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Full text of "Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni. Compilazione di Gaetano Moroni romano"

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DIZIONARIO 

DI  EBUDIZIONE 

STORICO-ECCLESIASTICA 

DA  S.  PIETRO  SINO  Al  NOSTRI  GIORNI 

SPECIALMENTE     INTORNO 

ÀI  PRINCIPALI  SAHTI,  BEATI,  MARTIRI,  PADRI,  AI  SOMMI  PONTEFICI,  CARDINALI 
E  PIÙ  CELEBRI  SCRITTORI  ECCLESIASTICI,  AI  VARII  GRADI  DELLA  GERARCHIA 
DELLA  CHIESA  CATTOLICA  ,  ALLE  CITTA  PATRIARCALI  ,  ARCIVESCOVILI  E 
VESCOVILI,  AGLI  SCISMI,  ALLE  ERESIE,  AI  CONCILII  ,  ALLE  FESTE  PIÒ  SOLENNI^ 
AI  RITI,  ALLE  CEREMONIE  SACRE,  ALLE  CAPPELLE  PAPALI  ,  CARDINALIZIE  E 
PRELATIZIE,  AGLI  ORDINI  RELIGIOSI,  MILITARI,  EQUESTRI  ED  OSPITALIERI,  NOI» 
CHE    ALLA    CORTE   E  CURIA   ROMANA    ED  ALLA  FAMIGLIA     PONTIFICIA,  EC.    EC.    ECi 

COMPILAZIONE 

DEL  CAVALIERE  GAETANO  MOROJNI  ROMANO 

SECONDO  AIUTANTE  DI  CAMERA 

DI   SUA   SANTITÀ  PIO   IX. 


VOL    XLIV.  . 


IN     VENEZIA 

DALLA      TIPOGRAFIA      EMILIANA 
MD  CGCXL  VU. 


•V  A       »        » 


DIZIONARIO 


DI  EBUDIZIOKE 


STORICO-ECCLESIASTICA 


m 


MAU 


M- 


[AUfìlZIO  e  LAZZARO  (ss.). 
Ordine  militare  ed  equestre,  e  sa- 
cra religione.  La  primaria  istituzio- 
ne deli'  ordine  di  s.  Maurizio  si 
deve  ad  Amedeo  Vili  prima  duca 
di  Savoia,  il  quale  dopo  essere  sta- 
to l'ammirazione  di  Europa  per 
giustizia  e  prudenza,  infastidilo  delle 
cose  mondane,  e  conosciute  da  lui 
come  ombra  che  passa  e  fumo  che 
svanisce  tutte  le  grandezze  umane, 
rinunziò  il  governo  de' suoi  stati  al 
primogenito  eoo  titolo  di  luogote- 
nente, e  si  ritirò  a'  i6  ottobre,  o 
a'7  novembre  i434  nel  romitaggio 
di  Ripaglia,  presso  Thonon  ed  il 
lago  di  Ginevra,  riservando  a  sé  ed 
ai  consiglieri  che  seco  condusse  nel- 
l'eremo, la  soluzione  delle  più  gra- 
vi questioni  di  slato,  tutti  come  lui 
vedovi  ed  avanzati  negli  anni.  Ivi 
il  duca  appresso  il  monastero  era- 
si fatto  edificare  tante  case,  quanti 
ei*ano  i  consiglieri,  ove  ciascuno  vi- 
veva in  comode  stanze  co' suoi  fa- 
migli ;  ed  olire  la  chiesa  dei  mo- 


MAU 


nastero  avea  il  duca  nel  suo  palaz- 
zo una  cappella  ed  una  libreria. 
In  questa  solitudine,  con  sette  si- 
gnori primari,  meglio  altri  dicono 
cinque  gentiluomini  e  consiglieri  di 
sua  corte,  istituì  l'ordine  dei  romiti 
di  s.  Maurizio,  in  onore  del  marti- 
re di  tal  nome,  protettore  della  na- 
zione savoiarda,  capitano  e  capo 
della  legione  tebana, anch'essa  mar- 
tirizzata nel  286  presso  Agauno  e 
Teruade  sotto  Massimiano,  a  20 
leghe  circa  dal  lago  di  Ginevra,  ed 
a  6  o  7  dalla  punta  del  lago  Le- 
mauo  tra  il  Vallese,  la  Savoia  ed 
il  cantone  di  Berna.  Tuttora  il 
santo  è  in  gran  venerazione  nel 
Vallese,  e  da  lui  Ternade  prese  il 
nome  di  s.  Maurizio,  in  onore  del 
quale  il  re  di  Borgogna  s.  Sigis- 
mondo eresse  chiesa  e  monastero, 
ove  riposarono  le  reliquie  di  s. 
Maurizio  sino  al  iSgo,  in  cui  la 
pietà  di  Carlo  Emmanuele  duca  di 
Savoia  ottenne  la  metà  del  sacro 
corpo,  insieme  colla  spada  del  san- 


6  M  A  U 

to,    e  le    alloga    con    gran    pompa 
nella    calledinle    di    Tonno,    e    ciò 
per  aver   riportalo   nel   di   della   fe- 
sta del  santo,  vittoria  contro  i  berne- 
si  e  ginevrini,    fedi  l'articolo  Mau- 
rizio   (s.);    Baldesano,    L,a     sacra 
istoria  di  s.  Maurizio  della  legione 
Tebea    e   de' suoi   valorosi  campio- 
ni,   Torino    i6o4;  ed  il  p.  d.   Giu- 
seppe   de  r  Isle  abbate    benedettino 
di  s.  Leopoldo  di  Nancy,  nella  sua 
Difesa  della  verità  del  martirio  del- 
la legione   Tebea,    altrimenti    di  s. 
Maurizio  e  compagni,  Nancy    1741- 
Gli    istorici    vogliono    che    l' abi- 
to   adottalo    da    Amedeo   Vili   fos- 
se una    specie    di    saione    con    suo 
cappuccio    color    di    cenere,     aven- 
te le  maniche  larghissime  di   cam- 
mellotto   rosso,  ed    una  cintura    di 
oro,    e    sopravi    un    mantello   colia 
croce  da  un   lato  di  taffetà   bianco, 
ornata    di    pometti    alle    estremità, 
dicendo  altri  che  egli  sottopose  l'or- 
dine   alla    regola    di     s.    Agostino. 
Secondo    altre    notizie    l' abito   del 
duca    e    de'  cavalieri  era    di   panno 
grigio   di    Malines    o  di    Rohan,  e 
cosi     pure     il     cappuccio  ;     aveano 
mantelli    dello    stesso    colore,     con 
pellicce  di  martora  zibellina   il   du- 
ca, e  con  pellicce  nere  della  Roma- 
gna   i  cavalieri.    Portavano    lunghi 
capelli    e    lunga  barba,    un    basto- 
iie  ricurvo  in   mano,  ed    una   croce 
(d'oro  appesa  al  collo,  ed  era  la  cro- 
ce   trifogliata    di    s.   Maurizio.    Del 
resto  facevano  vita  romita,  ed   ogni 
giorno  davano  ricovero  ed  elemosi- 
na   a  tredici   poveri.  Il  duca   ebbe 
per  fine  nel!'  istituire  l'  ordine  dei 
romiti  di  s.    Maurizio,    di  scegliere 
tra    i    ministri    più    consumati    nei 
maneggi  di  stato,  che  niuno  impe- 
dimento   ritenesse  nel    secoloj    una 
Religiosa  milizia,  che  mentre  servi- 
'fti  a    pio  nella  soliludipe,    servisse 


MAU 

al   principe,  non  con  opere  di  P!<er- 
cizio  attivo,  ma  coi  consigli  di    sua 
matura  esperienza.    Alcurn   anni  do- 
po i  padri  del    conciliabolo  di   Ba- 
silea, contro  Eugenio   IV,  a'  5  no- 
vembre   i439>  ^val\\  dalla  fama   di 
sue  virtù  e  di  sua  gran    mente,  e- 
lessero  antipapa  Amedeo  Vili,  che 
accettando  per    obbedienza  prese  il 
nome    di  Felice   F  {Vedi),  quando 
ripugnante    diede  il  suo  assenso  in 
Ripaglia    a'  aS     dicembre,     indi    si 
portò  a  Thonon  capitale  del   Chia- 
blese.  Dipoi  conosciuto  l'errore,  ve- 
dendosi da  pochi  riconosciuto,  e  per 
amor    della    pace  della  Chiesa,    ri- 
nunziò a' 9  aprile    i449  l' antipon- 
tificato, e  Nicolò  V  in  premio  ap- 
provò le  cose  da  lui   fatte,  e  lo  di- 
chiarò cardinal  vescovo  e  decano  del 
sacro  collegio,  e  legato  a  late.re  con 
diverse  distinte    prerogative.     Mori 
santamente  a' 7   gennaio    i45i,   nel 
convento    de'  domenicani     in    Gine- 
vra, e  fu  sepolto  in  mezzo  al  coro 
di    Ripaglia,  da   dove  fu    trasferito 
nella  cattedrale  di  Losanna,  sebbe- 
ne   alcuni    scrissero    a  Torino,  ove 
realmente  più  tardi  venne  trasporta- 
\.o,  essendo  collocate  le  sue  ossa  nella 
cappella  del  ss.  Sudario, 'in  cui  la 
munificenza    del    re    Carlo  Alberto 
gli   ha  eretto  un    magnifico  monu- 
mento.   La  sua   tomba  di    Ripaglia 
venne  distrutta  dai   bernesi  iu    una 
invasione  del  Chiablese  :    ivi    è    fa- 
ma   che  Dio  illustrasse    il   sepolcro 
con  molti  miracoli. 

Il  p.  Bouatini  nel  Catalogo  degli 
ordini  militari  p.  78,  nel  riportare  la 
figura  del  cavaliere  de'ss.  Maurizio  e 
Lazzaro,  narra  che  alcuni  fanno  in- 
cominciar l'ordine  dopo  che  Amedeo 
Vili  rinunziò  all'antiponlificato,  e  si 
ritirò  nel  monastero  di  s.  Maurizio 
sul  Rodano  nel  borgo  di  Agauno, 
con  diversi  nobih  .  Si  vuole  inoltre, 


MAU 

che  questo  ordine  altro  propriamente 
non  fosse,  che  una  compagnia  di 
laici  investiti  di  certi  privilegi  ed 
onori,  ed  obbligati  a  certi  doveri 
comuni,  piuttosto  che  una  specie  di 
milizia  da  combattere  contro  gl'in- 
fedeli; e  siccome  Amedeo  Vili  ab- 
bandonò la  solitudine  divenuto  Fe- 
lice V,  lo  seguirono  i  cavalieri  di 
8.  Maurizio,  uè  pare  che  la  mili- 
zia si  continuasse,  per  cui  viene 
riguardato  come  vero  istitutore  del- 
l'ordine  di  s.  Maurizio,  Emma- 
nuele  Filiberto  duca  di  Savoia,  il 
tjuale  volle  fondarlo  o  ripristinarlo 
affine  di  esercitare  1'  ospitalità,  di 
purgare  i  mari  dai  pirati,  combatte- 
re gl'infedeli,  e  di  opporlo  eziandio 
ai  luterani  e  calvinisti,  che  a'  suoi 
tempi  minacciavano  di  trarre  in 
pericolo  le  cose  della  fede  cattolica 
in  Italia,  con  altre  leggi  e  con  altro 
fine,  ed  ancora  per  avere  una  mi- 
lizia nobile,  onorata  ed  eletta,  che 
non  solo  per  obbligo  di  suddita,  ma 
per  voto  di  religione  gli  fosse  di- 
vola, ed  a  cui  potesse  distribuire 
ricompense,  senza  troppa  spesa  del- 
l'erario.  Gregorio  XIII  a  preghie- 
ra di  monsignor  Vincenzo  Parpaglia 
abbate  di-  Solutore  e  ambasciatore 
in  Roma  di  tal  duca,  confermò  l'or- 
dine de'  cavalieri  di  s.  Maurizio, 
colla  bolla  Christiani  populi,  de'  i6 
settembre  «572,  Bull.  Rom.  t.  IV, 
par.  Ili,  p.  2  36,  nella  quale  non 
fece  parola  del  suo  primitivo  fon- 
datore per  essere  stato  antipapa, 
bensì  lo  dichiarò  nuovamente  isti- 
tuito, forse  già  interamente  estinto, 
come  a  detto  anno  osserva  lo  Spon- 
dan(»,  o  che  l'ordine  ideato  da  A- 
medeo  Vili  fosse  solo  a  favore  dei 
selle  cortigiani  che  lo  avevano  se- 
guilo in  Ripaglia,  o  a!  piìi  per  la 
sola  Savoia,  e  non  per  tutte  le  na- 
zioni,    come     lo    permise  Gregorio 


MAU  7 

XIIT,  ma  colla  condizione  che  la 
sede  principale  fosse  nel  dominio  di 
Savoia,  con  facoltà  di  ammettervi  i 
nobili  o  per  preclara  virtù  famosi  in 
qualsivoglia  parte  del  mondo,  e  di 
fondar  priorati  e    commende. 

Passati  due  mesi,  il  duca  Emma- 
nuele  Filiberto  supplicò  il  medesimo 
Pontefice  ad  unire  all'  ordine  di  s, 
Maurizio  quello  gerosolimitano  ed 
equestre  di  s.  Lazzaro  [Vedi),  ciò 
che  effettuò  Gregorio  XUI  col  con- 
senso del  gran  maestro  di  s.  Lazzaro 
Giannotto  Castiglioni,  dopo  la  morte 
del  quale,  colla  bolla  Pro  commissa, 
de'i3  novembre  i572,loc.  cit.  p.  289, 
stabilì  l'ordine  militare  e  religioso, 
dichiarando  il  duca  di  Savoia  ed  i 
suoi  successori  perpetui  gran  maestri 
dei  due  ordini  e  cavalieri  riuniti.  Tra 
le  condizioni  prescritte  nella  conces- 
sione di  Gregorio  XIII  al  nuovo 
ordine,  vi  furono  quelle  di  osserva- 
re la  regola  di  s.  Benedetto  della 
congregazione  Cislerciense  [Vedi); 
che  il  duca  assegnasse  all'ordine 
un  fondo  di  quindicimila  scudi  di 
rendita  sopra  i  suoi  dominii;  di  com- 
battere i  nemici  della  Stàe  aposto- 
lica, e  di  tener  pronte  due  galere 
ad  ogni  richiesta  dei  Papi  ;  ma  do- 
po la  riunione  dell'ordine,  a  peti- 
zione fu  posto  invece  sotto  la  re- 
gola di  fi.  Agostino  [Vedi),  ch'era 
piu'e  quella  sotto  cui  viveano  i  ca- 
valieri romiti  di  Amedeo  Vili.  Nel 
seguente  gennaio  Gregorio  XI  II 
mandò  con  un  l>i'eve  de'  i5  gen- 
naio a  portar  l' abito  e  la  croce 
dell'ordine  riunito  de' ss.  Maurizio 
e  Lazzaro  al  gran  maestro  Emma- 
nuele  Filiberto,  il  nipote  di  s.  Pio 
V,  Michele  Bonelli,  stabilendo  che 
il  primo  titolo  fosse  milizia  di  s. 
Maurizio,  e  che  si  dasse  il  primo 
luogo  nella  croce  a  quella  verde  di 
s.    Lazzaro    biforcata,    servendo    di 


B  MAU 

niggio  la  bianca  e  trifogliata  di  s, 
Maurizio,  quali  secondo  l'arte  do- 
veano  avere  contraria  disposizione. 
Commise  al  duca  e  gran  maestri 
successori  portarne  le  insegne,  ed  ai 
cavalieri  ai  quali  giudicheranno  di- 
spensarla a  lode  di  Dio,  a  propaga- 
zione della  fede  cattolica,  e  ad  esal- 
tazione della  santa  Sede.  L'ordine 
di  s.  Lazzaro  istituito  al  tempo  di 
Benedetto  IX  o  almeno  a  quello 
della  prima  crociata  in  Gerusalem- 
me, fuori  di  quella  città  ebbe  chie- 
sa ed  ospedale  de'  lebbrosi  (di  sif- 
fatti ospedali  parlammo  all'  artico- 
lo Lazzaretto  ),  poi  i  cavalieri 
combattevano  ad  un  tempo  i  sara- 
ceni, ed  assistevano  i  lebbrosi  ;  ed 
ebbero  cappellani,  frati  servienti,  e 
laici  a  guisa  di  terziari.  Si  propa- 
gò l'ordine  in  Francia,  Inghilterra, 
Sicilia,  ed  altri  luoghi,  per  tutto  pro- 
letto e  beneficato  dai  sovrani,  in  pre- 
mio de'pietosi  ospizi,  lazzaretti  e  leb- 
broserie  da  esso  istituite,  oltre  i  dona- 
tivi e  privilegi  ch'ebbe  sin  dall'ori- 
gine dai  re  di  Gerusalemme  e  princi- 
pi di  Palestina  e  Siria  per  le  sue  be- 
nemerenze, avendo  la  regina  Meli- 
senda  fondato  un  monastero  di  mona- 
che in  Betania,  patria  di  s.  Lazzaro 
risuscitato,  patrono  di  questi  religio- 
si e  militari,  benché  altri  crederono 
fosse  sfato  quel  Lazzaro  mendico  e 
pieno  di  piaghe,  che  aspettava  inu- 
tilmente la  limosina  alla  porla  del 
ricco  Epulone,  e  che  fu  dopo  morto 
portato  nel  seno  di  Abramo.  Tra  gli 
altri  privilegi  fu  attribuito  all'ordi- 
ne quello  di  occupar  i  beni  de'leb- 
brosi,  che  non  rattenuto  fra'  limili 
ragionevoli,  fu  principal  causa  del- 
le tempeste  su.scitate  confro  all'  or- 
dine, ed  in  fine  del  suo  decadi- 
mento ,  poiché  i  cavalieri  appena 
adocchiavano  un  uomo  ricco  con 
qualche   macchia  o  pustola  sul  viso, 


MAU 

lo  giudicavano  infetto  di  lebbra, 
o  transigevano  con  esso  per  annuo 
censo  perpetuo;  ciò  produsse  cla- 
mori, risse  e  scandali. 

All'ordine  di  s.Lazzaroconfermaro- 
no  le  donazioni  e  privilegi,  e  ne  con- 
cessero molti  con  indulgenze,  immu- 
nità ed  esenzioni  chericali,  siccome 
considerato  per  vera  religione, i  Pon- 
tefici Benedetto  IX,  Urbano  11,  Pa- 
squale 1 1,  Gregorio  I X,  A  lessandro  1 V, 
e  massime  Clemente  IV,  che  comandò 
fossero  consegnati  ai  cavalieri  tutti 
i  lebbrosi  coi  loro  beni.  Di  poi 
Giovanni  XXII  nel  i3i8  esentò 
l'ordine  dalla  giurisdizione  de' ve- 
scovi, dichiarandolo  soggetto  imme- 
diatamente alla  santa  Sede,  ciò  che 
confermò  Nicolò  V  ed  altri  Papi. 
Sisto  IV  riunì  l'ordine  al  Geroso- 
limitano (f^edi),  lo  che  meglio  fece 
Innocenzo  Vili  ;  ma  i  cavalieri  ri- 
pugnando all'  unione,  dopo  il  con- 
cilio   di    Trento  ottennero    da  Pio 

IV  la  separazione.  Egli  ne  fu  be- 
neficentissimo  restauratore,  e  di- 
chiarò che  lo  scopo  dell'  ordine  di 
s.  Lazzaro  era  servire  i  lebbrosi  e 
combattere  gì'  infedeli  e  gli  eretici. 
Tanto  fu  largo  nelle  amplissime 
grazie  che    gli  accordò,  che    s.   Pio 

V  ne  temperò  e  restrinse  i  limiti, 
dichiarando  che  i  cavalieri  erano 
tenuti  a  combattere  qualunque  ne- 
rnico  o  ribelle  della  santa  Sede  o- 
gni  qual  volta  ne  fosse  ricercato  : 
r  elezione  del  gran  maestro  venne 
confermata  a'  cavalieri  sotto  la  ri- 
serva dell'  approvazione  pontificia, 
colla  condizione  che  l' ordine  aves- 
se sede  fissa,  e  vi  risiedesse  il  gran 
maestro,  che  essendo  allora  Gian- 
notto Castiglionij  questi  mutò  la 
croce  verde  piena  di  s.  Lazzaro 
in  croce  biforcata  a  otto  punte  deilq 
stesso  colore,  e  statuì  che  ninno 
potesse    portar    la     croce    nuova  a 


M  A  U  M  A  U  9 
mano  manca,  meno  che  non  prò-  <line  i  benefizi  di  ventisei  cliiese  po- 
vasse  quattro  quarti  di  nobiltà,  ste  in  Piemonte,  in  Savoia  e  nella 
Quindi  a' i3  gennaio  iSyi  tal  contea  di  Nizza,  erigendoli  in  com- 
gran  maestro,  vedendo  che  l'ordine  mende.  Dopo  che  Emmanuele  Fi- 
asca bisogno  di  potente  mano  per  liberto  avea  ottenuto  la  riunione 
sostenerlo,  si  portò  in  Vercelli  e  dell'  ordine  di  s.  Lazzaro  a  quella 
ne  fece  spontanea  rinuncia  al  duca  di  s.  Maurizio,  fece  aprire  qualche 
Emmanuele  Filiberto,  e  poco  dopo  trattativa  col  gran  maestro  Salviati, 
ivi  mori  ;  laonde  1'  unione  con  gran  maestro  dell'ordine  di  s.  Laz- 
quello  di  s.  Maurizio,  trattata  con  s.  zaro  in  Francia,  onde  s'inducesse 
Pio  V,  l'effettuò  come  abbiamo  detto  a  fargliene  la  cessione  ;  ciò  non  eb- 
Gregorio  XIII,  il  quale  dichiarò  che  be  ellètto,  e  poi  il  gran  maestro  di 
l'unione  s'intenda  egualmente  dalle  Francia,  Filiberto  di  Nerestang  o 
due  parli  principali,  facoltizzando  Nerretano,  ottenne  in  Roma  da 
il  gran  maestro  Emmanuele  Fili-  Paolo  V  una  riforma  dell'ordine 
berto  a  pigliar  pos.sesso  di  tutto  ciò  con  nuove  insegne,  nuovo  titolo  està- 
che  apparteneva  all'ordine  di  s.  luto,  riunendolo  in  vece  a  quello  di 
Lazzaro,  tranne  le  chiese  unil«i  ad  s.  Maria  del  Carmine.  Di  tutto  par- 
altre,  ed  i  beni  esistenti  nella  Spa-  lairimo  a  Carmelo  e  al  citato  ar- 
gna  ;  e  che  1'  ordine  come  milita-  ticolo  s.  Lazzaro.  Veggasi  Sibert, 
re  ed  ospitaliere,  avesse  l' obbligo  Histoire  des  ordre.t  rnyaux  hospila- 
di  ricoverare  e  curare  i  lebbrosi.  lìers  mililaires  de  Notre-Dame  du 
Il  duca  dopo  la  riunione  de'due  Mont-Carmel,  et  s,  Lazare  de  /e- 
ordini,  tenne  in  Nizza  un  capitolo  di  vusalem,  Paris  1772. 
lutti  i  cavalieri  de' ss.  Mainizio  e  Nel  1619  CarloEmmanuele  I  du- 
Lazzaro,  fondò  per  essi  due  case  ca  di  Savoia,  secondo  gran  maestro 
conventuali  con  ospedali, una  in  Nizza  dell'ordine^  volendo  che  la  croce  di 
pel  servizio  di  maie,  l'altra  in  To-  s.  Maurizio  prevalesse  a  quella  di  s. 
rino  pel  servizio  di  terra,  per  Io  che  Lazzaro,  e  riducendola  a  minor  di- 
divennero le  case  principali  del-  mensione,  stabilì  che  la  croce  di 
l'ordine,  con  l'osservanza  della  vita  decorazione  da  portarsi  dai  cavalle» 
comune,  e  diede  loro  la  detta  regola  ri  fosse  bianca,  avente  all' estremi- 
monastica.  In  osservanza  di  questa,  tà  alcuni  pometti,  con  liste  agli 
i  cavalieri  de' ss.  Maurizio  e  Laz/a-  orli  di  color  verde,  per  alludere 
ro,  secondo  il  decretato  da  Grego-  così  all' oi dine  annesso  di  s.  Lazza- 
rio  XIll,  sono  obbligali  ai  voti  di  ro  ;  la  croce  allora  si  portava  in 
povertà,  obbedienza  e  castità  coniu-  seta,  cucita  sopra  l'abito,  ma  col 
gale;  inoltre  devono  combattere  per  tempo  si  usò  portarla  solamente  a 
la  fede  cattolica,  quando  il  bisogno  smalto  su  oro.  I  cavalieri  però  non 
lo  richiedesse,  e  non  possono  preu-  si  diedero  troppo  pensiero  di  ese- 
dere che  una  moglie  e  vergine.  Cle-  guire  tale  decreto,  per  cui  la  du- 
mente  Vili  nel  iGo3  concesse  a  chessa  Cristina  di  Francia,  vedova 
questi  cavalieri  nuovamente  la  fa-  di  Vittorio  Amedeo  I,  e  tutrice  di 
colta  di  possedere  benefizi  ecclesia-  Car)o  Emmanuele  li  suo  figliOj 
stici,  ed  anche  pensioni  tratte  dai  be-  noii  solo  li  costrinse  ad  uniformar- 
nefizi,  sino  alla  somma  di  scudi  (jiiat-  visi,  ma  comandò  ancora,  che  la 
trocento  ;   indi  nel   iGo4   «ini  ali'ur-  q'Qcp  fosse    qnifortne  di    una  certa 


IO  ]\T  A  U 

assegnala  grandezza,  proibendo  ai 
ciiierioi  e  cappellani  religiosi  del- 
l'ordine il  portarla  d'oro  snjaltato 
in  bianco,  come  la  usavano  i  cava- 
lieri laici,  volendo  che  l'avessero 
di  lana  bianca  e  verde,  cucita  sui 
loro  mantelli,  e  non  in  petto,  ove  so- 
levano tenerla  questi  ultimi,  pendente 
da  uìì  nastro  di  seta  verde,  a  riserva 
de'  preti  che  fossero  cavalieri  di  giu- 
stizia. Aveva  Carlo  Emmanuele  1  e- 
rctto  in  Thonon  la  santa  casa  di 
Wostra  Signora  di  Compassione,  che 
fu  insieme  collegio  e  missione,  per- 
chè i  sacerdoti  ammaestrassero  la 
gioventù  nella  pietà  e  negli  studi, 
e  combattessero  le  false  dottrine 
de'settari;  indi  ne  alììdò  la  direzio- 
ne ai  cavalieri  de' ss.  Maurizio  e 
Lazzaro,  entrando  ciò  nel  fine  della 
sacra  milizia  :  questo  istituto  ebbe 
a  prefetti  s.  Francesco  di  Sales 
ed  il  celebre  cardinal  Gerdil.  Dipoi 
alla  santa  casa  di  Thonon  la  du- 
chessa reggente  Maria  Giovanna 
Battista,  vi  apri  un  rifugio  ai  con- 
vcrtiti delle  valli  di  Lucerna  e  di 
Angrogna  ,  e  deputò  a  vegliarvi  il 
grande  ospitaliere  ed  il  grande 
conservatore  dell'ordine.  Nel  1729 
il  re  Vittorio  Amedeo  li  concesse 
a  questo  la  basilica  di  s.  Paolo 
in  Torino  ,  degna  dello  splendore 
della  sacra  milizia;  la  qual  basili- 
ca magistrale,  ricca  già  di  colonne 
di  marmo  e  pitture,  fu  da  ultimo 
decorata  di  nobile  facciata  in  pie- 
tra, non  che  restaurata  la  sua  cu- 
pola ardita  e  svelta. 

Nel  riunire  Gregorio  XIII  i  due 
ordini  de'  ss.  Maurizio  e  Lazzaro, 
gli  confermò  la  facoltà  da  Pio  IV 
concessa  al  secondo,  cioè  di  conver- 
tire in  commenda  i  benefizi  sem- 
plici e  di  giuspatronalo  nel  Piemon- 
te ;  ma  riuscendo  malagevole  que- 
sta   conversione  ,     per     la   difllcoltà 


MAU 

di  rintracciare  i  diritti  di  ciascun 
benefizio  ,  Benedetto  XIV  mosso 
dalle  istanze  del  re  di  Sardegna, 
duca  di  Savoia  Carlo  Emmanue- 
le HI,  colla  costituzione  Fructuosa 
inilitarium,  de'  1 3  agosto  1 744  > 
presso  il  Bull.  Maga.  l.  XVI,  p. 
218,  permise  clie  dal  nunzio  della 
santa  Sede  in  Torino,  insieme  con 
quell'arcivescovo  e  col  vescovo  nel- 
la cui  diocesi  esiste  il  beneficio, 
senza  ricorrere  a  Roma  si  esami- 
nassero i  diritti  di  quelli  che  si 
dovevano  convertire  in  commende. 
Piacque  molto  al  re  questa  conces- 
sione, e  per  dimostrare  eziandio  la 
gratitudine  e  la  stima  che  avea 
per  Benedetto  XIV  ,  sul  fine  del 
1757  conferì  la  croce  de' ss.  Mau- 
rizio e  Lazzaro  a  d.  Giovanni  Lam- 
beitini  pi-onipote  del  Papa,  con  una 
commenda  esistente  in  Civitaveq- 
chia,  della  quale  inoltre  accordò  il 
padronato  alla  casa  Lambertini, 
creando  d.  Giovanni  grancroce  del- 
l'ordine e  perpetuo  gran  priore  di 
esso  in  Roma,  con  pensione  annua 
di  scudi  duemila  dal  tesoro  del- 
l'ordine, e  con  croce  di  brillanti 
del  valore  di  scudi  seimila.  Quin- 
di il  re  pregò-  Benedetto  XIV  a 
dare  l'abito  e  la  croce  dell'ordine 
al  pronipote,  ciò  che  eseguì  solenne- 
mente nel  dì  dell'Epifania,  con  quelle 
cerimonie  che  si  leggono  nel  n.  "  632  i 
del  Diario  di  Roma  1758.  Nel 
I7?8  fu  ceduto  all'ordine  dal  re- 
gio demanio  e  dalla  mensa  vesco- 
vile d'Iglesias,  l'utile  dominio  della 
penisola  di  s.  Antioco,  allora  incol- 
ta e  deserta  ;  onde  per  le  cure  dei 
cavalieri  sursero  i  villaggi  di  s.  An- 
tioco e  di  Calasetta,  e  la  fornì  di 
abitatori,  che  giung(mo  a  piìi  di 
3ooo,  e  di  messi,  non  che  di  par- 
rocchie. Tornandosi  a  parlare  di 
lebbrosi,   il   re  \'itlorio   Amedeo  HI 


MAU 
nel    1773  colle  rendite  della   prevo- 
sluia    del  gran    s.  Bernardo,    fece 
aprire  un    nuovo  ospedale     in    Ao- 
sta, collocandovi     lebbrosi     ed  altri 
intermi   di    morbo  appiccaticcio.  Di- 
poi il  re  Vittorio   Amedeo  III    per 
mezzo  del   suo    ministro    in    Roma 
conte  di  Valperga,   rimise  a   monsi- 
gnor Braschi   poi    cardinale,   nipote 
di  Pio  VI,  l'abito  e  lii    croce  del- 
l'ordine in  brillanti,  con  commenda 
di    scudi     2200.     Il   Papa     fece     la 
ftmzione    dell'imposizione  dell'abi- 
to e  croce    alla  presenza  de'  cardi- 
nali   palatini  e  nazionali,  del   mini- 
stro e  de'cavalieri  dell'ordine,  come 
riportano  i     numeri    i  o54  e    io58 
del   Diario  di    Roma    di  detto  an- 
no. Nel   voi.     VI  del   Dizionario  a 
p.  99  facemmo  menzione  del  con- 
ferimento del  medesimo  ordine  fat- 
to da    Pio    VI    all'altro  ni[)ote  d. 
Luigi.   Il    re  di     Sardegna   Vittorio 
Emmanuele  nel     i8oq  concesse  al- 
l'ordine Mauriziano    la  chiesa  di  s. 
Croce  di   Cagliari,    già    della    com- 
pagnia di    Gesù,  dichiarandola  ba- 
silica   magistrale.    Dopo  l'occupazio- 
ne francese  l'ordine  dei  ss.   Maurizio 
e   Lazzaro  fu  couìpreso   nel   naufra- 
gio di   tutte    le   antiche    istituzioni  ; 
ma  nell'isola     di   Sardegna     ove  la 
monarchia  Sabauda    erasi    riparata, 
l'ordine  continuò  a  fiorire  senza   in- 
terruzione.   Dopo  la    lestaurazioiie, 
il   re  Vittorio   Emmanuele  promul- 
gò le  leggi  e  gli   statuti  dell'ordine 
prima  inediti   e  sparsi,    e    li  divise 
in   tre    libri.    Quattro    sono  al  pre- 
sente gli  ospedali  dell'ordine:  lo  spe- 
dale maggiore  di  Torino,  degno  di 
quella  capitale,  di   Aosta,  di   Valen- 
za e    di     Lanzo. 

Ad  aggiungere  novello  fregio  a  que- 
sto nobilissimo  ed  illustre  ordine  e 
per  le  lettere  patenti  del  regnante  re 
Carlo  Alberto,  de'9  dicembre  i83i, 


MAU  M 

fu  diviso  in  tre  classi,  onde  l'ordi- 
ne attualmente  si  compone    di    ca- 
valieri, di   commendatori  e  di  gran 
croci.  I  cavalieri  sono  divisi  in   ca- 
valieri di    giustizia     ed  in  cavalieri 
di  grazia  ;  il    numero    de'commen- 
datori     è  fissato  a   5o  ,    quello  dei 
gran  croci  a     So,     non    compresi   i 
principi    ed     i    cavalieri    dell'ordine 
dell'Annunziata.  JN'on  entrano  ezian- 
dio a    far     parte     del   numero     dei 
cavalieri   gran  croce  e  de' commen- 
datori fissato,  i    personaggi   stranieri 
che  venissero    onorati    di    tali   inse- 
gne, né  gli    ecclesiastici     che  otten- 
gono tal  nobile    fregio.  I  commen- 
datori    portano    la  croce    al  collo* 
quando     hanno     la     piccola    divisa, 
dall'occhiello  dell'abito  si  distinguo- 
no per  la  croce  sormontata   da  co- 
rona  reale.     I    cavalieri  gran    croce 
portano   la   decorazione    sormontata 
da   una  corona  e  pendente  da   una 
fascia  o     ciarpa    ad    armacollo  :  gli 
ecclesiastici   ed   i  magistrati  quando 
sono  in   toga    la   portano  appesa  al 
collo  da  ciarpa  di   eguale   larghezza; 
portano  inoltre    gli    uni  e    gli   altri 
dal   lato  sinistro  del  petto  una   stel- 
la  a  raggi  d'argento  colla  croce  in 
mezzo.  Nel     i838     fu    permesso  ai 
cavalieri     gran     croce     di     portare, 
quando     sono    in     forma     privata  , 
una  catenella  a  piccole  piastre  qua- 
drate alternale  d'oro  colla  cifra   di 
S.   M.  ,  e  di     smalto     verde,   colla 
piccola  croce  coronata  pendente  dal- 
la medesima,  oltre  alla   tracolla  sul- 
la sottoveste  già  permessa  nel  i832. 
A   tutte  queste  magnanime   provvi- 
denze del  pio   regnante   gran    mae- 
stro e  re  Carlo   Alberto,  aggiunge- 
remo le  seguenti,  perchè  lungo  sa- 
rebbe il  dire  di   tutte. 

Nel  1837  per  splendore  dell'ordi- 
ne stabilì  un  abito  uniforme  di  fog- 
gia militare  per  gli  ascritti  alla  mili- 


IO.  MAU 

zia  equestre.  Il  colore  è  verde  scuro 
colle  ripiegature  bianche  e  con  ri- 
cami d'  oro,  e  maggiori  l'icaoii  ai 
cavalieri  gran  croce.  Non  tutti  pe- 
rò i  decorati  possono  usare  questa 
divisa,  occorrendo  speciale  auto- 
rizzazione sovrana.  Le  due  prime 
classi  sono  ammesse  a  corte.  La 
terza  de'semplici  cavalieri,  ch'è  in- 
determinata, vi  è  ammessa  quando 
il  decorato  ottiene  il  privilegio  del- 
l'abito uniforme,  ovvero  è  in  ca- 
rica eguale  a  quella  di  senatore  o 
d'intendente  generale,  od  è  avvoca- 
to patrimoniale  generale  o  con- 
trollore generale  dell'ordine,  o  socio 
della  reale  accademia  delle  scienze. 
Sono  pure  ammessi  a  corte  gli  ec- 
clesiastici cavalieri  dell'ordine  prov- 
veduti d'  abbazie  di  regia  nomina. 
Finalmente  a'2  maggio  i838  il  re 
adattò  le  distinzioni  del  manto  del- 
l'urdine  alla  nuova  sua  divisione 
delle  medesime  tre  classi.  Secondo 
quel  provvedimento,  il  manto  del 
gran  maestro  è  di  velluto  cremesi- 
nOj  colla  ripiegatura  di  listone  di 
argento  ricamata  a  oro;  quello  dei 
principi  reali  di  raso,  colla  ripie- 
gatura di  listone  di  argento  e  con 
minore  ricamo;  gli  altri  sono  di 
taffettà  colle  ripiegature  e  con  al- 
cune graduate  differenze:  tutti  u- 
sano  berrette  di  velluto  nero  con 
penne  bianco-verdi,  le  quali  non 
le  portano  i  cavalieri.  I  grandi  del- 
l'ortline  furono  ridotti  a  cinque, 
essendosi  soppresse  le  cariche  di 
grande  ammiraglio  e  di  gran  ma- 
resciallo ;  laonde  le  primarie  digni- 
tà dell'ordine  sono  il  gran  priore, 
il  grande  ospitaliere,  il  gran  con- 
servatore, il  gran  cancelliere,  ed  il 
gran  tesoriere.  Il  regno  relativamen-» 
te  all'ordine  è  diviso  in  nove  pro- 
vincie.  Le  annue  pensioni  stabilite 
per  l'ordine     ascciidouo  a  200,000 


MAU 
lire.  L'  obbligo    dei     voti     e    della 
professione  solenne    è  pei     soli     ca- 
valieri di  giustizia  ,     o  per  quei  di 
grazia    che    conseguissero     pensioni 
o  commende  dell'  ordine.     Allorchà 
un  cavaliere  viene  ricevuto  nell'or- 
dine, nell'atto    di    fare  la  sua  pro- 
fessione, deve  promettere  fedeltà  ai 
duchi    di     Savoia    re  di    Sardegna, 
generali    gran    maestri,    d'  indossar 
l'abito  e  portare  la     croce,  d'inter- 
venire ad  ogni  capitolo    che  si  ce- 
lebrasse, di  recitare   ogni    giorno  il 
salterio  davidico  abbreviato,  in  ono- 
re di  Gesù  Cristo,  della  Beata  Ver- 
gine e  de'ss.    Maurizio    e  Lazzaro; 
digiunare  nei  venerdì  o  sabbati  del- 
l'anno, mantenere  la  castità  coniu- 
gale, usar  carità  e  ospitalità  coi  po- 
veri, specialmente  lebbrosi,  se  ve  ne 
sono,  ed  osservare  gli  statuti  dell'or- 
dine,   soprattutto  non   distraendo  i 
beni     delle  commende,  non  dando- 
li a  fìtto  lungo  o  in  enfìteusì,  sen- 
za il    consenso   del    gran     maestro. 
La  funzione    di    dar    1'  abito  e  la 
croce  della     sacra  religione    de'  ss. 
Maurizio  e  Lazzaro,     si  fa  da  uno 
de'gran  croci  del  medesimo  ordine, 
o  da  altri  delegati  dal  re  gran  mae- 
stro generale  della  religione ,    nella 
forma    seguente,  quale  si   legge  nel 
Ceremonìale  da  osservarsi  nel  dar 
Valilo  e  croce  della  sacra  religione 
e  ordine  militare  de'ss.  Maurizio  e 
Lazzaro,  che  si  conferirà  dai  gran 
croce  o  delegati  da  sua  Maestà  il 
re  di  Sardegna    ec.    gran  maestro 
generale  dell'ordine.  Torino    1814. 
11   posteriore  cerimoniale  di   poco  è 
diverso. 

Il  promotore  vestito  del  manto 
dell'  ordine,  preceduto  dal  maestro 
di  cerimonie,  che  sarà  un  prete  or- 
nato di  cotta,  condurrà  seco  dalla 
sagrestia  il  postulante  avanti  all' al- 
l' altaje  a  cui  dovrassi  celebrare    la 


MAU 
snnta  messa.  Quivi  ambedue,  cioè  il 
promotore  e  il  postulante,  s^  ingi- 
nocchieranno sopra  i  cuscini  a  tal 
fine  preparati,  e  il  maestro  di  ce- 
rimonie inginocchierassi  ai  balaustri. 
Uscirà  poi  vestito  di  piviale,  ed  ac- 
compagnato da  due  chierici  il  sa- 
cerdote destinato  a  celebrare,  e  si 
inginocchierà  sul  primo  gradino  del- 
l' altare,  e  alquanto  indietro  sul  pia- 
no i  due  chierici.  Indi  il  delegato 
a  dare  l' abito,  servito  dall'  usciere 
della  sacra  religione,  si  condurrà  al 
luogo  preparato  con  sedia,  genu- 
flessorio,  strato,  tappeti  e  cuscino. 
E  postisi  tutti  in  ginocchio,  into- 
nerà il  celebrante  l' inno  'Veni  crea- 
tor SpiriUis,  che  sarà  cantato  dal 
coro,  ovvero  dal  clero  assistente. 
Terminato  1'  inno,  dirà  il  celebran- 
te r  analogo  versetto  ed  orazione. 
Poscia  salito  suIT  altare  sederà  al 
lato  dell'  evangelo  sopra  una  sedia 
colle  braccia,  e  uno  de' chierici  gli 
presenterà  il  messale,  mentre  il  ce- 
rimoniere porgerà  al  postulante  il 
rituale,  e  questi  accompagnato  dal 
piomotore  farà  avanti  al  celebran- 
te la  professione  di  fede  secondo  le 
bolle  pontifìcie.  Fatta  la  professio- 
ne di  fede  e  giurato  sugli  evangeli 
il  postulante,  passerà  il  celebrante 
sull'altare:  il  promotore  col  postu- 
lante rimasto  genuflesso  nello  stesso 
luogo,  prenderà  dal  fianco  di  lui 
la  spada  (la  quale  deve  avere  la 
guardia  dorata),  e  tratta  dal  fodero, 
la  terrà  colla  mano  destra  elevata. 
Nello  stesso  tempo  1'  usciere  porge- 
rà al  postulante  una  torcia  di  cera 
bianca  accesa,  in  cui  sarà  una  mo- 
neta d'  010  ;  e  il  postulante  la  ter- 
rà nella  mano  destra  alzata  per 
tutto  il  tempo  della  benedizione 
della  spada,  che  si  farà  dal  cele- 
brante recitando  i  versetti;  Adjii- 
torium,  e  l'orazione  Exaiidi  quaesii- 


M  A  U  !  3 

vius.  Terminata  la  benedizione,  il 
celebrante  aspergendo  l'acqua  be- 
nedetta, dirà  la  preghiera  Benedi- 
cliis  Dominili  coi  versetti,  e  l'ora- 
zione Domine  Sancte.  Poscia  l'u- 
sciere prendeiù  dal  [ìostiilante  la 
torcia,  e  la  porterà  dietro  l'altare, 
quindi  presenterà  al  promotore  un 
bacino,  sopra  cui  questi  poserà  la 
spada  riposta  nel  fodero,  e  1'  uscie- 
re tutto  collocherà  sopra  una  tavo- 
la. Frattanto  il  celebrante  benediià 
il  manto,  che  sarà  su  11'  altare,  di- 
cendo i  versetti:  Oste.nde.  nobis,  e  le 
orazioni  Suppliciler,  Caput  e  Crea- 
tor. Dopo  la  benedizione  del  manto 
il  cerimoniere  lo  leverà  dall'altare 
e  riporrà  sul  bacino  che  l'usciere 
riporterà  sulla  tavola.  Indi  il  ceri- 
moniere condurrà  il  promotore  e 
postulante  avanti  l'altare,  e  fatto 
inchino  all'  altare  e  al  delegato,  si 
inginocchieranno.  Il  celebrante  de- 
posto il  piviale  si  veste  degli  abiti 
sacri  per  la  messa  :  terminala  1'  c- 
pistola  e  il  graduale  si  rivolgerà 
verso  il  delegato,  avanti  al  quale 
sedente  con  capo  coperto,  s' ingi- 
nocchieranno il  promotore  e  il  po- 
stulante. Il  promotore  prega  il  de- 
legato ad  ascrivere  il  postulante  fra 
i  cavalieri  militi  ospitalieri  della 
sacra  religione,  pel  vivo  desiderio 
che  ha  di  entrarvi.  Il  delegato  loda 
l'intenzione  del  postulante  quando 
sia  veramente  per  servigio  della  fède 
cattolica  e  benefìzio  de'  poveri,  e  gli 
fa  diverse  interrogazioni,  e  non  es- 
sendovi dalle  lisposle  nulla  in  con- 
trario alle  bolle  pontificie  e  statuti 
dell'ordine,  con  formola  il  delegato 
avvisa  il  postulante  dei  tre  voti,  cui 
acconsente  il  postulante.  Il  delega- 
to percuoterà  tre  volte  colla  spada 
la  spalla  sinistra  del  postulante  ge- 
nuflesso (acciò  così  si  umillino  pel 
suo  valore  i  nemici  della  kàe  e  del- 


•^ 


1 4  M  A  U 

la  Chiesa),  ed   il    promotore  gli  ac- 
comoderà gli  speroni  dorati  alle  cal- 
cagna (acciò   lo  spingano  a  cristia- 
ne   ed     onorate    imprese,    dovendo 
sprezzare  T  oro  per    impiegarlo  pei 
poveri),  nel    quale  atto  il  delegato 
pronunzia  analoga  formola,  ed  altra 
quando  il   promotore  gli  porrà  alla 
cinta  la    spada,   quale  arma  di  giu- 
stizia e  di  valore,  ed  alzatosi   il  po- 
stulante la    riceve    nuda    dal  dele- 
gato, e  così  la  tiene   mentre  si  leg- 
ge r  evangelo,  comunicandosi  a  suo 
tempo.    Dopo    la    messa,    il    postu- 
lante giura   sui  vangeli  l'osservanza 
de'  voti,    ed  il    delegato  con  apposite 
parole  gli   pone  il   manto  (  abito  di 
onore    e    di     religione,     figurandosi 
nella  croce  quella   in  cui  morì  Cri- 
sto,  posta    sul  color   bianco,   accom- 
pagnata dall'altra     verde    sull'abito 
regolare  rosso,   simboli  di   fede  sin- 
cera, e  ferma    speranza  di  conseguir 
1'  eterna    gloria,    dovendo     versar   il 
Siingiie  ad    onore    di    Dio  ;    antica- 
mente era    di    zendado    incarnalo, 
ma  Carlo  Emmanuele  I   lo  cambiò 
in    seta    cremisina)    decorato    della 
croce  dell'  ordine,    oltre    altra    che 
gli    appende  al  petto.   Dopo    di  che 
il  celebrante  in    piviale    intuona  il 
Te  Deum,  terminato  il  quale  recita 
l'orazione  Respice    (il  coro  l'anti- 
fona Suscepinius,  ed  il  salmo  Ala- 
gnus    Dominus),  il    versetto    Kyrie 
eleiwa    coi     seguenti ,     le    orazioni 
Deus    qui   j'ustiflcas ,     Omnipolcns 
stiìtpiierne,  e  Suscipiat,  aspergendo 
d'acqua   santa   il   cavaliere.  Ciò  ter- 
minato, il  delegato  abbraccia    e  dà 
il    bacio    di   pace  al    nuovo  cavalie- 
re, e  questi  fa  altrettanto    col   pro- 
motore .    Il     suddetto    p.    Bonamii 
dice  che  i    cavalieri    nelle    funzioni 
solenni   usano  cocolla  rossa  foderata 
di  biancOj  che  al  collo  viene  stretta 
da  due  lunghissimi  cordoni  di  .seta 


M  A  U 
verde  e  bianca  con  fiocchi.  Sopra 
il  petto  è  la  croce  bianca,  a  cui 
annessa  vi  è  l'altra  verde  propria 
dell'ordine  di  sr  Lazzaro:  ciò  cor- 
risponde all' odierno  manto. 

MACHO  (s.),  abbate.  Suo  padre 
Equizio  lo  pose  sotto  la  condotta 
di  s.  Benedetto  nel  Sii,  perchè 
appiendesse  le  massime  della  pietà 
cristiana,  come  solevano  fare  molli 
gentiluomini.  Mauro  che  non  avea 
che  dodici  anni  al  suo  entrare  in 
monastero,  sorpassò  in  poco  tempo 
tutti  i  suoi  coetanei  nella  esattezza 
ad  adempiere  i  suoi  doveri,  facen- 
dosi ammirare  per  umiltà  e  sem- 
plicità di  cuore,  che  Dio  compensò 
col  dono  dei  miracoli.  S.  Gregorio 
riferisce  che  s.  Benedetto  lo  fece 
suo  coadiutore  nel  governo  del  mo- 
nastero di  Subiaco,  e  se  lo  fece 
venir  presso  quando  si  fu  ritiralo 
a  Montecassino.  Recatosi  Mauro  in 
Francia  nel  543,  vi  fondò  col  soc- 
corso delle  pie  liberalità  del  re  Teo- 
deberlo  la  celebre  abbazia  di  Glan- 
feuil  nell'  Angiò,  la  quale  si  chiama 
oggidì  s.  Mauro  sulla  Loira.  Nella 
sua  vecchiezza  ne  lasciò  il  goveina, 
affidandolo  nel  58 1  a  un  suo  di- 
scepolo per  nome  Bertulfo,  e  si  an- 
dò a  chiudere  in  una  angusta  so- 
litudine per  prepararsi  alla  morte. 
Quando  .si  senti  vicino  all' ultima 
ora  volle  esser  portato  alla  chiesa, 
ove  ricevette  la  santa  Eucaristia,  « 
coricatosi  sul  suo  cilicio  rese  placi- 
damente lo  spirito  ai  i5  gennaio 
del  584-  Fu  sepolto  presso  r  aliare 
della  chiesa  di  s.  Martino.  Nel  nono 
secolo,  per  timore  delle  sconeiit^ 
dei  normanni,  le  reliquie  di  s.  Mau- 
ro furono  trasportate  presso  i  be- 
nedettini di  s.  Pietro  ai  Fossati,  e 
di  là  nel  lySo  alla  badia  di  s. 
Germano  dei  Prati  ;  ma  un  braccio 
del  santo  era  stato  dato  alla  badia 


M  A  U 

di  Montecassino.  S.  Mauro  è  ono- 
rato il  i5  di  gennaio,  e  il  suo  no- 
me si  legge  nelle  antiche  litanie 
tiancesi  composte  da  Alcuino,  e  nei 
martirologi  di  Floro,  di  Usuardo  ec. 
Egli  era  singolarmente  onorato  in 
Inghilterra  sotto  i  re  normanni.  Al- 
cuni moderni  critici  pretesero  che 
s.  Mauro  abbate  in  Angiò  non  fosse 
lo  stesso  che  s.  Mauro  discepolo  di 
s.  Benedetto;  ma  il  Ruinart  li  ha 
confutali  nella  sua  apologia  della 
missione  di  s.  Mauro. 

MAURO  (s.).  Congregazione  del- 
l'ordine di  s.  Benedetto.  Ebbe  per 
madre  quella  di  s.  Vannes,  che  a- 
•vea  dato  principio  alla  sua  riforma 
nella  Lorena,  verso  la  fine  del  se- 
colo XVI  nel  1597.  Giovanni  Ri- 
naldo abbate  di  s.  Agostino  di  Li- 
moges  si  portò  nel  161 3  a  chie- 
dere alcuni  religiosi  di  s.  Vannes, 
coir  aiuto  de'  quali  gittò  i  primi 
fondamenti  della  congregazione  di 
s.  Mauro,  per  ivi  seguire  lo  spirito 
della  primitiva  regola  di  s.  Bene- 
detto. Molti  monasteri  entrarono  in 
questo  disegno,  e  Gregorio  XV  ad 
istanza  del  re  Luigi  XI V^  l'approvò 
culla  sua  X  costituzione,  Sacri  npo- 
stolalus,  presso  il  BuU.  Rem.  t.  V, 
par.  IVj  p.  343.  Il  successore  Ur- 
bano Vili  informato  dello  zelo,  del- 
la pietà  e  concordia  de' monaci  mau- 
lini,  ne  confermò  la  congregazione 
nel  1627,  e  le  accordò  nuovi  pri- 
vilegi. Molti  vescovi,  abbati  e  reli- 
giosi in  progresso  di  tempo  vollero 
assoggettare  i  loro  monasteri  alla 
savia  direzione  e  condotta  di  que- 
sta congregazione  :  nondimeno  la  ri- 
forma non  fu  accettata  da  tutti  i 
Benedettini  {redi).  La  congregazione 
maurina  non  entrò  che  nei  mona- 
steri eh'  erano  rimasti  sotto  la  re- 
gola di  s.  Benedetto,  senza  essere 
unitt  ia  corpo,  e  che  facevaDo  volo 


M  A  U  lì 

di  permanenza;  quindi  essa  non  en- 
trò in  quelli  di  Clugny  e  di  Ci- 
stello.  Tuttavolta  la  congregazione 
de'  maurini  si  moltiplicò  lon  suc- 
cesso sorprendente,  e  soprai  tutto  si 
rese  celebre  pel  gran  numero  d'uo* 
mini  dotti  che  produsse.  D.  Ugo 
Menardo  fu  il  primo  che  incomin- 
ciò a  far  rivivere  in  questa  congre- 
gazione gli  studi,  che  in  altri  tempi 
aveano  reso  cotanto  famosi  i  bene- 
dettini nelle  lettere.  D.  Luca  d'A- 
chery  di  s.  Quintino  in  Picardia 
ne  seguì  le  tracce.  Altri  benemerili 
dotti  sono  d.  Claudio  di  Chante- 
lou,  d.  Francesco  Delfau,  d.  Tom- 
maso Blampin,  d.  Pietro  Coustant, 
d.  Giovanni  Garet,  d.  Nicola  le 
Nourry,  d.  Giovanni  Mabiilon  ce- 
lebralissimo,  d.  Giacomo  di  Eriche, 
d.  Bernardo  de  Montfaucon,  d.  Ed- 
mondo Marlene,  d.  Antonio  Beau- 
gendre,  ed  altri  molti  celebri  pei 
loro  scritti  e  per  la  loro  pietà.  I 
maurini,  di  cui  sono  rinomatissime 
ed  immortali  le  opere  e  le  edizio- 
ni, massime  di  molti  ss.  padri  illu- 
strate, erano  governali  da  un  su- 
periore generale  che  risiedeva  in  s. 
Germano  dei  Prati,  da  assistenti  e 
da  visitatori,  e  tenevano  il  loro  capi- 
tolo generale  ogni  tre  anni  a  Mar- 
moutier.  Siccome  i  monaci  profes- 
savano particolarmente  le  belle  let- 
tere, avevano  in  ciascuna  provincia 
de' seminari  o  collegi  per  educarvi 
la  gioventù.  La  congregazione  si 
compose  di  192  case,  i55  abba- 
zie, 34  priorati  conventuali,  con 
tre  altri  monasteri  ,  dividendosi  in 
sei  Provincie.  Il  generale  era  or- 
dinariamente eletto  a  vita,  ma  al- 
cuni venivano  dimessi  dalla  cari- 
ca per  la  loro  età  avanzata  e 
dietro  loro  richiesta.  La  congrega- 
zione ebbe  fine  nella  rivoluzione  di 
Francia  ai  declinar  del  secolo  passalo. 


1 6  m  A  u 

MAURO,  Cardinale.  Mauro  prete 
cardinale  del  titolo  delle  ss.  Aquila 
e  Prisca,  fiorì  nel  pontificalo  di 
s.  Gregorio  I,  del  5go. 

MAURO,  Cardinale.  Mauro  d'A- 
melia, vescovo  di  sua  patria,  nel 
dicembre  1207  fu  da  Innocenzo  III 
creato  cardinale  prete.  Spedito  in 
Germania  legnto,  ne  adempì  lode- 
volmente l'uffizio,  e  morì  dopo  il 
suo  ritorno  nel  laaS  circa.  11  Papa 
gli  scrisse  una  lettera,  che  venne 
inserita  nel  corpo  del  diritto  cano- 
nico. 

MAURONZIO  (s.),  abbate.  Il 
più  vecchio  dei  figli  del  b.  Adal- 
baudo  e  di  s.  Rictruda,  nacque  nel 
634.  Passò  alcuni  anni  alla  corte 
del  re  Clodoveo  II  e  di  s.  Batilde, 
e  vi  sostenne  onorevoli  impieghi. 
Egli  era  signore  di  Douai,  e  diven- 
ne ricchissimo  dopo  la  morte  di  suo 
padre.  Tornato  in  Fiandra,  stava 
per  conchiudere  il  suo  matrimonio, 
quando  tocco  dai  discorsi  di  s.  A- 
mando  vescovo  di  Mastricht,  risol- 
vette di  consacrarsi  intieramente  al 
servigio  di  Dio,  e  si  ritirò  nel  mo- 
nastero di  Marchiennes  fondato  da 
sua  madre.  S.  Amando  gli  conferì 
la  tonsura  clericale,  e  pochi  anni 
dopo  fu  fatto  diacono  e  priore  di 
Hamay  o  Hamaige,  eh'  era  sulla 
Scarpa,  mezza  lega  lungi  da  Mar- 
chiennes. Fabbricò  il  monastero  di 
Breuil  nella  sua  terra  di  Merville 
nella  diocesi  di  Terouane,  e  fu  in- 
caricato di  governarlo.  Colà  egli 
accolse  s.  Amato  di  Sens,  il  quale 
per  false  denunzie  era  stalo  caccia- 
to dalla  sua  sede  dal  re  Teodorico 
HI .  Mauronzio  molto  approfittò 
della  convivenza  con  questo  santo 
vescovo,  al  quale  cedette  la  sua  ba- 
dia, per  vivere  sollo  la  direzione 
di  lui;  però  dopo  la  morte  di  esso, 
nel    690,  fu  costretto  riprendere  il 


MAU 
suo  posto.  Morì  poi  a  Marchiennes 
il  5  maggio  del  706,  in  età  di 
seltanladue  anni.  Il  suo  nome  è  po- 
sto a  questo  giorno  nei  martirolo- 
gi del  Belgio.  Nel  nono  secolo  fu 
trasportato  il  suo  corpo  da  Breuil 
a  Douai,  dove  conservasi  nella  chie- 
sa di  s.  Amato. 

MAUR.Y  Giovanni  SrpREDo  , 
Cardinale.  Giovanni  Sifredo  nac- 
que in  Vaureas  nel  contado  Ve- 
naisslno,  d'  una  famiglia  povera  ed 
oscura,  suddita  della  santa  Sede. 
Fece  i  primi  suoi  sludi  nel  suo 
paese,  e  li  terminò  nel  seminario 
di  s.  Carlo  d'  Avignone,  poi  in 
quello  di  santa  Guardia  nella  stes- 
sa città.  Ardore  nell'applicazione, 
una  memoria  felice,  uno  spirito  vi- 
vace, molta  franchezza,  e  molto  de- 
siderio di  farsi  conoscere,  lo  resero 
distinto  fin  dalla  prima  età.  Si  re- 
cò per  tempo  a  Parigi  dove  si  fe- 
ce ammirare  pei  suoi  talenti  orato- 
rii,  e  colla  protezione  di  que'  filoso- 
fi che  allora  aveano  tanta  influen- 
za in  quel  regno,  ottenne  qualche 
provvisione  ecclesiastica,  e  predicò 
anche  alla  corte;  già  aveva  pub- 
blicato diversi  opuscoli,  panegirici 
ed  elogi,  fra'quali  uno  di  Fenelon, 
per  cui  un  parente  di  questi,  ve- 
scovo di  Lombez,  lo  fece  suo  gran 
vicai'io  e  canonico  della  cattedrale. 
Ritornato  a  Parigi,  il  suo  amico 
Boismont  gli  rassegnò  il  priorato 
di  Lions  di  circa  20,000  lire,  e 
frequentando  le  principali  società 
prese  attiva  parte  alle  discussioni 
politiche,  e  fu  il  consigliere  del  mi- 
nistro Lamoignon.  Come  priore  di 
Lions  fu  eletto  nel  1789  tra  i  de- 
putali ecclesiastici  agli  stati  generali, 
e  cambiali  questi  in  assemblea  na- 
zionale, vi  sostenne  con  non  volga- 
re eloquenza,  con  gran  coraggio,  e 
non  senza  pericolo  di  essere  vitliraa 


MAU 
del  furore  popolare,  i  sacri  diriUl 
dell'  altare  e  del  trono,  difendendo 
principalmente  quelli  della  Chiesa, 
e  la  sovranità  del  Papa  su  Avigno- 
ne e  contado  Venaissino,  pubbli- 
cando nel  1791  l'opuscolo:  So\>ram- 
tà  del  Papa  sulla  città  di  Avignone 
e  contado  Fenaissino.  La  ringhiera 
dell'assemblea  costituente  fu  vera- 
mente il  teatro  della  aua  gloria  ;  vi 
sostenne  con  onore  la  lotta  contro 
gli  oratori  del  lato  sinistro,  e  par- 
ticolarmente contro  Mirabeau  suo 
compatriotta  ed  avversario,  siccome 
dolalo  di  molte  cognizioni,  di  san- 
gue freddo,  chiaro  nelle  idee,  cor- 
retto nello  stile,  eccellente  in  occul- 
tar ciò  che  non  sapeva  :  due  pisto- 
le che  sempre  portava  indosso  lo 
liberarono  d'essere  appeso  alla  lan- 
terna. Uscito  di  Francia,  fu  da  per 
tutto  meritamente  accolto  nel  mo- 
do il  più  lusinghiero.  Chiamato  a 
Roma  da  Pio  VI  fu  fatto  arcivesco- 
vo di  Nicea  in  parlibus  il  primo 
marzo  1 792,  ed  inviato  nunzio 
straordinario  alla  dieta  elettorale 
di  Francfort  dopo  la  morte  di 
Leopoldo  li,  ma  non  vi  fece  buo- 
na figura  diplomatica,  e  si  trovò 
all'elezione  di  Francesco  II.  Tutta- 
volta  il  Papa  non  cessò  di  colmar- 
lo de' suoi  favori,  e  nel  concistoro 
de'  2 1  febbraio  1 794  lo  creò  car- 
dinale prete,  e  vescovo  di  Monte- 
fiascone  e  Corneto,  conferendogli 
per  titolo  la  chiesa  della  ss.  Trini- 
tà al  Monte  Pincio  ;  ascrivendolo 
alle  congregazioni  de'  vescovi  e  re- 
golari, della  disciplina,  della  fabbri- 
ca, della  visita  apostolica,  dichiaran- 
dolo altresì  protettore  di  Vitorchia- 
T)o.  Questa  promozione  irritò  il  go- 
verno francese,  e  non  piacque  al  po- 
polo romano,  che  in  una  satira  lo 
qualificò  volpe  raminga  e  mal  sicu- 
ra. Fu  per  alcuni  anni  ardente  fa»- 
VOL.    xtiv. 


MAU  ?7 

torc  della  causa  degli  esuli  principi 
Borboni,  e  nell'occupazione  di  Ro- 
ma fatta  dai  francesi,  ne  fuggì  il 
risentimento,  prima  in  Siena,  poi 
in  Venezia  travestito  da  vetturino. 
Passato  in  Russia,  quando  le  vitto- 
ria degli  eserciti  russi  in  Italia  eb- 
bero mutato  faccia  alle  cose,  parti 
da  Pietroburgo  e  si  congiunse  ai 
suoi  colleghi  pel  conclave  che  si 
aprì  nel  dicembre  1799  per  mor- 
te di  Pio  VI,  e  fu  il  solo  cardinal 
francese  che  vi  entrasse.  Eletto  Pio 
VII  lo  seguì  in  R.oma,  e  Luigi 
XVIII  allora  ritirato  a  Mittau  lo 
nominò  suo  ambasciatore  presso  la 
santa  Sede;  ma  declamò  sempre 
contro  il  governo  dell'  usurpazione 
e  contro  ogni  idea  di  riconciliazio- 
ne tra  Pio  VII  e  Bonaparte.  Biasi- 
mò altamente  la  condotta  del  Papa 
colla  repubblica  francese,  e  censura 
aspramente  in  tutti  i  suoi  discorsi 
il  concordato  del  i  80  i.  Sospirando 
il  cardinale  il  gran  teatro  di  Pa- 
rigi, allorché  intese  proclamato  Na- 
poleone imperatore  de'  francesi  ,, 
gli  scrisse  una  lettera  piena  di  adu- 
lazione, riconoscendolo  per  suo  so- 
vrano, e  poi  gli  chiese  il  permesso 
di  tornare  in  Francia.  Ottenutolo 
abbandonò  la  sua  vescovile  residen- 
za di  Monte  Fiascone,  e  corse  ad 
intrigare  a  Parigi  nel  i8o6-  Fu 
bene  accollo  da  Napoleone,  non  già 
che  ne  facesse  stima  e  se  ne  fidas- 
se ;  ma  perchè  bene  capì  che  nella 
esecuzione  de' suoi  progetti  sulla  di- 
sciplina della  Chiesa  poteva  esser- 
gli utile ,  come  quello  che  sarebbe 
stato  sempre  a  lui  ligio,  ed  obbe- 
diente a  tutti  i  suoi  cenni  ed  ordini  j 
né  avrebbe  scrupoleggiato  nell' ese- 
guirli; ma  a  Parigi  fu  riguardato  di 
mal  occhio  il  passo  fatto ,  ben- 
ché Napoleone  lo  riconoscesse  per 
cardinal    francese,  e    lo  dichiarasse 


1 8  ]\r  A  u 

primo  elemosiniere  di  Girolamo 
suo  fratello  re  di  Westfalia.  Rapito 
da  Roma  Pio  VII,  proscritti,  esiliati 
e  carcerati  la  maggior  parte  del 
sacro  collegio  e  della  prelatura  , 
cjuando  Napoleone  protese  di  sop- 
primere alcune  sedi  vescovili  dello 
stato  pontificio  da  lui  occupato,  e 
liunirle  alle  vicine  diocesi,  il  cardi- 
nal s'intruse  nel  governo  di  quel- 
le eh'  erano  limitrofe  alla  sua  dio- 
cesi di  Monte  Fiascone.  Quindi  dis- 
gustato il  cardinal  Fesch  col  nipo- 
te Napoleone,  quando  saviamente  a 
tenore  de'  sacri  canoni  ricusò  1'  ar- 
ci vescovato  di  Parigij  il  cardinal 
Maury  a  cui  poi  venne  offerto  ai 
j4  ottobre  i8io  (nel  quale  anno 
pubblicò  il  suo  ^^ggìo  xuir  elo- 
quenza del  pulpito,  ed  una  nuova 
edizione  de*  suoi  Discorsi  scelti), 
non  ebbe  ribrezzo  di  accettnrio,  di 
farsi  nominar  vicario  capitolare,  e 
di  governare  quel!' arcidiocesi,  non 
dando  ascolto  alle  ammonizioni  e 
agli  ordini  da  Pio  VII  manifestati- 
gli in  un  breve  in  data  di  Savona. 
Allorché  si  trasferirono  in  Parigi 
per  comando  di  Napoleone  molti  ve- 
scovi dell'impero  francese  e  del  regno 
italico,  e  si  unirono  in  assemblea 
impropriamente  detta  concilio  na- 
zionale, il  cardinale  si  mostrò  arden- 
te e  fanatico  fautore  e  sostenitore  di 
tutte  le  pretensioni  dell'imperatore, 
con  molto  scandalo  de'  buoni,  e  con 
nausea  d'altri  vescovi  anch'essi 
cortigiani,  ma  non  egualmente  te- 
merari ed  arroganti.  Non  volendo 
IMo  VII  più  ammettere  le  nomine 
dell'  imperatore  per  le  chiese  di 
Francia  ed  Italia,  Napoleone  per 
consiglio  del  cardinale  fece  insi- 
nuare ai  capitoli  delle  cattedrali 
vacanti  di  eleggere  per  vicari  capi- 
tolari i  soggetti  slessi  da  esso  no- 
minati alle  sedi    vescovili,  come  fu 


M  A  V 
quasi  generalmente  esegnilo  con  fu- 
neste conseguenze;  onde  Pio  VII 
scrisse  da  Savona  tre  brevi  al  car- 
dinale, un  breve  al  vicario  di  Parigi 
Astros,  ec.  riprovando  l'avvenuto. 
Quando  poi  Pio  VII,  ingannato  e 
sedotto  dagli  altrui  non  buoni  sug- 
gerimenti, sottoscrisse  gli  articoli 
dell'assurdo  concordato  di  Foiitai- 
nebleau  a'  25  gennaio  i8i3,  e  tut- 
ti i  buoni  ne  gemevano  ,  il  cardi- 
nale in  una  sua  notificazione  (Man- 
dcment)  ne  fece  stomachevoli  e  ma- 
ligni elogi;  quando  finalmente  l'ot- 
timo Pontefice  rientrato  in  sé  stes- 
so revocò  ed  annullò  quell'atto  che 
sarebbe  stato  tanto  funesto  alla  Chie- 
sa, il  cardinale  corse  a  Fontainebleau 
per  persuadere  il  Papa  a  mantenere 
e  far  eseguire  gli  articoli  di  quel  con- 
cordato; ed  avuta  udienza  gli  par- 
lò con  tanta  temerità  ed  insolenza, 
che  il  paziente  e  mausueto  Pio  VII 
alzossi  dalla  sua  sedia,  e  quantun- 
que debole  per  la  sofferta  infermi- 
tà, presolo  per  il  braccio  lo  trasci- 
nò fino  alla  porta  della  camera,  e 
dispettosamente  gli  chiuse  in  faccia 
la  porta.  Frattanto  il  suo  conte- 
gno a  Parigi,  e  le  bizzarrie  del  suo 
carattere  gli  alienarono  il  clero  e 
lo  esposero  alle  risa  del  mondo. 
Mentre  sperava  di  raccogliere  da 
Napoleone  il  frutto  delle  sue  azio- 
ni scandalose  e  di  tante  adulazioni 
e  bassezze,  cadde  quel  monarca  che 
credeva  sua  protettore,  ed  egli  di- 
venne l'oggetto  della  disistima  e 
del  disprezzo  di  tutti  i  partiti.  Av- 
venuto il  iitorno  di  Luigi  XVIII 
sul  trono,  non  polendo  il  cardinale 
conservare  un  titolo  che  possedeva 
per  violenza,  il  capitolo  di  Parigi 
Io  spogliò  de'  suoi  poteri,  ed  ebbe 
ordine  di  sgombrare  l'arcivescova- 
to, lo  che  esegui  a'  1 8  maggio  1 8  1 4, 
ed  inutilmente  tentò  giustificarsi  eoa 


ima  Memoria.  Allora  il  cardinale 
si  avviò  lentamente  alla  volta  d'I- 
lalia  e  di  Roma,  ove  appena  giun- 
to, Pio  VII  gli  tolse  r amministra- 
zione del  vescovato  di  Monte  Fia- 
scone,  e  nominò  amministratore 
monsignor  Gazola  poi  cardinale, 
l'oco  tempo  dopo  l' arrivo  in  Ro- 
ma del  cardinale  ,  gli  fu  intima- 
to per  ordine  del  Papa,  che  non 
osasse  presentarsi  alla  sua  udienza, 
e  non  intervenisse  ai  concistori  e 
alle  cappelle,  e  neppure  alle  congre- 
gazioni delle  quali  era  membi'o,  ed 
in  qualsiasi  radunanza  di  cardinali. 
Desiderarono  allora  le  persone  ze- 
lanti per  l'osservanza  della  disciplina 
ecclesiastica,  che  non  si  lasciasse  im- 
punita la  temeraria  e  scismatica 
ctmdotta  del  cardinale,  e  che  si 
«lasse  un  esempio  di  severo  casti- 
go anche  su  personaggio  eminente, 
per  terrore  degl'uiferiori  ecclesiasti- 
ci, e  per  far  conoscere  al  mondo 
cattolico  qual  monizione  avrebbero 
meritata  quei  vescovi  e  sacerdoti 
che  si  resero  ne'  paesi  esteri  e  spe- 
cialmente in  Francia  rei  di  scisma- 
tica intrusione,  e  che  non  poteva- 
no punirsi  pei  tanti  ostacoli  che  si 
frappongono  alla  legittima  giurisdi- 
zione pontificia.  Pervenuto  questo 
desiderio  de'  buoni  all'  orecchio  di 
Pio  VII,  lo  trovò  giusto,  e  diede 
ordine  al  cardinal  Pacca  (  il  quale 
ciò  narra  nella  sua  Relazione  del 
viaggio  di  Pio  VII  a  Genova,  in- 
.'-ieme  a  molte  notizie  sul  cardina- 
le )  di  raccogliere  tutte  le  carte  ri- 
guardanti il  cardinale,  per  sotto- 
porlo a  formale  processo.  Visse  in- 
tanto il  cardinale  nell'oscurità,  fin- 
ché allontanatosi  il  Papa  a'  11 
marzo  i8i5  da  Roma,  nel  passag- 
gio delle  truppe  napoletane,  e  giun- 
ta la  notizia  che  IN'apoleone  era  ri- 
salito sul  trono,  cominciò  ad  alzar 


M  A  U  19 

la  voce,  ed  a  manifestare  sentimenti 
di  avversione  per  la  persona  di 
Pio  VII  e  per  Roma,  ed  impru- 
dentemente fece  conoscere  il  pro- 
getto di  tornare  in  Francia.  Fu  al- 
lora che  la  giunta  di  stato  diresse  un 
dispaccio  al  cardinal  Pacca  ch'era  pas- 
.sato  in  Genova  col  Pontefice,  in  cui 
dando  esatto  rapporto  delle  intenzioni 
e  condotta  del  cardinal  Maury,  fece 
saviamente  riflettere  quanti  mali 
avrebbe  egli  potuto  fare  a  Parigi, 
e  propose  d'  impedirne  la  partenza 
con  rinchiuderlo  per  maggior  sicu- 
rezza in  Castel  s.  Angelo.  Il  cardi- 
nal Pacca  lesse  il  dispaccio  a  Pio 
VII,  che  approvò  il  divisamento 
della  giunta,  e  solo  ad  istanza  del 
cardinale  permise  che  se  vi  fosst^ 
modo  di  tenerlo  con  sicura  custo- 
dia, si  evitasse  lo  strepito  e  il  ci^ 
ca leggio  che  il  pubblico  farebbe  a! 
sentire  la  reclusione  d'  un  cardina- 
le in  fortezza.  La  giunta  però  credè 
di  seguire  il  suo  opinamento,  lo 
fece  arrestare  e  trasportare  subito 
in  Castel  s.  Angelo.  Ritornato  Pio 
VII  in  Roma,  dopo  due  mesi  e 
sedici  giorni  di  assenza,  commise 
al  cardinal  Pacca  di  cercar  docu- 
menti e  notizie  sul  processo  del 
famoso  cardinale  Coscia ,  avendo 
dichiarato  i  prelati  Caprano  poi 
cardinale,  ed  Invernizzi,  che  si  po- 
teva procedere  senza  alcuno  scru- 
polo ad  un  formale  processo  ;  quin- 
di con  segreto  nominò  una  con- 
gregazione di  cardinali,  e  per  se- 
gretario monsignor  Belli  arcivescovo 
di  Nazianzo,  molto  versato  nei  sacri 
canoni.  Mentre  si  stava  trattando 
l'esecuzione  de' pontificii  ordini,  toi'- 
nò  da  Vienna  il  cardinal  Consalvi, 
e  non  solo  la  causa  non  si  prose- 
guì, ma  liberato  dalla  prigionia  di 
Castel  s.  Angelo  il  cardinale,  si  am- 
mise poco  dopo  alle  sacre  funzioni, 


20                     MAU  MAÙ 
ai  concistori,  e  ad    ogni  altra  rap-  Jone  l'ìngressso  i  due  ol)eliscl)i  chef 
presentanza  cardinalizia.  Final men-  ora  sono  al  Quirinale  ed  a  s.   Ma- 
te,   assalito    da    violento    scorbuto,  ria  Maggiore.   Avanti  al     mausoleo 
mori  in  Roma  d'anni   71  la  notte  era  la  fiimosa  meridiana  o  orologio 
del   IO  venendo  l'ii  maggio  1817;  solare  che    Io  stesso   Augusto     fece 
si  celebrarono  i  suoi   funerali  nella  costruire    dal    celebre     matematico 
chiesa    di    s.    Maria     in    Vallicella,  Lucio  Manilio,  ed  a  cui   serviva  di 
coli' assistenza    de' cardinali,    ed   ivi  gnomone   l'obelisco  di   Monte  Cito- 
rimase  sepolto.  rio    restaurato  da  Pio  VI.   Nel   IX 
MAUSOLEO,  Mausoleuin.  Mac-  secolo  era  già  in    totale  decadenza, 
china  o  edifizio  sepolcrale  innalzato  e  nel  XII   servì  di    rifugio  ai    Co- 
glia memoria     di     qualche     illustre  torma,  per  cui  ne  parlammo  a  quel- 
defunto.  Questo     nome     deriva     da  l'articolo.   Il     popolo  li    cacciò     da 
Mausolo  re  della  Caria,  cui  Artemisia  esso,  attribuendogli   la  disfatta  soF- 
sua   moglie,  nell^anno     353     prima  ferta   sotto    il    Tuscolo,  onde    Pan- 
di Cristo,  eresse  magnifico  sepolcro  dolfo  Savelli   lo  rovinò.   Nel  secolo 
a  sfogo   del    suo  dolore    ed  amore,  XVI   lo     possederono    i     Soderini  ; 
e  per    conservare    alla  posterità  u-  più  tardi    la    famiglia    Correa    che 
na  solenne     ricordanza  di    sua   per-  lo    ridusse  ad     anfiteatro  per   spet- 
dita  :  ne  fu  architetto  il  celebre  Sco-  tacoli,  giuochi,  giostre,     feste    iiot- 
pa,    e     fu  ritenuto     per  una     delle  turne  con  fuochi    d'artifizio,  spet- 
sette  meraviglie  del  mondo,  per  cui  tacoli  di  equitazione  e  feste  di  ballo. 
da    allora    in     poi   tutti    i     sepolcri  Passò  poi   in  proprietà  dei   Vivaldi- 
che  si    eressero     a     uomini    illustri  Arraentieri,  e  ne  parlammo  in  altit 
si  chiamarono  mausolei.   Inoltre  tal  luoghi,  come  ne' voi.  XXf,  p.   38, 
regina  celebrando  i   funerali  al  suo  e  XXXI,   p.     179  del    Dizionario. 
diletto  marito  convocò  nella  sua  città  Quanto    al    mausoleo  di    Adriano, 
5  più  valenti  oratori  della  Grecia  a  questi   l' eresse    per  suo    magnifico 
dirne  le    lodi    intorno    al  sepolcro .  sepolcro    nella     parte     opposta    del 
V'intervennero Teopompo,  Teodette,  Tevere,  e  vi    furono    indi     ancora 
IVasicrate  o  Naucrite    o  Lacrite,  ed  tumulati   Antonino  Pio,  Marco  Au- 
Isocrate,    che  vi     gareggiarono    con  relio.  Commodo,   Settimio    Severo, 
l'arte  elocutoria.  11  sepolcro  di  Mau-  Settimio  Gela  e  Caracalla.  Rovina- 
solo  fu    detto   anche    avello  mera-  to  nelle  vicende  de'  tempi,  fu  cliia- 
■viglioso,  e  presso  di  esso  morì  l'en-  mato   Castel  s.   Angelo  [f^edi). 
comiata  consorte,  dopo  aver  bevu-  MAU  VEO(s.),  vescovo  di Bayeux. 
to  le  ceneri  dell'amato  marito.   Al-  Uscito  di   nobile  e   cristiana   fami- 
tri     celebri     mausolei    dell'antichità  glia  di  Bayeux,  si  esercitò  di  buona 
furono  il  mausoleo  di   Augusto,   ed  ora     alla  preghiera    e  alla    morti- 
li   mausoleo  di   Adriano ,  ambedue  ftcazione,  e  si    formò  la     più  cara 
in  Roma.  Il  primo  fu  edificato  dnl-  delizia  nel  soccorrere  i  poveri.  Fab- 
l'imperator  Augusto  nel   mezzo  del  bricatosi  un  romitaggio,  in  cui  vi- 
Campo     Marzio  presso    la   riva  del  veva  con  tre  solitari  ch'eransi  posti 
Tevere,    superbo     monumento    per  sotto  la  sua  disciplina,  non  si   tace- 
servire  di  sepolcro    a  se  stesso    ed  va   vedere  in  pubblico,  se  non  per 
alla     sua    famiglia.     Nella  sommità  praticare  opere   di    misericorilia.   I 
fu  posta  la    di    lui  statua,    ornan-  tiuoi  miracoli    e  la    sua    santità   lo 


MAY 
fecero  porre  sulla  sede  episcopale 
di  Bayeux,  verso  l' anno  459  ;  la 
(|iiaie  sua  nuova  dignità  gii  diede 
occasione  di  praticare  novelle  virtù. 
Morì  verso  l' anno  4^o>  e  fu  sep- 
pellito nella  chiesa  di  s.  Esuperio, 
ove  conservansi  tuttora'  le  sue  re- 
liquie. E  onorato  a'  29  di  maggio. 
MAIT^DORF  SlNDAGERO  o  Sye- 

DERo    Cardinale.    V .  Clemente  II, 
Papa, 

MAYNAS  o  CHACHAPOYAS 
(  de  Maynas  ,  de  Cìiacapoyas  ). 
Città  con  residenza  vescovile  della 
America  meridionale  nel  basso  Pe- 
rù. La  provincia  di  Maynas  o  Mai- 
iias  è  un  paese  della  Colombia  o 
Nuova  Granala,  irrigato  dal  Tun- 
guragua  e  dall'Ucayale,  che  si  riu- 
niscono onde  formare  l'Amazzone. 
Gli  abitanti  poco  numerosi  sono 
tjuasi  tutti  indiani  dimoranti  in  a- 
perle  capanne,  con  pochi  utensili 
per  l'agricoltura,  armati  di  lancia, 
archi  e  freccie  per  la  càccia,  ami 
per  la  pesca,  con  tende  e  canopi.  Il 
luogo  principale  è  la  città  di  La- 
guna o  s.  Antonio  di  Laguna  presso 
la  riva  destra  della  Huallaga,  sulla 
riva  di  una  laguna  malsana,  dalla 
quale  prese  il  nome.  Un  tempo  fu 
la  residenza  di  un  superiore  d'  una 
delle  principali  missioni  spagnuole, 
ed  ora  è  poco  consideiabile.  Altri 
geografi  dicono  che  il  capoluogo  di 
JNIaynas  è  s.  Francesco  de  Borja, 
sulla  riva  sinistra  del  Pastaza,  un 
poco  al  di  sotto  al  confluente  col 
Santiago:  prima  del  i534  era  si- 
tuala sulla  riva  sinistra  del  fiume 
delle  Amazzoni,  i  cui  abitanti  sono 
tutti  indiani.  Pio  MI  l'eresse  in 
sede  vescovile  e  la  sua  chiesa  in 
cattedrale.  Nel  concistoro  dei  27 
giugno  i8o5  dichiarò  suo  primo 
vescovo  fr.  Ippolito  Antonio  San- 
chez    Rangel  y-Fayas    miuore    os- 


MAY  ni 

servante  di  s.  Francesco,  nato  nella 
villa  de  los-Santos  del  priorato  di 
s.  Giacomo  di  Spada  nullius  dioe- 
cesis. 

Dopo  lunga  sede  vacante  Gre- 
gorio XVI  nel  concistoro  de'  17 
settembre  i838  fece  vescovo  mon- 
signor Giuseppe  Maria  de  Arsiaga, 
nato  in  s.  Michele  di  Pierra  dio- 
cesi di  Truxillo,  già  vicario  capi- 
tolare della  medesima  chiesa,  con 
facoltà  di  trasportare  la  sede  ve- 
scovile in  Chacbapoyas  a  forma 
del  decreto  concistoriale  de' 1  5  ago- 
sto i835.  Dalla  proposizione  con- 
cistoriale si  rileva  che  nella  chiesa 
principale  e  parrocchiale  non  vi 
era  capitolo,  solo  l'uffiziavano  i  mi- 
nori osservanti  di  s.  Francesco  mis- 
sionari, risiedendo  il  vescovo  ed  il 
capitolo  in  Xeveros  in  cui  erasi 
eretta  la  cattedrale  :  la  diocesi  era 
ampia  e  contenente  diversi  luoghi 
e  convento  per  i  detti  missionari. 
Ogni  nuovo  vescovo  è  tassato  nei 
libri  della  camera  apostolica  in  fio- 
rini 33,  ascendenti  ne'  frutti  della 
mensa  a  40°®  monete  di  quelle 
parli.  Il  medesimo  Papa  Gregorio 
XVI,  essendo  ancora  vescovo  il  pre- 
fato prelato,  colla  bolla  Ex  subli- 
mi Pelri  specula,  quarto  nonas  j  u- 
lii  1843,  dismembrò  dalla  diocesi 
di  Truxillo  le  due  provincie  Pala 
e  Chacbapoyas,  e  le  incorporò  alla 
diocesi  e  città  di  Maynas,  e  quindi 
nel  tempo  istesso  soppresse  la  cat- 
tedralilà  di  Maynas  che  ridusse  a 
semplice  parrocchia,  e  trasportò  la 
sede  vescovile  nella  città  di  Cha- 
cbapoyas, ed  alla  chiesa  di  s.  Gio- 
vanni Battista  la  cattedrale,  ren- 
dendola suSi'aganea  dell'arcivescovo 
di  Lima  come  lo  era  Maynas,  do- 
l'endosi  intitolare  il  vescovo  di  Cha- 
cbapoyas e  Maynas.  La  città  di 
Chacbapoyas,    chiamata    ancora   s. 


22  MAZ 

Juan  de  la  Fronlera,  è  capoluogo 
della  provincia  del  suo  nome.  Mal- 
grado la  sua  vantaggiosa  posizione, 
essa  è  piccola  e  poco  popolata,  e 
fu  fondata  nel  i536:  il  paese  è 
però  assai  fertile  di  grani,  frutti, 
Cotone,  tabacco,  zuccaro  e  cacao, 
e  vi  si  trova  pure  una  miniera 
d'oro  in  lavoro. 

MAYULAoMAXULA.  Sede  ve- 
scovile della  provincia  di  Cartagi- 
ne proconsolare,  nell'Africa  occi- 
dentale, sotto  la  metropoli  di  Car- 
tagine. AI  presente  Mayula,  Maxu- 
len,  è  un  titolo  vescovile  in  parti- 
bus,  sotto  la  metropoli  pure  in 
parlibus  di  Cartagine  .  Gregorio 
XVI  fece  vescovo  di  Maxula  mon- 
signor Giacomo  Leonardo  Pero- 
chean,  alunno  del  seminario  delle 
missioni  straniere  in  Parigi  e  coa- 
diutore al  vicario  apostolico  di  Sut- 
fjhuen  nella  Cina;  divenne  effettivo 
nel    1837  e  lo  è  tuttora. 

MA  ZIO  Raffaele,  Cardinale. 
Raffaele  Mazio  nacque  in  Roma  da 
onesti  genitori  a'  24  ottobre  1 765, 
la  cui  onoratissima  famiglia  fìno  dal 
secolo  XVII  avea  dato  ragguarde- 
voli ministri  al  governo  pontifìcio 
nel  sacro  monte  di  pietà,  passando 
in  essa  fìndal  1749  sotto  Benedetto 
XIV  l' importante  carica  di  sopra- 
intendente  generale  della  zecca  pon- 
tificia nella  persona  di  Giacomo 
Mazio,  padre  del  cardinale,  eserci- 
tata con  gran  fedeltà  da  lui  per 
anni  quarantacinque,  e  poscia  da 
Francesco  Mazio  suo  figlio,  ed  ora 
con  egual  lode  dal  primogenito  di 
questo  Giuseppe  Mazio  suo  coadiu- 
tore con  futura  successione.  Il  fra- 
tello suo  è  Paolo  Mazio,  distinto 
letterato  e  autore  di  diverse  ope- 
re, di  alcune  delle  quali  ne  fanno 
lodevole  menzione  gli  Annali  ddle 
91'icnze  religiose.  Raffaele  sortì  dal- 


MAZ 
la  natura  indole  virtuosa,  dedita 
alla  pietà,  felice  e  penetrante  in- 
gegno, statura  vantaggiosa,  avve- 
nenza di  volto,  in  cui  traspii  ava  il 
candore  de' suoi  costumi,  grazia  in- 
sieme a  gravità  di  modi.  Fino  da 
giovanetto  mostrò  inclinazione  allo 
stato  ecclesiastico,  al  quale  Dio  chia- 
ramente chiamavalo,  e  ben  presto 
abbracciollo.  Attese  con  alacrità  al- 
lo studio  delle  lettere  umane,  nelle 
quali  ebbe  principalmente  a  istitu- 
tore il  celebre  ex  gesuita  ab.  Giu- 
seppe Mazzolari,  conosciuto  col  no- 
me di  Mariano  Purtenio,  non  che 
da  un  altro  non  men  valente  ex 
gesuita  l'  ab.  Francesco  Saverio 
Rezza,  e  mercè  di  continuo  eserci- 
zio sotto  tali  maestri,  si  rese  peri- 
tissimo nello  scrivere  latino  con  fu' 
cilità  ed  eleganza.  Fece  nel  colle- 
gio romano  regolarmente  il  corso 
delle  scienze,  massime  sacre,  nelle 
cui  discipline  divenne  dotto,  e  par- 
ticolarmente nel  gius  pontificio  e 
nella  teologia,  nella  quale  tanto  ala- 
cremente si  approfondì,  che  nell'a- 
gosto 1785  ne  sostenne  pubblica 
disputa  nella  chiesa  di  s.  Ignazio, 
sotto  la  presidenza  del  p.  Agostino 
Arbusti  minor  conventuale,  profes- 
sore di  dommalica.  Pertanto  coi 
tipi  romani  del  Salomoni  si  pub- 
blicò l'opuscolo  :  Argiimenta  ex 
iheologia  qiiae  honori  Gullielmi 
Pallottae  cardinalis  amplissimi  ad 
dispulandum  propnsuit  Raphael  Ma- 
tius,  facta  euilibet  post  terlinni  con- 
tradicendi  jacidlaie.  1  punti  furono: 
ex  tractatu  de  locis  theologicis  j  de 
tri  ni  tate j  de  incarnatione  j  de  auxi- 
liis  divinae  gratiae  :  tutti  discussi 
mirabilmente,  onde  chiaramente  die 
a  conoscere  quanto  sarebbe  riusci- 
to utile  alla  Chiesa.  Il  perchè  Pio 
VI  lo  fece  maestro  delle  cerimonie 
puutincie,  ufficio  che  pei  diversi  anni 


MAZ 

«sercitò  diligentemente  (precisamen- 
te lo  nominò  dopo  Zucche  e  For* 
nici,  che  divennero  l'uno  prefello, 
l'altro  secondo  cerimoniere),  e  cano- 
nico della  basilica  di  s.  Maria  in  Tras- 
tevere. Pio  VII  lo  fece  segretario 
della  congregazione  cerimoniale  nel 
1801;  indi  per  la  reputazione  che 
godeva  di  acuto  ingegno  e  profonda- 
mente dotto,  lo  volle  addetto  col- 
la qualificH  di  suo  cameriere  d'o- 
nore, alla  legazione  a  lettere  (ne 
parlammo  al  volume  XXXVII,  p. 
285  del  Dizionario  ed  altrove  ) 
che  presieduta  dal  cardinal  Capra- 
ra,  inviò  in  Francia  per  l'esecuzio- 
ne del  concordato  nel  1801  e  nuo- 
va circoscrizione  di  diocesi;  nel  qual 
grave  uffizio  diede  saggio  di  matu- 
ro consiglio,  destrezza  e  perizia  de- 
gli affari  ecclesiastici.  Dipoi  qual 
procuratore  del  cardinal  Belloy  ar- 
civescovo di  Parigi  (già  vescovo  di 
Marsiglia,  al  quale  articolo  di  lui 
n)eglio  parlammo  che  alla  sua  bio- 
grafìa) titolare  di  $.  Giovanni  a 
porta  Latina,  fece  restaurarlo  ed 
abbellirlo,  presiedendo  all'esecuzio- 
ne di  tutti  i  lavori,  terminati  i 
quali  per  memoria  collocò  analoga 
iscrizione  marmorea  ad  onore  del 
cardinale  (si  legge  nel  uum.  38  del 
Diario  lU  Roma  del  1809,  p.  i4), 
in  un  al  ritratto  del  medesimo,  ac- 
canto la  porta  della  sagrestia.  Al 
tempo  delle  nuove  calamità  della 
Chiesa,  e  quando  Pio  VII  nel  lu- 
glio 1809  fu  espulso  dal  suo  so- 
glio, per  la  fedeltà  e  costanza  ver- 
so la  santa  Sede  ancor  egli  fu  tras- 
portato in  esilio,  prima  a  Piacen- 
za, poi  a  Bologna,  quindi  chiuso  nel 
castello  di  Cento,  ove  si  fece  am- 
mii'are  per  fortezza  di  animo.  Re- 
stituitosi Pio  VII  a  Roma,  e  li- 
beralo dalla  prigionia  anche  il  pre- 
lato, dopo  avere  riveduto  la  sua  fu- 


MAZ 


23 


miglia,  meritò  di  essere  preso  a 
compagno  dal  gran  cardinale  Con- 
salvi (lo  rammentammo  alla  sua 
biografìa),  nelle  alte  ed  importanti 
negoziazioni,  per  le  quali  con  im- 
menso vantaggio  della  religione  cat- 
tolica e  dei  dominii  pontifìcii,  si 
recò  alle  corti  di  Parigi  (  Vedi 
Fbancia),  di  Londra  (Vedi)  e  di 
Vienna,  ove  intervenne  al  famige- 
rato congresso  de' sovrani  europei, 
in  cui  furono  regolati  i  destini  di 
Europa,  e  reintegrata  la  santa  Se- 
de di  molte  sue  proviocie,  come 
narrammo  all'articolo  Germania,  in 
un  agli  affari  religiosi  che  vi  furono 
trattati.  Da  Vienna  monsignor  Ma- 
zio  fu  spedito  a  dare  al  Pontefice  la 
prima  grata  novella  della  restituzione 
delle  dette  provincie  alla  Sede  apo- 
stolica. Tornato  cos\  in  Roma  assai 
benemerito  e  accetto  a  Pio  VII, que- 
sti lo  nominò  tosto  suo  prelato  do- 
mestico, lo  trasferì  al  canonicato  del- 
la basilica  Liberiana,  e  lo  fece  se- 
gretario delle  lettere  latine,  siccome 
dotto,  eloquente  ed  elegante  scrit- 
tore della  lingua  del  Lazio,  ed  in- 
numerabili furono  quindi  le  lette- 
re pontificie  che  scrisse  in  un'  epo- 
ca in  cui  le  relazioni  della  Sede  a- 
postolica  eransi  indicibilmente  accre- 
sciute, pel  riordinamento  generale 
delle  cose  ecclesiastiche,  e  per  la 
venerazione  che  ovunque  avea  de- 
stato il  glorioso  Pontefice.  Corren- 
do l'anno  1817,  nella  cappella  pon- 
tificia pronunziò  l'orazione  funebre 
per  la  defunta  regina  di  Portogal- 
lo Maria,  che  meri  tossi  il  plauso 
degli  illustri  ascoltanti  e  la  stam- 
pa. Dovette  quindi  successivamente 
occuparsi  negli  affari  ecclesiastici  di 
Baviera,  di  Prussia,  di  Piemonte, 
di  Savoia,  di  Annover  e  di  Lucca, 
come  specialmente  da  Pio  VII  in- 
caricato  a    trattare    co'  plenipoleu- 


H  MAZ 

zitui  di  que' principi  per  stringere 
concordati  o  convenzioni,  come  di 
hitli  esegui ,  e  venne  dal  Papa 
nel  1818  piomosso  in  segretario 
della  congregazione  concistoriale  e 
del  sacro  collegio,  e  nel  1819  tras- 
locato a  canonico  nella  basilica  va- 
ticana. Indi  a  poco  fu  dal  Ponte- 
fice inviato  col  cardinal  Spina  al 
congresso  di  Lubiana  e  poi  a  quel- 
lo di  Verona,  ne' quali  laboriosa- 
mente si  occupò  negli  affari  che  vi 
si  discussero.  Appartenne  altresì 
come  prelato  al  tribunale  della  sa- 
cra penitenzieria,  ove  esercitò  l'uf- 
fìzio particolare  di  correttore.  Fu 
segretario  dell'  insigne  accademia 
teologica  istituita  nell'archiginnasio 
romano,  incarico  solito  sempre  con- 
ferirsi a  un  distinto  e  dotto  prela- 
to, ai  quale  egli  tanto  piìi  studiosa- 
mente soddisfece,  perchè  avea  lunga- 
mente in  gioventìi  fì-equentati  gli  e- 
sercizi  teologici  di  quell'istituto  come 
membro  di  esso,  anzi  ne  avea  pur 
anche  scritta  con  elegante  latinità  una 
storia,  la  quale  andò  poi  smarrita 
nelle  vicende  de' tempi.  Nella  sede 
vacante  del  iBaS,  qual  segretario 
del  sacro  collegio,  egregiamente  fun- 
se l'uffizio  di  segretario  di  stato  ed 
entrò  in  conclave.  L'eletto  Leone 
XII  nel  seguente  anno  l'elevò  alla 
cospicua  carica  di  assessore  della 
congregazione  della  romana  inqui- 
sizione. Frattanto  il  suo  corpo  lo- 
goro dalle  fatiche,  s'infermò  di 
inolto,  la  memoria  s'illanguidì,  e 
difficile  si  rese  la  loquela.  Final- 
mente il  Pontefice  Fio  Vili,  volen- 
do splendidamente  rimeritare  tante 
virtù  e  fatiche,  nel  concistoro  dei 
i5  marzo  i83o  lo  creò  cardinale 
dell'ordine  de' preti,  con  quell'elo- 
gio espresso  nell'  allocuzione  ripor- 
tata dal  num.  24  del  Diario  di 
iiorncf.  JN(;  lodò  i  lunghi  servigi,    i 


MAZ 

gravissimi  incarichi  sostenuti,  l'acuf 
tezza  d'ingegno,  la  molteplicità  del- 
la scienza,  l'aggiustatezza  e  la  dili- 
genza nel  disbrigo  degli  affari.  Po- 
scia nel  concistoro  de'  5  luglio  gli 
assegnò  per  titolo  la  sua  antica 
chiesa  di  s.  Maria  in  Trastevere, 
annoverandolo  alle  congregazioni 
della  concistoriale,  del  concilio,  dei 
riti,  e  degli  affari  ecclesiastici  straor- 
dinari, come  riporta  il  num.  54  di 
detto  Diario.  Alla  morte  del  Papa 
intervenne  al  conclave  i83o-i83i 
in  cui  fu  eletto  Gregorio  XVI,  e 
siccome  mal  andato  in  salute,  il 
sacro  collegio  oltre  il  suo  degno 
nipote  Giacomo  Mazio,  gli  conces- 
se iu  secondo  conclavista  d.  Antonio 
Bambozzi,  al  presente  avvocato  fisca- 
le del  s.  oftizio,  e  cameriere  di  ono- 
i-e  fatto  dal  nominato  Pontefice.  La 
penosissima  malattia  epilettica,  che 
da  tanto  tempo  lo  affliggeva,  soste- 
nula  sempre  con  cristiana  rassegna- 
zione, dopo  aver  egli  ricevuto  tutti  i 
sacri  conforti  della  Chiesa,  terminò 
colla  morte  a' 4  febbraio  1882,  d'an- 
ni sessantasette  non  compiti.  Il  cada- 
vere ebbe  solenni  funerali  nella  basi- 
lica di  s.  Maria  in  Trastevere,  in  cui 
celebrò  la  messa  il  pio  cardinal  Ode- 
scalchi  poi  gesuita,  ed  ivi  fu  tu- 
niulato,  come  si  ha  dai  numeri  1  i 
e  1 2  del  Diario  di  Roma  di  tale 
anno.  Sulla  tomba  il  fratello  Fran- 
cesco, ed  i  nipoti  Salvatore  e  Gia- 
como gli  eressero  una  marmorea 
iscrizione  con  giusto  elogio,  il  quj^- 
le  si  legge  nell'opuscolo:  ELogium 
Raphaelis  Malii  S.  R.  E.  presb. 
cardiiialis  plumbeo  tubo  incLusuni 
tt  cum  torpore  conditum,  Romiie 
i832  ex  typographaeo  Salviucciano, 
Di  tutto  n'è  autore  il  dotto  nipo- 
te del  defunto,  chiaro  per  opere 
pubblicate  (oltre  quelle  di  cui  triit- 
tunu  i  suddetti  Annali  delle  icieuze 


MAZ 

religiose  ),  per  l'aDiorevole  e  inde- 
fessa assistenza  prestata  ad  un  tan- 
to zio,  ed  ancora  per  l'edificante 
rinunzia  che  fece  a  Gregorio  XVI 
che  io  ausava,  di  percorrere  kirni- 
nosa  carriera  ecclesiastica,  per  ef- 
fettuare la  vocazione  di  entrare  nel- 
la compagnia  di  Gesù,  solo  ritar- 
data dall'encoiniala  assistenza,  ove 
col  nome  di  p.  Giacomo  JMazio  è 
professore  di  diritto  canonico  nel 
collegio  romano.  La  morte  dell'am- 
piissiaio  cardinale  (u  da  tutti  pian- 
ta, per  le  splendide  sue  virtù,  per 
la  somma  religione  ed  attaccamen- 
to alla  santa  Sti\Q,  per  la  cognizio- 
ne e  sperienza  de' suoi  affari,  per 
gì'  innocenti  suoi  costumi  e  tem- 
peranza, per  la  particolar  divozio- 
ne alla  Beata  Vergine,  onde  fu  ri- 
spettato da  tutti.  Amato  dai  Pon- 
tefici, Gregorio  XVI  gliene  die  ge- 
nerose riprove  anche  dopo  la  di  lui 
morie. 

MAZZA  D'ARGENTO,  Clavas 
argenteas.  Insegna  d' onore,  di  au- 
torità e  giurisdizione,  i  cui  por* 
latori  si  dissero  clavigeri,  claviseri, 
clavari,  e  mazzerii.  Essa  piecede 
nelle  solennità  i  capitoli  di  alcune 
chiese  principali  o  insigni,  le  ma- 
gistrature municipali,  e  lino  ai  primi 
anni  del  secolo  corrente  precedeva  i 
cardinali.  Tuttora  la  mazza  di  ar- 
gento in  alcune  funzioni  si  usa  dai 
Cursori  Apostolici  [Fedi)  e  sempre 
dai  Mazzieri  del  Papa  [Fedi).  La 
mazza  di  argento  ordinariamente  è 
lunga  circa  più  di  tre  palmi;  è  più 
o  meno  ricca  di  fregi  ed  ornamenti 
in  rilievo,  la  cui  forma  proporziona- 
tamente grossa  nella  testa  o  som- 
mità, termina  coll'estremità  alquan- 
to sottile  pel  maneggio  della  me- 
desima. Le  mazze  delle  chiese  e 
delle  magistrature  sulla  lesta  hanno 
ìiCuipiti   i  rispettivi  sternali,  e  qual- 


MAZ  23 

cuna  l'arma  di  chi  la  concesse  ; 
quelle  de'  cursori  e  mazzieri  pon- 
tificii, lo  stemma  di  quel  Papa  che 
nominò  cursore  o  mazziere  il  pro- 
prietario delia  mazza.  Anche  i  cur- 
sori del  cardinal  Ficario  di  Rorna^ 
hanno  l'  uso  della  mazza  di  argen- 
to. Talora  si  chiamarono  mazze  al- 
cuni hastoni  corti  o  lunghi,  bacu- 
/«y,  ricoperti  di  velluto  o  seta  ros>a 
con  la  sommità  di  metallo  doralo 
o  di  argento,  poitati  dai  chierici  o 
laici  mazzieri  delle  chiese  (  un  e- 
sempio  si  può  vedere  nel  voi.  IX, 
p.  68  del  Dizionario)  o  da  altri; 
la  Bacchella  fu  detta  mazza  sottile, 
e  fu  segno  di  prerogativa,  come  di 
dignità  lo  sono  i  bastoni  chiamali 
Bacolo  e  Ferula,  come  si  può  ve- 
dere ai  loro  articoli.  11  Macri,  verbo 
Dicaiiiiuin,  dice  così  chiamarsi  la 
mazza  di  argento,  la  quale  antica- 
mente portavano  innanzi  alcuni  uf- 
fiziali  delia  corte  imperiale;  ed  al 
verbo  Macerius  afferma  essere  un 
ulHziale  palatino  od  un  soldato,  il 
quale  accompagnava  il  Papa  nelle 
cavalcate,  conducendo  il  freno  del 
suo  cavallo,  ed  essere  oggi  chiamati 
mazzieri.  Anticamente  quello  che 
presiedeva  alle  fabbriche  imperiali, 
precedeva  V  imperatore  con  una 
verga  d'oro  in  mano;  e  quelli  i 
quali  erano  c\\\Amdi\\  praeposili  fa- 
miliaruni  avevano  1'  uso  di  portare 
le  verghe,  quos  insignes  faciunt  vir- 
gae  de jc Iris  aplalae  :  cosi  in  Fran- 
cia ed  altrove,  coloro  che  presie- 
devano al  palazzo  reale  portavano 
il  bastone  o  la  verga.  Presso  gli 
antichi  romani  i  fasci  di  verghe 
erano  insegna  de'magistrati,  che  si 
portavano  avanti  di  loro  dai  littori, 
cioè  dodici  avanti  ai  consoli,  e  sei 
avanti  i  proconsoli  ed  i  pretoii  : 
tali  fasci  si  formavano  di  veryli'i 
prese  dall'  arbore  betula  originaria 


26  M  A  Z 

della  Gallia:  in  essi  sopravanzava 
la  scure.  Plutarco  scrisse  denotare 
i  fasci  legati,  che  l'ira  de' magi- 
strati non  dovesse  essere  precipitosa 
nel  condannare  ai  supplizi,  laonde 
i  fasci  non  doveansi  sciogliere  sen- 
za giusta  causa,  ed  almeno  ciò  fa- 
cendosi il  magistrato  avesse  tempo 
di  porsi  in  tranquillità;  e  siccome 
i  fasci  erano  composti  di  verghe  e 
di  scure,  le  prime  servissero  a  pu- 
nire i  correggibili,  le  seconde  gli 
incorreggibili.  Il  Muratori,  Antichità 
ital.  t.  Il,  p.  ayg,  parla  dell'  ori- 
gine della  mazza  o  clava,  bastone 
nodoso,  od  anche  martello  di  ferro 
o  di  legno  con  chiodi  acuti  per  of- 
fendere il  nemico.  Osserva  il  p. 
Menochio  ,  parlando  della  mazza 
de' cardinali,  Sluore  t.  IH,  p-  io4, 
ed  il  Sarnelli,  che  lo  segui  discor- 
rendo sullo  stesso  argomento,  Leti, 
eccl.  tom.  IX,  pag.  19,  che  for- 
se la  mazza  cardinalizia  che  pre- 
cedeva i  cardinali,  servì  in  ori- 
gine per  rimuovere  al  loro  passag- 
gio la  folla  del  popolo  con  qualche 
bastone,  a  similitudine  di  quanto  i 
littori  facevano  coi  fasci,  il  quale 
bastone  in  progresso  di  tempo  ve- 
nendo ornato,  ne  derivò  la  mazza 
convertita  nobilmente  in  argento,  e 
in  segno  di  podestà;  e  che  i  car- 
dinali, quali  principi  della  Chiesa, 
trasmutarono  i  fasci  in  mazze  di 
argento,  dovendo  essere  propensi 
pili  alla  clemenza  che  al  rigore. 
Del  significato  e  simbolo  delle  maz- 
ze cardinalizie  ne  parla  pure  il 
Piazza  a  p.  5  della  sua  Gerarchia. 
Dice  inoltre  il  Macri,  che  tra  i  gre- 
ci fuvvi  un  ministro  detto  Masti- 
gophorus,  il  quale  con  una  frusta 
limoveva  la  calca  del  popolo  nelle 
feste  pubbliche. 

Il  p.  Bonanni,    Gerarchia  eccle- 
siastica, capo    CXIII,  Della  mazza 


MAZ 

solita  portarsi  avanti  i  cardinali, 
riferisce  che  il  portarsi  la  verga  o 
mazza  avanti  le  persone  costituite 
in  dignità,  fu  costume  antico,  come 
notò  il  p.  Lodovico  Cresolio  nel  suo 
Mistagogo  lib.  1,  sect.  i,  e  ciò  si 
costumava  per  segno  di  dignità,  e 
quasi  come  scettro  reale  in  segno 
di  podestà.  Tale  uso  fu  praticato 
anticamente  anche  nelle  funzioni 
solenni,  precedendo  il  sommo  Pon- 
tefice ed  i  cardinali,  mediante  per- 
sone munite  di  bastoni  per  rimo- 
vere la  turba,  ed  anche  in  segno 
di  giurisdizione,  come  al  suo  tempo 
praticavasi  nelle  cavalcate  e  fun- 
zioni solenni,  nelle  quali  si  vede- 
vano avanti  i  cardinali  i  loro  pala- 
frenieri con  aste  in  mani,  non  che 
portandosi  alle  cappelle  ed  ai  con- 
cistori. Su  di  che  ecco  quanto  scris- 
se il  Ciampini,  P^et.  nionìni.  p.  179. 
«  In  Urbis  solemnioribus  equitali- 
bus,  quibus  Pontifex  cardinalesque 
interveniunt,  eminentissimorura  pe- 
dissequi bini  aequo  ordine  singulos 
cardinales  doiuinos  suos  phaleratae 
inulae  insidentes  praecedunt,  bacu- 
losque  praeseferunt  septem  circiter 
palinos  oblongos,  qui  simplici  qui- 
tlem  slructura  sunt,  auro  tamen 
obducti  ac  prope  fastigium  stem- 
mate domìni  gentililio  insigniti  . 
Ejusdem  formae  baculis  utuntur 
praedicti  parafraenarii  apostolica  se- 
de vacante,  dum  cardinales  conclave 
ingressi  sunt  (ne  parlammo  all'ar- 
ticolo Dapiferi,  Vedi  ),  duo  etenira 
ex  eorum  pedissequis  prandii  coe- 
riaque  temporibus,  cum  baculis  ob- 
sonia  comilantur  ad  rotas,  per  quas 
deferentur  ad  dominos:  baculi  vero 
i'sti  colore  a  superioribus  discrepant, 
nam  cardinalis  qui  pileum  cardina- 
litium  accepit  a  Ponlifìce  proxime 
defuncto  tunc  baculos  parafraena- 
riorunj    violaceo    colore    notai,    in 


MAZ 
liiclus  at'giimentuin,  et  raoeroris  de 
amisso  palle  concepii  ;  color  enim 
violaceus  lugnbrìs  noia  est,  prae- 
soilina  apiid  reges,  qiiibus  caidina- 
les  aeqiiipai-aiiliir  :  caidinalis  vero, 
qui  ex  alio  praedecessore  Poutifice 
cardinalis  crealus  est,  baculus  pa- 
rafiaenariorum  suorum  viridi  colo- 
re obducit,  in  siguum  etiarn  luclus, 
al  non  tatù  gravis;  viridis  qnippe 
color  quodammodo  intaustus  est. 
Ibi  te  a  cyparissi  viriditale  desiunpto 
symbolo,  quo  fnnebris  iiolae  arbo- 
rea) eficcere  piacila  poelarum.  I3a- 
culi  aulem  isti  ad  illos  referri  de- 
belli, quibus  iitebanliir  antiqui  mi- 
nistri, qui  multitudinem  afflueutem 
arcebantj  cuni  viam  per  (juani  Pon- 
lifcx  cardinalesque  incederent  faci- 
lem  Jalamque  praeberenl ,  nec  a 
plebe  lutnulluanle,  ac  gregatim  in- 
discrete accurrente  transitus  arcla- 
retur  ".  Anche  il  p.  Bonanni  opina 
the  da  tale  uso  possa  essere  deri- 
vala la  mazza  solila  portarsi  avanti 
ai  cardinali,  con  ornare  i  suddetti 
bastoni  in  forma  di  mazza,  non  tan- 
to per  iim<)\ere  la  turba  del  po- 
polo, che  in  delle  circostanze  suol 
concorrere,  quanto  per  indicate  la 
dignità  cardinalizia  di  quello,  cui 
precedeva  tale  insegna,  mentre  della 
sidjlimità  del  cardinalato  ne  tenem- 
mo proposilo  all'articolo  Cardina- 
le. Descrivemmo  tali  bastoni,  ed  il 
luogo  dove  nelle  cavalcale  incede- 
vano i  palafrenieri  lo  dicemmo  an-, 
Cora  nel  voi.  X,  p.  3oi  del  Dizio- 
nario in  ambedue  le  colonne. 

Anticamente  si  portava  la  mazza 
dai  cardinali  nelle  loro  legazioni, 
essendo  sempre  stala  la  verga  sim- 
bolo di  podestà,  anche  sovrana  e 
principesca;  per  cui  il  Ciampini, 
nel  cap.  i5  in  conferma  si  espresse 
così.  «  Baculum  semper  regiae  pò- 
leslalis  insigne    fuisse,  uti    et    sce- 


MAZ  -  27 

plrum,  si  Pachimerae  credimus,  a- 
deo  ut  eliam  antiquilus  solemni 
ejus  Iraditione  regium  jus,  et  sum- 
ma  authoiilas  confeirelur  ".  Anto- 
nio Scappo,  Dt  birreto  ruheo,  p.  3g, 
dice  che  la  mazza  la  possono  usare 
anche  i  cardinali  regolari  come  in- 
signia  dignitatis  praetminentia  signi- 
ficantia.  Si  portava  questa  insegna 
da  un  aiutante  di  camera  sopra  il 
braccio  sinistro,  qualunque  velia  si 
adoperava  dai  cardinali  la  Cappa 
[l^'edi);  ma  nel  venerdì  santo  in  se- 
gno di  duolo  si  portava  a  rovescio. 
Si  usava  ancora  quando  i  cardinali 
recavansi  al  palazzo  pontifìcio  per  i;i 
predica,  e  sempre  sino  al  luogo  ove 
assumevano  le  cappe,  e  nel  palazzo 
sino  alla  sala  del  Papa.  11  p.  Bo- 
nanni slima  che  probabilmente  l'  o- 
rigine  si  debba  ripetere  dal  pontifi- 
calo di  Paolo  II  del  i464>  quando 
in  tale  anno  assegnò  ai  cardinali 
il  panno  rosso,  gito  efjiios,  vcl  nui- 
los  slernerent  diiin  equitaiU.  Che  la 
mazza  di  argento  era  già  in  stabile 
uso  a'iempi  di  s.  Pio  V  del  i566, 
lo  abbiamo  dalla  sua  vita,  dove  si 
leg"e  che  avendo  crealo  cardinali 
Sanlorio,  Matfeij  Peretli,  Aldobian- 
dini.  Bianchi  ed  Acquaviva,  li  di- 
stinse con  diversi  doni,  fra  i  quali 
ognuno  ebbe  una  mazza  d'argento, 
quattro  portiere,  ed  i  finimenti  ros- 
si e  paonazzi  per  le  mule.  Il  p. 
Bonanni  riporta  la  fjgura  di  uu 
aiutante  di  camera  che  colla  mano 
destra  tiene  la  mazza  d'  argento  la- 
vorata sul  braccio  sinistro:  egli  è 
vestito  di  nero  con  collare  di  mer- 
letto, e  scarpe  con  fìbbie  ;  l'abilo  è 
di  città,  come  quello  de' gentiluomi- 
ni de' cardinali,  in  tutto  tranne  \;\. 
spada.  A  p.  44"^-  narra  il  p.  Bonanni, 
che  incombeva  al  caudatario  pre- 
parare la  mazza  «piando  occorreva. 
Il  Sestini   parlando    nel    suo   JÌJac- 


48  M  A  Z 

Siro  di  camera  al  cap.  XXX  delle 
vihile  de' cardinali,  viene  commen- 
tato dall'  Amali,  il  quale  è  di  pa- 
rere, che  i  cardinali  in  abito  col 
rocchetto  scoperto  non  doveano  usar 
la  mazza,  e  produce  la  testimo- 
nianza del  cerimoniere  de  Grassis. 
Questi  narra,  che  venuto  in  Pvoma 
nei  i5o9  ii  cardinal  Genoma nense, 
visUavit  sacruin  collegi uin,  e  che 
visitando  aliquaiido  deposuil  cap- 
fjatnj  ma  soggiunge ,  che  quolie.s 
Ulti  deponehat  cappavi,  e  restava  il 
rocchetto  scoperto,  toies  mazzerius 
e/us  maliain  deponebat,  perchè  la 
mazza  va  unita  non  col  rocchetto, 
ma  colla  cappa  ;  e  perchè  il  cardi- 
nale tpiaudo  è  in  cappa  dicilur  esse 
in  habilti  regio,  però  gli  si  aggiunse 
allora  la  mazza,  acciò  abbia  il  re 
il  suo  scettro  innanzi.  Quando  un 
cardinale  è  in  cappa  preceduto  dalla 
mazza,  tutti  i  gentiluomini  e  fami- 
gliari che  vanno  innanzi,  devono 
andare  col  capo  scoperto,  il  che  non 
sono  tenuti  fare  quando  il  cardi- 
nale è  in  rocchetto  scoperto.  Così 
r  Amati  ;  il  Sestini  poi  dichiara  che 
la  mazza  di  argento  per  riguardo 
ai  cardinali,  non  tanto  è  insegna 
di  dignità,  quanto  di  preeminenza 
e  podestà.  Il  Lonigo  delle  Presti 
purpuree,  pag.  34,  parlando  della 
mazza,  tdìermando  che  sen^pre  si  do- 
veva portare  avanti  al  cardinale  in 
cappa,  è  di  parere  che  non  si  dovesse 
usare  nei  mattutini  delle  tenebre, 
non  facendosi  in  essi  precedere  il 
Papa  dalla  croce.  Avverte,  che  nelle 
cavalcate,  quando  un  cardinale  solo, 
o  i  cardinali  collegialmente  cavalca^ 
vano,  absente  Ponti/ice,  si  portava- 
no le  mazze  elevale;  presente  il  Papa 
si  tenevano  abbassate.  Ed  inoltre, 
che  solevano  i  cardinali,  quando 
cavalcando  si  recavano  colla  mazza 
iilzalu  u  nelle  cUie&(ì  o  uui  uulazzu 


MAZ 

apostolico,  al  loro  ingresso  calare 
le  mazze,  né  mai  vi  entravano  con 
esse  per  riverenza  a  Dio  e  al  Papa. 
Quanto  al  portare  ia  mazza  a  ro- 
vescio anche  nel  venerdì  santo,  si 
legge  nel  Lunadoro,  edizione  del 
1646  posteriore  al  Lonigo,  che  ne 
vigeva  r  uso.  Anche  per  la  morte 
del  Papa  si  solevano  portare  le 
mazze  ealate. 

1  cardinali  si  facevano  precedere 
colla  mazza  d'argento  anche  nelle 
solenni  cavalcate,  colle  quali  i  Papi 
si  recavano  alle  cappelle  dell'  An- 
nunziata, di  s.  Filippo,  della  Nati- 
vità, di  s.  Garlo,  e  pel  solenne  pos- 
sesso. La  prima  memoria  che  di 
ciò  si  legge  nella  descrizione  de' pos- 
sessi, è  del  iSgo  per  quello  di  Gre- 
gorio XIV,  in  cui  si  dice  che  dopo 
i  cavalleggieri,  tuin  valisarii  et  dein- 
de clavigeri  de'  cardinali,  cavalca- 
vano: dodici  cursori  intorno  al  Papa 
ainbulabant,  clavani  argenleani  su- 
per humeruni  dexleruni  tenentesj  e 
vicino  al  capitano  degli  svizzeri  cam- 
minavano i  mazzieri.  Nel  possesso  del 
i5()i  d'Innocenzo  IX,  per  evitare 
le  dispute  di  precedenze  ,  in  prin- 
cipio cavalcò  il  baronaggio  romano: 
sequebanlur  valisarii  cardinalium, 
et  apud  eos  clavigeri  eorunidem, 
claves  non  ertela s,  sed  dernissaSy 
super  equi  ephippia  portanles.  In 
quello  di  Clemente  Vili  del  1592, 
dopo  i  cavalleggieri  procedevano  i 
valigieri  de'  cardinali,  i  valigieri  con 
le  mazze  piegate  sopra  l' arcione, 
ed  i  gentiluomini.  In  quello  di  Leo- 
ne XI  venivano  in  prima  i  guar- 
daroba e  mazzieri  de'  cardinali  , 
tutti  a  cavallo  con  l' insegue  di  quel- 
li, che  cavalcavano  con  mazze  di 
argento,  ed  ascendevano  ad  ottanta. 
Nel  possesso  di  Paolo  V  seguivano 
i  cavalleggieri  le  valigie  de' cardi- 
nali, dipoi  i  mazzieri  de'  medesimi 


M  A  Z 
colle  mazze  abbassate,  e  posale  sul- 
J'. arcione  del  cavallo:  intorno  al 
Papa  procedevano  lateralmente  sei 
coppie  di  cursori  apostolici  con  ve- 
sti paonazze  e  mazze  d'  argento  sul- 
le spalle.  In  quello  di  Gregorio  XV, 
valisarii  cardinalium  cum  valì- 
sih  rubris  pontifìcaUbus  :  mazze- 
ra Clini  tnozziis  dimissif;  ante  ipsos. 
In  quello  d'Innocenzo  X,-  valisarii 
cum  valisiis  rubeis,  claviseri  cum 
clavis  dimis.sis  dd.  cardinalium 
equilantes  per  ordineni  :  avanti  la 
lettiga  pontificia,  cursores  Papae 
cum  clavis.  In  altra  relazione  si 
legge  :  Hos  cardinalium  vesti arii 
in  equis  sequebantur,  quorum  col- 
la bulgis  ,  phrj-gio  opere  ,  auro , 
argenloque  elaboratis  contraslave- 
rant,  tri ginta  numero;  tonsores  (or- 
dinariamente incombeva  all'aiutan- 
te di  camera  barbiere  del  cardinale 
il  portare  la  mazza  )  totideni  mi' 
mero,  qui  clavas  argenteas,  miro 
opere,  artificioque  perfectas,  quas 
suis  dominis  praeferunt,  quuni  sa- 
cellum  pontificium ,  vel  consistorium 
publice  inlrant,  vel  aliuni  aliqueni 
in  locum  veniunt,  ante  pectus,  de- 
missas,  equorumque  Collis  innixas 
habebant.  Nel  possesso  di  Alessan- 
dro VII  del  i655  :  sequebantur 
cardinalium  hyppoperarii,  ferentes 
hulgas  coccineas ,  phrygia  acu  auro 
intertextas.  Snccedebant  clavarii  ar- 
genteas  clavas  eximio  artis  lenoci- 
nio  laboratas,  bracteis  aureis  per- 
liias,  et  cujusque  cardinalis  stem- 
mntibus  interstinctas ,  scilicet  ani- 
plissimae  potesiatis  insignia  in  sum- 
mo  ephìppiorum  apice  oslentantes . 
In  quello  di  Clemente  IX,  presso  i 
cavalleggieri  venivano  i  valigieri 
de'  cardinali  con  superbissime  vali- 
gie ricamale  d'oro  di  scarlatto,  col- 
le armi  e  imprese  di  essi,  prece- 
dendo  per    ordine    del    grado    dei 


M  A  Z  79 

loro  padroni.  Indi  i  mazzieri  dei 
suddetti  con  mazze  massiccie  di  ar- 
gento dorato  in  varie  e  bellissime 
forme:  i  dodici  cursori  con  vesti 
paonazze  lunge,  mazze  di  argento 
e  berrette  in  mano,  incedevano 
presso  il  Papa.  Sempre  e  in  tulli 
i  successivi  possessi,  incliisivamenle 
a  quello  preso  da  Pio  Vi  nel  177^, 
si  legge  che  dopo  i  cavalleggieri, 
il  foriere  e  cavallerizzo  del  Papa, 
cavalcavano  a  due  a  due  i  valigieii 
o  guardaroba  de' cardinali  con  su- 
perbe valigie  di  scarlatto  rosso  ri- 
camate d'oro  e  d'  argetilo,  colle 
loro  armi,  impiese  e  stemmi  gen- 
tilizi ,  procedendo  secondo  l'anzia- 
nità de'  loro  padroni,  incomincian- 
do dai  più  antichi;  col  qual  ordi- 
ne cavalcavano  appresso  gli  aiutan- 
ti di  camera  mazzieri  de'  cardinali, 
con  mazze  massiccie  di  aigenlo  do- 
rato di  varie  e  nobilissime  forme, 
vagamente  e  diversamente  figurate 
ed  istoriate  con  preziosi  rilievi,  or- 
namenti e  fregi,  piegale  sopra  il 
pomo  dell'  arcione  della  sella  ;  se- 
guiti dai  gentiluomini  de' cardinali 
riccamente  vestili.  I  valigeri  poi  dei 
cardinali,  senza  i  mazzieri,  inter- 
venivano pure  ad  allie  cavalcate, 
come  in  quella  del  cappello  cardi- 
nalizio, ed  in  altre,  come  diciamo 
a'  loro   luoghi. 

Nel  numero  4?^^^  ^'^l  Diario  di 
Roma  del  1748,  si  ha  che  il  car- 
dinal Nereo  Corsini,  nipote  di  Cle- 
mente XII,  fece  lavorare  una  maz- 
za cardinalizia  d'  argento  dorato 
con  lapislazzoli  ed  altre  pietre  pre- 
ziose, del  peso  di  circa  novantacin- 
qne  libbre,  e  la  donò  al  cardinnl 
duca  di  Yorck  figlio  di  Giacomo 
III,  nell'anno  precedente  creato  car- 
dinale da  Benedetto  XIV.  Nel  nu- 
mero 7704  del  Diario  1766,  si  leg- 
ge   che    il     cardinal     Giamballisla 


3o  INI  A  Z 

RoverO  arcivescovo  di  Torino,  mo- 
rendo lasciò  la  sua  mazza  cardina- 
lizia a  Carlo  Emnianuele  Ili  re  di 
Sardegna,  la  collana  dell'  ordine 
dell'Annunziata  in  brillanti  al  real 
duca  di  Savoia,  ed  ai  camerieri  tut- 
ta la  guardaroba  .  Quanto  alle 
mazze  delle  chiese  e  delle  m unici - 
])alità,  in  diversi  luoghi  ne  parlia- 
mo, e  solo  qui  accenneremo,  che 
Sisto  V  concesse  alla  basilica  late- 
laueuse  quattro  mazze  d' argento, 
al  modo  detto  al  voi.  Xll,  p.  Sy 
dei  Dizionario.  Abbiamo  dal  Theuli, 
Teatro  islorico  di  Velletri  p.  25 1, 
che  la  magistratura  di  quella  città 
ha  l'uso  della  mazza  cardinalizia, 
che  porta  nelle  solennità  \\  maestro 
di  casa  de'  priori.  Pio  VI  col  bre- 
ve Paterna,  presso  il  Bull.  Roni. 
Continitatio  t.  IX,  p.  34,  del  primo 
giugno  1791  ,  concesse  la  mazza  di 
argento  al  magistrato  d'  Asisi.  Ri- 
poita  il  numero  4  ^^'  Diario  di 
Roma  181 5,  che  Pio  VII  con  bre- 
ve dei  28  dicembre  i8i4  concesse 
al  magistrato  d'  Anagni  1'  uso-  del- 
l' ombrellino  e  del  mazziere  con 
inazza  d' argento,  mentre  esercita 
le  pubbliche  funzioni. 

MAZZARA  o  MARSALA  [Maz- 
zarien).  Città  con  residenza  vesco- 
vile nel  regno  delle  due  Sicilie,  nel- 
la provincia  di  Valle  minore  di 
Trapani,  capoluogo  di  distretto  e 
di  cantone,  situata  in  una  pianura 
sulla  riva  sinistra  ed  all'imbocca- 
tura del  Salemi  nel  Mediterraneo, 
25  miglia  distante  da  Trapani  e 
82  da  Girgenti.  E  jiosta  sopra  una 
specie  di  penisola  formata  nell' e- 
slremità  dal  Lilibeo,  oggi  Capo  Bo- 
to, la  quale  injpropriamente  dicesi 
promontorio,  essendo  piana  ed  uni- 
ta la  superficie  di  essa.  La  valle  di 
Mazzara,  una  delle  tre  antiche  di- 
visioni della  Sicilia,,  di  cui  compien- 


MAZ 
dova  la  parte  occidentale,  trasse  il 
nome  da  questa  città  :  formò  le 
Provincie  di  Trapani  e  di  Girgenti, 
gran  porzione  di  quella  di  Paler- 
mo, e  parte  dell'altra  di  Caltani- 
setta. Mazzara  o  Mazara  o  Marsa- 
la, Mazanum  o  Mazaruni,  è  piazza 
di  guerra  di  quarta  classe,  e  vedesi 
cinta  di  buone  mura,  con  una  cit- 
tadella forte,  munita  di  quattro  ba- 
stioni :  il  suo  circuito  si  estende  qua- 
si ad  una  lega.  Bello  è  il  suo  aspetto, 
dacché  alle  ampie  strade  corrispon- 
dono adeqnatamente  i  pubblici  e 
privati  edifizi;  e  soprattutto  nelle 
chiese  sfoggia  la  splendidezza,  e  par- 
ticolarmente merita  menzione  la 
piazza  del  duomo.  La  sua  cattedrale 
è  rimarchevole  ed  osservabile  per 
la  sua  cupola,  per  le  molte  vetu- 
ste iscrizioni,  e  per  tre  antichi  maun 
solei.  Vi  sono  in  città  diverse  chiese, 
conventi,  un  ospedale,  e  stabilimenti 
benefìci.  Il  porto  è  grande  e  buo- 
no, ma  la  rada  non  è  difesa.  Tra  i 
suoi  prodotti  è  celebre  il  vino  che 
produce  ,  dal  suo  nome  chiamato 
Mazzara,  e  più  comunemente  Mar- 
sala, di  cui  se  ne  fa  copiosissimo 
smercio,  per  1'  uso  di  esso  tanto  di- 
ramato :  gl'inglesi  lungo  la  riva  del 
mare  di  tale  eccellente  vino  hanno 
formato  un  ricco  stabilimento,  ove 
lo  depurano  con  poco  spirilo.  Fu 
in  questa  città  che  •  gli  arabi  pro- 
venienti da  Rhairvar  nell'  826  o 
827  sbarcarono  per  la  prima  volta 
in  Sicilia,  e  dopo  la  conquista  di 
Palermo  stabilirono  un  dominio 
che  durò  quasi  tre  secoli,  finché 
il  normanno  Ruggero  conte  di  Ca- 
labria e  di  Sicilia  li  cacciò  dalla 
Sicilia  verso  il  loyS.  Allora  la  cit- 
tà fu  munita  di  mura  e  difesa  con 
rocca.  Quindi  nel  logS  fu  eretta 
la  cattedrale  da  Ruggero,  nella  qua- 
le a  lui  i  tnazzuresi   innalzarono  per 


M  A  Z 
gratitudine  una  statua  di  marmo, 
anche  per  avere  prescelto  la  città 
a  sua  sovrana  residenza.  Mazzara 
in  seguito  divenne  marchesato.  Dei 
suoi  uomini  illustri  il  Pirro  ne 
tratta  a  pag.  gc)4  e  seg.,  incomin- 
ciando dal  p.  Gio.  Matteo  gesuita 
martirizzato  nei  Giappone  nel  i633; 
t'  da  Enrico  siciliano  patriarca  di 
Antiochia,  fatto  cardinale  del  tito- 
lo di  s.  Teodoro  da  Pasquale  II. 
In  vicinanza  si  trovano  gli  ayanzi 
dell'  antica  città  di  Lilìbeo,  che  i 
cartaginesi  fondarono,  dopo  che 
Dionisio  atterrò  la  preesistente  Mo- 
zia  :  Vedi  Lilibea.  L'antico  porto 
si  vede  attualmente  riempito,  e  ma! 
atto  a  ricever  le  navi  :  i  romani 
vi  mantennero  un  questore,  che  si 
disse  Lilibetano,  per  la  parte  occi- 
dentale della  Sicilia.  Quando  i  sa- 
raceni distrussero  Lilibeo  impresero 
a  edificare  Marsala,  cui  succedette 
anco  nella  sede  vescovile.  Vi  si  veg- 
gono il  celebre  pozzo  e  la  grotta 
della  sibilla.  Finissimo  è  il  mar- 
mo bianco  che  si  trae  dui  suoi  din- 
torni :  vi  sono  pure  le  saline  ed 
acque  sulfuree,  e  conta  più  di 
2  1,000  abitanti. 

La  sede  vescovile  in  luogo  di 
quella  antica  di  Lilibea  o  Lilibeo, 
fu  eretta  nel  secolo  XI,  ed  il  pri- 
mo vescovo  conosciuto  è  Stefano 
de  Fer  o  Ferro  di  Rouen,  parente 
del  conte  Ruggero  che  lo  nominò,  ed 
Urbano  li  lo  confermò  e  consagrò 
suffraganeo  di  Palermo,  come  è 
tuttora  questa  sede.  Stefano  viveva 
nel  logSj  come  rilevasi  da  Rocco 
l'irroj  Siciliae  sacrae  t.  II,  p.  9^45 
Mazareiisis  ecclesiae  notiliae.  Nel 
1093  già  esistevano  le  monache 
benedettine  di  s.  Michele,  così  nel 
1  lOf  i  basilianì  de' ss.  Nicola  e 
Giovanni  ;  inoltre  i  basiliani  ebbero 
k  celebre  abbazia    di  s.  Maria  de 


]M  .\  7.  3  r 

Alto.  Il  secondo  vescovo  fu  JJberto 
o  Oberlo  del  11 44»  ^  c"'  ^^"88"^" 
ro  re  di  Sicilia  confermò  le  dona- 
zioni fatte  a  questa  chiesa  dal  conte 
di  Calabria  e  Sicilia  suo  padre,  in 
un  alle  decime  sul  poi  to  e  tonna- 
ria.  Gli  successe  Tustino  o  Trista- 
no di  Lilibeo  del  1  iSy  ,  che  fu 
carissimo  e  famigliare  al  re  Gu- 
glielmo li,  ed  intervenne  alla  co- 
ronazione della  regina  Giovanna 
sua  moglie  nel  1177,  decorando 
l'ambone  della  cattedrale  con  otto 
colonne.  Ne  furono  successori,  nel 
1182  Matteo,  nel  1199  Trojano, 
nel  1220  Giovanni  I,  Benvenuto  l 
del  1246,  Luca  del  1260,  fr.  Ni- 
cola cistcrciense  del  1268,  Benve- 
nuto Il  del  1270,  Giovanni  II  del 
1274,  Guglielmo  del  1288,  Gio- 
HI  Fulutum  o  Fulcum  del  i3oo, 
Goffredo  de  Roncioni  pisano  del 
i3o5,  che  consagrò  la  chiesa  di 
s.  Maria  Alcamitana  de'domenicani; 
fr.  Pellegrino  de  Pactis  >  nobile 
messinese  e  domenicano,  che  otten- 
ne fossero  devolute  al  vescovo  le 
cause  degli  ebrei  di  sua  diocesi  nel 
i3i8,  e  battezzando  nella  cattedra- 
le Ruggiero  figlio  di  Federico  II 
e  di  Eleonora,  ebbe  dal  re  diversi 
privilegi.  Nel  i327  divenne  vesco- 
vo fr.  Pietro  Rogano  .  domenicano 
di  Girgenti  ,  cui  successero:  nel 
i33r  fr.  Ferrario  A  bel  lo  dome- 
nicano della  Puglia,  trasferito  nel 
i334  a  Baicellona;  nel  i335  fr. 
Ugo  traslato  da  Trieste,  che  ap- 
provò l'erezione  dell'ospedale  di  s. 
Caterina;  Bernardo  del  i  34  3;  Gu- 
glielmo Il  Monstrius,  trasferito  a 
Messina;  nel  i353  fr.  Gregorio; 
nel  1362  Francesco  I  di  Catania; 
nel  1 363  fr.  Ruggiero  di  Piazza 
francescano,  e  nel  1370  già  esiste- 
vano i  carmelitani:  nel  i375  fr. 
Ffancesco    li    domenicano,    confer- 


32  MAZ 

malo  da  Urbano  VI;  nel  i  Bg  i 
Francesco  MI  Vitale  nobile  paler- 
mitano, nel  quale  anno  ebbero  ori- 
gine gli  eremitani  rli  s.  Agostino 
di  s.  Mfiria  di  Belvedere,  e  s.  Gior- 
gio, mentre  nel  i  Sg^  le  monache 
di  s.  Chiara;  nel  ì^ì5  fr.  Gio- 
vanni IV  Rosa  de'  minori,  chiaro 
in  dottrina;  nel  i449  Nicolò  V 
fece  vescovo  il  •  celebre  cardinal 
Bessarione,  designato  dal  re  Alfon- 
so. Gli  successe  nel  i465  Giovan- 
ni V  Borghi  siciliano,  già  dottore 
in  medicina;  nel  i468  fr.  Paolo 
Visconti  o  Bisconti  palermitano  , 
dell'ordine  del  Carmine,  già  confes- 
sore di  Nicolò  V  e  di  Paolo  II,  eru- 
dito, eloquente,  autore  di  varie  ope- 
re, poi  trasferito  a  Palermo;  nel 
1470  Giovanni  VI  di  Monteaper- 
to,  nobile  e  chiaro  in  ogni  genere 
di  qualità,  d'antica  famiglia  di  Gir- 
genti,  sotto  del  quale  nel  1476  s' 
stabilirono  i  minori  osservanti  in 
s.  Maria  di  Gesù;  riparò  la  catte- 
drale, formò  uria  scelta  biblioteca, 
donò  alla  sua  chiesa  ricche  suppel- 
lettili, e  pieno  di  virtù  morì  nel 
i485,  venendo  sepolto  in  catte- 
drale nella  cappella  di  s.  Maria  del 
Soccorso,  da  lui  nobilmente  orna- 
ta ;  Innocenzo  Vili  fece  quindi 
amministratore  Giovanni  VII  Ca- 
striota  nobile  napoletano,  e  nel  1496 
furono  introdotti  gli  agostiniani  di 
s.  Maria  del  Soccorso;  nel  1 5o4 
Tenne  destinato  vescovo  Giovanni 
VIII  Villamarino,  di  nobile  stirpe, 
^ma  fu  per  la  giovanile  età,  come 
il  precedente,  fatto  amministratore 
da  Giulio  II  nel  1^)04,  ed  a  suo 
tempo  nel  i5i5  ebbe  principio  il 
convento  del  Rosario  pei  religiosi 
domenicani.  Gli  successero  nel  iS'ìS 
Giovanni  IX  d'Aragona,  della  no- 
bile famiglia  Noto  napoletana  ;  nel 
1 528   Agostino  di   Francesco  nol>i- 


M  A  Z 
le  napoletano;  nel  i^i"]  Girolamo 
1  di  Francesco  palermitano;  nel 
1  53  I  Giovanni  X  Omodei  nobile 
palermitano  de'baroni  di  Vallelon- 
ga,  di  candidi  costumi,  parco  nel 
vivere,  largo  co'poveri  e  benefico 
della  cattedrale  cui  donò  preziosi 
arredi;  nel  i543  Girolamo  II  de 
Terminis,  nobilissimo  palermitano, 
con  ritenzione  del  canonicato  e  de- 
canato di  quella  cattedrale  :  in 
morte  fu  sepolto  in  quella  di  Maz- 
zara,  nella  cappella  del  ss.  Croce- 
fisso da  lui  ornata  ;  beneficò  i  po' 
veri,  l'ospedale,  la  cattedrale,  e  nel 
casale  Bissir  riedificò  il  palazzo 
de'vescovi,  facendovi  dipingere  gli 
stemmi  de'suoi   predecessori. 

Pio  IV  elevò  a  questa  sede  Gia- 
como Lomellini  del  Campo  nobile 
di  Rodi,  benemerita  canonico  del- 
la cattedrale,  eletto  nel  1 562;  Gio- 
vanni XI  Beltrano  de  Guevara  no- 
bile spagnuolo,  per  la  promozione 
del  precedente  alla  sede  di  Paler- 
mo nel  1572,  fu  nominato,  ma  in- 
vece fu  trasferito  alla  sede  di  Vi- 
cenza, per  cui  nel  i573  Antonia 
Lombardo  mazzarese  ed  arciprete 
patrio  occupò  la  sede  di  Mazza ra  ; 
nel  1575  celebrò  il  sinodo,  ove  fe- 
ce descrivere  tuttociò  che  riguar- 
dava questa  diocesi,  abbellì  la  cat- 
tedrale in  più  modi  e  colle  pittu- 
re dell'antico  e  nuovo  Testamen- 
to,  e  fu  benemerito  ancora  col 
monte  di  pietà  e  colla  confraterni- 
ta ed  ospedale  di  s.  Egidio.  Tras- 
ferito a  Girgenli,  nel  i57g  gli  fu 
sostituito  Bernardo  li  Gasco  di 
Toledo,  che  nell'anno  seguente  e- 
dificò  il  seminario,  e  presso  la  cat- 
tedrale neir  antico  monastero  di 
s.  Chiara  costruì  l'episcopio,  essen- 
do l'antico  da  essa  distante  e  di- 
ruto, e  nell'aula  maggiore  vi  fece 
rappresentare  gli    stemmi,   nomi  e 


MAZ 

cognomi  de' suoi  predecessori;  arric- 
chì la  catledrale  di  vasi  d'argeiilo 
e  sagre  Testi,  e  l'immagine  antica 
del  Crocefisso  la  pose  in  luogo  mi- 
gliore alla  venerazione  de'fedeli;  ri- 
parò la  torre  campanaria,  ed  eres- 
se una  marmorea  iscrizione  sotto 
la  statua  di  Ruggiero  per  la  villo- 
ria  riportata  contro  i  saraceni,  e 
qual  fondatore  della  cattedrale:  nel 
1 58o  avea  introdotto  presso  Maz- 
zara  in  s.  Martino  i  religiosi  cap- 
puccini. Luciano  de  Rossi  di  Patti 
gli  successe  nel  i58g  degnamente 
per  le  splendide  doti  di  cui  era 
fornito,  per  aver  frenato  la  licenza 
de' chierici,  difesa  l'immunità  ec- 
clesiastica, perfezionato  l'edifizio  del 
seminario  con  aumenti,  ponendovi 
pel  [)rimo  gli  alunni  ;  alla  catte- 
drale donò  molti  sacri  ornamenti, 
trasferì  in  luogo  migliore  l' am- 
bone,  fece  il  fonte  battesimale, 
compi  la  cupola  e  l'organo  inco- 
minciati dal  vescovo  Tustino;  ed  il 
sepolcro  de' vescovi,  che  slava  pres- 
so l'altare  di  s.  Agata,  lo  trasferì 
presso  la  porta  principale  della  cat- 
tedrale. Presso  r  antico  episcopio 
costruì  il  luogo  di  s.  Agata  per  le 
povere  donzelle  ,  e  rifece  quello 
dell'ospedale.  Divenne  vescovo  nel 
i6o4  Giovanni  XII  Ganti  spa- 
gnuolo  traslato  da  Gaeta,  e  sotto 
di  lui  incominciò  la  congregazione 
de'  filippini  in  s.  Carlo;  gli  suc- 
cesse nel  i6o5  Marco  La  Cava  pa- 
lermitano lilibetano  che  fu  con- 
sagrato da  Paolo  V:  benemerito 
vescovo,  ingrandì  ed  ornò  l'episco- 
pio, alla  cattedrale  fece  doni  e  l'ab- 
bellì colla  spesa  di  sedicimila  scu- 
di ;  celebrò  il  sinodo  nel  1620  e 
nel  1623,  aumentò  la  mensa  ca- 
pitolare, e  lasciò  la  sua  eredità  ai 
poveri  e  luoghi  pii.  Nel  i63i  fu 
■vescovo  Francesco  IV  Sanchez  de 
vor     xiiv. 


M  A  Z  33 

Villanova  nobile  spagnuolo,  traslìe- 
rito  dall'arcivescovato  di  Taranto, 
ritenendo  il  nome  di  arcivescovo  : 
sedò  l'insurrezione  del  popolo  con- 
tro i  civici  magistrati,  aumentò  le 
rendite  del  monte  di  pietà  e 
dell'  ospedale ,  e  pieno  di  meriti 
fu  trasferito  al  vescovato  di  Ca- 
narie nel  i635.  Il  cardinal  Ciò. 
Domenico  Spinola  fu  nominalo  nel 
iGSy,  che  nobilitò  l'episcopio,  nel 
1640  celebrò  il  sinodo  diocesano, 
fece  splendidi  doni  alla  sua  chiesa,  e 
morendo  nel  1646  in  Mazzara,  fu 
sepolto  in  cattedrale  nella  cappel- 
la di  s.  Gaetano.  Con  esso  il  Pir- 
ro termina  la  serie  de'vescovi  di 
Mazzara  :  i  seguenti  si  leggono  in 
quella  delle  annuali  Notizie  di  Ro- 
ma. 1695  Bartolomeo  Castelli  tea- 
tino di  Palermo;  1731  fr.  Ales- 
sandro Caputo  carmelitano  di  Ca- 
tania, traslato  da  Tegaste  in  par- 
tibiis ;  174^  Giuseppe  Stella  pa- 
lermitano; 1759  Girolamo  Paler- 
mo teatino  siracusano;  1766  Mi- 
chele Scavo  palermitano;  i  772  Ugo- 
ne  Pape  di  Palermo;  1792  Ora- 
zio della  Torre  palermitano;  1816 
Emmanuele  Custo  palermitano.  Gre- 
gorio XVI  nel  concistoro  de'  1 7 
dicembre  1 832  dichiarò  vescovo 
fr.  Luigi  Scalabrini  di  Trapani, 
priore  generale  de'  carmelitani  ;  e 
per  sua  morte  in  quello  dei  20 
gennaio  i845  l'odierno  monsignor 
Antonio  Salomone  d'Avellino,  già 
in  patria  canonico  teologo  delia 
cattedrale,  nel  seminario  professore 
di  eloquenza  e  di  teologia  mora- 
le e  dogmatica,  parroco,  deputato 
ecclesiastico,  esaminatore  pro-sino- 
dale, ispettore  delle  pubbliche  scuo- 
le e  convisitatore  della  diocesi,  per 
cui  dal  Pontefice  ricevette  partico- 
lari dimostrazioni  di  distinta  sti- 
ma. Inoltre  Gregorio  XVI  eresse 
3 


34  MAZ 

in  sede  vescovile  Trapani  [l'tdi), 
smembrandola  da  Mazzara  cui  ap- 
parteneva. 

Lfl  cattedrale  è  dedicata  alla 
Trasfigurazione  del  Nostro  Signore 
Gesù  Cristo,  ha  il  fonte  battesi- 
male, con  la  cura  amministrata  da 
due  canonici,  essendovi  in  venera- 
zione le  reliquie  di  s.  Crescenzia, 
e  de' ss.  Vito  e  Modesto,  patroni 
della  città.  Il  capitolo  si  compone 
di  quattro  dignità,  cioè  del  canto- 
re, ch'è  la  prima,  dell'arcidiacono, 
del  decano  e  del  tesoriere,  di  ven- 
ti canonici,  comprese  le  prebende 
del  teologo  e  del  penitenziere,  e  di 
altri  preti  e  chierici  addetti  al  ser- 
vigio divino.  In  città  avvi  pure 
un'altra  chiesa  parrocchiale,  muni- 
ta del  battisterio,  vi  sono  quattro 
conventi  di  religiosi,  tre  monasteri 
di  monache,  due  conservatorii,  al- 
cune confraternite,  ospedale  e  se- 
minario. La  diocesi  è  ampia,  per- 
chè contiene  diverse  città  e  luoghi. 
Ogni  nuovo  vescovo  è  tassato  nei 
libri  della  camera  apostolica  in  fio- 
rini 200,  corrispondenti  alle  ren- 
dite della  mensa,  che  ascendono  a 
seimila  scudi,  col  peso  di  perpetua 
pensione  di  scudi  milleottocento  a 
iàvore  del  capitolo  della  patriar- 
cale basilica  di  s.  Maria  Maggiore 
di    Roma. 

MAZZA RINI  Giulio,  Cardinale. 
Giulio  Mazzarini  nacque  in  Roma, 
secondo  le  lettere  di  cittadinanza 
a  lui  rilasciate,  o  secondo  altri  in 
Piscina  nell'Abruzzo,  ove  un  suo 
zio  godeva  un  pingue  benefizio;  di 
famiglia  nobile  secondo  alcuni,  e  di 
bassa  nascita  al  dire  di  altri.  Dopo 
aver  fatti  con  successo  i  primi  suoi 
Studi  in  Roma,  si  trasferì  in  Ixpa- 
gna  con  Girolamo  Colonna  poi 
cardinale,  dove  nell'accademia  d'Al- 
calà  diedesi  allo   studio    della  giù- 


MAZ 

lisprudenza^  e  fu  pure  allievo  dei 
gesuiti.  Ritornato  a  Roma  per  di- 
fendere il  genitore  imputato  a  tor- 
to di  omicidio,  mentre  il  contesta- 
bile Colonna  per  ordine  pontificio 
faceva  reclute  di  soldati  per  la 
Valtellina,  Giulio  ottenne  il  posto 
di  udiziale  d'una  compagnia  di  fan- 
ti, e  in  tale  occasione  strinse  ami- 
cizia con  Francesco  Sacchetti  com- 
missario dell'esercito  papale,  il  qua- 
le nella  sua  assenza  da  Milano  lo 
sostituì  in  suo  luogo  nel  governo 
di  quella  città,  presso  di  cui  si 
rese  valentissimo  nella  politica,  e 
nella-  cognizione  degli  affari  e  de- 
gli interessi  de'principi,  essendo  pro- 
priamente nato  per  1'  arringo  di- 
plomatico. Avendo  Urbano  Vili 
destinato  legato  a  Intere  il  cardinal 
Antonio  Barberini  suo  nipote  per 
trattare  la  pace  co'principi  d'Italia 
per  la  successione  dei  ducati  diMan- 
tova e  Monferrato,  si  portò  subito 
a  Bologna  dal  cardinale ,  e  quindi 
a  Roma  per  informare  il  Pontefi- 
ce intorno  ai  mezzi  più  acconci  per 
riuscire  felicemente  in  quel  rilevan- 
te affare,  e  ciò  fece  con  tal  chia- 
rezza e  precisione,  che  si  credette  ne- 
cessaria la  di  lui  persona  per  con- 
chiudere un  negozio  tanto  grave 
e  delicato.  In  quest'occasione  do- 
vendo trattare  con  parecchi  perso- 
naggi ,  col  re  di  Francia  Luigi 
XIII  e  col  celebre  cardinal  Riche- 
lieu  suo  primo  ministro,  ebbe  lar- 
go campo  di  far  conoscere  l'abili- 
tà veramente  singolare  che  avea  nel 
maneggiare  i  negozi  i  più  ardui 
ed  intrigati.  In  tale  circostanza 
l'altezza  del  suo  spirito,  la  profon- 
dità di  sua  prudenza,  l'amenità  di 
sua  destrezza,  la  robusta  sua  elo- 
quenza, talmente  campeggiarono , 
che  potè  nel  i63i  farsi  mediatore 
della  pace  d'Italia  in  Cherasco,  do- 


M  A  Z  M  A  Z  3fì 

no  la  quale     restituitosi     in   Roma     isbalzarnelo  ,    quantunque    indarno, 
fu   provveduto     di     un     canonicato     essendo    sommamente  caro    ed  ac- 
iiella  basilica    Latcranense  ,    e  ain-     celto  non    meno  alla  regina  che  al 
messo  nella  corte  del  cardinal  Bar-     re  Luigi   XIV.  Nulladimeno  di  sua 
bcrini  vice-cancelliere,  colla    carica     propria     volontà,  per  dare     alcuna 
di     vice  somroista,    e    fatto    uditore     soddisfazione,   per    breve    tratto  di 
della  legazione    d'Avignone,  poscia     tempo,     cedendo    al    furore    contro 
nunzio  straordinario  al  re  di  Fran-     di   lui  suscitatosi,  divise  le  attribu- 
cia.  Due  anni  si  trattenne  in   Pari-     zioni   della  carica,  e  portossi  inoltre 
gi,  nel  qual   tempo  si  guadagnò   la      fuori   di   Francia,     nel    quale  inter- 
grazia  non   meno  del    cardinal    Ri-      vallo     di    tempo  più   volle  fu    sen 
clielieu,  che  del    sovrano,  il   quale     teuziato  a  morte,  e  promesso  pub- 
non  isdegnò  di  onorare  di  sua   vi-      blico  premio  a  chi  lo  avesse  ucci- 
sila il    nunzio    infermo,  mentre    il     so ,    e    la    magnifica    biblioteca   da 
cardinale  si  tratteneva  con  lui  in  se-      lui   formata    venne    esposta    all'  in- 
greti colloqui,  prolungali  talvolta  ad     canto.     Non   essendo  ancora  passa- 
otto  intere  ore.  Non  avendo  intanto     lo  un  anno  da   tante  vicende,     ve- 
il    Papa    potuto   ottenere  per  mez-     nendo  nel    i655  richiamato,   tornò 
zo  del  Mazzarini  ciò  che  desiderava,     più  possente    in  corte,  e  con  mag- 
io richiamò  dalla   nunziatura,  e  de-     gior     auge     riassunse     1'   interrotto 
slinatolo    nel     i634    vicelegato     di     ministero;  finche    stabilita    la  pace 
Avignone,  dopo    sei    mesi  l'obbligò     fra     la     Francia     e    gli     spagnuo- 
a  tornare  in    Roma,  donde  dal   re      li  ,    ed     uniti      i     due     sovrani     a 
di     Francia    .venne     chiamato    alla     mezzo    di     un  matrimonio,    si    ap- 
sua  corte,  ed  in  seguito,  ad  istanza     prossimo    al    termine    de' suoi  gior- 
del    medesimo,    Urbano    Vili     nel     ni.    Trovandosi     vicino     alla     mor- 
luglio   o    dicembre     i64«    lo     creò     te,  contribuì    del  suo  duecentomila 
cardinale  prete.    Morto    poco  dopo     scudi   per  la  guerra  che  Alessandro 
il  cardinale  di    Richelieu,   fu  sosti-     VII    apparecchiava  contro  il  turco, 
tuilo  in   luogo    di  lui    nella  carica     e    fondò    in   Parigi    una    magnifica 
di   primo  ministro,  nominato  al  ve-     biblioteca  a  vantaggio  del   pubblico, 
scovato  di  Metz,  arricchito  di   mol-     Resfainò    in  Roma  dai    fondamenti 
te  e  pingui    abbazie,    ed  eletto  da     la  chiesa  de'  ss.   Vincenzo    ed  Ana- 
Luigi  XIII    compare  nel  battesimo     slasio  a  Trevi,  un   tempo  sua   par- 
dei  delfino,  che  fu  poi  Luigi  XIV,     rocchia  ;   fece  acquisto    di    un    son- 
e  per    testamento  regio    dichiarato     tuoso    palazzo  sul    Quirinale  ,    per 
aiutante    e  consigliere  della  tutrice     settantamila  scudi,  e  maritò  le    sue 
regina.  Quali  e     quanto  grandi  co-     nipoti    Mancini    in  famiglie    princi- 
se  egli  facesse    in  quel  carico  sono     pesche.    Finalmente  nel    1661    a'  9 
a  tutti    palesi,    e  le    principali    no-     marzo,  in  età  di  59  anni  non  com- 
tammo  all'articolo    Francia   ed  al-     pitij  e  20  di  cardinalato,  dopo   a- 
trove.  Non  fu  egli  né  poteva  esse-     ver  amministrato  per    lo  spazio  di 
re  al    coperto  dell'  invidia  ,     come      19  anni  la  monarchia  francese,  com- 
quello     che    per    essere     forestiero,     pi    gloriosamente    nel    ritiro     della 
\eniva    con  mal  occhio    riguardato     casa   reale  del  Bosco    di  Vincennes 
in  così  alto    grado  di    potenza,  né     il  corso  di  sua  vita  mortale,  ma  in 
lasciato  fu  di  tentare  ogni  via  per     odio  alla  nazione  francese,  quanlun- 


36  MAZ 

que  niuno  più  di  lui  l'avesse  be- 
iiificala,  lasciando  il  regno  in  seno 
ad  una  tranquilla  ed  opulenta  pa- 
ce, depressi  gli  ugonotti,  purgati  i 
mali  umori  de'  grandi,  accresciufi 
e  dilatati  i  confini  della  monarchia. 
Non  mancò  il  re  durante  la  ma- 
lattia di  onorarlo  di  sue  visite,  a  cui 
il  cardinale  consegnò  entro  uno 
scrigno  preziose  gioie  per  memoria 
ed  importanti  scritture  per  gover- 
no ;  supplicandolo  a  volersi  degna- 
re di  ricevere  in  dono  tutti  i  suoi 
beni,  che  ricavati  dal  regio  patri- 
monio voleva  che  vi  ritornassero  ; 
ma  la  generosità  del  re  non  vi  ac- 
consentì, lasciando  in  libertà  il  car- 
dinale di  disporne  liberamente.  Ri- 
flettendo in  quell'  estremo  passo, 
che  la  passione  avealo  portato  fuo- 
ri de' sensi  sul  rispetto  dovuto  ad 
Alessandro  VII,  dovendo  risponde- 
re ad  una  richiesta  fattagli  dal  nun- 
zio per  soccorso  della  guerra  di 
Candia,  volle  egli  stesso  scrivere  al 
Papa,  con  quell'  ossequio  e  vene- 
razione che  si  deve  al  capo  visibile 
della  Chiesa  cattolica.  Il  cadavere 
ebbe  sepoltura  nella  chiesa  del  col- 
legio detto  Mazzarino,  o  sia  delle 
quattro  nazioni,  da  lui  fondato  in 
Parigi.  L'  Oldoino  lo  dice  uomo 
ammirabile  per  la  grandezza  d'ani- 
mo, per  munificenza,  per  impertur- 
babilità e  fermezza  nelle  avversità 
come  nella  gloria,  di  carattere  dol- 
ce ed  affabile,  di  finissima  politica 
e  destrezza  felice  nel  maneggio  dei 
più  ardui  affari,  onde  prende  posto 
tra  i  più  famosi  ministri  diploma- 
tici. Si  calcola  che  la  sua  eredi- 
tà ascendesse  a  trentasei  milioni  di 
franchi,  che  altri  chiamano  scudi. 
La  vita  di  questo  celebre  personag- 
gio, oltre  quanto  diremo  all'artico- 
lo BicHELiEU,  fu  scritta  in  latino  da 
JVicolò  Charpy  di  s.  Croce,  e  stam- 


MAZ 

pata  in  Parigi  nel  i658;  in  fran- 
cese dall'avv.  Aubeiy,  che  la  pub- 
blicò in  Rotterdam  nel  169^;  e 
dal  conte  Galeazzo  Gualdo  Priora- 
to, che  la  divulgò  in  Amsterdam 
nel  167 1,  dopo  essere  stata  slatn- 
pata  in  Colonia  nel  1669,  la  qua- 
le fu  tradotta  in  italiano,  e  pub- 
blicata in  Venezia  nel  1678  e  nel 
1713.  La  scrisse  ancora  in  italia- 
no Alfonso  Paioli,  e  fu  impressa  in 
Venezia  e  Bologna  nel  1675.  Nel- 
la biblioteca  Angelica  di  Roma, 
nelle  miscellanee  si  trova  una  rac- 
colta di  memorie  per  scrivere  la 
vita   di   questo    sommo    ministro. 

MA  ZZA  RI  NI  Michele,  Cardinale. 
Michele  Mazzarini   romano,  fratello 
precedente,    vestì   l'abito    di  s.   Do- 
menico   in  Roma    nel  convento  di 
s.   Maria  sopra  Minerva  d'anni   i5.- 
Compiti    con    successo    i  suoi   studi 
in   Bologna,  insegnò    nelle  cattedre 
del  suo  ordine.     Nicolò   Ridolfi  ge- 
nerale   de' domenicani    gli     addossò 
una  delicata  commissione  in  Vene- 
zia, che  tratta  da  lui  a  buon  fine, 
gli  meritò  le    lodi  del  proprio    su- 
periore,   indi    fu    fatto    provinciale 
prima  della  provincia  di  Puglia,  poi 
della    Romana.    Urbano    Vili    nel- 
l'ottobre   1642  lo  stabilì  vicario  ge- 
nerale dell'  ordine,  ed    in   un    capi- 
tolo generale  tenutosi  a  Genova,  a 
cui  egli  presiedè,  fu  eletto  a  riem- 
pire il   posto  di   Ridolfi.  Se  non  che 
mostratisi  alla  sua  elezione  contra- 
ri   gli  spagnuoli,    i   fiamminghi    ed 
i  tedeschi,   i  quali  elessero  contem- 
poraneamente   il    p.    Tommaso    di 
Roccamara  aragonese,    distinto  non 
meno  per  la    nascita,  che   per  me- 
riti, credè  bene  il  Mazzarini  di   ri- 
nunziare al  suo  diritto,  a  fine  di  ri- 
parare    ad    uno    scisma    che    stava 
per  formarsi.   Allora    Uibano  Vili 
lo    dichiarò  maestro    del  sacro  pa- 


MAZ  MAZ                     3f 
lazzo    apostolico,   ed    ebbe    fine   In  qnali   sono  regolati  dai  maestri  del- 
conlrovtTSÌa>  Innocenzo  X  nel   i64>  'e    ceremonie    pontificie,    esercitan- 
■  per    nooiina  del    re  di    Francia   Io  do    quegli     uffizi   cbe    notammo  in 
promosse   all'arcivescovato    d' Aix ,  diversi  articoli,    massime  a  Cappel- 
iK'l  quale  passali  due  anni  tornò  in  le     Pontificie  ,     ove     principalmen- 
Tioma,    per    trattare    in    apparenza  te   dicerpmo,  che  due  di  essi  stan- 
alcuni  all'ari  a  nome  del    re  presso  no  presso  l'ingresso    della    quadra- 
hì  santa  Sede,  ma  in  sostanza   per-  tura  de'banchi    o  presbiterio    della 
cbè  non  confacendosi  egli  ai  costu-  stessa  cappella,  alla  custodia    della 
mi    ed  alle  maniere  de'lrancesi,  ren-  porla  di   noce  della  cancellata,  che 
tU'vasi   loro  pesante  ed-  iusolhibile.  chitidono     durante     i    discorsi     che 
Finalmente    ad    istanza     de'  re    di  ivi  si  pronunziano,    non    lasciando- 
Francia  e  di   Polonia,  a' 7   ottobre  ^'i     entrare     alcuno    (prima     tanto 
j647   Innocenzo    X  lo    creò  cardi-  (juesfa    porta,    quanto     quella  dei- 
naie  prete  del    titolo  di  s.    Cecilia,  la     camera    de'  paramenti     essendo 
Fatto  in  appresso    viceré    di   Cata-  chiuse,  i   mazzieri  aprivano  intiera- 
logna,  non  incontrò  la    soddisfazio-  mente    la   prima   pei    cardinali ,    la 
ne  del   popolo,  né    quella  de'  gran-  seconda     solo     per     metà     ai     car- 
di, sebbene  senza  sufficiente  motivo,  dinali     ed    ambasciatori,     ma     tut- 
poichè  il  Fontana    scrive  che  con-  ta     ai    parenti     e   .nipoti    del     Pa- 
dottosi   in  Barcellona  governò  quei  pa),     sempre     colle    mazze    di    ar- 
jmpoli  con   religiosa  pietà    e  molta  genio  alzate  e  inalberate  sulla  spal- 
cortesia,     distribuendo     largamente  la  destra  e    sostenute  •  colla    mano 
lin)osine,  e  guadagnatosi   il   loro  a-  dritta,  e  quando  le  portano    calate 
more,  pel  clima  fu  costretto  recarsi  le  pongono  sotto  il  braccio  sinistro, 
in  Parigi,  e  col  regio  favore  in  Rp-  tranne  il  tempo  che  trascorre  dalla 
ina  ,     col    carattere  di  ambasciato-  leposizione  del  sepolcro  nel  giovedì 
re.    Ivi   morì  nella    robusta  età    di  santo,  al    Gloria    in    excelsis  Deo 
43  anni  nel  1648,  e  fu  sepolto  con  nel  sabbato  santo    (in    cui  accom- 
nobile    epitaffio    nella    chiesa    di  s.  pagnano  il  diacono    che  canta  Lu- 
Maria  sopra    Minerva,  a  cui    lasciò  nien   Chrisd'j,  e  quello  della  morte 
a   titolo  di  legato  un  anello  del  va-  del  Pontefice,  sue  funzioni,  cioè  tras- 
loie  di  scudi  tremila  .     Ebbe    lode  porto  del    cadavere    in     s.    Pietro, 
di    giusto,    moderato,  di     carattere  dopo  la  prima  congregazione  gene- 
dolce,    amico    sincero  e    generoso  ;  raie,     e  novendiali    funerali,  ne' cui 
p(MÒ  non  avea  ne  le  doli,  né  i  difet-  ultimi  tre  giorni  accompagnano    la 
ti   del   fralello.  II   rigido     Amidenio  croce    e    i  cardinali     che    fanno  le 
maltrattò     la    memoria     di    questo  solenni  assoluzioni,  portando  in  ta- 
cardinale,  come  di  aìtii.  li  ciicostanze   le  mazze    a    rovescio 
MAZZIERI  DEL   PAPA,    3Jaz-  in  segno  di  duolo.  Nel  giorno  del- 
zerii  Papae,    Servientes    anuorum.  l'entrata  in  conclave,  cioè  la    raat- 
Anticbissimi  famigliari  pontificii,  che  tina,  assistono  alla   messa  dello  Spi-, 
compongono  un    collegio    composto  rito  Santo,   ed     il    giorno     dell'  in- 
di  serventi  e  soprannumeri,  i  quali  gresso  in  numero  di  quattro  assisto- 
intervengono  alle  funzioni    che   ce-  no  il  sacro  collegio.  Nel  voi.  Vili, 
lebra   ed   assiste   il   Papa,  ed    il  sa-  p.    187   del   Dizionario  si  disse    co- 
cro  collegio  in   sede  vacante,    nelle  me    accompagnano    i    cadaveri    dei 


38  M  A  Z 

Papi    dal    Quirinale     al     Valicano. 
Ora  è  andato  in  disuso  che  i  maz- 
zieri nella  morte  dei    Pontefici    in- 
«iussino  vesti    lugubri  ;    non  ostante 
a   titolo  di  scorruccìo    e  lutto   han- 
no per  compenso  scudi   221    e  bai. 
6t>,  valore  di  canne  70    di    panno 
nero  di  terza  qualità.  Accompagna- 
ne il   Papa   nel  possesso,  e  quando 
procede  in  sedia  gestatoria    lateral- 
mente  Ira    le    guardie    nobili  e  gli 
svizzeri  in   due  ale,   nelle  processio- 
ni   principalmente     per     l'apertura 
dell'  anno    santo,    della    canonizza- 
zione, e  in  quella  del   Corpus  Do- 
mini si  solenne  che  dell'ottava;  non 
che  in  numero    di    quattro    quan- 
do nel  venerdì  santo  (talvolta    in- 
tervennero pure  ne'  venerdì  di  mar- 
zo per  lo    stesso  oggetto  )    si    reca 
a  venerare  le  reliquie  maggiori  nel- 
la basilica  vaticana;  quando  fa  l'as- 
soluzione    ne' funerali    de' cardinali, 
e  nelle  altre    circostanze    notate    ai 
loro  luoghi,  essendo  anche    a    loro 
alfidata   la  custodia  del  Papa.   Sos- 
tengono le  aste  del  pontificio   Btil- 
(lacchino    (F^edi),    nelle    processioni 
e  benedizioni,  per  consegnarle  e  poi 
riceverle   dai    rispettivi     personaggi 
che  le  devono  portare,  e  supplendo 
alla  mancanza  di  essi.  Tutti  i  maz- 
zieri, dopo  i  maestri  ostiari,  e  pre- 
ceduti dal  loro  decano,  per    anzia- 
nità  si  recano  al  trono  per  riceve- 
re dal  Papa  le  candele,  le    ceneri, 
le  palme  e    gli    Agnus  Dei    bene- 
detti, quindi   si    schierano    nel  lato 
destro  del    medesimo,    mentre    tali 
cose  si  ricevono  dai   forestieri  :    nel 
■venerdì   santo  vanno    all'adorazione 
della    croce .     Accompagnano    dalla 
credenza     ai     gradini     del    soglio   i 
personaggi  che  portano  a  lavare  le 
inani  al    Pontefice,    ed    il     sagrista 
nelle  sue  funzioni  di  cappella,  assi- 
sletjdo  perciò  alle  rispettive  credeu- 


MAZ 

ze;    quelli    che    nella   sua     coiona- 
zione  e  possesso    si  recano    a  reci- 
tare le  laudi;    il    suddiacono    apo- 
stolico quando    si    reca    a    prende- 
re gli   Agnus  Dei  benedetti;  quelli 
che  presentano    i    pallii   per  la  be- 
nedizione;  i  deputati  che  nelle  ca- 
nonizzazioni  fanno  le  obblazioni  ;   il 
chierico    di    camera    collo  stocco  e 
berrettone    benedetti,    che    sostiene 
il     mazziere    in     suo    aiuto    a    cor- 
nu   epistolae  dell'altare;  i   cardinali 
ne' concistori     pubblici,    quando    si 
portano  a  prendere  i    nuovi    colle- 
ghi per  ricevere  il  cappello;    ed    il 
sacro     collegio     pel     canto     del    Te 
Deuni^    custodendo    1'  ingresso    del 
quadrato  dell'aula  concistoriale,    lo 
che    pur  fanno  ne' concistori    semi- 
pubblici  per    la     dichiarazione     dei 
santi   nuovi.   Intervengono  alla  con- 
sagrazione     de' vescovi;     li    precedo- 
no   nella  processione  che    si   fa  per 
la     chiesa    e     alla    lavanda ,     genu- 
flessi gli   presentano    lo    asciugama- 
ni, per  cui   hanno    alcune    candele, 
e  bai.   37   f;2;  ed  in  sede    vacante 
alla    processione  del    Corpus  Domi- 
ni della    basilica     vaticana  ,    avanti 
ed   intorno  al    ss.   Sagramento. 

Sino  agli  ultimi  tempi,  un  mazzie- 
re, accompagnato  da  un  palafreniere 
pontifìcio,  presentava  in  un  bacile 
d'argento  al  cardinale  che  avea 
cantato  la  messa  in  cappella,  la 
torta  o  pizza  fatta  nella  cucina 
della  foresteria  pontificia,  dicendo- 
gli ;  Nostro  Signore  manda  a  vo- 
stra eminenza  la  solita  colazione, 
prò  tnissa  bene  cantata,  e  riceveva- 
no uno  scudo  d'oro  (e  due  se  era 
messa  novella,  come  quando  un  car- 
dinal diacono  cantava  la  prima  vol- 
ta l'evangelio)  dal  maestro  di  casa  ; 
queste  torte  non  si  presentavano  ai 
patriarchi,  arcivescovi  e  vescovi  che 
aveauo    celebrato   nella    medesima 


MAZ 

cappella.  Quando  il  Papa  celebra- 
va «olenneinente,  presentavano  due 
torte,  uuu  ai  cardìnule  assistente, 
l'altra  al  cardinal  che  cantava  l'evan- 
gelio, dicendo  nel  presentarle,  che 
Nostro  Signore  mandava  loro  la  so- 
lila colazione  per  l'assistenza  fattagli 
nella  messa  o  per  aver  cantato  l'e- 
vangelio. Intervenivano  a  tutte  le 
pontificie  cavalcate  solenni,  e  due 
o  quattro  di  essi  cavalcavano  in 
quelle  colle  quali  i  cardinali  anda- 
v.ino  a  prendere  il  cappello  rosso, 
couie  intervenivano  alle  cavalcale 
dei  cardinali  cui  spetta  questa  di- 
stinzione, ricevendo  dagli  eredi  due 
ducati  d'oro  con  due  candele  d'una 
libbra  di  cera;  ed  a  quelle  pei  so- 
vrani e  sovrane  che  muoiono  in 
Boma,  come  per  ultimo  fecero  nel 
1819;  anzi  cavalcarono  pure  nei 
funerali  de'piincipi  (nn  esempio  si 
può  vedere  nel  principe  Savelli  am- 
basciatore imperiale  e  maresciallo 
del  conclave,  riportato  nel  volume 
XXVIII,  p.  62  del  Dizionario).  In- 
oitre  avevano  luogo  nelle  cavalca- 
te, e  poscia  ai  concistori  pel  rice- 
vimento de' sovrani,  principi  e  am- 
basciatori di  obbedienza  (  ne'  quali 
avevano  una  regalia);  ed  allorché 
il  Mag^tordomo,  da  cui  dipendo- 
no, incontrava  gli  ambasciatori,  due 
mazzieri  lo  accompagnavano;  tutto- 
ra lo  accompagnano  nella  visita  che 
fa  pei  luoghi  ove  passa  la  proces- 
sione del  Corpus  Domini,  nel  dì 
precedente.  In  occasione  che  i  Pa- 
pi pranzaiono  in  pubblico,  con  car- 
dinali, principi  reali,  ed  ambascia- 
tori, due  mazzieri  colla  mazza  in 
ispalla  accompagnavano  lo  scalco, 
ed  altrettanti  il  coppiere  pontificio; 
questo  accompagno  avea  pur  luo- 
go pei  nove  giorni  delti  nuziali, 
dopo  l'elezione  del  nuovo  Papa,  la 
qtiale  appena  seguila,  i  mazzieri  re- 


MAZ  39 

oavansi  alla  porta  principale  del  con- 
clave, quindi  quattro  di  essi  col 
loro  siniscatea  trovavansi  in  anti- 
camera per  accompagnare  all'ora 
del  pranzo  lo  scalco  e  il  coppiere 
coi  servizi  alla  mensa  del  Papa,  e 
restavano  sino  all'ultima  lavanda 
delle  mani.  Prima  assistevano  alle 
porte  della  camera  de'  paramenti, 
de'concistori  segreti,  e  (tuttora  uno 
assiste  per  quelli  in  cui  si  creano 
cardinali  ),  delle  congregazioni  della 
segnatura  di  grazia,  e  dell'udien- 
za pubblica:  però  assistono  tuttora 
alia  camera  de'  paramenti  dove  si 
veste  pontificalmente  il   Papa. 

L'abito  antico  dei  mazzieri  ponti- 
fìcii, ecco  come  lo  descrive  \\  p.  Bo- 
nanni,  nella  sua  Gerarchia  a  p.  4^<>» 
producendone  la  figura.  »  Sopra  il 
consueto  abito  nero  portano  un  gia- 
co (arme  da  dosso  fatta  di  maglia 
di  ferro  o  di  fil  d'ottone  concate- 
nale insieme  :  così  il  Diz.  della 
lingua  itai,  in  latino  lorica,  ihorax 
e  niaculis  ferreis  )  di  maglia  di 
ferro  sopi'a  il  petto  (  e  perciò  det- 
to anche  tramaglio,  specie  di  rete), 
e  poi  soprappongono  una  soprana 
lunga  sino  al  ginocchio  di  panno 
paonazzo  con  trine  di  velluto  nero 
guarnito  a  due  fascie  con  trina  di 
seta  attorno,  e  in  mano  tengono 
una  mazza  di  argento  lunga  tre 
palmi  circa:  anticamente  la  detta 
mazza  era  di  ferro  [clava,  cucu- 
ma),  e  cingevano  uno  slortino  (pic- 
cola scimitarra  o  squarcina),  che 
ora  non  usano  (  pubblicò  1'  opera 
nel  1720)".  Si  deve  notare,  che 
in  detta  figura  non  si  vede  il  gia- 
co, bensì  il  sotto  abito  néro,  cioè 
corpetto,  gonnella  corta,  calzoni,  cal- 
ze, scarpe  con  fibbie,  e  collare  di 
tela  bianca  increspato.  Noteremo 
che  i  tempi  in  cui  i  sergenti  d'ar- 
me   detti    manieri     portavano    lo 


4o  MAZ 

stortine  ed  il  tramaglio  di  ferro 
al  petto  erano  i  seguenti.  Per  l'ac- 
compagno dello  stocco  e  berretto- 
ne, nelle  cavalcate  del  Papa  e  per 
suo  servigio,  per  l'assistenza  alle 
lavande  delle  mani  del  Pontefice, 
per  le  funzioni  del  giovedì  sauto 
mattina,  nella  mattina  del  sabbato 
santo,  in  quella  di  Pasqua,  del 
Corpus  Domini,  quando  il  Papa 
celebrava  messa  pontificalmente,  per 
le  canonizzazioni,  quando  il  Papa 
mangiava  in  pubblico,  e  quando 
apriva  e  serrava  la  porta  santa.  Il 
Cancellieri,  Storia  de'  possessi  pag. 
142,  parlando  de*  mazzieri,  dice  che 
»  ora  (stampò  il  libro  nel  1802) 
vanno  vestiti  in  abito  e  in  giaco 
ossia  collare  di  maglia  di  ferro  so- 
pra il  petto,  con  soprana  lunga  fi- 
no al  ginocchio  di  panno  paonaz- 
zo, e  con  trine  di  velluto  nero 
guarnito  a  due  fascie  con  trina 
di  seta  attorno,  e  colle  mazze  di 
argento  in  mano  lunghe  tre  pal- 
mi, collo  slemma  del  Pontefice  ". 
Ecco  come  si  descrive  l'abito  nel 
libro  delle  costituzioni  del  collegio. 
'»  Cappotto  di  panno  cremesino  pao- 
nazzo sino  al  ginocchio,  con  mani- 
che da  pendere  larghe  due  terzi 
di  palmo,  e  lunghe  al  par  del  me- 
desimo, listato  di  velluto  nero  guar- 
nito a  due  fascie  con  trina  di  seta 
attorno,  e  mostie  davanti  di  raso 
nero  ed  al  bavaro  ;  con  mazza  di 
argento,  con  tramaglio  di  ferro  al 
petto,  e  stortino  da  portarsi  al  fian- 
co ". 

L'odierno  abito  è  quello  ripro- 
dotto dall'  inesalto  e  poco  criti- 
co Falaschi,  che  si  può  dire  ri- 
stampò il  Bonanni  collo  stesso  ti- 
tolo di  Gerarchia  eccL,  a  p.  i47- 
Consiste  dunque  l'abito  de' mazzie- 
ri, in  sott'abito  e  vestilo  nero  con 
fibbie  alle  scarpe;  collare  con  nier- 


MAZ 
letto,  spada  al  fianco  con  guardia 
o  elsa  d'acciaro,  e  soprana  paonaz- 
za (  poco  più  lunga  delle  boeniie 
degli  scopatori  secreti  descritte  nel 
voi.  XXIII,  p.  120  del  Dizionario), 
con  finte  maniche  pendenti,  di  saia 
o  panno  trinata  come  sopra,  con 
mazza  d'argento  lavorata  di  ornali, 
e  nella  sommità  lo  stemma  del 
Pontefice  che  li  nominò  a  mezzo 
di  monsignor  maggiordomo,  o  sot- 
to il  quale  acquistarono  dalla  date- 
ria o  dal  proprietario  il  vacabile 
del  mazzierato.  A  tempo  di  Sisto 
V,  i  mazzierati  vacabili  erano  ven- 
ticinque. Il  Lunadoro,  edizione  del 
1646,  Relazione  della  carie  di  Ro- 
ma p.  16  e  392,  dice  che  allora 
i  mazzieri  erano  dodici,  offici  ve- 
nali che  si  pagavano  ciascuno  scti- 
di  seicento  circa,  e  frullavano  cin- 
quanta scudi  all'anno;  e  che  dal 
palazzo  apostolico  aveano  la  parte, 
e  giuli  trenlaquattro  il  mese  per 
uno.  Ne' iHioli  palatini  da  Giulio  III 
fino  a  noi,  che  leggemmo,  e  diversi 
ne  riportammo  all'articolo  Famiglia 
PoiTTiFiciA,  trovasi  che  i  mazzieri 
aveano  la  parte  di  pane ,  vino  e 
altro,  non  che  la  detta  somma  per 
companatico.  Al  presente  i  mazzie- 
ri ne' ruoli  palatini,  e  sotto  la  ca- 
tegoria di  offiziali  di  dateria,  col- 
la qualifica  di  mazzieri  di  guar- 
dia, haimo  mensili  scudi  selle  e 
bai.  42-  Nella  categoria  poi  del  ve- 
stiario, si  dice:  al  collegio  de'  maz- 
zieri si  passano  ogni  anno  per  com- 
penso di  vestiario,  per  il  servigio 
che  prestano  nelle  cappelle,  scudi 
trecentododici  da  dividersi  tra  gli 
esercenti.  Nella  distribuzione  annua- 
le e  pel  possesso,  delle  medaglie  di 
argento,  il  maggiordomo  dà  una 
medaglia  a  ciascuno  de'  mazzieri  ef- 
fettivi e  soprannumerari  ;  anzi  pel 
possesso    i     mazzieri    ricevono    dal 


MAZ 
paln/.io  apostolico  o  dal  lesorieie 
a  titolo  di  vestiario  un  compenso 
per  rinnovarlo  ;  e  nell'ultimo  pre- 
so dal  Papa  regnante  nel  novem- 
bre 1846  il  collettore  del  collegio 
el>be  da  monsignor  tesoriere  scudi 
duecentodieci  ad  effetto  di  ripnr- 
tirli  ai  quindici  mazzieri  effettivi 
ed  esercenti  in  ragione  di  scudi 
quattordici  per  cadauno  accordali 
dal  Pontefice.  Wèlla  creazione  dei 
cardinali  nuovi  hanno  scudi  27  e 
bai.  25;  ne' loro  funerali  dieci  lib- 
bre di  cera,  e  i35  in  quelli  dei 
Papi.  Inoltre  il  sacro  collegio  dei 
cardinali  ogni  anno  per  Natale  dà 
ili  mazzieri  scudi  26,  i  quali  nel- 
l'ultima canonizzazione  n'ebbero  5o. 
Il  citato  p.  Bonanni  cap.  CXIV, 
Della  mazza  e  ofjìzio  de!  mazzieri 
l>Gnlificii,  dice  quanto  riportiamo. 
Tia  quelli  che  formano  la  corte 
pontificia  sonovi  i  mazzieri,  l'ori- 
gine de' quali,  come  si  ha  dalle 
memorie  conservate  nel  loro  ar- 
chivio, è  riconosciuta  nel  tempo  di 
Costantino  imperatore,  il  quale  asse- 
gnò una  squadra  di  venticinque  uo- 
mini armati  al  Papa  s.  Silvestro  I, 
acciocché  sempre  s'impiegassero  nel- 
la custodia  di  esso,  e  fossero  indi- 
zio della  dignità  pontificia.  Si  con- 
ferma tale  concessione  dal  Bulen- 
gero  nel  lib.  i,  cap.  16,  De  vesti- 
bus  Ponli/icis,  ove  riferisce  la  do- 
nazione di  quel  pio  imperatore, 
e  con  queste  parole  :  Conferenles 
edam  iwperìalia  sceplra  sunul,  et 
cuncta  signa,  atnue  baniia,  et  di- 
versa ornamenta  imperialia.  Tia 
gli  ornamenti  imperiali  fu  sempre 
lo  scettro,  o  verga  o  Mazza  (  P'e- 
di),  che  solevasi  portare  dai  mini- 
stri imperiali  e  regi,  (jualunque  vol- 
ta in  pubblico  precedevano  al  lo- 
ro soviano.  Riferisce  Plutarco,  che 
Romolo  primo    re    e  fondatore    di 


IVI  A  Z  4  « 

Uoma,  ad  imitazione  de'  re  elru- 
i>chì  aveva  dodici  ministri,  i  quali 
armati  di  bastoni  lo  precedevano 
in  abito  talare.  Così  da  Giulio  Ce- 
sare dittatore,  sino  a  Costantino, 
fu  mantenuta  tale  usanza,  e  da 
Costantino,  secondo  la  comune  opi- 
nione, furono  assegnati  venticinque 
uouìini  a  s.  Silvestro  1  e  suoi  suc- 
cessori, acciò  precedendo  ai  me- 
desimi, non  solamente  servissero 
di  difesa  delle  loro  sacre  persone, 
ma  fossero  indicativi  della  digni- 
tà pontificia  ,  che  sino  n  quel 
tempo  era  stata  vilipesa,  segno  al- 
le persecuzioni  e  non  venerata  co- 
me si  doveva.  Soggiunge  il  p.  Bo- 
nanni, essere  questa  1'  origine  dei 
mazzieri  pontificii,  e  in  conseguen- 
za è  uno  de'  più  antichi  uffici  del 
palazzo  apostolico,  come  lo  persua- 
de l'antica  e  costante  tradizione,  e 
le  memorie  che  si  conservano  nel 
suddetto  archivio.  Sono  (allora  cioè) 
in  numero  di  ventiquattro,  e  nelle 
bolle  pontificie  vengono  distinti  col 
nome  di  collegio  de' mazzieri.  Nel 
cerimoniale  di  Cristoforo  Marcello 
(ossia  del  Patrizi)  dedicato  a  Leo- 
ne X,  si  chiamano  servientes  ar- 
vioriim.  Prima  del  i432  (anzi  nel 
1437)  ebbe  questo  collegio  alcuni 
statuti,  che  in  tale  anno  confermò 
in  Bologna  Bugenio  IV,  e  poiché 
col  decorso  del  tempo  si  variaiono, 
furono  stabilite  alcune  l'egole  nel 
1617  a' 12  gennaio  avanti  l'udito- 
re (Ercole  Vaccario)  del  cardinale 
Pietro  Aldobrandini  camerlengo  di 
s.  Chiesa,  che  ora  si  osservano  nel- 
le funzioni  nelle  quali  intervengo- 
no. (Noteremo  che  nell'archivio  del 
collegio  si  custodisce  il  libro  delle 
costituzioni  confermate  nel  1677 
sotto  Innocenzo  XI,  scritto  in  per- 
gamena con  lo  slemma  del  colle- 
gio, consistente  in  una  targa  soste- 


42  M  A  Z 

iiiiin  da  un'aquila  coionata,  aven- 
te in  ciunpo  d'argento,  legale  con 
nastro  rosso  ed  incrociate,  una  maz- 
za ed  una  sciabola:  il  libro  porla 
questo  titolo:  Conxtìluzioni  della 
compagina  de  sergenti  d'arme  det- 
ti mazzieri  del  palazzo  apostolico, 
confermate  l'anno  1677).  ^^^  i365 
essendo  in  Avignone  Urbano  V, 
nata  controversia  tra  i  uiazzieri  ed 
i  custodi  della  porta  ferrea  (  dei 
quali  parliamo  all'articolo  Maestbi 
osTiARi)  circa  il  portare  le  armi, 
come  insegna  deil'offizio  loro,  il 
J'apa  con  bolla  de' 27  maggio  de- 
terminò che  i  mazzieri  nell'attuale 
servizio  del  Papa  e  della  sede  va- 
cante del  sacro  collegio,  fossero  te- 
nuli  portare  mazze  o  clave  di  qual- 
sivoglia forma  e  lunghezza,  ma  non 
essendo  in  attualità  di  servigio  non 
j)<)lessero  portarle,  imponendo  pene 
ni  trasgressori;  e  che  i  portinari 
minori  della  porta  ferrea  in  servi- 
gio e  nelle  cavalcate,  procedendo 
però  a  piedi,  portassero  la  mazza 
in  mano  o  asta  di  legno,  nel  cui 
capo  fosse  il  ferro  tondo  e  non 
quadrato  o  dentato,  e  nel  piede 
del  bastone  una  verghelta  di  ar- 
gento di  tre  dita,  siccome  in  capo 
vicino  al  ferro  un'  altra  verghelta 
simile,  e  che  la  detta  verga  o  ba- 
stone non  passasse  la*  lunghezza  di 
due  palmi,  e  che  non  fosse  abbel- 
lita di  pitture  o  altro  ornamento, 
eccetto  che  nel  fondo,  ove  dovesse- 
ro essere  le  armi  della  Chiesa  o  del 
Papa.  Della  diversità  della  mazza 
de'  Cursori  apostolici  [Fedi)  ,  da 
quella  de'mazzieri,  e  stabilita  dallo 
stesso  Urbano  V,  lo  dicemmo  a 
quell'articolo. 

11  p.  Mabillon,  Musei  italici  t.  Il, 
p.  280,  riportando  l'ordine  romano 
XIV,  e  parlando  della  coronazione 
del  Papa,  dice  deil'offizio    de' raaz- 


MAZ 

zieri.  »  Servientes  albi  erunt  pa- 
rati ad  dextrandum  equum,  et  ad 
portandum  soleclum  et  calcaria, 
capellum  et  cappam  contra  aquam 
ne  pluat,  et  mitrate.  Item  servientes 
nigri  poitabunt  capellatn ,  capitia, 
faldistoria,  scabella  et  alia  consue- 
ta, (|uando  dominus  Papa  vadit 
cantare  in  solemnibus  festis.  Item 
micam  de  Iribus  panibus.  lieta 
quatuor  incisoria  de  pane  in  una 
tobalea  prò  manibus  lavandis.  Item 
de  aqua  frigida  et  calida  prò  ma- 
nibus lavandis.  Item  portabunt  in 
ecclesia  locum  ubi  se  debet  induere 
et  locum  post  altare,  ubi  debet  se- 
dere: et  fajdistoriura  erit  paratura 
ante  altare,  in  quo  incumbat  cum 
fiet  litania.  Item  in  ecclesia  para- 
bitur  locus  ad  sedendum  ubi  fiet 
presbyteriuinj  et  ubi  erit  faldisto- 
ri um  ad  sedendum.  Item  subdia- 
coni domini  Papae,  tam  capellani, 
quam  alii,  sint  induli  tunicellis,  et 
serviant  et  cantent  laudescum  prio- 
re diaconorum  cardinalium,  et  fa- 
ciant  servitia,  quae  erunt  eis  in- 
juncta;  et  habeant  equos,  et  ve- 
nianl  eques  cum  processione  cum 
Papa;  et  unus  eorum  sit  paratus 
ad  portandum  crucem,  alius  ad  fa- 
ciendum  liìaniam,  et  lertius  ad 
serviendum  de  tobalea,  et  diaconus 
qui  cantavit  epistolam,  in  processio- 
ne portabit  librum  evangeliornm, 
et  prior  eorum  portabit  palliuui 
super  altare  tempore  debito  ".  Di 
questi  ufìizi,  come  abbiamo  dello 
di  sopra,  sono  restati  solo  l'assi- 
stenza della  lavanda  delle  mani  del 
Papa,  e  queila  del  canto  delle  lau- 
di. Il  medesimo  p.  Mabillon  nel- 
r  ordme  romano  XV,  parlando  a 
pag.  476  della  processione  delle 
palme,  dei  servientes  armorum,  si 
legge.  >'  Deinde  movetur  processio, 
et  graditur,  et  primo  servientes  aV' 


MAZ 

morum  cum  virgis  suis  anle  sub- 
cliuconum  bajulantein  criicem  "  . 
Donde  si  rileva  il  loro  accompa- 
gnamento nelle  processioni:  in  det- 
ti ordini  del  cardinal  Jacopo  Gae- 
ta ni  e  di  Pietro  Amelio,  si  ricor- 
dano le  verghe  o  mazze  che  por- 
tavano. Il  p.  Gattico,  y4cla  caerem, 
t.  I,  p.  167,  riportando  il  cerimo- 
niale de' Papi  quando  uscivano  o 
entravano  nelle  città,  dice  che  do- 
po i  palafrenieri  del  Papa,  proce- 
tleva  umis  strvientes  armoruni  cum 
iimbraculo,  et  habel  duos,  vcl  tres 
jiivanles  eum  j  indi  veniva  il  sud- 
diacono colla  croce,  mentre  ciirso- 
res  dthent  stare  juxta  equum  Pa- 
pae. 

Il    Garampi,   Osservazioni   delle 
monete    pontifìcie,    riportando    a  p. 
i5    dell'appendice    un    documento 
del     iSaS,  in    cui    Bernardo    ser- 
^•iente  armorimi  fece  da  testimonio, 
illustra    tale     uffizio    con    osservare 
che  due  furono  nel  secolo  XIll    le 
ipecie  de'  famigliari     domestici    del 
l'apa,  delti  con  generale    vocabolo 
servìentes;  perchè  altri  di  essi  era- 
no detti  albi    e    altri    ni^ri,     foise 
dalla  varietà  delle  divise  che  por- 
tavano.    A  tutti     fu     ingiunto    nel 
1275,    ul  habeant   arma  et    super 
insìgnia  partila  ad  honorem   et  ser- 
i'itiuni  domini    Papae  :     lib.  instr. 
r.assi  not.  Cam.  apost.    p.   75.    Nei 
ruoli    di    Clemente  V     (in    quello 
del    1277   di  iNicolò  III   che  ripro- 
ducemmo al    citalo    articolo    Fjìmi- 
GLIA  Pontificia,   sono  registrati   di- 
versi chiamati    marestalla    alba    e 
marestalla   nigra  )    del     1 809,    leg- 
gonsi    servientes    armati ,   de' quali 
(iregorio  XI  ne  tenne  fino    a   cin« 
quanta;   ma  Eugenio  IV  nel  i439 
Il  fissò    al    solo    numei'o  di    venti, 
come  si  ha    dal    Regesto    di  Nico- 
lo  V  di     lui   successore.    Da    una 


M  A  Z  43 

bolla  di  Urbano  V  del  i365,  ri- 
leva il  Garampi  ch'essi  erano  detti 
anche  mazerii,  perchè  portavano 
una  clava  o  mazza  con  vari  anelli, 
diversa  però  da  quella  degli  ostia- 
ri  e  dei  portieri.  Aggiunge  anch'e- 
gli,  che  Eugenio  IV  nel  i436  con- 
fermò gli  statuti  servìenlium  armo- 
rum,  i  quali  dovevanoy<3ce/'e  guar- 
diam  et  sodare  dominuni  Papam 
ah  ostia  camerae  paramenti  liscine 
ad  capellam,  ubi  audii  missani  in 
canili  j  e  ciascuno  di  essi  doveva 
avere  mazam  suam  propriam.  11 
cerimoniere  Paride  de  Grassis  li 
chiamò  promiscuamente  Mazzieri 
o  Lictores ,  scrivendo  che  prima 
di  Sisto  IV  del  1472,  assistevano 
alla  cappella  pontificia  armati  di 
corazza  e  di  gorgiera  (armatura 
che  arma  la  gola),  ma  che  poi  in- 
liod ussero  di  portare  per  lo  più  lu 
sola  mazza  ch'era  d'argento,  come 
si   legge  in  un  mss.  Vaticano. 

Negli  Aichialri  pontip'cii  dei  Ma- 
rini,  ripiodncendosi  un  documento 
del  1278  de' famigliari  di  Nicolò 
HI,  t.  II,  p.  7  e  i4,  sono  enu- 
merati 0mnìbus  servientibiis  albis 
et  nigris,  i  quali  nel  ruolo  erana 
da  cinquanta.  Altre  notizie  di  loro 
ci  dà  nel  toro.  Ij  p.  87,  nel  descri- 
vere quelle  di  Robino  de  Singallo 
che  fu  serviente  d'armi,  barbiere  e 
chirurgo  di  Urbano  V,  e  fu  con 
lui  nel  maggio,  giugno ,  luglio  e 
agosto  1870  in  Montefiascone  e 
Corneto:  stette  anche  col  successo- 
re Gregm'io  XI,  che  nel  1874  gli 
fece  curare  un  cavaliere  ferito. 
Scrive  pure  il  Marini,  che  assai 
antico  è  l'uffizio  de' servienti  o  ser- 
genti d'armi  nelT  aula  pontificia, 
detti  alcuna  volta  semplicemente 
servienti,  servienti  de'Papi,  servien- 
ti apostolici,  e  dai  colori  della  so- 
pravveste  chiamati   servienti    Man- 


44  M  A  z 

fili  e    servienli    neri.     Furono    ora 
più,  ora   meno,  secondo    il  piacere 
(Ie'!\'ipi;   ma   moltiplicatisi   di   trop- 
po durante    lo    scisma    che    afflisse 
la  Chiesa  dal    1378  al    i4'7>  a  se- 
gno che  Eugenio  IV  ne  trovò  più 
di   quaranta,  questi    ne  fissò,  come 
si  è  detto,  il  numero  a  venti,  e  la 
determinazione    sua    venendo    tras- 
gredita,   dovette    Pio  II   rinnovarla 
nei    1458.   Eletti  che  erano,    dava- 
no per  ordine    dello    stesso    Huge- 
nio  IV,    una    marca    d'oro    per  la 
cappella,   ed     un    pranzo    ai    sodali 
(forse  ai    compagni    come    pratica- 
vano i     maestri    osliari).  Sisto    IV 
perchè  avessero  dove    trovarsi    in- 
S'iemej  e     trattar     de' loro     bisogni, 
gli  cedette  l'antica  chiesa  di  s.  Gre- 
gorio de    Coruna,  posta  sulla  piar- 
v.a  di  s.  Pietro,  ridotta  allora  a  do- 
ver essere     stalla    e    barberia;     ed 
Innoceii7.o   Vili     essendosela  intesa 
col    celebre    Ardicino    della     Porta 
vescovo  Aleriense    (che    nel     i4^9 
creò  cardiuide),  confermò    tal  con- 
cessione ai    4  8'"§"°     i4^S-    Ales- 
sandro VI   però  al   primo  di  aprile 
1495  restituì    la    chiesa  all'abbate 
di  s.  Saba,  al    quale    apparteneva, 
e  ne  espulse  i   servienti.    Il    Torri- 
gio,   Grolle  vaticane  p.  188  e  seg., 
ci  dà   le  notizie  di   tale  chiesa.  Pa- 
pa   s.   Gregorio   I   fece  nella  piazza 
Vaticana  ai  gradi  della  basilica  con- 
giunta, un  oratorio     o    chiesa    che 
da  lui   prese  il   nome,  con   la  scuo- 
la  de'cantori,  che   però    tale    luogo 
fu   quindi   chiaMialo  s.   Gregorio  de 
Cortina,  cioè  della    piazza.     Sotto 
Benedetto   III,    venuti    molti   da   In- 
ghillerra  a    Roma,   vi   oflVirono  una 
favola   di   argento.   Stefano  VI   nel- 
l'oriìlorio  benedì   molla  acqua,    ac- 
ciò  l'osse  sparsa   pei   campi   e   vigne 
di   Iloma,  afìiiichè  Dio  togliesse   da 
esii    una   quasi    infinita   copia   di  io- 


M  A  Z 

custe,  che  (acevauo  danno  incredi- 
bile, e  donò  un  libro  spirituale  per 
ciascuno  della  scuola.  Ai  sacerdoti 
di  questa  chiesa  ed  ospedale  di  s. 
Gregorio  si  davano  sei  soldi  pel 
tiuibolo  che  si  usava  da  essi  nel- 
r incensare  il  Pontefice  (uso  che 
descrivemmo  all'articolo  Incensie- 
re),, il  quale  nel  giorno  di  s.  Mar- 
co venendo  dal  Laterano  si  lava- 
va i  piedi,  per  entrare  con  gran 
divozione  nella  basilica.  Tale  chiesa 
fu  disfatta  a'  tempi  di  Pio  IV,  per 
ampliare  la  piazza.  Il  Du  Gange 
ed  il  Carpentier  hanno  scritto  as- 
sai cose  intorno  ai  servienti  d'armi 
della  casa  di  Francia,  ma  ninna 
di  que' della  corte  pontificia.  Il  ce- 
lebre orafo  e  bizzarro  Benvenuto 
Cellini  fu  di  questo  collegio,  po- 
stovi ai  i4  aprile  i53i,  ma  ap- 
pena vi  si  trattenne  per  due  an- 
ni ,  che  rinunziò  il  grado  agli  8 
gennaio  i533  a  Pietro  Cornaro  di 
Venezia. 

