che  ciascuno  possiede;  e  quante  fa- 
miglie non  furono  ridotte  alla  men- 
dicità   per    la    fatale    passione    del 
giuoco ,  come  ancora    innumerabili 
furono  gì'  individui  che  si  trovaro- 
no pel  giuoco  alla  disperazione!  In 
alcuni    luoghi    oltre    il    denaro   si 


GIÙ 

giuocarono  i  mobili,  i  terreni,  e 
ne' feudi  quelli  pure  che  li  coltiva- 
vano ;  per  cui  talora  avvenne  che 
in  un  solo  giorno  le  famiglie  dei 
luoghi  ove  rimaneva  qualche  ve- 
stigio della  servitù,  passarono  sotto 
il  dominio  di  sette  o  otto  padroni. 
La  passione  del  giuoco  è  tanto  ar- 
dente, che  qualche  volta  si  perpe- 
tuò al  di  là  della  tomba,  e  perciò 
si  racconta  avere  un  giuocatore  mo- 
ribondo lasciato  la  sua  pelle  per 
coprire  uno  scacchiere,  e  le  sue  os- 
sa perchè  se  ne  facessero  dei  dadi. 
A  voler  dire  alcuna  altra  cosa 
su  qualcuno  de'  tanti  giuochi  pri- 
vata sull'antico  e  nobile  giuoco 
degli  scacchi  abbiamo  la  Disserta- 
zione del  eh.  signore  d.  Benedetto 
Rocco  napoletano  sul  giuoco  degli 
scacchi,  ristampata  da  Francesco 
Cancellieri  romano  con  la  biblio- 
teca ragionata  degli  scrittori  sullo 
stesso  giuoco,  Roma  1817.  Si  vuole 
inventato  da  Palamede  all'  assedio 
di  Troia,  quindi  usato  dai  greci,  e 
poi  dai  romani.  Altri  con  maggior 
probabilità  ne  fanno  inventore  un 
bramino  chiamato  Sissa  nel  prin- 
cipio del  V  secolo,  a  fine  di  dare 
una  lezione  ad  un  principe  indiano 
chiamato  Sirham ,  eh'  era  gonfio 
del  suo  potere  ;  gli  dimostrò  che 
non  poteva  né  attaccare,  né  difen- 
dersi senza  l'aiuto  de' suoi  soldati, 
mediante  il  suo  giuoco.  Il  Sarnelli 
nel  t.  II  delle  Lett.  eccles.  p.  5j, 
narra  come  s.  Pier  Damiani  cor- 
resse un  vescovo  che  giuocava  agli 
scacchi.  Il  cardinal  Baronio  ripor- 
tando all'anno  1061,  num.  4[  e 
4.2  tal  fatto,  soggiunge.  «  E  certo 
dovrebbono  gli  ecclesiastici  aver 
sempre  davauti  agli  occhi  della 
mente  la  sentenza  dell'  Apostolo , 
epist.  I,  Cor.  io,  il  quale  c'inse- 
gna, non  esser  loro   lecite  le    cose 


GIÙ 

che  non  edificano  il  prossimo;  se- 
condo la  qual  sentenza  s.  Bernar- 
do dice,  che  le  giochevoli  parole 
nella  hocca  de'  secolari  sono  scher- 
zi, ma  nella  hocca  de'  sacerdoti  he- 
stemmie  ".  Il  medesimo  Sarnelli , 
loco  citato,  ci  dà  la  lettera  XXV  : 
II  giuoco  delle  carte  quanto  sia 
disdicevole  agli  ecclesiastici.  Narra 
che  Giustiniano  I  fu  dispiaccntissi- 
mo  in  veder  carte  da  giuoco  in 
mano  degli  ecclesiastici,  ed  in  vir- 
tù de' sacri  canoni,  per  mezzo  di 
santissimi  vescovi,  ne  proihì  loro  il 
giuoco.  Il  concilio  Trullano  col 
can.  So  impose  ai  laici  la  scomu- 
nica, ed  ai  chierici  la  deposizione 
se  avessero  fatti  i  giuochi  che  non 
precisa.  Il  concilio  Eliheritano  li 
proibì  ai  soli  laici ,  il  clero  non 
dandone  argomento.  Soggiunge  il 
Si  lineili,  che  il  nome  di  giuocatore 
di  carte,  al  riferir  d'Ammiano  Mar- 
cellino lih.  5,  cap.  18,  era  abbo- 
minevole  presso  i  nobili  romani  : 
e  che  s.  Girolamo  trattando  in 
Apoll.,  degli  scrittori  ecclesiastici, 
riporta  che  Sinesio  per  non  esse- 
re fatto  vescovo ,  disse  di  essere 
inclinato  al  giuoco.  Le  carte  da 
giuoco  piìi  antiche  dovettero  essere 
disegnate  a  penna  e  colorite  dagli 
a  Unni  ina  tori. 

La  prima  menzione  delle  carte 
da  giuoco  ora  in  uso,  tuttavolta  si 
vuole  attribuire  ai  primi  del  seco- 
lo XIV,  od  inventate  nel  i33o  in 
Spagna  da  Nicolò  Pepino,  nomina- 
te in  quel  regno  naipes  dalle  ini- 
ziali IN.  I\,  che  l'inventore  appose 
alle  carte  da  Ini  fabbricate;  corto 
è  che  i  giuochi  delle  carte  furono 
vietali  negli  statuti  di  un  ordine 
cavalleresco,  (ondato  nella  Spagna 
verso  il  r33?  da  Alfonso  1\  Il 
francese  Johanneau  assegna  a  que- 
ste   carte     un'orìgine     ancora     piq 


GIÙ  181 

antica,  e  crede    di    trovarne    l'ap- 
io  nel    Lessico  di   Papia,  scrit- 
to   nel    secolo    XI.    In    Francia  le 
carte    da    giuoco    erano    conosciute 
sotto   Carlo     V,    che    incominciò    a 
regnare   nel    i3G4s    ma    non   dove- 
vano essere  comuni  a  cagione  della 
spesa  che  dovea   produrre  la  dipin- 
tura,  giacché   l'arte    d'incidere  sul 
legno  in    Francia    era    ignorata  ;    e 
nel    i3f)o   la  camera    de' conti    ap- 
provò   1'  erogazione    d'  una    somma 
considerabile  per   un   giuoco  di  car- 
te portato    in    Francia ,    affine    di 
trattenere  il   re  Carlo    VI    che  sof- 
friva accessi  di  pazzia  melanconica. 
Narrano  i  francesi  che  sotto  il  regno 
seguente  di  Carlo  VII    un    pittore 
della  loro  nazione,  Giacomino  Grin- 
gonneur,    inventò   carte  da    giuoco 
particolari    alla    Francia ,    e  questo 
può  ammettersi  perchè  le  carte  di 
quel   genere  furono   per  lungo  tem- 
po in   Italia  appellate  francesi.  Gia- 
comino ornò  le    carte    con    oro    e 
colori,  con  parecchi  motti  onde  ri- 
creare il  menzionato  re    nella  ma- 
lattia.  Sembra   però  ch'egli   le  ab- 
bia inventale  sotto  Carlo  V,  e  diffu- 
se maggiormente  nel  regno  di  Car- 
lo VII,  stabilendole  meglio.  La  re- 
gina    de'  fiori     chiamavasi     argine, 
die    è    l'anagramma   di    regina,  e 
questa  era  Maria  d'  Angiò,  moglie 
di   Carlo   VII;   la   regina  de' quadri 
era    Agnese   Sorel  ;  quella  delle  pic- 
che, sotto  il   nome  di    Pallade  ,   in- 
dicava  la   Pulcella  d'Orleans,  e   la 
regina  de' cuori    rappresentava   Isa- 
bella di  Baviera,  *otto  il    nome  di 
Giuditta.    Il    redi    picche    era   Carlo 
VII, sotto  il  nome  di  Davidde,  sì.tc- 
cbè  quel  principe  era    stato    come 
Davidde    perseguitato    dal    mio  an- 
i  «piatirò   Scudieri    "  tanti 
ciao..    I  ggero,  Lanccllotto,  La  II    < 
ed   Ettore   ('■alitile,   tulli    personag- 


182  GIÙ 

gi  storici,  i  due  primi  sotto  Carlo 
Magno ,  i  secondi  sotto  lo  stesso 
Carlo  VII:  essi  rappresentavano  la 
nobiltà,  e  tutte  le  altre  carte  sino 
a  dieci  indicavano  i  soldati.  I  co- 
lori medesimi  delle  carte  erano 
emblemi  militari.  Il  cuore  indicava 
il  valore;  le  picche  e  i  quadri  rap- 
presentavano le  armi  ;  i  fiori  i  fo- 
raggi necessari  in  un  campo.  Cre- 
dettero alcuni  che  l' asse  fosse  il 
simbolo  delle  finanze  che  formano 
il  nerbo  della  guerra,  e  certamente 
l' asse  era  una  moneta  presso  i  ro- 
mani. 

La    prima  menzione  poi  di  carte 
da    giuoco   stampate   trovasi   in  un 
decreto  pubblicato  a    Venezia  nel- 
l'anno   I441   j    l,e'    quale    si     leg- 
ge:  o*  Che  l' arte  e  il  mestiere  del- 
le   carte    stampate    era    caduto    in 
basso,  a  motivo  della    gran    quan- 
tità di  carte  da  giuoco  con  figure 
dipinte  e  stampate  che  venivano  di 
fuori  ".  11  decreto  quindi    proibiva 
per    1'  avvenire    1'  introduzione    di 
tali  carte   in    paese.    Predicando  s. 
Bernardino  da  Siena  sulle  scale  di 
s.   Petronio    in    Bologna    contro    il 
giuoco    delle  carte,  mosse  il  popo- 
lo a  portargliele    tutte,  ed    egli  le 
bruciò    a' 5  maggio   i45>3:   da  ciò 
rilevasi    com'  erano    propagate.    Se 
lie  dolse  l'artefice  che  le  formava, 
e  disse  al  santo  piangendo,  che  gli 
avea  tolto  il  sostentamento  alla  fa- 
miglia, non  sapendo  far    altro  che 
dipingere  le  carte.    Allora    s.    Ber- 
nardino gli  rispose:  »Si  nescis  alimi 
piugere,  liane  imaginem  pinge,  ncc 
te  omnìno  pi  geli  t;  e  formata  la  fi- 
gura del  sole  co'  raggi    in  una    ta- 
bella,   siccome     propagatore     della 
venerazione  al  nome   di    Gesù ,    vi 
pose     nel     mezzo     le     note     sigle 
1ÌIS.    L'artefice    ne    formò    subito 
pklle  simili,  e  ne    vendè    in    tanta 


GIÙ 

copia,  che  ne  divenne    assai    ricco. 
Veramente  per  lungo  tempo  le  car- 
te rimasero  ciò  eh'  erano  da   prin- 
cipio, un  semplice    oggetto    di   cu- 
riosità,   un   vero    balocco    da    fan- 
ciulli;  e    solo    ad    un    gran    pezzo 
dopo  si  videro  comparire   parecchi 
giuochi,  fondati  sui    vari    accidenti 
di  cui  sono  suscettive,  e  moltiplica- 
te in  numero  di  quaranta  di  quat- 
tro specie,  e  fra  noi  dette  di  cop- 
pe, denari,  spade,  e  bastoni,  avente 
ogni  decina  il  suo  re,  cavallo,  fan- 
te, asse,  due,  tre,    quattro,  cinque, 
sei,  e  sette.  In  altri  luoghi  arriva- 
no   sino  a    dieci    e  sono    in    tutte 
cinquantadue.  Il  giuoco  del  picchetto 
sembra  uno   de'  primi    inventati,    e 
nel  Giornale  di   Trevoux ,    e  nelle 
Ricerche    storielle    su    le    carte    da 
giuoco  del  Bullet ,    si    pretende   di 
trovare  nella  storia  di  Francia  1'  o- 
rigine  del  giuoco  di  picchetto.  Sa- 
muel Weller  Singer  ha  pubblicato 
uel   1816  in    Londra    in    un   libro 
rarissimo  ,     perchè    stampato     con 
molte  figure,  e  al    numero  solo  di 
i5o  esemplari ,  varie    belle    figure 
sulla  origine  delle  carte  da  giuoco. 
Nel  gabinetto  delle    stampe,    unito 
alla  biblioteca  reale   di    Parigi  ,   si 
conservano  molte  carte  antiche  del- 
la  maggior    bellezza ,    alcune  delle 
quali   hanno   pure    la    lunghezza  di 
sei  o  sette  pollici,  e  tutte  sono  con 
l' insegna  del   re  Davidde. 

Il  giuoco  in  cui  si  avventura 
una  somma  qualunque  di  denaro,  è 
di  pura  industria,  o  di  puro  az- 
zardo, ovvero  misto ,  cioè  parte 
d'industria,  e  parte  d'azzardo.  Il 
giuoco  di  pura  industria  è  quello 
che  dipende  unicamente  dall'abili- 
tà de'  giuocatori,  come  il  giuoco 
del  pallone,  o  della  palla,  il  giuo- 
co del  bigliardo,  ec.  Il  giuoco  di 
puro  azzardo    e  quello  che  dipeli* 


GIÙ 

de  unicamente  o  (juasi  unicamen- 
te dalla  fortuna,  come  il  giuoco 
de' dadi,  e  molti  giuochi  di  carte, 
ec.  il  giuoco  misto  dipende  dalla 
fortuna  e  dall'abilità  ad  un  tem- 
po, come  il  picchetto,  1'  ombre,  i 
tarocchi  ,  ec.  Alcuni  di  questi 
giuochi  non  sono  cattivi  per  sé 
stessi,  perchè  siccome  una  perso- 
na può  cedere  il  suo  denaro  ad 
un'altra  assolutamente,  e  senza 
condizione ,  così  può»  la  persona 
medesima  darlo  sotto  una  condi- 
zione, sia  che  questa  condizione 
dipenda  dall'  industria,  sia  che  di- 
penda dall'azzardo.  Ma  il  giuoco 
di  puro  azzardo  viene  proibito  ai 
laici,  e  particolarmente  agli  ee- 
clesiastici,  tanto  dal  diritto  civile, 
quanto  dal  diritto  canonico.  Che 
i  giuochi  di  risico  furono  proibì- 
ti  severamente  colle  leggi  della 
Chiesa  non  solo  ai  chierici  ,  ma 
anco  ai  fedeli,  ciò  si  conosce  dal 
canone  42  °  35  degli  apostoli, 
e  dal  canone  79  del  concilio  di 
Elvira  tenuto  verso  I'  anno  3oo. 
Avvi  un  titolo  speciale  nelle  Pan- 
dette contro  i  giuochi  d'  azzardo. 
Il  IV  concilio  Lateranense  celebra- 
to da  Innocenzo  III,  can.  i(S,  si 
esprime  in  questi  termini  riguardo 
agli  ecclesiastici  :  Clerici  ad  alea» 
vel  ta.rillos  non  ladani,  nec  lui- 
jusmodi  ludis  inlersint.  Il  concilio 
di  Trento  ed  i  concilii  provinciali 
ripetono  la  stessa  cosa.  Scriveva 
uno,  che  avea  perduto  al  giuoco 
delle  carte  :  «  Tale  trovato  che 
favorisce  e  incoraggia  1'  ozio,  è 
pernicioso  per  la  civil  compagnia; 
tristo  rimedio  contro  la  noia,  ri- 
medio peggiore  del  male  medesi- 
mo; passione  funesta  che  la  ger- 
mogbare  tulle  le  altre,  rovina  la 
salute,  e  inelle  a  secco  la  borsa."' 
In  quanto  agli  spettacoli,  che  nel 


!    i  t 


linguaggio  comune  s'intendono  lut- 
ti i  divertimenti  che  si  danno  al 
pubblico,  e  piìi  particolarmente  le 
rappresentazioni  del  Teatro  (Fedi), 
opere  in  musica,  commedie,  trage- 
die, balli,  ec. ,  pei  disordini  ca- 
gionali il  piìi  delle  volte  da  sii 
filiti  spettacoli  li  fecero  condannale 
non  solamente  dai  concilii  e  dai 
padri  della  Chiesa,  ma  altresì  dai 
pagani.  Neil'  anno  4°°  dopo  la 
fondazione  di  Roma,  i  censori  a- 
vendo  proposto  al  senato  di  far 
costruire  un  teatro  di  pietra,  Sci- 
pione dimostrò  che  gli  spettacoli 
avrebbero  indubitatamente  corrot- 
to i  romani  ;  quindi  il  senato  fece 
vendere  i  materiali  preparati  per 
la  costruzione  del  teatro.  Ovidio 
nella  sua  famosa  apologia  diretta 
ad  Augusto,  confessa  che  i  giuo- 
chi sono  semenze  di  corruzione, 
ed  esortò  quel  principe  a  soppri- 
mere i  teatri  .  Seneca  Dell'  episi. 
\  II,  sostiene  che  non  avvi  nulla 
di  piìi  contrario  ai  buoni  costu- 
mi, quanto  l'assistere  a  qualche 
spettacolo.  Tacito  nel  lib.  f\,  ca[>- 
8  de' suoi  Annali  riferisce  le  la- 
gnanze che  facevano  i  più  saggi 
tra  i  romani,  quando  furono  dal- 
la Grecia  condotti  a  Roma  gì'  i- 
strioni ,  dicendo  tra  le  altre  cose, 
che  i  buoni  costumi  lasciali  dagli 
antenati  si  sarebbero  totalmente 
corrotti.  Lo  slesso  Tacito  conside- 
rava l'avversione  dei  germani  pei 
gli  spettacoli,  come  una  delle  cau- 
se della  purezza  de'  loro  costumi. 
Il  celebre  Solone,  legislatore  d'  A- 
tene,  si  oppose  allo  stabilimento  dei 
teatri,  dicendo  che  Se  si  fossero  tolle- 
rali, ben  [nesto  avrebbero  corroili 
i  costumi,  ed  infievolito  il  »igi 
delle  leggi;  e  Plutarco  attribuì 
la  corruzione  e  la  rovina  di  quella 
possente    repubblica,    .dia     smai 


284  GIÙ 

degli    ateniesi    per    gli    spettacoli  . 
A   Sparta  non  erano  tollerati.  Seb- 
bene la  sacra    Scrittura  non    proi- 
bisca gli    spettacoli,  implicitamente 
sempre  li  condanna.  Essendosi  Gia- 
sone   impossessato    della    carica    di 
sommo    sacerdote,   e  volendo  inte- 
ramente  corrompere    il   popolo  e- 
breo,  non  trovò  mezzo  più  effica- 
ce per    riuscirvi,  quanto   quello  di 
stabilire  in  Gerusalemme  gli  spet- 
tacoli della    Grecia,  e    disgraziata- 
mente ottenne  il  suo  intento.  Ter- 
tulliano condannò  gli  spettacoli  per- 
chè    fomentano    le     passioni ,  sono 
contrari  ai  doni  dello  Spirito   San- 
to, incompatibili  cogl'impegni  con- 
tratti col    battesimo,  e  coll'obbligo 
che    ha    ogni    cristiano   di    riferire 
a  Dio  tutte  le  sue  azioni,  e  di  vi- 
vere in    una    disposizione  continua 
di  preghiera,   di    attenzione,  di   vi- 
gilanza e  di    penitenza.    Le  pode- 
stà ecclesiastiche  e  secolari   tollera- 
no   gli     spettacoli     come    tollerano 
una   infinità  di  altri   mali   che  non 
possono  efficacemente  impedire.  Veg- 
gasi  il  Butler,    Vite  dei  padri,  dei 
martiri  ec.  a  pag.  46  e  seg.  delle 
sue    Feste    mobili,  sui    giuochi    e 
spettacoli    proibiti    la  domenica,  e 
durante  la    quaresima,  con   le  os- 
servazioni    sopra     diversi     giuochi 
ed     antichi     spettacoli  ;   riportando 
nell'  ottobre  a  p.   3o6,  il  passo  di 
s.     Giovanni     Grisostomo,    quanto 
essi  sieno  pericolosi  pei  costumi. 

Il  Pontefice  s.  Pio  V  con  la 
costituzione  De  salute,  del  primo 
novembre  1^67,  Bull.  Rom.  t.  IV, 
part.  II,  p.  402>  vietò  con  som- 
mo rigore  i  pubblici  spettacoli,  e 
giuochi  de' tori  e  di  altre  bestie 
feroci,  per  cagione  delle  morti  e 
dei  pericoli  ai  quali  in  essi  si  espo- 
nevano i  giostratori,  ed  anche  per- 
chè   contrari     alla     pietà  cristiana, 


GIÙ 

fulminando    la  scomunica  ai    prin- 
cipi e  magistrati  che  li   permetles  - 
sero,    e  a    qualunque     persona  che 
si  esponesse    al  pericoloso  cimento. 
Così    pure    privò    con   tal  bolla  di 
sepoltura    ecclesiastica  chiunque  in 
detti  giuochi  restasse  morto,  e  sog- 
gettò   eziandio    alla    scomunica  gli 
ecclesiastici,  sì  regolari  che  secolari, 
che  vi  assistessero.  Però  il  successore 
Gregorio  Xllf,  ad  istanza  di  Filippo 
II  redi  Spagna,  levò  le  censure  della 
bolla  perciò  che    riguardava    i  lai- 
ci ed  i  militari;  ma  vietò  che    ta- 
li   spettacoli  si    facessero  nei  dì  fe- 
stivi.  Lo  stesso   Gregorio  XIII    nel- 
l'anno i5y3  proibii  ridotti  de'giuo- 
chi,  non  solo  ai    plebei    ma  auche 
ai  nobili,  alcuni  de'quali  nell'onore 
e    nella  roba     gravemente     puniti. 
Sisto  V     nel     i586     promulgò  uu 
severo  editto  contro  le  fraudi   che 
si     commettevano     colle    carte     da 
giuoco  e    coi    dadi  ,    chiamate  al- 
lora   baratteria.    Innocenzo     XI,   e- 
letto  nel     1676,   voleva    essere  so- 
vente   informato    de'  costumi    della 
nobiltà  romana,  e  proibì   i   giuochi 
illeciti   che     dicevansi  d'invito.   In- 
nocenzo   XII   del     i6f)i   fece  casti- 
gare    varie     dame    per     aver    con- 
travvenuto   alla  severa   proibizione 
che     avea  fatto  de'giuochi  d'azzar- 
do, e  fece  dar  la  corda  ad  alcuni 
birri,  che  corrotti    col  denaro  non 
avevano     denunziato     i    giuocatori 
principali  da  essi  scoperti.  Clemen- 
te  XI  nel   17 19  ordinò  ai  vescovi 
di     non    permettere    agi'  istrioni  e 
saltimbanchi    di  giuocar  vicino  al- 
le chiese  e  monisteri,  e  nelle  feste 
durante  i    divini   uffìzi.    Benedetto 
XIV   nel    1742   con  la  costituzione 
Nihil   profecto ,  presso  il  suo  Bull. 
t.   I,    p.   206,    proibì  gli    spettacoli 
immodesti,    che  dai    giovani    nudi 
in  diversi    luoghi    delia  Campagna 


GIÙ  GIÙ                     i  8 > 
romana  si    facevano    con   iscandalo  di  Alessandro,  Genial.    Dier.   I.    IH, 
ne'giorni   festivi.    Intorno  agli  spet-  e.   1 1 ,  che  lo  stesso   Dionigi    tiran- 
tacoli,  come  occasione  prossima  di  no     di     Siracusa    soleva    divertirsi, 
peccalo,  abbiamo  il    trattato  latino  pilla  et  follicolo.    Questo  era    uno 
stampato    in   Roma  nel     iy52,  del  de'di  ver  tinnenti    prediletti  della   no- 
celebre     p.     Concilia     domenicano,  bilia    romana,    massime    nel    XVI 
trattato  che   meritò    l'approvazione  e  nel    XVII    secolo.   M.   A.     Massi  - 
del    medesimo    Benedetto    XIV,   il  mi,  mentre  giuocava  a  pallone  nel 
quale    nel     primo    gennaio     1748,  cortile  di  d.  Virginio  Orsini  a  Mon- 
co n  la    costituzione     Inter  caetera,  te  Giordano,  si   turbò  a    vedere   il 
loco  citato  t.   II,  p.    37.5,    protestò  bargello  di  Roma,  per  essere  reo  di 
a    tutto     il  mondo    ch'egli    tollera  avere  avvelenato  il    fratello  Luca: 
gli  spettacoli    con  sommo  ramma-  anche  Onofrio  Santacroce,  che  avea 
lieo,    avendo    inoltre    nelle    dotte  consigliato  il  fratello   Paolo  ad   uc- 
sue  opere    ognora     combattuto  gli  cidere  la   madre,   fu   appostato  dal 
spettacoli    come    occasioni   prossime  bargello     neh'  uscire     che     fece    da 
di  peccare.   Pio  VI  nel   1788   proi-  detto    cortile    ove  avea  giuocato    a 
bì    qualunque    giuoco     di     azzardo  pallone.   Ciò  accadde  sotto  Gemell- 
ile'luoghi  pubblici,     per     rimovere  Vili.     Nel     161  1     1' ambasciatore 
tutti   gì'  inconvenienti     che    ne  de-  di  Spagna  per  diporto  andò  a  giuo- 
rivano.     Dipoi     nel      1790  con     le  care     alla    pilotta    nel    cortile    del 
pene  più  severe,    e    con  la   multa  cardinal  Farnese  con  un  cavaliere 
di  cinquecento    scudi    vietò  i   detti  di    Malta,     avendo     l' ambasciatore 
giuochi  d'azzardo,  da'  quali  spesso  guadagnato  duecento  cinquanta  scu- 
provenivano    V  intera    rovina   delle  di   d'oro.    Nel   palazzo     Bentivoglio 
famiglie,  il  dissipamento   della  gio-  ora    Rospigliosi    vi   furono    forni  ili 
ventò,  le  risse,    i    più    enormi   de-  tre  cortili,  uno  per  la  cavallerizza, 
litti.   Le    leggi   odierne  sui    giuochi  l'altro    pel  giuoco     del   pallone,  il 
proibiti   sono  note.  terzo  per  quello  della   pilotta.  An- 
Si  disse  giuocare  alla   Pilotta,   il  tonio    Scaino   fece    un   trattato    sul 
giuoco    che  si  faceva  con   una   pai-  Giuoco     della  palla  ,  Venezia    pel 
la  mezzana,    che  si   gonfiava   come  Giolito    1 555.     Pollocronio  Clivola, 
il  pallone.  Forse  la  piazza  della  Vi-  Jl    giuoco    del    pallone,     Venezia 
lotta   in   Roma  alle  radici   del  Qui-  l65o.    Francesco   Saverio   Quadrio, 
riuale,  avrà    preso    tale  denomina-  t. citerà    intorno    alla     sferislica    0 
zione   dal    sito  ove    si  giuocava  al-  sia  giuoco    della  palla  degli    anti- 
la  pilotta.  Buon.,  Fior.,  scrive:    noi  chi,     Milano     1 7 *>  1  -     Pierre     Jean 
lioninio   tre    ore    o     quattro    alla  Burette:    Meni,  patir  sereir  à  l'hi- 
pilotla.    Svelonio,   e.    83,   disse    che  stoire  de   la    spheristique  011    de   hi 
Augusto    ej crciiatioui s    campeslres  paumc   des  anoiens,   nel    tona.  II 
equorum,  et  armorum ,  statini  post  delle  Mem.de   l'.lcad.  des  Tnscr. 
civiltà   bella  omisil;  <t    ad  pilam  197.     Il  giuoco  dell'oca  è    quello 
primo,  follicolitnit/iie   transiti.    Mi-  che   si    la  eoo    c\\.\c  dadi,   sepia    una 
crab.,  Satani.   I.  Il,  e.  6,  ci  atte-  tavola    dipinta    in    sessantatre   1  1- 
sta,  the  Caio  Cesare  Caligola  giuo-  se,  in    giro    a  spirale,  come    spic- 
cava alla  palla  con  L   Cecilia  ('1.1111  sano  Antonio     .Mani     Biscioni,    e 
malico.  Così  rilevasi  da  Alessandro  Ciò.     Battista    Fagiuoli.    Giuseppe 


ifh> 


GIÙ 


Bernei'i  descrisse  in  versi  il  giuo- 
co dell'  oca,  e  quello  della  canna- 
lìendola  o  altalena,  e  si  leggono 
nelle  sue  poesie  stampate  dagli 
accademici  Infecondi  di  Pioma  1678, 
1679. 

In  quanto  al  giuoco  dell'alta- 
lena, cannofiena  o  cannafiendola, 
(Uncino  alcune  erudizioni.  Esso  era 
praticato  in  Roma  nei  sei  giorni 
delle  ferie  latine,  è  consimile  alla 
fèsta  dell'  oscilla/ione,  istituita  in 
Atene,  secondo  Igino,  per  imitare 
d  moto  del  corpo  di  Etigone  mo- 
glie d'Icaro  ucciso  dai  pastori  in- 
ebbriati,  messa  in  furore  da  Bac- 
co irato,  ed  appesa  ad  un  laccio; 
alludendo  questa  oscilla/ione  alla 
instabilità  della  vita  umana  e  del- 
la fortuna,  che  dall'alto  al  basso, 
e  dal  basso  all'alto  a  vicenda  al- 
za e  deprime  i  mortali.  Narra  la 
mitologia  che  Ebaio  re  di  Laeo- 
nia  padre  d'Icaro  e  di  Penelope, 
imparò  da  Bacco  l'uso  della  vite,  e 
diede  a  bere  il  vino  a'suoi  sudditi, 
che  restandone  inebbriati,  e  temen- 
do in  questo  stato  di  essere  stati 
avvelenati,  uccisero  Icaro  .  Com- 
messo tal  delitto  seguì  la  morte  di 
Erigone,  la  quale  per  compassione 
idi  tlei  trasformarono  nel  seguo  ce- 
leste di  Vergine.  Quindi  gli  dei 
ispirarono  alle  mogli  degli  uccisori 
d'  Icaro  implacabile  e  furioso  ri- 
sentimento: consultalo  dai  rei  l'o- 
racolo, venne  ordinato  iu  espiazio- 
ne del  delitto  1'  istituzione  delle 
feste  d'Icaro,  coi  giuochi  chiamati 
da  lui  icarii,  e  si  celebravano  don- 
dolandosi sopra  una  corda  attacca- 
ta a  due  alberi  in  memoria  della 
violenta  morte  di  Erigono.  Da  ciò 
derivò  la  festa  in  onore  di  Bacco 
presso  i  latini,  che  avcano  per  co- 
.stume  di  dondolarsi  sopra  una  cor- 
da   attaccata    a    due    pini,    che    iu 


GIÙ 

progresso  di  tempo  di  venne  un  gin- 
nastico esercizio  ed  un  gradilo  sol- 
lazzo della  romana  plebe,  e  degli 
abitanti  de' luoghi  vicini  a  Roma. 
E  infatti  consiste  questo  giuoco 
prediletto  della  nominata  gente, 
nel  sospendere  per  mezzo  di  quat- 
tro funi  da  un  architrave  una  ta- 
vola sulla  quale  siedono  ordinaria- 
mente cinque  o  sei  donne,  e  nel- 
l'estremità della  tavola  due  ritte 
in  piedi  sono  la  causa  motrice  del- 
l'alternato molo,  che  serve  alla  di- 
scesa ed  all' innalzamento  della  ta- 
vola ambulante:  mentre  succede 
l' altalena  o  cannofiena,  le  donne 
allegramente  suonano  il  tamburel- 
lo e  cantano  e  ripetono  i  ritornel- 
li o  canzoni  con  dialetto  plebeo  e 
piacevolissimo,  cui  fanno  eco  i  cir- 
costanti. In  altri  luoghi  l'esercizio 
e  sollazzo  dell'altalena  si  fa  presso 
a  poco  quale  qui  lo  descrivemmo. 
Era  un  tempo  V  ali  alena  una  mac- 
china militare  formata  d'una  trave 
alta  ficcata  in  terra  ed  in  cima 
bilicata  un'altra  trave  più  lunga 
per  traverso,  ed  in  tal  modo  com- 
messa che  un  capo  si  china  e  l'al- 
tro si  leva  in  alto.  Da  questa  mac- 
china vuoisi  derivata  la  prima  in- 
venzione dei    telegralì. 

Guglielmo  Manzi  ci  hato  un  e- 
1  udito  Discorso  sopra  gli  spettaco- 
li, le  feste,  ed  il  lasso  degli  italia- 
ni nel  secolo  XIV ,  con  note  ed 
illustrazioni,  Roma  18  r 8.  Diverse 
erudizioni  sugli  antichi  giuochi  -1 
leggono  nelle  opere  di  Filippo  Buo- 
narroti sui  Vasi  antichi  di  vetro, 
e  sopra  i  Medaglioni  antichi.  Il 
Cancellieri  nelle  sue  opere  parla 
dei  giuochi  popolari  di  Roma, 
massime  in  quella  intitolala  il  Mer- 
cato, per  le  strade,  nel  Tevere, 
nel  lago  a  piazza  Navona,  in  di- 
versi tempi.   Ivi,  a  p.  17,  tra  le  co- 


GIÙ 

se  curiose  riporta  l'iscrizione    d'un 
facchino     di     detta   piazza,   sepolto 
nella  chiesa   tli   s.    Onofrio,    ove   si 
legge:  et  digitorum  dimicatione  sin- 
gulari.     Indi    elice    che  da    Nonno 
l'anopolita,    Dionysiacorum    I.    34, 
siamo  istruiti,  che    Imeneo  figliuo- 
lo tli    Lacco  e    di    Urania,   ed  ancor 
Cupido  figlio  di  Giove  e  di  Venere, 
talvolta  si  dilettavano  giuocare  a  mo- 
ra o  morra,  che  il  Dizionario  detta 
lingua  italiana  definisce  :   Mora,  si 
dice  un  giuoco  noto,   che  si   fa  in 
due,    alzando  le    dita    d'una    delle 
mani,    e    cercando    d' apponi    che 
numero  siano  per  alzare   tra   tutti  e 
due,  onde  fare  alla   mora,  in   lati- 
no   mirare  digitis.  Nel  suo  opusco- 
letto  sulle  Sette  cose  fatali  di  Ro- 
ma, il    Cancellieri    riporta    a   pag. 
68  e  g3  questi  autori  che  scrisse- 
ro sul  giuoco    antico    della    morra. 
Jo.    Pacichelli,     Ludus    paris     aut 
impari»  morrac,  in  Chirolilurgiae, 
cap.  XII,    p.     i  c)7-    Spanhem.    ad 
Aristoph.   Pintura,    8,    818.    Mura- 
tori  t.    I     Analect.    latin.     1 2  \  i  ,  et 
interprete*  ad   Ilorat.   1.    a,   sat.    3, 
v.  ifò.  A  p.  35  il   Cancellieri  ag- 
giunge, che  si  apprende  da  s.  Giu- 
stino martire,   nell'epistola   a    Zena, 
che  si   usava   di   fare    il    giuoco    di 
imo  che  rappresentasse   la   persona 
d'  Oreste,  di  statura  gigantesca,  fa- 
cendolo camminale  sopra  de  tram- 
pani   (come    vediamo    una    siffatta 
maschera   nel   carnevale  di    Roma), 
cai    una   fàccia    mostruosa  ,    ed    un 
ventre  pieno  di   stracci   o  ili  paglia, 
(In-  andasse  gridando  a  gran  voce, 
(aule  restassero  spaventali  i  fanciul- 
li  e   le   persone  semplici,   e   si  desse 
spasso  alle    brigate  :   quindi    cita   il 
p.   Menochio,    che   nelle   Stame  di- 
ce   aver    irati. ilo    de' giocolar!    ./<- 

■  inlnhi.    Nel    toni.    Ili,     p. 
il   p.     Mcuocfaio    discolie     Di.Ui  fu* 


GIÙ  187 

namlìoliy  e  d'  alcuni  altri  giocolaci 
de  tpt, di  parla  s.  Gio.  Grisoslomo. 
Il  Marangoni  ,  Delle  cose  gentile- 
sche, coli' autorità  del  Baldetli  a 
p.  38o  riporta  alcune  ci  udizioni 
sui  giuocoli  fanciulleschi  affissi  ai 
loro  sepolcri. 

In  Roma  nel    17G8  dal  Barbiel- 
lini    fu    pubblicato    un   importante 
opuscolo   con  questo    titolo:     Trat- 
tato   de  giuochi    e    de*  divertimenti 
permessi    o  proibiti  ai  cristiani.    In 
questo   libro  si   dice   che    gli   onesti 
divertimenti  sono  in  qualche  manie- 
ra    necessari     all'  uomo  ,     attesa     la 
debolezza  del   suo  spirito  e  del  suo 
corpo  :    i    santi   non  gli    hanno    dis- 
approvati,    purché    vi   sia   la  debita 
moderazione.   Che   i   giuochi   di    pa- 
role,  e   i   motti   piacevoli    inai   sono 
indegni   de'  cristiani  :    i   santi    mede- 
simi  se   ne  sono  servili,  ma  è  mol- 
to difficile   l' usarne  bene    e  discre- 
tamente.    Indi     traila     delle     specie 
degli   spettacoli    teatrali,   come  con- 
trari  alla    perfezione  cristiana    e   al- 
la  purità  ile' costumi  ,  onde   unani- 
me    lu     il     consenso    de' più     gravi 
autori  in  condannarli.    Delle    com- 
medie   piavate    de'  collegi    e    moni- 
steri.  De' balli,    delle    maschere    ed 
altri  divertimenti  carnevaleschi.  Dei 
giuochi   di    fortuna    detti     comune 
mente  di  resto  ;  dell'  invenzione  dei 
medesimi,  e  del  sentimento   unani- 
me de'  gentili  in  condannarli,  come 
pur  fecero  i   santi   padri,   gravi  au- 
tori, e  le  leggi  civili    e    canoniche, 
essendone  il  guadagno  illecito.  Che 
si;  i  giuochi  d'industria  e    di  1  sei  - 
eizio    sono    per    sé    stessi    leciti  ,   si 
devono  però  osservare    varie  circo- 
stanze,  che    potrebbero   renderli   in- 
convenienti  ed    dienti.    Tratta    a\\ 
coi  a  «lei  ili  v  ii  timenti  della  pese  1  1 
della    Cai  <  ia  (  I  <  >li  ).  e  quali 
11  1    1    pi  oibita  ,   del   giuoco   del  / 


.88  GIÙ 

io     {Vedì\j     della    musica    e    del 
canto;  delle  conversazioni  e  de'con- 
viti  ;  del  lusso  e  delle  spese  super- 
flue che  si   fanno   pei  divertimenti, 
con  danno  grande  al    pubblico    ed 
alla   religione.  Conchiude    che    l' e- 
suberante  attacco  ai    giuochi    e  di- 
vertimenti è  cattivo,  ed   anche  tal- 
volta peccaminoso,  essendo  la  vita  del 
cristiano  di   penitenza    e    mortifica- 
zione.  Nell'anno     79  r    Alcuino   Al- 
bino nelT  epist.    107  detestava  Spe- 
ctacula  et  diabolica  figmcnta,    con 
aggiungere  :   Nescit    homo,    qui    lu- 
stri ones,   rnimos ,    et    saltato res    in- 
troducit    in    domimi    suam ,    guani 
magna    eos    immundorum    sequilur 
turba  spirituum.    Cosi    nel   concilio 
Cabilonense    II     dell' 8 1 3     è     fatta 
menzione  :    Hislrionum    sive    scur- 
raruni  _,     et  turpium  seu    obsceno- 
ruin  jocorum.  Anco    Agobardo    ar- 
civescovo di   Lione  nel   lib.   De  di- 
spens. ,  circa  l'anno  836  così  scri- 
ve:  Inebriai  histriones,  mimos,  tur- 
pissinwsque  et  vanissimos  joculato- 
res,  quum    pauperes    Ecclesiae  fa- 
nte discruciali    inle.rcant.    Neil' 816 
il  concilio    d'  Aquisgrana   col  cano- 
ne    83   ordinò:    Quod    non    opor- 
tcal  sacerdotes  aut  clericos  quibus- 
cumque  spectaculis  in  scoenis,    aut 
uupliis     interesse  j     sed    antequam 
Thymelici  (  cioè  gì'  istrioni,  musici 
0     mimi  )    ingrediantur ,    exurgere 
eos  Convenìt,  atque  inde,    discedere. 
Atfche  nel   concilio  Turonense  del- 
l'anno 8 1 3,  col   can.   7   si    coman- 
da,   che    i    sacerdoti    debbano    hi- 
sirionum  turpium  et  obscenorum  in- 
solentias  jocorum  effugere.  IlThieis 
è    autore     del    Traile  des   jeux  et 
des  diverlissemenls,  stampato  a  Pa- 
rigi. 

GIURAMENTO  ,  juramenlum  , 
jusjurauduni  ,  sacrameutum.  Atto 
del   giurare  o  di  chiamare   Iddio  e 


GIÙ 
i   santi   o  le  cose  sacre  in   testimo- 
nio per  corroborare  il  proprio  det- 
to; atto  di    religione    per    le    cose 
che  si  affermano    o  si   promettono. 
Il  Bergier  così    definisce    il    giura- 
mento :  giurare  è  prendere  Dio  in 
testimonio  della    verità    di    un    di- 
scorso, o  della  sincerità  d'  una  pro- 
messa,   e    fare    una     imprecazione 
contro  sé  stesso  se   si    mentisce,  o 
se  non  si   adempie    ciò    che    si  ha 
promesso  :  dunque  questo  è  un  at- 
to di  religione,  con  cui  si  professa 
di   temer  Dio  e  la  di  lui  giustizia. 
I   giuramenti  cominciarono,  secondo 
alcuni  autori,  a  stabilirsi  quasi  nel- 
l' epoca  medesima  che    gli    uomini 
cominciarono  ad  ingannare;    quin- 
di  i   poeti   dissero  il  giuramento  fi- 
glio   della    discordia.    Allorché    la 
fede  non  si  appoggiò    più    se    non 
che  sopra  semplici    promesse ,  non 
solamente     il     giuramento    diventò 
una  specie  di   caparra    delle  prote- 
ste,  ma    quella    caparra    medesima 
non   presentò  un  appoggio  sufficien- 
te alla  sincerità ,  e    il    giuramento 
in   appresso  fu  di   necessità  accom- 
pagnato da  certe   formule,  da  cer- 
te cerimonie    e    solennità ,    che    ne 
dovevano  guarentire  l' inviolabilità. 
Del  giuramento  tuttavolta  ne  ab- 
biamo alcuni    esempi   fra   i   più  sin- 
ceri    adoratori     del    vero    Dio,     e 
sino  dalla  più    remota  antichità.  A- 
bramo  disse  al  re  di  Sodoma:  «  io 
levo  per  questo  la  mano  innanzi  al 
Signore,  al  Dio   altissimo,  possessore 
del  cielo  e  della  terra  ';  e  protestò  con 
giuramento  che    non  accetterà  doni 
dal  medesimo  re    di    Sodoma;     ed 
avendo  Abimelecco    esatto  da    quel 
patriarca,  che    gli    giurasse    per    il 
nome  di  Dio  di    non    fargli    alcun 
male,   Abramo    rispose  :  »  io   ve  lo 
giuro",  e  strinse    seco  lui  alleanza. 
Elezier  fece  giuramento  ad    Abra- 


GIÙ 
mo  slesso,  per  il  Signore  del  cielo 
e  della  lena ,  che  nel  cercare  una 
sposa  pel  figlio  Lacco,  non  sceglie- 
rà una  cananea.  Isacco  rinnovò 
con  giuramento  l'alleanza  fatta  da 
suo  padre  con  Abimelecco;  e  Gia- 
cobbe a  vicenda  giurò  con  Labano 
per  il  Dio  che  suo  padre  temeva. 
Il  modo  usato  da  Abramo  e  da 
Isacco  nel  ricevere  il  giuramento, 
consistette  nel  porre  la  mano  di 
chi  giurava  sotto  la  loro  coscia  ; 
ad  esso  furono  date  varie  interpre- 
tazioni, che  con  grande  erudizione 
sono  riportate  nelle  Stuore  del  p. 
Menochio,  p.  426,  caP-  ^11,  Qual 
fosse  l'origine  e  la  significazione 
(V  una  cerimonia  antica  che  chi 
giurava  mettesse  la  mano  sotto  la 
coscia  di  colui  a  favore  del  anale 
giurava.  Sembra  che  Dio  abbia 
approvato  1'  uso  di  giurare,  confer- 
mando con  una  specie  di  giura- 
mento le  promesse  che  faceva  ad 
Àbramo,  per  cui  si  legge  nella  Ge- 
nesi e.  22,  v.  16:  Giurai  per  me 
stesso,  dice  il  Signore,  di  benedilli 
e  di  moltiplicare  la  tua  posterità. 
In  Israele  questa  era  la  forinola 
del  giuramento:  Viva  il  Signore, 
ovvero,  che  il  Signore  mi  punisca 
se  non  faccio  la  tal  cosa.  Era 
proibito  agli  ebrei  di  giurare  pel 
nome  degli  dei  stranieri  ,  e  Mosè 
disse  :  Temerete  il  Signore  vostro 
Dio,  servirete  a  lui  solo,  e  giure- 
rete pel  di  lui  nome.  11  prendere 
invano  questo  santo  nome  è  sper- 
giurare, siccome  è  detto  nell'  Eso- 
do e.  20,  v.  7,  e  nel  Levitico  e.  <), 
v.  12.  Queste  due  proibizioni  ri- 
guardano egualmente  i  giuramenti 
che   si    facevano    alla     DI  imo/,  i     dei 

giudici  per  confermare  un  mutuo 
contratto,  e  quei  che  si  usavano  nel 
parlare  ordinario.  Gesù  Cristo  ne] 
vangelo,  parlando  •>  comune  istru* 


GIÙ  189 

zione  de' gentili  e  de' giudei.,  ag- 
giunse una  nuova  proibizione  di 
non   giuraie  senza  necessità. 

I  primi  cristiani  non  poterono 
acconsentire  di  fare  il  giuramento 
militare,  e  i  giuramenti  che  si  eri- 
gevano in  giustizia ,  quando  s\  fa- 
cevano in  nome  de' falsi  dei,  o  in 
presenza  de' loro  simulacri,  questo 
sarebbe  slato  un  atto  d' idolatria  , 
però  non  ricusarono  mai  di  fare 
de' giuramenti,  che  non  sentissero 
punto  di  paganesimo.  Dice  Tertul- 
liano :  giuriamo,  non  pei  genii  dei 
Cesari  }  ma  per  la  vita ,  salute  o 
conservazione  dei  Cesari,  la  quale 
e  più  augusta  di  tutti  i  genii ,  es- 
sendo questi  considerati  demouii. 
Il  p.  Mamachi  che  di  ciò  parici  , 
De'  costumi  de'  primitivi  cristiani , 
tom.  I,  p.  279,  co' padri  chiama 
improprio  il  dire  per  dio  Bacco, 
per  Diana,  per  Giove,  dappoiché 
i  cristiani  de'  primi  tempi  stimava- 
no di  far  male  adoprando  tali  pa- 
role. Il  Rinaldi  ,  danai,  cccl.  au. 
297  ,  n.  7  ,  dice  che  l' imperatore 
Massimiano  volle  costringere  i  sol- 
dati cristiani  ,  di  cui  nella  milizia 
sempre  ve  ne  fu  gran  quantità,  a 
sacrificare  ed  a  giurare  sugli  altari 
di  virilmente  combattere  co'  nemi- 
ci ,  ciò  che  mai  altri  avevano  esi- 
gito  da  loro,  massime  il  giuramen- 
to se  non  secondo  il  rito  cristiano, 
con  la  forinola  riferita  da  Vegezio, 
De  re  inilit.  I.  2  ,  con  queste  pa- 
role :  »  Giurano  per  Cristo  Dio,  e 
per  lo  Spirito  Santo ,  e  per  la 
maestà  dell'  imperatore  ,  la  «piale 
si  deve  dall'  umana  generazione 
secondo  Dio,  amare  e  riverire'. 
Soggiunge  lo  stesso Vegesio :  ••  \n- 
cora  giurano  1  soldati,  che  valoro- 
samente formi  inno  quanto  saia 
comandato  dal!  imperatore ,  che 
essi     non     inai     abbandoneranno    la 


r  ()o 


GIÙ 


milizia,  ne  ricuseranno  di  morire  per 
la  romana  repubblica'-'.  11  Pagi  in 
critic.  Bamn.  ad  an.  5Y)5,  n.  8, 
cap.  9,  sulle  traccie  della  legge  Vili 
del  codice  Teodosiano  dimostra, 
essere  stato  in  uso  de' cristiani  il 
giurare  per  salutem  et  Victor  inni 
imperatonim ,  quantunque  in  sen- 
so assai  diverso  da  quello  che  fa- 
cevano i  gentili,  siccome  prova 
r Assemanui,  Art.  watt,  occìdcnt. 
tonti.  II,  pag.  412- 

S.  Cornelio  Papa  del  254  dicesi  a- 
ver  ordinato,  che  niuno  domandasse 
giuramento  dai  chierici,  se  non  fosse 
in  confermazione  della  fede;  che 
chiunque  giurasse  sa rebhe  cosa  onesta 
il  farlo  digiuno,  e  che  niuno  fos- 
se costretto  a  dar  giuramento  pri- 
ma di  aver  quattordici  anni  di  età. 
V.  il  cap.  Honestutn  ctiam,  11, 
q.  5.  Il  Pdnaldi  all'anno  449>  "• 
12,  osserva  ch'era  cosa  insolita 
richiedere  il  giuramento  dai  ve- 
scovi, narrando  che  nel  sinodo  di 
Costantinopoli,  per  ordine  dell'  im- 
peratore, Macedonio  tribuno  e  no- 
taro,  avendo  richiesto  ai  vescovi 
che  dovessero  giurare  intorno  alle 
cose  appartenenti  alla  causa  di 
Etiliche,  Basilio  vescovo  di  Seleu- 
eia  ottenne  che  non  fossero  a  ciò 
costretti,  dicendo  egli  non  esservi 
memoria  che  si  domandasse  mai 
ai  vescovi  il  sacramento,  cioè  il 
giuramento.  All'articolo  Giudizii  di 
Dio,  Prova  o  Purgazioni,  dicem- 
mo, che  il  giuramento  è  l'unica 
purgazione  canonica  ed  antichissi- 
ma che  sia  ancora  in  vigore,  ed 
ivi  riportammo  alcuni  esempi  del 
modo  come  si  praticò  qual  purga- 
zione di  calunnie  apposte.  Accusa- 
to il  Pontefice  Alessandro  II  dal- 
l'antipapa  Onorio  II  di  simonia, 
nel  concilio  di  Mantova  dell'  anno 
10G7  se  ne  purgò  col  giuramento, 


GIÙ 

secondo  lo  stile  di  quel  tempo- 
Racconta  il  Rinaldi  all'anno  5g2, 
num.  1 4?  che  secondo  il  costume 
giunsero  a  s.  Gregorio  I  diverse 
appellazioni,  essendo  allora  in  vi- 
gore la  pratica  che  il  vescovo  ac- 
cusato alla  Sede  apostolica,  e  chia- 
mato da  essa,  se  non  meritava  di 
essere  condannato,  era  costretto  per 
la  sua  purgazione  giurare  sopra  il 
corpo  di  s.  Pietro,  come  fece  Leo- 
ne vescovo  di  Catania.  All'anno  poi 
924,  n.  9,  narra  che  avendo  El- 
fredo  congiurato  contro  Etelstano 
re  d'Inghilterra,  portatosi  in  Roma 
per  difendersi  col  giuramento  alla 
presenza  di  Papa  Giovanni  X,  ma 
spergiurando  avanti  l'altare  di  san 
Pietro,  cadde  subito  a  terra,  e  do- 
po tre  giorni  mori  nella  scuola 
degli  angli. 

La  religione  fu  sempre  la  base 
del  giuramento,  e  allorché  essa  de- 
generò in  idolatria,  si  giurò  pei  di- 
versi idoli.  In  questo  modo  gli  e- 
gizi  giuravano  pei  loro  dei  Iside 
ed  Osiride,  ed  ancora  per  Anobi, 
per  il  bue  Api,  per  il  coccodnllo, 
per  l'aglio  e  per  il  porro  o  altre 
piante,  oggetti  del  loro  culto  su- 
perstizioso. I  persiani  prendevano 
in  testimonio  il  sole;  gli  sciti  giu- 
ravano per  l'aria  e  per  la  scimi- 
tarra, che  forse  riguardavano  co- 
me principali  divinità.  In  Atene  si 
giurava  il  più  delle  volte  per  Mi- 
nerva, dea  tutelare  della  città;  in 
Isparta  si  giurava  pei  gemelli  C  1- 
store  e  Polluce  discendenti  per  par- 
te della  madre  loro  dai  re  del  pae- 
se; e  nella  Sicilia  giura  vasi  per  Pi  o- 
serpina.  In  Roma  le  vestali  giura- 
vano per  la  dea  Vesta,  alla  qui  le 
erano  consagrate  ;  le  donne  mari- 
tate per  Giunone,  che  presiedeva 
alla  pace  e  alla  felicità  dei  matri- 
moni; i    coltivatori    giuravano  per 


GIÙ 

inni',  i  vendemmiatori  pei  fiac- 
co, i  cacciatori  per  Diana,  gli  a- 
manli  per  Venere  e  Cupido  suo 
figlio.  Giuravasi  anticamente  non 
solo  per  le  divinità,  ma  ancora 
per  tulio  quello  die  apparteneva 
al  loro  impero  o  al  loro  cullo,  per 
i  loro  templi,  per  gli  attributi  del- 
la loro  divinità,  e  per  le  armi  di 
cui  particolarmente  erano  munite. 
IVelle  Salire,  ài  Giovenale  trovasi 
un  lungo  catalogo  delle  armi  degli 
dei,  per  mezzo  delle  quali  le  per- 
sone accostumate  a  giurare  sfor- 
zavansi  di  aggiungere  peso  alle  lo- 
ro asserzioni.  »  Un  uomo,  die'  egli, 
di  quel  carattere,  sprezza  e  con- 
fonde ne'  suoi    giuramenti     i  ragsi 

o  OD 

del  sole,  i  fulmini  di  Giove,  la 
spada  di  Marte,  le  freccie  di  A- 
pollo  e  quelle  di  Diana,  il  triden- 
te di  Nettuno,  l'arco  di  Ercole 
e  la  lancia  di  Minerva,  e  final- 
mente tulle  le  armi  che  si  tro- 
vano negli  arsenali  del  cielo,  se- 
condo i  fabbricatori  delle  favole." 
Valkenaer  pubblicò  nel  ij55  un' 
opera  sui  riti  osservati  dagli  anti- 
chi ne' giuramenti  ,  massime  dagli 
elici  e  dai  greci.  Narrasi,  che 
partendo  gli  antichi  franchi  per  la 
guerra,  giurassero  di  non  riveder- 
si se  non  dopo  avere  vìnti  i  loro 
nemici  ,  e  si  noia  che  questo  giu- 
ramento pronunziarono  allorché  Clo- 
doveo  I  li  condusse  contro  Alari- 
io  Essi  avevano  altresì  il  costu- 
me di  agitare  e  di  scuotere  in 
alto  le  loro  spade,  allorché  impe- 
gnavansi  con  giuramento  ad  ese- 
guire o  far  eseguire  qualche  azio- 
ne. I  li. un  hi,  dopo  aver  abbrac- 
ciato il  cristianesimo  ,  giuravano 
d'ordinario  in  qualche  luogo  sacro 
siili'  evangelo,  sulla  croce  e  sulle 
reliquie  de' santi,  ad  esempio  degli 
altri   cristiani.  In  quella  cerimonia 


GII]  i  q  i 

stavano  genuflessi,  alzando  e  si<  n- 
dendo  la  usano  per  toccare  l'aliare, 
e  gli  oggetti  che  vi  si  erano  col- 
locati, come  l'evangelo,  la  croce,  le 
reliquie  e  cose  simili. 

Per  legge  comune  nel  prestarsi 
il  giuramento  si  toccano  i  santi 
Evangeli  (Fedi)  ,  proferendo  le 
parole:  Iddio  ini  aiuti,  e  fjuesti 
santi  evangeli.  Si  pratica  che  nel- 
l'emettere  il  giuramento  un  uomo 
deve  stare  in  piedi  toccando  I'  e- 
vangelio  col  pollice  e  gli  altri  due 
dili  della  mano  destra  aperta,  e 
gli  altri  due  cioè  l'anulare  e  il 
mignolo,  piegati  sulla  palma  della 
mano,  e  se  mancassero  detti  diti 
polla  adoperarsi  la  sinistra.  Se  è 
donna  appresserà  la  sinistra  al 
petto,  e  colla  destra  giurerà.  La 
mano  presso  gli  antichi  era  il 
simbolo  della  lede,  che  solevano 
alzare  giurando;  la  mano  deve. 
essere  la  destra,  la  quale  non  è 
solo  segno  di  fede,  ma  anche  di 
promessa,  ed  è  segno  di  ossequio 
o  di  soggezione,  e  segnatamente 
era  rapporto  ai  servi,  che  se  man- 
cavano alla  fede  veniva  loro  am- 
putata la  destra.  Vedi  dir.  Luci. 
Crell.,  De  j'ure  inanimi,  et  poetiti 
in  jndicio  criminali,  imprimi*  am- 
putalione,    Lipsiae    1 704. 

11  giuramento  che  una  volta 
si  prestava  dai  secolari,  era  di- 
stinto da  quello  che  si  preslava 
dagli  ecclesiastici.  Pei  laici  vari  e- 
rano  i  modi  di  giurare;  i  sacerdo- 
ti s  interrogavano  per  la  santa  con- 
sedazione  semplicemente.  Oggi  si 
p«  sta  dai  s  icerdoti  toc*  ato  il  pet- 
to, e    dovendosi   prestare  in   cinse 

gravi  si  toccano  anche  gli  evange- 
li, dai  secolari  toccate  le  Scritture. 
Dai  vescovi  e  dai  cavalieri  si 
presi  1  toccando  la  croi  e,  «  <l  in 
certi  casi,  secondo  le  varie  l'unno- 


!  (  )  >.  G  i  l 

le,  toccano  anche  i  santi  evangeli. 
Anticamente,  e  qualche  tempo  an- 
che dopo  s.  Agostino,  il  giuramen- 
to si  prestava  al  sepolcro  dei  san- 
ti, e  particolarmente  sopra  il  cor- 
po dei  principi  degli  apostoli  ,  e 
sopra  le  reliquie  dei  martiri,  di 
che  eruditamente  tratta  il  p.  Rui- 
nart.  Per  cosa  di  poca  conseguen- 
za hastava  la  fnóv.  e  l'assertiva,  e 
la  fede  del  giurante,  e  hastava  di 
toccare  il  lem  ho  della  veste,  o  col 
prendere  in  mano,  e  rendere  o- 
stensihile  una  qualche  moneta  ove 
era  impressa  la  croce  o  l'immagi- 
ne di  qualche  santo.  La  congrega- 
zione della  sacra  inquisizione  ema- 
nò un  decreto  con  l'approvazione 
di  Leone  XII,  che  gli  ebrei  in 
cause  giudiziali,  o  in  contratti 
ove  interviene  il  nolaro  debbano 
prestare  il  giuramento  toccata  l'an- 
tica sacra  Scrittura,  e  debbano  pre- 
starlo non  nelle  loro  sinagoghe, 
oralorii,  o  scuole,  ma  nel  tribu- 
nale o  in  altro  luogo  dal  giudice 
o  dal  notaio  destinato ,  ed  in 
presenza  di  essi.  In  quanto  al 
giuramento  di  calunnia ,  di  cui 
abbiamo  tra  gli  altri  Tractalus  de 
j tiramento  caltimniae  di  Del  Re,  da 
esso  una  volta  si  eccettuavano  gli 
ecclesiastici,  che  non  potevano  co- 
stringersi a  giurare,  e  volendolo 
fare  vi  occorreva,  se  erano  vescovi, 
il  permesso  del  Papa,  se  altri  ec- 
clesiastici minori,  quello  del  pro- 
prio superiore.  Lo  che  fu  stabilito 
dall'  imperatore  Marciano,  e  con 
più  legittima  autorità  decretato  da 
Lucio  III,  il  quale  ordinò  che  i 
chierici  dovessero  nelle  proprie  cau- 
se giurare  di  calunnia;  indi  con- 
fermato da  Gregorio  IX  in  ordi- 
ne ai  vescovi ,  che  però  furono 
autorizzati  nelle  cause  proprie  di 
giurare,   ma  nella  propria  coscienza 


GIÙ 
e  del  capitolo,  non  sugli  evangeli, 
uè  potevano  una  volta  rilasciarlo, 
né  riceverlo  in  cose  spirituali.  In 
oggi  per  altro  si  ammette  secondo 
la  costituzione  di  Bonifacio  Vili. 
Parimenti  potrà  rilasciarsi  dalle 
università,  collegi,  corporazioni  ec. 
col  mezzo  de'loro  economi,  sinda- 
ci e  procuratori,  tutte  le  volte  che 
ne    abbiano    speciale    mandato. 

Il  Rinaldi  all'anno  <%2,  tium.62, 
riporta   il   modo  osservato  nel   giu- 
rare nei  conci  lii,  di  che   parlammo 
pure  all'  articolo   Concilio.    Narra 
che  avendo  s.     Nicolò   I    scomuni- 
cato  Giovanni    arcivescovo    di   Ra- 
venna, raccolse   un  sinodo  di   mol- 
ti  vescovi,  e  tre   volte  fece  denun- 
ziare a    Giovanni    che  vi   si  recas- 
se   a     rendere     ragione     di    sé  ;     e 
portatosi  al    concilio    Giovanni,    il 
Papa    lo  accolse   con   misericordia. 
«  Allora   Giovanni,    presa  la  carta 
là  dove  già  in  tempo  della  consa- 
crazione avea   fatto  la  scrittura  del 
sacramento  della    fede    con    parole 
ambigue  e  confuse ,    la    formò    se- 
condo  la  consuetudine  de'  suoi  an- 
tecessori. E  salito  nella   casa    chia- 
mata Leoniana  ,  ove    il    beatissimo 
Pontefice  risiedeva  co'  vescovi  e  coi 
preti,  assistendogli   molti    baroni    e 
principali,    pose    l' istessa    scrittura 
sopra  la   vivifica  croce  di  Gesù  Cri- 
sto, e  sopra  i  sacri    sandali   di  lui, 
e    sì    ancora    sopra    il    libro    degli 
evangeli,  e  tenendola  in  mano  giu- 
rò,  udendo  una  moltitudine    innu- 
merabile di    gente    concorsavi  ,  che 
egli  avrebbe  osservato  sino   all'  ul- 
timo spirito  quanto  vi  si    contene- 
va, ed  ancora    egli    stesso    la    lesse 
nel  cospetto  di  tutti ,    e  porsela  al 
sommo  Pontefice  ".  Nel  dì  seguen- 
te  nella  basilica  Lateranense  s.  Ni- 
colò  I    con   tutti  i    vescovi  e  clero 
ricevette  l'arcivescovo,  il  quale  pur- 


GIÙ 

gossi  dell'  eresia  di  cui  era  stato 
incolpato,  ed  il  Pontefice  lo  rico- 
municò. Nel  gran  concilio  di  Costan- 
zo, adunato  nel  i4'4  Per  estingue- 
re lo  scisma,  dappoiché  ad  un  tem- 
po erano  ubbiditi  1'  antipapa  Bene- 
detto XIII,  Gregorio  XII,  e  Giovanni 
XX11I,  questi  alla  presenza  dell'  im- 
peratore Sigismondo  giurò  di  ri- 
nunziare al  pontificato,  se  altret- 
tanto facessero  Benedetto  XIII  e 
Gregorio  XII.  Ciò  avvenne  nella  cat- 
tedrale, dopo  aver  celebrato  la  mes- 
sa dello  Spirito  Santo ,  e  scenden- 
do dal  trono  si  pose  in  ginocchio- 
ni avanti  l'altare,  ed  accostando 
la  mano  al  petto  proferì  le  paro- 
le :  Spondeo,  vovo,  et  /uro.  Tal- 
mente s'  intenerì  l'imperatore,  che 
alzatosi  dal  soglio,  e  deposta  la 
corona,  si  prostrò  ai  piedi  del  Pa- 
pa, e  lo  ringraziò  della  generosa 
risoluzione  anche  per  parte  del 
concilio;  ma  Giovanni  non  atten- 
dendo poi  il  giuramento ,  fu  de- 
posto. AH'  articolo  Gregorio  XII 
si  dice  com'egli  avendo  giurato  di 
non  crear  cardinali,  per  nuove 
ragioni  credette  poi  di  crearli,  di- 
chiarando con  apostolica  autorità 
non  essere  tenuto  al  giuramento. 

Alcuni  filosofi  capricciosi  dissero 
che  i  giuramenti  sono  inutili,  che 
quegli  il  quale  non  teme  di  men- 
tire, non  avrà  orrore  di  spergiura- 
re. Ciò  non  è  sempre  vero  :  ogni 
uomo  conosce  benissimo  che  lo 
spergiuro  è  un  delitto  più  grande 
della  semplice  menzogna ,  poiché 
aggiunge  l'empietà  alla  mala  fede. 
Dice  Cicerone ,  De  otjic.  1.  3,  e. 
3i,  «  che  non  vi  è  vincolo  più  for- 
te del  giuramento  per  impedire  a- 
gli  uomini  di  mancare  alla  fede 
ed  alla  parola  che  diedero;  testi- 
monio la  legge  delle  dodici  tavo- 
le, testimonio  le  sacre  formule 
voi,,   xxn 


GIÙ  i93 

che  si  usano  fra  noi  per  quelli  che 
fanno  il  giuramento ,  testimonio 
le  alleanze  e  i  trattati  in  cui  ci 
leghiamo  col  giuramento,  anco  coi 
nostri  nemici,  testimonio  finalmen- 
te le  ricerche  de' nostri  censori,  i 
quali  non  furono  giammai  più 
severi  che  in  ciò  che  riguardava 
il  giuramento  ».  Il  giuramento, 
disse  un  sensatissimo  scrittore,  non 
impedisce  tutti  gli  spergiuri,  ma 
attesta  sempre  che  lo  spergiuro  è 
il  maggiore  dei  delitti.  Molti  sono 
gli  esempi  degli  spergiuri  puniti  se- 
veramente da  Dio;  gli  eretici  pri- 
scillanisti  sostenevano  non  essere 
peccato  lo  spergiuro.  Gli  eretici 
manichei  avevano  l'empio  costume 
di  giurare  falsamente,  per  occul- 
tare quello  che  erroneamente  cre- 
devano. Nel  concilio  Valentino  del- 
l'anno 855  fu  proibito  che  fosse- 
ro costrette  ambedue  le  parti  dei 
litiganti  a  giurare,  essendo  così  ne- 
cessario che  uno  spergiurasse.  Il 
diritto  canonico  pronuncia  le  pene 
seguenti  contro  gli  spergiuri.  i.° 
Colui  che  spergiura,  o  che  induce 
un  altro  a  spergiurare,  deve  di- 
giunare quaranta  giorni  a  pane 
ed  acqua,  fare  in  seguito  sette  an- 
ni di  penitenza,  e  finalmente  non 
cessar  mai  dal  farne  penitenza  pel 
rimanente  di  sua  vita.  2.°  Lo 
spergiuro  dev'  essere  privato  dal 
giudice,  nel  paese  dove  ciò  può 
aver  luogo,  dei  benefizi  eh'  egli 
possiede,  ed  essere  dichiarato  ina- 
bile a  possederne  altri.  3."  Lo 
spergiuro  non  è  neppur  ammesso 
dopo  la  sua  penitenza  ad  essere 
testimonio.  4-°  Lo  spergiuro  in- 
contra l'infamia  quando  il  suo  de- 
litto è  noto.  Nello  stile  popolare 
si  chiamano  giuramenti  non  solo 
tutte  le  forinole  nelle  quali  ado- 
prasi  direttamente  o  indirettameii: 
i3 


i94  G,u 

te  il  nome  di  Dio  per  conferma- 
re ciò  che  si  dice,  ma  anco  le 
bestemmie,  le  imprecazioni  che  fac- 
ciamo contro  noi  stessi  o  contro 
gli  altri  ,  anco  le  parole  brutali 
ed  ingiuriose  al  prossimo;  tutto- 
ciò  è  evidentemente  condannato 
dall'evangelo.  Gesù  Cristo  riprova  le 
imprecazioni  fatte  contro  noi  stessi 
e  contro  gli  altri.  Il  rispetto  che 
dobbiamo  a  Dio  ed  al  di  lui  sau- 
to nome  ci  deve  impedire  d'in- 
vocarlo per  leggerezza  ,  e  tanlo 
più  per  collera  e  brutalità.  L'abi- 
tudine del  giuramento  fra  il  po- 
polo è  un  avanzo  della  rozzezza 
de' secoli  barbari.  Le  cose  che  im- 
pediscono l'obbligazione  del  giura- 
mento risguardano  la  materia  e 
la  persona.  In  materia  impossibile, 
vana,  criminale,  il  giuramento  non 
è  obbligatorio.  Una  persona  eh' è 
vincolata  dalla  legge,  o  che  non 
è  libera,  non  può  obbligarsi  con 
giuramento,  e  per  conseguenza  la 
mancanza  della  libertà  e  il  divie- 
to delle  leggi  impediscono  l'obbli- 
gazione del  giuramento.  Vi  sono 
eincpje  cose  che  fanno  cessarne 
l'obbligazione  '•  il  cambiamento  no- 
tabile di  materia  ,  la  remissisone 
del  giuramento,  la  commutazione, 
l'irritazione  e  la  dispensa.  Sui  giu- 
ramenti quando  non  obbligano  è 
a  vedersi  quanto  decretarono  i 
Pontefici  Innocenzo  HI,  e  Boni- 
facio Vili  ne' capitoli  :  Cum  con- 
tingat,  de  furefur.,  e  ()uann'is}  de 
pactis  in  6. 

L'  imperatore  Lodovico  II  fu 
fatto  prigione  da  Aldegiso  princi- 
pe di  Benevento,  e  messo  poi  in 
libertà  con  giurata  promessa  di 
pace,  e  di  non  prender  vendetta 
del  gravissimo  oltraggio.  Andò  Lo- 
dovico Il  in  Roma,  e  ricorse  al 
Papa  Giovanni  Vili  ;  allora  questi 


GIÙ 

adunò  un  concilio,  e  maturamen- 
te esaminata  la  cosa,  il  principe 
ottenne  di  essere  sciolto  dal  giura- 
mento per  le  ragioni  riferite  da 
Reginone  abbate  di  Prum ,  che 
viveva  nel  fine  del  secolo  IX,  ap- 
presso Baronio  ad  an.  873,  n.  1, 
ed  ecco  come  il  cronografo  scri- 
ve. »  Joannes  Papa  ini  pera  torem  a 
juramento,  quo  se  obligarat,  au- 
ctoritati  Dei,  et  s.  Petri  absolvit, 
afhrmans  nihil  obesse  ,  quod  ad 
mortis  periculum  evadendum  coa- 
ctus  fecerat,  nec  sacra  mentu in  esse 
dicendum,  quod  conlra  salutem 
reip.  ,  quamvis  cum  multis  execra- 
tionibus  fuerat  prolatum  ".  Altri 
esempi  di  scioglimento  di  giura- 
mento, fatto  dai  Papi  nella  pie- 
nezza della  loro  autorità  apostoli- 
ca, sono  i  seguenti.  S.  Gregorio 
II  (Vedi),  non  potendo  ottene- 
re dall'  imperatore  d'  oriente  Leo- 
ne 1'  Isaurico  ,  che  cessasse  dal 
perseguitare  crudelmente  il  culto 
delle  sacre  immagini,  e  d'invade- 
re le  terre  della  Chiesa  romana, 
nel  730  lo  scomunicò,  ed  assolvè 
l'Italia  dal  giuramento  fatto,  e  dai 
tributi,  come  si  ha  dal  Sigonio, 
De  regno  Italie,  lib.  3,  ad  an. 
726,  p.  102,  e  dal  Bellarmino, 
De  Rom.  Pont.  lib.  5,  cap.  6. 
Ribellatasi  perciò  I'  Italia ,  molte 
città  si  eressero  in  signorie  priva- 
te, altre  si  dierono  ai  longobardi, 
ed  il  ducato  romano  si  sottopose 
al  Pontefice.  AH'  articolo  Francia 
{Vedi)  dicemmo  come  il  Pontefice 
s.  Zaccaria  depose  il  re  Childeri- 
co  III  e  vi  sostituì  Pipino,  auto- 
rizzando i  sudditi  a  riconoscere 
il  secondo;  altri  dicono  che  proi- 
bì ad  essi  d'  ubbidire  a  Childeri  - 
co  IH.  Nella  famosa  questione  del- 
le investiture  ecclesiastiche  tra  l'im- 
peratore  Enrico   IV,  e  a.    Gregorio 


GIÙ 

VII  (Vedi),  avendo  questi  ado- 
perato indarno  per  circa  cinque 
anni  i  mezzi  di  amantissimo  pa- 
dre, adunò  un  concilio  nel  1076, 
ove  scomunicò  l'imperatore,  lo  di- 
chiarò decaduto  dal  reame,  e  tutti 
i  sudditi  di  lui  sciolti  dal  giura- 
mento di  fedeltà  ;  ciò  che  aveano 
già  fatto  agl'imperatori  d'oriente 
altri  Papi  ,  cioè  s.  Simmaco  con 
Anastasio  I;  s.  Innocenzo  I  ad  Ar- 
cadio,  e  i  ss.  Gregorio  II ,  e  Gre- 
gorio III  con  Leone  1'  Isaurico.  Su 
questo  grave  punto  va  consultato 
il  Bellarmino ,  De  potest.  Sani. 
Pont,  in  rei.  temporalib.  adv.  Gu- 
glielrn.  Barclajum ,  cap.  9;  Sfon- 
drati ,  in  Gallio,  ^indicala ,  dis- 
sert.  2,  §  2,  p.  533  e  4^4  >  ^"a* 
tale  Alessandro,  Hist.  eccl.  saec.  6, 
toni.  V,  cap.  2,  art.  I,  p.  3^2  ;  i 
Bollandisti ,  in  annoi,  ad  Ada  s. 
Greg.  die  a5  majff  p.  616;  e  Go- 
ti, in  Vindiciis  Gregori  VII,  col- 
loquio XI,  v\  14,  p.  G3r.  Avendo 
Boleslao  li  re  di  Polonia  fatto  as- 
sassinare s.  Stanislao  vescovo  di 
Cracovia,  lo  stesso  s.  Gregorio  VII 
pronunziò  il  re  decaduto  dal  trono, 
liberò  dalla  fede  i  sudditi,  dichia- 
rò incapaci  di  qualunque  officio 
ecclesiastico  sino  alla  quarta  gene- 
razione i  discendenti  de' complici, 
scomunicò  l'indegno  principe,  e 
pose  l'interdetto  al  regno.  Nel  12  io 
Innocenzo  III  scomunicò  1'  impera- 
tore Ottone  IV  per  avere  usurpato 
contro  i  giuramenti  fatti  le  terre 
della  Chiesa  ,  e  sciolse  dal  giura- 
mento i  suoi  vassalli  ,  per  cui  i 
prìncipi  della  Germania  elevarono 
all'  imperio  Federico  li.  Inoltre  nel 
1212  Innocenzo  III  scomunico  Gio- 
vanni re  d'  Inghilterra,  perchè  op- 
primeva i  diritti  ecclesiastici  ,  indi 
nel  I2i3  libeiò  i  suoi  vassalli  dal 
giuramento  di  fedeltà ,    ma    eraen- 


G1U  i95 

datosi  il  re  venne  assoluto.  Nella 
biografia  di  Gregorio  IX  (  Vedi  ) 
si  dice  perchè  quel  Pontefice  nel- 
l'anno 1239  scomunicò  l'imperatore 
Federico  lì,  assolvette  i  sudditi  dal 
giuramento,  e  sottopose  all'eccle- 
siastico interdetto  tutti  i  luoghi 
dove  il  cesare  si  fosse  recato.  An- 
che Giovanni  XXII  nel  1 32 5  assol- 
vette i  popoli  dal  giuramento  che 
avevano  fatto  a  Lodovico  il  Bava- 
io  ,  dopo  avere  ordinato  pubbliche 
preci  con  indulgenza,  per  l'estin- 
zione dello  scisma.  Giovanni  XXIII 
nel  141  1  scomunicò  Ladislao  re  di 
Napoli  e  di  Gerusalemme,  lo  pri- 
vò di  tali  regni ,  sciolse  i  sudditi 
dal  giuramento,  e  pubblicò  contro 
di  lui  una  crociala.  Gregorio  XIV 
nel  1 5p  1  rinnovò  le  scomuniche 
contro  Enrico  III  re  di  Na varrà  , 
poi  re  di  Francia  col  nome  di  En- 
rico IV ,  come  calvinista  e  capo 
degli  ugonotti  ;  lo  dichiarò  perciò 
decaduto  dalla  corona  ,  ed  assoluti 
i  sudditi  dal  giuramento  di  fedeltà. 
Essendo  la  Scomunica  (  Vedi  ) 
l'arma  più  formidabile  colla  quale 
gli  ecclesiastici  difendono  l'autori- 
tà della  Chiesa,  e  tremendi  ne  so- 
no gli  effetti ,  è  noto  che  implica 
la  privazione  dei  diritti  civili,  e  la 
degradazione  dagli  onori  posseduti 
dal  reo.  Nel  Diclalus  Papae  (  del 
quale  parlammo  al  citato  articolo 
s.  Gregorio  VII  )  o  solenni  sen- 
tenze, che  acquistarono  nome  e 
vigore  di  leggi"  ,  sono  riportate 
le  seguenti.  All'  arbitrio  e  nel- 
le mani  del  Papa  stanno  le  ir- 
segue  imperiali  del  romano  impero. 
È  del  Papa  il  giudicare  i  monar- 
chi. Autorizzati  dal  Papa  ponno  i 
sudditi  accusare  i  sovrani.  Il  Papa 
può  sciogliere  dal  giuramento  i 
sudditi  ih  un  monarca  malvagio. 
Paolo   V   nel    i()o(3,  con   breve  dei 


i96  GIÙ 

11  settembre,  proibì  ai  cattolici  di 
Inghilterra  di  prestare  al  re  acatto- 
lico Giacomo  I,  il  giuramento  che 
questo  principe  aveva  prescritto  con 
f'ormola  particolare  a'  suoi  sudditi. 
Conteneva  quel  giuramento  il  do- 
vere riconoscere  ognuno  qual  su- 
premo e  legittimo  re  d' Inghilter- 
ra lo  stesso  Giacomo  I,  per  depor- 
re il  quale  non  avea  autorità  alcuna 
il  romano  Pontefice ,  siccome  né 
anche  di  sciogliere  per  veruna  sco- 
munica i  sudditi  inglesi  dalla  sua 
obbedienza,  dovendo  tutti  detestare 
come  empia  ed  eretica  proposizio- 
ne quella,  che  sostiene  aver  il  Papa 
autorità  di  liberare  i  sudditi  dal- 
l' ubbidienza  de'  principi  dal  mede- 
simo Papa  scomunicati,  anzi  dover 
credere,  che  né  il  romano  Ponte- 
fice, né  verun  altro  può  aver  l'au- 
torità di  sciogliere  gli  stessi  sudditi 
da  questa  obbedienza.  Il  cardinal 
Bellarmino  scrisse  una  lunga  e  ro- 
busta lettera  all'  arciprete  Giorgio 
Blakuelle ,  nella  quale  dimostrava 
non  potersi  prestare  questo  giura- 
mento, che  l' arciprete  credeva  le- 
cito. A  questa  lettera  rispose  il  re, 
occultando  il  suo  nome  col  libro  : 
Triplici  nodo,  triplex  cuneus,  o  sia 
apologia  prò  j tiramento  fidclitatis  ; 
onde  il  Bellarmino ,  lasciando  il 
nome  supposto  di  Matteo  Torti , 
col  quale  avea  fatta  la  prima  ope- 
ra, confessò  essere  l' autore  di  essa, 
e  con  lunga  e  fortissima  apologia 
rispose  col  suo  nome  al  libro  del 
re,  e  alla  prefazione  monitoria  del 
medesimo ,  nella  quale  impresa  fu 
seguito  da  altri  scrittori ,  che  non 
ebbero  minore  zelo  per  la  difesa 
della  religione.  Sul  famoso  giura- 
mento civico  dell'  Esposizione  dei 
principii  della  costituzione  civile 
del  clero  di  Francia,  che  l'assem- 
blea nazionale  esigeva    dagli   eccle- 


GIU 

siastici,  riprovato  e  condannato  da 
Pio  VI  nel  1 79 1  ,  massime  col 
breve  diretto  al  cardinal  de  Brien- 
ue  poi  deposto,  cui  lo  rimproverò 
per  averlo  prestato,  se  ne  tratta 
al  voi.  XXVII,  p.  86  e  seg.  del 
Dizionario.  Eseguita  poi  dal  diret- 
torio francese  l'occupazione  dello 
stato  pontificio  e  di  R.oraa  nel 
1798,  con  la  detronizzazione  e  pri- 
gionia di  Pio  VI,  con  diversi  pre- 
testi, fra' quali  quello  di  non  aver 
voluto  derogare  alla  condanna  del 
giuramento,  il  direttorio  die  a' suoi 
generali  ordini  pressanti  per  ob- 
bligare i  cardinali  a  giurare,  od  a 
rinunziare  alla  sublime  loro  digni- 
tà, e  di  arrestare  chi  ricusasse  ob- 
bedire; tranne  due  che  rinunzia- 
rono ,  tutti  gli  altri  preferirono  i 
patimenti  al  giuramento.  Oltre  a 
ciò  il  direttorio  incaricò  i  medesi- 
mi generali  ed  altri  suoi  rappre- 
sentanti di  esigere  un  formale  giu- 
ramento di  odio  eterno  alla  mo- 
narchia, ed  attaccamento  indissolu- 
bile alla  repubblica  francese  e  sue 
costituzioni,  da  tutti  gli  ecclesiastici 
e  da  quelli  che  sotto  Pio  VI  aves- 
sero occupato  qualche  posto  distinto. 
Mentre  nel  1799  Pio  VI  era 
prigioniero  nella  Certosa  di  Firen- 
ze, ed  appena  venne  in  cognizione 
che  in  Roma  da  qualcuno  erasi 
prestato  alla  repubblica  francese  il 
giuramento  costituzionale,  formal- 
mente lo  condannò  con  due  brevi, 
l'uno  in  data  de' 16,  l'altro  dei 
3o  gennaio,  che  diresse  a  mon- 
signor Francesco  Saverio  Passe- 
ri arcivescovo  di  Larissa,  vicegeren- 
te di  Roma,  ma  che  per  la  sua 
assenza  furono  consegnati  a  mon- 
signor Ottavio  Boni  arcivescovo 
di  Nazianzo  che  ne  faceva  le  ve- 
ci :  questo  prelato  subito  li  pub- 
blicò con  una  sua  dichiarazione  iu- 


GIÙ 

dirizzata  al  clero  romano,  non  prez- 
zando la  propria  esposizione  ;  giac- 
ché in  essi  il  Pontefice  dichiarava 
siffatto  giuramento  illecito,  secondo 
la  risoluzione  della  congregazione 
cardinalizia  da  lui  a  ciò  deputata 
quando  era  in  Roma  ,  con  monsi- 
gnor de  Pietro  per  segretario.  Ve- 
nendo quindi  Pio  VI  io  cognizio- 
ne che  i  reggitori  della  repubblica 
aveano  chiesto  il  giuramento  ai  pro- 
fessori del  collegio  romano  e  del- 
la Sapienza,  temendo  prevaricazioni 
e  scandali,  volle  ripetere  ed  in- 
culcare l'apostolica  sua  decisione, 
mandando  a  monsignor  Coni  il 
breve,  E  giunto  a  nostra  notizia^ 
de'  16  gennaio    1799- 

Intauto  i  francesi  intimarono  ef- 
fettivamente ai  professori  delle  due 
università  della  Sapienza  e  del  col- 
legio romano  di  prestare  il  giuramen- 
to democratico,  nella  lusinga  che  do- 
po di  loro  gli  altri  ecclesiastici  avreb- 
bero fatto  altrettanto.  Alcuni  del  col- 
legio romano,  ed  in  maggior  numero 
quelli  della  Sapienza,  non  valutando 
le  minacce  e  le  promesse,  non  volle- 
ro acconsentire.  Provvidamente  avea 
Pio  VI,  per  ovviare  alla  salvezza 
di  tanti  ecclesiastici,  surrogato  uua 
altra  forinola  di  giuramento  con- 
forme agli  ordini  del  governo  fran- 
cese nella  sostanza,  ma  diverso  nel- 
le espressioni,  che  lungi  dall'  offen- 
dere la  religione,  non  compromet- 
teva la  coscienza  di  alcuno.  La 
proposta  furinola  fu  dal  governo 
rigettata,  ed  i  professori  non  volen- 
do incorrere  in  dispiacevoli  conse- 
guenze protestarono  di  essere  pron- 
ti ad  ubbidire  ,  nascendovi  però 
ostacolo  per  parte  del  pro-vicege- 
rente. A  questi  prontamente  scris- 
se il  prefetto  degli  studi  del  colle- 
gio, significandogli  che  a  seconda 
della    nuova   pontificii   istruzione    i 


GIÙ  i97 

professori  avevano  giurato,  aggiun- 
gendo incautamente  che  frattanto 
si  solleciterebbe  la  stampa  delle  ra- 
gioni che  aveauo  mosso  i  profes- 
sori a  giurare ,  le  quali  in  fatti 
videro  poco  dopo  la  luce.  Sventu- 
ratamente il  prelato  Boni  fu  cir- 
condato dai  sostenitori  del  giura- 
mento repubblicano,  quindi  ingan- 
nato, per  cui  mise  in  giro  una  di- 
chiarazione ch'era  contraria  alla  sua 
istruzione  precedente,  e  che  fu  vera 
pietra  dello  scandalo:  essa  iucomin- 
cia  così:  Essendomi  giunto.  Avver- 
tito Pio  VI  del  grave  danno  che  da 
ciò  ne  poteva  derivare,  non  volle 
tardare  un  momento  a  ripararlo.  Spe- 
dì a'3o gennaio  1799  al  preluto  Boni 
un  breve,  che  comincia  colle  parole 
In  mezzo  alle  cure  e  alle  gravi 
tribolazioni,  pieno  di  risentimento 
per  dimostrargli  la  sorpresa  provata 
per  la  sua  ultima  dichiarazione,  ed  in 
sentire  il  contegno  de'  professori  , 
e  l'errore  in  cui  erano  caduti,  dap- 
poiché l' istruzione  non  era  una 
pontificia  decisione  corn'  essi  avea- 
no interpretato.  Prescrisse  il  Papa 
al  prelato  di  ordinare  a'  professori, 
che  in  virtù  di  quella  sauta  obbe- 
dienza eh'  essi  dovevauo  al  proprio 
vescovo  e  capo  della  Chiesa,  non 
accrescessero  lo  scandalo  dato  con 
pubblicare  le  loro  pretese  giustifi- 
cazioni. Tuttavia  essendo  stato  ri- 
tardato a  notificarsi  questo  bre- 
ve di  riprensioni  ed  ammonizio- 
ni ,  le  giustificazioni  furono  dis- 
pensate; ma  il  prelato  Boni,  do- 
po alquanta  perplessità ,  pubbli- 
cò il  pontificio  breve,  annullan- 
do formalmente  e  rivocaudo  la 
sua  seconda  dichiarazione  o  i- 
slruzione  fatta  sul  giuramento  il- 
lecito. Questo  atto  porta  la  data 
de'a5  febbraio  dell'anuo  1799;  laon- 
de quando    i    profcssoii    del    colle- 


j98  GIÙ 

gio  romano  ne  appresero  il  con- 
tenuto ,  sbigottiti  inviarono  uno 
di  loro  alla  Certosa  per  tratta- 
re direttamente  con  Pio  VI,  me- 
diante una  supplica  nella  quale 
scusandosi  dell'errore  commesso, 
siccome  caduti  sulla  buona  fede 
della  dichiarazione  emessa  al  pre- 
lato, imploravano  che  gli  venissero 
prescritti  i  modi  per  riparare  allo 
scandalo.  Il  Papa  nella  sua  fer- 
mezza mai  ammise  alla  sua  pre- 
senza il  deputato,  e  la  risposta  che 
gli  fece  dare  per  monsignor  An- 
tonio Maria  Odescalchi  nunzio  di 
Firenze,  fu  in  tutto  conforme  alla 
pubblica  ritrattazione  del  prestato 
giuramento,  prescritta  nel  secondo 
breve.  Allora  sei  professori  con- 
vinti del  fallo  commesso,  poco  dopo 
emisero  la  loro  solenne  ritrattazio- 
ne. Alcuni  altri  poi  che  aveano 
prestato  il  giuramento  con  delle 
restrizioni,  e  che  poco  sembravano 
disposti  a  ritrattarsi,  non  poterono 
resistere  alle  persuasive  del  Papa , 
il  quale  scrisse  loro  di  proprio  pu- 
gno ,  facendogli  rilevare  che  la 
spiegazione  eh'  era  stata  fatta  dai 
magistrati  sul  giuramento  che  esi- 
gevano, rendeva  inutili  tutte  le  ri- 
serve, onde  o  bisognava  ritrattarlo, 
o  restar  separati  dalla  comunione 
de' fedeli.  Ancora  il  Bolgeni,  che 
siccome  diremo  difese  il  giuramen- 
to, fece  solenne  ritrattazione,  la  qua- 
le fu  poi  divulgata  in  foglio  vo- 
lante dalla  stamperia  Salomoni,  e 
fu  ancora  inserita  nel  numero  20 
del  Diario  di  Roma  del  1800; 
per  cui  Pio  VII  perdonò  al  detto 
personaggio  lo  scandalo  dato.  Su 
questo  giuramento  repubblicano,  e 
sulle  cose  analoghe  qui  indicate, 
con  chiarezza  e  diligenza  ne  scrisse 
pure  monsignor  lìaldassarri  nel  to- 
mo III,   p.    up  e  seg.  della  Rtia- 


GIU 

zìone  delle    avversità  e    patimenti 
di  Papa  Pio  VI. 

