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DIZIONARIO
DI ERUDIZIONE
STORICO-ECCLESIASTICA
DA S. PIETRO SINO AI NOSTRI GIORNI
SPECIALMENTE INTORNO
AI PRINCIPALI SANTI, BEATI, MARTIRI, PADRI, AI SOMMI PONTEFICI, CARDINALI
E PIÙ* CELEBRI SCRITTORI ECCLESIASTICI, AI VARII GRADI DELLA GERARCHIA
DELLA CHIESA CATTOLICA, ALLE CITTA PATRIARCALI, ARCIVESCOVILI E
VESCOVILI, AGLI SCISMI, ALLE ERESIE, AI CONCILII, ALLE FESTE PIÙ SOLENNI,
AI RITI, ALLE CERIMONIE SACRE, ALLE CAPPELLE PAPALI, CARDINALIZIE E
PRELATIZIE, AGLI ORDINI RELIGIOSI, MILITARI, EQUESTRI ED OSPITALIERI, NON
CHE ALLA CORTE E CURIA ROMANA ED ALLA FAMIGLIA PONTIFICIA, EC. EC. EC.
COMPILAZIONE
DEL CAVALIERE GAETANO MORONI ROMANO
SECONDO AIUTANTE DI CAMERA
DI SUA SANTITÀ PIO IX.
VOL. LXXVII.
IN VENEZIA
DALLA TIPOGRAFIA EMILIANA
MDCCCLVI.
La presente edizione è posta sotto la salvaguardia delle leggi
vigenti, per quanto riguarda la proprietà letteraria, di cui
l'Autore intende godere il diritto, giusta le Convenzioni
relative.
DIZIONARIO
DI ERUDIZIONE
STORICO-ECCLESIASTICA
T
TOL
TOL
A OLOMEI Gio. Battista, Cardina-
le Di Pistoia e oriundo sanese, nacque in
Gamberaia, feudo di sua famiglia, che fu
assai nobile e distinta, imperocché appren-
do da Novaes,cheil ramo di essa trapian-
tato in Pistoia lo fu da Tolomeo figlio di
Beatrice, già convertito da s. Caterina di
Siena, e morto santamente nell'ordine do-
menicano neh 4o6; contandosi dell'illu-
stre prosapia fino a 20 col titolo di beato,
e di questi 1 5 furono domenicani. Da due
donne Toloraei uscirono i cardiuali Gian-
Vincenzo Caraffa e Anselmo Manali. Fatti
i primi studi in Firenze, si trasferì a Pisa
per applicarsi nell'uuiversità alle scieuze
legali. Ivi prese l'uso di passare veglian-
do talvolta le intere notti, applicato al-
l'orazione e allo studio, costume che poi
tenne per tutto il corso distia vita. Quan-
tunque tra 'suoi fratelli fosse ili .',non per
tanto sentendosi chiamaioa vita religiosa,
supplicò il padre a dargliene il permesso,
quale però non potè giammai ottenere. Do-
po la inni ledi esso subito fu ammesso nel-
la compagnia di Gesù, dove libero da qua-
lunque molestia, potè applicarsi allo stu-
dio delle lingue orientali, delle quali di-
venne pubblico professore, giungendo col
lem pò ad a ver pei fetta notizia di 9 diversi
idiomi, per lo che fornito di tante cogni-
zioni non gli riuscì difficile l'interpretare
l'antico Testamento a infinita moltitudi-
ne di scolari, che concorrevano a udirlo.
Esseudostato improvvisamente destinato
alla cattedra di filosofia nel collegio ro-
mano, compito il corso, fu obbligato di
pubblicar colle stampe le sue lezioni, che
poi con aggiunte si ristamparono in Ger-
mania, e commendate dall'accademia di
Lipsia nel 1608. Eletto rettore del colle-
gio romano, non già con severità, ma con
mansuetudine, piacevolezza ed esempi di
vita edificante, resse e governò i da lui di-
pendenti. Accrebbe notabilmente il famo-
so museo Kircheriano, e l'insigne e cele-
bre biblioteca di quel collegio, il qualear-
rtochì d'un indice copiosissimo, in cui non
solo i titoli de'libri, ma le materie checou-
lengono furono esposte con brevità ed e-
rudizioue. Nel capitolo generale del suo
ordine, impetrò dal Papa un breve, in
Virtù del quale veniva esentato dall'ad-
4 TOL
dossarsi il corico di generale, in caso che
sopra di lui fosse caduta l'elezione; tanto
piti die essendo procuratoregenerale non
eia molto difficile che avvenisse quanto
egli andava prognosticando. Clemeute XI
successivamente lo dichiarò consultore
de' riti, dell'indice e dell'indulgenze, ed
esaminatore de'vescovi,indiin premio di
sua integrità, dottrina e fatiche tollerate
a vantaggio della santa Sede, a' 3o gen-
naio 1 7 1 3 all'improvviso lo creò cardina-
le prete di s. Pietro Molitorio. Assisteva il
p. Tolomei nel collegio germanico, di cui
era rettore, ad una conclusione di teolo-
gia, allorquando ricevè la notizia di sua
promozione alla porpora, e non volle in
modo alcuno che rimanesse interrotta (al-
tro simile esempio lo narrai nella bio-
grafia del cisterciense cardinal Giambat-
tista Gabrielli). Affollato quindi da im-
mensa turba di personaggi, venuti a con-
gratularsi con lui, si nascose in solitaria
cella, tristo e addolorato del suo destino,
senza voler ammettere persona alla sua
presenza. Scrisse a Clemente XI dotta ed
ossequiosa lettera, per indurlo ad accet-
tar la rinunzia che faceva della conferi-
tagli dignità. Il Papa anziché smontare
dalla presa determinazione, per mezzo del
cardinal Fabroni suo concittadino l'ob-
bligò con preciso comando e precetto
d' ubbidienza ad accettarla, e lo ascrisse
alle congregazioni del s. uffizio, del con-
cilio ede'riti, valendosi dell'opera sua nel-
la condanna delle proposizioni diQuesnel-
Io. Nella nuova dignità ritenne lo stesso
anteriore metodo di vita privata e reli-
giosa, contento di due sole stanze nel col-
legio romano, dalle quali allorché la ne-
cessità o la convenienza lo richiedeva, per
mezzo d' un ponte passava nel contiguo
palazzo, che avea preso per comodo della
famiglia. Contento di mediocre rendita,
ne ricusò una maggiore, e colla parsimo-
nia del vitto, che avea dello straordina-
rio e incredibile, si trovò in istalo di sov-
venire i poveri con larghe e frequenti li-
mosinc, visitandoli sovente ne' pubblici
TOL
spedali. Per lo spazio di r4 anni in cui fa
cardinale, non uscì mai di casa per pas-
seggiare o ricrearsi, essendo per l'altra
parte diligenlissimo nell'inlervenire alle
cappelle, a'eoncistori e alle congregazioni
cui apparteneva. Finalmente dopo essersi
trovato presente all'elezioni d'Innocenzo
XIII e Benedetto XIII, di cui fu princi-
pale promotore e persuase accettare, per
quanto notai nel voi. LVII, p. 3 i4, sor-
preso da grave malattia, in cui fu visitato
dal Papa, rese tranquillamente Io spirito
al Creatore in Roma sul cominciare del
1726, tra le lagrime de'suoi correligiosi,
in età di 73 anni, e fu sepolto nella chiesa
di s. Ignazio presso l'altare maggiore, sot-
to nitida e marmorea lapide, ornata del
suo slemma gentilizio e di magnifico elo-
gio. Diluì non abbiamo stampato che il ri-
cordato corso di filosofia, nel quale si cono-
sce l'uomo grande, e malcontento del ran-
cido filosofare peripatetico. La sua gran-
de opera d'aggiunte alle Controversie dei
gesuita cardinal Bellarmino restò inedita
con raro esempio di religiosa umiltà e ub-
bidienza, mentre essendo cardinale eragli
agevole superar gli ostacoli frapposti alla
stampa da'revisori quand'era semplice re-
ligioso. L'Eggs crede, che i superiori l'a-
vessero in vitatoa continuar g\\ Annali del
Baronio, e che lo eseguì arrivando a'suoi
tempi. Di lui abbiamo I' Elogio storico
che gli feceil gesuita p. Pier M.a Salomo-
ni, inserito nel Giornale tVItalia t. 37,
par. 1, art. 1, e poi con sue aggiunte del-
l'autore fu ripubblicato dal Zaccaria nel-
la Biìdioteca Pistoiese.
TOLONE oTOULON, Tolonium.
Città vescoviledi Francia nella bassa Pro-
venza,grande e ben fortificata, con porto,
nel dipartimento del Varo, capoluogo di
circondario e di due cantoni , in riva al
Mediterraneo, in fondo a una doppia ra-
da, una delle più sicure di detto mare ,
disiatile 10 leghe da Marsiglia, 16 da Aix,
e 207 da Parigi. L questo il 2.0 porto di
Francia per la marineria dello slato, ed
il capoluogo del 5° circondario marini-
TO L
roo; residenza d' un prefetto marittimo,
d'un commissario generale, di 5 commis-
sari ordinari e d'8 sotto-commissari di ma-
rineria, e di altre autorità marittime e ter-
restri. Sede di tribunali dal' istanza, di
marineria e di commercio ; residenza di
molli consoli stranieri. Esposta al sud, è
al nord coperta dall'alta montagna nu-
da e spelata di Pharon, la quale pel ri-
verbero del sole contribuisce a rendervi
nell'estate il clima d'un calore quasi in-
sopportabile. E" cinta d'una muraglia in-
stionata, presso la quale estendesi dalla
parte nord il recinto murato detto Cam-
po trincerato di s. Anna; gran numero d'o-
pere di fortificazione isolate stando ripar-
tite davanti la sua cinta, in tutta la cir-
conferenza, co'fuochi così bene combina-
ti, die presentemente considerasi questa
piazza come insuperabile; all'est sono i
forti Pharon, della Croce di Pharon. d'Ar-
tigues, s. Caterina della Malgue, s. Luigi
e della Torre Grossa; all'ovest quelli del
Grande e del Piccolo s.Antonio, Malbous-
quet , del Cairo, dell' Aiguillette, Baia-
guier, della Croce de'Segnali e di s. El-
mo. Non entrasi in Tolone che per due
porte, quella di Francia e quella d'Italia.
L'interno assai generalmente ben fabbri-
cato e bene insiniciato,è vivacissimo e di-
stinguesi in quartieri vecchio e nuovo: il
i.° che occupa la parte orientale non ha
di notabile che il Corso, lunga via pian-
tata di belli alberi e ammattonata , che
torma un ameno passeggio, e dove tieusi
ogni mattina uu mercato frequentato; il
palazzo civico, la cui facciata guarda il por-
to mercantile ed è decorato da due ca-
riatidi o statue colossali, considerate ca-
polavoro di Puget, che ne sostengono il
verone; la casa di tal celebre scultore, in
via del Palazzo Civico, il cui esterno offre
una superba cornice e molti ornamenti; e
la pescheria , con vasta tettoia sostenuta
dacolonne enormi. Il quartiere nuovo ha
le strade tirate a lilo,in generale beue fab-
bricale , bellissimi edilìzi tanto pubblici
come particolari^ la vasta piazza delCam-
TO L 5
pò di Battaglia, circondata da belle pian-
tagioni d'olmi e platani, decorata da nu-
merosi caffè,e sulla quale sorge il bel palaz-
zo dell'intendenza della marineria. Spar-
se in tutte le parti della città circa ifio fon-
tane rinfrescano l'atmosfera e convoglia-
no al mare le ini mondizie, attesoché la na-
tura del suolo si oppone all'escavo di cloa-
che sotterranee: si fauno rimarcare tra le
altre quella della piazza del Fieno, quella
del Porto decorata da una piramide sor-
montata da un busto di Giano; la fontana
di Provenza sulla piazza dell'Olio, ornata
d'una statua di donna, opera di Fozzati,e
l'altra della piazza di s. Rocco. Niente più
imponente della vista del porlo di Tolo-
ne, sempre zeppo di navi di tutte le gran-
dezze: distinguesi in porto vecchio all'est,
ed in porto nuovo all'ovest, che tra essi
comunicano; ciascuno con un ingresso sul-
la rada sì angusto che non può passarvi
più d'una nave alla volta; ed i due moli
che dal mare li separano, sono stati co-
minciati sotto Enrico IV nel i jt) {., e ter-
mina li nel i 396. 1 1 porto vecchio, al com-
mercio consagrato, è fronteggiato da una
larga riviera ed assai bella, che adornano
case eleganti, e la quale preseuta un qua-
dro animatissimo. 11 porto nuovo devesi
a Luigi XI V: quivi intorno sono i fabbri-
cati servienti da arsenali, cantieri di co-
struzione e magazzini per tuttociò che si
rende necessa rio all'armamento e provve-
dimento de'legni dello stato;fibbricati ma-
gnifici , ben adattati alle destinazioni ri-
spettive, che formano l'ammirazione de'
viaggiatori; il parco d'artiglieria, la fon-
deria di cannoni, sono degni d'attenzione;
la sala delle vele è d'una lunghezza straor-
dinaria; la corderia, fabbricata in pietra
viva sopra disegno di Vauban, fatta a vol-
ta, misura 3oo tese o pertichedi lunghez-
za; la sala d'armi divenne soprattutto cu-
riosa per la bella collezione d'armature
antiche che contiene. Nell'arsenale è sta-
bilita la scuola degli alunni di marina, sot-
to la direzione d'un capitano di vascello
e d'un capitano di fregata, nella quale tro-
6 T O L
vasi una biblioteca e una bella collezio-
ne di vascelli d'ogni specie: hav vi pure una
scuola d'artiglieria della marineria, ed li-
na scuola di navigazione. L'ospedale de'
condannati e il bagno stanno sulla parte
che divide i due bacini ; e quest' ultimo
contiene circa 5ooo condannati, i quali
vengono, al pari d'altre 3ooo persone li-
bere e più, impiegati nell'arsenale; il laz-
zaretto giace situalo in fondo alla rada,
ili marcasi nel porto militare il bacino in-
terno pel racconciamento de' vascelli, o-
pera ingegnosissima diGrognard,edè lun
go 3oo piedi e largo 100. Pel complesso
di tante cose, il porto di Tolone è unode'
migliori del globo, ed il suo arsenale di
mare uno de'più belli d'Europa. Possie-
de Tolone la cattedrale dedicata alla B.
Vergine Assunta, ed a s. Cipriano suo ve-
scovo,piccola e tetra, ma decorata da pa-
recebie opere di Puget e da una facciala
assai notabile; 3 altre cinese pan occhiali,
s. Giovanni, 9. Pietro, e s. Luigi, la cui fac-
ciala olire un colonnato di gradevole ef-
fetto. Vi è il palazzo vescovile, quello della
jagione alquanto piccolo,l'aisenaledi ter-
ra che occupa l'aulico monastero di s. Or-
sola,l'ospedale militare e due ospizi civili,
uno de'quali pe'trovatelIi,il vasto spedale
della marineria che contiene l'osservato*
i io donde si gode di magnifica vista sulla
città e dinlorni; un museo di storia na-
turale ricchissimo, e una bella biblioteca
di medicina, monte di pietà, cassa di ri-
sparmio, borsa di commercio, sala pegli
spettacoli, parecchi bagni e altri stabili-
menti pubblici di piacere e d'utilità che
non trovami se non nelle città grandi. Di
più sono vi il bel collegio comunale, la bi-
blioteca pubblica di circa i o,ooo volumi,
la scuola d'artiglieria della marineria, il
giardino bolanico.belle caserme,società di
lettere, scienze ed arti, un corso di geome-
tria e meccanica applica leallearli, la socie-
tà di carità materna. L'industria e il com-
mercio non sono del lutto in proporzione
alla bontà del porto, e vi si trovano alcu-
ne fabbriche di sapone, di grosse stoffe di
TOL
lana dette pi achilia t, di marrocchini, di
cioccolata, di candele, di vermicelli e di-
verse concie di pelli. Vi si attende alla co-
struzione della marina mercantile , vi è
emporio di sale, vi si traffica di vini par-
ticolarmente de'pregiatissimi del poggio
delle Malgue, acquavite, olio, fruiti sec-
chi, grani e altre produzioni del paese. Vi
si tengono due annue fiere d'8 giorni l'u-
na. E" patria del cav. Paul che di sempli-
ce mozzo divenne vice-ammiraglio, di Mi-
let Mureau ministro della guerra e auto-
re del viaggio di La Perouse, del pittore
Saint-Simon, del lo scultore Vassc, di Lui-
giFerrandoavvocatoal parlamento e dot-
to nelle lingue greca e orientali, de' due
religiosi domenicani Serry e Drouin ce-
lebri per le loro opere teologiche, e di al-
tri illustri anche per dignità ecclesiasti-
che e santità di vita. Fertilissima n'è la
campagna, particolarmente ne'luoghi bas
si, e vi si coltivano eccellenti legumi, la
vite, l'olivo, il cappero e il melarancio.
Questa città credesi generalmente fon-
dala (\<\ una colonia romana e trae il no-
me da Telo Mar li us , generale romano
che vi si stabili, secondo l'itinerario d'An-
toninOjOwerodal nome d'un tribuno mi
litare che vi condusse una colonia roma-
na. Fu restaurata da Tolumno goto, do-
po i danni recatile da Teodorico re de'
goti. Fu pur chiamata Tclo/iiu/n, Tulcu-
li/uim, Tuuroetum. ÀI principio del seco-
lo V i romani vi aveano una gran fabbri-
ca di tintoria in porpora. I saraceni la de-
vastarono più volte, nondimeno risorse
dalle sue rovine, ma fu nuovamente per-
cossa nel il 76 e 1 197 da' pirati africani.
Luigi XII per proteggerla contro le incur-
sioni de'pirati fece costruire la torre Gros-
sa, che terminò Francesco I. Neh 536 il
contestabile di Borbone, comandante l'e-
sercito di Carlo V, se ne impadronì. Vo-
lendo Luigi XIV formarne un baluardo
dellaFrancia dalla pai ted'Italia,lafecein-
leramente fortificare alla moderna,e fab-
bricare l'arsenale sopra i disegui ili Vati-
ban. Il duca di Savoia, aiutato dalle (lotte
TOL
d'Inghilterra e d'Olanda, ed alla testa di
torcuidabile esercito, assediolla indarno
per mare e per terra nel 1 707. A' 1 6 ago-
sto 179 3 fu abbandonata agl'inglesi eda-
gli spaglinoli, che ne furono discacciati 4
mesi dopo, ma i francesi vi perderouo mol-
ta gente; ritirandosi i uemici,incendiaruuo
i magazzini della marineria, arsero 24 va-
scelli di linea, e seco ne menarono tutti i
bastimenti che trovavansi nel porto. Fu
a quel memorabile assedio che Napoleo-
ne Conapartedièper la involta prò ve d'un
talento militare che in progresso svihip-
possi iu si straordinario modo. Dal porto
di questa città salparono le spedizioni del-
l'Egitto nel 1 7g8,diMorea nel 1 827, d'Al-
geri neh83o, e d'Ancona neh 832, oltre
altre più recenti e per la Crimea. Toloue
ha di sovente sofferto danui dalla peste,
segnatamente ne' secoli XV e XVII; ne
subì pure una nel 1720 che fu terribile,
ma poi di quel tempo le prese misure sa-
nitarie hanno schivato il flagello, senza e-
v ita re quello del cholera. Tolone che nel
18 1 5 contava soli 3o,ooo abitanti, pre-
sentemente ne ha 80,000. Ora poichegli
alfaii politici si raggruppano, per così di-
re, sempre più nel Mediterraneo, e che
la Francia deve mantenere per un tem-
po ancora indeterminato continue relazio-
ni nell'acque del Levan te, la città avrà certo
in una diecina d'anni una popolazione di
i5o,ooo abitanti. Tantoaumento, frutto
della concentrazione degli affari maritti-
mi e delle nuove idee che informano l'at-
tuale governo, forse danneggierà Brest,
Rochefurt, Cherbourg e Lorieul, porti sul-
I Atlantico, fra 'quali prima riparti vasi il
movimeuto navaledella posseuteFranciu.
II sistema di navigazione pare che subi-
rà presto cambiamenti di qualche impor-
tanza: tutti i vascelli della marina fran-
cese vennero nel decorso inverno a subi-
re uè' 3 arsenali trasformazioni e miglio-
ramenti di rilievo. Senza la forza del va-
pore ^è orinai cosa nota e accettata) sa-
rebbe sluto impossibile muover guerra al-
la Russia, colosso del nord, e vincerlo. A
TOL 7
proposizione dell'ammiraglio Bouel-Wil-
laumez, nella della stagione furono man-
dati a Tolone tutti i navigli a vela di alcu-
ne squadre, acciò si potesse applicar loro
il sistema misto; reudendoli cioè suscet-
tibili di solcare le onde, secondo il tem-
po e le occasioni, sia colle vele, sia col va-
pore, per la guerra che arde in oriente.
La sede vescovile appartenne alia 2. "pro-
vincia ecclesiastica di Vienna neh' esar-
cato de'Gauli, suffragane^ della metropo-
litana d'Arles, eretta al dire di Comman-
ville circa 1) 430. Nella Gallio. Christia-
na, Tolonenses Episcopi et Domini, per-
chè un tempo la signoreggiarono, è regi-
strato peri." vescovo s. Pietro de Alma-
narra; nel 43 is. Onoralo, di cui fece men-
zione s. Leone I nella lettera scritta in ita-
liano a' vescovi delle Gallie. Gli successe
s. Cipriano costituito vescovo di Tolone
das. Cesario d'Arles verso il 5i6,beneme-
rito anche contro 1' arianesimo introdot-
to nella Provenza da'goti, e per quanto
operò ue'coucilii: scrisse la vita di s. Cesa-
rio,di cui ni discepolo, morì nella metà del
VI secolo, ed è 2.0 patrono di Tolone. Ver-
so il 472 fiorì s. Graziano martire, nella
persecuzioue de' goti ariani , secondo uu
mss. di poca autorità della chiesa di To-
loue. Palladio assistèal concilio d'Orleans
del 54q,ed a quello d'Arles del 5 J4; De-
siderio trovossi al concilio di Parigi nel
573, e per un deputato all'altro di Macon.
del 585; a Meuua nel 601 scrisse s. Gre-
gorio I. Per le vicende de'tempi ignoransi
i nomi degli altri vescovi fluo al secolo IX,
a molivoprincipalinentedeH'irruzioiiide'
saraceni sulle coste di Provenza , per la
quale probabilmente restò a luogo la se-
de vacante. Leone trovasi che l'occupava
nell'804. Eustorgio sottoscrisse nell'879
al concilio di Mantala. Deodato nel 1040,
con tutti i vescovi del' Alpi .Marittime,
a' 1 5 ottobre intervenne alla solenne cou-
s «grazione della chiesa dell'abbazia di s.
Vittore di Marsiglia: e v'intervenne an-
cora il Papa Benedetto IX, probabilmen-
te per la stima che godeva l'abbate s. I
8 T O L
sarno. Tra'principi secolari che vi furono
a ossequiare il Papa , vanno nominali i
conti di Provenza e i visconti di Marsi-
glia. Ricorderò fra gli altri vescovi, Ay-
luino che parti per la crociata di Palesti-
na, con Goffredo di Buglione e con Rai-
mondo conte di s.Egidio,al cui testamento
sottoscrisse nel i io5uel monte Pellegri-
no in Siria. Pietro Isnardi o Aynardi nel
i 179 intervenne al concilio generale di
La ter ano III. Galterio Gaufrido del 1 2G3
che meglio stabilì il capitolo, distribuen-
do le prebende a 12 canonici, creando le
dignità dell'arciprete e dell'arcidiacono,
oltre il sagrista e il preceutore, facendo
il tutto approvare nel 1270 dal suo capi-
tolo e dall'arcivescovo d Arles. Giovanni
consagrò l'altare maggiore della cattedra-
le, ove nel 1 1 83 collocò le reliquie del pre-
decessore s. Cipriano, e fondò le cappel-
Janie di s. Gio. Ballista e di s. Maria Mad-
dalena. Giacomo religioso intervenne nel
i337 al concilio provinciale d'Avignone,
tenuto nel monastero di s. Rufo. Gio. Sil-
vestro spagnuolo deli 371, al cui tempo
Giovanna 1 signora di Provenza eresse in
Tolone il convento de'domenicani;ed eb-
be a successore nel 1 3go fr. Pietro de Ma-
ra villa domenicano. Vitale francese fu al
concilio di Costanza. Dionisio Brissonnet
figlio del cardinal Guglielmo donò ma-
gnifici ornamenti per 1' altare maggiore
della cattedrale, in questa edificò la cap-
pella della ss. Trinità, restaurò l'episco-
pio neh 5o4, e intervenne al conciliabolo
di Pisa, e poi al concilio generale di Lu-
terano V. Nel 1 5 1 8 il cardinal Nicola Fie-
schi, cui successe neh 524 '' cardinal A-
goslino Trhndzi, al cui nipote Antonio
2Yivulzine\ 1 528 fu data la sede in com-
menda e amministrazione, poi cardinale.
Neh 564 Girolamo della Rovere, elevato
al cardinalato da Sisto V. Fr. Tommaso
Giacobelli piemontese domenicano, au-
tore d'opere. Egidio de Septres d'Avigno-
ne nobilitò l'altare maggiore e nella cap-
pella di s. Cipriano trasportò le sue reli-
quie, introducendo in Tolone nel 1 60G i
TOL
cappuccini e neh 609 i minimi, restau-
rando la chiesa di s. Paolo de Arcis. Au-
gusto de Fourbin edificò il monastero di
s. Orsola e vi stabilì le religiose , e nel
i634 ammise in Tolone le sorelle della
B. Vergine. Giacomo Danes di Parigi e-
resse nella diocesi due collegiate, fece sta-
bilire la congregazione dell' oratorio in
Tolone, e fu zelante pastore. 1 successori
sono riportati nella Gallio, Christiana,
in uno alla serie de'preposti della chiesa
di Tolone, cominciando da Ristagno del
1 2 1 7. Gli ultimi vescovi diTolone furono:
neh 738 Lodovico Alberto Joly deChoin
liouese; nel i75cj Alessandro Lascaris
di Venlimiglia; neh 786 Eileone de Ca-
stellaue-Mozangues della diocesi di Mar-
siglia. Pel concordato deh 801 di Pio VII
colla Francia fu soppressa la sede vesco-
vile diTolone, riunendosi la diocesi a quel-
la di Frejus (P^.)- Il capitolo della catte-
drale si componeva delle nominate due di-
gnità, non che di duecauonici maggiori
e di 8 altri canonici minori o sacerdoti di
coro. I pp. dell'oratorio vi aveano un col-
legio, ed i gesuiti il seminario. Eranvi nel-
la città altre 7 case religiose di uomini, e
4 di donne. La diocesi conteneva 20 par-
rocchie, con varie chiese collegiate a Hiè-
res, Cuers e Sixfoura. Il vescovo godeva
per mensa i5,ooo lire di rendita, e paga-
va 4°o fiorini per le sue bolle. Riporta
il n.°238 del Giornale di Roma del 1 85 3,
che mg.' Alessio Casimiro Giuseppe Wi-
cart, diMeteren arcidiocesi di Cambray,
i.° vicario generale di essa e professore
di quel seminario, da Gregorio XVI fatto
vescovo nel concistoro de'24 aprile 1 845,
era stato autorizzato ad aggiungere al suo
titolo di vescovo di Frejus, quello di ve-
scovo di Tolone, e a'6 ottobre 1 853 prese
possesso del palazzo episcopale a lui pre-
parato dalla città di Tolone. Il suo ingres-
so ebbe luogo con grande applauso, al suo-
no delle campane, e fu il vescovo ricevuto
dal clero, dalle autorità , e da immeuso
popolo accorso ad incontrarlo. Nel conci-
storo de'28 settembre 1 855 i\ prelato fu
TOL
trasferito alla nuova sede vescovile eli La-
vai, dichiarata suffraganea di Toursj ed
in sua vece il Papa Pio IX nel concisto-
ro de'20 dicembre 1 855 dichiarò vesco-
vo di Frejus mg.r Antonio Giuseppe En-
rico Jordany di Digne, presidente di quel
seminario e canonico della cattedrale pa-
tria.
TOLOS.Vo TOULOUSE ( Tolosan).
Città con residenza arcivescovile di Fi an-
cia, antica. grande e celebre capitale della
Liuguadoca, ed al presente capoluogo del-
l'Alta Carotina, di circondario e di 4 can-
toni, a 5olegheda Bordeaux. 4 "da Mont-
pellier ei5o da Parigi. Giace in vasta e
bella pianura, sulla sponda destra della
Garonna, chela divide in due parti ine-
guali e vi forma una lieve incurvatura e
parecchie isole, una delle quali, quella di
Tounis, è coperta di case, alquantosupe-
riormentealla locedelgran canalediMez-
zod'i o Midi o di Liuguadoca o de' due
Mari, mentre il canaleBrienne,Iuugoi53o
metri, unisce all'uscire della città la Ga-
ronua col detto canale deiMezzotli.E' inol-
tre capoluogo e quartiere generale della
io.' divisione militare, e centro della 1 2/
conservazione boschi va; ha uua corte im-
periale, la cui giurisdizione si estende sui
dipartimenti de ll'Ariège,deH'Alta Garon-
na, del Tarn e di Tarn e Garonna; cor-
te d'assise, ti ibunaledi 1. 'istanza e di com-
mercio, direzione de'demani e delle con-
tribuzioni dirette e indirette; conservazio-
ne dell'ipoteche, zecca lettera M, accade-
mia universitaria, la cui giurisdizione di-
stendesi sopra i dipartimenti delFAriège,
dell'Alta Garonna, del Tai u e di Tarn e
Garonna. Tolosa, posta tra il canale di
Mezzodì e la Garonna, occupa una vera
penisola:! sobborghi diBazaele,d'Aruaud-
Beroard, di Matabiau e di s. Stefano, co-
me pure giardini e bei passeggi composti
d'un ampio circolo contornato da 4 hle
d'alberi, ed a cui mettono capo 4 belli via-
li, la separano al sud-est dal canale; all'est
di là dal canale giace il sobborgo Guille-
iuery, ed al sud trovasi quello di ». .Miche-
TOL 9
le; all'ovest è disgiunta dal sobborgo s.
Cipriano per mezzo della Garonna. Que-
sta città, senza i sobborghi , è di figura
pressoché ovale, e misura circa una lega
e 1/4 di circuito; i bastioui che sino dal
i345 la cingevano, ed i quali da lungo
tempo non erano che muri di cinta, a po-
co a poco che si andarono abbattendo, fu-
rono sostituiti da fabbricati nuovi e di
buon gusto. Da' primi del corrente se-
colo la città si è progressivamente mol-
to abbellita, sia nelle abitazioni, sia nelle
strade, ed anche le piazze sono più nu-
merose, le nuove belle e regolari, le an-
tiche grandemente migliorate. Questa cit-
tà mancava di fontane pubbliche, e tutte
le piazze ne sono attualmente adorne, e
più di 100 pilastrini a fontana, non privi
di eleganza, lavano giorno e notte le stra-
de. Tra le piazze pubbliche distinguesi
quella d'Angoulème, che forma uno dei
begl'ingressi della città e venne ornata di
bella fontana di marmo bianco de'Pirenei,
la cui statua principale rappresenta la
Francia io atto di calpestare l'idra delle
rivoluzioni. Da questa piazza una via lar-
ga e bella mena alla piazza quadrata del
Campidoglio, della quale solo due lati an-
ni addietro erano bene edificati, onde sarà
stata perfezionata; ed i 4 angoli sono de-
corati da fontane monumentali. La pisci-
na che alimenta tutte le fontaneè un bel
monumento di architettura, situato nel
sobborgo s. Cipriano. Vie assai bel nu-
mero di palazzi, parecchi antichissimi, ed
i più degni d' essere citati sono quelli di
Le\y, di Mac-Charty, d'Anguin,e di Mal-
ta: quello de'conti di Tolosa fu assegna-
to ■'tribunali. Il teatro vasto e graziosa-
mente adorno. 11 magnifico ponte sullaGa-
rollini, terminalo da un aico trionfale, è
disegno del famoso Mansard. L'edifìzio
pubblico più notabile è il Campidoglio, o
palazzo civico, monumento antichissimo,
poiché se ne fa risalire la fondazione al
tempo de'romani, sotto l'imperatore Gal-
ba; ma la facciata é stata riedificata nel
XVill secolo, e decorala com'è da b» co-
■ o TOL
lonne ioniche di marmo riesce d'aspetto
imponente, quantunque di stile mediocre;
fu terminala nel 1 769, sopra i disegni del-
l'architetto Ri valz. Nella 1 /corte di questo
Campidoglio fu decapitato a' 3o ottobre
1 632, il duca di Montmorency, a pie del-
la statua d'Enrico IV; in una delle sale,
detta degl'illustri, osservatisi circa 4° bu-
sti d'uomini celebri nati nella città, mo-
dellali in terra cotta, e ciascuno con pom-
posa iscrizione latina a lettere d'oro; os-
servasi pure in alti a sala la statua in mar-
ino bianco di Clemenza Isaura, fondatri-
ce de'Giuochi Floreali; e questo slesso e-
difÌ7Ìo contiene la sala pegli spettacoli, be-
nissituoornata. I magistrati della città an-
ticamente chiamavausi capitonls in fran-
cese, ovvero capilularìi , eapitulares, o
domìni de capitulo in latino, dal vocabo-
lo capitolimi, capitolo, assemblea, riunio-
ne, e che espritnevasi colla parola capital
Iteli' antico linguaggio del paese. Questi
magistrati acquistavano la nobiltà colla
loro carica, e la trasmettevano a'Ioro di-
scendenti. Erano in numero di 8, confor-
memente agli 8 quartieri, alle 8 parroc-
chie e alle 8 porle della città, di cui cu-
stodivano essi le chiavi. Dislirtguonsi poi
il palazzo della prefettura, i nuovi palaz-
zi della corte regia e del tribunale dit.''
istanza, i nuovi e be'fabbricati della scuo-
la veterinaria e de'macelli. La cattedrale
è sotto l'invocazione di s. Stefano proto -
martire.di gotica struttura del secoloXl 1 1,
una delle più magnitichedi Francia. Ani
miratisi in essa particolarmente l'altare
maggiore, il coro e l'organo, opera vera-
mente ardita, il pnlpiloè rimarcabile per
la sua vetustà, e non venne mai cambiato
per rispetto agl'illustri predicatori chesa-
luono su di esso, quali furono il b. Rober-
to d'Arbrisselles istitutore della congre-
gaz\oneà\Font-Evrault, s. Bernardo dot-
tore della Chiesa, s. Domenico fondatore
dell'ordine de' Predicatori, s. Antonio di
J'adova e s. Vincenzo Ferreri. Nella tor-
re campanaria era la famosa campana
dell'arcivescovo Cnrdaillac, del peso di
TOL
5o,ooo libbre. Vi è il fonie battesimale,
colla cura d'anime amministrata da un
canonico onorario e da un vicario. Il ca-
pitolo si compone dir 2 canonici titolari,
fii'quali il preposto e l'arcidiacono, le pre-
bende teologale e penitenziale, di diversi
canonici onorari, depueri de choro inser-
vienti alle sagre ceremonie, oltre altri pre-
li e chierici. L'antico capitolo fu per lun-
go tempo regolare , sotto la regola di s.
Agostino, e fu secolarizzato neh 524 da
ClementeVII.Era composto del preposto,
di 5 arcidiaconi, di 24 canonici, uno dei
quali era cancelliere della chiesa e dell'u-
niversità , e di molli altri benefiziati. Il
preposto, scelto sempre dal grembo dei
canonici, veniva eletto a pluralità di voti.
Avea giurisdizione immediata su tulio il
capitolo, il quale era esente dall'ordina-
rio. Quando ufficiava portava il bastone
pastorale, ed era assistilo all'altare da 4
canonici. Quando andava in processione
dovea avere presso di se due elemosinie-
ri e uno scudiere. I preposti che venivano
nominati vescovi, non lasciavano la loro
1/ dignità. ISammartani ne pubblicaro-
no la serie nel ti della Gallia Christia-
na, p. 71 1. Il palazzo arcivescovile è al-
quanto distante dalla metropolitana, ed è
magnifico, rifabbricato a spese dell'arci-
vescovo Colbert. Nella città vi sono altre
8 chiese parrocchiali munite del battiste-
rio, e secondo l'ultima proposizione con-
cistoriale eranvi 6 comunità di religiosi-,
diversi sodalizi, due ospedali, due semi-
nari, uno grande e l'altro piccolo con mol-
ti alunni. Leggo nel n.°i4' de\\' Osserva-
tore Romano deli 852.» Il 3i maggio la
città sì eminentemente cattolica di Tolo-
sa, avea la sorte di vedere riaperta l'au-
lica chiesa de'minimi, il giornodella chiu-
sura del mese Mariano. I tolosani sperano
che si farà altrettanto dell'antiche chiese
de'franeescaniede'domenicani". Aggiun-
gerò, che infatti i domenicani ripristinali
in Francia dal benemerito p. La Cordai-
re, aprirono anche in Tolosa un conven-
to ed una chiesa, che ambedue sono co-
TOL
■e nuove, quantunque gli abbiano dato
il nome vecchio, chiamandolo convento
e chiesa di s. Romano. Di più trovo nel
Giornale Romano del 1 853 a p. 858, di
chefeoi parola a Sorella.» Un nuovo sta-
bilimento viene fondato in questa nostra
città di Tolosa, già assai ricca in tal ge-
nere di opere di beneficenza. Le piccole
sorelline de* poveri, il di cui solo nome è
una vera e bella raccomandazione pres-
so tutte le anime caritatevoli, edellequa-
li si ammira in molte città della Francia
li pietàe la sublimedivozione,hannocrea-
lo in Tolosa una casa del loro istituto. O-
gnun sa che queste sante figliuole si sono
date il carico di sostenere, nutrire ed as-
sistere le povere vecchie, col prodotto del-
l'elemosine che esse ricavano dalla que-
stua che giornalmente fanno da una casa
all'altra onde ali meri tare queste in felici lo-
ro protette". Inoltre si dice a p. 874-' Il
provinciale de' cappuccini ha comprato
uu vasto terreno nel sobborgo s. Cipria-
no, per stabilirvi un convento del suo or-
dine. In Tolosa si prepara un couvenlo
anche pe'padri domenicani". Anticamen-
te in Tolosa eiauvi 26 comunità religio-
se di uomini e circa 1 6 di religiose. Mar-
ra Cancellieri ne' Possessi, che il guardia-
no de'conventuali di Tolosa, appena sep-
pe la morte di Clemente XIV, scrisse di
voler mandare a Roma della terra del ci-
ìniterio del suo convento, atta a conser-
vare i cadaveri. La collegiata di s. Ser-
nin (o s. Saturnino martire e i. "vescovo di
Tolosa), avea un abbate secolare, ed era
la più distinta della metropoli, composta
di 24 canonici, senza il basso coro. La sua
chiesa celebre, antica e parrocchiale, ia
più distinta dopo la metropolitana, è una
delle più belle di Francia. Sebbene piut-
tosto tetra, è grandissima e maestosa: in
essa si collocarono moltissime reliquie, ol-
tre quelle del santo titolare in una ricchis-
sima cassa d'argento, non che quelle di
s. Tommaso d'Aquino nel secolo passato.
L'abbate era immediatamente soggetto
alla s. Sede, in uno al suo capitolo, che
TOL 11
essendo regolare di s. Agostinofu nel 1 526
secolarizzato da Clemente VII. Avea il
diritto d'usare tutti gli ornamenti vesco-
vili,e benediceva il popolo nella sua chie-
sa. Era conigliere a) parlamento di To-
losa, e conservatore de'diritti dell'univer-
sità. Li chiesa parrocchiale della Madon-
na della Daurade, Deauratae, fabbricata
da s.Esnperio sopra un antico lempiod'A-
pollo o di Minerva, apparteneva al mo-
nastero riformato di Clugny, ch'era sta-
to unito alla congregazione di s. Mauro
nel secolo XVII. Altra chiesa degna di
speciale menzione è quella già degli ago-
stiniani, e del pari il chiostro che contie-
ne il museo. L'antico convento di s. Pro-
mano de' domenicani era assai rimarca-
bile, come il più antico e i.° dell'ordine
(pel narrato a Predicatori), e per esser-
vi slato deposto in una bellissima cappel-
la della chiesa di s. Sernin il corpo del
dottores. Tommaso d' Aquino {V!), den-
ti o a un superbo mausoleo a 4 faccie,meu-
tre la sua testa fu posta nella sagrestia in
busto d'argento dorato, esponendosi alla
venerazionede'fedeli nel dì della sua festa.
Questionatoli s. Corpo, per sentenza d'Ur-
inino V neh 368 fu aggiudicato a questo
convento, ricevuto dalla città colla più
gran solennità e immenso concorso di per-
sone, oltre il duca d'Angiò fratello del re
Carlo V, gli arcivescovi di Tolosa e di
Narbona, molli vescovi, abbati e signori.
Ora mi occorre qui fare una breve di-
gressione sopra le reliquie di s Tomma-
so d'Aquino, splendore dell'inclito ordi-
ne domenicano, e da s. Pio V dichiara-
to 5.° dottori' della chiesa latina, colla
bolla Mirabilis DeiiSjdeW 1 1 aprile 1 367.
Questa gloria immortale dell'encomiato
ordine, mentre da Napoli si portava al
concilio generale di Lione, morìa'7 raar-
zoi 274 nel monastero cisterciensedi/^Q^-
sanuo\'a(T .) nella diocesi di Tcrracina.
Usuo corpo fu trasferitoda Ouoratoconte
di Fondi nel convento domenicano di tal
città, e Papa Giovanni XXII colla bolla
Redemptio:u.'iii jnisit, de' 18 luglio 1 3 20,
i2 TOL
Bull. Rom. t. 3, par. 2, p. 1 88, locano*
uizzò in Avignone. Indi i domenicani di
Fondi furono accusati da'cislerciensi per
essersi preso il corpo del satito, ed Urba-
no V terminò la gran vertenza, con ag-
giudicarlo in Monte Fiascone, contro le
pretensioni de'cisterciensi di Kossanuova,
nel maggioi368 in fivore de'domenica-
ni di Tolosa, ove nell'istesso anno fu tra-
sferito, come affermano ancora i Bollan-
disti , Aeta ss. Mariti , 1. 1, p. 720. La
chiesa de'domenicani di Tolosa fu prefe-
rita a quelle delle altre città e della stessa
Parigi, perchè in quel convento fu fon-
dato l'ordine da s. Domenico, e perchè
Urbano V, prevedendo le molte solleci-
tazioni che i frati predicatori avrebbero
avute da varie parli, scelse egli la chie-
sa di Tolosa, dicendo al p. generale del-
l'ordine nella corrispondente bolla queste
parole. Ut le eripiam de iinportunitate
Itine inde sollicitantiuni ipsemet eligo in
locwn prò dicto saneto eorpore Eeele-
siani vestii conventus Tolosani... quia ibi
est universitas nova in theologia quarti
volo /andari in solida et firma doc tri-
na illius Saneti. Si può vedere il dome-
nicano p. Antouio Touron (biografo pu-
re di s. Domenico e degli uomini illustri
innumerabili dell'ordine), Pie des. Tho-
mas, Paris 1737, a p. 344* uoa c^ie ''a'*
tro domenicano p. Guglielmo de Tocco,
Vita d. Thomae de Aquino, presso i ci-
tati Bollandisti; ove vi è del correligioso
p. Raimondo Ugone, De Translat. cor-
por, b. Thomae de Aquino, bulla Urb.
V data x kal. jul. pont, an. ri, Copio-
susin misericordia Domini. Il corpo del-
l'angelico s. Tommaso si venera nella
chiesa parrocchiale di s. Sernin di Tolo-
sa, di cui già feci parola, ma quanto alla
testa vi sono diverse opinioni. In Tolosa
si sostiene possederla; però si venera pu-
re in Pipenio, trasportata da Fossanuo-
va con due ampolle del suo sangue, co-
me notai ne' voi. XXVI, p. 19, LUI, p.
240 e 2475 dicendo quando venerò l' li-
na e le altre Gregorio XVI, ed io di vota-
TOL
mente feci altrettanto. Tuttavolta, quan-
to al corpo, vi ha chi dice , essere stato
bruciato da'furibondi eretici Ugonotti in
Tolosa nel secolo XVI. Il sin qui accen-
nato venne di recente ex professo trat-
tato, colla storia della sepoltura e trasla-
zione del corpo e reliquie di s. Tomma-
so d'Aquino (essendovene in Italia, Fran-
cia e Spagna), iuclusivamente a quella se-
guita nel 1 794 irt Tolosa stessa dalla sua
chiesa de'domenicani a quella di s. Ser-
nin,dall'interessantissimo opuscolodi cui
mi duole non dare un sunto, dovendo os-
servare la brevità, e intitolato: Histoire
des Reliques des. Thomas d' 'Aquin par
E. Cartier, Parisi 854- I francescani e i
dottrinari aveano in Tolosa pubbliche bi-
blioteche, ed i gesuiti 6 case. Era vi una u-
ni versila eretta da Papa Gregorio IX, per
l'istanze del re s. Luigi IX: i suoi profes-
sori venivano tumulati coli' anello, coi
gnauli, la spada e gli speroni dorati. Un
tempo vi fu uncollegioper la missione di-
pendente dalla congregazione di propa-
ganda fide, fondato da un cappuccino i-
beruese, che col fine d'averne ecclesiasti-
ci ne avea istituito altro a Bordeaux: fu
dotato dal magistrato di Tolosa, ammi-
nistrando le rendite il rettore e i provve-
ditori. 1 16 alunni aveano l'obbligo di f ir-
si sacerdoti, e studiavano nell'università
l'alte scienze. Nelle biografie de' seguenti
cardinali notai i collegi fondati nella loro
pia munificenza in Tolosa. Elia Pcrigurd
Talleyrand eresse il eollegioPerigord per
istruire nella legge i giovani , poi perfe-
zionato da Papa Gregorio XI. Andoiuo
$ Albert nipote d' Innocenzo VI, ordinò
che dopo la sua morte, con buone reudi-
te fosse fondalo un collegio, e chiamato
Magalonense dal nome del suo vescova-
to di Maguclone. Pietro di Fuxo o Foix
il seniore, celebre legatod' Avignone, fon-
dando il collegio per alimentarvi 2D gio-
vani applicati allo studio delle leggi, lo
chiamò Fuxiense, gli assegnò ricca dote
e gli donò scella e copiosa biblioteca. In-
oltre Papa Innocenzo VI, già dottore e
TOL
professore famoso nel diritto legale, e giu-
dice maggiore della siniscalchia di Tolo-
sa, quivi fabbricò il collegio de' Poveri.
Tutti questi e altri vantaggi, li riportò To-
losa nell'epoca in cui i l'api risiederono
in Avignone, dopo la strana risoluzione
di Clemente V. Sono al presente rimar-
cabili in Tolosa i vasti spedali dell'Hótel-
Dieu, e di s. Gioseffo de-la-Grave; le bel-
le riviere cbe corrono lungo la Garonua,
ed il famoso mulino del Basacle, situato
all'uscita del fiume e rifabbricato nel 1 8 14
sopra disegno bellissimo, e sopra a questo
mulino appunto operasi la congiunzione,
del canale di Brienne colla Garonna; al-
la riunione dello stesso canale di Brienne
con quello del Mezzodì, in qualche distan-
za dalla città, trovasi un ponte doppio,
chiamato Jumeau ossia Gemello, sul qua-
le vedesi rappresentata in basso rilievo
lungo 5o piedi, la congiunzione de' due
mari, con figure di grandezza colossale;
e la magnificenza del viale d'alberi che
fiancheggia i due canali, il doppio e su-
perbo sostegno pel quale spandonsi le lo-
ro acque; questo basso rilievo e il ponte
meritano l'ammirazione di tulli i viaggia-
tori. Gli altri passeggi pubblici souo la
spianata, nel centro ornata d'un bel get-
to d'acqua; il grande giardino pubblico,
il giardino delle piante, uno de'più vasti
e più belli di Francia, ricco soprattutto
di piante esotiche meridionali, e di pian-
te indigene de'Pirenei, e nel qualesi fan-
no corsi di botanica. All'estremità meri-
dionale dell'isola di Tounis, sono le rui-
ne del castello Naibonese, antica citta-
della de'ie di Francia e de'conti di To-
losa, e colà presso sorge un altro bel mu>
lino, rivale di quello dei Basacle; alquan-
to inferiormente alla della i^.la è il pon-
te sulla Garonna , che fa comunicare la
città col sobborgo di s. Cipriano, ponte di
beila esecuzione e costruito «sotto Luigi
KW , sopra disegno di Soulbon, con 7
archi di varie grandezze, largoia tese o
pertiche e 1 35 lungo, e che dalla parte del
sobborgo termina con una porta ad arco
TOL i3
trionfale, disegno di F. Mansard. Il qua-
le sobborgo, il più bello e considerabile
di tutti, è fabbricato e distribuito rego-
larmente; la via di Chercydon, larga e di-
ritta, che principia allo sbocco del ponte,
conduce alla piazza quadrata dello stesso
nome, circondata da facciate regolari, e
che precede la porta di Tarbes, formata
da bel cancello di ferro, a destra e a si-
nistra del quale veggonsi le statue colos-
sali rappresentanti la città di Tolosa e la
provincia di Linguadoca, scolpite da F.
Lucas. Di là da detta partecontinua una
bella via che termina in una gran piaz-
za ollagona, alla quale mettono capo due
altre vie e tre bei viali, e famosa nella cit-
tà sotto il nome di Zampa d'Oca. Ed e-
ziandio nellostessosobborgo trovasi il bel
passeggio detto il Corso Dillon, che pro-
lungai a terrazzo sulla sponda della Ga-
ronna, dal ponte sino alla porta di Mu-
ret, chiusa da bel cancello di ferro. 11 por-
to di questa città sul canale del Mezzodì,
giace uel sobborgo s. Stefano. Possiede
Tolosa un'infinità di stabilimenti d'istru-
zione pubblica, ed il numero di coloro che
li frequentano ed allo studiosi danno,di-
mostra che questa città mai sempre con-
serva l'antico suo amore per le scienze, le
lettere e le arti. Vi si compila buon nu-
mero d'opere periodiche, e le società dot-
te distribuiscono premi: il più antico di
tali istilliti è l'accademia rinomata dei
Giuochi Floreali o della Dea Flora, che
conta più di 5 secoli d'esistenza, e la cui
fondazione si attribuisce a quella celebre
Clemenza Isaura che l'avrebbe riccamen-
te dotata , ma dispiace che non si vada
d'accordo sul tempo in cui abbia vissuto,
alcuni riportaudoue al 1 220. l'istituzione
accademica, altri la ritardanoal 1 323; co-
munque sia, l'accademia distribuisce i se-
guenti premi: pel 1 .° una viola d'ora, pel
2.0 una rosa selvatica pur d'oro, pel 3." un
fiore-arancio dello stesso metallo. Tutti i
poeti francesi hanno diritto di concorrer-
vi , e parecchi fra' più celebri vi furono
coronati. Vi sono inoli re, l'accademia del-
14 TOL
le scienze, iscrizioni e belle lettere; l'acca-
demia di pittura, scultura e architettura;
il collegio regio, la scuola secondaria di
medicina echirurgia, la scuola d'ai ti e me-
slieri, quella speciale di disegno , scuole
regie d'equitazione, di musica e di canto,
un eorso di geometria e meccanica appli-
cale alle arti, altre di fisica sperimentale,
di chimica e d'ostetricia all'Ilòtel-Dieu ;
società di medicina, delle belle arti, d'a-
gricoltura e di carità materna; una socie-
tà biblica ausiliaria protestante, ed una
di prestito gratuito sopra pegno; e due hi
bliolechepubb!iche,unadi piùche3o,ooo
volumi, e l'altra supera i 24,000: quella
del collegioconlenendo, tra altri mss. pre-
ziosi, le Ore di Carlo Magno, quelle del-
la regina di Bretagna, un' Apocalisse tra-
dotta in versi francesi, ed un Eschilo coi
margini sopraccaricati di note per mano
di Racine. Possiede ancora questa città
un osservatorio, dove si fanno corsi d'a-
stronomia; museo di pittura ed'anlichità,
cresciuto colle ricche scoperte fatte nel
1827 presso la città di Martres, e tra le
altre cose, 60 busti d'imperatori e impe-
ratrici in marmo, d'un Giove Serapicle,
ec. Vi è la scuola dell'artiglieria con ar-
senale poligono, polveriera, fucine, e fon-
deria di cannoni, ed un semenzaio dipar-
timentale. Anche l'industria quivi conta
parecchi stabilimenti importanti: tali so-
no precipuamente un laminatoio, che ri-
duce in lastre circa i5o,ooo chilogram-
mi di rame all'anno, ed una fabbrica d'og-
getti d'acciaio, falci e lime, la più ragguar-
devole che esista in Francia, ed il cui pro-
dotto ad annocomuneascentlead8oo,ooo
chilogrammi d'acciaio, 80,000 di lime, e
circa 120,000 falci; hawi inoltre fucine
alla catalana, magli da ferro, altri lami-
natoi per ferro e rame, fonderie di rame
per campane e altri oggetti, fabbriche di
cera e di candele dell'* slessa materia, ac-
qua vile, olio, paste italiane, carte dipin-
te, tele incerate, corde da strumenti, ma-
terie resinose, marocchini, indiane, coper-
te di lana e di coione, cappelli di paglia
TOL
all'ospizio, maiolica, porcellana, terra da
pipe, manifattura regia di tabacchi, fila
toi, concie di pelli, birrerie, corderie, fab-
briche di misure ee.Numerose sono le tipo-
grafie e i fondachi de'librai: il già proprie-
tario d'uno di essi, il eh. Agostino Mana-
vit tolosauOjio lo chiamerò l'^Zf/o^i To-
/o.srule'nostri giorni. Saggio, eruditissimo
e pio scrittore, gli dichiarai la mia am-
mirazione e riconoscenza nel voi. LXIV,
p. 32 1, per la traduzione delle mie Cap*
pelle Pontificie^ per quantoeg regiamen-
te scrisse d'un Gregorio XVI e d'uu car-
dinal Mezzofanti, e qui solennemente gli
rinnovo i miei omaggi,con particolare sod-
disfazione dell'ani mo, sebhene egli sia pas-
sato a miglior vita nel declinar deli 855,
e fu una perdita giustamente deplorala
dall'illustre patria, e da chi ne conosceva
le virtù ed i pregi. Ogni due anni dal 1 5
giugno ali 5 luglio si fa pubblica esposi-
zione ili prodotti dell'industria diparti-
mentale. Il commercio, senza essere mol-
to attivissimo, non vi è perciò meno di
assai grande importanza, principalmente
colla Spagna; ma quello di emporio coi
porli di Marsiglia e Bordeaux e coll'in-
terno della Francia non è tanto quanto
potrebbe credersi animato; è questo pu-
re l'emporiode ferri del dipartimento del-
l'Ariège, non che de' due mari. Esporla
questa città principalmente molto grano
e farina , prodotto più essenziale del suo
territorio; manda essa nell' interno della
Francia pasticci di fegato d'anitra che so-
no rinomali. Vi si tengono due grandi
mercati all'anno, pe'fiori e pel porco sa-
lato, ed 8 fiere, fra le quali è importan-
te quella de'i5 giugno per le lane e panni.
Il suo canale di Mezzodì è della maggior
importanza pel commercio della Fran-
cia meridionale. Progettata sotto France-
sco I, la comunicazione della Carolina col
Mediterraneo, questo grande monumen-
to non fu eseguito che sotto Luigi XIV,
pegli ordini di Colberl e mercè il genio di
iliquet. Si cominciò nel 1667, e nel 1681
la uavigazione fu in attività su tulta la li-
TOL
nea. Per questo complesso di pregi, e di
altri che sarebbe lungo il rilevare, Tolo-
sa è una delle più belle e più grandi cit-
tà della floridissima e possente Francia.
Essa inoltre vanta una moltitudine di uo-
mini celebri in tutti i generi, e tra gli al-
tri il giurecousultoCujacio5al quale giusta-
mentela patria P8 dicembre 1 85o innalzò
a suo onore una statua, e sul piedistallo
fu incisa questa iscrizione: Jacofro Cuia-
rio Tolosano. E' patria dei poeti e autori
drammatici Guy Oufaure signore di Pi-
brac, Goudouly, Maynard, Cailhava, Pa-
laprat, Campistron, Nicolò Ptchantté; del
poeta e matematico Fermat, del fisico e
dotto minimo Maignan, degli storici Ca-
seneuve e Guglielmo Caldi ; de* ultori
Francesco e Gio. Francesco de Trov: dei
pittori, scultori e architetti N. Bachelier,
F. Lucas, Antonio Rivale; di Bertrand di
Mollevilie ministro della marineria tolto
Luigi X\ I, e autore d' una storia della
mutazione; del bravo general Dupuy
morto alCairo, e del marescialloPeriguon.
Colle loro opere poetiche si tesero chiara
Elisabetta Dreuillet, Desparre e Monte-
gnt. E pur la patria di Riquel, che s'im-
mortalò col celebralo canale di Lingua-
duca o Mezzodì. Vi ebbe pure i natali il
d. 'Giovanni Esquirol. benemerito degl'in-
felici dementi. I fasti ecclesiastici si glo-
riano di molli cardinali,aici vescovi, vesco-
vi e altri prelati. Tolosauo fu il b. e Papa
Benedetto A"// del Fornoo Fournier, ua-
to in Saverdun territorio di Tolosa, da un
molinaio, secondo alcuni, già inquisitore
della provincia di Tolosa, ove estirpò gli
eretici che l'inondavano, e nipote di Gio-
vanni XX11, che pure diversi dicono di
bassa origine, e perciò tanto più gloriosi,
e ben lo si mostrò il b. Benedetto XI I col-
la \ ir luosa moderazione, nel mai itare con
mediocre dote la nipote a un mercante di
Tolosa, rifiutando ragguardevoli perso-
naggi. Tolosano si fa pure Urbano f Gri-
moardi, veramente di Linguadoca, e pare
oriundo di Limogese nato in Grissac nella
contea di Gevaudan.già professore insigne
TOL .5
de'canoui in Tolosa. Tolosano fu il cardi-
nal Raimondo.l/c>/i/ò/7, la cui famiglia un
tempo signoreggiò Tolosa. L'ultimo san-
to tolosano a cui la s. Sede ha decretato
il pubblico culto è la b. Germaua Cousin
di Pibrac, villaggio poco lontano da To-
losa , nata da poveri parenti e destinata
duDioadareal mondo il maggioi esempio
dell'umiltà. Introdotta la causa di sua ca-
nonizzazione nel i845 avanti Gregorio
X\ I, e continuata con molta alacrità, il
legnante Pio IX nedecrelòlasolennebea-
tificazione, celebrata nella basilica \ ali-
cana a'7 maggio 1 854, con quella pompa
descritta nel n.°io5del Giuntale di Ro-
ma > insieme alle notizie sulla serva di Dio.
Gli abitanti sommano a circa 65,ooo, i
quali partecipano del linguaggio, del ca-
rattere e dell'abitudini de'guascoui, per-
chè ilsud-ovestdeli'Alta Garonua ne com-
pi endemia parie, onde alcuni geografi per
qualche riguardo considerarono Tolosa
come eapitaledel paese Guascone. LaGua-
scogna, divisa in Alta e Cassa, rinchiude-
va quasi tutta la contrada compresa fra
la Garonua, i Pireui e l'Atlantico, in tuo-
doche corrispondeva pi esso a poco uìì'A-
quitaìda^iua delle3 parli dell'auticaGfl/-
//<7;ossiaGallia Armorica o Marittima, di-
visa poi in Aquitauia i/,in Aquitania 2.*,
ed in Novempopulania. La Guascogna
prese il suo nomeda'guasconi o vasconi,
popoli della Spagna Tarragonese, che vi
s'introdussero da'viciuiPireuci dopo aver-
ne caccialo i visigoti. Si dicono i tofOMtaj
più istruiti ordinariamente degii abitanti
dell'antica provincia di Guascogna. Lo
studio delle leggi, l'applicazione alle scien-
ze, alh lettere e alle arti de'tolosani, il lo-
ro gusto per la musica e la dauza, li ren-
dono più riflessivi , di più mite società,
senza per altro diminuir quella vivacità
di spirilo così generale in questa parte di
Frauda. Il tolosano senza istruzione, lau-
to per conto religioso che politico, talvol-
ta si abbandonò ad eccessi ch'ebbe poi a
pentirsi, per la variabilità del partito che
prese, s' è realmente vero quanto su ciò
i6 TOL
osserva taluno. Amono è il clima di To-
losa in ogni tempo, ti amie l'estate, e sano
vi si perviene a età avanzatissima; buoni
sono i viveri, svariati e a buon mercato.
La danza, il teatro e soprattutto il canto
formano i principali diletti; la disposizio-
ne al canto vi è straordinaria, e di soven-
te vi fioriscono belle voci. La pianura di
Tolosa, feracissima di grano, è immensa,
ma monotona, essendo spoglia d'alberi.
JNon offre la città die pochissimi avanzi
de'montimenti di sua antichità e impor-
tanza a tempo de'romani, come i ruderi
d'un anfiteatro e d'un acquedotto; ma si
sono trovati nel letto della Garouna fon-
damenti di edilìzi, medaglie, statue e altri
monumenti. Si presume che i visigoti ab-
bianodistrutto interamente l'anfiteatro, i
templi e altri bei monumenti che possede-
va.La Linguadoca, Occitaniae Septima-
iiia, antica ed eslesa provincia della Fran-
cia, compresa fra il Rodano e laGaronna
e formante la Gallio, Bracata, avea qua-
si 4° leghe nella sua maggior larghezza,
e circa 90 dalla sua porzione più setten-
trionale si no alla più meridionale,di viden-
dosi in 3 parti: i.° l'Alta Linguadoca, che
rinchiudeva il Tolosano, l'Albigese, il Lo-
raghese, ed i paesi di Mirepoix e Carcas-
sona;2.°la Bassa Linguadoca checompo-
uevasi de'paesi di Narbona, di Beziers, di
Nimesedi Uzès; 3.° le Cevenne, che con-
tenevano il Vivarese, il Velay, il Gevau-
dan, ed il paese di Alais. La 1. "rinchiude-
va 9 diocesi vescovili, la 2." 1 i,e 3 la 3."
Tolosa era la capitale della provincia, e
in particolare dell'Alta Linguadoca, e
Montpellier lo era della Bassa. Vi sono
pochi paesi in Francia ove si trovino mag-
giori monumenti di antichità quanto nel-
la Linguadoca. Alcuni autori dissero che
al momento della conquista de'goti,questo
paese prese il nome di Linguadoca, come
si direbbe lingua di goto, 0 landt-goth,
cioè a dire terra 0 paese di goto. Altri e
forse in maggior numero pretendono, che
soltanto nel secolo XIII s'incominciasse a
disegnare questa provincia col nome di
TOL
Linguadoca, sotto al quale si comprese-
ro prima tutti i paesi in cui parlavasi la
lingua tolosana o la lingua d'Oc, parola
che corrisponde all'Otti," verisimilmemte
da questo termine venne anche la deno-
minazione d'Occitania, che alcune volte
si applicò a questa contrada, una porzio-
ne della quale portòanche il nome di con-
tea di s. Gilles o s. Egidio, patria di Cle-
mente I V. Verso la decadenza dell'impe-
ro d'occidente poi, la Linguadoca portò il
nome di Septimania, secondo l'opinione
de'più a cagione delle 7 diocesi sulfraga-
nee di Tolosa, e ne riparlerò: altri voglio-
no die il nome di Settimania le derivò
dalla settima legione romana che vi stan-
ziava, e secondo altri dalla città di s. Gil-
les o Saint-Gilles anticamente così appel-
lata; o meglio si attribuisce alla divisio-
ne delle 7 provincie, cioè le 5 stabilite da
Augusto nella Gallia Narbonese, distinte
co'vocaboli dii.'é 2. "Narbonese, Vienne-
se, Alpi Marittime, Alpi Graie 0 perniine,
cui Adriano aggiunse le due di Marsiglia
e dell' Alpi Cozie.
Ila la rinomatissima Tolosa la fama
d'una delle più antiche città delle Gallie,
ma se ne ignora l'origine: questa si preten-
deanleriorea quella di Roma,esi attribui-
sce a Tolo o Talosso troiano, con raccon-
to favoloso. Pare che fosse abitata da' te-
ctosagi allorquando, secondo Ausonio che
la pose tra le metropoli illustri, i roma-
ni sotto Servilio Cepione la presero l'an-
nodi Roma 648, pel qual console soggiac-
que alla depredazione d'immense somme
del denaro sagro, onde n'ebbe infamia per
testimonianza diStrabonee diTrogo. Fu
anche colonia romana, e G. Cesare la chia-
mò Tolosaj Tolomeo, Tolosa Colonia,
e Sidonio Apollinare, Urbs Tolosatium:
altri Palladia,Roma Garunmae, Tecto-
sagum.Pevò la conquista della contrada
tli Linguadoca è anteriore, e si attribuisce
sotto il consolato di Fabio Massimo nel-
l'anno di Roma 636, abitala essendo dai
volci, teclosagi, volci arecomici, gaba-
li, velauni, ruteni, umbiatici e cadurci.
TOL
Sebbene Tolosa fu inipot tantissima al
tempo de' romani, ed avesse il Campido-
glio, il tempio d' Apollo e più altri belli
monumenti, non fu mai sotto que'couqui-
statori capitale della provincia. Nel prin-
cipio del V secolo i vandali, gli svevi e gli
alani cagionarono orribili guasti nelleGal-
lie, e Tolosa fu preservata da' vandali per
le virtù e pregbiere del vescovo s. Esu-
perio. Ma nel 4'9 ' S°t* invasero la Lin-
guadoca, abbandonata loro dall'impera-
tore Onorio, e vennero distinti col nome
di / isigoti que' goti cbe in questa parte
delle Gallie fissarono il principale stabi-
limento e la eressero in mona rchia, dichia-
rali Jone capitale Tolosa, e vi fecero la lo-
ro residenza per 88 anni. Dierouo essi al-
la regione il nome di Gothia o Gozia, con-
servando pur anco quello di Septimauia,
e presero il titolo di re di Tolosa. Alari-
co 1 fu il i .°re a dominare la regione e par-
te della Spagna, cui successero nel 412
Ataulfo, nel 413 Sigerico,e Vallia il qua-
le distrusse gli alani, uel 4 '9 Teodorico
I, nel 45 1 Torrismondo, nel 453 Teodo-
rico 11. nel 4^6 Enrico, nel 484 Alarico
II. Questi uel 007 fu viuto uella battaglia
di Youillé o Poitiers da Clodoveo I re dei
franchi, onde la possanza di questi ebbe
grande incremento, e decadde quella dei
visigoti. Nel segueuteannoClodoveoIs'im-
padroiù di Tolosa capitale del regno dei
visigoti, e spense con ciò la loro monarchia
iu Francia. Tolosa e i pae?i conquistati sui
goti, furono per circa 128 anni diretti da
duchi e da conti iu nome de' re francesi
successori di Clodoveo I, sino e inclusive
a Clotario II. 11 suo figlio Cariberto non
avendo avuto alcuna parte alla successio-
ne paterna, contro l'uso di quel tempo,
ottenne dal fratello primogenito Dago-
berto I con trattato degli ultimi d'aprile
63o, che altri anticipano al 628, il Tolo-
sano, il Quercy (che poi cede), l'Agenese,
il Poitou, il Perigord, e la Noverapopu-
lania ossia Guascogna. Pochi giorni dopo
Cariberto si recò ad Orleans per tenere
al fonte battesimale suo nipote Sigeber-
TOL 17
to II. Di là continuando il suo cammino,
si portò a prender possesso de'suoi nuo-
vi stati a Tolosa, ove fissò la sua residen-
za, e fece rivivere nella sua persona l'an-
tico titolode'redi Tolosa cheda circa 1 23
anni erasi spento colla monarchia visigo-
ta in Francia. Nella primavera 63 1 mar-
ciò a domar i guasconi ribellati alloro du-
ca Amand suo suocero, ma tornato vitto-
rioso a Tolosa mori nell'istessoanno, la-
sciando 3 figli della regiua Gisele , cioè
Childerico, Boggis e Bertrand. Childe-
rico fanciullo poco dopo mori per opera
di Dagoberto I, al dire di alcuni, il quale
riunì a'suoi stati il reguo di Tolosa. Ma
Amand in favore de'uipoti Boggis e Ber-
trand aizzò i popoli del suo ducato, e uel
636 estese le sue escursioni iu tutto l'an-
tico regno di Cariberto. Nel qual anno Da-
goberto I assediata Poitiers, in pena del-
la ribellione la fece smantellare, cosi ab-
battendo la fierezza de' guasconi. Questi
poi portatisi col duca Amand a Clichi da
Dagoberto I, lo piegarono a forza di som-
missioni; ed il duca fece col re un tratta-
to,che assicurò l'Aquitauia a Boggis a ti-
tolo di ducalo ereditario, riservandosi il
re la sovranità e un annuo tributo. Nel
63t dunque Boggis e Bertrand quali du-
chi ereditari di Tolosa e d'Aquitania en-
trarouo al possesso degli slati paterui,e
ne godettero col titolo di duchi di Tolo-
sa e d'Aquitania, a coudizione di fedeltà
e omaggio alla corona di Francia, e del
pagamento d'anuuale tributo. Questo fu
il i.°esempio dell'eredità de' feudi nella
monarchia francese, o piuttosto d'un ap-
pannaggio assegnato a'prineipi della fa-
miglia regia. 11 ducato d'Aquitania fuau-
mentato da molte altre terre considerabi-
li, e dal ducato di Guascogna ereditato
da'duchi dall'avo. Morì Boggis nel 688,
e gli successe il figlio Eude, al quale Li-
berto nato da Bertrand gli cede i propri
diritti per consagrarsi a Dio, morto dipoi
santamente vescovo di Liegi. Eudediven-
ne celebre per le guerre fatte a' maestri
di palazzo ed a' saraceni, e regnò da so-
VOL. LXXYK.
j 8 TOL
vrano su tuttala Linguadoca francese, ri-
conosciuto dal re Chilperico 11. Assedia-
ta 4a saraceni nel 721 Tolosa, Eude lo
fece levare e li tagliò a pezzi; tua nel 73 1
soggiacque col paese alle loro terribili stra-
gi, arrestate dal soccorso di Carlo Martello
che li disfece. Nel j35 Unaldo successe al
padre Eude, non lenza opposizione di Car*
lo Martello, che poi gli permise di tener
l'Aquitania con titolo di duca, in fede e
omaggio di lui e de'fìgli Carloinano e Pi-
pinoci quali poi Unnldo combattè. Aven-
do questi fatto cavar gli occhi al proprio
fratello Ballon, lacerato da'rioiorsi abdi-
cò la corona ducale, e si fece religioso nel
monastero dell'isola Re fondalo dal pa-
dre, lasciandoli ducato di Tolosa e Aqui-
tauia al figlio Wafria nel 7 45. Questi re-
gnò su tutta l'Aquitania e la Guascogna,
die asilo nel j5o a Grippone fratello di
Pipino, il quale nel 752 divenne re de'
francesi, e poi nel 760 gli mosse guerra,
indi perdonandolo per aver chiesto pace
e promesso giuramento di fedeltà. Lun-
gi di tener la parola, Wafria scorse l'Au-
tunnese col ferro e col fuoco. Il re per ven-
dicarsi fece 3 anni di desolante guerra ,
vincendo due volte il duca, che perì as-
sassinalo ai giugno 768 nelPerigord. Co-
sì finì l'ultimo duca ereditario di Tolosa
e Aquitauia, che discendeva dalla 1. "stir-
pe de're francesi, e l'Aquitania venne riu-
nita alla corona di Francia. Wafria lasciò
Lupo suo figlio,che pera ver nel 778 scon-
fitto il retroguardo di Carlo Magno, re-
duce dalla Spagna, il re lo f. ce impicca-
re: i suoi figli furono duchi di Guascogna.