Nelle  cavalcate  colle  quali  i  Pa- 
pi sino  al  termine  del  secolo  pas- 
sato si  recavano  alle  cappelle  del- 
l'Annunziata, di  s.  Fdippo,  della 
Natività  e  di  s.  Carlo,  i  mazzieri 
in  numero  di  sei  a  cavallo  vigila- 
vano al  buon  regolamento  della 
cavalcata  colle  mazze  d'argento,  ed 
alcuni  incedevano  lateralmente  al 
Pontefice,  altri  presso  il  crocifero. 
Ecco  poi  il  modo  come  interven- 
nero alle  cavalcate  de' possessi  dei 
Papi,  che  ricaviamo  dalle  relazioni 
di  essi  raccolte  dal  Cancellieri.  In 
quello  del  1590  di  Gregorio  XIV 
camminavano  intorno  il  capitano  de- 
gli sy'izzer'i  clavigeri  Sanctilatis  siiae, 
jìalLiis  violaceis  brevibus  i/iduli,  et 
ad  collimi  loricati,  pedes  hinc  iri' 
da  iiicedehanl  clavas  argenteas  su- 
per humeriitn  dexleruni  sustinen- 
tes  s  seguiti  dal  generale  di  s.  Ghie- 


MAZ 

sa.  In  quello  del  iSqi  d'Innocen- 
zo IX,  dopo  gli  ambasciatoli,  hinc 
inde  cquitahant  a  laleribus  odo 
clavigeri  Pajìùe  ad  colluin  loricati 
cuin  ca paltò  violaceo,  clavas  argew 
teas  erectas  dcfercnles,  et  inter  eos 
duo  magistri  caerenionìaruni,  indi 
la  croce  ponlificia.  Nel  i6o5  pel  pos- 
sesso di  Leone  XI,  appresso  il  go- 
vernatore, i  niazz.ieii,  poscia  il  croci- 
fero. In  (juello  del  162  i  di  Gregorio 
XV,  appresso  al  capitano  degli  sviz- 
zeri, mazzeriì  Papae  disciirrenles, 
et  lances  spezzatae  ante  et  retro, 
ut  equilatio  procederet.  In  quello 
del  1644  d'Innocenzo  X,ai  Iati  ed 
innanzi  la  sua  lettiga  equilahant 
clavigeri  Sanclilatis  suae  ciini  eo- 
rum  ruhonihus,  et  gramaliis  clavas 
erectas  deferenles.  In  altra  relazio- 
ne si  legge  che  seguivano  gli  avvo- 
cati concistoriali  altri  pontificis  da- 
vatores,  hos  arge/iteae  clavae,  sed 
piirae,  ac  violacea  amicula  ador- 
nabant.  In  quello  del  i655  d'  A- 
lessandro  VII,  avanti  ai  cerimonie- 
ri equitabanl  XII  clavatores  pon- 
tificiiy  punicea  veste  oblonga,  tae- 
nia  holoserica  nigri  coloris  prae- 
texta,  torquibus  anulalis  siiperbieii- 
tes  ,  clavas  erectas  circuwfeie- 
bant.  Nel  possesso  del  1667  di  Cle- 
mente IX,  dopo  il  baronaggio  se- 
guivano due  mazzieri  con  ricche 
mazze  d'argento,  e  casacconi  pao- 
nazzi con  liste  di  velluto,  e  colla- 
rine di  maglia,  indi  gli  abbreviato- 
ri.  In  quello  del  1670  di  Clemen- 
te X,  ai  lati  dei  ceremonieri  equi- 
tanles  clavigeri  Papae  iriduti  rub- 
bonis,  et  gramaliis,  eorum  clavas 
erectas  deferenles,  e  vicino  al  Papa, 
ambulabant  cursores  Papae  cuni 
sopranis  violaceis  sub  genu,  haben- 
tes  prae  wanibus  eorum  clavas  ar- 
gentcas.  In  quello  del  1676  per 
Innocenzo  XI,  dopo  i  camerieri  se- 


MAZ  45 

greti  coi  cappelli  del  Pontefice,  in- 
cedevano due  mazzieri  con  ricche 
mazze  d'argento,  e  casacconi  pao- 
nazzi con  liste  di  velluto,  e  colla- 
rine di  maglia  cui  succedevano  gli 
abbreviatori;  altri  mazzieri  seguiva- 
no il  magistrato  romano.  In  quello 
del  1689  d'Alessandro  Vili,  appres- 
so gli  ambasciatori,  i  mazzieri  col- 
le mazze  alzale,  ed  i  nuushi  delle 
cerimonie,  circondando  la  lettiga 
pontifìcia  dodici  cursori.  In  quello 
del  1691  per  Innocenzo  XII,  ap- 
presso al  governatore  i  roazzieii 
con  mazze  alzate  ed  i  cerimonieri, 
procedendo  i  dodici  curv^ri  intorno 
la  lettiga  con  vesti  paonazze,  maz- 
ze d'argento  e  berrette  in  mano. 
Nel  1701  pel  possesso  di  Clemen- 
te XI,  ai  lati  del  suo  cavallo  cam- 
minavano i  mazzieri  e  i  cursori.  In 
quello     del     1721      per     Innocenzo 

XIII,  circondavano  la  sua  lettiga 
i  mazzieri  divisi  in  due  aie  coi 
loro  rubboni,  tra  maglie  e  mazze. 
Nel  1724  P"'  Benedetto  XIII,  pre- 
cedevano il  suo  cavallo  tutti  i  maz- 
zieri e  cursori  con  rubboni  e  maai- 
ze  in  ispalla,  come  rilevasi  dal  dia- 
rista Cecconi,  perchè  il  Cancellieri 
non  ripoi.tò  l'ordine  della  cavalca- 
la, come  non  la  riprodusse  in  quel- 
lo di    Clemente  XII,    e    Benedetto 

XIV,  in  cui  in  due  ale  a  cavallo 
lateralmente  alla  lettiga  ove  ince- 
dettero i  due  Papi,  cavalcavano  i 
mazzieri  pontificii  come  riportano  i 
Diari  di  Roma.  Nel  possesso  del 
1758  di  Clemente  XIII,  fiancheg- 
giavano a  piedi  il  di  lui  cavallo  i 
mazzieri,  sei  de' quali  cavalcarono 
per  invigilare  al  buon  ordine  della 
cavalcata,  per  la  quale  continua- 
mente scorrevano.  In  quello  del 
I  769  per  Clemente  XIV,  si  prati- 
cò altrettanto,  così  pel  possesso  del 

1775  di  Pio  VI.    Non  intervenne- 


4G  M  A  Z 

ì'o  alla  cavalcala  per  quello  di  I^io 
VII,  il  quale  pel  primo  andò  in 
carrozza,  e  fu  imitato  dai  succes- 
sori. Avendo  il  regnante  Pio  IX 
preso  il  possesso  in  carrozza,  ma 
con  quella  cavalcata  ch'ebbe  luogo 
per  Pio  VII,  i  mazzieri  invece  di 
andare  a  cavallo,  in  numero  di  due 
incederono  a  piedi  a  guardia  della 
croce  papale;  gli  altri  mazzieri  si 
trovarono  alla  basilica  lateranense 
per  l'assistenza  consueta.  A  tutto 
il  pontificato  di  Pio  VI,  pel  bal- 
dacchino che  i  Papi  dojiano  a  quel 
capitolo,  ricevettero  i  mazzieri  un 
regalo  dal  PouteOce,  forse  per  cu- 
stodirlo, e  impedire  che  i  romani 
se  Io  appropriassero,  come  antica- 
tuente  costumavano. 

Dall'anno  1617  l'elezione  degli 
ufFiziali  del  collegio  de'mazzieri  pon- 
tificii e  apostolici,  si  fa  ogn'anno 
nella  congregazione  di  gennaio,  e 
nel  convenLo  dì  s.  Agostino  sino  dal 
1607,  godendo  il  collegio  nella  con- 
tigua chiesa  sepoltura  gentilizia, 
presso  l'altare  di  s.  Nicola  da  To- 
lentino, ove  nell'anniversario  de' fe- 
deli defunti  entro  l'ottava  si  cele- 
bra una  messa  cantata  pei  mazzie- 
ri morti,  assistendovi  il  collegio,  ed 
altrettanto  ogni  volta  che  un  maz- 
ziere muore.  Talora  alcuno  lasciò 
funerali  con  l'assistenza  del  colle- 
gio e  dispensa  di  cera.  La  messa 
anniversaria  si  canta  con  catafalco 
e  con  r  intervento  de'  mazzieri  in 
sott'  abito  nero,  con  ferraiuolone  di 
seta  nera,  solilo  collare  con  mer- 
letto, e  spada.  Quanto  alla  sepoltu- 
ra del  collegio,  essa  e  ornata  di 
impelliccialure  di  marmi  di  varie 
specie  con  l'arma  del  collegio  pa- 
rimenti di  marmi,  e  con  l'iscrizio- 
ne latina,  che  io  italiano  dice  co- 
sì. D.  O.  M.  R.  Acciò  non  man- 
casse sepolcro  agli  emeriti  iuservieri' 


MAZ 

ti  delle  armi  del  sacro  palazzo  a- 
poslolico  chiamati  mazzieri,  vera- 
mente commilitoni  in  giaco,  lorica 
e  clava,  il  loro  insigne  collegio, 
tanto  a  quelli  defunti  nel  proprio 
ofllcio,  quanto  a  quelli  una  volta 
iscritti  nell'albo  sotlo  Innocenzo  XI 
Pontefice  ottimo  massimo,  qui  ebbe 
cura  di  costruirlo  l'anno  di  salute 
1677.  Sino  ai  nostri  giorni  gli  of- 
ziali  annuali  erano:  il  siniscalco,  il 
tesoriere,  il  collettore  ed  i  sindaci, 
il  siniscalco  che  nel  collegio  tene- 
va il  primo  luogo,  cui  doveano  i 
mazzieri  obbedire  nelle  funzioni  oc- 
correnti come  capo,  veniva  eletto 
per  bussolo,  nel  quale  si  ponevano 
i  mazzieri  servanti,  tranne  il  teso- 
riere e  il  collettore  finché  erano 
in  offizio,  votando  pel  primo  il  de- 
cano. L'eletto  giurava  esercitare  la 
carica  osservando  gli  statuti  e  le  co- 
stituzioni, di  tenere  fedelmente  la 
custodia  del  sommo  Pontefice,  e 
servire  la  Sede  apostolica  nelle  fun- 
zioni ove  doveano  sorvegliare  i  maz- 
zieri di  guardia  per  l'esatto  servi- 
gio, dal  quale  dispensava  per  giu- 
ste cause,  tranne  per  le  funzioni 
della  Purificazione,  AnnunziatEi,  do- 
menica delle  palme,  giovedì  santo, 
Pasqua,  Corpus  Domini,  mattina 
di  Natale,  coronazione  e  cavalcala 
del  possesso  del  nuovo  Papa,  distri- 
buzione degli  Agnus  Dei,  e  cano- 
nizzazioni de' santi.  Venivano  eisen- 
tali  gl'infermi  e  qualcuno  per  gra- 
ve causa,  sotto  pena  d'uno  scudo 
d'oro  da  spartirsi  metà  al  siniscal- 
co, metà  in  messe  da  celebrarsi  in 
s.  Agostino  nella  delta  cappella  : 
uno  scudo  al  mese  pagavano  gli  as- 
senti e  lo  godevano  gli  esercenti. 
Il  tesoriere  riscuole  gli  assegni  e  le 
propine,  tranne  le  tasse  da  spedir- 
si dalle  chiese  e  monasteri,  quali 
si  esigono  dal  coUeltore  in  cancel- 


MAZ 

leria  pei  minuti  servigi,  che  si  divi- 
dono pei-  Natale  e  s.  Giovanni  Bat- 
tista: prima  il  collegio  sino  dal 
1664  possedeva  cinque  luoghi  di 
monte,  in  compenso  di  una  casa  che 
avca  nella  piazza  di  s.  Pietro,  for- 
se presso  la  chiesa  di  s.  Gregorio 
in  Cortina,  e  demolita  per  l'abbel- 
limento della  piazza  e  colonnato 
fatto  da  Alessandro  VII.  Il  collet- 
tore assiste  in  cancelleria  al  banco 
de'  cubiculari  e  scudieri  per  le  lasse 
delle  chiese  de' vescovati  e  mona- 
steri. I  sindaci  doveano  rivedere  i 
conti  degli  uffiziali,  e  rimarcare  le 
negligenza  de' serventi,  potendo  es- 
si coi  decano  multare  e  correggere 
chi  avesse  commesso  qualche  man- 
camento: ogni  anno  avevano  una 
libbra  di  pepe.  1  detti  quattro  of- 
fìziali  poi,  delle  due  vitelle  monga- 
ne  e  campareccia  che  donava  il 
Papa  per  Natale  e  Pasqua,  aveano 
nella  divisione  parte  doppia.  Anti- 
camente chi  per  morte  di  altro 
mazziere  otteneva  {uffizio  dalla  da- 
teria, dovea  pagare  al  collegio  i 
seguenti  emolumenti.  Cento  ducali 
di  camera  per  la  marca  d'oro  (e- 
gual  marca  pagavano  al  loro  col- 
legio i  maestri  ostiari,  prò  libera- 
litatc  et  jocalibus  )  ;  venticincjue 
scudi  d'oro  di  stampe  per  l'ammis- 
sione; scudi  undici  e  bai.  20  per 
la  colazione,  bai.  5o  pel  registro 
della  supplica,  bai.  3o  per  inlimar 
la  congregazione  pel  possesso.  Chi 
comprava  l'o/lìzio  per  rassegna  pa- 
gava detti  emolumenti ,  fuori  che 
la  marca  d'oro  ,  e  veniva  subito 
ammesso  agli  emolumenti,  mentre 
l'altro  novizio  dovea  percepirli  do- 
po quattro  mesi.  Ogni  novizio  ve- 
niva dal  siniscalco  condotto  innan- 
zi al  decano,  che  gli  presentava  la 
mazza  alla  spalla  destra,  leggendo 
genuflesso  il  giuraaieulo    di    osser- 


M\7  4" 

vare  le  costituzioni  del  colli^gio  e 
servire  fedelmente  il  Papa  e  la 
santa  Sede.  11  noviziato  terminava 
passati  tre  anni,  venendo  assegnato 
dalle  costituzioni  un  pane  di  zuc- 
caro  agl'infermi,  cui  devono  por- 
tarlo il  tesoriere  e  il  collettore. 
Dell'archivio,  le  costituzioni  pre- 
scrivono conservatore  il  tesoriere, 
in  un  ai  paramenti  di  damasco 
nero  trinati  d'oro  per  le  messe  di 
requiem,  con  l'impresa  della  Sede 
apostolica,  il  ritratto  d'Eugenio  IV 
con  due  mazzieri  genuflessi  rice- 
vendo gli  statuti  confermati,  ed  altro. 
Tutto  ricavammo  dalle  costituzioni 
del  collegio,  che  tuttora  si  osserva- 
no,  meno   le  seguenti  variazioni. 

Nel  1677  il  collegio  si  compo- 
neva di  venticinque  mazzieri  com- 
presi il  decano  e  il  tesoriere  ,  i  maz- 
zieri serventi  ed  i  mazzieri  novi- 
zi, e  come  meglio  diremo,  al  pre- 
sente sono  ventidue,  e  pel  siniscal- 
co il  collegio  percepisce  annui  scudi 
dodici,  che  a  quello  stabilì  la  da- 
teria. Nel  i835  ebbe  principio  la 
ammissione  de'  soprannumeri  per 
parte  della  dateria  apostolica  ;  oggi 
tali  nomine  spettano  al  maggior- 
domalo  per  disposizione  di  Papa 
Gregorio  XVf.  L'unico  superstite 
mazziere  vacabilisla  era  Benedetto 
Ghilardi,  che  disirapegnava  le  in- 
combenze di  decano,  di  cassiere, 
di  collettore  e  di  siniscalco  del  col- 
legio, in  forza  di  disposizione  ema- 
nata nel  marzo  18 18  da  monsi- 
gnor Frosini  maggiordomo  ;  il  qua- 
le neir  occasione  eh'  ebbe  di  rifor- 
mare in  queir  epoca  il  ruolo  dei 
mazzieri,  volle  usare  a  quelli  vaca- 
bilisti  una  particolare  deterenra  con- 
cedendo loro  il  privilegio  di  occu- 
pare gli  offici  suddetti.  Sebbene  tale 
misura  non  fosse  vei-amenle  con- 
sentanea ai  voleri   di   Pio  VII,  che 


48 


M  AZ 


ordinò  fossero  nuovaraeiite  ammes- 
si ne' rispettivi  impieghi  e  diritti 
lutti  i  mazzieri  decaduti  da  questi 
per  avere  nell'invasione  del  governo 
francese  rpalizzato  l' importare  dei 
loro  vacabili;  e  sebbene  silfatta  mi- 
sura derogasse  il  più  sostanziale  de- 
gli statuti  die  il  collegio  deve  scru- 
polosamente osservare,  nondimeno 
tacque  nel  riflesso  che  la  misura  co- 
me precaria  finiva  naturalmente.  11 
caso  si  verificò  nel  superstite  Ghi- 
iarili^  che  divenne  impotente  per 
privazione  di  vista  di  esercitar  le 
sue  incombenze,  né  potè  farsi  rap- 
presentare dall'altro  mazziere  vaca- 
bilista  Gio.  Antonio  Blasij  perchè 
posto  in  riposo  fin  dal  i83g  per 
avanzata  età  (morì  nel  i844)-  Pt:'"- 
tanto,  essendo  soli  in  attività  di 
servizio  i  mazzieri  non  vacabilisti, 
e  desiderando  essi  di  far  rivivere 
le  regole  statutarie,  a'  2  aprile  i843 
nella  loro  residenza  del  convento 
degli  agostiniani  si  riunirono  in  con- 
gregazione, e  presero  i  seguenti 
provvedimenti.  i.°  Il  Ghilardi  fu 
messo  in  riposo,  cogli  emolumenti 
per  uno  speciale  riguardo.  2."  Giu- 
seppe ile  Antonis  come  più  anzia- 
no del  collegio  venne  nominato 
decano  e  capo  della  prima  sezione. 
3.°  Mariano  Petrilli  come  benemeri- 
to fu  dichiarato  segretario.  4-°  Ca- 
millo Janni  ebbe  l'incarico  di  cas- 
siere. 5."  Benedetto  Virili  fu  nomi- 
nato collettore.  6.°  Antonio  Cassetta 
sì  confermò  capo  della  seconda  se- 
zione. 7-°  Il  siniscalco  sarà  nomina- 
to ogni  bimestre,  e  continuerà  ad 
essere  ispettore  delle  guardie.  Il 
decano  assoggettò  a  monsignor  Ale- 
rame  Pallavicino  ma-igiordomo  i 
memorati  provvedimenti,  ed  il  pre- 
lato con  dispaccio  de'6  giugno  i843 
approvò  la  risoluzione  del  collegio, 
confermò  la  nomina    a"li  uftizi   re- 


M  A  Z 
sisi  vacatili  pe!  riposo  accordato  al 
(iliilardi,  e  specificatamente  ripetè 
i  nomi  e  le  cariche  d'ognuno,  in- 
caricando il  novello  decano  di  co- 
municare al  collegio  la  disposizione, 
ad  effetto  che  avesse  piena  osser- 
vanza pel  buon  andamento  del  col- 
legio medesimo.  Questo  dun<|ue  ora 
si  compone,  olire  de'  mentovali  uf- 
fiziali  e  loro  comproi,  di  due  se- 
zioni per  ordine  d'anzianità,  ognu- 
na composta  di  otto  mazzieri  e  ili 
sei  soprannumeri,  laonde  in  tutto  so- 
no ventidue.  Nel  num.  34  del  Dia- 
rio di  Roma  1847  si  narra  la  mor- 
te del  decano  de  Antonis;  tumulato 
nel  suddetto  sepolcro,  e  le  esequie 
solenni  che  il  collegio  gU  celebrò 
nella  chiesa  di  s.   Agostino. 

MAZZOCCHI  Alessio  Simmaco. 
Antiquario  dotto  e  laborioso,  nac- 
que nel  1684  <'i  s.  Maria,  borgo 
distante  due  miglia  da  Cosma,  di 
cui  le  rovine  che  poi  furono  argo- 
mento di  sue  ricerche,  fornirono 
giuochi  all'infantile  sua  età.  Dive- 
nuto di  i5  anni  nello  studio  abile 
quanto  i  suoi  maestri,  si  recò  a 
Napoli  ove  apprese  dalla  attenta 
lettura  di  Cicerone  il  genio  dell'an- 
tichità, che  divenne  la  sua  passio- 
ne dominante.  Imparò  l'ebraico  qua- 
si senza  maestro,  e  si  rese  fami- 
gliare le  lingue  greca  e  latina.  Nel 
1709  fu  insignito  degli  ordini  sa- 
cri, ed  in  Napoli  fu  eletto  professo- 
re di  greco  e  di  ebraico  nel  se- 
minario grande,  e  fatto  teologo  si 
die  allo  studio  della  Scrittura,  già 
divenuto  canonico  di  Cosma  e  poi 
decano.  Il  re  lo  fermò  nella  catte- 
drale con  una  cattedra  di  teologia, 
ma  non  gli  riuscì  che  accettasse 
r  arcivescovato  di  Lanciano.  Le 
scoperte  di  Ercolano  gli  sommini- 
strò ampiamente  i  mezzi  di  soddis- 
fare  il  suo   desiderio    crescente   di 


ME  A 
hliuini,  e  bcmliè  S  carattere  tiati- 
quillo,  sostenne  calde  discussioni  con 
diversi  antiquari,  fra' quali  Quirini 
ed  Assemani  ;  mentre  la  bontà  e 
integrità  de'  suoi  cosluini  lo  re- 
se caro  a  tutti,  mori  a  Napoli  nel 
1771  d'anni  87,  pianto  dai  poveri 
che  avea  soccorso  ,  cui  lasciò  le 
sue  masserizie.  Tra  le  numerose 
sue  opere  rammenteremo,  i."  In 
vetus  inarmoreum  s.  Neapolilanae 
ecclcsine  Knlendarium  comnienta- 
riiwty  Neapoli  1774-  2."  Dissevlalio 
historìca  de  cathedra lis  ecclesiae 
Neapolilanae  viiibux,  l'jSi.  3.*  De 
sanctorwn  Neapolilanae  ecclesiae 
episcoponun  culla  dissertatio,  ìj53. 
4.°  Aclorum  Bononiensìuni  s.  Ja- 
nuarii  et  ss.  viartyruni  vincidiae 
repetilae,  ìj5g.  5.'  O pascola  ora- 
toria, epistolaCf  carmina  et  diatri- 
bae  de  antiqidtate,  1775.  Si  ha  pu- 
re di  lui  una  buona  edizione,  con 
nuove  etimologie  tratte  dalle  lin- 
gue orientali,  àtW  Etyinolo^icon  lin- 
giiae  latinae  di  Vossio,  Napoli 
1762. 

MEATH  {Miden).   Vescovato  di 
Irlanda  con  residenza   vescovile,  nel- 
la provincia  di   Leinster,  che  pren- 
de   il    nome    da    due    coatee,    una 
orientale,  l'altra  occidentale,  Media, 
o  Midia.  La  contea  orientale,  Mealh 
o  Easl  Mealh,  è  una  delle  più  fer- 
tili d'Irlanda,  con   pascoli  eccellenti 
e  numerosi.  Si     scava    a    Waller- 
stown  una  miniera  di  rame  di  buo- 
nissima qualità,  ed  in    altri   luoghi 
una  cava  di    pietra  calcarea  e  del- 
l' argilla  da  stoviglie.  Vi  è  una  no- 
biltà numerosa  ed-  opulenta:  la  con- 
tea  si  divide  in  dodici  baronie,  a- 
venle  Trim   per  capoluogo,  città  e 
baronia  sulla  sponda    sinistra  della 
Boyne.  Vi  si   fanno  notare  le  car* 
ceri    e   le   caserme.    Fu  un    tempo 
circondola  di   mura  e  difesa  da  un 

VOt      XLIV. 


MÉA 


4t* 


castello  munito;  e  tra  gli  avanzi 
di  parecchi  stabilimenti  religiosi  che 
ivi  si  vedono,  avvi  l'abbazia  tiin- 
data  da  s.  Patrizio.  Il  parlamento 
d'Irlanda  si  è  tenuto  in  questa  città 
In  diverse  epoche,  ed  essa  vi  man- 
dava due  membri.  Trim,  Trinium, 
fu  già  sede  vescovile  eretta  nel  V 
secolo  sufiraganea  di  Armagh,  e  vi 
si  trasferì  nel  1206  il  vescovo  di 
Clonard.  La  contea  occideutalej 
Mealh  o  TVest  Mealh,  confinante 
coir  orientale,  è  bagnata  da  molti 
laghi,  e  le  sue  paludi  rendono  i- 
netto  alla  coltivazione  parte  del  suo 
territorio,  compensando  la  torba 
che  somministra  in  abbondan7.a. 
Quantunque  i  pascoli  occupino  la 
maggior  parte  della  superficie  del 
paese,  vi  si  raccoglie  bastante  grano 
pel  consumo.  Ha  per  capoluogo 
Mullingar,  si  divide  in  dodici  baro- 
nie, ed  invia  tre  membri  al  par-^ 
lamento.  Mullingar  oMullinger,  ba- 
ronia di  Moyashel  e  Margherader- 
don,  è  bene  fabbricala  e  mollo  po- 
polata. Vi  si  vedono  gran  caserme 
di  cavalleria  ;  fa  un  commercia 
considerabile  e  vi  si  tengono  quat- 
tro annue  fiere:  prima  dell'unione 
mandava  due  membri  al  parlamen- 
to. In  essa  fa  residenza  il  vescovo 
di  Mealh.  Prima  risiedette  a  Clo- 
nard, a  Trim,  a  Novan,  e  più  di 
tutto  ad  Ardbraccan. 

La  sede  vescovile  fu  istituita  ver- 
so l'anno  4^5  da  s.  Patrizio  apo- 
stolo d'Irlanda,  e  fatta  sutfraganea 
dell'arcivescovo  di  Armagh  :  succes- 
sivamente dice  Commanville  che 
furono  riunite  al  vescovato  di  Mealh 
diverse  piccole  sedi  vescovili  della 
provincia,  come  Donsaglin,  Densa' 
glinunii  e  Slan,  Slania,  nel  V  se- 
colo; Riloom  o  Cluaim,  Cloniae- 
noisa^  nel  VI  secolo  ;•  Domleag, 
Dtdcea,  nel  VI  secolo;  Realis,  Ce- 

4 


5o  M  E  A 

natici,  nel  Yll  secolo;  Arilbraccnn, 
Avdhrncum,rìe\  y\\  secolo.  Manca 
jl  capitolo  ed  il  decano;  evvi  il  vi- 
cario  generale,  l'arcidiacono  ed  un 
notare  apostolico,  oltre  sei  vicari 
foranei,  più  di  i3o  sacerdoti,  e  68 
parrochi  che  quasi  tulli  hanno  preti 
assistenti.  Le  parrocchie  che  nel 
1790  erano  1 35,  ulliuiameute  era- 
no ristrette  a  68  :  il  numero  del- 
le chiese  parrocchiali  e  delle  cap- 
pelle ascende  a  i3o.  11  seminario 
esiste  in  Novan,  baronia  di  Meath 
orientale  :  vi  si  mantengono  circa 
C)4  alunni  diocesani,  e  molti  estra- 
nei. Vi  apprendano  le  lingue  gre- 
ca e  latina,  arilmetica,  matemati- 
ca, etica,  ec.  Gli  alunni  migliori  si 
spediscono  al  collegio  nazionale  di 
Maynooth  per  apprendere  hi  teolo- 
gia, la  disciplina,  le  virtù  ecclesia- 
.«liche.  Oltre  i  superiori  vegliano  in 
questo  seminario  quattro  ecclesia- 
stici per  la  regolarità  degli  studi. 
Nella  diocesi  vi  sono  molte  scuole 
cattoliche,  un  monastero  di  mona- 
che soggette  al  vescovo,  tre  case 
religiose  abitate  dai  gesuiti  ,  dai 
carmelitani  e  dai  francescani  ;  le 
confraternite  della  dottrina  cristia- 
na, e  del  ss.  Cuor  di  Gesù.  In 
questa  diocesi  fu  pubblicato  il  de- 
creto del  concilio  di  Trento  De  re- 
form.  m<z/rmi.  a' 2  dicembre  «827, 
come  si  rileva  da  una  lettera  del- 
l'arcivescovo di  Dublino.  I  proven- 
ti parrocchiali  e  le  oblazioni  de'fe- 
deli  mantengono  il  clero  ;  vi  si  ten- 
ne un  sinodo  diocesano  ultimamen- 
te. Quattro  volte  1'  anno  vi  si  ten- 
gono le  conferenze  de'  casi  di  co- 
scienza ;  ogni  festa  viene  istruito  il 
popolo  ;  il  clero  secolare  e  regolare 
è  eccellente  e  zelante.  I  cattolici 
della  diocesi  superano  i  33o,ooo. 
Ecco  i  vescovi  di  Meath  riportati 
nelle  annuali  Nolizif-  di  Roma,  se- 


MEA 

condo  l'epoca  in  cui  furono  dichia- 
rati dai  Papi.  Patrizio  Giuseppe 
Plunkett  della  medesima  diocesi,  fat- 
to da  Pio  VI  nel  mese  di  genna- 
io 1779.  Leone  Xll  a'  i4  agosto 
1824  nooiinò  coadiutore  con  futu- 
ra successione  Roberto  Logan,  e 
vescovo  in  partihns  di  Tremito,  di- 
venuto effettivo  nel  1827.  Pio  VITI 
a'  20  luglio  i83o  gli  die  in  suc- 
cessore monsignor  Giovanni  Cant-- 
wel,che  tuttora  governa  la  diocesi. 
MEAUX  (Melden).  Città  con  re- 
sidenza vescovile  in  Francia,  nel  di- 
partimento di  Senna  e  Marna  ,  ca- 
poluogo di  circondario  e  di  canto- 
ne, distante  meno  di  dodici  leghe 
da  Parigi,  del  cui  territorio  fece  an- 
ticamente parte,  sulla  Marna  che  la 
divide  in  due  parti  ineguali,  di  cui 
la  più  importante  occupa  la  riva 
destra,  e  presso  il  canale  delTOurcq. 
È  sede  d'un  tribunale  di  prima  i- 
stanza  e  di  uno  di  commercio  ; 
evvi  la  conservazione  delle  ipoteche, 
la  direzione  delle  contribuzioni  in- 
dirette, l'ispezione  alle  foreste,  la 
società  libera  di  agricoltura,  scienze 
ed  arti.  E  assai  ben  fabbricata,  ma 
male  distribuita  ;  rinchiude  una 
gran  piazza  pubblica  detta  il  Mer- 
cato, e  dei  passeggi  assai  ameni  lun- 
go la  Marna,  e  sugli  antichi  ba- 
stioni, che  si  piantarono  d' alberi. 
La  cattedrale  è  un  bell'ediflzio  go- 
tico fondato  nel  secolo  XI  dal  ve- 
scovo Gontiero  I  :  vi  si  ammira  il 
suo  magnifico  coro  ;  contiene  la 
statua  in  marmo  bianco  ed  il  se- 
polcro del  celebre  Bossucl  [Vedi) 
che  fu  uno  de' suoi  vescovi.  Il  pa- 
lazzo di  giustizia  fabbricato  dai  con- 
ti di  Sciampagna,  che  spesso  vi  ri- 
siedevano, non  ha  niente  di  osser- 
vabile. La  città  ha  una  chiesa  ri- 
formata, una  società  hiblica  prote- 
stante, due  ospizi,   un     teatroj   una 


bililioteca  pubblica  «li  circa  i  i  ,000 
volumi,  un'altra  del  vescovato,  una 
colle/ione  di  oggetti  di  storia  natu- 
rale, ed  una  bella  caserma  di  caval- 
leria. Commercia  in  diverse  cose, 
e  sotto  il  ponte  di  pietra,  vecchio 
e  mal  costrutto,  vi  sono  molti  mu- 
lini, non  passandovi  alcun  battello 
per  essere  troppo  violenta  la  cadu- 
ta d'acqua;  la  navigazione  si  fa  pel 
canale  Cornillon  scavato  da  Teo- 
baldo VI,  sulla  riva  sinistra,  al  sud 
della  città  presso  il  mercato.  È  pa- 
tria di  diversi  uomini  illustri,  come 
di  Delanouc  autore  drammatico,  di 
Filippo  Fiorenzo  de  Puisieux  av- 
vocato, e  di  J.  Amyot.  A  poca  di- 
stanza di  Meaux  vedesi  la  roccia  di 
Crecy,  che  contiene  grotte  e  cu- 
riose petrifìcazioni. 

Questa  antichissima  città  fu  chia- 
mala da'Iatini  Meldorum  urbs,  Mei' 
lìoe,  Meledix.  Meldis  e  Jatinuni  Mel- 
riarurn.  Sotto  i  romani  fece  in  o- 
rigioe  parte  della  Belgica,  e  fu  po- 
scia compresa  nella  Gallia  Lionese. 
Verso  la  metà  del  IV  secolo  lasciò  il 
uome  di  Jalinuni,  per  prendere  quel- 
lo del  suo  popolo,  i  meldi,  che  conser- 
vò sino  al  IX  secolo.  Era  assai  im- 
portante sotto  la  prima  stirpe  dei 
re  di  Francia;  Chilperico  vi  fece 
rinchiudere  la  regina  Brunechilde  e 
le  sue  figlie.  I  normanni  la  sac- 
cheggiarono e  bruciarono  nel  IX! 
secolo.  Nel  II 46  fu  onorata  dalla 
presenza  del  Papa  Eugenio  III  che 
vi  giunse  a'  26  giugno.  Ebbe  i 
suoi  conti  particolari,  e  passò  poscia 
sotto  il  dominio  di  quelli  di  Sciam- 
pagna, sino  all'anno  i-ì84,  in  cui 
fu  riunita  alla  corona  di  Francia 
pel  matrfmonio  di  Filippo  IV  il 
Bello  con  Giovanna  di  Navarra  con- 
tessa di  Sciampagna.  Questa  città 
molto  soflri  in  diverse  occasioni.  Fi| 
l'ulliuia  città    della  Marna   che  ri- 


MEA.  5i 

mase  al  parlilo  di  Carlo  VII.  Gli 
inglesi  l'assediarono  al  principio  del 
i4'2i  j  e  dopo  una  difesa  di  tre 
mesi  obbligarono  gli  abitanti  a  ce- 
derla il  9  maggio,  conservandola 
sino  al  1436.  Fu  la  prima  città  del 
regno  in  cui  i  protestanti  incomin- 
ciassero a  predicare  pubblicamente, 
e  la  prima  pur  anco  che  rinunzian* 
do  al  partito  della  lega,  si  sotto- 
mise ad  Enrico  IV.  Era  la  capita- 
le della  Brie-Champenoise. 

La  sede  vescovile  fu  eretta  nei 
primi  tempi  della  Chiesa,  e  nel  III 
secolo  o  verso  il  280,  suifraganea 
dell'arcivescovo  di  Sens;  ma  quan- 
do Gregorio  XV  elevò  Parigi  nel 
1622  a  metropolitana,  gli  assog- 
gettò il  vescovo  di  Meaux  che  gli 
è  tuttora  sufFraganeo .  Il  Chenu, 
Archjep,  et  episc.  Gailiae  p.  2  35, 
riferisce  che  il  primo  vescovo  fu 
s.  Dionisio  Areopagita  che  vi  predicò 
la  fede,  quindi  primo  vescovo  di 
Parigi  :  gli  successe  s.  Santino  che 
morì  nel  1 1 8.  Questo  s.  Santino^ 
secondo  altri,  fu  il  primo  vescot 
vo  (  il  Butler  dice  che  s.  Dionisio 
di  Parigi  colla  sua  predicazione 
rischiarò  Meaux  dei  primi  raggi 
della  fede  circa  l'anno  25o,  ed  ebr 
be  a  primo  pastore  s.  Santino,  for- 
se pure  di  Verdun,  che  vivea  nel 
quarto  secolo),  cui  successe  s.  Anto- 
nio o  Antonino.  XI  vescovo  fu  s* 
Bigomero  o  Rusomero;  XV  Pro- 
misco,  il  cui  successore  Medonio  o 
Medoveco  sottoscrisse  al  quinto  con- 
cilio d'  Orleans  nel  549,  e  fu  uno 
de'  giudici  che  condannarono  Saf- 
faraco  vescovo  di  Parigi,  sentenza 
confermata  nel  552  dal  concilio  di 
quella  città.  Vualperto  fratello  di 
s.  Farone  [Fedi)  fiori  verso  il  612 
e  nel  620  gli  successe  s.  Farono 
(altri  dicono  invece  che  .  nel  626 
succede  a  Gondoaklo),    il  quale  iva. 


52  ME  A 

i  luoghi  piì  che  fondò  vi  fu  l'abba- 
zia del  suo  nome,  situata  in  uno 
de' sobborghi,  e  divenne  considera- 
bile e  soggetta  alla  congregazione 
dì  s.  Mauro  :  noteierno  che  a  Meaux 
eranvi  due  altre  abbazie,  cioè  quel- 
la della  Madonna  di  Chàge,  appar- 
tenente ai  canonici  regolari  di  s. 
Genoveffa,  e  quella  della  Madonna 
del  Mercato  appartenente  alle  reli- 
giose del  medesimo  ordine.  Nel 
672  o  686,  a  s.  Farone  successe  s. 
Jldeverto  da  lui  allevato.  Fra  i  ve- 
scovi degni  di  special  ricordo  no- 
mineremo 8.  Palasio,  che  morì  nel- 
lo stesso  giorno  di  sua  elezione,  e 
fu  invece  nominato  s.  Ebrigisilo. 
Galterio  I  nel  lo^g  intervenne  al- 
la consecrazione  del  re  Filippo  f. 
Gaufrido  con  dispensa  d'Innocenzo 
III  rinunziò  il  vescovato,  e  nel 
III 3  si  fece  religioso  nell'abbazia 
di  s.  Vittore.  Nel  1245  Odone 
cardinal  Tusculano  e  legato  aposto- 
lico per  la  chiesa  di  Meaux,  com- 
pilò sei  statuti  relativi  alla  disciplina 
ecclesiastica.  Celestino  V  nel  1294 
creò  cardinale  Giovanni  le  Moine, 
o  Monaco  vescovo  di  Meaux,  ma  i 
Sammartani  negano  che  sia  stato 
pastore  di  questa  chiesa.  Giovanni 
Lullier  pubblicò  delle  ordinanze  si- 
nodali nel  1493.  11  cardinal  Gu- 
glielmo Brìssonet  fu  fatto  vescovo 
nel  i5i6:  il  Cardella  dice  che  que- 
sto cardinale  celebrando  pontifical- 
mente la  messa  fu  assistito  dai  ve- 
scovi di  s.  Malo  e  di  Meaux  suoi 
figli.  Luigi  Pinelle  nel  i53i  fece 
utili  regolamenti  pei  parrochi.  Gio- 
vanni di  Vieuxpont,  XCHI  vescovo, 
nel  16 14  intervenne  in  Parigi  al- 
l'assemblea generale  del  regno.  Nel 
1654  il  vescovo  Domenico  Seguier 
pubblicò  alcune  salutari  ordinanze. 
Nel  1681  divenne  vescovo  il  cele- 
bre Jacopo  Benigao  Bossuet  che  mo- 


MEA 

n  nel  1704.  Clemente  XI  gli  "die 
in  successore  Enrico  de'  conti  di 
Tinard  dì  Bisxy^  che  nel  1  7  i  5  creò 
cardinale,  il  quale  nel  1724  riunì  i 
decreti  sinodali  de'suoi  predecessori, 
e  sono  riportati  nella  Storia  di 
Meaux,  composta  da  d.  Toussaint 
Du  Plessis.  Antonio  Renato  di  Fon- 
tanelle, nominato  nel  1737,  mori 
nel  1759.  Suoi  successori  furo- 
no: 1759  Gio.  Lodovico  de  la 
Marthonnie  de  Caussade  di  Peri- 
gueux  traslato  da  Poitiers.  1779 
Lodovico  Apollinare  de  Polignac 
parigino.  i8o5  Pietro  Paolo  de 
Faudas.  1819  Gio.  Giuseppe  Ma- 
ria Vittorio  de  Cosnac  nato  in  Cos- 
nac.  i83o  monsignor  Romano  Fe- 
derico Gallard  d'Artenay  diocesi 
d'Orleans,  che  Gregorio  XVI  nei 
concistoro  de' 2  i  febU-aio  1839  di- 
chiarò arcivescovo  d'  Anazarbo  iit 
partibus  e  coadiutore  dell'arcive- 
scovo di  Reims;  e  nel  medesimo  fe- 
ce vescovo  di  Meaux  1'  odierno 
monsignor  Augusto  AUou  di  Meaux, 
già  vicario  generale  della  diocesi,  e 
superiore  d'uno  de'seminaii  di  essa. 
La  cattedrale  di  gotica  e  gian- 
diosa  struttura,  è  sotto  1'  invocazio- 
ne di  s.  Stefano  protomartire,  con 
fonte  battesimale,  avendo  un  vica- 
rio per  parroco.  II  capitolo  si  com- 
pone di  otto  canonici,  fra  i  quali 
il  decano  ed  il  penitenziere,  oltre 
altri  canonici  onorari,  ed  i  pueri 
de  choro  ossiano  chierichetti.  Prima 
esso  componevasi  di  sei  dignità,  di 
trenta  canonici  e  di  otto  semipre- 
bendati che  aveano  il  rango  di  ca- 
nonici. Presso  la  cattedrale  è  l'epi- 
scopio, ampio  e  decente.  Nella  cit- 
tà vi  sono  due  altre  chiese  parroc- 
chiali col  battisterio,  due  monaste- 
ri di  religiose,  una  casa  de*  fratelli 
delle  scuole  cristiane,  un  ospedale, 
tre  seminari,  e  nel  grande  vi  si  eoa- 


ME  A 

tengrìuo  circa  5o  alunni,  e  loo  ne- 
gli altri.  La  diocesi  comprende  il 
dipartimento  di  Senna  e  Marna,  e 
si  estende  per  22  miglia  circa  in 
lunghezza,  ed  8  in  larghezza.  In 
passato  era  divisa  in  due  arcidia- 
conati,  con  2/^0  parrocchie,  goden- 
do il  vescovo  22,000  lire  di  rendi- 
ta. Ora  essendo  diminuite,  ne' regi- 
stri della  camera  apostolica  è  tassa- 
to in  fiorini   87 o. 

Conci  Ih  di  Meaux. 

Il  primo  fu  tenuto  nell'  845  per 
ordine  del  re  Carlo  il  Calvo,  e  vi 
si  fecero  cinquantasei  canoni  sulla 
disciplina  ecclesiastica,  oltre  quelli 
raccolti  dai  concilii  precedenti,  per 
ricnediare  alle  doglianze  su  diversi 
abusi,  ma  il  re  non  li  confermò. 
V  intervennero  i  vescovi  delle  tre 
Provincie  di  Sens,  Reims  e  Bourges. 
Kegia  t.  XXI;  Labbé  t.  VII;  Ar- 
duino t.  VI;  Diz.  dei  cono. 

Il  secondo  nel  961  o  962,  in 
cui  fu  ordinato  Vigfrido  vescovo  di 
Verdun,  benché  vivo  Berengario,  e 
fu  altresì  provveduto  Reims  del  pa- 
store. Regia  t.  XXV;  Labbé  l.  IX; 
Arduino  t.   VI, 

Il  terzo  venne  adunato  nel  1080, 
in  cui  si  ordinò  Arnoldo  vescovo 
di  Soissons.  Regia  t.  XXVI;  Labbé 
t.  X;  Arduino  t.   VI. 

Il  quarto  nel  1082  per  l'ordi- 
nazione di  Roberto  vescovo  di  Meaux, 
ma  Richerio  arcivescovo  di  Sens 
co'  sutfraganei  lo  scomunicarono  per- 
chè ordinato  da  Ugo  legato  e  arci- 
vescovo di  Lione,  senza  il  loro  con- 
senso ;  in  vece  elessero  Gualtiero  II. 
Il  p.  Mansi  di  questo  e  del  prece- 
dente concilio  ne  fa  uno,  e  lo  dice 
celebrato  nel  io8i.  Siipplem.  t.  II, 
p.   53  ;   Diz.  de'  conc. 

Il  quinto  del   i2o3  o    1204  per 


MEC  53 

trattar  la  pace  tra  il  re  d'  Inghil- 
terra e  quello  di  Francia  per  la 
contea  di  Poitiers,  che  il  primo  di- 
ceva usuipata  dal  secondo.  I  vesco- 
vi di  Francia,  perchè  l' abbate  di 
Casamare  non  procedesse  alla  pace 
come  legato,  appellarono  ad  Inno- 
cenzo III.  Lal3bé  t.  XI;  Arduino 
t.  VI;  Diz.  de' conc. 

Il  sesto  nel  102  3  tenuto  dal  car- 
dinal Brìssonnet  contro  Lutero  . 
Spendano,  Annali. 

MECHITARISTI.  Congregazione 
monastica  di  benedettini  antoniani 
armeni.  Ne  fu  benemerito  fondatore 
Mechilar  figlio  di  Pietro  che  nacque 
in  Sebaste,  città  dell'Armenia  mi- 
nore nel  i674>  o  meglio  nel  1676. 
Fino  dalla  puerizia  bramoso  della 
vita  religiosa,  s' impiegò  nello  stu- 
dio de'  libri  sacri,  imitando  i  reli- 
giosi più  osservanti  ne'  suoi  costumi, 
ed  appena  compiti  i  quindici  anni, 
prese  l' abito  in  un  monastero,  se- 
condo l'uso  degli  armeni,  impie- 
gandosi nell'acquisto  delle  scienze 
per  abilitarsi  a  promovere  la  (tà& 
cattolica,  che  appresa  dai  suoi  no- 
bili genitori  conservava  nel  cuore, 
ed  aumentata  colla  lettura  de'santi 
padri  desiderava  di  propagare.  Né 
tardò  a  mettere  in  esecuzione  questo 
pio  pensiero,  insegnando  in  molti 
luoghi  la  fede  cattolica,  al  quale  ef- 
fetto dopo  quattro  anni,  portatosi  alla 
città  di  Aleppo,  ebbe  la  sorte  d' in- 
contrare alcuni  missionari  della  com- 
pagnia di  Gesù,  cioè  i  pp.  Antonio 
Beauvollier,  e  Giovanni  Verzeau  su- 
periore generale  in  Siria,  i  quali  gu- 
stando i  suoi  sentimenti  cattolici, 
lo  accompagnarono  colle  loro  let- 
tere in  Roma,  dopo  ch'egli  fe- 
ce avanti  di  loro  la  professio- 
ne di  fede  ,  quindi  incam minossi 
a  Roma.  Nel  viaggio  però,  per  una 
iufermità  sopraggiuutagli,  fu  costret  • 


.^4  M  E  e 

io  trattenersi  alquanto  in  Cipro,  e 
poi  ricorrere  al  benefìzio  dell'  aria 
nativa.  Rilorualo  alla  patria,  pro- 
mosse con  molto  finito  la  fede  cat- 
tolica, e  prese  il  sacerdozio  dal  ve- 
scovo cattolico  di  Adana  nel  1696. 
Acceso  di  ardentissirao  zelo  d' il- 
luminare nella  fede  e  nelle  scien- 
ze la  sua  nazione,  e  vedendo  esse- 
re molta  la  messe,  ammaestrò  alcu- 
ni cattolici,  affinchè  con  lui  coope- 
rassero a  mieterla.  Fi'attanto  venuto 
in  cognizione  che  la  congregazione 
di  propaganda  fide  aveva  mandato 
a  Costantinopoli  per  missionario  a- 
poslolico  l'armeno  Cacciadur  Ara- 
chiel  dottore,  subito  andò  a  tro- 
varlo per  comunicare  con  esso  il 
suo  disegno,  benché  il  viaggio  fos- 
.ie  di  molte  giornate.  Nelle  confe- 
renze che  ebbe  con  esso,  si  esibì 
per  discepolo  con  tutti  i  suoi  com- 
pagni, pregandolo  a  farsi  capo  di 
questi  operai  apostolici  colla  vita 
monastica.  11  dottore  Cacciadur  ap- 
provò bensì  questa  idea,  ma  ricu- 
sò di  farsi  capo  e  di  coadiuvarli: 
unitosi  nuUadiraeno  con  lui  nel 
predicare  la  fede  cattolica  in  Co- 
stantinopoli ,  fecero  non  poco  pro- 
gresso. Quindi  il  p.  Mechitar  non 
volendo  trascurare  la  coltura  dei 
suoi  discepoli,  si  portò  nella  città 
di  Erzerum  con  intenzione  di  fon- 
darvi un  monastero,  a  fine  di  al- 
levare molti  predicatori  della  fede 
cattolica.  Questo  però  non  potè  riu- 
scirgli, perchè  essendo  vietato  dai 
regi  decreti,  si  esponeva  evidente- 
mente ad  essere  tradito  dagli  scisma- 
tici. Gli  riuscì  solo  di  essere  creato 
■vartabied,  cioè  dottore,  ricevendo 
il  sommo  bastone  dal  vescovo  di 
Erzerum,  il  quale  era  decorato  di 
questa  dignità,  che  porta  seco  l'as- 
soluta podestà  di  predicare  e  co- 
muuicare  ad  altri  la  medesima  di- 


MEC 
gnità  di  vartabied  i  e  trattenendo- 
si colà  due  anni,  predicò  pubbli- 
camente in  Erzerunj  e  luoghi  vici- 
ni la  fede  cattolica  con  molto  frut- 
to. Ritornando  poscia  a  Costanti- 
nopoli, inviò  alcuni  de' suoi  com- 
pagni a  predicare  in  diveise  città 
dell'Asia  minore;  ed  il  p.  Mechi- 
tar unito  d'alletto  e  d' impiego  col 
suddetto  missionario  apostolico  Cac- 
ciadur, ebbe  campo  di  illuminare 
innumerabili  persone,  predicando  da 
per  tutto  liberamente,  coadiuvato 
dal  missionario  divenuto  in  allo- 
ra considerevole  presso  il  patriarca 
Costantinopolitano  degli  armeni,  il 
quale  avea  abbracciato  il  cattoli- 
cismo. 

Passati  alcuni  anni  e  seguita  la 
mutazione  del  patriarca  favorevole 
ai  cattolici,  si  trovò  il  p.  Mechitar 
in  mezzo  alle  persecuzioni  degli  scis- 
matici, i  quali  maccliinavanu  di  tra- 
dirlo, perchè  si  tratteneva  co' suoi 
compagni  in  un  ospizio  comune  u 
guisa  di  monastero,  per  cui  risol- 
vette di  trasferirsi  sotto  il  dominio 
veneto  nella  Morea  per  fabbricarvi 
un  monastero  adattato  al  suo  in- 
tento. Giunti  nella  IMorea  nell'  an- 
no 1 702,  la  repubblica  di  Venezia 
benignamente  li  accolse,  conceden- 
do loro  nella  città  di  Modone  sito  per 
la  fabbrica  del  monastero,  che  pre- 
se il  nome  di  s.  Antonio,  e  rendi- 
le per  mantenere  i  religiosi.  Pri- 
ma però  di  mettere  mano  alla  fab- 
brica, il  p.  Mechitar  mandò  a  Ro- 
ma al  Papa  Clemente  XI  due  suoi 
sacerdoti,  per  portargli  la  professio- 
ne di  tede  fatta  da  tutti^  per  mo- 
strare la  loro  buona  intenzione,  e 
supplicare  la  santa  Sede  del  suo  be- 
neplacito; non  volendo  innovare  co- 
sa alcuna  prima  di  ricevere  l'ordi- 
ne della  congregazione  di  propagan- 
ga  fide.   Intanto  il  p.  abbate  Mcchi- 


MEC 
lar,  senza  fare  coslituzìoni  particola- 
ri per  la  sua  nascenle  adunanza, 
sullo  il  patrocinai  di  s.  Antonio 
uljl;ale,  per  cui  furono  delti  gli  in- 
dividui di  es&Si  monaci  di  s.  Anto- 
nio, la  governava  secondo  l' antico 
stile  de'religiosi  armeni,  uniti  in  pa- 
ce col  vincolo  della  carità,  insegna- 
va ai  novizi  tanto  le  scienze,  gli  stu- 
di biblici,  teologici  e  filologici  inde- 
fessamente, quanto  i  buoni  costumi; 
ed  i  più  provetti  e  capaci  inviava 
a  predicare,  secondo  1'  uso  comune 
de'  vartabied  degli  armeni,  non  pe- 
rò mai  col  titolo  di  missione.  Udi- 
to poscia  clie  Clemente  XI  aveva 
lodata  la  buona  intenzione  di  lui  e 
de' suoi,  venne  fabbricato  il  mona- 
stero con  chiesa  (la  prima  pietra 
di  essa  la  gettò  Angelo  Emo  prov- 
veditore generale  delle  armi  venete 
in  Morea),  non  senza  grosso  dispen- 
dio per  la  sontuosità  dell' edifizio, 
e  vi  si  collocarono  degli  armeni 
desiderosi  di  convivere  seco  loro  ; 
ed  avendo  comandato  la  congrega- 
zione di  propaganda  di  formare  le 
costituzioni,  subito  si  compilarono  e 
spetlironsi  a  Roma.  La  còngregazio> 
ne  di  propaganda  le  corresse  e  coa- 
lermò  con  decreto  de'a  marzo  1 7  i  i, 
ordinando  che  venisse  scelta  una 
delle  tre  regole  stabilite  dai  sagri 
canoni  ;  in  seguilo  di  che  il  p.  ab- 
bate Mechitar  ed  i  suoi  fecero  nuo- 
vamente la  professione  nel  17 15 
avanti  fr.  Angelo  Maria  Carlini  do- 
menicano, arcivescovo  di  Corinto 
ed  amministratore  del  regno  di 
Peloponneso,  eleggendosi  la  regola 
tli  s.  Benedetto,  con  ritenere  1'  an- 
tico nome  di  monaci  di  s.  Antonio 
abbate,  indi  denominali  anloniani 
benedettini,  ed  armeni  mechiLirisU 
o  inikitaristi,  dal  nome  della  nazio- 
ne e  del  fondatore.  Per  la  com- 
meudabile    condotta,  zelo  del  cullo 


MEC  5* 

divino,  insegnamenti  scientifici  dei 
mechitaristi,  il  detto  arcivescovo  li 
riguardò  con  paterna  predilezione, 
e  li  raccomandò  ad  Alvise  Moceni- 
go  provveditore  generale  di  mare 
in  Levante,  che  prese  a  proteg- 
gerli. Accesi  i  monaci  sempre  più 
del  vivo  desiderio  di  attendere  alla 
predicazione  della  fede  cattolica  tra 
gli  armeni,  secondo  il  quarto  loro 
volo,  si  dierono  a  faticare,  girando  per 
molti  luoghi.  A  voler  nominare  i  pri- 
mi frutti  dati  dalla  congregazione 
mechitaristìca  alla  fede  cattolica  , 
qui  appresso  li  accenneremo,  il  tutto 
provandosi  con  documenti  riporta- 
ti nell'opuscolo  stampato  in  Roma 
nel  17 18  (che  sebbene  raro  pos- 
seggo) e  indirizzalo  ai  cardinali  del- 
la sacra  congregazione  di  propagan- 
da fide,  dai  monaci  armeni  di  s. 
Antonio  abbate  fondali  in  Modone 
e  residenti  in  Venezia,  con  som- 
mario degli  attestati. 

Primieramente  il  p.  Mechitar  per 
lo  spazio  di  dieci  anni  predicò  per- 
sonalmente fra  gli  armeni  la  fede 
cattolica  in  moltissimi  luoghi,  e  do- 
po fallo  passaggio  a  Modone,  es- 
sendo egli  occupato  in  istruire  i 
suoi  religiosi,  dal  1702  sino  al 
1716  mandò  sempre  predicatori  a- 
gli  armeni.  Essi  con  indefessa  fati- 
ca in  molte  città  promossero  la  fe- 
de cattolica  piantatavi  già  dal  p. 
Mechitar,  il  quale  ridusse  nel  seno 
di  Sduta  Chiesa  migliaia  d'uomini, 
tra'  quali  molti  sacerdoti,  dottori  e 
vescovi  restarono  illuminali  colla 
fede  cattolica.  In  Costantinopoli, 
sebbene  vi  fossero  prima  pochi  cat- 
tolici, nulladimeno  il  numero  creb- 
be notabilmente  per  opera  del  p.  ab- 
bate collegato  al  Cacciadur  missio- 
narioj  e  successivamente  dopo  la  sua 
partenza  sempre  più  piomosse  per 
mezzo    de'  suoi    leligiosi    iu    quella 


se  ME  e 

ciltà   la   fede  cattolica.  Nelle  ciltà  di 
Smirne,    d'  Aleppo,    d'  Erzerum,  di 
Diarbekir,  d' Adt'ianopoli  e  di  Mer- 
din,    dove  si    trovavario    parimenti 
pochi    cattolici,    per    opera    del   p. 
abb.ite    e  de'  suoi    monaci    grande- 
mente si  moltiplicarono  ;  ma  in  Se- 
baste,   in  Tocliat,    in    Amasea,    in 
Marsuan,   in   Ancira,   in  Bursia,    io 
Salonicchi,  in  Antepo,  in  Passen   il 
p.  Mephitar  ed  i  predicatori  inviati 
da  lui  diedero  il  principio  alla  pro- 
pagazione della  fede  cattolica,  e  la 
coltivarono  incessantemente.   Alcune 
di  dette  città  vantano  tuttora  dove 
più,    dove    meno    cattolici  ;    ed    in 
Trebisondg,  gran   villaggio  di  Seba- 
ste, tutto  il  popolo    divenne  catto- 
lico.   Da   ciò    si    può    congetturare 
quante   angustie,   travagli     e   perse- 
puzioni  sostennero  i  meohitaristi,  e 
pome  spesso  ad  essi  convenne  fuggire 
da   un  luogo  all'altro  per  evitare  il 
cerio  pericolo  di  vita.  Mentre  il  p. 
Mechilar  stava  per  mandare  a  pre- 
dicare dodici   religiosi,  che  avevano 
pompilo  dodici    anni  di  studio,  per 
lasciare    il  luogo   nel    monastero  di 
Modone  ad     altri  novizi  ,    la     Mo- 
rta statp  pili  volte  il  teatro  di  san- 
guinosi   combattimenti,    venne     di 
nuovo  occupata  nel    lyiS  dai   tur- 
chi,   per    cui    i  mechitaristi    col  p> 
Mechilar  vedendosi    perseguitati  in 
quell'asilo  dagli  stessi  nemici  da'quali 
erano    fuggiti,    dovettero    abbando- 
nar monastero     e  rendite,    e    rifu- 
giarsi   ip    Venezia    con    gran    dis- 
agio spogliati   di    tiitlp.    In     Vene- 
zia   furono    i  mechitaristi  più  vol- 
te    raccomandali     dallg     congrega- 
zione   di    propaganda  a    monsignor 
patriarca,    e   nel     1717    agli   8   set- 
tembre ottennero  dal  senato  in  per- 
petua proprietà  l'isola  di  s.  Lazza- 
ro, che  nel    i  180  donala  da   Uber- 
tp  abbate  benedettino  a  certo  Lione 


MEC 

P;>()lini,  prestò  ricovero  dapprima  ài 
lebbrosi,  indi  ai  poveri  mendicaiilì 
della  città,  finche^  si  eresse  l'ospc' 
dale  dei  mendicanti.  Oggidì  il  no- 
me dell'isola  è  conosciuto  nel  mon- 
do dotto  dell'  Europa,  ed  è  reso 
celebre  per  tulio  1'  oriente  nel  quale 
mantiene  vivo  e  puro  lo  zelo  di 
cristianità,  coadiuvandone  poderosa- 
mente r  incivilimento. 

Divenuto  il  p.  Mechilar  posses- 
sore dell'isola,  della  chiesa,  delle 
celle,  del  giardino  e  delle  cadenti 
mura  del  suo  chiostro,  sebbene  in 
principio  costretto  a  vivere  co'suol 
della  pura  elemosina  delle  messe 
che  celebravano,  pure  si  diede  su- 
bito a  fondare  il  suo  monastero,  il 
quale  mercè  le  infaticabili  cure  di 
lui  e  de' suoi  successori,  sotto  il 
favore  delle  due  supreme  autorità 
dello  stato  e  della  Chiesa,  e  colle 
generose  largizioni  de' nazionali  be- 
nefattori, andò  crescendo  ognor  più 
di  numero  e  di  riputazione,  finché 
giunse  allo  stato  di  floridezza  che 
presentemente  si  ammira,  deponen- 
do il  luogo  l'antico  squallore.  Ar- 
chitetto del  restauro  dell'  antica 
chiesa,  divisa  in  tre  navi ,  come 
dell'edificazione  del  monastero,  fu 
lo  slesso  p.  Mechilar,  sotto  la  dir 
rezione  dell'  architetto  Francesco 
Chezia.  L'architettura  è  semplice, 
simmetrica  ed  elegante.  Jlipartì  il 
monastero  in  due  piani,  assegnan- 
do il  campo  di  mezzo  a'  monaci 
dottori,  che  per  tal  guisa  restava- 
no disgiunti  cosi  dai  novizi,  come 
dai  provetti  e  applicali  a  più  gra- 
vi studi.  Un?i  sala  assai  vasta  fu 
assegnata  per  refettorio,  ed  altra 
egualmente  grande  gì  di  sopra  ven- 
ne destinala  per  libreria.  Non  fu 
neppure  trascurata  la  coltura  del 
terreno,  utile  a  più  riguardi  e  so- 
prattutto qI  necessario  divagapaepto, 


M  E  e  M  E  C  57 
tò  a  quel  salubre  esercizio  che  na-  Venezia  dovevano  essere  assistiti 
«ce  da  una  moderata  fatica.  Il  p.  da  un  monaco  di  detto  monastero 
Mechilar  fu  uno  di  quegli  uomini  di  s.  Lazzaro.  Le  costituzioni  e  la 
rari,  che  bastano  ad  illustrare  una  regole  dei  mechitaristi  furono  sot- 
intera  nazione;  di  gran  mente,  di  toposte  all'esame  della  congregazio- 
gran  cuore  fornito,  si  meritò  la  sti-  ne  di  propaganda  fide,  nel  pontifi- 
nta  e  gli  encomi  dei  due  sunno-  cato  dei  veneto  Clemente  XIII,  e 
minali  celebri  governatori  veneti  nell'adunanza  generale  del  20  ago- 
delia  Morea,  e  fu  ringraziato  da  sto  lySg  fu  deputata  una  congre- 
Benedetto  XIV  per  la  pubblicazio-  gazione  particolare  de'cardinali  Spi- 
ne da  Ini  fatta  della  versione  della  nelli  prefetto.  Galli  ponente  e  Tam- 
Bihbia  in  armeno,  adorna  di  figu-  burini,  il  quale  morendo  nel  i76r, 
re,  e  per  le  missioni  da  lui  con  gli  fu  surrogato  il  cardinal  Ganganel- 
tanto  frutto  istituite  e  dirette  :  van-  li  (poi  nel  1769  Clemente  XIV).  Gli 
no  pure  ricordati  tra  i  lavori  del  alti  originali  di  questa  congregazio- 
p.  Mechitar,  la  spiegazione  dell'e-  ne  particolare  non  furono  nìai  con- 
▼angelio  di  s.  Matteo,  opera  vasta,  segnati  all'archivio  di  propaganda, 
molto  erudita,  per  la  cui  edizione  ma  soltanto  a'7  agosto  1773  furo- 
fece  egli  fondere  espressamente  per  no  ricuperate  molte  carte  relati^ve 
la  tipografia  da  lui  stabilita  in  s.  alle  congregazioni  tenute^  ed  aii- 
Lazzaro  nuovi  caratteri  ;  e  l'ampio  che  i  decreti,  ma  non  autentici.  Il 
Focabolario  della  lingua  armena,  p.  Gio. Battista  d'Anania  procuratore 
la  prima  volta  composto  e  pub-  generale  de'mechitaristi,  con  lettera 
blicalo  da  lui,  dappoiché  sino  dal  diretta  a  monsignor  segretario,  scrit- 
«uo  tempo  ebbero  origine  nella  ti-  ta  in  Venezia  a' 19  maggio  1772, 
poi^iitfia  le  stampe  con  caratteri  ar-  domandò  il  libro  delle  costituzioni 
meni  da  lui  acquistati  in  Amsler-  col  suo  decreto,  il  quale  gli  fu 
dam.  Dopo  una  vita  di  settanta-  mandalo  con  lettera  dello  slesso 
qualtr'anni,  piena  di  travagli  e  di  prelato  de'27  giugno,  nei  termini 
meriti,  spirò  in  s.  Lazzaro  della  seguenti.  »  In  vista  della  sua  dei 
morte  de'giusti  il  di  27  aprile  i749i  9  '"^ggio  scaduto,  trasmetto  a  V.  P. 
ed  una  lapide  posta  nel  santuario  per  la  posta  il  tomo  richiestomi 
della  chiesa,  e  fregiata  di  un  ma-  delle  costituzioni  di  codesto  mona- 
gnifico  elogio  in  armeno,  ne  accen-  stero.  Sarà  però  necessario  che  V. 
na  la  tomba.  Per  cura  de'suoi  P.  come  procuratore  del  medesimo 
degni  e  atfettuosìssimi  figli  si  sta  ne  faccia  fare  una  copia  bene  col- 
ora formando  un  processo  per  la  lazionata  col  suo  originale,  e  poi 
causa  della  sua  canonizzazione,  co-  me  la  mandi  da  riporsi  in  questo 
me  si  legge  nella  nota  8,  una  del-  archivio  della  sacra  congregazione, 
le  erudite  e  importanti  del  Di-  ove  desiderano  i  cardinali  che  ve 
Storso,  opuscolo  di  cui  poi  parie-  ne  sin  un  esemplare".  Benché  il  p. 
remo.  procuratore  rispondesse  che  tutto 
Il  primo  successore  del  p.  Me-  avrebbe  eseguito,  in  archivio  non 
chitar  fu  il  p.  Stefano  Melconiau  esiste,  forse  smarrito  nei  noti  tras- 
di  Costantinopoli,  creato  abbate  gè-  porti  degli  archivi  da  Roma  a  Pa- 
nerale  nel  i  7 5o,  e  morto  nel  1800.  rigi,  e  viceversa. 
Fino  dal    174»    >  fedeli  armeni    di  Eletto  Pio    VII    in    Venezia  nel 


58  MEC 

1800,  a' 21  marzo  fu  solennemen- 
te coronato  in  s.  Giorgio,  e  nel 
pontificale  che  celebrò  fecero  da 
diacono  e  suddiacono  greci,  i  pp. 
Stefano  Astelich  e  Gio.  Battista 
Ancher,  come  riporta  il  Cancellieri 
nella  Storia  de  possessi  a  p.  43^  J 
ed  il  numero  26  del  Diario  di  Ro- 
ma. Nella  Fila  di  Pio  VII  del 
eh.  Pistoiesi,  a  p.  83,  si  dice  che  il 
Papa  ne'  primi  di  maggio  onorò  di 
sua  presenza  il  monastero  di  s. 
Lazzaro,  ammise  al  bacio  del  piede 
i  monaci  uiechitaristi  ,  presentati 
dal  cardinal  Borgia  loro  protettore, 
in  cui  esposero  ima  memoria  o  i- 
scrizìone  celebrante  1'  avvenimento, 
e  composta  dal  p.  Stefano  Aconzio 
Kliver  della  diocesi  di  Transilvania, 
nuovo  loro  abbate  generale  perpe- 
tuo, quale  produsse  a  p.  254;  «^"2' 
a  p.  180  narra  che  fu  riportata 
Dell'  interessantissimo  libro  in  istam- 
pa  die  il  medesimo  presentò  a  Pio 
Vir,  e  intitolalo:  Ecclesiae  ArinC' 
nae,  ejiisdemque  doctoriim  de  s.  ro- 
maiiae  sedis  àucloritate,  degne  s. 
Pelri  apostoloriini  principis,  ejusque 
succtssoruin  rorn.  Pontif.  primate 
testimonia  selectae.  Da  un  documen- 
to dell'archivio  della  congrcgazio- 
?ie  concistoj'iale,  ho  rilevato  che  Pio 
VII  nel  concistoro  de'  28  maggio 
i8o4  (di  che  se  ne  fa  testimonian- 
za nel  numero  43,  p-  1 8  del  Dia- 
rio di  Roma),  conferì  il  titolo  e  la 
dignità  di  arcivescovo  in  partibus 
di  Siunia  o  Siunik  neli'  Armenia 
uìaggiore,  al  detto  p.  abbate  gene- 
rale Ruver  e  suoi  successori,  onde 
ordinare  nel  l'ito  armeno  i  giovani 
dimoranti  nel  monastero  di  s.  Laz- 
zaro di  Venezia.  Il  prelato  fece  a 
monsignor  uditore  dei  Papa  la  pro- 
fessione di  fede,  prescritta  agli  orien- 
tali da  Urbano  Vili,  quindi  assun» 
se  la  fascia  di    seta    paonazza    con 


MEC 
fiocchi,  ed  al  cappello  pose  il  fiocco 
vescovile  di  seta  verde,  e  nelle  ore 
pomeridiane  visitò  cogli  altri  no- 
velli vescovi  la  basilica  vaticana, 
giusta  il  costume.  Dipoi  con  di- 
spensa pontificia,  fu  in  Roma  dal 
cardinal  Leonardo  Antonelli  peni- 
tenziere maggiore  e  protettore  del- 
la nazione  armena  (già  prefetto  di 
propaganda),  consagrato  a'  3  giu- 
gno con  rito  latino  nella  chiesa  a 
Monte  Citorio  della  congregazione 
della  missione,  benché  non  pubbli- 
ca, anche  in  ciò  supplendo  l' indulto 
apostolico,  Io  che  riporta  con  altre 
erudizioni  anche  il  Cancellieri  nel 
suo  Mercato  p.  i43.  Questo  pre- 
lato fu  il  secondo  de'  degni  succes- 
sori dell'  illustre  e  benemerito  fon- 
datore di  sua  congregazione.  Per 
sua  morte  fu  eletto  nel  1824  ab- 
bate generale  della  congregazione 
niechitaristica,  il  p.  Suchias  Sotnal 
di  Costantinopoli,  che  nel  1800 
avea  pronunziato  i  sacri  voti  nel 
monastero  di  s.  Lazzaro,  e  che  Leo- 
ne Xll  elevò  all'arcivescovato  di  Siu- 
nia con  breve  pontificio  :  egli  ne 
ricevette  la  consagrazione  in  Vene- 
zia nella  basilica  di  s.  Marco  dal 
patriarca  monsignor  Gio.  Ladislao 
Pyrker,  a'2  r  maggio  1826.  Scrisse 
r  applaudita  opera  :  Quadro  della 
storia  letteraria  dell'Armenia  ;  ere- 
de dello  spirito  del  p.  Mechilar, 
ricopiò  in  sé  le  sue  virtù,  sempre  oc- 
cupossi  pel  bene  del  monastero  e 
della  nazione,  usò  sempre  soavi  e 
dignitose  maniere,  onde  si  guada- 
gnò r  affetto  e  la  riverenza  di  tut- 
ti, e  logoro  dagli  studi,  dalle  fatiche, 
e  da  una  lenta  e  dolorosa  infer- 
mità, morì  nel  febbraio  1846.  Il 
capitolo  della  (Jongregeizione  nello 
stesso  anno,  dopo  aver  eletto  in  vi- 
cario generale  il  chiarissimo  p.  d. 
Gio.    Battista    Aucher,  gli  diede  iu 


MEC  MEC                      59 
degno    successore    l' odierno  abbate  deve  aggiungere    che  la    congrega- 
A^encrale     dell'  ordine,     monsignor  zione  de' niechitarisli  di  Venezia  ha 
Triorgio    Hurmuz,    che    il    cardinal  .due  grandi    stabilimenti    di   educa - 
Fransoni   prefetto  di   propaganda  ai  zione  sotto  la  sua  direzione.  Il  pri- 
21     agosto     nella  chiesa    della    ss,  mo  per  legato- di   Samuele  Moorat 
Trinità  de' Monti   consagrò  in  arci-  armeno,  morto  nelle  Indie  orientali, 
vescovo  di  Siunia,    come  si  ha  dal  si  fondò    dapprima  a    Padova    nel 
numero  69  del     Diario  di    Roma,  i834,  nia  poi  per  circostanze  locali 
avendo  emanato  il  breve  per  l' ar-  venne  chiuso  circa   tre   anni  addie- 
civescovato  il   regnante  Pio   IX    in  tro,  indi  Irasfeiito  a  Parigi  nel  1 84S 
dello  mese,  pel  consueto  mezzo  del-  in  maggio,  con  quattro  padri  e  Iren- 
la  congregazione  di  propaganday?V/p.  lasci   giovani.   ]1  secondo,  legato  tìt 
Già  sino  dagli    ii    maggio  i838  Edoardo  RnlFaele  armeno,  morto  in 
Gregorio  XVJ,  estimatore  delle  vir-  Londra,    si     fondò    a    Venezia    ove 
tii   del  p.   Ignazio  Papasian    di    (lo-  tuttora  esiste.    Qui    noteremo,    che 
slantinopoli   ,    procuratore     genera-  avendo  Gregorio  XVI  concesso  alla 
le     in    Pioma    dell' oidine  ,    lo   di-  Uiizione  armeno-cattolica     la  chiesa 
chiaro  arcivescovo  di  Taron  in  par-  in   Roma  di    s.    Biagio  con    c^pizio 
//^M,y,  e  residente  in   Roma  pei  pon-  nazionale,  con    l' amministrazione  e 
tifjcali  e  per    le    sacre    ordinazioni  direzione  al   vescovo    armeno    ordi- 
in  rito  armeno,  che  tuttora  esegui-  nnnle  prò  tempore,  ed  avendo  mon- 
sce.  Il   medesimo  Pontefice,  essendo  signor   Papasian,  stante     la    sua   a- 
procuratore  generale  de'  mechitari-  vanzata  età,  fatto  sentire  di  non  po- 
sti  l'attuale  egregio  padre  Edoardo  tervi  più  accudire,  Gregorio  XVI  lo 
Hurmuz,  fratello  del  lodalo  abbate  esonerò    dalie    incombenze   inerenti, 
generale,  accordò    a  lui   ed  ai   suoi  e   l' affidò   intanto     al    detto  p.    E- 
successori   un    posto  nella    cappella  doardo  Hurmuz,  per  l'oigano  della 
pontificia  (come    accennammo    nel  congiegazione    di     propaganda  fide. 
voi.   Vili,  p.    218    del   Dizionario)  Il    di    lui   fratello   monsignor  abbate 
fra   i   procuratori   generali   degli  or-  gineiale  nel  1H46  ricevette  da  Lui- 
dini    religiosi.    Questo    procuratore  gi    Filippo   re    de' francesi   la  deco- 
generale    risiede    in     Roma    nell' o-  rnzione  della    legione  d'onore,  e  dal 
spizio  della  congregazione  con  qiial-  sultano  Abdul-MedidKlian  l'ordine 
che  altro   religioso,   posto   presso   la  ottomano  del    Nisciani- Iftichar,   di- 
chiesa   e  monastero  delle    carmeli-  uiostrazione  che  probabilmente  deri- 
fane  di  s.   Giuseppe  a  capo  le  case  va  dall'utilità  del  monastero  de'me- 
(  del  quale  si    parlò    al    voi.   X,  p.  chilaristi   di    Venezia,  nel  propagare 
48  del   Dizionario),  acquistato  nel  i   lumi    e  le  scienze  fra   gli  armeni 
pontificato  di   Pio    VII.    Nel  ponti-  d'oriente,  per   lo    slabiliuiento  dei 
ficaio   poi  di  Gregorio    XVI  ed  ai  vari  collegi,  e  per  essersi   i   mechi- 
21    dicembre     i835  in   Costantino-  tarisli  senza  interruzione  per  un  se- 
poli   fujcon  universale  acclamazione  colo  e  mezzo    conservata   la   suddi- 
eletlo  in  prefello  o  capo  civile  della  latiza  ottomana  nel   loro  stabilimen-i^ 
nazione  armeno-cattolica,     il   lispel-  lo   di  Venezia  ;  sudditanza  che  nelle 
labile   p.   Carlo  Esajan   mechitarista  guerre  napoleoniche  preservò  d  mo- 
di  Venezia  con    gran    lustro    della  naslero  di   s.   Lazzaro  dalla   ntisura 
iua  conjjieguzioue.   A  tanti  pregi  si  geueiale  dellt    soppressioni ,    quale 


6o  MEC 

•la  bili  mento  estero  ed  ospite.  L' iti- 
rlinnzìone  poi  dell'  odierno  sultano 
air  istruzione  pubblica  deve  consi-, 
dorarsi  come  un  effetto  della  sa- 
lutare influenza  di  -vari  suoi  mini- 
stri, ed  in  ispecie  di  Rescid  pascià, 
che  nelle  loro  ambascerie  presso  le 
•principali  corti  d'Europa,  compresa 
quella  di  Gregorio  XVI,  hanno  po- 
tuto convincersi  dell' assoluta  neces- 
sità di  coltivare  e  migliorare  gli 
studi,  per  lo  passato  oauiuamen- 
te  negletti    in  Turchia. 

I  monaci  raechitaristi,  oltre  le 
sacre  funzioni  che  fanno  regolar- 
meiile  secondo  il  rito  nazionale  nella 
loro  chiesa  di  s.  Lazzaro  con  som- 
ma edificazione  di  quanti  vi  assi- 
stono, pei'  la  sontuosità  del  vestia- 
rio ,  pel  numero  de'  celebranti  e 
cantori  ,  uffiziano  anche  un'altra 
chiesa  lor  propria,  in  città,  intitola- 
ta della  Croce;  sostengono  con  vero 
zelo  la  spirituale  direzione  di  quan- 
ti arrivano  e  si  fermano  per  ri- 
guardi sanitari  nel  lazzaretto  ma- 
ritlimo,  situato  in  una  delle  isole 
venete  ;  e  siccome  oltre  la  lingua 
armena  ed  italiana ,  conoscano  or- 
dinariamente anche  la  turca,  l'in- 
glese, la  francese  e  la  tedesca,  co- 
sì occorrendo  ascoltano  le  confessio- 
ni degli  stranieri  cattolici,  che  non 
parlano  che  l'una  o  l'altra  di  que- 
ste lingue  :  anzi  trattando  pii»  vol- 
te con  persone  o  famiglie  acattoli- 
che, e  dando  loro  le  opportune  i- 
slruzioni,  le  convinsero  de'loro  er- 
rori, e  le  trassero  a  conoscere  ed 
abbracciare  la  verità  della  fede  cat- 
tolica, rendendosi  in  tal  modo  i 
mechitaristi  eziandio  benemeriti  del- 
la veneta  chiesa.  Avendo  poi  la 
congregazione  per  precipuo  scopo 
d'  illuminare  colle  missioni  i  popoli 
sepolti  neir  errore,  così  senza  par- 
lare delle  sue  stazioni    di  Costanti- 


MEC 
nopoli,  di  Russia  e  di  altri  luoghi, 
ricorderemo  quelle  di  Belgrado,  di 
Temeswar,  di  Bursa  e  Neoplanta 
principale  residenza  de'  missionari, 
dove  si  trova  una  chiesa  armena 
dedicata  a  s.  Gregorio  Illuminatore, 
con  cuia  d*  anime,  ed  il  parroco 
mechitarista  coopera  con  quello  la- 
tino, e  come  tale  dipende  dall'ar- 
civescovo di  Colocza.  Altra  volta  i 
raechitaristi  eressero  ospizi  e  chie- 
se in  Elisabettopoli,  a  Petervara- 
dino,  in  Crimea,  ed  altrove.  Tante 
benemerenze  religiose  e  letterarie, 
il  tratto  de'  niechitarisli  sempre  in- 
genuo, tranquillo  e  dolce,  li  fece 
meritevolmente  chiamare  per  anto- 
nomasia i  gesuili  dell' oriente  s  i  me- 
chitaristi portano  la  barba  lunga  e 
vestono  doppia  tonaca  con  mantel- 
lo e  cappuccio  di  lana  nera,  con 
cappello  ecclesiastico,  nella  forma 
che  li  produsse  il  Capparroni,  che 
ne  riportò  la  figura  nella  Raccolta 
degli  ordini  religiosi. 

La  prima  condizione  richiesta 
per  essere  ammesso  nell'ordine,  è 
quella  di  essere  armeno,  essendo 
principale  mira  dell'  istituto  quella 
d' illuminare  e  d' istruire  i  propri 
connazionali,  E  siccome  a  far  che 
meglio  i  suoi  membri  si  penetrino 
del  suo  spirito  e  dello  scopo  delle 
sue  istituzioni,  si  preferiscono  i  gio- 
vani allevati  nelle  proprie  case,  sen- 
za la  menoma  distinzione  tra  ricco 
e  povero,  così  come  tali  giovani 
abbiano  dati  saggi  di  capacità  e  di 
bella  disposizione,  vestono  l' abito 
monastico,  abitano  l'accennata  par- 
te separata  del  chiostro,  detta  il  no- 
viziato, e  vengono  diretti  nello  stu- 
dio da  abili  maestri,  corrisponden- 
ti ai  nostri  maestri  di  grammatica 
e  di  rettorica.  Terminati  gli  studi, 
se  sono  dotati  di  fisico  e  d'intelli- 
genza  sufficiente,    ed    atti    sieno  9 


MEC 

«opportare  le  ratiohe  della  vita  del 
ciotto,  odel  missionario,  è  loro  per- 
messo di  entrare  nella  congrega- 
zione. L'ammissione  è  devoluta  al 
maggior  numero  de'  membri  del- 
l'ordine, e  dove  l'ottengano  i  no- 
vizi passano  nella  scuola  delta  pro- 
fessorato, dove  si  dedicano  agli  stu- 
di teologici  e  filosofici,  unitamente 
a  quelli  de' padri.  Compiuto  quel 
nuovo  corso  ricevono  il  sacerdozio, 
e  vengono  assegnale  loro  le  stanze 
destinate  pei  dottori.  Se  ne  sono 
degni,  e  se  lodevolmente  ne  sosten- 
gono gli  esami,  ricevono  il  titolo 
di  vartabied,  e  secondo  la  vocazio- 
ne o  le  disposizioni  sono  inviati  alle 
missioni  d' oriente,  ovvero  riman- 
gono al  monastero  di  s.  Lazzaro 
per  attendere  ai  lavori  letterari. 
Tali  lavori  si  possono  dividere  in 
due  classi ,  la  prima  comprende 
quelli  dell'educazione  spirituale  e 
morale,  ovvero  diretti  all'  istruzione 
della  giovenlìi  ;  la  seconda  quelli 
che  hanno  un  carattere  veramente 
scienti  lì  co.  Tre  volte  al  giorno  si  u- 
niscono  i  monaci  nella  chiesa  di  s. 
Lazzaro,  afiine  di  recitare  i  divini 
uffizi:  nelle  osservanze  delle  feste 
e  digiuni  si  conformano  alia  chiesa 
romana,  ma  osservano  il  rito  ar- 
meno, e  consagrano  in  azimo. 

Prosperando  la  congregazione,  con 
pie  elargizioni  fece  abbellire  la  chiesa 
di  s.  Lazzaro,  che  crebbe  maestosa 
di  cinque  altari  di  marmo,  e  di  al- 
cuni quadri,  uno  de' quali  della 
Beata  Vergine,  lavoro  di  Giovanni 
Emir,  è  tratto  dall'  originale  di  Sas- 
soferralo.  Vi  si  aggiunse  una  ele- 
gantissima sacrestia,  cui  crescono  ri- 
salto gli  apparati  sacerdotali  di  ma- 
gnificenza orientale  e  meravigliosa. 
Nell'atrio  della  chiesa  vedonsi  ad- 
dossati alla  muraglia  due  bellissimi 
monumenti ,  l'uno  di  aulico,  l'ullru 


MEC  6i 

di    moderno  siile.    L'  antico     man- 
ca di  data,  ma  offi-e  una    iscrizione 
latina    a   caratteri    gotici  ;  il   nuovo 
eif'tio  dal  cav.   Alessandro  Raplifiel 
armeno,  assai   benemerito  di  questa 
congiegazione,    porta     nel   mezzo   il 
suo  stemma    ed    il  suo     nome  im- 
presso   in  armene     note.   La     sacra 
torre  campanaria,  le  cui   fondamen- 
ta furono     gittate  dal   p.   Mechilar, 
venne  a  compimento  sotto  il  di   lui 
immediato  successore  l'abbate  Stefa- 
no    Melconian,     dietro     un   disegno 
fallo  da    uno    dei     monaci     a     cui 
piacque  dare  alla  cima  le  forme  o- 
rienlali.   Il   refettorio  è  di   una   poli- 
tezza che  innamora,  quantun(|ue  non 
sia   che  la   ripetizione  di  quella  che 
regna  in     ogni     altro     luogo   meno 
cospicuo,   come     io     slesso  ammii-ai 
coi    propri    occhi  ;    e  sta  di    fronte 
all'ingresso  di    esso    una  gran    tela 
rappresentante  la  cena    del   Reden- 
tore, opera  di   Pietro  Novelli   vene- 
ziano. La    libreria   poi  è    un    vero 
gioiello,  non   tanto  per  la  magnifi- 
cenza   degli    scaffali,  quanto  per   la 
copia    e    sceltezza    delle  opere    che 
contiene.  Veggonsi    nella    volta   tre 
quadri  del  veneto  Francesco  Zugno. 
Ivi   serbasi    un'antichissima    mura- 
mia,  dono  del    connazionale  Bogo.s 
Jusuff,  primo   ministro    del     viceré 
d'  Egitto,  e   vuoisi    che    conti    tre- 
mila anni  d'età.    Rimpetto  alla   li- 
brerìa  vi  è   una    stanza  che  per  la 
sceltezza  de'codici  armeni,  per  quel- 
la di  alcune  macchine  addette  agli 
esperimenti    della    fisica,  e  per    al- 
cune produzioni   relative  alla  storia 
naturale  merita  di   osservarsi.    V'è 
pur  anche  in  essa  un  libro  sul  quale 
tutti  quelli  che  visitano  l'  isola  iscri- 
vono il  proprio    nome,  e  già   vi  si 
leggono    quelli    de'  personaggi  r  più 
illustri  in  Europa,  avendo  onorato 
il   mollasti  IO  nel    1841    di   sua  pie- 


Ck 


:\i  E  e 


senza    il   re  legnante  di  Baviera  Lo- 
dovico, che    nella  sua    commozione 
espresse  i  suoi  scntimenli   di  stima 
e  di  soddisfazione    in   versi  poetici. 
La  bellezza  e  precisione  della  tipo- 
grafia, riluce  particolarmente  nella 
stamperia   di   s.  Lazzaro,  e  non  solo 
si   solleva   sopra   le    altre  armene  di 
Costantinopoli,    di  Smirne,    di   Ma- 
dras, di   Vienna,  di  Pietroburgo,  di 
Londra,  di    Parigi,  ma    distinguesi 
eziandio  Ira   le  prime  tipografie  o- 
rientali  di   Europa.    Trasfuso  come 
in   retaggio  Io  spirito  del  fondatore, 
i   mechitiu'isti   progredirono  ogni    d'i 
più  negli   studi,  e  zelantissimi,  sino 
a   poter  per  tal    via    inoltrare   alla 
loro  nazione  vari  utili   libri,  di  par- 
te de' quali    sono    eglino    stessi  gli 
autori,  e  di  parte  sono  gì'  interpreti. 
Di  sì  stupendo  progresso  fa  fede   la 
copia  delle  opere  che  di  là  vider  la 
luce.  Oltre  le  grammatiche  e  i  dizio- 
nari di  varie  lingue,  stamparono  (per 
ciu'a  del  p.  Gio.  Battista  Aucher)   la 
cronaca  di  Eusebio  da  Cesarea  in  tre 
lingue,  armena,  greca  e  latina,  opera 
di  cui  era   perduto  il   greco   origina- 
le r  ne  rinvennero  essi  la  versione  iute-, 
ra  anticamente  fatta  in  armeno,  e  la 
recarono    in    latino     aggiungendovi 
i   frammenti  greci  a  gran  prò  del- 
la letteratura,  ed  utile  al  ristabili- 
mento   del    testo    dell'autore.    Così 
fecero  (per  studio  del  lodato    reli- 
gioso) de'tre  sermoni  di  Filone  e- 
breo  inediti,  e  salvati  in  antica  ver- 
sione in  armeno,  e  dei  paralipome- 
ni  dello    stesso    scrittore,    non    che 
delle  omelie  di  Severiano  da  Emnia 
vescovo  di   Cabal,  opere  di  cui  pa- 
rimenti erano  perduti    i  greci    ori- 
ginali, e  delle  quali   furono  le  ver- 
sioni   in    armeno.     Piaccolsero   pu- 
re non  pochi  altri   manoscritti    ar- 
meni, de'  quali   va  fornita    la    loro 
biblioteca,  e    a    quando   a  quando 


MEC 
ne  stampano  alcuni ,  raffrontando 
gli  esemplari;  mentre  il  p.  Ciam- 
cian  ci  diede  la  storia  universale 
dell'Armenia,  ed  il  p.  Ingigian  le 
antichità  delU  Armenia  e  la  sua 
Geografia,  per  non  dire  di  altri.  La 
corrispondenza  letteraria  de'mechi- 
taristi  si  estende  fino  ai  più  remo- 
ti paesi,  e  i  libri  da  loro  stampa- 
ti trovano  il  più  facile  smercio. 
Da  questi  non  solo  riceve  gran  lu- 
me la  nazione  armena,  ma  la  con- 
gregazione stessa  mechitaristica  ne 
ritrae  tali  frutti,  che  uniti  a  quel- 
li delle  sue  rendile,  trovasi  in  gra- 
do di  ricevere  gratuitamente  alla 
educazione  i  poveri  giovani  arme- 
ni. Due  belli  articoli  sull'isola  di 
s.  Lazzaro  e  sui  mechitaristi  si  leg- 
gono neir  Album,  giornale  lettera- 
rio romano  t.  Ili,  p.  225,  e  tom. 
Vili,  p.  4or,  colla  veduta  dell'iso- 
la, ed  il  ritratto  del  p.  Mechitar. 

11  Pontefice  Gregorio  XVI,  che 
da  monaco,  da  abbate  e  da  cardi- 
nale sempre  teneramente  amò  e 
grandemente  stimò  la  congregazione 
mechitaristica,  prima  del  declinar 
dell'anno  i845  volle  dargliene  uni 
ulteriore  solenne  testimonianza  a 
perpetua  memoria  di  sua  benevo- 
lenza, coir  inviargli  un  nobilissimo 
donativo,  cioè  la  stessa  sua  venera- 
ta effigie.  Consistè  il  dono  in  un 
monumento  di  marmo  bianco,  che 
lo  rappresenta  vestito  degli  abiti 
pontificali,  e  in  triregno,  nell'atto 
di  compartire  l'apostolica  benedizio- 
ne; lavoro  finitissimo,  squisito  e 
diligente  del  commendatore  Giusep- 
pe de  Fabris  esimio  scultore,  che 
l'umiliò  al  Papa  in  omaggio  di  gra- 
to animo  nel  i833.  11  monumento 
è  sostenuto  da  girevole  dado  di 
marmo  di  Carrara  ,  le  quattro 
fronti  del  quale  sono  decorate  di 
bassi- rilievi     simbolici     in    marmo 


ME  e 

giallo  incassati,  indicanti  le  epoche 
principali ,  le  gesta  più  gloriose  , 
e  le  primarie  virtù  del  gran  Pon- 
tefice. Tutto  posa  su  quadrango- 
lare pilastro  o  stilobate,  screziato 
di  cipollino  bigio  e  verde.  Som- 
mamente riconoscenti  i  mechilaristi 
per  tratto  sì  amorevole  e  magna- 
nimo, dopo  aver  rassegnato  al  mu- 
nifico padre  e  costante  protetto- 
re ,  solenne  rendimento  di  gra- 
zie, vollero  collocare  il  monumen- 
to nella  biblioteca  del  monastero 
di  san  Lazzaro,  e  celebrarne  con 
decorosa  pompa  l'inaugurazione  ai 
2  febbraio  1846,  fausto  anniversa- 
rio dell'esaltazione  alla  cattedra  di 
s.  Pietro  dell'  augusto  donatore.  In 
SI  lieta  occasione  la  quiete  studiosa 
della  religiosa  famiglia  fu  interrot- 
ta dalla  magnifica  e  festevole  so- 
lennità, alla  quale  intervennero  le 
principali  autorità  civili  e  militari, 
quelle  ecclesiastiche ,  i  cepi  degli 
ordini  religiosi  ,  ed  altri  distinti 
personaggi,  tra' quali  sua  altezza 
reale  il  duca  di  Bordeaux  Enrico  di 
Borbone,  e  sua  eccellenza  il  brtli 
fr.  Gio.  Antonio  Carpellari  della 
Colomba  gran  priore  dell'  ordine 
gerosolimitano  nel  regno  lombardo- 
Teneto  ,  e  nipote  del  Pontefice. 
L'angelico  e  da  txitti  benedetto 
cardinal  Jacopo  Monico  patriarca 
di  Venezia  lesse  con  grave  facon- 
dia e  maestria  analogo  discorso, 
che  siccome  veridico,  dotto,  af- 
fettuoso, eloquente  ed  erudito,  non 
poterono  gli  uditori  frenare  la 
commozione  e  l'entusiasmo  dell'ani- 
mo, con  aumento  di  ammirazione  e 
•venerazione  verso  il  Pontefice,  e  di 
profonda  estimazione  pel  por[)nrato, 
■vero  ornamento  del  sacro  collegio. 
Questi  illustrò  con  encomi  il  dono 
del  santo  Padre,  rilevò  i  pregi  ar- 
tistici del  monumento,  spiegandone 


MEC  6'. 

eziandio  le  allegorìe  de'bassi -rilievi; 
a  cagione  dell'argomento  si  diffuse 
ed  enumerò  i  tanti  copiosi  fasti  del 
memorabile  e  glorioso  pontificato, 
le  private  e  domestiche  virtù  d«I 
Pontefice,  e  persino  la  principale  ca- 
latteristica  dicsso,  che  all'umiltà  del 
monaco  ognora  congiunse  la  forza  e 
la  grandezza  d'animo  che  gì' ispirò 
la  sublimità  del  supremo  suo  gra- 
do, inchinandosi  riverenti  alla  sua 
pontificia  maestà  i  più  potenti  mo- 
narchi ;  finalmente  onorò  di  giu- 
sto, dettagliato  e  splendido  elogio 
i  monaci  mechitaristi,  dichiarando- 
ne le  principali  benemerenze  con 
paterna  effusione  d'animo,  rimar- 
candone la  singoiar  pietà,  la  dili- 
gente disciplina,  e  la  [ìrofond»  sa- 
pienza con  la  quale  pubblicando 
opere  voluminose  di  sacra  e  pro- 
fana erudizione,  e  che  col  trasmet- 
terle di  qua  e  di  là,  donde  il  sol 
nasce,  fin  dove  tramonta,  si  forma 
una  specie  di  nodo,  che  il  saper 
dell'oriente  con  quello  dell'occiden- 
te unisce  e  siringe  in  fraterna  al- 
leanza; né  tacque  i  rilevanti  ser- 
vici resi  dai  mechitaristi  alla  chiesa 
veneta  in  varie  guisCj  accrescendo- 
ne il  decoro  colla  loro  esemplaris- 
sima  vita  e  squisita  gentilezza.  Do- 
po l'applaudilo  discorso,  fu  ese- 
guita da  scelta  orchestra  ed  esperti 
cantori,  una  cantata  commemoran- 
te il  fausto  avvenimento  al  so- 
glio pontifìcio  di  Gregorio  XVI , 
offerta  ai  religiosi  dal  cav.  Andrea 
Battaglia  console  pontificio  in  Ve- 
nezia, fatta  compoire  già  e  mette- 
re in  musica  dal  suo  egregio  geni- 
tore cav.  Giuseppe,  anch'esso  stato 
console  pontificio.  Mentre  eccheg- 
giavano  i  musicali  concerti,  venne- 
ro largamente  profusi  lauti  rinfre- 
schi, e  terminata  la  bellissima  can- 
tata, l'adunanza  si   sciolse  .al   suono 


04  MEC 

dell'inno  nazionale  austriaco.  Inol- 
tre i  pp.  mechilaristi  dispensarono 
elegante  opuscolo  impresso  co'  loro 
nitidi  ti[)i,  descrivente  il  monumen- 
to che  ertigiarono  con  litografìa  del 
veneto  jutista  Melchiorre  Fontana, 
ed  intitolato:  Cenni  intorno  al  tuo- 
lìumento  che  si  degnò  la  Santità 
(li  N.  S.  Gregorio  XFI  di  gra- 
ziosamente trasmettere  in  pegno  pre- 
zioso e  distinto  della  sua  ninni/ì- 
cenza  e  della  paterna  sua  amo- 
revolezza alla  congregazione  dei 
monaci  mechitaristi  di  s.  Lazzaro 
in  Fenezia.  Quindi  gh  stessi  religio- 
si, e  colla  lodata  litografìa,  dispen- 
saiono  altro  elegante  opuscolo  con 
importanti  note,  e  l'iscrizione  mar- 
morea situata  in  silo  cospicuo  del 
n)onastero  a  perenne  memoria  di 
un  tanto  Pontefice,  che  porta  per 
titolo:  Per  V  inaugurazione  del  mo- 
numento pontifìcio  nel  monastero 
di  s.  Lazzaro  il  dì  2  febbraio  1846, 
discorso  del  cardinal  patriarca  di 
Fenezia.  Ivi  dalla  tipografìa  arme- 
na di  s.  Lazzaro    1846. 

Altra  congregazione  mechitaristi- 
Ga,  derivata  dalla  sullodata  è  quel- 
la de'  mechitaristi  Triestini,  o  di 
Fienna,  così  detta  perchè  i  loro 
fondatori  separandosi  dai  monaste- 
ro di  Venezia,  prima  si  ritirarono 
a  Trieste  e  poscia  si  stabilirono  a 
Vienna,  di  che  andiamo  a  darne 
cenno.  Prima  noteremo,  che  nel 
1747  non  si  trovavano  in  Vienna 
che  venti  armeni  uniti  in  matri- 
monio per  lo  piìx  con  donne  tede- 
sche* vi  erano  tre  preti  di  quel  ri- 
to, ma  incapaci  al  ministero  per  la 
loro  ignoranza  ;  chiesero  un  mo- 
naco mechilarista  di  Venezia,  e  fu 
concesso  a  loro  spese.  Altro  mona- 
co vi  fu  deputalo  della  stessa  con- 
gregazione, sotto  la  dipendenza  del 
nunzio  apostolico  di  Vienna.  Verso  il 


MEC 

'774  ''  P-  Diodato  Bahighian  col 
suo  compagno  p.  Minassi  separaro- 
no dalla  congregazione  di  s.  Lazzaro 
in  seguito  di  alcune  controversie 
interne,  e  furono  i  fondatori  dei 
mechitaristi  di  Trieste,  unitamente 
a  quelli  che  già  quivi  dimoravano. 
Il  primo  loro  superiore  fu  il  p. 
Antonio  Uzcardas  ;  ma  il  p.  Babì- 
ghian  insignito  della  dignità  arci- 
vescovile di  Cesarea  in  parlibus  nel 
1800  da  Pio  VII,  fu  il  primo  lo- 
ro abbate.  Nel  1779  '  mechitaristi 
costituenti  una  sola  congregazione 
avevano  due  soli  monasteri,  uno  in 
Venezia,  1'  altro  in  Trieste  detto 
dei  ss.  Martiri,  e  per  riconciliarsi  vol- 
lero celebrare  un  capitolo.  La  con- 
gregazione di  propaganda  nel  1780 
concesse  licenza  di  convocare  il  ca- 
pitolo in  s.  Lazzaro,  sotto  la  presi- 
denza del  nunzio  di  Venezia  Ra- 
nuzzi,  con  patto  di  non  pubblicar- 
ne i  decreti  senza  l' approvazione 
della  stessa  cardinalizia  congregazio- 
ne; ma  la  cosa  non  avendo  avuto 
effetto,  si  venne  ad  una  totale  sepa- 
razione dei  monaci  di  Venezia  da 
quelli  di  Trieste.  JVel  18 io  Trie- 
ste passata  sotto  il  dominio  france- 
se, la  congregazione  mechitaristica 
spogliata  di  tutto^  fu  costretta  ri- 
fugiarsi a  Vienna,  ed  ebbe  ricove- 
ro nel  convento  de'cappuccini  vuo- 
to di  religiosi.  INelle  sue  angustie 
fu  aiutata  dal  nunzio  di  Vienii» 
Severoli,  il  quale  volendo  la  con- 
servazione della  congregazione,  prO' 
pose  ed  ottenne  di  darle  in  atn- 
minislrazione  la  villa  di  Dublany 
spellante  al  collegio  di  Leopoli 
(  f^e/^/'),  perchè  vi  formasse  de' mis- 
sionari armeni  sotto  la  dipendenza 
e  fino  a  quando  cos'i  volesse  la 
congregazione  di  propaganda.  In- 
tanto i  monaci  fabbricarono  i» 
Vienna  il  monastero  con  magnìfica 


MEC 

chiesa  e  stamperia.  Il  monastero 
contiene  molti  monaci,  e  molti  di 
essi  si  trovano  alle  missioni  di  Bu- 
kovina,  e  di  Elisabettopoli,  di  Co- 
stan,  di  Mokilow,  di  Costantiuopo- 
li,  di  Armenia  e  Mesopotamia,  re- 
stando un  solo  monaco  in  Trieste. 
Munifico  verso  questa  congregazione 
fu  l' imperatore  Francesco  I,  che 
ie  assegnò  una  pensione.  Al  pre- 
sente n'è  abbate  monsignor  Arista- 
ce  Azaria  arcivescovo  armeno  di 
Cesarea,  che  succedendo  nel  iS^S 
al  suo  predecessore,  molto  più  dì 
lui  la  fa  grandemente  fiorire.  Nel 
primo  volume  degli  Annali  delle 
scienze  religiose,  p.  i4i  e  seg.,  è 
riportato  il  prospetto  pubblicato 
dalla  congregazione  de'mechitaristi 
di  Vienna,  dell'  unione  per  la  pro- 
pagazione de'  buoni  libri  cattolici 
nella  Germania,  dovendosi  i  mss. 
de'  temi  proposti  rimettersi  alla  li- 
breria della  congregazione.  Questa 
conservando  e  seguendo  la  regola 
del  p.  abbate  Mechitar,  riscuote  la 
ammirazione  di  tutti,  massime  dei 
nazionali,  siccome  benemerita  di  es- 
si e  della  Chiesa,  fiorendo  ne'  suoi 
individui  distinti  soggetti. 

MECHOACAN  {Mecoacan).  Cit- 
tà con  residenza  vescovile  dell'Ame- 
rica settentrionale,  nella  provincia 
di  Mechoacan,  stato  della  repubbli- 
ca del  Messico,  o  sia  Vagliadolid, 
Valladolid.  Mechoacanum ,  capo- 
luogo dello  stato  di  Mechoacan,  il 
quale  appartiene  interamente  al  ba- 
cino del  grande  oceano  equinoziale, 
ed  in  cui  gli  animali  domestici  del- 
l'Europa  si  sono  moltiplicati  in 
modo  particolare ,  abbonda  di  mi- 
niere e  di  pesce  eccellente,  ed  era 
un  regno  indiano  allorché  gli  spa- 
gnuoli  giunsero  al  Messico.  Cristoval, 
uno  de' generali  che  comandavano 
sotto  Cortez,  ne  fece  la  conquista 
»of.    HIV. 


MEC  65 

nel  i524-  La  città  fu  edificata  dagli 
spagnuoli,  e  divenne  sede  dell'inten- 
denza del  suo  nome.  Trovasi  in 
mezzo  alla  bella  valle  d'Olid  che 
due  fiumi  irrigano:  è  fabbricata  ir- 
regolarmente, ma  ha  diversi  nota- 
bili edifizi;  ed  un  beli'  acquedotto 
costruito  a  spese  del  vescovo  Fray 
Antonio  de  s.  Miguel,  somministra 
alla  città  acqua  potabile.  Meritano 
particolar  menzione  la  cattedrale  e 
il  seminario.  Il  clima  è  sommamen- 
te mite  e  piacevole,  sommando  gli 
abitanti  a  circa  23,000.  Questa 
città  è  patria  di  d.  Agostino  Itur- 
bide,  stato  proclamato  imperatore 
del  Messico  nel  1822,  e  moschet- 
tato nel  1824. 

La    sede    vescovile  fu   eretta  da 
Paolo  III  nel  i536,  ad  istanza  del- 
l' imperatore  Carlo  V,   e  fatta  suf- 
fraganea  dell'  arcivescovo  di  Messi- 
co, come  lo    è    tuttora.    Nel   iSSy 
ne  fu  eletto    primo  vescovo  Vasco 
de  Quiroga  consigliere  del  Messico, 
la    cui    memoria    è  in  grandissima 
venerazione  nel  Perù,  in  cui  niuuo 
più  di  lui  contribuì  all'avanzamen- 
to della  religione;  fondò  conventi, 
eresse   chiese  cattedrali,    apri  scuo- 
le e  seminari,  celebrò  concilii,  fece 
imprimere  utili    libri,  e  stabilì  tra 
i  vescovi    di  America    l' uso  di   vi- 
sitare le  diocesi;  morì  da  tutti  com- 
pianto   nel   i565.    Suoi    successori 
furono,  Antonio  Morales  ;  Giovan- 
ni  Medina  agostiniano,  gran  teolo- 
go, dal   1572  al    i588;  Alfonso  di 
Guarà  domenicano,  morto  nel  1597; 
Domenico  d'  Ulloa  domenicano,  vi- 
cario generale  della  provincia  di  Ca- 
stiglia,    morto    nel     i6oo;    Andrea 
d'Ubilla,  dello  slesso   ordine,  morì 
prima  di    prender  possesso  del  ve- 
scovato;   Giovanni    Fernandez  Ro- 
scilly  decano  della  chiesa  di  Carta- 
gena,  morto  nel   1606;  Baldassare 
5 


66  MEG 

di  Cuvanuvias    ngostìniano,   morto 
nel    1622;   Alfonso  Heiiriquez  del- 
l' ordine  della    Mercede,  morto  nel 
1628  ;    Francesco    di    Ribera,    del 
medesimo  ordine,  morto  nel  iGSy; 
Maria    Ramìrez    francescano,    com- 
missario generale    delie  Indie,  tra- 
sferito   dalla  chiesa    di  Cliiapa    nel 
i63g.  Nelle  annuali  Notizie  di  Ro- 
ma   sono  riportati    i   seguenti    ve- 
scovi.    1741     Francesco  Paolo    de 
Matos-y-Coronado,  traslato  da  Ju- 
catan;    l'j^S    Martino  d'  Elizacoc- 
chea  della  diocesi  di  Pamplona,  tra- 
sferito da  Durango;  l'jS'j   Anselmo 
^anchez   de  Tagle  della    diocesi  di 
lUugos,  Iraslato  da  Durango;  '773 
Lodovico    Ferdinando    de     Hoyos, 
della    diocesi    d'  Oviedo,    dopo    la 
morte    del    quale    avendo    Pio  VI 
istituito    nuovi    vescovati    nella  re- 
gione, smembrò  il  territorio  di  que- 
sta diocesi;    1777   Gio,   Ignazio  de 
la  Rocha,   della  diocesi    di  Cadice; 
1783   Antonio   di  s.  Michele  giro- 
lamino,  della  diocesi  di  Santander, 
trasferito     da    Comayagua  ;     1 8o5 
Marco    Moriana    e    Zafrilla ,    delia 
diocesi    di    Cuenca.   Dopo    notabile 
sede    vacante,    Gregorio    XVI    nel 
concistoro  de' 28  febbraio    i83i,  vi 
trasferì    1'  attuale    monsignor    Gio. 
Gaetano    Giuseppe     Maria    Gomez 
Portugal  della  stessa  diocesi  di  Me- 
clioacan,  già  vescovo  di  Claudiopo- 
li  in  parlibus. 

La  cattedrale  è  dedicata  al  ss. 
Salvatore,  con  fonte  battesimale  e 
cura  d'anime,  con  proprio  parroco. 
Il  capitolo  si  compone  di  cinque 
dignità,  essendone  la  prima  il  de- 
cano, di  nove  canonici  comprese  le 
prebende  del  teologo  e  del  peniten- 
ziere, sei  de'  quali  integri,  ed  al- 
trettanti con  la  metà  della  preben- 
da, oltre  altri  preti  e  chierici  in- 
servienti  ai  divino  servigio.  Il  pa- 


MED 

lazzo  vescovile  ben  costrutto  ed  or- 
nato è  aderente  alla  cattedrale.  Ol- 
tre di  questa  vi  sono  altre  chiese 
parrocchiali,  monasteri  e  conventi, 
seminario,  ospedale  e  diverse  con- 
fraternite. Ampia  è  la  diocesi  con- 
tenente più  luoghi,  con  circa  quat- 
trocento chiese  parrocchiali.  Ogni 
novello  vescovo  ne'  libri  della  ca- 
mera apostolica  è  tassato  in  fiori- 
ni 33,  corrispondenti  alle  rendite 
della  mensa  che  si  calcolano  a  cin- 
quanta mila  peliarum,  moneta  di 
quelle  parti. 

MEDAGLIA,  Numnms.  Specie  di 
moneta  antica  :  oggi  però  medaglia 
per  moneta  non  è  più  in  uso,  fuor- 
ché delle  antiche  monete  greche  e 
romane,    e    anche  d'altre    nazioni, 
di  qualsivoglia  metallo  e  grandezza, 
numisma.  Medaglia  diciamo  anche 
oggi    alle    impronte    o    imprese    di 
uomini  illustri,  o  di  santi,  fatte  in 
oro,    in    argento,    in  bronzo,    o  in 
altro  metallo,  di  forma  simile  alle 
monete    e    di  diverse   grandezze.  I 
francesi    chiamano     indistintamente 
medaglia    qualunque  pezzo  di   me- 
tallo battuto  a  un  conio,  abbia  esso 
o  no  avuto  corso  in    alcun   tempo 
come  Moneta  [Vedi).  Tutte  le  me- 
daglie dividonsi  in  due  classi  gene- 
rali, cioè  antiche  e  moderne:  anti- 
che   diconsi   tutte    quelle  che   sono 
state  battute  fino  alla  metà  del  se- 
colo IH,  o  anche  fino  al   IX  seco- 
lo dell'  era   volgare,  giacché  gli  an- 
tiquari   non    sembrano    di  accordo 
su  questo  particolare  ;  moderne  di- 
consi quelle   che  sono   state  battu- 
te   dopo  il   ^15.    Tra  le  medaglie 
antiche    distinguonsi  le  greche  e  le 
romane.    Le  greche  sono  le    prime 
e  le    più  antiche,    perchè    anco  a-, 
vanti  la  fondazione    di  Roma  i  re 
e  le  città  greche    coniavano  bellis- 
sime monete,  di  un  lavoro  così  per- 


MED 

fello,  clie  anche  nello  slato  piti  flo- 
rido della  repubblica  e  dell'  impero 
voraano  esse  non  fuiono  agguaglia- 
te.   Le    medaglie    romane    sono    o 
consolari  o  imperiali  ;    le  consolari 
sono  quelle  battute  sotto  i  consoli, 
e  che  diconsi  comuneracnle   di    fa- 
miglia;   le    imperiali     sono    quelle 
che  battute    furono  sotto    gì'  impe- 
ratori. Soltanto  all'epoca' del   rina- 
scimento   delle    lettere   e  delle  bel- 
le   arti    si    cominciò    a    pigliare  in 
Europa    il  gusto    per    le    mediiglie 
antiche,    e  venne  in    favore  il    loro 
.studio.  Il   Petrarca  fece  grandissima 
ricerca  delle    medaglie,  e    formata- 
ne   una    serie  la  giudicò   degna  di 
offerirla    all'imperatore    Carlo    IV, 
come  presente  proporzionato  a  gran 
principe.  Nel  secolo  seguente  Alfon- 
so re  di  Napoli  e  d'Aragona  riunì 
una  serie  di    medaglie    assai  consi- 
derabile per  queir  età.   Forse  ad  e- 
sempio  di  quel  njonarca,   Antonio  o 
meglio    Pietro    Barbo  cardinale    di 
s.  Marco,  poi  Paolo  II,  riunì  in  Ro- 
ma con   generosa    sollecitudine  una 
copiosa  collezione,  e   formò  un   ga- 
binetto   di  medaglie    imperiali,  nel 
discernere    le    quali     tanta     perizia 
avea  acquistato,  che  appena  vedute, 
sapeva  dir  subilo  di  qual   impera- 
tore o  imperatrice  esse  fossero.  Lo 
avea  preceduto  il   Bembo,  ad  esem- 
pio forse  del  quale  i  veneziani   sino 
da  quel  tempo  si  erano   dati   a  rac- 
cogliere con    sollecitudine  medaglie 
ed  altri  oggetti  d'  antichità  e  belle 
arti.    Cosimo    de    Medici    cominciò 
verso  queir  epoca  in  Firenze  quella 
inimensa  raccolta  di  mss.,  di  statue, 
di   bassirilievi,    di   marn)i,  di    cam- 
mei e  di  pietre  incise,  e  cosi   pure 
di    medaglie  antiche,  che    fu  conti- 
imata  da  Pietro   de  Medici  suo  fi- 
glio e  da    Lorenzo  suo  nipote.    In 
Francia   Budeo    dicesi    essere  stalo 


MED  G7 

il  primo,    che   nato  col    gusto    del- 
l'antichità,    formasse     una     piccola 
raccolta  di   medaglie    d' oro  e  d'ar- 
gento, anche  avanti  eli' egli  comin- 
ciasse   a  scrivere    sull'asse    e    sulle 
monete  degli   antichi.    Egli   fu   imi- 
tato da  Giovanni   Grollier,  da  Gu- 
glielmo   Duchoul,    da  Vaillant,    da 
Choisy,    da   Myonnet,    ed    altri,    ai 
quali   va    debitrice    di    molte    belle 
notizie    ed    anche    di    alcuni  buoni 
metodi  la  scienza  numismatica.  Le 
medaglie  moderne    sono    state  fab- 
bricate in  Europa,  dopo  che  spen- 
to vi  fu  il  dominio    de'  goti,  e  che 
cominciarono    a     coltivarsi,    benché 
ancora  bambine,   le  arti   della  scol- 
tura   e    della    incisione.    Da    che  il 
gusto    di    raccogliere    medaglie    ed 
altri  monumenti   dell'antichità  si  è 
sparso  neir  Europa,   ed  è  diventato 
per    alcune  persone    una  specie    di 
passione,    si  suscitarono    alcuni   im- 
postori    ed    alcuni    falsari,    i    quali 
seppero  approfittare  della  credulità 
de'  raccoglitori.  Cavino  detto  il  Pa- 
dovano, ed  il  Parmigiano,    non  che 
altri,  si  resero  famosi   per   contraf- 
fazioni, che  il   Sestini  nei  vari  suoi 
scritti     ha     insegnato    come     cono- 
scerle.   Delle  medaglie,  loro  uso,  e 
più    celebri   raccolte,    parliamo    iu 
molti  luoghi  del  Dizionario,  come 
del  loro  collocamento  ne' fondamen- 
ti di   cospicui  ediflzi. 

La  numismatica  è  la  scienza  del- 
le n>edaglie  antiche,  e  realmente  po- 
trebbe ancora  dirsi  delle  moderne, 
giacché  queste  formano  argomento 
di  diversi  libri  e  trattati.  Il  voca- 
bolo di  numismatica  deriva  dal  no- 
me tanto  greco,  quanto  latino  di 
moneta  e  di  medaglia,  e  parlando 
a  tutto  rigore,  quella  scienza  ha  per 
oggetto  lo  studio  delle  monete,  e  di 
quelle  principalmente  che  sono  sta- 
te battute  dagli  auticlii  greci  e  ro- 


68  MED 

mani.  Questa  scienza    o  questa  ar- 
te,   come    alcuni  la    nominano,    va 
debitrice    de'  suoi    primi    sviluppa- 
nienti    a    Nonnio,    Hulsio,    Occone, 
Ilemmelario,  ed  agli  italiani     Eriz- 
zo,   Strada,    Vico,    Parata,    ec.   La 
scienza  ottenne  perfezionamento  da 
Mezzabarba  che  illustrò  le  medaglie 
pubblicate  da    Occone,  che    furono 
riprodotte    in  Milano    dalla    società 
Palatina;  da  Patino,    Vaillanl,  Mo- 
re), Arduino,  Spanemio,  Bellori,  Fi- 
lippo   Buonarroti,    Begero,    Haym, 
de    Boze,  Eckhel  ed    altri,    i  quali 
portarono  nella  spiegazione  delle  me- 
daglie tutta  l'erudizione  ed  esattez- 
za che  può  desiderarsi.     V.  Patin, 
Introduclion  à  la  connaissaiice   des 
médailles,  Padoue  1691.  Thesaurus 
nuntisnialum  anliquor.  musaci  Alau- 
/'ocem,  Venetiis  i683.  Imperaloruni 
romanoruni    numismata  ,    Argenti- 
nae   1671.  Inip.    roni.    numismata 
ex  aere,  Argentorati    1671.  A.  A- 
gostini,    Dialoghi   intorno  alle   me- 
daglie,   iscrizioni,    ed   altre    anti- 
chità, illustrati  con  disegni  di   mol- 
te medaglie     ed  altre  figure,    Ro- 
ma   1625.    Sebastiano  Erizzo,    Di- 
scorso   sopra  le    medaglie    antiche, 
Venezia  i55g.  Ricaud  de  Tiregale, 
Médailles    sur  les  principaux   évé- 
nemens  de  l'empire  de  Russie,  Post- 
data   1772.    La    scienza  delle  me- 
daglie antiche  e  moderne  con  nuo- 
ve scoperte,  Venezia    1727.     Fran- 
cese' Antonio     Zaccaria  ,    Istituzio- 
ni   antiquario-numismatiche ,  ossia 
introduzione  allo  studio    delle  an- 
tiche   medaglie  ,     Venezia      1793. 
Vincenzo  JVatale  Scotti,  Della  rari- 
tà delle  medaglie  antiche  di  tutte  le 
jorme  e  di  tutti  i  metalli,  divise  in 
tre    classi,   Firenze    1809.    Ottavio 
Liguoro,    Ristretto    isterico    ec.    di 
Romaj  medaglie,  gemme,  intagli  ec, 
Roma     1753.    Familiae    romanae 


MED 

quae  reperiuntur  in  antiquis  numis- 
matibus  ab   Urbe  condita  ad   tem- 
pora  divi    Augusti   ex    bibliotheca 
Fulvi  Ursiniec,  Romae   1577.  Fi- 
lippo   Buonarroti,     Osservazioni    i- 
sloriche  sopra  alcuni  medaglioni  an- 
tichi, Roma    1698.  Francesco  Fico- 
roni,  Explication  historique  des  mé- 
dailles relatives  à  l'hisloire  des  Pro- 
vinces-  Unies,  A  msterdam  1736.  Broc- 
chieri, Sopra  alcune  medaglie  conso- 
lari, Bologna  1 762.  /piombi  antichi, 
ove  a  p.  77  tratta  delle  piccole  meda- 
glie di  piombo.  Della  moneta  che  ver- 
so il  i25o  fu  battuta  in  Firenze,  de- 
nominata medaglia,  ne  parla  il  Vet- 
tori nel  Fiorino  d'oro  p.    199.  Del- 
l'opera che    sulle  medaglie    antiche 
pubblicò  il  cardinal  Bernardino  Maf- 
fei,  ne  parlammo  alla  sua  biografia. 
Le  medaglie  antiche  erano  già  mol- 
to ricercate  a' tempi  de' romani  im- 
peratori. Le  medaglie  come  le  mo- 
nete sono  i    pili    certi     monumenti 
della  storia.  L'uso  principale  di  que- 
sti monumenti  è  quello  di  comprova- 
re i  fatti  storici  e  di  perpetuarne  la 
memoria;  e  benché  l' invenzione  della 
stampa  possa  con  grande  vantaggio 
supplire  a  que'  documenti,  si  conia- 
no  tuttavia   e  si    battono   medaglie 
nella  fiducia,   che    esse    sopravvive- 
ranno a  tutti  gli  altri  documenti  i- 
storici.  La  numismatica,  come  tutte 
le    altre    scienze,  acquistò    col  pro- 
gresso del    tempo  una  lingua  e  al- 
cuni   termini    suoi    particolari,    dei 
quali  si  sono  anche  formati   elenchi 
e  vocabolari.  Ad   accennarne  i  prin- 
cipali,  il   campo   della  medaglia  è 
il  fondo  destinato  a  ricevere  il  tipo 
e  le  epigrafi  o  le  iscrizioni  ;  le  figu- 
re incise   chiaraansi    il  corpo   della 
medagliaj  diconsi   monogrammi    le 
lettere  intrecciate  che  indicano  cer- 
te epoche  o  nomi  di  città  o  di  per- 
sone.   Nimbi  si  appellano    i  cerchi, 


MED 

talvolta  radiati  che  sovente  si  os- 
servèino  sulle  medaglie  del  basso 
impero  ;  pantee  si  nominano  le  te- 
ste che  portano  i  simboli  di  alcune 
divinità;  cos'i  il  parazonio  è  una 
specie  di  pugnale  e  di  spada,  che 
vedesi  in  mano  o  al  fianco  di  di- 
verse figure,  o  anche  talvolta  iso- 
l;ito.  Vedi  Medagiie  BE^EDETTE  e 
Medaglie  Pontificie. 

MEDAGLIE  Benedette.  Trattan- 
do il  Sarnelli  nel  t,  VI  delle  Lett. 
tccl.  p.  i4,  leti.  VF,  delle  meda- 
glie,  le  chiama  appendici  delle  Co' 
rane  e  Kosarii  [Vedi),  ed  impron- 
ta d' ogni  metallo,  che  si  fa  con 
imprese  e  ritratti  di  principi  ,  o 
de' santi,  o  della  Beata  Vergine, 
o  di  Gesù  Cristo,  ec.  in  forma  di 
monete.  Le  medaglie  colle  effigie 
sacre  de' santi,  del  Redentore  e  del- 
la divina  sua  Madre,  non  che  i 
Crocefissi  si  sogliono  benedire  con 
indulgenza  dai  Pontefici,  e  da  quelli 
cui  essi  dieiono  facoltà.  Diversi  Pa- 
pi concessero  indulgenze  a  quelle 
corone,  croci  e  medaglie  che  aves- 
sero toccato  i  luoghi  santi  di  Ge- 
rusalenime ,  e  la  santa  casa  di  Lo- 
reto, come  dicemmo  a  quegli  arti- 
coli, od  altri  santuari  e  reliquie,  i 
quali  divozionali  benedetti  o  che 
abbiano  toccalo  .santuari  e  reli- 
quie non  si  possono  vendere,  com- 
mutare o  prestare.  Nel  voi.  XVII, 
pag.  198  e  199  del  Dizionario 
parlammo  dell'antichissimo  rito  di 
benedirsi  e  donarsi  dai  Papi  cose 
sagre  di  oro,  argento  o  altro  me- 
tallo, come  nei  bassi  tempi  |.e  Chia- 
vi [P'edi),  colla  limatura  delle  Ca- 
tene di  s.  Pietro  [Vedi),  notando  che 
prima  del  secolo  XVI  non  si  soleva- 
no applicare  indulgenze  alle  meda- 
glie benedette;  laonde  concessero  i 
Pontefici  {'Indulgenza  [Vedi)  alle 
medaglie  ed  altre  cose  cui  avessero 


MED  69 

compartito  la  Benedizione  [Vedi), 
considerando  che  1'  uso  di  tali  co- 
se sagre  eccitano  nei  fedeli  cristia- 
ni la  fede  e  gli  atti  di  adorazione 
verso  Dio,  e  di  venerazione  verso 
la  Beata  Vergine  ed  i  santi.  Va 
avvertito  che  i  Papi  esclusero  dalla 
benedizione  e  indulgenze  le  croci,  cro- 
cefissi, statuette  o  medaglie  di  ferro, 
di  stagno, di  piombo,  o  di  altra  ma- 
teria facile  a  rompersi  o  consumar- 
si ;  ordinando  che  le  immagini  im- 
presse sieno  de'  santi  già  canoniz- 
7ati,  o  di  altri  registrati  nel  mar- 
tirologio romano.  Narra  il  citato 
Sarnelli  che  nel  pontificato  d' Inno- 
cenzo in,  eletto  nel  11 98,  i  pelle- 
grini che  venivano  a  Roma  ad  Li- 
mina  ApostGloriiiii,  aveano  per  co- 
stume di  riportarne  le  immagini  e 
figurine  de'  ss.  Pietro  e  Paolo,  che 
si  ponevano  con  aumento  di  divo- 
zione indosso,  per  segno  e  testi- 
monio del  compiuto  viaggio  ;  e  che 
era  tanto  grande  la  quantità  che 
se  ne  vendeva  ,  e  tale  la  buona 
entrata  che  se  ne  ricavava,  che  tal 
Papa  ne  applicò  la  privativa  ai  ca- 
nonici della  basilica  vaticana  ,  co- 
me si  legge  nella  sua  epist.  533 
del  primo  libro,  di  stampare  cioè 
.soltanto  medaglie  di  piombo  e  sta- 
gno colla  effigie  de'  ss.  Apostoli. 
L'anonimo  delle  Osservazioni  sul- 
l'origine del  commercio  della  mone- 
ta, riporta  altrettanto  a  p.  09, 
notando  che  il  Garampi  di.s.se  er- 
roneamente ignorare  se  tali  meda- 
glie di  divozione  fossero  medaglie, 
avendolo  detto  chiaramente  Inno- 
cenzo III.  A  tempo  del  medesimo 
Papa  si  lavoravano  alcune  meda- 
glie di  stagno  colia  figura  del  Vol- 
to Santo  e  le  chiavi  di  s.  Pietro 
incrociate,  le  quali  si  vendevano  da 
certi  artefici,  chiamati  vendentcs 
P'eronicas.   Anche   queste  medaglie 


70  MED 

«Uìi  pellegrini  si  attaccavano  al  cap- 
p<lio  o  alle  vesti  in  contrassegno 
(Il  aver  visitalo  i  sagri  lin)ini_,  ed  il 
provento,  provenlibus  signorum,  fu 
dallo  slesso  Innocenzo  III  assegnato 
ai  canonici  di  s.  Pietro  per  le  di- 
stribuzioni quotidiane.  Aggiunge  il 
nominato  anonimo,  che  Gregorio 
IX  confermando  ai  canonici  la  stessa 
privativa,  dice  nella  bolla  a  s.  Pie- 
tro :  veddilus  et  provcnlus  de  signis 
plttrnheis^  sive  stagnei's,  liiam  et  eoa- 
/jostoli  lui  Palili  iinagints  praefc' 
nniihiis. 

Racconta  Famiano  Strada ,  De 
hello  Belgio,  lib.  5,  decad.  i,  che 
l'uso  delle  medaglie  benedette  co- 
minciò in  Fiandra  nel  i566,  quan- 
do  susci taronsi  congiure  e  solleva- 
zioni in  quelle  parti  contro  il  tri- 
bunale della  sacra  inquisizione,  poi- 
ché gli  eretici  congiurati  si  posero 
pendente  dal  collo  una  medaglia, 
in  cui  da  una  parte  si  vedeva  l'ef- 
fìgie del  loro  monarca  Filippo  II 
re  di  Spagna,  col  motto  francese 
Fideles  au  roij  dall'altra  parte  si 
vedeva  una  bisaccia  abbracciata  da 
due  mani  insieme  collegate  con 
queste  parole:  Jusqiic  à  la  besace , 
cioè,  usque  ad  manticam,  per  al- 
ludere al  soprannome  di  geusi  o 
glieusi,  cioè  mendici,  imposto  a 
tali  eretici  calvinisti.  Allora  il  du- 
ca Arescotto  fece  fare  una  medaglia 
di  argento,  con  l'effìgie  della  Bea- 
ta Vergine  col  Bambino  in  braccio, 
la  quale  medaglia  attaccò  al  cor- 
done del  cappello.  Imitarono  mol- 
ti nobili  questa  pia  e  generosa  a- . 
•/ione  per  opporsi  ai  geusi ,  anzi 
tulli  i  veri  cattolici,  abbracciarono 
nella  Fiandra  tale  istituto,  Io  che 
inleso  da  s.  Pio  V,  per  accrescere 
la  divozionede' cattolici,  bened'i  quel- 
li' medaglie  concedendo  indulgenza 
a  chi    le     portava    indosso.    Sicché 


MED 

molli  cattolici    in    alUe    parli   pro- 
curarono  di  ottenere  simili    meda- 
glie   benedette,    le  quali    il    Papa 
concesse  in    grandissicna  copia,  per 
cui  d'allora  in  poi  i  di  lui  succes- 
sori continuarono  a  concedere  que- 
ste medaglie  benedette,  che  si     fe- 
cero poi  anche  coli' effigie    di     di- 
versi  santi  ;  e  molti  delle  provincia 
settentrionali     si     posero     al    collo 
corone  e  rosari  con  medaglie  della 
Madonna,  per     mostrare    d'  essere 
cattolici ,  come  riferisce  il  p.   Riba- 
dineira  nella  vita  di  s.  Giovanni  a- 
postolo.     L'  Oldoino    ancora    nelle 
Addizioni  al    Ciaeconio    t.   Ili,  p- 
1006,  rilevò    che  s.  Pio    V  affine 
di    promuovere   nei  fiamminghi    la 
santa  religione,     fu  il    primo   Papa 
che  cominciò    a   benedir     medaglie, 
concedendo  indulgenze  a  chi  le  por- 
tava.   Al    luogo    succitato    narram- 
mo come  Sisto   V   benedi    eoa    in- 
dulgenza    le  medaglie  d'oro,  gran- 
di (|uanto  un  giulio,  dentro  un  cer- 
chio   parimenti    d'oro,    che  rinven- 
ne nei   fondamenti    dell'antico    edi- 
fìzio    della    Scala  santa    presso    la 
basilica    lateranense,     dell'  impera- 
tore   Tiberio    Costantino    e  di     al- 
tri, nelle  quali  si  vedevano  cinque 
gradini  sulla    di  cui    cima  era  po- 
sata   la    santa    Croce,    coli'   epigra- 
fe    VICTORIA     AVGG.     A,     e     SOltO    gli 

scalini  CON.  ob.  ,  e  nel  rovescio  una 
figura  col  paludamento  imperiale, 
eolla  leggenda  intorno  dnr.  tib. 
CONSTANT,  p.  PAT.  Sisto  V  rega- 
lò tali  medaglie  a' sovrani,  principi 
e  cardinali,  obbligandoli  a  lasciarle 
morendo  ad  una  chiesa  a  loro  be- 
neplacito, con  indulgenza  plenaria 
a  delle  chiese  nelle  due  annue 
feste  della  ss.  Croce,  come  rilevasi 
dalla  bolla  presso  il  Bull.  Roni.  t. 
IV,  p.  38o.  il  p.  Richa,  Notizie  /- 
storiche    t.   I,     p.     1 16,    parlando 


MED 
(lolla  chiesa  di  s.  Croce  di  Firen- 
ze, non  solo  spiega  le  iscrizioni  di 
tali  medaglie,  ma  dice  che  una  di 
esse  avendola  Sisto  V  donata  a  Gio- 
vanni Niccolini,  figlio  del  cardinal 
Angelo,  senatore  e  ambasciatore 
del  granduca  di  Toscana  ,  questi 
morendo  la  lasciò  alla  nominata 
chiesa,  facendone  la  consegna  entro 
un  vasetto  d' argento  il  marchese 
Francesco  di  lui  figlio  ed  erede. 
Il  Piazza  nel  suo  Menologio  roma- 
no p.  i5o,  dice  che  nella  chiesa 
(li  s.  Ivo  (di  cui  si  pai  lo  nel  voi. 
XXVI,  p.  2  20  del  Dizionario)  nelle 
due  feste  della  ss.  Croce  vi  è  l'in- 
dulgenza plenaria  concessa  da  Sisto 
V,  e  che  nelle  medesime  si  espo- 
nevano due  delle  mentovale  nitida- 
glie  d'oro.  Il  Torrigio  naW  Histor. 
narrai,  dell'arde,  del  ss.  Corpo  di 
Cristo,  scrive  a  p.  4'  e  4^  ,  che 
Clemente  Vili  nel  i6oo  concesse 
molte  indulgenze  alle  medaglie  e 
corone  benedette  da  lui ,  non  solo 
ai  confrati,  ma  alle  compagnie  ag- 
gregate, e  ciò  ad  imilazione  di  Si- 
sto V  che  nel  i586  benedì  allo 
slesso  sodalizio  diverse  corone  ,  fa- 
cendone fede  il  suo  cappellano  se- 
greto Gio.  Antonio  Piccioni  .  Il 
Grassi  nelle  jìfeni.  star,  di  Mon- 
teregale,  o  Mondovi,  dice  che  una 
di  tali  medaglie  la  possiede  (juclla 
cattedrale. 

In  più  luoghi  del  Dizionario 
facciamo  memoria  di  corone  con 
medaglie,  o  di  medaglie  benedet- 
te donate  dai  Papi  a  sovrani,  am- 
basciatori ,  personaggi  e  forestie- 
ri. Clemente  XI,  oltre  (pianto  di- 
cemmo nel  volume  XV,  pag.  1 26,  a 
chi  comunicava  nelle  basiliche  late- 
ranense  e  vaticana,  dava  p«r  mezzo 
dell'elemosiniere  una  medaglia  da 
lui  benedetta;  e  nella  sua  biografia 
ricordammo    che  facendo  altrettanto 


MED  7» 

nella  chiesa  di  Castel  Gandolfo  » 
ciascuno  che  riceveva  da  lui  la  ss. 
Eucaristia  aveva  una  medaglia  di 
argento  con  indulgenza  plenaria  in 
articolo  di  morte.  Narra  il  Cecco- 
ni  nel  suo  Diario,  che  visitando 
Clemente  XI  l'ospedale  di  s.  Spi- 
rito, diede  agl'infermi  medaglie  di 
argento  colla  sua  benedizione  ;  e 
portandosi  all'  ospizio  dell'arcicon- 
fraternita  della  santissima  Trinità, 
lavò  i  piedi  e  servì  a  tavola  dodi- 
ci pellegrini,  e  donò  loro  medaglie 
di  argento  con  indulgenze.  Altri 
Papi  prima  e  dopo  di  lui  fecero 
altrettanto,  massime  negli  anni  san- 
ti, distribuendo  medaglie  benedette, 
o  per  mezzo  del  prelato  Elemosi- 
niere, a  quei  tredici  sacerdoti  che 
tenevano  a  mensa  nel  palazzo  apo- 
stolico, come  per  ultimo  fece  Leo- 
ne XII.  Nei  pontificato  di  Grego- 
rio XVI  si  propagò  prodigiosamen- 
te la  medaglia  dell'  immacolata 
Concezione  detta  comunemente  mi- 
racolosa, pei  portenti  che  Dio  ope- 
rò in  virtù  di  questa  divozione, 
per  cui  detto  Pontefice  concesse 
particolari  indulgenze,  quali  si  leg- 
gono neWelenco  sotto  di  lui  pub- 
blicato più  volte;  immenso  poi  ed 
incalcolabile  fu  il  numero  che  di 
tali  medaglie  benedì,  e  di  quelle 
benedette  dai  facoltizzati  da  lui.  La 
medaglia  rappresenta  la  Beata  Ver- 
gine raggiante  colle  braccia  calate 
e  le  mani  aperte  splendenti  di  rag- 
gi, calpestando  il  serpente  sopra  il 
globo:  le  forma  corona  l'epigrafe: 
O  Maria  concepita  senza  peccalo 
pregate  per  noi  che  ricorriamo  a, 
voi.  Nel  rovescio  della  medaglia 
miracolosa  evvi  il  nome  di  Maria 
in  cifra  sovrastato  dalla  croce,  con 
S(Uto  i  cuori  di  Gesù  e  di  Maria, 
il  primo  coronato  di  spine,  il  se- 
condo trafitto   da  una    spada:    do- 


72  MED 

dici  stelle  e  raggi  di  luce  circondano 
il    santo  nome.    Il  glorioso  Gregorio 
XVI,  divoliisiixio  della  medaglia,  ne 
teneva  l' immagine    in    litografia  a 
capo  del  suo  letto,  e  ad  essa  rivolti 
i  suoi  occhi  spirò  nel  bacio  del  Signo- 
re e  soavemente  la  sua  candida  ani- 
ma. Il  primo  a  far  conoscere  in  Ro- 
ma   la    medaglia    miracolosa  fu    il 
cardinal    Luigi    Lambruschini  (  che 
nel  1843  pubblicò  in  Roma  la  sua 
Dissertazione  polemica  sull'  imma- 
colato concepimento  di    Maria,  ri- 
stampata in  Venezia  con  due  edizio- 
ni, e  tradotta  in  più  lingue),  il  quale 
fu  sollecito  di  farne  venire  da  Pari- 
gi buon  numero,  all'oggetto  di  rende- 
re anche  nel  centro  del  cattolicismo 
tal    nuovo    omaggio    a    Maria     col 
mezzo  di  queste  medaglie,  che  con 
tanta  pietà  e   divozione  furono  pure 
accolte  in  Francia,    in    molte  parti 
dell'  Europa,  nelle  Americhe,  e  ben- 
anche in    molte  parti    dell'  oriente. 
Altro  propagatore    della    divozione 
fu  il  cardinale    Agostino     Rivarola, 
che  con  zelo  le   diffuse    in    Roma, 
nello  stato   ecclesiastico,  nel  Geno- 
vesato     ed    altrove.    Parecchi    libri 
furono    pubblicati    sulla     medaglia 
miracolosa:  ne'  citeremo  uno.  No- 
tizie storiche    sull'  origine    e   gli  ef- 
fetti della  nuova  medaglia  coniata 
in    onore  dell'  Immacolata    Conce- 
zione della  ss.    P^ergine,  e  general- 
mente conosciuta   sotto    la  denomi- 
nazione   di   medaglia    miracolosa, 
coli'  aggiunta  di  alcune  recentissime 
guarigioni   e  grazie  raccolte  dalla 
moderna  edizione  dell' abbate  fran- 
cese Le  Guillou,    con  una  novena, 
e  diverse  preghiere  recate  in  italia- 
no, con  dei  cenni  sull'  origine  e  ap- 
plicazione dell'  indulgenze.  Venezia 
i836   pel    Picotti.    Nel    voi.    XXI 
p.  26  del  Dizionario  facemmo  men- 
zione  della  prodigiosa   coaversione 


MED 

dell'ebreo  Ratisbonne,  per  virtù  del- 
la medaglia  miracolosa,  ed  all'  ar- 
ticolo Minimi,  parlando  della  lo- 
ro chiesa  di  sant'  Andrea  delle 
Fratte,  si  è  detto  che  ivi  ricevè  il 
miracolo  per  1'  apparizione  della 
Madonna  quale  si  rappresenta  nella 
medaglia,  onde  vi  è  stata  collocata 
un'  egual  immagine  in  gran  vene- 
razione per  le  grazie  che  dispensa 
a  chi  ricorre  al  suo  possente  patro- 
cinio. 

Gregorio  XVI  soleva  benedire  le 
medaglie  d'  argento  dette  della  La- 
vanda (  Vedi  il  voi.  Vili,   p.  299 
del  Dizionario)  perchè  rappresenta- 
no    quella  fatta    dal    Redentore    a 
s.    Pietro,  e  quelle    colle  immagini 
de' cinque  santi  da  lui  canonizzati; 
non  però  quelle    che    avevano  sol- 
tanto la  sua  effigie.    Tali   medaglie 
dispensava  ai  forestieri,    e  partico- 
larmente agli  alunni  de'  diversi  col- 
legi di  Roma  prima  che  ritornassero 
alle  loro  patrie,  o  che  andassero  alle 
missioni ,    unendovi    talvolta    croce- 
fissi   e    corone    con    medaglie    pur 
da  lui  benedette.  Tra  le  medaglie 
divozionali    fatte    coniare    da  Gre- 
gorio XVI,  faremo  menzione  di  tre 
grandi.  La  prima  in  onore  del  san- 
to del  nome  che  avea  assunto  e  del 
fondatore  di  sua  congregazione,  rap- 
presenta il  Papa  s.  Gregorio  I  Magno 
colla  tiara,  in  atto  di  scrivere  ispi- 
rato dallo  Spirito    Santo  in  forma 
di  colomba,  avente  intorno  la  leg- 
genda :  S.  Gregorio   Magno    Pont. 
Max.  Humilis  Successor.    Nel  ro- 
vescio s.  Romualdo  in  atto  di  spie- 
gare ai  discepoli    la  visione  in  cui 
vide  i  suoi  monaci  ascendere  al  cielo 
vestiti    di  bianco,    coli'  epigrafe:  S. 
Romualdo    Abbati    Devotus   Filius 
Gregorius  XVI.  La  seconda  in  o- 
nore  di  s.  Benedetto   e  di  s.  Mauro 
(nome  che  il    Papa  prese  allorché 


MED 
entrò  tra   i    camaldolesi,  ed  abbin- 
ino molte  medaglie  pontificie  allu- 
sive al  nome    che    avevano  i  Papi 
prima  della    loro    esaltazione);    da 
un  lato    vi  è  l' effigie    del    primo , 
colle  parole  in    giro  :  S.   Benediclo 
Coenohitar.    Per.    Occid.    Parenti  j 
dall'  altro    quella  del    secondo    che 
trae    dalle  acque  s.  Placido,    colla 
iscrizione  attorno:  iS".    Mauro  Jbb. 
Gregorius  XFI  Antea  Mauriis  Ahb. 
Camald.  Ambedue   incise    da  Giu- 
seppe Cerbara  per  cura  dell'  ospizio 
apostolico,  cioè  la  prima  nel  i83i, 
l'altra  nel    i834-    La  terza  meda- 
glia è  quella  colle  immagini  de' ss. 
Pietro     e    Paolo    contemplando    lo 
Spirito  Santo,    perciò  coli' epigrafe: 
Spi  ri  t  US   S.    Deus   Mise  re  re  Nobisj 
ed  in  giro  Principes    Jpostolorum. 
IVel  rovescio  si  vede  in  alto  la  Bea- 
ta Vergine  col  divin  Figlio  nel  ge- 
sto di    benedire,    e    lateralmente  s. 
Gregorio  I  e  s.   Romualdo,  con  il 
vaoiio:  Auxilìum  Christianorum  Ora 
Pro  Nobis,  mentre  dalla  parte    di 
ognuno  vi  sono  le  iscrizioni:  iS".  Gre- 
gorius Pont.  Max.,  S.   Komualdus 
Abbas  :  ne  fu  incisore  Nicola  Cer- 
bara.   Inoltre    ne    fu    coniata    una 
piccola  con  s.    Pietro  colle    chiavi, 
e  nel    rovescio  i    ss.    Gregorio  1  e 
Romualdo;    ed  altra  roll'immagine 
della  Beata  Vergine,  dell'IIamerani, 
e  nel  rovescio  quella    del  Papa  in 
piviale,  anno  IX.  Il  Chiapponi,  Acta 
canoniz.  ss.  Pii  V,  Andreae,  Felicis 
et  Calharinae,  a  p.   244  l'iporta  la 
formola  delle    indulgenze  che  con- 
cesse    alle    medaglie,    immagini    e 
croci  che  benedì  in  occasione  di  tal 
canonizzazione  Clemente  XI.  Da  ul- 
timo dalla  tipografìa  di  Monte  Cas- 
sino nel  1844  si   pubblicò:    Origine 
e  mirabili  effetti  della  croce  o  me- 
daglia di  s.   Benedetto,    esposti  da 
d.  Francesco  Leopoldo  ZeUi-Jaco- 


MED  73 

buzj  cassine.se,  ec.  In  questo  libro 
si  rianima  la  divozione  per  la  detta 
croce  o  medaglia,  e  si  ricorda  con 
quanta  venerazione  debba  tenersi 
dai  fedeli  il  prezio.so  segno  di  nostra 
salvezza.  Delle  medaglie  colle  imma- 
gini de'  santi  o  della  Beata  Vergi- 
ne, o  del  Redentore,  insegne  di  al- 
cuni ordini  cavallereschi  o  capitoli 
di  chiese,  ne  facciamo  menzione  ai 
loro  articoli.  Nel  t.  XII  del  Bull. 
Boni.  Coni.  p.  35  si  legge  la  co- 
stituzione In  summo,  di  Pio  VII, 
con  cui  concesse  vai'ie  distinzioni 
al  capitolo  di  Loreto,  e  la  meda- 
glia ai  beneficiati  ;  mentre  a  pag. 
82  vi  è  l'analogo  breve,  Exponi 
nobis. 

MEDAGLIE  Pontificie.  Nella 
Zecca  pontificia  {Vedi),  si  con- 
servano 639  conii  di  medaglie  pon- 
tificie a  tutto  il  pontificato  di  Gre- 
gorio XVI,  oltre  quello  che  dovea 
servire  per  la  medaglia  la  quale 
dovea  dispensarsi  per  la  festa  dei 
principi  degli  apostoli,  e  che  non 
fu  coniata  a  cagione  della  pianta 
morte  di  quel  gran  Papa,  per  cui 
ì  conii  delle  sue  medaglie  sono  4^ 
esistenti  nella  detta  zecca,  altri  co- 
nii essendo  presso  particolari  in- 
cisori e  l'ospizio  apostolico  di  s. 
Michele.  La  serie  de'  numismi  della 
zecca  papale  di  Roma  comincia 
dall'  elezione  di  Martino  V  avve- 
nuta nel  \l\.v'j  :  noteremo  col  Can- 
cellieri, Storia  de  possessi  p.  49^» 
che  prima  di  tal  Papa  i  suoi  pre- 
decessori non  avevano  1'  uso  di  bat- 
tere medaglie.  Qual  poi  ne  sia  il 
pregio  sì  pe'  copiosi  monumenti  che 
offre  di  sagra  e  profana  erudizione, 
sì  per  la  maestria  ed  eleganza  del 
lavoro  d'incisione,  è  cosa  abbastan- 
za nota  agli  eruditi,  perchè  noa 
faccia  d'uopo  di  molte  parole  a  di- 
mostrarlo.   Basta    a    questo    effetto 


74  M  1"  n 

pprconeie    gli    applauditi     trattati 
che  ne  pubblicarono  i  tre  seguenti 
autori.    Claudio    Molinet,    Historìa 
siim.   Pondf.   a  Martino   V  ad  Iii- 
iiocentmm  XI  usque,  per  eorum  nu- 
mi smala  ah  anno    i4'7  ^d  annum 
1678,  Lutetiae  1679.  Filippo  Bonan- 
ni  gesuita,  Numisniala  Pontif  Rota, 
qnae  a  tempore    Martini   V  usque 
ad   annum     \  699     vcl    aulhoritate 
pnhlica,     vel   privato  genio    in    lu- 
ceni  prodiere,  expticata,  ac  niulti- 
plici  erudilione  sacra  et   prophana 
illustrata,  Ilomae  1699.  Nuniisma- 
ta  suni.   Pont,  templi   Vaticani  fa- 
bricani  indicanti  a  ,    Pioraae    1696, 
1700,    17 15.  Filippo    Venuti,  Nu- 
inismata  Rom.  Pont,  praestantiora 
a  Martino    V  ad  Bvnedictum  PP. 
XIV,  Romae    i744-  ^  <juali  scrit- 
tori ad  ogni  tratto  fanno  delle  me- 
daglie pontificie    i   più    distinti  en- 
comi, e   traggono    da  esse  lumi  per 
sempre  più  rischiarare  la  pontificia 
storia  degli    ultimi    quattro  secoli  ; 
vero    è    però,    che     principalmente 
sotto  i    più    antichi    Pontefici    non 
sempre  è    possibile    il    determinare 
r  autore  di  ciascuna  medaglia.   Ma 
gì'  intendenti    di    numismatica    ben 
sanno,  che  sotto   Martino  V  incise 
con  lode  i    pontificii  numismi  Vit- 
tore  Pisano   o    Pisanello  ;    che    da 
Eugenio  IV  a  Pio  li  si  segnalò  in 
tal  genere  Andrea  Cremonese  ;  che 
il  pontificato  di  Sisto   IV  ebbe  un 
"valente  artefice  in  Vittore  Camelio; 
che  sotto   Leone    X,    Adriano    VI, 
Clemente  VII,  Paolo  III,  molti  nu- 
Hìismi  furono  opera  dell'  immortale 
Raffaele  da  Urbino,  di  Giulio  Ro- 
ruaiio,   del   celebre    Benvenuto  Cel- 
lìni  e  di   altri  sommi,  di  cui   andò 
oltremodo  feconda  quella  età  si  pro- 
pizia alle  lettere    e  alle  arti    belle. 
Fiorirono  quindi    da    Giulio    HI  a 
Gregorio  XI li  i  padovani  Giovaa- 


MED 

ni  Cavino  e    Alessandro  Bassi.ini,  e 
i  I  iiioiiiiili  Parmensi;  né  minor  loiii; 
meritarono  da   Sisto  V  ad   Aless.in- 
dro   VII,    Giorgio   Ravennate,  Gio. 
Antonio  Moro,  Gaspare  Molo,  e  so- 
pra di  ogni  altro  il  tanto  ammira- 
to Connanno.    Vennero  dipoi   Fer- 
dinimdo  di  s.  Urbano,  ed  i  celebri 
Hamerani,  tanto  benemeriti  di  que- 
st'  arte,    dai    quali  la  camera  apo- 
stolica a' 27   giugno    1796  acquistò 
la   maggior  parte  della  serie  de'co- 
nii  che  possiede.   Sulla  qual  cosa  è 
a    vedersi  il  Venuti  nella  predizione 
all'opera  citata,  in  cui  novera  molti 
altri  antichi  artefici  di  pontificie  me- 
daglie, che  per    amore    di    brevità 
qui   si  tralasciano.  Né  poi  1'  età  pre- 
sente può  dirsi  in  tale  arte  inferiore 
alle  trascorse,  poiché  ad  ognuno  è 
palese  a  qual    grado  di   perfezione 
sieno  giunti    in    essa  gl'incisori  ca- 
merali, T.  Mercandetti,  Giuseppe  e 
Nicola  Cerbara   fratelli,   cav.    Giro- 
lamo Giruinetti  e  Pietro  suo  figlio. 
Da  antichissimo  tempo  i   Ponte- 
fici sogliono  coniare    medaglie  mo- 
numentali principalmente  per  la  ca- 
nonizzazione   de' santi,  celebrazione 
dell'  anno  santo,  pel  giubileo    uni- 
versale,   per    l'apertura    e  chiusura 
delle  porte  sante,    per    la    lavanda 
de'  piedi  che  fanno  nel  giovedì  san- 
to, e  pel  possesso.  Le  coniarono  per 
rimarcare  le    epoche  e    circostanze 
di  loro  esaltazione  al  pontificato,  an- 
che in  onore  del    santo  che  ricor- 
reva in   quel  giorno,  non  che  della 
coronazione.  Quindi  se  ne  coniaro- 
no per  r  erezione,    restauri  ed  ab- 
bellimenti di  edifizi,  massime  sacri, 
come    chiese    e    cappelle,    fortezze , 
porti,  monumenti  pubblici  anco  se- 
polcrali,   col    disegno    di    essi,  pro- 
spetti e  spaccati;    per    fortificazioni 
fatte  a'  luoghi  di  difesa,  nuove  stra- 
de o  ristoramcuti  uotubili  delle  au- 


MED 
tiche,  ed  erezioni  di   utili  e  hentfici 
stahiliuienti  ;    per    consagi  azioni  di 
cliicse,  altari  e  battisteri,  processio- 
ni ed  altre  solennità  ;  per    condan- 
ne di    errori,    estirpazioni  o  estin- 
zioni di   eresie,    e    conversioni   cla- 
morose ;  per  spedizioni  militari  ma- 
rittime e  terrestri  in  difesa  o  van- 
taggio del    cristianesimo;    per    con- 
clusioni   di    alleanze,  concordati    e 
paci     memorabili    (  Giulio    li    col 
motto  Pax  Romana  celebrò  la  pa- 
cificazione   delle    famiglie  Colonna 
ed    Orsini);    celebri  trattati,    impe- 
gno   e    mediazione    onde    pacifica- 
re i  principi  cristiani    guerreggian- 
li  ;    per    viaggi    intrapresi    a    van- 
taggio della    religione   e   de*  suddi- 
ti ;    per   aver    tutelato   la    sicurezza 
pubblica   e  V  abbondanza  ;  per  ces- 
sa/ione di     pestilenze;  per  aver  di- 
minuito   gabelle,    accordata    prote- 
zione alle  arti  e  alle    lettere  ed  ai 
cultori   di  esse,  pubblicato  leggi  ci- 
vili, amministrative    e    criminali,  e 
persino    per  aver  assistito    ai   capi- 
toli generali    d'ordini    religiosi.  Ne 
furono  ancora  coniate  con  allusioni 
alle  individuali    virtù  ,  cure  ,    doti 
e  qualità    de' Papi,  come    la    pietà 
e  lo  zelo,  la  sapienza,    la  giustizia 
o  la  vigilanza,  la   clemenza,  la   be- 
nignità   e   affabilità,    la    generosità, 
munificenza    e    carità,    la    costanza 
negli  avvenimenti  gravi  ec.  Tali  me- 
daglie  sempre    sono  coli'  effigie  del 
l*ontefice,  loro    nome,   analoghe   e 
bellissime  epigrafi  latine,  e  l'anno 
del  pontificalo,  coronati  di  triregno, 
alcuni  in   mitra,  massime  le  meda- 
glie per   l'anno  santo,  col  camauro, 
col  berrettino,  col  capo  nudo,  in  pi- 
viale o  manto,  iu  mozzelta  e  stola, 
(]ualche  volta  in    alto  di   benedire, 
ed  ordinariamente  in    semibusto,  e 
lui  altra  in  figura  intera  ed  anche 
scdeati  in  trono.  Nel  rovescio  delle 


MED  'j% 

medaglie  pontificie   si  vedono   rap- 
presentate in  figure  o  con  sindjoli 
le  cose    indicate,    qualche    volta  fu 
impresso  Io  stemma  gentilizio,  con 
diverse  allegorie    ed    insegne,  padi- 
glioni,   chiavi,    calici,    triregni    ec. 
Molte  medaglie  hanno  incise  le  fi- 
gure del    Padre    Eterno,  di    Gesù 
Cristo,  dello  Spirito  Santo,  di  Gesù 
crocefisso  o  portante   la    croce,  sa- 
lutifero   segno    in     altre     ripetuto; 
quelle  della    Beala  Vergine    anche 
col   divin  Figlio    in    braccio,     di  s.' 
Pietro  colle    chiavi  e  dì    s.    Paolo 
colla  spada,  insieme  e  separati,  del 
Redentore  che  dà  le  chiavi  al  pri- 
mo,   il    quale   si   rappresenta    pure 
nella  navicella  cogli  altri  apostoli; 
essendo  in  altre  la  cattedra  aposto- 
lica, la  sede  pontifìcia,  figure  d' ar- 
cangeli,  angeli,    cherubini,    santi  e 
sante,  della  Chiesa,   della  religione, 
di   Roma   pure    colla    lupa    lattante 
Romolo  e    Remo,    ed    ancora  con 
figure   miloiogichej  e  tutte  col   no- 
me dei   rispettivi  incisori.  Ogni  an- 
no per  la  festa  de' ss.  Pietro  e  Pao- 
lo si  conia  una  medagliii,  nella  quale 
si  celebra  la  cosa  più  rimarchevole 
de'  fasti    del    pontificato,    avvenuta 
nel  periodo  di  tempo  trascorso  dal- 
l'ultima    coniazione;  e  si  conia    e- 
ziandio  ogni  anno  medaglia  per  la 
lavanda    de'  piedi    che    fa    il  Papa 
nel  giovedì  santo.  Pel  possesso  che 
il    Pontefice    prende    delia   basilica 
lateranense  si    conia  medaglia  stra- 
ordinaria, come  si    fa  per    qualche 
monumento   o   avvenimento  singo- 
lare. La  dispensa  però  che  si  fa  ai 
ministri  camerali,   famiglia  pontifì- 
cia e    cardinali    ha    luogo    soltanto 
per  la  delta  festa  de'  principi  degli 
apostoli  e    pel    possesso.    Le    meda- 
glie si  coniano  iu    oro,  iu    argento 
e  in   bronzo:   prima,  come  in   tanti 
luoghi  si  disse,  si  distribuivano  d'oro 


7  6  MED 

e  ci'  algente,  ora  solo  di  questo  se- 
«:onclo  inetalio,  ed  a  pochi  quelle 
d'  oio. 

La   prima   medaglia  il  di  cui  co- 
nio si  conservi   nella    zecca  pontili- 
zia  è  di  Martino  V  del  i4'7j  colla 
-sua  effigie    e  stemma    gentilizio.   Il 
più  antico  conio  delle  medaglie  per 
l'anno  santo  è  quello  di  detto  Pa- 
pa coH'tpigrafe:   fusti Inlrabunt  Per 
h.am,  poiché  è  incisa  la  porta  santa 
con  gradini    con  sopra    l' immagine 
del    Salvatore,    e    lateralmente  due 
candelahri    accesi.     V.  Anni  Santi, 
Porte    Sante,  ed    il    voi.    Vili,  p. 
200  del    Dizionario.  Il    più  antico 
conio  esistenle  in    detta  zecca  sulla 
canonizzazione,  è  quello  della  meda- 
glia incisa    per  ordine    di    Eugenio 
IV    per  aver  nel    i447    canonizzato 
s.  Nicola  da  Tolentino,  coli' iscrizio- 
ne:   Nicolai    Tolenlinatis  Sanctitas 
Celebris  Redditur,  nell'esergo  o  sia 
a   hasso,   Sic   Tr  inni  pliant  Elecd.  Si 
vede  il  Pontefice  sotto  il  trono  as- 
sislito   dai   cardinali    e    vescovi   mi- 
trati che  legge  il  decreto  della   ca- 
nonizzazione avanti    l'altare,    ed   in 
aria  lo  Spirito  Santo  con  raggi.  No- 
teremo che  di    beatificazioni,    nella 
zecca    vi    è  il    solo   conio  di  quelle 
de'  bb.  Lorenzo    da   Brindisi,   Gio- 
vanna   Bonomi,  e    Maria    Anna    di 
Gesù,  sollevati  da  Pio  VI  all'onore 
degli  altari.   Il  conio  più  antico  del- 
la   medaglia    pel   possesso    è  quello 
di  Alessandro  VII    colla  sua  effigie 
in   piviale,    e    l'epigrafe:    Vivo  Ego 
Jant  Non  Ego,  col  busto  del  Reden- 
tore ;  gli   altri  sono  quelli   pei  pos- 
sessi di  Clemente  IX  rappresentato 
in  camauro,     mozzetta  e    stola,    la 
iscrizione    Jpse    Dontinus   Possessio 
Ej'us,    V  agnello    pasquale    con    due 
rami    d'olivo   e    nella    sommità  lo 
Spirito    Santo;    d'Innocenzo    XIII 
coronato  di  triregno  iu  piviale  con 


MED 

s.  Michele  arcangelo,  suo  nome,  e 
nel  cui  giorno  fu  eletto  ;  in  altra 
sua  medaglia  nel  piviale  fu  incisa 
la  cavalcata  del  possesso  ;  di  Cle- 
mente XII,  di  Leone  XII,  di  Pio 
Vili,  di  Gregorio  XVI,  e  del  re- 
gnante Pio  IX,  la  cui  immagine  si 
vede  incisa  egregiamente  da  Giuseppe 
Cerbara  in  mozzetta  e  stola,  e  nel 
rovescio  le  allegoriche  figure  della 
giustizia,  della  pace  e  della  clemen- 
za,  con  l'iscrizione  in  giro:  sacros. 

SEDIS  LATER.  POSSES.,  6  ncll' CSCrgO 
V   IDUS.     NOV.    MDCCCXXXXVl. 

All'  articolo  Presbiterio    diremo 
(|uando  in  vece  di  questo  cominciaro- 
no i  Papi  a  distribuire  medaglie  d'oro 
e  d'argento  nella  funzione  del  pos- 
sesso, della  quale  si    trattò  al   voi. 
\  111,  p-  171  del  Dizionario,  ed  al- 
tre   cose    si    diranno    a    Possesso  ; 
mentre  della  distribuzione  delle  me- 
daglie   di    s.   Pietro  e  pel    possesso, 
die  fa   il  palazzo  apostolico,   ne  te- 
nemmo proposito  a  Maggiordovio  e 
Maestro  di  Camera,   cessandosi    in 
quello  di  Pio   VII  di  distribuire  ai 
cardinali  e   agli  altri  medaglie  d'oro. 
D'allora  in  poi  i  Papi  pongono  nel- 
la  mitra  de' soli    cardinali  due  me- 
daglie d'argento,  ed  altrettante  ne 
dà  il  tesoriere  al  principe  assistente 
al  soglio,    e  quando  a  questo    assi- 
stevano   gli   ambasciatori    le  aveva- 
no anche  essi.   Urbano  VII  eletto  ai 
i5  settembre  iSgo,  morì  prima  di 
essere   coronato,  e  la    medaglia  co- 
niata per  tal  funzione  servi  pel  suc- 
cessore Gregorio  XIV    (diversi  co- 
nii    servirono      per     due     Pontefici 
tranne    l'effigie);     ed    il  successore 
di    questi    Innocenzo    IX    non     di- 
spensò   nel  possesso    medaglia,   per- 
chè non  si  tece  a  tempo  nell' inci- 
derla ;    per    cui    il    tesoriere    se   ne 
scusò  con  diversi  cardinali.  Clemen- 
te Vili,  ad  istanza  del  cardinal  de- 


MED 

cano,  rinnovò  l'uso  di  dare  per 
presbiterio  medaglie  d'  oro  e  d'  ar- 
i^ento  nel  possesso.  Pel  possesso  di 
Urbano  Vili  si  legge:  prò  comodi- 
tate  Papae  non  fuemnt  canlalae 
laudes  in  aula  magna,  el  datae 
medalìae,  prout  tempore  Palili  V, 
sed  Papa  Jecit  medalias  dare  III. 
d.  card,  hodie  mane,  et  sic  illos 
ante  operain  factam  soluit  per  ma- 
nus  III.  d.  ihesaurarii  generali s  j'u' 
xta  distribiuionem,  quae  fit  in  di- 
stribiUìone  candelarum,  et  palma- 
rum  prò  card,  qui  habent  officia, 
et  etiàm  fedi  illos  dare  d.  canoni- 
cis  bas.  Lai.  prò  sua  liberalitatc 
argenteas  tantum,  quae  tempore 
Pauli  V  fuerunt  datae  tani  III. 
d.  card,  per  manus  suas,  el  oratori- 
bus  de  solio  per  manus  d.  the- 
saurarii  generalis.  Oratores  de  so- 
tto non  habuerunt  niedaliae  ,  si- 
cuti  tempore  Pauli  V.  Nel  pos- 
sesso d' Innocenzo  XI  il  presbite- 
rio, canonici  edam  bas.  Lai.  ha- 
buerunt, ut  solitum  est,  numisma 
argenteum  unum  prò  quolibet.  Cle- 
mente XI  fece  dare  medaglie  d'oro 
e  il' argento  ai  paggi  che  creò  conti 
palatini.  Dal  Diario  del  Cecconi  si 
rileva,  che  Benedetto  XIII  nel  suo 
possesso  fece  dare  dal  tesoriere  a 
ciascuno  del  clero  lateranense  me- 
daglia d'  argento,  non  che  a  tutti  i 
patriarchi  ,  arcivescovi  e  vescovi. 
Anche  Benedetto  XIV  fece  dare  dal 
tesoriere  una  medaglia  d'argento  a 
tutti  del  clero  lateranense.  11  piìi 
aulico  conio  che  siavi  nella  zecca 
della  medaglia  che  il  Papa  dispeu- 
.sa  nel  giovedì  santo  a  chi  ha  lava- 
to i  piedi,  argomento  che  descri- 
vemmo all'  articolo  Lavanda  dei 
PIEDI,  e  uel  voi.  Vili,  p.  299  del 
Dizionario,  è  di  Paolo  V,annoXnij 
colla  sue  eflìgie  in  piviale,  e  nel 
iovescio  il  Salvatore  che  lava  i  pie- 


MED  77 

di  agli  apostoli,  e  il  mollo:  Tu  Do- 
minus  El  Magister  (questo  Papa  nel 
rinnovare  sontuosamente  il  ciborio 
e  l'altare  di  s,  Agnese  fuori  le  mu- 
ra, ne' due  lati  dell'architrave  fece 
incassarvi  due  sue  medaglie,  l'una 
d'oro  e  l'altra  di  argento).  Il  se- 
condo conio  è  di  Urbano  Vili,  an- 
no VII,  con  sua  effigie  in  piviale, 
e  nel  rovescio  1'  epigrafe:  Tu  Domi- 
nus  Et  Magister,  nell'esergo  Exempl. 
Dedi  Vobis,  ed  il  Redentore  che  la- 
va i  piedi  agii  apostoli  ;  ve  n'  è  pure 
altro  dell'anno  XIII.  Tre  ne  esi- 
stono del  successore  Innocenzo  Xj 
rappresentato  in  piviale  ed  in  ca- 
mauro, mozzetta  e  stola.  In  quello 
di  Alessandro  VII  dell'anno  XIII 
l'epigrafe  dice:  Formani  Servi  Acci- 
piens.  Nel  voi.  XXI,  p.  i5g  e  162 
del  Dizionario,  si  é  detto  perchè 
vestano  di  bianco  quelli  cui  il  Pa- 
pa lava  i  piedi,  e  da  che  ebbe  ori- 
gine la  dispen«a  che  si  fa  loro  del- 
le medaglie. 

Nella  più  volte  nominala  zecca 
pontifìcia  vi  sono  conii  di  medaglie 
per  gettare  nei  fondamenti  di  nuo- 
vi edifizi,  come  di  Clemente  XI 
per  la  chiesa  dell'  arciconfraternita 
delle  stimmate  di  s.  Francesco,  Pri' 
marium  Lapidem  Imposuit  De  Men- 
se, ec,  ;  di  Clemente  XII  per  la  sua 
cappella  nella  basilica  Lateranense, 
Primo  Imposito  Lapidem  XF  Cai. 
Junì.  Sacelluni  In  Honorem  S. 
Andreae  ec.  ;  e  del  medesimo  per 
la  chiesa  dell' arciconfraternita  del 
ss.  Nome  di  Maria,  Sacerdos  Ma- 
gnus  In  Diebus  Suis  Corroboravit 
Tempi.  Eccl.  1736.  Del  gettito 
delle  medaglie  e  prima  pietra  nelle 
fondamenta  delle  chiese,  se  ne  ten- 
ne proposito  nel  voi.  XI,  pag.  233 
del  Dizionario,  e  in  altri  luoghi 
come  Bambin  Gesù,  Fobù  ,  e  per 
la  diga  di  Malamocco  in  quell'arti- 


yS  MED 

colo.  Che  anco  i  Papi  posero  niecln- 
glie  nei  fondamenti  di  edinzi  non  sii- 
cii  bastino  questi  esempi.  Pio  IV  pri- 
ma di  edificare  in  Roma  il  Borgo 
Pio,  soleuncMnenle  agli  8  maggio 
i56i  gitlò  ne'  fondamenti  diverse 
sue  medaglie  d' oro  e  d' argento, 
facendo  altrettanto  per  la  porta  Pia; 
e  Gregorio  XUl  nel  i574  prima 
di  far  rifabbricare  il  ponte  di  s. 
Maria  detto  Rotto,  vi  si  recò  con 
cinque  cardinali,  per  dare  la  bene- 
dizione al  principio  dell'  opera,  e 
giltar  ne'  fondamenti  medaglie  d'o- 
ro e  d' ai'gento  fatte  da  lui  conia- 
re. Delle  medaglie  coll'epigrafe  Be- 
nemerenti in  mezzo  ad  una  corona 
civica,  nella  zecca  vi  sono  i  seguen- 
ti conii  coll'effigie  de' rispettivi  Pa- 
pi. Di  Pio  VII  per  premiare  quel- 
li che  si  distinguevano  nell'innesto 
del  vrtiuolo.  Di  Leone  XII  per  pre- 
miare i  benemeriti  delle  arti,  scienze 
e  utilità  pubblica,  ed  altra  simile.  Di 
Pio  Vili.  Di  Gregorio  XVI,  desti- 
nata a  rimunerare  i  benemeriti  co- 
me sopra  ;  colla  stessa  epigrafe  su 
d'  una  pergamena  sostenuta  da  due 
angeli  in  atto  di  volare,  uno  dei 
quali  con  ramo  d' ulivo  in  mani, 
coniata  per  premiare  il  valor  mili- 
tare; più  una  terza  con  corona  di 
quercia.  Ve  ne  sono  coli'  effigie  dei 
Papi,  e  dentro  una  corona  d'alloro 
coH'iscrizione:  Academiis  Archigy- 
mnasii  Romani,  per  la  premiazione 
di  questo  ;  e  con  corona  d'  oliva  e 
l'epigrafe:  Aiidiloribus  Archi gyi ima- 
sii  Romani,  pel  medesimo  fine.  Per 
la  distribuzione  delle  medaglie  nella 
solennità  de'  ss.  Pietro  e  Paolo, 
benché  sia  sede  vacante^  essa  ha 
luogo,  e  due  conii  ne  abbiamo,  di- 
spensandosi agli  officiali  della  came- 
ra apostolica,  del  palazzo  apostoli- 
co, come  notammo  in  più  luoghi, 
e  ad  altri.  Per  morte  di  Alessandro 


MED 
Vili  fu  coniata  coll'epigrafe  Sede. 
Placante  1 69  r ,  con  le  teste  de'  ss. 
Pietro  e  Pàolo,  e  nel  rovescio  la 
iscrizione:  Veni  Lumen  Cordium,  e 
sotto  Roniae,co\ìo  Spirito  Santo  fra 
i  raggi.  Per  morte  di  Benedetto 
XIV  fu  coniata  col  molto  Sede  Va- 
cante lySS,  eie  teste  de'ss.  Pietro 
e  Paolo,  e  nel  rovescio  1'  epigrafe: 
Spiritus  Oris  E/us ,  collo  Spirito 
Santo  volante  fra  raggi.  Per  mor- 
te di  Gregorio  XVI  fu  pure  conia- 
ta colle  dette  effigie,  e  per  man- 
canza di  tempo,  e  per  la  mirabile 
sollecita  elezione  del  Papa  che  regna, 
servi  tal  conio  per  la  successiva  di- 
spensa, giacché  quello  della  medaglia 
che  si  doveva  coniare  pel  defunto 
Pontefice,  rappresentante  mirabil- 
mente il  museo  Gregoriano  Latera- 
nense  da  lui  fondato,  fu  riposto  nel- 
la zecca  pontificia:  tale  medaglia 
meglio  descrivesi  a  Museo  Grego- 
riano Lateranense.  Qui  noteremo 
che  nel  voi.  XV,  p.  Soy  del  Dizio- 
nario dicemmo,  che  pel  conclave 
coniano  medaglie  d'argento,  bronzo, 
stagno  o  mistura,  e  anche  d'oro  il 
cardinal  camerlengo,  i  prelati  mag- 
giordomo come  governatore  del  con- 
clave, il  governatore  di  Roma,  l'u- 
ditore della  camera  ed  il  tesoriere, 
il  maresciallo  del  conclave  ed  il 
magistrato  romano,  di  che  se  ne  par- 
la meglio  ai   loro  articoli. 

Finalmente  nella  zecca  pontificia 
quando  si  è  battuta  una  certa  quan- 
tità di  Monete  [Vedi),  prima  di 
darle  fuori  si  suole  per  antico  uso 
alla  presenza  del  chierico  di  came- 
ra presidente  e  di  altri  officiali,  di- 
videre in  due  puzzi  una  delle  nuo- 
ve -monete:  con  uno  di  essi  si  fa 
prova  al  fuoco  della  bontà  del  me- 
tallo, r  altro  si  custodiscej  finché 
col  progresso  del  tempo  accumula- 
tasene   una  quantità  notabile,  s'irà- 


MED 

piega  a  battere  una  medaglia  da 
dispensarsi  agli  stessi  oflicìali  della 
zecca,  ove  vi  sono  di  queste  meda- 
glie i  seguenti  conii.  Di  Urbano  Vili 
con  effigie  in  piviale,  anno  XVII,  e 
nel  rovescio  padiglioni  con  chiavi 
incrociate,  antica  insegna  della  chie- 
sa romana,  e  la  leggenda  Assagiuin 
Generale  iBSg.  Simili  di  Alessan- 
dro VII,  i656;  di  Clemente  IX  in 
mozzetfa,  1669;  di  Clemente  XII 
coir  iscrizione  Ex  Conlalicia  Pro- 
halaq.  Moneta,  nell' esergo  Puhlìcae 
Fidei  Moniment.  x'jZS;  di  Bene- 
detto XIV  colla  leggenda  Ex  Pro- 
halae  Monetae  Segmentisy  nell'esergo 
Fides  Puhlica  174*2,  ed  altra  col 
motto  Ex  Collectis  Fragnienlis  1  74?» 
e  nel  rovescio  le  solite  insegne  del 
padiglione  e  chiavi,  e  l'iscrizione  As- 
sagiuni  Generale.^eì  voi.  VI,  p.  7.00, 
e  Vili,  p.  188  del  Dizionario  si  è 
detto  che  dentro  la  cassa  del  de- 
funto Pontefice  dal  maggiordomo 
si  pongono  tre  borse  di  velluto  cre- 
misi trinate  d'oro,  con  medaglie  di 
oro,  d'argento  e  di  bronzo  coniate 
nel  suo  pontificato  ;  ma  nella  tu- 
mulazione di  Gregorio  XVI  ciò 
non  fu  osservato,  quanto  alle  borse, 
giacché  in  una  sola  si  misero  le  sue 
numerose  medaglie,  perchè  cos'i  era 
stalo  fatto  per  Pio  VIII,  il  quale 
avendo  regnato  soli  venti  mesi,  po- 
che ve  n*  erano  da  porsi  nelle  tre 
borse.  Dicemmo  di  sopra  che  nella 
sola  zecca  pontificia  vi  sono  quaran- 
tatre conii  di  medaglie  coniate  per 
(Megorio  XVI,  mentre  particolari 
incisori  ne  coniarono  allre,  giacche 
per"  non  dire  di  tutte,  l'ospizio  apo- 
stolico ne  fece  coniare;  il  magistra- 
to romano  celebrò  con  niedaglia  la 
custodia  che  gli  affidò  del  museo 
capitolino,  oltre  il  marmoreo  busto 
rhe  gli  erosse  in  Campidoglio  ;  nel 
1841   fu  coniala  uua    gran   uicda- 


M  E  D  79 

glia  coll'epigrafe  Benefìccnlin  Puhli- 
caj  e  le  città  di  Perugia,  Viterbo  rd 
Orvieto  celebrarono  l'apiilaudito  e 
festeggiato  suo  viaggio  del  1841  con 
apposite  medaglie  d'oro,  d'argen- 
to e  di  bronzo,  come  fece  nel 
1843  Prosinone  per  aver  quel  Pa- 
pa onorato  di  sua  presenza  la  città 
e  provincia  che  percorse  come  in 
trionfo.  Dal  Diario  del  Cecconi  si 
ricava  che  nella  cassa  col  cadavere; 
di  Clemente  XI  furono  collocate  ai 
suoi  piedi  tre  borse  di  velluto  cre- 
misi guarnite  d'oro,  con  entro  ven- 
ti medaglie  (numero  degli  anni  del 
suo  pontificato)  d'  oro  in  una,  ven- 
ti d'argento  nell'altra,  e  venti  di 
metallo  nella  terza,  tutte  con  la 
sua  effigie  ed  operazioni  da  lui  fat- 
te. Il  Baldassarri  nella  Relazione  dei 
patimenti  di  Pio  FI,  t.  II,  p.  356, 
osserva  che  tra  gli  eccessi  commes- 
si dai  repubblicani  di  Roma  del 
termine  del  secolo  passato,  vi  fu 
quello  di  rompere  i  sepolcri  per 
impadronirsi  delle  casse  di  piombo, 
e  che  si  pailò  ancora  di  frugare 
entro  il  deposito  de' Papi,  per  im- 
padronirsi delle  medaglie  d'oro  e 
d'  argento  che  si  suole  riporvi;  ma 
fortunatamente,  giacché  la  spesa  sa- 
rebbe stata  maggiore  dell'  utile 
sperato,  il  vandalico  divisamento 
non  fu  messo  ad  effetto.  Il  medesi- 
mo Baldassarri  t.  IV,  p.  247,  rife- 
risce che  nella  cassa  del  cadavere 
di  Pio  VI,  morto  in  Valenza  nel 
1799,  solo  si  poterono  collocare 
cinque  monete  d' argento,  più  non 
potendosi  rinvenire,  avendo  impres- 
sa quali  l'immagine  e  quali  l'arma 
del  Pontefice;  cioè  uno  scudo,  un 
mezzo  scudo  con  1'  arma,  due  pa- 
petti  con  r  immagine,  ed  un  gros- 
so con  r  arma.  Oltre  le  memorate 
distribuzioni,  di  propria  mano  so- 
gliono i    Pontefici  donare   medaglie 


8o  MED 

d'argento  e  talvolta  d'oro,  ed  A- 
lessandro  VII  sapendo  che  la  re- 
gina di  Svezia  partiva  da  Roiua 
con  poco  denaro,  nobilmente  e  pei" 
un  religioso,  invece  di  monete,  con 
segretezza  le  mandò  una  borsa  di 
medaglie  d'oro  e  d' argento  cele- 
branti il  suo  ingresso  nell'alma  cit- 
tà, con  una  polizza  di  diecimila 
scudi .  Delle  Medaglie  benedette 
regalate  dai  Pontefici,  se  ne  tratta 
a  quell'articolo. 

Paolo  II  fu  uno  dei  primi  in  I- 
lalia  a  formare  una  collezione  o 
museo  di  Medaglie  [Fedi).  Cle- 
mente XII  ampliò  la  Biblioteca  Va- 
ticana, ed  in  essa  vi  pose  quelle 
medaglie  di  cui  parlammo  a  quel- 
l'articolo; ivi  pure  si  disse  come 
Benedetto  XIV  unì  alla  collezione 
delle  medaglie  pontificie  le  impe- 
riali, di  che  fu  pure  benemerito 
Clemente  XIV,  ch'ebbe  in  dono  dal 
re  di  Francia  la  raccolta  di  tutte 
le  medaglie  che  formavano  la  sto- 
ria cronologica  de'  re  suoi  prede- 
cessori; come  lo  fu  Pio  VI  che  da 
Gustavo  HI  l'e  di  Svezia  ricevè  in 
regalo  la  serie  delle  medaglie  d'oro 
e  d'argento  coli' effigie  ed  elogio  di 
di  tutti  i  sovrani  e  degli  uomini  più 
celebri  della  Svezia,  ch'egli  collocò 
nel  museo  Pio-Clementino,  presso  ad 
altre  serie  numismatiche  donategli 
da  Luigi  XVI  e  da  Caterina  II 
imperatrice  di  Russia.  Nel  i8o3  fu 
stampato  in  Lipsia  un  libro,  che 
oltre  il  descrivere  i  codici  mss.  tolti 
alla  biblioteca  Vaticana,  per  uno 
de' patti  della  pace  di  Tolentino,  in- 
dica ancora  i  libri,  i  vasi  e  le  meda- 
glie che  la  biblioteca  medesima  per- 
dette quando  Berlhier  s' impadronì 
di  Roma.  Le  dette  cose  furono  con- 
segnate dagli  uffiziali  della  biblioteca 
al  pittore  Wicar  a  ciò  incaricato 
dai  commissari  francesi.  In  quanto 


MED 
ni  le  medaglie,  la  maggior  parie  e- 
raiio  montate  in  piccoli  sciigni  di 
legno  del  Brasile.  Eccone  l' indica- 
zione, riportata  meglio  dal  citato 
Baldassarri  p.  349  ^  *^o>  secondo 
r  ordine  cui  le  contrassegnò  il  Wi- 
car. Medaglie  delle  famiglie  roma- 
ne Julia  ad  Memniìam  242,  Mi- 
nticiam  ad  Foslumiain  air,  Cal- 
purniani  ad  Crepusiam  ^44»  ^bu- 
ria  ad  Sauftjam  iSg,  Poslumia 
ad  Tulliani  2o5,  Sosia  ad  Ro- 
mani 5^,  Vargunteja  ad  Voltejani 
61.  Niunismata  populoruni  et  ur- 
biuni  89,  più  74;  de' re  e  tiranni 
49,  più  92;  de' re  di  Siria  35, 
de' re  d'Egitto  8,  de' re  di  Mace- 
donia 22,  miscellanea  di  medaglie 
regie  io,  medaglie  di  Maria  Tere- 
sa delle  imperatrici  romane  81,  più 
17;  d'oro  di  Caterina  II  impera- 
trice di  Russia  2,  d' oro  di  Luigi 
XV  re  di  Francia  irò,  d'oro  dei 
re  di  Portogallo  61  ed  altrettante 
d'  argento,  d'  oro  de'  re  di  Sarde- 
gna 3,  d' oro  degli  elettori  Palatini 
3o  ;  d' argento  de'  Papi  da  Inno- 
cenzo XI  a  Clemente  XII  122,  più 
da  Innocenzo  X  ad  Innocenzo  XII 
126,  più  da  Clemente  XII  a  Pio 
VI  1 04,  da  Martino  V  ad  Innocen- 
zo X  i65;  d'oro  da  Martino  V  a 
Pio  IV  82,  da  questi  a  Urbano 
Vili  126,  di  Clemente  XI  42,  da 
s.  Pietro  a  Pio  IV  io5,  da  Urba- 
no Vili  a  Innocenzo  XII  io6;  di 
argento  degl'imperatori  da  Giulio 
Cesare  a  Nerva  22  3  ,  da  Giulia 
Manimea  a  Aurelio  Quintillo  229, 
da  Commodo  a  Salonina  Orbiana 
277,  da  Traiano  a  Lucilla  262,  da 
Domiziano  Aureliano  a  Costantino 
Copronimo  90;  d'oro  da  Filippo 
Seniore  a  Costantino  Pogonato  1 1 3, 
da  Costanzo  Cloro  a  Costantino 
Dracose  i3o,  da  Giulio  Cesare  a 
Gallieno   i56,    da  Settimio   Severo 


MED 
r\  Gordiano  Pio  160,  da  Marc'Au- 
•olio  a  Settimio  Severo  17G,  da 
Pompeo  a  Neiva  1 35,  da  Traiano 
a  Faustina  e  Antonino  207.  Delle 
famiglie  romane  dalla  Crepusia  al- 
la Giulia  7.9.0,  de'  popoli  e  città 
85,  delle  famiglie  romane  dall'  A- 
1)uria  alla  Calidia  i.5t).  Medagliere 
acquistato  dalla  casa  Albani  da  Cle- 
mente XU  colla  serie  degli  impe- 
ratori romani  in  medaglioni  di  pri- 
ma forma  SaS  ;  altro  medagliere 
de'Carpegna,  poi  di  Benedetto  XIV, 
con  serie  di  medaglioni  lyS;  altro 
medagliere  di  Clemente  XIV  con 
serie  d'  imperatori  in  bronzo  di 
massima  e  prima  forma,  e  delle 
famiglie  romane  in  argento  1261J 
altro  con  serie  d' imperatori  roma- 
ni in  bronzo  di  mezzana  e  piccola 
forma  e  in  argento,  e  quella  de're, 
città  e  popoli  similmente  in  argen- 
to e  in  bronzo  19^9;  altri  cinque 
medaglieri  con  la  serie  in  mezza- 
no  e  piccolo  bronzo  da  Giulio 
Cesare  a   Probo   78 7. 

Questo  tesoro  perdette  la  bibliote- 
ca Vaticana,  oltre  più  di  200  caracnei 
sacri  superbamente  legati  in  oro,  e 
taluno  d'insigne  grandezza  e  sublime 
artifizio,  una  croce  pettorale  gemma- 
ta assai  preziosa,  un  ricchissimo  vaso 
d'oro,  un  gran  numero  di  cammei 
profani,  fra'quali  quello  rinomato 
di  Bacco  ed  Arianna,  compresi  i 
io5  della  famosa  collezione  di 
Cristina  i-egina  di  Svezia,  già  de- 
gli Odescalchi  ed  illustrati  da  Pie- 
tro Sante  Barloli  ;  molto  più  copio- 
sa era  eziandio  la  collezione  forma- 
ta da  altri  cammei  profani  che  di- 
versi Papi  e  segnatamente  Pio  VI 
aveano  acquistati  a  decoro  della 
biblioteca  Vaticana.  Tra  di  essi  e- 
rano  5oo  antichi  medaglioni  già 
degli  Albani  e  de'  Carpegna  splen- 
didissimi.   Vi    era    ancora    la    serie 

\0L.     XLIV. 


MEJ>  81 

delle  monete  de'  Papi  e  di  altri 
principi  europei.  Oggetti  tutti  che 
diversi  ingordi  si  appropriarono  col- 
le loro  ruberie.  Riportando  il  Bal- 
dassarri  un  brano  intorno  alle  me- 
daglie rapite  alla  Vaticana,  del 
dotto  cardinal  Mai,  esso  dice  cosk 
w  Furono  in  pari  tempo  devastati, 
e  poscia  in  parte  scarsa  restituiti,  il 
medagliere  già  degli  Odescalchi,  poi 
Vaticano,  altresì  copioso  in  ogni 
forma,  metallo  e  patria.  Una  par- 
te di  ^questo  era  composta  delle 
medaglie  dei  Carpegna,  descritte  dal 
Buonarroti  ;  delle  medaglie  degli 
Albani,  descritte  dal  Venuti;  delle 
medaglie  della  regina  Cristina,  poi 
degli  Odescalchi,  descritte  dall'Ha- 
vercamp;  delle  medaglie  pontificie, 
descritte  dallo  Scilla  ;  delle  meda- 
glie del  Vitali,  descritte  dall'illu- 
stre Visconti  ;  1'  altra  grande  parte 
dello  stesso  medagliere  Vaticano  era 
proveniente  dai  Capponi,  da  Balle- 
rini, da  Borioni,  da  Passionei,  da 
Zelada  e  da  altri,  e  fu  diligente- 
mente descritta,  con  le  pontificie 
medaglie,  e  con  i  piombij  dal  dotto 
e  benemerito  Elia  Baldi.  Fu  pine 
asporlato  il  forziere  adorno  di  bril- 
lanti, nel  quale  l' imperatrice  Ma- 
ria Teresa  spedì  a  Clemente  XIV 
un  dono  delle  proprie  medaglie  in 
oro  :  delle  quali  una  parte  soltan- 
to fu  ricuperata,  ma  senza  il  for- 
ziere ".  Finalmente  a'  nostri  giorni 
Gregorio  XVI,  come  dicemmo  a 
BiiiLioTECA  Vaticana,  questa  in  più 
modi  arricchì  di  oggetti  propri  an- 
che sacri,  ed  ai  due  musei  numi- 
smatico e  profano  unì  due  insigni 
raccolte  di  medaglie  e  di  gemme. 
Gli  donò  ancora  il  celebre  gran 
medaglione  d'argento  di  Benvenuto 
Cellini,  rappresentante  il  potentissi- 
mo Carlo  V  sedente  in  trono,  cir- 
condandone le  soglia  tutti  i  sovra- 
6 


82  MED 

ni  da  lui  debellati.  Da  ultimo  ac- 
quistò una  preziosa  serie  di  gem- 
me incise  dal  valente  cav.  Girola- 
mo Girometti,  e  ne  fece  dono  alla 
stessa  biblioteca,  cui  finalmente  con 
disposizione  testamentaria  lasciò  cin- 
que astucci  contenenti  sessanta  me- 
<Iflglioni  rappresentanti  fatti  scrittu- 
rali, con  la  versione  inglese  dei  ri- 
spettivi testi,  ricevuti  in  regalo  da 
Londra. 

MEDARDO  (s.),  vescovo  di 
Noyon.  Nacque  di  cospicua  prosa- 
pia a  Salency  nella  Picardia,  circa 
l'anno  ^5'j.  Fin  dalla  fanciullezza 
fece  mostra  delle  piò  belle  virtù, 
e  di  particolare  affezione  verso  i 
poveri.  Come  fu  in  istato  di  atten- 
dere ai  gravi  studi,  fu  mandato  a 
Vermand,  capitale  della  provincia; 
poscia  a  Tournai.  I  suoi  genitori, 
invaghiti  delle  felici  disposizioni  che 
egli  dimostrava,  lo  richiamarono  a 
Vermand,  e  pregarono  il  vescovo 
d'istruirlo  nella  scienza  delle  divine 
scritture.  Egli  fece  stupire  il  pre- 
cettore colla  rapidità  de'  suoi  avan- 
zamenti, e  colla  fervorosa,  umile  e 
castigata  sua  vita.  Ordinato  prete 
in  età  di  trentatre  anni,  divenne 
uno  de' più  begli  ornamenti  del 
clero.  Morto  nel  53 o  Alomero  ve- 
scovo del  paese,  tutti  i  voti  si  riu- 
nirono in  favor  di  Medardo,  il  qua- 
le fu  consaci'alo  vescovo  da  s.  Remi- 
gio. La  dignità  episcopale  e  le  fatiche 
del  ministero  non  gli  fecero  sce- 
mare le  sue  austerità  ;  e  quanto 
più  avanzava  negli  anni,  raddoppia- 
va il  fervore  in  tulli  i  suoi  eser- 
cizi. Il  suo  zelo  non  potè  stare  rin- 
chiuso entro  la  diocesi;  ma  ac- 
correva per  tutto  ove  trattavasi  di 
procurare  la  gloria  di  Dio,  e  di 
estirpare  le  reliquie  della  idolatria. 
Le  calunnie  e  le  persecuzioni  gli 
porgevano   materia    di    gioia,  e  ne 


MED 
trionfava  col  silenzio  e  colla  dol- 
cezza. Sentì  acerbo  dolore  nel  ve- 
dere la  sua  diocesi  in  pre<la  alle 
stragi  degli  unni  e  de' vandali;  ma 
ciò  fece  spiccare  vieppiù  le  sue  vir- 
tù :  egli  fu  sempre  il  padre  e  il 
consolator  degli  afflitti.  Ridotta  la 
città  di  Vermand  in  uno  stato  de- 
plorabile, trasportò  la  sede  vesco- 
vile a  Noyon.  Dopo  la  morte  di  s. 
Eleuterio,  desiderando  il  clero  ed 
il  popolo  di  Tournai  di  avere  a  ve- 
scovo Medardo,  fu  esso  obbligato  di 
assumere  il  governo  anche  di  que- 
sta diocesi,  che  perciò  fu  unita  a 
Noyon.  Il  santo  vescovo  visitò  tutti 
i  luoghi  delia  nuova  diocesi,  in  cui 
regnava  ancora  l'idolatria,  per  strap- 
parli alla  superstizione  ed  alle  con- 
scguenti sregolatezze.  Gli  ostacoli  che 
egli  incontrò,  ed  i  pericoli  che  corse 
più  volte  di  perder  la  vita,  non  fece- 
ro che  infiammare  maggiormente  il 
suo  zelo.  Le  sue  fatiche  ed  i  suoi  mi- 
racoli produssero  si  prospero  effet- 
to, che  la  luce  dell' evangelio  dis- 
sipò le  tenebre  del  paganesimo  in 
tutta  l'estensione  delle  sue  diocesi. 
Fra  i  popoli  la  cui  conversione  gli 
costò  molte  pene,  furono  gli  anti- 
chi abitatori  della  Fiandra,  i  quali 
sorpassavano  in  ferocia  e'  barbarie 
tutte  le  nazioni  delle  Gallie.  Con 
infiniti  travagli  egli  giunse  a  rifor- 
mare ì  loro  costumi,  ed  ispirar  loro 
l'amore  delle  massime  evangeliche. 
Ritornalo  a  Noyon  diede  il  velo  di 
religiosa  alla  regina  Radegonda,  col 
consenso  di  Clotario  suo  marito. 
Questo  re  che  avea  sempre  onorato 
Medardo  come  un  gran  servo  di  Dio, 
andò  a  visitarlo  nvW  ultima  ma- 
lattia, per  ricevere  la  di  lui  bene- 
dizione. 11  santo  non  sopravvisse  di 
molto  alla  partenza  del  principe, 
e  andò  a  ricevere  in  cielo  il  pre- 
mio delle  sue  lunghe  fatiche,  circa 


:med 

r  anno  ^47.  Venne  seppellito  nella 
cattetlralc  di  Noyon,  universalmente 
compianto  ila  tutti  i  francesi.  1  mi- 
racoli operati  alla  sua  tomba  furono 
tanto  maravigliosi,  che  il  re  Clo- 
tario  volle  che  si  trasportassero  le 
reliquie  a  Soissons,  ove  faceva  la 
sua  principale  residenza  ;  e  furono 
portate  in  una  preziosissima  cassa, 
assistendo  alla  cerimonia  lo  stesso 
re,  i  suoi  figli  e  i  principali  della 
corte.  La  sua  festa,  che  celebrava- 
si  in  Francia  con  grandissima  so- 
lennità, è  segnata  il  giorno  8  di 
luglio. 

MEDEA  o  MEDIA.  Sede  vesco- 
vile  della  provincia  d' Europa,  nel- 
l' esarcato  di  Tracia,  sotto  la  me- 
tropoli di  Eraclea,  presso  il  mar 
Nero,  che  nel  IX  secolo  divenne  ar- 
civescovato onorario.  Si  conoscono 
i  seguenti  suoi  vescovi.  Eutimio  che 
assistè  al  concilio  del  patriarca  Ca- 
listo nel  i3:)i,  dov'è  qualificato 
metropolitano  ;  Stefano  fiorito  sotto 
Giovanni  Paleologo  II,  cui  successe 
Stefano;  Gioacchino  che  sottoscrisse 
la  deposizione  del  patriai-ca  Joasaph 
nel  1 564  ;  e  Daniele  che  sottoscris- 
se la  risposta  del  patriarca  Dionigi 
sugli  errori  de' calvinisti  nel  1672. 
On'ens  christ.  t.  I,  p.  11 44-  ^^^' 
dea,  Aleden,  al  presente  è  un  titolo 
vescovile  in  parlihui,  sotto  l' arci- 
vescovato pure  in  partibus  di  Ei'a- 
clea,  che  conferisce  la    santa  Sede. 

MEDERICO  (s.),  abbate.  Nacque 
ad  Autun  nel  settimo  secolo,  da  il- 
lustre famiglia.  Animato  da  un  co- 
centissimo  desiderio  di  servire  Iddio 
senza  distrazione,  volle  lasciare  il 
mondo  nel  suo  tredicesimo  anno. 
I  suoi  genitori  si  opposero  dappri- 
ma al  suo  disegno;  ma  alla  fine 
permisero  che  seguisse  la  sua  vo- 
cazione, e  lo  presentarono  essi  me- 
desimi air  abbazia  di  s.  Martino  di 


MED  83 

Antim.  Merlerico  si  perfezione)  nel- 
la pratica  d'  ogni  virtù,  ed  in'  capo 
ad  alcuni  anni  fu  eletto  a  gover- 
natore del  monastero,  malgrado  gli 
sforzi  ch'egli  fece  per  esentarsi  da 
questa  carica.  Precedette  i  suoi  fra- 
telli nelle  vie  della  perfezione  che 
loro  additava,  e  salì  presto  in  tanta 
riputazione  di  santità,  che  accorre- 
va gente  da  tutte  le  parti  per  con- 
sultarlo. Temendo  d'  invanirsene, 
rinunziò  la  sua  dignità,  e  ritirossi 
in  una  foresta  lontana  d' Autun  cir- 
ca una  lega  e  mezza,  dove  rimase 
per  qualche  tempo  nascosto,  gua- 
dagnandosi il  vitto  lavorando;  ma 
scopertosi  il  luogo  del  suo  ritiro, 
fu  costretto  ritornare  al  monastero. 
Indi  a  non  molto  lasciò  novella- 
mente i  suoi  fratelli,  per  apparec- 
chiarsi alla  morte  con  maggior  li- 
bertà ;  e  con  uno  de'  suoi  amici 
chiamato  Fradolfo  andò  ad  abita- 
re una  cella  contigua  ad  una  cap- 
pella intitolata  a  s.  Pietro,  in  un 
sobborgo  a  settentrione  di  Parigi. 
Visse  colà  circa  tre  anni,  sempre 
aggravato  da  diverse  infermità,  che 
posero  fine  a' suoi  giorni  intorno 
l'anno  700,  Fu  seppellito  nella 
cappella  di  s.  Pietro,  in  luogo  del- 
la quale  si  edificò  poi  una  chiesa 
che  porta  il  suo  nome,  ed  è  arric- 
chita delle  sue  reliquie.  S.  Mede- 
rico  è  nominato  nel  martirologio 
romano  ai   29  di  agosto. 

MEDICI  Famigua.  Questa  ce- 
lebre, sovrana  ed  illustre  famiglia 
toscana  esercitò  l' influenza  piìi  de- 
cisa sul  risorgimento  delle  lettere, 
delle  arti  e  delle  scienze,  e  l'epo- 
ca del  suo  più  grande  splendore 
venne  indicata  col  nome  di  secolo 
de  Medici;  il  perchè,  e  pei  suoi 
dominii,  potenza,  ricchezza  ed  avve- 
nimenti, se  ne  tratta  in  moltissimi 
articoli  di  questo  Dizionario.  Secon- 


84 


MED 


do  alcuni  sci-iltori  fu  originaria  di 
Alene,  pel  qual  sentimento  aggiun- 
gono aversene  prove  chiarissime; 
secondo  altri  oriunda  dal  luogo  det- 
to Mugello  nella  Toscana,  situato 
negli  Apenniiìi,  e  chiamata  Medici 
da  un  antenato  loro  nomato  Medi- 
cOj  signore  del  castello  Senone  nel 
Mugello,  ora  rovinato,  ovvero  come 
altri  scrivono,  dall' esser  delta  fa- 
miglia la  medicina  applicata  a  Fi- 
renze contro  i  tirarmi.  Quantunque 
alcuni  genealogisti  abbiano  fatta  ri- 
salire la  famiglia  de  Medici  ai  pa- 
ladini di  Carlo  Magno,  non  è  an- 
tichissima la  sua  origine.  Ella  fio- 
riva già  prima  dell'anno  1074, 
essendone  il  progenitore  Giovanni 
del  Medico  circa  l'anno  loSo.'SV- 
verardo  era  gonfaloniere  nel  i3i4 
in  Firenze:  da  lui  tutti  i  de  Medici 
e  quelli  che  vivono  ancora  ài  dì 
d'  oggi  discendono  coin€  da  uno 
stipite  comune.  Dopo  di  lui  si  vi- 
dero nel  1343  dei  de  Medici  figu- 
rare tra  i  plebei  che  congiurarono 
contro  il  duca  di  Atene;  e  nel  i35[ 
un  de  Medici  rendersi  chiaro  nel- 
l'esercito fiorentino,  introducendo 
una  compagnia  d'  infanteria  nel  ca- 
stello di  Scai-peria ,  assediato  dai 
Visconti  signori  di  Milano.  Nel 
i36o  Bartolomeo,  figlio  d'  Alaman- 
no de  Medici,  entrò  in  una  congiu- 
ra contro  Firenze  sua  patria.  Tut- 
ta la  sua  famiglia  si  era  innalzata 
per  mezzo  del  commercio  ad  una 
grande  opulenza  e  ricchezza  ;  ma 
vedera  con  occhio  d' invidia  le  fa- 
miglie più  antiche  occupare  un  gra- 
do più  distinto  nello  stalo.  La  tra- 
ma de' Medici  che  avrebbe  pro- 
babilmente rovesciato  la  repubblica. 
se  fosse  riuscita ,  fu  scoperta  in 
tempo  per  salvarla;  e  Bartolomeo 
fu  sottratto  alla  vendetta  delle  leggi 
da   suo    fratello     Salveslro   ch'era 


MTTD 

nella  magistratura.  Salvestro  de  Me* 
dici  divenuto  nel  1378  gonfalonie^ 
re  o  capo  della  repubblica  di  Fi- 
renze, sollevò  il  popolo  contro  un 
governo  di  cui  era  geloso,  quan- 
tunque ne  fosse  momentaneamente 
capo,  scompigliò  la  repubblica,  dan- 
dola in  preda  alla  plebaglia,  ed 
esercitò  le  vendette  di  sua  famiglia 
contro  un'  aristocrazia  eh'  essa  de- 
testava, e  contro  la  famiglia  Albizzi, 
oggetto  principale  della  sua  gelosia. 
Il  trionfo  di  Salvestro  fu  breve,  e 
nel  i38t  venne  relegato  a  Modena, 
allorché  1'  antico  partito  aristocra- 
tico ricuperò  la  superiorità.  Ma  la 
persecuzione,  provata  in  tale  occa- 
sione dai  Medici,  li  rese  più  chiari; 
e  siccome  in  pari  ten^po  il  com- 
mercio accresceva  rapidamente  le 
loro  ricchezze,  mentre  i  Ricci  e  gli 
Alberti,  che  avevano  per  l' innanzi 
diretto  il  partito  popolare,  perde- 
vano la  loro  fortuna  e  la  conside- 
razione, i  Medici  furono  riputali  i 
capi  del  partito  plebeo.  Parecchi  di 
essi  erano  esiliati  ;  ma  Giovanni  fi- 
glio di  Bicci  non  avea  abbando- 
nato Firenze,  dove  continuava  il  suo 
commercio,  ed  in  cui  era  saHto  ad 
un  grado  di  opulenza  che  gli  atti- 
rò la  considerazione  dello  stessa 
partito  nemico.  Accoppiava  altron- 
de ai  talenti  d' un  uomo  di  sta- 
to una  dolcezza  ed  una  modera- 
zione che  gli  cattivarono  tutti  i 
cuori.  Tre  volte  dopo  il  i4o2  fu 
priore  della  signoria  ;  alla  fine  nel 
142 1,  innalzalo  venne  alla  prima 
dignità  dello  stato,  cioè  di  gonfa- 
loniere di  giustizia,  e  la  sua  elezio- 
ne fu  considerata  come  un  trionfa 
del  partito  popolare. 