Nel  pontificato  di  Pio  VII  l'ar- 
gomento dei  giuramenti  che  si  vol- 
le esigere  dagli  invasori ,  divenne 
più  grave  del  precedente  dopo  che 
l' imperatore  Napoleone  avea  tolte 
all'  inerme  Pontefice  diverse  Pro- 
vincie de' suoi  stati.  A  tale  effetto 
Pio  VII  dal  cardinal  prò- segretario 
di  stato  Gabrielli,  fece  comunicare 
ai  vescovi  di  tali  provincie,  nel 
maggio  1808,  delle  istruzioni  per 
regolare  le  coscienze  sul  giuramen- 
to di  fedeltà,  ch'esigeva  il  governo 
intruso.  Pio  VII  dichiarò  pertanto 
illeciti  i  giuramenti  illimitati ,  im- 
plicando infedeltà  e  fellonia  verso  il 
legittimo  governo;  asscnfi  però  che 
fosse  dato  ne'  limiti  di  obbedienza 
passiva,  ben  inteso  che  questa  di 
lui  permissione  non  si  potesse  giam- 
mai interpretare  per  un'abdicazio- 
ne della  sovranità  temporale.  Pre- 
scrisse quindi  la  forinola  del  giu- 
ramento in  questi  termini.  «  Io 
prometto  e  giuro  di  non  prender 
parte  in  nessuna  cospirazione,  com- 
plotto o  sedizione  contro  il  gover- 
no attuale ,  siccome  altresì  di  es- 
sere sommesso  ed  obbediente  io 
tullociò  che  non  sarà  punto  con- 
trario alle  leggi  di  Dio  e  della 
Chiesa  ".  Inoltre  il  Papa  non  per- 
metteva che  si  esercitassero  ,  né 
si  accettassero  impieghi  da'  quali 
ne  nascesse  il  riconoscimento  del- 
la usurpazione  ,  e  dichiarò  che 
coloro  che  li  accettassero  incorre- 
rebbero nelle  censure.  Quanto  pe- 
rò agi'  impieghi  che  non  impor- 
tavano riconoscimento  ,  acconsen- 
tì Pio  VII  che  fossero  accettati  , 
sempre  per  altro  con  dispensa  del 
vescovo  diocesano.  In  un'altra  istru- 
zione inculcando  la  necessità  di  ri- 
fiutare  il   giuramento,  quale  si  oi- 


GIÙ 
geva  dal    governo    intru<o,    anche 
perchè  si   pretendeva   estenderlo  al- 
le leggi,   tra  le  quali  trovavasi  com- 
preso il  codice  civile,  i  decreti,  e 
le  leggi    organiche    distruttive    del 
concordato.   All'opposto  Napoleone 
volendo  esigere  un  giuramento  pie- 
no ed   illimitato,   minacciò  confisca- 
zioni   di   beni,    e    l'esilio    a    chi  si 
ricusava.    Durante     tale    conflitto, 
sembrò  ad  Eugenio    viceré    d'Ita- 
lia, di   aver   trovato    qualche   tem- 
peramento,   perchè    quelli    richiesti 
di     giuramento,    giurassero     secon- 
do la  forinola    del  concordato    del 
26  settembre    i8o3.    I    due   cardi- 
nali Brancadoro  arcivescovo  di  Fer- 
mo, e  Giovanni  Castiglioni  vescovo 
di   Osimo  e  di  Cingoli ,  ed    alcuni 
altri  vescovi ,  inviarono  a    Roma  i 
vescovi  di  Jesi  e  di   Cagli   per  con- 
sultare intorno    a  ciò   il  capo  della 
Chiesa,   il   quale  con   una  istruzione 
de'  3o   agosto,    sottoscritta  dal  car- 
dinal  Pacca  pro-segretario  di  stato, 
e  indirizzata  a   detti  cardinali  e  ve- 
scovi, partecipò  la  sua  pontificia  de- 
cisione,  che  neppure  il   giuramento 
contenuto    nel    concordato    poteva 
permettersi  per    la    diversità    delle 
circostanze,   poiché  nel    i8o3   trat- 
tavasi  di  provincie  già  passate  sotto 
il   dominio  della   repubblica    italia- 
na, ai  disordini  delle  quali  volevasi 
porre  un    rimedio  ;    nel    caso    pre- 
sente   poi    trattarsi    d'  un    governo 
usurpatore  che  non   garantisce,  ma 
rovi-soia   le   leggi   della   Chiesa,  ed  i 
principii    della    religione    cattolica. 
L' ira  di    Napoleone   non   mancò  di 
colpire  subito   i   vescovi    obbedienti 
alla     decisione   pontificia  ;     vennero 
Strappati   dalle   loro   diocesi    il  car- 
dinal Gabrielli   vescovo  ili   Senigal- 
lia,  quelli   di    Ascoli,  di    Pesaro,   di 
Fano,  e  di  Montalto  Francesco  Sa- 
verio    Castiglioni,     che    fu      poscia 


GIÙ  ,99 

Pio  Vili  :  un  breve  del  Pontefice 
de'  9  gennaio  1809  consolò  nei 
loro  patimenti  que' gloriosi  confes- 
sori di  Cristo.  Veggasi  il  Pistoiesi  , 
nella  T'ita  di  Pio  FU,  tom.  II, 
p.   226  e  seg. 

Dopo  1'  imprigionamento  di  Pio 
VII,  che  seguì   nel  luglio    1809,  e 
l' intera    occupazione    di     Roma    e 
stato    pontificio ,    la    domanda    dei 
giuramenti  di   fedeltà  ,  che  fece    il 
governo  francese,  immerse  Roma  e 
le  altre  città    de' due    dipartimenti 
in  nuovi  aftànni.    La    consulta    ro- 
mana che  prevedeva    le  difficoltà  , 
progredì    con    astuzia    ad    esigerli. 
Essa  incominciò  dai  vesoovi,  e  qual- 
cuno giurò,  come  fecero    quelli  di 
Perugia,  di  Segni,  e    di    Anagni, 
ma    tutti    gli    altri    si    rifiutarono. 
Furono  poscia  tentati  i  canonici  di 
s.  Giovanni  e  di  s.  Pietro  di  Roma; 
ma  tutti    ricusarono,    tranne    due. 
Indi  fu  intimato  il  giuramento    ai 
parrochi,  e  meno  pochissimi,   tutti 
rifiutarono;  gl'infermi  furono  cac- 
ciati in  s.  Calisto,  gli   altri  depor- 
tati.  Quando    Napoleone    seppe   tal 
sorte  di  resistenza,  secondo  la  mas- 
sima da  lui  adottata,   tutti  ad   un 
colpo    soppresse    i    vescovati     e    le 
parrocchie  dei  renitenti,    e  li  riunì 
ai   vescovati    e    alle    parrocchie    di 
coloro  che  avevano  giurato  ;    laon- 
de ne' soli  due  dipartimenti  di  Ro- 
ma e  del  Trasimeno  diecisette  ve- 
scovati   andarono    miseramente  di- 
strutti.    Allora     Pozzo     di     Borgo 
membro    della    consulta ,    prese     a 
giustificare    i    proibiti    giuramenti, 
ed  a  questo   proposito    andò    infil- 
zando   certi    suoi     sottili     raziocini  . 
Ma    il   celebro    canonico    Muzzarelli 
teologo    della    sacra    peniteiuieria . 
insigne  per  pietà  e  dottrina,  dimo- 
strò col  suo   voto,  che  il  giiuumen- 
non  si    poteva    ilare.    In    arrestato) 


200  GIÙ 

e  le  sue  carte  si  suggellarono.  Uà 
consimile  trattamento,  e  pel  moti- 
vo stesso  soffrirono,    per    non    dire 
di  altri,   i  prelati  Bussi  poi  cardi- 
nale, e   della    Valle;    indi    tutti  e 
tre  furono  deportati  a  Civitavecchia, 
e    gettati  in    dura  prigione.    Men- 
tre Pio  VII    nel    1810   era   tenu- 
to   prigione    in    Savona,    ricevette 
dai  causidici  romani  alcune  inchie- 
ste sul  giuramento,  la  cui  formola, 
che  sino  dal    1809   esigeva    il  go- 
verno francese ,    era  di  questo    te- 
nore.  «  Giuro  di  non  dire  o  pub- 
blicare come  difensore  o  consultore 
cosa  alcuna  che    sia    contraria  alle 
leggi,  ai  regolamenti,  ai  buoni  co- 
stumi, alla    sicurezza    dello    stato, 
alla  pubblica  tranquillità,  e  di  non 
allontanarmi  giammai  dal   rispetto 
dovuto    ai    tribunali    ed     autorità 
pubbliche  ".    Quindi    il     Pontefice 
sul  giuramento  emise  una    ulterio- 
re   dichiarazione,    protestando    che 
il  giuramento  di  fedeltà ,   di    asso- 
luta obbedienza  ed    indeterminata , 
non  poteva  prestarsi    essendo    ille- 
cito.    Confermò    la    decisione    che 
ad  istanza  dei  curiali  avea  emana- 
ta la  sacra  penitenzieria,  e  dichia- 
rò   indispensabile    che  fosse    appo- 
sta   nella    formola    del    giuramen- 
to qualche  altra    correzione,    o    li- 
mitazione   più    sostanziale ,    e    che 
venisse   ammessa    da    quella    stessa 
autorità  in  cui  nome  si  esigeva,  per- 
mettendo a  cagione  delle  circostan- 
ze, che  i  suoi  sudditi  potessero  as- 
sumere quegl' impieghi  civili  e  po- 
litici, che  potevano  esercitarsi  senza 
giuramento  alcuno,  o  col  prestarlo 
secondo  la  formola  da  lui  prescrit- 
ta, eccettuati  però    sempre    gì'  im- 
pieghi di  ministro  o  esecutore  nel- 
le aziende  chiamate  del  culto  o  del 
demanio  ,     ed    eccettuato    insieme 
pgui  altro  impiego    che  non    possa 


GIÙ 

pienamente  esercitarsi  senza  offesa 
delle  leggi  di  Dio  e  della  Chiesa. 
Dichiarò  pure  il  Papa,  che  in  quan- 
to a  coloro  i  quali  già  avessero 
assunti  pubblici  impieghi ,  perchè 
fosse  loro  permesso  ritenerli,  posto 
che  tali  impieghi  abbiano  le  ri- 
chieste prerogative,  dovrassi  di  più 
esigere  la  ritrattazione  di  qualun- 
que illecito  giuramento  prestato,  e 
la  riparazione  dello  scandalo ,  da 
cui  non  potevasi  dispensare  per 
qualunque  motivo. 

Vedendo  per  tale  lettera  ponti- 
ficia, intralciate    le  fila    ordite    da 
Pozzo  di  Borgo,  che  affaticavasi  in 
Roma  a  persuadere  i  chierici  a  pre- 
star giuramento  di  fedeltà   a    Na- 
poleone, conobbe  il   bisogno  di   ri- 
correre a    degli  ecclesiastici,    e   se- 
gnatamente agli  apologisti  del  giu- 
ramento nelle  due  epoche  repubbli- 
cana ed  imperiale,  i  quali  tosto  com- 
parvero in  quella  scena  d'orrore.  Fra 
tanti  si  distinse,  più  per  timore  che 
per    sua    volontà,    come    dimostrò 
nella    memorata  ritrattazione,  l'ab. 
Gian    Vincenzo  Bolgeni,    che  pub- 
blicò un  voto  a  favore    del  giura- 
mento   che    esigevasi    dal    governo 
francese    negli    stati   romani.    Esso 
riscaldò    la  testa    di    parecchi  ;  un 
folto  'sciame  di  pareri   subentrò,  e 
la  ragione  se  non  fu  vinta  del  tut- 
to, restò  per  un  tempo  interdetta  : 
il  Pistoiesi    ne    dà    un    sunto    nel 
tona.  HI,  pag.  i3  e  seg.  Difensore 
del  giuramento  repubblicano  fu  e- 
ziandio  l'avv.  Giuseppe  Mangialor- 
di  teologo  e  professore  di  gius  ca- 
nonico nell'università  della  Sapien- 
za; ma  aucb'esso    riprovò    quanto 
aveva  sostenuto.  Fra  quelli   che  vi- 
rilmente si  opposero    al  giuramen- 
to nomineremo  Gio.  Battista  Gen- 
tilini,  Luigi  Maria    Bacchetti,    Lo- 
renzo Iguazio    Thjulen,     Fraucesco 


GIÙ 
Gusta,  ec.  Sono  noie  le  resistenze  di 
s.  Anselmo  arcivescovo  di  Cantor- 
bery  contro  Enrico  I  re  d'  Inghil- 
terra, nell'assunzione  al  trono  in 
luogo  di  Roberto  I  duca  di  Nor- 
mandia di  lui  fratello  maggiore; 
e  note  sono  le  ragioni  dal  san- 
to vescovo  scritte  ad  Ernolfo  prio- 
re, ed  a  Gandolfo  vescovo  Rof- 
fense,  esortandoli  a  non  lasciarsi  se- 
durre circa  il  giuramento,  né  dal- 
le frodi  ,  né  dalle  promesse,  né 
dalle  minacce.  Non  ignorasi  che  tra 
le  diverse  differenze  tra  Enrico  II 
re  d'Inghilterra,  e  s.  Tommaso  di 
Cantorbery  fuwi  anche  questa,  che 
il  re  esigeva  dai  vescovi  il  giura- 
mento di  fedeltà  indefinito,  senza 
la  clausola  eh'  erasi  introdotta  sal- 
vo l'ordine  suo,  come  si  ha  da 
Guglielmo  Neubricense  lib.  2,  cap. 
i5,  presso  il  Baronio  ad  an.  1 1 63, 
num.  9  ;  né  giova  al  caso  nostro 
di  allegare  le  decretali  di  Nicolò 
III,  lib.  6,  cap.  2,  decretai,  ti t.  II 
De  jurejurand.  Che  poi  agli  ec- 
clesiastici, e  ciò  fa  al  caso  nostro, 
sia  vietato  dalle  leggi  della  Chiesa 
il  prestare  giuramento  di  fedeltà 
ai  principi  laici,  non  può  dubitar- 
sene. Nel  concilio  generale  latera- 
nense  IV  celebrato  da  Innocenzo 
111,  cap.  43,  De  jurejur.  can.  3; 
viene  solamente  stabilito.  »  Nimis 
de  jurc  divino  quidam  laici  usur- 
pare conantur,  cuoi  viros  ccclesia- 
sticos,  nihil  temporale  ohtinentes 
ab  eh,  ad  praestandum  sibi  fide- 
litatis,  juramento compellant.  Quia 
vero  sccundum  apostolum  servus 
suo  Domino  stai,  ani  aedit,  sacri 
auctoritatc  concilii  prohibemus  ne 
talcs  clericis  personis  saecularibus 
pracslarc  cogantor  hujnsmodi  ju- 
ramentum  ".  iNcl  concilio  di  Cler- 
monl  celebrato  centoventi  anni 
pi  ima  con  1' miei  vento  dei  vescovi 


GIÙ  20» 

di  quasi  tutto  l'orbe  cattolico,  e 
presieduto  da  Urbano  II,  fu  de- 
cretato col  cap.  17:  Ne  episcopus 
vcl  sacerdos  alicui  laico  in  mani- 
bus  ligiam  fichli tatc.m  faciat.  Lo 
stesso  Urbano  II  tre  anni  dopo  ne 
tenne  un  altro  in  Roma  nella  ba- 
silica vaticana,  al  quale  interven- 
nero molti  parrochi,  arcivescovi  e 
vescovi  di  diverse  parti  del  mon- 
do, e  fra  le  altre  cose  exeommu- 
nicavit  edam  eos,  qui  prò  eccle- 
siasticis  ìionoribus  laicorum  horni- 
nes  fuint,  come  riferisce  Rogcro  de 
Hoveden  nella  prima  parte  degli 
Annal.  ad  an.  1099,  p.  4^7-  Iodi 
Pasquale  II  nel  concilio  lateranen- 
se  condannò  di  nuovo  gli  omaggi 
dei  chierici,  come  opposti  alle  co- 
stituzioni e  decreti  degli  antichi 
padri  :  Patrum  nostrorum  decreta 
renovavimus  sancientes ,  et  inter- 
dicentes  ne  quisquam  omnino  cle- 
ricus  ho/niniu/n  faciat  laico,  come 
inoltre  significò  il  medesimo  Pon- 
tefice al  vescovo  Anselmo,  come 
dille  lettere  di  questo  rilevasi,  epist. 
44i  lib.  3.  Il  sinodo  Rotomagen- 
se,  celebrato  nel  1096,  nel  cau.  8 
così  dispose  :  Ntdlus  prcsbyter  tf- 
Jìcialur  homo  laici,  quia  indignimi 
est  ut  manus  Deo  eonsecratae  <  t 
per  sanctam  unctìonem  sancii/c- 
catae,  mittanlur  iuler  manus  non 
consecralus.  Nel  concilio  di  Poi- 
tiers  adunato  nel  1  100,  oltre  di 
essersi  confermato  tuttociò  che  si 
eia  stabilito  nel  concilio  di  Cler- 
ruont  da  Urbano  li,  come  li- 
si nel  canoue  ultimo,  espressamen- 
te allei  masi  nel  canone  3:  Il  eie- 
ricus  nunquam  alieni  Luco  Ito- 
miniuiu  iihquo  modo  facete  prat  - 
sumal.  Ciò  non  ostante  fu  pubbli 
Calo  uno  scritto  intitolato:  Con- 
filiazione  di  tutte  le  difise  che  n 
•   fatte  e  si  faranno   del   grò- 


202  GIÙ 

lamento    prescrìtto      dal     governo 
francese  ai  sudditi  pontifìcii. 

Quando  Napoleone  fuggi  dal- 
l'isola dell'Elba  nel  i8i5,  e  ricom- 
parve  in  Francia  ove  regnò  anco- 
ra cento  giorni,  Fouché  ministro 
della  polizia  tormentò  quel  clero, 
ordinando  preci  pel  ritorno  del- 
l'imperatore, ed  esigendo  giura- 
menti di  fedeltà.  Subito  fu  dal 
clero  francese  consultato  il  Ponte- 
fice Pio  VII,  il  quale  decise  che 
non  si  poteva  dare  il  giuramento, 
come  si  raccoglie  dalla  seguente 
risposta,  che  per  di  lui  ordine  il 
cardinale  Litta  partecipò  a' 16  mag- 
gio. »  Riguardo  al  giuramento, 
ammettendo  anche  la  distinzione 
di  un'obbedienza  e  fedeltà  mera- 
mente passive ,  come  polrebbesi 
in  questo  caso  fissare  e  determi- 
nare questo  limite?  come  farlo  ca- 
pire al  popolo?  come  evitare  lo 
scandalo  ?  Voi  non  ignorale  che 
quando  v'era  pericolo  di  scandalo 
l'apostolo  s.  Paolo  astenevasi  per- 
sino dalle  cose  lecite  e  permesse: 
sì  esca  scandalizat,  non  manduce- 
tur.  Inoltre  questo  giuramento  non 
sarebbe  nell'attuale  circostanza  una 
vera  cooperazione  a  rassodare  una 
autorità  illegittima?  E  qui  non 
parlo  né  anche  della  coopcrazione 
ad  un  sistema  e  ad  una  nuova 
costituzione,  che  in  fondo  mira 
alla  distruzione  della  religione.  Le 
stesse  ragioni  bastano  a  convin- 
cervi, che  le  preghiere  di  cui  si 
tratta,  non  sono  lecite:  esse  ver- 
rebbero fatte  nomine  Ecclesiae,  e 
quale  assurdità  e  indecenza  insie- 
me, di  alzare  in  nome  della  Chie- 
sa delle  preghiere  per  un  ogget- 
to contrario  al  tempo  stesso  alla 
religione  ed  alla  giustizia  ".  Ciò 
non  ostante  Napoleone  che  vole- 
va  un'altra   volta  adoperare   la  re- 


GIU 

bigione  come  istromento  per  riu- 
scire ne' suoi  fini,  volle  che  nel 
campo  detto  di  maggio,  il  dì  pri- 
mo giugno,  l'arcivescovo  di  Boi  11- 
ges,  facendo  la  funzione  di  primo 
limosiniere  ,  gli  prestasse  in  ginoc- 
chio T  evangelo,  sul  quale  prestò 
il  giuramento  di  osservare  il  nuo- 
vo atto  costituzionale,  che  in  tut- 
ta fretta  era  stato  fabbricato  da 
Beniamino  Constant,  e  dagli  altri 
politici  di  quella  taglia.  Ma  quan- 
do Pio  VII  diede  tale  istruzione 
al  clero  della  Francia  meridionale, 
la  fortuna  di  Napoleone  era  vici- 
na  al   suo  occaso. 

Il  Bolgia  nel  t.  Ili,  p.  257, 
delle  Memorie  isloriche  di  Bene- 
vento, tratta  del  giuramento  dato 
dai  lettori  de'pa  tri  tuoni  della  Chie- 
sa avanti  il  corpo  di  s.  Pietro, 
con  solennità,  innanzi  di  prenderne 
il  governo.  Nel  libro  poi  intitola- 
to :  Difesa  del  dominio  ttmporale 
della  Sede  apostolica  delle  due  Si- 
cilie, riporta  le  formole  di  giura- 
menti di  vassalli  e  feudatari  della 
romana  Chiesa,  le  formole  di  giu- 
ramento di  protezione  e  difesa, 
come  di  Ottone  1  a  Giovanni  VII, 
e  i  giuramenti  prestati  per  l'inve- 
stiture delle  Sicilie  liberamente  dai 
principi  e  re  ai  sommi  Pontefici, 
massime  di  Roberto  Guiscardo  a  IN i— 
colò  II  ,  e  del  re  Carlo  1  d'Angiò 
a  Clemente  IV.  Il  medesimo  Bor- 
gia nella  Breve  istoria  del  domi- 
nio temporale  della  Sede  aposto- 
lica, a  p.  46  riporta  il  giuramento 
prestato  dagl'imperatori  di  proteg- 
gere e  difendere  la  Chiesa  roma- 
na ;  a  p.  47  'a  forinola  del  giu- 
ramento prestato  al  Pontefice  da 
Ottone  1  il  Grande;  a  p.  4*>  e 
46  cosa  importasse  il  giuramento 
di  fedeltà,  che  i  romani  prestava- 
no all'imperatore;  a  p.  3 18  il  giù- 


GIÙ 

lamento  degli  stessi  romani  per  l'e- 
lezione del   nuovo    Papa;  a   p.    179 
e  1 83   il  giuramento  di   vassallaggio 
e  fedeltà    alla   santa   Sede,  die  do- 
vea  farsi    in   persona    dai   re  di   Si- 
cilia, ed  a    pag.     1 58    che    si   pre- 
slava da    essi  ad  ogni  nuovo  Pon- 
tefice. Delle    quali    cose  ne   trattia- 
mo ancor  noi  ai   rispettivi  articoli, 
come  Coronazione  degli  imperato- 
ri, dei  re,  Sicilia  ec.  ec.    All'arti- 
colo Imperatore,  riportiamo  la  for- 
niola    del   giuramento     che    faceva 
nella    sua    coronazione.    Agli    arti- 
coli   Elezione    de'  Pontefici,  Con- 
clave, Conclavisti    abbiamo    detto 
del     giuramento    che    fa    il   nuovo 
Papa,    i    cardinali,    i   primari    mi- 
nistri   della    santa     Sede,   il     mag- 
giordomo, il    maresciallo    del  con- 
clave ec.  e  i    conclavisti.    Agli  ar- 
ticoli    Camerlengo  ,     Cancelliere  , 
Governatore,  Castellano,  Commen- 
datore   di  s.     Spirito,     Senatore, 
Foriere,    Maestro   di    Casa,     Se- 
natore   di    Roma,    ed    a    quelli   ri- 
guardanti  vescovi,  prelati,  ed   altri 
magistrati  si    tratta   dei   giuramen- 
ti   che    prestano    pei    loro    uffìzi  e 
dignità.     Cos'i    a  diversi  articoli  si 
parla   del  giuramento   che  altri  11  f- 
fiziali    prestano  ai    dignitari  ;  ed  a 
Congregazione    del    s.  Offizio  ,    il 
giuramento    che   emettono     coloro 
che  vi  sono  addetti.   Avanti  il   pie- 
no  tribunale  della  camera   aposto- 
lica, presieduto  dal  cardinal  carnet" 
tengo  di  s.   Chiesa   prestano   il  giu- 
ramento  i     prelati    governatore    di 
l'i  orna  ,  uditore  generale  della    ca- 
mera,   tesoriere    generale  .    uditori 
di    rota  ,    chierici    di    camera,   av- 
vinalo   de' poveri,    avvocato   gene- 
rale del  fìsco,  procuratore  genera- 
le del  fìsco,  e  commissario  genera* 
le    della    camera  .    A  vanii     il   solo 
ardine!    camerlengo    di    s.  Chiesa 


GIÙ  ao3 

lo  prestano  i  delegali  apostolici 
delle  provincie,  ed  i  governatori, 
come  ancora  i  principi,  i  marche- 
si, ed  i  conti,  ancorché  fatti  per 
breve  pontifìcio.  Inoltre  al  detto 
camerlengo  lo  prestano  in  sede 
vacante  gì'  impiegati,  e  gli  artisti 
scelti   al  servigio  del  conclave. 

GIURISDIZIONE  ,  Jurisdictìo. 
Podestà  introdotta  per  pubblica  au- 
torità ,  con  necessità  di  rendei  e 
altrui  ragione,  e  stabilire  quello 
che  conforme  all'equità  :  imperio, 
podestà,  padronaggio.  Giurisdizio- 
ne dicesi  anche  il  territorio,  città 
e  luoghi  in  cui  un  giudice  eser- 
cita la  sua  autorità.  Cosi  il  Dizio- 
nario della  lingua  italiana.  Vi 
sono  due  sorte  di  giurisdizione,  la 
secolare,  che  riguarda  il  civile,  e 
che  appartiene  ai  principi  sovra- 
ni ed  agli  altri  laici  da  loro  in- 
caricati  ;  e  1'  ecclesiastica,  che  ri- 
guarda Io  spirituale,  e  che  appar- 
tiene al  clero.  La  giurisdizione  ec- 
clesiastica si  divide  in  volontaria, 
graziosa ,  e  contenziosa.  Dice  il 
Bergier  che  i  pastori  della  Chie- 
sa ricevettero  da  Dio  la  podestà 
di  fare  delle  leggi  appartenenti  al 
culto  divino,  ed  ai  costumi  dei 
fedeli,  e  che  questi  sono  obbliga- 
ti in  coscienza  a  sotlomettervisi  e 
conformarvisi  ;  che  la  Chiesa  in 
ogni  secolo  si  servì  di  questa  po- 
destà, ed  ha  stabilito  delle  pene 
contro  i   refrattari. 

GIURISPRUDENZA ,  Jurispni- 
dentia.  Scienza  legale  .  La  giu- 
risprudenza, presso  tulli  gli  anti- 
chi era  Rerum  di\ituirum  et  lut- 
manarum  notitia  ,  fusti  in/usti- 
aue  scienlia;  2  Insl.  de  just,  et 
jurc.  E  qui  Eineccio  in  Elein.  fiw. 
viv.  Kb.  I,  tit.  1,  De  fast,  et  fur, 
nota  che  il  senso  sia,  doversi  cre- 
dere che     la    giurisprudenza     è    la 


2<4  G  1  u 

f/losofia,  clic  consiste  nella  scienza 
del  giusto:  Aclcoijue  sensus  est: 
jurisprudentiam  esse  philosophiam 
f/uae  in  /'usti  scientia  consistit  . 
Dalle  quali  cose  discende  la  defi- 
nizione che  presso  i  moderni  è  co- 
munemente adottata,  cioè  che  la 
giurisprudenza  sia  un  ahito  prati- 
co di  rettamente  interpretare  le 
leggi,  e  di  giustamente  applicarle 
a'easi  occorrenti.  La  giurispruden- 
za canonica  trae  la  sua  origine 
dalla  creazione  del  mondo  basata 
sulle  divine  leggi,  che  hanno  Iddio 
per  autore,  e  queste  sono  o  na- 
turali, o  soprannaturali ,  o  positive. 
V.  gli  articoli  Diritto  canonico  , 
Decretali,  e  i  tanti  relativi  articoli 
a  questo  argomento,  non  che  Curia, 
romana,  Difensori  ec ,  oltre  quelli 
ivi  citati,  ne'  quali  si  fa  menzione 
di  molti  celebri  giureconsulti  Pa- 
pi e  cardinali.  Tra  i  primi  prin- 
cipalmente vanno  altamente  enco- 
miati Innocenzo  IH,  Gregorio  IX, 
Innocenzo  IV,  Clemente  IV,  Boni- 
facio Vili,  Giovanni  XXII,  Grego- 
rio XI,  Giulio  III,  Gregorio  XIII, 
Clemente  Vili,  Gregorio  XV,  e 
Benedetto  XIV,  per  non  dire  di 
altri.  Tra  i  secondi  poi  aggiunge- 
remo ai  già  nominati  Nicola  de 
Bomanis  romano,  cardinale  d'In- 
nocenzo III,  per  la  singoiar  peri- 
zia legale  chiamato  il  maestro;  Pie- 
tro romano  ,  cardinale  di  Onorio 
III,  ch'ebbe  riputazione  di  straor- 
dinaria scienza  legale  ;  Enrico  Bar- 
tolomei di  Susa,  cardinale  di  Ur- 
bano IV,  immortale  per  la  sua 
perizia  legale,  e  di  grande  auto- 
i  ita  nel  diritto  ecclesiastico;  Gio- 
vanni le  Moine  francese,  cardina^ 
le  di  s.  Celestino  V,  famoso  per 
profonda  scienza  legale;  Riccardo 
Petroni  sanese,  cardinale  di  Boni- 
facio   Vili,    Celebre   giureconsulto, 


GIÙ 

e  professore  di  legge;  Pietro  de 
Morlemart  francese ,  cardinale  di 
Giovanni  XXII,  sommo  professore 
di  leggi  a  Tolosa;  Stefano  de  Pois- 
sy  francese,  cardinale  di  Urbano 
V,  insigne  giurisperito;  Pietro  Go- 
mez  de  Barros  spagnuolo,  cardinale 
di  Gregorio  XI,  eccellente  giure- 
consulto; Simeone  Brussani  mila- 
nese, cardinale  di  Gregorio  XI,  co- 
nosciuto per  le  sue  egregie  opere 
legali  ;  Federico  Saverdun  tedesco, 
cardinale  di  Urbano  VI ,  famoso 
nella  scienza  delle  leggi  ;  Giovanni 
Turrecremata  spagnuolo,  cardinale 
di  Eugenio  IV,  esimio  giureconsul- 
to e  teologo  profondo  ;  Cristoforo 
della  Rovere  torinese,  cardinale  di 
Sisto  IV,  rinomato  per  s'ingoiar 
perizia  nella  giurisprudenza  ;  Anto- 
nio Ciocchi  del  Monte  aretino,  car- 
dinale di  Giulio  II,  illustre  per  la 
scienza  legale  e  per  la  rettitudine 
nel  giudicare  con  danno  anche  dei 
suoi  avanzamenti  ;  Angelo  Niccolini 
fiorentino,  cardinale  di  Pio  IV,  in- 
signe giureconsulto  ;  Guido  Peneri 
piemontese,  cardinale  di  Pio  IV, 
destinato  da  Gregorio  XIII  alla 
correzione  del  decreto  di  Grazia- 
no; Filippo  Buoncompaguo  bolo- 
gnese, cardinale  di  Gregorio  XIII, 
ornato  di  singoiar  dottrina  legale  ; 
Ippolito  de  Rossi  parmigiano,  car- 
dinale di  Sisto  V  ,  dotto  teologo 
e  valente  giureconsulto  ;  Domenico 
Toschi  di  Reggio  di  Modena,  car- 
dinale di  Clemente  Vili ,  di  gran 
perizia  legale  come  si  ravvisa  dalle 
sue  Conclusioni  pratiche  j  Serafino 
Olivier  Rezali  francese,  cardinale  di 
Clemente  Vili,  glorioso  per  la  pro- 
fonda giurisprudenza,  dappoiché  nei 
quaranta  anni  in  cui  fu  Uditore 
di  rota  (al  quale  articolo  si  ri- 
portano altri  cardinali  celebri  giu- 
reconsulti )  emanò    1 5oo   decisioni  ; 


GIÙ 

Domenico  Rnarola  genovese,  car- 
dinale di  Clemente  Vili,  ebbe  lo- 
de di  biavissimo  legale;  Giambat- 
tista Consi  fiorentino  ,  cardinale  di 
Clemente  Vili,  di  straordinaria 
dottrina  massime  nella  giurispru- 
denza, nella  quale  era  tenuto  un 
oracolo  in  Roma  ;  Francesco  Nerli 
fiorentino ,  cardinale  di  Clemente 
IX,  dottissimo  giureconsulto;  e  per 
non  dire  di  altri  molti,  lodati  nel- 
le loro  biografie,  Filippo  Maria  Pi- 
relli napoletano,  cardinale  di  Cle- 
mente XIII,  versalissimo  nella  no- 
bile ed  utilissima  scienza  della  giu- 
risprudenza. 

Sempre  i  Pontefici  romani  fu- 
rono intenti  a  migliorare  la  giu- 
risprudenza, depurandola  dai  gra- 
vi difetti  lasciativi  dagli  antichi 
legislatori,  dappoiché  presso  gli  spar- 
tani e  gli  egizi  le  leggi  permette- 
vano il  furto;  altre  favorivano  la 
vendetta  e  la  lascivia,  come  nella 
Scozia  ;  altre  permettevano  l'ucci- 
sione degli  uomini  vecchi  o  im- 
perfetti, perchè  creduti  inutili  ;  al- 
tre davano  ai  padri  diritto  della 
vita  sui  figli,  ed  ai  padroni  sui 
servi;  altre  il  godimento  di  cose 
usurpate,  per  atti  possessori!  ;  altre 
prescrivevano  melodi  sulle  torture 
che  ripugnano  in  leggerli,  per  in- 
dovinare se  uno  diceva  la  verità  o 
la  bugia;  altre  obbligavano  i  ge- 
nitori a  mantenere  come  legittimi 
i  figli  adulterini;  altre  ammette- 
vano le  usure ,  senza  aggiungere 
altre  autorizzate aeeueraggini  e  cru- 
deltà. Tali  barbarie,  assurdi  siste- 
mi ed  imperfezioni  legali  più  non 
esistono,  per  opera  principalmente 
dello  zelo  de'  Papi,  i  quali  secon- 
do i  dettami  della  cristiana  reli- 
gione, che  fu  ed  è  more  intetita 
a  procurare  la  felicità  in  questa  e 
nell'altra   vita  ai   sUui  figli,   ripara* 


GIÙ 

rono  a  tante  difettose  leggi,  e  non 
dubitarono  alzare  la  loro  autore- 
vole voce  contro  i  principi,  anche 
barbari,  magistrati  e  giureconsulti, 
per  la  correzione  de'  codici  della 
giurisprudenza.  Eugenio  III  ordi- 
nò l'insegnamento  del  decreto  di 
Graziano;  Clemente  III  aholi  le 
leggi  favorevoli  ai  bastardi  in  pre- 
giudizio della  prole  legittima  ;  di 
quanto  fecero  Innocenzo  III,  e  Gre- 
gorio IX  ne  parlammo  altrove,  e 
questo  ultimo  con  Clemente  IV  fu 
pure  benemerito  della  giurispru- 
denza delle  due  Sicilie  e  dell'Un- 
gheria. Onorio  III  ripristinò  le 
scuole  nel  palazzo  apostolico.  In- 
nocenzo IV  die  provvidenza  per- 
chè in  Roma  fiorisse  lo  studio  del 
diritto  civile  e  canonico  con  catte- 
dre. Ronifacio  Vili  fondò  l'univer- 
sità romana,  ossia  ne  aumentò  le 
cattedre  in  ogni  facoltà.  Giovanni 
XX.II  procurò  utili  miglioramenti 
al  codice  civile,  poi  lodati  da  Mu- 
tino V  che  ne  prescrisse  l' osser- 
vanza, indi  perfezionati  da  Pio  IV. 
Innocenzo  VII,  e  meglio  Eugenio 
IV  rinnovarono  l'università  roma- 
na, che  per  l'assenza  de  Papi  d'A- 
vignone, e  per  il  lungo  scisma  en 
ridotta  a  niente,  onde  il  secondo 
viene  salutato  quasi  fondatore  per 
averne  anche  cretto  l'edilizio.  Pio 
Il  contro  le  usure  favori  i  monti 
di  pietà  e  quelli  frumentari.  Leo- 
ne X,  oltre  l'essere  stato  magna- 
nimo restauratore  della  nominati 
università,  il  cui  incremento  e  re- 
golamento curarono  Paolo  III,  Si- 
sto V,  e  massime  Leone  XII,  in- 
veì contro  la  hai  hai  ie  delle  tortu- 
re, nel  che  fu  imitato  Óa  Paolo  III 
«■  da  Pio  l\.  Di  ultimo  Pio  \  II, 
Leone  XII,  e  piò  completamente 
il  regnante  Pontefice  Gregorio XVI, 
furono  benemerentissimi  della  giù- 


2oG 


Gì  U 


risprutlenza,  eòo  utili  legislazioni  :  il 
terzo  si  compiacque  di  dare  nuove 
leggi  sapientissime  in  un  regola- 
mento legislativo  e  giudiziario  per 
gli  affari  civili,  e  di  provvedere  al 
vuoto  della  legislazione  criminale 
con  altro  regolamento  sui  delitti  e 
sulle  pene,  e  dare  regole  e  norme 
saggie  per  verificare  i  delitti  con 
un  regolamento  organico  di  pro- 
cedura criminale.  Col  formare  dun- 
que i  sommi  Pontefici  il  corpo 
rielle  leggi  del  gius  canonico,  mi- 
gliorarono il  gius  civile,  e  som- 
mi vantaggi  recarono  alla  giuris- 
prudenza sì  civile  che  criminale, 
anche  a  mezzo  dei  rispettabili  e 
celebri  collegi  de'  prelati  uditori  di 
rota,  e  degli  avvocati  concistoriali. 
Il  famigerato  codice  di  Napoleone 
formò  le  sue  ordinazioni  ed  arti- 
coli da  Giustiniano,  ma  col  dirit- 
to canonico  ne  emendò  i  difetti. 
Altri  copiarono  in  gran  parte  le 
istituzioni  legislative  pontificie,  e  le 
produssero  come  immaginate  da  lo- 
ro, mentre  in  Roma  già  contava- 
no  lustri  e  secoli. 

GIUSEPPE  (s),  sposo  di  Ma- 
ria Vergine  e  padre  putativo  di 
Gesù  Cristo.  Era  figlio  di  Giacob- 
be figlio  di  Matan,  e  discendeva 
per  dritta  linea  dai  più  gran  re  di 
Giuda,  e  dai  più  illustri  tra  gli 
antichi  patriarchi.  Alcuni  autori 
hanno  detto  eh'  egli  era  vedovo 
d'una  prima  moglie,  dalla  quale 
avea  avuto  molti  figliuoli,  cioè  s. 
Giacomo  il  Minore,  e  quelli  che 
nel  vangelo  sono  chiamati  fratelli 
del  Signore;  ma  s'ingannano  :  que- 
sti fratelli  del  Signore  erano  cu- 
gini germani  di  Gesù  Cristo,  essen- 
do nati  dal  matrimonio  di  Maria  so- 
rella cugina  della  B.  Vergine  ,  con 
Alfeo,  ossia  che  Alfeo,  come  ha 
pensato    qualche    autore,    fosse   la 


GIÙ 

slessa  persona  che  Cleofa  ,    cui   E- 
gesippo  dice   fratello   di    s.    Giusep- 
pe;   ed    erano    così    chiamati    con- 
forme l'uso  degli  ebrei    di    dare  il 
nome    di    fratelli    ai    più     prossimi 
parenti.     S.    Girolamo    ci    assicura 
che  san   Giuseppe   fu  sempre     ver- 
gine.  L'evangelio    fa    con    una    so- 
la parola  l'elogio  di     lui,    dicendo 
ch'egli  era   un  uomo  giusto,  poiché 
la   giustizia  comprende  tutte  le  vir- 
tù.   Egli    viveva    del    lavoro    delle 
sue  mani,  e  secondo  l'opinione  più 
comune  esercitando  il    mestiere  di 
falegname.    Ignorava  s.  Giuseppe  il 
prodigio  che   lo  Spirito  Santo  ave- 
va operato  in  Maria,  allorché  s'ac- 
corse della  di   lei    gravidanza  ,    né 
sapendo  a  che  attribuirla,  risolvet- 
te di  separarsene  segretamente,  sen- 
za accusarla    e    farla    condannare; 
ma    l' angelo    del    Signore  gli    ap- 
parve in   sogno,    e  sgombrò    dalla 
sua   mente  ogni  dubbio  e    timore, 
rivelandogli   il    mistero    dell'  Incar- 
nazione del  Figlio  di  Dio    nel    se- 
no di  Maria.   Sei  mesi  dopo  fu  ob- 
bligato   s.    Giuseppe    di    recarsi   a 
Betlemme  colla   sua  sposa,  e   vide 
colà  nascere  il  Redentore  del  mon- 
do, che  allevò  come  fosse    suo  fi- 
glio. Esso  portollo  seco  a    Gerusa- 
lemme per  offerirlo    al  Signore,  e 
quindi   lo  condusse    in  Egitto    per 
sottrarlo  al  furore  d'Erode  che  vo- 
lea   dargli  la   morte.  Troviamo  nei 
padri   che  all'  entrare  di  Gesù  nel- 
l'Egitto gli   oracoli   divennero  muti 
e  le  statue   dei   falsi    dei    tremaro- 
no, anzi   furono    rovesciate    in    al- 
cuni  luoghi,  conforme  a  quel  pas- 
so d'Isaia  :  Gl'idoli  dell'Egitto  crol- 
larono davanti  al  suo  cospetto.  Do- 
po la  morte  di  Erode,  Giuseppe  ri- 
tornò a   Nazaret,  da   dove  reca  vasi 
tutti   gli   anni   a   Gerusalemme  con 
Maria   Vergine    per    celebrarvi     la 


GIÙ 
Pasqua.  Kssi  \i  condussero  Gesù 
quando  fu  in  età  di  dodici  anni  , 
lo  smarrirono  in  Gerusalemme,  e 
ritrovatolo,  lo  ricondussero  a  N.i- 
laret  Siccome  la  Scrittura  min- 
te altro  ci  elice  di  s.  Giuseppe,  è 
da  credere  che  fosse  morto  prima 
delle  notte  di  Cana,  e  avanti  il 
cumini  lamento  della  missione  pub- 
Mica  del  Salvatore.  Si  argomenta 
ebe  spiraste  nelle  braccia  di  Gesù 
e  di  Malia,  e  perciò  lo  s'invoca 
per  ottenere  la  grazia  di  una  buo- 
na morte.  In  nessun  luogo  tro- 
vanti reliquie  del  suo  corpo,  ma 
soltanto  alcuni  de'suoi  arredi,  come 
il  suo  anello  nuziale  che  pretende» 
estere  a  Perugia.  Alcuni  viaggia- 
tori dissero  essere  il  suo  sepolcro 
nella   valle  di   Giosafat. 

1  siri  e  gli  altri  orientali  fanno 
la  festa  di  s.  Giuseppe  ai  ?.o  di 
luglio;  ma  essa  si  celebra  ai  19  di 
marta  in  tutte  le  chiese  d'occiden- 
te:  S^to  IV   nel    1JS1    la  dichiarò 

•  li  precetto,  per  la  quale  concessio- 
ne molto  adoperassi  Giovanni  Ger- 
sone  0  Chartier.  Altri  dicono  che 
lo  stabilimento  di  questa  festa  si 
deve  ad  Innocento  \  111  ed  al  1  tal. 
M.i  forse  perchè  quoto  decreto 
non  veniva  osservalo  da  per  tutto, 
Innocento  MI   ih  I  169?  ordinò,  che 

cadendo  la  festa  di  s.  Giuseppe 
nel  giovedì  santo,  sebbene    l'uffizio 

e    l.i    ne  IM    di  questa    santo  il.. 

trasferirti  dopo  Pasqua,    luttavolla 

•  li'  hi. 11  o  ,  he  M|  (a|  giorno  sareb- 
be) o  \  ni, ite  le  opere  sei  \  ih,  doven- 
dosene astenere  per    riguardo    alla 

festa  «li  pn  eetto     pi  1  sci  iste  inoli  1  e 
■  vescoi  1  «  I ri*  nel  giovi  dì   tanto  fri* 

1 10  ccl(  In  ai  e  ali  une  mi  ste  pi  i- 
v.ite   pei    i  orni  'lo  del   popolo,  come 

li  piiiluò  in  l'ioni.*  nil  i  <>i  1  • ,  nel 
171(1    per    dei  uto    di   (  Inni  ole    \  I. 

e  nel    i-<u    m  cui  Clemente  \lll 


'.ILI  307 

per  la  stessa  ragione  lece  celebrare 

sei  inessl-  m  molle  1  hicse  della  cit- 
ili: queste  messe  private  si  dicono 
ancora  se  in  detto  giorno  cadesse 
la  lesta  della  ss.  annunziata  od 
altra  lista  di  precetto,  come  pine 
notammo  altrove,  perché  più  fa- 
cilmente possano  i  fedeli  soddisfare 
al  precetto  di  ascoltar  la  rie 
Inoltre  Sisto  I\  fece  pone  nel 
calendario  romano  il  nome  di  q 
sto  santo,  e  siccome  nei  breviari 
stampati  all'epoca  di  Sisto  l\  era 
notato  col  rito  semplice  ,  che  in 
tempo  d'Innocenzo  \  III  fu  eleva- 
to a  rito  doppio,  Clemente  XI  ad 
istanza  della  ven.  Chiara  Cotonivi 
terestana  ed  imitati  ice  ili  s.  l,  ri- 
sa fondatrice  de' carmelitani  e  car- 
melitane scalze,  nel  71  lo  di  pro- 
pagare maggior  Lidio  a  s.  Giusep- 
pe, lo  elevò  ;d  ilio  doppio  di  secon- 
da classe,  e  eon  decreto  del  1714 
ne  approvò  l'uffizio  nuovo.  Questo 
uffizio  con  le  lezioni  proprie,  anti- 
fone, respontori  ,  capitoli  ed  inni 
1  ivati  dalla  sacra  Scrittura,  fu  com- 
posto dallo  stesso  Clemente  XI,  il 
quale  ordinò  che  si  metteste  nel 
breviario  romano  nel  giorno  IO 
marzo  ;  e  colla  costituzione  /./ 
confòvendam,  comandò  che  lascia- 
to  I'  uffizio    comune    si    celebi 

in  tutta  la  (  lm  sa  ni  detto  gii 
la  festa  del  glorioso  patriarca  san 
Giuseppe,  singoiar  protettore  della 
sua  famiglia  A  Ih. un  (  oncesse  inol- 
ile nulli:-'  1 1  / 1  •  a  quelli  che  ni  ila 
chiesa  di  s.  Ignazio  di  homi  in- 
tervenissero alla  esposizione  del  •>». 
:   111.1  ut"    ne'  nove    giorni     pi 

denii  la  festa  di  s.  Giuseppe,  onde 
ebbe  origine  1  introduzione  di  1 
est  n  ilio  deile  Vi  <  ne  (  /  < <h  l  in 
uti  Benedetto  \lll 
in  I  1  —  •  ♦  »  ii  1  •  poi  ie  il  nome  di 
qui  sto  santo  iori, 


2o8  GIÙ 

dopo  quello  di  s.  Giovanni    Balli- 
sta ;  e  benedetto  XIV  con  decreto 
de' alo  gennaio   1 74 1   elevò  dal  ri- 
Io   doppio    al    doppio    di    seconda 
classe  l'uftìcio  del  Patrocinio  di  s. 
Giuseppe  nella   terza    domenica  di 
Pasqua.  La  messa   propria    di  san 
Giuseppe  per  impetrare    ad  inter- 
cessione sua  una  buona  morte^  fu 
composta  dal  beato  cardinale  Giu- 
seppe Maria  Tom  masi,  e  ad  istan- 
za del    granduca  di    Toscana  con- 
ceduta dalla  congregazione  de'riti, 
fu  inserita  nel  messale  romano  fra 
le  votive.  Altre  concessioni    di  in- 
dulgenze e  di  aumento  di  culto  in 
onore    di    s.  Giuseppe    i     romani 
Pontefici    concessero     parzialmente 
ai  regni,  e  corporazioni  pie  e  reli- 
giose d'ambo  i  sessi,  di  cui  il  san- 
to è  protettore.  Pei  motivi  che  di- 
cemmo   all'  articolo   Festa    {Vedi), 
avendo    dovuto    Pio  VI    dispensar 
dal    precetto     diverse  feste,    e    fra 
esse  quella  di  s.  Giuseppe,    il    suc- 
cessore Pio  VII  con  particolare  no- 
tificazione de' 12    marzo    i8o3    la 
ritornò  a  stabilire  festa  di  precetto. 
]  Papi  Gregorio  XV  e  Urbano  Vili, 
l'uno  nel  1621,  l'altro  nel  164?-,  ob- 
bligarono a  questa  festa  i  fedeli.   I 
pittori  pongono  in  mano  di  s.  Giu- 
seppe una  verga  fiorita,  per   signi- 
ficare   quella    eh'  egli    presentò    al 
gran  sacerdote   unitamenlc  agli  ni- 
tri individui  della  casa    di    David- 
de    che    potevano    pretendere   alla 
mano   di    Maria.    Di    tutte   quelle 
verghe  non  fiorì  che  quella  di  Giu- 
seppe;   ed    era    il  segnale  con  cui 
Dio  palesava  d' ordinario    il    voler 
suo  intorno  a  simili  matrimoni  di 
vergini  a   lui   consagratc;    ma    ciò 
non  è  che  una  favola  lolla  da  li- 
bri apocrifi,  come  li  chiama  s.  Gi- 
rolamo. 

GIUSEPPE    d'Aiumatea    (s.). 


GIÙ 

Membro  del  sinedrio  dei  giudei,  e 
discepolo  in  segreto  di  Gesù  Cri- 
sto. Si  legge  nel  vangelo  ch'era 
uomo  giusto,  e  del  numero  di  quel- 
li che  aspettavano  il  regno  di  Dio. 
Egli  non  era  stato  consenziente 
a  quanto  i  giudei  aveano  fatto 
contro  il  Salvatore,  benché  non  a- 
vesse  osato  dichiararsi  apertamen- 
te in  suo  favore.  Dopo  che  Gesù 
Cristo  fu  spirato,  Giuseppe  si  pre- 
sentò coraggiosamente  a  Pilato,  e 
domandogliene  il  corpo  per  sep- 
pellirlo. Avuta  la  permissione  di 
levarlo  dalla  croce,  lo  ravvolse  in 
un  lenzuolo  e  lo  depose  in  un  se- 
polcro, in  cui  nessuno  era  stalo 
posto.  Il  culto  di  questo  santo  era 
un  tempo  molto  celebre  in  Inghil- 
terra, soprattutto  a  Glastenbury  di 
cui  era  patrono.  E  onorato  a'  1 7 
di  marzo. 

GIUSEPPE  Barsabas  (s.),  so- 
prannominato il  Giusto.  Era  uno 
dei  settantadue  discepoli  di  Gesù 
Cristo,  e  fu  messo  a  paro  con  s. 
Mattia,  quando  gli  apostoli  vollero 
dare  un  successore  nell'  apostolato 
al  traditore  Giuda.  La  sorte  cadde 
sopra  s.  Mattia,  es.  Giuseppe  andò  a 
predicare  il  vangelo  a  molte  na- 
zioni, confermando  con  molli  pro- 
digi la  dottrina  che  annunziava. 
Racconta  Eusebio,  sull'autorità  di 
Papia,  il  quale  avea  vissuto  cogli 
apostoli,  che  tra  gli  altri  miracoli 
che  operò,  bevelte  del  veleno  sen- 
za che  gli  facesse  alcun  male.  I 
martirologi  d'Usuardo  e  di  Adone 
mettono  la  sua  festa  a'  20  di  lu- 
glio, e  narrano  ch'egli  solili  molto 
per  parte  degli  ebrei,  e  che  morì 
finalmente  in  Giudea  ed  ebbe  una 
fine  vittoriosissima. 

GIUSEPPE  di  Palestina  (s.), 
detto  comunemente  il  Conte  Giu- 
seppe. Ebreo  di  nascita,  e  di  una 


GIÙ 
I  Miglia  di  Tiberiade  lunula  in 
molta  considerazione,  era  nel  nu- 
mero di  quelli  che  gli  ebrei  chia- 
mavano apostoli.  Essendogli  Gesù 
disio  apparso  in  sogno  dicendogli 
clie  credesse  in  lui,  restò  penetrato 
da  un  sentimento  di  stima  per  il 
cristianesimo.  Poscia  avendolo  gli 
ebrei  sorpreso  che  leggeva  l'evan- 
gelo,  lo  trassero  alla  sinagoga  per- 
cuotendolo aspramente,  e  avrebbe 
solTerto  di  peggio  se  il  vescovo  dei 
cristiani  noi  toglieva  loro  di  mano. 
Egli  ricevette  il  battesimo  in  qucl- 
l'occasione,  e  si  recò  alla  corte  del- 
l'imperatore Costantino,  il  quale 
gli  donò  il  titolo  e  il  grado  di 
conte,  con  assoluto  potere  di  fab- 
bricare delle  chiese  in  Palestina 
dovunque  paresse  a  lui  convenire. 
Giuseppe  cominciò  dal  fabbricarne 
una  a  Tiberiadc ,  ad  onta  della 
opposizione  degli  ebrei.  Protesse 
pure  i  cattolici  contro  gli  ariani , 
ed  accolse  s.  Eusebio  di  Vercelli, 
relegato  nel  355  dall'  imperatore 
Costanzo  a  Scitopoli,  dove  il  conte 
Giuseppe  erasi  ritirato  ;  ricoverò 
eziandio  altri  grandi  servi  di  Dìo, 
fra'  quali  s.  Epifanio.  Egli  era  al- 
lora in  età  di  settant'anni ,  e  si 
crede  che  sia  morto  poco  dopo.  Il 
suo  nome  si  trova  nei  martirologi 
dei  greci  e  dei  latini  sotto  il  giorno 
17.   di   luglio. 

GIUSEPPE  (s.)  ,  soprannomi- 
nato I'  Innografo.  Nato  in  Sicilia, 
passò  in  Grecia  allorquando  quel- 
l'isola fu  invasa  da' barbari  d'Afri- 
ca. Si  rese  religioso  a  Tessalonica 
nel  monistero  del  Salvatore,  e  fu 
ordiuato  sacerdote;  poscia  recossi 
a  Costantinopoli  ,  ove  dimoiò  fin- 
ché Leone  1'  Isaurico  mosse  guer- 
ra alle  sacre  immagini.  Postosi  in 
viaggio  per  Roma,  fu  arrestato 
fra  via  da' saraceni,  che  lo  tenne» 
voi.    xxxt. 


GIÙ  209 

10  molto  tempo  a  Creta  in  una 
stretta  prigione,  donde  liberatosi 
ritornò  a  Costantinopoli  ,  si  pro- 
cacciò delle  reliquie  di  molti  san- 
ti, e  ritirassi  in  Tessaglia,  ove  fe- 
ce edificare  una  chiesa  in  un  luo- 
go solitario.  Fu  principalmente 
questo  il  luogo  in  cui  compose 
degli  inni  in  lode  di  Dio  e  dei 
suoi  santi,  molti  dc'quali  sono  sta- 
ti adottati  dai  greci  nei  loro  offi- 
zi.  Sostenne  zelantemente  l'onore 
delle  sacre  immagini,  e  perciò 
fu  perseguitato  dagl'iconoclasti,  ed 
esiliato  nel  Chersoncso  dall'impe- 
ratore Teofdo  ;  ma  essendo  slato 
poscia  richiamato ,  il  patriarca  s 
Ignazio  lo  fece  guardiano  dei  sa- 
cri vasi  della  gran  chiesa  di  Co- 
stantinopoli. Morì  nell'esercizio  di 
quest'impiego,  verso  l'anno  883, 
ed  è  nominato  il  3  o  4  d'aprile 
nei  Menologi    dei    greci. 

Vi  fu  un  altro  s.  Giuseppe,  ar- 
civescovo di  Tessalonica,  il  quale 
pure  compose  degli  inni  che  can- 
tansi  negli  offizi  dei  greci,  ed  è 
menzionato  nei  loro  Menci  a'  i4 
di  luglio. 

GIUSEPPE  da  Leonessa  (s). 
Nacque  a  Leonessa,  piccola  città 
del  regno  di  Napoli,  nel  i556,  e 
chiamavasi  al  secolo  Eufranio  De- 
sideri. Entrò  di  diciott'anni  nell'or- 
dine de'cappuccini,  avanzossi  rapi- 
damente nelle  scienze  e  nelle  vie 
della  santità,  e  fu  presto  in  istato 
di  esercitare  il  ministero  della  pre- 
dicazione con  abbondante  frutto. 
L'anno  i58y  i  superiori  lo  man- 
darono in  missione  a  Pera,  sob- 
borgo di  Costantinopoli.  Ivi  dic- 
desi  con  eroica  carità  al  servizio 
ed  istruzione  degli  schiavi  cristia- 
ni, specialmente  durante  la  >d 
d'  una  orribile  pestilenza,  di  che 
restò     tocco    lui    pure,    ma  risnnò. 

■4 


2  io  GIÙ 

Avendo  convertilo  molti  apostati, 
uno  de'  quali  era  Lascia,  i  mao- 
mettani, furibondi  pel  profitto  del- 
le sue  predicazioni,  lo  fecero  in- 
carcerare per  ben  due  volte,  e  il 
condannarono  alla  morte.  Fu  ap- 
peso ad  una  specie  di  forca  per 
una  mano  ed  un  piede,  e  così 
lasciato  più  giorni,  fino  a  cbe  il 
sultano  commutò  nelT  esilio  la 
sentenza  di  morte.  Il  p.  Giuseppe 
s'imbarcò  per  l'Italia,  smontò  in 
terra  a  Venezia,  e  ritornò  al  suo 
convento  dopo  1'  assenza  di  due 
anni.  Continuò  nelle  apostoliche 
fatiche  fino  alla  sua  morte ,  che 
avvenne  ai  4  di  febbraio  1612. 
Il  suo  nome  trovasi  in  questo 
giorno  nel  martirologio  romano. 
Fu  beatificato  da  Clemente  XII 
nel  1737,  e  canonizzato  da  Be- 
nedetto XIV  nel    1746. 

GIUSEPPE  Calasanzio  (s.). Nac- 
que a  Petratta  nel  regno  d'Ara- 
gona, agli  11  settembre  i5>G,  da 
nobili  e  ricchi  genitori  che  l'edu- 
carono cristianamente.  Segnalossi 
infino  dai  più  verdi  anni  colla 
sua  carità  e  col  suo  amore  all'ora- 
zione. Studiò  filosofia,  giurispruden- 
za e  teologia,  ed  abbracciò  lo  sta- 
to ecclesiastico.  La  nuova  Castiglia, 
l'Aragona  e  la  Catalogna  furono  i 
teatri  delle  sue  fatiche  apostoliche 
per  lo  spazio  di  otl'anni.  Nel  1592 
si  portò  a  Roma,  ove  particolar- 
mente si  diede  all'  istruzione  dei 
fanciulli,  spendendo  il  restante  del 
suo  tempo  Dell'  orazione,  nel  visi- 
tare e  consolare  i  malati,  e  nel 
sollevare  i  poveri  più  abbandona- 
ti. Passati  vcnt'anni  in  questi  san- 
ti esercizi,  si  fece  compagne  altre 
pie  persone,  per  eseguire  la  buo- 
na opera  che  la  carità  aveagli  in- 
spirato. Nel  161 7  Paolo  V  li  unì 
iu  corpo  di  congregazione,  e  li  au- 


GIU 

torizzò  a  fare  dei  voti  semplici 
d'  obbedienza,  di  castità  e  di  po- 
vertà, con  facoltà  di  fare  delle  co- 
stituzioni. Quattr'anni  dopo  Gre- 
gorio XV  eresse  la  loro  congrega- 
zione in  corpo  religioso  sotto  il 
nome  di  Chierici  regolari  poveri 
della  Madre  di  Dio  delle  scuole 
pie,  volgarmente  detti  Scolopi  (Fe- 
di), al  quale  articolo  riporteremo 
altre  notizie  di  questo  santo.  S. 
Giuseppe  Calasanzio  morì  in  Roma 
a' 25  agosto  1648,  in  età  di  no- 
vantadue anni.  La  sua  festa  ven- 
ne posta  ai  27  dello  stesso  mese, 
ed  ha  nel  breviario  romano  un 
officio  che  fu  approvato  nel  1769. 
Benedetto  XIV  nel  1748  lo  beati- 
ficò, e  Clemente  XIII  nel  1767 
lo  canonizzò. 

GIUSEPPE    DA    COPERTI.YO     (  S.  ). 

Nella  piccola  città  di  tal  nome , 
nella  diocesi  di  Nardo,  ai  17  giu- 
gno i6o3,  da  poveri  genitori,  nac- 
que Giuseppe,  ch'era  di  cognome 
Uesa.  Esercitò  per  qualche  tempo 
il  mestiere  del  calzolaio.  Di  dicias- 
selt'  anni  si  presentò  per  essere  ri- 
cevuto presso  i  francescani  conven- 
tuali ;  ma  non  fu  accettato  perchè 
non  avea  fatto  gli  studi.  Ottenne 
di  entrare  nei  cappuccini  in  quali- 
tà di  converso ,  donde  venne  ac- 
comiatato dopo  otto  mesi  di  novi- 
ziato, come  inetto  a  corrispondere 
alla  sua  vocazione.  Persistette  però 
nella  sua  risoluzione,  e  i  minori 
conventuali  lo  accolsero  nel  loro  con- 
vento detto  della  Grotella.  Compiuto 
con  grande  fervore  il  noviziato,  fece 
i  suoi  voti ,  e  fu  ricevuto  come 
fratello  converso  tra  gli  oblati  del 
terz'  ordine.  La  sua  umiltà  ed  esat- 
tezza nell'adempiere  i  più  bassi  oftì- 
zi  della  casa,  la  sua  dolcezza  ,  e  il 
suo  amore  alla  mortificazione  ed 
alla    penileuza,    gli     procacciarono 


GIÙ 

tale  venerazione ,  che    nel    capitolo 
provinciale   tenuto   in  Altamura  nel 
1625,  fu  deciso  di  ammetterlo  tra 
i   religiosi    di    coro,    acciò    potesse 
prepararsi  a   ricevere  gli  ordini  sa- 
cri. Ordinato  sacerdote  nel    1628, 
celebrò  la    prima    messa  ;    si    tolse 
quindi  una  cella  appartata,  disagia- 
ta ed  oscura,  e  passò    cinque  anni 
senza   mangiar   pane    né  bere    vino, 
cibandosi  soltanto  di  erbe  e  di  frut- 
ta secche.    Essendo    corsa    la    voce 
eh'  egli    avea    de'  rapimenti    e    che 
operava  miracoli,   il  popolo  gli  an- 
dava dietro  in  folla   mentre  girava 
per  la  provincia  di    Bari.    Un    vi- 
cario generale  ne    fu   disgustato,  e 
ne  portò  i    suoi    lagni    agl'inquisi- 
tori di  Napoli.  Giuseppe  vi  fu  citato 
a  comparire;  ma  fu  dichiarato  in- 
nocente, e  mandato  a  Roma  al  suo 
generale,  il  quale  però  lo  accolse  con 
durezza,  e  gli  ordinò  di  ritirarsi  nel 
convento    d' Asisi.    Giunse  colà  nel 
1639,  e  vi  rimase  tredici  anni.  Eb- 
be in  sulle  prime  a  sofferire  molte  pe- 
ne interne  ed  esterne  :  il  suo  superiore 
lo  trattava  aspramente,  e  fu  inoltre 
agitato  da    violentissime  tentazioni, 
per  cui  cadde  in  profonda  melanco- 
nia. Il  suo  generale,  inteso  il  di  lui  sta- 
to infelice,  lo  fece  venire  a  Roma,  e 
dopo  averlo  trattenuto  tre  settima- 
ne, lo  rimandò  ad  Asisi.    Andando 
a  Roma  il  santo  sentissi  risvegliare 
in  cuore  quelle  consolazioni  celesti 
che  gli  furono  in  appresso    conce- 
dute con    maggior    abbondanza    di 
prima.   I  suoi  rapimenti  erano  fre- 
quenti  e  straordinari  :  molti  ne  eb- 
be anche    in    pubblico ,    dei    quali 
diverse  persone  del  più    alto    stato 
furono   testimoni   oculari,   e  ne  con- 
fermarono poscia  li  verità  con  giura- 
mento;  l'i  a  queste   persone    si  conia 
Giovanni  federico  duca  di  Brunswick 
e  di  Hannover    luterano,    il    quale 


GIÙ  211 

ne  restò  sì  colpito,  che  abiurò  l'e- 
resia e  rientrò  in  grembo  alla  cat- 
tolica Chiesa.  La  prudenza  che  mo- 
strava Giuseppe  nella  condotta  delle 
anime,  traeva  a  lui  un  gran  con- 
corso di  gente ,  ed  anco  di  cardi- 
nali e  di  principi  ;  e  i  suoi  mira- 
coli non  furono  meno  strepitosi 
degli  altri  straordinari  favori  che 
ricevette  da  Dio.  Morì  in  Osimo 
a'  18  settembre  i663,  in  età  di 
sessant'  anni.  Il  suo  corpo  fu  espo- 
sto nella  chiesa  del  convento,  traen- 
dovi  tutta  la  città  a  vederlo  con 
divozione,  e  fu  sepolto  nella  cap- 
pella della  Concezione.  Essendo  sta- 
to provato  1'  eroismo  delle  sue  vir- 
tù, e  confermata  la  verità  de' suoi 
miracoli  ,  egli  venne  beatificato  da 
Benedetto  XIV  nel  iy53,  e  cano- 
nizzato da  Clemente  XIII  nel  1767. 
Clemente  XIV  fece  poscia  mettere 
il  di  lui  uffizio  nel  Breviario  ro- 
mano, e  la  sua  festa,  che  prescrisse 
di  rito  doppio,  si  celebra  ai  18 
settembre. 

GIUSEPPE  (s),  prete  e  marti- 
re.   V.    ACEPSIMA    (S.). 

GIUSEPPE  Orioio  (b.).  Nacque 
a  Barcellona  il  23  novembre  i65o  ; 
non  guari  .dopo  la  sua  nascita  per- 
dette il  padre,  e  la  madre  si  ri- 
maritò a  un  certo  Domenico  Pu- 
jolar,  il  quale  si  pigliò  grandissima 
cura  della  di  lui  educazione,  e  lo 
fece  ammettere  fin  dall'  infanzia 
nel  numero  dei  chierici  della  par- 
rocchiale di  s.  Maria  del  Mare.  In 
età  di  dodici  anni  restò  privo  Giu- 
seppe anche  del  virtuoso  padrigno; 
ma  i  preti  di  quella  chiesa  che 
aveano  in  lui  ravvisato  una  singo- 
lare pietà  ,  compirono  la  sua  edu- 
cazione. Dopo  aver  ricevuto  il  ti- 
tolo di  dottore  Dell' università  di 
Barcellona,  entrò  negli  ordini  «a- 
cri ,    e    nel    1676    celebrò    la    sua 


212  GIÙ 

prima  messa.  Egli  divenne  poscia 
precettore  dei  figli  del  maestro  di 
campo  Gasneri ,  e  si  meritò  colle 
sue  virtù  l' ammirazione  di  quella 
famiglia,  che  lasciò  in  capo  a  no- 
v'armi  pel  desiderio  di  consecrarsi 
in  modo  più  speciale  alla  pratica 
della  penitenza.  Portatosi  a  Roma  in 
abito  da  pellegrino ,  ricevette  da 
Papa  Innocenzo  XI  un  benefizio 
della  cappella  di  s.  Leopardo ,  si- 
tuata nella  chiesa  di  s.  Maria  del 
l'ino  a  Barcellona,  e  poco  tempo 
dopo  ritornò  in  patria  a  prendere 
possesso  del  suo  beneficio.  Colla 
guida  degli  esercizi  spirituali  di  s. 
Ignazio,  e  delle  opere  di  s.  Teresa, 
egli  intraprese  allora  una  vita  di 
penitenza  e  di  orazione,  nella  qua- 
le perseverò  con  fervore  ognora 
crescente  fino  a'  suoi  ultimi  istanti. 
Per  lo  spazio  di  ventisei  anui  egli 
non  visse  che  di  pane  ed  acqua  ; 
solamente  nei  giorni  festivi  vi  ag- 
giungeva dell'  erbe  salvatiche  crude 
o  bollite,  senza  vcrun  condimento, 
e  ottenevasi  in  qualche  occasione 
eh'  egli  mangiasse  una  piccola  por- 
zione d"  una  focaccia  cotta  sotto  la 
cenere ,  e  in  uso  nel  paese.  Con 
pari  ardore  adopcravasi  alla  santi- 
ficazione del  prossimo,  ed  appli- 
cavasi  assiduamente  ad  istruire  i 
poveri,  e  a  formare  alla  pratica 
delle  più  alte  virtù  quelli  che 
mostravano  più  felici  disposizio- 
ni .  Ma  il  santo  prete  divenne 
1'  oggetto  delle  critiche  dei  suoi 
confratelli  ;  ed  il  suo  vescovo  a- 
vendo  troppo  facilmente  creduta 
1'  accusa  eh'  egli  rovinasse  la  salute 
de'  suoi  penitenti  col  genere  di  vi- 
ta troppo  austera  che  lor  prescri- 
veva, gli  tolse  la  facoltà  di  confes- 
sare, facoltà  che  Oriolo  non  ricu- 
però che  dal  successore  di  questo 
prelato.  Intieramente  sommesso  al- 


GIU 

la  volontà  del  Signore  ed  all'  auto- 
rità, sopportò  egli  questa  umilia- 
zione senza  lagnarsi ,  e  continuò  a 
vivere  nella  più  perfetta  maniera  ,  e 
a  rendere  al  prossimo  tutti  i  servigi 
che  dipendevano  da  lui.  Nel  1693 
deliberò  di  andare  a  predicar  nel 
Giappone  ,  sperando  di  incontrarvi 
il  martino,  e  partì  alla  volta  di  Ro- 
ma per  ottenerne  la  permissione 
dal  Papa  e  la  benedizione  aposto- 
lica ;  ma  giunto  a  Marsiglia  cadde 
malato,  e  conobbe  che  Iddio  aveva 
su  di  lui  altre  intenzioni.  Quindi 
ritornò  a  Barcellona ,  dove  rimase 
sino  al  termine  della  sua  vita , 
operandovi  molto  bene,  ed  essendo 
corrisposto  dal  cielo  con  segnalati 
favori.  Lcggesi  nel  breve  di  sua 
beatificazione,  che  egli  era  sì  cele- 
bre per  ogni  sorta  di  virtù ,  per 
guarigioni  miracolose,  per  la  cono- 
scenza delle  cose  nascoste  e  dei 
pensieri  segreti ,  pei  suoi  miracoli 
e  per  le  sue  profezie ,  che  se  ne 
spargeva  la  fama  per  tutto.  I  ma- 
lati accorrevano  in  folla  a  certe 
ore  in  una  chiesa  da  lui  indicata, 
e  venivano  da  esso  guariti  alla 
presenza  di  una  immensa  moltitu- 
dine di  persone  raccolte.  Essendo 
stato  assalito  da  una  malattia  eli  ti 
giudicò  mortale,  per  meglio  nascon- 
dere la  sua  penitenza,  lasciò  la  sua 
povera  dimora,  e  andò  a  chiedere 
un  letto  in  una  casa  di  artefici  che 
conosceva  e  amava  assai  per  la  lo- 
ro virtù.  Quivi  morì  santamente 
a' 22  marzo  1702,  in  età  di  cin- 
quantadue anni.  I  suoi  funerali  par- 
vero un  trionfo ,  per  la  folla  del 
popolo  che  vi  si  recò  :  le  sue  po- 
vere vesti,  quasi  la  sola  cosa  ch'ei 
possedesse,  furono  distribuite  e  con- 
servate con  cura.  Nel  17^9  s'in- 
cominciarono i  processi  per  la  sua 
canonizzazione;  nel    1790    Pio    VI 


GIÙ 

pubblicò  un  decreto  per  riconosce- 
re 1'  eroismo  delle  sue  virtù  ;  e  Pio 
VII  lo  beatificò  a' 5  settembre  del 
180G.  I  rivoluzionari  spaglinoli  nel 
1821  profanarono  la  sua  tomba, 
e  dispersero  le  sue  reliquie. 