Callo Magnoeresse in regno Tolosa e l'A-
quitania, e ne dichiarò re il figlio Lodo-
vico I il 7-Youel 781 di 3 anni, e condot-
tolo a Roma lo consagrò Papa Adriano I
in uno al fratello Pipino nel giorno di Pa-
squa. Da Roma in culla, com'eravi sialo
porta to.Lodovico I fu trasportato aTolosa
per prendere possesso de'suoi stali, di cui
era la città capitale. Il suo ingresso fu più
spleudidodi quanto sembrava permetter*
lo la sua età. Gli si fecero per tal ceremo-
TOL
nia armi e vestili militari proporzionati
alla statura; Io si pose alla meglio a ca-
vallo , e con questo apparalo ricevè l'o-
maggio de'grandi e del popolo. Tosto che
fu inistatodi governare volle impone col
la magnificenza, però accortosi che il lus-
so era oneroso a'popoli si riformò da se
slesso, e colla economia potè mantenere
una corte brillante. Fece guerra con suc-
cesso a' saraceni di Spagna, e per morte
del padre nelT 8 1 4 fu elevato all' impe-
ro e spedì il proprio figlio Pipino I a To-
losa perle sue veci qual re d'Aquitania,
riconosciuto poi per tale nell'8 1 7. A Pi-
pino I successe nel regno il figlio Pipino
II nell'839 assai giovane, per acclamazio-
ne d'alcuni signori, nel timore che l'avo
imperatore volesse investirne il figlio Car-
lo il Calvo, come realmente fece nel-
l'assemblea di Chalons: chi ricusò il giu-
ramento di fedeltà fu punito con supplizi,
indi l'imperatore inviato il figlio a Poi-
liers, passò a combattere i malcontenti a-
quitani. Morto Lodovico I uell'84o si ri-
destò il partilo di Pipino II, ma venne fu-
ga lo da Carlo a Bourges. Questi a' 1 3 mag-
gio 843 pose l'assedio dinanzi Tolosa, che
poi levò a'ao giugno per recarsi a Ver-
dun a conferire co'fralelli Lotario I e Lo-
dovico II; abboccamento il cui esito riu-
scì falalea Pipinoli, che si vide spogliato
dopo a ver combat tutu a favore di Lotariol.
Egli non si perde di coraggio e si preparò a
vigorosa difesa.TornatoCarlo I' 11 maggio
844 a ripigliar l'assedio di Tolosa, fu da
Pipino II costretto a ritirarsi sulla fine di
giugno. Nell'845 seguì tra loro un trat-
tato, col quale Carlo cede al nipote Pi-
pino II tutta l'Aquitania, tranne il Poi-
tou, il Saiutong e l'Angumese, riserban-
dosi per altro la signoria feudale sul ri-
manente. Divenuto Pipino II padrone del
regno, l'Aquitania, fu divisa in due ducali
o governi, l'uno sotto il suo dominio, l'al-
tro sotto quello di Carlo. Malcontenti i po-
poli de\miuistri di Pipino II, invitarono
uell'848 Carlo a governarli, ed egli feee»i
coronare a Limoges re d' Aquitauia. Nel
TO L
seguente anno s'impadronì di Tolosa e poi
della Seltimauia. Gli aquilani leggeri e
incostanti si annoiarono ben presto di Car-
lo il Calvo, e Pipino II ricomparve dopo
la sua partenza, e nell'Soo di nuovo fu ac-
clamato re. Per guarentirsi dallo ziochia-
mi) i normanni, che presa Tolosa la sac-
cheggiarono. Nello stesso tempo si alleò
co' saraceni di Spagna, che sbarcati sulle
spiaggie della Seltimania la devastarono.
Per tutto questo nell'852 Pipino II nuo-
vamente venneahbandonato, l'Aquilania
rientrando nell'ubbidienza diCai lo,il qua-
le fece prender l'abito monastico al nipo-
te. Gli aquitani sempre inclinevoli alla ri-
volta, chiesero nell'853 a Luigi il Tede-
sco i .° re di Germania il suo primogenito
Luigi per loro sovrano, a che avendo il
padre annuito/il giovaneLuigi si recò l'an-
no dopo a ricevere la corona d'Aquitania;
ma tragittata appena la Loira svanirono
le sue speranze. Poiché Pipino II annoiato
del suo monastero ne uscì, mentre il fra-
tello Carlo rilegato in quello di Corbeia fe-
ce altrettanto; raggiuntisi si recarono in
Aquitauia, ove furouo riveduti da'popoli
con gioia, e fu decretata un'altra volta a
Pipino li la sovranità. Carlo il Calvo ac-
corse per salvare il regno alla monarchia,
ma senza successo; nondimeno uell'855
gli aquitani tornali alla sua ubbidienza
gli domandarono e ottennero per re il fi-
glio Carlo, il quale inaugurato nella metà
di ottobre, cominciò il suo regno con ri-
portare nel Poitou compita vittoria sui
normanni. Ma gli aquilani malgrado sì
glorioso successo, si ribellarono e fecero
tornare Pipino II. Abbandonarono poi an-
cora una volta questo principe, e depu-
tarono a Luigi di Germania per ottenere
la sua protezione. Andata a vuoto tal pra-
tica, npigliarono le parti di Carlo il Cal-
vo per ridomandai gli suo figlio. Appena
tornalo il giovane Carlo, fu soverchiato
da Pipino 11, e tra loro per 7 anni durò
la guerra con vario successo. Finalmente
nell'86 j Pipino II ingannalo da Piainulfo
coute di Poitou e duca d'Aquitania, fu pi e-
TOL .9
so e consegnato aCarlo il Calvo.e pare mo-
risse prigione. La confusione che produs-
sero in Aquitauia le controversie Ira Car-
lo il Calvo e Pipino II, ridusse il regno
a una specie d'anarchia, in guisa che non
riconoscendo alcun sovrano, molti segna-
vano gli atti dagli anni posteriori alla mor-
te di Lodovico I. Ma Carlo languente pe'
colpi ricevuti nel bosco di Guise, non co-
nosciuto, morì a'29 settembre 866. Nel
seguente il fratello Lodovico II il Ball/o
fu coronato re d'Aquitania, quindi nel-
P877 divenuto re di Francia per morie
del padre Carlo il Calvo, l'Aquitauia fu
riunita alla corona di Francia e confuso
il suo regno col resto della monarchia.
Sotto il re Carlo III il Semplice dell'892
principalmente, i duchi e i conli di Tolo-
sa e di Aquitania acquistarono ue'loro go-
verni maggiore autori là, e la spi userò lan-
t oltre che si resero finalmente quasi in-
dipendenti, ciascuno nella loro provincia,
usurpandone i diritti regali. Molti fra'ma-
gistratidelle città, subalterne si arrogaro-
no eziandio a tempo di Carlo II I il Sem-
plice il supremo potere, e crebbe così il
numero de'conti, che solevano a'gover-
natori divenuti conti di Tolosa prestare
omaggio, comechè questi ormai resisi in-
dipendenti da'redi Francia. Dissi cheCar
lo Magno nel ristabilire il regno d'Aqui-
tania nel 778 a favore del figlio Lodo-
vico I,che bambino essendo iucapace di
reggere il reguo, fu dal padre provveduto
con l' istituire conli o governatori nella
maggior parte delle città ; ciò che diede
occasione ad alcuni moderni di riferire a
quest'epoca lo stabilimento de'conti e di
attribuirne l'istituzione a Carlo Migno ;
ma V Arie di verificare le date, che ri-
porta tanto la cronologia storica de' rife-
riti re francesi di Tolosa ed Aquitania ,
come de'conti o duchi di Tolosa, che va-
do a riprodurre, avverte che l'istituzione
de' Conli è di molto più antica. Nel co-
dice Teodosiano in fittisi fa menziouede'
couti cheaveauo 1' amministrazione del-
le proviucie. Si potrebbe far rimontar l'o-
20 TO L
rigine de'conli fmoad Augusto. Sotto Co-
stantino I il Grande questo titolo diven-
ne più comune e fu dato allora ■'princi-
pali ufficiali dell'impero: l'uso se n'era pu-
re introdotto presso le nazioni bai bare. I
conti e duchi stabiliti da CarloMagno non
furonodimqueunanuovaistituzione.Tra
questi conti quelli di Tolosa furono i soli
che presero il titolo di duchi. Essi chia-
mavansi indifferentemente conti o duchi,
perchè Tolosa era contea e ducato ad uu
tempo. Si chiamava conte quello che a-
vea il governo d'una sola città, o d'una
diocesi soltanto; e duca quello che gover-
nava più città, più diocesi, od una pro-
vincia. Il i.°duca beneficiario di Tolosa
fu Chorson o Torsin, nominalo nel 778
conte o duca di Tolosa da Carlo Maglio.
Egli marciò nel 787 contro Adalrico fi-
glio di Lupo duca de'guascooi, che avea
disfatta la retroguardia di Carlo Magno
nella vallata di Roncevaux; ma fu preso
da Addii ico che gli fece acquistare la sua
libertà a condizioni vergognose. L' anno
790 Chorson fu destituito dal suo gover-
no in castigo della sua viltà, per giudizio
d'una dieta che Carlo Magno fece tenere
a Worms. Nel 790 stesso s. Guglielmo I
divenne duca di Tolosa, e si rese celebre
per le sue grandi prerogative civili, mili-
tari e cristiane, fu eletto duca di Tolosa
e Aquitania nella detta dieta, qual figlio
di Teodorico e di Aldane. 11 padre avea
comandatogli eserciti sotto Pipino e Car-
lo Magno sino a quest'epoca, era prossi-
mo loro congiunto qual pronipote di Chil-
tlebraudo per partedell'avo paterno Teo-
doino conte di Vienna e d'Autun, quel
desso che nel 753 incaricato da Pipino
d'opporsi a Grippone suo fratello che vo-
leva passare in Italia, gli die nella vallata
di Malmenile un combattimento in cui
perirono entrambi. Non degenerò Gugliel-
mo I dal valore de'suoi antenati, fece la
suai/ spedizione controi guasconi chea-
veano preso l'armi a favore del duca A-
dalrico, proscritto nella dieta di Worms,
e riuscì a pacificarli con abilità e valore.
TOL
Nel 793, dopo incredibili sforzi, fu vinto
da'saraceni tra Narbonn e Carcassona; in-
di nell'8o 1 indusse Lodovico I il l'io re
d'Aquitania a formar l'assedio di Barcel-
lona contro quegl'iufedeli, e si distinse in
tale spedizione ottenendo dopo 7 mesi la
dedizione della piazza. Avendo fondato il
monastero diGcIlone nella diocesi di Lo-
deve, detto s. Guglielmo del Deserto, neh
l'8o6 vi si ritirò, e vestito l'abito religio-
so morì santamente verso l'8 1 3, e per le
sue virtù fu posto nel catalogo de' santi,
canonizzato nel 1202 da Innocenzo 111.
Nell'8 1 o gli successe Raimondo detto Ra-
fìnel qual duca d'Aquitania. Nell'817 il
ducatodiTolosa divenne mollo meno rag-
guardevole per esserne sta te staccate laSet-
timania e la Marca di Spagna attesa la di-
visione fatta da Lodovico I de'suoi slati
tra'propri figli. Nell'8 1 8 trovasi Beren-
gario duca beneficiario di Tolosa, non me-
no illustre per saggezza e buona condot-
ta, che pe'suoi natali, discendendo da Ugo
contedi Tours prossimocongiunto di det-
to imperatore, il quale nell'832 lo nomi-
nò duca di Settimania e morì nell'835.
La Settimania o Gothia, parte della i."
Narbonese, che restò a' visigoti dopo che
i franchi gli ebbero spogliati della mag-
gior parte di loro conquiste nelle Gallie,
fu chiamata Settimania a motivo delle 7
principali città che la componevano, e Go-
thia dal nome della nazione che I' avea
conquistata, come già indicai con altre 0-
pinioni. Essa comprendeva tutta la Lin-
guadoca, ad eccezione dell'antiche dioce-
si di Tolosa e d'Alby, e di quelle di Usez
e di Viviers. 11 re di Francia Pipino do-
po averla conquistala verso il 760 l'unì
alla corona, e ne fu staccata poi dal figlio
Carlo Magno per far parte del regno d'A-
quitania da lui eretto nel 778. L'impera-
tore Lodovico I nell'817 l'incorporò al-
la Marca di Spagna, e fece delle due Pro-
vincie un ducato particolare, di cui Bar-
cellona fu la capitale. Dell'uno e dell'al-
tro di questi ultimi due stali, ora vado a
parlare! dicendo d'alcuni de'duchi e inai-
TOL
diesi ili Settimauia. Neil' 835 Bernardo
duca di Settimana, come figlio del defun-
to s. Guglielmo, gli successe al ducato di
Tolosa, morì nell'844 e dovrò riparlar-
ne nel riportare la serie de'duchi di Set-
timauia. In tale armo o neli'845 il figlio
Guglielmo II divenne duca e conte bene-
ficiario di Tolosa per disposizione di Pi-
pino li re d'Aquitania. Ne!l'85o arresta-
toio Barcellona, di cui erasi nell'848 im-
padronito coll'aiuto de' saraceni, qual reo
di lesa maestà fu messo a morte. JNeII'8 1 7
Lodovico I dopo d'aver diviso i suoi sta-
ti tra'3 figli, eresse in ducato la Seltima-
nia, ch'era nella porzione del primoge-
nito Lotario 1, e gli die peri. "duca Bera
di nascita visigoto, già conte di Barcello-
nadali'801, epoca in cui i francesi l'avea-
no tolta a'saraceni,ealla presenza di Car-
lo Magno in quell'assedio avea dato pio-
ve di valore. Nell'820 calunniato dal vi-
cino conte Sanila, per difetto di prove l'ac-
cusatore offri il duello, e Bera restato vin-
to , secondo i pregiudizi delle prove che
portava la convinzione del delitto, fu ri-
legato a Rouen: da lui poi in Linguado-
ca fu detto Bera per ingiuria quello che
mancava di fede al proprio sovrano. Nel-
l'85o Fredelone d'illustre discendenza,
comandava in Tolosa quando fu assedia-
ta per la 3." volta da Carlo il Calvo, cui
rese l'importatile piazza e ricevè in com-
penso la contea di Tolosa, alla quale era
unito il ducato d'Aquitania. Morendo nel-
1 8 J2 senza maschi, trasmise a Raimon-
do suo fratello la contea o ducato di To-
losa, colla contea di Rouergue. Le diguità
ereditarie aveano di già comincialo, co-
me rilevai, nell'impero di Lodovico l,ma
non furono interamente e legalmenlesta-
bilite che all'innalzameli tu al regno di U-
gp Capete. Innanzi di procedere colle no-
tizie di Raimondo e de'couti ereditari di
Tolosa, dirò prima de'duchi di Settima-
uia. Bernardo I già rammentato, figlio
di s. Guglielmo I duca di Tolosa, uell'820
tu sostituito a Bera qual duca beneficia-
rio di Selliuiauia. Egli segnalò il suo va-
TOL 2 1
iore e la sua prudenza uell'826 contro Ai -
zon che avea fatto sollevare la Marca di
Spagna. Fatto venire dall'imperatore Lo-
dovico I alla sua corte nell'828, lo dichia-
rò suoi.0 ministro, indi nell' 829 lo fece
suo cameriere o gran ciambellano e lo no-
minò aio di suo figlio Carlo il Calvo. Ber-
nardo entrò nel partito dell'imperatrice
Giulitta madre di tal principe pel suo sta-
bilimento, e determinò I' imperatore ad
assegnargli un regno a pregiudizio della
convenzione divisionale falla tra'figli del
1 .° letto. Questi malcontenti di tale dispo-
sizione tramarono una congiura contro
Bernardo, con molti signori dello stato,
accusandolo di tirannia e di criminosa cor-
rispondenza con l'imperatrice. Neil 83o
l'imperatore per dare qualche soddisfa-
zione a'congiurati, rimaudò Bernardo al
suo goveruOjil quale con giuramento volle
poi purgarsi nella dieta di Thionville, non
trovando chi volesse accettare il duello.
Però non essendo ripristinato nel favore,
si unì col re Pipino l contro gl'interessi
dell'imperatore suo padre. Questi consa-
pevole di sue procedure lo privò uell'832
de' suoi onori, e il ducato di Settiraania
fu dato al suddettoBerengario duca di To-
losa. Bernardo poi dichiarossi contro i fi-
gli ribelli di Lodovico I, e die opera pel
ristabilimento di questo principe deposto,
onde neh' 833 ricuperò il suo ducato di
Tolosa. Vedendosi alla testa di due gran-
di provincie , Tolosa e la Settimania, si
credè tutto permesso, usurpò i beni eccle-
siastici e oppresse i popoli. Carlo il Calvo
nell' 840 gli ritolse il ducato di Tolosa,
per l'intelligenze che avea con Pipino 11
re d'Aquitania, e uominò in sua vece \ Va-
ria signore borgognone. Bernardo ricon-
ciliato apparentemente con Carlo, marciò
nell'84.1 sotto i suoi vessilli alla battaglia
di Fonteuai, limitandosi alle parti di sem-
plice spettatore, mentre Warin col suo va-
lore fece volgere a favor di Carlo la vit-
toria. Non andò impunita la sua perfidia,
e nell' 844 arrestato Bernardo d'ordine
di Carlo, questi nel giugno lo fece morire
ii T O L
per delitto di fellonia: lasciò due figli, Gu-
glielmo li duca di Tolosa , e Bernardo.
CarloiI Calvo nell'844 ° prima della tra-
gica fine di Bernardo, die il governo della
Setlimania a Suni freddo, figlio del conte
d'Ausone nella AI a rea di Spagna, ch'era
conte diGironaed'Urgel,ed allora la Set-
timania prese titolo di marchesato. i\el-
P848 Aledrangovernatoredi Setlimania
difese la Marca ili Spagna contro Gugliel-
mo II conte di Tolosa unito a'saraceni ,
perdendo Barcellona e Ampurias ; però
Carlo il Calvo nell'85o lo rimise in pos-
sessodiesse, perdendoBarcellona nell'852
per tradimento degli ebrei, che presa da'
saraceni Cu saccheggiata e. poi abbando-
nata. Nell'852 era marchese di Seltima-
nia Odalrico conte di Girona, e restò fe-
dele a Carlo il Calvo quando insorse l'A-
quilania. Per sua morie nell'857 fu mar-
chese Unfreddo della famiglia di s. Gu«
glielmo I conte di Besalu, che neh' 863
s'impadronì di Tolosa cacciandone il con-
te Raimondo, di che informato Carlo il
Calvo, privò dell'864 Unfreddo de'suoi
onori e lo proscrisse. Allora l'imperatole
divisela Setlimania in due governi, quello
di Settimauia propriamente detta, e l'altro
della Marca di Spagna e Barcellona. Per-
tanto la Setlimania fu data a Bernardo
Il e poi anche conte di Poitiers, e non-
dimeno ss unì in favore di Carlomano e
contro Carlo il Calvo, nou che contro il
figlio Lodovico II il Balbo. Scomunicato
dal concilio di Troyes per aver invaso il
Ber 17 e Bourges, nell'879 semD,'a punito
coll'ullimo supplizio, d'ordine di Lodo-
vico II e di Carlomano. Nel precedente
anno il re Lodovico II surrogò nel mar-
chesato Bernardo III detto Piantavello-
sa conte d'Auvergne, e si meritò la sua
confidenza pe'servigi importanti che gli
rese, onde iti morte lo nominò tutore del
suo primogènito; Lodovico 111, che si af
frettò di far coronare, insieme al fratello
Carlomano, per prevenire i disegni de'
malintenzionati. Di fa Iti quasi subito scop-
piarono le mire ambiziose del duca Boso-
T O L
ne, che da' vescovi di sua giurisdizione si
fece proclamare re di Provenza. Bosone
conferì a'suoi partigiani le contee del nuo-
vo regno, fra'quali Bernardo II già mar-
chese di Settimauia ebbela contea di Ma-
$on. Nell'880 sotto la sua condotta si po-
sero in marcia due re per discacciare il ti-
raniiOjCominciarono dal l'assediar la capi-
tale della contea, indi Vienna oppose lun-
ga resistenza, e combattendo sempre con-
tro Bosone vi perde la vita nel!' 886. 11
suo figlio Guglielmo il Pio ereditò il mar-
chesato di Seltirnaniae la contea d'Auver-
gne. Sposò Ingelberge figlia di Bosone re
di Provenza, da cui non ebbe prole, onde
dopo la sua morte a vvenulaa'6 lugliog 1 8,
la Setlimania passò alla casa di Tolosa,
de'cui conti ereditari vado a ragionare.
Nell'852 alla morte del summentova-
to Fredelone conte di Tolosa, successe il
fratello B-aimondo I, che prese il titolo di
ducajrinnì alle contee diTolosa ediRouer-
gue, quella di Quercy, facendole passare
alla sua posterità, che ne godè sino a ver-
so la fine del secolo XI 11. Da questo Rai-
mondo I discesero i conti ereditari di To-
losa, che possederono la maggior parie di
Linguadoca sinché fu riunita alla corona.
Nell'862 Raimondo l fondò l'abbazia di
Vabres in Rouergue, e ne vestì l'abito col
nome di Benedetto il 4-° figlio Ariberto.
JNTell'863 Raimondo I fu caccialo da To-
losa da Unfreddo marchese di Setlimania,
ma vi rientrò nell' 864 dopo che questi
abbandonò la città. Raimondo I morì ver-
so Pasqua di tal anno o del seguente, suc-
cesso dal primogenito Bernardo con tutti
gli onori, intitolandosi conte, marchese e
duca; cioè conte di Tolosa perchè gover-
natore della città, marchese per l'autori-
tà che avea su porzione della 1 ."Narbone-
se, e duca per quella che esercitava sopra
parte dell'Aquilauia. Sidiceche morì nel-
ì'875 di malamorte, per avere usurpati i
beni dellechiese di Reims posti nell'Aqtii-
tania. Scrissero alcuni, e lo ricordai a Pe.v-
na e altrove, che nella pace traCarlo il Cal-
vo imperatori e re di Francia, e Bernur-
TOL
do conte di Tolosa, essi la sottoscrissero
colla penna intinta nel Sangue di Gesù
Cristo. Primamente conviene avvertire,
di non confondere questo Bernardo, come
fecero diversi moderni, con Bernardo II
marchese di Gothia o Settimania, né con
Bernardo conte d'Auvergnc figlio del du-
ca di Settimania, i quali erano contempo-
ranei, e si trovarono tutti e tre nell'868
alla dieta di Pitres presso Pont de l'Arche
nella diocesi di Rouen, convocata da Carlo
il Calvo. Se realmente ciò fu fatto, e se
propriamente anche cou altri ebhe luogo
rito si strano o come seguì, si può vedere
il voi. LXX1 V, p. 26 e 27. Su questo gra-
ve punto il Mondelli, poi vescovo di Ter-
racina, ci diede nelle sue Dissert. Eccle-
siastiche la Dissert. VII Sopra la de-
posizione e la scomunica di Pirro mo-
no udita, fatta e sottoscritta dal Ponte-
fice Teodoro I. al quale si attribuisce pu-
re di averlo praticato, e perciò venne con-
futato dal Mondelli, il quale a p.i 44 so5
iunge:'>Così la sottoscrizione di pace fat-
col Divin Sangue tra Carlo Cai vo,e Ber-
nardo conledi Tolosa, dal solo Ariberto
Odone ci viene riferita, e ne tacciono su
di ciò gli altri autori tutti, quantunque
delle geste de' re e de'loro costumi ne ab-
biano minute e diligenti memorie". A Ber-
nardo immediatamente successe il fratel-
lo Odone o Eude, che nell'878 unì alla
contea di Tolosa l'Albigese ed estese mol-
to la sua autorità nella provincia. L 1 1
settembre gio sottoscrisse la carta della
fondanone del celebre monastero di Citi-
gnyt data da Guglielmo il Pio duca d'A-
quitaiiia e marchese di Gothia, col quale
era intimamente legato. Morì assai vec-
chio verso il 9 1 9, lasciando della sua spo-
sa Garsiude figlia d' Ermeugardo coute
d'Alby due figli, Raimondo II ed Ermen-
gardo, che si divisero la sua eredità e for-
marono due linee, cioè de'conti di Tolosa
e de'conti di R.ouergue. I due fratelli go-
di-tono iu comune I' Albigese, il Quercy
i d marchesato di Gothia o Settimania,
clic dal defuulo Guglielmo il Accra pas-
TOL 23
sala in sorte alla casa di Tolosa di loro fa-
miglia. Raimondo li primogenito d'Odo-
ne , quando successe nella contea già ne
porta vai titoli, comechè dal padre associa-
lo al governo. Tanto esso che il fratello
non presero mai parte alla congiura for-
mata nel 922 contro Carlo III il Sempli'
cere di Francia, né all'elezione di Rober-
to I duca di Francia. Nel 923 Raimon-
do II segnalò il proprio valore contro i
normanni in un fatto d'armi dato loro con
Guglielmo II conte d'Auvergue che l'a-
vea chiamato in suo aiuto. Morì Raimon-
do II poco dopo tale spedizione e fors'au-
che nell'azione, lasciando nel 923 succes-
sore il figlio Raimondo Pons III. Questi
pure restò fedele a Carlo III il Semplice,
e finché visse questo re non volle mai ri-
conoscere Raul o Raolfo a re di Francia,
e neppur dopo per lungo tempo. Questo
avvenimento è una dell'epoche principali
del potere esteso che si attribuirono i con-
ti di Tolosa, da governatori divenendo so-
vrani assoluti e indipendenti del paese. Nel
92J Raimondo HI sconfisse gli ungheri
ch'erano entrati nella Provenza, e nel g32
riconobbe Raul a re di Francia,che dispo-
se a suo favore del ducato d'Aquitania e
della contea particolare d'Auvergne: pe-
rò dopo Raimondo III niuuo de'conti di
Tolosa si qualificò mai per duca d'Aquita-
nia. Morì verso il gio egli successe nel-
la coutea e uella più parte de'suoi posse-
dimenti sotto la tutela della madre il figlio
Guglielmo III Tagliaferro, mentre il fra-
tello Pons Raimondo ebbe l'Albigese, e fu
assassinato nel 989 dal figliastro. Nel 97 J
Guglielmo 111 fece cou Raimondo III con-
te di Rouergue un trattato di divisione dei
possessi di famiglia, col quale ciascuno tra
le altre cose si riservò la metà della con-
tea di Nimes, da ereditarsi da'loro discen-
denti ■. la porzione di questa contea che
toccò al coute di Tolosa fu detta la coutea
di Saint-Gilles per trovarsi compresa ivi
l'abbazia di tal nome posta sul Rodano.
Dalla moglie àrsiodc da Chartres ebbe
Rainioudo e Enrico, Costanza che sposò
24 T O L
Roberto II re di Francia (dopo il ripudio
di Berta stia cugina, per cui era stalo in-
terdetto il regno, strepitoso avvenimento
che toccai anche nel voi. LXII, p. 216),
ed Ermengarde maritala a Roberto I con-
te d'Au vergile. Verso il 990 Guglielmo
III sposò in seconde nozze Emma figlia
di Rolbold conte di Provenza, la quale
portò nella casa di Tolosa ciò che chiamos-
si in seguito marchesato di Provenza: do-
po questo matrimonio egli formò la sua
residenza ordinaria in Provenza. Il con-
te Guglielmo III, come tutti i grandi vas-
salli della corona, nominava avescovati e
abbazie poste sotto la sua giurisdizione,
ma non era scrupoloso sul modo , onde
offri il vescovato di Cahors per ragguarde-
vole somma. Sotto il suo governo succes-
se un singoiar avvenimento a Tolosa. Era
uso immemorabile di questa città, che tut-
ti gli anni il giorno di Pasqua si condu-
cesse nella cattedrale un ebreo, a cui si da-
va una guanciata in ricambio di quella
riportala dai Salvatore presso il gran sa-
cerdote. Trovatosi in tal giorno del 1 002
a Tolosa Aimeri visconte di Rochechovart,
ebbe l'onore di essere destinato a schiaf-
feggiare l'ebreo; ma lo fece con tanta for-
za e violenza da mandare in aria il cer-
vello e gli occhi dello sciagurato che cad-
de morto a'suoi piedi. In tal guisa un ze-
lo cieco degenera sovente in barbarie. Fi-
nì i suoi giorni Guglielmo III di go anni
neho3y, lasciando del 2.0 suo matrimo-
nio Pons che gli successe , e Bertrando
ch'ebbe in appannaggio porzione della
Provenza. Pons ereditò le contee di To-
losa,d'Albigese, diQuercy e di Saint-Gil-
les dal lato paterno, e dal materno una
porzione della Provenza. Possedeva inol-
tre come feudi di sua giurisdizione il ve-
scovato d'Alby e una parte di quello di
Nimes, e a questi titoli univa quello pure
di conte palatino. L'origine di questo de-
rivò dall'essere slato s. Guglielmo I con-
te di palazzo de're d'Aquitania, e perciò
i successoli lo furono ancora nella digni-
tà. Pons fu avido usurpatore de'beni ec-
TOL
clesiastici, e non solo impunemente, ma
anco in tranquillità di coscienza, come si
vede dall'assegnazione fatta del vescova-
to d'Alby nel io3y stesso a sua moglie IVI a-
jore per suo vedovile. Egli dispose pure
perdenarodel vescovato diPuy. Morì nel
1 060 e fu sepolto come suo padre nella
chiesa di s. Sernin, in una tomba di mar-
mo bianco; e nelle contee di Tolosa, d'Al-
bigeois e di Quercy gli successe il figlio
Guglielmo IV, principe virtuoso, che si
die principalmente a far fiorire ne'suoi sta-
ti la religione. Nel 1079 nella guerra con
Guglielmo VI conte di Poitiers lo scon-
fìsse davanti Bordeaux; ma questi por-
tatosi nel Tolosano saccheggiò in ricam-
bio il paese e ne prese la capitale, che fu
lostoda lui restituita. Perduti da Gugliel-
mo IV tutti i suoi figli maschi, e mancan-
dogli la speranza d'averne, nel 1088 chia-
mò alla successione il fratello Raimondo
IV detto di Saint-Gilles (perchè la ma-
dre gli avea ceduto la contea avuta pel
suo vedovile), a cui rinunziò o vendè la
contea di Tolosa con tutti gli altri suoi
possedimenti a pregiudizio dell'unica fi-
glia rimastagli, che maritata al duca d'A-
quitania, questi die il consenso per una
somma d'indennizzo. Partì poi nel 1092
per Terra Santa, ove morì l'anno dopo.
Le sue grandi liberalità verso le chiese,
i poveri e gli ospedali, il suo zelo per la
riforma del clero e le altre sue virtù, gli
fecero dare da alcuni autori il titolo di
Cristianissimo. Papa Urbano II gli scris-
se ringraziandolo della protezione da lui
accordata agli abbati di Rloissac e di Le-
zat, che ingiustamente voleansi cacciare
dalle loro sedi per sostituirne altri. Nel-
la stessa lettera il Papa gli accordò il per-
messo di far costruire un cimilerio a To-
losa presso la chiesa di Nostra Dama del-
la Daurade per lui e i suoi posteri, ordi-
nando al vescovo di benedirlo. La sepol-
tura de'conti di Tolosa che sino allora era
stata a s. Sernin, fu quindi trasferita al-
la Daurade. Raimondo IV già conle di
Roucrgue, di Niuies, di Saint Gilles e di
TO L
Narl)ona,tinìa'liloIi della casa de'conti di
Tolosa quello di duca di Narbona, ch'è
identico con quello di marchese di Golhia
o di Settimania, passato nella sua (fimi-
glia dopo la morte di Guglielmo il Pio
duca (ì'Aquitania,e the posseduto per lun-
ga pezza dalla linea cadetta di Rouergue,
fu riunito alla linea primogenita nella sua
persona e in quella di suo fratello. Rai-
mondo IV al suo avvenimento nel 1088
alla contea di Tolosa, eia già stato ma-
ritato due volte; nel 1 066 colla cugina fi-
glia di Bertrando I conte di Piovenza, la
quale gli portò i suoi diritti sulla metà di
quella contea, ma da cui Papa s. Grego-
rio VII voleva col mezzo delle censure si
separasse; e nel 1080 con Matilde figlia
di Roggero conte di Sicilia, che andò egli
slesso a trovare in quell' isola; sposò in
terze nozze nel ioq4 Elvira figlia natura-
le d' Alfonso VI re di Leon e Castiglia.
Nel 109 5 Raimondo IV maritò il primo-
genito Dei traodo con Elena figlia del du-
ca di Borgogna, ed inviò ambasciatoli al
concilio di Clermont, ove Urbano II avea
promulgato la guerra Crociata per libe-
rare la Terra Santa dagl'infedeli, per di-
chiarare ch'egli e molti de'cavatieri suoi
vassalli aveano presa la croce. Egli fu il
l."de'principi a prenderla, ed il suo esem-
pio ne trascinò seco lui molli altri; ma
ciò che lo distinse tra tutti fu il voto da
lui fatto e adempiutoci non tornar più
alla patria e d'impiegare i rimanenti suoi
giorni nel combattere gl'in fedeli ad espia-
zione desuoi peccati. ÌNel ioq6 Urbano II
onorò di sua presenza Tolosa, reduce da
Tour* a Saiules,e consagrò la celebre chie-
sa di s. StHMa (altri dicono nel 1097, ma
non pare), che avea rifabbricala s. Rai-
mondo canonico regolare del suo mona-
stero, e la dichiarò immediatamente sog-
getta alla s. Sede; quindi il Papa verso la
metà di luglio passò a Maguelone. Da To-
losa partì Raimondo IV sul fine d'otto-
bre di tal anno per Terra Santa alla testa
d'un esercito di 1 00,000 uomini, compo-
sto di goti, d'aquilani e di provenzali, ac-
TOL 25
compagnato da Elvira sua moglie, da un
loro fi gì io, e da Ademaro A vaiar de Mon-
teil vescovo di Puye legato pontificio per
la crociata. Valicate le Alpi entrò in Lom-
bardia, e pel Friuli e la Dalmazia giun-
se in Costantinopoli cogli altri capi ero-
cesignali. Raimondo IV fu" quasi il solo
che non ebbe la debolezza d'acconsentire
alla proposizione fatta loro dall'impera-
tore greco Alessio I, di rendergli antici-
patamente omaggio de'paesi che andava-
no a conquistare. Bensì giurò di nulla in-
traprendere contro la vita e l'onore del-
l'imperatore, sempre però ch'egli mante-
nesse a'crociati le fitte promesse. Sicco-
me il conte cogli altri avea promesso ad
Alessio I di dargli le piazze dell' impero
che log!iessero agl'infedeli, e non veueu-
do effettuato, da ciò derivarono le con-
troversie tra Raimondo IV , che voleva
osservare i patti, e Boemondo dopo la
presa d'Antiochia che questi ritenne per
se. Mentre Raimondo IV combatteva nel-
l'oriente per la causa comune, molto si ri-
sentirono di sua assenza negli stati d'occi-
dente. NelioQSGuglielmo il Vecchio con-
te di Poitiers iuvase il Tolosano e ne pre-
se la capitale il mese di luglio col pretesto
de'diritti che avea la moglie Filippa figlia
del conte Guglielmo IV. La nuova che di
questo avvenimento giunse a Raimondo
IV noi distolse dal suo proponimento, ma
continuò nel servigio a cui erasi consacra-
to, occupandosi unicamente degl'interessi
della crociata, in cui si distinse tanto van-
taggiosamente tra lutti i capi della spedi-
zione,ch'essi d'accordogli olfrirono il tro-
no di Gerusalemme dopoché questa cit-
tà fu presa. Ma egli ricusò generosamen-
te tale onore, non tanto per la sua decli-
nante età e per la perdita fatta d'un oc-
chio, quanto per modestia. Pel suo rifiu-
to e sull'indicazione da lui fitta, la coro-
na fu conferita a Goffredo di Buglione, il
quale mal corrispose a tale eroismo; giac-
ché mentre Raimondo IV erasi impadro-
nito nell' assalto di Gerusalemme della
torre di David e intendeva conservarla per
26 TOL TOL
.se, gli fu intimato dal nuovo re di con- liraio i io5 nel castello di Mont-Pelarin
segnarla a lui. Ebbe poi a provar altra da lui costruito vicino a Tripoli, dispo-
inoi tificazione per parte di Goffredo dopo nendo in favore del nipoteGuglielnio con-
ia battaglia il'Ascalona, vinta a' 1 2 agosto tedi Cerdagne delle piazze da lui conqui-
1099, quando gli abitanti della città al- state in Siria, cioè Arcbes, Giblet eTor-
tesa l'alta sua riputazione aveano prono- tosa. Il figlio Alfonso condotto in Francia
sto d'arrendersi a lui, ma il re vi si op- neh 107, da Guglielmo signore di Mont-
pose,amando piuttosto assediar la piazza, pellier, ebbe la contea di Rouergue. Rai-
Gli andò fallito il tentativo, né i crociali inondo IV fu sotto ogni aspetto uno dei
poterono mai più impadronirsi d'Ascalo- maggiori principi dell'età sua. Per la va-
na. Non minor motivo di lagno die a Rai- sta estensione de'suoi dominii potente, po-
mondol V, Boemondo, che dopo a ver con- leva contendere co'più grandi vassalli del-
quistato Laodicea durante l'assediod'Au- la corona e collo slesso re, il cui patrono-
tiocliin, Cavea rimessa all'imperatore gre- nio privato era di gran lunga meno este-
co. Boemondo nel 1 100 si recò ad asse- so. Bertrando suo figlio, dichiarato con-
diar quella piazza e l'espugnò malgrado gli le di Tolosa nel 1096, spogliato nel 1098
sforzi del conte contro si ingiusta intrapre- da Guglielmo IX duca d'Aquilania, e fi-
sa.Disgustalo di lai procedere,lasciò la Pa- nalmenle ristabilito nel 1 100, successe a
festina e si recò a Costantinopoli, ove di- suo padre neh io5. A di lui esempio sa-
molo per oltre un anno, godendo del più grifieando il proprio riposo e i suoi stati
aperto favore della corte imperiale. Nel nel servire alla religione contro gl'infede-
1 101 giunti più di 200,000 crociati da li , intraprese il viaggio di Palestina nel
diverse regioni alle porte di Costantino- marzo 1 109, e s'imbarcò coll'unico figlio
[ioli, chiesero all'imperatore un capo che d' 1 1 anni. La sua squadra composta di
li guidasse, e Alessio I die loro il conte di 4° vele con 100 cavalieri per vascello, fu
Tolosa con uno de'suoi generali di nome ingrossata per via da go legni tra geuo-
Zitas e 5oo lurcopoli o soldati nati da un vesi e pisani che a lui si unirono, ponen-
turco e da una greca. Tragittato il Bosfo- dosi sotto la sua protezione. Approdato
10 s'ingrossò la loro truppa, per la con- al porto d'Amiroth presso Costantinopoli,
giunzione di quella ch'era sotto il cornati- fu invitato da Alessio I a recarsi alla sua
«lo di Stefano conte di lìlois e di altri si- corte e ne partì assai contento, dopo aver
gnori; ma siffatta moltitudine, ribelle ai rinnovatoaqueU'ioiperatoreilgiuramen-
propri capi, fu da'lurchi distrutta alla spie- lo del padre. Giunto al porto d'Antiochia
ciolata. In una sola battaglia seguita nel- sbarcò e fu visitato da Tancredi, che per
l'agosto ne'deserti di Cappadocia ne pe- l'assente zio Boemondo reggeva quel prin-
rironoben 5o, 000. Raimondo 1 V che neh cipato. Non essendosi accordati, sia per la
l'azione avea fatto prodigi di valore, fug- parte d'Antiochia che spettava al padre,
gì a Costantinopoli^ ve provò amari ri ni- sia per riprendere Mamistra consegnala
proveri dalfimperatore.Neh i02imbar- dagli armeni a' greci, Bertrando partì e
calosi per tornare in Siria, fu arrestato a approdò finalmente al porto di Tortosa,
Tarso eimprigionaloda Tancredi suo ne- allora del conte di Cerdagne cogli altri
mico. Restituito in libertà per l'istanze dei conquisti paterni fatti in oriente. Invano
principi che lo presero per capo, s'impa- Bertrando invitò il parente a restituirgli
drouì di Ortosia 0 Tortosa in Siria, e si la sua eredità, poiché Raimondo IVal-
recò a far l'assedio di Tripoli. Nel i io3 l'usanza de' britanni a lui li avea lasciali
Elvira gli partorì un figlio, detto Alfon- come più atto a conservarci fruiti del suo
so Giordano perchè battezzato nel fiume valore, ludi si recò a riprendere l'assedio
omonimo. Morì Raimondo IV a'28 fi-b- di Tripoli, cominciato dal padre e couli-
TO L
■tanto dal conte di Cerdagne che poi l'a-
vrà abbandonato. Venuto in di lui soccor-
so Baldovino I redi Gerusalemme, ordi-
nò al conte e a Tancredi di raggiungerlo
e di riconciliarsi con Bertrando, e coopera-
rono a renderlo padrone di Tripoli, che
dopo 7 anni d'assedio o di blocco gli a-
prì le porte a' io giugno i i 09. Allora fu
conosciuto conte di Tripoli e sue dipeli-
denze,alle quali unì le terre restituitegli da
Cerdagne a mediazione del re. Servì poi
questo monarca in diverse spedizioni ,
quando morte immatura gli troncò la vita
a'22 aprile 1 1 12, lasciando colla vedova
che l'avea seguito il figlio Pons di 1 4 an-
ni, che succede soltanto agli slati paterni
d'oriente e alla contea di Tripoli, ch'era
uno de'4 principati eretti colà da'princi-
pi cristiani. Ivi fissò la sua dimora e tra-
smise questo possedimento a'suoi posteri,
lasciando in tal guisa godere ad Alfonso
Giordano suo zio paterno la contea di To-
losa e gli altri stati d'occidente. Pons si
rese famigerato per le sue gesta in Pale-
stina, ma nel 1 1 Z'j tradito da'siri fu pre-
so in un combattimento da lui dato sotto
il Mont-Pelarin al capo della milizia di
Damasco che lo fece perire crudelmente.
AlfonsoGiordano nel 1 1 I 2 successe al fra-
tello Bertrando ne'ducati di Nat bona e di
Tolosa, e nel marchesato di Provenza. Se-
dotto da' suoi istitutori (com'ebbe poscia
a confessare), sugli esordi del suo gover-
no, ristabilì nell'abbazieda lui dipenden-
ti gli abbati cavalieri aboliti da'predeces-
Sori, ujossi dal pregiudizio che li domina-
va contro la disciplina regolare. iNel 1 1 1 4
Alfonso fu spogliato della contea di To-
losa da Guglielmo il T'ccchiu conte di Poi-
liers e duca d' Aquila aia , che per la 2/
volta se n'impadronì. Si ritirò quindi in
Provenza, e impotente di far fronte al suo
competitore, gli lasciò godere l'usurpazio-
ne; ma Guglielmo dopo la morte della
moglie Filippa avendo abbandonato To-
losa neh 1 19, i tolosani scossero i! giogo
del suo dominio, nel quale anno fu a fo-
iosa e presiedè al concilio Papa Calisto
TOL 27
II, come poi narrerò. Però è rilevante di
qui rimarcare, che il Papa vi condannò
l'eresiarca Pietro de Bruys, caposetta dei
Petro-Brussiani {I .), poi bruciato in
Saint-Gilles; i quali eretici infestando par-
te di Provenza, si avanzarono sino a To-
losa, ove gii errori furono propagati dal-
l'apostata Enrico, icui partigiani ehiatna-
rousi Enriciani, diversi per altro da'con-
dannati nel concilio di Quedlìmburgo. Di
questi enriciaui di Tolosa, sebbene citati
altrove, non credei di faine articolo per-
chè l'eremita o monaco di Tolosa Enri-
co come discepolo di Pietro de Bruys in-
segnò gli stessi suoi errori, a'qua li aggiun-
se ch'era un burlarsi di Dio il cantar l'uf-
fizio della Chiesa. Enrico fu convinto nel-
la Linguadoca dipoi da s. Bernardo nel
1 1 4-7» onde gli scrittori della sua vita ne
trattano. Queste dunque furono le prime
eresie che serpeggiarono nel folosano, le
qualisuccesse dall'altre che riferirò, furo-
no cagione di deplorabili e disastrose con-
seguenze per la contrada, e la causa pre-
cipua della rovina de'posseuli conti di To-
losa. I tolosani nel ino o sul principio
del 1 12 1 si dichiararono per Alfonso che
riguardavano quale legittimo principe ;
ma questi dovendo sostenere una guerra
in Provenza contro il conte di Barcellona
alleato del duca d'Aquitania, nominò go-
vernatore di Tolosa in sua assenza Ar-
naldo di Levezan vescovo di Beziers, e i
tolosani capitanati da questo prelato as-
sediarono nel 1 122 Guglielmo di .Mout-
maurel nel castello Narbottese di Tolosa,
ov'ei comaudavaa nome del duca, e lo co-
strinsero a sgombrare dalla piazza; indi
in corpo d'armata si recarono nel 1 1 23 a
liberare il conte Alfonso assediato in O-
range dal conte di Barcellona, e lo ricon-
dussero in trionfoa Tolosa. Nel in!) Al-
fonso die termine.mediante divisione fat-
ta a' 1 6 settembre, alla guerra vivissima
che avea per la contea di Provenza, con
Raimonda Berengario IH conte di Bar-
cellona (celebre per la saggezza del suo go-
verno, per pietà, generatila, e gesta con-
a8 TO L
tro i mori di Spagna ), il quale gli cede
la città «li Beaucaire colle sue dipenden-
ze, in uno alla metà d'Avignone e a quel-
la parte di Provenza che giace Ira rise-
ro eia Duratine il castellodi Valpergue.
Al conte di Barcellona fu data l'altra por-
zione d'Avignone, il ponte di Sorgues e
tutta la parte della Provenza che rade il
Mediterraneo: inoltre i due principi si fe-
cero reciprocamente eredi l'uno dell'al-
tro in mancanza di posterità. Con tal di-
visione dunque passarono ne'conti di To-
losa, col titolo di marchesato di Proven-
za, una gran partedelladioetsid'Avigno-
ne, il contado Venaissiuo (jpiccolo paese
di Francia fra la Provenza e il Delfi na-
to, la Duranza e il Rodano), colle diocesi
di Carpenti-asso sua capitale, Cavaillon e
\aison,e le diocesi d'Orange,Saint-Paub
trois-Chateaux, di Valenza e di Die. Nel
i i34 Raimondo Berengario III s'impa-
dronì diNaibona per morte del visconte
Aymeri 11, ma la restituì poi neh 1 43 al-
la sua primogenita Ermengarde.Nel i 1 4- '
mentre Alfonso era in Provenza reduce
da un pellegrinaggio al santuario di Com-
poslella, Luigi VII re di Francia entrò
ostilmente nella contea di Tolosa e ne as-
sediò la capitale, pe' diritti che avea la
moglie Eleonora qual nipote di Filippa;
ma i tolosani gli opposero vigorosa resi-
stenza, onde poi Alfonso testificò ad essi la
sua gratitudine accordando loro parecchi
privilegi. Neh i44 Alfonso fondò la cit-
tà di Moutauban; neh i46 prese la cro-
cecon altri principi nell'assemblea di Ve-
zelai convocata da Luigi VII, e nell'ago-
sto 1 147 s'imbarcò sopra una flotta fat-
ta da lui equipaggiare ove poi fu costrui-
to il porto d' Aigues-Mortes. Giunto a
Costantinopoli vi passò l'inverno, e nel-
la primavera i i48 approdò al porto di
Tolemaide e morì poco dopo neh' apri-
le pel veleno che gli die nella cena la pri-
ma sera che giunse a Cesarea, Melissen-
de regina di Gerusalemme, onde fu il 4-
conte di Tolosa morto in Terra Santa. La-
sciò tra gli altri, due figli, Uuimoudo V
TOL
che gli successe, e Alfonso II. Entrambi
si qualificarono egualmente per conti di
Tolosa, duchi di Narbona e marchesi di
Provenza, dignità che possederono in co-
mune cogli altri loro domestici possedi-
menti: pare però che Raimondo Vsi ri-
servasse l'autorità principale. La sua or-
dinaria residenza fu a Tolosa nella parte
occidentale de'suoi domimi, mentre Al-
fonso II si stabilì nell'orientale e ne'din-
torni del Rodano. Così voleva l'estensio-
ne de'loro stati perchè potessero reggerli
più facilmente, giacché essi comprende-
vano, come ho detto, oltre il dominio di-
retto e utile di tulli i paesi rinchiusi nel-
la provincia ecclesiastica di Tolosa, i.° le
contee particolari d'Albigese, di Quercye
di Rouergue, colla signoria feudale di Car-
cassez e del Razes; 2.° il ducalo di Nar-
bona; 3.° le contee particolari di Lingua-
doca, tra cui quelle di Narbona, di Nimes
e di Saint-Gilles; 4-° il marchesato di Pro-
venza che dominava su tutta la regione
situata tra il Rodano, l'Isero, l'Alpi e la
Duranza. Nel i 1 53 Raimondo V dichia-
rò guerra a Raimondo Trencavel viscon-
te di Carcassona, per aver riconosciuto a
pregiudizio di lui la signoria feudale del
conte di Barcellona, e presolo in battaglia
lo fece trar prigione a Tolosa. Nel 1 154
egli sposò Costanza sorella del re Luigi
Vii, la quale comechè vedova d'Eusta-
chio conte di Boulogne e figlio di Stefa-
no re d'Inghiltera, ch'era slato coronato
re d'Inghilterra vivente il padre, portò il
titolo di regina. Nel i i5g Enrico II re
d'Inghilterra ridomandò a Raimondo V
la contea di Tolosa, sullo stesso principio,
perquanto sembra, concili Luigi VII l'u-
vea rivendicata nel i i \.i . cioè a dire in
nome della moglie Eleonora quale nipo-
te di Guglielmo IV conte di Tolosa dal
lato di sua madre Filippa, unica figlia di
quel principe, il quale ad essa unica erede
preferì il proprio fratello Raimondo IV;
il che avendo ricusato il conte, si accinse
il re a farsi giustizia colla via dell'armi, a-
iulalo da diversi alleali, fra'quali il conte di
TOL
Barcellona e il signorediMontpellier.Tut-
to cedette innanzi il formidabile esercito
d'Enrico II sino alle porte di Tolosa fatta
da lui investire. Luigi VII. i cui interessi
aveano mutato d'aspetto dopo il suo di-
vorzio con Eleonora, corse in aiuto di Rai-
mondo V di lui vassallo e cognato, ruppe
l'armata nemica e si trovò in Tolosa pri-
ma che gl'inglesi avessero saputo ch'egli
armavate fatta eseguire una di versionesul-
la Normandia, obbligò il re d'Inghilterra
ad abbandonar l'impresa, levando l'asse-
dio di Tolosa, ma prese nel ritirarsi Ca-
liors con diversi castelli della contea di To-
losa, lasciando a Tommaso Becquet suo
cancelliere la cura di continuar la guerra,
indi segui la pace. Ricominciata nel i i 64
la guerra, ebbe termine con altra pace nel
1169. Intanto Raimondo V sedotto nel
1 165 dall'imperatore Federico I, perse-
cutore della Chiesa e di Papa Alessandro
III, per seguire lo scismatico partito del-
l'antipapa Pasquale III, ordinò a tutti gli
ecclesiastici di riconoscerlo o altrimenti di
uscire da' suoi stati. Alessandro III dopo
avere inutilmente tentato di riguadagnar-
lo, gettò l'iutei detto sulle sue terre, la cui
grave pena ecclesiastica sussisteva ancora
neh i68,come prova la lettera de' in mar-
zo di quel Papa a'tolosani, colla quale li
assolse a istanza del redi Francia che non
avea presa parte alloscisma. Raimoudo V
trattava assai male la sua sposa Costanza,
la quale stanca del suo procedere lo ab-
bandonò ueli i6j e si ritirò alla corte del
re fratello: il conte la ripudiò nel 1 1 66 per
sposare Richilde vedova del conledi Pro-
venza. Tanto il divorzio, che le nuove noz-
ze furono appio va teda d'antipapa Pasqua-
le III, di cui continuava a seguir le parti.
Nel 1173 il conte si pacificò col re d'Inghil-
terra, il quale gli guarentì la proprietà del-
la contea di Tolosa, a condizione di rico-
uusceilo, come duca d'Aquitania, per suo
signore feudale, salva peiò la fedeltà da
lui dovuta a Luigi VII redi Francia: ma
questo vassallaggio non ebhe lunga dura-
ta. Kcln 74 Raimoudo V abbandonò il
%0 L 29
partito dell'antipapa Calisto IH, successo-
re di Pasquale 1 1 1. per rientrare sotto l'ub-
bidienza d'Alessandro I Il.il quale procurò
invano d'indurlo a ripigliarsi Costanza. Ai
18 febbraio 1 176 il conte con Alfonso II
re d'Aragona cou gran seguito di signori
si recarono all'isola di Gemica tra Beau-
caire e Tarascona, e fecero una convenzio-
ne, colla quale Raimoudo V cede al re i
suoi diritti sulla contea d'Arles o di Pro-
venza mercè lo sborso di 3oro marchi
d'argento. Questa riconciliazione fu cele-
brata con gran festa a Deaucaire,ovei più
licchi si distinsero con folli e rovinose spe-
se. Il cav. Bertrando R.ainibaud fece la-
vorale con 1 1 paia di bovi i cortili del ca-
stello perseininarvi 3o,ooosoldi. Gugliel-
mo Grosde Mirici, che avea in sua com-
pagnia 3oo cavalieri e ne avea 10,000 a
quella corte, fece cuocere tutte le vivan-
de colla vampa di candele e torcie. Rai-
mondo di Venoul per ostentazione fece
bruciar pubblicamente 3o de'suoi caval-
li. La prodigalità più. lodevole fu quella
di Raimoudo d'Agout, il quale ricevuti
100,000 soldi dal conte di Tolosa, li di-
stribuì in parte eguali a 100 cavalieri. L'e-
resia degli Albigcsi(ì ''.) col favore delle
guerre pressoché continue sostenute sino
allora dal conte di Tolosa, erasi di molto
estesa ne' suoi stati. Seguendo gli errori
àc Manichei e Valdesi (/'"•), con un am-
masso pernicioso di quelli d'altre ripro-
vevoli sette,furono scoperti inTolosa, don-
de cacciali si ricoverarono in Alby enei
suo territorio, i cui abitanti chiamandosi
albigesi, e nella più parte restandone in-
fetti, l'empia setta fu così denominata e
condannata nel concilio d'Alby del 1 176,
alla presenza di Raimondo V, e lo notai
pure nel voi. Ili, p.162. lu detto concilio
Alessandro 111 vi chiamò i più sapieuti tra
gli eresia rchi a veuiradesporreedifendere
le loro dottrine, ed essi l'esposero alia pre-
senza di molli baroni che gli accompagna*
vano; ma benché fissero chiarite erronee
e condannate da'vescovi e dagli alti i eccle-
siastici pieseuli, non lasciarono per que-
3o T O L
slo di vantarsi d'aver essi soli la chiave
del vero, mentre erano del tutto imbe\ li-
ti dell'empia eresia. Raimondo V deside-
rando d'estinguerla, scrisse nel settembre
i 177 al capitolo generale de' Ci s lercie usi
(inchiedendo missionari capaci di secon-
dale il suo zelo. Alessandro HI, al quale
pure erasi rivolto, spedi sul luogo per le-
gato il cardinal Pietro vescovo di Meaux,
forse della famiglia Dandini, il quale as-
sociatisi que'prelati che nominai nella bio-
grafia, in principio operò con buon succes-
so a far discredere i popoli sedotti delTo-
losanoe dell'Albigese. Ma comparsi in To-
losa il cardinale e l'abbate de'cistercien-
si, per la propensione degli abitanti agli
eretici, vennero accolti con motteggi e in-
sulti, anche pubblicamente. L'eresia quin-
di, anziché diminuire, crebbe sfrontata-
mente, e vieppiù si rese infesta acattolici
e alla Chiesa : i loro capi la predicavano
iti pubblico e ponevano in opera tutti i
modi per fare proseliti, i quali a loro si
davano trascinati dalla potenza d'una nuo-
va dottrina, che lasciava sbrigliate le loro
passioni, e dall'avversione loro verso la
Chiesa che l'infrenava. Alessandro III in-
darno commise al celebre Alano di Lilla,
il più dotto scrittore de'suoi tempi, di scri-
vere contro di loro. Costretto poco dopo
Raimondo V a l'imbrandire le armi con-
tro il re d'Aragona e contro Riccardo du-
ca d'Aquitania, gli eretici profittarono di
quelle turbolenze per spargere di nuovo
i loro errori, per cui il cardinale li fulmi-
nò con sentenza di scomunica. Indi nel
1179 Alessandro III nel concilio genera-
le di Lolerano ///condannò formalmen-
tegli eretici albigesi, che poi si divisero in
Catari, Gazavi, Palariui e Pubblicani
(T .)■ Papa Lucio 111 invano spedi a To-
losa il cardinal b. Enrico, che neavea ri-
cusato il vescovato, con una scorta d'ar-
mati per ottener colla forza quel che non
si poten ottener colle parole; invano con-
vocò egli nuove assemblee di signori tem-
perali e spirituali del paese; nulla poteva
arrestare i progressi dell'eresia, né rimuo-
T O L
vere il pericolo che alla Chiesa sovrastava;
egualmente infruttuosa fu la lega di pa-
recchi baroni con un vescovo, al fine di
opporsi vigorosamente a tanti fatali erro-
ri. Divisala vasta regione in piccole e gran-
di signorie, i settari trovavano facilmente
nitilu,protezionee talvolta aderimento al-
le loro dottrine fallaci, tranne gli stati del
conte di Montpellier. Nel 1 182 Raimondo
V,a istanza del re d'Inghilterra, portò soc-
corsi in Aquilania al duca Riccardo suo
figlio contro i suoi vassalli ribellati; ma
l'anno dopo disgustatosi collo stesso mo-
narca, die aiuto all'altro suo figlio Enrico
perchè gli facesse guerra. Nel 1 186 guer-
reggiò contro Riccardo, e nel 1 188 col-
legossi con diversi signori aquilani, onde
il duca entrato furiosamente nel Quercy
ridusse il conte agli estremi, il quale ri-
voltosi al re di Francia , questi dichiarò
guerra al duca e al re suo padre. Dopo
alcune ostilità Riccardo si riconciliò col
re di Francia, rimase padrone del Quer-
cy, e per impedire che il conte non glielo
ritogliesse, sordamente gl'istigò contro i
tolosani, onde il conte occupato in repri-
merli lasciò il duca in possesso del suo con-
quisto. Divenuto Riccardo re d'Inghilter-
ra, essendo assente e infermo il siniscalco
di Gn Jenna (che comprese quasi tutta l'A-
quitania, poi divisa ne'ducali di Gujeiiua
e Guascogna, ili.°diqua dalla Carotina,
il 2.0 di là da tal fiume), il conte formata
lega con parecchi signori del paese, die il
guasto alla Guascogna; guarito il siniscal-
co piombò alla sua volta sulla contea di
Tolosa, avanzandosi sino alle porte della
capitale. Mori Raimondo V nel 1 ig4, do-
po aver aumentalo i suoidominiicolla vis-
contea di Nimes, lasciando di Costanza
3 figli e una figlia, cioè Raimondo VI il
/ ecchto che gli successe in tutti i suoi pos-
sedimenti, Balduino, Alberico Tagliafer-
ro che sposò Beatrice Delfina di Vienna,
per cui si qualificò conte di Viennese e
d'Albon,e Adelaide moglie di Roggero li
conte di Carcassona. La corte di Raimon-
do V passò per una fra le più splendide
TOL
d'Europa; bellissime dame, briosi cavalie-
rini trovatori (de'fjitali riparlai aTEATRo)
10 celebravano, facendosi di tulio l'anno
una festa continua. Sebbene egli pose ogni
cura e severità contro gli eretici e chiamò
i cisterciensi per convertirli, vide con pe-
na che il figlio passò gran parte di sua
giovinezza in loro compagnia, onde nedi-
venne costante protettore, regalando 100
mai chi d'argento a quel cavaliere che a-
postatava, per meglio propagare la setta.
Raimondo VI a'6 gennaio r ig5 prese
possesso della città e contea di Tolosa, nel-
l'età di 38 anni. Egli era già stato mari-
tato 3 volle: con Ermessiude erede della
contea di Melgueil , con Beatrice di Re-
ziers che ripudiò per sposare Borgogna
figlia d'Amami o Amalrico re di Cipro,
alla quale fece lo stesso affronto. Egli l'a-
vea rapita a Marsiglia, ov'era stata con-
dotta per passare in Fiandra a sposare il
conte Baldovino IX. Duiava ancora la
guerra dichiarata al padre da Riccardore
d'Inghilterra,»)! qualesi pacificò nel i ig6
per avere rinunziato alle sue pretensio-
ni sulla contea di Tolosa e restituito il
Queicy; di più il re die al conte in isposa
la sorella Giovanna vedova di Guglielmo
11 re di Sicilia, assegnandole in dote l'A-
genese. Kel i 198 Raimondo VI si collegò
col cognato, contro Filippo li Angusto
re di Francia; perde la moglie Giovanna
e poi sposò Eleonora sorella di Pietro II
re d'Aragona, col quale nel 1 204 fece un
trattato., cioè ricevè le viscontee di Mil-
haud e Gevaudau in cauzione di 3ooo
marchi d'argento. In principio del regno
Raimondo VI dissimulò la sua grande in-
clinazione all'eresia, ma la sua divozio-
ne alla Chiesa fu sempre dubbiosissima; le
violenze commesse a danno dell'abbazia
di s. Gilies o Egidio, la prigionia fatta pa-
tire all'abbate di Montaubau, provoca-
rono su di lui la scomunica di Celestino
III, da cui fu assolto poi da Inoocenzo III.
Egli prezzolava cerretani e buffoni, per
porre in derisione i preti mentre uflìzia-
vano. Tolosa sotto di lui era divenuta or-
TOL 3 1
mai il principal ricetto dell'eiesia, poiché
le grandi franchigie che godeva la città più
contribuivano n render gli abitanti meno
ubbidienti a'decreti della Chiesa. Il conte
poidavaili. esempio d'irriverenza verso
il vescovo Foulques o Folco, si poca si-
curtà concedendogli, che ogni volta che
avea da visitar parrocchie era necessitato
a domandar una guardia al signore del
Iuogo,e dimorava nell'episcopiocomeuna
città nemica. Altri protettori d'eretici e-
rano Raimondo Ruggiero visconte di Re-
ziers e signore di Carcassona; Gastone VI
visconte di Rearn; Rernardo lVcoutedi
Commi nges nemico de vescovi di Conse-
rans; Raimondo Ruggiero conte di Foix,
giurato nemico d'ogni difensordclla Chie-
sa ,e collegato operosissimo del con te d «To-
losa; finalmente Geroldo IV conte d'Ar-
magnaCjche dal padre avea ereditato l'o-
dio contro l'arcivescovo d'Auch, spoglia-
loredelle chiese e confiscatole desimi be-
ni. L'eresia trovò pure patrocinio in Ber-
linghieri arcivescovo di Narbona e vesco-
vo di Lerida, bastardo del conte di Rar-
cellona; indegno pastore, solo intento ad
a m massai- tesori,e a coni mettere enormez-
ze simoniache. Inoltre la propagazionedel-
l'eresia debbesi pure attribuire alla volu-
bile natura degli abitanti di que'p<iesi,ove
qual idra si distese; al dispregio de'grandi
inche tenevano gli ecclesiastici, agognan-
done le ricchezze; alla folla de'trovatori,
che frequentando le corti di Provenza, di
castello in castello rallegrando i signori e
. le brigate con narrare scandalose novelle
sui vescovi,sui frati. sulle monache,e scher-
zando sulle cose sagre; ed in generale la
vita licenziosa d'alcuni ecclesiastici, la tra-
scuranza degli uffizi divini, la noncuran-
za delle chiese che si lasciavano cadere e
poi convertite in fortezze. Continua va a fi-
re rapidi e lagrimevoli progressi in Lin-
guadoca l'eresia degli albigesi, a malgra-
do lo zelode'missionari ch'eransi recati a
combatterli. Papa Innocenzo IH[l *.) di
allo intendimento, per riparare alle fu-
neste conseguenze di tanto male, prese il
32 T O L
partito d'inviar legati sui luoghi con or-
dine eli reclamare il braccio secolare, per
sk-rminar coloro che non potessero colla
persuasione ricondursi alla vera fede, e
se i signori ricusassero il soccorso della
spada, dovessero scomunicarsi. Il conte
Raimondo YI, infetto d'eresia sino da fan-
ciullojSi oppose a lalespedieii(e,nè si credè
in obbligo di contribuire in certo modo
quasi alla distruzione di partede'suoi sud-
diti, perchè non rinunciavano all'errore.
Nondimeno le minacce de'pontificii legali
Rauleo Rodolfo, e s. Pietro diCastelnau o
Castelnuovo abbate cisterciense di Monte-
freddo oFontefredda, l'indussero nel 1 2o5
a promettere con giuramento di cacciare
da Tolosa e da'suoi domimi, pel mante-
nimento della purità della fede,gli eretici e
pei vicaci, onde evitare funestissime conse-
guenze politiche e religiose. L'infaticabile
Pietro di Castelnau trasferitosi al di là del
Rodano per riconciliare i discordi del pae-
se, riuscì nel 1207 a far tra essi conclu-
dere un trattato di pace, e ciò colla mi-
ra di unire le loro forze contro gli ereti-
ci; ma quando fu recato a Raimondo VI
il trattalo, quale pertinace protettoredeb
l'eresia, di costumi e azioni indegne, pie-
no di vizi e bestemmiatore, ricusò all'alto
di sottoscriverlo. Il zelante legato dopo a-
verlo inutilmente ammonitogli minacciò
le censure ecclesiastiche, e poi per la 2.°
volta lo scomunicò; quindi il Papa gra-
vemente gli scrisse, perchè si sottomet-
tesse; il conte lo finse e firmò la conven-
zione. Volendosi poi vendicare di Pietro,
ne ordinò a tradimento l'uccisione. A' 16
gennaio 1208 mentre Pietro dopo a ver ce-
lebralo la messa era per imbarcarsi sul
Rodano, fu assassinato crudelmente d'or-
dine di Raimondo Yl da due suoi vassalli
sconosciuti colla lancia tra le coste (e l'uc-
cisore riparò poi a Beaucaire per toglie-
re al suo signore la possibilità di punirlo,
e per sgravarlo da ogni sospetto dicom-
plicità). Rivolto Pietro lo sguardo al si-
cario, imitando Gesù Cristo e s. Stefano,
gli disse: Dio li perdoni, che io li perdo*
TOL
no, replicando più volte queste parole di
pietà e di pazienza eroica. Così trafitto,
dimenticò l'acerbità della ferita per la spe-
ranza delle cose celesti; ordinate le cose
della pace e della fede a'suoi compagni,
tra divote e continue orazioni , si addor-
mentò nel Signore coronalo del martirio.
In molti luoghi lo celebrai, fra'quali nel
vol.XXXVl, p. 43, dicendo pure del suo
culto, ed avvertendo che non devesi con-
fondere con s. l}ictro( 'V.) martiredell'in-
quisizione e domenicano; ma ad onta di
questo, ora mi avvidi che nel voi. XVI, p.
221, colonna i.*, essendosi sturbata la
stainpa,dopo la linea 3 5, precisamente do-
po la parola apostolico, fu ommesso: tritr
cidato nel 1 208 , diverso da s. Pietro da
Verona domenicano,anch'esso dipoi mar-
tirizzato (non però nel 1 25 1 come ivi è det-
to, ma nel 1252). 11 sagro suo corpo fu
deposto nel chiostro dell'abbazia di Saint-
Gilles; trasportato in chiesa dopo lungo
tempo fu trovato incorrotto, e dal suo cor-
po uscì mirabile fragranza. Indi fu og-
getto della tenera divozione de'fedeli, co-
me quello che avea predetto non poter
trionfare la causa di Cristo nella contra-
da, finché uno de'suoi predicatori non sa-
grificasse la vita per la sua fede, auguran-
dosi d'esser egli la [.'vittima del persecu-
tore. Ma neh 562 le sue reliquie furono
da'fanatici eretici ugonotti date in preda
alle fiamme. Deve notarsi, che Innocenzo
III non solo a'eisterciensi, ma anche a s.