Giovanni  di  Bicci  de  Medici  mori 
nel  1429  lasciando  due  figli,  Co- 
smo o  Cosimo  soprannomalo  il  ^'ec- 
ciào  o  il  padre  della  patria,  che 


MED 

{il  capo  della  repubblica  fiorentina 

iJiil  «4^4  3'  '4^4»  ''  ^"'  P''i'"0" 
genito  Pietro  1  gli  successe  nel  go- 
verno, e  mori  nel  1469.  Lorenzo 
de  Medici  detto  il  Magnìfico,  di  lui 
(iglio,  prese  allora  il  governo  della 
repubblica  fiorentina,  e  scampò  la 
vita  nella  congiiua  de'Pazzi,  in  cui 
restò  ucciso  il  fratello  Giuliano  1  : 
da  lui  nacque  Giovanni,  che  diven- 
ne nel  i5i3  Leone  X,  e  seguen- 
do le  gloriose  traccie  de'  suoi  an- 
triiali,  diede  il  suo  nome  all'epoca 
più  cospicua  dell' italiana  letteratu- 
ra e  delle  arti.  Inoltre  Lorenzo  e- 
ducò  Giulio  nato  da  un  matrimo- 
nio segreto  del  defunto  fratello,  che 
nel  iSaS  fu  eletto  Papa  col  nome 
di  Clemente  VIL  Pietro  II  figlio  di 
Lorenzo  il  Magnifico  e  suo  successo- 
re nel  i49'2  nell'amministrazione 
di  Firenze,  ne  fu  cacciato  in  capo  a 
due  anni,  e  morì  nel  i5o3  :  suo  fra- 
tello Giuliano  II  venne  fatto  duca 
di  Nemours  nel  i5i5,  e  morì  nel 
i5i6.  Figlio  di  Pietro  II  fu  Lo- 
renzo II  che  divenne  capo  della 
repubblica  fiorentina  dal  i5i3  in 
poi,  duca  d'  Urbino  nel  i5i6,  e 
morì  nel  i5ig.  Alessandro  de  Me- 
dici figlio  naturale  di  Lorenzo  II, 
o  di  Giulio,  fu  il  primo  duca  di 
Firenze,  dove  regnò  dal  i53o  al 
i537,  avendo  sposato  Margherita 
d'Austria  naturale  di  Carlo  V.  Da 
Lorenzo  dello  il  Vecchio,  capo  del- 
la seconda  linea  de  Medici,  figlio 
di  Giovanni  di  Dicci,  discesero  nel- 
la quarta  generazione,  da  una  par- 
te il  Bruto  fiorentino  Lorenzino  de 
Medici,  uccisore  del  duca  Alessandro 
in  cui  terminò  la  prima  linea  Medi- 
cea, e  d'  altra  parte  Giovanni  ge- 
nerale italiano  detto  dalle  bande 
mie,  per  le  divise  che  alla  sua  morte 
vestirono  i  suoi  fidi  soldati.  Il  di 
lui  figlio  Cosimo  1  nel    iSS;  alla 


MED  85 

morte  di  Alessandro  fu  elevalo  a 
duca  di  Toscana,  e  nel  i-'ì'Cg  da  s. 
Pio  V  alla  dignità  di  granduca,  e 
terminò  di  soggiogare  la  suia  patria, 
trasmettendo  la  sua  corona  ai  di- 
scendenti «ella  persona  di  sei  gran- 
duchi,  terminando  la  sua  linea  nel 
1737.  Dal  primo  ramo  uscì,  oltre 
i  due  Papi  nominati,  Caterina  de 
Medici  regina  di  Francia,  moglie 
del  re  Enrico  H,  e  madre  di  Fran- 
cesco lì,  Carlo  IX  ed  Enrico  III; 
dal  secondo  ramo  uscì  Maria  de 
Medici  che  sposò  Enrico  IV  re  di 
Francia,  e  che  fu  madre  del  re  Lui- 
gi Xlll.  In  tal  modo  la  famiglia 
de  Medici  si  rese  una  delle  più  glo- 
riose e  più  celebri  d' Europa,  per 
aver  prodotto  ventitre  gonfalonieri, 
circa  cento  priori,  sette  granduchi, 
molte  regine  e  sovrane  di  diversi 
regni,  ed  undici  cardinali,  le  cui 
biografie  riportiamo  qui  appresso, 
compresi  quattro  che  divennero  Pa- 
pi, e  quelli  che  rinunziarono  il  car- 
dinalato per  ascendere  al  trono  di 
Toscana.  Innumerabili  sono  i  monu- 
menti lasciati  dalla  famiglia  de  Me- 
dici, e  molti  celebrali  con  medaglie: 
di  quelle  di  Leone  X,  e  Clemen- 
te VII  nella  zecca  pontificia  vi  sono 
i  seguenti  conii.  Tre  di  Leone  X, 
il  primo  collo  stemma  di  casa  Me- 
dici ,  il  secondo  allusivo  alla  libe- 
ralità del  Pontefice  specialmente  ver- 
so i  letterati  ed  artisti,  il  terzo  si- 
mile, tulli  colla  sua  effigie  in  pi- 
viale col  capo  nudo.  Anche  di  Cle- 
mente VII  ve  ne  sono  tre,  il  pri- 
mo collo  stemma  Mediceo,  il  se- 
condo rappresentante  la  chiusura 
delle  porte  sante,  il  terzo  forse  di 
Benvenuto  Cellini  col  riconoscimento 
di  Giuseppe  ebreo,  probabilmente 
riferibile  all'  attaccamento  che  il 
Papa  conservò  pei  fiorentini  mal- 
grado la  poca  loro  coirispoudenza  ; 


86  MED 

tutti  poi  nel  ruvescio  hanno  il  ri- 
tratto di  Clemente  VII  con  piviale, 
e  capo  scoperto.  Ma  della  nobilis- 
sima e  celeberrima  famiglia  Me- 
dici, sono  a  vedersi  gli  articoli  re- 
lativi, segnatamente  Firenze,  To- 
scana, Leone  X,  e  Ciemente  VII. 
Afferma  Bernardo  Corio  nella 
Storia  di  Milano,  che  Pio  IV  e- 
ietto  nel  loSp,  e  figlio  di  Bernar- 
dino de  Medici  nobile  milanese, 
discendeva  dalla  famiglia  di  Firen- 
ze che  si  stabili  in  Milano  a  ca- 
gione delle  guerre  civili,  partendo 
dalla  patria ,  indi  si  estinse.  Si 
pretende  però  da  molti,  che  tal 
lamiglia  non  fosse  veramente  della 
llorentina  casa  de  Medici,  e  che 
fosse  solamente  lo  splendore  del 
pontificato,  che  impegnò  Cosimo  I 
duca  di  Toscana  a  riconoscere  Pio 
IV  per  suo  parente.  Bernardino 
de  Medici,  o  piuttosto  Medichino, 
di  cui  era  figlio,  avea  tenuto  le 
finanze  ducali  del  Milanese,  e  que- 
sta fu  la  fortuna  di  suo  fratello 
maggiore  Giangiacomo,  divenuto  in 
seguito  famoso  marchese  di  Mari- 
gnano,  che  fece  pensare  alla  sua 
esaltazione.  Giangiacomo  fu  uno 
di  que' bravi,  che  fecesi  largo  colla 
spada;  occupò  il  castello  di  Musso, 
indi  altre  terre  e  Lecco;  signoreg- 
giò il  Lago  maggiore  e  la  Brianza, 
ed  offrendo  il  suo  valore  a  chi  piti 
gli  prometteva,  tenne  in  soggezione 
lo  Sforza  ultimo  duca  di  Milano, 
i  grigioni  e  Carlo  V,  finché  scese 
ad  accordi,  ed  ottenne  il  detto  mar- 
chesato. E  vero  però  eh'  ebbe  Pio 
IV  per  madre  Cecilia  Serbelloni 
dama  illustre,  e  per  sorella  Mar- 
gherita, che  fu  maritata  ad  un  si- 
gnore della  casa  Borromeo,  dalla 
quale  nacque  s.  Carlo  da  lui  crea- 
lo cardinale,  come  fece  ancora  car- 
dinale l'altro   nipote  Giauuautouio 


MED 

Serbelloni,  ond'era  giù  imparenta- 
to con  famiglie  della  prima  nobil- 
tà di  Milano,  se  pure  non  lo  fòsse 
prima  come  si  pretende  da  alcuni 
scrittori.  Veggasi  il  Bercastel,  Hist. 
de  tEglise  t.  XVIII,  p.  39,1  Nel 
1744  f^i  stampato  in  Firenze  un 
Diario  letterario,  in  cui  al  n.  2.^, 
lungi  dal  supporre  Giannangelo 
della  famiglia  de  Medici,  cacciata 
da  Firenze,  lo  dice  figlio  di  Ber- 
nardino, che  per  essere  figlio  d'uu 
chirurgo  chiamato  del  Medico  pro- 
venne il  cognome  Medici;  ma  l'Ar- 
gelati  nella  Bill,  de^li  scrilt.  mila- 
nesi, t.  II,  pag.  2017,  confuta  gli 
scrittori  che  negano  la  provenien- 
za del  Pontefice  Pio  IV  dai  Me- 
dici di  Firenze,  con  sì  forti  ragioni 
e  documenti,  che  sembra  non  am- 
mettano risposta  in  contrario.  Tra  i 
monumenti  co' quali  Pio  IV  abbellì 
Roma,  fabbricò  la  porta  Pia,  giù 
Nomentana  con  architettura  di  Mi- 
chelangelo Buonarroti,  il  quale  iu 
questo  edifizio  mostrò  di  essere  uno 
di  quelli  che  supponevano  che  la 
casa  Medici  di  Pio  IV  avesse  origi- 
ne da  barbieri  e  chirurghi,  su  di 
che  può  leggersi  quanto  si  disse 
nel  voi.  XIII,  p.  112  del  Dizio- 
nario, benché  divenisse  poi  la  più 
ricca  fra  le  famiglie  particolari  d'  i- 
talia,  tenendo  fino  a  settanta  ban- 
chi, onde  vogliono  alcuni  che  le 
palle  del  loro  stemma  fossero  pri- 
ma caraffe.  A  questo  sentimento 
del  Buonarroti,  sembra  doversi  at- 
tribuire la  satira,  che  da  lui  si  crede 
fatta  a  Pio  IV  ne' catini,  asciuga- 
mani e  palle,  che  possono  essere 
prese  per  saponette,  scolpite  col  suo 
disegno  nella  porta  Pia.  Dal  Vasa- 
ri abbiamo  che  dei  tre  disegni  fat- 
ti da  Michelangelo  per  questa  por- 
ta, stravaganti  e  bellissimi,  il  Papa 
scelse  quello  più.  suujplicc  e   di  mi- 


MED 

noie  spesa,  che  venne  eseguilo,  re- 
standu  per  sua  morte  tutlora  im- 
ptifello.  Di  Pio  IV  abbiamo  un- 
dici conii  nella  zecca  pontificia  del- 
le medaglie  per  lui  coniate,  tutte 
colla  sua  effigie  con  testa  nuda,  ve- 
stito di  piviale.  Nei  prospetti  si  ce- 
lebrano il  restauro  e  fortificazioni 
di  Castel  s.  Angelo,  le  speranze 
concepite  da  Roma  nella  sua  ele- 
zione, il  compimento  della  facciata 
(Iella  chiesa  di  s.  Caterina  de'  Fu- 
iiari,  la  pace,  la  pubblica  sicurez- 
za e  le  fortificazioni  di  Civitavec- 
chia, le  fondazioni  degli  ospedali 
de'n)endici  e  de' pazzi,  la  giustizia 
e  condanna  del  cardinal  Caraffa, 
il  parto  della  Vergine,  la  benedi- 
zione compartita  al  popolo,  il  Sal- 
vatore che  dà  le  chiavi  a  s.  Pie- 
tro, e  Cristo  che  discaccia  i  vendi- 
tori dal  tempio.    Vedi  Pio  IV. 

Alessandro  Ottaviano  de  Medici 
nacque  in  Firenze  nel  i535  da 
Ottaviano  de  Medici,  e  da  Francesca 
Salviatì  figlia  di  Lucrezia  de  Medi- 
ti, sorella  di  Leone  X.  Divenne  ar- 
civescovo della  patria,  cardinale,  e 
nel  iGo5  Papa  col  nome  di  Leo- 
ne XI  [T^edi).  Scrive  il  Novaes  nel- 
la Vita  di  Leone  X,  che  la  no- 
bilissima casa  de  Medici  si  divise 
in  quattro  rami  principali,  che  pur 
si  divisero  in  altri  subalterni,  e  che 
i  signori  di  essa  alcuni  sono  meri 
nobili,  ed  altri  titolati,  fra' quali  ul- 
timi il  pili  illustre  ramo  è  quello  del 
principe  d'Otlaiano  nel  regno  di 
JN'apoli,  da  cui  usci  Leone  XI  gran- 
de di  Spagna,  e  il  più  vicino  di 
sangue  alla  famiglia  che  ha  regna- 
to in  Firenze.  Nella  Fila  poi  di 
Leone  Xf,  il  Novaes  riferisce,  che 
egli  era  fratello  minore  di  Bernar- 
do tle  Medici  del  ramo  de'  principi 
<r  Oltaiano,  fatto  da  Antonio  de 
Medici  nipote  di  Giovenco  de  Me- 


MED  87 

dici,  e  continuato  da  suo  figlio  Ber- 
nardetto  de  Medici,  che  due  volle 
fu  gonfaloniere  di  Firenze,  nel  i44i 
e  1431.  Questi  lasciò  Lorenzo  de 
Medici,  il  quale  sposato  nel  1468 
a  Caterina  Nerli,  nacque  Ottavia- 
no de  Medici  che  fu  padre  a  Leo- 
ne XI  ed  al  mentovato  Bernardo 
de  Medici,  che  comprò  la  signoria 
d'  Otlaiano  nel  regno  di  Napoli,  e 
da  Giulia  de  Medici  sua  moglie, 
figlia  naturale  di  Alessandro  de  Me- 
dici primo  duca  di  Firenze,  lasciò 
r  unico  figlio  Alessandro  barone  di 
Otlaiano,  il  quale  da  Adelaide  di 
Sanseverino  de'  principi  di  Bissi- 
gnano  ebbe  Bernardo  de  JMedici 
che  fu  creato  principe  d'  Otlaiano. 
Da  questo  ramo  fiori  ancora  Ot- 
taviano de  Medici,  tenente  generale 
degli  eserciti  di  Filippo  V  e  prode 
capitano,  che  morì  nella  battaglia 
di  Armaus  nella  Spagna.  Neil' opu- 
scolo intitolato:  Solt^nni  esequie  di 
Luigi  de  Medici  di  Toscana,  fatte, 
da  Giuseppe  de  Medici  duca  di 
Miranda,  Napoli  i83o,  si  legge 
quanto  segue.  Bernardetto  de  Medici, 
cugino  di  Cosimo  dello  padre  della 
patria,  e  fratello  di  Leone  XI,  si 
tramutò  di  Firenze  in  Napoli,  dopo 
aver  sposata  Giulia  de  Medici,  ve- 
dova del  duca  di  Popoli,  e  nel  i567 
comprò  il  feudo  di  Otlaiano.  Nel 
diploma  col  quale  Cado  III  re  di 
Spagna  nominò  Giuseppe  de  Me- 
dici glande  di  Spagna,  leggonsi  le 
seguenti  parole.  ««  Avendo  conside- 
derazione  alle  qualità  ed  ai  meriti 
vostri,  d.  Giuseppe  de  Medici,  princi- 
pe d'Otlaiano,  duca  di  Sarno,  ed  al 
lustro  ed  all'antichità  della  vostra 
casa,  poiché  oltre  di  trattarvi  il  gran- 
duca di  Toscana  come  parente  e  del 
suo  proprio  sangue,  vi  trovate,  es- 
sendo capo  della  casa  del  Pontefice 
Leone  XI,  prima   cardinal  Alessuu- 


33  MED 

dio  de  Medici,  come  bisnepole  di  Ber- 
nardetlo  de  Medici  fralello  dello  stes- 
so Pontefice,  che  portò  la  detta  ca- 
sa dalla  Toscana  nel  mio  regno  di 
Napoli,  ove  è  oggi  una  delle  prime 
di  detto  regno,  e  delle  più  cospi- 
cue d' Italia  .  .  .  .  "  Quanto  Leo- 
ne X  e  Clemente  VII  ingrandirono 
la  loro  casa,  e  quanto  invece  fu 
virtuosamente  moderato  co'  parenti 
Leone  X[  [Fedi)  ^  lo  dicemmo  alle 
loro  biografie  ed  altrove:  agli  arti- 
coli   GOVERNATOKE    DI  RoMA  e  VlLLA 

Medici  si  descrivono  il  palazzo  e 
la  villa  che  in  Roma  possederono 
i  de  Medici.  Benqhè  Leone  XI  vi- 
vesse soli  27  giorni,  fu  coniata  una 
medaglia  colla  sua  effigie,  in  camau- 
ro e  mozzetto  ,  coli'  epigrafe  :  De 
Forti  Diilcedo.  Nel  l'ovescio  vi  è  il 
leone  ucciso  da  Sansone,  dalla  cui. 
bocca  escono  le  api  che  vi  hanno 
formato  alveare,  simbolo  delle  otti- 
me qualità  del  Pontefice. 

Dal  ramo  de'  principi  d'  Otlaiano, 
e  da  Michele  principe  di  Oltaiano, 
duca  di  Sarno,  a' 22  aprile  lySg, 
nacque  il  cav.  Luigi  de  Medici,  il- 
lustre e  benemerito  membro  della 
famiglia  e  del  regno  delle  due  Si- 
cilie. Dappoiché  e  successivamente 
fu  fatto  dal  re  Ferdinando  IV,  poi 
Ferdinando  I,  reggente  dell'ammi- 
nistrazione civile  che  riguarda  il 
buon  governo;  nel  i8o3  fu  pre- 
posto a  reggere  la  pubblica  econo- 
mia, venendo  eletto  ministro  delle 
finanze.  Nel  i8o6  accompagnò  in 
Sicilia  r  erede  del  trono  duca  di 
Calabria,  poi  Francesco  I,  e  nel  1 8 1 4 
fu  nominato  da  Ferdinando  I  suo 
plenipotenziario  in  qualunque  con- 
gresso che  potesse  aver  luogo  pel 
ristabilimento  d'una  pace  generale, 
come  peritissimo  delle  cose  di  stato, 
per  cui  intervenne  a  quello  de' so- 
vrani adunati  in  Vienna,  e  col  car- 


MED 

dinal  Consalvi  conchiuse  pel  suo  re 
con  Pio  VII  quel  concordato  che 
riportammo  nel  voi.  XVI,  p.  5'Ì 
del  Dizionario.  Inoltre  divenne  pre- 
sidente del  consiglio  de'  ministri  , 
consigliere  ministro  di  stato,  mini- 
stro segretario  di  stato,  delle  finan- 
ze e  degli  affari  stranieri,  ed  insi; 
gnito  di  tutti  gli  ordini  della  co- 
rona, non  che  di  s.  Stefano  d'  Un- 
gheria, del  toson  d' oro,  di  Carlo 
IH  e  dell'elefante.  Avendo  accom- 
pagnato a  Madrid  il  re  Fiancesco 
I  pel  matrimonio  della  figlia  Maria 
Cristina  col  re  di  Spagna,  ivi  mori 
a'  25  gennaio  i83o,  con  coraggio 
e  coi  conforti  della  religione,  e  cri- 
stiana rassegnazione,  il  suo  sovra- 
no ne  fu  dolentissimo,  e  gli  fece  ce- 
lebrare in  Madrid  solenni  esequie, 
come  a  colui  che  avendo  spesi  4? 
anni,  fecondi  di  segnalati  avveni- 
menti, iu  servigio  della  corona,  ter- 
minava la  sua  splendida  e  mortai 
carriera  in  lontana  regione  sotto 
gli  occhi  del  suo  principe.  La  spo- 
glia mortale  il  re  la  fece  traspor- 
tare nella  terra  nativa  sulla  real 
fregata  1'  Amalia,  ricevendo  i  sufi 
fragi  nella  chiesa  degli  alcantarini 
in  Portici,  e  deposto  il  cadavere  in 
Oltaiano  nella  chiesa  di  s.  Maria 
degli  Angeli  sul  monte  Echia.  Il 
duca  di  Miranda  Giuseppe  de  Me- 
dici, che  il  defunto  teneva  in  luo- 
go di  figlio  ed  istituì  erede,  gli  fece 
celebrare  sontuosi  funerali  coli' in- 
tervento del  corpo  diplomatico,  dei 
ministri,  nobiltà,  magistrati  ,  profes- 
sori, e  col  concorso  di  circa  tre- 
mila persone.  Cantò  la  messa  il  ve- 
scovo di  Castellamare,  con  apposita 
musica  di  Nicolò  Zingarelli  diret- 
tore del  conservatorio  di  musica, 
facendo  le  solenni  assoluzioni  i  ve- 
scovi di  Lacedonia,  di  Boiano,  del- 
le Termopile  e  di  Derbe.  Pronun- 


MED 

t.\b  r  elogio  funebre  Emraanuele 
Tacldei  ;  composero  le  iscrizioni  ita- 
liane RafTaele  Liberatore,  e  l'  elogio 
del  temporaneo  cenotafio  Francesco 
Carelli.  Tutto  viene  riportato  e  de- 
scritto nel  citato  opuscolo,  ove  si 
enumerano  le  sue  preclare  doti  di 
gran  diplomatico  e  ministro,  e  le 
operazioni  distinte  da  Ini  fatte.  Di- 
(ousoie  acerrimo  dei  diritti  de' Bor- 
boni, poco  mancò  che  '  non  fosse 
condannato  all'  ultimo  supplizio,  sic- 
come narrano  le  storie  contempo- 
ranee; pieno  d'acuto  ingegno  e  te- 
nace memoria,  fu  cortese  ne' modi 
e  nelle  avversità  invitto,  laonde  vin- 
se la  calunnia,  poiché  l' invidia  per- 
seguita i  grandi  uomini;  ma  egli  eb- 
be la  somma  ventura  che  la  sua  in- 
nocenza, con  raro  esempio,  non  solo 
trionfasse,  ma  fosse  premiata.  Viene 
celebrato  qual  decoro  della  patria, 
sostegno  e  -ornamento  del  trono,  di 
moilesti  e  semplici  costumi,  ama- 
tore delle  scienze  e  delle  arti,  pa- 
ziente nelle  fatiche,  chiaro  e  ordi- 
nato dicitore,  di  statura  alta  e  bel- 
lo della  persona.  Fratello  del  du- 
ca di  Miranda  lodato  è  monsignor 
Francesco  de  Medici  d'Ottaiano, 
latto  da  Pio  Vili  vicelegato  di  Vel- 
letri,  e  da  Gregorio  XVI  canonico 
vaticano,  uditore  del  camcrlengato, 
prolonolario  apostolico  partecipante 
e  maestro  di  camera,  carica  in  cui 
lo  confermò  il  regnante  Pio  IX. 

MEDICI  Giovamhi,  Cardinale. 
V.  Leone  X,  Papa, 

MEDICI  Giulio,  Cardinale.  V. 
Clemente  VII,  Papa. 

MEDICI  Ippolito  ,  Cardinale. 
Ippolito  de  Medici  nipote  di  Leo- 
ne X,  e  cugino  di  Clemente  VII, 
nacque  in  Firenze  da  illegìttimo 
matrimonio  da  una  giovane  di 
Urbino,  favorita  di  Giuliano  de 
Medici    gonfalopiere     della     Cluc- 


MED 


89 


sa  romana.  Scrivono  alcuni  storici 
che  appena  nato,  sorpresa  la  madre 
da  rossore  e  confusione  di  vedere 
il  frutto  del  proprio  fallo,  lo  con- 
segnò ad  una  fantesca  per  farlo 
morire.  Mossa  costei  a  compassione 
dell'innocente  bambino,  lo  nudri 
con  gran  segretezza,  e  poi  lo  con- 
segnò a  Giuliano  de  Medici,  che 
riconosciutolo  per  suo  figliuolo  , 
lo  fece  con  molta  cura  e  diligeti- 
za  educare.  E  di  fatti  riuscì  gio- 
vane, per  la  vivacità  dello  spirilo, 
per  la  avvenenza  del  volto,  leggia- 
dria di  persona,  dolcezza  di  trat- 
to e  grazia  di  favella,  amabilissimo. 
Nei  primi  anni  mostravasi  assai  mo- 
desto e  virtuoso,  e  il  Sadulelo  col 
quale  avea  strettissima  amicizia,  al- 
tamente lo  commenda  per  pruden- 
za, bontà  e  generosità  d'animo,  e 
Paolo  Giovio  ne  fece  il  ritratto  con 
queste  parole:  avea  tutte  le  grandi 
qualità  dello  spirito  e  del  corpo. 
I  fiorentini  però  insieme  con  Ales- 
sandro suo  cugino  lo  cacciarono  in 
esilio,  ed  a  voce  di  pubblico  ban- 
ditore dichiaratolo  ribelle  e  nemico 
della  repubblica,  aggiudicarono  i 
suoi  beni  al  fisco.  Come  quello 
per  altro  che  non  avea  grande 
inclinazione  per  le  scienze,  si  ao- 
plicò  volentieri  alla  poesia  ed  al- 
la musica,  e  vi  divenne  eccellentis- 
simo. Giunto  all'età  di  17  anni  cir- 
ca, fu  da  Clemente  VII  promosso 
all'  avcivescovalo  d'  Avignone  nel 
i527,  che  altri  dicono  dopo  rice- 
vuta la  porpora.  A  questa  dignità 
il  Papa  lo  esaltò  a'  io  gennaio 
i52(),  nel  concistoro  clic  tenne  ad 
un'ora  di  notte  come  gravemente 
infermo  nella  sua  camera,  senza  ba- 
dare alla  promessa  di  non  creare 
nuovi  cardinali,  finché  non  fosse  il 
sacro  collegio  ridottò  ad  un  certo 
determinato  numero.  Lo  creò  adun- 


go  MED 

que  cardinale  diacono,  e  gli  confe- 
.  rì  pei-  diaconia  il  titolo  di  s.  Pias- 
sede,  facendolo  poi  legato  dell'Um- 
bria, e  vice -cancelliere  di  s.  Chiesa. 
Affinchè  in  avvenire  non  potesse 
nascere  dubbio  sulla  validità  dì  ta- 
le creazione,  comechè  Ippolito  non 
avea  alcun  ordine  sacro,  il  Papa 
a*3o  giugno  i534  per  cautela,  di 
nuovo  lo  abilitò  ai  benefìzi  eccle- 
siastici ed  alla  dignità  cardinali- 
zia, indi  lo  promosse  alla  chiesa 
di  Monreale.  Già  nel  novembre 
iS^q  lo  aveva  fatto  amministra- 
tore di  Casale,  e  poi  di  Lecce,  ve- 
scovato che  gli  conferì  nel  i534 
insieme  colle  ricche  abbazie  delle 
tre  Fontane,  di  san  Sabba  e  di 
Groltaferrata.  Questo  giovine  car- 
dinale formossi  una  corte  di  uomi- 
ni letterati  ed  eruditi  di  qualunque 
nazione,  per  lo  che  talvolta  nel  suo 
palazzo  si  parlarono  venti  diffe- 
renti linguaggi.  Con  questi  egli  go- 
deva di  conversare  amichevolmente, 
e  di  favellare  di  materie  scientifi- 
che. Paolo  III  dal  maestro  di  casa 
del  cardinale  gli  fece  rappresentare 
ch'era  soverchio  il  numero  de' fa- 
migliari che  teneva  di  circa  trecen- 
to, e  perciò  sembrare  conveniente 
licenziarne  alcuni  :  non  sia  mai,  ri- 
spose, io  non  li  ritengo  in  mia 
corte  perchè  abbia  bisogno  di  loro, 
ma  perchè  essi  hanno  bisogno  di 
ine.  Destinato  legato  a  Intere  in 
Germania  a  Carlo  V,  in  ten)po  che 
/  Solimano  aveale  mossa  aspra  guer- 
ra, colla  dignità  legatizia,  si  rive- 
stì della  qualità  di  comandante,  e 
come  giovane  di  genio  marziale 
e  guerriero  armò  al  suo  soldo  con 
generosità  principesca  ottomila  un- 
gari,  ed  alcune  scelle  compagnie  di 
cavalleggieri  de'  migliori  uomini  del 
suo  seguito,  e  ado[)erossi  tanto  u- 
lilmente    per    la    Germania    e    per 


MED 

l'imperatore,  che  gl'infedeli  furono 
scacciati  dalle  terre  ereditarie  del- 
la casa  d'  Austria.  Quando  Carlo 
V  passò  in  Italia,  il  cardinale  che 
lo  seguiva  volle  secondare  il  suo 
bellicoso  trasporto,  prese  le  divise 
di  generale  di  armata,  e  precedet- 
te r  imperatore  accompagnato  dai 
\ì\\x  bravi  gentiluomini  di  sua  cor- 
te, alla  testa  di  diecimila  soldati; 
e  quantunque  avesse  cesare  rigoro- 
samente divisato  V  ordine  degli  al- 
loggiamenti e  delle  marcie  che  te- 
ner doveva  la  sua  comitiva  ;  il  le- 
gato con  giovanile  impazienza  si 
avanzò  di  cammino.  Era  fra  gli 
altri  con  lui  Pier' Maria  de  Rossi, 
creduto  principale  autore  d'  una 
militare  sedizione  di  soldati  ita- 
liani poco  prima  avvenuta.  Fece 
pertanto  l' imperatore  ritenere  non 
solamente  il  Rossi,  ma  ancora  il 
cardinale,  temendo  che  si  propo- 
nesse fargli  cattive  parti  col  Papa. 
Ma  essendo  poi  assicurato  che  tal 
procedere  proveniva  solo  da  vivezza 
di  ardore  giovanile  nel  cardinale,  li 
fece  liberare  ambedue,  né  tralasciò 
le  più  ossequiose  scuse  col  cardina- 
le e  col  Pontefice,  ricoprendo  la 
ingiuria  col  timore  che  il  cardina- 
le, forse  non  tollerando  vedersi  nel 
governo  di  Firenze  anteposto  il  cu- 
gino, disegnasse  di  spingersi  con 
quella  gente  in  Toscana  per  dis- 
cacciamelo. Dipoi  in  compagnia 
del  cardinal  Doria  si  trovò  presen- 
te alla  solenne  coronazione  di  Car- 
lo V,  fatta  in  Bologna  da  Clemen- 
le  VII.  Frattanto  si  aprì  un  nuovo 
campo  al  suo  militare  valore,  dap- 
poiché infestando  il  litorale  dello 
slato  ecclesiastico  il  fanjoso  corsaro 
Barbarossa,  e  temendo  i  cardinali 
e  il  Papa,  che  volesse  piombare  su 
Roma,  spedirongli  contro,  qual  ge- 
nerale della  Chiesa,  il  cardinale,  che 


MED 
;il  SUO  arrivo  ebbe  la  compiacenza 
eli  veder  aiUove  veleggiar  il  piralo, 
atteirilo  dal  nome  e  forze  del  car- 
dinale, e  per  non  cimentare  le  sue 
truppe  a  grave  esposizione.  Rientrò 
giubilante  in  Iloina  il  cardinale,  e 
poi  concorse  all'  elezione  di  Paolo 
III,  il  quale  tultavolta  gli  negò  la 
legazione  della  Marca  d'Ancona, 
per  l'irregolare  sua  condotta,  che 
poco  o  nulla  avea  dell'ecclesiastico. 
Cingeva  sempre  la  spada,  impiegava 
gran  parte  del  giorno  a  giuocar  a 
scherma  ed  a  cavalcare,  vestendo 
solo  gli  abiti  cardinalizi  pei  conci- 
slori  e  in  qualche  pubblica  finizio- 
ne. Vedevasi  più  spesso  nella  via 
del  corsoj  alla  caccia,  alla  comme- 
dia, che  nel  suo  gabinetto  o  nelle 
chiese.  Di  notte  passeggiava  per 
Pioma,  con  persone  che  vivevano 
nei  disordini  e  nella  mollezza.  La 
preferenza  che  Clemente  VII  di 
concerto  con  Carlo  V  avea  accor- 
data ad  Alessandro  de  Medici  figlio 
di  Lorenzo,  in  duca  di  Firenze,  ad 
esclusione  del  cardinale  che  aspira-  ' 
va  al  principato  della  patria,  fu 
cagione  dei  dissapori  tra  i  due  cu- 
gini, riempì  di  torbidi  pensieri  l'a- 
nimo del  cardinale  e  di  gelosie 
quello  di  Alessandro,  a  seguo  che 
il  primo  deliberò  di  far  morire  il 
cugino  per  mezzo  di  una  mina  che 
fu  scoperta.  Alessandro  ricorse  a 
Paolo  111,  che  vedendo  di  male  oc- 
chio il  cardinale,  questo  fuggì  da 
un  castello  vicino  a  Tivoli,  ov'  era- 
si ritirato,  e  s'incamminò  verso 
Napoli  per  passare  in  Africa,  a  fine 
d'interporre  Carlo  V  con  Paolo  HI. 
Ma  giunto  presso  Fondi,  dolente 
del  commesso  fallo,  e  desideroso  di 
riconciliarsi  col  cugino,  morì  nel 
i5o5,  d'anni  24,  d'una  cocenlissi- 
ma  febbre,  e  non  pare  con  sospet- 
to di   veleno.   Il  cadavere   trasferito 


MED  91 

in  Roma  ebbe  tomba  nella  chiesa 
di  s.  Lorenzo  in  Damaso,  con  o- 
norevole  iscrizione  riportata  dal 
Ciacconio  e  da  altri  biografi,  e  noa 
nella  chiesa  di  s.  Maria  in  Domni- 
ca.  Questo  principe  dotato  di  spiri- 
to capace  di  cose  grandi,  arricchito 
di  talenti  e  di  fortuna,  poteva  in- 
traprendere nobili  imprese.  Seguen- 
do la  magnificenza  di  sua  casa,  pro- 
fuse le  sue  liberalità  sopra  ogni 
condizione  di  persone,  massime  su 
gli  uomini  di  spirito  ed  i  letterati 
che  nella  sua  corte  trovavano  splen- 
dido ricovero.  Ad  onta  ch'egli  a- 
masse  i  tornei  delle  giostre,  i  teatri 
e  le  caccie,  occupa  vasi  negli  esercizi 
letterari,  secondo  il  Negri,  che  trop- 
po lo  loda  nella  Storia  degli  scrit- 
tori fiorentini,  11  Poccianti  afteinia 
che  tradusse  in  versi  toscani  il  se- 
condo libro  delle  Eneidi  di  Virgilio, 
e  Paolo  Giovio  ne  scrisse  la   vita. 

MEDICI   GiANNANGELO,  Cardina- 
le.  F.  Pio  IV,  Papa. 

MEDICI  Giovanni,  Cardinale, 
Giovanni  de  Medici  de'  duchi  di  Fi- 
renze, giovane  di  maturo  giudizio, 
e  savio  più  che  alla  sua  età  si 
conveniva,  fu  di  tale  aspetto  che 
più  grazioso  di  lui  non  si  sarebbe 
jìotuto  agevolmente  trovare,  come 
pure  fu  ben  costumato,  e  di  bontà 
senza  pari.  Pio  IV  a'3i  gennaio 
i56o  lo  creò  cardinale  diacono  in 
s.  Maria  in  Domnica  d'anni  17,0 
ricevè  le  insegne  cardinalizie  nella 
sua  patria,  alla  presenza  de' cardi- 
nali Guido  Ascanio  Slljrza  e  Lodo- 
vico di  Lorena  che  colà  eransi  tras- 
feriti per  visitare  Cosimo  I,  poi 
granduca  di  Toscana,  padre  del 
porporato.  Poco  dopo  fu  promosso 
all'arcivescovato  di  Pisa  col  titola 
di  amministratore,  dove  celebrò  il 
sinodo,  e  di  cui  per  ordine  del 
Puuleiice  ne  dovette  cedere    il  go- 


92  MED 

\crno  a  Girolamo  Veccliiano  pisa- 
no, vescovo  di  Vultiirara,  sinché 
fosse  arrivato  all'  età  prescritta  dai 
sacri  canoni,  ond'  essere  idoneo  a 
governare  da  per  sé.  Trattenutosi 
tdcun  tempo  in  Koma ,  essendosi 
portato  insieme  coi  genitori  a  visi- 
lare  il  territorio  di  Siena,  1'  aria 
nociva  di  quelle  maremme  gli  ca- 
gionò violenta  malattia  che  produs- 
se la  morte  in  Pisa  nel  novem- 
bre 1062,  in  età  di  anni  19.  Fu  però 
lama  che  fosse  stato  ucciso  dall'in- 
vidioso fratello  d.  Garzia,  in  occa- 
sione di  una  caccia,  senza  che  al- 
cuno vedesse  il  misfatto.  Narrano 
diversi  storici  che  Cosimo  I  fece 
jiorlare  segretamente  il  di  lui  ca- 
«lavere  in  una  stanza,  e  chiamato 
colà  d.  Garzia,  credulo  reo  dell'  ec- 
cesso, al  suo  arrivo  il  sangue  del- 
l'estinto  cominciò  a  bollire,  e  ad 
uscire  ilalla  ferita.  Allora  Cosimo  f 
montato  in  furia,  prese  la  spada  di 
d.  Garzia,  e  colle  proprie  mani  lo 
uccìse  ,  facendo  correre  voce  che 
ambedue  fossero  tuorli  di  malattia. 
Il  Cardella  non  conviene  in  tutto 
il  racconto,  li  cadavere  del  cardi- 
nale lu  trasferito  in  Firenze,  e  se- 
polto nella  sagrestia  di  s.  Lorenzo 
con   breve   iscrizione. 

MEDICI  Ferdinando,  Cardinale. 
Ferdinando  de  Medici  de'  duchi  di 
Toscana  nacque  nel  i549  >  ^^  '" 
età  d'anni  i4  P'o  IV  a't)  gennaio 
j5()3  lo  creò  cardinale  diacono  as- 
tenie, e  poi  gli  cwjieri  per  diaco- 
nia la  chiesa  di  s.  Maria  in  Domni- 
ca.  Fu  fatto  protettore  della  Spa- 
gna, de' minori  osservanti,  dell' ar- 
cicoiihalernita  della  ss.  Trinità  dei 
pellegiini  di  Iloma,  dove  recandosi 
sovente  nell'  anno  sauto  iSyS  a 
lavare  i  piedi  a'  poveri  pellegiini, 
accadde  che  una  volta  vi  si  tro- 
vasse presente,   e  fosse  nel  numero 


MED 
de'  pellegrini  un  polacco  ministro 
luterano;  questi  rimase  talmente 
commosso  e  penetrato  alla  vista 
del  cardinale,  come  ancora  nel  con- 
templare r  edificante  ed  esempla- 
rissima  divozione,  con  cui  Gregorio 
XIII,  come  pure  il  rimanente  dei 
fedeli  a  norma  di  lui,  visitavano  le 
chiese  e  le  basiliche  di  Roma,  che 
illuminato  dalla  divina  grazia  si 
condusse  nella  basilica  vaticanaj  ove 
trovavasi  il  Pontefice  orante  in  una 
cappella,  e  gettatosegli  umilmente 
ai  piedi,  e  baciandoli  divotamente, 
penetrato  da  dolore  e  contrizione 
gli  mancò  la  parola.  Pubblicamea- 
le  confessò  i  suoi  errori,  e  doman- 
dò d'  essere  ammesso  nella  religio- 
ne cattolica,  morendo  poi  piamente 
neir  arcispedale  di  s.  Spirito.  Il 
cardinale  ne'  conclavi  di  s.  Pio  V, 
Gregorio  XIII,  e  Sisto  V,  comechè 
di  gran  prudenza  e  di  autorità,  eb- 
be gran  parte  nell'elezione  di  loro. 
Dimessa  l'antica  sua  diaconia,  otten* 
ne  quella  di  s.  Maria  in  Via  Lata, 
e  divenne  primo  diacono.  Sotto  Si- 
sto V,  che  per  indisposizione  del 
primo  diacono  avea  coronato,  ven- 
ne deputato  con  altri  cardinali  al- 
la canonizzazione  di  s.  Diego.  Mor- 
to senza  successione  il  suo  fratello 
Francesco  granduca  di  Toscana,  fu 
chiamato  nel  i588  a  succederlo, 
onde  per  mezzo  di  ambasciatori,  ri- 
nunziò in  pubblico  concistoro  il 
cappello  cardinalizio,  e  non  essendo 
negli  orduii  sagri,  si  sposò  con  Cri-^ 
stina  figlia  del  duca  di  Lorena. 

MEDICI  Alessandro,  Cardinale. 
V ,  Leone   XI,  Papa, 

MEDICI  Cablo,  Cardinale.  Car- 
lo de  Medici  de'  granduchi  di  To- 
scana, educato  ad  ogni  più  subli^ 
me  disciplina,  in  età  di  19  anni  fu 
da  Paolo  V  a' 2  dicembre  i6i5 
creato  cardinale  diacono  di  s.  Ma 


MED 
rin  in  Domnica.  Trovossi    presente 
ai  conclavi  di  Gregorio  XV,   Urba- 
no  Vili,   Innocenzo  X,  ed   Alessan- 
dro   VII.  Caro  ai    Papi  fu  sempre 
da    loro  consultato    sopra    adhri  di 
grave  argomento.   Il   Papa  gli  con- 
ferì   la  proleltoria    dell'ordine  val- 
lombrosano ,  e  il  re  di  Spagna  quel- 
la del   regno.  Nelle  molle  e  pingui 
abbazie    delle    quali    fu    arricchito, 
ebbe  assai  a  cuore    di  accrescere  e 
dilatare    la    vera     divozione    e    il 
divin    culto.  Fondò    in  Firenze    la 
chiesa  di    san  Michele    eh'  è    una 
delle  più   magnifiche     della     città  , 
e  la    donò  ai    teatini.    Dimessa    la 
diaconia    di  s.   Maria    in    Domnica, 
passò  a  quella  di    s.   Maria   in  Via 
Lata,  e  come  primo  dell'ordine  dei 
diaconi    coronò    Innocenzo     X    col 
triregno,  ed  ottenne  successivamente 
nel     i652    da    lui    il    vescovato  di 
Ostia    e    Velletri ,    dove  nel    1660 
fece  riedificare  la  cattedrale  insieme 
col  campanile  abbattuto  da   un  ful- 
mine, colla  spesa   di  undicimila  sca- 
di, e  fece  disporre    con  ottimo    or- 
dine   l'archivio     della     città,    nella 
quale  mai   vi  si  recò  in  quattordici 
anni.    Morì  nel     1666    in  Firenze, 
decano    del    sacro    collegio,    d'anni 
70,    e  5o  di    cardinalato,  e    fu  se- 
polto   nella    chiesa    di    s.    Lorenzo 
nella    tomba    de'  suoi    antenati  con 
breve  iscrizione. 

MEDICI  GiAjrcARLOj  Cardinale. 
(iiancarlo  de  Medici  de'granduchi 
di  Toscana,  nipote  del  cardinal 
Carlo,  fu  da  Innocenzo  Xa'i4  no- 
vembre i644slienchè  assente,  crea- 
to cardinale  diacono.  Soltanto  ven- 
ne in  Roma  pel  conclave  ove  contri- 
buì all'elezione  di  Alessandro  VII, 
il  quale  gli  conferì  la  diaconia  di 
s.  Maria  Nuova,  e  lo  nominò  lega- 
to apostolico  insieme  col  cardinal  di 
Assia,  ad  incontrare  Cristina  regina 


MED  93 

di  Svezia  che  portavasi  in  Roma. 
Morì  in  Firenze  nel  i663  d'anni 
52  non  compiti,  ed  ebbe  tomba 
nella  chiesa  di  s.  Lorenzo  tra  i 
giaiidnchi. 

M  ED  1 C I  Lkopoldo  ,  Cardinale. 
Leopoldo  de  Medici  nacque  a'  6 
novembre  161 7,  figlio  di  Maria 
Maddalena  arciduchessa  d'Austria,  e 
di  Ferdinando  II,  e  fratello  di  Cosi- 
mo III  granduchi  di  Toscana,  celebre 
del  pari  per  la  pietà  e  per  le  lettere, 
delle  quali  come  de'  loro  professori 
fu  "amantissimo  e  splendido  mece- 
nate. Clemente  IX  a'  \i  dicembre 
1667  lo  creò  cardinale  diacono  dei 
ss.  Cosimo  e  Damiano,  donde  pas- 
sati tre  anni  ottenne  quella  di  s. 
Maria  in  Cosmedin  che  magnifica- 
mente restaurò.  Intervenne  ai  co- 
mizi di  Clemente  X,  e  morì  in  Fi- 
renze nel  1675  d'anni  58,  con  ri- 
putazione d' una  sincera  e  costante 
pietà,  e  rimase  sepolto  nella  basili- 
ca di  san  Lorenzo,  coi  solo  nome 
scolpito  sopra  la  di  lui   tomba. 

MEDICI  Francesco  Maria,  Car- 
dinale. Francesco  Maria  de  Medici 
de'granduchi  di  Toscana,  nacque  ai 
12  novembre  1660,  da  Ferdinando 
II,  e  da  Vittoria  della  Rovere  de'du- 
chi  d'Urbino,  e  fu  deputato  da  Cosimo 
III  al  governo  della  città  di  Siena, 
dove  si  fece  da  tutti  amare,  singo- 
larmente per  r  impareggiabile  su;t 
modestia.  Abbracciata  in  seguito  la 
vita  ecclesiastica,  a'  2  settembre 
1686  Innocenzo  XI  lo  creò  cardi- 
nale diacono  di  s.  Maria  in  Domni- 
ca, quindi  venne  fatto  protettore 
dell'impero  e  deHa  monarchia  spa- 
gnuola.  Mecenate  dei  letterati,  e 
profuso  coi  poveri,  superava  ogni 
altro  nella  liberalità,  splendidezza, 
carità  e  magnificenza.  Trovossi  pre- 
sente ai  conclavi  di  Alessandro  Vili, 
Innocenzo  XII,  e  Clemente  XI,  nei 


f)4  Ml^-D 

quali  ebbe  gran  parte  all'  elezio- 
ne di  que'  E'npi.  Dipoi  per  conser- 
Tare  la  sua  illustre  e  potente  fa- 
miglia, fu  costretto  rinunziare  al- 
la porpora  a'  i6  giugno  lyog,  e 
congiungersi  in  matrimonio  con 
Eleonora  Gonzaga  duchessa  di  Gua- 
stalla-, dalla  quale  però  non  ebbe 
figliuoli,  morendo  a'  3  febbraio 
1711. 

MEDICINA,  Ars  medica,  medi- 
cina. La  scienza     e  l'arte  del    me- 
dicare; l'arte  di   guarire,  1' arte  sa- 
lutare;   scienza    quasi     divina,   x;he 
impara  a    conservare  la    nostra  sa- 
nità, e  a  restituirla    in  caso  che  siasi 
già  perduta.    La  medicina  insegna  a 
prevenire  anco    le    malattie,   loccbè 
dicesi  igiene.  Questa  utilissima  scien- 
za è  tanto  antica,  che  prese  vita  con 
noi  medesimi  dal  più  prezioso  senti- 
mento   che    la    natura    abbia  scol- 
pito nel  cuore  dell'uomo,  da   quel- 
la simpatica    benevolenza ,    per  cui 
siamo    portati     a    compassionare    i 
mali  de'propri    simili ,    massime  se 
tal     sentimento     deriva     dagli   inse- 
gnamenti dell'evangelo    e  della  ca- 
rità cristiana.   I  dotti  di   questa  ar- 
te, parlando    dell'origine  sua,  rife- 
riscono che  r  uomo  fino  dai  primi 
istanti   del  suo  vivere   sottoposto  al 
■violento  urto  delle  esterne  potenze, 
che  di  continuo    operano    nel    suo 
delicato   organismo,    alterandone   la 
tessitura  e  la  propria    armonia ,    e 
stimolato  non   meno  dal  bisogno  di 
tener  lungi  da  esso  lutto  quello  che 
lo    disturbava,    incominciò    tosto    a 
procurarsi   que' sollievi   che   mitigar 
potevano  le  moleste  sensazioni;  quin- 
di l'istinto  medesimo  preceduto  dal- 
la necessità,  il  caso,  l' osservazione, 
l'analogia  e  il  ragionamento  furono 
i  primi  veraci  inventori  della  salu- 
tare professione.  Alcuni  dicono  che 
gli  animali  furono  i  primi  che  in- 


MED 

segnarono  agli  uomini  la  medicina, 
e  che  molti  di  essi  guidati  dal  loro 
istinto  additarono  col  loro  esempio 
agli  uomini  il  modo  di  liberarsi 
da  una  eccessiva  copia  di  sangue, 
il  modo  di  purgarsi,  le  proprietà 
medicinali  di  molti  vegetabili,  eo. 
Que'  fisici  che  fidarono  nelle  favo- 
lose origini,  fanno  discendere  in 
medicina  da  Apollo,  da  Bacco,  da 
Oro,  da  Zoroastro,  da  Osiride  e 
da  Ermete,  non  che  dalle  maghe 
o  incantatrici  Medea  e  Circe,  per 
cui  tale  epoca  medica  fu  chia- 
mata medicina  mitologica.  Tutta- 
volta  è  noto  che  in  que' tempi  i 
babilonesi  costumavano  esporre  gli 
infermi  nelle  pubbliche  strade,  aflln- 
chè  i  passeggieri  indicassero  loro 
que'i'imedi,  che  ad  essi  avessero 
giovato  qualora  patito  avessero  egual 
malattia. 

In  Egitto  la  medicina  fu  eser- 
citata dai  sacerdoti,  i  quali  costi- 
tuivano un  collegio  chiamato  sa- 
cro, e  tanto  ivi  tenevasi  in  ripu- 
tazione la  scienza,  che  i  re  si  pre- 
giarono mostrarsene  colti.  Il  primo 
greco  che  da  Argo  passò  in  Egitto 
per  istruirsene,  fu  Melampo,  che 
ritornato  in  Grecia  vi  portò  le  pri- 
me medrche  cognizioni;  gli  succes- 
se il  figlio  Teodoraante,  e  poscia 
dall'  istessa  famiglia  fiorì  Polydo. 
Quindi  venne  il  famoso  centauro 
Chirone,  versato  nella  conoscenza 
delle  piante,  e  nella  cura  delle  pia- 
ghe, e  fra  i  tanti  suoi  allievi,  il  piìi 
insigne  fu  Esculapio  di  Epidauro, 
il  quale  in  seguito  fecesi  fautore  del- 
la medicina  empirica,  cioè  di  pra- 
tica e  di  sola  esperienza,  che  du- 
rò dalla  presa  di  Troia  sino  al 
secolo  XIII  prima  di  nostra  era. 
I  di  lui  figli  Podalirio  e  Macaone 
furono  pure  bravissimi,  e  videro  a! 
padre  innalzati  nella  patria  e  altro- 


MED 

ve  statue  e  templi,  e  adorato  da 
alcuno  qiial  semideo  (di  poi  in  A- 
tene  ad  Ippocrate,  ed  agli  archia- 
tri Atistomaco  e  Toxaride  fregiali 
del  titolo  di  eroi,  furono  eretti  tem- 
pli e  fatti  de'sagrifizi  );  successe  po- 
scia la  stirpe  degli  Asclepiadei,  di- 
scendenti pure  di  Esculapio,  nelle 
mani  de' quali  si  conservò  quasi  per 
ragione  di  famiglia  l' arte  di  gua- 
rire. Furono  di  poi  stabilite  scuole 
mediche  in  Gnido,  in  Rodi,  ed  a 
Coo  eh'  era  la  migliore  e  dalla  qua- 
le sortì  Ippocrate.  Si  addebita  ad 
Ippocrate  di  avere  copiato  tuttociò 
che  trovò  scritto  in  Epidauro,  e  poi 
di  averne  incendiate  le  tabelle  vo- 
tive per  farsi  lui  solo  V  autore 
de' famosi  aforismi.  Mentre  gli  A- 
sclepiadei  quasi  soli  possedevano  l'e- 
sercizio di  questa  arte,  anche  Ta- 
lete  e  Ferecide  reduci  dall'  Egitto 
portarono  in  Grecia  altre  cognizio- 
ni, e  verso  tal  tempo  e  55o  anni 
prima  di  detta  era,  Pitagora  ri- 
conobbe la  scienza  come  parte  del- 
la filosofia  naturale,  e  Crotone  di- 
ventò allora  la  più  famosa  scuola 
medica. 

Tra  i  discepoli  di  Pitagora  si 
distìnse  Empedocle  siciliano ^  che 
fatte  alcune  scoperte  in  medicina, 
formò  una  scuola  in  Agrigento  o 
Girgenti  sua  patria.  Vennero  quin- 
di Alcmeone,  il  primo  a  far  curio- 
se ricerche  sugli  animali,  Democrito, 
ed  Erodico  che  fu  inventore  della 
ginnastica  medica  e  maestro  d' Ip- 
pocrate. La  pratica  in  tale  epoca, 
piena  di  assurdi  e  paradossi,  ridu- 
cevasi  all'  uso  de'rimedi  empirici,  e 
così  durò  circa  otto  secoli  e  mezzo. 
Ippocrate  di  Coo,  fiorito  460  anni 
prima  dell' ei-a  nostra,  che  visse  110 
anni,  fu  acclamato  da  tutte  le  na« 
zioni  e  le  età  come  istitutore  della 
medicina  dovimalica,    cioè    distac- 


MED  95 

cando  la  medicina  dalle  altre  paili 
della  scienza  naturale,  1'  associò 
co' risultati  delle  osservazioni  e  dei 
fatti,  e  ne  pose  le  basi  sui  fonda- 
menti dell'  esperienza  e  del  ragio- 
namento. Tra  i  dommatici  si  resero 
celebii  Diocle,  Prassagora,  Crisi ppo, 
Eristrato  ed  Erofilio,  i  due  ultimi 
distinguendosi  per  scoperte  fatte 
sull'anatomia  e  nella  materia  me- 
dica. Circa  tre  secoli  avanti  la  no- 
stra era,  principalmente  in  Alessan- 
dria, fiorì  la  medicina  dommatica, 
ma  Serapione  invece  si  fece  capo 
degli  empirici,  però  coi  vizi  de'  dom- 
matici. Verso  r  anno  535  dopo  la 
fondazione  di  Roma,  Arcagato  ven- 
ne dal  Peloponneso  e  si  stabilì  in 
quella  metropoli,  e  questi  è  il  pri- 
mo medico  vulnerario  o  curatore 
delle  ferite,  di  cui  la  storia  romana 
abbia  conservato  il  nome.  Da  Giu- 
lio Cesare  sino  all'  anno  200  del- 
l'era  volgare  si  stabilì  la  tnedicina 
metodica^  capo  della  quale  fu  A- 
sclepiade  di  Prusia  nella  Bitinia, 
che  esercitò  la  medicina  in  R.oma, 
chiamatovi  da  Giulio  Cesare;  dis- 
prezzò le  dottrine  d' Ippocrate  e 
ridusse  le  malattie  a  due  generi  , 
stabiliti  suir  apertura  e  il  ristrin- 
gimento de'  pori,  quindi  seppe  lu- 
singare il  carattere  del  suo  secolo, 
e  la  tendenza  de'  rotnani  alla  mol- 
lezza, e  stabilì  una  medicina  tutta 
epicurea,  non  escludendo  i  piaceri 
de' sensi;  ottenne  il  pubblico  favore, 
agevolandoglielo  l'amicizia  di  Ci- 
cerone. Comparve  quindi  sotto  Au- 
gusto il  suo  discepolo  Temisone  di 
Laodicoa,  che  acquistò  gran  lode,  e 
scostandosi  dai  principii  del  maestro 
stabilì  il  melodismo.  Aurelio  Cor- 
nelio Celso  patrizio  romano  fiorì 
sotto  i  regni  di  Augusto,  Tiberio 
e  Caligola,  e  fu  chiamato  l' Ippo' 
crate  Ialino,  dicendosi   aver  Iradot- 


tjG  MED 

to  elcgnnlpmcnlo  quell'autore  nella 
sua  favella:  egli  fu  latito  oratore, 
quaiilo  uomo  di  guerra  e  medico,  e 
venne  appellato  ancora  il  Cicerone  dei 
medici,  per  la  bellezza  de' suoi  scrit- 
ti, che  per  essere  pieni  di  sentenze 
poirehbero  far  serie  cogli  Jforisnii 
d' Jppocrate.  Celso  è  la  fonte  ine- 
saiirdiile,  in  cui  i  buoni  hanno  at- 
tinto molti  de' loro  dommi,  tanto 
in  niedicinaj  quanto  in  chirurgia. 
In  seguito  Tessalo  di  Lidia,  rino- 
mato e  ardito  medico,  disprezzò 
quanto  Temisone  avea  scritto,  fece 
alcune  aggiunte  alle  sue  curiose 
dottrine  per  perfezionare  il  meto- 
clisrno  ;  egli  spacciava  d' imparare 
in  sei  mesi  la  medicina,  per  cui  i 
fisici  in  prodigiosa  moltitudine  cor- 
sero a  lui.  Anche  Sorano  cambiò 
qualche  cosa;  Leonide  d'Alessan- 
dria fu  capo  della  scuola  episinlen- 
iica  o  sia  raccoglitrice;  Archigcne 
di  Apamea  dell' eclettica  j  Ateneo 
d'Atlalia  o  di  Tarso,  seguendo  la 
filosofia  di  Zenone  o  degli  stoici, 
istituì  la  medicina  pneumatica  o 
spirituale;  fra  i  celebri  medici  di 
questo  tempo  il  più  famoso  fu  A- 
reteo  di  Cappadocia,  che  ridusse 
pel  primo  in  un  corpo  di  scienza 
ordinato  e  metodico  1'  antica  medi- 
cina. Dall'anno  200  al  1600  trion- 
fò la  medicina  peripatetica,  il  di 
cui  capo  fu  r  immortale  Galeno 
greco,  che  dalla  scuola  di  Pergamo 
si  recò  in  Pioma,  ove  temporanea- 
mente la  infame  invidia  lo  scacciò, 
poiché  vi  seppe  conculcare  tutte  le 
sette  dominanti.  La  sua  celebrità 
eclissò  quella  di  tutti  i  suoi  ante- 
cessori. La  filosofia  d'  Aristotile  gli 
somministrò  i  materiali  delle  varia- 
zioni che  introdusse  nella  teorica, 
seguendo  per  la  pratica  i  principii 
essenziali  d'  Ippocrate  che  sanzionò 
colle  scoperte  e    osservazioni.  Con- 


MED 

Iribuirono  a  qualche  progresso  del- 
l'arte, e  soprattutto  della  chirurgia, 
Aezio,  Oribasio,  Paolo  di  Egina, 
ed   Alessandro  di  Tralles. 

Nel  V  e  VI  secolo  la  medici- 
na in  Italia  al  pari  delle  altre 
scienze  si  estinse  coll'irruzioni  bar- 
bariche, molto  coltivandosi  in  Ales- 
sandria ,  ove  favorivasi  ogni  ramo 
di  sapere;  ma  gli  arabi  avendo  de- 
vastato l'Egitto,  e  con  fanatico  mao* 
mettismo  bruciata  la  famosa  Ìjì- 
blioleca,  i  sapienti  si  dispersero. 
Dopo  circa  un  secolo  si  eressero 
le  scuole  di  Antiochia  e  di  llarrao, 
cominciandosi  di  nuovo  a  dilìbn- 
dere  la  medicina.  Verso  la  metà 
dell' Vili  secolo  in  Bagdad  vi  fio- 
rì la  professione  medica,  non  sen- 
za inezie  e  superstizioni,  e  vi  si 
distinsero  gli  arabisti  o  discepoli 
degli  arabi  ;  quindi  si  resero  fa- 
mosi l'arabo  Rhasis  introduttore  del- 
la chimica  nello  studio  della  me- 
dicina peripatetica  ,  Albucasis  che 
perfezionò  alquanto  la  medicina  ^ 
ma  tutto  empirico  e  rizotomislaj 
Hahs  Habbas ,  Mesue  ,  Avicenna, 
Avenzoar ,  Averrhoes  e  Pioznan  ; 
non  che  Palladio,  Teofilo,  Stefano 
ateniese,  Nonno,  Simeone  d'Antio- 
chia, Michele  Psello,  Demetrio  Pa- 
pagomeno,  INIirepso  e  Attuario  gre- 
co. Per  un  tempo  la  Spagna  di- 
ventò la  prima  culla  della  medici- 
na nell'  Europa  ;  Cordova  ebbo 
una  scuola  ed  un'immensa  biblio- 
teca. Circa  il  declinar  del  secolo  X 
gli  ebrei  che  comprendevano  l'ara- 
bo idioma,  e  che  già  da  qualche 
secolo  con  successo  aveano  eserci- 
tato la  medicina  a  prò  de'cristiani, 
mediante  il  commercio  de'mauri  o 
mori  africani  colle  frontiere  d'Ita- 
lia, furono  i  piimi  a  comunicare 
le  scienze  ai  siciliani  (sebbene  pri  ■ 
vi  di    cognizioni    anatomiche,    vie- 


MED 

laudo  loro  la  legge  il  toccare  i   mor- 
ti), onde  fu     ristabilito     il     celebre 
collegio  salernitano  cbe  verso  la  (ine 
del  secolo     XI    acquistò    moltissima 
riputazione,  seguendo  le    istituzioni 
di  Galeno  e    degli  arabi,    non  cbe 
e  segnatamente  pei  commentari  del 
famoso    Arnaldo     di    Villanuova     e 
delle  traduzioni  di  Costantino    afri- 
cano, nativo  di   Cartagine,  .ritenuto 
per  fondalore    della    scuola    di    Sa- 
lerno,   i     di     cui    insegnamenti    ri- 
dotti   in   versi    leonini    da  Antonio 
o  Pietro  da    Milano,  ebbero    corso 
e  fama   in  tutta   l'Europa.    Costan- 
tino celebralo  quale    altro  Ippocra- 
te ,    encomialo     qual     prodigio     di 
sapere,  possessore  di  dieci  linguag- 
gi si  fece  monaco  in  Monte  Cassi- 
no, per  cui  alcuni    autori  scrissero 
cbe    i    monaci    furono    i    primi     a 
ravvivare  la  medicina.    Le  più   ce- 
lebri scuole  di   medicina  del    secolo 
XII   furono  quelle    di    Parigi    e    di 
Montpellier;  quella    di  Padova    di- 
venne tale    in  processo    di    tempo_, 
restando  tulle  offuscate  dalla  saler- 
nitana. Nel  XI li  secolo  la    cbirur- 
gia  divenne  una   professione  distin- 
ta   da     quella     della    medicina  ,    la 
quale  fino  allora  era  slata   riguar- 
data nelle  scuole    come    una  parte 
della  fìsica  o  della  fdosofla  natura- 
le; vuoisi  però  cbe  non  abbia  foi'- 
niato    facoltà     a  parte    prima     del 
1472,  su  di  che  si  possono  vedere 
gli    articoli   Chikurgia    e  Chirurgo. 
In  tal  modo,  piena  però  di  grossola- 
na barbarie,  di  vulgossi  la  medicina  per 
r  Italia  e  per  l'Europa,  e  durò  così 
fino  al  termine  del  secolo  XV,  aven- 
do il  nome  di  medici  arabisti  quelli 
che  l'esercilavauo.  Dopo  la  metà  di 
tal    secolo    i    dotti  fuggiti     da    Co- 
stantinopoli coi  codici  greci    fecero 
risorgere  poscia    in  Italia    la  greca 
medicina, divulgandosi  le  opere  d'Ip- 
voi.   xiiv. 


MED  97 

pocrale    e     di     Galeno    difformate 
negli  scritti  arabi.   Cos'i   nel    princi- 
pio del    secolo    XVI    Curzio,' Bris- 
sol,   Ingrassia  distrussero  finalmente 
l'arabismo,    ed    all'infinito    divulga- 
ronsi   in  seguito  le  dottrine  di  Ga- 
leno.   Indi    nel  secolo    seguente   si 
riassimsero  i  principii  ippocratici  con 
più  lustro  e  chiarezza,  e  si   sosten- 
nero con  sommo  decoro    da    Mar- 
ziani, Sellala,  Calvi,  Mercuriale,  De- 
Duret,  Jacot,   Iloulier,  Ballie  e   da 
altrij  e  in  appresso  dai  celebri  Fer- 
nel,  Argentario  e  Pereira.   A   tutto 
questo  succedette  la  medicina    chi' 
mica  o  sella  Jalrochimica  o  Chmij'a- 
trica,  che  duiò  dal   i6oo  al    i68o. 
Dopo  che  i  medici  arabi    coU'appli- 
cazione  della  chimica  alla  medicina 
appianarono  la    via    a    nuovi  pro- 
gressi, Alberto    il   Grande,    Ruggie- 
ro, Bacone,  Guglielmo  di    Salicelo, 
Raimondo  Lulli  e  Basilio    Valenti- 
no    si  distinsero     nella    conoscenza 
dell'  arte,   ed    in  particolare    Para- 
celso studiandola  con  fervore  si  fe- 
ce capo  della  dottrina  chimica,  ed 
in  preda  ai  più  sregolati    deliri   vi 
introdusse   un   linguaggio  arbitrario 
e  pose  in  voga  alcuni  rimedi    sco- 
nosciuti.   Più  seguaci    di    lui    ebbe 
VaiJ-Helmont,  vero  autore  della  dot- 
trina chimica,  che    abbandonato    il 
metodo  evacuativo  e    antiflogistico, 
sostituì  l'alessifarmaco  ed  eccitante. 
Frattanto  Mondino  de  Luzi,   il  suo 
discepolo  Berengario  da  Carpi,  Fal- 
loppio    e    Vesalio     ristabilirono    in 
Italia  l'anatomia,    purgandola  dagli 
antichi  errori.  Gaspare  Asellio    nel 
1622   trovò    i    vasi    lattei;    quindi 
Andrea  Cesalpino  d'  Arezzo,  profes- 
sore di  anatomia  nel  liceo  di  Pisa, 
fu  il  primo,  che  dopo  il  cremone- 
se Colombo  (che  investigò  con  pro- 
fondila anatomica    i  vasi    del  cuo- 
re), spiegasse  chiaramente    la    cir- 
7 


98 


MED 


culazione  del  saiigu*  nel  coi  pò  u- 
Diano,  niaiavigliosa  scoperta  che  lo 
fece  meritevole  de'  più  alti  euco- 
iiii.  Egli  inoltre,  corresse  il  Vesa- 
lio  e  fu  il  primo  a  ridurre  la  scien- 
za erbaria  a  sistema  filosofico,  e  de- 
scrisse undicimila  trecento  erbe. 
Poscia  l'inglese  Ilervey  non  disco- 
p4Ì  ma  forse  dimostrò  meglio  la 
circolazione  del  sangue,  dopo  aver 
studialo  in  Italia  e  dopo  aver  avu* 
io  anche  a  maestro  Fabrizio  di 
Acquapendente,  gigante  in  anatomia 
e  chirurgia  e  discopritore  delle  val- 
vole delle  vene.  Furono  eziandio  be- 
nemeriti della  circolazione  del  san- 
gue, Rudio  professore  di  Padova,  e 
fra  Paolo  Sarpi  servita;  e  cosi  cam- 
ino d'aspetto  la  medicina  e  svani- 
rono dipoi  le  tante  chimere  degli 
antichi,  ch'erano  stati  privi  di  sì 
benefico  lume. 

Fra  i  sostenitori  della    medicina 
Eelmonziano,     uno    de' più     zelanti 
fu  Tachenio,  ed  il  più  benemerito 
De  la  Boè,  che  pel  primo    osservò 
accuratamente    1'  andamento     delle 
malattie   in   tutte  le  fasi,  e    ne  di- 
stese   esatte    storie .     Willis    istituì 
delle  utili  scoperte  sul  sistema  ner- 
voso, cui  poi  studiò  Vieussens.    In- 
tanto si    sollevò    una     nuova    setta 
che  ogni  cosa  spiegava     colle    dot- 
tiine  di   Cailesio,  cioè  colle  diverse 
figure    de'crepuscoli,    primeggiando 
Regis,    Craanen,    Bontekoc ,    Blan- 
card,  Waldschraidt.  Comparve  poi  il 
celebre  medico    inglese    Sydenham, 
il  quale  rifiutò  tutte  le  ipotesi,  e  se- 
guendo Ippocrate,  presentò  all' Eu- 
ropa un  corpo  di  dottrina    pratica 
relativa  alle  più  frequenti   malattie. 
Dal    1680  al    1780  seguì  la  medi- 
cina meccanica,    di  cui    fu   autore 
Lorenro    Bellin   fiorentino,    allievo 
degl'illustri  Borelli  e  Malpighi,  an- 
che celebre  anatomico.  Fiorì  in  ap- 


MED 

piesso  la  setta  nnlocrntica,  o    r/ie- 
dicina  psicologica  o  dell'  animismi 
sotto     Stalli,  celebre     medico,     eh»; 
combattè  la  dottrina    de'  meccanici. 
Quindi  Baglivi,  ornamento  della  ita- 
liana  medicina,   fu  rapito  da    mor- 
te immatura,   mentre  la    fisica  ,    la 
chimica,     la    botanica,     1*  anatomia 
diedero  nuova   luce  all'arte.    Surse 
poscia  Boerhaave  genio  sublime  che 
difese  il  meccanismo,  e  con  sommo 
criterio  operò  riforme,   raccogliendo 
tutto  il  buono    dai    precedenti    si- 
stemi .     Questa    epoca     del     secolo 
XVllI  fu  detta  medicina  fisica,  per- 
chè    tolta     dalle     scienze     naturali. 
Fra  i     seguaci  di  Boerhaave  si  di- 
stinse il   valente  tedesco    Hoffmann 
emulo    e  collega    di  Stahl.    SilFatte 
dottrine  durarono  dal  lySoal  1780, 
e  frattanto    nuove    scoperte,    come 
l'utile   introduzione  dell'innesto  del 
vainolo  in  Europa,  e  l'applicazione 
dell'elettricità  alla  pratica  della  me- 
dicina, furono     r  origine  di    nuovi 
lumi,  fra'  quali  la  cognizione    delle 
febbi'i  intermittenti  perniciose,   do- 
vuta   principalmente    a    Cheghorn, 
Torli  e  Werlhof.    Il   rinomato  Hal- 
ler  co'  suoi  tanti  esperimenti    scuo- 
prì  l'irritabilità,    che   destò    l'uni- 
versale attenzione,  e  die  luogo    al- 
l' esperienze  di  Le  Cat  e  di  Whytt 
sulla  forza   nervosa    de' sistemi     vi- 
venti.   Dopo  il    1750     la    generale 
emulazione  animò  i  sapienti  d'ogni 
luogo,  e  contribuendo  al    vantaggio 
della  medicina  i    lumi  della    storia 
naturale  per  l'esimio  medico  e  clas- 
sificatore delle  malattie  Linneo,    la 
storia  naturale  divenne  più   chiara 
e  più  ricca     pel    genio    di    Buffon, 
del  quale  dicono  le  storie  e  le  ac- 
cademie, che  la  natura  obbedì  alla 
sua  voce,  e  tutti  gli  aprì  i  suoi  na- 
scondigli.  Sauvages  classificò    dopo 
Liuuco  pel  primo  le  malaUie,  uieu- 


MED 
tre  La  Caze    confutò    Bue  ri»  a. «ve,  e 
cagionò  il    sistema    della    medicina 
organica,  istituita    poi    dal    celebre 
de  Borden,  gran  sostenitore  del  so- 
lidisnu),  cui   attribuì  a  ciascun    or- 
gano una   vita   particolare.  Illustra- 
rono sempre  più   la  medicina  i  ce- 
lebri Monrò,  Mechel,  Hunter,  Hew- 
son,    Mascagni ,    Morgagni,    Scarpa 
e  Lancisi  colle  loro  anatomiche  sco- 
perte. Dopo  il  1 780  l'illustre  Whylt, 
sostenitore  della  dipendenza  dell'ir- 
ritabilità de'  nervi,  diede  una  serie 
di    precise    esperienze.     Il     famoso 
Cullen    professore    di     Edimburgo, 
stabilì   utili   principi!  sulle    funzioni 
de'  nervi;  e    nella  stessa    università 
il  celebre  Brown    suo    discepolo    e 
rivale  gli  contrappose  un  diverso  si- 
stema eccitabile. 

Fecero    in    seguito    progressi    la 
chimica,    la     fisica    sperimentale    e 
l'anatomia;  da   Galvani    si    discoprì 
il  galvanismo,  ed    i  celebri    Volta, 
Valli,  Carradori,  Colugoo,    Vassal- 
li e  Lientand   sparsero  nuova    luce 
sulle    niediche    cognizioni.     Rast    e 
Camus,  e   più  d'ogni    altro  Paulet, 
medici  francesi,  discoprirono  l'estir- 
pazione   del    vaiuolo,    trattando    in 
Italia  Io  stesso  argomento    Barcone 
e    Scuderi,    in  Ispagna    Gii,     nella 
Gran  Bretagna  Haygarlh,  e  Jenner 
che  nel    1798  propose  i  mezzi   per 
inocularlo  col  vaiuolo  vaccino  invece 
del   vaiuolo    arabo.  Krasmo  Darwiu 
pubblicò  le  sue  dottrine  sull'eccita- 
bilità, sotto  il  nome  di  poter   sen» 
sorio  ;  l'illustre  Giovanni  Rasori  die 
luogo  contro  Brown  alla  così  detta 
'uiicdicina   del    coiilrostiniolo ,    ta'Uto 
pantala  ai  giorni    presenti,  e    pro- 
lulgata  da  Fanzago,  Bondioli,  Gua- 
ni, Rubini,  e  dal  celebre  parmigia- 
no cav.  Giacomo  Tomassini,  il  quale 
avendola  illustrata,  la  chiamò  nuo- 
va dottrina  medica  italiana:    que- 


MED  90 

sto  nestore  della   medicina    italiana 
essendo  morto  nel  novembre  1846, 
non  sarà  sola    l'Italia    a   piangerne 
la  perdita.    Anche  in  Francia  si  se- 
guirono le  dottrine  analoghe  a  quel- 
le de'controstimolisti,   massime    da 
Broussais  ch'ebbe  molti    seguaci,  e 
in   Italia  vi   furono    avversi    princi- 
palmente    Geromini     di    Cremona, 
Bufalini  di  Cesena,  Rolando  di  To- 
rino, Amoretti   di  Milano.  La   Ger- 
mania die  nuove  mediche  dottrine, 
riconoscendosi  Schelling  per  capo  dei 
medici   detti  filosofi    della    natura, 
e  Samuele  Hahnemann   pel  sistema 
della  medicina  omiopatica,    da    al- 
cuni lodato,   da  molti    rigettato,     a- 
doperando  farmachi    in    dosi  picco- 
lissime; ma  non  pochi  tìsici    hanno 
confutato  i  dommi  di  questa    nuo- 
va dottrina^  come  Hufeland,  Kurt, 
Sprengel,  Vedekind,  Heinrothj  Hol- 
lard     ed    altri.     Sostengono     questi 
professori  che    la  dottrina    omiopa- 
tica  non  costruirà  giammai  un    si- 
stema di  medicina,  ma  che  servirà 
solo  ad  aprire  un     nuovo   sentiero, 
onde     maggiormente     illustrare     la 
terapeutica,    parte    della    medicina 
la  quale  insegna  il  modo    di    gua- 
rire le  malattie  sanabili,    e    di   mi- 
tigare i  sintomi    e   gli  eHetti    delle 
insanabili.     La    somma     fiducia    di 
quelli  che    credono    ne'  rimedi    o- 
miopatici,  la   severissima  dieta  pre- 
scritta dagli   omiopatisti,  coopera  e 
contribuisce  alle    guarigioni,  e  sic- 
come il  sistema  omiopatico    parte- 
cipa della  medicina  aspettativa,  così 
ben  si  conosce,    che  la    forza    me- 
dicatrice  della  natura,    sempre  den- 
tro i  giusti  confini,  fu  ammessa  an- 
che   dai    fisici    di    tutte    l'età.  Uà 
dotto  ed  arguto  medico   chiama  la 
omiopatia  il  patrimonio  dell'impo- 
stura   e  di  una  fallita  riputazione; 
e  che  tutta  la  speranza  consiste  nel 


loo  MED 

gran  regime  dietetico,  locchè  è  utile 
ad    ogni     malattia.    Si    chiama    poi 
medicina  clinica    o  pratica,  quella 
scienza    che     insegna  a     conoscere  , 
distinguere    e     curare    le    malattie 
tiietro  l'applicazione    pratica  e    ra- 
gionata al    letto    dell'  infermo,    dei 
precetti  dei  gran  maestri,  dei  teore- 
tici studi  già  fatti.  La  parola  clinica 
propriamente  significa  letto,  eh' è  il 
gran  libro  a' ministri   dell'arte  sa- 
lutare spalancato  dalla   maestra    di 
tutte  le  cose  la  sperienza.  Medicina 
pratica  è    la  clinica  e  terapeutica  ; 
la  terapeutica  si    divide  in  terapia 
speciale  o  clinica,  ed  in  terapia  ge- 
nerale detta  anche  medicina  teore- 
tica, la  quale  riguarda  1'  esposizione 
de'  principi!  da    seguirsi  pel   tratta- 
mento ragionato  e  metodico  di  tut- 
te le  malattie.   Medicina    edenica, 
o  colletti\'a  o    elettiva  è  quella  che 
giudiziosamente    diretta  sa    ricavar 
profìtto  con    sana  filosofia    del  più 
buono  da  ogni    sistema.    Medicina 
forense  o  medicina    politico- legale , 
o  giurisprudenza  medica,  dicesi  quel- 
la medicina  che  dietro  ben  basate 
cognizionij    discopre    al    giudice  fi- 
scale le   colpe  che    si    commettono 
ex  scelere   sul    corpo    umano.    La 
medicina  legale  serve  quindi  ad  il- 
luminare A  foro    ed  i   tribunali  ci- 
vili   e  criminali,    non    che  il    foro 
ecclesiastico,  sopra  tutte  le  materie 
nelle  quali  essa  dà  chiari  lumi,  don- 
de da  essi  molte  volte  derivano  la 
condanna  d'  un    reo,  e  la  discolpa 
degli  innocenti.  Delle  principali  cat- 
tedre di  medicina,  dei  più  rinomati 
gabinetti  e    musei    anatomici    e  di 
scienze  naturali,    se  ne  tratta  par- 
lando delle  principali  università,  ed 
in  quella  di  Montpellier  Urbano  V 
tì  mantenne    dodici    giovani    della 
diocesi  di  Mende  per  istudiarvi   la 
medicina.  Doriciglio    Battaglia  Mo- 


MED 

scatelli  scrisse  un  trattato  circa  il 
pregio  in  cui  fu  tenuta  dagli  anti- 
chi la  medicina,  stampato  in  Man- 
tova nel  1736.  Classica  è  la  storia 
della  medicina  di  Sprengel,  quale 
ora  si  ristampa  con  giunte  e  note, 
per  cura  del  doti.  Francesco  Freschi 
di  Piacenza.  E  per  le  mani  di  tutti 
il  compendio  storico  della  medicina 
del  siciliano  Scuderi.  Ora  il  cav.  de 
Renzi  professore  a  Napoli  sta  stam- 
pando la  storia  della  medicina  ita- 
liana, dai  tempi  i  più  remoti,  fino 
a' nostri  giorni. 

Agli  articoli   Chirurgia  e  Chirur- 
go    parlammo    della     sua     origine, 
come  esercitata  lungamente  dai  me- 
dici; della  separazione  di  essa  dalla 
medicina  con  istituzione  di  apposi- 
te  cattedre;  a   chi  proibita  del  cle- 
ro, e    in  qual    modo  vietato  l'eser- 
cizio   agli    ebrei    (  per    ciò    che    ri- 
guarda  la  medicina,    P'edi  Medico); 
dei   vantaggi    recali    alla    chirurgia 
dai    Papi,  loro  utili   provvedimenti, 
ed  ammissione  de'  chirurghi   al  col- 
legio medico.   Il    eh.    dottore    Giu- 
seppe de    Matlhaeis  (il     Cancellieri 
nella  Lettera  sul  Tarantismo  ricor- 
da con  lode  diverse  sue  opere  )  pub- 
blico professore  di  medicina  clinica 
neir  università  romana,  membro  del 
collegio  medico-chirurgico  di  Roma, 
a' 3o   luglio     1840    nell'accademia 
di  religione    cattolica  trattò  in  una 
bellissima,  dotta    ed  erudita  disser- 
tazione questo  argomento:  Sopra  il 
bene  e  ì  favori   compartiti  dai  ro- 
mani Pontefici  alla  medicina,  e  so- 
pra i  servigi  che  la  medesima  ren- 
de alla   religione    cattolica.  Questa 
dissertazione    meritò  di     essere  an- 
nunziata dagli  Annali   delle  scienze 
religiose,  nel  voi.  XI,  p.  426,  ripro- 
dotta nel  voi.  Xn,  p.   49>  e  stam- 
pata a  parte  dalla  tipografia  roma- 
na delle  belle  arti  nel  1841  ;  laon- 


MED 

{le  ce  ne  permetteremo    un    breve 
cenno. 

Senza    punto    fermarsi    ai    bene- 
fizi   e  agli  onori  che     i    Papi    lar- 
girono parzialmente  a  molti  cultori 
dell'arte  medica,    perchè    volle  di- 
stinguere detti   favori  compartiti  dai 
Pontefici  a  molti  medici,  speciahnen- 
la    ai    propri    archiatri,    da    quelli 
elargiti  alla   medicina  come  scienza 
della  salute,    pure    accerinò  che  da 
archiatri   pontifìcii    ebbero    origine 
le  illustri  e  ricche   famiglie  romane 
de'Lancellolti,  Ginnasi,  Accorambo- 
ni,  Petroni  e   Colligola,    per  le  ar- 
chiatrie  esercitate  dai  loro  antenati 
ai  Papi  Giulio    II,    Paolo  III,  Pio 
IV,  Gregorio  XIII  e  Urbano  Vili, 
i  quali   li    ricolmarono  d' onori,  di- 
gnità e  ricchezze,  cose  tutte  che  pur 
giovarono  all'  arie.   A   far  conoscere 
i   beneficii  compartiti    dai  Pontefici 
u  questa  nobile  ed  importantissima 
scienza,  promoveiidone  l' incremen- 
to e  lo  splendore,  arricchendola  di 
cognizioni   e  di   lumi,  rettificandone 
l'esercizio,   e  liberandolo  da    molti 
abusi  colle  leggi  le  più  savie,  colle 
istituzioni   le  più   utili,    coi  regola- 
nieuti  i  più  lodevoli,    incomincia  il 
eh.   scrittore  a   rilevare  quelli   pro- 
dotti  dalle  benefiche   pontificie  isti- 
tuzioni degli  ospedali,  i  quali  crea- 
ti dallo  spirito    di  carità  cristiana, 
si  resero  anche  utili  all'  arte  medi- 
ca  colla   presentazione  de'  fenomeni 
delle  malattie,  e   di    ciò  che  giova 
o  nuoce    agli    infermi.    Imperocché 
se  l'osservazione  di  pochi  ammalati 
esposti    nelle    pubbliche    vie   giovò 
non   poco  ai    primordi  dell'  arte,  se 
le  relazioni  e  le  storie  dell'infermi- 
tà curate    nei    tempi  di  Esculapio, 
o  per  supposto  consiglio  del  nume, 
o   per  CUI  a  de' suoi  sacerdoti,  istruì 
lo    stesso    Ippocrate,    quale    utilità 
non   doveva    recare    alla   medicina 


MED  lor 

dall'esatta  osservazione  dei  molti  e 
diversi  infermi  accolti   e  curati  negli 
ospedali  sino  alla    guarigione  o  alla 
morte?  Quindi  le  prime  e  vere  scuo- 
le di   medicina  nacquero  negli  ospe- 
dali, indi  crebbero   e  prosperarono 
sino  alla  regolare    istituzione    delle 
così  dette  scuole  cliniche  di  oggidì, 
mentre  le  osservazioni  sulla  natura 
e  lo  studio  degl'infermi  sono  i  ve- 
ri  libri  del     medico.    Innocenzo  III 
colla  fondazione  dell'ospedale  di  s. 
Spirito  contribuì  non  poco  ai  pro- 
gressi della  medicina,  aprendole  una 
via  di    tanta  istruzione;  e  così  tutti 
gli  altri  Ospedali  [P'edi)  d'infermi, 
tanto  anteriori  che  posteriori  a  In- 
nocenzo III,  se  non    fondati,  favo- 
riti al    certo    tutti  o  in    un    modo 
o  nell'altro  dai  Papi,  che  li  riguar- 
darono    sempre    come    patrimonio 
della  Chiesa,   vi    hanno  contribuito 
del  pari.    Né    solamente    coli' osser- 
vazione degl'  infermi,  ma  anche  con 
quella  de' cadaveri,  per  la  facile  oc- 
casione che  hanno  somministrata  ai 
progressi  dell'anatomia  sana  e  mor- 
bosa dei    corpi.    Infatti     il    famoso 
Eustachio  fu  il  primo  che   nel  det- 
to ospedale  notomizzò  cadaveri  per 
conoscere  le  sedi,  le  cause  e  gli  ef- 
fetti delle  malattie;  via  che  battuta 
fra  gli  altri  con    tanta    gloria  dal- 
l'altro   italiano    Morgagni,  divenne 
utilissima  e  luminosissima  alla   me- 
dicina ;  e  questa    stessa    facoltà    di 
anatomizzar  cadaveri  umani  si  deve 
ai   Papi  e  allo  spirito  del  cristiane- 
simo, che  ha  dissipato   l'irragione- 
vole orrore  che  quasi   tutti   gli  anr 
tichi  ebbero  pei  cadaveri.   Ai  Pon- 
tefici si  deve  lo  stabilimento  d'  un 
tribunale  di    medicina,  sotto  il  no- 
me di  collegio  medico,  ricco  di  giu- 
risdizioni   e  di  privilegi,  e  l'istitu- 
zione di  varie  cattedre  pubbliche  di 
medicina,  non  che  la  fondazione  di 


I02  MED 

orti  bolanici  e  di  musei  di  storia 
naturale,  la  regolarità  degli  studi 
«  dell'  esercizio  medico,  dalle  quali 
beuefìche  provvidenze  mollo  appre- 
sero gli  stranieri,  massime  dalle  di- 
sposizioni di  Sisto  IV  (  le  cui  prov- 
videnze sull'esercizio  della  medicina 
e  chirurgia,  come  sugli  speziali,  e 
confermate  poi  da   Innocenzo  Vili 


MED 
rimedi  del  famoso  Pietro  di  Abano 
tu  scritta  probabilmente  per  con- 
siglio di  Onorio  IV;  la  metallo- 
teca  di  Michele  Mercati  (medico  di 
s.  Pio  V,  di  Gregorio  XIII,  di  Si- 
sto V,  e  di  Clemente  Vili  che  lo 
fece  protonotario  e  commendatore 
di  s.  Spirito,  morto  prima  di  pren- 
derne possesso    dopo  aver    pubbli- 


e    Clemente    VII,    riportammo    nel     cato  l'  opera  sugli  obelischi:  ne  ri 
voi.   XIII,  p.  iio  del   Dizionario),     parleremo    all'articolo   Medico);  le 


Giulio  II,  Clemente  VII,  Paolo  HI, 
Giulio  HI,  Paolo  IV,  s.  Pio  V, 
Gregorio  XIII,  Clemente  Vili,  Ur- 
bano Vili,  e  Clemente  X,  i  quali 
tutti  presero  con  zelo  interesse  del- 
larte  salutare  e  del  suo  retto  eser- 
cizio; avendo  s.  Pio  V  regolato  lo 
spaccio  dei  medicinali,  i  doveri  degli 
Speziali  [Fedi),  e  la  giurisdizione 
del  collegio  medico;  Gregorio  XI li 
ordinato  che  si  chiamino  ad  esame 
i  medici  sospetti  d' imperizia,  i  qua- 
li vantano  diplomi  di  straniere  u- 
niversità,  e  con  più  forza  Urba- 
no Vili. 

Analogamente  a  si  saggi   princi- 
pi!, grandissima  fu  la  cura  e  lo  zelo 


tavole  anatomiche  di  Eustachio  fu- 
rono illustrate  e  pubblicate  da  Lan- 
cisi d'  ordine  e  munificenza  di  Cle- 
mente XI  ;  la  beli'  opera  sui  pesci 
dell' archiatro  Ippolito  Salviani  forse 
non  avrebbe  veduto  la  pubblica 
luce  senza  il  favore  di  Giulio  III, 
Marcello  II  e  Paolo  IV  ;  né  quella 
di  Alessandro  Petroni,  De  viclu  ro- 
manoruni,  etsanitate  tueiida,  senza 
gli  auspicii  di  Gregorio  XIII  ;  né 
r  altra  tanto  più  celebre  e  preziosa 
di  Andrea  Dacci,  De  thermis,  senza 
la  protezione  di  Sisto  V,  sebbene 
noteremo  che  la  sua  opera  più  dot- 
ta e  rara  è  De  naturali  vinoruni 
historia,  eh'  è    un    tesoro    di  erudi- 


de  Papi  per  l'acquisto  e  propaga-  zione;  né  finalmente  sarebbe  venuta 
zione  delle  mediche  cognizioni,  poi-  a  luce  1'  opera  pregevolissima  di 
che  opere  di  medicina  utilissime  fu-     Paolo  Zacchia  sulla  medicina  legale. 


rono  pubblicate  per  loro  munificen- 
za e  consiglio,  non  che  traduzioni  di 
antichi  scrittori  greci  di  medicina, 
tavole  di  anatomia  e  di  storia  natu- 
rale; mss.  assai  pregevoli  compraro^ 
no  a  proprie  spese,  e  fatti  dare  alle 
stampe  con  illustrazioni  procurate 
da  essi  medesimi.  Le  prime  versio- 
ni dal  greco    in   latino  d'ippocrate, 


senza  il  favore  di  Alessandro  VII. 
Inoltre  Giovanni  XXI  del  1276, 
molto  dotto  in  medicina  e  già  me- 
dico, compose  un  libro  di  medicina 
pei  poveri,  classe  sempre  cara  agli 
occhi  de' Papi,  tradotto  in  tutte  le 
lingue.  Appena  fondata  1'  università 
romana  da  Bonifacio  Vili,  vi  fu 
pubblicamente    insegnata   medicina 


di  Dioscoride  e  di  Teofrasto  debbonsi     da  vari  professori,  i  quali   per  soli- 


ai Pontefici.  Fu  JNicolò  V  che  com- 
mise al  greco  Teodoro  Gaza  la  tra- 
duzione degli  aforismi  d'  Ippocrate, 
dell'  istoria  degli  animali  d'  Aristo- 
tile, e  di  quella  delle  piante  di  Teo- 
frasto. L' opera    sui    vtleni    e    loro 


io  facevano  parte  come  oggi  del 
collegio  medico,  anzi  probabilmente 
preesistevano  scuole  di  medicina 
nello  stesso  palazzo  apostolico,  tra 
le  altre  scuole  palatine  di  teologia 
e  di  leggi  (di    che  ne    parliamo  4 


MED 
Maestro  dei,  sacro  palazzo  aposto- 
lico), e  forse  per  più  fncilmente  dif- 
fondere e  propagare  tra  gì'  infedeli 
la  religione  criiìticina,  secondo  l'an- 
iica  e  profìcua  maniera  di  seminar 
la  fede  in  remote  contrade  e  bar- 
bare popolazioni.  Quindi  il  famoso 
Angelo  da  Camerino  archìatro  di 
Bonifacio  Vili  e  lettore  di  medi- 
cina prima  dell'erezione  dell' uiii- 
versilà,  deve  aver  insegrwto  l'arte 
nello  stesso  palazzo  apostolico,  pres- 
so del  quale  esisteva  pure  un  orto 
di  semplici,  custodito  da  un  sem- 
plicista, col  titolo  di  sinipliciarius 
jìonlifìciiis  o  vaùcaiius  {Gregorio 
XVI  copiose  piante  esotiche  fece 
collocare  nei   giardini    pontifìcii  ). 

Restituita  nel  1877  da  Gregorio 
XI  la  pontifìcia  residenza  in  Roma 
(che  trovò  diroccata  e  spop(jlata  a  ca- 
gione dell'assenza  de'.suoi  [iredeces- 
Sf)ri,  poiché  se  a'iempi  d'Innocenzo 
III  del  1198  la  popolazione  erasi 
ridotta  a  35, 000  individui,  e  pochi 
arrivavano  a  4o  anni  e  pochissimi  a 
(io  anni,  com'  egli  slesso  scrive,  Gre- 
gorio XI  vi  trovò  soli  17,000  abi- 
tanti, dichiarandone  le  cause  l'ar- 
cliiatio  Lancisi,  De  nativis  degne  ad- 
vtnlitiis  romani  coeli  qiuililatihus  ), 
e  riordinata  poscia  1'  università  ro- 
mana, pubblici  e  illustri  professori 
furono  con  larghi  stipendi  invitati 
da'  Papi  a  insegnar  medicina  ;  e 
quando  le  ricerche  di  Boerhaave  can- 
giarono l'insegnamento  nella  chimi- 
ca, Benedetto  XIV  v'istituì  una  cat- 
tedra nell'università  romana.  Quin- 
di se  vogliam  dire  che  a  Leone  X 
dtbbasi  la  ristorazione,  a  Benedet- 
to XIV  la  riforma,  e  a  Pio  VI  la 
perfezione  di  tale  slabilinjento,segna- 
tamenlc  per  l'aggiunta  delle  cat- 
tedre di  ostetricia  e  di  chn  uigia  fo- 
rense, altri  Pontefici  prima  e  dopo 
assai  giovarono    alla  parte    medica 


MED  in3 

del  medesimo.  Dappoiché  Alessandro 
VII  stabiPi  un  orto  botanico  rego- 
lare sul  Giannicolo,  e  Clemente  XI 
aprì  un  teatro  anatomico  nel  basso 
di  questo  slesso  edifìzio;  Pio  VII 
istituì  le  cattedre  di  medicina  cli- 
nica tanto  interna  che  esterna,  oltre 
quella  delia  mineralogia  e  di  ma- 
teria  medica;  e  Leone  XII  colla 
bolla  Quod  divina  sapicntia,  rettifi- 
cò il  corso  degli  studi  e  degli  esami 
in  medicina,  v' aggiunse  la  cattedra 
di  polizia  medica  e  di  medicina  le- 
gale, rese  obbligatorie  e  normali  le 
scuole  cliniche  di  Roma  e  di  Bo- 
logna, aggiunse  i  chirurghi  ai  me- 
dici di  collegio,  ne  migliorò  la  con- 
dizione, e  ricolmò  la  medicina  di 
molti  vantaggi.  Finalmente  Grego- 
gorio  XVI  concorse  con  alacrità  e 
munificenza  ad  arricchire,  ampliare 
ed  abbellire  l'orto  botanico  (che 
donò  deWaJlora  Brasiliana,  e  visitò 
in  un  al  vivaio  delle  piante),  e  i  ga- 
binetti di  materia  medica  e  di  sto- 
ria naturale,  specialmente  di  zoolo- 
gia (egualmente  più  volte  da  lui 
visitati);  e  questo  ultimo  anche  a 
sue  proprie  spese,  avendo  pur  di 
sua  borsa  pagato  T  acquisto  di  smi- 
surati pesci  (e  donato  quegli  ani- 
mali terrestri  e  volatili,  quelle  opere 
mediche  e  di  storia  naturale,  e  que- 
ste anco  con  disposizione  testamen- 
taria, ed  altro,  di  che  parleremo  a 
Università*  romana  che  gli  celebrò 
solenni  e  commoventi  funerali  ).  E- 
gli  inoltre  stabilì  una  nuova  com- 
missione sanitaria  [Fedi  Pestilenze) 
coir  intervento  di  alcuni  distinti 
medici  e  chirurghi,  onde  meglio 
provvedere  ai  bisogni  della  pubbli- 
ca incolumità  dello  slato  pontificio. 
Conchiude  il  eh.  De  Matthaeis,  che 
dal  risorgimento  delle  scienze  e  del- 
la medicina  in  Europa  sino  a'  no- 
stri giorni,  sia  più   difficile  trovare 


io4  MED 

un  romano  Pontefice  che  non  ab- 
bia fatto  alcun  bene  alle  arti  salu- 
tari, di  quello  che  trovarne  auiplis- 
sirui  e  nua)crosi  promotori,  fautori, 
benefattori.  Ora  col  medesimo  pas- 
siamo a  indicare  qualche  cosa,  so- 
pra i  servigi  che  la  medicina  rende 
alla  religione  cattolica,  perciò  degna 
de'favori  pontificii,  oltre  i  servigi 
alla  medesima  resi  da  infiniti  me- 
dici, co' loro  lumi,  fama,  pie  largi- 
zioni e- santità  di  vita  ;  imperocché 
dal  principio  del  cristianesimo  sino 
a' giorni  nostri,  dall'epoca  di  s.  Lu- 
ca evangelista  medico,  sino  a  quella 
del  dott.  Sante  Bordegato,  grande 
operaio  della  dottrina  cristiana , 
morto  santamente  in  Roma  nel  17  37, 
non  vi  ha  forse  ceto  di  cristiani  , 
che  tranne  i  teologi,  abbia  dato 
santi  alla  Chiesa  più  copiosamente 
de'medici.  Solo  qui,  seguendo  il  lo- 
dalo scrittore,  rammenteremo  quel 
medico  cristiano  che  avendo  curato 
l'imperatore  Galerio  Massimo,  in 
compenso  ottenne  fosse  ritirato  un 
.editto  fulminante  contro  i  cristiani; 
,<juel  medico  che  contribuì  alla  vera 
fede  di  s.  Agostino,  liberandolo  coi 
suoi  ragionamenti  dagli  enori  de- 
gh  oroscopi  e  dell'astronomia  ;  l'ar- 
chiatro  d'Alessandro  III,  cioè  Gio- 
vanni Filippo,  che  spedito  dal  Papa 
ambasciatore  al  Prete  Janni  nel  Ti- 
bet, divenne  direttore  ed  arbitro  del- 
la fede  di  que'  popoli  che  ricondus- 
se al  cristianesimo;  Alessandro  Pe- 
troni  che  fu  intimo  amico  e  medi- 
co di  s.  Ignazio  Lojola,  come  lo  fu 
di  s.  Filippo  Neri  il  suo  medico 
Giovanni  Cordella  ;  Taddeo  degli 
Àlderotti  che  impiegò  in  pie  fon- 
dazioni le  generosità  di  Onorio  III  ; 
alle  archiatrie  di  Scipione  e  Loren- 
zo Lancellotti  si  deve  il  prezioso 
aliare  di  s.  Luigi  nella  chiesa  di  s. 
Ignazio  ;  la    chiesa  e  collegio  di  s. 


MED 

Maria  o  Lucia  de'Girmasi  ad  altra 
archialria  pontificia;  il  collegio  (iliis- 
lieii  al  Miedu:o  di  tal  nome;  a  Gio. 
Maria  Caslellana  medico  di  Gre- 
gorio XV,  si  debbono  i  primi  fon- 
damenti della  biblioteca  casanatense; 
mentre  il  Lancisi,  il  Gavina,  il  Pa- 
ne delle  loro  fortune  istituirono  e- 
rede  l'ospedale  di  s.  Spirito;  senza 
rammentare  gli  onori,  le  promozio- 
ni, le  dignità  ecclesiastiche,  in  un 
alla  pontificia,  conferite  a  medici 
benemeriti,  anche  della  religione  e 
della  santa  Sede.  Di  tutto  noi  par- 
liamo ai  rispettivi    luoghi. 

Il  eh.  De  Matthaeis  aggiunge  nel- 
la sua  dissertazione,  essere  persuaso 
che  dopo  i  sacerdoti  non  vi  sieno 
che  i  medici,  i  quali  rendano  di- 
.stinti  ed  ampi  servizi  alla  religione 
cattolica,  giovando  non  meno  alle 
anime  che  ai  corpi.  E  non  sono  es- 
si di  fatto  che  al  solo  apparire  del 
più  lieve  pericolo  per  la  vita  del- 
l'ammalato, pensano  tosto  ad  assi- 
curarne la  salute  dell'  anima  colia 
ordinazione  de'  sagramcnti,  minac- 
ciando persino  di  abbandonare  l'in- 
fermo che  non  volesse  almeno  con- 
fessarsi ?  Non  sono  essi,  che  ri- 
conoscono i  veri  dai  falsi  miracoli, 
le  vere  dalle  false  operazioni  dia- 
boliche, e  che  distinguendo  bene  ciò 
eh' è  in  naiura,  da  ciò  eh' è  al  di 
sopra  della  natura,  contribuiscono 
alla  verità  e  alla  giustizia  dei  giu- 
dizi! di  Chiesa  santa  e  de'suoi  mi- 
nistri ?  Senza  il  voto  ragionato  dei 
medici,  senza  il  loro  parere,  per 
istraordinarie  che  appariscano  le 
guarigioni,  non  sogliono  essere  am- 
messe e  riconosciute  per  miracolo- 
se. Il  battesimo  stesso  non  è  che 
pei  lumi  della  medicina  e  sul  giu- 
dizio del  medico,  che  suole  ammi- 
nistrarsi ai  feti  d' incerta  vita,  quali 
sono  gli  aborti    e    gli    asfittici.   Ma 


MED 

non  vi  ha  forse  sagramenlo,  la  di 
cui  ainiiiinistrazione  non  abbia  spes- 
so bisogno  dei  lumi  e  del  volo  dei 
medici.  L' irregolarità  fisica,  o  sia 
«)iiel  difetto  che  rende  l'uomo  ina- 
bile a  ricevere  1'  ordine  sacro  o  ad 
esercitarlo,  deve  essere  certificata 
dal  medico,  potendosi  essere  irre- 
golare per  vari  vizi  delle  membra, 
ed  anche  per  certi  morbi  di  tutto  il 
corpo,  la  di  cui  esistenza  deve  essere 
dichiarala  dal  medico,  al  di  cui  giu- 
dizio deferisce  la  Chiesa.  Anche  la 
in)poteuza  coniugale  per  la  dissolu- 
zione del  matrimonio  non  può  es- 
sere attestata  che  dal  medico,  il 
<|uale  co'  suoi  lumi  ed  esplorazioni 
serve  air  onore  della  religione  e  al 
bene  dell'  umanità.  In  fine  è  per  il 
voto  e  pel  parere  de' medici,  che  la 
<  liiesa,  madre  pietosa  e  benigna,  di- 
spensa talvolta  dalle  sue  leggi,  co- 
me dall'a-scoltare  e  celebrare  la  mes- 
sa, dal  recitare  1'  uflizio,  dalla  clau- 
sura, dall'  astinenza,  dal  digiuno  , 
dall'uso  de' cibi  magri,  ec.  per  cui 
lauto  più  amabile  e  soave  rendesi 
il  giogo  di  Cristo  e  l'  impero  delia 
Chiesa,  sino  a  non  voler  gravi  in- 
comodi e  danni  dall'  osservanza  del- 
le sue  sante  leggi.  Finalmente  il 
medico  co' medesimi  mezzi  coi  qua- 
li giova  alla  salute  del  corpo,  gio- 
va pur  anche  a  quella  dell' anima; 
quindi  la  temperanza  nel  vivere, 
ossia  la  moderazione  degli  appetiti 
e  delle  passioni,  la  sobrietà  tanto 
acconcia  a  conservar  la  salute  e  a 
ricuperarla,  è  un  altro  amplissimo 
servigio  che  la  medicina  rende  alla 
religione,  giovando  per  tal  mezzo 
alla  morale  cattolica  non  meno  che 
alla  salute  corporale;  la  temperan- 
za, qual  custode  e  fondamento  delle 
virtìi,  è  il  mezzo  più  edicace  a  gio- 
vare sì  al  fisico  che  al  morale  de- 
gli  uoniini ,    prolunga    e    conserva 


MED  io5 

sana  la  vita,  e  colla  rarità  delle 
malattie  rendesi  anche  raro  il  bi- 
sogno de'  medicamenti,  la  salute  in 
Somma  non  abbandona  quasi  mai 
r  uomo  sobrio  e  costumato,  ed  ce- 
co perchè  i  medici  inculcando  e  pra- 
ticando la  sobrietà,  giovano  mol- 
tissimo alla  salute  fisica  e  morale 
degli  uomini,  anco  coli' esempio  del- 
le loro  frequenti  longevità,  essendo 
r  intemperanza  madre  vera  e  fe- 
conda d'  ogni  morbo  tanto  fisico 
die  morale.  Inoltre  l'esercizio  della 
medicina  serve  a  disingannare  e  ad 
umiliare  l'orgoglio  dello  spirito  u- 
mano,  facendogli  sperimentare  non 
di  rado  la  scarsezza  delle  sue  forze 
ne' più  grandi  bisogni,  e  la  miseria 
de' mezzi  dell'arte,  comechè  esage- 
rati e  decantati  dal  volgo  ;  finalmen- 
te l'esercizio  della  medicina  fomen- 
ta ed  accresce  il  senso  nobilissimo 
della  carità,  e  rende  i  suoi  mini- 
stri teneri  e  pietosi  alla  vista  dei 
diversi  malori,  onde  meglio  soccor- 
rano ai  bisogni  degli  infelici  infer- 
mi, confortandoli  e  sollevandoli  per 
ogni  via,  mentre  l'opere  di  mise- 
ricordia trovano  sempre  libero  il 
campo  nell'esercizio  della  medicina. 
MEDICO,  Medicus.  Colui  ch'e- 
sercita la  Medicina  (Fedi),  e  che 
fa  professione  di  guarire  gli  amma- 
lati. Si  dice  ancora  clinico,  clinicus, 
fisico,  physiciis.  Medico  deriva  dal 
latino  medeor  ,  viederis,  medica- 
re, curare.  Alcuni  gli  danno  pu- 
re il  nome  di  ministro  della  nU' 
tura,  e  generalmente  chiamasi  dot- 
tore per  la  laurea  del  dottorato  di 
cui  è  insignito.  Omero  chiamò  i 
medici,  imitatori  di  Dio.  La  medi- 
cina fu  sempre  in  onore  fra  i  po- 
•poli  civilizzati.  Gli  ebrei  ne  attri- 
buiscono r  invenzione  a  Dio  mede- 
simo, ed  il  Sapiente  vuole  che  si  o- 
no.'ino  i   medici,  perchè  Dio  è  au- 


io6  MED 

toie  della  medicina,  come  anche 
della  virtù  de'  medicamenti,  come 
si  legge  neir  Eccl.  38  ,  i  e  seg. 
Tre  sorta  di  persone  la  Scrittura 
comanda  di  onorare,  il  padre  come 
Hulore  della  vita,  il  re  e  il  medico 
perchè  la  conservino.  I  pagani  con 
sideiavano  essi  pure  la  medicina 
come  un  dono  del  cielo,  e  colloca- 
rono i  loro  primi  medici  nel  ran- 
go degli  dei.  I  principi  accordava- 
no delle  annue  pensioni  ai  loro  me- 
dici, considerandoli  come  persone 
pubbliche;  e  Plinio  fa  osservare  che 
dopo  il  regno  d'Augusto,  la  pensio- 
ne ordinaria  di  un  medico  dell'im- 
peratore era  di  25o,ooo  sesterzi, 
cioè  62,5ioo  lire,  valutando  cinque 
soldi  il  sesterzio.  Antonio  Musa,  ce- 
lebre medico  e  liberto  della  famiglia 
l'omponia,  fratello  d  Eiifurbio  me- 
dico di  Giuba  re  della  Mauritania, 
per  aver  guarito  Augusto,  fu  da 
lui  ricolmalo  di  ricchezze,  con  di' 
ritto  d'usar  l'anello  d'oro,  che  so- 
lo usavano  quelli  dell'ordine  eque- 
stre ;  il  popolo  romano  gli  eresse 
una  statua  ne!  tempio  d'EscuIapio, 
e  per  lui  i  medici  furono  in  per- 
[letuo  esentati  da  ogni  imposizione. 
Si  leggono  nella  sacra  Scrittura  al- 
cuni passi,  che  sembrano  dimostra- 
re che  anticamente  presso  gli  ebrei, 
come  anche  presso  i  greci,  eranvi 
delle  persone  distintissime  pel  loro 
rango,  che  esercitavano  la  medici- 
riaj  e  che  un  prmcipe  doveva  es- 
sere istruito  nei  secreti  di  questa 
arte.  P'vdi  Isaia  3,  6;  Osea  5,  i3. 
Degenerando  i  rabbini  dai  loro  pa- 
dri in  tali  sentimenti,  in  vece  di- 
cono assai  male  de'  medici. 

Per  divenire  sapiente  medico,  fa 
d'uopo  d'uno  studio  mdefesso,  di  con- 
tinua lettura,  di  vigilie  hmghe,  di  co< 
stante  e  saggia  osservazione,  e  di  pra- 
tica giornaliera,    onde    degnamente 


MED 

esercitare  la  piìi  nobile  di  tutte  le 
arti,  la  più  bella,  la  più  sublime 
pei  suoi  fini,  la  medicina,  la  cui  di- 
gnità espresse  Cicerone  con  queste 
parole:  Homints  ad  Deos  nulla  re 
propius  (icceditnt,  quam  salutcm 
hoininibus  dando.  Agli  indiscreti 
poi  che  pretendono  talvolta  mira- 
coli dai  medici,  sembra  opportuno 
qui  ripetere  le  analoghe  parole  di 
Areteo,  Df,  curat.  diut.  morh.  lib, 
I  ;  Nc.inpe  aegrod  omnes  saiiari  non 
possuid  :  niedicus  eniin  Deoruni  pò- 
Icnùani  anteiret  ;  veruni  dolores 
sedare,  niorhos  intercìpere,  atque 
obscurare  medico  fas  est.  I  medici 
devono  però  avere  molta  scienza 
per  conoscere  le  malattie  ed  i  ri- 
medi convenienti  ;  molta  prudenza 
ed  esperienza,  e  la  ragione  per  ap- 
plicare i  rimedi  a  proposito;  mol- 
ta premura  pei  loro  ammalati,  e 
nel  seguire  i  progiessi  della  malat- 
tia ;  n)olta  carità  per  visitare  anche  i 
poveri,  dai  quali  non  possono  spe- 
lar nulla,  ineglio  supplendo  Dio 
con  ampia  rimunerazione  ;  molta 
religione  e  pietà,  sia  per  non  am- 
ministrare rimedi  proibiti,  come  so- 
no quelli  che  procurano  gli  aborti, 
sia  per  non  accordare  senza  buone 
ragioni  1'  uso  delle  carni  grasse  nei 
giorni  di  magro  o  di  digiuno,  sia 
per  avvertire  i  malati,  che  sono  in 
pericolo,  di  aver  subito  ricorso  ai 
sagramenti  della  Chiesa.  Devono  i 
medici  contentarsi  di  una  onesta 
rimunerazione,  ed  è  perciò  che  pres- 
so alcune  nazioni,  come  in  Francia, 
i  malati  non  possono  legare  uè  do- 
nar nulla  ai  loro  medici,  oltre  il 
pagamento  regolare  delle  visite,  nella 
presunzione  die  i  testatori  fossero  a 
ciò  spinti  dai  medici;  devono  cu- 
stodire il  segreto  de'  loro  infermi, 
in  tuttociò  che  vedono  o  ascoltano 
in   tempo  della  cura  ;  i  medici,  se« 


MED 

condo  i  teologi  e  moralisti,  peccano 
e    sono    obbligali    alla  resliluziune, 
(|(ianc1o  recano  danno    ai  loro  ma- 
iali, o  per    ignoranza  o    per  negli- 
genza, o  amminislrando  loro  rime- 
di  iilcerli   a  preferenza  di  altri  più 
8Ìcm'i,  ovvero  prolungando  ad  arie 
la  guarigione  ;  dicasi  egualmente  dei 
Chirurghi   e  Speziali    {Pedi).    Del- 
l'esercizio   della   medicina    ne    par- 
lammo agli  articoli   Medicina,  Chi- 
rurgia e  Chirurgo,  ove  riportiamo 
pure    diverse     notizie    riguardanti   i 
medici,  compresi    quelli  dello  stato 
pontificio  :  i  santi  registrati  nel  mar- 
tirologio, i   Papi    e  cardinali  medi- 
ci   hanno   biografie    nel   Dizionario, 
laonde  qui    appresso  parlando  di  lo- 
ro appena  li  accenneremo,  anco  per- 
chè di  alcuni  se    ne   tenne  propo- 
sito altrove. 

Ai    medici  furono  creiti    templi, 
innalzate    statue,  coniate    medaglie, 
e  ricolmali  di  onori    e  di    dignità, 
non  che  distinti  dei  pallio    filosofico 
e  poi   coir  anello  d'oro  d'Angusto; 
molti    archiatri    del    sacro    palazzo 
imperiale    furono    onorati  della   co- 
mitiva del  primo  e  secondo  ordine; 
ad    essi    si    accordarono    le  annone 
per  salario  di  primo,  di  secondo  e 
di     terzo    ordine,    chiamandosi     la 
prima  annona  nitinda,  cioè  in   pane 
bianco,    e  posti    nel    grado  sublime 
<le*  senatori,    de' duchi    e  de' vicari, 
anzi  diversi  principi  esercitarono  l'uf- 
fìzio     di  medico.    Molti    medici     e 
archiatri   pontificii  divennero  cano- 
nici nelle  primarie  basiliche,  digni- 
tari di  capitoli,  prelati,  vescovi,  car- 
dinali   e    pur  anco    Papi,  per    non 
dire  delle  cariche  civili.   Oltre  l'in- 
segne   di     Dottore    {Fedi),    diversi 
archiatri  de'  Papi    invece  delle  loro 
decorose    bavarole  di    pelli  di  vaio 
\dclle  quali  parlammo  al   voi.   XL, 
^.  J76  del  Dizionario),  si  ornarono 


MED  107 

e  ammantarono   d' insegne  pih  su- 
blimi; parlandosi  di    quelle  dottora- 
li, colle  quali   i  novelli    fregiati   ve- 
nivano accompagnati  a  casa  cum  Iti- 
bis  et  aliis  musicis,  negli  statuti  del 
collegio  medico.  INe'più  antichi  lem- 
pi,    i    medici  non    solevano   andare 
per  le  case  degli  infermi,  ma  que- 
sti   in  vece    si  recavano  a    trovarli 
nelle    loro  botteghe,    camere,  studi 
o  gabinetti,  distinti   coll'insegna  dei 
serpente  di  Epidauro  patria  di    E- 
sculapio,  avviticchiato  ad  un    albe» 
ro.  Sappiamo    da   Arnobio  lib.    11, 
cantra  gentes  p.  44»  *^he  gli  orato- 
ri, i  grammatici,   i  rellorici,    i   giu- 
reconsulti, i  filosofi,  ed  anche  i  me- 
dici, avendo  abbandonato    il  genti- 
lesimo,   fin    dai     primi    secoli  della 
(>hiesa  abbracciarono  la  fede  catto- 
lica.  Da  s.    Clemente    Alessandrino 
e    <la  s.    Basilio  rilevasi    che  i   pri- 
mitivi cristiani  eziandio  ebbero  sem- 
pre   in   pregio    questa   facoltà    e  la 
professarono;    lo    che   afferma  anco 
il   p.  Mamachi,   De'  costumi  de'  pri- 
mitivi   cristiani    t.    Il,    p.    58,    por- 
tando  in   testimonianza   le   molte  i- 
scrizioni  sepolcrali  degli  antichi  cri- 
stiani, appartenenti  ai  medici;  e  l'e- 
rudito   Cancellieri    nel    suo  impor- 
tante libro;  Memorie  di  s.  Medico 
martire  e  cittadino  di  Otricoli,  Ro- 
ma   1812,  pieno  di    notizie  sull'ar- 
gomento, a  p.  7  I    riporta  il  catalogo 
de'santi  medici  e    delle  sante     me- 
dichesse in  numero   di    trentanove, 
cogli  scrittori  delle  loro  vite.  Aven- 
do tale  benemerito  scrittore  consa- 
grato il  suo  libro  alle   glorie  de'me- 
dici,  riportò  l'opinione  di  quelli  che 
credono  sieno  stati  versati  nella  me- 
dicina   Omero  principe    de'  poeti,  e 
Cicerone  principe  degli   oratori. 

Inoltre  il  Cancellieri  a  p.  33  fa- 
cendo cenno  della  famosa  conti o- 
versia    agitala    fino    dai     tempi    di 


ioti  MED 

Cornelio  Agrippa,  da  Fiancesco  llo- 
bortello,    che  si  rinnovò  poi  in  O- 
lancìa  e  nello  scorso  secolo  in  Lon- 
dra,   di    qual    condizione    fossero  i 
medici,    se  libera  ed    ingenua,  op- 
pur  servile,  riporta  moltissime   no- 
tizie bibliografiche  di  opere  in  ono- 
re della    nobilissima  arte   e  de'  be- 
nemeriti e  illustri   suoi  cultori.   Nel 
1779  il  medico  Giuseppe  Benvenuti 
pubblicò  in  Perugia  :  Fucilerà  della 
condizione  de' medici  presso  gli  an- 
dchi,   in   cui  eruditamente  dimostrò 
la  nobiltà  dell'  arte  ippocratica,  ed 
il  gran  pregio  in  cui  sempre  fu  te- 
nuta   presso  tutte  le    più  remote  e 
colte  nazioni,   facendo  vedere  che  la 
medesima   fra  gli   egizi,  i   greci  ed  i 
romani  fu  sempre  esercitata  da  per- 
sone   di    nobile    condizione    e    non 
inai  da  servi,  come  pretesero  alcu- 
ni   maligni    detrattori.    Esaminò    a 
questo    proposilo    il    preteso     esilio 
ch'ebbero  i   medici  dell' antica  Ro- 
.nia,  e  prova  doversi  riporre  un  tai 
fatto    tra   le    favole,    siccome    privo 
U'  ogni     fondamento.     Quanto     alle 
Memorie  del  eh.  Cancellieri,   il  dot- 
tore Andrea   Belli    gli  scrisse  in   lo- 
de   un'  eruditissima    lettera,    e  nel 
18 16  ricevette  dal  Cancellieri  quel- 
la Risposta  che  fu  inserita   nel  nu- 
mero 8,  p.    122    del   nuovo    Gior- 
nale enciclopedico  di  Roma,  e  me- 
ritò    che    fòsse    anche    stampata    a 
parte    per  la  sua   importanza.  Dap- 
poiché   ivi   non  solo    parla  di  altri 
santi  medici,  delle  medichesse  e  dot- 
toresse,   ma    circa    il    progetto    del 
Belli  che  fosse    in  Roma  ristabilita 
i'  accademia    di   medicina    sotto  gli 
auspicii    di   s.   Basilio  Magno,  dotto 
in  questa  scienza,  col  titolo  di  Ja- 
tro-  Basiliaiia ,     riporta     le    notizie 
^u\V  Accademia    medica    nel    1681 
eretta  in  casa  del    dottor  Giacomo 
9  Girolamo  Brasa  vola  ferrarese,  me- 


MED 

dico  della  famiglia  pontificia  sotto 
Innocenzo  XI,  riproducendo  quelle 
diesi  leggono  nel  Piazza,  in  un  a  di- 
verse erudizieni  sulla  medicina  e  suoi 
ca\lo\\,  Eusevologio  romano, Uiìi^XW, 
cap.  XXXIII:  serviva  d'impresa  al- 
l'accademia la  figura  del  corpo  u- 
mano,  oggetto  primario  della  scien- 
za medica.  Noteremo  che  il  Piazza 
nella  medesima  opera  e  nello  stes 
so  trattato,  al  cap.  Vii  discorre 
dell'  Accademia  dell'orto  de'  sem- 
plici a  s.  Pietro  Molitorio,  eh'  eblje 
origine  da  Alessandro  VII  ;  ed  al 
cap.  Vllf  óeìì'  Accademia  di  ana- 
tomia alla  Sapienza,  alla  Conso- 
lazione, a  s.  Spirilo  ed  a  s.  Gia- 
como degli  incurabili,  imparandosi 
tlai  |)iìi  studiosi  il  modo  di  conser- 
vare la  vita  ai  vivi,  dall' estinta  dei 
morti. 

La  medicina  anticamente  fu  e- 
sercitata  anche  dagli  ecclesiastici , 
e  dai  parabolani  chierici,  i  quali 
per  carità  cristiana  assistevano  gli 
infermi  negli  spedali  e  specialmente 
quelli  eh'  erano  afflitti  da  mali  e- 
pideniici  e  perniciosi,  esponendosi 
a  perdere  la  vita,  diversi  dagl'in- 
fermieri che  solevano  chiamarsi  me- 
dici coqiii  o  medici  ad  malidam.  A- 
gnello  Onorato  trattò  :  Dell'  ordi- 
ne de' parabolani,  nelle  sue  Disser- 
tazioni alani  pale  in  Lucca  nel  1737. 
L'  arciprete  Giovenardi  di  s.  Vito, 
compose  una  dissertazione  sopra  la 
utilità  della  scienza  medica,  neces- 
saria ad  un  parroco  .specialmente 
in  campagna.  Tuttavolta,  come  si 
dna,  dalle  leggi  canoniche  per  al- 
cun abuso  o  inconveniente  fu  tal- 
volta vietalo  e  limitalo  a'  chierici 
r  esercizio  della  medicina  e  chirur- 
gia, dopo  che  s' incominciò  a  dis- 
giungere r  una  dall'  altra,  solo  fu 
in  alcuni  casi  permesso,  massime 
a  certi   missionari.   I  monaci  ancora 


MED 

esercitarono    1*  arte    salutare,  nella 
(|iiale  furono  celebri  Costantino  car- 
Jagincse,  ed    Alfonso  die   l'avea  stu- 
diala   col  canto    ne'  monasteri,  ove 
insegnavasi  comunemente  intorno  al 
secolo    X,  come  provasi    dalla  vita 
di    Guglielmo  abbate,  assai    caro  a 
Vittore  III,  cui   regalò  vari   libri  di 
medicina   e  apprestò  molti   medica- 
menti di  sua  mano  preparati  e  com- 
posti,   poi  arcivescovo    di  Salerno. 
Nella    famosa  cattedra    di  tal  città 
dopo    il    I200    salì  il  monaco    Ro- 
mualdo Guarna.  In   quasi    tutte   le 
costituzioni  degli  ordini  regolari,  do- 
po   il    looo,  trovansi    prescritte  le 
regole    da   tenersi  circa    l' emissioni 
di    sangue    periodiclie,    denominate 
flebotomie,    almeno  tre  volle  l'an- 
no   e  comuni    a   tutti    gì'  individui, 
forse  per  renderli  se  non  più  sani, 
più  continenti.   Pel    clero  della  ba- 
silica   vaticana    non  bastarono  cin- 
que   salassi    annuì,    metodo    cui   si 
oppose  Bernardino  Plumazio  vero- 
nese, il  quale  ridusse  tutta   la   virtù 
della  medicina,  tra    le  altre  cose  a 
prescrivere  una,  sola   sanguigna  al- 
l' anno.  E   certo  che  i    monaci   non 
meno    che  i    chierici    impegnaronsi 
a    professare    la  medicina    in  varie 
città,  per  opporsi  agli  scandali  e  ai 
danni    che  solevano    provenire    dai 
soriani,    dai    greci,    e    specialmente 
dagli   ebrei,  i  quali  nel  secolo  X  ed 
anche  ne' precedenti  delle  barbarie, 
per    accreditarsi      aveano     tradotto 
nella  loro  lingua  libri  arabi,  ed  e- 
serciljivano  l'arte    anco  coi    cristia- 
ni;   ciò    si    rende    manifesto    dalie 
molte    leggi  contro    gli    ebrei  ema- 
nate,   come  sospetti    di   magia,  per 
l'astrologia  che  insegnavasi  nelle  a- 
rabe  università  di  Spagna,  e  come 
privi  di   cognizioni  analomiche  per 
la    superstizione    di    non    toccare    i 
cadaveri,  e  sopra  tulio  dalle  celebri 


MED  109 

accise  del  regno  di  Gerusalemme, 
promulgate  sotto  il  re  Goflredo  di 
Buglione,  osservate  anche  in  Cipro, 
e  poi  sotto  i  veneziani,  che  final- 
mente le  abolirono  per  la  loro  se- 
verità: tullavolta  vedremo  gli  e- 
brei  passare  dalla  sinagoga  alla  cor- 
te de'  Papi,  e  divenire  loro  favoriti 
archiatri.  Finalmente  la  medicina 
fu  ancora  esercitata  dalle  donne,  e 
vietata  alle  ateniesi,  benché  Agno- 
dice  vestita  da  uomo  fu  sorpresa 
a  udirne  le  lezioni  che  ne  dava 
JeroHlo  :  delle  femmine  e  sante  me- 
dichesse scrissero  alcuni  autori,  ri- 
feriti dal  Cancellieri  a  p.  61  delle 
Memorie,  ed  a  p.  6  della  Rispo- 
sta, ove  parla  ancora  della  celcbie 
bolognese  Maria,  laureata  in  me- 
dicina. 

Il    concilio     convocato     a    Reims 
nel    ii3i     coir  intervento   d'Inno- 
cenzo  II,   proibì    ai    monaci   ed    ai 
canonici     regolari      di     studiare     la 
medicina  per  guadagno ,    e  di  pra- 
ticarla    fuori    del  recinto    del    loro 
monastero.  I    chierici    continuarono 
ad  insegnarla  ed  a  praticarla  come 
prima:  Pietro    Lombardo  canonico 
di     Chartres    fu    primo    medico    di 
Luigi    VII   re  di  Francia  ;  Maugero 
arcidiacono  d'Evreux    e    vescovo  di 
Winchester    nel     1199,    fu     medi- 
co di  Riccardo    I   re    d'Inghilterra. 
Il  concilio  generale  Lateranense  IV, 
nel    12 15    presieduto  da   Innocenzo 
HI  ,    impose    ai    niedici  che    chia- 
mati    dagli     infermi     gli    avvertano 
per  la    salute  dell'anima    a  curarla 
con    chiamare    i    medici  di    essa,     i 
confessori,  così  i  rimedi    riusciranno 
più  profittevoli    alla  guarigione    del 
corpo;  inoltre  vietò  ai  chierici  sud- 
diaconi, diaconi    e    sacerdoti,  ed  ai 
monaci  ch'esercitavano    la  medicina, 
di    non    fare     operazioni    in    cui     si 
dovessero    adoperare    strumenti    di 


no  MED  MED 

acciaio,  o  fosse  d'uopo    applicate  il  togliendo  le  pene  che ro«/rrt  /»//«?- 
fuoco.     Onorio     III,    successore     di  modi    jtulaeos    metlendi    arte    u- 
detto  Papa,   proibì    l'esercizio    della  tcnles    aveva    prescritte    l'antipapa 
medicina    ad    ogni   ordine    di   per-  Benedetto  XI lì.    Nel  ì^t.^  il    con- 
sone ecclesiastiche  ;  ma   dipoi  Boni-  cilio  di   Parigi  prescrisse    ai  medici 
facioVIlI,  favorendo  negli   ecclesia-  di  esortare  gì'  infermi  in  pericolo  a 
siici  l'esercizio  dell'arte  medica,  di-  confessarsi  prima  di  loro  sommini- 
chiarò  che  tal  divieto    non  dovesse  strare  i  rimedi  corporali  ;  ed  il  con- 
estendersi, ad  eos  qui    parochiales  cilio  di  Tortosa  proibì  a'medici  far 
ecclesias  ohtinere  noscuntur  :  sicco-  tre    visite    consecutive     agl'infermi 
me  dalla  legge    di    Onorio    IH  di-  che    non  si    saranno    confessati.  Le 
speusarono  vari  Papi  in  ogni  tempo,  provvidenze  emanate  sui   medici  da 
così  ad  alcuni    ecclesiastici    secolari  Sisto  IV,  le  indicammo  all'articolo 
e    regolari     permisero  la     medicina  Medicina.   Paolo  IV    proibì  ai   me- 
e     la     chirurgia;    ed    in  fatti  Sisto  dici  ebrei   curarci  cristiani,  benché 
IV  nel    1472   accordò  l'altare  por-  chiamati    e    pregati.    Nel     i566    s. 
tatile,  e  la  dispensa  di  risiedere   nei  Pio    V,     colla    costituzione     Super 
luoghi   ove  godeva  benefizi,  e  di  di-  gregeni  degli    8   marzo,  Bull,   Roin. 
re  l'uffizio  secondo  il  rito  domenica-  lom.  Il,  p.    177,  rinnovò  la  prescri- 
no, al    sacerdote     Lorenzo  Brunich  zione    a'  medici    di    non    visitare    e 
chirurgo    del     duca     di     Borgogna,  curare  gl'infermi,  se  al  terzo  gior-. 
Nel    1798  in  Francfort    fu  pubbli-  no  del  male  non    eransi  confessati, 
cata  l'opera  del   Celia usen  :    Cleri-  Gregorio    XIII  a' 3o  marzo    i58i, 
ciis  medicasler,  in  quo  demonstran-  Confermò  i   decreti    de'  predecessori, 
tur,  sacerdoluni,  in  primis  curalum,  con   cui  si    vieta  ai  cristiani  di  ser- 
praxeos    niedicae    exercitiuni     non     \irsi  di   medici   ebrei,  ed   ancor   lui 
decere.    Ci  diede    il  Molani,  Medi-     prescrisse    ai   medici    di  avvertire  i 
corum  ecclesiasticum  diarium,  Lova-     malati  del    pericolo  di  vita.    Inno- 
nii  i5o5.  Il  canonista  Giovanni  da     cenzo  XI    ordinò  ai    medici  di  ab- 
Anagni,  commentando  il  titolo  delle      bandonare  gli  infermi,  se  nel  terzo 
decretali  de  /'udaeis,  mosse  qiiestio-     dì    del  male    non    si    confessassero, 
ne  :    JVuniquid  judaeus   possit    esse     Tali  prescrizioni  rinnovò  Benedetto 
medìcus    Papae  vel    imptralovis,  e     XllI  nel  concilio  romano  del   1725, 
seguendo  Bartolo  parvegli,  posse  di-     e  più   tardi  Pio  VI    con  particola- 
ri quod  non  j  poi  conchiuse,  et  sic     ri  pene,    poiché    alcuni    medici  per 
nota   cantra    magistruni     Helyam ,     indolenza  o  per    timore  di  spaven- 
qui  fuit  medicus  Papae  Martini  V     tare  i  malati,  gli  avevano   fatto  mo- 
et  Eugenii  IV.   Ma    Elia  piovo  col     rire  senza    i  sacramenti.   Il    p.  Me- 
fatto  proprio,  e  con  quello  di   tanti     iiochio,  Stnore,  t.    1,    cap.  88,    nel 
altri  di  sua  religione,  che  gli  ebrei     dichiarare  come  il  medico  deve  cu- 
furono    archiatri  di    Papi    e  d'im-     rare  sé  stesso,   spiega  il  passo  del- 
peratori.   Martino  V   fu  assai   bene-      l'evangelo  di  s.   Luca:     Medice  cu- 
fico cogli  ebrei,  e  ad  istanza  di  Si-     ra  te    ipsum.     Nel  t.  Il ,  cap.  49i 
gismondo    re    de'  romani  confermò      discorre  dell'  uso  de'  medici  e    dei- 
loro  i  privilegi,  permettendo  a  quei      le  medicine. 

di  Spagna    e  loro  successori,    quod  Prima  di    riportare  la    serie  de- 

mederi  possiat   christianis    impune,     gli  archiatri  pontificii,  e  di  altri  che 


MED 

furono  sublimati  alle  primarie  di< 
gnità  ecclesiastiche,  e  de'  santi  me- 
dici, parleremo  a  schiarimento  del- 
l'argomento  dell'  onorevolissima  e 
antichissima  carica  dì  archiatro  del 
Papa,  de'  medici  e  chirurghi  pala- 
tini, de'  medici  e  chirurghi  del  sa- 
cro collegio  in  conclave,  de'  quali 
egualmente  discorreremo  nella  serie 
degli  archiatri  per  ordine  di  tem- 
po. Profitteremo  molto  del  dottis- 
simo aichivista  pontificio  monsignor 
Gaetano  Marini  (  il  oh.  Coppi  nel 
1 8  1  5  pubblicò  in  Roma  le  Notizie 
sitila  vita  e  sulle  opere  di  esso  ) 
autore  della  preziosa  e  copiosa  o- 
pei-a:  Degli  archiatri  pontificii,  Ro- 
ma 1784.  Dedicò  l'opera  (che  fu 
J<xlata  dal  num.  XXXi  dtW'EJfe- 
meridì  letterarie  di  Roma  1785, 
quale  arsenale  d' infinite  cognizioni 
letterarie,  e  supplemento  a  molte 
opere)  a  monsignor  JNatale  Saliceti 
di  Nebbio  (  è  sepolto  in  s.  Luigi 
de'  francesi,  e  nel  cenotafio  vi  sono 
il  ritratto  colorito,  ed  una  epigrafe 
elegantissima  )  medico  primario  e 
cameriere  segreto  di  Pio  VI  allora 
lagnante,  riproducendo  quella  del 
cav.  Prospero  Mandosio  ivel  t.  II, 
k>  quale  è  intitolata:  Theatriim  in 
mio  maximorum  christi/ini  orbis 
Pontificum  arehiatros  spectandos 
exibet,  Romae  1696.  Non  solo  il 
Marini  supplì  e  corresse  l'opeia  del 
Mandosio,  ma  die  un'appendice  dei 
monumenti ,  ed  aggiunse  alla  serie 
del  Mandosio  più  di  centocinquanta 
medici  palatini,  con  infinite  giunte  e 
correzioni  di  quelli  ch'egli  conobbe. 
E  se  giustamente  egli  si  compiac- 
que, come  dice  a  pag.  XIX  della 
prefazione,  che  per  lui  i  njedici 
pontifìcii  avessero  il  vantaggio  e  la 
preferenza  su  tanti  altri  ofliziali  pa- 
latini che  noH  trovaroiui  chi  voles- 
se occuparseue  cou  iuUufllria  e  di- 


MED  irr 

ligenza  delle  loro  dignità  e  perso» 
ne;  da  tal  veritiero  riflesso  ricevo 
conforto  e  soddisfazione  ai  miei 
laboriosi  studi,  di  aver  cioè  riem- 
pito un  tal  vuoto  col  trattare  in 
questo  mio  Dizionario  di  tutti  gli 
ufiiziali  palatini  anche  minori,  an- 
tichi e  attuali,  e  di  avere  altresì 
ampliato  e  rettificato  anco  qualche 
autore  che  si  occupò  di  alcuno,  co- 
me il  Renazzi  benemerito  de'Mag- 
giordonii.  Noi  però  per  dovere  tii 
brevità  saremo  compendiosissimi  ; 
«  oh  quanto  è  dura  cosa  trarre  la 
penna   su   carta    misurata   ". 

L'archialro,  archiater,  arehiatros, 
pontificio,  è  il  medico  del  Papa:  se 
tale  lo  dichiara  nella  qualifica  di 
cameriere  segreto  partecipante  a 
mezzo  di  biglietto  del  u>aggiordo- 
mo,  fa  parte  della  camera  segreta, 
divenendo  prelato  di  mantellone 
per  1'  abito  che  ne  veste  con  titolo 
di  monsignore,  benché  sia  ammo- 
glialo, che  perciò  è  il  solo  ad  a- 
verlo,  tianne  i  prelati  di  wantellet- 
Ione  di  cui  parlasi  all'articolo  Man- 
TEM.ONE  ;  incedendo  per  città  con 
r  abito  nero  di  abbate,  e  cai^pello 
ecclesiastico.  Gli  archiatri  furono 
anche  detti  protomedici  e  protofi- 
sici, e  medici  segreti,  inlimi  e  do- 
mestici. La  voce  archiater  fu  ado- 
perata a  nominare  non  solo  i  me- 
dici de'ptincipi ,  come  una  volta 
parve  al  Mercuriale,  ma  quelli  pa- 
rimente che  davano  opera  in  di- 
fendere la  sanità  delle  regioni  di 
Roma,  ed  universalmente  tulli  i 
professori  di  medicina  in  iioma  ed 
in  Costantinopoli,  le  due  grandi  ca- 
pitali dell'universo.  Il  Fabretli  e 
l'Olivieri  egualmente  opinarono,  non 
essere  stato  il  nome  d'  archiatro  e- 
sclusivamente  di  dignità,  né  del 
principe,  né  del  capo  de'  medici 
delle    principali  città    o  sìa    proto- 


112  MED 

inetlico.  Il.'igiona  e  spiega  che  cosa 
fossero  gli  aicliiatii,  Giovanni  de 
Vila  tiel  suo  Thcsaur.  aiiliquil.  Bc- 
lìe.vent,,  nella  tlissert.  Vili,  De  re 
litte.r.  veler.  IJenevent.  La  classe  dei 
medici,  distinta  collo  slesso  onore- 
volissimo nome,  trovasi  stabilita  in 
una  legge  di  Valentiniano  e  V^a- 
lente  imperatori,  nel  codice  Teodo- 
siano  de  Archialris  popularibus  ur- 
bis Roinae,  che,  quol  regiones  urbis 
siitit,  lolicìcin  constiluanlur  archiatri, 
come  ben  rilevò  ueW Appendice  alla 
descrizione  de'  rioni  di  Roma,  ivi 
1810,  p.  16,  il  dott.  Tommaso  Prelà 
ispettore  e  soprintendente  generale 
dell' Litilissin)0  stabilimcnlo  de'  me- 
dici, chirurghi  e  speziali  dei  XIV 
rioni  ili  Roma,  poi  archiatro  di  Pio 
VJIj  del  quale  stabilimento  trattam- 
mo ad  Elemosiniere  del  Papa  ,  ed 
Elemosineria  apostolica,  da  cui  di- 
pendono i  medici,  chirurghi  e  spe- 
ziali regionari.  Abbiamo  di  Gio.  Er- 
nesto Hebenstreit:  Demedicis  arcliia- 
tris,  et  prqfessorihus,  Lipsia  ^^^i- 
Quanto  all'antica  formola  dell'e- 
lezione de'medici  dei  Papa,  dice  il 
Marini  nel  1. 1,  p.  110,  che  Bonifacio 
IX  nel  I  3f)6  fece  protofisico  palatino 
Paolo  de  Caloris,  colla  bolla  Quain 
non  sii  soluni  utile,  che  riporta  nel 
t.  II  ,  p.  5o) ,  avvertendo  che  la 
medesima  servì  piìi  volte  in  quel 
secolo  di  modello  e  quasi  di  for- 
mola per  le  patenti  che  si  spedi- 
vano d'  ordinario  a'  medici  pontifi- 
cii, ciò  che  argomenta  da  due  altre 
bolle,  una  pel  medico  Angelo  Do- 
menichelli  p.  yS,  Grata  tuae  fa- 
miliarilatis,  egualmente  di  Bonifa- 
cio IX,  l'altra  di  Martino  V,  per 
Giovanni  Baldi;  ma  più  per  aver- 
la trovata  inserita  in  un  vecchio 
formolario  di  bolle  del  secolo  XV, 
col  titolo  :  Fit  mcdicus  Papae  qui- 
dam   medicus.    Alessandro    V     nel 


M  E  V) 

i4io    nominò  medico    Paolo  della 
Valle,  colla  bolla     Inter  iitilissimas 
ttiies,  presso  il  Maiinì,  t.   Il,  p.   tor, 
il    quale    avverte    che    l'esordio    è 
(juasi     tutto   copiato    dalla    formola 
del   conte  degli  archiatri,  che  com- 
pose  Cassiodoro,    quindi  si  giustifi- 
ca la  nomina  con  rilevarne  le  qua- 
lità egregie,  e  poi  si  dice:  «<  Ac  vo- 
lentes    praemissorum   intuitu    tuain 
honorare   personam,    te  in   familia- 
rem,   pliysicum,  et  corporalem  me- 
dicutn   nostrum   praesentium  tenore 
apostolica   auctorilale  recipimus,  et 
aliorum     familiarium,    physicorum, 
et  corporalium    medicorum    nostro- 
rum    consortio    favorabiliter   aggre- 
gauius.    Intendentes    quod   per  hoc 
omnibus    privilegiis ,     praerogativis, 
immunitatibus,     exemptionibus,    ac 
indulgentiis  gaudeas,    et  etiam  po- 
tiaris,  quibus  alii   familiares,  physi- 
ci,  et  corporalis   medici  nostri  gau- 
dent,  et  quomodolibet  potiuntur  ". 
Se  il  medico  del  Papa  è  fatto  ar- 
chiatro   cameriere  segreto,    dopo  il 
biglietto  del  maggiordomo  si  fa  spe- 
dire il  breve  apostolico    di  sua  ca- 
rica ;  e  quando  i  Papi  concedevano 
alla    loro  intima    famiglia  nobile  ì 
privilegi,  1' archiatro  vi  era  compre- 
so   come  ultimo    cameriere  segreto 
partecipante;    l'ultimo    esempio    lo 
riportammo    all'articolo     Famiglia 
pontificia    (^Fedi),   ove   sono   molte 
notizie  riguardanti  i  medici  e  chi- 
rurghi   pontificii,    riproducendo     il 
breve  de' privilegi    concessi   da  Pio 
VI,  di  cui   pur   facemmo   parola  al 
voi.  VII,  p- 27  del   Dizionario,  \ydv- 
lando  de'  camerieri  segreti   parteci- 
panti, delle  loro    prerogative    e  di 
quanto  li  riguarda,  comprensivamen- 
te il  medico  segreto  del  Papa,  tan- 
to delle  antiche,  come  delle  odierne 
consuetudini,    vogliam    dire     all'ar- 
ticolo Camerieri  del  Papa. 


MED  MED                    ii3 
L*  abito  dell'  archiatro  cameriere  cappuccio,    cavalcava    dopo  i   dell» 
segreto  è  eguale    a  quello    de'  suoi  due  camerieri    segreti  che  avevano 
colleghi    camerieri    segreti ,  cioè  di  in  mezzo   il  maestro  di  camera,  al- 
manlellone, al  luogo  citalo  desclilto;  la  destra  del     Caudatario  del  Pa- 
intervenendo  alle  pontificie  funzioni,  pa,  seguiti  da  due    aiutanti  di  ca- 
corae  essi  assume  la   veste  e  cappa  mera    in  cappe    rosse  a    cavallo,  e 
rossa  con  mostre  di  seta  simile  nel-  talvolta  in  mezzo  al  caudatario  ed 
l'estate  ed  autunno,  e  con   pelli   di  al    primo  aiutante  di    camera,  che 
armellino    nel  resto   dell'anno.    In  funge  pure  l'uffizio  di  custode  ge- 
cappelia    pontificia    l' archiatro     ha  nerale  delle  vesti.    La  prima    volta 
un  posto  particolare,  sedendo  vici-  che  nelle  relazioni    de' possessi  rac- 
no  e  incontro  al  Papa,  come  scrive  colte   dal  Cancellieri    si  fa  espressa 
ancora    il  Bonanni  a  p.  497  della  menzione  dell'archiatro,  è  nel  pos- 
sua    Gerarchia,    cioè    sul    gradino  sesso  del    1 484  "  d' Innocenzo   Vili, 
che    serve    di    sotlopiedi    al    primo  e  nel  solenne  ingresso  fatto  in  Ro- 
de'cardinali    diaconi    che    siede    al  ma  nel     \5ii   da    Adriano  VI,  in 
banco    di  tal  ordinej  ossia    di  quel  cui  prolomedicus  et  magister  preci- 
cardinale  che  ivi  si  trova,  ed  ecco  puus  camerarius  i  quibus  consueta- 
perchè  i  caudatari  non  possono    a-  dine  seu  praerogativa  speciali  talis 
scendere  a  sedere  a  detto  gradino,  locus  conceditur,    cioè  vicino  e   se- 
ma a  quello  inferiore;  nei   ponlifi-  guendo    immediatamente    il    Papa; 
cali  pure  così  siede  l' archiatro.  Ne-  in    altre    anteriori    cavalcate     l' ar- 
gli  ingressi  del  Papa  in  cappella  e  chiatro  è  nel   novero  de  cubicularii 
nelle  processioni,    l' archiatro   segue  Papae.    Nel  possesso    del     i535  di 
il  Pontefice    dopo  i    due  camerieri  Paolo   III  espressamente  si  dice  che 
segreti    assistenti  per    la  falda,  che  dopo  di   lui  cavalcavano,  camerarii 
accompagnano     l'  uditore     di     rota  assislentes  cuni  secretario,  et  medi- 
sostenitore  della  mitra,  e  col  primo  cis.  Nel  iSgo,  in  quello  di  Grego- 
aiutante  di  camera,    sempre  vicino  rio    XIV,    dopo  il    maestro  di    ca- 
al  Papa  per  qualunque    occorrenza;  mera   ed  il  coppiere  nipote  del  Pa- 
e     per    essere     sempre     pronto    a  pa,  cavalcavano    il    segretario    e  il 
questa  j  sebbene  recasi    al   trono  a  medico,  dicendo  in  proposito  il  Ma- 
vicevere   dalle    mani    del    Papa    le  rini  l.  I,    p.  470,  che   anticamente 
candele  ,    le    ceneri,    le    palme    e  i  medici  solevano  essere    due  nelle 
gli  Agnus  Dei  benedetti,  nelle  prò-  cavalcate ,    ponendosi    in    mezzo    il 
cessioni  delle  candele  e  delle  palme  segretario    intimo  e    di  confidenza, 
non  le  porla,  e  cosi  nelle  altre  prò-  citando  il  Marcello,  il  Gallico  e  il 
cessioni  che  ha  pur    luogo  la  can-  Martinelli  nelle  cose    da  loro  pub- 
dela,   come    per  quelle  del   Corpus  blicale.    Erano    vestiti    di    scarlatto 
Domini    e  della    canonizzazione,  la  con  mostre  di  pelli  bianche  rivolte 
riceve  ma  non  1'  usa  come  i  nomi-  al  collo  e  cappucci  dietro  alle  spal^ 
nati,  siccome  tutti    intesi  ad  essere  le,  e    le  mostre    di  largo    damasco 
pronti    a    qualunque     bisogno    del  avanti    le  vesti;  così  per  Paolo    V, 
Pontefice.    Nelle   cavalcale  dei  pos-  ma  con  due    segretari;  per   Grego- 
sessi  e  per  le  cappelle  dell' A  nnun-  rio  XV  1' archiatro  cavalcò  col  se- 
miala, s.  Filippo,  Natività  e  s.  Car-  grelario  de'brevi  allora  prelato;  per 
loj    r  archiatro    in    cappa    rossa    e  Innocenzo    X    dopo    il    maestro  di 

VOI,.  xLiv^.     _^ _  "  ::^a»j^      8 


m4  MED 

camera  ed  il  coppiere  due    medici 
segreti    col    segretario    de'  brevi    in 
cappe    rosse     et    pileis    ordinariis. 
IVel  possesso    d'Alessandro  VII  del 
i655,  dopo  i  mentovati  cavalcava- 
no scrinìi  magister  et  archiater,  in 
rubea    cyclade  pendentibiis  capiliis 
insignes  j    in    quello    del    1667    ^' 
Clemente  IX,  col  coppiere  e  segreta- 
rio de'brevi  a' principi  incedette  il 
medico,  con  vesti  di  scarlatto  e  mo- 
stre di  largo   damasco  avanti  le  ve- 
sti; in  quello  del  1670  di  Clemente 
X,  col  segretario  de'brevi  a'principi, 
seguiti  dal  caudatario  e  sotto-custode 
delle  Testi  ;  in  quello  del  1676  d'In- 
nocenzo   XI,  coi   camerieri   segreti , 
così  per  quello  di   Alessandro  Vili 
rei    1689.  Nel  possesso  d'Innocen- 
zo XII  del    i6gi   il    medico  segre- 
to cavalcò  col  caudatario;  in  quel- 
lo d' Innocenzo  XIII   del  1721,  do- 
po  il  maestro    di  camera  e  came- 
rieri   assistenti,    cioè    in    mezzo    al 
caudatario  ^  al  custode  delle  vesti 
ossia  al  primo  aiutante  di  camera; 
in    quello    di    Benedetto    XIII    del 
i724>  dopo  i  camerieri    i  due  me- 
dici segreti,  il   caudatario  e    custo- 
de generale  delle  vesti    primo  aiu- 
tante  di  camera,    come    si    ha  dal 
diarista  contemporaneo  Cecconi  ;  in 
quello  di   Clemente    XII  del    1780 
il    medico  cavalcava    in    mezzo    al 
caudatario  e  custode  delle  vesti,  co- 
me si  legge  nel   numero  2077  ^^1 
Diario  di  Roma;  in  quello  di  Be- 
nedetto  XIV   del    1741   si    praticò 
altrettanto,  come  sì  ha  dal  numero 
3708  del  Diario,  perchè  il  Cancel- 
lieri   non    produsse    l' ordine   della 
cavalcata  dei  tre   ultimi  mentovali 
possessi  ;     in    quello     di     Clemente 
XIII  del    1758,  il  medico  e  il  cau- 
datario cavalcavano  dopo  il  maestro 
di    camera,  il    quale    procedeva  in 
mezzo  a  due  camerieri,  indi  succe- 


MED 
devano  due  aiutanti  di  camera  e 
poi  due  scopatori  segreti,  così  in 
tutto  nel  1769  per  Clemente  XIV, 
e  nel  1775  per  Pio  VI.  Nel  pos- 
sesso poi  di  Pio  VII,  che  fu  il  pri- 
mo a  prenderlo  in  carrozza  con 
una  parte  dell'antica  cavalcata,  nel 
consueto  luogo,  ma  coli'  abito  di 
mantellone,  non  essendo  solenne  la 
cavalcata,  andarono  a  cavallo  il 
dottore  Carlo  Porta  medico  onora- 
rio ed  un  cappellano  segreto,  per- 
chè il  caudatario  F'rediani  come  ce- 
reraoniere  pontificio  dirigeva  con  al- 
tro la  cavalcata,  seguiti  da  due  aiu- 
tanti di  camera  a  cavallo.  Nel  pos- 
sesso del  regnante  Pio  IX,  non  es- 
sendovi archiatro,  cavalcò  col  cau- 
datario il  primo  aiutante  di  ca- 
mera, ma  in  cappe  rosse,  al  modo 
detto  a   Maestro  di  Camera. 

Al  citato  articolo  Camerieri  bei, 
Papa  parlammo  degli  antichi  pro- 
venti di  essi,  quali  oggi  consistono 
neir  onorario  di  annui  scudi  sei- 
cento, e  nella  casa  che  godono  nel 
palazzo  ove  dimora  il  Papa;  così 
l'archiatro,  il  quale  se  ammogliato 
riceve  dalla  beneficenza  pontificia 
quelle  pensioni  e  provviste  corri- 
spondenti alle  sue  prestazioni  e  al 
cuore  pili  o  meno  generoso  del 
Pontefice,  la  cui  preziosa  conserva- 
zione a  lui  gelosamente  è  aflidata, 
e  perciò  se  i  medici  sono  stretta- 
mente obbligati  far  ricevere  i  sa- 
gramenti  agli  infermi,  secondo  le 
summentovate  conciliari  e  pontificie 
prescrizioni,  infinitamente  maggiore 
è  la  loro  responsabilità  versr  il  ca- 
po venerabile  della  Chiesa,  per  cui 
debbono  essere  scrupolosamente  at- 
tenti, vigilanti,  diffidare  delle  pro- 
prie cognizioni  ed  amore,  ed  a  tem- 
po con  sagace  antiveggenza  doman- 
dare che  altri  esamini  lo  stato  del- 
l'augusto infermo,  a  quiete  eziandio 


MED 
^i  loro  coscienza  e  reputazione.  Al- 
l'articolo  Cadavere  del  Papa,  di- 
cemmo che  Pietro  Amelio  sagrista 
di  Urbano  V  descrisse  i  doveri  dei 
medici  allorché  essi  vedono  il  Pon- 
tefice in  pericolo  di  morire,  e  par- 
lammo dell'apertura,  sezione  e  im- 
l)alsamatura  del  pontificio  cadave- 
re che  si  fa  alla  presenza  dell' ar- 
chiatro,  dal  chirurgo  del  defunto, 
coir  assistenza  de'  medici  e  chirur- 
ghi palatini,  operazione  che  devesi 
fare  con  rispetto  e  diligenza,  e  con 
1  iservatezza  al  pudore  del  rispetta- 
bile corpo  del  capo  della  Chiesa, 
esclusa  affatto  la  concorrenza  degli 
estranei  leggermente  vaghi  di  ap- 
pagare una  riprovevole,  insolente  , 
scandalosa  e  ributtante  curiosità,  che 
giunge  a  vincere  quel  naturale  ri- 
brezzo che  ordinariamente  si  ha 
pei  cadaveri.  Il  medico  pontifi- 
cio ha  luogo  nei  treni  del  se- 
guito del  Papa  a  beneplacito  di 
questo,  sia  in  quelli  di  città,  che 
de'  viaggi  e  villeggiature,  ne  quali 
si  uniforma  eziandio  all'  abito  al- 
quanto più  corto  con  calze  paonaz- 
ze de'camerieri  segreti  ;  avendo  luo- 
go col  chirurgo  alla  tavola  di  cor- 
te (prima  di  Gregorio  XVI  a  quel- 
la del  Maestro  di  casa  del  palaz- 
zo apostolico,  Vedi),  e  alla  ponti- 
fìcia se  il  Papa  vi  ammette  i  prin- 
cipali famigliari.  Alcuni  Pontefici 
ebbero  piacere  che  gli  archiatri  as- 
sistessero alla  loro  ordinaria  mensa, 
altri  e  lodevolmente  che  li  vi- 
sitassero ogni  d'i  o  in  alcuni  gior- 
ni della  settimana,  ancorché  sen- 
za necessità  di  consultarli.  Dal  pa- 
lazzo apostolico  r  archiatro  rice- 
ve le  medaglie  di  argento  nelle 
distribuzioni  del  possesso,  e  nelle 
annuali  per  la  festa  de'  ss.  Pietro 
e  Paolo,  e  prima  ne  avea  due  di 
oro  e  due  d'  argento.  Nelle  corau- 


MED  ii5: 

nionì  annuali  che  fe  il  Papa  nella 
cappella  segreta  ha  luogo  anco- 
ra r  archiatro  in  mantellone  ,  cosi 
pure  nel  mercoledì  santo  ,  anco 
da  chi  ne  fa  le  veci,  come  il  mag- 
giordomo o  altro  prelato  per  es- 
so ;  altrettanto  dicasi  del  medico  se- 
greto non  archiatro  e  del  chirur- 
go pontificio,  i  quali  vi  interven- 
gono in  abito  nero.  Dispose  Leo- 
ne XII  che  il  medico  e  il  chi- 
rurgo del  Papa  appartenessero  sem- 
pre al  collegio  medico -chirurgi- 
co dell*  università  romana,  e  qua- 
lora non  siavi  posto  vengano  am- 
messi per  onorarij  divenendo  effet- 
tivi alle  vacanze;  già  però  l'archia- 
tro  faceva  parte  del  collegio  medico 
ed  avea  posto  distinto  immediatamen- 
te dopo  il  presidente,  seppure  non 
copriva  questa  onorevole  rappresen- 
tanza. L'  anticamera  segreta  inter- 
venendo all'esequie  di  quei  palati- 
ni che  enumerammo  al  citato  voi. 
VII,  pag.  3i  e  Sa,  v'interviene 
ancora  V  archiatro  in  mantellone  j 
r  esequie  si  celebrano  al  modo  ivi 
detto   e   all'  articolo   Funerali. 

Riporteremo  tre  esempi  di  fune- 
rali celebrati,  due  agli  archiatri,  ed 
uno  al  protomedico.  Nel  1720  il 
cadavere  di  monsignor  Lancisi  ar- 
chiatro di  Clemente  XI,  fu  tras- 
portato nella  chiesa  di  s.  Spìrito 
in  Sassia,  vestito  in  mantellone  da 
cameriere  segreto,  colla  berretta 
dottorale  in  testa  :  celebrò  la  mes- 
sa monsignor  pro-maestro  di  ca- 
mera, co*  ministri  e  cantori  della 
cappella  pontificia,  e  coli'  assistenza 
degli  individui  della  camera  segre- 
ta, anche  di  spada  e  cappa,  con 
la  solita  dispensa  di  cera,  come  ri- 
porta il  numero  896  del  Diario 
di  Roma  .  Nel  marzo  1720  nella 
chiesa  della  Minerva  fu  esposto  il 
cadavere  di  Girolamo  Sinibaldi  at- 


ii6  MED 

tuale  protomedico  (era  stato  medi- 
co del  conclave),  vestilo  coli' abito 
dottorale,  conforme  vestirono  tutti 
i  medici  del  collegio,  che  assistero- 
no alla  messa,  a  riserva  di  Michel 
Angelo  Paoli,  medico  di  Clemente 
XI,  ch'era  vestito  coU'abito  de'ca- 
raerieri  segreti  del  Papa:  il  cada- 
vere era  sul  letto  funebre  con  tren- 
ta fìaccololti  di  cera  attorno.  Tan- 
to si  legge  nel  numero  4^3  del 
Diario  di  Roma.  Nel  1789  nella 
chiesa  di  s.  Luigi  de' francesi  si  ce- 
lebrarono 1*  esequie  di  monsignor 
Natale  Saliceti  corso,  di  sopra  ram- 
mentato, decano  de'  medici  di  col- 
legio e  archiatro  di  Pio  VI,  il  cui 
cadavere  fu  esposto  vestito  da  came- 
riere segreto.  Celebrò  la  messa  mon- 
signor Federici  segretario  della  ci- 
fra, assistito  dai  ministri  e  cantori 
della  cappella  pontificia,  col  solito 
intervento  di  tutta  la  camera  se- 
greta, come  riferisce  il  numero  1478 
del  Diario  di  Roma.  Nel  numero 
XXX  dell'  Effemeridi  letterarie  di 
Roma  i'/8g,  si  rende  ragione  delle 
lodi  di  tale  archiatro,  orazione  di 
Pietro  Pasqualoni  recitata  nell'ar- 
chiginnasio della  Sapienza  o  uni- 
Tersità  romana  a'  2  luglio,  e  pub- 
blicata colle  stampe.  Quanto  all'a- 
bito collegiale  de'  membri  del  col- 
legio medico-chirurgico  di  Roma  , 
esso  è  nero,  così  quello  di  Bologna, 
con  fascia  rossa,  cioè  sottana,  fascia 
con  fiocchi,  ferraiuolone,  mozzelta  di 
pelli  d' armellino  con  collare  e  ber- 
retta dottorale.  Il  figurino  colle  no- 
tizie analoghe  sono  riportate  a  p. 
243  e  seg.  t.  I  Collectio  legum  et 
ord.  de  recta  stud.,  di  monsignor 
Caterini.  Il  Buonarroti  nelle  Osser- 
vaz.  sopra  i  medaglioni  p.  i25  e 
1 26,  parla  dell'abito  antico  dei  medi- 
ci, e  quali  fossero  i  privilegiati  degli 
antichi  :    rende   ragione   perchè    fu 


MED 

proprio  di  loro  il  pallio  cinto  det- 
to peonie,  da  Peone  illustre  me- 
dico degli  Dei;  del  pileo  proprio 
di  quelli  che  dovevano  viaggiare 
ed  esporsi  all'  aria  e  al  sole;  del 
bastone,  quale  loro  si  confà  perchè 
obbligati  per  l'arte  a  contìnui  viag- 
gi, a  questi  erano  concessi  privilegi 
ed  esenzioni,  e  non  a  quelli  che  se 
ne  stavano  inutilmente  a  studiare 
a  casa.  Passiamo  ora  a  dire  alcuna 
cosa  de' medici  e  chirurghi  palati- 
ni, de' medici  e  chirurghi  del  con- 
clave. 

I  medici  palatini  e  pontificii  fu- 
l'ono  talvolta  denominali  dai  Papi 
medici  nostri,  benché  essi  coi  chi- 
rurghi di  palazzo  sieno  per  como- 
do de*  famigliari  di  esso  e  di  quelli 
del  Pontefice,  tranne  quelli  del  ceto 
nobile  che  non  godono  tal  benefi- 
zio, né  quello  de'  medicamenti  che 
pur  fruiscono  i  primi.  11  Marini  ra- 
gionando di  que'  medici  non  cjuidem 
regere  valetudines  principis  soliti^ 
consilii  tanien  copiam  praehere,  co- 
me di  Caricle  scrisse  Tacito,  fatti 
cioè  venire  a  bella  posta,  e  consul- 
tati straordinariamente  all'occasio- 
ne di  alcune  infermità,  e  da  lui 
riportati  nella  serie  coi  chirurghi 
de'  Papi  che  spesso  ebbero  nome  di 
loro  medici,  nel  diredi  quelli  stipen- 
diati dal  palazzo  apostolico  che  so- 
no a  vita,  mentre  il  medico  e  il  chi- 
rurgo del  Papa  sono  particolari  e 
personali  di  esso,  e  cessano  alla  sua 
morte,  si  esprime  inter  penetralia 
regalis  aulae  Jlorentes,  intra  pala' 
tium  militantes,  per  nominarli  con 
quelle  medesime  parole,  colle  quali 
i  loro  archiatri  gì'  imperatori  Gra- 
ziano e  Teodosio  II  chiamarono. 
Nella  relazione  composta  in  Pisa 
nel  1409  per  Alessandro  V,  di  tut- 
to ciò  che  occorreva  per  servigio  del 
Papa,   di    che    parlammo    al    voi. 


MED 

XXni,  p.  52  del  Dizionario,  ripor- 
tala dal  Gallico,  /icta  caerem.  p. 
272,  vi  è  il  §  22,  De  medicis  pa- 
latini. «  llera  Dominus  noster  ha- 
bet  eligere  physicus,  prout  placue- 
rit  suae  Sanctitati,  et  de  eorum  pio- 
•visione  ordinare.  Consuetura  tamen 
est,  quod  in  palatio  apostolico  u- 
num  semper  habeat  (nella  ristam- 
pa scrisse  vimini  semper  habent^ 
come  notò  l'accurato  Marini),  cui 
camera  debet  assignari,  et  sibi  prò 
«e,  et  uno  servitore  de  victu  pro- 
vider! debet  ".  Ne'  ruoli  palatini  che 
si  conservano  nell'archivio  palati- 
no, da  Giulio  Hi  in  poi,  da  me  letti 
«  studiati,  ed  alcuni  prodotti  nell'ar- 
ticolo Famiglia  pontificia,  coi  me- 
dici e  chirurghi  de'  Papi,  e  coi  me- 
dici e  chirurghi  palatini  in  buon 
numero,  lessi  che  avevano  dal  palaz- 
zo servi,  cavalli  e  mantenimento  di 
essi,  pane  vino  e  altre  cose,  per  cui 
e  per  altri  riflessi  porto  opinione 
che  dovessero  curare  anche  la  fa- 
miglia nobile  palatina. 

li  Marini  nel  catalogo  o  serie  dei 
medici  pontificii,  che  riporta  nel  1. 1, 
p.  XXIII  e  seg.,  in  confronto  della 
serie  Mandosiana,  incomincia  il  no- 
vero de*  medici  e  chirurghi  pala- 
tini dal  pontificato  di  Paolo  III 
(oltre  certo  Alberto  da  Erbip'oli  me- 
dico romano,  il  quale  seguiva  la 
curia  pontificia,  e  perciò  medico  del- 
la famiglia  di  Clemente  VI  del 
1342,  ed  oltre  Antonio  medico  del- 
la famiglia  di  Pio  II  ),  rimarcan- 
do Bernardo  Odeschi  medico  della 
famiglia j  in  quello  di  Giulio  IH 
del  i55o  registrò  Ippolito  Salviani 
e  Bernardo  Odeschi  medici  della 
famiglia,  e  chirurgo  della  medesima 
Scipione  de  Rossi  (dell'  antipapa 
Benedetto  XIII  erano  stati  chirur- 
ghi della  famiglia,  Michele  Geraldi, 
Giacomo  Poncii  ed  Antonio  di  Gar- 


MED  117 

zia  )  ;  terminando  tal  serie  col  pon- 
tificato di  Pio  VI,  ove  notò  medici 
della  famiglia  Luigi  Lolli  bologne- 
se, Ruggiero  Viviani  romano,  so- 
prannumeri Pietro  Zannettini  roma- 
no,  e  Gio.  Battista  Leporelli  di 
Viterbo,  e  chirurghi  Carlo  de  la 
Boissier  ed  Antonio  Biagi  :  leggo  nel 
ruolo  1778  Pietro  Maria  Giavina 
chirurgo  soprannumero  senza  emo- 
lumento, e  Paolo  Pizzamiglia  so- 
stituto con  parte  di  pane  e  vino 
ragguagliata  a  sei  scudi  mensili. 
Sino  da  Sisto  IV  del  i47ij  *'»  • 
medici  comparve  il  medico  della 
compagnia  del  ss.  Sagramento  per 
gl'infermi  di  tutta  la  parrocchia 
vaticana,  prendendo  luogo  tra  gli 
archiatri  palatini,  e  Francesco  Car- 
retti, già  medico  di  Gregorio  Xill, 
tenne  tal  carica  nel  pontificato  di 
Sisto  V,  e  medico  per  gì'  infermi 
della  parrocchia.  Ecco  gli  altri  me- 
dici di  detta  compagnia:  sotto  Gre- 
gorio XIV  incominciò  Demetrio 
Canevari,  il  quale  a  tempo  di  Pao- 
lo V  ancora  figura  con  certo  Mo- 
desto, e  r  aggiunta  di  Francesco 
del  Pezzo  chirurgo;  prima  di  que- 
sti lo  era  stato  Cecchini,  cioè  sotto 
Clemente  Vili.  Sotto  Gregorio  XV  e 
successori,  Giuseppe  Trullier;  nel 
pontificato  di  Urbano  Vili,  Silvestro 
Collicola,  medico  della  compagnia 
del  ss.  Sagramento  di  s.  Pietro; 
sotto  Innocenzo  X,  Arcangelo  Vili 
anche  della  famiglia  sino  al  1648, 
e  Marcello  Lopez  sino  al  1649-  Nel 
pontificato  di  Urbano  Vili,  Fer- 
rante Serroni  chirurgo  di  s.  Marta, 
ed  in  quello  di  Alessandro  VII  , 
Marcello  Lopez  anco  dell'  ospedale 
di  s.  Marta  istituito  da  Paolo  III 
pei  famigliari  pontificii,  come  nar- 
rammo al  detto  voi.  XXIIIj  p.  74 
e  75;  anzi  trovai  ne'  ruoli  che  l'o- 
spedale avea  pure  una  priora,  dun- 


ii8  MED 

que  eravi  il  luogo  per  le  donne 
de' medesimi  famigliari.  Dopo  il  Lo- 
pez non  rinvenni  altri  medici  della 
compagnia  del  ss.  Sagramento,  tran- 
ne nel  ruolo  di  Clemente  XT,  ove 
è  notalo  Michelangelo  Paoli  medico 
di  s.  Marta  e  del  ss.  Sagramento, 
poi  Giambattista  Ferrari.  Fra  i  me- 
dici e  chirurghi  palatini  fiorirono 
diversi    di    un    merito  distinto. 

IlLunadoro,  Relaz.  della  corte  di 
Boma,  edizione  del  1646,  p.  i4  e 
SgS,  dice  che  nel  palazzo  aposto- 
lico vi  sono  due  medici,  oltre  il 
cameriere  segreto,  per  la  famiglia, 
con  buona  parte  e  abito  paonazzo, 
essendo  la  parte  scudi  quattro  e 
mez/x)  per  uno  al  mese  ;  e  che  il 
medico  della  compagnia  del  ss.  Sa- 
gramento di  s.  Pietro  (della  quale 
parlammo  in  più  luoghi,  fra'quali 
citeremo  ì  volumi  II,  pag.  3oo, 
XXII  ,  pag.  i63,  e  XXIII,  pag. 
59  )  ha  parte  e  scudi  dieci  al  me- 
se. I  medici  palatini  vestono  di 
collare,  sottana  e  fascia  di  seta  pao- 
nazza con  fiocchi,  ferraiuolone  di 
seta  nera,  con  cappello  ecclesiasti- 
co e  berretta  dottorale;  così  vesti- 
ti intervengono  alle  solenni  comu- 
nioni che  fa  il  Papa  nella  cappella 
segreta,  i  chirurghi  incedendovi  al- 
tresì e  vestiti  di  nero,  siccome  ap- 
partenenti alla  famiglia  nobile.  Due 
sono  i  medici  con  scudi  dieci  per 
cadauno  al  mese,  essendo  ora  i  dot- 
lori  Pietro  Sciarra,  il  quale  gode 
pure  l'abitazione  in  palazzo,  e  Giu- 
seppe Gabrielli,  con  diversi  sopran- 
numeri. Evvi  il  chirurgo  con  scudi 
dieci  mensili,  e  l'abitazione  in  pa- 
lazzo (che  talora  la  gode  il  sosti- 
tuto, il  quale  non  ha  passaggio  a 
chirurgo);  al  presente  è  Antonio 
Baccelli  di  s,  Vito.  Il  chirurgo  so- 
stituto ha  scudi  otto  al  mese:  era  il 
cav.  Andrej  Belli,  che  occupato  in 


MED 

molte  clientele,  né  polendo  più  dor- 
mire in  palazzo,  il  Papa  nel  1847 
gli  fissò  annua  pensione  vitalizia,  e 
per  sua  rinunzia  è  divenuto  chirur- 
go sostituto  il  di  lui  coadiutore 
Luigi  Rocchi  romano.  Tanto  il  chi- 
rurgo che  il  sostituto  hanno  so- 
prannumeri. Questi  medici  e  chirur- 
ghi palatini  assistono  alla  sezione  del 
pontificio  cadavere  e  sua  imbalsama- 
zione, ricevendo  per  quella  di  Pio 
Vili  in  compenso  scudi  duecento  ot- 
tantacinque ripartiti  proporzionata- 
mente. Dal  Maestro  di  casa  del  sacro 
palazzo  ricevono  le  medaglie  di  ar- 
gento pel  possesso,  e  per  la  festa 
dei  ss.  Pietro  e  Paolo,  le  candele,  le 
palme  e  gli  Agnus  Dei  benedetti. 
Intervenendo  nelle  pontificie  villeg- 
giature di  Castel  Gandolfo  un  me- 
dico ed  un  chirurgo,  mangiavano 
alla  tavola  di  tal  ministro,  come  si 
disse  a  quell'  articolo,  finché  nel 
pontificato  di  Gregorio  XVI  furono 
ammessi  alla  tavola  di  corte.  I  me- 
dici, i  chirurghi  palatini,  e  loro  so- 
prannumeri, il  Pontefice  li  nomina 
con  biglietto  di  monsignor  mag- 
giordomo. 

Dei  medici  e  chirurghi  del  con- 
clave come  Conclavisti  [Fedi),  ne 
parlammo  a  quell'  articolo,  cioè 
che  Pio  IV  stabilì  che  soli  due  me- 
dici ed  un  chirurgo  entrino  in  con- 
clave, scelti  dal  sacro  collegio  per 
voti ,  secondo  i  concorrenti  ;  che 
Clemente  XII  ordinò  che  si  elegges- 
sero nella  quarta  congregazione  due 
medici  ed  un  chirurgo,  ai  quali  si 
continuassero  a  dare  scudi  cento  al 
mese  per  ciascuno  ;  che  fu  escluso 
una  volta  un  sacerdote  concorrente, 
benché  a  voti  pari  nell'inclusione 
ed  esclusione ,  come  fu  escluso  un 
celebre  chirurgo  per  le  rimostran- 
ze di  un  cardinale  ;  che  debbo- 
no   giurare    di    conservare    il    se- 


MED 

greto;  che  vestono  in  zimarra  e 
benelta  tloUorale  nere,  e  del  com- 
penso che  perciò  ricevono;  dei  pri- 
vilegi che  partecipano  come  conch»- 
visti,  in  un  alla  spartizione  de'dieci- 
uiila  scudi  d'oro,  riportandosi  anche 
quanto  fu  fatto  da  Pio  Vili  su  que- 
sto particolare,  oltre  una  regalia  in 
vece  delle  pensioni  che  hanno  i 
conclavisti  ecclesiastici,  venendo  no- 
minali nel  pontificio  moto  proprio 
della  concessione  de'  privilegi.  Il  Ma- 
rini incomincia  il  novero  de'  medi- 
ci e  chirurghi  del  conclave  da  quel- 
li del  conclave  in  cui  fu  eletto 
Paolo  II  del  r464>  sino  a  quelli 
del  conclave  in  cui  venne  esaltato 
Pio  VI,  quali  riporteremo  qui  ap- 
presso, aggiungendovi  non  solo  al- 
cune erudizioni,  ma  ancora  i  poste- 
riori, in  un  ai  medici  e  chirur- 
uhi  de'  Papi.  Si  vedrà  da  que- 
sta serie,  che  diversi  medici  e  chi- 
rurghi de' Papi  defunti  furono  am- 
uiessi  dai  cardinali  in  conclave, 
mentre  altri  servirono  piìi  Papi  per 
la  loro  dottrina  ed  eccellenti  qua- 
lità, o  per  propensione  benigna  di 
chi  li  scelse  a  sì  grande  onorificen- 
za; come  i  casi  in  cui  furono  am- 
messi in  conclave  più  medici  e  chi- 
rurghi, come  pure  che  qualche  car- 
dinale portò  seco  per  conclavista 
uu  medico.  Premetteremo  alcune 
notizie  sui  santi  medici. 

L'arcangelo  s.  Raffaele,  chiamalo 
medicina  Dei  perchè  col  fiele  del 
pesce  restituì  la  vista  al  cieco  To- 
bia, fu  pel  primo  celebrato  da  chi 
Scrisse  sui  medici  santi.  Fu  medico 
s.  Luca  evangelista,  ed  il  Cancellie- 
ri nelle  citate  Memorie  p.  49  > 
parla  di  quelli  che  lo  negano  con- 
tro r  universale  tradizione,  citando 
per  r  affermativa  autorevoli  testi- 
monianze e  dissertazioni.  Fu  me- 
dico   di  profes^oue   s.    Alessundio 


MED  1 1 0 

martire  nella  Frigia,  ed  eccellentis- 
simo lo  fu  s.  Zenobio  prete  di  Si- 
done e  martire  ;  e  Teodolo  vescovo 
Laodiceno  esercitò  la  medicina.  Me- 
dici furono  altresì  i  ss.  Giuliano 
martire  di  Eraesa,  ed  altro  dello 
stesso  nome.  Liberato  e  Taleleo  : 
fu  medico  anche  s.  Ciro  Alessandri- 
no, come  lo  furono  s.  Pantaleo  mar- 
tire, s.  Diomede,  i  ss.  Cosma  e  Da- 
miano martiri  (di  questi  parlammo 
alla  loro  .biografia^  all'articolo  Chi- 
rurgo, e  ne  riparleremo  all'  arti- 
colo Università'  artistiche  come 
protettori  de'  barbieri  chirurghi  ), 
s.  Coluto,  8.  Panesniù  abbate  e 
diacono;  s.  Antonio  abbate  esercitò 
la  medicina,  s.  Papilo  diationo  e 
medico  martire  solto  l'imperatore 
Decio,  s.  Giovenale  probabilmente 
medico  di  s.  Damaso  I  Papa,  poi 
vescovo  di  Narni;  e  per  non  dire 
di  altri  riportati  dal  Cancellieri,  s. 
Eusebio  Papa  medico,  o  figlio  di 
medico,  s.  Medico  di  Otricoli,  il 
levita  Dionigi  fiorito  nel  secolo  V, 
Pietro  prete  e  medico,  il  celebre 
Eipidio  Rustico  diacono  e  medico 
del  secolo  VI,  s.  Sansone  prete  ro- 
mano e  medico,  tutti  ecclesiastici, 
olire  i  santi  medici  e  vescovi  Eu- 
sebio, Zenone  e  Biagio,  de'  quali 
come  di  altri  tratta  il  Molano,  iVo- 
menclator  ss.  professione  medicO' 
rwnj  risplendendo  tra  le  donne 
che  esercitarono  la  medicina,  santa 
Teodosiaj  s.  Zenaide,  s.  Francesca 
romana,  s.  Ildegarda  e  s.  Nicera- 
ta.  Per  gratitudine  non  posso  tra- 
lasciar di  rammentare  san  Cesario 
di  Cappadocia  insigne  medico  del 
IV  secolo,  perchè  il  dottore  Ado- 
ne Palmieri  perugino  volle  a  me 
infitolare  la  di  lui  biografia,  co- 
me pure  mi  dedicò  la  seconda 
edizione  ampliata  dell'  importante 
suo    opuscolo  :    Alcune   nozioni   di 


I20  MED 

ani  induslriali,  mestieti,  agricoltura 
donieslica,  economia.  Egualmente 
per  debito  di  riconoscenza  faccio  qui 
menzione  d'altro  medico,  il  dottore 
Giovanni  Ettore  Mengozzi  riminese, 
già  pubblico  professore  di  matema- 
tica, di  fisica  e  di  medicina  com- 
parata, al  quale  piacque  di  recente 
dedicarmi  il  suo  :  Saggio  sulla  ge- 
nerazione degli  animali  con  alcu- 
ne nuove  idee  intorno  la  classifica- 
zione degli  esseri  naturali.  Né  vo- 
glio tacere  che  il  bussolante  ponti- 
fìcio e  farmacista  Alessandro  Ricci 
volle  intitolarmi  l'opuscolo:  Arti- 
coli vari  di,  scienze  naturali.  Ora 
riprendiamo  la  nostra  narrazione. 

Il  Pontefice  s.  Bonifacio  IV  era 
figlio  d'un  medico,  cosi  s.  Leone  II. 
Da  s.  Nicolò  I  il  Mandosio  prin- 
cipia la  serie  de' medici  pontificii, 
cioè  dall'  858,  dicendo  che  di  tal 
Papa  lo  fu  Orso  o  Bonito  suddia- 
cono, ma  il  Marini  dubita  assai  di 
tale  asserzione.  Il  celebre  e  dotto 
Silvestro  li  del  999,  fu  abilissimo 
anche  nella  medicina.  Alfano  mo- 
naco cassinese,  poi  arcivescovo  di 
Salerno,  fu  utile  alla  salute  di  Vit- 
tore Il  che  andò  a  trovare  in  Fi- 
renze con  medicamenti  e  libri  di 
medicina  :  Vittore  III  già  abbate 
del  monastero  di  Monte  Cassino,  si 
servi  dell'  altro  egualmente  famoso 
medico  e  monaco  Costantino,  o  di 
qualche  professore  della  scuola  sa- 
lernitana, secondo  Leone  Ostiense  in 
Chron.;  il  Cancellieri  chiama  1'  Al- 
fano Benedetto  Alfonso.  Il  secondo 
medico  pontificio  della  serie  Man- 
dosiana  è  Giovanni  Filippo  di  A- 
lessandro  III,  nominato  all'articolo 
Medicina,  quale  ambasciatore  ed 
efficace  missionario  al  Prete  Janni, 
perciò  da  noi  celebrato  all'articolo 
Etiopia.  Il  terzo  Romualdo  di  Cele- 
stino III,  che  per  difendersi  dal  caldo 


MED 

usava  tre  berrette  o  cappelli;  forse 
fu  pure    medico    d'Innocenzo    III, 
il  quale  fu  dotto  in  medicina.  Cer- 
to lo  fu   Giovanni  Caslellomala  di 
Salerno,    canonico  di    quella    catte- 
drale, poi   vescovo  di   Policastro  :  di 
parecchi  vescovi  medici,  taluno  dei 
quali  continuò  ad  esercitare  la  pro- 
fessione,   il  Marini    ne    parla    al  t. 
I  ,    p.     i3,  nominando    per   ultimo 
Paolo  di  Adriano    di  Middelburgo 
archiatro  del  duca  di  Urbino,  e  nel 
i4()4  vescovo  di  Fossombrone.  Pie- 
tro Ispano  di  Lisbona,  forse  fu  ar- 
chiatro di  Gregorio  X  che  lo  creò 
cardinale,    e    nel     1276    venne    in- 
nalzato   al  soglio  pontificio  col  no- 
me di  Giovanni  XXI  ;  un   Giovan- 
ni Ispano  fu  medico  e  cappellano 
di    Onorio  III     e  di    Gregorio  IX, 
poi  vescovo  di  Lisbona,  per    cui  il 
Marini     dubita    che    sia    lo    stesso 
che  Pietro.  D'Innocenzo  IV  fu  me- 
dico   Remigio  suo  cappellano    e  di 
Urbano  IV;  altro  fisico  d'Innocen- 
zo IV  e  de'suoi  successori  forse  fu 
Teodorico  de'  Borgognoni  lucchese, 
illustre  scrittore  di  chirurgia  e  do- 
menicano, cappellano    e  penitenzie- 
re,   indi  vescovo    di  Bitonlo    e    di 
Cervia.    Gregorio     da    s.    Lorenzo 
suddiacono    e  cappellano  apostolico 
fu  medico  di   Alessandro  IV  in  uà 
a   Bartolomeo.     Urbano  IV    e  Cle- 
mente IV  ebbero  a  tat^\c\  Giovanni 
Behlequin     canonico     di    Costanza, 
forse  anche  fisico  di  Alessandro  IV; 
e  Raimondo   di   Nimes    cappellano 
come  il  precedente,  poi   vescovo  di 
Marsiglia,  illustre  per    virtù  e  me- 
riti.   Si    dubita    se    Pietro    Ispano 
fosse  medico  di  Gregorio  X,  come 
Arnaldo  di    Villanova  d'Innocen^ 
zo   V. 

Giuliano  fu  medico  di  Giovannj 
XXI  dottissimo  nella  medicina  ; 
Giovanni  di  Luca  romano,  coll'aa- 


MED 

nua  provvisione  di  55  lire    di  pro- 
Tesini,  lo  fu  di  Nicolò  III  del  1277, 
il  quale  da  cardinale  mostrò  §ì  po- 
co conto  de'consigli  de'  medici,  che 
Clemente  IV  cui    importava  la  sua 
guarigione,  gli   scrisse   una   lettera, 
sgridandolo  e  provandogli  che  con- 
veniva prestar  fede  ai  medici  non  al 
proprio  capriccio:  è  incerto  se  Cam- 
pano o   Campana  ed  un  tal   Pietro 
fossero  medici  di  Nicolò.  III.    Ugo- 
ne  Atralo  d'  Evesham  cardinale  di 
Martino  IV  non  fu  suo  medico,  ma 
solo  consultato  sulle  pericolose  ma- 
lattie correnti.  Onorio  IV  per  una 
sua    cura    fece     venir   da    Bologna 
Taddeo    di  Alderotto   fiorentino,    e 
poi    guarito,    colà    il  rimandò    con 
diecimila  scudi,  invece  dei  cento  al 
giorno  che   avea  bassamente  e  eoa 
avidità  domandato,  se  deve  creder- 
si   ad    alcune    relazioni    storiche;  a 
tal    narrazione  del    Novaes    si    ag- 
giunge da  lui,  che  Pietro  d'  Abano, 
che    il    Marini  non    conviene   fosse 
medico    di    Onorio    IV,    domandò 
per    curarlo    scudi  4oo    al  giorno, 
fiorendo  quel  medico  con  rara  dot- 
trina    in  Parigi.     Nicolò    IV     ebbe 
per  medico    Simone    da   Cordo    di 
Genova,  eh'  è  il  primo  medico  pon- 
tifìcio certo  dato  da  Mandosio,  e  fu 
autore  di  alcune  opere  ;    benché  lon- 
tano,   si     mostrò    premuroso    della 
sanità    di   Nicolò  IV,  Ruggiero  Ba- 
cone,   per  quanto  scrisse    a    di    lui 
vantaggio  per  riparare  gli   acciden- 
ti  che   accompagnano    la    vecchia- 
ia,  col    libro  che   gli  spedì,    onde 
trattenerli  più  che  poteva.  Bonifa- 
cio Vili  ebbe  a  medico  Acairsino 
da  Pistoia  che  lo  avea  servito  prima 
del  pontificato,  per    cui  gli  benefi- 
cò due  figli,  e  ricevette  per  viatico 
dieci  tornesi  e  mezzo  al  giorno,  ac- 
compagnando il  Papa  da  Anagni  a 
Roma.  Altri  naedici  furono  Manzia 


MED 


I'2( 


da    Fabriano,  che   medicò  Bonifa- 
cio   Vili    per    più  d'un    anno;    e 
Guglielmo    de    Corvis   da    Brescia, 
detto  V Aggregatore,  cappellano  pon- 
tificio, che  lo  fu  pure  di  Clemente 
V  e  Giovanni  XXU,  provveduto  di 
dignità    ecclesiastiche    e    canonicati, 
e  del  feudo   Ripatici  nel  Ferrarese, 
onde  fondò  in  Bologna  un  collegio 
pei   poveri    studenti.  Non   conviene 
il  Marini,  che  Angelo    da  Cameri- 
no fosse  medico  di  Bonifacio  Vili, 
che  solo  il  mandò  a  studiar  medi* 
cina  in   Perugia,  o  meglio    che  ivi 
io    conobbe   e    poi     lo    chiamò    in 
Roma  per  lettore  di  medicina .  Be- 
nedetto   XI  di    Treviso   tenne    per 
medico  Arnoldo,  forse  della  diocesi 
d'  Aquileia,    nella    quale    die    una 
pieve  al  fratello  ;  è  dubbio  se  Gal- 
vano da  Levanto  fosse  suo  medico 
e  di  Bonifacio  Vili.  Di  Clemente   V 
che    nel    i3o5    trasferì    la    sede  in 
Francia  ossia  la  residenza  pontificia 
che  poi  stabilì  in   Avignone,    furo- 
no   medici  :     Arnaldo  da  Pillano- 
va,  probabilmente  quello  attribuito 
ad     Innocenzo     V  ;     Giovanni    de 
Causanicix  d'  Alais,  sagrista  di  Nar- 
bona  e  cappellano  apostolico;  Pie- 
tro de  Guarda  canonico    d' Acqus; 
Amalvino    de    Podio    canonico    di 
Bordeaux  e    cappellano    pontificio  : 
non  è  certo  che    fossero  medici  di 
Clemente    V,    Gianvitale  du  Foitr 
o    Fumo    da  lui   creato   cardinale  ; 
e  Pietro  Aichspalt  che  tutto  al  più 
lo  curò   in  una  circostanza    straor- 
dinaria, vescovo  di  Basilea  poi  tra- 
sferito a  Magonza.  Giovanni  XXII 
ebbe    per    medici    in    Avignone^  il 
suo    cappellano    Gaufrido    Isnardi 
collo  stipendio   mensile    di    7  lire, 
i3  soldi    e  g  denari,  arricchito  di 
benefizi  e  del  vescovato  di  Cavail- 
lon,  continuando  ad  essere  archia- 
tro,  colla  cura  della  spezieria,  del- 


122  MED 

la  guardaroba  domestica,  della  cap^ 
palla  e  paramenti  sacri,  e  talora 
anche  l' elemosìneria,  poi  medico 
di  Benedetto  XII  ;  Giacomo  di 
Gaufrido  decano  di  Gap,  medico 
pure  di  Clemenza  regina  di  Fran- 
cia ;  Pietro  di  Tofallis  canonico 
d'  Agen,  anche  chirurgo  come  dis- 
si a  quell'  articolo  ;  e  Giovanni 
Bianchi.  Probabilmente  lo  furono 
ancora  Arnoldo,  Dino  del  Garbo, 
Gentile  da  Foligno,  e  Francesco 
Stabili  detto  Cecco  d'Ascoli  con 
molto  dubbio. 

Di  Benedetto  XII,  come  si  è  det- 
to, fu  medico  Gaufrido  Jsnardi;  è 
incerto  che  lo  fosse  pure  il  nomina- 
to Galvano  da  Levanto  genovese, 
autore  di  opere  mediche  per  uso 
di  persone  ecclesiastiche,  pie  e  sot- 
tili :  lo  curò  in  alcuna  occasione 
Pietro  de  Saniayre  della  diocesi 
di  Pamiers ,  come  furono  medici 
e  chirurghi  straordinari  Boneto 
Mole  di  Montpellier,  e  Arnoldo 
de  Cathus  della  diocesi  di  Cahors, 
onde  ne  parlammo  all'articolo  Chi- 
rurgo, con  Pietro  Augerii  chirurgo 
e  medico.  Di  Clemente  VI  del  i3^i 
furono  medici  Stefano  Seguini  , 
Giovanni  da  Firenze,  Stefano  An- 
cclini,  Raimondo  Rainaldo  detto 
de  Farsio  o  Vinario,  autore  d'un 
trattato  sulla  peste,  il  quale  spac- 
ciò aver  sanato  morsicature  di  ser- 
pi e  scorpioni  coU'anelìo  •  con  to- 
pazio del  Papa;  altri  medici  furo- 
iio  Guelmo  de  Lavetagio  ;  Lorenzo 
dal  Biarz,  e  Giovanni  la  Mare- 
scala  ambedue  canonici  e  cappel- 
lani pontificiij  ed  il  primo  anche 
d' Innocenzo  VI  che  lo  nominò  ve- 
scovo di  Vaison  poi  di  Tulle,  con- 
tinuando nell'uflizio  di  archiatro. 
]  chirurghi  di  Clemente  VI,  oltre 
y Augerii  di  Benedetto  XII,  furono 
Qiovanni  da  Genova,  Giovanni  da 


MED 

Parma,  Giovanni  Gabrielli,  e  Gni' 
done  de  Chnuliac  che  lo  fu  anco- 
ra di  Urbano  V;  tranne  Gabrielli, 
di  tutti  e  de'  loro  stipendi  facem- 
mo parola  a  chirurghi.  E  incerto 
se  fossero  medici  di  Clemente  VI, 
Giacomo  Capelluti  di  Parma,  e 
Giovanni  d'Alais.  Quanto  al  Ca- 
pelluti morì  in  Avignone  a*  i3  ot- 
tobre I  343,  e  fu  sepolto  nella  chie- 
sa degli  eremitani  con  massimo  o- 
nore,  poiché  intervennero  ai  fune- 
rali undici  cardinali,  sedici  vescovi, 
con  molti  procuratori  del  Papa. 
Questi,  come  chierico,  l'abilitò  a 
testare ,  etìam  fecit,  et  dedit  gra- 
tiani  quod  esset  absolutus  a  poe- 
na  et  culpa.  Osserva  il  Novaes  nel- 
la vita  di  tal  Papa,  citando  il  Ma- 
rini, che  siccome  splendido  in  tut- 
to, lo  fu  ancora  nel  numero  dei 
medici  e  chirurghi,  per  cui  il  Pe- 
trarca mal  disposto  verso  il  modo 
di  medicare  d'allora,  e  nemico  di 
tanti  medici,  in  una  malattia  di 
Clemente  VI,  di  cui  non  morì,  lo 
avverti  con  lettera  col  passo  di 
Plinio,  turba  medicoruni  perii,  e 
come  gridò  morendo  l'imperatore 
e  filosofo  Adriano,  turba  medico- 
rum  regem  occidif,  laonde  si  guar- 
dasse da  tanto  numeroj  e  ne  rite- 
nesse un  solo,  potente  in  consiglio 
non  in  eloquenza;  pel  quale  av- 
vertimento il  Petrarca  molto  ebbe 
a  soffrire  per  le  filippiche  d'uno  di 
tali  medici,  ma  vi  oppose  invettive 
amarissime.  D'Innocenzo  VI,  oltre 
Biarz  e  Chauliac,  fu  medico  Pie- 
tro Pestagalli,  poi  di  Ugone  re  di 
Cipro;  è  incerto  se  lo  fosse  Gu- 
glielmo Ghezzi  di  Ravenna  e  forse 
lo  fu  di  Urbano  V:  il  detto  Ga- 
brielli fu  il  suo  chirurgo.  Urbano 
V  si  servi  de'  medici  Chauliac  e 
Raimondo  de  Salaironis,  che  lo  fu 
ancora  di  Gregorio  XI,  colla  solita 


MED 

pnga  di  ventisene  fiorini    per    ogni 
bimestre,  ricevendo  dal  secondo  ogni 
anno  per  donativo     centocinquanta 
fiorini  comuni,  e  nel    i364  comin- 
ciò a  comparire  tra    i    domicelli   o 
camerieri  come  altri  suoi  predeces- 
sori;  seguì  il   Papa  nel    viaggio  di 
Roma,  non  Gregorio  XI,  mantenen- 
dosi   agiatamente,     avendo     al    suo 
servizio    cappellani,    chierici,    fami- 
gliari e  scudieri.    Giovarmi    Giaco- 
mo, cancelliere  della  facoltà  medica 
di  Montpellier,  fu  chiamato  in    A- 
vignone  a  curare  Urbano  V,  usan- 
do dell'opera  sua  eziandio  Gregorio 
XI   e  l'antipapa  Clemente  VII.  Chi- 
rurghi d' Urbano    V    si    conoscono 
Gandolfo  da  Cremona,  che  segui- 
va  la  curia    e  medicava   i    feriti,  e 
Bobino    de    Singallo,   che    fu  pur 
barbiere  del    Papa    e    serviente    di 
armi  ossia  mazziere,  e  servì   anche 
Gregorio    XI:     Giovanni    Catalani 
chirurgo  degli  ospedali   d'Avignone, 
era  stipendiato  da   Urbano  V,    co- 
me ciò  fece  Gregorio  XI    con    Ni- 
colò medico  de'poveri  d'Avignone. 
Gregorio  XI    tenne  per    medici, 
Giovanni  de    Tornamira    dell'uni- 
versità di    Montpellier,    che    molti 
archiatri  fornì  ai   Pnpi  ed  ai  re  ;  ma 
esso  non  seguì   il  Papa  quando  par- 
tì nel    iSyS  da   Avignone,    per  re- 
stituire a  Roma   la    pontificia    resi- 
denza, quindi  divenne    fisico    ordi- 
nario   dell' antipapa.  Clemente    VII 
che  si  stabilì  in   Avignone,  e  com- 
pose alcune  opere.    Tommaso    Bit- 
canìitgello  o  Biiccaniurello    di    Sa- 
lerno ;   Baimondo    de    Pozolis    scu- 
diere, seguì  il  Papa  in  Italia,  e  al- 
la sua  morte  entrò  al  servizio  del- 
l'antipapa, era  pure   cappellano    a- 
postolico    e  arcidiacono  di  Viviers; 
Bernardo  Alhu.scjuerii  canonico    ca- 
turcense;   e   Giacomo    da   s.    Ma- 
ria Bolonda,  che  seguì  il  Papa  da 


iMED  laS 

Roma  in  Anagni.   È  dubbio  se  fos- 
se medico  Bonachino   Ambronio  di 
Cesena,  ch'ebbe    per     dono  non     il 
porto  del  Cesenatico,  ma   la  caslel- 
lania  a  beneplacito   pontificio,  e  non 
in    vita.    Urbano  VI    ebbe  due  me- 
dici, Francesco    Casini    sanese    suo 
compare,  che  lo  era   stato    di  Gre- 
gorio XI;   e   Giovanni    Casini    fra- 
tello del  precedente ,  ch'ebbe    per  o- 
norario     annui     4oo     fiorini  d'oro, 
servì  ptu'e  Bonifacio   IX,  mentre  il 
suo  figlio   Antonio  fu   creato  cardi- 
nale da   Martino  V.   Insorto  contro 
Urbano  VI  nel   1 878  il   detto    anti- 
papa Clemente  VII,   ebbe  questi   per 
medici    antipapali,   Pietro  Falqiiete^ 
Bernardo     la     Costa  ,     Domenico, 
Nadino  o   Nardino  da    Piato  o  da 
Firenze,  Francesco  Cinucidi,  e  stra- 
ordinariamente  Pietro  de    LengueSy 
e   per  chirurgo   Baimondo  Carucel- 
li  j   è    incerto    se   Giordano     Chai- 
mi   fosse  chirurgo;     il   Cinuculi  ri- 
portò da    Clemente   VII    molti    fa- 
vori, e  fu  sì  ricco  che  gì' imprestò 
3o,ooo   franchi  d'oro.   Bonifacio  IX 
tenne  in  corte  quali   medici,    Anto- 
nio da  Bietij  Francesco  della  Fa- 
ra romano,  vicario  e    tesoriere  ge- 
nerale del   contado  di   Sabina,    An' 
gelo  di  Manuele  giudeo  di   Traste- 
vere medico  del  Papa  e  della  santa 
Sede  ed  anche  suo  chirurgo    (  l'al- 
tro ebreo  Salomone  da  Sabalduchlo 
fu    famigliare    pontificio),  al    quale 
articolo  rie  parlammo,  perciò  protes- 
se lui  e  la  sua  famiglia;  Angelo    da 
Piperno,   Giovanni  de  Piscibus  be- 
neventano,  beneficato  con    privilegi 
e  grazie,  Paolo  de    Caloris    mode- 
nese. Angelo  Domenichelli  di  Per- 
gola collo  stipendio  annuo    di   J^oo 
fiorini   d'oro.  Noteremo    che    Boni- 
fazio IX  rifiutò  un    inonesto  rime 
dio  per  liberarsi  dal  male  di  calcoli, 
e  ne  morì;  così  fecero    il   cardinal 


124 


MED 


Jacopo  di  Portogallo  d'anni  venti- 
sei per  altro  male,  ed  il  cardinal 
de  Crec(jiiy  d'anni  quarantatre  per 
quel  di  pietra,  tutti  giustamente 
gelosi  di  non  contaminare  la  con- 
tinenza. 

L'  antipapa  Benedetto  XI If,  che 
successe  a  Clemente  VII,  fu  ser- 
vito dai  medici  Francesco  Ribal- 
ta chierico  di  Majorica,  con  200 
fiorini  all'anno,  beneficato  in  più 
modi;  Pietro  Roiz  archiatro  Io  se- 
guì nel  viaggio  da  Avignone  a 
Marsiglia  e  Genova;  Pietro  de  Tu- 
rillis  forse  spagnnolo,  Lorenzo  Mo- 
relli o  Moreri,  Martino  de  Caha- 
nix  ;  altro  medico  antipontificio  fu 
Giosuè  Lurki  o  Halorki  giudeo,  che 
fattosi  cristiano  si  chiamò  Girola- 
mo da  Santa  Fede,  scrisse  contro 
il  Talmud,  e  convertì  più  di  3ooo 
ebrei,  o  5ooo  secondo  altri,  come 
si  disse  all'articolo  Ebrei.  Matteo 
Adalhil  fu  altro  medico  e  chirur- 
go antipapale;  altri  chirurghi  furo- 
no Pietro  Palou  e  Pietro  Gugliel- 
mi j  della  famiglia  Michele  Ger al- 
di, Giacomo  Pondi  e  Antonio  di 
Garzia  ;  il  primo  era  ostiario  mi- 
rore,  ed  il  secondo  restò  in  Avi- 
gnone nel  i4o5  per  quelli  ivi  ri- 
mastivi. I^edi  Avignone.  Innocenzo 
VII  ebbe  in  medico  Giovanni  Ca- 
sini j  e  Gregorio  XII  forse  Giaco- 
mino fisico,  da  lui  spedito  amba- 
sciatore al  concilio  di  Pisa,  essen- 
dosi molte  volle  i  Papi  serviti  dei 
loro  medici  per  gravi  affari:  Grer 
gorio  Xn  creò  cardinale  Jacopo  da 
Udine  che  avea  studiato  la  medi- 
cina. Due  medici  servirono  Ales- 
sandro V  del  1409-  Paolo  della 
Falle  romano,  poi  conservatore  di 
Roma,  ed  eziandio  archiatro  di 
Martino  V  che  lo  confermò  can- 
celliere perpetuo  di  Roma;  e  Da- 
fiicle  da    s.  Sojia  padovano,   figlio 


MED 

del  celebre  medico  Marsilio,  indi 
medico  di  Giovanni  XXIII;  forse 
ne  fu  chirurgo  Pietro  d' Argelata, 
il  quale  ne  aprì  il  cadavere  e  lo 
imbalsamò.  Giovanni  XXIII  ebbe 
a  medici  Filippo  da  Milano,  An- 
tonio dalla  iScarperia,  Pietro  da 
Monta  lei  no,  e  Andrea  Gamucci,  il 
quale  però  incerto,  così  dicasi  di 
Martino  V.  Questi  prese  per  medi- 
ci, Giovanni  Baldi  di  Firenze  pro- 
tofisico, Antonio  da  Lucignano  sa- 
nese  con  2 5  fiorini  d'oro  al  mese, 
Antonio  Pucci  sanese,  Elia  giudeo, 
pel  quale  il  Papa  fu  benigno  cogli 
ebrei,  e  Mariano  Albertini,  altro  ar- 
chiatro di  cui  dubita  il   Marini. 