GIUSEPPE  (s),  Online  equestre 
del  Merito  di  Toscana.  Nel  1790 
divenuto  imperatore  Pietro  Leopol- 
do granduca  di  Toscana,  gli  succes- 
se nel  gran  ducato  il  suo  figlio  se- 
condogenito Ferdinando  HI  duca 
di  YViirtzburgo,  il  quale  fu  co- 
stretto partire  nel  1799  con  la 
famiglia  per  Vienna,  quando  i 
francesi  gli  occuparono  lo  stato, 
ch'essi  poi  dierono  al  duca  di  Par- 
ma con  titolo  di  re  di  Etruria, 
indi  nel  1807  riunirono  al  loro 
impero.  Mentre  Ferdinando  III 
dimorava  nel  gran  ducato  di  Wurte- 
burgo,  istituì  nel  medesimo  anno 
1807  l'ordine  del  merito  sotto  il  pa- 
trocinio di  s.  Giuseppe  sposo  della 
Beata  Vergine  di  cui  ne  portava 
il  nome,  giacché  egli  si  chiamò  Fer- 
dinando Giovanni  Giuseppe.  Con 
questo  ordine  cavalleresco  il  princi- 
pe volle  premiare  que'  toscani  che 
l'avevano  seguito  nella  disgrazia,  e 
rimunerare  que'  sudditi  che  gli 
si  erano  serbati  fedeli  ,  e  che  ne 
sospiravano  il  ritorno.  Dopo  selle 
anni  Ferdinando  IH  polo  ricupe- 
rare il  gran  ducato  di  Toscana  , 
ed  in  esso  si  restituì  nel  i8i4; 
indi  dopo  avere  il  saggio  principe 
dato  riordinamento  al  suo  stato, 
pensò  tosto  a  rinnovar  I'  ordine 
equestre  di  s.  Giuseppe  a'18  mar- 
zo 1817,  viglia  della  festa  del 
santo,  perche'  rosse  come  nella  pri- 
mitiva istituzione  ih  premio  ai  fe- 
deli suoi  sudditi,  e  ne  lece  eum- 
pilare  gli  stalliti.  In  questi  li  di* 
ot  1  lu-  l'ordine  Mene  conferito 
dal   granduca    di   ToSCMUI   reguan* 


GIU  2i3 

te  acattolici  impiegali,  lauto  civi- 
li che  militari  ;  che  non  sono  ec- 
cettuati gli  stranieri  ,  laici  o  eccle- 
siastici ;  che  è  specialmente  riserva- 
to agi'  individui  che  professano  la 
religione  cattolica  romana,  ma  non 
è  vietato  di  conferirlo  anche  agli 
eterodossi,  sempre  che  concorrino 
in  essi  dei  giusti  titoli  per  ottener- 
lo ;  che  la  prima  classe  ossia  quel- 
la dei  gran  croci  è  bissato  che 
non  possa  eccedere  il  numero  di 
venli  membri  ;  che  la  seconda 
classe,  la  quale  si  compone  di 
commendatoli ,  e  che  conferisce  la 
nobiltà  ereditaria  in  coloro  elic- 
vi sono  ammessi  ,  è  stabilito  che 
non  debba  sorpassare  il  numero 
di  trenta  membri;  e  che  la  terza 
classe  de'semplici  cavalieri,  e  che 
dà  la  nobiltà  personale  a  coloro 
che  ne  vengono  fregiali,  non  pos- 
sa superare  il  numero  di  sessanta 
decorati.  L'  insegna  cavalleresca 
consiste  in  una  stella  o  placca  di 
argento  a  sei  specchi  o  raggi,  la 
(piale  da  un  iato  ha  nel  centro 
nello  scudo  ovale  ,  V  effigie  di  s. 
Giuseppe  titolare  dell'  ordine,  con 
1'  epigrafe  :  Ubique  similis,  e  ne! 
rovescio  le  lettere  in  cifra,  S.  J. 
F.  1807,  che  significavano  Sane  lo 
Josepho  Fcrdinandus ,  e  l' epoca 
dell'istituzione  dell'ordine.  La  stel- 
la di  decorazione  si  porla  dal 
sinistro  lato  del  petto,  appesa  e 
pendente  da  un  nastro  di  seta 
rossa  ondata  con  due  linee  bian- 
che verso  V  estremità,  e  con  l;Ii 
orli  pure  rossi,  nel  seguente  modi 
I    gian    1  uh  1     ieoolai  1  la    àn  n 

pi  1  laie     COSI     u\ui     tracolla     di    G  I 

[uccia  larga,  nel  resto  come  il  de- 
critto nastro,  pendente  dalla  spal- 
la di  ili  alla    sinistra  con  la  sii I 

la   0    ['lana    d'  11 -culo     sulla   pai  U 

iinistra  del   petto;   ^h    ecclesiastici 


ai4  GIÙ  GIÙ 

appesa  al    collo  pendente    sul  pet-  chi,  Giovanni    Donati,  Gio.    Paolo 
to  con  nastro  eguale  a    quello  dei  Corazzano,    Francesco    Gentile,    e 
grancroci  secolari,  e  stella    o  plac-  Agostino    Peroni.  Innocenzo  X  nel 
ca  come  sopra    nella  parte  sinistra  1649  approvò  questa  congregazio- 
del    petto,    la  qual    placca    inoltre  ne,  la    quale    fece    acquisto    della 
potranno  avere  anche  nel  loro  fer-  chiesa   di    san    Pantaleo  o    Panta- 
jaiuolo.   I  commendatori    di  forma  leone  nel  rione  Monti,  con  moni- 
più  piccola,     e    nastro  più    stretto,  stero  annesso  già  de'  monaci  basi- 
cioè    largo    due    pollici,    pendente  liani ,  ciò   che  confermò  nel   1669 
come  sopra,  senza    placca.  I  cava-  Clemente    IX,    col    breve    Expoiii 
beri  poi    usano    la    così    detta  pie-  nobis  :  la  chiesa  era    parrocchiale, 
cola  croce,    appesa  con  nastro  più  consacrata  nell'anno  1  1 13,  e  filiale 
stretto  di  quello  de'  commendatori  di  quella    di  s.    Pietro  in  Vincoli, 
dalla    parte   sinistra    dell'  abito  ,  e  insieme  a    quella  di  s.  Andrea  di 
senza  placca  o  stella,  V.    il    Rcgo-  Portogallo  ivi  vicina  ;  i  monaci  e- 
lamenlo  o    siano    costituzioni    del-  rano     passati     in    s.     Giovanni    in 
l'ordine  del    Merito  sotto    il  titolo  Moscatello,    ora    chiesa    di   s.    Ve- 
di  s.   Giuseppe.  Firenze  nella  slam-  nanzio  de'  camerinesi.   Il  p.  Motta 
peria  granducale.  morì  a'22   gennaio    1 658,  lascian- 
GIUSEPPE  (s.),    Congregazione  do  alla  congregazione  la  sua  ricca 
di    sacerdoti.    Il    p.    Paolo     Motta  biblioteca.    Per    meglio  stabilire  la 
gentiluomo    milanese ,    ad    esempio  congregazione     furono    formate    le 
di    s.    Filippo    Neri  istitutore    dei  costituzioni     da    osservarsi  con    la 
Filippini  [Vedi),    fondò  una  con-  direzione    del     p.     Marco    Soccini 
gregazione  di  preti  secolari  in  Ro-  sacerdote  dell'  oratorio  di  s.  Filip- 
ma  nel  1620,  sotto   gli  auspicii  di  pò  Neri,    le  quali  confermò  Inno- 
s.  Giuseppe,  e    secondo   il  p.  Bo-  cenzo     XI    nel     1684    col     breve 
Danni  sotto  quelli  del  mistero  della  Ex  injuncto,  con  quelle  ingiunzio- 
Purificazione.  Fu  approvata  nell'an-  ni  che  si    leggono  nel  p.    Bonanni 
no  stesso  da  Paolo  V,  che  gli  con-  che  ce  ne  dà  pure  la  figura  a  p. 
cesse  un   oratorio  presso  la  chiesa  XI,  par.     Ili,  del    Catalogo    degli 
di  s.  Lorenzo  in  Damaso.  L'inlen-  ordini    religiosi.    La    chiesa  di     s. 
zione  del     p.  Paolo    Motta    fu  di  Pantaleo,    come    la  chiama  Ridol- 
formare    degli  ecclesiastici,    i  quali  fino    Venuti,    Roma    moderna     p. 
senza  perdere  di  vista  la  loro  per-  77  ,  o  di  s.    Pantaleone,    come  la 
fezione,     si     affaticassero    continua-  chiamano  il     Panciroli,    Tesori  na- 
mente  sotto    la  direzione  ed  ubbi-  scosti  p.  644»    e  Martinelli,  Roma 
dienza    del    Papa    e    del    suo    vi-  ex   ethnica  sacra  p.  267,  è  detta 
cario  in    Roma^  in  edificare  ed    i-  ai  pantani    perchè   situata  in  luo- 
struire  i    popoli  senza  ritrarne  al-  go    umido    e  paludoso,     essendovi 
enn    emolumento.    I  preti  di  que-  statele  Carine;  de' Monti,    per  es- 
sta    congregazione     non    vivevano  sere  in    tale  regione  presso  la  via 
dapprima  in  comune,  ma  nel  1646  Alessandrina,   così  detta  dal  cardi- 
sette    di  essi    diedero  principio  al-  nal    Bonelli    nipote    di    s.  Pio     V 
la  vita    comune  sotto  il    patriarca  che  l'aprì  e    restaurò;  ed  in    tri- 
S.    Giuseppe,    cioè    Pompeo  Ange-  bus  foris,  perchè  vicina  a   tale  luo- 
Jticci,  Paolo    Mercati,    Paolo    Roc-  go.  La  chiesa  fu  edificata  in  ono- 


GIC 

re  di  s.  Pantaleone  medico  di  Ni- 
comedia,  che  patì  il  martirio  ai 
27  luglio  sotto  Massimiano,  nel 
luogo  ove  era  il  tempio  della  dea 
Tellure  cioè  della  terra,  per  to- 
gliere la  superstizione  su  di  un 
pozzo  d'  acqua  die  ivi  esisteva, 
essendo  creduta  I'  acqua  vantag- 
giosa alle  infermità,  per  cui  fu 
poi  benedetta  dell'  acqua  con  le 
reliquie  del  santo,  e  dispensata  al 
popolo  nella  sua  festa.  Il  tempio 
1'  avea  fabbricato  Tito  Sempronio 
nel  luogo  ov'  era  il  palazzo  di 
Cassio,  e  soleva  ndunarvisi  il  se- 
nato nelle  cose  dubbie.  Presso 
questo  sito  fu  il  famoso  vico  Scel- 
lerato, e  la  chiesa  di  s.  Biagio, 
nel  cui  giardino  furono  trovate  nel 
)565  diverse  statue,  le  quali  ven- 
nero trasportate  al  palazzo  l'arne- 
se, come  scrive  Lucio  Fauno.  11 
citato  Martinelli  riporta  alcune  i- 
scrizioni  della  chiesa  di  s.  Panta- 
leone,  e  di  quella  di  s.  Biagio 
ch'era  della  nobile  famiglia  roma- 
na Paparoni,  e  già  esisteva  nel 
1201. 

GIUSEPPE  (s.),  Religiose  spe- 
daliere di.  Questa  congregazione 
incominciò  con  una  comunità  di 
donzelle  secolari,  stabilite  da  ma- 
damigella de  la  Ferie,  d'una  fa- 
miglia distinta  de  la  Flèche  nel- 
1'  Anjoa.  Essa  nel  164?-  prese  cu- 
ra de*  poveri  dell'  ospedale  de  la 
Fléche,  con  madamigella  di  liibe- 
re,  cui  subito  si  associarono  delle 
compagne,  il  cui  numero  presto 
SÌ  aumentò,  onde  il  vescovo  d'An- 
gers  de  Rueil  le  approvò  nel  se- 
guente anno  con  alcune  costitu- 
zioni. A  enne  stabilito  il  numero 
di  trenta  fighr  spedaliere,  e  di  sei 
converse,  e  che  la  superiora  si  e- 
legesse  in  ogni  triennio.  Le  re- 
ligiose dopo  Ott'anni  che  sono  nel- 


G I  V  3  1  7 

la  congregazione  fanno  i  voti  sem- 
plici di  castità,  di  povertà  e  di 
obbedienza,  con  obbligo  per  quar- 
to voto  d'impiegarsi  in  servigio  dei 
poveri,  i  quali  voti  rinnovano  ogni 
anno  nella  festa  dello  sposalizio 
della  lì.  Vergine  con  s.  Giuseppe 
loro  protettore.  Le  spedaliere  si 
propagarono  in  varie  provincie 
della  Francia,  e  l'anno  i65o,  nel 
Canada,  dove  si  stabilirono  in 
Montreal,  quando  ancora  non  fa- 
cevano voti,  ma  solo  obbligavansi 
per  un  determinato  spazio  di  tem- 
po di  restare  nella  congregazione. 
Le  case  di  Moulins,  di  Lavai,  di 
Beaugé,  e  di  Montreal,  furono  le 
prime  che  nel  i663  fecero  i  voli 
solenni ,  con  clausura  e  la  regola 
di  s.  Agostino,  per  cui  Alessandro 
VII  con  breve  de' 19  gennaio  i6ób 
approvò  1'  istituto,  lo  dichiarò  o- 
spitalario  e  veramente  religioso; 
indi  altre  costituzioni  con  qualche 
mutazione  furono  compilate  nel 
1 685  dal  vescovo  d' Angers.  Ol- 
tre le  suore  destinate  per  il  coro, 
e  le  converse,  fu  concesso  a  cia- 
scuna casa  di  poter  ricevere  del- 
le sorelle  associate,  cioè  delle  li- 
glie  o  vedove,  le  quali  non  po- 
tendo essere  ricevute  alla  profes- 
sione come  religiose,  desiderassero 
nondimeno  di  passare  il  restante 
de' loro  giorni  in  una  delle  case 
per  convivere  con  le  religiose , 
senza  essere  obbligate  all'osservan- 
za. Le  case  ed  ospedali  di  Lavai 
e  di  Beauge  furono  fondati  dalla 
principessa  di  Epinoy  Anna  di 
Melun     iK'l      l65a,     quandi)    entrò 

nella  congregazione  Le  religiose  non 
sono  tentile  the  ai  digiuni  pre- 
scritti da  Ila  (  aiata,  <  -I  ■  tv.  itai  < 
l'uffìzio  della  Madonna  ogni  gior- 
no, ed  a  cantare  il  vespero  in  tut- 
te le  feste  di  prefetto*  Dopo  ava 


cuG  GIÙ 

pronunziato  i  voli,  le  religiose  ri- 
cevono un  anello  d'  argento,  con 
intorno  incise  queste  parole  :  Ge- 
sù Maria  Giuseppe.  L'abito  delle 
velate  consiste  in  una  veste,  chiu- 
sa davanti  con  alcuni  uncinelli,  in 
l'orma  di  sottana  alquanto  larga, 
lermata  con  una  cintura  di  lana 
nera,  in  un  velo  parimenti  nero, 
ed  in  un  soggolo  come  quello 
delle  altre  religiose.  Le  converse 
vestono  nella  stessa  maniera,  ma 
invece  del  velo  nero,  ne  portano 
uno    bianco. 

GIUSEPPE  (s.),  Figlie  secolari 
spedaliere  di.  Furono  particolar- 
mente istituite  pel  governo  delle 
orfane,  dalla  pia  donzella  Maria 
Delpech  de  i'Estang  in  Bordeaux, 
la  quale  avendo  raccolte  in  una 
casa  alcune  figlie  orfane,  ne  prese 
cura,  e  ad  essa  si  unirono  altre 
donzelle  e  vedove.  Divenuta  pic- 
cola la  casa  in  proporzione  delle 
orfane,  Maria  acquistò  tre  altre 
case  e  loro  donollc  a'  17  aprile 
|638,  con  approvazione  dell'arci- 
vescovo di  Bordeaux,  il  quale  c- 
resse  la  casa  in  società  o  congre- 
gazione di  figlie  e  di  vedove  sot- 
to il  titolo  di  Società  delle  so- 
relle di  s.  Giuseppe  pel  gover- 
no delle  orfane.  L'  arcivescovo 
compose  per  esse  analoghe  costi- 
tuzioni, le  quali  furono  confermate 
dai  suoi  successori.  Lo  stabilimen- 
to fu  autorizzalo  nel  iG3q  dal  re 
Luigi  XIII  ,  e  confermalo  nel 
1673  dal  re  Luigi  XIV.  In  Ori- 
gine le  suore  non  furono  che  set- 
te, ma  in  seguilo  si  aumenta- 
rono fino  a  dodici  ,  con  sette 
converse.  Le  prime  insegnavano 
alle  orlane  a  leggere  e  scrivere,  e 
le  altre  lutti  i  lavori  convenienti 
>l  loro  sesso.  11  profitto  che  ri- 
eavavasi  da  tali  lavori  sevviva    pei 


GIÙ 

il  manteuimento  della  casa;  ed  è 
per  questo  medesimo  oggetto  che 
furono  in  seguito  ricevute  anche 
delle  làneiulle  in  pensione.  Il  ve- 
stito adottato  fu  nero,  s"i  per  le 
suore,  che  per  le  converse.  La  ca- 
sa di  Bordeaux  diede  origine  ad 
altre  case  in  altre  città  della  Fran- 
cia, come  a  Parigi,  Rouen,  Tolo- 
sa, Agen,  Limoges,  la  Ptochelleec, 
le  quali  riconoscevano  anch'  esse 
per  loro  fondatrice  madamigella 
Delpech  de  l'Estang,  ma  con  ditfe- 
renli  costituzioni  date  dai  rispetti- 
vi  vescovi. 

GIUSEPPE  (s.),  Sorelle  o  fi- 
gliuole di.  Questa  congregazione 
ebbe  origine  nella  città  di  Puy  nel 
Velay,  dove  fu  eretta  da  Enrico 
di  Maupas  di  Tour,  vescovo  e  con- 
te di  quella  città  ,  nel  i65o,  ad 
istanza  del  p.  Gio.  Pietro  Medail- 
le  gesuita.  Questo  santo  uomo  a- 
vendo  trovato  nel  corso  di  sue  mis- 
sioni molte  vedove  e  donzelle,  che 
risolute  di  non  maritarsi  desidera- 
vano di  lasciare  il  mondo  per  con- 
sacrarsi più  liberamente  al  servi- 
gio di  Dio  e  del  prossimo,  ma  che 
non  potevano  entrare  in  monistero 
per  mancanza  di  dote  ,  propose  al 
detto  vescovo  d' istituire  una  con- 
gregazione, nella  quale  quelle  don- 
zelle e  vedove  potessero  ritirarsi 
per  trafficare  la  loro  salute,  ed  at- 
tendere a  tulli  gli  esercizi  di  cui 
fossero  capaci  per  vantaggio  del 
prossimo.  Il  vescovo  di  Puy  ap- 
provò il  progetto  del  p.  Giovanni, 
e  chiamò  nella  città  le  donzelle 
disposte  al  ritiro ,  che  in  seguito 
passarono  nell'ospedale  delle  orla- 
ne a  tal  uopo  disposto  dal  vesco- 
vo, il  quale  loro  ne  diede  il  go- 
verno, ed  a'  i5  otlohre  iG5o  le 
pose  sotto  la  protezione  di  s.  Giu- 
seppe, ordinaiklo  che  la    congrega- 


GIÙ 

ziouc  ne  portasse  il  nome  :  pre- 
scrisse loro  delle  regole  ,  non  che 
l'abito.  Le  costituzioni  furono  ap- 
provate dal  successore,  e  nel  iG6ti 
autorizzate  con  lettere  patenti  dal 
re  Luigi  XIV,  e  presto  l'istituto 
si  propagò  nella  Francia. 

GIUSTA  e  RUFINA  (ss).  Era- 
no due  pie  donne  cristiane  di  Si- 
viglia ,  che  dal  loro  commercio 
traevano  di  che  vivere  ed  assi- 
stere anco  i  poveri .  Avendo  ricu- 
sato di  vendere  ai  p;igani  certe 
cose  che  dovevano  servire  ai  loro 
sagrifizi,  essi  atterrarono  la  loro  bot- 
tega, e  le  menarono  al  governatore. 
Giusta  e  Rufina  confessarono  gene- 
rosamente Gesù  Cristo,  laonde  fu- 
rono distese  sul  cavalletto  e  stra- 
ziate con  unghie  di  ferro:  Giusta 
spirò  in  quel  tormento ,  e  Rufina 
fu  strangolata,  indi  i  loro  corpi 
furono  bruciali.  Soffersero  nell'an- 
no 3o/f,  e  sono  menzionate  nel 
martirologio  romano  il  giorno  19 
di  luglio. 

GIUSTINA  (s.).  Figlia  di  Vita- 
liano, persona  ragguardevole  di  Pa- 
dova, il  quale  avendola  ottenuta 
da  Dio  in  virtù  delle  preci  di  s. 
Prosdocimo  discepolo  di  s.  Pietro, 
e  primo  vescovo  di  quella  città , 
non  solamente  bramò  che  tosse 
battezzata  ed  offerta  al  Signore , 
ma  egli  stesso  e  la  moglie  Perpe- 
digua  abbracciarono  la  fède  cri- 
stiana. Fatta  Giustina  più  grande 
e  bene  istrutta  dal  santo  prelato 
nelle  verità  del  vangelo,  fece  voto 
a  Dio  di  conservale  immacolato  il 
giglio  della  sua  verginità.  Suscita- 
tasi  frattanto  in  Padova  una  fiera 
persecuzione  conilo  i  cristiani  (pro- 
babilmente quella  ordinata  da  Ne- 
rone nell'anno  (>\  dell'era  volgale, 
e  non  quella  rinnovata  da  Diocle- 
ziano e  Massimiano  nel  Joj,  come 


GIÙ  2.7 

riporta  il  Tillemont),  Giustina  con- 
fessando pubblicamente  la  fede  ili 
Gesù  Cristo ,  colse  la  palma  del 
martirio.  Il  suo  corpo  venne  devo- 
tamente sepolto  fuori  della  città 
per  cura  del  santo  vescovo  Pro- 
sdocimo. Fortunato,  ch'era  nato  nel- 
le vicinanze  di  Padova,  e  che  fu 
poscia  vescovo  di  Poitiers  nel  sesto 
secolo,  parlò  di  s.  Giustina  come 
di  una  delle  più  illustri  vergini 
della  Chiesa.  Verso  la  metà  del 
quinto  secolo,  Opilione  prefetto  del 
pretorio  e  patrizio,  che  fu  poi  con- 
sole nel  4^3,  fece  edificare  nella  cit- 
tà di  Padova  una  chiesa  in  onore  di 
s.  Giustina.  Le  sue  reliquie,  che  si 
erano  nascoste  duranti  le  guerre 
di  Attila,  il  quale  distrusse  anche 
Padova,  restarono  per  lungo  tem- 
po dimenticate ,  e  se  ne  perdette 
perfino  la  traccia  ;  finalmente  ven- 
nero ritrovate  per  cura  del  vesco- 
vo Gerardo  a'  19  marzo  del  1  177, 
e  trasferite  nella  chiesa  a  lei  de- 
dicata. Questa  chiesa  fu  riedificata 
nel  i5oi,  ed  è  col  monistero  dei 
benedettini  a  cui  appartenne  (ora 
spedale  militare  degl'invalidi),  uno 
dei  più  begli  edilìzi  che  vi  sicno 
in  questo  genere.  Quando  fu  ter- 
minalo il  nuovo  coro,  le  reliquie 
di  s.  Giustina,  ch'erano  state  col- 
locate sotto  l'aliar  maggiore,  furo- 
no trasportate  nel  1627  con  gran- 
dissima solennità  in  una  magnifi- 
ca volta  costruita  sotto  il  medesi- 
mo altare.  F  s.  Giustina  la  patro- 
na particolare  «li  Padova,  come  fu 
protettrice  della  repubblica  ih  Ve- 
nezia, ove  havvi  pure  una  cbii  1 
che  porta  il  mio  nome  (ora  casa 
d'istruzione  militare  della  marina): 
questa  chiesa  era  anticamente  col- 
legiata, e  il  senato  veneto  vi  an- 
d.iv.i  processioualmente  ogni  anno 
nel  giorno  micio  alla  santa,  eh* è  il 


2i8  GIÙ 

7  d'ottobre,  in  ringraziamento  del- 
la vittoria  riportata  sui  turchi  nel 
golfo  di  Lepanto.  La  repubblica 
inoltre  in  segno  della  sua  ricono- 
scenza e  venerazione  fece  coniare 
delle  monete  col L' iscrizione  :  Memor 
ero  tur,  Justina   Virgo. 

GIUSTINA  (s.),  martire.  V.  Ci- 
priano (s.),  detto  il  Mago. 

GIUSTINIANI  Vincenzo,  Car- 
dinale. Vincenzo  Giustiniani  patri- 
zio genovese,  nato  nell'isola  di  Scio, 
della  quale  questa  famiglia  era  si- 
gnora, vesti  contro  la  volontà  dei 
genitori  l'abito  di  s.  Domenico,  ed 
ottenute  pei  suoi  meriti  le  cariche 
più  cospicue  dell'ordine,  mentre 
Paolo  IV  lo  avea  eletto  presidente 
del  capitolo,  nell'età  di  trent' otto 
anni  fu  proclamato  generale  del 
suo  ordine  a'  29  maggio  i558.  In 
questa  dignità  intervenne  al  con- 
cilio di  Trento  nelle  sessioni  die 
si  tennero  sotto  Pio  IV,  dove  più 
volte  venne  consultato  sopra  punti 
gravissimi  dai  legati  pontificii,  die 
nelle  cose  più  di/liei  li  si  valsero  di 
lui,  laonde  pel  suo  lino  giudizio  e 
singoiar  prudenza  si  rese  beneme- 
rito di  quell'augusta  assemblea.  La 
città  ed  il  senato  di  Milano,  persua- 
si della  sua  integrità  e  saviezza,  lo 
spedirono  ambasciatore  a  Filippo  II 
re  di  Spagna  per  tra it are  cose  se- 
grete e  rilevanti  ;  facendo  altrettan- 
to s.  Pio  V,  che  Io  incaricò  pel  re 
d'importantissimi  affari,  tra  i  quali 
la  restituzione  al  cardinal  s.  Carlo 
Borromeo  della  giurisdizione  sulla 
chiesa  di  Milano,  che  nella  di  lui 
assenza  erasi  in  parte  usurpata  dal 
tribunale  laicale.  Mentre  il  Giusti- 
niani portava  in  Ispagna  a  compi- 
mento le  sue  commissioni,  a'  17 
maggio  1570  s.  Pio  V  lo  creò  car- 
dinale dell'ordine  de'  preti,  e  po- 
scia in  titolo  gli  conferì    la   chiesa 


GIÙ 

di  s.  Nicolò  tra  le  Immagini.  Lo 
confermò  nella  carica  di  generale 
sino  alla  celebrazione  del  nuovo 
capitolo,  e  lo  fece  protettore  del 
suo  ordine,  e  di  quello  di  Vallom- 
brosa,  deputandolo  sopra  le  congre- 
gazioni dell'  indice  e  de'  vescovi  e 
regolari.  11  Giustiniani  fondò  nella 
chiesa  di  s.  Maria  sopra  Minerva  di 
Roma  una  magnifica  cappella  in  o- 
nore  di  s.  Vincenzo  Ferreri,  ed  edi- 
ficò buona  parte  di  quel  convento 
de'  domenicani,  con  una  biblioteca 
per  loro  uso.  Essendo  abbate  di  s. 
Siro  della  città  di  Genova,  col  be- 
neplacito di  Gregorio  XIII  cede 
quella  chiesa  coll'annesso  moniste- 
ro  ai  teatini.  Nel  grado  di  gene- 
rale de'  domenicani  rivolse  tutte  le 
sue  sollecitudini  contro  l'eresia,  spe- 
di gran  numero  di  religiosi  nelle 
regioni  degl'  infedeli,  nell'  Indie  o- 
rientali  ed  occidentali,  nel  Giappo- 
ne e  nella  Cina,  e  per  sua  dili- 
genza furono  stampate  in  Roma  le 
opere  di  s.  Tommaso  d'Aquino,  a 
cui  égli  aggiunse  i  sermoni  dello 
stesso  angelico  dottore  sino  allora 
inediti.  I  gravi  affari  in  cui  fu  oc- 
cupato nei  pontificati  di  s.  Pio  V 
e  Gregorio  XIII,  non  lo  resero  me- 
no vigilante  sulla  propria  condotta, 
né  meno  applicato  all'esercizio  del- 
l'orazione, e  alla  pratica  delle  cri- 
stiane virtù.  Umile,  modesto  e  co- 
stantemente religioso,  mostrò  uno 
zelo  ardente  per  la  purità  della  fe- 
de e  per  gì'  interessi  della  religio- 
ne, una  tenera  carità  verso  i  mi- 
serabili, ed  un  amore  sincero  per 
la  giustizia,  oltre  un  impegno  sin- 
golare per  coloro  che  si  trovavano 
nell'oppressione.  Non  si  può  abba- 
stanza dire  quanto  operasse  in  fa- 
vore di  Bartolomeo  Carranza  arci- 
vescovo di  Toledo,  carcerato  in 
Ispagna  per  ordine  della  sacra  in- 


GIÙ  GIÙ                    219 

quisizione  :  in  Roma  Io  visitò  so-  la  congregazione  per  approvar  quel- 
\ente,  e  lo  consolò  nella  prigione  la  de' chierici  regolari  minori.  Da 
di  castel  s.  Angelo,  lusingandosi  di  Gregorio  XIV,  e  da  Innocenzo  IX 
averlo  poi  seco  nel  convento  della  fu  decorato  della  legazione  della 
Minerva.  Dopo  essere  intervenuto  Marca  e  di  Ascoli,  che  governò  con 
al  conclave  per  1'  elezione  di  Gre-  plauso  d' integrità,  giustizia,  e  sod- 
gorio  XIII,  in  cui  poco  gi  mancò  disfazione  di  que'  popoli  ;  nel  qnal 
di  essere  esaltato  al  pontificato,  tempo  condusse  a  fine  la  fabbrica 
morì  in  Roma  di  anni  sessanta-  del  collegio  de'  gesuiti  in  Mace- 
tre  nel  1D82.  Il  suo  cadavere  fu  Alta.  Nel  098  accompagnò  Cle- 
sepolto  al  destro  lato  della  cap-  mente  Vili  quando  si  recò  a  pren- 
pella  da  lui  eretta,  nel  magnifico  dere  possesso  di  Ferrara,  dove  fu 
monumento  che  gli  fabbricarono  dichiarato  prefetto  della  congrega- 
i  fratelli  Pietro,  Giuseppe  e  Gre-  zione  de' vescovi  e  regolari,  ed  an- 
gorio,  con  breve  iscrizione.  Questo  noverato  in  quelle  del  concilio  ,  e 
cardinale  nobilitò  il  sepolcro  di  s.  per  la  guerra  d'  Ungheria.  Supplì 
Domenico  in  Bologna  colla  sta-  al  cardinal  Gaetani  nel  camerlen- 
tua  di  argento,  rappresentante  quel  gato  di  s.  Cbiesa  ,  indi  fu  fatto 
glorioso  santo,  e  lasciò  un  legato  presidente  del  tribunale  della  se- 
per  le  spese  del  capitolo  gene-  gnatura  di  giustizia,  protettore  dei 
rale.  vallombrosaui ,  nella  riforma  dei 
GIUSTINIANI  Benedetto,  Car-  quali  si  valse  utilmente  del  ven. 
dinale.  Benedetto  Giustiniani  pa-  Giovanni  Leonardi  fondatole  dei 
trizio  genovese,  ma  nato  in  Scio  chierici  regolari  della  Madre  di 
dai  signori  di  quell'  isola,  di  cui  è  Dio  ,  e  ad  essi  ottenne  dal  cardi- 
fama  che  la  madre,  sterile  da  lun-  nal  Bartolomeo  Cesi,  con  benepla- 
go  tempo,  1'  ottenesse  per  un  voto  cito  apostolico,  la  chiesa  di  s.  Ma- 
fatto  a  Dio,  ebbe  per  zio  il  cardi-  ria  in  Portico.  Favorì  l'assoluzione 
nal  Vincenzo.  Dotato  di  vivo  e  di  Enrico  IV  re  di  Francia,  del 
sottile  ingegno,  fece  nelle  universi-  qual  regno  fu  vice-protettore.  Pao- 
tà  di  Perugia  e  di  Padova  mera-  lo  V  gli  commise  la  legazione  di 
vigliosi  progressi  nello  studio  delle  Bologna,  che  esercitò  egregiamente 
leggi,  in  cui  prese  la  laurea  in  per  cinque  anni,  ne' quali  ricevette 
Genova  nel  1577.  Gregorio  XIII  splendidamente  settanta  gran  si- 
gli conferì  gli  stessi  benefizi  che  gnori  ,  ivi  pubblicando  utili  leggi, 
possedeva  il  defunto  zio,  con  molti  e  zelando  il  lustro  di  quella  cele- 
onorevoli  incarichi.  Sisto  V  lo  fé-  bre  università.  Difensore  dell'  lin- 
ce tesoriere  generale,  e  poco  dopo  munita  ecclesiastica  e  della  dignità 
a'  fj  dicembre  i586  lo  creò  car-  cardinalizia,  fu  pure  religioso  ver- 
dinale  diacono  di  s.  Giorgio  in  Ve-  so  Dio,  mai  tralasciando  di  cele- 
lahro,  diaconia  che  poi  cambiò  col  brare  la  messa.  Liberale  e  muni- 
titolo  di  s.  Prisca,  die  dopo  averlo  fico  coi  famigliari  ,  fu  ancbe  gene- 
abbellito  concesse  agli  agostiniani,  roso  coi  poveri ,  e  singolarmente  coi 
poscia  permutato  col  vescovato  di  giovanetti  che  di  proposito  appli- 
Porto  cbe  otteoM  da  Paolo  \  nel-  caratisi  agli  studi ,  onde  gommini-' 
l'anno  i6ao.  Indi  lo  <;tr>M>  Si-  itrava  l"i<>  I  occorrente  per  000*1 
sto     V     lo     deputò     membra     del-  piare   il   corso  delle    scienze.    Divo- 


220  GIÙ 

lissimo  della  Beata  Vergine,  è  fa- 
ma che  in  suo  onore  ogni  sabba to 
distribuisse  a  settemila  poveri  l'e- 
lemosina, come  chiaramente  dico- 
no il  Marracci  ed  il  Ciacconio  ; 
ed  in  morte  lasciò  le  sue  facoltà 
parte  al  santuario  di  Loreto,  e 
parte  all'arciconfraternita  della  san- 
tissima Annunziata  di  B.oma  nella 
somma  di  cinquantamila  scudi,  per 
dotine  nella  festa  della  Concezione 
alcune  zitelle  di  Loreto  ;  ma  del- 
l'asse  paterno  istituì  erede  il  prin- 
cipe di  Bassano  suo  fratello.  Inter- 
venne all'  elezione  di  sette  Papi , 
ma  nell'  ultimo  in  cui  fu  eletto 
Gregorio  XV,  per  non  essere  stato 
considerato  in  conclave ,  mentre  si 
lusingava  di  essere  esaltato ,  sog- 
giacque a  malattia,  e  ad  una  ma- 
linconia, che  gli  troncò  i  giorni  in 
Roma  a' 27  marzo  1621,  d'anni 
sessantasette.  Fu  sepolto  nella  cap- 
pella dello  zio  in  s.  Maria  sopra 
Minerva,  con  onorevole  iscrizione, 
altra  leggendosene  sotto  il  di  lui 
marmoreo  busto,  che  la  nominata 
a  rei  con  fraternità  gli  eresse  nella 
medesima  chiesa,  nella  propria  cap- 
pella della  ss.  Annunziata.  Amato 
e  stimato  dai  Papi,  gli  scrittori  ne 
fecero  i  più  alti  elogi,  e  nella  chiesa 
di  s.  Sebastiano  fuori  le  mura  fece 
collocare  le  reliquie  di  quella  chiesa 
111  urna  di  argento.  Mentre  egli  vi- 
veva ,  volendo  Clemente  Vili  ri- 
munerare il  suo  depositario  Giu- 
seppe Giustiniani  parente  del  car- 
dinale ,  benemerito  della  camera 
apostolica,  specialmente  per  1'  acqui- 
sto di  Monte  s.  Giovanni ,  di  cui 
parlammo  al  voi.  XXVII,  p.  285 
del  Dizionario ,  ornò  la  famiglia 
Giustiniani  di  molli  privilegi ,  che 
poi  gli  furono  confermali  da  Pao- 
lo V,  Gregorio  XV,  Urbano  Vili, 
Innocenzo  X,  ed  Alessandro  VII. 


GIÙ 

GIUSTINIANI  Orazio,  Cardi- 
nale. Orazio  Giustiniani  patrizio 
genovese  ,  nato  neh'  isola  di  Scio , 
recatosi  ancor  fanciullo  in  Roma  , 
entrò  d'  anni  venticinque  tra  i  pre- 
ti dell'  oratorio  di  Roma  o  filippi- 
ni ,  dove  menando  una  vita  edifi- 
cante ed  esemplare,  divenne  un  ze- 
lante operaio  ,  predicando  con  sin- 
golare eloquenza  e  fervore ,  con 
frutto  degli  ascoltanti  :  ebbe  gran- 
de impegno  per  la  canonizzazione 
di  s.  Filippo  Neri,  ed  eresse  iti 
Carbognano  la  prima  chiesa  in  di 
lui  onore.  Informato  della  sua  vir- 
tù e  zelo  il  cardinal  Francesco 
Barberini,  lo  deputò  a  sopraintende- 
re  sull'abbazia  di  Farfa,  e  nel  i632 
lo  fece  custode  della  biblioteca  va- 
ticana, dove  ebbe  tutto  l' agio  di 
raccogliere  gli  atti,  e  descrivere  la 
Storia  del  concilio  fiorentino.  Dopo 
essere  stalo  spedito  in  Ancona  per 
trattare  col  pseudo-patriarca  di  Co- 
stantinopoli Atanasio  Patelerio,  che 
pieno  di  mal  talento  incamminan- 
dosi verso  Roma  ebbe  ordine  di 
non  procedere  più  oltre,  fu  ascrit- 
to tra  i  consultori  del  s.  offizio  da 
Urbano  Vili,  che  nel  1640  lo  fe- 
ce vescovo  di  Mon tallo  ,  ove  per 
l' onore  di  Dio  e  salute  delle  ani- 
me faticando,  e  vivendo  come  gli 
antichi  vescovi,  acquistossi  tale  re- 
putazione presso  i  suoi  diocesani , 
che  gli  riuscì  di  terminare  una  lun- 
ga e  disgustosa  controversia  tra  il 
vescovo  e  la  città,  con  I' aiuto  del- 
la quale  potè  fondare  l' episcopio 
per  uso  de'  vescovi.  L'  inclemenza 
dell'aria  per  la  sua  salute  nociva  > 
indussero  Innocenzo  X  a  trasferir- 
lo nel  i645  alla  sede  di  Nocera , 
dove  oltre  1'  avervi  introdotto  i  fì- 
lippini  ,  incominciò  a  spiegare  al 
popolo  la  dottrina  cristiana ,  am- 
maestrando ni  pari  tempo  cou  in- 


GIÙ 

comparabile   dolcezza    il    clero  nel- 
I' ecclesiastica   liturgia,   nella    quale 
era   peritissimo.    Il  Pontefice  pei  tan- 
to, prima  per  ricompensare  i    suoi 
meriti,  e  poi  per  fare  co«a  grata  ad 
Andrea  Giustiniani  principe  di  Cas- 
sano, che  avea  sposata    la    propria 
nipote,  a' 6    marzo    i6{.">    lo    creò 
cardinale  prete  del  titolo  di  s.  Ono- 
frio, penitenziere  maggiore ,    e    nel 
1646  bibliotecario  di  s.  Chiesa,  non 
che  protettore  dell'  ordine  di  s.  Ba- 
silio.  Rinunziò  al    vescovato ,  e  nel 
iGj9  volle  trovarsi  presente  al  ca- 
pitolo generale  celebrato  dai    basi- 
liani   in  Groltaferrata ,    ad    oggetto 
di   promovere  tra  essi    la    regolare 
disciplina,  i  cui  decreti  nella  mag- 
gior parte  ebbero  la  sanzione  pon- 
tifìcia. Per  la    particola!'    divozione 
che  sempre  nutrì  per  la  Beata  Ver- 
gine, ne  recitava  ogni  giorno  il  Ro- 
sario, visitando  la    di    lei    cappella 
in  s.  Maria  sopra  Minerva,  ove  di 
frequente  celebrava.  Pieno  di  com- 
passione   pei    peccatori  ,    accoglieva 
alfettuosarnente    coloro    che     a    lui 
ricorrevano ,    dando    a    tutti  ed    a 
qualunque  ora   graziosa   udienza  ;   e 
ai   poveri  distribuiva  abbondanti  li- 
mosiue.  Estese  le  sue    cure  all'  or- 
dinamento   della   biblioteca    vatica- 
na al  modo  che  dicemmo  all'arti- 
colo Bieliotecario  di  s.  Chiesa.  Ter- 
minò   la    santa    sua    vita    con    pia 
morte  a'  i5  luglio    1G49,  m  l>l0ma> 
in  età  d'anni  settanta,  ed  ebbe  se- 
poltura  tra' suoi  filippini,  nella  chie- 
sa di   s.   Maria   in   Vallicella,  secon- 
do la  sua   testamentaria    deposizio- 
ne. Questo    dotto    cardinale    srris^e 
vari   trattati,  che   restarono   inediti. 
GIUSTINIANI  (.iacomo,  Cardi- 
nale.  Giacomo  Giustiniani  della  no- 
bile famigli  1  |'i  incipesca  <li  G<  nova 
e  Ji  Roma,  quivi  n  icque  a'  aq  di- 
cembre   1769  dal  principe    d.    I!e 


GIÙ  22  r 

nedetto,    e    dalla    contessa    Cecilia 
Maoni   inglese.   Dopo    avere  fatto   i 
suoi  studi  nel  collegio   Libano,  de- 
dicatosi  allo  stato  ecclesiastico,  me- 
lilo di  essere  ammesso    alla  prela- 
tura da   Pio  VI,   e  quindi    da    Ini 
nominato    nel    1794    vicclcgato    di 
Ravenna,   indi   nel   1 79"  governa  Io- 
re  di    Perugia  ,    poscia     fu    fatto  in 
Roma    presidente    della    giunta    di 
stato ,    se    non    che    occupatisi   dai 
francesi   interamente   i   domimi   del- 
la santa  Sede,  e  proclamata  la  re- 
pubblica ,  soggiacque    a    quelle   vi- 
cende cui   fui ono  bersaglio  i  mini- 
stri  pontificii,  onde    fuggito  a  Na- 
poli ritornò  nella    condizione    seco- 
lare, e  vi   continuò  anche  dopo  re- 
iezione di  Pio  VII,  viaggiando    in 
diverse  regioni,  ed  aumentando  in 
tal  modo  le  scientifiche   sue  cogni- 
zioni ,    anche    nelle    ili  verse  lingue 
orientali   ed   europee   in    cui  diven- 
ve  colto,   per   le   quali   dappoi  spes- 
so   dottamente    conferiva    col    poli- 
glotta vivente  l'esimio  cardinal  Mez- 
zofanti. Passali  cinque  anni  di  prigio- 
nia, Pio  \  Il  nel  maggio  1  8  1  4  fu  glo 
riosamente  restituito  alla  sua  Sede, 
quando  per   la   saggia  condotta    te- 
nuta da   Giacomo,  e  pel  suo  desi- 
derio di    riprendere  le   insegne  pre- 
latizie, e  di  nuovo  dedicarsi  al  ser- 
vigio della  santa' Sede,  lo    nominò 
pro-governatore  di  Roma.  Indi  aven- 
dolo annoverato  tra  i    suoi  prelati, 
lo    incaricò    di    ricevere    in    nome 
della    Sede   apostolica    la    legazione 
di  Bologna,   clic  ad  e^sa  restituiva- 
si    per     decreto    del     congresso    di 
Vienna,  per    cui    colla    dignità    di 
delegato     pontificio    ne    riordinò    il 
governamento,   come  ne  riorganizzò 
l'università,  con    soddisfazione  d<  1 
Papa  e  de'  bologm  -1     Dip  1 
diim  sacerdote,  e  nel  concistoro  dei 
\  \  apule   1817    fu  dichiarato  arci' 


222  GID 

vescovo  di  Tiro  in  partibus,  e  nun- 
zio apostolico  di  Spagna  ;  rappre- 
sentanza che  funse  con  fortezza  di 
animo  e  decoro  ecclesiastico.  Leo- 
ne XII,  nel  1826,  nel  concistoro  dei 
i3  marzo  lo  traslatò  alla  chiesa 
vescovile  d'Imola,  ed  in  quello  dei 
2  ottobre  lo  creò  cardinale  dell'or- 
dine de' preti  ;  la  notizia  con  il  ber- 
rettino cardinalizio  gliela  mandò  a 
Madrid  per  la  guardia  nobile  d. 
Emmanuele  de' principi  Ruspoli  , 
che  dal  re  fu  fatto  cavaliere  del- 
l'ordine della  Concezione  ;  ed  alle- 
gato per  la  tradizione  della  berretta 
rossa  destinò  monsignor  Ignazio  Ca- 
dolini  ora  cardinale,  a  quel  tempo 
uditore  della  nunziatura.  Portatosi 
il  cardinale  in  Roma,  ricevette  da 
Leone  XII  il  cappello  cardinalizio, 
e  per  titolo  la  chiesa  de' ss.  Mar- 
cellino e  Pietro,  annoverandolo  alle 
congregazioni  de' vescovi  e  regolari, 
di  propaganda  fide,  della  disciplina 
regolare,  e  della  fabbrica  di  s.  Pie- 
tro. Poscia  si  recò  in  Imola  suo 
vescovato,  e  vi  restò  sino  all'anno 
iBaq,  epoca  in  cui  dovette  resti- 
tuirsi in  Roma  pel  conclave,  in  cui 
uscì  eletto  Pio  VIII,  il  quale  vi- 
vendo venti  mesi  ,  nel  dicembre 
i83o  di  nuovo  il  cardinale  partì 
da  Imola  pel  conclave.  Verso  il  de- 
cimoquinto giorno  di  questo,  i  voti 
eh'  egli  aveà  pel  pontificato  si  au- 
mentarono di  numero,  ad  onta  che 
alcuni  facessero  osservare  di  1  aver 
egli  numerosa  parentela,  ed  incli- 
nare alla  severità,  come  addimostrò 
in  un  editto  pubblicato  nella  sua 
diocesi  contro  i  bestemmiatori,  oltre 
il  divieto  dell'  uso  del  baldacclMiio 
che  in  una  processione  adoperava  il 
popolo,  che  perciò  si  ammutinò  re- 
cando gravi  danni  all'  episcopio , 
onde  il  cardinale  per  non  compro- 
mettere la  sua    diguità,    prudente- 


GIU 

mente  si  ritirò  in  quel  frangente. 
Per  imparzialità  istorica  dobbiamo 
rettificare  con  uua  breve  digressio- 
ne la  taccia  che  di  severo  fu  data 
in  tale  avvenimento  al  cardinale.  E 
pertanto  a  sapersi  che  non  si  può 
negare  il  divieto  in  Imola  del  bal- 
dacchino, sotto  cui  si  portava  in 
processione  la  reliquia  della  B.  Ver- 
gine, come  anche  l'ammutinamento 
del  popolo  che  gravissimi  danni  nel 
suo  furore  recò  all'episcopio,  e  la 
prudente  ritirata  del  cardinale  per 
non  compromettere  la  sua  persona 
e  la  sua  dignità.  Non  deve  per  altro 
tacersi  che  alla  proibizione  del  bal- 
dacchino egli  non  s' indusse  che  do- 
po un  ripetuto  carteggio  del  cardi- 
nal prefetto  della  congregazione  dei 
sacri  riti,  che  gli  avea  ingiunto  di 
eliminare  l'introdotto  abuso,  dappoi- 
ché la  stessa  sacra  congregazione 
con  decreti  de' 2  3  marzo  1686,  e 
23  settembre  1820  aveva  proibito 
1'  uso  del  baldacchino  in  tali  circo- 
stanze. Prevalendo  1'  elogio  che  fa- 
cevasi  delle  sue  virtù.  ,  sperienza  , 
saggezza,  e  zelo  addimostrato  nel 
disimpegno  della  nunziatura,  si  pro- 
gredì nelle  numerose  votazioni,  pe- 
rò solo  si  temeva  che  non  fosse  gra- 
dito alla  corte  di  Spagna,  la  quale 
nel  precedente  conclave  avea  inca- 
ricato il  cardinale  Gravina  di  esclu- 
derlo dal  pontificato,  secondo  quan- 
to si  narra.  Intanto  la  sera  de'  6 
gennaio  1 83  1  ,  ventesimo  secondo 
giorno  di  conclave,  il  cardinal  Mnr- 
co-y-Catalan  spagnuolo  ricevette 
dall'ambasciator  di  Spagna  Labra- 
dor l'esclusiva  formale  di  quella 
corte  pel  cardinale  Giacomo  Giusti- 
niani, ch'essendo  stato  nunzio  pres- 
so il  re  Ferdinando  VII  aveagli 
prestato  utili  servigi  nel  periodo 
delle  cortes,  ed  avea  protetto  il  cle- 
ro contro. U  ministero,  e  con  ener- 


GIÙ 

giche  note  nvea  dilèsa  l'assoluta 
sovranità  di  detto  monarca,  il  quale 
in  contrassegno  di  sua  benevolenza 
avealo  decorato  colla  gran  croce 
del  real  ordine  di  Carlo  IH,  ossia 
della  Concezione  ,  uno  dei  più  di- 
stinti del  suo  reame  ;  laonde  a  quel 
ministero, tornato  in  posto,  si  volle 
attribuire  questa  esclusiva.  Quindi 
il  cardinal  Marco  vedendo  nello 
scrutinio  della  mattina  seguente 
ventuno  voli,  cioè  sedici  di  scruti- 
nio e  cinque  di  accesso,  de' venti- 
nove che  ne  occorrevano  per  l' e- 
lezione,  e  temendo  che  questa  si 
conchiudesse  con  I'  aumento  de'  vo- 
ti ,  si  recò  a  notificare  tale  esclu- 
sione al  di  lui  nipote  cardinale 
Odescalchi,  al  cardinal  Pacca  de- 
cano del  sacro  collegio,  e  ad  altri 
cardinali.  Tuttavolta  pei  surriferiti 
riflessi  in  favore  del  cardinole  non 
potendosi  alcuni  pienamente  per- 
suadere dell'esclusiva,  bramarono 
verificarne  1'  esistenza,  e  conoscere 
com'era  concepita.  Allora  il  car- 
dinale Marco  produsse  un  bi- 
glietto dell'ambasciatore,  con  l'an- 
tidata de'24  dicembre,  del  seguen- 
te tenore. 

»»  11  sottoscritto  ambasciatole 
»>  straordinario  e  plenipotenziario 
»  di  sua  maestà  Cattolica  presso 
>»  la  santa  Sede,  riverisce  distinta- 
»  mente  sua  eminenza,  e  la  pre- 
m  ga  di  far  presente  al  sacro  col- 
«  legio  riunito  in  conclave,  eh' e- 
»  gli  in  nome  del  suo  augusto  so- 
»>  vrano,  e  d'ordine  espresso  di 
»  sua  maestà  Cattolica  ,  dà  l'è- 
»  sclusione  pel  soglio  pontifìcio  al- 
»  l' emincnlissimo  cardinal  Giusti- 
»    niani  ". 

»  Pietro  Gomez.   Labrador. 

Quindi  il  cardinal  decano,  aven- 
done   puma     a\  usato    il     cardinal 


GIÙ  m3 

Giustiniani  avanti  lo  scrutinio  an- 
timeridiano de'  9  gennaio,  nella 
cappella  degli  scintilli  lesse  il  bi- 
glietto al  sacro  collegio.  Dopo  di 
che  il  cardinal  Giustiniani  si  portò 
in  mezzo  della  cappella,  e  pronun- 
ziò questo  discorso.  >*  Se  io  non 
conoscessi  per  esperienza  le  corti , 
avrei  certo  motivo  di  essere  sor- 
preso dell'esclusiva  pubblicata  dal- 
leminentissimo  decano,  giacche  ben 
lungi  dal  potermi  rimproverare  di 
aver  dato  a  sua  maestà  Cattolica 
alcun  motivo  di  lagnanza  in  tem- 
po della  mia  nunziatura,  oso  glo- 
riarmi di  aver  reso  dei  segnalati 
servigi  alla  maestà  sua  nella  dif- 
ficilissima circostanza  in  cui  si  è  tro- 
vata. Sua  maestà  medesima  ha  da- 
to prove  di  conoscerlo  onorando- 
mi appena  restituita  all'  intero  e- 
sercizio  della  sua  sovranità  della 
gran  croce  della  Concezione,  ed 
essendosi  poco  prima  della  mia 
partenza  impegnata  efiicacemente 
presso  il  santo  Padre,  perchè  mi 
volesse  conferire  una  dignità  nella 
chiesa  cattedrale  di  Valenza,  lo 
conserverò  sempre  memoria  di  que- 
sti benefizi  compartitimi  da  sua 
maestà  Cattolica,  e  nutrirò  sempre 
per  la  medesima  il  più  profondo 
rispetto,  non  meno  che  il  più  vi- 
vo interesse  per  tuttociò  che  può 
riguardare  la  prosperità  della  me- 
desima, e  della  sua  augusta  Guai- 
glia.  Aggiungerò  inoltre  che  di  tutti 
i  benefizi  concessimi  da  sua  mae- 
stà io  riguardo,  almeno  in  smanio 
all'elleno,  per  il  maggiore  ed  il 
più  grato  quello  ili  chiudermi  in 
oggi  l'adito  alla  Mibiimissima  dignità 
del    pontificata    Conoscendo   ben   10 

le  une  debolissime  forze,  non  po- 
terà prevedere  che  io  dovessi  mai 
caricarmi  ili  un  peso  m  grave,  pu- 
re  \cdcndo    nei    giorni    scorsi   eoa 


??4  C']X] 

mia  sorpresa  che  si  pensava  a  me, 
l'animo  mio  è  stato  penetrato  dal- 
la più  viva  amarezza.  In  oggi  mi 
trovo  liberato  da  tale  angustia  ; 
sono  restituito  alla  mia  tranquilli- 
tà, e  mi  resta  la  compiacenza  che 
abbiano  potuto  gettare  lo  sguardo 
sopra  di  me  alcuni  de'  mici  de- 
gnissimi colleghi,  che  hanno  voluto 
onorarmi  dei  loro  voti,  ed  ai  quali 
professerò  sempre  la  mia  più  sin- 
cera riconoscenza  ". 

La  recita  di  tal  discorso,  per  In  di- 
gnità e  disinvoltura  col  quale  venne 
dello,  eccitò  nel  sagro  collegio  mag- 
giore estimazione  per  lui;  commossi  i 
cardinali  per  l'accaduto,  molti  re- 
caronsi  in  cella  del  cardinal  Giu- 
stiniani a  secolui  condolersi  dell'e- 
sclusiva, e  a  congratularsi  per  la  sua 
virtù.  Questa  venne  premiata  dal 
Papa  regnante  Gregorio  XVI,  e- 
letto  nel  medesimo  conclave  a'  2 
febbraio,  prima  nel  volerlo  presso 
di  sé  nel  palazzo  apostolico  colla 
carica  palatina  di  prò- segretario 
de'  memoriali,  e  col  trattarlo  poi 
con  affetto  e  distinzione,  benefican- 
dolo in  diversi  modi.  Indi  succes- 
sivamente lo  fece  membro  delle  con- 
gregazioni del  s.  offizio,  dell'im- 
munità, della  cerimoniale,  dell'e- 
same de'  vescovi  in  sacri  canoni, 
degli  affari  ecclesiastici,  esoneran- 
dolo dal  vescovato  d'  Imola  nel 
concistoro  de'  17  dicembre  i832, 
e  conferendogli  le  abbazie  nullius 
di  Farfa  e  s.  Salvatore  Maggiore 
allora  perpetuamente  unite.  Que- 
ste abbazie  il  cardinale  le  rinunziò 
per  l' offesa  che  riportò  nel  femo- 
re per  una  caduta  cui  soggiacque 
pochi  giorni  prima  in  cui  aveva 
tulio  disposto  per  recarsi  ad  ese- 
guire la  visita  pastorale  nelle  me- 
desime abbazie.  Inoltre  il  Papa  lo 
promosse;  nei    i83/ialh    prefettura 


GIÙ 

della  congregazione  dell'indice;  nel 
1837  all'arcipretura  di  s.  Pietro  in 
Vaticano,  cui  è  unita  la  prefettu- 
ra della  congregazione  di  sua  rev. 
fabbrica  ;  non  che  alla  cospicua 
carica  di  camerlengo  di  santa  ro- 
mana Chiesa,  essendo  ad  essa  uni- 
ta quella  di  arcicancelliere  della 
università  romana.  Nel  concistoro 
poi  de'  22  novembre  i83q  lo 
trasferì  neh'  ordine  de'  vescovi,  con 
la  chiesa  suburbicaria  di  Albano. 
Leone  XII  lo  avea  fatto  protetto- 
re della  confraternita  delle  sacre 
Stimmate  di  Lugo,  e  della  città 
di  Cervia  ;  ed  il  medesimo  Grego- 
rio XVI  lo  fece  proiettore  dell'or- 
dine de'  minori  conventuali,  e  del 
sacro  militale  ordine  gerosolimita- 
no, delle  confraternite  del  ss.  Sa- 
gramento  in  s.  Eustachio,  della 
Pietà  de' carcerati  in  s.  Gio.  della 
Pigna,  e  della  Beata  Vergine  del 
Carmine  alle  tre  cannelle  di  Pio- 
ma  ;  dell'  arciconfraternita  delle  s. 
Stimmate  di  Velletri,  della  confra- 
ternita di  s.  Giuseppe  da  Liones- 
sa  in  Otricoli  ;  delle  città  d' Imola, 
Maidica,  Urbania  ,  Nepi,  Cori, 
Poggio  Mirteto,  di  Trevignano,  del- 
la cattedrale  di  Orte,  e  della  chie- 
sa parrocchiale  di  s.  Micbele  ar- 
cangelo di  Vallecorsa.  Come  ca- 
merlengo di  s.  Chiesa  fu  pure  pro- 
tettore del  conservatorio  di  s.  Eu- 
femia, e  del  monistcro  delle  cap- 
puccine di  s.  Urbano;  ed  il  prin- 
cipe d.  Luigi  Gio.  Andrea  Doria 
Pamphilj  Io  elesse  in  proiettore 
della  chiesa  di  s.  Agnese  in  Na- 
vona  colle  sue  dipendenze,  non 
meno  che  di  quella  abbaziale  di 
s.  Martino  in  Montibus  nullius 
presso  Vileibo,  ambedue  di  gius- 
patronato  della  sua  nobilissima 
rasa,  in  forza  di  due  bolle  d'  In- 
nocenzo   X,   una    relativa    a   s    A- 


GIÙ 

gnese,  de'  7  febbraio  1 653,  l'altra 
riguardante  a  s.  Martino,  de'  i!\ 
settembre  i654-  Finalmente  il  car- 
dinale fu  eziandio  protettore  del 
collegio  inglese;  ma  nella  promo- 
zione alla  sacra  porpora  del  car- 
dinal Carlo  Acton,  stimò  cosa  con- 
veniente, che  a  questi  come  car- 
dinale della  nazione  meglio  si 
convenisse  tale  protettoria.  Con 
questo  divisamente  la  rassegnò  al 
prefato  Pontefice,  che  ne  fece  pa- 
ghi i  desiderii. 

Lodato  per  dottrina  ed  amore 
alle  scienze,  ai  letterati  ed  artisti, 
non  che  per  virtù,  mansuetudine, 
pietà,  carità,  soavità  di  modi,  ed 
altri  singolari  pregi,  dopo  essere 
caduto,  come  dicemmo,  battendo 
il  femore,  restò  alquanto  impedi- 
to nel  camminare,  e  soggiacque 
quindi  a  diverse  infermità;  quando 
per  breve  malattia  di  acuto  reuma 
di  petto ,  mori  in  Roma  con  tut- 
ti i  conforti  della  santa  religione, 
a'  24  febbraio  1 843,  d'  anni  set- 
tantaquattro circa  ;  avendo  pre- 
messa nell'  atto  di  ricevere  nel 
giorno  avanti  il  ss.  Viatico,  alla 
presenza  del  popolo  che  lo  ac- 
compagnava, con  parole  chiare  e 
distinte  la  professione  di  fede  pre- 
scritta nel  cerimoniale  dei  vescovi. 
La  sua  perdita  fu  meritamente 
compianta  da  ogni  ordine  della 
città,  non  che  dalle  corporazioni 
letterarie  ed  artistiche,  di  cui  era 
non  meno  autorevole  capo,  che 
amantissimo  protettole.  Il  suo  de- 
gno collega  il  dotto  cardinal  Ja- 
copo Monico  patriarca  di  Venezia 
ne  celebrò  il  nome  col  seguente 
bellissimo  epigramma,  che  la  tipo- 
grafìa Emiliana  pubblicò  con  que- 
sti medesimi  tipi. 

Non   omnis  moreris:  duo    min- 
qiiam    obitura    supersunt: 

VOL.     XXXI. 


GIÙ  ni 

Spiritus  et  Nomen,  Justiniase, 
munì. 

Dopo  essere  state  esposte  le 
mortali  spoglie  del  cardinal  Giu- 
stiniani nel  suo  palazzo,  furono 
trasportale  colla  solita  pompa  fu- 
nebre nella  chiesa  di  s.  Maria  so- 
pra Minerva  ,  e  nella  mattina 
seguente  alla  cappella  papale  pon- 
tificò il  cardinal  Castracane  peni- 
tenziere maggiore,  e  per  distinzio- 
ne si  recò  ad  assistere  1'  esequie  il 
Pontefice  Gregorio  XVI,  che  dopo 
la  messa  fece,  secondo  il  rito,  l'as- 
soluzione presso  il  feretro.  Il  ca- 
davere venne  poscia  tumulato  nel- 
la stessa  chiesa,  nella  cappella  gen- 
tilizia, presso  il  sepolcro  de'  suoi 
illustri  maggiori  ,  secondo  la  sua 
testamentaria  disposizione,  con  la 
quale  dispose  pure  che  un  qua- 
dro dipinto  da  Lippo  Dalmasio 
bolognese,  e  rappresentante  il  Re- 
dentore che  porta  la  croce,  si  u- 
miliasse  in  omaggio  di  gratitudi- 
ne al  Papa.  Inoltre  beneficò  con 
pensioni  alcuni  de'  suoi  antichi  fa- 
migliari, e  lasciò  la  sua  scelta  bi- 
blioteca al  suo  seminario  di  Al- 
bano, qualora  il  Pontefice  beni- 
gnamente gli  condonasse  un  debi- 
to di  circa  dieciottomila  scudi  che 
avea  con  la  camera  apostolica,  ce- 
dendo in  pari  tempo  ad  alcune 
ragioni  eh'  egli  avea  colla  medesi- 
ma, e  fu  esaudito.  Il  suo  elogio 
riposto  nella  cassa  mortuaria,  per 
1'  eloquenza  epigrafica  dell'  idioma 
latino  fu  stampato  in  Roma  nel 
medesimo  anno  1 843  dalla  tipo- 
grafia Salviucci  con  questo  tito- 
lo: Elogium  Jacobi  Justiniani  •  S. 
lì.  E  Card,  cum  corpore  condi- 
timi ,  auctore  Francisco  J\L. 
bibUothecae  f  afwanae  scriptore  Ia- 
lino. IVel  numero  19  del  Diario 
i5 


2  26  GIÙ 

di  Roma  si  legge  la  descrizione 
de'solenni  funerali  che  al  cardi- 
nale defunto  celebrò  col  pontifi- 
cio corpo  de'  professori  ed  alunni 
1'  insigne  romana  accademia  di  s. 
Luca,  come  suo  benemerito  pro- 
tettore, con  musica  dell'  egregio 
maestro  Fontemaggi  alla  messa 
celebrata  dal  p.  abbate  d.  Vincen- 
zo Tizzani,  ora  degno  vescovo  di 
Terni.  Il  numero  i4  delle  Noli- 
zie  del  giorno  di  Roma,  riporta 
gli  onori  funebri  decorosamente 
resi  al  cardinale  nella  chiesa  di 
s.  Maria  ad  Martyres,  dall'insigne 
artistica  congregazione  de'  virtuosi 
al  Pantheon  ,  innanzi  alla  cap- 
pella di  s.  Giuseppe  di  cui  è  pro- 
prietaria, siccome  suo  proteggito- 
re  benefico  :  vi  assisterono  i  mem- 
bri della  corporazione  sì  di  me- 
rito che  di  onore,  celebrando  la 
messa  d.  Michele  Ambrosini  cou 
musica  dell'encomiato  Fontemaggi. 
Il  virtuoso  d'  onore  vescovo  di 
Terni  lodato  lesse  una  dotta  ora- 
zione funebre,  con  la  quale  elo- 
quentemente enumerò  i  singolari 
pregi  del  defunto,  e  I'  altro  vir- 
tuoso d'  onore  p.  Gio.  Battista 
Rosani  preposilo  generale  delle  scuo- 
le pie,  al  presente  vescovo  d' Eri- 
trea, compose  l'aurea  iscrizione  la- 
tina che  fu  collocata  sulla  porla 
principale  del  tempio,  e  prodotta 
dalle  Notizie.  Nel  numero  i  o  di 
queste,  ma  del  1 844»  s'  ripor- 
tano le  solenni  esequie  fatte  dai 
reggitori  dell'archiginnasio  roma- 
no, con  conveniente  pompa  fune- 
bre. Monsignor  Andrea  Maria  Fiat- 
tini  avvocato  concistoriale  e  pro- 
motore della  fede  offrì  l' incruento 
sagrifìzio,  con  l'assistenza  dei  pon- 
tificii cappellani  cantori,  di  tutti 
i  collegi,  professori  ed  allievi  del- 
l' università ,    del    cardinal    Riario 


GIÙ 

suo  successore  nell'areicancellierato, 
dichiarandone  con  faconda  orazio- 
ne le  chiare  gesta  il  p.  m.  Ange- 
Io  Vincenzo  Modena  dell'  ordine 
de'predicatori  ,  pubblico  professore 
e  membro  del  collegio  teologico  ; 
orazione  che  sarà  resa  di  pubbli- 
ca ragione.  Sopra  la  porta  del- 
l'ingresso della  chiesa,  ed  ai  quat- 
tro lati  del  tumulo,  erano  cinque 
analoghe  ed  eleganti  iscrizioni,  ri- 
portate pure  dalle  Notizie,  detta- 
te dalla  celebre  penna  del  prefato 
vescovo  d'Eritrea  presidente  del- 
l'accademia pontificia  de  nobili  ec- 
clesiastici. Dei  funerali  decretati  al 
cardinale  dalla  pontificia  accademia 
romana  di  archeologia  ne  parlam- 
mo al  voi.  XXVIII,  pag.  62  del 
Dizionario,  come  dell'applaudito 
elogio  che  vi  pronunziò  il  tesorie- 
re della  medesima,  il  conte  cav. 
Giuseppe  Alborghetti,  elogio  che  sa- 
rà pubblicato  con   le  stampe. 

GIUSTINIANI  Alessandro,  Car 
dinaie.  Alessandro  Giustiniani  nac- 
que in  Genova  da  illustre  fami- 
glia patrizia  ai  3  febbraio  1778, 
e  fino  dai  primi  suoi  anni  mo- 
strò che  ad  alte  cose  era  destina- 
to. Avviato  nella  carriera  degli 
studi  sotto  la  direzione  dell'esi- 
mio letterato  e  matematico  Multe- 
do,  presto  fece  conoscere  il  viva- 
ce ingegno,  ed  il  sottile  intendi- 
mento cui  la  natura  avealo  fre- 
giato, insieme  ad  ottimo  cuore. 
Portatosi  in  Roma,  venne  persua- 
so da  autorevoli  personaggi  d' in- 
traprendere la  carriera  ecclesiasti- 
ca, onde  da  Pio  VII  fu  ammesso 
nel  novero  de'  prelati,  quindi  no- 
minato vicelegato  di  Bologna,  in- 
carico che  consideratosi  da  Ales- 
sandro troppo  arduo  al  suo  pri- 
mo esperimento,  supplicò  ed  ot- 
tenne di  esserne  dispensato,  ed  iu 


GIÙ 

vece  accettò  la  vice- legazione  di 
Ferrara,  nella  quale  riuscì  sì  gra- 
dito, che  il  municipio  lo  ascrisse 
in  un  alla  famiglia  alla  propria 
nobiltà.  Da  questo  luogo  poco  do- 
po nel  1818  fu  rimosso,  e  de- 
stinato a  Napoli  per  dare  esecu- 
zione al  concordato  conchiuso  tra 
la  santa  Sede,  ed  il  re  delle  due 
Sicilie,  insieme  al  cardinale  Diego 
Innico  Caracciolo ,  deputati  ezian- 
dio per  la  nuova  circoscrizione  del- 
le diocesi  del  regno.  Nella  insurre- 
zione del  1 820  si  mostrò  saggio  e 
zelante  in  far  rispettare  la  santa 
Sede,  dappoiché  essendo  morto  nel 
gennaio  il  cardinal  Caracciolo,  e- 
gli  dovette  solo  proseguire  il  no- 
minato grave  e  delicato  incarico. 
Terminate  le  cose  politiche,  e  sod- 
disfatto il  re  Ferdinando  I  del  suo 
contegno,  lo  domandò  a  Pio  VII 
per  nunzio  apostolico  presso  la 
reale  sua  corte,  per  cui  il  Papa 
a  tale  geloso  uffìzio  lo  nominò , 
preconizzandolo  arcivescovo  di  Pe- 
tra iu  partibus,  nel  concistoro  dei 
19  aprile  1822.  In  tal  modo  fu 
ristabilita  con  reciproca  soddisfa- 
zione la  nunziatura  di  Napoli,  do- 
po che  da  sessanta  anni  era  va- 
cante. Sul  finire  del  1826  Leone 
XII  lo  promosse  alla  nunziatura  di 
Lisbona,  ciò  che  ferì  profondamen- 
te nell'  animo  il  prelato,  e  doven- 
do far  violenza  a  sé  stesso  con 
lasciare  incompleto  il  lavoro  per 
cui  in  otto  anni  tante  fatiche  a- 
vea  sostenuto,  o  fosse  il  piacere 
della  promozione  troppo  vivamen- 
te provato  ,  certo  è  che  sentì  tal 
forte  impressione  nel  suo  fisico, 
che  in  quel  tempo  ebbe  i  primi 
attacchi  ili  lineila  grave  infermità 
che  doveva  poscia  l  ondurlo  al  se- 
polcro. In  Portogallo  «però  di- 
verse cose    iu    vantaggio  della  so- 


GIU  227 

cietà  e  della  religione,  come  coo- 
però al  ristabilimento  de'  gesuiti 
nel  regno.  Nel  tempo  della  sua 
dimora  a  Lisbona  fu  testimonio  dei 
gravi  avvenimenti  di  quel  regno, 
dappoiché  avendo  d.  Pietro  IV 
imperatore  del  Brasile  conceduto 
ai  portoghesi  una  carta  modella- 
ta sulle  istituzioni  dell'Inghilterra, 
rinunziò  quindi  la  corona  di  Por- 
togallo a  favore  della  regina  Ma- 
ria II  da  Gloria  sua  figlia,  facen- 
do poi  reggente  1'  infante  d.  Mi- 
chele suo  fratello.  Questi  però  nel 
maggio  1828  dai  tre  stati  o  an- 
tiche cortes  del  regno,  fu  pro- 
clamato re  assoluto  di  Portogallo 
col  nome  di  d.  Michele  I.  A. 
questo  sovrano  Alessandro  diven- 
ne caro,  e  fu  da  lui  colmato  di 
onori.  Intanto  il  regnante  Pontefi- 
ce Gregorio  XVI,  nel  concistoro 
de' 3o  settembre  i83i,  lo  creò 
cardinale  dell'ordine  de'preti,  e  ri- 
serbandolo in  petto,  lo  pubblicò 
in  quello  de'2  luglio  i832:  gliene 
significò  la  notizia  colla  spedizio- 
ne del  berrettino  cardinalizio,  a 
mezzo  della  guardia  nobile  Gio. 
Battista  Pandolfi  ,  che  il  re  d. 
Michele  I  decorò  dell'  ordine  ca- 
valleresco di  Cristo;  per  ablegato 
apostolico  per  la  consegna  della 
berretta  rossa  venne  nominato  mon- 
signor Minardi  di  Macerata,  udi- 
tore della  nunziatura.  Ma  volendo 
d.  Pietro  IV  riporre  sul  trono  la 
regina  sua  figlia,  mosse  con  una 
flotta  contro  il  re  fratello,  prese 
Oporto,  ed  a'28  luglio  1 833  en- 
trò in  Lisbona,  laonde  nel  mag- 
gio del  seguente  anno  costrinse  il 
re  fratello  a  partire  per  l'Italia. 
Mostrandosi  il  nuovo  governo  o- 
stile  con  la  santa  Sede  (ora  per 
allioin  reciproca  armonia),  il  car- 
dinale ancora  abbandonò  il  Porto- 


228  GIÙ 

«allo,  seguito  da  molti  ecclesiasti- 
ci invisi  al  nuovo  ordine  di  cose, 
e  malconcio  dalla  sua  infermità 
mentale,  che  anco  in  detto  regno 
l' avea  molestato,  si  fermò  in  Ge- 
nova sua  patria.  Appena  si  trovò 
migliorato  recossi  a  Roma  per 
umiliarsi  al  Pontefice,  dal  quale 
ricevette  il  cappello  cardinalizio 
nel  concistoro  de'  18  dicembre 
a  834,  e  per  titolo  la  chiesa  di  s. 
Croce  in  Gerusalemme,  indi  fu 
annoverato  alle  congregazioni  dei 
•vescovi  e  regolari,  della  residenza 
de' vescovi,  dell'immunità,  del  buon 
governo,  e  dell'  economica.  Assa- 
lito nuovamente  dalle  sue  aliena- 
zioni, i  parenti  lo  condussero  in 
Genova,  ove  vivendo  il  resto  del- 
l'infelice sua  vita  in  ritiratissima 
solitudine,  deplorato  per  le  sue  dis- 
grazie, e  per  le  belle  qualità  di 
cui  andò  adorno,  morì  agli  i  i 
ottobre  1 843,  d'  anni  circa  ses- 
santasei. Ai  i4  detto  furono  cele- 
brati i  di  lui  solenni  funerali  nel- 
la chiesa  di  s.  Francesco  in  Alba- 
ro,  ove  celebrò  pontificalmente  la 
messa  di  requiem  il  cardinale 
'ladini  arcivescovo  di  Genova,  as- 
sistito dal  suo  capitolo  metropo- 
litano :  indi  il  cadavere  fu  sepolto 
nella    medesima  chiesa. 

GIUSTIN1ANOPOLI,  Justinia- 
liopolis.  Sede  vescovile  della  pri- 
ma Armenia,  nella  diocesi  di  Pon- 
to, sotto  la  metropoli  di  Sebaste. 
Vuoisi  situata  tra  il  monte  Tau- 
ro e  l' Eufrate.  Si  conoscono  sei 
"vescovi,  cioè  Giovanni  che  sotto- 
scrisse al  decreto  sinodale  di  Gen- 
nadio  di  Costantinopoli  contro  i 
simoniaci;  Giorgio  I  che  interven- 
ne al  quinto  concilio  generale; 
Teodoro  che  fu  al  sesto;  Giorgio 
11  che  assistette  al  concilio  di  Fo- 
y.io  ;    Sisinnio    che    approvò  il  de- 


GIU 

creto  del  patriarca  Alessio  sull'af- 
fare dei  metroplitaui  ;  N.  che  sot- 
toscrisse il  decreto  del  patriarca 
Xifllino  sugli  sposalizi.  Oriens  Chris/. 
t.  I,  p.  436. 

Commanville  riporta  cinque  se- 
di col  nome  di  Jus/inianopoli ,  e 
sono  :  Justinianopoli  o  Oeconomi 
sede  vescovile  della  prima  provin- 
cia della  Frigia  Capaziana,  nell'  e- 
sarcato  d'  Asia,  sotto  la  metropoli 
di  Laodicea,  eretta  nel  secolo  IX. 
Justinianopoli  sede  vescovile  nella 
Pisidia,  nell'esarcato  d'Asia,  sot- 
to la  metropoli  di  Antiochia,  e- 
retta  nel  IX  secolo.  Justinianopo- 
li sede  vescovile  della  seconda  Ga- 
lazia,  nell'esarcato  d'Asia,  detta  an- 
che Spalea,  sotto  la  metropoli  di 
Pessino,  eretta  nel  secolo  IX.  Ju- 
stinianopoli o  Evaria  sede  vesco- 
vile della  Fenicia  del  Libano,  nel 
patriarcato  Antiocheno  ,  sotto  la 
metropoli    di  Damasco  ,  eretta  nel 

V  secolo.  J  ustinianopoli  o  Coptus 
nella  seconda  Tebaide,  nel  patriar- 
cato   di    Costantinopoli,    eretta  nel 

V  secolo  sotto  la  metropoli  di 
Tolemaide:  si  pretende  che  questo 
luogo  abbia  dato  il  nome  ai 
copti. 