Domenico e a'frati Predicatori (/^.) da
lui istituiti affidò la predicazione per la
conversione degli eretici; il Papa in To-
losa istituì ih.° tribunale della s. Inani-
zione (P-), vale a dire meglio e formal-
mente stabilì la preesistente inquisizione,
ed ivi dissi chi furono i primi inquisitori,
e che s. Domenicofu un portento cogl'in-
felici albigesi onde convertirli, essendo co-
sa contesa se fu veramente inquisitore, il
che rimarcai ancora nel voi. XVI,p. 22 r.
Udita Innocenzo 111 la barbara uccisio-
ne di s. Pietro di Castelnuovo, adirato di
giusto sdeguo per tale delitto, scrisse lei-
TO L
fere pressa n li ssi me a'vescovi, n'conti e a'
l>nroni della contrada e Francia meridio-
nale, esortandoli a prender l'armi contro
l'eretico e crudele Raimondo VI, a nuo-
vamentescomunicarlo, e ad impadronirsi
de'suoi stati; gli esorlò alla predicazione,
a fecondar con essa le sementi della fede,
a scomunicar eziandio tutti i complici del-
l'assassinio, a por l'interdetto in tutti i luo-
ghi ove si trovassero, a sciogliere i sudditi
del conte dal giuramento d' ubbidienza
verso di lui; chiunque professasse la cat-
tolica religione, poter non solo persegui-
tar la persona sua, ma eziandio impadro-
nirsi delle sue terre, tanto più all' uopo
di purgarle dall'eresia. Che se nondime-
no Raimondo VI consentisse a dar sod-
disfazione.dovessero eglino. per prima pro-
va del suo pentimento, esiger la cacciata
degli eretici da'suoi stati. Del medesimo
tenore Innocenzo III scrisse al re di Fran-
cia Filippo II Augusto, perchè sorgesse
qual soldato di Cristo e principe cristia-
nissimo in aiuto della Chiesa a combatte-
re con poderosa mano contro gli eretici
pe™iori ancora de'saraceui. Il eh. Ilur-
terche nella bella Storia d' LinocenzoIII,
fa pur quella degli albigesi del suo tempo
(ed io nella biografia di quel Papa in più.
luoghi lumeggiai quanto energicamente
fece per estirparli, cioè nel voi. XXXV,
e segnatamente a p. 273, ij5, 277, 280,
285, oltre gli altri luoghi qui citati ), e
quanto alla lettera del Papa al redi Fran-
cia, dice eh e noto il giudizio recato su di
essa, ma non tanto nota all'incontro è l'o-
pera del tollerante Beza ginevrino intito-
lata: De haereticis a magìslra tu civili pu-
niendis. Cosi pure, egli aggiunge, igno-
rasi da 'pia che Calvino suo maestro, nel
suo libro contro Servet, stabilisce questa
tesi: Jure gladii eoerecndos esse haere-
. Di più Innocenzo HI fece bandir la
crociata contro gli eretici albigesi; perciò
gran numero di signori e altri fedeli si
consagrarono a tale spedizione e guerra di
religione, anche per le indulgenze, privi-
legi ed esenzioni loro accordate. Ognuno
voi. LXXVII.
TO L 33
stimava di rendersi per sempre ricordevo-
le nella memoria degli uomini morendo
nella spedizione.! novelli croecsignati por-
tavano la croce rossa sul petto, per distin-
guersi da quelli di Terra Santa che l'avea-
no sulla spalla, e moltissimi oltre le armi
portavano un bordone a significare che
quella spedizione era un pellegrinaggio sa-
gro, gloriandosi di rendere questo servi-
gio alla fede cattolica. Qui noterò che poi
fu istituita in Tolosa una milizia cristia-
na o ordiue equestre per la difesa della fe-
de cattolica, sotto l'invocazione di s. Pie-
troMartire.di.<:. Domenico e di Gesù Cri-
sto (Tr.)> il quale in seguito variò secon-
do i luoghi nell'insegne e nel nome. Verso
il tempo stesso il Papa mandò istruzioni
a'nuovi legati da lui eletti in sostituzione
del martirizzato s. Pietro di Castelnuovo.
Erano essi i vescovi di Riez,di Conserans,
e l'abbate de' cisterciensi, a' quali si uni
Tedisioo Teodisio canonico di Genova, e
Milone protonotaro apostolico col titolo
di legato a Intere. Questi nel 1209 citò
Raimondo VI al suo tribunale e consiglio
in Valenza, ove per timore della crociata
contro di lui promulgata, accettò le con-
dizioni impostegli dal prelato, per otte-
nere l'assoluzione della mortedi s. Pietro
e de'suoi reali, dando per malleveria alla
s. Sede 8 castelli, 3 de'quali erano del con-
tado Venaissino. Tratto a Saint-Gilles, fu
obbligato a' 18 giugno presentarsi scal-
zo e con calzoni di tela nel vestibolo della
chiesa davanti un altare portatile o v'era
esposto il ss. Sagramento, la ss. Croce, le
reliquie de'santiegli Evangeli. Milonese-
guito da 3 arcivescovi eiq vescovi, std cor-
po di Cristo e sulle reliquie de' santi gli
fece rinnovare il giuramento d'ubbidire
agli ordini del Papa e de'legati sui 1 5 ar-
ticoli che gli aveano tratta addosso la sco-
munica. Poscia il legato postagli al collo
una stola l'introdusse nella chiesa percuo-
tendolo sulle spalle nudate con verghe,
indi gli die l'assoluzione in mezzo a una
folla immensa di popolo. Per cui mezzo
nudo dovè passare innanzi al sepolcro di
34 TO L
s. Pietro, e fu costretto fi fare riverenza a
colui morto che avea odiato vivo. A' 22
dello stesso mese il conte temendo d'es-
sere oppresso da'erociati, che si avanza-
vano ardenti d'entusiasmo religioso, prese
egli slesso la croce e si unì seco loro per
far guerra agli ostinati eretici alhigesi suoi
sudditi. Intanto il legato di Francia car-
dinal Bicchieri rivolse le sue cure agli al-
bigesi, al ravvedimento cle'quali si appli-
cò con 7 ahhati e 5 monaci cisterciensi,
uomini lutti per santità e dottrina chia-
rissimi; ma non giovando uè la dolcezza,
né la mansuetudine, né le soavi maniere,
si determinò il cardinale di raccogliere
un esercito di crociati sotto l' insegne del
prode conte Simone di Monfort, e nel de-
clinar di luglio espugnata Bezieis, disfe-
ce l'esercito eretico colla strage di 1 2,000
alhigesi, per la quale insigne vittoria ri-
mase la fazione eretica notabilmente in-
debolita. Altri dissero che nella presa d'as-
sallo di Bezieis furono passati a fil di spa-
da 10,000 nemici; altri con enorme esa-
gerazione dissero massacrale 3o,ooo per-
sone. Nel seguente agosto i crociati dopo
di essersi impadroniti di Carcassona e di
100 altre piazze, invocato il lume dello
Spirito santo, scelsero a capo supremo Si-
mone di Monfort, atteso il rifiuto del le-
gato abbate de'cislerciensi Arnaldo, e di-
cesi ancora del duca di Borgogna Otto-
ne, e de'conli di Nivers Pietro de Cour-
tenay,e di s. Paul cugino del re di Fran-
cia; ma il tuono imperioso che quel ge-
nerale prese col conte di Tolosa, e l'am-
bizione che trapelava nella sua condotta,
secondo alcuni, non tardarono a inimica r-
locon Raimondo VI. Non pareche quan-
do il conte di Monfort fu eletto genera-
lissimo de'crocesignatij i nominati non a-
vessero voluto accettare, tranne l'abbate
cisterciense Arnaldo. Temo che sia con-
fuso l'avvenuto alla presa di Carcassona,
nella quale il Monfort fece prodigi di
valore, come sempre. Espugnata la città,
l'abbate cisterciense, convocati i capi del-
l'esercito, gl'invito a eleggere fra loro un
TOL
cavalierea cui confidare il reggimento del
paese conquistato, e rivoltosi al duca di
Borgogna,e a'eonti di Nivers e di s. Paul,
tutti si rifiutarono; allora Arnaldo indus-
se Monfort ad accettare l'offerta virtute
obedicntiac,e trovò pronto aggradimento,
per cui fu gridatocontedi Beziersdi Car-
cassona, ed Innocenzo III gliene die l'in-
vestitura, serbando a se i diritti di domi-
nio supremo. Raimondo VI dopo la con-
quista di Carcassona lasciò l'esercito cro-
ciato, e desiderando di strettamente col-
legarsi con Simone di Monfort, patteggiò
le nozze della propria figlia con un figlio
di lui. Ma poco dopo d'essersi restituito a
Tolosa, i legati Arnaldo e Milone favoren-
do giustamente il conte di Monfort, il cori -
te di Tolosa si vide escluso dalla propria
capitale, e ottenuto poi il permesso d'en-
trarvi gli fu imposto di consegnare tutti
i tolosani sospetti d'eresia. Egli si ricusò,
protestando ohe sarebbe andato in Roma
a lagnarsi col Papa di tali ingiuste vessa-
zioni, e ricorso al re di Francia e all'im-
peratore. Del suo avviso furono i tolosani
e diversi signori, e dopo aver fatto testa-
mento a' 20 settembre Raimondo VI si
recò a Parigi per depositarlo negli archivi
di S.Dionigi; indi partì per Roma accom-
pagnato du'deputati della città diTolosa, e
da altri personaggi distinti che fecero con
lui causa comune. Quindi vennero citati
dall'abbate cisterciense i consoli e abitanti
di Tolosa a scolparsi dell'accusa d'eresia,
e poi li scomunicò, sottomettendo la città
alla pena dell'interdetto. Intanto Simone
di Monfort, continuando contro gli ere-
tici le sue spedizioni, prese Mirepoix prin-
cipale rifugio degli eretici, Paraiers, Al-
bye altri luoghi. Innocenzo III lo felicitò
de'suoi conquisti, e gliene confermò il pos-
sesso con lettera dell'i 1 novembre. Giunse
a Roma Raimondo VI sul declinar di gen-
naio 12 io, e fu ammesso all'udienza del
Papa, che assicuratosi del suo pentimento
gli die l'assoluzione, e lo regalò d'un ric-
co manto e d'un prezioso anello. Da Ro-
ma passò alla corte dell'imperatore Ot-
TO L
Ione IV, già divenuto ingratamente ne-
mico della s. Sede che l'avea innalzato al-
l' impero, per implorare il suo soccorso
contro le vessazioni del contedi Monfort;
ritornato poi a Tolosa, restituita algrem-
bo della Chiesa, per concorrere alla guer-
ra contro gli eretici , indi passò a ritro-
var l'abbate de' cisterciensi e il generale
de'crociati, notificò lorogli ordini del lJa
pa per essere ammesso a giustificarsi de'
delitti a lui imputali. Malgrado le sue sol-
lecitudini, ed essendo divenuto peggio di
prima, dal vescovo di Riez e da maestro
Teodisio principalmente, severamente
non si volle permettergli di giustificarsi
presso il concilio di s. Gilles (/>.) tenu-
tosi verso la fine di settembre, intorno
all'accusa d'eresia e d'omicidio di s. Pie-
tro diCastelnuovo, come il tutto provato,
se prima non ubbidiva al Papa nel cac-
ciare gli eretici e nel togliere le gabelle;
il perchè fu di nuovo scomunicato, seu-
tenza confermata nella conferenza di Nar-
bona. La guerra venne sempre più acqui-
stando fierezza e crudeltà, com' è solito
di somiglianti discordie, in cui si combat-
te uomo contr'uomo in ogni luogo. Frat-
tanto i crociati progredendo ne'conquisti
in Linguadoca sui vassalli di Raimondo
VI, questi temendo pe'suoi possedimenti,
per rafforzare i suoi legami con Pietro II
re d'Aragona di lui cognato, die in isposa
al suo primogenito Raimondo di soli 1 4
«inni, Sancia sorella del re. Questo matri-
monio diede ombra al conte di Monfort,
dovendo sua figlia sposare il figlio del re
d'Aragona, allorché fosse giunto all'età
pubere. 11 rancore che covava Raimondo
VI contro Simone finalmente scoppiò nel-
l'uscirdelia io, con adunare vari nemici
dell'emulo per impadronirsi di lui; onde
quest'ultimo avvisatone l'accusò poi d'a-
vergli insidiato la vita. 1 legali d'intelli-
genza con Monfort adunarono nel r 1 1 i in
Arles un concilio, a cui furono chiamati
con invito il re e con citazioneilconte. Rai-
mondo VI per ricusare di sottoscrivere le
dure coudizioni volute per la sua assolti-
TO L 35
zione, fu scomunicato, e la sentenza venne
confermata da InuocenzoIH, ilquale non
bene informato ordinò a'Iegati d'impos-
sessarsi della contea di Melgueil appar-
tenente a s. Pietro, e di custodirla fino a
nuovo ordine; poiché pe'dintli di sovra-
nità che la santa Sede avea sulla contea,
già ne avea ricevuto omaggio dallo stes-
so Raimondo VI, e poi il vescovo di Ma-
guelone pagò per tal contado l'annuo cen-
so di 20 marchi alla romana chiesa. Al-
lora il conte di Tolosa vedendosi attac-
cato da'erociati, si pose co'confederati iu
istato di difesa. Il Monfort dopo essersi
impadronilo delle principali piazzeappar-
tenenti a Raimondo Rosero visconte di
Beziers e di Carcassona , principale fau-
tore degli eretici, dopo aver terminato il
memorando assedio di Lavaur nell'Albi-
gese, nido di eretici, colla presa della for-
tissima piazza e la strage degli abitanti,
rivolse le sue anni contro Raimondo VI,
essendo d'intelligenza col zelantee ottimo
vescovo di Tolosa Foulques. Questi avea
da qualche tempo, per opporsi all'eresia,
formato nella città una confraternita cro-
ciata colle ordinarie indulgenze, col no-
me di confraternita bianca. La borgata
dominata dagli eretici gli oppose la con-
fraternita nera, e vi ebbero tra esse san-
guinosi combattimenti. Avendo il vesco-
vo ordinato a 1 1 a i . a ci i marciare all'assedio
di Lavaur, vi si oppose il conte, ma non
fu ubbidito. Dipoi trovandosi il vescovo
imbarazzato per far la sua ordinazione nel
sabbato santo, poiché i legati aveano po-
sto l'interdetto a tutti i luoghi in cui si
trovasse Raimondo VI scomunicato,man-
dò a pregarlo d'uscire in giorno assegnato
dalla città sotto pretesto di far una pas-
seggiata. Il conte prendendo questa pre-
ghiera per un insulto, gl'intimo eh' egli
stesso uscisse immediatamente da'suoi sta -
ti, al che il prelato rispose: » Non fu già
altrimenti il conte che m'abbia fatto ve-
scovo. Io fui eletto secondo le leggi eo:le
siastiche, non intruso per violenza né per
di lui autorità, e quindi uon uscirò mai
3G TOL.
a motivo di lui". Fou'lqnes attese il conte
nella sua capitale per 3 settimane, poi ne
uscì volontario con giusto risentimento.
Intanto le anni di Montini facevano nel
Tolosano estesi progressi, ma ciò che più,
addolorò il conte fu il vedersi abbando-
nato dal fratello Ralduino, che unitosi
alla crociata gli fece guerra implacabile.
Marciando di conquista in conquista i cro-
cesignati, l'armata venne fìnalmentea pre-
sentarsi davanti a Tolosa. 11 vescovo che
l'accompagnava, dichiarò a'suoi tolosaui
veoiressi assediati unicamente perchè se-
guivano le parti del conte, e perchè tol-
leravano ch'egli dimorasse tra loro; che
nonsi farebbe ad essi alcun male, ove vo-
lessero cacciarlo co'suoi partitanti eretici,
e accogliere per signore quello che dareb-
be loro la Chiesa; altrimenti si trattereb-
bero da eretici e fautori d'eresia. Essen-
do state rigettate tali proposizioni, Foul-
ques ordinò al preposto di sua cattedrale
e a tulli gli ecclesiastici di Tolosa d'uscir
subilo di città. Tutto il clero ubbidì e u-
scì a piedi nudi col ss. Sagramento; ma
uè questore la scomunica che fu lanciata
su Ila città. non avvantaggiarono le cose del-
l'assedio. Venuti i conti di Foix, di Com-
mingesedi Forcalquier, altri fdutorid'e-
retici , a raggiungere Raimondo VI alla
testa de'loro vassalli, fecero con lui il 27
giugno una sortita così viva e micidiale,
che obbligarono 3 giorni dopoMonfort a
levar l'assedio. Nel successivo agosto Rai-
mondo VI rivendicò parecchi castelli, e sul
finir di settembre assediò Monfort in Ca-
stelnaudari.A malgrado la superiorità del
numero, la sua armata fu sconfitta e posta
in fuga dal valore de' crociati, ove pre-
tendesi vi a vesserò a combattere uno di lo-
ro 3o nemici, onde il comandante conte di
Foix svergognalo dovè ritirarsi con mol-
tissima perdita. I legati in virtù delle pie-
ne ficoltà di cui erano investiti, si cre-
derono autorizzati a Iraltare il conte di
Tolosa come loro da\a il capriccio per le
altrui informazioni: procedere che certa-
mente avrebbe disapprovato il Papa vii-
TOL
filosamente moderato.Non dee recare per-
ciò meraviglia se Raimondo VII, per le
violenze di Simone e de'legati, dimenti-
cando l'amorevole accoglienza fattagli da
Innocenzo III, cominciasse seriamente a
diffidar di lui, oltredichè in Roma non a-
vea ninno che lo difendesse. Il re di Fran-
cia che avea somministralo un esercito di
i5,ooo uomini, si lagnò amaramente per
lacessionedelleterrediRaimondo VI fatta
da'legati a Monfort, con lesione de'suoi di-
ritti come signore supremo. Tuttavolta
neh 2 12 la guerra continuò, e lo stesso
Luigi Vili fìgliodel redi Francia vivente
prese con parecchi cavalieri la croce: le
due parti stellerò continuamente sull'ar-
mi , e si dierono con alterna vicenda di
date e tocche sconfìtte agli assalti e alle
difese. Molte castella furono prese e ripre-
se, molte città espugnate 0 cedute. Mon-
fort sottomise però la proviucia d' Agen
e la maggior parte del Quercy; e da Ger-
mania ricevè nuovi rinforzi di crociati :
gli eretici ripararono in Tolosa e inMon-
tauban.Kel 12 i 3 lnnocenzolll mosso dal-
le preghiere di Pietro II re d'Aragona a
favore di Raimondo VI , sospese la cro-
ciala contro gli albigesi. Il concilio di La-
s'aur (V.) ricusò d'ammettere lo spergiu-
ro Raimondo Vìa giustificarsi, e di resti-
tuir le terre a'eonti di Foix e Comminges,
altri fanatici protettori degli empi eretici;
ed il re d'Aragona ne appellò al Papa in
favore del conte suo cognato, dimentican-
do i benefìzi ricevuti da Innocenzo III,
che peli.0 lo coronò re. Il re inviò i suoi
ambasciatori al Papa, supplicandolo d'as-
sicurar la contea a Raimondo VII, pro-
mettendo di tenerlo alla sua corte a stil-
largli le buone dottrine e di purgar da-
gli eretici tolta l'Aragona, intautochè il
padre Raimoudo VI profferiva^ d'espiar
i suoi falli combattendo i nemici di Cri-
sto, dove più egli volesse in Palestina o
in Ispagna. Innocenzo 111 uditi gli amba-
sciatori,si lagnò co'legntiedipiù conMon-
forl, rimproverandolo d'aver convertilo
l'armi contro gli eretici anche a danno dei
TO L
fedeli, versato sangue innocente e occu-
pato proviucie non infette d'eresia, di più
molestato i sudditi aragonesi, e dover fa-
re omaggio a Pietro II per l'investitura
di Carcassona. Tutto questo prova l'im-
parzialità e la giustizia d'I nnocenzoIII,non
ostante la soddisfazione che provava in
vedere estirpata l'eresia e per le testimo-
nianze che ricevea di rispetto e divozio-
ne di Montb/1 verso la Chiesa. Laonde se
questa lunga guerra fu piena di lagrime-
voli eccessi, non è a darne la colpa a In-
nocenzo III, il quale non potea aver l'oc-
chio in ogni parte, e per moltissime cose
dovea stare alle relazioni di persone che
non sempre corrispondevano alla sua con-
fidenza. Ma il concilio di Lavaur chiarì
bene in tutto il Papa, tanto contro il conte
Raimondo VI, che contro il re Pietro II
divenuto apostata, per cui Innocenzo III
dichiarò essere stato male informato dal
re; indi i vescovi pronunziarono la sco-
munica contro i conti fautori degli eretici
e il re loro capo. Si ripresero l'armi d'am-
bo le parti, ed il re co'tre conti assedia-
rono a' io settembre IMuret, piccola città
nella contea di Comminges. Simone di
Moufort corse in aiuto della piazza, e a' 12
si venue alle mani, dopo aver più volte
inutilmente tentato di pacificarsi col re,
e di venire ad un accordo. Il re d' Ara-
gona fu ucciso nell'azione, e gli altri capi
dell'armata, presi dallo spavento, abban-
donarono a'crociati il campo di battaglia,
avendo perduto circa 20,000 uomini,
mentre Simone non perde che un solo ca-
valiere e altri 8 crociati, considerati mar-
tiri della fede,comealtri crociali. Per quan-
to gli storici ligi agli eretici abbiano vo-
luto nascondere il mirabile ardore e zelo
religioso che animavano i crociatije la par-
ticolare evidente protezione divina, per la
quale riportarono prodigiose vittorie,non-
dimeno questo si apprende da altri scrit-
tori imparziali. Nel voi. XX.XV, p. 28/1.,
narrando la battaglia di Muret, rimarcai
la [lieta del conte di Monfort. Raimondo
VI prese il partito di ritirarsi alla corte
T O L 37
del cognato Giovanui re d' Inghilterra,
già scomunicato per lesueabbomiuevoli
iniquità da Innocenzo III, donde ripartì
nel 1 2 1 4- Al suo ritorno gli fu consegnato
il fratello Balduino, fatto da Monfort si-
gnore del Queicy, ch'era stato arrestato
a tradimento dal sigoore del castello d'Ol-
me, e Raimondo VI crudelmente lo con-
dannò a morte: il conte di Foix con suo
figlio Ruggero Bernardo, e Bernardo ili
Portelle ignominiosaraente facendo da
carnefici eseguirono essi stessi la senten-
za, eimpeseroBalduiuo a una noce. Non-
dimeno il fratello Raimoudo VI gli fece
poi dare onorata sepoltura a Ville Dieu
nella chiesa de'templari. Sempre più a-
vanzando le armi crociate, i conti di To-
losa, di Foix e di Comminges, ed altri
signori confederati, ridotti agli estremi,
chiesero grazia al legato cardinal Colle-
vaccino di Benevento, e si sottomisero a'
suoi ordini il 18 aprilei2i4; ma mentre
il cardinale trattava cou que'principi, sic-
come l'esperienza avea mostrato di nou
fidarsene,Simone radunò numeroso eser-
cito di crociati, e poi terminò l'occupa-
zione de'dominii del contedi Tolosa. Nel
geunaioi2i5 il concilio di Montpellier,
presieduto da detto cardinale, deliberò
sulla scelta di quello a cui dovea essere da-
ta la città di Tolosa, e le altre piazze con-
quistate da'erociati, e fu deciso che sareb-
bero date al conte di Monfort. Ma il car-
dinale giudicò ben fatto mandare a Ro-
ma per averne l'approvazione del Papa.
Bensì il cardinale spedì il vescovo Foul-
ques a prender possesso in nome della
Chiesa romana, di Tolosa e del castello
Narbouese che serviva al coute di palaz-
zo; furono consegnati la città e i castelli,
ed obbligati Raimondo VI, il figlio e le
contesse loro spose a ritirarsi in casa priva-
la. Innocenzo III considerando che lo sco-
municato e deposto Raimoudo VI conti-
nuava a favorire gli eretici, confermò il
decretato dal concilio di Montpellier sui
domimi da darsi al Monfort, purché l'ap-
provasse il coucilio generale che doyeasi
38 T OL
adunare a Roma. Perciò scrisse al Mon-
fort alFettuosamente,dicendogli aver me-
ritato la bt- riedizione della Chiesa e la co-
rona dell'onore, combattendo da soldato
degno di Cristo per la fede cattolici, ed
essersi fatto gloriosissimo per tutto il mon-
do.Onde alla guardia sua confidava il pae-
se conquistalo fino alla deliberazione del
concilio generale, e concedergli di usarne
l'entrate ed esercitarvi la suprema giuris-
dizione. La crociata di Luigi Vili fu del
tutto pacifica, perchè giunse quando era
finita ogni resistenza, e sottomesso tutto
il paese, ed in compagnia di Monfort fe-
cero il solenne ingresso in Tolosa. Si di-
ce che il vescovo Folco proponesse d'ap-
piccare il fuoco a'4 canti della città, onde
punirla de'danni recati all'armata catto-
lica. Mail Monfort di sentimenti più miti
fu di parere che solo si dovessero distrug-
gere le fortifìcazioni,edi porre nel castello
un forte presidio, e fu fatto. Intanto il con-
te di Tolosa, co'conti di Foix e di Com-
minges, si recò in Roma, ove lo raggiun-
se il figlio Raimondo VII, tutti mostran-
dosi disposti di rientrare nel grembo del-
la Chiesa. Nel novembre celebrandosi
il concilio generale di Luterano IV^ vi
furono condannati gli empi errori de-
gli et etici albigesi; si dichiarò che il me-
tropolitano potrebbe scomunicare il si-
gnore temporale che trascura di purgar
la sua terra dagli eretici, e se non lo fa-
rà, il Papa scioglierà dalgiuramentodi fe-
deltà i sudditi, ed esposta la terra alla con-
quista de'caltolici, annuendo a tal decreto
tutti gli ambasciatori de'sovrani interve-
nuti al concilio. Il concilio accordò acat-
tolici che prendevano la croce per ster-
minare gli eretici, l'indulgenza di quelli
che vanno a Terra Santa, e scomunicò i
fautori degli eretici. Raimondo VI col fi-
glio e i detti conti si presentarono al con-
cilio, inginocchiandosi a' piedi del Papa
che li fece alzare, ed esposero i loro re-
clami contro Monfort e contro il legato,
reclamando le terre di cui erano stati spo-
gliati. Il vescovo di Tolosa ne assunse ca-
TOL
lorosamente la difesa, dichiarando riboc-
care d'eretici gli stati del conte, e di aver
fatto trucidare 6000 soldati cattolici ne'
dintorni di Montjoire. In vece il contedi
Foix rimproverò il vescovo di aver sedot-
to tanta povera gente, e per colpa sua es-
sersi Tolosa presa e saccheggiata , colla
strage di 1 0,000 abitanti. Ritiratisi, il con-
cilio discutendo l'aliare, negò d'esaudire
Raimondo VI, per la ragione, disse il Pa-
pa, che la fede e la pace non aveano mai
potuto conservarsi ne'suoi paesi, sebbene
avea procurato di giovarlo, e di favorire
specialmente il figlio. Dichiaratosi escluso
Raimondo VI per sempre dalle sue terre,
e decaduto da ogni diritto di sovranità, as-
segnandogli per sostentamento 4°° mar-
chi, e questi finché non facesse resisten-
za. Inoltre fu lasciato alla contessa sua mo-
glie, in grazia di sue virtù, il godimento
de'suoi fondi dotali, a condizione di go-
vernar le sue terre secondochè avrebbe
ordinalo la Chiesa, per la conservazione
della pace e della fede. Al conte di Mon-
fort furono aggiudicatiToIosa e tutti i pae-
si conquistati da'crociati, salvi i diritti del-
la Chiesa e delle persone cattoliche; riser-
vando il rimanente al giovine Raimondo
V II, cioè tutto o in parte di quanto resta-
va a conquistare, secondochè ei meritasse
come fosse uscito di pupillo. II conte di
Foix restò sotto i! patrocinio della s. Sede,
onde poi Onorio III gli rese il suo castel-
lo.11 medesimo pare che siasi praticato col
contedi Comminges. Neh 2 1 6 Simone di
Monfort prese di nuovo possesso di To-
losa, ed a'7 marzo per se e suoi discen-
denti ricevè dagli abitanti il giuramento
di fedeltà: quanto egli fu lodato da Inno-
cenzo 111, quali titoli egli prese, oltreché
di conte di Tolosa per la grazia diDio,lo
notai nel voi. XXXV, p. 286 6287, in-
sieme all'investitura che ricevè dal re di
Francia delle provincie conquistate, per
consiglio del suo fratello Guido di Mon-
fort, per le contee di Narbona e di To-
losa, per le viscontee di Reziers e di Car-
cassoua, e così pure per gli altri feudi che
TOL
il conte Raimondo VI teneva dal re. Con
quest'ultimo atto Raimondo VI tolta si
vide ogni speranza di ricuperare i suoi sta-
li. Tuttavia Raimondo VI e suo figlio ri-
tornati nell'anno stesso da Roma, si accin-
sero a ricuperale i loro stati: furono ben
accolli a Marsiglia, entrarono in Avigno-
ne in mezzo alle replicate grida: Piva To-
losa, il conte Raimondo e suojìglio; e
poi vi assoldarono un'armata di cui prese
il comando Raimondo VII. Propriamen-
te il concilio avea solo conceduto a Simo-
ne quella parte degli stati di Raimondo
Vlcouquislata dall'armata cattolica, men-
tre l'altra situata sul Rodano, era stata
assegnata da Innocenzo III a! giovine Rai-
mondo VII, il quale approdato a Marsi-
glia e proseguendo il suo viaggio trovò gli
auimi bendisposti. Tarasconapuredichia-
rossi per lui, e parecchi signori si offrirò-
no aiutarlo alla ricupera dell'avito retag-
gio. Deliberatasi la guerra coutro Mori-
turi, unirono le loro iusegnea quelle del
conte varie città di Provenza e del conta-
do \ enaissino; e Raimondo VI si portò
in Aragona per chiedere aiuto di gente.
In questo mentre morì Innocenzo III a'16
luglio 1 2 1 6, e gli successe Onorio III. Fio-
che l'esercito cattolico non altro combattè
che pel ristabilimento della fede e l'estir-
pazione dell' eresia, egli corse di vittoria
in vittoria; ma poiché Simone ebbe com-
pita la conquista del paese e partitolo fra'
suoi , a se riservando la suprema signo-
ria.e mutato iu altro il primo iutento della
spedizione; e poiché i francesi, rotto il fre-
no alla cupidità, loro, attribuirono più al
loro valore che alla manifesta protezione
divina quelle vittorie, il Signore versò so-
pra di tulli il calice dell'ira sua. La de-
cisione del concilio Laterauense dispiac-
que alla maggior parte de'barooi france-
si, onde cessarono i rinforzi che l'armata
traeva da loro ogni anuo; per cui troppo
deboli si trovarono i nuovi signori delle
contrade conquistate, a tenere in dove-
re i mal domali abitanti. In questi si potè
comprimere ma uon ispeguere l'aulico al-
TOL 39
fetto pe'loro conti, e si riaccese più vivo
al primo comparir del giovine Raimon-
do VII dinanzi Beaucaire , sulla quale
Moufort non avea valevoli diritti. Simo-
ne fece di tutto per liberarla, ma in line
si trovò costretto a cederla con un trat-
tato al nemico. La guerra passò poi sulle
terre del conte di Foix; e nel 1 2 1 7 gli a-
bitaulidi Tolosa richiamarono il loro an-
tico signore, il quale fu accolto in questa
sua capitale a' 1 3 settembre con grandi di-
mostrazioni d'aliegrezza. Sulla fine di tal
mese Simone si recò ad assediarla col car-
dinal Bertrando SavelU leg ito e parente
del Papa, avendo il cardinale vietato sotto
pena di scomunica al re d'Aragona e suoi
alleati d'invadere ostilmente le terre di
Monfoit, come aveauo determinato di fa-
re. Però Simone iuvano strinse Tolosa
per 9 mesi, resistendo la città a lutti i rin-
forzi ebe gli giunsero di Francia, e con-
tro tutto lo sforzo della sua perizia di guer-
ra e dell'attività sua. Finché tutto essen-
do sollevato il paese intorno, e sempre più
facendosi rari gli aiuti, a*2D giugno 1 2 18
Simone fu colto a pie di Tolosa da una
pietra scagliata dalle baliste degli asse-
diati, e si gravemente ferito che appeua
potè raccomandar l'anima sua a Dio: lui
morto, il primogenito e successore Alme-
rico o Araaurijche avea sposato Beatri-
ce Delfina, levò l'assedio di Tolosa. Cosi
finì Simone signore del castello di Mou-
fort, piccola signoria situata sur un'emi-
nenza fra Chartrese Parigi, e conte di Lei-
cester , di stirpe antichissima più nobile
che ricca, imparentata colla casa di Fran-
cia e altre illustri, spleudido modello de'
cavalieri del suo tempo. Guerriero prode
di mano e di senno in guerra, tutto po-
spose alla fede e all' onore della Chiesa;
ma varcò spesso i confiui della giustizia,
spinto da eccessivo desiderio di far glan-
de b sua casa. Bello della persoua, vigi-
lante, prudente e audacissimo nelle bat-
taglie; probo, pio, affabile e destro iu o-
gui sorta di negozi; dualmente la pietà, lo
zelo per la fede, la castità de'suoi costu-
4o T O L
mi, compi vanoin lui quella perfezioneper
la quale la cavalleria rappresentava, per
cos'i dire, la Chiesa, nelle sue relazioni col
inondo. Affezionato al clero, lo rispetta-
vo, eseguendo fedelmente l'ultime pie di-
sposizioni de'sùoi parenti; fu generosocol-
l'ordine cisterciense, e con molti vescova-
ti della Francia meridionale, con donazio-
ni e restituzioni, uè pativa che i suoi vas-
salli usurpassero i diritti e le rendite del-
ie istituzioni religiose. Delle provincie da
lui conquistate formò diversi principati,
e per introdurre l'unità nelle parti, fece
stabilire nell'assemblea di Partner! ottimi
provvedimenti per rinnovar la pace e la
giustizia, distruggere l'eresia e rafferma-
re la libertà della Chiesa, di cui fu cam-
pione. Fra' contemporanei, chi lo esalta
come un martire, e chi meu parziale con-
danna la cupidità sua e altresì la sua in-
dulgenza per l'enormezze commesse dal-
l'armata cattolica co'roghi, colle forche,
colle mutilazioni, e con altri orrendi sup-
plizi co'quali punirono gli eretici. Questi
però operavano altrettanto e assai più
peggio, e facevano perire tra le loro orren-
de grida e bestemmie preti, frati e soldati
cattolici, i quali per evitare inauditi tor-
menti, non avean che eleggere fra l'apo-
stasia e il supplizio. Commisero atrocità
indescrivibili e in molte provincie porta-
rono la desolazione , tutto distruggendo
col ferro e col fuoco. 1 posteri ripongo-
no Simone di Monfort a ragione fra'più
illustri capitani che possa vantarla Fran-
cia. Suo figlio lo fece seppellire nella cat-
tedrale di Carcassona, donde più tardi fu
trasportato a riposar co'suoi nella badia
di Ilautes Bruyeres, situata lungi una le-
ga da Monforl-A Imeneo castello di sua
famiglia, dove fu sulla pietra che copri-
va il mausoleo scolpito colle mani giun-
te e cogli occhi rivolti all'aitar maggiore,
a ricordare a'nipoti i sentimenti più in-
timi e più sublimi di sua vita. Questo mo-
numento fu distrutto dalla rivoluzione.
Nella primavera del i a i<) i crociati sotto
la condotta d'Ama uri di Moufortasaedia-
TOL
rono Marmane). Nel corso di quella spe-
dizione il giovane Raimondo VII assistito
da'conli di Foix e di Comminges, attac-
cò presso Basiege a 3 leghe daTolosa un al-
tro corpo di crociati comandato da Fer-
rami e da Brigier strenui cavalieri, e nel-
la mischia con un colpo di lancia trapas-
sò il i.° e lo rovesciò, ponendo in disor-
dine i francesi. Ma il principe Luigi di
Francia, giunto davanti Marmami, riparò
quella sconfitta, con obbligar la piazza a
rendersi a discrezione; nondimeno non si
potè impedire che le truppe facessero man
bassa sugli abitanti. Indi fu assediata inu-
tilmente Tolosa, da Luigi di Francia ac-
compagnato dal cardinal Sa velli legato.
Continuando le molestie che gli eretici al-
bigesi recavano acattolici, facendosi bef-
fe e scherno della religione cattolica, con -
culcando e profanando le cose sagre, nel
1222 Papa Onorio 111 scrisse una lettera
a Filippo li Augusto re di Francia per
indurlo a frenarli; dicendogli che la po-
destà secolare è tenuta reprimere colla
spada materiale que' ribelli, che la spada
spirituale non può li trarre dalla malizia;
e che i principi della terra devono pur-
gare i lorodominii dagli uomini perversi e
rei, che se negligenti saranno costretti da
s. Chiesa. L'avvisò poi d'aver scomunica-
to Raimondo VI e il suo figlio, co' loro
fautori; e ad onta d'averli falli benigna-
mente ammonire, nou si emendavano e
perseveravano nella loro malvagità e con-
tumacia. Morì Raimondo VI di morte su-
bitanea e allacciato dalla scomunica, nel-
l'agosto 1222, dopo avere rivendicato i
suoi stati e trasmessi al figlio Raimondo
VII, il quale non potè inai ottenere pel
padre gli onori della sepoltura ecclesiasti-
ca. Gli storici della crociata contro gli al-
bigesi fecero di Raimondo VI un orribile
ritratto, ma sono tacciali di parzialità.
Raimondo VII detto il Giovine, essendo-
si distinto per parecchie gesta militari ,
strinse così vivamente Amauri diMonfort,
che fu costretto a' 1 4 ^linaio i 2?.4 ad un
trattato co' couti di Tolosa e di Foix , e
TOL
per la pace s'interpose Onorio inscriven-
done al re di Francia, e al suo legatocar-
dinal d' Urrach cisterciense. E siccome
Raimondo VII avea manifestamente ri-
preso la protezione degli eretici, il Papa
lo minacciò di privarlo della sua signo-
ria. Amauri abbandonò per sempre il pae-
se e si ritirò in Francia,cedendo al re Lui-
gi Vili la Linguadoca e tutti i suoi diritti
sui conquisti de'crociali, e in ricompensa fu
creato contestabile del regno. Nel secolo
seguente di sua famiglia fiori il cardinal
Raimondo di Monfòrte nato in Tolosa.
Raimondo VII non era peròdisposto a la-
sciarsi spogliare dal monarca suo signor
feudale, e continuò nel proteggere l'eresia.
JNel i 224 Onorio 111 sentendo con quan-
ta empietà gli albigesi contaminavano la
provincia di Narbona, con ogni diligen-
za procurò di commuovere il re di Fran-
cia contro il conte di Tolosa loro princi-
pale fautore, perché colle armi l'induces-
se a ravvedersi. Temendo il conte la po-
tenza del re, si consigliò con molti albi-
gesi di voler tornare all'ubbidienza della
chiesa romana, e vi fu ammesso co'suoi
a patto di restituire i beni tolti agli ec-
clesiastici, e di espellere gli eretici da'suoi
stali. Tosto però tornando a'suoi errori,
Luigi Vili s'incaricò della guerra in per-
sona contro il conte, quando fu pubblica-
to scomunicato e dichiaralo eretico dal
cardinal Bonaventura llomano legato, in
un'assemblea tenutasi a Parigi a'28 gen-
naio 1226. Quindi il re entrò ne'suoi sta-
ti cou possente esercito e s'impadronì di
tutte le città e castella di Linguadoca si-
no a 4 leghe da Tolosa. Morto il re 1*8
novembre, Raimondo VII si pose in cam-
pagna , restaurò le cose sue e sottomise
parecchie piazze, continuando la guerra.
Nel 1227 degnamente ascese la cattedra
apostolica Gregorio IX, mentre sedeva su 1
trono di Francia s. Luigi IX, e subito nel
suo zelo si occupò per sterminare la pe-
stilente eresia degli albigesi che danneg-
giava pure la Francia, onde scomunicò
due volte Raimondo VII e isuoi fautori,
TOL 4c
indi eccitò la pietà del re a contribuirvi
con eloquente lettera , rammentandogli
I' operato de'suoi padre e avo. La pietà
del giovine re corrispose alla pontificia
sollecitudine, e fece apparecchiare un for-
te esercitole intanto il cardinal Bonaven-
tura Romano iuviòa'tolosani Elia abba-
te di Granselva, invitandoli alla pace e a
tornar all'ubbidienza di s. Chiesa. I tolo-
sani vedendo il formidabile preparativo
di guerra che si faceva contro di loro, e
che pel decretato nel r22ydal concilio pro-
vinciale di Narbona, in tutte le feste for-
malmente in ciascuna parrocchia si de-
nunziava la scomunica contro il contee
suoi aderenti, divenuti timidi, fecero tre-
gua per tenersi intanto un parlamento nel
quale si trattasse la pace. Desso si adunò
in Meaox nel 1 228, ove si recarono Rai-
mondo VII e gli ambasciatori de'tolosa-
ni, il cardinal Bonaventura Romano le-
gato con diversi prelati, e stabilitisi gli
articoli della pace, tutti passarono in Pa-
rigi dal re s. Luigi IX, e alla sua presen-
za fu confermata a'o, aprile (a' 1 2 e nel
I22f) si legge neWArte di verificare le
date, ma non pare secondo gli Annali ec-
clesiastici del Rinaldi, e V Istoria cV Avi-
gnone e del contado Venesino stati del-
la Sede apostolica nella Gallia, del p.
Fantoni, col quale nell'articolo Avigno-
ne principalmente procedei in narrare la
storia degli albigesi, e l'origine dell'acqui-
sto fatto dalla s. Sede del contado Venais-
sino, cominciando dal 1 1 35 in poi, e per-
ciò con molte interessanti particolarità
delle fin qui raccontate vicende de'conti
di Tolosa, ede'successivi avvenimenti, on-
de conviene tener presente tutto quanto
il riportalo nel voi. HI, p. 16 1 eseg.). L'at-
to fu concluso tra s. Luigi IX, Raimondo
VII e la s. Sede, alla presenza de'cardi-
nali Bonaventura Romano, e Pecorai -ia
legato d'I nghillerra.il con te diTolosa giu-
rò sulla porta maggiore di Nostra Dama
di Parigi l'osservanza del trattato; quin-
di venne a piedi nudi, in camicia e colle
sole braghe (ipial penitenza pubblica),
42 TO L
condotto all'altare dal cardinal Bonaven-
tura Romano, che con autorità di Grego-
rio 1 X gli die l'assoluzione formale con so-
lenne rilo,e riconciliato collaChiesa. Riferi-
sce VA/lc di verificar le dateflhéRai mon-
do VII con quel trattato perde la mag-
gior parte de' suoi possedimenti (siccome
destituito da ogni diritto da cui era de-
caduto per la sua eretica condotta), aven-
do lasciato alla chiesa romana quanto a
lui apparteneva oltre il Rodano, e al re
di Francia tutti i diritti che a lui spetta-
vano da'eonfini della diocesi di Tolosa (la
quale abbracciava allora tuttociò che al
presente è compreso nella provincia ec-
clesiastica di questo nome) e dalla sponda
del Tarn fino al Rodano. Per dar cauzio-
ne della sincerila di sue disposizioni , il
conte si rassegnò volontario nelle prigio-
ni del Louvre sino a che avessero avuto
esecuzione i 3 articoli preliminari a' (pia-
li s'era obbligato,e vi rimase circa 6 set-
timane, essendo stato al suo uscire, il gior-
no di Pentecoste 3 giugno , creato da s.
Luigi IX cavaliere. Giovanna figlia di Rai-
mondo VII, ch'era stata da lui consegna-
ta a'ministri regi.com'erasi convenuto nel
trattato di pace, fu nel mese slesso fidan-
zata ad Alfonso conte di Poitiers fratello
del re; ma siccome gli sposi non aveano
cheqanni,natiessendo entrambi nel 1220,
non ebbe effetto il matrimonio che 8 an-
ni dopo. Rinaldi aggiunge , che il conte
si obbligò a non lasciare a verun suo e-
lede Tolosa col territorio suo cheesten-
devasi quanto il vescovato, concedutagli
solamente sua vita durante; e che niun
suo erede e le figlie se ne potessero richia-
mare giammai, se non se i soli discenden-
ti di Giovanna e discendenti di lei e da
Alfonso fratello del re. Che bastasse per
sua penitenza, ch'egli stesse 5 anni olire
mare,obbligandosi di pagare27,ooo mar-
che d'argento. Che similmente quietò e
lasciò al re e alla chiesa romana tutto
lo slato oltre il vescovato verso levante,
di qua e di là dal Rodano. Dichiara il No-
vaes, nella Storia di Gregorio IX, che
TO L
Raimondo VII conte di Tolosa, spogliato
del proprio dominio dal legato apostoli-
co, come sostenitore degli eretici, si diino-
sirò pentito, onde nel 1229 fu riconcilia-
to colia Chiesa e assolto d.dl'incorse cen-
sure, accettando le condizioni che gli fu-
rono prescritte dal legato pontificio e da
s. Luigi IX, ch'erano: dover egli per l'av-
venire esser fedele alla romana chiesa e
a're di Fi ancia, prendere la croce contro
i saraceni, militando per 5 anni ne' l'orien-
te^: dare in matrimonio l'unica figliaGio-
vauna ad un fratello del re,da'quali non na-
scendo figlila contea diTolosa e la Lingua-
doca apparterrebbero al regno di Fran-
cia. Che nello stesso trattatosi contene-
va, che le provincie di qua dal Rodano,
possedute per l'innanzi daRaimondo VII,
apparterrebbero in perpetuo al reame di
Francia, e quelle del contado Jenaissi-
no (V,) fossero devol ute similmente in
perpetuo alla chiesa romana, alla quale
fin d'allora furono consegnate e dal legato
apostolico ricevute; onde nel i 229 comin-
ciò il dominio temporaledellas. Sede sul-
la contea Venaissiua, durato sino al decli-
nar del decorso secolo, in cui glielo tolse
la rivoluzione. Ripelo che meglio è vede-
re, anco su questo grave e delicato pun-
toci ricordalo articolo Avignopte, col det-
taglio delle circostanze che lo precedette-
ro, accompagnarono e seguirono, intrin-
secamente riguardanti pure Tolosa e la
già possente e vasta contea omonima: a-
vendo eziandio rilevato, die se la s. Sede
ricevè il contado Venaissiuo, fu in com-
penso delle gravissime spese da lungo tem-
po contribuite da'Papi per guerreggiare
i fanatici e crudeli eretici, per la pace e
prosperità di ampie contrade, e perchè il
pestifero contagio non si propagasse colla
perdizione d'immenso numero d'anime;
e che se s. Luigi IX cooperò alla cessione
delle terre Vena issine alla chiesa roma-
na, il fece perchè essa consentisse nell'ac-
quisto da lui fatto della conica di JVlelgueil,
sulla quale,come rilevai di sopra,la s.Sede
avea delle ragioni sovrane, e de' «j de'7 ca-
TOL
stelli di là dal Rodano, che in virtù del-
l'obbligazioni del defunto Raimondo VI
si erano devoluti alla chiesa romana, co-
tnechè dati ad essa in malleveria, oltre la
parte o metà che avea e poteva consegui-
redella città d'Avignone. Nel luglio la cit-
tà di Tolosa fu riconciliata colla Chiesa, e
si riaprirono i sagri templi per ordine di
Pietro di Collemedio vice-legato apostoli-
co, e siccome ancora la città stava in po-
tere del re, furono abbattuti i suoi pro-
pugnacoli e date le altre rocche a'regi mi-
nistri. Raimondo VII tornò a Tolosa sul
fine di settembre, rinnovò le sue promes-
se alla presenza del cardinal Bonaventu-
ra Promano legato, che l'avea seguilo col-
l'esercito crociato,per domare a forza d'ar-
mi chiunque avesse osato violare i patti
della stabilita concordia. Indi il cardinale
tenne a Tolosa un concilio, anche coll'in-
tervento del conte e de'baroni, in uno ai
cousoli della città, confermaudovisi lecon-
dizioni della pace con solenne giuramen-
to del contee de'suoi. Il cardinale eoman-
dòche si facesse inquisizione contro le per-
sone sospette d'eresia, e fu reintegrato nel-
la fama Guglielmo di Solario, acciò la sua
testimonianza valesse contro coloro ch'e-
gli conosceva veramente colpevoli. Egli
era stato eretico e si era poi ritirato dal-
la loro pravità, come afferma il Rinaldi.
L'inquisizione fu ordinala in modo, che
ciascuno de' vescovi presenti esaminasse i
testimoni prodotti dal vescovo di Tolosa,
e rendessero in iscritto per esser conser-
vati al vedovo medesimo i detti degli e-
retici. \i Arie di verificar le date, nel di-
re che l'inquisizione fu istituita in Tolosa
dal suo concilio, per l'investigazione con-
tro gli eretici, e che cominciandosi subi-
to le analoghe procedure, durante 1' in-
verno fu preso Guglielmo detto il Papa
degli ^//;/»r.«'(aN[CHiNTAdissi d'un pre-
teso antipapa di tal nome degli albigesi
neh 167), e con sentenza di quel tribuna-
le fu bruciato vivo. Ad istanza del gene-
rale domenicano s. Raimondo di Pegna-
fort, circa il 1 23 1 Gregorio IX conferuiau-
TO L 43
do in Tolosa il tribunale òeW'InqtrisiziO'
ne, lo ristabilì, affidandolo ■'domenicani
per essersi co' cisterciensi con prodigioso
fervore dedicati alla conversione degli e-
retici, e dichiarando il loro generale in-
quisitore della cristianità. Rifiorì adunque
in queste parti la cattolica religione, e per-
chè non crescessero gli errori per mancan-
za d'uomini dotti, si trattò di formare in
Tolosa un'accademia o università, il Pa-
pa la decretò e fu ordinato a Raimondo
VII, che a seconda dello stabilito sommi*
uistrasse del suo gli stipendi a' maestri.
Pertanto egli si obbligò di m in tenere per
1 o anni i maestri o professori di teologia,
diritto canonico, filosofia e grammatica:
le scienze continuarono ad esservi inse-
gnate anche dopo tal periodo, aggiuntivi
in seguito professori di diritto civile e di
medicina, formandosi l'università di 4 fa"
collii. Ma il conte contro le solenni sue
obbligazioni erasi neli2 3o collegato con
altri baroni è il re d'Inghilterra a dauno
o
di s. Luigi IX, onde il vescovo di Carcas-
sona ottenne da Gregorio IX che depu-
tasse in Tolosa per legato apostolico il
vescovo di Touruay. Questi giunto nella
città, l'esortò a ritirarsi dalla lega, a emen-
dai si di quanto era cagione di richiami, e
ili effettuare l'indennità dovuta alle chie-
se. Tornato Raimondo VII a familiariz-
zarsi cogli eretici, Gregorio IX ne scrisse
al re di Francia perchè l'ammonisse, e fu
esaudito, poiché il conte in un solenne
parlamento di vescovi e di baroni pro-
mulgò leggi severe contro gli eretici. Ma
sempre versipelle poco durò questo ap-
parente zelo, perchè sembrando a lui e ai
tolosani troppo severo il zelante procede-
re de'domenicani nel combattere le false
dottrine e nel procedere contro gli ereti-
ci, inaspriti gli animi furono col vescovo
espulsi da Tolosa, col loro capo fr. Gu-
glielmo d'Arnaldo, insieme al clero e ai
frati minori; ed i domenicani ne uscirono
al modo indicato nel voi. Ili, p. 168, ve-
nendo mandati via pure da Narbona e da
altre città. Però a tutto riparò Gregorio
44 TOL
IX, al modo dello a Inquisizione, ripri-
stinandola a Tolosa e altrove, e per toglie-
re pretesti a'reclami, accoppiò all'inqui-
sitore domenicano un inquisitore france-
scano. Frattanto Raimondo VII nel 1235
riportò parecchie sentenze di scomunica
per parte dell'arci vescovo di Naibona,de-
gl' inquisitori e de'commissari pontificii,
perchè istigava i suoi sudditi a rivoltarsi
contro le loro procedure, che qualificava
violenze; e non osservando il suo giura-
mento ili conservare la libertà ecclesiasti-
ca, il Papa scrisse al re di Francia acciò
terminasse la santa impresa contro gli e-
retici, estirpandone le reliquie esistenti
nella provincia di Tolosa, ed a costringe-
re il conte al promesso, di marciare con
unesercito per Terra Santa. Inoltre Gre-
gorio IX si lamentòpuredireltamente col
conte, anco degli oltraggi e ingiurie fatte
a'domenicani quando li espulse, rimpro-
verandogli tutto il giurato a Parigi e nel
concilio di Tolosa, di difendere le chiese e
le persone ecclesiastiche, di confutar gli
eretici e reprimerli, di salariare i maestri
dell'accademia, di partire per la crociala
secondo il voto fatto; mentre operava tut-
to all'opposto, ed era caldo fautore degli
eretici senza vergognarsene; gli rimpro-
verò altri eccessi commessi da lui eda'cou-
soli di Tolosa, oud'erano stati scomuni-
cati con autorità apostolica da' vescovi,
perciò doversi di tutto emendare, ed ese-
guire quanto gli avrebbe ordinato il lega-
to, e che si ponesse in pronto di partire
nel maggio per la Palestina e dimoiarvi
5 anni. Al legato poi comandò Gregorio
IX, che ripristinasse lo studio di Tolosa,
annullasse le leggi fatte contro la libertà
ecclesiastica, rimovesse da'pubblici uffizi
i sospetti d'eresia, punisse gli eretici e lo-
ro fautori, e ne abbattesse in Tolosa le
casea loro perpetuo vituperio. Nuovamen-
te il Papa pregò il re d'adoperare la po-
tenza datagli da Dio, per costringere il
conte e consoli di Tolosa ad emendarsi,
di far partire ili. "per la crociata, invian-
do il fratello Allòusoal governo della con-
TOL
tea di Tolosa; e per effettuare il suo ma-
trimonio con Giovanna, con breve lo di-
spensò dal 4° grado di parentela. Essen-
dosi ricusatoli Papa d'investire il conte
del Venaissino, questi lodomandòeotten-
ne dall'imperatore Federico II, che pre-
tendeva appartenergli, concessione nulla
sì pel disposto del concilio Laterauense,
che per essere Federico li anch'egli inter-
detto, onde i rettori pontificii continua-
rono a governar la contea, tranne alcuni
baroni partigiani del conte. Quesli essen-
dosi lagnatodell'eecessiva severità d'alcu-
ni inquisitori, il Papa ne commise la ve-
rifica all'arcivescovo di Vienna legato del-
la s. Sede, autorizzandolo a rimuoverli
se colpevoli; e ad istanza del re concesse
al conte la perentoria proroga d'un anno
a partire perla Soria. Ma il conte inve-
ce di fare i preparativi, nel i 23j mosse
guerra a favore de' marsigliesi e contro
Raimondo Berengario IV conte di Pro-
venza, il che spiacque al Papa e ne fece
rimostranze al re perchè l' impedisse, e-
sortando gli aviguonesi a non favorire il
conte di Tolosa contro il proprio signo-
re: di questotenore scrisse purea Raimon-
do VII e al legato suddetto. Il conte si
scosse e scrisse all'arcivescovo di Vienna
a'28 luglio, d'ubbidire al santo Padre, cui
poi mandò prelati e religiosi per amba-
sciatori, per essere perdonato dell' ollese
fitte alla libertà ecclesiastica, dichiaran-
dosi pronto al volere della s. Sede per lo
splendore della fede; e diceudo apparte-
nere al Papa d'imitar la clemenza di Co-
lui, il quale ama non la morte ma la sa-
lute de'peccalori. Giurando il conte d'e-
mendare i falli commessi, e supplicando
misericordia, Del 12 38 Gregorio IX lo ri-
conciliò colla Chiesa, assolvendolo dalle
censure; quindi nel 1 239 con altra amba-
sceria ottenne dal Papa d'essere pure di-
spensato dalla crociata, assicurandolo per
mezzo di s. Luigi IX che vi sarebbe an-
dato nella prossima spedizione. ÌNcl 124.0
Raimondo VII marciò sulla Provenza per
impadronirsene, per avergliela in parto
TOL
aggiudicata Federico II nell'aver posto al
Laudo dell'impero il suo conte, ma i soc-
corsi che questi ricevè dal re di Francia
l'obbligarono a ritirarsi. Nel i 24 ' «ipndiò
formalmente Sancia sorella di Pietro II
d'Aragona, da cui vivea separato da lun-
go tempo : col pretesto, convalidato dal
vescovo d' A lby, dell'affittila spirituale col-
la medesima, ma in fatto eia di voler spo-
sare Sancia figlia di Raimondo Berenga-
rio IV conte di Provenza, ma il matrimo-
nio non ebbe effetto. Nel 1 242 si die al
parlilo d'Ugo conte de la Marche contro
s. Luigi IX, collegandosi ambedue col re
d Inghilterra, il quale vergoguosamente
fu battuto. Intanto il bailo del conte in
A vignonetio diocesi di Tolosa, in odio del-
la lede che difendevano, fece martirizza-
re fr. Guglielmo d'Arnaldo co'suoi dome-
nicani compagni e inquisitori .cantando
essi nel morire il Te Dcum laudaniusj il
perchè s. Luigi IX vieppiù si accese di
zelo, per abbattere i resti della pestilente
eresia. Meutre era occupalo nel Poitou e
e nel Saintonge, il conte co'suoi alleati
pentirò sul fluir di giugno ne'dominii di
Francia, s'impadronì di parecchie piazze,
fra cui Xarbona, donde espulse l'arcive-
scovo che lo scomunicò, riassunse il tito-
lo di duca di Xarbona, e recatosi poscia a
Bordeaux, ov'erasi riparato il re inglese
dopo la sconfitta, strinse secolui alleanza
particolare; ma indi a poco udendo i pro-
gressi di s. Luigi IX e incalzato dalle sol-
lecitazioni del vescovo di Tolosa, ti allò di
pace e l'ottenne nel gennaio 1 243. In que-
st'anno Raimondo VII valicò le Alpi, vi-
sitò Federico li in Puglia, donde passò a
Roma per continuare il suo appello con-
tro gl'inquisitori che l'aveano scomunica-
to,crtdendolo complice dell'uccisione de-
gli altri. Si discolpò, con ordinare la pu-
nizione di quelli che l'aveano commessa,
e dal nuovo Papa Innocenzo IV ottenne
a istanza di s. Luigi IX l'assoluzione dal-
le censure , e la vitalizia investitura del
contado Venaissinodominiodella s Sede,
e cosi di sua figlia e genero se uon avea-
TOL 4 >
no prole, mentre da Federico li avea ri-
cevuto quella del marchesato di Proven-
za. Il soggiorno nelle due corti fu quasi
d'un anno. Federico II l'investì della con-
tea di Forcalquier, e sentendo che il Pa-
pa erasi portato in Genova nel 1 244 Per
celebrare un concilio a Lione, per distor-
lo con varie esibizioni gl'invio Raimondo
VII, che da Savona trattò col Papa per
mezzo di messi e di lettere, avendogli vie-
tato l'imperatored'entrarein Genova; ma
nulla ottenne, non facendo conto il Papa
delle promesse fallaci tante volte ripetu-
te. Adunque ueli245 Innocenzo IV re-
cossi al concilio di Lione I, ove fu depo-
sto e scomunicato Federico II, e v'inter-
venne pure il conle, che ottenne la sepa-
razione del matrimonio contratto con
M trgheritadela Marche, per sposar San-
cia di Provenza, il che non ebbe luogo,
come già notai, per essersi invece mari-
tata con Riccardo fratello del re d'Inghil-
terra ,meutre la sorella primogenita si ma-
ritò con s. Luigi IX. Nel 1 246 intraprese
il pellegrinaggio diCompostelIa,e nel 12 [j
si recò alla corte di Francia, ed il re l'in-
dusse a crociarsi con lui per Terra San-
ta. Lo trattenne dal viaggio Innocenzo IV
per opporlo a'partigiani di Federico li.
Nel 1249 Raimondo VII tornando da Ai-
gues-Mortes per vedere sua figlia Giovan-
na che partiva collo sposo per la crociata,
cadde malato e fece testamento a*23 set-
tembre, col quale l'istituì erede*uni ver-
sale, morendo a'27 a Milhau nel Rouer-
guedi 52 anni e fu sepolto sotto il coro di
Font-Evrauld accanto alla madre, com'e-
ra stalo da lui ordinato. 11 Rinaldi ne nar-
ra l'edificante morte, dicendo che dopo
aver fatto ardere alla sua presenza 80 e-
retici a Derlaigas, convinti o confessi d'e-
resia, fu colpito dalla febbre, volle con-
fessarsi, e comunicarsi dal vescovo d'Ai-
by. Entrando il corpo di Cristo nella sua
casa , tuttoché debole si alzò dal letto e
l'incoutròa metà di essa, e gittatosi in ter-
ra ivi Io ricevè, indi fu estremato. Così
ebbe termine la sua vita, dando saggio di
46 TOL
zelo contro gli eretici, di viva fede catto-
lica e di pietà. Con lui si estinse la discen-
denza maschile de' potentissimi conti di
Tolosa , che avea posseduto la contea 4
secoli da Fredelon dell' 85o in poi. Al
vasto e grave argomento sin qui tratteg-
giato genericamente , ponuo in qualche
modo supplire i ricordati articoli, men-
tre per la storia tra'molti che ne scrisse-
ro ricorderò iseguenti.il p.GiuseppeVais-
sete della diocesi d'Alhy, studente nell'ac-
cademia di Tolosaedotto benedettino del
monastero della Dauvade, Storia genera-
le della Li nguadoca,con note e documen-
ti giustificanti y Parigi i 73o-45. Restata
imperfetta questa eccellente opera per sua
morte, ne compilò il 6.° voi. il p. Bourot-
te, Compendio della storia genera le del-
la Linguadoca,Va\\§\ i j/\.^.IIistoiredcs
Croisades eontre Ics Albigeois par le p.
Jean Baptiste Langlois de la Compa-
gnie de Jesus,Roi\en i jo/±. Pietro diCer-
nay monaco cistercense, che faticò mol-
to nella conversione di detti eretici, e de-
dicò la sua opera a Innocenzo IH, la qua-
le trovasi ancora nella Dibliotheca Ci-
sterciensis:Historia Albigensium, Troys
i6o5. Giovanni Benedetto dotto dome-
nicano, Ilistoires des Albigeois , et des
Vaudois ou Besbets, Paris i 6q i . P. Laz-
zeri gesuita, De Tlaeresi Albigensium E-
xercitatio habita in collegio romano,Ko-
maei765. Scrissero ancora degli albige-
si, Sandero presso Labbé, Concil. t. io,
p. i 534; Bernino, Historia di tutte l'ere-
sie, oltre il suo compendiatore Lancisi. Il
veti. p. Moneta domenicano, pubblicata
e illustrata dal p. Ricchini dello stesso or-
dine, Adversus Catharos et Valdenscs
libri V , quos ex mss. codicibus Vatica'
uo,Bononiensi,et Neapolilano nunepri-
mum edidit, etc. Romae 1 743- Di quest'o-
pera contro i Catari, i quali erano una
propagine de' Manichei, si servì opportu-
namente l'altro dotto e celebre domeni-
cano p.Mamachi nella sua opera de\ Dirit-
to libero della Chiesa di acquistare ec,
stampata neh 769 contro gl'impugnato-
TO L
ri dello stesso diritto e specialmente con-
tro l'autore del Ragionamento intorno ai
beni temporali posseduti dalle chiese,
Venezia 1 766,iIqualeautoresuscitògli er-
rori de'nomiuati Catari, Valdesi, fiele-
fisti, Ussiti e altri, i quali tutti sosteneva-
no erroneamente fra le altre cose, che la
Chiesa egli ecclesiastici non potevano ac-
quistare né posseder beui terreni, che in
buona parte erano pure errori degli al-
bigesi che infestarono la Chiesa ne'secoli
XII e XIII, ed abbandonati da'loro pro-
tettori rimasero interamente distrutti, i
superstiti essendosi uniti a' valdesi. Nel
1 ^4g dunque successe nella contea di To-
losa al suoceroRaimondo VII,ultimocon-
te, Alfonso conte di Poi tiers e figlio di Lui-
gi Vili re di Francia, di cui avea sposa-
ta la figlia ed erede Giovanna. Con questa
era partito col fratello s. Luigi IX oltre-
mare per la Crociata di Terra Santa, por-
tandovi di Francia un altro esercito di
crocesignati, ma la regina Bianca sua ma-
dre vegliò a' di lui interessi. A' 5 aprile
i2 5o Alfonso fu fatto prigione dc'sara-
ceni insieme col re, indi lasciato in liber-
tà per l'accordo de'6 maggio, e condotto
a Damietta raggiunse la sposa che in ri
vederlo ne provò estrema gioia. Sulla line
del giugno s'imbarcò nel porto diTolemai-
de per ritornare inFrancia conCarlo d'An-
giò suo fratello (che avea sposa toBeatrice,
altra figlia di Raimondo Berengario IV
conledi Provenzali quale con testamento
l'avea dichiarata sua erede) e colle princi-
pesse spose. A'^3 maggio ix5i Alfonso e
Giovanna fecero il loro ingresso solenne in
Tolosa, ricevendo dagli abitanti il giura-
mento di fedeltà. Dopo aver percorso le
loro terre tornarono in Francia, ove poi
fermarono il loro soggiorno ordinario,
particolarmente nel castello di Viucennes.
Circa la fine deli 252 Alfonso vedendo-
si in gran pericolo per un attacco d'apo-
plesia, fece voto di restituirsi in Terra San-
ta. Nel 1^53 Inuocenzo IV commosso dal-
le tristi notizie degl' infelici successi di s.
Luigi IX, scrisse ad Alfonso già crocesigna-
TO L
lo, che solto ili lui si formasse un eserci-
to per aiutarlo, e con flebili lettere ecci-
tò i francesi a correre in aiuto del loro re,
perchè non del tutto si spegnesse in So-
ria il nome cristiano; ed ingiunse al p.
priore de'domenicani di Parigi che ban-
disse perciò nel consueto modo la croce
ne* regni di Francia e di Na varivi, nellaBre-
t.igna minore.nella Boi gogna e negli stati
del conte di Tolosa. Il viaggio d'Alfonso
fu ritardato per vari ostacoli sopravvenu-
ti dopo, né fu da lui intrapreso che nel
i 270. Prima diquesto tempo e nel 1265
protesse la costruzione fatta dagli abitan-
ti di Saint-Saturnin del pontedi Saint-E-
sprit, e così denominato perchè si attribuì
il concepimento della risoluzione ad ispi-
razione dello Spirito santo; celebre pon-
te che comincialo in tal anno non fu ul-
timato che verso la fine del 1 3og, ed es-
so die poi il nome alla città di Saint-Sa-
tiunin-du-Pont, così chiamata a motivo
del passo ch'eravi in quel sito sul Roda-
no. Finalmente nel 1 270 Alfonso, per sod-
disfare il voto fatto, si recò colla contessa
Giovanna prima del terminar di maggio
a Aimargues nella diocesi di Nimes, ove
ambedue fecero testamento. Imbarcatoli-
si poscia ad Aigues-Moi tes e raggiunse-
ro il re s. Luigi IX a! porto di Caglia-
ri, ov'erasi fermala la flotta, e nel 17 lu-
glio sbarcarono a Tunisi. Avendo la mor-
te del santo re, avvenuta a' 20 agosto,
sconcertati tutti i progetti de'crociati, Al-
fonso colla sposa salpò dalla spiaggia d'A-
frica e approdò a quella di Sicilia a' 22
novembre, ove passarono tutto l'inverno
e una parte di primavera. Postisi nuova-
menteinmare,sbarcaronoin Italia e con-
tinuarono il loro cammino per terra. ìNel
castello di Corneto sui confini di Tosca-
na e degli stati di Genova, furono colti
entrambi da violento morbo e si fecero
trasportare a Savona, ove morì Alfonso
a'21 agosto 127 i in età di 5i anni, sen-
za lasciar posterità, ed a'25 morì Giovan-
na, onde alcuno dubitò e fece sospetti che
fossero morti di veleno. Il corpo d'Alfoti-
T O L 4 7
so fu trasferito nella chiesa di s. Dionigi,
da lui scelta per sua sepoltura, restando
i precordi nella cattedrale di Savona do-
po le solenni esequie; e quello di Giovan-
na nella badia di Gerci in Brie da lei fon-
data nel 1269. Alfonso fu principe buo-
no, casto, pio, Iimosiniero,giustoedequo:
non mancò di valore e di fermezza, e cam-
minò sulle pedate del re suo fratello nel-
la pratica delle virtù cristiane. Sembra
che la contessa sua moglie fosse di carat-
tere pressoché somigliante. Filippo III
V Ardito figlio e successore di s. Luigi IX,
raccolse tutta la loro eredità. Invano Fi-
lippa di Lomagne erede di Giovanna fe-
ce chiedere al parlamento col mezzo del
conte di s. Paul suo tutore d'essere ammes-
sa a fede e omaggio pe 'dominii di quel-
la successione appartenuti a Giovanna: la
sua domanda fu rigettata con sentenza
del 1 274. Filippo III e i suoi successori re
di Francia ressero sino al 1 36 1 i vari pae-
si ereditati per la morte di Giovanna, co-
me conti particolari di Tolosa e non co-
me re, finché in dello anno la contea in-
sieme alla Lin<niadoca fu riunita alla co-
o
rona da Giovanni II. Proclamata la for-
male riunione, convenne che si radunas-
sero in Tolosa gli stati provinciali, diesi
valessero del Diritto scritto, eche i gover-
natori dovessero essere scelti fra'principi
del sangue.Prima della riunionedella con-
tea di Tolosa alla corona, il conte e cia-
scun signore particolare radunavano i lo-
ro sudditi quando aveano a chiedere lo-
ro sussidii. Dopo la riunione i re di Fran-
cia seguirono per qualche tempo tale pra-
tica, e raccoglievano gli abitanti d'ogni
siniscalcheria separatamente ; ma Carlo
VII il Fitlorioso^vemlo trovato più op-
portuno di convocare le siniscalcherie in
un sol corpo di stati, fu in appresso osser-
vata mai sempre tale formalità,e così quel
re nel i447 istituì propriamente il par-
lamento di Tolosa per la Linguadoca e
qual sua capitale. Inoltre Filippo III igno-
rando i diritti della s. Sede sul contarlo
Venaissiuo, s' impossessò non solo della
48 TO L
mela della città d'Avignone, ma ancora
del Venaissino. Conosciuto però l'errore,
a istanza di Gregorio X restituì pronta-
mente alla chiesa romana la provincia Ve-
nesina, senza che d Papa si curasse di ri-
petere la metà d'Avignone, che Alfonso
avea ridotto alla sua ubbidienza. Questo
rafferma il p. Fantoni, che sembrami in
ciò doversi preferire aW'Arte di verifica-
re le date, e sebbene citi Vaissete, poiché
in quest'opera si legge in Gregorio X.