Eugenio  IV,  oltre  l'ebreo  EUay 
noverò  per  medici  suoi  Lodovico 
da  Orte  che  lo  seguì  in  Firenze 
(avea  scritta  l'opera  De  ariani  ae- 
ris  salubritate  imo  utilitate,  et  de 
vinis  ortanis,  ma  il  mss.  passato  in 
mani  straniere  andò  disperso,  co- 
me affermava  l'archiatro  Prelà  pos- 
sessore di  parecchie  schede  che  mo- 
strava come  gioielli);  Andrea  da 
Palazago  bergamasco,  arcidiacono 
di  Torino  e  cameriere  pontificio, 
mandato  a  vari  principi  per  affari; 
Nicolò  d'Assisi  e  cameriere;  Ber- 
nardo Mazzieri  da  Trevi  che  se- 
guitò con  Nicolò  V,  lasciando  i  suoi 
libri  al  convento  patrio  di  s.  Fran- 
cesco, e  fondi  per  due  giovani  di 
Trevi  per  lo  studio  in  canoni  e  in 
medicina;  non  è  certo  che  lo  fos- 
sero Lodovico  Mezzarota  Scarani- 
pi,  che  creò  cardinale,  Giambatti- 
sta Feralli  e  Pietro  Fiviani  Ò9. 
Ferentino.  Nicolò  V  prese  per  me- 
dici Saverio  Bonetti  imolese,  cui 
pose  molta  confidenza  e  fiducia, 
Bernardo  Garzoni,  Fdippo  Pellic- 
cione di  Bologna  o  Milano,  Gio- 
vanni Testori  di  Cahors,  Taddeo 
degli  Adelniari   di   Treviso;    forsq 


MED 

io  furono  Simone    Tebaldi,   e    Lo- 
renzo Roverella  datario:    Nicolò   V 
fu  figlio  di   medico,  e  per  un  tem- 
po esercitò  la  medicina.   Calisto  III 
prese  per  medici    Ferdinando    Lo- 
pez s^a^n\io\o,  senza  farlo  venire  in 
Roma,  ma  solo  dovesse   suggerirgli 
quanto  era  necessario    alla    salute; 
Simone   Tebaldi  detto  Mezzoca\>al- 
lo  romano,  medico    e   commensale, 
forse  avea   servito   Nicolò  V,   fatto 
conte  palatino,  e    in    grazia    sua  il 
Papa     creò    cardinale     il     fratello 
Giacomo;  Lorenzo   Galerani    cava- 
liere sanese,  e   Giovanni    Semini  o 
Nini    o  Mini   chierico  ammogliato, 
ambedue  anche  medici    di    Pio  II, 
che  fece   il    primo    conte  palatino. 
Questo  Papa  ebbe   pure  a    medico 
Sozino  Benzi  sanese  con  annui  fio- 
rini 5oo  di  provvisione,  che  chitHuò 
medico  praeslanti  et  amico   oplinio, 
ricavandosi  dai  di  lui  ruoli   che    il 
palazzo  apostolico  ai  due    archiatri 
spesava  a  chi   cinque  a  chi  quattro 
famigliari  o    servitori,    quanti    non 
se  ne  alimentavano  per  gli  arcive- 
scovi, vescovi   e  nipoti  del  -Pontefi- 
ce come  si  vede  nel  ruolo:    Anto- 
nio fu  medico  della    famiglia    pon- 
tificia. Di  Pio  II,  medicis  ìiihil  pe- 
riculi  promillentibus ,    e    pervenuta 
la  diarrea,  ebbe   il  moribondo  Pa- 
pa a  gridare  contro  di  loro,  et  haec 
quoque  principuni   miseria    est,    ne 
in  morte  quidem  carere  assentato- 
ribus.  Nel  conclave  comparisce  per 
medico  Scipione  Lancellotli  ch'è  il 
primo    che  si    conosce  dal     Marini 
come    tale:  l'eletto    Paolo  lì    del 
1464  ebbe    per    medici     Giacomo 
Zoccoli  Gottifreddi,  che  sulla    casa 
da  lui  fabbricata    a  Pasquino  pose 
anche  il  nome  del  Papa,  e  lo  fu  pu- 
re di  Sisto  IV;  Cristoforo  Piacen- 
tini da  Verona,  che  assisteva  ogni 
dì  alla  tavola  del  Ponlefice;  e  Sante 


MED  ii5 

Fiòcchi  fermano  :  medico    per   cir- 
costanze straordinarie  fu    Giovanni 
Burgio   vescovo  di   Mazzara,    ma   è 
dubbio  se  lo  servi  Sebastiano    Ve- 
terani.   Ne     fu  chirurgo     Giovanni 
/llbarisani    ferrarese,    cameriere    e 
famigliare  del  Pontefice,   parroco  e 
provveduto  di   benefizi,  di  cui  par- 
lammo a  CniRunco.  Sisto  IV  nove- 
rò per  medici  Filippo  della   Valle^ 
ancora  di   Alessandro   VI    e  nobile 
romano,  il  cui  figlio  Andrea  fu  creato 
cardinale  da  Leone  X;  Valerio  Fiac- 
co di  Viterbo;  Nicolo  Dido  gentiluo- 
mo riminese  caro    a    tutta    Roma; 
Giacomo  Solleciti  da  s.  Ginesio,  an- 
che d'Innocenzo  Vili,  con   23   fio- 
rini d'oro  di  camera    al    mese;    ed 
Evangelista    Uri  giù    di    Cerreto  :     è 
dubbio    se     furono     altri     archiatri 
Onofrio  degli    Onofri,    che   accom- 
pagnò in  Francia  il    cardinal    Bes- 
sarione  per  volei'e    del   Papa  ;    Be- 
nedetto da  Norcia    de"  Reguardati 
archiatro  del  duca    di   Milano;    G. 
Fdìppo  dal  Legname  illustre  tipo- 
grafo, scudiere  e  famigliare  di  Pao- 
lo II   e  Sisto  IV,  non   mai  medico; 
Luigi  Francolini  di  Monte  Alboddo. 
Per  morte    di    Sisto  IV    furono 
medici    del     conclave     il  memorato 
Giacomo  Solleciti  e  Teodorico  de  Co- 
cleghein  di  Gand,  premiati  dall'elet- 
to Innocenzo  Vili  con   uno  scritto- 
rato  apostolico  :  suoi  medici   furono 
Lodovico  Podocatero  di   Cipro,  pro- 
babilmente ancora  del  cardinal  Bor- 
gia dipoi  Alessandro  VI   che  lo  creò 
cardinale  ;  Ferdinando  Ponzcfii,  poi 
di  Leone  X  che  lo  creò  cardinale, 
napoletano  ed  oriundo  di  Firenze; 
Pietro    Macerata    norcino    o     me- 
glio    piacentino  ,    ecclesiastico     bea 
provveduto  :    non  è  sicuro  che  fos- 
sero archiatri  d'Innocenzo  Vili,  Be- 
nedetto   Porcocinti    e    Pietro   Leoni 
da  Spoleto  ;  forse    lo  curò    straor- 


17.6  MED 

dinai'iamente  Silvestro  Gnleota.  Mi- 
chelangelo    Lapi     nel    suo     libro  : 
J?e    tempore    quo    \>is     sub     aquis 
manere  potest    et  non  mori,    Roma 
1670,     nella     prefazione    dice    che 
Innocenzo    Vili    due    anni     prima 
di   morire    fu    assalito    da    sì    fiera 
apoplessia    che    restò    immobile   22 
ore  senza  respiro  e  moto  di  polso, 
e  che  comparve  risuscitato  quando  i 
cardinali    cominciavano    a    trattare 
di    dargli    il  successore;  ma     Bene- 
detto   XIV,   De  canon.,     mette     il 
jacconto  nel  numero    delle     favole, 
come  r  altro  di    Giulio    II  che  vi- 
■vesse  per  due  giorni  senza  respira- 
re.   Alessandro  VI    ebbe    ancora   a 
protofisico  Bernardo    Buongiovanni 
da  Recanati,  il   quale  nel    i5oi    di- 
venne    vescovo    di     Venosa     senza 
lasciar  l'impiego  palatino,  ed  il  Pa- 
pa lo  mandò  con  un  vescovo    fran- 
cescano, e  col    p.     maestro    del  sa- 
cro palazzo,  a  verificare  le  stimma- 
te raanifestalesi    nella    b.  Lucia    da 
Narni  monaca   in    Viterbo,  poi    in 
Ferrara,  ove  tornò  a  visitarla.  Gio. 
Battista    Canani    seniore    ferrarese, 
altresì   medico  del    re    e    della  re- 
gina d'Ungheria.  Andrea   Vives    di 
Saragozza,  che  servì    eziandio  Giu- 
lio lì  ,  già   famigliare  nel    cardina- 
lato,   canonico    e    ricco  di     rendite 
ecclesiastiche;  in  morte  di    Alessan- 
dro VI    i    soldati     degli  Orsini     ne 
spogliarono  la  casa,  e  Leone  X  fa- 
condo gran  conto  de'suoi  meriti  lo 
fece  conte     palatino,  nunzio  e    col- 
lettore apostolico  della   provincia  di 
Saragozza.   Pietro  Pinlor  spagnuolo 
di  Valenza  (  faceva  gran    conto  dei 
meloni  celebri  di  sua  patria,  siccome 
edulcoranti  e  potenti  diuretici,  e  ne 
dava     il    sugo    agl'idropici),  autore 
dell'opera    De  praesen-atione  cura- 
tioneque  peslilentiae,  da  lui  composta 
ad  laudeni  et  gloriani  divinae  ma- 


MED 

jeslatis  etc.  (eguale  fervido  scopo  ebbi 
sempre  nella  compilazione  di  questo 
mio  Dizionario,  come  solennemen- 
te dichiarai  in  più  luoghi  ,  come 
agli  articoli  lTAti\,  e  Maestro   del 

SACRO    PALAZZO    APOSTOLICO),    Ct     ad 

valetudincni  perfectissimam,     vitae- 
que    longitudinein     D.    N.    beatiss. 
clententissiinique  Pontifìcis  Alexan- 
dri  FI.    Gaspare  Torrtlla  di    Va- 
lenza, anch'esso  famigliare  del  Papa 
nel  cardinalato,    quindi  lo  fece  ve- 
scovo di  s.  Giusta  in  Sardegna  con 
altri  benefizi,  ebbe  figli  e  continuò 
ad  esercitar  la  medicina,  e  fu  auto- 
re di  diverse  opere,  fra  le  quali  De 
morbo    gallico,    perciò    uno  de'pri- 
mi  a  descrivere  e  curare  tal    fata- 
le malore,  di     cui  dice    il    Marini 
doversi  a  Cesare   Borgia  duca  Va- 
lentino l'arte  di  curarlo,  ed  il  Tor- 
reità  lo  accompagnò  nel  viaggio  di 
Francia.  Giuliano  Arnolfi  fu  pur  me- 
dico di  Alessandro  VI,  ma  è  dubbio 
se  furono  di  lui  archiatri  Clemente 
Gattaia  napoletano  protomedico  del 
re  d'Aragona  e  del  duca  di  Mila- 
no ,  ed  'Alessandro  Espinosa    forse 
originario  di  Castiglia.  Nel    concla- 
ve per     morte    di    Alessandro    VI 
il  sacro  collegio  scelse     per  medici 
i     romani   Gio.  Battista   Veracroce 
(il  quale  ad  imitazione  dell'archialro 
Santafede,  inter  pi-aeclara  ejus  ge- 
sta aureum  opus  de  confulatione  fu- 
daicaeseclae  edidit),  e  Scipione  Lan- 
cellotti,  quel   medesimo  che   vedem- 
mo nel  conclave  per  Paolo  II  e  lo 
fu  pur  di  quello   per    l'elezione    di 
Leone  X,  abbreviatore  delle  lettere 
apostoliche    e    poeta,    oppresso  dal 
grasso,  e  fu  zio  del    cardinal     Sci- 
pione Lancellotti  creato  da  Gregorio 
XI li.  Questi  due  medici  si    trova- 
rono   di     nuovo    in     conclave     per 
morte   di  Pio    III  successore  di  A- 
lessandio  VI,  il  primo  insieme  eoa 


MED 

Alessandro  tJn  Genazzano,  il  se- 
condo al  servizio  del  cardinal  Spra- 
ta  spagnuolo. 

Pio  IH  ebbe  per  archiatri  ne) 
suo  brevissimo  ponlificato,  Antonio 
Bontnsegni  nobile  dì  Orvieto  che 
fermò  sua  casa  in  Viterbo,  ed 
Arcangelo  Tati  sanese,  che  lo  fu 
ancora  di  Leone  X,  provveduto  di 
due  rimarchevoli  benefizi.  Non  è  cer- 
to se  lo  fossero  il  suddetto  Torrella 
ed  Antonio  Petrucci  .  Giulio  II 
ebbe  ad  archiatri  diversi,  due  pe- 
rò che  non  nomina  ricorda  il  ce- 
rimoniere Paride  de  Grassis  nel 
l5o5,  perchè  furono  a  prendere  la 
candela  dal  Papa  prima  degli  scu- 
dieri, quasi  ciò  fosse  stato  contro 
le  regole  ed  il  buon  ordine:  e  po- 
co dopo  j  ove  dà  conto  della  cap- 
pella tenutasi  nella  prima  domeni- 
ca dell'avvento,  parla  il  rigido  ce- 
rimoniere di  un  terzo  medico  al- 
quanto sfacciato,  del  quale  pur  tace 
il  nome  (così  di  que'due  che  furono 
al  concilio  generale  Latei-anense  \) 
e  dice:  Quidam  frater  ordinis  here- 
mitaruni,  qui  se  medicnm  Papae  di- 
xit,  voluit  oninino  sedere  in  loco  nic- 
dicoruni  Papae  saecidariunij  qiiod 
Clini  inlìibuissent,  voluit  adfiuc  es- 
se ante  generales  ordinum,  et  vix 
potili  euni  extrahere  de  ilio  loco, 
posuique  in  quadratura  in  medio 
cardino  lium ,  ut  in  terra  sederei 
Clini  aliis  religiosis.  Sì  conoscono 
per  medici  di  Giulio  II,  Giovanni 
Bodier  francese,  cistcrciense  e  ab- 
bate di  s.  Sebastiano  fuori  delle 
mura,  già  eremitano.  Girolamo  Nifi 
o  Nifo  non  di  Sezze,  come  dicono 
alcuni,  ma  di  Sessa  nel  regno  del- 
le due  Sicilie,  e  viene  provato  dal 
de  Masi  del  Pozzo,  nelle  Mem. 
stor.  degli  aurunci,  p.  i4i.  Girola- 
mo fu  condotto  in  Roma  da  Giam- 
pietro   Caraffa  poi    Paolo    IV,    lo 


MED  127 

zio  di  questi  cardinal  Oliviero  lo 
collocò  nella  corte  di  Giulio  li, 
e  seguitò  in  quella  di  Leone  X, 
finché  nel  i52i  con  istupore  di 
tutta  Roma  andato  al  Massaccio 
vestì  l'abito  degli  eremiti  camal- 
dolesi, e  morì  santamente  nel  mar- 
zo i556,  dopo  aver  rinunziato  con 
raro  esempio  il  cardinalato  a  cui 
lo  avea  elevato  l'antico  suo  amico 
Paolo  IV.  Il  de  Masi  chiama  il 
Nifo  col  titolo  di  beato  Girolamo 
Tomasino,  lo  dice  protomedico  di 
Paolo  HI,  che  vestì  l'abito  in  Mon- 
te Corona  qual  compagno  del  fon- 
datore della  riforma  B.  Giustiniani, 
e  che  chiamato  in  Roma  da  Pao- 
lo IV    pel    cardinalato,  umilmente 

10  ricusò,  e  fece  ritorno  al  suo  ri- 
tiro. Samuele  Sarfadi  rabbino  spa- 
gnuolo (ne  parlammo  nel  voi.  XXI, 
p.   3o  del     Dizionario),  cui    Giulio 

11  permise,  come  al  figlio  Giuseppe, 
che  si  potessero  addottorare,  ed  ac- 
cordò loro  vari  indulti  e  privilegi, 
datigli  prima  da  Alessandro  Vf, 
che  forse  avea  servito,  e  dal  re  di 
Francia,  poscia  ampliati  a  Giuseppe 
con  breve  da  Clemente  VII,  massi- 
me pei  meriti  del  padre,  fratello 
del  quale  forse  fu  Isacco  Zalfali 
altro  ebreo  e  valoroso  medico,  che 
lo  stesso  Clemente  VII,  nominò  suo 
flimigliai'e  con  breve  ,  benemei-ilo 
per  le  medicazioni  fatte  a  molti 
curiali.  Parlando  del  medico  Sa- 
muele, il  Marini  a  p.  292  osserva 
che  in  tal  secolo  e  nel  precedente 
furono  assai  in  voga  tra  i  cristiani 
i  medici  ebrei,  malgrado  le  leggi  dei 
concilii  e  le  costituzioni  di  diversi 
Papi:  tanto  ha  potuto  in  ogni  tempo 
sopra  gli  uomini  l'amor  della  vita 
e  della  sanità,  che  senza  cercare 
Tros  Rululusve  fuat,  quello  hanno 
voluto  e  desideralo  sempre  ,  per 
cui  l'una  e  l'altra  si  potesse  meglio 


128  MED 

ritenere.  Quindi  il  Marini  passn 
ad  enumerare  vari  medici  ebrei 
protetti  e  beneficati  dai  Papi,  di 
che  noi  trattammo  all'articolo  E- 
BREi,  permettendo  a  molti  l'eserci- 
zio dell'arte  coi  cristiani,  ed  uno  col 
solo  latte  d'asina  guari  Francesco 
I  re  di  Francia,  mentre  i  medici 
cristiani  non  lo  avevano  potuto  gua- 
rire. Lancellolto  dt  Lancellolti  ro- 
mano fu  medico  di  Giulio  II,  alla 
cui  biografìa  dicemmo  con  diversi 
autori  averlo  liberato  dalla  morte 
Scipione  LancelloUi ,  mentre  altri 
attribuiscono  a  Lancellolto  le  som- 
ministrate pesche  alle  quali  si  volle 
attribuire  la  guarigione  :  fu  ancora 
famigliare  di  Leone  X  che  lo  fece 
canonico  di  s.  Pietro.  Non  è  poi 
sicuro  che  fossero  medici  di  Giu- 
lio II  i  nominati  di  sopra,  ed  O- 
razio  LancelloUi  figlio  di  Scipione, 
che  il  cardinal  camerlengo  scelse 
per  medico  del  conclave  nell'ele- 
zione di  Paolo  III,  con  Giuliano 
da  Norcia,  attestandolo  il  p.  Gat- 
tico  a  pag.  44^j  essendo  poi  pro- 
tomedico generale  nell'  anno  1 53 1 , 
coll'aiuto  de'  suoi  colleghi,  cinque 
de' quali  divennero  archiatri  ponti- 
ficii, rifece  gli  statuti  del  collegio. 
(Nel  1676  in  Roma  furono  stam- 
pati: Sta  tuta  collega  DD.  Almae 
Urbis  medicoruni).  Ma  ninno  degli 
archiatri  di  Giulio  II  lasciò  tanta 
fama  di  sé,  quanta  il  suo  chirurgo 
Giovanni  de  P^igo  genovese,  le  cui 
opere  con  molta  lode  furono  tra- 
dotte in  più  lingue.  Dal  Papa  avea 
otto  ducati  al  mese,  ma  maggiore 
stipendio  riceveva  dal  nipote  del 
Pontefice  cardinal  Gara  della  Ro- 
vere, cioè  3oo  ducati  d'oro  l'anno, 
perchè  lo  assistesse  nelle  molte  sue 
necessità,  ed  ebbe  un  figlio  assai 
beneficato. 

Diversi    archiatri   servirono  Leo- 


MED 
ne  X,  perchè  oltre  i  rammentati 
lo  furono  Angelo  Leonini  di  Ti- 
voli vescovo  di  piìj  chiese,  che  uà 
diarista  dichiara  avaro,  per  non  a- 
ver  voluto  dare  nulla  ai  cerimo- 
nieri, allorché  cantò  messa  in  cap- 
pella nel  sabbato  in  Albis  come 
assistente  al  soglio;  Bartolomeo  da 
Pisa  autore  di  opere;  Bernardino 
Speroni  di  Padova;  Clemente  Cle- 
inentini  d'Amelia;  Ferdinando  Baia-' 
mio  di  Sicilia,  che  lo  fu  pure  di  Cle- 
mente VII;  Cristoforo  da  Follerra, 
uomo  dabbene  e  benemerito  della 
casa  Medici;  Girolamo  Accorantbo- 
ni  di  Gubbio  che  lo  fu  ancora  di 
Paolo  IH,  avendo  pur  prestato  l'o- 
pera sua  a  Clemente  VII  :  comprò 
un  bel  palazzo  in  Roma  e  casa  in 
patria,  ricevendo  il  suo  figlio  Clau- 
dio nel  1 562  la  solita  esenzione  delle 
gabelle  come  padre  d'  undici  figli. 
Sono  dubbiosi  medici  di  Leone  X, 
Francesco  Dandini  di  Cesena,  e 
più  difficilmente  di  Clemente  VII, 
Agostino  Nisi  e  Antonio  Brasavola: 
bensì  ne  fu  chirurgo  Giacomo  da 
Brescia,  di  cui  si  discorre  al  più 
volte  citato  articolo  Chirurgo.  Per 
morte  del  Papa,  i  due  medici  in- 
vitati a  vegliare  sulla  salute  del 
sacro  collegio,  furono  Dioscoride  da 
Velletri  di  casa  Petrica ,  e  Paolo 
Arelj  da  Fermo  :  non  è  improba- 
bile ch'entrassero  pure  ne'comizi  per 
morte  di  Adriano  VI ,  con  Giaco- 
ino  Giacomelli,  Tommaso  Cadamo- 
sti,  e  Gio.  Battista  de  Coro  di 
Roma,  del  quale  è  dubbio  il  Ma- 
rini :  ne  fu  chirurgo  in  quello 
per  r  elezione  di  Adriano  VI  , 
Giacomo  Rastelli  che  lo  fu  pure 
di  altri  conclavi  e  di  più  Papi,  co- 
me si  dice  all'articolo  Chirurgo.  U 
p.  Gattico,  Acta  p.  3 1 8,  racconta 
che  i  medici  del  cardinal  Grimani, 
Demetrio    e   Francesco,   giurarono 


MED 

tlell'iirt potenza    del     cardinale    per 
entrare  in  conclave,  per  la  sua  pe- 
ricolosa inferaulà.  Nel   recarsi    dal- 
la Spagna  a  Roma,  l'eletto  Adriano 
VI  portò  per  arclìiatro  Garzia  Ca- 
rastoxa  àe.\io  \\\  Agreda,  luogo  della 
diocesi  di  Tarragona,  già  famigliare 
beneficalo  di   Alessandro  VI:  otten- 
ne dal   Papa    vari  benefizi ,    la  ca- 
stellania  d'Ostia,  e  l'annuo  onorario 
di     5oo    fiorini    da    5o     bolognini 
l'uno,  com' ebbero  i  due  medici  se- 
guenti. Giovanni  Antracino  da  Ma- 
cerata Feltria:    tal  fu  il  piacere  di 
alcuni    alla   morte  del     Papa,    che 
subito  di  notte  ornarono  di  fronde 
festive  la  porta  della  casa  di    que- 
sto medico,  con  l'iscrizione  a  lette- 
re cubitali:  Liberatori    Patriae  S. 
P.   Q.  R.j    pel    sospetto   che    fosse 
stato    avvelenato.    Il  Tiraboschi    lo 
die     per    medico  di  Clemente  VII, 
e  nel  sacco  di   Roma  si  ricoverò  in 
casa  del    cardinal    Valle,  ma     sog- 
giacque a  contribuzione,  e  nel  i535 
fu'  protomedico  generale.  Francesco 
Fiisconi  da  Norcia,  dicendolo  il  p. 
Ciucci  anche    di    Clemente  VII    e 
Paolo  HI:  possedeva  il  palazzo  poi 
de'Pichini  a    Campo  di  Fiore,  ove 
pose    le  statue    del  Meleagro,    ora 
nel  museo    Vaticano,    d'  una  bella 
Venere,  e  del  Buon  Evento.  Come 
il  piìi  valente  medico  che  fosse  in 
Roma,  entrò  in  conclave  (incomin- 
ciato sino  dai  29  novembre   i549) 
a' 19  gennaio   1 55o,  affine  di  medi- 
care il  cardinal   Ridolfi  malamente 
curato  (eranvi    come     diremo  sette 
medici    e    sei    chirurghi    in  concla- 
ve) e  vi  si   trattenne     alcun     poco. 
Per  aver    mirabilmente    guarito   il 
celebre  Benvenuto     Cellini ,     questi 
perciò  lo  lodò    grandemente    nella 
propria  vita.  Ai   nominati  aggiunger 
dtbbonsiai  medici  di  Clemente  VII, 
Andrea  Cibo   della  Fratta  nel    Pe- 

VOL.     XLIV. 


MED  lag 

mgino,  anche  di  Paolo  III,  cui  se- 
guì   nel    viaggio    di    Nizza     ed    ni 
quello     di     Busseto,     anzi     secondo 
l'Alessi  eziandìo  di   Giulio  III  e    di 
Marcello  II  j    fu  protomedico  gene- 
rale   del     collegio.    Andrea    Turini 
fratello  di  Baldassare  famoso  datario 
di   Leone  X,    ancoi-a    di   Paolo  HI, 
e  di  Lodovico  XII    e    Francesco  I 
re  di    Francia,  Matteo   Corti,  gran- 
de antagonista    del  precedente,  con 
provvisione   di    mille    ducati  d'oro 
di    camera  ;     a     suo    consiglio     nel 
viaggio  di  Marsiglia  il  Papa  si  por- 
tò l'acqua    del    Tevere,  pur    mori 
mal  soddisfatto  di   lui,  ma  a  torto 
pel  cambiato  sistema  di   vita:  pres- 
so gli  uomini   la  medicina  è  sogget- 
ta plus    reprehcnsionis  ,    quarn   ho- 
noris, dandosi     a  Dio     le   guarigio- 
ni e  le  morti    ai     medici.     Divenne 
medico  di  Cosimo  I,  che    in    mor- 
te   r  onorò    di    elogio.    Francesco 
Buonfini.    Lodovico     Augeni    della 
Marca,  con  qualche    dubbio.    Sem- 
pronio Amaranti    spolctino  ben  ri- 
munerato.  Bartolomeo    Emmanucli 
fiorentino,  e    Gio.    Francesco     suo 
figlio,  canonico    di  s.   Pietro  e  ge- 
neral    protomedico ,     sebbene     non 
certo.  Mario   Gajo   da    Cagli,    che 
molto  guadagnò    in  gioie,  massime 
dalle  principesse    romane.    Tomma- 
so   Cadaniosti    da    Lodi,  pure    di 
Paolo   111,    che    lo    vedemmo    con- 
clavista per  l'elezione  di  Clemente 
VII,  canonico     con  diversi    benefi- 
zi e  cariche  ecclesiastiche.  E    dub- 
bio che  fossero   medici  di  Clemente 
VII,    Bernardino   Lilj,   Gio.  Batti- 
sta Alemagna,   Giovanni  Gamucci, 
Paolo   Giovio,   Giosuè  Caucci  mar- 
chigiano, Antonio  Musa  Brasavola, 
che  si    dice  ancora     di  Leone  X  e 
Giulio     III.     In    qualche    occasione 
lo  curaiono   Gio.  Battista    Teodosj 
di    Parma,  e    Scipione   Vegio    se- 
9 


i3o  MED  MED 
nalor  di  Milano  e  protomedico  del  Francesco  Festo  d'Aspra,  che  fu 
duca,  adoperato  nell'ultima  infer-  conclavista  nel  1^49  e  buon  medi- 
mità  del  Papa.  co,  ma  poco  fortunato  con  Paolo 
Paolo  IH  Farnese,  eletto  nel  1  534,  IV,  Pio  IV,  e  con  s.  Pio  V,  ai 
ebbe  per  archiatri,  oltre  sei  dei  quali  si  esibì  sempre  per  medico 
nominati,  Alfonso  Ferro  napoletano,  palatino.  Paolo  Bdmessere  di  Pon- 
e  siccome  pure  cft/Vurg^o,  a  quell'ar-  tremoli,  poeta  laureato  da  France- 
ticolo  di  lui  si  parlò,  avendo  ser-  sco  I  :  forse  ne  fu  figlio  Fabio  Bel- 
vito  altri  Papi.  Giacomo  Buonacos'  messuri  che  venne  proposto  a  me- 
so  ferrarese  ecclesiastico,  perciò  ebbe  dico  di  Pio  IV,  E  incerto  che  fos- 
più  benefizi,  anche  di  Giulio  III.  sero  medici  di  Paolo  III,  oltre  i 
Silvio  Zeffìri.  Tiberio  Palelli  di  Sa-  ricordati,  Giacomo  PreftLli  di  Nolo, 
bina,  cavaliere  di  s.  Pietro,  lo  a-  ben  affetto  a  Paolo  IV.  Francesco 
vea  servito  da  cardinale;  con  200  Gaddi  paesano  del  Papa,  e  cerla- 
ducati  di  stipendio  all'anno  qual  ar-  niente  medico  de'Farnesi.  Gio.  Frati- 
chiatro  intimo,  segtiì  il  T^apa  a  cesco  Brancnltone,  molto  stimalo 
Perugia,  e  scrisse  a'  cardinali  adu-  dal  Nifi.  Girolamo  Fracastoro,  ben- 
nati in  conclave  per  la  sollecita  e-  sì  medico  dei  padri  del  concilio 
lezione^  mentre  per  l'aria  corrotta  di  Trento,  che  consigliò  trasferirsi 
avrebbero  sofferto  una  spellicciata,  a  Bologna  per  la  pestilenza  ohe  so- 
Giacomo  Marsilf  beneficiato  di  s.  vrastava.  Ai  chirurghi  rammenlati 
Pietro.  Giacomo  Manlini  giudeo  di  si  aggiunga  Beiiedeltn  Giuiij  di 
Spagna,  proteggendo  Paolo  III  i  Como,  riportato  all'  articolo  Cni- 
giudei  con  dolore  del  Sadoleto,  com-  rurgo.  Ivi  riportammo  altresì  il 
pose  più  libri.  Giovanni  Aguilera  nome  dei  sei  chirurghi  entrali  in 
spaguuolo,  poi  di  Giulio  III,  ere-  conclave  nel  i549  P^''  morte  di 
dandolo  il  Marini  altro  e  famiglia-  Paolo  III;  e  dicemmo  nel  voluuie 
re  di  Clemente  VII  ;  tuttavolta  lo  XV,  pag.  286,  de'sei  medici  e  del 
dice  portato  da  Salamanca  in  Ro-  motivo  perchè  con  questo  unico 
ma  dal  cardinal  Alvarez  di  Tole-  esempio  vi  furono  ammessi  :  ce- 
do, il  quale  ebbe  a  medico  ordina-  co  i  loro  nomi.  Giustiniano  Fi- 
rio  il  famoso  spagnuolo  Giovanni  netti  da  Monte  Lupone,  protome- 
Falverde  (che  concorse  con  altri  dico  nel  i555.  Giulio  Fusconi 
per  essere  fatto  archiatro  di  Pao-  da  Norcia  o  forse  Giuliano  medico 
Io  IV),  e  lo  portò  seco  per  con-  del  precedente  conclave.  Remigio 
clavista  nel  i549,  esempio  prati-  de  Feroni,  chierico  di  Liegi,  poi 
cato  da  altri  cardinali  :  fu  canoni-  chirurgo  della  famiglia  di  Giulio 
co  di  Salamanca  con  altri  benefizi.  Ili  .  Giacomo  Canani  ferrarese  . 
Cosimo  Giacomelli  romano,  prò-  Maestro  Natale.  Giovanni  d'Agni' 
tomedico  nel  i557,  o  meglio  pri-  lera  protomedico  del  Papa  defunto, 
ma,  restando  in  corte  di  Giulio  Però  ne'ruoli  palatini  e  nella  bolla 
111  e  Paolo  IV:  vi  fu  altro  medi-  de'privilegi  concessi  ai  conclavisti, 
co  romano  Giacomo  Giacomelli  con-  si  aggiunge  Pellegrino  Pasqualini 
clavista  nel  i523,  che  possedette  di  Modena.  Giulio  III  ebbe  a  u)e- 
casa  presso  s.  Maculo  ornala  di  dici,  oltre  i  summentovati:  ^rj/<^/oi'mo 
statue  e  busti  antichi,  vicino  alla  Baldovini  primario  ed  intimo  ar- 
qiiulc,     e  con  statue,    ebbe     la  sua  chiatro,  che   lo  serviva  da  cardina- 


1p,  e  perciò  qual  legalo  al  concilio 
lii  Trento  fu  con    lui,  e    consigliò 
col    Fracastoro  la    traslazione,  indi 
entrò  in  conclave  col  medesimo  per 
conclavista.  Lo    arricchì  di  entrate 
ecclesiastiche  e  fece  vescovo  di  Ma- 
riana, donde  lo  traslalò  ad   A  versa, 
restando  però  sempre  a'suoi  fianchi. 
Agostino  Ricchi  di  Lucca,  preso  in 
medico  domestico    con     annui   200 
scudi  d'oro,  pel  determinato  tempo 
di  cinque  anni,  quanti  appunto  ne 
visse  il    Pontefice:    intervenne    alla 
sezione    del  cadavere    del    cardinal 
Campeggi  nel    1 554-   Gio.  Battista 
Canaiii  giuniore.  Ippolito  Salviani 
romano  originario  di     città  di  Ca- 
stello, che     inoltre  il     Marini    pose 
nella  serie  de'medici  della  famiglia: 
fu  deputato  dal  cardinal  camerlen- 
go a  dare    in     sua  vece     la   laurea 
a'medici  ;    protomedico   del  collegio 
e    custode    delle    antichità,  medico 
del    conclave    nel    i565,    essendosi 
offerto  per    orchiatro  a    Paolo    IV 
colla    mediazione    del   cardinal    Sa- 
Telli.  Francesco  Fiigìmelica  pado- 
vano, per  pochi  giorni,  eletto  ad  i- 
stanza  de'medici   Baldovini    e   Già- 
romelli  ,    indi     medico    conclavista 
per  le    elezioni     di     Marcello  II    e 
Paolo   IV ,    ben    rimunerato  :    per 
poca   salute    erasi    ricusato    servire 
Paolo  III.  Federico  Donali  padova- 
no, inlimo  confidente  del  Papa,  già 
medico  del    cardinal    di   Carpi  che 
ebbelo    seco     ne'   conclavi     i549   > 
i555  e   1559,    e  lo  fu  di    s.    Pio 
V  subito  eletto.  Damiano  Falentini 
d'Arezzo,  poi  anche  di  Marcello  II, 
e  coiìcorse  per  esserlo  di   Paolo  IV: 
ottenne  un   mensile  assegno  di  die- 
ciotlo  ducali   d'oro,    in     oro  di   ca- 
mera,  e  mediante  sborso  di    dieci  - 
mila  ducati  simili    lo    trasu^utò  nei 
figli  e  discendenti.     Nicolò   Fisinìno 
da  Siena,    uolaro  apostolico,    conte 


M£t)  j3i 

palatino    e    cavaliere    aurato,     non 
pare  che  si    trovasse  alla   morte  di 
Giulio  III,  perchè  non  ebbe  le  "ve 
sti    di    lutto.    Bernardino    Guidoni 
probabilmente  sanese.  Bernardo   O- 
deschi,    forse    dì  Sutri  come    quel 
Pietro  eh'  entrò    conclavista    ne' co- 
mizi  del  1559:  però  della  famiglia,  ' 
come  lo    era    stato    di    quella    di 
Paolo   III.    Andrea    Laguna    spa- 
gnuolo,  che    fece    molti  viaggi,  ca- 
valiere aurato;    erudito,    eloquente 
e  perito  nelle  lingue.    Teodoro  dei 
Sacerdoti,     ebreo,  Giulio     III    con 
breve    de'  7  giugno   i55o     l'invitò 
al  suo  Servizio.   Incerto  è  se  fosse- 
ro archiatri,  oltre  i  nominati,  Bra- 
savola  e   Cibo,   Bartolomeo  Maggi 
chirurgo  piuttosto  che  medico.  Cu- 
rarono  Giulio  111   in  qualche  occa- 
sione, Amato    Lusitano    ossia    Gio- 
vanni Rodriguez    di   Castel  Bianco, 
condiscepolo  del  Laguna  :  abiurato 
il  giudaismo  volle    essere  cristiano, 
ma  agitato  sempre    da   un  torbido 
ingegno,     mori  in     Salonicchi     nel 
ghetto,  professando  apertamente  gli 
antichi    errori  ,     venendo     reputalo 
anche  plagiario.    F  itale  A  latino    di 
Spoleto,  ancor  lui  proveniente  dal- 
la sinagoga  ,    zio    del    rabbino     de 
Pomi. 

Marcello    II  nel    suo    brevissimo 
pontificato,  oltre  il  Falentini,  ebbe 
ad  archiatro   Gio.  Ballista  de  Mon- 
tepol,  o  meglio  medico  della  fami- 
glia :  nel  cardinalato  lo  curò  Fran- 
cesco  Colombo  detto  Platone,  peru- 
gino ;  nel  pontificato  è  improbabi- 
le o  dubbio   se  fossero  di  lui    me- 
dici   r  umbro   Giulio    Cori ,  oltre 
il    Cibo  e  il   Ricchi    di   cui  si   par- 
lò.   Del     chirurgo    Raslelli ,  dubita 
il  Marini    della  difesa  che    ne  fece 
il  Polidori,  che  gli  attossicasse  una 
piaga.  Pel    conclave    furono  medici 
Francesco  Frigimelica,  Gio.  o  Pie- 


i32  MED 

tro  Maria    Friginielica,    Pellegrino 
Pasqualìni  j  e  chirurghi  il  Rastelli 
e    il  de  Santi,  stati  iu    quello    del 
1549.    Paolo    IV    benché     sempre 
sanissimo,  e  che  soltanto   prima  di 
chiuder  gli  occhi  prese  qualche    ri- 
medio, solendosi  curare  colla   dieta, 
ebbe  moltissimi  medici  e  chirurghi, 
laonde    al  primo    marzo    iSSg   oc- 
corse necessaria  una  riforma,  per  cui 
gli  ascritti  restarono  a  sette,  di  i4, 
16  o    i8  ch'erano   ne' quattro  pre- 
cedenti   anni.    Giovanni   da  Sessa, 
non    Girolamo  IVisi  di  Sessa  detto 
daSezzeche  gli  ricusò  il  cardinalato, 
annoverato  tra*  medici  :  altri  ■  medici 
li  rammentammo  piti  sopra.  Paolo 
Lili  o  Giti  o    Manin  da  Farnese, 
che    quale  amico    e    famigliare    di 
Pio  IV  entrò  per  suo  medico,  ma 
poco  visse.  Pier  Girolamo  Fusconi 
da  Norcia.  Ippolito  Amici  romano 
o  sabino.  Francesco  Aatracino,  ed 
Alessandro    di     Civita    Castellana, 
di  cui  si  riparlerà.    Giulio  Graziosi 
di    Pergola,  protofisico  del  collegio 
nel  i58o.  Girolamo  Giscaferri.  An- 
ionio  Bilotti    o   Bellotti  o    F^allotli 
beneventano,   ch'ebbe  con    mero  e 
misto  impero  il  territorio  Pesco  di 
s.  Angelo.  E  dubbio  che  fosse  me- 
dico di  Paolo  IV,  Biagio  Alessan- 
dri, come  lo   è  se  poi    il  fosse    di 
Pio  IV  e  di  s.  Pio  V.  All'  articolo 
Chirurgo  registrammo  que' sei,  ad- 
detti a  Paolo  IV,  nel  conclave  del 
quale   vi   entrarono    Giacomo  Ra- 
stelli   e  Lodovico  Monticoli;  e  per 
medici  Agostino    Ricciù  e  Alessan- 
dro   Petroni,  del    quale    riparlere- 
mo.   L'eletto  Pio    IV  è  incerto  se 
avesse  per    medici  Francesco  Gin- 
nasi  protomedico   nel   iSyS,  padre 
del    celebre  cardinal    Domenico  ;  e 
Pietro  Antonio  Cortft/gi  da  Volterra, 
protomedico  in  diversi  anni,  e  pos- 
sessore   d'  una    villetta    a   Frascati 


MED 
presso  la  Ruffina.  Bensì  furono  ar- 
chiatri   di    Pio    IV,    Gio.    Andrea 
Bianchi    o  Alhio  di    Parma.   Pom- 
peo Barba  da  Poscia.  Simone  Pa- 
squa de  Negri  nobile  genovese,    fat- 
to vescovo  di  Luni  andò  al  conci- 
lio di  Trento  e  poi  lo  creò  cardi- 
nale.   Gio.  Francesco  Manfredi  da 
Cremona  che    inutilmente  concorse 
con  protettori   per  esserlo  di   Paolo 
IV,  e  pare  ch'entrasse  in  conclave 
col    cardinale    divenuto    Papa,  che 
lo  arricchì  di  benefizi,   ma  per  de- 
litti lo  fece   carcerare.  Gio.  Batlisla 
Biumi    nobile     milanese,    fatto    da 
Carlo    V   suo    protofisico,    conte  e 
cavaliere   palatino:  Pio  IV    nell'  e- 
stremo  di    sua  vita  lo  chiamò   con 
5o  scudi    il  mese  e    mantenimento 
di    quattro  suoi    famigliari    e    due 
cavalli.  Gio.  Paolo  Gui ducei.  Fran- 
cesco Faa   da  Casale,  antico  servò 
del  Pontefice;  Giovanni  de  Lorenzi, 
e  Paolo    Claranle  da  Terni,    tutti 
e   tre   per    la    famiglia,    cui   il    Lo- 
renzi  servì    parimente    in  tutto    il 
pontificato    di  s.  Pio    V.  Giovanni 
de  Giusti,  altro  medico,  si  sospetta 
che  fosse    il  Sergiusti   archiatro  di 
Gregorio    XI li.    De'  medici  ,     chi- 
rurghi   e    speziale    di    Pio    IV    ne 
facemmo  parola  all'articolo  Chirur- 
go:   egli  creò   cardinale    il   celebre 
veneto    Commendone,    figlio    d' uu 
medico.  Nel  conclave  furono  medi- 
ci Federico  Donati,   Giovanni    Pa- 
cinij  e  chirurgo  Scipione  de    Ros- 
si. Eletto  nel    i566  s.  Pio  V,  ebbe 
a  medici:    Gio.    Giacomo    Alardo 
provenzale,  non  conosciuto   dal  di- 
ligentissimo    Marini,     poiché    leggo 
nel  Grassi,  Meni,  istor.   di  Monte- 
regale  o  Mondo  vi,  t.  I,  p.  94,  che 
s.  Pio   V  già  vescovo    di    Mondovi 
scelse  a  suo  medico  ordinario  l'A- 
lardo  ch'era  stato    annoverato   alla 
cittadinaniia  moregalese,  e  gli  riuscì 


MED 

sommamenle  accetto.    Agostino  Bn- 
glìoni,  promosso  al  vescovato  d'Ales- 
sandria.  Già.  Francesco  Marenci  o 
Marenghi  nel  iSGg  in  luogo  del  pre- 
cedente. Mode.stino  Casini  Elpidia- 
tiuni.  Placido  Foschi  da  Monlefiore, 
eli 'erasi  maneggiato  per  essere  tra  gli 
iirchiatri    di   Pio  IV  :    legittimando 
l'aolo  IV  un    suo    bastardo,    nella 
bolla   lo  dice  nato  da  persona   no- 
bile,   et  de  genere  coniidim,    certa- 
mente per  la  comitiva  palatina   che 
avea  suo  padre.  Placido  fece  scolpire 
in  s.  Onofrio    una  lapide  alia  tom- 
ba di  Lattanzio  suo  fvaieWo  faniilia- 
ris  inlrinsecus  Pauli  IF,  lictt  fuis- 
set  male  remuneratiis  propter  pravas 
iiividioruni  infornialiones,  come  scris- 
se il  diarista  Firmano.  E  noto,  che 
ia  gloria  e  un   certo  stato    di  pro- 
sperità, agli  occhi  dell'  invidia  è  de- 
litto :  senza  meriti   non  s' invidia.  Il 
Marini    sembra    persuaso  che    Lat- 
tanzio fosse  padre  e  non   fratello  al- 
l'archiatro.     Arias   Filippo    porto- 
ghese, raccomandato  al    Papa    dal- 
l'oratore di  sua  nazione.   Pietro  da 
s.    Paolo.   Giorgio  Ajola   forse  fio- 
rentino.   Pietro    Crispo    di    Sabina 
per    le    premure     del     cardinal    di 
Trento,   indi  protomedico.    Michele 
Mercati  di  s.  Miniato,  direttore  del- 
l' orto    botanico   del   Vaticano    (tro- 
vandosi   ne'  ruoli   palatini  col   titolo 
di    semplicista  o    custode  di    detto 
orto)  affidatogli  da  s.  Pio  V  in  età 
di    vent'anni;    raccoglitore     d'una 
collezione  mineralogica,  dopo  essere 
stalo  archiatro,  secondo  diversi  scrit- 
tori,   di    dello    Papa,    di    Gregorio 
Xlll    e  di    Sisto    V,    questi  ad    i- 
stanza  del  Mercati  fondò  la  metal- 
loteca  Vaticana,  e  designò  il  loca- 
le  che   dovea     contenere    la    delta 
collezione,  eh'  era  composta  di  due 
parti,  una  di     minerali,   l'altra     di 
sostanze  metallifere.  Sisto  V  aveva 


MED  i33 

risoluto  di  far  costruire  una  splendi* 
da  galleria  per  servire  di  melalloteca, 
il  cui  disegno  riprodusse  col  ritratto 
del  Mercati  la  distribuzione  36  del- 
Y Album  i844>  pieso  dalla  sua  ope- 
ra che  Clemente  XI  nel   1 7  1 7  fece 
pubblicare  con  giunte    dal  suo  fa- 
moso archiatro  Lancisi,  con  questo 
titolo:    Metallotheca    opus   posthu- 
mani     e     tenehris     in    lucem.    eie. 
(  Della  melalloteca  non  se  ne  trac- 
cia neppure    la     località  ;     quanto 
all'opera  del  Mercati,  comechè  pie- 
na di  teorie,  oggi  rigettate,  vi  hanno 
attinto  molti  scrittori  moderni,  co- 
me mi    diceva  un    valente  medico, 
chiamandoli  cornacchie  d' Esopo  di 
altrui  penne  vestite,  senza    mai    ci- 
tarne   r  autore    primitivo).    Quindi 
nel  17 19  venne  pure  stampato:  Ap- 
pendix    ad    Metallothecani     Vati- 
canani  additis  notis  et  no  vis  iconi- 
bus    choclearum     cornu    Ammonis 
forma.    Mercati    prestò    gli    ultimi 
uffizi    a    Gregorio   XIII,    lo    avvisò 
dell*  estremo    suo    pericolo,    onde 
parti    dal    mondo    tranquillamente, 
mentre    gli  altri    medici  lo  aveano 
lasciato  credendolo    malato  leggier-  . 
mente  :  fu  pur  medico  di  Clemente 
VIII    che    lo    lece    protonotario    e 
commendatore    di  s.    Spirito,    e  fu 
confortato    nell'  estremo    punto    da 
s.  Filippo  e  dal  cardinale  Baronio. 
De'  chirurghi   di    s.    Pio    V    se    ne 
parlò   a  Chirurgo  :  per  sua  morte 
entrarono    in  conclave    il    suddetto 
Marenghi    eh'  ebbe    quattro    fave 
contrarie,    e    restò    per     un     volo  ; 
per  l'altro   medico  furono  ballottati 
Teodosio  Cerhelli  o  Cribelli  di  Col- 
levecchio  e  fu  piotomedico,    ed  al- 
tro, ma   vinse  il    primo  per  racco- 
mandazioni.   Per    chirurgo    furono 
proposti     tre  ,     maestro      Lodovico 
Monticoli  da   Rimini,  di    molta  re- 
putazione,   chirurgo  di  palazzo  che 


i34  MED  MED 

sezionò  s.  Pio  V;  il   figlio   Germa-     sosUlulo     chifuigo    della     famiglia 
nico  di  maestro   Giacomo   da  Perù-     pontificia,    già  ricordato,    clie  colle 
già  cioè    Rastelli,    che  fu    chirurgo     modeste  sue    iniziali  va  pubblican- 
di  più    Papi  ;  e    Giuliano   Cecchini     do  ne'  Diarìi  e  Notizie  del  giorno 
di  Sabina,  poi  chirurgo  di   più  Pon-     dì    Roma    importanti    notizie    sulle 
tefìci    e   conclavi,    come   si    vedrà  :     case  abitate  in  Roma  dagli  uomini 
vinse   Lodovico    per    molte    fave,  il     grandi,  nel  numero  4^    delle  Noti' 
quale  cugino  a   Germanico,  in  sua     zie  del  giorno   1846,  nel  dirci  che 
compagnia    avea     anche    aperto    il     il    Petroni     abitò    sulla    piazza    del 
cadavere  di  Pio  IV,  sezione  che  il     Gesù,    parla    di    hii    eruditamente, 
maestro   di  camera  voleva  che  fosse     chiamandolo  medico  e  amico  di  s. 
fatta  dal  chirurgo  del  defunto  Papa,     Ignazio     di    Loiola,  il     quale  nello 
Scipione  de  Rossi,  e  il  cardinal  ca-     stabilire  le   regole  igieniche    per  la 
merlengo  da    Lodovico     e  da    Ger-     sua    compagnia    di    Gesù,  si    giovò 
manico  ;  super  quo  fai  t   magna  al-     de'  precetti  fìssati  da  lui,  e  non  vol- 
tercalio,   ac  tandem  camerarìus  vo-      le  cambiar  sillaba;  che  amò  il   pò- 
luit  vincere,  cora«  scrisse-  il  diarista     verello,  e  nelle   visite  lo  anteponeva 
Firmani.  al  facoltoso,    dicendo  che   a  questo 

Il  Marini  registra  per  primo  me-     non    mancano  mezzi    per  chiamare 
dico  di    Gregorio  XIII,  benché    ne     chi  vuole,  perciò  correva  a  chi  non 
dubiti,    Alessandro    Petroni  di   Cit-      può    chiamare  altri.    Altro    medico 
là    di    Castello  ,    insigne  filosofo    e     dubbio    di    Gregorio   XIII    fu    Co- 
professore    di  medicina ,    autore   De     starno   Varoli,   che  altri    chiamano 
vieta  rom.     che  citammo     all'  arti-     chirurgo  del   Papa  :  lo  curò  straor- 
colo  Medicina,'  De  aqua    Tiberina     dinariamente    Girolamo  Mercuriale 
ad    Julium    III ,    dialogus    de   re     di    Forlì,  chiamato    in    Roma    per 
medica,    che  il  Marini    dice  ancora     curar  gli  abitanti  da  s.  Pio  V.  Fu- 
di    Civita  Castellana,    chiamandolo     rono  poi  medici  di   Gregorio  XIII, 
medico    onorario  di    Paolo   IV,    ed     oltre  Mercati,  Francesco  Anlracìno 
uno  de'  medici   del    conclave  dopo     di    Macerata  Feltria,  giii  di    Paolo 
la    sua    morte,    come    notammo  di     IV,  probabilmente    figlio  di  quello 
sopra.  Il  eh,    cav.  Andrea   Belli  (al     d' Adriano    VI,    i    cui    figli  furono 
quale  piacque  intitolarmi  un  sonet-     ben  provveduti.   Gio.   Battista  Ser- 
to,   un'  iscrizione,    e    de'  sciolti   per     giusti,  protomedico    generale  e  pa- 
la   caduta    della    quercia    di    Tasso     trizio  lucchese.  Annibale  Gradano 
sul     Gianicolo,   già    celebrata     nel-     di  Como,  e  protomedico.  Francesco 
l'Album,  num.  iS  del  1 836,  dal  eh.      Carretto  summentovato.  Basilio  Pa- 
cav.    Visconti  ,    eh'  egli     volle    eoa     ravicino.    Tommaso    Vannini.    An- 
parole    per    me  onorevoli    ramme-     gelo    Vittorio  :.  dei    due    ultimi    ri- 
morare     nel  numero    17  del  Dia-     parlerassi.  Chirurghi  furono  Cecchi- 
rio  di   Roma  1 846:  affettuosi  coin-     ni ,    Monticoli    e     Giuseppe  Zerla. 
ponimenti  riportali     nel  libro    cita-     Gregorio  XIII  creò  cardinale  Vin- 
to   all'articolo  Fiori,    insieme    ad     cenzo  Lauri,    già   medico    di   Anto- 
una   elegia  del    sullodato    Palmieri,     nio     re    di    Navarra.    Nel    conclave 
ed  alle  epigrafi  latine  dei  eh.   lati-     entrarono  per  medici    Aurelio  Sia- 
nista    Girolamo    Lrmgeli    figlio    del     gno  di    Modena,    già    protomedico, 
valente    farmacista)    fino    al     1847     Alfonso     Catani    pur    modenese,  e 


MED 

Cecchini  per  chiimgo.  Sisto  V  an- 
noverò nella  sua  corte  per  archia- 
tii  Antonio  Porti  marcliegìano  di 
Fermo,  già  .4nfontticci.  Medoro  Pa- 
triarca  di  Grolle  a  Mare  poi  di 
Clemente  Vili  e  Paolo  V,  e  proto- 
medico. Anrirca  Bocci  di  s.  Elpi- 
dio.  Non  è  coito  che  lo  fossero, 
Castore  Durante  vocnano,  che  scrisse 
il  Tesoro  della  sanità  che  dedicò  a 
d.  Camilla  Perelti  sorella  di  Sisto 
V,  acciò  colla  sua  vigilanza  e  col 
maturo  consiglio  del  Porti,  potesse 
vegliare  alla  di  lui  conservazione. 
Gioi'anni  Zecca  bolognese,  forse 
eziandio  di  Clemente  Vili.  Eliseo 
Calcagni.  Antonio  Righi  di  Sasso- 
ferrato,  protomedico.  Chii-urgo  fu 
Cecchini.  Entrarono  in  conclave 
Rodolfo  Silvestri,  Zecca  e  Cecchini. 
Urbano  VII  ebbe  per  medico  De- 
mctiio  Canevàri  genovese,  ricordalo 
superiormente  come  medico  della 
compagnia  del  ss.  Sagramento.  Al 
brevissimo  pontificato  successe  il 
conclave  in  cui  entraiono  Rodolfo 
Silvestri,  Zecca  e  Cecchini  stati 
nel  precedente. 

L'eletto  Gregorio  XIV  ebbe  a 
medici  segreti  il  Silvestri  amico  di 
8.  Filippo,  e  protomedico;  e  Simo- 
ne Castelvetro  di  Modena  ove  l'a- 
lea curalo  da  cardinale,  con  man- 
tenimento per  lui  e  per  tre  servi. 
Aferoldo  Meroldi  di  Udine.  An- 
drea Gabrielli  di  Senigallia  o  di 
Scapezano,  conclavista  del  cardinal 
Tuisticucci  nella  sede  vacante  di 
Urbano  VII.  Ottaviano  Buccarini 
a  leti  no.  Antonio  Oltobelli.  Guidone 
Bcnedelli.  Odoardo  Lopez  o  Lopio 
romano,  anche  d'  Innocenzo  IX, 
Clemente  Vili,  e  Paolo  V,  e  pro- 
tomedico, chiamandosi  in  un  bando 
medico  palatino.  Giacomo  Lampu- 
guani  milanese  e  protomedico.  Ste- 
fano Fontani   da    Cerreto.    Furono 


MED  i3d 

chirurghi  oltre  Monticoli,  Antonio 
Maria,  Gaspare  Milanese,  e  Dio- 
mede.  Dell'  oro  e  gemme  date  in 
polvere  a  Gregorio  XlP^y  veggasi 
la  di  lui  biografia.  I  nominati 
Vannini  ,  Vittori  e  Cecchini  fu- 
rono ammessi  in  conclave.  Inno- 
cenzo !X  ebbe  a  medico  il  Lopez 
e  Vincenzo  Balducci,  pure  di  Leone 
XI,  ed  in  chirurgo  Cecchini.  En- 
trarono in  conclave  pel  brevissimo 
regno  i  precedenti.  Clemente  Vili 
tenne  per  archiatri  :  Girolamo  Cor- 
della. Girolamo  Provenzali,  poi  fat- 
to arcivescovo  di  Sorrento.  Girola- 
mo Rossi  ravennate.  Giacomo  Bo- 
naventura di  Lecce  o  di  Barletta. 
Gin/fedo  Gamharana.  Sigismondo 
Brumani  di  Cremona.  Filippo  Ca- 
r  adoro.  Fabrizio  Barberi  d'Ariano. 
Andrea  Cesalpini  dì  Arezzo,  che 
lodammo  all'articolo  Medicina  (e 
che  Clemente  Vili  mandò  in  s. 
Onofrio  a  visitare  e  curare  il  gran 
Torquato  Tasso).  Pier  Gemile  de 
Fabrizi  da  Sestino.  Pier  Simone 
Fausti  da  Mont'OItno.  E  dubbio  se 
lo  fossero  Giulio  de  Angelis,  proto- 
medico, e  commendatore  di  s.  Spi- 
rito. Nicolò  Masini  cesenate,  stu- 
dioso delle  antichità  lasciò  una  buo- 
nn  collezione  di  medaglie.  Rinaldi- 
ni.  Chirurgo  il  Cecchini.  Nel  con- 
clave si  scelsero  i  suddellì  Silvestri, 
Balducci  e  Cecchini:  stava  per  eleg- 
gersi Papa  il  cardinal  Paolo  Emilio 
Zacchia  infermiccio,  quando  i  car- 
dinali consultarono  i  medici,  che 
giurarono  che  avrebbe  al  piò  vis- 
suto altri  tre  mesi.  Il  p.  Gattico 
a  pag.  345  degli  Ada,  ne  ripor- 
ta la  dichiarazione:  essa  è  sottoscrit- 
ta però  da  un  Pandulphus  Silvi- 
stuus  e  Vincenlius  Balduvius.  Leo- 
ne XI  ebbe  a  medico  il  detto  Bal- 
ducci, e  pel  suo  brevissimo  pon- 
tificato,  onde  entrarono  in  conclave 


i36  MED 

Silvestri  Baldurci,  Fausti  e  Cecchini. 
Paolo  V  oltre  i  menlovali  prese  per 
medici:  Vittorio  McroUi  di  Sassofer- 
rnfo,  che  da  prelato  curò  il  l'apa, 
chiudendolo  in  una  aperta  mula.  In- 
trodusse in  patria  i  carmelitani  scalzi, 
cui  lasciò  una  casa  e  buona  parte 
del  ricco  patrimonio;  e  nella  chiesa 
degli  agostiniani  edificò  una  cap- 
pella a  s.  Kicola  confessore  nel  i6i3j 
e  da'  fondamenti  eresse  la  facciata 
della  chiesa,  in  cui  si  legge  Memi- 
lius  abhas  s.  Salvatoris  de  Calarne- 
no.  Cinzia  Clementi  ebbe  il  cano- 
nicato del  precedente.  Lodovico 
Dubosco.  Pompeo  Caimi,  però  in- 
certo. Con  questi  1' eruditissimo  Ma- 
rini termina  le  sue  importanti  illu- 
strazioni, quindi  riporteremo  con  lui 
i  nomi  de'  medici  e  chirurghi  pon- 
tificii e  del  conclave,  e  vi  aggiun- 
geremo con  schiarimenti  altri  si- 
no a'  nostri   giorni. 

Nel  conclave  per  morte  di  Paolo 
V  furono  scelli,  il  Clementi,  Camil- 
lo Gori,  e  Prospero  Cecchini  chi- 
nn'go.  Gregorio  XV  ebbe  a  medici 
Bernardino  Castellani,  Gio.  Maria 
Castellani,  Francesco  Cerrini.  Nel 
conclave,  Gabriele  Fonseca  e  il  det- 
to Cecchini.  Urbano  Vili  :  suoi  me- 
dici, Domenico  Rivarola,  Sebastiano 
Vannini,  Giulio  Mancini,  Taddeo 
Collicola,  Pietro  Servio,  Silvestro 
Collicola  anche  della  compagnia  del 
ss.  Sagramento,  Gio.  Giacomo  Bal- 
dini per  circostanza  straordinaria,  e 
Giovanni  Trulli  chirurgo  dell'  infer* 
meria  di  palazzo.  Nei  pontificati  di 
Paolo  V  e  Urbano  Vili  il  celebre 
Giovanni  Fabri  di  Bamberga  lin- 
ceo, custode  dell'  orto  botanico, 
quantunque  non  fosse  loro  archia- 
tro,  pure  fu  detto  medico  e  sempli- 
cista del  Papa.  Nel  conclave:  il 
Fonseca,  il  Collicola,  e  Nicolò  Lar- 
chc  chirurgo.    Innocenzo    X:   suoi 


MED 

medici,  Baldo    Baldi ,    il     Fonseca, 
(.iulio  Cesiire    Marsella,  Carlo  Go- 
n)ez,  il   Baldini,  Giovanni    Tiracor- 
da,    Marcello  Luzi  della   famiglia,  il 
Larclie chirurgo.  Nel  conclave:  Mat- 
teo Parisi  di  Benandi,  Antonio  Ma- 
ria de  Rossi,   il   Trulli  chirurgo.  A- 
lessandro  VII:   suoi    medici,  Mattia 
Naldi  sane.se,  Paolo  Zacchia,    Fran- 
cesco Moreschini  della   famiglia  con 
Matteo  Parisi;   chirurghi   Larche    e 
'Trulli.  Nel    conclave;    il    Parisi,  il 
Tiracorda,  Gabriele  dalla  Porta  chi- 
rurgo.   Clemente    IX:  suoi    medici, 
Benedetto  Rita,  della  famiglia  Fran- 
cesco  Farresini   e  Cesare    Manucci  ; 
chirurghi   il    Trulli    e  il   Porta.  Nel 
conclave:  il  Manucci    e  Cesare  Mac- 
chiati ;  chirurghi  Porta  e  Gio.   Bat- 
tista Pieri.   Clemente  X  :    suoi  me- 
dici, Florido    Salvatori,    della  fami- 
glia   Vincenzo    Paolucci  ;    chirurghi 
Porta  e  Pietro    Cittadini.    Nel  con- 
clave: Giambattista    Ferrari,  Giro- 
lamo Brasavola,  e  il  Pieri  chirurgo. 
Innocenzo  XI  :  suoi    medici,    Fran- 
cesco Santucci,   e  Gio.    Maria  Lan- 
cisi di  Borgo  s.  Sepolcro;  della  fa- 
miglia Andrea    Masetti,  il  Brasavo- 
la,   ed     Angelo     Modio    spoletino  ; 
chirurgo  Ippolito  Magnani.  Nel  con- 
clave: Giambattista   Fossombroni  di 
Arezzo,    Giovanni    Trugli    romano; 
chirurgo  Giovanni    Ganibara.    Ales- 
sandro Vili:  suoi    medici,  Romolo 
Spezioli,    della    famiglia  Pietro    Ve- 
l'ospi,  chirurgo    Alessio   Sprilla.   Nel 
conclave  :  il  Fossombroni,  il  Modio, 
Mario  Cecchini  chirurgo.  Innocenzo 
XII  :  suoi  medici,  Marcello    Malpi- 
ghi  e    Luca  Tozzi;    Benedetto  Du- 
fanx  chirurgo,   l    medici    e    chirur- 
ghi della    famiglia,  se  i    solili,    non 
li     ripeliamo.     Nel    conclave:     Gio. 
Maria    Lancisi,    Girolamo  Sinibaldi, 
chirurgo     Cecchini.    Clemente     XI: 
suoi    medici,    Gio.    Maria     Lancisi , 


MED 

Michelangelo  Paoli  di  Pesaro  già 
della  famiglia,  della  quale  ancora 
Giacomo  Sinibaldi  romano,  Fran- 
cesco Soldati,  Gio.  Battista  Niicca- 
rini  di  Foligno,  Pietro  Cesconi  chi- 
rurgo soprannumero.  Nel  conclave: 
Paoli  e  Nuccarini,  e  Vittorio  Ma- 
sini  chirurgo.  Innocenzo  XllI:  suoi 
medici,  Michelangeli  (il  Novaes  lo 
chiama  Nicolò  di  Roccacontrada); 
della  famiglia  Giuseppe  -Maria  Fia- 
schi e  Nuccarini .  Nel  conclave  : 
Giovanni  Tommasi,  Nuccarini  e  Ma- 
sini  che  il  Novaes  chiama  Marini, 
lìenedetto  XIII:  suoi  medici,  Paoli 
e  Nuccarini,  della  famiglia  Michele 
Vitelli  e  Filippo  Modio;  chirurghi 
Masini  e  Domenico  Cecchini.  Nel 
conclave:  Alessandro  Pascoli  peru- 
gino, Francesco  Soldati  romano,  e 
Masini.  Clemente  XII:  suoi  medici 
Antonio  Leprotti  modenese;  della 
famìglia  Cosimo  Grilli  e  Pietro  Pao- 
lo Ciampoli  ;  chirurghi  Masini  e 
Cecchini.  Nel  conclave:  i|  Leprotti , 
Michelangelo  Luciani  romano  ed  il 
Masini.  Benedetto  XIV:  suoi  me- 
dici ,  il  Leprotti,  e  Marc' Antonio 
Laureali  bolognese,  e  per  onorario 
Giuseppe  Pozzi;  della  famiglia  Na- 
tale Saliceti  corso,  soprannumeri 
il  Ciampoli,  il  Grilli,  Gregorio  Gre- 
gorj  e  Luigi  Lolli;  chirurghi  il 
Masini,  il  Cecchini,  e  soprannumeri 
Carlo  Guatlani  e  Carlo  de  la  Bois- 
sier.  Nel  conclave:  Gio.  Lorenzo 
Guarnieri  ,  Giuseppe  Candidi,  e  la 
Boissier.  Clemente  XIII:  suoi  me- 
dici, Cristoforo  Zannettini,  della  fa- 
miglia Aniceto  Massa  ec,  soprannu- 
meri Pietro  Zannettini,  Gio,  Batti- 
sta Leporelli;  chirurghi  soprannu- 
meri. Paolo  Pizzamiglio,  Francesco 
Pieratli,  e  Pietro  Maria  Giavina. 
Nel  conclave  :  Giuseppe  Candidi, 
Fulvio  Filippani,  e  la  Boissier.  Cle- 
pieiilp  XIV  (fìglio  di  Lorenzo  Gan- 


MED  i37 

ganelli  di  sant'Arcangelo  medico  di 
s.  Angelo  in  Vado):  suoi  medici. 
Pasquale  Adinolfi  della  città  di  Ca- 
va, Giovanni  Bianchi  riminese  me- 
dico segreto  onorario;  della  fami- 
glia il  Saliceti  ed  i  mentovati;  chi- 
rurghi la  Boissier  ed  Antonio  Biagi. 
Il  celebre  chirurgo  fiorentino  Nan- 
noni,  trovandosi  in  Roma  per  un'o- 
perazione, fu  consultato  per  la  va- 
cillante salute  del  Papa:  gli  atte- 
stati dei  due  archiatri,  presenti  al- 
l'apertura del  cadavere,  rimossero 
ogni  sospetto  di  veleno.  Nel  con- 
clave: Giuseppe  de  Rossi,  Giuseppe 
Maranelli,  Giuseppe  Flajani  chirurgo. 
Pio  VI:  suoi  medici,  Natale  Saliceti 
corso,  Giuseppe  de  Rossi  da  Camerino 
medico  segreto  onorario  ;  della  fami- 
glia Luigi  Lolli,  Ruggero  Viviani 
romano,  soprannumeri  Zannettini  e 
Leporelli;  chirurghi  Flajani,  Bois- 
sier e  Biagi.  Con  questi  termina 
la  serie  il  eh.  Marini,  che  noi  pro- 
seguiremo sino  ad  oggi,  e  secondo 
il  suo  sistema  riporteremo  le  noti- 
zie di  alcuni  medici  e  chirurghi 
effettivi  de' Papi,  o  che  in  qualche 
circostanza  li  curarono  o  vennero 
consultati. 

Dai  ruoli  di  Pio  VI  del  1778, 
leggo  :  il  Saliceti  cameriere  segreto 
con  parte  di  pane  e  vino,  e  scudi 
45  mensili  pel  companatico;  il  de 
Rossi  cameriere  segreto,  senza  alcun 
compenso;  con  parti  di  pane  e  vi- 
no, Lolli  e  scudi  otto  mensili,  così 
il  Viviani;  Zannettini  colla  sola  par- 
te, nulla  Leporelli;  Flajani  come 
chirurgo  della  persona  di  Nostro  Si- 
gnore, soli  dieci  scudi  al  mese  ;  a 
Boissier  soli  scudi  9:5o,  altrettanto 
al  Biagi  ;  il  Giavina  soprannumero 
senza  emolumento;  a  Pizzamiglio 
sostituto,  compresi  scudi  3  prelevati 
dal  precedente,  scudi  6.  Nel  viag- 
gio di  Vienna  del  1782,  Pio  VI  si 


iSf^  MED 

porlo  il  medico  de  Hossi,  e  Filippo 
Morelli  scopatore  segreto  e  chi- 
rurgo. Giuseppe  11  donò  al  primo 
una  scatola  d'oro  smaltata ,  al  se- 
condo una  gran  medaglia  d'oro. 
Nella  malattia  del  1791  il  re  di 
Napoli  offri  a  Pio  VI  il  suo  cele- 
bre medico  Cotugno.  Quando  il  Pa- 
pa nel  1798  fu  trasportato  in  Sie- 
na e  poi  in  Francia  prigioniero,  lo 
seguirono  il  medico  Rossi,  die  poi 
l'abbandonò  per  restituirsi  in  Ro- 
ma, onde  in  Siena  lo  curò  il  dot- 
tore Giuseppe  Lodoli;  il  Morelli  che 
fece  poi  da  maestro  di  casa,  e  Fe- 
lice Melia  chirurgo  e  professore  den- 
tista. Il  Baldassarri,  Relaz.  de  pati- 
menti di  Pio  VI,  p.  335,  narra 
»;he  il  Papa  mostrò  gran  desiderio 
di  condor  seco  Sisero  suo  chirurgo, 
ma  si  ricusò;  monsignor  Rossi  me- 
dico ordinario  dopo  qualche  esitazio- 
ne consenti  ad  accompagnarlo,  e  in 
abito  prelatizio  col  maestro  di  ca- 
mera prese  luogo  nella  carrozza  col 
Papa.  Quanto  alla  sezione  del  ca- 
davere di  Pio  VI  in  Valenza,  la 
fece  Filippo  Morelli  suo  scopatore 
i>cgreto,  il  quale  avea  studiato  la 
chirurgia,  e  nell'atto  di  tale  ope- 
razione viene  chiamato  chirurgo  del 
Papa,  e  di  avere  in  tutto  operato 
con  arte  e  diligenza,  e  sulla  cassa 
mortuaria  vi  pose  il  suo  sigillo.  A 
questa  sezicnie  ed  iinbalsamatura 
furono  presenti  Luigi  Duchadoz, 
medico  di  Grenoble,  fìilto  venire  in 
Valenza  per  curare  Pio  VI,  e  Bar- 
tolomeo Blein  medico  di  Valenza, 
che  pure  curò  il  Papa  nell'  ultima 
malattia,  ambedue  eccellenti  nel- 
l'arie loro.  Cos'i  il  Baldassarri  voi. 
JV,  p.  244  e  seg.  Celebratosi  il 
conclave  iiel  i8oo  in  Venezia  fu- 
rono eletti  medici  Carlo  Porla,  il 
quale  ebbe  poi  una  pensione  dal 
palazzo  apostolico  di  scudi  venti  men- 


MED 

sili,  e  Giovanni  de  Piccioli  mf?dieo 
di  Venezia,  che  poscia  fu  dichui ra- 
to medico  onorario  pontificio  e  dal- 
l' imperiai  governo  nominato  proto- 
medico e  consigliere.  Per  chirurghi 
furono  scelli  Francesco  Maria  Nesi, 
e  Felice  Melia  già  di  Pio  VI.  Inol- 
tre il  Porta  venne  fatto  dall'eletto 
Pio  VII  suo  medico,  non  cameriere 
segreto  subito,  ma  in  seguilo  vi  fu 
dichiarato  con  titolo  non  piii  di  o- 
norario  ma  di  medico  segreto,  non 
che  medico  della  famiglia,  pensio- 
nato quindi  con  otto  scudi.  Chirur- 
go di  sua  Santità,  Camillo  Cecca- 
rini  romano,  già  chirurgo  de'  mo- 
naci di  s.  Calisto,  ai  quali  appar- 
tenne il  Papa.  Medici  della  fami- 
glia, il  Viviani  ,  suo  coadiutore 
Tommaso  Filippani.  Dipoi,  medici 
onorari  di  sua  Santità,  Giovanni 
Piccioli  suddetto,  Tommaso  Fran- 
cesco Prelà  di  Bastia,  e  Luigi  cav. 
Angeli  d'  Imola,  che  a  quell'articolo 
lodammo,  già  medico  di  quel  vesco- 
vato, che  prima  di  ascendere  alla 
cattedra  di  s.  Pietro,  e  per  un  tem- 
po ancor  dopo  tenne  Pio  VII.  Chi- 
rurghi onorari  di  sua  Santità,  Fran- 
cesco Maria  Nesi,  e  Giovanni  de 
Rossi  .  Medici  della  Janiiglia  ponti- 
ficia, Filipanui  e  Prelà  mentovati. 
Nel  viaggio  di  Parigi  seguirono 
nel  i8o4  Pio  VII,  monsignor  Por- 
ta archiatro  e  il  chirurgo  (Jeccarini. 
Il  Prelà  medico  primario  dell' arci- 
spedale di  s.  Spirito,  qual  medico 
del  duca  d.  Luigi  Braschi  Onesti 
nipote  di  Pio  VI  comandante  delle 
guardie  nobili,  fece  parte  del  segui- 
to pontificio,  e  per  le  sue  nobili  ed 
egregie  qualità  riuscì  grato  al  Papa. 
Deportato  questi  nel  1809,  nella 
sua  prigionia  lo  seguirono  il  chi- 
rurgo Ceccarini,  e  il  medico  Porta 
che  poi  ritornò  in  Roma:  il  chi- 
rurgo,   col    maestro    di    camera,  il 


MED 

cappellano  segreto,  e   il    primo   aiu- 
tante di  camera   Moiiaghi    laggiun- 
geio  Pio  VII   a  Ratlicofaiii,  inentie 
il   medico    col    secondo    aiutante  di 
camera  Morelli    arrivarono  il   Pon- 
tefice in    Alessandria.   11    Prelà    re- 
stato in  Roma    continuò  ad  eserci- 
tare 1' uftlzio    d'ispettore  de' cedici, 
chirurghi     e    farmacisti    de'  poveri 
ne' XIV  rioni  di  Roma,  pietosa  pon- 
tifìcia    fondazione     dipendente    dal 
prelato    elemosiniere,  che  sua  mer- 
cè fu  conservata   per  quel  libro  che 
compose,  e    di    sopra    ricordato,    in 
cui  dimostrò  che  eretta  dagl'  impe- 
ratori,   i  Pontefici    la    conservarono 
gelosamente,  e  che    quando  Valen- 
tiniano  giuniore  voleva   menomarla 
in   parte,  abolendo  l'ordine  di  suc- 
cessione, sórse  il  gran  difensore  dei 
len)pli  cristiani,  il  prefetto  Simma- 
co, che  all'imperatore  disse:  di^'iis 
genitor  vester  inCer  alia  quae  in  bo- 
iium  puhlictim    conlulit,  edam  vie- 
dendi  professorihus    dedit    ordinrrn 
successionis. .  . .  hanc  formavi  aetas 
secjHula  servavit,  ec.  Era  ben  ragio- 
nevole, che  né  per  malattia,  né  per 
vecchiezza,  né  per  altri  impedimen- 
ti che  sopravvengano     a*  medici,  la 
salutare  assistenza  agi'  indigenti  man- 
casse, e  quindi   provveduto  si   fu  al 
soprannumeralo  di  abili  giovani  dot- 
tori, che  prestando    gratuito    aiuto 
a'  titolari,    succedessero  ad  essi  con 
privilegio.   Restituitosi   Pio  VII  glo- 
riosamente in  Roma   nel    i8i4>  di- 
chiarò  il    Prelà   cameriere  segreto  e 
suo    archia4ro    col    solilo    titolo    di 
monsignore.    In  seguito  furono  fatti 
medici  onorari  di  l^io    VII,  il  Fi- 
lippani,  Gio.    Battista   Micocci,    Isi- 
doro Agricola  Scardini,  Giambattista 
Romba  della  diocesi  d'Aquila,  pro- 
fessore  di    fisiologia    ueir  università 
romana,    di   celebre   fama,  e  di   cui 
abbiamo  :   De    Pontifìcibiis    mtdicis 


MED  iSc) 

ant  medicorum  filiis  commenlarium 
notis  auctiim    ss.   D.    N.    Pio    VII 
(che  curò    nell'ultima    malattia  col 
lodalo  archialro)  P.  O.  M.  D.  D.  D., 
Romae    1821.   Per    morte  del  Cic- 
carelli  divenne  chirurgo  di  sua  Snu- 
lità,  Giacomo  Sanson   romano.  I\Je- 
dici   della  famiglia,    Vincenzo  Ce- 
rasoli, Pietro  Sciarra,  Gian  Vincen- 
zo Ainbrogi,    oltre   i   soprannumei  i. 
Chirurghi    onorari,   Antonio    Pane, 
Paolo  Frosoni.   Chirurghi  della  fa- 
miglia, Francesco   de  Rossi,  il  San- 
son, con  Luigi    Giuliani   per  primo 
soprannumero,    per    non    dir    degli 
altri,  il   Frosoni  sostituto,  ed  il  cav. 
Andrea  Belli  suo  coadiutore.  Coi  no- 
minati  in  principio  dichiarammo  gli 
effettivi    medici-  e   chirurghi  palatini 
attuali,  e  cogli    ultimi  la  successione 
sino  a   loro.    Quanto  al   Prelà,  egli 
fu  assiduo  nelle    cure    eh'  esigevano 
r  età     dell' alfaticato    Pio    VII.    Fu 
quindi    benemerito  di  diverse  cose, 
come    delle   due    scuole    cliniche  di 
medicina  e  chirurgia  stabilite  la  pri- 
ma  in  s.   Spirito,   la  seconda     in  s. 
Giacomo;  dello  stabilimento  ostetri- 
co dell' elemosineria  apostolica,  olire 
le  levatrici  regionarie  (su  di  che  è 
a   vedersi  :     Istruzioni  di  monsignor 
elemosiniere  per  i  professori  ostetri- 
ci, le  levatrici  regionarie,  ec.    Roma 
18  18);  del  suo  illustre  nipote  mon- 
signor Michele  Viale  Pielà,  al  pre- 
sente    arcivescovo     di    Cartagine    e 
nunzio  di  Vienna  fatto  da  Gregorio 
XVI;  e  della   patria,  cui  lasciò   mo- 
rendo nel  1846  la  sua  preziosa  biblio- 
teca the  ricca  di   diciasseltemila  vo- 
lumi massime  di  rare  opere  mediche, 
con  molta  spesa  e  zelo  erudito  raccol- 
se.  Se  ne    legge    la    bella    biografìa 
iìe\W4tbum    di    detto    anno,    distri- 
buzione   ig,  ove  s'indicano   le  prin- 
cipali  accademie  cui   appartenne,  gli 
ordini  equestri   di  cui  fu  insignito, 


i4o  MED 

fra' quali  di  s.  Gregorio  Magno  e 
di  Cristo  per  beneficenza  di  Gre- 
gorio XVI,  e  che  fu  (decano  pre- 
sidente del  collegio  medico  chirur- 
gico) professore  onorario  e  bene- 
merito dell'università  romana,  e  che 
la  patria  Bastia  nella  chiesa  nazio- 
nale di  s.  Luigi  de'  francesi  di  Ro- 
ma, per  riconoscenza  gli  erigerà  un 
nìarnioreo  monumento,  di  prospet- 
to a  quello  dell' archiatro  Saliceti, 

Nel  conclave  del  1823  per  morte 
di  Pio  VIF,  il  sacro  collegio  elesse 
a  medici,  il  '  lodato  Giambattista 
Bomba,  e  Michelangelo  Poggioli  ro- 
mano, e  per  chirurgo  Antonio  Bac- 
celli di  s.  Vito.  L'eletto  Leone  XII 
dichiarò  medico  Michelangelo  Pog- 
gioli romano,  professore  di  botanica 
teoretica  nell'università  romana, 
membro  del  collegio  medico-chirur- 
gico, e  direttore  del  vivaio  romano 
delle  piante  e  pubbliche  pianta- 
gioni; e  per  chirurgo  Filippo  To- 
dini,  de* quali  scrivemmo  nel  voi. 
XXXVIII,  p.  77  e  78  del  Dizio- 
nario, parlando  della  malattia  che 
condusse  al  sepolcro  Leone  XII, 
nella  quale  prestò  anche  l'opera  il 
celebre  chirurgo  Giuseppe  Sisco  di 
Bastia,  cui  il  prof.  Chimenz  fece 
meritevole  elogio  nell'  Album,  distri- 
buzione 35,  del  1842.  Lo  chiama 
oracolo  della  chirurgia,  dice  aver  il 
Sisco  curato  Pio  W  che  lo  dichiarò 
suo  chirialro,  Carlo  IV  colla  regina  sua 
moglie;  che  fu  consultato  più  volte 
da  Leone  XII,  e  che  fu  largo  della 
sua  scelta  biblioteca  e  di  altre  benefi- 
cenze coir  arcispedale  di  s.  Giacomo. 
Kcl  conclave  1829  i  cardinali  scel- 
sero per  medici  il  lodato  Miche- 
langelo Poggioli,  e  Francesco  Va- 
lori di  Narni,  e  per  chirurgo  Fran- 
cesco Bucci  di  Civita  Ducale  nel- 
l'Abruzzo, diocesi  di  Rieti.  L'e- 
letto Pio  VUl    \\o\\    dichiarò  né  il 


MED 

medico,  né  il  chirurgo:  lo  curò  Del- 
l' ultima  malattia  il  eh.  cav.  Do- 
menico Lino  Morichini  di  Civita- 
tantino,  professore  dell'università  ro- 
mana negli  elementi  di  chimica,  per 
cui  ebbe  in  compenso  scudi  2^0; 
ed  il  chirurgo  barone  Antonio  Tras- 
mondo romano,  professore  nelle  isti- 
tuzioni della  chirurgia  teorica  anche 
forense,  che  ricevette  per  Io  stesso 
titolo  scudi  i5o,  U Album y  d'ambe- 
due riporta  la  biografia,  distribu- 
zioni 4'  del  i836,  26  del  1841. 
Del  primo,  oltre  i  dovuti  elogi,  vi 
è  l'elenco  di  XXIII  opere  da  lui 
pubblicate;  del  secondo,  cui  fu  co- 
niata una  medagha,  si  dice  che  pre- 
stò l'opera  sua  al  re  Carlo  IV  e  alla 
regina  di  lui  consorte,  non  che  a 
Pio  VII,  citandosi  dal  biografo  cav. 
Fabi  Montani,  altro  elogio  del  cav. 
Andrea  Belli  inserito  nel  Diario  di 
Roma.  Pel  conclave  i83o-i83i, 
il  sacro  collegio  nominò  medici 
Giambattista  Bomba  e  Pietro  Sciar- 
ra  d'  Arsoli  summentovati,  chirur- 
go Gaetano  Olivieri  romano.  L'e- 
letto Gregorio  XVI,  per  la  sua  ro- 
busta salute  non  credette  dichiarare 
il  medico  e  il  chirurgo,  bensì  volle 
beneficare  con  pensione  palatina 
mensile  di  quindici  scudi,  France- 
sco Bernardini  di  Palestrina,  me- 
dico soprannumero  della  famiglia 
pontificia,  professore  dell'  università 
romana  nella  medicina  politico-le- 
gale. Compassionando  poi  la  condi- 
zione de' famigliari  domestici  ponti- 
fìcii dopo  la  morte  del  Papa,  con 
chirografo  del  gennaio  i832  volle 
stabilire  un  fondo  per  le  pensioni 
che  loro  destinò ,  senza  aggravio 
de' palazzi  apostolici,  ordinando  che 
gli  onorari  del  medico,  del  chirur- 
go e  del  credenziere  segreto,  non 
che  certe  pensioni  palatine  alle  vai- 
caiize,  tutto  si  ponesse  perciò  a  ria- 


MED 
vestimento;  ne  ottenne  pienamente 
V  intento    con     eterna     benedizione 
del  suo  nome,  poiché  onde   il  bene- 
fizio passasse  anco  ne' posteli,  la  di- 
sposizione a  cagione    del    fondo  da 
lui  formato  co'suoi  risparmi,  riguar- 
da pure  ed   in  perpetuo  i  famiglia- 
ri de'  suoi  successori,  a  cui  pel  pri- 
mo de'  Pontefici    provvidcj    com'  e- 
spressamenle  si    legge  in    altro  suo 
chirografo  del  iSSy,  in  cui  ampliò 
tali    beneficenze.  Wè  si  deve    occul- 
tare, che  conferì  pensioni,  onorò  ed 
esaltò    alcuni    famigliari    di     Lecine 
XII,  e  ne  assegnò  a  tutti  quelli   di 
Pio  VJII,  altri    promovendoli  a  ca- 
riche e  dignità.  Tultavolta  in   pro- 
gresso di  tempo    per  qualche  inco- 
modo scelse  a  chirurgo  particolare, 
e  lo  curò  pure  come  medico,  Paolo 
Baroni    bolognese,   professore    della 
patria  università,  e  successivamente 
l'onorò    de' cavalierati    dello  speron 
d'oro,  di  s.    Gregorio,  e  di  s.    Sil- 
vestro, dichiarandolo  colonnello  di- 
rettore   della    sanità    militare    (per 
cui  nelle  villeggiature  e  viaggi  se- 
giù  il  Pontefice  con    tale    uniforme 
nelle    carrozze    palatine,  e    fu    am- 
messo più  volte  alla  pontificia  men- 
sa, però  a    cagione    di  sua    assenza 
nel  viaggio  del    i84i  delle  Marche, 
Umbria,  ec.   il    Papa    portò  seco  il 
R.mo  p.   Benedello  Vernò   romano 
generale  de'  Benjralelli,  siccome  for- 
nito di    cognizioni    mediche    e  chi- 
rurgiche, gratificato  con  pensione,  e 
colla  serie  ili  tutte  le  medaglie  pon- 
tificie), consigliere    per     le    maleiie 
sanitarie,  e    membro    della   congre- 
gazione   speciale    sanitaria,    giatiii- 
candolo  ancora    con  pensione  e  as- 
segno mensile. 

Solennemente  dichiaro  rjiii  a  lui 
la  mia  ammirazione  e  profonda 
stima  per  la  lunga,  assidua  ed  a- 
morevole  assistenza  prestata  al  Pa- 


MED  i4i 

pa,  come  testimonio    oculare,    non 
che    per     le    doti    che    ornano    il 
suo    animo  egregio  ,    quali    furono 
celebrate   dallo  stesso  Pontefice  nei 
tre  brevi  de'  tre    ordini  equestri  di 
cui     volle     decorarlo.     Nella    nomi- 
na a   cavaliere    dello  speron  d'oro, 
in    data    8  gennaio    i836,    si    leg- 
ge.   Te   cujus  laiides  in  inedicae  ar- 
lis  qiiae  wami  ciirat,  seit  cliirurgiae 
scitnlia     ac   perilia    omnium   judi- 
cio  celebranlur,  oh    sincera t2i   Inani 
erga  Nos,  et  Scdeni  praediclani  fideni 
et  devolioneni,  aliaque  tua  merita  con- 
dignis gratiae  et  hencpcentiae  nostrae 
fai'oribus   prosegui    i'olenles.    iS'ella 
nomina  a  cavaliere  di  s.   Gregorio, 
de'24  luglio    [840,  si   h'gge-  Equi- 
dem  Nos  probe   noscimus,  te  eocccl- 
lenli  ingenio  praedictnni,  egrcgiisque 
animi  dolibus    ornatum ,   litlcrix    et 
diiciplinix    exvulltim,  mornin   bone- 
siale,  vitae  integritate^  pietatis  laude 
spectatuvt,  eximia  hippocraticae  ar- 
tis  scientia  cUirum,  Nobis  vero,  at' 
que  huic  aposiolicae  Svdis  vel  ma- 
xime addictuni,  inter  pratfectos  pri- 
mi ordinis  copiacuni  nostrarum  ad- 
lectum,    alque   praeposiuini   valetu- 
dini   milituni  tuendae  summa  cunt 
lande  et  miro  studio  liujusmodi  mu- 
nere   perfungi    nihilqiie    inexpertnni 
relinquere,  ut  de  Nobis  deqne  bac 
de  apostolica  Sede  qnibusque  rebus 
praeclare  mereri  possis.  llaque  ali- 
quani  nostrae   propensae  in  te  vo- 
luntatis    signijìcationeni    alacri,    li- 
benlique  animo  exhibendani  censui- 
mus.    Peculiari    ergo   le  honore  de- 
corare volenles.  Psel   nuovo  diploma 
poi    dello  sperone    d'oro    riformato 
nel    i84i  >  dice  così.   Propter  egre- 
gias  ac  singulares  tui  animi,  inge- 
niique  dotes,  alque  ob  eximiam  tuant 
pietatem,   integritaleni ,    honestalem, 
ac  miram  medicae  artis  quae  nia- 
nu  curai f   seu    chirurgi ae  praestaii- 


i/p.  MED 

tiam,  qua  omnium  laudem  atque  exi 
stimalionem  nierilo,  alqae  oplìmo  ju- 
re  es  conscquulus,  ne  speclalam  tuam 
in  Nos,  et  liane  apontolicani  Sedeni 
yeneralioiiein,    nec  non    propter  lit- 
lerarum,  ac.  cUscIplniaruin  peri  tiam. 
Il  cav.   Baroni   nell'ottobre    i835 
fu  chiamato  più  volte  da  Gregorio 
XVI  ad    esaminare    una    piaghetta 
venutagli  al    naso,  e    nel     seguente 
mese  fu  invitato  da  Bologna   a   re- 
carsi  in    Roma  dal     I*apa,   e     restò 
al  suo  servizio   sino  alla  morte.  Ria- 
prendosi la   piaghetta,  il  general  Le- 
pel  (  donato  dal    Pontefice    del  suo 
ritratto  contornalo  di  brillanti)  nel 
settembre    i836  offrì  il  suo  chirur- 
go    Augusto    Alerlz    d'  Aquisgrana 
(ora  attaccato  alla  legazione  di  Prus- 
sia ),  che  insieme  ai  cav.  Baroni  cu- 
randolo,  con  un   segreto  specifico  lo 
guarì.   Venne  perciò  1'  Alertz  deco- 
rosamente rimunerato,    donato  con 
scattola  d'oro  col  pontificio  ritratto 
contornalo  di   brillanti,  e  con  ono- 
rificenlissimo     breve    insignito     del 
grado  di    commendatore  di  s.  Gre- 
gorio :    per    tale     bisogno     il    Papa 
volle  pure    consultare  il  Bomba  di 
-sopra  encomiato.  L'abbate  Giuseppe 
Piotanti  forlivese,    autore  di   parec- 
chie opere  anche  riguardanti  la  me- 
dicina (  in    quella     delle   Meraviglie 
de'  secoli  passati  gli   piacque  ripro- 
durre una  lettera    in  lode  del   mio 
Dizionario,  scritta  a'3  maggio  i838 
al  eh.  letterato  cav.  Filippo  Scolari  ), 
per    la    vasta    sua    erudizione,    nel 
j836  umiliò  questo  suo  importante 
mss.  al  Pontefice:   Lo    spirito  d' Ip- 
pocrate  e  de' piti  grandi  ingegni  di 
questo  mondo,    estratto  a    prò  del' 
r  immortale    Gregorio    XVI,    onde 
per  lunga    età   beatamente  viva.    Il 
Papa  corrispose    con    accrescimento 
(li  slima   e  benevolenza.    Il     mss.   è 
presso  di  me.    11  lodalo    lellcralo , 


MED 

col  suo  scritto  imitò  quanto  aveano 
fallo  Bacone  con  Nicolò  IV,  Pinlor 
con   Alessandro   VI,  e  Durante  per 
Sisto  V.  In  alcune   febbri  e  resipo- 
la,  Gregorio XVI  nell'ottobre  iSSg 
fu  curato  dal  Bernardini  e  dal   Ba- 
roni, e  consultò  il  eh.  l^ietro  Luigi 
Valentin!    pi-ofessore   dell'università 
romana  nella   medicina   teorico-pra- 
tica. Ritornale  al  Pontefice  le  febbri 
nel  giugno  1 84o,  i   lodali   professori 
tornarono  a  curarlo  j   ma  di  quan- 
to    riguarda     questo  argomento,   se 
Dio    vorrà,   meglio    ne  tratterò    in 
opera    che    da  molli  anni  mi    pro- 
posi  di     scrivere  in  onore  del    mio 
augusto    e    venerando    benefattore. 
Non  solo  al  tempo   del  cholera,  ma 
prima  e  dopo,  molti  professori  d'ogni 
parte,  con   lettere  ed  opuscoli  si  fe- 
cero premurosi   della  conservazione 
di   Gregorio  XVI.  Questi  finalmén- 
te con  biglietti  del  prelato  maggior- 
domo   del    febbraio     i845    nominò 
medico    privato  il    dottore    Miche- 
langelo Poggioli,  e  chirurgo  privato 
il   cav.   Baroni,    ed  ambedue  segui' 
reno  il  Papa  in  alcune  gite  pei  din- 
torni di  Roma  (di  quella  a  Gasici 
Porziano,    Laurento,  si  può  vedere 
il  voi.  XXX\1I,  p.  23 1  del    Dizio^ 
nrtr/'o  ),  onorando  di   visita   il  vivaio 
delle    piante    affidato  al    primo    (a 
questi  ed  al  suo    eh.    figlio  Dome- 
nico   professore    nell'  università  ro- 
mana, prima  nella  materia  medica, 
patologia    generale  e  semiotica,    ed 
ora  io  quella  teorico-pratica,  sonogra- 
tissimo  per  l'epigramma  e  terzine  ri- 
portate    nel  libro    ricordato    all'ar- 
ticolo Fiori,  onde  consolarmi  quan- 
do piansi   un    egregio    figlio,    poi- 
ché i  cultori   della  nobile  arte  me- 
dica, essendo  illuminati  filosofi,  coi 
farmachi    procurano  toglierci    dalla 
morte,  e  con  amichevoli  modi  pro- 
curano confortare  quei  che  piango- 


MED 

no  le  perdite  delle  persone  amate). 
Giovanni  Malia  romano  fu  ottimo 
e  slimato  professore  dentista  di 
Gregorio  XVI.  Neil'  estremo  fa- 
tal  punto  di  Gregorio  XVI  furo- 
no chiamati  a  consulto  i  valenti 
professori  Pietro  Carpi,  Carlo  Mag- 
giorani   e   Francesco  Bucci. 

Ammette  Plutarco  in  certi  casi 
di  lodare  sé  stesso:  essi  sono  noti, 
e  si  leggono  ancora  nel  Sarnelli, 
Leu.  eccL  t.  X,  p.  i44;  veggasi  il 
Cancellieri,  Lettera  sulla  voce  spar- 
sa di  sua  morie,  pag.  7  :  laon- 
de sono  giustificato  se  per  analo- 
gia d'  argomento  trovo  qui  op- 
portuno di  riportare  un  brano  del 
breve  del  mio  munificentissinio  Gre- 
gorio XVI,  allorché  a' 7  gennaio 
1842  di  molo  proprio  mi  decorò 
del  cavalierato  ed  insegne  del  no 
bilissìmo  ordine  dello  speron  d'oro. 
Equidern  multis  ab  hinc  annis 
(più  di  ventuno)  egregiam  inani 
ìndolem,  probitatem,  honeslatem,  re- 
ligi onem,  atque  eximiam  in  Nos 
veneralionem  experti  siimits.  Eie- 
nim  din  nobis  addictus  et  nuni- 
quam  Nostro  de  latere  discedens, 
atque  in  praeseniia  primus  a  No- 
stro cubiculo  adfutor,  litterariis  licei, 
ac  praesertim  sacrae  eruditionis 
sludiis  intentus  nihil  inausum,  niliil- 
qtte  intentntuni  relinquis,  ut  onineni 
tuam  operam  Nostrae  potissimum 
valetudini  tuendae,  aliisque  rebus, 
quae  Nostrani  respiciunl  personam, 
prragtndis  rito  diligcnterqiie  exlii- 
bere  possis.  Ilaqtie  ctivi  propler  sin- 
gnlaris  tuas  doles  Nostrani  benevo' 
lentiani  libi  merito  comparavens,  a- 
liqitani  Nostrae  in  te  propensae  va- 
luntatis  signifìcationeni  alacri,  li- 
benlique  animo  exibuendani  cen- 
suinuts.  Avendo  le  gazzette  pubbli- 
cato il  testamento  del  gran  l'onte- 
fice,  quindi  è    ooto  a  tutti  cum'  e- 


MED  j43 

gli  si.  degnò  in  esso  ricolmarmi  di 
elogi  e  beneficenze.  Se  in  quest<; 
articolo  a  qualcuno  sembra.sse  aver 
io  con  troppo  amor  proprio  ricor 
dato  gli  incoraggijnenti  ricevuti  dai 
professori  dell' arte  salutare,  sappia 
no  eh'  essi  mi  riuscirono  grande- 
mente piacevoli  per  più  riflessi,  poi- 
ché non  solo  ebbi  ad  avo  Gio.  An- 
tonio Bencerini,  quale  si  distinse  per 
eccellenti  qualità,  ed  esercitò  la  chi- 
rurgia, ma  a  questa  io  era  appli- 
cato ne'più  verdi  anni,  andando  in 
pratica  all'arcispedale  di  s.  Spirito  col 
sunnominato  chirurgo  palatino  Luigi 
Rocchi,  per  poi  entrarvi  per  alunno 
onde  apprendere  l'alta  chirurgia; 
onde  di  essi  professori  fui  sempre 
particolarmente  propenso  ed  esti- 
matore, .seguendo  l'insegnamento 
delia  sacra  Scrittura,  che  e'  invita 
ad  onorarli,  e  quello  d'  Ippocrate, 
Mcdicum  decet  esse  amicum.  Nel 
conclave  del  1846  il  sacro  collegio 
dichiarò  medici  Pietro  Carpi  e  Pie- 
tro Brnnelli,  e  per  chirurgo  Giu- 
seppe Costantini,  il  primo  e  l'ulti- 
mo professori  tlell'  università  roma- 
na, uno  nella  mineralogia,  l'altro 
nelle  istituzioni  chirurgiche  e  nel- 
r  ostetricia  qual  sostituto. 

MEDICO  DEL  PAPA,  e  Medici 
PALATiPfi.    T^.  Medico. 

MEDINA  DEL  Campo,  Methynina 
Champestris  o  Campensis.  Città  della 
Spagna,  nella  provincia  di  Valla- 
dolid  da  cui  è  distante  dieci  leghe, 
in  una  valle  fertilissima  sul  Zapar- 
diel.  Grande  e  bene  fabbricata,  ha 
una  bella  piazza  con  superba  fon- 
tana decorata  della  statua  di  Net- 
tuno. Contiene  sette  parrocchie, 
compresa  la  collegiata,  diversi  con- 
venti e  monasteri,  due  ospedali,  ed 
altri  benefici  e  scientifici  stabili- 
menti :  l'ospedale  generale  è  d'una 
architettura  imponente^  ed  una  par- 


i44  MED 

te  serve    di  caserma    ai  soldati.  È 
patria  di  alcuni  uomini  illustri,  co' 
me  di  Ferdinando  I  re  d'  Aragona, 
del  p.  Giuseppe  Àcosta  gesuita,  di 
Baldassare  Alamos,  di  Gomes    Pe- 
reira, di  Bernal  Dial  del  Castillo,  e 
di  Francesco    di  Villaroel.    Questa 
antichissima    città,    così    chiamata 
per    essere  nel    paese    detto    titrra 
de  Campo,  fu  la  culla  e  residenza 
di  molti  re  di  Spagna,  allorché  la 
loro    sovranità  fu   ridotta    al    nord 
di  questo  paese  :  allora   era  consi- 
derabile, commerciante  e  ricca,  go- 
dendo grandissimi  privilegi.  Si  con- 
serva   ne'  dintorni    un    vecchio    ca- 
stello,   opera    de'  re    cattolici,  e    le 
vestigia    d'un    canale    attribuito  ai 
mori,  che    sboccava  nel    Zapardiel. 
JVel   i38o  fu  quivi  tenuto  un  con- 
cilio relativamente  allo  scisma    che 
teneva  divisa  la  Chiesa  tra  Urbano 
YI,  e  l'antipapa  Clemente  VII.  A^ 
guirre  t.  III. 

MEDIO  EVO.  L'epoca  de'seco- 
li  baibari,  eh'  ebbe  principio  nel- 
r  anno  5oo  dell'  era  cristiana,  e 
proseguì  sino  al  i5oo,  compren- 
dendo il  periodo  di  mille  anni,  o 
di  undici  secoli  come  dicono  altri. 
Il  dotto  p.  Battini  servita,  nell'ope- 
ra intitolata:  Apologia  de  secoli 
barbari,  nel  t.  I,  cap.  i,  trattando 
de' motivi  per  i  quali  fu  dato  ai 
tempi  del  medio  evo  il  nome  di 
secoli  barbari,  dice  ciò  essere  avve- 
nuto per  la  taccia  che  si  dà  a  quel- 
li comunemente  di  secoli  barbari, 
di  secoli  rozzi  ed  inculti,  di  tempi 
caliginosi  e  di  profonda  ignoranza, 
per  cui  non  meritassero  che  degli 
uomini  di  quell'  epoca  sventurata 
ne  fosse  rilevata  l'indole  e  il  ge- 
nio, e  ne  fossero  commendati  i  me- 
riti e  le  virtìi.  Gli  studi  e  le  fati- 
che degli  antichi  vennero  a  mano  a 
mano  preparando    1'  età  ìu  cui  sia- 


MED 

mo,  e  tante  belle  scoperte.  Fan- 
no torto  a  sé  stessi  coloro  che 
spregiano  il  moderno  per  apprez- 
zare l'antico,  o  sprezzano  l'antico 
per  apprezzare  il  moderno.  Certo 
è  che  in  tutte  l'età  fu  sempre  ma- 
nifesta la  sapienza  e  la  potenza  di- 
vina, nell'ingegno  e  nelle  opere 
dell'uomo  .  Nel  1846  in  Lova- 
nio  fu  pubblicata  la  seconda  edi- 
zione del  RislretLo  della  storia  del 
medio  evo,  dopo  la  caduta  dell'im- 
pero romano  d' occidente  sino  alla 
nascita  del  protestantismo,  del  eh. 
prof  dell'  università  di  Lovanio  J. 
Moeller,  il  quale  per  mettere  un 
qualche  ordine  alla  varietà,  oscuri- 
tà e  difficoltà  dell'  argomento,  di- 
vise r  opera  in  quattro  epoche  . 
i."  Dalla  distruzione  dell'impero 
romano  d'occidente  pei  popoli  ger- 
manici, sino  alla  fondazione  dell'im- 
pero germanico- cristiano  per  Carlo 
Magno,  cioè  dal  4? 6  all'Soo,  epo- 
ca da  lui  denominata  di  conversio- 
ne, imperocché  durante  questo  tem- 
po il  cristianesimo  addolcì  e  ritras- 
se a  civiltà  i  popoli  che  aveano  in- 
vaso r  Europa.  2.°  Dalla  fondazio- 
ne dell'impero  germanico,  alla  ri- 
forma delia  società  operata  dal 
Pontefice  s.  Gregorio  VII,  cioè  dal- 
l'800  al  1073,  epoca  che  appella 
d'  organizzazione.  3.  La  società  cat- 
tolica sotto  il  governo  de'  sommi 
Pontefici  sino  a  Bonifacio  VIII,  cioè 
dal  1074  al  i3o3.  Durante  questa 
epoca,  dice  il  professore,  l' azione 
della  Chiesa  si  compendia  in  un  mo- 
do più  distinto  in  quella  della  san- 
ta  Sede,  e  la  società  cattolica  con 
rapido  passo  s' avanza  per  la  via 
del  progresso  intellettuale  e  mate- 
riale. 4'"  Quest'  ultima  epoca  del 
medio  evo,  epoca  delle  grandi  sco- 
perte, abbraccia  il  tempo  che  cor- 
se   da    Bonifacio  Vili  alla     prete- 


MEG 

sa  rifortna,  cioè  dal  i3q3£ì1  i5i7. 
Confermazione  di  un  nuovo  sistema 
sociale  in  Europa  sino  allo  scisma 
del  mondo  cattolico  per  Y  eresie  del 
secolo  XVI.  Fedi  Epoca,  Era.  Si 
possono  ancora  sul  medio  evo  con- 
sultare gli  autori  citali  a  Italia, 
iiou  che  le  seguenti  opere:  David 
Winspeare,  Storia  degli  abusi  feu- 
dali, Napoli  1811.  Sacchi,  Della 
condizione  economica,  morale,  po- 
litica degl'  italiani  ne'  bassi  tempi, 
Milano  1828.  Mezzoldi,  Delle  ori- 
gini italiche,  e  della  diffusione  del- 
l'incivilimento  italiano,  Milano  1 843. 
De  Michels,  Compendio  della  sto- 
ria del  medio  evo,  Milano  i844- 
Ficker,  Guida  allo  studio  della 
letteratura   classica    antica,  Milano 

1844. 

MEGALOPOLI.    Sede    vescovile 
d'Arcadia  nella  provincia  d'Eliade, 
sotto  la   metropoli  di   Corinto^  nel- 
la diocesi  dell' Illiria  orientale.  Sem- 
bra che  si  chiamasse    prima  Arca- 
dia, dal  nome  del  paese,  e  poi  Cri- 
stianopoli,  in  oggi  Leondari  o  Leon- 
tari.    Si    conoscono    undici  de' suoi 
vescovi  :     Martirio   fu   il     primo,    il 
quale  sottoscrisse  la  lettera  del  con- 
cilio   di   Sardica,  e  Gregorio  1'  ulti- 
mo che  ne    occupava    la     sede  nel 
1740.  Oriens  christ.    t.  II,  p.    187. 
MEGARA.  Sede  vescovile  dell' At* 
lica,    presso    il    golfo  Saronico,     in 
una  valle  a  ponente  di  Eleusi,  tra 
Atene  e  Corinto,  e  distante  da  esse 
una  giornata.  Era  la  capitale  della 
Megaride,     in  oggi     piccolo     borgo 
della  Turchia  europea  nella  Livadia, 
avente  ancora    avanzi  bellissimi  di 
sue  antichità.    Questa    celebre  citlà 
portò  il  nome  di  Nisa  dal  suo  prin- 
cipe, e  successivamente  fu  governa- 
ta da  dodici  re,  da  Cleso  sino  ad  Aia- 
ce   figlio    di    Telamone  ;    poscia    si 
governò  come  repubblica,  finché  fu 

voi.    XI IV. 


MEI  145 

soggiogata  dagli  ateniesi,  indi  libe- 
rata dagli  eraclidi.  Produsse  gran- 
di uomini,  come  Euclide  discepolo 
di  Socrate,  autore  della  setta  Me- 
garica.  Vescovato  della  provincia  di 
Eliade  nella  prima  Achea,  esarcato 
di  Macedonia  o  Illiria  orientale, 
sotto  la  metropoli  di  Corinto,  ed 
eretta  nel  secolo  V.  De'  dodici  suoi 
vescovi  il  primo  fu  Alipio,  che  sot- 
toscrisse la  lettera  del  concilio  di 
Sardica  alle  chiese,  e  l'ultimo  Vin- 
cenzo Magnati,  nominato  da  Bene- 
detto XIII  a'  17  marzo  1727.  O- 
riens  christ.  t.  Ili,  p.  85  1 .  Al  pre- 
sente Megara,  Megaren,  è  un  titolo 
vescovile  irt  partibus,  sotto  l'arcive- 
scovato pure  in  partibus  di  Corin- 
to, che  conferisce  la  santa  Sede  : 
furono  gli  ultimi  a  portarlo  Gio. 
Battista  Angelini,  e  Leone  XII  nel 
concistoro  de' 2  3  giugno  1828  vi 
nominò  Ignazio  Lodovico  Pavs^- 
towski  di  iMokilow  preposito  della 
cattedrale  di  Raminiech  in  Polonia, 
e  lo  fece  pure  sulTi-aganeo  di  tal 
chiesa  ;  dipoi  Gregorio  XVI  nel 
1841  lo  traslatò  all'arcivescovato 
di  Mokilow. 

MEGISTO,    Cardinale.    Megisto 
o  Megezio  monaco,  e  poi  abbate  del 
monastero    di  s,  Gregorio    al  clivo 
di   Scauro,  fu    crealo  carditiale  ve- 
scovo   d' Ostia,    e  bibliotecario    da 
s.  Leone  IV  dell'847,  e  visse  pure 
nel    pontificato    di     Benedetto    III. 
MEISSEN  o    MISNIA,    Misna^ 
Misena.     Città  vescovile  del  regno 
di  Sassonia,  circondario  di  Misuiaj 
capoluogo  di  baliaggio,  distante  cir-' 
ca    cinque    leghe  da    Dresda,    sulla 
riva    sinistra   dell'Elba,  che    vi  ri- 
ceve la  Meissa  e  su  cui  evvi  un  poa* 
te  coperto;  io  una  delle  più  fertili 
e  belle  valli  della  Sassonia.  E  cin- 
ta di  mura,  ed  ha  molti  sobborghi; 
Vi  si  vedono  le  rovine  di    un  ca- 
io 


i46  MEI 

stello  fortificato,  fatto  erigere  da  Al- 
berto il  Coraggioso  nel  i47i>  sopra 
UDa  roccia  dell'Elba,  di  80  piedi 
di  altezza.  Questa  ciltà  si  divide 
in  alta  e  bassa,  con  sei  piazze  pub- 
bliche, e  la  cattedrale,  bel  monu- 
mento gotico,  sotto  r  invocazione  di 
s.  Gio.  Evangelista  e  di  s.  Donalo, 
essendo  pure  rimarchevole  l' edili- 
zio del  capitolo.  Vi  sono  tre  ospi- 
zi, un  lazzaretto,  diverse  fabbriche 
ed  una  celebre  di  bellissima  por- 
cellana, conosciuta  sotto  il  nome  di 
Sassonia,  di  cui  fu  inventore  il  ba- 
ione Gio.  Federico  di  Boetricher, 
ricavandosi  ne'  dintorni  la  terra  di 
eui  se  ne  fa  uso.  E  patria  di  uo- 
mini illustri,  tra'  quali  di  Adam  e 
di  Schlegel.  Questa  ciltà  che  dice- 
si fabbricata  nel  928  dall'impera- 
tore Enrico  I,  apparteneva  al  suo 
vescovo,  e  porzione  de'  suoi  beni  fu 
impiegata  a  fondare  1'  antico  mona- 
stero, col  bel  collegio  sul  monte 
Afra,  da  cui  prese  il  nome,  e  che 
■vedesi  nei  dintorni,  ove  Irovansi 
anche  bagni  e  acque  minerali.  Po- 
co distante  nel  1759  i  prussiani 
furono  battuti  dagl'  imperiali.  Il 
detto  imperatore  stabili  il  marche- 
sato di  Misnia  e  ne  assegnò  il  go- 
verno al  conte  di  Within.  Il  baliag- 
gio  di  Misnia  possiede  un  distret- 
to nel  circondario  di  Lipsia,  ed  uno 
nel  circondario    dì    Erzgebirge. 

La  sede  vescovile  fu  eretta  nel  958 
o  968  6  fatta  suffragauea  di  Magde- 
burgo,  divenendo  il  vescovo  princi- 
pe dell'  impero.  Uno  di  questi  fu 
s.  Bennone  apostolo  degli  slavi, 
gran  difensore  di  s.  Gregorio  VII, 
contro  Enrico  IV,  ch'egli  arrivò  a 
scomunicare,  ond'ebbe  a  patire  mol- 
ti travagli;  morì  nel  1106  dopo 
4o  anni  di  vescovato,  e  nel  i523 
fu  canonizzato  da  Adriano  VI.  Nel 
|344  Clemente  VI    erigendo  Pra- 


IVIEI 

ga  in  metropoli,  dichiarò  sua  suflra- 
ganea  Meisseii,  che  dismembrò  per 
fondare  il  vescovato  di  Leitmerilz. 
Avendo  poi  il  vescovo  abbracciata 
la  confessione  augustana  nel  i58i, 
l'elellore  di  Sassonia  secolarizzò  il 
vescovato.  Venne  conservato  il  ca- 
pitolo luterano  couìposto  di  un  pre- 
vosto, d' im  decano,  di  quattro  ca- 
nonici nobili,  e  di  due  canonici  pro- 
fessori di  teologia  nell' università  di 
Lipsia.  11  duca  di  Sassonia  si  fece 
dichiarare  amministratore  del  ve- 
scovato. 

Misnia  e  Lusazia  è  un  vicaria- 
to apostolico,  di  cui  Gregorio  XVI 
a' 27  febbraio  1846  fece  ammìnì- 
slratore  della  diocesi  il  decano  di 
Budissina  o  Budistina  e  vescovo 
di  Corica  in  parlibus  monsignor 
Giuseppe  Dittrich,  non  che  vicario 
apostolico  di  Sassonia  (  Vedi).  Al  cen- 
no che  di  questo  vicariato  apostolico 
dammo  all'  articolo  Gebmania,  ag- 
giungeremo le  seguenti  notizie.  La 
Lusazia  è  im  circolo  di  Sassonia, 
che  si  divide  in  superiore  ed  in- 
feriore. Questa  e  molta  parte  di 
quella  spelta  alla  Prussia.  Confina 
al  nord  col  Brandeburghese ,  al 
nord- est  colla  Slesia,  al  sud-est 
colla  Boemia,  all'ovest  colla  Mi- 
snia. La  Lusazia  fece  un  giorno  par- 
te del  vescovato  di  Misnia.  JN'el 
i^iS  Bruno  vescovo  di  Misnia  o 
Meissen  fondò  nella  Budissina,  ora 
Baulzen  città  di  Sassonia,  capoluo- 
go della  Lusazia,  una  chiesa  parroc- 
chiale, e  ne  affidò  la  cura  ad  una 
collegiata  di  canonici,  e  volle  che 
il  decano  del  capitolo  di  Misnia 
fosse  suo  superiore  nella  Lusazia. 
Nel  i559  il  vescovo,  il  capitolo  ed 
il  popolo  di  Misnia  passò  al  lute- 
ranismo, ma  la  chiesa  di  Budissi- 
na slette  ferma  ne'principii  catto- 
lici.  11  nunzio  di  s.  Pio  V  in  Gei- 


MEI 

mania  conferii  tutta  l' autorità  spi- 
ri luale  per  la  Lusazia  al  decano 
della  Budissina.  Questa  determina- 
tione  fu  approvata,  ed  ebbe  in  ap- 
presso maggiore  ampliazione.  Il  de- 
cano fu  dicliiariito  immediatamente 
soggetto  alla  santa  Sede,  e  visita- 
tore dei  monasteri  ivi  esistenti:  al- 
tri Pontefici  ancora  gli  concessero 
privilegi,  ed  il  decano  per  lo  più 
l'insignirono  del  carattere 'vescovile. 
Il  decano  tuttora  continua  ad  elegger- 
si dal  capitolo,  composto  di  tre  ca- 
nonici, tre  de'quali  risiedono  in  Bu- 
dissina  o  Baulzen,  gli  altri  servo- 
no le  parrocchie.  Il  decano  appena 
eletto  chiede  alla  congregazione  di 
propaganda  Jìde  le  facoltà,  cui  si 
rinnovano  ogni  cinque  anni.  Il  re 
di  Boemia  esercita  de'  diritti  di  re- 
ligione nella  Lusazia,  e  nel  cederla 
air  elettore  di  Sassonia  si  riserbò 
l'alto  dominio  quoad  ecclcsiaslìca. 
Nella  Lusazia  interiore  vi  è  l'abba- 
te de'  cistcrciensi  con  facoltà  di  pro- 
paganda, i  cui  monaci  si  esercita- 
vano nelle  missioni  nella  bassa  Lu- 
sazia e  nella  Marca  di  Brandebur- 
go;  poiché  esisteva  anni  addietro 
il  monastero  cistcrciense  di  Kcocel- 
la,  ma  forse  oggi  non  più  esiste. 
Keocella  ha  le  chiese  di  s.  Croce 
e  di  s.  Lorenzo  con  duemila  cat- 
tolici. Budissina,  residenza  del  supe- 
riore ecclesiastico,  ha  la  chiesa  de- 
dicata a  s.  Pietro.  Bautzen  o  Bu- 
dissina è  città  capoluogo  del  cir- 
condario di  Lusazia  e  dei  baliag- 
gio  del  suo  nome,  situata  sopra  una 
montagna,  sulla  riva  destra  della 
Sprée.  Una  muraglia  la  circonda, 
e  la  difende  il  castello  d' Orten- 
burg,  più  antico  della  città,  perchè 
eretto  nel  IX  secolo.  Assai  bene  fab- 
bricata, i  più  rimarchevoli  edifizi 
sono  il  palazzo  della  città,  l' acca- 
demia, l'ospizio  degli  orfani,  la  ca« 


MEI  i4^ 

sa  di  correzione  ed  il  teatro.  La 
cattedrale  è  comune  ai  cattolici  e 
luterani,  due  chiese  e  quattro  os- 
pedali. Nella  detta  chiesa  di  s.  Pie- 
tro il  prevosto  è  luterano,  il  quale 
dirige  una  scuola  particolare.  Baut- 
zen conta  alcuni  stabilimenti  scien- 
tifici e  benefìci,  e  due  biblioteche, 
non  che  diverse  fabbriche  pel  com- 
mercio. La  città  molto  soffri  negli 
incendi  del  i4oo,  i634,  1709  e 
1760;  conta  11,000  abitanti,  un 
ottavo  de'  quali  è  cattolico  ;  e  fu 
patria  di  uomini  illustri,  come  di 
Meisner  poeta,  Peucer  medico,  e  di 
Natale  e  Giovanni  Atton.  Fu  già 
città  libera  ed  imperiale,  ma  nel 
secolo  XIV  Venceslao  re  di  Boe- 
mia la  riunì  al  suo  dominio.  Di- 
strutta nel  1142,  fu  riedificata  co- 
me oggidì  si  vede.  I  prussiani  se 
ne  impadronirono  nel  1757,  ma 
dopo  la  loro  ritirala  gli  austriaci 
la  presero,  forzando  anche  il  ca-» 
stello.  Nelle  sue  vicinanze  si  die  nel 
18 13  una  sanguinosa  battaglia  tra 
i  francesi  e  gli  alleati,  colla  vitto- 
ria dei  primi.  Quanto  all'  antica 
provincia  di  Misnia  o  Meissea  nel 
circolo  dell'  alta  Sassonia,  avea  il 
titolo  di  margraviato,  e  spesso  va- 
riò di  confini.  Fu  abitata  antica- 
mente dagli  ermunduri,e  poscia  dai 
misni,  che  col  soccorso  de'  franchi 
ricuperarono  la  loro  libertà,  per 
conservar  la  quale  si  unirono  coi 
sassoni,  e  diedero  il  nome  di  Mi- 
snia al  paese  da  essi  occupato.  Fu 
questo  eretto  in  margraviato  a  fa- 
vore della  casa  di  Sassonia,  che 
dopo  esserne  stata  spogliata  più  di 
una  volta,  rientrò  nel  suo  antico 
possesso.  Il  circolo  poi  di  Lusazia, 
che  comprende  1'  estremità  orienta- 
le di  Sassonia,  non  è  che  la  parte 
meridionale  dell'antico  margraviato 
del    suo    nome,  che  si  divideva  in 


j48  MÉL 

alta  e  bassa  Lusazia,  originaria* 
mente  abitato  dai  vendei  o  van- 
dali. Nel  1623  i  marchesati  dell'al- 
ta e  bassa  Lusazia,  come  feudi  di 
Boemia,  furono  dati  all'  elettore  di 
Sassonia,  e  Ferdinando  II  ne  fece 
intera  cessione  nel  i635,  tranne  il 
circolo  di  Kotlbus,  acquistato  dalla 
casa  di  Brandeburgo  nel  1461  e 
i55o.  Nel  18 15  la  Prussia  acqui- 
stò non  solo  tutta  la  Lusazia  bassa, 
ma  ancora  una  considerabile  por- 
zione dell'  alta. 

MELANGI  A.  Sede  vescovile  del- 
la Bìtinia  prima,  nella  diocesi  di 
Ponto,  sotto  la  metropoli  di  Nico- 
media,  vicino  al  monte  Olimpo. 
Costantino  suo  vescovo  ne  occupa- 
va la  sede  verso  la  metà  del  seco- 
lo XIII.  Oriens  christ.  tora.  I,  p. 
636,  t.  Il,  p.   3o6. 

MELANIA  (s.),  la  Giovine.  Era 
figlia  di  Publicola,  figlio  di  Mela- 
nia la  Vecchia,  la  quale  rimasta 
vedova  in  fresca  età,  avendo  deli- 
berato di  condur  vita  penitente,  af- 
fidò la  cura  del  figlio  e  l'ammini- 
strazione de'  suoi  beni  a  saggi  tu- 
tori, e  nel  Syi  andò  in  Egitto,  visitò 
le  solitudini  della  Tebaide,  e  passata 
nella  Palestina,  fece  edificare  un 
monastero  a  Gerusalemme,  dove 
passò  ventisett'  anni  intesa  alla  pre- 
ghiera ed  alla  meditazione,  prati- 
cando grandi  austerità.  Melania  la 
Giovine  fu  maritata  in  età  di  tre- 
dici anni  a  Piniano,  figliuol  di  Se- 
vero eh'  era  stato  prefetto  di  Roma. 
I  figli  che  uscirono  di  questo  ma- 
trimonio morirono  in  tenera  età, 
onde  Melania  risoluta  di  non  vi- 
vere più  che  per  Dio,  fece  parte 
de'  suoi  sentimenti  al  marito  che 
li  approvò,  e  si  obbligarono  ambe- 
due per  voto  a  passare  il  restante 
di  loro  vita  nella  continenza.  A 
questa  nuova,   Melania  la   Vecchia 


MÉL 
lasciò  r  oriente  e  ritornò  in  Roma 
per  raffermarli  nella  presa  risoluzio- 
ne ;  ed    accaduta  la    morte    di   Pu- 
blicola, li  consigliò  a  darsi  alla  vi- 
ta contemplativa    in  qualche  ritiro 
lontano.  Essi  seguirono  il  suo  con- 
siglio, e  COSI  fece  la  vedova   Albina 
madre  di  Melania  la  Giovine.  Ven- 
duta   una  parte    considerevole    dei 
loì'O  beni,  e  data  la  libertà  ad  ot- 
tomila schiavi  che  loro   appartene- 
vano, passarono  qualche  tempo  dap- 
prima in  campagna  in   Italia,  occu- 
pandosi   in    opere    di   misericordia, 
poscia    recaronsi    in    Africa.    Fatto 
breve  soggiorno  a  Cartagine,  anda- 
l'ono    a  vivere  a    Tagaste,  sotto  la 
guida  di  s.  Alipio  vescovo  di  que- 
sta   città,  ove    vissero    sett'  anni  in 
una    estrema    povertà.    Melania    si 
accostumò  talmente  al  digiuno,  che 
sovente  non  mangiava  che  una  so- 
la volta    la  settimana.    Nel  417   si 
recarono  a  Gerusalemme,  e   vi  con- 
tinuarono   lo  stesso  genere  di  vita. 
Albina    morì    nel    4^^3    ^  Piniano 
due  anni  dopo.  Melania  gli  soprav- 
visse quattr'  anni.    Ella  si  ritirò  in 
un  monastero  che  avea  fatto  edifi- 
care, e  di  cui  fu  costretta  prende- 
re il  governo.  Per  procurare  la  con- 
versione di  Volusiano    suo  zio,  an- 
dò   a    Costantinopoli,    ed    ebbe    la 
consolazione    di  vederlo   l'icevere  il 
battesimo,  e  morire  con  vivi  senti- 
menti di  pietà.    Dopo    di    che  fece 
ritorno  a  Gerusalemme,  passando  il 
giorno  di  Natale  a  Betlemme.  Rien- 
trata nel  suo    monastero,  essendosi 
infermata,  annunziò  che  la  sua  ul- 
tima ora  era  vicina.    Un  gran  nu- 
mero   di  monaci  e  di    persone  pie 
vennero  a  visitarla,  e  siccome  tutti 
si    scioglievano    in    lagrime,   ella  li 
consolava    e  li  esortava    al  fervore. 
Morì  il  3 1   dicembre  del  4^9)  "^' 
cinquautesimosettitno  anno    di   sua 


MEL 

età,  ed  è  nominata  in  questo  gior- 
no nel  martirologio  romano. 

MELANIO  (s.),  vescovo  di  Rennes. 
]N'acqiie  a  Placs  o  Plecs  nella  dio- 
cesi di  Vannes  in  Bretagna,  e  vis- 
se alcuni  anni  in  un  monastero  con 
molta  edificazione.  Dopo  la  morte 
di  s.  Amando  vescovo  di  Rennes, 
il  clero  e  il  popolo  di  questa  città 
lo  scelsero  a  suo  successore,  e  ad 
onta  della  sua  renitenza  lo  fecero 
consacrare.  Una  profonda  umiltà, 
un'orazione  continua  lo  resse  in 
mezzo  alle  ifatiche  dell'episcopato; 
egli  estirpò  interamente  l'idolatria 
che  allignava  nel  suo  paese,  e  Dio 
diede  vieppiù  forza  e  lustro  all'au- 
torità del  suo  ministero  col  dono 
de'  miracoli.  Morì  in  un  monastero 
che  avea  fatto  fabbricare  nel  luogo 
della  sua  nascita,  nel  53o,  oppure 
nel  490  secondo  d.  Morice;  e  fu 
sepolto  a  Rennes,  ove  si  celebra  la 
sua  festa  ai  6  di  novembre.  Il 
martirologio  romano  ne  fa  menzio- 
ne ai  6  di  gennaio. 

MELASSO  o  MILASA,  Mylasa. 
Sede  vescovile  della  Caria,  sotto  la 
metropoli  di  Afrosiada,  che  fu  tra- 
sferita a  Stauropolij  nella  diocesi 
d'Asia,  eretta  nel  secolo  IX.  Città 
distinta  della  contrada,  ch'ebbe  il 
nome  da  Rlilaso  figlio  di  Crisao- 
re,  discendente  d'Eolo.  Situata  in 
amenissima  campagna,  venne  so- 
vrastata da  una  altissima  rupe  di 
marmo  bianco,  ond'era  abbondante 
di  sontuosi  edifizi,  portici  e  templi, 
fra'  quali  quello  di  Giove  Cario 
(comune  ai  carii ,  ai  lidii  ed  ai 
niisii),  molto  più  di  quello  che  com- 
portava il  numero  de' cittadini.  Si 
reggeva  con  governo  popolare,  e 
■venne  punita  da  Labieno.  Sebbene 
distante  trenta  stadi  dal  mare,  avea 
un  comodo  porto,  il  quale  era  lon- 
tano dal  mare    ottanta  stadi,  secon- 


MEL  149 

do  Strabene;  certo  è  che  adesso  si 
dice,  che  il  mare  è  discosto  più  di 
dodici  miglia  da  Melasso,  e  che  fu 
pure  la  reggia  de'  re  di  Caria,  co- 
me si  ha  dal  Buonarroti  che  eru- 
ditamente ne  parla  a  p.  211  dei 
suoi  Medaglioni  amichi.  Si  cono- 
scono sei  vescovi  di  questa  sede, 
cioè  s.  Ephrem  di  cui  è  fatta  men- 
zione nella  vita  di  s.  Eusebia  ver- 
gine romana  ,  Ad.  ss.  24  jun. 
L'  Allaccio  pone  s.  Ephrem  nel  nu- 
mero di  quelli  che  hanno  compo- 
sto gì'  inni  della  chiesa  greca .  Ci- 
rillo di  cui  pure  è  fatta  menzione 
nella  mentovata  vita  ;  Paolo  che 
assistette  con  tutto  il  clero  all'ese- 
quie di  s.  Eusebia  ;  Gregorio  che 
intervenne  al  VII  concilio  generale; 
Senofonte  che  trovossi  all' Vili  con- 
cilio tenuto  per  s.  Ignazio  patriarca 
di  Costantinopoli;  e  Filippo  che  fu 
al  concilio  di  Fozio.  Orie.ns  christ. 
t.  I,  p.  921.  Melasso,  Mylasen,  al 
presente  è  un  titolo  vescovile  in 
parlihus  dell'Asia  minore,  sotto  l'ar- 
civescovato pure  in  partibus  di 
Stauropoli,  che  conferisce  la  santa 
Sede. 

MELCHIADE (s),  Papa  XXXIII. 
Prete  africano,  da  alcuni  spagnuoli 
Creduto  nativo  di  Madrid,  contato 
da  altri  fra  i  canonici  regolari,  ven- 
ne ammesso  nel  clero  di  Roma  e 
credesi  che  fosse  sacerdote  nel  pon- 
tificato di  san  Marcellino  eletto 
nel  296.  Fu  creato  Pontefice  a'  3 
ottobre  del  3 11.  Vuoisi  che  proi- 
bisse il  digiuno  nelle  domeniche  e 
ne'  giovedì,  ma  per  mantener  quel- 
lo di  quaresima  oi'dinò  che  tal  di- 
giuno cominciasse  nel  lunedì  dopo 
sessagesima  ;  però  nella  proibizione 
del  giovedì  non  conviene  s.  Ago- 
stino, il  quale  nell'  epist.  36,  cap. 
4  e  6,  dice  che  in  questo  secolo 
in  cui  viveva  ,  i  chierici   ed  i  mo« 


i5o  MEL 

raci  digiunavano  ogni  giorno,  fuor- 
ché nelle  domeniche.  Istituì  la  di- 
stribuzione del  pane  benedetto  o 
eulogi.  Ordinò  che  nel  celebrare  la 
messa  vi  fossero  nell'  altare  due 
candelieri  almeno,  costume  già  pra- 
ticato fin  dagli  apostoli,  come  di- 
cemmo altrove.  Determinò  pari- 
mente s.  Melchiade,  che  niuno  per 
qualsivoglia  indizio  fosse  condanna- 
to prima  della  legillima  prova  e 
confessione  propria.  Neil'  anno  3  1 3 
celebrò  il  concilio  di  Lacerano  [P^e- 
di),  in  cui  condannò  Donato  vesco- 
"vo  capo  de' Donatisti  {^Vedi),  i  quali 
negavano  la  validità  del  battesimo 
dato  dagli  eretici,  e  rigettavano  l'in- 
fallibilità dellaChiesa  cattolica,  dichia- 
rando innocente  Ceciliano  vescovo 
di  Cartagine.  Nel  medesimo  anno 
restituì  l'imperatore  Costantino  Ma- 
gno la  pace  alla  Chiesa,  e  donò  al 
Pontefice  s.  Melchiade  e  successo- 
ri il  suo  Palazzo  Lateranense^P'e- 
di),  coir  aggiunta  di  rendite  ba- 
stanti a  mantenere  il  decoro  del- 
la suprema  dignità.  Pel  trionfo  me- 
morabile della  dottrina  cristiana 
incominciando  il  decoro  esteriore 
de' sommi  Pontefici  sotto  questo  Pa- 
pa, in  pivi  luoghi  ne  parlammo. 
In  una  ordinazione  creò  undici  o 
dodici  vescovi,  sei  o  sette  ovvero 
quattordici  preti,  e  cinque  diaconi. 
Governò  due  anni ,  due  mesi  e 
sette  giorni.  Morì  a'  io  dicembre 
dell'anno  3i3,  giorno  in  cui  la 
Chiesa  ne  celebra  la  festa;  fu  se- 
polto nel  cimitero  di  Calisto,  e 
quindi  trasportato  nella  chiesa  di 
s.  Silvestro  in  Capite  da  s.  Piiclo 
I.  Gli  viene  dato  il  titolo  di  mar- 
tire, ad  esempio  di  altri  Pontefici 
che  non  morirono  co'tormenti,  per- 
chè fu  opinione  di  molti  eruditi, 
eh'  essi  acquistaronsi  la  gloria  dei 
martiri    iq    difesa    della    fede,    e  a 


MEL 

cagione  de'  travagli    che  sostennero 
per  la  causa  di   Dio.  Ne  scrisse  la 
vita  s.   Bernardo,   la    quale  mss.  si 
pose  nella  biblioteca  del  collegio  di 
s.  Benedetto    in  Cambridge.    Vacò 
la  santa  Sede  un  mese  e  venti  giorni. 
MELCHISEDECHIANI.    Eretici 
del  111  secolo,  così  chiamati  perchè 
dicevano  che  Melchisedech,     già  re 
di  Salem,  e    sacerdote  dell'  Altissi- 
mo (fu  congetturato  che  fosse  Sem 
figlio    di    Noè,     ovvero  Cham,    od 
Enoch,    come    pure    un  angelo,     e 
persino  lo  Spirito  Santo)  era     una 
virtù    celeste  ,     superiore     a     Gesù 
Cristo  medesimo,  giacché  Melchise- 
dech, era  l'intercessore  ed  il  media- 
tore degli  angeli,  mentre   che    Ge- 
sù  Cristo  non  lo  era  che  degli  uo- 
mini; che  Gesù  Cristo  non  era  che 
la  copia    di   Melchisedech,     e    che 
il  suo  sacerdozio    non  era  formato 
se  non  che  sul  modello  di  quello  di 
Melchisedech,  secondo  le  parole  del 
salmo  :    Tu  ex   sacerdos    in   aeter- 
mini  secunduni  ordineni  Melchisedech. 
Prendevano  essi  alla  lettera  ciò  che 
dice  s.  Paolo,  cioè  che  Melchisedech, 
figura  di  Gesù  Cristo  ch'é  il  sacer- 
dote eterno,  non  avea  né  padre,  né 
madre,  né  genealogia;  e  per    mag- 
giormente autorizzare  i  loro  errori 
avevano  essi  certi  libri  di  loro  com- 
posizione,   ma  che    attribuivano    a 
delle  persone  di  cui  la  sacra  Scrit- 
tura non  ne  ha  mai  parlato.  L'au- 
tore di    questa    setta     fu     Teodete 
banchiere,  discepolo    di  altro  Teo- 
dete conciatore    di  pellij  per  cui  i 
melchisedechiani    aggiunsero    sola- 
mente all'eresia  dei  teodoziani,  ciò 
che  risguardava  la  persona  di  Mel- 
chisedech.   Cedreno    e  Zonara    par- 
lano d'un'  altra  specie  di  melchise- 
dechiani,   detti    ancora    /ittingani, 
perché  non  osavano  toccare  gli  altri 
temendo    d'  imbrattarsi.  Essi     non 


MEL 
davano,  né  ricevevano  mai  nulla 
da  chiunque  colla  mano,  ma  lo 
mettevano  o  lo  facevano  mettere  in 
terra  per  ofiiirlo  o  per  riceverlo. 
Avevano  una  profonda  venerazione 
per  Melchisedech  suddetto,  che  an- 
dò incontro  ad  Abramo  vittorioso 
de'  quattro  re  alleati  che  avevano 
fatto  prigioniero  Lolh ,  benedì  il 
vincitore,  ed  offrì  pane  e  vino  al 
Signore  in  sagrifizio  qual  sacerdote 
dell'  Altissimo.  Dimoravano  parti- 
colarmente nella  Frigia,  escludevano 
Ja  circoncisione ,  e  non  osservavano 
il  sabba to. 

MELCHITE,  monache.  V.  Mel- 

CHlTr. 

MELCHITI,  Mdchitne.  Nazione 
e  cristiani  orientali  che  seguono 
la  dottrina  del  concilio  di  Calce- 
donìa  sulla  incarnazione  di  Gesù 
Cristo,  e  riconoscono  in  lui  due 
nature  con  una  sola  persona.  Dac- 
ché Dioscoro  patriarca  d'Alessan- 
dria fu  condannato  dal  concilio 
di  Calcedonia,  celebrato  nel  i^5i 
per  ordine  di  Papa  s.  Leone  I 
Magno,  fuvvi  uno  scisma  in  Ales' 
sancì  ria  ed  in  Antiochia  tra  i 
cattolici  e  quelli  clie  non  ammet- 
tevano il  concilio  di  Calcedonia. 
Gli  scismatici,  massime  Giacobili 
(f^edi),  dierono  ai  cattolici  ,  ora 
il  nome  di  calcedoniani ,  ed  oia 
quello  di  mclchili  ,  cioè  realisti 
od  imperiali  (  dal  siriaco  malavk 
o  vieleck,  re  od  imperatore  ),  per- 
chè essi  conformavansi  all'  editto 
dell'imperatore  Marciauo  per  l'am- 
missione del  concilio.  Questo  nome 
di  Melchiti  sussistette  ed  indicò  per 
lungo  tempo  coloro  i  quali  erano 
ortodossi,  e  uniti  alla  Chiesa  catto- 
lica. Dopo  lo  scisma  de'greci,  si- 
gnifica anche  coloro,  i  quali  sono 
uniti  al  patriarca  di  Costantinopoli 
e  che  SI   servoac  nelle  loro    chiese 


MEL  i5r 

delle  medesime  liturgie  :  essi  hanno 
i  medesimi  sentimenti  de'greci  sci- 
smatici, tranne  alcuni  punti  di  po- 
ca importanza  ,  sulle  cerimonie  e 
sulla  disciplina  ecclesiastica;  quin- 
di è  che  Gabriele  Sionita  nel  suo 
trattato  sulla  religione  e  sui  costu- 
mi degli  orientali,  dà  loro  indif- 
ferentemente i  nomi  di  greci  e 
melchiti.  Hanno  essi  tradotto  in 
lingua  araba  l' eucologio  de'  greci, 
molti  altri  libri  dell'uffizio  ecclesia- 
stico ed  i  canoni  de'concilii;  anzi 
ne  hanno  aggiunti  alcuni  altri  al 
concilio  di  JXiceaj  che  chiaraansi 
comunemente  i  Canoni  arabi,  e 
che  molti  dotti  considerano  come 
supposti  ossiano  falsi.  Giambattista 
Leopardi  maronita,  in  un  libro  in- 
titolato: La  vendemmia  de' sacra- 
menti, citato  da  Abramo  Echellense, 
accusa  i  melchiti  di  avere  aggiunto 
al  canone  55  arabo  del  concilio 
iViceno  alcune  parole  riguardanti 
il  ripudio  delle  donne,  secondo 
l'uso  dei  maomettani;  ma  è  certo 
però  che  i  melchiti  non  hanno  in- 
serito in  quel  preteso  concilio  di 
Nicea,  se  non  che  ciò  ch'era  con- 
forme   alla  pratica  de'  greci. 

Tre  sono  i  patriarcati  de'  greci- 
melchiti  cattolici,  d'Antiochia,  d'Ales- 
sandria e  di  Gerusalemme.  Il  pa- 
triarca greco-raelchita  d'  Antiochia 
aveva  giurisdizione  sulle  chiese  di 
Siria,  di  Mesopotamia  e  di  Cara- 
mania.  Dopo  che  la  città  d'Antio- 
chia fu  rovinata  dai  terremoti,  egli 
portossi  in  Damasco.  Il  patriarca 
greco-melchila  d' Alessandria  risie- 
deva in  Egitto  al  gran  Cairo,  ed 
avea  sotto  la  giurisdizione  le  chiese 
greche  dell'Africa  e  dell'  Arabia  ; 
mentre  in  vece  il  patriarca  copto 
o  giacobita  dimorava  ordinariamen- 
te nel  monastero  di  s.  Macario  po- 
sto nella    Tebaide.  il    patriarca  di 


i5a  MEL 

Gerusalemme    governava    le  chiese 
greche  di     Palestina    e    de'  confìni 
dell'Arabia  :    il    suo    distretto  era  ' 
uno  smembramento  di  quello  d'An- 
tiochia,    fatto    dal  concilio  di   Cal- 
cedonia,  avente  soggetto  il    celebre 
monastero    del  Monte  Sinai,  il  cui 
abbate  godeva  il  titolo  di  arcivesco- 
vo. Benché     in   tutti    i     mentovati 
paesi  non  s' intenda    più  la  lingua 
greca,  nondimeno  è    in    uso  la  li- 
turgia greca  di  Costantinopoli;  è  da 
più    di  un  secolo,    che  la  difficoltà 
di    trovare  de'sacerdoti   e  de'diaco- 
ni  che    sappiano    leggere  il     greco, 
obbligò    i    melchiti     a  celebrar     la 
messa  in  arabo.    Perciò   i    libri  li- 
turgici    dei    greci-melchiti    cattolici 
sono  stati  tradotti    in    arabo,     che 
è  la  lingua  usata  dai  greci  che  a- 
bitano    i  luoghi    de'  mentovati  pa- 
triarchi, e  di  cui  andiamo  a  descri- 
vere Io  stato  presente.  Osservano  i 
greci-melchiti   cattolici  quattro  qua- 
resime, cioè  ne  premettono  una  al- 
la solennità  della  nascita  di     Gesù 
Cristo,  osservano  la  comune,  e  coq 
altre    due    si     preparano  alle    feste 
de'ss.  Pietro  e  Paolo,  e  della  Beata 
Vergine  Assunta,  ed  appresero  dai 
monaci  ad  astenersi  dal  pesce    nei 
mercoledì    e  venerdì  dell'anno,  nel- 
la quaresima  comune  ed  in  quella 
che  precede  l'Assunta.  Quanto  alla 
popolazione    greco-melchita    cattoli- 
ca, si  dice  averla   portata   l'odierno 
Telante  e  dotto  patriarca  a  cinquan- 
tamila; ma  pare  che  secondo  più  cri- 
tici calcoli  non  possa  sommare  a  più 
di  trentacinquemila.  /^.Grecia,  An- 
tiochia, AiESSATfDBU,  Egitto,  Geru- 
salemme. 

Patrian-alo  d' Antiochia, 
de  greci-  melchiti. 

La    chiesa    greca  ne'primi     nove 
jBecoli  di    rjostra  era    restò    perfet- 


MEL 

tamente  unita    alla  chiesa    romane» 
e  conservò  gelosamente  i    suoi  riti. 
Segui  nel  secolo   X  lo   scisma:  ca- 
duto nell'errore  il  patriarca  di  Co- 
stantinopoli, trasse    facilmente  nella 
sua    rovina    gli    altri    d'  Antiochia  , 
di  Alessandria   e    di  Gerusalemme, 
perchè  la  Soria    occupata  nel    VII 
secolo  dai  saraceni,  era  stata  ricu- 
perata   dagl'imperatori  greci,    onde 
i     patriarchi     antiocheni     li    elesse 
quindi     il     costantinopolitano.     Kel 
secolo    XI  tuttavolta  Pietro  III  pa- 
triarca    d'   Antiochia    domandò    ed 
ottenne  la  conferma  di  sua  elezione 
dal  Papa  s.    Leone  IX.  U  Pontefi- 
ce   Eugenio    IV    nel    concilio    ecu- 
menico di    Firenze  riportò  all'  uni- 
tà gli  scismatici,  in   un    a  Doroteo 
I    patriarca  d'Antiochia;    ma  conse- 
gui un   momentaneo    intento,  come 
nei   tanti     relativi    articoli  abbiamo 
detto;  quindi  la  fatale  ricaduta  riu- 
scì più    funesta    della    prima  inva- 
sione   del     male.     Celebrammo    in 
più  luoghi     quanto  i    Papi     fecero 
per  la  loro  riconciliazione,  gli  sforzi, 
le  concessioni,    le    spese,   e  per  fa- 
cilitarla vollero    inviolabili     i     loro 
riti,  costumi  e  disciplina;   ma  qua- 
si   sempre     infruttuosamente ,    poi- 
ché    il   patriarca  di     Costantinopo- 
li perseverò    e   rimane  ne'  suoi    in- 
veterati errori,  anzi    avendo  prele- 
so gl'imperatori  greci  che  i  patriar- 
chi   d'Antiochia,  d'Alessandria     e 
di  Gerusalemme    si    eleggessero  tra 
il  clero    di  Costantinopoli,    dierono 
una  vita     più    lunga     e     maggiore 
consistenza  allo  scisma  di  questi,  e 
pei    greci-melchiti  lo    sostenne  Eu- 
timie    arcivescovo    de'  melchiti    di 
Tiro  e  di  Sidone.  Il  primo  patriar- 
ca  della    chiesa    antiochena    a   riu- 
nirsi    alla     chiesa     romana     fu   nel 
1687     un   tale    Atanasio,  che  pro- 
curò   unitamente     ai     religiosi    di 


MEL 

Terra  Santa    l'espulsione  di  Cirillo 
]   il  seniore,  al    quale  l'istesso  Ata- 
nasio   rinunziò  il   patriarcato,  riser- 
bandosi la  chiesa  di  Aleppo    e  sue 
adiacenze,  col  titolo  e  colla    condi- 
zione di    succedergli ,   se  fosse  pre- 
morto Cirillo  I,  come  avvenne    nel 
1718:  Cirillo    1   fece    la  professione 
di  fede,  e  se  non  apparisce  che  avesse 
la  richiesta  da  lui  conferma  e  pal- 
lio, meritò  di  essere  onorato  di  un 
breve  da    Clemente  XI,    in    cui    fu 
lodata  la  sua  unione,  e  fu  esortato 
alla    perseveranza.  Kel     1721    morì 
da  cattolico,  ciò  che  lasciò  in  dub- 
bio Atanasio,    che  ritornò    al    pa- 
triarcato. Da  quell'epoca  il  patriar- 
Iriarcato  è  sempre  restato  sotto  l'ob- 
bedienza del  sommo  Pontefice,  e  del- 
la   Congregazione     di   propaganda 
fide  {Vedi).  L'elezione  del  patriarca 
dei    greci-melchiti  si     fa  dai  vesco- 
vi    suoi     suffraganei    greci-melchili, 
e  meno  che  il   caso  in  cui  il  Papa 
per  insinuazione  di  detta  cardinali- 
zia congregazione    elegga     un     coa- 
diutore al  patriarca  o  per  malattia  o 
per  qualche   altro  motivo,  l'elezione 
si  fa  sempre  dal  ceto  vescovile.  Do- 
po che  però  è  seguita,    il  patriarca 
novello  unitamente  alla  sottoscrizio- 
ne di    tutti    quelli   che  hanno  avu- 
to parte  nell'elezione ,    manda  tutti 
gli     atti    alla    sacra     congregazio- 
ne    per    verificare    se    sono    in  re- 
gola, e  se  vi  è  stato    difetto    o  ir- 
regolarità.   Se   la    cosa    è    progre- 
dita con  tutte  le  regole   canoniche, 
la  congregazione  supplica  il  Ponte- 
fice a     confermare     la    persona    e- 
letta  in  patriarca,  e  lo    prega  anco- 
ra a  dargli  il    pallio. 

Benedetto  XIV  col  breve  Z>e- 
mandalam  coelLius,  de'24  dicembre 
1743,  presso  W  Bull.  Pont,  de  propa- 
ganda fide  t.  Ili,  p.  96,  Decreta  de 
ritibus  graecorum  niekhUarnni  pa- 


MEL  i53 

trìarchalus    Antiocheni ^  de  jurisdi- 
cdone  patriarchae    et   episcopontni 
ijusdeni  naUonem,   deque  monacho- 
rum  et  monialnni  disciplina, in  unum 
collecta  promulganlnr.  A  Benedetto 
XIII    e  Clemente  XII   avea  esposti 
molti  dubbi  per    sua  istruzione  Ci- 
rillo I  patriarca  antiocheno  de'greci» 
melchiti,    ma    niuna     risposta    rice- 
vette. Dati    da  Benedetto  XIV    ad 
esaminare  gli  slessi  dubbi  a  gravissi- 
mi   teologi,    col  consiglio    di  questi 
e  di  dottissimi  cardinali,  vi  rispose 
col  citato  breve,  riportato  pure  nel 
Bull.    Magn.    t.  XV f,     p.    i6(3,    a 
Serafino  Janas   che  col  nome  anco- 
ra di  Cirillo  II    era    succeduto  al- 
l'altro   nel    patriarcato.    Nel     i744 
fece  questi  l'istanza   del  pallio,  e  Be- 
nedetto XIV  glielo   mandò  col  bre- 
ve,    Dani  nobiscum    animo  repiila- 
inus,   de'sg  febbraio,  presso  il   Bull. 
Magn.    p.     178,  e    del     Bull,     de 
prop.  p.    114.  Nel  t.   II  deWAppen- 
dix  di  ijuesto  p.  117,  si  riporta  il 
breve,  Praeclaris    ronianuni     Pon- 
ti/icum,    de' 1 8     marzo    1746,    con 
cui    approvò     le     istruzioni     per  la 
nazione  greco-melchita  cattolica  del 
patriarcato  aniiocheno   sopra  l'osser» 
vanza  de'riti,  digiuni,  astinenze  e  con- 
suetudini della  chiesa  greca,  ed  altre 
pendenze  riguardanti  la  medesima  na- 
zione.   Non  distinguendo  Cirillo  III 
patriarca  de'greci   melchiti,  s.     Ma- 
rone  abbate  de'maronili,  da  Maro- 
ne  abbate  eretico,  ne  avea  straccia- 
to le  immagini,  e  proibito  il  culto; 
ma  Benedetto  XIV    fece   la  debita 
distinzione,  e  confeyriò  il  cullo  an- 
tichissimo del  primo.    Per  rinunzia 
di  Cirillo  III  con  dissensione  fu  e- 
letto  patriarca  Ignazio  monaco  ma- 
ronita, ma  Clemente  XIII  col  bre- 
ve  Quam  cara  semper  fuerit,  e  col 
breve  Deìaùs  ad  Nos,  del  primo  a- 
gosto    17O0,   Bull,  de  prop.   t.    IV, 


i54  MEL 

p.  3i  e  34,  cassò  ed  annullò    l'e- 
lezione d'Ignazio,  ne  dichiarò  devo- 
luta alla  santa  Sede  la    nomina,  e 
con  autorità  apostolica  elesse  in  vece 
per  patriarca  antiocheno    de'  greci- 
melchiti,  Massimo    arcivescovo    di 
Gerapoli,  cui  prescrisse  la  professio- 
ne di  fede  che   comprese   nel  bre- 
vcj   e     gli    mandò   il   sacro    pallio. 
Ambedue  i   brevi  sono    ancora  ri- 
portali nel  tom.  II,  pag.  5  e  7  del 
Bull.  Rorii.   Conlinuatio.  Quindi  ai 
4  novembre  emanò  il  breve    Lau- 
damus  magnopere,  loc.  cit.   p.  4^, 
diretto  Illustri  ac  poieiiiissiino  Cha- 
Tìiaad    magno  Nachadiorum    prin- 
cipi .  .  .  salulein    et  lumen   divinae 
gratiae^    acciò  s'interponesse  a    ri- 
muovere le  gravi    vertenze   insorte 
tra  il  monaco  maronita  Monticola, 
e  l'eletto   patriarca  già  arcivescovo 
di  Gerapoli,  per  la  deposizione  d'  I- 
gnazio,  avendo  perciò    deputato  in 
ablegato  il  domenicano    fr.    Dome- 
nico a  Lanceis,  colle  opportune  fa- 
coltà.  Per  morte  del  patriarca  Mas- 
simo   fu  eletto  in    successore    Teo- 
dosio arcivescovo  greco-melchita  di 
Berito,  che  Clemente  XIII  confermò 
col    breve    Romani   Ponti/icis,  VII 
idus  julii  1764,  loco  citato  p.85,  ri- 
mettendogli insieme  la  professione  di 
fede,  e  la  formula  del    giuramento 
nel  ricevere  il  pallio,  col  breve  Cuni 
IVbs,  p.  92.  Quindi  col  breve  Quant 
molestum,de7.S  luglio,  p.  94,  il  Pa- 
pa si  congratulò  col  clero  e  la  na- 
zione   per  la   rinnovata   concordia, 
rimettendo    al     patriarca    Teodosio 
il  pallio  col  breve  Magnam  Nobis, 
dato    nello    stesso  giorno  ,  p.    95. 
Col  breve    poi,   Haud  mediocriter^ 
spedito    egualmente    a'  aS    luglio, 
dalla  chiesa    di  Sidone    traslatò    a 
quella  di  Berito  l'arcivescovo  greco- 
melchita    Basilio,  d'intelligenza  con 
Arnoldo    Bossu    vicario    apostolico 


MEL 

di  Aleppo.  Poco  dopo  s'intruse  nel 
patriarcato  Ignazio  Giohar  vescovo 
di  Sidone  greco-melchita,  contro  il 
legittimo  patriarca  Teodosio,  il  per- 
chè Clemente  XIII  col  breve  Inter 
pluriiìias,p.  I or,  degli  ii  settembre 
1765,  diretto  al  clero  e  alla  na- 
zione, scomunicò  l'invasore  Ignazio; 
quindi  mediante  il  contenuto  del 
breve  Composi tìs  rebus  patriarcha- 
tus,  p.  io3,  dato  nello  stesso  gior- 
no, partecipò  tale  scomunica  a!  prin- 
cipe temporale  de'  greci  -  meichiti 
Ali  Gemblat,  acciò  prestasse  aiuto 
e  favore  a  Teodosio  patriarca  isti- 
tuito dalla  santa  Sede.  Questi  due 
ultimi  brevi,  con  quello  che  comin- 
cia Quam  moleslum,  si  leggono  pu- 
re nel  t.  IIIj  p.  r,  i3o  e  1 32  del 
Bull.  Rom.    Cont. 

Pio  VI  col    disposto     del    breve 
Perspecia    Nobis,  de'i5     dicembre 
1787,6  diretto  a  Germano  Adami 
arcivescovo    di    Aleppo    greco-mel- 
chita, nominò  questi  visitatore  apo- 
stolico    de'maroniti     (  e  con     altro 
dello  slesso  giorno,  Appendix  t.  II, 
p.  292,  lo  dichiarò  pure    delegato 
al    sinodo    nazionale    de'maroniti  ), 
come  si  legge    nel    detto  tom.  IV, 
p.  208  del    Bull,    de  prop.    Ivi    a 
pag.   209,  2  IO,    sono    riprodotti   il 
decreto  della  congregazione  di  pro- 
paganda,   e    l'allocuzione    o   sia  gli 
atti  del  concistoro  3o  marzo  1789, 
nel  quale  Pio  VI  confermò  Atana- 
sio Giohar   11    della    congregazione 
del  ss.  Salvatore,  vescovo   di  Sido- 
ne, nuovo  patriarca    de'greci  -  mei- 
chili,  eletto  per  morte    di    Teodo- 
sio nella  chiesa  maggiore  di  s.  An- 
tonio;   ed  il    ringraziamento    e    la 
domanda  del  pallio  fatta  a  Pio  VI, 
e  da     lui  concesso,    di    d.    Simone 
Sabbagh  sacerdote  greco-melchita  , 
alla  presenza  d'Ignazio  Saruff  arci- 
vescovo di    Berito  e  Gibel,    procu- 


MEL 
ralore  del  paliiarca.  Per  morte  di 
Atanasio  Giohar  II,  fu  eletto  suc- 
cessore nel  patriarcato  antiocheno 
greco  melchita,  Cirillo  IV  Siagi  ve- 
scovo Haramense,  laonde  nel  det- 
to tom.  IV,  pag.  241,  242,  243 
sonovi  ,  il  decreto  di  conferina  , 
gli  atti  del  coiicisloro  de' 2 7  giugno 
1796,  e  l'allocuzione  di  Pio  VI 
colla  quale  preconizzò  il  novello 
patriarca,  ed  il  ringraziamento  di- 
retto al  Pontefice  ,  ed  istanza  del 
pallio,  pronunziato  dal  p.  Elia  Ca- 
ìil  alunno  del  collegio  greco  e  mo- 
naco basiliano  del  monastero  del 
ss.  Salvatore,  in  nome  del  nuovo 
patriarca  Cirillo  IV,  presente  il  pro- 
curatore del  medesimo  p.  abbate 
Atanasio  Debbas.  Cirillo  IV  po- 
chissimo visse ,  onde  gli  fu  sosti- 
tuito in  s.  Giorgio  Halgarb  pacifi- 
camente, Agabito  o  x\gabio  Mattar 
di  Damasco,  arcivescovo  greco-mel- 
chita  di  Sitloue.  i\el  medesimo  t, 
IV,  Bull.  de.  prop.  sono  riferiti  a 
p.  9-44  6  246  il  decreto  di  con- 
ferma della  congregazione  di  pro- 
paganda, gli  atti  del  concistoro  dei 
24  luglio  1797  di  Pio  VI,  e  l'al- 
locuzione colla  ffuiile  lo  preconiz- 
zò, ed  il  ringraziamento  e  postula- 
zione del  pallio  pontificale,  fatto  dal 
nominato  p.  Calil  alla  presenza  del 
pur  mentovato  p.  abbate  Debbas, 
qual  procuratore  ezi;uulio  del  pa- 
triarca Agapito  o  Agabio.  Quanto 
fu  lodevole  il  principio  del  ve- 
scovato di  Germano  Adami  arci- 
vescovo greco-melchita  di  Aleppo, 
a  segno  che  lo  abbiamo  veduto 
nominato  da  Pio  VI  a  visitatore  e 
delegato  apostolico  ai  n)aronili,  al- 
trettanto fu  denigrata  iu  appresso 
la  sua  condotta  da  princioii  non 
sani.  Venuto  in  Italia  contrasse  a- 
micizia  con  monsignor  Ricci  vesco- 
vo di  Pistoia,  e  di  cjua  riportò  nel 


MEL  i55 

Levante  le  note  riprovate  sue  mas- 
sime, quindi  scrisse  delle  opere,  le 
quali  benché  condannate  dalla  santa 
Sede,  sotto  pena  di  scomunica,  chi 
sa  se  sono  totalmente  estinte.  Laonde 
su  questo  proposito  Pio  VII  scrisse 
al  patriarca  Agabito  il  breve.  In 
acerbissimo  dolore,  kal.  feb.  1802, 
Appendix  l.  II,  p.  307:  sciscilalur 
ex  palriarchagreco-melchila  doctri- 
na  et  scripta  Germani  yidami  ar- 
chiepiscopi Jlepensis  cjusdem  ritusj 
eidemque  commi tlil  ut  literas  apo- 
slolicas  Super  soliditate,  et  Aucfo- 
rem  Fidei  huic  snhscribenda  exìù- 
heat.  Nel  numero  61  del  Diario  di 
Roma,  negli  atti  del  concistoro  del 
28  luglio  i8i7j  si  legge  che  Pio 
VII  preconizzò  in  patriaica  cle'gre- 
cimelchili  Ignazio  Cattan  d'Aleppo, 
già  vicario  apostolico  del  patriarca- 
to. Seguendo  Pio  VII  l'oenipio  dei 
suoi  predecessori  nella  protezione 
verso  gli  orientali  ,  suscitatosi  una 
gravissima  persecuzione  contro  i 
greci-melchiti  per  parte  del  patriar- 
ca de'gieci  scismatici  di  Costanti- 
nopoli, invocò  la  potente  media- 
zione del  pio  imperatore  d'Austria 
Francesco  I,  mediante  il  breve  a 
questi  du'etto.  Ad  innumeras ,  dei 
4  giugno  1818,  presso  il  t.  IV,  p. 
369  Bull,  de  prpp.  Ivi  è  pure  a 
|>.  371  riportalo  il  breve  Quae 
ad  Orthodoxam,  dato  da  Pio  VII 
nello  stesso  giorno  ,  e  scritto  a 
Luigi  XVI li  religioso  re  di  Fran- 
cia, onde  impegnarlo  nel  Talido 
suo  patrocinio  in  favore  de' vessati 
greci-melchiti. 

Leone  XII  scrisse  al  detto  pa- 
triarca Ignazio  Cattan  il  breve  A- 
postolatus  ofjìcìum,  de'  4  luglio 
1828,  Bull,  de  prop.  l.  V,  p.  40, 
col  quale  lo  avvisò  eh*  essendo  va- 
cante la  chiesa  di  Berito  fino  dal 
1824  per  morte    d'Ignazio    Dakeu 


i56  MEL 

di  rito  greco-melchitn,  per  le  circo- 
stanze de' tempi  egli  stesso  veniva 
jiila  nomina  del  successore,  nella 
persona  di  Pietro  Scialiajat  monaco 
della  congregazione  di  s.  Giovanni 
in  Soairo,  dichiarandolo  arcivescovo 
di  Berito.  Nello  stesso  tomo  a  p. 
72  evvi  il  breve  Cuin  ecclesia  mel- 
chitnruni,  emanato  da  Gregorio  XVI, 
t»  scritto  al  patriarca  Ignazio  a'  24 
dicembre  i83i,  col  quale  dichiarò 
cessala  l'amministrazione  della  dio- 
tesi  greco- melchita  di  Gerapoli  , 
aflldata  da  Leone  XII  con  lettere 
apostoliche  de' 9  giugno  1826  ad 
Ignazio  Aggiuri  arcivescovo  Fer- 
zulano,  ed  in  vece  la  conferì  al  me- 
desimo patriarca  Ignazio  per  quel 
tempo  che  piacerà  alla  Sede  apo- 
stolica. Inoltre  nel  t.  V,  p.  129  e 
seg.  sono  riportati  gli  atti  del  con- 
cistoro del  primo  febbraio  1836,  in 
cui  Gregorio  XVI,  secondo  il  decre- 
to da  lui  approvato  della  congre- 
gazione di  propaganda,  traslatò  dal- 
l' arcivescovato  in  partibus  di  Mira 
monsignor  Massimo  Mazium  al  pa- 
triarcato antiocheno  de'greci-melchi- 
li,  vacato  per  morte  d'Ignazio  Cat- 
tan,  ed  eletto  nel  monastero  di  s. 
Giorgio  Algarh  o  Elgarb  del  Monte 
Libano  de' monaci  di  s.  Basilio  nella 
diocesi  di  Berito,  a' 5  aprile  i833; 
l'allocuzione  perciò  pronunziata  dal 
l^apa,  ed  il  ringraziamento  per  tal 
pontificia  conferma  ed  istanza  del 
concesso  pallio,  del  p.  Gio.  Battista 
Topus  armeno  procuratore  del  pa- 
triarca, il  quale  per  di  lui  morte 
nominò  l'attuale  procuratore  p.  ab- 
bate d.  Arsenio  Angiaraluan  armeno 
procuratore  generale  in  R.oma  di  sua 
congregazione  di  s.  Antonio  abbate. 
Siccome  il  patriarca  era  stato  segre- 
tario del  sinodo  di  Karkafe  0  Karca- 
fe,  di  cui  parleremo  (ed  eletto  all'ar- 
civescovato d' A  leppo),  sottoscrisse  la 


MEL 

condanna  di  tal  sinodo,  e  delle  dot- 
trine di  monsig.  Adami,  di  cui  era  sta- 
to discepolo.  Il  medesimo  degno 
prelato  monsig.  Mazlumj  che  al  pre- 
sente governa  il  patriarcato,  per 
concessione  dello  stesso  Gregorio 
XVI  ottenne  pure  la  giurisdizione 
di  patriarca  alessandrino  e  geroso- 
limitano de'greci-raelchiti,  ammini- 
strazione da  non  però  trasmettersi 
a'suoi  successori:  il  patriarca  prò 
tempore  s'intitola  patriarca  d'An- 
tiochia e  di  lutto  V  Oriente.  Sicco- 
me questo  patriarca  allorché  era 
arcivescovo  di  Mira  stette  molti 
anni  in  Roma,  nel  pontificato  di 
Leone  XII  e  di  Pio  Vili,  coli' in- 
tervento alle  cappelle  pontificie,  e 
con  facoltà  di  amministrare  con  rito 
latino  la  cresima  { come  lo  fece  col- 
la mia  figlia  Maria  Anna  a'  i4 
marzo  i83o),  se  ne  vede  il  suo 
ritratto  vestito  coi  paramenti  pon- 
tificali del  proprio  rito  greco  mel- 
chita in  atto  di  dare  la  benedizio- 
ne, colla  mitra  simile  alla  tiara  im* 
periale,  ed  il  bacolo  pastorale  aven- 
te nelle  estremità  due  teste  di  ser- 
pe, nella  Raccolta  della  gerarchia 
eccl.  del  Capparroni,  t.  I.  Notere- 
mo che  al  citato  articolo  Grecia, 
descrivemmo  le  vesti  de'  vescovi 
greci.  Il  medesimo  monsignor  Maz- 
ium dimorando  in  Roma  tradusse 
in  arabo  le  seguenti  opere  di  s.  Al- 
fonso de  Liguori,  quali  furono  pub- 
blicate colle  stampe  dalla  tipografia 
di  propaganda:  i.°  Le  glorie  di 
Maria,  1827,  2."  Massime  eterne, 
1827.  3.°  Visite  al  ss.  SagrameU' 
lo  ed  alla  Beata  Vergine,  1829. 
4."  Apparecchio  alla  morte,  1829. 
5."  //  gran  mez'A)  della  preghiera. 
Co'  tipi  stessi  ci  diede:  Gramnia- 
iica  della  lingua  araba,  i83o.  Delle 
benemerenze  di  questo  patriarca  che 
insignito  di    tanta  dignità    si  poilò 


MEL 
in  Roma  a  venerare  la  tomba  dei 
principi  degli  apostoli  e  Gregorio 
XVI,  e  dello  sialo  presente  de' gre- 
ci cattolici  melchili,  se  ne  tratta  nel- 
r  opuscolo  :  Ménioire  sur  l' élat 
actuel  de  l' égli  se  grecque  calholi- 
(jue  dans  le  Levant,  Marseille  i84'. 
Qui  appresso  riporteremo  lo  stalo 
attuale  de'greci-melcliiti  del  patriar- 
cato antiocheno ,  oltre  quanto  di 
esso  dicemmo  nel  voi.  11,  p.  176 
del  Dizionario,  quindi  quello  dei 
patriarcali  alessandrino  e  gerosoli- 
mitano, e  le  diocesi  di  ognuno  suf- 
raganee. 

Antiochia  fu  già  città  famosissi- 
ma, capitale  di  tulto  l'oriente,  pa- 
triarcato che  comprende  la  Carania- 
nia,  la  Siria  e  la  Mesopolamia.  li 
principe  degli  apostoli  s.  Pietro  fer- 
mando la  sua  cattedra  in  Antiochia, 
questa  citta  meritò  per  pochi  anni 
ciò  che  Roma  ha  meritato  per 
sempre.  Quantunque  il  patriarca 
abbia  oggi  per  residenza  il  luoi^o 
d'Ain-Irez,  diocesi  diBerilo,  nel  col- 
legio della  ss.  Annunziata,  per  aver 
più  facile  la  comunicazione  co' suoi 
vescovi,  pure  la  sua  residenza  come 
patriarca  è  in  Damasco;  in  Antio- 
chia VI  risiede  un  patriarca  nesto- 
riano.  Tale  residenza  fu  pure  in  A- 
leppo,  ed  anche  nel  Monte  Libano. 
W  patriarca  deve  istituire  parrochi 
dovunque  sì  trovi  un  numero  sufifi- 
ciente  di  cattolici.  I  curati  altri  sono 
del  clero  secolare,  altri  del  regolare. 
Vi  è  una  classe  di  ecclesiastici  che 
ricevono  gli  ordini  sacri  dal  patriarca, 
de'  quali  egli  si  serve  per  le  diocesi 
a  lui  immediatamente  soggette.  Si 
trovano  in  questo  patriarcato  Ire 
congregazioni  di  monaci,  comprese 
le  monache,  e  delle  quali  parleremo 
poi.  Le  scuole  si  trovano  stabilite 
in  tulle  le  diocesi.  Il  patriarca  Mat- 
tar lasciò  de' fondi   per   lo    stabili - 


MEL  1:^7 

mento  di  un  semina»!©  in  Ain-trez 
sotto  il  titolo  della  ss.  Annunziata, 
le  cui  regole  furono  corrette  ed 
approvate,  quindi  stampate:  tali  fon- 
di derivano  dalla  metà  di  sua  ere- 
dità, avendo  lasciala  l'altra  al  pa- 
triarcato. L'esecutore  testamentario 
fu  monsignor  Mazlum,  il  quale  con- 
dusse in  Levante  due  gesuiti  per 
aprire  il  collegio.  I  posti  gratuiti 
del  collegio  sono  diciassette  ;  due  di 
nomina  del  patriarca  prò  tempore, 
due  della  diocesi  di  Damasco,  due 
di  A  leppo,  due  del  Cairo,  uno  di 
ciascuna  diocesi.  JNel  Chesroano  so- 
novi  monasteri  d'  ambo  i  sessi,  i 
quali,  come  pure  degli  ospizi,  esisto- 
no anche  altrove.  E  proibito  ai  greci- 
melchiti  vestir  l'abito  d' istituti  la- 
tini, come  lo  è  a  tutti  gli  altri  o- 
rientali,  a  meno  che  non  entrino 
nella  congregazione  dei  lazzarisli. 
Anticamente  le  diocesi  dipendenti 
dal  patriarcato  antiocheno  erano  ia 
maggior  numero,  ed  alcune  ora  sono 
amministrate  dai  curati:  attualmente 
le  diocesi  sudiaganee  sono  Damasco, 
Aleppo,  Diarbekir,  Homs  o  Emesa, 
Berito  o  Beyruth,  Balbek  o  Eliopoli, 
Tripoli,  Bostra,  ZakateFurzol:  tran- 
ne questa  uiliina,  tulle  hanno  articoli. 
Più  sinodi  sono  siali  celebrali  dai  gre- 
ci-melchìli  :  uno  di  questi  si  adunò 
nel  monastero  di  s.  Isaia  circa  il 
1775;  altro  nel  1806  e  nel  18 io 
nel  monastero  di  Karkafe,  Carca- 
phae,  senza  il  consenso  della  santa 
Sede,  i  cui  atti  in  arabo  furono 
stampati,  e  siccome  riprovevoli,  Gre- 
gorio XVI  li  condannò  col  breve 
Mdchitarwn  calholiccrwn  synodtis, 
de' 3  giugno  i835,  presso  il  Bull, 
de  prop.  t.  V,  p.  i25.  Il  patriarca 
melchita  scismatico  esige  una  tassa 
dal  clero. 

Damasco.  Grande  città  della  Si- 
ria con  circa  200,000  abilanli,  4ooo 


i58  MEL 

de'  quali  cattolici,  avendo  i  greci 
una  bella  e  inagnifìcn  chiesa.  Il 
patriarca  suole  tenerne  l'amuiini- 
strazione  per  mezzo  d'un  vicario, 
e  vi  si  trovano  i  monaci  salvato- 
riaiii;  due  curati  sono  della  con- 
gregazione di  s.  Giovanni  in  Soairo. 
In  Damasco  si  trova  l'abitazione 
del  patriarca,  ed  oltre  le  scuole  già 
stabilite,  forse  vi  è  stato  aperto  un 
collegio.  La  diocesi  è  arcivescovile, 
e  vi  risiede  ancora  il  patriarca  scis- 
matico. 

Aleppo.  Era  la  città  piti  grande 
della  Siria  prima  del  noto  terre- 
moto del  1822;  secondo  alcuni 
succede  a  Beroe,  secondo  altri  alia 
città  di  Jerapoli  o  Gerapoli  o  di  La- 
rissa.  È  arcivescovato,  con  280,000 
abitanti  circa.  Come  gli  orientali  di 
altro  rito,  così  questi  greci-melchiti 
vi  hanno  la  loro  chiesa,  e  forse 
qualche  oratorio.  W  è  arcivescovo 
monsignor  Gregorio  Chaiat.  Esiste- 
va in  Aleppo  una  confraternita  del 
ss.  Cuor  di  Gesìi  ;  ma  essendo  sta- 
ta fondata  contro  le  sanzioni  cano- 
niche, nel  i838  ne  fu  decretata  la 
soppressione:  essa  portava  il  titolo 
delle  devote  di  Aleppo. 

Diarbckir.  Città  della  Mesopota- 
inia,  l'antica  Amida,  ed  è  arcive- 
scovato. La  sua  popolazione  è  al 
pili  di  80,000  abitanti.  I  greci  so- 
no cattolici,  e  vi  hanno  chiesa.  N' è 
arcivescovo  monsignor  Macario  Sam- 
man.  Vi  sono  aperte  le  scuole,  e 
vi  risiede  un  patriarca  giacobita 
ed  un  arcivescovo  nestoriano.  Il  p. 
abbate  Giuseppe  Zogheb  che  fu  ge- 
nerale e  procuratore  generale  della 
sua  congregazione  del  ss.  Salvatore, 
ebbe  il  permesso  di  questuare  per 
la  fondazione  di  alcune  chiese  mel- 
chite  nella  Siria  e   nell'Egitto. 

Hovis  o  Hems  o  Emesa.  Luogo 
del  sangiacato  di  Tadmor  e  tcsco- 


MEL 

vato,  con  popolazione  di  circa  3o,ooo 
abitanti.  Vi  sono  due  chiese  del 
rito  melchita,  ed  altra  ve  n'ha  in 
Ibned.  Vi  hanno  chiesa  ed  ospizio 
i  monaci  di  s.  Giovanni  in  Soairo. 
Berito  o  Beyrulh.  Città  e  porto 
di  mare  della  Siria,  arcivescovato 
con  pili  di  12,000  abitanti.  IN' è 
arcivescovo  monsignor  Agabio  Riach. 
In  questa  diocesi  vi  sono  scuole,  si 
trova  il  collegio  della  ss.  Annunzia- 
ta summentovato,  e  vicino  ad  esso 
avvi   la  residenza  patriarcale. 

Balbek  o  FMopoli.  Città  del  pa- 
scialato di  Acri,  vescovato.  Vi  sono 
scuole,  e  n'  è  vescovo  monsignor  A- 
tanasio  Oubeit,  con  1200  abitanti. 
Tripoli  di  Siria.  Capoluogo  del 
pascialato  del  suo  nome,  e  vesco- 
vato con  19,000  abitanti.  N'  è  ve- 
scovo monsignor  Atanasio  Totungi. 
Vi  sono  scuole  ed  ospizi,  uno  in 
città,  l'altro  nel  porto,  fabbricati 
a  spese  e  per  comodo  del  patriarca. 
Bostra  o  Aouran.  Capoluogo  del 
paese  di  Hauran,  che  pegli  avanzi 
dei  suoi  antichi  monumenti,  la  fanno 
credere  stata  città  di  grande  splen- 
dore. E  arcivescovato  ora  occupato 
da  monsignor  Cirillo  Tesfouss.  Si 
dice  che  Maometto  incontrasse  in 
questa  città  il  monaco  nestoriano, 
che  gli  somministrò  documenti  che 
servirongli  di  base  a  fondar  la  sua 
setta. 

Zaknt  e  Furzol,  o  Ferzul  o  Far- 
zole,  vescovato.  Ha  scuole  e  n'  è  ve- 
scovo monsignor    Basilio  Sciahiat. 

Greci  melchiù  di  Marsiglia.  La 
persecuzione  che  infierì  circa  il  quar- 
to lustro  del  corrente  secolo  nel 
Levante  contro  i  greci-melchiti  cat- 
tolici, obbligò  molti  di  questi  a 
cercare  un  asilo  nella  cristianità 
per  salvarsi  dalla  schiavitù  e  dalla 
morte,  e  per  conservare  illibata  la 
vera    religione    ricevuta    dai   padri 


MEL 

loro.  Molti  di  questi    approdarono 
in  Marsiglia,  e  vi  fissarono  il  domi- 
cilio. Erano  però  privi  di  una  chie- 
sa, dove  potessero  soddisfare  ai  do- 
veri religiosi  secondo  i  loro  riti.  JNel 
1822  si  trovava  in  Trieste  monsi- 
gnor Mazlum  autorizzato  dalla  con- 
gregazione   di    propaganda,    ma   in 
vece  egli    passò   in    Marsiglia,  e  vi 
fabbricò   una  chiesa   succursale    pei 
suoi    nazionali    rifugiati    colà .     La 
chiesa  però  è  comune  anche  ai    la- 
tini, è  dedicata  a  s.  JNicola  arcive- 
scovo di  Mira,  e  costò  settantamiia 
franchi.  Pel   mantenimento  di  essa 
dà  la  città   2400  franchi   annuì,  ed 
il  governo  franchi  ySo  a  chi  l'as- 
siste. Sono  i  melchiti    circa  4oo. 

Ordini  monastici    grecomelchiti 
basiliani. 

Congregazione  del  ss.  Salvatore. 
Ne  fu  fondatore  monsignor  Eutimio 
arcivescovo  di  Tiro  e  Sidone  nel 
1715,  ed  ebbe  per  fine  l'educa- 
zione de'  giovani  ecclesiastici,  per 
istradarli  nell'uffizio  de' missionari  : 
dal  titolo  della  congregazione,  i  mo- 
naci sono  chiamati  Salvatoriani.  In- 
formata la  congregazione  di  propa- 
ganda di  questa  erezione,  quantun- 
que credesse  opportuno  diflerirne 
r  approvazione,  pure  ne  lodò  gran- 
demente Io  spirito.  Questi  monaci 
seguono  la  regola  genuina  di  s.  Ba- 
silio, della  quale  trattammo  all'arti- 
colo Basiliani,  e  molti  vescovi  gre- 
ci-melchili  sono  usciti  da  questa 
congregazione.  Non  avendo  prima 
rendite,  viveva  colle  oblazioni  de' fe- 
deli trasmesse  all'abbate  generale  dai 
monaci  ch'esercitavano  1' uffizio  di 
parrochi  :  ora  però  possiede,  ma  non 
si  conoscono  il  numero  de'monasleri 
di  questa  congregazione.  Quasi  tut- 
te le  parrocchie  sono  amministrate 


MEL  i59 

dai  monaci  del  ss.  Salvatore,  i  quali 
ascendono  a  circa  5oo  individui. 
Essi  non  si  distinguono,  in  quanto 
alia  forma  dell'abito  dai  monaci 
scismatici,  che  nella  chierica,  men- 
tre i  cattolici  si  tagliano  i  capelli 
innanzi  il  capo,  cosa  che  quelli  noa 
usano.  L'ospizio  di  s.  Maria  in  Ca- 
rinis  in  Roma, spetta  a  quest'ordi- 
ne, e  suole  risiedervi  un  monaco 
procuratore,  che  al  presente  è  il  p. 
abbate  Antonio  Naser;  mentre  l'ab- 
bate generale  residente  al  Monte  Li- 
bano è  il  p.  Tommaso  Rojamgi  che 
da  ultimo  successe  in  tal  carica  al 
detto  p.  abbate.  E  chiamato  l'ospi- 
zio in  Carìnis,  dall'antica  regione 
di  Roma  chiamata  Carine,  di  cui 
parlammo  altrove,  e  ne  tratta  il 
Nardini;  nel  1779  vi  si  era  stabi- 
lito il  procuratore  generale  de'  ci- 
stcrciensi   foglianti. 

Congregazione  di  s.  Giovanni 
Battista  in  Soairo.  Fu  fondala  ver- 
so il  1700  nel  Monte  Libano,  e  le 
sue  regole  estratte  da  quelle  di  s. 
Basilio  furono  approvate  da  Cle- 
mente XII  a'i4  settembre  1739, 
col  breve  Sol  justitiae,  presso  il  Bull. 
Rom.  t.  XIV,  p.  384,  e  presso  il 
Bull,  de  prop.  t.  II,  p.  287.  la 
esso  viene  confermata  la  concessio- 
ne fatta  dal  medesimo  Papa  della 
Chiesa  di  s.  Maria  in  Domnica 
detta  la  Navicella  (^Fedi),  della  qua- 
le aveano  preso  possesso  sin  dai  29 
luglio  1734,  dovendo  i  monaci  in 
essa  e  sue  dipendenze  formarvi  un 
seminario  per  le  missioni  della  Siria, 
sotto  la  dipendenza  della  congrega- 
zione di  propaganda,  concessione 
alla  quale  concorse  il  cardinal  Co- 
scia titolare  della  chiesa,  col  consen- 
so dato  a' 2  3  del  detto  mese  di  lu- 
glio. Veramente  le  regole  appro- 
vate da  Clemente  XII  sono  quelle 
compilate  pel   roonastero  di  s.  Ma« 


i6o 


MEL 


ria  in  Domnica.  Fu  dunque  Bene- 
detto XIV  che    confermò  le  costi- 
tuzioni   della     congregazione     di  s. 
Giovanni    Battista     in    Soaiio     nel 
Monte  Libano,  non  che  delle  mo- 
nache melchite,  col    breve  Deman- 
datam  coelitns    huniililati    noslrae, 
de' 24  dicembi-e    1743.  Della  quale 
conferma  volle  corroborarne  il  con- 
tenuto, col  breve  Consliiuliones  or- 
dinis  s.    Basila    Magni,  diretto  al 
patriarca  Cirillo  111,  de'  12  agosto 
i']5'j,  presso  V  Jppendix  del  Bull. 
de   prop.    t.  Il,    p.     181.    Ivi  a  p. 
182  si   riporta  il  breve  dato  nello 
stesso  giorno  e  indirizzato  ad  Igna- 
zio Gerlua  abbate  generale  della  con- 
gregazione, che  incomincia  colle  pa- 
role   Non  possunius,    il    quale  era 
successo  a  d.  Nicola  Sajeg,  che  avea 
implorato    l'approvazione  delle  co- 
stituzioni ;  ricevendo  Benedetto  XIV 
sotto  la  protezione  della  santa  Sede 
le  monache  del   monastero  della  ss. 
Annunziata,    dichiarò   ad  essa  spet- 
tarne il  regime.  Clemente  XIII  poi 
col  breve    Injunclum  nobis,  de'  i5 
novembre   1762,  Bull,  de  prop.  t. 
IV,  p.  67 ,  approvò  le  costituzioni 
pei  monastero    de'greci-melchiti  di 
Chesroano,  eretto  sotto  la  regola  di 
s.  Basilio  Magno.   Anche  da  questa 
congregazione   sono  usciti  molti  pa- 
stori a  reggere   le    diocesi.    Avreb- 
bero voluto  i  monaci  sostenere,  che 
i  vescovi  per  diritto  doveano  essere 
eletti    da    queste    due    corporazioni 
religiose,  ed  esserne  esclusi  i  preti 
secolari;   ma  fu  dalla  congregazione 
di  propaganda  risoluto  il  contrario. 
La  consuetudine  innegabile  di  eleg- 
gersi i  vescovi  tra  i  monaci,  vero- 
similmente ebbe  origine  e  si   man- 
tenne, perchè  i    monaci    osservano 
il    celibato     e    coltivano    gli    studi 
meglio  che  il  clero  secolare.  Poche 
parrocchie    sono    amministrate    da 


MEL 

questi  monaci:  essi  possono  venire 
ammessi    nel  collegio  di  Aiu-trez,  e 
mantenuti    gratis;    ma    non  è  loro 
permesso  dare  libri  alla  luce  senza 
l'approvazione  del    vescovo.  Hanno 
in  Roma  l'ospizio    di  s.    Maria   ia 
Domnica,  e  vi  si  portano  già  prò* 
fessi    e  vicini  al    sacerdozio.  Si  re- 
cano ogni  anno  all'esame,  presenti 
il    cardinal    prefetto     e    monsignor 
segretario  di    propaganda  ;    e  dopo 
oli' anni   di   dimora    in  Roma  e  di 
sludi,  partono  per    la  Siria,  e   per 
quelle  missioni  alle  quali  li  destina 
la    propaganda.    L'  ospizio     ha    un 
cardinale  per  protettore.   I   monaci 
di   questa  congregazione  erano  par- 
te della    città  di    Aleppo,  e    parte 
della   montagna  :  gli  aleppiiii   volea- 
no  arrogarsi  una  n)aggioranza  sopra 
i   montagnoli,  onde  si  turbò  la  pace 
e  si  convenne  venire  ad   una  divi- 
sione approvata  nel    i832  da  Gre- 
gorio   XVI.   De'  soairiti    duncjue  si 
formarono  due    congregazioni,   una 
detta  àe^WAleppini,  1'  altra  dei  Ba- 
laditi.  Furono    divisi  i  monasteri  e 
i  beni,  quindi  si  trattò  di  dividere 
ancora  l'ospizio  di  Pioma,  dove  a- 
vranno  la    residenza  i  due    procu- 
ratori. I    monasteri    degli  Aleppmi 
sono  quelli  di   s.    Isaia,  s.  Michele 
Alzug,  s.  Giorgio  Algarb  o  Algartb, 
della  Madonna    Alras,    l'ospizio    ini 
Zhale,  l'ospizio  in  Aleppo  con  tutti 
i  beni   mobili  ed  immobili.   Ai  mo- 
naci   Baladid   o  montagnoli  resta- 
no i    monasteri    seguenti    coi     loro 
beni    mobili    ed  immobili,  cioè:    s* 
Giovanni    in    Soairo  ,    s.    Elia     in 
Zhale,  s.    Michele,    cioè  il    terreno 
per  fabbricarvi  una  chiesa,  s.  An- 
tonio in  Rarkafe,    1'  ospizio  in  Be-* 
rito,  r  ospizio  in  s.  Barbara,   metà 
dell'ospizio  di    Roma.    Tutti  i  no- 
minati monasteri  sono  ben  provve- 
duti di  beni  di  fortuna.  Nel  nume- 


MEL 

IO  17  Jol  Diario  di  Roma  184^, 
(leseli veiidosi  ii  possesso  preso  della 
(.iiaconia  di  s.  Maria  in  Dumnica 
dal  cardinal  Massimo,  si  dice  die 
tii  licevulo  foriDaluiente  alla  porta 
della  chiesa  dal  p.  Libeo  Molajni 
piocuralore  generale  de' monaci  ba- 
laditi  maroniti,  dal  p.  Abdallah 
Dleblani  abbate  del  monastero  dei 
maroniti  ,  da  d.  Giovanni  Topus 
procuialoie  dei  patriarchi  greco- 
Hiclcliita  ed  armeno,  da  d.  Michele 
Giarve  fralfUo  del  patriaica  de'siri, 
dal  p.  Tommaso  Rojamgi  greco 
melthita,  abbate  di  s.  Maria  in  Ca- 
rinis,  da  Francesco  Mehaseb  ma- 
ronita, amministratore  de' monaci 
basiliani  greco-melchiti,  e  dagli  a- 
lunni   di   propaganda. 

Monache  greco-melchite.     Osser- 
vano la    regola    di   s.    Basilio,    alla 
quale  fattasi  qualche  modificazione 
venne  confermala  da  Clemente  XI 11 
a' 22   agosto    1764,  col    breve   Sa- 
craruni  virginuni  coelus,  diretto    al 
patriarca  Teodosio,   e  riportato   nel 
Bull,  de  piop.  t.  IV,  p.  97,  e  net 
Bull.  Rem.    Conlinualio  t.    IH,  p, 
10.    Due    sono  i  principali    mona- 
steri delle  monache  melchite,  quel- 
lo della    ss.    Annunziata,    posto  da 
Benedetto  XIV  sotto  la  protezione 
della   santa  Sede,  e  quello  del  Tran- 
sito. Erano  diretti  dai  monaci  mel- 
chiti  di  s,  Giovanni  in  Soairo,  ma 
seguita  la  divisione  toccò  agli  Alep- 
pini  il   monastero  della  ss.   Annun- 
ziala,   ed    ai    Baladid    quello     del 
Transito.   Le   monache  obbediscono 
ai   monaci  non  solo  in  quanto  allo 
spirituale,  ma    anche  in  quanto    al 
temporale  colla   dipendenza  imme- 
diata dall'ordinario,  e  mediata  dal 
patriarca. 


VCL.     XI,  IV. 


MEL  i6i 

Patri  arcalo    d'  Alessandria 
de  greci- nielchiti. 

Alessandria    di  Egitto    serve  di 
titolo  al  patriarca,  la  di  cui  giuris- 
dizione si  estende  a    tutto  1'  Egitto 
e  r  Arabia  Felice  e   Deserta.  Suole 
egli   risiedere  nel  gran  Caiio,  dove 
è  stata  fabbricata  una  chiesa.  Que- 
sta vasta,  ricca  e  celebre  città  ca- 
pitale   dell'Egitto  era  popolata    un 
tempo  da    3oo,ooo    abitanti,  e  ri- 
mane nell'Egitto  inferiore  posta  al- 
l'imboccatura del  Nilo.   Il  solo  pa- 
triarca alessandrino  che  nel    secolo 
passato    abbia    professata    V  unione 
colla    Chiesa    romana    fu    Samuele 
Capusulis,  per  cui    Benedetto  XIV 
da  avvocato  concistoriale  perorò  nel 
concistoro  de' 28  aprile  1713,  e  gli 
ottenne  il  pallio    da    Clemente  XI. 
Fra  il  patriarca    ed  i  monaci    sal- 
vatoriani  o  del  ss.   Salvatore  si  era 
accesa  una  grave  discordia.  Preten- 
deva il    primo    cacciare    i    monaci 
dalle  parrocchie,  ed  i  monaci  soste- 
nevano esserne    i    soli    rettori,    ad 
esclusione  d'  ogni  prete  secolare.  La 
congregazione  di    propaganda  rico- 
nobbe il   diritto   nel  patriarca  e  nei 
■vescovi  di    deputare    i    curati,    ma 
■volle  un  riguardo  anche  ai  monaci, 
che  per  tanti  anni  avevano  ammi- 
nistrato le    parrocchie.    Tutto  l' E- 
gilto,  ossia  i  luoghi  dove  si  trovano 
cattolici,  non  formano  che   una  sola 
diocesi.   Tutti  i  greci,  tulli  i  luoghi 
mancanti  di  vescovi,  sono  sotto  l'im- 
mediata giurisdizione  del  patriarca. 
Monsignor    Massimo    Mazlum     pa- 
triarca d'Antiochia,  quando  fu  fatto 
tale,  ebbe  questo    patriarcato    ales- 
sandrino, da  non  trasmellersi  però 
a'  suoi  successori.  Ha    per  suo  vica- 
rio  monsignor    lìasilio  Kafouri    ve- 
scovo in  parlibus  residente  nel  Cairo, 
II 


i62  MEL 

con  un  curato,  ed  il  presidente  del 
clero  patriarcale,  oltre  sei  monaci 
salvatoriani  :  nel  Cairo  vi  è  la  re- 
sidenza patriarcale.  Della  attuale 
popolazione  di  circa  80,000  abi- 
tanti di  Alessandria,  700  sono  i  gre- 
ci cattolici  che  uffiziano  nella  chie- 
sa de'  minori  osservanti.  Tutlavolta 
■vi  sono  due  chiese  melchite,  una 
delle  quali  de'  monaci  del  ss.  Sal- 
vatore :  uno  de'  due  monaci  è  vi- 
cario del  patriarca,  ed  hanno  ivi 
r  ospizio. 

Dannata.  Capoluogo  della  pro- 
vincia di  tal  nome,  giace  sulla  ri- 
Ta  destra  del  ramo  più  orientale 
del  Nilo,  con  3o,ooo  abitanti.  Vi 
è  il  vicario  patriarcale,  nella  per- 
sona di  un  monaco.  L'ospizio  che 
spettava  ai  religiosi  di  Terra  Santa 
fu  ceduto  ai  melchiti,  che  vi  sono 
ÌD  maggior  numero  di  qualunque 
altra  nazione  orientale. 

Rosetta  .  Capoluogo  della  pro- 
vincia di  tal  nome  sulla  sponda  si- 
nistra di  un  ramo  occidentale  del 
Nilo,  con  i4>ooo  abitanti.  Vi  è 
una  chiesa  che  si  crede  fabbricata 
dai  salvatoriani. 

Palriarcnto  di  Gerusalemme 
dei  greci-melchiti. 

Gerusalemme.  Capitale  di  Terra 
Santa,  patriarcato  che  comprende 
Ja  Palestina  e  l' Arabia  Petrea,  con 
3o,ooo  abitanti,  e  vi  è  stata  fabbrica- 
ta una  chiesa  sotto  l' invocazione  di 
8.  Anna.  Tutti  i  luoghi  che  man- 
cano di  vescovi  dipendono  dall'im- 
mediata giurisdizione  del  patriarca, 
il  quale  di  presente  è  monsignor 
Massimo  Mazium  patriarca  antio- 
cheno ;  questa  dignità  però  non 
passerà  ai  suoi  successori,  che  por- 
teranno il  solo  nome  di  ammini- 
ilruiuri,    come   per  lo  passalo    dal 


MEL 

1772.  Il   vicario  patriarcale  risiede 
in  Jaffa. 

Jq/J^ay  Giaffa  o  Zoppe.  Porto  di 
mare  e  città  con  3G3o  abitanti, 
ove  negli  ultimi  tempi  fu  fabbrica- 
ta una  chiesa  dai  monaci  del  ss. 
Salvatore.  Soleva  risiedervi  il  pa- 
triarca di  Gerusalemme,  ed  avvi  la 
residenza  di  esso.  Il  vicario  patriar- 
cale è  monsignor  Melezio  Fendè 
vescovo  in  partibus.  V  ospizio  dei 
monaci  salvatoriani,  secondo  il  pa- 
triarca, {.-^jetta  al  popolo  cattolico. 

Acri,  o  s.  Giovanni  d'  Acri.  La 
antica  Tolemaide,  città  con  porto 
di  mare,  e  vescovato,  con  20,000 
abitanti.  N'  è  vescovo  monsignor 
Clemente  Bahhous,  e  vi  sono  scuole. 

Tiro  o  Sur.  Antica  regina  del 
mare,  arcivescovato  con  scuole.  Ne 
è  orcivescovo  monsignor  Ignazio 
Karout. 

Sidone  o  Saida.  Capitale  della 
Fenicia  con  porto  di  mare  ed 
8,000  abitanti.  Arcivescovato  con 
scuole  :  n'  è  arcivescovo  monsignor 
Teodosio  Coyungi. 

MELCHITI,  monaci.  Congrega- 
Rioni  del  ss.  Salvatore,  e  di  s.  Gio. 
Battista  in  Soairo.  Fedi  Melchiti. 

MELENICO  o  MENLIK.  Sede 
vescovile  e  città  forte  della  Mace- 
donia, situata  a  poca  distanza  da 
Serra  e  da  Tessalonica.  Da  princi- 
pio non  fu  che  un  semplice  vesco- 
vato suifraganeo  di  Tessalonica,  in 
seguito  fu  eretta  in  metropoli,  di- 
gnità che  già  godeva  fino  dal  se- 
colo XIII.  Si  conoscono  sette  dei 
suoi  vescovi,  cioè  N. .  .  metropoli- 
tano di  Melenico,  sottoscrisse  Ja 
lettera  che  i  prelati  d' oriente  scris- 
sero al  Papa  Gregorio  X,  riguar- 
dante l'unione  della  chiesa  roma- 
na. Metrofanc,  il  quale  assistette 
e  solloscrisse  al  concilio  tenuto  sot- 
to il  palrìurca  Calisto,  rclalivuineu- 


MEL 
le  ni  j>olaiuiti.  Malico  assislelle  al 
concilio  di  Ferrara,  e  soUoscrisse 
il  decreto  d'  unione.  N  .  .  .  sotto- 
scrisse l'alto  di  deposizione  del  pa- 
triarca Joasaph  ed  assistette  al  con- 
cilio del  patriarca  Geremia  contro  i 
siinoniani.  Metodio  ne  occupava  la 
sede  nel  tS-jg.  Matteo  designato  dal 
patriarca  Geremia  II.  Antimo  era 
vescovo  nel  1721.  Oriens  cluìst. 
t.  II,  p.  9^. 

MELESOBA.  Sede  vescovile  dei 
bulgari,  della  provìncia  di  Dardania, 
diocesi  dell' llliria  orientale.  Ne  fu- 
rono vescovi,  N  ...  al  quale  scris- 
se Teofilato  l'epistola  82;  e  Nico- 
la di  cui  fa  menzione  l' Allaccio, 
De  consens.  lib.   2,  cap.    i  o. 

MELEUSIPPO  (s.).  F.  Speu- 
sippo  (s.). 

MELEZIANI.  Eretici  o  scismati- 
ci d*  Egitto  del  IV  secolo^  così  cliia- 
tì  dal  nome  di  Melezio  vescovo  di 
Nicopoli,  che  per  la  debolezza  di  a- 
versagrificalo  agl'idoli,  fu  deposto  da 
un  sinodo  presieduto  daPietro  vesco- 
vo di  Alessandria.  Ma  invece  di  ac- 
cettare con  sommissione  la  penitenza 
impostaglij  proruppe  in  invettive 
contro  i  suoi  giudici,  si  fece  loro 
denunzia tore  presso  i  nemici  del 
Dome  cristiano,  e  si  fece  inoltre  ca- 
po di  un  partito  contrario.  Nulla- 
dimeno  visitò  l'Egitto,  amministrò 
i  sagramenli,  ed  ordinò  preti,  co- 
me se  avesse  avuto  diritto  di  con- 
tinuar le  funzioni  di  cui  era  stato 
giudicato  indegno.  Il  concilio  d'A- 
lessandria condannò  Melezio  e  tulli 
i  suoi  fautori  o  seguaci  ;  ma  il  con- 
cilio di  Nicea  del  325  usandogli 
clemenza,  gli  lasciò  il  titolo  di  ve- 
scovo, a  condizione  che  cesserebbe 
di  luibar  il  suo  successore.  L'  in- 
docile prelato  non  fu  commosso  da 
tale  benevolenza  ;  instituì  quindi 
vescovo  dcgl'  ipsclili  Arsenio,  il  qua- 


MEL  103 

le  fu  accusato  d'azione  criminosa, 
e  si  collegò  cogli  ariani,  quantunque 
non  partecipasse  ai  loro  errori,  con- 
tro s.  Atanasio  nuovamente  innal- 
zato alla  sede  d'  Alessandria.  Fi- 
nalmente, in  onta  alla  decisione  del 
concilio,  dichiarò  suo  successore  Gio- 
vanni, uno  de'  suoi  servitori,  e  lo 
istituì  vescovo  pochi  giorni  prima 
della  sua  morte,  avvenuta  nel  826. 
Ingannato  s.  Epifanio  da  atti  falsi, 
attribuì  molti  errori  ai  meleziani, 
che  però  essi  non  hanno  mai  sos- 
tenuto, come  ha  benissimo  fat- 
to osservare  il  Petau,  parlando  di 
s.  Epifanio,  haeres.  68,  appoggiato 
al  Baronio  an.  3oG.  Sostenevano  essi 
soltanto,  che  non  si  dovevano  far 
preghiere  nelle  chiese  coi  cristiani 
caduti  neir  eresia  o  nell'  idolatria 
durante  la  persecuzione,  qualunque 
fosse  la  penitenza  che  avessero  fat- 
ta in  seguito  ad  espiazione  del  lo- 
ro fallo. 