GIUSTINO  (s),  celebre  filosofo, 
martire  e  apologista  della  religione 
cristiana.  Sortì  i  natali  in  Neapoli 
o  Naplusa,  chiamata  Sichem  nella 
sacra  Scrittura ,  già  capitale  della 
provincia  di  Samaria,  verso  1'  anno 
io3.  Allevato  negli  errori  e  nelle  su- 
perstizioni dell'idolatria,  dopo  ave- 
re cercato  invano  nella  pagana  fi- 
losofia la  verità  per  cui  egli  aveva 
un  amore  ardente,  in  età  di  circi 
trent'  anni  abbracciò  il  cristianesi- 
mo, senza  abbandonare  tuttavia  né 
T  abito,  né  la  professione  di  filoso- 
fo. Dopo  la  sua  conversione  recos- 
si a  Roma,  e  credesi  comunemente 


GIÙ 

che  vi  venisse  dall'  Egitto.  Dalla 
descrizione  eh'  ei  fa  del  battesimo, 
e  da  quella  moltitudine  di  popolo 
che  andava  a  ricevere  le  sue  istru- 
zioni circa  il  tempo  del  suo  mar- 
tirio, alcuni  scrittori  hanno  inferito 
essere  egli  stato  prete.  Ciò  peraltro 
non  è  abbastanza  provato,  e  Ceil- 
lier  ha  arguito  dal  silenzio  degli 
antichi  su  questo  proposito ,  che 
Giustino  sia  sempre  stato  laico  ; 
nondimeno  siccome  è  certo  eh' egli 
predicava,  sembra  non  potersi  du- 
bitare che  non  fosse  diacono.  San 
Giustino  dimorò  buon  tempo  a 
Roma,  presso  i  bagni  di  Timoteo 
sul  monte  Viminale,  ove  ammae- 
strava quelli  che  venivano  da  lui 
per  consultarlo,  o  per  dedicarsi  agli 
esercizi  della  religione  cristiana.  Si 
adoperò  alla  conversione  de' giudei 
e  dei  gentili,  per  cui  compose  molti 
libri  ;  difese  eziandio  la  fede  contro 
le  offese  dell'  eresia ,  e  combattè 
Marcione  con  iscritti  da  s.  Girola- 
mo detti  eccellenti,  i  quali  andaro- 
no smarriti.  S.  Giustino  lasciò  Ro- 
ma ,  poich'ebbe  composto  la  sua 
prima  apologia  in  favore  della  re- 
ligione cristiana  ;  e  credesi  aver  egli 
esercitato  più  anni  1'  uffizio  di  evan- 
gelista in  diverse  contrade.  Dopo 
aver  pubblicata  la  sua  seconda  apolo- 
gia, fu  arrestato  per  ordine  di  Rustico 
prefetto  di  Roma,  insieme  con  altri 
cristiani,  e  condannato  con  essi  ad 
essere  frustato  e  a  perdere  la  testa  ; 
locchè  venne  eseguito  circa  1'  anno 
167.  S.  Giustino  è  menzionato  nel 
martirologio  d'Usuardo  e  nel  roma- 
no sotto  il  1  3  di  aprile,  e  i  greci  l'o- 
norano il  primo  di  giugno.  Puossi 
considerarlo  come  il  primo  dei  pa- 
dri della  Chiesa,  giacché  dopo  gli 
apostoli  e  i  loro  discepoli  non  ab- 
biamo altri  autori  più  antichi  di 
lui,   JNiuuo,  a  detta  di  Taziano  suo 


GIÙ  Ile) 

discepolo,  è  più  degno  d'ammira- 
zione :  Eusebio,  s.  Girolamo,  s.  Epi- 
fanio, Teodoreto  ed  altri  ne  hanno 
pure  parlato  con  elogio.  Egli  ha 
lasciato  diverse  opere,  molte  delle 
quali  non  giunsero  fino  a  noi.  Quel- 
le che  ci  restano  sono:  i.°  le  due 
apologie  suddette  :  la  prima  e  la 
più  importante,  cui  gli  antichi  edi- 
tori hanno  male  a  proposito  posto 
e  nominato  seconda,  fu  indirizzata 
verso  l'anno  1 5o  all'imperatore 
Antonino  Pio,  ai  suoi  due  figliuoli 
adottivi  Marco  Aurelio  e  Lucio 
Commodo,  al  senato  ed  al  popolo 
romano.  In  essa  rende  conto  della 
dottrina,  dei  costumi  e  delle  ceri- 
monie dei  cristiani,  per  dimostrare 
l'ingiustizia  delle  persecuzioni  che 
venivano  suscitate  contro  i  mede- 
simi;, parla  altresì  della  Trinità, 
dell'  Incarnazione  ,  del  battesimo, 
dell'Eucaristia,  delle  prove  della  re- 
ligione, delle  adunanze  e  della  san- 
tità dei  primi  fedeli.  La  seconda, 
indirizzata  all'imperatore  Marco  Au- 
relio e  al  senato  romano  nel  167, 
è  un  lamento  per  le  vessazioni 
esercitate  contro  i  cristiani ,  e  so- 
uovi  descritte  le  insidie  ch'erano 
lor  tese  da  un  filosofo  cinico  no- 
mato Crescente.  i.°  Il  Dialogo  con. 
Trifone,  nel  quale  prova  con  una 
infinità  di  passi  dell'  antico  Testa- 
mento, che  Gesù  Cristo  è  il  Mes- 
sia, e  risponde  alle  obbiezioni  de- 
gli ebrei.  3.°  Un  frammento,  o 
tutt'  al  più  la  seconda  parte  di  un 
trattato  intitolato  :  Della  monar- 
chia, o  dell'  unità  di  Dio.  4-°  Due 
discorsi ,  che  trovatisi  in  principio 
delle  sue  opere,  indirizzati  ai  gen- 
tili :  nel  primo,  intitolalo  Orazione, 
ai  greci,  palesata  l'empietà  e  la 
stravaganza  degl'idolatri,  si  propo- 
ne di  convincerli  della  verità  delle 
ragioni  che  aveanlo  indotto  ad  ab- 


iZo  GIÙ 

bracciare  il  cristianesimo;  nel  se- 
condo, che  porta  il  titolo  di  Esor- 
tazione ai  greci,  trovasi  la  confu- 
tazione degli  errori  dell'  idolatria , 
colle  prove  della  vanità  dei  filosofi 
pagani.  5.°  La  Lettera  a  Diogne- 
te,  dotto  filosofo  gentile,  in  cui  di- 
mostra la  follia  del  paganesimo,  e 
l'imperfezione  della  legge  giudaica  , 
dipinge  le  virtù  praticate  dai  cri- 
stiani ,  e  dà  una  chiara  e  precisa 
spiegazione  della  divinità  di  Gesù 
Cristo.  Sonovi  pure  altre  opere 
col  nome  di  s.  Giustino ,  ma  che 
evidentemente  non  sono  sue.  La 
migliore  edizione  è  quella  di  d. 
Prudente  Marand  della  congrega- 
zione di  s.  Mauro ,  pubblicata  a 
Parigi  nel  i742>  e  ristampa  a  Ve- 
nezia nel    1 747- 

GIUSTINO  ($.).  Nato  in  Auxer- 
re,  fu  allevato  nelle  massime  della 
cristiana  pietà.  Ancor  fanciullo  ac- 
compagnò suo  padre  ad  Amiens , 
il  quale  ivi  recossi  per  riscattare 
suo  figlio  maggiore  che  vi  era  pri- 
gioniero. Ciò  fatto  si  affrettarono 
di  uscire  da  quella  città,  ove  la 
persecuzione  contro  i  cristiani  co- 
minciava ad  essere  molto  violenta. 
Essendo  stati  riconosciuti,  gl'infe- 
deli li  fecero  inseguire  ;  ma  i  sol- 
dati non  li  poterono  raggiungere 
che  nel  borgo  di  Louvres  presso 
Parigi.  Giustino  si  presentò  ad  es- 
si, e  fece  nascondere  suo  padre  e 
suo  fratello.  I  soldati  non  avendo 
potuto  sapere  da  lui  il  luogo  dove 
quelli  eransi  ritirati, gli  mozzaron  la 
testa.  Il  suo  corpo  fu  seppellito  a 
Louvres  ;  ma  la  cattedrale  di  Parigi 
pretende  di  possedere  le  sue  reli- 
quie. Onorasi  il  suo  capo  ad  Auxer- 
re,  fino  dal  quinto  o  sesto  secolo. 
La  sua  festa  è  indicata  nel  martiro- 
logio romano  il  dì  primo  d'agosto, 
come  pure  in   quelli  che  portano  il 


GIÙ 

nome  di  s.  Girolamo  e  di  Reda  ;  ma 
a  Parigi  non  viene  celebrata  che  agli 
8  dello    stesso   mese. 

GIUSTO  (s),  vescovo  di  Lione. 
Si  rese  celebre  per  le  sue  virtù  , 
mentre  come  diacono  era  al  servi- 
gio della  chiesa  di  Vienna  nel  Del- 
fìnato.  Fatto  vescovo  nel  3y4,  as- 
sistette al  concilio  di  Valenza.  Si 
consacrò  all'  istruzione  del  suo  po- 
polo ,  e  fu  modello  di  umiltà,  di 
pazienza ,  di  carità  verso  i  poveri , 
e  geloso  mantenitore  della  discipli- 
na. Con  altri  due  vescovi  delle  Gal- 
lie  si  recò  al  concilio  che  si  tenne 
in  Aquileia  nel  38 1,  in  cui  furono 
trattati  gli  affati  intorno  agli  aria- 
ni. S.  Ambrogio,  che  fu  l'anima 
di  quell'adunanza,  aveva  per  Giusto 
somma  venerazione ,  come  si  può 
vedere  dalle  due  lettere  che  gli 
scrisse  sopra  certe  questioni  relati- 
ve alla  sacra  Scrittura.  Ritornando 
dal  concilio,  s.  Giusto  passò  in  E- 
gitto  con  un  lettore  della  sua  chie- 
sa nomato  Viatore,  e  ritirossi  senza 
farsi  conoscere  in  un  monistcro,  per 
espiare  il  fallo  che  credeva  di  aver 
commesso  consegnando  all'autorità 
civile  un  uomo  eh'  erasi  rifugiato 
nella  cattedrale,  dopo  avere  in  un 
eccesso  di  frenesia  uccise  molte 
persone ,  il  quale  restò  poi  vittima 
del  popolare  furore.  Saputosi  a 
Lione,  dopo  qualche  anno,  il  luo- 
go ove  trovavasi  il  santo  vescovo, 
fu  mandato  a  piegare  che  ritor- 
nasse al  suo  gregge  ;  ma  egli  non 
volle  acconsentirvi,  e  morì  in  quel- 
la solitudine  verso  l' anno  390.  I 
lionesi  fecero  trasportare  nella  loro 
città  il  corpo  di  s.  Giusto,  e  la  sua 
festa  si  celebra  a'  2  di  settembre. 

Avvi  un  altro  s.  Giusto  o  Giu- 
stino, secondo  vescovo  di  Stras- 
burgo, morto  sul  cadere  del  quar- 
to secolo,  il    quale  è  onorato  nel- 


GIÙ 

Io  stesso  giorno,  e  a  cui  alcuni 
scrittori  attribuiscono  un  commen- 
tario sulla  Cantica  ;  ma  esso  mostra 
esser  opera  di  s.  Giusto  vescovo  di 
Urgel ,  che  fioriva  nel  cominciare 
del  sesto  secolo. 

Avvi  pure  un  altro  s.  Giusto  pro- 
tettore di  Trieste,  a  di  cui  onore 
è  dedicala  quella  chiesa  cattedrale. 
Questo  martire  patì  nella  persecu- 
zione di  Diocleziano,  e  fu  marti- 
rizzato a'  2  novembre  sotto  il  pre- 
side Manazio.  Il  Rinaldi  ne' suoi 
Annali  ecclesiastici,  all'anno  3o3, 
num.  ii3,  parla  di  s.  Giusto  pre- 
te e  martire,  che  soffrì  il  marti- 
rio a  Trieste  sotto  l'imperatore 
Diocleziano. 

GIUSTO  (s.),  vescovo  di  Can- 
torbery,  romano  di  nascita.  Era  un 
pio  e  dotto  religioso  del  monistero 
di  s.  Gregorio ,  e  fu  mandato  in 
Inghilterra  nel!'  anuo  60 1  ,  per 
essere  a  parte  delle  fatiche  di  san 
Agostino  apostolo  di  quella  con- 
trada .  Tre  anni  dopo  il  suo  ar- 
rivo fu  consagrato  vescovo  di  Ro- 
chester, e  nel  624  succedette  a  s. 
Mellito  sulla  sede  di  Cantorbery , 
dove  mori  nel  627 ,  dopo  aver 
molto  travagliato  per  sostenere  e 
diffondere  la  fede  di  Gesù  Cristo. 
Egli  è  nominato  nel  martirologio 
romano  e  in  quello  d' Inghilterra 
ai  io  di  novembre,  giorno  della 
su  ci   morte. 

GIUSTO  e  PASTORE  (ss.),  fan- 
ciulli martiri  in  Ispagna.  Erano 
fratelli ,  e  frequentavano  le  scuole 
della  città  di  Aitala  di  Henares,  al- 
lorché furono  pubblicati  nella  piaz- 
za gli  editti  degl'imperatori  Diocle- 
ziano e  Massimiano  Ercole  o  Ercu- 
leo contro  i  cristiani.  Infiammali  da 
celeste  ardore  per  la  gloria  del 
nuu  lirio  ,  si  palesarono  per  cristia- 
ni.  11  governatore  Dacia  no    li    lece 


GIÙ 


a3x 


flagellare,  e  quindi  decapitare  per 
la  loro  costanza  nel  confessare  la 
fede.  Ciò  accadde  nel  3o4 ,  e  il 
martirologio  romano  nota  la  loro 
festa  ai   6  di   agosto. 

GIUSTO,  Cardinale.  Giusto  pre- 
te cardinale  del  titolo  de' ss.  Nereo 
ed  Achilleo,  fiorì  nel  pontificato  di 
s.  Gregorio  1  eletto  nel  590. 

GIUSTO,  Cardinale.  Giusto  da 
Imola  fu  dal  Papa  Gregorio  IV, 
iiell'  anno  827,  creato  prete  cardi- 
nale del  titolo  di  s.   Cecilia. 

GIUTRAMBACHARIA.  Sede  ve- 
scovile della  provincia  Cartaginese 
proconsolare,  nell'Africa  occidenta- 
le, sotto  la  metropoli  di  Cartagine. 
Si  conoscono  due  de'  suoi  vescovi  : 
Vittore  che  intervenne  nel  4*  *  coi 
cattolici  alla  conferenza  di  Cartagi- 
ne ;  e  Benenato ,  il  quale  scrisse 
nell'  anno  646  la  lettera  al  conci- 
lio proconsolare,  mandata  a  Paolo 
patriarca  di  Costantinopoli  contro 
i  monoteliti. 

GIUVENALE  (s.),  vescovo  di 
Narni  nell'  Umbria.  Credesi  che  ab- 
bia occupato  la  sede  vescovile  cir- 
ca sett'  anui,  e  che  sia  morto  verso 
l'atino  377.  S.  Gregorio  Magno  gli 
dà  il  tìtolo  di  martire.  La  sua  fe- 
sta si  celebra  a  Narni  a'  7  di  ago- 
sto; ma  nel  martirologio  romano 
è  nominato  ai  3  di  maggio. 

GlUVEiNTINO  e  MASSIMINO 
(ss.).  Erano  uffiziali  delle  guardie 
dell'imperatore  Giuliano  l'Aposta- 
ta, e  soffersero  il  martirio  per  aver 
parlato  fortemente  contro  le  violen- 
ze che  si  usavano  ai  cristiani.  Do- 
po essere  stati  crudelmente  battuti 
e  tenuti  alcuni  giorni  in  prigione 
per  indurli  a  ritrattarsi,  furono  de- 
capitali ad  Autiochia  ai  25  gen- 
naio del  362.  I  cristiani  involaro- 
no coraggiosameute  i  loro  corpi,  e 
dopo  la  morte  di  Giuliano,  accada- 


o.3i  GLA 

ta  l' anno  seguente ,  eressero  loro 
un  magnifico  sepolcro.  S.  Gio.  Cri- 
sostomo recitò  il  panegirico  di  que- 
sti due  martiri  nel  giorno  della 
loro  festa. 

GLANDEVE.  Città  vescovile  di 
Provenza    nel    regno    di    Francia, 
nelle  Alpi  marittime,  sulla  riva  de- 
stra del  Varo,  assai  antica  e  chia- 
mata con  molti  nomi,    Glandeves , 
Glannaliva,  Glandeva  o   Glanata, 
Glandativa  civitas.  In  oggi  non  è 
più  che  una  città  rovinata,    tanto 
dalle  incursioni  de'  barbari,  quanto 
per  la  caduta  di  qualche  pezzo  di 
mantagna,  o  per  le    escrescenze  del 
Varo,  presso  del  quale  non  si  ve- 
dono ormai  che  pochi  avanzi.  Ven- 
ne fabbricata  nei  contorni  una  pic- 
cola  città   chiamata    a    cagione    di 
sua  situazione  Entrevaux,  Internai- 
les.  Il  suo    dominio  ,    col    titolo  di 
contea  ,   appartenne    all'  illustre  fa- 
miglia dei  signori  di  Glandeve,  una 
delle    principali   case    di    Provenza. 
In  processo  di  tempo    gli    abitanti 
si  riscattarono  pagando  una  grossa 
somma  in  denaro ,    per    dipeudere 
interamente  dalla   Francia. 

Nel  quarto  secolo  ovvero  uell'an- 
no  4J7s  al  dire  di  Commanville, 
fu  eretta  la  sede  vescovile  suffra- 
ganea  della  metropoli  di  Ambrun. 
La  chiesa  cattedrale  dedicata  a  Dio 
in  onore  di  s.  Giusto  suo  patrono, 
avea  il  capitolo  composto  del  pre- 
posto ,  dell'arcidiacono,  del  sagre- 
stano, del  capo-scuola  e  di  cinque 
canonici.  La  diocesi  conteneva  cin- 
quantasei parrocchie,  di  cui  molte 
erano  negli  stati  del  duca  di  Sa- 
voia, e  le  altre  in  Provenza.  Sem- 
bra che  il  primo  suo  vescovo  sia 
stato  Fraterno  fiorito  nel  45' • 
Claudio  ne  occupava  la  sede  nel 
54i,  e  suoi  succesori  furono  Basi- 
lio   nel    549,   Promoto    nel    573, 


GLA 

Agrizio  nel  585.  La  successione  dei 
vescovi  di  Glandeve  manca  fino  al 
991  in  cui  fu  nominato  Wigone  I. 
L' ultimo  vescovo  fu  Enrico  Ha- 
chette  des  Porles ,  fatto  da  Cle- 
mente XIV  nel  1772,  dappoiché 
la  sede  vescovile  fu  soppressa  da 
Pio  VII  pel  concordato  del  1801. 
V.  Monumenta  historiae  patriae 
edita  jussu  regis  Caroli  Alberti , 
tom.  IV. 

GLASGOW,  GLASCOW  o  GLA- 
SCOVIA,   G iascua  o   Glascovium. 
Città  arcivescovile  della  Scozia,  nel- 
la contea  di   Lanàrk.   La  principa- 
le parte  sta   in  una   pianura    sulla 
riva  destra  ed  alquanto    al  di    so- 
pra   dell'imboccatura    del    Clyde; 
il  restante  è  in  una  posizione  ele- 
vata.  Considerabili  sobborghi,    che 
si  estendono  sulla  riva  sinistra  del 
fiume,   comunicano    con    la    città, 
mediante    tre  ponti    di    legno.    La 
lunghezza  e  larghezza    di  Glasgow 
è  determinata    da  due    strade  che 
s'incrociano  ad  angoli  retti.  Questa 
città,  una  delle  più  importanti  del- 
la gran  Bretagna,   e  la    più  consi- 
derabile e  bella  della   Scozia,  di  cui 
fu  chiamata  il  paradiso,  rinchiude 
molti  moderni  edilizi ,   assai    ripu- 
tati per  la  elegante    loro  architet- 
tura, oltre  un  gran  numero  di  al- 
tri   dedicali    alla    pubblica     utilità. 
Tutte  le  strade  sono  ben  lastricate, 
e  le  più  recenti    con    marciapiedi. 
Le  case    in   generale    sono  alte,    e 
molte  di   quelle    che    stanno    verso 
il  centro  della  città  sono    sostenu- 
te da  arcate  che  formano  dei  por- 
tici.  Si   vedono   tre  pubbliche  spa- 
ziose   ed    eleganti    piazze,    cioè    di 
s.  Andrea,  di    s.   Enoch,    e  di  san 
Giorgio,  oltre  a  vari   mercati  degni 
di  attenzione.   La  città    è  illumina- 
ta col  gaz  sino  dal    1817,  e  prov- 
veduta di  acqua  per    una   macchi- 


GLA 

na  a  vapore  che  v'  innalza  quella 
del  Clyde.  Tra  i  suoi  monumenti 
si  distingue  la  chiesa  di  s.  Mun- 
go, ora  cattedrale  del  vescovo  an- 
glicano, la  quale  è  formata  da  due 
chiese  una  sopra  l'altra,  sormon- 
tate da  una  bella  cupola,  bellissi- 
mo edifizio,  e  che  si  può  dire  il 
pezzo  di  architettura  gotica  il  me- 
glio conservato  della  Scozia;  la 
magnifica  chiesa  cattolica  eretta 
nel  i8i5;  quella  di  s.  Giorgio,  la 
cui  torre  è  assai  bella,  e  l'altra 
di  s.  Andrea,  che  si  può  dire  uno 
dei  modelli  dell'ordine  composito 
il  più  perfetto  e  pregiato  della  Sco- 
zia; il  palazzo  pubblico,  la  cui  fac- 
ciata è  ornata  di  un  ordine  di 
colonne  joniche,  e  che  rinchiude 
una  statua  di  Pitt  in  marino  bian- 
co; il  palazzo  dell'università,  una 
parte  del  quale  è  antica,  l'altra 
moderna.  Si  ammira  pure  l'obeli- 
sco alto  di  43  metri,  eretto  sopra 
una  gran  spianata  in  onore  di  Nel- 
son, e  la  statua  del  generale  Moore 
scozzese,  che  morì  a  la  Corogna, 
inseguito  dall'  armata  francese.  11 
palazzo  di  giustizia,  la  prigione  , 
l'ospedale  dei  pazzi,  l'edilizio  della 
posta  delle  lettere,  il  collegio,  l'os- 
servatorio, le  caserme,  ed  i  teatri, 
edifizi  nuovamente  costrutti,  meri- 
tano di  essere  tutti  memorati,  co- 
me i  passeggi  lungo  il  Clyde,  che 
sono  bellissimi.  Si  stabilì  sul  fiu- 
me un  purgo  pubblico,  stabilimen- 
to unico  nel  suo  genere. 

Si  contano  a  Glasgow  circa  cin- 
quantatre edifizi  pel  servigio  religio- 
so, fra'quali  nove  chiese  parrocchiali, 
«piasi  tutte  di  bella  architettura  ;  e 
servono  ai  culti  de'cattolici  romani, 
dei  presbiteriani,  de'  burgheri,  de- 
gli antiburgheri,  dei  uicUkIìsIì,  dei 
glassiti,  ec.  Gli  stabilimenti  di  ca- 
rità   ìouo     numerosissimi     e    bene 


GLA  233 

amministrati;  i  principali  sono,  l'o- 
spedale generale  della  città,  l'in- 
fermeria reale,  l'ospedale  de' pazzi, 
grandioso  e  bello  stabilimento,  con 
giardini  assai  vasti  onde  servire 
di  passeggio  agl'infermi;  l'ospeda- 
le di  liuteheson,  quello  del  com- 
mercio, l'ospizio  della  Maddalena 
per  le  donne  penitenti,  molte  so- 
cietà filantropiche,  ed  associazioni 
per  le  case  di  ricovero,  ec.  Di 
tutti  gli  stabilimenti  destinati  alla 
istruzione  pubblica  ,  il  principale 
si  è  l'università  fondata  nel  i^o 
da  Guglielmo  Turnbull  vescovo  di 
Glasgow,  confermata  dal  Papa  Ni- 
colò V  con  bolla  dei  7  gennaio 
dell'anno  1 4^  1 ,  e  che  ricevet- 
te dei  gran  privilegi  da  Giaco- 
mo II  re  di  Scozia,  e  dai  suoi  suc- 
cessori. Essa  è  celebre  ed  ha  pro- 
fessori di  teologia,  storia  sacra,  lin- 
gue orientali,  filosofia,  logica,  ma- 
tematiche, lingua  greca,  umanità, 
diritto  civile,  astronomia  pratica, 
storia  naturale  ,  medicina ,  anato- 
mia, chirurgia,  ostetricia,  chimica, 
e  botanica;  possiede  una  bibliote- 
ca che  riceve  un  esemplare  di  tut- 
te le  opere  impresse  nella  gran 
Bretagna,  ed  un  bel  museo ,  che 
si  vuole  uno  de' più  ricchi  di  Eu- 
ropa, principalmente  per  munifi- 
cenza del  dottore  Guglielmo  Hun- 
ter  di  Londra:  il  numero  degli 
studenti  è  copiosissimo.  La  istitu- 
zione fondata  nel  1796  dal  pro- 
fessore Anderson ,  e  che  porta  il 
suo  nome,  merita  il  secondo  posto 
fra  gli  stabilimenti  che  più  con- 
tribuirono alla  prosperità  di  Glas- 
gow ;  vi  s'insegnano  matematiche, 
geografia,  fisica,  chimica  applicala 
alle  arti,    meccanica,  medicina,  e 

(àrinana    a    quelli    che  non    enti. ino 

riell'  università,  non  che    alle  don- 
ne.   Vi  sono  inoltre  scuole  di  unii- 


234  GL^ 

nità,  fondate  nel  1788;  tlieciotto 
scuole  gratuite  per  quei  del  paese, 
alle  quali  è  unita  una  pubblica 
biblioteca,  ed  una  quantità  di  al- 
tre scuole.  Questa  città  possiede 
tre  società  accademiche,  per  le 
lettere,  per  le  scienze  naturaci  con 
applicazioni  alle  arti  utili,  lettera- 
ria e  commerciale,  che  si  occupa 
soprattutto  dell'industria.  L'arte 
della  stampa  fu  portata  a  Glasgow 
nel  i63o  da  Giorgio  Anderson,  e 
fu  perfezionata  dai  Foulis  dieci 
anni  dopo;  a  questa  ultima  epoca 
Alessandro  Wilson  professore  di 
astronomia  nella  università,  intro- 
dusse l'arte  di  fondere  i  caratte- 
ri, che  poscia  fu  portata  ad  una 
sì  alta  perfezione.  Vi  sono  molte 
fabbriche  d'industria,  la  quale  vi 
è  attivissima.  Nel  1792  *'  intro- 
dussero le  macchine  a  vapore  nei 
filatoi  di  cotone,  e  nel  1801  furo- 
no esse  anche  applicate  con  suc- 
cesso ai  telai  dei  tessitori  ;  questa 
riuscita  condusse  ad  adattare  il 
vapore  ai  battelli,  e  questa  città 
si  gloria  di  aver  fatto  costruire 
nel  1810  il  primo  di  questi  bat- 
telli che  si  vide  in  Europa.  La 
situazione  di  Glasgow  pel  commer- 
cio è  delle  più  vantaggiose;  col 
mezzo  del  Clyde  questa  città  co- 
munica coli' Atlantico,  mediante  il 
canale  che  congiunge  questo  fiume 
al  Forth,  manda  nel  mare  del 
nord  i  prodotti  di  cui  è  l'elaborato- 
rio  od  il  fondaco.  L'accrescimento 
del  commercio  di  questa  città  die- 
de origine  nel  1783  ad  una  so- 
cietà conosciuta  sotto  il  nome  di 
Camera  di  commercio  e  delle  ma- 
nifatture, che  fu  eretta  in  corpo 
politico.  Glasgow  possiede  inoltre 
una  borsa  ed  Un  banco,  succursa- 
le del  banco  reale  di  Scozia,  mol- 
ti   banchi    particolari  ,     un    banco 


GLA 

di  scoria  o  di  previdenza,  stabilito 
nel  i8i5,  compagnie  di  assicura- 
zioni, e  ricche  case  di  commercio. 
Non  vi  è  città  della  gran  Breta- 
gna in  cui  la  popolazione  siasi 
accresciuta  con  una  più.  osserva- 
bile rapidità,  massime  dopo  l'in- 
troduzione dell'  inoculazione  del 
vaiuolo,  per  cui  rinchiude  più  di 
cento  setlantamila  abitanti.  I  suoi 
dintorni  abbondano  di  miniere  di 
carbone  terroso,  ec.  Produsse  que- 
sta città  molti  uomini  eminenti 
nelle  scienze,  e  fra  questi  Carne- 
ron,  e  Spootiswood. 

Glasgow  è  una  delle  più  anti- 
che città  della  Scozia,  e  la  sua 
origine  o  almeno  il  suo  notabile 
accrescimento  è  generalmente  at- 
tribuito a  s.  Renligerno  detto  s. 
Mungo,  che  vuol  dire  il  bene  ci- 
malo, il  quale  dopo  essere  sluto 
consecrato  vescovo  stabilì  la  sua 
sede  in  Glasgow  verso  l'anno  54o: 
ne  visitò  tutta  la  diocesi  a  piedi, 
converti  un  gran  numero  di  pa- 
gani, combattè  il  pclagiauismo,  e 
mandò  i  suoi  discepoli  a  predi- 
care il  vangelo  al  nord  della  Sco- 
zia; morì  nel  60 r,  fu  sepolto  nel- 
la cattedrale  di  Glasgow ,  di  cui 
egli  è  il  primo  patrono,  e  la  sua 
tomba  fu  sempre  in  somma  vene- 
razione sino  al  fatale  stabilimento 
del  calvinismo  in  Iscozia.  Gli  suc- 
cesse s.  Baldredo  nel  vescovato,  che 
fondò  molli  monisteri  in  Iscozia , 
e  morì  l'anno  608.  Glasgow  nel 
1046  dal  re  Malcoluio  111  fu  rein- 
tegrata della  sede  vescovile ,  e 
siccome  I'  arcivescovo  di  Yorck 
pretese  che  fosse  suffraganea  della 
sua  metropolitana  ,  il  Pontetìce 
Celestino  HI  la  dichiarò  esente, 
con  bolla  del  1192.  Il  W  Gu- 
glielmo detto  il  Leone,  la  eresse 
in  borgo  verso  l'anno    1172,  e   gli 


GLA 

diede  una  carta  che  i  suoi  suc- 
cessori nel  regno  di  Scozia  estese- 
ro in  progresso.  Nel  i47o  il  re 
Giacomo  li  accorciò  al  suo  ve- 
scovo delle  regalie,  ed  il  Papa 
Sisto  IV  nell'anno  i47T>  °  me" 
glio  nel  i484'  l'eresse  in  me- 
tropoli, stabilendo  per  suffragatici 
di  Glasgow  i  vescovi  di  Witcrn, 
di  Lismore,  e  di  Sodor.  Il  re 
Giacomo  VI  nel  161  1  dichiarò 
Glasgow  borgo  reale,  e  gli  diede 
una  carta  estesissima.  Carlo  I  gli 
accordò  maggiori  privilegi  nell'an- 
no i636,  e  Croni well  di  molto 
l'abbellì.  Dopo  la  rivoluzione,  un 
atto  del  1690  gli  diede  il  diritto 
di  scegliere  e  nominare  i  propri 
magistrati.  Nel  1 707,  epoca  in  cui 
si  operò  l'unione  legislativa  della 
Scozia  coli'  Inghilterra ,  la  città  di 
Glasgow,  segnalossi  con  una  vigo- 
rosa resistenza  a  questo  atto  po- 
litico ;  ma  fu  in  fine  obbligala  di 
cedere  alla  forza.  Fu  spesso  il 
teatro  della  guerra  durante  le  vi- 
cende della  Scozia ,  specialmente 
nel  secolo  XVII. 

Al  presente  Glasgow  è  residen- 
za del  coadiutore  del  vicario  apo- 
stolico del  secondo  distretto  occi- 
dentale della  Scozia,  pei  cattolici. 
Questo  distretto,  secondo  il  Ca- 
(holic  Directory,  contiene  oltre  le 
isole  Ebridi,  le  sette  seguenti  con- 
tee: Argyle,  Ayr,  Dumbarton,  In- 
verness ,  Lanark,  Renfrew,  VVig- 
ton.  I  cattolici  del  distretto  sono 
in  numero  di  circa  novantottomi- 
la  ,  dimoranti  in  Glasgow ,  Pais- 
ley  città  di  recente  fondazione,  Ayr, 
Stranraer  ,  Campbeltown  ,  Fort- 
William  ,  Lochaber,  Glengafry , 
Badeaoob,  Inverness.  Strathglass, 
Kinloid,  KuOOÌdart,  Sforar,  Moidart, 
Egg,  Canna,  List,  Barra,  e  nel- 
l'isola   Lismore.     De' quali     cuttoli- 


GLI  a35 

ci  cinquantaduemila  sono  in  Glas- 
gow. Monsignor  Andrea  Scott  , 
già  benemerito  e  zelante  mis- 
sionario in  questa  città,  vescovo 
Eietriano  in  parlibus,  è  l'attuale 
vicario  apostolico  residente  in  Gree- 
nock.  Nel  1827,  a'g  febbraio,  era 
stato  da  Leone  XII  eletto  coadiu- 
tore monsignor  Mac-Donald,  a  cui 
succedette  a'  4  8'uono  del  1 833, 
per  volere  del  regnante  Papa  Gre- 
gorio XVI,  monsignor  Giovanni 
Murdoch,  già  encomiato  missiona- 
rio in  Glasglow,  e  lo  fece  vescovo 
di  Castabala  in  parlibus.  In  que- 
sto distretto  occidentale  era  situa- 
to il  seminario  o  collegio  Lismo- 
rense,  che  prendeva  la  denomi- 
nazione dall'  isola  di  tal  nome. 
Secondo  il  Directory  i  sacerdoti 
di  questo  distretto  sono  trenta.  Il 
dero  del  distretto  ed  il  vicario  a- 
postolico  provvedono  alla  loro  sus- 
sistenza colle  pie  obblazioni  de'fe- 
deli,  ed  al  vicario  apostolico  la 
congregazione  di  propaganda  fide 
passa  l' annuo  assegno  di  scudi 
duecento,  altrettanto  somministran- 
do al  coadiutore.  Altre  notizie  le 
riporteremo  all'articolo  Scozia,  par- 
lando desuoi  vicariati  apostolici. 

GLICAS  Michele,  storico  greco 
di  Bisanzio,  fiorito  nel  secolo  XII 
o  XIII.  Passò  la  maggior  parte 
della  sua  vita  in  Sicilia.  Ignora- 
si quale  fosse  il  suo  stato;  ma  fu 
sempre  considerato  come  uno  dei 
più  grandi  luminari  del  suo  tem- 
po, e  scorgesi  da  una  delle  sue 
lettere  che  era  grammatico,  e  ver- 
sato nella  teologia,  nella  storia  ec- 
clesiastica e  civile,  ed  in  altre 
scienze.  Ci  restano  di  lui  gli  An- 
nali dalla  creazione  del  mondo 
fino  alla  morte  di  Alessio  Conine- 
nn,  che  avvenne  nel  1118;  sono 
divisi   in   quattro     parti:   la    pumi 


a36  GLO  GLO 

tratta  dei  sei  giorni  della  crea-  maggiore  per  distinguerlo  dal  Glo- 
zione,  la  seconda  di  ciò  che  ac-  ria  Patri  (Fedi),  dai  medesimi  gre- 
cadde  dal  principio  del  mondo  fi-  ci  detto  Doxologia  minore  :  il  ter- 
no a  Gesù  Cristo  ;  la  terza  ter-  mine  di  Doxologia  viene  formato 
mina  con  Costantino  il  Grande  ;  da  due  vocaboli,  Doxan  che  signi- 
la  quarta  contiene  ciò  che  succe-  fica  gloria,  e  logos  che  vuol  dire 
dette  da  questo  imperatore  fino  parlare  j  quindi  Doxologia  si  può 
ad  Alessio  Comneno .  Giovanni  prendere  per  un  inno,  in  cui  con 
Leunclavio  tradusse  questi  annali  parole  si  esprime  la  gloria  di  Dio. 
in  latino,  e  v'aggiunse  una  quin-  Dei  versi  aggiuntivi  viene  dato  To- 
ta parte,  che  va  fino  alla  presa  noie  a  diversi.  Alcuni  attribuiscono 
di  Costantinopoli  ;  e  il  p.  Labbé  le  parole  aggiunte  al  Gloria  in 
Ji  fece  stampare  a  Parigi  in  greco  excelsis  ,  ec,  a  s.  Telesforo  gre- 
ed  in  latino,  con  note,  nel    1660.  co,  eletto    Papa    l'anno    1^1;    al- 

GLI CERIO  (s.),  vescovo  di  Con-  tri  presso  il  Torres,  Instit.  sacerd. 
serans.  Spagnuolo  di  nascita,  e  for-  p.  94,  n.  64,  agli  Apostoli;  altri 
se  della  città  di  Lerida,  passò  i  con  Alcuino ,  lib.  De  dw.  off.  e. 
Pirenei,  e  si  pose  sotto  la  guida  4°  5  Remigio  lib.  I,  De  celeb.  rniss.j 
del  b.  Fausto  vescovo  di  Tarba,  Onorio  Augustodun.,  lib.  I ,  De 
morto  il  quale  si  ritirò  presso  Gemm.  animae,  cap.  87  ;  ed  il 
Quinziano  che  governava  la  chie-  Mauri  ni,  in  Praef.  gener.  ad  s.  Hi- 
sa  di  Rodez,  e  che  ordinollo  pre-  larium ,  cap.  3,  n.  ai,  ne  fanno 
te.  Innalzato  poscia  alla  sede  ve-  autore  s.  Ilario  vescovo  di  Poi- 
scovile  di  Conserans  ,  segnalossi  tiers;  ed  altri  i  dottori  ecclesiastici 
colla  sua  vigilanza,  col  suo  zelo  senza  nominarli ,  come  si  esprime 
e  colla  sua  carità.  Fu  uno  dei  pa-  il  concilio  Toletano  IV,  can.  12, 
dri  del  celebre  concilio  di  Agde,  il  Lambertini,  Del  sacrifizio  della 
che  si  tenne  nel  5o6,  in  cui  si  messa  tom.  II,  par.  4,  sez-  I>  "• 
fecero  delle  savie  regole  per  ri-  99 ,  e  prima  di  lui  il  Bona ,  Ri- 
stabilire la  disciplina  che  si  era  turg.  lib.  2,  cap.  4,  §  4-  Che  s. 
rilassata  per  la  mescolanza  degli  Telesforo  abbia  comandato  che  que- 
eretici.  Morì  verso  V  anno  548,  st'inno  si  dicesse  nella  messa,  lo  af- 
dopo  quarantaquattr'  anni  di  epi-  fermano  i  Pontefici  s.  Damaso  I,  ed 
scopato.  La  sua  festa  si  celebra  Innocenzo  III,  il  Rabano  ed  altri, 
a  Conserans  a' 27  d'agosto,  ed  è  Si  vuole  che  s.  Bonifacio  I  Papa  del 
di  rito  doppio    di  prima    classe.  4^  ordinasse  di  cantarsi  quest'in- 

GLOR.IA  IN  EXCELSIS  DEO.  no  nel  giovedì  santo,  e  che  dicendosi 
Inno  angelico  perchè  lo  cantarono  nella  prima  messa  di  Natale,  il  no- 
gli  angeli  nella  nascita  di  Gesù  Cri-  minato  s.  Telesforo  vi  aggiunse  le 
sto  in  Betlemme,  cioè  cantarono  altre  parole,  prescrivendo  che  si 
queste  prime  parole  soltanto:  Glo-  recitasse  solo  in  quella  messa,  co- 
ri* in  excelsis  Deo ,  et  in  terra  me  all'erma  il  citato  Bona.  Tale 
pax  hominìbus  bonae  voluntalis  3  disposizione  di  s.  Bonifacio  I ,  si 
come  narra  s.  Luca.  Viene  detto  vuole  derivata  in  segno  dell'  alle- 
dai  padri  greci  Doxologia ,  ossia  grezza  che  si  doveva  avere  nella 
parole  di  gloria  ,  ovvero  glorifica-  riconciliazione  de'  pubblici  peniteu- 
zione.  Fu  anche   dello    Doxologia  ti,  che  celebravasi  in   quel  giorno, 


GLO 

come  osserva  il  Durando    Iib.  VI, 
cap.   75.  Il    Pontefice    s.    Simmaco 
del  498  ordinò  che  l' inno  si  can- 
tasse solamente  nei    giorni    di    do- 
menica, e  nelle  feste  dei  santi  mar- 
tiri, che  correvano  allora  per  le  più 
solenni  di  tutte,  come  si  ha  da  Al- 
cuino  suddetto.  Forse  allora  si  di- 
cevano soltanto  le  parole  angeliche, 
e  s.  Simmaco  ordinò  che  si  dicesse 
il  rimanente  di  tutto    l'inno.  Dice 
il  Novaes  che    se   il   decreto  di    s. 
Simmaco    si    estendeva    a    tutti    i 
preti,  s.  Gregorio  I  del  590  lo  re- 
strinse a'  soli  vescovi ,  lasciando   ai 
preti  il  poterlo  dire  e   cantare  so- 
lamente nella  Pasqua,  come  si  leg- 
ge nel  suo  Sagr cimentano.  Dipoi  il 
Papa  s.   Zaccaria  con  privilegio  per- 
mise di  cantarlo  all'  abbate  di  Mon- 
te Cassino,  dicendosi  nel  Bull.  Cas- 
sili,  tom.  II,  const.  7,  n.  6  :  Hy ni- 
nnili quoque  Angelicum    in    donii- 
nicis  et   festivis    clieìnis   conceclimus 
in    missarum    solemniis    dccantan- 
clum.  Stefano  III  detto    IV  ordinò 
che  ogni   domenica  si  cantasse  que- 
st'  inno  dai  sette    cardinali   vescovi 
suburbicari,  nell'  altare  papale  della 
basilica    lateranense,    come    riporta 
il   Bona,  Rer.  litur.  Iib.   1,  cap.  4> 
§  5.  Quindi  s.  Leone  IX  determinò 
che  l'inno  si  cantasse  in  tutte  le  mes- 
se fuorché   nell'avvenlo,  nella  festa 
dei  ss.  Innocenti,  nelle  ferie,  nelle 
vigilie ,    e  dalla  settuagesima     (ino 
alla  Pasqua.  II  Macri  nella  Notizia 
de\'Oc.  eccl.  dice  che  si  tralascia  l'in- 
no in  segno  di  mestizia,  ma  che  il 
■vescovo  di  Betlemme  abusivamente 
lo  cantava  ogni  giorno  ed  in  ogni 
messa,  anche   in   quelle  de'  defunti, 
in  memoria  di  essere  stato  Betlem- 
me quel  luogo   in   cui   1'  inno   ven- 
ne per  la  prima   volta  cantato  da- 
gli angeli. 

Si  dice  dunque  I  inno  Gloria  in 


GLO  237 

excelsis  Deo  ogni     volta    che     nel 
mattutino   si   abbia   detto  l' inno  Te 
Deuin,  fuorché    nella    messa    della 
feria  quinta  in    Coena    Domini,    e 
del   sabbato  santo,  nei   quali   giorni 
si     dice,,     quantunque     nell'  uffizio 
non  si  abbia    detto    il    Te    Deum. 
Avvertono  però   i    liturgici    che   si 
deve  osservare  per    dire    l' inno    la 
regola  che  la  messa  corrisponda  al- 
l'uffizio ,    in    cui    siasi  detto  il   Te 
Deum  j  altrimenti  se   si    dicesse  la 
messa  conventuale  di    quel  giorno, 
come  per  esempio  della  vigilia  del- 
l' Assunzione,  nella  quale  la  messa 
corrispondente    al    giorno    è    della 
vigilia,  e  non  del  giorno   fra  l'ot- 
tava   di    s.    Lorenzo,  quantunque 
corrisponderebbe    all'  ufìizio  ,     pure 
non  si  dirà  il    Gloria ,    perchè    in 
tal  caso  la  detta  messa  sarebbe  vo- 
tiva.  Da  ciò  si   rileva,    che    l'inno 
angelico  non   dicesi  nelle  messe  del- 
le  vigilie,   che  occorrono  fra  un  ot- 
tava, quantunque    nell'  uffizio    siasi 
detto  il   Te   Deum,  perchè  esse  non 
concordano  coli'  uffizio.  Inoltre  l'in- 
no  Gloria  non  si  dice  nelle  messe 
votive,  neppure  nel   tempo  pasqua- 
le ,  né  fra  le    ottave,    se    non  che 
nella  messa  di  santa  Maria    in  Sa- 
bato, ossia  che  si   dice  nel    giorno 
di  sabbato  (prima    della    bolla    ili 
s.    Pio    V    dicendosi    dai    sacerdoti 
quest'inno  nelle  messe  di  s.  Maria, 
si  diceva    in    questo    modo  :     Quo- 
niam    tu     solut     sanctus    Mariani 
sanctificans,  tu  solus  Dominus  Ma- 
riani gubernan<!,  tu  solus  AUissinuu 
Mariani  coronans ,  e  si    ■ggiuoge- 
vano  altre  parole  ancora,  che  imi 
sono  più  in  uso),  e  degli   Angeli, 
ed  anche   nella   messa  votiva  solen- 
ne   che     si    deve     cantare    prò    re 
gravi,  o  per  una    pubblica  causa; 
purché   non    si   ilici    ni''- 1    coi    p  1 
rati   paonazzi,   e   finalmente    non  m 


238  GLO 

dice  nelle  messe  de' defunti.  Detto 
poi  nella  messa  il  Kyrie  eleison 
(Vedi),  il  sacerdote  nel  mezzo  del- 
l'aliare,  stendendo  le  mani,  e  in- 
nalzandole fino  agli  omeri ,  colla 
stessa  voce  dice  Gloria  in  excel- 
sis  ec,  quando  dice  Deo  congiun- 
ge le  mani ,  e  china  il  capo  alla 
croce;  quando  dice  Adoramus  tej 
Gratias  agimus  tibi  ;  Jesu  Chri- 
ste  j  Suscipe  deprecationem  no- 
strani  j  e  di  nuovo  Jesu  Christe, 
sempre  china  il  capo  alla  croce. 
Quando  poi  dice  nel  fine  Cam  San- 
ato Spirilu ,  si  segna  dalla  fronte 
al  petto,  dicendo  frattanto,  In  glo- 
ria Dei  Patris.  Amen.  V.  Missal. 
Barn.  par.  I ,  tit.  8,  n.  3  e  4>  e 
par.  Il,  tit.  4>  n-  3  ,  oltre  1'  arti- 
colo Messa. 

Il  citato  Macri  avverte  che  nel 
santuario  di  Loreto  per  privilegio 
particolare  dicesi  il  Gloria  in  tut- 
te le  messe  votive  della  B.  Vergine 
in  qualunque  giorno,  come  appare 
nel  sinodo  celebrato  dal  cardinal 
Giulio  Roma  vescovo  di  Loreto  e 
Recanati,  tit.  II,  nura.  4-  Si  lascia 
il  Gloria  in  segno  di  mestizia  nel- 
le domeniche  dell'  avvento  ( sulla 
terza  è  a  vedersi  il  voi.  IX ,  p. 
99  del  Dizionario  ) ,  dalla  settua- 
gesima  sino  a  Pasqua  (  pel  Gloria 
che  si  canta  nel  sabbato  santo  è 
a  vedersi  il  detto  voi.  a  p.  7,  ol- 
tre il  precedente  a  p.  291;  ed  il 
voi.  VII,  p.  110  e  111),  e  nella 
festa  de'  ss.  Innocenti ,  cessando  in 
allora  anche  1'  Allcluja  3  ed  il  Te 
Deum.  Cercano  alcuni  per  quale 
ragione  nel  di  degli  Innocenti  dia 
la  Chiesa  contrassegno  di  tristezza 
anche  col  colore  paonazzo  nei  pa- 
ramenti ;  ed  il  Micrologo  e  1'  Al- 
cuino  pretendono  che  lo  faccia  per 
dinotare,  ch'erano  eglino  dopo  il 
martirio    destinati    al    limbo  ;    ma 


GLO 

questa  ragione  non  persuade,  al  dire 
del  medesimo  Macri,  mentre  anche 
s.  Giovanni  Battista  era  destinato 
nello  stesso  luogo  dopo  la  decolla- 
zione ;  eppure  nel  giorno  in  cui  si 
celebra  la  sua  morte  si  dice  il  Glo- 
ria. Migliore  però  si  è  la  risposta 
del  Burcardo ,  il  quale  scrive  che 
le  riportate  dimostrazioni  di  mesti- 
zia dinotano  piuttosto  il  pianto  di 
Rachele,  figura  della  Chiesa.  Que- 
sta ragioue  fu  approvata  dall'  A- 
malario,  il  quale  nel  lib.  I,  cap. 
4i,  De  Eccles.  off. ,  aggiunge  che 
la  Chiesa  compatisce  le  addolorate 
madri  :  Causa  earum  tristitiae  omit- 
ti/nus  Gloria  in  excehis  Deo ,  et 
Allcluja.  Anzi  nel  cerimoniale  mss. 
di  Benedetto ,  che  nel  1 1 4o  era 
canonico  della  basilica  vaticana,  si 
legge  come  in  tal  giorno  non  si 
mangiava  carne  in  Roma  in  segno 
di  dolore.  Perchè  la  domenica  è 
dedicata  alla  risurrezione  di  Gesù 
Cristo  si  tralasciano  i  sopraddetti 
segni  di  mestizia,  come  anche  nel- 
l' ottava  per  essere  simbolo  della 
beatitudine,  la  quale  adesso  godono 
que'  santi  Inuocenti.  Il  Sarnelli  nel- 
le Lett.  eccl.,  lett.  VIII,  toin.  IV, 
n.  2,  opina  che  gli  apostoli  abbiauo 
aggiunto  il  resto  delle  parole  all'inno 
angelico,  secondo  s.  Clemente  I,  lib. 
7,  Constit.  cap.  48  ;  ed  osserva  che 
coloro  che  attribuirono  la  recita  del- 
l' inno  nella  messa  a  s.  Ilario  Pa- 
pa, deve  intendersi  di  averlo  tra- 
dotto in  latino,  come  notò  il  Bo- 
vio ad  Apost.  const.  Clan.  cap.  4/i 
lib.  7.  E  come  inno  dell'allegrezza, 
e  corrispondente  al  Te  Deum,  dice 
che  i  ss.  Processo  e  Martiniano  nei 
tormenti  ringraziavano  Dio,  dicen- 
do :  Gloria  in  excelsis  Deo;  indi 
furono  martirizzati  l' anno  69.  S. 
Omobono  mercante  di  Cremona,  ai 
i3   novembre    1  197,  dopo  di  avere 


GLO 
passata  la  nolte  di  Natale  nella 
chiesa,  si  ferme)  ad  assistere  alla 
messa,  ed  essendosi  prostrato  colle 
inaui  stese  in  croce  al  Gloria  in 
(Xcelsis  Deo ,  senza  levarsi  all' e- 
vangelo,  credettero  che  si  fosse  ad- 
dormentato, ma  fu  trovato  morto. 
In  detta  notte  si  soleva  cantare 
quest'  inno  anche  in  greco,  come  si 
può  vedere  nel  Giorgi,  De  liturgia 
Roman.  Pont'f.  tom.  II,  cap.  i3, 
p.  83.  V.  Herardi  Reusckii,  Hym- 
ìium  angclicum  novi  Foederis  ex 
hisloria  rituuni  sacrorum  illustra- 
timi, Helmest.  1739.  Binghamum  , 
De  Ilymno  Gloria  in  excelsis  Deo, 
tum.  VI,  p.  365.  Sarnelli  citato: 
Perchè  si  deve  ringraziar  Dio  del- 
la sua  gloria  ,  con  quelle  parole 
dell'  inno  angelico,  Gralias  agitnus 
tibi  propler  magnani  gloriam  titani, 
toni.  IX,  p.  126.  Dell'uso  di  can- 
tare l' inno  angelico,  a  cui  fu  so- 
stituito l'altro  detto  ambrosiano 
nel  secolo  IX,  trattano  il  Mayer, 
De  cxplic.  caerem.  eecl.  p.  11,  ed 
il  Zaccaria  in  D'ibi.  Rit.  tom.  Il  , 
p.  II,  ove  alla  p.  LXV  scri\e: 
Solebat  praeterea,  inaiai  May  crii* } 
Gregorio  Turo/unse  teste  1.  I  de 
gloria  martyrum  e.  63,  prò  gra- 
liarum  aclione  cantari  in  eventibus 
speciali  Deo  benefìcio  ordinai  is,  o\e 
parla  del  Gloria  in  excelsis  Deo, 
ed  in  prova  reca  vari  esempi  del 
secolo  Vili,  che  confermano  que- 
sto uso  in  simili  circostanze.  Narra 
Anastasio  Bibliotecario,  che  quando 
s.  Leone  III  si  portò  incontro  al 
re  Pipino,  nell'appressarsi  al  mede- 
simo  intuonò   l'inno  angelico. 

GLORIA,  LALS  ET  IIONOR. 
Inno  che  si  canta  nella  domenica 
delle  Palme,  come  dicemmo  al  voi. 
Vili,  p.  281  del  Dizionario,  ove 
facemmo  parola,  come  altrove,  di 
chi  lo    compose  e  in    quale    circo- 


GLO  239 

stanza.  V.  il  Sarnelli  tom.  1\, 
lett.  XVI:  Dell'  Inno  Gloria,  lau*  et 
honor,  che  si  canta  nella  domenica 
delle  Palme. 

GLORIA  PATRI.  Inno  di  lo- 
de chiamato  Doxologia  minore, 
per  distinguerlo  dall'  inno  angelico 
Gloria  in  excelsis  Deo  (Vedi), 
detto  Doxologia  maggiore.  L'  in- 
no Gloria  Patri  ec.  fu  stabilito 
nella  Chiesa  per  apostolica  tradi- 
zione, secondo  l'  insegnamento  di 
s.  Basilio,  presso  l' annalista  Baro- 
nio  all'anno  325,  mini.  173,  17^, 
e  dal  concilio  Xiceno  furono  ag- 
giunte le  paiole  :  Sicut  erat  m 
principio,  et  mine,  et  semper  ec. 
per  confutare  1'  errore  degli  a- 
riani,  i  quali  sostenevano  che  il 
Figliuolo  di  Dio  fosse  comin- 
ciato nel  tempo  ,  non  fosse  stato 
ab  aeterno  ;  dappoiché  siccome 
costoro  corruppero  la  forma  del 
battesimo,  così  adulterarono  anche 
quest'  inno  dicendo  :  Gloria  Patii 
per  Filium  in  Spirila  Saiuto. 
Quindi  soggiunge  il  medesimo  Ba- 
ronio,  che  il  concilio  Niceno  or- 
dinasse l'inno  nel  fine  d'ogni  sal- 
mo, ma  il  Macri  nella  Not.  dei 
voc.  eccl.  dice  che  ciò  non  è  e- 
satto,  giacché  diverse  furono  le 
consuetudini  delle  chiese  ,  il  che 
non  sarebbe  avvenuto  se  tal  con- 
cilio generale  avesse  a  tutti  pre- 
scritto una  regola  uniforme.  Per 
questa  ed  altre  ragioni  sembra  do- 
versi considerare  apocrifa  ,  come 
la  pensano  i  moderni  critici,  col 
Bona,  De  dnin.  psalmod.  cap.  1  (>, 
duo.  6,  la  lettera  che  si  erede 
scritta  da  s.  Girolamo  al  Papa  s. 
Damaso   I    del    367,   nella   quale  e- 

aorta    il   Pontefice    ad    introdurre 

l'uso  di  cantare  l'inno  Gloria  Pa- 
ri nel  line  dei  salmi  ,  come  nel- 
l'orientc  si  cosltunnTa,    Il  Cassiano, 


24o  GLO 

De  noci.  orai.  mod.  lib.  2,  cap.  8, 
dice  di  aver  trovato  tale  uso  ia 
occidente,  dicendosi  in  oriente  so- 
lamente nel  fine  dell'  antifona  ;  il 
quale  uso  preso  dall'  oriente  intro- 
dusse s.  Ambrogio  nella  sua  chie- 
sa di  Milano,  come  afferma  s.  A- 
gostino,  Confess.  lib.  9,  cap.  7. 
Conchiude  il  Macri,  che  il  dirsi 
dopo  ciascun  salmo  il  Gloria  Patri 
fu  proprio  della  chiesa  occidentale, 
introdotto  da  s.  Damaso  I  nel 
368,  ma  non  già  a  similitudine 
dell'  orientale,  dove  si  cantava  do- 
po le  antifone,  o  nel  fine  degli 
inni,  secondo  che  si  costuma  an- 
cora nella  chiesa  greca,  ciò  che 
dichiara  pure  il  Rinaldi  all'  anno 
382,  num.  20.  Il  Novaes  nella 
di  lui  vita  conviene  che  l' inno 
sia  stato  in  uso  ancor  nella  pri- 
mitiva Chiesa ,  avervi  il  concilio 
Niceno  per  opporsi  agli  ariani 
aggiunto  il  Sicut  erat  ec.  ;  ma 
che  il  dirlo  nel  fine  de'salmi  non 
fu  stabilmente  comandato  dalla 
Chiesa  sì  presto,  come  alcuni  si 
fanno  a  credere  ;  forse  non  fu 
ordinato  prima  del  concilio  di 
Yaison  in  Francia,  celebrato  nel- 
l'anno 529,  nel  quale  se  ne  tro- 
■va  per  la  prima  volta  il  decreto: 
altrettanto  scrisse  il  Rinaldi  all'an- 
no 325,  num.  173.  Su  questo 
inno  può  vedersi  la  XXXI  tra  le 
Esercitazioni  del  ex  gesuita  por- 
toghese Azevedo ,  De  divino  offi- 
cio ,  dove  questo  punto  è  molto 
bene  trattato,  come  pure  da  d.  Pel- 
legrino Roni,  nella  sua  Disserta- 
zione sull'inno  Gloria  Patri  et  Fi- 
Ho  et  Spiritai  Sancto,  che  è  la 
VI  nella  Raccolta  di  dissert.  di 
storia  eccles.  del  Zaccaria,  tomo 
XI,  pag.  197.  Teodoreto  nel  cap. 
4,  lib.  2  ,  dice  che  dopo  la  metà 
del  quinto  secolo    Flaviano  d'  An- 


GLO 

tiochia  .  e  Diodoro ,  zelanti  laici 
cattolici ,  introdussero  la  pia  u- 
sanza  di  cantare  i  salmi  a  due 
cori,  e  finirli  colla  dossologia  Glo- 
ria al  Padre,  al  Figliuolo,  ed  al- 
lo Spirito  Santo ,  usanza  che  si 
sparse  in  appresso  in  tutte  le  chie- 
se d'oriente  e  di  occidente.  Certo 
è  che  la  salmodia  a  due  cori 
ha  una  origine  più  antica  ;  come 
è  certo  antichissimo  l' uso  nella 
Chiesa  di  cantare  tale  inno  alla 
fine  del  giorno  ,  massime  dopo 
1'  eresia  degli  ariani.  Il  Rinaldi 
all'anno  60  dice  che  il  Gloria  Pa- 
tri si  soleva  cantare  ancora  dagli 
uomini  privatamente.  Dipoi  san 
Gregorio  I  introdusse  nel  principio 
delle  ore  canoniche  il  versetto 
Deus  in  adjutorium,  col  Gloria 
Patri. 

INon  fu  senza  mistero  l'avere  ag- 
giunto questo  inno  ai  salmi,  per- 
chè essendo  questi  simboli  di  feli- 
cità e  di  miserie,  di  fortune  e  disgra- 
zie, di  godimenti  e  di  pene,  di 
povertà  e  ricchezze,  di  lodi  e  di 
biasimi,  di  persecuzioni  e  d'ogni 
stato  della  vita  umana,  si  volle  in- 
sinuare a  ripeterlo  in  tutti  i  mon- 
dani accidenti.  Parlando  s.  Agosti- 
no neW'epist.  77  di  questo  inno, 
dice  che  non  ha  che  bramare  di 
più.  giocondo  il  cuore,  non  ha  che 
spiegare  di  maggior  gioia  la  lin- 
gua, non  ha  che  trascrivere  di  più 
amabile  la  penna,  non  ha  che  pen- 
sare di  più  salubre  la  mente,  di 
questo  glorioso  tributo  che  deve  por- 
gersi a  Dio.  Di  quanta  forza  sia 
l'inno  Gloria  Patri  si  può  vedere 
da  quanto  racconta  il  Macri,  il  qua- 
le dice  che  nel  concilio  di  Lione, 
celebrato  nel  io55,  sotto  il  Pa- 
pa Vittore  II,  fu  prodigiosamente 
convinto  di  simonia  un  vescovo, 
al  quale  avea  comandato  Udebran- 


GLO 
do  cardinal  legato  in  Francia,  e 
poi  Pontefice  col  nome  di  s.  Gre- 
gorio VII,  che  pronunziasse  il 
Gloria  Patri,  non  trovandosi  con- 
tro di  lui  testimoni  ,  per  aver 
corrotto  con  denaro  gli  stessi 
accusatori.  Il  vescovo  simoniaco 
prontamente  nominò  le  persone 
del  Padre  e  del  Figliuolo,  ma  ar- 
ri vìi to  alle  parole  Spiritili  Sancto, 
cominciò  a  balbettare,  e  poi  gli  si 
annodò  interamente  la  lingua.  Que- 
sto prodigio  portò  tanto  terrore 
ai  simoniaci,  che  ventisette  vesco- 
vi, e  quarantacinque  persone  del 
clero,  contriti  confessarono  il  lo- 
ro peccato  di  simonia,  con  rinun- 
ziare liberamente  le  prelature  e  i 
benefizi  ecclesiastici.  Quando  que- 
sto inno  si  recita  in  coro,  debbo- 
no scuoprire  il  capo  ed  inchinar- 
lo tutti  quelli  che  ivi  sono,  e  non 
levarsi  in  piedi,  come  prescrive 
il  cerimoniale  de' vescovi,  lib.  II,  e. 
i  ;  cosa  che  pure  deve  farsi  per 
un  uso  lodevole ,  ogni  qual  volta 
salmeggiando  si  proferiscono  le  pa- 
role: Sit  nomea  Domini  benedi- 
ctum  ;  Sanctum  et  terribile  ;  Bene- 
diclus  nome/i  majestalis  ;  Benedi' 
clus  Dominus  auotidie;  Benedica- 
miti  Patrem  et  Filami  cu/n  San- 
no Spirine  ec. ,  secondo  il  Ga- 
satilo, sect.  io,  cap.  2,  num.  e). 
11  vSarnelli  nelle  Lelt.  eccles.  tomo 
IX,  p.  6,  nana  che  un  ecclesia- 
stico fu  punito  col  purgatorio,  per 
non  aver  chinato  il  capo  al  Glo- 
ria  Patri. 

Fu  sempre  nella  Chiesa  quel 
lodevole  uso  che  il  predicatore 
conchiudesse  il  sermone  in  ren- 
dimento di  grazie  invocando  la 
ss.  Trinità  (Fedi)  con  questa  o 
simili  glorificazioni,  come  osserva 
il  Rinaldi  all'anno  3y  i ,  num.  71 
e  72.  Si    tralascia    poi    il    Gloria 

VOL.     XXXI. 


GLO  2  ir 

Patri  per  decreto  del  concilio  To- 
letano  IV,  in  segno  di  tristezza 
ne'  responsori  della  settimana  di 
Passione ,  come  pure  nelF  introito 
della  messa,  e  nel  salmo  Lavabo; 
ma  negli  altri  salmi  non  si  omet- 
te, che  nel  triduo  della  settimana 
santa.  I  salmi  vogliono  dire  ope- 
razioni ,  e  perciò  non  desiste  la 
Chiesa  dal  recitare  l'inno  in  discor- 
so sulla  fine  di  essi  se  non  che  in 
quei  soli  tre  giorni,  per  dimostrare 
che  nella  settimana  di  Passione  mac- 
chinavano i  giudei  contro  il  Re- 
dentore  colle  sole  parole  e  consi- 
gli ;  ma  nel  triduo  della  settima- 
na santa,  conculcando  la  sua  di- 
vina persona,  lo  malignarono  colle 
opere ,  come  si  può  vedere  nel 
Durando  lib.  VI,  cap.  6.  Il  mede- 
simo concilio  di  Toledo,  col  cap. 
12  ordinò  a  tutti  gli  ecclesiastici 
delle  Spagne,  che  nel  fine  di  tut- 
ti i  salmi,  sotto  pena  di  essere 
privati  della  comunione,  proferi- 
scano le  seguenti  parole:  Gloria 
et  ìwnor  Patri  et  Filio  et  Spiri- 
titi Sancto  in  saecida  saeculonim. 
Amen;  le  quali  parole,  come  at- 
testa lo  stesso  concilio,  sono  cava- 
te dall'  Apocalisse.  L'  inno  Gloria 
Patri,  si  dice  frequentemente  nel- 
l' uffizio  alla  fine  de'  salmi,  e  nei 
responsori  ;  alle  volte  poi  si  dice 
e  alle  volte  no,  secondo  la  va- 
rietà de'tempi,  che  si  possono  ve- 
dere nel  Dict.  liturgie,  del  Colti, 
par.  II,  ti t.  Gloria  Patri  .  Vedi 
Adam  Rechembergius,  De  Doxo- 
logia  veterani  chrislianorum ,  Li- 
psiae  i684-  Elia  d'Amato,  se  dal 
concilio  INiceno  o  più  innanzi  ap- 
parasse la  Chiesa  il  cantar  do- 
po i  salmi  il  Gloria  Patri?  nelle 
sue  Lettere  erudite,  Genua  1 7  1 5, 
p.  29J,  par.  2.  Job.  Barth.  Bernol- 
dus ,  De  Doxologia  ecclesiastica 
1G 


»fc  GLO 

Gloria  Patri,  Altor.  1727.  Joh. 
Uenr.  a  Sedlen,  Misceli,  t.  I,  p. 
?44.  Georgius,  De,  Ut.  Rovi.  Pon- 
ti/, lib.  II,  e.  6  e  17.  Grancolas, 
in  Breviario  lib.  I;  Scorlia  lib.  Ili, 
e.  9;  Barbosa  ;  ed  Antonio  Fouse- 
ca ,  De.  basilic.  s.  Laureata  in 
Damaso    lib.     I,  e.   34- 

GLOSA,  Glossa,  Commentarius, 
Voce  greca  con  la  quale  viene  dila- 
niata l' interpretazione  del  testo  , 
perchè  come  lingua  dichiara  le  co- 
se oscure.  Una  glosa  è  un  com- 
mentario fatto  per  spiegare  il  te- 
sto di  un  libro.  Dice  il  Macri  che 
la  Glosa  ordinaria  è  stata  compo- 
sta da  Strabone,  e  l'interlineare 
da  Anselmo  Lugdunense  cognomi- 
nato Scolastico,  che  vuol  dire  dot- 
tore. La  Glosa  della  Bibbia,  che 
pur  chiamasi  glosa  ordinaria,  fu 
composta  da  Nicolò  Lira  in  sei  vo- 
lumi. Le  Glose  del  diritto  civile  e 
canonico  sono  i  commentari  che 
spiegano  l' uno  e  l' altro  diritto. 
Glosa  dicesi  anche  Chiosa,  in  hi  ti- 
no explanatìo,  exposilio,  declam- 
ilo, dosare,  far  glosa,  explanare, 
declarare.  Dicesi  glosatore  o  glos- 
semaiarius,  l'autore  che  fece  delle 
glose ,  ovvero  che  ha  interpretato 
qualche  libro,  explanator,  inlerpres. 
Questo  vocabolo  per  altro  si  usa 
particolarmente  quando  si  parla  de- 
gli interpreti  della  sacra  Scrittura, 
chiamati  in  generale  i  glossatori 
della  Bibbia.  Si  dice  poi  Glossario, 
glossarium,  il  dizionario  in  cui  le 
aocì  si  spiegano  con  glose,  massi- 
me i  vocaboli  oscuri  ,  antiquati , 
barbari  o  corrotti. 

GLOUCESTER,  Clanum,  Glo- 
cestria,  Claudia  Castra.  Città  ve- 
scovile d'  Inghilterra  ,  capoluogo 
della  contea  del  suo  nome  nell'an- 
tico regno  di  Mercia,  sta  in  una 
fertile  valle  della  Savcrna,  e  sulla 


GLO 

riva  sinistra  di  questo  fiume,  che 
si  attraversa  sopra  di  un  ponte  co- 
struitovi sotto  Enrico  II.  È  sede  di 
un  vescovo  anglicano  ;  ha  tre  sob- 
borghi, le  case  sono  costruite  par- 
te in  legno  e  parte  ni  mattoni.  Vi 
è  una  bella  cattedrale,  di  cui  si  am- 
mira la  torre,  e  che  rinchiude  le 
tombe  di  Odoardo  li,  e  di  Ro- 
berto figlio  maggiore  di  Guglielmo 
il  Coìujuislatore,  ed  una  statua  in 
marmo  bianco  di  Edoardo  Jenner, 
inventore  benemerito  della  vaccina, 
ossia  inoculazione  del  vaiuolo.  So- 
novi  cinque  chiese  parrocchiali  , 
molti  luoghi  di  riunione  pei  dissi- 
denti, una  sinagoga,  il  palazzo  pub- 
blico ,  una  sala  magnifica  ove  si 
tengono  le  assise  e  le  sessioni  per 
quartiere  della  contea  e  della  città; 
un  teatro,  due  vasti  e  comodi  mer- 
cati, diversi  stabilimenti,  molti  o- 
spedali ,  la  prigione  della  contea,  e 
1'  infermeria  di  essa.  Un  acquedot- 
to vi  conduce  le  acque  necessarie. 
La  Savcrna  facilita  molto  il  com- 
mercio della  città  ,  eh'  è  assai  im- 
portante; altrettanto  fanno  i  due 
canali,  e  la  strada  di  ferro  che  con- 
duce a  Cheltenham.  Ne'  dintorni 
avvi  una  sorgente  di  acqua  mine- 
rale; la  citlà  manda  due  membri 
al  parlamento. 

Gloucester  era  una  città  dei  do- 
buni,  antichi  popoli  della  gran  Bre- 
tagna. I  romani  avendone  fatto  una 
stazione  ed  una  colonia  le  diedero 
il  nome  di  Claudia  Castra.  Rice- 
vette il  diritto  di  borgo  reale  dal 
re  Giovanni,  ed  una  corporazione 
da  Enrico  III.  Nel  1270  Odoardo 
I  vi  tenne  un  parlamento  ove  fu- 
rono promulgate  molte  leggi  im- 
portanti, clip  si  chiamano  ancora 
statuti  di  Gloucester.  Riccardo  II 
vi  tenne  pure  un  parlamento,  e 
Riccardo  111  che  portava    il  titolo 


GLO 

di    duca    cìi    Gloucester,    eslese    la 
sua  giurisdizione  sugli  hundred   a« 
diacenli  di  Dunstone  e    di  King's- 
Bartan;  ma    questi  privilegi    furo- 
no ritirati    dopo    la    restaurazione, 
e    le    sue    mura    spianate,    perchè 
avea    chiuse    le    porte    a  Carlo   I. 
Questa   città  conteneva   per  Io  pas- 
sato undici   chiese,    sei    delle  quali 
essendo  state  demolite  durante  l'as- 
sedio del    i643,    non   furono    dopo 
mai    ristabilite.    Enrico  III     vi    fu 
coronato,    e  dal    XXIII    anno  del 
regno   di   Odoardo  I   godette  il  di- 
ritto di    mandare    dei    membri   al 
parlamento.  Gloucester  era  un  tem- 
po   riguardata    come    un    hundred 
distinto,   conservando  ancora  alcuni 
privilegi  come  contea.    Irico    re  di 
IS'orthumbria     eresse      in    Glouce- 
ster un    ruonistero   di  donne,    ver- 
so   l'anno  700.    Kinehurga,    Ead- 
burga-Eva,     e     successivamente     le 
regine  di   Merda  ne  furono  le  ab- 
badesse.  Ma  avendolo  i  danesi   in- 
teramente devastato,  non    potè  re- 
stituirsi   al    suo    antico    splendore, 
se  non  al  tempo  di   Aldredo    arci- 
vescovo di   York,   il  quale   però  in- 
vece delle  religiose  v'  istituì   de'ca- 
nonici    regolari    di    s.   Agostino,  a- 
vendo  l'abbazia  il  titolo  di  s.  Pietro. 
Enrico   Vili   re  d'Inghilterra,  dopo 
di   avere  abbracciato   la  pretesa  ri- 
forma  religiosa,   l'eresse    in    vesco- 
vato    su  lira  «anco     di     Cantorberv. 
verso   l'anno     1  ^4°>     e    dopo    avel- 
lano prima    appendere    alla    porta 
del    monistero  il  penultimo  abbate, 
perchè  non  voleva  prestargli  il   giu- 
ramento di    supremazia.    Odoardo 
VI    lo  voleva   riunire,  altri  dicono 
che  lo  riunì  nel    i55i,    a   ^orce- 
ster;   ma    la    regina  cattolica    Maria 
ne  confermò   l'erezione  sotto  la  me- 
tropoli    di     Cantorl'i-iy  .     Si     dice 
inoltre  ch'Enrico  YI1I  non  istituì 


GNA  243 

il  vescovato  di  Gloucester,  ma  piut- 
tosto lo  ristabilì,  essendovi  stato  il 
vescovo  anche  in  tempo  degli  an- 
tichi bretoni.  I  cattolici  di  Glou- 
cester dipendono  dal  vicario  apo- 
stolico del  distretto  occidentale . 
Presso  però  il  Godwin,  De  Prae- 
sulibus,  pag.  552,  si  legge  come 
monsignor  Giacomo  Brokes,  chia- 
mato pure  Brooks  o  Brocus,  con- 
secrato  nell'aprile  1 554,  ^u  vesco- 
vo di  Gloucester  sotto  la  regina 
Maria,  e  siccome  egli  fu  subdele- 
gato pontificio  nella  condanna  di 
Cranmero  ed  altri  nel  i55»,  si 
può  ragionevolmente  concludere, 
che  l'erezione  di  quella  sede  era 
stata  approvata.  Di  questa  depu- 
tazione di  Brooks  parla  pure  il 
Lingard  nella  Storia  d'  Inghilter- 
ra, sotto  la  regina  Maria,  dell'ediz. 
di  Parigi  voi.    Vili,  p.   228. 

Concilii  di    Gloucester. 

Il  primo  concilio  di  Gloucester 
fu  tenuto  l'anno  io85  per  l'ele- 
zione di  un   vescovo.  Augi,   tom.  I. 

Il  secondo  fu  adunato  nel  1122 
per  l' elezione  dell'  arcivescovo  di 
Cantorberv.   Angl.   tom.   I. 

11  terzo  concilio  ebbe  luogo  l'an- 
no 1 3 - 8  sopra  i  costumi.  Angl. 
tom.  III. 

GNAFEO  o  FULLONE  P.etro, 
eretico  cutichiano  del  secolo  Y.  Fu 
denominato  Gnajeo  dai  greci  ,  e 
Fidlone  dai  latini,  per  aver  eser- 
citalo l'arte  di  tintore  di  panni. 
Professò  vita  monastica  in  un  mo- 
nistero di  acemeti  ossia  vigilanti, 
nella  Bitinia;  ma  scopertosi  eh' e- 
eli  ricettava  il  concilio  di  Ca 
(Ionia,  e  sosteneva  l'eresia  di  Eo- 
liche, In  discacciato   dal  moni  stero, 

e   sospeso   dagli    offici     del     sacerdo- 
zio.   Ritiratosi     in      Costanlin 


»44  GNA 

s'insinuò  nell'amicizia  di  Zenone 
genero  dell'  imperatore  Leone ,  e 
con  lui  recossi  in  Antiochia,  ove 
subornato  il  popolo,  e  calunniato 
il  santo  patriarca  Martirio  colla 
taccia  di  nestoriano,  fu  dallo  stes- 
so Zenone  intruso  in  quella  sede. 
La  prima  cosa  che  fece  fu  di  ag- 
giungere al  trisagio  della  messa 
Sanctus,  Sanctus,  Sanctus,  le  pa- 
role qui  crucìjìxus  es  prò  nobis , 
affine  di  dare  a  credere  che  nella 
persona  di  Gesù  Cristo  fosse  stata 
crocifissa  la  stessa  divinità.  L' im- 
peratore Leone,  condannando  l'usur- 
pazione del  Gnafeo,  inviò  Martirio 
con  grande  onore  alla  sua  sede  ; 
ma  vedendo  questi  di  non  poter 
quietare  il  contrario  partito ,  vi 
rinunziò.  Allora  il  Gnafeo  occupò 
la  sede  di  nuovo,  e  venne  ricono- 
sciuto per  patriarca  d'  Antiochia  , 
della  qual  cosa  informato  l' impe- 
ratore, lo  relegò  in  Oasi.  Nel  47^ 
fu  rimesso  ancora  nella  sede  da 
Basilisco  che  aveva  occupato  il  re- 
gno; ma  avendo  Zenone  nell'anno 
seguente  ricuperato  l' imperio  ,  Io 
fece  deporre  in  un  sinodo  di  orien- 
te. Finalmente  neh'  anno  4^4  ^u 
per  la  terza  volta  ristabilito  in  An- 
tiochia, coli' assenso  di  Acacio  pa- 
triarca di  Costantinopoli ,  fautore 
degli  eretici,  che  prima  lo  avea 
condannato.  Il  Gnafeo  fu  condan- 
nato formalmente,  insieme  ad  A- 
cacio  e  parecchi  altri,  nel  concilio 
romano,  tenutosi  nel  /\85  a  moti- 
vo della  chiesa  d'  Antiochia ,  sotto 
il  Papa  s.  Felice  li  detto  III,  il 
quale  notificò  la  sentenza  con  let- 
tera particolare  all'imperatore  Ze- 
none, acciò  scacciasse  il  Gnafeo. 
Tuttavia  il  fulmine  della  Chiesa 
irritò,  non  convinse  l'eretico,  il 
quale  pubblicamente  spargendo  il 
veleno    dell'empia    dottrina,     tra- 


GNE 

boccò  in  ogni  maggior  eccesso.  Egli 
fu  pure  condannato  come  eretico 
eutichiano,  come  apollinarista,  sa- 
belliano,  e  teopaschita;  e  dopo  aver 
esercitate  molte  crudeltà  ed  ingiu- 
stizie contro  più1  chiese,  mori  in 
Antiochia  nel  fò$,  cioè  poco  più 
di  tre  anni  dalla  sua  ultima  usur- 
pazione di  quella  sede. 

GNESNA  (Gnesnen).  Città  già 
con  residenza  arcivescovile  nel  gran- 
ducato di  Posnania  o  Posen  nella 
Prussia,  antichissima  e  già  capita- 
le della  gran  Polonia ,  ma  ora  è 
totalmente  decaduta  dal  suo  splen- 
dore. Piuttosto  grande,  e  cinta  da 
un  muro,  rinchiude  una  cattedrale, 
ed  altre  undici  chiese  cattoliche. 
Nel  mese  di  maggio  vi  si  tiene  una 
fiera  considerabile  per  bestiami  e 
cavalli.  Gnesna,  e  più  anticamente 
Litniosaleum ,  è  situata  nell'antico 
palatinato  di  Kalish  tra  Posen  e 
Thorn  nella  bassa  Polonia,  e  secon- 
do alcuni  la  prima  erettasi  in  que- 
sto regno.  Dicesi  che  ne  sia  stato 
fondatore  Lecco  I ,  che  vuoisi  pri- 
mo re  de'polacchi,  fiorito  nel  5or, 
e  che  le  abbia  dato  il  nome  di 
Gnesna  o  Gnisen  per  avervi  tro- 
vato ne'  suoi  fondamenti  un  nido 
di  aquile,  perchè  in  lingua  polac- 
ca Guest  ad  significa  nido  di  aqui- 
le. E  certo  eh'  egli  vi  fece  la  sua 
residenza,  con  molti  altri  suoi  suc- 
cessori, divenuta  essendo,  come  si  è 
detto,  la  capitale  della  gran  Polo- 
nia, ed  il  luogo  della  incoronazio- 
ne de'  suoi  re.  I  cavalieri  teutonici 
dell'  ordine  di  Prussia  la  presero 
e  la  saccheggiarono  nel  1 33  r ,  e  fu 
poi  quasi  consumata  dal  fuoco  nel 
i6i3.  Passò  nel  dominio  dei  prus- 
siani che  la  conquistarono  nel  r  793, 
sotto  il  regno  di  Federico  Gugliel- 
mo II.  Né  deve  tacerai ,  che  nel 
Saggio  statistico  istorie 0  del  ponù^ 


Gi\E 

Jìcio  stalo,  di  Gabriele  Calindri,  a 
pag.  i3  si  legge,  che  nel  1 5 1 3  la 
provincia  di  Gnesua  si  obbligò  ad 
un  tributo  annuale  alla  santa  Se- 
de nel  pontificato  di  Leone  X. 

La  sua  sede    vescovile  fu  eretta 
ne' primi  secoli  della  Chiesa,  diven- 
ne metropoli  verso  l'anno  967,  al- 
tri  dicono    nell'anno  1000,    dopo 
che  l'imperatore  Ottone  III  si  recò 
a  Gnesna.   L' erezione    fu  fatta  col 
consenso  del  Pontefice  Silvestro  li, 
ad  onta  dell'opposizione  dell'arci- 
vescovo di    Magdeburgo.    Nei   pri- 
mi anni  del  secolo  XV  .Nicola  Tram- 
ba  suo  arcivescovo  ottenne  che  que- 
sta   sede    nel    concilio    adunato    in 
Costanza  l'anno  i4'4>  fosse  dichia- 
rata  primate  del  regno  di  Polonia. 
Furono   suoi    suffragauei    i    vescovi 
di  Cracovia,  Posnania,  Ploscko,  \  la- 
dislavia,  Culma,   Varmia,     Lucco- 
j-ia,  Vilna,  Samogizia,  Smolensko, 
Vratislavia,  e  Camin,  senza   nomi- 
nare altre    sedi    unite  in    processo 
di   tempo  ad  alcune  delle  nomina- 
te. Eugenio  IV  nel  1 4^7   fece  arci- 
vescovo Vincenzo  Dolivac  polacco, 
illustre  per  ingegno  e  dottrina,  co- 
me dicemmo  alla  sua  biografia,  nel 
voi.  IV,  p.  167  del  Dizionario  :  un- 
se il  re  di  Polonia  Casimiro  IV,  ed 
a'  6  aprile  1 4-44-  l'antipapa    Felice 
V    per    accattivarsi    i    polacchi    lo 
creò  pseudo-cardinale,  per  cui  ven- 
ne da  Eugenio  IV  deposto  dall'ar- 
civescovato   e    da    tutti    gli    onori. 
Ma  divenuto   Pontefice  Nicolò  V,  a 
lui   ricorse   pentito   Vincenzo,  onde 
il   nuovo  Papa    con  diploma  de'  2 
ottobre  j  4  Ì7  '°  assolvette  dalle  cen- 
sure, lo  restituì  pienamente  alla  di- 
gnità  di   arcivescovo,  e   lo  riconob- 
be per  vero  cardinale  ili  santa  ro- 
mana Chiesi..  Essendo   intervenuto 
nel  [Si 3    al   concilio    generale   La- 
terunense    V   l'arcivescovo  di   Gne- 


GNE  245 

sna  Giovanni   Latski,  fu  dal    Papa 
Leone  X  dichiarato,  in   un  ai   suc- 
cessori,  legato  della  santa   Sede  nel 
regno  di   Polonia.   Inoltre  l'arcive- 
scovo oltre  l'esser  primate  di  tut- 
to   il   reame ,    era  altresì    reggente 
del    medesimo    dopo    la  morte  del 
re.    Nella     raccolta    dell'  Epist.    di 
Clemente  XI,  nel  tom.  II,  p.  1 33 
se  ne  legge  una  scritta  all'  arcive- 
scovo   di    Gnesna    sulle    pubbliche 
necessità    del    regno    di  Polonia,  e 
delle  facoltà   date  al   proprio  nun- 
zio pel  sussidio  da  somministrarsi  al 
clero;  e  siccome  l'arcivescovo  esi- 
geva che  il   nunzio  lo   visitasse,   in 
vece    il  Papa  lo    invitò  a    rendere 
pel  primo  al  nunzio  1'  onore  della 
visita,  e  prontamente. 