»> Nel fehbraioi274 ricevè in Lione la vi-
sita di Filippo III. Profittò di questa oc-
casione Gregorio X per chiedere a quel
monarca il contado Venosino, che ficea
parte del marchesato di Provenza, cedu-
to nel 1229 alla s. Sede da Raimondo VII
conte di Tolosa. Ma siccome Gregorio IX
avea restituito alcuni anni dopo cotesto
marchesato a Raimondo, cosi poteva le-
gittimamente rigettarsi la domanda del
Pontefice (non è vero per la surriferita
disposizione d'Innocenzo IV e pel narra-
to ad Avignone). Nondimeno essendo in-
teresse del redi tenerselo affezionalo, vol-
le annuire alla sua istanza. Ma nel far-
gliene la tradizione, egli riserbò per se la
metà d'Avignone che Filippo IV il Bello
di lui figlio permutò 16 anni dopo con
Carlo II, conte di Provenza e re di Sici-
lia." A'5 giugno 1 3o5 eletto Clemente V
guascone, con estremo stupore di tutto il
mondo cattolico, volle stabilire la resi-
denza papale in Provenza, ove la s. Sede
godeva la sovranità della contea Venais-
sina, preferendo le rive del Rodano alle
celebratissime del Tevere (P.), Avigno-
ne a Roma (f*.), come contigua al Ve-
naissino. Sul finir d' agosto da Bordeaux
passò ad Agen ed a Tolosa, e per Mont-
pellier si recò a Lione a farsi coronare. Nel
l3o8 il Papa nell'agosto da Poitiers si
portò a Bord.eaux, indi per Agen giunse
a Tolosa, ricevutovi nel dicembre da tut-
ti gli ordini della città con molta solen-
nità. Nel giorno di Natale vi cantò ponti-
ficalmente la messa servito da 9 cardina-
li, e vi dimoiò sino all'Epifania del 1 809.
TOL
Poi si trasferì a Commiuges dov'era stato
vescovo, e vi fece solennemente la trasla-
zione del corpo dis. Bertrando suo prede-
cessore in quella sede. Continuando il viag-
gio per Carcassona, Montpellier e N'unes,
giunse in Avignone verso il fine di mar-
zo. Ivi siederouo altri 6 Papi,nel qual tem-
po moltissimi della contrada furono ele-
vati al cardinalato, all'episcopato e ad al-
tre dignità. Nel grande Scisma d' occi-
dente, Tolosa e la Linguadoca seguiro-
no gli antipapi d'Avignone. Tolosa signo-
reggiata da're di Francia e poi riunita al-
la monarchia, ne segni i destini colla con-
tea. Gl'inglesi uel secolo XIV fecero va-
rie conquiste nella contrada, ma ne fu-
rono cacciati sotto Carlo V.NelsecoloXVI
vide rinnovarsi le guerre civili e religio-
se, per gli errori di Lutero e di Calvino,
e pe' tenibili e crudeli eretici Ugonotti.
Se ne impadronirono l'i 1 maggio i56z
e ne sortirono a' 17: le vie furono loro con-
trastate dagli abitanti palmo a palino, ed
i nobili opposero una resistenza degna de'
tempi delle crociate. Dipoi Tolosa godè
d'una pace profonda sino alla rivoluzio-
ne, che le fece perdere la sua università.
In tale infausta epoca la reazione fu gran-
de e tremenda. Alla caduta di Napoleo-
ne I, il duca di Wellington alla testa di
5o,ooo inglesi, spagnuoli e portoghesi ,
andò a' io aprile 18 i/J-ad attaccarvi i fran-
cesi, in numero minore di 2 5,ooo,coman-
dati dal maresciallo Soult duca di Dal-
mazia: fu la vittoria dispulata con accani-
mento e sostenuto l'onore dell'armi fran-
cesi; né la lotta tanto disegnale finì se non
perchè fu fatta conoscere al maresciallo
l'abdicazione di detto imperatore; allora
ritiratisi i francesi, Wellington entrò in
Tolosa, avendo fatto delle perdite di ol-
tre 10,000 combattenti. La giornata del
io fu di gloria e di carnificina pe'due e-
serciti, cui successe un'altra di spavento
pe'tolosani, poiché Soult erasi deciso di
seppellirsi sotto le rovine della città in-
sieme al suo esercito. La voce dell'uma-
nità edella ragione domò l'iutiepidoguer-
T O L
riero, e abbandonò Tolosa la notte del-
l'i r al 12 dirigendo la sua ritirata sulla
■via della Bassa-Lin^uadoca. Wellington
poteva chiudergli ogni uscita, attaccar la
città di viva furza, e costringerlo a capi-
tolare per mancanza di sussistenze ; ma
egli non ismentì la dichiarazione delle po-
tenze alleate: esse non fanno la guerra
alla nazione francese; e si sovvenne della
parola data da lui al duca d'Angoulème,
che l'avea scongiurato di risparmiare To-
losa. Laonde egli lasciò defilare sotto i
suoi cannoni l'esercito di Soult senza ti-
rare una palla,eda'i7 fece il suo ingresso
nella città %aiVwa i Borboni, e fu con-
dotto in trionfo al Campidoglio, in mez-
zo alla generale letizia. Quanto alla Lio*
guadoca, colla nuova organizzazione si for-
marono i g dipartimenti dell'Alto-Loira,
Lozère, Ardèche,Gard,Herault,Aude,Al-
to-Garonna, Tarn, e Tarn-Garonna, fa-
cendosi ascendere la popolazione a circa
3 milioni d'abitauti,quasi 70,000 de'qua-
li contandone Tolosa.
La fede cristiana fu predicata in To-
losa dal suo e ."vescovo s. Saturnino detto
volgarmente s. Sernin, inviato da Roma
in Franciaalla sua missioneapostolica,dal
Papas. Fabiano verso il 24 5. Scorsa una
parte delle Spagne e delle Gallie, quindi
andò a Tolosa capitale de'tectosagi e pel
l.° vi portò la fiaccola dell' evangelo. 11
felice successo delle sue zelanti fatiche a-
Tendo in breve tempo aumentato il nu-
mero de'cristianijfu egli scelto verso il 200
per dirigere quel gregge fedele che avea
illuminato colle fervorose sue predicazio-
ni. Nel 257 0 prima soffri gloriosamente
il martirio per la difesa della religione, al
modo riferito nella biografia. Due donne
cristiane raccolsero quanto poterouo tro-
vare del suo corpo, e rinchiusolo iu una
bara, lo posero in una fossa profonda, per
involarlo più sicuramente agl'insulti dei
pagani. Le reliquie di s. Saturnino rima-
sero cosi fino all'impero di Costantino I,
quando il vescovo di Tolosa s. Ilario, ri-
trovato il suo corpo, fece fabbricargli so-
VOL. LXXVII.
TOL 49
pra una cappella; ed il successore s. Sil-
vio pose i fondamenti della magnifica chie-
sa in suo onore detta s. Sernin , poi dal
vescovo s. Esuperio finita , consagrata e
dedicata, trasferendovi le reliquie del san-
to, che qual prezioso tesoro sono tenute
in somma venerazione. La sede vescovi-
le divenne sullraganeadi Narbona, e pas-
sò ad esserlo di Bourges quando Tolosa
da'galli cadde in potere de'goti, cessato il
dominio de'quali tornò ad esserlo di Nar-
bona; e Bourges con molti titoli volle so-
stenere la sua primazia quando Tolosa
fu elevata a sede metropolitana. Ciò av-
venne a'26 giugno 1 3 1 7 per disposizione
diGiovanni XXII, mediante la bolla Sai'
valor noster, attribuendogli persuffraga-
nei i vescovati pure da lui eretti, tranne
ili.°,di Pamiers, Montauban, Mirepoix,
Lavaur, Rieux, Lombez e di s. Papoul. Di-
smembrò parte della vasta diocesi di To-
losa, ch'era una delle più. grandi del re-
gno, per formare 3 delle diocesi suffraga-
nee, ed assegnò all'arcivescovo per mensa
90,000 lire,chepoi si aumentò a 100,000
lire, onde pagava 5ooo fiorini per le bol-
le. Altri scrissero, che Giovanni XXII col-
la sola diocesi di Tolosa forinola provin-
cia ecclesiastica del suo nome, componen-
dola, compresa ad essa, d' 8 diocesi, le
quali poi diminuirono. I Monasteri nul-
lius dioecesis, già esistenti nell'arcidioce-
si, li riportai in tale articolo cogli altri di
Francia. Nel concordato del 1801 sop-
presso da Pio VII l'arcivescovato di Nar-
bona, poscia neli8i7 lo ripristinò nel ti-
tolo e l'unì a Tolosa, per cui d'allora in poi
l'arcivescovo di Tolosa porta pure il titolo
di Narbona. Nella bolla Conunissa divi-
nitus,àtii'j luglio 1 8 18, Bull. Rorn. cont.
t. 14. p- 369 di Pio VII, nella sua nuo-
va circoscrizione di diocesi della Francia,
si legge la descrizione della provincia ec-
clesiastica di Narbona, e quella di Tolosa
co'due soli suffragane") di Pamiers e Mon-
ta uban, il quale soppresso uel 1 80 1 ,lo stes-
so Pio VII ristabilì il vescovato colla bol-
la Supremo pastorali, de' 17 febbraio
4
Ch, . T O L
i 808, Bull. cil. 1. 1 3, p. 253, separando-
lo dalla vasta diocesi di Cahors cui era
slato unito , ed assoggettandolo nuova-
niente alla metropolitana di Tolosa. Sic-
come Montpellier, Pio VII colla della bol-
la Commissa divini 7».sTavea sottratta dal-
la metropoli d'Avignone per farla suifra-
ganea di Narl>ona, colla bolla Etti perno»
slras, de'24sellembrei82 1, larestituìad
Avignone, come si* legge nel Bull. ài. t.
1 5, p. 4^7- Al presente sono suffragatici
dell' arcivescovo di Tolosa i vescovi e le
sedi di Pamiers, Carcassa une Montati-
iuin. A s. Saturnino successe s. Onoralo,
già suo discepolo e vicario, che venne se-
polto presso diluì. Indi s. Ilario summen-
tovato; così il successore s. Silvio che vi-
vea verso il 38o e inori in principio del
V secolo, il cui corpo con quelli de'ss. O-
norato ed Ilario fu trovato nella chiesa
dis. Sernin nel 1 265. Rodanio sembra con-
trastato. Onde a s. Silvio si dà in succes-
sore s. Esuperio verso il 4°^, e sotto del
quale i vandali, gli svevi e gli alani rovi-
narono le Gallie; stimato da s. Paolino
per uno de'più gran vescovi che illustra-
rono la chiesa Gallicana, poiché si distinse
per somma carità e profonda dottrina. Du-
rante una lunga carestia, dopo di aver di-
stribuito i suoi averi , vendè i vasi sagri
d'argento e oro per soccorrere a'bisogni
de'poveri, talché fu costretto a conservare
il corpo di Cristo in un paniere di vimi-
ni, e il suo Sangue in un calice di vetro.
Papa 6. Innocenzo 1 gl'indirizzo una de-
cretale, celebre nella storia ecclesiastica,
pe'regolamenti di disciplina che contiene.
Pare chesia morto verso il 4' 7. Indi contro
sua voglia fu creato vescovo Massimo, as-
sai lodato dall'annalista Rinaldi, bello di
corpo e modestissimo nell'abitazione e nel-
Iamensa,chedeslòammirazione qual mo-
dello di parsimonia. Dopo Massimo del
44 ' > che vivea nel 465, ed Eracliano,che
nel 5o6 fu al concilio d'Agde, fiorì s. Ge-
1 emaro o s. Germerio, che il clero e po-
polo di Tolosa circa il 5i 1 surrogarono
a Israeliano: alcuni lo fanno di Gei usa -
T O L
lemme, altri d'Angouléme, ritardando il
vescovato al 54 1, e dicendo aver gover-
nato la chiesa 36 anni. Il suo corpo fu tu -
nudato ad Oz o Ox presso Muret, ove ven-
ne innalzato un monastero che prese il
suo nome, ed in seguito diventò un prio-
rato conventuale della badia di Lezat; e
le sue reliquie da tal chiesa vennero tra-
sferite in quella di S.Giacomo di Muret.
La famiglia Orsini, secondo Novaes, van-
ta un s. Volusiano martire arcivescovo di
Tolosa, ma noi trovo nella Gallia Chri-
stiana, 1. 1 , p. 670, Tolosani Episcopi et
Archiepiscopi, ed allora la sede era vesco-
vile. Magnulfo nel 585 sottoscrisse il con-
cilio di Macon,el)be grave alterco conGuti-
dobaldo naturale di Clotario I, per cui fu
esiliato, e poi venne ristabilito. Menna del
601, a cui scrisse diverse lettere s. Grego-
rio I, raccomandandogli i monaci che in-
viava a s. Agostino in Inghilterra. Sadoco
del 627 incolpato di connivenza nella ri-
bellione de'guasconi fu esiliato.Guillegise-
lo inlervenne al concilio di Reimsnel 63o.
Clotario III fece chiamare per succederlo
nel 657 dal monastero diFontenelle il mo-
naco s. Eremberto, ma preferendo egli la
vita religiosa alle gravi curedel vescovato,
ritornò al suo ritiro nel 67 1 , che Cutter lo
dice annodi sua beata morte, la quale da
altri si ritarda cou riportare tale abdica-
zione al 690. Non si é d'accordo sul vesco-
vato di s. Silvino monaco di s. botino nel
monastero dis.Omer, di mirabile santità,
che visse molti anni col solo sagro cibodel-
l'Encaristia, e morì nel Signore nel 7 1 5.
Arruso é ricordato nel concilio di Narbo-
na del 785. Manziofiorì nell'820. Samue-
le nell'844- Elizacar nell'856. Bernardo
I intervenne nell'886alconciliodi Nimes;
nel 920 era vescovo Armanno, nel 932
Raimondo I, nelgSó Isloolslus, nel g48
Ugo I, nel 975 Issolo, nel 982 Atto, nel
1020 Raimondo 11, nel io35 Arnaldo in-
tervenne al concilio di Tolosa del io56
conlio la simonia. Nel 1060 Pietro Roger
I ebhe una controversia co'canonici di s.
Saturnino per la restaurazione di tal ba-
T O L
silica ; fu successo verso detto tempo da
Duranno cliiniacense e discepolo di s.Ugo-
ne,di santa vita, che intervenne al concilio
di Tolosa del i 068, reclamando contro il
capitolo e il preposto sulla giurisdizione
della chiesa di s. Maria Deauratae. Izarno
nominato vescovo neh 071, unì all'ordi-
ne cliiniacense nel 1077 'a detta chiesa
della Daurade, stabilì la vita regolare nei
canonici della cattedrale, fece doni consi-
derevoli al capitolo, e si trovò presente al
concilio di Tolosa del 1079, ed a quello del
1 090. Gli successe nel 1 1 o5 Amelio Rai-
mondo Du Puy, che fu a 3 concilii di To-
losa, due de'quali convocati da Gelasio II
e Calisto II. Neil ì^o Raimondo III, al qua-
le scrisse Papa Innocenzo II per la ricu-
pera de'beni di sua chiesa, e per prende-
re la cattedrale di s. Stefano sotto la pro-
tezione apostolica. Il preposto di essa Ber-
nardo Bonomo neh i63 ne fu successo-
re, che fece una donazione alla medesima.
Nel 1 164 Gerardo de la Barthc, pel qua-
le Luigi VII re di Francia scrisse a l'apa
Alessandro III per la sua consagrazione,
essendo Tolosa allacciata dall'interdetto,
indi il vescovo dotò la sua chiesa con vari
beni. Neh 172 Ugo II già abbate di s. Sa-
turnino; poi Bertrando neh 175. Gosceli-
no intervenuto nel 1 1 76 al concilio d'Al-
by, ove furono esaminati gli eretici albi-
gesi. Neh 180 Folcrando, avanti il quale
fu abitata la vertenza tra il sacrista della
cattedrale, e gli ebrei di Tolosa, per la ce-
ra ch'erano tenuti somministrare nel ve-
nerdì santo; lodato per pietà, e insieme
censurato per la sua semplicità e negli-
genza, onde gli eretici albigesi molto si
propagarono nella sua diocesi. Neh 201
Raimondo de Rabastens simoniacamen-
te, per cui fu deposto dalla s. Sede. Il fa-
migerato Folco o Foulques figlio d'Alfon-
so ricco mercante di Genova stabilito a
Marsiglia, si fece religioso cisterciense ver-
so il 1 1 99 con due suoi figli e persuase sua
moglie a farsi monaca del medesimo or-
dine: era già abbate di Toronet, nella dio-
cesi di Frejus, quaudo neh 20 5 venne uo-
TOL 5t
minato vescovo di Tolosa. Durante il suo
vescovato, il che già descrissi, Tolosa sof-
frì grandi disastri per la guerra contro gli
albigesi , ed egli soggiacque alle narrate
vicende; intervenne al concilio di Tolosa
dell 229 e morì nel dicembre 1 23 1. Rai-
mondo di Falgar di Mirammit, provin-
ciale de' domenicani , eletto vescovo nel
marzo 1232 concordemente dal capitolo
e approvato dal legato, si distinse pel suo
zelo contro gli eretici e morì nel 1270.
In questo di commi consenso il capitolo
gli sostituì Bertrando dell' Ile-Jourdaiu
preposto della cattedrale , lodato per le
sue grandi liberalità , sia in vita che in
morte, tanto a favore de'povei i che delle
chiese: fondò nel capitolo di s. Stefano le
12 prebende poi chiamate di dozzina, e
8 posti pe'chierici. Nel principio del suo
vescovato le monache cisterciensi forma-
rono un monastero in Tolosi , collocato
nel quartiere di s. Cipriano e poi trasfe-
rito in quello dell' università. Morì nel
1283 e fu ih. "vescovo di Tolosa tumu-
lato nella cattedrale di s. Stefano, avendo
i suoi predecessori la loro sepoltura nella
chiesa di s. Saturnino. Neh 285 Ugo Ma-
scaion canonico della cattedrale, dopo la
cui morte Bonifacio Vili separò Pamiers
dalla diocesi di Tolosa e l'eresse in sede
vescovile. Nel dicembre I2g6 Bonifacio
Vili nominò vescovo s. Litigio Lodovico
figlio di Carlo II redi Sicilia, dispensan-
dolo dall'eia, conferendogli pure Tatuali
nistrazione del vescovato di Pamiers da
lui recentemente istituito: fu coiivigrato
nel seguente fehbraio, e imitatore delle
preclare virtù del suo pro-zio s. Luigi IX,
morì a' 19 agosto 1 297. Giovanni XXII,
di cui era slato discepolo, in Avignoneai
7 aprile 1 3 1 7 lo canonizzò colla bolla Sol
Orient, e con un breve ne die partecipa-
zione a Maria d'Ungheria sua madre an-
cor viveute. Arnaldo Raimondi de'conti
di Comminges preposto della cattedrale,
eletto dal capitolo verso la festa d' Ognis-
santi 1297, Bonifacio VIII non solo lo con-
fermò, ma nella domenica lattare del
5?. TOL
1 298 Io consagrò. Poco visse, onde il Pa-
pa gli surrogò Pietro Tagliafer de la Cha-
pelle, che creò cardinale Clemente V, se-
condo alcuni stato suo discepolo. Mori nel
j 3 1 2,e lo stesso Papa elesse il nipote pro-
prio Gailardo de la Mollie di Pressac, dal
successore Giovanni XXII creato cardi-
nale. Questi da Maguelone vi trasferì Gio-
vanni Raimondi de Comminges e ne fu
ili. "arcivescovo, neh 3 19 vi celebrò il si-
nodo prò vinciale,e lo stessoGiovanniXX II
Io creò cardinale. Nella sede apostolica va-
cante fu eletto Papa, ea conditione, ut
nunquam Romani projicisceretur, sum-
ma animi gene rosi tate Pontificatimi re-
cusavit his conditionibus oblatum, seque
polius cardinalatui renuncialurum pa-
lam professus est, qua ni tali proposito
eligeretur. Per questo eroismo, che lo re-
se immortale e glorioso, Io celebrai anche
a Rinunzia, giustamente rigettando l'in-
degna condizione di preferire Avignone
aU'almaRoraa,vera e propria sede del Pa-
pa. Nel i328 fu 2.0 arcivescovo di Tolosa
fr. Guglielmo deLauduno domenicano,
traslato da Vienna, che ad onore di s. Do-
menico fondò nella cattedrale 4 preben-
de. Neil 347 Raimondo de Canillac poi
cardinale; neh35o Stefano Aldobrando
de Cambaruti tesoriere di Clemente VI,
traslato da s. Pons. Mentre Stefano era
abbate o priore Cellense, il Papa essendo
ancor monaco, recandosi da Parigi al suo
monastero di Casa di Dio, fu spogliato dai
ladri nella macchia di Randano, e ricove-
ratosi da Stefano fu provveduto degli a-
biti necessari. Grato il monaco disse al-
l'abbate: Quando vi potrò ricompensare
sì opportuno benefìcio? Rispose Stefano
con grande prontezza: Quando sarete Pa-
pa. Infatti appena vide avverala la pre-
dizione, ricordandosi di Stefano, lo chia-
mò per suo cubicularius maior e lo pro-
mosse ad altre dignità. Neh 36 1 da Car-
cassona passò a questa sede Gaufrido de
Vayrolis, al cui tempo s'introdussero in
Tolosa i trinitari della redenzione degli
schiavi, istituì nella cattedrale 4 cappel-
TOL
lanie, e Urbano V decisela lite e contro-
versia tra' cistcrciensi di Fossanuova e i
domenicani sul corpo di s. Tommaso d'A-
quino, concedendolo a fr. Elia Raimondi
tolosano generale de'domenicani, pel con-
vento e chiesa di Tolosa. Nel 1 3y6 fu di-
chiarato amministratore perpetuo Gio-
vanni de Cardaillac patriarca d'Alessan-
dria dottoe pio, celebre giureconsulto del-
l'università di Tolosa; pose in sontuosa
custodia il capo di s. Stefano protomar-
tire nella cattedrale, alla quale donò la ri-
nomata campana maggiore. Neh 391 da
Arles vi fu trasferito Fraucescode Con-
ziè camerlengo dis. Chiesa ', poi di Nar-
bona. Nel 1392 Pietro de Saint-Martial
traslocato da Carcassona, benemerito e
generoso pastore. Nel i4o 1 il capitolo e-
lesse e l'arcivescovo di Bourges confermò
(forse perchè in tempo del gran scisma)
Vitale de Caslelmaur o Castel Mauron,
preposto della cattedrale e tolosano dot-
tissimo. L'antipapa Benedetto XIII,a cui
ubbidiva la Francia e Tolosa, rigettando
tal nomina, vi destinò Pietro vescovo di
s. Pons, ed inviò presso i tolosani un nun-
zio, assumendo il dominio temporale del-
la città. Quindi grandissima fu la efiscor-
dia della provincia pe' due arcivescovi,
onde Carlo VI rediFrancia neh 404 al
siniscalco di Tolosa attribuì l'ammini-
strazione della città. Poi Alessandro V nel
sinodo di Pisa rimosse l' intruso, e rico-
nobbe Vitale nel i4°9' Gli successe nel
i4'2 fjr. Domenico Florence domenica-
no, già confessore dell'antipapa Clemente
VII, vescovo di s. Pons e d'Alby: con fa-
coltà di Martino V riformò il capitolo e
il collegio di Maguelone, fondò i! ginnasio
di Mirepoix, e lasciò la sua ragguardevo-
le eredità a'domenicani di s. Massimino.
Nel ì^.79. e confermato dal primate di
BourgeSjDionisiodeMoulio patriarca d'A-
lessandria, peritissimo dottore in gius ci-
vile e canonico, poi traslalo a Parigi nel
1439. Gli successe il fratello Pietro sena-
tore tolosano, approvato da Eugenio IV;
costruì il maguifìco vestibolo della catte-
TOL
drale, riedificò l'arci-episcopio e l'amplis-
sima sala del castello Viridisfolii, morto
di peste in Balma presso Tolosa a'3 otto-
bre 1 45 1, col titolo di principe de'poeti.
Nel j452 il tolosano Bernardo de Rosier
traslato da Montauban, già arcidiacono
e preposto della patria cattedrale, pro-
fessore e cancelliere dell'uui versila, dotto
autore d'opere, munifico colla metropo-
litana, e cuori santamente.Nel i475Pietro
de Lion aquilano fratello del siniscalco di
Tolosa. Nel 1491 Ettore di Bourbon per
nomina pontificia.cuenire il capitolo avea
designato il preposto Pietro Roser,percui
vi fu grave lite e alterazione nel parla-
mento di Bordeaux. Nel 1 5o2 e di 1 8 an-
ni l'egregio Giovanni A' Orleans de' du-
chi di Longueville, poi cardinale; adornò
la cattedrale, costruì la sagrestia con di-
verse cappelle e il coro, e con dispensa ot-
tenne l'amministrazione d'Orleans.A'27
ottobre 1 533 gli successeli cardinal Ga-
briele de Grandemont o Grammont o
Gradmoiit}moilo nel palazzo arcivesco-
vile di Balma a' i5 marzo o 26 maggio
i534> Perciò ne occupò la sede il cardi-
nal OJetto di Coligny, amministratore
di Beauvais, deposto da tutte le dignità
da Pio IV, per quanto riportai nella bio-
grafia ed a Porpora. Nel 1 53g il cardinal
A.n\.oa\oSanguin. indi amministratore nel
i559 il cardinal Roberto de Lenoncourt
lodatissimo. Poscia il celebre cardinal
Giorgio d' Armagliele , governatore del-
l'Occitania e legato d'Avignone, della cui
sede divenne amministratore. Nel i5y3
Paolo de Foix oratore regio a vari prin-
cipi e presso Gregorio XIII, altamente
encomiato per le sue eccellenti doti. Nel
1 584 •' cardinal Francesco di Giojosa,
che nel 1 Dgo celebrò il concilio provincia*
le co' suoi suffragatici, nel quale furono
ordinate ottime costituzioni pel governo
delle chiese, a seconda de'decreli del con-
cilio di Trento, e rifece il coro della cat-
tedrale consunto dal fuoco. Per sua di-
missione nel 16 14 Lodovico ùe Xogaret
poi cardinale, sotto del quale s'iulrodus-
TGL 53
sero nel 1616 in Tolosa le carmelitane,
nel 1 620 le terziarie, nel 1 622 i benedet-
tini di s. Mauro, nel 1623 i cisterciensi
foglianti. Per di lui rinunzia, nel 1628
Carlo de Montchal dotto in ogni scienza
ed eloquente , pel cui esempio, predica-
zione e vigilanza, l'antica pietà de'tolo-
sani ricevè notabile incremento ; acerri-
mo difensore della libertà ecclesiastica e
zelante pastore,a' 1 3 novembre 1 644 nel"
la chiesa di s. Saturnino fece la solennis-
sima traslazione delle reliquie de'ss. Ed-
mondo re, Sinforiano, Claudio, Nicostra-
to, Castore e Simpliciano martiri, assisti-
to da' suffraganei e alla presenza del se-
nato di Tolosa ede'suoi otloviri capito-
lini; indi nel 1 647 celebrò quella de'corpi
de'martiri Raimondo e Bernardo, cano-
nico e chierico di Tolosa, trucidati per la
fede cattolica dagli albigesi. Fondò il se-
minario presso la chiesa di S.Pietro, e con-
tribuì alle istituzioni de' carmelitani te-
resiani,di monasteri di monache e ospe-
dale; assai lodato per le sue opere e per
l'indefessa episcopale sua vigilanza, mo-
rendo colle parole: In manus Inas Do-
mine commendo spiritimi menni, et Spon-
sam meam. Pe' successori di Pietro de
Marca (V.), traslato da Conserans nel
i652e poi di Parigi, si può vedere la Gal-
Ha Christiana della 2.* edizione. Le No-
tizie di Roma riportano la seguente se-
rie. Nel 1740 Carlo Antonio de la Roche
Aymont poi cardinale. Nel 17 53 Fran-
cesco de Crussol d'Usez di Clermont, già
vescovo di Blois. Nel 1758 Arturo Ric-
cardo de Dillou di s. Germano in Laya.
Nel i 'j63Sie(anoCm\oLomenié de D ricii'
ne, già vescovo di Condoni, e fece quel
bene che notai nella biografia, misto di
male gravissimo e deplorabile; traslato a
Sentii re gli ottenne il cardinalato dal ri-
pugnantePioVKche poi volendolo depor-
re dalla Porpora (!'.), egli furbissimo la
rinunziò. Nel 1788 Francesco de Fonta-
gnes di Clermont, già di Bourgeaj pel con-
cordato del 1802 die la sua dimissione,
e veune perciò deportato ad A.utuu, dove
54 T O L
H»ori nel 1 806 martire di sua cai ilei. Clau-
dio Francesco M/ Prunai dell'arcidioc'e-
si di Lione, gui consagralo vescovo costi-
tuzionale di Tolosa nel 1 792, venne pie-
conizzatocauonicamenlcda Pio VII a'29
aprile 1802, e mori nel 1816. Lo stesso
Papa il 1 ."ottobre 1 8 1 7 gli sostituì Fran-
cesco de Bovet, già vescovo di Sisteron,
ed a questi a'28 agosto 1820 die a suc-
cessore AnnaAutonioGiuliodeC/crmo/if-
Tonnerre, che nel 1822 creò cardinale.
Per sua morte Pio Vili a'5 luglio i83o
preconizzò Paolo Teresa David d'Astros
di Tours, già vescovo di Bajona fino dal
1820. Il sullodato tolosano A. Mauavil,
nella Nolicc sur la vie et le Pontifica t de
Gregoire XVI, non solamente descrisse
j rapporti particolari fra quel Papa e l'ar-
cidiocesi di Tolosa, ma ancora diverse no-
tizie sull'arcivescovo D'Astros, e le tribo-
lazioni da lui sofferte ne' primi anni del
secolo corrente per la fede romana e pei
motivi di cui feci cenno altrove e ne'vol.
XXVII, p. 127 ei 28, XXXIII, p. 12, LI,
p. 2 1 o(avendogliPio VII indirizzalo3 bre-
vi,quando rigettatole nomine diNapoleo-
ne 1 alle chiese vescovili vacanti, questi in-
dusse i capitoli di tali cattedrali ad elegge-
re per vicari capitolari i soggetti da esso no-
minati a quelle sedi vescovili, con funeste
conseguenze); dal medesimo Papa cono-
sciute e altamente comaien<ìdle,do?it le su-
preme Pasteur eutvoulu pouvoir récom-
penser les vertus par lapourpre romai-
ne. Celebrò il suo zelo infaticabile pel bene
della religione, la sua dottrina e vigilanza
colla quale con ardore propugnò pel trion-
fo delle verità cattoliche, anche contro gli
errori di La Mennais. Come ricostituì in
Tolosa l'opera de'pi eli ausiliari missiona-
ri adoratori e contemplatori del ss. Cuo-
re di Gesù e ne scrisse gli statuti, indi ne
Ottenne nel 1 84 1 da Gregorio XVI l'ap-
provazione e l'elogio, con breve in cui il
Papa rese solennemente giustizia a' veri
meriti di mg/D'Astros colla s. Sede, e co-
stante divozione per la medesima; al suo
mirabile spirito, dottrina, virtù e pietà,
T OL
Come il prelato s'interessò e quanta parte
prese nella questione dell'insegnamento, -
in quella de'gesuiti, e nella questione li-
turgica fatta da Gueranger; ecome il pro-
cesso della beatificazione della veu. Ger-
mana Cousin borghigiana di Tolosa co-
minciò sotto Gregorio XVI, per cura del-
l'arcivescovo che poi fu consolato del fe-
lice risultato. Il premio di tanti ineriti che
si proponeva di dare Gregorio XVI al-
l'insigne prelato , P effettuò il successore
Pio IX a'3o settembre i85o, creandolo
cardinale dell'ordine de'preti, e rimetten-
dogli a Tolosa la notizia e il berrettino
rosso per la guardia nobile conte Pompeo
Troili, deputando in ablegato pontificio
per la presentazione della berretta cardi-
uali/.ia, mg/ Achille Apolloni (incaricato
di fare altrettanto col cardinal Mathieu
arcivescovo di Besancon e col cardinal
Gousset arcivescovo di Reims) attuale de-
legato apostolico di Rieti. Per la sua gra-
veetà e debole salute, non potendo il car-
dinal D'Astros recarsi in Parigi a ricever-
la per le mani del presidente della repub-
blica francese, ora imperatore Napoleone
IHjCome fecero gli altri duecardinali men-
tovati, il Papa stabili che si facesse in To-
losa, ed ecco come seguì, secondo la rela-
zione che ne pubblicò il Giornale di Ro-
ma a p. 1 1 62. Sua Santità delegò per ta-
le offizio il cardinal Fornai-i, già nunzio
di Parigi, colla facoltà di suddelegare al-
tro dignitario della chiesa fra gli arcive-
scovi viciniori, in caso ch'egli non potesse
recarvisi personalmente. Difatti il cardinal
Fornari suddelegò mg/ Francesco Don-
net arci vescovo di Bordeaux (nel i852 an-
ch'egli elevato al cardinaiato).Questopre-
lato,che trovatisi allora in Parigi, ne par-
tì a' 1 5 novembre con mg.1 Apolloni able-
gato apostolico, e passando per Orleans,
Tours, Nantes, Lucon, Pons, Blaye e Bor-
deaux, a'26 giunse in Tolosa. Le popola-
zioni degl'indicati luoghi e degli altri in-
termedi, informate che i due prelati era-
no insigniti d' una missione del sommo
Pontefice , fecero loro dovunque dimo-
TO L
slrazioni onorifiche, in segno della loro
speciale divozione verso i 1 capo della Chie-
sa. La cerernonia dell" imposizione della
berretta rossa si dovea fare nella chiesa
metropolitana, ina il cardinal D'Astros
non potendo visi recare per tostalo di sua
salute , si esegui nella sua cappella pri-
vata. Erasi innanzi all'altare di essa col-
locato un genuflessorio destinalo pel car-
dinale: a diritta e a sinistra ve n'erano al-
tri per l'arcivescovo di Bordeaux, l'arci-
vescovo di Sardi mg.r Mioland coadiuto-
re di Tolosa, e l'antico vescovo di Bajoua
(mg.r Stefano M.1 Brunone d'Arbou, ohe
traslalo da Verdun era successo al cardi-
nale in quella sede, che rinunziò a Gre-
gorio XVI neh 838); un cuscino ed una
sedia a hracciuoli per l'ahlegato pontifi-
cio : nel centro erativi altre sedie per le
prime autorità giudiziarie, civili e milita-
ri invitate ad intervenirvi. Il clero stava
ne'hanchi a diritta e a sinistra. Dopo aver
l'arcivescovo di Sardi celebratala messa,
una deputazione del capilolo metropoli-
lano si recò a prendere il cardinale, che
entrò nella cappella preceduto dalia cro-
ce arcivescovile. Indi il cardinale s' ingi-
nocchiò, e l'ahlegato gli presentò su d'una
coppa d' argento il hreve apostolico, col
quale il Papa Pio IX lo creava cardina-
le di s. romana chiesa. L'ab. Roger uno
de' vicari generali lo lesse; quindi l'arci-
vescovo di Bordeaux proferì il seguente
discorso. » Eminenza. Colloca ndo sul ca-
po dell'Eminenza Vostra R..ma le insegne
della dignità cardinalizia, mi attribuisco
ad onore l'adempiere ad un incarico, che
certamente sarebbe stato più maestoso,
ove fosse stato eseguito dallo stesso Rap-
presentante della s. Sede in Parigi. Alla
mancanza di quello splendore che avreb-
be alla ceremonia apportato la presenza
di lui, piacciavi di supplire cogli omaggi
ohe vi otfre un cuore, il di cui allaccimeli-
to è da voi ben conosciuto. 11 nunzio a-
postolico conoscitore profondo de' senti-
menti di Roma, e fedele interprete della
pubblica opinioue diFraacia, vi avrebbe,
I O L
o Eminenza, detto con più autorità , in
quale venerazione siate presso di tutti, e
i molli molivi, per cui si è posta sul vo-
stro capo un'insegna che viene a corona-
re la vostra lunga e laboriosa carriera.
Questi titoli e queste uni versali testimo-
nianze vi si sarebbero altresì in singoiar
modo manifestate , per mezzo d'una di
quelle generose e simpatiche parole, cheil
Capo dello Statosi è fatto sfuggire dal lab-
bro, nella recente solennità , in cui due
de' nostri più illustri colleghi ricevettero
onori sì ben meritati: parole d'un cuore
nobile:ammaestramento che rimarrà per-
peluameute scolpito nella nostra istoria
contemporanea. Dalle vostre virtù e dal-
la vostra fermezza incapace d'essere smos-
sa, il Nipote di Napoleone comprese la
gloria del confessore della fede; ed ha pub-
blicamente dichiarato che l'onor della por-
pora, di cui siete oggi cgo tanta solenni-
tà rivestilo, non era già una compiacen-
za del suo cuore, ma un giusto guiderdo-
ne per voi. Al pensiero d'una promozio-
ne che ha rallegrato l'episcopato, non pos-
so non aggiungere l'altro d'un principe
della Chiesa, che fu pur egli insuperabile
nella fedeltà, instancabile per lo zelo, la
cui memoria benedicono ancora oggidì le
opere fatte nelle vaste nostre diocesi, co-
me, o Eminenlissimo, glorificano il vostro
nome quelle di Bajoua e di Tolosa. In pre-
senza di quest'altro voi stesso, di questo
vostro coadiutore, pur egli com'io, figlio
della chiesa di Lioue, mi conviene di ren-
dere quesla testimonianza ad un vescovo
doppiamente illustre per la sua divozioue
alla s. Sede apostolica, e pe'legami di san-
gue, che l'univano al trono imperiale. Co-
sì la Provvidenza giustifica le sue opera-
zioni. Nulla è caso; noi siamo gl'ignoran-
ti. Se alcuua cosa succede nell'ordine de-
gli avvenimenti, è, dice la s. Scrittura, la
sapienza di Dio ladens coranico inoibe
terrarum. Ebbeoel non pare che questa
sapienza abbia scelto il Nipote dell'Impe-
ratore per fecondare dopo tanti successi
tutti i nostri elementi di ordine, di unio-
56 T O L
ne e di armonia ? Non potrò aggiungere,
e per riparare eziaudio a vostro riguardo
le violenze della politica umana, fra tan-
te cose d'altronde sì consolanti e sì gran-
di per la Chiesa, che cominciarono il più
glorioso di tutti i regni. E voi, mg.r Ab-
legato, che siete venuto nella nostra cit-
tà ad adempire un incarico, cui vi chia-
mò la fiducia che il Santo Padre in voi ri-
poneva, permettete che con esso voi ci con-
gratuliamo per vedervi fra noi. Vostra Ec-
cellenza, nel vedetesi da vicino le nostre
popolazioni, e gli uomini ragguardevolis-
simi che presiedono alle cose pubbliche,
ha dovuto essere commossa dalle testimo-
nianze di rispetto che si danno alla Chie-
sa di Gesù Cristo. E come potrebb'esse-
re altrimenti? Non è forse essa che in mez-
zo alle nostre tempeste ha mantenuto la
pace al di dentro, ed ha fatto nello ester-
no scorgere il valore e l'animo cristiano
de* nostri soldati ? Voi avete veduto nel
vostro viaggio fra noi la religione, sem-
pre inesauribile nellesue misericordie, ap-
pacificare gli odii, dare appoggio alla de-
bolezza, perdonare all'errore, e prepara-
re un migliore avveuire, facendo un ap-
pello alla nostra ragione, a' nostri cuori,
a tutti i nostri più cari interessi. Potrete
adunque dir voi al nostro immortale Pio
IX le meravigliose conquiste della fede e
della libertà in mezzo a lauti avvenimen-
ti impreveduli, che per un'ammirabile
disposizione della Provvidenza, invece di
allontanarci dalla religione, ci ha ad esso-
lei avvicinati. Voi addolcirete le ama-
rezze del paterno suo cuore, parlandogli
dell'amore inviolabile de'suoi figli, i cat-
tolici di Francia , soave balsamo gittato
nel calice de'suoi dolori. Possano queste
dolci impressioni rimanervi scolpite col-
la memoria di questo giorno. Possa que-
sta lesla, nella quale prendono una parte
sì viva l'illustre clero, la magistratura, la
truppa e lutti i divoti fedeli che vi si affol-
lano intorno, portare un novello splendo-
re alla città di Tolosa, che conta di già sì
belle fèste negli annali della sua istoria",
TOL
Terminatosi il discorso dall'arcivescovo
di Bordeaux, l'ablegato pontificio aven-
dogli presentata la berretta su di una cop-
pa d'argenlo, il suddelegato la collocò sul
capo dell' illustre arcivescovo di Tolosa,
che inginocchiato, commosso e con umile
atteggiamento ricevè un così segnalato o-
nore. Tutti gli occhi erano rivolti sopra
di questo degno confessore della fede: ed
uno era il voto e la preghiera di tutti i
cuori. Dopo l'imposizione della berretta,
sua Eminenza intuonò il Te Deum, e pre-
ceduto dalla deputazione del capitolo me-
tropolitano, da'vicari generali e dall'able-
gaio, rientrò ne'suoi appartamenti per ve-
stire l'abito cardinalizio. Ritornato nella
cappella terminò l'inno di ringraziamen-
to colle consuete orazioni, e salito sull'al-
tare die l'episcopale benedizione agli a-
stanti. Quindi il clero processionalmente
accompagnò il cardinale nella gran sala
dell' arcivescovato, ove il cardinale pro-
nunziò il seguente discorso in risposta al
fattogli dall' arcivescovo di Bordeaux.
«Monsignore. Una grave malattia e nu-
merosi incomodi avendomi impedi lo d'an-
dare a Parigi co'miei venerandi colleghi
per ricevere dalle mani del Presidente la
berretta cardinalizia, trovo un dolce com-
penso nella consolazione che provo in a-
vere le insegne della mia nuova dignità
da voi, o Monsignore, per cui da lungo
tempo professo una profondissima vene-
razione,un attaccamento sincero.Quest'of-
ficio, o Signore, che a nome di Sua San-
tità vi fu confidato, e che con tanta be-
nevolenza avete adempiuto, possa essere
per voi un mezzo a più grandi favori (pre-
sagio verificato). Frattanto, o Monsigno-
re, accettate i miei ringraziamenti per tut-
ti i disagi che vi ha recalo questa delega-
zione, e fate giungere al Padre comune
de'fcdeli unnuovo contrassegno della mia
viva riconoscenza per l'estrema bontà che
lo ha indotto a rivestirmi, malgrado la
mia indegnitàjdella Romana Porpora. Per
parte mia non lascerò mai di addottanda-
re uH'unuiputeiilissimo Iddio, che degui
TOL
versare sul nostro amato Pontefice, e sul
vostro capo, o Monsignore, le più abbon-
danti benedizioni. Vi prego altresì di far
conoscere al Presidente della Repubblica
quanto io sia commosso da un nuovo con-
trassegno di boutà,cheha voluto darmi,
scrivendomi in occasionedella mia promo-
zione una lettera piena di sapienza e di
sensi generosi. Voi,o Monsignore, mi a-
vete ricordati due tempi della mia vita,
che quantunque assai differenti, mi fanno
benedite la divina Provvidenza, imperoc-
ché l'imo e l'altro mi hanno dato consola-
zione, iddio meglio di noi sa quello che ci
bisogna, ed egli solo potrà duci quello che
sarebbe stato realmente più utile nella mia
prigionia del 1 8 1 t , o nella promozione al
cardinalato nel 1 85o. Quauto a me oserò
dirvi con confidenza, che mai non è resta-
ta nel mio cuore memoria amara del pas-
sato, e checotiserverò sempre un vivosen-
timento dt gratitudine per la nobile e de-
licata maniera con cui il Presidente della
Repubblica ha voluto alludere ad un fatto
di venuto già così antico". Finito il discor-
, so il cardinale ricevè le congratulazioni
de'prelati, del clero e delle principali au-
torità invitate alla ceremonia. L'eloquen-
te discorso pronunziato dal cardinal Don-
net arcivescovo di Bordeaux, tanto ono-
rifico per la Francia religiosa e alla sua
divozione pel sommo Pontefice, mi richia-
ma alla memoria il recente dichiarato dal-
la benemerentissima Civiltà Cattolica
(sempre più intenta indefessamente a van-
taggio di lutto il mondo, per promuove-
re con ogni argomento i buoni piiucipii
religiosi e morali della società umana, a-
nimando tutti e principalmente gl'italiuui
■ al doveroso ossequio d'ogni legittima au-
torità divina e umana, che a'dì nostri è
tanto sventuratamente impugnata da'ii-
bertini avversari dell'ordine e della pace),
cioè nell'esordire coli 856 la sua 3/ Se-
, rie nel magnifico articolo: Uno sguardo
I al passato triennio. Edificato dalla uo-
l bilissima nazione francese e dal veneran-
do suo clero, nel fargli con eifuMoue d'u-
TOL 57
nimo veritiero e fervido eco, dall'ammi-
razione mi sento spinto a qui riportar-
lo, siccome grande e glorioso trionfo spi-
rituale della ss. Religione cattolica apo-
stolica romana, il che mi fa pure rincuo-
rare intorno all'avvenire. Giustamente
e sapientemente la sempre dotta Civiltà
Cattolica celebra il mirabile e progre-
diente spirilo religioso, che sfolgorante
regna in tutta Francia, la quale venuta
la prima tra le barbariche genti al seno
delia chiesa cattolica, di ragione si appel-
la la primogenita figlia (titolo splendi-
do, di cui riparlai a Titolo d' osore), e
perciò ecco quanto dice." hi lei è talmen-
te abbarbicata alle sue più intime fibre la
fede, ch'essa potrà essere sfiorala e sfron-
dala a quando a quando, ora più ora me-
no, ma non divelta ne diradicata giam-
mai. Anzi per singoiar privilegio del cielo
lo spirito cattolico che la informò da pri-
ma è pieno ili vita , che dopo i più fieri
combattimenti e le più sformate tempe-
ste, le quali han sembianza d'averlo del
tutto inabissato e spento, gli bastava ima
breve tregua e una piccola calma, per ri-
pigliar nuovo slaucio e manifestarsi in tut-
ta l'efficacia del suo nativo vigore.Or nella
Francia molte cose sono accadute in que-
sti tre anni, delle quali la s. Chiesa di Dio
ha cagione di rallegrarsi. A tacere de'san-
tuari e delle chiese riaperte, delle statue
iunalzale a Maria, dell'accrescimento de-
gli ordini religiosi (e per ultimo di quello
de'cisterciensijChe avendo ricevuto la cul-
la in Francia è il più nazionale di tutti,
avendovi contribuito il pioegeneroso zelo
d'alcuni principi della casa Bonaparle;e
dal monastero di s. Croce iti Gerusalem-
me di Pioma, ora vaa ripiantarsi tra'frau-
cesi questo bell'albero del giardino della
Chiesa, pel narrato nel n.°3 del Giornale
di Roma del i 856, di che mi gode l'ani-
mo di potere in questo articolo farne ri-
cordo, per essere stata Tolosa un campo
fecondo allo zelo de'cisterciettsi, pel rife-
rito di sopra); due cose sopra le altre ci
seuibruuo degue d'essere commemorale.
58 TOL
I/una è lo spirito di religione ridestatosi
nell'esercito, coli' occasione della guerra
d'Oriente (che ora sembra finita. Tripudia
il mio cuore di poter qui sugli stampo-
ni aggiungere l'intonazione d'uu Alleluia
e d'un Te Dcutn, pel sottoscritto proto-
eolio de'preliminari di pace a Vienna il
i.° febbraio; pace e trionfo morale che
principalmente si deve agli sforzi pacifici
della sempreeminentemente saggia e pos-
senteAustria,ed alla generosa Francia che
in questa micidiale guerra procede tan-
to eroicamente e nobilmente, non che al-
l'animo elevato e magnanimo di Alessan-
dro Il imperatore delle Russie. Così l'o-
pera della generale pacificazione va a suc-
cederea una guerra calamitosa e pernicio-
sa , ad una terribile e formidabile lotta,
che ci teneva tutti trepidanti: l'opera del-
la riedificazione e deila concordia , va a
succedere alla distruzione e all'odio: l'o-
nera della penna del diplomatico alla spa-
da del guerriero: l'opera della ragione al-
le passioni. Dopo il lutto la gioia, dopo
le lagrime i rendimenti di grazie a Dio,
a chi vi ha contribuito, e ad Alessandro
II, monarca il cui disinteresse, modera-
zione, saggezza e amore alla pace hanno
portalo a questi felici risultali; perciò sa-
lutato dalle benedizioni universali, onde
non può mancare che l'opera con sì fau-
sti auspicii cominciata , sia pel patroci-
nio dell'Immacolata Concezione compila
e coronata dalle benedizioni del cielo in
Parigi!); l'altra è l'annientamento quasi
compito delGallieanismo nel clero. Ognun
che ricorda lo stato deplorabile a che sotto
il passalo governo erano ridotte in fatto di
pietà le milizie francesi, non può fare che
non renda immortali grazie a Dio per la
mutazione che ora vi scorge. Dove prima
i battaglioni perfino mancavano di cap-
pellani,d'accostarsi ■'«graffienti era pel
soldato non pur cosa strana, ma quasi im-
possibile ad avverarsi; ora quel vittorioso
esercito fornito di ministri evangelici e di
caritative Suore fa echeggiare il mondo
u u meno de' prodigi del suo valore, che
TOL
delle mostre più franche e generose della
sua pietà. Ed oh potessimo qui riportare
anche sol pochi brani di queste lettere sì
commoventi colle quali o i cappellani stes-
si partecipano tratto tratto le meraviglie
dell'eroismo cristiano orallaFrancia atto-
nita,or a conforto delle famiglie desolate,
ovvero quegli sfoghi domestici in cui gli
stessi guerrieri valendosi di qualche mo-
mento di tregua aprono agi' intimi loro
congiunti que sentimeli ti di pietà che un
dì sarebbouo stati in Francia monopolio
di congregati o di cenobi ti! Ma se la bre-
vità di questo scritto non ci permette di
riferire quelle lunghe citazioni, che può
ciascuno ricerca rea diletto ne'giornali cat-
tolici di Francia, come potrem noi tace-
re il ricordo di quel commiato ove la pia
imperatrice de' francesi veniva richiesta
da'principali fra'duei della spedizione di
coprirli coll'egida d'una Medaglia bene-
detta, e la lettera del Canrobert genera-
lissimo che da tale medaglia riconosceva
la sua salvezza nelle micidiali baltagliedel-
l'AIrna ed'lnkerman, e la solennità inu-
sitata con cui la nave ammiraglia espose
sul suo ponte alla venerazione dell' ar-
mata l'immagine di Maria, dono di Na-
poleone III, e i sentimenti di pietà di-
mostrati sul letto di morte dal Saint-Ar-
naud e da tre o quattro altri de'duci su-
premi, e quelle funebri ceremonie che sul-
la terra mussulmana chiamarono sulla
pietà francese lo sguardo attonito dell'i-
slamita? Lo spirito di religione è sempre
bello dove che sia; ma non risplende mai
di così vaga luce come quando è congiun-
to colla fortezza. Ed è forse questa la ra-
gione per cui a preferenza d' ogni altro
nome il Signore si piace sovente d'appel-
larsi nelle Scritture: Dio degli eserciti.
Per ciò che poi si attiene al Gallicanismo,
era in altri tempi sommamente doloroso
in vedere un clero sì illustre per virtù e
per dottrina, se purea lui può attribuir-
si il torto di pochi membri, essersi colie
famose sue quattro Proposizioni (/r.) del
1682 sotto specie di libertà assoggettato
T O L
ti più indebito e abbietto servaggio. Men-
tre alzava riottosa la fronte verso la cat-
tedra di s. Pietro, si strisciava bassamen-
te a pie del trono laicale; invilendo così
doppiamente se slesso, e per ciò cbe ri-
cusava di soggezione al legittimo supe-
riore, e perciò che s' accollava di dipen-
denza da un estraneo potere. Ma Iddio
benignissimo che non volea comportare
lungamente in sìnobil parte della sua ter-
restre gerarchia cotanta macchia, visitò
quel clero con lunga serie di duoli; e così
lipurgatolo al crogiuolo della tribolazio-
ne e frittolo più sapiente, lo ricondusse
passo passo a rimettersi verso del suo Vi-
cario in quella canonica dipendenza, dal-
la quale non altro risulta ne'peculiari pa-
stori che dignità e fortezza. UGallicanismo
si sapea da un pezzo già moribondo nella
Francia, ma piacque a Dio che in questo
triennio ricevesse quasi l'ultimo colpo e
per mano diquella Vergine invitta, di cui
è proprio spegnere tutte le dissensioni nel
mondo cristiano : universa* haereses in-
teremistiin universo mundo. ha granMa-
dre di Dio riserbo la definizione del suo
immacolato Concepimento (che celebrai
dopo l'articolo Teatine), perchè fosse oc-
casione alla chiesa di Francia di testimo-
nio nella maniera più solenne che essa ac-
coglieva e venerava gli oracoli pontificii,
con quella slessa religiosità e ubbidienza
che tutti i fedeli dell' ovile di Cristo. Il
perchè il domina dell'immacolata Con-
cezione di Maria se è caro a tutti i catto-
lici,èin particola»- modo carissimo a'fran-
cesi, per questa professione appunto di
fede sincera che vi è congiunta. Ma la fe-
de è tal pianta sì rigogliosa, che non prò •
duce frutti saporosi e gentili, senz'accop-
piarvi in buon dato l'ornamento e il ri-
paro di dense fiondi e vistose. E così il
rinvigorì mento della fede in Francia non
ha portato soltanto (mesta solenne ade-
J 6Ìone al domina, ma vi aggiunse conti-
! imamente dimostrazioni novelle che ne
I rendono la luce e più brillante e più si-
; cura, e dauao all'epoca presunte di quel
T O L 59
clero quasi sua propria fisouomia la per-
fezione dell'unità cattolica in una più prò*
fonda esentila riverenza verso il Vicario
di Gesù Cristo. Quindi quel frequentissi-
mo pellegrinar di vescovi ad sacra Li-
mina, quell'ossequio in cui i sinodi pro-
vinciali raccoltisi periodicamente all'in-
vilo del supremo Pastore, da lui chiedono
la sanzione ultima de' lor decreti, quelle
consulte di casi di coscienza alle varie con»
gregazioni romane, quell'edificante sot-
toporsi perfin degli autori alle proibizio-
ni di libri e di dottrine, quel ricomporsi
a tranquillità gli animi agitati da discor-
danti opinioni all'udire l'oracolo o l'esor-
tazioni del Valicano. La Liturgia stessa
che dal nascimento dv\ Giansenismo avea
contralta quella screziata varietà di Riti
e di accenti, che quasi in ogni diocesi ob-
bligava a cambiar forinola e canto, com-
pie ormai quasi il suo perfetto l'annoda-
mento all'unità colla vicina introduzione
in Parigi stessa del Breviario romano. Che
più? lestesse forme del vestir clericale in-
cominciano in certi luoghi a prender sem-
bianze romane; e lo zelo degl'illustri pa-
stori quasi volesse assicurare indefettibi-
le alla Francia la preziosa eredità di co-
desto spirito (massime dopo la celebra-
zione de Sinodi, che encomiai in questo e
ne'relativi articoli, come pur feci della ri-
pristinata liturgia romana), ha stabilito
nella capitale del mondo cattolico quel se-
minario francese (la Cronaca di Milano
a p. ioo4 dice che si fondò dal i85o in
poi, perchè i vescovi di Francia desiderosi
di restaurare nelle loro diocesi gli studi
teologici, pensarono d'inviare alcuni gio-
vani a studiare in Roma, ed aggiunge, che
nel novembre i855 i giovani erano più
di 3o e viveano come in perfetto semi-
nario), ove da ogni parte concorrono le-
viti adolescenti per attingere dottrine in-
corrottedalla tomba stessa de' Principi de-
gli Apostoli." Tornando al cardinal D'A-
stros, la nuova dignità così ben mei data
la godè appena un anno, morendo in To-
losa a'29 settembre i85i di circa jy un-
60 TOL
ni. Il suo corpo imbalsamato venne por-
tato nella cappella dell'arcivescovato in
mezzo a due lumi, ed esposto sopra un
letto funebre colle insegne cardinalizie,
ove mg/Mioland cantò la messa funebre e
asperse il corpo del predecessore, facendo
altrettanto il capitolo. Damaschi neri e
violacei decoravano il gran scalone del-
l'arcivescovato e la gran porta inferiore;
il popolo si recò in fòlla a venerare il suo
ben amato pastore, dando alla sua me-
moria testimonianze sincere di rispetto e
di dolore. Nella metropolitana si celebra-
rono le solenni esequie a'y ottobre, con
l'assistenza de' vescovi suffragane*! di Mon-
tauban, Pamiers e Carcassona, co'loro vi-
cari generali, oltre il suddetto mg.r d'Ar-
bou.ll corpo fu tumulato in detta cbiesa,
ed il cuore venne portato nella cbiesa de'
suddetti missionari diocesani. Gli succes-
se il coadiutore sullodato e attuale arci-
vescovo mg/ Gio. Maria Mioland di Lio-
ne, già arcivescovo di Sardi: prima era
stato vicario generale di sua arcidiocesi
di Lione, e nel i838 fatto vescovo d'A-
miens. L' arcidiocesi è ampia e contiene
molli luogbi, formata dal dipartimento
dell'Ai ta-Garonna. Ogni nuovo vescovo
è lassato ne' libri della camera apostolica
in fiorini 55o, ascendendo la mensa a
franchi 2 5,ooo.
Co nei lu di Tolosa.
Il i .° fu tenuto nel 5oj, indicato dal p.
Arduino, ma mancano gli atti. Il 2.° nel-
l'828 celebrato perordinedi Lodovico I il
Pio. 11 3.°nell'829, di cui tratta, come di
altri, la Gallia Christiana. Il 4-°nell'873
o883 sulle lagnanze degli ebrei contro i
cristiani. Il 5.° nell'879. 11 6.° nel ioo5.
Il 7.°neho56 a' 1 3 settembre, composto
dii8 vescovi, e presieduto da Ilarnbaldo
arcivescovo d'Arlcs, e da Ponzio arcive-
scovo di Aix,come vicari diPapa Vittore 1 1
nelle Gallie, e furono fatti 1 3 canoni sul-
la disciplina e altre materie ecclesiastiche,
per abolire la simonia, e prescrivere a'
chierici il celibato, non che rimediare al-
tri abusi. Tra le altre cose vi fu ordinato,
TOL
che se un chierico si faceva monaco in un
monastero, coll'intenzione di divenir ab-
bate, vi resterebbe monaco, senza poter
essere abbate, sotto pena di scomunica. Vi
si rinnovò la legge sulla continenza de'
chierici, sotto peuadi deposizione.In que-
sto concilio Berengario visconte di Nar-
bona fece un lamento vivissimo coli' ar-
civescovo Guifredo, accusandolo d' aver
dato le terre della chiesa di Naibona e de*
canonici, a quelli che portavano 1' armi
per lui; ma non si conosce qual effetto eb-
bero tali lagnanze. L'8. "secondo il Man-
si tra il 1 o 58 e il 1 06 1 , nel quale la chiesa
di s. Segolena fu data al monastero di s.
Vittore. Il g.° nel 1 068 omeglio nel 1 086,
tenuto dal legato cardinal Ugo Candido,
coll'assistenza di 1 1 vescovi. Vi si condan-
nò la simonia, e si ristabilì il vescovato di
Leclottre, ch'era stato cambiato in mo-
nastero. Tra queste contrastate epoche si
pone pure un altro concilio alla fine del
107C), che tenne Ugo vescovo di Die le-
gato della s. Sede, nel quale fu deposto il
vescovo di Maguelone come simoniaco. Il
i o. nel 1 oqo verso la Pentecoste, aduna-
10 e presieduto da'legati di Papa Urba-
no 11, assistiti da' vescovi di diverse pro-
vince, e in particolare da Bernardo arci-
vescovo di Toledo ritornato da Roma in
Ispagna, per la purgazione del vescovo di
Tolosa e la riforma di alcune cose della
chiesa Gallicana. Vi si corressero diversi
abusi, e ad istanza del re di Casliglia s'in-
viò una legazione a Toledo per ristabilir-
vi la religione. L'i i.° nel 1 t io dopo la
Penlecoste,dal cardinal Riccardo Riccar-
di lega lo di Pasquale II, i di cui atti si sono
perduti, è pare che vi si facessero ancora
delle coslituzioni conlrogl'invasori de'be-
m della cattedrale. II12.0 nel 1 1 18 con-
vocato da Papa Gelasio II che trovavasi
in questecontiade,poichè sbarcato in Pro-
venza al monastero di s. Gilles, circonda-
lo dall'ossequio di una folla di signori, vi
consagrò le 3 chiese ricordate nel voi. XI,
p. 253; il re di Francia Luigi VI si ab-
boccò con lui a V ezela y, e gli spedì a Ma-
TOL
guelone l'abbate Sugero di s. Dionigi. Il
Papa proseguii! viaggio perAvignone eal-
tre ciltàdi Francia, ma aggiuntasi alla sua
podagra una pleurilide,morìin Cluny.Nel
concilio si trattò degli errori di Pietro di
Bruys del Delfinato, caposetta òePetro-
Brussìani. che se la prendeva contro l'Eu-
caristia, il Battesimo, la Chiesa, la Croce,
oltre altri errori; e si concluse la crociata
contro i saraceni di Spagna, in aiuto d'Al-
fonso 1 re d'Aragona e Navarro, che gua-
dagnò una gran battaglia a' io dicembre.
Il i 3.° a' i 3 giugno i i ! o, presieduto dal
nuovo Papa Calisto 11 eletto in Cinny ,
assistito da'caidinali, da' vescovi e dagli
abbati di Linguadoca. Visi fecero io ca-
noni sui benefizi ecclesiastici, sugli eretici
seguaci di Pietro di Bruysesetta di ma-
nichei, sulle decime e altro. 11 3.° canone,
ch'è il più rimarchevole, dice: » Noi ordi-
niamo che l'autorità secolare reprima co-
loro che affettano un' apparente pietà,con-
dannando il sagramento del Corpo e del
Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo,
il battesimo de'fanciulli, il sacerdozio e gli
altri ordini ecclesiastici, e i matrimoni le-
gittimi, e noi gli cacciamo dalla Chiesa co-
me eretici." Vi si pronunciò la scomuni-
ca contro i monaci, i canonici e i chie-
rici che rinunziano alla loro professione,
e si lasciano crescere la barba e i capelli
come i laici. Il 1 4-° nel i 1 1^ sopra i sagra-
menti, accennalo da Arduino. 11 i5.°nel
1160 01161 per Alessandro III, avver-
sato dallo scisma dell'antipapa Vittore V
sostenuto dall'imperatore Federico I. Fu
convocato da Luigi VII re di Francia e
da Enrico li re d'Inghilterra. Vi si tro-
varono 100 prelati, tra vescovi e abbati
de'due regni, e vi riconobbero il Papa più
solennemente che non avea fatto l'anno
avanti, nell'assemblee tenute da ciascuno
di loro a Deauvais e a Neuf-Marche, in
Normandia e a Londra. Ili 6.° neh 162
1 contro l'antipapa Vittore V e in favore
del legittimo Alessandro III. Il 17.° nel
1 178 contro i terribili eretici albigesi, che
tenevano agitala tutta la contrada e la
TOL 61
Chiesa. Hi8.°neli2i9sopra la disciplina
ecclesiastica, e ne parla il Martene, CoU
lect. t. 7. Il ig.° nel 1 229 in settembre o
novembre, tenuto dagli arcivescovi di Nar-
bona,di Bordeaux e di Auch,conmolti ve-
scovi ealtri prelati. Visi trovò ancora Rai-
mondo VII conte di Tolosa con altri si-
gnori, il siniscalco di Carcassona, e i due
consoli di Tolosa,cioè della città e del bor-
go. Presieduto dal celebre legato cardi-
nal Romano Bonaventura, vi si pubbli-
carono 45 canoni, tutti tendenti ad estin-
guere completamente la funesta eresia al-
bigese, e a ristabilire la pace e l'osservan-
za di quanto erasi perciò prescritto. Il più
rimarchevole è questo: » Che i vescovi e-
leggeranno in ogni parrocchia un prete,
e due o tre laici di buona riputazione, a'
quali faranno prestare giuramento di rin-
tracciare diligentemente e frequentemen-
te gli eretici nelle case, nelle caverne o do-
vunque si potessero nascondere ; e dopo
aver preso le necessarie cautele , perchè
non possano fuggire, ne darau parte pron-
tamente al vescovo, al signore del luogo
o al suo balivo. Anche i signori cerche-
ranno gli eretici ne'villaggi, nelle case e
ne'boschi." Gli altri canoni riguardano i
diritti e immunità delle chiese sconvolte
dagli eretici. Il 20. ° fu tenuto neh 3 19,
di cui mancano gli atti, sebbene ricorda-
to da'collettori Labbé e Arduino. Il 21.0
neh 327, in cui fu proibito di farsi cele-
brare i funerali prima della propria mor-
te. Il 22.0 neh 090 in maggio, celebrato
dall'arcivescovo diTolosa cardiual di Gio-
iosa e da lui presieduto,colPassistenza de'
vescovi di s. Paul, Piieux e Lavaur, da'de-
putati di quelli di Lombez, Pamiers, .Mi-
repoix e Montauban. Vi si fecero de're-
golamenti utilissimi divisi in 4 parti, e ri-
guardanti i doveri de'vescovi, de'capitoli,
de' curati, de' preti, de' chierici, de' pre-
dicalori, de'vicari foranei e delle mona-
che. Vi si trattò de'sagramenti in gene-
rale, e persino della tonsura; e in parti-
colare delle reliquie de'santi, dell'indul-
genze, delle feste, de' voti, de' seminari,
<>2 TOM
degli ospizi, della scomunica; e dello giu-
risdizione ecclesiastica, dell'alienazione de'
beni delle chiese, della residenza, delle
provvisioni de' benefìzi , della simonia e
confjdenza,deH'inquisizione, degli usurai,
de'sortilegi e de'maghi.
TOM A CELLI Alberico o Uldarico,
Cardinale. Napoletano, che altri voglio-
no della famiglia Cibo, nelle tempora del
dicembre i 125 Onorio II lo creò cardi-
nale prete de'ss. Gio. e Paolo, e finì i suoi
giorni neh i54,dopo aver sottoscritto due
bolle d'Onorio 11 neh 127 ei 128. Osser-
va Caldei la, che non trovandosi tra gli e-
lettori de'6 Papi successori d' Onorio li,
crede probabile che morisse nel suo pon-
tificato.
TOMACELLI Pitn^Cardinak, V.
Bonifacio IX Papa.
TOMBA. V, Sepoltura, Taberna-
colo.
TOMI. Sede arcivescovile e metropo-
li della piccola Scizia del Ponto, arcive-
scovato onorario nel VI secolo del patriar-
cato diCostantinopoli nelle provincieBar-
bare, senza suffraganei,e ne parlai a Tar-
taria descrivendo la Scizia. La città ro-
vinata sorse verso l'imboccatura del Da-
nubio, che alcuni credono succeduta al-
l'attuale Tomisvor, villaggio della Tur-
chia europea, in Bulgaria, sangiacato di
Silistria; sul mar Nero, tra Ruslendje e
Mangali. Ha un piccolo porto dove si fa
qualche commercio. Creclesichesia il luo-
go d'esilio del famoso poeta Ovidio, eia
patria di Papa Conone. Siccome fu rite-
nuta Temes'War giacere sul suolo dell'an-
tica Tomi o Tomes, in quell'articolo ri-
portai le recenti scoperte archeologiche
che ciò escludono. 11 martirologio fa so-
vente menzione di Tomi, relativamente
a'molti ss. Martiri che quivi versarono il
loro sangue per la fede di Gesù Cristo. Si
conoscono i seguenti vescovi. Evangelico
sedeva a tempo dell' imperatore Diocle-
siano; Filio fu gettato in mare dopo aver
sofferto altri tormenti , e il martirologio
di l'cda uè la menzione a'3 gennaio; IN'.
T O M
assistette nel 325 al conciliodi Nicea;Bret-
tannionc, commendevole per la sua san-
tità e pelsuozeloper la fede cattolica, fio-
riva nell'impero di Valente ariano, a cui
resistette valorosamente, e la Chiesa ogni
anno ne celebra la memoria; Geronzio in-
tervenne al 1 .° concilio generale di Costan-
tinopoli; Teolirno I vivea nel 3g3, s. Gi-
rolamo lo annovera fra gli scrittori del suo
tempo,eil martirologio romano ne fa men-
zione a'20 aprile; Timoteo trovossi al con-
cilio d'Efeso nel 43 1 ;Giovanni zelante del-
la fede cattolica contro i nestoriani eglieu-
tichiani, morì prima del 44^> Alessandro
intervenne al concilio di Costantinopoli
del 449iec'afluell° diCalcedonia del 4^7;
Teotimo II ebbe lettera dell'imperatore
Leone I, sull'assassinio di s. Protetto; Pa-
terno sottoscrisse la relazione che il con-
cilio di Costantinopoli mandò a Papa s.