MELEZIO  (s.),  patriarca  d'  An- 
tiochia. Disceso  da  una  delle  piìi 
onorevoli  famiglie  di  Melitene,  nella 
piccola  Armenia,  diede  a  conosceie 
fin  da' suoi  verdi  anni  grande  pie- 
tà e  forte  amore  allo  studio.  La 
sua  irreprensibile  vita,  e  l' iudole 
dolce  e  pacifica  gli  procacciarono  la 
estimazione  degli  ariani  del  pari  che 
quella  de'  cattolici.  Fu  eletto  a  ve- 
scovo di  Sebaste,  per  succedere  ad 
Euslazio,  deposto  dagli  ariani  in  un 
concilio  tenuto  a  Coslantinopofi  nel 
36o;  ma  trovatavi  ostinata  resi- 
stenza, abbandonò  la  sede  per  an- 
dar a  vivere  nella  solitudine,  e  si 
riliiò  a  Bcrea  nella  Siria,  Dopò  il 
deponimeiito-  di  Eudossio  ariano, 
patriarca  d'  Antiochia,  i  cattolici  e 
gli  ariani  si  riunirono  per  la  scelta 
del  suo  successore,  la  quale  cadde 
sopra  Melezio.  Tuttavia  alcuni  cat- 
tolici ricusarono  di  riconoscere  Me- 


i64  MEL 

lezio,  avendo  gli  ariani  avuto  parte 
alla  sua  elezione  ;    mentre  gli  ere- 
tici,   ch'eransi     confidali  di     tirare 
Melezio  dalla   loro,  sperimentandolo 
invece  contrario,  se  ne   vendicarono 
sollecitando  l'imperatore  ad  esiliarlo. 
La  permissione  accordata  poscia  dal- 
l'imperatore Giuliano  ai   vescovi  e- 
sìliati    di  ritornare    alle    loro    sedi, 
restituì    Melezio    ad    Antiochia;  ma 
lo    scisma    divideva    il  suo    gregge, 
come  narrammo  all'  articolo  Antio- 
chia,   laonde     gli     fu    contrapposto 
Paolino  die  fu  consagrato  da  Luci- 
fero di  Cagliari.   Melezio  ebbe  inol- 
tre a  dolersi   pel  paganesimo   rinno- 
vellato   da  Giuliano    l'Apostata,    al 
quale  essendosi  opposto  con   un  ar-- 
dorè  veramente  episcopale,  fu  man- 
dato   una    seconda    volta  in    esilio, 
da  cui  venne    richiamato  nel    363 
dall'imperatore  Gioviano.  Sotto  que- 
sto   principe,  tenero    amatore  della 
fede  di    Nicea,  e   grande    apprezza- 
tore  di  s.  Melezio,    fu  molto     fiac- 
cala   la    tracotanza    degli    ariani.   I 
più  prudenti   di    essi,  avendo  a  lo- 
ro capo  Acacio  da  Cesarea,  vennero 
in   Antiochia,  ove  il  santo  patriarca 
avea  convocato  un  concilio  di   ven- 
tisette   vescovi,    e    vi     sottoscrissero 
una   confessione    di  fede   ortodossa. 
L'aperta    protezione  che    l'impera- 
tore   Valente,    successo  a  Gioviano, 
accordò   agli  eretici,   non   potè  sce- 
mare lo   relo  di  Melezio,   che  con- 
tinuò   sempre  a    difendere  la    sana 
dottrina  contro  i    di  lei  oppositori, 
locchè    gli    fruttò    un    terzo    esilio. 
Condotto  nella  piccola  Armenia,  fe- 
ce la  sua  dimora  presso  a  Nicopo- 
li,    io  una  terra    de' suoi,  chiamata 
Getase  :  finché,  morto   Valente,   ri- 
tornò ad  Antiochia.   Per  estinguere 
lo  scisma  divise  con  Paolino  il  reg- 
gimento   della    chiesa    d'  Antiochia, 
col  patto   che  chi  dei   due  soprav- 


MEL 

vivesse  all'altro,  fosse  il  solo  pa- 
store di  tutto  il  gregge.  Quindi  non 
d'  altro  occupossi  che  dei  ine/zi  di 
correggere  i  disordini  introdotti  dal- 
lo scisma  e  dalla  eresia.  Presiedette 
nel  379  al  concilio  d'  Anlioclii;»,  il 
quale  condannò  gli  errori  di  Ap)!- 
linare  ;  non  che  al  secondo  conci- 
lio generale  di  Costantinopoli  del 
38 1.  Mori  in  questa  città  durante 
lo  stesso  concilio,  e  tutti  i  padri 
assistettero  alle  cerimonie  del  suo 
mortorio,  le  qunli  furono  fatte  con 
grandissima  magnificenza.  Uno  di 
essi  recitò  il  panegirico  del  santo 
in  pieno  concilio,  e  s.  Gregorio  di 
Nissa  ne  fece  l'orazione  funebre, 
presente  l'imperatore  Teodosio,  nel- 
la chiesa  di  s.  Sofia.  Il  corpo  del 
.santo  patriarca  fu  deposto  nella 
chiesa  degli  apostoli,  donde  sul  fi- 
nire del  medesimo  anno  venne  tras- 
portato ad  Antiochia  per  ordine 
di  Teodosio,  e  fu  seppellito  nella 
chiesa  di  s.  Babila  da  lui  stesso 
fondata.  Cinque  anni  dopo,  s.  Gio. 
Crisostomo  pronunziò  il  suo  pane- 
girico a' 12  di  febbraio,  giorno  in 
cui  è  nominato  nei  Menci  e  nel 
martirologio  romano  presso  Baronio. 
S.  Gio.  Damasceno  gli  dà  il  titolo 
di  martire,  a  cagione  del  suo  tri- 
plicato esilio,  e  di  tutto  ciò  che 
sofferse  per  la  fede. 

MELFA  ,  MELFE  o  MELFI. 
Luogo  e  riviera  del  regno  delle  due 
Sicilie,  provincia  di  Terra  di  Lavoro, 
distretto  di  Sora.  Vi  fu  nel  1284 
tenuto  un  concilio,  coiiciUuni  Mel- 
fiiaimin.  Gerardo  vescovo  di  Sabi- 
na, e  legato  di  Martino  IV  in  Si- 
cilia, vi  presiedette.  Vennero  fatti 
nove  canoni,  nel  primo  de'quali  fu 
ordinato  che  i  greci  i  quali  dimo- 
ravano in  Sicilia,  dovessero  aggiun- 
gere al  simbolo  la  particella  Filio- 
qne.    Gli  altri  canoni    furono    stesi 


MEL 

contro  gli  oppressori  delle  chiese 
e  degli  ecclesiastici  ;  contio  i  chie- 
rici Ialini  che  si  ammogliavano  e 
ricevevano  gli  ordini  sacri  senza  ob- 
bligar le  loro  mogli  a  far  voto  di 
castità  :  contio  i  prelati  che  per 
avarizia  impiegavano  dei  sacerdoti 
greci  per  cclclHar  1'  iilììzio  de'  lati- 
ni, ed  amministrare  i  sacramenti; 
«ontro  gli  ecclesiastici  concubinari; 
4  entro  I*  alienazione  de'  beni  eccle- 
siastici ,  e  contro  coloro  che  si 
ajipropriavano  que'  beni.  Martene, 
Colletio  Novact.   t.  VII,  p.  283. 

MELFI  {Meìpliiftì).  Città  con  re- 
sidenza vescovile  nel  regno  delle 
due  Sicilie,  nella  provincia  della 
IJasilicata ,  capoluogo  di  distretto 
e  di  cantone  con  titolo  di  princi- 
pato, appartenente  alia  nobilissima 
lairiiglia  Doria.  Melfi,  Aiifìdiis,  Mel- 
plii,  è  posta  sulla  sinistra  riva  del- 
l'Antroluco,  influente  dell' Ofanto. 
Vedesi  su  d' elevata  rupe  il  suo 
vecchio  e  forte  castello,  che  rende- 
vala  ne'  passati  secoli  munita.  Ha 
una  bella  cattedrale,  e  diversi  be- 
nefici e  scientifici  stabilimenti.  Il 
suo  distretto  comprende  Venosa  e 
altri  sette  circondari,  distante  27 
leghe  da  Napoli.  Questa  città  nel 
ì  043  venne  scelta  dai  dodici  conti 
norm.inni  per  essere  1'  abitazione  co- 
nume  e  la  metropoli  della  loro  mi- 
litare repubblica;  ma  ben  presto 
opini  conte  nel  proprio  disti'etto  in- 
uiilzossi  un  castello  colla  percezione 
di  un  tributo  dal  popolo  soggetto 
alla  sua  autorità.  JNicolò  II  nel 
10^9  vi  istituì  la  sede  vescovile,  e 
la  dichiarò  immediatamente  sogget- 
ta alla  santa  Sede.  Dipoi  Clemente 
VII  nei  iSaS  vi  unì  la  sede  ve- 
scovile di  Rapolln  {^l'edi),  ch'era 
sulFraganea  di  Siponfo  o  Manfre- 
«lonia,  ma  anche  questa  seconda  chie- 
sa   venne  dichiarata    esente    e  sós- 


MEL  i65 

getta  alla  Sede  apostolica.  Un  tem- 
po le  due  diocesi  rendevano  al  ve- 
scovo annui  scudi  cinquemila. 

Il  primo  vescovo  di  Melfi  fu 
Baldovino  nel  loSg,  che  assistette 
alla  consagrazione  della  chiesa  di 
Monte  Cassino  fatta  da  Alessandro 
II,  nel  1072;  indi  fu  sospeso  dal 
vescovato  da  s.  Gregorio  VII,  quin- 
di restituito  nel  1075,  morto  nel 
1093;  sotto  di  lui  il  duca  R.ober- 
to  Guiscardo  donò  alla  chiesa  di 
Melfi  il  nobile  feudo  di  Salsula,  li- 
bero da  qualunque  servitìi,  con 
tutte  le  giurisdizioni  ,  lo  che  con- 
fermò Pasquale  II  con  diploma  del 
1102.  II  vescovo  Ruggero  visse  nel 
I  1 55  nel  regno  di  Roggero,  e  in 
detto  anno  venne  edificata  la  cat- 
tedrale ed  il  campanile,  con  nobi- 
le ed  ardita  struttura.  Rodolfo  in- 
tervenne nel  II 79  al  concilio  La- 
teranense  III.  Guglielmo  che  gli 
successe,  nel  iigS  riportò  da  Ce- 
lestino HI  la  conferma  del  dominio 
di  Salsula  e  Gaudiano.  Giacomo 
morì  nel  1202;  ma  R.  .  .  .  per  si- 
monia ed  altre  colpe  fu  sospeso  da 
Innocenzo  HI,  indi  deposto,  e  sur- 
rogato verso  il  12 13  Richerio  lo- 
dato per  santità  di  vita  e  dottrina; 
riportò  privilegi  da  Federico  II, 
eresse  l' ospedale  presso  la  chiesa  di 
s.  Nicola  di  Aufrido,  e  trasferì  le 
monache  di  san  Benedetto  dalla 
solitudine  della  chiesa  di  s.  Vene- 
re a  quella  di  san  Giovanni  de 
Niceto.  Gli  successe  nel  i252  fr. 
Rogerio  de  Leontio  domenicano  di 
gran  virtù  e  scienza,  eletto  dal  car- 
dinal Rinaldo  legato  d' Innocenzo 
IV.  Nel  1278  Nicolò  IH  fece  ve- 
scovo Francesco  Monaldi  orvieta- 
no, che  lo  era  di  Bagnorea;  fr.  Si- 
nibaldo  dell'ordine  de'  minori,  che 
nel  1280  gli  successe,  fece  una  gran 
campana,  e  sostenne  le  sue  ragioni 


iGG  MEL 

contro  il  signore  di  Luvello  per  Sal- 
sula.  Bonifacio  Vili  conferma)  la 
contrastata  elezione  di  Saraceno,  a 
cui  Carlo  II  confermò  i  memorati 
dominii  della  chiesa  di  Melfi  ;  ed  il 
vescovo  da'  fondamenti  edificò  la 
chiesa  di  s.  Paolo.  Anche  Gugliel- 
mo ottenne  dal  re  Roberto  il  Sag- 
gio conferma  sul  feudo  Gaudiano 
e  su  quello  di  Salsula.  Giovanni 
XXII  nel  i325  nominò  vescovo  fr. 
Alessandro  da  s.  Elpidio  dotto  ge- 
nerale degli  agostiniani,  autore  di 
opere,  massime  teologiche,  morto 
nel  iSaS.  Gli  successe  fr.  Monaldo 
de  Monaldi  nobile  perugino,  fran- 
cescano illustre,  che  in  Todi  pacifi- 
cò! guelfi  co' ghibellini.  Nicolò  Ca- 
racciolo nobile  napoletano,,  prelato 
benemerito  per  virtù,  dal  1849  go- 
vernò questa  chiesa,  e  fu  trasialo 
a  Cosenza  nel  i363;  venendo  elet- 
to in  sua  vece  fr.  Antonio  da  Ri- 
vello  domenicano,  insigne  teologo 
ed  oratore  egregio. 

Il  vescovo  Francesco  Scondito 
del  1 36g  sopì  le  dissensioni  tra  i 
canonici  sulla  vita  comune:  fu  suc- 
cessore Giacomo,  mentovato  in  uà 
monitorio  contro  ìNicola  di  Monto- 
ro  signor  di  Lavello,  invasore  di 
Gaudiano.  Dopo  di  lui  nel  i384 
occupò  la  sede  Elia ,  seguace  del- 
l'antipapa Clemente  VII.  In  sua  ve- 
ce Urbano  VI  elesse  Antonio  de  Sa- 
niudia  di  Melfi.  Francesco  Garosi 
capuano,  a  difesa  della  sua  chiesa 
Giovanna  II  concesse  privilegi,  e 
fu  uno  degli  elettori  per  gì'  italia- 
i>i  di  Martino  V,  il  quale  nel  r4i8 
lo  Iraslatò  a  Trani,  sostituendogli 
.Astorgio  Agnesi,  indi  trasferito  ad 
Ancona,  e  da  Nicolò  V  creato  car- 
dinale; per  cui  nel  i4'9  Martino 
V  die .  la  chiesa  in  commenda  al 
cardinal  Giacomo  Isolani,  finché 
nel    14^5    nominò    vescovo    Nicola 


MEL 

Giorgio  Matalino  di  Melfi.  Ciccio 
Palombi  napoletano  nel  ì^^i  occu- 
pò il  suo  luogo,  ottenendo  da  Gio- 
vanna II  di  riconoscere  le  cause  dei 
suoi  famigliari  benché  rei  di  lesa 
maestà.  Ad  Onofrio  Franceschi  nel 
i4^o  Nicolò  V  confermò  il  ca- 
stello di  Salsula  ;  mentre  Pio  II 
fece  altrettanto  de' privilegi  di  que- 
sta chiesa  ad  Alfonso  Costa,  come 
il  precedente  napoletano.  Nel  i47'* 
Sisto  IV  creò  vescovo  Gaspare  Lof- 
fredi  napoletano  de'  marchesi  di 
Trevico,  che  ornò  ed  ampliò  la  cat- 
tedrale, ingrandì  y  episcopio,  e  fu 
lodato  per  sapere  ed  esperienza. 
Successero  quindi,  Ottaviano  Ben- 
tivoglio  di  Gubbio,  Francesco  Ca- 
racciolo napoletano,  Giovanni  cardi- 
nal Borgia  nipote  di  Alessandro  VI, 
che  r  ebbe  in  commenda,  e  dopo 
dodici  anni  nel  t^fjS  la  cede  a  Gio- 
vanni Ferreri  di  Tarracona,  poi 
traslato  ad  Arles.  Da  Asti  detto 
Papa  nel  i499  quivi  trasferì  Raf- 
faele de*  marchesi  Ceva,  che  ornò 
la  porta  della  cattedrale.  Leone 
X  nel  i5i9  la  conferì  in  com- 
menda al  cardinal  Lorenzo  Pucci, 
del  quale  come  degli  altri  cardinali 
vescovi  di  Melfi,  trattiamo  alle  lo- 
ro biografie.  A.  questi  successe  il 
nipote  Giannotto  Pucci  fiorentino 
nel  ì5iì,  il  quale  avendola  rasse- 
gnata nel  1,528  al  fratello  cardi- 
nal Antonio,  Clemente  VII  per 
morte  di  Gisberto  vescovo  di  Ra- 
polla  unì  questa  chiesa  perpetua- 
mente a  Melfi,  ed  ambedue  per 
regresso  furono  governate  sino  al 
1537  da  Giannotto.  Gli  successe 
Gianvincenzo  Acquaviva,  creato  car- 
dinale da  Paolo  IH,  fa'cendo  co- 
struire nella  cattedrale  un  famoso 
organo  di  eccellente  lavoro.  Furo- 
no quindi  vescovi  di  Melfi  e  Ila- 
polla,  nel    1 540  il  cardinal   Roberto 


MEL 
Pucci,  nel  1.^4.7  Marino  Ruflìni 
nobile  roinnno  che  difese  la  sua 
chiesa,  costrtù  nell'episcopio  una 
vasta  cisterna,  ed  ahòelTi  la  canto- 
ria ;  succeduto  dal  fratello  coadiu- 
tore Alessandro  (cui  si  attribuisce 
la  villa  Rufflnella  in  Frascati^  Ve- 
di) nel  i55c),  il  quale  adornò  nel- 
la cattedrale  l'altare  maggiore,  vi  e- 
dificò  la  cappella  del  ss.  Rosario,  la 
fornì  di  sacre  suppellettili,  celebrò 
il  sinodo,  difese  intrepidamente  le 
ragioni  di  sua  chiesa,  die  rassegna- 
ta nel  i5'j\  fu  fallo  canonico  va- 
ticano. 

Gregorio  XIII  vi  promosse  Ga- 
spare Cenci  nobile  romano,  che  ce- 
It'brò  il  sinodo,  abbellì  1'  episcopio, 
donò  alla  cattedrale  sacre  vesti, 
e  abdicò  nel  i5go;  per  cui  Sisto  V 
vi  destinò  Orazio  Gelsi  romano,  ca- 
nonico di  s.  Pietro,  che  la  morte 
impedì  di  recarsi  a  Melfi.  Quindi 
divennero  vescovi,  nel  iSgi  Mar- 
c' Antonio  Amidani  cremonese  ; 
Matteo  Brumani  cremonese ,  in- 
signe teologo;  nel  i594  Placido 
IMarra  napoletano  de'duchi  diGuar- 
dia,  nunzio  in  Ungheria  ;  nel  162  i 
il  cardinal  Desiderio  Scaglia  dome- 
nicano; nel  1622  Lazzaro  Carassi- 
ni  cremonese,  che  aumentò  ì  cano- 
nici nella  cattedrale,  ristabilì  l' o- 
spedale,  fondò  il  seminario,  e  collo- 
cò nella  cattedrale  quelle  i-eliquie 
dategli  dal  suo  padrone  cardinal 
Scaglia  ,  celebrò  il  sinodo  e  com- 
pilò il  catalogo  de'  vescovi .  Nel 
1626  fu  fatto  vescovo  fr.  Deo- 
dato  Scaglia  domenicano ,  degno 
nipote  del  cardinale,  oratore  egre- 
gio ;  donò  alla  cattedrale  molte  re- 
li((uie,  ed  il  corpo  di  s.  Alessandro 
martire  preso  dal  cimiterio  di  Ca- 
listo che  pose  in  ornata  cappella  ; 
donò  diverse  suppellettili,  ripristinò 
la  congregazione  della  dottrina  cri- 


MEL  1G7 

stiana,  istituì  la  divozione  del  Rosa- 
rio in  due  cori  ;  sedò  le  liti  tra  la 
sua  sede  e  l'  abbate  di  s.  Angelo  in 
Vultu,  e  quelle  col  governatore  re- 
gio, difese  le  proprie  giurisdizioni, 
ridusse  a  miglior  forma  l'episcopio,  e 
celebrò  un'utilissimo  sinodo.  Giulio 
Caracciolo  nobile  napoletano  teati« 
uo,  pieno  di  virtù.  Antonio  Spi- 
nelli nobile  napoletano,  celebre  pre- 
dicatore teatiao,  fatto  vescovo  nel 
1697,  si  distinse  per  zelo  e  solle- 
citudine pastorale,  ed  aumentò  a 
vantaggio  de'  poveri  il  monte  di 
pietà.  Con  questi  l' Ughelli  ed  i 
suoi  continuatori  terminano  la  se- 
rie de*  vescovi  di  Melfi,  Italia  sa- 
cra t.  I,  p.  920  e  seg.,  onde  noi 
la  proseguiremo  colle  annuali  No- 
tizie di  Roma.  1724  d.  Mondillo 
Orsini  de'duchi  di  Gravina,  dallo 
zio  Benedetto  XIII  traslato  dall'ar- 
civescovato di  Corinto.  1780  Gio- 
vaiuii  Saverio  di  Leone  d'  Ariano, 
trasferito  da  Isernia,  e  nel  1783 
fatto  arcivescovo  di  Larissa.  1787 
Luca  Antonio  della  Gatta  d'Otran- 
to, traslato  da  Bitonto.  174*^  Pa* 
squale  Teodoro  Basta  di  Montepa- 
rano  feudo  di  sua  casa.  1766  d. 
Ferdinando  de  Vicariis  monaco  cas- 
siuese  di  Salerno.  1792  dopo  lun- 
ghissima sede  vacante,  Filippo  d'A- 
prile di  Gallipoli,  traslato  da  Tea- 
no. 1818  Gioacchino  de  Gemmis 
di  Terlizzi,  trasferito  da  Listri  in, 
parlibus.  1824  Vincenzo  Ferrari,  du 
Leone  XII-  traslatato  da  Lacedonia. 
Questo  Papa,  a*  23  giugno  1828 
fece  vescovo  in  partibus  di  Tripoli 
nionsig.  Ferdinando  Siciliani  di  Gio- 
venazzo  arcidiacono  di  quella  catte- 
drale, al  presente  ausiliare  del  ve- 
scovo di  Àlelfi  e  Rapolla.  Pio  VIH 
nel  concistoro  de'  18  maggio  1821) 
nominò  1'  odierno  vescovo  monsi- 
gnor Luigi    Bovio  di    BitontOj    giù 


i68 


MEL 


abbate  e  presidente  generale  della 
congregazione  benedettina  cassi nese. 
La  cattedrale  di  Melfi,  bell'edifizio, 
è  sacra  all'  Assunzione  di  Maria 
Vergine,  col  fonte  battesimale,  fa- 
cendo il  capitolo  esercitar  la  cura 
d'anime  da  un  sacerdote.  II  capi- 
tolo si  compone  di  quattro  dignità, 
la  prima  delle  quali  è  il  cantore, 
di  dieciotto  canonici,  comprese  le 
prebende  di  teologo  e  penitenziere, 
e  di  altrettanti  mansionari  del  nu- 
mero de'partecipanti,  così  chiama- 
ti, oltre  altri  preti  e  chierici  ad- 
detti al  divino  servigio.  L' episco- 
pio è  prossimo  alla  cattedrale,  ol- 
tre la  quale  nella  città  sonovi  tre 
altre  chiese  parrocchiali  con  batti- 
sterio,  un  convento  di  religiosi,  ed 
un  monastero  di  monache,  ospeda- 
le, monte  di  pietà  e  seminario.  Le 
due  diocesi  unite  si  estendono  per 
circa  trenta  miglia  di  territorio,  e 
comprendono  sette  luoghi.  Ogni 
«uovo  vescovo  è  tassato  ne'  libri 
della  camera  apostolica  in  fiorini 
5oo,  corrispondenti  a  10,000  du- 
cati di  rendita,  non  gravati  di 
pensioni. 

Concila  di  Melfi. 

Il  primo  concilio  fu  celebrato 
nel  1048,  come  rilevasi  da  una  let- 
tera di  Nicolò  II  agli  abitanti  di 
Melfi.  Mansi,  Suppl.  de  cono.  t.  I. 

li  secondo  fu  tenuto  nel  io59 
dal  Papa  Nicolò  II,  il  quale  ricon- 
ciliatosi coi  principi  normanni  , 
questi  misero  a  sua  disposizione  tut- 
te le  terre  di  s.  Pietro  che  aveva- 
no usurpate,  in  conseguenza  Nicolò 
Il  die  loro  l'assoluzione,  e  li  re- 
stituì in  grazia  della  Sede  apostoli- 
ca. Diz.  dé'conc.j  e  Baronio  ad  an. 
I  oSg. 

Il    terzo  fu   celebrato   a'  io  set- 


MEL 

tembre  1 089  dal  Pontefice  Urbano 
11,  assistito  da  settanta  vescovi  e 
da  dodici  abbati.  Il  duca  Ruggiero 
si  fece  vassallo  e  tributò  il  suo  o- 
maggio  al  Papa,  il  quale  nel  con- 
cedere al  duca  un  privilegio,  di 
questo  si  deduce  il  principio  della 
monarchia  di  Sicilia.  Furono  pub- 
blicati sedici  canoni,  contro  i  simo- 
niaci, contro  i  bigami ,  contro  il 
sacerdozio  a'  figli  de'  preti,  tran- 
ne quelli  che  professassero  vita  re- 
ligiosa, relativamente  a  vari  punti 
di  disciplina  ecclesiastica,  e  si  con- 
fermarono quelli  contro  le  investi- 
ture ecclesiastiche.  Labbé  t.  X,  e 
Diz.  de' concila.  Il  p.  Mansi  dice, 
che  devesi  aggiungere  agli  atti  di 
questo  concilio,  o  di  quello  che 
Urbano  II  tenne  a  Piacenza  nel 
iog4,  un  canone  col  quale  era 
permesso  a'  vescovi  ed  agli  abbati 
di  non  pagar  le  decime  de'  beni 
coltivati  per  loro  proprio  uso  o 
per  quello  de'  loro  monaci,  a  con- 
dizione però  che  qualunque  altra 
decima  sarebbe  pagata  dai  loro  af- 
fittuari alle  chiese,  dalle  quali  ri- 
cevevano essi  i  soccorsi  spirituali 
nel  decorso  dell*  anno. 

Il  quarto  concilio  fu  tenuto  nel- 
I'  ottobre  del  i  1 00  da  Pasquale 
II,  il  quale  scomunicò  gli  abitanti 
di  Benevento  per  essersi  sottratti 
alla  sua  obbedienza,  e  la  censura 
ebbe  effetto  per  più  d'undici  mesi. 
Con  bolla  sottoscritta  da  otto  ve- 
scovi, confermò  al  vescovo  di  Maz- 
zara  il  pacifico  possesso  de'  beni 
appartenenti  alla  sua  chiesa.  Il  p. 
Mansi,  Suppl.  t.  II,  p.  4o3,  fa  men- 
zione d' un  conciliabolo  celebrato 
in  Melfi  dall'antipapa  Anacleto  II 
nel  ii3o,  che  sarebbe  ignorato  se 
non  fosse  citato  nella  cronaca  di  R.o- 
mualdo,  pubblicata  dal  Muratori, 
Rerum  hai.  script,  t.   VII. 


^ì  E  r. 

Il  quinto  concilio  fu  tenuto  in 
un  luogo  chininato  Lago-Pesole 
presso  Melfi.  L' iuiperaloie  Lotario 
Il  assistito  da  molti  vescovi,  ri- 
conciliò l'abbate  ed  i  monaci  di 
Monte  Cassino  col  Pontefice  Inno- 
cenzo n,  il  quale  cedette  alle  i- 
stanze  dell*  imperatore.  Fulcro  fat- 
ta giurare  rinunzia  allo  scisma  del- 
l'antipapa Anacleto  If,  con  pro- 
mettere obbedienza  ad-  Innocenzo  II 
e  successori.  Vi  furono  cinque  ses- 
sioni. Chron.  Casa.  4  »  cap.  1 08. 
Diz.  de'  conc. 

MELIAPOR  {Meliapor).  Città 
con  residenza  vescovile  nelle  Indie 
orientali  di  Portogallo ,  chiamata 
ancora  Maitapornnt,  e  s.  Tomma- 
so o  ThomP,  s.  Tlioinae  de  Me- 
liapor, nell'antico  regno  di  Golgon- 
da,  ora  dominio  della  Gran  Bre- 
tagna. Questa  città  dell'  Indostan 
inglese,  presidenza,  è  distante  due 
leghe  al  sud  di  Madras  nel  Carna- 
tico,  in  isponda  ad  una  piccola 
baia  all'  estremità  d'  una  pianura 
assai  bella.  Consiste  in  alcune  cen- 
tinaia di  cattolici  detti  Cristiani  di 
s,  Tommaso  o  Malabarici  (^Fecìi), 
abitanti  in  case  disperse  in  mezzo 
a  moltissime  rovine.  L'abitano  ol- 
tre gì'  indiani,  i  portoghesi,  e  vi  si 
fabbricano  alcune  tele  di  cotone 
e  de' mussolini.  Fu  questa  città 
fabbricata  sulle  rovine  di  Maila- 
porara,  che  i  portoghesi  pigliarono 
nel  1545,  e  della  quale  fecero  il 
capoluogo  dei  loro  stabilimenti  sul- 
la costa  del  Coromandel  ;  quantun- 
que l'avessero  fortificata  con  buoni 
ripari  bastionali,  fu  presa  nel  1672 
dai  francesi,  che  due  anni  dopo  la 
cedettero  agli  olandesi  ;  gì'  inglesi 
a  questi  la  tolsero  nel  1 749.  Pre- 
tendono che  sia  la  tomba  di  s. 
Tommaso  apostolo,  che  sparse  la 
luce  del  vangelo  nella  regione,  so- 


MEL  169 

pra  una  montagna  alla  quale  die- 
desi  il  suo  nome,  e  che  si  trova  a 
qualche  distanza  verso  il  sud- 
.sud-ovest;  montagna  legata  a  I\Ia- 
dras  per  mezzo  d'  una  amena  stra- 
da :  vi  è  stabilito  un  beli'  accan- 
tonamento. In  molti  luoghi  dell'ar- 
ticolo Indie  orientali  (^Fedi)  par- 
lammo di  Meliapor,  nel  voi.  XXXI V, 
massime  a  p.  208,   2i3  e  234- 

La  sede  vescovile  fu  eretta  da 
Paolo  V  con  bolla  de'  g  gennaio 
1606,  dichiarandola  suffraganea 
della  metropoli  di  Goa  [Fedi).  Il 
Papa  ciò  fece  ad  istanza  di  Filip- 
po III  re  di  Spagna  e  di  Porto- 
gallo che  vi  avea  degli  stabilimenti, 
e  per  formare  la  diocesi  dismembrò 
quella  di  Coccino,  estendendosi  il 
suo  territorio  dal  Coromandel  fino 
al  Pegìi  .  Ebbe  questa  città  due 
chiese,  oltre  quelle  degli  eiemifani 
di  s.  Agostino,  dei  domenicani  e 
(lei  gesuiti,  che  vi  si  erano  stabili- 
ti in  famiglie.  Ecco  i  vescovi  di 
Meliapor  o  s.  Tommaso  riportati 
nelle  annuali  Notizie  di  Roma.  Fr. 
Antonio  della  Incarnazione  agosti- 
niano di  Olinda,  fatto  vescovo  da 
Benedetto  XIV  agli  8  marzo  I74'>: 
a  questi  nel  1756  diede  in  suc- 
cessore fr.  Teodoro  da  s.  Maria 
agostiniano  di  Villanova  diocesi  di 
Guardia  in  Portogallo.  Fr.  Bernar- 
do da  s.  Gaetano  agostiniano  di 
Lisbona,  fatto  vescovo  nel  »7'>9 
da  Clemente  XIII.  Fr.  Antonio 
dell'  Assunzione  agostiniano  di  Por- 
to in  Portogallo,  dichiarato  da  Pio 
VI  nel  1782.  Questo  Pontefice  gli 
die  a  successore  fr.  Eromanuele  da 
Gesìi  agostiniano  di  Goa  nel  1787. 
Pio  VII  nel  concistoro  de'  29  ot- 
tobre 1 8o4  preconizzò  vescovo  fr, 
Gioachino  de  Atzaide  dell'ordine 
eremitano  di  s.  Agostino,  di  Porto 
in   Portogallo.   Il  Pontefice  contem- 


lyo 


MEL 


poraiien  mente  lesse    la  proposizione 
da  cui   rilevasi   lo  stato  in  cui  allo- 
ra trovavasi  cfiiesla   chiesa,  che  di- 
ce così.  La  cattedrale,  buono  edili- 
zio, è  sotto  l'invocazione  di   s.  Tom- 
maso apostolo,  snllraganea    dell'ar- 
civescovo    di    Goa.     Officiavano    in 
essa  quattro  preti,   però  quando  vi 
pontificava    il    vescovo,   vi    accorre- 
vano tutti  i   preti    de' luoghi   vicini. 
Nella   cattedrale    eravi   la  cura,  dis- 
impegnata    da   un    sacerdote  nomi- 
nato dal  vescovo,  con  fonte  battesi- 
male. Si   alTerma,  che  ivi  con  gran 
venerazione    si    custodisce    il  corpo 
(li  s.   Tommaso  apostolo.  L'episco- 
pio resta    separato  dalla    cattedrale 
per  la    pubblica  strada.    In   città  e- 
ranvi  altre  chiese  col   battisterio,  ed 
altre  due    simili  fuori    di  essa,  due 
confraternite,  due  ospizi  di   religiosi 
con    giovanetti    che    istruivano.    La 
diocesi  era   amplissima  e  contenen- 
te  il  regno  di  Galac,  Madras,  Tran- 
caban,    Melisipalan,    Palia  ed    altri 
molti  luoghi.   Ogni  vescovo  pagava 
per   tasse    loo    fiorini,  e  dal  regio 
erario  aveva   7,, eoo  scudi.  Gregorio 
XVI  a  provvedere  alla  salute    spi- 
rituale de' popoli  indiani,  nel    i838 
provvisoriamente  sottrasse  dalla  giu- 
risdizione    metropolitica     di     Goa, 
Mei ia por  ed  altre  diocesi,  e  le  affi- 
dò ai    vicari  apostolici    da    liii  isti- 
tuiti, e  descritti  al  citato  articolo. 

MELÌORE,  Cardinale.  Meliore  o 
Migliore,  francese  di  nazione,  insi- 
gnito col  titolo  di  maestro,  uomo 
timorato  di  Dio,  onesto,  e  per 
scienza  chiarissimo,  Lucio  III  nel 
II 83  o  1184  lo  creò  cardinale 
prete  de' ss.  Giovanni  e  Paoloj  ca- 
uìcrlengo  di  s.  Chiesa  e  legato  a 
Intere  nelle  Gallie,  insieme  con 
Cencio  suddiacono^  per  1'  affare  del- 
la crociataj  come  ancora  per  to- 
gliere   da    quel    regno    il    pubblico 


MEL 

scandalo,  che  dava  il  re  Filippo,  il 
quale  Col  consenso  de'  vescovi  tlcl 
suo  regno,  aveva  ripudiala  la  sua 
legittima  moglie  Ingelbmga  figlia 
del  re  di  Danimarca,  sotto  lo  spe- 
cioso pretesto  che  il  matrimonio 
fo^se  invalido,  per  averla  sposata 
dentro  i  gradi  proibiti  dalle  leggi 
canoniche.  Il  cardinale  convocò  un 
concilio  di  tutti  i  Vescovi  e  abbati 
della  monarchia  in  Parigi  per  discu- 
tere ed  esaminare  questo  punto,  però 
nulla  fu  nel  concilio  conchiuso  per 
timore  del  re;  ma  di  questo  grave 
argomento  ne  parlammo  anche  e 
con  qualche  diffusione  alla  biogra- 
fia d' IxffocENzo  III.  Un'altra  que- 
rela fu  esposta  al  legato  contro  la 
chiesa  di  Dol  nella  Bretagna  mi- 
nore, ed  a  pregiudizio  della  metro- 
politana di  Tours.  Il  legato  si  as- 
tenne dal  pronunziarsi,  ma  poscia 
terminò  1' affare  Innocenzo  III  a  fa- 
vore di  Touis,  a  cui  assoggettò  la 
chiesa  di  Dol,  togliendo  al  vescovo 
la  speranza  di  aspirare  all'  onore 
del  pallio.  Il  cardinale,  illustre  per 
dottrina  e  probità,  dopo  aver  con- 
corso alle  elezioni  di  Gregorio  Vili, 
Clemente  III  e  Celestino  III,  finì 
di  vivere  verso  il    1200. 

MELITENE,  o  MILITINE,  o 
MALA.TIA,  Melila.  Città  arcive- 
scovile della  Turchia  asiatica,  pa- 
scialatico  di  Marasch,  capoluogo  di 
sangiacato,  sopra  un  afHuente  del 
Cara  su-Melas,  a  cinque  leghe  dal 
confluente  di  questa  riviera  e  del- 
l'Eufrate. Sta  in  una  bella  pia- 
nura, al  piede  di  nude  montagne, 
e  vi  è  il  gran  pa.ssaggio  da  Costan- 
tinopoli in  Persia.  E  grande,  ripie- 
na di  giardini,  e  vari  corsi  d'acqua 
l'attraversano  in  ogni  lato.  Fa  uà 
considerabile  commercio  in  produ- 
zioni del  paese,  col  mezzo  delle 
numerose  carovane    che  quivi   pas- 


MEL 

sano.  Ln  popolazione  è  cotnposlii 
(li  lurchi  ,  Imcoiiiani,  armeni  e 
greci.  È  questa  l'antica  Molitene 
capitale  dell'  Alndnlia  o  piccola  Ar- 
menia,, delta  Armenia  minore.  Ivi 
stanziava  una  legione  romana,  e 
gli  antichi  romani  vi  fabliricarono 
una  fortezza  di  figura  quadrata  in 
campagna  rasa  per  difesa  de'  solda- 
ti. L' imperatore  Traiano  ne  foce 
poscia  una  città  che  diventò  la  jiie- 
tropoli  del  pae.se,  contrada  d' Asia 
nella  Cappadocia.  Essendo  accre- 
sciuta la  popolazione  in  nianiera 
che  non  tutta  poteva  abitare  nella 
fortezza,  egli  vi  fece  costruire  al- 
l'ingresso case,  palazzi,  templi,  mer* 
cali  ce.  In  seguito  l' imperatore  A- 
nastasio  I  voleva  cingerla  di  mura, 
ma  essendo  morto  senza  dare  ese- 
cuzione al  suo  progetto,  ne  lasciò 
la  gloria  a  Giustiniano  T,  il  quale 
la  ridusse  in  istato  di  servire  d'or- 
namento insienae  e  di  difesa  all'Ar- 
menia. Divenne  celebre  la  città  an- 
che per  la  battaglia  quivi  accaduta 
nel  572  tra  gli  eséì-citi  di  Giusti- 
niano I,  e  di  Cosroe  re  di  Persia. 
Gli  arabi,  che  conquistata  aveano 
la  provincia,  perdettero  Melitene 
l'anno  i38  dell'egira  sotto  il  ca- 
liffato di  Almansor.  L'imperatore 
Costantino  Copronimo  del  741  a- 
vendola  ripresa  la  fece  demolire,  ma 
lo  stesso  Almansor  inviandovi  l'an- 
no i4o,  70,000  uomini  comandati 
da  suo  nipote,  questi  ne  fece  rista- 
bilire le  mura.  Era  popotatissima 
verso  la  fine  del  secolo  X.  I  fian- 
cesi  la  presero  all'  epoca  delle  cro- 
ciate, e  la  cedettero  all'imperatore 
di  Costantinopoli;  cadde  alla  per- 
fine in  mano  de'  lurchi,  e  die  i  na- 
tali ad  Abulfarage,  storico  asiatico. 
In  questa  città  venne  martirizza- 
to, verso  l'anno  257,  s.  Poliulo 
primo  martire  dell'Armenia;  quivi 


MEL  171 

nacquero  ancora  s.  Melezio  il  Grau- 
de,  celebre  vescovo  d'Antiochia,  e  s. 
Eutimio  archimandrita  della  Palesti- 
na. Fu  tenuto  in  essa  un  concilio  pri- 
ma del  36o,  qualche  tempo  avanti 
quello  tenutosi  in  Costantinopoli, 
dappoiché,  come  narra  Sozomeno, 
furono  in  quel  concìlio  deposti  El- 
pidio  e  Salale,  per  avere  violato  i 
decreti  del  concilio  di  Melitene,  col 
ristabilire  un  sacerdote  per  nome 
Eusebio.  Si  apprende  dal  medesimo 
storico,  che  Eustazio  di  Sebaste  fu 
esso  pure  deposto  per  avere  con- 
travvenuto ai  decreti  di  quel  con- 
cilio. S.  Cirillo  di  Gerusalemme  vi 
assistette,  e  sembra  che  vi  fossero 
trattale  materie  di  disciplina  eccle- 
siastica. 

La  sede  vescovile  fu  eretta  nei 
primi  secoli  della  Chiesa,  nell'esar- 
cato di  Ponto.  Nel  V  secolo  di- 
venne metropoli  della  seconda  Ar- 
menia, poscia  della  terza,  e  Com- 
manville  riferisce  che  nel  secolo 
XIII  fu  elevata  al  grado  di  esar- 
cato, avente  per  sufFraganee  le  sedi 
vescovili  di  Arca,  Cucuso,  Andjiso, 
Ariarata,  Comana  e  Zelona.  Il  pri- 
mo vescovo  di  Melitene  fu  Cupsi- 
chio  martire,  di  cui  fanno  menzio- 
ne i  menologi  greci  a'  28  maggio, 
e  se  ne  celebrava  la  festa  a  Cesa- 
rea con  gran  solennità  al  tempo  di 
s.  Basilio.  Suo  successore  fu  Acacie 
martirizzato  sotto  l' imperatore  De- 
cio,  e  se  ne  fa  memoria  in  detti 
menologi  a'3i  marzo,  e  viene  pu- 
re citalo  in  alcuni  martirologi  lati- 
ni.  Quanto  agli  altri  vescovi  di 
Melitene,  il  p.  Le  Quien  ne  ripor- 
ta la  serie  nel  l.  II,  p.  14^2  del- 
l' Oriens  christ. ,  e  Costantino  l'ul- 
timo di  essi j  nominato  nel  i  288,  si 
fece  poi  eleggere  patriarca  nel  mo- 
nastero di  Barsuma,  contro  due  al- 
tri ch'erano  stali  innalzati  alla  me 


1^2  M  E  L 

desima  dignità,  cioè  Ignazio  V  elet- 
to   nel    1 293,  ed    Ignazio    Michele 
«'Ietto  nello  stesso   tempo  dai  vesco- 
vi d' occidente  radunati    in    Cilicia. 
Dopo    la    morte    di    questo    ultimo 
continuò  lo  scisma   nella  chiesa  dei 
giacchiti,  tra  Ignazio  V  e  Costan- 
tino,   il  quale    avea    esso    pure    as- 
sunto il   nome  d' Ignazio  :  gli  orien- 
tali   riconoscono    per     patriarca     il 
primo,  e  gli  occidentali   il  secondo. 
Ai  presente  Melitene,   Melitenen,  è 
un    titolo  arcivescovile    in  parlibus 
che  conferisce  la    santa    Sede ,    coi 
titoli   vescovili  in  partibus,  ad  esso 
soggetti,  di  Sine  e  di   Comana.   Ne 
111  insignito  Gabriele  Maria   Gravi- 
na,   ed    essendo    vacante,  Gregorio 
XVI    lo     conferì    a    Girolamo    dei 
marchesi    d' Andrea  napoletano  de- 
legato di  Viterbo,  a'12  luglio  i84i, 
quando   lo  destinò  nunzio  apostoli- 
co alla  confederazione  elvetica,  don- 
de   lo  promosse    a  segretario    della 
sacra  congregazione  del   concilio. 

MIÌLITONE  (s),  vescovo  di  Sar- 
di nella  Lidia.  Fu  elevato  a  que- 
sta dignità  sotto  il  regno  dell'im- 
peratore Marco  Aurelio,  al  quale 
indirizzò  l'anno  lyS  una  solidissi- 
ma apologia  della  religione  cristia- 
Jii.  Non  si  ha  alcuna  particolarità 
intorno  alle  altre  azioni  della  sua 
vita;  ma  si  sa  che  possedette  lo 
spirito  di  profezia,  per  cui  ebbe  il 
soprannome  di  profeta.  Compose 
molte  opere,  che  sono  spesso  citate 
dagli  antichi,  in  una  delle  quali 
diede  un  catalogo  dei  libri  dell'an- 
tico Testamento  che  la  Chiesa  uni- 
versale riconosceva  per  canonici. 
La  sua  festa  è  segnata  il  giorno 
primo  di    aprile. 

MELITOPOL!  o  MILETOPO- 
LI,  Melilopolis.  Sede  vescovile  della 
diocesi  d' Asia  nella  Misia,  situata 
tra  Cizico  e  Ritinia.    Fu  dapprima 


M  E  L 

semplice   vosco viito    della    provincia 
dell'Ellesponto,    sotto    la    metropoli 
di   Cizico,  eretta    nel  V  secolo,   ma 
venne  in  seguito  elevata  nel   IX   in 
arcivescovato,  poscia    in   metropoli, 
quindi    nel   XIII   secolo  fu  tnisfeiila 
a   Lupadio.  Ne  furono  vescovi  File- 
to,   di   cui  si   fa    menzione  nella  vita 
di  s.   Partemio  vescovo  di  Lampsa- 
co;  N che    intervenne  all'ese- 
quie di  detto    santo;  Gemello    pel 
quale  sottoscrisse  il  concilio  di  Cal- 
cedonia     Diogene    di   Cizico  ;    Sozo- 
uicno  che  sottoscrisse   la  lettera  al- 
l'inq)eratore  Leone;  Giovanni  I  che 
/ìr(nò  la     lettera  a    Papa  s.   Ormi- 
sda per  la  riconciliazione  della  chie- 
sa  di    Costantinopoli;    Giovanni    li 
intervenne  al   VI  concilio  generale; 
Andrea    fu   a    quello   in  Trullo;  J\li- 
chele  al   VII  concilio  generale;  Da- 
miano air  Vili;   Teofane  o  Teoiilo 
sottoscrisse  il  sinodo    di   Fozio;    A- 
gapeto   fiorito    quando  i   franchi  si 
impadronirono  di   Costantinopoli  ;  e 
Hieroteo   del    i34tì.     Oriens    christ. 
t.    I,   p.  780.  Al  presente   Melitopoli 
o    Miletopoli,  MiltlopoUlnn,  è  un  ti- 
tolo  vescovile  in   parnbus  che  con- 
cede  la  Sede  apostolica,  sotto  l'ar- 
civescovato pure  in  parlibus    di    Ci- 
zico. 

MELL A  0  MELLO  Giovanni,  Car- 
dinale. G'\ovann'\  Mella  oMello,  nato 
nobilmente  in Zamorra  nella  vecchia 
Castiglia,  fratello  di  Alfonso  che 
fece  rivivere  l'empia  setta  de' fra- 
ticelli. Portatosi  in  Roma  negli  an- 
ni giovanili,  vi  fece  mirabili  pro- 
gressi nello  studio  dell'  una  e  l'al- 
tra legge,  in  cui  divenne  dottissi- 
mo; non  mancano  però  autori  spa- 
gini oli,  che  affermano  aver  in  vece 
fatto  i  primi  studi  nell'università 
di  Salamanca,  e  che  ottenne  un  ca- 
nonicato in  Madrid  e  poi  in  To- 
ledo, Conosciutasi  da  Martino  V  la 


MEL 

tli  lui  straordinaria  abilità,  gli  con- 
ferì  il   vescovato  della   propria    pa- 
tria, e  lo   nominò    uditore  di   rota, 
nel  quale  ufijzio  per  essersi  mostra- 
to coslanleinente  giudice  non  meno 
assiduo   e    giusto,  che    dolio,  dopo 
4o   anni  a'  17  o  i8  dicembre  i/^56 
Calisto   111   lo    creò  prete  cardinale 
di  s.    Prisca,  e    dalla    sede    di  Za- 
morra,  ove    fondò    una   cappella   in 
onore  di  s.   Idelfonso,    lo  trasfen  a 
quella  di    Segovia,  e  lo  arricchì   di 
copiose  rendite.   Mori   in   Roma  nel 
1467   d'anni   70,  ed  ebbe  sepoltu- 
ra nella  chiesa  di  s.  Giacomo  degli 
spagnuoli,  in   un   monumento  mar- 
moreo lavoralo  sul  gusto  antico,   in 
cui  fu     inciso    un     breve    epitalìlo. 
Quantunque  il  cardinale  avesse  l'a- 
spetto assai    deforme,  ciò    non   per 
tanto    recò     lustro    e  splendore     al 
sacro  collegio,    e    venne     altamente 
commendato  dal  cardinal  Papiense, 
come    uomo    laborioso,    infaticabile, 
e  intrepido  ministro  della  giustizia, 
e    che    solo    fra    tanti    avea    eserci- 
tati quasi  tutti  gli   uilQci  della  curia 
romana. 

MELLINI.  redi  Millim. 
MELLIPOTAMO  o  MILOPO- 
TAMO,  Milopotamus  seu  Aulopo- 
tamus.  Sede  vescovile  dell'  isola  di 
Candia  [Tedi),  città  di  Creta,  nel- 
l'esarcato di  Macedonia,  sotto  la  me- 
tropoli di  Candia  [Vedi),  eretta  nel 
secolo  IX,  quindi  la  residenya  del  ve- 
scovo venne  trasferita  a  Relino,  e 
secondo  Raudrand  a  tal  sede  fu  riu- 
nita. Al  presente  Milopotamo  è  un 
forte  della  Turchia  europea  sulla  co- 
sta settentrionale  di  delta  isola,  sangia- 
cato,  presso  la  foce  della  piccola 
riviera  del  suo  nome  nell'  Arcipe- 
lago, e  vi  è  un  vescovo  gieco.  Ne 
furono  vescovi:  Michele  di  Verona 
domenicano,  fatto  vescovo  nel  i  342 
da  Clemente    VI,  e  da  qiiesti    nel 


MEL  1,3 

i344  traslalo  a  Chiozza.    Gli  suc- 
cesse INicola  frate  minore,  non  pare 
Pietro.  Giacomo  de  Ponto  nel  i  349, 
anch'  egli    minorila,    succeduto    da 
N che  sedeva   nel    iSyS,  tras- 
lato alla  chiesa    Siliense.   Dopo  Vit- 
tore si   trova  eletto  nel    iSgo   Do- 
menico de'   Domenici    carmelitano. 
Giovanni   XXlll    nel    i4'4  ^'   t'"^" 
sferì  dalla  chiesa  Ariense    Fianchio- 
nio   de'  minori   francescani.  France- 
sco nel    i5i2    intervenne  al  conci- 
lio Lateranense  V,  e  vi  ritornò  nel 
i5i4.   ludi  fiorì  Vincenzo  de' Mas- 
suri;  poi    Dionisio,  per    morie    del 
precedente    fatto    da   Paolo  III    nel 
i538,  cioè     traslafo     dalle      chic>ie 
Cianense   e  Thermiense,  che    recessi 
al   concilio  di    Trento.   Per  sua  di- 
missione nel    i555  Paolo  IV  eles>c 
Giacomo    li    Sureto  greco,    che   fu 
pure  al  detto   concilio.   11  primo  ve- 
scovo di    Mellipotamo  e  di   Retino 
unite  fu  Luca  Stella  veneziano,  tias- 
lato     da    Paolo    V  nel    161 5  dalla 
chiesa  di  Zara,  poi  fallo  arcivesco- 
vo di   Creta,  e    successivamente  ve- 
scovo di   Vicenza  e  poi  di  Padova. 
Ne  fu  successore  Zerbino   Lugo  di 
Rassano  diocesi   di    Vicenza,  da  Ur- 
bano Vili    nel     i63q    piomosso  a 
Fellre;  quindi    nel    i64'     'ece  ve- 
scovo di    Mellipotamo    e  Retino  d. 
Gozzadini  bolognese,  fratello  di  An- 
gelo  vescovo  di    Civita    Castellana. 
Oriens    chrisl.    t.    Ili,  p.   g34-    Al 
presente  Me\\\^o\amo, Mcllipolamtn, 
è   un    titolo    vescovile    in    partibus, 
sotto  1'  arcivescovato    pure  in  pai'' 
tihus  di   Gorlina,    che  conferisce  la 
santa  Sede.   Gregorio  XVI  agli    i  i 
maggio     1840    nominò    monsignor 
Nicola    Wiseman    vescovo    Mellipo- 
lamo  e  coadiutore  del  vicario  apo- 
stolico del    distretto  centrale  o  me- 
dio d^  Jnghilterro,  al  quale  articolo 
e   ne' voi.  XIV,  p.     173,    e  XXXV, 


174  MEL 

p.  i56,  parlammo  di  questo  dotto, 
zelante  e  benemerito  prelato,  di  cui 
abbiamo  tante  opere,  fra  le  quali 
qui  registreremo:  Ilorae  siriacac. 
La  sterilità  (Ielle  missioni  intrapre- 
se dai  protestanti,  Roma  t83i.  Hi- 
sposta  alla  dottrina  cattolica  del 
dott.  Turton,  Londra  tSSg.  Due 
prediche  in  inglese  recitate  in  Roma, 
Londra  i83i.  La  presenza  reale 
del  corpo  e  sangue  di  N.  S.  Gè- 
sìt  Cristo  nella  ss.  Eucaristia,  prò- 
vata  dalla  Scrittura  in  otto  lezioni 
tenute  nel  collegio  inglese  di  Roma, 
Londra  i836.  Lezioni  pubbliche 
sulle  principali  dottrine  e  pratiche 
della  Chiesa  cattolica,  homìvd  i836. 
Dodici  lezioni  sulla  connessione  tra 
la  scienza  e  la  religione  rivelata, 
recitate  in  Roma,  Londra  i836. 
Elogio  funebre  del  cardinal  Tom- 
maso ìf^cld  in  lingua  inglese,  colla 
traduzione  di  Giacomo  Mazio,  Ro- 
ma 1837.  Stato  del  protestantismo 
in  Inghilterra,  Roma  1837.  Saggio 
critico  sul  ragguaglio  di  lady 
Morgan  rispetto  alla  cattedra  di 
s.  Pietro  in  Roma,  ivi  i832.  Gli 
Annali  delle  scienze  religiose  par- 
lano delle  opere  di  questo  insigne 
vescovo. 

MELLITO  (s),  arcivescovo  di 
Cantorbery.  Fu  dapprima  abbate 
d'un  monastero  a  Roma.  Nel  601 
s,  Gregorio  1  il  Grande  lo  mise 
alla  lesta  d'una  seconda  colonia  di 
missionari  cui  mandava  a  s.  Ago- 
stino in  Inghilterra.  Egli  fu  il  pri- 
mo vescovo  di  Londra  ossia  de'sas- 
.soni  orientali  ;  battezzò  il  re  Seber- 
to  con  una  gran  parte  dei  suoi 
.sudditi,  e  colle  liberalità  di  quel 
principe  gittò  le  fondamenta  della 
t.biesa  di  s.  Paolo  a  Londra,  e  del 
monastero  di  s.  Pietro  a  Thorney, 
oggidì  Wtslminsler.  Dopo  la  morte 
di    Sebertu,    avvenuta    nel    Gì 6,    i 


MEL 

suoi  tre  figli  Sexredo,  Sewardo  e 
Sigeberto  professarono  pubblica- 
mente il  paganesimo,  e  scacciarono 
il  santo  vescovo  dai  loro  stati.  Mel- 
lito passò  in  Francia,  donde  poco 
dopo  tornò  in  Inghilterra,  ove  suc- 
cedette a  s.  Lorenzo  sulla  sede  di 
Cantorbery.  Mori  nel  G24  ^'  ^4  ^' 
aprile,  ed  in  tal  giorno  si  onora  la 
sua  memoria. 

MELLONO  (s.),  vescovo  di 
Rouen.  Nacque  nella  Gran  Breta- 
gna, ed  avendo  fatto  un  viaggio  a 
Roma,  fu  convertito  e  battezzato 
dal  Papa/5.  Stefano  I,  il  quale  lo 
mandò  a  predicare  la  fede  nelle 
Gallie  circa  l'anno  257.  Quelli  che 
credono  che  s.  Nicasio  primo  apo- 
stolo della  Neustria,  non  sia  slato 
che  prete,  fanno  s.  Mellono  primo 
vescovo  di  Rouen,  e  lo  collocano 
sulla  sede  di  questa  città  nel  260, 
dandogli  ciuquant'  anni  df  episco- 
pato. Gli  si  attribuisce  la  fondazio- 
ne della  cattedrale  e  di  parecchie 
altre  chiese.  Le  sue  fatiche  ed  i  suoi 
miracoli  guadagnarono  gran  numero 
d' anime  a  Gesù  Cristo.  Mori  iu 
pace  al  principio  del  quarto  secolo, 
e  fu  seppellito  nella  chiesa  di  s. 
Gervasio  fuori  delle  mura  di  Rouen. 
Per  timore  dei  normanni  le  sue  re- 
liquie furono  trasportate  a  Pontoise 
neir  880,  ove  si  custodiscono, anco- 
ra nella  collegiata,  di  cui  il  santo 
vescovo  è  patrono,  ceiebraiidovisi 
la  sua    festa  a' 22  d'ottobre. 

MELOE  o  MELA  o  MELE, 
Melaesa.  Sede  vescovile  della  Licia, 
sotto  la  metropoli  di  Mira,  nell'  e- 
sarcato  d'  Asia,  eretta  nel  IX  secolo. 
Ebbe  per  vescovi:  Nicela  che  assi- 
stette al  VII  concilio  generale;  Paolo 
all' VI  li  concilio,  ed  a  quello  che 
si  tenue  nel  pontificato  di  Giovan- 
ni Vili  pel  ristabilimento  di  Fozio 
dopo  la  morie  di  s.  Ignazio;.  Pietro 


MEL 

die  Irovossi  allo  stesso  concilio  di 
Fozio  da  cui  era  stato  ordinato, 
mentre  il  precedente  lo  era  stato 
da  s.    Ignazio.    Oriens    chrisl.    t.   I, 

!>•  993- 

RIELOS  o  MILO.  Sede  vescovde 
e  isola  dell'Arcipelago  o  settentrio- 
ne di  quella  di  Candia,  ora  com- 
presa nel  nuovo  stalo  della  Grecia, 
ed  appartenente  alla  divisione  am- 
ministrativa delle  Ciclpdi  meridio- 
nali: i  turchi  la  chiamano  Ijuynk- 
Deyrmenlik.  Quest'  isola,  di  figura 
quasi  rotonda,  è  di  un  aspetto  tri- 
ste e  selvaggio  :  in  oggi  si  può  di- 
re quasi  deserta,  in  comparazione 
della  sua  estensione  e  dell'antica 
sua  popolazione,  ed  è  nello  spiri- 
tuale sotto  la  giurisdizione  dell' ar- 
cidiocesi  di  Tfaxos.  Il  suo  porlo,  uno 
de' piìx  belli  e  vasti  dell'Arcipelago, 
è  sicuro  e  comodo.  La  capitale  del- 
l' isola  è  Milo,  situata  nella  parte 
orientale,  presso  la  estremità  sud- 
est di  una  piccola  baia  che  (bruia 
un  porto,  distante  4?  leghe  da  Tri- 
politza,  con  5oo  abitanti.  Città  ce- 
lebre e  considerabile  nei  tempi  fio 
ridi  della  Grecia,  dalle  cui  rovine  si 
scopri  recentemente  un  teatro  di  for- 
ma circolare,  di  marmo  bianco,  ben 
conservato.  Vi  sono  due  vescovi  di 
Melos,  l'uno  greco^  l' altro  latino, 
sotto  la  metropoli  di  Rodi;  il  pri- 
mo assume  il  titolo  di  arcivescovo 
di  Melos  e  di  Kimoti  o  Cimolis, 
la  quale  è>  altresì  una  delle  Cicla- 
di;  il  secondo  è  un  titolo  vescovile 
in  parlibvs  che  conferisce  la  santa 
Sede,  e  chiamalo  Milo  o  Milene, 
Milen  seu  Milenen.  La  sede  vesco- 
vile di  Melo  o  Milo  dell' esarcato 
d'Asia,  venne  eretta,  la  greca  nel 
primo  secolo,  la  Ialina  nel  decimo- 
terzo  suffraganea  di  Naxos;  qiie>ta 
iippi-.rfenne  all;i  provincia  di  ^'nxia, 
l'altra   alla   prima    delie   Cicladi,  il 


MEL  ijS 

primo  de'  vescovi  greci  fu  Euti- 
chio  che  sottoscrisse  al  sesto  Consilio 
generale ,  e  ne  furono  successori 
Galaziono  che  assistette  al  VII  con- 
cilio generale;  Macario  che  occu- 
pava la  sede  nel  XVII  secolo;  Dio- 
nigi; Gerasimo,  e  Gregorio  che  n'e- 
ra vescovo  nel  1 7  i  i .  Oriens  ckrist. 
t.  I,  p.  g45.  Il  primo  vescovo  la- 
tino fu  Giacomo  Navel  o  Novel 
domenicano  ,  nominato  verso  il 
1349:  quanto  a' suoi  successori  fi- 
no ad  Antonio  Serra  di  Scio,  con- 
sacralo a  Roma  nel  1642,  vedasi 
V Oriens  chiist.  t.  Ili  ,  p.  io 55.  Nel 
1737  n'era  vescovo  Dionisio  Mo- 
dino. 

MELUN,    Melodiimim,   AJcledu- 
niinìy    Miiledununi.    Città  di  Fran- 
cia capitale  del    dipartimento  della 
Senna  e  Marna,    distante    nove  le- 
ghe da  Parigi,  situata    sulla   Senna 
che  vi  foima  un'  isola,   e  la  divide 
in    tre  parti  ineguali  riunite  da  due 
ponti    di    pietra,    essendo    riserbato 
alla    navigazione    quello  a  Moulin. 
Questa  città   la  cui    maggior  parte 
si    estende    in    anfiteatro    sulla   riva 
destra  del   fiume,   ha   un    tribunale 
di  prima  istanza  e  le  sue  autorità. 
Vi  si  osserva   una   piazza    assai    va- 
sta   e    regolare,   e    si    ammiiauo  1 
bei   vetri  della  chiesa  di  s.    Aspais. 
Il   palazzo  della    prefettura  stabilito 
negli   ediflzi    d'un' aulica  al)bazia  di 
benedettini-,  si  distingue  pirchè  do- 
mina  la  città.   Si    vedono  nell'  isola 
le  rovine  di   un    castello  che  molti 
re  di   Francia  abitarono,  e  dove  la 
regina  Bianca  madre  di  s.  Luigi  IX 
tenne  la  sua   corte  dinante  qualche 
tempo.  Possiede  due  chiese,  un  col 
legio    comunale,    società     letterarie, 
biblioteca  pubblica  con  più  di  8000 
volumi,  un  teatro,  un  ospedale,  una 
grande  caserma  di  cavalleria,    una 
casa  centrale  di  detenzione  con   oC- 


1 7  6  M  E  L 

ficiiie  di  lavoro,  diverse  f.ibbriclui 
anche  di  maioliche,  di  vetri  e  di 
tessuli,  e  tiene  considerabili  mercali 
di  grani  per  piovvigionare  Parigi: 
si  vantano  pei-  eccellenti  le  anguil- 
le di  Mehin.  \i  fiorirono  uomini 
illustri,  come  Giacomo  Amyot  ele- 
mosiniere di  Carlo  IX  e  di  Enrico 
III,  e  traduttore  di  Plutarco  e  di 
Manuel.  Questa  antichissima  città 
era  nel  territorio  de'  senoni.  P».ober- 
to  II  figlio  d' Ugo  Capeto  vi  morì 
nel  io3i,  e  Filippo  I  nel  i  io8. 
Fu  presa  dai  normanni,  e  molte 
volte  dagl'  inglesi,  specialmente  per 
la  fame  nel  i4i8,  ma  gli  abitanti 
li  scacciarono  nel  i43o,  e  vi  rice- 
vettero le  truppe  di  Carlo  VII,  che 
per  riconoscenza  gli  accordò  molti 
privilegi.  Durante  la  guerra  della 
fionda.  Luigi  XIV  e  la  corte  qual- 
che volta  vi  soggiornarono.  Nel  se- 
colo XII  Abelardo  vi  stabilì  una 
scuola  di  filosofia.  Dal  i56o  la  cit- 
tà si  governava  con  un  costume 
particolare ,  chiamato  cosUune  di 
Mclun;  dopo  essere  stala  per  lun- 
go tempo  una  viscontea,  fu  eretta 
in  ducato  col  titolo  di  pari  nel 
1 709  a  favore  di  Ettore  di  Melun. 

Concila  di  Melun. 

Il  primo  fu  celebrato  nel  12  16  da 
Pietro  arcivescovo  di  Sens  e  dai  suoi 
suffiaganei,  che  vi  fecero  sette  ca- 
noni riguardanti  particolarmente  gli 
avvocati,  i  priori  ed  abbati  de'  mo- 
nasteri. Avendo  Innocenzo  III  sco- 
municalo Filippo  II  come  sospetto 
di  favorire  il  figlio  Luigi  eh'  era 
entrato  in  Inghilterra  contro  il  re 
Giovanni,  i  grandi  protestarono  non 
attendere  la  censura  finché  non  fosse- 
ro meglio  istruiti  della  volontà  del 
Papa,  il  quale  scomunicò  ancora  il 
principe  Luigi.  Labbé  t.   Xì,    Uiz. 


MEL 

de^conc.j    Mansi,    Supplem.    t.   II, 
p.  865. 

Il  secondo  concilio  fu  tenuto  nel 
1225,  convocato  dal  re  Luigi  Vili, 
in  cui  i  vescovi  di  Francia  in  pre- 
senza del  pontifìcio  legato  doman- 
darono al  re  ed  ai  suoi  baroni  la 
cognizione  di  tutte  le  cause  mobi- 
liari, colle  quali  i  vassalli  della  Chie- 
sa citavano  chiunque  davanti  al  ve- 
scovo, sostenendo  che  la  chiesa  Gal- 
licana era  in  possesso  di  questa  giu- 
risdizione. Il  re  vi  si  oppose  con- 
siderando tali  cause  puramente  pro- 
fane. Labbé  t.  Xlj  Arduino  t.  VII; 
Diz.   de'  cono. 

Il  terzo  nel  1282  contro  Rai- 
mondo conte  di  Tolosa,  relativa- 
mente agli  albigesi.  Ivi. 

Il  quarto  a' 2 1  gennaio  i3oo, 
da  Stefano  arcivescovo  di  Sens  e  dai 
suoi  suffraganei,  per  la  riforma  de- 
gli abusi  della  disciplina  ecclesiasti- 
ca, e  vi  furono  pubblicali  vari  re- 
golamenti. Labbé  t.  XI;  Diz.  dei 
conc. 

MELZI  Camillo,  Cardinale.  Ca- 
millo Melzi  nobile  milanese,  partito 
dalla  patria,  compì  cQn  successo 
gli  studi  legali  nelle  università  di 
Bologna,  Pavia  e  Parma,  dove  ot- 
tenne la  laurea  di  dottore.  Fu  prov- 
veduto della  carica  di  collaterale 
di  Campidoglio,  e  da  Urbano  Vili 
avanzato  a  quella  di  luogotenente 
civile  dell'uditore  della  camera,  in 
cui  perseverò  undici  anni  con  pie- 
na soddisfazione  della  romanii  curia. 
Fu  quindi  promosso  da  detto  Papa 
per  la  sua  pietà  e  dottrina  nel 
i636  all'arcivescovato  di  Capua, 
dove  nei  tre  anni  nei  quali  gover- 
nò per  sé  stesso  quella  diocesi,  pro- 
mulgò e  stabilì  santissime  leggi  per 
mantenere  la  disciplina  nel  clero 
e  la  riforma  nel  popolo.  Si  mostrò 
generoso  cogli    orfani,  colle  vedove, 


MEL 
«  coli  ogni  sorta  di  miserabili.  Vi- 
«ilo  con  singoiar  diligenza  l'arcidio- 
ccsi,  e  non  mancò  di  ripaiare  il 
palazzo  arcivescovile  con  ecclesiasti- 
ca magnificenza.  Le  lagrime  sparse 
dal  suo  popolo  per  la  di  lui  as- 
senza, sono  un  testimonio  autentico 
dello  zelo ,  della  sollecitudine  e 
della  dolcezza  con  cui  invigilava 
alla  cura  del  proprio  gregge.  Com- 
pito un  triennio  nel  sacro  mini- 
stero, venne  spedito  nunzio  alla 
corte  di  Toscana,  e  poi  dallo  stes- 
so Pontefice  nel  i644  ^u  trasferito 
a  quella  di  Vienna  presso  Ferdinan- 
do 111,  in  cui  dopo  aver  perseve- 
rato per  lo  spazio  di  nove  anni, 
nel  qual  tempo  mostrossi  acerrimo 
e  zelante  difensore  dell'autorità  e 
de' diritti  della  Sede  apostolica,  da 
Innocenzo  X  nel  i653  ne  fu  ri- 
mosso, senza  essersene  giammai  po- 
tuto penetrare  il  motivo,  e  riman- 
dalo al  governo  di  sua  chiesa, 
dove  proseguì  ad  adempiere  tutte 
le  parti  di  sollecito  e  vigilante 
pastore.  Alessandro  VII  appena  di- 
venuto Papa  lo  fece  segretario  del- 
la congregazione  de'  vescovi  e  re- 
golari, quindi  alla  prima  promozio- 
ne ad  istanza  dell'imperatore  lo 
creò  cardinale  prete  a' 9  aprile  1657; 
gli  conferì  il  titolo  di  s.  Marcello, 
e  lo  ascrisse  alle  congregazioni  del 
concilio,  de' vescovi  e  regolari,  di 
propaganda  ed  altre.  Ma  passati  21 
mesi  morì  in  Roma  nel  ,1639  di 
anni  69,  universalmente  compianto 
per  la  sua  carità  verso  i  poveri, 
pel  zelo  per  la  fede,  pel  raro  esem- 
pio che  diede  d'invitta  pazienza  nel 
vedersi  negletto  e  trascurato  in 
tante  promozioni  fatte  da  Innocen- 
zo X,  senza  mai  farne  la  menoma 
querela,  quantunque  avesse  tutto 
il  merito  di  essere  a  preferenza  di 
molli  altri  promosso  al  cardinalato, 
vot.    XIIT. 


MEM  177 

La  chiesa  di  s.  Andrea  al  Quiri- 
nale ne  accolse  la  fredda  spoglia  , 
che  fu  collocala  avanti  1'  altare 
maggiore  sotto  adorna  lapide  fre- 
giata di  magnifica  iscrizione,  che 
gli  pose  il  nipote  Giannanlonio 
Melzi  arcivescovo  di  Capua.  jVella 
chiesa  nazionale  di  s.  Carlo  al  Cor- 
so si  vede  parimenti  la  memoria 
di  questo  cardinale,  mediante  la- 
pide con  bell'elogio,  egualmente  e- 
reltagli  dal  detto  nipote.  Fu  il 
cardinale  uomo  fornito  di  segnala- 
ta pietà,  con  cui  andavano  del  pa- 
ri singolare  integrità  ed  eminente 
dottrina;  eccellente  nella  scienza  di 
entrambe  le  leggi,  fu  costantemente 
grave  nei  costumi,  eloquente  nel 
ragionare  e  giusto  nel  consigliare. 
Fautore  insigne  de'  letterati  e  dei 
poveri,  fu  lodato  come  decoro  del 
senato  apostolico,  e  sollecito  pasto- 
re del  proprio  gregge. 

MEMEiNTO.  Parte  del  Canone 
della  Messa  (Fedi),  in  cui  si  fa 
Commemorazione  [Fedi)  dei  vivi 
e  deimorti.  Il  memento  per  i  vi- 
vi è  prima  della  consacrazione,  il 
memento  dei  morti  è  dopo.  Il 
memento  dei  vivi  era  dapprima 
generale  per  tutto  il  mondo;  fuvvi 
aggiunto  in  seguito,  al  tempo  di  s. 
Cipriano,  il  nome  di  alcuni  fedeli 
in  particolare,  che  si  nominavano' 
semplicemente,  senza  fermarsi  a  pre- 
gare per  essi  in  particolare  come 
si  usa  a'nostri  giorni.  Il  Papa  s; 
Innocenzo  I  del  4^2,  nell'epistola 
a  Decenzio  vescovo  di  Gubbio,  dice 
che  nel  memento  non  si  deve  re- 
citare il  nome  di  coloro  i  quali 
hanno  fatto  delle  offerte,  se  non 
dopo  che  il  Sacerdote  gli  ha  racco- 
mandati a  Dio  pregando  :  ecco  del- 
le tracce  antiche  del  memento  dei 
vivi,  senza  parlare  di  ciò  che  tro- 
vasi nelle  costituzioni  dtigli  apostoli.- 


T^S 


MEM 


Dell'antico  memento  de'TÌvi  e  dei 
morti  ne  Irattammo  ancora  all'ar- 
ticolo Dittici.  Parlando  il  Diclich, 
Dìz.  sacro  liturgico,  del  memento  dei 
vivi  e  dei  morti,  dice  che  quando 
questo  si  fa  dal  sacerdote,  egli  alzerà 
e  giungerà  le  mani  sino  alla  faccia 
o  al  petto,  e  cosi  starà  un  poco  in 
quiete  col  capo  alquanto  inchinato, 
e  cogli  occhi  fissi  nell'Ostia,  facendo 
la  commemorazione  de'  fedeli  vivi 
e  defunti  a  suo  piacere;  i  nomi  dei 
quali,  se  voglia,  li  ricorderà  segre- 
tamente, perchè  non  è  necessario 
di  esprimerli,  ma  solo  di  averli 
presenti  alla  memoria.  Se  poi  in- 
tendesse pregare  per  molti,  potrà 
proporsi  prima  della  messa  tutti 
quelli  tanto  vivi,  quanto  defunti, 
pei  quali  egli  intende  pregare,  onde 
non  essere  troppo  lungo  a'  circo- 
stanti (ma  deve  durare  almeno  per 
lo  spazio  d'un  Pater  noster).  Fatta 
poi  la  detta  commemorazione,  di- 
messe ed  estese  le  mani,  come  pri- 
ma,  continuerà  la   messa. 

MEMFI,  MENFl,  Memphis.  Sede 
■vescovile  della  provincia  d'Arcadia, 
nel  patriarcato  d'Alessandria,  eretta 
nel  IV  secolo  sotto  la  metropoli  di 
Behnese .  Celebre  città  già  capi- 
tale dell'Egitto,  1 5,000  passi  al  di 
sopra  del  principio  del  Delta  o  del- 
la separazione  del  Nilo  ,  sulla  riva 
sinistra  di  questo  fiume,  poco  lun- 
ge  dalle  piramidi  ,  la  cui  fonda- 
zione Erodoto  attribuisce  a  Menete 
primo  re  d'  Egitto,  ed  avanti  la 
fondazione  di  Roma.  Distrutta  da 
Nabuccodonosor,  fu  poi  riedificata 
con  molti  magnifici  templi,  ed  i  re 
Tolomei  vi  tennero  la  loro  corte. 
Si  pretende  che  il  Cairo  (Fedi) 
sia  costrutto  sul  suo  luogo,  ovve- 
ro colle  sue  rovine  fu  fabbricato 
dall'altro  lato  del  Nilo,  per  cui  a 
quell'articolo  riferimmo  le  sue  no- 


MEM 
tizie  anche  ecclesiastiche,  e  del  con- 
cilio che  fu  celebrato  per  la  riu- 
nione de'copti  alla  chiesa  romana, 
ch'ebbe  effetto  sotto  Gregorio  XI II, 
intervenendovi  il  patriarca  d'Ales- 
sandria. Ne  furono  vescovi  :  Giovan- 
ni meleziano,  cui  il  concilio  Niceno 
ordinò  riunirsi  con  Alessandro  pa- 
triarca d'Alessandria,  e  perchè  inve- 
ce si  uni  agli  eusebiani  fu  esiliato  da 
Costantino;  tutlavolta  si  vuole  che  si 
pentisse  dell'errore.  Antioco  che  fu 
a  detto  concilio  ecumenico.  Tolo- 
meo giacobita,  ordinato  dal  patriar- 
ca proprio  verso  il  secolo  Vili. 
Macario  giacobita,  trovossi  al  con- 
cilio in  cui  Filotea  fu  eletto  pa- 
triarca de'giacobiti.  Abramo  gia- 
cobita, nominato  da  Zaccaria  suo 
patriarca.  Chail  giacobita  assistet- 
te alla  conferenza  de' vescovi  ciie  si 
tenne  al  Cairo  in  presenza  del  visir, 
relativamente  ad  alcuni  domestici 
del  patriarca  Cirillo.  In  Memfi  vi 
ebbero  residenza  un  vescovo  greco 
ed  altro  copio.  Dell'arcivescovo  di 
Memfì  consagrato  da  Leone  XII 
nel  i824>  ne  tenemmo  paiola  nel 
voi.  XXXVIII,  p.  6r  dd  Diziona- 
rio. De' vescovi  di  Memfì  tratta  il  p. 
Le  Quien,  Oriens  christ.  t.  II,  p. 
586. 

MEMMIO  (s),  primo  vescovo  di 
Sciallon  o  Chalons  sulla  Marna.  Ro- 
mano di  nascita,  essendo  stato  man- 
dalo nelle  Gallie,  predicò  il  vangelo 
a  Sciallon,  dove  co' suoi  discorsi  e 
miracoli  operò  un  gran  numero 
di  conversioni,  e  formò  una  chiesa 
di  cui  fu  il  primo  pastore.  Si  col- 
loca la  sua  morte  circa  la  fine 
del  terzo  .secolo;  fu  seppellito  pres- 
so alla  città,  e  venne  poscia  edifica- 
ta una  chiesa  sulla  sua  tomba. 
Nel  i3i8  le  sue  reliquie  furono 
rinchiuse  con  quelle  di  s.  Poma  di 
lui    sorella,  in     una    preziosa    cassa 


MEM 

di  argento,  la  quale  si  custodisce 
nella  cliiesa  abbaziale  dei  canonici 
regoliu-i  di  s.  Agostino  fuori  delle 
mura  di  Sciallon.  La  sua  festa  si 
celebra   n'5  di   agosto. 

MEMORIA.  Altare  innalzato  a 
Dio  sotto  il  nome  di  qualche  santo, 
e  si  disse  più  particolnimente  di  quel 
luogo  dell'altare  in  cui  sono  chiu- 
se le  reliquie;  dappoiché  è  costan- 
te tradizione  antica,  di  noYi  dedica- 
re una  chiesa,  né  consacrare  un 
altare,  e  neppure  una  semplice 
pietra  per  esso,  senza  collocarvi  le 
reliquie,  massime  quelle  dei  marti- 
ri, le  cui  venerande  memorie  ve- 
nivano cosperse  di  fiori  e  rami 
•verdeggianti  di  piante  ed  alberi.  V. 
Alt.ake,  Confessione,  Martire.  Me- 
moria dicesi  altres'ì  della  comme- 
morazione de'santi  che  si  fa  ai  ve- 
spcii  ed  alle  laudi  dell'uffizio  di- 
vino, con  una  antifona,  con  un 
versetto  ed  un'  orazione:  vi  sono 
delle  chiese  nelle  quali  si  vanno 
a  cantare  le  memorie  de'sanli  alle 
loro  cappelle. 

MEMORIALE,  e  Segretario  dei 
MEMORIALI  DEL  Papa.  Memoriale  , 
libcllus ,  nel  suo  piimievo  natura- 
le significato  vuol  dire,  ciò  che 
serve  per  ricordare  alcuna  cosa,  ed 
in  linguaggio  di  segreteria  importa 
uno  scritto  che  si  dà  a  chiimque 
per  tenergli  presente  qualche  affare 
rn  cui  egli  debba  operare.  Signi- 
fica pure  una  preghiera  che  por- 
gesi  a  persona  autorevole  per  olte- 
neie  qualche  grazia ,  e  corrisponde 
ni  latino  supplex  libellus,  o  sieno 
preces  o  desideria  sitpplicantium. 
L.  i5,  ff".  De  in  jus  vacando.  L.  Sa, 
ff.  De  ree.  arbit.  L.  i,  cod.  Quando 
libellus.  Il  Parisi,  Istruzioni  per  la 
segreteria  t.  IV,  oap.  Il,  De'  me- 
moriali e  promemoria,  dice  che  lo 
spirilo  di  novità  estendendosi   anche 


MEM  179 

nell'alterare  i  veri  e  buoni  voca- 
boli dell'italiana  favella,  alla  paro- 
la semplice  ed  espressiva  memoria- 
le nel  primo  senso,  si  è  voluto  so- 
stituire un  composto,  cioè  prome- 
moria, ristringendo  il  memoriale 
a  significar  supplica.  Questo  è  il 
mezzo  ordinario  e  più  spedito  pra- 
ticato sino  dai  tempi  di  Augusto, 
con  cui  ogni  persona  si  apre  la 
strada  ad  essere  ascoltato  dal  pro- 
prio sovrano,  o  dai  magistrati  che 
hanno  ingerenza  nel  governo,  ad  es- 
porre le  sue  occorrenze,  ed  a  ri- 
cevere ne'  rescritti  le  convenienti 
provvisioni  e  risposte.  Il  Parisi  dà 
vari  avvertimenti  de'  termini  come 
debbonsi  concepire  i  memoriali,  dei 
riguardi  che  convengonsi  al  negozio 
ed  alle  persone.  Divide  i  memoriali 
o  le  suppliche  in  tre  parli  :  i.  la 
chiara,  netta,  veridica  e  concisa 
esposizione  del  fatto  ;  2,  la  pe- 
tizione della  grazia;  3.  le  ragioni 
che  ne  mostrano  la  giustizia.  Te» 
quità  e  la  convenienza.  Tali  sup- 
pliche chìamansi  memoriali  ragio- 
nati ,  ed  abbracciano  le  materie 
tanto  di  grazia,  che  di  giustizia, 
e  possono  riferirsi  ui  generi  delle 
lettere  di  domanda.  Più  spesso  i 
memoriali  non  contengono  se  non 
la  petizione  di  alcuna  grazia,  che 
dipende  dall'arbitrio  e  beneficenza 
del  principe,  ed  in  questi  può  avei' 
luogo  un  moderato  uso  di  quella 
eloquenza  che  senza  ostentazione 
oratoria  ha  forza  di  muovere  dol- 
cemente gli  affetti.  La  formula  no- 
tissima de'raemoriali  è  questa.  In 
cima  del  foglio  Beatissimo  Padre. 
S'incomincia  poi  la  scrittura  lascian- 
do lo  spazio  convenevole.  Si  pone 
ordinariamente  in  principio  il  no- 
me del  supplicante  :  N.  N.  dopo  il 
bacio  de' santissimi  piedi,  o  gemi' 
flesso    ai    santissimi    piedi    nippli'^ 


i8o  MEM 

chcvolmente  espone.  Se  poi  il  me- 
moriale è  diretto  ad  un  sovra- 
no, si  dice:  N.N.  prostrato  al  tro- 
no di  vostra  Maestà.  La  direzione 
poi  del  memoriale,  piegato  che  sia, 
si  fa  in  cima:  Alla  Santità  di  No- 
stro Signore,  e  nella  seconda  riga 
Papa  Pio  IX  felicemente  regnante. 
"Vicino  al  fine  della  colonna  si  po- 
ne Per  in  linea  separata,  e  nelle 
ultime  linee  il  nome  e  cognome 
dell'  oratore,  senza  ripetere  altre 
qualità  che  si  debbono  esprimere 
in  capo  alla  supplica.  Nel  decorso 
del  memoriale  occorrendo  di  no- 
minare più  volte  il  nome  di  chi 
supplica,  in  vece  di  esso  si  pone 
Voratore,  il  supplicante,  il  ricorren- 
te, il  petente  e  simili.  Nel  voi.  XIX, 
p.  3o  del  Dizionario  riportammo 
l'istruzione  data  da  un  canonista 
della  curia  romana  al  tempo  di 
Gregorio  IX,  riguardo  ai  titoli  ono- 
rifici che  dar  doveansi  ai  cardinali 
nei  libelli  delle  petizioni,  con  for- 
inole per  le  cause  ecclesiastiche  . 
Dell'odierno  formolario  se  ne  di- 
scorre agli  articoli  de' titoli  de'car- 
dinali,  e  di  altri  dignitari  e  ma- 
gistrati. Aggiunge  il  Parisi,  che 
può  al  sovrano  ricorrersi  per  la 
denegata  giustizia  da  un  qualche 
magistrato  o  ministro,  ovvero  per 
affari  la  cui  risoluzione  non  possa 
ottenersi  senza  la  di  lui  suprema 
immediata  autorità;  ma  negli  al- 
tri affari  e  cause  per  la  cognizione 
delle  quali  il  principe  ha  deputato 
gli  opportuni  tribunali  e  magistra- 
ti, i  ricorsi  e  le  suppliche  debbono 
portarsi  a  questi.  Chi  farà  altri- 
menti senza  addurre  speciale  mo- 
tivo, non  otterrà  dal  principe  altro 
rescritto,  se  non  che  un  Utalur  jiire 
suo,  o  sibbene  un  Lectutn.  V. 
Rescritto.  Avverte  inoltre  il  Parisi, 
che  certi   falli    speciali,  su    cui    si 


MEM 

fonda  la  petizione ,  non  basta  asse* 
rirli,  ma  è  necessario  inserire  nella 
supplica  i  documenti  legittimi  che 
giustificano  quanto  si  espone  in  cor- 
po di  essa,  secondo  l'opportunità, 
citandoli  per  ordine  numerico  o 
alfabetico.  Talora  il.^  duplicato  del 
memoriale  si  porta  'per  secondare 
lo  stile,  com'è  quello  delle  congre- 
gazioni cardinalizie,  segreterìe,  tri- 
bunali, ec.;  e  taloi'a  si  richiede  per 
fini  particolari. 

Parlando  il  Parisi  de'  memoriali 
anonimi,  tom.  II,  p.  i8  e  19,  dice 
che  i  ricorsi  anonimi  o  non  si  ri- 
cevono o  non  si  ascoltano;  sono 
per  lo  più  parti  del  livore,  della 
malignila,  della  vendetta.  Gli  auto- 
ri se  si  scuoproHO  e  non  provano 
l'asserto,  massime  se  calunnie,  deb- 
bono punirsi  come  perturbatori  del- 
la quiete.  Può  per  altro  succedere, 
che  una  persona  onesta  per  evitare 
la  malevolenza  e  gli  sconcerti  che 
produrrebbe  lo  scoprimento  di  un 
ricorrente,  celasse  il  suo  nome,  ma 
rappresentasse  i  fatti  muniti  di  tali 
circostanze  di  tempi,  luoghi  ed  in- 
dicazioni di  persone,  che  avessero 
apparenza  di  verità,  ed  allora,  se 
sono  cose  riguardanti  l'  utile  pub- 
blico, potranno  indagarsi  le  prove, 
per  procedere  dopo  la  loro  veriQ- 
cazione  al  provvedimento.  In  alcu- 
ne congregazioni  ai  memoriali  ano- 
nimi si  rescrive  :  Suhscribaniur  pre- 
ces.  Vanno  però  ascoltati  e  te- 
nuti segreti  quelli  che  ricorrono 
contro  gli  aggravi  de'  ministri,  le 
cui  giustificazioni  si  sentono  sempre 
prima  di  determinare  sull'affare. 
Delle  lettere  o  memoriali  senza  no- 
me, o  con  nome  finto,  ovvero  sup- 
posto, ne  parlammo  al  voi. XXX Vili, 
p.  i47  del  Dizionario.  Il  saggio  e 
benigno  Gregorio  XVI,  nel  §  iS 
dei  suo  testamento,  parlando  della 


MEM 
consegna  delle  sue  carte  a  chi  spet- 
tiivano,  dispose:  «  Siccome  poi  vi 
saranno  forse  rimaste,  confuse  fra 
le  altre  carte,  anche  delle  anonime, 
diffamanti  e  calunnifitrici,  che  non 
devono  essere  conservate,  così  do- 
vranno queste  venir  bruciate".  Il 
più  delle  volte  la  calunnia  provie- 
ne dall'invidia,  poiché  agli  occhi  di 
questa  la  gloria  è  delitto,  e  dicono 
i  sapienti  che  l'invidia  è  certa  prova 
del  merito  di  chi  viene  invidiato; 
ordinariamente  i  maligni  invidiosi 
s' immaginano  di  aver  diritto  a  tut- 
to, benché  senza  giusti  titoli  di  po- 
ter aspirare  a  ciò  che  da  altri  si 
possiede  legittimamente,  e  spesso 
senza  talenti  e  capacità;  poiché  la 
scienza,  il  buon  senso,  e  più  di  tut- 
to la  religione,  è  freno  alle  passio- 
ni e  agli  indiscreti  desiderii.  Il  male 
poi  fatalmente  è  creduto  sempre 
senza  esame;  ma  l'innocenza  pro- 
duce sicurezza  d'animo;  ed  il  più 
Talido  scudo  contro  i  malevoli  in- 
vidiosi è  una  tranquilla  sofferenza, 
essendo  la  maggior  vendetta  che 
di  loro  si  possa  fare  il  silenzio  e 
pregar  Dio  che  gì' illumini  per  loro 
bene.  Imporla  assaissimo  la  cosfan- 
Ea  nelle  cose  avverse,  perchè  signi- 
fica grandezza  di  cuore,  e  la  mo- 
derazione nelle  prospere,  perché  ar- 
guisce un  animo  superiore  alla  for- 
tuna. Delle  Lettere  ecclesiastiche 
(^Wi)  chiamate  wemorinli,  ne  pall- 
iammo a  queir  articolo.  Dai  cava- 
lieri  di  Malia  si  chiamò  memoriale, 
l'estratto  delle  lettere  o  prove  di 
nobiltà,  che  si  pi  esentano  all' ordi- 
ne gerosolimitano  quando  alcuno 
domanda  di  esservi  ammesso. 

L'  antichissimo  uffizio  di  segreta- 
rio de' memoriali  o  di  referendario 
delle  suppliche  de' principi  è  nobi- 
lissimo, di  grande  importanza,  e 
SDjBinamcnte   delicato  pel  gran  be- 


MEM  i8i 

ne  che  può  fare,  come  intercessore 
tra  i  sudditi  e  il  sovrano,  organo 
immediato  di  questi  nelle  benefi- 
cenze, nelle  grazie  e  nella  giusti- 
zia, siccome  preposto  con  intima 
fiducia  dal  principe  a  sentire  i  re- 
clami e  le  domande  del  suddito, 
e  portarle  alla  sua  cognizione.  Me- 
morìalis  era  chiamato  nella  corte 
imperiale  di  Costantinopoli  quel  mi» 
nistro,  il  quale  era  tenuto  di  sugge- 
rire all'imperatore  le  azioni  eroiche 
de*  suoi  soldati  perchè  ne  ricevessero 
il  meritato  premio.  Palatina  omnia 
officia,  hoc  est,  Memoriales,  agen- 
tes  in  rebus,  appari tores  diverso- 
rum  commodoriim.  S.  Ambrogio, 
epist.  ad  Marceli.  Il  medesimo  of- 
ficiale nella  corte  Costantinopolita- 
na era  chiamato  a  memoria,  come 
scrive  Cantacuzeno  lib,  3,  cap.  i5. 
Curandae  reipublicae  praeposili  e- 
rant  Spanapolinus  a  memoria,  et 
Joannes  Melitenensis.  Nelle  corti  se- 
colari anticamente  il  Referendario 
[Fedi),  come  in  quella  imperiale, 
soprintendeva  alle  risposte  che  si 
dovevano  dare  ai  principi  ed  ai 
vescovi.  Sotto  i  romani  i  referen- 
dari esercitavano  1' uffizio  di  riferi- 
re le  cause,  altri  esponendo  agli 
imperatori  le  domande  de' privati  e 
i  dubbi  insorti  ne'  giudizi.  Nella 
curia  romana  i  prelati  referendari 
anticamente  riferivano  le  cause  nel 
tribunale  della  segnatura  e  in  quel- 
la di  grazia  avanti  il  Papa.  Nella 
potente  e  splendida  corte  di  Bene- 
vento, il  referendario  equivaleva  al 
segretario  de'  memoriali ,  come  si 
disse  nel  voi.  XVII,  p.  295  del 
Dizionario.  Inoltre  nella  corte  degli 
imperatori  eranvi  i  mililantes  in  sa- 
cris  scriniis,  i  ministri  che  serviva- 
no negli  uflìzi  delle  lettere,  delle 
memorie,  delle  suppliche,  delle  di- 
sposizioni.  Il    Priniicero    de'  notari 


i82  MEM 

^P^edi)  della  santa  Sede  e  prima- 
rio tra  gli  ufTiziali  palatini,  nei  con- 
cili! suggeriva  ai  Pontefici  quanto 
occorreva,  e  faceva  loro  le  istanze 
di  ciò  eh'  era  supplicato  di  voler 
trattare,  dandosi  col  mezzo  de*  pri  - 
miceri  ingresso  a  quelli  che  ave- 
vano in  essi  a  ragionare  delle  loro 
cause;  ed  il  Prìoticero  de'  difenso- 
ri i^Fedi)  era  destinato  a  patroci- 
nare le  cause  della  chiesa,  de'chie- 
rici  e  de'poveri:  forse  tali  dignita- 
ri possono  in  qualche  parte  adom- 
brare e  figurare  1'  odierno  segreta- 
rio de'  memoriali,  come  osserva  il 
Galletti,  Del  primicero  della  santa 
Sede  ed  altri  iiffiziaii  del  palazzo 
lateranense.  Questi  a  p.  190  ag- 
giunge, che  lo  Scrina/io  nicmoria- 
le  era  uno  degli  scrinai  che  aveva 
uffizio  particolare  nello  stesso  archi- 
vio della  santa  Sede,  cioè  il  custo- 
de delle  memorie  e  de'monumenti. 
Parlando  il  Muratori  nella  IV 
delle  sue  Disserl.  degli  ufìlzi  della 
corte,  dice  che  non  è  ben  chiaro 
qual  fosse  l' uffizio  di  referendario 
nel  palazzo  de'  re  longobaidi,  e  sic- 
come nella  cronaca  Farfense  si  ha 
un  diploma  del  re  Astolfo  del  ySG, 
ex  dicto  doninì  regis  per  Theopcr- 
timi  illins  referendariiis,  non  sa  se 
costui  fosse  segretario  de'  memoria- 
li, o  pure  cancelliere  e  notaro  re- 
gio, a  cui  appartenesse  lo  scrivere 
i  diplomi  ed  i  privilegi.  In  Plan- 
cia fu  antico  e  importante  uffizio 
quello  di  maestro  o  referendario 
delle  suppliche:  il  gran  referenda- 
rio di  Francia  avea  la  cura  del- 
l' anello  e  del  sigillo  reale,  riferiva 
al  re  il  contenuto  de'  diplorai,  li 
presentava  alla  sua  soscrizione,  quin- 
di egli  slesso  li  sottoscriveva  e  sug- 
gellava coir  anello  del  sovrano.  Ecco 
come  il  Morcelli  chiama  il  segreta- 
rio de'  memoriali;  Mci!>istcr  libello- 


MEM 

rum  et  memorine  j  del  Pupa  :  D. 
N.  Pii  IX.  P.  M.  surnmus  scrina- 
rius  a  libellìs;  il  cardinal  segreta- 
rio de' memoriali  :  Cardinalis  surn- 
mus scrinarius  a  lihellis.  Dopo  es- 
sere stato  segretario  de' memoriali , 
fu  maestro  di  camera:  In  nula 
posi  supplicuni  prects  ah  admis- 
sionihus  fuity  come  si  legge  nc\  Lex. 
epigr.  Morcell.  di  mons.  Gain  beri - 
ni.  Nel  sigillo  che  il  degno  e  attuale 
cardinal  segretario  de'memoriali  ap- 
pone ai  rescritti  ex  audienti  a  ss.  e 
che  sottoscrive  A.  Card.  Altieri,  si 
legge  in  ^\vo\  Aloy.  Tit.s.  Marìaein 
Pori.  S.  R.  E.  Presb.  Card.  Aliie- 
rì  ss.  D.  N.  Pii  IX  a  secr.  sup. 
Lihell.  Prima  di  parlare  del  cardi- 
nal segretario  de'  memoriali  ripor- 
teremo alcuni  aneddoti  sui  memo- 
riali riguardanti  i  Papi,  e  se  essi 
furono  facili  o  cauti  nel  fare  gra- 
zie, di  che  pur  parlammo  agli  ar- 
ticoli BENEFrzi,  Carica,  Dignità', 
Dispense,  ed  altri,  non  che  alle  loro 
rispettive  biografie. 

Benedetto  Xll  eletto  in  Avigno- 
ne nel  1 334  fu  premiatore  de'soli 
meritevoli,  soppresse  l' abuso  delle 
grazie  aspettative,  ed  ordinò  che  si 
registrassero  tutte  le  concessioni  e 
se  ne  conservassero  gli  originali, 
ond'  ebbe  origine  nella  curia  roma- 
na il  registro  delle  suppliche.  Ma 
tale  virtuosa  moderazione  giovò  al 
successore  Clemente  VI,  che  nello 
spazio  di  due  mesi  volle  che  fos- 
sero gratuitamente  spedite  tutte  le 
grazie  che  furongli  domandate,  e 
perciò  quasi  tutti  gli  ecclesiastici  di 
Europa  si  mossero  per  Avignone 
in  numero  circa  di  centomila  per 
godere  i  frutti  della  pontificia  libe- 
ralità; quindi  non  rimase  alcun 
beneficio  vacante,  e  tornarono  alle 
loro  case  ricolmi  di  grazie  e  di  be- 
nefizi, facendo  ancora  Clemente  V  l 


MEM  MEM                   i83 
un  gran  numero   di  riserve  di  ve-  mano,  e  con  ambedue  lacerò  l'islan- 
scovati  e  di  abbazìe,  e  rigunrdan-  ?a,  come  soleva  fare  con  le  riprovevoli 
do  come  nulle  l' elezioni  de' capitoli  suppliche  di   tal  natura.  Giulio  III 
e  delle  comunità:    a  quelli   poi  che  del    1 55o    nella  sua    generosità    se 
gli  rappresentarono    non  aver  tenu-  passava    alcun    giorno    senza    aver 
to    questa     condotta    i  suoi    prede-  fatto  ai    cardinali    qualche     grazia, 
cessori.  Clemente  VI  soleva  rispon-  non    poteva     prender    sonno    nella 
dere,  ch'essi  non    avevano    saputo  notte.  Marcello   li  che  gli   successe, 
essere  Papi.    Gregorio    XI,  circon-  «i   ricusò  di  esaudire  l' ambasciatore 
dato  dal  padre,  dai    fratelli     e  dai  di  Spagna,  che  implorò  grazia   per 
nipoti,  a  loro    sollecitazione    accor-  un  cavaliere  romano  reo  di   omici- 
dò    molle    grazie,   che  non    furono  dio;  leggeva  maturamente  le   lettere 
sempre  distribuite  con  buona  scelta  ;  ed  i  memoriali,  e  prendeva   volen- 
ebbe  però  la  gloria  di   restituire  a  tieri  consiglio   dalle  persone  probe. 
Roma  nel    iSyy   la    residenza  pon-  Pio  IV  del    iSSg  per  bisogno  di 
tifìcia.  Bonifacio  IX,  adorno  di  belle  denaro  si   trovò  costretto  d' impor- 
doti,   fu   poco  istruito  dello  stile    e  re  gabelle,    che  produssero  malcon- 
degli  aifari  della    corte    romana,  il  tento    e  congiure    contro  di  lui,  e 
perchè  segnava  senza  scelta  le  sup-  si     giunse    ad    attentare    alla     sua 
pliche  ed    i  memoriali,  pronunzian-  vita    nell'  atto    di    presentargli    un 
do  ciecamente    sul    rapporto    degli  memoriale:    noteremo,    che   Enrico 
uffjziali  suoi.  Alessandro  V  del  i4o9>  ^^1   i'^  <^'i  Francia  fu  pugnalato  da 
d'animo  grande,  si  governò  pei  con-  chi  prese    il    pretesto  di  presentar- 
sigli  del  cardinal  Cossa,  che  gli  sue-  gli  suppliche.     Gregorio    XUI    del 
cesse  col  nome  di  Giovanni  XXIII,  1572   pose  la   maggior     sua    gloria 
e  la    passione   di    far     grazie  e    di  in  dispensar    favori,  e  perciò    con- 
contentar tutto  il    mondo,  gli  prò-  tava  perduto    quel    giorno     in    cui 
cacciò  la  taccia  d'imprudente  ed  in-  non  esercitasse  la  sua  innata  bene- 
considerato,  dappoiché  volendo  sod-  ficenza.  11  cardinal  Alessandro  Pe- 
disfaie    e   contentare   i  supplicanti^  retti  nipote    di  Sisto    V,    die    ciu- 
distrìbui  benefìzi,  abbazie,  vescova-  quanta  scudi  a  chi    con   un  memo- 
ti    e    cariche    di    corte  a     quei  che  riale  ne    in)plorava   cinque,   e  cin- 
nieno  le  meritavano  se  le  loro  qua-  quemila    a    chi    ne   aveva    doman- 
lità  fossero  state  esaminale  con  di-  dati     cinquecento,  JVel    i5.9i   appe- 
scernimento.  Fu   poi   tanta     Tinte-  na  eletto  Innocenzo  IX,  concorren- 
giilà  di  Leone    X    del    i5i3  nella  do  a  lui  diversi    cardinali  per  prc 
collazione  de'    benefìzi ,    che  incul-  garlo  con     memoriali     per   qualche 
cava  a' ministri  non  fargli  concede-  grazia,    secondo  il    consueto  in  tale 
re  grazie  da  cui  ne  ridondasse  pen-  circostanza,    egli     invece    prudcnte- 
timento;  e  quando  Giovanni  Blan-  mente  ricusò  a   tutti  di  farle,  pro- 
cio  suo  cameriere  gli  presentò    un  testandosi   nulla  risolvere  improvvi- 
memoriale    di    domanda    incompe-  samente    e  senza     matura  riflessio- 
tente,    lo    interrogò    quanto    eragli  ne;  ed  al  cardinal    Caetani  che  gli 
stalo  promesso  per  la  consecuzione  domandò  grazia  per  d.   Giannanto- 
deila  grazia;  e  venendogli  vilmente  nio  Orsini,  coli' offerta  di  certa  som- 
risposto,  duecento  scudi,  questi  glie-  ma  di  denaro,  rispose  :  non  voglia- 
le diede    generosamente, con    una  ma  denari,  ma  ubbidienza.  Il  cita- 


i84  MEM 

to  Parisi ,  t.  I,  p.    2  38,    cap.    VI, 
Risposta    alle   domande,    dice    che 
queste    sono  o    concessive,  o  nega- 
tive,  o    sospensive,   quindi    riflette, 
che  quando    l'animo    è    commosso 
da  qualclie  straordinaria  allegrezza, 
non  sia  1'  uomo  facile  a  rispondere, 
rna  esamini  prima  le     domande,  e 
differisca  le  risposte  a  tempo  che  le 
passioni  siano    pacate.   Il    Pontefice 
Paolo  V,  come  ancor  noi  dicemmo 
altrove,  saggiamente  si  astenne  nel 
bollore    della    sua    esaltazione    dal 
dispensar    grazie  ,     dicendo    essere 
quel  tempo  esposto    alle    domande 
ed  alle  concessioni  di  cose  ingiuste 
o  disdicevoli,  e  che    avrebbero  poi 
l'ecato  pentimento,  come  notò  pure 
il  Muratori  negli  Annali  d' Italia. 
Si  dee    sempre    concedere,    purché 
non  sia  contro  la  giustizia,  ciò  che 
negato  pur  si    farebbe    colla    forza 
contro  la  volontà  nostra.  I  grandi 
domandano  con  animo  di  ottenere, 
e  sono  sensibili  alle  negative,  e  per- 
ciò a  questi    mai    non  si    nega    e- 
spressamente  ciò    che  loro    non    si 
concede;  ma  tirando  la  cosa  in  lun- 
go, si  mostra  disposizione  di  farla, 
rimosse    che    sieno  le    difficoltà,  le 
quali  si  oppongono.  Guardisi  chiun- 
que di  non  consentire,  per  umano 
rispetto,  a   minima    cosa    contro   il 
giusto  e  r  onesto.  Spesso  le  negative 
si  danno  col  non  dar  risposta,  mas- 
sime a  persone  inferiori,  che  ordi- 
nariamente domandano  cose  assur- 
de ;  potendo  il    silenzio    equivalere 
ad   una  meno    spiacevole    negativa. 
La  difficoltà  sta    nel    rispondere  a 
coloro,  coi  quali  non  si  può  tacere, 
ed  è  perciò  nece-ssario  di  giustificar 
i  motivi  per    cui  si  nega.    Le  più 
ingegnose  risposte   sono    le    sospen- 
sive, nelle  quali  né  si  concede,  né 
si  nega,  ma    senza  dar    nulla  si  fa 
vedere  lu  buona  disposizjone  dcll'a- 


MEM 

nirno.  Se  non  si  consola  colla  grs|- 
ù^,  non  si  disgusti  con  una  troppq 
cruda  negativa;  il  no  è  una  pillola 
disgustevole  per  tutti,  e  deve  indo- 
rarsi colla  gentilezza  delle  parole. 
Fin  qui  il  Parisi. 

Innocenzo  X  del  i644  fu  savio 
e  circospetto  nel  parlare,  tardo  nel 
risolvere,  e  però  difficile  in  far  gra-  j 
zie  all'improvviso,  onde  mentre  era^ 
prelato  si  acquistò  il  nome  di  mon- 
signore  non   si   puh.    Amantissimo 
della  giustizia,    riceveva    amorevol- 
mente per  la  città  i  memoriali  dei 
ricovrenti,  affine    di  tener  in  freno 
i  suoi  ministri.    Il  celebre  cardinal 
Gaspare  Carpegna  vicario  di  Roma, 
e  prefetto    de'  riti    e    de'  vescovi  e 
regolari,  fu  poco  amato  dai  romani, 
forse    perché    ne'  43  anni    del    suo 
cardinalato  a  tutti  i  memoriali  ri- 
spondeva di  no,    sebbene  poi  tutto 
benignamente  accordasse.  Si  rimar- 
cò che  il  cardinal  Marcantonio  An- 
sidei,  di  gran  dottrina    e  zelo  pa- 
storale, spesso    si  mostrava    turbato 
ed  inquieto  al  ricorso  delle  suppli- 
che. Clemente  XI  soleva  dire  ch'è 
indegno  degli  onori   chi  li  doman- 
da ;  e  per  la  sua  dolcezza  se  dove- 
va negar  alcuna  cosa  Io  faceva  sen^- 
pre  con  buona  grazia,  né  gli  man- 
cavano all'occasione  risposte  argute. 
Per    sentimento     dell'  Algarotti,  fu 
grazioso  quel    giuoco   di  parole  col 
quale  Clemente    XI     rescrisse    alla 
memoria    d'  un    religioso    de'  servi 
che  implorava  il  cardinalato  :  reste- 
rà seivita.    Benedetto    XIII    per  la 
sua  gran    bontà    fu    ingannato    da 
diversi     de'  suoi    ministri,    segnata- 
mente dal  cardinal  Coscia  segreta- 
rio de' memoriali,  per  la  falsità  dei 
rescritti  con  cui  si   procacciò  il  ri- 
sentimento de'  romani,  e  venne  pro- 
cessato   da    Clemente     XII,  quindi 
punito.  (Questo    Papa    qon    sapeva" 


MEM 
negarsi   alle  suppliche  giuste,  e  fo- 
cile si  mostrò  nel  sentire  i  ricorsi. 
Benedetto  XIV  fu  grazioso  e  pieno 
di  spirito  nell'ascoltar  le  domande, 
nel  ricevere  le    istanze,  e  nel  farvi 
rescritti.  Pio  VI  di  buona  volontà 
ascoltava  i  ricorsi  e  reclami  de'sud- 
diti,  e  ne'  sei    mesi    che    abitava  il 
Vaticano,  in  discendere  ogni  giorno 
nella  contigua  basilica,  benignamen- 
te riceveva    da    tutti  i    memoriali, 
ed  a  tutti  dava  sollecitamente  cor- 
so, facendo  di  proprio  pugno  1'  op- 
portuno rescritto,  con  indicarvi  tal- 
volta le  ragioni  che  determinavano 
il  suo  animo  a    condiscendere  o  a 
negare  le  grazie    richieste,  e  qual- 
cuno fu  anche   pieno  di    spinto.  A 
Pio  VII  fu    presentato    un  memo- 
riale scritto  con   un  sonetto,  in  cui 
il  supplicante  reclamò  contro  la  pen- 
sione, che   da    scudi    dodici    eragli 
Stata    ridotta    a  sei,   giuocando  sul 
numero    dodici.    Il    Papa    rescrisse 
graziosamente:  Si  rientri  nel  dodi- 
ci principiando  dal  dodici  del  pre- 
sente   mese.    Leone    XII,  amatore 
della  giustizia,  con  piacere   riceveva 
i  ricorsi,  ed  alcuni  suoi  rescritti  fu- 
rono   anche    lepidi     e     sentenziosi. 
Ad   un    bisognoso    letterato    poeta 
(  il  Bettinelli  dice  che  1'  oro  fu  sem- 
pre rarissimo  metallo    in  Parnaso) 
che  domandava    soccorso,  il    Papa 
fece  questo  rescritto:  Consoli  il  pò- 
{'eretto,  il  nostro  tesorier  con  tren- 
ta scudi,  e  se  vuol  guadagnar  tra- 
vagli   e  sudi.  Gregorio  XVI  fu  fa- 
cile ad  accogliere   benignamente  le 
istanze    ed    i    ricorsi,  benché    mol- 
tiplicatisi a' nostri  tempi  in  un  mo- 
do eccessivo.  Le  riceveva  all'udien- 
za,    per    la    posta  ,    per    le   busso- 
le   ch'erano   all'  ingresso    del    pa- 
lazzo,   e  in    sala,  non  che   quando 
incedeva  per    la  città,  nelle  villeg- 
giature e  ne' viaggi.   Fu  infaticabile 


MEM  i85 

nel  leggere  i  memoriali  e  farvi  re- 
scritti, ed  oltre  quelli  che  mandava 
in  segreteria    de'  memoriali    per  la 
dispensa,    segnandoci    di  suo    vene- 
rato carattere  a  pie  di  essi  il    no- 
me del  petente    se  non  vi  era,  pel 
più    facile    ritrovamento,    im    gran 
numero    con    paterna    sollecitudine 
direttamente  li  faceva  ricapitare  ai 
rispettivi    ministrij  o  ad    altri    per 
prendere  segrete    informazioni,  per 
mostrarsi  nelle  domande  ragionevoli 
caritatevole    e    indulgente,  e  giusto 
ne'  reclami.  Talvolta  ancor  egli  fe- 
ce de'rescritti  graziosi  e  con  ispirito. 
■Gli  fu    presentato    un    memoriale,  • 
in  foi'ma  di   componimento  poetico, 
in  cui    l' oratore  domandò    la    di- 
spensa di  tre    anni  per    istudiar  la 
giurisprudenza  nell'  università  roma- 
na, chiedendo  al   Papa   tre  de' suoi 
anni.  Gregorio  XVI  di  suo  pugno 
rescrisse:  Ritenendoci  i  Nostri,  di- 
spensiamo in   vece  l'oratore  dai  tre 
anni    che   gli    mancano    per    essere 
ammesso  agli  studi  in  Sapienza. 

L'origine  del  segretario  de' me- 
moriali è  antica,  ma  non  si  può 
precisarne  l'epoca.  Che  sempre  vi 
sìa  stato  nella  corte  pontifìcia  un 
ministro  specialmente  incaricato  a 
riferire  le  suppliche,  almeno  dopo 
che  i  Papi  esercitarono  il  dominio 
temporale,  sembra  plausibile,  come 
quelli  che  amarono  sempre  di  ascol- 
tare e  rendere  ragione  al  potente 
come  al  povero,  alla  vedova,  al  pu- 
pillo ed  a  chi  vien  fatto  torto,  men- 
tre il  loro  animo  pietoso  e  carita- 
tevole si  diffuse  coi  bisognosi  fino 
dai  primi  loro  santi  predecessori. 
Quanto  poi  al  vero  suo  titolo,  se 
non  può  stabilirsi  in  uno  di  quelli 
ricordati  di  sopra,  pare  doversi  ri- 
conoscere in  imo  de*  quei  tanti  Se- 
gretari apostolici  [Fedi),  ch'ebbero 
i  Pontefici  sin    da   epoclie   remale. 


i86  MEM 

iS'ella  relazione  composta  in  Pisa 
sul)ito  dopo  l'elezione  di  Alessan- 
dro V  nel  1409,  di  tuttociò  che 
occoneva  per  servigio  del  Papa, 
pubblicata  dal  Muratori,  Script,  rer. 
JlaL  t.  in,  par.  Il,  p.  822,  e  dal  p. 
Gallico,  Àcta  caerem.p.  iji:  XXII I, 
De  regi.slratione  supplicalionum,  si 
legge.  «  llem  in  palatio  apostolico 
est  consuetum,  quod  assignetur  ca- 
uiera  prò  registro  supplicalionum, 
in  quo  odlcio  solent  esse  duo  ;  sed 
nullus  eorum  aliquam  provisionem 
recipit  in  palatio  ".  JNel  ruolo  di 
Pio  II  del  1458  non  è  nominato 
espressamente  il  segretario  de'  me- 
moriali. Nei  inoli  palatini,  che  in- 
cominciano d;i  Giulio  III  del  i55o, 
in  quello  di  Paolo  IV  fjno  notali 
due  registratori  delle  suppliche,  il 
custode  del  registro,  il  registratore 
ili  segreteria  messer  Cornino,  Nel 
ruolo  di  Sisto  V  e  nel  novero  dei 
segretari  e  registratori,  lessi  alla 
cura  de'  memoriali  monsignor  An- 
tonio Piccioni  cappellano  segreto, 
con  parte  di  pane,  vino,  cavalli  e 
rnantenimento  di  essi,  servo,  legna, 
candele ,  olio,  ec.  e  scudi  dodici 
mensili  per  companatico.  Ne*  ruoli 
di  Urbano  Vili  si  trovano  due  so- 
stituti del  segretario  de'  memoriali, 
il  distributore  delle  suppliche,  i  due 
primi  con  parte  di  pane  e  vino,  e 
scudi  nove  mensili  per  ciascuno  in 
compenso  del  companatico,  il  secon- 
do colla  sola  parte  di  pane  e  vino. 
Nella  Relazione  della  corte  di  Ro- 
ma, del  cav.  Lunadoro,  edizione 
del  1646,  a  p.  18  si  dice:  il  se- 
gretario de'  memoriali  suole  essere 
il  Maestro  di  camera  del  Papa 
(P^edi).  Sotto  Clemente  XI  due  e- 
rano  i  sostituti  de'  memoriali,  cioè 
Pietro  Terroni  e  Carlo  Fabri  con 
scudi  6  e  bai,  12  per  ciascuno;  d 
segretario  de'  memoriali  come  i  ca- 


MEM 
merieri  segreti,  avea  come  i  came- 
rieri segreti  partecipanti,  prima  men- 
sili scudi  trentaquallro  e  bai.  i5 
con  la  parte  di  palazzo,  e  poi  scu- 
di quarantacinque  col  solo  pane  e 
vino,  e  tolto  il  mantenimento  dei 
cavalli  e  le  altre  cose,  ricevendo 
nella  distribuzione  delle  medaglie 
due  d'oro  e  due  d'argento.  Qui 
noteremo  ch'erano  anticamente  sì 
rare  le  presentazioni  de'  memoriali 
al  Papa ,  che  Francesco  Valesio 
nella  minuta  descrizione  del  posses- 
so che  prese  nel  1701  Clemente 
XI,  notò  che  vicino  al  Colosseo  gli 
fu  presentato  un  memoriale,  che 
ioiraediatamente  si  pose  a  leggere 
benché  cavalcasse;  e  che  ritornan- 
do alla  sua  residenza  in  carrozza 
coi  cardinali  palatini,  vicino  al  det- 
to luogo  gli  fu  presentato  altro 
memoriale. 

Lo  Chattard  nella  Descrizione 
del  palazzo  apostolico  Praticano, 
pubblicata  nel  1766,  t.  II,  cap. 
XVIII:  Appartamento  di  monsignor 
segretario  de' memoriali,  ecco  come 
lo  descrive.  Su  la  dritta  del  ri- 
piano del  secondo  piano  delle  log- 
gie,  presso  la  pittura  che  rappre- 
senta s.  Pietro  in  atto  di  liberar 
la  suocera,  ed  un'arma  dipinta  di 
Pio  IV  con  putti  genuflessi,  incon- 
trasi porta  che  sale  due  gradini,  eoa 
stipiti  ed  architrave  di  travertino 
scorniciati  ed  orecchiali,  la  quale 
introduce  nell'  appartamento  di 
monsignor  segretario  de'  memoriali, 
composto  di  diciassette  stanze  tra 
grandi  e  piccole  con  la  cucina,  non 
compresi  però  due  corridorelli  ; 
sette  delle  quali  stanze  pivi  grandi 
sono  tutte  in  uno  stesso  piano,  e 
le  altre  stanze  più  piccole  a  guisa 
di  mezzanini,  che  situale  sono  in 
diversi  piani  di  sotto.  Questo  ap- 
parlameulo   nella  matliua   del  gio- 


vedi  santo  e  di  Pasqua  serve  ai 
personaggi  che  inlerveiigono  a  ri- 
cevere la  benedizione  (ora  la  pren- 
dono sul  loggiato  che  formasi  sulla 
galleria  o  vestibolo  vicino  delia  con- 
tigua basìlica)  che  sì  dà  dalla  log- 
gia di  s.  Pietro  dal  Papa,  e  per  ri- 
poso anco  di  due  cardinali,  che  nei 
suddetti  giorni  vi  si  trattengono.  In 
tempo  di  conclave  (quando  si  fa- 
ceva al  Vaticano)  vengono  divise 
le  dette  stanze,  cioè  parte  servono 
per  cucina  e  credenza  di  un  car- 
dinale ;  e  dall'  altra  parte  per  abi- 
tazione di  monsignor  commissario 
del  conclave,  il  quale  avea  l'ingres- 
so dalla  porta  che  riesce  sulle  se- 
conde loggìe.  Neil'  edizione  del  Lu- 
nadoro  citato,  colle  giunte  del  Zac- 
caria del  1774»  t-  ^Ij  cap.  XXVI, 
Del  segretario  de'  memoriali,  si  leg- 
ge. Carica  ora  da  prelato,  ora  da 
cardinale  occupata,  ed  ordinaria- 
mente dal  cardinal  nipote  o  pa- 
drone, come  quello  che  venendo 
per  lo  più  dichiarato  primo  mi- 
nistro o  Segretario  di  stato  [Fedi), 
cosi  essendo  rilevantissimi  gli  alFa- 
ri,  che  per  mezzo  de'  memoriali 
presentati  vengono  a  Nostro  Signo- 
re, è  convenevole  cosa  ch'essi  pu- 
re per  le  mani  passino  di  tal  mi- 
nistro. Questo  adunque  come  se- 
gretario de'  memoriali  rifierisce  al 
Pontefice  tutte  le  inchieste  in  iscrit- 
to, o  di  grazia  o  di  giustizia,  ed 
egli  spedisce  il  rescritto  a  seconda 
delle  intenzioni  e  risposte  dello 
stesso  Papa. 

Nel  pontificalo  di  Pio  VI  il  car- 
dinal Rezzonico  prò  segretario  dei 
memoriali,  avea  dal  palazzo  apo- 
stolico mensili  scudi  cento,  ma  sen- 
za parte  di  pane  e  vino  ;  mon- 
signor Innocenzo  Mercati  cappel- 
lano segreto  soprannumero,  bene- 
ficialo   di    san    Pietro,    e    soslilulo 


MEM  187 

nella  segreteria  de* memoriali  prima 
del  1778,  e  per  tutto  il  pontifica- 
to, avea  con  pane  e  vino  scudi 
sei  e  bai.  la;  d.  Carlo  Buccella 
secondo  sostituto,  ed  un  aiutante, 
pane,  vino  e  scudi  sei  ;  più  quattro 
soprannumci'ì,  ed  i  due  primi  con 
la  soia  parte  di  palazzo.  Nel  ponti- 
ficato di  Pio  VII  fece  da  sottose- 
gretario, ma  senza  titolo,  monsignor 
Paolino  Mastai  Ferretti  prelato  do- 
mestico, canonico  vaticano,  e  zio 
del  regnante  sommo  Pontefice.  Nel 
i8i4  Pio  VII  lo  promosse  alla  ca- 
rica di  luogotenente  dell' A.  C.  ; 
quindi  monsignor  Bernardino  Lu- 
zi  referendario  di  segnatura  fu  fat- 
to sotto-segretario  de'  memoriali  , 
poi  canonico  di  s.  Maria  Maggiore, 
chierico  di  camera,  e  presidente 
dell'  annona  e  grascia  :  sotto  di  es- 
so eranvi  due  sostituti,  un  ainl;inte 
e  due  soprannumeri.  Nel  1823  di- 
venne sotto  •  segretario  monsignor 
Filippo  de  Angelis  cameriere  segreto 
sopicinnumerario,  al  presente  cardi- 
nal arcivescovo  di  Fei  mo  ;  ed  eranvi 
nella  segreteria  l'odierno  sosliluto 
entrato  per  soprannumero  nel  1819, 
ed  altro  giubilato,  con  un  aiutante 
e  due  soprannumeri;  nel  1826  ces- 
sò la  carica  di  sotto-  segretario,  e 
restò  capo  della  segreteria  de' memo- 
riali il  sostituto  o  sostituti  come,  lo  è 
ancora.  Nel  i83o  oltre  il  sostituto 
con  scudi  quaranta  mensili,  si  tro- 
vano tre  minutanti,  con  scudi  ven- 
tidue il  primo,  e  gli  altri  con  scu- 
di venti  e  bai.  So,  ed  un  soprannu- 
mero con  scudi  dieci:  l'abitazione 
nel  palazzo  Quirinale,  oltre  il  sosti- 
tuto, la  gode  anche  il  primo  mi- 
nutante. Nel  pontificato  di  Grego- 
rio XVI  l'attuale  sostituto  monsi- 
gnor Lorenzo  Averardi  fu  da  lui 
fatto  cameriere  d' onore,  e  portato 
iu  diverse  vilieggialure  a  vantaggio 


i86 


MEM 


de'  supplicanli,  mentre  nell'  uUima 
e  ne' suoi  viaggi  fece  fungerne  l'uf- 
fizio da  un  cameriere  segreto  par- 
tecipante, per  essere  il  sostituto  oc- 
cnpato  nel  disbrigare  gli  aifari  del- 
la segreteria;  ed  ai  memorati  in- 
dividui dalla  segreteria  furono  ag- 
giunti due  soprannumeri. 

La  segreteria  de' memoriali  è  nel 
palazzo  Quirinale  dalla  parte  della 
panetteria,  e  del  suo  segretario  so- 
stituto e  ministri  ne  parlammo  al- 
l'articolo Famiglia  Pontifìcia  (^Ve- 
di). Anticamente  la  carica  di  segre- 
tario de'  memoriali  era  prelatizia, 
per  cui  diversi  cardinali  segretari 
de' memoriali  ebbero  il  titolo  di 
pro-segrelario,  come  si  potrà  rile- 
vare dal  Villetti,  Pratica  della  cu- 
ria romana  t.  II,  par.  II,  cap.  I, 
e  dalla  serie  che  mi  è  riuscito 
formare  di  molti,  secondochè  furo- 
no pubblicali  nelle  annuali  Notizie 
di  Roma,  da  me  esaminate.  Il  car- 
dinal segretario  de'memoriali  è  Pa- 
latino [Fedi},  ed  il  Papa  lo  no- 
inina  a  mezjo  del  cardinal  segre- 
tario di  stato  :  la  carica  termina 
polla  vita  del  Pontefice  o  per  pro- 
mozione, ed  alcuna  volta  fu  con- 
fermato dal  successore.  Viene  con- 
siderato, come  lo  era  il  prelato  se- 
gretario, nelle  distribuzioni  di  cui 
parlammo  a  Maestro  di  Camera  , 
qual  cameriere  segreto  partecipante, 
ricevendo  da  tal  monsignore  quat- 
tro medaglie  d' argento,  e  due  il 
sostituto,  quando  ne  ha  luogo  la 
dispensa.  11  cardinal  segretario  dei 
memoriali,  come  uno  de'  cardinali 
palatini,  ne  gode  le  prerogative, 
prende  rango  tra  essi  secondo  l'an- 
zianità della  loro  nomina,  ed  in- 
terviene in  quelle  funzioni  in  cui  i 
medesimi  hanno  luogo,  delle  quali 
parlammo  ai  rispettivi  articoli,  ed 
fi    quelJQ   di    Maestro   di   Cambra, 


MEM 
Risiede  nel  palazzo  Quirinale,  ove 
ha  decorosa  abitazione,  sebbene  tal-» 
volta  ottennero  di  restare  ne'  propri 
palazzi,  come  il  cardinal  Giovanni 
Guerrieri  e  l'attuale  sullodato.  Ha 
l'udienza  dal  Papa  ogni  lunedi  e 
venerdì  mattina ,  ed  in  sua  as- 
senza ed  impotenza  1'  ha  il  sosti- 
tuto, il  quale  per  esso  sottoscrive 
ancora  i  rescritti,  e  di  suo  carat- 
tere come  il  cardinale  rimette  con 
rescritti  i  memoriali  a  quei  mini- 
stri, congregazioni  e  tribunali  cui 
appartengono  le  domande.  Dal  pa- 
lazzo apostolico  il  segretario  ha  an- 
nui scudi  seicento,  come  i  camerie- 
ri segreti  partecipanti.  Nella  segre- 
teria de' memoriali,  oltre  la  dispen- 
sa, previo  registro,  de'  venerati  re- 
scritti di  pugno  del  Papa,  del  car- 
dinal segretario  e  suo  sostituto,  si 
distribuiscono  anche  quelli  delle  i- 
stanze  ivi  portate,  nelle  materie  o 
da  riferirsi  al  Pontefice,  o  di  quel- 
le cui  esso  ha  accordato  facoltà  al 
cardinale,  la  quale  è  più  o  meno 
estesa  secondo  il  beneplacito  dei 
Papi.  Pio  VII  fu  largo  nelle  facol- 
tà concesse  al  cardinal  segretario 
de'  memoriali.  Pio  Vili  le  restrin- 
se alquanto,  e  di  piìi  Gregorio  XVI 
parco  e  salutarmente  moderato  ueU 
l'accordare  grazie  spirituali,  dispen- 
se e  indulgenze,  bramoso  eziandio 
che  gli  affari  si  discutessero  dalle 
congregazioni  e  tribunali  perciò  sta- 
biliti dalla  sapienza  e  provvidenza 
de'  suoi  predecessori.  Ecco  la  serie 
de'  segretari  de'  memoriali,  che  me- 
diante molte  ricerche  abbiamo  con 
sicuiezza  potuto  formare;  le  notizie 
di  quelli  che  furono  creati  cardi- 
nali, o  di  quelli  eletti  in  tal  grado, 
le  riportiamo  alle  loro  biografie. 

Giulio  Canano  feirarese,  segreta- 
rio del  cardinal  del  Monte,  dive» 
luilo   questi    nel    i55q    Giulio  III, 


MEM 
gli  confen  illimilala  autorità  di  sot- 
toscrivere in  suo  nome  qualunque 
memoriale  e  scrittura  che  più  gii 
fosse  slata  in  grado,  lo  che  fedel- 
mente eseguì,  oude  se  non  moriva 
l'avrebbe  creato  cardinale,  come  poi 
fece  Gregorio  XIII, 

Sebastiano  Pighini  d'  Arcete  dio- 
cesi di  Reggio,  nel  maggio  i552 
da  Giulio  III  creato  cardinale,  e 
segretario  de*  memoriali ,  secondo 
Kovaes. 

Guglielmo  Sirleto  di  Calabria, 
f;iaiigliare  del  cardinal  Cervini,  che 
divenuto  Papa  MarcelloII  nei  i555 
lo  dichiarò  segretario  de'memoriali, 
e  Pio  IV  lo  creò  cardinale. 

Giambailisla  Osio  romano,  ve- 
scovo di  Rieti,  da  Paolo  IV  nel 
ì555  fu  dichiarato  segretario  dei 
memoriali  con  grande  autorità  e 
favore  nelle  cose  d' importanza,  ma 
poi  Io  cacciò  per  quattro  anni  in 
ima  prigione  nel  Castel  s.  Angelo, 
per  la  sua  alterigia,  e  maniere  vil- 
lane colle  quali  si  conduceva  nel 
suo  impiego,  e  pei  sospetti  che  su 
di  esso  avea  formato. 

Carlo  Borromeo  milanese,  nipote 
di  Pio  IV,  il  quale  appena  eletto 
nel  1559  Io  fece  segretario  de'me- 
moiiali,  e  nel  seguente  gennaio  car- 
dinale e  segretario  di  stato  :  Paolo 
V  lo  canonizzò. 

Francesco  Adriano  Ceva  di  Mon- 
dovi  ,  segretario  e  conclavista  del 
cardinal  Barberini,  che  divenuto  nel 
1623  Urbano  Vili,  lo  fece  segre- 
tario de'memoriali,  indi  maestro  di 
camera,  nunzio,  segretario  di  stato, 
e  nel    i643  cardinale. 

Luca  Antonio  Virili  romano, 
maestro  di  camera  o  maggiordo- 
mo del  cardinal  Barbeiiui  nipote 
di  Urbano  Vili,  il  quale  lo  promosse 
a  segretario  de'  memoriali,  presi- 
dente d'Urbino,  e  cardinale  ucl  iG-zg. 


MEM  189 

Giuseppe  FrenfanclU  di  Spoleto 
canonico  di  s.  Pietro,  fatto  da  In- 
nocenzo X  segretario  de'  memoria- 
li, segretario  del  sacro  collegio,  e 
perciò  chierico  d' Italia,  ossia  segre- 
tario della  concistoriale,  custode 
dell'  archivio  dei  cardinali ,  e  ca- 
meriere segreto  :  così  dal  breve 
Romanns  Pontifex,  de'27  settembre 
1647,  Bull.  Pxom.  t.  VI,  par.  IH, 
p.  127.  Qual  segretario  de'  memo- 
riali cavalcò  nel  possesso  preso  da 
Innocenzo  X  nel  i644>  tra  i  ca- 
merieri segreti  partecipanti. 

Costanzo  Centofiorini  dì  Recanati, 
canonico  vaticano,  da  Innocenzo  X 
fatto  maestro  di  camera  e  segreta- 
rio de'  memoriali,  prefetto  dell'  ar- 
chivio vaticano  che  riordinò  ed  a 
sue  spese  abbellì,  entrò  poi  nella 
couìpagnia  di  Gesù,  come  scrive  il 
p.   Calcagni.    Meni.   stor.    p.   249. 

Celio  Piccoloniìni  sanese,  valente 
avvocato,  tngino  e  conclavista  del 
cardinal  Bighi,  o  del  cardinal  Chi- 
gi che  divenuto  nel  i655  Alessan- 
dro VII,  lo  promosse  a  segretario 
de'  memoriali  e  cameriere  segreto, 
canonico  valicano,  indi  nunzio,  e 
cardinale  nel    i664- 

Polunnio  Band  ine  Ili  sanese,  A- 
lessandro  VII  suo  amico  lo  nomi- 
nò cameriere  d' onore,  segretario 
de'  memoriali,  maestro  di  camera, 
maggiordomo  ,  e  cardinale  nel 
1657. 

Filippo  Nini  sanese,  già  aiutan- 
te di  studio  di  monsignor  Chigi, 
che  eletto  Alessandro  VII,  nel  i656 
lo  dichiarò  segretario  de'memoriali, 
indi  maggiordomo,  e  nel  1666  car- 
dinale. 

Nicolò  Piccolomini sane&e,  Alessan- 
dro VII  lo  promosse  a  segretario 
de'  memoriali,  carica  in  cui  nel 
1667  lo  confermò  Clemente  IX, 
nella    cui  cavalcata  del  possesso,  in 


igo  MEM 

abito  rosso,  e  con  pelli  di  armelli- 
ni  cavalcò  coli'  elemosiniere,  collo 
scalco,  ed  altri  camerieri  segreti,  ed 
ancora  in  quello  di  Clemente  X  che 
Io  conservò  nell'  uffizio. 

Stefano  /agostini  forlivese,  già 
cameriere  segreto  ed  elemosiniere 
di  Alessandro  VII,  venne  consacra- 
to vescovo  di  Eraclea,  e  fatto  se- 
gretario de'  memoriali  da  Clemente 
IX,  nella  qiiai  carica  perseverò  nel 
pontificalo  di  Clemeiile  X,  promos- 
so al  cardinalato  da  Innocenzo  XI. 
Però  nella  relazione  del  possesso  di 
Clemente  X  del  1670  di  Fulvio 
Servanzio,  leggo  che  cavalcò  mon- 
signor Piccolomini  segretario  de'me- 
moriali,  coli' elemosiniere  Agostini, 
e  coir  uditore  monsignor   Bottini. 

Giambattista  de  Luca  di  Veno* 
sa,  celebre  giureconsulto,  Innocenzo 
XI  lo  dichiarò  prima  suo  uditore, 
poi  segretario  de' memoriali,  e  car- 
dinale nei    i68f. 

Raffaele  Fabretli  di  Urbino,  nel 
1689  Alessandro  YIII  lo  nominò 
segretario  de'  memoriali. 

Pietro  Ottohoni  veneto,  pronipo- 
te di  Alessandro  Vili  che  nel  1689 
lo  creò  cardinale,  indi  segretario 
de'  memoriali  e  soprintendente  ge- 
nerale di   tutto  lo  stato. 

Carlo  Agostino  Fabroni  pistoiese, 
nel  1691  Innocenzo  XII  lo  scelse 
a  segretario  de' memoriali,  nel  169^ 
di  propaganda,  e  Clemente  XI  nel 
1706  lo  fece  cardinale. 

Giuseppe  Sagripanli  di  Narni, 
sotto-datario  d'  Innocenzo  XI,  con- 
fermato da  Alessandro  Vili  che  lo 
fece  segretario  della  congregazione 
d' Avignone  e  di  Loreto,  secondo 
Cardelia,  ed  oltre  a  ciò  nel  1695 
Innocenzo  XII  lo  nominò  segreta- 
rio de'  memoriali  e  cardinale. 

Ulisse  Giuseppe.  Gozzadini  bo- 
lognese, avvocato    concistoriale,  In- 


MEM 
nonenzo  XII  lo  destinò  segrrtnrio 
de'  memoriali  e  de'  brevi  a'  princi- 
pi ;  per  cagione  di  salute  passò  a 
Firenze,  ed  eletto  nel  1700  Cle- 
mente XI  l'invitò  a  scegliere  uno 
de' due  impieghi,  ed  egli  ritenne  il 
.secondo,  indi  nunzio  e  cardinale 
nel    1709. 

Gabriele  Filippucci  di  Maceinta, 
uditore  d'  Innocenzo  XII  che  nel- 
l'assenza da  Roma  del  precedente  J 
lo  fece  pro-segretario  de'meinoriali  ;  * 
quindi  nel  1706  Cle«nente  XI  l'e- 
levò alla  porpora  che  eroicamente 
rinunziò. 

Curzio  Origo  romano,  luogote- 
nente della  camera,  il  suo  amico 
Clemente  XI  appena  eletto  nel 
1700  lo  dichi.irò  segretario  dei 
memoriali,  poi  di  consulta,  e  nel 
171^   cardinale. 

Annibale  Albani  di  Urbino,  dal- 
lo zio  Clemente  XI  nel  17  11  crea- 
to cardinale,  indi  segretario  de'me- 
moriali. 

Alessandro  Albani  di  Urbino, 
chierico  di  camera,  dallo  zio  Cle- 
mente XI  fatto  segretario  de'  me- 
moriali verso  il  17 19,  e  da  Inno- 
cenzo  XIII    nel    172  j     cardinale. 

Bartolomeo  Ruspoli  romano,  go- 
vernatore del  conclave  in  cui  fu  elet- 
to Innocenzo  XIII  che  lo  lece  se- 
gretario de'  memoriali,  da  Benedet- 
to XIII  fatto  di  propaganda,  e 
nel  1780  creato  cardinale  da  Cle- 
mente XII. 

Nicolò  Coscia  di  Benevento,  fa- 
migliare del  cardinal  Orsini  che  di- 
venuto nel  1724  Benedetto  XIII, 
lo  fece  segretario  de'memoriali  ed 
arcivescovo  di  Traianopoli,  coaser- 
vandolo  nella  carica  quando  nel 
179.5  lo  creò  cardinale  ad  onta 
della  opposizione  di  molti  por- 
porati. 

Neri    Maria    Corsini    fiorentino, 


MEM 

lo  zio  Clomenle  XII  nel  1780  Io 
rominò  pinfonolario  e  segielaiio 
de' memoriali,  nel  possesso  cavalcò 
fiii  due  protonolari,  e  poco  dtjpo 
lo  creò  cardinale  con  detta  carica 
e  la  soprintendenza  generale  del 
governo. 

Giuseppe  Livizzani  modenese , 
segretario  della  concistoriale  e  del 
sacro  collegio,  nominato  nel  1740 
segretario  de'memoriali,.e  nel  1753 
cardinale  e  prosegretario  de' memo- 
riali. 

Gio.  Carlo  Boschi  di  Faenza, 
abbreviatore  di  curia,  prelato  do- 
mestico e  canonico  di  s.  Pietro , 
Benedetto  XIV  lo  elesse  segretario 
de' memoriali.  Clemente  XIII  dipoi 
lo  fece  maestro  di  cameia,  e  nel 
1766  cardinale. 

Carlo  Rezzonìco  veneziano,  fatto 
subito  dallo  zio  Clemente  XIII  nel 
1758  segreinrio  de'  memoriali,  e 
poco  dopo  cardinale,  proseguendo 
nella   carica. 

Giuseppe  Mnnassei  di  Terni,  già 
cameriere  segreto  soprannumero  di 
Clemente  XIII,  appena  eletto  nel 
1769  Clemente  XIV  lo  nominò  pro- 
segretario interino  de'memoriali,  in- 
di prolonotario  apostolico  sopran- 
numerario. 

Giovanni  Archinlo  milanese,  nun- 
zio di  Firenze,  nel  1769  da  Cle- 
mente XIV  dichiarato  segrt  tarlo 
de' memoriali,  nel  1770  maggior- 
domo, promosso  nel  1776  al  car- 
dinalato da  Pio  \  I,  questo  fu  l'ul- 
timo prelato  segretario  de'  merao- 
iiali. 

Giambaltisla  Bezzonico  veneto, 
nipote  di  Clemente  XIII,  creato  car- 
dinaie  da  Clemente  XIV,  fatto  nel 
1775  da  Pio  VI  prosegretario  dei 
memoriali  sino  al  1783,  in  cui  va- 
cò la  carica,  e  non  fu  rimpiazzata 
per  tutto  il  pontificalo,  supplendovi 


MEM  19T 

come  si  è  detto  il  sostituto  monsi- 
gnor Mercanti. 

Giuseppe  Doria  Pamphilj  geno- 
vese, cardinale  di  Pio  VI,  nomina- 
to nel  1800  da  Pio  VII  segretario 
de' memoriali. 

Michele  di  Pietro  d'Albano,  car- 
dinale di  Pio  VII,  il  quale  nel 
1809  lo  fece  pro-segretario  de' me- 
moriali, e  quindi  delegato  apo- 
stolico. 

Pier  Francesco  Galleffi  cesenale, 
cardinale  di  Pio  VII,  ritornato  dal- 
la sua  deportazione  nel  i8i4  lo 
fece  prò  segretario  de'  memoriali, 
caiica  in  cui  nel  1823  lo  confer- 
mò Leone  XII,  che  nel  1824  Io 
promosse  a  camerlengo  di  santa 
Chiesa, 

Cesare  Guerrieri  Gonzaga  di 
Mantova,  cardinale  di  Pio  VII,  nel 
1824  Leone  XH,  lo  nominò  pro- 
segretario de'  memoriali. 

Carlo  Maria  Pedici  ni  di  Bene- 
vento, cardinale  di  Pio  VII,  ven- 
ne dichiarato  pro-segretario  de'  me- 
moriali da  Pio  Vili  nel  1829,  in- 
di Gregorio  XVI  nel  i83i  lo  fece 
prefetto  di   propaganda. 

Giacomo  Giustiniani  romano,  car- 
dinale di  Leone  XII,  fatto  nel  i83r 
pro-segretario  de' memoriali  da  Gre- 
gorio XVI,  die  nel  1887  lo  pro- 
mosse   a   camerlengo    di  s.     Chiesa. 

Castruccio  Cnstracane  degli  An- 
Ichninelli  di  Urbino,  cardinale  di 
Gregorio  XVI,  il  quale  nel  1837 
lo  nominò  segretario  de'memoriali, 
e  nel  1889  lo  promosse  a  peniten- 
ziere maggiore. 

Luigi  del  Drago  romano,  cardi- 
nale di  Gregorio  XVI,  che  nel  1889 
lo  ll?ce  segretario  de'memoriali,  e 
mori  nel  1 845  nel  palazzo  Quiri- 
nale, ove  si  praticò  quanto  ha  luo- 
go nella  morte  de'cardinali  palatini, 
da  noi  già  notato  nel  voi.  XXVllI, 


igi  MEM 

p.  J^6  e  4?  ^cl  Dizionario.  Sicco- 
me allorché  mon  la  lettera  D  era 
pubblicata,  così  riportammo  la  sua 
biografia  all'articolo  Maggiordomo, 
nella  serie  di  essi,  come  carica  e- 
sercitata  dal  defunto. 

Lodovico  Altieri  romano,  cardi - 
dinaie  di  Gregorio  XVIj  che  lo  fe- 
ce ancora  segretario  de' memoriali 
nel  1845,  e  nel  giugno  1846  lo 
confermò  il  regnante  Pio  IX. 

Nel  numero    10    del    Diario    di 
Roma    1847   ^'    leggono   i    regola- 
menti fatti  dal  cardinal  Altieri  pel 
miglior   ordinamento   della  segrete- 
ria de*  memoriali,  in  data  25  gen- 
naio, con  autorizzazione  pontificia,  e 
sono  del  seguente  tenore,  i.  La  se- 
greteria de'  memoriali,  incomincian- 
do   dal    primo    febbraio    prossimo, 
sarà  divisa  in  due  sessioni,  l'una  per 
gli  oggetti    ecclesiastici,    l' altra    pei 
civili.  2.  La  sezione  per  gli  oggetti 
ecclesiastici  rimane  nell'attuale  sua 
organizzazione,  e  colle  solite  sue  at- 
tribuzioni.   3.    La    sezione    per   gli 
oggetti    civili    sarà  composta    d'  un 
sostituto,    di    un     aggiunto,    dì    un 
protocollista-archivista,  e  di  un  so- 
prannumero.   4-   Fatta    separazione 
delle  materie  civili  dalle  ecclesiasti- 
che, il  sostituto  della  sezione  civile 
farà    registrare    tutte    le    suppliche 
in  apposito  protocollo.  5.  Il  proto- 
collo dovrà  contenere  sette  divisio- 
ni.   Nella    prima    sarà    inscritto    il 
numero  d' ogni    supplica  ;  nella  se- 
conda il  cognome    ed   il  nome  del 
supplicante  ;    nella  terza    l' anno,  il 
mese  ed    il  giorno,   in  cui   la  sup- 
plica   è  pervenuta    alla   segreteria  ; 
nella  quarta  l'oggetto  della  suppli- 
ca; nella  quinta  il  rescritto  che  vi 
sarà  stato    apposto    dalla    mano  di 
sua  Santità,  o  da  quella  del  cardi- 
nale o  del  sostituto;    nella  sesta  il 
mese   ed    il   giorno    del    rescritto  > 


MEM 

nella     selliraa    le    osservazioni    che 
potranno   occorrere  a   dilucidazione 
del  rescritto  medesimo.  6.  Il  sostitu- 
to formerà  un  ristretto  informativo 
delle  suppliche   che  meriteranno  di 
essere  riferite  a  sua  Santità,  per  ri- 
portarne nelle  ordinarie  udienze  la 
mente    e  la  volontà.  7.  Le  suppli- 
che  non  dovranno    mai  più   ritor- 
nare per    qualsivoglia  motivo  nelle 
mani   dei     postulanti,     ma  saranno 
immediatamente  trasmesse  al  dica- 
stero o  ministero,  al  quale  compe- 
te   r  esaminarle   e    provvedere    in- 
torno   alle  medesime.    8.  Per    con- 
seguenza   dell'  articolo     precedente, 
nel  venerdì  d'  ogni  settimana,  salvi 
i  casi  urgentissimi,  la  segreteria  dei 
memoriali  trasmetterà    le  suppliche 
ai    rispettivi    dicasteri    o    ministeri, 
accompagnate    con    lettera    firmata 
dal  cardinale.  9.  Nella  detta  lettera 
non    .<?'  indicheranno    che  i    numeri 
di  protocollo,  con  cui  sono  segnate 
le  suppliche   trasmesse,  io.   Oltre  il 
suddetto    protocollo,  la    sezione  per 
gli  oggetti  civili    ne  avrà    un  altro 
alfabetico    in     Ire    divisioni.     Nella 
prima  verrà  iscritto    il  cognome   e 
nome  del  supplicante  ;  nella  secon- 
da la  data  del  giorno,  del  mese  e 
dell'   anno,    in    cui    fu    ricevuta    la 
supplica;  nella  terza  il  numero  col 
quale  sta  registrata  la  supplica  me- 
desima    nell'altro    protocollo.     11. 
Coir  aiuto  del   suddetto   protocollo 
alfabetico  si  potranno  riscontrare  al- 
l' istante    le    suppliche    precedente- 
mente   avanzate   da    un  istesso  in- 
dividuo, e  rigettarle  qualora  fossero 
inutilmente  riprodotte.    12.  Il  pro- 
tocollo mentovato  nell'art.  4-°  ^^^'^ 
la  durata  di  un  anno  ;  1'  altro  in- 
dicato nell'art,    io."  sarà    triennale. 
i3.  Nei  giorni  di  martedì  e  di  sab- 
bato  d'ogni  settimana  il  protocolli- 
sta sarà  obbligato  d' indicare  ai  rf • 


MEN 

rliicdenli  il  numero  del  protocollo 
nel  (jiiale  stanno  registrate  le  loro 
.suppliche,  la  data  del  rescritto  che 
fu  apposto  sulle  medesinne,  ed  il 
dicastero  o  ministero  al  quale  fu- 
rono rimesse.  Qualora  il  rescritto 
fosse  negativo,  non  dovrà  occultar- 
ne il  tenore.  i4-  Le  suppliche  che 
\errano  rigettate,  o  riporteranno 
rescritto  negativo,  non  saranno  mai 
restituite,  ma  rimarranno-  protocol- 
late e  conservate  nell'archivio  del- 
la segreteria  per  la  durata  d'  anni 
dieci.  i5.  Accrescendosi  in  forza  di 
questi  nuovi  regolamenti  il  numero 
degl'impiegati  nella  segreteria,  non 
che  la  totalità  delle  spese  richieste 
pel  più  celere  ed  ordinalo  anda- 
mento della  medesima  in  partico- 
lare vantaggio  de'poslulanti,  è  sem- 
brato cosa  giusta  e  conveniente 
che  tale  aumento  non  cada  ad 
aggravare  maggiormente  il  pubbli- 
co erario,  ma  venga  compensato 
da  una  tenue  retribuzione,  da  dar- 
si per  la  redazione  de'  rescritti  che 
si  ritireranno  dalla  sezione  per  gli 
oggetti  ecclesiastici.  Sill'atla  retribu- 
zione, che  dovrà  riceversi  ed  ero- 
garsi per  mero  titolo  di  scrittura, 
non  sarà  che  di  baiocchi  trenta  per 
ogni  rescritto  dal  cardinale  firmato. 
Dell'  incasso  di  tale  retribuzione 
sarà  reso  conto  al  cardinale  alla  fi- 
ne di  ciascun  mese,  onde  venga  e- 
sattamente  erogato  in  rifusione  del- 
le indicate  spese. 

MENANDK I A  NI ,  Menendriani. 
Nome  d'una  delle  piìi  antiche  sette 
de'gnoslici.  Fu  loro  capo  Menandro, 
discepolo  di  Simon  Mago,  samari- 
tano del  borgo  di  Cappa rattea  , 
e  mago  egli  pure  come  il  suo  mae- 
stro, col  quale  avea  comuni  i  sen- 
timentij  tranne  in  alcune  cose  che 
egli  cambiò  per  farsi  capo  d'una 
setta  particolare  di  eretici  .  Inse- 
voi .    xiiv. 


MEN  193 

gnava  esser  egli  la  vita  suprema  i- 
gnota  a  tutti  ed  inviata  dalle  poten- 
ze invisibili  per  la  salute  dei  ge- 
nere umano  ;  che  chiunque  non 
si  facesse  battezzare  in  suo  nome 
non  potrebbe  essere  salvo,  e  che 
quelli  i  quali  ricevessero  il  suo  bat- 
tesimo non  subirebbero  ne  la  vec- 
chiaia, né  la  morte;  che  Gesù  Cri- 
sto non  era  veramente  uomo;  che 
gli  angeli  aveano  creato  il  mon- 
do, ma  che  potevansi  sincere  col 
mezzo  de'suoi  prestigi,  e  ch'essi 
erano  più  deboli  dei  demoni.  I 
menandriani  difendevano  gli  errori 
de'nicolaiti,  ed  eranvene  molti  in. 
Antiochia  e  furono  scomunicati  dal 
Papa  s.  Lino  immediato  successore 
di   s.   Pietro. 

MENARD  Nicola  Ugo.  Monaco 
benedettino  della  congregazione  di  s. 
Mauro,  nacque  a  Parigi  nel  i585, 
e  vestì  l'abito  religioso  nell'abbazia 
di  s.  Dionigi;  quindi  all'  età  di  29 
anni  abbracciò  la  riforma  di  s.  Mau- 
ro, e  fu  uno  de' primi  di  essa  che  si 
dedicò  allo  studio,  ed  a  compilare 
opere  utili  al  pubblico.  Mori  in  s. 
Germano  ai  Prati  in  Parigi  nel 
1 644>  dopo  aver  pubblicato:  i." 
Martirologio  de  santi  dell'  ordine 
benedettino,  con  note,  Parigi  1629. 
2."  Un  trattato  di  s.  Benedetto  d'A- 
niano,  intitolato;  Concordia  rega- 
lar uni  cuni  regula  s.  Benedicti  ab- 
batis  cassinensisy  Parigi  i638.  3.° 
Il  Sagramentario  di  s.  Gregorio 
Magno  con  note,  1 64 1  •  4'°  Diatri- 
bade  unico  Dyonisio,ì6^^.  5."  No- 
te sopra  un  epistola  attribuita  a 
s.  Barnaba  apostolo,  pubblicata  dal 
p.  d'Achery  nel  i645.  Il  p.  Me- 
nard  avea  molta  erudizione  e  crite- 
i*io;  le  sue  osservazioni  abbondano 
di  dotte  e  curiose  investigazioni,  a- 
dalle  al  soggetto  ch'egli  tratta.  Al- 
la doltiina    univa    una  grande    u- 

IO 


194  MEN 

miltà  ed   una  singoiar  pietà  che  gli 
procacciarono  la  stima  universale. 

MENDE  {Mimateti).  Città  con 
residenza  vescovile  di  Francia  nella 
Linguadoca,  capoluogo  del  diparti- 
mento della  Loreze,  di  circondario 
e  di  cantone,  antica  capitale  del 
Gevaudan,  è  situata  sul  fiume  Lot 
nella  riva  sinistra,  in  posizione  a- 
mena  nel  fondo  di  un  vallone,  di- 
stante i5o  leghe  da  Parigi.  Ev- 
"vi  un  tribunale  di  prima  istanza, 
le  direzioni  demaniali,  e  delle  con- 
tribuzioni dirette  ed  indirette,  la 
conservazione  delle  ipoteche,  la  ca- 
mera consultiva  delle  manifatture, 
la  società  d'agricoltura,  scienze  ed 
arti ,  un  collegio  comunale  ed  il 
teatro.  E  bene  irrigata  da  molte 
fontane.  Sono  rimarcabili,  l'edifìzio 
della  prefettura,  il  quale  rinchiude 
una  galleria  di  quadri  dipinti  da 
Antonio  Renard;  i  campanili  al- 
tissimi, uno  de'quali  di  eccellente 
architettura,  della  bella  cattedrale; 
e  la  fontana  del  Griffo.  Possiede 
una  biblioteca  di  circa  7000  volu- 
mi, ed  è  il  centro  d'un  commercio 
considerabile,  de'  lanificii  conosciuti 
sotto  il  nome  di  saje  di  Mende, 
fabbricate  in  questa  città.  I  din- 
torni sono  ameni  ;  si  vede  sopra 
una  montagna  l'eremitaggio  taglia- 
to nella  roccia  ove  s.  l'rivato  ve- 
scovo si  ritirò  al  tempo  dell'in- 
vasione di  Croco.  Mende  è  una 
città  antichissima  ,  Miniate  Ga- 
halorum ,  chiamata  Miniatuni  da 
s.  Gregorio  di  Tours  ;  Vicus  Mì- 
viatonsis.  I  vescovi  ne  furono  per 
più  di  600  anni  signori  di  alta 
giustizia,  aveano  il  diritto  di  batter 
moneta,  e  s'intitolavano  conti  del 
Gevaudan,  per  transazione  del  i3o6 
tra  il  re  Filippo  IV  il  Bello,  e 
Guglielmo  Durando  il  giovine,  ve- 
scovo di    Mende,  ond'erano   consi- 


MEN 
gnori  col  re.  Mende  fu  nel  i563 
assai  maltrattala  dai  calvmisti,  e 
diede  diversi  uomini  illustri.  Fra  i 
luoghi  che  si  dispulano  i  natali  al 
Papa  Urbano  V,  il  piìi  probabile  è 
Grissac  nella  contea  di  Gevaudan, 
diocesi  di  Mende.  In  riguardo  alle 
di  lui  splendide  virtù  i  re  di  Fran- 
cia esentarono  dalle  contribuzioni 
il  paese  del  Gevaudan  ov'era  nato. 

La  sede  vescovile  di  Mende  ap- 
partenne alla  prima  Aquitania,  nel- 
l'esarcato de'Gauli,  che  secondo  Com- 
manville  ebbe  origine  da  quella  di 
Javoux,  Civilas  Gabalorum,  quattro 
leghe  lungi  da  Mende,  ove  fu  tras- 
ferita r  anno  5oo,  e  suffraganea 
dell'arcivescovo  di  Bourges.  Ma  In- 
nocenzo XI  nel  1678  la  dismem- 
brò, e  la  sottopose  ad  Aiby  da  lui 
eretta  in  metropoli,  e  della  quale 
è  tuttora  suffraganea:  allora  il  ve- 
scovo avea  4o>ooo  lire  di  rendita, 
e  pagava  35oo  fiorini  per  le  bolle. 
I  primi  quattordici  vescovi  di  que- 
sta chiesa  non  sedettero  a  Mende, 
che  anticamente  era  un  semplice 
villaggio,  ma  a  Gabalum  antica  ca- 
pitale del  Gevaudan;  quindi  è  sot- 
to il  titolo  di  vescovi  di  Gabalum 
o  Gabalorum  o  Gabalatinoruni , 
che  trovansi  quelli  notati.  Il  primo 
vescovo  fu  s.  Severiano,  ordinato 
da  s.  Marziale,  che  il  Cbenu,  Ardi, 
et  episc.  Galliae  p.  367,  chiama 
fondatore  di  questa  chiesa,  la  qua- 
le celebra  la  festa  di  s.  Severiano 
a'  16  gennaio.  Dopo  ?.oo  anni  fio- 
rì s.  Privato,  che  soffri  il  martirio 
quando  i  germani  invasero  le  Gal- 
lie,  nel  260  o  266;  la  sua  me- 
moria è  celebrata  a'2  i  agosto:  gli 
successe  s.  Firmino.  Ne  riporta  la 
serie  la  Gallia  christ.  t.  I,  p.  83 
e  seg.  :  noi  però  solo  riporteremo  i 
più  celebri,  e  li  proseguiremo  sino 
all'odierno    p.'tslore.    Geniale  Inter- 


MEiy 

\enne  al  coucilio  d'AiIes  ne'primi 
del  IV  secolo.  Nel  535  s.  Ilario  fu 
al  concilio  Arvernense.  Nel  63o 
f]on  s.  Ilero,  di  cui  nelle  calende  di 
dicembre  la  chiesa  di  Mende  ne  fa 
r  uflizio.  A  tenopo  di  Valente  im- 
peratore era  vescovo  s.  Verano: 
dopo  di  lui  si  registra  s.  Fredaldo 
o  Fredoaldo  martire  sotto  Lodovico 
I,  celebrandosene  la  festa  a' 4  set- 
tembre. Ragamondo  nel  -io36  tras- 
ferì nella  cattedrale  il  corpo  di  s. 
Privato.  Eugenio  III  compose  le  diffe- 
renze tra  il  vescovo  Alberto,  il  vesco- 
vo Aviciense,  ed  il  visconte  di  Poli- 
gnac,  e  dal  re  Luigi  VII  fu  la  se- 
de reintegrata  delle  sue  giurisdi- 
zioni. Guglielmo  II  de  Peyre  nel 
1186  ricevette  l'omaggio  de' baro- 
ni a  lui  soggetti,  e  nel  1207  intra- 
prese il  pellegrinaggio  di  Gerusalem- 
me. A  Stefano  nel  i225  Giacomo 
re  d'Aragona  restituì  il  castello  de 
Greze,  con  tutte  le  terre  del  Ge- 
vaudan.  Guglielmo  IV  Durando, 
nipote  di  Guglielmo  III,  nel  i328 
fondò  in  Mende  il  collegio  d'Ognis- 
santi :  tanto  di  lui  che  del  celebre 
zio  ne  parlammo  alle  loro  biografie. 
Alberto  nel  1  344  fondò  in  Mende  il 
collegio  di  s.  Lazzaro.  Il  Papa  Ur- 
bano V  de  Grizac  dal  i362  al  i366 
tenne  il  vescovato  di  Mende  e  lo 
governò  per  vicari,  indi  lo  confe- 
rì al  suo  nipote  Pietro,  che  nel 
1869  fece  vescovo  d' Avignone  ove 
risiedeva  il  Papa,  riassumendo  il 
governo  di  questa  diocesi.  Gugliel- 
mo de  Canaco  fatto  vescovo  da 
Gregorio  XI  e  poi  cardinale.  Di- 
vennero successivamente  vescovi,  nel 
1387  Giovanni,  fatto  dall'antipapa 
Clemente  VII;  nel  i4o5  Giovanni 
de  Costa  nominato  dall'  antipapa 
Benedetto  XIIl;  nel  i4'9  Giovan- 
ni de  Gorbie;  nel  1478  il  cardinal 
Pietro    Riario    nipote   di  Sisto   IV, 


MEN  rpT 

il  quale  nel  i48i  o  prima  feco 
vescovo  di  Mende  l'altro  nipote 
cardinal  Giuliano  della  Rovere,  che 
nel  i5o3  divenne  il  gran  Giulio 
II.  Per  di  lui  rassegna  Sisto  IV 
nel  i483  nominò  a  questa  sede 
l'altro  nipote  Clemente  Grosso  del- 
la Rovere,  che  Giulio  II  creò  car- 
dinale, facendo  il  di  lui  fratello  nel 
i5o3  vescovo  di  Mende,  trasferen- 
dolo da  Gubbio;  sotto  di  lui  fu- 
rono costruite  le  due  bellissime  tor- 
ri della  cattedrale^  e  morì  nel  i524. 
Il  capitolo  nominò  successore  Ber- 
trando de  Cenaret,  che  secondo  il 
concordato  fatto  da  Francesco  I 
con  Leone  X,  il  re  ratificò.  Nel  1 545 
per  rassegna  di  Carlo  de  Pisseleu, 
Francesco  I  nominò  Nicola  Daugy, 
suo  maestro  delle  suppliche,  morto 
nel  1577.  Gli  successe  R.eginaldo  de 
Beaune,  nel  i58i  traslatato  a  Bor- 
deaux, indi  gran  elemosiniere  di  Fran- 
cia. Per  di  lui  rassegna  nel  i586 
divenne  vescovo  Adamo  Ortolano , 
che  restaurò  la  cattedrale,  e  fu  cele- 
bralissimo  pastore.  Il  di  lui  nipote 
Carlo  de  Rosseau  nel  1608  occupò 
il  suo  luogo,  zelante  della  discipli- 
na ecclesiastica,  restituì  al  loro  lu- 
stro le  chiese  della  diocesi  che  a- 
vevano  sofferto  nelle  guerre  degli 
eretici,  abbellì  la  cattedrale  e  vi 
ri[)ristinò  il  rito  della  romana 
chiesa.  Pietro  Baglion  de  la  Salle 
de  Saillant,  fatto  vescovo  nell'anno 
1707,  mori  nel  1723.  Furono  di 
lui  successori,  nel  1724  Gabrie- 
le Fiorenzo  de  Choiséul  della  dio- 
cesi di  Liegi;  nel  1768  Giovan- 
ni Arnaldo  de  Castellane  della 
diocesi  d'Uzes;  nel  i8o5  e  do- 
po lunga  sede  vacante  ,  Stefano 
Martino  Morel  de  Mons.  Avendolo 
Pio  VII  traslato  all'  arcivescovato 
d'Avignone,  nel  concistoro  de'  19 
aprile    1822    preconizzò    l'odierno 


196  MEN 

vescovo  monsignor  Claudio  Gio- 
vanni Giuseppe  Brolloy  de  la  Bni- 
niere,  di  Se/anne  diocesi  di  Meaux, 
già  vicario  capitolare  d'Evreux. 

La  cattedrale,  edifizio  ampio  ed 
ornato,  di  gotica  struttura,  è  sacra 
a  Dio,  sotto  l'invocazione  della 
Beata  Vergine  e  di  s.  Privato  vesco- 
vo e  martire,  il  di  cui  braccio  ivi 
si  venera.  Nella  medesima  vi  è  il 
fonte  battesimale,  e  la  cura  per 
tutta  la  città,  venendo  il  parroco 
nominato  dal  capitolo.  Il  capitolo 
si  compone  di  quattordici  canonici, 
sei  de'  quali  onorari,  con  altri  preti 
e  chierici  addetti  all' ufiìziatura,  se- 
condo l'ultima  proposizione  conci- 
storiale. Anticamente  tal  capitolo 
era  composto  di  tre  dignità,  di 
quindici  canonici  e  di  molli  bene- 
ficiati. L'episcopio  resta  fuori  della 
città,  distante  circa  duecento  passi 
dalla  cattedrale.  Vi  sono  altre  chie- 
se, due  comunità  di  donne,  cioè 
del  Cuor  di  Gesù,  e  dell'  unione 
cristiana;  diverse  confraternite,  l'o- 
spedale, il  monte  di  pietà,  il  semi- 
nario, oltre  quello  Morologense. 
Prima  nella  città,  oltre  il  collegio 
de'  padri  della  dottrina  cristiana,  vi 
erano  cinque  comunità  religiose  di 
ambo  i  sessi;  e  nella  diocesi  si  con- 
tavano duecentotlo  parrocchie  con 
quattro  arcipreti,  ridotte  poi  a  ven- 
tiquattro, con  centosessantadue  suc- 
cursali e  centoveritinove  vicariati, 
oltre  centoventuno  stabilimenti  re- 
golari. Ogni  nuovo  vescovo  è  tas- 
sato ne'  libri  della  cancelleria  apo- 
stolica in  fiorini  870,  godendo  di 
rendite    i5,ooo  franchi. 

MENDICANTI.  Ordini  religiosi 
che  vivono  d' elemosina,  per  pra- 
ticare la  povertà  evangelica,  e  van- 
no ad  accattare  il  loro  sostenta- 
mento questuando.  Ve  ne  sono  tut- 
tavia che  posseggono  beni,  ma  per 


MEN 

concessione  de' Pontefici  sono  con- 
siderati ordini  mendicanti,  e  ne  go^ 
dono  i  privilegi,  i  quali  sono  mol- 
ti, e  li  raccolsero  e  pubblicarono  : 
Emmanuele  Roderico,  Nova  colle- 
elio,  et  cotnpilatio  privile^iorum  a' 
postolicoruin  regiilnrium  mendicane 
tium,  Turnoni  1609  et  Lugduni 
161 3.  Gio.  Battista  Confetti,  Col- 
leclio  privilegioruni  sacrornm  or- 
di  nunt  fratruni  mendicantium ,  et 
non  mendicanlium,  juxla  sacri  con- 
cila Tridentini  reformalioneni,  ci 
summoruni  Pontificum  novissimas 
conflrrnatìones  et  innovnliones,  Ve- 
netiis  1604  e  1616.  L' Amidenio 
che  pubblicò  in  Roma  nel  162 5  il 
suo  libro  De  pietate  romana,  a  p. 
i68  enumera  gli  ordini  de' frali 
mendicanti  ch'erano  in  Roma,  cioè 
domenicani  j  carmelitani  calzati  e 
scalzi,  francescani  minori  osservan- 
ti, conventuali,  riformati,  cappuc- 
cini e  del  terzo  ordine;  servi  di 
Maria,  trinitari,  raercedari,  gesuati 
(non  più  esistenti),  girolaraini  del 
b.  Pietro  da  Pisa,  de'  ss.  Ambro- 
gio e  Barnaba  (non  più  esistenti), 
minimi  o  paolotti,  e  benfratelli.  A 
p.  1 74  poi  riporta  il  novero  degli 
ordini  e  congregazioni  de' sacerdoti 
chierici  regolari  mendicanti,  cioè 
teatini,  gesuiti,  filippini,  barnabiti, 
chierici  regolari  minori,  ministri  de- 
gl'infermi, somaschi,  chierici  rego- 
lari della  madre  di  Dio,  della  dot- 
trina cristiana,  delle  scuole  pie,  o- 
blati  de' ss.  Ambrogio  e  Carlo  (non 
più  esistenti),  canonici  di  s.  Spirito, 
cui  si  possono  aggiungere  i  passio- 
nisti,  ed  altre  congregazioni  istitui- 
te posteriormente.  Il  p.  Bonanni, 
Catalogo  degli  ordini  religiosi  p. 
68,  dice  che  gli  ordini  mendicanti 
si  dicono,  quasi  ninna  dicant  et 
paupertatem  suani  manifestent,  dunt 
aliena  quaerunt^  secondo  il  parere 


MEN 
(1(1  Cherubino  nella  nota  alla  boi!;» 
G4  di  Gregorio  XIII,  citando  il  Cal- 
derino,  const.  17  de  regni  Aggiun- 
ge, che  sebbene  molti  degli  ordini 
mendicanti  posseggano  beni  stabili, 
conservano  il  nome  e  ne  godono 
i  privilegi,  pegli  indulti  de' Papi 
che  gli  autorizzarono  a  poter  que- 
stuare, come  insegnano  comunemen- 
te i  dottori,  tra'  quali  il  Roderico 
t.  IV,  quaest.  3,  art.  9..I  quattro 
ordini  più  antichi  de'  mendicanti 
ch'ebbero  origine  o  furono  rifor- 
mati nei  primi  anni  del  secolo  XIII, 
che  si  chiamarono  più  specialmen- 
te mendicanti,  sono  i  carmelitani, 
Agostiniani  ,  domenicani  e  france- 
scani, perchè  essi  rinunziarono  al 
possesso  de'  beni  in  principio  del 
loro  istituto. 

Nel  pontificato  d'Innocenzo  IV 
incominciarono  de' mali  umori  con- 
tro i  religiosi  mendicanti  ,  quin- 
di in  quello  del  successore  Ales- 
sandro IV  manifestamente  alcu- 
ni professori  dell'università  di  Pa- 
rigi li  tribolarono  e  cacciarono 
dalle  scuole  pubbliche  ,  movendo 
fiera  persecuzione  alla  povertà  re- 
ligiosa. 11  Papa  ne  prese  la  prote- 
zione, scrivendo  al  vescovo  di  Pa- 
rigi, e  comandò  che  fossero  rimes- 
si nell'accademia,  e  privali  de'be- 
nefizi  quelli  che  si  opponevano  ai 
decreti  apostolici.  Guglielmo  de  Saint 
Amour,  famoso  dottore  di  Sorbona, 
liello  slesso  secolo,  condannò  gli 
ordini  de'  mendicanti,  e  pretese  non 
essere  azione  virtuosa  il  ridursi  vo- 
lontariamente alla  mendicità,  soste- 
nendo che  i  religiosi  poveri,  viven- 
do di  elemosine,  anche  predicando 
la  parola  di  Dio  non  sono  in  ista- 
lo  di  salute,  col  libro  De  perìcoli 
degli  ultimi  tempi ,  il  quale  pei 
molti  errori  che  conteneva  fu  da 
Alessandro  IV   proibito  colla  bolla 


MEN  197 

Eomanus  Ponti/ex,  data  in  Anagni 
a' 5  ottobre  laSG,  indi  nel  conci- 
storo pubblico  lo  fece  bruciare,  e 
condannò  l'autore.  Contro  di  que- 
sti scrissero  i  ss.  Tommaso  d'  Aqui- 
no domenicano ,  e  Bonaventura 
francescano,  dottori  della  Chiesa  ; 
il  trattato  compilato  da  s.  Tom- 
maso, nel  quale  sono  confutati  gli 
argomenti  di  Guglielmo,  è  intito- 
lato: DeclarMio,  et  defensio  privi- 
legioriwt  mendicaìttiuin.  La  men- 
dicità religiosa  tuttavia ,  benché 
buona  in  sé  stessa,  ebbe  degl'  in- 
convenienti che  Io  stesso  s.  Bona- 
ventura, divenuto  poi  generale  del 
suo  ordine,  dovette  deplorare  con 
lettere  che  indirizzò  a' suoi  provin- 
ciali, e  che  più  tardi  indussero  il 
concilio  di  Trento  a  ptn mettere  agli 
ordini  mendicanti  di  possedere  be- 
ni stabili,  eccettuati  i  minori  osser- 
vanti e  riformati  ed  i  cappuccini  , 
imponendo  però  ai  primi  l'obbligo 
di  accattare,  come  monumento  del- 
la loro  antica  disciplina.  V.  Fran- 
cescano ORDINE,  e  gli  articoli  re- 
lativi a  questo  argomento. 

I  religiosi  mendicanti  non  pote- 
vano in  Francia  possedere  alcun 
beneficio,  qualunque  egli  fusse,  ri- 
tenuti di  ciò  incapaci  per  il  loro 
stato,  per  lo  spirito  della  loro  re- 
gola, per  il  diritto  comune,  e  per 
le  prescrizioni  delle  leggi  ecclesia- 
stiche. La  clementina,  Ut  profes- 
sores,  pubblicata  da  Clemente  V 
nel  concilio  generale  di  Vienna, 
rinnovò  il  regolamento  de' più  an- 
tichi concilii,  ordinando  che  i  reli- 
giosi mendicanti  non  avrebbero  vo- 
ce in  capitolo,  e  non  potrebbero  ot- 
tenere priorati,  amministrazioni,  cu- 
re, vicariati  e  benefizi  di  qualunque 
sorla.  In  Francia  questa  regola  era 
generale,  e  non  si  poteva  allonta- 
uarseue  senza    dispensa    particolare 


igS  MEN 

del  Papa.  Per  tal  modo,  allorché 
in  forza  di  una  bolla  pontifìcia  un 
religioso  mendicante  era  trasferito 
ad  un  altro  ordine  nel  quale  i  re- 
ligiosi potevano  possedere  de'  bene- 
fizi, il  solo  rescritto  di  traslazione 
non  toglieva  al  mendicante  trasfe- 
rito r  incapacità  derivatagli  dal  suo 
primiero  stato,  ma  gli  era  perciò 
necessaria  una  dispensa  speciale  del 
Pontefice,  e  questa  serviva  ancora 
per  poter  domandare  e  conseguire 
altri  benefìzi  ordinariamente ,  cioè 
per  la  legge  dell'  incompatibilità, 
rassegnando  il  primo  anco  con  ri- 
serva di  pensioni  colle  patenti  del 
re.  Inoltre  le  massime  concernenti 
l'incapacità  che  contrae  per  rap- 
porto ai  benefizi  quegli  che  fa  pro- 
fessione in  un  ordine  mendicante, 
hanno  subite  alcune  eccezioni.  L'in- 
utilità e  r  abuso  degli  ordini  men- 
dicanti sono  uno  de'  luoghi  comu- 
ni, sui  quali  con  maggior  zelo  si 
sono  esercitati  i  sedicenti  filosofi 
politici.  Secondo  la  loro  opinione 
maligna  ed  erronea,  i  religiosi  men- 
dicanti vengono  rappresentati  quali 
uomini  inutili  e  di  grave  peso  ai 
popoli  ;  i  privilegi  che  ottennero 
dai  Papi  contribuirono  a  snervare 
la  disciplina  ecclesiastica  ;  le  que- 
stue sono  per  essi  un'occasione  pros- 
sima di  sregolamento  e  di  dappo- 
caggine :  tutte  queste  esagerate  que- 
rele, confondendosi  qualche  indivi- 
duo coir  intero  corpo,  furono  copia- 
te dai  protestanti  ed  altri  eretici, 
e  da  tutti  i  nemici  della  vita  reli- 
giosa, che  vomitarono  calunnie  gros- 
solane e  incredibili,  fidati  nella  gran 
massima  di  Macchia  vello,  calunnia^ 
calunia,  qualche  cosa  rimarrà,  e 
noi  nggiungeremo,  segnatamente  tra 
i  malevoli,  gli  sfaccendati  e  gì'  i- 
gnoranti. 

Quando    incominciarono   gli    or- 


MEN 

dini  mendicanti,  il  clero  era  al- 
quanto decaduto,  e  l'Europa  era  in- 
fetta da  diverse  sette  di  eretici,  che 
col  simulato  esteriore  della  povertà, 
mortificazione,  umiltà,  col  distacco 
da  ogni  cosa,  seducevano  i  popoli, 
ed  ispiravano  i  loro  errori  :  tali  e- 
rano  i  catari,  i  valdesi  o  poveri  di 
Lione,  i  poplicani,  i  frerotti,  ed  al- 
tri. Molti  santi  personaggi  che  vo- 
levano preservare  i  fedeli  da  que- 
sta abbominevole  insidia,  conobbero 
la  necessità  di  opporre  delle  virtù 
reali  alia  ipocrisia  de' settari,  o  fa- 
re per  motivo  di  religione  ciò  che 
questi  ultimi  praticavano  per  la  bra- 
ma d'ingannare  gl'ignoranti.  Qua- 
lunque predicatore  che  non  fosse 
comparso  tanto  mortificato  come 
gli  eretici,  non  sarebbe  stato  ascol- 
tato ;  dunque  furono  necessari  de- 
gli uomini  che  ad  un  vero  zelo  u- 
nissero  la  povertà  che  Gesù  Cristo 
avea  tanto  inculcata  ai  suoi  aposto- 
li, s.  Matteo  e.  ro,  v.  9;  s.  Luca 
e.  i4,  v.  33:  molti  vi  s'impegna- 
rono con  voto  e  trovarono  innu- 
merabili seguaci,  cui  dobbiamo  es-  m 
sere  infinitamente  grati,  per  l' im-  V 
menso  bene  che  fecero,  e  che  tut-  ' 
torà  fanno  con  molto  frutto,  benché 
il  clero  tornò  a  risplendere  per  vir- 
tù e  dottrina  ;  sia  nell'  istruzione 
de' fedeli,  sia  nella  conversione  de-  ' 
gli  infedeli  e  pagani  e  di  quelli  ' 
caduti  in  errore,  sia  per  l'esempio 
che  ci  danno  colla  loro  vita  mor- 
tificata, e  coll'esercizio  d'ogni  virtù. 
Negli  ordini  mendicanti  non  si  pos- 
sono  contare,  pel  loro  immenso  nu- 
mero, i  santi  e  i  dotti  che  illustra- 
rono la  Chiesa,  e  che  furono  pei 
loro  meriti  elevati  alle  più  sublimi 
dignità  della  medesima.  I  Papi  nel- 
l'approvare  gli  ordini  mendicanti, 
non  li  sottrassero  subito  dalla  giu- 
risdizione   de'  vescovi;  l'esenzioni  fu- 


MEN 
lono  falle  dopo,  e  questo  pure  fu 
reffelto  delle  circostanze,  e  della 
decadenza  in  cui  trovavasi  il  clero 
secolare  per  le  vicende  de' tempi: 
se  i  Papi  li  sostennero  e  beneficaro- 
no, Cime  giusti  fecero  anche  bolle 
per  correggerli,  quando  ve  ne  fu 
bisogno.  I  mendicanti  furono  meri- 
tamente encomiati,  come  solidamen- 
te difesi  da  un  gran  numero  di 
gravi  scrittori.  V.  Frate,  Fratel- 
lo, Donati,  Laico  e  Cercante. 

Giovanni  XXII  coW'extrav.  linde 
oJJ.  citst.  i/iter  coni.,  concesse  alle 
chiese  de' mendicanti  una  sola  cam- 
pana, e  della  consuetudine  in  con- 
trario parla  il  Barbosa,  Fot.  rea, 
n.  62.  Il  medesimo  Giovanni  XXII 
uhimò  la  famosa  controversia  della 
povertà  di  Gesù  Cristo  e  degli  a- 
postoli  :  di  questo  argomento  ne 
trattammo  al  voi.  XXVI,  p.  88  e 
8g  del  Dizionario,  agli  aiticeli  Fra- 
ti    DELLA     vita     POVERA,     FRATICELLI, 

ed  altri  che  lo  riguardano.  Sisto 
IV  ordinò  nel  1480,  che  nelle  quat- 
tro domeniche  dell'  avvento  e  nelle 
prime  cinque  domeniche  di  quare- 
sima nella  cappella  pontifìcia  si  reci- 
tassero i  sermoni  dai  procuratori  ge- 
nerali degli  ordini  mendicanti  più 
antichi,  ciò  che  tuttora  si  osserva, 
pronunziandoli  nelle  domeniche  di 
quaresima  i  procuratori  de'domeni- 
cani,  osservanti, agostiniani,  ciunieli- 
lani  dell'antica  osservanza  e  servi  di 
Maria;  ed  in  quelle  dell'avvento  i 
procuratori  de'  domenicani,  conven- 
tuali, agostiniani,  e  carmelitani  del- 
l'antica  osservanza,  come  diciamo 
all'articolo  Cappelle  Pontificie, mas- 
sime al  §  IX,  n.  2.  Gli  altri  reli- 
giosi o  procuratori  generali  degli 
ordini  mendicanti  che  recitano  in 
cappella  sermoni  nel  decorso  del- 
l' anno,  sono  i  chierici  regolari  mi- 
nori  ed    i    teatini,  i    luercedari  ed 


MEN  199 

i  minimi;  nel  venerdì  sanie  un  con- 
ventuale, e  prima  lo  faceva  un  ge- 
suita. Adriano  VI  concesse  agli  or- 
dini mendicanti,  e  principalmente 
a  quello  de'  minori  osservanti,  che 
nell'Indie  ove  non  fossero  ancora 
fondati  vescovati,  o  se  vi  erano,  in 
que' luoghi  ove  per  lo  spazio  di  due 
diete  non  si  potevano  trovare  i  ve- 
scovi o  i  loio  vicari,  potessero  i 
frati,'  dai  loro  superiori  a  ciò  de- 
stinati, esercitare  la  giurisdizione 
vescovile,  fuorché  in  quelle  cose 
nelle  quali  si  richiede  1'  ordine  di 
vescovo.  Quindi  ai  mendicanti  fu 
concesso  possedere  nei  luoghi  delle 
missioni,  o  per  dispensa  pontificia, 
o  a  nome  della  santa  Sede. 

Molto  si  affaticò  s.  Pio  V  nella  ri- 
forma, nel  buon  regolamento  e  nel 
decoro  degli  ordini  religiosi.  Coll'am- 
plissima  bolla  Dum  ad  uheresy  dei 
29  luglio  i566,Bull.  roni.  tom.  IV, 
par.  II,  p.  3o6,  dichiarò  gli  ordini 
mendicanti  liberi  ed  esenti  dalle  ga- 
belle, dall'alloggio  della  soldatesca, 
e  da  qualunque  pubblico  aggravio. 
Colla  bolla  Ronianus  Ponti/ex,  del 
primo  ottobre  1 567,  loco  citato  p. 
397,  dichiarò  quali  fossero  propria- 
mente gli  ordini  -mendicanti,  e  che 
tali  veramente  si  dicessero,  sebbene 
possedessero  in  comune  beni  stabili, 
cioè  i  domenicani,  i  francescani,  gli 
eremiti  di  s.  Agostino,  i  carmelita- 
ni ed  i  servi  di  Maria.  Altri  tre 
poi  ne  ascrisse  a  questi,  che  furo- 
no i  minimi  di  s.  Francesco  di 
Paola,  i  gesuati  ed  i  gesuiti.  Vo- 
lendo pertanto  che  tutti  questi  or- 
dini godessero  de'  medesimi  privi- 
legi conceduti  dalla  santa  Sede  ai 
mendicanti,  li  confermò  e  nuova- 
mente concesse  loro  e  alle  loro  mo- 
nache, mediante  la  costituzione  Elsi 
niendicanliuni,  de  16  agosto  1571, 
ampliando  e  dichiarando  il  disposto 


200  MEN 

del  concilio  di  Trento  in  quelle  co- 
se che  ad  alcuni  sembravano  es- 
sere a' privilegi  medesimi  contrarie. 
Già  con  altra  bolla  s.  Pio  V  avea 
dato  all'ordine  domenicano  la  pre- 
cedenza sopra  gli  altri  ordini  dei 
frati  mendicanti,  Gregorio  XIII  nel 
1576  essendo  costretto  ad  imporre 
le  decime  sui  benefizi  d'Italia,  n'e- 
scluse i  mendicanti.  Sisto  V  nella 
bolla  in  cui  nel  i585  dispose  ot- 
time leggi  sulla  creazione  e  nume- 
ro de' cardinali,  ordinò  che  nel  sa- 
cro collegio  sieno  inclusi  almeno 
quattro  maestri  in  teologia  degli 
ordini  mendicanti,  e  non  meno  di 
tal  numero.  Clemente  Vili  dividen- 
do i  carmelitani  scalzi  dai  calzati, 
gli  annoverò  tra  gli  ordini  mendi- 
canti; quindi  essendo  stato  prescrit- 
to da  Gregorio  XI 11  e  Filippo  IV 
che  i  soli  gesuiti  potessero  propa- 
gare la  fede  nel  Giappone  e  nella 
Cina,  Clemente  Vili  colla  bolla  O- 
nevosa,  de'  12  dicembre  1600,  Bull. 
Rom.  t.  V,  par.  III.  p.  32v^,  estese 
questo  glorioso  ministero  a  tutti  gli 
ordini  religiosi  massimamente  men- 
dicanti. Benedetto  XIII  nel  17 25 
dichiarò  per  una  delle  religioni 
mendicanti  l'ordine  della  Mercede; 
poscia  comandò  che  ai  cardinali  de- 
funti in  Roma,  i  religiosi  mendican- 
ti si  recassero  a  recitaigli  sul  corpo 
r  uffizio  de'  morti,  al  modo  detto 
all'articolo  Funerali.  Nella  sede  va- 
cante i  corpi  religiosi  mendicanti, 
col  clero  secolare  rappresentato  dai 
parrochi,  processionai  mente  si  por- 
tano ov'èil  conclave,  onde  pregare 
Dio  per  un'  ottima  e  sollecita  ele- 
zione, come  si  disse  al  voi.  XV, 
p,  266  del  Dizionario,  ne'  relativi 
luoghi  del  quale  si  dice  delle  allre 
processioni  cui  intervengono.  In  Ko- 
ma  vi  è  il  Conservatorio  delle  nien- 
dìcaifli  {^Vedi),  cosi  detto  perchè  in 


MEN 

principio  le    donzelle   di  esso  men- 
dicavano elemosine. 

MENDICHI  o  GEUSI.  Eretici 
calvinisti  delle  Fiandre,  ch'ebbero 
origine  dalla  ribellione  degli  olan- 
desi al  loro  sotrano  Filippo  II,  per- 
chè nel  i566  vi  volle  introdurre 
il  tribunale  dell'inquisizione,  il  du- 
ca d'Alba  generale  del  re  ottenne 
su  di  loro  in  Olanda  una  compita 
vittoria,  per  cui  s.  Pio  V  lo  rimunerò 
collo  stocco  e  berrettone  da  lui  bene- 
detti. Fu  in  questa  occasione  che  quel 
Papa  cominciò  a  dispensare  Mala- 
glie  benedette  [Vedi).  Tra  le  tante 
vittime  di  questi  eietici,  vi  sono  ì 
XIX  martiri  Gorcomiensi,  che  mar- 
tirizzarono in  Brila  nel  1572,  ui 
odio  della  fede  cattolica,  del  pri- 
mato del  Papa  e  della  chiesa  ro- 
mana, e  della  ss.  Eucaristia,  se- 
guendo i  mendichi  o  geusi  gli  er- 
rori de'  Cah'inisti  [Vedi).  Inoltre  i 
mendichi  furono  causa  dello  scisma 
della  chiesa  d'  Utrecht  [Vedi). 

WENDINIZ.A.  Sede  vescovile 
della  provincia  d'Eliade,  sotto  la 
metropoli  di  Atene,  nella  diocesi 
dell' llliria  orientale:  fu  eretta  nel 
secolo  XVII,  e  si  chiama  ancora 
31endinitza  e  Bodinitza.  Giacomo 
suo  vescovo  sedeva  nel  secolo  XVIII. 
Oriens  christ.   t,   lì,   p.   289. 

MENDOZA  Pietro  Gandisuvo, 
Cardinale.  Pietro  Gandisalvo  di 
Mendoza  de'marchesi  di  Saiitigliana, 
nato  in  Guadalar  nella  Spagna, 
superò  di  gran  lunga  colle  doti  del- 
l' animo  la  nobiltà  della  prosapia, 
come  quegli  che  di  tutte  le  viriti 
fu  adorno,  e  oltre  a  ciò  colto  in 
tutte  le  scienze,  e  singolarmente 
nella  legge  in  cui  ottenne  la  lau- 
rea dottorale.  Alvaro  suo  zio,  arci- 
vescovo di  Toledo,  lo  fece  arcidia- 
cono della  sua  chiesa,  e  in  età  di 
24    anni    lo    mandò  alla    corte  di 


Giovani)!    II  re    di   Casliglia,    dove 
l'intes-iilà  de' suoi    coslimii    sColyo- 
reggiando    qual    fiaccola     posta   sul 
candelliere,    fu    riputato    degno    di 
essere    promosso     al     vescovato     di 
Galahoira.   Enrico  IV,  successore  di 
Giovanni  li,  allidò  a   lui   i   piìi  gra- 
vi affari  dello  sialo,  e  noniinollo  al 
vescovato  di  Siguenza  e  poi  a  quel- 
lo di  O.sma.   INon  ricusò  di   rneller- 
si   alia   testa    delle  truppe    contro  i 
ribelli  del  re,  e  poi  di   lare  lo  stes- 
so contro  i  portoghesi,  adempiendo 
tutte  le  parli  di  capitano  nella  fan- 
teria   spagnuola,  e    nella    conquista 
del  regno  di   Granata   sopra   i    mo- 
ri.   Mentre  era    gran  cancelliere  di 
Casliglia,     Sisto     IV     a'  7     maggio 
1473   lo  creò  cardinale  diacono  di 
s.    Maria    in    Domnica,  e    successi- 
vamente prete  del   titolo  di  s.  Cro- 
ce  in  Gerusalemme,  arcivescovo  di 
Siviglia    e  poi    di  Toledo,    e   perciò 
primate    di   tutta    la  Spagna,    e  le- 
gato   apostolico  in  quei   regni,  do- 
ve si   vuole  che  a    sua  istanza   l'os- 
se istituito  il    tribunale  dell*  inqui- 
sizione.  Fondò  nella    città  di   Gra- 
nata  un  sontuoso   tempio    in   onoie 
dell'  immacolata   Concezione  di  Ma- 
riiì,  già   votato  da    Ferdinando    V 
ed    Isabella  per  la   vittoria   riporta- 
ta  tla  essi  contro  i    mori,  e  molte 
allre    chiese    pure    in    onore    della 
Madonna    di    cui    era    divotissimo, 
assegnando   ad  alcune  ampie  doti  ; 
e    nella    chiesa  della    Madonna    di 
Guadalupe    volle    che  si  erigessero 
quattro  cappellanie  con  messa  quoti- 
diana.   Edificò   altresì    un  ospedale 
in    Toledo,    ed  un  collegio  in   Va- 
gliadolid    in  onore    della  s.    Croce, 
restaurando  in   Roma  con  ecclesia- 
stica   magnificenza    la    basilica    del 
suo    tìtolo,     nella     quale    occasione 
*i  fu  trovato  parte   del   titolo   del- 
la   vera    croce    sccìllo  in    tre    lin- 


MEN  ^i 

gue,  ivi  rinchiuso  mille  anni  pri* 
ma  dall'imperatore  Placidio  Va- 
lentiniano.  Fu  accettissimo  ai  mo- 
narchi di  Spagna,  i  quali  nella 
sua  grave  malattia  1' onorarono  di 
visita.  Affermano  concordemente  gli 
storici,  che  essendo  questo  cardina- 
le mortalmente  infermo,  si  vide  so- 
pra la  sua  camera  una  splendida 
croce,  la  quale  non  discomparve 
finché  il  pio  cardinale  non  rese  lo 
spirito  a  Dio,  ciò  che  avvenne  in 
Caracca  nel  i49^j  d'anni  67,  don- 
de trasferito  il  cadavere  a  Toledo 
fu  sepolto  nella  metropolitana  con 
breve  iscrizione.  Narrano  alcuni,  che 
nel  collegio  ed  ospedale  da  lui  fon- 
dati in  onoi-e  della  s.  Croce  di  cui 
fu  .sempre  divotissimo,  nasce  spon- 
taneamente un'erba,  che  ha  la  fi- 
gura di  croce.  Dilettandosi  molto 
a  leggere  storie,  ne  tradus.se  alcune 
in  ispagnuolo,  tra  le  quali  quella 
di  Sallustio.  Le  memorie  di  sua  vita 
furono  pubblicate  nel  iSGg  in  Al- 
calà  da  Alvaro  Gomez.  In  ispagnuo- 
lo le  scrisse  Pietro  de  Salazar  di 
Mendoza,  col  nome  di  Cronaca^ 
stampate  in  Toledo  nel    iGcìS. 

MENDOZA  Diego  Huktado,  Car- 
dinale. Diego  Hurtado  di  Mendoza 
de' conti  di  Tendilla,  nipote  del 
precedente,  nacque  nella  Spagna 
d'illustre  lignaggio.  Fu  promosso 
all'arcivescovato  di  Siviglia,  qniiuli 
fatto  patriarca  d'AIes.sandria,  e  crea- 
to cardinale  prete  di  s.  Sabina  da 
Alessandro  VI  nel  marzo  i  5oo,  ma 
pubblicato  a' 28  settembre.  Dopo 
due  anni  ces.sò  di  vivere  in  Madrid 
o  nell'isola  di  Maiorica  nel  i5o2, 
d'anni  58.  Trasferito  a  Siviglia  ri- 
mase sepolto  nella  sua  chiesa  con 
un  prolisso  elogio,  inci.so  in  un 
magnifico  avello  di  marmo,  che  al- 
la di  lui  memoria  collocò  il  fia- 
lelto  Iuqìco. 


IO»  MEN 

MENDOZA  ZUiMGA  Enneco  , 
Cardinale.  F .  Zuniga  Mendoza 
Enneco,    Cardinale. 

MENDOZA  BOVADILL  A  Fran- 
cesco, Cardinale.  Francesco  Mendo- 
za e  Bovadilla  nacque  a  Cnenca  o 
Cordova  nella  Spagna  dalla  nobi- 
lissima prosapia  de'maichesi  di  Can- 
neté. Non  contento  della  fumosa  e 
immaginaria  nobiltà  de' suoi  mag- 
giori, com'egli  soleva  chiamarla, 
volle  per  mezzo  delle  scienze  ac- 
quistarsi quella  che  è  unica,  vera- 
ce e  solida  nobiltà,  siccome  deri- 
Tante  da  personale  merito  procac- 
ciatosi con  indefesso  studio  e  fati- 
che. Pertanto  nel  sapere  fece  tali 
rapidi  progressi,  che  di  soli  i6  an- 
ni potè  supplire  con  tutto  decoro 
neir  imiveisità  di  Salamanca  alle 
■veci  di  Ferdinando  Pinciano  suo 
precettore  infermo.  Il  suo  reale  me- 
rito gli  procacciò  1'  arcidiaconato  di 
Toledo,  e  di  là  fu  promosso  da 
Clemente  VU  al  vescovato  di  Co- 
ria,  a  lui  ceduto  dal  cardinal  Qui- 
gnones.  Paolo  HI  a'  29  dicembre 
)  'T'44>  P^''  l*^  istanze  di  Carlo  V, 
lo  creò  cardinale  del  titolo  di  s. 
Mai'ia  d'  Araceli,  che  trovandosi  pe- 
rò soppresso  da  Clemente  VII,  su- 
bito glielo  cambiò  in  quello  di  s. 
Giovanni  a  Porta  Latina,  e  poi  nel- 
l'altro di  s.  Eusebio,  coli' amuiini- 
stratione  delle  chiese  di  Valenza  e  di 
IJurgos,  nell'ultima  delle  quali  fondò 
un  collegio  e  gli  assegnò  dote  con- 
venevole. 11  re  di  Spagna  Filippo  II 
lo  incaricò  del  governo  della  città 
di  Siena,  in  luogo  di  Francesco  di 
Toledo,  finché  il  dominio  fu  aggiu- 
dicato a  Cosimo  I  duca  di  Firen- 
ze, e  lo  prescelse  ancora  per  anda- 
re a  ricevere  a  Romnsvalle  Elisa- 
betta di  Francia  sua  futura  sposa. 
In  seguito  ebbe  lunghe  controversie 
a   Qiolivo  di  giurisdizione  col  capi- 


MEN 
lolo  di  Burgos,  la  cui  decisione  ri- 
portasi nella  prima  parte  delle  de- 
cisioni rotali,  decis.  777.  Dopo 
essere  intervenuto  ai  conclavi  di 
Giulio  IH  e  Paolo  IV,  essendo 
stato  assente  in  quelli  di  Marcello 
II,  Pio  IV,  e  s.  Pio  V,  morì  nel  ca- 
stello d'Arcos  diocesi  di  Burgos,  nel 
i566,  d'anni  58.  Trasferito  a  Cuen- 
ca  trovò  riposo  perpetuo  nella  cat- 
tedrale dentro  la  cappella  di  sua 
famiglia,  dove  alla  sua  tomba  fu 
posto  magnifico  epitaffio.  Scrisse  il 
cardinale  alcune  opere  solo  cono- 
sciute in  Ispagna,  e  tra  esse  la  bi- 
blioteca spagnuola  per  le  genealo- 
gie delle  più  illustri  famiglie  della 
monarchia. 

MENDOZA  Giovanni,  Cardinale. 
Giovanni  Mendoza,  nato  in  Guada- 
lajara,  città  non  molto  lunge  da 
Madrid,  de'  duchi  dell'  Infantado, 
uomo  che  ad  un  raro  talento,  te- 
nace memoria  ed  eccellente  lette- 
ratura, univa  straordinaria  venustà 
della  persona,  e  pari  illibatezza  di 
costumi.  Fatti  i  suoi  studi  in  AI- 
calà,  meritò  di  essere  laureato  io 
ambo  le  leggi.  Acquistatasi  poi  al- 
ta reputazione,  questa  gli  fece  ot- 
tenere un  canonicato,  prima  nella 
chiesa  di  Salamanca  e  poi  nella  me- 
tropolitana di  Toledo,  indi  la  di- 
gnità di  arcidiacono,  e  poi  di  de- 
cano nella  chiesa  di  Talavera.  Ad 
istanza  del  re  Filippo  II,  a'  18  di- 
cembre 1587,  Sisto  V  lo  creò  car- 
dinale assente,  ricevendo  in  seguito 
per  titolo  la  chiesa  di  s.  Maria  in 
Traspontina.  Avendolo  il  Papa  ob- 
bligato a  rinunziare  il  decanato, 
con  sua  estrema  ripugnanza,  sotto 
Gregorio  XIV  ne  fece  discutere  la 
causa  in  pieno  concistoro,  e  per 
giudizio  uniforme  di  tutti  i  padri 
fu  restituito  al  cardinale  l'antico 
titolo    di    decano,    ed  a  chi    itnpe- 


i 


MEN 
fialo  Io  avea   da  Sisto  V,  fu   pro- 
curato   un    benefizio    di   rendita  e- 
guale.     Vacata    per    rinunzia    della 
porpora     fatta    da    Ferdinando    de 
Medici,  la  protettoria  della  Spagna 
presso  la  santa  Sede,  fu  conferita  al 
cardinale.  Ebbe  assai    del  singolare 
r  amore    con    cui    riguardò  la    sua 
domestica  famiglia,  quale  però  vol- 
le sempre   morigerata,  onesta  ed  e- 
semplare.   In  ogni  incontro  si  ado- 
peiò  con    tutto  l'impegno    per  be- 
neficarla, studiandosi  di   provvedere 
coloro    che    n""  erano    meritevoli    e 
capaci  di   ecclesiastici   benefizi.  Nel- 
r  ammettere    al    suo  servigio    i   fa- 
migliari, non  avea   alcun    rigtiardo 
alle  raccomandazioni  de' grandi,  né 
agli   impegni  de'  principi,    ma   uni- 
camenle  alla    sola  scienza    e  probi- 
tà di  costumi.  Quando    alcuno  ca- 
deva   infermo,  non    solamente  cer- 
cava medici  di  maggior  credito,  ma 
egli  slesso  non  isdegnava  di   far  lo- 
ro   frequenti   visite,    per  informarsi 
dello  stato    e  bisogno    di  ciascuno, 
e  non  partiva  che  col  dare  ad  es- 
si  i  più  manifesti  segni    di  sincera 
premura  per  la    loro  perfetta  gua- 
rigione.  Se  poi   avveniva  che  alcu- 
no a  fronte  de'  rimedi  morisse,  al- 
lora ordinava  un  conveniente   fune- 
rale, proporzionato  alla    condizione 
delle  persone,  non   lasciando  di  suf- 
fragarne   le    anime  con    elemosine, 
sagrifizi    ed    orazioni.    In  certe    so- 
lennità   dell'  anno  soleva    ammini- 
strare a  tutti   i  famigliari  la  ss.  Eu- 
caristia,   con    gran    consolazione    e 
giubilo   del  suo    spirito.   Aveva   poi 
una    domestica    cappella,    fatta   con 
tale  eleganza  e  addobbata  con  tanto 
gusto,  che  non  eravi   persona  in  Ro- 
ma  che  non  si  conducesse  a   veder- 
la: in  essa  si  tratteneva  sovente   in 
orazioni,  quali   prolungava    a  notte 
inoltrata.  Intervenne  a  quattro  con- 


MEN  2o3 

davi,  ne' quali  sempre  si  regolò  con 
grande  prudenza  e  saviezza,  non 
avendo  nelle  elezioni  altro  oggetto 
che  la  gloria  di  Dio,  la  dignità  di 
s.  Chiesa,  il  vantaggio  del  cristia- 
nesimo, e  il  decoro  del  sacro  col- 
legio, nulla  valutando  i  vincoli  del- 
l'amicizia,  quelli  della  parentela,  ed 
i  privali  interessi.  Lasciata  la  sua 
eredità  ai  propri  domestici  fami- 
gliari, chiuse  nel  i5gi  una  lodatis- 
sima  vita,  con  una  pìissima  morte 
che  promosse  il  generale  rammari- 
co, anco  per  la  robusta  età  di  44 
anni,  e  trasferito  il  cadavere  alta 
patria  fu  collucato  nella  tomba  dei 
suoi  maggiori,  col  solo  nome  inciso 
sulla  lapide  sepolcrale.  Il  Petramel- 
lara  lo  celebrò  quale  ornamento 
della  Chiesa,  sostegno  delle  lettere, 
e  domicilio  di  tutte  le  virtìi. 

MENDOZA  Alvabo,  Cardinale. 
Alvaro  Mendoza  spagnuolo  de'mar- 
chesi  di  Villagarzia,  nacque  in  Ma- 
drid, ed  avanzatosi  nello  studio  del- 
le scienze,  meritò  la  laurea  nelle 
facoltà  teologiche  nel!'  uni%'ersità  di 
Avila,  fu  ammesso  nella  corte  di 
Carlo  li,  dove  per  lo  spazio  di  19 
anni  diede  costantemente  chiare  e 
luminose  riprove  di  sua  pielà  e  re- 
ligione, Filippo  V  penetrato  del  di 
lui  merito,  lo  nominò  nel  ì<j33 
primo  cappellano  della  reale  cap- 
pella e  patriarca  delle  Indie  col 
titolo  di  arcivescovo  di  Farsaglia, 
che  gli  fu  accordato  da  Clemente 
XII.  Dipoi  alle  preghiere  di  Ferdi- 
nando VI,  a' IO  aprile  174?  Bene- 
detto XIV  lo  creò  cardinale  prete, 
e  per  non  essersi  mai  recato  in 
Roma  non  ebbe  il  titolo  cardinali- 
zio. Venne  eziarnlio  promosso  a  re- 
gio elemosiniere  e  ad  arcivescovo 
di  Toledo.  Collocato  in  sì  alto  gra- 
do, si  guardò  bene  dal  dare-  il  me- 
nomo indizio  di    fasto    o  di  super. 