-Alentre  n'era  arcivescovo  Miche- 
le Pouiatowski    di  Posen,    che  Pio 
VI  avea    traslato    da    Ploscko    nel 
178D,  si  legge  nella    vita  di  que- 
sto Papa  del  Novaes,  che  nel  1789, 
ad  onta    delle    premure  e  proteste 
dello  stesso    Pio  VI  alla    dieta  po- 
lacca ,  questa   in  forza  della  dimi- 
nuzione delle    rendite  de'  vescovi  e 
del  clero  di   tutto  il  regno,  da  tre 
milioni  di  fiorini  da  paoli  due  l'uno, 
cui  ascendevano   quelle  annue   del- 
l'arcivescovo  di    Gnesna,  le    ridus- 
se   a   soli  duecentomila    fiorini  po- 
lacchi. Il  Pontefice  Pio  VII  con  la 
bolla  De  salute  animarum,  data  ai 
26  luglio  1821,  elevò  al  grado  ar- 
civescovile   la  sede   di    Posen    ossia 
Posnania    [fedi),    e    l'unì    aeque 
primi  palile  r  alla    chiesa    arcivesco- 
vile di   Gnesna,   dichiarandone  suf- 
fraganeo  il  vescovo  di  Culma, perchè 
quello  di   Chelma  o  Belai   unite  di 
rito  greco  ruteno  ,  con  le  loro  chie- 
se erano    state  dichiarate  in   tempo 
anteriore    immediatamente  soggette 
alla  santa  Sede  per  la  diversità  del 
rito,  e  le  alti  e  ricevettero  in  progics- 


246  GNE 

so  di  tempo  altre  disposizioni.  Nello 
stesso  tempo  Pio  VII  determinò  che 
monsignor  Timoteo  Goszenski,  che 
nel  concistoro   de'  27   marzo  1809 
avea  fatto  vescovo  di  Posnania,  fos- 
se il  primo  arcivescovo  di  Gnesna 
e  Posnania  unite,  con  due  suffra- 
gane!   fregiali   del    titolo    vescovile 
in   pardbus.  Leone  XII,  nel  conci- 
storo   de'  i5    dicembre    1828  ,  gli 
die  in  successore  monsignor  Teofi- 
lo   de  Walichi    di  Doruchow,  alla 
cui  morte  il  regnante  Gregorio  XVI 
dichiarò  arcivescovo,  nel  concistoro 
de'  28    febbraio   1 83 1  ,    monsignor 
Martino  de     Dunin,    assegnandogli 
per  suffraganei  due  vescovi  in  par- 
tibus,  uno  per  la  diocesi  di     Gne- 
sna, l'altro  per  quella   di  Posnania. 
In  difesa  di  questo  zelante  pastore 
il  medesimo  Gregorio  XVI,  nel  con- 
cistoro degli   8   luglio  1839,    pro- 
nunciò V Allociit'iOj  Officii  memore* 
tuendorum  Ecclesiae  jurium  ,  con 
la    quale    si    lamentò    dell'ingiusta 
condanna  fatta  contro  l'arcivescovo 
Dunin  dai  giudici   laici,  a  cagione 
dei  matrimoni  misti.  Nel  voi.  XII 
degli  Annali  delle  scienze  religiose 
compilati  in  Roma   dal  eh.  monsi- 
gnore Antonino  de  Luca,  p.  q8,  si 
dice  che  monsignor  Dunin  arcive- 
scovo di  Posen    e  Gnesna,  noto  a 
tutto  il  mondo    per  la  sua    eroica 
costanza  nel  difendere  i  diritti  del- 
la Chiesa  cattolica,  indirizzò,  dopo 
che  fu  restituito  all'amore  del  suo 
gregge,  una  lettera  pastorale  al  suo 
clero   intorno  la  questione    gravis- 
sima de'  matrimoni    misti ,  che  ivi 
viene  riportata  per  intero  nel  suo 
originale    idioma    latino.  L'arcive- 
scovo   s' intitola    legalo    nato   della 
Sede  apostolica,  incomincia  la  let- 
tera con  queste  parole:    Res  quae 
circa  matrimonium  catholicorumcum 
acatholicis  versalur.  con  la  data  Po- 


GNE 

snaniae  ad  ecclesiam  nostrani  me- 
tropolitanam  die  27  mensis  augusti 
1840.  Questo  degnissimo  e  venera- 
bile prelato  mori    ultimamente;  la 
sede  arcivescovile    divenuta    vacan- 
te,   venne    amministrata    dai    due 
suffraganei,  essendo  quello  di  Gne- 
sna   monsignor    Anselmo    Alberto 
Brodziszewski  di  Morowana  Gorli- 
na  arcidiocesi  di  Posnania,  fatto  ve- 
scovo di  Temiscira    in  partibus  ,  e 
deputato  in   suffraganeo    dal   Papa 
che  regna,   nel  concistoro  del  pri- 
mo   marzo     1 84- 1  -    Finalmente    in 
quello  de' 20  gennaio    i845   il  me- 
desimo    Gregorio     XVI      dichiarò 
arcivescovo  di    Gnesna    e  Posnania 
unite,  monsignor    Leone    de  Przy- 
stuski  polacco,  già  canonico  e  pre- 
vosto della  chiesa  metropolitana  di 
Gnesna,  vicario    capitolare,    e    dot- 
tore in  ambe  le  leggi. 

La  chiesa  cattedrale  di  Gnesna, 
di  ampia  ed  elegante  struttura,  è 
dedicata  a  Dio,  ad  onore  dell'As- 
sunzione della  B.  Vergine,  e  di 
s.  Alberto,  con  fonte  battesimale, 
e  molte  reliquie  ;  la  cura  parroc- 
chiale è  esercitata  da  un  sacer- 
dote del  collegio  dei  vicari.  Il  ca- 
pitolo si  compone  della  dignità 
del  preposto  e  di  sei  canonici. 
L*  episcopio  era  annesso  alla  cat- 
tedrale, ma  poi  andò  in  rovina. 
Vi  sono  inoltre  nella  città  altre 
quattro  chiese  parrocchiali ,  una 
delle  quali  è  munita  del  battiste- 
rio.  Avvi  un  convento  di  religio- 
si ,  un  monistero  di  monache  , 
quattro  confraternite,  un  ospedale 
ed  il  seminario.  L'  arcivescovo  fa 
l' ordinaria  residenza  in  Posnania 
ossia  Posen.  I  frutti  della  mensa 
sono  tassati  nella  camera  aposto- 
lica a  fiorini  mille,  in  praesens 
conslituti  situi  in  12000  thaleris 
monetae  Borussicae. 


G  N  O 

Concila  di   Gncsna. 


Il  primo  fu  tenuto  nell'  anno 
IOOO,  ed  è  chiamato  di  Polonia, 
per  l'erezione  del  vescovato  di  Gne- 
sna in  metropoli.  Mansi  t.  I,  col. 
1 2 1 5  e  1 2  1 6. 

Il  secondo  venne  celebrato  l'an- 
no 1210.  Filippo  vescovo  di  Po- 
sen,  ed  il  decano  di  quella  chiesa 
vi  furono  scomunicati,  s'  ignorano 
però  le  particolari  notizie  di  que- 
sto concilio.     Mansi   t.  II,  col.   8 14- 

Il  terzo  fu  riunito  nel  i4r7> 
ed  è  il  primo  celebrato  nel  pon- 
tificato di  Martino  V,  che  ne  ap- 
provò i  decreti.  Keg.  tom.  XIX  ; 
Rainaldi. 

11  quarto  ebbe  luogo  nel  i4s3 
contro  gli  ussiti.  Regia  t.  X.Y1X; 
Labbé  tom.  XII. 

Il  quinto  si  adunò  nel  i547, 
per  mandare  dei  deputati  al  con- 
cilio di   Trento.   Rainaldi. 

GNOSI M AGHI,  eretici  del  VII 
secolo,  i  quali  si  dichiaravano  ne- 
mici di  tutte  le  cognizioni  ricerca- 
te dalla  religione,  come  significa  il 
loro  nome.  S.  Gio.  Damasceno,  De 
hacres.  cap.  Vili,  haeres.  88,  scri- 
ve che  i  gnosi machi  erano  persone 
contrarie  a  tutta  la  gnosa  del 
cristianesimo  (gl'interpreti  di  s. 
Gio.  Damasceno  intendono  per gnn- 
sa  la  scienza  ;  sembra  però  che 
abbia  un  senso  più  particolare, 
il  quale  significasse  nei  primi  se- 
coli della  Chiesa  presso  a  po- 
co ciò  clic  noi  chiamiamo  spiritila' 
hià)j  che  dicevano  essere  una  fa- 
tua inutile  il  cercare  le  gnose  del- 
la sacra  Scrittura;  che  Dio  niente 
altro  richiedeva  dal  cristiano,  se 
non  che  le  buone  opere  :  che  era 
perciò  molto  meglio  camminare 
cou  maggiore  semplicità  e  non   in- 


G  NO 


!47 


vestigare  con  tanta  cura  i  dogmi 
concernenti  la  vita  gnostica  (  chia- 
mavasi  gnostico  un  perfetto  cristia- 
no, un  uotno  dato  alla  spirituali- 
tà). Della  setta  dei  gnosimachi  fa 
pine  menzione  il  Barouio  agli  an- 
ni  68,    120,    i45. 

GNOSSA,  GNOSSUS,  GNO- 
SUS  o  CNOSUS.  Città  vescovile, 
già  capitale  dell'isola  di  Creta, 
nella  diocesi  dell' Illiria  orientale, 
sotto  la  metropoli  di  Gortina ,  e- 
retta  nel  quinto  secolo,  secondo 
Commanville,  che  la  chiama  Gi~ 
uosa.  Si  conoscono  quattro  suoi 
vescovi,  cioè:  Plinito,  che  s.  Gi- 
rolamo pone  nel  numero  degli 
scrittori  ecclesiastici;  Zenobio ,  il 
quale  assistette  e  sottoscrisse  al 
concilio  di  Efeso;  Gennadio_,  che 
intervenne  al  concilio  di  Calcedo- 
nia,  e  sottoscrisse  Ja  lettera  all'im- 
peratore Leone;  ed  Anastasio,  che 
fu  al  settimo  concilio  generale. 
Oriens  C/irist.  tona.  II,  pag.  264. 
Fu  il  luogo  in  cui  fece  la  sua  re- 
sidenza il  re  Minosse,  e  siccome 
era  bagnata  dal  fiume  Caeratus, 
così  Strabone  dice  che  ne  portasse 
il  nome.  Pausiana  parla  del  suo 
laberinto,  e  Polibio  delle  stragi 
sofferte  da  essa  durante  la  guerra 
da  lui  descritta.  Aveva  un  porto 
chiamato  Ilcracleuni,  da  cui  era 
alquanto  distante  come  mediterra- 
nea. E  patria  di  Epimenide,  cele- 
bre poeta  e  filosofo. 

GNOSTICI.  Antichi  eretici,  fa- 
mosi nei  primi  secoli  della  reli- 
gione cristiana  ,  specialmente  in  o- 
riente,  i  quali  si  chiamavano  egli- 
no stessi  con  questo  nome,  che 
significa  sapiente,  illuminato,  spiri- 
tuale ,  imperciocché  pretendevano 
di  avere  una  scienza  profonda  e 
piena  di  misteri  ch'essi  soli  erano 
canati   di    penetrare    e   di   icopi 


248  GNO 

S.  Agostino  dice  che  hanno  preso 
il  nome  di  gnostici  per  vanità 
di  questa  profonda  cognizione,  per 
far  formare  una  grande  idea  della 
loro  setta,  e  per  occultarne  sotto 
la  grandiosità  del  nome  la  vergo- 
gna e  l'infamia.  Erano  i  gnostici 
dapprincipio  puri  filosofi,  che  a- 
vevano  formata  una  teologia  parti- 
colare sulla  filosofia  di  Pitagora, 
di  Platone  e  di  Aristotile,  alla 
quale  avevano  accomodate  le  loro 
interpretazioni  della  sacra  Scrittu- 
ra. Perciò  nana  s.  Epifanio,  che 
adoravano  essi  le  immagini  di  quei 
filosofi,  fra  cui  per  maggior  vitu- 
perio della  fede  vedevasi  quella  di 
Gesù  Cristo.  Il  nome  di  gnostici 
prendesi  talvolta  in  buona  parte 
negli  antichi  scrittori  ecclesiastici, 
che  lo  applicavano  anzi  ai  cristia- 
ni più  perfetti.  I  falsi  gnostici  al 
contrario  avevano  abbandonato  le 
tradizioni  apostoliche,  ed  immagi- 
nandosi d'essere  più  dotti  degli  a- 
postoli  medesimi ,  ne  inventarono 
di  nuove  a  loro  capriccio.  Furono 
essi  divisi  in  più  sette  o  scuole 
con  nomi  diversi,  le  quali  tutte 
però  convenivano  fra  di  loro  nei 
principii  generali.  I  capi  o  pre- 
cursori del  gnosticismo  furono  Si- 
mone il  Mago,  Mena  udrò  suo  di- 
scepolo, Cerinto,  e  Nicolao  d'An- 
tiochia. Nel  secondo  secolo  i  ger- 
mi del  gnosticismo  si  sparsero 
nella  Siria,  nell'Egitto,  in  Italia 
e  nell'  Asia  minore,  e  formarono 
numerose  sette,  le  quali  vennero 
distinte  dal  nome  dei  loro  par- 
ziali fondatori ,  come  Saturnino  e 
Gardesane  in  Siria;  Cerdone  uel- 
l' Asia  minore  ed  in  Italia  ;  Basi- 
lide,  Valentino  e  Carpocrale  nel- 
1'  Egitto.  Le  digerenti  sette  di  tali 
eretici  si  possono  vedere  compen- 
diosamente   descritte    ai    loro    ii« 


GNO 
spettivi  articoli  in  questo  Diziona- 
rio. Portavano  i  gnostici  un  picco- 
lo anello  all'  orecchio  destro,  come 
insegna  della  loro  setta,  e  nell'  in- 
contrarsi davano  segno  di  essere 
gnostici  con  uno  scambievole  ti- 
tillamento d'  unghie  nella  palma 
della  mano,  stringendosela  recipro- 
camente. Cose  abbominevoli  ed  e- 
secrande  leggonsi  di  costoro,  i  qua- 
li disonoravano  talmente  il  cristia- 
nesimo, che  i  veri  cristiani,  al  di- 
re di  s.  Epifanio,  per  non  avere 
comune  con  essi  nemmeno  il  no- 
me, si  denominarono  allora  catto- 
lici. Il  contagio  della  gnostica  ere- 
sia dilatossi  così  ampiamente  pel 
mondo,  che  poche  città  rimasero 
intatte  dal  suo  veleno.  S.  Evaristo 
Papa,  che  ne  fu  dolentissimo  spet- 
tatore, applicò  ogni  cura  per  raf- 
frenarne la  baldanza  ;  ma  essendo 
allora  l'eresia  nel  suo  furore,  tut- 
ti attraendo  colla  dilettazione  del 
senso  ,  e  la  prepotenza  degl'  impe- 
ratori gentili  reudendo  inefficace 
l' autorità  dei  Papi,  convenne  al 
Pontefice  contenersi  nei  limiti  del 
suo  potere.  Perciò  si  contentò  di 
regolare  le  chiese  con  sagge  prov- 
videnze, rinnovò  la  condanna  già 
fulminata  da  s.  Pietro  contro  i 
fornicali ,  e  formò  uua  nuova  co- 
stituzione con  cui  corroborava  la 
antica,  che  i  matrimoni  si  cele- 
brassero pubblicamente  ,  con  1'  as- 
sistenza e  benedizione  del  sacer- 
dote, dichiarando  incestuosi  quel- 
li contratti  senza  l'assenso  del  pa- 
dre e  della  madre. 

Chi  volesse  conoscere  a  fondo  la 
falsa  dottrina  ed  empi  costumi  dei 
gnostici  legga  Eusebio,  s.  Epifanio, 
Teodoreto ,  s.  Gio.  Damasceno , 
Tertulliano,  s.  Clemente  Alessan- 
drino, Origene,  e  particolarmeiHo 
s.   Ireneo,  che  riferì  a  lungo   1  io- 


GNO 

io  sentimenti ,  i  quali  furono  nel 
tempo  medesimo  da  lui  confutati. 
Jùl  abbenchè  s.  Ireneo  parli  più 
di  \  aleutino  e  della  sua  scuola, 
che  non  degli  altri  gnostici  ,  tro- 
vansi  nulladimeno  nelle  sue  opere 
i  priocipii  generali  sui  quali  co- 
desti eretici  fondavano  le  loro  false 
opinioni,  ed  il  metodo  clic  teneva- 
no nelle  spiegazioni  della  sacra 
Scrittura.  1  gnostici  non  appog- 
giavano solamente  sui  vangeli  e 
sulle  epistole  di  s.  Paolo  la  loro 
falsa  teologia  ;  ma  anche  sulla  leg- 
ge mosaica  e  sui  prolèti.  Siccome 
vi  sono  nei  libri  dei  profeti  molte 
parabole  ed  allegorie  che  possono 
essere  interpretate  diversamente  ; 
così  se  ne  servivano  con  destrezza, 
come  osservò  s.  Ireneo,  alline  di 
nascondere  con  maggiore  facilità  la 
dubbiezza  delle  loro  interpretazio- 
ni. Dividevano  la  natura  in  tre 
*oi  ta  di  esseri  :  cioè  in  materiale , 
in  fisico  od  animale,  ed  in  pneu- 
matico ossia  spirituale.  Distingue- 
vano parimente  tre  sorta  di  uomini: 
il  materiale,  l'animale,  e  lo  spiritua- 
le. I  primi  puramente  materiali  non 
erano  suscettibili  se  non  delle  qualità 
passive  della  natura,  ed  incapaci  di 
cognizioni,  quindi  perivano,  secon- 
do essi,  in  corpo  ed  in  anima  ;  gli 
spirituali  al  contrario,  nati  tali,  oc- 
cuparmi della  loro  destinazione  e 
della  dignità  della  loro  natura  ,  e 
trionfavano  delle  passioni  che  ti- 
ranneggiavano gli  altri  uomini,  ed 
erano  salvi  naturalmente,  tenia  che 
ne  perisse  alcuno;  i  fisici  final- 
menta  "d  annuali,  benché  dotati 
della  lai  ulta  di  ragionate ,  erano 
incapaci  d' innalzai  -i  •<!  disopi  i  del- 
le   afieuoni    e    dei    gusti   sensuali  : 

formavano   «(iloti  il  muHO  li  a  i  due 

mecennati  ordini,  <■  potevano  <l  »- 

pjnrsj  o  salvaisi  giusta  le  luio  calr 


GOA  249 

ti  ve  o  buone  azioni.  Facevano  1 
gnostici  un  gran  fondamento  sul 
principio  ilei  vangelo  di  s.  Giovan- 
ni, dove  pretendevano  trovare  una 
gran  parte  delle  loro  emanazioni  , 
perchè  egli  parla  del  \  erbo,  della 
vita  e  della  luce,  e  di  molte  altre 
osse,  che  essi  spiegavano  secondo 
le  loro  idee;  cercavano  dei  mi- 
steri dove  non  ve  n'  erano  ;  fìnge- 
vano sensi  astrusi  e  profondi  nella 
sacra  Scrittura,  e  terminavano  alla 
fio  fine  con  istravagauze ,  scioc- 
chezze, ec.  ec. 

GOA  (  Goan  ).  Città  con  resi- 
denza arcivescovile  dell  Asia  ,  nel- 
1'  Indie  orientali  di  Portogallo,  me- 
tropoli degli  stabilimenti  portoghesi 
in  quelle  regioni,  sulla  costa  del 
Ifalabar,  nel  regno  di  Dekhan  o 
Decan.  Goa  è  una  città  dell'lndo- 
stan ,  antica  provincia  di  Beydja- 
pour,  capoluogo  dell'isola  del  suo 
nome  e  del  territorio  posto  sul 
lido  occidentale  dell  Indostan,  gia- 
ce sulla  costa  settentrionale  dell'i- 
sola di  Goa  ,  che  ha  circa  nove 
leghe  di  circuito,  ed  è  bagnata  al 
noni  dalla  .Mandova  o  Mandila, 
all'  est  da  uno  stretto  canale ,  al 
sud  dall'  estuario  della  Riviera  di 
Rachol,  ed  all'ovest  dal  mare  di 
Oman.  Quest  isola,  la  provincia 
di  ilardez,  Salzete,  Dm,  Damao, 
Timor  e  .Macao  costituiscono  mi 
governo  vici  rea  le  che  risiede  a 
Goa  nuova.  Goa  è  composta  dil- 
la vecchia  e  dilla  nuova  città. 
La    città    vecchia    situala  a  tre  leghe 

dalla  imboccatura  dilla  Mandova  è 

bene  fui  liticala  e  difesa  da  un  La- 
te,   ma    trovasi    quasi    ild    tutto   ab- 

bandonata  dai  poi  toghesi  seool  iri  ■< 

ne    deli'  insalubrità    del     clima  , 

1  isiedetidovi    soltanto    V  arcives 

ed  il  1 1» i".  L  «  me  -  •  mal  fab- 
bricale, tuttavia  gli  edilìzi  pul 


»5o  GOA 

ci,  e  principalmente  le  chiese  in  Goa 
nuova  ed  i  conventi  mentano  essere 
ricordati  perla  loro  bella  architettu- 
ra   e    ricchezza   di    addobbi  ,    anzi 
molti  di  questi   antichi  monumenti 
sorpassano  tuttociò  che  fu  fattto  dagli 
europei    nelle  altre  parti  delle  In- 
die. La  cattedrale  insigne  è  degna  di 
una  delle  principali  città  dell'Europa. 
La  chiesa  di  s.  Domenico  è  ornata 
di     quadri     della    scuola     italiana  ; 
quella  del  collegio  di  s.  Paolo,  os- 
sia la  cattedrale ,    rinchiude    il  bel 
sepolcro    di    s.     Francesco    Saverio 
gesuita  ;  e  la  chiesa  ed  il  convento 
degli  agostiniani,  situato  sopra   una 
altura,   insieme  ai  nominati  forma- 
no una  massa  di  edifizi  imponente 
per    la    loro    magnificenza  :    questo 
ultimo  convento   contiene  una    va- 
sta   biblioteca    composta    in     gran 
parte  di   libri  ascetici.    Magnifico  è 
il  sepolcro  di   s.  Francesco  Saverio, 
il  quale  per  ricchezza,  per  maestà 
e  per  eccellenza    di    lavoro    è    uno 
de'  più  gloriosi  del  cristianesimo,  e 
vi    fu  eretto  dalla  pietà  del  suo  in- 
vitto discepolo  Marcello  Mastrilli.  So- 
novi    pure     due    superbi    ospedali, 
l'uno    de' quali  di    ricchezza    tale, 
che   i   moltissimi   malati   raccolti  vi 
erano  tutti  servili  in   argento. 

La  città  nuova,  situata  all'imboc- 
catura dèlia  Mandava ,  è  altresì  ben 
fortificata,  e  più  regolarmente  fab- 
bricata della  vecchia.  Era  questa  la 
residenza  del  viceré, ora  del  governa- 
tore ,  del  consiglio  delle  Indie,  e 
delle  principali  autorità  del  gover- 
no ,  non  che  la  sede  di  ima  corte 
suprema  di  giustizia.  Vi  si  osserva 
il  palazzo  vicereale,  che  ha  una 
cappella  sul  disegno  di  san  Pie- 
tro in  Vaticano;  quello  dell'in- 
quisizione, molte  belle  chiese ,  ed 
un  ospedale  di  marina.  L' industria 
ed  il  commercio  sono  quivi  couceu- 


GOA 

trati  ;    le   distillerie   di   arack    sono 
meno  numerose  dopo  quelle  stabi- 
lite a  Batavia  :    vi    sono    fabbriche 
di  seta  e  di  cotone,  e  degli  artefici 
di   tutti  i   mestieri.   Goa  è    •vantag- 
giosamente situata  pel  commercio; 
l' ingresso  de'  suoi  due    buoni   por- 
ti, 1'  uno  al  nord  e   l' altro    al  sud 
dell'isola,  è  difeso  dai  forti  di  A- 
guada  e  di  Marmagor.  Questa  cit- 
tà è  il  deposito  delle  merci  che  il 
Portogallo    manda    per    essere    di- 
stribuite negli  altri  stabilimenti  del- 
l' Indie,  in  Africa  ,  all'  isola  di  Ti- 
mor ed  a  Macao    nella    Cina.   Pri- 
ma dell'applaudita  abolizione  della 
tratta    degli    schiavi    "vi    s'  importa- 
vano    moltissimi    schiavi    del    Mo- 
zambico.  Gli   abitanti  sono   un   mi- 
scuglio di  razze    europee ,    africane 
ed    asiatiche.    In    generale    si    può 
dire  che    Goa    nello   scorso    secolo 
fosse    la    chiave    di  tutto    il  com- 
mercio delle  Indie  orientali,   la  pri- 
ma fiera  delle  Indie,    ed   una  delle 
più    celebri  ed     opulenti   città  del 
mondo,  ma    ora  è  assai    decaduta 
dal  suo  primo  stato. 

I  Chameny,  sovrani  maomettani 
del  Dekhan,  presero  Goa  nel  «469 
sotto  il  radjak  di  Bidjanagor ,  e 
divenne  parte  del  loro  regno:  ai 
mori  in  tal  tempo  se  ne  attribui- 
sce la  edificazione.  Il  suo  governa- 
tore Hidacan  o  Gidalcan  se  ne  di- 
chiarò indipendente,  ma  trovandosi 
in  campagna  nella  guerra  che  avea 
co' vicini  paesi,  il  prode  e  famoso 
Alfonso  di  Albuquerque  sorprese  la 
città  e  la  occupò  nell'anno  i5o8, 
o  meglio  nel  i5io,  in  nome  del 
re  di  Portogallo  Emanuello  ;  sic- 
come non  vi  si  potè  sostenere, 
ritornato  all'  impresa  poco  dopo  , 
ed  essendosene  completamente  im- 
padronito mei  i5io,  ne  aumentò  le 
fortificazioni,  e  la  fece  capitale  dei 


GOA 

possedimenti  portoghesi  nell'orien- 
ti', ed  il  eentro  delle  militari  ope- 
razioni. Pio  VI  nel  1781  mandò 
in  dono  alla  regina  di  Portogallo 
Maria  I,  buona  quantità  di  caratteri 
della  celebre  tipografia  della  con- 
gregazione di  propaganda  fide,  ,  ed 
abili  uomini  per  la  stamperia  die 
la  principessa  istituì  nel  collegio  di 
Goa,  affine  d'intraprendere  la  stam- 
pa di  opere  nell'  idioma  di  queste 
remote  regioni,  nelle  quali  il  dia- 
letto più  in  uso  è  un  miscuglio  di 
lingue  europee  con  quelle  degli  abi- 
tanti di  Kanara  e  dei  maratti  ;  il 
portoghese  vi  è  pure  inteso  da  una 
gran  parte  della  popolazione.  Gli 
inglesi  la  occuparono  per  accordo 
nel  1808,  e  la  ritennero  sino  al 
1 8  1  4>  Sl,l  timore  che  i  francesi  non 
facessero  qualche  tentativo  onde 
impadronirsene.  Il  suo  territorio  fu 
spesso  saccheggiato  dai  maratti,  si- 
no alla  pace  conclusa  con  essi  alla 
fine  del  secolo   XVII. 

La   fede  fu  promulgata   nelle  In- 
die orientali,   come    diremo    a  que- 
sto articolo,    da     s.    Francesco    Sa- 
verio  gesuita,   il    cpiale  portatosi   in 
Goa   nel    1  rj?.,   e   fattovi  altrettan- 
to, la  stabilì  centro  delle  sue  mis- 
sioni.  In  Goa   gli  fu    commessa  la 
cura   del  seminario    detto  ili    santa 
Fede,    il    quale    era    stato   fondato 
per   l'educazione   dei  giovani    india- 
ni. Chiamandolo  altrove  il  suo  ze- 
lo, egli     ne  affidò    il     governo     ai 
membri  della  compagnia  di  Gesù, 
che   erano   slati  mandali    nell'Indie. 
I   eli  ingrandì  il  seminario,   e  fece 
le  regole  che  ti  sì  doveano  segui* 
ir,  per  educare  i  giovani  nelle  let- 
tere e  nella  pietà,  Questo  semina* 
rio   prese  allora  il    nome  di    s.    Pao* 
l<»,   ila. la    sili    ohiasa    ch'era   inti- 
tolila   a     questo    apostolo,    per     la 
qual    ragione   1    gesuiti  furono   clna- 


GOA  i~i 

mali  in  Goa  i  padri  di  s.  Pao- 
lo. San  Francesco  Saverio  mo- 
rì a' a  dicembre  del  1  r>  ÌÌ2,  nell'i- 
sola ih  Sanciano,  onde  il  suo  cor- 
po temporaneamente  fu  tumulato 
su  quella  spiaggia,  mi  nel  febbraio 
del  seguente  anno  venni;  disotterra- 
to,  quindi  portato  .1  Malacca,  dove 
il  suo  amico  Giacomo  Pereira  gli 
fece  celebrare  sontuosi  funerali  ;  in- 
di qualche  mese  dopo  fu  trasferito 
in  Goa,  e  deposto  nella  gran  cap- 
pella della  chiesa  di  s.  Paolo,  fon- 
data i^ià  dai  gesuiti.  CommanviUc 
dice  che  Goa  nel  104.0  fu  eretta 
in  vescovato  da  Paolo  III  :  certo  è 
che  il  Pontefice  Paolo  IV,  ad  istan- 
za di  Giovanni  III  redi  Portogallo, 
con  l'autorità  della  bolla  Etsì  san- 
Cla,de'4  febbraio  IJ  r,  eresse  in 
arcivescovato  la  chiesa  di  Goa,  di 
cui  divennero  sulfraganei  i  vesco- 
vati di  Cochin,  Meliapor,  Malacca. 
Macao,  e  Nagansacchi.  Dispose  Pao- 
lo IV  che  la  cbiesa  di  Goa  fòsse 
di  nomina  del  re  di  Portogallo  da 
farsi  infra  annum,  passato  il  quale 
il  diritto  ritornasse  alla  santa  Se- 
de. Fu  pure  stabilito,  che  il  re 
dovesse  accrescere  e  mantenere  le 
chiese,  i  monisteri,  i  pii  stabili- 
menti, i  parrochi ,  i  canonici  e  i 
chierici. 

Dipoi  Alessandro  VIII  nel  1690 
eresse  i  vescovati  di  Nankin  e  Pe- 
kino  nella  Cina,  e  li  fece  sulfraganei 
di  Goa;  e  siccome  sotto  Innocenzo 
XII  che  gli  succest  1  Ide    uno 

scisma  perchè  non  si  volevano  ri- 
conoscere i  vicari  apostoli.!  depu- 
tati dall  1  1  rata  Se  le,  e  i  loro  1  1- 
diuton  datigli  per  togliere  ogni 
litigio  in  caso  ohe  fossero  mancati, 
il  Papa    a' 6  1  isse 

un  breve  all'  arci"  saoovo  <li  G  1 
il  11  rei  ivi  'li  Macao  e  Malac* 
I  1     Louuudaiulo   loro   clic    per  l  av- 


2J3  GOA 

venire  non  s'ingerissero  nel  gover- 
no spirituale  de'  regni  di  Siam, 
Cocincina,  Sciampa,  Cambogia  ed 
altri  regni  e  provinole  assegnate 
ai  vicari  apostolici,  né  che  ha  fu- 
turo impedissero  sotto  qualunque 
pretesto  l'esercizio  di  giurisdizione 
a'  vicari  apostolici  e  loro  operai 
contro  il  breve  di  Clemente  X.  In 
seguito  e  negli  ultimi  anni  del  de- 
corso secolo  il  Papa  Pio  VI  dichiarò 
Goa  chiesa  primaziale  delle  Indie  o- 
rientali,  che  al  presente  è  1'  unica 
metropoli  di  queste.  Attualmente  sei 
sono  i  suoi  vescovi  suffraganei,  cioè 
Nankin,  Macao,  Malacca,  Meliapor, 
Pelano,  e  Cocchio.  Ma  il  Papa  che 
regna  Gregorio  XVI,  per  quei  mo- 
tivi e  circostanze  che  noteremmo 
all'articolo  Indie  orientali  {Vedi), 
per  la  salute  spirituale  di  tanti 
popoli,  colla  bolla  Malta  praecla- 
*  rae  Romani  Ponti ficis,  de'24  apri- 
le i83S,  provvisoriamente  sottras- 
se dalla  giurisdizione  dell'arcivesco- 
vo di  Goa  i  luoghi  delle  diocesi 
delle  Indie  orientali  suffragarne  alla 
sua  metropolitana,  ed  invece  eres- 
se parecchi  vicariati  apostolici,  che 
per  l'immenso  vantaggio  che  han- 
no recalo,  ora  dal  medesimo  Pon- 
tefice si  vanno  ad  accrescere.  Da 
questa  zelante  e  necessaria  prov- 
videnza la  chiesa  di  Goa  infelice- 
mente ripugnandovi  cadde  nello 
scisma:  le  trattative  però  che  ul- 
timamente s' intrapresero  tra  la 
santa  Sede  e  la  regina  di  Porto- 
gallo, essendo  ormai  giunte  al  suo 
compimento,  porranno  un  termine 
a  questi  mali;  mentre  il  breve  da 
ultimo  scritto  dal  Pontefice  al 
nuovo  attuale  arcivescovo,  che  no- 
mineremo ,  sarà  efficace  a  fare 
rientrare  il  clero  di  Goa  nel  dritto 
sentiero. 

La   cattedrale  è  dedicata  a  Dio 


GOA 

in  onore  di  S.Caterina  vergine  d'A- 
lessandria. Il  capitolo  si  compone  di 
quattro  dignità,  la  prima  delle  quali  è 
il  decano,  di  canonici  compreso  il 
penitenziere,  di  cappellani,  ed  altri 
preti  e  chierici  pel  divino  servigio. 
Nella  cattedrale  si  venera  con  gran 
divozione  il  memorato  corpo  di  s. 
Francesco  Saverio  ;  vi  è  il  fonte 
battesimale,  ed  un  prete  eletto  dal- 
l'arcivescovo  n' è  il  parroco.  Ad 
essa  contiguo  vi  è  l'episcopio,  ed 
ora  viene  occupata  la  sede  da  mon- 
signor Giovanni  Giuseppe  de  Silva 
Torres ,  già  monaco  benedettino  , 
nato  in  Porto,  nominato  dalla  re- 
gnante regina  Maria  li,  e  fatto  ar- 
civescovo dal  Papa  che  regna  Gre- 
gorio XVI,  nel  concistoro  de'  19 
giugno  i843.  Nella  città  vi  sono 
altre  sei  parrocchie  munite  di  bat- 
tisterio,  due  chiese  collegiate,  un 
monistero  di  monache,  diverse  con- 
fraternite, il  seminario,  ed  altri  pii 
luoghi.  11  clero  è  numerosissimo 
nella  diocesi,  e  nel  1808  i  preti 
cattolici  erano  duemila.  La  popo- 
lazione della  diocesi  quasi  tutta 
cattolica  è  di  novantamila;  quella 
della  città  per  la  maggior  parte 
cattolica  è  più  di  ventimila.  L'ar- 
civescovo è  tassato  nei  libri  della 
camera  apostolica  in  fiorini  333, 
quorum  valor  ascendit  ad  sex  mil- 
le cruciata  lusitanae  monetae  ab 
aerarlo  regio  perso U'enda,  seti  ad 
bismille  et  quadraginta  sciita  ro- 
mana. 

Concilii  di  Goa. 

Il  primo  fu  celebrato  l'anno 
1067,  e  vi  presiedette  l'arcivesco- 
vo di  Goa  d.  Giorgio  Temuda.  In 
esso  verniero  fatti  diversi  regola- 
menti    per    la    propagazione    della 


GOA 

fede,  ed  il  Pontefice  s.  Pio  V  ne 
approvò  gli  atti  con  breve  del  pri- 
mo gennaio  1570.  Questo  concilio 
fu  il  primo  riunito  dai  portoghesi 
nelle  Indie  orientali. 

Il  secondo  fu  celebrato  nel  1375 
per  fare  eseguire  i  regolamenti  del 
primo,  e  per  proibire  le  cerimonie 
pagane  nei  paesi  dipendenti  dal 
Portogallo. 

Il  terzo  concilio  venne  adunato  nel 
1  584  o  1 585,  nella  chiesa  cattedrale 
di  Goa,  essendo  presieduto  da  d. 
A  inccnzo  di  Fonseca  arcivescovo  di 
Goa  e  primate  dell'  Indie  orientali, 
perchè  prima  di  Pio  VI  gli  arci- 
vescovi usavano  il  titolo  di  primate 
dell'  Indie  ;  l' apertura  seguì  a'  9 
giugno.  Mar-Abraham  arcivescovo 
di  Angamale  o  Cranganor,  metro- 
polita del  Malabar,  prelato  siriaco, 
per  opera  de' gesuiti  abiurò  il  ne- 
storiaoismo,  professò  le  cattoliche 
verità,  ma  nel  i5go  tornò  agli  an- 
tichi errori.  Sousa,  Oriente  con- 
qiiistado,pav.  2.  Vuoisi  che  nell'an- 
no 1590  sia  stato  tenuto  altro  si- 
nodo. 

GOAR  Giacomo,  domenicano,  na- 
to a  Parigi  nel  1601.  Applicossi 
indefessamente  alla  lettura  dei  libri 
santi  e  dei  padri  della  Chiesa ,  e 
studiò  particolarmente  la  dottrina 
de' greci,  i  loro  riti,  la  liturgia,  e 
quanto  alla  lor  credenza,  morale  e 
disciplina  può  aver  relazione.  iNel 
1 63  1  fu  spedito  nell'isola  di  Scio  o 
Chio,  in  qualità  di  missionario  e  di 
priore  del  convento  di  s.  Sebastiano 
di  quell'isola,  dove  passò  ott'  anni  , 
sempre  occupato  a  fortificare  i  fe- 
deli ,  ad  esaminare  i  sentimenti  e 
gli  usi  de'  greci  ,  ed  a  ricondurre 
gli  scismatici  al  grembo  della  Chie- 
sa romana.  Passato  a  Roma  nel 
iG3g,  fu  fatto  priore  del  convento 
dì    s.    Sisto ,   e    strinse    particolare 


GOA  2Ì3 

amicizia  col  celebre  Leone  Allaccio. 
Ritornò  in  Francia  nel  1642;  ot- 
t' anni  dopo  fa  eletto  vicario  gene- 
rale della  sua  congregazione  di  9. 
Luigi,  e  morì  nel  iò53,  ai  23  di 
settembre,  dopo  aver  composte  di- 
verse opere.  La  più  considerevole 
è  l' Eucologio  [Vedi),  o  rituale  dei 
greci,  stampato  a  Parigi  greco-latino 
nel  1647,  e  ristampalo  a  Venezia 
nel  1730.  BenedeltoXIV  nel  1  - 5  j 
ne  fece  pubblicare  altra  edizione 
corretta.  Diede  alla  luce  altresì  le 
traduzioni  di  diversi  libri  greci  della 
storia  bizantina,  cioè  :  Giorgio  Co- 
dino, con  osservazioni  ;  la  Crono- 
grafia di  Giorgio  Sincello,  e  quella 
di  iSiceloro  patriarca  di  Costanti- 
nopoli ;  Giorgio  Cedreno ,  con  no- 
te; la  Cronografìa  di  Teofane,  con 
note ,  alle  quali  sono  aggiunte  le 
varianti  del  p.  Combefis  ;  e  le  \  ite 
degl'imperatori  di  Leone  il  Gram- 
matico. 

GOARE  (s.)  Uscito  da  un'  illu- 
stre famiglia  d'Aquitania,  abbrac- 
ciò lo  stato  sacerdotale,  e  travagliò 
con  tutto  lo  zelo  per  la  salute  del- 
le anime.  ÌNel  5  1  c>  passò  in  Lama- 
gna,  e  ritirossi  in  una  celletta  nel 
territorio  di  Treveri,  ove  visse  pa- 
recchi anni  negli  esercizi  dell'ora- 
zione e  della  penitenza.  Quindi  so- 
spinto dal  suo  amore  per  Gesìi  Cri- 
sto, si  pose  ad  annunziare  la  fede 
agli  idolatri  che  abitavano  lungo  »l 
Reno,  e  convertinne  buon  numero. 
Alcune  persone  nemiche  d'ogni  be- 
ne gli  suscitarono  contro  una  for- 
te persecuzione ,  ma  la  sua  virtù 
ne  uscì  più  sfavillante;  e  Dio  stes- 
so volle  dar  maggior  lustro  alla 
santità  del  suo  servo  col  dono  dei 
miracoli.  Non  volle  accettare  il  ve- 
scovato di  Treveri,  che  gli  fu  ol- 
fVrio;  e  morì  nel  5 7 :1 .  E  onora- 
to il  giorno  6  di   luglio. 


254  GOB 

GOBBANO  (s.).  Nacque  in  Ir- 
landa, e  meritò  colle  sue  virtù  di 
essere  elevato  al  sacerdozio.  Desi- 
deroso di  consagrarsi  più  perfetta- 
mente al  servigio  di  Dio,  passò  in 
Francia,  e  dopo  aver  dimorato 
alcun  poco  a  Corbeny  e  a  Laone, 
si  ritirò  nella  grande  foresta  eh'  è 
presso  1'  Oise.  Quivi  si  fabbricò  una 
cella,  poscia  coli' aiuto  del  popolo 
eresse  una  chiesa  die  fu  dedicala 
a  s.  Pietro,  ma  ebe  in  seguito  as- 
sunse il  nome  del  suo  fondatore. 
11  luogo  era  stato  dato  da  Clota- 
rio  111 ,  che  regnò  sopra  la  Neu- 
stria  e  la  Borgogna  dal  656  al  670, 
e  ebe  non  cessò  fin  che  visse  di 
onorare  il  servo  di  Dio.  Alcuni  bar- 
bari venuti  dal  nord  dell'Alemagna 
dando  il  guasloal  paese,  mozzarono 
la  testa  a  s.  Gobbano  in  odio  del  suo 
stato.  Il  luogo  ove  fu  martirizzato, 
chiamato  anticamente  il  monte  del 
Romitorio,  appellasi  oggidì  s.  Gob- 
bano. Il  capo  del  santo  vi  si  cu- 
stodisce nella  cattedrale,  e  la  sua 
festa  è  segnata  ai  20  di   giugno. 

GOBIWET  Carlo,  dottore  della 
Sorbona,  nato  a  s.  Quintino  nella 
Picardia,  fu  il  primo  direttore  del 
collegio  di  Plessis,  dopo  la  restau- 
razione fattane  dal  cardinale  di  Ri- 
chelieu  nel  i653.  Il  suo  zelo  pel 
pubblico  bene,  il  suo  amore  per  la 
virtù  furono  utilissimi  a  quella  ca- 
sa che  edificò  colle  parole  e  col- 
l' esempio.  Morì  ai  9  dicembre  1690, 
di  settantasett'anni.  Questo  pio  ec- 
clesiastico diede  alla  luce  molte  o- 
pere  ,  che  sono  state  molte  volte 
stampate  ,  e  che  meriterebbero  di 
essere  sempre  fra  le  mani  di  tutta 
la  gioventù.  Le  più  ragguardevoli 
sono:  i.°  Istruzione  della  gioventù; 
2."  Istruzione  sulla  penitenza  e  sul- 
la santa  comunione  j  3.°  Istruzione 
sulta    verità    del   ss.    Sacramento; 


GOD 

4.*  Istruzione  sulla  religione;  S.B 
Aggiunte  all'  istruzione  delta  gio- 
ventù ,  contenente  cinque  trattati  ; 
6.°  Istruzione  sulla  maniera  di  bene 
studiare j  7.0  Istruzione  cristiana, 
per  le  figlie. 

GODEAU  Antonio,  vescovo  di 
Grasse  e  di  Vence,  nato  d'una  del- 
le primarie  famiglie  di  Dreux.  Fu 
uno  di  quelli  che  diedero  occasio- 
ne allo  stabilimento  dell'accademia 
francese,  radunandosi  presso  il  sig. 
Coutart  per  conferire  intorno  ai 
loro  studi,  e  leggervi  i  loro  com- 
ponimenti. Avendo  studialo  la  poe- 
sia, la  sua  inclinazione  alla  pietà 
lo  portò  a  scrivere  poesie  cristiane, 
e  cominciò  da  una  parafrasi  in  ver- 
si del  cantico  Benedicite,  che  gli 
acquistò  molta  fama.  Pieno  delle 
più  pure  massime  della  morale  cri- 
sliana  ,  le  spiegò  dal  pulpito  con 
eloquenza.  Fu  eletto  al  vescovato 
di  Grasse  nel  i636.  Tenne  diver- 
si sinodi ,  compose  una  quantità 
d'istruzioni  pastorali  per  il  suo  cle- 
ro, e  vi  ristabilì  la  disciplina  assai 
trascurata.  Assistette  alle  assemblee 
generali  del  clero  tenute  a  Parigi 
nel  1645  e  i655,  dove  sostenne 
fortemente  la  dignità  del  vescova- 
to e  la  purezza  della  morale.  Mo- 
ri di  sessantasett'  anni,  a  Vence,  il 
21  d'aprile  1672.  Fra  le  molte  o- 
pere  uscite  dalla  sua  penna  distin- 
guonsi  le  seguenti:  r.  Istoria  ec- 
clesiastica, che  contiene  i  primi 
nove  secoli;  2.  Parafrasi  dell'epi- 
stola di  s.  Paolo;  3.  Versione  spie- 
gala del  Testamento  nuovo j  4-  Me- 
ditazioni sull'  epistola  di  s.  Paolo 
agli  ebrei j  5.  le  vite  di  s.  Paolo, 
di  s.  Agostino  e  di  s.  Carlo  Borro- 
meo ;  6.  gli  elogi  de'  vescovi  che 
fiorirono  per  dottrina  e  santità  in 
tutti  i  secoli  della  Chiesa;  7.  Pit- 
ture di  penitenza;    8.  Omelie  per 


GOD 

tulle  le  domeniche  e  feste  dell'an- 
no; 9.  diversi  piccoli  trattati  di 
morale,  ed  altre  opere  cristiane, 
die  spirano  quanto  v'ha  di  me- 
glio ne'  padri  e  nelle  Scritture; 
jo.  discorsi  sopra   gli   ordini  sacri; 

1 1.  istruzioni   e  ordinanze  sinodali; 

12.  alcuni  scritti  latini  e  francesi 
contro  {'apologia  de'  casisti  del 
p.  Pirot  ;  1 3.  Morale  cristiana,  da 
lui  composta  in  occasione  della  sud- 
detta apologia;  i4-  diverse  lettere 
e  diverse  poesie,  di  cui  la  principa- 
le è  una  parafrasi  sui  salmi. 

GODEBERTA  (s.).  Nacque  da 
ragguardevoli  genitori  nella  diocesi 
d'Amiens,  e  ricevette  il  sacro  velo 
dalle  mani  di  s.  Eligio  vescovo  di 
Noyon,  nel  cospetto  del  re  Gola- 
rio  III.  Questo  principe  le  diede 
dei  beni  per  fondare  una  comuni- 
tà, ch'ella  governò  con  molta  sa- 
viezza, partecipando  alle  sorelle  le 
istruzioni  che  riceveva  da  s.  Eligio, 
e  facendosi  loro  esempio  di  fervo- 
re e  di  penitenza.  Le  sue  veglie  e 
le  sue  preghiere  erano  quasi  con- 
tinue, e  la  fortezza  della  sua  fede 
fu  ricompensata  da  molli  miracoli. 
Morì  verso  la  fine  del  secolo  \  11, 
o  sul  principio  dell' Vili.  Le  sue 
reliquie  vennero  trasportate  nella 
cattedrale  di  Noyon  ,  ove  celebrasi 
la  sua   festa   il  giorno  1  1  di   aprile. 

GODESCALCO  (s.).  Figlio  di 
Utone  principe  de'  vandali  o  slavi, 
era  slato  allevato  da  cristiano  in 
un  monistero  di  Lumburgo,  per 
cuia  di  un  vescovo  di  Gozia  no- 
mato pur  Godescalco;  ma  aposta- 
tò e  si  congiunse  a  Gneo  ed  Ana- 
trogo,  principi  barbari  ed  idolatri, 
per  vendicare  sopra  i  sassoni  1'  uc- 
cisione di  suo  padre.  Vessò  lungo 
tempo  que'  popoli  ,  e  fece  parec- 
chie scorrerie  nel  loro  paese;  ma 
alla  fine  fu  fatto  prigione  dal  loro 


GOD  a55 

duca  Bernardo  ,  il  quale  lo  tenne 
più  anni  incarcerato.  Ricuperata  la 
libertà,  si  ritirò  fra'danesi,  alla  te- 
sta di  quegli  slavi  ch'erano  restali 
attaccati  al  suo  partito;  indi  a  po- 
co si  convertì.  Canuto  re  di  Dani- 
marca lo  impiegò  utilmente  nelle 
guerre  che  fece  ai  norvegi,  e  nella 
spedizione  d'Inghilterra.  Le  glorio- 
se sue  gesta  lo  resero  sì  caro  al  re, 
che  gli  diede  in  matrimonio  la  sua 
propria  figliuola.  Dopo  la  morte  di 
Canuto  e  de'  suoi  figli,  Godescalco 
lasciò  l'Inghilterra,  sottomise  tutto 
il  paese  degli  slavi  ,  costrinse  una 
parte  dei  sassoni  ad  essergli  tribu- 
tari, e  regnò  in  pace  mólti  anni. 
Adamo  di  Breda  dice  parlando  di 
lui,  che  fu  il  più  potente  di  tutti 
i  principi  eh'  ebbero  la  sovranità 
fra  gli  slavi,  e  sorpassò  i  suoi  pre- 
decessori di  prudenza  e  coraggio , 
come  li  superò  dopo  la  sua  con- 
versione per  la  pietà  e  per  lo  zelo 
della  gloria  di  Dio.  Riempì  i  suoi 
stati  di  un  gran  numero  di  chie- 
se, fondò  dei  monisteri,  e  vi  fece 
venire  dei  missionari  che  diffusero 
la  fede  presso  niobi  popoli  idolatri 
soggetti  al  suo  dominio,  che  abita- 
vano la  costa  settentrionale  dell'A- 
lemanna dall'Elba  sino  a  Meeklen- 
borgo.  Ma  quei  barbari,  per  l'osti- 
nato loro  attaccamento  al  pagane- 
simo, si  ribellarono  :  Godescalco  fu 
trucidato  nella  città  di  Lenzino,  ai 
7  di  giugno  del  io66_,  e  nello  stes- 
so tempo  fu  ucciso  anche  il  prete 
Ebbone.  I  certosini  eli.  Brosseiles  li 
hanno  posti  ambedue  fra  i  marti- 
ri onorati  dalla  Chiesa  sotto  tal 
giorno,  nelle  loro  aggiunte  al  mar- 
tirologio di   Usuardo. 

GODESCALCO,  soprannomina- 
to Fulgenzio,  monaco  benedettini), 
nato  in  Germania  nei  primi  ibi  m«- 
cololX;    uomo   inquieto   e  turbo- 


■?."/:>  GOD 

lento,  e  da    molti   incolpato    come 
vero  predeslinaziano.    Fece    profes- 
sione della    vita  monastica  nell'ab- 
bazia di  Orbais,  diocesi  di  Soissons, 
poscia  si  recò  in  Pioma,  e  senza  le- 
gittima  missione    usurpandosi   l'of- 
ficio di   predicare,  sparse    in     mol- 
ti  luoghi    le    sue    massime ,    per  le 
quali    fu    condannato    in    Magonza 
dall'  arcivescovo    Rabano  in   un  si- 
nodo   tenuto    nell'848,    quindi   fu 
mandato    ad    Incmaro    arcivescovo 
di  Reims,  suo  metropolitano.   Que- 
sti, insieme  con   molti  altri  vescovi, 
tornò    ad    esaminare  nell'anno    se- 
guente la  dottrina  del  monaco  d'Or- 
bais,  in   un   altro  sinodo  a  Quercy, 
in  cui   non  avendo  voluto  Godescal- 
co  sottomettersi,   fu  condannato  di 
nuovo,  deposto  dal  sacerdozio,  co- 
stretto ad  abbruciare  i  suoi  scritti, 
ed  incarcerato  nell'abbazia  di  Haut- 
villiers     nella     diocesi    di     Reims  , 
ove  avendo  ricusato    anche  in   line 
di   vita  di  sottoscrivere  una  forino- 
la di   fede    che    Incmaro   gli  aveva 
mandata ,    morì    scomunicato    ne4- 
1'  870,  e  non  gli  fu  data  sepoltura 
ecclesiastica.    Godescalco    negava  la 
libertà,  e  sosteneva  che  Dio  prede- 
stina gli    uomini    alla    dannazione; 
e  che   Gesù  Cristo    non  ha  voluto 
salvare    tutti    gli  uomini  ,  e  non  è 
morto  per  tutti,  ma  solamente  per 


gli   eletti. 


GODIN  o  GOCJDIN  Guglielmo, 
Cardinale.  Guglielmo  Goudin  o 
sia  Petri  nacque  in  Bajona  da  o- 
nestissima  famiglia  ;  quanto  fu  de- 
forme e  spregevole  neh'  aspetto, 
altrettanto  riuscì  sublime  ed  ele- 
vato neh'  ingegno,  che  seppe  con- 
giungere a  singolare  morigera- 
tezza. Dopo  avere  professato  nel- 
l'ordine de' predicatori  ,  in  esso 
per  molti  anni  attese  con  straor- 
dinario    fervore     allo  studio     delle 


GOD 

scienze,  per  cui  interpretò  con  suc- 
cesso   la     Scrittura    sacra  nell'uni- 
versità   di    Parigi ,    ed  eletto    pro- 
vinciale di  Provenza,  e  poi  di  To- 
losa,  fu  da    Clemente   V   promosso 
a     maestro    del     sacro     palazzo,  e 
cappellano  pontificio,  commettendo- 
gli insieme  a  due  cardinali  I'  esame 
degli   scritti   di  Pier  Giovanni  Olivi 
frate  minore,  sulla  povertà  di   Cri- 
sto   e   degli    apostoli;   quindi  a'  21 
dicembre    1 3 1 2  o  1 3 1 3  in  Avigno- 
ne lo  creò    cardinale  prete  del  ti- 
tolo di  s.   Cecilia,  ed   allora   fu  che 
Tolomeo  da  Lucca,  parimenti  do- 
menicano,   gli    dedicò  la   sua    iSVa- 
ria    ecclesiastica    divisa  in     XXIV 
libri.   Nel   morire  Clemente  V,  nel 
1  3  1 4-  >    Pei*    distinzione    gli    lasciò 
alcuni    ornamenti    pontificali  ,    che 
il   cardinale  poi  nel  testamento  do- 
nò alla  chiesa  di    Bajona.  Nel    1 3  1 7 
Giovanni    XXII,  alla  cui    elezione 
avea    contribuito,   lo    fece     vescovo 
di    Sabina,    indi    lo  incaricò    delia 
legazione  di   Castiglia,  la  quale  per 
la  sua    prudenza  e    saviezza,  tron- 
cate   le    discordie  e    guerre    civili, 
ridusse    a    perfetta    calma.    A  tale 
elletto     tenne     un'    assemblea     del 
regno  in  Palencia,   in  cui   fu   data 
l'amministrazione  del  reame  all'in- 
fante Alfonso,  esiliali    alcuni  gran- 
di    che  in  tempo    della     minorità 
del   re     aveano    abusato     della  tu- 
tela, e   dispoticamente  comandava- 
no   con    pregiudizio     della  corona. 
A'  1  agosto     i322   adunò  un    con- 
cilio   in   Vagliadolid,  che  riuscì  ce- 
lebrato pei  canoni  disciplinari,  mas- 
sime contro  i  chierici  concubinari, 
e  contro  quelli    che  nella  quaresi- 
ma si   cibassero    delle  cose   vietate. 
Nel    i3?4    consagrò    in     A\ignone 
fr.    Raimondo    domenicano    in   pa- 
triarca di   Gerusalemme;  ed  essen- 
do stali    accusali  alcuni  ecclesiasti- 


GOD 

ci  francesi  di  avere  con  arte  ma- 
gica cagionata  la  morte  a  Carlo 
IV  re  di  Francia,  Giovanni  XXII 
gliene  commise  la  causa,  insieme 
a  due  altri  cardinali.  Fondò  are- 
ligiosi del  suo  ordine  cinque  con- 
venti, e  tre  sontuose  chiese,  cioè 
in  Avignone,  in  Tolosa,  ed  in 
Bajona,  onde  di  comun  consenso 
fu  chiamato  padre  deW  ordine  dei 
predicatori.  Dopo  aver  assistito  ai 
comizi  per  Benedetto  XII,  mori 
in  Avignone  nel  1 336,  e  trasferi- 
to in  Tolosa  fu  sepolto  nella  chie- 
sa del  suo  ordine,  al  manco  lato 
dell'  altare  maggiore,  in  un  avello 
di  marmo  bianco ,  con  la  sua 
statua  ed  il  proprio  nome.  Questo 
cardinale  lasciò  alcune  opere,  la 
più  insigne  delle  quali  è  un  vo- 
lume in  cui  registrò  tutti  i  dirit- 
ti, concessioni  e  privilegi  fatti  alla 
Chiesa  romana,  e  da  questa  ad 
altri. 

GODOLEVA  o  GODELItfA 
(s.  ).  Sorfi  cospicui  natali  nella 
diocesi  di  Terovana,  e  fu  marita- 
ta ad  un  gentiluomo  fiammingo 
per  nome  Bertoldo ,  il  quale  trat- 
tolla  assai  male.  Le  di  lei  virtù 
non  valsero  ad  ammollire  il  cuore 
del  suo  sposo,  che  sempre  più 
imperversando  contro  di  lei ,  la 
mise  in  mano  di  un  suo  servo,  a 
cui  commise  di  oltraggiarla  e  di 
somministrarle  appena  quanto  era 
necessario  per  vivere.  Godoleva 
sopportò  con  somma  pazienza  que- 
sta tribolazione,  confortandosi  col- 
1'  orazione  e  colle  pratiche  della 
pietà  cristiana;  ma  finalmente  ve- 
dendo che  non  era  più  sicura 
della  vita,  salvossi  presso  suo  pa- 
dre. L'affare  fu  portato  dinanzi  al 
giudice  ecclesiastico  che  pronun/iò 
in  favore  di  Godoleva,  alla  qua] 
sentenza  Bertoldo  si  sottomise  te- 
voi.   xxxi. 


GOD  257 

mcndo  lo  sdegno  del  conte  di 
Fiandra  ,  e  riprese  sua  moglie 
promettendo  di  trattarla  meglio  in 
avvenire.  JVon  molto  tempo  dopo 
questa  riconciliazione  Godoleva  fu 
strangolata  nel  suo  letto  per  com- 
missione di  Bertoldo,  mentre  esso 
aveva  impreso  di  fare  un  viaggio, 
e  fu  sparsa  voce  eh'  ella  era  stata 
trovata  morta  di  morte  subitanea. 
Questo  fatto  avvenne  ai  G  di  lu- 
glio del  1070,  secondo  l'opinio- 
ne più  comune.  La  santità  ed  in- 
nocenza di  Godoleva  assicurasi  che 
fu  testimoniata  da  parecchi  mi- 
racoli, e  la  sua  festa  è  riportata 
il  giorno  6  di  luglio. 

GODRICO  (s.).  Nacque  a  Wal- 
pole  nella  contea  di  Norfolck,  e  si 
mise  a  fare  il  mereiaio.  Viaggian- 
do in  Iscozia  per  oggetto  del  suo 
commercio ,  restò  commosso  nel 
vedere  la  vita  esemplare  dei  mo- 
naci di  Lindisfarne,  e  soprattutto 
da  ciò  che  udì  raccontare  delle 
azioni  meravigliose  di  san  Cud- 
berto  ;  per  lo  che  risolvette  di 
prendere  un  nuovo  tenore  di  vita. 
Fece  un  pellegrinaggio  a  Gerusa- 
lemme, poi  si  recò  a  Compostella, 
e  tornato  in  patria  si  pose  per 
castaido  presso  un  ricco  signore. 
Quivi  scoperti  molti  disordini  nei 
servi,  ne  avverfi  il  padrone,  ma 
siccome  ciò  non  operò  alcun  ef- 
fetto ,  abbandonò  il  suo  oflìzio 
per  non  partecipare  dei  falli  degli 
altri.  Dopo  due  pellegrinaggi,  l'u- 
no in  Francia ,  l' altro  a  Roma, 
si  recò  verso  le  parti  settentriona- 
li dell' Inghilterra,  ove  si  unì  con 
un  santo  uomo  detto  Godwino,  e 
tutti  due  vissero  da  anacoreti  in 
un  deserto  posto  a  tramontana  di 
Carline.  Perduto  il  suo  compagno 
in  capo  a  due  anni,  fece  un  se- 
condo pellegrinaggio  a  Geru*alem- 
17 


258  GOE 

me,  poscia  ri  ti  rossi  nel  deserto  di 
Finchal  o  Finkley,  e  vi  praticò 
straordinarie  austerità.  Viveva  sot- 
to l'ubbidienza  del  priore  di  Dur- 
ham,  e  uno  di  quei  monaci  ascol- 
tava le  sue  confessioni,  gli  diceva 
la  messa,  e  gli  amministrava  i 
sacramenti  in  un  oratorio  vicino 
alla  sua  celletta,  ch'era  dedicato  a 
s.  Giovanni  Battista.  Negli  ultimi 
anni  della  sua  vita  s.  Godrico  fu 
tribolato  da  varie  malattie  ;  ma  di- 
ce Guglielmo  di  Newbridge,  il  qua- 
le lo  visitò,  che  quantunque  il  suo 
corpo  rassomigliasse  ad  un  cada- 
vere, la  sua  lingua  non  cessava  di 
lodare  il  Signore.  Morì  a*  2 1  di 
maggio  1170,  dopo  aver  passato 
sessantatre  anni  nel  deserto.  Fu 
seppellito  nell'  oratorio  di  s.  Gio. 
Battista,  e  onorato  da  molti  mi- 
racoli. 

GOESSEN  Giovanni,  Cardina- 
le. Giovanni  Goessen,  nobile  fiam- 
mingo, nacque  nel  1610.  Per  le 
sue  qualità  e  cognizioni  l'impera- 
tore Leopoldo  I  l'impiegò  in  gra- 
vissime ed  importanti  ambascerie, 
nelle  quali  dimostrò  singoiar  for- 
tezza, ed  uno  spirito  superiore,  con- 
giunto a  rettitudine  non  solo  nel 
maneggio  degli  affari  pubblici,  ma 
eziandio  nell'esercizio  di  una  vera- 
ce pietà.  Dopo  aver  dato  nel  1664 
una  rotta  all'  esercito  ottomano 
presso  s.  Gottardo  nell'  Ungheria, 
si  senti  potentemente  ispirato  ad 
abbracciare  la  vita  clericale,'  in 
seguito  di  tale  risoluzione  l'impe- 
ratore lo  nominò  alla  sede  di 
Gurk ,  indi  Si  portò  al  congresso 
di  Nimega,  ove  gli  riuscì  conchiu.- 
dere  co' francesi  la  pace  da  tutti 
desiderata.  Per  lo  che  ad  istanza 
del  medesimo  imperatore,  Innocen- 
zo XI  a'2  settembre  1686  lo  creò 
cardinale    prete    del    titolo    di   s. 


GOF 

Pietro  in  Montorio,  e  fu  destinato 
oratore  cesareo  in  Roma  ,  dove 
morì  a'  19  ottobre  1696,  in  età 
di  ottantacinque  anni,  e  rimase 
sepolto  nel  mezzo  della  chiesa  dei 
cappuccini  ,  sotto  adorna  lapide 
fregiata  di  magnifica  iscrizione  . 
Intervenne  alle  elezioni  di  Alessan- 
dro Vili  ,  e  d'Innocenzo  XII  ;  e 
con  testamentaria  disposizione,  oltre 
molti  pii  legati,  lasciò  venticinque 
mila  ducati  per  (ondare  un  ospe- 
dale nell'Ungheria. 

GOFFREDO,  Cardinale.  Gof- 
fredo fu  pei  suoi  meriti  da  Inno- 
cenzo III  del  1198  creato  prete 
cardinale  del  titolo  di  s.  Prassede, 
quindi  avendo  d' ordine  del  Pon- 
tefice allestita  in  Venezia  una  flotta 
per  la  spedizione  di  Terra  Santa, 
ne  fu  dichiarato  legato.  Trasferi- 
tosi in  oriente,  venne  nominato  pa- 
triarca di  Gerusalemme,  dignità 
che  non  volle  in  alcun  modo  ac- 
cettare. Il  Papa  che  ben  conosce- 
va il  merito  e  la  virtù  del  legato, 
gli  scrisse  lettere  efficaci,  esortan- 
dolo ad  assumere  il  patriarcato 
conferitogli,  ma  egli  invece  parti 
dalla  Soria  per  Costantinopoli  con 
dispiacere  del  medesimo  Papa ,  il 
quale  gli  fece  gravi  doglianze,  e 
gli  comandò  di  restituirsi  pronta- 
mente alla  sua  legazione,  tanto  più 
eh'  erasi  prevaluto  delle  armi  dei 
crociati  per  favorire  1'  imperatore 
d'oriente  ,  liberandoli  invalidamen- 
te dal  voto  fatto  per  la  sacra  guer- 
ra :  si  lagnò  pure  Innoeenzo  III 
di  avere  il  cardinale  assoluto  i  ve- 
neziani dalle  iucorse  censure,  sen- 
za esigere  da  essi  alcurfc  soddis- 
fazione. Non  mancò  il  legalo  di 
eseguir  immediatamente  i  pontiGcii 
comandi ,  e  restituitosi  in  Soria 
riprese  di  nuovo  l'esercizio  di  sua 
legazione,  nella  quale  cessò  di  vi- 


GOF 

vere  durante    il    pontificato    di  In- 
nocenzo III. 

GOFFREDO  da  Tram,  Cardi- 
nale. Goffredo  da  Trani  uditore 
delle  contraddette,  cappellano  pon- 
tificio, di  grande  scienza  e  di  ec- 
cellente letteratura,  meritò  di  es- 
sere creato  cardinal  diacono  di  s. 
Adriano  da  Innocenzo  IV,  a'  28 
maggio  1244-  Questo  si  vuole  so- 
pra tutti  accettissimo  al  Pontefice, 
che  seguì  in  Lione  per  la  cele- 
brazione del  concilio  generale,  ed 
ove  morì  nel  1245.  Siccome  que- 
sto insigne  cardinale  viene  confuso 
con  Castiglione  Goffredo  Cardina- 
le [Vedi),  si  può  consultare  il  Car- 
della  nelle  Memorie  sloriche  dei 
cardinali,  tom.  I  ,  par.  II,  pag. 
272,  che  in  favore  di  Goffredo  da 
Trani  riporta  la  testimonianza  del 
p.  Sarti,  di  Bonaguida  Aretino,  di 
Gio.  Andrea  giureconsulto,  e  di 
Matteo  Paris. 

GOFFREDO  o  GOTTIFREDO 
d'  Alatri,    Cardinale.     Goffredo  o 
Gottifredo    nacque     in    Alatri    nel 
principio  del    XIII    secolo,  da  no- 
bilissima e    putente    famiglia.    Es- 
sendo canonico    della    chiesa  catte- 
drale   di  sua  patria,    fu  da    Ales- 
sandro IV  suo  affine  fatto  suddia- 
cono   apostolico ,   e   poi  in  premio 
di  sua    profonda    dottrina  ed  eru- 
dizione venne    da    Urbano  IV  nel 
dicembre     1261     creato    cardinale 
dell'ordine  de'diaconi,  conferendogli 
la  chiesa     di  s.    Giorgio    in   Vela- 
bro  per  diaconia.   Questo  cardina- 
le,   oltre    all'aver  fatto    innalzare 
nella    città    di    Alatri    alcune    ma- 
gnifiche fabbriche ,  vi    fece  riedifi- 
care   ed    abbellire    la  chiesa  di    s. 
Slefano,    che    dotò    di    convenienti 
rendile     per    P  erezione    di    dodici 
benefizi.    Si     rese     inoltre     celebre 
per  le   varie    legazioni    clic  sosteu- 


GOF  259 

ne  con  decoro  e  vantaggio  della 
Sede  apostolica,  ed  intervenne  al 
secondo  concilio  generale  celebra- 
to in  Lione  nel  1274  da  Grego- 
rio X.  Dopo  aver  contribuito  col 
suo  voto  in  otto  conclavi  alle  ele- 
zioni di  Clemente  IV ,  Gregorio 
X,  Innocenzo  V,  Adriano  V,  Gio- 
vanni XXI,  Nicolò  III,  Martino 
IV,  ed  Onorio  IV,  al  quale  come 
primo  diacono  impose  solennemen- 
te la  tiara  nel  giorno  di  sua  co- 
ronazione, in  età  decrepita  morì 
nel  1287  in  Roma,  di  pestilenza, 
nella  sede  vacante  dello  stesso  O- 
norio  IV ,  con  ventisei  anni  di 
cardinalato. 

GOFFREDO,   GOFFREDI    o 
GEOFFROY  Giovanni,  Cardinale. 
Giovanni  Goffredi    0    sia   Geoffroy 
nacque    di     oscura     condizione    in 
Lusseuil  nella    Franca  Contea,  in- 
di vestì  l'abito  monastico  dell'  or- 
dine   di  s.    Benedetto  neh"  abbazia 
di  s.  Dionigi  in  Francia,    altri  di- 
cono   in    Cluny,    e  fornito  d'  una 
memoria  portentosa,  distintosi  ne- 
gli sludi  teologici  e  di  diritto    ca- 
nonico si    acquistò  fama  di    eccel- 
lente in  ambedue  le    facoltà.    Do- 
po essere  stato  abbate  di  s.  Pietro 
di    Lusseuil,    nella    quale    dignità 
vuoisi  che    intervenisse  al    concilio 
Fiorentino,  Nicolò  V  nel    i453  lo 
promosse  al  vescovato  d'Arras,  po- 
scia   venne    dichiarato    da    Filippo 
il  Buono    duca    di     Borgogua    suo 
ambasciatore    in    Roma     sotto    tal 
Papa;  dipoi    il  re  di  Francia  Lui- 
gi   XI    con    lo    stesso    carattere    lo 
destinò  con  Pio  li,  il  quale  aven- 
dolo conosciuto  per  uomo  di  gran 
talento  lo  mandò  nunzio  allo  stes- 
so re,  incaricandolo    di  raccoman- 
dargli   la    religione    cattolica ,    ed 
impegnarlo     a   soccorrere   i   tripla- 
ni coulro    i   turchi,    tu' altra  coni- 


26o  GOF 

missione  gli  affidò  assai  importan- 
te, e  fu  di  dispone  quel  monar- 
ca ad  abolire  la  prammatica  san- 
zione. In  premio  di  tanti  meriti, 
Pio  II  aJ  18  dicembre  1461  lo 
creò  cardinale  prete  del  titolo  dei 
ss.  Silvestro  e  Martino  a'  Monti. 
Non  appagato  il  cardinale  di  ciò, 
domandò  i  vescovati  vacanti  di 
Besanzone  e  d' Alby,  altri  invece 
di  Besanzone  dicono  Perigueux: 
uno  solo  a  sua  scelta  gli  fu  ac- 
cordato nel  1462,  cioè  Alby  come 
il  più  ricco.  L'  ambizioso  ed  indi- 
screto cardinale  non  sembrandogli 
ancora  di  essere  abbastanza  com- 
pensato de'  suoi  servigi,  conservò 
un  segreto  risentimento  contro  il 
Papa,  ed  in  seguito  se  ne  vendi- 
cò, attraversandolo  in  ogni  incon- 
tro. Nel  i4^9  Luigi  XI  lo  spedì 
ambasciatore  ad  Enrico  IV  re  di 
Castiglia,  e  poi  in  Roma  a  Paolo 
II  per  trattare  e  conchiudere  gra- 
vissimi affari ,  il  più  interessante 
de'quali  era  quello  di  usare  la  più 
fina  ed  accorta  destrezza,  per  to- 
gliere dalla  mente  del  Pontefice 
quelle  sinistreimpressioni  colle  qua- 
li era  stato  giustamente  prevenu- 
to contro  Giovanni  Balve,  che  il 
re  voleva  a  tutti  conti  rivestito 
della  porpora  cardinalizia,  ciocche 
poi  ottenne.  Trovossi  presente  alla 
coronazione  del  medesimo  monar- 
ca, eseguita  in  Reims  dal  cardina- 
le Giovenale  Orsini,  e  fu  condot- 
tiero delle  sue  truppe  contro  il 
conte  d'  Armagnac,  e  nell'assedio 
di  Perpignano  giovò  col  consiglio 
e  col  valore.  Fu  uno  degli  elet- 
tori di  Paolo  II,  ma  non  si  tro- 
vò ai  comizi  per  Sisto  IV,  non 
molto  dopo  i  quali  compì  il  cor- 
so de' suoi  giorni  nel  priorato  di 
liully,  nella  diocesi  di  Beziers,  nel 
1473,    ed    ivi    rimase    sepolto.    Il 


GOM 

cardinale  Pùpiense  parlò  di  questo 
porporato  in  modo  poco  vantag- 
gioso alla  sua  riputazione.  Il  Fleu- 
ry  nella  sua  storia  lo  descrisse  as- 
sai vano,  e  di  falso  discernimento. 

GOIZZONE  o  GOLZONE,  Car- 
dinale. Goizzone  o  Golzone  fu  da 
Innocenzo  li  nel  dicembre  del  1 1 38 
creato  cardinale  prete  del  titolo  di 
s.  Cecilia.  Sottoscrisse  varie  sue  bol- 
le, e  di  Celestino  II  e  Lucio  II ,  e 
morì  sotto  Eugenio  III,  dopo  esse- 
re intervenuto  alla  elezione  de'  tre 
nominati  Pontefici ,  con  circa  otto 
anni  di  cardinalato. 

GOMEZ  Pietro,  Cardinale.  Pie- 
tro Gomez,  nobile  spagnuolo,  nato 
in  Barros  nella  diocesi  di  Toledo, 
e  perciò  appellato  il  cardinal  di 
Toledo,  insigne  per  prudenza,  pie- 
tà e  religione,  essendo  priore  del- 
la chiesa  di  Siviglia,  meritò  di  es- 
sere nominato  nel  i3o5  o  più  tar- 
di da  Alfonso  XI  re  di  Castiglia  , 
di  cui  era  intimo  amico  e  consi- 
gliere ,  al  vescovato  di  Cartagena  ; 
quindi  nel  venerdì  delle  quattro 
tempora  a' 18  dicembre  1327  Gio* 
vanni  XXII  lo  creò  prete  cardina- 
le del  titolo  di  s.  Prassede,  e  lega- 
to allo  stesso  re,  a  fine  di  pacifi- 
carlo con  Gio.  Emanuello  ed  altri 
signori  di  sangue  reale  eh'  eransi 
ribellati  al  sovrano,  con  immenso 
pregiudizio  della  spedizione  contro 
i  mori.  Per  conciliare  al  legato 
maggior  venerazione  e  autorità  gli 
trasmise  il  Ponteficej  contro  il  co- 
stume della  Chiesa  romana ,  sino 
nella  Spagna  il  cappello  cardinali- 
zio, ma  la  pace  non  fu  conchiusa. 
Benedetto  XII  gli  conferì  nel  1 337 
l'arcidiaconato  di  Turolio  nella  chie- 
sa di  Saragozza,  e  nell'anno  mede- 
simo lo  incaricò  della  secouda  le- 
gazione al  re  di  Francia  ,  insieme 
con  Bertrando    di  Moutefavet  car- 


GOM 

dinaie,    pei*  indurre  quel  monarca 
a  pacificarsi   col    re  d' Inghilterra  ; 
ma  inutilmente,  perchè  tra  loro  si 
continuò  la   guerra ,   anzi    in  gran 
parte  si    fece    col    denaro    raccolto 
dalle  decime   ecclesiastiche  destina- 
te pel  sussidio  di  Terra  Santa.  In- 
tervenne all'  elezione   di  Benedetto 
XII    e  di   Clemente  VI;    in  tempo 
del   primo    passò    al    vescovato   di 
Sabina,  e  in  quello  del  secondo  nel 
i348  in  Avignone  all' eternità  ,  ed 
ebbe  onorevole  tomba  nella  chiesa 
di  s.  Prassede  fuori  le  mura  di  det- 
ta città  da  lui  fondata  ,   col  conti- 
guo  monistero  pur   da  lui  dotato. 
GOMEZ  Pietro,  Cardinale.  Pie- 
tro Gomez  di  Barros ,   nobile  spa- 
gnuolo  di  Toledo,  nipote  del  car- 
dinale dello  stesso    nome  e  cogno- 
me, acquistatasi  gran  fama  per  l'ec- 
cellente sua  perizia  nelle  leggi ,  fu 
fatto  canonico  di  Toledo,  e  poi  ve- 
scovo di  Siguenza.  Ristretto  ingiu- 
stamente  in    carcere    da    Pietro  il 
Crudele  re  di  Castiglia,  perchè  qual 
novello  Battista  lo  riprendeva   non 
meno  per  le  detestabili  sue  crudel- 
tà, che  per  la  sfrenata  libidine,  per 
cui  ripudiata  Bianca    sua  legittima 
moglie,  erasi  perdutamente  abban- 
donato agli  amori  di  Maria  Padil- 
la,  ad  istanza  del  pontificio   legato 
fu  quindi  restituito  in  libertà,  on- 
de ritiratosi  in   Portogallo  ottenne 
il  vescovato    di    Coimbra ,    e  dopo 
cinque  anni  quello  di  Lisbona,  poi  fu 
fatto  arcivescovo  di  Siviglia,  e  final- 
mente da  Gregorio  XI   nel  febbraio 
o  nel   maggio  i37i  fu  creato  cardi- 
nale prete  del  titolo  di  s.  Prassede. 
D'ordine  del    Papa,  e   insieme  col 
cardinal  Corsini,  compose  le  gravis- 
sime discordie  che  ardevano  tra  1 
cavalieri    gerosolimitani    delle    due 
lingue  d'  Italia  e  di  Francia,  a  mo- 
ine  ili  alcuni    pi  lutali    clic    1    ca\a- 


GON  *6i 

beri  di  ciascuna  di  quelle  lingue 
arrogavano  a  loro  stessi,  con  som- 
ma soddisfazione  delle  parti,  e  finii 
di  vivere  in  Avignone  nel  1 3y4- 
Ebbe  sepoltura  nella  chiesa  del 
monistero  di  Montefavet  dell'ordi- 
ne di  s.  Agostino ,  e  l' Eggs  dico 
nella  cattedrale  d'Avignone. 

GOMEZ  di  LUNA  Gutero.  Gu- 
tero  Gomez  di  Luna  nacque  in  Ara- 
gona, ma  meglio  della  famiglia  Go- 
mez di  Castiglia,  vescovo  di  Palencia 
e  caro  estremamente  ad  Enrico  II 
re  di  Cartiglia,  il  quale  nel  i3;8 
per  mezzo  di  ambasciatori  avea  do- 
mandato a  Gregorio  XI  che  lo 
creasse  cardinale,  ciò  che  voleva 
effettuare  il  successore  Libano  VI, 
quando  in  vece  lo  nominò  cardinale 
r  antipapa  Clemente  VII ,  come 
dicemmo  al  voi.  Ili,  p.  212  del 
Dizionario,  in  un  ad  altre  notizie 
analoghe. 

GOMPHI.  Sede  vescovile  della 
prima  Tessaglia  nell'  esarcato  di 
Macedonia ,  sotto  la  metropoli  di 
Larissa,  eretta  nel  VI  secolo.  L'im- 
peratore Giustiniano  ne  fece  una 
città  inespugnabile ,  e  vari  storici 
parlano  della  sua  posizione.  Eusta- 
zio  suo  vescovo  è  nominato  nella 
supplica  presentata  al  concilio  ro- 
mano sotto  Stefano  II. 