Ormisda, sull'elezione del patriarca Epi-
fanio ; Valentiniano, cui il Papa Vigilio
scrisse per la condanna de'Tre Capitoli nel
54q o 55o. Oricns christ.ì. I, p. 1212.
TOM ISMOoTO MI STI. Chiamasi To-
mismo la dottrina dell'angelico s. Tom-
maso d'Aquino (/^.), risguardante quella
parte di Teologia (V.), che tratta della
grazia e della predestinazione; e Tomisti
que' Teologi (T7.) che fanno professione
di seguirla, particolarmente i domenicani
o Predicatori. Dichiarai! Bergier nel suo
Dizionario della teologia. » Non appar-
tiene a noi di terminare questa disputa,
la quale dura già da molti secoli, e che
probabilmente dorerà ancora un più lun-
go tempo; noi non vi prendiamo né in-
teresse, uè partealcuria.Noi vogliamo sol-
tanto che allorquando avvi questione di
sistemi arbitrari sopra un mistero incom-
prensibile, come la predestinazione, non
vi si metta alcun calore,che si si astenga dal
far uso di termini duri e di accuse teme-
rarie; egli è assai meglio per un teologo
di consumare il suo tempo, di adoperare
i suoi talenti e procurare ogni suo sforzo
di difendere le verità della nostra fede con-
tro coloro i quali le negano."
T O M
TOMMASI Viviano o Vibuno, Car-
dinale. Denominato il Maestro, orviela-
no, o come altri vogliono sanese e origi-
nario d'Ancona, da dove la sua famiglia
si rifugiò e stabilì in Siena a tempo di Fe-
derico I imperatore, che nemico impla-
cabile della chiesa romana occupò colle
armi Ancona. Xell'articoloORviETo ripor-
tandolo tra'cardinali orvietani, notai che
sanese lo qualificarono Cardella eNovaes,
sebbene il i .°nel classificare i cardinali per
pali ia pose il Tomtnasi tra gli orvietani
ed ommise i sanesi. Ne' Ritratti poetici con
note biografiche eli alcuni illustri uomi-
ni (V Orvieto, vi è compreso il Tommasi,
lodato per svegliassimo ingegno. Essen-
do nella sua verde età arcidiacono nella
cattedrale d'Orvieto, indi portatosi in B.o-
ma ed acquistatasi col suo sapere alta ri-
putazione quale avvocato nella curia ro-
mana, Alessandro III nelle tempora di set-
tembre! i 7 i, ovvero nel i i 73, lo creò car-
dinale prete di s. Stefano al Monte Celio.
Indi il Papa nel 1 1 76 Io destinò con Gra-
ziano nipote d'Eugenio III, alla legazio-
ne di Scozia e Irlanda, per ordinare le co-
se religiose e comporre le chiese di que'
due regni discordanti fra loro, e vi si ap-
plicò col suo talento e zelo. Tenuto un con-
cilio in Dublino, coll'mtervento de'vesco-
tì e abbati d' ambedue que' regni, com-
pose e aggiustò colla sua autorità, dottri-
na emodiaccetlevoli le differenze di quel-
le chiese; e si studiò colla sua prudente
destrezza di riconciliare Enrico 11 red'ln-
ghillerra con s. Tommaso arcivescovo di
Cantorbei y.Ma le frodi, l'astuzie e la mala
fede del re, che nou avendo la volontà di
pacificarsi sinceramente eoll'illustie pre-
lato, per mezzo prima di regali e di bian-
de parole, e poi di minacce studia vasi di
trattenere, sebbene indarno, in quel re-
gno il cardinale,ne impedirono il bramato
effetto. Alcune particolarità di questa le-
1 gazione si potino vedere nel De Marca,
Concordia lib. 5, cap. 56. Avendo mo-
I strato perizia nel maneggio de' pubblici
1 negozi ecclesiastici, destinato ad una 2/
T O M 63
legazione, celebrò altro concilio in Iseo-
zia, in un luogo detto il Castello delle Fan-
ciulle, iu cui con fermezza sospese dall'e-
sercizio delle pontificali funzioni Cristia-
no vescovo di Casablanca, che ricusò d'in-
tervenirvi e di troncare le differenze pel
quale era stato convocato. Mentre si trat-
teneva nella Scozia , applicato a spedire
i negozi di sua legazione, veleggiando per
diporto in mare, fu fallo prigione dalle
genti di Giovanni de'Curci, il quale ap-
pena n'ebbe notizia ne ordinò la libera-
zione. Il vescovo Tommaso de Borgo nel-
la sua Ibernia Domenicana. ci fa sapere
che il card ina le fu nel 1 i85speditoda Lu-
cio III per suo legato in Manda, per fa-
re la solenne traslazione delle reliquie «li
S. Brigida vergine e della b. Colomba ab-
badessa, nella metropolitana d'Armagli,
lo che seguì con gian pompa e solennità
alla presenza di 1 5 vescovi , di gran nu-
mero di decani, abbati, priori, sacerdoti
e chierici, di nobiltà e popolo. Il sepolcro
di queste sante rimase glorioso sino a'
tempi d'Enrico Vili. Ma quanto as. Bri-
gida, della vedova e fiorita due secoli do-
po, già narrai a Svezia che in quel regno
fu trasportato il suo corpo, est venera in
Vesteras: ciò avverto per evitare equivo-
ci ; così pure per la b. Colomba , diver-
sa dalla domenicana, che nata in Rieti mo-
rì a Perugia,oves\ venera nella chiesa del
monastero da lei fondato. Dopo avere il
cardinale radunato nella legazione d'Ir-
landa una considerabile somma d'oro e
d'argento, tutto dovè lasciare versoil 1 1 86
nel pontificalo d'Urbano III, alla cui ele-
zione, cornea quella di Lucio III, erasi tro-
vato presente, dopo aver ritenuta quasi 1 ">
anni la dignità cardinalizia, poiché la mor-
te gli rapì con detto tesoro la vita, restan-
dogli la fama di celebre legato , per es-
sersi distinto nell'arte difficile de'pubblici
affari con energica dignità.
TOMMASI Gaetano Jacopo, Cardi-
nale. V. Gaetasi Tommasi.
TOMMASI Giuseppe Maria (h.)Car
'////«/(•.Nobile siciliano, figlio primogenito
64 TOM TO M
del duca di Palma, principe di Lampe- solenne professione a'?. 5 marzo 1 666, alla
dusa, baione di Torretta e Montechiaro, presenza del padre e della famiglia. La sua
nacque in Alicata diocesi di Girgenti a' cagionevole salute e gracile temperamen-
i a settembre iG^f), e gli fu imposto il no- to, nel 1672 lo costrinse a riprendere ra-
me di Giuseppe per riconoscenza verso il ria nativa, prima di cominciare il corso
santo alla cui intercessione l'ottenero i gè- degli studi ecclesiastici; ed in seno de'suoi
nitori che ancora non aveanoavulo figli, nuovamente si fece ammirare pel suorac-
Novaes dice la sua famiglia originaria da coglimenlo e abituale divozione. Resti-
Siena, e l'annotatore di Carlo Buller (ni- tuitosi a Palermo, passò in Messina a slu-
potè e continuatore del celebre Albano), diar filosofia, e si perfezionò tanto nella
riferisce che il padre di Giuseppe M.' fu lingua greca, sino a scriverla con facilità.
un modello di virtù, e la sua vita stampa- Non confacendogli il clima di Messina, fu
ta è molto edificante; che le 4 sorelle del mandato a Roma nella casa di s. Silve-
beato abbracciarono lo stato religioso in stro sulQuirinale, allora de'teatini, don-
un monastero di benedettine fondalo dal- de fu trasferito a Ferrara, e poi a Mode-
la loro famiglia, ed ivi vissero nella per- na. In questi diversi luoghi proseguì af-
fezione della propria santificazione, in cremente gli studi, e innamorò i suoi su-
compagnia della madre ch'erasi coll'as- periorie i confratelli colla sua incontarni-
senso del marito ritirata con esse : una di nata innocenza, modestia, umiltà, vita au-
tali monache M.'' Crocefissa fu dichiarata stera e penitente, esattezza nell'adempi-
venerabile e s'introdusse il processo per mento de'suoi doveri, congiungendo a tut-
la sua canonizzazione. L'altro e unico fra- to questo lo sviluppo di straordinari talen-
tellod. Ferdinando, fu un pio laico, e di cui ti. Ritornato a R.oma,cominciò il corso dei-
pure venne pubblicata l'esemplare vita. la teologia nella casa di s. Andrea della
TostocheGiuseppeM/seppeleggere, per Valle, e con diletto vi si approfondì; pol-
le felici disposizioni alla virtù inculcata- che con esso si trovò in un più intimo coni-
gli dal padre, cominciò a gustare le ope- mercio colla fonte d'ogni giustizia e d'o-
re di s. Francesco di Sales. Amando la so- gni verità, senza menomare gli esercizi re-
litudine , non trovava alcun piacere ne' ligiosi, che da lui vennero santificati eoa
sollazzi di sua età, e die saggio di singo- l'orazione vocale e mentale, e colla nior-
golar disposizione alle lettere. L'esempio tificazione. Frequentando assiduamente
di due sorelle che si fecero religiose, prò- le scuole, impiegava gran parte del suo
dusse in lui profonda impressione; desi- tempo nello studio della s. Scrittura e de'
derava imitarle, ma gravi ostacoli incon- ss. Padri, da'quali fece molti estratti che
Irò, oltre la resistenza paterna. Per vin- poi gli riuscirono utili alle sue dotte fati-
cerla ricorse all'orazione, e con vivi sen- che. Frattanto morta nel fior degli auni
timentidi pietà supplicò il genitoreaper- la cognata, il detto zio nel crudo inver-
meltergli d'abhracciare Io slato ecclesia- no lo fece partire per la Sicilia a conso-
stico. Il padre commosso dalle sue edili- lare l'afflitto fratello; ma appena giunto
canti lagrime, e dalla costanza della vo- in Palma, il fratello che peusava rendersi
cazione, finalmente l'esaudì, rinunziando cappuccino, cadde infermo e dopo pochi
egli la primogenitura con atto puhblico giorni cessò di vivere di 21 anni, lascian-
al fratello. Recatosi d'anni i5 a Palermo, do un bambino che presto lo seguì nella
entrò ne'tealini,oveeravi loziop.d.Carlo, tomba. Il beato ned' assistere il fratello
che abbandonate le ricchezze e dignità al non solamente mostrò mirabile fortezza
fratello minore,! vi santamente vivea.Giu- d'auimo, ma nell'esequie con istupore di
seppe M. fece il noviziato con angelico fer- tutti esercitò l'ullìziodi diacono. Poiché
voi e, e dopo un anno di prova emise la ebbe mitigato il dolore de'suoi congiunti,
TO M
si recò in Palermo a compiervi lo studio
teologico, indi richiamato in Roma, an-
dò ad abitare nella ricordata casa di s.
Silvestro, e vi restò sino al cardinalato.
Ordinato prete nel 1670, amabile e mo-
desto, le sue maniere comandavano il ri-
spetto a segno che cessava negli altri o-
gni contesa quando compariva. Incarica-
to quindi di vegliare sui più giovani stu-
denti, edificava li colle sue azioni, mostran-
dosi zelantissimo de' loro progressi nelle
virtù, impegno che temperava con manie-
re affetluose,e l'esortazioni raddolciva col-
la carità. Sofferente perla sua cattiva sa-
nità, che gli abbatteva lo spirito, con ras-
segnazione cristiana sapeva rendere le sue
pene meritorie agli occhi di Dio: i supe-
riori lo sgravarono del pulpito e del con-
fessionale, ed egli con più ardore conti-
nuò a dedicarsi alla teologia. Da quest'e-
poca può dirsi ch'egli visse nelle biblio-
teche di Roma, frugando di continuo ne-
gli archivi e ne'monumenti di sagra an-
tichità.Cercava sopra lutto le vestigia del-
l' antica disciplina e delle liturgie della
Chiesa per la celebrazione della messa, per
la recita dell'uffizio divino, per l'ammi-
nistrazione de' sagratnenti. Vieppiù era
assiduo nel leggere la s. Scrittura e isuoi
commentatori,ed avvedendosi essergli ne-
cessaria la conoscenza della lingua ebrai-
ca, l'imparò perfettamente da un rabbi-
no giudeo, che co' suoi sforzi tiuseì con-
vertire al cristianesimo. Questa conver-
sione fu poi da'teatini fatta dipingere in
quadro dal cav. Concioli, ed offerto a Pio
"N 11. Le sue scientifiche ed erudite ricer-
che erano guidate dalla fede, per mostra-
re la conformità di credenza della chiesa
romana colla primitiva chiesa. Questa fe-
de manifestavasi peculiarmente nel cullo
del ss. Sagramento, e nella celebrazione
della messa. Verso questo tempo fu più fre-
quente la corrispondenza epistolare colle
sue 4 sorelle religiose, nella quale si am-
mira il combattimento di spirito che pa-
tiva, volendo abbandonare l'imprese let-
terarie e ritirarsi nella solitudine, per in-
vot,. txxvti.
TOM 65
teramente dedicarsi alla penitenza e al-
l' orazione. Però il suo genio fomentato
dall'amicizia e dalle insinuazioni del car-
dinal Francesco Dai berini il seniore, ed il
pio e dotlo cardinal Bona (gli altri cardi-
nali eslimatori del p. Tommasisi ponuo
leggere in Cardella), incominciò a pub-
blicare i frutti de'suoi elaborali studi, sin-
golarmente nelle materie liturgiche, e ne
farò in ultimo il novero. Solo qui dirò col
Pienazzi, Storia dell' Università di Ro-
ma t. 4, p- i 74> coe 'a * -opera che intor-
no ad esse egli die alla luce, fu la col-
lezione di antichissimi codici , che nella
maggior parte spettavano alla celebre bi-
blioteca di Cristina regina di Svezia, la
quale l'ebbe in sommo pregio, in cui e-
rano descritti i vetusti riti dell'ammini-
strazione de' sagratnenti. Appresso pub-
blicò la raccolta de' responsoriali e degli
antifonari della chiesa romana, premet-
tendovi eruditissime prefazioni, con note
e documenti acconci a illustrare le rispet-
tive materie. Così pur fece nell'edizione
del Salterio, che per sua cura fu pubbli-
cato secondo la versione romana e gallica-
na. Ne di essa pago, rivolse le sue fatiche
a tutta la Bibbia, pubblicandone gli an-
tichi titoli e capitoli de'libri chela com-
pongono. Recò poscia in Ialino l'uffizio di
cui i greci fanno uso nel venerdì santo.Ci
diede pure le istituzioni teologiche, o rac-
colta di opuscoli de'ss. Padri,onde servis-
sero d'introduzione e di fondamento allo
studio della religione; lasciando di ricor-
dare altri opuscoli di minor rilievo,cbe so-
no inseriti nella completissima edizione
che di tutte le sue opere stampò in Roma
nel i 747 il teatino p. d. Anton Francesco
Vezzosi, ed il Fagliarmi ne fece la i.' edi-
zione. Tanto sapere egli abbelliva colla
profonda umiltà e colla più rara modestia:
gli uomini più scienziati d'Europa, an-
corché acattolici, formarono un' alta opi-
nione dell'estensione di sua erudizione e
della giustezza di sua critica. Cardella nelle
Memorie isteriche de' cardinali, dice che
le sue dotte opere gli meritarono il titolo
5
GC> TOM
ili principe e dottore della liturgia della
chiesa occidentale; e che nella sua persona
die l'idea del perfetto ecclesiastico. Men-
tre il p. Tom ma si seguiva indefessamente
a faticare, e ad arricchire di nuova luce
le sagre discipline e le cose religiose, ri-
manendo sempre semplice teatino, per ri-
cusare tutti i posti onorevoli che nell'or-
dine e fuori gli si offrirono, attesa la fa-
ma di sua santità e profonda erudizione,
Innocenzo Xll,cheavea letto eammirato
isuoi scritti, volle conoscerlo di persona, e
ad istanza del cardinal Albani lo nominò
esaminatore de'vescovi e consultore de'ri-
ti. Però con quella stessa costanza con cui
avea rinunziato le cariche del suo ordine,
si astenne d'accettare quelle ancora, te-
nendosi in concetto di uomo da nulla, e
incapace eziandio d' ascoltare le sagra-
mentali confessioni. Tanto era la sua sin-
cera umiltà, che usava vesti logore, ed
un letto appena largo 3 palmi, composto
di 3 tavole e coperto di eoltre lacera e
sdrucita. Nemico del denaro, tosto die gli
capitava nelle mani, lo distribuiva a'po-
veri. Castigalo persino negli occhi, giam-
mai li fissava nel volto delle donne. Lo
scarso alimento l'amareggiava coll'assen-
zio e polvere di ruta; e castigava il corpo
con aspre e diuturne flagellazioni, Per la
riputazione chegodeva, quando nel i 700
il cardinal Albani fueletto Papa Clemen-
te XI, ricusando questi di accettare volle
separatamente consu!tare4 teologi da lui
più stimati, fra'quali il p. Tom masi, che
lo convinsero e persuasero a dare il con-
senso,altrimenli avrebbe forse anche pec-
cato. Indi il Papa per espresso comando
l'obbligò ad accettar gli uffizi di quali-
ficatore del s. oflizio (consultore scrive il
JVovaes), e di consultore de'rili e dell'in-
dulgenze.Così si aprì per lui un vasto cam-
po, nel quale ebbe frequenti occasioni d'e-
sercitare la sua naturale capacità e le co-
gnizioni acquistate, alla presenza de'car-
dinali, i quali più volte resero testimo-
nianza al suo profondo sapere e alla sua
grande umiltà. JNel dire la sua opinione
T O M
era sempre modesto, a ninno opponen-
dosi, salvo che l'autorità de'conoilii o il
parere de' ss. Padri non lo rendesse ne-
cessario; e tale era la sua soave maniera
che infallibilmente conduceva i cardinali
o i suoi colleghi nell'opinione che difen-
deva. Intanto Clemente XI volendo dare
un cospicuo ornamento alla chiesa roma-
na, inaspettatamente nel concistoro de'
18 maggio 1712 Io creò cardinale del-
l'ordine de'preti con applausodi tutta Ro
ma, ed estrema gioia del sagro collegio.
Il p. Tornatasi nel riceverne la notizia fu
come colpito da xm fulmine, e coti lagri-
me e preghiere si ricusò d'accettare, ri-
putandosi allatto indegno dell'eminente
grado. Fu allora, e come già notai a Por>-
l'or.A e Rinunzia, che Clemente XI dopo
avergli ripetuto quelle stesse ragioni da
lui manifestate nel costringerlo ad assu-
merei! pontificalo, autorevolmente e per
precetto. d'ubbidienza gl'impose di rice-
vere il compartito onore, a mezzo del suo
arebiatro mg.1 Lancisi, e del cardinal Fer-
rari che gliene fece I' intimazione. Quin-
di il Papa gli conferì per titolo la chiesa
de ss. Martino e Silvestro a 'Monti, ero
ascrisse alle principali congregazioni car-
dinalizie. Rimarcai a Famiglia db'cardi-
nai.i, che quella formatasi dal cardinal"
si componeva di gente deforme, povera
e storpia; e come faceva loro in tutto da
tenero padre, e quando pioveva e in al-
tre occasioni li prendeva seco in esrroz-
za. Da principio si chiamò conlento di due
semplici stanze che avea nella casa di s.
Silvestro, e riguardava coti orrore il titolo
di Eminentìssimo e le Pestitcardìnati-
zie. Ricusò colle più gentili e obbliganti
maniere que'donativi d'uso, che in occa-
sione di sua promozione gli offrirono ber-
sone graduate e distinte. Tante sublimi
virtù non andarono esenti da motteggi, e
la sua avversione al fasto fu posta in ri-
dicolo. Finalmente per decoro della uno
va dignità, s'indusse ad abitare una mo-
desta casa vicina alla sua chiesa, dove por-
tò seco un religioso laico teatino, manten-
TO M
ne lo stesso metodo di vita che menava da
religioso, e divenne un santuario di virtù.
Questa casa o palazzo del baione Passa-
rmi, posta al n.° 207, nella via che con-
duce a s. Lorenzo in Pane e Penìa (e lo
notò pure il cav. Belli, Delle case abitate
in Roma da parecchi uomini illustri, p.
So), ricordata dal Bernardini nella De-
scrizione de Rioni di Roma, parlando del
rione Monti, ora in parte proprietà de'fra-
lelli Di l}ietro,fu a bitataa'uost ri giorni dal-
l'illustre e venerando patriarca di Costan-
tinopoli mg.1 Antonio M." Traversi, e o-
norata 3 volte dalle visite diGregorioXVI
suo aulico e degno amico, ed ebbi l'onore
di seguirlo; delle quali visite feci parola
nel voi. XVIII, p. 1 06, celebrando la dot-
trina, le virtù del prelato, e la somma e
cordiale amorevolezza ch'egli ebbe per
me. Perciò nella sala ove fu il Papa, vi po-
se il prelato la seguente marmorea iscri-
zione: Gregorio XVI P. M.-In memo-
riam auspicatissimi dici- vi id.feb. A.
i836- Quo domimi liane sua sponte in-
gressus- Vetercm in Antonium Traver-
si- Benevolentiam- Nova honoris adie-
ètione- Cumulavi t.\ì cardinal Tommasi
prese per modello il cardinal s. Carlo Bor-
romeo,che prima di lui era stato titolare di
sua chiesa. In questa e in conformità del-
l'antica disciplina, assisteva in tutte le feste,
non impedite dalle cappelle pontificie, in
coro alla recita delle ore canoniche sì nella
mattina che nel pomeriggio; predicava
ogni domenica al popolo, e dilettavasi di
spiegare il catechismo e la dottrina cri-
stiana a'fanciulli, e principalmente a' fi-
gli de' poveri. Dava udienza a chiunque
la richiedeva e in ogni ora, con tal dolcez-
za di parole e benignità di tratto, e con
tale speditezza, che rimaneva dubbio s'e-
gli amasse più gli accorrenti o il tempo.
Avrebbe desiderato di fare rivivere alcu-
ne pratiche dell'antica disciplina, ina la
brevità della vita non gli permise di ria
«ciré nel disegno, e le sue intenzioni già
aveano incontrato forti opposizioni. Del-
le sue rendile serbava pel suo scarso man
T O M 67
lenimento piccola somma, onde il me-
dico l'avvertì che nou si nutriva abba-
stanza, ed il resto distribuiva a' poveri,
di cui in ogni occasione fu l'avvocato.
Dopo 7 mesi di cardinalato predisse la vi-
cina sua morte, e caduto infermo nella
vigilia del s. Natale, nondimeno volle in-
tervenire nella basilica Vaticana al ve-
spero pontificale, e nella notte al mattu-
tino e messa nella cappella pontificia. Au-
mentatosi il male, nella mattina della fe-
sta e nella seguente volle assistere nell'o-
ratorio domestico al s. sagrifizio. Avvi-
cinandosi il suo fine, ricevè i ss. Sagra -
nienti, e il s. Viatico col volto tutto in-
fiammato,ansioso di unirsi al suoDio.Di-
vulgalasi per Roma la notizia del suo gra-
ve male, universale fu il dispiacere, molli
cardinali corsero a visitarlo, e non poten-
do ciò fare Clemente XI per essere a let-
to indisposto, gli mandò la pontificia be-
nedizione in articulo moi'tis, a mezzo de'
nipoti cardinal Annibale e mg.' Alessan-
dro Albani, i quali si offrirono pronti a
qualunque sua richiesta e bisogno. L'a
gouizzante porporato, altro non doman-
dò, che supplicare il Papa a degnarsi di
guardare con occhio di clemenza i suoi
poveri e amati famigliari, i quali erano
immersi nel dolore di perdere sì incom-
parabile padre e non padrone. Eguale i-
stanza il cardinale replicò al Papa nel suo
testamento, in cui lasciò erede il collegio
di propagandante, pel. fervido deside-
rio che sempre avea avuto di predicar la
fede alle nazioni idolatre; dispose alcuni
legati alla sua chiesa titolare, al cui or-
namento avea speso 2000 scudi d' oro,
ordinando d'essere tumulalo nel suo sot-
terraneo collesempliciiuiziali del suo uo-
me e del titolo cardinalizio, scolpile so-
pra un mattone, il che fu poi puntualmen-
te eseguito. Giunto il punto estremo, vol-
le da se cercare nel rituale le preci dell'a-
gonia, e vi cadde tosto, ma l'ebbe tran-
quilla. Un'aria di gioia si sparse sul suo
volto, e baciato teneramente il Crocefis-
so, e poste le braccia in croce sul petto,
68 TOM
rese la bell'anima aDio il i /gennaio 1 7 1 3,
di G4anni,efu da lutti amaramente pian-
to, massime da'poveri a' quali in G mesi
avea distribuito più di 4.000 scudi d'oro.
Il popolo corse in folla al palazzo, tulli gri-
dando co' famigliari: è morto il santo;
sciogliendosi in lagrime ed in elogi. Non
trovandosi l'occorrente denaro pe' fune-
rali, ordinò il Papa che vi supplisse la ca-
mera apostolica (per coincidenza ricorde-
rò aver detto nel voi. XXVIII, p. 59, che
ivi morendo mg/ Traversi, da Gregorio
XVI gli furono fatti celebrare i funerali,
e inoltre gli eresse un nobile monumen-
to). Ne scrissero la Vita, Antonmaria Bor-
romeo vescovo di Capo d' Istria, Venezia
1 7 1 3, riprodotta dal Crescimbeni nel t. 3
degli Arcadi illustri, ove a p. 44 ripoHa
la lettera del p. Tommasi al Papa della
rinunzia della porpora a cui l'avca esal-
tato; Domenico Bei nino, e stampata in
Roma nel 1722; mg.r Giusto Fontaniui
che la pubblicò nel Giornale de letterati
d'Italia ne'l. 1 7 e 26; il p. d. Giambattista
Bonaglia preposito generale de' tealiui,
postulatole della causa di sua beatifica-
zione e pubblicala in tale circostanza; ol-
tre quanto ne scrisse il p. Vezzosi nell' e-
dizioue che pubblicò di tutte le sue opere,
di cui eccone 1' elenco. 1. Speculimi divi
Aurclii Augustini episcopi Hipponen-
sis. 2. Codices Sacramentoriun, nongen-
tis annis vetustiores. 3. Exercitium fi~
dei, spei, et charitatis. 4- Psalterium
juxta duplicali edilionem, quam Roma-
nam dicunt, et Gallicanam. 5. Respon-
sorialia et Antiphonaria romanae Ec-
clesiae. 6. La vera maniera di glorili'
care Dio e di far orazione. 7 . Sacrorum
Bibliorum juxta edilionem seuhXXin-
terpretum, seu b. Hieronymi, veteris li-
tuli, sive capitula, ante 1000 annos in
occidente usitata. 8. Antiqui libri Mis-
sarum romanae Ecclesiae. 9. Qjjìcium
Dominicae Passionis, secundum ritum
graccorum.io. Psalterium cum Canli-
cis , versibus prisco more distinctum.
u. Piccolo estratto dc'salmi.12. Indi-
TOM
culus Instilutìonum theologicarum ve-
tcritm Patrum. i3. Institutiones theo-
logicae anlicpiorum Patrum. i4- Bre-
ve istruzione sulla maniera d'assistere
con frutto alla s. Messa. i5. Esercizio
giornaliero per la casa. 16. Costituzio-
ne delle religiose benedettine della dio-
cesi di Gir genti. 1 7. Prisci fermenti nova
expositio: et de fermento quod dabatur
sabbaio ante Palmas in consistono ha-
ter 'anensi, .Lasciò inoltre il cardinale mss.:
1 .Brevieulus aliquot monumentorum ve-
teris moris quo Cliristìficlcles ad sae-
aduni usque X utebantur in celebra tio-
ne Missarum. 1. Deprivato ecclesiasli-
corum qfficiorum Breviario extra elio-
rum. 3. Memorialis indiculus veteris et
probatae in Ecclesia consuetudinis con-
cederteli indulgentias. Alla sua morte il
cardili tic lavorava in una edizione del ve-
ro Sacramentario di s. Gregorio I Pa-
pa, purgalo dalle aggiunte fatte ne'tem-
pi posteriori. Pe'prodigi da Dio operati a
sua intercessione in vita e dopo morlo,ad
istanza di molti personaggi s'intraprese
la compilazione de'processi sulle sue eroi-
che virtù emiracolijOndepoi procedere al-
la canonizzazione, nell'anno stesso di sua
morte, e le sue opere furono sottoposte a
severo esame. Benedetto XIV che l'avea
ammiralo vivente,derogòalIa legge d'Ur-
bano Vili sui 5o anni dopo la morie on-
de procedere alla canonizzazione. Clemen-
te XIII nel 1761 lo dichiarò venerabile e
ne riconobbele virtù in grado eroico.Com-
provati i miracoli, Pio VII colla bolla^e-
ternus Dei filius, de' 1 6 settembre 1 8o3,
Bull. Rom. coni. t. i2,p. 62, ne ordinò
la solenne beatificazione, la quale fu ce-
lebrata nella basilica Vaticana a' 29 set-
tembre stesso, con quel magnifico appa-
rato che riporta il n.° 287 del Diario di
Roma. Il sagro suo corpo si venera nella
suddetta chiesa de'ss. Martino e Silvestro,
nell'urna ch'è sotto la mensa del 2.0 al-
tare a sinistra di chi entra dal principale
ingresso, esistendo tuttora la lapide nella
chiesa sotterranea, ove fu deposto e vi ie-
TOM
sto sino alla traslazione nel detto altare,
sulla quale si può vedere il Pistoiesi, Vi-
1 1 di Pio VII, t. i, p. 170. La sua festa
si celebra a'24. marzo. Ora qui conviene
che io dica alcuna cosa sul luogo di sua
antica sepoltura e su quello ove ora si ve-
nerano le sue spoglie mortali, di più ag-
giungendovi alcune altre nozioni sulla
chiesa che le racchiude, per averlo pro-
messo altrove, come tempiosingolareche
può dirsi contenere tre chiese, una sopra
l'altra; cioè la Chiesa de ss. Silvestro e
Martino a'Monti, l'oratorio sotterraneo
e la chiesa sotto a questo fabbricati da s.
Silvestro I. Questo Papa abitò il luogo già
Terme di Tito (V.) e dette di Domizia-
no e Traiano, pel riferito a tale articolo.
Il Papa vi edificò un oratorio colla sem-
plicità propria de'suoi tempi e della con-
dizione de'crislianijOveprivatamenie am-
ministrò i sagiamenti a consolazione de*
fedeli. Per la persecuzione insorta per o-
pera de'gentili, sotto lo stesso Costantino
1, da questa sua stanza s. Silvestro I fuggì
al Soratle. Restituitasi da quell'impera-
tore interamente la pace allaChiesa,s. Sil-
vestro I tornò ad abitare presso l" orato-
rio, e quindi sotto di esso e sopra una parte
de'pilastri delle terme,smisurati per gros-
sezza, eresse la chiesa che costituì in ti-
tolo cardinalizio col nome di Equizio,per-
chè fondata sul podere o casa del pretedi
tal nome. 6i crede che la consagrasse in
onore della B. Vergine, dalla sua imma-
gine trovata in musaico sull'altare, il qua-
le esiste e sembra il maggiore comechè in
fondo della nave più graude. Poscia que-
sta chiesa da Costantino I fu ingrandita,
ornata di pitture, e arricchita di preziosi
doni e rendite. Iviil Papa celebrò duecon-
cilii, nel 324 e °el 325 0 nel 326. Papa s.
Simmaco nel fine del secolo seguente fab-
bricò da'fòndameu ti contigua e sopra all'o-
ra torio e alla chiesa di s. Sd vestro,la chiesa
superiore attuale in onore di s. Martino
di Tours, la quale in seguito prese il no-
me de'ss. Silvestro e Martino Papi, per
memoria di s. Silvestro I , e per esservi
T O M 69
stato portato il corpo di Papas. Martino
I, e vi si venerano ancora i corpi di s. Sil-
vestro I e di s. Giusta sua madre, come
vuole il p. Filippini; quanto al Papa però
contraddetto da molti, e dagli storici della
Chiesa di s. Silvestro in Capite. Per le ba r •
bariee vicende de'tempi, e dopo l'erezione
della chiesa di s. Simmaco, l'oratorio e la
chiesa di S.Silvestro I siempironodi mace-
rie edi terra;ma versoili65oil p.Gio. An-
tonio Fdippini genera le de'carmelitani,a-
vendo ritrovato ne'suoi scavi in tal infeli-
ce condizione i sotterranei oratorio e chie-
sa, li fece interamente vuotare, e restituì
alla venerazione de' fedeli , restaurando
l'oratorio. Indi e con isplendida magni-
ficenza e la spesa di più che 70,000 scudi
ristorò e abbellì la chiesa superioree priu-
cipale de'ss. Silvestro e Martino, dando-
le la forma che si ammira. In tale occa-
sione il cardinal Francesco Barberini ni-
pote d'Urbano Vili ordinò che del mu-
saico della chiesa sotterranea, esprimente
Maria Vergine, se ne facesse copia, e poi
la fece sovrapporre al medesimo antico e
deteriorato. Quanto al b. cardinal Tom-
masi, secondo la sua disposizione, fu tu-
mulato si può dire nella 3.» chiesa sot-
toposta, cioè in mezzo e avanti 1' altare
della B. Vergine, detto ancora di s. Sil-
vestro, corrispondente al 2.0 piano delle
terme di Tito, ili. "essendo impraticabile.
Ne* miei accessi agl'indicati sagri luoghi,
vidi la lapide marmorea eretta nella 3/
chiesa da'teatiui, la quale ora è incastrata
nel contiguo pilastro a destra, mentre in
quello di contro tuttora esiste la vettina
co'suoi precordi,ed a cornuEvangelii del-
l'altare vi è la cassa d'albuccio ove fu po-
sto il corpo del santo cardinale. Ivi inol-
tre sono diverse sepol turerà le quali quel-
la del cardinal Zelada(V.). Elevalo il ve-
nerando cardinale agli onori dell'altare,
il suo corpo fu trasportato di sopra nella
i.a chiesa, e collocato sotto l'altare, che è
il 2.0 della nave miuore a sinistra, della
cappella fabbricata da Pulcheria Orsini
Cesi di buon disegno, che ha per quadro
7o T O M
s. Alberto carmelitano del Muziano, ed
io ovato sull'altare stesso vi è il ritratto
del b. cardinal Tommasi.
TOMMASO (s.) , apostolo, chiamato
anche Didimo, nome che in greco signi-
fica gemello (il gran Leonardo da Vinci
nella celeberrima sua pittura del Cena-
colo P espresse con 6 dita alla mano sini-
stra, forse pei che chiamandosi Didymus,
P interpretò per P A 'postolo del dito ge-
mello: essendo stato ih.°fra gli Apostoli
a spargere il suo sangue col martirio, il
Vinci lo dipinse vestilo di colore rosso,
d'una tinta più viva di quella degli altri A-
postoli, ma minore in confronto di quella
di Gesù Cristo), egualmente che Theom o
Tommasoinebraic.o.Eragiudeo,ea quan-
to pare nato in Galilea, di bassa stirpe.
Metafraste lo fa pescatore. Gesù Cristo lo
chiamò all'apostolato nell'anno 3 i. Sem-
bra ch'egli fosse privo delle cognizioni u-
inane,ma vi supplì col candore e colla sem-
plicità dell'anima sua, come pure colla vi-
vacità del suo amore pel divino Maestro,
di cui diede prova allorché andando Ge-
sù Cristo nel vicinato di Gerusalemme per
risuscitar Lazzaro, e cercando i suoi di-
scepoli di dissuaderlo, perchè i sacerdoti
e i farisei volevano metterlo a morte,Tom-
maso gli eccitò a seguirlo, dicendo:» Ari-
diamoanchenoi.a fine di morire eoa lui".
11 Salvatore nell'ultima cena, dichiaran-
do a'suoi discepoli ch'era per lasciarli, ag-
giunse per consolarli che andava a pre-
parare loro un posto nella casa di suo Pa-
dre. Tommaso, che desiderava ardente-
mente di seguitarlo, gli disse:» Signore,
noi non sappiamo dove andate; or come
potremo conoscere la via ?" Gesù Cristo
lo illuminò con questo oracolo: » Io sono
la via, la verità e la vita: ninno va a mio
Padre che per me". Non essendosi trova-
lo Tommaso cogli altri discepoli, quan-
do il Salvatore apparve ad essi dopo la
sua gloriosa risurrezione, ricusò di cre-
dere alle loro parole. Gesù Cristo, peruna
mirabile condiscendente alla debolezza di
Tommaso, apparve nuovamente, essendo
TOM
lotti insieme radunati; e dopo aver loro
auguralo la pace, a lui si rivolse, egli dis-
se di mettere il suo dito ne'fori de'chiodi
ed in quello del suo costato. Non spiega
P evangelo se s. Tommaso abbia ciò fat-
to, e parecchi autori avvisano, che convin-
to della risurrezione del divino Maestro,
non abbia avuto ardimento di toccare il
suo corpo. Bensì pieno de'più vivi senti-
menti di compunzione, di rispetto e di a-
more, esclamò: » Mio Signore, mio Dio!"
confessando così,secondo alcuni Pad ri, l'u-
manità e la divinità di Gesù Cristo. Del
resto la sua incredulità è la più forte pro-
va della risurrezione del Salvatore, e ser-
ve meravigliosamente a confermare la no-
stra fede sopra questo mistero. A Chiodi
meglio riportai le parole di Gesù Cristo e
di s. Tommaso. Si può vedere il Donati
de Dittici sagri, p. 2 1 1 e 2 1 3; il p. Co-
stadoni nelle sue Osservazioni, presso il
Calogerà, Opuscoli A. 43, p. 33o; il Re-
sozzi, Storia della basilica di s. Croce,
in Gerusalemme p. 1 4^5 ove dice conser-
varsi il dito di s. Tommaso, col quale toc-
cò il sagralissimo costato di Gesù Cristo
risuscitato; dito che posto nell'aperto co-
stato del risorto Gesù vinse la incredulità
diTonimaso,con fermando una delle più e-
videnti prove della credenza cristiana. Ab-
biamo di Antonio Francesco Fracassi, Chi.
piìi giovasse alla Chieda, o la gran fide
del Centurione o la diffidenza di Tom-
maso? Roma 1676. Leggesi in alcuni
antichi scrittori, che dopo la discesa del-
lo Spirilo santo, s. Tommaso mandò Tad-
deo, uno de' 72 discepoli, ad Abgarore
o toparco di Edessa, per istruirlo e bat-
tezzarlo. Sappiamo da Origene, che do-
po la dispersione degli Apostoli, s. Tom-
maso andò a predicare!' evangelo ai par-
ti, e poscia passò in altre nazioni e scor-
se tutto l'Oriente. Secondo Sofronio, egli
piantò la fede presso i medi, i persiani ,
i caimani, gP ircani, i batlriani ed altri
popoli vicini. I greci moderni lo fanno e-
ziandio apostolo degl'indiani e degli elio
pi; ma gli antichi indicavano con questi
T O M
norai tulli gli orientali. Pretendono gl'in-
diani moderni ed i portoghesi, ch'egli ab-
bia annunziato Gesù Cristo ai bracmaui e
agl'indiani aldi là della graud'isola di Ta-
probana, die gli uni prendono per Cey-
I -i ti. gli altri per Sumatra; ed aggiungo-
no cbe (offerse il martirio a Meliapor o
s. Tommaso sulla costa del Coromandel.
S. Gaudenzio dice che fu messo a morte
dagl'infedeli a Calamuia nell'India. Til-
lemont ed altri opinano che non sia mor-
to lungi da Edessa, e dubitano che ab-
bia predicato al di là dell'isola di Ta pro-
ba Qa. In moltissimi articoli parlai de'luo-
ghi ove VA postolo d illuse l'evangelo,come
a IndieOrientali(T~.)%e visonode'crislia-
11 i che si chiamano Cristìanidis. Tomma-
so.e ne parlai ne' voi. XI li, p. 109, XVIII,
p. 2o5, XXX1 V, p. 20 1 e 206, a Mala.-
e\ui e altrove. Sia comunque, dsuo corpo
fu certo portato in processo di tempo ad E-
dessa,dove veniva onorato nella cattedrale
con singolare venerazione, al tempo di s.
Gio. Crisostomo, nellecuiopereed in Ru-
fino si legge, che non si conoscevano al-
lora le tombe degli Apostoli, ad eccezione
di «iiielle eli s. Pietro, di s. Paolo,di s. Gio-
vanni e di s. Tommaso. Nell'orazione so-
pra questo santo Apostolo, scritta nel 402,
e pubblicata fra le opere di s. Gio. Cri-
sostomo, si dice che il suo corpo era ad
Edessa, dove fu una chiesa numerosa e
florida uel III e IV secolo. Milano, Bre-
scia, Nola ebbero alcune porzioni delle sue
reliquie: Or tona pure crede di venerar-
ne il corpo, oltre .Mcliitpor, altri dicono
altrove; ed anche per questo santo, forse
si prese una parte di sue reliquie per tutto
il corpo. Quanto ad Edessa (J-), e si può
vedere anche il voi. LI, p. 3o8, è memo-
rabile ciò che si mirra dal Piazza nel suo
Santuario Romano a'2 1 dicembre. Fi-
nito il vespero di sua festa, il vescovo an-
dava al suo sepolcro, e apertolo poneva
in mano dell'Apostolo un ramo di vile sec-
co, e la mattina seguente il ritrovava ver-
de con tanta uva, quanto bastata per i-
spremerne il vino necessario per cousagra-
TOM 71
renella mesta. E degno d'altrettanta me-
raviglia è ciò che avvenne nel 1 543. Vo-
lendo i portoghesi di Calamuia, ove se-
condo molli il sauto morì, piantare un o-
ratorio, ivi nello scavare le fondamenta
ritrovarono quella croce di marmo, a?au-
ti la quale fu ucciso, tinta del suo sangue;
e facendosi poi ogni anno la festa solen-
nemente, nel cantarsi il Vangelo, caugia-
vasi in vari colori, e poi mandava tanto
sangue, che molti ne attingevano i panni
per rasciugarla, miracolo diesi rinnovò
ancora nel 1 564-Secondo gli storici porto-
ghesi fu trovatoli corpo di S.Tommaso nel
IJ23 in un'antica cappella rovinata, ch'e-
ra sulla sua tomba fuori delle mura di Me-
liapor. Ivi vicino i portoghesi fecero edifi-
care una nuova città che chiamarono s.
Tommaso o Thomèdi Meliapor (P.). 1
latini celebrano la festa di s. Tommaso a'
2 1 dicembre, i greci a'6 ottobre, e gl'in-
diani al (Ali luglio. Perchè la sua vigilia
non fu posta nel Calendario, lo notai uel
voi. Ili, p. 3oi.
TOMMASO (s.), arcivescovo di Can-
torbery. Figlio di Gilberto Becker, gentil-
uomo inglese, che nella sua giovinezza mi-
litò in Terra santa, dove inspirò all'unica
figliuola d'un emiro de'saraceni il deside-
rio di abbracciare la religione cristiana, e
di poi, essendosi portata in Inghilterra, ri
cevette il battesimo, prese il nome di Ma-
tilde, e sposò Gilberto. Tommaso nacque
a Londra il 2 1 dicembre 1 1 1 7, e sortì le
più eccellenti qualità,che furono coltivate
da una pei fetta educazione. Cominciati
i suoi studi in un monastero di canoni-
ci regolari, li continuò a Londra, poscia
si portò a Oxford, e quindi a Parigi, dove
si perfezionò nella conoscenza del diritto
canouico e nelle diverse parti della lette-
ra tura. Tornato a Londra, s'impiegò in
qualità di chierico o di segretario alla cor-
te della città, e diede a conoscere gran-
de capacità pergli altari. In seguito Teo-
baldo arcivescovo di Cantorbery gli offer-
te un posto uella sua casa, non tardò ad
aflidargli lecure più importanti dell'arci-
?2 TOM
vescovato, e lo fece suo arcidiacono. Ver-
so l'annoi ì5j Enrico II re d'Inghilter-
ra Io nominò cancelliere del regno, e gli
commise altresì l'educazione del princi-
pe Enrico suo figlio; poi lo spedì in Fran-
cia per stabilire il matrimonio di questo
principe con Margherita di Francia figlia
diLuigiVII WGìovOnéfl negozia re un trat-
tato tra le due corone, locchè eseguì con
felice successo. Tommaso però non si la-
sciò abbagliare dagli onori, continuò ad et-
sere umile, mortificato, raccolto e casto.
La gelosia gli suscitò delle persecuzioni, ma
egli fece tacerei suoi nemici colla sua dol-
cezza e col suo silenzio. Elelto arcivesco-
vo di Cantorbery la vigilia della Pente-
coste del i 1 62, si dedicò intieramente al-
le funzioni dell'episcopato; abbracciò la
disciplina regolai e e monastica de'canòni-
ci della sua cattedrale, indossò un ruvido
cilizio che non lasciò fino alla morte, e si
sottomise ad un genere di vita austerissi-
mo. Levavasi ogni giorno a 2 ore della
mattina, e recitato l'uffizio della notte, la-
vava i piedi ai 3 poveri, cui donava una
somma di denaro, raccomandandosi alle
loro orazioni. All'ora dii.'il suo limosi-
niere lavava i piedi a 1 2 altri poveri, e di-
stribuiva loro pane e carne. Dopo mattu-
tino prendeva un breve riposo, poi faceva
la meditazione, e visitava i malati che vi
erano fra'suoi monaci o nel suo clero. Al-
le ore f) diceva la messa o l'ascoltava, in-
di faceva una nuova distribuzione di li-
mosine,in guisa che quotidianamente soc-
correva 1 00 poveri. La sua mensa era im-
bandita decentemente a cagione di quelli
che eranvi invitati, ma egli osservava la
più esatta sobrietà. Durante il pranzo fa-
cevasi leggere qualche libro di pietà, e do-
po conversava qualche tempo con pii e
dotti ecclesiastici sopra materiedi religio-
ne. Nel 1 1 63 intervenne al concilio di
Tours, e la fermezza che mostrò nell'ese-
cuzione de' decreti di questo concilio con-
tro gli usurpatori dei beni ecclesiastici, e
nel mantenimento delle immunità della
chiesa d'inghiltena,gli attirò lo sdegno del
TOM
re, il quale esigette che i vescovi giurasse-
ro di mantenere tutti i costumi del regno.
Tommaso ben vide che con ciò Enrico II
intendeva di convalidareabusi notorii ed
aperte ingiustizie, perciò dichiarò che non
avrebbe fatto ilgiuramento,checollaclau-
sola salvo il dovere e la coscienza. Non-
dimeno, lasciatosi vincere dalle preghiere
del clero, acconsentì in una radunanza te-
nuta a Clarendon neh 164, di firmare i
16 articoli chiamati Costituzioni di Chi'
rendon. Egli si pentì subito di sua condi-
scendenza, e pianse la sua debolezza, fin-
ché ebbe consultato Papa Alessandro III,
cui chiese l'assoluzioue. Il Papa nell'ac-
cordargliela, gì' ingiunse di riparare con
episcopale vigore il fallo in cui era cadu-
to. Il suo cambiamento irritò fortemen-
te il re, che gli minacciò la morte, e ra-
dunati l'8 ottobre dello stesso anno i ve-
scovi ed i signori a Norlhampton, venne
Tommaso condannalo, e tutti i suoi be-
ni furono confiscati. Crescendo sempre più
la persecuzione, si risolvette Tommaso di
segretamente allontanarsi dal regno, dopo
che la sua causa fu evocata alla s. Sede.
Sbarcato in Fiandra, si rese a s. Orner e al-
loggiò nell'abbazia di s. Bertmo, donde in-
vitalo da Luigi VII re di Francia, si recò
a Soibsons. Presentatosi dipoi ad Alessan-
dro HI, che tiovavasi a Sens, lo supplicò
di accettare la sua rinunzia all'arcivesco-
vato di Cantorbery, ma il Papa gli oidi-
uò di ritenerlo. 11 santo arcivescovo si ri-
tirò allora nell'abbazia di Pontigny, dove
si assoggettò a tutte le osservanze della co-
munità, ed esercitò con gioia le più ab-
biette ed umilianti funzioni, praticando
le maggiori austerità. Finalmente dopo
molle pratiche fatte dal Papa e dal re di
Francia per procurare la riconciliazione
dell'arcivescovo couEnrico II, questi mo-
strò di acconsentirvi, e Tommaso ritornò
in Inghilterra; ma poco dopo fu empia-
mente assassinalo nella sua chiesa il 2f)
dicembre 1 170, 56.° anno dell'età sua, e
q.° del suo episcopato. Usuo corpo fu sep-
pellito in una, volta sotterranea, donde di-
TO M
poi fu disotterrato e rinchiuso in una ric-
chissima urna. Saccheggiata questa duEn
lieo Vili, neh 538 Crouwell fece brucia-
re le ossa del sauto; ma il suo capo si cu-
stodisce a Royaumont nella diocesi di
Beauvais. Papa Alessandro 111 lo canoniz-
zò neh 173, e la sua festa si celebra il 2g
dicembre. Di questo mai tire i\e\Y Immu-
nità ecclesiastica (F.), va letto il voi.
XXXV, p. 4t e seg. sulla condotta tenu-
ta dal re prima e dopo tale assassinio, e
quanto energicamente fece il Papa Ales-
sandro III. Ogni anno il giorno della sua
festa in Roma si celebra cappella cardi-
nalizia a onore del santo, che descrissi uè'
voi. IX, p. 1 4-, e XXXIV, p. 39.
TOMM ASO d'Aquino (s.),doltòre del-
la Chiesa, detto Y Angelico. D'una delle
più cospicue famiglie del regno di Napo-
li, nacque sul finir dell'anno 1226, da
Landollocouled'Aquiuoedi Soni, signor
di Loreto e di Belcastro, e da Teodora fi-
glia del conte di Chieti. A questa dama
del sangue de' normanni, mentre n' era
incinta, l'eremita Buono di santa vita, le
predisse che il bambino che teneva nel
\entre sarebbe stato il lume della Chie-
sa e lo splendore di sua famiglia, e che a-
vrebbe preferito alla gloria del secolo, la
qualità di discepolo di Cristo, e le ingiun-
se di chiamarlo Tommaso. Con questo
nome fu battezzato, per parte di Onorio
HI, da Gregorio vescovo di Soia da lui
consagrato. Apparve chiaramente fino
da'suoi più teneri anni, che Dio Io desti-
nava a grandi cose, poiché fu scevro da
que'difelti che d'ordinario accompagna-
no l'adolescenza. In età di 5 anni suo pa-
dre lo po*e sotto la direzione dei religiosi
di Monte Cassino, onde lo istruissero nei
principii delle lettere e della religione.Xon
avea che 1 o anni quando l'abbate di Mon-
te Cassino consigliò lidi lui padre a man-
darlo in qualche università. li conte d'A-
quino però gli fece passare alcuni mesi
presso sua madre nel castello di Loreto,
dove Tommaso si meritò l'ammirazione
di tutta la sua famiglia, maravigliata a
T O M 73
vedere in lui tanta modestia, pietà e rac-
coglimento. La contessa, che avea posto
uno sviscerato amore a suo figlio, propo-
sedi fargli continuare gli studi nella casa
paterna, per evitare i rischi che corre la
gioventù nelle pubbliche scuole; ma il con-
te fu di diverso avviso, e mandollo a Na-
poli, dove l'imperatore Federico II avea
fondato un'università neh 224. Tomma-
so non istette molto ad accorgersi che la
sua virtù avea molto a temere per i di»
sordini e la corruttela che eransi intro-
dotti in quell'università colla moltitudi-
ne degli studenti; ma siccome non stava
iu lui il ritornare nella solitudine di Mou-
te Cassino, che avrebbe preferito, si rive-
sti di tutte le armi della fede, e seppe pre-
servarsi da ogni corruzione. Finalmente
risolvette di secondare l'ardente suo de-
siderio di entrare nell'ordine di s. Dome-
nico, e superata colla costanza la contra-
rietà del padre, prese l'abito de'doroeni-
caui in Napoli neh 243. Di là portossi a
Boma per schivare l'incontro di sua ma-
dre, che andava a Napoli per cercare di
fargli abbandonare il suo stato. Dipoi fu
mandato a Parigi; ma esseudo stato ar-
restato in cammiuo,peropera de'suoi fra-
telli Landolfo e Raiualdo, fu condotto nel
castello di Roccasecca, il quale apparte-
neva alla sua famiglia, dove per vincere
la sua fermezza impiegaronsi inutilmen-
te dapprima le più vive istanze eie più
tenere esortazioni, poscia le più grandi mi-
nacele e i più aspri trattamenti. Era già
passatomi anno o due che Tommaso tro-
vavasi imprigionato nel castello di Roc-
casecca (come nel parlare di quella roc-
ca dissi nel voi. LV1I, p. 218 ), quan-
do Papa lunocenzo IV e l'imperatore
Federico II, informati della persecuzio-
ne che soffriva, si mossero in suo favo-
re, e fecero parlare a sua madre e a' suoi
fratelli, i quali quindi adottarono più a*
mani sentimenti, anzi la contessa non si
mostrò lontana da favorirne segretamen-
te la fuga. Avvertiti di ciò i domenicani
di Napoli, mandarono alcuui religiosi al
74 t o ai
castello di Roccasecca, i quali presoTorn-
niaso, die tuia delle dì lui sorelle calò giù
in uno sportone, lo condussero giubilanti
al convolilo, ove l'anno dopo professò. La
madre e i fratelli avendo reclamato alla
s. Sede, il Papa chiamò Tommaso a Ro-
ma,e dopo a ver lo esamina tori pprovò la sua
professione. Noterò che nel voi. XXVII,
p. 285 ricordai la prigionia sofferta dal
santo in Monte s. Giovanni, d'ordine de'
suoi parenti, a cui spettava il paese con ti-
tolo di ducato, indispettiti dall'aver egli
abbracciato lo stato religioso; prigione che
fu poi cambiala in elegante cappellani me-
moria della sua biennale dimora in Monte
s. Giovanni, illustrata dalle sue virtù e ac-
compagnata da prodigi. Poscia Giovanni
Teutonico generale de'domenicani lo con-
dusse seco a Parigi, indi lo fece passare a
Colonia, dove studiò teologia sotto Alber-
to Magno, con meraviglioso profitto. Nel
1 245, essendo stato Alberto mandato ad
insegnar teologia a Parigi nel collegio di s.
Giacomo, Tommaso lo seguì per conti-
nuare isuoi studi. Egli vi fece di se la più
luminosa mostra, ma la sua applicazione
agli sludi filosofici non portò raffredda-
mento al suo spirito religioso. Nominato
dal capitolo generale del suo ordine a pro-
fessore in Colonia con Alberto Magno, le-
vossi ben presto in grande riputazione.In
quel tempo pubblicò i suoi Commentari
sulla morale d'Aristotile e sopra altre o-
pere di quel filosofo. Raddoppiando il fer-
vore nella preghiera, nelle veglie e negli
altri esercizi di pietà, si preparò a riceve-
re gli ordini sagri. Dopo che fu ordinato
sacerdote, incaricato di annunziare la di-
vina parolaio fece con sì ammirabile un-
zione, che operò ovunque un numero
grande di conversioni; e Colonia, Parigi,
Roma, ed alcune altre città d'Italia furo-
no i principali teatri del suo zelo. Gli stessi
ebrei seguirono l'esempio de' cristiani,
imperocché si sentivano colpiti non me-
no dal lustro delle sue virtù,che convinti
dalla forza de'suoi ragionamenti. La più
vecchia delle sue sorelle si cousagrò a Dio
T O M
nel monastero di s. Maria di Capua, del
(piale morì abbadessa. La seconda, Teo-
dora, che s'era sposata al conte di Marsi-
co, passò il rimanente di sua vita in una
maniera assai esemplare. Sua madre e-
spiò con ogni sorta di opere buone i falli
che aveale fatto commettere una troppo
naturale tenerezza, e finì anch'essa san-
tamente la sua vita. Anche i suoi fratelli
Landolfo e Rainaldo ebbero la sorte di
morire da buoni cristiani, soddisfacendo
alla divina giustizia colla rassegnazione al-
le persecuzioni mosse loro dall'impera-
tore Federico II, il quale per punirli di
aver abbandonato il suo servizio, spianò
la città d'Aquino nel i25o. Tommaso fu
rimandato a Parigi nel 1 252 per insegnar-
vi la teologia, ed il concetto ch'aveasi già
acquistato per la perspicacia del suo in-
gegno, e per la sodezza del suo senno,
trasse innumerevole moltitudine ad udir-
lo. Egli ricevette il grado di dottore a*2 3
ottobre 1 257, in età di 3 1 anni, indottovi
dal comando de'suoi superiori. Neli2 5(j
si trovò predente al 3(5.°capitolo generale
del suo ordine, tenuto a Valenciennes, nel
quale fu incombenzato di stendere alcu-
ni regolamenti per gli studi, insieme con
Alberto Magno ed altri Ire dottori. Di ri-
torno a Parigi, continuò le sue lezioni di
teologia, e finì di guadagnarsi gli animi di
lutti colla sua affabilità e modestia. Co-
munque grande fosse il suo zelo nel so-
stenere la verità, pure anche nel bollor
della disputa sape va sì bene l'attenersi, che
mai gli usciva alcun motto aspro e ingiu-
rioso. Papa Urbano IV, che conosceva
tulio il merito di Tommaso, chiamollo a
lioma nei 1261, e gli offerse più d' una
volta delle dignità ecclesiastiche; ma egli
tutte rifiutolle,preferendo lo stalo di sem-
plice religioso. Ciò che Urbano IV potè
ottenere da lui, fu che non si allontane-
rebbe più dalla sua persona; e questo gli
procurò l'occasione di predicare nelle cit-
tà ove il Papa soleva risiedere, come a
Roma, Viterbo, Orvieto, Fondi, Perugia,
e gli léce comporre l'uffizio della solen-
T O M
nilà del Corpus Domini; e al diredi Na-
tale Alessandro anche l'inno Pange Un-
. anzi altri gli attribuiscono pure il
Lauda Sion. Ebbe cattedra anche in A-
nagni nel convento da lui abitato, e an-
nesso alla chiesa del suo ordine, dedicata
a s. Giacomo, ov'è un altare in cui si ve-
nera la celebre Croce chiamata di s. Tom-
maso d' Aquino, siccome da lui colle sue
proprie mani delineala sul muro in let-
tere gotiche, colle divote parole: *£♦■ Crux
mihi certa salus +£t- Crux est quam seni'
iter adoro ♦♦+ Crux Domini mecum +£t-
Crux mihi rcfugiumjle quali parole par-
tendo dal centro ove trovasi l'iniziale C,
e diramandosi da 4 parti in 5 linee, for-
mano la mistica Croce che dal suo titolo
viene detta Angelica,^ la cui immagine
ha una sì sperimentata virtù contro i ful-
mini e le tempeste, che se ne fecero in gran
numero coi tipi di caratteri, con incisioni,
io ottone, in argento e in altri metalli, e si
tiene indosso o nelle case con molta divo-
zione. Mostrossi anche con moito onore a
Bologna e a Napoli, dove diede luminosi
saggi de'grandi suoi talenti per la predica-
zione e per l'insegnamento. Avendo i do-
menicani tenuto il 4o.° capitolo generale
aLoudra nel i 263, egli vi assistette. Qual-
che tempo dopo domandò la permissio-
ne di non più insegnare, e gli fu accorda-
ta; laonde rientrò nello stato di semplice
religioso, come la sua umiltà faceagli da
gran tempo desiderare. Non pertanto Pa-
pa Clemente IV, che lo stimava al pari
del suo predecessore, gli olhì nel 1265
l'arcivescovato di Napoli, che costante-
mente rifiutò, com'anco tutte le altre di-
gnità cui lo stesso Papa avrebbe voluto in-
nalzarlo. A Bologna scrisse la i. 'parte del-
la Somma teologica, indi passò a Napoli,
dove pregando un giorno fervorosameu-
teda vanti unCrocefisso, entrò in una dol-
ce estasi, e fu levato 4 palmi sopra terra.
Da'6 dicembre 12^3 lino a'7 marzo del-
l'auno seguente, che fu il giorno della sua
morte, il santo dottore non volle più par-
lare né scrivere di materie teologiche, e
TOM 75
rinnnziòintiernmentea'suoi studi per non
pensare che alla eternità. Ma mentre vi vea
nel ritiro e nell'orazione, Gregorio X lo
trasseda questa diletta sua solitudine per
mandarlo al concilio generale che avea
convocato aLione per il i.°dì maggio t 2-4,
onde adoperarsi a spegnere lo scisma de'
greci, e raccogliere soccorsi per Terra-
santa. Trovavasi allora Tommaso in as-
sai tristo stato di salute; nondimeno ver-
so la fine di gennaio partì da Napoli, in
compagnia del p. Reginaldoda Piperno,al
quales'mgiunsedi aver diradi lui. Si trat-
tenne alcun tempo nel castello di Maenza
(come notai parlandone nel voi. XX\ II,
p. 289), presso sua nipote Francesca d'A-
quino, maritata al contedi Ceccano. Qui-
vi la sua malattia s'accrebbe di moito, e
fupiesoda nausea generale di qualunque
cibo. Tutta via rinvigoritosi un poco, con-
tinuò il suo viaggio; ma aggravatosi di
uuovo, fu costretto fermarsi a Fossanuo-
va, celebre badia de'cisterciensi, nella dio-
cesi di Tenacina,ed entrato in quel chio-
stro, esclamò: Questo sarà il luogo del mio
riposo per sempre. I religiosi di Fossauuo-
va gareggiavano in prestargli assistenza,
stimandosi avventurati di poter rendere
qualche servigio a tale che risguardava-
no come un angelo in carne. Pregato il
santo da'religiosi a voler lasciar loro un
ricordo di sua angelica dottrina, egli be-
nignamente compiacendoli prese loro ad
esporre brevemente il Cantico de Canti-
ci (che avea già commentato ampiamen-
te in altro tempo), con tale un'ispirazio-
ne celestiale ed una sublimità di concelti,
che già pareane l'anima sciolta dal corpo
e beata nelle delizie dell' Eterno amore.
Quanto più il santo vedeva appressarsi l'o-
ra della sua morte, tanto più sospirava il
momento felice, che dovea farlo entrare
nella gloriadel suo Dio. Ricevuta l'assolu-
zione con tutli i sentimenti da vero peni-
tente.dominalo il s. Viatico, che volle rice-
vere disteso sulla cenere. Di minuendo sem-
prepiii lesue fòrze,vollechegli si ammini-
•tntfsel'tttcmn uuiioue, uieutre era ao-
76 TOM
eòi* perfettamente presente a se itesso, e
rispose egli medesimo a tutte le preci ilei-
la Chiesa. Indi ringraziati l'abbate e i re-
ligiosi di Fossanuova, s'addormentò nel
Signore a'7 di marzo 1274» qualche mi-
nuto dopo la mezzanotte. Secondo alcuni
autori egli era entrato nel suo 5o.° anno;
ma il Butler è d'avviso di tenersi al parere
di Bartolomeo da Lucca, e di altri autori
contemporanei, i quali dicono che morì di
480 49 anni, la quale data meglio s'accor-
cia con tutta la serie della sua vita. Appe-
na fu intesa la novella della sua morte,
da tutte le parti si accorse ad assistere a'
suoi funerali. Alcuni religiosi di Fossa-
nuova e parecchie altre persone amma-
late furono miracolosamente guarite per
la virtù delle sue reliquie, cornee ripor-
tato nella bolla di sua canonizzazione. An-
che in seguito,sopratlulto nelle varie tras-
lazioni delle sue reliquie, operaronsi so-
miglianti miracoli, di che abbiamo rela-
zioni molto autentiche pubblicate da'Bol-
fonduti. Le università di Parigi, di Roma,
di Bologna e d'altre città, molti principi
e diversi ordini domandarono a gara il suo
corpo. Della contrastata traslazione del
medesimo da Fossanuova a Fondi, e poi
nel 1 368 per decreto di Urbano V a To-
losa, ed eziandio dell'altre sue reliquie, a
tale ultimo articolo in breve ne parlai con
importanti notizie. Solo qui aggiungerò
col Torrigio, che Urbano Vili neli633
donò alla chiesa de'cappuccini di Roma
uu braccio di s. Tommaso, e un braccio
di s. Bonaventura altro Dottore della
Chiesa. S.Tommaso fu solennemente ca-
nonizzalo da Giovanni XXII nel i323,
e Pio V ordinò nel 1567 che la sua fe-
sta a' 7 marzo si celebrasse della stessa
maniera, come quella de'quattro dottori
della Chiesa d'occidente, s. Ambrogio, s.
Agostino, s. Girolamo, s. Gregorio Ma-
gno. Le opere di s. Tommaso si ponno di-
videre in 4 classi. Nella 1.'' sono le opere
di filosofia, nella 2.* quelle di teologia ;
nella 3.a i Commentari sulla s. Scrittura ;
nella £," gli opuscoli, che pouuo dirsi ope-
TOM
re miste per le varie materie che vi sono
spiegate: vi si trova la confutazione dei
greci scismatici e di parecchie eresie; la
discussione di molti punti di filosofia e di
teologia; delle spiegazioni sul Simbolo,
sui sacramenti, sul decalogo, sulla ora-
zione dominicale, sulla salutazione ange-
lica, ec. Egli combattè i nemici della ve-
rità colle loro proprie armi, e fece servi-
re la dottrina di Aristotile alla difesa del-
la fede. I suoi Commentari sui 4 libri di
Pietro Lombardo detto il Maestro delle
sentenze, comprendono un corso metodi-
co di teologia. La Somma teologica è o-
pera mirabile, quantunque la morte gli
abbia impedito di darvi l'ultima mano.
La migliore edizione delle sue opere è
quella che si fece a Roma nel 1 570, in 1 7
voi. in foglio. Delle opere di S.Tommaso,
chiamato il principe de' teologi, ed il mae-
stro de' teologi di tutti i tempi, parlai in
molti articoli, a Teologi e Teologia, di-
cendosi Tomismo (V.) la sua dottrina ri-
guardante quella parte di teologia, che
tratta della grazia e della predestinazio-
ne. La Civiltà cattolica ne\\a 1? serie, t.
5, p. 278, ragiona: Dei manoscritti di s.
'Tommaso e della necessità di consultar-
li per le nuove edizioni delle sue opere.
Ap. 660 poi riparla delle opere del s. Dot-
tore, nel dar contezza delle Institutiones
Theologiae theoreticae seu dogmatico-
polemicae concinnatae a r. p. Alberto
Knoll Ord. min. s. Frati. Camuse., Tau-
rini 1 853. In Roma nel celebre convento
dell'ordine de' Predicatori (F.) vi è il Col-
legio di s. Tommaso d' Aquino (F.), isti-
tuito per ispiegare la sua angelica dottri-
na teologica. Ferdinando II re del regno
delle due Sicilie, curando l'incremento e
il lustro della regia università degli sludi,
allargando l'insegnamento colla istituzio-
ne di 7 novelle cattedre , prescrisse che
fosse sottoposta alla speciale protezione di
s. Tommaso d'Aquino, e che i professori
di essa, il presidente,e i componenti il con-
siglio generale di pubblica istruzione por-
tassero sospeso al colio col luutro celeste,
TOM
simbolo della ss. Immacolata, una meda-
glia sormontata da una corona ed avente
da un Iato l'effigie del santo colle parole:
Divus Thomas Aquinas regiae neapoli-
tauae Lniversilatis professor etpatro-
nusj e dall' altro: Fcrdinandus II Rcx
P. F. A. bonamim ar tinnì stalori85o.
L'uso di questo fregio insigne fu solen-
nemente inaugurato il dì sagro appunto
alla Concezione Immacolata dellaVergine
nella chiesa de'gesuiti, contigua all'edifi-
cio dell'università stessa,con pompa di di-
vini uffizi nel i 853. In Roma tuttora nella
Chiesa di s. Maria sopra Minerva (della
quale anche uel voi. LXX V, p. 2 1 6), nel
giorno della festa di s. Tommaso d'Aqui-
no si celebra con cappella cardinalizia, che
descrissi uel voi. IX, p. i 3 J; cornea santo
alla cui fama è angusto il mondo, e co-
me a gran dottore sulle cui opere impal-
lidiscono di stupore i filosofi, al di cui an-
gelico nome s'inchina l'orbe cattolico. Ne
scrissero la vita, fra gli altri, Bartolomeo
da Lucca, che fu per qualche tempo suo
confessore; e Guglielmo daTocco priore di
EeneventOjil quale tra stato in modo par-
ticolare stretto in amicizia col sauto dot-
tore.