2o4  MEN 

bia,  e  quantunque    fosse  doviziosa- 
mente ricco  di  rendite  ecclesiastiche, 
fti    sempre     bisognoso,    mentre    gli 
ospedali^  i  luoghi  pii  e  le  famiglie 
povere  esaurivano  quanto   egli  pos- 
sedeva. Dotato  d'invitto  coraggio  sa- 
cerdptale,  e  fornito  di  matura  pru- 
denza   e    di    perspicace    consiglio   , 
incontrò  il  genio  e  la  soddisfazione 
dei  re    di  Spagna.    La  morte    anzi 
che  atterrirlo,  fu  da  lui  attesa  con 
animo     tranquillo    in     Madrid    nel 
1761,  nella  decrepita  età  di  90  an- 
ni,   e  fu    sepolto  nel    monastero  di 
s.    Gii,    nella    tomba    medesima  in 
cui    si  ritrovava    la  di    lui  madre, 
che   in  occasione  di   aprirsi   per  col- 
locarvi il  cadavere  del  defunto  car- 
dinale, fu  trovata  incorrotta,  quan- 
tunque ivi  collocata  yS  anni  prima. 
Sulla   lapide  sepolcrale  del  cardina- 
le   fu  scolpita    una  breve  iscrizione 
in  idioma  spagnuolo. 

MENDOZA.  Giuseppe  Francesco, 
Cardinale..  Giuseppe  Francesco  de 
Alendoza  nobile  portoghese,  nacque 
ili  Lisbona  a' 12  ottobre  1726. 
Dopo  fatti  gli  studi,  e  ricevuta  una 
educazione  corrispondente  al  suo 
grado,  abbracciò  Io  stato  ecclesiasti- 
co, e  per  le  sue  qualità  meritò  che 
Pio  VI  nel  concistoro  de'  1  o  mar- 
zo 1788  lo  facesse  patriarca  di 
Lisbona  sua  patria,  quindi  nel  con- 
cistoro de'7  aprile  del  medesimo  an- 
no, nella  sua  XVI  promozione,  lo 
creò  cardinale  dell'ordine  de'preti. 
Il  Papa  destinò  a  portargli  la  berretta 
cardinalizia  monsig.  Girolamo  Altieri, 
ed  il  cardinal  Boncompagno  segreta- 
rio di  stato  gli  partecipò  la  notizia 
di  sua  esaltazione  col  berrettino  ros- 
so, pel  corriere  Vincenzo  Tagliavini; 
mentre  l'incaricato  di  Portogallo  cav. 
Pereira  spedì  pel  medesimo  ogget- 
to alla  corte  l'altro  corriere  Fran- 
cesco  Lenzi,    Nou  essendosi    mai  il 


MEN 
cardinale  portalo  in  Roma,  non  eb- 
be titolo  cardnializio,  e  neppure  in- 
tervenne al  conclave  di  Venezia  in 
cui  fu  eletto  Pio  VIL  Nel  pontifi- 
cato di  questi,  a' 16  febbraio  1808, 
mori  in  Lisbona  d' anni  82,  e  fu 
esposto  e  sepolto  in  quella  patriar- 
cale, compianto  per   le  sue  doti. 

MENECHILDE,  LUTRUDE  o 
LINTRUDA,  OTTILDA  o  ILDA, 
AMATA,  PUSINNA,  FRANGOLA, 
e  LIBERA  o  LIBERIA  (ss.).  Que- 
ste sante  sorelle  vissero  nella  Sciam- 
pagna in  virginità,  e  sono  onorate 
tli  un  culto  pubblico  nella  Chiesa. 
Furono  tutte  ammaestrate  da  \\\\ 
prete  virtuoso  per  nome  Eugenio,  e 
ricevettero  il  velo  da  s.  Alpino  vesco- 
vo di  Sciallon  o  Chalons  sulla  Marna. 
S.  Menec.hilde  è  onorata  a'  i4  di 
ottobre;  s.  Lutrude  ai  22  di  set- 
tembre, giorno  deila  sua  morte;  s. 
Oltilda  a' 3o  di  api  ile;  s.  Pusin- 
na  ai  9.3  d'aprile;  il  culto  delle 
altre  non  ha  alcun  giorno  partico- 
lare. L'opinione  piìi  probabile  si 
è  che  queste  sante  sieno  vissute  ver- 
so  la   metà  del  settimo  secolo. 

MENELAIS  o  MENELAITA. 
Sede  vescovile  di  Egitto,  nel  pa- 
triaicato  d'Alessandria,  eretta  nel 
IV  secolo,  forse  lo  slesso  che  Ca- 
nopo, presso  la  quale  era  situala, 
vicino  a  Schedia  a  ponente  del  Ni- 
lo. Al  tempo  di  s.  Atanasio  faceva 
un  vescovato  con  Schedia,  e  ne  fu- 
rono vescovi  Atlante  che  interven- 
ne al  concilio  Niceno,  ed  Agatode- 
mone  che  sottoscrisse  la  lettera  a 
s.  Atanasio  e  quella  del  concilio  di 
Ales,sandria  agli  antiocheni.  Oriens 
christ.   t.   II,  p.   53o. 

MENELAO  (s.).  abbate.  Nacque 
in  Angiò,  d'illustre  famiglia  impa- 
rentata colla  casa  reale  di  Francia. 
1  suoi  genitori,  temendo  che  ab- 
bandonasse il  mondo,  gli  proposero 


MEN 

un  cospicuo  matrimonio  pnr  rite- 
nervelo; ma  egli  che  avcn  disegna- 
to di  passare  sua  vita  nella  conti- 
nenza, ("uggì  di  soppiatto  dalla  casa 
paterna.  Savininno  e  Costanzo,  a- 
nimati  dal  medesimo  spirito,  si  u- 
nirono  a  lui,  e  giunti  in  Alvergna 
presero  tutti  e  tre  l' abito  religioso 
nel  monastero  di  Carmery.  Selt'anni 
appresso  Menelao  abbandonò  quel 
monastero,  e  con  Costanzo  e  Savi- 
niano  si  stabili  in  quello  di  Menat, 
selle  leghe  lungi  da  Clermont.  Egli 
lo  lece  rifabbricare,  e  meritò  di  es- 
serne come  il  secondo  fondatore; 
lo  governò  parecchi  anni  con  gran 
concelto  di  santità,  e  vi  mori  nel 
720.  La  sua  memoria  è  in  grande 
venerazione  nell'Alvergna  e  nell'An- 
giò  :  leggesi  il  suo  nome  nel  marti- 
rologio d'  Usuardo  ai  22  di  luglio. 
MEA'EOj  Menaeum.  Libro  che 
contiene  le  preci  e  gì'  inni  da  reci- 
tarsi in  coro  dagli  ecclesiastici  gre- 
ci, cioè  r  uffizio  de' santi  di  ciascun 
giorno,  diviso  in  dodici  tomi,  pei  do- 
dici mesi  dell'anno,  incominciando 
dal  settembre.  Questo  nome  Meneo 
deriva  dal  greco  men,  mese,  che  i 
Ialini  dissero  Menaeum.  1  menci 
contengono  in- ogni  volume  lutti  i 
santi  de'  quali  si  fa  memoria  in  quel 
mese,  gli  uffizi  de' singoli  colle  ru- 
briche espresse  in  lettere  miniate, 
colle  messe,  canoni,  lezioni,  e  tutto 
ciò  che  si  deve  recitare.  Yi  sono 
ancora  compendiosamente  descritte 
le  vite  e  le  gesta  de' santi,  talvolta 
colle  loro  immagini,  e  se  qualche 
santo  non  ha  1'  uffizio  proprio,  se 
ne  la  la  commemorazione  o  in  pro- 
sa o  in  versi.  Sonovi  pure  indicate 
le  maggiori  solennità  del  Signore, 
e  si  fa  menzione  di  alcuni  fatti  più 
memorabili  di  Costantinopoli.  Vedi 
il  Zaccaiia,  Bihlioih.  ritiial.  lib.  j, 
e.   4j    "•    17.    11  Borgia,    Falicana 


MEN  2oì> 

Conffssio  p.  CXXVII,  parlando  del 
Meneo  greco  e  di  ciò  che  contiene, 

10  definisce  così.  »>  Menaea  sunt 
XII  volumina,  in  quibus  juxta  or- 
dinem  mensium,  a  septembri  inci- 
piendo,  a  quo  annum  suiun  gì  ac- 
ci inchoant,  repelitur  non  solum 
ordo,  quo  apud-  graecos  singulis 
diebus  recilandum  est  divinum  of- 
fjcium,  sed  ipsummct  etiani  onicium, 
nempe  troparia  in  primis,  et  se- 
cundis  vesperis,  missa  et  canones  in 
matutino,  aliisque  divinis  officiis  re- 
citandis,  inter  quos  synaxaria,  re- 
rum nempe  gestaruui  ab  ìllis  san- 
clis,  quorum  dies  festus  agitiir,»  suc- 
cincta  narratio  ".  Il  perfezionamen- 
to di  questo  libro  non  rimonta  a 
secoli  tanto  antichi,  tuttavia  se  ne 
deve  l'origine  ai  primi  secoli,  do- 
po però  l'incominciamento  de' mar- 
tirologi,   f^edi  Menologio. 

MEÌNjNA  (s.),  martire.  Egizio  di 
nascila,  serviva  in  un  corpo  di 
truppe  romane,  eh' era  a' quartieri 
d'inverno  in  Colzea  nella  Frigia, 
presso  la  Scizia,  quando  gli  editti 
di  Diocleziano  contro  la  religione 
cristiana,  erano  eseguiti  con  tutto 
il  rigore  in  oriente.  Essendo  stalo 
arrestato,  confessò  generosamente  il 
nome  di  Gesù  Cristo,  laonde  fu 
battuto  con  verghe  e  tormentato 
sul  cavalletto  colla  più  atroce  bar- 
barie. Finalmente  fu  condannato  a 
perdere  la  testa,  e  la  sentenza  ven- 
ne eseguila,  secondo  1' opinione  più 
probabile,  circa  1'  anno  3o4-  H  suo 
corpo  fu  portato  in  Egitto,  e  il  suo 
nome  è  stato  sempre  celebre  nei 
calendari  della  chiesa  d' oriente:  in 
quello  degli    abissini  è    notato  agli 

11  di  novembre.  Avvi  un  altro  s. 
Menna  ,  che  soffri  il  martirio  in 
Libia  sotto  Massimiano,  ed  è  nomi- 
nato ai  IO  dicembre  nei  martirolo- 
gi di  oriente  e  di  occidente. 


2o6  MEN 

MENNITH.  Sede  vescovile  del- 
l' Arabia,  sotto  la  metropoli  di  Rab- 
batha  o  Petra,  della  provincia  Na- 
basca,  memorabile  per  la  disfatta 
e  morte  del  re  degli  ammoniti, 
vinto  da  Jefte  giudice  e  capitano 
del  popolo  ebreo.  Ne  fu  vescovo 
Stefano.   Siria  sacra  p.    278. 

MENNONITI  o  MENNONISTI 
o  MENNISTI,  Mennonitae.  Eretici 
de'  Paesi  Bassi,  seguaci  di  Menno  o 
Mennone  chiamato  Simonis,  cioè  fi- 
glio di  Simone,  che  passarono  per 
una  setta  d'anabattisti,  i  quali  nel- 
la detta  regione  furono  pure  ap- 
pellati mennoniti.  Mennone  parro- 
co di  Pinnigum  nella  Frisia  circa 
il  declinar  del  secolo  XV,  abbandonò 
il  cattolicismo,  e  si  fece  ribattezzare 
dall'anabattista  Ubbo  Philippi  ;  al- 
tri non  convengono  che  i  mennoni- 
ti derivino  dagli  anabattisti,  né  che 
Simone  fosse  discepolo  d' alcuno  di 
essi.  In  fatti  i  mennoniti  non  bat- 
tezzano che  gli  adulti,  ma  non  ri- 
battezzano i  fanciulli;  raccomanda- 
no 1*  obbedienza  ai  magistrati,  e 
condannano  la  guerra,  la  vendetta, 
il  giuramento,  il  fanatismo  ed  i  fu- 
rori de' primi  anabattisti,  i  quali 
pretendevano  ristabilire  il  regno  di 
Gesìi  Cristo  sulla  terra  colle  armi. 
Mennone  variò  la  sua  dottrina,  ed 
i  seguaci  si  divisero  in  più  sette, 
essendo  le  principali  in  Fiandra  e 
in  Frisia.  1  primi  chiamati  veri 
ììiennoniti,  esercitavano  la  disciplina 
ecclesiastica  con  gran  rigore,  sco- 
municavano per  tenui  mancanze,  e 
credevano  che  non  doveasi  aver 
commercio  cogli  scomunicati.  I  men- 
noniti di  Frisia  erano  così  rilassa- 
ti nella  disciplina,  che  ricevevano 
nella  loro  comunione  quelli  che  ve- 
nivano scacciati  dagli  altri  menno- 
niti, e  generalmente  ogni  sorta  di 
persone  impure,  laonde  per  derisio- 


MEN 
ne  vennero  chiamati  hamaxarii, 
horhorilae,  stercorarii.  Una  setta 
de'  mennoniti  che  volle  tener  la  via 
di  mezzo  fra  le  nominate,  prese  il 
nome  di  neutralisti.  Le  due  sette 
de' fiamminghi  e  de' frisoni  si  sud- 
divisero in  molte  altre,  la  maggior 
parte  delle  quali  adottarono  molti 
sentimenti  de'sociniani  :  tali  sono 
galeniti,  che  provengono  dal  medi^ 
co  Galeno  Abram  d*  Amsterdam  , 
gran  fautore  del  socinianismo. 
paesi  ne'  quali  i  mennoniti  sono  ii 
oggi  più  numerosi,  sono  1'  Olanda^ 
r  Inghilterra,  e  gli  Stati  Uniti  d'A* 
merica.  Hanno  molte  chiese  in  O- 
landa  ed  in  Frisia;  se  ne  trovane 
anche  in  Germania,  in  Alsazia  ( 
nella  diocesi  di  Basilea.  I  mennoi 
niti  hanno  molta  affinità  coi  batti* 
sti  d'  Inghilterra  o  d'  Anìerica, 
quali  dividonsi  in  un  gran  numero 
di  rami. 

MENOCHIO  Giovanni  Stefano, 
Nacque  a  Parigi  dal  celebre  giure- 
consulto Giacomo  ,  ed  entrò  nella™ 
compagnia  di  Gesù  nel  iSgS:  ivi 
insegnò  nel  collegio  d'Italia,  e  mo- 
rì in  Roma  a'4  febbraio  i65G,  do- 
po aver  composto  molle  opere. 
Possedeva  le  lingue  dotte,  conosce- 
va perfettamente  le  antichità  giu- 
daiche, poiché  i  libri  sacri  erano 
stati  la  sua  principale  applicazione. 
Le  opere  sono  :  1  ".  Commento  let' 
terale  su  tutta  la  sacra  Scrittura. 
2.°  Istituzioni  politiche  ed  econo- 
miche ricavate,  dalla  sacra  Scrittu- 
ra. 3.°  Otto  libri  della  repubblica 
degli  ebrei.  4-°  Storia  della  vita  di 
Gesit  Cristo.  5°  Storia  degli  atti 
degli  apostoli,  R.oma  1 654-  6."  Sto- 
ria sacra  mista.  7.°  Varie  dia- 
tribe. 8.°  Stuore  0  trattenimenti  e- 
rudili,  Roma  1689.  Questo  tessuto 
di  varie  erudizioni  sacre,  morali  e 
profrtuc,  nelle    quali     si  dichiuraua 


MEN 
molti  passi  oscuri  della  sacra  Scrit- 
tura, e  si  risolvono  varie  questioni 
amene,  e  si  riferiscono  riti  antichi, 
istorie  curiose  e  profittevoli  ,  fa 
.stampato  più  volte  in  sei  tomi  ed 
in  tre.  L'edizione  del  suo  com- 
mentario sulla  Bibbia,  procurata  dal 
p.  Tournemine  gesuita,  è  del  17  ig: 
questo  padre  "vi  aggiunse  le  pro- 
prie dissertazioni  con  alcune  altre 
opere  de'suoi  confratelli  -sulla  Bib- 
bia. 

MENOIDA.  Sede  vescovile  della 
prima  Palestina,  sotto  la  metropoli 
di  Cesarea,  nel  patriarcato  di  Geru- 
salemme, situata  "vicino  a  Gaza.  Ne 
furono  vescovi,  Zosimo  che  nel 
45»  assistette  al  concilio  di  Calce- 
donia ,  e  ritrattò  ciò  che  aveva 
l'atto  nel  brigandaggio  d'Efeso  in 
favore  di  Dioscoro  d'Alessandria; 
Giovanni  che  sottoscrise  la  lettera 
sinodale  al  patriarca  di  Gerusalem- 
me contro  Severo  e  gli  altri  seguaci 
de'monofisiti  nel  5i8;  e  Stefano 
the  sottoscrisse  il  decreto  sinodale 
delie  tre  Palestine,  sotto  Pietro  pa- 
triarca di  Gerusalemme,  contro  An- 
timo e  gli  altri  eretici  nel  536. 
Oriens  christ.   t.   II,  p.   670. 

MENOLOGIO,Me«o/og/>/w.Mar- 
tirologio  o  calendario  de' greci,  che 
è  diviso  per  ciascun  mese  dell'anno, 
e  che  contiene  un  compendio  del- 
le vite  de'sanli  per  ciascun  giorno, 
o  la  semplice  commemorazione  di 
quelli  di  cui  non  si  hanno  le  vite 
scritte.  Il  menologio  de'greci  è  pres- 
so a  poco  la  slessa  cosa  del  Marti- 
vaiolo  {^Vedi)  de'Iatini ,  e  vi  sono 
quasi  altrettante  sorta  diverse  di 
inenologi,  come  di  martirologi  ge- 
neiali.  Ad  instar  marlyrologii  la- 
tinorum, dice  il  Zaccaria  in  Bi- 
llioth.  ritual.,  ch'erano  i  menologi 
tie'  greci.  I  vari  e  diversi  meno- 
logi, Secondo  le    circostanze  de'luo- 


MEN  207 

ghi  e  de'tempi,  sono  andati  soggetti 
a  cangiamenti;  il  principale  e  più 
antico  sembra  quello  compilato  per 
ordine  di  Basilio  imperatore,  cioè 
verso  la  metà  del  IX  secolo,  che 
r  Ughelli  pubblicò  nel  IV  tomo 
deW'Italia  sacra.  Il  Rinaldi  all'anno 
886,  n.  i4,  dice  che  Basilio  fece 
scrivere  ed  accrescere  il  menologio 
greco,  lo  adornò  con  immagini  di 
gran  pregio,  con  le  quali  furono  e- 
spressi  i  martini  di  ciascun  santo; 
e  che  tale  originale  egli  l'avea  ve- 
duto e  letto  per  cortesia  del  cardinal 
Paolo  Sfondiato  nipote  di  Grego- 
rio XIV.  Canisio  ne  fece  stampare 
un  altro  nel  secondo  tomo  delle  sue 
Lezioni  antiche.  Sì  diede  pure  il 
nome  di  menologio  a  diverse  effe- 
meridi ecclesiastiche  per  tutto  Tan- 
no, le  quali  non  sono  altro  che 
calendari.  I  menologi  hanno  origi- 
ne da  ciò  ,  che  i  registri  degli  atti 
de' santi,  che  chiamavansi  sinassari 
perchè  se  ne  faceva  la  lettura  nelle 
chiese  ne'  giorni  di  sinasse  o  di 
conferenza  per  celebrare  la  loro  fe- 
sta, sembrando  troppo  lunghi  per 
poter  essere  letti  intieri  in  un  so- 
lo uffìzio,  se  ne  fecero  de'compendi 
che  vennero  inseriti  ne'3fenei,  pres- 
so a  poco  come  le  lezioni  dei  nostri 
breviari.  Furono  accorciati  ancora 
dopo  per  inserirli  nelle  effemeridi 
o  nei  calendari,  e  nei  lìisli  delie 
chiese,  come  avevano  fatto  presso  i 
latini  Beda  o  Floro,  e  principal- 
mente Adone  ne'loro  martirologi; 
ciò  che  diede  origine  ai  menologi 
presso  i  greci.  Si  crede  da  alcuni 
che  s.  Giovanni  Damasceno  fiorilo 
nel  declinar  dell' Vili  secolo,  fòsse  il 
primo  autore  de'compendi  delle  vi- 
te de'santi  presso  i  greci;  ma  tut- 
tavolta  sembra  che  né  i  menci,  né 
i  menologi  siano  cosi  antichi;  e 
\i  è    alcuno  che  dubita'  se  a'iempi 


2o8  MEN 

di  Melafraste,  che  mori  nel  secolo 
X,  fossero  in  uso  giusta  la  forni.i 
nella  quale  noi  li  vediamo.  /^.  Li- 
turgia, ove  si  parla  di  quella  dei 
greci  ;  e  Macri,  Menologiuin.  La 
distinzione  che  si  fa  tra  il  nieneo 
ed  il  menologio  ,  consiste  che  il 
primo  coulierie  l'uffizio  ecclesiastico 
per  tutto  r  anno,  ed  il  secondo 
n'è  un  compendio,  o  piuttosto  ufi 
seniplice  calendario,  e  corrispon- 
dente al  martirologio  romano.  Del 
menologio  degli  armeni  tratta  il 
Borgia,  Vadcana  confessio,  ^.  io5 
e    io6. 

MENSA.   F.  Conviti    e    Pranzi. 

MENSA  DELL'  ALTARE.  V. 
Altare,    Lavanda   degli    Altari. 

MENSA,  Rendita.  Entrata  o  ren- 
dita applicata  al  sostentamento  del 
vescovo  e  di  sua  famiglia,  del  ca- 
pitolo, dell'abbazia,  del  convento, 
del  monastero,  d'  una  comunità , 
d'un  prelato,  per  cui  dicesi  mensa 
episcopale,  capitolare,  abbaziale,  con- 
ventuale ,  ec.  Osserva  il  Borgia, 
Meni,  t^  ir,  p,  4i2,  che  nelle  vec- 
chie carte  in  vece  di  camera  tro- 
vasi alle  volte  scritto  me«.?rt,  anche 
per  denotare  una  cosa  d'alto  do- 
minio e  di  speciale  dominio  del 
sovrano  ,  comechè  questa  voce  più 
frequentemente  sia  usata  ad  indicare 
i  beni  ed  i  patrimoni  delle  chie- 
se, de' vescovi  e  de'monasteri  ;  e  ri- 
porta per  esempio,  che  Benevento 
si  disse  ad  mensarn  apostolicain 
pertinel.  Furono  dette  mense  i 
gazofilacì  e  le  carbone,  di  cui  par- 
lammo a  DlACOJIIE  CARDINALIZIE,  CaS- 

se  o  luoghi  per  riporvi  i  denari 
oHerli  dal  popolo  alle  chiese;  ed 
ivi  pur  dicemmo  delle  mensuali 
provvisioni  ecclesiastiche  dette  vien- 
sicruns.  Benché  le  mense  conven- 
tuali o  monastiche  l'ossero  separa- 
te da  quelle  degli  abbati,  i  religiosi 


MER 
non  potevano  vendere  nulla  senza 
il  consenso  de' loro  abbati,  perchè 
la  separazione  delle  mense  non 
cambiava  la  natura  de'beni,  né  lo 
stato  delle  cose,  né  la  solidità  degli 
stessi  beni.  F'.  Beni  di  Chiesa,  Pa- 
trimonio,  Beneplacito  Apostolico. 

MEONIA.  Sin\e  vescovile  della 
provincia  di  Lidia,  sotto  la  metro- 
poli di  Sardi,  nell'esarcato  d'  Asia, 
eretta  nel  V  secolo,  e  chiamala 
pure  Opricium.  Ne  furono  vescovi, 
Giovanni  che  sottoscrisse  la  lettera 
della  provincia  di  Lidia  all'impera- 
tore Leone,  riguardante  l'assassinio 
di  s.  Protero;  Anastasio  che  sot- 
toscrisse al  canone  in  Trullo;  Teo- 
fane che  fu  al  VII  concilio  gene- 
nerale;  e  Giorgio  presente  al  con- 
cilio di  Fozio.  Oriens  christ.  l.  f, 
p.   884. 

ME  RATI  Gaetano  xMaria.  Nac- 
que in  Venezia  nel  i668,  si  fece 
religioso  teatino ,  insegnò  la  filoso- 
fia e  la  teologia  nei  collegi  del 
suo  ordine  a  Firenze  ed  a  Roma, 
quindi  accompagnò  nel  1705  l'am- 
basciatore veneto  a  Londra  in  qua- 
lità di  teologo,  e  ritornato  da  quel 
viaggio  tutto  applicossi  allo  studio 
delle  antichità  ecclesiastiche  e  della 
liturgia,  in  cui  divenne  profonda- 
mente dotto.  Nel  17  16  fu  chiama- 
to a  Roma  come  procuratore  ge- 
nerale del  suo  ordine,  poscia  elet- 
to consultore  della  cons'rei'azioue 
de' riti,  uffizio  che  disimpegnò  con 
tanta  lode,  che  Benedetto  XIV,  il 
quale  lo  onorava  di  sua  amicizia, 
ordinò  con  breve  de' ai  marzo  174^ 
che  in  avvenne  un  teatino  Iòsse  sem- 
pre consultore  de'riti;  ciò  dopo  la 
morte  del  p.  Merati,  avvenuta  nel  sel- 
tembre  1 7  44-  Olire  un'eccellente  edi- 
zione del  Thesaurus  sacroruni  ri- 
(uu'ji  del  p.  Ga vanto  con  /addizio- 
ni, della  quale  se   ne  fece  pure   uu 


MER 

Compendio,  Venezia  1761,  abbia- 
mo del  p.  Merali  queste  opere:  i." 
Là  vita  soavemente  regolata  delle 
donne,  Venezia  1708.  2.°  La  ve- 
rità della  religione  cristiana  e 
cattolica  dimostrata  ne'  suoi  fon- 
damenti, ivi  1721.  3."  Novae  ob- 
servaliones  et  additiones  ad  Cavanti 
cohimentaria  in  rubricas  Missalis 
et  Breviari  romani,  Augusta  1740  ' 
quest'  opera  può  servire  di.  supple- 
mento alle  edizioni  del  Thesaurus 
anteriori    a  quella  del   p.   Merati. 

MERCANTE  o  MERCADANTE 
o  MERCATANTE,   Mercator,  Ne- 
gociator.  Quegli  che  esercita  la  mer- 
catura, e  che  espone  delle  cose  per 
■fenderle.    Urbano  Vili  con     breve 
de' 22  febbraio  i632  proibì  la  mer- 
catura ai   missionari  del   clero  seco- 
lare   e  regolare,  che  dalla  congre- 
gazione   di     propaganda    fide    sono 
mandati  a     propagare    il  cristiane- 
simo; od  a    mantenerlo    in    vigore 
ne'  luoghi    ove    esiste  ;    proibizione 
che  rinnovò  e  meglio    dichiarò  col 
breve  Sollicitudo  pastoralis  offìcii. 
Clemente    IX    a'  17    giugno    i66g, 
Bull,  de  prop.  t.  I,  p.  iSg.  Bene- 
detto XIV   poco   dopo  la    sua  ele- 
zione nel    1740    emanò  la    costitu- 
*ione  Aposlolicae    servitulis,  presso 
il  Bull.  Magn.   t.  XVI,  p.    19,  rin- 
novando le  pene   imposte  dai  con- 
cilii  e  dai  suoi  predecessori  contro  i 
chierici  che  per  sé    o  per    altri  e- 
sercitano  la  mercatura.     Su  di  che 
abbiamo    pure  nel  Bull,    de   prop. 
l.  IV,  p.    i3,    e  nel    Bull.    Contin. 
t.  I,  p.  227,  la  costituzione  di  Cle- 
mente Xni,    ampliando    quella  di 
Benedetto  XIV,  Cum  primuni,  de'i  7 
settembre   1759,    super  observantia 
canonicarum    sanctionum    adversus 
clericos  negotiatores,  et  saecularibus 
iiegoliis    se    immiscentes    editarum. 
Su  questo   arguQicnto    si    può  coa- 

VOL.    XLIV. 


MER  209 

iultare  :  Liber  quaestionum  quintui 
qui  est  ne  clerici  vel  monachi  sae- 
cularibus negociis  se  immisceant  ad 
Gregor.  PP.  IX  commentar.  An- 
tuerpiae  1680.  Per  virtuosa  mode- 
razione Benedetto  XII  maritò  cori 
moderata  dote  l' unica  liipote  che 
aveva  ad  un  mercante  ,  rifìutan- 
do  personaggi  ragguardevoli  ;  ed 
Urbano  V  all'  unico  nipote,  cui  ap- 
parteneva l'eredità  paterna^  diede 
in  isposa  la  figlia  dì  un  mercante 
di  Montpellier,  ricusando  diverse 
dame.  Clemente  X  a  btne  dello 
stato  ecclesiastico  e  per  renderlo 
più  ricco  col  commercio,  pubblicò 
la  costituzione  Decet  Romanoru/n 
Pontificum,  de'  i5  maggio  1671, 
dichiarando  che  l*  esercizio  della 
mercatura  non  pregiudicasse  alla 
nobiltà  del  suo  stato,  purché  i  no- 
bili non  vendessero  o  spacciassero 
le  merci  a  minuto.  Il  punto  se  lai 
mercatura  sia  lecita  ai  nobili  di 
qualunque  regno  d'  Europa,  è  trat- 
tato molto  bene  dal  cardinal  De 
Luca,  nella  parte  II,  del  lib.  Ili,  tit. 
de  preeminentiis,  disc.  XXXIII,  ove 
si  distinguono  varie  specie  di  mer- 
catura, e  da  cui  si  conclude,  che 
il  commercio  solito  usarsi  da  per- 
sone di  alta  sfera  ne'  principali  por- 
ti di  Europa,  nulla  pregiudica  alla 
■vera  nobiltà.  Scriveva  uQ  pubbli- 
cista, che  il  commercio  per  mare 
e  per  terra,  che  si  fa  coi  propri 
averi,  non  può  mai  pregiudicare 
alla  vera  nobiltà  ;  che  il  commer- 
cio è  in  ogni  stato  la  sorgente  delle 
ricchezze,  come  Io  è  l' agricoltura, 
l'esercizio  della  quale  non  pregiu- 
dica alla  nobiltà  j  che  non  vi  è  al- 
tra idea  di  nobiltà  fuori  di  quella 
òhe  nobilitas  est  sola  atque  unica 
pirtus,  laonde  il  commercio  istitui- 
to e  praticato  per  fomentare  iif 
virtù,  è  «ozi  conformissimo  alla  ve* 
14 


aio  MER 

la  nobiltà  ;  e  che  i  monopolii  e  le 
iricettazioiii  furono  sempre  In  peste 
delle  repubbliche,  per  cui  i  nobili 
che  con  nìoiiopolii  e  ìncettazionì 
praticassero  il  commercio,  sarebbe- 
ro gli  uomini  pili  disonorati  del 
mondo,  e  perciò  meritevoli  di  pub- 
blici castighi.  11  Cancellieri  nelle  sue 
Dissertazioni  ep'tst.  p.  16  e  seg. 
tratta  il  medesimo  argomento,  se 
la  mercatura  pregiudichi  alla  no- 
biltà, dicendo  che  mercante  e  pa- 
trizio fu  lo  stesso  in  Venezia,  che 
tutta,  come  Genova  ed  i  suoi  no- 
bili, si  occupò  nel  traffico.  Narra 
pertanto,  che  i  Contarini  furono 
mercanti  sino  dal  1200,  ed  i  più  il- 
lustri veneti,  sino  presso  il  i5oo; 
e  il  gran  doge  Andrea  Gritti  si 
dice  mercalor  in  Conslantinopoli 
celeberrimus,  prima  di  salire  sul  tro- 
no. 1  primari  gentiluomini  di  Siena 
furono  richissimi  negozianti,  come 
Giovanni  Urgugeri,  e  messer  Ago- 
stino Chigi  chiamato  il  principe 
de  mercanti,  e  dagl'  infedeli  il  gran 
mercante  cristiano.  Altri  gran  per- 
sonaggi, eziandio  di  condizione  pres- 
so che  principesca,  si  pregiavano  in 
tutte  le  occasioni,  ed  in  pubblico 
e  in  privato  del  titolo  di  mercanti; 
come  fecero  un  Cosimo  de  Medici, 
detto  il  vecchio,  il  grande,  padre 
e  liberatore  della  patria,  che  giun- 
se a  tenere  settanta  banchi;  ed  un 
Lorenzo  de  Medici  soprannominalo 
il  magnifico  e  il  padre  delle  lettere. 
Emula  della  magnilìcenza  de' Medi- 
ci fu  la  ricchissima  famiglia  Fug- 
ger  mercanti  d'Augusta,  già  em- 
porio del  commercio  di  Germania, 
prima  che  se  ne  impadronisse  di 
esso  r  Olanda  ;  e  fece  ardere  i  cam- 
mini di  sola  cannella  a  Carlo  V. 
Onde  a  giusta  ragione  Andrea  Ras- 
sio,  De  mercatura  et  nobilitale  ;  Gio. 
Cavlo    Hamnierer,    De     mercatura 


MER 

viro  d'gnitate  constituto,  non  inde- 
coraj  Arnoldo  Holtermanno,  Diss. 
de  commerciis,  et  mercatura  illw 
striuni  ,  nobiliuin  aliarumque  lio» 
noratarum  personaruni  ;  e  Raimon- 
do Peller,  An  mercatura  nobilitatent 
obfuscet?  hanno  confutato  la  strana 
opinione  di  Giacomo  Lembeke,  De 
intcrdicta  nobilibus  negolìalione,  che 
sostenne  l' inconvenienza  della  ne- 
goziazione con  la  nobiltà;  e  Gotlo- 
fredo  Hoffmanno,  Programma  de 
mercatore  litlerato,  e  Gio.  Enrico 
Goezio,  De  mercatoribus  eruditis, 
spicilegium,  et  selecta,  hanno  dimo- 
strata la  felice  unione  eziandio  del- 
l'erudizione colla  mercatura. 

Giovanni  XXIII  da  Costanza,  e 
Clemente  VII  da  Roma,  fuggirono 
travestiti  da  mercante;  ed  Inntjcen- 
zo  XI  ad  evitare  le  funeste  conse- 
guenze del  lusso  eccessivo,  con  edit- 
to ordinò  ai  mercanti  di  vendere  i 
propri  etfetti  e  mercanzie  a  denaro 
contante,  sotto  pena  di  perderne 
r  importo.  Innocenzo  XI  poi  fu  il 
primo  che  sanzionò  il  sistema  d'am- 
mortizzazione coi  chirografi  del  3 
febbraio,  5  maggio,  i3  giugno,  e 
20  agosto  i685:  Giuseppe  de  Welz 
rivendicò  a  quel  Papa  tale  sistema 
nella  sua  opera.  La  magia  del  cre- 
dito svelata,  Napoli  i8j4'  Ivi  parla 
[J4u"e  dei  romani  Luoghi  di  Monte 
(l'aedi),  al  quale  articolo  parlammo 
ancora  del  debito  pubblico,  e  della 
congregazione  di  ammortizzazione 
dello  stato  pontificio.  11  p.  Menochio,, 
Stuore  t.  Ili, cent. XI,  cap.  97,  trattia 
del  luogo  ove  in  Gerusalemme  si  a-i 
dunavaiio  i  mercanti.  Negli  ultimi] 
teu)pi  de'  romani  le  basiliche  ser- 
virono per  raccogliere  i  mercanti  edi 
esercitarvi  il  commercio.  Alcuni  scrit-l 
tori  pretendono  che  sino  dall'  ann< 
259  di  Roma,  ivi  si  erigesse  una 
Borsa  sotto  il   nome  di    asscmblt: 


MER 

tie'  mercatanti,  Collr^itim  mercato- 
rum.  L'origine  però  del  nome  di 
Borsa  come  luogo  di  riunione,  coni  ■ 
posta  d'ordinario  de'negozianli,  ca- 
pitani di  n:ive,  agenti  di  cambio, 
sensali  e  mezzani,  sotto  l' autorità 
del  governo, si  vuole  veramente  de- 
rivato dalla  làmiglia  Waiider  Bourse 
di  Bruges,  città  già  floridissima  pel 
traflQco,  davanti  al  di  cui  palazzo 
si  radunavano  i  trafììcanti  in  una 
piazza.  Deve  però  notarsi  che  il 
vocabolo  Bursa  fu  citato  prima  nei 
secoli  bassi  per  indicare  assemblea 
o  riunione  di  persone  che  avevano 
interessi  comuni;  ed  in  un  docu- 
mento del  1439  s>  legge,  com'cn- 
ticiila  et  hìirsam,  vel  coniniiinem  so- 
cietatem.  Veggasi  il  Muratori,  dis- 
seit.  XXX,  De'  mercati  e  della 
mercatura  de'  secoli  rozzi,  tra  gl'i- 
taliani, i  confinanti  e  gli  orientali, 
ove  si  parla  de' consoli  de' mercan- 
ti di  molte  città,  e  di  diverse  leg- 
gi sulla  mercatura.  Di  queste,  dei 
doveri  de'  mercanti,  e  della  diversa 
.specie  di  tali  negozianti,  ne  tratta 
il  Martinetti,  nel  Codice  de'  dov'eri. 
y .   Fiere,  Mercato. 

Si  dice  fallimento,  facultatum 
defectus,  il  mancamento  de'denari 
a'  mercanti,  per  cui  non  possono  pa- 
gare. 1  falliti  furono  condannati  in 
Jlonlefiascone  ed  in  Eunini  dagli  sta- 
tuti municipali,  a  battere  l'ano  i- 
gnudo  tre  volte  sopra  una  pietra: 
mentre  ciò  facevasi  nella  prima  cit- 
tà, il  fallito  ad  alta  voce  diceva, 
pagatevi  creditori,  nella  seconda  tre 
volle  doveva  esclamare:  Cedo  bonis. 
V.  il  Garauìpi  p.  56  delle  Memo- 
rie. Ascanio  Ottoni  signore  di  Ma- 
telica  nel  i520  emanò  una  legge 
relativa  ai  fallimenti,  e  la  fece  in- 
serire nelio  statuto  :  se  fosse  in  vi- 
gore farebbe  certamente  più  scarso 
il  numero  di    cpiclli   che  con  mala 


MER  21 1 

fede  domandano  tal    benefizio.  Ec- 
cone il  cerimoniale,    quale    riporta 
r  Acquacotta  a  p.    iSy    delle    Me^^ 
morie  di   Matelica.    Doveva  il  fal- 
lente presentarsi   «ella  sala  del  po- 
destà  vestito  solo  di  calzoni,  scarpe 
e  mantello,  senza  berretto  in  capo. 
Giunto  alla   porta  della  cancelleria, 
innanzi  ai   familiari  e  ministri    del 
podestà,  avea  da  proferir  queste  pa- 
role ;  io  cedo  alli  miei  beni,  e  per 
questo  nessuno  mai  più  mi  creda. 
Allora  un    trombetta    notificava  al 
popolo  il   fallimento.   I   ministri  poi 
di  giustizia  Io  rimovevano  dalla  sala 
trasportandolo   in  piazza    ed   obbli- 
gandolo  a  girarla    d'intorno,  e  ad 
ogni  passo  per  dodici  volte  era  tenu- 
to ripetere  :   io  ho    ceduto  alli  miei 
beni,  e  per  questo  nessuno  mai  piìt 
mi  creda.     Dopo    le    quali     parole 
ogni   volta  si    replicava    il    suon  di 
tromba;   ciò     fatto  si    restituiva    al 
fallito  la    libertà.     Papa    s.    Pio  V 
colla  costituzione     It2,    Postquani, 
del     primo  novembre     i^'jo,    con- 
dannò alla    pena    di    morte,    come 
pubblici    ladri,     i    falliti    con    dolo. 
Dalloz  nel  i833  pubblicò   in  Firen- 
ze:  Giurisprudenza     de' fallimenti  ^ 
delle  bancheroUe    e   della    decozio- 
ne.   All'articolo    Berretta   [f''edi)i 
dicemnìo  che  in  Francia,  e  di  color 
verde     erano     obbligati    portarla     i 
falliti,  onde  restasse  avvertito  il  po- 
polo,    per     non    essere    ingannato  , 
mentre    altrove     si   usava    perciò  il 
cappello  verde. 

Dell'istituzione  de' banchi  tratta 
il  cav.  Galli,  ne!  suo  importante  libro  i 
Cenni  economici  statistici  sullo  stato 
pontificio,  p.  4o4  e  seg.  Dice  il  chia- 
ro scrittore,  che  il  banco  di  Vene- 
zia ebbe  origine  nel  117I)  quello 
di  Genova  nel  i4o7>  quello  di 
Amsterdam  nel  1609,  quello  di 
Rotterdam     nel    i635,    quello    di 


211  MÉR 

Amburgo  tìel  1688,  quello  di  Lon- 
dra Ilei  1694,  quello  di  Parigi 
nel  17 16,  cioè  il  famoso  banco  di 
La w.  Successivamente  i  banchi  creb- 
bero a  dismisura,  e  segnatamente 
in  Inghilterra.  A'  tempi  nostri  tu 
eretto  in  Napoli  il  banco  delle  due 
Sicilie,  ed  in  Roma  nel  1826  il 
conte  Giovanni  Giraud  die  princi- 
pio ad  una  cassa  di  sconto,  la  qua- 
le nel  1834  riattivata  sotto  il  pon- 
tifìcato  e  l'annuenza  di  Gregorio 
XVI,  assunse  il  nome  di  Banca  ro- 
mana. Quindi  a  p.  4'^j  parla  del- 
la cassa  di  risparmio  eretta  in  Ro- 
ma con  approvazione  di  Gregoiio 
XVI  nel  i836:  in  Italia  simile 
istituzione  benefica  avea  avuto  luo- 
go nel  1823  in  Milano,  nell'an- 
no 1827  in  Torino,  e  nel  1829 
in  Firenze.  AH'  articolo  Gregorio 
XVI  dicemmo  come  nel  i83i  ap- 
provò r  erezione  della  camera  di 
commercio  di  Roma, e  come  nel  1837 
approvò  la  società  di  assicurazio- 
ni ;  ma  di  quanto  riguarda  il  com- 
mercio nello  stato  pontificio,  oltre 
quanto  riportiamo  in  molti  luoghi, 
si  può  consultare  la  Raccolta  delle 
leggi.  All'articolo  Monte  di  Pietà 
DI  Roma,  dicesi  del  suo  banco,  co- 
me pure  di  quello  di  s.  Spirito. 

Nel  voi.  XXX,  pag.  180  del 
Dizionario,  parlammo  della  con- 
gregazione de'  mercanti ,  esistente 
nella  chiesa  del  Gesù  di  Roma.  Di 
essa  tratta  il  Piazza  nell'  Eiisevolo- 
gio  tratt.  X,  cap.  XXIII,  e  delle 
buone  opere  che  si  fanno  nell'  ora- 
torio posto  sotto  il  vaso  della  sa- 
grestia, il  di  cui  primo  principio 
fu  a' 9  luglio  1^94  oeì  generalato 
del  p.  Acquaviva  della  compagnia 
di  Gesù,  che  l'aggregò  alla  prima- 
ria del  collegio  romano,  compien- 
dosi l'edificio  nel  i65o.  Il  mede- 
iinio  Piazza,  nel  Irati.  IX,  cap.  HI, 


MER 

discorre  eruditamente  dell' origini? 
della  mercatura,  e  della  congrega- 
zione di  s.  Paolo  de'Mercanli  in  s. 
Carlo  a'Catinari  fondata  nel  1610  ; 
e  nel  cap.  XXXI  della  confraterni- 
ta de' mercanti  e  mereiai,  eretta 
nel  1593  nella  chiesa  de' ss.  Seba- 
stiano e  Valentino.  Nel  tratt.  VII 
poi,  cap.  XXX,  parla  del  sodalizio 
de'  mercanti  banchieri  istituito  nel 
1578  in  s.  Lorenzo  in  Damaso.  Di 
altre  pie  congregazioni  di  diverse 
specie  de'  mercanti,  Colleginni  ne- 
gociatorum,  se  ne  tratta  ai  rispet- 
tivi articoli,  come  di  quelli  dell'//- 
gricoltura  (Fedi)  se  ne  diede  un 
cenno  al  voi.  XXVI,  p.  i63  del 
Dizionario.  A  Monete  Pontificie 
si  dirà  dei  banchi  o  bancherotti 
di  cambiatori  delle  monete  in  Ro- 
ma. Vedasi  :  iVuoi'o  corso  univer' 
sale  de'  cambi  ossia,  trattalo  genet 
rale  delle  scienze  del  cambio  utile 
ai  banchieri  e  negozianti,  Trieste 
182G.  Ai  loro  luoghi  parliamo  dei 
principali  banchi. 

MEUGATO,  Mercatus.  Luogo  e 
tempo  in  cui  si  tratta  di  mercan- 
zia, e  dove  si  compra  e  vende  ; 
ed  anche  radunanza  di  popolo,  per 
Tendere  e  comprare  merci.  Mercn- 
to  è  pure  sinonimo  (\\  Fiera  (Fedi), 
specie  di  h>ercato  che  ordinaria- 
mente dura  uno  o  più  giorni,  men- 
tre il  mercato  ha  la  limitata  du- 
rata d'  un  giorno  o  al  più  in  qual- 
che luogo  di  due,  essendo  inoltre 
la  fiera  fatta  con  maggior  notorie- 
tà e  numero  di  mercanzie,  di  ven- 
ditori e  compratori  ,  privilegiata 
con  esenzioni j  laonde  a  quell'arti- 
colo si  riportano  molte  notizie  a-J 
naioghe  ai  mercati,  come  della  lon 
origine,  mentre  a  Foro  si  diss« 
come  ivi  si  tennero.  Benadad  re  di; 
Soria,  die  licenza  al  re  di  Israele 
Acab,  che  in  Damasco  potess«  far« 


MER 
tin  mercato  o  celebrare  una  fiera, 
con  deJeriDinati  giudici  che  faces- 
«ejo  ragione,  e  decidessero  le  dif- 
ferenze de'liliganli.  I  mercati  sono 
egualmente  che  le  fiere  permessi 
dalle  aulorilà  de' luoghi  ove  si  ten- 
gono, in  diversi  de' quali  parliamo 
de'  pi  incipali  niercati,  i  quali  non 
si  devono  tenere  ne'  giorni  di  do- 
menica e  nelle  altre  lèsle.  Antichis- 
sima è  certamente  l' istituzione  dei 
mercati,  essendo  slata  sempre  ne- 
cessaria la  circolazione  de'  prodotti 
delia  terra  e  dell'  umana  industria, 
da  cambiarsi  coi  diversi  metalli 
a  comune  sostentamento.  Furono 
perciò  introdotte  le  nundine  o  fiere 
ne  giorni  destinati  al  concorso  del 
popolo  nelle  città  e  fuori  di  esse, 
per  esporre  in  vendita  le  merci  di 
tutte  le  sorta.  Ebbero  il  nome  di 
nundiiie,  perchè  come  dicono  Dio- 
nigi d'  Alicarnasso  I.  VII,  463,  ed 
Ovidioj  Fastor.  lib.  I,  v.  54,  quasi 
novendinacy  erano  stabilite  per  ogni 
nono  giorno;  quali  giorni  furono 
anco  chiamati  nonesini  e  noven- 
diali, e  per  renderli  più  noti,  i  ro- 
mani introdussero  ne' calendari  al- 
cune lettere  dette  mindinales.  Seb- 
bene questi  giorni  erano  sul  prin- 
cipio nel  numero  àe  nefasti,  anche 
essi  con  una  legge  furono  dipoi  di- 
chiaiati  dies  pasti,  affinchè  le  per- 
sone del  paese  non  restassero  im- 
pedite ne'  loro  lavori,  e  potessero 
nello  stesso  tempo  agire  pe'loro  af- 
fari di  compra  e  di  vendita,  e  trat- 
tare eziandio  delle  loro  controver- 
sie e  delle  loro  cause,  da  decidersi 
dal  pretore,  poiché  altrimenti  sa- 
rebbero stati  costretti  di  venire  in 
città,  anche  ne' giorni  usuali  di  giu- 
dizio. Non  solo  tenevansi  i  mercati 
ogni  nove  giorni  nel  decorso  di  tut- 
to l'anno,  ma  talvolta  anche  ogni 
Itile,  e  ce  ne  assicura  Plauto,  «et. 


MER  2i3 

II,  scen.  II  nel  Persa  :  cìb  mo\io  più 
si  praticò  dai  cristiani,  acciocché 
ogni  cittadino  potesse  avere  il  co- 
modo di  provvedersi  nelsabbato  non 
festivo  dai  contadini  di  tutto  l' oc- 
corrente per  la  domenica,  che  do- 
vea  restar  libera  per  attendere  al- 
l' esercizio  delle  sacre  funzioni  ; 
quindi  questi  mercati  furono  chia- 
mati sahbalinì,  ed  anco  annuali  ed 
hehdomadali.  Tuttavolta  simili  mer- 
cati furono  trasferiti  alle  domeniche, 
quantunque  da  vari  concilii  e  dalle 
leggi  imperiali  siasi  più  volte  cer- 
cato d' impedire  quest'  abuso,  affin- 
chè non  restasse  pregiudicato  il  cul- 
to della  Domenica  (^F^edi),  come  fe- 
cero Carlo  Piagno  e  Lodovico  II. 
Oltre  le  domeniche,  la  sicurezza  di 
un  maggior  lucro,  per  1'  alFollaraen- 
to  del  popolo,  fece  introdurre  nei 
giorni  natalizi,  o  sia  nelle  feste  dei 
martiri  e  di  altri  santi,  l'uso  delle 
fiere,  cosi  dette  dalla  voce  Feria,  a- 
doperata  dagli  antichi  scrittori  :  que- 
ste però  fin  dal  IV  secolo  furono 
altamente  riprovale  da  s,  Basilio 
Magno,  prescrivendo  a' suoi  mona- 
ci non  essere  convenevole  che  vi 
andassero.  Ciò  nonostante,  tal  con- 
suetudine si  propagò  ne' tempi  po- 
steriori, al  modo  che  si  disse  a 
Fiera,  chiamandosi  siliquaùcum  la 
gabella  che  si  ritraeva  nelle  fiere, 
tributo  introdotto  dagli  imperatori 
Valenliniano  e  Teodosio  a  vantag- 
gio del  loro  esausto  erario,  e  clii 
r  esigeva  siliquarius  o  siliquata- 
rius  :  ordinarono  tali  imperatori, 
che  nelle  fiere  per  ciascun  soldo 
dovesse  il  venditore  pagare  al  fisco 
mezza  siliqua,  ventiquattro  delle 
quali  costituivano  il  soldo  d' oro, 
ed  il  compratore  l'altra  metà.  An- 
ticamente vi  erano  consules  mer- 
catoruni  o  paraticorum,  dalla  para- 
ta o  mostra  delle  merci  che  in  essi 


2.4  MER 

facevasi,  ed  i  vescovi,  le  chiese  ed 
i  monasteri  ritrassero  vari  einolti- 
irienti  dai  mercati,  per  concessione 
di  principi  o  perchè  aveano  luogo 
in  siti  di  loro  giurisdizione.  In 
Francia  vi  furono  cuslodes  nundi- 
ìiaruiiì,  che  si  sceglievano  dall'or- 
dine de' militari  e  de' nobili,  per 
giudicare  di  tutte  le  controversie 
de'  negozianti  che  vi  concorrevano, 
e  solevano  avere  anche  il  titolo  di 
cancellieri,  trattando  degli  uni  e 
degli  altri  il  Dncange  ed  il  Car- 
pentier.  Per  consenso  de' giurecon- 
sulti la  facoltà  d'istituire  i  mer- 
cati e  le  fiere  appartiene  ai  so- 
vrani, o  a  chi  ne  gode  il  diritto, 
annoverandosi  questo  gius  fra  le 
regalie  maggiori  ;  per  altio  vi  sono 
alcuni  che  furono  di  sentimento  , 
potere  i  mercati  usuali  e  settiuia- 
nali  permettersi  anche  dai  signori 
territoriali,  a  dilFerenza  delle  fiere 
maggiori  e  solenni. 

In  alcuni  luoghi  fu  uso  di  tene- 
re il  mercato  ne'  Campidogli  della 
città  ov' era  il  foro,  che  ordinaria- 
mente era  il  luogo,  anche  nelle  vil- 
le, dove  si  comprava  e  si  vendeva, 
chiamato  mercato,  hicerla  è  la  si- 
tuazione vera  del  mercato  dell'an- 
tica Roma,  ed  il  Nardini  riferisce 
nella  sua  Roma  antica,  che  dalla 
quantità  di  robe  venali  che  s'  in- 
contiava  ne' campi  della  via  Sacra 
e  della  Suburra,  ch'erano  le  due 
strade  più  celebri  e  frequentate  di 
Roma,  si  è  creduto  da  molti  che 
vi  fosse  un  mercato  od  emporio  di 
robe  venali,  prima  dello  stagno 
di  Nerone  e  della  casa  aurea.  Al- 
tri più  comunemente  lo  riconosco- 
no presso  il  mónte  di  Testacelo,  per 
la  comodità  dello  sbarco  de' vascel- 
li che  venivano  pel  fiume,  ove  fu 
im  emporio  ornato  di  portici,  per 
le  robe    che  vi  portavano  le  navi, 


MER 

e  per  quelle  di  cui  solevano  cari- 
carsi nella  loro  partenza;  ma  sem- 
bra piuttosto  che  e(|uiva!esse  ad  uno 
stabile  arsenale  di  mercanzie,  che 
ad  una  piazza  di  mercato.  Laonde 
deve  supporsi,  che  vi  sia  slato  al- 
tro luogo  più  comodo  per  lo  smer- 
cio delle  cose  e  robe  commesti- 
bili e  di  minor  conto,  olire  quel- 
lo che  facevasi  nel  foro  og  li  nove 
giorni  e  detto  perciò  nund une.  Ab- 
biamo parlato  al  citato  articolo  Fo- 
Eo,  dei  fori  di  Roma,  e  perciò  del 
foro  boario,  ove  si  teneva  il  mer- 
cato de' bovi  ed  altre  bestie  da 
macello;  del  yc)/o  di  Sallustio,  ^t{ 
mercato  degli  abitanti  presso  il 
Quirinale;  de!  fora  cnpedine,  pel 
mercato  delle  carni  ed  altri  com- 
mestibili ;  del  foro  oUtorio,  ove  si 
vendevano  i  legumi  e  gli  erbaggi, 
facendovisi  pure  gl'incanti  pubblici; 
del  foro  piscario,  dove  si  ve  rideva 
il  pesce;  (\g\  foro  pixlorio,  dove  ven- 
devasi  il  pane,  il  grano  e  le  farine, 
forse  nel  detto  sito  presso  Testacelo 
e  la  porta  Trigemina  ;  del  foro 
sitario,  pel  mercato  de'  maiali,  ec. 
La  più  antica  memoria  poi  del 
mercato  tenuto  in  Roma  ne'  secoli 
di  mezzo  è  del  t  1 3o  circa,  locus 
noiidinarum,  con  sua  torre,  nella 
piazza  e  dintorni  di  Campidoglio^ 
come  rilevasi  pure  dall'  antico  sta- 
tuto di  Roma,  nel  qual  mercato 
per  lutto  il  teuìpo  di  sua  durata, 
i  trasgressori  esecutori  degli  ordini 
di  entrar  nelle  case^  dovevano  sta- 
re a  cavallo  del  leone  di  marmo 
che  stava  nelle  scale  di  Campido- 
glio, con  ima  mitra  di  carta  in  ca- 
po, e  col  volto  unto  di  miele,  li 
mercato  stendeasi  alla  chiesa  di  s. 
Biagio  sotto  Campidoglio,  poi  de- 
dicata alla  b.  Piita  da  Cascia,  e 
prolungavasi  fino  alla  chiesa  di  s. 
Giovanni  in  Mercato   o    Mcrcatel- 


MER 

lo,  oggi  «.  Venanzio  de'  canierincsi, 
di  che  parlammo  in  più  luoghi.  Nel 
i3i  !  Slefano  Colonna  s'impadronì 
della  torre  del  mercato;  e  nel  i  353 
fu  ucciso  nel  mercato  Bernardo 
Orsini  dal  popolo,  il  quale  trovò 
nel  mercato  poco  grano  e  ad  alto 
prezzo,  per  avere  i  senatori  Bertol- 
do Orsini  e  Stefanello  Colonna  per 
loro  privato  interesse  accordato  che 
fosse  spedito  fuori  il  grano.  Dagli 
statuti  di  Roma  apparisce,  che  quel* 
le  arti  o  professioni  che  formava- 
no corpo  o  collegio ,  eleggevansi 
fino  da  tal  tempo  i  consoli  o  ca- 
merlenghi^ i  quali  non  potevano 
durar  neil'ortlcio  oltre  un  anno,  ed 
erano  obbligali  rendere  ragione  dal- 
la  torre  del  mercato,  la  quale  ven- 
ne atterrata  dopo  la  morte  di  Bo- 
nifacio IX  per  rihellione  de' romani. 
Questo  pubblico  mercato  che  si  fa- 
ceva nel  mercoledì  d'ogni  settima- 
na, per  maggior  comodo  del  popolo, 
fu  dal  cardinale  camerlengo  d' E- 
slouteville,  con  autorità  di  Sisto  IV, 
trasportalo  a'  i  settembre  i477j 
come  scrive  il  Platina  nella  vita  di 
quel  Papa  ,  in  Piazza  Navona 
(f'edi)^  già  foro  agonale,  come  va- 
stissima e  piìi  centrale  della  città, 
ed  ivi  ancora  si  tiene  nel  merco- 
ledì, che  se  cade  in  giorno  festivo 
ha  luogo  nel  precedente.  JN'ondime- 
no  il  mercato  venne  proseguito 
pre.sso  il  Campidoglio,  sino  verso 
il  fine  del  secolo  XV,  continuan- 
dosi sulla  sua  piazza  la  vendita  dei 
generi,  venendo  frequentato  a  ca- 
gione de' tribunali  ivi  esistenti.  Nel 
1810  si  rinnovò  la  fiera  e  mercato 
di  Campidoglio,  e  ne  parlammo  al 
fine  di  quell'articolo,  come  del  suo 
mercato.  Sulle  fiere  ed  i  mercati 
scrissero  molti  anturi,  fra' quali  i 
seguenti.  Antonio  Clock,  Disp.  jurid. 
de    nimdinis  eanimque    piivilegiis, 


MER  21^ 

Marb.  1637.  Erycii  Puteani,  De 
nuiidinis  romanis  bber  ^  Lovanii 
1 646  ;  et  Clini  Mantissa  e  Grego- 
rii  Tholosani  Syntagm.  j'uris  de 
ììundinis  et  mercatibus,  in  Graevi, 
Thes.  ant.  roni.  Vili,  641.  Jo.  Tho- 
mas, De  nundinis,  Jenae  1 65o. 
Jacob.  Seb.  Laurembergii  ,  Ora- 
tio  de  soltmnibus  nwidinariim  ine- 
ptiis,  Uostochii  i65i.  Chr.  Lyseri, 
Disp,  de  /lire  nnndinarum,  Vit. 
i6^4-  Adhas  Frislehii,  Diss.  de 
regali  nnndinarum  fare,  Jenae  i  660. 
Chr.  Henr.  Heunningii,  Dissert.  de 
jnre  nnndinarnni  hebdoniadalium 
adjiiniento  niercaturae ,  maxime 
oecononiicae,  Lipsiae  1766.  Aug.  a 
Leyser,  De  nundinis  et  monopolUs. 
Ext.  in  ejus  Aledi l.  ad  Pand.  Spec. 
619. 

MERCEDE,  s.  Maria  della  re- 
denzione DEGLI  SCHIAVI.  Ordine  reale, 
militare  e  religioso.  Fu  istituito  da 
s.  Pietro  Nolasco  nobile  francese 
della  diocesi  allora  di  Tolosa,  oggi 
di  s.  Papoul,  presso  Carcassonn  nel- 
la Linguadoca,  nato  verso  l'anno 
1  189  da  genitori  che  lo  educarono 
mollo  cristianamente,  e  secondo  la 
dignità  di  loro  condizione.  Morto 
il  genitore,  d'anni  i5  restò  sotto 
la  tutela  della  madre,  la  quale  vo- 
leva impegnarlo  nello  stato  matri- 
moniale, ma  il  santo  giovine  non 
volle  essere  altro  che  di  Dio.  A- 
vendo  Pietro  in  sommo  orrore  l'e- 
resia degli  albigesi,  la  cjuale  in  quel 
tempo  progrediva  nelle  parti  di  To- 
losa, vendette  il  suo  patrimonio  , 
e  partitosi  per  la  Spagna  si  recò 
a  visitare  il  santuario  di  Monserra- 
to,  e  di  là  si  portò  a  Barcellona 
dove  fu  assai  bene  ricevuto  dal  re. 
Quindi  seguì  il  conte  Simone  di 
Monfort  generale  della  crociata  con- 
tro gli  albigesi,  nel  tempo  che  Pie- 
tro li  re  d'  Aragona^  attaccato  nel- 


»i6  MER 

li»  guerra    da   molti     nemici,    ayea 
ponsegiialo      per     difenderlo    il  suo 
figlio  Giacomo  I  al    conte  (o  me- 
glio   restò    Giacomo    J     prigioniero 
del  conte  nella  vittoria  riportata  a 
Muret),  e  questi    ne  incaricò  della 
educazione    Pietro  ,    costituendolo 
aio  e  maestro,  altri  però  vogliono  che 
il  santo  assunto  abbia  la   cura  del 
principe  dopo  la  morte  del  re  ;  cer- 
to è  che  il  santo  educò  Giacomo  I 
nella  pietà    verso    Dio,  e  nella  ve- 
nerazione verso  la  Chiesa,  come  nel- 
la  pratica  di   tutte  le  virtù   conve- 
nienti ad    un     monarca     cristiano  ; 
mentre  egli  stesso,  che  tali  cose  in- 
segnava ,    attendeva    di     proposilo 
all'orazione  di    notte    e  di  giorno, 
allo  studio  della  Scrittura,  e  ad  al- 
tre opere  virtuose,  nelle  quali  im- 
piegava  tutto  il  tempo  che  gli  avan- 
zava dal  regio    servizio,    senza  che 
fosse  distratto  dal  favore  del  prin- 
cipe e  dai  divertimenti  della  corte. 
Fino  d'allora  Pietro  senlivasi  mos- 
so da  SI    tenera    compassione  verso 
i    poveri     cristiani    che    gemevano 
sotto  il  tiranno  potere  de'raaomet- 
tani  mori    che    dominavano  a  quei 
tempi   la  maggiore  e  più  bella  par- 
te   delle  Spagne  ,    che  si   determi- 
nò d'impiegare  tutti  i  suoi  beni  per 
ottenere  la  loro   libertà,  e  liberarli 
da  quella    tirannia    e    dal    pericolo 
di  rinegare  la  fède.  Mentre  andava 
ciò  tra  se  meditando,  la  notte  del 
primo  giorno    di  agosto    del    1218 
gli  apparve  in   Barcellona  la  Beata 
Vergine    Maria,  e    gli    disse    essere 
volere  di  Dio    e     suo     piacere    che 
istituisse  un    ordine,  i  di    cui  reli- 
giosi   e    professori    si     obbligassero 
con  voto  particolare  a  riscattare  gli 
Schiavi  (Fedi).  Restò  il  santo  per 
tal  visione  pieno    di    meraviglia,  e 
poiché  nulla    eseguiva  senza  prima 
consultare  s.    Raimondo  di  Penna- 


MER 

fori  suo  confessore,  allora  canonie*^ 
di     Barcellona,  e    poi    domenicano, 
pertossi    immantinente    da    lui  per 
comunicargli  quanto    avea  udito   e 
veduto.  Crebbe  in    Pietro  la  mera- 
viglia in    sentire    da    Raimondo  di 
aver  avuta  ancor    egli    una    simile 
visione  dalla  ss.  Vergine,  e  che  que- 
sta aveagli    ordinato    animarlo    al- 
la glande  opera.  Ringraziarono  am- 
bedue il    Signore,    e    si    portarono 
dal  re  Giacomo  I^    conoscendo  es- 
ser necessario    il    (ii     lui    consenso 
ed  aiuto  per  mettere  mano  all'  im- 
presa.  Ascoltò  il  re   con  gran  pia- 
cere il  racconto,  e  dicendo   loro  di 
aver  avuto  ancor    egli  la  stessa  vi- 
sione in  quella    medesima  notte,  si 
offrì  di  contribuire  all'  adempimen- 
to dell'  opera    per    quanto    poteva. 
Mandò  subito  a  chiamare  Berenga- 
rio de  la  Palli    vescovo    di  Barcel- 
lona (  nella  qual    città  dimoravano 
allora  i  re    d'Aragona),    il    quale 
giunto  al  palazzo  gli   venqe  raccon- 
tato le   apparizioni    contemporanee 
e  gli  ordini  dati  dalla  ss.   Vergine 
separatamente    a    ognuno    di  loro, 
e  lo  pregarono  approvare  il  nuovq 
ordine.  Stante   il  canone    fatto  nel 
12  1 5  dal  concilio  Lateranense  IV, 
in  cui  si   vietava    lo  stabilimento  d\ 
alcun  ordine     regolare  senza    l' ap- 
provazione   della    santa   Sede,    mo- 
strò   in     principio    il    vescovo    del- 
le  diflicoUà  in  acconsentire,  ma  ri- 
flettendo poi  che  in  questa  occasione 
poteva    il  re  prevalersi  dell'indulto 
accordato    da     s.    Gregorio    VII    e: 
da  Urbano  II  al  re  Sancio  Ramiro 
pei  grandi  servigi    da     lui     prestati 
alla  Chiesa,  di    poter  cioè  egli  ed  i 
suoi  successori  erigere  in  tutti  i  loro 
stati  parrocchie,    confraternite,  mo- 
nasteri, ed    anche    ordmi    religiosi, 
senza  consultarne     la     santa     Sede, 
finalmente  acconsenti  ed  approvò  iU 


MER  MER  3t7 
niioTo  isliliito  con  piacere,  preve-  a  lui  stesso,  essere  suo  volere,  che 
dando  gli  immensi  vantaggi  che  ne  s'istituisse  l'ordine  della  Madonna 
farebbero  risultati  alla  Chiesa.  Quan-  della  Mercede  o  Misericordia^  per 
to  alia  rivelazione  o  apparizione  del-  la  redenzione  degli  schiavi ,  come  fu 
la  ss.  Vergine  al  Nolasco,  la  Ghie-  chiamato.  Detto  nella  messa  l' of- 
^a  concesse  all'  ordine  venisse  chia-  fertorio,  il  re  e  s.  Raimondo  pre- 
niata,  sì  nell'  uffizio  che  nella  rnes-  sentarono  Pietro  al  vescovo,  che  lo 
la,  colla  parola  descensione,  come  si  vesti  dell'abito  dell'ordine,  e  quin- 
leg^e  nel  decreto  di  Pio  VI  de*  3  di  lo  stesso  fondatore  vestito  che  ne 
agosto  I794'  ^^  '**  diede  a  tredici  gentiluomini. 
Fino  dal  1192  alcuni  gentiluo-  i  quali  insieme  col  santo  ai  tre  so- 
mini  delle  famiglie  più  cospicue  liti  voti  aggiunsero  il  quarto,  ob- 
d«'IIa  Catalogna,  avevano  formata  bligandosi  di  rimanere  ancora  nel- 
una  congregazione  che  il  re  Al-  la  schiavitù,  qualora  ciò  fòsse  stato 
fonso  li  chiamava  sua  per  aver-  necessario,  per  liberare  gli  schiavi 
re  permessa  la  fondazione,  ed  a-  tlal  potere  degl'infedeli.  Sei  di  que- 
Terla  dottata  di  ricche  rendite:  sti  cavalieri  essendo  sacerdoti,  fa- 
con queste,  colle  sostanze  proprie  rono  vestiti  di  una  tonaca  collo 
e  con  altre  di  cui  andavano  in  cer-  scapolare,  ed  una  cappa,  tutto  di 
ca,  riscattavano  gii  schiavi,  si  occu-  colore  bianco;  e  gii  altri  sette,  che 
pavano  in  visitare  gl'infermi  negli  erano  secolari,  d'un  abito  parimen- 
òspedali,  e  di  andare  in  corso  per  ti  bianco,  tlitlo  all'uso  di  quello 
le  coste  del  Mediterraneo  a  fine  di  delle  altre  persone  del  secolo,  ne 
renderlo  libero  dalle  rapine  de'  sa-  altro  li  distingueva  da  queste  in 
raceni.  La  maggior  parte  di  questi  quanto  alla  forma,  che  un  piccolo 
cavalieri,  molti  de'quali  erano  sacer-  scapolare  che  portavano  sopra  l'a- 
•doti,  pregarono  subito  s.  Pietro  No-  bito,  dello  stesso  colore  di  questo, 
lasco  di  volerli  ascrivere  all'  ordine  essendo  stato  scelto  il  bianco,  co- 
iuo,  e  dal  santo  venendo  ricevuti  me  il  piti  proprio  a  ricordare  l'in- 
con  allegrezza,  formarono  la  reli-  nocenza  con  cui  dovevano  vivere  i 
gione  della  Madonna  della  Mercede,  religiosi,  ed  ancora  in  onore  della 
che  di  prima  istituzione  fu  ordine  Concezione  immacolata  di  Maria 
militare,  perchè  i  secolari  che  vi  santissima,  la  quale  fu  poi  sempre 
si  ascrivevano,  si  obbligavano  con  difesa  dall'ordine.  Il  popolo  appluu- 
voto  a  difendere  la  fede  cattolica  di  allo  stabilimento  di  questo  isti- 
colle  armi,  e  ad  opporsi  alle  scor-  luto,  e  concepì  le  più  sicure  spe- 
Verie  dei  mori.  Nel  giorno  di  san  ranze  de'grandi  vantaggi  che  ne  sa- 
Lorenzo  martire  a'ro  agosto  1218,  rehbero  derivati.  Il  re  per  assicu- 
portossi  processionalmente  il  re  con  rare  questi  religiosi  della  sua  pro- 
tutta  la  corte  e  il  magistrato  di  tezione,  volle  che  portassero  sopra 
Barcellona  alla  chiesa  cattedrale;  lo  scapolare  sul  davanti  dell'abito 
dopo  il  canto  del  Te  Deuni  il  ve-  l'arme  sua,  consistente  in  tre  sbar- 
«covo  Berengario  vi  celebrò  pontifi-  re  d'oro  poste  in  campo  rosso,  al- 
calmente  la  messa,  e  s.  Raimondo  le  quali  il  vescovo  Berengario  ag- 
salito  sul  pulpito,  dopo  il  vangelo  giunse  una  croce  bianca,  per  esse- 
nolificò  a  tutto  il  popolo,  averDio  re  questo  lo  stemma  di  sua  chiesa, 
rivelato  al  re,  a  Pietro  Nolasco  ed  in  cui  l'ordine  avea  avuto  l'origiue 


21 8  MER 

ovvero  era  slato  pubblicato.  Finita 
la  messa,  Giacomo  1  condusse  Pie- 
tro e  tutti  gli  alili  al  stio  palazzo, 
neir  apparlamcnto  clic  avea  fatto 
loro  preparare,  accioccbè  servisse 
ai  nuovi  religiosi  di  convento,  che 
perciò  fu  il  primo  dell'ordine.  Co- 
minciarono quivi  subito  a  praticare 
esattamente  quel  tenore  di  vita  che 
fu  loro  prescritto  da  s.  Raimondo, 
finché  la  Sede  apostolica  avesse  loro 
assegnata  una  regola  particolare, 
prestando  lutti  obbedienza  a  s.  Pie- 
tro JNolasco,  dichiarato  dal  real  con- 
fondatore, dopo  che  fu  vestito  deir 
l'abito  di  cavaliere  laico,  commenda- 
tore per  essere  ordine  militare,  e  pro- 
curatore della  redenzione.  Moltipli- 
candosi indi  i  conventi,  per  distin- 
guerlo dagli  altri  commendatori , 
gli  fu  dato  il  titolo  di  maggiore, 
o  sia  primo  gran  commendatore  e 
procuratore  generale  della  redenzio- 
ne, con  autorità  e  giurisdizione 
sopra  tutti  gli  altri  commendatori; 
poscia  Gregorio  IX  lo  dichiarò 
maestro  generale,  quando  confermò 
l'ordine.  La  cappella  stessa  del  pa- 
lazzo reale  dedicata  a  s.  Agata, 
servì  loro  di  chiesa,  che  ancora  si 
ritiene  dai  religiosi  mercedari,  onde 
il  superiore  di  questo  convento  ha 
il  titolo  di  vicario  della  corte,  e 
gli  altri  religiosi  che  vi  dimorano 
quello  di  cappellani  del  re.  Qui 
noteremo  che  avendo  dipoi  d  le 
preso  la  città  di  Valenza  co!  regno 
e  con  quello  di  Murcia  in  virtù  delle 
preghiere  del  santo  fondatore,  tra 
le  case  che  gli  donò  nel  regno  di 
Valenza  fuvvi  quella  di  Uneza,  la 
più  celebre  pel  santuario  della  Ma- 
donna di  Puche,  di  cui  parla  il 
p.  Gumppenberg  neìì'^ilnnle  Maria- 
no. Quanto  alla  parola  Mercede, 
in  ispagnnolo  significa  grazia  o  fa- 
vore; ed  in    Barcellona  si  cantano 


MER 

le  Iodi  della  Madonna  :  Fateci  gra- 
zia (merced)  Maria  di  essere  no- 
stra protettrice.  Anche  quando  gli 
«pagnuoli  domandano  alcuna  grazia, 
dicono  mi  faccia  la  grazia,  merced. 
Questa  parola  è  pure  sinonimo  di 
misericordia,  onde  1'  ordine  si  chia- 
ma propriamente  della  Mercede  o 
misericordia. 

Immediatamente  s'impiegarono  con 
gran  fèivore  al  riscatto  degli  schia- 
vi, senza  però  allontanarsi  dalle  ter- 
re soggette  a' principi  cristiani  ;  ma 
avendo  s.  Pietro  rappresentato  loro 
che  per  adempire  perfctlamenle  agli 
obblighi  della  propria  professione 
bisognava  passale  ancora  tra  gl'in- 
fedeli, e  liberare  i  loro  fratelli  dal- 
la crudele  servitù  di  questi,  con 
esporsi  anche  al  pericolo  di  restar 
schiavi  in  loro  vece,  deputarono  uno 
di  essi  che  andasse  a  conchiude- 
re coi  barbari  questa  santa  nego- 
ziazione. Fu  scelto  a  tal  fine  il 
santo  medesimo  con  un  altro,  il 
quale  portatosi  nel  regno  di  Va- 
lenza allora  occupalo  dai  saraceni, 
e  (piindi  in  quello  di  Granata,  riu- 
scì così  felicemente  in  queste  due 
spedizioni,  che  riscattò  quattrocento 
schiavi  ,  ed  allora  quei  eh'  erano 
destinali  a  ricomprare  l'altrui  li- 
bertà a  prezzo  ancora  della  propria, 
furono  detti  redentori,  come  tuttavia 
si  chiamano  eziandio  nell'ordine 
della  Mercede  quelli  che  ad  imita- 
zione del  fondatore,  ad  un'opera 
simile  vengono  deputati.  Benché  l'or- 
dine fosse  stato  approvato  dal  ve- 
scovo di  Barcellona,  e  poscia  a  vi- 
va voce  da  Onorio  III,  nondimeno 
s.  Pietro  volle  procurarne  dd  Gre- 
gorio IX  la  conferma,  che  ottenne 
nei  i23o  san  Raimondo  di  Pen- 
nafort,  il  quale  fu  dal  Papa  no- 
minato delegato  della  santa  Sede 
a   vestire  Wolasco  dell'abito  di  mae- 


MER 

stio  gentTiilo.  La  regola  di  s.  Ago 
stillo  fu  iissegnata  poi  all'  ordine  da 
Gregorio  IX  nel  i235  colla  bolla, 
DevoUonis  vestrae,  de'  17  gennaio, 
data  in  Perugia,  Bull.  Rom.  t.  Ili, 
p.  284,  per  mezzo  di  s.  Uaiinondo 
di  Pennafort,  incaricato  da  questo 
Papa  per  raccogliere  le  decretali,  e 
fatto  suo  confessore.  Ma  il  p.  Fla- 
minio da  Lalera,  Compendio  della 
storia  degli  ordini  regolari,  par.  II, 
Tol.  II,  p.  240,  dice  die  tal  con- 
ferma s.  Raimondo  l' ottenne  nel 
i2  3o,  in  compagnia  di  fr.  Arnal- 
do d'  Ayineri,  e  di  fr.  Bernardo  di 
Corbara,  invititi  dall'  istitutore  per 
lo  stesso  fine.  Ottenuto  quanto  bra- 
mavjMio  pei  cavalieri  e  pei  sacer- 
doti, se  ne  tornarono  i  due  religio- 
si nella  Catalogna,  e  quindi  l' ordi- 
ne cominciò  talmente  a  moltiplicar- 
si, che  vi  si  ascrissero  molti  gentil 
uomini  non  solo  della  Spagna,  ma 
ancora  della  Francia,  Inghilterra, 
Alemagna  ed  Ungheria,  e  fu  ne- 
cessario di  fondare  perciò  nuovi 
conventi.  Pietro  istesso  ottenne  fi- 
no dal  1232  di  uscire  dal  palazzo 
reale  e  di  fondar  in  Barcellona  un 
convento  magnifico,  il  quale  è  ora 
il  capo  dell'ordine,  con  chiesa  de- 
dicata a  s.  Eulalia  vergine  e  mar- 
tire, protettrice  della  medesima  cit- 
tà, e  desiderando  aggiungere  agli 
statuti  prescritti  dal  Pennafort  una 
delle  regole  approvate,  spedai  a  Ro- 
ma s.  Raimondo  Nnnnato  in  qua- 
lità di  piinio  procuratore  generale 
dell'  ordine  (  il  Novaes  scrive  nel 
i2  3o),  che  da  Gregorio  IX,  da  lui 
trovato  in  Perugia,  ottenne  quella 
di  s.  Agostino  con  bolla  degli  8  gen- 
naio 1 23"),  con  cui  il  Papa  confer- 
mò di  nuovo  l'ordine  della  Mer- 
cede: cosi  atferma  il  p.  da  Latera, 
ma  dal  bollarlo  si  ha  quanto  di 
sopra    narrammo,  ed    il     iN'onnato 


MER 


0 


che  fu  crealo  cardinale,  giammai 
venne  in  Roma  ,  avendolo  molti 
scrittori  confuso  con  s.  Raimondo  di 
Pennafort. 

Ricevuta  ch'ebbe  s.  Pietro  la  pon- 
tifìcia bolla,  fece  rinnovare  la  pro- 
fessione a  tutti  i  frati  del  suo  con- 
vento, ed  esortò  a  far  lo  stesso  an- 
cor quelli  che  si  trovavano  già  di- 
spersi in  più  Provincie,  facendo  loro 
intendere  che  obbligar  si  doveano 
alla  regola  di  s.  Agostino,  data  ad 
essi  dal  Pontefice  colle  costituzioni 
prescritte  prima  dal  Pennafort,  che 
può  considerarsi  qual  secondo  fon- 
datore dell'  ordine  della  Mercede. 
Nel  1237  stimò  bene  Pietro  Nola- 
sco  di  convocare  in  Barcellona  un 
capitolo  generale,  per  indurre  a  rin- 
novar la  professione  tutti  quelli  che 
non  l'avevano  ripetuta,  ed  in  que- 
sta occasione  ordinò  che  in  avveni- 
re si  accettassero  più  religiosi  di 
coro  che  cavalieri,  e  si  vuole  che 
egli  stesso  s'inducesse  a  farsi  ordina- 
re sacerdote,  benché  alcuni  sosten- 
gono non  giungesse  mai  a  questa 
dignità.  Finito  il  capitolo,  il  santo 
rinunziò  il  pietoso  uffizio  di  reden- 
tore, sebbene  poco  dopo  per  incon- 
trare oltraggi,  disprezzi,  ed  anche 
il  martirio,  si  portò  in  Africa  a  ri- 
scattarvi gli  schiavi.  Accusalo  quivi 
di  aver  d'alcuni  facilitato  la  fuga,  ca- 
rico di  catene  fu  condotto  avanti  il 
cadì,  che  non  avendo  contro  di  lui 
ninna  prova,  non  osò  condannarlo. 
Si  offrì  Pietro  di  rimaner  schiavo 
in  lno;^o  de'  fuggiti,  ma  il  giudice 
barbaro  ed  avaro  volle  piuttosto  ri- 
tenere tra'  ferri  il  religioso  compa- 
gno del  santo,  e  finse  di  rimandar 
questi  nella  Spagna,  a  fine  di  rac- 
cogliere la  somma  che  pretendeva 
pel  riscatto  del  compagno.  Lo  fece 
pertanto  imbarcare  in  una  tartana 
che   faceva  acqua  per  ogni  parie,  e 


aio  MER 

diede  ordine  ai  marinari  clic  giun- 
ti in  alto  mare,  tolte  le  vele  ed  il 
timone  al  bastimento,  T  abbondo- 
iiassero,  e  ritornando  essi  nell'altro 
eh'  era  buono,  raccontassero  ohe 
quello  o"v'era  Pietro  perì  nella  tem- 
pesta. Eseguito  il  comando,  l'esito 
fu  diverso,  poiché  Dio  fece  giugne- 
re  il  santo  illeso  alle  spiaggie  di 
Valenza,  donde  tornò  a  Barcellona, 
e  radunativi  i  principali  dell'ordine 
fece  eleggere  altro  redentore  che  fu 
iv.  Guglielmo  de  Bas  che  poi  nel  1 249 
fu  fatto  generale,  allorché  Pietro  si 
spogliò  di  tal  carica  per  vivere 
nel  ritiro  e  sotto  i'  obbedienza 
degli  altri.  Nel  1249  Nolasco  a- 
scrìsse  all'  ordine  san  Pietro  Pa- 
schal  o  Pascasio,  del  qual  parle- 
remo, come  di  altri  santi  e  marti- 
ri dell'ordine,  e  morì  vescovo  di 
Jaen  e  glorioso  martire.  In  Barcel- 
lona pertanto,  dopo  tal  rinunzia,  fr. 
Guglielmo  fu  eletto  maestro  gene- 
rale, indi  confermato  da  Innocenzo 
IV,  e  con  tal  titolo  chiamaronsi 
tutti  i  di  lui  successori.  Sciolto  dal- 
le obbligazioni  del  governo,  tutto 
impiegossi  ne'  più  vili  ministeri  del 
convento,  come  pure  in  dar  limo- 
sina alla  porta  ai  poveri,  per  aver 
motivo  di  conversar  con  essi,  e  am- 
maestrarli nella  pietà.  Andò  a  visi- 
tare il  sepolcro  di  Nonnato,  al  qua- 
le il  Signore  operava  molti  mira- 
coli :  gli  fu  offerta  la  cappella  in 
cui  riposava  il  corpo,  ed  egli  vi  fe- 
ce fabbric{)re  un  convento  dell'  or- 
dine. 

Le  benedizioni  divine  sparse  sul- 
V  ordine  resero  celebre  il  fonda- 
tore, noto  ancora  per  le  sue  virlìi 
ne'  più  remoti  paesi,  onde  fu  ono- 
l'alo  da  s.  Luigi  IX  re  di  Francia, 
che  mostrò  il  più  vivo  desiderio 
di  vederlo.  Per  tanto  in  occasio- 
l^p  che    il  ye  si   poitò   in   Lingi\a- 


MER 
doca  per  mettere  a  dovere  Rai. 
mondo  conte  di  Tolosa,  Pietro  an- 
dò a  visitarlo,  e  convenne  con  es- 
so di  passar  insieme  in  Palesti- 
na per  liberare  dalla  schiavitù  uà 
gran  numero  di  cristiani.  Mentre 
si  disponeva  al  viaggio  fu  assa- 
lito da  lunga  infermità,  ed  estenua- 
to eziandio  dalle  penitenze,  d'anni 
67  in  Barcellona  volò  al  paradiso 
nella  notte  del  s.  Natale  I256  , 
secondo  il  breviario  romano  e  del- 
l' ordine.  Il  suo  corpo  fu  posto 
nella  sepoltura  comune  ai  religiosi, 
ma  dopo  80  anni  per  ordine  di 
Benedetto  XII,  fu  trasferito  in  una 
cappella,  ove  Dio  operò  a  chi  an- 
dava a  venerarlo  molli  miracoli. 
Scrivono  alcuni  che  Benedetto  XllI 
antipapa  lo  canonizzasse,  ma  Urba- 
no Vili  considerando  i  prodigi  fatti 
da  Iddio  a  sua  intercessione,  di  cui 
l'ordinario  di  jiarcellona  nel  1260 
ne  avea  mandato  processo  ad  A- 
lessandro  IV,  un  esemplare  del  qua- 
le esiste  nel  convento  di  s.  Adria- 
no di  Roma,  essendo  morto  A- 
lessandro  IV  non  si  potè  farne  uso, 
laonde  Urbano  Vili  colla  costitu- 
zione Domini  nostri,  degli  1  i  ottobre 
1628,  JBuU.  Maga.  t.  V,  p.  176, 
che  nel  Bollano  dell'  ordine  della 
Mercede  è  la  XIV,  a  questo  ne 
permise  celebrare  la  festa  con  uf- 
fìzio e  messa.  Quindi  ad  istanza  di 
Fdippo  IV,  il  Papa  Alessandro  VII 
nel  1664  lo  canonizzò  per  equipol- 
lenza, facendolo  registrare  nel  mar- 
tirologio romano  ed  ordinando  a 
tutta  la  Chiesa  l'  ufìlzio  e  messa 
con  rito  semidoppio,  che  elevò  a 
doppio  Clemente  X,  nientre  Cle- 
mente XI  concesse  indulgenza  ple- 
naria e  perpetua  alle  chiese  dei 
mercedari,  nelle  feste  di  s.  Pietra 
Nolasco  e  di  s.  Raimondo  di  Pen- 
iiafovt.     Di    questo  gvea  InuQceiiZQ 


MER 

XI  concesso  ai  mercedari  1'  uffizio 
di  rito  doppio  di  seconda  classe 
con  ottava,  i  quali  Io  facevano  già 
con  l'ilo  doppio  maggiore.  Scrivo- 
no alcuni  che  s.  Pietro  Nolasco  si 
abboccasse  nella  Spagna  coi  ss.  Do- 
menico e  Francesco  fondatori  de- 
gli ordini  domenicano  e  francesca- 
no, come  viene  rappresentato  in  di- 
Terse  pitture.  La  statua  poi  di  s. 
Pietro  Nolasco  scolpita  da  Pietro 
Campi,  è  fra  quelle  de' santi  fon- 
datori nella  basilica  vaticana,  nella 
crociera  o  tribima  de'  ss.  Simone 
e  Giuda,  come  riporta  il  Vasi,  Iti' 
nera  rio  di  Roma. 

Dopo  la  morte  del  santo  fonda- 
tore, r  ordine  proseguì  ad  essere 
governato  da  fr.  Guglielmo  de  Bas 
in  qualità  di  maestro  generale,  il 
quale  eseguita  la  visita  di  alcuni 
conventi,  convocò  in  Barcellona  un 
capitolo  generale  in  cui  fece  eleg- 
gere quattro  definitori  generali,  due 
sacerdoti  e  due  cavalieri.  Il  re  di 
Aragona  diede  a  questo  generale  il 
titolo  di  barone  d'  Algar  nel  regno 
di  Valenza,  col  voto  decisivo  nel- 
r  assemblea  degli  stali  del  regno,  e 
purgalo  questo  dai  mori  gli  donò 
il  castello  di  Galinara  colle  sue  di- 
pendenze ed  enti-ale  ch'erano  con- 
siderabili ;  ma  il  generale  non  voi- 
le accettare  tale  oHerta,  rifletlendo 
che  i  religiosi  non  aveano  forze 
bastanti  per  difendere  una  piazza 
di  troppa  importanza  quale  era 
quella.  Tuttora  però  il  p.  generale 
conserva  il  titolo  di  signore  delle 
baronie  d' Algar  ed  Escales,  ed  è 
grande  di  Spagna  di  prima  classe, 
con  tutti  gli  onori  dovuti  a  tal 
grado.  Nel  generalato  del  p.  De  Bas 
coir  opera  tiel  p.  Bernardo  di  Cor- 
bara  o  Corbera  mercedario,  furono 
istituite  le  monache  del  terzo  ordi- 
ne, di  cui  parleremo  al  loro  ailicu- 


MER  221 

io.  Il  p.  De  Bas  dilatò  l'ordine  col- 
la fondazione  di  nuovi  conventi,  e 
il  di  lui  successore  p.  Bernardo  di 
s.  Romano,  raccolse  in  un  volume 
tulle  le  ordinazioni  dei  capitoli  pre- 
cedenti, e  data  la  forma  di  costitu- 
zioni comandò  che  fossero  osserva- 
te in  tutto  r  ordine  per  introdurvi 
r  tinifoiinità.  Nel  1272  fu  eletto 
commendatore  generale  il  p.  Pietro 
d'Ayiiiery,  il  quiile  trovando  l'or- 
dine composto  di  sacerdoti  addetti 
al  coro,  e  di  cavalieri  applicali  al 
riscatto  degli  schiavi,  e  portando  i 
primi  r  arme  o  scudo  sulle  cappe, 
ed  i  secondi  sopra  lo  scapolare,  or- 
dinò che  in  avvenire  gli  uni  e  gli 
altri  lo  portassero  come  i  secondi, 
poiché  crasi  ciò  praticato  nel  prin- 
cipio dell'ordine.  Questo  generale 
prescrisse  jnoltre  ottimi  regolamenti 
a  fine  di  ristabilire  la  regolare  di- 
sciplina e  r  osservanza,  essendo  de- 
caduta, e  dissipò  le  discordie  in- 
sorte nella  sua  elezione,  sebbene 
dopo  la  sua  morte  accaduta  nel 
i3o8  se  ne  suscitarono  delle  nuo- 
ve. 11  numero  de'sacerdoti  essendo 
superiore  a  quello  de' cavalieri,  eles- 
sero i  primi  generale  di  tutto  l'or- 
dine il  p.  Raimondo  Alberto,  e  que- 
sti portatosi  a  Valenza  dopo  licen- 
ziato il  capitolo,  elessero  da  loro 
soli  il  p.  Arnoldo  Rossignoli.  Cle- 
mente V^  annullò  con  bolla  l'ele- 
zione de' cavalieri  come  non  cano- 
nica, e  poi  ordinò  che  fosse  cotti- 
mendatore  generale  con  semplice 
giurisdizione  sulle  cose  temporali 
dell'ordine,  e  che  dopo  la  di  lui 
morte  si  eleggesse  per  generale  sol- 
tanto un  sacerdote.  Inoltre  Clemen- 
te V  conferì  in  pari  tempo  piena 
autorità  spirituale  al  p.  Raimondo, 
acciò  governasse  la  religione  nelle 
cose  spirituali  appartenenti  al  divin 
servigio,    all'osservanza  delie   costi- 


222  I\1ER 

tiizioni  e  alla  vita  regolare.  Dopo 
la  morte  del  p.  Rossignoli,  fu  del- 
lo generale  di  lutto  l'ordine  il  me- 
desifDo  p.  Raimondo  Alberto,  e  la 
sua  elezione  fu  confermata  da  Giovan- 
ni XXII,  che  per  sopprimere  tutte  le 
divisioni  insorte  nell'ordine,  impose 
perpetuo  silenzio  ai  cavalieri,  i  qua- 
li perciò  disgustati  abbandonarono 
l'ordine  della  Mercede,  e. passaro- 
no a  quello  di  Montesa  {^f'edi),  isti- 
tuito allora  dal  re  d'  Aragona  nei 
suoi  slati,  per  occupare  i  beni  de'tem- 
plari  aboliti  nel  concilio  di  \  ienna, 
approvando  il  Papa  questa  trasla- 
zione. 

Si  vuole  che  quei  cavalieri  i  qua- 
li perseverarono  nell'  ordine  del- 
la Mercede,  si  separassero  intera- 
mente dai  sacerdoti,  e  che  lasciala 
la  regola  di  sani'  Agostino  pren- 
dessero quella  di  s.  Benedetto.  Sba- 
gliarono quelli  che  scrissero,  che 
quando  i  sacerdoti  ed  i  cavalieri 
erano  uniti  insieme,  avessero  sem- 
pre due  generali  diversi,  poiché 
quantnncjue  l'autorità  del  priore  di 
Rarcellona  si  stendesse  sopra  lullo 
1"  ordine  in  ciò  che  spellava-  allo 
spirituale,  a  lui  però  sovrastava  un 
cavaliere  laico,  il  quale  era  coni- 
jnendalore  generale  di  tutta  la  reli- 
gione. Martino  V  nel  i4'9  p«"oibì 
ai  religiosi  della  Mercede  il  poti;r 
passare  ad  altro  ordine,  senza  in- 
dulto speciale  della  santa  Sede,  a 
cagione  del  quarto  volo  che  fanno  di 
rimanere  in  pegno  per  gli  schiavi. 
Kicolò  V  ad  istanza  di  Alfonso  V 
re  d'Aragona,  con  bolla  de' 9  ago- 
sto i44^  esentò  dalla  giurisdizione 
de'  vescovi  1'  ordine  della  Mercede, 
e  gli  concesse  altri  privilegi.  Il  suc- 
cessore Calisto  111  nel  i4^7  oidi- 
nò  colla  bolla  Super  gregem,  che  i 
religiosi  mercedari  non  potessero 
passare    ad    altra    religione,    anche 


MER 
con  licenza  de'  supeiiori,  fuorché 
nell'ordine  de' cistcrciensi.  Immensi 
poi  sono  gli  elogi  dati  all'ordine 
della  Mercede  dai  Pontefici,  dai  so- 
vrani e  da  molti  scrittori,  per  il  suo 
santo  istituto.  Le  monache  del  se- 
condo ordine  della  IMiicede  furo- 
no stabilite  nel  i568  dal  p.  Anto- 
nio Velasco  religioso  dell'  ordine,  e 
ne  parleremo  al  loro  aiticolo,  ve- 
nendo approvato  da  s.  Pio  V.  Inol- 
tre nel  pontificalo  di  s.  Pio  V  l'or- 
dine fu  privo  per  cinque  anni  del 
suo  capo,  non  volendo  il  Papa  che 
si  eleggesse  alcun  generale  in  luogo 
di  (juello  eh'  era  morto,  fintantoché 
dai  visitatori  non  fosse  stabilita  la 
riforma  dell'  ordine,  richiesta  da 
Filippo  II  re  di  Spagna.  Termina- 
ta  la  visita  del  1374  fu  convocato 
il  capitolo  in  cui  fu  eletto  genera- 
le il  p.  Francesco  de  Torres,  e  fu 
stabilito  che  i  generali  non  fossero 
più  perpetui,  coin'  erano  stati  fino 
a  quel  ten)po,  ma  durassero  nel- 
r  uffizio  soli  sei  anni,  ed  i  commen- 
datori de' conventi  Ire,  conie  anco- 
ra si  osserva.  De' religiosi  scalzi  ri- 
formati delti  della  recollezione,  ne 
tratteremo  al  seguente  articolo. 

In  Roma  1' ordine  della  IMercede 
aveva  ricevuto  dalla  santa  Sede  la 
Chiesa  delle  ss.  Rufjìna  e  Secon- 
da in  Traskvere  (^F\'di),  antichissi- 
ma per  avervi  Anastasio  IV  nel 
I  i53  consagrato  due  altari,  rinno- 
vali meglio  da  Clemente  Vili,  e 
da  Paolo  V  data  alle  orsoline  ; 
quindi  nel  i-'i'Sg  agli  8  aprile  Sisto 
V  regalò  all'ordine  la  Chiesa  di  s. 
Adriano  [T'edi),c[ie  tuttora  possiede, 
coir  autorità  della  bolla  Cuni  ex 
omnibus,  presso  il  Bull.  Roni.  t.  V, 
par.  I,  p.  6.  1  religiosi  occuparono 
la  contigua  casa  del  cardinale  diaco- 
no, e  r  ampliarono  acquistando  al- 
cuni  (ondi  adiacenti.     Dipoi   il     gè- 


ME  R 
nerale  p.  Solomayor  fece  restaura- 
re la  chiesa,  ed  in  tale  occasione 
fu  trovata  lit  lapide  del  prefello 
di  Roma  Gavinio  Vetlio  Probano: 
r  antichissimo  tempio  venne  ridotto 
nello  stalo  attuale,  e  fatte  le  statue 
di  stucco  dal  Raggi  che  ornano  l'al- 
tare maggiore,  del  quale  sono  pu- 
re i  due  angeli  di  marmo  che  reg- 
gono le  due  conche  dell'acqua  san- 
ta. L'aliare  ha  (ii\c  colonne  di  por- 
fido rosso  con  quadro  del  santo  li- 
tolare ed  altri  martiri,  dipinto  da 
Ctsiire  Torcili.  Due  colonne  di 
marmo  bianco  e  nero  decorano  il 
primo  altare  a  sinistra;  il  quadro  del 
seguente  rappresenta  s.  Pietro  Nola- 
scoin  allodi  predicare,  di  Carlo  Sa- 
raceni veneziano  ;  il  quadro  del- 
l'altare appresso,  dipinto  da  un  di- 
scepolo di  Maratli  ,  ci  dà  l'efii- 
gie  di  san  Raimondo  Nonnato;  e 
per  non  dire  degli  altri,  l' altare 
della  Madonna  delle  Grazie  fu  par- 
ticolarmente abbellito  dal  vescovo 
di  Celalù  Slcfano  Muniera.  Pio  VI 
con  rescritto  de'  29  febbraio  1788 
concesse  che  il  contiguo  collegio 
de'  religiosi  dal  suo  nome  si  chia- 
masse Collegio  Pio  di  s.  Adriano. 
Kella  ripartizione  delle  parrocchie 
falla  nel  1825  da  Leone  XII,  que- 
sta chiesa  fu  una  di  quelle  desti- 
nate a  tale  uso,  per  cui  vi  fu  eret- 
to il  fonte  battesimale,  e  destinalo 
un  religioso  mercedario  per  parro- 
co. Ma  della  chiesa  di  s.  Adriano, 
oltre  il  citato  articolo,  è  a  vedersi 
Chi  fisa  de  ss.  Se/gio  e  Bacco  dia- 
conia, ed  i  diversi  articoli  che  la 
riguardano,  per  molle  importanti 
notizie  solo  accennate  nel  suo  ar- 
ticolo. Kel  pontificato  di  Clemente 
\'I1I  dal  p.  Gio  Rallista  Gonzalez 
o  del  ss.  Sagramento,  mercedario, 
ebbe  origine  la  riforma  o  recolie- 
zione     dell'  ordine    de'  mercedari 


MER  223 

scalzi,  della  quale  riforma  si  fon- 
darono ancora  monasteri  di  mona- 
che. Di  questi  religiosi  e  monache 
si  dirà  ai  loro  articoli.  D'allora  in 
poi  i  mercedari  che  non  seguirono 
la  riforma  venneio  chiamali  della 
grande  osservanza  e  calzali. 

I  mercedari  si  moltiplicarono  più 
nell'Ameiica  che  nell'Europa,  e  giun- 
sero ad  avere  nel   nuovo  mondo  ot- 
to celebri    proviucie,   governate    da 
due  vicari  generali,  soggetti   al  g<'- 
nerale    di    lutto    1'  ordine,    essendo 
slati  i   mercedari  i  primi  a  predicar 
l'evangelo   nel  Perii,  ove  operarono 
grandi  cose.    Un  altro  vicario  gene- 
rale fu  stabilito  in  Francia,  dove  al- 
cuni   conventi     separati    nel     1668 
dalla   provincia    di    Guienna  furono 
eretti    in    congregazione    approvata 
con  lettere  patenti  dal  re  di   Fran- 
cia Luigi  XIV,    e  da    Clemente  X 
con  bolla     de' 26   novembre     1672. 
Innocenzo    XI   con    la    costituzione 
Orthodoxorum,(ìe  1 5  febbraio  1 680, 
Bull.   Rom.   t.   Vili,  p.    i3i,  ad  i- 
stanza    di  Carlo    II   re  di    Spagna, 
concesse  che  in  quel   regno  si  faces- 
se  r  uffizio  e  messa  della  Beala  Ma- 
ria   Vergine    della    Mercede,    come 
già  si   faceva   dai    frati  dell'  ordine; 
poscia  Innocenzo    XII  con    decreto 
della    congregazione    de' riti,    a'  18 
febbraio    1696   lo  estese  a  tutta  la 
Chiesa  cattolica,  destinando  per  ce- 
lebrare la  festa    con  rito  doppio    il 
giorno  24  settembre.  Già   Innocenzo 
XII  colla  costituzione   Ex  in/uncto, 
àej  dicembre  1691,  Btdl.  Rom.    l. 
IX,  p.   i4i    fino  a  238,  avea  con- 
fermato la  regola    e  le  costituzioni 
de'  frati   della    Mercede,    pubblican- 
dole con   tal  bolla.  Clemente  XI  ai 
27    gennaio    1718    con    breve    che 
si   legge  nel    Bull.  Maga.    t.   Vili, 
p.  457,  concesse  al  generale  e  pro- 
curatore generale  di    questo  ordine 


224  UEK 

lì  luogo  perpetuo  nelle  Cappelle 
pontifìcie,  dopo  quelli  che  \i  gode- 
vano il  posto.  A  tale  articolo  par- 
lando delle  cappelle  della  ss.  Trini- 
tà e  dell'  Assunta,  dicemmo  come 
Clemente  XI  avendo  colla  citata  di- 
sposizione accordalo  ancora  al  pro- 
curatore generale  di  fare  il  sermo- 
ne nella  cappella  dell*  Assunta,  di- 
poi Leone  XII  dispose  che  invece 
Io  recitasse  in  quella  della  ss.  Tri- 
nità, e  la  prima  volta  fu  nel  1829. 
Benedetto  XIII  non  solo  approvò 
il  culto  immemorabile  del  b.  Sera- 
pione  martire  inglese  raercedario , 
ma  colla  bolla  Aetcrnus,  de'  9  lu- 
glio 1725,  Bull.  Rom.  t.  XII  ,  p. 
12,  dichiarò  per  uno  degli  ordini 
Mendicanti  questo  della  Mercede,  il 
quale  prima  delle  ultime  politiche 
■vicende  era  costituito  delle  quattro 
Provincie  di  Spagna  (Aragona,  Ca- 
stiglia,  Valenza  e  Andalusia),  delle 
otto  d'America,  di  quella  d'Italia, 
e  delle  due  di  Francia  ;  inoltre  i 
niercedari  si  sparsero  pure  nell'iso- 
la di  Maiorica,  nella  Sardegna,  in 
Africa,  e  sulle  coste  di  Barberia,  e 
vi  fondarono  utili  stabilimenti. 

Ha  dato  questo  benemerito  ordine 
alla  Chiesa  diversi  santi  e  sante, 
martiri,  cardinali,  patriarchi,  arcive- 
scovi, vescovi  e  scrittori.  Nell'istoria 
di  Nostra  Signora  della  Mercede, 
scritta  dai  padri  dell'  isiesso  ordine 
della  congregazione  di  Parigi,  e  pub- 
blicata ad  Amiens  nel  i685,  vi  so- 
no parecchie  vite  de'  santi  dell'  or- 
dine. I  martiri  di  essi  che  si  cono- 
scono sono  millecinquecentotrenla- 
tre  ,  tra'  quali  molti  godono  ri 
culto  immemorabile;  e  molti  con* 
fessori  sono  venerati  per  santi.  Pei 
venerabili  fr.  Gondisalvo  Diaz  e  fr. 
Pietro  Urraca,  la  santa  Sede  permi- 
se di  fabbricar  processo  in  genere 
ed  iu  ispecie.  Lungo  poi  sarebbe  il 


MER 
far  memoria   degl'  innumerabili  re- 
ligiosi niercedari  cne  furono  amba- 
sciatori regi  ai  Papi,  ai  concilii,  ai 
monarchi  ;  inquisitori,  viceré,  presi- 
denti di  consigli,    confessuri  e  con- 
siglieri   reali  ;     fondatori    di    studi, 
scrittori    celebri,  maestri    di  lingue 
orientali,  direttori    spirituali  di  più 
santi     e    fondatori    di    religioni.    II 
primo  religioso  che  si  portò  in  A- 
merica    fu  il   p.    Giovanni    Infante, 
vicario    del    convento    di    Cordova, 
cappellano    e  vicario    navaiis    della 
prima  spedizione  fatta  da  Cristofo- 
ro Colombo,  partendo  con  esso  nel 
1492.  11  p.  Giordano  Solorzapo  fu 
il  secondo  religioso  che  portossi   in 
America,    nella    seconda    spedizione 
di  Colombo,    ed    il  primo    che  in- 
nalzò   neir  isola   di    Cuba  lo    sten- 
dardo della  croce.   Il  p,  Bartolomeo 
Ohnedo    della  Mercede    fu  il  terzo 
religioso  che  andò  nell'  America  con 
Ferdinando  Cortes  anco  come  con- 
fessore, cioè  nel  Messico,  di  cui  quel 
capitano  fu  conquistatore.    Per    cui 
i   mercedari  furono  de'primi  a  bau- 
dire  nel  nuovo    mondo  il  vangelo. 
Oltre  il  fondatore   s.  Pietro  Nola- 
SCO,    furono    mercedari  il  cardinale 
s.   Raimondo  Nonnato;  il  b.  Pietro 
Amiangol  venerato  per  martire,  per- 
chè essendosi  dato  iu  pegno  ai  mao- 
mettani  per    riscatto    degli   schiavi^ 
e  non  potendo  effettuarlo,  fu  impic- 
cato, ma    liberato  dalla    Madonna; 
ed  il  b.  Serapione,  crocefisso  e  ta- 
glialo a  pezzi    dai  saraceni    pel  ri- 
scatto degli  schiavi.  Vennero    creati 
cardinali,   oltre  s.    Raimondo  i   se- 
guenli,  i  quali  come  i  santi  dell'or- 
dine hanno  nel  Dizionario  le    loro 
biografìe .  Nicolò  IV  fece  cardinale 
Pietro   Barelio  francese  ;    Bonifacio 
Vili,  Domenico  da  s.  Pietro;  Cle- 
mente V,  Claudio  Portaceli,  e  Sc' 
verino  francese;  Giovanni  XXll,  irl^ 


MER  MER  ^.iS 
bralo  Raimondo  Alberto  GoUolano  cap.  XXVIII,  discorre  di  quella 
di  Barcellona  ;  Benedetto  Xll,  Rai-  della  Madonna  della  Mercede  della 
inondo  de' conti  di  JMonfort  di  To-  redenzione  degli  schiavi  a  s.  Adriano 
Iosa  ;  Cieaiente  VI,  Domenico  óer-  in  campo  Vaccino,  ed  alla  Madon- 
rano  di  Montpellier;  Innocenzo  VI,  iia  di  s.  Giovannino  in  Cainpo- 
Giovanni  Lasso  di  Siviglia  ;  Urba-  marzo,  della  qua]  seconda  chiesa 
no  VI,  Pietro  Rodriguez  Torres  parleremo  all'articolo  de' merceda- 
spagnnolo;  l'antipapa  Benedetto  XllI  ri  scalzi  cui  apparteneva.  Dopo 
gli  spagnuoli  Giordano,  Cristoforo  o  avere  il  Piazza  detto  dell'origine  e 
Ridolfo  Amerio,  e  Giovanni  tirino,  delle  benemerenze  di  questo  illustre 
i  quali  anti -cardinali  furono  nel  e  nobilissimo  ordine,  che  arricchiro- 
ì^iH  dichiarati  veri  cardinali  da  no  d'indulgenze  anche  Paolo  V, 
Martino  V  ;  Innocenzo  XI  fìnalmen-  Clemente  IX  e  Clemente  X,  in 
te  creò  cardinale  Pietro  di  Salazar  un  a  tutte  le  confraternite  dal  me- 
S})agnuoIo.  L'ultimo  tra  i  vescovi  di  desimo  erette,  cui  concessero  grazie, 
questo  ordine  fu  il  p.  Bonaventura  esenzioni  e  privilegi  i  re  d'  Arago- 
Cano,  vescovo  di  Marida  [Vedi),  na  e  di  Spagna,  concorrendo  i  con- 
al  quale  articolo  facciamo  menzione  frati  colle  limosine  alla  libertà  degli 
di  lui.  Al  presente  è  vicario  gene-  schiavi  cristiani;  discorre  delle  feste 
rale  il  p.  Tommaso  Miquel,  e  prò-  che  celebra  e  delle  pie  opere  che  fa, 
curatore  generale  residente  in  Ro-  dicendo  che  lo  scapolare  o  abito  dei- 
ma,  il  padre  Michele  Xancò  nel  la  Mercede,  pei  confrati  ed  ascritti 
collegio  Pio  di  s.  Adriano.  Soltan-  al  suo  sodalizio,  si  compone  di  due 
to  in  Ispagna  non  esistono  al  pre-  pezze  di  lana  con  fettuccie  bianche, 
sente  i  conventi  de' religiosi,  a  ca-  essendovi  in  quella  della  parte  cor- 
gione  delle  attuali  vicende;  esistono  rispondente  al  petto  1' arme  dell'or- 
però  le  monache.  Dalla  fondazione  dine.  Lo  scapolare  poi  de'  religiosi 
dell'ordine  sino  al  1791,  gli  schiavi  trinitari  riformati,  che  hanno  per 
redenti  dai  religiosi  mercedari  ascen-  istituto  il  riscatto  degli  schiavi  (non 
dono  all'imponente  numero  di  ses-  fanno  però  come  i  mercedari  il  quar- 
saritaquattromila  .settecentocinque  ,  lo  voto  di  rimanere  in  pegno  per 
compresi  quelli  di  cui  parlammo  gli  schiavi),  si  forma  d'  una  cro- 
nel  voi.  Il,  p.    i35  del  Dizionario,  ce,  composta    di    due  colori,    rosso 

Scrisse  la  storia  dell'  ordine    il    p.  e  bianco. 
Alfonso  Remond.  Del  p.  Benedetto         MERCEDE,  s.  Maria  DEttA  redeit- 

de  Vargas   pur    mercedario    si  ha:  zione  X)Zoi.i  scmxkw.  Ordine  religioso 

Chronicon  sacri  et  militaris  ordinis  riformato  scalzo  della  recollezione . 

JB.  M.  de  Mercede,  Panormi  1619.  Verso  il  fine  del  secolo  XVI,  essen- 

JI  p.  Bonanni  nel  Catalogo  degli  do  maestro  generale  dell'ordine  rea- 
ordini  religiosi  riporta  a  p.  84  la  le,  militare  e  religioso  di  s.  Maria 
figura  d'un  religioso,  e  tra  le  noti-  della  Mercede  della  redenzione  degli 
zie  che  scrive,  dice  che  l'ordine  fu  schiavi,  che  abbiamo  descritto  ai- 
anche  approvalo  da  Gregorio  X  nel  l'articolo  precedente,  il  p.  Alfonso 
J274,  e  da  Nicolò  IV  nel  1291.  di  Monreale,  questi  propose  di  fare 
11  Piazza  ut\ìe  Opere  piedi  Roma^  nell'ordine  una  riforma;  a  tale  ef- 
tralt.  IX,  cap.  XXIV,  delle  confa-  fello  destinò  sette  conventi  della 
UrniLe,Qnt\\'Eusevologio,\.taii.  VII,     provincia  di  Castiglia,  sperando  che 

VOL.    XLIV.  i5 


5ti6  MER 

i  religiosi  mossi  dall'amore  tl'iin'os- 
servanza  più  rigorosa  di  quella  che 
si  praticava  negli  altri  conventi  , 
potessero  volontariamente  abbrac- 
ciarla, però  colla  espressa  condizione 
che  non  si  variasse  pnnlo  la  forma 
dell'abito,  e  che  rimanessero  sog- 
getti come  prima  ai  superiori  del- 
l'ordine, li  p.  Alfonso  elesse  per 
capo  e  dii'ettore  della  riforma  il  p. 
Gio.  Battista  Gonzalez ,  nato  ad 
Hueta  in  Castiglia  agli  8  febbraio 
i553  da  nobili  genitori,  che  l'avea- 
no  educato  nel  timore  di  Dio  e 
nelle  scienze,  che  iia\  di  apprende- 
re in  Madrid,  e  poscia  nel  conven- 
to d'Olmedo  sotto  il  p.  Cristoforo 
Gonzalez  suo  fratello  maggiore  re- 
ligioso della  Mercede,  che  ivi  le 
insegnava  ,  al  quale  ordine  Gio. 
Ballista  si  ascrisse  nel  iSya.  Questi 
mentre  s'  impiegava  con  troppo 
fervore  a  stabilir  la  riforma  nei  sette 
conventi  a  ciò  destinati,  ed  erasi  ri- 
tirato a  tal  fine  in  quello  di  Hue- 
ta, uno  di  essi,  il  p.  generale  per 
alcuni  molivi,  come  di  vedere  che 
il  p,  Gio.  Battista  pel  suo  tenore 
rigoroso  di  vita  stancava  ben  pre- 
sto chi  intraprendeva  a  seguirlo, 
cambiò  sentimento,  ed  opponendosi 
all'incominciata  riforma,  cercò  di 
bopprimerla  nel  suo  nascere,  rile- 
gando il  p.  Gio.  Ballista  nel  con- 
vento di  Uaizes  nell'Asturia,  da  cui 
passò  quindi  a  fare  le  sanie  mis- 
sioni al  Perir  nell'  x\merica,  dove 
convertì  moltissimi  alla  inde  catto- 
lica. Ritornato  dopo  qualche  tempo 
carico  di  meriti  in  Ispagna,  e  col- 
locato di  famiglia  dal  superiore  J^el 
convento  di  Madrid  in  qualità  di 
sagrestano,  ebbe  occasione  di  parlar 
sovente  colla  contessa  di  Caslellara 
Beatrice  Ramirez  di  Mendoza,  dama 
di  singoiar  pietà,  alla  quale  comu- 
nicando   il   concepito    disegno  d'in- 


MER 
traprendere  di  nuovo  la  riforma 
del  pro[)rio  ordine,  la  pregò  d'a- 
iutarlo in  questa  impresa,  e  la  di- 
vola contessa  l' assicurò  di  tutto  il 
suo  favore,  esibendosi  di  pi  ir  a  fon- 
dar due  conventi  della  riforma  nel- 
le sue  terre.  Disposte  così  le  cose, 
fu  richiesto  il  consenso  del  p,  ge- 
nerale per  dar  principio  alla  fab- 
brica de'due  conventi,  ed  incomin- 
ciar in  essi  la  bramata  riforma 
dell'ordine  della  Mercede;  ma  il 
p.  generale  avendolo  negato,  la  ze- 
lante conlessa  ricorse  al  Papa  Cle- 
mente YIH  che  gli  spedi  due  bre- 
vi ;  con  uno  la  dispensò  dal  voto 
da  lei  fallo  di  fondar  un  convento 
ai  girolamini  ,  e  gli  permctleva 
fabbricarne  due  pei  riformali  mer- 
cedari,  coU'allro  eresse  in  congre- 
gazione essi  liformati  j  per  quei 
meicedari  cioè  di  coro  che  avesse- 
ro desideralo  di  vivere  in  una  più 
slrella  osservanza,  creando  vicario 
generale  della  medesima  il  p.  Bar- 
tolomeo d'Alcalà  religioso  dell'or- 
dine di  s.  Girolamo,  con  patto  che 
vestisse  l'  abito  di  quello  della 
Mercede,  e  con  autorità  assoluta  di 
accettare  i  religiosi  mercedari  che 
volessero  abbracciar  la  riforma,  ed 
i  secolari  che  si  fossero  presentati 
per  vestir  l'abito.  Clemente  Vili 
permise  ancora  al  p.  Bartolomeo  di 
governar  la  nuova  congregazione 
lincile  avesse  otto  conventi,  e  do- 
po l'esistenza  di  questi  ,  di  eserci- 
tar anco  per  altri  sei  anni  la  ca- 
rica di  vicario  generale,  volendo 
perseverare  nell'ordine  della  Merce- 
de riformato. 

il  padre  Gio.  Battista  appena 
intese  quanto  la  contessa  di  Ca- 
slellara, senza  sua  saputa  avea  o- 
peralo,  gli  mostrò  la  sua  sorpre- 
sa, e  le  rappresentò  non  avere  a- 
\uto  altra  intenzione  ciré  di  avere 


MER 
alcuni    convenli  ne'  quali    si    osser- 
vavscio  le  regole  e  cosliluzioni  del- 
l'oidine  della  Mercede,  senza  alcu- 
na dispensa     o    mitigazione ,     solto 
l'obbedienza    del  pioprio    generale, 
da  cui  si   protestò    non  si    sarebbe 
mai  separalo.    Aggiunse  che  i   reli- 
giosi i    quali    avessero     voluto   ab- 
bracciare quesl'  osservanza  ,  avreb- 
bero certamente    ripugnato  di   sot- 
tomettersi al  governo  d'  uno  stra- 
niero.  Approvò    la  conlessa     le  ra- 
gioni   del     p.    Gio.    Battista,    indi 
mostrò  al  p.  generale  della  Merce- 
de  i  due  brevi  pontificii  che    avea 
ottenuto,  e  l' affetto  che  detto  reli- 
gioso portava    all'ordine.  11   p.    ge- 
nerale ne  restò  talmente  soddisfat- 
to, che     promise    alla     contessa  fa- 
vorirne la  fondazione,  e  volle  sten- 
dere  egli  stesso  le  costituzioni  che 
osservare    si  dovevano  dalla  nuova 
riforma.  Allora  la  contessa  fece  in- 
cominciar   la    fabbrica  dc'due    con- 
venti,  uno  nella  sua  terra  di   Viso 
poco  lunge   da    Siviglia,     l'altro  in 
Almorayua  nella  propria  contea  di 
Castellara,  diocesi  di  Cadice,  vicino 
a  Gibilterra,  e  si  obbligò  non  solo 
provvederli     di    rendite    sufficienti, 
nia  di  fornirli  di  chiese  con  mobili 
ed  arredi.  Di  ciò    fu    stipulato  so- 
lenne istromento,  il    quale  insieme 
colle  costituzioni  e  lo  stabilimento 
di  questa  congregazioue  della  stretta 
osservanza,  tu    approvato  nel  capi- 
tolo provinciale    tenuto  in   Guada- 
lajara  a' 26  aprile   i6o3.    11  p.  Gio. 
Battista  e  cinque  compagni,  ai  qua- 
li avea  egli   comunicato  il  suo  spi- 
rito, vestirono  solennemente  l'abi- 
to    della    riforma    nel    giorno  del- 
l' Ascensione,  e  lasciando  nel  tempo 
slesso  il  cognome     delle  loro  fami- 
glie, presero  quello  di  qualche  san- 
to; ed  il  p.   Gio.    Battista,  in  vece 
di  Gouzalez,  volle  essere  chiamato 


MER  227 

del  ss    Sagramento.  Furono  quindi 
alloggiati   dalla  contessa  nel  suo  pa- 
lazzo di  JNIadrid,  come  s.  Pietro  No- 
lasco  era  stato  accolto  co'suoi  com- 
pagni   in  quello  del    re    d' Arago- 
na, incedendo  a  raccogliere  le  limo- 
sine  per  la  redenzione  degli  schia- 
vi con  piedi  scalzi,  ciò  che   poi  fu 
prescritto  ai  religiosi  dell'ordine  coi 
sandali.  Ma  del    procedere    scalzi  t 
primari  e  più  fervorosi  religiosi  del 
primitivo  ordine,  come  dell'origine 
di  questo  scalzo,  ne  trattano  le  co- 
stituzionij    massime  a   p.  7   e  seg., 
ove  non  si  legge  quanto  riportaro- 
no l 'autore  della   Storia    degli   or- 
dini religiosi,  tradotta  dal   p.  Fon- 
tana, t.  Ili,    cap.    36,  ed    il    com- 
pendiatore  p.daLatera,  il  quale  ag- 
giunge, che  il  generale  p.  Alfonso  di 
Monreale  contribuì  a    questa  rifor- 
ma e  recollezione.    Dipoi    amando 
i  nuovi  riformatori  la  solitudine    e 
la  ritiratezza,   passarono  nel  castel- 
lo di   Ribas    della  contessa,  tre  le- 
ghe distante  da  Madrid,  a  cui  po- 
co dopo  ritornarono  per    le  vessa- 
zioni date  loro   da  alcune    persone 
del  castello,  benché  altre    divote  e 
timorate  di  Dio  pregassero  la  con- 
tessa a  fabbricare  ivi    pei    religiosi 
un  convento,  come  fece  dopo  aver 
compilo  l'erezione  de'due    nomina- 
ti.  Intanto  il    p.  Gio.    Battista   del 
ss.  Sagramento     ed  alcuni    compa- 
gni presero    possesso    del    couvento 
d'Almarayna,  dedicato  alla  Madon- 
na del  re,  nello  stesso  anno  i6o3, 
dopo  aver   sofferto   in  Siviglia    per 
parte  degli    antichi    confratelli,   in- 
cominciando   COSI    ad    effettuare    il 
principio    della    riforma.     Gli   altri 
compagni    del    riformatore,    cui    il 
p.  generale    avea    dato    per    com- 
mendatore il    p.  Giovanni    di    san 
Giuseppe,  entrarono    nel    couvento 
di  Viso  a'aS  gennaio   i6o4-  Molti 


:tiS  MER 

de'principall  religiosi  deiroidine  del- 
la Mercede  ben  presto  si  portaro- 
no ai  due  conventi,  per  vivere  in 
una  più  rigida  osservanza  del  pro- 
prio istituto,  per  cui  la  contessa  di 
Castellara  fondò  il  terzo  convento 
nella  sua  terra  di  Ribas,  ed  il  p. 
Gio.  Battista  vi  prese  subito  pos- 
sesso in  detto  anno.  Se  ne  fonda- 
rono quindi  in  breve  tempo  degli 
altri  anche  in  Madrid,  in  Salaman- 
ca ed  in  altre  città  della  Spagna, 
da  dove  vivendo  ancora  il  rifor- 
matore, i  suoi  religiosi  passarono 
anche  nell'isola  di  Sicilia,  ove  po- 
co dopo  la  sua  morte  si  formò  la 
provincia  di  s.  Raimondo ,  indi  si 
sparse  per  l'Italia  ed  altri  slati,  per 
la  riputazione  che  si  acquistò;  fon- 
dandosi pure  monasteri  di  mona- 
che, e  moltissimi  nella  Spagna,  di 
cui  si  parlerà  al  loro  articolo. 

Paolo  V,  colla  bolla  Inter  omnes 
vitae  rcgidaris ,  de' 2  3  settembre 
1606,  Bull.  Rom.  t.  Ili,  p.  224, 
confermando  e  rinnovando  i  privi- 
legi dell'ordine  della  Mercede,  ap- 
provò la  congregazione  de'rifjrma- 
ti,  seu  recolleltorum,  sub  regimine 
magislri  generalìs,  et  aliorum  prae- 
laloruni  ejusdcni  ordinis.  Morì  il  p. 
Gio.  Battista  nel  maggio  16 18  nel 
suo  convento  di  Madrid  di  s.  Bar- 
bara, e  Dio  con  molti  miracoli  o- 
perati  per  la  di  lui  intercessione, 
fece  conoscere  la  santità  e  meriti 
del  suo  servo,  il  di  cui  corpo  se- 
polto nella  tomba  de'  religiosi,  nel- 
l'anno seguente  venne  trasferito  in 
luogo  onorevole,  trovandosi  intatto 
e  flessibile,  colla  lingua  fresca  e 
rubiconda.  Gregorio  XV  nel  1621 
separò  allatto  questa  congregazione 
delta  degli  scalzi,  recolletta,  o  di  re- 
collezione,  dall'ordine  antico  chiama- 
to dei  religiosi  calzati;  ed  Urbano 
Vili  gli  diede  quindi  un  particolare 


M  E  R 
vicario  generale,  che  fu  il  p.   Gio- 
vanni Marotti  detto  di  s.  Giuseppe, 
il   quale    estese     molto    la     riforma 
colla  fondazione    di    vari    conventi, 
ed   è  questi    propriamente  il   primo 
vicario  generale  ch'ebbe  la  recolle- 
zione, come  si  legge  a  p.  i  i   delle 
costituzioni.  Questo  vicario  generale 
degli  scalzi,  dopo  che  lo  hanno  e- 
letto,    viene  confermato  dal    p.  ge- 
nerale   calzato,    ossia    dal    generale 
di  lutto  l'ordine,  come  rilevasi  dal- 
le costituzioni    p.     189.     Da    ciò  é 
chiaro  che  i  mercedari    scalzi    non 
sono  del  tutto  indipendenti,  come  i 
cappuccini    ed  i    carmelitani  scalzi, 
dai   calzati.  L'abito  assunto  dai  re- 
ligiosi   riformati    fu   tutto    di    lana 
bianca,  come  quello  della  IMeicede, 
ma  più  stretto  e   di   lana  più  gros- 
sa,   portando    ancor  essi     in    petto 
sopra  allo  scapolare    l'arme    del  re 
d'Aragona.     In  quanto    alla  forma, 
l'abito  è  simile  a  quello  de  carme 
Ulani  scalzi,   differendo  solo  nel  co- 
lore,  perchè  bianco  è  lo  scapolare, 
il  cappuccio    e    la  cappa.     Portano 
essi  i  sandali  coi   piedi   nudi,   onde 
sono    chiamati    frati   scalzi    della 
Mercede;  ed  i  loro  fratelli  laici   o 
conversi  non  si  distinguono  quanto 
al   vestire  dai  sacerdoti,  essendo  gli 
uni  e  gli  altri  cinti  con  cintura  di 
cuoio,  con  cui  stringono  la  tonaca 
sotto  allo  scapolare.   Il   p.   Bonanni 
nel   Catalogo  degli  ordini   religiosi 
p.  85,  riporta  la  figura  del   merce- 
dario  scalzo,  con  cappa  e  mozzetta 
più  corta    de^calzati,    e  narra    che 
compagni  nella  liforraa  al  p.   Gio. 
Battista  del  ss.  Sagramento,  furono 
i   pp.  Giovanni   di  s.  Giuseppe,  Mi- 
chele delle  ss.    Piaghe,  e  Luigi   dì 
Gesù  Maria;    che  vennero    animati 
a  formare    la  congregazione,   ed    a 
vivere  con   maggiori  asprezze,    dal- 
la ven.  vergine  Mariana   del    Gesù 


MER 

ner  ispirazione  avuta     da    Dio,     la 
quale  poi  visse    e   morì    con    fama 
di  santità   fra    le  monache  di    que- 
«t'  ordine  ,     del     quale     trattano   il 
Znmel,   Vargas,  Natale  Gaver  e  Pie- 
tro   di     s.  Cecilia     nelle     cronache 
dell'ordine,  la  cui  storia  si  stampò 
in  Barcellona   nel   1669;  e  che  Ur- 
biiiio   Vili,   il    quale  nel     1627    ne 
confermò  i   privilegi    e    costituzioni 
colla  bolla    Injuncti  gli   assegnò    in 
Roma  la  chiesa  detta  di  s,  Giovan- 
ni posta  nel  Campomarzo.     11  Ber- 
nardini che  nel    1744  pubblicò    la 
Descrizione  de' rioni  di  Roma,  dice 
a  p.   66     che    restava     coli'  ospizio 
de'pp.     della    Mercede    scalzi     spa- 
gnuoli,    nel    rione    Colonna,    tra  la 
chiesa  di  s.  Silvestro    in    Capite,  e 
il  collegio  Uibano    di    propaganda. 
Sotto   il  dominio  de'francesi,    nei 
primi  anni  del    secolo  corrente,   la 
chiesa    e  l'ospizio    furono    demoliti, 
ed  alla  via    è  rimasto    il   nome  di 
Mercede.     Perchè    ne  resti    qui    la 
memoria  riporteremo  la    descrizio- 
ne   che  della    chiesa    di    s.   Maria 
in     s.   Giovanni     in    Campomarzo, 
coll'ospizio  de'pp.    spagnuoli    rifor- 
mati   della    Mercede  ,    ne    fece    il 
Venuti  nel  t,  I,   p.  291   delia   De- 
scrizione di    Roma,     ivi  pubblicata 
nel    1767.    »    Poco  lontano    nell'e- 
stremità dell'antico  Campomarzo  si 
vede  la  piccola  chiesa    eretta     pri- 
ma   in     onore  di    s.   Gio.   Battista, 
indi  alla  Beata  Vergine  Maria,  del- 
la quale  qui  si  conserva   una  di  vo- 
ta  immagine.   Fu  prima    posseduta 
dui   padri    della    dottrina    cristiana, 
ed  ora   da'padri   scalzi  di    s.  Maria 
della  Mercede,    detti    ancora    della 
redenzione  degli  schiavi,  che  vi  han- 
no un  ospizio,  pei  quali  il  cardinal 
Gaspare  Borgia    spagnuolo    (amba- 
sciatore in  Roma,  morto  in  Madrid 
nel  1645)  ristorandola,  vi  fece  fare 


MER  21C) 

anche  il  soffitto  con  pitture  di  Fe- 
lice Santelli  romano.  Le  istorie  del- 
la   Beata    Vergine   dipinte     ne*  lati 
dell'altare  maggiore  sono    di    Paris 
Nogari  ;  il  quadro  di  s.  Martino  an- 
nesso alla  muraglia,  fu  dipinto  dal 
cav.  Baglioni  ".   Anche  i  mercedari 
riformati  scalzi  italiani  aveano  in  Ro- 
ma la  chiesa  di  s.  Maria  in  Monlero- 
ni  nel   rione  s.   Eustachio  con  par- 
rocchia, data  loro  da  Benedetto  XI  li, 
a' 25  maggio   1728,  per  la  provin- 
cia di   Sicilia    ed  Italia,  e    ne    pre- 
sero possesso  a' 12   luglio;    subito  i 
frati   cominciarono  la  fabbrica   del- 
l'annesso convento,  del  coro    e   sa- 
grestia, non  che  risarcirono  la  chie- 
sa che  minacciava  rovina.  Per  l'in- 
vasione francese  essendo    stati   dis- 
persi i    religiosi,  la   cliiesa     fu   poi 
data    col    convento    alla    congrega- 
zione   Liguorina     del  ss.    Redentore 
{^Vedi).  Abbiamo:  Consti ludones  sa- 
cri, et  regalis  ordinis  pp.    excalcea- 
ioriini,  rcdemplionis  caplivoriwi  au- 
dorila  te  apostolica  ah  origine  snae 
fnndatìonis  fìrmatae,  Matriti    1755. 
MERCEDE,  s.   Maria  della   re- 
denzione DEGLI  SCHIAVI.  Ordine  reale, 
militare  ed    equestre.    Dell'  origine , 
unione    coli'  ordine    della    Mercede 
de'  frati    calzati,  e    separazione   da 
esso,   con    quanto  lo     riguarda,  ne 
parlammo  all'  articolo  che    precede 
l' antecedente.     Nel     pontificato    di 
Giovanni     XXII     essendosi   i  cava- 
lieri divisi    dai     frati,  si    riunirono 
all'  ordine    cavalleresco    di  Alontesu 
(Fedi),  fondato    da  Giacomo  li  re 
d'Aragona    a  difesa    de' suoi  stati 
contro  i  mori  che    dominavano  in 
parie    della    Spagna.    I  pochi   che 
restarono  uniti^  all'ordine  religioso 
della   Mercede,  sembra  che  in  pro- 
gresso di  tempo  si    staccassero    af- 
fatto, e  lasciata   la    regola  di  s.  A- 
gostiuOj  adollurouo  (quella  di  s.  Be- 


a3o  MER 

necìetto.  Fino  al  principio  elei  se- 
colo XVII,  almeno,  si  può  cretlcre 
che  questa  frazione  dell'ordine  mi- 
litare ed  equestre  proseguisse  ad 
esistere,  parlandone  il  p.  Arnr)Ido 
Wion  cassinese,  storico  dell'ordine 
di  s.  Benedetto,  nel  suo  libro  Li- 
gnum  vilae  ornamentum,  stampato 
in  Venezia  nel  159^,0^6  riferisce  la 
formola  della  professione  clie  si  fa- 
ceva dai  cavalieri  della  Mercede: 
noto  è  però  quante  favole  racchiu- 
da tale  opera.  Il  p.  Bonanni  nel 
Catalogo  degli  ordini  equestri  e 
militari,  a  p.  76,  non  solo  riporta 
la  figura  del  cavaliere  di  s.  Maria 
della  Mercede  e  della  redenzione 
degli  schiavi,  ma  dice  che  si  fregia- 
vano il  petto  con  uno  scudo  rosso 
in  cui  campeggiava  una  croce  d'ar- 
gento e  l'arme  de' principi  di  Ca- 
talogna, consistente  in  quattro  fa- 
scie  o  pali  rossi  in  campo  d'oro; 
che  r  olllzio  de' cavalieri  era  di  rac- 
cogliere limosine  per  riscattare  i 
cristiani  schiavi  de'  barbari  ;  e  che 
il  Mendo  afferma  essere  cessata  la 
classe  de' cavalieri  secolari,  restan- 
do la  religiosa  che  fiorisce  in  mol- 
te virtù  e  a  profitto  della  cristiana 
repubblica.  Anticamente  questi  ca- 
valieri tenevano  guardate  le  coste 
per  impedire  le  scorrerie  de' sara- 
ceni di  Spagna,  ed  erano  obbliga- 
ti assistere  al  coro  quando  non  e- 
rano  impegnali  nel  servizio  mi- 
litare. 

MERCEDE,  s.  Maria  della,  re- 
denzione DEGLI  SCHIAVI.  Moitache  del 
secondo  ordine.  Alcuni  chiamarono 
quest'ordine  terzo,  e  non  secondo, 
perchè  istituito  dopo  quello  detto 
il  terzo,  di  cui  parleremo  dopo  l'ar- 
ticolo delle  monache  scalze;  noi,  co- 
me fecero  altri,  lo  chiameremo  se- 
condo, perchè  le  monache  fanno  i 
voti  solenni,  e  si    consagrano  inte- 


MER 
ramenle  n  Dio,  lo  che  non  prati- 
cano le  monache  terziarie.  Le  re- 
ligiose della  Mercede  furono  prima- 
mente stabilite  in  Sivis-lia  nel  i568  ' 
per  opera  del  p.  Antonio  Velasco 
religioso  del  medesimo  ordine,  e 
queste  sono  qiielle  della  grande 
osservanza,  Ti  differenza  delle  scalze, 
cioè  di  quelle  della  x'iforma  del  p. 
Gio.  Battista  del  ss.  Sagramento. 
Molte  persone  delle  principali  fa- 
miglie di  Siviglia,  essendosi  affidate 
alla  direzione  spirituale  del  detto 
p.  Velasco,  vi  furono  tra  queste 
tre  dame,  cioè  Maria  Capata,  Bea- 
trice de  la  Roelas,  e  Francesca 
Martelli,  le  quali  ispirate  da  Dio 
di  fondare  un  monastero  di  reli- 
giose dell'  ordine  della  Mercede,  e 
di  dedicarlo  all'  Assunzione  di  Ma- 
ria Vergine,  nel  giorno  stesso  di 
tale  solennità,  fecero  chiamare  in 
chiesa  il  p.  direttore,  e  gli  espose- 
ro questa  loro  ispirazione  e  desi- 
derio. Conobbe  allora  il  p.  Vela- 
sco, che  Dio  aveva  esaudito  le  sue 
preghiere  a  lui  fatte  per  molto 
tempo  con  gran  fervore,  acciocché 
gli  aprisse  le  vie  di  elTettuare  il 
disegno  di  fabbricare  un  mona- 
stero, il  quale  servisse  di  ritiro  a 
molte  virtuose  donzelle,  che  sospi- 
ravano di  allontanarsi  dal  mondo. 
Confermò  pertanto  le  tre  dame 
nella  loro  risoluzione,  e  si  addossò 
la  cura  di  ottenere  quanto  prima 
le  necessarie  licenze  per  fondare  il 
nuovo  monastero,  come  infatti  l'ot- 
tenne dal  vicario  generale  dell'  ar- 
civescovo di  Siviglia,  e  dal  provin- 
ciale di  Casfiglia  della  sua  religio- 
ne. Pensò  quindi,  per  rendere  più 
stabile  questa  fondazione,  di  otte- 
nerne la  conferma  dalla  santa  Sede, 
onde  le  nominale  dame  spedirono 
in  Roma  un  gentiluomo  per  impe- 
trarla da  s.    Pio  V,  che  acconsentì 


MER 
air  erezione  e  stabilimento  del  mio- 
To  monastero,  con  bolla  spellila  nel 
maggio  i568.  Appena  ricevuta  la 
bolla  fu  comprato  uno  spazioso  luo- 
go vicino  al  convento  de' religiosi 
della  Mercede,  e  quivi  fu  dato  prin- 
cipio alla  fabbrica  della  chiesa  e 
del  monastero.  Frattanto  il  p.  Ve- 
lasco  stese  le  costituzioni  che  si  do- 
vevano  osservare  dalle  religiose,  e 
nel  i56c)  le  mandò  al  capitolo  ge- 
nerale di  Guadalajara,  che  le  fece 
esaminare  da  alcuni  padri  dell'or- 
dine, i  quali  le  approvarono.  Ter- 
minato il  monastero,  le  tre  dame 
fondatrici  vi  entrarono  con  alcune 
fanciulle  nobili.  11  p.  Velasco  es- 
sendo slato  costituito  loro  vicario 
perpetuo,  le  vesfi  pubblicamente 
dell'abito  dell'ordine,  e  il  provin- 
ciale visitando  due  anni  dopo  il 
monastero,  confermò  la  professione 
di  quelle  che  l'avevano  fatta.  Mol- 
te religiose  illustri  per  virtù  e  per 
nobiltà  di  sangue  sono  quivi  fiori- 
le, delle  quali  è  celebre  la  beala 
«uor  Maria  della  Risurrezione.  Ve- 
stono le  monache  come  i  religiosi 
della  grande  osservanza  della  Mer- 
cede, ed  in  capo  usano  velo  bian- 
co, e  sopra  di  questo,  se  .sono  da 
coro,  un  altro  nero ,  portando  le 
converse  soltanto  il  bianco,  come 
quelle  degli  altri  istituti  ;  supplendo 
nll'islitulo  del  riscatto  degli  schiavi 
con   liniosine  ed  orazioni. 

MKllCEDE,  s.  MABr.v  della  re- 
DE\7.ioyY:  ìyEGUscmwi .  Alonache  scal- 
ze. Allorché  dal  p.  Gio.  Battista  del 
*s.  Sagramenlo  lii  istituita  la  rifor- 
ma de'  religiosi  della  Mercede,  della 
quale  si  è  parlato  al  suo  articolo, 
furono  (ondati  ancora  de'  monaste- 
ri della  medesima  riforma  reeollel- 
ta.  II  primo  di  questi  monasteri, 
delti  delle  religiose  scalze,  o  della 
rccoUczione,    fu  quello    fondalo    iu 


MER  25ì 

Lora  dalla  madre  suor  Clemenza 
della  ss.  Trinità,  che  uscì  a  tal  fine 
da  quello  dell'Assunzione  di  Sivi- 
glia, delle  monache  della  grande 
osservanza  o  secondo  ordine.  Dal 
monastero  di  Lora*  ebbero  princi- 
pio diversi  altri,  fondati  in  diverse 
Provincie  e  luoghi  della  Spagna  , 
essendovene  anco  stabilito  uno  in 
Siviglia,  e  due  in  Madrid,  uno  dei 
quali  eretto  nel  i665  dal  re  Fi- 
lippo IV  in  onore  dell'  Immacolata 
Concezione.  Vestono  queste  religio- 
se come  i  frali  scalzi  del  medesi- 
mo ordine,  ed  insieme  coi  voli  es- 
senziali promettono,  per  quanto 
permette  lo  stato  loro,  di  procurare 
il  riscatto  degli  schiavi,  e  di  dare 
per  essi  anche  la  vita,  se  sia  ne- 
cessario. Il  p.  Eonanni  nel  Catalo- 
go degli  ordini  religiosi  p.  128, 
riporta  la  figura  della  monaca  di 
s.  Maria  della  Mercede  scalza;  dice 
che  la  suddetta  suor  Clemenza  fu 
priora  del  primo  monastero,  chia- 
mando confondatrici  la  sua  vicaria 
Maria  dell'  Incarnazione,  e  Lucia 
della  Risurrezione  ;  che  scalze  por- 
tano sandali  di  canape,  avendo  in 
petto  r  insegna  della  religione,  con 
velo  nero  iu  testa,  cingendo  il  vol- 
to con  lino  bianco.  Di  queste  mo- 
nache ne  fece  relazione  il  p.  An- 
drea di  s.  Agostino,  cronista  della 
stessa  congregazione,  essendovi  anco 
nelia  riforma  de'  mercedari  scalzi 
r  ordine  delle  religiose  del  terzo 
ordine,  di  cui  si  parlerà  nel  seguente 
articolo. 

MERCEDE,  s.  Mabia  deila  be- 
DENZioNE  DEGLI  SCHIAVI.  Monache  del 
terzo  ordine.  Per  le  ragioni  espo- 
ste nell'  articolo  delle  monache  mer- 
cedarie  del  secondo  ordine,  chia- 
miamo queste  del  terzo  ordine. 
Verso  l'anno  1265  due  illustri  raa- 
Iroue  di  Barcellona,  rimaste  vedo- 


23a  MER 

ve  di  ragguardevoli  gentiluomini 
della  Catalogna,  e  vedendosi  senza 
figli,  stabilirono  di  menare  una  vita 
esemplare  e  penitente.  Furono  que- 
ste Isabella  Berti  ed  Eulalia  Pino 
o  Pins,  che  ritiratesi  con  alcune 
fanciulle  in  una  casa  vicina  al  con- 
vento dei  religiosi  della  Mercede 
della  grande  osservanza,  dopo  ave- 
re atteso  all'orazione  e  meditazio- 
ne, impiegavano  il  restante  del  tem- 
po nel  lavoro  per  distribuire  ai  po- 
veri il  prezzo  che  ne  ricavavano 
in  venderlo.  Avendo  scelto  per  loro 
direttore  il  p.  Bernardo  di  Corbara 
mercedario  e  priore  del  convento 
di  Barcellona,  gli  domandarono  la 
grazia  di  vestire  l'abito  di  terzia- 
rie dell'  ordine  suo,  ad  imitazione 
di  quelle  che  si  ascrivevano  al  ter- 
zo ordine  di  s.  Francesco  e  di  s. 
Domenico.  Il  p.  Bernardo  esperi- 
menlata  prima  la  loro  vocazione, 
propose  r  aliare  nel  capitolo  gene- 
rale della  religione  al  p.  Gugliel- 
mo de  Bas  secondo  generale  del- 
l'ordine, il  quale  insieme  coi  deli* 
nitori  gli  diede  facoltà  di  vestir 
pubblicamente  dell'  abito  le  due 
di  vote  dame  e  le  loro  compagne, 
di  prescriver  loro  una  regola,  e  di 
fondare  così  il  terzo  ordine  della 
Mercede,  sebbene  questo  sia  il  se- 
condo riguardo  all'epoca  di  fonda- 
zione. Fu  ciò  eseguito  nel  medesi- 
mo anno  i265  il  giorno  della  ss. 
Annunziata,  in  cui  il  p.  Bernardo 
celebrando  la  messa,  giunto  all'of- 
fertorio, diede  loro  l'abito,  e  con 
un  fervoroso  discorso  le  animò  5 
contribuire  colle  limosine  ed  ora- 
zioni al  sollievo  corporale  e  spiri- 
tuale de' poveri  schiavi  cristiani,  e 
ad  esercitarsi  nelle  opere  di  mi- 
sericordia a  benefìzio  del  prossi- 
mo bisognoso  ed  afflitto.  Compi- 
la la  funzione   furono  dalla  chiesa 


I 

Ito 
ino 

1 


MER 

accompagnate  da  numeroso  popolò" 
alla  loro  casa,  ove  si  esercitarono_ 
nelle  virtù  in  maniera  che  moli 
di  esse  morirono  con  fama  di  sar 
tilà.  Si  conta  tra  queste  per 
prima  a  vestire  l'abito  dell'  ordii 
suor  Maria  Soccos  o  del  Soccorso 
della  famiglia  Cervellon  di  Barcel, 
Iona,  nobile  e  ricca.  Educata  dai- 
genitori  nel  timore  di  Dio,  fece 
volo  di  virginità,  e  restata  erede 
di  pingue  patrimonio  l'impiegò  tut- 
to in  vantaggio  de*  poveri,  degli  in- 
fermi e  degli  schiavi,  e  piìi  volte  fu 
veduta  camminare  sulle  onde  del 
mare  per  soccorrere  e  salvare  i 
mercedari  con  altri  che  naufraga- 
vano, onde  i  concittadini  per  so- 
prannome la  chiamarono  della  mer- 
ce e  del  soccorso.  Morì  in  patria 
a' icj  setteuìbre  1290,  e  tu  sepolta 
nella  chiesa  de'  mercedari,  ove  tut- 
tora si  conserva  il  corpo  intatto,  e 
da  Dio  illustrato  da  molti  miracoli. 
Innocenzo  XI 1  approvò  il  decreto 
de' riti  nel  ifigi,  in  cui  fu  ricono- 
sciuto il  culto  immemorabile,  ac- 
cordando nella  festa  il  rito  semi- 
doppio nel  1696,  poi  esteso  <la 
Benedetto  XIV  negli  stati  austriaci, 
e  da  Pio    VI   per  la  Toscana. 

Tra  le  monache  del  terzo  ordi- 
ne della  Mercede  scalze  che  fiori- 
rono in  santità  di  vita,  nominere- 
mo la  beala  Maria  Anna  di  Ge- 
sù, nata  in  Madrid  da  onesti  pa- 
renti  ai  21  giugno  i565,  cioè  da 
Lodovico  Navarro  e  da  Giovanna 
Roinero;  in  età  di  i4  anni  avendo 
risoluto  di  vivere  casta,  ricusò  co- 
stantemente di  maritarsi,  e  vinse  le 
suggestioni  del  demonio.  Dopo  varie 
prove  di  virtù  si  fece  terziaria  del- 
l'ordine  riformato  o  scalzo  della 
Mercede,  vestendone  l'  abito  in  Ma- 
drid nella  chiesa  di  s.  Barbara, 
presso  alla    quale    in    una     piccola- 


MER 
cella  avea  condotto  la  mac;^ior  par- 
te di  sua  vita.  Fece  i  voti  solenni 
che  osservò  con  somma  esattezza, 
con  eroismo  di  pazienza  e  mansue- 
tudine. Esercitò  meravigliosamente 
ogni  viriti ,  digiuni  e  penitenze, 
assidua  meditando  la  passione  di 
Gesù  Cristo,  per  cui  meritò  di  ri- 
cevere particolari  testimonianze  del- 
la di\ina  bontà  e  rivelazioni.  Morì 
in  Madrid  d'  anni  59  .nel  1  624  ai 
17  aprile,  conservandosi  il  suo  cor- 
po tuttora  incorrotto  nella  chiesa 
del  convento  de'mercedari  scalzi  di 
quella  capitale.  Pei  miracoli  da  Dio 
operati  a  sua  intercessione.  Pio  \  I 
l'ascrisse  tra  le  beale,  ed  il  suc- 
cessore Pio  VII,  ad  istanza  del  p. 
Pietro  dello  Spirilo  Santo  postula- 
tore  della  causa,  a'aS  settembre 
i8o2,  a  mezzo  della  congregazione 
de'  riti,  emanò  il  decreto,  perchè  i 
mercedari  calzati  e  scalzi  d'ambo 
i  sessi  potessero  nella  sua  festa  re- 
citarne r  ufiizio  con  lezioni  proprie 
e  messa  propria.  Questo  cenno  ser- 
va di  supplemento  e  correzione  al 
poco  che  si  disse  all'articolo  Aff- 
NA  DI  Gesù'  (b.)  religiosa  trinita- 
ria scalza,  seguendo  l'opera  del  dot- 
to Butler  ossia  Continuazione  pag. 
I  i4,  coll'autorilà  del  quale  si  chia- 
mò erroneamente  Anna  e  trini- 
taria questa  serva  di   Dio. 

E  molto  probabile  che  queste  ter- 
ziarie, almeno  da  principio,  benché 
•vivessero  collegialmente,  non  làces- 
serd  che  voli  semplici,  come  il  fa- 
cevano per  lo  più  quelle  del  terzo 
ordine  di  s.  Francesco  e  di  s.  Do- 
menico. Ascrivono  al  terz'ordine  del- 
la Mercede  ancora  i  religiosi  scalzi  del 
medesimo  ordine,  dandone  es>i  l'a- 
bito a  quelle  persone  che  lo  do- 
mandano. 11  p.  Bonanni  nel  Cata- 
logo degli  ordini  religiosi,  p.  127, 
discorre  delle    rapnache    del  terzo 


MER  233 

ordine  della  Mercede,  dice  che  do- 
po la  vestizione  che  ne  fece  delle 
prime  il  p.  Corbara,  processional- 
mente  furono  condotte  al  mona- 
stero a  tal  fine  fabbricato,  e  che 
la  prima  ad  entrarvi  dopo  di  loro 
fu  la  b.  Maria  del  Soccorso,  la  cui 
vita  descrisse  il  p.  Reraond,  Histor. 
cap.    II   e   21. 

MERCIA.  Antico  e  grande  paese 
nel  centro  e  all' occidente  dell'//i- 
gJiilterra,  onde  ne  parlammo  a  quel- 
l'articolo, ch'ebbe  il  titolo  di  re- 
gno, e  che  prima  portò  il  nome 
di  Middtl-Aiigles.  Fu  questo  il  più. 
bello  e  considerabile  de'  regni  del- 
l' Etlarchia,  che  sussistette  sotto  di- 
ciassette re  sino  311*827,  '"^  <^"^ 
Ecberto  ne  fece  la  conquista.  Ver- 
so l'anno  yoTi  nel  paese  di  Mercia 
fu  tenuto  un  concilio,  di  cui  fa 
menzione  il  ven,  Beda,  lib.  V, 
cap.  ic).  Vi  si  trovò  Adelmo,  ed 
ebbe  ordine  di  scrivere  per  la  ce- 
lebrazione della  Pasqua  contro  gli 
errori  dei  brettoni.  JNell'anno  81  t 
fuvvi  celebrato  altro  concilio,  per  la 
consagrazione d'una  chiesa.  Angl.  t.  I. 

MEI\CO^E  Giovanni,  Cardinole. 
Giovanni  di  Mercone  pisano,  arci- 
diacono della  chiesa  di  Tiro,  uomo 
astuto  e  versipelle,  essendo  stato 
guadagnalo  e  sedotto  a  forza  di 
denaro  ,  adoperossi  efficacemente 
presso  Eugenio  HI,  affinchè  Ridol- 
fo cancelliere  del  re  di  Gerusalem- 
me, soggetto  di  esimia  pietà  e  sa- 
viezza, fosse  fatto  arcivescovo  di 
Tiro,  Quindi  essendosi  procurate 
co' suoi  raggiri  parecchie  commen- 
datizie dall'  oriente,  ottenne  da  Eu- 
genio HI  nel  ii5o  di  essere  an- 
noverato tra' cardinali  preti,  col  ti- 
tolo de' ss.  Silvestro  e  Martino  ai 
Monti.  Costituito  in  sì  eminente  di- 
gnità, prese  a  difendere  con  gran- 
de impegno  e  ardore  presso  il  de^- 


434  MER 

to  Papa,  il  patriarca  di  Gerusalem- 
me Pulcherio,  contro  gli  ospeda- 
lieri. Dopo  le  elezioni  di  Anastasio 
IV  e  di  Adriano  IV,  nelle  quali  di 
buon  grado  convenne  col  suo  voto, 
a  dispetto  di  Alessandro  HI  si  get- 
tò vituperosamente  al  partito  del- 
l'antipapa Vittore  V;  ma  il  Pon- 
tefice lo  sospese  dal  sacro  mini- 
stero, per  aver  pel  primo  procla- 
mato Papa  l'intruso,  il  quale  lo 
spedi  senza  vantaggio  suo  legato 
ai  concilii  tenuti  in  Francia,  Dopo 
la  morte  dell'  antipapa  perseverò 
nello  scisma  con  tanta  ostinazione, 
che  a  tutto  potere  promosse  l'  ele- 
zione di  Pasquale  IH  all'  antipon- 
tilìcato.  Raggiunto  finalmente  dalla 
giustizia  divina,  mentre  cavalcava 
per  diporto  fuori  della  città  di  Vi- 
terbo, cadde  precipitosamente,  s'in- 
franse il  capo  ,  e  peri  misera- 
mente nello  scisma  nel    1170  circhi. 

MERCURIO  GlANNANDREA.Ca/Y/t- 

nnk'.  Giannandrea  Mercurio,  nato  in 
Messina  di  oscuri  e  poveri  genito- 
ri, essendo  dotato  di  erudizione 
e  di  abilità  singolare  nel  comporre 
l'epistole,  e  trascriverle  con  bea 
formato  e  nitido  carattere,  serviva 
in  questo  impiego  il  nolaro  arci- 
vescovile di  quella  città  Giovanni 
Giurba,  col  quale  essendo  un  gior- 
no venuto  a  parole,  per  avergli 
detto  semplicemente,  che  tanto  era 
facile  che  Giurba  divenisse  uno  dei 
pubblici  magistrati,  quanto  egli 
fosse  fatto  arcivescovo  di  Palermo; 
offeso  il  notaro  da  tali  proposizio- 
ni, caricò  d' ingiurie  Mercurio,  il 
quale  abbandonata  la  patria,  si  recò 
in  Roma  ove  trovò  ricovero  presso 
il  cardinale  Ciocchi  del  Monte  ar- 
civescovo di  Siponlo.  Questi  esplo- 
rala la  sua  indole  e  trovatala  one- 
sta ed  ingenua,  non  solo  se  ne  pre- 
valse per  iscrivere    le    lettere,    ma 


MER 
ancora  per  trattare  itnporlantissirai 
ed  ardui  adari,  che  condotti  da  lui 
ad  esito  felice  gli  conciliarono  la 
grazia  ed  il  favore  del  cardinale 
che  gli  ottenne  nel  i545  da  Paolo 
IH  l'arcivescovato  suo  di  Siponto, 
dal  quale  dopo  otto  mesi,  ad  istan- 
za di  Carlo  V,  fu  trasferito  a  quel- 
lo di  Messina.  Divenuto  Papa  il 
cardinal  Ciocchi  col  nome  di  Giu- 
lio IH,  a' 20  dicembre  i55i  creò 
Mercurio  cardinale  prete  del  titolo 
di  s.  Barbara,  e  gli  ebbe  tal  cre- 
dilo, che  non  faceva  cosa  alcuna 
piima  di  consultarlo.  In  appresso 
gli  conferì  l'archimandrilalo  di  Si- 
cilia, dove  fabbricò  un  nuovo  mo- 
nastero pei  monaci  di  s.  Basilio 
dentro  le  mura  di  Messina,  in  luo- 
go dell'antico  ch'era  stato  demo- 
lito per  dare  libero  campo  alle  for- 
tificazioni di  quella  città,  e  dedi- 
candolo al  ss.  Salvatore.  Interven- 
ne ai  comizi  in  cui  furono  eletti 
Marcello  lì,  Paolo  IV  e  Pio  IV, 
indi  fu  sorpreso  in  Roma  nel  pa- 
lazzo apostolico  da  sollecita  morte 
nel  più  bel  corso  degli  onori,  d'an- 
ni 5o,  nel  i56r,  avendo  lascialo 
ottantamila  scudi  a'  poveri ,  e  fu 
sepolto  nella  chiesa  di  s.  Marcello. 
MEREODOCO  (s.),  vescovo  di 
Vannes.  Finché  rimase  nel  mondo 
impiegò  le  sue  copiose  entrate  in 
opere  di  carila,  e  finalmente  si  spo- 
gliò di  tutti  i  suoi  beni  e  andò  a 
menare  vita  da  solitario  in  un  ca- 
stello vicino  a  Ponlivi,  nella  dio- 
cesi di  Vannes.  Morto  il  vescovo 
di  Vannes,  i  canonici  ed  il  popolo 
lo  chiesero  per  pastore,  ma  non 
ottennero  che  a  grandissima  pena 
il  di  lui  consenso.  La  dignità  epi- 
scopale aggiunse  lustro  novello  alla 
carità  di  Mereodoco  verso  gì'  infe- 
lici, di  cLii  era  il  padre  ed  il  con- 
solatore. Portava    uu  aspro    cilicio 


MER 
sotto  le  Testi,  e  non  avea  clic  una 
specie  (li  sacco  per  vicopiiisi  allor- 
ché riposavasi.  L' antico  breviario 
di  Treguier  mette  la  sua  morte  nel 
i3o2.  Egli  ha  \\n  officio  a' 7  di 
giugno  in  quelli  di  Nantes,  di  Van- 
nes  ed  altri. 

MERETRICE  o    MERITRICE, 
Mcrttrix.  Donna     che  fa    copia  di 
suo  corpo  altrui    per  mercede,  tal- 
volta con  lenocinio,  lenociiiiwn,  os- 
sia ruflìanesimo  del  lenone  o  ru fila- 
no, mezzano  prezzolato  di   cose  dis- 
oneste,    e  presso  gli  antichi,  uomo 
che  teneva    traffico  di     donne    per 
uso  di  piaceri.  Nella   leg^c  niosaica 
le  meretrici  erano     proibite,   tiitta- 
volta  si  ricava  da  più  luoghi  della 
Scrittura,  che    tra  il    popolo  ebreo 
vi     furono    donne    impudiche,    che 
vendevano  per  denari  l' onestà  loro; 
eil     il    Deuteronomio    vietò     offrire 
a  Dio  vittime    comprate    con  gua- 
dagno meretricio.    11  Levitico  proi- 
bì   ai    sacerdoti    di   sposare    mere- 
trici.   Tra    gli    idolatri     vi    furono 
due    sorta     di     donne     impudiche  , 
cioè    le    ordinarie    e    volgari    che 
si     esponevano  per  denari,  e  quel- 
le consacrate  agli  idoli,  massime  a 
Venere,  per  onorar  la  quale  eser- 
citavano    quesl'  arte     infame  ,    of- 
frendone il    prodotto     air  impudica 
dea,  e  perciò  stavano  presso  i  tem- 
pli,   usando  abbominevoli    arti  per 
essere    preferite    le  une    alle    altre. 
In  Siracusa    ed  a    Lacedemone  es- 
sendosi vietalo    alle  donne  il   lusso 
delle  porpore,    fu   lasciato  alle  me- 
retrici  pubbliche  acciò  si  conosces- 
sero. Eravi  legge  in    Atene  che  ob- 
bligava  le     meretrici  a  vestir  vesti 
floride  e  purpuree.  1   romani   ordi- 
narono che  le    pubbliche   meretrici 
dovessero     avere    i    capelli     tinti   di 
giiillo,  ed   il   ca|>pello  di    tal   colore, 
acciò  tbsscro  conosciute,  come  riporta 


MER  a35 

il  Rosa,  Delle  porpore  p.  1 34-  Sul- 
la porta  delle  meretrici,  esse  po- 
nevano il  loro  nome  e  condizione 
per  essere  conosciute.  Eranvi  poi 
de' pubblici  postriboli  chiamati  lu- 
panari, ove  risiedevano  le  meretrici, 
adornandosene  l' ingresso  con  foglie 
e  luccrue.  Il  Cancellieri  nel  suo 
ricreato,  p.  3i,  per  dare  una  idea 
del  libertinaggio  che  vi  fu  un  tem- 
po tra  gli  antichi  romani,  narra 
che  le  donne  pubbliche  stavano  nei 
fornici  de' circhi  sotto  la  condotta 
di  scaltro  lenone,  e  al  tetro  lu- 
me di  fetida  lucerna  aspelfavano 
chi  le  cercasse,  chiudendo  la  porta 
con  vecchio  panno  rappezzato  a  più 
colori,  chiamato  centone,  e  per  in- 
vito leggevasi  fuori  il  nome  vero  o 
falso  dell'infame  donna,  e  il  prezzo 
fissatole.  Il  MalFei  nel  lib.  I  degli 
Anfileatrì,  riferisce  che  nel  1400 
l'arena  di  Verona  serviva  di  stanza 
alle  meretrici,  che  ne  pagavano  la 
pigione;  e  che  lo  stesso  era  seguilo 
nell'anfiteatro  d'Arezzo.  S.  Agnese 
vergine  e  martire  fu  condotta  nei 
fornici  del  circo  Agonale  per  essere 
profanata,  ma  fu  da  un  angelo  pre- 
servata da  ogni  insulto,  con  più 
miracoli  :  dipoi  il  luogo  fu  conver- 
tito nella  Chiesa  eli  s.  Agnese  nel 
foro  Agonale  (Fedi).  Anche  s.  Nar- 
ciso, dopo  di  aver  convertito  Afra  fi- 
glia d'Ilaria,  la  quale  avendola  dedi- 
cata a  Venere  dea  dell'impudicizia, 
l'avea  applicata  all'infame  meslieie 
di  pubblica  meretrice  in  Augusta, 
convertì  in  chiesa  quell'ofilcina  di 
impurità,  e  dedicolla  al  Salvatore 
e  alla  Beata  Vergine;  onde  giusta- 
mente r  Arringhi ,  Romae  siihter. 
lib  2,  e.  I,  in  Circis  ac  Theatris 
romanìs  virginum  christianaruni 
pudoreni  prostilui  genliles  juhcnt;  e 
con  esso  il  Bulengero  ed  il  Maran- 
goni notarono  che  alle  terme  e  ba- 


2  36  MER 

gni,  luoghi  d'immodestia,  canginti 
dalla  cristiaiiai  pietà  in  chiese,  pos- 
sono aggiungersi  altre  officine  di 
(iis(jnes!à  convertite  in  santuari.  Il 
principe  degli  apostoli  s.  Pietro  fu 
da  Nerone  fatto  imprigionare  con 
s.  Paolo  anche  per  aver  predicalo 
ai  romani  !a  castità,  e  per  aver 
convertilo  due  meretrici  di  tale  im- 
peratore, quindi  battere  e  marti- 
liz.zare.  Le  sanie  Maria  Maddalena, 
Maria  Egiziaca,  e  Pelagia  divenne- 
ro esemplarissime  penitenti,  cosi  al- 
tre donne  di  cattiva  vita.  11  secolo 
X  fu  per  la  Chiesa  il  più  funesto 
per  l'ignoranza  e  abbondanza  di 
malvagità,  in  cui  l' influenza  e  sfre- 
natezza di  alcune  donne  giunsero  a 
dominare  pure  Roma,  intrudere  e 
deporre  Pontefici;  tali  furono  le 
famose  meretrici  Teodora  e  le  sue 
figlie  Teodora  e  Marozia,  cui  pur 
tuttavia  non  mancarono  difensori: 
nel  declinar  del  secolo  XV  famosa 
fu  in  Roma  la  cortigiana  Lucrezia 
Vannozia;  e  di  tutte  parlammo  in 
più  luoghi. 

I  coiicilii,  i  Papi  ed  i  vescovi  in 
ngni  tempo  furono  solleciti  e  zelan- 
ti di  emanare  provvedimenti  contro 
le  meretrici  ed  i  lenoni,  ciò  che 
in  diversi  articoli  notammo.  Leone 
X  assegnò  i  beni  delle  meretrici 
di  Roma  che  morissero  ab  intestato 
al  monastero  delle  convertite,  di- 
pendente dall'  Aiciconfraternita  del- 
la Carità  [Vedi).  Pio  IV  istituì  un 
monastero  per  le  donne  che  avea- 
no  menato  vita  licenziosa,  del  qua- 
le trattammo  a  Agostiniane  Con- 
vertite. All'articolo  Donna  ripor- 
tammo i  decreti  di  s.  Pio  V  e  di 
Sisto  V  contro  le  meretrici.  Cle- 
mente XI 1  coir  opera  dell'architet- 
to cav.  Alessandro  Fuga  fabbri- 
cò in  Roma  nel  lato  sud-ovest 
ileir  Ospizio    aposiolicQ  di  s,  Mir 


M  E  Pt 
chele,  nell'anno  fj^S,  la  casa  di 
condanna  delle  donne,  a  ciò  mosso 
dal  ven.  Giambattista  de  Rossi  da 
Voltaggio  canonico  di  s.  Maria  in 
Cosmedin,  pei  gravi  scandali  che  a- 
vea  rimarcato  nelle  condannate  nel- 
le carceri  comuni.  Quindi  le  don- 
ne condannate  per  delitti  comuni 
e  quelle  ree  di  disonestà  rimasero 
in  questa  prigione,  finché  Leone  XII 
le  fece  trasportare  alle  Terme  dio- 
cleziane,  nel  locale  degli  antichi 
granari  dell'annona  di  Clemente  Xllf, 
nell'ultimo  piano  dell' edifizio,  ora 
casa  di  detenzione  per  gli  uotiiini. 
Pio  Vili  le  fece  ricondture  nell'un* 
lieo  carcere  presso  s.  Michele,  as- 
segnando alle  ree  di  delitti  co- 
muni l'antica  loro  abitazione,  ed 
alle  meretrici  e  donne  di  mal  af- 
fare l'antica  carcere  de'  ragazzi,  i 
quali  Leone  XII  avea  fatto  trasfe- 
rire presso  le  carceri  nuove.  L'an- 
tico locale  della  correzionale  de' ra- 
gazzi fu  eretto  presso  s.  Michele  da 
Cleuìenle  XI,  per  l' architetto  Car- 
lo Fontana  nel  1704,  mirabile  edi- 
fizio  composto  di  una  vastissima 
sala  rettangolare  a  volta  ,  liuiga 
palmi  190  e  larga  70,  ne' cui  lati 
maggiori  sonovi  60  celle  disposte 
a  tre  ordini  su  ciascun  lato.  Agli 
angoli  quattro  chiocciole  servono 
per  salire  al  secondo  e  terz'  or- 
dine, innanzi  cui  corre  una  loggia. 
Sulle  loggie  corrispondono  gli  usci 
e  i  finestrini  degli  stanzini,  lunghi 
12  palmi  e  larghi  io;  dall'opposta 
parte  eh' è  l'esterna,  vi  è  altro 
nestrino  per  la  più  facile  ventila 
zione.  Nel  mezzo  ai  lati  maggie 
vi  sono  due  grandissime  finestra 
onde  si  ha  luce  ed  aria  in  abbon- 
danza. Nel  piano  della  sala  sopra 
de' lati  minori  è  situato  l'altare,  il 
quale  ha  incontro  altra  grandissi- 
ma finestra.  Dei    lavori    ed  esercii 


MER 
zi  spirituali  che  si  fanno  da  que- 
ste condannate,  e  dei  loro  modo 
di  vivere,  traila  monsignor  ]Moriclii- 
ni,  Degli  isliluti  in  Eoina  lib.  Ili, 
cap.  IX.  AH'arlicolo  LuocorENEivTE 
dicemmo  che  al  primo  del  governo 
e  confidata  la  soprintendenza  del- 
la casa  di  condanna  dille  donne  ; 
ed  agli  articoli  Carcere,  e  Gover- 
natore DI  Roma,  si  disse  della  visi- 
ta graziosa.  All'articolo  s.  Girolamo 
SELLA  capita'  sì  è  parlato  delle  li- 
niosine  che  distribuisce  alle  donne 
condannate,  e  di  altro  in  loro  van- 
taggio, e  che  amministra  quanto  in 
loro  favore  lasciò  Benedello  Greco. 
All'articolo  Maresciailo  parlam- 
mo dell'enorme  abuso  con  cui  si 
pagava  ad  esso  una  multa  dalle 
meretrici  e  dai  lenoni,  di  cui  trat- 
tò r  Henelio,  Obsen'at.  de.  vccligali 
meretricio  et  urinario,  e.  Sa,  p.  5o. 
Abbiamo  da  Giuseppe  Laurenzi: 
De  adiilleriis  ac  meretrieibiis  tra- 
clado,  in  Gronovii,  Thesaur.  ant. 
graec.  Vili,  ì^on.  Agli  articoli 
Donna  e  Matrimonio  dicemmo  delle 
concubine.  Ad  impedire  che  le  don- 
ne, massime  zitelle  povere  e  orfa- 
ne, si  esponessero  a  cader  vittime 
dell'altrui  seduzione,  e  si  ponessero 
ad  esercitare  l'infame  e  peccami- 
noso mestiere  di  merelrice;  cosi 
perchè  le  figlie  di  meretrici  col  loro 
pessimo  esempio  non  le  imitassero, 
ebbero  origine  per  benefici  e  ge- 
nerosi istitutori  parecchi  degli  at- 
tuali Conservatorii  di  Poma  (^P  edi), 
che  in  seguilo  hanno  servito  e  ser- 
Tono  per  T  istruzione  morale  e  re- 
ligiosa, come  si  può  vedere  ai  loro 
articoli  nel  novero  che  ne  facem- 
mo, uscendo  da  molti  di  essi  sol- 
tanto per  monacarsi  o  maritarsi  one- 
stamente. 11  Conservatorio  dis.  Croce 
della  penitenza  dello  del  Buon  Pa- 
store, o^eìÌQ  scalette,  è  il  luogo  in  cui 


MER  237 

il  cardinal  Vicario  di  Roma  [Pedi) 
pone  le  femmine  di  cattiva  vita,  e 
vi  si  ritirano  pure  le  mal  maritale  e 
quelle  che  abbandonano  la  vita  li- 
cenziosa. Il  Conservatorio  della  di- 
vina Clemenza  detto  del  rifugio  fu 
eretto  per  le  donne  ma  non  ree  di 
trascorsij  poi  lo  divenne  per  que- 
ste. I  Conservatorii  di  s.  France- 
sca Romana,  del  Rifugio  della 
Lauretana,  e  del  Rifugio  di  s.  Ma- 
ria in  Dastevere ,  sei'vono  i  lìun 
primi  per  togliere  dalla  via  della 
perdizione  le  donne  che  in  essa  si 
trovano,  e  dopo  uscite  dall'ospeda- 
le di  s.  Giacomo  per  mali  venerei, 
o  da  quello  di  s.  Rocco  per  avervi 
partorito;  e  il  terzo  per  le  donne 
u.'icile  dal  carcere  di  s.  Michele,  e 
recidive  ne' loro  trascorsi  di  mal 
costume.  In  Roma  oltre  copiosissi- 
me sovvenzioni,  a  facilitare  i  ma- 
trimoni e  le  monacazioni  nelle  po- 
\ere  donzelle  prive  di  dote,  ed  im- 
pedire il  vivere  disonesto,  furono 
grandemente  benemeriti  i  Papi,  i 
cardinali,  i  prelati,  i  laici  d' ambo 
i  sessi  con  istituire  sussidi!  perpe- 
tui per  Dote  [Pedi);  ed  in  molli 
luoghi  parliamo  delle  istituzioni  si- 
mili e  più  celebri  fatte  altrove, 
per  togliere  la  licenza  del  vivere 
e  contribuire  alia  facilitazione  dei 
matrimoni  e  monacazioni,  con  im- 
menso vantaggio  spirituale  e  tem- 
porale,   y.  \ergini. 

MERIDA,  Emerita  augusta. 
Città  vescovile  della  Spagna  nell'E- 
slremadura,  in  una  beila  pianura 
fertile  ed  abbondante  di  pascoli,  vi- 
ni, frutti,  grani.  Sta  sulla  riva  de- 
stra della  Guadiana,  eh'  è  attraversa- 
ta da  un  ponte  magnifico  di  diciot- 
to archi,  opera  veramente  romana, 
e  sulla  sinistia  dell' Albarregas  che 
viene  ad  unirsi  alla  Guadiana,  e  su 
cut   vi  è  pure  un    ponte  di  ciuque 


238  MER 

archi.  Ha  un  governatore  civile,  un 
comandante  d'  armi,  ed  un  superio- 
re dell'ordine  di  s.  Giacomo.  Le 
case  sono  comode,  ma  antiche  j  vi 
sono  alcuni  palazzi  ben  conservali, 
due  chiese  parrocchiali,  monasteri, 
conventi,  due  ospedali,  uno  de'qua- 
li  grandissimo.  Fu  patria  del  poeta 
Deciano  vivente  sotto  Augusto,  di 
Gio.  Antonio  de  Vera-y-Zuniga,  di 
13aldassare  Moreno,  e  di  altri  uo- 
mini illustri.  Questa  cillà  secondo 
alcuni  fabbricala  da  Augusto  28 
anni  avaiili  Gesù  Cristo,  e  secondo 
altri  divenuta  colonia  romana  l'an- 
no di  Roma  726,  fu  popolata  dai 
soldati  della  V  e  X  legione,  che  la 
chiamarono  Emerita  Augusta.  Di- 
venne la  capitale  della  Lusitania,  fu 
abbellita  e  specialmente  da  Vespa- 
siano d'un' infinità  di  monumenti, 
iie'quali  i  romani  spiegarono  la  lo- 
ro grandezza  e  potenza:  tali  furo- 
no templi  e  ponti  magnifici,  archi 
trionfali,  acquedotti  superbi,  bagni, 
teatro,  circo,  naumachia,  ec.  Era  as- 
sai grande,  facendosi  giungere  la  sua 
estensione  a  più  di  sei  leghe  di 
circuito.  Sotto  i  goti  conservò  la 
sua  magnificenza  ed  i  suoi  monu- 
menti, e  divenne  la  sede  d' un  ve- 
scovato prima  del  5oo  circa,  che 
cessò  dopo  che  i  mori  presero  la 
città  nel  718,  moltissimo  danneg- 
giandola: "vi  si  rimarcano  lullora 
gli  avanzi  de' suoi  begli  edifizi,  e 
principalmente  quelli  di  un  ponte, 
di  due  acquedotti,  d'  una  fortezza, 
d'  un  bagno  e  d'un  arco  trionfale. 
Prima  di  tale  epoca  e  nel  666  vi 
fu  tenuto  un  concilio  a' 6  novem- 
bre da  dodici  vescovi  della  provin- 
cia di  Portogallo  che  vi  fecero  venti 
canoni  sopra  la  disciplina  e  diritto 
ecclesiastico.  Tra  gli  altri  venne 
ordinato,  che  quando  il  re  sarà  al- 
la  gueira  si  olfrirà  ogni    giorno  il 


MER 

sagrifizio  per  lui  e  pel  suo  eserci- 
to. Il  vescovo  potrà  levare  dalle 
parrocchie  i  preti  e  diaconi  che 
crederà  opportuni  per  suo  aiuto, 
e  metterli  nella  cattedrale  o  chiesa 
principale,  senza  però  che  i  trasfe- 
riti perdano  l' ispezione  e  le  ren- 
dite delle  antiche  chiese.  Si  crede 
questa  l'origine  de' primitivi  cano- 
nici curati.  Reg.  t.  XV;  Labbé  t. 
VI;  Arduino  t.  Ili;  Diz.  dt  coii' 
cìlii.  Calisto  li  elevando  nel  11 20 
al  grado  di  metropolitana  CompO' 
stella  {^l^edi)^  vi  riunì  la  diocesi  di 
Merida.  Nel  1280  Alfonso  IX  re 
di  Casliglia  e  di  Leone  tolse  Meri- 
da ai  maomettani  mori,  nel  qual 
tempo,  secondo  il  portoghese  No- 
vaes,  la  cattedra  vescovile  di  Meri- 
da fu  reintegrala  dal  Papa  Grego- 
rio IX.  La  cillà  fu  alquanto  forti- 
ficata durante  le  guerre  contro  il 
Portogallo  nel  secolo  XVII,  ed  ai 
nostri  tempi  i  francesi  la  occuparo- 
no nel  genuaio    181  i. 

MERIDA  (Emerilen).  Città  eoa 
residenza  vescovile  nelle  Indie  occi- 
dentali, ossia  nell'America  meridio- 
nale, nella  Colombia  o  Messico,  ca- 
poluogo dello  stato  di  Yucatan , 
distante  2  3o  leghe  all'oriente  dalla 
città  di  Messico,  io  al  sud  dalla  ri- 
viera del  golfo  messicano,  e  180  a 
sellenlrione  di  Guatimala.  Giace  a 
pie  di  alti  monti  in  un'arida  pianura. 
IS^on  ha  grand'eslensione,  ma  è  ben 
fabbricala,  conducendo  otto  strade 
rettilinee  alla  gran  piazza  centrale, 
la  quale  è  abbellita  dai  più  notabili 
edifizi,  che  sono  il  palazzo  del  go- 
verno e  la  cattedrale.  Vi  sono  ma- 
uifallure  di  cotone  e  buoni  artefici 
per  lavori  in  jame.  Vi  risiede  la 
corte  di  giustizia  per  gli  stati  di 
Yucatan,  'Pabasco  e  di  Chiapa,  con 
più  di  10,000  abilanli.  Lungo  la 
via  boreale  di  Merida  per  Bacalar, 


MER 

s'inconlrano  molti  antichi  rudeii,  ed 
assai  più  e  meglio  munienuti  nella 
via  meridionale,  per  lo  che  pub 
dirsi  che  il  lato  orientale  dello  sla- 
to del  Yucatan  ne  ridondò.  11  più 
conservalo  è  un  grandioso  edifizio 
quadrato,  che  i  naturali  chiamano 
Oxnitital,  che  misuralo  verso  il  j  ySo 
si  tiovò  di  600  piedi  in  ognuna 
delle  quattro  facce,  e  gl'interni  ap- 
partamenti, il  corridoio,  i  pilastri, 
sono  lutti  decorali  da  hassorilievi 
che  rappresentano  serpenti,  lucerto- 
le ed  altri  rellili .  Queste  rovine 
hanno  molta  analogia  colle  lauto 
famose  di  Palenquè,  che  danno  dot- 
te materie  alle  investigazioni  degli 
archeologi. 

La  sede  vescovile,  per  distinguer- 
la da  quella  di  Spagna,  fu  chiama- 
ta Emerita  Nova,  e  da  Paolo  HI 
\enne  eretta  nel  i547,  e  dichiara- 
ta suffraganea  della  metropoli  di 
Messico.  I  vescovi  di  Merida,  Gio- 
vanni di  s.  Francesco  e  Giovanni 
della  Porta,  furono  nominati,  ma 
non  consagrali  ;  quindi  il  primo  ve- 
scovo può  dirsi  Francesco  di  Toral 
francescano  e  provinciale  della  pro- 
•vincia  del  s.  Evangelo,  consacralo 
nel  1 562  e  morto  nel  iSyi.  Fra 
i  suoi  successori  noteremo  partico- 
larmente Gonzalez  de  Salazar  ago- 
stiniano, nominalo  nel  1608,  il  qua- 
le governò  la  chiesa  col  massimo 
eelo  ed  occupossi  particolarmente  di 
distruggere  gli  avanzi  dell'  idolatria, 
rovesciando  ventimila  idoli,  per  cui 
si  meritò  grandi  elogi  da  Paolo  V, 
che  gli  scrisse  una  lettera  nella 
quale  lo  felicitava  per  avere  di- 
strutta affatto  l'idolatria;  mori  nel 
i636  dopo  aver  convertito  quin- 
dicimila indiani.  In  progresso  di 
tempo  la  successione  de'  vescovi  fu 
interrotta,  e  Merida  cessò  di  essere 
vescovato.    Pio  Yl    ad  istanza    del 


MER  a39 

re  di  Spagna  Carlo  III,  nuovamen- 
te eresse  in  cattedrale  vescovile  Me- 
rida, assoggettandola   all'  arcivescovo 
di  s.  Fede  di  Bogota  ;  indi  nel  con- 
cistoro   de'aS  settembre    1782    ne 
fece    vescovo    fr,    Giovanni    Ramos 
de  Lora  francescano,  nato  nel  1722 
in  Palacios  y  Yillafranca,  diocesi  di 
Siviglia  ;  poscia  gli  diede  per  succes- 
sori, nel    1791  fr.  Emmanuele  Can- 
dido   de    Terrisos    domenicano,     di 
Sesquile    diocesi  di    s.  Fede,    e  nel 
I  795  fr.  Antonio  Espinosa  pur  do- 
menicano, di  Corvera  diocesi  di  Sa- 
ragozza. Pio  VII  preconizzò  vescovi, 
nel    1801    Giacomo  Hernandez   Mi- 
lanes  di  Nieza  diocesi  di  Salaman- 
ca, e  nel     i8i6    Raffaele    Laso  de 
la  Vega,  nato    in  s.    Giacomo  del- 
le Indie.    Però  il    medesimo    Papa, 
colla  bolla  Iti  universalis   Ecclesiae^ 
de'  24    novembre    i8o3,    presso    il 
Bull.  Rom.   Cont.  t.  Xll,  p.  97,  e- 
rigendo    in     metropolitana    la    sede 
vescovile  di  Benezuela   o    Caraccas 
o    s.   Giacomo    [Fedi),    le   assegnò 
per    suffraganee     Merida    ed     altre 
chiese,    e     tuttora    lo     è.    Essendosi 
sottratto    anche    il  Messico    e  Perù 
dal  dominio  spagnuolo,  Leone  Xll 
non   volendo  lasciare  alla  morte  del 
vescovo    Laso  questa    diocesi    priva 
del    pastore,    nel    concistoro    de'  2 
ottobre    1826    nominò    suffragane© 
Bonaventura  Arias  della  stessa  dio- 
cesi   di    Merida,    facendolo    vescovo 
di  Gerico  in  parlibus,  già   vice-ret- 
tore del    seminario  e  canonico  del- 
la cattedrale,  colla  qualifica   ancora 
di  vescovo  ausiliare.    In  questa  go- 
vernò la  chiesa    anche  dopo  che  il 
vescovo  Laso  fu  traslato  a  Quilo  li 
i5  dicembre    1828,  finché   assunto 
al   pontificato   Gregorio  XVI   lo  di- 
chiarò    vicario     apostolico.     Questo 
Papa  nel   concistoro    degli     i  i     lu- 
glio i836  elesse  vescovo  di  Merida, 


24o  MER 

Giuseppe  Vincenzo  Unda  di  Gua- 
nai-ii  diocesi  di  Benezuela  e  ret- 
tore di  quel  collegio,  esaminatore 
sinodale,  professore  di  filosofìa  e 
di  gius  ecclesiastico  ;  indi  per  sua 
morte  in  quello  de'  27  gennaio 
1842  nominò  l'odierno  vescovo 
monsignor  Giovanni  Ilario  Boset,  na- 
to nel  Porlo  di  Gueya,  arcidiocesi 
di  Caraccas,  già  parroco  zelante  di 
molle  chiese  e  per  ultimo  di  s.  Ma- 
ria d'  Altagrazia,  professore  di  teo- 
logia nell'università  ed  esaminatore 
sinodale. 

La  cattedrale  distrutta  dal  terre- 
moto, con  gran  cura  va  riedifican- 
dosi dai  cittadini  di  Merida,  e  sot- 
to il  titolo  dell'  Immacolata  Conce- 
zione di  Maria.  Il  capitolo  si  com- 
pone della  dignità  del  decano,  di 
quattro  canonici,  di  due  porzionari 
e  di  altri  del  clero,  quali  tutti  prov- 
visoriamente ufiìziano  nella  chiesa 
di  s.  Domenico  ov'  è  il  battisterio 
per  la  cura  della  cattedrale.  Conti- 
gua a  questa  si  sta  rifabbricando 
l'episcopio,  abitando  intanto  il  ve- 
scovo in  decente  casa.  Vi  sono  an- 
cora in  città  due  altre  chiese  par- 
l'occhiaii  col  sacro  fonte,  un  mona- 
stero di  religiose,  tre  confraternite, 
r  ospedale  ed  il  seminario.  Amplis- 
sima è  questa  diocesi,  per  cui  a 
tempo  opportuno,  per  una  migliore 
amministrazione,  probabilmente  po- 
trà aver  luogo  una  circoscrizione.  I 
frutti  della  mensa  vescovile  sono 
tassali  nella  cancelleria  apostolica 
in  fiorini  Irenlatre  e  mezzo,  essen- 
do le  rendite  del  vescovo  scudi 
quattromila   ron)ani. 

MERINI  Stefano  Gabriele,  Car- 
dinale. Stefano  Gabriele  Merini,  na- 
to in  Giaen  nella  Spagna,  da  famiglia 
oscura,  colla  sua  destrezza  si  avan- 
zò nella  corte  di  Ferdinando  V  re 
di    Spagna,    e  in    quella    di    Giulio 


MER 
II  e  Leone  X,  da  cui  ottenne  l'ar- 
civescovato di  Bari,  ed  insieme  il 
vescovato  di  sua  patria^  colla  di- 
gnità di  patriarca  delle  Indie.  A- 
driano  VI  nel  i522  lo  inviò  col 
carattere  di  nunzio  in  Francia,  ad 
oggetto  di  trattare  la  pace  tra  Fran- 
cesco I  e  Carlo  V,  e  quantunque 
non  riuscisse  in  questo  maneggio, 
non  mancò  d'  acquistarsi  molta  sti- 
ma presso  r  imperatore  che  ebbelo 
in  luogo  di  suo  intimo  consigliere, 
e  lo  impiegò  in  diversi  affari  assai 
rilevanti,  e  gli  ottenne  colle  sue  i- 
stanze  la  porpora,  che  Clemente  VII 
gli  conferì  a'  19  febbraio  (533  nel 
crearlo  cardinale  prete  di  s.  Vitale. 
Nel  i535  Paolo  III  gli  concesse  a 
titolo  di  amministrazione  la  chiesa 
di  Gaeta,  e  dopo  due  mesi  quella 
di  Bovino.  Come  arcivescovo  di  Ba- 
ri intervenne  al  concilio  generale  di 
Laterano  V,  e  come  cardinale  al 
conclave  di  Paolo  III.  Vide  il  suo 
fine  in  Roma  nel  i535  d'  anni 
63,  e  fu  sepolto  nella  chiesa  di  s. 
Giacomo  degli  spagnuoli  con  nobile 
epitadlo.  Lasciò  una  somma  consi- 
derabile alla  chiesa  di  Bari  per 
formare  i  sedili  del  coro,  una  mi- 
tra preziosissima  ,  ed  alcuni  sacri 
arredi.  Il  Garimberti  storico  mor- 
dace e  poco  veritiero,  scrive  che 
il  Merini  da  fanciullo  venne  desti- 
nalo per  la  sua  plebea  condizione 
a  guardare  i  cani,  ed  a  far  lo  sguat- 
tero della  cucina  del  cardinal  A- 
scanio  Sforza,  al  cui  appartauiento 
recando  talvolta  la  legna  pel  fuoco, 
s'incontrò  piìi  volte  a  ragionare  col 
cardinale,  che  avendolo  scoperto  di 
straordinario  talento,  lo  trascelse 
per  cameriere.  Il  Ciacconio  confutò 
il  Garimberti,  dicendoci  che  mentre 
Merini  avea  3o  anni,  Leone  X  scris- 
se per  lui  lettere  premurosissime  al 
re  di  Sp.igna,  acciò  io   nominasse  al- 


MER 
la    sede    di    Leone,    che    però    non 
el)be. 

MERITO,  Merilum.  Preiuio, 
guiderdone,  ricompensa  rimunerano 
il  melilo  delia  bontà  morale  delle 
azioni  degli  uomini,  -quello  della 
dolUina,  dell'  arte  e  delle  azioni 
mililari.  Quindi  sotto  il  titolo  del 
mento  mililnie  o  civile  furono  isti- 
tuiti diversi  ordini  equestri,  cioè 
alcuni  furono  l'ondati  soltanto  per 
riconoscere  i  meriti  militari  acqui- 
stali in  qualche  fallo  parziale  ;  al- 
tri furono  estesi  alla  benemerenza 
de'  letterati,  degli  artisti,  ed  anche 
agi'  impiegali  civili  ed  ai  lunghi 
servigi  da  questi  prestali  allo  slato. 
Ordini  e  medaglie  di  decorazione 
del  inerito  trovausi  stabiliti  in  di- 
verse epoche  e  in  diversi  stati.  Qui 
appresso  registreremo  per  ordine 
alfabetico  de'  luoghi,  molti  di  que- 
sti ordini,  altri  avendoli  riportali 
sotto  denominazioni  siuonime,  come 
a  cagion  di  esempio  all'  articolo  s. 
Lodovico  ordine  equestre  del  merito 
civile;  cos'i  Massimiliano  ordine  mi- 
lilare  ed  ordine  civile;  come  pure 
in  vari  luoghi  parlammo  delle  me- 
daglie di  decorazione  assegnale  al 
merito  civile  e  inililare  di  diverse 
grandezze,  mentre  a  Medaglie  pon- 
tificie parlammo  delle  medaglie  col- 
l'  epigrafe  Benemerenti  concesse  da 
diversi  Papi. 

Assia  Elettobaìe,  cavaliere  della 
croce  del  merito.  Questo  ordine 
militare  fu  istituito  dall'  elettore 
Guglielmo  I  nel  1820,  per  ricom- 
pensare i  sudditi  per  le  sostenute 
guerre  lunghe  e  sanguinose  che 
agitarono  l'Europa  negli  ultimi  an- 
ni del  secolo  passato  e  ne'  primi 
del  corrente,  stabilendo  per  distin- 
tivo una  medaglia  d' argento  pei 
soldati  e  per  gì'  impiegati  di  classe 
inferiore,  come  pure    per  gì'  imple- 

VUL.     XLlV. 


MER  241 

gali  comunali,  che  con  belle  azioni 
si  resero  benemeriti  del  sovrano  o 
de'  loro  concittadini,  tanto  con  leali 
servigi,  quanto  mercè  di  utili  inven- 
zioni, o  col  mezzo  del  coraggio  per- 
sonale. Succeduto  al  nominato  elet« 
tore  Guglielmo  li,  questi  camliiò 
nel  182 1  la  medaglia  dell' ordinei 
la  quale  ebbe  ancora  altro  cambia- 
mento nel  declinare  del  i83i,  dal 
principe  co-reggente,  mediante  una 
croce  d' oro  e  di  ar£;enlo ,  aventi 
da  un  lato  la  sigla  dell'  elettore, 
dall'altra  quella  del  co-reggente,  e 
sulle  braccia  di  essa  fu  inciso  il 
motto  :  Per  il  merito  e  la  fedeltà. 
Questa  croce  i  cavalieri  l'  appendo- 
no dalla  parte  sinistra  del  petto. 

Assia-Cassel  o  Elettorale,  ca- 
valiere del  merito  militare.  Federi- 
co li  landgravio  d' Assia-Casselj  vo- 
lendo premiare  gli  uiliziali  che  nel- 
le battaglie  aveano  date  prove  in- 
signi di  valore  e  d' intrepidezza,  ai 
5  marzo  1769  istituì  l'ordine  del 
merito  militare,  che  a'  22  ottobre 
1820  ebbe  nome  d'ordine  per  la 
virtù  militare.  Il  numero  de' cava- 
lieri è  illimitato,  e  la  loro  decora- 
zione si  forma  da  una  croce  d'oro 
pendente  da  nastro  di  seta  turchino 
orlato  di  bianco. 

Assia  Granducale  o  DarmstadTj 
cavaliere  del  merito  militare.  A. 
promovere  la  gloria  militare  e 
il  coraggio  ne'  soldati  ,  il  gran- 
duca Luigi  I  istituì  r  ordine  ai 
25  agosto  1807.  Un  anno  dopo  la 
sua  morte  furono  pubblicali  gli  sta- 
tuti di  esso  a'  i4  dicembre  i83i  , 
venendo  aggiunto  al  titolo  del  me- 
nto militare  quello  dell'istitutore 
Luigi.  E  diviso  in  cinque  dilferen- 
ti  classi,  cioè  gran  croci,  commen- 
datori dì  prima  e  seconda  classe, 
e  cavalieri  semplici  egualmente  dì 
prima  e  seconda  classe:  la  grac 
16 


242  MER 

croce  si  conferisce  sollanto  ai  prin- 
cipi  o    a  nol)ili    che  godine    il  di- 
stintivo    dell'eccellenza,    o  che     ne 
tengano  il  grado.    La     decorazione 
de' cavalieri    si  compone  di  una  stel- 
la a  olio  raggi,  che  si  appende  con 
nastro    di    seta    nera  e     orli     rossi 
alla  parte  sinistra  del  petto.  Da  un 
lato    vi  è  la  lettera     L  sopra    uno 
scudo     rotondo    smallalo     in  rosso, 
con    cerchio  bianco,  e  attorno  l'e- 
pigrafe: Pel  merito.     Nel    rovescio 
della  stella,  lo  scudo  nero    contie- 
ne le  parole:  Dio,  onore,  patria,  le 
quali  sono  pure  impresse  sulla  me- 
daglia ollagona  d'argento,  la  quale 
costumano  portare  i  grancroci,    ed 
anche  su  quella  quadrangolare  col- 
la corona  dell'ordine,    la     quale  u- 
sano     i     commendatori     di    prima 
classe. 

Baden,  cavaliere  del  merito  mi- 
litare. Venne  fondato  dal  granduca 
Carlo     Federico  a'  4  aprile     1807, 
per  ricompensare  gli  egregi  fatti  dei 
suoi  migliori    guerrieri,  e   per  pro- 
muovere negli  altri  onorevole  einu- 
Jazione,    prescrivendo     che  l'ordine 
del  merito  militare     servisse  anche 
poscia    di    guiderdone    ai     valorosi. 
Compose  l'ordine  di  tre  classi,  cioè 
di  gran  croci,    di  commendatori,    e 
di  cavalieri  semplici,  stabilendo  che 
fosse  presieduto  dal  gran     maestro, 
dignità  che  riserbò  per    sé  e  prin- 
cipi successori,     decretando    inoltre 
che  i  principi     di  sua  famiglia    fin 
dalla  nascila  appartenessero    all'or- 
dine. Poscia  in  vigore    degli  statuti 
venne  ordinato ,  che  i  soli  generali 
potessero  averne  la    gran    croce,  e 
che    tutti     i  membri     ad  eccezione 
de'principi,  dovessero    godere    d'an- 
nua   pensione.    Perciò    fu    stabilito 
che    i    due  gran  croci     più  anziani 
percepirebbero  l'annuale  assegno  di 
4oo    fiorini,  che    i    tre  più   vecchi 


MER 
commendatori  ne  avessero  200,  e 
gli  otto  più  antichi  cavalieri  100. 
La  decorazione  formasi  di  una  cro- 
ce a  quattro  raggi  eguali  smaltati 
in  bianco,  nel  centro  della  croce 
sonovi  le  lettere  C.  F.  cifra  del 
fondatore:  il  rovescio  contiene  un 
grifone  in  argento  collo  stemma 
gentilizio  della  casa  di  Baden,  e 
l'iscrizione:  Per  l'onore  di  Baden. 
La  croce  si  porta  dalla  parte  de- 
stra del  petto,  con  naslro  di  seta 
listato  di  rosso  e  giallo,  e  negli 
orli  filettato  di   bianco. 

Baviera.  F.  Massimiliano,  ordine 
del  merito  militare,  e  ordine  del 
merito  civile;  più  s.  Michele,  ordi- 
ne del   merito. 

Brunswick,  cavaliere  della  croce 
del   inerito   militare.  Il    duca     Gu- 
glielmo fondò    l'ordine  il   primo  a- 
prile   1833,  e  volle    esclusivamente 
servisse     di     premio     ai      buoni     e 
leali  servigi   de'militaii.  Condiste  la 
decorazione  in     una     croce    d'  oro, 
colla  cifra  dell'istitutore  sullo  scudo 
bianco,  colla    corona.   Si    conferisce 
agli   uffìziali,  che    hanno  servilo    o- 
noratanienle  venticinque  e  più  anni; 
agli    uffìziali   e  soldali  dopo  il  ser- 
vigio di  venticinque,  venti  e  quin- 
dici anni ,  con   tre  classi     differenti, 
vi  è  altra  decorazione.  Questa  for- 
masi   nel    seguente    modo.     Quella 
per  la  prima  classe    è    la    croce  di 
argento  con  sopra  Io    scudo  roton- 
do circondato  da  raggi,  e  contenen- 
te la  cifra  del  duca;  quella   perla 
seconda  la  croce  d'ai'gento  non   ha 
raggi     intorno    allo    scudo  ;     quella 
della  terza  classe    la   decorazione  è 
diversa,  poiché  si  compone  di  un'a- 
sta   d'argento  con  scudo  ovale,  con 
la  cifra  come     sopra  ;    nei    rovesci 
poi    d'ognuna  delle    tre  classi  sono 
indicati  i     numeri    XXV,    XX,     e 
XV,  precisamente  corrispondenti   a- 


MER 
gli  anni  di  servizio   di   ciascun  de- 
corato. 

Francia,  cavaliere  del  merito  mi- 
litare. Nel  1759  l'istituì  il  re  Lui- 
gi XV  mentre  era  in  fiera  guerra 
cogl'inglesi  e  coi  prussiani,  in  fa- 
vore degli  uffiziaii  svizzeri  ed  altri 
delle  sue  truppe,  nati  ne'paesi  ove 
è  stabilita  la  pretesa  religione  rifor- 
Biata  o  protestante,  colle  dignità  di 
due  gran  maestri.  La  croce  era 
d'oro  a  otto  punte,  simile  a  quella 
di  s.  Luigi  (il  quale  ordine  non 
poteasi  conferire  ai  protestanti);  da 
ima  parte  aravi  nel  mezzo  la  spa- 
da e  intorno  l'epigrafe,  Pro  virtiite 
bellica  j  nel  rovescio  la  corona 
d'alloro  col  ritratto  del  fondatore, 
e  in  giro,  Ludovicus  XF'  institutor. 
Jl  nastro  era  di  seta  color  celeste 
o  azzurro  intenso,  e  si  appendeva 
alla  bottoniera.  Decaduto  l'ordine 
all'epoca  repubblicana,  nel  18 14  'o 
ristabilì  Luigi  XVIII  per  le  stesse 
ragioni  per  cui  era  stato  eretto, 
cioè  per  premio  de' valorosi  e  fede- 
li che  aveano  servito,  e  per  inco- 
raggiar gli  altri  ad  imitarli.  11  nu- 
mero de'  gran  croci  fu  limitato  a 
quattro,  quello  de'commendatori  ri- 
stretto a  otto,  indeterminato  quel- 
lo de'cavalieri  semplici.  Dal  i83o 
in  poi  l'ordine  non  fu  più  con- 
ferito. 

Polonia  ,  cavaliere  del  merito 
militare.  Stanislao  Augusto  Ponia- 
towski  re  di  Polonia  mentre  guer- 
reggiava per  r  indipendenza  della 
nazione,  e  ricupera  del  primo  smem- 
bramento che  avea  sofferto  il  regno, 
nel  declinar  del  1791  istituì  questo 
ordine  del  merito  militare  per  con- 
fermare i  suoi  alla  difesa,  e  ne  de- 
corò i  più  prodi  uffiziaii  del  suo" 
esercito.  Andando  le  sue  cose  di 
male  in  peggio,  anche  Varsavia 
cadde  in  potere  de'russi  nel   1792, 


MER  243 

laonde  Caterina  II  nella  dieta  di 
Targowilz  severamente  interdisse 
quest'ordine,  obbligando  gì'  insigni- 
ti a  restituire  i  diplomi.  Nella  co- 
stituzione di  Varsavia  del  21  luqlio 
1807  si  tornò  a  far  menzione  di 
questo  ordine,  indi  a'  26  dicembre 
venne  reslauiato  da  Federico  Au- 
gusto re  di  Sassonia,  siccome  gran- 
duca di  Varsavia.  Allorché  poi  nel 
18 18  Varsavia  tornò  in  potere  dei 
russi,  e  che  1'  imperatore  di  essi 
Alessandro  I  si  fece  coronare  re  della 
più  gran  parte  della  Polonia,  dan- 
dola a  governare  al  fratello  gran- 
duca Costantino,  l'ordine  riacquistò 
il  suo  lustro,  ed  Alessandro  I  se 
ne  dichiarò  gran  maestro.  II  suo 
successore  e  fratello  il  regnante 
Nicolò  I  incorporò  l'ordine  a  quel- 
lo dell'impero  russo,  sotto  la  de- 
mi nazione  di  decorazione  imperiale 
del  merito  militare,  dividendolo  in 
cinque  classi.  Al  tempo  stesso  l'im- 
peratore dichiarò  che  in  progresso 
questa  decorazione  più  non  sarebbe 
conferita.  Il  distintivo  de'cavalieri 
consiste  in  croce  d*  oro  smaltata 
in  rosso,  la  quale  si  appende  al 
petto  con  *nastro  di  seta  ondata 
turchina  ,  avente  nel  centro  liste 
nere. 

Portogallo,  cavaliere  del  merito 
militare.  V.  Avis,  ordine  militare 
di  s.  Benedetto,  chiamato  novella 
milizia.  La  l'egina  INIaria  I  di  Por- 
togallo, di  questo  ne  fece  un  ordi- 
ne del  merito  militare  nel  1789, 
da  ecclesiastico  ch'era,  assegnandone 
le  rendile  ad  uffiziaii  di  merito. 
Oltre  il  gran  maestro  ed  il  gran 
commendatore,  fu  composto  di  sei 
gran  croci,  di  quarantanove  com- 
mendatoli, e  di  cavalieri  il  cui  nu- 
mero è  illimitato.  L'ordine  possie- 
de dieciotto  villaggi  e  quaranta- 
nove  commende. 