GONDISABOR  o  GONDISA- 
POR.  Sede  vescovile  e  metropoli- 
tana della  provincia  del  medesimo 
nome,  nella  diocesi  di  Caldea  ,  eil 
una  delle  principali  della  provincia 
di  Arac  o  Erac ,  situata  al  di  là 
del  Tigri  in  una  campagna  ferti- 
lissima presso  Susi.  L'Assemani  la 
chiama  metropoli  degli  elamiti,  ed 
alcuni  la  tanno  edificata  prima  del 
regno  <li  Costantino  ,  ^\  <  >i  misd  1 
tìglio  «1  Andlciri  o  Artasersi  re  di 
Persia,  e  così  chiamala  dal  noni. 
di   Sapor  suo  figlio,  cui  pine  nc  ne 


a62  GON 

altribuisce  la  fabbrica,  dopo  di  a- 
ver  devastato  le  terre  dell'impero 
romano,  portando  seco  immense 
ricchezze.  Inoltre  1'  Assemani  dice 
che  chiamavasi  anco  Beth-Laphat, 
ovvero  Lapet ,  e  che  i  cattolici  vi 
aveano  tenuti  molti  concilii.  Il  me- 
tropolitano di  questa  città  è  il  pri- 
mo dopo  il  cattolico  di  Caldea,  al- 
la destra  del  quale  siede  nelle  so- 
lennità, siccome  pure  ha  il  diritto 
ordinario  di  collocarlo  sul  suo  tro- 
no. Fu  l' ottavo  cattolico  Phapha 
o  Papa  ch'eresse  questa  sede  in 
metropoli.  Si  conoscono  trentotto 
suoi  vescovi',  di  cui  Agapito  fu  il 
primo,  cui  successero  Gadiabe,  De- 
metrio, Paolo,  Giovanni  I,  Mara- 
me, Sergio  I ,  Giovanni  lì  che  fu 
iàtto  cattolico  nel  679  ec. ,  l'ulti- 
mo finalmente  fu  Narsete  che  oc- 
cupava la  sede  di  Gondisabor  al- 
l'epoca  del  cattolico  Timoteo  II  , 
verso  l'anno  i320.  Bibl.  orient. 
tom.  I,  p.    i3,  t.  II,  p.  497- 

GONDY  Pietro,  Cardinale.  Pie- 
tro di  Gondy  oriundo  fiorentino', 
ma  nato  in  Lione  dai  conti  di 
Joigny  e  di  Villatrosa,  fornito  di 
eccellente  e  raro  ingegno,  applicos- 
si  agli  studi  neh'  università  della 
Sorbona,  e  poi  in  quella  di  Tolo- 
sa, dove  meritò  la  laurea  dottorale 
in  entrambe  le  leggi.  Abbracciato 
che  ebbe  lo  stato  ecclesiastico,  e  de- 
dicatosi di  proposito  agli  studi  sa- 
cri, comparve  nella  corte  di  Parigi 
un  modello  ed  un  esemplare  di 
tutte  le  virtù.  Divenuto  confessore 
di  Carlo  IX,  fu  da  lui  provvisto 
doviziosamente  di  prebende  e  di 
ecclesiastici  benefizi,  e  della  dignità 
di  tesoriere  della  santa  cappella  di 
Parigi ,  mentre  la  moglie  del  re , 
Elisabetta  d' Austria ,  Io  fece  suo 
elemosiniere  maggiore  e  cancellie- 
re.   Da    Pio    V    fu    promosso    nel 


GON 

1  ^68  al  vescovato    di    Langres ,   e 
nel   i5yo  a  quello  di  Parigi,  dove 
per    lo    spazio    di    vent'  otto    anni 
adempì    con    tanta    sollecitudine    e 
vigilanza    V  apostolico    ministero  , 
che  potè  servire  di  norma  agli  al- 
tri prelati.  La  madre  del    re  ,  Ca- 
terina de  Medici,  e  la  regina  Eli- 
sabetta   lo    destinarono    presidente 
del  regio  consiglio,  dov'ebbe  tutto 
1'  agio  di  far  vedere  qual    fosse    la 
sua  prudenza  ed  abilità  nel  tratta- 
re gli  affari  più.  ardui  e  gelosi.  Per 
due   anni    col    carattere    di    viceré 
perseverò  nel  governo  di  Provenza, 
a  cagione  dell'  assenza  del  duca  di 
Pietz  suo  fratello,  con  intera  soddis- 
fazione  di    que'  popoli  ;    ed    Emù- 
co  III  lo    fece    protettore    dell'or- 
dine   dello    Spirito    Santo.    Esatto 
nel    grave    obbligo   della   personale 
residenza ,  e  nella    celebrazione  dei 
sinodi    e  delle   episcopali    funzioni , 
si    mostrò    sempre    contrario    agli 
eretici.    Impiegava  ogni  giorno  tem- 
po notabile  nella  preghiera,  ed  os- 
servò sino  all'  ultima    vecchiezza  il 
digiuno    ecclesiastico.    Per   costume 
fu  rigido  e  parco,    per   essere   ge- 
neroso   co' poveri    e   munifico   colle 
chiese  e  coi    monisteri ,    alcuni    dei 
quali  eresse   dai   fondamenti,    altri 
splendidamente    ne    restaurò.    Pei 
bisogni  del  regno,  sotto  Enrico  III 
ed  Enrico  IV,  essendo  state  impo- 
ste le  decime  sugli  ecclesiastici  ,    il 
Gondy  perchè  non  fosse  gravata  la 
sua  diocesi  e  le  sue   diverse  abba- 
zie, contribuì  del  proprio  cinquan- 
tamila scudi.  Nel  1577  presiedè  in 
Parigi  agli  stati  generali  del  regno, 
ed  a  quelli    che    si    tennero    prima 
in  Blois  nel   i588,  e  poi  in  Rouen 
nel  1^96,  dove  sostenne  con  vigo- 
re e  successo  i    diritti    della    santa 
Sede  e  del  Papa.  Spedito  dal  re  in 
ambasciatore   a   Pio   V,   ricusò    la 


GON 

porpora  da  questi  offertagli,  finché 
ad  istanza  di  Enrico  III,  a'  18  di- 
cembre 1087,  fu  da  Sisto  V  creato 
cardinale  prete  del  titolo  di  s.  Sil- 
vestro in  Capite,  ed  inviato  in  Ro- 
ma dal  re,  ebbe  in  dono  dal  me- 
desimo Pontefice  un  eccellente  qua- 
dro del  celebre  Michelangelo  Buo- 
narroti, rappresentante  Gesù  mori- 
bondo sulla  croce.  Enrico  IV  l'in- 
viò a  Clemente  Vili  per  l'assolu- 
zione degli  abiurati  errori;  ma  il 
Papa  gli  fece  notificare  dal  p.  A- 
lessando  Francescani  domenicano , 
di  non  osare  d'entrare  negli  stati 
della  Chiesa ,  per  aver  favorito  il 
partito  di  tal  re  quando  era  con- 
dannato dalla  santa  Sede.  Allora 
il  cardinale  senza  perdersi  d'animo, 
con  robusta  lettera  giustificò  la 
propria  condotta  in  modo,  che  pla- 
cato l'animo  pontificio,  potè  recarsi 
in  Roma,  ove  cooperò  alla  ricon- 
ciliazione del  re  con  la  Chiesa. 
Neil'  orribile  assedio  di  Parigi  or- 
dinò che  venduti  gli  ori  e  gli  ar- 
genti delle  chiese,  col  ricavato  si 
alimentassero  i  poveri,  e  contribuì 
del  suo  i5o,ooo  lire  turonesi  pel- 
le spese  delle  guerre  fatte  da  En- 
rico HI  ed  Enrico  IV,  non  per- 
mettendo veruna  alienazione  dei 
beni  di  chiesa  alla  propria  giuris- 
dizione soggetti.  Nel  l5p4  fu  elet- 
to provvisore  della  Sorbona,  e  nel 
medesimo  anno  a'  i4  settembre  ri- 
cevette con  gran  solennità  nella 
cattedrale  di  Parigi  Enrico  IV  ri- 
conciliato colla  Chiesa  romana.  Nel 
1606  in  Fontainebleau  battezzò  il 
delfino  Luigi  ^III,  cui  Paolo  V  a 
mezzo  del  cardinal  Gioioaa  lece  da 
padrino  ;  indi  fu  spedito  oratore 
sii  aordinario  al  duca  di  Savoia 
Carlo  Emmanuelc.  In  tempo  «l'I 
suo  vescovato  furono  introdotti  in 
Parigi  i  monaci  fogliatiti  eislercien- 


GON  a63 

si,  ed  i  cappuccini;  e  nel  1  ^98  no- 
minò con  beneplacito  apostolico 
coadiutore  di  detta  chiesa  il  nipote 
cardinal  Enrico.  Le  sue  virtù,  la 
sua  pazienza,  e  l'ecclesiastica  libertà 
con  cui  esternava  il  suo  sentimento, 
lo  resero  accettissimo  a  cinque  re 
di  Francia,  ed  a  diversi  Pontefici, 
come  la  sua  integerrima  giustizia. 
Aloià  in  Parigi  d' anni  ottantaquat- 
tro a'  17  febbraio  16 16,  e  fu  se- 
polto nella  cattedrale  dentro  la  sua 
cappella  gentilizia,  in  nobile  mauso- 
leo di  marmo,  ornato  di  quattro  co- 
lonne, della  sua  statua  e  di  onorevole 
iscrizione.  Tra  i  molti  legati  che  la- 
sciò, uno  de'più  notabili  fu  di  80,000 
lire  turonesi  per  la  fabbrica  delle  chie- 
se de'domenicani  e  de'cappuccini;  ed 
in  favore  dell'ospedale  de' trecento 
poveri  ciechi  stabili  l' annua  ren- 
dita di  duecento  mila  lire.  Beni- 
gno, dolce,  piacevole,  e  in  pari 
tempo  fermo  e  costante,  nel  dare 
udienza  fu  facile,  né  mai  sgridò 
alcuno  se  non  per  pubblico  zelo , 
per  la  corona  e  per  la  Chiesa  :  col 
capitolo  visse  sempre  in  bella  ar- 
monia. 

GONDY  Exrjco,  Cardinale.  En- 
rico di  Gondy  detto  di  Retz,  nac- 
que iu  Francia  da  nobilissima  fa- 
miglia, e  fu  dotato  di  sì  portentosa 
e  tenace  memoria,  che  tuttociò  che 
lesse  imparò.  Dopo  essere  stato  ca- 
nonico di  Parigi,  fu  eletto  vescovo 
di  tal  città  per  rinuuzia  fattagli 
dal  cardinal  Pietro  suo  zio  nel 
1  )0,6,  e  ne  prese  possesso  nel  i5»)8 
con  pensione  di  2j,ooo  lire  turo- 
nesi in  favore  del  rinunziante,  quin- 
di v'  introdusse  un  gran  numero  di 
regolari  d'ambo  i  sessi.  Ad  istanza 
del  re  Luigi  XIII,  Paolo  V  a'  26 
mano  1618  lo  creò  cardinale  del- 
l' ordine  de'  preti.  Essendo  uno  dei 
punii  consiglieri    del    regno    e    del 


264  GON 

dipartimento  ecclesiastico,  si  adope- 
rò col  cardinal  Rochefoucault,  af- 
finchè fossero  tolte  dalle  mani  de- 
gli ugonotti  le  città  da  essi  prese 
ai  cattolici.  Nel  1612  si  trovò  pre- 
sente al  concilio  provinciale  tenu- 
tosi in  Parigi ,  nel  quale  rimase 
condannato  l' infame  libro  di  Ed- 
mondo Richerio,  ed  intervenne  pu- 
re all'  assemblea  tenutasi  nella  me- 
desima città  dai  tre  ordini  della 
Francia  nel  i6i/\.  e  16 i5,  insieme 
con  altri  quattro  cardinali,  sette 
arcivescovi,  e  quarantasette  vesco- 
vi ;  e  nel  1 6 1 9  fu  decorato  delle 
insegne  di  commendatore  dell'or- 
dine dello  Spirito  Santo.  Con  fama 
di  grande,  magnanimo,  e  facile  a 
perdonare  le  offese,  mori  in  Be- 
ziers  a' 3  agosto  1622,  d'  anni  cir- 
ca sessanta,  e  trasferito  il  cadavere 
a  Parigi,  fu  sepolto  nella  cattedra- 
le, nella  cappella  di  sua  famiglia. 
I  molti  libri  a  lui  dedicati  lo  fanno 
bastevolmenle  conoscere  cospicuo 
mecenate  de'letterati  del  suo  tempo. 

GONDY     GlANFRANCESCO     PAOLO, 

Cardinale.  Gianfrancesco  Paolo  de 
Gondy  detto  comunemente  di  Retz, 
nacque  dai  conti  di  Joigny  a  Mont- 
miret  nella  Bri  e,  pronipote  del  car- 
dinal Pietro,  e  nipote  del  cardinal 
Enrico.  Fornito  dalla  natura  di 
perspicace  ed  elevato  ingegno,  ebbe 
la  sorte  di  avere  a  suo  precettore 
s.  Vincenzo  de  Paoli,  e  coli' assi- 
dua applicazione  allo  studio  della 
teologia,  della  storia  ecclesiastica,  e 
de  santi  padri  divenne  uno  de'  più 
eccellenti  teologi  del  suo  secolo,  ed 
in  breve  tempo  imparò  perfetta- 
mente le  lingue  ebraica,  greca,  la- 
tina, italiana,  spagnuola,  tedesca,  e 
francese,  nelle  quali  tutte  parlava 
con  tale  eleganza,  come  se  fossero 
state  sue  lingue  native.  Né  minor 
stima  si  acquistò  coli' eloquenza  del 


GON 

pulpito,    la   quale    avea  in  lui  del 
meraviglioso.  Per   queste    ed    altre 
rare  prerogative  fu  dal  re  di  Fran- 
cia provvisto  di  pingui    abbazie,  e 
fatto  coadiutore  dello  zio  nel  vesco- 
vato di  Parigi,  di  cui  fu  poi  il  pri- 
mo arcivescovo.  Destinato  all'assem- 
blea del  clero,  fece  spiccare  i  suoi 
talenti,  singolarmente  nell'  orazione 
recitata    alla    presenza   di    quel  ri- 
spettabilissimo consesso ,   a    cui  in- 
tervenne lo    stesso    re,    a    di    cui 
istanza  Innocenzo  X  a'  19  febbraio 
i652  lo  creò    cardinale   prete    del 
titolo  di  s.    Maria    sopra    Minerva. 
Le  vicende  di   questo  porporato  di- 
vennero famose,   dappoiché    quan- 
tunque di  gran  coraggio,  di  cuore 
magnanimo,  e  di  spirito  superiore, 
fu  uomo  di  carattere  inquieto,  in- 
trigante, per  maneggi  prodotti  dal- 
l'ambizione. A  ciò  si  aggiunga  l'av- 
versione del  potente  cardinal  Maz- 
zarini ,    la    prigionia   in    Vincennes 
ed  in  Nantes,    la    fuga,    e    la    vita 
errante  che  dovette  condurre  sotto 
Luigi  XIV.  La  forzata   sua  rinun- 
zia all'  arcivescovato,  la  rinconcilia- 
zione  colla  corte,  e  le  altre  circo- 
stanze più  rimarchevoli  de'  suoi  av- 
venimenti si  possono  leggere   negli 
storici  che  ne  scrissero  di  proposi- 
to a  lungo,  e  singolarmente  le  me- 
morie da  lui  stesso  scritte,  ossieno 
commentari     storici,     stampati     in 
Amsterdam  nel  1719  in  quattro  vo- 
lumi ;  come  ancora  si  possono  con- 
sultare   le    memorie    del    cardinale 
di  Retz ,    che  in    francese  compilò 
Joly  ;  quanto  ne  disse,   sebbene  se- 
veramente, il    Bercastel     nell'  flint, 
de  V  Eglise  tom.  XXII,    p.    44    c 
seg.  ;  e     quanto     noi    dicemmo    al 
voi.  XXVII,  p.  37,  38,  39,  4", 
ec.    del   Dizionario.  Ciò  che  non  si 
deve  lasciare  di  dire  in  questo  ar- 
ticolo  si    è ,    che    ammaestrato    il 


GON 

cardinale  dalla  propria  sperienza 
della  caducità  delle  umane  vicende, 
stabilì  di  ritirarsi,  di  rinunziare  la 
dignità  cardinalizia,  e  vestire  l'a- 
bito religioso  nel  amnisterò  di  s. 
Michele  alla  Mosa;  ma  quantun- 
que lo  domandasse  con  grandi 
istanze,  non  potè  giammai  ottener- 
lo da  Clemente  X,  onde  venduti  i 
suoi  ricchi  feudi,  pagò  gì'  immensi 
debiti  che  avea  contratto  nel  tem- 
po dell'  esilio ,  che  si  fecero  ascen- 
dere a  tre  milioni  di  scudi ,  e  si 
diede  ad  una  vita  quieta  e  ritirata, 
iiell'  esercizio  della  quale  morì  in 
Parigi  a' 24  agosto  1679,  d'anni 
sessantasei  non  compiti,  e  ventiset- 
te di  tempestoso  cardinalato  ;  e  fu 
sepolto  nella  sua  abbazia  di  s.  Dio- 
nigi con  magnifico  elogio,  la  qua- 
le avea  ricevuto  dopo  la  pacifica- 
zione colla  corte.  Intervenne  alle 
elezioni  di  Alessandro  VII,  di  Cle- 
mente IX,  di  Clemente  X,  e  d'In- 
nocenzo XI,  nelle  quali  mostrò  gran 
niente.  Amico  affettuoso,  cortese 
co'  famigliari,  generoso  co'  letterati, 
fu  costante  ed  intrepido  nelle  av- 
versità. 

GONET  Giovanni  Battista,  teo- 
logo domenicano,  nativo  di  Beziers. 
Fu  addottorato  nell'  università  di 
Bordeaux  nel  1 640  ,  e  vi  professò 
teologia  con  molto  onore  (ino  al 
1671,  in  cui  fu  eletto  provinciale. 
Bi prese  poi  la  sua  cattedra  nel 
167.5,0  morì  a  Beziers  nel  1G81. 
Le  principali  sue  opere  sono:  i.° 
l)i<serlatio  theologica  de  proba- 
bilitate ,  in  qua  novorum  casui- 
sticarum  latitate  et  janseniarum 
excasus  ex  doctrina  </.  Thomat 
corriguntur  et  confutanlur ;  a.°  Cly- 
peus  theoiogiae  Thomisticae  con- 
no, novos  c/'us  impugnature»  ;  3." 
Manuale  Thomistarum,  scu  bit  vis 
theoiogiae  cursus. 


GON       »65 
GONFALONE  o  GONFALONE. 

Insegna  o  bandiera,  vexillum,  si- 
gnuni.  Questo  vocabolo  si  applicò 
anco  a  compagnia  o  moltitudine 
che  sta  o  si  aduna  sotto  alcun  gon- 
falone, Bandiera  o  Vessillo  (Fedi); 
quindi  chiaraossi  in  Italia  Gonfa- 
loniere (Vedi),  quello  che  porta- 
va nell'esercito  il  gonfalone  e  la 
insegna,  che  malamente  nei  moder- 
ni dizionari,  come  si  legge  nel  Di- 
zionario delle  origini,  si  è  creduto 
equivalente  a  quello  che  oggi  chia- 
masi Alfiere.  Questo  trova  vasi  an- 
che nelle  nostre  milizie  antiche,  e 
non  era  il  gonfaloniere.  Gonfalo- 
niere fu  anche  titolo  di  una  di- 
gnità che  la  Chiesa  romana  conferi- 
va a  sovrani  od  a  qualche  distinto 
ed  illustre  personaggio.    VediOos- 

FALONIERE  DELLA  SANTA  ROMANA  CHIE- 
SA. Si  legge  inoltre  nel  citato  Di- 
zionario delle  origini,  che  quello 
francese  dice,  che  il  gonfalone  era 
anticamente  il  nome  delle  bandie- 
re, sotto  le  quali  si  riunivano  le 
truppe  e  i  vassalli  convocati  per 
la  difesa  delle  chiese  e  de'beni  ec- 
clesiastici :  questo  non  è  punto  e- 
satto,  perchè  il  titolo  di  gonfalo- 
niere si  diede  anticamente  in  Ita- 
lia ai  comandanti  e  talvolta  ai  ca- 
pitani generali  eletti  per  la  difesa 
di  una  città  o  di  uno  stato,  e  co- 
sì si  fece  in  Firenze  anziché  iu 
Boma,  dal  cui  gonfaloniere  piglios- 
si  l'idea  della  difesa  e  del  sosteni- 
mento delle  chiese.  Certo  è  che  i 
vocaboli  di  Gonfalone  e  di  Gon- 
faloniere passarono  dall'Italia  in 
Francia,  e  non  se  ne  fece  uso  co- 
là se  non  che  molto  tempo  dopo 
gl'italiani.  Tuttavolta  si  dice  che  in 
Francia  1  gonfaloni  ciano  pori. ili 
d'ordinario  dagli  avvocati  o  Di- 
on  (I  edi)  dello  abbazie  (  il 
citi    è   un  traviamento  di   quel  vo- 


366  GON 

cabolo  e  di  quella  dignità),  e  al- 
trove da  signori  o  personaggi  di- 
stinti. Si  soggiunge  ehe  in  alcuni 
stali  lo  stendardo  del  regno  o  del- 
la repubblica  era  altresì  appellato 
gonfalone.  Ma  qui  pure,  avverte 
l' italiano  Dizionario  delle  origini, 
si  cade  in  errore,  perchè  più  esat- 
tamente si  sarebbe  detto  che  in 
alcuni  stati  d'  Italia  lo  stendardo 
delle  repubbliche  o  delle  città  chia- 
m  a  vasi  gonfalone;  e  su  questo  esem- 
pio gonfaloni  si  nominarono  anco- 
ra le  bandiere  o  gli  stendardi  delle 
Confraternite.  {Vedi),  o  compagnie 
che  numerosissime  sorgere  si  vide- 
ro dopo  il  secolo  XI II. 

GONFALONIERE,  o  GONFA- 
LONIERO,  signifer.  Quegli  che 
porta  nell'  esercito  il  Gonfalone 
{Vedi),  e  l'insegna.  Gonfaloniere  è 
anche  titolo  di  una  dignità  che 
dava  ancora  la  santa  Sede  a  prin- 
cipalissimi  personaggi,  o  sovrani, 
conferendo  pure  i  Papi  l'uffizio  di 
Gonfaloniere  o  Primipilo  del  po- 
polo romano.  L' etimologia  della 
parola  primipilo  o  gonfaloniere  ci 
là  comprendere  senza  altra  spiega- 
zione donde  abbia  avuto  origine 
una  tal  carica,  e  quale  ne  fosse  il 
principale  offizio.  Il  primipilato,  se- 
condochè  fu  istituito  dai  romani , 
e  che  altro  non  era  che  il  primo 
fra  i  centurioni,  rigorosamente  non 
sarebbe  la  stessa  cosa  col  gonfalo- 
nierato introdotto  ne'  bassi  tempi , 
e  del  quale  era  propria  incomben- 
za di  portare  il  principale  vessillo 
del  proprio  sovrano  o  repubblica  , 
tanto  nelle  militari  spedizioni,  che 
nelle  pubbliche  feste  e  spettacoli , 
onde  chi  era  di  tal  dignità  rive- 
stito chiamossi  anche  vexillifer . 
Trovasi  però  unito  l'uno  e  l'altro 
vocabolo  sotto  la  stessa  significazio- 
ne ,  forse  perchè  il  comando  mili- 


GON 

lare  del  gonfaloniere  dopo  la  ca- 
duta dell'imperio  sarà  stato  equi- 
valente a  quello  del  primipilo  pres- 
so gli  antichi  romani.  Gonfalonie- 
re si  chiamava  in  Firenze  quegli 
che  nella  repubblica  aveva  il  su- 
premo magistrato,  e  si  chiama  in 
molti  luoghi  il  capo  de'  comuni  ; 
onde  si  disse  gonfalonerato,  gonfilo- 
nitrato  o  gonfalonieratico,  la  dignità 
e  grado  del  gonfaloniere.  Secondo 
il  Borghini  il  gonfalonierato  fu  crea- 
to parecchi  anni  dopo  il  priorato, 
e  quasi  sostituito  al  medesimo;  il 
Varchi  parla  di  azioni  fatte  duran- 
te un  gonfalonierato  asprissimo  ed 
implacabile  contro  la  possente  fa- 
miglia de' Medici  in  Firenze,  e  il 
Salvini  dice  il  gonfalonierato  e  il 
priorato,  supreme  cariche  di  due 
mesi ,  acciocché  a  tutti  i  cittadini 
fosse  aperto  l'adito  alle  medesime. 
Si  dice  che  la  detta  famiglia  de'Me- 
dici  che  poi  divenne  sovrana  della 
Toscana,  produsse  ventitre  gonfalo- 
nieri e  cento  priori  circa  della  re- 
pubblica fiorentina.  Il  Vettori,  nel 
Fiorino  d'oro  antico  illustrato,  a 
p.  367,  dice  che  il  Vexillfer  justi- 
tiae,  chiamossi  il  gonfalonierato  del- 
la giustizia  ,  grado  supremo  fra  le 
dignità  della  repubblica  fiorentina, 
e  che  quanto  all'onore  corrispon- 
deva a  quel  lustro  ed  a  quel  po- 
sto sublime  che  tennero  i  dogi  di 
Venezia  e  di  Genova.  Tale  digni- 
tà di  gonfaloniere  fu  istituita  in 
Firenze  l'anno  1292,  nella  persona 
di  Baldo  Ruffoli ,  che  entrò  nell'of- 
ficio a'  1  5  febbraio,  e  durò  due  me- 
si ,  subentrando  il  nuovo  gonfalo- 
niere, e  i  nuovi  priori;  ma  fu  poi 
variato  diverse  volte  questo  ordi- 
ne, secondochè  richiedevano  le  oc- 
casioni e  le  contingenze.  Solamen- 
te Piero  di  Tommaso  di  Lorenzo 
Soderini  fu  fatto  gonfaloniere  a  vi- 


G0\ 
ta  l'anno  i5o2,  benché  i  priori  di 
dello  tempo  si   mutassero    vicende- 
volmente.  Altri    gonfalonieri    dura- 
rono un   anno,    altri    dopo   l'anno 
furono    raffermati,    altri    durarono 
più  e  più    mesi;   ma  nel  1527   fu 
deliberato  dai  fiorentini   che  il  gon- 
faloniere di  giustizia  non  si  eleggesse 
né  per  meno  di    un   anno,   né   per 
più  di  tre.   Spiega   mirabilmente  la 
dignità  e   l'origine    de' gonfalonieri 
della    repubblica    fiorentina    Pietro 
Lione  Casella  a  p.  1  48  e  1 49  del 
suo  libro  De  tuscoruni  origine,  Co- 
tonarti, et  repubhca  fiorentina.  Quel- 
li che  godevano,  o  avevano  godu- 
to l'onore  del  gonfalonierato  o  dei 
priori,  solevano  altresì  godere  alcun 
privilegio  nella   loro  repubblica.   Si 
parla  pure  dai  nostri  antichi  scrit- 
tori della  difesa  di  alcune  città  sot- 
to i   loro  gonfaloni,  e  di   battaglie 
co' gonfaloni  spiegati,  ed  alcuno  fa 
menzione   ancora  del    gonfalone  di 
libertà.    Vedi  gli    articoli   Gonfalo- 

MEHE    DELLA    SANTA    ROMANA    CHIESA  , 

e  Gonfaloniere  del  senato  e  po- 
polo romano.  Con  l' autorità  del 
Muratori,  e  della  sua  dotta  disser- 
tazione XLVI  :  Dei  magistrati  del- 
le città  libere  d'Italia,  daremo  un 
cenno  di  quelli  municipali  delle 
comuni. 

Appena  varie  città  d'Italia  si  mi- 
sero in  libertà  ed  assunsero  la  for- 
ma di  repubbliche,  che  d'uopo  fu 
eleggere  magistrati,  che  accudissero 
gli  affari  politici  di  pace  e  di  guerra, 
che  amministrassero  giustizia  al  po- 
polo, che  contenessero  in  dovere  i 
polenti  e  sediziosi ,  e  colle  vicine 
città  formassero  leghe  per  la  comu- 
ne salute.  Primieramente  ad  imi- 
tazione della  repubblica  romana  fu- 
rono creati  i  consoli,  presso  i  quali 
slava  la  suprema  cura  del  governo, 
e  molti  esempi  ve  ne  sono  nel  se- 


GON 
colo  X,  come  in  Pioma  ed  in  Ra- 
venna. Neil'  XI  ve  ne  sono  in  Fer- 
rara ;   ma   altra  cosa  furono  i  con- 
soli delle  città  italiane  divenute  re- 
pubbliche ,  perchè    ad    essi    veniva 
conferita  la  principale    autorità  ,  e 
supremo    regolamento    de'  pubblici 
allàri,  ed  elegge.vansi  dai   tre  ordi- 
ni  del   popolo.    Nulla   però  vi   è  di 
certo,    di    stabile    e  di    uniforme, 
mentre   ciascuna    città    si    regolava 
come  giudicava   più   comodo  ed  u- 
tile  al    proprio  governo,   con  eleg- 
gere chi   due,    chi    quattro,    e  chi 
più  consoli.   Nel  1124  in   Lucca   e- 
ranvi  sessanta  consoli.  Nel   medesi- 
mo secolo  dodici    consoli    governa- 
vano la  città  di  Bergamo.  Nel   1  102 
Genova  era  governata  da  quattro  , 
o  pure  da  sei  consoli,  e  vi   furono 
con<ule.<;    de    comuni  3    consules  de 
placids,  consules  causarum,  consti- 
sules  justitiae,    essendo  uffizio   loro 
decidere  le  liti,   ed   amministrare  la 
giustizia.    Dappoiché    non    un  solo 
era  l'ordine  e    l'impiego  de' conso- 
li ,  perchè    agli   uni    veniva  appog- 
giato il   governo   politico,  e  ad  al- 
tri, perchè  dotti  nelle  leggi,  il  ma- 
neggio delle  cause  civili   e  crimina- 
li.  I   primi   sono    chiamati   consules 
majores  negli   statuti  di  Pistoia.  Nel 
1142  sette  consoli  erano  in  Mode- 
na,  ma  in  essa,  come   in  altre  cit- 
tà,  faceva   la  prima    figura  il   pro- 
prio vescovo,  esercitando  la  princi- 
pale autorità ,    regolando    essi   non 


meno  il  temporale  che  lo  spiritua- 
le, perchè  a  molti  di  loro  ne'tenv 
pi  precedenti  aveano  conceduta 
gì'  imperatori  la  dignità  di  Conti 
t/'tib),  o  sia  di  governatori  delle 
città.  Ed  è  perciò  che  nelle  nuove 
repubbliche  il  popolo  divise  coi  \r- 
scovi  l'autorità,  e  lasciò  loro  il  pu- 
nto luogo  ne' consigli  e  nelle  1  iso- 
lazioni ;  il  che  poi  col  tempo  non 


268  GON 

diuò ,  avendo  i  cittadini  assunto 
tutto  il  temporale  governo.  La  re- 
pubblica di  Milano  avea  nel  1106 
i  suoi  consoli.  L'autorità  tempora- 
le de'  vescovi  cessò  quasi  del  tutto 
dopo  che  Federico  I,  entrato  in  I- 
talia,  fece  cambiar  faccia  ai  pub- 
blici affari.  Non  mancano  però  e- 
sempi  che  dopo  la  pace  di  Costan- 
za il  governo  delle  città,  per  con- 
cessione d'imperatori,  apparteneva 
al  vescovo,  e  che  i  consoli  di  quei 
luoghi  dipendevano  dall'autorità  di 
tali  prelati.  Passò  anche  nelle  ca- 
stella e  ville  il  nome  e  1'  uffizio  di 
consoli.  In  Guastalla  vi  erano  nel 
ii  16  col  loro  consiglio  dipendenti 
dall'  abbate  di  s.  Sisto.  Talmente 
poi  divenne  familiare  il  nome  ed 
uso  de'  consoli ,  che  dovunque  le 
castella ,  terre  e  ville  godevano  il 
nome  di  comune  o  comunità,  ben- 
ché sotto  il  dominio  di  principi  o 
ecclesiastici  o  secolari,  i  capi  di  es- 
si erano  chiamati  consoli.  Ancora 
nella  città  di  Benevento  eranvi  i 
consoli,  aboliti  da  Martino  IV  per- 
chè si  usurpavano  troppa  autorità. 
Anche  dopo  i'  introduzione  del  go- 
verno de'  podestà  continuò  la  de- 
nominazioue  de'  consoli  in  alcuni 
impieghi  minori,  ed  in  molle  Uni- 
versità artistiche  (Pedi),  dura  tut- 
tora. 

Per  più  anni  appoggiata  fu  la 
principale  autorità  e  i  pubblici  af- 
fari nelle  città  libere  ai  consoli,  e 
questi  presi  dal  ruolo  de'  propri 
cittadini.  Ma  prima  del  ti8o  si 
cominciò  ad  introdurre  una  diffe- 
rente maniera  di  governo;  percioc- 
ché entrando  la  discordia  facilmen- 
te tra'  cittadini ,  molti  si  disgusta- 
rono dell'autorità  de' consoli ,  che 
talvolta  non  andavano  d' accordo. 
In  fatti  seguivano  tumulti  nell'ele- 
zione di  tali  magistrali ,  aspirando 


GON 

specialmente  i  potenti  per  ottenere 
quella  preeminenza  ed  autorità  nel- 
la loro  patria,  dal  che  derivavano 
parzialità  e  prepotenze.  Parve  dun- 
que miglior  consiglio  il  prendere 
dalle  vicine  amiche  o  collegate  città 
qualche  prudente  personaggio  da 
cui  fosse  governato  il  popolo  ed 
amministrata  la  giustizia,  ed  a  sif- 
fatti rettori  fu  imposto  il  nome  di 
Podestà  {Vedi).  Andrea  Adami  nel- 
la Storia  di  Volseno  o  Bolsena, 
parlando  nel  t.  II,  p.  88,  de'  ma- 
gistrati civici  di  essa  sua  patria , 
dice  che  tal  città  da  stranieri  ma- 
gistrati governata,  giusta  le  vicende 
de'tempestosi  tempi,  non  lasciò  mai 
di  avere  i  suoi  magistrati  domesti- 
ci a  quei  del  popolo  romano  proba- 
bilmente somiglianti,  narrando  co- 
me nel  decimo  secolo  Alberico  figlio 
del  marchese  Alberto,  e  di  Mario- 
zia  marchesana  della  Toscana,  scos- 
se il  dominio  temporale  de'  Papi,  e 
si  fece  creare  console  ;  mentre  altri 
fu  eletto  prefetto  di  Roma,  e  fu 
restituito  il  collegio  de'  tribuni  del- 
la plebe  chiamali  con  greco  voca- 
bolo decarconi  ossia  decurioni  , 
e  piò  tardi  Banderesi  (Vedi),  così 
detti  dalle  bandiere  che  usavauo 
in  guerra,  perchè  ciascuna  decuria 
di  Roma  si  distingueva  dalla  sua 
insegna,  indi  chiamati  Capo-Rioni 
(Vedi),  cessando  l'amministrazione 
de'  duchi  e  de'  maestri  della  mili- 
zia, che  introdotti  dagli  esarchi  di 
Ravenna,  erano  stati  sotto  il  gover- 
no de'  Pontefici  per  due  secoli  con- 
tinuati. Tal  magistrato ,  soggiunge 
l'Adami,  resta  presentemeute  adom- 
brato da  quello  che  è  supremo 
nelle  comunità,  e  dicesi  de'  Gonfa- 
lonieri o  Gonfalonieri ,  con  nome 
preso  ne'  seguenti  secoli ,  quando 
l'uso  de' gonfaloni  tanto  famosi  nel- 
le storie  fiorentine,  si  stabili  nelle 


GOX 

principali  città  dell'Italia,  e  parti- 
colarmente in  quelle  che  sopra  di 
altre  aveano  soggette  1'  imperio. 
Mentre  che  il  primo  di  questo  col- 
legio de' gonfalonieri  contraddistin- 
to viene  nelle  più  ricche  insegne 
sopra  gli  altri  collegi,  ed  equivale 
al  prefetto  della  città:  il  Prefetto 
di  Roma  [Fedi)  fu  nobilissima  ed 
autorevole  dignità ,  che  durò  sino 
ad  Urbano  Vili.  In  Bolsena,  dice 
l'Adami,  dopo  il  gonfaloniere,  civi- 
co magistrato,  vi  sono  il  primo  e 
secondo  priore,  che  somigliano  al- 
la potestà  consolare,  ed  i  magistra- 
ti subalterni  fanno  l' uffizio  degli 
antichi  tribuni.  Bene  è  vero ,  che 
non  come  quei  della  romana  re- 
pubblica dalle  famiglie  plebee  si 
scelgono ,  ma  dalle  patrizie  ,  come 
i  due  priori,  e  che  la  elezione  si 
fa  dal  pubblico  consiglio ,  col- 
l^assistenza  del  prelato  che  risiede 
in  Viterbo  ;  quaranta  capi  di  fa- 
miglia rappresentano  la  piena  co- 
munità nel  consiglio  grande,  eh' è 
tutto  composto  di  cittadini  volse- 
nesi.  Stima  adunque  l'erudito  Ada- 
mi, che  questo  modo  di  regolamen- 
to politico  fosse  nella  sua  patria  in- 
trodotto circa  la  metà  del  X  seco- 
lo,  o  dal  medesimo  Alberico  con- 
sole di  Roma  ,  che  avendo  stretta 
parentela  coi  marchesi  di  Toscana, 
potè  in  questa  provincia  introdur- 
re il  romano  costume,  ovvero  per 
la  dominazione  che  in  essa  volle 
esercitarvi.  Né  per  altra  cagione  co- 
s'i fatto  magistrato  ivi  conservasi,  ed 
anche  per  non  essere  mai  stata 
Bolsena  feudo  di  alcuno,  onde  più 
in  essa  che  nelle  altre  le  più  anti- 
che istituzioni  si  ravvisano. 

Giuseppe  Colucci  nella  sua  Tre- 
ja  oggi  fllontecckio,  parlando  dei 
magistrati  civici  di  questa  città  e 
del  podestà,  dice   che  poscia  furo- 


GON  269 

no  istituiti  i  priori  e  quindi  i  gon- 
falonieri così  detti  dalla  bandiera 
del  popolo.  Conviene  che  i  primi 
ad  introdurre  il  gonfalonierato  fu- 
rono i  fiorentini  nel  i^g'i,  ciò  che 
fu  posto  in  uso  anche  in  altre  cit- 
tà d'Italia.  Era  in  Montecchio  que- 
sto nobile  magistrato  fino  dal  i36g, 
essendo  legato  per  la  s.  Chiesa  nel- 
la Marca  il  cardinal  Anglico  che 
indirizzò  un  diploma;  Dileclis  in 
Christo  confaloniero,  et prioribus  po- 
pulì  terme  3Ionticuli,ec.  Del  gonfa- 
loniere bolognese  di  giustizia,  e  dei 
gonfalonieri  delle  arti  bolognesi,  ne 
tratta  il  eh.  Giordani,  Della  venu- 
ta in  Bologna  di  Clemente  VII  e 
Carlo  V.  Gio.  Nicolò  Pasquale  A- 
lidosi  ci  diede  vari  opuscoli  sui 
gonfalonieri  di  giustizia  del  popo- 
lo e  comuni  di  Bologna,  incomin- 
ciando dal  i32i  e  sino  al  i58o, 
non  che  su  diversi  magistrati  ci- 
vici della  medesima  città,  come  an- 
ziani, consoli,  riformatori  dello  sta- 
to di  libertà,  proconsoli  e  corret- 
tori de'notari,  tribuni  della  plebe, 
ec,  tutti  magistrati  del  comune  e 
popolo  bolognese. 

Oltre  quanto  sulla  divisione  am- 
ministrativa dello  stato  pontificio 
dicemmo  all'articolo  Delegazioni  b 
Legazioni  apostoliche  (Vedi),  per- 
ciò che  riguarda  le  magistrature 
civiche  delle  comuni  aggiungeremo. 
Ogni  provincia,  qualunque  denomi- 
nazione si  abbia ,  si  suddivide  iu 
distretti,  e  questi  in  governi,  ognu- 
no de'  quali  si  parte  in  comuni,  che 
talora  hanno  soggetti  alcuni  appo- 
diati.  Il  capo  della  magistratura 
municipale  dicesi  Gonfaloniere  nel- 
le città,  Priore  (Vedi),  in  tutte  le 
altre  comuni,  Sindaco  (Vedi),  nei 
villaggi  appodiati.  Il  gonfaloniere  e 
assistito  da  un  proporzionato  nu- 
mero di    anziani,    ed  il    priore    da 


270  GON 

due  aggiunti.  Le  deliberazioni  si 
fanno  ne' consigli  comunitativi,  che 
contengono  secondo  la  qualità  dei 
luoghi  da  quarantotto  a  sedici  in- 
dividui ,  ed  al  regnante  Pontefice 
Gregorio  XVI  si  deve  la  restaura- 
zione de'  consigli  provinciali  con  i- 
straordinarie  facoltà  per  supplire 
alle  pubbliche  bisogne.  Ma  sarà 
meglio  riportare  quanto  sui  gonfa- 
lonieri ed  altri  magistrati  munici- 
pali si  legge  nell'  Ordinamento  am- 
ministrativo delle  provincie  e  de' con- 
sìgli comunitativi  dello  stato  ponti- 
ficio ,  pubblicato  a' 5  luglio  1 83 1 
dal  cardinal  Tommaso  Bernetti  pro- 
segretario di  stato  per  ordine  del 
Papa  lodato. 

Titolo  II.  Disposizioni  sull'orga- 
nizzazione delle  comunità. 

»i.I  consigli  delle  comunità  aven- 
ti diecimila  o  più  abitanti  saranno 
composti  di  48  consiglieri  ;  in  quel- 
le dai  quattromila  ai  diecimila  di 
36  ;  dai  mille  ai  quattromila  di 
^4;  sotto  i  mille  di  16. 

»  1 3.  Il  gonfaloniere  e  gli  an- 
ziani formano  la  magistratura  del- 
la comunità.  Questa  esercita  tutte 
le  funzioni  amministrative  o  rap- 
presentative della  medesima.  In 
quelle  di  diecimila  e  più  abitanti 
la  magistratura  è  composta  di  no- 
ve individui;  in  quelle  della  secon- 
da classe  di  sette,  della  terza  di 
cinque,  della  quarta  di  tre. 

«  Tutti  i  membri  delle  magi- 
strature prendono  indistintamente 
il  nome  di  anziani.  Il  capo  della 
magistratura  si  chiama  gonfalonie- 
re nelle  città ,  e  negli  altri  luoghi 
priore. 

«  1 4-  Una  parte  della  magistra- 
tura si  rinnova  in  ogni  biennio,  ed 
in  ogni  biennio  si  rinnova  il  gon- 
faloniere ed  il  priore.  In  un  ses- 
sennio sono  così  rinnovali  tutti  gli 


GON 

anziani,  decidendo  prima  la  sorte, 
indi  il  turno  per  ordine  di  anzia- 
nità in  officio. 

»  Dalle  magistrature  di  nove  e 
di  tre  membri  uscirà  un  terzo  per 
volta  :  dalle  altre  usciranno  due 
membri  per  volta  nei  primi  due 
anni,  e  nel  terzo  il  restante,  e  così 
di  seguito. 

»  Gì'  individui  che  n'escono  so- 
no sempre  rieleggibili. 

*»  i5.  Si  avrà  cura  che  ai  po- 
sti di  gonfaloniere  sieno  chiamati 
gì'  individui  più  specchiati  delle  fa- 
miglie più  rispettabili  per  antichi- 
tà e  per  possidenza.  In  quanto  agli 
anziani  si  cercherà  che  siano  scel- 
ti tra  le  persone  di  oneste  fami- 
glie, e  che  vivano  dei  loro  redditi. 
»»  16.  In  ogni  modo  nelle  ma- 
gistrature di  prima  e  seconda  clas- 
se non  potranno  entrare  più  di 
due  individui  non  possidenti,  nelle 
altre  non  ne  potrà  entrare  più  di 
uno. 

»  Per  essere  eletto  gonfaloniere 
o  anziano  è  necessario  avere  l'età 
non  minore  di  trent'anni:  sono  ap- 
plicabili alle  magistrature  tutti  i  ti- 
toli che  escludono  dai  consigli,  do- 
vendo i  consiglieri  essere  di  buoni 
costumi,  e  di  commendata  condot- 
ta politica  e  civile:  non  potendo 
entrare  ne'  consigli  gì'  interdetti,  i 
possidenti  domiciliati  fuori  di  sta- 
to, i  debitori  delle  comunità,  quel- 
li che  si  trovano  in  lite  con  esse, 
i  suoi  impiegati  o  salariati,  e  tutti 
coloro  i  quali  hanno  contratti  col- 
le medesime  o  conti  da  rendere. 

»  Gli  anziani  possono  essere  presi 
tanto  nel  seno  del  consiglio ,  che 
fuori  di  esso.  Quando  vengono 
presi  fra  i  consiglieri  si  rimpiazza 
subito  il  loro  posto,  onde  il  con- 
siglio sia  sempre  completo, 
li  »  17.    Al    consiglio   di    ciascuna 


CON 

comunità  apparterrà  la  nomina  di 
tutti  gì'  inservienti,  e  di  tulli  i  sa- 
lariati impiegati  in  servigio  sia 
della  comunità,  sia  della  popolazio- 
ne. Alla  fine  d'ogni  biennio  si  pro- 
cederà nel  giorno  di  santa  Lucia, 
secondo  l'antico  uso,  alla  nuova  no- 
mina o  conferma  di  lutti  ". 

In  assenza  o  malattia  dei  gonfa- 
lonieri o  priori  resta  affidato  l' e- 
sercizio  delle  loro  funzioni  al  pri- 
mo anziano,  secondo  il  disposto  di 
Leone  Xll  nel  molo-proprio  de'21 
dicembre  1837,  art.  206.  Al  nuovo 
eletto  gonfaloniere  o  priore,  mala- 
Io  ,  od  assente  precariamente  dal 
suo  comune ,  è  permesso  di  pren- 
dere possesso  del  suo  officio  per 
mezzo  di  procuratore,  previo  l' in- 
tesa del  preside  della  provincia,  a 
tenore  della  circolare  della  segre- 
teria di  stato,  de'  3  settembre  1 83  1 . 
Della  giurisdizione,  prerogative,  ed 
altro  riguardante  i  gonfalonieri , 
priori,  ed  altri  magistrati  comuna- 
li, ne  tratta  la  Raccolta  delle  leg- 
gi e  disposizioni  di  pubblica  ani' 
ministrazione  nello  slato  pontificio. 
Diversi  poi  sono  gli  articoli  di 
questo  Dizionario  che  riguardano 
tale  argomento,  come  Citta,  Com- 
muxita,  Colonie,  Municipio,  oltre  i 
citati  di  sopra ,  ed  altri  ancora. 
Del  modo  come  i  gonfalonieri  o 
priori  ed  altri  magistrati  civici  fan- 
no omaggio  al  Pontefice  se  onora 
di  sua  presenza  i  loro  luoghi,  se 
ne  parla  descrivendo  l'accesso  dei 
Papi  nelle  città  e  luoghi  anco  non 
soggetti  al  loro  temporale  dominio. 
A' luoghi  medesimi  si  dice  come 
ricevettero  e  festeggiarono  altri  so- 
vrani. Dei  distintivi  ed  abiti  mu- 
nicipali o  decurionali  dei  gonfalo- 
uieri,  anziani,  priori  e  .sindaci  dello 
stato  pontifìcio,  se  ne  tratta  piin- 
cipalmcule  iu  diversi    articoli  delle 


CON  27. 

rispettive  città  e  luoghi  del  mede- 
simo. Ordinariamente  l'abito  del 
gonfaloniere  e  degli  altri  magistra- 
ti municipali  ,  consiste  in  un  rul>- 
bone  di  drappo  di  seta  nera,  o  di 
velluto  nero,  con  fascia  e  fiocchi ,  e 
con  berretta  per  lo  più  di  velluto 
nero.  L'  abito  solenne  dei  "onfalo- 
nieri  ordinariamente  è  decorato  di 
mostre  di  tela  d'oro  al  bavaro,  alle 
mostre  delle  maniche  corte,  e  delle 
parti  davanti,  essendo  quelle  degli  an- 
ziani d'argento  ;  di  fascia  di  seta  con 
fiocchi  d'oro,  o  di  tela  d'oro  con 
fiocchi  d'oro  nei  gonfalonieri,  e  ne- 
gli anziani  di  seta  cun  fiocchi  di 
argento,  ovvero  di  tela  d'argento 
con  fiocchi  d' oro  :  tutti  i  gonfalo- 
nieri e  gli  anziani  usano  i  collari 
o  bragiuole  con  berretta  di  velluto 
con  fiocco  d' oro  ;  ed  in  qualche 
luogo  il  gonfaloniere  ha  dei  dislin 
tivi  particolari.  In  altri  luoghi,  per 
concessioni,  il  magistrato  municipale 
veste  gli  abiti  del  magistrato  ro- 
mano,  di  cui  parlasi  all'articolo 
Senato  Romano  (  Vedi  ),  ed  altri 
magistrati  portano  una  collana  di 
oro  con   medaglia  simile,  ec. 

GONFALONIERE  della  sahta 
romana  Chiesa.  Antica  e  sublime 
dignità  della  santa  Sede  apostolica, 
che  i  sommi  Pontefici  conferirono 
a  sovrani ,  principi  e  distintissimi 
personaggi  benemeriti  della  mede- 
sima, i  quali  custodivano  il  gonfa- 
lone della  romana  Chiesa  fregi;ilo 
delle  chiavi  incrociate,  insegna  del- 
la Sede  apostolica  ,  e  talvolta  con 
l' immagine  del  principe  degli  apo- 
stoli s.  Pietro,  Vedi  Stendardo  ni 
s.  Pietro,  e  Vessillo.  Al  gonfalo- 
niere della  santa  romana  Chiesa 
erari  annesso  1* obbligo  di  difènder- 
la, e  tutelare  i  suoi  diritti  e  ragio- 
ni, come  gli  antichi  dignitari  di 
Roma,  o>sia    del    Patrizio    romano 


272  CON 

(Fedi),  conferito  da  diversi  Papi 
ad  alcuni  re  di  Francia,  e  come  il 
Difensore  (  Fedi)  della  stessa  ro- 
mana Chiesa.  Jacopo  II  re  d'  Ara- 
gona, fiorito  nel  1291,  tributario 
della  santa  Sede  per  la  Corsica  e 
per  la  Sardegna,  era  pure  gonfa- 
loniere, ammiraglio,  e  capitano  ge- 
nerale della  Chiesa  romana.  Que- 
sta dignità  esercitò  ancora  Lodovi- 
co I  re  d'  Ungheria,  che  ascese  al 
trono  Tanno  1 34o  ,  onde  il  Papa 
Urbano  V  lo  chiamò  in  Italia  nel 
1370  per  opporlo  ai  fiorentini,  ed 
a  Bernabò  Visconti  signore  di  Mi- 
lano, che  invadevano  le  terre  della 
Chiesa.  Giovanni  Aucuto  o  Aguto 
inglese,  fu  capitano  e  gonfaloniere 
della  Chiesa  romana  sotto  Grego- 
rio XI;  comandò  gl'inglesi  e  i 
bretoni  co'  quali  fece  quanto  si  dis- 
se agli  articoli  Cesena  e  Forlì  ; 
mentre  a  quello  di  Faenza  dicem- 
mo come  il  Papa  donò  a  Giovan- 
ni Cotignola  cogli  altri  paesi  della 
Romagnola  in  premio  di  militari 
imprese.  Lo  Scotto  nell'  Itinerario 
d'Italia  a  p.  241  dice  che  l'Agu- 
to  nel  1 37 1  circondò  di  mura  il 
castello  di  Cotignola.  Innocenzo  VII 
nel  i4o6  conferì  la  dignità  di  gonfa- 
loniere e  difensore  della  Chiesa  roma* 
na  a  Ladislao  re  di  Napoli.  Ma  sicco- 
me quel  principe  aspirava  al  dominio 
di  Roma,  Alessandro  V  emanò  sen- 
tenza contro  di  lui  nel  1 409 ,  e 
neh'  anno  seguente  accolse  in  Pisa 
Lodovico  d'  Angiò,  lo  riconobbe  re 
di  Sicilia,  e  lo  costituì  gonfaloniere 
della  Chiesa.  Martino  V  dichiarò 
gonfaloniere  della  Chiesa  romana 
Muzio  Attendoli  detto  Sforza  il 
Grande.  Giordano  Colonna  fratello 
del  Papa,  per  ordine  di  questi,  por- 
tò a  Sforza  in  Napoli  il  diploma  e 
le    insegne    di    gonfaloniere    della 


GON 
velli,  De  i>ita  Sfortiae  tomo  XIX, 
Rer.  Ilal.  col.  692  ,  descrive  una 
tal  funzione.  «  His  peractis  secun- 
dum  Pontifìcis  justa  Jordanus  Sfor- 
tiam  Romanae  Ecclesiae  confano- 
nerium  pronuntiat  :  Pontificalia  , 
quae  attulerat,  insignia  ad  eum 
defert.  Auctus  vero  ea  dignitate 
Sfortia ,  ingenti  procerum  numero, 
et  omni  denique  neapolitana  nobili- 
tate comitante,  splendidissimo  ap- 
parata per  urbem  fertur,  sublatis 
ante  se  prò  more  pontificalibus  si- 
gni januario  mense  ejus  initio  an- 
ni, qui  fuit  decimus  nonus  supra 
mille  et  quadringentos  ".  Marti- 
no V  compartì  tale  dignità  allo 
Sforza ,  per  averlo  liberalo  dalle 
scorrerie  di  Braccio  da  Montone,  e 
per  altri  servigi  resigli.  Eugenio  IV 
nel  i435  creò  gonfaloniere  di  sauta 
Chiesa  Francesco  Sforza  figlio  del 
precedente,  e  capo  dell'esercito  del- 
la medesima  Chiesa,  per  trattenere 
il  torrente  delle  conquiste  che  avea 
fatto  nei  pontificii  dominii ,  anzi 
riconoscendolo  marchese  della  Mar- 
ca e  dell'  Umbria  da  lui  occupate 
colle  armi  di  Filippo  Maria  Visconti 
duca  di  Milano.  Nel  i442  avendo 
Alfonso  V  re  d'  Aragona  preso 
Napoli,  e  non  trovandosi  Eugenio 
IV  in  forze  tali  da  poterlo  caccia- 
re dal  regno,  né  riprendere  molte 
città  dello  stato  ecclesiastico  occu- 
pate con  frode  dallo  stesso  princi- 
pe, procurò  di  ridurlo  colla  dol- 
cezza, onde  lo  creò  gonfaloniere 
della  Chiesa.  Seguitando  egli  al- 
l' opposto  ad  invadere  altre  città 
della  santa  Sede ,  Eugenio  IV  gli 
levò  l' uffizio  di  gonfaloniere ,  lo 
spogliò  dei  diritti  che  come  feuda- 
tario della  Chiesa  avea  acquistato, 
e  lo  sottomise  ad  altre  pene.  Giu- 
lio II  fece  gonfaloniere  della  Chie- 
Chiesa.  Ecco  come    Leodrisio   Cri-     sa  il  marchese  di  Mantova  Gonza- 


GON 

ga ,  spogliandone  Alfonso  II  duca 
di  Ferrara.  Tutlavolta  il  successore 
Leone  X  nel  idi  3  chiamò  in  Ro- 
ma il  duca  per  portare  nella  fun- 
zione del  solenne  possesso  che  prese 
della  basilica  Lateraueuse  lo  sten- 
dardo della  Chiesa,  come  suo  gon- 
faloniere ,  dopo  avere  addestrato  il 
cavallo  che  montò  il   Papa. 

GONFALONIERE  del  senato 
e  popolo  romano.  Il  titolo  ed  uf- 
fìzio di  Gonfaloniere  o  Confalonie- 
re  del  popolo  romano,  come  di- 
cemmo all'  articolo  Gonfaloniere 
{Vedi),  vuoisi  forse  derivato  dal 
Primipilo ,  Primipilium,  probabil- 
mente il  primo  centurione  che 
nell'esercito  degli  antichi  romani 
era  somma  dignità,  perchè  era  qua- 
si capo  di  tutti  i  centurioni,  e  ca- 
pitano di  tutta  la  legione.  I  capi- 
tani e  centurioni  con  ordine  dei 
consoli  si  eleggevano  dai  tribuni, 
e  portavano  per  insegna  del  loro 
oflizio  un  bastone  di  vite  ;  i  cen- 
turioni poi  si  eleggevano  due  chia- 
mati subcenturione  s,  e  due  signi- 
feri, uomini  vigorosi  e  di  buon 
aspetto,  come  abbiamo  dal  libro 
intitolato:  Descrizione  de' riti  degli 
antichi  romani.  Riondo  da  For- 
lì nella  sua  Roma  trionfante,  par- 
lando del  modo  con  cui  guerreg- 
giavano i  romani ,  dice  che  1'  a- 
vanguardia  si  componeva  del  fiore 
della  gioventù  ,  e  perciò  chiamato 
1'  esercito  de'  principi,  co'quali  an- 
dava tutto  il  resto  dell'esercito  o 
squadrone  di  trenta  manipoli  chia- 
mati autepilani,  perchè  venivano 
loro  dietro  altri  quindici  ordini,  i 
quali  erano  ciascuno  in  tre  parti 
diviso,  e  ciascuna  parte  eia  pri- 
mipilo chiamata  ;  erano  questi  tre 
vessilli,  ed  in  ciascuno  erano  cen- 
toltantatre  uomini  ;  col  primo  ves- 

VOL.    XXXI 


GON  i-i 

siilo  andavano  i  triajri,  eh'  erano 
soldati  veterani _,  col  secondo  i  ro- 
rarii  di  minor  forza  e  valore,  col 
terzo  gli  accensi,  i  quali  perchè  si 
sperava  poco  da  loro  si  locavano 
per  ultimi.  Dopo  la  caduta  del- 
l' impero  e  nei  bassi  tempi  si  tro- 
va il  gonfaloniere  del  popolo  ro- 
mano, quasi  equivalente  al  primi- 
pilo  degli  antichi  romani.  Il  Man- 
ni  nel  libro  intitolato:  Discorso 
sopra  gli  spettacoli,  le  feste  ec. 
degV  italiani  nel  secolo  XI F,  al 
§  V  delle  Illustrazioni  riporta 
l'ordine  e  magnificenza  dei  magi- 
strati romani  nel  tempo  che  la 
corte  dei  Papi  era  in  Avignone, 
ove  rimasero  dal  i3o5  al  1876, 
tratto  dal  Muratori,  Antiq.  it.  med. 
aevì,  diss.  29,  il  quale  lo  pubbli- 
cò per  una  copia  avutane  da  un 
codice  della  biblioteca  vaticana,  iJ 
di  cui  autore  è  anonimo,  sebbene 
dallo  stile  e  dal  conlesto  compa- 
risce di  data  assai  moderna.  Ivi 
pertanto  si  legge  sul  gonfaloniere 
del  popolo  romano,  nell'incontrare 
i  legati  apostolici  con  bellissimo 
ordine,  e  precedenza  de'magistrati, 
ciò  che  praticavasi  nell'incontrare 
gì'  imperatori  ed  altri  principi. 

»  Che  dopo  il  priore  de'  capo- 
rioni ,  cavalcavano  gli  oratori  dei 
principi  e  delle  repubbliche;  segui- 
vano due  paggi  del  gcnfaloniero, 
che  tenevano  in  mezzo  quello  del 
prefetto  di  Roma,  e  quelli  del  gou- 
faloniero  andavano  vestiti  con  un 
berrettino  di  scarlatto,  ed  un  giub- 
bone di  raso  rosso,  con  calze  una 
di  scarlatto  e  l'altra  gialla  lionata, 
che  è  la  livrea  del  gonfaloniere, 
con  un  saionc  crespo  scollato,  a- 
perto  dai  fianchi,  di  damasco  gial- 
lo con  fascie  guarnite  di  damasco 
rosso  con  ricami  di  argento,  e  le 
io' 


2?4  G0N 

maniche   una  gialla,    e  l'altra  lio- 
nata e  gialla.    E    cavalcavano  con 
una    mezza     coperta     e     pettorale 
fatto  a  pendoni  con  l'armi  di  rica- 
mo del  gonfaloniero  di  pauno  lio- 
nato   con    fascie   di    velluto    giallo 
con  frangie    e    fiocchi    e  passama- 
ni di  seta    rossa  e  d' argento,  con 
fornimenti  di  velluto  lionato.  Nel- 
le feste   militari    poi    portava    uno 
di    essi    una    mazza   ferrata,     e  la 
celata    con    pennoni    in     testa    del 
gonfalouiero,  con  una  banda  rossa. 
E  quando  il  gonfaloniero  non  por- 
lava  egli  lo    stendardo    grande,  lo 
portava    questo    paggio,    e    1'  altro 
portava  una    zagaglia    e    lo  scudo 
coli' arme  del   gonfaloniero,  con  la 
medesima    banda    e    pennoni     alla 
testa     del    cavallo.    Il    paggio    del 
prefetto    di     Roma     in    mezzo  dei 
paggi  del  gonfaloniero  a  cavallo.  .  . 
indi  veniva  il  gonfaloniero  del  po- 
polo   romano,    e  questa  dignità  sì 
in  pace    come  in  guerra    porta  lo 
stendardo    grande  della  libertà  ro- 
mana, il  quale  era  di  tabi  cremi- 
sino con  lettere  del   popolo  +f+   S. 
P.  Q.    R.  d'  oro,    con    un     fregio 
attorno  di  un  palmo  di  ricamo  di 
oro  e  di  argento  con  frangie  d'o- 
ro. E    da    molte    centinaia    d'anni 
in  qua    pe'  benemeriti    della  nobi- 
lissima   famiglia    Cesarmi  per  suc- 
cessione ereditaria  l'è  concessa  dal 
popolo     romano,     e    da'  Pontefici 
confermata  in    sino  ad  oggi  (altro 
argomento  del  credere  meno  anti- 
co il  documento,  giacché  come  ve- 
dremo   vuoisi    che    Alessandro    VI 
pel  primo  fregiasse  la  famiglia  Ce- 
sarmi di    tale  onorificenza).   Anda- 
va con  questo  abito.  Portava  una 
berretta   alla  ducale   di  tela  d'oro, 
con  un    giubbone  di  raso  cremisi- 
no   con  bottoni  d'  oro,    con  calze 


GON 

una  di  scarlatto,  e  l'altra  rossa  e 
gialla,  con  un  rubbone  coito,  lar- 
go, tutto  chiuso,  con  mezzi  mani- 
coni di  tela  d'oro,  foderato  di  da- 
masco cremisino,  con  una  gual- 
drappa al  cavallo,  pettorale,  e  for- 
nimenti di  velluto  cremisino,  ed  al 
pettorale  l'arme  sua  di  ricamo 
con  frangie  e  fibbie  d'  oro.  Nelle 
feste  militari  andava  il  gonfalonie- 
ro armato  con  collare,  spallacci  e 
bracciali  d'  arme  bianca,  con  un 
saione  crespo,  mezzo  di  velluto 
cremisino,  e  l'altro  mezzo  della  sua 
livrea  fatto  a  fasce  di  color  liona- 
to e  tela  d'oro,  e  simile  le  mani- 
che di  esso,  con  una  catena  di 
oro  al  collo,  col  cavallo  bardato, 
armato  in  fronte  con  pennoni,  co- 
perto di  damasco  lionato ,  tutto 
fatto  a  ricami  d'  oro  e  d'argento 
coli'  arme  e  frangie  d'  oro.  Segui- 
va il  prefetto  di  Roma,  a  uiauo 
dritta  del  gonfaloniero,  ec. 

In  che  propriamente  consistesse 
l'offizio  del  gonfaloniero  del  popo- 
lo romano  nei  primi  anni  del  se- 
colo XV,  si  rileva  da  una  bolla 
di  Martino  V ,  colla  quale  per  ri- 
nunzia dell'Annibaldi  conferisce  tal 
carica  a  Pietro  Astalli,  pubblicata 
da  Gio.  Mario  Cresci  mbeni  nel- 
l' erudito  libro  che  porta  per  ti- 
tolo :  Stato  della  basilica  di  s. 
Maria  in  Cosmedin  di  Roma,  p. 
87  e  seg.  La  quale  per  contenere 
varie  cose  quasi  affatto  uscite  dal- 
la memoria  di  Roma  qui  intera- 
mente trascriviamo.  La  medesima 
non  solo  ci  potrà  servire  di  mol- 
ta intelligenza  per  questo  punto, 
ma  ci  preparerà  anche  la  strada 
per  stabilire  a  un  di  presso  il 
tempo  preciso,  nel  quale  il  gonfa- 
lonierato  del  popolo  romano  passò 
nella  casa  Cesarmi. 


GON 

»  Martinus  episcopus  senus 
servoruni  Dei. 

Ad  futuram  rei  memoriam. 

»  Circumspecta  Sedis  apostoli- 
cae  providentia  viros  generis  no- 
bilitate, et  virtute,  ac  devotionis 
sinceritate  praestantes,  ut  erga  ipsam 
Sedem,  et  romanam  Ecclesiam  ar- 
dentiori  devotione  inflammentur , 
et  accumulatione  novarum  virtù- 
tum  clariores  fiant,  singulari  pre- 
rogativa honoris  libenter  extollit, 
ac  amplitudine  dignitatis  illustrat. 
Cum  igitur  dignitas  atque  offi- 
ci um  Primi  pili  seu  generalis  ve- 
xilliferi  romani  populi,  per  libe- 
ram  resignationem  dilecti  fil.  no- 
bilis  viri  Symeocti  de  Hanibaldis 
domicelli  romani  in  manibus  no- 
stri sponde  factam,  et  per  non 
admissam  ad  praesens  vacare  di- 
gnoscatur  ;  Nos  considerantes  di- 
gnitatem  ,  ed  officium  hujusmodi 
claris  romani  civibus  in  perpetuimi 
suarum  virtutum  testimonium  da- 
ri  consuetam  ;  atque  generositatem 
et  prosapiam  dilecti  filii  nobilis 
viri  Petri  de  Astallis  domicelli  ro- 
mani egregiis  virtulibus  ac  fideli- 
tatis,  et  devotionis  fervore  illu- 
strem,  nec  non  ipsius  Petri  stre- 
nuitatem  animo  nostro  revolventes, 
non  ad  ejusdem  Petri,  nec  suorum 
prò  co  super  hoc  nobis  oblatae 
petitionis  instantiam ,  sed  motu 
proprio,  et  de  mera  nostra  libe- 
rali tate,  ex  certa  scientia,  eumdem 
Petrum  quoad  vixerit  Primipilum 
scic  generatoti  vexilliferum  roma- 
ni populi  auctoritate  apostolica  te- 
nore prucseutium  facimus,  consti- 
tuimus ,  ordioaurua  paritcr,  atque 
deputaruus,  praefatoque  Petra  ve- 
x illuni  hujusmodi  victricibus  litte- 
ris    decoratimi,     fcreudi,    gciendi, 


GO>  275 

gubernandi,  figenti  atque  extollen- 
di  in  generalibus  exercitibus,  tam 
ìomanae  Ecclesiae,  quam  populi 
romani  nomine,  nec  non  in  spe- 
ctaculis,  sive  ludis  Agonis,  et  die 
sabbati ,  quo  taurorum  spectacu- 
lum,  et  alia  solemnia  celebrantur, 
et  etiam  Testaciae  spectaculo,  ac 
in  caeteraliis  locus  tum  intra  quam 
extra  Urbem  juxta  mandatum  no- 
strum, et  successorum  nostrorum 
romanorum  Pontificum  canonice 
intrantium,  ac  civium  romanorum 
in  alma  Urbe  praesidentium  ,  qui 
prò  tempore  erunt  plenam  harum 
serie  concedimus  facultatem.  De- 
cernentes  dieta  auctoritate,  ut  si 
diebus,  et  temporibus  quibus  hujus- 
modi vexillum  deferri  oportet,  di- 
ctum  Petrum  infirmali  contiguerit, 
unus  ex  fratribus  suis  vexillum  prae- 
dictum  deferre  possit,  et  valeat,  et 
nihilominus  ut  onera  hujusmodi 
dignitatis,  et  officii  idem  Petrus  fa- 
cilius  tolerare  possit,  eidem  sala- 
rium,  et  provisionem  trium  flore- 
norum  in  dieta  Urbe  currentium 
ad  lationem  XL  sol.  pr.  prò  quo- 
libet  floreno,  qualibet  die,  qua  di- 
ctum  Petrum,  vel  alterum  fratrum, 
ut  praemittitur  vexillum  hujusmodi 
ferie,  sive  cum  eodem  vexillo  in 
dictis  exercitibus,  vel  alibi  residere 
contiguerit,  nec  non  provisionem 
sex  florenorum  similium  pio  tri- 
bus  diebus  Agonis  ,  sabbali,  et 
Testaciae  praedictis  singulis  annis 
sibi  de  pecuniis  camerae  dictae 
Urbis  persolvendorum  concedimus 
per  praesentes.  Decernentes  insta? 
per  eadem  auctoritate  ut  praefa- 
tus  Petrus  omnibus  honoribus,  o- 
neribus,  commodis,  et  utilitatibus, 
gagiis,  gratiis,  privilegio,  omnibus- 
que  aliis  immunitatibus,  et  prae- 
rogativis  ad  hujasmodi  dìgnitatem, 
et    oflkium    de     consuetudine ,    vel 


i76  GON 

de  iure  quomodolibet  pertinentibus 
uti,  ac    gaudere    possit,    et  valeat. 
Mandantes  eadem  auctoritate  dile- 
ctis    filiis    nobilibus    viris     senatori 
almae  Urbis,  ac  conservatoribu9  ca- 
merae  dictae    Urbis,    et  caeteris  a- 
liis  oflicialibus,    ad  quos     pertinet, 
qui  prò    tempore    erunt,    quatenus 
dictum  Petrum    ejus    vita  durante 
ad  hujusmodi    oflicium,  et  eju9  e- 
sercitium     benigne    recipiant  ,     et 
admittant,  ac  eidem  in  iis,  quae  ad 
officium    ipsum    de    consuetudine, 
vel  de    jure   pertinent    obediri,    et 
de    salario   debiti»   temporibus  re- 
sponderi  faciant    cum  effectu.  Nos 
en  m  dignitatem,  et  offici  uni   prae- 
d  ctutn    in   virtutum,    fidelitatis    et 
devotionis  dicti    Petri  testimonium 
esse  volumus.   Insuper  quod    idem 
Petrus    antequam    hujusmodi    offi- 
cium   exercere    incipiat,    in    mani- 
bus    nostris,    et    successorum    no- 
strorum  romanorum  Pontificum  ca- 
nonice  intrantium  praestet  in  forma 
solitum    juramentum.     Nulli    ergo 
omnino  hominum  liceant  liane  pa- 
ginam  nostrae  constitutionis,  ordi- 
nationis,  deputationis,  concessionis, 
decreti,    mandati,    et  voluntatis  in- 
frigere,  vel  eis  ausu  temerario  con- 
traire. Si  qui  autem  hoc  attentare 
praesumpserit,  indignationem  omni- 
potentis  Dei,     et    beatorum    Petri, 
et  Pauli    apostolorum  ejus  se    no- 
verit    incursurum.     Datum  Romae 
apud    sanctos    Apostolos  VII    idus 
martii  pontiflcatus  nostri  auno  VII!.' 

»  Cincius 

»   Reg.  in  Cam.  Apost. 

»  Gratis  de  Mandato  SS.  D. 
N.  PP. 

»  Jo.  de  JXursia. 


GON 

Il  gonfaloniere  Pietro  A  stalli  fa 
avo  materno  di   Gabriele  Cesarini, 
e    con    questa    parentela    forse    gli 
aprì  F  adito  di  succedergli  nel  gon- 
falonierato  come  seguì  :    egli  si   ac- 
casò con  Gulina   figlia  di  Gio.  An- 
drea Colonna,  e  di   Ambrosina  A- 
stalli,  essendo    il    primo    che    fosse 
decorato    della    carica    allora    assai 
ragguardevole    di  primipilo  e  gon- 
faloniere   del    popolo    romano.    Al 
dire  del    Ratti    sembra    che    gliela 
conferisse    Alessandro    VI    Borgia , 
stretto  parente  della  romana  cospi- 
cua famiglia  Cesarini ,  di  cui    par- 
lammo   all'articolo    Gemano  {Ve- 
di), sua  antica  signoria.  Soggiunge  il 
Ratti,  che  ci    conferma   in  crederlo 
quanto  racconta  il  celebre  maestro 
delle  cerimonie   pontificie  Giovanni 
Burcardo  all'anno    i  (q4:   cbe  «  d. 
Gabriel  Caesarinus  confalonerius  Ur- 
bis   dixit    nulli    locum    muiiu    esse 
ratione    officii    sui    immediate    post 
conservatores  ante  alios  omnes  ba- 
rones,  quem  si    vellem,  possem   as- 
signare  sibi  ;  significavi   id  sancissi- 
mo, qui   rnilii  coramisit,  quod  eum- 
dem  locum    ipsi    coufaloncrio    da- 
rem,  et  feci  ".   Dice  inolile   il  Rat- 
ti, che  la   pretensione  del    Cesarmi 
mostra    non    essere    molto    eh'  egli 
era  al  possesso  di    questo  ouorifico 
posto,    altrimenti    l'avrebbe    allac- 
ciata prima,   poiché  un    lungo    si- 
lenzio   poteva    essergli    di    notabile 
pregiudizio  ,    equivalendo    ad     una 
spontanea  cessione  del  suo    preteso 
diritto.    Gabriele    nel     1 499  >    col 
consenso  di    Alessandro    VI,  rasse- 
gnò il  gonfalonierato    al  suo    figlio 
primogenito   Gio.    Giorgio ,    il   cui 
fratello  defunto  Gio.   Andrea    avea 
preso  in  moglie    Girolama  Borgia, 
che  l' Infessura  chiamò  figlia  di  A- 
lessandro    VI.    Tale    dunque    è    la 
vera  epoca  ,  secondo  Nicola    Ratti , 


GON 

Della  filmi  glia  Sforza  toni.  Il,  p. 
275,  del  gonfalonierato  di  casa  Ce  - 
sarini.  Tutlavolta  leggo  nella  bella 
relazione  che  il  suddetto  cerimo- 
niere Burcardo  fece  del  possesso 
preso  da  Innocenzo  Vili  nel  1 4^4» 
immediato  predecessore  di  Alessan- 
dro VI,  e  riportata  dal  Cancellieri 
nella  Storia  de' possessi,  che  dopo 
i  capo-rioni,  e  i  cursori  coi  vessil- 
li, e  prima  degli  oratori  de' prin- 
cipi, incedeva  «  Gabriel  de  Caesa- 
rinis,  confalonerius  Urbis,  totus  in 
armis  albis  cum  mantellina ,  sive 
supraveste  de  taffetà  rubeo,  equum 
bardatum  equitans  simili  veste  to- 
taliter  coopertum  ,  hinc  inde  litte- 
ras  habens  S.  P.  Q.  R.  portans 
vexillum  magnum  armorum  populi 
romani  ;  apud  se  habens  quatuor 
familiares  pedestres,  baculos  longos 
albos  deferentes,  mantellinis  de  boc- 
cacci no  rubeo  indutos  ,  simili  bus 
litlcris  in  transversum  ante  et  re- 
tro ornatis  ".  Il  Ratti  pubblicò  la 
sua  Storia  nel  1  -94-  '"95,  ed  il 
Cancellieri  nel  1802.  Ed  ecco  an- 
teriore di  alcuni  anni  la  dignità 
del  gonfalonierato  nell'  illustre  cesa 
de'  Cesari  ni.  Questa  bensì  possedet- 
te una  tal  dignità  con  molti  piti 
onori  e  prerogative,  che  tutti  gli 
altri  che  innanzi  a  lei  ne  furono 
condecorati,  giacché  non  solo  1'  eb- 
be ereditaria  in  tutti  i  suoi  pri- 
mogeniti, ma  le  ne  furono  in  vari 
tempi  accresciuti  gli  emolumenti, 
finché  si  resero  questi  un  Oggetto 
di  qualche  considerazione.  Il  primo 
de'  Papi  che  accrebbe  il  provento 
del  gonfalonierato,  oltre  quello  sta- 
bilito nella  riportata  bolla  di  Mar- 
tino V,  fu  Alessandro  VI,  che  nel 
detto  anno  1 499»  cue  1°  fisso  a 
favore  di  G10.  Giorgio  nella  som- 
ma che  soleva  ritrarre  ogni  anno 
per  suo  emolumento    uno    de'  cau- 


GON  277 

cellieri  del  popolo  romano,  median- 
te la  bolla  Nobilitas  generis  _,  ac 
praeclarae  domiis  tuae  opera,  data 
in  Roma  apud  s.  Petrum  i499> 
IX  kal.  julii,  e  riportata  dal  Piat- 
ti a  p.  279.  In  questa  Gio.  Gior- 
gio Cesarini  è  chiamato  domieello 
romano  ac  Primipilo  et  generalis 
Confalonerio  Rotti.  Populi  (  sai.  et 
aposlolicam  ben.)  :  ed  in  quanto  al- 
l'aumento  si  legge  nella  bolla:  «  et 
oftìcii  praedicti  dignitatis  exigentiam 
tenere,  et  impensarum  onera,  que 
te  maxime,  dum  ludi  Agonis ,  et 
Testaciae  celebrantur  ,  commodius 
sufferre  valeas ,  de  alicujus  subven- 
tionis  auxilio  providere  volentes  ul- 
tra consuetum  salarium,  et  emolu- 
menta  predicta  tibi  singulis  annis 
persolvenda  ad  eam  summam,  quam 
alter  ex  duobus  cancellariis  dicti 
populi  prò  tempore  existens  habere 
quomodolibet  consueverat  ,  auge- 
mus  ,  constituimus,  et  deputamus  , 
ac  de  pecuniis,  quae  ad  mauus  ca- 
merariorum  dictorum  ludorum  per- 
venire solent ,  et  prò  tempore  per- 
venient,  et  ubi  dictae  pecuniae  non 
sufficerent  prò  illius  complemento, 
de  pecuniis,  ex  quibus  conservato- 
ribus  ,  et  aliis  officialibus  in  hujus- 
modo  casu  suppleri,  et  satisfieri  so- 
let ,  etc.  ".  IVella  medesima  bolla 
si  prescrive  al  gonfaloniere  di  pre- 
stare il  giuramento  nelle  mani  del 
camerlengo  di  santa  romana  Chie- 
sa, onde  esercitare  fedelmente  1'  of- 
fizio. 

L'emolumento  del  gonfaloniere, 
Giulio  II  nel  i5o3  Io  estese  ad 
annui  duecento  ducati  di  camera  . 
Giovanni  Giorgio  Cesarini  morì  nel 
i532,  e  gli  successe  il  figlio  Giu- 
liano che  fu  il  più  grand'  uomo 
della  famiglia  sua,  potente  ed  arbi- 
tro del  favore  del  popolo  romano. 
In  Giuliano  e    ne'  suoi    discendenti 


278  GON 

si  perpetuò  la  carica  di  gonfalonie- 
re del  popolo  romano,  rimasta  però 
ereditaria    nella     famiglia.     Questa 
concessione  la  fece  il  Papa  Clemen- 
te  VII    a' a3    maggio    i53o,    col 
moto-proprio  :    Nobìlem    familiam 
Cesarinam  ec,    egualmente    ripro- 
dotto dal  Ratti  a  p.  260.  Giuliano 
esercitava  tale  officio  già   da  molti 
anni,  avendoglielo  rassegnato  il  pa- 
dre col   beneplacito    di    Giulio    li , 
onde  come  gonfaloniere  del  popolo 
romano    comparve    nella    pubblica 
cavalcata  seguita  in  Bologna  per  la 
coronazione  di  Carlo  V,  di  che  fa- 
cemmo menzione    nel    voi.    X ,    p. 
297  del  Dizionario  j  dicendosi  nella 
relazione  di  Biagio  da  Cesena,  ce- 
rimoniere pontificio ,    che    incedeva 
dopo  il  gonfaloniere  di  giustizia  di 
Bologna,  corteggiato  da  dodici  staf- 
fieri con  livree  di  velluto  paonazzo. 
La    magnificenza    con    cui    adempì 
in  tutto  il  tempo   di   sua  vita  alle 
incombenze  e  funzioni  della  carica 
di  gonfaloniere  ha    dello    straordi- 
nario ,  e  principalmente  riscosse  la 
comune    ammirazione    nei    giuochi 
di  Agone  e  Testacelo  dati  nel  i545 
nel  pontificato  di  Paolo  III,  gareg- 
giando in  splendidezza  coi  medesi- 
mi nipoti  del  Papa  i  Farnesi  e  gli 
Sforza.  I  giuochi    di    Agone    e    di 
Testacelo  formarono  per  molto  tem- 
po il  carnevale  di  Roma,  per  cui 
ne  parlammo    agli   articoli    Carne- 
vale di    Roma  3  e    Giuochi    (  Ve- 
di ).    In    questi    giuochi    il    gonfa- 
loniere   inalberava     1'  insegna    del 
popolo  romano  sopra    un    superbo 
cavallo ,    con   l' impresa    solita    dei 
romani  +j+    S.  P.   Q.    R. ,    con    il 
suo  troncone   della    lancia    indora- 
to. Il   Crescimbeni    a    p.    g3    dice 
che  il    preposto   di   siffatti    giuochi 
era  il  gonfaloniere  o  il  senatore  di 
Roma.    In    suo    favore    Paolo    III 


GON 

ampliò  l'emolumento  del  gonfalo- 
nierato  a  trecento  scudi  di  came- 
ra,  nel  i535,  XVI  kal.  septem- 
bris;  a  cinquecento  l'accrebbe  Giu- 
lio III ,  ed  a  mille  scudi  annui 
Pio  IV,  col  moto-proprio  Cum  si- 
cut  accepimus  alias  fel.  re.  Ju- 
lius PP.  Ili ,  presso  il  Piatti  a 
p.  276. 