TOMMASO (s.), vescovo di Hereford
in Inghilterra. iN'acque nelLancashire, ed
era il maggiore de'suoi fratelli e sorelle,
i quali ebbero tutti un onorevole posto
nel mondo. Suo padre GuglielmodiChan-
teloup, che fu uuo de' più famosi guer-
rieri dell'Inghilterra e gran maestro del
regno, dovendo vivere alla corte, e cono-
scendo i pericoli che vi potevano correre
i suoi figli, prese le maggiori precauzioni
per preservarli da ogni corruzione ed al-
levarli cristianamente. Allorché Tomma-
so fu in età d'in) para re le scienze, lo mise
sotto la guida di Guglielmo da Citante-
loup vescovo di Hereford, suo prossimo
parente; dipoi sotto quella di Roberto
Kilwarby dotto domenicano, che fu suc-
cessivamente arcivescovo di Cantorbery,
cardiuale e vescovo di Porto. Il giovine
discc-jjolo,alleutu allo studio, Io santifica-
T O ■ 77
■va con tenera pietà, recitava l'officio del-
la Chiesa, e adempiva tutti i doveri della
religione con fervore straordinario. Fat-
to il corso di filosofia a Parigi, ai ritolse
d'abbracciare lo stato ecclesiastico, quin-
di si recò ad Orleans per impararvi il di-
ritto civile, che serve di fondamento al
canonico. Poco dopo ritornò in Inghilter-
ra per continuarvi i suoi studi, e passato
dottore in diritto ad Oxford,fu eletto can-
celliere di quella famosa università. In ta-
le posto acquistossi tanta riputazione, che
il re Enrico III lo creò gran cancelliere
del regno, nella qual carica egli fece spic-
care la sua prudenza, il suo zelo, l'amore
per la giustizia : si oppose con tutto il suo
potere ai diversi abusi, e fece esiliare gli
ebrei, de' quali non eransi potute impe-
dire le usure e le estorsioni. Dopo reite-
rale istanze, all'innalzameuto di Eduar-
do I al trono, ottenne di essere sollevato
da siffatto incarico, che Io riteneva suo
malgrado alla corte, e ritirossi quindi ad
Oxford per non occuparsi che della let-
tura e degli esercizi di pietà. Prese ivi il
grado di dottore in teologia nella chiesa
de' domenicani, presso i quali avea stu-
diato. Papa Gregorio X lo chiamò nel
i 274 al 2. "concilio generale di Lione per
la riunione de'greci, e l'anno seguente fu
eletto vescovo di Hereford. Pieno di fer-
vore nell'adempiere gli uffizi di buon pa-
store, trovava le sue delizie nel ritiro, in
cui colla preghiera e colla meditazione
manteneva la sua unione con Dio; mor-
tificava la sua carne col digiuno, colle ve-
glie, e colle altre austerità della peniten-
za, portando il cilicio infino alla morte.
Al grande suo zelo per la gloria dellaChie-
sa, aggiungeva uua carità che abbraccia-
va i bisogni corporali e spirituali del pros-
simo, facendo provare gli effetti della più
tenera allezione a' poveri, che chiamava
suoi fratelli. Alcuni contrasti ch'egli ebbe,
del pari che gli altri vescovi della provin-
cia, coll'arcivescovo «li Cantorbery, lo co-
strinsero a recarsi in Roma, dove fu ac-
colto coll'ouore che meritavano le sue vir-
78 T O M
tu. Partitone per tornare in Inghilterra,
Aggravandosi lesue infermità dovette fer-
marsi aMonleFiasconenellaToscana pon-
tifìcia, edivi piamente morì a'%5 agosto
1282, in età di G3 anni. Fu seppellito 6
giorni appresso nella chiesa del monastero
di s. Severo; ma non guari dopo le sue ossa
furono poi tale ad Hereford e deposte in
quella cattedrale. PapaGiovanni XXII lo
canonizzò nel 1 3 1 o(così Ieggesi nel Butler;
ma questo Papa fu eletto nel 1 3 1 6, e nel
1 3 1 o regnava Clemente V : meglio è ri-
tenersi l'epoca che riportai a Hereford),
forse ai di ottobre, ch'è il giorno in cui
si celebra la festa principale di questo
santo vescovo.
TOMMASO da Villanova (s.), arci-
vescovo di Valenza in Ispagna. Nacque
nel 1488 a Fuenlana in Castiglia, ed eb-
be poi il soprannome di Villanova da
Villanova di los lnfantes, piccola città do-
v'egli fu allevato. I suoi genitori Alfonso
Tommaso Garcias e Lucia Martinez era-
no pure oriundi di Villanova. Benché di
mediocre fortuna, essi erano molto limo-
linieri, e questo spirito di carità fu l'ere-
dità più preziosa che lasciarono al loro fi-
glio; di che l'amore dei poveri divenne il
suo distintivo carattere. Giunto all'età di
1 5 anni, i suoi genitori lo mandarono al-
l'università di Alcalà, ove percorsegli stu-
di col maggior profitto, e i suoi talenti gli
meritarono un posto nel collegio di s. II-
delònso. Avea 26 anni quando fu rice-
vuto maestro delle arti, e scelto a profes-
sore di filosofia. Dopo due anni fu tratto
a Salamanca per esercitarvi lo stesso ufli-
ciocon maggiori vantaggi, e colà poi pre-
se l'abito degli eremiti di s. Agostino. Nel
suo noviziato si scorse com'egli erasi av-
vezzato già da lungo tempo alla pratica
delle austerità, alla rinunzia della pro-
pria volonlàed agli esercizi della contem-
plazione. Elevato agli ordini sagri, rice-
vette il sacerdozio nel i520, e il giorno
di Natale celebrò con indicibile fervore la
prima messa. I superiori lo impiegarono
tosto a predicare la parola di Dio e ad
TOM
amministrare il sagramenlo della peni-
lenza, ed egli adempì queste importanti
funzioni con lale successo, che gli fu dalo
il nome di apostolo della Spagna, ludi
fu eletto a priore de'convenli di Salaman-
ca, di Bui gos e di Valladolid ; due volte
provinciale nell'Andalusia, e una volta in
Castiglia. L'imperatore Carlo V lo scelse
per uno de'suoi predicatori, anzi lo mise
nel numero di quelli che consultava, e
quando non lo avea presso di se, gli scri-
vea per chiedergli il suo consiglio. Aven-
dolo nominato all'arcivescovato di Gra-
nata, egli pose tutto in opera per evitare
questa dignità; ina dovette poi accettare
quello di Valenza, in virtù di obbedienza
religiosa, ed entrò nella sua sede il 1. "del-
l'anno 1 54^-Benchèpostoin sì alta digni-
tà, continuò a mostrar quella umiltà di
cui avea dato saggio nel suo ritiro. Non
comportando alcun apparato di esteriore
grandezza, ritenne il suo abito religioso,
chesi rattoppava da se stesso; la sua men-
sa era strettameli te fi ugale.osser vaudo l'a-
stinenza e i digiuni prescritti dalla regola
che avea abbracciato; non si vedeva alcu-
na tappezzeria nel suo palazzo; non por-
tava indosso panno di lino se non quando
era ammalalo; sovente coricavasi sopra
un fascio di rami d'albero, e una pietra
gli serviva di guanciale. Fedele in adem-
piere i doveri di buon pastore, visitava le
chiese della sua diocesi, predicando nelle
città e nei villaggi con meravigliosi effetti.
Finita la sua visita , radunò un concilio
provinciale, in cui si fecero saggi regola-
menti per togliere gli abusi che si erano
introdotti massime nel clero, nel che eb-
be ad incontrare gravi difficoltà, ma colla
sua pazienza venne a capo di superarle.
L'arcivescovato di Valenza avea 18,000
ducati di rendila annua. Il santo arcive-
scovo ne dava 2,000 al principe Giorgio
d'Austria suo predecessore, che si era di-
messo , riservandosi questa pensione ;
1 3,ooo ne impiegava al sollievo de'povc-
ri, e servivasi del rimanente pel manteni-
mento della sua casa e pe'ristauri del suo
TOM
palazzo. Ogni giorno vedeansi alla sua
porta da 5oo poveri. che riceveano pane,
vino e una moneta d'argento ciascuno, ed
inoltre faceva innumerabili altre carità.
L'amore ch'egli avea pelsuoprossimo,e le
altre sue virtù riceveauo la loro perfezio-
ne da quell'amore ardente verso Dio, che
avvampavagli in cuore, e che manifesta-
va molto più colle opere che colle paro-
le, li cattivo stato di sua salute non gli
permise di recarsi al concilio di Trento,
«•ode vi mandò in suo luogo il vescovo di
I Inesca. Più d'una volta ricorse a Roma
e alla corte di Spagna per ottenere la per-
missione di dimettersi. Finalmente Dio "li
tese la libertà che tanto desiderava, chia-
mandolo a >e, e facendogli conoscere in
modo soprannaturale the avrebbe finito
di vivere nella festa della Natività di Ma-
lia Vergine. A'29 agosto i555 fu colto
da unasquinanzia, accompagnata da feb-
)>i e violenta, e la mattina deyli 8 settem-
bre,fatta celebiare la messa nella sua ca-
mera, spirò dopo la comunione del sacer-
dote, essendo nell'età di 67 a uni. Confor-
me al suo desiderio fu sepolto nella chiesa
degli agostiniani di Valenza. Paolo V lo
beatificò nel 1618 ; Alessandro VII lo
canonizzò nel 1 658, e la sua festa fu po-
sta a' 1 8 di settembre.
TOMMASO Bellxci (b.), francesca-
no. Nato a Linari presso Firenze, ebbe
una buona educazione, ina non seppegua-
rentirsi dalla seduzione del mondo, e tra
sanato da cattivi compagni fu per qual-
che tempo schiavo delle proprie passioni.
I n tristo aliare nel quale fu posto a gran-
de rischio, divenne il mezzo di cui la mi-
sericordia di Dio si servì per disingannar-
lo e farlo entrare nel sentiero della virtù.
Dedicatosi quindi con ardore all'opera
della sua perfezione, si aggregò aduna pia
confraternita di s. Girolamo; e non gua-
ri dopo per staccarsi interamente dal
mondo entrò nell' ordine di s. France-
sco de' conventuali quale laico. In que-
sto nuovo statoceli riparò con abbondan-
ti e degni frutti di penitenza gli errori del-
T O M 79
la sua vita passata, e pervenne ad alto
grado di sa uli tà,i untando le virtù dell'am-
mirabile suo fondatore, ad esempio del
quale, dividendo l'anno in sette quaresi-
me, non vivea che di pane e di alcuni le-
gumi. Un genere di vita sì austero gli me-
ri lo delle grazie particolari dal cielo, e gli
procacciò la stima degli uomini. Divenne
successivamente compagno del ven. Gio-
vanni da Stroncone, incaricalo della ri-
forma de' frati minori nel regno di Na-
poli, e suo vicario iu una delie provincie
dell'ordine. Papa Martino V, conosciuto
il raro merito di Tommaso, lo incaricò di
cacciare gli eretici Fraticelli da'couvenli
di cui si erano impadroniti, e di procura-
re di ricondurli all' unità della fede. Il
successo cotonò i suoi sforzi, sicché rota-
bili i conventi del suo ordine, li riempì di
uomini virtuosi, e vi ricevette anche mol-
ti fraticelli, i quali essendosi convertiti,
perseverarono nella buona via con edi-
ficazione. La saggezza cheTommaso avea
mostrato in un affare così delicato, indus-
se Papa Eugenio IV, ad unirlo al p. Al-
berto di Sarzana, che inviava agli orien-
tali per invitarli al concilio ecumenico di
Firenze. Allorché il p. Alberto vide che il
suo negoziato prendeva un aspetto favo-
revole, mandòTommaso con tre altri re-
ligiosi a fare lo stesso invito al re di Elio-
pia. In viaggio Tommaso e i suoi compa-
gni furono presi da'mori, i quali li chiu-
sero iu una cisterna, dove li lasciarono per
20 giorni senza dar loro uè bere, uè man-
giare, e ne uscirono soltanto dopo tre me-
si, rifiniti da'bisogni d'ogni maniera che
aveano provato. Tommaso si fcceamini-
rare da bai bari colia sua invitta pazien-
za, e col suo zelo di predicare le verità del-
la fede cristiana e di combattere gli er-
rori di Maometto. A ila fine fu liberato co'
suoi compagni dalla schiavitù de'turchi,
da Papa Eugenio IV7 che fece contai e 5oo
scudi pel loro riscatto. Ritornato in Ita-
lia, questo santo religioso era inconsola-
bile perchè non avea potuto ottenere la
palma del martino, ch'era 1' oggetto de'
80 TOM
suoi voti. Perciò risolvette di recarsi a Ro-
ma per chiedere di essere di nuovo man-
dalo in oriente; ma fu costretto fermarsi
nel convento di Rieti per una febbre che
gli prese e che Io condusse alla tomba,
ivi terminando il corso di sua vita mor-
tale il 3i ottobre 1 44 7- Siccome la fama
di sua santità e de' suoi miracoli, come
pure il concorso de'fedeh alla sua tomba,
accrescevano ogni di più, i frati minori
collocarono le sue reliquie in un mauso-
leo, e domandarono alla s. Sede l'appro-
vazione del cullo che ad esso rendevasi.
Clemente XIV autorizzò questo cullo, e
permise con decreto della s. congregazio-
ne de'rili nel r 77 1, che si onorasse Tom-
maso come beato.
TOMMASO di Cobi (b.), frate minore
dell'osservanza. Ebbe i natali in Cori,dio-
cesi di P ellctri(Pr.),da rispettabili e pii ge-
nitori. Di purissimi costumi, mostrò (in
da fanciullo a qual grado di santità sa-
rebbe pervenuto, e dopo la morte del pa-
dre e della madre prese I' abito de' frali
minori dell'osservanza. Finito il novizia-
Io, nel quale si fece ammirare perla sua
umiltà, passò a continuare gli studi nel
convento di Velletri, ove fu elevato al sa-
cerdozio; quindi ottenne da'suoi superio-
ri il permesso di andare ad abitare l'anti-
co convento di Civitella presso Subiaco,
cangiato da poco tempo in un luogo di
ritiro. Ivi menò vita sommamente auste,
ra, che continuò nel convento di Palum-
baria, situato nella diocesi di Sabina. L'a-
more di Dio e del prossimo che ardeva
nel suo cuore, gl'inspirò il pensiero di an-
dar nella China a predicare la fede catto-
lica e a versare il sangue per essa. Avendo
però conosciuto che la volontà divina op-
ponevasi alla esecuzione di questo dise-
guo, rimase con sommissione a travaglia-
re nella vigna del Signore, nel territorio
di Subiaco e ne'luoghi circonvicini. Fie-
no di dolcezza e di carità pe'poveri, a'cui
bisogni provvedeva spesso in modo pro-
digioso, gl'infermi specialmente eccita-
vano la sua compassione. Allorché si trat-
T O M
lava di soccorrerli, non era arrestalo né
da'doloti che cagionavagli un'ulcera che
avea nella gamba, né dalla oscurità della
notte, né dalle difficoltà delle vie, né dal-
l'intemperie delle stagioni. Passando so-
vente a digiuno il giorno ed anche parte
deìla notte nell'ascoltare le confessioni, ri-
cevea con particolare tenerezza i peccatori
indurati, e conducevali nella via della sa-
lute. Scorse per molti anni i borghi e i vil-
laggi della diocesi di Subiaco, facendo e-
ziandio frequenti viaggi a Coti sua pa-
tria; e l'elL-tto eh' egli produceva ovun-
que sul popolo era tale, che la riforma de'
costumi seguiva sempre la sua presenza,
in guisa che potrebbesi chiamarlo il nuo-
vo apostolo di questo paese. Consumata
così la sua illibata e virtuosissima vita,
cadde malato nel convento di Civitella,
dove favorito delle celesti consolazioni,
moiì della morte de'giusti l'i 1 gennaio
1729, in età di 74 anni. I miracoli pro-
varono subito la santità di questo servo
di Dio, e Papa Pio VI, dopo averli fatti e-
sa mi tiare, decretò solennemente a Tom-
maso gli onori della beatificazione, colla
sua bolla de' 1 8 agosto 1 786, nella quale
si fa un bell'elogio dell'ardente di lui zelo
per la salute del prossimo. Poscia il Papa
recandosi a Subiaco, si portò a venerar-
ne il corpo in Civitella, come narrai nel
voi. LXX, p. 229, descrivendo tal paese.
TOMMASO, Cardinale. Di Milano e
canonico regolare della congregazioue di
s. Maria di Crescenziaco, 3 miglia lungi da
detta città, nelle tempora di dicembre del
1 1 38 Innocenzo II lo creò cardinale pre-
te di s. Vitale. Si trovò presente all'ele-
zioni di Celestino lì, di Lucio II, e d'Eu-
genio III, alle bollede'quali oppose la sua
soscrizione, e l'ultima porta la data del
1 i45 e fu a favore della chiesa di Vero-
na, laonde dev'essere morto nel pontifi-
cato d'Eugenio III. 11 Ciaccolilo lo con-
fuse con un altro cardinal Tommaso del-
l'ordine de'diaconi e poi di quello de'pre-
li ; il Panvinio però e altri scrittori ne
corressero l'equivoco.
TOM
TOMMASO, Cardinale. Onorio III
verso il fine del 12 iG lo creò prete car-
dinale di s.Baibina, e sottoscrisse alla bol-
la da detto Papa spedita in Lalerano a
favore di Simone vescovo di Terracina a'
18 gennaio 1 2 1 7, insieme al cardinal Ro-
berto Rainaldi di Sezze (?'.), altro car-
dinale d'Onorio III della stessa promo-
zione, e col titolo presbiterale de'ss. Gio.
e Paolo, perciò ricordato dal Rondinini
nella Storia di tal basilica a p. 176, e
nella stessa bolla riprodotta da Ughelli,
Italia sarra t. 1, p. i2g5.
TOMMASO (s.). Cristiani di s. Tom-
maso apostolo. V. Malabari, s. Tommaso
apostolo, e i voi. XVIII, p. 20 5,e XXXIV,
p. 20 r e 206.
TOMMASO o THOME" (s.). V. Me-
IIAPOR.
TOMMASO(s.),lS'. Thomae in Insula.
Città con residenza vescovile dell'Africa
occidentale, nella Guinea e nel golfo di
tal nome, capoluogo dell'isola di s. Tom-
maso, la quale forma il limite della Gui-
nea superiore e della Guinea inferiore, ed
appartiene al Portogallo. Quest' isola ,
composta di basalte compatto e pesantis-
simo, è montuosa, calda e malsana soprat-
tutto nelle valli, dove dense nuvole cuo-
prono il paese principalmente durante i
mesi di dicembre, gennaio e febbraio. Le
montagne di s. Tommaso sono coperte di
boscbi, ed il picco rotondo di s. Anna s'in-
nalza ai 100 pertiche. Parecchi ruscelli,
molto pescosi, innaffiano l'isola. Attivissi-
ma è quivi la vegetazione, le pecore e le
capre vi sono belle; le bestie cornute più
piccole che in Europa, i porci abbonda-
no. I portoghesi Y occuparono nel 1 4<p,
ma vani furono i loro sforzi per tentare
d'introdurvi la coltura de'cereali e della
vite. Vi prosperano tuttavia il riso, il mi-
glio, lo zucchero in abbondanza, le pata-
te, la cannella , ec. Gli abitanti di quasi
20,000 si compongono di portoghesi e ne-
gri schiavi; nelle montagne vive un certo
numero di negri marroni. La religione cat-
tolica è professata dalla popolazione, mas-
VOL. L XX VII.
TOM 8 1
sime del capoluogo, ed ascende a più di
18,000. Questa città situata sulla costa
orientale, oltre di chiamarsi s. Tommaso t
dicesi pure Cliaveso PanoasanoPavoas*
san , Fanum s. Thomae, s. Thorrì-, s.
Tommaso dell' 'Isola j nome che fu dato
da'portoghesi all'isola per averla scoperta
nel giorno della festa di s. Tommaso a-
postolo. Contiene più di 700 case, di le-
gno la maggior parte. Siede a nord della
città un forte sopra una lingua di terra.
1] porto è bensì piccolo, ma otfie asilo si-
curo alle navi. Gli abitanti di color nero
nella più parte, sono dotati di molto spi-
rito e di gran memoria, di carattere do-
cile. Ha 3 chiese, la cattedrale ora colle-
giata avea un capitolo composto di 14 ca-
nonici: le altre due chiese della città sono
sotto l'invocazione di s. Antonio e di s. A-
gostino. La diocesi avea 8 parrochi, due
cappellani e de' chierici. Eranvi diverse
confraternite, un convento degli agosti-
niani scalzi, ed ospizi di cappuccini ita-
liani. L'isola di s. Tommaso e le adiacenti
fino a'uostri giorni ebbero il proprio ve-
scovo residenziale nella città di s. Tom-
maso, di nomina particolaredelre di Por-
togallo,ead istanza del reGiovanni IlI,con
bolla de'23 novembrei534 Paolo III vi
eresse la sede vescovile,dichiarandola suf-
fiaganea dell'arcivescovo di Lisbona; di-
poi lo di venne dell'arci vescovo di s. Salva-
toredella Baia di Tutti i Santi del Bra-
sile, quando Innocenzo XI elevò questa
sede al grado di metropolitana nel 1676,
ovvero da alcuno de'suoi successori. Quin-
di Gregorio XVI colla bolla Quae oliai
a Summis Pontifieibus, de' i3 geunaio
i844jsolll'asse da la'e arcivescovato i ve-
scovati di s. Tommaso e di Angola o An-
gora, e li sottopose nuovamente al patriar-
ca di Lisbona. Ecco gli ultimi vescovi di
s. Tom maso riportati dalle Notizie di Ro-
ma. Neil 742 h\ Lodovico della Conce-
zione agostiniano scalzo di Lisbona. Nel
1 74^ fi'- Lodovico delle Piaghe agostinia-
no scalzo d' Alcabenique diocesi di Coim-
bra. Nel 17 53 Antonio Nogueira d'Elvas.
6
ga T O M
Neh 779 fr. Vincenzo dello Spirilo santo
agostiniano scalzo di Lisbona. Nel 1782
fr. Domenico del Rosario domenicano di
Lisbona. Nel 1 794 f''- Raffaele de Castello
de Vide minore osservante di Portallegre.
]N'eli8o5 fr. Custodio da s. Anna agosti-
niano scalzo di Porlo. Nel 18 16 fr. Bar-
tolomeo de Martyribus carmelitano scal-
zo di Sandomir, diocesi di Coimbra, pre-
conizzato da Pio VII nel concistoro de-
gli 8 marzo: vivea nel 1 847, dopo il quale
anno le dette Notizie registrano vacante
questo vescovato. Inoltre s. Tommaso fu
pure un'antichissima prefettura aposto-
lica di cappuccini, la quale comprendeva
l'isole Annob nono o Annabnna . del Prin-
cipe e altre di minor grandezza, ed ora
formanti la diocesi di s. Tommaso. An-
nobuono, isola del golfo della bassa Gui-
nea, con città omonima, fu cosi denomi-
nala da 'portoghesi perchè la scoprirono
ili.° gennaio 1 4/ 3, e non vi trovarono a-
nimali, tranne i volatili ; poi vi s' intro-
dussero, massime le capre. Fertilissime so-
no le valli, pescose le rive: principale pro-
duzione è il cotone. I navigatori diretti al-
l'Indie vi cercano tregua dal viaggio. Nel
1778 venne ceduta agli spaguuoli, e da
questi n'ebbero poi il possesso gl'inglesi.
L'isola del Principe fu scoperta da'Por-
toghesi nel 147 1, e ne mantennero il pos-
sesso. Il suolo offre riso, tabacco, miglio,
zucchero e frutta tropicali. L'unico bor-
go è situato sulla riva settentrionale; a
giato e sicuro n'è il porto. Annobuonoè
popolato da qooo quasi lutti negri e cat-
tolici. Ila la chiesa dedicata alla Conce-
zione di Maria Vergine, 4 cappelle, col
parroco. Uno di questi morì dopo avere
esposto il ss. Sagramento, il quale restò
cosi per 14 mesi, finché arrivato un reli-
gioso consumò le specie sagra mentali. Du-
rante questo lungo spazio di tempo, il po-
polo vi mantenne innanzi sempre le lam-
pade accese, e due persone vi assisterono
in continua orazione. L'isola del Principe
conta 1 4,000 abitanti, nella principale par-
te cattolici, con due chiese, una confi a ter
T O N
niln,e l'ospizio de'cappuccini. A vea un par-
roco e 8 preti indigeni. In generale, i cri-
stiani eranodicaltivicoslumijcomeinqua
si tutta l'Africa. Il cleroindigeno non tutto
corrispondeva alla santità del grado.L'aria
insalubre e i calori insopportabili fecero
cessare la missione de'cappuccini, lo stesso
vocabolo Guinea significando caldo e sec-
co, sebbene le pioggie sono quasi conti-
nue. Leggo nella relazione delle missio-
ni da mg.r Fortiguerri segretario di pro-
paganda fide estratla da quell'archivio,
«l'ordine di Clemente XI, che nell'isola
di s.Thomè esistente nel seno etiopico, l'a-
ria pe'foraslieri era cosi cattiva, che in po-
chi giorni di febbre acuta vi morivano ,
e se riusciva loro di guarire, per slare be-
ne non potevano cibarsi che pel necessa-
rio nutrimento. La missione de'cappuc-
cini in Guinea fu istituita nel iG5q e me
gì io stabilita nel 1 Cyj \; indi v'introdusse-
ro gli agostiniani scalzi della provincia di
Portogallo. Nel 1688 il prefetto de'cap-
puccini spedi a delta congregazione lo sla-
to delle missioni dell'isola di s. Thomè, ri-
marcando la penuria di missionari e I' i-
gnoranza de' popoli nelle cose spettanti al-
la fede, essendo le parrocchie tra loro di-
stanti 3o miglia, onde la cristianità erasi
inselvatichita, massime nell'isola d'Aimo-
bon, ed avea appresi i costumi della re-
gione, che sono principalmente l'avere le
concubine, preferendosi i bastardi a'fìgli
legittimi.
TONACA o TONICA o TUNICA, TV
idea, Toga. Veste lunga e con maniche
lunghe, usala dagli antichi, oggi propria
de'clauslralid'ambo i sessi ,Religìosie Re-
ligiose (I •), di lana odi scotto de'coloii
propri de'loro istituti. Si suole cingere per
fermarla alle reni con Cintura o Fu. scia
(V.) di diverse materie, come di cuoio, di
lana, ci ì canape o corda, la (piale ha i suoi
misteriosi significati. Mentre la tonaca a-
vendo come altre_ vesti la forma di croce,
vuoisi per essa denotare come gli eccle-
siastici devono imitare Gesù Crocefisso
(1 -ÌS e la sua lunghezza diecsi significale
TO N
la perseveranza finale dell'opere buone.
Sulla tonaca, come sott'abito, tla'monaci,
da'fiati, dalle monache si sovrappone il
coni;>imen(o del loro abito,come lo Sea-
poiaret\a Cappa, il Cappuccio^ Manto
o Mantello [fr.). Inoltre sulla tonaca i re-
ligiosi assumono la cotta e le altre lesti
sagre. Al dire di Vairone, la tonaca fu
così dotta a tuendo, dal difendere il cor-
po, come la Toga (V.) a tegendo , cioè
dui copi irsi. PoichèosservaBiondodaFor-
lì, nella Roma trionfante, trattando delle
vesti de'romani antichi, die la tonaca fu
veste assettata al corpo, corrispondente
oncbe all'odierna Sottana (T .), e la toga
il mantello o veste più ampia e lunga che
si portava disopra. Si portavano dagli an-
tichi d'ordinario due tonache, e talvolta
ancora più di due. La tonaca esteriore chia-
mavasi Umica, quella di sotto subucula
e anche indusìum, la cpiale serviva più
sovente per le femmine. Essa era in so-
stanza una camicia, che in principio si fa-
ceva di lana, e più tardi si formò con tela
di lino. llp. Bounani, La Gerarchia ec-
clesiastica considerata nelle vesti sagre
e cis-i/i, dice che da'romani oltre la toga
fu usata un'altra veste delta tonaca, dalla
parola latina /«wcv/, la quale procede dalla
paiola tticndo, che perciò le membrane
U egli occhi e defluiti si dicono tuniche.
Lunga era la tonaca, ma più breve della
toga, sotto la quale si portava, e copriva
immediatamente il corpo di chi fusa va.
Aggiunge essére stala tal sorte di veste co-
mune anche agli ebrei e di due sorti, una
con maniche, l'altra senza; alcune erano
larghe, altre più strette; alcune di lana, al-
tre di lino, secondo la coudizione di quelli
che se ne servi vano. Questa si nominava in-
dusiu/n, e benché il nome di tonaca sia ge-
nerale, contultociò comunemente s'inleu-
de la veste interiore che sotto la toga si
usava. Questa fu adoperata dagli Apostoli,
OOtnechè veste degli ebrei e de' romani
d'ambo i sessi, più lunga essendola toga
delle donne. Di sola tonaca vestirono molti,
cuine quelli i quali presso i romani face-
TO N 83
vano professione di vita austera, così al-
cuni profeti antichi vestivano di sola pel-
liccia. Della sola tonaca vestivano in casa
gli antichi romani, come si ha da Tertul-
liano, e di questa anche erano vestiti i ser-
vi de'medesimi, ed è tuttora tal veste ri-
sata da diversi popoli. Circa la forma, era
quasi simile alla veste Dalmatica o Tn-
nacella [1 '.). vale a dire infera avanti al
pettoedivisa ne'lati sino alle ginocchia. In
principio la tonaca degli uomini era sen-
za maniche, ovvero colle maniche stese
sino a mezzo braccio, ma nelle donne le
maniche, si stendevano sino alle mini.
Riferisce ancora il p. Bonanni, essere in-
certa 1' epoca di quando cominciò 1' uso
delle tonache colle maniche, e crede pro-
babile nel tempo degli Apostoli e de'cri-
stiani della primitiva Chieda , poiché sa-
rebbe stato indecente che esercitassero le
funzioni ecclesiastiche colla veste priva
delle maniche. Nou eraperòquesl'uso in-
teramente propagato e comune a tutti i
cristiani nel principio del V secolo, giac-
ché Cassiano che visse nella metà di esso,
De Inslit. monachorum lib.i, ragionan-
do di que'd'Egitto dice: Coloìnis auoqut,
lineis induti.cpiae vix ad cubitorum ima
pcrlingunty nudas de reliauo circnmfe-
runt manus, utamputatos habere eos a-
ctiis, et opera mundi hujus suggcrat ab-
scistio manicarum.etab omndconversa-1
tiouc terrena mortijicatos eos velami ni*
linei doceat indumentum. E dall'uso di
tal veste de' 'Solitari d'Egitto, stimò Pan
ciroli che procedesse la pazienza o sca-
polare monastico. Tale veste, nominata
da Cassiano Colobio(f .), cioè tonaca sen
za maniche, era comune a'monaci e solita-
ri, per essere più spediti oell' opere ma-
nuali, alle quali si applicavano per fug-
gir l'ozio. Notai a Colori ecclesiastici ,
nel pai lare di quelli usati da'chierici nel
vestimento ordiuario e sagro, che sino dal
nasceredellaChiesa furono distinti i chie-
rici colla Tonsura e colla veste talare, più
corta però di quella delle donne, cioè usa-
vano la tonaca o toga senza maniche, la
84 TON
quale veniva sovrapposta all'altra toga o
tonaca colle maniche più o meno strette,
nel modo che vestono diversi orientali ap-
partenenti al clero. La veste tonaca fu chia-
mata da'greciCtf//7..v/W.?,eda'rotnanitSVo la
come a questo articolo dissi, notando da
chi usata, e che quella con maniche corte
fu detta stola o tonaca reale, come abito
ordinario de're e de'roagisU assomiglian-
te agli odierni rubboni usati da' Gonfalo-
nieri, Priori e altri municipali. Di pitiche
il sommo sacerdote,! sacerdoti ed i leviti
degli ebrei vestirono le tonache chiamate
stole. Ed inoltre che fu chiamata stola del
Pontefice massimo de'romani pagani, di
cui meglio riparlai altrove, come nel voi.
LXX11I, p. 280, 281, 283, 284, quella
veste che diversi scrittori denominarono
tonaca, indossandola gl'imperatori, quan-
do furono rivestiti di tale religiosa dignità,
sotto l' imperiale paludamento. Quando
sulle tuniche romane si poneva il Lati-
clavio, nel quale articolo dissi come for-
mate tali tuniche e usate pure dagli ebrei,
da'profeliedalSalvatore,e quella di que-
sti fu appellata Tonaca o Tunica Incori-
£utile(F.),s\a\\ìal'\c\aM\oàiPorpora{F^.)i
sia d'oro, allora le tuniche si chiamava-
no Augusticlave o Laticlavc, ed in Gre-
cia molto si usarono da'ricchi. 11 Cami-
ce (V.) degli ecclesiastici, Tunieas Alias
( antica veste bianca talare detta ancora
A/bao Camisia romana, di cui ragionai
anche altrove come a Rocchetto), pure
chiamossi tonaca, e derivò dalle tonache
bianche degli antichi romani, secondochè
pretendono alcuni. Ma il dotto Marango-
ni, Delle cose, gentilesche e profane tra-
sportate ad uso e ad ornamento delle
chiese, osserva che da' monumenti appa-
risce l'antica disciplina della Chiesa, qual
fu di abborrire unicamente quella sorte
di vestimenti, i quali erano distintivi spe-
cifici di culto idolatrico. Laonde quanto
alle altre vesti, benché adoperate da sa-
cerdoti gentili, anche ne'sagrifìzi, tale di-
stintiva sacrilega non portavano, mentre
a tulli erano anche culmini; efia queste
TON
era certamente la tunica bianca di lino,
la quale adoperatisi da ogni Sorta di sa-
cerdoti gentili d'oriente e d'occidente, es-
sendovi in Campidoglio una famosa sta-
tua di sacerdote idolatra, vestita con ve-
ste che quasi in nulla differisce da'noslri
camici, e anco bene arricciato. Però sog-
giunge, questa sorta di vestimento laChie-
sa per certo non prese da' gentili sacer-
doti, ma bensì dagli ebrei e dalla s. Sci it-
tura, ove da Dio fu prescritta ad Aron-
ne e suoi figli. Tunicam lineam, et stri-
dami Porro fìliis Aaron tunieas lineas,
parabis,ete. V esliesque his omnibus Aa-
ron, et jilios ejus curri eo. Che la tunica
linea, o camice come noi l'appelliamo, non
fosse presa da'gentili, ma dagli ebrei, dice
Marangoni, provarsi chiaramente dall'es-
sere stata usata ne'principii della nascente
Chiesa da S.Giacomo apostolo, il quale u-
sava solamente veste di lino; e questo era
proprio vestimento sacerdotale. Di que-
sta veste linea, dopo s. Giacomo, Maran-
goni ne trovò altra memoria negli atti di
s. Cipriano vescovo di Cartagine e marti-
re, ne'quali si legge: Curn se dalmatica
expoliasscty et eam Diaconibus tradidis-
set, in linea stetit, et coepit spiculalorem
sustinere. Il camice era la tonaca di lino
usata dal primitivo clero in chiesa e fuori,
però l'adoperato ne'sagri templi era più.
mondo e più nobile.Dal camice poi ebbe-
ro origine le vesti ecclesiastiche del Roc-
chetto, eziandio detto Tunica,^ della Cot-
ta (P-), appellata altresì Tunica talari.
In quest'ultimo articolo rimarcai, che al-
cuni stimano avere l'antico clero vestito
la tonaca bianca talare, senza maniche, e
poi mutata la materia si convertì in Pia-
neta (V.) e divenne propria de'sacerdoti.
Di più pare che dalla tonaca fosse formato
il Sacco (P'.)t abito penitente de'confra-
tri de' Sodalizi (V.)% i quali se Io cingo-
no a'iombi con cinture o cingoli di cuoio,
di corda, di lana, di seta, di filo o cotone.
Adunque 1' antica tonaca o tunica fu
vestimento che portavasi immediatamen-
te sul corpo, ed era comune ad ambo i ses-
TON
si. Ne fecero uso quasi tutti gli antichi po-
poli, ma gli uni la portavano con mani-
che, altri senza; pe'primi era molto larga,
assai più stretta presso gli ultimi. Com-
ponevasi ordinariamente di due pezzi, che
offrivano a un dipresso la figura d' un
quadrilungo; l'uno copriva il petto, l'al-
tro il dorso , ed entrambi univansi sulle
spalle agli angoli superiori, lasciando in
mezzo un' apertura per la quale usciva la
testa. I due pezzi avvicinavansi sotto le
ascelle, sempre allargandosi al basso, con
una marcata differenza pegli uomini e per
le donne. La tunica tenevasi soggetta con
una cintura, lasciandosi cosi alle membra
la libertà e facilità de'movimenti. La cin-
tura si assumeva quando si usciva dalla
propria casa, giacché nell'interno la tona-
ca portavasi senza alcuna cintura. Le per-
sone voluttuose stringevano meno la lo-
ro cintura che non le altre , cosicché la
tonaca rimaneva con pieghe pin ampie,
e questo riguardavasi come un indizio di
mollezza, e non era molto onorifico alle
persone, per cui se ne fece rimprovero al-
lo stesso Mecenate. Da principio eradi la-
na, e gli uomini la conservarono di tale
stoffa lungamente, mentre per le donne
sembra chefossein uso il lino fino da'pri-
mi tempi o poco meno. Erano le tuniche
cucite dagli orli inferiori fino alle anche;
alcune antiche figure lasciano persino di-
stinguere le cuciture. Erano per lo più
bianche, ma si portavano anche di colore:
Ovidio rimarca che la tunica nera sta be-
ne alle donne bianche , e la bianca alle
brune. 1 cittadini di poche fortune, i sol-
dati e gli schiavi portavano tuniche tin-
te di rosso, tali divenute in forza dell'uso.
Trebellio Pollione fa menzione della tu-
nica rossa de'soldati. 1 lacedemoni la por-
tavano rossa alla guerra, onde il sangue
delle ferite colpisse meno la vista, per evi-
tare l'abbattimento negli altri. Presso i ro-
mani la tunica scendeva pegli uomini fino
alle ginocchia, fino a' talloni per le donne;
ma i soldati ei viaggiatori la rialzavano
fino alla metà delle cosce,doude venne lo-
T O » 85
ro il nome di * iicciiu: ti o duelliti. Andava
la tunica si giusta al collo, e scendeva sì
basso presso le donne vereconde, che non
si vedeva di esse fuorché il volto. Quan-
do il lusso ebbe introdotto l'uso dell'oro
e de'gioielli, iucoroinciossi impunemente
a mostrare il collo, le spalle e la parte su-
periore del seno; la vauilà andò prenden-
do piede, e le tuniche s'incavarono mag-
giormente; il che si attribuisce per le pri-
me alla romane, insieme a portare tona-
che d'una stoffa fina e trasparente, per U
qual cosa Seneca diceva nulla poter di-
fendere in esse il corpo e il pudore, cosic-
ché alcuna non avrebbe potuto giurare
d'essere nuda. Spesse volte le maniche non
erano unite, e dall'alto della mano fino
alla spalla erano attaccate con fermagli
d'oro e d'argento. Il portare uua tunica
lunga fino a' piedi era pegli uomini indi-
zio di mollezza e dissolutezza; lo stesso ac-
cadea delle tuniche a lunghe maniche che
chiamavansi chirodatae o manidealac,
chi ridata o inamidata; esse non conve-
nivano che a'barbari, riguardandosi co-
me indecente, ed un greco deipari che un
romano avrebbe arrossito di portarle. Ma
cambiati i costumi colla repubblica, sta-
bilissi un uso affatto contrario, ed il por-
tare tuniche senza maniche divenne allo-
ra ignominia. Gli ordinari ornamenti del-
la tunica consistevano in una larga ben-
da di porpora chiamata clavas e lativla-
yust chescendeva dall'alto al basso. A Ro-
ma il solo basso popolo e gli abitanti del-
le campagne, non aventi i mezzi di com-
perarsi una toga, uscivanoin pubblico col-
la semplice tunica, onde trovasi in alcuni
autori tunicatas populus, tunicata piebs.
Ma nelle altre città ed in campagna, tan-
to i ricchi quanto i poveri andavano sen-
za distinzione colla sola tunica. Ben di ra-
do scorgesi sulle tuniche alcun ornamen-
to,tranne i fermagli sulle spalle, ed i bot-
toni lungo le maniche. Non si sono mai
rinvenute frangie d'oro. I greci chiama-
rono questo vestimento col uome di Ctf»
Idàirii, e ino uv chitoni/ o monofjcpln 4ir
86 T O N
c:evansi le donne che non erano vestite
fuorché della tunica con cui dormivano.
Quanto alla tunica cle'Iacederuoni, pera-
venie una giusta idea Don si è trovata fi-
gura piti antica di quella tratta da un bas-
sorilievodella villa Borghese di Roma. E
noto che la tunica delle donzelle lacede-
moni era diversa da quella delle donne,
perche «perla da ambo le parti dall'estre-
mità inferiori fìtto all'alto delle cosce, le
quali quindi potevano vcdersi;dal che ven-
nero esse chiamale jeuoineridi, cioè che
lasciano apparire le cosce. Sofocle t im-
proverò la principessa Lrmione,perchè a-
vanzata in eia portava ancora la tunica a-
perla dalle due parli. La tunica avea co-
me la toga diversi nomi. La tunica linea
o di lino, non si conosce l'epoca precisa-
mente in cui a Roma comiitciossi ad usa-
re il lino per le tuniche; per lunghissimo
tempo ftt essa di lana, e quegliscritlori che
distinguono due tuniche, ambe di lana le
suppongono; motivo per cui sì spesso ba-
gnavansi i romani nelle Terme (I .), on-
de rimediare agl'inconvenienti che deri-
vavano dalla mancanza di biancheria di
lino (del quale riparlai a Stoppa). Secon-
do Lampi idio ili. "a far uso della tunica
di lino fu l'imperatore Alessandro Severo;
ma l'uso di essa non divenne comune che
mollo tempo dopo di lui. Fu detta tuni-
ca molesta, quella specie di camicia into-
nacata di zolfo, di cui copri vansi i rei che
doveansi abbruciar vivi. Tunica palmata
si disse quella di porpora con una benda
di stoffa d'oro, vestimento di coloro ch'e-
rano onorati del trionfo , e di que' pure
che presiedevano a' giuochi circensi. La
tunica retta sembra essere stala così dna •
mala, perchè non vi si poneva sopra al
cuna cintura e lasciavasi ondeggiare: ila-
vasi quesla sorta di tunica a'Iiberti; men-
tre la tunica cou una sola manica era ri-
servata agli schiavi. Si dicevano tuni-
che palliolate, quelle cui (mi vasi un leg-
gero manto; nella stessa guisa che vestes
citeitliatae chiamavausi gli abiti guerni-
ti di cuppuccio. Le donne ricche aveauo
TO IN
tanti piccoli manti quante aveano tuniche,
e quando cambiavano quest'ultime pren-
devano anche il manto che conveniva e
th' eravi attaccato , dimodoché pareva i
due pezzi non formarne che uno. La tu-
nica pietà era carica di ricami, o coper-
ta di fiori e altri disegni; convenne in pri-
ma a'soli trionfanti, poi ad altri fu data
e specialmente a' consoli. Importanti ed
erudite notizie sulla tonaca o tunica ri-
porta Buonarroti, nsN Osservazioni dei
t'^.s7^//f/(7t/\//i't^/o,eprincipalmentesul-
le tuniche davate ossia ornate di fram-
menti e striscie di porpora, in uso presso
gli ebrei anche pastori (forse i davi usali
da'pastori edalle persone meccaniche può
essere che non fossero di rosso buono di
porpora), e di essi clavi furono ornate le
tuniche pure de' profeti, del Salvatore e
degli apostoli. Che le tuniche davate e col-
le maniche lunghe non sempre si hanno
da pigliare per dalmatiche. Le tuniche de-
gli ebrei erano lunghe e cinte in due luo-
ghi, cioè intorno alle mammelle in alto e
vicino a'reni. Delle tuniche lunghe e cin-
te, adoperate da'servi per servire a tavo-
la, indi furono introdotte le tuniche fatte
apposta corte e non cinte, di quante sor-
ti; mentre le tuniche de' romani antichi
nella loro primitiva semplicità per essere
corte non si cingevano, come quelle delle
persone di vita apostolica. Che le tuniche
non cinte, per la preziosità della materia,
e del lavoro che impediva di lasciarle ac-
costare alla persona, si ilice va stare e tu-
nìcaó (liseiuclae. Delle tuniche o penule
d'una manica sola. Delle tuniche palmate
tle'trionfanli, poi date a'consoli ed a'eapi-
tani, così dette a cagione degli ornamen-
ti di palme, co' quali fu solito abbellirle
anticamente; che per la preziosità loro si
confusero o si cambiarono nelle dalmati-
che, e si aggiunsero a quelle le maniche
lunghe e larghe, quando quesla sorla di
veste di lusso dalla Dalmazia passò in Ro-
ma: erano di porpora e sopra ornale d'o
ro, con diverse figure o tessute o ricama-
le. E finalmente delle tuniche subarma-
T O N
li, da portarsi solto il torace o sotto le ar-
mi da 'soldati, appellate profundum, dal-
l'usarsi sotto tutte le altre vestiineula. I
fanciulli romani nel prendere la tonaca
virile, giunti all'età di 17 anui, depone-
vano la Bollii d'oro, della qua le riparlai
nel voi. LXXI,p. 71, dicendo delle su-
perstizioni. Questa bolla o globetto vuo-
to d' oro pendeva loro dal collo, e I' u-
savano sulla veste corta detta pratic-
ata, che giungeva appena sotto il ginoc-
chio. 11 Guasco, I riti funebri di Roma
pagana, a p. 77 parla delle tuniche*rne-
ravigliose colle quali si chiudevano i ca-
daveri, e che poste al fuoco non ardeva-
no. Riferisce pertanto, che i romaui per
raccogliere le ceneri nel bruciamento de'
cadaveri, acciocché non si mescolassero e
confondessero co'combustibili che le di-
sti uggevano,ammautellav ano i morti con
Certe camicie o tuniche fatte d' un lino
incombustibile, per modo che il corpo
tutto coperto inclusivamente al capo con
Ctse, non abbruciava perchè fosse tocco
dalle fiamme, ma per la forza dell'ardo-
re ond'era circondato, il quale assorben-
do tutto l'umilio delle membra, agevol-
mente lo scompaginava, finche ridottolo
in minutissime parli veniva poi fatto in
polvere.Di lino sì prodigioso lasciò memo-
ria Plinio, che lo chiama lino vivo, e di-
ce che non arde nel fuoco, in prova di che
all'erma d'aver veduto tovagliuoli falli di
esso, i quali giltali nelle fiamme rimase-
ro purgali e netti d'ogni macchia, senza
riceverne la menoma diesa, anzi ripor-
tandone lucentezza tale,che maggiore non
potevano acquistai e. Soggiunge che di es-
so lino facevansi le vesti, nelle quali in-
tonacavano i morti, per evitare la me-
scolanza delle ceneri diverse. Inoltre Pli-
nio dice che tale lino nasceva ne'deserli
deli' India più dominali dal sole, e non
soggetti alle pioggie. Questo lino vivu.cre-
de il <»ua>co lo stesso che l'amianto, al-
lume assai noto e chiamato Carysliuni,
Garpasiwn, Carboswn, Bostrichitcn,
PuL-is Salainandrac,Jaiiicuwuì da'la-
T O N 87
tini Schiston e Scissile, da alcuni Cor-
soides, da altri Politi, Sartopolia, e da
greci Amianthu» e Asbeston, cioè incom-
bustibile: il quale essendo di sua natura
assai tenero e arrendevole, facilmente as-
sottiglia vasi, e maestrevolmente sfilaccia-
lo si lavorava e riduceva a foggia di (ìli
da trama, e tessevasene tovaglie, cami-
cie, tuniche, sciugamani, lucignoli e co-
se simili. Questa pietra dunque trasmu-
tata cote mirabil arte in tela maneggevo-
le, quanto più slava nel fuoco, tanto più
s'imbianchiva senza putito scemare. Il
Guasco riporta uu gran numero di scritto-
ri che tuttociò affermano. Per altre nozio-
ni sull'amianto e sul bruciamento de' ca-
da veri, può vedersiFuxERALE e Sepoltura.
1 francesi dicono che a tempo delle crocia-
le le tonache ebbero molta voga nel loro
paese, poiché la moda venne originaria-
mente da'saraceni, i quali portavano co-
munemente una specie di tonaca sopra le
loro armi; quindi è che i francesi in quel-
l'epoca le chiamarono Saladinc, dal uu-
me del celebre sultauo Saladino. Essi pe-
rò davano egualmente il nome loro di sa-
Lule uou solamente all'armatura che tro-
va vasi coperta dalla tonaca o saladma, ma
ancora ad uu elmo privo di cresta e più
leggero di quello che comunemente si a-
doperava.
TONACA o TUNICA INCONSLTI-
LE DI GESÙ* CRISTO, Tonaca [neon-
sutili.s- Coristi. Reliquia insigne, vesle in-
teriore e lunga portata sempre dal Salva-
tore, in giro intessuta dalla B. Vergine sua
madre; denominala Jnco/isulilc perchè
prodigiosamente cresciuta proporzionata-
mente colle sue divine membra, e che poi
nella suaPitssione venne tra'soldati messa
a sorte, e ripartita tra essi, insieme agli altri
suoi vestimenti. Si crede che fosse di colo-
re d'oro smontato o di rosa secca,del colo-
re della Fascia (fT.) che all'uso de'naza-
reni usò; mentre il manto o pallio o so-
pravveste da lui usata, si vuole percomuu
consenso che fosse azzurro ovvero paonaz-
zo carico di tintura. Gesù Cristo vtmue
88 T O N
anche rappresentato col Pallio [V.) sul-
le spalle, onde alcuni credono che desso
fu la veste che i soldati nella sua passio-
ne si divisero a sorte in 4 parti, per la ra-
gione detta nel citato articolo, ma sembra
meglio, per quanto dirò, riconoscersi per
la veste tratta a sorte la tonaca intonsa*
tile, come indivisibile. Questa veste dice-
si che s'imponeva per l'apertura del collo,
e quasi corrispondente alla penula o Pia-
netti o alla Croccia (/'.). Dissi a Guanti,
col vescovo Sarnelli, che i pontificali deb-
bono essere inconsulili, cioè lavorati con
ago, come la veste del Redentore, per de-
notare l'integrità della fede. Osservò Hur-
ter iieUnStoria d'Innocenzo ///,chc que-
sto dottissimo Papa in più d'un luogo del-
le sue epistole, allega la veste di Cristo tu-
idea, inconsutilis, qual simbolo dell'uni*
là della Chiesa, e dicendo: La Chiesa, al
pari della veste inconsulile di Cristo, non
vuol essere ne cucita ne sdrucita, con al-
lusione alla separazione de' Greci dalla
Chiesa cattolica. \\ p.Bonamìi,Z,rtGe/v?/*-
chia considerata nelle vesti, ragionan-
do del Superumerale (/ .)del sommo sa-
cerdote e delle altre vesti sagre, dice che
fossero fatte opere polymìto, cioè tessuto
vìidlis filis variorum colorimi, come era
la veste di Giuseppe figlio di Giacobbe,
tunicam poly mi tam. Di piùaggiungecre-
dersi anche opere textili, dalla qual pa-
rola nasce dubbio, se si debba intendere
fosse fatta la veste con tela tessuta , e di
vari pezzi insieme uniti con l'ago, come
ora comunemente si lavorano, ovvero fos-
se fatta di maglia nel modo che si lavo-
rano le calze, guanti e simili, oppure fosse
tessuta in maniera che non si congiunges-
se una parte coli' altra, e di tale lavoro
stimò ilBiaunio,y9c' Vest. Sacerd. Ilehr.
l.i, ci 6, che fossero le vesti sacerdotali,
come fu la veste inconsulile del Salvato*
re , contexta per totum. li Marangoni,
Istoria di Sanata Sanctorum e dell'im-
magine del ss. Salvatore, osserva che tut-
te le sue immagini appariscono vestite al
di sotto colla veste inconsulile fino a'pie-
TON
di, la quale era non cucita, ma tessuta e
lavorata ad ago, e formata dalla B. Ver-
gine colle sue mani, come scrisse s.Eutimio
presso Baronio all'anno 34, n.°35, e so-
pra di essa vedesi un ampio pallio, che de-
centemente raccolto in pieghe si sostiene
colla mano sinistra. Che Nostro Signore
portasse, oltre la tunica inconsutile, altra
sopravveste o pallio, apparisce dal testo
di S.Giovanni Evangelista al capoigdel
suoEvangelo, ver. 23: Milites ergo, curii
crucifixissenl eiini, acccpcrunt vestimeli'
ta ej'us, et fecerunt quatuor partes (uni-
cuique militi partem) et tunicam. Erat
autem tunicam inconsutilis desuper coti'
iexta, per totum. Cornelio a Lapide uel
Commentario sopra s. Matteo, cap. 27,
v. 3-7, nota 2.% riporta che lo slesso Enti-
mio è di parere, che le vesli di Cristo fos-
sero Ire: la 1 .ache fosse l'inconsutile, come
ì&camiscia interiore; la 2/ una veste ta-
lare simile a quella degli ecclesiastici, detta
dagl'italiani e da altri Sottana^/ .)',\a 3/
esteriore più ampia, che a guisa di pallio
tulio il corpo ricoprisse dalle spalìe fino
a'piedie lo adornava: imperocché non era
in uso dagli ebrei di portare né giubbo-
ne uè femorali, come anche sino al tem-
po di Marangoni si praticava da molti o-
rientali.E questa2.acingevasi versoi lom-
bi con una coreggia o cintura o fiscia
d'altra materia, detta zona; e che si por-
tasse da Cristo non è da dubitarsene, men-
tre egli prescrivendo a'suoi apostoli l'abi-
to, gli ordinò: Nolite possidere tiuritm,
ncque argentimi, ncque pecunia in in zo-
nis vestris. E sopra il verso 35 del cap.
12 di s. Luca : Sinl lumia vestii prae-
cincti, come spiega Cornelio citato, volle
il Signore alludere al rito degli orienta-
li, quali erano gli ebrei e gli assiri: .. //pud
quos mos erat longìoribus vestihus , et
tuuicis inditi, quas iter pie turi, vel la-
horaluri praecìngebant, E questione pe-
rò, dice Marangoni, se la tonaca incon-
sulile fosse quella interiora, che noi ap-
pelliamo camiscia, o pure la 2. che a que-
sta 1. "sovrappone vasi. Su diche può ve-
TOX
dersi quanto più ampiamente ne scrisse
il Ferrano, De re vestiario, lib. 3, cap.
i ei6, t. 6. Essendo però cosa certa, die
questo titolo d' Inconsutile si èdalo,e con-
fusamente si applica anche alla cauiisda
di Nostro Signore, che serbasi fra le re»
iiquie della Chiesa di s. Giovanni in La-
terano, mentre nella tavola Magna La-
teranense ella ritrovasi fra le medesime
enunciata con queste paiole: Prima Ca-
miscia Salvatori*. Ma nell'indice delle
medesimescriltoda GiovanniDiacono La-
teraneuse leggesi : Tunica Inconsutilis,
a nani feci t s. Maria ì irgo Filio suo Je-
su Chris to. Contuttociò sembra al Ma-
rangoni più verosimile, che questo titolo
di / este Inconsutile appartenga piutto-
sto alla 2.' che tutto il corpo del Salvato-
re interamente ricopriva dal collo fino ai
piedi, e fosse la veste che noi diciamo Sot-
tana. E che sebbene s. Giovanni nell'al-
legato testo non fa menzione di questa
camiscia, od' Intenda, ma sulamenledel-
ia sopravveste divisa in 4 parti da'solda-
ti, e di questa Inconsutile , ciò poter es-
sere accaduto, perchè essendo stato spo-
gliato il Salvatole di tutte le vesti per bat-
terio con Flagelli legato a una Colonna,
nell'essere rivestito in fretta non gli fosse
posta la caoaiscia, ma la sola veste incon-
sutile e la sopra v veste o pallio, mentre que-
ste sole erano necessarie per farlo da tut-
ti conoscere, nel portare la croce al Cal-
vario. E certamente, che alla camiscia e
insieme alla tunica talare non competes-
se ad ambedue questo titolo d'Inconsu-
tile né di Tunica, apparisce dalla proibi-
zione fatta da Cristo a'suoi apostoli di non
possedere, e portare due tuniche, mentre
pre-so gli ebrei, e massime i più dovizio-
si,era costume di portarsi due e anche più
Tonache f I .). Di qual colore poi furono
le vesti di Gesù, dice Marangoni, non ci
è rimasta memoria; bensì è da credersi,
che fossero di colore piuttosto scuro e mo-
desto, iucui uouapparisse singolarità, mi
che non fossero né anche nere, ma secon-
dol'usoconjuueilautopiùche s. Gio. Gri-
TON 89
sostomo nell'omelia 84 sopra l'erangelo
di s. Giovanni è di sentimento che queste
due vesti esteriori del Redentore non fos-
sero di materia preziosa, aia piuttosto vi-
le e ordinaria, mentre in tutte le altre co-
se non volle comparire diverso, ma in tut-
te conservare la sua povertà e bassezza
volontaria. Ed inoltre deve notarsi, come
nell'immagine del Salvatore effigiala da
s. Leone III, nella parte destra fuori del-
la tribuna del suo Triclinio Lateranen-
se,sedente in trono in atto di dare le chia-
vi a s. Pietro e lo stendardo a Carlo Ma-
gno, oltre l'essere cinta a mezza vita, tie-
ne la sopravveste o pallio attaccato sopra
le spalle con una fibula o fibbia; ma in
moltissime altre questoaltaccamento non
si conosce. Ci fa conoscere ancora s. Mat-
teo, cap. q, v. 3o, che la sopravveste del
Salvatore avea la sua fimbria o orlo nel-
la sua estremità: accessit retro, ac teti-
git fimbria vestimenti ej'us. Queste fim-
brie erano fili 0 tessuti o cuciti all'estre-
mità della veste esteriore, di colore di gia-
cinto o violaceo, che il Signore avea or-
dinato agli ebrei, aftinché nel vedere que-
ste fimbrie si ricordassero de'precetti di-
vini. Conviene tener presente, che Gesù
Cristo nella sua passione indossò altre ve-
sti ancora per contumelia; prima gì' im-
posero d'ordine d' Erode per vituperio una
veste bianca, considerandolo pazzo;poi per
ironia lo vestirono di finte vesti e insegne
regie, come di uno straccio di Porpora,
o logoro paludamento o clamide di tal
drappo, dello *$Ve//ro di Canna, della Co-
rona di Spine, e lo salutarono con belle
re de'giudei,e perciò sulla croce lo deri-
serocol Titolo di Re.v Judaeonun.e pro-
babilmente lasciandogli la corona di spi-
ne incapo,quaudogii tolserogl'indumen-
ti reali; e sebbene ue'primitivi tempi del
cristianesimo i Crocefissi erano privi del-
la corona di spine, con più fondamenta si
crede che il Salvatore fu confitto in cro-
ce col capo circondalo di spine a foggia
di corona, come dimostrano il Gretsero,
Deduce hb. ijCdp.22;eI5euedellu\l\ ,
9o TON
De fisti s cap. 7, tic fer. vi, 1. 89. Nel li*
I >ro di Baldeschi e Cresci miteni, Stato (fel-
la chiesa papale Lateranense, fra il no-
vero delle reliquie insigni che possiede, si
comprendono; il Vestimento di porpora,
col quale fu vestito Cristo per ischerno
nel pretorio di Pilato: il Velo, che si tras-
se dal capo la D. Vergine, per ricoprire
la nudità di Cristo quando fu spogliato
Dell'inchiodarlo sulla croco; nel cpial velo
si vedono delle stille del suo Stingile pre-
ziosissimo: il Sudario (f ,) asperso di san-
gue, col quale gli fu ricoperto il volto nel
sepolcro: la Camicia,chegli fece colle sue
mani la B. Vergine: parte delloSciugatoio,
del quale Cristo si servì per asciugare i
piedi degli apostoli dopo la Lavanda ilei
piedi. Oltre delle Vestimenla dellaB. Ver-
gine, nella basilica Lateranense si vene-
rano ancora il Cilicio tessuto di pelli di
cammello, del precursore s.Gio. Battista; e
(•Tunica di s. Giovanni apostolo e evange-
lista, che custodi vasi nella cappelletti! sot-
to il ciborio e tabernacolo del le ss. Teste,
II cardinal Besozzi, Storia di s , Crocei/i
Gerusalemme, riferisce che in questa ba-
silica si conserva la corda colla quale fu
legato Gesù, in croce, e una gran parte
di sua veste. Nella chiesa di s, Paolino al-
la Regola de' francescani del terz ordi-
ne, tra le reliquie insigni vi sono de' Ve-
stimenti di Gesù Cristo e de'suoi Sanda-
li,come trovoin Cancellieri, Dìssert. del-
le scarpe o sandali. Dichiara Marango-
ni, che quasi tutte le intere immagini del
Salvatore, che stanno in piedi 0 a sedere,
hanno i sandali a'piedi, ed èa credersi che
gli usasse, mentre egli stesso ne prescrisse
l'uso a'suoi discepoli, presso s. Marco cap.
6, v. 8; Et praeeepit eis ne quid tolle-
rent in via, ni si virgam tantum, non pe-
rain, non panem, ncque in zona aes, sed
ealceatos sandaliis. Ed in vero le an-
tiche pitture a colori e a musaico li di-
mostrano co'sandali, eh' è una sorte di
Scarpe, le quali hanno nel fondo la suo-
la, ove posa In pianta del piede, e si le-
gano al di sopra, di maniera che tutta la
TON
parte superiore del piede rimane scoper-
ta, come si vede usarsi da'carmelitani scal-
zi, cappuccini, minori osservanti e altri re-
ligiosi. Due sandali di s. Bernardino da
Siena minore osservante si conservano
fra le reliquie della chiesa di s. Cecilia di
Roma. Che Cristo li usasse, dissi a Scala,
santa, che ivi si custodiscono, e porzione
anche nella detta chiesa di s. Paolino. Non
devesi tacere, che Gesù Crocefisso in va-
rie maniere fu elligiato ne'vetusti tempi.
Da una pittura esistente in un cubiculo
clelcimiterio di s. Valentino di Roma, ve-
desi il Salvatore tunicato dai collo fin qua-
si a'piedi, come riferì il Bottari, Sculture
e pitture de' Cimiteri di Roma, t. 3, p.
iy4> et' è questo forse l'uso più antico.
Poscia non si conservò della tunica tala-
re che la parte inferiore da' fianchi alle
ginocchia, e tal foggia di veste, oud'è co-
perto il Salvatore, si ravvisa spesse volte
ne'Crocefissi del medioevo. Dappoi fu cin-
to d'una fascia a'lombi,quaI vedesi tutto-
ra adoperata, o ricoperto d'un guarnello
o panno dalle reni fino alle ginocchia, ed
anche vestito di tunica , come il Celebre
ss. Crocefisso di Lucca; tutte queste co-
perturesembrauo derivate dal pudore che
vollero rispettare i cristiani verso l'ado-
rabileGesù. Il Rocca, Opera omnia, t. r,
p. 3.53, De par tic ula ss, Crucis, non so-
lamente tratta di questo argomento, ma
ci die un disegno con 4 Crocefissi, due con
tunica dal collo a' piedi, delle quali una
con maniche e l'altra senza; gli altri due,
uno ha il velo a'Iombi, l'altro un guar-
nello cheda'lomhi scende sino alla metà
delle ginocchia. Ma come Torino vanta di
possedere la ss. Sindone. (Jr-) ove fu rav-
volto il sagro corpo del Redentore nel se-
polcro, così Treveri (/"''.) si gloria di ve-
nerare nella sua cattedrale la Tunica del
medesimo. Il p. Menochio, Stuore, cen-
turia 1 . ',cap. 44: Della veste bianca del'
la quale Cristo fu per ischerno vestito
da Erode, dice che forse non fu bianca,
ma candida, cioè risplendente, e non ogni
vtsle candida è bianca, perchè la voce gre-
TON
cn del s. testo propriamente significa splen-
dente, di qualunque colore sia il drappo,
bianco, rosso o giallo. Nella centuria <_)/,
cap. 82: Diche colore fossero le vesti di
Cristo, e degli ecclesiastici anticamente,
incomincia dal riferire che il popolo ebreo
usava le vesti di quel colore ch'è nativo
nella lana, non ancora tinta d'altro colo-
re aggiunto con arte. E siccome confor-
me alla legge di frequente lavavano le ve-
sti per le purificazioni, meglio riusci va che
le vesti fossero del colore naturale della
lana, che d'alcun altro, mentre colla fre-
quente lavanda avrebbe perduto la sua
prima bellezza. E' dunque probabile che
le vesti di Cristo, perchè si accomodava
all'uso comune del popolo, e non de'ric-
chi che usavano colori e tinture preziose,
fossero del colore nativo della lana, cioè
bianco. Altri furono d'opinione che le Ve-
stimenla del Salvatore fossero di colore az-
zurro o di viola, e probabilmente il cin-
golo del colore della veste. Nella chiesa di
s. Gio. Evangelista di Besancon si vene-
rava una particella della veste di Cristo
purpurei subobscurì coloris, ch'è appun-
to il colore azzurro o di viola. Nella dio-
cesi di Vagliadolid in s. Maria d'Arriago
de'cisterciensi si venerava una particella
della veste di Cristo: dono fatto dall'im-
peratore greco Emanuele Paleologo, ad
Enrico III re di Castiglia, nella cui auten-
tica si legge. Dedimus particulam 1 csti-
incnti nostri Rede/nptoris /piasi biavi co-
loris,ex eo scilicctFcstimento,cujus f/'/a-
briam tangens mulier, ajluzu sanguini*
est sanata. Osserva il p. Menochio, che
il color biavo è l'azzurro, come si rac-
coglie dal riferito da s. Brigida, Rivela-
zioni, lib. i, cap. 3i , la quale parlando
d'una apparizione della B. Vergine, dice
ch'era vestita: Et mantellina blavum de
Li- uro, seti sereni cacti coloris. A que-
sta opinione del colore azzurro si potreb-
be opporre, che ordinando la legge Beli
ebrei ili attaccare a'Ioro mantelli fiocchi
«li colore azzurro, pare che d'altro colore
dovesse essere il mantello; ma si crede,che
TON 91
poteva essere l'uno e l'altro del colore me-
desimo, poiché la figura e fattura di quei
fiocchi faceva l'elfetto da Dio voluto, cioè
di distinguere il popolo ebreo dal genti-
le , e servisse ad essi di segno per tener
presente nella loro memoria l'osservanza
della divina legge. Questo stesso colore
azzurro, pare secondo il p. Menochio, che
ritenesse anticamente l'ordine clericale,
come M$ii Annali ecclesiastici notò il
cardinal Baronio all'anno 3q3, il quale
si è mantenuto sino a'nostri giorni nella
famiglia pontificia, ne'seminari de'chieri-
ci, da'vescovi e altri prelati, vale a dire
l'azzurro violaceo. 11 color nero poi pare,
al dire del p. Menochio, che si comincias-
se a usare dal clero quando si ricevè in
alcune chiese da' chierici il monacato, e
quando i vescovi da' monasteri si elesse-
ro; poiché come si ha da s. Girolamo nel-
l'epitaffio di s. Marcella, nell'epistola 22
e altrove, i monaci solevano vestire di ne-
ro. Trovo nel Magri, che la Dalmatica
eia Tonace Ila (F.) rappresentano la ve-
ste inconsutile di Cristo. Abbiamo di Do-
menico IL* Cantagalli, Lettera sopra la
Treste Inconsutile di QeshCristo,scritta
al d,r Pier Francesco Faggini j e prima
del riportato dal Marangoni pubblicata
nel t. 22 degli Opuscoli del p Calogerà;
e più tardi riprodotta nel t. 2 delle Dis-
sero ecclesiastiche ih F. A. Zaccaria, Bo-
ma 1792 : ne darò un breve estratto.
Fu costume de'tempi antichi, che i rei
condannati dovessero cedere a' ministri
del loro supplizio le proprie vesti. Quindi
è, che appena ebbero i soldati spogliato
e confitto in croce Cristo Signor nostro,
sebbene innocentissimo,come reo condan-
nato , furono prese le di lui vestimenta,
cioè il pallio e la tonica, quello divisero
in 4 parti, dandone a ciascuno la sua, e
questa tirarono a sorte, poiché ella non
poteva dividersi in guisa tale, che utile
fosse a più d'uno, come aveano fitto del
pallio, ch'era un panno quadrato e mol-
to ampio. Cristo dunque, seguendo l'u-
sanza disua Dazione ebrea, poi lava le no-
9* TON
minate vesti, e le stesse indossava quando
fu condotto a ingiusta morte. Avendo s.
Giovanni nel riferirlo detto vestimento,
per vestimentum, e sebbene vi sono scrit-
tori, come il Saimasio e il Sincero, che af-
fermano che 1' Evangelista usò alla greca
il plurale invece del singolare, veramen-
te più di due furono le vesti portate in
quel tempo dal Salvatore, secondo la più
comune opinione. 1 sostenitori di questa
pensano, che oltre lai/ tonica inconsuli-
le, la quale serviva come di camicia, un'
altra Gesù ne avea sovrapposta a guisa di
sottana (non avendo in costume gli ebrei
di portare giubbetti, calze o calzoni), sul-
la quale poi veniva assunta la 3.a che pal-
lio comunemente si chiamava. Delle due
opinioni, Cantagalli crede probabile la i .';
uè volendo parlare del pallio, della toni-
ca volle ragionare. Comincia dall'avver-
tire, ch'eranvi due sorte di toniche, alcu-
ne aperte che si congiungevano con na-
stri o fibbie, o in altra somigliante ma-
niera; ed altre come le nostre camicie,
chiuse per ogni parte fuorché dalla supe-
riore, ed unite insieme per artifìcio o del
tessitore o del sarto. Perciò quando dice-
si nella s. Scrittura, che alcuno stracciò
le sue vesti , Scidit vestimento, sua3 non
vuoisi intendere certamente del comune
e vero stracciare, ma bensì dello scioglier-
le o sfibbiarle impetuosamente. Così an-
cora fece nel Sinedrio (F.) l'infuriato
principe de'sacerdoti, allorché interrogalo
Cesa Cristo, s'era figliuolo di Dio, udì
da esso per risposta: Che l'avrebbero di
lì a non molto veduto sedere alla destra
di Dio, e venir sopra le nuvole. Della 2."
sorte dunque di veste, cioè di quella sen-
za fìbbie o nastri, era la tonica del Sal-
vatore, dice il Cantagalli , cioè inconsu-
tile per non aver tali fìbbie o allacciatu-
re. Però i ss. Interpreti trovatisi in gran-
di angustie, nel determinare la maniera
di formare la veste incousutile. Alcuni sti-
mano ch'ella non si potè in un tempo tes-
sere tutta insieme , e vogliono che fosse
cucita insieme coll'ago, e solamente uou
TON
avesse le fìbbie o legature. Che questa ve-
ste fosse composta di due pezzi, fu pure
opinione di s. Gio. Grisostomo,seguitoda
Teofilatoe daTeofane,uniti insieme colla
tessitura e non con cucitura, congiungeu-
do cioè in tal maniera l'estremità dell'u-
no e dell'altro pezzo con un filo di lana,
in modo che la veste pareva in uno stesso
tempo tutta insieme tessuta. Teofilato ag-
giunge che gli antichi, per far questo, si
servivano ancora d'una certa sorta di cu-
cito nascosto, col quale talmente si uni-
vano insieme ambedue l' estremità del
panno, che la cucitura punto non appa-
riva, come eziandio poi osservò il Mero.