244  MER 

Cavaliere  del  merito  civile  di  s. 
Giacomo.    F .    s.     Giacomo     della 
Spada,     ordine    cavalleresco.  Dalla 
Colleclion    liistorìqiie  des  ordivs  de 
chevalerie  de  PeiTot,  Paris  1820,  si 
rileva  che  l'ordine  di  s.  Giacomo  del- 
la Spada  è  ancora  un  ordine  militare 
ed  ecclesiastico  nella  Spagna;  ma  in 
Portogallo  nel    1 789    fu   convertito 
in  un  ordine   del  merito  civile  dal- 
la regina  Maria  che  lo  divise  in  tre 
classi,  cioè    di     sei  gran     croci,     di 
centocinquanta  commendatori,  e  di 
un   numero     illimitato  di  cavalieri. 
Pnussii,  cavaliere  del  tneriio  mi- 
litare. Il  re  Federico  II  il  Grande 
lo  fondò  nel    1740     nel    giorno  di 
sua  inaugurazione  al  trono,  per  ec- 
citare l'emulazione  tra'suoi  soldati, 
meditando  ampliare  i  suoi  dominii 
col  mezzo  delle   armi  ;    quindi  ob- 
bligò i    decorati     dell'  ordine    della 
generosità  a  deporne  le  insegne,  se 
insigniti  del  nuovo,  lasciandole  agli 
altri.  L'  ordine  della  generosità  era 
stalo   istituito  dal  suo  genitore,  pii- 
ino  re  di    Prussia    Federico  1,  nel- 
l'età di  dieci  anni,  nel  1667,  essen- 
do elettore  di    Brandebuigo,  e  di- 
venuto re    nel     i70i,*dichiarando 
primo  ordine  del  regno  quello  del- 
l'Aquila nera,  ordinò  che  per  con- 
seguire quello  della  generosità    bi- 
sognava essere    stato  decorato  del- 
l'altro.  In  principio  Federico  li  di- 
spensò l'ordine  del  merito  ai   mili- 
tari   ed    agli    impiegati    civili     del 
reame,  e  poscia  questi    secondi  ne 
furono  esclusi,  riservandolo  pei  soli 
militari  a  meglio  promovere  in  loro 
gloriose    azioni.    Dipoi    il  re  Fede- 
rico Guglielmo     111     con     diploma 
de' 18  gennaio    iSio  estese  1' ordi- 
ne, decretando    che    non  si  potesse 
conseguire  se  «non    per    servigi  resi 
sul  campo  di   battaglia  ;    indi    nel 
documento  di  fondazioue  della  ero- 


MER 
ce  di  ferro,  de'  io  marzo  i8i3,  di' 
chiaro  che  durante  la  guerra  che 
era  per  iscoppiare,  1'  ordine  pel  me- 
rito non  sarebbe  piii  concesso,  e 
che  in  casi  rari  e  veramente  stra- 
ordinari  sarebbe  dato  con  tre  fron- 
de di  quercia  al  suo  anello  ;  se  ta- 
luno poi  giungesse  a  ottenerlo  tre 
volte,  il  nastro  sarebbe  decorato 
con  tre  raggi  d' argento.  La  croce 
è  d'oio  a  otto  punte  smaltate  in 
turchino  colla  lettera  F  nel  centro, 
iniziale  del  nome  del  fondatore,  e 
la  epigrafe:  Ponr  le  merile.  Que- 
sta croce  si  porta  appesa  al  collo 
con  nastro  di  seta  nera  filettato  di 
argento.  II  regnante  Federico  Gu- 
glielmo IV  nell'agosto  1846  pre- 
scrisse, che  nel  caso  di  nomina  di 
straniero  a  cavaliere  dell'  ordine  del 
merito,  l'accademia  di  scienze  ed 
arti  di  Berlino  abbia  a  presentare 
essa  Ire  candidali,  fra'  quali  il  re 
farà  la  scelta.  La  nomina  di  trenta 
cavalieri  di  nazione  tedesca,  conti- 
nua a  dipendere  dall'  unico  bene- 
placito di  sua   Maestà  prussiana. 

Sassonia,  cavidiere  del  merito 
civile.  Lo  fondò  il  re  Federico  Au- 
gusto a'7  giugno  18 15,  per  deco- 
rare i  benemeriti  suoi  sudditi,  e 
gì'  impiegati  che  gli  avevano  reso 
utili  servigi  nelle  memorande  epo- 
che del  18 1 3  e  i8i5;  bramando 
non  solo  di  ricompensare  tutti  quel- 
li che  si  erano  acquistati  de' diritti 
alla  sua  stima  e  riconoscenza,  ma 
anche  di  fondare  un  pubblico  isti- 
tuto per  alimentare  lo  zelo  di  ben 
servire  la  patria  e  la  famiglia  rea- 
le. Per  la  qual  cosa  decretò,  che 
r  ordine  si  dovesse  conferire  ai  sas- 
soni che  avessero  reso  utili  servigi 
allo  stato,  o  che  si  distinguessero 
per  virtù  civili,  quindi  che  si  con- 
cedesse pure  a  que' stranieri  che  si 
acquistassero  titoli  alla  riconoscenza 


MER 
del  re  di  Sassonia  e  del  suo  rea- 
me. Gli  statuti  furono  pubblicati  ai 
12  agosto  18 15,  eia  prima  distri- 
buzione delle  croci  cavalleresche 
ebbe  luogo  a' 23  dicembre.  La  cro- 
ce del  merito  civile  ha  lo  slemma 
di  Sassonia  con  attorno  i'  iscrizio- 
ne: Federico  angusto  tr.  di  Sasso- 
nia, il  7  giugno  1 8 1 5  ;  nel  rave- 
scio  si  legge  :  Pel  merito  e  la  fe- 
deltà ,  se  pei  sassoni,  che  se  per 
gli  stranieri  allora  il  motto  è  :  Pel 
inerito.  L'  ordine  si  divide  in  tre 
classi,  cioè  gran  croci,  commenda- 
tori, e  semplici  cavalieri  ;  v'  è  una 
quarta  classe  poi  che  comprende 
quei  che  sono  decorati  della  me- 
daglia del  Merito  civile.  Inoltre 
Federico  Augusto,  mentre  era  elet- 
tore e  duca  di  Sassonia,  avea  già 
istituito  una  medaglia  d'  onore  mi- 
litare per  gli  uftlziali  e  pei  solda- 
ti, affine  di  ricompensarli  di  azioni 
straordinariamente  valorose  opei'a- 
te  nelle  battaglie.  La  medaglia  è 
d'oro  e  d'argento  colla  leggenda  : 
Benemerito  della  patria.  Anche  un'al- 
tra medaglia  pel  merito  civile  fu  dal 
medesimo  re  decretala  nel  1S07, 
Bllorchè  assunse  il  titolo  e  le  in- 
segne di  re  di  Sassonia. 

Sicilie  (due).   P'.  s.  Ferdinando,  o 
ordine  del  merito   delle  due  Sicilie. 
Toscana.   F.  s.  Giuseppe,  ordine 
equestre  del   merito    di  Toscana. 

WuRTEMBERGA,  cavaliere  del  me- 
rito militare.  Ritornando  ne'  suoi 
slati  il  duca  ed  elettore  Carlo  Eu- 
g«M)io,  dopo  la  famosa  guerra  dei 
sette  anni  tra  Maria  Teresa  e  la 
Prussia,  a  ricompensare  que'  soldati 
«:he  con  calore  e  lealtà  avevano 
sotto  di  lui  militato,  agli  1  i  feb- 
braio 1759  istituì  l'ordine  del  me- 
rito militare.  Dipoi  nel  «799  il  suo 
iìglio  duca  ed  elettore  Federico, 
vedendo  che  l'  Europa  ardeva  nelle 


WER  245 

guerre,  stimò  opportuno  nel  novem- 
bre di    rinnovar    l' ordine,    perchè 
con  darne  la    decorazione  ai  prodi 
soldati  che  si    fossero  distinti  nelle 
battaglie,  potesse    accender  ne'  sud- 
diti il  desiderio  di  ottenere  onorato 
premio  alle    loro  imprese  militari. 
Divenuto  Federico  re  di  Wurtem- 
berga  e  continuando  le  guerre  più 
accanite  neir  Europa,  nel  1806  vol- 
le riformare    1'  ordine  a'  6  novem- 
bre   con   nuovi    statuti.    Lo  divise 
in   quattro  classi,  cioè  in  gran  croci, 
in  commendatori     di   prima  classe, 
in  commendatori  di  seconda  classe, 
ed   in  semplici  cavalieri.  Fra  gl'in- 
divìdui al  servizio    del    regno,  due 
appartenenti  alla  prima  classe  rice- 
vettero un  assegno  annuo  di  2000 
fiorini  ;  quattro     spettanti    alla    se- 
conda classe  ottennero  una  pensio- 
ne di  fiorini     1200;    dodici    della 
terza    classe     ricevettero    i'  assegno 
di     1000     fiorini;    e    cinquantadue 
della  quarta   classe    n'ebbero  3oo. 
In  seguito  salito    al    trono    il  re- 
gnante re  Guglielmo,  pensò  di  ri- 
formar    r  ordine,     e    lo     eseguì    ai 
aS  settembre    1818,    riducendolo  a 
tre  classi  cioè  gran  croci,  commen- 
datori, e  semplici  cavalieri.  Per  es- 
.servi  ammesso  bisogna  avere  il  gra- 
do di  generale  maggiore  a   fine  di 
ottenere  la  prima    classe,  quello  di 
uffiziale  di  stato    maggiore  per  ot- 
tenere la  seconda,  e  il  grado  d'  uf- 
fiziale   comune    per    conseguire  la 
terza.    La    decorazione  si  compone 
d'  una  croce  d'oro  a  otto  punte,  col 
motto  Benemerentibus  nel  centro,  e 
si  appende    ad   un    nastro    di  seta 
ondata    giallo-canarino,    con    orlo 
\erde  ;    nel    rovescio    ha    lo    scudo 
coir  iniziale   di   Guglielmo,  W,  col- 
r  epigrafe    in  giro:   Intrepido  e  fé- 
dele. 

Cavalieri   del  merito    civile    di 


a46  MER  MER 
fVurtemberga.  \\  re  Federico' vo-  Quanto  all' órdine  dell' ^^«/7^  f/'oro 
lendo  perpetuare  la  memoria  del  lo  istituì  nel  1702  Eberardo  Luigi 
giorno  in  cui  egli  assunse  il  titolo  duca  di  Wuitemberga  gran  caccia- 
reale,  slimò  bene  d' istituire  un  or-  tore  dell'impero,  chiamandolo  dal 
dine  civile  del  merito;  quindi  a'tì  suo  uflizio  della  Gran-Caccia,  e  pò- 
novembre  1806  celebrando  l'anni-  nendoio  sotto  la  prolezione  di  s. 
versarlo  della  fondazione  del  regno,  Uberlo.  Diede  per  distintivo  a' ca- 
ne decretò  1'  erezione,  volendo  con  valieri  una  croce  d'  oro  a  otto  pun- 
esso  anche  premiare  que'  sudditi  te  smaltate  in  rosso-rubino,  ai  lati 
che  sopra  gli  altri  si  fossero  distinti  della  quale  erano  quattro  aquile 
in  qualunque  ramo  delle  civili  di-  d'oro  frammiste  a  piccoli  corni  da 
scipline.  L'ordine  fu  diviso  in  tre  caccia.  Il  centro  della  croce  venne 
classi,  cioè  in  gran  croci,  in  comnien-  smaltato  di  verde,  coli' epigi  afe  da 
datori,  ed  in  cavalieri;  i  membri  nna  parte:  Virtulis  amicUiaeqac 
delle  due  prime  classi  sono  fisiiati  foediis  ;  e  dall' altra  parte  un' aqui- 
a  sei,  quelli  della  terza  a  trenta-  la  d'oro,  con  nastro  di  seta  ponsò, 
sei,  senza  annoverarvi  le  nomine  Erettosi  il  ducato  di  Wurtemberga 
del  re  particolari.  Ogni  consigliere  in  regno,  il  re  Federico  rinnovò  gli 
che  abbia  con  zelo  servito  venti-  statuti  a'6  marzo  1807  ,  mutando- 
quattro  anni  può  aspirarvi,  e  coU'or-  gli  il  nome  di  Gran  Caccia  in  quello 
dine  si  conseguisce  la  nobiltà  per-  più  ragionevole  àtW  Aquila  d'oro. 
sonale.  La  decorazione  de' cavalieri  Fu  però  conservata  la  decorazione 
consiste  in  una  croce  o  stella  a  ot-  e  le  iscrizioni,  solo  aggiunto  Fride- 
to  punte,  col  centro  smaltato  in  ricus  rex,  colle  iniziali  F.  R.  Sta- 
turchioo,  e  la  cifra  F.  R.  ossia  Fre-  bilV  eziandio  che  i  cavalieri  non  su- 
dericiis  rex,  e  l'epigrafe  attorno  perassero  il  numero  di  cinquanta, 
Bciieinereiilibns.  Il  nastro  da  cui  non  includendovi  in  esso  i  principi 
pende  la  croce  è  di  seta  verde  on-  della  reale  famiglia,  ed  i  figli  del 
data,  con  orlo  color  canarino.  Ma  sovrano  regnante.  Per  essere  am- 
a' 23  settembre  1818  il  regnante  messo  nell'ordine  bisognava  essere 
re  Guglielmo  unì  quest'ordine  a  principe  o  conte,  o  per  lo  meno 
quello  della  Corona  di  T'Vurlein-  nobile,  o  essere  rivestito  d'  una  ca- 
berga.  Questo  ordine  della  corona  rica  che  con  sé  portasse  il  grado  di 
fu  istituito  da  detto  re  per  riunir  tenente  feld-maresciallo  generale  ai- 
quello  ddì' Aquila  d'oro,  e  l'altro  meno.  Finalmente  noteremo,  che 
del  merito  civile.  Lo  divise  in  tre  il  re  Federico  nel  1808  stabilì  una 
classi,  cioè  gran  croci,  commenda-  decorazione  d'onore  con  nastro  di 
tori  e  cavalieri,  con  numero  in-  seta  gialla,  da  servire  ai  capi  delle 
determinato,  e  conferisce  la  nobiltà  nobili  famiglie  del  regno;  come 
personale  a  chi  n' è  decorato  :  i  fi-  pure  nel  i8i4  istituì  una  meda- 
gli  del  re  sono  ricevuti  all'età  di  glia  d'onore,  pendente  da  nastro 
sette  anni,  quelli  de'principi  reali  a  di  seta  gialla  con  orlo  d'  oro,  a  fa- 
quella  di  quattordici.  Sopra  lo  scu-  vore  de' sudditi  che  si  distinsero  per 
do  delle  due  prime  classi  avvi  una  valore  nelle  guerre  di  quell'anno, 
corona  colla  leggenda  eguale  a  qutl-  MERLINI  Paolucci  Camillo,  Car- 
ia della  croce  dell'ordine  del  merito  dinaie.  F.  Paolucci  Merli??!  Ca- 
nailitare,  di  cui  parlammo  di  sopra,  millo,   Cardinale. 


MER 
MERO,  Mfitis  seti  Misus  o  Co- 
mopoUs.  Sede  vescovile  della  Frigia 
Salutare,  sotto  la  metropoli  di  Sin- 
iiada,  nella  diocesi  d*  Asia,  eretta 
nel  V  secolo  :  Cominanville  la  chia- 
ma Meruin  scic  Myium.  Ne  furo- 
no vescovi:  Tesa  che  assistette  al 
concilio  di  Costantinopoli  ;  Mega 
che  fu  al  V  concilio  generale  ;  Da- 
miano al  VII,  e  Teodoro  air  Vili. 
Oritns  christ.  t.  I,  p.   84o. 

MERSBURG  o  MERSEBURG, 
Martisburguni ,  Marishnrgwn,  Mar- 
tinopolis.  Città  vescovile  degli  stali 
prussiani,  provincia  di  Sassonia,  ca- 
poluogo di  reggenza  e  di  circolo, 
distante  sei  leghe  all'occidente  da 
Lipsia,  in  una  situazione  deliziosa, 
circondata  da  giardini  e  belle  pra- 
terie, sulla  Saala  che  si  attraversa 
sopra  uu  bel  ponte  di  pietra.  E 
cinta  da  un  muro,  e  circondata  da 
tre  sobborghi.  Le  case  sono  an- 
tiche, essendo  tra  i  più  osservabi- 
li edilizi  la  sua  antica  gotica  cat- 
tedrale dedicala  a  s.  Lorenzo,  ri- 
marchevole per  le  quattro  sue  torri 
piramidali,  ed  i  palazzi  vescovile 
e  ducale.  Vi  sono  altre  due  chie- 
se, un  orfanotrofio,  un  ospedale,  una 
casa  di  carità ,  un  ginnasio  il  cui 
fabbricato  è  vastissimo,  e  scuole  di 
ostetricia,  e  per  gli  orfani  militari. 
La  birra  di  questa  città  è  la  più 
rinomata  della  Sassonia.  Nel  sob- 
borgo d'Altemburg,  in  un'antica 
chiesa ,  un  soldato  uccise  dinanzi 
I  l'altare  nel  987  Tancwerdo  prin- 
cipe di  Sassonia,  figlio  dellimpera- 
tore  Enrico  I  l' Uccellatore,  il  quale 
nelle  sue  vicinanze  nel  gSS  vi  a- 
veva  guadagnata  una  famosa  bat- 
.  taglia  sugli  ungherési.  Il  conte  di 
Tilly  la  prese  nel  iGSi,  poscia  gli 
svedesi,  e  quindi  gl'imperiali  ed  i 
sassoni,  finché  passò  sotto  il  do* 
minio  prussiano. 


MER  247 

Il  paese  di  Mersburg  dopo  esse- 
re stalo  una  contea  per  più  di 
200  anni,  fu  convertito  in  vesco- 
vato sotto  la  metropoli  di  Magde- 
burgo,  da  Ottone  I  nel  940,  altri 
dicono  nel  968.  Ne  fu  primo  ve- 
scovo Rosone  monaco  benedettino, 
dell'abbazia  di  s.  Emmerano  di  Ra- 
tisbona  ;  ne  occupò  la  sede  dal 
969  al  979.  Nel  983  Ottone  H 
pose  nella  sede  di  Rlagdeburgo,  Gi- 
iìlero  vescovo  di  Mersburg,  estin- 
guendo questo  secondo  vescovato 
e  trasferendolo  in  detto  arcivesco- 
vato ;  per  la  qual  cosa  l'imperatore 
fu  punito  da  s.  Lorenzo  martire 
protettore  della  chiesa  ,  perdendo 
l'esercito  e  la  vita  nel  mezzo  di 
essa,  avendo  il  santo  significato  il 
castigo  in  visione  ad  uno  prima 
che  succedesse.  Ottone  III  nel  984 
a  persuasione  della  pia  sua  madre 
Teofaua  corresse  1'  errore  del  padre 
e  reintegrò  Mersburg  della  sede  ve- 
scovile, che  il  Papa  Gregorio  V 
confermò  nel  998.  Al  vescovo  Dit- 
maro  fu  attribuito  un  martirolo- 
gio; egli  ne  fu  possessore  ,  noa 
compilatore.  I  vescovi  possedero- 
no un  dominio  considerabile,  eb- 
bero rango  tra  i  principi  dell'im- 
pero, e  assoggettarono  la  città  al- 
la loro  autorità  temporale^  dopo 
ch'era  stata  per  lungo  tempo  im- 
periale, indi  nel  1567  abbracciaro- 
no la  pretesa  riforma  protestante. 
De'  vescovi  di  Mersburg,  fino  ad 
Alessandro  duca  di  Sassonia,  postu- 
lato dai  canonici  luterani  nel  1362, 
e  morto  tre  anni  dopo,  in  età  di 
soli  dodici  anni,  ne  tratta  la  Storia 
eccl.  d'Alemagna,  t.  II.  Gli  elettori 
di  Sassonia  trovarono  quindi  il 
mezzo  di  farsi  per  postulazione  no- 
minare vescovi  od  amministratori 
del  vescovato,  dal  capitolo  prote- 
stante in  occasione  di  sede  vacante. 


ai?>  MER 

l<i  seguito  venne  perciò  il  vescova- 
to secolarizzato,  e  Giovanni  Giorgio 
elettole  di  Sassonia  Io  diede  con 
sno  testamento  a  Cristiano  suo  ter- 
zo figlio,  i  cui  discendenti  ne  go- 
dettero il  possesso  sino  al  lySo, 
epoca  nella  quale  si  estinse  la  sua 
linea  nel  duca  Enrico.  Fu  poscia 
incorporalo  ai  doniinii  del  ramo  e- 
lettorale,  che  ne  avca  la  sovranità, 
fino  a  che  passò  in  potere  del  re 
di  Prussia.  La  cattedrale  fu  per 
tnolto  tempo  uiììziata  dai  benedet- 
tini; il  suo  capitolo  è  composto  di 
venti  canonici  nobili  o  dottori,  fra 
i  quali  vi  sono  sei  dignitari,  più  due 
canonici ,  che  sono  professori  di 
diritto  neir  università  di  Lipsia.  Il 
Lenglet  nelle  Tav,  cron.  dice  che 
nel  io48  fu  in  Merseburgo  tenuto 
un   concilio. 

MERTON.  Luogo  d'Inghilterra, 
nella  contea  di  Surrey  sulla  riva 
ministra  della  Wandle,  che  si  at- 
traversa sopra  un  ponte:  evvi  un 
collegio  fondalo  nel  1274-  Vi  si 
tennero  due  concilii.  Il  primo  nel 
12  58  per  rivocare  le  decime  accor- 
dale dal  Papa.  Labbé  t.  XI;  Angl. 
t.  I.  Il  secondo  nel  i3oo  o  i3o5, 
sotto  Roberto  Wynchesle  arcive-  ' 
6COV0  di  Cantorbery,  che  vi  pro- 
mulgò quattro  regolanienli  sopra  di- 
verse materie  ecclesiastiche  ,  come 
sulle  decime,  sugli  arredi  sacri,  ec. 
Da  essi  risulta  con  quanto  rigore 
si  esigessero  le  decime  in  Inghilter- 
ra, poiché  non  solo  pagavansi  di 
tulli  i  fruiti  ed  animali,  ma  anche 
del  pollame,  della  lana  e  de'latlici- 
ni  ;  ed  eziandio  le  decime  perso- 
nali dell'industria  e  del  traffico,  le 
quali  estendevansi  a  tutti  i  mercanti, 
artefici  e  mercenari;  il  lutto  sotto 
pena  di  censure  ecclesiastiche  ,  che 
non  potevano  esser  tolte  che  dal 
vescovo,    Diz.    deconc.j  Labbé    t. 


MES 
XI;  Arduino  t.  VII;   Angl.   t.  I;  Man- 
.si,    Suppl.  conc.   t.    Ili,   p.    266. 

MESE,  Mensis.  Una  delle  dodi- 
ci parti  dell'anno,  e  quello  spazio 
che  comprende  un  corso  lunare,  la 
cui  parola  mensis,  secondo  Cicerone, 
deriva  da  niensura,  misura  o  de- 
terminata quantità.  Tempo  che  il 
sole  impiega  nel  percorrere  un  se- 
guo del  zodiaco,  cioè  un  poco  più 
di  trenta  giorni  l' uno  per  l'altro  ; 
propriamente  è  ciò  che  chiamasi 
il  mese  solare  od  astronomico,  che 
forma  la  dodicesima  parie  dell'an- 
no. Dopo  che  gli  uomini  ebbero 
osservato  i  cambiamenti  giornalieri 
delle  tenebre  e  della  luce,  cioè  dei 
giorni  e  delle  notti,  fecero  pari- 
menti attenzione  al  movimento  del- 
la luna,  movimento  manifesto,  per- 
chè si  vede  comparire  grande  e 
luminosa  ,  e  sparire  in  seguito;  e 
siccome  essa  prova  tutti  quei  can- 
giamenti entro  un  tempo  determi- 
nalo, e  che  i  ritorni  delle  sue  dif- 
ferenti apparizioni  o  fasi  soggiaccio- 
no a  regole  certe  e  determinate, 
mese  fu  dello  quello  spazio  di  tem- 
po ch'essa  consuma  a  percorrere 
il  periodo  intero  del  cangiamento 
delle  sue  fasi.  11  mese  lunare  è  o 
periodico  o  sinodico  ;  il  periodico  è 
il  tempo  che  la  luna  impiega  a 
percorrere  lo  zodiaco;  il  sinodico  è 
il  tempo  che  impiega  la  luna  dal 
partirsi  dal  sole,  e  dal  congiunger- 
si di  bel  nuovo  ad  esso,  cioè  ven- 
tinove giorni  e  mezzo  circa  in  più. 
11  mese  civile  od  usuale  è  quello 
ch'è  accomodato  all'uso  di  ciascuna 
nazione  in  particolare.  Gli  ebrei 
ed  i  greci  servi  vansi  di  mesi  lu- 
nari ;  ma  gli  antichi  ebrei  non  a- 
vevano  nomi-  parziali  per  designare 
i  loro  mesi:  essi  dicevano  il  primo, 
il  fecondo,  il  terzo  mese,  ec.  che 
corrispondevano  al  settembre,  otto- 


MES 
bie,  ec.   de'romaiii.  Dopo  la  callivi- 
tà  di  Bal>ilonta   essi  presero  i  nomi 
dei    mesi   dai   caldei,  presso  i  quali 
aveaiio   lungamente  dimorato.  1  do- 
dici  mesi   lunari    non  facevano    che 
354  giorni   e     sei  ore,  l'anno  degli 
ebrei    essendo    più    corto  di    dodici 
giorni  che    il   romano:  essi  chiama- 
•vansi  :   1     Nisan,     II    Jar     o     Jiar, 
111     Siban,     IV   Thamus,    V    Ab, 
M   Elul,  VII   Thisri,  Vili   Marche- 
suan  ,  IX  Casseu,    X  Tebelh,     XI 
Sehebat  o    Sabath,  XII   Adar.    Ma 
da   tre  in     tre  anni  avevano  gii  e- 
brei    cura    d'  intercalare     nel     loro 
aimo   un  XllI    mese,  che  chiama- 
\ano  Ve-Adar,  o  sia  il  secondo  A- 
dar  ;  e    con     ciò  il     loro  anno     lu- 
nare eguagliava   l'anno    solare,  per- 
chè  in  Irentasei     mesi  di     sole,    ve 
ne  sono    trenlaselte    di    luna.    Era 
il  sanhedrin,  o  assemblea  de'settanta 
Senatori,  che   regolava  questa   inter- 
calazione, e  questo  tredicesimo  me- 
se collocavasi    tra     Adar  e     Nisan  , 
di   maniera  che  la  Pasqua    fu  sem- 
pre   celebrata    il    primo    plenilunio 
d'uo  r  equinozio.     I  greci     attenta- 
niente     osservavano  il  giorno    della 
neomenia,  ossia  della     nuova  luna  : 
essi  dividevano  il   mese  in  tre  par- 
ti o  in  tre  decine,  e  in  ciascuna  ri- 
cominciavano a  computare,  ripiglian- 
do dall'unità.  Lunare  era   parimenti 
il   mese  de'romani,  che  dividendolo 
iu  tre  parti,  queste  chiamavano  Ca- 
ldi de,  None  e  Idi  (Fedi).  I   no  tari 
dividevano  i  mesi  in  tre  parti  :   se- 
gnavano    la     prima  co\ì' inlranle    o 
ingrediente  mensej  la  seconda,  stan- 
te o  medio  mense,  o  in  altra   sinu- 
le forma  ;  la  terza,  exiente  o  exeun- 
te  mense;  ad  imitazione  de' greci  i 
quali  dividono  i     loro   mesi  in    tre 
decadi  ;  di     che    tratta     il    Vettori, 
Jl  fiorino  d'oro  antico  illustrato  p. 
35^.    Da  priitcipio  i    romani    non 


MES  249 

ebbero  che  dieci  mesi  nel  loro  an- 
no, e  il  primo  era  quello  di  marzo; 
venivano  in  seguito  aprile,  maggio, 
giugno,  quintile,  sestile,  settembre, 
ottobre  ,  novembre  ,  decembre,  i 
quali  erano  a  un  dipresso  come  i 
nostri,  e  per  questa  ragione  i  quat- 
tro ultimi  nostri  mesi  portano  an- 
cora oggi  i  nomi  che  non  corri- 
spondono più  all'ordine  che  ora 
tengono,  ma  piuttosto  a  quello  che 
stabilito  era  anticamente,  perchè  i 
nomi  di  que'  mesi  significavano  il 
settimo,  l'ottavo,  il  nono  e  il  deci- 
mo; ma  siccome  questi  dieci  mesi 
non  riempivano  totalmente  lo  spa- 
zio nel  quale  il  sole  sembra  a  noi 
percorrere  i  dodici  segni  dello  zodia- 
co, le  stagioni  trovavansi  per  questo 
da  un  anno  all'  altro  dìsorditiate. 
Conosciuto  l'inconveniente,  venne 
riparato  in  parte  aggiungendo  due 
nuovi  mesi,  cioè  gennaio  e  febbra- 
io, che  si  collocarono  immediata- 
mente avanti  quello  di  marzo,  cor 
sicché  questo  ch'era  il  primo,  di» 
ventò  il  terzo  dell'anno.  Del  calen- 
dario, anni,  mesi  e  giorni  degli  an- 
tichi latini,  ne  parlammo  nel  voi. 
XXXVII,  p.  289  del  Dizionario. 

La  divisione  poi  dell'anno  in 
dodici  mesi  è  molto  antica,  e  qua- 
si universale  in  Europa.  Alcuni 
popoli  supposero  lutti  i  mesi  e- 
guali  e  ciascuno  di  trenta  giorni,  e 
quindi  compirono  l'anno  coll'aggiun^ 
ta  di  un  numero  sufficiente  di 
giorni  complementari  ;  altri  popoli 
abbracciarono  o  iachi userò  l'anno 
intero  nei  dodici  mesi  rendendoli 
ineguali.  11  sistema  de'mesi  di  tren- 
ta giorni  conduce  naturalmente  al- 
la loro  divisione  in  tre  decadi,  e 
questo  periodo  offre  la  facilità  di 
trovare  ad  ogni  istante  il  nume- 
ro del  giorno  del  mese  ;  ma  alla 
fine  dell'anno  i  giQrni  cooipjeiue^- 


25o  MES 

tari  turbano  l'ordine  delle  cose  at- 
taccate ai  diversi     giorni    della  de- 
cade, il  che     rende  allora  necessa- 
rie   alcune   disposizioni  amministra- 
tive imbarazzanti.    A  questo  incon- 
veniente   si    pone    riparo    coU'  uso 
di  un   piccolo  periodo  indipendente 
dalla  divisione  dei   mesi  e  degli  an- 
ni} questo  è   la    settimana,    la  cui 
origine  si  perde    nella  più  remota 
antichità,  e  che  ha    circolato  senza 
interruzione  e  si  mantiene  attraver- 
so i  secoli,  introducendosi  successiva- 
mente nei  calendari  dei  diversi  po- 
poli. F.  Anno,  Giorno,  Calendario, 
Era,  e    gli     altri    articoli  relativi  : 
tieir  ultimo    si  parla  ancora,     al    § 
Era  della    repubblica  francese,  del 
calendario    adoperato  in  quel    tem- 
po e  modellato   con  differenti     no- 
mi su    quello    degli    ateniesi ,  chia- 
mandosi i  mesi:    Vendemmiale,  Bru- 
male, Frimale,  Piovoso,  Nevoso,  Ven- 
toso,    Germinale,    Fiorile,     Pratile, 
Messidoro,  Termidoro  ,  Fruttidoro. 
11   Cancellieri    nelle    sue   Campane, 
discorre  a  p.  i47   de'giorni  perico- 
losi di    ciascun  mese,  cioè  di  quel- 
li    che    anticamente     erano    chia- 
mali aegrì,  mali,  ed  aegypiiaci:  se- 
condo    il  parere   di  molti  il    nome 
di  aegri   significava ,    che    cadendo 
ammalato  in  uno  di  que'giorni    era 
quasi  impossibile    di  guarire;  mali, 
perchè    era  cosa  pericolosa  d'intra- 
prendere qualche     affarcj  a  motivo 
della  loro  costellazione;  aegypiiaci, 
perchè  gli    egiziani     li  avevano  in- 
ventati ,     in    memoria     delle    dieci 
piaghe  da  cui  erano  stali  afflitti. 

Lo  slesso  Cancellieri  nelle  Notizie 
intorno  la  festa  di  Natale,  riporta 
eruditamente  l'elenco  de'mesi,  in 
cui  si  è  credulo  che  seguisse  la 
nascila  del  Redentore,  che  però  la 
Chiesa  universale  ha  fissato  nel 
dicembre    epoca    si    fortunata .    Il 


MES 

cristianesimo  ha  consacralo  diver- 
si mesi  dell'  anno  per  santificarli 
in  onore  di  Gesìi  Cristo,  della 
Beata  Vergine  e  di  qualche  santo. 
INel  declinar  del  passato  secolo  con- 
sacrò Ira'  divoti  esercizi  il  mese  di 
maggio  e  de'  fiori  alla  Madre  di 
Dio,  onde  prese  il  nome  di  mesei 
Mariano.  11  primo  che  scrisse  ad 
agevolarne  il  pio  uso  fu  il  mis- 
sionario gesuita  p.  Francesco  Lu- 
Lomia,  di  cui  abbiamo  nel  iSSq 
da  Napoli  la  terza  edizione:  IL 
mese  di  maggio  consagrato  alle 
glorie  della  gran  Madre  di  Dio. 
Indi  ne  scrissero  ancora  egregia- 
mente i  celebri  gesuiti  Mazzolar! 
e  Muzzarelli,  e  con  più  fruttuoso 
successo,  per  cui  moltissime  sono  le 
diverse  edizioni.  In  Parigi  nel  i835 
si  pubblicò:  [Imene  di  Maria  gre- 
co- latino  ovvero  Maria  nelle  classi 
delle  scuole.  Il  sacerdote  romano 
d.  Giuseppe  B.ighelti  nel  i836  ci 
diede  con  tipi  di  Roma:  Il  mese, 
di  Maria  ossia  il  mese  di  maggio 
consagrato  a  Maria  ss. ,  proposto 
agli  ecclesiastici  dell'uno  e  dell'altro 
clero.  Opera  erudita  ,  equivalente 
quasi  ad  una  piccola  biblioteca  ec- 
clesiastica. Nell'America  settentrio- 
nale, e  in  Filadelfia  nel  1840,  il  sa- 
cerdote R.  Kenrick  pubblicò:  Nuovo 
mese  Mariano  ovvero  riflessioni  per 
ciascun  giorno  del  mese.  Vi  è  pure 
L'anno  Mariano  del  Muzzarelli,  Fu- 
ligno  i83o.  Pio  VII  incoraggi  tal 
divozione  coli'  indulgenze  ,  ed  i 
suoi  successori  a  maggiormente  sta- 
bilirla e  per  tutto  propagarla  nel 
mondo  cattolico^  non  ne  furono 
meno  solleciti,  aprendo  il  tesoro 
delle  indulgenze ,  siccome  pur  fece 
Gregorio  XVI  particolarmente  per 
Roma  in  moltissime  chiese,  ove  il 
mese  Mariano  si  celebra  con  di- 
scorsi   morali  di    valenti  oratori,  o 


MES 
con  libretti  (co' quali  privatamente 
si  fa  dalle  famiglie)  appositamente 
composti,  con  meditazioni,  edificanti 
esempi  e  giaculatorie ,  terminando 
il  santo  esercizio  colle  lodi  alla  Re- 
gina degli  angeli,  e  la  benedizione 
del  ss.  Sagraniento  ,  con  immenso 
spirituale  profitto.  Pio  Vii  nel 
18 1 5  concesse  a  tutti  i  fedeli  del 
mondo  cattolico,  che  in  pubblico 
o  in  privato  nel  detto  mese  ono- 
rassero la  ss.  Vergine,  per  ciascun 
giorno  l'indulgenza  di  3oo  giorni, 
e  la  plenaria  in  quello  in  cui  si 
confesseranno  e  comunicheranno  , 
da  potersi  applicare  anche  a'fedeli 
defunti;  ciò  che  confermò  in  per- 
petuo nel  1822.  Abbiamo,  Caso- 
lini,  P^/ieg^/nW  per  ciascun  giorno 
del  mese  di  viaggio  cogli  elogi  sen- 
za  la  lettera  K  e  con  quello  senza 
la  vocale  U.  Piubbi,  Trecenlosessan' 
iasei  giorni  dell'anno  consagrati  al- 
la passione  di  Gesti  Cristo,  Pe- 
saro. Nel  1843  in  Milano,  dalla 
tipografia  Pirolta  si  pubblicò:  L'an- 
no santificalo  ne'  suoi  dodici  me- 
si. In  diversi  tempi  vennero  stam- 
pati in  Ripalransone  :  //  mese  dì 
settembre  dedicato  a  Maria  santis- 
sima Addolorata  j  in  Roma:  // 
mese  di  Gesìi  Bambino  o  sia  il 
mese  di  gennaio.  Il  mese  di  marzo 
consagrato  a  s.  Giuseppe.  Il  mese 
di  agosto  consagrato  al  cuore  di 
Maria  ss.  In  Prato  nel  1842  ven- 
ne pubblicato  :  //  mese  di  maggio, 
ed  il  mese  di  novembre  per  le  a- 
nime  purganti  ;  ed  in  Venezia  nel 
1889  e  i845:  //  mese  di  lu- 
glio consagrato  a  Gesù  Redentore. 
Ora  passiamo  a  dire  alcune  eru- 
dizioni  de' dodici  mesi  dell'anno, 
mentre  delle  cose  che  indicheremo 
meglio  se  ne  discorre  in  molti  degli 
articoli  che  le  riguardano.  Ma  quan- 
to ai  nomi  dei   mesi    delle    celebri 


MES  25i 

nazioni,  si  possono  vederli  in  Picot, 
che  nelle  sue  tavole  cronologiche 
stampate  a  Ginevra  nel  1808,  nel- 
r  ordinarli  segui  il  metodo  degli 
antichi  greci  e  latini.  Prima  di 
lui  nel  1712,  con  più  erudizione 
che  critica,  Jo.  Alberti  Fabricii  pub- 
blicò in  Amburgo:  Menologniin  ^ 
si  ve  libellus  de  mensibus,  centiun 
circìter  populorum  menses  recen- 
sens,  atque  inter  se  conferens,  ec.  11 
Piazza  neir  Emerologio  di  RonWy 
trattando  di  tutti  i  mesi  e  giorni 
dell'anno,  ad  ognuno  discorre  delle 
antiche  profane  celebrità  e  di  quel- 
le ecclesiastiche  e  sacre  cui  succe- 
dettero. 

Gennaio,  Januariiis.  Primo  me- 
se dell'  anno  secondo  i  rofflOTH  e 
latini;  l' XI  degli  ebrei^  il  V  dei 
greci  ed  etruschi.  Fu  chiamato  così 
dai  romani,  da  Giano  re  d'Italia, 
o  dio  del  tempo  e  divinila  cui  at- 
tiibuivano  due  teste,  pei'chè  il  pri- 
di  gennaio  guarda  da  una  parie 
l'anno  precedente,  e  dall'altra  quel- 
lo che  arriva.  Questo  nome  può 
anche  derivare  da  j amia,  porta,  per- 
chè essendo  il  primo  mese  è  come 
la  porta  degli  anni,  il  primo  e  il 
principio  di  tutti  i  mesi  :  l' anno 
di  Romolo  primo  re  di  Roma  in- 
cominciava col  mese  di  marzo,  co- 
me gli  ebrei;  e  fu  JXuma  Pompi- 
lio secondo  re  di  Roma,  che  ag- 
giunse il  mese  di  gennaio.  Venne 
denominato  dagli  ateniesi  Ilarine- 
lione ;  dai  jonii  e  beozii.  Lenito; 
dai  ciprii,  Estliio ,  dalla  dea  Vesta 
o  dalle  nuove  vesti  che  indossava- 
no la  prima  volta  ch'entravano  i 
nuovi  magistrati,  o  nuziale  dai 
giorni  festivi  che  celebra vansi  nelle 
nozze  in  onore  di  Giunone  ;  dai 
macedoni,  Audineo ;  dagli  egizii , 
Tybi;  dai  caldei,  Scehat  o  Schebat; 
dai    gei'maui,  Jeunerj    dai   sassoni, 


«5i  MiiS 

Hasdcmanj  e  da  Carlo  Magno 
JJvinlcrmonat,  cioè  giorni  o  mese 
d'  inverno.  In  quei  giorni  i  pagani 
massime  romani  si  mandavano  re- 
t-ijìiocamentc  dei  presenti  clie  chia- 
mavano strenne,  e  si  dislribtiivano 
le  maucie.  Essi  celebravano  altresì 
danze  ,  feste  e  sacrifizi  in  onore 
di  Giano  ,  e  quelle  feste  che  die 
jono  origine  al  carnevale,  laonde 
per  opporsi  a  tali  disordini,  e  per- 
chè ne' con  vili  dei  cristiani  si  era- 
no introdotti  molti  abusi,  essi  di- 
giunavano e  facevano  penitenze  il 
primo  di  gennaio.  Tuttora  il  pri- 
mo giorno  dell'  anno,  e  in  qual- 
(jhe  luogo  anche  l'intero  mese  di 
gennaio  è  consacrato  a  visite ,  che 
si  fauno  reciprocamente  dagli  ami- 
ci e  parenti,  non  che  dai  clien- 
ti e  subalterni  ai  loro  superio- 
ri ;  visite  che  sono  accompagna- 
te sempre  da  felici  auguri,  e  tal- 
volta da  regali,  sebbene  non  sem- 
pre il  cuore  è  d'accordo  colla  boc- 
ca nelle  felicitazioni  e  complimenti 
dettati  sovente  dal  dovere,  dall'in- 
teresse, o  dal  costume  e  dalla  pra- 
tica stabilita  ;  quindi  il  poeta  fran- 
cese Pannard  da  ciò  volle  pren- 
dere argomento  per  dare  questa 
origine  alla  doppia  fronte  di  Giano; 
meglio  forse  avrebbe  fatto  col  capo- 
volgere il  suo  concetto,  e  dare  al 
doppio  volto  di  Giano  l'origine 
di  quelle  simulazioni,  tali  manife- 
stamente essendo  quelle  che  si  ri- 
tu-ano  dui  farle  a  chi  non  è  piti 
in  potere  e  nella  gloria.  Ciò  non 
pertanto  lodammo  altrove  la  con- 
suetudine, su  di  che  come  delle 
niancie  e  strenne,  oltre  Mancia 
può  vedersi  il  voi.  XXXVIII,  p. 
146  del  Diziotiano .  Il  mese  di 
gennaio  si  compone  di  giorni  3i. 
Febbraio  ,  Fehruarius.  Secondo 
tuese    dell'anno,  dui    rouìaut  chia- 


MES 
niato  Intercalare,  dall'  anno  bisesto 
che  cadeva  nel  giorno  24  5  dagli 
ateniesi,  Elafebonione j  dai  mace- 
doni, Potitoj  dai  ciprii.  Romeo; 
dagli  egizii,  Mechi ;  dai  lacedemo- 
ni, Gerestioj  dai  germani,  Har- 
mingo  j  dai  fiamminghi,  Speorgellj 
e  perchè  anticamente  era  sempre 
di  numero  pari,  era  dedicato  agli  dei 
infurnali,  come  Plutone  e  iSettuno, 
ed  anche  a  Giunone.  Dai  gentili  e 
romani  fu  annoverato  nel  loro  com- 
puto r  ultimo  mese  dell'anno,  e 
perciò  al  dire  di  Festo,  dedicato  al 
dio  Termine,  e  lo  è  ancora  secon- 
do gli  astronomi.  Fu  cosi  chiama- 
to dalla  voce  februo,  a  fehruando, 
cioè  a  purgando,  perchè  il  popolo 
celebrava  le  ferie  in  onore  de'mor- 
ti,  vale  a  dire  purgazioni,  ed  erano 
sacrifizi  espiatorii  celebrati  a  Plu- 
tone detto  anche  Fthruo,  durando 
le  purgazioni  e  lustrazioni  dodici 
giorni  continui,  corrispondenti  ai 
mesi  dell'  anno,  onde  purgarsi  dai 
falli  commessi  nel  corso  di  esso  : 
perciò  fu  pur  detto  dai  ^vtó,Expia- 
torius.  Altri  dicono  che  cosi  venne 
denominato  da  Giunone  Februata 
a  cui  erano  dedicate  le  profane 
e  superstiziose  ferie  lupercali;  ov- 
vero da  certo  Februario  console 
romano  che  accusò  Camillo  di  a- 
spirare  alla  tirannide,  onde  fu  esi» 
liato,  il  quale  dopo  aver  vinto  i 
galli  lo  fece  nudo  flagellare  e  cac- 
ciar da  Roma.  Abolite  le  lupercali 
da  s.  Gelasio  I,  istituì  la  processio- 
ne della  candelora.  Si  compone  di 
giorni  28,  e  di  29  negli  anni  bise- 
stili, a  motivo  del  giorno  interca- 
lare che  vi  si  aggiunge. 

Marzo,  Martius.  Terzo  mese  del- 
l'anno,  ch'era  il  primo  anticamen- 
te presso  i  romani,  e  lo  è  ancora 
oggi  in  alcune  supputazioni  ecclesia- 
stiche, come  quando  si  contano  gl| 


MES 
anni  dall'incarnazione  tli  Gesh  Cri- 
sto, cioè  dal  2  5  nnarzo;  cosi  lo 
contano  gì'  inglesi.  Cambiato  da 
Numa  Pompilio  1'  ordine  de' mesi, 
e  stabilito  il  principio  dell'  anno  al 
primo  di  gennaio,  l'anno  diventò 
di  XII  me<'\,  e  questo  di  marzo  fu 
il  terzo  nell'ordine.  Fu  chiamato 
dagli  ateniesi,  Miinycliio j  dai  ma- 
cedoni, Artemisioj  dai  ciprii,  Afro- 
disia; dagli  egiziij  Phamenothj  da- 
gli ebrei,  Nisan;  e  da  altri  Adar 
o  Abih.  Vuoisi  che  in  esso  Dio 
creasse  l'uomo  e  il  mondo,  e  però 
chiamato  Elitzer,  perchè  in  esso 
germogliano  tulle  le  cose,  sebbene 
altri  dissero  che  fosse  il  sellembre, 
perchè  nel  maturare  de' fruiti  l'o- 
pera di  Dio  è  perfetta.  Era  stalo 
da  Romolo  dedicato  a  Morie,  cre- 
dulo suo  padre,  i  cui  sacerdoti  por- 
tavano per  Roma  gli  scudi.  Lo  era 
ancora  a  Minerva,  in  cui  onore  si 
celebravano  le  feste  quinquatrie;  gli 
scolari  pagavano  la  mancia  ai  loro 
maestri,  e  le  matrone  banchettava- 
no i  servi  per  animarli  al  buon 
servizio,  couìe  nei  saturnali  prati- 
cavano i  padroni.  Si  compone  di 
giorni   3  i . 

Aprile  ,  Aprilis .  Quarto  mese 
dell'anno,  così  detto  ab  apcr'iendo, 
perchè  in  quel  tempo  la  terra  sem- 
bra aprirsi;  altri  perciò  lo  dedu- 
cono da  Venere,  a  cui  lo  vogliono 
consagrato  da  Romolo,  siccome  cre- 
devasi  discendente  dalla  medesima 
per  Enea;  e  vi  ricorrevano  un  grnn 
numero  di  feste,  tutte  relative  alla 
fecondità  della  terra,  la  quale  apre- 
si in  questo  tempo  a  più  dolci  in- 
fluenze, per  promettere  agli  uomi- 
ni messi  e  frutti  abbondanti.  Ne- 
rone per  ambizione  lo  chiamò  Ne- 
ronio  j  gli  ateniesi,  Thargclione.  per- 
chè si  offrivano  ad  Apollo  e  Diana 
le    primizie    de' frulli;  i  macedoni, 


MES  ■i:>'à 

Xanlico;  gli  ebrei,  Ni  sa;  i  ciprii, 
Apogonticon  ;  i  delfi,  Vysion,  non 
solamente  perchè  la  terra  produce 
allora  tutti  i  semi  che  gli  sono  sta- 
ti dati,  ma  perchè  in  questo  mese 
l'oracolo  di  Delfo  dava  le  risposte  ; 
Carlo  Magno  coi  sassoni,  Oster- 
moti,  cioè  mese  di  Pasqua,  perchè 
per  lo  più  in  questo  mese  si  cele- 
brava. Si  compone  di  giorni  3o, 

Maggio,  Majus.  Quinto  mese 
dell'  anno,  così  detto  a  senibus  ov- 
vero a  majoribus,  in  onore  de'  vec- 
chi o  de'  maggiori,  benché  altri 
abbiano  detto  maggio  dalla  dea 
Maia  madre  di  Mercurio,  o  dalla 
dea  Maestà  o  Majesla  figlia  del- 
l' Onore  e  della  Riverenza,  a  majt- 
staCe.  Fu  chiamato  dagli  ateniesi, 
Scirophorione  ;  dai  macedoni,  Ar- 
temisio ;  dai  siracusani,  Carnio,  dai 
ciprii,  Enico ;  dagli  egizii,  Pachom  ; 
dagli  ebrei,  Jiar,  dai  germani,  il/ fl^_/; 
Carlo  Magno  lo  chiamò  f^uonne- 
inonal,  cioè  mese  di  amenità  e  di 
piacere.  Altri  riferiscono  che  fab- 
bricata Roma,  Romolo  divise  il  po- 
polo in  due  parli,  l' una  de'  più 
maturi  o  senatori  o  seniori,  pei 
consigli  della  repubblica,  majores; 
l'altra  de'giovaiii  o  giuniori  per- 
chè la  difendessero  colle  armi,  jn- 
nioresj  perciò  questo  mese  fu  det- 
to maggio,  e  il  seguente  giugno  iti 
onore  della  gioventù  romana.  Fu 
dedicato  a  Mercurio,  altri  lo  pose- 
ro sotto  la  tutela  di  Apollo.  Anche 
anticamente  si  solennizzava  in  I- 
taiia  il  dì  primo  maggio  con  can- 
zoni ed  altri  segni  festivi.  Si  pre- 
tende riferire  ai  tempi  degl'impe- 
ratori Arcadio  ed  Onorio  l'istitu- 
zione della  festa  o  della  riunione 
allegra  e  giocosa  che  si  continuò  a 
fare  ne' secoli  successivi  il  primo 
giorno  di  maggio,  e  che  tuttora  si 
contìnua  a    solennizzare    in    alcuni 


75:4  ^rES  ]\1ES 
luoghi  tV  Europa,  e  specialmente  ciucio  e  del  sambuco.  II  Carmcli 
nell'  Inghilterra.  1  romani  celebra-  nella  Storia  di  vari  costumi  parlò 
rono  feste  il  dì  primo  di  maggio  dell'uso  di  piantar  Maio,  t.  H, 
ad  onore  di  Flora,  quali  vuoisi  che  Padova  1750.  Ne  parlò  pure  il 
istituisse  l'imperatore  Claudio,  af-  Donati  ne'  Dillìci,  p.  177  e  se". 
fine  di  temperare  l'indecenza  dei  II  M.inni  ci  die  il  Ragionamento 
giuochi  floreali.  Celebre  è  ancora  istorico  il  alaggio,  Firenze  1746. 
negli  annali  de'  bassi  tempi  e  nei  Camillo  Peresio  in  linguaggio  ro- 
posteriori  l'albero  di  maggio.  Altre  manesco  pubblicò  il  lepido  poema: 
\olle  in  Pvoma  ed  in  tutta  l'Italia,  Il  maggio  romanesco^  Fevvara  1688. 
alcune  truppe  di  giovani  d'ambo  I  giudici  egiziani  si  riunivano  in 
i  sessi  uscivano  dalla  città  il  primo  questa  fiorita  stagione  per  ammi- 
giorno  di  maggio,  e  danzando  al  nistrnr  le  loro  leggi,  in  memoria 
suono  di  strumenti  villerecci,  anda-  di  Saturno  da  cui  dicesi  averla  ri- 
vallo a  cogliere  ne'  campi  rami  cevuta,  onde  il  suo  tempo  fu  chia- 
verdi  o  anche  tronchi  d'alberi,  che  malo  età  dell'oro  e  continua  pri- 
portavano  alla  città  colla  stessa  mavera,  la  qual  cosa  fu  osservata 
pompa  ed  allegria,  ed  attaccavano  da  diversi  popoli  che  si  radunano 
alle  porte  delle  persone  rivestile  di  i  magistrati  nel  mese  di  maggio 
qualche  carica,  de'  loro  congiunti ,  per  amministrare  le  loro  leggi,  me- 
amici  e  protettori.  Tutto  quei  gior-  glio  trattandone  il  citato  Donati  , 
no  si  passava  in  mezzo  ai  piaceri,  siccome  stagione  placida  e  verdeg- 
alle  feste,  e  la  gioia  era  generale,  giante.  Si  compone  di  giorni  3i. 
Ciascuno  portava  in  mano  qualche  Giugno,  Junius.  Sesto  mese  dei- 
ramoscello,  e  questo  era  il  segnale  1'  anno,  il  cui  nome  deriva  o  da 
della  festa,  e  r  abbigliamento  comu-  Junon,  Giunone,  a  cui  fu  dedicato, 
ne  di  quel  giorno;  dicevasi  perfino  o  da  Junius  Drulus,  Giunio  Bruto, 
in  proverbio,  non  mi  sì  troverà  che  segnalò  il  mese  con  iscacciare 
senza  verduraj  da  ciò  1'  origine  del-  i  re  da  lloma,  o  dai  giovani  roma- 
r  uso  in  tal  tempo  di  fare  al  ver-  ni,  come  dicemmo  nel  periodo  pre- 
de, cioè  due  persone  incontrandosi  cedente,  a  junioribus,  destinati  a  di- 
mostrare un  ramo  di  finocchio  o  fender  la  repubblica.  Tuttavolta  si 
altra  pianta,  con  multa  convenuta  vuole  che  per  decreto  di  Romolo, 
a  chi  lo  dimentica  o  non  ha  il  ra-  da  Giulio  Cesare  fosse  questo  mese 
mo  verde.  Da  tali  usi  ebbero  ori-  posto  sotto  la  tutela  di  Mercurio, 
gine  quegli  alberi  detti  di  maggio,  stimato  nume  della  sapienza,  il  cui 
ornati  di  fiori,  e  talvolta  di  emble-  principio  solennizzavasi  con  1' anni- 
mi,  di  figure  e  di  stemmi,  che  si  versarla  memoria  della  consacrazio- 
piantano  in  diverse  città  innanzi  alle  ne  del  tempio  della  Tempesta,  pres- 
case  de' principi,  de'governatori,  dei  so  porta  Capena.  Fu  chiamato  dai 
magistrati  e  di  altre  persone  co-  romani,  Germanico,  per  onorare 
stituite  in  dignità.  Du  Gange  in  quello  che  Augusto  avea  chiamato 
Compensili,  Carpentier  in  Ma/tim,  imperatore;  dagli  ateniesi ,  Eca' 
descrivono  l' uso  dì  piantar  gli  al-  tombeone,  dai  sagrifizi  centenari  di 
beri  in  questo  giorno  o  nelle  piaz-  Apollo,  col  nome  ancora  di  Cro- 
ie o  avanti  alle  porte  delle  case  nio;  dai  macedoni,  Dejion  o  Loon, 
delle  ragazze,  ad  esclusione  del  noe-  dai    beozii,    Hippodromion ;    dagli 


MES 

eglzii,  Paynì;  e  dai  germani,  Brach- 
inoli. I  giorni  pili  lunghi  dell'an- 
no in  tutto  r  emisfero  settentriona- 
le sono  il  2r,  il  22  ed  il  23  giu- 
gno. Si  compone  di  giorni  3o. 

Luglio,  Julius.  Settimo  mese  del- 
l'anno, chiamato  quintile  o  quin- 
tale, quintilis,  nel  calendario  di  Ro- 
molo, perchè  era  il  quinto  mese 
dell'anno  stabilito  da  quel  re  che 
avea  formato  l'anno  di  -soli  dieci 
mesi.  Marc' Antonio  nel  suo  conso- 
lato, ordinò  che  questo  mese  fosse 
chiamato  Julius  in  onore  ed  a  me- 
moria di  Giulio  Cesare ,  nato  nel 
mese  medesimo  e  che  avea  rifor- 
mato r  antico  calendario  di  Romolo  : 
la  grande  riputazione  di  Cesare  più 
che  tal  decreto  fece  adottare  in  Ro- 
ma il  cangiamento  di  nome,  e  tut- 
ti quasi  i  popoli  onorano  il  più  ce- 
lebre tra  i  romani  nel  pronunziar 
luglio.  Fu  chiamato  dagli  ateniesi, 
M  e  Ina  gì  li  o,  dai  sagrifizi  che  si  fa- 
cevano ad  Apollo  in  questo  mese; 
dai  siracusani,  Carnio  j  dai  mace- 
doni, Panemone  ;  dagli  ebrei,  /4b 
o  Thamiis  j  dai  germani,  Heuni- 
mon,  così  detto  dal  fieno  che  in 
questi  mesi  si  taglia  nei  prati,  e 
perchè  in  esso  si  raccolgono  le  pri- 
mizie delle  sementi  dai  campi,  fu 
dai  gentili  dedicato  a  Giove  come 
credulo  autore  e  mantenitore  delle 
cose  \iventi;  dai  cipiii,  Cesarione, 
pel  detto  Giulio;  e  dagli  egizii,  Epi- 
phi.  Sì  compone  di  giorni  3  1 . 

Agosto,  .  Augustus.  Ottavo  mese 
dell' anno,  chiamato  già  sestile,  seX' 
tilis,  secondo  l'antico  computo  dei 
romani,  ma  perchè  fu  attribuito  ad 
onorare  il  nome  di  Ottaviano  Au"u- 
sto  neir  XI  suo  consolato,  ecco  quan- 
to il  senato  con  editto  decretò  l'an- 
no 780  di  Roma.  «--Perchè  nel  mese 
sextilio  Cesare  Augusto  ha  princi- 
piato il  suo  primo   consolato,  ha  a- 


MES  7.%^ 

vuto  tre  Tolte  gli  onori  del  trionfo, 
ha  capitanato  con  avventurati  au- 
spicii  le  legioni  del  Gianicolo,  ha 
ridotto  rFgitto  all'obbedienza  del 
popolo  romano,  ed  ha  spento  la 
guerra  civile,  piace  al  senato  e  pia- 
cerà che  questo  mese,  più  di  quanti 
altri  mai  felice  per  l' impero,  sia 
per  l'avvenire  chiamato  Augusto". 
E  benché  alcuni  volevano  che  Au- 
gusto fosse  chiamato  il  settembre, 
nel  qual  mese  egli  era  nato,  tut- 
tavia volle  approvare  il  decreto  del 
senato,  il  quale  nel  727  l'aveva 
ornato  del  titolo  di  Augusto,  per- 
chè ea  vox  sacrum,  et  venerandum 
sonai,  et  hominuni  conditioneni  su- 
periorem.  Inoltre  Augusto  fece  met- 
tere meglio  in  regola  il  calendario, 
e  non  solo  nel  sesto  mese  conqui- 
stò l'Egitto,  ma  ne' giorni  6,  7  e  8 
trionfò  dei  pannonii,  de' dalmati, 
dell'  Attica  ovvero  delia  Macedonia, 
Altri  dissero  che  Ottaviano  Cesare 
Augusto  entrò  in  Roma  trionfante 
dell'  Egitto  il  primo  giorno  del  se- 
sto mescj  onde  ne  fu  dato  il  no- 
me al  mese,  ed  in  tal  giorno  fiu'o- 
no  stabilite  ogni  sorta  di  allegrez- 
ze, e  celebrato  come  feslivo:  così 
r  Ugonio,  Hisloria  p.  5i  e  seg.  Fu- 
rono perciò  istituiti  nelle  sue  ca- 
lende  i  giuochi  Augustali,  mentre 
nelle  calende  di  tutti  gli  altri  mesi 
si  stabilirono  sacrifizi  per  la  salute 
di  detto  imperatore:  ^.  Corradi  ni 
et  Vulpii,  Felus  Latiunt,  de  Jesus 
sexlilis  niens'ìs  sive  Augusti,  I.  264. 
Fu  chiamato  ancora  col  nome  di 
Commodo,  per  adulazione  di  quel- 
l'imperatore; dagli  ateniesi,  Boe- 
dromionej  dai  macedoni,  /^ori/e/j  j* 
dagli  egizii,  Meiosi  ;  dai  ciprii.  Se- 
vasto j  dai  caldei,  Enulj  dagli  e- 
breij  Aab  j  dai  germani  e  belgi, 
Cooysman  ;  da  altri,  Ammom  ov- 
vero Emonat,  cioè  mese  di  messi,  e 


256  MES 

dagli  egizìi  era  dedicato  ad  Arpo- 
ciate  dio  del  silenzio.  In  Roma 
per  legge  di  Romolo  era  sotto  la 
protezione  di  Cerere  dea  dell'  agri- 
coltura, e  celebravasi  la  consacra- 
zione de' templi  di  Marte  e  della 
Speranza  ;  quali  feste  in  un  a  quel- 
le di  Augusto  con  combattimenti 
equestri,  può  credersi  che  fossero 
abolite  coli'  introduzione  della  festa 
delle  Catene  di  s.  Pietro.  Gì'  inglesi 
chiamano  il  primo  di  agosto,  Lnm- 
b's day,  giorno  dell'agnello,  forse  da 
un'  antica  costumanza,  in  vigore  al- 
tre volte  nella  provincia  di  Yorck; 
poiché  tutti  quelli  che  tenevano  in 
aflitto  o  possedevano  terre  dipendenti 
dalla  chiesa  cattedrale,  erano  in  ob- 
bligo di  condurre  in  questo  giorno 
nella  chiesa  alla  messa  solenne  un 
agnello  vivo,  e  di  offrirlo  sull'al- 
tare. Delle  allegrie  di  questo  mese, 
del  ferrare  agosto,  e  della  mancia 
del  boti  ferragosto,  ne  parlammo 
nel  voi.  XXIII,  p.  1 55  del  Dizio- 
nario. Si  compone  di  giorni  3i. 

Settembre,  Septeniber.  Nono  me- 
se dell'  anno,  già  settimo  mese  dei 
romani  secondo  le  disposizioni  di 
Romolo,  onde  gliene  restò  il  nome, 
nominato  da  Tacito  col  suo  nome 
perchè  fu  in  esso  che  nacque  e  ven- 
ne acclamato  imperatore;  altri  di- 
cono che  Tacito  noi  permise.  L'im- 
peratore Caio  Caligola  lo  chiamò 
Gcrnianiro  col  nome  di  suo  padre. 
Fu  inoltre  chiamato  dagli  ateniesi  Me- 
maeterione  ;  dai  macedoni ,  Lochonj 
dai  beozii ,  Jlalconienioj  dai  ci- 
priotti,  Antocratoricoron;  dai  perga- 
meni,  Hyperbereteouj  dagli  egizii, 
Thoth  o  Theuth,  dal  nome  di  Mer- 
curio, o  come  altri  dicono,  Paoplii  j 
dai  caldei,  Tifri;  dai  germani,  Herb- 
Simon  ;  altri  dissero  cosi  chiamarsi 
quasi  septiinuin  imbreni,  per  le  al- 
terazioni frequenti  delie  sue  pioggie. 


MES 
Il  senato  romano  per  adulare  Ti- 
berio tentò  di  nominarlo  dal  suo 
nome,  come  pure  si  volle  chiamar- 
lo con  quello  di  Antonino,  per  o- 
norarne  la  memoria,  ma  ambedue 
noi  consentirono;  ciò  che  non  fece- 
ro né  Domiziano,  né  Commodo,  il 
quale  mutando  il  nome  a  diversi 
mesi,  o  con  quello  de' suoi  congiun- 
ti, o  con  altre  orgogliose  denomina- 
zioni, questo  appellò  Erculeo  j  ma 
dopo  la  sua  morte  furono  abolite. 
Il  Robertello  trattò  De  mensiuni 
appellatione  ex  nomìnibus  impera' 
torum,  in  Misceli.  Itnl.  erudit.  del 
Roberti,  t.  I,  p.  685.  I  romani  de- 
dicarono il  mese  a  Vulcano  dio  del 
fuoco.  In  questo  mese  incominciano 
i  greci  i  loro  calendari,  cioè  il  re- 
gistro di  tutte  le  feste  e  ferie  del- 
l'anno, del  qual  vocabolo  si  vale 
altresì  \a  chiesa  Ambrosiana,  ma 
con  la  norma  dell'ordine  romano. 
Si  compone  di  giorni   3o. 

Ottobre,   October.  Decimo  mese 
dell'anno,  così  chiamato  dall'antico 
ordine  numerico  otto.  Venne  detto 
LiV/o,  in  onore  di  Tiberio   e  di  sua 
madre.  Sebbene    il  senato    romano 
ordinò  che  fosse    chiamato  Fausti- 
no   in    onore    di    Faustina    moglie 
di    Antonino    Pio,     noi    consentì    il 
savio  principe.    Comraodo    però    lo 
intitolò  Invitto,   indi    cancellalo  do- 
po la  sua  morte  non    meritandone 
l'onore.   Fu  chiamato  dagli   atenie- 
si, Pianepsione,  dai  sagrilìci    di    A- 
pollo,  detti  pianepsiensi,  in    cui  co- 
cevansi   fave;  dai  macedoni,  Hyper' 
bereleo,  cioè  l'ultimo   del    loro    an- 
no; dai  beozVì,  Demetrio;  dai  ciprii, 
Deniarchexagionej  da^W  egizii,  Pao- 
phi  j  dagli    ebrei    con    voce  caldai- 
ca,   Marchesuan,  ed    è    il    secondo 
del  loro    anno;    dai    sassoni,    Saet- 
manj  e  dai  germani,   Feimon,  cioè 
di  vendemmia.  Avea  ordinato  l'em- 


MES 

pio  Domiziano,  che  col  suo  nome 
si  chiamasse,  ma  appena  morì  fu 
abrogato  e  richiamalo  giusta  l'ordi- 
namento di  Numa,  ottobre;  quindi 
niun  imperatore  ardì  più  d'intito- 
lare i  mesi  co'  loro  nomi,  quando 
riflettevano  che  il  senato  avea  can- 
cellato questo  dello  Domiziano , 
dalle  monete,  medaglie  e  marmi. 
Dagli  antichi  fu  posto  sotto  la  tu- 
tela di  Marte.  In  questo  mese  a 
cagione  delle  vacanze  delle  scuole 
e  de'  Iribuuali,  della  vendemmia  e 
della  piacevole  stagione,  hanno  luo- 
go villeggiature,  divertimenti  ed  al- 
legrie.  Si  compone  di  giorni   3i. 

Novembre,  Novemher.  Decimopri- 
mo  mese  dell'anno,  così  denomma- 
to  dal  calcolo  de'mesi  incomincian- 
do l'anno  da   marzo,  nono;    o    co- 
me alcuni  vogliono  dal  bere  il  nuo- 
vo vino,  ovvero    dalla    copia    delle 
pioggie  chiamate  dai   latini    ìmhre.i. 
Fu  chiamato  dagli  ateniesi,  Auche- 
slerione,  perchè    si  spoglia    in    esso 
la  ferva  delle  fronde  ede'fiori;  dai 
macedoni,  il  mese  di  Dio,  avendolo 
in    onore     di  divinità;     dai    ciprii , 
Pletiparo;  dagli  egizii,  Alhyrj   da- 
gli  ebrei  e  caldei,  Kisleit;   dai  tede- 
schi,  Vuinlermon;  dai  sassoni,  Sia- 
thermaen,  tolto  dal  latino  Maclare, 
perchè  in  occasione    de'  nuovi    vini 
si  facevano  frequenti  sagrifizi  a  Bac- 
co. Commodo  volle  chiamarlo  f'^^/je- 
ranzio.  In  questi  giorni  si  aprivano 
con  solenne  superstizione    le    porte 
di  un  tempio  sotterraneo    dedicato 
agli  dei  dell'inferno,  e  perciò  erano 
religiosamente  tra    i  loro    fasti  dai 
romani  osservati;  né  era  loro  per- 
messo far  in  essi  cosa  alcuna    rile- 
■vante    per    la  repubblica  ;    non    si 
arrolavano     soldati ,     non     si  dava 
battaglia,  non    si   scioglievano    navi 
dai   porti,  non   si   facevano    comizi, 
uè  si  celebravano  nozze.  Queste  va- 

YOL.    XLIV. 


MES  257 

canze  degli  affari  pubblici  furono 
un'ombra  delle  feste  cristiane  se- 
condo il  precetto  ecclesiastico,  per 
aver  agio  di  onorare  Dio  ed  i  suoi 
santi.  Delle  feste  od  allegrie  che  si 
fanno  agli  i  1  novembre  per  la  fe- 
sta di  s.  Martino,  ne  parlammo 
all'articolo  Martire.  Si  compone 
di  giorni   3o. 

Decembre,  Dccemher.    Decimose- 
condo   ed  ultimo    mese     dell'anno, 
decimo  di  quello  di  Romolo ,    mo- 
tivo per  cui  fu  chiamato  decembre 
da  decem,  dieci.   I  romani   lo   chia- 
marono geniale,  perchè  si  godevano 
in   esso  i   copiosi   frutti   raccolti  dal- 
la terra,  fornite  le  cantine  di   vini 
preziosi,  le  dispense  di  cibi  delica- 
ti, in   onore  di  Cerere,  o  di   Bacco 
odi  Venere,  in  lauti  conviti  e  cene, 
Decembre  fu  chiamato  da  Commodo, 
Amazonico  o  Amazzonio,  per  l'a- 
more che  portava  a  Marzia   sua  con- 
cubina ch'egli  teneva  dipinta  a  guisa 
d'un'  amazzone;  dagli  ateniesi,  Po- 
sìdeone  j     dai     macedoni,     Apilleo; 
dai  beozii  e  jouii,    Leone;    dai    ci- 
prii, Arlhiereo;  dagli  egizii,  Cheach; 
dai    caldei,    Thebct;     dai     germani, 
Chrislmon,  cioè  dal  natale  di  Cristo; 
e  da  Carlo  Magno,  Heiliginonat,  o 
mese  sacro.  Questo    mese    fu    cele- 
brato dall'antichità  pei  giuochi  pos- 
sidonii,  esercitati  per  la  famosa  con- 
lesa  tra  Pallade  e    Nettuno,    e  pel 
solenne  trionfo  di   Ottaviano  vitto- 
rioso di  Perseo  re     di    Macedonia. 
Egli  era  in  tutela  della  dea  Vesta 
e  di  Saturno.   Finalmente  fu  chia- 
mato mese  di  libertà,  perchè    i   ro- 
mani dopo  la  raccolta  de'  frutti    si 
abbassavano     a  giuocare     coi    loro 
schiavi.   Si  compone  di  giorni   3i. 
MESEMBRIA .    Sede     vescovile 
della  provincia    di  Emimonte,    nel- 
l'esarcato di    Tracia,     sotto  la   me- 
tropoli d'Adrianopoli,  eretta   nel   V 


a58  MES 

secolo,  e  nel  IX  di  venula  nrci  ve- 
scovato onorario.  Ne  furono  vescovi 
Pietro  che  assistette  al  VI  concilio 
generale;  Marnalo,  Leone,  Timoteo, 
Gregorio  I  che  assistè  ai  concilio 
tli  Michele  Cerulario,  in  cui  furono 
scomunicati  i  legati  di  s.  Leone 
IX;  Teodoro,  N . . .,  Matteo,  Teo- 
fane, e  Gregorio  II  che  era  vesco- 
vo nel  lySi.  Oriens  christ.  t.  I, 
p.    I  i8o. 

MESIA,  il/owVr.  Contrada  d'Eu- 
ropa, divisa  in  due  proviucie,  pri- 
ma   e     seconda  ,  ovvero    superiore 
ed    inferiore.     La     Mesia  superiore, 
che     chiamavasi     anche    Dardania  , 
confinava  al    settentrione  colla  Da- 
cia propriamente    detta;  a  levante 
colla    Mesia     inferiore;    a     ponente 
colla  Dalmazia,  ed  a   mezzodì  colla 
Macedonia  e    colla    provincia    Pre- 
vali tana.    Aveva  per    metropoli     la 
città    di  Sirmio,   la   quale    però  di- 
pendeva dall'arcivescovo  di  Tessa- 
lonica  ,     come     vicario     della   santa 
Sede,   neirUliria  oiienlale,    fino  dal 
IV  secolo.  Ma   l'imperatore  Giusti- 
niano  I,    avendo    innalzato  alla  di- 
gnità  di     metropoli    la   Giustiniana 
])rima,    soggettò    a  questa     metro- 
poli    la     Mesia     superiore,     le    due 
Dacie,  la  Prevalitana,    la  Dardania 
e  la   Pannonia,  lasciando   però   alla 
Sede  apostolica  i  diritti    di  cui  go- 
deva  in     tutta    riiliria.    1   bulgari  i 
quali  aveano  quasi  intieramente  di- 
strutta  la  religione  cristiana  in  que- 
sta provincia    nel    secolo     VII,  ab- 
bracciarono poscia  questa   medesima 
religione  verso  la  metà  del  IX,  e  sta- 
bilirono   un     vescovo,    il    quale  da 
principio    non   avea    sede  fissa,   ma 
dopo  la  fissò  nella  città  di    Acrida. 
Finalmente  l' amministrazione  della 
chiesa  della   Mesia  superiore,  e  del- 
le altre     provincie    che    composero 
il  regno  di  Servia  o    di  Rascia,  fu 


MES 
data  airarcÌTescovo  di  Pisch  o  Pesch 
metropolitano  del   paese. 

La  Mesia  inferiore  o  seconda 
confinava  a  levante  col  Ponte  Eu- 
sino, a  ponente  colla  Mesia  supe- 
riore o  prima ,  a  settentrione  col 
Danubio,  ed  a  mezzodì  colla  Tra- 
cia. Dapprima  ebbe  per  metropoli 
la  città  di  Marcianopoli,  ma  aven- 
do questa  città  perdutn  la  dignità 
metropolitana  al  tempo  dei  bulga- 
ri, r  arcivescovo  della  nazione  fissò 
la  sua  sede  a  Debeiti,  e  poscia  a 
Tarnoba  o  Tarnovia  .  Ciò  non 
pertanto  Marcianopoli  fu  eretta 
nuovamente  in  metropoli  in  prin- 
cipio del  secolo  XIII,  sotto  la  di- 
pendenza però  del  primate  di  Tar- 
noba. Eranvi  nella  medesima  pro- 
vincia due  altre  metropoli,  cioè 
Sugdea  e  Phuila,  che  fiuono  una 
sola  chiesa   nel  secolo  XII. 

MES  IME  R   Giambattista,   Cardi- 
nale.    Giambattista     Mesmer,  nato 
onestamente    a    Milano  a' 2 1    apri- 
le    dell'anno     167 1,     fecesi    strada 
alla    propria    fortuna  colla  sua  vir- 
tù   e    dottrina.  Applicatosi  con   in- 
credibile   ardore  nell'  università    di 
Pavia    allo    studio    delle     leggi,    si 
trasferì  a  Roma,  dove  datosi  a  di- 
fendere le  cause    in   qualità  di   aT- 
vocato,  acquistossi  quel  credito  co- 
stante, che  gli  agevolò  la   maniera 
di  entrare    nel  numero    de' prelati. 
Clemente    XI    lo    annoverò    tra     i 
votanti  di    segnatura,    e    Benedetto 
XIII  nel    1728  Io  avanzò  al  grado 
di  luogotenente    civile    dell'  uditore 
della    camera,    nel    quale     impiego 
da  lui  esercitato  per  lo  breve  spa- 
zio   di    quattr'  anni,    si    acquistò  la 
fama  di  giudice  integro    e  laborio- 
so. Clemente  XII   ne!    1731    lo  di- 
chiarò chierico  della  stessa  camera, 
nel  1734  colla  presidenza  delle  stra- 
de e  dell'  annona,  e  coll'ulììzio  dì  ca- 


i 


MES 
nnnisfa  della   penitenzieria,  ne'qunli 
imnieglii   corrispose    all' espelta7Ìone 
che  erasi  cniicepila   della   stia  abilità 
e  de'Mioi     tnlrnli.   Anco  il   cardinal 
Porzia   lo  adoperò   vanlaggiosaineii- 
te  nella  visita   del    banco  di   s.  Spi- 
rito.  Nel    1743    Benedetto  XIV   gli 
conferì   la   carica  di    tesoriere  gene- 
rale,   nell'esercizio    della    quale,   in 
premio  di    sua  industria,    fedeltà  e 
prudenza,   meritò    di   essere    creato 
cardinale    prete    da    detto    Papa   ai 
10    apiile    '7473  col    titolo  de'  ss. 
Quattro,    e  di    venire  asciilto    alle 
primarie    congregazioni     di    Roma. 
Giunto  però  all'età  senile,  si  trovò 
Affatto  privo  dell'uso  della  memo- 
ria, per  cui   non   intervenne  all'ele- 
r/ione    di    Clemente    XllI,    nel    cui 
pontificato    compì    la    sua   carriera 
mortale     nel     1760    a'  20   giugno, 
d'anni   89.  Fu  sepolto    nella   chie- 
sa   di   s.   Carlo  al   Corso,    presso  la 
porta   maggiore,  con  bella   lapide  e 
magnifico  elogio.  Altre  notizie  le  ri- 
porta il  Cancellieri  nel  suo  Mercato. 
MESOPOTAMIA,  Mesopotamia. 
Antico    nome    della   maggior    parte 
della    contrada  dell'  Asia    compresa 
fra   il   Tigri    e  l'Eufrate,  derivante 
dalla    sua    situazione,    che  significa 
tin  paese  in  mezzo  ai  Jìumi.  Aveva 
l'Assiria  provincia  all'oriente,  la  gran- 
de Armenia  a  settentrione,  1'  Assilla 
a  ponente,  e  i'  Arabia  deserta   colla 
Babilonia    a   mezzodì.    Questa    con- 
trada,  assai   nota   ai   greci   autoiij  è 
famosa  nella  sacra  Scrittura   per  es- 
sere   stala   la     prima   dimora     d(gli 
nomini  avanti   e  dopo    il  diluvio,  e 
perchè  quivi    nacqiiero  Plialeg,  He- 
bei',   Tliare,   Abramo,   Nacoi-,  Sara, 
Piebccca,  Rachele,  ed  i  fìg'i   di   Gia- 
cobbe.   Gli   ebrei    chiamano   la    Me- 
su[)olamia    Aram     Naharaim,    o  A- 
rau»    de' due   fiumi,    perchè  Aram 
padre    de'  siri    la  popolò,    e  perchè 


MES  vTf) 

essa  sta  in   nnezzo  a   due  gran  fiu- 
mi.  Il  Terzi,  Siria  sacra,  parlando 
a  p.   7,  della  Siro-Mesopolamia,  sue 
denominazioni  e   fecondissimo  suolo^ 
latitudine  e  solitudini,    dice  che  fu- 
rono sue  principali  città   Aram  Pa- 
da.m,  ove  soggiornò  Thare  con   Na- 
cor  ed   Àbramo;  Carré    memorabile 
pel  soggiornodi  Abramo,  e  pel  sepol- 
cro di  Thare  suo  padre,  non  che  pei* 
la  rotta  di  Classo  e  di  Autonino  Ce- 
sare, dal   suo  fiume  denominala  an- 
che Migdonia  ;     Edessa   città  reale^, 
detta   anche  Orfa    e  Barabice;  più 
Rages    o    Rases    fia    il    Caucaso   e 
Tauri,  ove  il   paese   chiamasi   Siria 
Saba,  o    secondo     gli    ebrei    Aram 
Zoba  tributaria  di  Davidde.    Aggiun- 
ge il  Terzi,    che  alla    Mesopotamia 
appartennero    le    provinole    di   Ro* 
bob,   Islhob ,    Maacha  ,    Gersuri    e 
Machali,  ove     regnò     Tolmai     avo 
materno  di   Assalonne  figlio  di  Da- 
vidde.  La  Mesopotamia   fu   una  sa- 
trapia    sotto  i    re  di  Siria.    Queslo 
paese  è  designato  dai    turchi    sotto 
il  nome  di  Djezireh  o  Gezireh   nel- 
la   Turchia    asiatica,     contrada   che 
è   lipartita   fra  i  .sangiacati   di  Diar- 
bekir,  Racca  e  Bagdad.   Tre  concilii 
furono    tenuti     in    Mesopotamia,    il 
primo    nel    198    sulla     Pasqua.  Fa- 
bricio.    Il   secondo   nel   274    contro 
Manete.   Beg.;  Labbé  ;  Arduino  t.  1» 
Il    terzo    ne!     1612    presieduto    da 
Elia   patriarca  di  Babilonia,  per  ri- 
cevervi la  professione  mandatavi  colà 
da   Paolo  V.  Lenglet. 

MESOrOTAMIA.  Contrada  di 
Asia,  decima  provincia  ecclesiastica 
nel  patriarcato  d' Antiochia.  Ebbe 
per  metropoli  la  città  di  Amida, 
che  venne  innalzata  a  quella  di- 
gnità sotto  l'impeialore  Costante. 
Questa  provincia  in  seguito  fu  chia- 
mala INlesopotamia  superiore  e  quar- 
tfl   Armenia. 


26o  MES 

MESSA,  Mìssa.  Sacrifizio  esterno 
della  nuova  legge,  istituito  da  Gesù 
Cristo,  nel  quale  egli  offre  all'eter- 
no suo  Padre  il  vero  suo  Corpo  e  il 
vero  suo  Sangue,  sotto  le  specie 
sagramentali  visibili  e  fra  loro  se- 
parate del  pane  e  del  vino,  per 
continuare  a  rappresentare  il  sagri- 
fìzio  della  croce,  e  ciò  per  mano 
di  legittimi  ministri  sacerdoti  cri- 
stiani, ì  quali  compiscono  quest'a- 
zione la  più  grande  e  la  più  san- 
ta del  cullo  cattolico,  con  certe  de- 
terminate preghiere  e  cerimonie, 
in  nome  di  tutta  la  Chiesa,  per  o- 
norare  e  ringraziare  Iddio,  per  la 
remissione  de' peccati,  per  la  salute 
de'vivi  e  de'  morti,  essendo  il  san- 
to sagrifizio  un  omaggio  il  più  per- 
fetto che  possiamo  rendere  a  Dio. 
1  sagrifìzi  e  gli  altri  mezzi  di  sa- 
lute che  appartenevano  all'antica 
legge  erano  in  confronto  assai  de- 
boli, sterili,  e  principalmente  desti- 
nati ad  accennarne  altri  più  effica- 
ci per  l'avvenire.  Non  vi  ha  nella 
religione  cristiana  cosa  alcuna  che 
eguagli  la  dignità  e  la  virtù  del 
santo  sagrifizio  della  messa.  Con 
questo  augusto  mistero  rendiamo  a 
Dio  un  culto  supremo,  dovuto  alla 
sua  maestà  infinita,  e  un  culto  de- 
gno di  essa  ;  per  esso  noi  venia- 
mo a  riconoscere  i  suoi  benefizi  in 
una  maniera  la  più  cara  al  suo 
cuore  ;  per  esso  noi  imploriamo  ef- 
ficacemente il  perdono  delle  nostre 
colpe.  L'Ostia  de' nostri  altari  è 
insieme  olocausto  ovvero  ostia  di 
laude,  eucaristia  od  ostia  di  rendi- 
mento di  grazie,  espiazione  od  o- 
stia  pei  peccati,  finalmente  ostia  di 
impetrazione.  Lo  zelo  adunque  del- 
l' onor  di  Dio,  e  il  desiderio  di  o- 
])erare  la  nostra  salute,  concorrono 
egualmente  a  farci  amare  questo 
alto  di  religione  sì  glorioso  al  Pa- 


MES  . 
dre  celeste,  e  così  salutare  per  noi. 
Un  altro  motivo,^^  che  non  minor 
forza  deve  avere  sopra  qualunque 
cuore  animato  da  vera  fede  in  Ge- 
sù Cristo,  e  sensibile  alle  meravi- 
glie della  sua  carità  verso  gli  uo- 
mini, è  l'eccesso  dell'amore  che 
gli  ha  fatto  istituire  il  santo  sa- 
grifizio e  il  sacramento  adorabile 
della  sua  carne  e  del  suo  sangue, 
con  quelle  ineffabili  parole  :  Questo 
fate  in  memoria  di  me  .  Fedi 
Eucaristia.  I  primi  cristiani,  che 
tutti  avvampavano  di  amore  per 
Gesù  Cristo  nostra  vittima  e  cibo 
nella  santa  Eucaristia,  non  abbiso- 
gnavano che  di  seguire  lo  stimolo 
della  loro  tenera  pietà  e  della  loro 
viva  riconoscenza,  per  essere  assi- 
dui alla  celebrazione  de' santi  mi- 
steri dell'altare.  Ma  essendosi  po- 
scia raffreddata  la  carità  de'  fedeli, 
la  Chiesa  trovossi  obbligata  di  far 
loro  un  espresso  comando  dell'  as- 
sistenza al  santo  sagrifizio  nelle  do-  ' 
meniche  e  nelle  altre  feste.  Anzi  \ 
molti  concilii  aggiunsero  a  questa 
legge  universale  la  pena  di  scomu- 
nica contro  tutti  gli  abitanti  delle 
città,  che  avessero  mancato  in  tre 
domeniche  consecutive  di  assistere 
alla  messa,  come  decretarono  quelli 
di  Elviia  e  di  Sardica  ne'  primi 
anni  del  IV  secolo.  Benché  a'  no- 
stri giorni  non  s'incorra  in  questa 
scomunica,  un  cristiano  però  che 
potendo  unirsi  agli  altri  fedeli  per 
assistere  ai  santi  misteri,  trascurasse 
di  farlo,  non  sarebbe  meno  colpe- 
vole di  disobbedienza  alla  Chiesa, 
e  priverebbesi  di  uno  de'  più  gran 
beni,  quello  cioè  delia  sua  comu- 
nione. Il  medesimo  dovrà  dirsi  di 
quegli  che  per  sua  colpa  vi  assi- 
stesse colla  mente  distratta  per  u- 
na  parte  considerabile  del  saiilo  sa- 
grifizioj  massime  se  questa  fosse  u- 


MES 

na  delle  più  essenziali,  come  la 
consecrazione,  la  elevazione  dell'O- 
stia e  calice,  e  la  comunione;  sen- 
za parlare  di  quelli  che  danno 
gravissimo  scandalo  colla  loro  iiri- 
veienza.    V.  Domenica  e  Festa. 

Il  vocabolo  Messa,  il  quale  più 
comunemente  e  naturalmente  vuoi- 
si che  derivi  dal  verbo  latino 
iniltere,  mandare,  e  suona  lo  stesso 
che  mandata,  si  usa  a  significare 
questo  divin  sagrifizio,  perchè  per 
esso  mandiamo  a  Dio  la  cosa  che 
a  lui  riesce  più  grata,  cioè  lo  stes- 
so suo  divino  Figliuolo,  e  anche 
perchè  ne'  primi  secoli  della  Chiesa 
al  principio  della  sacrosanta  azione 
si  rimandavano  dalla  chiesa  i  ca- 
tecumeni e  i  penitenti,  ed  ora  al 
termine  con  quel  vocabolo  si  li- 
cenza il  popolo,  y.  Ite  missa  est; 
formola  colla  quale  il  p.  Sirmondo 
dice  che  si  licenziava  pure  ne'  pa- 
lazzi e  ne'tribunali  de'  romani.  Per- 
ciò altri  dicono  che  il  nome  di 
messa  proviene  dal  latina  missa  o 
missio,  che  significa  missione,  sic- 
come prima  dell'  azione  si  congeda- 
vano dal  tempio  gli  energumeni 
od  ossessi,  e  certe  classi  di  peniten- 
ti, ciò  che  si  chiamò  Missa  caie- 
ihunienoruin,  messa  o  licenziamento 
de'  catecumeni.  Lo  slesso  nome  fa 
dato  a  tutlociò  che  avea  relazione 
con  questa  cerimonia,  e  che  si  can- 
tava o  si  recitava  in  presenza  dei 
catecumeni  prima  di  congedarli, 
cioè  l'introito,  il  kyrie,  la  collelt;i, 
le  profezie,  l' epistola,  il  graduale, 
r  alleinja,  il  versetto  e  l'evangelo; 
e  perchè  la  fine  di  questa  messa 
era  nel  tempo  stesso  il  principio 
della  seconda  parte  della  Liturgia 
{Fedi),  alla  quale  i  fedeli  soli  a- 
veano  diritto  di  assistere,  il  nome 
di  messa  passò  pure  insensibilmente 
e  quasi   naturalmente   alla  seconda 


MES  261 

parte  suindicata,  sia  ch'essa  fosse 
dapprima  chiamata  messa  de'fedeli^ 
per  distinguerla  da  quella  de' cate- 
cumeni, o  semplicemente  messa, 
senz'altro  aggiungervi.  Laonde  di- 
viso il  nome  di  messa  in  quel- 
la de' catecumeni  e  in  quella  dei 
fedeli  ,  la  prima  si  estendeva  fi- 
no all'evangelo  e  la  predica  inclu- 
sive, l'altra  cominciava  dall'offerto- 
rio. Finalmente  venendo  queste  due 
parti  a  formare  un  solo  e  medesi- 
mo corpo  di  liturgia,  furono  en- 
trambe comprese  e  riunite  sotto  il 
nome  di  Messa,  che  prevalse  e  che 
era  già  in  uso  nel  IV  secolo,  come 
ricavasi  dalla  lettera  33,  lib.  5,  di 
s.  Ambrogio  a  sua  sorella  Marcel - 
lina,  da  s.  Isidoro,  da  s.  Leone  I 
nella  sua  lettera  a  Dioscoro,  da  .s. 
Cesario  d' Arles,  per  non  dire  di 
altri.  Nei  primi  tempi  della  Chiesa 
la  messa  si  celebrava  sotto  altri  no- 
mi, ed  il  Casalio,  De  vel.  chrìst.  rit. 
1.  I,  e.  7,  ne  annoverò  perfino  tren- 
taquattro, i  principali  dei  quali  sono 
quelli  di  Colletta  e  di  Sinassi,  a  mo- 
tivo che  per  assistere  alla  messa  i 
fedeli  si  radunavano  in  uno  stesso 
luogo.  Varie  erudite  etimologie  del 
nome  messa,  colle  loro  autorità, 
produssero  il  p.  Menochio,  Stuore 
t.  Il,  cent.  VI,  cap.  XXIV;  ed  il 
Sarnelli ,  Leit.  eccl.  tora.  IX,  lelt. 
61.  Ninno  poi  ne  trattò  meglio  del 
cardinal  Lambertini ,  o  Benedet- 
to XIV,  sez.  I,  cap.  VI,  come 
di  tutto  r  argomento,  colla  dottis- 
sima opera  :  De  sacrosanto  Mis- 
sae  sacrificio  libri  tres.  Nel  1 748 
il  p.  Azevedo  ne  fece  in  Roma  la 
ristampa,  auclior  et  castigatior,  re- 
candola in  latino  idioma  dall'  ori- 
ginale volgare  :  Della  santa  Messa 
trattato  istruttivo,  di  cui  si  lianno 
molte  edizioni  eziandio  con  le  illu- 
strazioni ed    accrescimenti  posterio- 


ìGi  MES 

li  ec.  Il  Maci'i  dice  che  \a  messa 
fu  anche  delta  Liturgia,  cioè  pu- 
blicuin  nm/ius  ;  lentrgìii,  sacrunt 
mitniìs;  Mistagogia,  disciplina  sa- 
cromili,  ec.  Avverte  poi  che  il  vo- 
cabolo messa  alcune  volte  si  disse 
in  significato  di  solennità  o  festa  di 
qualche  santo,  o  sacra  radinianza  in 
occasione   pure  di   ore  canoniche. 

Il  sagrilìxio  della  messa  è    il   ve- 
ro e  proprio  sagrifizio  della  nuova 
legge,  ed   in    essa    si    verificano    le 
cin(|ue    condizioni    richieste    pel  sa- 
grifizio.   Dopo   la   creazione   dell'uo- 
mo  nacque  subito   in  esso  l'idea  del 
sagrifizio,   perchè  tosto  sentì  egli   il 
bisogno    di    soddisfare    per    esso  al 
peccalo  onde  rialzarsi    da    sue   mi- 
serie; idea  che   fu  comune  ai  greci, 
ai  romani,  ai  gentili  ed  ai  barbari, 
«ebbene  coirolla  dalla   superstizione 
e  dall'ignoranza,  che  giunse     perfi- 
no a    macchiare  gli  altari  di  sangue 
umano ,    siccome    appena     scoperta 
l'America  si    vide  ancora    praticare 
nel  messicano,  e  a'dì    nostri  presso 
gl'indiani  :  anzi  si  giunse    ad  attri- 
buire al  sangue  la    principal    virtù 
del  sagrifizio,  e  fuvvi   il  rito  profa- 
no de'tauroboli    o  criuboli  pratica- 
to ad  onore    sì    di    Cibele    che    di 
Mitra,  in  cui  l'iniziando  riceveva  so- 
pra lutto  il  suo  corpo  il  sangue  di 
un   toro    o  d' un  ariete,    ed    a  cui 
attribuì  vasi    la    purificazione  o    per 
\ent'anni,  e  talvolta  ancora  l'intera 
rigenerazione.    I    sagrilìzi    servirono 
a    significare    1'  integrità    e    la  fer- 
mezza   delle    umane    operazioni  ;    e 
dal  modo  col  quale  Dio    confermò 
ad  Abramo  le  sue  promesse,  si   ha 
una  conferma  che  il  sagrifizio  indi- 
cava l'integrità     e  la  fermezza    al- 
la stipulazione  de' patti  ;   onde    Ser- 
TÌo  il  fotilus  ini/e  ,    lo    derivò    da 
foedis  vidiieribus  vicùmaruin.  Inol- 
tre il  sagrifizio  era    quell'atto    col 


MES 
quale  appalesava  il  popolo  di  a- 
ver  meritati  dal  cielo  i  più  tremen- 
di castighi,  e  quasi  iniprecavali  di 
nuovo  sopra  di  sé,  ove  fosse  tor- 
nato a  peccare,  ciò  che  veniva  si- 
gnificato da  quella  imposizione  del- 
le mani  che  facevano  sopra  la  vit- 
tima tanto  il  sacerdote  pei  peccati 
del  popolo,  come  qualunque  olTe- 
rente  particolare  per  i  peccali  pro- 
pri. Ma  i  sacrifizi,  neppur  esclusi 
quelli  sotlo  la  legge  antica  o  mo- 
saica,  potevano  significare  sì,  ma 
non  dare  la  remissione  de'  peccati, 
e  perciò  non  erano  che  figura  o 
simbolo  di  quell'unica  oblazione, 
che  come  scrisse  l'apostolo  ad Hcbr. 
X,  V.  1 4  :  consummavit  in  sempi- 
tcninin  sanlìficatos.  Quindi  il  divin 
Redentore  nell'  ultima  cena,  dopa 
aver  dato  termine  alle  figure  col 
mangiar  l'agnello  pasquale,  sostituì 
di  subito  il  sagrifizio  del  proprio 
suo  corpo  e  del  proprio  suo  san- 
gue, sotto  le  mistiche  specie  del  pa- 
ne e  del  vino,  ed  a  perpetuarlo 
nella  sua  Chiesa  rivestì  gli  apostoli 
ed  i  loro  successori  della  podestà 
sovraumana  di  offrirlo.  Che  la  mes- 
sa sia  il  vero  e  proprio  sagrifizio 
esterno  della  luiova  legge,  è  ima  ve- 
rità fondamentale  della  cattolica  fe- 
de, la  quale  sì  per  le  parole  delle 
sànie  Scritture,  sì  [xjr  gli  oracoli 
de'proleti,  sì  pel  sentimento  de'pa- 
dri,  sì  pei  concilii,  tradizioni,  mo- 
lunnenli  venerabili,  e  per  la  pra- 
tica costante  della  Chiesa  universa- 
le, sì  finalmente  per  le  ragioni  dia 
si  deducono  da  certi  principii  di  fe- 
de incontroversi,  apparisce  più  chia- 
i-a  della  luce  del  mezzogiorno;  que- 
sto sagrifizio  della  messa  si  celebra 
quotidianamente  nella  Chiesa  cat- 
tolica. Quindi  non  solo  i  cattolici, 
ma  gli  stessi  etorodossi,  i  nesloria- 
ni,  i  monolìsiti,    Grabio,  Leibuizio, 


MES  MES  363 
e  tanti  altri  protestanti  tedesclii,  e  parisce,  Ira  gli  altri  monuinenti , 
,  nei  tempi  nostri  il  Keble  anglicano,  dalla  sua  liturgia  antica.  E  un  sa- 
I  confermano  una  tale  verità  ;  ed  in  grifìzio  di  azioni  di  grazie,  onde 
Inghilterra  molti  anglicani  sospira-  fu  chiamato  per  eccellenza  Enea" 
no  sopra  ogni  altare  cristiano  il  ri-  ristia  j  è  un  sagrifìzio  impetrato- 
stabilimenlu  del  sagrifizio  giorna-  rio,  offerto  per  ottenere  da  Dio 
liero,  il  quale,  coni 'essi  confessano,  i  soccorsi  temporali  e  spiritua- 
lo  spirito  dell'Anticristo  abolì  dal  li,  che  ci  sono  necessari,  a  mezzo 
santuario.  Il  concilio  di  Trento,  sess.  del  suo  Unigenito.  Quindi  gli  effet- 
22,  De.  sacrìf.  Missae,  can.  i,  de-  ti  del  sagrifizio  della  messa  consi- 
crelò.  j»  Se  alcuno  dirà,  che  nella  stono  nell'onorare  Dio,  nel  ringra- 
Messa  non  si  ofFeiisce  a  Dio  un  ziarlo  de'suoi  benefìzi,  nell'ottener- 
vero  e  proprio  sagrifìzio.  ...  sia  ne  de'nuovi,  nel  placare  la  sua  col- 
scomunicato  ".  lera,  e  conciliare  la  sua  misericor- 
L'essenza  del  sagrifìzio  della  mes-  dia  pei  peccati  sì  mortali  che  ve- 
%a  consiste  nella  consecrazione  ed  niali,  quanto  alla  pena,  onde  sod- 
immolazione  mistica  del  corpo  e  disfare  la  divina  giustizia,  benché 
sangue  di  Gesù  Cristo,  sotto  le  spe-  in  una  niatiiera  differente.  Circa  il 
eie  del  pane  e  del  vino,  pel  nutri-  valore  del  sagrifizio  della  messa,  i 
mento  spirituale  dei  cristiani;  è  lo  teologi  non  sono  d'accordo  intorno 
.stesso  di  quello  della  croce,  ed  è  a  tale  questione:  quando  essi  di- 
l'imico  nella  legge  nuova.  Quanto  cono  che  tal  valore  è  finito  o  de- 
al la  materia  e  forma  del  sagrifizio  terminato,  essi  prendono  il  vaio- 
delia  messa  se  ne  parlò  a  Eucari-  re  per  l'effetto,  e  non  per  la  virtù. 
STIA  :  il  Colletj  Esame  de'sacrì  mi-  ch'è  infinita. 

sferi,  p.  125  e  seg.,  tratta  dei  di-  Il  ministro  propriamente  del  sa« 
felti  della  materia  e  di  sua  vali-  grifizio  della  messa  è  il  sacerdo- 
dità.  Quanto  al  fine  ed  ai  suoi  ef-  te  legittimamente  ordinato,  il  qua- 
felti,  essendo  il  sagrifizio  della  mes-  le  deve  adempire  a  diversi  obbli- 
sa  il  peifello  compimento  di  lutti  glii  ,  alcuni  de' quali  precedono  il 
gli  antichi  sagrifizi  ,  egli  ne  ha  sagrifizio  slesso,  altri  lo  accompa- 
tutle  le  qualità  e  tutti  i  caratte-  gnano,  ed  altri  lo  seguono.  Il  Pa- 
ri, ma  in  una  maniera  molto  più  pa  san  Fabiano  ordinò  che  niu- 
perfefta.  Il  sagrifizio  della  mes-  no  fosse  ordinato  prete  prima  di 
•a  è  offerto  a  Dio  per  riconosce-  trent'anni,  e  che  i  preti  idioti  non 
re  la  sua  maestà  suprema,  il  suo  potessero  celebrare  la  messa.  Nella 
supremo  potere  ,  il  suo  supremo  prima  classe  si  colloca  la  prepara- 
dominio;  per  onorarlo,  adorarlo,  e  zione  interna  ed  esteriore,  tanto 
per  rendergli  tulli  gli  omaggi  che  prossima  che  lontana.  Nella  secon- 
il  suddito  deve  al  re,  la  creatura  da  si  mette  l'intenzione,'  l'osservaa-* 
al  creatore,  l'uomo  a  Dio.  E  un  za  delle  rubriche.  L'azione  delle 
sagrifizio  propiziatorio,  offerto  per  grazie  si  riferisce  alla  terza.  Il  sa- 
l'espiazione  de'peccali  onde  placa-  cerdote  che  vuole  celebrare  il  sa- 
re  la  collera  di  Dio,  e  soddisfare  grifizio  della  messa  è  obbligalo  con- 
ia sua  giustizia,  non  che  conciliare  fessarsi  di  qualunque  peccato  mor- 
ia sua  misericordia;  la  Chiesa  ebbe  tale,  anche  dubbio,  quando  lo  pos- 
«emprc  questa  credenza,   come   ap-  sa,  o  di  eccitarsi  ad  una  vita  con- 


a64  MES 

trizione  quando  non  può  confessar- 
si,    quando     la    celebrazione    della 
messa  sia  necessaria  per  ragioni  Cor- 
tissime,    poiché,     per    consacrare  e 
ricevere  il  corpo  di  Gesù  Cristo  bi- 
sos;na    essere     in    istato     di    grazia. 
Secondo  alcuni    teologi,   un    sacer- 
dote non    può   celebrale    la    messa 
prima  di  avere  recitato    il    mattu- 
tino e  le  laudi,  come    prescrive    la 
rubrica  appoggiata    sull'ordinamen- 
to d'Innocenzo    IV  e    sulla    costu- 
manza generale  della  Cliiesa;  si  può 
ciò    non    ostante    celebrare     lecila- 
mente    prima  di     aver    recitato   il 
mattutino,  quando  vi  sono    ragioni 
imponenti  per    farlo.     Il    sacerdote 
che  si  dispone  a  celebrare  deve  im- 
piegare qualche    tempo   nell'orazio- 
ne; ma  non  è  obbligato  a  recitare 
i   cinque  salmi   indicati   nei   messali, 
come  una  parte  dell'apparecchio  al 
sagrifizio.  Si    attribuisce    dal  Burio 
al  Papa  s.  Celestino  1  la  prescrizio- 
ne della  recita  di    tali  salmi,    cor- 
rispondenti a  ciascuno  de' sentimen- 
ti del  corpo,    per     la    preparazione 
della   messa.    Veramente  il    decreto 
di  s.  Celestino  I,  riportalo  nel  libro 
pontificale,  dice  che  i   CL  salmi    di 
Davidde  siano  cantati  prima  del  sa- 
crifizio a  modo  di  antifona,  ciò  che 
prima    non     si     faceva,    recitandosi 
soltanto    l'epistole    di    s.   Paolo  e 
l'evangelo.  Lo  Schelstrate    sotto  ta- 
li parole  del    libro    pontificale    in- 
tende   l'introito    della     messa,    nel 
quale  però  non    mai    si    cantano  i 
detti  CL    salmi,    ma   solamente    si 
recita  porzione  d'un  salmo;  per  lo 
che  conchiude,  questo  luogo  si    de- 
ve    intendere     rettamente     dell'ore 
mattutine,  nelle  quali  pel    corrente 
dell'anno    quasi    tutti    si  cantano  i 
salmi  di  Davidde.   L'Amalario,  De 
eccl.  offic.  lib.   3,  cap.  5,   e    Wal- 
fredo  Strabene,  De  reh.   ecclesiasl. 


MES 
cap.  22,  intendono  questo  decreto 
(li  s.  Celestino  I,  per  le  antifone 
all'introito  della  messa.  11  carcliiin- 
le  Bona,  Rerum  liturgie,  lib.  2, 
cap.  3,  tratta  a  lungo  di  quanto 
riguarda   quest'argomento. 

La    Lavanda  delle  inani  {Vedi) 
è   una  operazione    necessaria  prima 
della    celebrazione  della   messa     pel 
diritto  naturale,    ed    ommettendola 
si   pecca    contro    il   rispetto    dovuto 
al     sagramenlo,  piì\  o   meno     mor- 
talmente o  venialuiente,    secondo  il 
grado  di   negligenza  o  di  sudiciume. 
Ogni  sacerdote  che  celebra  la  mes- 
sa    dev'essere  digiuno    (se  ne  attri- 
buisce    il     primo     ordinamento    al 
Papa  s.   Sotero)  di   un  digiuno   na- 
turale, che    consiste    nel    non     aver 
preso  nessun  cibo  o  bevanda,  nem- 
meno medicina,  dalla  mezzanotte  in 
poi,  e  ciò  sotto  pena  di  peccato  mor- 
tale ,    nulla     potendosi    inghiottire, 
tranne    la    salivazione,    o  il  sangue 
che    sorte    dalle    gengive,    ec.  ;     il 
prendere     tabacco  è  permesso,   non 
masticarlo.    Il  Sarnelli,    Leti.    eccl. 
tom.    VI,     lett.     XXX:  Se     il   ve- 
scovo possa  proibire  sotto    pena  di 
sospensione  di    prendere  tabacco  a- 
vanti  la  celebrazione  della  s.   Messa? 
dichiara  che  può,  ma  se  l'abuso  non 
è  troppo  non  deve  ciò  fare,  e  ne  ri- 
porta le  ragioni,  potendosi  condonar- 
lo a  chi  ne  prende  parcamente.  1!  Ri- 
naldi osserva  che  nei  primi     tempi 
della  Chiesa  rimase  in  alcune  chie- 
se la   consuetudine  di  celebrare  tal- 
volta la    messa     nella   sera,   ma  di- 
giimo,  e  che   tali  messe  cliiamaronsi 
vespertine:    nell'Africa   vi   fu  l'usan- 
za di  dire  la     messa    anco  la  sera. 
Parlando  il  Macri  della  Missa     ve- 
spertinalis,  antico  rito  della    chiesa 
latina  ,     dice     che     tuttora     sussiste 
nella     chiesa     orientale  nel     tempo 
del  digiuno    quaresimale,  poiché  si 


MES 
celebra  messa  circa  due  ore  avanti 
sera,  dopo  la  quale  cantano  gli  o- 
rientali  il  vespeio,  cenando  al  tra- 
monto del  sole.  Vi  sono  poi  dei 
casi  ne'quali  si  può  celebrare  sen- 
za essere  digiuni ,  sia  per  impedi- 
re la  piofanazione  del  sacramen- 
to ,  prendendolo  sull'istante  quan- 
tunque abbiasi  mangiato;  sia  per 
evitare  uno  scandalo  grande  ,  o 
una  perdita  considerabile,  ec;  co- 
sì quando  è  d'uopo  continuare  la 
messa  d'un  prete  che  muore  o 
cade  in  isvenimento  dopo  la  con- 
sagrazione  (  san  Stanislao  vescovo 
fu  martirizzato  mentre  celebrava, 
e  s.  Andrea  Avellino  fu  colpito  di 
apoplessia  nell'incominciar  la  messa; 
nelle  biografìe  di  s.  Gregorio  VII, 
e  di  Gregorio  IX  dicemmo  come 
furono  orribilmente  assaliti  mentre 
celebravano  la  messa  nelle  basili- 
che Vaticana  e  Liberiana);  e  quan- 
do si  abbia  ottenuta  dispensa  per 
celebrare  o  comunicare  dopo  di  a- 
ver  preso  qualche  poco  di  nutri- 
mento. Il  Papa  s.  Pio  V  ad  istan- 
za del  re  di  Portogallo,  ad  esempio 
di  alcuni  suoi  predecessori  che  a- 
veano  dispensato  dal  digiuno  per 
celebrare,  l'accordò  ai  sacerdoti  del- 
l'Indie sudditi  di  quel  monarca, 
per  le  malattie  cui  andavano  sog- 
getti e  per  1'  intemperie  del  clima. 
Clemente  XI  negò  al  vescovo  di 
Quito  la  licenza  di  celebrar  la  mes- 
sa non  digiuno  quando  dovea  con> 
ferire  gli  ordini  sacri,  benché  d'in- 
ferma salute.  Della  tacita  dispensa 
che  si  concede  al  cardinale  che  ce- 
lebra la  messa  (la  quale  chi  l'a- 
scolta non  soddisfa  al  precetto  per 
quella  del  giorno  seguente)  nella 
mezzanotte  di  Natale  nella  cap- 
pella pontifìcia,  ne  parlammo  al 
voi.  IX,  p.  1 1  3  del  Dizionario,  ri- 
tu)rtando  l'analogo  breve  di   Beue- 


MEs  ^ea; 

detto  XIV.  Anche  nella  basilica  di 
s.  Marco  di  Venezia  si  celebrava  la 
messa  alla  mezzanotte  suddetta,  su 
di  che  può  vedersi  il  Cornaro,  De 
bas.  ducalis  s.  Marci  dee.  1 2:  ora 
si  celebra  nelle  prime  ore  di  notte; 
ma  in  molte  altre  chiese  di  Venezia 
si  celebra  ancora  alla  mezzanotte. 
Noteremo  che  nel  voi.  IX,  p.  loi 
e  seg.  del  Dizionario  riportammo  i 
diversi  modi  coi  quali  molti  Papi 
celebrarono  le  funzioni  della  notte 
e  festa  di  Natale;  solo  qui  aggiun- 
geremo, quanto  al  modo  di  nu- 
trirsi celebrando  nella  santa  notte , 
che  Leone  XII  un'  ora  prima  di 
mezzodì  mangiò  la  zuppa  col  bro- 
do di  pesce,  ed  un  fritto  di  triglie, 
indi  intuonò  il  vespero  e  il  mattu- 
tino nella  basilica  Liberiana,  ove 
avendo  ancora  pontificato  la  messa, 
terminata  questa  un'ora  prima  del- 
la mezza  notte,  nelle  camere  del 
cardinal  arciprete  pranzò,  ed  ivi 
prese  riposo.  Si  portò  all'aurora  a 
celebrar  la  messa  in  s.  Anastasia,  e 
passò  poscia  a  s.  Pietro  a  ponti- 
ficare la  terza.  Il  Papa  regnante, 
nel  1 846,  un*  ora  avanti  mezzodì, 
come  Leone  XII,  prese  una  refe- 
zione, indi  intuonò  il  vespero  nella 
cappella  Paolina  del  Quirinale,  al- 
le ore  due  di  notte  recossi  alia 
basilica  Liberiana  dove  intuonò  il 
mattutino,  celebrò  pontificalmente 
la  messa  all'  altare  papale,  quale 
terminata  ad  ore  sei  circa  di  not- 
te, pranzò  nelle  sue  stanze  al  Qui- 
rinale, ivi  prese  riposo,  ad  ore 
quattordici  celebrò  la  seconda  messa 
nella  cappella  segreta,  poscia  in.s. 
Pietro  pontificò   la    terza. 

Gli  obblighi  del  sacerdote  duran- 
te il  sagrificio  sono.  i.°  L'intenzione 
virtuale  di  consacrare  tutte  le  ostie 
che  gli  vengono  a  tale  elTelto  pre- 
sentate,   e  di  edificare    gli    astanti 


266  MES 

coll'esatto    e  modesto  conlegno  del 
suo  esleriore.   i."  Deve  osservare  le 
rubriche,  le  quali   prescrivono  i  riti 
da   praticarsi     nella  celebrazione  del 
sagrifizio,   perchè  esse  obbligano  in 
coscienza  ,     come  '  insegnano     quasi 
tutti   i  teologi  appoggiati   alla  bolla 
di  s.  Pio    V,  che    leggesi    premes- 
sa ad    ogni  Messale   [f^cdi),  e  che 
comanda     a     tutti     i     sacerdoti,   in 
■virtù  della  santa  obbedienza,  di  cele- 
brare o  di  cantare  la  messa  secon- 
do  il   rito,    la  regola  e  la  maniera 
che    prescrive    il   messale.   3.°  Deve 
"vestire  una  sottana  o    veste  lunga, 
e  non     deve  portare    berrettino  al- 
l'altare  senza    dispensa  della     santa 
Sede,  su  di    che    può  vedersi   Ber- 
rettino:    nel   Bull,    de    prop.   fiele 
t.   I,  p.    197,  si  legge  il    breve    di 
Clemente  X,  Ronianus  Ponlìfex,  dei 
2  3    dicembre    iGyS:    prò    vìcariis 
apoxtolicis    apud   Sìnns,  eorumque 
missionnriis  indnlluin  celebratidi  ca- 
pile  ledo.  Noteremo  che  il   Papa  s, 
Zaccoria     ordinò     che     i     sacerdoti 
non  potessero    celebrare    la     messa 
appoggiati   ai   bastoni,  né  col    capo 
coperto.  4'°  Se  il  sacerdote  non  de- 
ve    recarsi  all'altare     che  dopo  es- 
servisi   preparato  colla   preghiera    e 
colla  purità  della  coscienza,  e  deve 
presentarsi  con  edificante   modestia, 
egli  deve  altresì  dopo   terminato  il 
sagrifizio  impiegare   un   tempo  ade- 
quato per    ringraziare    Iddio  di   un 
così  gran  benefìcio.   11  p.  Menochio, 
Stuoie  t.     II,     cent.   VI,    cap.    3ì  : 
Della    brevità    ò     lunghezza     della 
s.   Messa.  Dopo     avere  allegalo     le 
ragioni    adotte  da    quelli  che    pro- 
pendono per    la     messa  breve,  per 
non  infastidire  ed  alienare  dalla  di- 
vozione gli   ascoltanti;   riporta  mol- 
tissime   e    giustissime  ragioni    per- 
chè la  messa,  come  la     piìi     santa 
funzione  che  si  fa   nella   Chiesa  di 


MES 

Dio,  si  dica  con  pausa  e  altenta- 
menle,  rimarcando  gli  abusi  e  gli 
scandali  delle  messe  troppo  brevi, 
e  di  que'  sacerdoti  che  troncano  o 
mangiano  le  parole  con  irriverenza 
al  sagrifizio,  non  potendosi  colla 
fretta  considerare  i  gravi  significati 
delle  cerimonie  e  de'riti  ;  fìnalmeo- 
te  avverte,  che  una  soverchia  lun- 
ghezza può  dare  occasione  a  mor« 
morazioni  de'  presenti  alla  messa. 
Pio  VI  nell'anno  1797,  per  ri- 
parare allo  scandalo  di  alcuni  ec- 
clesiastici ,  ed  alla  poca  divozione 
di  non  pochi  secolari  ne'sacri  tem- 
pli, ordinò  ai  primi  sotto  pena  di 
sospensione  a  divìnis  che  nella  lo- 
ro messa  non  impiegassero  meno 
di  venti  minuti,  e  per  riguardo  ai 
secondi  ,  che  fossero  arrestati  in 
chiesa  tutti  quelli  i  quali  all'eleva- 
zione e  benedizione  della  messa 
non  s'inginocchiassero  o  non  usas- 
sero in  tutto  quel  rispetto  che  ri- 
chiede la  casa  di  Dio.  Il  concilio 
di  Trento  raccomandò  ai  sacerdo- 
ti, che  non  fosse  eccessivamente 
breve  o  lunga  ;  e  s.  Agostino  ri- 
prese quelli  che  trascuravano  d'u- 
dire la  messa  ,  partivano  avanti 
tempo,  discorrevano  o  si  lamen- 
tavano delle  messe  lunghe  facen- 
dole abbreviare.  L'  abuso  di  uscir 
dalla  chiesa,  lettosi  l'evangelo,  pei" 
non  udir  la  predica,  lo  tolse  il  ve- 
scovo s.  Cesario. 

Per  soggetto  del  sagrifizio  della 
messa  s'intendono  tutti  coloro  pei 
quali  si  deve  e  si  può  offrirlo.  Si 
può  e  si  deve  offrire  il  sagrifizio  della 
messa  per  tulli  i  fedeli  giusti  o  pecca- 
tori, morti  o  vivi,  a  meno  ch'essi  non 
siano  esclusi  dalla  comunione  della 
Chiesa  :  non  si  offre  né  pei  scisma- 
tici, ne  per  gli  eretici,  né  per  gli 
scomunicali,  giacché  il  primo  effet- 
to della  scomunica  è  quello  di  pri- 


MES 
rar  lo  scomunicalo  di  tulli  i  suf- 
fragi de'quali  il  Figlinolo  di  Dio 
lasciò  dispensatrice  la  sua  Chiesa. 
Un  sacerdole  può  però  iu  suo  pro- 
prio e  piivato  nome  pregare  al  me- 
mento ed  in  altro  punto  della  messa 
per  gli  scomunicali  anche  denunziati. 
Benché  i  catecumeni  e  gl'infedeli  non 
abbiano  <liritfo  al  sagrifizio,  non  ap- 
partenendo essi  alla  Cinesa,  si  può 
olfriilo  pcM-  essi  del  pari  che  il  sa- 
grifizio della  croce  che  venne  olFer- 
to  per  tulio  il  mondo  :  s.  Paolo 
vuole  che  si  preghi  pei  principi 
pagani,  e  comprende  il  sagrifizio 
col  nome  di  preghieie.  Non  si  può 
olh-ire  il  sagrifizio  della  messa  per 
i  dannati,  e  la  Chiesa  vieta  pregar 
per  loro.  P^.  Inferno.  Si  offre  util- 
mente per  le  anime  de'  giusti  ai 
quali  rimangono  de'falli  da  espiare 
dopo  la  morte  nel  purgatorio.  Non 
si  può  offrire  ai  santi  il  sagrifizio 
delia  messa,  perchè  il  sagrifizio  por- 
ta con  sé  l'idea  di  culto  di  latria, 
il  quale  non  è  dovuto  che  all'En- 
te supremo;  ma  si  può  offrire,  sia 
per  onorare  Dio  in  essi ,  sia  per 
ringraziarlo  de'suoi  benefizi  a  loro 
riguardo,  sia  per  ottenere  la  loro 
intercessione  presso  di  lui,  sia  fi- 
nalmente per  procurare  loro  una 
certa  gloria  accidentale,  che  con- 
siste o  nell'onore  che  loro  si  ren- 
de in  terra,  o  nella  gioia  ch'essi 
provano  vedendo  i  fedeli  cammina- 
re sul  sentiero  della  giustizia.  Ora 
passiamo  ad  accennare  i  doveri  del 
sacerdole  per  rapporto  alla  neces- 
sità della  celebrazione  e  dell'  ap- 
plicazione del  sagrifizio  della  n)essa. 
Quantunque  un  sacerdote,  parroco 
o  no,  non  sia  obbligato  di  celebra- 
re lutti  i  giorni,  pure  egli  è  in 
obbligo  di  celebrarla  frequente- 
mente ,  e  pecca  mortalmente  se 
tralascia  affatto  dì  celebrarla,  ovve- 


MES  267 

ro  se  la  celebrerà  assai  di  rado. 
Qualunque  sacerdote  che  senza  un 
ragionevole  motivo  non  celebra  in 
tutte  le  domeniche  e  solennità  del- 
l'anno, pecca  per  lo  meno  venial- 
mente, e  forse  anche  morlalmenle. 
Il  concilio  di  Trento,  sess.  7.3  dn 
refor.  e.  i4>  ingiunge  ai  vescovi 
di  aver  cura  che  i  sacerdoti  cele- 
brino la  messa  almeno  tutte  le 
domeniche  e  tutte  le  solennità;  ed 
i  concilii  posteriori  ordinano  ai 
sacerdoti  di  celebrare  in  delti  gior- 
ni. Un  parroco  è  obbligato  sotto 
pena  di  peccalo  mortale  di  cele- 
brare in  persona  quando  lo  può, 
o  per  mezzo  d'  un  altro  quando 
non  lo  può,  ogni  qualvolta  il  suo 
popolo  è  in  obbligo  di  ascoltare 
la  messa:  il  concilio  di  Trento  ha 
cos\  deciso.  Essi  devono  ancora  cel- 
brare  qualche  volta  nel  corso  del- 
la settimana,  per  adempiere  pie- 
namente all'ufn/io  di  mediatori  Ira 
Dio  ed  il  popolo  loro  affidato.  O- 
gni  giorno  si  deve  celebrare  una 
messa  solenne  in  tutte  le  chiese 
sieno  cattedrali  o  collegiate  ,  tran- 
ne il  caso  della  mancanza  di  <|uasi 
lutti  i  canonici  :  essa  non  può  ser- 
vire a  soddisfar  1'  obbligo  delle 
fondazioni  <  particolari  ;  come  non 
può  servire  a  quest'oggetto  nelle 
domeniche  e  feste  la  messa  par- 
rocchiale pegli  abitanti  del  luogo, 
per  cui  i  capitoli  che  hanno  cu- 
ra d'anime  devono  farla  celebrare 
da  chi  l'esercita.  Si  vuole  che  Pe- 
lagio I  comandasse  di  celebrare  la 
niessa  conventuale,  ne'giorni  di  di- 
giuno, dopo  l'ora  di  nona  :  negli 
altri  tempi  si  celebra  dopo  terza. 
Il  Diclich,  Diz.  sacro  litui'..  Messa 
conventuale f  ne  riporta  le  rubriche 
e  ({uando  si  debbano  cantar  due 
messe  conventuali  nelle  cattedrali 
e  collegiate,  non    però    nelle  chiese 


a  68  MES 

regolari.  EeneJetto  XiV  con  lette- 
ra apostolica,  Cam  super,  diretta 
a  tutti  i  vescovi  d'  Italia,  sotto  i 
ic)  agosto  1744^  ordinò  die  tutti 
i  pastori  delle  anime,  pannelli,  vi- 
cari, economi,  ant:Iie  regolali,  ben- 
ché destituiti  di  slabili  congrue  al 
loro  mantenimento  ,  in  tutte  le 
domeniche  e  feste  dell'  anno  appli- 
cassero la  messa  parrocchiale  pel  po- 
polo ad  essi  commesso  ;  ed  ai  ca- 
pitoli ordinò  ,  che  la  messa  con- 
ventuale nelle  cattedrali  e  colle- 
giate sì  applicasse  pei  benefattori 
delle  medesime  chiese.  Nel  voi. 
XIII,  p.  io5  degli  Annali  delle 
scienze  religiose  vi  è  la  risposta 
data  in  nome  di  Gregorio  XVI  dal 
cardinal  Polidori  quale  pro  prefetto 
della  congregazione  del  concilio,  al 
vescovo  di  Mans,  se  i  parrochi  deb- 
bano applicar  la  messa  pel  popolo 
nelle  feste  soppresse  o  traslate  in 
virtù  dell'indulto  9  aprile  1802; 
risposta  concepita  così:  Dlissanipro 
poptilo  esse  a  parochis  applica n- 
dtini  omnibus  festis  edam  reducUs. 
Un  beneficialo  è  obbligato  sotto 
peccato,  meno  fortissime  ragionij 
di  celebrare  le  messe  secondo  le 
disposizioni  del  testatore  e  la  fon- 
dazione del  suo  beneficio.  Ogni  sa- 
cerdote è  obbligato  di  applicare  il 
frutto  speciale  dal  sagrifizio  della 
messa  a  coloro  dai  quali  riceve  la 
elcuiosina,  la  quale  non  può  rice- 
vere da  altri  il  parroco  quando  è 
obbligato  celebrarla  pel  popolo,  né 
i  canonici  per  la  messa  quotidiana 
conventuale,  ancorché  le  prebende 
sietio  assai  mediocri.  Alessandro  IH 
dispose  che  un  beneficiario  obbli- 
galo a  celebrare  ogni  giorno,  non 
è  in  obbligo  di  far  supplire  alle 
messe  eh'  egli  ommette  talvolta  e 
(Il  rado,  per  malattia,  rispetto  pel 
sagrifi/.iOj  o  bisogno  pressante  della 


MES 

chiesa  o  del  popolo,  a  meno  che 
nel  «lontratto  di  fondazione  siavi 
la  clausola  che  il  beneficiano  cele- 
brerà tutti  i  giorni  in  persona  o 
col  mezzo  d'  un  altro.  Il  p.  Me- 
nochio,  Sliiore,  cent.  VI,  cap.  27, 
tratta  se  sia  meglio  che  il  sacer- 
dote dica  messa  ogni  giorno,  o 
che   la  tralasci  qualche  volta. 

I  doveri  del  popolo  per  rappor- 
to ai  sagrifizio  della  messa  si  ri- 
ducono ad  ascoltarla  con  divozione 
tutte  le  domeniche,  le  altre  feste 
di  precetto  e  le  solennità.  Tutti  i 
fedeli  adulti  sono  obbligati,  sotto 
pena  di  peccato  mortale,  di  ascolta- 
re la  messa  in  detti  giorni,  per  ob- 
bligo imposto  dalla  Chiesa  in  mol- 
tissimi concilii.  I  fedeli  devono  a- 
scoltarla  con  religiosa  attenzione,  con 
riverenza  interna  ed  esterna,  con 
disposizione  di  spirito  e  di  corpo 
corrispondenti  alla  santità  del  più 
grande  e  del  più  augusto  de'  no- 
stri misteri.  Non  si  soddisfa  al  pre- 
cetto in  istato  d'  ubbriachezza,  dor- 
mendo o  parlando,  o  confessando- 
si ec.  Non  si  soddisfa  del  pari  al 
precetto  om mettendo  di  ascoltare 
una  parie  notabile  della  messa, 
quale  sarebbe  il  principio  fino  al- 
1  evangelio  inclusivatnente,  o  la  con- 
secrazione  sino  alla  fine.  Non  si  sod- 
disfa neppure  ascoltando  due  o  quat- 
tro parti  di  messe  celebrate  nello 
stesso  tempo  da  due  o  quattro  preti, 
perchè  la  messa  è  un  tutto  necessa- 
riamente composto  di  parti  succes- 
sive, che  per  conseguenza  non  pos- 
sono sussistere  contemporaneamente. 
Ma  si  soddisfa  al  precetto,  purché 
unitamente  alle  altre  condizioni  siasi 
moralmente  presente  alla  messa;  e 
questa  presenza  morale  sussiste  al- 
lorché si  ascolta  la  messa  dietro 
all'altare,  o  dietro  una  colonna  del- 
la chiesa,  od  iu    uu    luogo  attiguo 


M  E  S 
alla  cappella  nella  quale  si  celebra, 
o  (la  lina  finestra  d'  una  Ciisa  se- 
colare, attigna  essa  pure  alla  chie- 
sa, o  fuori  della  chiesa,  nella  quale 
non  si  possa  entrare  a  motivo  dcl- 
I.)  folla,  ma  uniti  alla  nioltiludine. 
Si  soddisfa  altresì  suonando  per 
qualche  tempo  le  campane  dtu'aiite 
Ja  messa,  andando  a  ceicare  il  vi- 
no necessario  per  celebrare,  dime- 
nando l'incensiere.  La  messa  a  cui 
la  chiesa  ci  obbliga  intervenire,  è 
principalmente  la  messa  solenne 
della  parrocchia,  la  quale  ordinaria- 
mente è  accompagnata  dalla  pre- 
dica o  spiegazione  del  vangelo,  o 
da  qualche  istruzione  o  cerimonia 
propria  delle  domeniche  e  delle 
feste.  Benché  in  molte  chiese  con 
gran  vantaggio  de'  fedeli  abbiano 
luogo  eccellenti  istruzioni  e  sante 
pratiche,  tutta  volta  aftine  che  le 
pecore  di  un  medesimo  ovile  pos- 
sano essere  riunite  sotto  gli  occhi 
del  loro  pastore,  ed  ascoltare  dalla 
sua  bocca  la  parola  di  Dio,  secon- 
do le  regole  antiche  della  Chiesa, 
che  tutti  i  fedeli  d'  una  stessa  città 
si  radunavano  in  un  medesimo  luo- 
go e  poi  nella  propria  chiesa  alla 
messa  parrocchiale,  è  obbligo  di 
lutti  i  fedeli  l' assistete  sovente  al- 
l'oftlzio  pubblico  della  parrocchia. 
Il  concilio  di  Trento  vuole  che  i 
vescovi  ricordino  sovente  ai  loro 
popoli  l'obbligazione  di  recarsi  al- 
meno nelle  domeniche  e  nelle  feste 
solenni  alla  chiesa  parrocchiale,  per 
assistervi  al  sagrifìzio  della  messa, 
ed  ascollarvi  la  parola  divina  ;  ob- 
bligo sopra  il  quale  hanno  sempre 
insistilo  i  sacri  canoni  e  i  più  dot- 
fi  canonisti.  Si  può  soddisfare  al 
precetto  ecclesiastico  di  ascoltar  la 
messa  nelle  domeniche,  anche  assi- 
stendovi  in  altra  chiesa  fuori  della 
propria  parrocchia  ;  e  questa  è  dot- 


MES  269 

trina  dei   teologi;    ma    essi    conven- 
gono che  lo  S[)irilo  della  Chiesa  an- 
che al  dì  d'oggi,  è  che    lutti  i   fe- 
deli   indistintamente     ascollino     nei 
santi   giorni   la     messa    pairocchiale, 
quindi  questa  pratica  in  lutti    i  lem- 
pi    fu    raccomandala.    Leone  X  di- 
chiarò con   bolla,  che  •  soddisfaceva- 
no al   precetto  della  messa  ne' gior- 
ni festivi,  quelli    che    l'ascoltavano 
nelle  chiese  de*  religiosi  mendicanti. 
Dipoi     Clemente     Vili    riprovò    la 
sentenza  che    affermava,   non    esser 
lecito    ai    cristiani   di    sentir    messa 
nelle  chiese  che    non    fossero    par- 
rocchiali, e  lo    dichiarò  lecito.   Chi 
recita   l'uffizio    per    obbligo    o  per 
penitenza,   mentre  ascolta  la  messa, 
soddisfa    all'uno    e    all'  altra  ,  per- 
chè non    impedisce    l' attenzione  al 
sagrilìzio.     Dispensano     d'  ascoltare 
qualsiasi    messa    ne'  giorni    di  pre- 
cetlOj  r  impotenza  tanto  fìsica,  che 
non  si   può  assolutamente  superare, 
quanto  la   morale,  che  non  si   può 
superare  ,  se  non    con   molte    diffi- 
coltà, perchè  la  Chiesa  tenera  ma- 
dre non  intende   di  obbligare  i  suoi 
figli  all'  osservanza    di  que'  precetti 
ai  quali    non    potessero    adempiere 
senza    gravi    incomodi .  Perciò  non 
sono  obbligali  i  prigionieri,  gli    ob- 
bligati    a     letto,    od    a    rimanerse- 
ne in  casa,  quelli   che  navigano  in 
mare,    quelli    che    sono     privi    dei 
sacerdote  per  celebrar   loro  la  mes- 
sa,   quelli    che    incorrono     pericolo 
per  assistere  alla  messa   di  perdere 
la  vita,    l'onore  o   le  sostanze;   per 
ragione    di    carità    quelli  che  sono 
alla  ciua    o  guardia    degli    amma- 
lati, se  a  questi   la  loro  assenza  re- 
ca  pregiudizio;  quelli  che   colla    lo- 
ro    presenza    impediscono     alterca- 
zioni,  bestemmie  e    danni    conside- 
rabili.  Dispensa  ancora  dalla   messa 
un  dovere   incompatibile,  come  uu 


270  MES 

soldato  che  non  può  abbandonare 
il  suo  posto,  il  pastore  che  non 
può  lasciare  il  gregge,  la  nutrice 
che  non  può  abbandonar  il  suo 
])ambino,  un  domestico  cui  il  pa- 
drone vieta  di  recarsi  alla  chiesa, 
r  che  non  può  trovare  altri  padro- 
ni, certi  operai  i  quali  non  posso- 
no abbandonare  un'  opera  incomin- 
ciala, come  sarebbe  la  fusione  del 
vetro,  del  ferro,  del  bronzo,  ec. 
senza  recar  grave  danno  a  sé  stes- 
si o  ai  loro  padroni;  sono  dispen- 
sate dalla  messa  finalmente  le  don- 
ne in  istalo  di   puerperio,  ec. 

Delle  messe  particolari  o  priva- 
te, sei  sono  le  ragioni  che  assegna- 
no i  teologi  per  le  quali  si  può 
dire  che  una  messa  è  particolare, 
cioè  :  per  ragione  del  luogo,  quando 
si  celebra  in  una  Cappella  [Vedi) 
domestica;  per  ragione  del  tempo, 
quando  si  celebra  in  un  giorno  di 
lavoro;  per  ragione  del  fine,  quan- 
do si  applica  ad  una  persona  in 
j)articolare  ;  per  ragione  degli  as- 
sistenti, quando  non  vi  assistono 
che  poche  persone;  per  ragione  del- 
l'aitate e  della  solennità,  come  so- 
no le  messe  basse,  che  si  celebiaiio 
cjuolidianamente  ai  diversi  altari  di 
una  chiesa;  o  finalmente  per  ra- 
gione della  mancanza  di  persone 
the  si  comunicano,  come  sono  le 
messe  nelle  quali  non  avvi  altra 
comunione  fuorché  quella  del  sa- 
cerdote; le  quali  messe  privale  tul- 
io sono  permesse  e  legittime,  i.  Le 
messe  private  per  ragione  del  luo- 
j^o  sono  jndubitalamenle  permesse, 
tjcsìi  Cristo  istituì  la  prima  messa 
nel  cenacolo,  e  s.  Pietro  celebrò  la 
prima  messa  nel  cenacolo,  che  il 
j).  Kaynaud,  contro  la  comune 
fccutenza,  sostiene  e  dice  celebrala 
nel  giorno  della  risurrezione,  De 
prima  missa,  t.  VI    delle  sue  ope- 


MES 
re.  Sembra  certo  che  la  prima  mes- 
sa  fu  celebrata     da  s.    Pietro  dopo 
la   venuta  dello  Spirito  Santo  e  nel 
giorno  della    Pentecoste;  e  sebbene 
nel  cap.  Jacobus,  de  consecr.  dist.  I 
ex    synodo  sexta,  par  che  si  dica, 
che  s.   Giacomo  apostolo  vescovo  di 
Gerusalemme  fosse  il   primo,  si  de- 
ve intendere  che  s.   Pietro   ne  pie- 
scrisse  l'ordine,   e  s.  Giacomo  il  di- 
•vidgò  in   iscritto.    1     sacerdoti  della 
Chiesa   agitata  fin  dal  suo    nascere 
dal  fiuore  delle    persecuz.ioni,  cele- 
bravano  la   messa    nelle  case  parti- 
colari, e  nelle  caverne  o    Caiacoinhe 
[Vedi);  e  molti  santi  l'hanno  cele- 
brata nelle  loro  celle.   2.°  Le  messe 
che  si   celebrano   ne' gioì  ni  di    lavo- 
ro sono   parimenti  permesse,  perchè 
esse   rappresentano   il  sagrifizio  per- 
petuo  della    sinagoga,   e   perchè   gli 
apostoli   ficevano     tutti    i    gioini   la 
frazione   del    pane,     che   significa    la 
celebrazione  della  divina  Eucaristia. 
3."    Le  messe    che    si     applicano  a 
qualche     persona     particolare     sono 
altresì   permesse,  del   pari  che  i  sa- 
grifizi    i     quali    si     olFrivano     nella 
legge  mosaica   pel   principe,  pel   sa- 
cerdote, o   per    altre   persone  parti- 
colari; esse  non  escludono  le  altre, 
e  tutti   vi    partecipano.  4-"    ^on   vi 
è  legge   né  ragione  che  proibisca  al 
sacerdote  di  celebrar  la  ujessa  senza 
altio  assistente  che    il   proprio    do- 
mestico:  non   tutu    credono   vere  le 
decretali     dei     Papi     s.    Anacleto    e 
s.   Solerò,   che   niun  sacerdote  dices- 
se  messa  senza   l' assistenza  uhneno 
di   due   persone,  cui  dire  il    Domi- 
inis    vohiscuvi     e     1'  Orale   fiatres. 
5."  Lo  slesso  dicasi   delle  messe  bas- 
se, che    si    celebrano  tulli   i  giorni 
ad   una    volta   o   successivamente  da 
molli  sacerdoti   a    diversi    altari  in 
una  stessa  chiesa.  6."  Le  messo  nel- 
le quali   il   succrdolc  solo  si  comu- 


MES 
ìiica  sono  pienamente  Icgillimc , 
perthè  sono  offerte  a  Dio  per  il 
popolo  dal  ministro  pubblico  della 
Cliiesa,  ciò  che  le  rende  in  fatto 
comuni,  e  perchè  la  comunione  sa- 
grameiitale  del  popolo  non  è  essen- 
ziale al  sagrifìziu  della  nuova  leg- 
ge, ne  comandata  ogniqualvolta  vie- 
ne offerta,  da  alcun  precetto  divi- 
no od  umano.  Il  Zaccaria  nell' ^/i- 
ii-Febronio  t.  I,  p.  VUI,  difende 
la  pluralità  delle  messe  private  con- 
tro i  protestanti  e  novatori,  e  loro 
pretese.  Prova  il  Sarnelli,  1.  IV, 
Jett.  XLIV,  che  i  Papi  per  giuste 
ragioni  riducono  gli  obblighi  della 
celebrazione  di  molle  messe  pi  iva- 
te, ma  sono  più  parchi  nella  ri- 
duzione delle  solenni,  perchè  di  que- 
ste maggiore  n'  è  il  valore  ed  il 
flutto. 

Per  diritto  comune  non  si  deve 
celebrare  la  messa  prima  dell*  au- 
rora, perchè  la  legge  che  determi- 
na r  ora  del  sagrillzio  si  ritiene 
importantissima  in  tutti  i  luoghi 
ne'  quali  è  in  vigore.  In  Francia  e 
in  altri  paesi  settentrionali,  duran- 
te l' inverno  s'  incomincia  la  messa 
molte  ore  prima  dell'aurora  o  del 
crepuscolo,  usanza  nota  ai  vescovi, 
e  non  proibita.  Si  può  fare  lo  stes- 
so in  tulli  i  tempi  e  i  paesi,  sia  per 
duimìnistrare  il  viatico  ad  un  am- 
tiialalo,  sia  quando  una  causa  pub- 
Mica  lo  esige.  JN'on  è  permesso  di 
celebrare  la  messa  dopo  l'ora  del 
mezzogiorno,  non  inleso  però  ma- 
terialmenle ,  ma  moralmeule  per 
quel  tempo  che  non  se  ne  allonta- 
na di  mollo.  Si  deve  quindi  rispet- 
tare r  uso  stabilito,  od  almeno  tol- 
lerato dai  legìttimi  superiori.  E  proi- 
bito di  celebrare  nel  venerdì  sunto, 
perchè  la  Chiesa  non  vuole  che  si 
immoli  misticamente  il  divino  A- 
guello,    in    quel  giorno    ìu  cui    essa 


MES  271 

ce    lo  rappresenta  come    realmente 
immolato  sul  Calvario.    1    Papi  non 
permettono    se    non    che    una    sola 
messa    nel    giovedì    e    nel    .sabbato 
santo;    in    alcune    diocesi    si    suole 
celebrare.    Su  questo   punto    e    sul 
\enerdì    santo    va    letto    quanto  si 
disse    nel   voi.    Vili,  p.    289,   290, 
291,   3i3,    317,    e    IX,    p.    8   del 
Dizionario,    ove     si    parlò    ancora 
delle    tre  messe    che    dicevansi    nel 
giovedì  santo.   11  Papa    s.    Innocen- 
zo   1     confermò    la    tradizione    per 
cui   la  chiesa   nel  venerdì   e  sabbato 
santo  si  astiene  dal   sagrifìzio  della 
messa,  tranne  quelle  della   funzione 
e  della  comunione,   in  memoria  ed 
esempio  degli    apostoli,  i    quali   nei 
due  giorni     perseverarono  mesti    in 
digiuno  :    s' intende    che  quella   del 
venerdì   santo  non    è   propriamenfe 
sagrifìzio,   ma  comunione  del  sacer- 
dote.  Osser\a   il  Macri,  che  i   greci 
ne' giorni    feriali    di   quaresima,  ec- 
cettuando   i  sabbali,     celebrano    la 
messa    Praesanclificalorunt ,   perchè 
non  consagrano,   ma  solo  consuma- 
no l'Eucaristia  consagrata   nella  do- 
menica, come  fanno  i   latini  nel  ve- 
nerdì   santo    di     quella    consagrata 
nel  dì  precedente,  e  ciò   per  segno 
di  mestizia,  come  definì   il  VI    sino- 
do.  Aggiunge  il   jVlucri,  che  la  chie- 
sa   and:)rosiana   non    celebra    messa 
ne'  venerdì  di  quaresima,    e  che  la 
chiesa   latina  sino  al  700  non  cele- 
brava nel  tempo  quaresimale,    tran- 
ne le  domeniche,  i  sabbati  e  la  fe- 
sta dell'Annunziala.  Quanto  al  sab- 
bato santo    riferisce   lo    stesso    Ma- 
cri,  che  la   messa  celebravasi   antica- 
mente al  comparire  della  prima  stella. 
Anticamente    un    solo     sacerdote 
celebrava   molle  n)esse  in    un  gior- 
no:  tutta  volta   s.  Alessandro  I,  elet- 
to   nel     121    avea    ordinato     che    i 
sacerdoti  non  potessero  celebrare  più 


l'ji  MES 

più  d'una  messa  al  giorno;  ciò  fu  os- 
servato sino  as.  Adeodato  1  del  6  i  5, 
il  quale  permise  die  i  sacerdoti  ceie- 
l)rassero  ogni  giorno  nella  slessa  chie- 
sa due  messe,  avendo  s.  leeone  I  del 
44o  concesso  altrettanto  in  caso  di 
necessità  pel  notabile  accrescimento 
de'fedeli,  i  quali  non  potevano  tut- 
ti entrare  in  una  chiesa.  Il  Papa 
s.  Leone  Ili  per  divozione  so- 
leva celebrare  sino  a  nove  volte 
il  giorno  la  messa;  ed  il  concilio 
Salegustadiense  ordinò  che  niun 
sacerdote  eccedesse  il  numero  di 
Ire  messe.  Ma  Alessandro  li  nel 
io63  comandò  che  i  sacerdoti  ce- 
lebrassero una  sola  volta  il  giorno  ; 
pei"ò  nulla  dispose  sopra  )'  uso  di 
celebrare  in  un  sol  giorno  la  mes- 
sa pei  defunti,  ed  allra  per  la  fe- 
sta corrente,  ciò  che  a  poco  a  po- 
co andò  in  disuso.  Dallo  scarso  nu- 
mero de'  sacerdoti  ne'  primi  secoli, 
nacque  il  costume  di  potersi  cele- 
brare più  messe  nel  medesimo  gior- 
no, quindi  verso  il  secolo  Xll  fu 
ciò  limitato  a  certi  giorni  più  so 
lenni.  Dimostra  il  Bona,  Rer.  li- 
(nrg.  lib.  I,  cap  tS,  n.  6,  che  il 
giorno  della  Circoncisione  del  Si- 
gnore cclebravansi  due  messe,  una 
dell'ottava  della  Natività,  l'altra 
della  Madonna  ;  Ire  nel  giovedì 
santo  (  due  se  ne  dicevano  nell'A- 
frica, una  la  mattina,  l'altra  la  se- 
ta dopo  cena);  e  due  nella  vigilia 
e  festa  dell'  Ascensione.  Anche  Giu- 
seppe Visconti ,  De  anticj.  luìssae 
rilib.  lib.  Ili,  cap.  28,  riporta  del- 
le testimonianze  per  provare  che 
più  messe  dicevansi  nelle  feste  di 
Pasqua,  de'  ss.  Pietro  e  Paolo,  di 
s.  Giovanni  apostolo,  di  s.  Giovan- 
ni Battista ,  di  s.  Lorenzo,  di  s. 
Marco  e  di  s.  Vittore.  Finalmente 
Innocenzo  III  del  1198,  col  cap. 
Consuluisli,  3.  de  celcbr.  Miss.,  pre- 


MES 
scrisse  che  in  avvenire  nessun  pre- 
te non  celebreiebbe  più  d'  una 
messa  in  un  giorno,  eccettuata  la 
festa  di  Natale  ed  un  caso  di  ne- 
cessità, e  questa  regola  divenne  leg- 
ge per  tutta  la  Chiesa.  A  s.  Tele- 
sf'oio  Papa  del  1^1  si  attribuisce 
l'ordinamento  che  si  celebrassero 
da  ciascun  sacerdote  tre  messe  nel- 
la notte  di  Natale,  nessuno  però 
celebrare  potesse  fuori  di  questa 
solennità,  prima  dell'  ora  di  terza. 
Tuttavia  questa  introduzione  è  cer- 
tamente anteriore  a  s.  Telesforo, 
conie  dimostrano  il  Pagi  nella  sua 
vita,  il  Fiorentini,  Exercit.  2,  e  Be- 
nedetto XIV,  Defislis  D.  N.  J.  C. 
p.  4'^-  A  tempo  di  s.  Gregorio  1 
è  indubitato  1'  uso  della  celebrazio- 
ne delle  tre  messe  nella  notte  di 
Natale;  ma  la  prescrizione  dell'ora 
di  terza  non  cominciò  che  da  s. 
Damaso  I.  Danno  i  lilurgi  per  si- 
gnificato a  queste  tre  messe,  che 
Cristo  nacque  per  quelli  che  visse- 
ro nella  legge  naturale,  nella  scrit- 
ta e  nell'  evangelica.  Altri,  che 
quella  che  si  canta  di  notte  dopo 
il  Te  Deiini,  ramtnemora  l'eterna 
generazione,  prima  d'  ogni  altra 
creatura,  e  lo  stato  avanti  la  legge 
in  cui  stavano  nelle  tenebre;  la 
seconda  che  dicesi  all'  aurora,  es- 
prime il  tempo  sotto  la  legge,  in 
cui  già  s' incominciava  a  conoscere 
Cristo,  ma  non  pienamente;  la  ter- 
za che  si  dice  di  giorno  indica  il 
tempo  della  grazia,  e  pubblica  la 
nascila  temporale  del  Salvatore.  Il 
Pouget,  Inslù.  calhol.  t.  I,  p.  8i4> 
ha  creduto  che  con  questi  tre  sa- 
grifizi  vengano  indicate  le  tre  na- 
scite di  Gesù  Cristo:  la  prima  nel- 
r  utero  di  Maria,  la  seconda  nell'a- 
nima de' giusti,  la  terza  nel  seno 
del  Padre.  Nelle  chiese  gallicana, 
spagnuola  ed   ambrosiana,    come  si 


MES 
è  sempre  usato  anche   nella  greca, 
una    sola  messa  dicevasi    in  questo 
giorno.  Ma  nelle  Gallie  nel  "VI  se- 
colo celebravansene  due  da  ciascun 
sacerdote  ;  e  quando  da  Carlo  Ma- 
gno fu  ammesso    l'ordine  romano, 
s' introdusse  l' uso  generale    di  dir- 
ne   tre  nello  stesso  altare,  costume 
ammesso  pure  nelle  Spagne  nel  se- 
colo XIV,    e  nel    XV   anche    nella 
chiesa  di  Milano.    Erasi    in    alcune 
chiese  introdotto  l'uso,  che  alcuni  sa- 
cerdoti .nella  notte  di  Natale  dices- 
sero tutte  tre  le  messe  e  Vi  comu- 
nicassero i  laici  :  Clemente    XI   or- 
dinò   nel     1 702     che     in    ciascuna 
chiesa    da  un  solo    sacerdote  si  di- 
cesse una  sola  messa,  per  celebrare 
le  altre  due  ad  ora  competente  sta- 
bilita dalle  generali  rubriche,  e  che 
in  essa  senza  particolare  licenza  non 
si    potesse  somministrare    la  comu- 
nione, per  ovviare  ad  inconvenienti 
talvolta    accaduti.    Benedetto    XIV 
dichiarò  che  gli  armeni  di  Livorno 
non    potevano  celebrare   tre  messe 
nella  festa  di    Natale,  essendo  que» 
sto    rito  unicamente    e    solo    della 
chiesa  latina.  Abbiamo  dal  p.  Giu- 
seppe INlaria    Manni  :  Lellera    nella 
quale  si  dimostra  che  non  è  lecito 
ad    ogni    sacerdote     celebrare    la 
messa    privata    nella   notte    del    s. 
JS'atale.    Dissert.    YIII,    t.    XII,  di 
quelle    del     Zaccaria.     I    sacerdoti 
debbono  celebrare  le  tre  messe  do- 
po r  aurora  ;  il  celebrarne  tre  è  di 
privilegio^  non  di   precetto;    né  tì 
è    alcun  precetto    della  Chiesa    che 
comandi     di  ascoltare     più  di  una 
niessa  in  questo  giorno,  ed  i  sacer- 
doti possono  dirne  una  o  due,  ben- 
ché  chi  lo  può  fare,   e  sono  quasi 
tutti,  ne  celebrano   tre  in  ossequio 
del  gran  mistero  e  solennità.     l'aè- 
di Natale.  A  questo  articolo  il  Di- 
clich    neir  opera    citata,    riporta    le 

VOI.    ILIY. 


MES  273 

diverse  rubriche  sulla  celebrazione 
di  una,  due  o  tre  messe.  È  noto 
che  il  sacerdote  che  celebra  le  tre 
messe,  nelle  due  prime  non  può 
prendere  l' abluzione,  come  non  la 
prende  il  Papa  nelle  due  prime 
messe  benché  vi  corra  lungo  spazio 
di  tempo  da  una  all'  altra.  L'  ablu- 
zione egualmente  non  si  può  pren- 
dere da  quel  sacerdote  o  missiona- 
rio che  per  necessità  deve  celebra- 
re più  volte  in  un  giorno;  così  il 
cardinal  Toledo  lib.  i ,  cap.  3  ,  n. 
5.  Delle  tre  messe  che  nella  Spa- 
gna e  Portogallo  si  celebrano  nel- 
l'anniversaria Commemorazione  de' 
fedeli  Defunti,  se  ne  parla  al  primo 
articolo ,  mentre  nell'  altro  e  in 
quello  di  Funerali^  si  riportano  al- 
tre notizie  sulle  messe  de'  morti. 
Celebrando  s.  Bernardo  la  messa  in 
suffragio  del  defunto  cardinal  Albe- 
rico cisterciense,  giunto  all'  orazione 
de'defunli,  la  cambiò  con  quella  dei 
santi  confessori,  persuaso  che  non 
avesse  bisogno  de'  suffragi  che  si 
fanno  a'  morti.  Mentre  il  corpo  di 
s.  Filippo  Benizi  stava  esposto  pri- 
ma di  seppellirsi,  per  divina  ispi- 
razione gli  fu  celebrata  la  messa 
non  da  morto,  ma  quella  propria 
de'  santi  confessori.  Il  p.  Menochio, 
Stuore  t.  II,  cent.  Vili,  trattò  nel 
cap.  LXXI  :  Se  sìa  lecito  farsi  di- 
re le  messe  di  requiem  mentre  si 
è  vivo  e  sano.  Il  Muratori  nella 
dissert.  LVi  parla  delle  messe  pei 
defunti,  loro  antichità,  e  quando 
cominciassero  ad  essere  applicate 
per  certe  determinate  persone. 

Non  avvi  alcun  luogo  determi- 
nalo dal  diritto  naturale  o  divino 
per  la  celebrazione  del  sacrifizio 
dalla  messa;  da  ciò  ne  consegue, 
che  gli  apostoli  ed  i  loro  primi 
successori  rompevano  il  Pane  sa- 
cro dovunque  lo  potevano,  m  un 
18 


274  MES 

campo,  in  un  deserto,  in  un  basti- 
mento, in  una  grolla^  in  un  ci  ni  ite- 
rio,  in  un  albergo,  in  una  prigione, 
anche  per  comunicare  i  confessori 
della  fede.  Ma  se  si  consulta  il  di- 
ritto ordinario  ecclesiastico,  non  si 
può  celebrare  la  messa  «e  non  nel- 
le Chiese  consecrate  dal  vescovo,  o 
benedette  col  suo  permesso  dal  sa- 
cerdote, o  per  lo  meno  nelle  Cap- 
pelle o  Oralorii  domestici  col  bene- 
placito del  legittimo  superiore,  pel 
quale  la  santa  Sede  ne  concede  lo 
indulto,  avendo  dichiaralo  il  conci- 
lio di  Trento,  che  il  solo  l'apa  può 
concedere  V  Aliare  portatile.  11  Pa- 
pa s.  Felice  I  ordinò  ovvero  con- 
fermò l'uso  di  celebrare  le  messe 
sopra  i  sepolcri  àQ  Martiri  [P^edi), 
chiamali  Memorie,  ovvero  che  si 
mettessero  le  loro  reliquie  sotto  gli 
altari,  sui  quali  soltanto  doveasi  ce- 
lebrare, come  ordinò  s.  Sisto  li. 
]\el  primo  luglio  i652  comandò 
Innocenzo  X  che  nessun  cardinale 
possa  celebrare  all'altare  papale  del- 
la basilica  Vaticana,  se  non  avrà 
consegnato  ai  canonici  altarisli  della 
basilica  il  breve  di  poter  ivi  celebra- 
re anche  in  occasione  di  Cappella 
pontificia  [Fedi).  Ivi  ed  altrove  di 
ciò  parlammo,  come  di  egnal  con- 
dizione pegli  altari  papali  delle  basili- 
clieLateranense,  Liberiana  ed  Ostien- 
se. Si  può  qualche  volta  celebrare 
la  messa  fuori  de'  luoghi  destinati 
a  tale  uso,  e  ciò  avviene  quando 
una  chiesa  è  o  innondala,  o  con- 
sumala dal  fuoco,  o  minacciante 
rovina,  e  quando  in  mancanza  di 
chiesa,  o  di  chiesa  proporzionata 
alia  moltitudine  de' fedeli,  bisogne- 
rebbe che  un  buon  numero  di  essi 
perdesse  la  messa.  Egli  è  perciò 
che  ài  celebra  in  aperta  campagna 
per  le  truppe  militari,  quando  l'u- 
so, per  buone  ragioni,  ha  derogato 


MES 
alla  legge.  Così  viene  olferto  il  sn- 
grifi/.io  neir  appartamento  de'cnr»:!- 
nali,  prelati,  principi  ed  altri  signo- 
ri dinante  la  loro  malattia,  e  do- 
po la  loro  molle  come  si  disse  a 
J'uNER\Li  e  in  altri  luoghi.  E  per- 
ciò anche  i  cardinali  ed  i  vescovi 
hanno  diritto  di  far  celebrate  la 
messa  dovuii(|ue  essi  si  trovano.  Si 
può  celebrare  la  messa  sul  mme 
quando  siavi  bonaccia  ed  il  cielo  se- 
reno, e  ciò  dai  tempi  i  più  remoti, 
con  pontificia  licenza,  per  l'antico 
uso  di  portare  l'Eucaristia  nelle 
navigazioni,  come  si  legge  nel  p. 
Menochio,  Stilare  t.  11,  cent.  VI, 
cap.  -26  :  Se  .si  posta  dir  messa  in 
mare:  dell'uso  dt^ll' altare  portatile 
concesso  nelle  navigazioni  all'ordine 
Gerosolimitano  (Fedi),  li  Sarnelli 
poi,  Leti.  eccl.  ì.  X,  lei.  XClll  : 
Della  messa  detta  secca  ad  uso 
de' naviganti,  dice  eruditamente  che  ' 
è  quella  che  si  suol  dire  nelle  na- 
vi senza  consacrare  la  ss.  Eucaristia, 
senza  pianeta  e  manipolo,  per  sod- 
disfìue  insieme  alla  divozione  de'na- 
viganti,  e  per  non  mettere  a  peri- 
colo o  che  il  vento  si  porti  via 
r  ostia  consecrata,  o  che  si  versi  il 
sangue  del  Signore.  La  messa  sec- 
ca o  nautica ,  navale  o  di  navi- 
gazione, ha  le  sue  cerimonie  asse- 
gnate dal  Navarro  e  prescritte  nel 
libro  sacerdotale  Ir.  4»  e.  33,  ap- 
provato da  Leone  X,  in  cui  si  om- 
mettono  diverse  orazioni  proprie 
del  santo  sagridzio.  Siccome  siftatte 
messe  furono  riprovate  da  alcuni 
concini,  come  quelle  chiamate  dei 
cacciatori  o  venatorie,  perchè  delle 
in  fretta,  così  molti  teologi  conven- 
gono che  le  messe  nautiche  non 
devono  essere  tollerate,  e  solo  il  ve- 
scovo può  permetterle  pei  viaggi  di 
mare  soltanto,  o  tulio  al  più  per 
la  cousoiazioae  d'  uu  ammalato.  E'] 


MES 
il  Mani  parlnndo  de  Jìlis.<a  sicca, 
rifilile  die  in  Tctiosa  si  celtbiava 
(jiiiiiido  si  seppelliva  alcun  clffniilo 
nel  dopo  pranro,  quindi  liporla  il 
cei  ini(/nialc  di  lai  nics'a.  JNon  si 
può  celelirare  la  messa  né  in  una 
chiesa  profanata  o  pollula,  né  in 
altra  chr  fosse  stala  inlcidelta,  o 
che  fosse  divennla  esecrata,  anche 
se  r  an)]>liazione  supera  il  piincipa- 
le  :  nei  quali  casi  \i  sono  moltissi- 
me diviinzioni  dichiarale  e  spiega- 
te dai  tiallatisli.  Oia  passiamo  ad 
accennate  quanlo  riguarda  gli  or- 
namenti e  le  allre  cose  necessarie 
per  ceUl.raie  la  messa. 

Gli   onianienli  o    palamenti    coi 
quali   liu  sacerdote  celebra   la  mes- 
sa,   sono  X  Amino,    il     Camice,    il 
Cìngolo  ,  il   Manipolo,  la  Sfola,  la 
Pianeta    (Pedi).  Questi    ornamenti 
devono  essere  decenti  e  seno  lauto 
necessari  di  diiillo  ecclesiastico   per 
la  celebrazione  della   Oìessa,    che  si 
peccherebbe  mortalmenle  celebran- 
dola senza  averli,  e  se  non  fossero 
benedetti   o  dal  vescovo,    o    da  un 
prete  da  lui  incaricato;  ma  i  rego- 
lari  possono  benedire  gli  ornamen- 
ti  o  paramenti  per   le    loro  chiese. 
Devesi  il  sacerdote  vestire  in  sagre- 
stia   ed    alla    credenza ,   mentre  in 
loro    mancanza     si   vestirà     da    un 
canto  dell'aliare  dalla  parie    dell'e- 
vangelo:  portandosi  all'aliare  e  par- 
tendone usa    la   Berretta  [Vedi) ,  e 
diversi  regolari  si    cuoprono  il    ca- 
po con  l'amillo.    11    diritto   di   ve- 
stirsene   nel    mezzo    dell'altare    ap- 
partiene ai   soli  caidinali  ed  ai   ve- 
scovi, non  che  a  quelli  che  l'hanno 
per  privilegio,  ovvero  ai  prelati  in- 
feriori quando  uflìziano    pontifical- 
mente :  il  Papa  se  celebra  privata- 
mente  fa  altrellanto,  ma   se  ponti- 
ficalmente   prende    i    paramenti    in 
trono.  Le  altre  cose  necessarie  per 


MES  275 

la    celebrazione    della     messa     sono 
Y Aliare,   le    Tovaglie,  In    Croce  col 
C^roeefìsso,  i  CandtUieri  colle  Can- 
dele, il  Calice  colla  Patena,  il  Cor- 
porale,   la    Borsa,    il    Purijìcalore, 
la  Palla,  V Ostia,  il  Vino,  V  Acqua 
(  dice  il  Macri,    che   può   il   sacer- 
dote Ialino  nelle  chiese    greche,  in 
quei  paesi    dove   non    ve   ne   sono 
latine,  celebrare  messa  col  pane  fer- 
mentalo,   come    anco    il    sacerdote 
greco  trovandosi  tra'  latini  ove  non 
sieno  chiese  greche,  consecrare  con 
l'azimo),  il  Messale,  il  Campanello, 
ed  il  servente  o  ministro.   Chierico 
o  Laico  {Vedi).  Il   Diclich    all'ar- 
ticolo Ministro  della  messa  priva- 
ta, dice  eh'  esso  vi   dev^essere  sem- 
pre presente,  e  senza  non   si    deve 
celebrare,  fuori   del  caso    di    neces- 
sità, come  sarebbe    cjuando   si    do- 
vesse amministrare    il    viatico  a    sé 
medesimo  o  ad  un  infermo,  o  che 
urgesse  il  precetto    di    ascoltare    la 
messa  ;  ed  allora,  perchè  il  popolo 
non  rimanga  senza,  o  per  compire 
il  sagrifìziogià  inoltrato,  benché  non 
ancora  giunto    al    canone,    quando 
il  servente    avesse    abbandonato    il 
sacerdote  all'aliare,    in    questi    casi 
il  sacerdote    dovrà    rispondersi,  ma 
air  Orate  Jratres    dirà  :    Siiscipial 
Dominiis    sacrìficiuni    de    manihii.t 
meis,  ec.    La  donna  poi    non    può 
amministrare  le  Ampolle  (Vedi)  col 
vino   e  r  acqua,  perché  ciò  è  proi- 
bito dal  gius  canonico,  lib.   3    De- 
crei.    tit.    1  ;    e    dalla    rubrica  del 
Messale  par.   3,  tit.    io;  onde  ogni 
consuetudine  in  contrario  è  un  de- 
testabile   abuso.    Potrebbe    però  la 
donna,  lungi  dall'altare,  rispondere 
al   sacerdote,  come  vuole   Alozz   in 
Àlphah.  morali,  verb.  Missa,  sect. 
3,  n.  67,  e  comunemente  i  dotto- 
ri.   Similmente    amministrando    un 
uomo  all'altare,  può  rispondere  una 


276  MES 

monaca  dal  coro,  giacché  le  religio- 
se Io  fanno  in  una  gran  parte  del 
sagrifìzio ,    e    ciò  non     è    proibito 
da  alcuna    legge,    come    insegna  il 
cardinale   de    Lugo ,    De    Euchar. 
disp.  20,   sect.   14,  n.   102.    Nelle 
Leu.  eccl.  scrisse  il  Sarnelli  la  leti. 
XXVI,    t.  VI  :   Se   il  laico  debba 
ammettersi  per  ministro  al  sacerdo- 
te che    celebra    privatamente.    Egli 
pertanto  dice,  che  alla    messa    pri- 
vata basta  un  solo  ministro,  come 
insegna  s.  Tommaso;  che  agli  ere- 
miti rinchiusi    non    è     lecito    cele- 
brare la  messa  soli,  e  senza  mini- 
stro, ma  vi   si   richiede    la    licenza 
del  Papa,  uè  osta  che  dica    le  co- 
se in    plurale,    come    il    Doniiaus 
vobiscuni,  perchè  queste   parole  ri- 
guardano tutta  la  Chiesa;  che  que- 
sto ministro  debba    essere    chierico 
è' chiaro  nel  cap.  Proposuit,  de  fi- 
liis  presbyt.^  dove  si  parla  del  chie- 
rico; in  mancanza  però    del    chie- 
rico può  supplire  il  laico,  e  di  fat- 
to cos\  praticasi  per  tutto,  che  uo- 
mini di  voti    si  lascino    servire    al 
sacerdote  che  celebra  privatamente, 
tanto  più   atti    quanto  più    nobili, 
essendo  inconveniente  che  fanciulli 
e  uomini  inetti  e  vili,  senza  alcun 
senso  di  pietà,  e   senza    affetto    del 
cuore,  come  pappagalli   e    scimmie 
rispondino,  non  attendendo  a  quel- 
lo  che   si     fa    dal    sacerdote    nella 
funzione  la  più  augusta.    Quindi    i 
laici  più  civili  non  debbono  vergo- 
gnarsi di  servire  alla  messa  ;  perciò 
il  SarneUi  riporta  non    solo    gli  e- 
sempi  che  ogni  sabbato  serviva  mes- 
sa Sebastiano   re    di    Portogallo,  e 
più  volte  all'anno    il  doge    di  Ve- 
nezia ;  ma    ancora  e    con    ragione, 
perchè  un  tal  ministero  è  angelico, 
e  di  gran  conforto  all'anima  di  chi 
divotamente    l' esercita,    venne  più 
volte   supplito    dagli  angeli,   e    ne 


MES 
produce  le  circostanze.  Che  giova  a 
ringraziare  Dio  de'benefizi  ricevuti, 
il  Sarnelli  ne  riporta  gli  esempi, 
come  del  Baronio  che  quando  ter- 
minava qualche  tomo  degli  Annali, 
s,  Filippo  Neri  gì'  imponeva  per 
rendimento  di  grazie  a  Dio,  di  ser- 
vire trenta  volte  la  messa.  Il  Sar- 
nelli avverte  i  laici  che  rispondo- 
no alle  messe,  che  siano  in  abito 
decente  senza  guanti,  di  edificazio- 
ne agli  altri  pel  contegno  divoto 
e  dilìgente  in  un  oflicio  tanto  im- 
portante. Nel  t.  IX  poi  ci  dà  la 
lett.  XI  :  Se  il  laico  che  vuole  ser- 
vire la  messa  deve  lasciar  la  spa- 
da. Risponde  affermativamente  per 
più  ragioni,  le  principali  essendo 
che  quando  i  re  e  gl'imperatori 
vengono  benedetti  e  coronali,  do- 
po eh'  è  stata  loro  benedetta  e 
cinta  la  spada,  la  depongono  alla 
comunione  ;  che  diversi  concilii 
vietarono  portarsi  le  anni  in  chie- 
sa, massime  in  tempo  di  messa,  of- 
frendosi ai  re  pacifico  sagrifizio  di 
pace. 

Dicemmo  che  la  prima  cosa  per 
la  celebrazione  della  Messa  è  V Al- 
tarej  oltre  quanto  di  esso  trat- 
tammo al  suo  articolo,  a  Lwandi 
dell' A.I.TARE  e  ad  altri,  qui  accenne- 
remo alcune  erudizioni  sugi'  impo- 
tenti a  celebrarvi.  Il  martire  s. 
Luciano  detenuto  con  molti  cristia- 
ni in  carcere  nella  persecuzione  di 
Massimiano,  nella  festa  dell'Epifania 
celebrò  la  messa  steso  per  terra, 
usando  del  suo  petto  per  mensa 
dell'altare.  Abbiamo  dal  Rinaldi, 
che  s.  Paolino  celebrò  la  messa 
stando  a  letto  infermo,  e  vicino  a 
morte.  S.  Ermicola  celebrava  il  sa- 
crifizio sulle  mani  de'  diaconi,  ser- 
vendosene in  luo£jo  d'altare.  S.  Ta- 
rasio  patriarca  di  Costantinopoli 
sagrifioava     appoggiato      col     petto 


MES 
aj  una  mensa  tli  legno,  che  faceva 
mettere  dinanzi  all'  altare.  S.  Ivo 
non  potendosi  reggere  in  piedi,  ce- 
lebrava sostenuto  da  alcuni  assistenti 
d'ambo  le  parti.  Giovanni  Vili 
concesse  la  facoltà  di  cantare  la 
messa  ad  Incmaro  vescovo  Laudu- 
iicuse  accecato  a  grave  torto.  Onorio 
IV  era  talmente  molestato  dalla  po- 
dagra e  chiragra ,  che  non  pote- 
va celebrare  la  messa,  se.  non  aiu- 
tato da  certi  istrumenti,  che  gli 
movevano  ie  mani.  Pio  II  non 
potendo  stare  in  piedi,  gli  fu  con- 
gegnato un  ordegno  per  celebrare 
(juasi  sedendo.  Pio  III  impossibi- 
litato egualmente  a  stare  in  piedi, 
eletto  Papa  fu  ordinato  sacerdote 
sedendo.  Giovanni  Henna  \escovo 
veneziano,  siccome  pativa  di  poda- 
gra che  gli  impediva  slare  in  piedi. 
Paolo  III  con  bolla  de'  6  giugno 
f538,  l'autorizzò  a  celebrare  sopra 
una  sedia  fatta  in  modo  che  sem- 
brava stasse  in  piedi.  Per  lo  stesso 
incomodo,  con  bolla  de'  27  settem- 
bre i566,  concesse  s.  Pio  V  al 
cardinal  Francesco  Ferreri  di  poter 
celebrare  sedendo  nel  suo  oratorio 
privato,  alla  presenza  de'  soli  suoi 
liunigliari  .  Travagliato  Benedetto 
XIV  spesso  dalla  podagra,  onde 
non  poteva  camminare  né  slaie  in 
piedi,  e  vedendosi  costretto  a  non 
poter  celebrare  e  solo  comunicarsi, 
considerando  i  surriferiti  esempi, 
e  che  il  Pontefice  ricevendo  i  sacri 
oixlini  siede,  e  che  anticamente  si  co- 
municava sedendo,  cjuindi  sembran- 
dogli inconveniente  che  il  Papa  non 
celebrasse,  per  soddisfare  alia  pro- 
pria pietà,  col  breve,  Aestas  anni, 
degli  II  ottobre  1757,  Bull.  Magn. 
t.  XIX,  Appena.  Il,  p.  3,  ordinò 
a  monsignor  Reali  prefetto  delle 
cerimonie,  che  gli  preparasse  un 
altare    in    tal    forma  eoAlrullo,  che 


MES  277 

sedendo  vi  potesse  celebrare  la 
messa.  Come  celebrano  i  Pontefici 
solennemente,  se  ne  tratta  a  Cap- 
pelle Pontificie,  come  privatamen- 
te a  Cappellani  comum  del  Papa, 
Cappellani  segreti  del  Papa,  Mae- 
stro DI  CAMEBA  DEL  PaPA  ,  ed  bUi'Ì 
relativi. 

Le  cerimonie  della  messa  consi- 
stono nelle  azioni  e  nelle  parole  , 
delle  quali  le  une  si  riferiscono  a 
DiOj  come  le  genuflessioni,  gì'  in- 
chini, l'alzare  le  mani  e  gli  occhi; 
altre  al  sagrifizio  stesso,  come  l'e- 
levazione, la  frazione,  la  comme- 
stione dell'ostia;  altre  al  celebran- 
te, come  il  lavar  le  mani,  il  bat- 
tersi il  petto;  altre  al  popolo,  come 
la  salutazione,  il  licenziamento  ;  al- 
tre alla  maniera  di  celebrare  la 
messa,  come  il  canto  e  gì'  istro- 
menli  ;  altre  finalmente  hanno  rap- 
porto a  molte  cose,  come  i  segni 
di  croce,  gl'incensamenti,  ce.  Tutte 
queste  ed  altre  cerimonie  usate  nel 
sagrifizio  della  messa  sono  degne 
de'  piti  giusti  elogi,  antichissime  e 
fondate  per  la  maggior  parte  sopra 
le  diverse  scritture,  tanto  dell'  an- 
tico, che  del  nuovo  Testamento,  e 
comunissime  ne' sacri  libri;  così  a 
buon  diritto  che  la  Chiesa  ha  con- 
sacrato questa  sorte  di  cerimonie, 
ordinando  che  sarebbero  elleno  im- 
piegale negli  uffizi  pubblici,  e  prin- 
cipalmente neir  augusto  sagrifizio 
della  messa.  Dal  che  ne  deriva,  che 
un  sacerdote  il  quale  omraette  vo- 
lontariamente qualche  cerimonia 
della  messa ,  commette  un  peccato 
grave  di  sua  natura,  ed  il  quale 
non  diventa  veniale  se  non  per 
Tinnaverlenza  o  per  la  parvità  del- 
la materia.  Ben  conoscendo  la  Chie- 
sa r  eccellenza,  il  merito  ed  il  gran 
valore  di  questo  divin  sagrifizio,  stu- 
dìosaiucule  s'ingegnò   dì  celebrarlo 


ayS  MES 

degnamente,  e  per  dcgnainenle  ce- 
lebrarlo non  solo  adornò  la  santa 
iiKiSsa  di  vali  riti  e  cerimonie,  ma 
eziandio  di  molle  orazioni  e  parli, 
lutle  contenenti  altissimi  signiOcali 
e  profondi  misteri.  Il  concilio  di 
Trento  fulminò  anatema  a  chi  ar- 
disse di  asserire,  che  le  cerimonie 
che  la  Chiesa  usa  nel  santo  sagrifi- 
zio  dell'  altare,  piuttosto  che  offici  di 
pietà,  sieno  cose  spregevoli. 

Sono  diversi  i  pareri  de'santi  dot- 
tori circa  la  formola    o  modo  con 
cui  fu  celebrata  la  prima  messa.  Al- 
cuni stimarono,  che  oltre  le  parole 
essenziali  per  la  consacrazione  pro- 
nunziate dal  Salvatore,  gli  apostoli 
premettessero   molte    e  lunghe  pre- 
ghiere per  ottenere  la  grazia  di  be- 
ne e    santamente    pronunziarle,  ol- 
tre  l'aggiunta    dell'epistola    e  del- 
l' evangelo.   Altri  stimano  che  sola- 
mente si  recitasse  il  Pater  nosler  o 
orazione    domenicale,  e   di  tal  pa- 
rere fu  s.  Gregorio  I,  fondato  nel- 
1' antica    tradizione,  ed  altri;  né  a 
ciò  contraddicono    le    lunghe  Inur- 
bi e  di  s.  Giacomo    e    di  s.  Marco, 
poiché  poterono  quelle  usarsi  quanr 
do  la  comodità  e  il  tempo   lo  per- 
metteva. Se  tale  orazione  si  dices- 
se avanti    q  dopo  la  consacrazione 
è  incerto;     però  è  indubitalo     che 
s.  Gregorio  I  ordinò  che  si  dicesse 
dopo  la  consacrazione,  essendo  più 
convenevole  che  si   chiedano  a  Dio 
grazie  quand'egli  è  realmente  pre- 
sente   nell'ostia    consacrata.     11     p. 
Maraachi,    Da'  costumi   de  priinilwi 
i:risliani    t.   II,  p.   72   e  seg.    parla 
del  sagrifizio  della    messa  de'  primi 
tejnpi  della  Chiesa,  e  ne  spiega  le 
parti.  All'orazione  domenicale  vuoi- 
si che  s.  Lino  immedialo  successo- 
re di  s.  Pietro  aggiungesse    il    Coni- 
niuuìcanles j  che  s.    Clemente  J  sia 
r  autore    del   Canone  e  del     saluto 


MES 
Dorninus  vobiscum  ;  che  s.  Alessan- 
dro I  ordinasse  che  si   leggesse  nel- 
la messa     la  epistola  e    il    vangelo, 
e  che   nella  selli mana  santa  si   leg- 
gessero  le   passioni    o  Passio  ;     che 
s.   Sisto  i  prescrivesse    che   il  San- 
ctus il   popolo  Io  cantasse  col  cele- 
brante ;  che  s.   Melchiade  istituisse 
[' Eulogie  o  distribuzione  del   pane 
benedetto;   che   Adriano  l  istituisse 
l'orazione  per  il  re  di  Francia,  nel- 
la messa  che    i    Papi     celebravano 
nel    principio    di    quaresima,    onde 
questo  costume     venne  abbracciato 
dai    regni     cattolici  ,  ne'  quali   fino 
da  quel  tempo  i  sacerdoti  celebran- 
do la  messa  pregano  pubblicamen- 
te per  la  felicità  del  proprio  sovrano; 
che    s.  Celestino    1    introducesse  il 
salmo,  Inlroibo  ad  altare  Dei,    le 
antifone  dell'introito,  il  graduale,  il 
tratto,  l'offertorio  e  comunione  della 
messa;   altri  ciò  riferiscono  più  pro- 
babilmente a    s.    Gregorio  I,  inco- 
minciandosi ne'  primi  tempi  la  mes- 
sa col  recitare  l'  epistola  di  s.  Pao- 
lo   e  r  evangelo;    ma  di  queste  o- 
razioni  e    parti    della  messa,  come 
delle  altre,  meglio  è  vedersi    i    ri- 
spettivi articoli,  oltre  i  citati,  onde 
qui  noteremo  i  principali  {  parlan- 
dosene degli  altri    ai    relativi  ),  dai 
quali  si  potrà   vedere  l'  origine  suc- 
cessiva d'  ognuna     delle    orazioni  e 
riti,  che  dopo  il  segno  della  croce 
e  le  parole  Inlroibo  ad  aliare  Dei, 
il  salmo  Judica  me  Deus,  il  quale 
s.  Pio  V  lo  prescrisse  a  lutti  quel- 
li che  usavano   del     rito    romano, 
successivamente     hanno  luogo.   An- 
tifona,  Gloria  Pairi,   Confiteor,  In- 
troito, Kyrie,     Gloria    in    excelsis 
Deo,    Oremus,  Amen,  Colletta,  Epi- 
stola,   Projezia  ,     Deo  gralias.  Se- 
quenza, Inno,  Graduale,  Jube  Do- 
mine benedicere,    Evangelo,   Credo, 
Oblazione,    Offertorio,     Orale  fra- 


MES 

(rex,  Prcfazio,  Canone,  Sitnclus, 
Mtiìiento,  Comme/uorazinne,  Com- 
municnntes,  Elevazione,  Cninpann, 
Di'tiici  pel  memeiilo  de'  santi,  elei 
vivi  e  de' defunti,  e  pegli  offerenti; 
Pater  nosler,  Pax  Domini  sit  seni- 
per  i'obiscum,  Agnus  Dei,  Pace, 
Comunione,  Conununio  o  Posi-  Covi- 
tììunio  ,  Ite  viissa  est ,  Benedica- 
mits  Domino,  Benedizione,  Evan- 
gelio di  san  Giovanni  ,  Incensa- 
zione, Canto  ecclesiastico,'  Musica 
sacra.  Abbiamo  di  Remigio  Fio- 
rentino ;  Epistole  ed  evangeli  che 
si  leggono  lutto  l'anno  alle  messe, 
Torino  i83g.  Perle  messe  di  diversi 
riti  si  possono  vedere  i  loro  articoli, 
licitalo  Sarnelli,  t.  X,  lett.  XCVI  : 
Perche  la  s.  Chiesa  ha  proibito  la 
celebrazione  della  santa  messa  in 
volgare  ;  e  perche  ha  voluto  die 
alcune  orazioni  si  pronunziassero 
scgielaniente.  Fra  le  tante  ragioni 
che  riporta,  dice  che  spesso  un  lin- 
guaggio non  può  esprimere  i  sen- 
timenti dell'altro,  per  l' identità  dei 
sensi,  e  per  evitare  nocevoli  inter- 
pretazioni; per  impedire  che  i  sa- 
cri misteri  sieno  nella  favella  co- 
mune, e  perchè  la  maggior  venera- 
zione delle  cose  divine  nasce  dal 
«egieto,  il  quale  eccita  divozione. 
11  concilio  di  Tiento  dichiarò  ana- 
tema a  chi  dicesse  doversi  celebra- 
re la    nie>sa   in    volgare. 

Sonovi  delle  superstizioni  che  ri- 
gua ulano  le  messe  in  generale  , 
od  a'ictme  parti  della  messa,  ed  al- 
tre c*he  riguardano  qualche  ine-sa 
in  particolare.  lìenedello  XIV  con 
decreto  delhi  congregazione  del  s. 
ofììzio  dei  5  agosto  i745,  dichia- 
rò le  pene  contro  quelli  che  si  a- 
husano  del  sagrifizio  della  messa 
pei-  far  sortilegi  o  indovini  per  caso. 
^i  si,no  alcuni  incidenti  che  pos- 
sono sopraggiungere  durante  la  mes- 


MES  279 

in,  «ul  ricevere  ed    offrire    mental- 
mente le  particole    in  casi    di    ne- 
cessità; se  una  mosca  od  un  ragno 
cade  nel  calice,  che  dopo  lavati  con 
vino    dcbbonsi    bruciarli,    e    tutto 
porre  nel  sacrario;  se  cadesse  il  ve- 
leno nel  calice  ;    se    V  ostia    consa- 
crata cade    tutta  intiera    nel  calice, 
o  se  cade   in     terra,  o  sopra  qual- 
che pannolino;    se  il    vino  si  gela 
nel  calice,  ed  altri  incidenti   di   cui 
parlano    i     trattatisti.     All'  articolo 
Flabello    si    dice     come    i    flabelli 
servirono  per  scacciar  la  mosche  nel 
tempo  della  messa.  L*  uso  di   rice- 
vere un'  elemosina    per  la    celebra- 
zione della  messa,  secondo  l' inten- 
zione di  quelli  che  la  danno,  è  per- 
messo ed     approvato     dalla  Chiesa 
in  tutte  le  parli    del  mondo,    e  se 
ne  può  fare    risalire    l' epoca    fino 
ai  primi  tempi,  come  si  può  vede- 
re a  Cexefizio  ecclesiastico,  e  Be- 
ni DI  Chiesa.  Fino  dai  primi  secoli 
si   offrì  nella  messa    da'  fedeli  ai  sa- 
cerdoti, pane  o    farina    e  vino  pel 
sagrifizio,     figura     delle     obbiazioni 
dell'antica   legge,  non    che  altre  co- 
se di  valore  per  sostentamento   dei 
ministri  del  santuario.   Per    evitare 
poi    la  confusione  in  simili  offerte,  fu 
stabilito   ne' capitolari   di    Carlo  Ma- 
gno, che  i  donativi  si   offiissero  dal 
popolo  non  all'  altare  ma  fuori  del- 
la cancellata  del  presbiterio.  In  pro- 
gresso di   tempo  s'incominciò  a  va- 
riare   il  costume    delle     obbiazioni, 
sostituendo   i   fedeli    ai  commestibili 
il   denaro  in   sostentamento  de' sacri 
ministri,  quale  consegnavano  io  ma- 
ni del  sacerdote    o  ponevano  nella 
cassetta    che  a  tale    effetto   era  po- 
sta  innanzi   alle   Confessioni  o  sieno 
sepolcri     de'  martiri  :    da    qui   prese 
origine  la  disciplina  delle  elemosine 
della   messa,   la  di  cui  antichità  di- 
mostrano, il  Moretti,   De  ritus  dan- 


iSo  MES 

di  preshyt.  par.  I,  sect.  I  e  II;  ed 
il  Berlendi,  De  ohlationìbus  par.  H, 
I  2  ;  il  quale  dice  che  i  denari  con 
cui  si  somministravano  furono  detti 
messali,  e  stipendio  le  liraosine  del- 
la messa,  come  mezzo  di  poter  o- 
perare.  Sugli  obblighi  delie  messe 
sono  a  vedersi  gli  articoli  Congre- 
gazione  DELIA     BEV.    FABBRICA     DI   S. 

Pietro,  Congregazione  delia  sacra 
VISITA,  e  quelli  delle  altre  Congre- 
gazioni che  riguardano  quest'  argo- 
mento. Dice  s.  Tommaso,  che  dal 
sacerdote  non  si  riceve  il  danaro 
come  un  salario,  ne  come  il  prez- 
zo della  messa  o  della  consacra- 
zione, ma  come  una  elemosina  ne- 
cessaria al  sostentamento  del  mi- 
nistro. Il  sacerdote  deve  contentar- 
si dell'elemosina  fissata  dalla  tassa 
diocesana  o  dall'uso,  ma  può  però 
ricevere  ciò  che  gli  viene  offerto 
volontariamente  di  più,  od  anche 
domandarlo  modestamente  a  motivo 
degl'  incomodi  che  deve  incontrare, 
quando  bisogna  celebrare  in  una 
cappella  lontana  o  cantar  la  messa. 
I  sacerdoti  abbastanza  provvisti  di 
beni  patrimoniali  per  vivere,  pos- 
sono ricevere  l'elemosine  come  gli 
altri  :  chi  serve  1'  altare,  ha  il  di- 
ritto di  vivere  dell'altare.  Un  prete 
deve  celebrare  altrettante  messe 
quante  sono  l'elemosine  che  ha  ri- 
cevute, quantunque  insufficienti, 
perchè  egli  vi  si  obbliga  accettan- 
dole, e  perchè  così  lo  dichiarò  nel 
1625  Urbano  Vili.  Un  sacerdote 
non  può  ricevere  due  elemosine 
per  una  sola  messa,  applicando  ad 
uno  de' donatori  quella  parte  del 
fruito  spirituale  che  gli  deve  ap- 
partenere in  qualità  di  ministro: 
Alessandro  VII  nel  i665  condan- 
nò la  contraria  proposizione,  in  un  a 
quella  che  ammetteva  una  specie 
di  commercio,    consistente    nel    far 


MES 

celebrare  da    un  altro,    pagandogli] 
r  elemosina  ordinaria,  un  certo  nu- 
mero di  messe    pagate  più  genero-i 
samente,  ritenendo  per  «è  il  di  più. 
11  sacerdote  che    riceve    due  o  più] 
elemosine  per  ima  messa,  è  obbli- 
gato alla    restituzione.    Non  è   per 
messo  l'anticipare    il    sagrifizio  peri 
quelli  che  in  seguito  daranno  l'eie"" 
mosine,  come    vietarono    Clementej 
Vili    e  Paolo    V.  Se    però  un  sa- 
cerdote prevede  che  dovrà  celebra- 
re per  una    persona     morta,  potrà! 
incominciare  a   dire  le  messe  senzaj 
averne    avuto    incarico,  e  riceverne] 
in  seguito  l'elemosina.  E  vietato  alj 
sacerdote     ricevere     elemosine    perì 
messe  nuove,  se  non  ha    celebratoj 
le  vecchie,    tranne    il    caso    che    ili 
donatore  acconsenta  alla   dilazione..] 
Clemente    XI     con    diversi    decreti 
molte  cose    prescrisse    per  l' adem- 
pimento degli  obblighi  delle  messe,  j 
e  pel    modo    di    tenere    i    libri    iaj 
cui  sono  notati    i  medesimi    obbli- 
ghi e  sottoscritti  i    sacerdoti  che  li 
soddisfano.    E  siccome  erasi    intro- 
dotto poi   l'abuso,  che  alcuni   face- 
vano soddisfare  i  legati  delle  messe 
lasciati  dai   testatori,  ne'  luoghi  ove 
secondo  i   sinodi    diocesani  si  dava 
minor  limosina  di  quella  che  s' im- 
piegava nel    celebrare    ne'  siti  pre- 
scritti dalle  pie    lasci  te,   riprovando 
Benedetto  XIV  quest'avarizia,  colle 
coslituzioni  Quanta  cura,  e  Pro  exi- 
mia,  del    3o    giugno     i74'>    ^"^^• 
Magn.  t.  XVI,  p.   35  e   36,  esortò 
tutti  i  vescovi    ad  estinguere  onni- 
namente silFatto  abuso,  dichiarando 
incorsi  nella    scomunica  chi  facesse 
altrove  soddisfare    le    messe  de'  le- 
gati per  limosina    minore  dalla  ri- 
cevuta. Ma  di  quanto    riguarda  la 
limosina  della  messa  meglio   è  con- 
sultare lo    stesso    Benedetto  XIV, 
Della  s.  Messa,  sez.  Il,  cap.  2.  Tio 


WES 

VI  condannò  la  proposizione  del 
sinodo  di  Pistoia,  che  taccia  come 
turpe  abuso  il  pretendere  limosina 
per  celebrare  la  messa.  In  Roma 
nel  1793  fu  pubblicato  dal  p.  Mi- 
chele de  Negreiros  :  lyactatus  sele- 
cliis  de  ceiebralione  et  stipendio 
missaruni  jnxta  decrelum  praeser- 
tini  Roin.  Pont,  atque  declar.  s.  e. 
cono.  Trid:  prò  commodiori  et  ma- 
gis  expedito  usa  eovunt,  quibus  in- 
terest, distincta ,  et  ordinata  methodo. 
Sulla  messa  si  possono  vedere;  Boc- 
quillot,  Trattato  storico  della  litur- 
gia sacra  ovvero  della  messa.  Gran- 
colas,  Delle  antiche  liturgie  (  /^.Li- 
turgia )  ossia  della  maniera  con  cui 
fu  celebrata  la  s.  messa  in  ciascun 
secolo  nelle  chiese  d'  oriente  ed  oc- 
cidente, colla  investigazione  di  tut- 
te le  pratiche,  preghiere  e  cerimo- 
nie che  si  osservano  nel  s.  sagri (1- 
zio.  .Wourry,  Apparatus  ad  Biblìo- 
thecam  maxiniani  Patruni,  nel  qua- 
le parlando  degli  scrittori  del  primo 
secolo,  egli  principia  dalle  liturgie, 
ossia  la  maniera  con  cui  fu  cele- 
brata la  messa,  pubblicate  sotto  i 
nomi  di  s.  Giacomo,  di  s.  Marco 
e  di  s.  Pietro.  Marchetti,  Della  santa 
messa,  sue  grandezze  ed  eccellenze, 
frutti,  vantaggi  ec,  Roma  1795. 
JBenvenuli,  Instructio  prò  sacerdote 
celebrante  in  missa  solenini  cuni 
diacono  et  subdiacono,  Romae  i  727. 
D.  Giovanni  Diclich,  Diz.  sac.  li- 
turgico :  Messa  privata.  Messa  pri- 
vata innanzi  al  vescovo  nel  luogo 
di  sua  giurisdizione.  Messa  solenne 
(dei  cui  paramenti,  arredi,  parti- 
colarità parliamo  ai  relativi  arti- 
coli )  :  la  messa  solenne  trae  la  sua 
origine  fino  dal  secolo  IV.  Tutta- 
■volta  si  attribuisce  a  s.  Zeffirino 
eletto  Papa  nel  20 3,  la  prescrizio- 
ne, che  mentre  celebrava  il  vesco- 
vo vi  assistessero    tutti  i    sacerdoti 


MES  281 

di  lui.  Avverte  il  Sarnelli  t  IV, 
lett.  XLIV,  che  le  messe  solenni 
sono  più.  antidie  delle  messe  lette 
o  private,  poiché  dagli  stessi  apostoli 
si  celebrò  il  sacrifizio  coi  ministri , 
col  clero  cantante,  col  popolo  assi- 
stente,  offerente  e  comunicante; 
però  il  canto  d'allora  non  era  co- 
me r  attuale,  ma  semplice  e  breve, 
per  maniera  che  si  accostava  più 
al  recitare,  che  al  cantare.  Alcuni 
concilii  decretarono  che  durante  la 
messa  solenne  non  si  celebrassero 
le  basse,  affinchè  il  popolo  non 
fosse  distratto,  come  altri  vietarono 
le  messe  in  tempo  di  predica.  Mes- 
sa solenne  in  quinto,  ossia  con  quat- 
tro apparati,  diacono,  suddiacono  e 
due  accoliti,  rito  che  si  pratica 
in  Venezia.  Messa  solenne,  se  si 
possa  celebrare  all'  altare  d'  un  san- 
to, e  fuori  del  maggiore?  Messa 
meno  solenne  ossia  senza  i  sacri 
ministri,  ma  con  due  ceroferari  ed 
un  altro  accolitOj  che  solo  ha  luo- 
go quando  non  vi  sia  un  numero 
sufficiente  di  ministri.  Messa  meno 
solenne,  che  si  canta  con  un  solo 
accolito,  e  celebrasi  dove  non  vi  è 
copia  di  sacerdoti  :  nel  cerimoniale 
di  Parigi  si  trova  altro  genere  qua- 
si simile  di  messa,  in  cui  il  diaco- 
no amministra  solo  senza  il  suddia- 
cono, e  con  un  solo  accolito,  com'  è 
in  uso  tra  i  certosini.  11  canto  non 
fa  la  messa  solenne,  ma  i  ministri^ 
come  disse  il  Sarnelli,  che  in  oltre 
aggiunge,  che  nella  messa  cantata 
da  un  solo  sacerdote,  può  dire  V  e- 
pistola  un  lettore  in  cotta.  Messa 
solenne  innanzi  al  ss.  Sagramento 
esposto.  J^.  Esposizione  e  Corpo  di 
Cristo.  Messa  privata  innanzi  al  ss. 
Sagramento  esposto.  Messa  conven- 
tuale. Messe  comuni  de' santi.  V. 
Comune,  Santo,  Confessore,  Marti- 
KS^  Pomtefice,  Vergine, ec.  Messe  vo- 


282  MES 

tÌTe  o  de  sanata  Maria  secondo  la 
tlivei'silà  de'tempi  :  sono  quelle  che 
celebrandosi  per  divozione  non  con- 
vengono coli'  ufllzio  del  giorno,  né 
dalla  Chiesa  vengono  prescritte,  ma 
si  dicono  dal  sacerdote  a  suo  be- 
neplacito. Le  messe  votive  sono  di 
Ire  generi:  i.°  quelle  per  qualche 
solennità  o  santo  non  descritto  nel 
calendario  diocesano,  purché  con- 
sti dal  martirologio  di  sua  canoniz- 
zazione; 2/  quelle  che  si  hanno  dal 
inessale  romano  dopo  il  comune 
de'  santi,  e  della  dedicazione  della 
chiesa,  e  sono  otto  assegnate  a  lut- 
ti i  giorni;  3."  le  quattordici,  cioè 
prò  eligendo  suniino  Ponli/ìce,  e  le 
altre  che  sono  in  (ine  del  messale. 
Messa  prò  sponso  et  sponsa,  eh' è 
la  decimaquarta  messa  tra  le  voti- 
ve del  terzo  genere.  Messe  votive 
private:  il  Macri  cliiaina  messa  vo- 
tiva, quella  che  si  dice  per  propria 
volontà  e  desiderio,  e  non  ordina- 
la dal  calendario,  ma  tale  volontà 
dev'essere  regolata  dalla  modera- 
zione, quindi  riporta  le  rubriche 
riguardanti  la  messa  votiva.  Messa 
solenne  prò  re  gravi,  vcl  prò  pu- 
blìca  ecclesiae  causa.  Messe  dede- 
l'unti.  Anticamente  si  celebravano 
messe  lìell'ultima  agonia  de' fedeli, 
e  allo  spirare  de'moribondi,  e  per- 
ciò in  qualunque  ora  accadesse,  an- 
che dopo  il  mezzogiorno,  ed  ezian- 
dio dai  sacerd(){i  non  digiuni:  que- 
sto uso  restò  poscia  moderato  e 
corretto  nel  terzo  concilio  di  Carta- 
gine. 

Della  messa  romana  si  ricono- 
sce autore  il  principe  degli  apo- 
stoli s.  Pietro,  la  quale  fu  ricevu- 
ta dalle  altre  chiese  latine  e  gre- 
che, e  riconosciuta  dai  più  antichi 
padri  della  chiesa  d'oriente  e  d'oc 
cidente:  dalla  latina  derivò  pure  la 
messa  afrieuna^  per  aver  la    chic- 


MES 

sa  africana  ricevuto  la  fede  da  Ro- 
ma,   variandone    però    la    disci|)li- 
na  nell'VIll   secolo,  sotto    il  giogo 
de'saraceni  e  de' patriarchi   alessan- 
drini,  partecipando  poi    in  qualche 
parte  anche  del   rito  mozarabo.    Si 
chiamò     messa  del  giudizio,  quella 
che     precedeva     le     Purgazioni,    o 
Giudizi  di  Dio  {^Fedi),  che    prati- 
cossi     nel   medio    evo   ne' paesi    del 
settentrione,  ed  il  pseudo-concilio  di 
Worms  osò   approvarla,  mentre  la 
riprovarono  come  Gregorio  li,  Gre- 
gorio  HI,   Lucio  111,   Oaorio   III  ed 
altri    Papi,    dichiarando    illecita     e 
disonoievole   tal  cerimonia.  Di  que- 
sta messa  tratta  il  Macri,  Missa  ju- 
dilli,    descrivendone    le    orazioni    e 
le  cerimonie ,   e    dice    che    celebra- 
vasi  per  esaminare    qualche    verità 
occulta.   Nel   rito  per   la    ordinazio- 
ne delle  Diaconesse  [Vedi),    vi    fu 
stabilita    la    messa    propria.    Mattia 
Fiacco   Illirico,  principale  tra  i  cen- 
turiatori     di     Mngdeburgo    (  Vedi) 
pubblicò  nel    iSoy   in    Strasburgo: 
Missa  latina,  quae  oliiii  ante    Ho- 
manani  circa  septingentesimuni   Do- 
mila annuni  ia  usa  fuit,    bona   fi- 
de e  vetusto  anlicjuoque  codice  con- 
scripta.    Trovandola     i  luterani   fa- 
vorevole ai  cattolici  e  purissima  nel- 
la   dottrina ,    procurarono    di    sop- 
pririnerla  gettandola  alle  fiamme.  Si 
vuole   tal  messa  scritta   nel  declir.ar 
del  IV   secolo,  o  nel   principiar  del 
V;  ed   Urbano  Vili  ne  ricavò,  ri- 
ducendola a  nuova    forma,  la  cele- 
bre   orazione  yJnte    oculos  (  Vedi). 
11  Bernini  nella  Storia  delle   eresie 
registrò    gli  eretici     che    credettero j 
inutile   la  s.   messa,  e  che  contro  di 
essa  si     scagliarono.     Il  p.     Filippo 
Maria  Capece   Piscicelli  pubblicò  in 
Napoli   nel    1737:   Breve  spiegaiio- 
tic  di  tutte  le  cerimonie,  riti  e  pre- 
ci   della    santa    messa.    Abbiamo 


MES 
inoltre  da  Max7Ìo   Ferro  :     Spiega- 
zione   niislico  -  teologica    di    tutti  i 
riti  e    cerimonie  del  sagri  fido  del- 
la s.  messa,  Palermo    i844- 

MESSALE,   jMissale.   Libro  che 
ierve  a  celebrare  la  messa,    e  che 
contiene'  le  messe  diflerenti    che  si 
ceL-brano  in  tutti  i  giorni  tlell'auno. 
Pubblicò  s.  Gelasio  I  del  49^     "" 
codice  ossia  messale  delle  messe  con 
buon     ordine  disposte,  detto  meglio 
Sagra  menta  rio    (Vedij.     Avverte  il 
Ecilcndi,   Delle  ohlaz,    p.  75,  che   i 
sagriunenlari     ovvero     codici    de'sa- 
grumenti    anticamente     erano  chia- 
mati    messali,     chiamandosi     allora 
dai    padri    per    antonomasia  sagra- 
menti,   il  corpo  e  sangue  di  Cri>lo, 
quando  sopra   1'  altare    nella   mes>a 
de'  sacci  doti    si     fiinno  ;    e    che     il 
non^e  di    messale     non   lascia     però 
di  essere  antichissimo  nella  Chiesa, 
tiovaiidosene  menzione  nella  vita  di 
Massimiano  arcivescovo  di  Ravenna 
del  546.  Dice  il  Macri  che  si  crede 
sia  stato    s.    Gregorio    I     del     590 
l'autore    dei     messale,     riducendolo 
cioè    a    lai    forma,    poiché  il    Ba- 
ronio    afferma    che    s.    Pietro  fosse 
autore  delle    cose     principali     della 
messa     latina  ,  come   si     tiene    per 
tradizione,   la   quale  poi   s.   Clemen- 
te 1   stato  suo  discepolo  lasciò  scrit- 
ta alla  chiesa  romana,  come  l'atte- 
sta Proclo     vescovo    di  Costantino- 
poli. Questo  libro   fu  detto  ancora 
Sa cramentale,    da    L i n d a n o  j     lib er 
mysleriorum,  da  s.   Girolamo  ;     //- 
her  sacramentoruni,  dal  concilio  di 
Beims;  liùelluSj   da  s.  Gregorio    di 
Tours.  I    vescovi  fecero    poscia  di- 
"versi   messali    per    le  loro    diocesi, 
ovvero    si  servirono    di  quelli     già 
fatti  per  altre.    Narra    s.  Girolamo 
che  ne  avea   (iitto   uno  s.  Ilario  ve- 
bcovu  di     Poitiers.     Gennadio,     De 
fcript.  eccl.j  dice  la  stessa  cosa    di 


MES  283 

Voconio    vescovo    della  Mauritiaua, 
di  Museo  sacerdote  di  Marsiglia  ad 
istanza  del  proprio    vescovo ,   e    di 
Salviano  prete  della  medesima  chie- 
sa.    S,     Isidoro     die     in     luce    un 
messale  per  ordine  del  concilio  To- 
letaiio.    .Del    messale     mozarabo     e 
di  quelli   di  diversi  riti  se  ne  parla 
a'  luoghi   loro.  Vi    furono  tre  sorta 
di   messali,  alcuni  non   contenevano 
che  le  collette,  i   prefazi  ed   il    ca- 
none ;  altri     contenevano    di     più, 
ciò  che  cantasi  in    coro,  1'  introito, 
il  graduale,  l'alleluja,  il  versetto  che 
si    canta  tra  il   graduale    e    l'evan- 
gelo,  l'offertorio,  il   Sanctus,    la  co- 
munione; gli  altri  contenevano  an- 
che le   lezioni,  l'  epistole  ed    i  van- 
geli,  e    questi    si  chiamarono    mes- 
sali  pieni  o  completi.   Ve  ne     furo- 
no che    contenevano   semplici     ora- 
zioni j     ed    altri     che    complessiva- 
mente   al  graduale,  sequenziale,  bat- 
tesimale, e  raccomandazioni  dell'ani- 
ma formavano  un  sol  libro.    Messali 
plenari  furono  così  detti,  perchè  rac- 
chiudevano quanto  era  d'uopo  per  la 
celebrazione  della  messa,  e  s. Leone 
IV  con  sinodale  ammonizione  prescris- 
se che  ogni    sacerdote  tenesse   pres- 
so di    sé     il     messale     plenario.     11 
concilio  di    Colonia    nel    i536  con- 
dannò le  prose    malfatte    che  sono 
inserite  ne'  messali   senza  verun  di- 
scernimento, e  comandò  la   riforma 
dei  messali    e  breviari.  Per  ordine 
del   concilio     di   Tx'ento     coiresse  il 
nu'Ssale  iv.  Egidio    Foscario  donie- 
nicano  vescovo  di  Modena,  che  con 
Marino    arcivescovo     di     Lanciano, 
e  Francesco  Ferreri  portoghese  com- 
pose il  catechismo,  come  riporta  il 
Macri.  Tuttavolta  si  può  consultare 
la  costituzione  di  s.  Pio  V,  Quod  a 
nobis,  de'g  luglio    i568,  ove  si  di- 
ce che    coll'opera    di    uomini   insi- 
gni corresse    e  regolò    il    uicssale. 