La  memorata  decisione  fatta  da 
Papa    Alessandro  VI  in   favore  del 
gonfaloniere  Gabriele  Gesarini  sul- 
la   precedenza  al  priore  de'  Capo- 
rioni   (Fedi),    non    bastò  per     ter- 
minare    affatto     la      questione.     Il 
priore  mal  sofferendo  di  dover  ce- 
dere   la  mano    al    gonfaloniere  nei 
consigli,    ai  quali   spesso    si   trovava 
intervenuto  per  obbligo  di  uffizio, 
e    nelle    funzioni    pubbliche,     altre 
volte  mise  in  campo  le  sue  ragio- 
ni, che   però  mai   riportarono  l'in- 
tento,   finché  Giulio  III  del    i55o, 
e  Pio  IV    del    i55g    con    due  si- 
mili   motu-propri,    cioè     il    citato 
Cum  sicut,  stabilirono  la  preceden- 
za   del    gonfaloniere  ,    imponendo 
perpetuo  silenzio  ai  di  lui  contrad- 
ditori, mentre  nel  possesso  da  Pio 
IV  preso  nel    i56o   il  gonfaloniere 
Giuliano    cavalcò    alla    destra    del 
priore.     Ad    onta    dell'  amplissimo 
moto-proprio  di  Pio  IV,   il  priore 
de'capo-rioni  non  rinunziò  alle  sue 
pretensioni,  e  perciò  diede    motivo 
che    nuove    particolari    decisioni  si 
facessero  contro    di    lui,    come    se- 
guì nella  sede  vacante  del      i5y2, 
per    decreto  de' 2  3    maggio;  dopo 
il  quale   il    priore    de'capo-rioni  si 
ridusse    al    partito     di  tutti  quelli 
che   non    hanno    ragione,  o    man- 
cano della  forza  necessaria  per  far- 
sela   valere,    cioè  d'  interporre     al- 
l' opportunità    le    sue    pubbliche 
proteste.  Ecco    alcuni  posteriori  e- 
sempi    della    precedenza    del  gon- 


GOBI 

faloniere,  premettendone  una  an- 
teriore al  nominato  decreto.  Nella 
pompa  trionfale  seguita  in  Roma 
nel  1071,  con  la  quale  san  Pio  V 
volle  ouorare  IMarc'Antonio  II  Co- 
lonna vincitore  della  battaglia 
di  Lepanto,  si  legge  che  seguiva 
i  capo-rioni  il  loro  priore  ;  indi 
venti  stallieri  del  gonfaloniere  con 
alabarde  finite  tutte  di  velluto 
cremisino  con  frangie  di  seta  ed 
oro,  e  due  appresso  lo  stendardo 
senza  alabarde  ,  vestiti  tutti  di 
calze  e  colletti  di  panno  giallo 
con  fascie  di  velluto  cremisino  con 
piume,  e  cinture  del  medesimo 
colore  con  spada  argentata,  e  scar- 
pe bianche.  In  mezzo  cavalcavano 
due  paggi  superbamente  vestiti  ; 
veniva  poi  Gio.  Giorgio  Cesarmi 
gonfaloniero  del  popolo  romano 
in  mezzo  de'  cancellieri  di  questo, 
({itali  erano  Marcello  del  Nero,  e 
Ortensio  Frangipane,  sopra  bellis- 
simo cavallo  con  lo  stendardo  del 
popolo  romano,  con  girelle  di  te- 
la d'  oro,  pennaccbiera  alla  testa 
del  cavallo  vaghissima,  e  sella  di 
tela  d'oro.  Il  gonfaloniere  era  ve- 
stito di  calze  di  tela  d'  oro  rica- 
mate con  trine  d'oro,  giubbone  di 
raso  cremisino  guarnito  per  tra- 
verso con  ordine  d'oro,  goletta  e 
spalletta,  e  mezza  casacca  di  tela 
d'  oro,  e  cappello  guarnito  di  gio- 
ie del  valore  di  tredici  mila  scudi. 
Nel  possesso  preso  nel  iSqo  da 
Gregorio  XIV  della  basilica  Late- 
rananae,  a  destra  del  priore  de'ca- 
po-rioni  cavalcava  Giuliano  Cesa- 
rmi gonfaloniere  perpetuo  del  po- 
polo romano,  con  rubbone  senato- 
rio di  tela  d'oro  stampato  ce.  ,  con 
berretta  di  velluto  nero,  ricca  di 
pelle   e     di    grilline     ilei     valore    di 

ottomila   scudi  ;    accompagnato  da 

dodici    stallieri  e  sei   p^ggi   magni* 


GON  279 

ficameute  vestiti  :  altrettanto  si  leg- 
ge nel  possesso  preso  da  Innocen- 
zo IX  nel  1591,  in  quello  di 
Gregorio  XV  del  1611,  in  cui 
cavalcò  in  mezzo  al  priore  de'capo- 
rioui,  ed  al  cancelliere  del  popolo 
romano ,  seguiti  dai  conservatori 
di  Roma.  Nel  possesso  che  prese 
Alessandro  VII  nel  ió55,  la  fac- 
ciata del  palazzo  Cesarmi,  avanti 
al  quale  transitava  la  cavalcata, 
fu  apparata  di  arazzi  bellissimi 
e  panni  superbi,  con  lo  stendardo 
rosso  colle  lettere  S.  P.  Q.  R.  , 
sebbene  il  gonfaloniere  intervenne 
alla  cavalcata  :  anco  nel  possesso 
del  predecessore  Innocenzo  X,  nel- 
la loggia  del  palazzo  fu  esposto 
il  gonfalone    del  popolo  romano. 

Che  poi  i  signori  Cesarini,  come 
gonfalonieri  del  popolo  romano,  a- 
vessero  luogo  ne'  pubblici  consigli 
col  senatore  ,  conservatori  ed  altri 
ufliziali  della  città,  apparisce  dai  re- 
gistri dell'archivio  del  Campidoglio. 
Giuliano  Cesarini  intervenne  ad  un 
consiglio  tenuto  li  24  gennaio  i553. 
Il  medesimo  è  registrato  a  capo  di 
altro  consiglio  insieme  con  Marc'An- 
touio  Colonna  per  trattare  dell'im- 
posizione di  una  gabella  di  due  giu- 
li  sopra  la  farina,  3  idus  jauuarii 
i56o,  e  similmente  lo  stesso  anno 
19  kal.  febr.  collo  stesso  Colonna 
ed  altri  baroni  fu  deputato  dal  po- 
polo romano  per  intercedere  da 
Pio  IV  l'abolizione  della  gabella 
suddetta  sulla  farina.  L'anno  i56z 
a'  22  giugno  intervenne  ad  altro 
consiglio,  in  cui  si  trattò  di  un 
soccorso  di  denaro  richiesto  dal  Pa- 
na per  i  bisogni  della  santa  Sede  ; 
come  ancora  ad  altri  posteriormeu- 
te  tenuti  sullo  stesso  argomento. 
Nelle  congregazioni  fatte  nella  sedo 
vacante  di  Gregorio  XV  inlers en- 
ne il  duca  Gio.  Giorgio   Cesarini  il 


280  GON 

dì  8  luglio  162 3.  Questo  privilegio 
che   godevasi    dai    gonfalonieri   Ce- 
sarmi per  antica   consuetudine,  fu 
confermato  da  uno  speciale  decre- 
to del    senato  de'  21  agosto  i^gg, 
a  favore    di    Giuliano    Cesarmi  ,    il 
cui  originale    è    nell'archivio     del- 
la   famiglia     Sforza    ereditiera    dei 
Cesarmi  :  premessa    la    proposizio- 
ne fatta  dallo  scriba  senatus.  »  Ne 
pareria,    siccome    è  sempre    stato 
antico   costume,  che  il  sig.    gonfa- 
loniero  di  questo  popolo,  il  sig.  Giu- 
liano   Cesarmi,  intervenisse    con  la 
precedenza  solita  del  signor  priore 
de'  capo-rioni  alle  cose  pubbliche  , 
et  intervenisse  con  noi,  et  voi  altri 
signori    nelli    bisogni    et  occorrenze 
di  questa  città,  e   di  questo  popo- 
lo con  l'autorità  e   meriti  suoi,  ac- 
ciò  più    unitamente    s'attenda    al 
bene  pubblico  con  maggior  onore, 
et  dignità  del  popolo  ".  Ne  uscì  il 
decreto  j  ex   senatus  consulto   viva 
voce,  ac  nemine  discrepante,  quoti 
illusi  rissimus  d.  Confa  toner  ius  Po- 
pulì    Romani   inlerveniat   in    omni- 
bus   congregationibus ,    et    consiliis 
pZendis  cum  solita  praecedentia  mag. 
d.   prioris    capitimi   regionum    tam 
ipsius  presentis  illustrissimi  d.  Con- 
faloneriij  quam  edam   ipsius  ante- 
cessorum ,  qua  qui  praedicto  offi- 
cio functi  sunt,  praecedere  consue- 
verunt.    Presenti    a  questo    decreto 
furono  i  tre  conservatori  Pirro  Ta- 
ra, Gio.  Battista  Cecchini ,  Pamlì- 
lio  Pamphilj,  il  priore  de'  capo-rio- 
ni Giulio  Orsini,  e  otto  capo-rioni, 
cioè  di    Colonna    Antimo    Marche- 
sani,  di   Parione  Giacomo  Muti,  di 
Arenula  Girolamo  MalTei,  di  Pon- 
te  Cencio  Frangipani,  di  s.   Eusta- 
chio Gio.  Filippo  Serlupi,  di  Cam- 
pitelli   Antonio  Massimi,  di  s.   An- 
gelo Girolamo  Pico,  e  di  Ripa  Gi- 
rolamo Altieri. 


GON 

In    progresso  di    tempo    bisogna 
che  di   nuovo   fosse  diminuito  1'  e- 
molumento  della    carica    di   gonfa- 
loniere del   popolo  romano,  poiché 
l'anno  1604  soli  scudi  settecento  si 
pagavano    dalla  reverenda    camera 
al  gonfaloniere  del  popolo  romano, 
come   si  raccoglie    da    una    tabella 
stampata   in  quell'anno  medesimo  ; 
e  nel  1686,    dopo    la    morte   del- 
l'ultimo duca  Cesarmi  d.  Filippo, 
essendo  stato  il  medesimo  applica- 
to alla  camera  capitolina,  si  espri- 
me   consistente    in    scudi    seicento 
settantadue.   Il  chirografo  di  rifor- 
ma fu  emanato  da   Papa    Innocen- 
zo XI,sotto  il  dì  23  marzo,  e  d'allo- 
ra non  rimase  al  gonfaloniere  che 
l' onorifico  della   sua   dignità  ,  e  la 
regalia  del   sale,  di  fruttato  di  scu- 
di quattordici    e  baiocchi  4°   negli 
anni  che  si  fabbrica,  e  metà   negli 
altri.   Anche  rapporto   alle   regalie, 
queste  in    addietro   erano    state  di 
un  assai    più   vistoso  oggetto,  con- 
sistendo, secondo  che  è  notato  nel- 
la meutovata  tabella,  in  para  dodi- 
ci guanti,  cera  libbre  quaranta,  pe- 
pe libbre  dodici,  confetti  libbre  se- 
dici, nocchiata  libbre  quattro,  pa- 
ra due  fiaschi  di   vino  ;  le  quali  re- 
galie pagavansi  dal  camerlengo  del 
popolo  romano;  più  para  due  gal- 
line, che  si  regalavano  dal  senato- 
re di  Roma,    e  più   un  rubbio  di 
sale.    Il   nominato    duca  d.   Filippo 
Cesarmi,  dopo  la  morte  di  Giulia- 
no suo    fratello    succedendo  ai  di- 
ritti della  primogenitura,  chiese  di 
essere  messo  in  possesso  anche  del- 
la carica  di  gonfaloniere  del  popo- 
lo romano,  e  degli  emolumenti  an- 
nessi alla  medesima.   Incontrò  qual- 
che ostacolo    nel  pontificato  di   A- 
lessandro  VII,  attesa  l'anteriore  sua 
qualità  di  chierico,    ma  intera  mente 
propizio  si  mostrò  il  successore  Cle* 


GON 

nicnle  IX  ,  il  quale  a'  si3  maggio 
1668  segnò  il  moto  -  proprio  del 
nuovo  privilegio  diretto  per  l'ese- 
cuzione al  prelato  Girolamo  Ga- 
staldi chierico  di  camera.  Essendo 
morto  d.  Filippo  nel  i685,  dai 
conservatori  di  Roma  fu  conferita 
la  carica  di  gonfaloniere  del  popo- 
lo romano  al  marchese  Pompeo 
INluti;  ma  tal  concessione  durò  bre- 
ve tempo,  perchè  nel  seguente  an- 
no Papa  Innocenzo  XI,  secondo  una 
bolla  di  Alessandro  VII,  abolì  gli 
emolumenti  del  gonfalonierato,  e  li 
applicò  alla  camera  capitolina  in 
benefizio  del  popolo  romano,  come 
di  sopra  si  è  accennato,  e  nel  me- 
desimo giorno,  che  fu  a'  2  3  mar- 
zo, spedì  il  breve  di  gonfaloniere 
al  principe  d.  Gio.  Battista  Pam- 
pini) prose,  natis ,  et  nepotibus,  et 
descendenlibus  in  infinito  per  linea 
mascolina.  Indi  il  principe  d.  Ca- 
millo Pamphiij  successe  al  padre 
nel  1707  nel  gonfalonierato  per 
rassegna  fattagli  dal  medesimo  col 
beneplacito  di   Clemente  XI. 

Il  iVovaes  nella  vita  d'Innocenzo  X 
Pamphiij,  nella  nota  a,  dice  che  a 
questa  famiglia  diede  Innocenzo  XI 
la  carica  perpetua  di  gonfaloniere 
del  popolo  romano;  ma  venendo 
poi  ad  estinguersi  nell'anno  1761, 
Clemente  XIII  Rezzonico  nel  se- 
guente anno  la  trasferì  al  suo 
nipote  d.  Luigi  Rezzonico ,  mor- 
to il  quale,  il  Pontefice  Pio  VI 
la  conferì  al  di  lui  fratello  d.  Ab- 
bondio Rezzonico  senatore  di  Ro- 
ma. In  fatti  leggo  nelle  annuali 
Notizie  di  Roma  dal  1763  al  1786 
inclusive  :  Gonfalonine  perpetuo 
del  senato  e  popolo  romani),  eccel- 
lentissimo signor  principe  d.  Lodo- 
vico Rezzonico,  cavaliere  della  sto- 
la d'oro  e  procuratore  di  s.  Mar» 
co  ;   quindi   nelle  Notizie  del    l 


GON  a8i 

e  successive:  eccellentissimo  signor 
principe  d.  Abbondio  Rezzonico, 
nato  in  Venezia  1  g  febbraio  IJ&, 
gonfaloniere  perpetuo  del  senato  e 
popolo  romano  e  senatore  di  Roma. 
D.  Abbondio  morì  il  primo  marzo 
18  io,  e  gli  altri  senatori  non  fu- 
rono fregiati  del  gonfalonierato.  Os- 
servo ancora  nelle  relazioni  delle 
funzioni  de'  possessi  da  Alessandro 
Vili,  successore  d' Innocenzo  XI , 
sino  a  quella  di  Clemente  XIII  in- 
clusive, che  niuno  de'  gonfalonieri 
Pamphiij  intervenne  alle  cavalcate 
e  funzioni  de'  possessi;  in  quelle  di 
Clemente  XIII  ,  Clemente  XIV  e 
Pio  VI,  come  in  altre  anteriori  e 
posteriori,  si  legge  incedere  in  mez- 
zo ai  capitani  dei  Cava  (leggieri 
(Fedi),  il  Vessillifero  (fedi)  per- 
petuo di  s.  Chiesa,  carica  ragguar- 
devole che  Urbano  Vili  conferì  al- 
la nobile  famiglia  dei  marchesi  Na- 
ro, ed  oggi  egualmente  ereditaria 
si  esercita  dalla  nobile  famiglia  dei 
marchesi  Patrizi;  però  è  da  avver- 
tirsi che  nell'istituzione  della  Guar- 
dia nobile  pontifìcia  (fedi),  che  è 
successa  a  quella  de'  cavalleggieri , 
fu  stabilito  che  il  Vessillifero  pro- 
cedesse in  mezzo  ai  capitani  della 
nuova  guardia.  11  Ratti  parlando 
del  gonfalonierato  del  popolo  ro- 
mano nella  famiglia  Slbrza  Cesa* 
rini,  a  pag.  19 5  conchiude  col  di- 
re, che  terminata  la  linea  masco- 
lina dei  Pamphiij  suddetta,  esplo- 
sa nei  brevi  di  concessione  ,  si  ri- 
pristinarono in  questa  dignità  i  si- 
gnori duchi  Sforza  Cesarmi,  che  ne 
portano  tuttavia  il  titolo  ne' diplo- 
mi, e  le  insegne  nella  propria  ar- 
ma gentilizia  ,  e  che  li  sono  mo- 
strati COSÌ  gelosi  ih  conservarla  nel- 
la propria  famiglia,  che  nella  pub- 
blica transazione  seguita  li  10  set* 
lemlue   I7OQ    tra    d.  Livia    Coirmi 


282        .  GON 

duchessa  Sforza,  e  d.  Clelia  princi- 
pessa di  Sminino ,  tra  le  cose  da 
restituire  e  cedere  alla  prima,  è 
espressamente  fissato  per  nono  ar- 
ticolo, V ufficio  di  perpetuo  confa- 
laniere  del  senato  e  popolo  roma- 
no. Laonde  anche  nell'arma  dell'o- 
dierno duca  d.  Lorenzo  Sforza  Ce- 
sarmi ,  sopra  il  fondo  del  manto 
ducale  campeggiano  le  bandiere  col 
S.  P.  Q.  R  .  in  segno  del  gonfalo- 
nierato  perpetuo  di  cui  come  i  suoi 
maggiori  è  insignito. 

GONTARDO  (s.),  monaco  di 
Fontenelle.    V.   Vandregesilo  (s.). 

GONTRANO  (s.),  re  di  Borgo- 
gna e  di  Orleans,  figlio  di  Clota- 
rio  I  re  di  Francia,  nato  nel  52?, 
e  coronato  nel  56 1.  Fu  principe 
giusto,  pacifico,  generoso.  Se  per 
elletto  della  barbarie  de' tempi  com- 
mise alcuni  delitti,  li  cancellò  po- 
scia colle  lagrime  della  penitenza. 
Egli  fu  forzato  di  prendere  le  ar- 
mi contro  i  suoi  fratelli  e  contro 
i  longobardi  ;  ma  l'uso  che  fece 
delle  vittorie  provò  ch'egli  non  a- 
vea  che  sentimenti  pacifici.  Fece 
savi  regolamenti  per  reprimere  la 
sfrenata  licenza  de' soldati.  Puniva 
rigorosamente  i  delitti  per  amore 
della  giustizia  ;  ma  perdonava  con 
facilità  i  suoi  insulti  personali,  co- 
me perdonò  ai  due  assassini  che 
Fredegonda  aveva  mandato  per 
pugnalarlo.  Si  studiò  di  rendere  fe- 
lici i  suoi  sudditi,  attingendo  dalla 
religione  i  veri  principi!  di  un  buon 
governo;  onorò  i  ministri  dell'al- 
tare; fondò  gran  numero  di  chiese 
e  di  monisleri;  profuse  grandi  e* 
lemosine  nel  suo  regno,  e  fece  prin- 
cipalmente risplendere  la  sua  cari- 
tà in  tempo  di  peste  e  di  carestia, 
in  cui  non  contento  di  aver  dato 
gli  ordini  più  precisi  perchè  i  ma- 
lati di  nulla  mancassero,  egli  stes- 


GON 

so  colle  sue  preghiere  e  co'suoi 
digiuni  cercava  di  placare  la  col- 
lera celeste,  e  d\  e  notte  si  offeri- 
va a  Dio,  come  vittima  di  espia- 
zione per  ottenere  la  cessazione  di 
un  flagello  che  credea  scagliato  a 
punizione  de'  suoi  peccati.  Mori  ai 
28  di  marzo  del  593,  e  fu  sepolto 
nella  chiesa  di  s.  Marcello  ch'egli 
aveva  fondata  a  Chalons  sulla  Sao- 
na.  San  Gregorio  di  Tours,  che 
scrisse  la  di  lui  vita,  dice  d'essere 
stato  testimonio  oculare  di  parec- 
chi miracoli  operati  per  interces- 
sione del  santo;  e  il  martirologio 
romano  fa  la  commemorazione  del- 
la sua  morte.  I  calvinisti  nel  seco- 
lo XVI  profanarono  le  sacre  sue 
ossa,  e  non  rimase  che  il  suo  cra- 
nio rinchiuso  in  una  cassa  d'ar- 
gento. 

GONZAGA  Fr  ocesco  ,  Cardi- 
nale. Francesco  Gonzaga  de'  mar- 
chesi di  Mantova,  dotato  di  senno 
e  di  prudenza  senile,  nell'età  circa 
di  venti  o  ventitre  anni  fu  fatto 
amministratore  della  chiesa  di  Man- 
tova, e  mentre  procedeva  nella  u- 
niversità  di  Pisa  tutto  applicato  agli 
sludi,  a' 18  dicembre  1461  Pio  II 
Io  creò  cardinale  diacono  di  santa 
Maria  Nuova,  e  poco  dopo  com- 
mendatario della  chiesa  di  s.  Aga- 
ta. Paolo  li  lo  fece  legato  di  Bo- 
logna, e  commissario  apostolico  ne- 
gli stati  del  proprro  genitore,  con 
facoltà  di  predicare  la  crociata  con- 
tro il  turco.  Avendo  caldamente 
favorito  l'elezione  di  Sisto  IV,  di 
cui  era  amico  intrinseco,  venne  dal 
medesimo  confermato  nella  legazio- 
ne, e  fatto  nel  '47^  amministra- 
tore del  vescovato  di  Bologna,  ove 
fu  largo  e  generoso  co'poveri ,  e 
divotissimo  verso  la  Beata  Vergine, 
di  cui  fece  consagrare  la  chiesa  di 
s.  Maria  del    Monte  della  Guardia, 


( .  0  R 

dal  vescovo  di  Sarsi na.    Nel    "48o 
assegnò  agli  eremili    di    s.    Girola- 
mo, per  decreto   pontificio,    la    va- 
cante chiesa    di    s.  Barbaziano.   In 
Mantova   parimenti  coll'autorità   di 
Sisto  IV    eresse     in     collegiata     la 
chiesa  del   monistcro  di   s.  Andrea, 
da   lui   tenuto     in    commenda.    Fu 
pure   impiegato    nella     legazione  di 
Ferrara,  non    che  per    tratture    la 
pace  d'Italia  e  di  Alemanna,  e  per 
muovere  i   principi    dell'  impero  a 
prendere   le    armi   contro   il    turco. 
Finalmente  nella  robusta  età  di  an- 
ni  quarantadue,    cessò  di   vivere  in 
Bologna    a'  21     ottohre     i4^3     o 
i  j.84i   tra  le  lagrime    del  popolo; 
trasportato  il  suo  cadavere  a  Manto- 
va, ebbe  sepoltura  nella  chiesa  di  s. 
Francesco,    altri   dicono    nella    cat- 
tedrale, nella   tomba   de'  suoi    mag- 
giori.  La  generosità   d'animo,   il  di- 
scernimento e   il    buon   criterio  nei 
maneggi  delle  cose,  gli  acquistaro- 
no  autorità  e   riputazione  grandis- 
sima ;     all' incontio     la     caccia,    il 
giuoco,   le  armi   ed  altri   esercizi  ca- 
vallereschi,    a  quali     era     natural- 
mente inclinato,    gli  recarono  pres- 
so gli   storici  qualche   biasimo.    Pe- 
rò lo  lodano   il   cardinal    Papiense, 
Carlo   Sigonio,   Paolo  Cortese,   An- 
tonio  Possevino,    Andrea   Yitlorelli 
ed  altri.   Da  Giovanni   Lucido   Ca- 
lanco  si   ha  YOrat'o   in  funere  car- 
ihnalis   Gonzagae  halita  Mantuae, 
l  183. 

GONZAGA  Sigismondo,  Cardi- 
nale. Sigismondo  1  de'niai- 
che.M  di  Mantova,  n  rese  illustre  e 
chiara  per  militari  imprese,  e  poi 
odia  ecclesiastica  disciplina.  Impe- 
nni he  GiuKo  II  lo  elesse  nel  dì 
primo   dicembre    imi*,    cardinale 

diacono    di    s.    Mai  1.1     NuOfS  .    <•    per 

distiosione    eli    mandò    le    in 

- -uiluiahzie  per  Paolo   Uomra  tuo 


GON  283 

prelato     domestico  .     Poscia     l'alto 
teaam*    di     Mantova,   ed    auimini- 
stratore  di    A  versa  secondo  alcuni, 
illn-tiò    tali    dignità   più    coli'  illi- 
batezza    del     cuore  ,    che     con    lo 
splendore     della     nascila,     inoltre 
Giulio    li     lo     nominò     protettore 
dell'ordine    carmelitano,  e  con   in- 
dicibile   consolazione  lo  accolse    in 
Roma;  indi  lo  dichiarò  legato  del- 
la Marca,    dove    fece    costruire  un 
magnifico    palazzo    per  uso  dei   le- 
gati,    ed   altro  ne  edificò   in   Man- 
tova    per     abitazione     de'    vescovi. 
Venne    trasferito    alla  legazione  di 
Bologna,    la   quale  col   suo     valore 
tolse    al    dominio  dei    Bentivoglio, 
e   ridusse  all'ubbidienza  della  Chie- 
sa romana.  Da  Leone    X  con  am- 
plissime facoltà   fu  dichiarato  lega- 
to a  latere  di    tutto  il  Mantovano, 
dove    la   sua  giustizia,  carità  e  re- 
ligione   gli  accrebbe   il  credilo,     la 
stima  e  la    venerazione  che  già  fi 
godeva.     Intervenne    ai  conclavi   di 
Leone  X,  Adriano   \  I,  e  Clemen- 
te  VII,   il   quale    a   di    lui   contem- 
plazione   accordò  nel    ij?.\  ai 
scovi    di    Mantova   il    privilegio  di 
delegare    qualunque     giudice     ! 
loro    piaciuto    in    seconda,  e  anche 
in  terza  istanza,   tolta  ai  rei   la   l a- 
collà  dell'appellazione.  Pieno  final- 
mente di    buone  e  sante  operazio- 
ni,  lasciati    per    testamento    seimi- 
la scudi  ad  alcuni    monisteri   biso- 
gnosi,   e    rinunciata    la  chiesa    di 
Mantova  ad    Creole    Gonzaga   suo 
nipote,    dove   ebbe    principio    ebbe 
termine  la   sua  vita   nel   1  ".»"!,  e   tu 
sepolto  nella     cattedrale  con   buon 
_:io,  poi    rinnovato    dal 

i    innesco    '  ì  none 

del  tlie  fece   delle   Mie  os- 

ila nuofa  1  li 
< .(  )N/.\< .  \    Bai  oli,  C  intonale. 

Ercole   Gonzaga   deducili   di    Man- 


2  34  GON 

tova,    fornito    di     meraviglioso    ta- 
lento, compì    sotto    celebri    profes- 
sori e  con  ottimo    successo  il   cor- 
s>  delle     scienze    in  Bologna,    indi 
colla  costumatezza  ,    colla   pazienza 
ch'ebbe  nello  studio  e  nella  coltu- 
ra   delle     buone     lettere,     e     delle 
scienze  più  gravi,  accrebbe  d'assai 
lo    splendore  de'  natali,  e   fu    per- 
sonaggio degno  di  eterna  memoria. 
Nel     1 320    Leone  X,    nell'  età     di 
quindici  anni,    Io  fece    vescovo    di 
Mantova,   nella   cui  diocesi   tolse  la 
licenza  e    corruttela    de'costumi,  e 
per  la  sua  esemplarità  fu  preso  a 
modello  dagli  altri   vescovi  d'Italia. 
Quindi     per     industria     d'  Isabella 
Gonzaga  d'  Este  sua     madre,  pru- 
dentissima     tra   le    donne,  al     dire 
del  Bembo,  Clemente  VII   lo  creò 
cardinale  con   la  diaconia   di  santa 
Maria    IN  uova,    nel  concistoro  de'3 
maggio    i5a7  ,   senza  che   neppure 
l'immaginasse,    avendo  allora   ven- 
tidue    anni    di  età.    Fu    la    madre 
che  per  la    prima  lo  salutò   cardi- 
nale, con     di     lui    sorpresa.     Ebbe 
il   governo   della   città  di  Tivoli,  fu 
decoralo     di    onorevolissime    lega- 
zioni,    dell'  amministrazione     della 
chiesa     di   Tarragona,  e    nel    i528 
di  quella    di   Fano,  poscia   nell'an- 
no    seguente     di     Soana,    la  quale 
rassegnò  al  cardinal  Farnese,  men- 
tre   1'  altra  dopo  due    anni     rasse- 
gnò a  Pietro  Bertano,   suo  teologo, 
domenicano.  Nel    i53o  fu  incarica- 
to  della    legazione  a   Carlo  V,  che 
dopo    la    sua    coronazione  eseguita 
in   Bologna  accompagnò  sino  a  Ge- 
nova ;    indi    nel   i56i    Pio    IV  lo 
lece  legato  della  provincia  di   Cam- 
pagna.   Ammirato    dai    principi    e 
monarchi,  e    molto  più  dai    Papi, 
come     uomo  di  straordinaria    inte- 
grità,   prudenza  e  valore,  non  la- 
sciarono di  prevalersene  negli  afia- 


GON 
ri   più    delicati    e    gelosi    del   pon- 
tificato,   non    avendo  giammai   in- 
trapreso   negozio    rilevante,     senza 
sentirne    prima    il     di    lui    parere. 
Nella   minorità  di  Federico   Gonza- 
ga suo  nipote,   governò  in  qualità 
di   reggente   con  esimia    prudenza, 
tranquillità  e  dolcezza  il  ducato  di 
Mantova,  la  cui  città  fu  da  lui  ac- 
cresciuta ed  abbellita  con  magnifi- 
che   fabbriche.    Pio  IV   lo  nominò 
legato  a  Intere  al  concilio  di  Tren- 
to nei  principii   della  sua  continua- 
zione,   dove  fece  ai   padri    nobilis- 
sima   allocuzione,  e    poi  con  inde- 
fesso   fervore    applicossi  a  regolare 
e  dirigere  quell'augusta  assemblea, 
mostrandosi    superiore  alle  difficol- 
tà e  agli   ostacoli  che   talvolta  sem- 
bravano   insormontabili,     col  pro- 
porre con     raffinata     prudenza     le 
materie  da    discutersi,  e  collo  stu- 
diarle   per    sé    stesso    con    assidua 
applicazione,    col    rinvenire  i  tem- 
peramenti   più    adattati  ed  oppor- 
tuni,   e    le    più    acconce    maniere, 
onde  conciliare  nel   medesimo  sen- 
timento coloro  che  avevano  opinio- 
ni   contrarie    e  discordanti,  invigi- 
lando    al     buon     ordine     ed     alla 
concordia  de'padri,  e  coll'essere  in 
una     parola    1'  anima  di    quel  sa- 
crosanto concilio,  fintantoché  con- 
sumato e  rifinito  dalle  enormi   fa- 
tiche   sostenute  a    prò  e  vantaggio 
della   Chiesa,  vi  lasciò  gloriosamen- 
te la    vita    nel     i563,    d'anni  cin- 
quantotto   non    compiti  ,    con  im- 
menso    cordoglio     non    meno     del 
Pontefice,    che    de' prelati    raccolti 
in  Trento.  I    cardinali  Bembo,  O- 
sio,  e    Sadoleto  lo  chiamarono  or- 
namento   e    decoro    del  sagro  col- 
legio.   Pietoso    verso  Dio,    dolce  e 
mansueto  col  prossimo,  zelante  del- 
la cattolica    religione,  generoso  coi 
poveri  a'  quali    si  calcola  aver  da' 


GON 

io  cinqnccentomila  scudi  ,  olire 
venticinquemila  che  in  morie  la- 
sciò a' suoi  famigliari,  e  trentamila 
al  monte  di  pietà  di  Mantova*  a- 
li  menta  rido  a  sue  spese  parecchi 
giovani  di  talento  in  diverse  uni- 
versità; avendo  a  tale  effetto,  pri- 
ma de' decreti  del  tridentino,  fon- 
dato del  proprio  in  Mantova  un 
seminario  di  giovanetti,  affinchè 
fossero  istruiti  nelle  scienze  e  nei 
costumi.  11  cardinale  Pallavicino  nel- 
la Storia  del  concilio  di  Trento 
fece  il  dovuto  elogio  di  questo  car- 
dinale, il  di  lui  cadavere  trasferito 
da  Trento  a  Mantova,  fu  collo- 
cato con  breve  e  significante  iscri- 
zione nella  cappella  di  s.  Pietro 
entro  la  tomba  de'  suoi  maggiori. 
Trovossi  ai  conclavi  di  cinque  Pa- 
pi, ed  in  quello  in  cui  fu  eletto 
Pio  IV  poco  mancò  che  non  fos- 
se assunto  al  trono  del  Vaticano. 
La  sua  vita  fu  scritta  da  Giulio 
Castellani  detto  Y Asciutto,  e  stam- 
pala in  Mantova  nel    i  56  \. 

GONZAGA  Pirro,  Cardinale. 
Pirro  Gonzaga  de'  duchi  di  Man- 
tova, cugino  del  cardinal  Ercole, 
e  fratello  di  Luigi  detto  il  Tui- 
co,  il  quale  dopo  aver  consolilo 
Clemente  VII  nella  sua  prigionia 
in  Castel  s.  Angelo,  lo  ridusse  sa- 
no e  salvo  in  Orvieto.  In  età  gio- 
vanile nel  1I27  ottenne  il  vesco- 
vato di  Modena,  che  poi  dimise, 
indi  a'29  novembre  di  detto  anno 
il  medesimo  Clemente  VII   lo  creò 

(animale  diacono  di  8.  Agata,  chie- 
sa che  fu  da  lui  con  ecclesiastica 
magnificenza  instaurata.  Dipo  poco 
più  d1  un  anno,   nelle  vicinante  di 

Modena    la    morte   gli    tolse    la 

e  la  porpora  nel    1  S  19    II  Novaea 

dice,  che  fii  diacono  di  s.  An 
m    Pescheria. 

GOISZA<"i.Y    FaufcsscO;  Cardi- 


GOrt  28; 

naie.  Francesco  Gonzaga  deducili 
d'  Ariano,  fratello  del  cardinale 
Gianvrocenzo,  e  nipote  del  cardi- 
nal Ercole  e  di  Francesco  duca  di 
Mantova,  nacque  in  quota  città. 
Avendo  sino  dai  pruni  anni  dati 
non  dubbi  contrassegni  di  virtù, 
di  modestia,  e  d'  integrità  di  co- 
slume,  ed  essendosi  distinto  nelle 
scienze  e  nello  studio  della  !<__ 
ottenne  dal  suo  parente  Pio  1\ 
f  abbazia  dell'Acqua  nera,  con  lu 
qualifica  di  protonotario  apostoli- 
co, ed  a'20  febbraio  1 56 1  fu  dal 
medesimo  creato  cardinale  diacono 
di  s.  Nicola  in  Carcere.  Passò  al- 
l'ordine de'preti,  ed  al  titolo  di  9. 
Lorenzo  in  Lucina,  di  cui  restau- 
rò ed  abbellì  il  palazzo  dei  car- 
dinali titolari  contiguo  a  quella 
chiesa.  Ebbe  nello  stesso  tempo 
la  legazione  della  provincia  di 
Marittima  e  Campagna,  l'ammi- 
nistrazione della  metropoli  di  Co- 
senza, e  nel  i565  il  vescovato  di 
Mantova.  Ma  in  quest'  anno  mo- 
rì in  Roma  in  età  di  ventino- 
ve anni,  e  dentro  il  conclave  per 
l'elezione  di  s.  l'io  V,  che  il  car- 
dinale avea  presagito.  Fu  sepolto 
nel  mezzo  della  chiesa  titolare  con 
magnifico  elogio. 

GONZAGA   Federico,    Cardina- 
le.  Full  1  ii  11  I  ronzaga  dei  dm  hi  di 
Mantova,  lece  meravigliosi  pr<  _. 
si  in  Bologna  negli  Mudi,  cui  non 

andava  disgiunta  un  1  ria  I  1  I  <•  co- 
stante pietà.  Imitatore  delle  virtù 
del    cardinal    I  rio    zu>.  i 

in  mancanza    ÓN 1    padre   1 
suo  tutore,  in  di  lui  grazia  e  nel- 
1'  età   di    Ventitre  anni    Pio  IN     I 

naia  1  56  I  !<>  >  naie  pi  »  • 

te  di  I  titolo  di  1    M  11  a   Nii.  ■. 
decorollo  di  una  onorevolissin  1 

1  difièrei    1    del   «  ardi- 
ne! Francesco  Gonzaga,  fu  detto  il 


286  GON 

cardinal  di  Monferrato.  Nello  stes- 
so tempo  fu  fatto  vescovo  della 
sua  patria  ,  quantunque  non  con- 
tasse che  ventiquattro  anni  di  età, 
chiesa  vacata  per  morte  del  nomi- 
nato zio ,  sulle  cui  orme  gloriose 
indirizzò  i  suoi  passi.  Ma  dopo  due 
anni  appena  di  cardinalato  ,  nella 
verde  età  di  venticinque  anni,  una 
violenta  malattia  in  un  sol  giorno 
lo  rapì  al  mondo  nel  i565,  con 
lutto  universale  della  città  di  Man- 
tova ,  a  cui  per  le  rare  virtù  ed 
egregie  doti  era  divenuto  carissi- 
mo ;  e  rimase  sepolto  nella  catte- 
drale con  breve  iscrizione. 

GONZAGA  Gianvwcenzo,  Cardi- 
nale. Giauvincenzo  Gonzaga,  fratel- 
lo del  cardinal  Francesco  e  nipo- 
te del  celebre  cardinal  Ercole,  nac- 
que a' 6  dicembre  i54o  in  Paler- 
mo, dove  Ferrante  duca  di  Mblfet- 
ta  suo  padre  si  trovava  viceré  di 
Sicilia.  Si  portò  in  Malta  in  qua- 
lità di  cavalier  gerosolimitano ,  e 
siccome  prode,  valoroso  e  perito 
nella  scienza  militare,  fu  dichiara- 
to generale  delle  galere  dell'  ordi- 
ne. Richiamato  a  Mantova  dal  du- 
ca Guglielmo,  che  nel  governo  del- 
lo stalo  volevasi  prevalere  de'  di 
lui  consigli,  ad  istanza  di  esso,  Gre- 
gorio XI  li  a'  21  febbraio  1578  lo 
creò  diacono  cardinale  di  s.  Gior- 
gio in  Velabro ,  donde  passò  alla 
diaconia  di  s.  Maria  in  Cosmedin  , 
basilica  che  abbellì  ed  ornò  ma- 
gnificamente, e  vi  fece  costruire  il 
coro  per  officiarvi  in  tempo  d' in- 
verno. Sisto  Y  lo  trasferì  all'  ordi- 
ne de'  preti,  ed  al  titolo  di  s.  Ales- 
sio, chiesa  di  cui  fu  il  primo  tito- 
lare, e  ne  fu  benemerito  coi  bene- 
fizi che  le  compartì.  Inoltre  Sisto 
V  lo  incaricò  d'ascoltare  e  provve- 
dere alle  istanze  e  querele  de' sud- 
diti dello    stato    pontifìcio,   che  si 


GON 

stimavano  gravati.  Dopo  l'interven- 
to a  quattro  conclavi,  morì  in  Ro- 
ma a' 22  o  24  dicembre  1 5g  1,  di 
anni  cinquantadue  non  compiti,  in 
credito  di  principe  assai  liberale , 
singolarmente  coi  domestici ,  tra  i 
quali  divideva  ogni  anno  somme 
considerabili  di  denaro.  Fu  sepolto 
nella  sua  chiesa  titolare,  dove  al 
manco  lato  dell'altare  maggiore  si 
vedono  le  sue  insegne  espresse  in 
metallo,  e  fregiate  di  onorevole  i- 
scrizione.  Lasciò  a  quella  chiesa  pa- 
recchi sacri  arredi,  e  tutta  l'eccle- 
siastica suppellettile. 

GONZAGA  Scipione,  Cardinale. 
Scipione  Gonzaga,  nobile  mantova- 
no, de'marchesi  di  Gazzolo  e  Sab- 
bioneta,  avendo  insieme  colla  chia- 
rezza della  prosapia  sortito  un  in- 
gegno vivo  e  penetrante,  congiun- 
to a  tale  eleganza  e  leggiadria  di 
aspetto,  e  soavità  di  costumi,  che 
rapiva  il  cuore  di  chiunque  si  fa- 
ceva a  guardarlo,  attese  di  propo- 
sito a  coltivarlo  con  assidua  appli- 
cazione sotto  la  disciplina  del  car- 
dinal Ercole  Gonzaga;  cosicché  ac- 
quistata la  perizia  delle  greche  e 
latine  lettere ,  della  storia  e  delle 
facoltà  matematiche  e  filosofiche 
nell'università  di  Bologna,  e  poi  in 
quella  di  Padova,  dove  ottenuta  la 
laurea  di  dottore  istituì  l' accade- 
mia detta  degli  Eterei,  tutto  s'im- 
merse nello  studio  della  teologia , 
in  cui  si  acquistò  riputazione  e  fa- 
ma, onde  i  dotti  di  quel  secolo  si 
fecero  pregio  di  sottoporre  al  suo 
giudizio  le  opere  loro,  come  Mu- 
reto,  Guarino,  Maffei ,  Mussato  e 
Torquato  Tasso,  il  quale  non  pub- 
blicava alcun  verso  prima  di  sot- 
toporlo al  di  lui  giudizio.  Senten- 
dosi chiamato  sino  dalla  tenera  età 
alla  vita  clericale,  si  portò  in  Ro- 
ma per   prendere    gli  ordini  sacri. 


GOH  BOB  287 

Ivi  Pio  IV  lo  lece  suo  cameriere  cardinal  Lui^i  Valenti  Gonz  - 
tl'uiiorc ,  e  mentre  eia  in  Boom  furono  pubblicati  in  lioma  colle 
pei  fare  omaggio  a  Gregorio  \  ili  stampe  del  Salo  moni  nel  1791,  con 
nuovo  Papa,  e  per  ottenere  da  lui  note  e  dottiflrime  aggiunte,  e 
alcuni  favori,  massime  la  nomina  di  grande  interesse  pei  le  storie 
del  vescovo  di  Mantova,  vi  si  re-  eontempoi  ante  ,  essendovi  l'elogio 
co  il  duca  Guglielmo  Gonzaga,  del  cardinale  scritto  da  Marc' A  n* 
Frattanto  tra  lui  e  Scipione  pen-  tonio  Murato.  Godè  questo  poi po- 
deva  lite  sul  possesso  di  Gazzolo,  rato  l'amicizia  de' ss.  Carlo  Borro- 
mentre  all'  avvocato  del  secondo  meo,  Filippo  Neri  e  Luigi  Gonza- 
parve  opportuno  far  citare  perso-  ga,  cui  molto  giovò  presso  il  mu- 
nalmente  il  duca  da  un  cursore,  chese  d.  Ferrante  Gonzaga  padre 
quando  incedeva  nelle  pubbliche  del  santo,  per  agevolare  all'ani;'  li- 
strade.  Il  duca  montato  in  collera  co  giovane  l'ingresso  nella  com- 
per  questo  affronto,  ricorse  al  Pa-  pagnia  di  Gesù.  Di  più  narra  Pao- 
pa,  onde  il  cursore  fu  punito  con  lo  Floreto  nella  stona  degli  uumi- 
tre  tratti  di  corda.  Scipione  si  u-  ni  illustri  della  prosapia  Gosfl 
miliò  al  duca,  e  seco  lui  si  ricon-  che  il  cardinal  Montalto  dopo  la 
ciliò,  e  divenuto  Pontelìce  Sisto  V  morte  di  Urbano  \  li  studiosi  con 
Io  fece  patriarca  di  Gerusalemme,  tutto  l'impegno  per  farlo  eleggere 
e  ad  istanza  dello  stesso  duca,  ai  successore,  al  che  con  ogni  sforzo 
18  dicembre  \5Sy  Io  creò  cardi-  si  oppose  Scipione.  Giamo  N 
naie  prete  del  titolo  di  s.  Maria  Eritreo  di  lui  ci  fece  un  bell'elo- 
del  Popolo.  Dopo  essere  interventi-  £'0  ;  ed  il  Peti amellara  attesta  che 
to  alle  elezioni  di  Urbano  VII,  In  governatore  di  Monferrato,  io 
Gregorio  XIV,  Innocenzo  IX  e  Cle-  luo^'o  dì  Vincenzo  duca  di  Man- 
mente  Vili,   nelle   quali    non    sem-  tova. 

pie  si  mostrò  col  suo  voto  favore-         GONZAGA   Feennuumo,   Cardi- 

•volc  a  detti  Papi;  ed  attese  le  gravi  naie.   Ferdinando  .    fratello 

e  continue     malattie   che    lo   tram-  di     Francesco    duca     di     Mantova, 

gliavano,  morì  nel    1  Jq3  in  s.   Mar-  quanto   piccolo   di   statura  nltrettan- 

tino,  feudo  di  sua  famiglia,  in   età  to  riuscì    grazioso    e    leggiadro    «li 

di   anni   cinquantuno   non   compiti,  aspetto,  non   che    fornito  di   sottile 

e   N   i\i   sepolto    nella   chiesa   di    s.  e   penetrante   ingegno,   per  cui    fece 

Sebastiano  dentro   la  cappella  della  non  ordinari   progressi    negli    studi 

1    ('luce,    nella    quale    si    vede  la  nell'università  d'Ingolstadt  Ma 

statua   del  cardinale   di  marmo,  tic-  penetrazione   dell'  ingegno   non  sep- 

aella   base  di  magnifica  iscri-  pe  accoppiare   quella    maturità    «li 

zione.  Lasciò  per  legato  alla  chic-  prudenza,  che  fatto  ne  avrebbe  il 

sa  del  suo    titolo    tutta  la  supplì-  principale    «rum  1    di 

lettile  della  propria  cappella  dome*  naturale  eondis  endente  e  volubile, 

sta  1,   il  cui   raion  1   molte  Pan!"  V  a'  i"    dicembre    1607   l> 

migliaia  di  scudi.  Con  somma.  >  irdinale  diacono  di  s.  Maria 

1  di  lingua  latina  scrisse  qua*  in   I1  dalla    anale 

sto  cardinale  1  rommentan  .i.ll.i  j  usò  B  BUI  Mai  1  in  Por- 
tai vita,  ohe  dall' ex-gesuita  don  lieo,  a  cui  donò  quattro  grandi 
Giuseppe  Mai  otti,  e  per  open  del  candellieri  d'argento  con  la  a 


236  GON 

di  nobile  lavoro.  Se  non  che  mor- 
ti quasi  ad  un  tempo  il  duca  suo 
padre,  il  fratello  ed  il  nipote,  nel 
i6i5  rinunziò  il  cardinalato  allo 
stesso  Paolo  V,  e  fu  obbligato  a 
passare  alle  nozze  per  conservare 
la  successione  alla  sua  inclita  casa. 
GONZAGA  Vincenzo,  Cardina- 
le. Vincenzo  Gonzaga  de' duchi  di 
Mantova,  ad  istanza  del  duca  Fer- 
dinando suo  fratello^  già  cardinale, 
Paolo  V  a'  2  dicembre  1 6 1 5  lo 
creò  cardinale  diacono,  colla  prov- 
visione e  trasferimento  de' benefizi 
che  godeva  il  medesimo  fratello. 
Dopo  alcun  tempo  Vincenzo  di 
nascosto  sposò  in  forma  legittima 
Isabella  Gonzaga ,  vedova  di  Fer- 
rante Gonzaga  principe  di  Bozzolo, 
donna  di  pari  ingegno  e  venustà 
fornita;  laonde  fu  obbligato  a  di- 
mettere la  porpora  cardinalizia  ,  e 
dopo  la  morte  del  fratello  ereditò 
il  ducato  di   Mantova. 

GONZALEZ  Giovanni,  domeni- 
cano spagnuolo,  che    fiori    nel  se- 
colo XVI 1.    Nacque    a    Leone.,    fu 
professore  di  teologia    nel    collegio 
di  s.  Tommaso  a  Roma ,    e  lasciò 
diversi   monumenti  del   suo  talento 
e  della  sua  dottrina.  Le  sue  lezio- 
ni di   teologia,  da  lui   dettate  negli 
anni   i635  e    i636,  furono    stam- 
pate a  Liegi   nel    1708  con  questo 
titolo  :    Controversine  inter  defenso- 
res  libertalis,  et  praedicatores  gra- 
tiae,  de    auxiliis  divinae   gratìae , 
tarn  excitantis    quam    adjuvantis , 
tam  operanti  s    quam    coopcrantis, 
tani  sufficientis  quam  efficacis ,   et 
de   extremis    haereticorum    errori- 
bus  circa  eamdem>  ec.  Queste   le- 
zioni   sono    divise  in    cinque    con- 
troversie :  nella  prima  l'autore  spie- 
ga la  natura    della    grazia    preve- 
niente; nella    seconda    tratta  delle 
grazie  che  i  teologi    chiamano    ec- 


GON 

citanti  ed  adi u vanti  ;  nella  terza 
parla  della  grazia  operante  e  della 
grazia  cooperante;  nella  quarta  dà 
la  storia  di  coloro  che  hanno  er- 
ralo su  questa  materia,  e  riferisce 
tutti  gli  errori  dei  pelagiani,  dei 
semipelagiani  ,  dei  manichei  ,  dei 
luterani  e  dei  calvinisti  intorno 
alla  medesima  materia;  finalmente 
la  quinta  controversia  contiene  di- 
verse questioni  sulla  famosa  distin- 
zione della  grazia  in  efficace  e  suf- 
ficiente. 

GONZALEZ  Tirso  ,  spagnuolo , 
generale  de' gesuiti,  morto  a  Roma 
il  24  ottobre  1  jo5.  Nel  1670  com- 
pose un  trattato  in  cui  combatteva 
la  dottrina  del  probabilismo,  e  ne 
mostrava  la  falsità  ed  il  perico- 
lo ;  ma  non  gli  fu  possibile  di  pub- 
blicarlo, perchè  la  sua  compagnia 
vi  si  opponeva  costantemente,  seb- 
bene fosse  stato  approvato  da  Papa 
Innocenzo  XI  :  solo  il  potè  allor- 
quando divenne  generale  egli  stes- 
so. Questo  trattato  fu  stampato  a 
Roma  nel  1687  ,  poscia  a  Lione 
ed  altrove,  sotto  questo  titolo  :  Fun- 
damenta  theologiae  moralis,  id  est 
de  recto  usu  opinionum  probabi- 
lium,  ec.  Quest'opera  ebbe  gran 
corso  in  tutta  l'Europa,  e  fu  stam- 
pata fino  a  dodici  volte  in  un  an- 
no. L'  autore  dimostra  che  il  pro- 
balismo  non  fu  né  inventato,  ne 
sostenuto  universalmente  dalla  sua 
società,  perciocché  i  padri  Ferdinan- 
do Rebelle,  Paolo  Comitolo  ed  An- 
drea le  Blande  si  dichiarono  contra- 
ri, avanti  che  alcun  altro  l'avesse  at- 
taccata ;  e  che  fu  Michele  Salonio 
agostiniano  che  avanzò  siffatta  dot- 
trina pel  primo ,  nel  suo  trattato 
Della  giustizia  e  del  diritto,  stam- 
pato a  Venezia  nel  1592.  Il  p. 
Gonzalez  combatte  quindi  forte- 
mente il  probabilismo ,    senza    ob- 


OOR 

bligare  tuttavia  nemmeno  ì  padri 
della  sua  società  a  pensare  come 
lui.  Egli  compose  altresì  un  trat- 
tato contro  le  proposizioni  dell'  as- 
semblea del  clero  di  Francia  del 
1682. 

GOR  o  GARRA.  Sede  vescovile 
della  MauritianaCesariana  nell'Afri- 
ca occidentale  :  Vittore  suo  vescovo 
assistette  al  concilio  di  Cartagine 
convocato  da  s.  Cipriano  nell'  an- 
no 255. 

GORDIANO  ed  EPIMACO  (ss), 
martiri  i  quali  sono  nominati  in 
tutti  i  calendari  della  Chiesa  lati- 
na dal  sesto  secolo  in  poi.  Epima- 
co  patì  in  Alessandria  nel  25o  con 
un  altro  cristiano  per  nome  Ales- 
sandro, essendo  stati  ambedue  git- 
tati  in  un  orribile  camerotto,  poi 
bruciati  nella  calce  viva.  S.  Gor- 
diano fu  decapitato  a  Roma  per 
la  fede  nel  362  sotto  Giuliano 
l'Apostata,  e  il  suo  corpo  fu  se- 
polto in  una  fossa  in  cui  era  stato 
deposto  quello  di  s.  Epimaco  quan- 
do venne  portato  da  Alessandria  a 
Roma.  Le  reliquie  di  questi  due 
santi  sono  presso  i  benedettini  di 
Rempten  nella  diocesi  di  Augusta, 
e  sono  onorati  ai    io  di  maggio. 

GORDIANO,  Cardinale.  Gor- 
diano romano,  senatore  di  Roma, 
della  famiglia  nobilissima  Anicia , 
si  congiunse  in  matrimonio  con  s. 
Silvia ,  da  cui  nacque  il  Pontefice 
s.  Gregorio  I  Magno,  eletto  nel 
590  ,  e  sotto  il  di  lui  pontificato 
viene  registrato  tra  i  cardinali  dia- 
coni regionari  dal  Cordella,  dal 
Ciacconio,  e  da  altri. 

CORDI O  (  i  ).  Nato  a  Cesarea 
in  Cappadocia ,  servì  nelle  armate 
dell'  impero  col  grado  di  centu- 
rione; ma  allorché  Diocleziano  mos- 
se fiera  persecuzione  ai  cristiani , 
ei  si  ritrasse  in  un  deserto.  Alcun 

VOL.    XXXI, 


GOR  289 

tempo  dopo  abbandonò  la  solitu- 
dine, spinto  dal  desiderio  di  spar- 
gere il  sangue  per  la  fede ,  e  si 
presentò  ai  pagani  di  Cesarea,  che 
stavano  celebrando  i  giuochi  in 
onore  di  Marte.  Riconosciuto  per 
cristiano  fu  condotto  dal  governa- 
tore, il  quale  trovatolo  animosa- 
mente costante  a  confessare  Gesù 
Cristo,  Io  condannò  a  perdere  la 
testa.  S.  Basilio  recitò  il  suo  pa- 
negirico a  Cesarea  nel  giorno  della 
sua  festa,  eh' è  segnata  il  3  di  gen- 
naio. Alcuni  scrittori  collocano  il 
martirio  di  s.  Gordio  sotto  Licinio, 
verso  l'anno  319. 

GORDO.  Sede  vescovile  della 
Lidia  ,  nella  diocesi  d'  Asia  ,  sotto 
la  metropoli  di  Sardi ,  eretta  nel 
quinto  secolo,  che  Tolomeo  chiama 
Julio-Gordus,  situata  tra  il  mon- 
te Sipilo ,  ed  il  fiume  Ermo.  Si 
conoscono  cinque  suoi  vescovi,  cioè  : 
Giovanni  ;  Teodoro,  che  sottoscris- 
se la  lettera  all' imperatore  Leone; 
Teodoro,  che  fu  al  concilio  di  Co- 
stantinopoli, sotto  il  patriarca  Men- 
na ;  Giorgio,  che  intervenne  al  VII 
concilio  generale  ;  e  Leone ,  che  fu 
al  concilio  di  Fozio. 

GORDORINIA.  Sede  vescovile 
della  provincia  di  Frigia  Salutare, 
nella  diocesi  d'  Asia  ,  sotto  la  me- 
tropoli di  Sinnada,  eretta  nel  IX 
secolo.  Ciriaco  suo  vescovo  assistet- 
te all' Vili  concilio  generale. 

GORDOSERVI,  GORDO-SER- 
\US,  o  GORDIU-COME.  Sede 
vescovile  della  seconda  Bitinia,  nel- 
la diocesi  dì  Ponto,  sotto  la  me- 
tropoli di  Nicea,  eretta  nel  VI  se- 
colo. Si  dice  patria  del  celebre  ca- 
po di  ladroni  Cleono,  il  (piale  aven- 
dola aumentata,  le  diede  il  nome 
di  Giuliopoli,  in  memoria  e  consi- 
derazione di  Giulio  Cesare.  Si  00- 
uoscouo  tre  suoi  vescovi,  cioè:  I  .- 
'9 


29o  GOR 

doro,  che  trovossi  al  VI  concilio  ge- 
nerale; Neofito,  che  fu  al  VII;  e 
Stefano,  che  assistette  all' Vili,  ed 
a  quello  di  Fozio. 

GORGONIO  e  DOROTEO  (ss). 
Occupavano  i  primi  posti  tra  i  fa- 
migliari dell'  imperatore  Dioclezia- 
no, allorquando  Galerio  fece  ap- 
piccare il  fuoco  al  palazzo  di  Ni- 
comedia  per  rovesciarne  la  colpa 
sopra  i  cristiani.  Gorgonio  e  Do- 
roteo  furono  catturati  con  altri  uf- 
fìziali  del  palazzo  che  professavano 
il  cristianesimo  ;  e  dopo  crudeli  tor- 
ture vennero  strangolati  e  gettati 
in  mare.  Uno  di  essi  per  nome 
Pietro,  ebbe  a  soffrire  ancor  più 
barbaro  trattamento,  perciocché  fu 
sospeso  in  aria  affatto  nudo,  e  stra- 
niato co' flagelli,  poscia  gli  versarono 
sulle  piaghe  del  sale  e  dell'  aceto  ; 
e  non  ismovendosi  per  anco  la  sua 
costanza,  lo  stesero  sopra  una  gra- 
ticola, e  lo  fecero  arrostire  a  fuoco 
lento.  Questi  santi  martiri  patirono 
nell'  auno  3o4,  ed  è  notata  la  loro 
festa  il  9  settembre. 

Avvi  un  altro  s.  Gorgonio,  mar- 
tire di  Roma,  che  fu  sepolto  sulla 
via  Lavicana ,  e  trasportato  nel- 
l' abbazia  di  Gorze  in  Francia  nel 
764,  per  cura  di  s.  Crodeganclo 
vescovo  di  Metz;  e  che  aveva  un 
offizio  in  suo  onore  nel  Sacramen- 
tario di  Gelasio. 

GORIZIA  (Gorilien).  Città  con 
residenza  arcivescovile  del  regno 
illirico,  capoluogo  di  circondario  e 
di  distretto  nell'impero  austriaco, 
e  precisamente  nella  bassa  Illiria, 
soggetta  al  governo  di  Trieste.  Si 
può  dividere  in  alta  e  bassa  città: 
la  prima,  la  più  antica  perchè  edi- 
ficata nel  i4?3,  è  situata  sopra 
un'  eminenza,  cinta  da  mura,  e  di- 
fesa da  un  vecchio  castello  ;  la  cit- 
tà bassa  sta  in  una  ridente  pianu- 


GOR 

ra ,  contornata  di  fertili  colline , 
presso  e  sulla  riva  dell' Isonzo ,  che 
vi  si  passa  sopra  un  ponte,  ed  è 
molto  bene  fabbricata,  con  istrade 
spaziose.  Possiede  oltre  la  cattedra- 
le, sei  chiese,  dei  conventi,  il  gin- 
nasio, l'istituto  filosofico,  il  teatro  ; 
numerosa  è  quivi  la  comunità 
israelitica.  Negli  ultimi  tempi  fu 
occupata  tre  volte  dai  francesi.  Nei 
dintorni  si  trova  il  monte  santo , 
ed  il  santuario  che  vi  si  venera  è 
oggetto  di  un  gran  pellegrinaggio 
di  divozione.  Il  circolo  o  circonda- 
rio di  Gorizia  comprende ,  oltre 
quasi  tutto  il  territorio  che  costi- 
tuiva in  passato  le  unite  contee  di 
Gorizia  e  di  Gradisca  ,  alcuni  di- 
stretti della  Carniola  ,  ed  il  terri- 
torio già  veneto  di  Monfalcone.  Ha 
circa  centoventiquattro  leghe  qua- 
drate ,  e  si  divide  in  quindici  di- 
stretti, de'  quali  i  principali  sono 
Gorizia,  Gradisca,  e  Canale,  grosso 
borgo  a  sinistra  dell'  Isonzo ,  con- 
tenendo circa  cento  cinquantamila 
abitanti.  Il  paese  è  in  gran  parte 
montuoso  e  boschivo  ,  parte  in 
pianura,  o  presenta  dei  colli  che 
producono  molto  e  squisito  vino,  ed 
i  frutti  vi  sono  in  abbondanza. 

L'  antica  contea  di  Gorizia,  com- 
presa nel  Friuli  austriaco,  ebbe  i 
suoi  conti  particolari,  de'  quali  non 
è  facile  determinarne  l' origine.  Si 
crede  che  per  ordine  o  consenso 
dell'imperatore  Enrico  IV  la  con- 
tea di  Gorizia  fosse  conferita  ai  conti 
del  Tirolo,  a  titolo  di  parentela.  Lo 
stipite  di  questa  casa,  dal  1090 
fino  al  1121  fu  Goffredo  II  o  il 
suo  figlio  Adalberto.  Morto  il  con- 
te Leonardo  senza  eredi  maschi , 
l' imperatore  Massimiliano  I,  in  vir- 
tù delle  antiche  trattative,  prese 
possesso  della  contea ,  che  già  gli 
era  stata  data   in   ipoteca ,   e   fino 


GOR 

dal  i5oo  appartenne  alla  casa  di 
Austria.  Aveva  annessa  la  dignità 
di  principato,  talché  gì' imperatori 
assumevano  il  titolo  di  conti  e 
principi  di  Gorizia.  D' allora  in  poi 
la  contea  di  Gorizia  con  la  sua 
provincia  rimase  all'  augusta  casa 
d' Austria  ,  tranne  la  dominazione 
francese  dal  1809  al  181 4-  Nel 
Diario  del  viaggio  fatto  a  Vienna 
dal  Pontefice  Pio  VI  nel  1782, 
si  legge  che  accompagnato  sino  ad 
Udine  ed  ai  confini  dei  dominii 
veneti  dai  procuratori  della  repub- 
blica Lodovico  Manin,  e  Pietro 
("untarmi,  giunse  a'  14  marzo  in 
Gorizia ,  capitale  della  bassa  Car- 
inola, e  smontò  al  palazzo  de' conti 
Lanlhieri ,  preparato  con  munifi- 
cenza ,  onde  alloggiarvi  la  notte . 
Fu  ricevuto  da  monsignor  Garam- 
pi  nunzio  di  Vienna,  e  dal  conte 
Conbentzl  vice-cancelliere  di  corte 
e  di  stato,  prescelto  dall'  imperato- 
re Giuseppe  li  a  complimentare  il 
capo  della  Chiesa  nel  primo  arri- 
vo ne' suoi  dominii,  mediante  ana- 
loga lettera  imperiale.  Nel  seguente 
giorno  Pio  VI  si  recò  ad  ascoltare 
la  messa  nella  cattedrale;  e  poscia 
partendo  proseguì  il  viaggio  per 
Adelsberg,  ove  ricevette  gli  omag- 
gi di  monsignor  Francesco  Filippo 
Inzaghi  vescovo  di  Trieste.  Negli 
ultimi  anni  a  noi  contemporanei 
Gorizia  fu  onorata  dalla  dimora 
che  vi  fecero  il  re  di  Francia  Car- 
lo X  ,  suo  figlio  il  duca  d'  Angou- 
|(  me,  detto  Luigi  XIX  ,  culla  del- 
fina di  lui  consorte,  figlia  illustre 
di  Luiyi  XVI,  insieme  a  madami- 
gella Luisa,  ed  al  duca  di  Bordeaux 
Enrico,  figli  del  duca  di  liei  1  y  tì- 
glio del  re.  Ivi  moriruno  Carla  \ 
e  il  duca  di  Angoulcine,  e  furono 
seppelliti  nella  chiesa  de  'frano 
ni ,  presso  le  tombe    degli    antichi 


GOR  291 

conti  di  Gorizia.  Al  re  non  fu  eretto 
monumento,  ma  solo  una  marmo- 
rea iscrizione  di  questo  tenore,  lei 
reposent  les  restes  du  tris-haut  et 
tris  -  puissanl  prince  Cìutrles  X  du 
noni  roi  de  France  et  de  Navar- 
re,  decedè  le  six  novembre  1 836. 
Morto  il  figlio  duca  d'  Angoulème 
nel  giugno  1 844>  ^u  sepolto  presso 
il  padre,  e  gli  fu  eretta  corrispon- 
dente iscrizione  marmorea. 

Benedetto  XIV  per  dar  fine  al» 
le  molte  controversie  eccitate  nel 
patriarcato  d'  Aquileia  (Vedi),  lo 
estinse  colla  bolla  Injunct.,  de'  6 
luglio  1 75 1 ,  ed  in  suo  luogo  con 
la  bolla  Sacrosanta ,  data  a'  1 8 
aprile  1702,  Bull.  Bened.  XIV, 
tomo  IV,  p.  r,  eresse  due  arcive- 
scovati, uno  in  Udine ,  poi  da  Pio 
VII  ridotto  a  vescovato ,  l' altro 
nella  città  di  Gorizia  nella  Catnio- 
la ,  dichiarando  metropolitana  la 
chiesa  dell'Esaltazione  della  ss.  Cro- 
ce, e  di  s.  Vito,  prescrivendo  con 
la  medesima  bolla  tutte  le  cose 
riguardanti  la  cattedrale,  il  capito- 
lo, la  mensa  arcivescovile  e  capi- 
tolare ,  la  provvisione  degli  uffìzi 
e  de'  benefizi.  Gli  assegnò  per  suf- 
fragane i  vescovati  di  Trento,  Trie- 
ste ,  Pedena  e  Como ,  che  prima 
erano  soggetti  all'  estinto  patriarca- 
to. Istituì  la  dignità  del  preposto 
coli' annua  rendita  di  mille  fiorini, 
il  decano  con  ottocento,  il  primi- 
cerio con  seicento,  e  cinque  cano- 
nici con  quattrocento  cinquanta 
fioriui  per  cadauno.  A  tutti  con- 
cesse 1'  uso  dell.i  cappa  mago  1 
paonazza   con   pelli   di   ermellini  ,    è 

rocchetto,  Pili  dispose  che   ad  1  1 
pitolo  m  lotterò  kj  mansionari 

le  almuzie,  e  duecento  fiuiim  per 
cadauno,  e  due  cappellani  con  cen- 
tocinquanta per  ognuno.  Stabilì  la 
rendita  dell'  arcivescovo  iu   seimila 


20,2 


GOPc 


seicento  fiorini,  e  la  tassa  camerale 
di  settecento  fiorini    d' oro.    Lasciò 
la  nomina  perpetua  dell'  arcivesco- 
vo agli  arciduchi  d' Austria ,  come 
ancora  a    tutti    i   benefizi ,    tranne 
quelli  vacati  ne' mesi  riservati    alla 
santa  Sede.  La  tassa  per  la  spedi- 
zione delle  bolle  restò  fissata  a  ven- 
tiquattro ducati  d'oro  di    camera, 
secondo  gli  antichi  concordati    con 
la  Germania.  Nel  concistoro  de'24 
aprile    del    medesimo    anno     1752 
Benedetto  XIV  dichiarò  primo  ar- 
civescovo Carlo  Michele  di  Attembs, 
già  vescovo  in  partibus    di   Perga- 
mo   e   vicario    apostolico    del    pa- 
triarcato, nella    qual    dignità    avea 
aisieduto  in  Gorizia    al    modo    che 
abbiamo    detto    al    citato    articolo 
Aquileia.  Dopo  la  sua  morte   Pio 
VI    nel    concistoro    de'  27    giugno 
1775  fece    arcivescovo    di    Gorizia 
Ridolfo  Giuseppe  Edling   di  Gori- 
zia, traslatandolo  dal  titolo    vesco- 
vile   in  partibus   di    Cafarnao,  già 
suffraganeo    di     questa    arcidiocesi. 
Dipoi  Pio  YI  eresse  in  concattedra- 
ìe  vescovile  Gradisca,  come  si  legge 
nelle  annuali  Notizie  di  Roma,    e 
nel  concistoro  de'i5  dicembre  1788 
ne  fece  vescovo  il  suddetto    Fran- 
cesco Filippo    Inzaghi,  traslatando- 
lo da  Trieste,  e  per  qualche  anno 
furono  due  distinti  vescovati,  tanto 
quello  di    Gorizia ,    che    quello    di 
Gradisca,  riuniti  però  nella  perso- 
na di   un    solo  vescovo  ossia  arci- 
vescovo. Laonde  non  leggendosi  più 
nelle    mentovate    Notizie    la    serie 
degli  arcivescovi    di   Gorizia ,    solo 
venendo    registrato     Gradisca  ,     o 
Gorizia  nella  Carniola  nuovamen- 
te eretta  in  cattedrale  da  Sua  San- 
tità Pio  VI,  si  deve  intendere  co- 
me abbiamo  spiegato.  Questo  Papa 
inoltre,  nel  1 79 1 ,  colla  bolla  Quum, 
dichiarò  che    la    residenza    perma- 


GOR 

nente  dell'arcivescovo  dovesse  es- 
sere sempre  in  Gorizia,  onde  Gra- 
disca restò  chiesa  vescovile  concatte- 
drale senza  la  residenza  vescovile. 
Non  taceremo  che  le  Notizie  di 
Roma  continuarono  a  riportare  la 
sede  vescovile  di  Gradisca  o  Gori- 
zia ;  e  si  continuò  ancora  sotto  il 
vescovato  dell' Inzaghi,  e  il  ponti- 
ficato di  Pio  VII  a  nominarsi  nel 
catalogo  de'  vescovi ,  Gorizia  o  sia. 
Gradisca ,  come  sino  all'anno  1 844 
si  legge  nelle  Notizie  di  Roma.  Suc- 
cessore del  vescovo  Inzaghi,  da  Pio 
VII  fu  fatto  Giuseppe  Waland  della 
diocesi  di  Lubiana  ,  a'  2  ottobre 
1818,  il  qual  prelato  fu  fatto  ar- 
civescovo di  Gorizia  nel  i83o  da 
Pio  Vili,  nelP  ampliare  che  questi 
fece,  con  venti  distretti  tolti  dalla 
chiesa  di  Trieste,  la  sede  arcive- 
scovile, della  quale  sono  al  pre- 
sente suffragane!  i  vescovati  di  Lu- 
biana, Trieste  e  Capo  d' Istria  uni- 
ti ,  e  Parenzo  e  Pola  egualmente 
uniti  .  Il  regnante  Papa  Grego- 
rio XVI  nel  concistoro  de'  6  apri- 
le i835  fece  arcivescovo  di  Gorizia 
1',  attuale  monsignor  Saverio  Lu- 
schin  di  Teiuach  diocesi  di  Gurk, 
traslatandolo  dall'arcivescovato  di 
Leopoli  di  rito  latino.  Benché  le 
Notizie  di  Roma  sino  a  detto  an- 
no lo  registrarono  quale  arcivescovo 
di  Gorizia  ossia  Gradisca ,  Gori- 
tien  seu  Gradiscati  j  tultavolta 
l'arcivescovato  di  Gorizia  non  viene 
denominato  negli  elenchi  ufficiali 
austriaci,  sotto  il  titolo  di  Gorizia 
o  sia  Gradisca,  ma  semplicemente 
di  Gorizia.   V.  Gradisca. 

La  cattedrale  è  dedicata  a  Dio 
sotto  l'invocazione  de' ss.  Ilario  ve- 
scovo e  Taziano  martire  diacono 
d'Aquileia  ,  ed  è  ampia  e  di  ele- 
gante struttura.  Il  capitolo  si  com- 
pone di  tre  dignità ,  cioè  del  pie- 


GOR 

posto,  del  decano  e  del  primicerio; 
di  quattro  semplici  canonici ,  dei 
sei  beneficiati  corali  e  del  sacrista. 
.Nelle  domeniche  ed  altre  feste  in- 
tervengono all'  ufìiciatura  i  semina- 
risti, con  altri  preti  e  chierici.  Nel- 
la cattedrale  vi  è  il  fonte  battesi- 
male e  la  cura  d'  anime,  la  quale 
è  disimpegnata  da  un  canonico, 
coadiuvato  da  un  vicario  del  coro. 
Diverse  insigni  reliquie  nella  me- 
desima sono  in  venerazione.  L'epi- 
scopio è  situato  in  bella  piazza , 
prossimo  alla  metropolitana ,  ed  è 
comodo  e  decente  edifizio.  Nella 
città,  oltre  la  cattedrale,  avvi  un'al- 
tra chiesa  parrocchiale ,  con  due 
chiese  succursali,  e  tutte  munite  di 
battisterio.  Vi  sono  tre  conventi  di 
religiosi ,  ed  un  monistero  di  mo- 
nache; l'ospedale,  la  casa  de' po- 
veri, l'orfanotrofio,  diversi  sodalizi, 
il  monte  di  pietà  ,  ed  il  centrale 
seminario  in  cui  secoudo  la  pio- 
posizione  concistoriale  vi  erano  a 
detto  anno  1 835  ottantacinque  a« 
lunni  che  attendevano  agli  studi 
teologici.  L'arcidiocesi  è  vasta,  e  con- 
tiene quarantadue  parrocchie.  Ogni 
nuovo  arcivescovo  è  tassato  nei  li- 
bri della  camera  apostolica  in  fio- 
rini settecento,  ad  i 2,000  Jloreno- 
rum  monetae  conventionalis  com- 
putantur-j  nonnullis  oneribus  gra- 
dati. 

GORROVEDO  Lodovico,  Car- 
dinale. Lodovico  Gorrovedo  di 
Chalant  piemontese,  nel  1499  fu 
promosso  da  Alessandro  VI  al  ve- 
scovato di  s.  Giovanni  di  Moriana, 
coli'  amministrazione  della  chiesa 
di  Hourges,  secondo  alcuni;  poscia 
ad  istanza  di  Cai  lo  V,  a'  19  mar- 
zo i53o,  Clemente  VII  lo  creò  car- 
dinale prete  del  titolo  di  s.  Cesa- 
rio,  ed  inoltre  il  Papa  lo  fece 
legalo    a    lata  e    in    tutti     gli    stu- 


GOR  293 

ti  del  duca  di  Savoia.  Come  o- 
ratore  di  questo  duca ,  prima  di 
essere  cardinale,  intervenne  al  con- 
cilio generale  lateranense  V ,  e  di 
lui  si  fa  menzione  nella  XV  sessio- 
ne del  medesimo.  Morì  nel  suo 
vescovato  nel  1 536  o  i53y,  e  fu 
sepolto  nella  cappella  che  avea  edi- 
ficato nella  cattedrale ,  alla  quale 
fu  posta  una  breve  iscrizione.  Que- 
sto cardinale  fu  pure  benemerito 
dell'  insigne  collegiata  a  Pont  de 
Vaux,  dalla  sua  liberalità  fondata. 
GORTINA  o  GORTYNA.  Città 
vescovile  dell'  isola  di  Creta^  ed  as- 
sai antica.  Tolomeo  la  dice  al  sud- 
ovest  di  Gnossa  ;  Omero  la  cele- 
bra circondata  da  alte  e  forti  mu- 
ra; Strabone  la  colloca  novanta 
stadi  dal  mare  d'Africa,  cioè  a  di- 
re dalla  parte  del  Mediterraneo 
che  bagnava  la  porzione  meridio- 
nale dell'  isola,  ed  era  irrigata  dal 
Lethanis.  Gortina,  una  delle  cento 
città  che  altre  volte  rendevano  po- 
tente l' isola  di  Creta ,  con  questa 
per  un  tempo  divise  l'impero  del- 
l' isola,  prima  che  i  romani  se  ne 
impadronissero,  e  dopo  la  decaden- 
ea  della  potente  città  di  Gnossa. 
Le  sue  magnifiche  rovine,  a  poca 
distanza  dal  monte  Ida,  indicano 
la  sua  antica  grandezza.  Eravi  fra 
gli  altri  un  famoso  tempio  di  Dia- 
na ,  ove  Annibale  nel  fortificarvisi 
contro  i  romani,  fece  credere  aver 
nascosto  i  suoi  tesori,  dopo  la  scon- 
fina di  Antioco;  ed  un  laberinto 
il  quale  però  differita  dal  così  det- 
to di  Creta,  altro  non  essendo  que- 
sto che  grandi  gallerie  sotterranee, 
praticate  oude  estrarre  piètre  d  1 
quelle  cave  :  i  saraceni  la  dirocca- 
rono verso  l'anno  82 3.  Al  presen- 
te questa  città  è  allatto  in  rovina, 
e  non  si  può  chiamare  che  uhm  - 
i-abile    borgo ,    il   quale    si  nomina 


?.94  G0R 

Agios-Déka.  Non  molto  lontano 
dalle  rovine  di  Gortina  è  il  villag- 
gio Alone,  poi  chiamato  Villaggio 
dei  dieci  santi ,  dacché  altrettanti 
illustri  cristiani  nativi  dell'  isola  sof- 
frirono glorioso  martirio  nella  per- 
secuzione di  Decio  ;  eccone  i  nomi  : 
Teodulo,  Saturnino,  Eupone,  Ge- 
lasio, Euniciano,  Zetico,  Cleomeno, 
Agatope,  Basilide  ed  Evaristo.  I 
greci  ed  i  latini  ne  celebrano  la 
festa  a'  23  dicembre.  Da  alcuni 
avanzi  di  edifizio  presso  le  rovine 
della  metropolitana  ,  si  rilevano 
quelli  d' una  chiesa  di  buona  ar- 
chitettura, già  dell'ordine  gerosoli- 
mitano. 

Gortina  fu  metropoli  dell'isola 
di  Creta,  nell'esarcato  di  Macedo- 
nia, eretta  nel  primo  secolo  ,  ma 
nel  XII  trasferita  a  Candia  (Vedi), 
in  un  ai  dodici  suoi  vescovi  suffra- 
ganei,  che  nominammo  a  quell'ar- 
ticolo. Si  conoscono  ventisette  ve- 
scovi di  Gortina ,  di  cui  il  primo 
fu  Tito,  discepolo  di  s.  Paolo:  fra 
i  di  lui  successori  sono  a  nominar- 
si Mirone  che  fu  martire  sotto  l'im- 
peratore Decio;  Martire  che  tro- 
vossi  al  conciliabolo  di  Efeso ,  e 
sottoscrisse  al  concilio  di  Calcedonia, 
e  la  lettera  all'  imperatore  Leone  ; 
Basilio  I  che  fu  al  sesto  concilio 
generale ,  e  sottoscrisse  ai  canoni 
del  Trullo;  Cirillo  che  pati  il  mar- 
tirio sotto  i  saraceni  allorché  s' im- 
padronirono dell'  isola  ;  1'  ultimo 
vescovo  di  Gortina  fu  Costanzo,  il 
quale  ne  occupava  la  sede  nel  1 72 1 . 
Al  presente  Gortina,  Gortynen,  è 
un  titolo  vescovile  in  pariibus,  sot- 
to l'arcivescovato  pure  in  partibus 
di  Candia,  che  conferisce  il  sommo 
Pontefice.  Ne  furono  ultimi  nomi- 
nati monsignor  Francesco  Saverio 
Ziglenichi ,  e  l' attuale  monsignor 
Vincenzo  Velardita  di  Piazza,  che 


GOT 

fu  dichiarato  vescovo  dal  regnante 
Gregorio  XVI,  nel  concistoro  de' 2  3 
giugno  i834,  ed  insieme  ausiliare 
del  vescovo  di  sua  patria. 

GOT  (de)  Berardo,  Cardinale. 
Berardo  de  Got  nacque  nel  ca- 
stello di  Villandraut  nella  diocesi 
di  Bordeaux,  dichiarandolo  il  Papa 
Nicolò  IV  arcivescovo  di  Lione  nel- 
anno  1289.  Indi  nel  settembre  del 
1 294  fu  da  s.  Celestino  V  creato 
cardinale  vescovo  di  Albano,  e  le- 
gato in  Francia  al  re  Filippo  IV 
il  Bello,  insieme  col  cardinal  Si- 
mone di  Beaulieu  vescovo  subur- 
bicario  di  Palestrina,  ad  oggetto  di 
comporre  le  controversie  suscitate 
tra  lui  e  l' Inghilterra.  Mori  nelle 
Gallie  dopo  tre  anni  di  cardinalato 
nel  1297,  senza  aver  la  consola- 
zione di  vedere  innalzato  al  ponti- 
ficato il  proprio  fratello  Clemen- 
te V ,  benché  non  fregiato  della 
porpora  cardinalizia. 

GOT  (de)  Raimondo,  Cardinale. 
Raimondo  de  Got,  francese,  nacque 
in  Villandraut  nella  diocesi  di  Bor- 
deaux ,  fu  dallo  zio  Clemente  V 
a'  i5  dicembre  i3o5  creato  car- 
dinale diacono  di  s.  Maria  Nuova, 
indi  delegato  insieme  con  altri  car- 
dinali per  coronare  Enrico  VII  col- 
le insegne  imperiali  in  Roma ,  ed 
assolvere  i  fiorentini  dall'  ecclesiasti- 
co interdetto ,  su  di  che  non  con- 
viene il  Baluzio.  Mori  in  Avignone 
nel  i3io,  altri  protraggono  il  suo 
termine  ad  altri  anni,  e  fu  sepol- 
to nella  chiesa  di  san  Stefano  di 
Agenno. 