Wè mancarono alcuni, fra'cjualiCasaubuo-
no, Ferrai-io e Grozio, i quali giudicaro-
no, che questa veste si formasse a foggia
di rete con aghi più grandi, o forse co'fèr-
ri, come suol farsi colle calze e berretti di
lana, cioè a maglie; del qual parere sem-
bra che sieno stati Eulimio e s. Isidoro
Pelusiota. li Cantagalli inclina piuttosto
al sentimento delBraunio,il quale da mol-
ti altri scrittori poscia seguito, vuole che
la tonica di Cristo, né con ordinario, né
con nascosto cucito di più pezzi congiun-
ta fosse, né fitta con ferri, ma veramen-
te tutta quanta tessuta. Sapevano gli an-
tichi a meraviglia l'arte di tesser vesti, di
qualunque figura o grandezza elle si fos-
sero; alcune delle quali cominciavano a
tessere dalla parte di sopra, com'era ap-
punto quella del Salvatore, desujìer coa-
texto per totani j cioè come suol dirsi, da
capo a piedi tessuta. Queste toniche chia-
inavansi da'latini, Tunieoe ree toc, come
avverte il Buonarroti; ed erano tessute, co-
me riferisce s. Isidoro, da persone che sta-
vano in piedi , donde forse avvenne che
rectae fossero chiamate, al diredi Caluiet.
Che questa sorte di vestimento si usasse
alcuna volta da' romani, ne fa fede Plinio,
scrivendo che Caia Cecilia (ili Tarquinia
chiamata anche Tanaquilla, saggia e feli-
ce tessitrice, industriosissima nel lavora-
re la lana, come notai ne'vol. LVIII, p.
187, LX1X, p. i43 e altrove; si conserva-
TON
vano i lavori delle sue mani con venera-
zione in Roma, e nel tempio d'Ercole la
sua conocchia e il fuso, con della lana da
lei filata; nel tempio poi della Fortuna
custodivasi gelosamente l'abito leale di
Servio Tullio suo genero, dalla regina fat-
to ascendere al trono di Roma dopo il ina-
lito; dicesi pure che fu essa la prima a far
quelle tuniche tessute che davasi a'giova-
ni quando prendevano la veste o toga vi-
rile, e alle donzelle quando celebravano
lo Sposalizio), moglie di re Tarquinio
Prisco, prima d'ogni altra tessè una toni-
ca di simil fatta. A queste certamente dis-
somigliante non era quella che usava il
sommo sacerdote degli ebrei, descritta da
Mosè, da Giuseppe e da Filone, la quale
copriva tutto quanto il corpo,avendo una
apertura solo dalla parte superiore, per
dove potesse passare il capo, e da Mosè
chiamata opera del tessitore. Or vaglia il
vero, dice il Cantagalli, come si può mai
equamente rivocarein dubbiose tale pos-
sa essere stata la veste inconsutile di Cri-
sto Signore? Attesta il Braunio, che a suo
tempo era in vigore l'arte di tessere vesti
di simile foggia presso alcuni popoli d'o-
riente, facendo egli formare il telaio col
quale tessevaosi. Essendo comune presso
gli orientali, e in ispecie tra gli ebrei, l'uso
di tessere siffatte vesti, il Cantagalli non
vede quale ripugnanza porti seco l'inten-
dere strettamente, checché lodevolmente
ne dicano altri, il sagro testo, e dire, che
questa veste di Gesù Cristo fosse veramen-
te inconsutile, cioè senza verun cucimen-
to. Vi è questione tra gli eruditi, sequesta
tonica fosse assolutamente di color bianco,
come dimostra il Ferrano essersi usata
comunemente dagli ebrei. Imperocché se
ella era bianca, come mai dice la s. Scrit-
tura, che il re Erode fece vestir Cristo d'u-
na veste parimenti di color bianco per
iscliernii lo, quando Io rimandò a Pilato?
Per le ragioni che adduce, pare doversi
ci edere, che Erode fece vestire il Reden-
tore d' una tonica, quantunque di color
biaucOjpiù splendida e più nobile pei bef-
T O X 93
fa del regno, cui si diceva comunemente
ch'egli affettasse (ma notai altrove, col-
lo storico Gioseffo, che veramente la ve-
ste candida non era abito reale presso gli
ebrei, bens\ la porpora; e che Erode ir-
ritato dal silenzio del Salvatore, lo dichia-
rò pazzo e fecelo perciò vestir di bianca
veste). Ed in vero gli apostoli stessi, dei
quali è credibile che in tutto si uniformas-
sero agli usi del loro divino Maestro, a-
doperarono toniche di somigliante colore
(si tenga presente l'articolo Colori eccle-
siastici), il che fu eseguito da molti dei
primieri cristiani, riportandonealcune te-
stimonianze. Che poi fosse la tonica di Cri-
sto molto lunga e facilmente fino a terra,
pare che si ricavi abbastanza da s. Gio-
vanni, nel riferire che per lavare i piedi
agli apostoli, levatosi il pallio, si cinse (pe-
rò già accennai che Cristo all'usanza dei
nazareni, com' egli era, faceva uso della
cintura); dicendo con Calmet, che la to-
nica pressori ebrei era una veste talare
che arrivava sino alle piante, talché era-
no obbligati ad alzarsela e cingersela, qua-
lunque voltasi mettevano in viaggio oad
operare alcuna cosa; ne produce alcuni e-
sempi, notando che la tonica comune fu
detta anche stola, e quella de' sacerdoti
stola santa, sempre veste talare. La toni-
ca di Gesù Cristo fu stretta, secondo il co-
mune uso degli ebrei, ordinariamente di
lino, onde crede probabile che simile fosse
eziandio quella del Salvatore. Quanto al-
l'antica e comune tradizione, che questa
tonica fu tessuta a Cristo per mano della
stessa Vergine sua Madre, lo asserisceGio.
Battista Mantovano; riferendo la s. Scrit-
tura e antichissimi autori, che ne'prischi
tempi spellava alle donne l'arte di far ve-
sti, come Anna madre di Samuele, la qua-
le a lui tessè di propria mano una toni-
ca, Alessandro I il Grande si servì d'una
veste lavorata dalla madre e dalle sorel-
le, così Augusto usò vesti formate dalla
moglie e dalle figlie: Omero e Virgilio ri-
produssero altri esempi, e s. Gio. Bocca-
doro si lagnò, chela troppa delicatezza in-
()4 T 0 N
valsa nelle donne, a'suoi tempi trasferì ne-
gli uomini l'arte di tessere vesti e di fin*
la tela. Marra Chifflezio, Cristi Ifist. de.
Linteis Sejmlc. Chris ti t cap. 6, che dalla
B. Vergine (n l'atta di propria mano a Cri-
sto ancor fanciullo una camicia di lino, al*
quaoto però ordinario, la quale finora si
conserva in Roma nella chiesa di s. Gio-
vanni in Laternno;come afferma purePin-
no, nel Sommario dell' indulgenze di Bo-
logna. Da essa parimenti, dice Metafra-
ste, fu fallo il Sudario ; e Ceda le attri-
buisce ancora un panno alquanto maggio-
re, che conteneva l'immagini de'Xll A-
posloli e dell'islesso divin Figlio, il quale
da un lato era rosso, e dall'altro verde, se-
condo la tradizione di sua epoca. Non pe-
rò facilmente si accorda la volgar creden-
za, cioè che la tonica usata da Cristo sem-
pre fu quella stessa che la ss. Vergine gli
tessè da fanciullo, non mai consumata e
con lui insieme cresciuta, come vogliono
alcuni, tra'quali s. Giustino nel Dialogo
con Trifone ' , dicendo essere prodigiosa-
mente cresciute le vesti degli ebrei per lo
spaziodi4oanni ch'essi postarono nel de-
serto, ricavandosi dal Deuteronomio , v.
4- Il che non apparendo chiaro, viene giu-
dicato incerto dall'Eslio, e negalo da al-
tri scrittoli pressoi! Calmet, i quali stima-
no significarsi da tal passo, che Dio tal-
mente provvide alle necessità degli ebrei,
che non venissero a mancare in quel tem-
po giammai le vesti. Con Cornelio a La-
pide, nel commento del cap. 27 di s. Mat-
teo, riporta il Canlagalli, chela veste in-
consulile del Salvatore, di cui ragiona, nel-
la città di Treveri con molta venerazione
fino al presente si conserva, di che ognu-
no giudichi a piacere, a motivo di trovar
egli presso s. Gregorio di Tour», De Mi-
raeul. hb. 8 , essere stata tradizione dei
tempisuoi, ch'ella si conservasse chiusa in
una cassa di legno, nella basilica di Gala-
tea, da altri impropriamente detta Gala-
zia, città lungi 1 5o miglia da Costanti-
nopoli. Secondo la Crònaca di Frcdcga-
no cap. 1 1, la Ionica iucunsulile fu tra-
TON
sportata con solenne e di vota pompa, nel-
l'anno 3o di re Gumtrummo (pare Con-
trailo re d'Orleans e di Borgogna dal 56 1
al 593), dalla città di Zafat o Zaphat, os-
sia Jaffa 0 Zaffo, in Gerusalemme, nella
quii traslazione segui questo miracolo.
Stando ella riposta in una cassa di mar-
mo e con essa dovendosi trasportare, per-
de naturalmente la sua naturale grevez-
za, che a'portatori sembrò di leggerissimo
legno. Si ha poi dal R tutta rt, nelle note
a s. Gregorio di Tours, che da Gerusalem-
me fu a tempo di Carlo Magno trasferita
in Francia, e collocata nella chiesa d'Ai*-
gentolio ( Argenteuil , grosso borgo di
Francia, dipartimento della Senna ed Oi-
se, quasi 3 leghe da Parigi, capoluogo di
cantone),dov'erano monacheGisela oGisln
sua sorella e Teodrada di lui figlia, e do-
ve dopo essere stata molto tempo nasco-
sta, finalmente ritrovata neh 1 56, si col-
locò presso i monaci di s. Benedetto, ve-
nerandosi con sommo culto. Ma osserva
il Cantagalli, che la veste che si conserva-
va nella chiesa d' Argentolio, non è cer-
tamente una tonica come dichiarò il Cal-
met, ma bensì un pallio di colore rosso.
Delle reliquie poi di questa veste, egli ag-
giunge, se ne trovano in varie chiese , e
specialmente nel duomo di Milano; in
quello di Firenze e donata con un dito
di s. Gio. Battista da Giovanni Corsini che
l'avea ottenuta nella corte di Costantino-
poli; nella chiesa di s. Pietro di Bologna;
in quella della Madonna di Galiera, cioè
della veste bianca di Cristo; nella basili-
ca di s. Marco a Venezia, ossia parte del
vestimento di Cristo. Finalmente il Can-
tagalli termina la sua lettera con parla-
re de'misteri, che giusta il sentimento dei
Padri e degl'Interpreti, sotto questa veste
inconsutilcsi racchiudono. Vuole pertan-
to s. Atanasio nel suo sermone sopra la
Croce, che la tonica del Salvatore fosse
simbolicamente iucousutile , allineile da
questo ancora intender potessero agevol-
mente i giudei, Chi e d'onde fosse Colui
che la portòjCioè ch'Egli era il Verbo, non
ila alcuno pai te di questa terra, ma veni»,
lo dal cielo; non già divisibile, ma indi-
visibile Verbo del Padre, e che fattosi Uo-
mo,non uncGrpoavea preso intessuto, per
cosi dire, da maschio e da femmina, ma
per grazia del divino Spirito, da una Ver-
gine sola formato. Che se al senso tropo-
logico vuoisi avere riguardo , giudica il
mellifluo dottore s. Bernardo nel sermo-
ne i ."sopra l'Annunziazione, non altro es-
sere la Veste Inconsutile di Gesù Cristo,
se non la Divina Immagine, la quale non
cucita per dir così, ma infusa e impressa
al dì dentro della natura, dividere non si
può, uè separare. In senso allegorico in fi-
ne, come osserva Cornelio a Lapidealcap.
iq di s. Giovanni, viene per essa signifi-
cata la Chiesa, acni non conviene alcun
scisma o divisione; sul qual proposito si
racconta di s. Pietro patriarca d'Alessan-
dria, che menlr'eia in carcere, gli appar-
ve di notte Gesù ricoperto d' una veste
tutta lacera e fatta in pezzi, e gli disse che
l'eresiarca Ario gliela avea in siffatta gui-
sa strappata, onde non dovea in ninna ma-
niera riceverlo nella comunione de' suoi
fedeli, com'egli andava astutamente cer-
cando; anzi che dovea comandare ad A-
chilla e ad Alessandro, che sarebhero a lui
succeduti nel governo della chiesa Ales-
sandrina,che neppur eglino lo ricevessero.
TOKACELLA oTONICELLAoTU-
iS'ICLLLA, Twiicella. Dalmatica, 1 c-
stem Subdiaconalem. Veste e paramen-
to sagro, ed ornamento ecclesiastico del
Suddiacono (J\). ed è quasi simile alla
Dalmatica (^ .), se non che più angusta
e colle maniche più lunghe, sebbene or-
mai in generale non si distinguono più
tra loro. Anche il nome è divenuto in cer-
to modo comune, onde si suol dire la dal-
matica, dalmatica maggiore, e la tona-
cella, dalmatica minore. E' usata sopra
il Camice (J\) nella celebrazione della
messa e di altri riti; ma dessa e la dalma-
tica, come vesti d'allegrezza, non si ado-
perano nelle messe dalla Seltuagesima
all'uffizio di Pastoia, perchè la Chiesa as-
T 0 Si 95
sume in tal tempo tutti i segni di duolo
per deplorare la passione e morte del Re-
dentore; così pure non si adoperano la
touacella e la dalmatica nelle messe del-
Y Avvento, per essere tempo destinato al -
l'astinenza e al digiuno, di penitenza, on-
de degnamente prepararsi alla gran festa
della venuta di Gesù Cristo. Sono eccet-
tuate però la domenica Laetare di qua-
resima, e la festa della ss. Annunziata se
cade in tale tempo; non che la domenica
Gaudetc dell'avvento, e la festa dell'Im-
macolata Concezione, la (piale celebrasi
in tale tempo, imperocché 111 dette 4 fe-
lle si assumono le dalmatiche eie tona-
celle. In luogo poi di queste due vesti, ne'
ricordali tempi dalla setluagesima a Pa-
squa e nell'avvento, lauto il diacono che il
suddiacono assumono la Pianeta (/ .) ri-
piegata innanzi al petto, eziandio per le ra-
gioni riferite aDAtMATtCa, il contenntodel
quale articolo è interamente comune a
questo, per cui tralascio qui di dire Milla
touacella, quanto già in esso riportai. No-
tai a 'suoi luoghi, che allorquando il sud-
diacono in detti tempi in cui porta la Pia-
neta piegata, la depone per fare l'uffizio
di lettore e leggere ['Epistola, il diaco-
no fa altrettanto prima di leggere P E-
vangelo, restandone ambedue senza sino
ni Pbst" Communio, ma con grandi Sto*
le paonazze a traverso del corpo sul ca-
mice. Lepgo nel p. Donanni, La Gerar-
chia ecclesiastica considerata nelle ir-
sti 'sagre: ca p. 53, Della Dalmatica det-
ta Volgarmente Tonicella, che ne' detti
tempi di quare>ima e dell'avvento, nella
cappella pontificia e in alcune chiese,
quando il diacono dovea cantare il vange-
lo, prima che fossero adottati i nominati
stoloni, ripiegava la pianeta sulla spalla
sinistra. Egli riporta la figura del diaco-
no con tunicella, ove si vede il suo for-
mato e ornamento di trine, ricami e fran-
gie d'oro o d'argento, con fiocchi simili
come la dalmatica; i quali due sagri Pa-
ramenti sono di seta, di stoffa, di tela d o
io o d'argento, e del colore nero, bianco,
0f, TON TON
rosso,paonazzo,rosaceoe verde. Nel Poti- le unzioni del sagro olio della cima del
tifìcale Romanum vi è la benedizione, capo, del petto, delle spalle, de'polsi.fu al»
tSpccialisfìenedictiocujuslibelindurnen- lacciaia la camicia eilsaioch'eransi per-
ti, vel tunicellain, vel dalmati e ani. La ciòscoperti, ed unto sulle palme delle ma-
tonacella ne' secoli XIII e XIV, secondo ni, il re calzò un paro di guanti henedet-
il Zaccaria, Onomasticon Rituale, fu pur li. Vestirono quindi gli assistenti il re, dei-
chiamata Tunicam Episcopalcm, ed in la tunica di suddiacono e della dalmati-
fatti quando celebrano solennemente il ca di diacono, e sopra questa del manto
Papa ed i vescovi, sul camice assumono reale; i quali vestimenti tutti erano di vel-
ia fonaceli.-! e la dalmatica, sovrapponen- luto paonazzo con gigli d'oro ricamati, e
do ad ambedue la pianeta, ed il Papa an- all'intorno un fregio di 4 dita fatto a ri-
che il Fanone. Per privilegio i Papi con- caino di perle. La dalmatica in origine era
cessero l'uso della tonacella e della dal- una speciedi Tonaca (P .) con lungbe ma-
malica sotto la pianeta ai cardinali del- niclie, le quali scendevano sino al pugno,
l'ordine de'preti, ed agli abbati mitrati e s. Silvestro I del 3 1 4- l'assegnò a' elia-
che hanno l'uso de'pontificali; paramenti coni, invece del Colobio (^.), veste che
lutti ebe debbono essere d'un medesimo non avendo maniche, o erano brevissime,
colore, sebbene notai a Dalmatica, che lasciava le braccia nude; quindi più tar-
un tempo questa nel colore diversificava di fu accordata anco a' suddiaconi , per
dalla tonacella, ed usandosiambedue.Que- maggiore comodità nelle feste e sagre fun-
ste dalmatiche e tonacelle die si porla- zioni. La dalmatica propriamente diver-
no sotto la pianeta, sono ordinariamen- sifica dalla tonacella per larghe maniche,
le semplici di seta e ornate di sole triuet- strette essendo quelle della tonacella ; le
te d'oro, acciò non formino imbarazzo; dalmatiche e tonacelle de' vescovi hanno
mentre le dalmatiche e tonacelle che si le maniche alquanto più larghe di quelle
usano discoperte, sono più nobili e ricche, del diacono e suddiacono, perle ragioni
più o meno ornate e di drappi diversi, ed che riferii a Dalmatica, insieme alle al-
inoltre più ampie. Anticamente pare che Ire spiegazioni misteriose di questi sagri
i cardinali diaconi nell' assistere il Papa, indumenti. Presso de'greci non vi è l'uso
sotto la dalmatica assumessero altresì la della dalmatica , la quale è vietata anco
tonacella. Si seppelliscono con la tona- a' diaconi, ed è permessa usarsi soltanto
cella e gli altri nominati paramenti, il Pa- da'patriarchi,e questa differisce nella for-
pa e tuttodì colore rosso, i cardinali ve- ma dalla dalmatica latina, mentre (pie-
scovi e preti di colore paonazzo, così i ve- sta è aperta ne'lati, e la greca è lunga e
scovi, mentre i cardinali dell'ordine de' chiusa a guisa di sacco, e difatti i greci la
diaconi si seppelliscono colla stola, mani- chiamano sacco. Tuttavia il cantore, il
polo e dalmatica rossa. Inoltre i Papi ac- suddiacono e il diacono greci hanno per
cordarono l'uso della tonacella o dalma- vesti sagre, ili.0 una tonaca corta, il 2.°
lica agl'imperatori nella \ovo co ronazio- una tonaca lunga, il 3.° una tonaca arn-
nc, per fare l'uflizio di Suddiacono (F.), p>a e talare, equantoaltrodescrissi a de-
diche riparlai ne'vol. XVII, p.212, 219, cia, mentre parlando delle altre nazioni
22 3 e 224. XXXI V, p. i43 e «46. Di orientali, trattai delle loro vesti sagre. Il
più i Papi concessero per la Coroimzio- Magri, Notizia de' vocaboli ecclesiastici,
ne de re (V.)., l'uso della tonacella o dal- nel vocabolo Tunicella o Tonicella , la
malica ai Re (ì'.)j ed il p. Gallico, Ada chiama abito proprio del suddiacono, la
vaereinonialìa p. 228, riportando la re- quale non era in uso al tempo di s. Gre-
lazionedclla coronazione in Reims di En- gorio 1 Pupa del 5go, usandosi allora dal
rico III re di Francia, si legge che dopo suddiacouo,couie oggidì i greci^olamente
TON
il Camice. Dice che dovrebbe essere più
stretta e più lunga della dalmatica dia-
conale, che però da alcuni fu determinata
Dalmatica minor. Da Onorio vieu chia-
mata Suolile, da Amalario Tunica o Su-
bucula,ùa\\'Ovd\ae romano Subdiacona-
lis,non però dagli antichi, ne'quali trat-
tandosi delle vesti pontificali si fa men-
zione della sola dalmatica. Anche il Ma-
gri afferma che il rito di portare la toni-
cella non è molto antico, e ciò si vede tna-
nifestameute dalle pittureantiche di mu-
saico. Nel rituale ms. di Katoldo si dice
che la tonacella antica del vescovo avea
intorno al lembo le campanelle, come
quella che portava il sommo sacerdote de-
gli ebrei. Super haec itaque ministratur
ei tunica gyris in tintinnabulis. Il Magri
rimproverò i maestri delle ceremonie de'
tempi suoi, perchè piegavano le maniche
della tonicella e della dalmatica sulle spal-
le del vescovo celebrante; sembrandogli,
che con tale abuso dimostrassero non os-
servare o ignorare i profondi misteri delle
maniche larghe nella dalmatica e strette
nella tonicella; e coti nasconderle sotto la
pianeta toglievano la maestà di questi a-
biti sagri, né ciò porta alcuna comodità al
celebrante, perchè con fagottarle, oltre la
poca decenza, riuscivano di maggior im-
piccio. Gli esortò quindi a lasciare restar
le maniche piegate, e continuar l'antico
rito della Chiesa, introdotto da'sagri ca-
noni de'concilii e da'ss. Padri; né preten-
dere di saperne più di essi, perchè non vi
sarebbe alcuna diversità tra la dalmatica,
la tonicella e il colobio; ed acciò si possi-
no veder le maniche della tonicella, ordi-
na la rubrica, si facciano un tantino più
lunghe. Inoltre vuole Magri, che la toni-
cella rappresenti la Tonaca Inconsutile
di Cristo (/'.), e per conseguenza la sua
dottrina, che non si può lacerare, come
dichiarò Innocenzo 111 nel cap. 3q. Mo-
ralmentesignifica la virtù interioredel ve-
sco vo. Questa tonacella del vescovoera an-
ticamente di color celeste e azzurro, co-
me vedesi negli anlichi musaici e lassi-
VOL. LXXVII.
TON 97
cura Durando, lib. 3, cap. io. A Laticla-
vio, col vescovo Sarnelli: Della forma
d'alcune ecclesiastiche vesti. somiglianti
a quelle degli antichi romani, dissi che
la tunicella del suddiacono e la dalmati-
ca del diacono, sono simili al lato davo
de seaalovì, ed a\V angusto davo de'cava-
lieri romani, cosi venendo denominate le
tonache de'romani di cui n'erano fregiati.
Queste tonacheerano vesti quadrate, ossia
vesti di due pezzi di panni quadrati, che
si affibbiavano sulla spalla. Tali dice Ter-
tulliano che fossero le tonache degli an-
tichi cartaginesi, e che chiama quadrOn-
gulas. poiché aperte ne'fianchi pendeva-
no 4 angoli. Laonde il dotto prelato ri-
inarcò la dalmatica e la tunicella, somi-
glianti alle tonache di detti romani. Ag-
giunge che a queste tonache si uni vano in-
sieme le mezze maniche, mentre le lun-
che sino al polso le usavano solo le don-
ne e queste pure erano talari, più somi-
glianti alle vere dalmatiche. UBuouarroti
ae\Y Osservazioni sui vasi antichi di ve-
tro, eruditissimamente tratta anche della
dalmatica. Avverte in prima , che erro-
neamente fu creduta la clamide della mi-
lizia palatina, cioè da'dotliSeverano e Ar-
ringhi, descrivendo s. Milesdipintonelci-
miterio di Poliziano. Che vi furono tuni-
che dalmatiche ornate con due davi dì
porpora, e poi anche d'oro e di ricamo
con mantenere la loro primiera figura, le
quali vesti dagli ornamenti del secolo pas-
sarono a fare più augusto il culto divino
ue'sagri ministri. Nota poi, che nell' an-
tiche pitture esprimenti gii Apostoli, dal-
matiche non sempre si hanno da repu-
tare le vesti di lusso o tuniche davate, e
colle maniche lunghe sino a'polsi, ma tu-
niche comunali. Che colle dalmatiche si
confusero le tuniche palmate de'trionfan-
ti, introdotte forse da Domiziano per or-
namento pure del consolato. Importante
è poi il rimarco, che per lo più i greci rap-
presentarono nelle pitture i loro vescovi
vestiti della dalmatica, mentre i latini pra-
ticarono più di sovente di figurarli vestiti
7
98 T O N
colla penula grande o pianeta, per l'ab-
bondanza del panno; e siccome i pillori
rappresentarono i personaggi adornati
delle vesti ch'erano di maggior decoro al
loro grado, dalle memorie sagre si ha ar-
gomento di credere, che la dalmatica già
fosse di più stima della penula, solendosi
quella concedere da' Papi per privilegio
specialissimo anche a'vescovi, il che della
pianeta non si legge, veste in origine ro-
tonda e chiusa da tutte le parti, e comu-
ne alla chiesa greca e latina, però colla dif-
ferenza,che la latina fu semplice e la greca
coperta e sparsa di croci ; vesti che quan-
tunque chiuse e rotonde , erano tagliate
in guisa, che senza alzarsi nell'atto della
celebrazionede'divinimisteri,polessero li-
beramente per due aperture uscir le brac-
cia e le mani.
TONCHI NO oTUNRINO. V. Vica-
riati APOSTOLICI.
TONGRES, Tmgeren. Città vesco-
vile del Delgio,provincia di Limburgo, cir-
condario, a 4 leghe da Matti iebt e 5 da
Liegi .capoluogo di cantone, in riva al Jaar.
Possiede chiese, un collegio, ha concie di
pelli, e fa gran traffico di porci e graui. I
dintorni olirono ancora avanzi dell'anti-
ca cinta di questa città, che pare sia stata
considerabilissima, ed in un' amena val-
lee una sorgente minerale ferruginea ^Iel-
la quale parlò Plinio. Si pretende cheTon-
gres sia l'aulica fortezza da Cesare chia-
mata A tuatitccr, situata nel mezzo al pae-
se degli eburoni, popolo che Augusto poi
designò sotto il nome di Tougri. Perven-
ne in seguito a grande prosperità, ma ver-
so la metà del V secolo fu saccheggiata
e rovinata da Attila re degli unni. Appe-
na rialzavasi da' suoi danni allorquando
i normanni la devastarono nell'88i. Vi
si fece neli4o3 una convenzione tra il ve-
scovo diocesano e i borghigiani, col no-
me di Pare dì Tongres. Carlo il Teme-
rario duca di Borgogna se ne insignorì
nel 1467 e la distrusse neli4f>8. Riedifi-
cata,» francesi la presero nel 1 672,^ sman-
tellarono neh 6^3, e se ne resero nuova-
TON
mente padroni nel 1 G77. Ancora nel 1792
1' espugnarono e abbatterono nel 179^ :
convicn dire o che fosse fortificata o si-
tuata in punto strategico. Il 28 febbraio
1828 vi si sentirono assai forti scosse di
terremoto. La sede vescovile fu istituita
nel III secolo. Leleggeude fanno discepolo
di s. Pietro, s. Materno vescovo di Colo-
nia e di Treveri, che niori verso il 347>>l
che esclude che vivesse nel tempo del prin •
cipedegli Apostoli;anzi si Impure che con
Papa s. Melchiade e Pielicio d* Arles fu
nominato giudice da Costantino I nell'af
farede'donatisti. Il martirologio romano.
che a'i 4 settembre registra la festa d'un
s. Materno che convertì que'di Tongres,
di Colonia e di Treveri, suppone che sia
stato discepolo di s. Pietro; e da ciò de-
rivò l'opinione di coloro che pretesero l'e-
sistenza di due Materni, 200 anni uno di-
stante dall'altro, contro la fede de'dittici
e decataloghi de'vescovi, i quali comin-
cianocon quello che visse sotto Costantino
I, e non parlano d'altri di questo nome.
Si poti ebbe forse dire, che l'unico s. Ma-
terno fu prima vescovo diTreverisul prin-
cipio del IV secolo, che rinunziò in seguilo
il vescovato a s. Agricio, e andò a fonda-
re dopo il 3 1 4 le chiese di Colonia e di
Tongres, ch'ebbero dopo di lui ciascuna
il suo vescovo. Colonia, Tongres e l'Al-
sazia lo riguardano come loro apostolo;
e come ad altri, fu qualificato discepolo
di s. Pietro, per conformar con esso la sua
dottrina,e perciò di sovente ebbero la qua-
lifica di discepoli di s. Pietro i primi ve-
scovi delle città, fino al principio del IV
secolo,particolarmente nelle Gallie e nella
Spagna. Le tre chiese di Colonia, di Ton-
gres e di Treveri ne onorano la memo-
ria in detto giorno; ed il suo corpo si cre-
de trasportalo a Treveri e posto vicino a
quello di s. Luca rio. Celebre suo succes-
sore immediato e vescovo di Tongres fu
s. Servazio o Servato, zelantissimo nella
fede,soprattutto ne'concilii di Sardica e di
Rimini; predisse l'invasione (Irgli unni
nelle Gallie, e dopo 37 anni di vescovato
T O N
si riposò nel Signore a' 1 3 maggio 384,
venendo erella uni chiesa sulla sua lom-
ba, ma poi la maggior parte di sue reli-
quie si trasferirono a Mastricht(V.) nella
nobile collegiata, ove alcuni scrittori cre-
dettero che il santo vi trasferisse la sua se-
de, poco prima di sua morte. Ma sembra
più certo die questa traslazione non si fe-
ce che nel seguente secolo, e dopo die la
città di Tongres fu distrutta da Attila.
Comman ville, [list, de tous Ics evesdwz,
dicecheMastricbt fu la residenza tempora-
nea del vescovo diTongres, che nel f\0)% vi
stabili la sua sede, la quale poi nel 709
fu trasportata a Liegi (^.^conservando
per un tempo il titolo del vescovato di
Tongres, e solo nel C)6i cominciò stabil-
mente quello di Liegi. In fatti quando Pa-
pa s. Zaccaria nel 7 4^ ° ne' 7^' confer-
mò l'arcivescovato di Magonza, eretto nel
vescovato di tal città da s. Bonifacio le-
gato pontifìcio e apostolo di Germania ,
tra' 5 vescovati sullraganei che gli attri-
buì, vi comprese Tongres.
TOMCELLA. P. Tonaceila.
TONNO, TENNO oTUNNO.Sede ve-
scovile della provincia proconsolare d'A-
frica sotto la metropoli di Cartagine, eb-
be a vescovi: Crescouio esiliato da Unne-
rico re de'vandali per la purità della fede
che professava, Oliato che trovossi al con-
cilio di Cartagine del 325, e Vittore il qua-
le scrisse la storia dal principio del mon-
do fino al 5&i. Morcelli, Afr. dir. t. I.
TONSURA CLERICALE o ECCLE-
SIASTICA, Tonsura Clcricalis, prima
Tonsura. Chierica 0 corona, rasura roton-
da de'capelli della cima e sommità poste-
lioredelcapode'cliierici. Atto preparato-
rio agli ordini minori.che anco dicesi pri-
ma tonsura, ed è il tondere de'capelli che
fa In 1.' volta l'ordinante a coloro che in-
tendono di consagrarsi al chiericato e pas-
sare agli ordini sagri, clericus tonsura
iniliarc. Corona reale, insegna del chie-
ricato e del sacerdozio, onde i chierici per
onore furono chiamali Coronati, con al-
lusione a ciò che leggesi nell'Apocalisse de'
TON 99
24 seniori o sacerdoti ch'erano intorno al
Pontefice e aveano la corona d'oro in ca-
po. La tonsura clericale è una sagra ce-
remonia colla quale il vescovo, tagliando
a quello che la riceve una parte de' suoi
capelli in forma di corona, con alcune pre-
ghiere, lo fa entrare nello stato ecclesia-
stico, e lo rende capace de'benefizi, de'sa-
gri ordini e degli altri privilegi del Clero.
Si legge nel Pontificale Romanum il rito
eia benedizione vescovile pel conferimen
to della tonsura: Prima Tonsura non i-
nilientur, qui Sacramentum Confirma'
tionis non suscepcrint, et fichi rudimen-
fa edocti non fuerintj quique legere et
scribere nesdant, et de qiiibus probabi-
lis conjectura non sit, eos non saecula-
ris judicii fugiendi fraude, sed ut Deo
fidelem cultum praestent, hoc vitae gc-
nus elegisse. Quindi nel cap. De, Clerico
j "adendo , il Pontificale riporta il ceremo-
niale e le orazioni pel conferimento della
tonsura, essendo il vescovo in mitra,e l'a-
spirante con abito talare e la colta sul brac-
cio sinistro, stringendo la candela colla de-
stra. Quiudi il vescovo sedente nel faldi-
storio, cimi forjìcibus incidit unicuique
extremilates capillorum in quatuor lo-
cis; videliect, in fronte, in occipitio, et ad
utramque aurem, deinde inmedio cajji-
Vis aliquot crines capillorum, et in ba-
cile deponit,et cuilibet,cum tonde tur, di-
cit ec. Poscia il vescovo gl'impone la Cot-
ta e l'esorta alle buone opere proprie del
chiericato. Sino dalla nasceute Chiesa fu-
rono distinti i Chierici (V.) colla tonsu-
ra e colla Peste talare, cioè la Toga, o
Tonaca(P.)sema manicherà quale veni-
va sovrapposta da altra colle maniche, ora
Sottana e ciantello (P.J. La tonsura non
è un ordine, e non produce né il caratte-
re, né la grazia, ex opere operato, per che
essa non è istituila da Gesù Cristo , ma
solamente dalla Chiesa. Chiamasi ton-
sura, perchè il vescovo taglia i capelli in
forma di corona, per insegnare al tonsu-
rato che dev' essere distaccato dal mon-
do e spogliarci da ogni superfluità. Latou-
ioo TON
■ora è una preparazione agli Ordini sagri,
e non si ponno ricevere senz'essere ton-
surato. Le disposizioni richieste per parte
di quelli diesi fanno tonsurare, sono. Di
avere 7 anni compiti e di essere stato cre-
simato; di saper leggere e scrivere, e d'es-
sere istruito de'principali articoli della fe-
de; di consagra! si al servizio di Dio, per
un puro motivo della sua gloria , e sen-
z'alcuna vista di orgoglio, di sensualità,
d' interesse; di condurre una vita appli-
cata allo studio, alla preghiera e alla pe-
nitenza; di ubbidire in tutte le cose al lo-
ro vescovo e a 'sagri canoni; di portare in
tutta la loro vita i segni del loro stato, che
sono la tonsura , i capelli corti e V abito
ecclesiastico; di vivere e di morire nello
stato clericale. Dal che ne consegue, se-
condo il concilio di Trento ei teologi, che
quelli i quali prendono la tonsura sola-
mente per avere de'benefizi, e senza in-
tenzione di vivere e morire nello stato di
ecclesiastico, si rendono colpevoli di pec-
cato mortale. Decretò il concilio di Lon-
dra nel 1 258. » Portino i chierici i capelli
corti, e la corona d'una grandezza compe-
tente, per testimoniare in questa guisa che
hanno rinunziatoa'vantaggi della vita, per
non aspirare che alla dignità d'un Sacer-
dozio regale."Dichiarò il concilio di Tren-
lo,sess. 23 de Reform. e. i.»I contrassegni
della vocazione allo stato ecclesiastico sono
d'esservi entrati con retta intenzione, vale
a dire di non cercare né la gloria del mon-
do, nèle rendile, uè una vita agiata e -sen-
suale; ma di proporvisi la fatica, per pro-
muovere la gloria di Dio, la salute del-
l'anime^ la propria santificazione." Que-
sta èia disposizione,cheilconciliodi Tren-
to esige in coloro che devono ricevere la
tonsura. Nella stessa sessione e. 3, il me-
desimo concilio dispose. » Non si ammet-
teranno alla 1/ tonsura quelli che nona-
■vranno ricevuto il sagramento della Con-
ferinazione,ec\\e non saranno stati istruiti
ne'primi principii della fede, né quelli che
non sapranno né leggere, né seri vere,e de'
quali non si avrà una congettura proba-
TON
bile, che abbiano eletto questo genere di
vita per rendere a Dio un servizio fede-
le." Dice il p. Chardon, niuno deve intro-
dursi da se nel servizio della Chiesa, ma
deve essere chiamato da Dio. La vocazio-
ne .si conosce per giudizio del vescovo, e
dal testimonio di tutta la Chiesa. Così ne'
primi secoli i vescovi non ordinavano se
non quelli di merito conosciuto ad istan-
za de'popoli, e sempre di loro consenso.
Non si cercava molto la volontà dell'or-
dinando, e sovente se gli faceva violenza
per superare la sua umiltà. Per meglio co-
noscerne il merito si seguivano le regole
date da s. Paolo, di non affrettarsi a ina-
por le mani, per non partecipare de' pec-
cati altrui, di non ordinare un neofito, ac-
ciocché non insuperbisse.Se qualche volta
si dispensava da questa regola , facevasi
per motivi particolari, cioè per l'eminen-
te virtù di quelli diesi ordinavano, o per-
chè Dio gli avea indicati alla Chiesa eoa
segni soprannaturali. Cosi fu ordinato s.
Ambrogio, eletto mentre era catecumeno,
e consagrato pochi giorni dopo il suo bat-
tesimo. I chierici doveano scegliersi tra'
più santi de' laici; perciò i canoni esclu-
devano tutti quelli che aveano qualche
nota. Anche l'Apostolo vuole che il vesco-
vo e il diacono sieno irreprensibili , e di
buona fama anche tra gl'infedeli. Si riget-
tavano adunque coloro, che dopo il bat-
tesimo erano caduti in eresia, apostasia,
omicidio, adulterio, benché ne avessero
fattala penitenza, efossero riconciliati alla
Chiesa, perchè la memoria de'delitti sem-
pre rimane, e quelli che sono una volta
caduti debbono credersi più fiacchi di quel-
li che non caderono mai. In una paiola,
secondo l'antica disciplina, non potevano
mai ordinarsi quelli eh' erano stati in pe-
nitenza pubblica. Ne'primi cinque o sei
secoli della Chiesa la tonsura non confe-
rmasi che col primo ordine sagro, e non
fu che in fine del secolo VI o in princi-
pio del VII , che fu data separatamente
e prima degli ordini minori, in occasio-
ne de'figli che i padri e le madri consa-
TON
gravano a Dio, e presentavano a' vescovi
in un' età così tenera , che non potendo
far l'officio di lettore o di osliario, con-
tentavasi di dar loro la tonsura e l'abito
ecclesiastico. Non si può esercitare alcun
ministero ecclesiastico,nè possedere un be-
neficio di chiesa senza aver ricevuto la ton-
sura; e perchè un tonsurato sia ammesso
a pretendere o contestare un beneficio, bi-
sogna che produca in originale le sue let-
tere di tonsura. Il solo proprio vescovo
può dare la tonsura al suo diocesano, e
quello che l'avrà ricevuta da un altro sa-
rà obbligato d'ottenere dal Papa le lette-
re dì perirtele valere. E" noto che nou può
essere promosso agli ordini sagri quello
che ricevette gli anteriori dal Papa, tut-
tavialnnocenzo III ne conferì la facoltà al-
l'arcivescovo di Milano» Benedetto XIV
uella'sua cappella segreta die la i.a ton-
sura e nella stessa mallina i 4 ordini mi»
noti al cardinal York, e Pio VII nella
Cappella segreta del maggiordomo con-
ferì la tonsura e tutti gli ordini minori a
Francesco di Paola infante di Spagna, e
10 ricordai pure a Ordinazioni de' Pon-
tefici.Anticamente la tonsura si dava an-
che da un prete cattedrale, oggi canoni-
co, probabilmente per ordine del vesco-
vo, come per sua delegazione esercitava
altri uffizi, nominava i cantori, riconci-
liava i penitenti pubblici, ec. ec. L'anti-
ca disciplina non voleva che cantassero se
non i Cantori tonsurati, dichiarati abi-
li a ciò e regolarmente destinati; gli al-
tri tonsurati, non cantori d'ufficio, pote-
vano essere i salmisti perla Salmodia non
cantata e pe'minori servigi della chiesa.
11 canonico ebdomadario della collegiata
di s.Martinodi Tours,nella messa dava la
tonsura a coloro che dal capitolo erano sta-
ti ammessi a riceverla. 11 fare il salmista,
oggidì tonsurato,spettavaa'preti del Pre-
sbiterio, non a qualunque prete. Forse ne'
primi secoli eravi una sola formola, di-
cendosi ne' canoni antichi sola jussionc
Presbiteri , e in seguito vi fu aggiunto
auche il taglio de'capelli; se pure debba
T O N - 101
meglio leggersi sola jussionc Presbyte-
r».Trovasi anticamente,e rilevasi dal con-
cilio di Cantorbery nel VII secolo, e nel
787 in quello di Nicea e da altri docu-
menti, come al presente, conferita la ton-
sura e gli ordini minori dagli abbati, ed
anche il suddiaconato, a'ioro sudditi; pur-
ché l'abbate avesse avuta l' imposizione
ceremoniale delie mani e la benedizione
del vescovo, e che usavasi una solenne ce-
remonia nel crear 1' abbate, nella quale
tra le altre cose tuttora il vescovo dice :
Antiqua ss. Patrum institutio docct,et
praecipit, ut is qui ad regimen anima-
rum eligitur ete. Di fatto l'abbate ha un
regime d'auime, avendo come un ordina-
rio nullius, per disposizione della Chiesa,
giurisdizione spirituale ed esterna sui suoi
sudditi, e perciò nel medio evo talora in
uu certo Iato senso fu chiamato pastore,
come lo chiama il Pontificale romano nel-
lo stesso lato senso per l'estrema giuris-
dizione, nell'atto della sua benedizione,
e gli parla del gregge di Cristo (i monaci)
da custodire, e gli dà il bacolo Pastoralis
qffìeii, perchè ha il libero e pieno regi-
me spirituale e temporale sul monastero
e monaci, come dice lo stesso Pontificale.
Papa s. Gregorio I neWEpist. 62, lib. g,
a Romano difensore della chiesa roma-
na in Sicilia, gli ordinò di reprimere l'au-
dacia de' lonsuratori che volevano farla
da difensori. Questi lonsuratori da alcu-
ni si vuole che fossero chierici minori, da
altri laici distinti per la tonsura de'loro
capelli, i quali muniti di lettera del Pa-
pati-ano in qualità di agenti e fattori de-
stinati a soprintendere a'coloni e possesso-
ri de'predi della chiesa romana in Sicilia.
Ne fa menzione s. Gregorio I neWEpist.
32, lib. 2, a Pietro suddiacono di Sicilia.
In questa si parla di tonsura civile e non
già ecclesiastica, ed il passo è molto ana-
logo all'altro del libro Ponlijieale t. 2 ,
n. Zi e 33, nel quale narrasi che a Pa-
pa Adriano I si ollrirono diversi del du-
calo di Spoleto, gli commisero le loro fa-
coltà, ed a s. Pietro e a lui giurarono fé-
102 • TON
deità come a principe temporale, e si fe-
cero tonsurare alla romana, cioè venne-
ro ridotti nelle loro barbe e capellatu-
re alla foggia romana. Ilo voluto qui ri-
cordare questa specie di tonsure, perchè
non si coufondino colle tonsure clericali.
Altro esempio è la coudizione imposta a'
polacchi da Benedetto IX, nel concedere
la dispeusa al monaco Casimiro, di pren-
der moglie e di ascendere sul trono di Po-
lonia, cioè che i nobili dovessero aver la
la lesta tosala a guisa di monaci. Il Buo-
narroti nelle Osservazioni sopra i vasi
antichi di vetro, parla della corona di ca-
pelli in uso de'nobili presso i greci anti-
chi,di cui ne restò vestigio ne'tempi bassi,
come costume passato da'greci antichi ne'
roinaui, in occasione dell' impero greco,
osservandosi in alcune medaglie Teodo-
sio II il Giovane e Valentiniano HI colla
cima del capo tosala, e con una corona di
capelli al pari della fronte, e coll'insegne
del consolato ch'essi tennero nel 43o.Con
lai lòggia di capelli si vede il console in-
cognito nel Dittico riportato da Du Can-
ge, e parimenti nel Menologio di Basilio
si trova dipiulocon uncerchio di capelli
s. Eustachio vestito diclamide,come quel
lo ch'era di nascita e di conto presso i gen-
tili; e da ciò forse potè procedere, che nelle
pitture de'4 Evangelisti di qualche anti-
chilàjSolo s. Luca suole essere dipinto colla
corona di capelli, secondochè notòilLam-
becio; il che fece credere al Buonarroti,
che avendo s. Luca esercitato l'uffizio di
medico, ed essendo consuetudine de'me-
dici di trattarsi nobilmente, talora i me-
desimi avranno costumato quella sorta e
quella forma di capelliera delle persone
nobili. Già della tonsura clericale ragio-
nai in più articoli, laonde qui rammente-
rò in quali principalmente lo feci, pere-
vitate ripetizioni, non senza aggiungervi
ajtre erudizioni analoghe e opportune. A
Chierica, dichiarato il vocabolo, narrai
della i . chierica che a'nuovi cardinali in-
combeva di fare l'aiutante di camera del
cardinal segretario di statole più grande
T O N
della precedente, colla propina di scudi
venti che tuttora percepisce, ancorché ciò
non abbia più luogo. IlPapa,i vescovieal-
tri dignitari della Chiesa, portano la chie-
rica più grande dell'ordinaria. A Capelli
dissi che i sacerdoti degli ebrei con for-
bici se lifacevano tagliar ogni i 5 giorni;
mentre i Nazareni , i quali erano come
religiosi tra gli ebrei, dovendo portar la
zazzera o capigliatura lunga sino alle spal-
le, non potevano tagliarla finché non de-
ponevano il nazarealo, che talvolta era a
vita, bruciando i capelli ch'eransi rasi con
ceremonia accompagnata da sagrifizi. Che
ne'primi tempi del cristianesimo gli eccle-
siastici, ad esempio degli Schiavi (kit por-
tavano il capo interamente raso , coinin-
rono a radersi affine di mostrare piùevi-
dentemeute la servitù spirituale, e con-
servando un cerchio o corona di capelli al-
l'intorno, per significare che il sacerdozio
è il regno della Chiesa, e insieme non mo-
strare d'imitargli ebrei,che al termine del
nazareato si radevano tutta la testa; ed an-
cora per non seguire la superstizione de*
sacerdoti d'Iside, di Serapidee d'altri nu-
mi, i quali si radevano i capelli e tutti i
peli del corpo. Oltre di che vollero ave-
re nella corona una perenne memoria di
quella di Spine (nelqualearticolo dichia-
rai che in memoria di essa gli ecclesiasti-
ci portarono la corona di capelli sino da'
primi tempi della Chiesa ad esempio de-
gli Apostoli), che fu posta al Redentore,
e ciò per ubbidire a s. Pietro che l'avea
stabilita, secondo alcuno. Che altri sosten-
gono, che s. Pietro mentre predicava l'e-
vangelo in A ntiochia, venne tosato per di-
spregio da'nemici della dottrina cristia-
na, come si fece in Roma talora a'filosofi
per ischerno. Però alcuni dicono, che s.
Aniceto Papa del 167, impose a' chierici
di dover portare la chierica; ma si dubita
della genuinità di tal decreto. Che altri
però opinano, che cominciasse dopo il V
secolo (l'uso n'era generalmente ricevuto
e stabilito nel VII e Vili secolo), essendo
altrimenti un segno troppo palese nelle
r o n
persecuzioni. Qui rimarco che tra quelli
che attribuiscono a s. Pietro il principio
della tonsura, vìe il Bernini, Istoria del-
l'eresie, dicendo che per disprezzo tosato
con una rasa corona di capelli in testa,
tnle ignominia pa>sò in venerazione nella
Chiesa, che per diverse pie considerazio-
ni e per memoria di quella di s. Pietro se
ne servì per insegna de'sacerdoti. Quindi
Simon Mago invidiando ne'sacerdoti di
Cristo la tonsura, ne prescrisse una so-
migliante a'suoi seguaci, nella quale era-
vi più d'un solco raso di capelli da un'o-
recchia all'altra, per cui diceva denotarsi
il Zodiaco. Spiegò poi il significato di que-
sta corona sacerdotale s. Germano pa-
triarca di Costantinopoli. Excapillorum
significa tione, imaginem refert venerati'
di capitis apostoli Petri, quoti, quum
missas esset ad praedicationem Domi'
ni, et Magistri, ei attonsum fuit ab iis,
qui ej'us sermoni non credebant, ut illii-
deretur ab ipsis, eique Magister Chri-
stus benedixit, et infamiatti in honorem,
illusionem ingratiam converti t. Distinsi
la tonsura de' Chierici da quella de' I/o-
noci, i quali usarono radersi non solo la
sommità della testa, ma quasi tutto il ca-
po, a significare la professione d'una vita
solitaria e di penitenza, giacche il radere
il capo fu segno di mestizia e di pianto.
lu generale tra'cristiani la rasura del ca-
po fu segno di tristezza, ed a'pubblici Pe-
nitenti si tagliavano i capelli dal vescovo
o dal sacerdote. I mouacipoicol taglio de'
capelli dimostravano la rinuuzia agli or-
namenti mondani, e il voto di soggezione
a'superiori. Dissi-pure dell'uso di tagliar
i capelli alle Religiose. Che se alcuni ri-
feiiscono agli Apostoli l'origine della ton-
sura, ciò doversi intendere non della som-
mità del capo, ma bensì del precetto de'
capelli tondi e corti, ciò che essendo al-
lora comune a tutti i cristiani, rimase poi
l'uso solo ne'chierici, i quali furono per-
ciò delti coronati, per tagliarsi i capelli
ad vuq di corona. Per la corona di capelli
del Pupa e de' vescovi, soleva il popolo di
TON io3
frequeute pregarli e scongiurarli per ot-
tenere alcuna cosa (sole vauo i vescovi au-
che giurare o salutare per la tonsura, co-
me si ricava da'Padri, rammentali dal p.
Bonanni), per coronarti ^estratti : i ve-
scovi si radevano grau partedel capo.Par-
lai de'divieti agli ecclesiastici di coltivar
la chioma, ordinandosi loro di portarla
corta. I capelli si solevano mandare a chi
dovea far da Padrino (anche la bomba -
ce che avea tocco l'olio santo nel battesi-
mo). La corona o chierica non si portava
sulla parte posteriore del capo, com'è sta-
to poi praticato, ma sulla sommità, sicco-
me i cappuccini la portano anche presen-
temente. Lacorona denota la dignità rea-
le de'chierici consagrati a Dio, lo spogliar-
si che fanno delle cose terrestri, la con-
formità che devono avere con Gesù Cri-
sto, e la perfezione di vita che loro è ne-
cessaria; il cerchio essendo il segno della
perfezione, giacché è la figura più per-
fetta. Ad Ordine dichiarai che la tonsu-
sa prepara a ricevere gli ordini sagri, la
quale non è che una ceremonia che inizia
il battezzato al servizio della Chiesa, lo fa
partecipe de' privilegi dello stato eccle-
siastico, e lo rende atto a conseguire i be-
nefizi di chiesa, i quali senza la tonsura
per goderli occorre la pontificia dispeusa,
Ora uoterò,che molti concilii condannaro-
no la temerità de'parenti che fanno tonsu-
rare i loro figli solo per l'ambizione e l'a-
vidità di procurar loro un benefizio, sen-
za informarsi se abbiano la vocazione e
le qualità necessarie per adempiere i do-
veri dello -.tato ecelesiastico, e qualche vol-
ta perchè sono deformi o poco atti a riu-
scire nel mondo. Altri coucdii fissarono
l'età in cui si può ricevere la tonsura, e
nelle diocesi meglio regolate non si dà pri-
ma de'i 2 anni. Inoltre dissi a Ordine, che
Benedetto XIV dichiarò, potere i cardi-
nali subtubicari nelle loro cappelle priva-
te (V. Titoli cardinalizi) soltanto, con-
ferire la tonsura a'propri dipendenti e dio-
cesani. Che il Pontijicalc richiede, che la
tonsurasi possa dareiu tutti i giorni e ore,
io4 TON
ed in qualunque luogo, non essendo essa
ordine, secondo la più. comune opinione,
ma preparazione agli ordini. I vescovi po-
terla conferire anche fuori di diocesi, e in
diocesi nel!' episcopio se non 1' ammini-
strano in chiesa colle altre ordinazioni. Che
Gregorio XV decretò, niuno nel regno di
Napoli si ammettesse alla tonsura e ordi-
ni minori, se prima non fosse stato denun-
ziato al popolo colle pubblicazioni del par-
roco in chiesa. Notai a Poitiers, che nel
concilio del i 100 fu ordinato, per la ton-
sura non si esigessero né forbici e né to-
vaglie, da'vescovi e dagli abbati. A Ordi-
nazioni riportai la prescrizione di Grego-
rio XVI, che qualunque estero volesse or-
dinarsi in Ronia, sottoscrivesse prima la
forinola da lui prescritta. Qui aggiungo
col p. Plettemberg, Nottua Curine Ro-
manae, essere consuetudine in Roma che
il cardinal Vicario conferisce agli este-
ri la prima tonsura e gli altri ordini, an-
che senza le lettere dimissorie de'propri
ordinari, usando però le convenienti in-
dagini sull'idoneità dell'ordinando. A Sa-
CERDoziOjparlaudoinfinedellasconsagra-
zione, riportai il rito col quale il vescovo
al degradato incomincia colle forbici a to-
sargli! capelli, opei azione indi proseguita
da un laico, onde agguagliarli tutti alla
corona o chierica, ossia tonsura, affinchè
questa del tutto sparisca; mentre il vesco-
vo gli dice: Facciamo disparirti dalla
testa la reale insegna del sacerdozio,
ch'è la corona. Nell'articolo Parrucca,
zazzera o chioma finta, rimarcai che per
j 6 secoli cristiani non si parlò di parruc-
che pegli uomini, i quali cominciarono a
usarle verso il 1629 in Francia, secondo
Thiers, altri dicendole già introdotte in I-
talia. Nelle due regioni, circa il 1 660, l'a-
dottò qualche ecclesiastico, e pel 1 ."Rivie-
re morto vescovo di Langres;e presto se ne
fece uso con eccesso da'prelati ed ecclesia-
stici, anche regolari, con fìnte chieriche.
Siffatto abuso fu frenato da'vescovi, dai
capitoli e dalle congregazioni religiose,
perchè già proibito da'ss. canoni, la chiu-
TO N
ma finta escludendo la tonsura o rasu-
ra vera. Venne sentenziata la scomuni-
ca contro gli ecclesiastici secolari e rego-
lari, che portassero parrucche, comechè
sempre riprovatedalla Chiesa, sia da'Papi
che da'concilii e sinodi. Clemente XI le
proibì, e Benedetto XIII vieppiù rigoro-
samente anche a'cardiuali, sebbene alcu-
ni l'usassero per salute, non per ornamen-
to. Clemente XI 1 fu più indulgente, e Be-
nedetto XIV ne regolò l'uso, dichiarando
i casi per concedersi la licenza. Niun Pa-
pa usò mai parrucca, e il cardinal Bra-
schi appena divenuto Pio VI la depose, e
poi comandò l'uso della cipria a' capelli
per politezza. Ciò rilevasi anche dal can.
Nardi, Lettera sopra lo specchio e pet~
tini degli antichi cristiani, dicendo che
Pio VI vedendo che s' introduceva una
certa spiacevole luridezza di lesta negli
ecclesiastici, con sue lettere commendò
l'uso d'un poco di polvere bianca sul ca-
po ad tergendas sordes, ed egli ne diede
l'esempiocol sagro collegio e prelatura. Ri-
marca inoltre che in Francia, la polvere
sul capo è segno di posatezza e d'antichità
di costume e di pensare,per cui egli la vide
restata a'nostri giorni a qualche vecchio-
neea'preli,ed un tempo chi non la porta-
va avrebbe scandalezzato e sarebbe stato
tenuto seguace della moda. Avverte il
Thiers, Istoria delle parrucche, che il
teologo della Sorbona Chamillard nel suo
trattato, De corona, tonsura, et hahitu
clericoruììi, raccolse un grandissimo nu-
mero di canoni contro le parrucche, come
in opposizione a' decreti de'canoni della
Chiesa circa alla corona e tonsura clericale
cheriunìin ^articoli; fra'qualiche le coro-
ne o tonsure non debbono esser finte di te-
la,di raso odi pelle, piuttosto teatrali che
clericali. A Pettine dissi, come nelle sa-
grestie furono collocati pettini e Specchi
(P.),per assestarsi dagli ecclesiastici i ca-
pelli e la barba, per decenza, prima d'an-
dare a celebrare. V. Berrettino cleri-
cale. Finalmente osservai a Barba, che
uc'teojpiincuisi usava da'ehierici la bar-
TON
ba soltanto tondata, prima che i giovani
si ammettessero agli ordini minori, si co-
stumava benedirla solennemente e poi
fondarla, col rito esistente nel Pontifica'
le Romanum. Anche areligiosi novizi ve-
niva benedetta. I nuovi vescovi si benedi-
vano la barba prima di fondarla. Inoltre
riprodussi le proibizioni agli ecclesiastici,
di nudrire la barba con arte. Osserva ilSar-
nelli,che se la tonsura o rasura della bar-
ba è vietata nella s. Scrittura, perchè des-
sa e quella della testa praticavasi da'sa-
cerdoti idolatri, in altri luoghi della me-
desima non si proibisce agli uomini il
radersi i capelli e la barba, ma si loda e
talora comanda in occasione di gran dolo-
re, come dimostrano molti [tassi de' pro-
felilsaia, Geremia ed Ezechiele. E siccome
la tonsura della barba è universalmente
comandata a 'chierici latini, mentre nella
primitiva Chiesa i chierici si conformaro-
no al costume generale de'luoghi come in
oriente, ove non radevasi, tuttavolla tro-
vasi anche vietata in alcuni tempi, sem-
brando la rasura troppa delicatezza.
Il Magri, Notizia de vocaboli ecclesia-
stici, verbo Tonsura, riferisce di essere
tradizione apostolica, secondo Papa s. A-
< niceto, scrivendo a' vescovi di Francia, il
radersi gli ecclesiastici il capo in forma di
corona, per significar la corona di spine
del Redentore,come notò Beda, Ilist. An-
■ glie. cap. 22; l'istesso avendo conferma-
tos. Germano di Costantinopoli: Raditur
caput medium in gyrum, ut ea corona
sit prò corona Chris ti j ovvero per deno-
tare il regio grado del sacerdote, al dire
dis. Isidoro, De Instruct. Clcr. Iib. 2, cap.
1. Moralmente significa che gli ecclesia-
stici devono rigettare i pensieri super-
flui , secondo s. Gregorio I in Moralib.,
perchè i capelli sono simbolo de'pensieri.
Dice s. Dionigi l'Areopagita, De Eccles.
Hierarc, cap. 6, che la tonsura clericale
' denota la vita pura e lontana dalle fin-
zioni. Si tosano dunque i capelli, ne ere-
scendo oculos iinpediant. Durando lib. 1 ,
cap. 1, acciocché i soverchi pensieri nou
TON ioj
offuschino la vista spirituale delle cose e-
terne. Alcuni sono di parere che si faccia
in memoria dell'ignomiuia fatta a s. Pie-
tro, il quale fu per beffa raso in Antiochia.
Sia come si voglia, dichiara Magri, certa
cosa è, essere segno d'onore e dignità, on-
de i vescovi e i cardinali la portano mag-
giore degli altri, e i Papi per molli secoli
e sino a tutto il XVII portarono la coro-
na all'uso de'monaci benedettini, raden-
dosi tutto il capo con lasciare un piccolo
giro di capelli, la qual forma è antichissi-
ma, come accenna il g.° concilio di Tole-
do col can. 4°: Ornnes clerici, vel ledo-
resy sicut levitae. et sacerdotes detonso
superius capite toto, inferiti» solimi cir-
cuiicoronata rclinquant.Noievò,c\ie for-
se da tal rasura del capo, i Papi cuopri-
vano la testa col Camauro (V.), e sebbe-
ne nel secolo decorso pare cessata l'ampia
tonsura e sostituita la grande chierica, pu-
re continuarono a far uso di tal berrettino,
però nel corrente rare volte costumato. 11
Magri che morì nel 1672, in proposito del-
l'ampiezza dell'antica tonsura esclama.
» Ma die diremo de' sacerdoti moderni,
li quali si vergognano di portare in capo
un contrasseguo cotanto glorioso, ovvero
portano la corona tanto piccola, che ap-
pena si vede? Il tutto manifesta la loro va-
nità e superbia. Infelice augurio era sti-
mato da'gentili, se cadeva la corona dal
capo del sagrificantej così indizio di po-
co spirito è il vedere sugli altari li sacer-
doti sagrificanti senza la corona clerica-
le. Costoro poca speranza avranno di con-
seguire il celeste regno di Cristo, mentre
si sono così poco curati di portare il con-
trasseguo d'essere annoverati tra'regi del-
la Chiesa santa, che sono i sacerdoti. Pian-
ge colai pazzia il ven. Beda con queste pa-
role. Quosdam clericos corona caput at-
tonsuni gestare pudet, quae ipsus passio-
ni s signum est. Si vergognano delle glo-
riose ignominie del Salvatore". I greci, ol-
tre la corona, sogliono anche nudrir la
chioma all' uso de' nazareni, per imitar
Cristo e i suoi apostoli. Questo costume
ioti TON
non pare essere stato antico nellaChiesa,
nella quale gli ecclesiastici non portavano
la chioma a tempo di s. Gregorio Nazian-
zeno, il (piale raccontando l'usurpazione
della cattedra di Costantinopoli fatta da
Massimo fdosofo, dice che i vescovi suoi
aderenti gli tagliarono la cinica chioma e
l'ordinarono vescovo. Ciò si conferma con
l'avvenuto a Teodoro di Tarso eruditis-
simo, che eletto da Papa s. Vitaliano ar-
civescovoin Inghilterra e suo vicario, dif-
ferì per 4 mesi la sua ordinazione, finché
gli crescesse la chioma per fare la corona,
poiché avea la tonsura all'uso degli orien-
tali di S. Paolo. Dal riferito si raccoglie
dunque, che piuttosto in occidente costu-
massero gli ecclesiastici portare la chioma.
Qnal fosse poi la tonsura di s. Paolo, pen-
sa il Magri che sia stata quella a suo tem-
po usata da'maroniti, i cui sacerdoti si ra-
dono il capo a usanza de'religiosi latini,
lanciando però un giro di capelli in cima
più piccolo dell'usato da'rnonaci. Alcuni
sacerdoti cristiani nell'oriente radevano il
capo in mauiera tale che venivano a for-
mar la croce; e vivente il Magri l'arcive-
scovo di Cranganoi jde'cristiani di s". Tom-
maso nell'Indie orientali, portava ia ton-
sura in forma di croce. Narra poi,che il mal-
vagio Simon Mago avea inventato una
stravagante tonsura usata da'suoi disce-
poli, i (piali si radevano il capo da un'o-
recchia all'altra, lasciando un solco o li-
nea, che dicevano significare la fascia del
zodiaco, essendo la loro testa tenuta da
essi simbolo del gloho celeste. Ne'tempi di
s.Girolamoe di s. Ambrogio, come si rac-
coglie da'loro scritti, i chierici non si ra-
devano il capo, ma si tosavano basso in
maniera tale, che non 'scoprivano la co-
lemia o pelle, forse per non somigliare ai
sacerdoti pagani. I giorgiani lutti portava-
no la tonsura in capo, cioè i laici in figu-
ra quadra e i chierici tonda. La corona
clericale fu detta anche Carrara, Peti . A u •
tioch., Episi, ad Cenila n.: Et nos Ghar-
raram in capite facimus in honorem
omnino Principis Apostolorum, super
T O iX
quem Dei magna Ecclesia aedi fica (a
estj quod enim impii ad Sanctum dif~
famandum exeogitarunt, id nos pie fa-
cientes in gloriarli illius agimus. I mao-
mettani e alcuni cristiani orientali si ra-
dono spesso tutta la testa, lasciando so-
lamente nel mezzo del vertice un fiocco
di capelli, sebbene i cristiani scrupolosi noi
portano, dubitando che sia un contrasse-
gno del maomettismo. Questo modo di ra-
dere la testasi praticava nell'Africa a tem-
po di Tertulliano, il quale scrive: luxta
ruteni tonsor, et cultri vertex iinmunis.
Apprendo pure dal Magri, che nel Sagra-
mentario di s. Gregorio I si legge un'o-
razione col titolo: Ad Capillaturam, la
quale per divozionesi recitava sopra i fan-
ciulli «piando si tosavano la [/volta, cere-
monia diversa dalla tonsura clericale. Do-
po segue un'altra orazione: Ad barbas
tondendas, la quale si recitava sui giova-
ni quando lai. "volta si tosavano la bar-
ba. Ora riporterò un sunto del p. Char-
don, Storia de' Sacramenti, t. 3, lib.i,
cap.3i Della Tonsura Clericale. Delhi
sua antichità, e delle sue figure in di-
versi luoghi e tempi. Che anticamente
non si dava separata dagli ordini. Quan-
do siasi cominciato. Il j>. Chardon inco-
mincia con riferire il seguente brano di
Fleury, Instit.au Droit Canonia. Ne1 pvw
mi secoli non v'era distinzione veruna fra
i chierici e i laici quanto a'capelli, allibi-
to e a tutto l'esterno. Sarebbe stato un
esporsi senza necessità alla persecuzione*
che vieppiù infieriva contro gli ecclesia-
stici, e inoltre i fedeli erano tutti compo-
sti nell'esteriore come se fossero stali chie-
rici. Dopo rimasta I.» Chiesa in libertà, nei
primi del IV secolo, i chierici mantenne-
ro l'ordinario vestire de'romani, eh' era
lungo co' capelli corti e la barba rasa. I
barbari che disti ussero l'impero romano,
tutto all'opposto aveano gli iibiti corli e
serrati, i capelli lunghi, alcuni senza bar-
ba e altri con barba lunghissima. 1 roma-
ni abbonivano tal vestito; e siocoroe quan-
do i barbari si slabilirouo ueluoghi con-
TON
quistati, tutti i chierici erano romani, co-
sì conservarono diligentemente il loro ve-
stire, che divenne poi abito clericale, di-
modoché quando i franchi e altri barba-
ri divenuti cristiani entravano nel elevo,
si facevano tagliar i capelli e prendevano
vesti lunghe. Circa quel tempo molti ve-
scovi e chierici assunsero l'abito che al-
lora solevano portare i monaci, come più
conforme alla modestia cristiana, e quin-
di per quanto si crede derivò la corona
clericale da'monaci che si facevano rade-
re sopra la fronte per rendersi disprege-
voli. Quindi osserva il p. Chardon, che il
portar la testa rasa era cosa ignominiosa,
qual segno di schiavitù fra gli antichi gre-
ci e romani; laonde si tosava alcuno per
beffa e vituperio. Pertanto i primi cristia-
ni e specialmente i chierici ambivano di
farsi tosare, per rendersi dispregevoli; e
per togliere l'occasione de'v3ni acconcia-
menti de' mondani per la capigliatura,
portavano i capelli cortissimi. Finite le
persecuzioni, non mantenendo la più par-
te de'cristiani l'antiea severità, le perso-
ne pie si distinsero dall'altre pel dispre-
gio alle chiome; e siccome gli ecclesiasti-
ci erano i più perfetti, non v' ha dubbio
che portassero i capelli tosati in dispregio
della vanità. Ciò fj intendere s. Grego-
rio .Xazianzenoallorchè rimprovera alcu-
ni, che per entrar nella carica pastorale
altra disposizione non recavano, che quel-
la di tagliar la chioma, al cui acconcia-
mento erano stati fin allora applicati. O-
treio vescovo di Melitene fiorito nel de-
clinar del secolo IV , avendo battezzato
s. Eutimio, gli tagliò i capelli e lo mise
nel numero de'lettori. Ciò dimostra che
la tonsura clericale è molto antica. Ma nei
quattro o cinque primi secoli della Chie-
sa, ella era piuttosto una dimostrazione
di modestia e di disprezzodelle vanità se-
colari, che un segno di distinzione de'mi-
nistri sagri dall'altre persone pie. Cono-
scendo s. Girolamo le costumanze delle
chiese d'occideute e d'oriente, rende testi-
monianza della mediocrità raccomunda-
TON 107
ta a'ehierici in tal punto, cioè che non col-
tivassero! capelli vanamente, né gli taglias-
sero troppo bassi per non a (fetta re di ren-
dersi osservabili, dovendosi tosare in mo-
do che non si vedesse la pelle. Avea già
il 4-° concilio di Cartagine ordinato: Clc-
ricus nec comam nutriat, nec barba/ti. I
monaci non si riputarono obbligati a sta-
re in questa mediocrità, molti di loro per
attirarsi il dispregio si radevano intera-
mente la testa, 0 si lasciavano crescere ec-
cessivamente i capelli e la barba. Benché
il loro stato di solitudine potesse scusare
ciò che sarebbe stalo biasimevole negli
altri ecclesiastici, che doveano nel mondo
convivere, nondimeno s. Girolamo stesso,
ch'era monaco, non approvava queste sin-
goIarità.Nel principio del secolo VI i chie-
rici cominciarono non solo a portar ton-
sura più visibile, ma ancora a tosarsi iq
circolo o in forma di corona. Verso la me-
tà di detto secolo, Magnerio vescovo di
Treveri facendo la visita di sua diocesi,
avendo inteso in Carignano la virtù e il
merito di s. Gery , che nel 58o circa fu
vescovo di Catnbray, gli die colle proprie
mani la tonsura clericale, orando per lui,
e ornatolo della corona reale e sacerdo-
tale, il consagrò per sempre al servizio di-
vino. Prova la medesima usanza della
corona ne'chierici in detto tempo, la de-
scrizione fatta da s. Gregorio Turonese
della nascita colla chierica di s. Niceta ve-
scovo di Treveri. »S. Niceta fu destiti ito
chierico dal suo nascere, poiché quando
venne alla luce, tutta la testa avea senza
pelo, com'è solito de'bamboli nascenti, ma
avea un cerchietto di piccoli capelli simi-
le alla Corona Clericale'. Anche Sido-
nio Apollinare, parlando di Germanico
vescovo, dice che avea l'abito stretto e i
capelli tagliati in circolo. Questa tonsura
era più grande dell'odierna, ed era più
simile a quella de'frati, che de'preli, oc-
cupando tutto l'alto della testa, e termi-
nandosi con un circolo di capelli.il 4° con-
cilio di Toledo ordinò che i chierici sieno
tonsurati, cos\ lettori, diacoui e sacerdo-
io8 TON
ti, cioè tosati nella parte superiore della
testa, lasciando di sotto una corona; e non
come usavano i lettori di Galizia, die a-
veano capelli lunghi come i laici, e porta-
vano tosato un piccolo cerchietto sul ca-
po, poiché in tal modo aveano usato ton-
surarsi gli eretici. Il concilio d'Aquisgra-
na e s. Isidoro di Siviglia raccomandaro-
no la stessa figura, e molli altri già ne fa-
cevano una stretta obbligazione. Anche
il p. Chardon dice che alcuni sostengo-
no ch'ella dovea esser tale, per rappresen-
tar la corona di spine del Salvatore; al-
tri che indicasse il reame e il sacerdozio,
perchè i re portavano in capo un cerchio
d'oro, e i sacerdoti dell' antica legge una
tiara; altri insegnano essere segnale d'im-
pero, con cui i chierici doveano regnar sul-
le proprie passioni, e che questa taglia-
tuia di capelli significava il taglio de'de-
siderii illeciti. Gli autori ecclesiastici poste-
riori all'Vin secolo pai lauo spesso e am-
piamente di tali significati della tonsura
chiericale,e 3 figure ne distinguono usate
allora- in vari paesi. Lai/ è la descritta,
che chiamavano tonsura di s. Pietro. La
2." quella de'monaci orientali, che si face-
vano tosar tutta la testa senza lasciar cir-
colo, e chiamavasi tonsura di s. Paolo. Gli
antichi bretoni ritirati nel paese di Gal-
les, nell'Irlanda e nella Scozia, aveano una
diversa tonsura e non portavano la coro-
na intera, ma solamente un semicircalo
sulla fronte raso da uu'orecchia all'altra,
e la parte posteriore del capo era coperta
di capelli.dimodochèsomigliavanoa quel-
li che sono naturalmenti calvi. Assai vi
volle per renderli in tal punto uniformi,
e si trattò di tal altare, come di punto ca-
pitale, da'conciliijda're e da'vescovi. Gl'in-
glesi per derisione attribuivano la tonsura
degli scozzesi a Simon Mago, chiamando
la propria di s. Pietro. Le dispute passa-
rono sino in Francia, ove si procede con-
tro s. Colombano e i suoi discepoli, ch'e-
rano tonsurati come i bretoni. Dall'anti-
che pitture si scorge che la tonsura roton-
da si mantenne lungo tempo nelle chiese
TON
di Francia, e il p. Chardon ne ricorda i
monumenti, e i decreti vescovili che l'im-
posero, l'ultimo essendo deh 638 di mg.r
Solminiac vescovo di Cahors. » Gli eccle-
siastici portino la tonsura larga eapparen-
te, ciascuno secondo il proprio ordiue, e
portino piccoli collarini, il capello corto
e le orecchie scoperte." Anticamente, co-
ni' anche adesso , nelle chiese orientali
non si separava la tonsura dagli ordini.