284  ^lES 

Anche  Sisto  V  operò  nel  messale 
alcune  correzioni,  e  Clemente  Vili 
prescrisse  le  norme  per  istampare 
i  messali. 

Dopo  la  metà  del  secolo   XVI 1, 
tì    nel    1660    il    clero    di    Francia 
condannò  sotto  pena  di  scomunica 
la  traduzione  del    messale    romano 
pubblicata    dal  dottor    Voisin.    Nel 
puntillcato  di     Benedetto    XIV ,    il 
re    di    Portogallo    Giovanni    V  fe- 
ce  stampare  nobilmente    in     Roma 
il    messale    romano.  Pio     VI  nella 
stamperia    della    congregazione    di 
j)ropaganda    fide    fece  stampare  il 
messale  in  idioma  cinese.  In  questa 
celebre  tipografia  vi  sono  messali  ara- 
bi, greci,  caldei,  slavonici,  ec,  oltre 
il    Missale     Rotnanuni    ex   decreto 
s.  concila  Tridentini  restituluntj    s. 
Pii  F   P.  M.  JLissu    editimi ,   Cle- 
mentis     Vili ,    et     Urbani     FUI 
tiuctoritate     recogniluni,    i834.    Ne 
fece     la     tipografia     ristampa     con 
caratteri  rossi    e    neri,    con    recen- 
tissime   giunte  nel    1846.    Nell'an- 
no   precedente     la     tipografia    del- 
la camera  apostolica  pubblicò:   Ca- 
non   HJissae    ad     itsuni    episcopo- 
rum     ac    praelatorum     solenmiter 
vel  private  celebrantiuni,  indice    et 
praefationibus  sine  notis,     nec  non 
flguris  aere  incisis  locupletatus,  ce- 
teris  auctior  atque  praestantior  sub 
aitspiciis  ss.  D.  N.     Gregorii  XF[ 
P.    O.    31.    Edizione    in    caratteri 
rossi    e  neri,  la    più  magnifica  fra 
quante  ne   siano  state  fatte  finora. 
Tra  le  recenti  edizioni    de  Messali 
romani    stampate    fuori    di   Pioraa, 
ne    nomineremo  due  a  cagione    di 
lode,     quello    pubblicato    dalla     ti- 
pografia   armena    mechitaristica  di 
Vienna  nel    184^,  e  quello  princi- 
palmente dato    in  luce   con    questi 
stessi  tipi,  e  splendidamente  compi- 
to uel   1842,  eoa  beilissiaii    rami, 


MES 
stupendi  caratteri  ed  eccellente  carta: 
Missale  Rornanurn  ex  decreto  s. 
concila  Tridentini  restituluni,  s.  Pii 
V  Pont.  max.  j'ussu  edituni,  Cle- 
mentis  Fili,  et  Urbani  FUI  au- 
ctoritate  recognitum,  mine  dcnuo 
cimi  missis  sanctorum  novissime  a 
siimmis  Pontijicibus  usque  ad  ss, 
D.  lY.  Gregorium  XVI  P.  M. 
concessis  suisque  locis  disposilis 
impressiim.  Venetiis  typis  Aemilia- 
nis   i838. 

Le   rubriche  del    messale    si  di- 
vidono   in    generali    e    particolari. 
Le  generali  sono  quelle  che  si    ri- 
trovano   al     principio    del    messale 
stesso,  le  quali    in  gran    parte    fu- 
rono   la    prima    volta    raccolte    e 
messe  in  ordine  da  Giovanni  Bur- 
cardo  cerimoniere  pontificio,  che  da 
Leone    X    approvate  andarono   per 
un  pezzo  separate   da!  messale  come 
un  libro  cerimoniale,    indi    furono 
inserite  in  esso,  poscia  ebbero  varie 
aggiunte  e  furono    distinte  in  tito- 
li, e  finalmente  riconosciute,  emen- 
date   e    autenticate     da  s.   Pio     V, 
Clemente  Vili  ed  Urbano  Vili.  Le 
rubriche  poi  particolari  sono  quel- 
le che  dirigono  le  diversità  de'tem- 
pi    e  delle    varie  feste ,  e    si  ritro- 
vano uel  corpo  del  messale  in  pro- 
prio de  tempore,  aiit  de  sanctis,  o 
ne'  comuni,  secondo  la  dicitura  del 
messale     istesso.     Vi  è    anche     nel 
corpo  del    messale     un'  altra  specie 
di  rubrica    per    la   messa  in  gene- 
rale, e  va    anche  sotto  il  nome  di 
rubrica  particolare,   ch'è  quella  del- 
l'Orbo Missae,   la  quale    è  più   ri- 
stretta e  compendiosa  della   genera- 
le, ma   molto   più  antica  di  quella. 
Non  è   vero    che  vi  sieno  dei  capi 
di  discordanza    tra  le  rubriche  ge- 
nerali, e  quella  dell'  Ordo  Missae, 
per  cui  la  congregazione  de' riti  nel 
1744  l'ispos 


e  a  chi  le  aveva  imma- 


MES 
ginafe:  Nego  siippositum.  Veilasi  li. 
Pisart,  Exposilio  rubricanim  Mis- 
sùlis  Romani  ex  caeremoniali  epi- 
*coyoo/7/m,Coloniae  Agrippinaei  726. 
]J  messale  si    deve  aprire  dal  cele- 
brante, e  non  dal  ministro,  nel  prin- 
cipio della  messa,  posto  sopra  il  Leg- 
gio (/^ef/f)  o  cuscino,  dalla  parie  del- 
l'epistola. Prima  di  leggere   l'evan- 
gelo  il  celebrante  nel  dire  Sequen' 
Uà  sancii  evangelii  segna  di    croce 
il   messale  col  pollice  destro,  indi  la 
fronte,  la  bocca  e  il  petto  ;  e  nelle 
messe   solenni  dopo  avere  ciò  (allo 
il  diacono,  incensa  tre   volte  il  mes- 
sale. Dopo  letto  l'evangelo  il  sacer- 
le  bacia    il    messale;  questo  od  altro 
collo  stesso  evangelo  si   dà  a  baciare 
al  Papa,  cardinale,  vescovo,  od  altro 
prelato  clie  assiste  alla  messa.  Onorio 
111  vietò  sotto    pena    di  scomunica 
di    portar    il    messale    a  baciar  Te- 
vangelo  a    quelli    che    non     l'ossero 
unti  col  sacro   olio,    come    riporta- 
no il    Lambertini,    De   sacrif.  mis- 
sae  sect.  I,    §    \^\;  e  Merati   t.  I, 
par.   I,  p.    444-     Avverte     però    il 
Perimezzi,     Dissert.     eccl.     par.     I, 
dissert.   8,    p.    287,     che     pei    rito 
moderno    si    tollera     che     si     porti 
ancora  il  messale  a  baciare  a'  prin- 
cipi,   non    però    ai     laici    inferiori. 
Kon  si  bacìa  il  messale  nelle  messe 
de'defunli,  ancorché  solenni,   perchè 
al  dire  d'Alcuino,  denotando  i  ba- 
ci soavità    e  dolcezza,     questa    non 
si  ritrova  nella  memoria  de' morti. 
Ciascuna  diocesi    e    ciascun  ordine 
religioso  ha  il  suo  messale  parlico- 
iare  di  cui  devono  servirsi   i    mem- 
bri della  diocesi  e  degli  ordini  re- 
golari. Nota    il     Macri  che  in   una 
chiesa  de'regolari  celebrando  un  sa- 
cerdote   secolare,    può   adoperare  il 
loro    messale  in    mancanza  del  mes- 
sale romano.   Viaggiando  si  prende 
il  messale    romano,  o  quello    della 


MES  285 

diocesi  per  cui  si  passa  ,  anzi  è 
preferibile  quesl'  ultimo,  se  corri- 
sponde meglio  al  breviario.  Un  sa- 
cerdote non  deve  mai  celebiare 
senza  messale,  per  quanto  possa 
essere  sicuro  della  propria  memo- 
ria ,  perchè  si  espone  al  pericolo 
di  cambiare  i  termini  della  htur- 
gia,  oppure  di  ommetterne  molti. 
Sebbene  anco  il  Macri,  citimdo  di- 
versi teologi,  dice  che  il  celebrare 
senza  messale  è  colpa  grave  e  mor- 
tale, aggiunge  coU'autorità  di  altri, 
che  in  caso  di  gravissima  necessi- 
tà, il  sacerdote  che  si  fidasse  nella 
sua  memoria,  potrebbe  celebrare 
senza  messale,  e  che  in  tal  caso 
deve  porre  sull'  altare  altro  libro 
simile,  per  togliere  lo  scandalo  dei 
circostanti.  Con  lodevole  e  pio  in- 
tendimento il  duca  di  Sermoiiela 
d.  Enrico  Caetani  ,  degno  figlio 
del  suo  dotto  genitore,  coi  tipi  ve- 
neti nel  1842  pubblicò  :  Jl  messa- 
le dei  laici,  nel  quale  sono  le  ora- 
zioni tratte  dalle  parole  degli  e- 
vangeli  di  tutte  le  feste  dell'anno 
cattolico  secondo  l'ordine  del  mes- 
sale romano.  Questa  opera  si  ha 
puie  col  titolo:  Le  orazioni  tratte, 
ce.  Può  questo  chiamarsi  il  libro 
che  assai  serve  alla  santificazione 
dei  di  del  Signore,  qualora  cos'i, 
oltre  che  si  somministri  in  essi 
la  più  santa  materia  alla  pietà  dei 
pensieri,  si  stimoli  l'animo  ad  occu- 
parsene, si  determini  il  cuore  ad 
accendersene  ,  e  si  dia  forza  pur 
alla   memoria  di   ricordarli. 

MESSALIAJNI  o  MASSALIANT. 
Settari  antichi,  così  chiamati  da  u- 
na  parola  ebraica  che  significa  pre- 
ghiera, perchè  credevano  che  si  do- 
vesse sempre  essere  in  preghiera.  Due 
sorta  di  messaiiani  distingue  s.  E- 
pifanio,  antichi  e  nuovi.  Gli  anti- 
chi erano  pagani  che  nulla  avevano 


286  MES 

di  cornnne  né  coi  crisliani,    né  coi 
saroavilani,     né  cogli    ebrei.    Rico- 
noscevano  molti   Dei,  e  non  ne  a- 
doravano  che  un  solo,    che  appel- 
lavano 1  Onnipotente.  Si  adunavano 
in  oratoiii  simili  alle  nostre  chiese, 
dove  dopo  aver  accese  una  quanti- 
tà di  fiaccole    e    di   lampade,  reci- 
tavano in   onore  di  Dio  certi    can- 
tici   composti    dai    più    abili    della 
loro  setta.  Ne  furono    fatti    morire 
molti,  che  venendo  considerati  mar- 
tiri degl'  idoli    dai    loro    partigiani, 
presero  il   nome  di   martiriani  :  fu- 
rono creduti  per   Tpsixtari  (  Vedi). 
I    nuovi   messaliani,  ch'erano  cristia- 
ni, cominciarono  a  comparire  ver- 
so il   36i  ,  o    nel    seguente    secolo. 
S.  Epifanio    li    dice    originati  dalla 
Mesopotamia,  donde  si  sparsero  fino 
ad   Antiochia.   Furono  creduti  alcu- 
ni  monaci,  e  che  tra  essi  vi  fossero 
delle  donne,  ed    insegnarono    i    se- 
guenti errori.  Che  ciascuno  riceve- 
va da' suoi    antenati    un    demonio, 
che  possedendone  l'anima    lo  spin- 
geva al  mal   fare,    non    potendo    il 
battesimo  scacciarlo,  bensì    la    pre- 
ghiera, ed  allora    vi    discendeva  lo 
Spirito  Santo,  il  quale   dava    segni 
Tisibili  della  sua  presenza.    Che    si 
conosceva  l'avvenire    e    la    Trinità 
cogli  occhi  del   corpo.   Che  si  pote- 
va   giungere    a    tyl    virtù    da  non 
commettere    più    alcun   peccato,  ed 
eguagliare  la    divinità    quanto    alla 
perfezione  della  scienza  e   della  vir- 
tù.  Che  il  lavoro    delle    mani    era 
inutile  e    cattivo;    bastare    la    sola 
preghiera   per  la  salute.  Considera- 
vano con  indiderenza   la  partecipa- 
zione de'sacrameiiti,  massime  l'Eu- 
caristia. Disprezzavano  la  croce,    le 
chiese,  gli  altari,    la  Beata  Vergine. 
Ammettevano  in  ciascun  uomo  due 
anime,   una   stupida,  l'altra  celeste, 
e  capace  di   vedere  la  Trinità  cogli 


MES 

occhi  del  corpo.  I  messaliani  furo- 
no condannati  da  diversi  concilii  d'o- 
riente, compreso  quello  d'Efeso,  no- 
tandosi per  dissimulatori  que'che 
si  convertivano.  Furono  anche  dot- 
ti Adelfìani,  da  Adelfo,  uno  de'Ioro 
capi;  Euchili  con  nome  greco;  Psal- 
liani,  nome  loro  dato  da  s.  Agosti- 
no ;  Entusiasti,  cioè  ossessi,  a  mo- 
tivo delle  agitazioni  violenti  che  il 
demonio  eccitava  in  loro;  .Saccofori 
o  portasacchi,  perchè  vestivano  di 
sacco,  facendo  pubblica  professio- 
ne di  povertà,  pretendendo  che  l'e- 
lemosina si  dovesse  fare  a  loro  so- 
li, come  i  poveri  di  spirito  ed  i 
veri  figli  di   Dio. 

MESSENE.    Sede    vescovile   del 
Peloponneso  ,  capitale    della  Messe- 
nia,  posta  a  piedi    del    monte    1  to- 
me, e  comprendeva  una  grande  e- 
stensione  di   terreno.   Fu  rifabbrica- 
ta  da  Epaminonda,  che  vi   richiamò 
i  dispersi  messeni,  l'anno  869  avanti 
Gesù  Cristo.  Pausania  ne   fa  una  e- 
stesa  descrizione,   e  Strabene  la  dice 
una  delle  più  forti   piazze    dell'  an- 
tichità,    paragonandola    a  Corinto  , 
perchè  contenne  bei  templi,  pregia- 
te statue,   tombe,  ec.  ;  e  vi  si  ve-  J 
dono  ancora   rovine  ben    conserva-  ^ 
te .    Ulnuroniathi,    piccolo    villaggio 
nel  centro    della    Messenia,    occupa 
oggi    il    luogo    dell'antica    Messene, 
ed  appartiene    al    nuovo    regno    di 
Grecia.   Il   vescovato  appartenne  al- 
la  provincia    d'Eliade,  nell'esarcato 
di   Macedonia,   suffragaiieo   dell'arci- 
vescovo di    Corinto,    ed    eretto    nel 
V  secolo,   e  secondo  alcune  notizie 
fu  anche  metropoli.   Ne  furono  ve- 
scovi, Alessandro  che  sottoscrisse  la 
lettera  del  concilio  di  Sardica;  Gio- 
vanni  I  che   fece  il  simile  nel  con- 
cilio   di    sua    provincia    alla  lettera 
dell'imperatore   Leone;    Filippo  che 
fu  al  concilio  di  Fozio;  e    Giovan- 


MES 
ni  II  clic  .sottoscrisse  la  dcposirione 
del  paliiiiica  Cosimo  Attico,  Oriens 
thrist.  t.  I  ,  p.  195.  Ai  presente 
Messene_,  Altssenien,  è  un  titolo  ve- 
scovile ili  partihus  egualmente  sot- 
to Corinto.  Vacato  per  morte  di 
Gio.  Callista  Belland,  Gregorio XVI 
nel  concistoro  de' 19  dicembre  i834 
Io  conferì  a  monsignor  fr.  Pietro 
Francesco  Miiccioli  di  Pesaro,  dei 
minori  convenlnali ,  già  visitatore 
apostolico  in  Sardegna,  ed  in  pari 
tempo  lo  dichiarò  amministratore 
della   «hiesa   d'  Anagni. 

MESSERE  o  MÌSSERE,  Domi- 
mift^  Doiiiinus  ìncus.  Titolo  di  ono- 
re e  di  maggioranza  ,  oggi  quasi 
uscito  d'uso.  Anticamente  fu  distin- 
tivo di  re  e  di  altri  principi  di  primo 
rango,  poi  si  accomunò  a'  baroni  e 
domicelli,  indi  a'gcntiluomini,  e  tal- 
volta si  unì  col  Magnifico  e  col 
Signore  (^P'edi),  tanfo  in  iscritto  che 
a  voce.  Il  Garampì  neile  sue  Mc- 
niorie,  p.  y4>  tlice  the  il  Messere, 
titolo  d'onore,  fu  dato  a  Dio,  ai 
santi  ed  agli  uomini  di  qualità  sia 
laici  che  fcclesiaslici,  ai  principi,  ai 
prelati,  avvertendo  che  tanto  fu  da- 
to ai  .santi,  in  quanto  the  in  tempi 
p'ù  anti(  hi  davasi  ai  medesimi  quel- 
lo di  Domni  (  P^edi  )  ;  nel  S'gillo 
poi  deila  Gaifagnann,  dice  che  i 
cardinali  negli  scrittori  italiani  dei 
secoli  Xlll  e  XIV  con  lingua  nostra 
volgare  furono  chiamati  Messer  lo 
Cardinale.  11  Parisi,  Istruzioni  t. 
Ili,  p.  39,  conferma  che  negli  scrit- 
tori de'secoli  XIV  e  XV  il  titolo 
di  riessere  era  onorifico,  ed  impor- 
tava geneialraente  dottore  o  cava- 
liere ne'secolari,  e  graduato  negli 
eccle.siastici  eziandio  regolari,  anzi 
fu  accoppiato  col  titolo  di  Monsi- 
gnore {^Fedi).  Ripoita  il  Parisi  que- 
sto esempio  :  IStW  anni  del  Nostro 
Signore  Messere  Gesìi  Cristo  i^j^i, 


MES  287 

alli  18  luglio  man  Messer  Fran- 
cesco Petrarca,  ed  al  suo  esequio 
andò  il  signor  Messer  Francesco 
da  Carrara.  Un  tempo  in  Fran- 
cia si  disse  messire,  sire,  corrispon- 
dente ai  titoli  di  messere  e  sere,  e 
fu  il  messire  titolo  dovuto  ad  uu 
distinto  ordine  di  persone,  e  sire 
titolo  del  solo  re,  e  attributo  di 
sovranità.  Del  titolo  di  messere  se 
ne  fregiaiono  Dante,  Boccaccio,  Pe- 
trarca, Ariosto,  ed  alili  valentissimi 
letterali,  e  nella  repubblica  di  Lu- 
ca se  ne  decoravano  i  dottori,  men- 
tre quello  di  sere  spettava  ai  no- 
tari,  così  in  Bologna,  in  Mantova 
ed  in  altre  città  d'Italia.  Altrove, 
dice  il  Parisi,  oltre  i  notari,  che 
allora  eiano  del  ceto  nobile,  si  da- 
va pure  ai  giudici.  Negli  alli  pub- 
blici si  chiamarono  messere  i  pro- 
curatori di  s.  Marco,  e  sere  tulli 
gli  altri  nobili,  essendo  il  sere  ab- 
brevialo di  messere,  ed  anteposto 
ai  nomi  di  Andrea,  di  Matteo, 
formò  probabilmente  i  cognomi  di 
Serandrei,  Sermallei  e  simili.  Anche 
gl'inglesi  usarono  il  ser  e  messer, 
ed  i  veneti  anco  il  sier  ed  il  sior 
in  vece  di  signore  e  di  Don  (Fe- 
di). Il  p.  Casimiro  a  p.  21 4,  Meni, 
della  chiesa  d'Araceli,  osserva  che 
la  parola  sere  accorciata  da  riiisse- 
re  non  sia  slata  in  uso  prima  che 
intorno  al  1280,  e  che  fu  adope- 
rata coi  nolari  e  coi  semplici  sa- 
cerdoti, dandosi  il  titolo  di  missere 
ai  cavalieri,  giudici  e  dottori.  Col- 
Tandare  de' tempi  il  titolo  di  mes- 
sere e  di  sere,  abbandonato  dalla 
consuetudine  in  quanto  ad  un  cer- 
to ordine  di  persone,  fu  raccolto  in 
vece  dalla  classe  de'contadini,  ed  in 
alcuni  luoghi  l'usano  anche  oggidì 
ad  indicare  il  suocero,  avendo  così 
perduto  il  prinjitivo  suo  senso,  col 
quale  dapprima  la  voce  di    messe- 


288  MES 

re  significava  mio  signore,  come 
quella  di  sere  signore.  Egual  sorte 
incontrò  il  titolo  di  Madonna  (^e- 
di)  pel  sesso  femminile,  dacché  pri- 
ma valeva  mia  signora,  e  usavasi 
anticamente  verso  le  dame  ;  ora 
questo  titolo  in  alcuni  luoghi  con- 
finasi tra'  contadini  per  dinotare  la 
suocera.  11  Parisi  a  p.  44  l'iporta 
gli  autori  che  scrissero  sul  valore 
de*  titoli   Sere  e  riessere. 

MESSIA,  Messias.  Parola  forma- 
ta dall'  ebraico  tnessiah  o  ina- 
scliuachy  ttnctus  j  unto  o  sacrato, 
dal  verbo  niaschak,  ungere,  e  per 
la  traduzione  de' greci  lifenemmo 
il  nome  di  Cristo  (  F'edi  ).  Si  at- 
tribuì ai  sagrifìoatori,  ai  profeti,  ai 
patriarchi,  ai  re  ;  ma  si  die  prin- 
cipalmente dai  profeti,  e  per  eccel- 
lenza, per  indicare  l'inviato  di  Dio, 
il  salvatore  e  il  liberatore  del  ge- 
nere umano,  al  supremo  liberatore 
che  gli  Ebrei  (^  J^edi  ) ,  aspettavano 
e  che  aspettano  ancora,  sebbene  in- 
vano, poiché  il  Messia  è  venuto  nel- 
la persona  di  Gesù  Cristo  (  Fedi), 
che  fu  unto  come  il  re  de're  di  tut- 
ti i  tempi  e  di  tutti  i  secoli,  con^e  il 
capo  de'  profeti,  come  il  sommo 
Pontefice  della  nuova  legge,  ed  il 
sacerdote  eterno  secondo  l'  ordine 
di  Melchisedech.  Non  si  legge,  però 
che  Gesù  Cristo  abbia  ricevuto 
l'unzione  sensibile,  ma  solamente 
V  unzione  spirituale  della  grazia, 
dello  Spirito  Santo  e  della  plenitu- 
dine della  divinità  intera,  di  cui 
r  unzione  sensibile  ed  esteriore 
che  applica  vasi  anticamente  ai  re, 
ai  sacerdoti  ed  ai  profeti,  non  era 
che  la  figura  ed  il  simbolo.  Riu- 
nì egli  nella  sua  divina  persona  la 
dignità  reale,  la  profezia,  il  sa- 
cerdozio, comprendendovi  eminente- 
mente luttociò  che  r  antica  legge 
ed  i  profeti  aveauo  promesso  o  li- 


MES 

gurato  di  più  eccellente  e  di  più 
perfetto.  Gli  antichi  profeti  aveano 
predetto  che  sarebbe  stato  Dio  e 
uomo,  grande  e  depresso,  padrone 
e  servitore,  sacerdote  e  vittima,  re 
e  suddito  ,  mortale  e  vincitore 
della  morte,  ricco  e  povero,  re, 
conquistatore,  glorioso,  uomo  di  do- 
lore, l'obbrorio  degli  uomini,  verme 
della  terra,  confuso,  umilialo,  anni- 
chilato. I  profeti  altresì  predissero 
che  il  Messia  nascerebbe  da  una 
vergine  della  tribù  di  Giuda,  del- 
la stirpe  di  Davidde,  in  Betlemme; 
che  la  sua  venuta  sarebbe  nasco- 
sta; eh'  egli  era  il  gran  profeta 
promesso  nella  legge  ;  ch'egli  era 
figlio  e  signore  di  Davidde  ;  che 
doveva  fare  grandissimi  miracoli; 
che  ristabilirebbe  tutte  le  cose  ;  che 
egli  morirebbe  e  risusciterebbe;  che 
la  sua  venuta  sarebbe  preceduta  da 
quella  d'Elia  ;  che  una  prova  della 
sua  venuta  era  la  guarigione  accor- 
data ai  lebbrosi,  la  vita  ridonata 
ai  morti,  1'  evangelo  annunziato 
ai  poveri;  ch'egli  soffrirebbe  un'in- 
finilà  di  contraddizioni  ;  che  di- 
struggerebbe l'idolatria,  e  che  i  po- 
puli  stranieri  correrebbero  in  folla 
a  mettersi  sotto  la  sua  disciplina. 
In  principio  del  cristianesimo  gli 
ebrei  convenivano  assai  con  queste 
idee;  ma  in  seguito  volendo  ripa- 
rare i  colpi  che  i  cristiani  porta- 
vano loro  colle  proprie  loro  scrit- 
ture, negavano  che  i  passi  disopra 
allegati  dovessero  intendersi  del 
Messia,  e  si  formarono  dei  nuovi 
sistemi  sulla  venuta  del  medesi- 
mo. Gli  uni,  come  il  famoso  Hillel, 
che  gli  ebrei  fanno  vivere  prima 
di  Gesù  Cristo,  dicono  che  il  Mes- 
sia è  venuto  nella  persona  di  Eze- 
chia. Gli  altri  credono  colla  mag- 
gior parte  dei  rabbini,  ch'egli  sia 
venuto  veramente,    ma  che  dimori 


MES 

naicosto  in  qualche  angolo  del  mon- 
do, a  motivo     de'  peccali     degli  e- 
brei,  che  gì'  impediscono    di   mani- 
festarsi. Ve  ne  sono    molti  i  quali 
sostengono    che     il    Messia     non  è 
ancora  venuto,   e    sono    assai  divi- 
si tra  di  loro   sul    tempo     e     sulle 
circostanze    della  sua     venuta.    Gli 
uni  r  aspettano    alla  fine   del  sesto 
millenario,    altri  avevano  fissata    la 
sua  venuta  nel  i^g'i,  altrj  nel  iSgS, 
altri  nel  1600,  ed    altri  ancora   più 
lardi.  Finalmente  stanchi  di  tante  va- 
riazioni scagliarono  la  scomunica  con- 
tro quelli     i    quali     supputerebbero 
gli  anni  'della    venuta    del  Messia. 
Per  conciliare  le  profezie,  che  sem- 
brano opposte,    alcuni    inventarono 
una  nuova    ipotesi     di  due  Messia, 
che  devono    succedersi  l'uno  all'al- 
tro; l'uno  nella     umiliazione,  nella 
povertà  e    nei  patimenti,    e  l'altro 
nello  splendore,  nella   giuria  e  nel- 
]'  abbondanza  ;     ambedue    semplici 
uomini.   Gesù  Cristo    stesso  dichiarò 
alla  samaritana,    ch'egli  era   il  Mes- 
sia aspettato  dai  samaritani    egual- 
mente che  dai  giudei;  indi   avverti 
ì    suoi  discepoli,    che    sorgerebbero 
de' pseudo-Cristi    e  de' pseudo-profe- 
ti, i    quali  darebbero  grandi    segni 
e     farebbero     de'  prodigi     da     in- 
durre   in     errore,  se    fosse  possibi- 
le,    gli  eletti    medesimi  ;    e  l'even- 
to    pur    troppo    verificò    la  predi- 
rione.     Si     videro  fra  gli  ebrei,  in 
quasi  tutti  i    secoli,  de'falsi     profe- 
ti   e  de'  falsi    Cristi,  che  riuscirono 
ad  ingannare    molte   persone.    Gio- 
vanni    Lent     pubblicò     il     trattato 
De  pseudo    Messiis.    Paolo  Medici, 
Riti  e  costumi  degli   ebrei,  enume- 
rò  quindici     falsi     messia,  accettati 
e  creduti  dagli  ebrei.  Il  p.  d.  Fran- 
cesco   Amici     olivetano     nel     1826 
pubblicò  in  Roma:  //  Messia  ovve- 
ro la  vita  di    Gesti    Cristo  adom- 
brata nei  salmi  profelici  di  David. 

VOL.    XLIY. 


MES  289 

Remusat  citò  un  libro  cinese  di 
Confucio,  in  cui  predice  la  venula 
del  Messia  ,  come  si  può  vedere 
nel  voi.  II,  p.  194  degli  Annali 
delle  scienze  religiose.  Ivi  nel  voi. 
"VI,  p. 274e435,  si  riporta  la  bella 
dissertazione  di  monsignor  Gaspare 
Grassellini  :  Vestigia  della  tradizio- 
ne primitiva  nella  poesia  e  lette- 
ratura latina,  nella  quale  prova  lai 
venuta  del  Messia,  e  la  dice  pre- 
detta da  Vii'gilio  nella  IV  sua  ce- 
lebre egloga.  Nel  1840  fu  stam- 
pato in  Roma  :  Della  vana  espet- 
tazione  degli  ebrei  del  loro  re  Mes- 
sia dal  compimento  di  tutte  le  epo- 
che, trattalo  del  dotto  ab.  Giam- 
bernardo  de  Rossi,  nuova  edizione 
con  r  aggiunta  di  varie  disserta- 
zioni sulla  medesima  materia. 

MESSICO  {Mexican).  Città  cori 
residenza  arcivescovile  dell'Indie  oc- 
cidentali, nell'  America  settentriona- 
le, capitale    del    Messico,    capoluo- 
go dello  stato  del  suo  nome,  nella 
parte  meridionale  della  nuova  con- 
federazione Messicana  a  345  leghe 
sud-ovest  da  Nuova-Orleans,  a  74? 
sud-ovest  da  Washington,  a  5o  dal 
golfo  del  Messico,  a  60  dal  grande 
Oceano  equinoziale,    ed    a  due  dal 
lago    di    Xochimilco,  unito   di  lago 
di  Chalco.    È  situata  in    mezzo  ad 
una  gran  pianura  sul  luogo  dell'an- 
tica  Tenochlillan,  è  se,  come  qué- 
sl'  ultima,  non  appoggia  più  sopra 
un  gruppo  d'isole  del  lago  di  Tez- 
ciico,  la  cagione  n'  è  che    le  acque 
del    lago    diminuirono    progressiva- 
mente,   e  che  con  tal    mezzo  le  i- 
sole    si   trovano  ora    formar    parte 
della  terraferma  ;  ma  gli  argini  che 
congiungevano  l'antica  città  al  con- 
tinente  esistono    ancora,    e  servono 
di  dighe  per  garantire  Messico  dal- 
le    innondazioni     de'  vicini     laghi. 
Questi  argini  antichi  in  numero  di 
Ire,  formali  di  pietra  e  terra,  n'eb- 
'9 


ago  MES 

bero    poi  aggiunti    altri  quattro,  e 
tutti  furono  lastricati,    e  circondati 
di  olmi  «e    di  pioppi,    formando  in 
tal  modo  altrettanti    superbi    viali, 
che    conducono    alla    città.    In    so- 
stanza l'antica  città  era  alFdtto  iso- 
lata, coinuuicando    colla  terraferma 
mediante  una  strada  selciata  inter- 
rotta da  canali  che    passavansi  sui 
ponti  levatoi,  in  guisa  da  presenta- 
re un'  immagine  di  ciò  eh'  è  dive- 
nuta l' italiana  Venezia.  Messico  può 
dirsi    la     seconda    città    d*  America 
per  la  popolazione,    poiché   ultima- 
mente   il  numero    de'  suoi    abitanti 
era    di    180,000  circa,    de'quali  i 
bianchi  europei  non  oltrepassavano 
i   tremila:  l'antica  lìe  avea    più  di 
3oo,ooo.    E    una    delle    città    più 
regolari      e     più     belle    del     mon- 
do, di  forma  quadrata,  con  un  in- 
terno magnifico  :  cinta  di  un  muro 
in    pietra,    ha    molli    sobborghi,    il 
cui  aspetto  è  assai  tristo  ;  ed  è  se- 
de   del     congresso    nazionale     della 
confederazione.   Le  strade  sono  spa- 
ziose e  dritte,  le  piazze  grandi,  ab- 
bellite da  grandi    e    bei  fabbricati  ; 
e  sono  attraversate  da   piccoli  canali 
che  derivano  dal  canale  che  termi- 
na nel  Xochimilco.  La  facciata  delle 
case    è     ordinariamente     dipinta    a 
guazzo  in  bianco   ed   in   rosso,   o  in 
verde,  ed  alcune  coperte  interamente 
di   porcellane  che  formano  eleganti 
disegni.  Sopra    alcime  di  esse  sono 
scritti  dei  passi  della  sacia  Scrittu- 
ra,   ovvero  delle    stanze    indirizzate 
a   Gesù  Cristo  ed  alia  Beata  Vergi- 
ne. L'interno  delle  case,  di  sempli- 
ce   architettura,    era     già    decorato 
di    ricchi  vasi,    candelabri    ed    altri 
oggetti  d'argento    e  d'oro    massic- 
cio, che    furono    portati    alla  zecca 
dopo    la    rivoluzione.    Fra  le  pub- 
bliche  piazze,  la    più  osservabile  è 
la    Mayor,  ove    si   ergono    la  catte- 
drale, il  palazzo  del    governo    e  la 


MES 
recca  :  in  mezzo  a  tal  piazza  si  fi- 
leva  la  statua  equestre  di  Carlo  IV 
scolpita  da  Tolza.  Nella  parte  oc- 
cidentale è  il  palazzo  dello  stato, 
che  già  appartenne  ai  duchi  di 
Monteleone  di  Napoli,  eredi  di  Cor- 
tez  dal  lato  di  femmina,  che  pos- 
sedevano quello  del  governo  prima, 
e  ne  fecero  una  permuta  col  gover- 
no stesso:  occupa  l'area  dell'anti- 
co e  splendido  palazzo  di  Monte- 
zuma. 

La  cattedrale  ha  circa  5oo  pie- 
di di    lunghezza,  ed  occupa   il  luo- 
go   del  gran  tempio  o    Deocalli  o 
Teocallis  degli    antichi   messicani,  i 
quali   templi  erano  a  foggia  di  tor- 
ri   piramidali;    la   maggior    parte  è 
di   moderna  costruzione  e  di  buono 
stile,    essendo    gotico  il    rimanente. 
Le    ricchezze    che    contiene    questa 
cattedrale  sono    incalcolabili,  e  non 
ha    pari    nel    mondo,    celebrandosi 
dopo   questa  la    cattedrale  di  Pue- 
bla.  Molte  sono  le  statue  d'oro    e 
d'argento,  sebbene  annerile  did  tem- 
po, e  infinita  la  copia  di  gioie  ab- 
bandonale nell'ombra    e  nell'oscu- 
rità. 11  baldacchino  dell'altare  mag- 
giore è  ancora  più  prezioso  che  im- 
ponente. Egli  è  formato  di  un  pri- 
mo peristilio  di  legno  mirabilmente 
scolpito,    il    quale    ne  contiene    un 
secondo  di   diaspro  che  circonda  il 
tabernacolo  d' argento  massiccio,  ed 
ima  statua  d'oro  della  Beata  Ver^ 
gine  tempestata    di  gemme,  e  pesai 
circa     settemila    grani     castigliaui 
L'aliare  maggiore,  a  cui  si  sale  da 
quattro  parli,  è    cinto  da    una   ba- 
laustrata   decorata    di  statue    d'ar- 
gento, destinate  a  sostenere  doppie- 
ri. La  balaustrata  è  composta  d'una 
mescolanza    di    vari  metalli,    il  cui 
valore    si  accosta  a  quello    dell'ar- 
gento: venne  lavorata  a  Macao,   e 
pesa  534  quintali.  Carlo  V  gli  do- 
nò   un  servizio  d'oro    per   1' altare j 


MES 
maggiore,  composto  eli  dieci  gran 
caiiticilieri,  sei  vasi  di  fiori,  sei  in- 
censieri con  navicelle,  due  grandi 
Cfocij  due  leggìi,  ed  alili  oggelti, 
tulli  d'oro  nìassiccio.  La  gran  lam- 
pada d'aigeiilo  che  arde  innanzi 
all'  altare  maggiore  pesa  4^76 
marchi  :  fu  pagala  più  di  70,000 
scudi.  L'ostensorio  principale  pesa 
88  marchi  d'  oro,  ed  è  ornalo  da 
5862  diamanti  da  un  lato,  e  dal- 
l'altro di  2653  smeraldi,  644  i'"* 
bini,  106  nmalisle,  e  8  zalliri.  Il 
ciljoiio  pesa  i3  marchi  d'oro,  ed 
è  fregialo  di  circa  1676  diamanti. 
li  calice  pesa  6  marchi  d'oro,  ed 
è  ricco  di  4oo  fra  smeraldi,  dia- 
manti e  rubini.  L'ostensorio  ordi- 
nario per  le  sue  gemme  abbaglia 
la  vista,  e  costringe  ad  abbassare 
gli  occhi.  Al  dire  del  geografo  Car- 
ta, IMessico  e  Roma  sono  forse  le 
città  del  mondo  ove  le  cerimonie 
religiose  si  celebrano  con  maggior 
lusso  e  pompa  per  magnificenza 
e  ricchezza  delle  vesti  e  degli  ar- 
redi sacri.  Se  lali  descrizioni,  ri- 
portate dal  geografo  Pagnorzi,  sem- 
brano esageiate  ed  en(iiliche  ,  è 
indubitato  che  la  magnificenza  del- 
le pompe  ecclesiastiche  di  Messico 
è  stala  sempre  senza  esempio,  e  se 
ne  ha  una  ragione  convincente 
nella  divozione  de'  popoli  e  nella 
copia  delie  preziose  miniere. 

Messico  potrebbe  chiamarsi  la 
ciuà  santa  del  nuovo  mondo,  tan- 
to è  grande  il  numero  delle  sue 
chiese,  delle  sue  cappelle,  de' suoi 
conventi  e  monasteri  .  Molti  di 
questi  ultimi  edilizi  sono  per  così 
dire  piccole  città,  comprendendo 
nel  loro  vasto  recinto  altre  chiese 
e  delle  confraternite,  oltre  la  chie- 
sa ed  il  monastero  o  convento 
principale  .  I  principali  conventi 
che  si  distinguono  per  grandezza, 
magnificenza,    maestà    e    ricchezza, 


MES  agt 

sono:  il  vasto  convento  de'  france- 
scani, fondato  nel  i53r,  e  le  cui 
rendite  in  elemosine  sono  calcolate 
a  600,000  franchi  annui  ;  quello 
de'  domenicani  non  meno  spazioso, 
e  di  cui  una  porzione  serve  oggi 
di  prigione  di  stato;  quello  di  9. 
Ferdinando;  quello  di  s.  Domeni- 
co; quello  della  Concezione  ;  quel- 
lo dell'  Incarnazione;  quello  della 
casa  Professa.  Sono  pure  meritevoli 
di  osservazione  l'antico  palazzo  del- 
l'inquisizione,  di  elegante  architet- 
tura, occupato  ora  dalla  scuola  po- 
litecnica ;  il  collegio  di  sant'  Idel- 
fonso;  l'ospedale  di  Gesù  de  Ics 
Nnliirales,  fondato  da  Cortez,  e 
nella  di  cui  bella  chiesa  riposano 
in  un  particolare  monumento  le 
ceneri  di  quel  conquistatore,  il  qua- 
le ci  lasciò  molte  relazioni  de'  falli 
e  delle  cose  ne' dominii  dell'impe- 
ratore Azbeco  Monteczuma  da  lui 
vinto,  e  ne' minori  stati  vicini.  Il 
palazzo  del  governo,  già  residenza 
dei  viceré,  ammirabile  e  quasi  qua- 
dralo, con  interni  spaziosi  cortili 
ornati  di  logge,  ha  una  facciata  di 
parecchie  centinaia  di  piedi  ;  ora 
vi  risiede  il  presidente  della  confe- 
derazione, e  vi  sono  collocati  i 
principali  ufiizi  di  pubblica  ammi- 
nistrazione. La  zecca,  vasto  edifizio 
di  semplice  archi  lettura,  uno  dei 
più  belli  e  meglio  organizzati  stabili- 
menti del  mondo,  anco  per  la  per- 
fezione delle  macchine,  nel  quale,  se- 
condo ile  Humboldt,  si  coniarono 
dal  1690  sino  al  1800  inclusiva- 
mente,  1,294,918,514  piastre^  tan- 
to in  oro  che  in  argento;  poiché 
quando  le  miniere  erano  in  piena 
nltivilà,  si  narra  che  si  ricavavano 
ottantamila  piastre  al  giorno.  So- 
no rimarcabili  i  due  ospizi  riuniti; 
V  Accordada,  prigione  spaziosa  e 
ben  ariosa  ;  il  monte  di  pietà,  i 
palazzi  Yzitas  e  Pinillos,  il  palazzo 


292  MES 

comunaJe,  la    scuola  delle    miniere, 
ed    il  teatro,   ove   si    va    principal- 
mente per  vedersi    e  pippare,  e  le 
dn^^c    stesse    fumano    durante  una 
gran  parte  dello  spettacolo;  non  che 
lo  spazioso  anfiteatro   in  legno  pei 
grandiosi  trattenimenti  della  giostra 
de'tori.  Gli    stabilimenti  della  pub- 
blica istruzione  sono  numerosissimi. 
Evvi  una  università   ed    una  pub- 
blica   biblioteca,    il     collegio    di    s. 
Gregorio,  molti  ginnasi    elementari, 
un  seminario  che  gode  riputazione, 
una  grande  scuola  lancastriana,  una 
accademia  di  belle  arti  istituita  nel 
1781    sotto    Carlo    III,    il    museo 
delle  antichità  messicane,  la  speco- 
la, r  orlo  botanico,  il  gabinetto  di 
mineralogia  ,    e    parecchi    ospedali  ; 
l'archivio  ove    si  riuniscono  i  mss. 
e    tutte  le   antiche  opere   che    sta- 
vano  disperse    negli    archivi    e    bi- 
blioteche    del     Messico,     Fiorirono 
molti  egregi  artisti   messicani,  n^'is- 
si  me  archi  letti,  ed  uu  gran  nume- 
io  di   pittori,  oltre  altri  uomini  illu- 
stri. Ha  diverse  manifatture,  e  l'ori- 
fìceria  e  la  chincagliera  vi  sono  por- 
tate a  tale  perfezione,  che  possono 
slare  del  pari    a  tultociò  che  si    là 
di  meglio  in  tal  genere  in  Europa. 
La  rivoluzione  portò  terribili  col- 
pi alle  immense  dovizie  de'particola- 
ri,  in  modo  che  si  può  dire  adesso 
Hon  essere  più  Messico  se  non  che 
r  ombra  del    suo  antico   splendore. 
Malgrado   la    situazione    di  Messico 
sotto    la  zona  torrida,  il  clima  v'è 
dolce  e  temperato;   per  cui  in  tut- 
to   l'anno    vi    sono    ne' giardini    e 
negli  orli  de'  dintorni,  fruita  e  fio- 
ri. La  situazione  del  Messico  è  fa- 
vorevolissima ad  un  commercio  con- 
siderabile con   l'Europa  e  con    l'A- 
sia.   I    pubblici    passeggi  sono  l'A- 
lameda,    il    Paseo  e    la  strada  che 
conduce  al  castello  di  Chapullepcch. 
Le  antichità  messicane  che  rinchiu' 


MES 

de  questa  citlà   sono  principalmen» 
te    alcuni     avanzi    di     Teocallis   o 
templi,  diversi  mss.,  pitture  gerogli- 
fiche   ed  altre,  eseguite  sopra  pelli 
di  daino,  o  sulla  carta  di  agava  o 
aloè,    e  vari    idoli  in    pietra    o  in 
terra  cotta.  Si  osserva  sulla  piazza 
maggiore,  e   incastrata  nella  mura- 
glia della  cattedrale,  la  gran  pietra 
del  calendario  degli    antichi  messi- 
cani, monumento  curioso  delle  co- 
gnizioni astronomiche  di  cpiesti  in- 
diani, chiamato  volgarmente  l'oro- 
logio di  Montezumaj  e  l'altare  dei 
sagrifizi,  su  cui  furono  immolale  mi- 
gliaia di  vittime  umane,  e  ch'è  co- 
perto di  sculture    rappresentanti  le 
conquiste  de'  messicani  sopra  diver- 
se città  i  cui  nomi  vedonsi   scritti. 
Nei  chiostri  del  convento  de'  dome- 
nicani si   vede  un  grand'  idolo  rap- 
presentante un  serpente  che  divora 
una  vittima    umana;  ma   l'idolo  il 
più  spaventoso  è    quello  che    stava 
sepolto    sotto    la    galleria    dell'  uni- 
versità, da  dove  Beulioch  viaggiato- 
re inglese  ottenne  che  fosse  ricava- 
to un  gesso  :    è  questa    una  statua 
colossale    fatta     con    un    masso    di 
basalto,    di  due    metri  d' altezza    e 
di  tre  di    larghezza,  e    rappresenta 
una    figura  umana    deforme,  unita 
a  tultociò  che    la  slruUura  del   ti- 
gre   e  del  serpente    a  sonaglio    of- 
fre di  più  orribile  ;  una  larga  col- 
lana di  crani,  di  cuori  e  di  mani, 
infilzati  con  dei  visceri,  copre  inte- 
ramente il  suo   ventre,  ad  eccezio- 
ne delle  mammelle  ;  quest'idolo  spa- 
ventevole rappresenta  la  dea  Teoyao- 
timiqui,  ch'era  la  principale  dei  mes- 
sicani.   Si  possono  vedere  il    Clavìì 
gero.  Storia  antica  del  Messico  ;  : 
Gama,  Saggio  dell' aslronomia,  ero 
nologia   e    mitologia    degli    aulici 
messicani. 

Messico  fu  fondala  dagli    atzeqnr 
nel    i325,    e    chiaraossi    originaria- 


MES 
mente  Tenochtillan,  portando  altiesl 
il  nome  di   Messico,  che  significava 
abitazione    del  Dio    della  guerra,  e 
questo  nome  si  estese  inseiisibilaaen- 
te  alla  contrada.  Si  vuole  che  Anto- 
nio dello  Specchio  abbia  dato  al  Nuo- 
vo Messico  il  nome  che  porla,  come 
quello  di  Nuova  Granata  nel  i583. 
Altri    dicono  che    il  Nuovo  Messico 
è  il  paese  degli  antichi   navalelichi, 
che  vennero  a    stabilirsi  nel  Messi- 
co, e  s.    Fede  n'  è  il    capoluogo.   11 
Nuovo    Messico  non    fu    conosciuto 
dagli    spagnuoli    che    nel     1 58 1 ,   a 
mezzo    del  francescano    lluiz,     e  vi 
mandarono    d.    Antonio    di    Espejo 
che  i  naturali  accolsero  amichevol- 
mente ,   e  quindi    per  la  loro  buo- 
na indole  facilmente  si  convertirono 
al     cristianesimo .    Si     credette    da 
principio  che    questa    contrada  fos- 
se   altrettanto     ricca     in     argento  , 
quanto    il    Messico    centrale,    ed    è 
per   questo    che    fu  chiamata  Nuo- 
vo Messico,  già  intendenza    ed  ora^ 
dal     1824    stato    del    suo    nome. 
Col  nome  di  Messico  avvi   pure  un 
altro  stato  formato  nel    1824,  con 
Tlalpan    per    capitale.    Quanto  alla 
regione    del    Messico    propriamente 
detto,  molte  antichità,  fra  le    altre 
le    rovine    di     Palenquè,    verso    la 
frontiera    del    Guatemala,    provano 
che    il  Messico    ebbe  lungo    tempo 
prima     dell'  arrivo     degli     europei, 
degli  abitanti  pervenuti   ad  una  cer- 
ta perfezione  nelle  arti.   Allorché  lo 
kpagnuolo    Ferdinando  o    Ferrante 
Cortez  .scoperse  questa  bella  contra- 
da   nel    i5i8,   approdò    dapprima 
all'  isola    Cozumel,    avanzossi    verso 
la  riviera  Tabasco,  gettò  le  fonda- 
menta della  città  Villa-Ricca  de  la 
Vera  Crux,  poi    penetrò  nel  paese 
di   Aiiahucic  occupato  dagli  atzequi 
che  pervenuti    erano  ad    un  grado 
rimarcabile    di  civiltà.    Montezuma 
o    meglio   MoUucioiua    Xocojolzia 


MES  593 

regnava  su  questa  nazione.  Il  con- 
quistatore dopo  esserne  slato  espul- 
so   tornò  ad    assediarla    per    acqua 
e    per    terra.     In    questa    seconda 
spedizione  le  forze  di    Cortez  asce- 
sero a  dieci     vascelli,  seicento   spa- 
gnuoli, e  dieciotto  cavalli,  oltre  al- 
cuni pezzi    d' artiglieria    da  campa- 
gna, ed  entrò  nel  paese  agli  8  no- 
vembre.  Il  re  o  imperatore  Monte- 
zuma,   che    poteva    armare    quat- 
trocentomila   combattenti,  lo    prese 
per  un  Dio,  e  pel  figliuolo  del  So- 
le disceso  dall'Olimpo,  come  si  leg- 
ge nella  storia  di    tal  conquista  di 
Antonio  de  Solis,  pubblicata  a  Ma- 
drid nel   i684-  La  città  di  Messico 
era  allora  ricca, assai  florida,  ben  po- 
polata, e  la  sede  del  governo  e  della 
religione.   Montezuma  fu   fatto    pri-, 
gione,  ed  in    essa   mori  ;  tuttavolta 
il  trono  fu  ancora  occupalo  in  mez- 
zo alle  sanguinose  conquiste  degli  spa- 
gnuoli, da  due  principi,  Cuitlahuat- 
zin    e  Quauhtemolzin  ;  in    fine  nel 
i52i   dopo  un  assedio  di  jS  gior- 
ni ed  una  orribile  carniflciua  degli 
abitanti,  la  presa  della  città  di  Mes- 
sico trasse  la  rovina  totale  di  que- 
si'  impero.   Gli    assedianli  spianava- 
no le  case  a  misura  che  se  ne  im- 
padronivano,    per    avvicinarsi    alla 
parte  principale  della  piazza  con  si- 
curezza ;   in    tal    modo    quest'  anti- 
ca città  fu   completamente  distrutta, 
onde    ricostruirsi    alla    foggia    euro- 
pea.  Quindi  poco  tempo  dopo  una 
nuova  città,  però  meno  estesa,  s'in- 
nalzò   sulle    sue   rovine,   ed   è  l' o- 
dierna   situata  nella  bella  valle  nel 
mezzo  della  cordigliera  d'Anahuac. 
Tuttavia  gran  parte  delle  fabbriche 
di    queir  epoca    esistono    ancora,  e 
mostrano    la    lucentezza    delle    case 
de'  tempi    di    Montezuma,   la  quale 
fece  supporre   agli  esploratori    spa- 
gnuoli, che  da  lontano  in  prima  It 
videro,  essere  esse  formate  di  argeu- 


394  MES 

to;  molle  infatli,  come  dicemmo, 
lono  rivestile  di  porcellana  risplen- 
dente con  disegni  variati,  o  colori- 
te in  modo  che  rappresentano  una 
specie  di  mosaico. 

La  -valle  è  di  forma  ovale  con  67 
leghe  di  circuito,  calcolandolo  sol- 
la cima  delle  montagne  pordrcticlie 
che  la  cingono  come  un  muro,  e 
delle  quali  nelle  più  elevate  si  jì- 
marcaiio  i  due  grandi  vulcani  di 
Popocatcpell  e  d'ilzaccihiialt  :  si  ri- 
conosce lacilmente  che  questa  valle 
tutta  inlera  è  il  fondo  di  un  lago 
asciugato,  di  cui  i  cinque  laghi  non 
sono  che  tenui  avanzi,  i  quali  in 
certe  stagioni  sprigionando  quantità 
d' idrogeno  soliòrato,  contribuiscono 
all'insalubrità  dell'aria  in  tali  tem- 
pi. Imponente  e  variato  spettacolo 
riesce  il  contemplar  la  vallata  di 
Messico  dalfalto  della  collina  Cha- 
pullepec  in  una  bella  mattina  esti- 
va. Cortez  diede  al  prezioso  paese 
che  uvea  assoggettato  alla  sua  pa- 
tria, il  nome  di  iNuova  Spagna; 
egli  ne  fu  creato  capitano  generale, 
e  ricevette  il  titolo  di  marchese 
della  valle  di  Oaxacha  ;  più  lardi 
provò  r  ingratitudine,  del  governo 
spagnuolo,  ed  un  viceré  fu  sosti- 
tuito neir  amministrazione  del  Mes- 
sico nel  i535.  Carlo  V  cercò  di 
prolecKere    i    dissrnziati     messicani 

l  CD  o 

contro  le  vessazioni  de'  loro  feroci 
vincitori,  ed  accordò  ai  coloni  un 
codice  di  leggi,  secondo  il  quale 
nessuna  distinzione  doveva  esistere 
fra  i  conquistatori,  i  coloni  ed  i 
naturali  ;  ma  questo  codice  non  fu 
mai  posto  in  esecuzione.  Anche  la 
introduzione  della  lelleratura  e  del- 
le arti  europee  fu  proibita,  e  nien- 
te si  trascurò  onde  sodocare  le  di- 
sposizioni naturali  degl'indiani;  il 
commercio  di  questo  paese  fu  sa- 
grifjcalo  alla  cupidigia  di  alcuni 
ipercauli  di  Cadice,  ai  quali  il  go- 


MES 
verno  ne  assicurò  il  monopolio.  On- 
de assicurare  la  vendila  dei  vini, 
acquavite,  olii,  e  delle  sete  di  Spa- 
gna, si  proibì  ai  creoli  di  coltivare 
la  vite,  l'olivo  ed  il  gelso,  sotto 
pene  atroci.  Quindi  ordini  contrad- 
diltorii  si  ricevevano  nel  Messico  dal 
consiglio  delle  Indie,  da  Ferdinan- 
do VII,  e  da  IMurat  che  teneva 
Madrid  sotto  il  giogo  militare. 

Tale  era  la  sorte  da  quattro  se- 
coli degli  abitanti  del  Messico,  allor- 
ché la  Francia  invase  la  penisola 
spagnuola  nel  1808.  I  messicani 
restarono  fedeli  alla  Spagna,  ma 
privi  delle  duezioni  abituate  dovet- 
tero cercare  .«occorsi  in  loro  stessi. 
11  viceré  d.  Jose  Iturrigaray  pro- 
pose eh  formare  una  giunta  per  la 
organizzazione  d'  un  governo  prov- 
visorio; voleva  che  i  membri  rap- 
presentanti di  ciascuna  provincia 
fossero  scelti  fra  gli  europei  ed  i 
creoli;  ma  i  primi  temendo  una 
mescolanza  che  poteva  essere  fune- 
sta alla  loro  supremazia,  s'impa- 
droniiono  improvvisamente  dej  go- 
vernatore, e  lo  fecero  partire  per 
la  Spagna.  11  suo  successore  Vene- 
gas,  nominato  dalla  giunta  di  Ca- 
dice, mostrò  una  manifesta  parzia- 
lità per  gli  europei,  e  quindi  ina- 
sprì i  creoli;  una  vasta  congiura  fu 
ordita,  e  nel  selteudjre  1810  il 
monaco  o  parroco  llidcdgo  se  ne 
fece  capo,  ma  fu  vinto  dal  gene- 
rale realista  d.  Felice  Coleja  e  giu- 
stizialo nel  181  i.  D.  Jo«.e  Maria 
Morelos  prese  il  posto  d'  Hidalgo, 
radunò  un  congresso  composto  di 
4o  membri,  e  pubblicò  nel  1812 
una  costituzione  dalla  quale  Ferdi- 
nando VII  era  ancora  riconosciuto 
sovrano;  ma  fu  anch' egli  ben  pre- 
sto condannato  a  morte;  si  diseiol- 
se  il  congresso,  e  si  ristabib  inte- 
ramente l'autorità  reale.  Saverio 
Mina,  che  suscitò  una  nuova   in»ur- 


MES 

rezione  nel  1 8 1 5,  e  che  ottenne  da 
principio  successi  brillantissimi,  non 
ebbe  una  fine  meno  infelice.  Verso 
la  metà  del  1820  la  nuova  della 
rivoluzione  deli' isola  di  Leon  giun- 
te al  Messico;  il  viceré  Apodaca 
rifiutò  di  riconoscere  la  costituzione 
delle  cortes,  ed  allora  si  organizzò 
una  insurrezione  sotto  l' influenza 
de'  patriotti  i  più  attaccali  agi'  in- 
teressi della  madre  patria.  11  vice- 
ré tolse  al  generale  Aniigo,  cono- 
iciuto  per  la  sua  divozione  alla  co- 
stituzione, il  comando  delle  truppe 
stazionate  fra  Messico  ed  Acapulco, 
e  vi  fu  sostituito  Agostino  Ilurbi- 
do .  Questi  lungi  dal  favorire  i 
progetti  d' Apodaca,  pubblicò  li  24 
febbraio  1821  ad  Iguala  un  ma- 
nifesto con  cui  ii  Messico  era  di- 
chiarato indipendente  dalla  Spagna, 
e  Ferdinando  VII  o  qualche  prin- 
cipe delia  sua  famiglia  chiamato  al 
trono  di  questo  impero.  Apodaca 
vi  vide  obbligato  di  abdicare  ed 
O'Donaju  inviato  dalle  cortes  in  uà 
luogo,  confermò  col  trattato  di  Cor- 
dova de' 24  agosto  1822,  il  mani- 
festo d'  Iguala  ;  le  cortes  rifiutarono 
di  raltificare  un  tal  trattato,  ed  il 
congresso  americano  approfittò  di 
questo  rifiuto  onde  arrogarsi  il  di- 
ritto di  eleggere  un  imperatore, 
scelta  che  cadde  sopra  Ilurbido,  ii 
quale  fu  proclamato  sotto  ii  nome 
di  Agostino  I  ;  questa  misura  per 
altro  fu  disapprovata  da  una  por- 
eione  del  congresso  :  una  opposizio- 
ne armata  formossi  sotto  i  genera- 
li \iltoria  e  Gueirero,  e  nel  mo- 
mento iu  cui  Ilurbido  si  faceva  in- 
coronare con  una  straordinaria  ma- 
gnificenya,  gì'  insorgenti  proclamaro- 
no la  repubblica.  Dopo  una  lotta 
sanguinosa  l' imperatore  acconsenti 
di  abdicare  nei  maggio  1823  e 
partì  per  1'  Europa.  Un  nuovo  con- 
giesso  fu  convocato,  e  pubblicò  nel 


MES 


*95f 


gennaio  1824  un  atto  costituziona- 
le, basato  sui  principii  della  costi- 
tuzione degli  Stati-Uniti,  eccettuato 
quanto  concerne  la  tolleranza  reli- 
giosa, non  riconoscendosi  che  la  cat- 
tolica per  religione  dello  stato.  Ver- 
so la  line  del  1824,  Ilurbido  tentò 
di  riconquistare  il  suo  trono,  ma  fu 
quasi  subilo  arrestato  e  fucilato. 

Dopo  di  ciò,  numerose  commozio- 
ni politiche  agitarono  ancora  tutta 
la  repubblica  messicana.  Una  insur- 
rezione scoppiò  nella  capitale  li  3o 
novembre  1828,  ed  il  generale 
Guerrero  che  n'  era  il  capo  princi- 
pale fu  investito  della  presidenza  ; 
il  suo  predecessore  Pedraza  si  era 
imbarcalo  per  gli  Stati-Uniti,  dopo 
il  manifesto  del  general  Santanna, 
ed  il  congresso  decretò  la  espulsio- 
ne di  tulli  gli  spagnuoli  e  loro  par- 
tigiani dal  territorio  della  repubbli- 
ca. JXel  1829  la  Spagna  fece  par- 
lire  dall'  Avana  una  spedizione  con- 
tro il  IMessico,  ch'ebbe  un  esito 
infelice,  per  la  vittoria  riportala  ai 
16  settembre  dal  presidente  Guer- 
rero munito  di  poteri  dittatoriali, 
vittoria  che  fu  celebrata  coli' aboli- 
zione della  schiavitù  negli  stali  messi- 
cani. Altra  sedizione  militare  operò 
Bustamanle,  che  sostenuto  dai  solda- 
ti aspirava  al  supremo  potere,  e  vi 
riuscì  precariamente,  ponendo  però 
di  nuovo  gli  stali  in  balia  della  guer- 
ra civile.  11  generale  Santanna  si  mi- 
se alla  testa  delle  operazioni  mili- 
tari, e  dopo  lunga  lotta  nel  io  di- 
cembre 1882  si  segnò  un  armisti- 
zio, che  terminò  colla  sottomissio- 
ne di  Bustamanle,  e  colla  nomina 
di  Santanna  alla  presidenza.  Fu  pe- 
rò il  governo  di  Santanna  burrasco- 
so, mentre  la  regione  del  Texas 
operò  una  rivoluzione  per  distaccar- 
si dalla  federazione  messicana,  onde 
congiungersi  cogli  Stati- Uniti.  Il  ge- 
neral Santanna  presidente  della  re- 


agS  MES 

pubblica  guidò  la  spedizione  contro 
il  Texas,  ma  ebbe  la  disgrazia  di 
rituanere  prigioniero,  e  ricuperò  poi 
{a  libertà  per  convenzione.  Dopo 
vari  ripartimenli  che  si  fecero  in 
tempo  delia  rivoluzione,  dividesi  og- 
gi la  repubblica  del  Messico  o  con- 
federazione messicana,  in  un  di- 
sfretto federale  con  la  città  di  Mes- 
sico per  capoluogo,  in  diecinove 
stati,  ed  in  quattro  territoriij  com- 
preso qualche  brano  del  territorio 
gualimalese,  racchiuso  nello  stato 
di  Chiapa,  che  ha  Ciudad  Reale 
per  capoluogo,  essendovi  il  vescova- 
to di  Chiapa.  Chihuahua,  Durango, 
Guapaxuato,  Oaxaca,  Puebla,  Que- 
retaro,  s.  Luigi,  Vera  Crux,  Za- 
catecas  sono  stati  i  cui  capoluo- 
ghi ne  portano  il  nome.  Cohahui- 
là,  che  ha  Monclova  per  capoluogo; 
Messico,  che  ha  Tlalpan  per  capo- 
luogo ;  Mechoacan ,  che  ha  Va- 
gliadolid  ;  Nuovo  Leone,  che  ha 
Monterey;  Sonora  e  Cinaloa,  che 
ha  Villa  del  Fuerte  ;  Tabasco,  che 
ha  s.  Jago;  Tamaulipas,  che  ha 
Aguayo;  Xalisco,  che  ha  Guadala- 
xara  ;  Yucalan,  che  ha  Marida  ;  Ca- 
lifornia, che  ha  s.  Carlos  de  Mon- 
terey  ;  Colima,  che  ha  Colima  ; 
Nuovo-Messico,  che  ha  s.  Fede  ; 
Tlascala  ,  che  ha  Tlascala  :  gli  ul- 
timi quattro  sono  lerritorii.  Si  pos- 
sono vedere  i  seguenti  articoli,  tutti 
vescovati  della  repubblica  messica- 
na, oltre  i  citati.  Guadalaxara,  Me- 
KiDA,  Puebla,  Tlascala,  Mechocaw, 
Sonora,  Durango,  Vera  Crux,  Ca- 
lifornia, s.  Fede,  ed  altri  che  ci- 
teremo. 

La  sede  vescovile  fu  eretta  nel 
iSij  da  Clemente  VII,  quindi  ven- 
ne eretta  in  arcivescovato  da  Paolo 
III  nel  i547,  pretendendo  l'arci- 
vescovo alla  primazia  delle  Indie 
occidentali.  Furono  dichiarate  per 
suffraganee  le    chiese    vescovili    di 


MES 
Angelopoli  o  Tlascala,  di  Anteque- 
ra  o  Oaxaca,  di  Mechoacan^  di  Me- 
rida,  di  Chiapa,  di  s.  Giacomo  di 
Guatimala,  di  Leone  Nuovo  o  Li- 
nares,  di  Vera  Paz  che  si  unì  a  s. 
Giovanni  della  Vittoria  di  Guaraan- 
ga,  di  Guadalaxara,  di  Durango, 
e  di  s.  Fede  poi  elevata  ad  arci- 
vescovato. Al  presente  sono  nove  i 
vescovi  suffraganei  di  Messico,  cioè 
Antequera,  Linares  j  Mechoacan, 
Tlascala  o  Puebla  de  los  Angelos, 
Guadalaxara  ,  Durango  ,  Yucatan  , 
Chiapa  e  Sonora.  Pio  VI  nell'  eri- 
gere tre  nuovi  vescovati,  smembrò 
parte  del  territorio  di  questo  arci- 
vescovato. Il  primo  vescovo  di  Mes- 
sico fu  Giovanni  di  Cumerraga  o 
Sumarraga  di  Discaglia,  consecrato 
nel  iSi'j  ;  fondò  molte  case  religio- 
se e  molti  ospedali,  e  morì  nel 
i548.  Suoi  successori  furono:  Alfon- 
so di  Montufar  domenicano,  pre- 
lato distinto  per  le  sue  virtù  e  par- 
ticolarmente per  la  carità  verso  i 
poveri,  e  morì  nel  iSGg.  Pietro  di 
Moya  inquisitore  di  Murcia,  nomi- 
nato nel  iSya,  morto  nel  1587. 
Alfonso  Fernandez  inquisitore  e 
decano  della  chiesa  di  Messico,  elet- 
to nel  i5g2,  morì  nel  iSgG.  Gar- 
da di  s.  Maria  dell'ordine  di  s.  Gi- 
rolamo, consecrato  arcivescovo  nel 
1601  ,  morto  nql  1606.  Garcia 
d'Enguerra  domenicano,  fu  arcive- 
scovo e  viceré  di  Messico  .  Gio- 
vanni Perez  di  Cerna  del  161 3, 
trasferito  a  Zamorra  nel  1629. 
Francesco  Manso,  professore  di  di- 
ritto canonico  a  Vagliadolid,  eletto 
nel  1629,  traslatato  a  Carlagena  di 
Murcia.  Francesco  Berdugo  profes- 
sore di  diritto  canonico  a  Siviglia, 
vescovo  di  Guamagua,  arcivescovo  di 
Messico,  morì  prima  di  ricevere  le 
bolle.  Feliciano  de  la  Vega,  canonico 
di  Lima,  nominato  nel  1639,  morì 
uell'  istesso  auuo.  Giovanni  di  Ma« 


MES 

gnossa  inquisitore  di  Lima,  elelto 
nel  1643,  ec.  Le  aoDuali  Notizie 
di  Roma  legislrano  i  seguenti  ar- 
civescovi. l'ySo  Gio.  Antonio  Bi- 
zarron  y  Eguiarreta  di  Porto  dio- 
cesi di  Siviglia.  1748  Emmanuele 
Rubio  y  Salinas  canonico  regolare 
di  s.  Agostino  di  Comelnary  dio- 
cesi di  Toledo.  1766  Francesco 
Antonio  de  Lorenzana  traslato  da 
Placencia,  delle  cui  notizie  parliamo 
alla  sua  importante  biografìa,  ove 
riportammo  le  benemerenze  pasto- 
rali, e  la  celebrazione  del  IV  con- 
cilio provinciale  messicano,  meritan- 
do nel  1789  il  cardinalato  da  Pio 
VI.  1772  Alfonso  Nunez  de  Ma- 
ro y  Peralta  di  Garcia  diocesi  di 
Cuenca.  1802  Francesco  Saverio  de 
Lizana  y  Beaumont  d'  Arnuedo  dio- 
cesi di  Calaboira,  traslato  da  Ter- 
rei. 181  5  Pietro  Giuseppe  de  Fon- 
te di  Linares  diocesi  di  Saragozza. 
Per  sua  dimissione  Gregorio  XVI 
nel  concistoro  de' 2  3  dicembre  1889 
preconizzò  l'odierno  arcivescovo  mon- 
«ignor  Emmanuele  Posada  y  Gar- 
duno,  nato  nel  castello  di  s.  Filip- 
po il  grande,  arcidiocesi  del  Messi- 
co ,  già  vicario  generale  di  Tla- 
scala,  vicario  capitolare  e  canoni- 
co maestro  dignitario^  della  metro- 
politana. 

La  cattedrale,  uno  de' più  belli  e 
più  grandi  templi  di  America,  nel- 
la maggior  parte  di  moderna  co- 
struzione di  buono  stile,  gotico  es- 
sendo il  rimanente,  decorato  nella 
facciata  di  due  laterali  belle  torri, 
lia  V  interno  leggiero  e  magnifico. 
La  forma  è  a  croce  latina,  sormon- 
tata nel  centro  d'ampia  cupola,  la 
quale  posa  sopra  quattro  pilastri  del 
pari  arditi  ch'eleganti,  con  cinque 
navi,  ed  è  dedicata  all'Assunzione 
di  Maria  Vergine.  La  chiesa  unita 
alla  cattedrale,  detta  il  sacrario,  e 
che  serve  alle  cerimonie  parrocchia? 


MES  297 

]i  con  baltisterio,  è  un  vasto  qua- 
drato di  un  bellissimo  effetto,  es- 
sendo amministrata  la  cura  da  tre 
parrochi.  Il  capitolo  sì  compone  di 
cinque  dignità,  la  maggiore  delle 
quali  è  il  decano,  di  nove  canonici 
comprese  le  prebende  del  teologo 
e  del  penitenziere,  di  beneficiati  ed 
altri  preti  inservienti  al  divino  ser- 
vigio. Il  palazzo  arcivescovile  è  con- 
tiguo alla  metropolitana,  ed  è  otti- 
mo edifizio.  Oltre  la  cattedrale,  nel- 
la città  vi  sono  altre  quattordici 
chiese  parrocchiali,  tutte  munite  del 
sacro  fonte,  oltre  l' insigne  collegia- 
ta di  Maria  Vergine  di  Guadalupa, 
Il  santuario  di  tal  nome  esiste  nel 
notabile  borgo  di  Guadalupa,  il  qua- 
le è  nell'America  celeberrimo  pel 
ricco  suo  tempio  edificato  sulla  col- 
lina di  Tepejacac,  ove  un  delubro 
atzeco  sorgeva  sacro  a  Cen-teolt,  dea 
delle  biade.  Il  santuario  si  suddi- 
vide in  tre  templi,  de'quali  il  prin- 
cipale è  veramente  maestoso,  ed 
ivi  si  venera  grandemente  la  devo- 
ta effigie  di  Nostra  Signora,  dovi- 
zioso di  preziosi  arredi  ed  orna- 
menti. Vi  è  pure  un  ampio  palaz- 
zo abitato  dai  canonici  destinati  al 
servigio  ecclesiastico.  I  pellegrini  vi 
concorrono  a  migliaia  dalle  più  lon- 
tane parli  della  confederazione.  Pres- 
so alla  chiesa  nella  cappella  detta 
del  pozzo,  si  attinge  all'  ingresso 
acqua  che  si  crede  salutare  per  la 
paralisia.  Nella  città  di  Messico  vi 
sono  diversi  numerosi  conventi  con 
religiosi,  monasteri  con  monache, 
e  quei  benefici  stabilimenti  sum- 
mentovati,  oltre  molte  confraterni- 
te. Fra  i  cinque  suoi  ospedalij  avvi 
quello  di  s.  Ippolito,  cos'i  chiamalo 
perchè  nel  giorno  di  tal  santo  la 
città  fu  convertita  dall'  idolatria  al- 
la fede  cristiana.  La  confraternita 
ivi  eretta,  fu  poi  da  Innocenzo  XII 
dichiarata    congregazione    religiosa 


29»  MES 

«olto  il  titolo  di  Carila  de  fratelli 
di  s.  Ippolito  [Vedi)j  altro  oidi  ne 
ospilnhnio  istituito  nel  Messico  è 
quello  óti'Beder/njiitici  (^Fedi).  L'ar- 
cidiocesi  è  amplissima,  e  contenen- 
te moltissimi  luoghi.  O^ni  nuovo 
arcivescovo  è  tassato  ne'  libii  della 
cancelleria  apostolica  in  fiorini  33, 
essendo  le  rendile  dell'arcivescovo 
80,000  ciroiler  poiiderum  illius 
niouelae. 

Concila  di  Messico. 

Il  primo  concilio  fu  celebralo 
nel  iSa/J.  o  \5i5,  allri  scrissero 
1534,  sopra  la  disciplina  ecclesia- 
itica,  e  venne  tra  le  altre  cose  de- 
terminato, che  i  messicani  i  cpiali 
volessero  professare  la  religione  cat- 
tolica, sarebbero  obbligali  alle  leggi 
della  Cliiesa  riguardo  al  matrimo- 
nio.  Bnynaldi   ad   hunc  an. 

11  secondo  venne  tenuto  nel  i585 
da  Pietro  Moya  di  Conlreras  arci- 
vescovo, assistito  da  sei  vescovi  suoi 
«ullraganei,  che  vi  fece  molti  rego- 
lamenti per  la  condotta  uniforme 
delle  loro  chiese,  tratti  da  altri 
coucilii,  come  indicammo  al  voi.  Il, 
p.  i4  d"el  Dizionario.  Tra  le  altre 
cose  fu  vietato  di  prendere  il  la- 
bacco  nelle  chiese  dell'  America 
spagiuiola,  e  stabilite  diverse  prov- 
videnze per  gl'indiani  convertili  alla 
fad^,  secondo  il  decretalo  dal  con- 
cilio di  Trento.  I  regolamenti  di 
cjuesto  concilio  furono  approvali 
dal  Papa  nel  i586,  quindi  per  la 
prima  volta  stampati  nel  1620. 
Labbé  t.  XV;  Arduino  t.  X;  Z?/z, 
de'  conc. 

MESSINA  {lìlessaneiì).  Città  con 
residenza  arcivescovile,  con  forte 
e  porto  della  Sicilia  ,  capoluogo 
della  provincia  Valle  minoie  di 
I\Iessina,  di  distretto  e  di  cantone, 
distante  io  miglia  dal  capo  o  pro- 
iiiOQlorio  Pelerò   (uno  dei  tre  del- 


MES 
la   Sicilia,  che  significa  luogo  orri- 
biiej  dello  ancora  Monte  di  Nettu- 
no pel    tempio    famoso  dedicato    « 
quel  nume,  ora  essendovi  una  tor- 
re forlilicala  per  guardia,  la  quale 
dà  al  capo    ed    allo  stretto     il  no- 
me di   Faro),    7   da   Reggio,   5i    da 
Catania,  e    1  o5     da     Palermo.    Sta 
in   riva  allo  stretto    canale  che  di- 
vide l'isola  di  Sicilia  dall'  Italia,  il 
quale  è  comunemente   chiamato  lo 
stretto  o    il   Faro  di   Messina,  Fi-e- 
tiiin     Sicidum.   Faro     meraviglioso, 
dove    tutto     è    incanto  di     natura , 
e  che  inoltre   unisce    il    mare  Tir- 
reno ed    il   mare  Jonio,    due   divi- 
sioni   del   Mediterraneo.    E    famoso 
pel  suo    flusso    e    riflusso,    che    ac- 
cade di  sei   in  sei   ore,  ed  è  rapido 
tanto,    che  qualche    volta   trasporta 
i    vascelli     malgrado     la     resistenza 
delle  ancore.    I     navigatori     hanno 
da   evitare  all'est    dell'ingresso  set- 
tentrionale le  roccie  di   Scilla,  e    ia 
faccia   a   Messina   il     vortice  di   Ca- 
riddi,  che    si     olire    sulla  costa  oc- 
cidentale,   e  che    temuto  e  faujige- 
rato    presso    gli     antichi     sino    con 
favole  mitologiche,  è  al  presente  af- 
frontalo senza  pericolo,  specialmente 
quando    il    vento  di    sud     non  sia 
violento.   Questo    stretto    prende  il 
nome  del  Faro  che  si   trova  presso 
l'ingresso  del    porlo  di   Messina.   È 
resilienza  d'un  archimandrita,  d'una 
corte  d'appello,  di  una  corte  crimi- 
nale, di   un     tribunale   civile    e    di 
uno  di    commercio.     Ha     la  forma 
di   un   parallelogramma,  e  s'innalza 
in   guisa    d'anfilealro     ai   piedi     dei 
JVetlunii  sopra   uno  spazio  di    circa 
una  lega,   A     qualche    distanza     di 
mare  la  vista    ii'è  magnifica  e  bella; 
la    bianchezza  de' suoi  edifizi,  parte 
in   pianura  situati,    e  parte  sul  de- 
clivio di    deliziose  colline,  sormon- 
tati    dalla  cittadella    e    dalle  varie 
ibrtificazioni,    contrasta  amenamea- 


I 


MES 

te  colla  tinta  oscura  delle  foreste 
delle  montagne,  ed  olFie  un  insieme 
degno  di  ammirazione.  Messina  è 
una  piazza  di  guerra  di  prima 
classe,  il  cui  circuito  con  bastioni 
è  difeso  da-un'importaiìte  cittadella, 
dai  forti  Gonzalo  e  Casieliuccio 
all'ovest,  e  da  molte  batterie  eie- 
Tate  sopra  una  piccola  penisola, 
che  si  estende  in  semicircolo  all'est 
del  porto.  Questo  porto,  il  più  co- 
modo e  bello  forse  del  -IMedilcrra- 
neo,  lia  una  lega  e  niezza  di  cir- 
conferenza ,  ed  è  profondissimo  ; 
l'ingiesso  trovasi  assai  ristretto  e 
diflìcile,  ma  i  bastimenti  vi  stanno 
in  sicmezza,  avendo  la  fìgiua  di 
fiilce,  nella  impugnatura  della  qua- 
le trovasi  la  nieuìorala  voragine 
Cariddi,  si  curva  poscia  e  (ino  al- 
l'opposta punta  la  città  si  disten- 
de. iSulla  penisola  presso  il  suo 
ingresso  è  posto  il  Faro,  e  vi  si  sta- 
bilirono vaste  saline.  Dopo  l'orri- 
bile terremoto  del  1788  le  case 
sono  meno  alle,  e  le  strade  più 
larghe  e  meglio  poste  in  linea  ; 
le  principali  sono  la  Marina,  divi- 
sa dal  porto  da  una  bella  spiaggia, 
la  Via  IVuova  ,  e  la  strada  di  s. 
Fernando;  queste  due  ultime  si 
vedono  decorale  da  varie  fontane, 
in  generale  sono  lastricate  in  pezzi 
di  lava  e  polite.  Due  rapide  cor- 
renti che  attraversano  la  città,  on- 
de gettarsi  nel  porto,  sono  regola- 
te onde  prevenire  le  inondazioni. 
Fra  i  pidjblici  edifizi  si  osserva 
la  calledrale  l'ondata  da  Puiggieri 
con  l'urchileltura  di  qne'lempi  ara- 
bo-normanna, sostenendo  ^ventisei 
colonne  di  granito  la  volta  media, 
splendida  per  le  sue  ricche  dora- 
ture, massime  del  soflillo;  1'  ele- 
gante palazzo  reale ,  ove  più  vice- 
rè  hanno  dimorato;  quello  dell'arci- 
vescovo, e  l'altro  del  senato  o  mu- 
nicipale.   Vi    si  contano    circa    cin- 


MES  299 

quanta  chiese,  comprese  quelle  di 
rito  greco,  delle  quali  molte  sono 
bellissime  e  adorne  di  quadri  pre- 
ziosi ;  la  chiesa  di  s.  Giovanni 
Ballista  era  priorale  dell'ordine  ge- 
rosolimitano ,  ma  attualmente  ap- 
partiene al  re  delle  due  Sicilie.  Inol- 
tre vi  si  noverano  circa  quaranta  tra 
conventi  e  monasteri  d'audio  i  sessi, 
che  sono  in  generale  begli  edifizi,  un 
gran  seminario  riccanuMile  dotalo, 
im  grandioso  collegio  di  gesuiti,  i 
quali  sono  pure  possessori  di  altre 
case  pel  novi/iato;  un  vasto  e  ben 
dotato  ospedale,  un  lazzaretto  po- 
sto .sopra  scoglio  isolato  per  le 
quarantene,  molti  ospizi  ed  istituti 
di  beneficenza,  due  monti  di  pietà, 
la  prigione,  due  teatri,  uno  dei 
quali  vasto,  due  aisenali,  villetta 
amena  nella  città,  buona  scuola  di 
pittura  recatavi  da  Polidoro  da 
Caravaggio,  statue  del  Gagini,  or- 
nali di    Calamech. 

Piima  che  le  nazioni  occidentali 
si  aprissero  la  via  del  nuovo  emi- 
sfero, uno  de'più  rinomati  empori! 
era  quello  di  Messina,  ove  rigurgi- 
tavano le  merci  d'oriente.  Tulta- 
volta  fa  ancora  coiìsiderabile  traf- 
fico, fabbricando  altresì  importanti 
stolte,  e  la  sua  annuale  fiera  è  mol- 
to frequentala;  una  banca  munici-» 
pale  vi  facilita  le  sue  commerciali 
operazioni.  Un  tempo  assai  più  po- 
polata, conta  al  presente,  compresi 
gli  abitanti  de'  luoghi  sulìuibani, 
circa  60,000  al)ilanti,  computali  i 
greci.  1  fasti  lelterarii  e  scienziati 
di  Messina  sono  gloriosi  nell'età 
remole  e  nelle  recenti,  e  si  rimar- 
cano i  messinesi  per  la  svegliatezza 
dell'  ingegno  non  meno  che  per  af- 
fabile cortesia,  avendovi  fiorito  pa- 
recchi uofnini  illustri  in  santità  di 
vita,  in  dignità  ecclesiastiche,  nelle 
armi  ,  nelle  arti  e  nelle  scienze. 
Tra  i  cardinali   nomineremo  Gian- 


3oo  MES 

nandrea  Mercurio,  e  l'odierno  arci - 
■vescovo;  Giuseppe  Moletius  medico 
e  professore  di  Padova,  Antonio  da 
Messina  celebre  pittore  ;  e  fra  gli 
antichi  Simmaco  vincitore  ai  giuo- 
chi olimpici,  Dicearco  filosofo  ma- 
terialista, Ibico  poeta,  Lieo  stori- 
co, e  Policleto  medico.  Secondo  il 
Giustiniani,  ['  ordine  equestre  della 
Luna  crescente  di  Napoli,  avendo 
perduto  del  suo  splendore,  venne 
riformato  da  gentiluomini  messinesi, 
j  quali  formarono  un'  accademia  o 
società,  i  cui  individui  presero  il 
nome  di  cavalieri  della  stella  di 
Messina,  e  stabilirono  che  solo  vi 
appartenessero  i  nobili  ed  i  lette- 
rali. Certo  è  che  nel  i548  in  Mes- 
sina fu  fondata  dal  senato  della  cit- 
tà un'  accademia,  col  consenso  del 
viceré  Giovanni  la  Vega,  e  vi  fiori 
pure  quella  de'  Fucinanti.  Al  pre- 
sente è  in  lustro  la  reale  accade- 
mia Peloritana,  di  cui  è  presidente 
il  cardinal  arcivescovo. 

Messina,  chiamata  da  alcuni  la 
Jiella  regina  e  metropoli  del  Me- 
diterraneo ,  antichissiuìa  città  co- 
nosciuta non  solo  dai  romani,  ma 
dai  greci  ancora,  fu  secondo  alcuni 
fondata  da  una  colonia  greca  53o 
anni  prima  della  distruzione  di 
Troia,  cioè  i8i4  prima  dell'era 
niistìana,  o  secondo  altri  verso  l'an- 
no ioo4  avanti  Gesù  Cristo  dai  si- 
culi. Si  chiamò  Zande,  da  una  pa- 
rola della  lingua  di  questi  popoli, 
che  significa  falce,  per  cagione  del- 
la suddetta  forma  centrata  del  suo 
porto.  Altri  ne  attribuiscono  l'ori- 
gine ai  pirati  opicii  di  osca  deri- 
vazione, e  che  i  calcidesi  d'  Eubea 
provenuti  dalla  vicina  colonia  di 
Nasso  l'ebbero  poscia,  e  quindi  i 
samiì.  Dopo  la  presa  fotta  dai  lace- 
demoni sui  messeni  della  fortezza 
del  monte  Idaj  questi  ultimi,  onde 
evitare  la  sohiaviiù,  à'  imbarcarono 


MES 

per  la  Sicilia  verso  l'anno  670  a- 
vanti  Gesù  Cristo,  e  venuti  ad  a- 
bitare  questa  città,  invitati  dal  ti- 
ranno Anassilao,  cangiarono  il  suo 
nome  in  quello  di  Messana  che  in 
seguito  si  disse  Messina.  Una  mano 
di  soldati  campani  vi  entrò  a  tem- 
po di  Agatocle,  e  con  enorme  tra- 
dimento se  ne  impossessò,  distrug- 
gendo gli  abitanti  atti  alle  armi,  e 
congiungendosi  poi  colle  vedove  e 
colle  vergini  superstiti.  Si  dissero 
poi  questi  mamerùni  ,  da  Marte  o 
ftlamerto,  cui  prestavano  culto,  ed 
allora  ciuà  Maniertiiia  incominciò 
a  chiamarsi,  e  manierlìni  i  prelibati 
suoi  vini.  Vedendosi  i  mamertini 
attaccati  dal  re  Jerone  e  dai  car- 
taginesi, chiesero  soccorso  ai  roma- 
ni, che  loro  accordandolo,  da  ciò 
ebbe  princìpio  la  prima  guerra  pu< 
nica  che  durò  ventiquattro  anni. 
La  città  venne  in  potere  de' carta- 
ginesi, e  finalmente  dai  romani  tor- 
nò ad  avere  il  nome  di  Messina, 
che  tuttora  conserva.  Fu  dai  ro- 
mani ricolma  di  privilegi  nelle  guer- 
re puniche  e  nelle  servili,  per  la 
fedeltà  de'  messinesi.  Si  mossero 
questi  però  una  volta  a  ribellione, 
e  li  richiamò  al  dovere  Valerio 
Messala,  che  ne  riportò  con  piccola 
variazione  l'  onorevole  cognome.  Da 
Cicerone  venne  lodata  la  magnifi- 
cenza di  Caio  Elio  messinese,  nel 
di  cui  ampio  ed  avito  palazzo  e- 
ranvi  fra  le  statue  che  l' abbelli- 
vano un  Cupido  di  Prassitele,  uà 
Ercole  di  Mirone,  e  due  Cauofore 
ossia  vergini  dedicate  al  servigio 
de'tenipli  sino  all'età  da  marito,  lo 
quali  rarità  attiravano  il  concorsa 
degli  stranieri,  e  specialmente  de'ro- 
mani,  che  tutti  erano  da  Elio  splene 
didamente  trattati.  Su  questi  pre- 
ziosi oggetti  esercitò  la  nota  rapa- 
cità r  iniquo  Vene.  E  quando  Eu- 
femiO;  il  più  tristu  figlio  di  sì  beli;* 


MES 
patria,  chiamò  nel  io58  i  saraceni 
a  sotlonaetterla ,  non  niancarono 
per  Jui  Armodio  ed  Aristogilone 
novelli  e  pib  fortunali.  E  quando 
gli  uomini  del  nord  scacciarono  gli 
arabi  verso  il  1060,  il  conte  Rug- 
gieri in  Messina  pose  la  prima  e 
la  più  stabile  pietra  del  suo  tro- 
no. Molto  quindi  soffri  nelle  suc- 
cessive vicende  politiche. 

Dopo  che  il  Papa  Alessandro  III 
erasi  ritirato  in  Francia,  nel  11 65 
acconsentì  alle  preghiere  de'romani 
di  ritornare  alla  sua  sede,  partendo 
da  Montpellier  nell'ottava  dell'As- 
sunta ;  con  varie  vicende  di  perico- 
losissima navigazione  giunse  a  Mes- 
sina, ove  il  re  Guglielmo  I  che  lo 
riguardava  come  padre  e  signore, 
gli  mandò  magnìfici  regali,  e  lo 
fece  trattare  con  molto  onore.  Vol- 
le che  si  armasse  una  galera  rossa 
pel  Papa,  e  quattro  altre  pei  car- 
dinali e  le  persone  del  suo  seguito. 
Kel  settembre  partirono  da  Messi- 
na, nella  festa  di  s.  Cecilia  giunse- 
ro  le  galere  all'  imboccatura  del 
Tevere,  e  Alessandro  111  passò  la 
notte  ad  Ostia.  In  Messina  a'28  set- 
tembre 1197  morì  r  imperatore 
Enrico  VI,  e  Celestino  III  non  ac- 
consentì che  fosse  sepolto  senza  il 
permesso  dei  re  d' Inghilterra,  che 
avea  tenuto  prigione.  Sotto  il  di 
lui  figlio  Federico  lì,  la  città  sof- 
frì non  poco,  benché  disputasse  un 
tempo  il  titolo  di  capitale  della  Si- 
cilia a  Palermo.  Assediata  fino  agli 
estremi  da  Carlo  I  d'  Angiò,  volen- 
do vendicare  la  strage  de'  francesi 
fatta  ne'  vesperi  siciliani,  si  difese 
valorosamente,  e  forse  Ruggieri  di 
Loria  salvandola  eccitava  per  la  pri- 
ma volta  quel  non  interrotto  amo- 
re che  lega  i  messinesi  ai  siciliani 
peninsulari.  Essendo  venuto  in  soc- 
corso delia  città  Pietro  111  re  di 
Aragona,  Carlo  I  si  ritirò  dopo  a- 


MES  3oi 

ver  perduto  ima  gran  parte  della 
sua  flotta.  Urbano  VI  dopo  essere 
stato  assediato  nel  castello  di  iNo- 
cera  da  Carlo  III,  imbarcatosi  tra 
Barletta  e  Trani  in  dieci  galere  ge- 
novesi nel  1 385,  veleggiò  a  Si- 
cilia ed  approdò  in  Messina  ,  do- 
ve ne'  tre  giorni  che  vi  dimorò 
fece  pubblicare  i  processi  fatti  con- 
tro Carlo  111  ;  indi  per  Palermo 
giunse  a'  23  settembre  in  Genova. 
Dipoi  per  la  calata  in  Italia  di 
Carlo  Vili  re  di  Francia,  riparò 
nel  149^  in  Messina  Alfonso  II  re 
di  Napoli,  ed  ivi  morendo,  nella  cat- 
tedrale si  vede  il  suo  mausoleo.  Nel 
1674  i  messinesi  essendosi  ribellati 
contro  il  loro  sovrano  Carlo  II  re 
di  Spagna,  soprattutto  per  la  se- 
verità di  quel  governo,  e  per  la 
condotta  di  d.  Luigi  dell'  IIojo  che 
n'  era  governatore,  una  flotta  spa- 
gnuola  bloccò  il  porto,  e  la  città 
stava  per  soggiacere,  allorquando  una 
flotta  francese  comandala  dal  duca 
di  Vivonne  e  sotto  gli  ordini  di 
Duqviesne,  venne  a  soccorrerla  nel 
1675,  battendo  nello  stretto  la  flot- 
ta nemica.  Nel  1718  in  settembre 
si  rese  agli  spagnuoli,  dopo  lungo  e 
sanguinoso  assedio;  quindi  gl'im- 
periali a' 18  ottobre  1719  presero  la 
cittadella  agli  spagnuoli,  e  nel  1720 
pagò  le  contribuzioni  di  guerra  le- 
vate dai  tedeschi.  Messina  disgra- 
ziatamente è  troppo  conosciuta  nel- 
la storia  pei  flagelli  dai  quali  fu 
quasi  distrutta:  nel  1743  la  peste 
fece  perire  la  maggior  parte  de' suoi 
abitanti  cioè  circa  60,000  persone; 
e  diversi  terremuoti,  fra  gli  altri 
quello  orribile  del  5  febbraio  1783, 
distrussero  quasi  interamente  le  a- 
bitazioni.  Però  in  quest'  ultimo  pe- 
rirono solo  circa  1200  persone, 
perchè  era  slato  preceduto  il  gior- 
no prima  da  un'  altra  scossa,  il 
che    avea    determinato    quasi    tulli 


3o2  MES 

gli  abitanti  od  abbandonare  le  loro 
case.  Questa  calastiofe  di  spavesilo 
fu  accompagnata  da  tre  fenomeni, 
cioè  da  un  fortissimo  odore  di  zol- 
lò, da  un  rumore  sotterraneo,  e  da 
una  estesissima  aurora  boreale  che 
«i  fece  vedere  sulT  orizzonte  per  Ire 
sere  consecutive.  1  cittadini  non  solo 
riedificarono  la  città,  um  l' abbel- 
lirono. 

La  sede  vescovile  fu  eretta  verso 
1  anno  5oo,  ma  rovinala  dai  sara- 
ceni, fu  ristabilita  nel  1096.  L'an- 
tipapa Anacleto  li  l'  eiesse  in  me- 
tropoli, ciò  che  canonicamente  poi 
fece  nel  1166  o  1170  Alessan- 
dro 111.  JVe  furono  sulfraganei  i  ve- 
scovi di  Cefalìi,  Taormina,  s.  Mar- 
co, Tosa,  Patti  e  Lipari  :  al  pre- 
sente lo  sono,  Cefalù,  Patti,  Lipari 
e  Nicosia  Erbitense.  Si  attribuisce 
n  s.  Paolo  la  predicazione  della  fe- 
de in  Messina,  ed  a  s.  Pietro  l'i- 
stituzione della  sede  vescovile^  su 
di  che  ne  tratta  Rocco  Pirro,  Si- 
cilia sacra  t.  1,  p.  i  qS  e  seg.,  ri- 
portando le  diverse  opinioni  su  pun- 
ti così  incerti,  in  un  alla  Disser- 
tano de  epistola  Deìparae  quae 
ad  mcssaneiises  scripta  dicitur.  Se- 
condo il  Bonlìglio,  Hist.  Sicil.,  ed 
il  Piccoli,  De  antiquo  jure  eccl. 
Siculne,  il  primo  vescovo  di  Mes- 
sina sarebbe  stato  Bacchino  o  Bac- 
chilo, ma  con  incerta  tradizione;  il 
secondo  Eleulerio  illirico,  fiorito 
nell'anno  120;  il  terzo  Alessandro 
del  347;  il  quarto  si  crede  del  4oo  ; 
il  quinto  Giovanni  del  45'j  ^"It» 
incerti,  ed  alcuni  piuttosto  creduti 
vescovi  di  Messene  nella  provincia 
d'Eliade.  11  primo  vescovo  certo 
di  Messina  è  Encarpo  del  5o5,  il 
quale  intei'venne  ai  concilii  terzo  e 
sesto  celebrali  in  Roma  da  Papa  s. 
Simmaco,  cui  successero  Felice  del 
590,  onorato  di  lettera  da  s.  Gre- 
gorio I,  che  il  Bonfigli  chiamò  piolo- 


MES 

metropolitano  di  Sicilia;  Donno  del 
60 3;  Pellegrino  del  649;  Benedetto 
del  682;  Gaudioso  del  7^7;  Gregorio 
dell' 868:  quest'ultimo  seguì  il  pa- 
triarca Fozio,  quindi  si  sottomise 
al  sinodo  Vili  di  Costantinopoli, 
condannò  Fozio  e  fu  ammesso  alla 
comunione.  Dopo  lunga  sede  vacan- 
te a  cagione  dell'  invasione  sarace- 
na, o  almeno  ignorandosi  i  nomi 
de' vescovi  di  tale  epoca,  nel  loyo 
Roberto  vescovo  di  Messina  fu  no- 
minato a  tal  dignità  da  Roggiero 
conte  di  Calalnia  e  di  Sicilia,  dopo 
cioè  l'espulsione  de'saraceni,  e  morì 
nel  I  I  I  3,  onde  ne  occuparono  la 
sede  Gollredo,  enei  1120  Gugliel- 
mo. Intli  lo  furono  nel  11 27  Ugo, 
nel  I  i4o  Golfredo,  nel  i  142  Rober- 
to li,  nel  I  «44  Gerardo,  nel  i  i47 
Arnaldo,  nel  ii5i  Roberto  111,  nel 
I  166  JN'icola,  sotto  il  quale  il  Ponte- 
fice Alessandro  HI  elevò  ad  arcive- 
scovato Messina,  per  cui  egli  ne  fu 
il  primo  arcivescovo,  ed  occupò  la 
sede  sino  al  1182,  succeduto  da 
Riccardo  Palmeri,  e  da  quegli  altri 
riportati  dal  Pirro.  Fra  questi  solo 
nomineremo  Giovanni  Colonna  ro- 
mano nel  1255;  Bartolomeo  Pignat- 
lelli  napoletano  del  1266;  JN'icola 
Caracciolo  domenicano  del  i  38o  , 
poi  cardinale;  Antonio  Cerdano  del 
i4475''i<^''  cardinale;  Innocenzo  Ci- 
bo cardinale  dui  i538  ;  Giannan- 
drea  Mercurio  messinese  del  1 55o, 
poi  cardinale  ;  Gaspare  Cervantes 
spaglinolo  del  i56i,  poscia  cardi- 
nale; e  Biagio  Proto  de'Patti  con- 
sagrato nel  1624,  che  fu  l'ultimo 
arcivescovo  registrato  dal  Pirro. 
INelle  annuali  Notizie  di  Roma  si 
riporta  la  serie  de' seguenti  arcive- 
scovi. 1696  Giuseppe  Migliacci  dei 
principi  di  Baucina,  nato  in  Mon- 
te JMaggioie  suo  feudo,  traslato  da 
Patti.  1730  d.  Tommaso  Vidal  ci- 
slerciense  di    Tarragona.     174^  fi"- 


MES  MES                   3o3 
Tommaso  de  Moncada  domenicano  plissima   e   conlenenle    piìl    luoghi, 
di  Messina,   fallo  patriarca  di  Geru-  Tanto  si   legge  nell' ultima  proposi- 
•alemme  nel    lySi    colla  ritensioue  zione  concistoriale.   Ivi  si  dice  pure 
dell'arcivescovato.  1764  d.  Gabriele  che  ad  ogni   nuovo  arcivescovo  nei 
Maria  de  Blasi  cassinese  di  Palermo,  registri  della  cancelleria     apostolica 
1767  d.  Giovanni  Maria  Spinelli  tea-  le  tasse  sono  di    mille    fiorini,  eoa 
tino  di  Palermo.   1771    d.  Scipione  settemila  scudi   di   rendila,  nonnul- 
Ardoino  tealino  di  Messina,  traslato  lis  oneribus  gravali,  ultra  pensioneni 
da  Zenopoli  in  parlihus.  1780  Nico-  annuam   perpetnam  mille  bisceiilurn 
lo  Ciafiiglione  d'Alcamo  diocesi   di  ducaforam  monetae  neapolitanae  seu 
JMazzara.    1790   d.   Paolo. Francesco  unciarum   qualuor  cenlum  monetae 
Perremudo  cassinese  di  Cartagirone.  siculae  a  cpiocumque  onere  semper  li- 
1 7g'2    fr.    Gaetano    Alaria    Garrasi  berara  super    niensam    episcopalem 
agostiniano  di    Catania.     1817    An-  Pacten  in  compensalione  damnoruin 
tonino  Trigona,  Iraslalo  da  Geroce-  praefactae  Messanensi  arclii('pisco[)a- 
sarea  in  pnriihus.  Per  sua  diniissio-  li   niensae    ob    peraclas    dismembra- 
ne  Leone  XII  nel  concistoro  de'  17  tiones  obvenicntium.  Nella  provincia 
novembre    1823,    traslatò    da    Or-  di   Messina   vi    è    l'abbazia     ntiUius 
thosia  in    partibus  Y  odierno     arci-  dìoeccsìs  di    s.    Lucia    di    Melazzo, 
vescovo  Francesco    di  Paula  Villa-  della  quale  dammo  un    cenno   nel 
dicani  di  Messina,  che  Gregorio  XVI  voi.  XX,   p.   84  del  Dizionario.  k\- 
a' 27  gennaio    i843    creò  cardinale  l'articolo  Minimi  elicemmo  co(ne    s. 
prete,   indi    gli     conferì   il   titolo  di  Francesco  di    Paola    fondò    in    Me- 
s.   Alessio,  annoverandolo  alle  con-  lazzo   nn  convento    dei    religiosi   da 
gregazioni    de'  vescovi    e    regolari  ,  lui  istituiti.  Ora    passeremo  a  par- 
dell'immunilà,  de' rilij  delle  indul-  lare  della    collegiata  greca  di    Mes- 
genze  e  sacre  reliquie.  sina,  e  dell' arcliimandritato,  coU'au- 
La    cattedrale,    bnono  e    recente  torità     del     Pvodotà,  Df II'  origine    e 
edilizio,  è  solfo  l'invocazione  di  Ma-  slato  del  rito  greco    in  Italia. 
ria   Vergine  della     sacra     lettera,  e  Tra   tulle  le  chiese    greche  della 
nnlicamente  lo     fu  sotto    quella  di  Sicilia,    la    riputazione    della    colle- 
s.  Nicola.    Il    capitolo  si     compone  giata  di  s.    Maria  del    Gralfeo  sta- 
di   tre  dignità,   la   prima  delle  quali  bilila    in  Messina,    trasse   la    slima 
è  l'arcidiacono,  di  quindici  canonici  universale  ;  fu  denominata  la  callo- 
compresa   la   prebenda  del   penilen-  lica,  o  perchè  fosse  la  madre  di  tut- 
riere,  di   diversi   beneficiati  e  di  al-  te  le  altre  chiese  del   medesimo  rito, 
tri   preti  e  chierici  addetti  al  servi-  come   la  cattolica  di   Reggio,  o  per- 
gio  divino.   Nella  cattedrale  vi  è  il  che  con   rara  e  memorabde  coslan- 
fonle  battesimale,  e  la  cura  si  eser-  za    si     mantenne     nella    comunione 
cita  da     un     parroco.     L'episcopio,  della   chiesa   romana  solto  il  gover- 
bello  e  recente  edifizio,  è  alquanto  no  de'  greci,  lodala  e  conservala  da 
distante  dalla   cattedrale.   Nella  cit-  Lenedello    XiV     con    tulle    le  sue 
tà  vi  sono  inoltre  dieci   chiese  par-  pierogalive,   libera  elezione  della  di- 
rocchiali  coi  battisteri,  diciolto  con-  gnità  del   Prolopapa,  ed  osservanza 
venti    e  monasteri  di   religiosi,  die-  del    rito  greco  latino  dal   suo  clero, 
cisette   monasteri  e  conservatorii  di  medianle   il  breve,   Romana   Eccle- 
donne,  ospedale,  monte  di   pietà    e  sia,    de'  1 8   marzo    1743,    Bull,   de 
seminario,  essendo  l' arcidiocesi  am-  prop.  fide,  t.   HI,    p.  gS.  Si  deno- 


3o4  MES 

m'mh   Catlolica  probabilmente    per 
avere    il    suo  protopapa    oiessinese 
difeso  i  dommi  cattolici    nel  conci- 
lio di    Firenze,  con    tale    dottrina, 
ardore    ed  impegno,    che    ne    fece 
stupire  i   padri.  Questa  insigne  col- 
legiata essendo  stata    riguardata  la 
più  cospicua  tra  le  greche  del  regno, 
è  d(bilrice,   secondo    molti,  del    ri- 
stabilimento   suo,    onori    e    premi- 
nenze che  gode    alla  real    magnifi- 
cenza del  conte  Ruggieri.  Composta 
di   numeroso    clero,  governata    dal 
protopapa,  che    vi  faceva  luminosa 
comparsa  per  1'  eminenza  di  sua  di- 
gnità e  per  le  molte  prerogative  di 
cui  era  adorno  ;  il  rito  greco  in  cui 
celebrava nsi    gli  ufl'izi    divini,  come 
oggetto    di     ammirazione     comune, 
serviva    di    regolamento    alle    altre 
chiese    greche,     ancorché    fuori     di 
Messina,  e    faceva   rivivere   col  suo 
esempio  l' indebolita  osservanza  dei 
greci    istituti.    Le  altre  chiese  gre- 
che,   abbandonato  il  proprio     rito  , 
vennero  tratto  tratto  al  latino  ;    ma 
quella    della    cattolica  con  ingegno- 
sa   e     misteriosa    invenzione,    forse 
fino    dal    tempo   del    concilio     fio- 
rentino ,    benché     accettasse     l' uso 
dell' azimo,    delle    divise  ecclesiasti- 
che    latine  ,    e    dipoi  del    calenda- 
rio riformato,  nondimeno   volle  ri- 
tenere nella  celebrazione  della  mes- 
sa e   de'  divini  utfizi    il  greco  idio- 
ma, per  dimostrare    il  rispetto  che 
si  deve  al   rito  orientale,  e  la  stret- 
ta   dipendenza  che    i    professori    di 
esso  debbono  avere  alla  chiesa  ro- 
mana. Benedetto  XIV  confermò  tal 
rito  misto,  prescrivendo  che    ninno 
venisse  aggregato  al  clero  della  col- 
legiata   se    non    ordinato    nel    rito 
greco-latino,    e    che    l'elezione    del 
protopapa  dipenda    dai  suffragi   del 
clero    della     medesima,    escludendo 
qualunque    altra    persona  che   pre- 
tendesse   avervi  diritto.    La   dignità 


MES 
del  prolopapa    viene    pure    riverita 
ed  onorata  dai   ministri  della  chie- 
sa metropolitana  di  Messina,  allor- 
ché  in  questa  assiste  col    suo  clero 
in    alcune    funzioni,  e    nelle    messe; 
solenni'  uno  de'  loro    suddiaconi    e 
diaconi  canta    in  lingjja    greca  l' c- 
pistola    ed    il    vangelo,  oltre   l'epi- 
stola e  vangelo  che    leggesi  dai  la-: 
tini.    Per   dare    il   clero    greco    un 
pubblico    contrassegno    di    sua  ere-  : 
denza  circa   l'articolo  della  proces- 
sione dello    Spirito    Santo    dal    Fi- 
gliuolo,   ne  celebra  con    ispecial  ri- 
to   la  festa    nel  giorno  della  Pen- 
tecoste. I  canonici  della   metropoli- 
tana   si    portano    alla   chiesa    della 
cattolica,  e  prendendo  con  onore  il- 
protopapa,Jò  conducono  al  duomo, 
dove  co' suoi   ministri,  i  quali  occu- 
pano i  sedili  de' canonici,  canta  con 
gran    pompa,  l' uffizio    di  vespero  : 
finita  la  funzione,  i    canonici   Ialini 
colla  stessa  cerimonia    restituiscono 
il    protopapa    alla    sua    chiesa.     In 
queste    ed  in  altre   pubbliche  pro- 
cessioni, il   prolopapa  in  argomento 
di    giurisdizione   che  gode    sopra  il 
suo    clero,  porta    in  mano  un    pa- 
storale, o  bacolo  di  legno  nella  for- 
ma usata  dai  vescovi  greci  con  due 
leste  di   leoni.  Nondimeno  il   proto- 
papa è  soggetto  al   pari  degli    altri 
parrochi  all' arcivescovo  della   città, 
ed  in   gennaio  si    presenta  al  capi- 
tolo,   e  presta    solenne  giuramento 
avanti    il    decano    della    cattedrale, 
onde  fu  riguardato  come  un  mem- 
bro dipendente  dal    capitolo.  Oltre 
a  detta  collegiata    di   s.    Maria  del 
Gradeo,  facevano  i   riti  greci  nobile 
comparsa  in  altre   chiese  di  Messi- 
na,   le  quali  da    quella   totalmente 
dipendevano.    Tali  erano   quelle  di 
8.    Eustazio,  in    cui  sino  dal    r  tpi 
erano  in   uso  i   greci   riti,    poi  dal 
fli  gesuiti    che  vi    eressero  un    ma 
gnidco  collegio;  di  s.  Slhrslro,  già 


MET 

csislenle  nel  iSSy,  poi  conceduta 
ai  domenicani,  che  nobilmente  vi 
ampliarono  il  loro  convento  di  s, 
Girolamo  ;  di  s.  frenerà,  già  di  s. 
Bartolomeo  de' greci,  i  quali  nel 
i54o  r  ottennero  dal  protopapa, 
poi  passata  alla  compagnia  del  s. 
Sepolcro  ;  e  di  s.  Giorgio,  conce- 
duta quindi  dal  protopapa  ad  una 
divota  adunanza  di  mercanti  latini, 
laonde  le  dette  quattro  chiese  non 
ritengono  più  il  rito  orientale. 

Tra  i  cristiani  del  settentrione 
erano  principalmente  i  normanni 
molto  inclinati  agli  esercizi  della  re- 
ligione, e  mentre  a  danno  de'  gre- 
ci invadevano  i  regni  di  Napoli  e 
di  Sicilia,  usarono  tutto  il  rispetto 
per  la  santa  Sede,  al  cui  servizio 
più  volte  impiegarono  le  loro  va- 
lorose armi.  La  loro  divozione  si 
fece  ammirare  negli  edifizi  delle 
chiese  e  de'  monasteri  da  loro  e- 
retli,  ed  uno  de'  principali  fu  quel- 
lo fondato  nel  i  oSg  dal  conte  Rug- 
gero, cioè  \\  celebre  archimandrita- 
to  di  Messina,  che  stabilì  capo  di 
trentuno  e  più  inferiori  cenobi  di 
monaci  greci  per  amplificare  l'ordine 
di  s.  Basilio.  11  monastero  lo  eres- 
se per  riconoscenza  a  Dio  delle  vit- 
torie riportate  sui  saraceni,  i  quali 
nuovamente  impadronitisi  di  Messi- 
na aveano  impalato  dodici  cristiani 
nel  sito  ov'  è  al  presente  la  torre 
del  fanale.  Ivi  lo  fabbricò  in  ono- 
re del  ss.  Salvatore,  iudi  dal  re 
Ruggero  suo  figlio  fu  notabilmente 
ampliato,  reso  magnifico,  ricco  di 
beni,  di  ampia  giurisdizione  e  di 
privilegi.  Lo  diede  in  cura  de' mo- 
naci greci,  e  lo  pose  sotto  la  dire- 
zione di  s.  Bartolomeo  di  Semeri 
della  Calabria  Ulteriore^  essendo  al- 
lora abbate  del  monastero  detto  del 
Patire  nella  diocesi  di  Rossano.  Do- 
po averlo  il  re  sontuosamente  no- 
bilitato; nel   ii3o    dichiarò  il   mo- 

VOL.    XLIT. 


MET  3o5 

nastero  archimandritato,  dignità  che 
nel  I  1 34  conferì  a  s.  Luca  cala- 
brese, il  quale  esercitò  la  vasta  giu- 
risdizione sino  al  iiyS  in  cui  mo- 
rì, venendo  sepolto  in  s.  Giandiat- 
tista  di  Messitia.  Secondo  il  Pirro 
erano  soggetti  all'  archimandrita 
quarantaquattro  monasteri,  parte  di 
Calabria  e  parte  di  Sicilia,  cui  l'ar- 
chimandrita come  abbate  superio- 
re generale  dava  loro  le  leggi,  e 
veniva  riconosciuto  per  superiore, 
adunando  capitoli  in  cui  si  regola- 
vano gli  adari  del  corpo  di  questa 
con"reirazione.  L'  esercizio  di  sì  ara- 
plissima  giurisdizione  continuò  fin- 
ché andato  in  rovina  il  principal  mo- 
nastero del  ss.  Salvatore,  ed  i  va- 
sti suoi  feudi  in  gran  parte  o  u- 
surpati  o  maliziosamente  alienati, 
passò  in  commenda,  nulla  più  in- 
gerendosi d'  allora  in  poi  1'  archi- 
mandrita nel  governo  e  nella  di- 
sciplina de'  monaci.  La  serie  degli 
archimandriti  secolari  ebbe  princi- 
pio da  Alfonso  d'Aragona  figlio  di 
Ferdinando  II  re  di  Sicilia  nel  i5o4. 
Fra  i  precedenti  commendatori  re- 
golari si  annovera  il  celebre  cardi- 
nale Bessarione,  il  quale  applicò  il 
suo  zelo  e  ricchezze  a  dare  una 
nuova  forma  allo  scaduto  cenobio, 
ottenendo  da  Calisto  III  l'indulto 
di  reintegrazione  delle  grazie  e  pri- 
vilegi, e  delle  prerogative  concesse 
dai  Papi  e  dai  principi  secolari.  Nel 
sito  dell'  antico  monastero,  posto 
fuori  della  città,  eretto  dal  conte 
Ruggero,  nell'  imboccatura  del  por- 
to di  Messina,  nel  i538  l'impera- 
tore Carlo  V  innalzò  il  forte  di 
"s.  Salvatore  in  difesa  della  città, 
assegnando  ai  basiliani  altro  luogo 
poco  distante,  ma  entro  la  città,  nel- 
la chiesa  della  Misericordia,  dove 
stabilirono  un  magnifico  monastero, 
e  la  chiesa  abbellita  prese  il  nome 
dui  ss.  Salvatore.  Spetta  al  re  di 
20 


3o6  MET 

Sicilia  la  nomina  dell' archimandri- 
ta, il  quale  presentato  al  Papa,  da 
lui  riceve  la  canonica  istituzione. 
Clemente  Vili  nel  1^97  eresse  nel 
monastero  il  noviziato  della  pro- 
vincia di  Sicilia.  Le  controversie  in- 
sorte tra  l'arcivescovo  di  Messina 
e  l'archimandrita,  furono  termina- 
te da  un  concordalo  approvato 
dalla  santa  Sede.  Ma  di  quanto  al- 
tro riguarda  questa  cospicua  digni- 
tà e  sua  giurisdizione  e  prerogati- 
ve ne  parlammo  ad  Archimandrita, 
ed  a  Cappelle  Pontificie,  quanto 
al  suo  intervento  ad  esse. 

METELINO,  Castro,  Metilene, 
MiLiTENE,  Mitylcne  seti  Milylene, 
Lesbo.  Sede  arcivescovile  e  metropoli 
delle  isole  Cicladi,  nella  diocesi  d'Asia, 
città  della  Turchia  asiatica,  capoluo- 
go dell'isola  e  del  sangiacato  di 
Metelino,  sulla  costa  orientale  del- 
l'Anatolia, nell'Arcipelago.  Vi  ri- 
siede il  governatore  ed  un  arcive- 
scovo greco.  E  difesa  da  un  vasto 
castello  fortificalo  ed  eretto  sopra 
un'altura,  il  quale  contiene  due 
moschee,  e  qualche  altro  edifizio. 
Le  case  della  città  si  estendono  a 
piedi  del  castello,  e  formano  un  in- 
terno cerchio  intorno  al  porto  set- 
tentrionale ;  de'  due  porti  Lero  e 
Caloni,  quello  al  nord  è  il  solo  fre- 
quentato e  commerciante.  Alcune 
rovine  dell'antica  Metilene  o  Mi- 
litene,  e  fra  queste  molli  avanzi  di 
marmo  grigio,  coprono  all'  ovest 
della  città  una  gran  estensione  di 
terreno.  Neil'  antica  Lesbo  nacque- 
ro Salfo  celebre  poetessa,  A  rione 
musico,  Alceo  poeta,  Pittaco  uno 
de' sapienti  di  Grecia,  Teofrasto  fi- 
losofo, Sarpandro  inventore  delia 
lira;  quivi  secondo  il  Terzi,  iS7/7t^ 
sacra  p.  4^4»  visse  e  mori  Irene 
imperatrice  figlia  di  Caiano  re  dei 
cazari,  confinatavi  dall'  iaiperator 
Niceforo.     Metelino     vide     nascere 


MET 

Barb^rossa.  Metelino  è  il  capoluo- 
go dell'isola  del  suo  nome,  l'anti- 
ca Lesbos  :  anticamente  estendeva 
il  suo  dominio  sulla  Troade  e  sul- 
r  Eolide.  Il  Buonarroti,  Medaglioni 
p.  i34,  parlando  delle  sue  medaglie 
di  Comraodo,  dice  che  Mitilene  fu 
la  prima  di  Lesbo,  isola  celebre 
che  oggi  tiene  il  nome  corrolto  di 
Metelino;  e  che  quanto  al  nome 
gli  deriva  da  Mirina  fiiinosa  ama- 
zone,  in  memoria  della  sorella  e 
valorosa  compagna  Mitilene,  o  da 
quella  Mitilene  figlia  di  Macareo  e 
moglie  di  Lesbo,  I  veneti  la  si- 
gnoreggiarono, ma  da  Maometto  H 
la  possiedono  i  turchi.  Calisto  111 
colla  sua  marina  difese  l' isola  con- 
tro i  turchi  nel  i4'^7>  ^  la  restituì 
al  principe  che  la  possedeva,  sotto 
il  dominio  della  santa  Sede,  come 
affermano  Rinaldi  a  tale  anno  n. 
3i,  e  Venuti,  Numisni.  Pont.  p. 
17.  Ma  nel  pontificato  di  Pio  li, 
benchà  questi  avesse  istituito  l'or- 
dine militare  di  Betlemme  [Fedì) 
per  la  difesa  dell' isola  di  Lemnos 
e  di  altre  isole.  Maometto  II  s'im- 
padronì dell'isola  di  Metelino.  la 
Mitilene  capitale  dell'  isola  di  Lesbo, 
approdò  s.  Paolo  andando  da  Co- 
rinto a  Gerusalemme. 

La  sede  vescovile  fu  eretta  sotto 
la  metropoli  di  Rodi,  quindi  nel 
VI  secolo  divenne  arcivescovato,  eoa 
le  sedi  suCTraganee  di  Metimna,  E- 
gialo,  Proselene,  Tenedo,  Erisso, 
Berbine,  Perperine  e  IVI.umaritza. 
Quivi  fiironvi  vescovi  greci  e  lati- 
ni. Il  primo  de' greci  fu  Evagrioj 
fautore  degli  ariani,  il  quale  si  ur 
ad  Acacio  di  Cesarea,  ed  a  Gior<j 
gio  d'  Alessandria  nel  concilio  dì 
Seleucia,  e  sottoscrisse  la  loro  fow 
mola  di  fede:  quanto  ai  di  lui 
successori ,  fino  a  Nicodemo  del 
1721,  vedasi  V  Oriens  christ.,  t| 
I,  p.  953,  che  nel  t.  Ili,   p.  9911 


riporta  i  segjienli  vescovi  latini.  TI 
primo  fu  Giovanni  del  ìio5,  die  al- 
cuni però  dirono  greco;  Ambrogio 
di  Abìate  domenicano,  nominafo 
da  Boniliicio  IX  nel  140*2;  Angelo 
morto  nel  i43i;  Uberto  di  Va- 
lentino domenicano;  Doroteo  ;  Leo- 
rnrdo  da  Scio  domenicano  del  i444) 
clie  nel  i44^  circa  fu  mandato  col 
cardinal  Isidoro  arcivescovo  di  Kio- 
Tia  a  Costantino  imperatore  dei 
greci,  pel  ristabilimento  deiriininne 
della  cliiesa  greca  colla  Ialina;  ma 
essendosi  Maoniello  II  impadronito 
di  Cnslnntinopoli  nel  i4^3,  Leo- 
nardo riliiossi  a  Scio,  poscia  a  Le- 
sbo o  Melelino,  ove  ferniossi  fino 
alla  presa  di  qnesl'  isola  fatta  dai 
Inrcbi,  cioè  fino  al  i458  o  14^2. 
Al  presente  Metelino  o  Mi  ti  lene, 
flfytilrnen,  è  un  titolo  arcivescovi- 
le in  parlìhus  clie  conferisce  il  Pa- 
pa coi  titoli  sntTraganei  e  vesco- 
vili di  Arco  e  Tabacasa  o  Coma- 
na.  jVe  furono  per  ultimo  decorati, 
l'alrizio  Everard  ;  Domenico  Geno- 
vesi romano  canonico  della  basilica 
laleranense,  fatto  nel  i832  da  Gre- 
gorio XVI,  il  quale  nel  concistoro 
tic'  24  novetnbie  184^  nominò  ar- 
civescovo l'attuale  suffraganeo  di 
Lisbona  [Ferii).  Dopo  die  Metelino 
restò  priva  del  pastore  latino  resi- 
denziale, dipendclte  dal  vicario  a- 
poslolico  latino  di  Costantinopoli, 
ma  talvolta  vi  mandava  un  sacer- 
dote anclie  l'arcivescovo  di  Smir- 
ne,  a  cui  fu  aggregata  ull imamen- 
te. I  cattolici  permanenti  sono  po- 
cbi,  ma  vi  si  trovano  degli  av- 
\enlÌ7Ì. 

IMETELIS.  S^-ih  vescovile  del 
primo  Egitto,  sotto  il  patriarcato 
d'Alessandria,  eretta  nel  V  secolo, 
cliiamata  pure  Messii  e  Fuoa,  es- 
sendo città  grande  capitale  del  No- 
mo e  comn)erciante,  ed  ebbe  an- 
cora  un  vescovo    copto.  Ne    furono 


MET  307 

vescovi  Cronio  ordinato  da  Mele- 
zio;  Macario  che  fu  al  primo  con- 
cilio d'Efeso;  Teodoro  giacobita; 
Isacco  giacobita  ;  Mercurio  giacobita 
de!  J078;  Bi'ssora,  Crislodulo,  Kilo, 
e  Giuseppe  giacobita,  il  quale  tra- 
dusse nel  laS')  dal  greco  in  ara- 
bo il  Paradiso  intellelluale  rielle 
virtù  e  de'vizi,  dì  Giovanni  Dama- 
sceno.   Orienf!  rhrist.   t.  II,   p.  517. 

METELLOl'OLI.  Sede  vesco- 
vile della  Frigia  Pacaziana,  sotto  la 
metropoli  di  Gerapoli,  nella  diocesi 
d'Asia,  eretta  nel  IX  secolo.  Ne  fu- 
rono vescovi  N rappresentalo  al 

VI  concilio  da  Eudossio,  e  Miche- 
le che  assistette  all'  Vili,  ed  a  quel- 
lo tenuto  sotto  il  Papa  Giovanni 
Vili  pel  ristabilimento  di  Fozio. 
Oriens  christ.  t,  I,  p.  815.  Metel- 
lopoli,  Metelopolilan,  al  presente  è 
un  titolo  vescovile  in  parlihiis  che 
Gregorio  XVI  conferì  a  mons, 
Cuenot,  di  cui  parlammo  nel  voi. 
XXXIV,  p.  2  56  del  Dizionario. 

MLTILDE  (s.),  regina  di  Ger- 
mania. Figlia  del  conte  Teodorico, 
possente  signore  tra  i  sassoni,  fu 
educata  nel  monastero  di  Erford, 
sotto  gli  ocelli  della  sua  avola  che 
n'eia  badessa,  e  molto  approfittò 
de'  religiosi  suoi  insegnamenti.  Nel 
C)i3  fu  maritala  ad  Enrico  V  Uccel- 
latore, figlio  di  Oltor.e  duca  di 
Sassonia,  il  quale  divemito  in  ap- 
presso duca  per  la  morte  del  pa- 
dre, avvenuta  nel  916,  fu  eletto 
nel  91C)  successore  di  Corrado  re 
di  Germania.  Melilde  si  avanzò 
sempre  più  nelle  vie  della  pie- 
tà ,  occupandosi  nell'  orazione,  nel- 
la meditazione,  nel  visitare  e  con- 
fortare i  malati  e  gli  afflitti,  ed 
in  altre  opere  di  cflrilà.  Morì  En- 
rico nel  936,  lasciando  tre  figli, 
cioè  :  Ottone  che  gli  successe  nd 
regno  di  Germania,  e  fu  poi  coro- 
nato   imperatore  nel    962;  Enrico 


3o8  MET 

che  fu  duca  di  Baviera;  e  Bruno- 
ne  arcivescovo  di  Colonia,  il  quale 
è  onorato  dalla  Chiesa  con  pubhli- 
co  culto.  Enrico,  benché  più  gio- 
Tune,  insorse  a  contrastare  la  co- 
rona al  fratello,  e  Metilde  si  di- 
chiarò in  suo  favore.  Essa  però  e- 
spiò  questa  ingiusta  predilezione  con 
acerbe  tribolazioni.  Ottone  ed  En- 
rico si  collegarono  contro  di  lei,  e 
la  spogliarono  fino  dei  suoi  usu- 
frutti, col  pretesto  ch'ella  avea  e- 
sausto  lo  stalo  colle  sue  soverchie 
liuaosine.  Questa  persecuzione,  che 
Metilde  sofferse  con  ispirilo  di  pe- 
nitenza, fu  lunga  e  crudele;  ma 
in  fine  i  due  principi  si  rappattu- 
marono con  lei,  e  le  restituirono 
quanto  aveanle  tolto.  Rimessa  nella 
sua  prima  fortuna,  dispensò  limosi- 
re  più  larghe  che  mai;  fondò  pa- 
recchie chiese  e  cinque  monasteri, 
di  cui  i  due  principali  furono  quel- 
lo di  Polden  nel  ducato  di  Bruns- 
■wick,  e  quello  di  Quedlinbourg  nel 
ducato  di  Sassonia.  Quest'  ultimo 
fu  destinato  alle  religiose;  e  Me- 
tilde che  in  tutto  il  rimanente  di 
.sua  vita  non  si  occupò  che  nelle 
pratiche  di  pietà  e  nelle  opere  di 
misericordia,  ivi  riliravasi  di  tratto 
in  tratto.  Ella  trovavasi  appunto 
nel  monastero  di  Quedlinbourg 
quando  cadde  nella  malattia  di  cui 
morì.  Sì  confessò  a  Guglielmo  ar- 
civescovo di  Magonza  suo  nipote, 
e  alcuni  giorni  dopo  fece  una  con- 
fessione pubblica  de' suoi  peccati,  in 
presenza  dei  preti  e  delle  religiose 
del  monastero.  Ricevette  in  seguito 
r  Eucaristia  e  1'  estrema  unzione  ; 
poi  fattasi  coricare  sopra  un  cilizio, 
e  sparsasi  della  cenere  sopra  la  te- 
sta, spirò  tranquillamente  ai  i4di 
marzo  del  968.  S.  Metilde  è  ricor- 
data in  detto  giorno  nel  martiro- 
logio romano,  e  il  di  lei  corpo  è 
a  Quedlinbourg. 


MET 
METILDE  (beata).  Nata  a  Isle- 
bia  nell'alta  Sassonia,  contessa  di 
Ilackuborn,  e  parente  dell'impera- 
tore Federico  II,  fu  allevata  fra  le 
benedettine  di  Redaresdorff  o  Ro- 
dersdorff  nella  diocesi  di  Halber- 
stad.  Fin  dalla  più  tenera  età  ebbe 
ella  grande  purezza  di  costumi  e 
molto  disprezzo  per  le  vanità  monda- 
ne. Poco  dopo  la  sua  professione  fu 
mandata  a  Diessen  nella  Baviera, 
ove  divenuta  superiora  introdusse 
nel  monastero  la  pratica  delle  più 
sublimi  virtù.  Ebbe  poscia  l'inca- 
rico di  riformare  il  monastero  di 
Oltiìsteten  ossia  d' Edelstein  nella 
Svevia,  ch'era  caduto  in  somma 
rilassatezza.  Colla  sua  dolcezza  e 
colla  forza  del  suo  esempio,  ella  in 
breve  inspirò  alla  sua  nuova  co- 
munità l'amore  d'una  perfetta  os- 
servanza. Poca  paglia  era  suo  ietto, 
il  suo  cibo  era  trivialissimo,  e  non 
mangiava  che  solo  per  sostenere  il 
corpo.  Divideva  tutti  i  suoi  mo- 
menti tra  r  orazione,  la  lettura  e 
la  fatica  delle  mani;  osservava  il 
più  rigoroso  silenzio;  lo  spirito  di 
compunzione  ond'era  animata  dava 
a'  suoi  occhi  una  sorgente  continua 
di  lagrime.  Non  si  credette  mai 
esente  dalla  regola,  neppure  alla 
corte  dell'  imperatore,  ove  fu  co- 
stietta  recarsi  per  gli  affari  del  suo 
monastero.  Morì  a  Diessen  a'  29 
marzo,  poco  dopo  il  i3oo.  11  di  lei 
nome  non  è  stato  mai  inserito  nel 
martirologio  romano,  ma  trovasi  iu 
molti  calendari  sotto  il  io  d'aprile, 
il   29  di   marzo,  e  il  3o  di   maggio. 

METILDE  Contessa.  F.  Matilde. 

METIMlNA.  Sede  vescovile  del- 
r  isola  di  Lesbo,  una  delle  Cicladi, 
prima  sotto  la  metropoli  di  Rodi, 
poi  di  Metelino  nell'  Asia,  eretta 
nel  VI  secolo,  e  verso  1'  869  di- 
venne arcivescovato  onorario.  Ne  fu 
pnmo  vescovo    Cristodoro   che  sot- 


MET 

loscrisse  la  relazione  del  concilio  di 
Costanliiiopoli  al  Papa  Ormisda, 
sull'  ordinazione  del  patriarca  Epi- 
fane  :  quanto  ai  successori  fino  ad 
Antimo  del  1721  vedasi  V  Oriens 
christ.  t.  I,  p.   961. 

METODIO  (s.),  vescovo  di  Tiro, 
doltoie  della  Cliiesa  e  niarliie.  Fu 
prima  vescovo  di  Olimpia,  o  di 
Patara,  secondo  Leonzio  di  Bisan- 
tio,  la  sede  della  quale  se.mbra  es- 
tere slata  allora  unita  a  quella  di 
Olimpia.  Comunque  ciò  sia,  egli  (u 
trasferito  al  vescovato  di  Tiro,  e 
si  crede  che  succedesse  a  8.  Tira- 
nione,  il  quale  soU'erse  il  martirio 
«otto  Diocleziiino.  Metodio  versò 
anch' egli  il  sangue  per  la  fede  a 
Calcide  nella  Grecia.  S.  Girolamo 
mette  la  sua  morie  sul  finire  del- 
l'ultima persecuzione  generale,  cioè 
nel  3ii  o  3 12.  Le  opere  di  san 
IVletodio,  cui  san  Girolamo  dà  il 
titolo  di  eloquenti ssìmo,  erano  as- 
sai slimale  dagli  antichi.  Ne  ab- 
biamo de'  frammenti  considerabi- 
li in  Fozio,  in  s.  Epifanio,  in  san 
Girolamo,  in  Teodoreto  :  quelli  che 
ci  rimangono  più  estesi,  sono  del 
Lìbero  arbitrio,  contro  i  valenti- 
nianij  e  della  Risurrezione  dei  cor- 
pi,  contro  Origene.  Abbiamo  anco- 
ra di  lui  per  intiero  il  Simposio 
ossia  Convito  de'  vergini,  composto 
ad  imitazione  di  quello  di  Socrate 
scritto  da  Platone.  La  festa  di  s. 
Metodio  si  celebra  il  18  settembre. 

METODIO  (s  ),  patriarca  di  Co- 
stantinopoli. Uscì  d' una  delle  più 
illustri  famiglie  della  Sicilia,  e  fu 
allevato  nelle  scienze  sacre  e  pro- 
fane, in  cui  si  rese  assai  dotto.  Ri- 
tiratosi dal  mondo,  edificò  un  n)o- 
naslero  nell'isola  di  Scio;  ma 
chiamato  poscia  a  Costantinopoli, 
il  santo  patriarca  Kiceforo  1'  uni 
alla  sua  chiesa.  Egli  accompagnò  il 
patriarca  nei  due  esilii  cui  fu  cou< 


MET  309 

dannalo  pel  suo  zelo  nel  difendere 
il  culto  delle  sacre  immagini  ;  e 
neir8i7  fu  da  lui  mandato  a  Ro- 
ma in  uffizio  di  apocrisario.  Dopo 
la  morte  di  s.  Niceforo  ritornò  Me- 
todio a  Costantinopoli.  Vittima  del 
furore  degli  iconoclasti  fu  messo  in 
prigione,  e  non  ricuperò  la  libertà 
che  neir  83o  ;  ma  non  potè  godere 
lungo  ripo-so.  Gli  eretici  ricomin- 
ciarono a  perseguitarlo,  e  1'  impe- 
ratore Teofilo  lo  condannò  all'  esi- 
lio. Entrata  Teodora  al  governo 
dell'impero  nell'  842,  pose  freno 
all'  eresia,  e  collocò  Metodio  sopra 
la  sede  patriarcale  di  Costantinopoli. 
11  santo  fece  rivivere  per  tutto  la 
pietà  colla  sana  dottrina;  e  per 
ringraziar  Dio  del  ristabilimento 
della  fede,  istituì  una  festa  che  fu 
chiamata  Ortodossia.  Morì  il  i4 
giugno  846.  Sotto  s.  Ignazio  suo 
successore  celebravasi  la  sua  festa, 
e  fu  sempre  celebrata  sì  presso  i 
greci  che  presso  i  latini.  Ci  riman- 
gono alcuni  scritti  di  s.  Metodio, 
cioè  dei  canoni  penitenziali^  dei 
sermoni,  ed  un  elogio  di  s.  Dioni- 
gi  r  Areopagita. 

METODIO  (s.).  Era  monaco, 
ed  accompagnò  in  Bulgaria  suo 
fratello  s.  Cirillo  {Vedi),  detto  il 
Filosofo,  colà  spedito  qual  missio- 
nario. Essendo  eccellentissimo  nel- 
1'  arte  di  dipingere,  Bogoris  re  dei 
bulgari  gli  commise  alcuni  quadri 
per  ornare  il  palazzo  che  avea  te- 
sté fabbricato,  il  santo  monaco  di- 
pinse il  giudizio  finale,  di  cui  Bo- 
goris domandatane  la  spiegazione, 
ne  restò  sì  profondamente  com- 
mosso, che  ricevette  poi  il  battesi- 
mo, e  prese  il  nome  di  Michele.  Do- 
po la  conversione  de' bulgari,  che 
era  stato  il  fruito  principale  dello 
zelo  di  Cirillo  e  di  Metodio,  questi 
due  uomini  apostolici  partirono  per 
andar  a  predicare  il  vangelo  nella 


3  IO  MET 

Moravia,  ivi  chiaiuiiti  tlal  pio  re 
Rastices,  che  ricevette  il  biiltesiino 
dalle  lor(»  uiaui,  come  la  più  par- 
te dei  suoi  soggetti.  Credesi  die  Me- 
todio  fosse  consagrato  arcivesco- 
"vo  di  Moravia.  Boriway  o  iìori- 
■vorio  duca  di  Boemia,  avendoli  u- 
diti  a  predicare  credette  in  Gesù 
Cristo,  ed  esortò  Metodio  a  passa- 
re in  Boemia  per  annunziarvi  il 
■vangelo.  Il  santo  si  arrese  a  tale 
invilo;  battezzò  la  moglie  e  i  fi- 
gliuoli dei  duca,  con  una  grandis- 
sima moltitudine  di  boemi  ;  innal- 
zò a  Praga  la  chiesa  di  ÌSoslra 
Donna,  quella  di  s.  Pietro  e  di  s. 
Paolo,  e  più  altre  ancora  in  di- 
verse parti  della  Boenjia.  I  due 
santi  (rateili  tr;islatarono  la  litur- 
gia in  lingua  slava,  e  fecero  cele- 
brare la  messa  nella  lingua  che 
parlavano  i  popoli  ch'essi  aveano 
convertilo.  Nata  su  ciò  conlroversia, 
il  Papa  Giovanni  Vili,  chiamato  a 
Roma  ftletodio  circa  1'  879,  ne  con- 
fermò l'uso,  ad  onla  dei  reclami 
degli  arcivescovi  di  Salisburgo  e  di 
Magonza,  Il  santo  pervenne  a  grave 
età,  ma  ignorasi  l'aimo  preciso  della 
sua  morte.  I  greci  ed  i  moscoviti 
l'onorano  agli  i  i  di  maggio ,  e  il 
martirologio  romano  lo  nomina  a' 9 
di  marzo,  congiuntamente  a  s.  Ci- 
rillo, dando  ad  entrambi  il  titolo 
di  vescovi  de'  moiavi.  F.  Moravia. 
METODISTI.  Setta  d'Inghilter- 
ra ch'ebbe  origine  nell'università  di 
Oxford,  e  che  molti  rassomiglia- 
vano a  c|uella  degli  ernuti,  o  Fra- 
telii moravi  [Fedi).  Essa  è  composta 
di  uomini  e  donne,  che  si  radunano 
due  volte  la  settimana  per  pregare, 
cantare  de'salmi,  confessarsi  fra  di 
loro,  ed  anche  le  donne  colle  don- 
ne. Questi  settari  si  dicono  ispira- 
ti, e  professano  una  vita  molto  au- 
stera. Spingono  il  calvinismo  sulle 
materie  della  predestinazione    e  dtl- 


MET 

la  grazia  fino  all'eccesso.  Sono  chia- 
mati metodisti,  perchè  sì  vantano 
di  avere  trovato  un  metodo,  od 
una  particolare  via  per  giungere 
alla  salute.  Il  loro  più  celebre  pre- 
dicante è  Giorgio  di  Whitelield. 
Nel  1739  il  vescovo  di  Londra 
Sdisse  una  lettera  pastorale  ai  fede- 
li della  sua  diocesi  ,  per  premu- 
nirli contro  questo  spirilo  d'entu- 
siasmo. In  oggi  dividonsi  in  meto- 
disti aderenti  a  Whitefield,  i  qua- 
li ammettono  la  predestinazione  co> 
me  i  calvinisti  rigorosi;  ed  in  ade- 
renti di  Vesley,  i  quali  hanno  adot- 
tali i  principii  degli  arminiani ,  e 
sono  (juesti  in  numero  maggiore. 
Nel  finire  del  secolo  XVI li  i  me- 
todisti fecero  scissione  colla  chiesa 
anglicana,  alla  quale  si  dicevano 
prima  attaccati  ;  indi  fecero  rapidis- 
simi progressi  in  Inghilterra  e  negli 
S  lati -Uniti  di  America,  dove  \ì  loro 
numero  va  ognora  aumentando.  Han- 
no degli  stabilimenli  in  molte  parli, 
come  neir  Indie  orientali.  I  meto- 
disti furono  i  primi  tra  i  prote- 
stanti, che  introdussero  l'uso  di  pre- 
dicare nelle  strade  pubbliche  e  in 
campagna  aperta:  hanno  predican- 
ti a  posto  fìsso  ed  ambulanti.  I 
protestanti  diedero  il  nome  di  me- 
todisti ai  controversisti  francesi  , 
perchè  seguirono  diversi  metodi 
per  attaccare  il  protes^antismo,  clie 
dichiara  il  Bergier  nel  Diz.  elicici. 
METONA  o  MODONE,  iìleiho- 
ne.  Sede  vescovile  della  Messenia  nel 
Pelopouue,>o,  della  provincia  d'Elia- 
de, sotto  la  metropoli  di  P<itrasso, 
nella  diocesi  dell'  lUiria  orientale,  e- 
retta  nel  IX  secolo.  Città  forte  e 
porto  della  Grecia  nella  parie  piìi 
meridionale  delia  ]Morea,  cinta  da 
ogni  lato  dal  mare,  e  congiimla 
al  continente  per  un  ponte  di  le- 
gno :  il  porto  è  poco  sicuro,  ma  im- 
poi  tante  a  cagione  della  sua  rada 


MET 

della  sua  vicinanza  al  golfo  di  Co- 
ione. Provò  questa  città  diverse  vi- 
cende e  rivoluzioni.  Gli  insubri  se 
ne  impadronirono  negli  antichi  lem- 
pi,  e  gl'illirii  la  saccheggiarono  in 
seguito,  condiiccndo  in  ischiavitù 
gli  abitanti.  Traiano  mosso  dalle 
loro  sciagure  li  ristabilì  con  molti 
privilegi,  e  lasciò  loro  sceglieie  un 
governo  aristocratico,  che  sussistette 
sino  al  regno  di  Costantino,  che 
sottomise  quel  popolo  alh  sua  ob- 
bedienza, lasciandogli  però  il  libe- 
:  ro  esercizio  delle  sue  costumanze. 
Nel  1124  Tu  presa  dal  veneto  do- 
ge Domenico  Michieli,  al  ritorno 
del  terzo  suo  viaggio  nella  Terra 
Santa.  L'anno  seguente  i  venezia- 
ni rimisero  questa  piazza  all'  im- 
pero greco,  ma  nella  sua  divisione 
nei  1204  ritornò  Modone  ai  vene- 
li,  ai  quali  fu  tolta  nel  1208  da 
Leone  Velrano  corsaro  greco,  che 
per  poco  tempo  la  ritenne.  JVel 
149B  Bajazet  li  se  ne  rese  padro- 
ne, ma  dipoi  nel  giugno  1686  il 
veneto  generale  IMorosini  la  ripre- 
se ai  turchi  e  la  fortificò  maggior- 
uienle.  !Vel  1715  fu  presa  da  To- 
pal  Osman,  e  molto  soffri  nel  1770 
per  l'invasione  russa,  e  fu  dai  tur- 
chi alloia  definitivamente  abban- 
-donala.  Nella  recente  guerra  del- 
l'insurrezione, i  greci  se  ne  impa- 
dronirono, indi  la  prese  Ibrahira 
pascià,  cedendola  nel  1828  ai  fran- 
cesi ;  ma  in  oggi  forma  parte  del 
nuovo  regno  di   Grecia. 

Lbbe  Metona  o  Modone  vesco- 
vi greci  e  latini.  Il  primo  de'greci 
fu  Ticliico,  che  soltosci-isse  al  con- 
cilio di  Sardica,  e  gli  successero  : 
Atanasio  che  assistette  al  concilio 
di  Fozio,  dopo  la  morte  di  s.  I-' 
gnazio;  Nicola  del  1166,  cui  si 
attribuisce  un'operetta  sulla  Euca- 
ristia ,  con  alcuni  scritti  contro  i 
Ialini  ,     Oriens    christ.    t.    II,  pag. 


MET  3ri 

23 1  ;  nel  l.  Ili,  p.  io5i  sono  ri- 
portali i  vescovi  Ialini,  da  Gio- 
vanni o  Giuseppe  che  fu  il  primo, 
e  ne  occupava  la  Sede  nel  i  2  i  o, 
ed  a  cui  Innocenzo  III  scrisse 
prendendo  la  chiesa  di  Modone 
solto  la  protezione  della  Sede  apo- 
stolica. Leonardo  l-'atrasso  fatto  da 
Boniliicio  Vili,  e  dal  medesimo 
crealo  cardinale.  Egidio  ferrarese, 
insigne  domenicano,  patriarca  di 
Grado,  poi  d'Alessandria,  ebbe  da 
tal  Papa  questa  chiesa  in  commen- 
da. Angelo  I  gli  successe;  Tomma- 
so Falier  veneto  nel  «Sgo  fu  tra- 
sferito a  Venezia;  indi  successero 
Lodovico  I  ,  Antonio  I ,  Lorenzo, 
Paolo,  Francesco,  Giacomo,  Marti- 
no, Gabriele,  Marco,  Angelo  II. 
L'Allazio  riporta  questa  serie  dei 
vescovi  di  Modone  dal  i3gr  al 
14519.  Lodovico  Mauroceno  veneto 
del  iSqi  ;  Antonio  nel  il^o'y', 
Lorenzo  veneto  domenicano  del 
i4'0  della  famiglia  Venier;  Pao- 
lo cistcrciense  per  rinunzia  dei 
precedente;  Francesco  de'Franceschi 
del  i4'5>  Giacomo  di  Foligno 
domenicano,  traslato  nel  i4'7  da 
Nocera;  Martino  del  1428;  Gabrie- 
le de  Gabrielli  veneto  del  144^  > 
Angelo  Foscolo  del  «4^9  traslato 
a  Feltre  ;  Lodovico  II  Longo  ve- 
neto domenicano  del  i46(5;  Orcwin 
dello  stesso  ordine,  fatto  nel  147^ 
da  Sisto  IV;  Andrea,  e  per  ultimo 
il  domenicano  Antonio  li  Falconi  di 
Avila  del  1 5o6.  Metona  o  Modo- 
ne, Mtlhoneti,  al  presente  è  un  ti- 
tolo vescovile  in  partibiis ,  sotto 
l'arcivescovato  di  Patrasso,  che  con- 
ferisce la  santa  Sede.  Inoltre  Mo- 
done è  sotto  il  vicariato  apostolico 
della  Grecia,  tli  cui  è  delegato  a- 
postolico  ii  vescovo  di  Sira,  la  cui 
popolazione  è  di  7000  con  pochi 
catlolici,  e  vi  risiede  un  vescovo 
scismatico.    Si    può    dire  che  fu  la 


3f2 


MET 


culla  (Iella  congregazione  dei  Me- 
chilnrisli  (P'edi),  che  vi  ebbero  bella 
cliiesa  e  vasto  monastero.  Nel  con- 
sohito  di  Francia  vi  fu  una  chiesa. 
METRA  o  METRI,  J/yra.  Sede 
vescovile  della  provincia  d'  Europa, 
suithiganea  di  Eraclea,  eretta  nel 
IX  secolo,  situata  nelle  vicinanze  di 
Costantinopoli.  Ne  furono  vescovi 
Costantino,  intervenuto  al  VII  con- 
cilio generale;  Gregorio  che  fu  a 
quello  di  Fozio;  Procopio  che  sot- 
toscrisse la  deposi/ione  del  patriar- 
ca Joasnph  nel  i564,  in  cui  pure 
governò  la  chiesa  di  Athira,  e  nel 
•1572  assistè  al  concilio  del  patriar- 
ca Geremia  contro  i  simoniaci.  O- 
riens  christ.  t.   I,  p.    11 49- 

METRACHA.  Sede  vescovile  del 
Chersoneso  Taurico,  nella  Scizia, 
sotto  la  metropoli  di  Gaffa,  eretta 
nel  IX  secolo,  e  residenza  d' un 
arcivescovo  onorario  del  patriarcato 
di  Costantinopoli.  Si  vuole  che  sia  la 
stessa  Meiraclia  che  si  uni  a  Zichia. 

METROCOMIA.  Borgo  o  villag- 
gio principale,  e  capo  degli  altri 
sottoposti  alla  sua  giurisdizione,  pa- 
rola derivante  dal  greco,  villa  ma- 
trice. Ciò  che  le  metropoli  sono 
per  rapporto  alle  città,  le  nietro- 
comie  erano  rapporto  ai  villaggi  di 
campagna.  Questa  era  la  sede  e  la 
residenza  di  un  Corepiscopo  [Fedi), 
o  d'  un  decano  rurale. 

METROPOLI,  Meiwpolis.  Città 
principale  nella  provincia,  o  chiesa 
principale  nella  stessa  provincia.  La 
parola  metropoli  proviene  dal  gre- 
co, in  significalo  d'  una  città  madre, 
cioè  da  dove  sortivano  le  colonie, 
che  andavano  ad  abitare  altre  ter- 
re; le  città  di  queste  colonie  erano 
come  le  figlie  della  città  madre.  In 
seguito  i  romani  chiamarono  me- 
tropoli la  città  capitale  o  principale 
d'una  provincia.  L' impero  romano 
essendo  stato  diviso    in  tredici  dio- 


MET 
cesi  ed  in  centoventi  provincie,  cia- 
scuna diocesi  e  ciascuna  provincia 
aveva  una  metropoli  o  città  capi-; 
tale,  eh'  era  la  residenza  del  pro- 
console, o  del  vicario  dell'impero.] 
V.  Impero.  Il  governo  ecclesiastico! 
avendo  imitato  sovente  le  disposi- 
zioni del  civile,  la  Chiesa  adottò 
tale  divisione,  le  città  capitali  furo- 
no chiamate  metropoli,  e  le  sedi 
vescovili  che  stabiTj  in  quelle  me- 
tropoli furono  dette  metropolitane 
verso  il  fine  del  III  secolo,  e  me- 
tropolitiche: ciò  confermò  il  conci- 
lio Niceno,  ma  I'  Usserio  e  de  Mar- 
ca sostengono  che  sia  uno  stabili- 
mento degli  apostoli.  Così  quanto 
all'accennata  divisione  del  romano 
impero  in  diocesi,  in  provincie,  ed 
in  città  capitali  o  metropoli,  il  Maf- 
fei  nella  sua  Keroiia  illustrala  pe- 
rò sostiene,  che  le  provincie  roma- 
ne non  avessero  città  capitale,  e  sos- 
tiene che  vennero  finora  confuse 
le  provincie  geografiche  colle  pro- 
vincie romane,  le  quali  non  erano 
che  un'  estensione  arbitraria  di  pae- 
se soggetta  ad  un  presidente.  Quin- 
di ne  venne,  com'egli  dice,  che  lut- 
ti credettero  che  le  metropoli  geo- 
grafiche fossero  altrettante  metro- 
poli romane,  cioè  luoghi  in  cui  e- 
ravi  la  sede  col  centro  del  governo. 
Ma  l'ordin»  di  quel  tempo  era  mol- 
to did'erente  dal  nostro;  poiché  vi 
sono  due  circostanze  che  ordinaria- 
mente caratterizzano  le  capitali,  la 
residenza  fissa  di  quello  che  gover- 
na con  autorità  la  provincia,  e  la 
stabilità  del  tribunale  supremo  di 
giudicatura.  Ora  ai  tempi  de' ro- 
mani, il  presidente  era  invece  ob- 
bligato a  non  far  giammai  una  lun- 
ga dimora  in  una  medesima  città, 
ma  di  percorrere  tutte  quelle  della 
provincia,  ed  il  tribunale  supremo 
di  giudicatura  era  stabilito  non  in 
una  sola  città,  ma  ia  molte,  e  fu- 


MET 

ronTÌ  talvolta  fino  a  dieci  ciUà  de- 
stinale a  qiiest'  uso.  Quindi  sendjia 
che  nelle  piovincie  romane  non  Vi 
fossero  capitali,  nel  significato  in 
cui  lo  prendiamo  noi  oggidì.  Inol- 
tre il  Àlallei  osserva,  che  in  con- 
seguenza del  non  avervi  fatta  atlen- 
lione,  i  più  grandi  scrittori  cadde- 
ro in  molti  errori  trattando  della 
giurisprudenza,  della  gerarchia  ec- 
clesiastica, della  cronoltigia,  della 
geografia,  delle  medaglie  e  delle 
iscrizioni.  Da  ciò  ne  tieriva,  dice 
egli,  che  tulli  hanno  fincjra  sì  poco 
inlese  certe  leggi,  particolarmente 
quelle  nuove  di  Giustiniano  I,  per 
avere  male  inleso  il  nome  di  me- 
tropolij  che  non  sanno  come  spie- 
gar ciò  che  dicono  molli  autori, 
ch'eranvi  cioè  molle  metropoli  nel- 
la stessa  provincia.  Ma  questo  di- 
verrà intelligibilissimo  quando  si 
saprà  che  una  provincia  romana 
comprendeva  molli  paesi  o  provin- 
ole geografiche^  ciascuna  delle  quali 
aveva  la  sua    propria  metropoli. 

Dopo  lo  stabilimento  politico  del 
cristianesimo,  il  sistema  civile  in 
molte  cose  seguì  le  tracce  del  re- 
gime ecclesiastico,  e  alcune  città 
furono  dapprima  metropoli  ecclesia- 
stiche, e  quindi  lo  slesso  grado  otlen- 
nero  anche  nell'  ordinamento  e  nel- 
l'amministrazione civile.  Gli  apo- 
stoli e  gli  altri  primi  promulgatori 
dellevangelo  ebbero  in  costume 
di  cominciarne  la  predicazione,  per 
maggior  frullo,  dalle  città  più  in- 
signi e  metropoli^  come  ne'  Meda- 
glioni osserva  il  Buonarroti.  Que- 
sti inoltre  dice  che  le  metropoli  fu- 
rono anche  chiamate  Prime,  e  ri- 
porta le  gare  fra  JVicea  e  Nicorae- 
dia,  ognuna  delle  quali  pretende- 
vano che  il  nome  di  prima  fosse  a 
ciascuna  di  loro  singoiare,  siccome 
egli  era  quello  di  metropoli,  e  lo 
posero  nelle  medaglie.  Scrive  Dione, 


MET  3i3 

che  il  titolo  di  prime  lo  diedero  alle 
città  i  presidi  delle  provincie,  per 
mettere  divisione,  ed  aver  sempre 
qualche  città  a  loro  favore  in  caso 
di  sindacato  ;  lo  davano  quando  ad 
una  città,  quando  ad  un'  altra,  met- 
tendolo nelle  lettere  e  rescritti  che 
loro  facevano,  secondando  così  quel- 
la pecca  de' greci,  come  la  chiama- 
vano i  romani.  11  titolo  di  prime 
nulla  portava  seco  d'  essenziale , 
quantunque  per  altro  accadesse, 
che  le  città  che  avevano  preroga- 
tive maggiori,  e  ritenevano  qualche 
figura  di  metropoli,  per  distinguer- 
si dalle  inferiori  si  piccavano  del 
titolo  di  prime;  giacché  queste  che 
aveano  i  conventi  giuridici,  An- 
tonino Pio  le  pose  nella  seconda 
riga  dopo  le  metropoli.  In  progres- 
so, le  città  che  godevano  il  mero 
titolo  di  prime,  forse  riguardante 
le  prerogative  e  nobiltà  della  città  in 
genere,  tralasciando  di  chiamarsi 
prime  rispetto  alla  bellezza  e  gran- 
dezza ,  cominciarono  a  chiamarsi  e 
prime  delle  Provincie  e  assolutamente 
prime,  onde  si  vede  che  queste  città 
di  mezzo  ebbero  qualche  pensiero 
di  qualificarsi  con  quel  titolo,  che 
quantunque  minore  di  quello  di 
metropoli,  denotasse  però  i  loro 
privilegi  e  il  loro  stato  più  rag- 
guardevole, e  come  di  seconde.  Che 
molte  di  loro  ottennero  il  nome 
ancora  di  metropoli,  come  notano 
gli  eruditi  sull' autorità  di  Ulpiano, 
si  vede  in  alcune  medaglie  e  iscri- 
zioni di  Smirne  e  di  Efeso.  Con- 
chiude il  Buonarroti,  che  non  po- 
tendosi Eraclea  vantare  di  essere 
metropoli,  si  chiamò  madre  di  cit- 
tà colonie,  e  lo  espresse  nella  me- 
daglia di  Caracalla  con  iscrivere: 
Dhtrocolonia j  e  che  il  titolo  di  me- 
tropoli, in  rigore  dovrebbe  essere 
solo  di  quelle  città,  che  sono  state 
madie  e  origine  d'  altre.  Vi  furono 


3i4  MET 

anche  ne'pritni  tempi  della  Chiesa 
nietiopoli  ecclesiasliche  onorarie,  e 
nel  concilio  di  Calcedonia  del  ^5 1 
l'imperatore  Marciano  ottenne  iu 
grazia  dai  padri,  che  in  onore  del 
medesimo  concilio  e  della  s.  mar- 
tire Eufemia,  fosse  eretta  in  me- 
tropoli di  semplice  titolo  la  chiesa 
Calcedonc'se,  senza  pregiudizio  di 
Kicoaiedia  e  de'  diiitti  di  quella 
sede.  IVel  medesimo  concilio  e  nel- 
la sezione  IV  fu  discussa  la  contro- 
versia insorta  fra  i  vescovi  di  Tiro 
e  di  Ticrilo  sui  diritti  metropolitani, 
decisa  in  favore  del  secondo.  Su 
questi  punti,  e  sul  diritto  d'isti- 
tuire metropoli  il  romano  Ponte- 
fice, si  può  leg.;ere  la  lettera  del 
Cuccagni,  sul  diritto  che  ha  il  Papa 
di  consecrare  i  vescovi  del  regno  di 
Napoli,  riportata  nel  Sappi,  algiorn. 
eccl.  di  Roma  1789.  Sulle  metro- 
poli ecclesiastiche  dell'  occidente, 
come  e  da  chi  erette,  vedasi  il  Zac- 
caria, Aiìti-Fchhroìiio,  p.  iSg,  ove 
dice  che  tutte  lo  furono  per  auto- 
lità  pontificia  dalla  soia  sede  ro- 
mana, sjH'.cialruente quelle  delle  Gal- 
lie,  tranne  due  nella  Spagna  erette 
dai  sinodi  del  regno,  cioè  Toledo 
e  Lugo,  l'ultima  delle  quali  diu'ò  po- 
co più  di  un  secolo.  Vi  sono  me- 
tropoli o  Arcivesroi'ati  (^Vedi)  con 
Sujfraganei  {^P'tdi)  e  senza  suffraga- 
nei.  V.  Citta',  DiocEsr,  Vescovato, 
e  Mf.tropomtano. 

METROPOLI.  Sede  vescovile 
della  prima  provincia  d'  Asia,  nel- 
l'esarcato del  suo  nome,  sotto  la 
metropoli  d'Efeso,  eretta  nel  V  se- 
colo. Ebbe  per  vescovi  Marcellino 
che  fu  al  concilio  di  Calcedonia,  e 
Giovanni  che  trovossi  a  quello  di 
Fozio.    Oriciis    christ.     t.   I,   p.    708. 

METilOPOLI.  Sede  vescovile 
della  prima  Tessaglia,  nell'esarcato 
di  Macedonia,  sotto  la  inetro[)oli 
di  Larissa,  eretta  nel  IV  secolo,  di 


MET 

cui  fu  vescovo  Marco,  che  assistette 
al  concilio  di  Nicea.    Orietis  christ. 

t.   II,  p.    12  7.. 

METROPOLI.  Sede  vescovile 
della  provincia  di  Pisidia ,  nell'  e- 
sarcato  d'  Asia,  sotto  la  metropoli 
d'  Antiochia,  eretta  nel  V  secolo. 
Ebbe  per  vescovi  Policarpo,  che  fu 
al  concilio  di  Kicea;  Euslazio  che 
intervenne  al  primo  generale  di  Co- 
stantinopoli; Heorticio  che  fu  a 
quello  di  Calcedonia;  Monofìlo  sot- 
toscrisse la  lettela  del  concilio  di 
Pisidia  all'imperatore  Leone;  e  Gio- 
vanni lirmò  la  relazione  che  il 
concilio  di  Costantinopoli  fece  al 
patriarca  Giovanni,  su  Severo  d'An- 
tiochia ed  altri  eretici.  Oriens  christ. 
t.   I ,  p.    IO 56. 

METROPOLITANA  Chiesa.  F. 
Metropolitano. 

METROPOLITANO ,  Metropo- 
lita, RJttropolitnnus.  Dignità  eccle- 
siastica detta  eziandio  Arcivesco^'O 
(Fedi),  se  ha  vescovi  suffragane!, 
capo  e  primo  vescovo  d'  una  eccle- 
siastica provincia,  che  solendo  anti- 
camente risiedere  nella  città  prin- 
cipale o  Metropoli  {^Fedi),  da  que- 
sta prese  il  nome,  come  le  Calte' 
drali  {Vedi)  si  chiamarono  Metro- 
politane.  Il  nome  di  diocesi  presso 
gli  orientali  era  assai  più  ampio 
che  tra  i  latini,  abbracciando  più 
Provincie  che  obbedivano  aW Esar- 
ca o  Patriarca  [Vedi),  e  ciascuna 
provincia  cui  presiedevano  i  metro- 
politani dicevasi  Esarchia,  All'ar- 
ticolo Es.^RCA  dicemmo  che  tal  di- 
gnità in  occidente  si  chiama  Pri- 
mate (Vedi),  ed  è  presidente  di 
più  Provincie  ecclesiastiche  ,  per- 
ciò superiore  al  metropolitano,  co- 
me ancora  si  notò  a  Gerarchia 
ecclesiastica.  Il  p.  Chardoo,  Storia 
de' sagr.  t.  Ili,  p.  i32,  trattando 
della  subordinazione  gerarchica  dei 
vescovi,  ricerca  1'  origine  delle  me- 


MET 

Iropol!  ecclesiastiche,  e  delle  prin- 
cipali dignità  della  primitiva  Chiesa, 
cos'i  quella  de' metropolitani.  Il  J*e- 
reira  dice,  che  essendo  il  vescovato 
l'apice  del  sacerdozio,  la  dignità 
metropolitica  o  metropolitana  è 
r  apice  del  vescovato  :  per  (pieslo 
nella  frase  degli  antichi  canoni  han- 
no i  metriipolitani  il  nome  di  pri- 
mati, come  nel  VI  di  Sardica,  e  nel 
XII  di  Cartagine.  Il  Rinaldi  notò 
all'anno  Sgv,  num.  ^cf,  che  i  me- 
tropolitani furono  detti  princìpes 
sacerdoturn,  nei  concilii  di  Sardica 
e  Calcedonia.  Ma  dell'  origine,  aii- 
toiità,  prerogative  e  giurisdizione 
de'  metropolitani  ne  parlammo  ad 
Arcive>covo  e  ne'  relativi  articoli, 
laonde  qui  ci  limiteiemo  ad  aggiun- 
gere alcune  altre    erudizieni. 

L'origine  dei  metropolitani  si  ripe- 
te da  molti  degli  apostoli,  ed  al  can. 
34,  la  cui  autorità  è  però  dubbiosa. 
S.  Paolo  confidò  la  soprintenden- 
za di  tutte  le  chiese  di  Creta  a 
Tito,  e  quelle  della  provincia  d'Asia 
a  Timoteo.  Ridette  Chardon,  che 
sebbene  gli  apostoli  non  abbiano 
con  apposite  leggi  stabilito  per  ca- 
po della  provincia  il  vescovo  della 
n)etro[!oli, ebbero  tuttavia  intenzione 
che  così  si  facesse,  di  che  grandi 
ragioni  avevano.  Imperocché  per 
quanto  confidassero  in  Dio,  e  da 
lui  unicamente  attendessero  l'esito 
felice  de' loro  travagli,  non  trascu- 
ravano tuttavia  i  mezzi  umani  loro 
somministrali  dalla  provvidenza  per 
dilfondere  l'evangelo^e  per  lasciare 
alle  chiese  dopo  la  loro  morte  la 
miglior  forma  di  governo  e  di  di- 
sciplina ;  quindi  niuna  era  migliore 
che  il  fl>sare  le  princi[)ali  sedi  nel- 
le città  capitali,  dcjiide  la  feile  po- 
teva più  facilmente  passare  alle  al- 
tre, e  potevano  i  vescovi  di  queste 
sedi  primarie  più  agevolmente  ve- 
gliare    sopra    il    procedere   de'  luiu 


MET  3i5 

coìleghi,   e  correggere  i  nascenti  a- 
busi  delle    provincie,    usando  i  po- 
poli di  portarsi    in   folla    alle  capi- 
tali città,  ove  i  governatori  faceva- 
no giustizia  ai  ricorrenti.  Dicesi  che 
s.   Aniceto    Papa    del    167,  nel   rin- 
novar il   decreto  sulla  consagiazione 
de'  vescovi,   aggiunse  che  se  fossero 
metropolitani    vi    doveano    assistere 
tulli  i   vescovi   provinciali.   Già  nel 
declinar     del  terzo    secolo,    sebbene 
la  subordinazione  de'  vescovi  ai  me- 
tropolitani,    al    dire    d'alcuni    non 
fosse     espressamente     decretata     da 
leggi  o  concilii,    tutta  volta    si  vede 
stabilita   da   un  tacito  consenso  uni- 
versale, e  da  una  consuetudine  ge- 
nerale,  che  giusta   la  massima  degli 
antichi    giureconsulti,  lien  luogo  di 
legge  in    siflatte    materie,     come  si 
esprime  Chardon.   Conforme  a  que- 
ste   antiche    consuetudini,    nel   Sai» 
il  concilio     Niceno    regolò   i    diritti 
e  la    estensione    della     giurisdizione 
de'  pi  incipali   vescovi  della  cristiani- 
tà, nulla    rinnovando,     ma    confer- 
mando solo  ciò  che  osservavasi  nel 
decretare.  »  Or  è  notissimo,  che  se 
alcuno  vien  promosso    al   vescovato 
senza  consenso     del     metropolitano, 
il  gran  concilio  ha  definito  che  non 
debba  esser     vescovo".  Ciò     dimo- 
sliT»  che  ivi    trattasi    de'  metropoli- 
tani,  e  non    de'  primati   o    patriar- 
chi,  poiché  ai  metropolitani   toccava 
concorrere    all'  elezione    e  consacra- 
zione de'  vescovi  delle  loro  rispetti- 
ve provincie  ;  perciò  i  padri  di  Nicea 
dierono   loro  il  gius  di    confermar- 
li nella   dignità,  ove  dopo  aver  or- 
dinalo che  il   vescovo  si  consacri  da 
tulli    i   comprovinciali,  o  almeno  da 
tre  coli'  assenso  in    isciitto  degli  as- 
senti,   aggiungono    che  il   metropo- 
litano confermi  ogni     cosa;  il  qual 
certamente     è     un     gran    privilegio 
acquistato  dalla   consuetudine  come 
parla  il  concilio.  Ma  uuu  eru  il  solo, 


3i6  MET 

poiché  aveano  la  podestà  di  esami- 
nare la  vita,  i  costumi  e  la  dot- 
trina de*  vescovi  provinciali,  di  con- 
vocarli ai  sinodi,  di  giudicar  le  dif- 
ferenze che  potevano  nascere  tra  di 
loro,  e  di  regolare  gli  affari  eccle- 
siastici che  riguardavano  le  Pro- 
vincie in  generale.  Tali  sono  i  di- 
ritti e  le  prerogative  de*  metropo- 
litani che  il  concilio  loro  manten- 
ne, e  di  cui  godevano  per  antica 
consuetudine,  1'  origine  della  quale 
riporta  il  Cliardon  citato.  Inoltre 
il  concilio  JViceno  ordinò,  che  i  me- 
tropolitani fossero  consecrali  da  tre 
vescovi,  ciò  che  già  facevano  i  Papi 
nella  loro  consecrazione,  come  at- 
testa il  Mabillon,  Mus.  hai.  t.  II, 
p.  II 8,  non  essendo  certo  il  de- 
creto di  s.  Anacleto  Papa  del  io3, 
che  i  vescovi  fossero  consecrali  da 
tre  altri. 

Il  concilio  Antiocheno  del  34 1, 
per  reprimere  alcuni  vescovi,  che 
alttìttavano  indipendenza  sul  prete- 
sto che  le  loro  chiese  erano  state 
/ondale  dagli  apostoli,  comanda. 
»  Che  quelli  di  ciascuna  provincia 
riconoscano  per  superiore  il  metro- 
politano, e  che  questi  abbia  cura 
di  tutta  la  piovincia,  perchè  tutti 
qttelli  che  hatuio  affari  concorrano 
alla  metropoli.  Perciò  abbiamo  giu- 
dicato buono  che  il  vescovo  della 
principale  città  avesse  prerogative 
d'onore,  e  che  gli  altri  niente  fa- 
cessero senza  di  lui,  giusta  l' anti- 
chissima regola  die  ha  prevaluto". 
Con  queste  ultime  parole  accenna» 
rono  certamente  q uè' padri  il  can. 
34  degli  apostoli  che  ciò  coman- 
dava. 11  concilio  di  Torino  giudi- 
cò lo  stesso  nella  causa  de'  vescovi 
di  Vienna  e  d' Arles,  i  quali  con- 
trastavano del  primato,  nel  declinar 
del  IV  secolo,  o  meglio  ne' primi 
del  V,  con  questo  giudizio.  »»  Fu 
dcliuito  circa  1'  affare  de'  vescovi  di 


MET 

Arles  e  di  Vienna,  i  quali  dispu- 
tarono alla  nostra  presenza  circa 
r  onore  del  primato,  che  quel  di 
loro  due,  il  quale  provasse  che  la 
sua  città  è  metropoli,  avesse  l'o- 
nore del  primato  in  tutta  la  pro- 
vincia, e  che  secondo  la  regola  dei 
canoni,  avesse  la  principale  autori- 
tà nelle  ordinazioni  *'. 

Le,  distinzioni  di  metropolitano 
e  di  primate,  vogliono  alcuni  che 
non  cominciarono  che  nel  secolo  V 
nelle  Gallie,  giacché  allora  i  vesco- 
vi di  Vienna  e  di  Arles  disputa- 
ronsi  il  diritto  d'ordinazione  de' ve- 
scovi della  provincia,  che  apparte- 
nevano ai  metropolitani,  come  an- 
che il  diritto  di  precedenza  su  tut- 
ti gli  altri  vescovi  della  provincia; 
quello  di  convocare  il  concilio  pro- 
vinciale, e  l'intendenza  generale  su 
tutta  la  provincia  per  invigilare  che 
la  fede  vi  fosse  mantenuta,  ed  os- 
servata la  disciplina.  In  Africa  i 
metropolitani  erano  i  vescovi  anti- 
quiori  :  nelle  Spagne  si  praticava 
lo  stesso,  ancorché  1'  antiquiore  fos- 
se vescovo  di  piccola  città.  L*  an- 
tica disciplina  della  Chiesa  prescri- 
veva che  il  più  anziano  de'  vescovi 
presiedesse  i  sinodi,  ■  qual  capo  e 
presidente.  Quanto  alla  chiesa  A- 
fricana,  la  prerogativa  particolare 
di  quella  di  Cartagine  era  che 
quantunque  le  altre  provincie  aves- 
sero ciascuna  la  loro  metropoli, 
ove  risiedevano  i  governatori,  nul- 
ladimeno  tutte  riconoscevano  per 
comun  metropoli  Cartagine.  I  ve- 
scovi delle  altre  città  capitali  non 
aveano  autorità  sopra  quelli  delle 
altre,  e  perfino  quando  in  processo 
di  tempo  la  distanza  de' luoghi  e 
la  moltiplicazione  delle  chiese  ve- 
scovili gli  obbligò  a  costituire  in 
ciascuna  provincia  un  primate,  che 
presiedesse  alle  radunanze  de'  ve- 
scovi comproviaciali,  questa  premi- 


MET 
nenza  non  fu  dala,  come  altroTp, 
■  Ila  sedia  della  città  cnpitale  della 
provincia,  ma  al  vescovo  più  an- 
ziano del  paese,  il  quale  usava  del- 
la sua  autorità  con  subordinazione 
al  vescovo  di  Cartagine,  eh'  era 
jierciò  in  qualche  modo  il  solo  nie- 
Iropolilaiio  di  tutta  l'Africa.  An- 
che negli  antichi  tempi  vi  furono 
metropolitani  onorari,  come  sì  disse 
parlando  delle  metropoli;  e  1' An- 
dreuccì  scrisse  un  Irallato  canonico- 
teologico  sul  vescovo  litolare,  sta 
in  partihus  inJìdeUum.  Papa  s.  Ilario 
nel  concilio  romano  del  4^^  ''^* 
cretò  che  niun  vescovo  fosse  ordi- 
nato senza  il  consenso  del  suo  me- 
tropolitano; enei  533  Atalarico  re 
d'Italia  ordinò  che  i  metropolitani 
per  la  loro  consegrazioue  paghereb- 
bero duemila  soldi  in  soccorso  dei 
poveri.  Nel  sinodo  di  Costantino- 
poli tenuto  sotto  s.  Daniaso  1  fu 
stabilito,  che  le  cause  de'  vescovi  si 
trattino  nel  sinodo,  con  facoltà  di 
appellare  ad  un  altro  sinodo  mag- 
giore della  diocesi;  poscia  Papa 
Pelagio  II  nell'ep.  Il  decretò  che 
dalla  sede  metropolitana  e  dal  si- 
nodo provinciale  si  possa  appellare 
al  tribunale  più  alto,  cioè  al  pri- 
mate, salve  però  le  cause  di  mag- 
gior momenlo,  che  sono  riservate  a 
definirsi  alla  Sede    apostolica. 

Sempre  la  santa  Sede  esercitò 
autorità  sui  metropolitani  d' occi- 
dente, comprensivamente  alla  de- 
posizione. JNel  378  r  inìperalore 
Graziano  ordinò  con  legge,  che  u- 
no  il  quale  o  dal  Papa,  o  da  un 
concilio  di  vescovi  cattolici  fosse 
stalo  dannato  cioè  deposto,  e  rite- 
ner volesse  ingiustamente  la  sua 
chiesa,  quando  sia  metropolitano 
debba  subito  recarsi  a  Koma,  o  a 
que'vescovi  che  lo  stesso  Papa  gli 
avesse  per  giudici  deputali.  Con 
lai  legge  Graziano     confermò  le  ri- 


MET  3.7 

chieste  fattegli  dal  concilio  romano 
tenuto  iu  quell'anno  o  nel  38o  da  s. 
Damaso  I.  In  vigore  di  questa  leg- 
ge, dal  concilio  romano  procurata, 
s.  Innocenzo  I  rilasciò  dipoi  ai  pa- 
dri di  Toledo  l'esame  della  causa 
di  Gregorio  metropolitano  Emeri- 
tense.  All'incontro  Papa  s.  Zosiuio 
depose  egli  stesso  Procolo  di  Mar- 
siglia, il  quale  si  era  arrogalo  l'au- 
torilà  di  meiropolitano  sulle  chie- 
se della  provincia  Narbonese  secon- 
da ;  e  lo  tiepose  non  solo  senza  previo 
sinodo  della  provincia,  ma  contro  i 
decidi  del  summenlovato  concilio  di 
Torino,  i  quali  a  Procolo  avevano 
l'occupata  dignità  raffermata  sua  vita 
durante,  cioè  alla  persona,  e  non 
olla  sede  di  Marsiglia,  per  mettere 
pace  tia  quei  vescovi.  Avendo  A- 
naslasio  vescovo  di  Tessalonica  e 
vicario  alla  Sede  apostolica  nell'U- 
lirio,  degradato  in  contumacia  At- 
tico meiropolitano  di  Nicopoli,  il 
Pontefice  s.  Leone  1  acremente  lo 
riprese,  e  dichiarò,  che  quando 
puie  avesse  Attico  meritata  un,a 
sì  aspra  sentenza  ,  avrebbe  dovuto 
Anastasio  scriverne  a  lui,  ed  aspetta- 
re la  risposta  ch'egli  gli  avesse  man- 
dala di  nuovo.  IVelle  quali  paror 
le  Cristiano  Lupo  e  lo  Schelslrate 
ed  altri  riconoscono  un'aperta  riser- 
va che  s.  Leone  I  si  (ece  ahneno 
delle  ciuise  criminali  e  delle  de- 
posizioni de'melropolitani,  e  le  tol- 
se perfino  dalla  podestà  de'  suoi 
vicari.  Similmente  s.  Ilario  imme- 
diato successore  di  s.  Leone  I  rini- 
proverò  Leonzio  d'Arles,  perchè  non 
gli  avesse  subito  riferita  l'  usurpa- 
zione che  Ermete  avea  fatto  del- 
la chiesa  di  IN'aibona,  e  avendo- 
ne poi  avuta  la  debita  informazione, 
benché  rimettesse  al  sinodo  delle 
Gallie  la  causa  di  certe  parrocchie 
che  Leonzio  voleva  restituire  alla 
sua  chiesa,    non  gli    rilasciò    tutta- 


3i6  MET 

poiché  aveano  la  podestà  di  esami- 
nare la  vita,  i  costumi  e  la  dot- 
trina de*  vescovi  provinciali,  di  con- 
vocarli ai  sinodi,  di  giudicar  le  dif- 
ferenze che  potevano  nascere  tra  di 
loro,  e  di  regolate  gli  affari  eccle- 
siastici che  riguardavano  le  pro- 
\incie  in  generale.  Tali  sono  i  di- 
ritti e  le  prerogative  de'  metropo- 
litani che  il  concilio  loro  manten- 
ne, e  di  cui  godevano  per  antica 
consuetudine,  1'  oiigine  delia  quale 
riporta  il  Chardon  citato.  Inoltre 
il  concilio  Niceno  ordinò,  che  i  me- 
tropolitani fossero  consecrati  da  tre 
vescovi,  ciò  che  già  fiicevano  i  Papi 
nella  loro  consecrazione,  come  at- 
testa il  Mabillon,  Mas.  hai.  t.  II, 
p.  Il 8,  non  essendo  certo  il  de- 
cieto  di  s.  Anacleto  Papa  del  io3, 
che  i  vescovi  fossero  consecrati  da 
tre  altri. 

Il  concilio  Antiocheno  del  34 1, 
per  reprimere  alcuni  vescovi,  che 
affettavano  indipendenza  sul  prete- 
sto che  le  loro  chiese  erano  state 
fondale  dagli  apostoli,  comanda. 
w  Che  quelli  di  ciascuna  provincia 
riconoscano  per  superiore  il  metro- 
politano, e  che  questi  abbia  cura 
di  tutta  la  provincia,  perchè  tutti 
quelli  che  hanno  affari  concorrano 
alla  metropoli.  Perciò  abbiamo  giu- 
dicato buono  che  il  vescovo  della 
principale  città  avesse  prerogative 
d'onore,  e  che  gli  altri  niente  fa- 
cessero senza  di  lui,  giusta  l' anti- 
chissima regola  che  ha  prevalulo". 
Con  queste  ultime  parole  accenna- 
rono certamente  que' padri  il  can. 
34  degli  apostoli  che  ciò  coman- 
dava, il  concilio  di  Torino  giudi- 
cò lo  stesso  nella  causa  de'  vescovi 
di  Vienna  e  d'Arles,  i  quali  con- 
trastavano del  primato,  nel  declinar 
del  IV  secolo,  o  meglio  ne' primi 
del  V,  con  questo  giudizio.  »>  Fu 
dcijuito  circa  1'  affare  de'  vescovi  di 


MET 

Arìes  e  di  Vienna,  i  quali  dispu- 
tarono alla  nostra  presenza  circa 
r  onore  del  primato,  che  quel  di 
loro  due,  il  quale  provasse  che  la 
sua  città  è  metropoli,  avesse  l'o- 
nore del  primato  in  tutta  la  pro- 
vincia, e  che  secondo  la  regola  dei 
canoni,  avesse  la  principale  autori- 
tà nelle  ordinazioni  ". 

Le,  distinzioni  di  metropolitano 
e  di  primate,  vogliono  alcuni  che 
non  cominciarono  che  nel  secolo  V 
nelle  Gallie,  giacché  allora  i  vesco- 
vi di  Vienna  e  di  Arles  dispula- 
ronsi  il  diritto  d' ordinazione  de' ve- 
scovi della  provincia,  che  apparte- 
nevano ai  metropolitani,  come  an- 
che il  diritto  di  precedenza  su  tut- 
ti gli  altri  vescovi  della  provincia; 
quello  di  convocare  il  concilio  pro- 
vinciale, e  r  intendenza  generale  su 
tutta  la  provincia  per  invigilare  che 
la  fede  vi  fosse  mantenuta,  ed  os- 
servata la  disciplina.  In  Africa  i 
metropolitani  erano  i  vescovi  anti- 
quiori  :  nelle  Spagne  si  praticava 
lo  stesso,  ancorché  1'  anliquiore  fos- 
se vescovo  di  piccola  città.  L' an- 
tica disciplina  della  Chiesa  prescri- 
veva che  il  più  anziano  de'  vescovi 
presiedesse  i  sinodi,  qual  capo  e 
presidente.  Quanto  alia  chiesa  A- 
fricana,  la  prerogativa  particolare 
di  quella  di  Cartagine  era  che 
quantunque  le  altre  provincie  aves- 
sero ciascuna  la  loro  metropoli, 
ove  risiedevano  i  governatori,  nul- 
ladimeno  tutte  riconoscevano  per 
comun  metropoli  Cartagine.  I  ve- 
scovi delie  altre  città  capitali  non 
aveano  autorità  sopra  quelli  delle 
altre,  e  perfino  quando  in  processo 
di  tempo  la  distanza  de'  luoghi  e 
la  moltiplicazione  delle  chiese  ve- 
scovili gli  obbligò  a  costituire  in 
ciascuna  provincia  un  primate,  che 
presiedesse  alle  radunanze  de'  ve- 
scovi compro viuciali,  questa  premi- 


MET 
nenza  non  fi»  data,  come  altroTp, 
■  Ila  sedia  delia  città  capitale  della 
provincia,  ma  al  vescovo  più  an- 
ziano del  paese,  il  quale  usava  del- 
la sua  autorità  con  subordinazione 
al  vescovo  di  Cartagine,  th'  era 
perciò  in  qualche  modo  il  solo  me- 
tropolitano di  tutta  l'Africa.  An- 
che negli  antichi  tempi  vi  furono 
metropolitani  onorari,  come  si  disse 
parlando  delle  metropoli;  e  1' An- 
dieucci  scrisse  un  trattalo  canonico- 
teologico  sul  vescovo  litolare,  stu 
in  partihus  injìdelium.  Papa  s.  Ilario 
nel  concilio  romano  dei  4^^  ^^' 
cretò  che  niun  vescovo  fosse  ordi- 
nato senza  il  consenso  del  suo  me- 
tropolitano; enei  533  Alaiarico  re 
d'Italia  ordinò  che  i  metropolitani 
per  la  loro  consegrazione  paghereb- 
bero duemila  soldi  in  soccorso  dei 
poveri.  Nel  sinodo  di  Costantino- 
poli tenuto  sotto  s.  Do  ma  so  1  fu 
stabilito,  che  le  cause  de'  vescovi  si 
trattino  nel  sinodo,  con  facoltà  di 
appellare  ad  un  altro  sinodo  mag- 
giore della  diocesi;  poscia  Papa 
Pelagio  II  nell'ep.  Il  decretò  che 
dalla  sede  metropolitana  e  dal  si- 
nodo provinciale  si  possa  appellare 
al  tribunale  più  aito,  cioè  al  pri- 
mate, salve  però  le  cause  di  mag- 
gior momento,  che  sono  riservate  a 
definirsi  alla  Sede    apostolica. 

Sempre  la  santa  Sede  esercitò 
autorità  sui  metropolitani  d' occi- 
dente, comprensivamente  alla  de- 
posizione. JNel  378  r  inìperatore 
Graziano  ordinò  con  legge,  che  u- 
no  il  quale  o  dal  Papa,  o  da  un 
concilio  di  vescovi  cattolici  fosse 
stalo  dannato  cioè  deposto,  e  rile- 
ner  volesse  ingiustamente  la  sua 
chiesa,  quando  sia  metropolitano 
debba  subito  recarsi  a  Homa,  o  a 
que'vescovi  che  lo  stesso  Papa  gli 
avesse  per  giudici  deputati.  Con 
lai  h'gge  Graziano     confermò  le  li- 


MET  3.7 

chieste  fattegli  dal  concilio  romano 
tenuto  in  quell'anno  o  nel  38o  da  s. 
Damaso  J.  In  vigore  di  questa  leg- 
ge, dal  concilio  romano  procurata, 
s.  Innocenzo  I  rilasciò  dipoi  ai  pa- 
dri di  Toledo  l'esame  della  causa 
di  Gregorio  metropolitano  Emeri- 
tense.  All' incontro  Papa  s.  Zosinio 
depose  egli  stesso  Procoio  di  Mar- 
siglia, il  quale  si  era  arrogalo  l'au- 
torilà  di  mclropolitano  sulle  chie- 
se della  provincia  Narbonese  secon- 
da ;  e  Io  tiepose  non  solo  senza  previo 
sinodo  della  provincia,  ma  contro  i 
decreti  del  summenlovato  concilio  di 
Torino,  i  quali  a  Procoio  avevano 
l'occupata  dignità  raffermata  sua  vita 
durante,  cioè  alla  persona,  e  non 
alla  sede  di  Marsiglia,  per  mettere 
pace  tra  quei  vescovi.  Avendo  A- 
naslasio  vescovo  di  Tessalonica  e 
vicario  alla  Sede  apostolica  nell'll- 
lirio,  degradato  in  contumacia  At- 
tico melropolilano  di  Nicopoii,  il 
Pontefice  s.  Leone  I  acremente  lo 
riprese,  e  dichiarò,  che  quando 
pure  avesse  Attico  meritata  un.a 
si  aspra  sentenza  ,  avrebbe  dovuto 
Anastasio  scriverne  a  lui,  ed  aspetta- 
re la  risposta  ch'egli  gli  avesse  man- 
dala di  nuovo.  Nelle  quali  paro- 
le Cristiano  Lupo  e  lo  Schelslrate 
ed  altri  riconoscono  un'aperta  riser- 
va che  s.  Leone  I  si  fece  ahneno 
delle  ciuise  criminali  e  delle  de- 
posizioni de'metropolitani,  e  le  tol- 
se peifino  dalla  podestà  de'  suoi 
vicari.  Similmenle  s.  Ilario  imme- 
diato successore  di  s.  Leone  I  rim- 
proverò Leonzio  d'Arles,  perchè  non 
gli  avesse  subito  riferita  1'  usurpa- 
zione che  Ermete  avea  fallo  del- 
la chiesa  di  IN'arbona,  e  avendo- 
ne poi  avuta  la  debita  informazione, 
benché  rimettesse  al  sinodo  delle 
Gallie  la  causa  di  certe  parrocchie 
che  Leonzio  voleva  restituire  alla 
sua  chiesa,    non  gli     rilasciò    tutta- 


3i8  MET 

\ia   la    causa  di    Ermete,   an?,!     ne 
■volle     dare  la  sentenza,  perinelten- 
dogli  di   reggere  quella    chiesa,  ma 
senza   podestà     di   ordinare  vescovi. 
Inflessibile  fu  s.  Gregorio  I  nella  cau- 
sa di   Massimo  metropolilano  di   Sa- 
lona,  e  scrivendo  ai  vescovi  di   Sar- 
degna li    avvertì,  che    per  le  cause 
che    avessero  mai     contro     il     loro 
melropolitano,    ricorressero  secondo 
i    canoni  al   giudizio  della  Sede  a- 
poslolica.    11     Papa    s.     Martino     I 
nel   65o    depose   Paolo    metropoli- 
tano di     Tessalonica.     Quando     dei 
metropolitani     si     tratta,  avanti     il 
giudizio  de' sinodi    provinciali,  con- 
viene aspettare  la  sentenza  del  roma- 
no Pontefice,  secondo  i  sacri   canoni 
e  le  decretali  de'Papi  antichi.  Molle 
fuiono  le  violenze  nei    tempi  andati 
esercitate  dai  metropolitani  sopra  dei 
vescovi  loro  sulFraganei.  Fra  le  altre 
rammenteremo,  che  l'arcivescovo  di 
lleims  pretendeva  di   mettere  nelle 
diocesi  de'sufhaganei  i  suoi  uffìziali 
foranei,  il  che    dal    primo    concilio 
Lionese  viene  vietato;    ed  un  altro 
arcivescovo  di    Reims  si  arrogò     di 
giudicare  in  prima     istanza   i  chie- 
rici  della   diocesi  di  Soissons  e  d'in- 
terdirli. Vedasi    il  Motta  :    Disserl. 
de  nieiropolitico  jure,\exìez\a  1726. 
Il   concilio  di    Valenza   dell'  855 
decretò.    «   I    metropolitani    veglie- 
ranno  sopra  i  costumi    e  la   repu- 
tazione de' vescovi  ".  Quello    gene- 
rale di   Costantinopoli  dell'Sya.  >•  I 
metropoli lani  non     faranno     venire 
nella  propria  casa  i  loro  suffraganei, 
per  isgravarsi    sopra    di  essi     degli 
uffizi  divini,  delle  processioni  e  del- 
le   altre  funzioni   vescovili,    mentre 
saranno  eglino  intesi  unicamente  agli 
affari   temporali  ;  ma   faranno  da  se 
le    loro  funzioni  sotto  pena  di  de- 
posizione ".   Neil' 877   il  concilio  di 
Ravenna    ordinò.   "    11   metropolita- 
no manderà  a  Roma    nel    lermiiic 


MET 
di   tre  mesi  dopo  la  sua   consagiM- 
f.ione  ,    per    esporre    la  sua  fede  e 
domandare    il    pallio,     e     frattanto 
non  eserciterà    nessuna   funzione  "• 
Quello    nazionale    di     Francia     nel 
i4u8.  »j  I  metropolitani  celebreran- 
no ogni     anno    un    concilio     de' ve- 
scovi  della    loro    provincia,  al  qua- 
le saranno     tutti    obbligati   di   assi- 
stere ".  Il   Zaccaria  a  p.  L    e  seg. 
del     suo    AiKiFehhroiiìO,    parlando 
della  giurisdizione  diminuita  in  pro- 
gresso di   tenìpo     ai     suffraganei,  e 
se    sia    nocevole    alla    presente    di- 
sciplina,  fa  le  seguenti   osservazioni. 
Coll'andare    de'secoli     perdettero     i 
metropolitani    di    molto    de'  primi 
diritti.  Se  i    canoni    sardii-esi,  come 
vuole  Febbronio ,    non    abbiano  di 
appellazione    al    Papa     parlato,   al- 
meno non    si    può     negare     che  in 
vigore     di     tali      canoni      possa,    il 
Ponteilce     romano  dare     una   revi- 
sione  di    causa     nelle    provincie.    Il 
Papa  s.  Zosimo,   checché  dica  Ques- 
nello,  derogò    all'  antico  diritto  dei 
vescovi  e   metropolitani  delle   Gallie 
quando  stabilì  che   e  chierici  e   ve- 
scovi, i  quali   dalla  Gallia  a  Roma 
o  altrove    passassero,  dal     solo  me- 
tropolitano   d'  Arles    ricevessero     le 
lettere  formate:   fu  questo  un  altro 
colpo  al  gius  metropolitico.  Così  di 
mano  in    mano   scorrendo  la  storia 
ecclesiaslica  ,     chiaramente    si   vede, 
essere   ai    metropolitani     anche  nei 
primi  otto  secoli,  o  per  supplimen- 
to    della     loro    negligenza  ,     o  per 
punizione    de'  loro    abusi,    stato  in 
non  poche    parti   diminuito  l'antico 
diritto:   non   perciò  reclamarono  né 
gridarono  che    i  canoni   erano  vio- 
lati,   né  domandarono  liforma,  per- 
ché sapevano  essi,     variabile  essere 
la  disciplina  ,  ed  essere  in     podestà 
del   Papa     limitare    o  aggrandire     i 
vescovili   diritti     che  sieno    di   pura 
ecclesiaslica  ordinazione,  secondo  che 


IMET 
il  bene  pnbMico  della  Cliicsn  do- 
mnnda.  Il  Toniassini  avverte,  come 
dicemmo  a  Disciri-iNA  ecclesiasti- 
ca, non  poter  noi  prendere  miijlior 
partito,  che  quello  di  conformarci 
alla  disciplina  de'  tempi  ne'  quali 
siamo,  poiché  il  nostro  zelo  non 
dov'esseie  più  saggio  dello  Spirilo 
Santo  che  conduce  la  Chiesa,  onde 
dobbiamo  di  sifTatti  cambiamenti 
del  governo  ecclesiastico  sottometter- 
ci alla  provvidenza,  che  li  fa  o 
li  permette,  non  declamare  alia 
Fclilvioniana  e  invitare  allo  scisma. 
Questo  è  detto  dal  Zaccaria,  in 
supposizione  che  veramente  i  me- 
tropolitani per  le  decretali  Isidoria- 
ne,  sieno  scaduti  dai  loro  antichi 
diritti.  Ma  niente  è  più  falso,  come 
dimostra  Tomassini,  perocché  le 
appellazioni  per  le  quali  le  cause 
de'vescovi  si  traggono  a  Ronja,  non 
dalle  decretali  vengono,  ma  dal 
divino  diritto  spiegato  ne'  canoni 
Sardiresi  ;  e  cos^i  pure  le  ordina- 
zioni de'  sulTraganei  sono  in  gran 
parte  al  romano  Pontefice  devolu- 
te, non  per  ragione  delle  deci'etali, 
ma  per  quei  motivi  onde  i  Papi 
han  credulo  doversi  riserbare  la 
colla7Ìone  de'vescovati  ne'tcmpi  che 
gli  arcivescovi  eiano  simoniaci  e 
scismatici  ;  sì  pe^ò  che  questo  nien- 
te scemasse  dell'  obbedienza  che 
questi  preloti  in  tutte  l'altre  occa- 
sioni debbono  a' loro  metropolitani, 
come  espressamente  dichiarò  Ur- 
inano V  nel  1370.  Conchiude  il 
Zaccaria,  che  nel  rimanente  tutti 
sono  in  vigoie  gli  antichi  diritti 
de'metropolitani,  e  dalle  decretali 
Isidoriaiie  trovansi  confermali  ;  ed 
^88'""S'e  anzi  ,  che  per  gius  del 
concilio  di  Trento  si  sono  i  loro 
diritti  per  qualche  modo  ampliali. 
In  fatti,  dove  questo  concilio  per 
i  copi  della  riforma  non  è  accet- 
talo, siccome  in  Francia,  non  godo- 


MET  319 

no  i  metropolitani  di  certe  prero- 
gative ;  così  i  sulh'aganei  non  sono 
ivi  tenuti  ,  quando  si  assentano 
dalle  loro  diocesi,  di  chiederne  in 
iscritto  dal  metropolitano  la  facoltà; 
né  il  metropolitano  avvisa  il  Papa, 
se  i  sufTraganei   non   risiedono. 

Il  p.  Auiort  non  parzialissimo 
della  papale  giurisdizione,  ElemenC. 
jiiris  canon,  t.  ili,  diss.  V,  n.  9, 
p.  88,  ecco  qiianto  disse  su  questo 
grave  punto.  »  Per  verità  considerato 
il  lagrinievole  slato  de'  vescovati  e 
degli  arcivescovati,  il  quale  da' tem- 
pi delle  biirbariche  invasioni  inco- 
minciò, e  durò  per  molti  secoli,  al- 
la Chiesa  e  a  tutti  i  vescovi  è  mol- 
to più  desiderabil  cosa,  che  le  cau- 
se del  sommo,  medio  ed  infimo  cle- 
ro, piuttosto  si  terminino  a  Pionia 
dall'apostolica  Sede  stabile,  indiliè- 
rente,  speiimentata,  e  sempre  prov- 
veduta di  gran  numero  di  giuris- 
periti fino  dalla  prima  gioventù  da- 
tisi a  questi  aflari,  che  ne'  provin- 
ciali concilii  dopo  un'esatta  in(piisi- 
zione  per  l'ultimo  giudizio  de'me- 
tropolitani. Alla  quale  opinione  mol- 
te cose  mi  muovono.  Imperciocché: 
I.  Dal  secolo  Vili  e  IX,  nel  quale 
i  vescovi  e  i  metropolitani  massima- 
merile  divennero  feudatari  de' re  e 
degli  imperatori,  furono  costretti  a 
sei^uire  in  persona  co'  loro  vassalli 
gli  eserciti  de'  loro  principi  ;  il  qual 
disordine  durò  pressoché  quattro  se- 
coli. 2.  1  vescovi  a  questo  modo 
accresciuti  di  principati  fornivano  i 
loro  palazzi,  a  guisa  di  una  corte  se- 
colaresca, d'un  copioso  corteggio  di 
nobili  secolari,  co' quali  soliti  erano 
di  conversare  continuamente.  3.  [ 
più  di  essi  trovavan>i  immersi  ia 
perpetui  negozi  e  liti  temporali.  4* 
As.sai  volte  i  vescovi  slessi  e  nomi- 
natamente i  metropolitani  facevano 
guerra  con  altri  vescovi  e  principi. 
5,    Per    mancunza    di  accademie  e 


286003 


320  MET 

di  pubbliche  scuole  raiissimi  erano 
coloro  che  ad  una  pur  mediocre 
perizia  di  gius  pervenissero.  6.  Es- 
sendosi l' Europa  a  poco  a  poco 
divisa  in  più  di  cento  sovrani  pa- 
droni col  titolo  d' imperatori,  re, 
duchi,  principi,  conti,  repubbliche, 
i  quah  tra  loro  combattevano  con- 
tinuamente o  gareggiavano,  avve- 
nuto è  in  molti  luoghi,  che  i  ve- 
scovi allo  stesso  nìetropolitano  sog- 
getti fossero  posti  ne'  territorii  di 
quattro,  cinque,  sei  e  anche  più 
principi,  i  quali  o  per  cagione  del- 
le loro  discordie  e  gare,  o  per  te- 
ma di  cospirazioni  ricusavano  di  da- 
re ai  loro  vescovi  licenza  di  portarsi 
al  sinodo  provinciale;  anzi  per  timo- 
re di  simili  cospirazioni  i  re  nei 
propri  regni  alle  volte  proibivano 
di  convocare  generali  adimanze  di 
vescovi.  7.  JXelle  chiese  metropoli- 
tane non  eraci  stile  di  curia,  o  leg- 
ge costante,  la  quale  nelle  cause 
controverse  fosse  bastevole  a  diri- 
gere le  parti  litiganti,  perocché  le 
cause  da  una  sola  provincia  recate 
a' sinodi  provinciali  erano  poche,  e 
rade  volte  tornavano  ;  né  si  trova- 
no decretali  de' metropolitani,  sicco- 
me se  ne  ha  de'  romani  Pontefici 
in  ogni  maniera  di  cause  da  tutte 
le  parti  del  mondo  portate  a  Ro- 
ma: ora  alle  parti  litiganti  è  mol- 
to più  desiderabile  di  litigare  in 
un  tribunale,  in  cui  si  abbia  legge 
e  stile  costante,  su  clie  fondar  pos- 
sano le  loro  mire,  e  appoggiar  la 
loro  speranza.  8.  Non  potendo  i 
sinodi  provinciali  durar  molto  sen- 
za grandissimo  danno  delle  diocesi 
nella  lontananza  de'  loro  pastori,  è 
impossibile  che  da  lutti  i  vescovi 
e  da  ciascuno  di  loro  sieno  esatta- 
mente discusse  cause  intricate,  se 
Luoitc  sieno,  cou  tutti  i  documenti 


MET 

e  le  deposizioni  de' testimoni.  9.  Se 
tutte  le  cause  al  sinodo  provinciale 
sieno  deferite,  converrà  ogni  anno 
celebrare  tali  sinodi  ;  il  che  far 
non  si  può  senza  grandissime  mo- 
lestie e  spese  dei  vescovi,  massi- 
mamente principi,  vecchi  o  per  al- 
tre cagioni  impediti  dall'  intrapren- 
dere viaggi  lunghi  e  lontani.  10. 
Per  la  dipendenza  dal  consenso  di 
tanti  giudici  e  consultori  vescovili, 
che  sempre  si  mutano,  non  si  spe- 
discono le  liti,  ma  si  prolungano, 
e  le  spese  dei  litiganti  non  si  di- 
minuiscono, ma  si  accrescono.  11. 
Più  tollerabile  cosa  è  ad  un  ve^ 
scovo  essere  giudicato  dal  Papa, 
che  da  un  eguale  (  perocché  i 
metropolitani  quantunque  a' vescovi 
sieno  superiori  ^  noi  sono  che 
per  diritto  ecclesiastico,  ma  a' ve- 
scovi sono  eguali  per  diritto  divi- 
no, non  cosi  il  Papa).  12.  Le 
parti  possono  dal  Papa  sperare 
maggior  assistenza  ed  etlicacia.  Per 
le  quali  considerazioni  ed  altre 
ancora  insieme  poste,  a'  vescovi  ed 
alle  parti  litiganti,  almeno  nell'  occi- 
dente ,  è  più  desiderabile  esser  giu- 
dicate a  Roma  che  dal  melropulilano 
nel  sinodo  provinciale  ".  Queste  sa- 
vie e  veridiche  considerazioni  del  p. 
Amort  possono  altresì  servire  di 
confutazione  ad  Antonio  Pereira 
che  si  scaglia  contro  la  curia  ro- 
mana e  le  regole  di  cancelleria, 
che  taccia  di  dispotismo  sui  diritti 
metropolitici,  nell'opera  intitolata: 
Dimostrazione  teologico-canonica  e 
storica  del  dirillo  de  metropolitani 
di  confermare  e  far  consecrare  i 
vescovi  suffraganti  ;  e  del  diritto 
de'  vescovi  di  ciascuna  pi-ovincia  di 
confermare  e  consecrare  i  loro  ri' 
spettivi  metropolitani,  Venezia  1 77  '  • 
y.  Vescovo  e  Suffraganeo. 


FINE    DEL      VOLUME    QUADRI GESIMOQUARTO. 


JV 


BX  841  .ri67  1840 

SMCR 

Moronì .  Gaetano, 

1802-1883. 
Dizionario  di  erudizione 

storico-ecclesiastica 
AFK-9455  (awsk)