GOTARDO  (s.),  vescovo  di  Hil- 
desheira.  Nacque  in  Baviera ,  e  do- 
po aver  fatto  progressi  nelle  scien- 
ze e  nelle  virtù,  si  consacrò  a  Dio 
nella  solitudine  a  cui  era  inclinato. 
Egli  fu  dapprima  priore,  poi  ab- 
bate   del  monistero   d'  Altaich  ,    in 


GOT 

cui  mantenne  la  più  edificante  re- 
golarità. Fu  scelto  per  istabilire  la 
riforma  nella  badia  di  Hersfeld   in 
Assia,  di    Tergensee    nella    diocesi 
di    Frisinga,  e    di    Chremsmunster 
nella  diocesi    di  Passavia.    Essendo 
rimasta  vacante    la  sede  episcopale 
d'  Hildesheim  nel  1201,  venne  elet- 
to ad    occuparla;    ma    fu    d'uopo 
che  l' imperatore  s.  Enrico  facesse- 
gli  una    specie  di    violenza    perchè 
accettasse.    Governò    la    sua  chiesa 
con  sommo  zelo,  e  fu  sempre  at- 
tento di   provvedere    ai  bisogni    sì 
corporali  che   spirituali  dei  poveri. 
-Morì  ai  4  di    maggio  io38,    e  fu 
canonizzato    da     Innocenzo    II    nel 
ii3i.    Lasciò  molte  lettere,  pub- 
blicate da  Pez  nel  suo   Codex  di- 
plomatico -  historico  -  epistolario ,  le 
quali  spirano  la  più  tenera  e  soda 
pietà.  Molte  chiese  di  Germania  gli 
furono  intitolate,  e  vi  sono  ancora 
dei  luoghi  che  portano  il  suo  no- 
me.   La   sua    festa  è  segnata   ai  4 
maggio. 

GOTI  o  GOTHI.  Popoli,  secon- 
do alcuni,  originari  delL'  isola  Gott- 
land  ,  come  sembra  indicare  il 
loro  nome  ;  secondo  altri ,  antichi 
popoli  della  Germania  ,  abitanti 
lungo  la  Vistola ,  sino  alla  sua 
imboccatura  nel  Baltico;  altri  li 
fanno  derivare  dalla  Scandinavia , 
ossia  Svezia  attuale ,  e  per  questo 
i  re  di  Svezia  portano  ancora  il 
titolo  di  re  de' goti;  e  finalmente 
nella  contrastata  loro  origine ,  da 
molti  fu  creduto  non  un  popolo 
solo,  ma  una  confederazione  di  na- 
zioni diverse,  unite  sotto  le  mede- 
sime insegne,  da  cui  derivò  un  no- 
me stesso.  In  fatti  come  mai  una 
sola  nazione  selvaggia,  mancante  tli 
ngoi  coltura  e  della  maggior  parte 
de' comodi  della  vita,  avrebbe  po- 
tuto   crescere     tanto    rapidamente 


GOT  a95 

nella  sua  popolazione  da  diventare 
in  brevissimo  tempo  sì  numerosa  ? 
11  Muratori  osserva,  che  i  goti  usa- 
vano la  capigliatura  lunga,  i  mu- 
stacchi, e  nudi  ivano  la  barba.  Fu- 
rono assai  spesso  chiamati  Sciti , 
dai  romani ,  perchè  abitavano  la 
piccola  Scizia  j  Sarmati ,  per  le 
loro  relazioni  coi  sarmati  meridio- 
nali; Geti,  per  la  loro  somiglianza 
del  nome,  ed  anche  Gepidi  e  Da- 
ni. Approfittando  spesso  della  de- 
bolezza degl'imperatori  guerreggia- 
rono lungo  tempo  contro  i  romani 
in  tutta  la  parte  sud-est  dell'Eu- 
ropa ,  e  si  sparsero  al  di  là  del 
Danubio.  Malgrado  le  loro  enormi 
perdite  trovarono  sempre  il  mezzo 
di  ripararle.  Uniti  ad  altri  barba- 
ri passarono  anche  nell'  Asia ,  ed 
infestarono  per  lungo  tempo  le  rive 
del  Ponto  Eussino.  I  loro  vascelli 
coprivano  pure  l'Arcipelago,  ed  il 
monte  Haemus  servì  loro  per  qual- 
che tempo  di  ritirata,  onde  rimet- 
tersi dalle  sofferte  sconfìtte.  Non  è 
però  fuori  di  ragione  il  comprendere 
sotto  il  nome  di  goti  tutti  quei  bar- 
bari che  i  romani  ebbero  a  combat- 
tere a  questa  parte.  Allorché  dopo  le 
ultime  vittorie  dell'imperatore  Clau- 
dio, che  assunse  perciò  il  nome  di 
Gotico ,  furono  forzati  a  chiedere 
la  pace  ,  ed  acconsentirono  a  sta- 
bilirsi sulle  terre  dai  romani  ab- 
bandonate ;  questi  si  vantarono  di 
aver  distrutta  un'  armata  di  tre- 
centoventimila  goti,  e  di  aver  loro 
prese  numerosissime  flotte  col  cola- 
re a  fondo  duemila  navi.  Ne  re- 
starono però  ancora  stabiliti  nell  1 
Mesia,  mentre  altri  si  sparsero  a 
saccheggiare  la  Tracia,  che  furono 
poscia  da  altri  ancora  WtOGÌali. 
Sotto  l'impero  d'Aureliano  i  goti 
si  gettarono  sulla  Paanonia,  aai 
battutivi    ripassarono  il  Danubio,  e 


296  GOT 

chiesero  la  pace.  1  successivi  im- 
peratori li  contennero  sempre  colla 
forza  'Ielle  armi.  Sotto  Costantino 
continuarono  a  passare  il  Danubio, 
e  a  fare  grandi  incursioni  nella 
Tracia,  nell'  Illiria,  e  nella  Panno- 
nia,  sino  a  che  sconfitti  da  Costan- 
tino restarono  tranquilli  nei  loro 
primi  limiti. 

Ignorandosene  il  preciso  tempo, 
è  però  certo  che  questa  nazione 
si  divise  in  due,  e  che  separate 
per  la  loro  posizione  europea,  ri- 
cevettero la  denominazione  di  goti 
orientali  od  ostrogoti,  e  goti  occi- 
dentali o  visigoti,  detti  ancora  ve- 
stogoli.  I  primi  abitavano  le  parti 
più  orientali  verso  il  Ponto  Eus- 
sino  sino  al  fiume  Tyras,  e  gli 
altri  dimoravano  verso  l'occidente 
sino  al  fiume  Tibisco.  Questa  di- 
visione diede  origine  a  due  nazio- 
ni molto  distinte,  ch'ebbero  ciascu- 
na il  suo  re.  Gli  ostrogoti  furono 
governati  dai  principi  della  reale 
casa  degli  Amales,  derivante  da 
Amale  antico  re  della  nazione,  ed 
i  visigoti  da  quelli  della  real  fa- 
miglia dei  Balthes,  così  detta  dal- 
la parola  balth  che  significa  ardi- 
re, arditezza,  come  si  ha  da  Gior- 
nande  storico  della  loro  nazione, 
De  rebus  Get.  e.  29.  Gli  ostrogo- 
ti, ora  vincitori,  ora  vinti,  erano 
sparsi  nelle  parti  orientali  dell'Eu- 
ropa ,  allorché  alla  metà  del  IV 
secolo  gli  unni  attraversando  l'A- 
sia, dalle  frontiere  della  Cina  piom- 
barono su  di  essi,  e  li  respinsero 
verso  1'  occidente.  Chiesero  allora 
all'  imperatore  Valente  la  permis- 
sione di  stabilirsi  nelle  terre  del- 
l'impero, al  che  aderendo,  cedette 
loro  la  Tracia,  l'anno  377  dell'e- 
ra nostra,  dopo  averla  eglino  sot- 
to Decio  saccheggiata  unitamente 
alla  Mesia;  e  dopo  aver  desolato  al 


GOT 

tempo  di  Gallieno  la  Grecia,  la 
Macedonia  e  l' Asia,  ed  in  tempi 
diversi  rovinate  colle  loro  scorre- 
rie molte  provincie  dell'impero  ro- 
mano, e  dopo  essersi  resi  formida- 
bili a  segno,  che  Procopio  non  si 
servì  che  delle  loro  forze,  onde 
tentar  diuiuscire  nell'impresa  d'in- 
vadere l' impero  nel  365.  Stabili- 
tisi quindi,  come  si  vede  ,  nella 
Tracia,  onde  poi  vendicarsi  della 
pessima  condotta  degli  uffiziali  del- 
l' impero  a  loro  riguardo,  presero 
le  armi,  ed  una  tale  disposizione 
fu  considerata  come  ingratitudine 
e  tradimento.  Valente  marciò  con- 
tro di  essi,  ma  fu  ucciso  nella  bat- 
taglia data  loro  nel  378.  I  goti 
però  non  seppero  trar  profitto  di 
un  tale  vantaggio,  mentre  assedia- 
te avendo  molte  città  o  piazze  del- 
la Tracia,  e  fra  le  altre  Costanti- 
nopoli, fallix*ono  in  ogni  loro  im- 
presa ,  contentandosi  di  replicare 
incursioni,  col  favore  delle  quali  si 
sparsero  saccheggiando,  sino  alle 
Alpi  Giulie.  Teodosio,  mandatovi 
contro  dall'  imperatore  Graziano, 
ottenne  de'successi  così  sorprenden- 
ti, che  meritò  di  essere  associato 
all'  impero.  In  fine  li  sforzò  a 
deporre  le  armi,  ed  a  sottomet- 
tersi tranquillamente.  Bene  usando 
quel  grand'  uomo  della  vittoria, 
fece  loro  distribuire  de'  viveri,  ed 
anche  delle  terre  in  qualche  pro- 
vincia dell'impero.  Questo  popolo 
per  lungo  tempo  feroce,  e  sempre 
pronto  a  volare  alle  armi,  dopo 
la  morte  del  suo  rispettabile  vin- 
citore, vergognossi  di  obbedire  ai 
suoi  figli  Arcadie  ed  Onorio,  de- 
diti alla  mollezza,  e  quindi  si  e- 
lesse  a  re  Alarico  della  famiglia 
de'  Balthes,  mentre  un  altro  parti- 
to che  si  crede  dei  vandali,  scelse 
per  suo  re  Radagasio.    Uuiti  si  a- 


GOT 

vanzarono  sulle  terre  dell'impero; 
Radagasio  entrò  il  primo  in  Italia, 
e  vi  fu  battuto,  preso  ed  ucciso 
da  Stilicone  generale  di  Onorio. 
Alarico  accorse  allora  per  vendi- 
carlo, sottomise  l'Italia  nel  4°9>  e 
nel  pontificato  di  s.  Atanasio  I 
strinse  Roma  d'assedio,  e  dopo 
lunga  resistenza  degli  assediati  , 
l'ebbe  alla  fine  in  potere,  avendola 
sorpresa  per  tradimento.  Entrarono 
i  goti  a'  24  agosto  del  409  in  Ro- 
ma per  la  porta  Salaria,  la  sac- 
cheggiarono ed  incendiarono,  e  se- 
co condussero  prigioniera  Placidia 
sorella  di  Onorio.  Morto  nell'anno 
seguente  a  Cosenza  Alarico,  Ataul- 
fo  o  Adolfo  succedette  al  gover- 
no de'  goti,  sposò  Placidia,  fece 
alleanza  coi  romani,  e  passò  quin- 
di in  Italia.  I  goti  comandati  da 
lui  presero  allora  il  nome  di  vi- 
sigoti. 

Sino  da  quell'epoca  la  Lingua- 
doca,  la  prima  Aquitania  ,  e  Gal- 
lia  ÌNarbonese,  la  Provenza,  il  Ros- 
siglione,  e  la  Catalogna  iucomin- 
ciarono  ad  assumere  il  nome  di 
Golhia,  Golia,  o  Gozia,  e  gli  a- 
bitanti  o  piuttosto  i  loro  conqui- 
statori, come  si  disse,  quello  di 
visigoti.  Però  gli  ostrogoti,  ch'era- 
no rimasti  nella  Tracia,  presero 
le  armi  contro  l' imperatore  Zeno- 
ne, il  quale  con  destrezza  li  con- 
sigliò a  passare  in  Italia,  dicendo- 
gli che  sarebbe  loro  più  glorioso 
il  distruggere  la  potenza  di  un  ti- 
ranno, ed  assicurarsene  il  pacifico 
possesso.  Teodorico  li  governava 
allora,  ed  Odoacre  re  degli  Eruli 
(Fedi),  padrone  dell'Italia,  sosten- 
ne contro  esso  in  Ravenna  un  me- 
morabile assedio  di  tre  anni,  alla 
fine  del  quale  essendosi  reso  a 
Teodorico,  questi  lo  fece  morire 
poco  dopo.  A  Quest'epoca  aunuuto 


GOT  297 

incornicia  il  regno  de' goti  in  Ita- 
lia, che  secondo  la  piìi  comune  o- 
pinione  ebbe  principio  nel  49^,  e 
terminò  nel  553  :  ecco  la  serie  dei 
re  ostrogoti  in  Italia. 

Teodorico  49^ 526 

Atalarico   526 534 

Teodato     534 536 

Vitige  536  detron.54o  m.  543 

Ildebaldo  54o 54 1 

Erarico  ...     54 1      .  •  • 

Totila       5|i 55* 

Teja  552 553 

Teodorico  assunse  il  titolo  di  re 
dei  goti  e  d' Italia  ;  Roma  fu  sot- 
toposta al  suo  impero  entrandovi 
solennemente  1'  anno  5oo,  incon- 
trato dal  Papa  s.  Simmaco  e  dal 
popolo  con  grande  onore.  Dipoi 
fissò  la  sua  sede  prima  in  Raven- 
na e  poscia  in  Pavia;  estese  il  suo 
impero  sino  sulla  R/ietia,  e  sulla 
porzione  meridionale  della  Francia, 
lasciando  per  suo  successore  Ata- 
larico fanciullo,  figlio  di  sua  so- 
rella Amalasunta.  Questa  princi- 
pessa dopo  aver  governato  saggia- 
mente per  otto  anni,  durante  la 
vita  del  figlio,  divise  il  trono  con 
Teodato,  mostro  d'ingratitudine 
che  la  fece  morire  in  Bolsena 
(Pedi).  Giustiniano  I,  geloso  di  ri- 
conquistare l'Italia,  protestò  contro 
la  morte  di  Amalasunta,  e  dichia- 
rò di  volerla  vendicare.  Inviò  il 
celebre  Belisario  contro  i  goti  : 
nel  536  s'incamminò  verso  Roma, 
le  cui  porte  subito  gli  aprirono  i 
romani,  e  discacciandone  i  goti,  c- 
gli  vi  entrò  a'  io  dicembre  nel 
pontificato  di  s.  Silverio,  per  I  1 
porta  Asinana,  mentre  i  goti  usci- 
vano per  la  porta  Flaminia  «Juan- 
dò  Belisario   ultimava     in    fretti    il 

restauro  delle  mura,  Vii  dei 


29B  GOT 

goti  marciò  su  Roma  nel  537, 
tagliò  i  suoi  acquedotti,  ma  dopo 
un  assedio  d'un  anno  e  nove  gior- 
ni fu  obbligato  a  levarlo,  narran- 
done la  storia  Procopio  di  Cesa- 
rea, uffiziale  nell'  armata  di  Beli- 
sario, nei  suoi  libri  sulla  Guerra 
gotica.  Mai  stanchi  i  goti  di  por- 
re a  sacco  e  strage  1'  Italia,  Totila 
loro  re  entrò  in  Toscana,  s' impa- 
dronì in  parte  del  ducato  di  Na- 
poli, indi  portossi  ad  assediare  Ro- 
ma, e  per  la  porta  Asiuaria  vi  en- 
trò a' 17  gennaio  546,  la  saccheg- 
giò, uccise  molti  abitanti,  e  parte 
coi  senatori  condusse  seco  nella  Lu- 
cania. Allora  Belisario  occupò  di 
nuovo  la  città,  quando  pentiti  i 
goti  di  averla  lasciata,  tornarono 
di  nuovo  ad  assediarla  nel  54g> 
e  vi  entrarono  per  la  porta  O- 
stiense.  Giustiniano  I  richiamò  Be- 
lisario ed  in  sua  vece  spedì  contro 
i  goti  Narsete  ;  questi  battè  com- 
pletamente nell'Umbria  i  goti,  do- 
ve Totila  restò  ucciso,  indi  prese 
Roma  capitolando  coi  goti.  Dipoi 
Narsete  vinse  ancora  Teja  ultimo 
re  dei  goti,  e  con  esso  ebbe  fine 
il  loro  regno  in  Italia.  V.  Roma, 
ed   Italia. 

I  visigoti,  come  abbiamo  detto, 
si  avevano  formato  uno  stato  pos- 
sente nella  Gallia  e  nella  Spagna. 
Verso  l'anno  412  Ataulfo  re  de' vi- 
sigoti condusse  la  sua  armata  nel- 
le Gallie,  ed  avendo  passato  il  Ro- 
dano,  stabilitosi  nella  prima  Nar- 
bonese,  regnarono  in  seguito  a  To- 
losa i  suoi  successori.  Da  Enrico 
soltanto  però  incomincia  il  regno 
de'  visigoti  in  questo  paese.  Quel 
principe  dopo  grandi  conquiste  sui 
romani  nel  4?2>  morì  nel  4^4-  A.- 
larico  suo  successore  fu  ucciso  in 
Francia  alla  battaglia  di  Vouglé 
nel  507  ,   vinta    dal   re    de'  franchi 


GOT 

Clodoveo  T.  Genserico  proclamato 
da  un  partito  di  goti,  fu  cacciato 
in  Africa  nel  509.  Teodorico  re 
degli  ostrogoti  regnò  anche  sui  vi- 
sigoti dal  5 1 1  ,  e  morì  nel  526. 
Dopo  di  esso  si  assegna  dagli  sto- 
rici il  regno  di  Amalarico.  Theu- 
dia  fu  il  primo  a  stabilire  la  sede 
del  suo  impero  nella  Spagna^  e  fu 
pubblicamente  assassinato  a  Barcel- 
lona. Si  sa  che  per  vendicare  l' in- 
sulto fatto  a  suo  figlio  dal  re  Ro- 
drigo, il  conte  Giuliano  governato- 
re di  Ceuta  chiamò  i  mori  di 
Africa  nella  Spagna,  che  vi  giun- 
sero con  flotte  considerabili,  e  scon- 
fissero Rodrigo  nel  712.  Tali  fu- 
rono ad  un  dipresso  le  grandi  ri- 
voluzioni sostenute  dai  goti,  sia  col 
loro  primo  nome  di  goti,  che  sot- 
to quello  di  ostrogoti,  e  di  visigo- 
ti. Di  questi  se  ne  tratta  ai  rispet- 
tivi articoli.  Gli  autori  principali 
che  fecero  menzione  di  questi  po- 
poli, sono  Procopio,  Giornande  o 
Jornandes,  Cassiodoro,  Olao  Ma- 
gno, Baronio,  Cluverio,  Sanson,  e 
moltissimi  altri. 

Quanto  alla  conversione  de' goti 
al  cristianesimo,  pare  che  i  primi 
lumi  dell'  evangelio  li  ricevessero 
verso  la  metà  del  terzo  secolo,  nel 
tempo  che  occupavano  tutti  i  pae- 
si situati  al  mezzodì  del  Danubio, 
la  Tracia  e  la  Macedonia.  Alcuni 
sacerdoti  ed  altri  cristiani ,  che  i 
goti  nella  Galazia  e  nella  Cappa- 
docia  avevano  fatto  prigionieri,  fe- 
cero loro  conoscere  la  religione  di 
Gesù  Cristo.  Il  culto  degli  idoli 
de' goti  non  era  punto  diverso  da 
quello  de'danesi,  svezzesi  e  norvegi, 
popoli  che  secondo  alcuni  traevano 
tutti  la  stessa  origine.  Le  guari- 
gioni che  videro  farsi  dai  detti  sa- 
cerdoti sopra  i  loro  malati,  richia- 
marono l'attenzione    de' goti  sopra 


GOT 

la  nuova  dottrina  che  veniva  loro 
predicata,  e  molti  domandarono  il 
battesimo.  S.  Basilio,  rp.  338,  p.33o, 
dice  che  la  sementa  dell'  evangelio 
fu  portata  fra  i  goti  della  Cappa - 
docia  dal  b.  Eutichio  ,  uomo  di  e- 
minente  virtù  ,  il  quale  col  potere 
e  coi  doni  dello  Spirito  Santo  toc- 
cò i  cuori  di  queste  barbare  genti. 
I  goti  in  principio  furono  attacca- 
tissimi  al  vangelo,  e  molti  soffriro- 
no il  martirio  per  sostenere  la  ve- 
rità della  religione  cristiana.  Uno 
dei  loro  vescovi  per  nome  Teofi- 
Jo ,  che  alcuni  dicono  vescovo  di 
Gozia,  assistette  al  concilio  di  Ni- 
cea  l'anno  325,  e  ne  sottoscrisse 
gli  atti.  Ulfila  suo  successore  restò 
ancora  attaccato  per  qualche  tem- 
po alla  fede  cattolica  ;  fece  un  al- 
fabeto pei  goti,  insegnò  loro  a  scri- 
vere, e  tradusse  per  essi  la  Bibbia 
in  lingua  gotica.  Ma  nel  367  Ul- 
fila per  fare  la  corte  all'imperato- 
re Valente,  protettore  degli  ereti- 
ci ariani,  si  lasciò  sedurre  nel  con- 
cilio di  Costantinopoli  da  Eudossio 
ed  Acacio  ,  abiurò  la  fede  cattoli- 
ca, ed  abbracciò  l'arianesimo,  che 
sparse  fra  i  goti.  Questo  cambia- 
mento però  non  si  fece  che  a  po- 
co a  poco  :  molti  cattolici  infatti 
perseverarono  nella  fede  di  Nicea, 
e  soffrirono  per  essa  il  martirio. 
S.  Cirillo  di  Gerusalemme  annove- 
rava l'anno  343,  Cai.  16,  n.  22,  i 
sarmati  ed  i  goti  fra' cristiani  che 
avevano  i  vescovi,  i  preti,  i  mo- 
naci, le  vergini  ed  i  martiri  che 
sono  sempre  stati  onorati  di  un 
pubblico  culto  nella  chiesa  greca  e 
latina  Pelagio  11  romano,  monaco 
benedettino,  figlio  di  Yinigildo  go- 
to, fu  eletto  Papa  a'  3o  novembre 
578. 

Il   Rodotà,     Dell'origine   del    rito 
greca  in    Italia,  tom.  I,  p.  88,  di- 


GOT  2gq 

ce  che  i  goti,  sebbene  ariani,  non 
presero  alcuna  parte  nel  regola- 
mento delle  cose  ecclesiastiche ,  e 
lasciarono  vivere  gli  italiani  nelle 
proprie  leggi.  Quando  i  goti  fece- 
ro un'  irruzione  in  Italia,  passaro- 
no le  Alpi,  si  stabilirono  nel4'« 
nella  Gallia  Narbonese,  e  in  Ispa- 
gna  vi  portarono  l'arianesimo,  ed 
il  genio  persecutore  contro  i  cat- 
tolici che  fu  la  caratteristica  degli 
ariani.  Questo  popolo  in  allora  a- 
veva  sicuramente  una  liturgia,  ed 
è  probabile  che  fosse  quella  della 
chiesa  di  Costantinopoli,  a  cagione 
delle  relazioni  che  i  goti  avevano 
sempre  conservato  con  quella  chie- 
sa; laonde  si  presume  che  conti- 
nuarono essi  a  seguirla,  tanto  nel- 
la Gallia  Narbonese  ,  quanto  nella 
Spagna,  fino  verso  l'anno  589,  e- 
poca  in  cui  rinunciarono  essi  al- 
l' arianesimo,  e  ritornarono  nel 
grembo  della  Chiesa  cattolica  pel- 
le cure  del  loro  re  Recaredo,  e  di 
s.  Leandro  vescovo  di  Siviglia.  E 
fu  non  molto  dopo  quell'epoca  «he 
s.  Leandro  e  s.  Isidoro  suo  fratello 
e  successore  occuparonsi  del  mes- 
sale e  del  breviario  per  le  chiese 
di  Spagna.  Nell'anno  633  un  con- 
cilio di  Toledo  ordinò  che  am- 
bedue fossero  conformemente  se- 
guiti nella  Spagna  e  nella  Gallia 
Narbonese.  Nell'ottavo  secolo  que- 
sto messale  e  questo  breviario  go- 
tici furono  chiamati  DMMarabid.  Il 
p.  Lebrun  ha  osservato  che  il  BMt> 
■ale  gotico  gallicano  pubblicato  dal 
I  li  inasen  e  dal  p.  Mabilloo, 
td  uso  dei  goti  dalla  Gallia  Nar> 
bonese ,  e  non  gii»  di  quelli  della 
-■'1 1  :   io  1  -  1  (  ra  egli  in 

oso   pnuia    del    alato    OOOCÌlio   To- 

Ict.iiin.  e  credati  che  appartenga  alla 
fine   del  XII  Nella    »il  »  di 

Alt  u  uidid  |[    m    legge  .   eh'  ei  1    io 


3oo  GOT 

uso  nelle  chiese  di  Spagna  l' uffi- 
cio divino,  che,  avendo  l'origine  dai 
goti,  gotico  si  appellava,  e  che  seb- 
bene composto  da  uomini  santi,  era 
contaminato  di  gravi  errori  ;  laon- 
de il  Papa  lo  vietò  nel  1068,  e  fe- 
ce introdurre  nella  Spagna  il  rito 
de'  divini  uffizi  della  Chiesa  roma- 
na. Ciò  meglio  ottenne  il  successo- 
re 6.  Gregorio  VII,  restando  solo 
in  sei  parrocchie  di  Toledo  per 
memoria  dell'antichità.  Invasa  la 
Spagna  dagli  arabi  saraceni,  i  cri- 
stiani furono  chiamati  mistarabi , 
ed  il  rito  musarabo  o  mozzara- 
bico. 

In  processo  di  tempo  si  disse  go- 
tico quello  che  apparteneva  ai  go- 
ti, massime    una   specie  di  scrittu- 
ra, una    sorta  di    architettura ,  ed 
una  legge.  La  scrittura  gotica    di- 
cesi da    alcuni    scrittori    non  diffe- 
rente sostanzialmente  dalla  romana, 
ma    guasta    da  molti    angoli  e  da 
molte    tortuosità,  principalmente  in 
principio  ed  in  fine  di  alcune  let- 
tere prolungate.  Goffredo  da  Viter- 
bo pretende    che    siffatti    caratteri 
sieno  stati  inventati  nel  quarto  se- 
colo dal  suddetto  vescovo  goto  Ul- 
fila  ,  il  quale  se  ne  servì  per  tra- 
durre   nella  sua    lingua    una  parte 
delle    divine    scritture.    Veramente 
l' ignoranza  de'  tempi    fece  sovente 
appellare  gotici  i  caratteri  di  altri 
secoli  e  di  altre  nazioni,  che  nella 
forma  si  scostavano  dai  romani ,  e 
quindi  nacque  una    confusione  che 
si   propagò   anche    tra    gli  scrittori 
bibliografi  che    trattarono    di  ma- 
noscritti   sino   ai    tempi    nostri.    Il 
Buonarroti    nelle  sue   Osservazioni 
sui  vasi  antichi  di  vetro,  a  p.  1 1  o 
parla   dei  goti    antichi    che  scrive- 
vano a  rovescio  di  quello  che  fac- 
ciamo noi,  cioè  dalla  mano  destra 
verso  la  sinistra,   ed  aggiunge  che 


GOT 

molte  nazioni  costumarono  scrive- 
re in  tal  guisa,  come  i  caldei,  gli 
ebrei,  i  fenici,  gli  arabi,  gli  egizi, 
gli  etruschi  ed  i  greci.  Su  questo 
punto  del  carattere  gotico  si  pos- 
sono consultare  gli  articoli  Bolla, 
Dateria,  Diploma,  ed  il  Garampi 
nelle  sue  Memorie  ecclesiastiche , 
dissert.  XI,  sopra  l'età  de'  caratte- 
ri detti  volgarmente  gotici,  prove- 
nuti dall'alterazione  della  forma 
delle  lettere  antiche  romane,  e  ge- 
neralmente stabilironsi  dopo  il  XII 
e  XIII  secolo,  seguitando  sino  alla 
metà  del  XV ,  in  cui  insieme  col 
gusto  si  ritornò  a  ripigliare,  mas- 
sime in  Italia,  l'antica  forma  del- 
le lettere  romane,  già  per  l'addie- 
tro  abbandonata.  Nelle  opere  del 
Mabillon  ,  dell' Eineccio  ,  dell'ab- 
bate Sotwicense,  e  di  altri  si  vede 
la  forma  di  questi  caratteri.  Tro- 
vansi  usati  tali  caratteri  anche  in 
monumenti  del  XIII  secolo,  ma 
più  universalmente  in  tutto  il  XIV 
fino  alla  metà  del  XV,  senza  pe- 
rò che  la  buona  e  pulita  forma 
degli  antichi  caratteri  romani  re- 
stasse affatto  perduta.  Il  Garampi 
parla  pure  delle  epigrafi  in  carat- 
teri gotici  scolpite  nelle  monete.  AI 
presente  sono  in  voga  le  lettere  go- 
tiche, per  le  iniziali,  per  titoli  ed 
altro. 

L'architettura  gotica  propriamen- 
te detta,  è  stata  con  precisione  de- 
scritta da  alcuni  eruditi,  benché  da 
molti  autori  de'  passati  secoli  goti- 
co si  appellasse  ciò  che  non  era  in 
origine  greco  o  romano.  Quanto 
all'  architettura  di  stile  e  gusto  go- 
tico, anch'essa  attualmente  in  mo- 
da, noteremo  che  si  sono  in  segui- 
to distinte  due  architetture  dette 
gotiche,  cioè  l'antica  e  la  moderna 
con  varie  suddivisioni.  Si  dice  che 
1'  antica  architettura  gotica  sia  quel- 


GOT 

la  che  i  goti  portarono  seco  loro 
dal  settentrione  nel  quinto  secolo, 
ciò  che  non  può  rigorosamente 
ammettersi;  dappoiché  alcuni  scrit- 
tori opinano  che  que'  popoli  bar- 
bari e  selvaggi,  e  stupidi  nello  stu- 
dio delle  lettere ,  non  portassero 
seco  loro  alcuna  delle  arti  belle , 
e  neppure  quella  di  costruire  gli 
edifizi.  Si  aggiunge  che  gli  edilizi 
costruiti  nel  gusto  gotico  antico, 
erano  rozzi,  massicci  e  pesanti.  Le 
opere  dell'architettura  gotica  mo- 
derna sono  più  delicate,  più  svel- 
te, più  leggiere,  e  lavorate  con  un 
ardimento  che  sorprende.  Si  distin- 
sero le  architetture  gotiche  in  fio- 
rite, in  greche  ed  in  tedesche,  e 
piuttosto  che  di  gotica  architettu- 
ra gli  edifizi  fabbricati  di  questa 
forma  pare  che  possino  derivare 
dalla  saracena,  o  meglio  dalla  nor- 
manna architettura,  come  la  pen- 
sano alcuni  intendenti.  Del  gotico 
stile  nelle  arti,  a' 1 2  marzo  1843 
monsignor  Carlo  Gazola  chiarissi- 
mo letterato,  scrisse  una  sensata 
ed  erudita  lettera,  all'  altro  chia- 
rissimo letterato  il  principe  d.  Pie- 
tro Odescalchi  presidente  dell'ac- 
cademia archeologica  di  Roma. 
Dichiarandosi  il  prelato  contrario 
a  sì  fatto  stile  in  confronto  di 
quello  nobile  del  Vignola,  del  Pal- 
ladio, del  Fontana,  e  di  quella  il- 
lustre schiera  d' ingegni  che  li  pre- 
cedettero o  successero,  encomiò  il 
professore  Betti  segretario  perpetuo 
della  pontificia  accademia  romana 
di  s.  Luca,  per  avere  in  una  so- 
lenne adunanza  della  medesima  a 
buon  diritto  fulminato  parole  di 
maledizione  contro  lo  stile  gotico, 
come  pi  1      1  0  che  fa   parte   di 

coloro  che  000  gloria  sostengono 
i  classici  studi  in  Italia.  Qui  «t  1 
bella   lettera    fu    inserita    nell'  Al- 


GOT  3oi 

bum  di  Roma,  distribuzione  3  e  1. 
Gotica  finalmente  fu  detta  la  legge 
stabilita  dai  visigoti,  compilata  sotto 
Evarico  pei  goti,  mentre  il  figlio  A- 
larico  ordinò  che  si  facesse  per  uso 
de' suoi  sudditi  romani  un  com- 
pendio del  codice  Teodosiano.  La 
legge  gotica  fu  ancora  corretta  ed 
aumentata,  almeno  nella  Spagna, 
mescolata  con  la  legge  romana.  Pi- 
gliandosi in  complesso  la  legge  go- 
tica ,  viene  lodata  sopra  quelle  di 
tutti  gli  altri  barbari. 

GOTOFREDO  (s.) ,  vescovo  di 
Amiens.  tacque  nel  territorio  di 
Soissons  da  una  famiglia  illustre  e 
virtuosa.  Falco  suo  padre,  rimasto 
vedovo,  prese  l'abito  monastico,  ed 
egli  fu  posto  sotto  la  disciplina  di 
Gotofredo  abbate  di  Monte  s.  Quiu- 
tino,  che  lo  aveva  tenuto  al  sacro 
fonte.  La  sua  carità  e  la  sua  de- 
vozione si  palesarono  fin  da'  suoi 
più  teneri  anni  ;  crebbero  con  lui 
le  più  belle  virtù,  e  bene  avanzos- 
si  nelle  scienze  ecclesiastiche.  Giun- 
to all'età  di  venticinque  anni,  fu 
ordinato  prete,  e  non  andò  guari 
che  gli  fu  affidato  il  reggimento 
della  badia  di  ÌNogent  nella  Sciam- 
pagna ,  la  quale  sotto  la  sua  con- 
dotta divenne  celebre  per  regola- 
rità. Nel  1  io3  fu  eletto  vescovo  di 
Amiens,  dignità  che  accettò  con  ri- 
pugnanza a  cagione  della  sua  glan- 
de umiltà,  ma  che  esercitò  da  fe- 
ro discepolo  di  Gesù  Cristo.  Ogni 
giorno  lavava  i  piedi  a  tredici  po- 
veri, e  li  serviva  a  tavola.  Repres- 
se vigorosamente  gli  abusi  nel  cle- 
ro, e  stabilì  la  riforma  ini  moni- 
stero  di  s.  Veleria  lui  lebbre 
lenta  lo  arrestò  in  un  vi  iggio  che 
re  alla  volta  di  Reinis,  per  con- 
ferire col  suo  metropolitano  topra 
materie  importanti  ;  e  mori   agli  S 

di  novembre  nella  badia  di  s.  Criapj- 


3oa  GOT 

no  a  Soissons ,  dove  fu  sepolto. 
Egli  è  onorato  nel  detto  giorno 
nel  martirologio  romano. 

GOTTI  Vincenzo  Lodovico,  Car- 
dinale. Vincenzo  Lodovico  Gotti 
nacque  da  civili  parenti  iu  Bolo- 
gna a' 5  settembre  1664,  per  pa- 
dre ebbe  Giacomo  ,  e  per  madre 
Chiara  Capardi.  Tratto  dall'  esem- 
pio de'  suoi  virtuosi  genitori ,  fu 
docile,  modesto,  e  pio  in  guisa  che 
nel  1680  vestì  l'abito  di  s.  Do- 
menico nel  convento  di  sua  patria. 
Negli  studi  fece  progressi  così  ra- 
pidi, che  i  suoi  superiori  credette- 
ro bene  di  mandarlo  a  studiare 
teologia  nel  celebre  convento  di  s. 
Stefano  di  Salamanca  nella  Spa- 
gna, dove  la  penetrazione  ed  ec- 
cellenza del  suo  ingegno ,  gli  me- 
ritò 1'  attenzione  de'  suoi  precettori, 
i  quali  lo  scelsero  a  sostenere  in 
quella  università  l' atto  grande  di 
tutta  la  teologia,  incumbenza  più 
da  professore  che  da  studente ,  e 
vi  riuscì  felicemente  e  con  applau- 
so ;  quindi  gli  offrirono  la  cattedra 
di  quella  provincia,  ad  oggetto  di 
avere  tra  loro  un  uomo  il  quale 
grandi  cose  di  sé  prometteva  pe'suoi 
talenti,  incarico  però  che  fu  da  lui 
modestamente  ricusato.  Tornato  in 
Italia  ,  successivamente  occupò  i 
primi  posti  dell'ordine,  e  vi  si  fe- 
ce amare  e  rispettare.  Clemente  XI 
lo  destinò  inquisitore  generale  di 
Milano.  Avrebbe  egli  voluto  sot- 
trarsi a  questo  grave  ed  inaspet- 
tato impiego ,  per  non  lasciare  i 
suoi  amati  studi ,  e  la  quiete  del 
suo  ritiro,  ma  gli  convenne  ubbi- 
dire. In  questo  tempo  scrisse  la  sua 
opera  De  vera  Christi  Ecclesia , 
contro  l'eretico  Picennino  ministro 
calvinista  nella  Svizzera  ,  che  fu 
stampata  a  Roma  nel  1719,8  Mi- 
lano nel   1734,  ed  in  Bologna  nel 


GOT 

1748.  Vacata  frattanto  nell'  uni- 
versità di  Bologna  la  cattedra  di 
teologia,  fu  a  lui  conferita,  ed  in 
essa  insegnò  parecchi  anni  con  gran- 
de applauso  del  pubblico.  Avendo 
nel  17  17  ottenuto  di  poter  rinun- 
ziare l'inquisitorato,  ottenne  poscia 
nella  medesima  università  la  cat- 
tedra di  teologia  polemica  ossia  di 
controversie,  vacata  per  morte  del 
celebre  p.  Bacchini  abbate  cassine- 
se .  Essendo  divenuto  provinciale 
del  suo  ordine ,  da  questo  nel  ca- 
pitolo generale  del  1725  fu  accla- 
mato capo  di  tutto  l' ordine ,  ma 
egli  rifiutandosi  con  fermezza ,  i 
correligiosi  furono  costretti  nomina- 
re altro  soggetto.  Benedetto  XIII, 
già  del  medesimo  ordine  del  Got- 
ti, e  suo  amico ,  per  la  stima  che 
ne  faceva,  prima  lo  promosse  a 
patriarca  titolare  di  Gerusalemme, 
onde  nel  1728  fu  consagrato  dal 
cardinal  Boncompagno  arcivescovo 
di  Bologna,  indi  a' 3o  aprile  del 
medesimo  anno  lo  creò  prete  car- 
dinale assente,  e  poi  gli  conferì  in 
titolo  la  chiesa  di  s.  Pancrazio , 
donde  poi  lo  passò  a  quella  di  s. 
Sisto  già  sua  titolare.  Udita  la 
propria  esaltazione,  ripugnante  vole- 
va abbandonarsi  alla  fuga,  ciò  che 
gli  venne  impedito,  ed  in  seguito 
fu  ascritto  a  diverse  congregazioni 
cardinalizie.  Va  qui  notato  che  il 
cardinale  ricevette  l' avviso  del  car- 
dinalato nella  villa  di  Ronzano  sub- 
urbana di  Bologna ,  allora  pro- 
prietà dei  domenicani  ,  cioè  nel 
luogo  stesso  ove  ricevette  altrettan- 
to Benedetto  XIII,  già  fr.  Vincenzo 
Maria  Orsini  domenicano,  quando 
gli  fu  notificato  che  Clemente  X 
nel  1672  lo  avea  creato  cardinale. 
Continuò  nella  dignità  a  menare 
vita  sobria  ed  austera ,  regolata 
dalla  religiosa  perfezione.    Celebra- 


GOT 

va    quotidianamente    la    messa ,    se 
non  era  impedito  da  interini tà,  con- 
fessandosi per    lo    meno    tre    volte 
la  settimana.    La    sua    umiltà    era 
sincera  ,  e  talmente  profonda ,    che 
più  d' una  volta  protestò    che    vo- 
lentieri sarebbe  ritornato  alla  quie- 
te dell'  antica  sua  cella.  Non  eravi 
persona,  per  quanto  fosse  meschina, 
eh'  egli  cou  tutta  facilità  non    am- 
mettesse   all'  udienza  ,     accogliendo 
tutti  con  gran  benignità,  ascoltan- 
doli con    pazienza ,    e    licenziandoli 
con  umanissimi  modi,  né  vi  fu  mai 
alcuno  che  da  lui  venisse  male  ac- 
colto ;  siccome  padrone  di  sé  stes- 
so non  si  vide  giammai  impazien- 
te ,  sdegnato  od  inquieto.    Assiduo 
nell'applicazione  allo  studio,  in  pri- 
valo vestì  sempre  l'abito    domeni- 
cano ,  per  cui   sembrava    un    sem- 
plice frate  :    aveva    alto    rispetto    e 
venerazione    pel    generale    del    suo 
ordine;  e  se  alcuno    parlava    delle 
sue  opere,   l'invitava  a    tacere, -o 
destramente  interrompendolo  ad  al- 
tro volgeva    il    ragionamento.    Coi 
famigliari   tenne    contegno    da    pa- 
dre ,    guardandosi    bene  di    riuscir 
loro  grave  o  molesto.  La  sua  men- 
sa era  semplice  e  frugale,   e  quale 
la  prescrisse  il  concilio   di    Trento 
a' cardinali  e  vescovi.  11  suo  amore 
pei  poveri  ebbe  del    singolare    pel- 
le copiose  limosine  che  faceva  an- 
che quando  avea  scarse  rendile  pel 
suo  mantenimento.  Oltre  la  citata 
opera     contro     il    Picennino ,    altre 
molte  ne  scrisse,    ed    anche   contro 
gli  atei,  gì'  idolatri,  i  giudei,  i  mao- 
mettani, nelle  quali  segue  il  metodo 
degli  scolastici,  e  la  dottrina    tomi- 
stica.  Abbiamo  perciò  di  lui,  Tfieo- 
logia  scolastico- dogmatica }  ec.  ;  Col- 
loquia  theologico- polemica _,  ce  ;   De 
tligenda   in  ter  dissidente;    christia- 
nos  scntcìuia.  Mentre    si    occupava 


GOT  3o3 

a  Roma  di  un  commentario    sulla 
Genesi,    ed     era     arrivato    sino  al 
capitolo  XXV,  morì  a'  Ì7  settem- 
bre   1742,  d'anni  settantotto,  e  fu 
sepolto  nella  sua   chiesa   titolare  di 
s.  Sisto,    con    semplice    iscrizione, 
che   vivente  da   sé  compose.    I  Pon- 
tefici  Clemente  XI,  Benedetto  XII 1, 
Clemente  XII,    e    Benedetto    XI  \, 
l'ebbero  in    glande    stima,    e    dei 
due    ultimi    concorse    all'elezione; 
anzi  prolungandosi   il    conclave  per 
quella    di    Benedetto    XI V     Lain- 
bertini ,    questi    disse    ai     cardinali 
che  se   volevano  far   Papa   un   san- 
to e  un  dotto  scegliessero   il  Gotti  , 
ed  ebbe  perciò    molti    voli.    Ama- 
rono pure  questo    degno    cardinale 
A  illorio  Amadeo   II,  e   Carlo  Fm- 
manuele  re  di   Sardegna,  e    Maria 
Clementina   Sobieski    regina    d'  In- 
ghilterra ,    consultandolo    in    parec- 
chie circostanze.  Il  p.  Ricchiui  scris- 
se un  bel  commentario    latino  sul- 
la  vita   di   questo   cardinale,  De  \-i- 
ta  el  studiis,  ec,  che  si  leg^e    nel 
tom.   XXVIII  degli  Opuscoli  Calo- 
geriani  p.  353,  e  quindi  fu  tradotto 
in  italiano  ed  inserito  nella  par.   IV 
delle   file  degli   arcadi    Mastri:  il 
Guarnacci  riporta  1'  elenco  delle  sue 
opere,    nel    t.    II,    p.    35o.   Fu   il 
cardinal   Gotti    personaggio    ornato 
di   tutte   le  cristiane  virtù,  ardentis- 
sinio  dello  zelo  dell'  onore  di    Dio, 
e  della  nostra  santa    religione,  co- 
me  chiaramente     lo    dimostrò     COU 
l'uso  che  fece  de' suoi   talenti,  im- 
piegandoli   nella  difesa    delle    catto- 
liche   verità  ,    e    da     una    profonda 
riverenza  ,    che    sempre    ebbe     per 
quanto   vi    ha   di    sacro  ,     unita     ad 
una    tenera    divozione   ftttO  la  l'è  i- 
ta    Vergine. 

GO  LT1FHEDO,  Cardinale.  Cot- 
titi filo  fu  (la  Innocenzo  li  ilei 
ii3o    creato    prete    cardinale    del 


3x>4  G0T 

titolo  di  s.  Giustina ,  ma  non  es- 
sendovi mai  stato  titolo  di  questa 
santa,  probabilmente  dovrà  dire  in 
Vestina.  Seguì  questo  cardinale  per 
alcun  tempo  il  partito  dell'antipa- 
pa Anacleto  II,  ma  ravvedutosi  poi 
del  suo  fallo,  ritornò  all'ubbidien- 
za d' Innocenzo  II,  nel  cui  pontifi- 
cato mori. 

GOTTIFREDO  d'Alatri,   Car- 
dinale.  V.  Goffredo. 

GOTTOLANO  (  b.  )    Raimondo 
Alberto,   Cardinale.  Raimondo  Al- 
berto   Gottolano,  nobile   spagnuolo 
de'  conti  di  Rossiglione,   nacque  in 
Barcellona    per    intercessione    della 
Beata  Vergine ,  a   cui    dalla    pietà 
de'  genitori    fu    offerto.    Sino    dai 
primi  anni  diede  saggio   di  consu- 
mata virtù,  indi  fece  mirabili  pro- 
gressi nelle  scienze,  ed  ottenuta  la 
laurea  in  gius  canonico ,  ricusò  con 
raro  esempio  splendide  nozze  pro- 
postegli dai  genitori.  Si  fece  in  ve- 
ce religioso  nell'ordine  di  s.  Maria 
della  Mercede ,    dove    in   progresso 
fu  eletto  ministro  generale  del  me- 
desimo ,  e  governò  per  un    decen- 
nio. Per  ben  quattro   -volte    intra- 
prese   lungbi    e    disastrosi    viaggi , 
ne'  quali  secondo  il  suo  istituto  ri- 
scattò   più    di    seicento   schiavi,    e 
nella  città  di    Granata    convertì    e 
battezzò,    non  senza    rischio    della 
sua  vita,  un  moro  filosofo   insigne 
e    celebre    astronomo.    Nel    tempo 
in    cui    a    cagione    del    suo    officio 
dovè  trattenersi    tra'  saraceni  diede 
tal  saggio  di  prudenza    e    di    reli- 
gione,  che    da    que' barbari    stessi 
venne  riguardato  con  ammirazione, 
e    trattato    con    sommo    riguardo. 
Ad  istanza  di    Giacomo    II    re    di 
Aragona   difese    valorosamente   nel 
concistoro    generale    di    Vienna   la 
memoria  di   Bonifacio   Vili,    e  fu 
spedito  da  quel  principe  ambascia- 


GOT 

tore  al  Papa  ed  al  re  di  Napoli 
Roberto,  per  sedare  le  discordie 
insorte  contro  Federico  re  di  Sici- 
lia, a  cagione  di  questo  regno.  In- 
contrò Raimondo  la  grazia  del 
Pontefice,  che  gli  accordò  la  bolla 
per  1'  erezione  dì  Saragozza  in  me- 
tropoli. Restituitosi  a  Barcellona 
dopo  la  sua  legazione,  trovò  mor- 
to Arnaldo  di  Rossiniol  ultimo  ge- 
nerale de'  cavalieri  secolari  dell'  or- 
dine della  Mercede  :  tenutosi  per- 
tanto il  capitolo  in  Valenza  nel 
1 3 17,  coli' intervento  di  centono- 
vanta  elettori,  centoquattordici  fu- 
rono favorevoli  a  Raimondo ,  che 
come  priore  del  convento  di  Bar- 
cellona era  presidente  dell'adunan- 
za. Giovanni  XXII  approvò  tale 
elezione  ,  dichiarando  di  niun  va- 
lore quella  di  Berengario  Hostale- 
sio  cavaliere  laico,  fatta  da  settanta 
cavalieri  secolari ,  che  ritirati  si 
erano  dal  capitolo  di  Valenza,  co- 
me quella  eh'  era  contraria  alla 
bolla  di  Clemente  V ,  in  vigore 
della  quale  doveva  eleggersi  un 
generale  ecclesiastico.  Dai  re  di 
Francia  ed  Aragona  venne  eletto 
giudice  compromissario  nelle  diffe- 
renze insorte  tra  di  loro  intorno  ai 
diritti  sopra  la  città  di  Montpel- 
lier, come  fu  mediatore  per  la  pa- 
ce tra'  pisani  ed  aragonesi.  Mosso 
il  Pontefice  Giovanni  XXII  dalla 
fama  di  tanto  uomo,  a'  20  dicem- 
bre 1 33 1  Io  creò  cardinale,  onore 
che  poco  godè,  mentre  consumato 
dalle  fatiche  e  dalle  austerità ,  e 
aggravato  dagli  anni ,  morì  della 
preziosa  morte  de'  giusti  poco  dopo 
in  Valenza,  chiaro  per  virtù  e  mi- 
racoli, che  gli  ottennero  dagli  scrit- 
tori del  suo  ordine  il  titolo  di 
beato;  e  fu  sepolto  in  una  tomba 
particolare  e  distinta,  nella  chiesa 
di  s.  Maria  del  Poggio,  non  molto 


GOU 

distante  da  quella  città  ,  secondo 
la  sua  testamentaria  disposione,  af- 
fine di  non  essere  lontano  neppure 
col  corpo  dalla  B.  Vergine,  di  cui 
in  vita  era  stato  grandemente  di- 
voto. Scrissero  di  questo  insigne 
cardinale  Silvestro  Marulo  nel  Ma- 
re oceano  di  tutte  le  religioni,  Ste- 
fano Coraera  nella  Vita  del  Li  l>. 
Maria  Soccos,  e  Gian  Jacopo  \  i 
nel  suo  f  iridano }  oltre  i  citati 
scrittori. 

GOLFFIER  di  BOISSY  Adria- 
no, Cardinale.  Adriano  Gouflier  di 
Boissy,  francese,  de'signori  di  Bon- 
nivet,  essendo  fratello  del  maggior- 
domo della  famiglia  reale,  fu  ar- 
ricchito di  molte  e  pingui  abba- 
zie, quindi  nel  i5io  da  Giulio 
II  venne  fatto  vescovo  di  Coutan- 
ces ,  e  quantunque  fosse  di  po- 
chissima letteratura  ,  alle  istanze 
del  re  Francesco  I  praticate  nel 
congresso  di  Bologna  con  Leone 
X,  questi  a' 14  dicembre  1 5 1 5  lo 
creò  prete  cardinale  del  titolo  di 
Marcellino  e  Pietro,  e  legato  a  la- 
tere  in  Francia,  dove  con  soddi- 
sfazione della  santa  Sede  trattò 
molti  affari  di  rilevanza  ;  indi  nel 
i5ig  lo  stesso  Leone  X  lo  tra- 
sferì alla  metropolitana  di  Alby. 
Mori  nel  i52  3  in  Villedieu  nella 
diocesi  di  Tours  ,  e  fu  sepol- 
to nella  chiesa  dell'  abbazia  di 
Bourgueil,  a  tenore  della  sua  te- 
stamentaria disposizione.  Secondo  il 
Contelorio  l'epoca  della  morte  ven- 
ne procrastinata  almeno  al  1 
Riccardo  Fiddes,  teologo  inglese 
ed  elegante  scrittore,  pubblicò  la 
vita  di  questo  cardinale,  e  lo 
so  fece  il  Cavendisli.  Il  Marlene 
a  p.  1270  della  raccolta  degli  an- 
tichi monumenti ,  ha  pubblicato 
molte  lettere  scritte  da  multo  OW- 
dinaie. 

voi.    \\\\ 


GOV 

GOVERNATORE,   Gubcrnator, 

rector,  praeses,  praefèclus,  satrapi* 
Quello  che  governa  .  e  -.i  dice  piti 
comunemente  di  chi  custodisce 
uomini  o  città.  Cosi  il  Dizione 
dilla  lingua  italiana,  che  aggiun- 
gè:  Governatore,  ulliziale  generale 
posto  dal  principe  al  supremo  co- 
mando di  una  piazza  di  guerra. 
In  alcuni  stati  v'  hanno  anche  i 
governatori  militari  delle  provinole. 
e  sono  ufìiziali  generali,  che  hanno 
l'autorità  sopra  le  truppe  in  1 
Provincie  acquartierate.  Governo  si 
dice  anche  per  l'uflizio  del  gol 
natore,  come  podesteria  ed  altri 
simili  uffici.  ~Se\\' Onomasticum  ro- 
mannm  del  Felici ,  governatore  , 
reggitore,  e  rettore,  quegli  che  go- 
verna o  regge.  Agli  articoli  Conte, 
Duca,  Marchese,  Podestà',  Preto- 
re, ed  altri,  si  tratta  dell' 01 . _ 
e  di  quanto  riguarda  gli  antichi 
governatori  di  stati,  provincie,  cit- 
tà e  luoghi.  Nello  stato  pontificio 
i  governatori  sono:  nelle  legazioni 
i  cardinali  legati,  nelle  delegazioni 
i  prelati  delegati  ,  e  nelle  città  ed 
altri  luoghi  i  governatori  pro- 
priamente detti  ,  al  mudo  che  si 
dichiarò  all'ai ticolo  Delegazioni  r 
Legazioni  apostoliche,  e  pei  «per- 
ititi Feudi,  a  questi)  articolo. 

I    patrimoni     dell  1     >mti     - 
erano    governati    ed    amministrati 
nel    XI  secolo  da  un  distinto  am- 
ministratore   col  nome   di  difenso- 
re o  rettore,  che  sole\  uno 
de'  primari    1              A  Ih   l  I 
romana.  Incominciando  il  dominio 
tcmpor.de  di   quatta    e  dei  sommi 
Poutclici    ferao    I  anno    -3o    ad 
pontificato    di  1    ' 
['Anastasio   e  Pietra  de  M 
servano  che  da  I  l  ■  - 
letto  nel  77  1  1  Pontefici  mi  unen- 
te eseicilaruuo  m    Konia    la   [ 
in 


3o6  GOV 

amministrazione  nelle  cose  civili, 
se  qualche  volta  non  erano  impe- 
diti dal  furore  delle  ribellioni . 
Quindi  governarono  le  provincie 
e  le  città  per  legati,  rettori,  vi- 
cari e  governatori.  Dipoi  Gregorio 
X  nel  1274,  tra  le  leggi  che  e- 
manò  pel  tempo  della  sede  va- 
cante, prescrisse  che  il  governo 
temporale  di  Roma,  e  di  tutto  lo 
stato  ecclesiastico  si  attribuisse  al 
sacro  collegio  de'  cardinali  dalla 
morte  del  Papa  sino  alla  elezione 
del  nuovo,  e  che  dai  medesimi 
cardinali  si  confermassero  i  mini- 
stri, governatori  ec. ,  la  quale  au- 
torità fu  poscia  limitata  dai  Pon- 
tefici Pio  IV,  e  Clemente  XII.  fi- 
letto nel  i4^4  Paolo  II,  proibì 
rigorosamente  ai  legali,  rettori,  go- 
vernatori e  giudici  delle  provincie 
e  città  della  Chiesa  di  ricevere 
donativi,  onde  meglio  ed  impar- 
zialmente potessero  amministrare 
la  giustizia;  e  fu  il  primo  che 
consegnò  il  governo  delle  fortezze 
a  prelati  e  a  degni  ecclesiastici,  af- 
finchè in  ogni  evento  fossero  più 
fedeli.  Appena  nel  i555  divenne 
Pontefice  Paolo  IV ,  che  in  alcu- 
ne provincie  rimosse  i  cardinali 
legati,  ed  in  vece  sostituì  dei  pre- 
lati per  governatori,  con  la  qual 
provvidenza  alleggerì  lo  stato  papa- 
le da  molti  pesi  ed  assegni  mag- 
giori. 

Il  Lunadoro  nella  Relazione 
della  corte  di  Roma,  ristampata 
a  Bracciano  nel  1646,  a  p.  384 
e  seg.  riporta  la  nota  di  tutti  i 
governi ,  podestà ,  e  commissarii, 
che  dalla  sacra  congregazione  di 
consulta  veunero  concessi  per  pa- 
tenti, ed  a  tempo,  ed  erano.  Go- 
verni del  Ferrarese.  Argenta,  A- 
riano,  Bagnacavallo,  Cento,  Codi- 
goro,  Comacchio  gov. ,  Comacchio 


GOV 

podestà,  Cotignola,  Crespino,  Lugo, 
Massa-Lombarda,  Melara,  Pieve  di 
Cento  ,  s.  Agata  e  Conselice  , 
Trecento.  Governi  della  Marca. 
Amandola,  Appigliano,  Apiro,  Bei- 
forte,  Cingoli,  Morrò  di  Valle,  O- 
simo,  Penna,  Recanati,  s.  Elpidio, 
Castel  Fidardo,  Caldarola,  Cori- 
naldo,  Monte  Alboddo,  Montec- 
chio,  Monte  Santo,  Monte  Novo, 
Monte  Vecchio,  Monte  Cassiano, 
Monte  Filottrano,  Monte  dell'Olmo, 
Monte  Marciano  ,  Monte  Fano, 
Monte  Giorgio,  Monte  Granaro, 
Monte  Lupone ,  Monte  Melone, 
Monte  s.  Martino  ,  Monte  s.  Pie- 
tro, Sarnano  ,  San  Ginnesio  ,  San 
Giusto,  Serra  de'  Conti,  Serra  s. 
Quirico,  Staffalo,  Tolentino,  Urbi- 
saglia ,  Nova  Contrada.  Governi 
del  presidiato  di  Montalto.  Casti- 
gnano,  Fora,  Monte  Alto  podestà, 
Monte  Rubbiano,  Monteiìore,  Mon- 
te Elparo,  Monte  Gallo,  Monte 
Monaco,  Monte  Fortino,  Monte 
Roffoue,  Offìda,  Patrignano,  Por- 
cina, Ripa  Transone,  Rosella,  Sali- 
ta Vittoria.  Governi  del  Patrimo- 
nio. Acquapendente,  Alciano,  Ba- 
gnorea,  Bassano,  Bieda,  Bolsena, 
Celleno,  Civita  Castellana,  Corne- 
to,  Orte,  Lugnano,  Monte  Fiascone, 
Mugliano,  Nepi,  Orvieto  podestà 
per  breve,  s.  Lorenzo,  Su  tri,  To- 
scanella,  Trevinano,  Vetralla.  Go- 
verni della  provincia  dell'  Umbria. 
Amelia,  Arquata,  Bastia,  Bevagna, 
Citerua,  Città  di  Castello  podestà, 
Città  della  Pieve,  Cerreto,  Foli- 
gno podestà,  Gualdo,  Labro,  Mas- 
sa, Monte  Castello,  Monte  Falco, 
Monte  Leone,  Nocera,  Piede  Lu- 
co, Sasso  Ferrato,  Spoleto  pode- 
stà, Spello,  Todi  capo  di  giusti- 
zia, Todi  giudicato,  Trevi,  Visso, 
Valsopina.  Governi  della  Sabina. 
Aspra,  Calvi,    Ciciguano,  Cottane!-* 


GOV 

lo,     Fianello,  Labro,    Monto    Aso- 
la ,    Monte    Bono  ,    Monte    Leone, 
Monte  s.    Giovanni,  Otricoli,  Roc- 
cliette  ,     Stroncone  ,     Seandriglia  , 
Tarano.    Governi  della   Campagna 
Marittima.  Anagni,   A  latri,  Rauco, 
Benevento    vescovo    temporale,  Ce- 
prano,     Filettino,  Fiorentino,  Fro- 
sinone    podestà,    Fumone,    Guarci- 
no,     Piperno,     Ponte    Corvo,  Soz- 
ze, Terracina,     Torrice,  e     Veroli. 
Governi  nella  provincia  di  Roma- 
gna.    Borghi,  Castel    JVovo,   Castel 
Rio,    Cervia,    Cesena    podestà,  Ci- 
vitella  ,     Coriano  ,     Forlimpopoli , 
Gambettola  ,     Linora  ,    Lontano  , 
Meldola,  Mondaino,    Monte  Cugu- 
ruzzo,  Pian  di  Mileto,  Polenta,  Ro- 
ndo, Ranchio,  Roversano,  Sant'Ar- 
cangelo, San  Mauro,  Sarsina,  Scor- 
ticata,   Savignano  ,    Solarolo,  Ver- 
ruccliio. 

Come  ognuno  vede  non  sono 
compresi  nei  governi  riportati  a 
detta  epoca  dal  Lunadoro,  i  go- 
verni dei  feudi,  ch'erano  moltissi- 
mi, e  cessarono  tranne  nove  nel 
pontificato  di  Pio  VII  l'anno  1816, 
i  governi  della  legazione  di  Bolo- 
gna, quelli  governati  dai  legati  e 
prelati  governatori;  anzi  è  da  av- 
vertirsi che  alcuni  governi  ripor- 
tati dal  Lunadoro,  dipoi  diven- 
nero prelatizi,  come  si  potrà  vo- 
lici e  nel  citato  articolo  Delega  zio* 
ni,  ove  si  riporta  lo  stato  dei  go- 
verni, cioè  degli  antichi  governi,  e 
degli  odierni  col  novero  dei  le- 
gali e  delegati,  e  quello  dei  di- 
stretti con  tutti  i  rispettivi  gover- 
ni secolari,  e  loro  nomino  11  l'a- 
risi nel  toni.  IV.  p.  1  r>  delle  sue 
TstnakuHij  riporta  la  forinola  del- 
le nomino  dei  governatori  0  pie- 
tori.  Benedetto  \l\  con  la  costi- 
tuzione  Ad  popuhrum,  data  il  pia- 
mo aprile  i-p.  Bull.  Maga,  tom. 


GOV  3o7 

XVI,  p.   280,    volendo  provvedere 
al  caso  in    cui  i  governatori  dello 
stato    ecclesiastico    morissero  nell'e- 
sercizio   dei    loro     governi,     stabili 
che    ai    governatori    prelati    succe- 
dessero per    la    loro    morte  i  luo- 
gotenenti,  colla   giurisdizione  e  co- 
gli    emolumenti   del     defunto,   fino 
all'elezione  del  nuovo;  che  al  gover- 
natore   por    breve,  o  per    patente 
succedessero    interinalmente    i   pro- 
curatori   fiscali  ;  e  che     nelle  lega- 
zioni   di    Romagna    e  di    Ferrara, 
se  il  governatore  non  fosse  prelato, 
il   cardinal   legato   vi   sostituisse   un 
deputato  ;  nelle  legazioni  poi  di  Bolo- 
gna e  di  Libino,  vi   facessero  la  de- 
putazione quelli  che  hanno  diritto  di 
eleggere    i  governatori.   Nel  ponti- 
ficato   di    Clemente    XIII    essendo 
insorta   controversia  sulla  giurisdi- 
zione ecclesiastica    e    laicale,    tra   i 
governatori  ed  i   vescovi,  come  di- 
cemmo all'articolo  Immunità  eccle- 
siastica (redi),  pubblicò   il  Papa  la 
costituzione  Praestat,    con    le  nor- 
me relative.     In     quanto     agli   an- 
tichi governatori,  podestà    e  magi- 
strati    governativi      delle     città     1 
luoghi     dello     stato   pontifìcio  ,     ih 
molti   se   ne    parla   a'  loro    articoli. 
Nella     Raccolta     dille    leggi   e    di- 
sposizioni  di  pubblica  amministra- 
zione dello    stalo  pontificio   -1    ! 
gono  le    istruzioni,   regole,   compe- 
tenze, attribuzioni    anche   in    male- 
ria    giudiziaria,    autorità,  giurisdi- 
zione, facoltà,  ed  anche  dipenden- 
za dai  superiori   maggiori,  dei   - 
mi  11  itori    delle  cittì   e  luoghi  «lei 

«Inumili     della     santa     Sedi-  ,     «dire 

«pianto  riguarda  la  deputazione 
dei  supplenti  «le  governatori.  Sul- 
l'abito   poi    dei    governatori    àt 

pontificio,  estendi  n- 

le  a  quello  «lei  giudici  dei  tribu- 
nali di  [Minia  istai 


3o8  GOV 

stato    pontificio ,    lo    descrivemmo 

all'articolo   Giudice  [Vedi). 

Roma  è    governala    dal    Prelato 
Governatore  di    Roma    [Vedi) ,    il 
quale  nella  dignità,  giurisdizione  e 
prerogative    è    successo     all'  antico 
Prefetto   di  Roma.   Romolo   primo 
re  di  Roma  elesse  uno  che  sopra- 
intendesse   ai    negozi    urbani ,  e  lo 
chiamò  prefetto  della  città.   Questa 
prefettura  dopo  lungo  tempo  giun- 
se a  tanto  grado  d'autorità,  parti- 
colarmente   sotto  i  Cesari ,    che    il 
prefetto  giudicava  di  qualunque  de- 
litto, e  di   qualunque  condizione  di 
persone;    e   quando  i   Cesari  erano 
assenti   dalla  città,   il  prefetto  come 
un  altro  Cesare    imperava  ,  e  sta- 
tuiva  e  deliberava    di    tutti  gli  af- 
fari  della    città ,  nel    modo    che  il 
prefetto  comandava  la  guardia  del- 
l' imperatore ,   e  ne'  tempi  de'  me- 
desimi   Cesari    sopraintendeva    alla 
disciplina   militare,  la  cui   autorità 
fu  poi   ridotta  a  giudicare    le  cau- 
se forensi;  e  quando  incominciò  a 
perdere  l'antico  imperio  e  dominio, 
perdette  ancora    il  primiero  nome. 
Sotto  i  Pontefici    nel  secolo  XII  il 
prefetto  di  Roma  riacquistò  non  po- 
ca dell'antica  autorità  ,    che  conti- 
nuò ad  esercitare    nel  secolo    XIII 
ed  anche  nel  seguente  ;   ma  aven- 
do i  Pontefici    ripristinato    la    loro 
residenza    in  Roma ,    crearono     un 
nuovo  magistrato  in  aiuto  del  car- 
dinal camerlengo  di  s.  Chiesa,  cioè 
il  prelato  governatore  dell'alma  cit- 
tà, onde   il  prefetto  di  Roma  rima- 
se una  carica  di   onore,  e  per  ul- 
timo Urbano  Vili   la  conferì   al  ni- 
pote d.  Taddeo  Barberini.   Divenu- 
ta   la    Città  Leonina,  detta    volgar- 
mente Borgo,  l'abitazione  ordinaria 
de'  Papi,  siccome  dimoranti  nel  pa- 
lazzo   vaticano,  Giulio  111   con  bre- 
ve de'  22    febbraio  i55o    istituì  il 


GOV 

Governatore  di  Borgo,  con  ampia 
autorità  civile  e  criminale  fino  a 
sentenziare  a  morte,  laonde  la  ca- 
rica fu  conferita  per  lo  più  ai  lo- 
ro nipoti ,  fratelli  e  parenti.  Il  ci- 
tato Lunadoro  parla  a  p.  81  del 
governatore  di  Borgo,  e  dice  che 
era  dichiarato  dal  Pontefice  per  bre- 
ve ,  con  duemila  scudi  l' anno  di 
provvisione;  che  questo  governato- 
re avea  tribunale,  con  palazzo  e 
carcere  nello  stesso  Borgo,  ove  ri- 
siedevano un  giudice  ,  un  fiscale , 
un  capo  notaro  con  parecchi  scri- 
vani ,  bargello  con  quindici  birri  , 
oltre  gli  alabardieri  ;  che  ammini? 
strava  la  giustizia  per  tutti  i  bor- 
ghi della  Città  Leonina,  e  regione 
della  Lungara  sino  a  porta  Setti- 
gnana,  e  che  ogni  settimana  aveva 
udienza  dal  Papa ,.  dandogli  conto 
degli  affari  del  suo  tribunale.  L'A- 
mydeno,  De  pietate  romana,  a  p. 
221,  cap.  XI,  discorre,  De  guber- 
natore  Urbis  Leoninae  ,  dicendo  : 
»  Urbs  Leonina  vulgo  nuncupata 
Burgo ,  de  qua  hactenus  saepius 
meutionem  fecimus  ut  est  Tiberis 
amne  a  reliqua  urbe  divisa,  ita 
proprium  et  separatum  habet  re- 
ctorem  amplissimus  est  magistra- 
ta, et  qui  Pontificis  consanguineis 
ut  plurimum  solet  deferri  omnem 
ili ic  exercet  jurisdictionem,  ne  cium 
civili  judicio  sed  criminali  ,  habet- 
que  idem  jus  gladii  in  hac  urbe, 
ac  in  reliqua  illius  gubernator  et 
deputamus  ad  id  judices,  carceres, 
satellites,  actuarius,  scribas".  I  go- 
vernatori di  Borgo  talvolta  erano 
Generale  di  s.  Chiesa,  o  Castellano 
di  Castel  s.  Angelo  [Vedi):  Fran- 
cesco Borghese  fu  capitano  genera- 
le della  guardia  del  Papa  Paolo  V 
suo  fratello,  e  governatore  di  Bor- 
go. Ma  di  poi  Clemente  IX,  consi- 
derando   le    gravi    dissensioni    che 


GOV 

nascevano  tra  il  tribunale  del  go- 
mmatore di  Borgo  ed  altri  tribu- 
nali di  Roma  per  motivi  giurisdi- 
zionali, abofi  il  governatorato  di 
Borgo,  ed  attribuì  la  sua  autorità 
al  prelato  governatore  di  Pioma, 
come  vice-governatore  di  Borgo , 
col  disposto  della  bolla  In  hoc  pri- 
mo ,  emanata  il  primo  settembre 
iG67,Bull.  Rom.  t.  VI,  par.  VI,  p. 
184.  Del  governatore  di  Borgo  se 
ne  tratta  ancora  in  vari  luoghi  del 
Dizionario,  come  ai  voi.  VI,  p.à53, 
1\,  p.  268,  e  XIII,  p.  0.5^. 

Clemente  IX  nella  detta  disposi- 
zione ordinò  che  in  tempo  della 
sede  vacante,  siccome  il  conclave 
si  formava  nel  palazzo  vaticano  , 
la  giurisdizione  civile  e  criminale 
dell'  antico  governatore  di  Borgo  si 
devolvesse  al  prelato  governatore 
del  conclave.  La  custodia  del  con- 
clave ebbe  origine  dopo  che  Gre- 
gorio X  sul  regolamento  di  esso 
stabilì  un  custode,  che  si  chiamò 
maresciallo  del  conclave,  cospicuo 
ulti/io  che  per  molti  secoli  esercitò 
la  famiglia  Savelli,  dalla  quale  pas- 
sò ai  Chigi.  Ciò  non  ostante  si 
trovano  memorati  altri  custodi  o 
governatori  de'  conclavi,  come  ri- 
portammo all'articolo  Conclave  ed 
altrove.  In  quello  per  l'elezione  di 
Martino  IV  nel  1281,  fu  custode 
Riccardo  Annibaldi;  m  quello  di 
Benedetta  \ll  nel  1 334,  fecero  la 
guardia  il  conte  Monasi  siniscalco 
del  re  di  Napoli,  ed  il  conte  Noail- 
Ics  maresciallo  della  corte  roma- 
na e  governatore  della  contea  \  c- 
oaissina  ;  in  quello  di  Urbano  \  I 
nel  1 37S  ,  |a   custodia    fu   data  ti 

modi»     detto     al    \nl      \l  1 1  ,    p.     |  ".  1 

del  Ihzumiii io-,  in  quello  di  alea* 
sandro  \  nel  1  (09,  la  custodia  fu 
affidata    a    Nalac    i>    Naillac    mi 

ni  ie-tn)    di     Rodi  ,    in    quel]  •    <h 


GOV  3og 

Martino  V  nel  1 4  *  7  ne  furono 
guardiani  l'imperatore  Sigismondo, 
Lodovico  della  Palò  vescovo  di  s. 
Giovanni  di  Moriana,  e  il  gran 
maestro  di  Rodi  suddetto  con  altri 
ventiquattro  signori  ;  in  quello  di 
ISicolò  V  nel  i44?>  lo  dicemmo  al 
voi.  XV ,  p.  282  ;  in  quello  per 
l'elezione  d'Innocenzo  Vili  nel  1 4^4 
i  cardinali  elessero  per  capitanodella 
porta  del  palazzo  vaticano  il  vesco- 
vo di  Cervia  Achille  Marescotti  bo- 
lognese ;  in  quello  di  Adriano  VI 
nel  i52  2,  fu  eletto  per  governato- 
re del  palazzo  apostolico  il  vescovo 
di  Spoleto  Francesco  Eroli  di 
Sfarai,  con  un  capitano  per  aiuto; 
in  quello  di  Clemente  VII  nell'an- 
no i523,  n'ebbe  la  custodia  il 
gran  maestro  gerosolimitano  Vil- 
liers;  in  quello  per  Paolo  III  nel 
i534,  il  sacro  collegio  elesse  go- 
vernatore del  palazzo  vaticano,  ove 
al  solito  si  celebrò  il  conclave,  coi 
militi  per  la  custodia ,  il  vescovo 
Teidonense  Uberto  Gambara  poi 
cardinale.  Dipoi  in  quello  di  Giu- 
lio III  nel  i55o,  la  custodia  del 
Vaticano  e  del  conclave  fu  affidata 
a  Nicolò  Orsini  ;  in  quello  di  II  n  - 
cello  II  e  ili  Paolo  IV  nel  i555, 
dai  cardinali  fu  eletto  governatore 
del  conclave  1  arcivescovo  Annibale 
Bozzoli  poi  cardinali',  secondo  il  No- 
waes.  \vX. letti  caeretn.  del  p,  (lat- 
tico si  dice  che  per  morte  ili  Pao- 
lo IV  nel  1  "»  m)  ni  latto  governa- 
tore di  Borgo  il  ve>covo  di  Terra* 
dna,  ch'era   allora    Ottavi 

vera  milanese;    che   per   morte  di 

Pio  IV  nel  1  565  fi]  LètlO  -  v.i- 
ii  itora  di  1  I  vescovo  d'  (aio- 
là Francesco  Adorno  ì\a  Città  di  I 
stello;  per  quella  di  Gregorio  \III 
nel  1  >8 5  fu  elette»  Kovei oatoi <■  di 
raor  Lorenso  Gbislic 
n  clic  giuro 


3  f  o  G  O  V 

Nei  conclavi  per  le  elezioni  di 
Urbano  VII  e  di  Gregorio  XIV 
nell'  anno  i5o,o  ,  fu  governatore 
Ottavio  Bandini  presidente  della 
Marca,  col  titolo  di  prefetto  del  con- 
clave e  della  Città  Leonina,  indi 
cardinale;  in  quelli  d'  Innocenzo 
IX  nel  i5c)i,  e  di  Clemente  Vili 
nel  1592,  fu  governatore  monsi- 
gnor Alfonso  Visconti  milanese  ve- 
scovo di  Cervia ,  destinato  nunzio 
nella  Spagna,  poi  cardinale  :  nel 
Gattico  il  Visconti  è  chiamato  le- 
gatili Burgì,  che  fu  eletto  per  se- 
creti suffragi,  e  che  giurò  nelle  ma- 
ni del  cardinal  decano,  come  giu- 
rarono monsignor  arcivescovo  di 
Avignone  vice-camerlengo,  Dandi- 
ni  protónotario,  e  Bandini  referen- 
dario; in  quello  di  Leone  XI  nel 
i6o5,  fu  governatore  monsignor  O- 
razio  Spinola  arcivescovo  di  Geno- 
va, poi  cardinale;  in  quello  di  Pao- 
lo V  nel  i6o5,  restò  eletto  gover- 
natore monsignor  Alessando  Burgi 
vescovo  di  Borgo  s.  Sepolcro  ;  in 
quello  di  Gregorio  XV  divenne  go- 
vernatore monsignor  Varese;  in  quel- 
lo di  Alessandro  VII  nel  i655,  fu 
eletto  governatore  del  conclave  Gio. 
Battista  Brescia;  in  quello  di  Cle- 
mente IX  nel  1667,  fu  governato- 
re monsignor  Girolamo  Casanata 
segretario  di  propaganda,  poi  car- 
dinale; in  quello  di  Clemente  X 
nel  1670,  fu  prescelto  a  guberna- 
tor  Burgi  et  conclavis  monsignor 
Camillo  Massimi  patriarca  di  Ge- 
rusalemme, poi  cardinale  ;  in  quel- 
lo d'Innocenzo  XI  nel  1676,  mon- 
signor Domenico  Maria  Corsi  chie- 
rico di  camera,  venne  fatto  gover- 
natore, poi  cardinale:  in  quello  di 
Alessandro  Vili  nel  1689,  fu  fatto 
governatore  monsignor  Girolamo 
Cusani,  zio  del  principe  d.  Livio 
Odescalchi,  ch'era  nipote  del  Papa 


GOV 

defunto,  essendo  preferito  colla  plu- 
ralità de'  voti  nella  congregazione 
de'  cardinali  a  monsignor  Lorenzo 
Corsini,  poi  cardinale  e  Pontefice 
Clemente  XII;  in  quello  d'Inno- 
cenzo XII  nel  1691  ,  venne  eletto 
governatore  monsignor  Paravicini 
chierico  di  camera  ;  in  quello  d'In- 
nocenzo XIII  nel  1721  ,  fu  gover- 
natore monsignor  Bartolomeo  Ru- 
spoli  protónotario,  poi  cardinale; 
iu  quello  di  Benedetto  XIII  nel 
1724»  f"  eletto  governatore  mon- 
signor Maffeo  Farsetti  protónota- 
rio apostolico  veneziano,  che  ne' vo- 
ti restò  superiore  a  monsignor  Ca- 
soni proposto  a  tale  uffizio;  ed  in 
quello  di  Clemente  XII  nel  1730, 
fu  prescelto  a  governatore  di  Bor- 
go e  del  conclave  monsignor  Gio. 
Battista  Alberti  cremonese  arcive- 
scovo di  Palmira.  Ma  Clemente  XII 
nel  1732  destinò  in  perpetuo  go- 
vernatore del  conclave  il  prelato 
Maggiordomo  [Vedi),  al  quale  ar- 
ticolo parleremo  di  quelli  che  ne 
disimpegnarono  I'  onorevole  incari- 
co, assoggettando  anche  in  tempo 
di  conclave  e  sede  vacante  la  giu- 
risdizione della  Città  Leonina  o  Bor- 
go, a  monsignor  governatore  di  Ro- 
ma.  Perciò  primo  maggiordomo  go- 
vernatore di  conclave  fu  monsignor 
Girolamo  Colonna;  e  primo  gover- 
natore di  Roma,  che  come  vice-go- 
vernatore di  Borgo  esercitò  su  que- 
sto la  giurisdizione  in  sede  vacan- 
te, fu  monsignor  Bondelmonte,  cioè 
nel  1740  in  morte  dello  stesso  Cle- 
mente XII. 

Il  prelato  governatore  del  con- 
clave e  di  Borgo  si  eleggeva  per 
voti  segreti  dai  cardinali,  nella  pri- 
ma congregazione  generale  temila 
in  sede  vacante,  e  di  questo  go- 
vernatore ne  parla  il  p.  Gallico, 
Ada  caerem.  p.   317.  Pio  IV  nel 


GOV 

i  "ili 2,  con  la  bolla  In  eligendo, 
dichiarò  l'incarico  del  governatore 
del  conclave,  e  Clemente  XII  con 
la  bolla  jiposlolalus  ,  assegnò 
mille  scudi  al  mese  al  maggior- 
domo  governatore,  con  l'obbligo 
d'imbandire  ogni  giorno  la  mensa 
ai  prelati  ed  altri  custodi  delle 
ruote  del  Conclave  {Vedi)  de'qua- 
li  a  quell'articolo  si  tratta.  Ivi  si 
dice  pure,  che  il  governatore  del 
conclave  e  di  Borgo,  in  seguo  di 
giurisdizione,  faceva  alzare  in  sede 
vacante  sulla  piazza  vaticana  una 
trave  colla  corda  e  le  forche  ;  do- 
ve nel  Vaticano  avea  l'abitazione, 
guardata  dai  propri  alabardieri 
con  casacche  paonazze;  del  giura- 
mento che  il  maggiordomo  go- 
vernatore fa  ai  cardinali;  del- 
la chiusura  che  egli  fa  del  con- 
clave, e  dell'apertura  delle  ruote, 


OOV  3n 

Je  cui   ci  todisce;    delle  me- 

daglie che  la  coniare,  con  le  (piali 
si  ammettono  le  persone  al  concla- 
ve, privilegio  che  godono  anche  al- 
tri, incidendosi  in  esse:  Pai.  .1 
sioli<  i  Praefecàu  et  conclavi»  Cu- 
bcrnator.  Si  dice  ancora  come  il 
maggiordomo  governatore  incontra 
gli  ambasciatori  che  si  recano  al 
conclave  ;  e  che  appena  eletto  il 
nuovo  Papa,  dopo  l'apertura  del 
conclave,  i  primi  a  venerarlo  fra 
gli  esterni  sono  il  governatore  del 
conclave,  ed  il  Maresciallo  del  con- 
clave. In  altri  luoghi  si  è  detto  co- 
me al  governatore  di  Borgo  e  del 
conclave  ,  ne'  funerali  novendiali 
che  si  celebrano  nella  basilica  vati- 
cana, in  cappella  siedeva  alla  testa 
della  prelatura,  e  per  distinzione 
alla  distribuzione  della  cera  riceve  i 
una  torcia. 


fim:  del  volume  trigesimoprimo. 


L  0  b  U  /  o 


/ 


BX  841  .M67  1840 

SriCR 

Norcini  ,  Gaetano. 

1802-1883. 
Dizionario  di  erudizione 

storico-ecclesiastica 
AFK-9455  (awsk)