Non si conoscevano ecclesiastici di prima
tonsura, che sono sì comuni tra noi, e spe-
cialmente in Francia, ove la tonsura è un
sufficiente titolo per possedere i più ric-
chi benefizi, almeno ne'decorsi tempi. La
tonsura era una parte delleceremonie del
conferimento degli ordini, di che sono te-
stimoni tutti gli Eucologi antichi e mo-
derni, come può vedersi nel p. Morin. Essi
dicono: »» Si tosa in forma di croce quegli
che si ordina lettore, e il vescovogl'impone
le mani."Quest'usanza che anticamente e-
ra anche nostra, è attestata da moltissimi
scrittori delle due chiese,e usa vasi eziandio
di far lettori i piccoli fanciulli. Papa s. Si-
ricio del 385 decretò: Chiunque vuol de-
dicarsi al servigio della Chiesa deve rice-
vere il battesimo, ed esser fatto lettore in-
nanzi 1' età della pubertà. Anticamente
tanto era lungi, che si riputasse chierico
chi non avea ordini, che anzi nacque dub-
bio se dovessero contarsi nel clero quelli
che aveano i soli minori. A favor loro pe-
rò decise il 3.° concilio di Cartagine. La
tonsura vieneconsiderata da s. Isidoroco-
me unita agli ordini, e propria di quelli
che sono consagrati al culto di Dio; e chia-
ma chierici que'che sono ordinali in qual-
che grado ecclesiastico. La tonsurasi co-
minciò nella chiesa latina a darsi separa-
tamente dagli ordini, forse nel finire del
secolo VII, in occasione che molte buo-
ne persone offrivano i loro figli alla Chie-
sa, e pregavano i vescovi ad aver cura di
loro educazione; il che i vescovi fecero vo-
lonlieri, considerando quella gioventù co-
me un seminario proprio a dar soggetti
degni degli ecclesiastici impieghi. Li fa-
T O N
«vano allevare con diligenza, davano lo-
ro per maestro un vecchio, che d'ordina-
rio era l'arcidiacono, gli tenevano nel ve-
scovato, e gli facevano vivere in gran di-
sciplina. Ovvero li raccomandavano ne'
Monasteri (/ .) a1 monaci di carità e ta-
lentosperimentati,e siccome molti di que-
sti fanciulli per la troppa tenera età non
; potevano supplire ad alcun ministero, così
non lasciavanodi tonsurarli in segno della
1 loro consagrazione aDio,e davano loro l'a-
bito clericale, acciocché i loro genitori non
' li ritiiasserodal divin servigio. Ecco lafor-
; mola del conferir la tonsura verso il I X se-
colo, ossia YOratio adpuerwn tonsuran-
duin, cavata da un Ordine romano: » Si-
gnor Gesù Cristo, che siete Capo nostro, e
Corona di tutti i Santi, rimirale sopra la
fanciullezza del vostro sevvoN., ec.su per in-
fantìa famuli tiri etc."E questa senza dub-
bio, dice il p. Chardon col p. Morino, De
Sanctor. Ord., l'origine della separazio-
ne della tonsura dagli ordini. Il p. Mabil-
lon pretende che sia più antica, e ne reca
in prova tra le altre, che Paolo vescovo
di Merida, fiorito nel VII secolo, ordinò
che si tonsurasse Fedele suo nipote, indi
facendolo passare per tutti i gradi lo isti-
tuì diacono. Aggiunge perciò il p. Mabil-
loi), quantunque vero sia il dire, che sul
fine del VI secolo la tonsura d'ordinario
si dava assiemeco'primiordini,egli è certo
tuttavia che in quel tempo ricever la ton-
sura e divenir chierico era lo stesso; ou-
d'è che i monaci erano reputati chierici
a cagione della tonsura, che riceveanoper
mano de'loro abbati. Dimostra inoltre il
p. Mabillon, che fino al secolo X i sem-
plici sacerdoti davano la tonsura clerica-
le, e reca ancora più d'un esempio di lai-
ci, che la dierono ad altri laici, e i quali
perciò divennero chierici, ne'secoli infeli-
ci cioè, ne'qualiper entrar nel clero ba-
stava saper leggere e scrivere, ed un let-
tore doveainteudereciò che leggeva, men-
tre un sacerdote dovea esser cap;ice d'in-
segnare. Molto tempo dopo si cominciò a
fare per gli adulti ciocché facevasi pe'soli
TON 109
fanciulli.specialmente allorquando essen-
do i vescovi divenuti giudici di quasi tutti
gl'interessi civili e criminali de' chierici,
o per se o per mezzo de'loro uffiziali, piac-
que loro accrescere il numero di que'che
dipendevano da loro immediatamente.
Gran quantità di gente pigliava allora la
tonsura per godere de'privilegi del clero,
quali erano di portar le loro cause al giu-
dice ecclesiastico, di non poter esser tratti
al tribunal secolare per qualsivoglia de-
litto, e di non poter essere battuti senza
scomunica degli offensori, d' esser esenti
da taglie o imposizioni, ec. Questi privi-
legiaveano talmente aumentato il nume-
ro de'chierici, che molti maritali, i quali
in nulla distinguevansi dagli altri laici ,
portavano il nome di chierici coniugati.
Si trova un accordo fatto tra la comunità
di Meaux e i chierici coniugati, pel quale
questi sono esenti dal pagare le taglie, ma
non già le loro mogli. Si levarono poi que-
sti privilegi, il che fece disparire dapper-
tutto questi chierici coniugati, e special-
mente in Francia.
Il p. Bonnani , La Gerarchia eccle-
siastica, cap. 34 : Della tonsura cleri-
cale, la dice altro contrassegno dell'ordi-
ne, il r.° essendola veste clericale,dappoi-
chèil concilio di Trento definì: » Non so-
limi coronam, secl tonsura, sine habitu,
sed computative requiritur utrumqiu.'"
E l'ultimo concilio d'Aquileia dichiarò :
« Habitum clericalem declaramus cimi
esse, qui veste talari, et tonsura con-
statj si ex duobus alterimi deficit, dici-
mus clericalem habitum integrimi non
esse"D\ questo segno dell'ordine clericale
invidiosi gli erelici,procuraronodi toglier-
lo dalla gerarchia ecclesiastica e Io pose-
ro in derisione, principalmente i valdesi;
e poi l'empio Wicleff, il quale anche alle
donne attribuiva l'uffizio del sacerdote, e
perchè fossero i suoi discepoli derisi li fa-
ceva comparire rasi in capo. Dipoi Lutero
nel libro, De instiluendis Ecclesiac, bef-
feggiò e schernì acremente i chierici per
porlare la tonsura. Ma quanto s'ingan-
no TON
nassero questi furiosi nemici della chiesa
cattolica, in condannare i segni della stin-
tila clericale, impugnandoli contro l'anti-
ca autorità e uso praticalo da lutti i cat-
tolici colla sagra tonsura, lo dimostrò il
p. Bulinimi, celebrandone l'antichità usa-
ta dalla Chiesa sino dal tempo degli Apo-
stoli, benché confessa ignorarsene il pre-
ciso principio; aggiungendo sull'antico e
misterioso uso della tonsura la testimo-
nianza di s. Gregorio di Tours, De gloria
Martyrum, lib. i , cap. 28, e dicendo che
s. Pietro siccome costituito capo e guida
della chiesa nasceute, ad humiliiatcmdo ■
cendant caput desuper tonderi instituitj
e ciò fece ancora , secondo Alcuino, Di-
Tonsura clericali, ad simili tudinem spi-
nac coronae Domini. Il vescovo Saussay,
De Panoplia clcricalis seu de clcrico-
rurn tonsura et habitu, espose un'imma
gine dis. Pietro antichissima, e dal p. Bo-
nanni riprodotta a p. 1 34, io cui dice egli
si vede l'Apostolo uon calvo, ma tosato
nella cima del capo circolarmente. Dal-
l'esempio di s. Pietro, crede che la tonsu-
ra cominciossi a praticare nella chiesa da
chi era ascritto uel clero, il che però non
fu uniforme in tutti e nemmeno negli a-
posloli, riportando quanto ne scrisse Be-
da, del qual parere furono oltre il citalo
s. Gregorio, s. lsidoro,De divin. qfjìc. cap.
4, e Geolfrido abbate presso lo stesso Be-
da, /list. Augi. Non si sa però, soggiunge
il p.Bonanni,seiinmediatamente nel tem-
po di s. Pietro, ovvero negli anni poste-
riori si mantenesse quest'uso negli anti-
chi ecclesiastici, oppure fiorisse dopo che
fu resa la pace alla Chiesa. Il Tomassini,
De. nova, et veteri Ecclesiae disciplina,
cap. 3j:De clericorum tonsura, seguen-
do il parere del dotto Pietro Elallier, giu-
dicò essere più probabile, che ne'primi 5
secoli fosse ordinato a' chierici, che por-
tassero i capelli alquanto più corti de'se-
eolari, e che nulla si prescrivesse circa la
tonsura o chierica, e ritiene non verosimi-
le che il clero apparisse con lai distintivo,
per cui in tempi pericolosi delle persecu-
TO N
zioni potessero gli ecclesiastici facilmente
essere riconosciuti dagl'infedeli. Dice pu-
re, che se s. Gregorio di Tours scrisse: Pe-
trus Apostolus ad hiunilitalem doccn-
dam caput desuper tonderi insti tuit, non
fu pe'soli ecclesiastici, ma per tulli i fe-
deli, e <;he si deve intendere, che non do-
veano fare la chierica o Corona, ma sola-
mente per modestia tosare i capelli, onde
fossero più collidi quelli degl'infedeli. 11
vescovo Saussay volle sostenere per vero
il decreto di s. Aniceto, secondo altri al-
terato, e si studiò provare che tutti del cle-
ro, anche in tempo delle persecuzioni, por-
tassero la tonsura sino al tempo di s. Sil-
vestro I, come apparisce dall'antiche im-
magini di musaico e da'eodici antichi; ed
il p.Bonanni riportò alcune favorevoli te-
stimonianze della tonsura portata all' e-
poca delle persecuzioni, onde da' tiranni
fu derisa e tormentati chi l'avea, secondo
le sue narrazioni di s. Benigno, di s. Cri-
solio, di s. Ferreolo, di s. Ferruzione, di
s. Patroclo. Anzi dice che nella Ilierarc.
eccles. cap. 6, di s. Dionisio Areopagita,
fiorilo nel i. "secolo, così descrisse il rito
della tonsura al suo tempo. Sacerdos cum
signo crucis coiisignatum tondet, irei
Personas divinac Dealitudinis invocan-
do,omnique veste detracta , cum alia in-
duit. Sicché conclude, in cjuel tempo si
praticava la tonsura, e si conferiva a chi
voleva essere ascritto al elei o. Se però l'u-
so fosse costantemente continuato da tut-
ti, è cosa dubbiosa, mentre per 1' una e
l'altra parte vi sono argomenti favorevoli.
Avverti però l'eruditissimo e ricordato
abbate Geolfrido, che nella chiesa antica
fu diversa la tonsura del capo circa la for-
ma, poiché ciascuno la variò secondochè
la stimava essere più conveniente, e ac-
costarsi ul misterodi quella usata dal prin-
cipe della gerarchica ecclesiastica s. Pietro.
I monaci cominciarono a usar la totale
rasura del capo, perchè godevano nell'es-
ser derisi per amore di Cristo. Il p. Bonau-
ìu dopo altre testimonianze prò et con-
tra, dichiara: che ue'3 primi secoli tra le
T ON
turbolenze della Chiesa fu praticato l'uso
della tonsura, ma senza alcuna legge sta-
bilita, onde i chierici molte volte appena
si potevano distinguere da'secolaii; quin-
di passa a trattare nel cap. 35: Come fu
stabilito nella Chiesa Fuso della tonsii'
va. Riferisce die Marlene rifiutò la sen-
tenza di quelli, i quali affermano, che la
tonsura clericale in forma di corona co-
minciasse nella fine del V secolo ; che si
praticasse nel principio del III secolo e si
mantenesse sino a s. Leone I del 44°> s'
lia dal Saussay. Tale usanza dopo s. Leo-
ne I fu poi praticata non solamente da'
Papi e da' vescovi, ma anche da lutti gli
ascritti al clero, a' quali tutti secondo i
gradi di ciascuno fu prescritta, e confer-
mata da costituzioni, sinodi e concilii ge-
nerali, rammentati col decretato dal p.
Bonanni. Chiaramente nel sinodo d' Ir-
landa tenuto da s. Patrizio nel 456, col
! can. 6, si scomunica il chierico, che non
purta la tonaca e la tonsura. Di s. Gre-
gorio 1 del 590, afferma il contempora-
neosuostoricoGiovanui Diacono, che nel
, suo capo era, corona rotimela, ctprctio-
sa, capillo sulmigro, et dece/iter intor'
to sub auriculae medium propendente.
\ Nel concilio del 6qo di Costantinopoli si
determinò : rasi qui tonsura sacerdotali
iisus fuerit. Da tutte le leggi e decreti per
la tonsura non si potè ottenere la sua u-
, niformità, beuchè tutti convenissero nel-
l'unità della fede, come nelle liturgie e ri-
ti tulli ipopoli non furono conformi, si-
no da' tempi degli Apostoli che promul-
garono l'evangelo. I greci si distinguono
da latini, poiché menti e questi tagliano!
capelli intorno all'orecchie (però non tut-
ti) e sopra il capo hanno la chierica ton-
da, i greci l'usano, ma conservano i ca-
pelli lunghi e li lasciano pendere verso la
schiena, benché dall'antiche immagini de'
santi greci rilevasi l'uso contrario: i greci
. oltre i capelli lunghi nutriscono la barba,
che i latini si radono. Noterò col Thiers,
che la chiesa greca usa i\ue tonsure, una
de'battezzati, e degli ordinanti l'altra, se-
T O N in
condo l'Arcudio,Z)cj Tons. lib. 6, notis ad
Euchol., e il p. Goar, ad Ora tio capi l-
lorum. La 1 .'è quella che il sacerdote con-
ferisce a'bambin'1,0 nel battezzar!i,ovvero
8 giorni dopo il battesimo, e talvolta an-
che più tardi. Questa non gli alza sopra
i laici, ma solamente dimostra chela of-
frire a Dio i capelli, che loro si tagliano,
si consagrano per sempre al suo servigio.
Questa tonsura era altre volte ancora in
uso nella chiesa latina. La 2." tonsura elei
greci è quella che il vescovo conferisce a
coloro, che sono disposti a ricevere gli or-
dini, e questa propriamente è la tonsura
clericale. Arcudio stima che la 1 /tonsura
sia abusiva, ma viene confutato dal Thiers
col p. Goar, come non del tutto istruito
nelle pratiche di sua chiesa greca. Quan-
to alla 2.a diesi conferisce a'ieltori e ai
cantori nell'ordinazione, il lettoreeil can-
tore colle preghiere e leceremonie lascia-
no iloro capelli e li consagrano a Dio. Do-
po che si sono tagliati i capelli al cantore
in forma di croce in 5 parti della testa,
il diacono dice: Preghiamo il Signore, che
in luogo de'capelli, che gli sono stali ta-
gliatagli donil'amoredella giustizia e del-
la virtù. Il vescovo prega che il cantore
riceva la medesima benedizione, che rice-
vè il sommo sacerdote Melchisedech, do-
po che da Abramo per ordine di Dio si
fece tagliare i capelli. Dopo che il canto-
re si è fallo tagliare i capelli, il vescovo
prega Dio a dargli la grazia d'osservare
i suoi comandamenti con ogni sorta di ri-
spetto, di timore, di santità e di giustizia.
Il vescovo inoltre domanda aDio la per-
severanza pel cantore in tutte le funzioni
dell'ordine, che potrà ricevere IO avve-
nire, e ciò in considerazione d'essersi fat-
to tagliare i capelli per amor di Dio. Il
vescovo domanda pure a Dio, che com'e-
gli mandò Abramo p<:r tagliare i capelli
a Melchisedech, eche f<\ vori delle sue gra-
zie gli Apostoli allorché gli assistè quan-
do si tagliò ad essi i loro capelli, ispiri an-
cora al lettore, per e>se:si tagliati i pro-
pri a im Unione di Melchisedech e deg'i A-
uà TO'N
postoli, l'amore della giustizia e della san-
tità de'costumi, affinchè vivendo secondo
la sua santa legge meriti d'assidersi alla
sua destra nel posto de'predestinati. Ag-
giungerò quanto il vescovo Sarnelli dice
nelle Lettere ecclesiastiche, t. 8, lelt. 5:
Della tonsura clericale, presso i greci.
La tonsura de'bambini battezzati è una
ceremonia presa da'nazareni, rito che se-
condo s. Cirillo gli ebrei appresero in fi-
glilo, e che da Dio per Mosè fu trasferi-
to nella legge, per non distorti del tutto
dalle ceremonie da loro vedute tra gli e-
giziani. Quanto alla tonsura ecclesiastica
del cantore e del lettore, edalla storia che
Abramo per comando di Dio fece taglia-
re i capelli a Melchisedech, e che il Sal-
vatore fu presente quando gli Apostoli se
li tagliarono, al Sarnelli sembra apocri-
fa,giacché ueW lùteo logio stampato a Ve-
nezia nel i6g3,nell'orazionedeir^rttfg7JO-
ste o Psalle, che vuol dir lettore e can-
tore, non vi è tale orazione, percui e per-
ciò che riporta la crede priva di foncla-
inen'o. Osserva poi, che non prima del
secolo IX i greci lasciarono crescere la
chioma per odio de'latini, sotto l'intruso
patriarca Foca, radendo in giro solamente
i capelli di sotto sicché la tonsura non ap-
paia. Nel rito greco non vi è altro ordine
minore, che la tonsura, sahnistato e let-
torato, che formano un ordine minore e
si danno tutti insieme. Tornando al p. Bo-
nanni, il clero latino mantenne l'uso dei
capelli tagliati sino alle orecchie, dal qua-
le differiscono i monaci, poiché questi ra-
dono il capo totalmente (cioè alcuni), la-
sciando solamente un piccolo giro di ca-
pelli sopra le orecchie in forma di coro-
na (quelli che non si radono il capo col-
le forbici formano un solco da una tempia
all'altra, in forma di corona). Sono anche
differenti molti religiosi, principalmente i
francescani, i domenicani ed altri, i qua-
li hanno la chierica larga e ritengono una
corona di capelli, che circonda tutta il ca-
po sopra le orecchie. Queste diversità il
p. Rumami le di musila cou 8 immagi ut
TON
e ciascuna colla sua tonsura o chierica : la
r/del greco con capelli lunghi e avente
la chierica più verso la fronte; la 2.a del
francescano con grande chierica e larga
corona di capelli , ossia la testa è tosata
tranne tal corona; la 3.a del cappuccino
con barba lunga, ma del tutto tosato, ciò
che oggi non si usa interamente, poiché
la loro larga corona di capelli restando più
in alto, la grande chierica è verso la fron-
te, ossia propriamente sulla sommità del
capo, come anticamente praticò il resto
del clero; la 4-* del monaco con testa tosa-
ta, eccettuato una stretta corona di capel-
lina 5.a del sacerdote secolare colla chie-
rica ordinaria sulla parte posteriore del
capo; la 6/ del vescovo con grande chieri-
ca; la 7/ dell'eremita con barba lunga e
testa tosata; l'8.a del chierico secolare col-
la chierica un poco più piccola del sacer-
dote. Indi dice del costume de'giorgiani,
i chierici con grande tonsura tonda in ci-
ma alla testa, ed i laici con tonsura qua-
dra. Ricorda la discorsa tonsura imposta
a'Iaici polacchi da Benedetto IX, e dice
che universalmente parlando, la forma
della tonsura clericale dev'essere tonda,
come si prescrive da'sagri canoni, ma la
grandezza non trovasi determinata. Il con-
cilio però di Salisburgo del 1274 avver-
te che la chierica del chierico dev'essere
differente da quella del sacerdote, e che
questa dev'essere maggiore. Già il conci-
lio 4-° di Ravenna avea dichiarato: Si in
sacris Clerici fueriut, aut beneficiati in
Ecclesia cathedrali, vel collegiata vene-
rabili , ad servandam conditionem sui
status, por te nt latiorcm^alii vero medio-
cre/n, vel minorali suis statibus convc-
nien te/n. Il concilio di Toledo deli 47 3 col
can. 1 4 prescrisse a'chieiici di quella chie-
sa la chierica quantitatis unius regali*
etc, la quale forma è simile a una parai
cola della comunione. Crebbe poi col tem-
po la forma della chierica, e raccomanda-
ta al suo clero di Milano da s. Carlo, on-
de fu usata da' sacerdoti grande quanto
un'ostia della messa, e tal forma somigliò
T 0 N TON i . 3
aquella ordinata neh 5t)o dal concilio di Giulio I, Liberio, Si rido, Innocenzo f,Zo-
Tolosa con queste parole. Tonsura sit sioio, Celestino I,e dagli altri sino a Giulio
conspicua, non eaquidem in omnibus eie- 11, che dopo la presa diBologna e per incu-
ri<is una, sed major sacerdotali*, digi- teremaggiore riverenza seta lasciòcresce-
tis tribus undequaque a vertice pateatj re; quindi pel sacco diRoma fece altrettan-
duobus diaconalis, angustior minorimi toClemente Vile fu imitato da'successori,
ordinimi omnium, sit minima, et digito finché nel secolo XVII cominciandosi da'
widique sit dedite ta. Perchè tal segno Papi in parte a raderla, lasciandosi i balli
dell'ordine clericale sia di forma tonda, e la barbetta al mento (che aveanopro-
dillusamente viene spiegato da Saussay, scritto diversi condili, presso il Sarnelli,
par. i , cap. i della Panoplia cleriealis, e il quale con lettera del 1 685si scagliòcon-
nel cap. 3 espone le significazioni morali tro le barbette, i baffi egli scopettini che
e mistiche della medesima tonsura. Op- usavano nel volto gli ecclesiastici, e con-
pongono molti alla tonsura usata dalla tribuì ad eliminarne il costume, della pie-
chiesa latina l'usanza de'greci,i quali sic- cola barba specialmente o barbetta del
come nutriscono la barba ei capelli, sono mento, portata co'baffi anche da'eardina-
usanzenon riprovate, ma anzi approvate, li, prelati e altri), completamente se la ra-
E poi molte cose che sono lecite a'greci, se Clemente XI e fu imitato da'successo-
noi sono pe'latini,come il matrimonio ai ri. Termina il p. Bonanni con dire, che
diaconi e la consagrazione del pane fer- tale rasura fu praticata uella chiesa d'oc-
mentato de'sacerdoti. Come i latini non
riprendono perciò i greci, cosi questi non
devono impugnarci latini. Forse l'uso del-
la chiesa greca di nutrire la barba e i ca-
cidente in quasi tutto il clero; essere lo-
devole e perciò praticata anche dagli or-
dini monastici , perchè con essa si priva
l'uomo d'un ornamento per dimostrare
pelli procede dalla legge antica, come si la servitù a Dio professata (come fanno
legge nel cap. ig del Lenitico, Ne radetis le Religiose col taglio de' capelli nelle
barbam, confermando tal uso il concilio loro professioni, il che ricordai nel voi.
di ÌVicea cou addurre l'esempio di s. Pie- LXIX, p. i4°)- Ricorda per ultimo l'av-
tro e di s. Paolo. Che l'avessero anche gli verlito e il riportato dal Sarnelli , che
altri apostoli, loconfermano le pittureati- anticamente costumavasi dal vescovo nel
tiche, e si legge in s. Dionisio e altri Pa- farsi la prima tousura de' capelli, di ese-
dri de'primi secoli, ed il costume fu rite- guir pure quella della barba, con forinola
nulo da tutta la chiesa greca. Presso i la- riportata in fine del Pontificale : Quan-
tini fu vario l'uso della barba, poiché in do primo clericis barbae tonde tur dici
molte immagini antiche de'Papi si vede debet, Pontifice sedente, cum mitra, an»
la barba, e quelle senza, dice il p. Bonanni, tiphona.n Sicutros Hermon,quidescen-
indicano forse che volessero imitar s. Pie- dit in Montem Sion, sic descendat super
tro loro capo e predecessore, il quale per te Dei benedictio" . Psalmus » Ecce quani
ludibrio fu da'gentili raso, barba rasus, bonum" cimi Gloria Patri tic. Quo ex-
et capite decalvatus. Ma siccome vedesi pleto repetitur Antiphona » Sicut ros".
l'immaginedis. Pietro barbata.credeSar- Qua finita, Ponti/ex deposita mitra
nelli che gli crebbe nelle carceri, ove non surgit, et stans versus ad illuni, dicit:
potè farsela radere dal barbiere;e ben con- » Oremus. Deus cui provi denti a, omnis
siderando la sua effigie, si vede la barba creatura incrementis adulta congau-
cresciutaad un volto raso, per esser corta det,preces nostras super hunc famulum.
ed eguale in giro. Tale rasura, come notò tuimi j uveiti lis aetate decore laetantemj
Saussay, fu mantenuta ne'primiPapi i ss. et primis auspiciis attondendum exau-
Cleto, Sisto I, Aniceto, Pio I, Fabiauo, di, ut in omnibus protectionis tuac mu-
VOL. I.XXV1I. 8
i.4 TON
in'iu.s auxilio, aevoque largiord prove-
ctuspraescntis vitaepracsidiis gamica/,
ctfuturae. Per Dominimi nostrum eie."
]| quale antico istituto fu inculcato da s.
Carlo Borromeo nella lettera pastorale dei
3o dicembre i S^Gjdie tenacissimo dell'ec-
clesiastica disciplina, dolente di veder io-
ti adotta la corruttela di nutrire la barba ad
imitazione dc'mondani, volle rimediarvi.
Esortò tutti gli ecclesiastici paternamen-
te a portar la barba rasa, dimostrando
quanto ciò convenisse, ed egli stesso ne die
l'oempio. 11 dotto vescovo Sai nel li ci die-
de, oltre hi ricordala lettera, 3 altre let-
tere nel 1. 1 : Lelt. i o, Deliaca/ionica che-
ricale corona. Lelt. i i , Apologia intor-
no alla lettera antecedente della cano-
nicachericale corona. Lelt. 1 i, Della ca-
nonica tonsura o rasura della barba
chericale. In queste eruditissime lettere
viene riferito con qualche diffusione e ri-
produzione di testi e di canoni, quanto già
in questo articolo e ne' relativi ragionai
sulla cbiericale tonsura, o corona o chie-
rica, e sulla barba cbiericale, suoi signi-
ficati, simboli e spiegazioni che le furo-
no date. Perciò ora solo mi limiterò ad
accennare qualche tratto che reputo me-
ritevole. I chierici non dovere radersi tut-
ta la testa, per non mostrare di giudaiz-
zareco'nazarei, né d'imitare i superstizio-
si sacerdoti gentili che radevansi tutti i
peli del corpo e i capelli del capo. Chia-
ma la tonsura clericale, rito d'antichissi-
ma tradizione, ed accettala da ogni pro-
vincia nel ricevere la fede di Cristo; ed es-
sere composta la corona cbiericale di ra-
sura e di tonsura : Duplex corona, cir-
cui/ìpositacapili Sacerdotis,come la no-
mina s. Germano. La rasura è nella cima
del capo e rotonda, della grandezza con-
veniente a ciascun ordine; la tonsura cir-
concide i capelli in modo di sfera, sicché
la corona è formala dal capello che lun-
go pende dalla rasura infìuo sull'orecchio
o al più alla metà di questo, perciò non
saper lodare coloro che si tosano tutto il
capo, sembrandogli udir Geremia, che di'
T O N
ca: Cecidit corona capi tis nostri. Chedel-
la rasura e tonsura, che formano la coro-
na cbiericale, sono pieni i sagri concilii si
generali come nazionali, provinciali e dio
cesani , che la comandano sotto peccato
mortale e pena della scomunica a' Ira*
sgressoii. 11 Sarnelli ne riporta i canoni, iu-
clusivaineute al concilio di Trenlo,alle re-
goleecclesiastiche,non menoche al seguen-
te contenuto dell'editto d' Urbano Vili.
>•■ Che tutti quelli, chesono nell'ordine sa-
gro, ovvero che tengono benefizi ecclesia-
stici, o servono con salari nelle chiese, por-
tino la tonsura chericale della grandezza
conveniente all'ordine e grado di ciascu-
no, e talmente apparente, e così spesso rin-
novata^ che si possa ben vedere, e che non
portino capelli o ciuffi increspali o ricci, uè
chesieno più alti sopra lafronte,ovveroche
ricaduto dalle parti di dietroodallebaudc,
ma che sieno pari e di eguale e moderata
lunghezza". Sul canone del concilio di To-
ledo del 633 avverte Sarnelli, che siccome
l'avere i chierici accorciata la capigliatu-
ra in giro è il vero istituto, così tosar tutto
il capo o raderlo interamente nella parte
superiore fu comandato da tale canone,
acciocché i cattolici si distinguessero da-
gli eretici. Dichiara quindi, che la rasura
nostra esser dee ne'sacerdoti grande quan-
to un'ostia della messa, ne'diaconi alquan-
to più piccola, ne'suddiaconi ancora meno,
ecosì di grado in grado; ma che ninna, per
piccola che sia, non sia minore d'un'oslia
piccola o particola della comunione. Dice
poi che tra la tonsura de'chicrici e quella
de' monaci vi è stata sempre differenza,
poiché i monaci usarono di radersi non
pure la cima, ma anzi tutta la testa, signi-
ficando così la loro professione, e perché
il radere il capo fu simbolo di pianto e di
tristizia anco nella s. Scrittura, come si
leggedi Giobbe quando ebbe le nuovedel-
la perdita delle cose sue, e tosandosi il ca-
po adorò e benedì il Signore, presso Isaia
e Michea, ed altresì presso i gentili. ISuu
bastare il portarla chierica, essere neces-
saria pure la tonsura del crine, che giri su
T O N TON n5
per P orecchie e che non cuopra la cer- Dei , crine pracciso innovcnlur , ut hoc
vice ; e che i greci oltre la chierica devo- signo, et religione vilia reseccnlur, et
no portare l'inferiore tonsura, e non nu criminibus carnis nostrae , quasi crini-
trire la chioma come fanno, la quale de- bus,exuainur, expoliantes nos vetcrem
v'essere accorciata in forma di corona. De- lioniinemcuni actibus suis rfuamrenova-
plora Sarnelli que'latini, che tengono la tioneni in mente oportet fieri ',sed in ca-
thioma rilassata senza scrupolo e vergo- pite clemonstrari nb ipsaméns nosritur
gna, e però tali preti doversi rigettare dal- h ahi la re, come dice s. Isidoro, De divìn. of-
l'altare, pe'canoni che riproduce,e la bolla fic; non che distia grandezza emisteriosi
Cum sacrosanctam dì Sisto V del 1 3 gen- significati. Dice quindi che il concilio di
naioi 588 01589; concludendo, che solo Trento prescrisse a' giovani cheentrava-
gli eretici impugnarono la corona cleri- no nel semiuario, Tonsura statini, a tane
cale. Quanto aHa lettera sulla Barba, per liabitu clericale scinper utentur. Questa
tale articolo e pel qui riportato col Sar- dichiara l'unica ceremonia, con cui do-
nelli, sia della rasura che della tonsura, veansi ricevere gli alunni, incombendo al
altro non mi resta a dire col dotto vesco- direttore di fare ad essi comprendere l'alta
vo, che siccome la chericale corona de'ca- slima, con cui debbono ritenere la tonsu-
pelli da' Padri è spiegata per quella di spi- va,e custodire fedelmente l'abito clericale,
ne del Redentore; così la barba nuda di Su tal riflessogli antichi Padri prescrisse-
peli, ne denota Io sveltimento de'peli della ro la tonsura patente, eziandio colla pena
barba del medesimo; per la quale egli ti- di rigorosi anatemi, come può vedersi nel
rato e strascinato fu nel colmo de'suoi do- cap. Si quicx clericis 23, dist. 23, e ne!
lori, come afferma Taulero , De vita et cap. 4> Oc vita et hontsU cleric. Che il
Pass. Clirist. e. 17 : Lnus quidem sputa concilio di Trento, benché più mite, or-
in facicm ; alius in caput, aliusin collo dinò che i disubbidienti fossero privati de'
pugnos ingenerabat j liic crinibus , ille privilegi del foro e de'beuefizi allorché li
barba trahebat. Quindi è che s. Pietro, abbiano; lo stesso con maggior vigore fu
cui per obbrobrio de' gentili gli fu raso inculcato colla detta bolla di Sisto V, e
il capo e la barba, e in riflesso ancora al poi da Benedetto XIII colia bolla Catho-
pntito nella Passione dal divin Maestro, licae Ecclesiae,óe2 maggio 1725. Il Cec-
volle che quanto gli accadde per ignomi» coni compendia quanto riguarda questo
nia, restasse ne'ministrideH'altareper mi- grave argomento con dichiarare: Che il
stero. Ed Onorio Augustudunense spiega: chierico mediante il taglio de'capelli di-
Quia autcni barbam radiinus,imberbes venuto volontario schiavo del Signore, co-
pucros similamus, quos si humìlitate i- ine i Nazarei, interamente si consagra al
mitabimur, Angelis qui scinper j'uvenili suo servigio. Con questo segno esterno di
ac tate flore nt > aequabimur. Il vescovo religione si ricorda a lui di dovere elimi-
Cecconi , Istituzione dei Seminarli . di- naie i suoi vizi, e procedere con vita tni-
scorre della chierica e tonsura clericale gliore.Deponendoegli la superfluità de'ca-
nell'anlica legge da Dio ordinata , Tunc pelli e spogliandosi dell'uomo vecchio colle
radetur Nazaraeus ante ostium taber- sue azioni, viene a liberarsi da ogni delitto
naculi faederis cacsariae consecrationis delta carne, e questa rinnovazione è d'uo-
suae, lolletque capìllos cjus et ponet su* pò farla nella mente e dimostrarla nella
per igfw.'ii, qui est suppositus sacrificio testa ove i pensieri hanno la loro sede. Che
pacijicorum; e nella nuova legge intro- se l'autore óeWEccles. Gerarchia, dice
dotto lo slesso rito dagli Apostoli, in per- che la rasura è segno di mestizia, vuole
sona di quelli che volevano consagrarsi al s. Paolino che sia ornamento di castità e
Signore, quasi Nazaraci , idest Sancii di pudicizia, e s. Gregorio l un taglio lo-
n6 TON
tale d'ogni pensiero terreno per attende-
re più liberamente alla celeste contempla-
zione. Soggiunge il Cecconi, che egual-
mente misteriosa èia chierica nella som-
mità della testa, la quale in altri tempi
costuma vasi in forma di corona, fatta dal
taglio de' capelli come si ritiene dal Pa-
pa (cioè sino al tempo suindicato) e quasi
da tutti i regolari. Nel distaccarsi gli ec-
clesiastici dall'aulica disciplina, restrinse-!
ro la chierica in modo, che convenuo-al
concilio di Palencia del 1 386 prescriverla
nella grandezza d'un'ostia, e permaggior
autentica fu appi ovato e confermato dal
Papa Urbano VI. Finalmente osserva, a
maggior confusione di coloro che quasi
hanno rossore di portar sì nobile distin-
tivo, che alla chierica si attribuisce il pre-
gio come ad una caparra del futuro regno
promesso al reale loro sacerdozio. Men-
tre pe'suoi misteriosi significati con isti-
ma devesi assumere la tonsura e la chie-
rica, e da essi si apprende con qual mag-
gior pregio devesi ritenere sì l'una che l'ai-
tra,neH'interno colla coerenza de'pensieri,
e nell'esterno mediante i discorsi e le a-
zioni ad entrambi sagri sentimenti corri-
spondenti. Questo è quanto in ristrette
proporzioni potei raccogliere sulla tonsu-
ra e chierica degli ecclesiastici, dal molto
che ne fu scritto, avendone trattato oltre
i ricordati autori anche i seguenti. Il Fog-
gini, ilp. CoronellijilDumesnil, il p. Sec-
carelli, il p. Morino, Exercitatio de ton-
sura clericali pai". 3. De sacr. Eccl. Or-
din. ;\\ p. Mabillon, Observatio de ton-
sura laicorum, clcricorum,et monacho-
rum, in Pracf. ad Ada ss. Ord. Bencd.
saec. in, par. i . P. Stellarlii, De coronis
et tonsuris paganorum, judaeorum, et
christianoru/n, Duaci 1625.
TONTI Michelangelo, Cardinale.
Nato di mediocri genitori in limoni, ma
oriundo da Cesena, per procacciarsi gli
alimenti si applicò all'esercizio della mu-
sica, non meno che alla scienza legale, al
cui studio si die a insinuazione del pa-
dre nell'università di Bologna, nella qua-
TON
le fu laureato ancor giovane con fama
d'insigne dottore. Trasferitosi in Roma,
trovò pronto ricetto nell' ospedale di s.
Piocco, con l'impiego d'organista di sua
chiesa; non però trascurò l'esercizio della
curia, la quale gli aprì la via alle supre-
me dignità ecclesiastiche. Destinato da
Francesco Borghese in procuratore delle
cause di sua casa, per mezzo del fratello
Orazio fu fatto conoscere all'altro fratel-
lo cardinal Camillo Borghese, il quale di-
venuto Paolo V lo prese al suo servizio.
Indi tutti gl'interessi della casa Borghe-
se furono affidali alla sua diligenza e fe-
deltà, ed inoltre venne assegnato per u-
ditore generale al cardinal Scipione Caf-
farelli Borghese nipote del Papa, presso
il quale porporato in breve giunse a tal
grado d'autorità, che trattava non solo
gli affari privati della famiglia, ma i pub-
blici ancora della camera apostolica. Pao-
lo V lo fece canonico Lateranense e nel
1608 arcivescovo di Nazareth nel regno
di Napoli, che non esigeva personale re-
sidenza; indi a'24 novembre lo creò car-
dinale prete di s. Bartolomeo all' Isola,
arciprete di s. Maria Maggiore, pro-da-
tario e protettore de'minimi. La sua in-
fluenza giunse a sì alto punto presso il Pa-
pa,che parve facesse ombra ailostesso car-
dinal nipote,onde nel 1609 fu trasferito al
vescovato diCesena,e dopo 3 anni sembrò
che la fortuna si stancasse dal favorirlo,
poiché decaduto a poco a poco dalla pon-
tifìcia grazia, non si sa se per colpa pro-
pria o per altrui invidia e gelosia, fuco-
stretto ritirarsi da Roma e condursi alla
sua diocesi di Cesena, dove si trattenne
fino alla morte di Paolo V, nel qual tem-
po non mancò d'arricchire quella chiesa
di rara e preziosa suppellettile e di sagre
reliquie. Lasciò alla sua patria un fondo
per alimentare 3 giovani, che applicasse-
ro allo studio della legge e da nominarsi
dal capitolo; restaurò la chiesa di s. Eu-
femia deformata da un fortuito incendio,
e donò alla cattedrale ricchi arredi, e per
mostrare la sua gratitudine e riconosccu-
TOP ^
za a Paolo V suo beuefattore, eresse nel
santuario di Loreto una cappellani?» con
l'obbligo della messa quotidiana perpe-
tua in suffragio della di lui anima. Negli
ultimi anni del vivere suo fondò sulla sa-
lita di s. Onofrio un collegio per mante-
nervi 1 1 giovani, il quale in breve acqui-
stata gran riputazione, divenne angusto
per la moltitudine de' nobili convittori
che d'ogni parte vi concorrevano; laonde
fu stimato necessario di trasferirlo nel pa-
lazzo medesimo del fondatore, ch'è quel-
lo slesso in cui di presente ancora fiori-
sce il Collegio Nazareno (J7-.), nome che
prese dal suo antico arcivescovato, e di-
poi istituì erede universale de'suoi beni,
volendo che fosse governato da'religiosi
delle Scuole Pie [fr-\ che tuttora lo ri-
tengono. Questo cardinale, sebbene in o-
ligi ne povero di beni di fortuna e oscuro
per nascita, fu assai illustre e commenda-
bile per la nobiltà delle azioni e pel can-
dore de' costumi, e perciò degno di sua
fortuua. Fu ancora benemerito della cu-
ria romana, perchè esercitando la carica
di datario con suprema autorità, unico
suo scopo fu sempre di promuovere sog-
getti meritevoli, senza alcun riguardo al
proprio genio e soddisfazione, o a' suoi
privali interessi. Intervenne al conclave
di Gregorio XV, dopo il quale chiuse la
carriera del viver suo in Roma nel 1622,
di 56 anni, ed ebbe la tomba nella chie-
sa del Gesù con onorevole epitaflìo, posto
avanti l'altare di s. Ignazio dal nipote An-
tonio Tonti.
TOPARCHIA. Signoria, governo d'un
luogo,d'unaprovincia;piccolostato,picco-
lo governo composto d'una sola città obor-
go,o d'una piccola provincia o regione: ter-
mine greco che significa luogo e coman-
do. Quindi si disse Toparco o Toparca
il possessore o governatore d'una topar-
chia ; e Procopio cos\ chiamò 1' armeno
Abgaro re d'Edessa, e toparchia il suo re-
gno. La Giudea fu un tempo divisa in
io toparchie, al diredi Plinio. Neh.0 lib.
de' Maccabei parlasi di 3 toparchie, cioè
TOR 117
d'Aphaereraa, di Lida e di Ramatila. A-
phaeremafuuuadelle3 toparchieaggiun-
te alla Giudea da're d'Assiria, e probabil-
mente è la stessa che l'Ephrem o Ephraim
notata in s.Giovanni. però vi fu rono due cit-
tà omonime, l'una nella tribù d'Ephraim
verso il Giordano, I* altra nella tribù di
Beniamino a 8 miglia circa da Gerusa-
lemme. Lida o Lìdda o Dioyìoli fu oc-
cupata da'beniamiti reduci da Babilonia,
indi divenne toparchia distinta di Sama-
ria, come uno de' più gran borghi della
Giudea, e quindi città. Si rese celebre per
avervi s. Pietro risuscitato Tabita, e gua-
rito Enea paralitico, non che pel conci-
lio del 4' 5 contro Pelagio, e per la sede
vescovile. Ramatila o Ramata o Rama,
città di Beniamino tra G-jbaa e Belhel ver-
so le moutagne d'Ephraim, fu patria di
Samuele, e vi fu eseguita parte della stra-
ge de'ss. Innocenti, poi sede vescovile. Lo
storico Giuseppe fi sovente menzione del-
le toparchie della Giudea, e cluaui 1 (ili
le città di Azoto, Jamnia e Fasaelide, che
Erode il Grande lasciò in testamento a
Salome sua sorella, di cui feci parola a Te-
trapoli" o regni divisi in 4parti,ec; e di
Azoto e Jamnia anche a tali articoli, sic-
come poscia sedi vescovili, ambedue cele-
bri e antiche città de' filistei, e lai.' Sa-
trapia de' medesimi.
TORCE LLO, Torccllwn, Dorcaeum.
Sede vescovile e isoletta del regno Lom-
bardo-Veneto,provincia e distretto di Ve-
nezia,nellecui lagune dell'Adriatico si tro-
va al nord-est 1 leghe distante. Fu que-
sto uno de'primi asili di quegl'italiani che
fuggendo all'invasione de'barbari, si reca-
rono nelle venete lagune a cercare liber-
tà e sicurezza, e quindi fondarono la già
famosissima e possente repubblica vene-
ziana. Surse su quest'isola una grande e
cospicua città, sede di moltissime tra le
più nobili veneziane famiglie. In appres-
so, Ira per l'ingrandimento di Rialto, ora
le 'lezi a (f~.), dove fu fissato J centro del
governo, per la gravezza dell'aria cagio-
nata dalle viciue puludi,eper lo estinguer-
i . 8 T O R
si di varie famiglie , andò scemando dei
Mftoi primari abitatori, sicché rimasta pres-
soché deserta, cadde in rovina, né più se
ne vedono che scarsissimi avanzi. L'ur vi
ìimaneano mólta chiese, conventi e mo-
nasteri; ma anche questi ora del tutto ce-
dono al tempo e all'abbandono in cui si
trovano, né ad abitar l'isola vi hanno che
alcuni pescatori, vignaiuoli e ortolani, i
quali conservano a'frutti del luogo quel-
l'eccellenza ondefurono in ogni tempo fa-
mosi. La cattedrale tuttavia si mantiene
in piedi, che per le sue singolarità viene
visitata di continuo quasi da tulli i visi-
tatori dell'unica Venezia; così rimpetlo
esiste il tempietto ornato di bella roton-
da , già battistero secondo l'antico rito.
L'isola era separata da un gran canale, le
cui rive erano popolale di case e di pa-
lazzi,di tanto in tanto unite da ponti, per
cuiavea molta somiglianza a Venezia. Tra
quel tempo che Torcello era prosperosa
città e 1' altro in cui cadde interamente,
era luogo di villeggiatura di molle nobi-
lissime case veneziane, che vi tenevano
magnifici palazzi, orti e giardini anienis-
simi; macia ultimo, a motivo dell'insalu-
brità del soggiorno. neppure il proprio suo
vescovo più vi abitava, recatosi a dimo-
rare in Murano, altra isola delle venete
lagune, ad un 4-° di lega da Venezia, pure
altro luogo di delizia della veneta nobil-
tà, per la salubrità di sua aria. Il dotto
senatore Flaminio Corner o Cornaro ve-
neto ci diede: Notizie storiche delle chie-
se e monasteri di Venezia e di TorceU
lo, Padova iy58. Ed il p.d. AnselmoCo-
stadoui camaldolese scrisse le Osserva-
zioni intorno alla cjiiesa cattedrale di
Tonello, e ad alcune sagre sue antichi-
tà, pubblicate ne! 1750 dal p. Calogeri
nella Raccolta d'opuscoli, ì, 43, p. 255,
Prima di essi l'Ughelli nel t. 5 dell'Italia
sacra a p. 1 36o, Torccllani Episcopi) a-
vea stampalo colla serie de' vescovi le no-
tizie storiche di Torcello, ove dice: Alti-
natcs post suae civilalis ejecidium , qui
. jhiludibus circa Vcmtias UUaiUcs in-
TOR
sula occuparunt , Torcellum aedifica-
runt,illamcpie civitatem Torcellum .(pia-
si Torricellum a sexta parte excisac ci-
vitatis appcllarunt. Primamente convie-
ne ricordare, che Aitino {V.), città già ce-
lebre nell'antica provincia terrestre, con-
vertilo dal gentilesimo alla fede cattolica,
fu decorato colia sede vescovile, e anno-
vera fra'suoi vescovi s. Eliodoro, che ne
divenne poi il principal protettore; si re-
se poi famoso il vescovo Pietro, poiché in-
sorto l'antipapa Lorenzo contro il legit-
timo Papa s. Simmaco (F.), nel 5o3 rin-
novati i tumulti co' suoi fautori, il goto
Teodorico re d'Italia di prepotenza man-
dò a Roma per visitatore Pietro vescovo
d'Aitino, il quale unendosi agli scismatici
sturbò le cose della Chiesa, per cui volen-
do il re dar fine a tanti tumulti, col con-
senso di s. Simmaco convocò il sinodo Pal-
mare, nel quale fu dichiarata l'innocenza
del sauto Pontefice,dallecalunniedeli'an-
tipapa, e questi fu cacciato in esilio. Sog-
giacque Aitino agl'imperatori romani,fin-
ché uscito dalla Pannonia il fiero Attila
re degli unni, con un esercito inondò l'I-
talia, distruggendone le più illustri città,
e fra queste Concordia, Padova ed Aiti-
no, donde ne fuggirono nel ^5i i princi-
pali cittadini altinati,ricovrando le loro fa-
miglie nelle contigue lagune, ove si cre-
dettero in salvo dal furore de' barbari.
Quivi in 6 principali isolelte fermarono
la loro abitazione, chiamandole co'notni
delle porte di loro patria, Torcello, Mazor-
bo, burano, Murano, Annoiano e Costan-
ziaco. Partilo poscia d'Italia, e poco dopo
morto il terribile flagello di Dio Aitila,
ritornò la maggior parte degli attillati a
ridonarsi alla loro patria, rialzandola dal-
le rovine. Ma pe' danni recatile nel 568
da Alboino re de'longobardi, per l'eleva-
zione dell'acque dell'Adriatico, ed inoltre
rinnovatesi nel 635 le feroci incursioni
sotto Rotari re de'longobardi, nemico di-
chiaralo del nome e dell'impero romano,
gli altinesi vedendo preso Oderzo e poi
bruciato, e già per tradizione de' loro
TOR
antenati avendo appreso quanto fosse lo-
ro riuscito sicuro il ricovero delle lagune e
paludi di Torcello, qui vi sotto la direzioue
di Paolo loro vescovo si condussero, seco
trasportando quanto aveano di prezioso,
e principalmente le reliquie delle loro
chiese, ch'erano i corpi de'sauti Teonisto,
Tubra e Tabrata martiri, Eliodoro ili.°
de'vescovi d'Aitino di cui ci sia pervenuta
notizia, e Liberale confessore, di diversi
ss. Innocenti, insieme col braccio di s. Gia-
como maggiore apostolo, il tutto descril-
todal Corner, ed il restante del tesoro ec-
clesiastico colle ricchezze de'cittadini. Sta-
bili il vescovo Paolo la sua sede iu Tor-
cello, ove innalzò la città e anche destiuò
il silo per la nuova cattedrale, ma preve-
nuto dalla morte pochi mesi dopo il suo
ai livOjOe lasciò la cura dell erezione al suo
successore. Questi fu Mauro o Maurizio,
il quale dopo avere per autorità di Papa
Severino, coll'assenso del patriarca diGra-
du, di cui era sulfiagauea la sede d'Aiti-
no, (issala la sua dimora perpetua iu Tor-
cello, oltre la chiesa cattedrale, eresse per
divina rivelazione circa il 640 molte chie-
se ne'diversi sili della nuova diocesi, ed il
monastero delle monache di s. Giovanni
Evangelista. Tanto uarra il Corner, men-
tre ad Altino dissi che una cronaca nis.
attribuisce a Papa s. Sergio I del 687 il
permesso traslocamelo della sede vesco*
vile da Aitino a Torcello, la quale nuo-
va città però sino al secolo XI trovasi det-
ta Novum Altinum. Il Muratori dubita
che nel breve pontificato di Severino que-
sti abbia potuto approvatela traslazione,
e quella pure fui la da s. Maglio vescovo
di Oderzo io Eraclea, appellatasi poi Cit-
/.: A uos-iij ma al p. Costadoui sembra che
può benissimo avere Severiuo spedile le
bolle per le due traslazioni, ed aggiunge
che l'isola su cui specialmente i fuggitivi
attillati innalzarono le loro abitazioni, uon
prese subito il nome di Torcello, ma di
Nuovo Altino.\j& nuova città divenne poi
col tempo una delle più ragguardevoli ,
che formano l'esteso recinto di Veuezia,
TOR 1 19
specialmente per le ricchezze e pel com-
mercio.e Costantino VI Porfirogenito, tra
i luoghi veneziani nominò il grand'empo-
riodi Torcello, poi divenuta una delle più
disabitate isole di quest'acque." In una let-
tera sinodale di Papa s. Agatone, inseri-
ta uegli alti del còucilio di Costantinopo-
li convocato nel 680, vi si legge sottoscrit-
to Paolo vescovo d' Aitino, humìlis epi-
scopio Ecclesiae Altinensis provineiae
Istriae; il quale certamente è diverso dal-
l'altro Paolo raeutovatojoi'.de questo Pao-
lo, dice il Corner, dovrebbe nella serie dei
vescovi collocarsi fra Giuliano e Diodato
vescovi; se pure, il che è più verosimile,
uon siasi per errore trascritto dalla lette-
ra sinodale il nome della chiesa Attuiate
invece d'altra consimile, comesi legge nel-
l'indice de'concilii dell'Arduino, di Agnel-
lo vescovoToi celiano oTorcellinodel487,
vale a dire più d'un secolo avauti che iu
Torcello vi fosse vescovo. Stima Corner,
che la meuo incerta serie de' vescovi di
Torcello sia la seguente. Successe a Mauro
nel vescovato Giuliano, che nel lungo cor-
so del suo governo vide accrescersi il de-
coro di sua diocesi colla fabbrica di nuo-
ve chiese. Indi verso il 697 Diodato o A-
deodato abbellì e perfeziouò la cattedra-
le, dedicandola alla B. Vergine. Assunta in
cielo, ed in essa onorevolmente collocò le
ss. Reliquie trasportate da Aitino. Gui-
tonio riportato dall'Ughelli, ma nou ne
fa menzione il Dandolo, né laccuratissi-
ma cronaca attribuita a Giovanni Sagor-
niuo. Onorio o Onorato fu fatto vescovo
verso il 72-L Vitale, ommessoda Ugbelli,
resse il vescovato 9 aoui e 6 mesi, e pare
che sia slato l'ultimoa intitolarsi vescovo
Aiutiate, mentre i vescovi di lui successori
furono chiamati Torcellensi o Forcella."
ni. Indi Severo, poi Domenico, il quale
dopo avere retta peralquauto tempo que-
sta chiesa si ritirò a servir Dio in un mo-
nastero. Giovanni nominato nella della
ci oliaci, invece del quale il Coleìi anno-
tatore d'Ughelh poue verso l'8ot) Giusto
d'Eraclea figlio del doge Angelo Partaci-
i2o TOR. TOR
pazio, contro l'asserzione del Dandolo, che va le rendite di sua mensa e si sottraeva
scrive aver avuto Angelo due figli ambe- anche parte dell'alimento; intervenne col
due poi dogi. Adeodato 11 ucciso presso suo popolo alla traslazione del corpo di s.
Aitino da due suoi servi, poi d'ordine del .Stefano protomartire nella chiesa di s.
doge fatti impiccare.Senatore acquileiese, Giorgio Maggiore, ove mentre con fervo-
morto verso I874. Domenico II Calopri- re predicava, una cieca, mula e sorda si
110 abbate del monastero d'Aitino, e già gettò a'suoi piedi e per intercessione del
monaco di s. Ilario, per essersi volontà- santo ricuperò i sentimenti. Neh i5i Pie-
namente reso eunuco fu scomunicalo da Ira Michele, per la cui morte i canonici
Pietro Mai tulio patriarca di Grado, che elettori si divisero in due fazioni, ed aven-
ricusò anco d'assentire alla di lui elezio- do l'arcidiacono eletto uno, gli altri elet*
ne in vescovo di Torcello e di consagrar- tori lo rigettarono come scomunicato, e
lo. Insorte perciò inimicizie fra il patriar- chiamarono al vescovato un altro, onde
ca e il doge Orso Partecipa/io, furono poi Papa Alessandro III rimisela decisione al
riconciliati a condizione, che Domenico patriarca di Grado e ad altri due giudici
non fosse contagiato vescovo finché vives- delegati. Nel 1 1 58 Angelo Molino arcidia*
se il patriarca, ma godesse però le renili- cono di Torcello e pievano della chiesa
le di sua chiesa. Morto il patriarca, ed e- matrice di s. Maria di Murano; nel 1172
letto in di lui luogo Vittore Parteciparlo, Martino Orso arciprete di Torcello e no*
ordinò benché di malgrado Domenico in taro; nel 1 1 77 Leonardo Donato, che in-
vescovo, comechè contro lo statuito dai tervenne al concilio di Laterano III nel
canoni. Benedettogli sdccesse,quindiGio- 1 179, ottenne da Federico I un imperiai
vanni II di Torcello, e successivamente diploma a favore di sua chiesa, ed altro
Giberto, Pietro, Marino, Domenico III ne impetrò da Urbano III, riprodotto poi
figlio di Pietro Candiano 111 doge di Ve- da Eugenio IV e pubblicato dall'Ugliel-
nezia morto nel <)5q; Milito o Mineo o li, con altri documenti riguardanti i ve-
Marco veneziano, ambizioso intruso simo- scovi di Torcello, e morendo verso ili 197
iliacamente, fu aceiecalo da' veneziani a fu sepolto nella cattedrale. Immediata*
persuasione del doge. Giovanni III gli sue- mente il successe Stefano Capellizo, indi
cesse in dello anno; Valerio nominato in Giovanni V Moro, sotto il quale fu fon-
un documento del qqq vescovo della s. data da Marco Trevisani la celebre ahba-
Chiesa Alti nate, e morto nel 1 008. Orso zia cisterciense di s. Tommaso de'Borgo-.
figlio di Pietro li doge di Venezia, col fa- gnoni, che fiorì per uomini illustri, e eo-
voredel quale fece riedificare la cattedra • struì monasteri nell'oriente, l'Ughelli ri-
le e l'episcopio, e nel 1 o 1 2 passò alla sede portando la serie de'suoi abbati dal 1 200
patriarcale di Grado. Gli successeli fra- al 1 583 e co'suoi commendatari. Buono
tello Vitale, il quale per comando del pò- Balbi, già arcidiacono di Torcello e pie va-
polo veneziano andò nel io3i a Costanti- no delia chiesa matrice di s. Maria di Mu-
nopoli per ricondurre in patria Ottone do- rano, concesse ad alcune pie donne la cilie-
ge suo fratello esiliato, che trovò morto, sa di a. Mauro di Borano ned 1214 per
e nel 1 o4o intervenne al concilio proviti- fabbricarvi un monastero, e morì nel
ciale convocato a Venezia nella chiesa di 1 2 1 5. Stefano Natali, che erroneamente
s. Marco. Indi Giovanni IV Bobrario;Or- l'Ughelli chiama Lollini, giurò neh 2 16
so Badoari del 1 068, Allinatis Ecclesiae, ubbidienza a! patriarca di Grado, permi-
epi scopo j Stefano del 1 1 27 della nobil fa- se l'erezione del monastero di s. Antonio
miglia Silvia o Silveria, fu anche più il- in Torcello, e trasferì nel 1247 ■' C01P°
lustre per la santità de'suoi costumi, mol- di s. Fosca vergine e martire dal luogo
to dolio, profuso co'poveri cui compatii* ove si trovò, all'altare della chiesa a lei
TOR
dedicala presso la cattedrale e da lui con-
sagrato. Nel 1 254 fr. Gottifredo dotneni-
cano, che morto nel 1 2 56, in di lui luogo
elessero i canonici Simeone Mauro pieva-
no di s. Barnaba, perciò escluso da Inno-
cenzo IV. Quindi l'UghelIi registra Tau-
rano Quirini, ma più probabile sembra
fr. Egidio bolognese domenicano del 1 2 5c>
e morto nel 1289. Enrico Contai ini del
1290 visse pochi mesi. Alerone neh 291
eletto da Nicolò IV di cui era cappellano,
intervenne nel 1296 al concilio provincia-
le di Grado, e morì circa il 1 3o3. Gii fu
subito sui rogato d. Francesco Tagliapie-
tra abbate di s. Nicolò del Lido, che ap-
provò il nuovo monastero di s. Nicolò di
Mazorbo, trovò nascosta nella cattedrale
la testa di s. Teodoro martire e la collocò
in luogo più decente, e stabilì del proprio
la messa quotidiana nella cappella di s.
Nicolò dell'episcopio. Morto nel declinar
del 1 3 1 3 o nel principio del 1 3 1 4. per po-
co gli successe fr. Francesco Dandolo for-
se camaldolese. Domenico IV nel 1 3 1 7 fu
traslato a patriarca di Grado, per rinun-
zia di Giuliano priore benedettino di s.
Giorgio Maggiore, eletto da' canonici di
Grado; ma Papa Giovanni XXII nello
stesso 1 3 1 7 o nel 1 3 1 8 lo fece vescovo di
Torcello. Poco dopo fr. Tolomeo da Luc-
ca domenicano, della nobile famiglia Fia-
doni, discepolo di S.Tommaso d'Aquino
e prefetto della biblioteca Vaticana, uomo
di dottrina fornito doviziosamente più che
di moderazione e prudenza, a vendo lascia-
to troppo liberamente a'suoi nipoti il .'o-
verno delle rendite vescovili, che a loro
talento dispersero e danneggiarono, laon •
de fu chiamato in Grado dal patriarca a
render conto. Ricusò il vescovo ostinata-
mente d'ubbidire, per cui giuridicamen-
te fu riconosciuto reo di gravi colpe e sco-
municato, sentenza confermata dal sino-
do provinciale di Grado. Finalmente, a-
\etulo ubbidito e dal patriarca ottenuto il
perdono, continuò a fungere più lodevol-
mente gli esercizi del suo ministero, e
l'anteriori colpe in qualche parte furono
TOR 121
compatite, comechè riconosciuto indebo-
lito nelle facoltà intellettuali. Abbiamodel
vescovo fr. Tolomeo da Lucca alcuni bre-
vi Annali della storia profana, dal 1060
fino al 1 3o3, ed una Storia ecclesiastica
in 24 libri, cominciando da Gesù Cristo
finoal 1 3 1 2 circa. Nel i328 fr. Bartolomeo
Pasquali o de Piscialis bolognese domeni-
cano, altro discepolo di s. Tommaso d'A-
quino e maestro del sagro palazzo (ove
dissi diversamente dal Corner, onde va
letta l'aggiunta dal Coleti fatta all'Ughel-
li, nella quale distingue due fr. Bartolo-
mei vescovi di Torcello), morto neh 335
e sepolto in Venezia nella chiesa de'ss. Gio-
vanni e Paolo de'suoi domenicani. Gli suc-
se in detto anno Giacomo Morosini dele-
gato apostolico di Papa Benedetto XII a
prosciogliere nel 1 339 dall'interdetto il
decano della cattedrale di Treviso e la cit-
tà stessa. Il Coleti col Bouoli corresse l'U-
ghelIi che die in successore a Bartolomeo
Ir. Michele veneto domenicano, invece ve-
scovo di Chioggia. Neil 35 1 d. Petrochi-
no Casalesci di Ferrara, canonista e teo-
logo chiarissimo, già abbate di s. Cipria-
no di Murauo e lodalo vicario generale di
Torcello, poi nel 1 362 arcivescovo di Ra-
venna. Qui l'UghelIi per abbaglio ripetè
il suddetto Leonardo Donato. Giovanni
VI, creduto religioso, morì nel 1 366. Nel
1367 Pao'° Baiando preposto della cat-
tedrale di Faenza, governò sino ali 374.
Indi nel 1377 Filippo Balardo, che zelan-
te celebrò subito il sinodo diocesano, i cui
lodevoli e provvidi atti pubblicò l'Ughel-
Ii. Filippo Nani nobile veneto moiì nel
i4o5, ma sebbene l'UghelIi riporti l'epi-
tallio, avverte Coleti che fu confuso con
Pietro che dirò, ed il Corner segni l'U-
ghelIi. Neli4o5 divenne vescovo Donalo
de Greppa canonico di Torcello e pieva-
no della chiesa di s. Stefano di Murano.
Da Città Nuova nelle lagune nel 1 41 8 vi
fu trasferito Pietro Nani, e sotto di lui si
restaurò la caltedraledanneggiatada lun-
go tempo, morendo nel 1 426. Filippo l'a-
ruttt nobile veuclo,già diCiltù Nuova, per
122 T O R
la cui diligenza molti monasteri di mona-
che, ne'quali era decaduta la regolare di-
sciplina, furono soppressi e uniti ad altri
di più esatta osservanza, ed in quello di
s. Antonio abbate trasferì il corpo di s.
Cristina verginee martire; poscia nel <44^
fu traslato a Candia. Gii fu sostituito Do«
nienico de Domenici decano di Ceneda,
maestro in teologia dottissimo, restaurò
l'episcopio, e nel i 4^4 passò a Brescia, vi •
cario di Roma di Paolo II e di Sisto IV.
Gli successe Placido Pavanellogià mona-
co di s. Giustina, e da Eugenio IV fatto
obbategenerale de'vallombrosani, poi ve-
scovo di Biblo//? partibus, indi di Paren-
7.0, e nel i4^4 di Torcello con diploma
di Paolo li riportato da Ugbelli, insieme
alla lettera che dipoi il Papa scrisse alla
priora del monastero di s.Giacomodi Mu-
rano: morto nel 1 4^7 |, fu sepolto in s. Gio.
Evangelista. Nello stesso anno, non Sigi-
smondo, né Scipione come scrive Ugbelli,
e di uno facendone due, ma Simeone Con-
tarmi, che mori neh 485. In questo Ste-
fano III Tagliazzi arcivescovo d'Anlivari
e di Patrasso, ritenuta la 2." sede s'intito-
lò arcivescovo di Patrasso e vescovo di
Torcello, e intervenne al concilio di Late-
rano V. Nel i5>4 gli successe per coadiu-
toria Girolamode'conti Porzia di raro ze-
lo e singoiar dottrina, commissario apo-
stolico per la riforma de'monasteri di mo-
nache della diocesi Torcellana, che ridus-
se a regolare osservanza. Neh 526 Giro-
lamo Foscari nobile veneto, di solo titolo
e amministratore, finche ebbe l'età cano-
nica, morto neh 563 in Roma e sepolto
in s. Maria del Popolo. Non pai e che gli sia
succeduto Giulio Grimani, come vuole U-
gbelli, sibbene Giovanni Delfino postula-
to dal capitolo, che sollecito per la con-
servazione dell' ecclesiastica disciplina ,
convocò due volte il sinodo diocesano, e
ristorò le abitazioni del vescovato, inter-
venne al concilio di Trento, e fu traslato
a Brescia neh 570, Nel qual anno Carlo
Pesaro canonico di Treviso e referenda-
rio di segnatura, morto nel 1587. \' 2.6
TOR
ottobre Antonio Grimani, celebrò il sino-
do e lo pubblicò colle stampe, uni al ca-
pitolo le rendite del priorato di s. Pietro
di Casacalba già de' canonici regolari di
s. Agoslino,efo nunzio a Firenze di Pao-
lo V, che neh6i8 Io dichiarò patriarca
d' Aquileia. Gli surrogò Zaccaria dalla
Vecchia protonolario apostolico, che urù
il priorato di s. Cataldo di Binano, an-
tica abitazione de'frati agostiniani, al ca-
pitolo della cattedrale,ma non conferman-
do ciò la s. Sede, il successore unì il prio-
rato al seminario, il quale non potendo
poi sussistere per mancanza di rendite, il
beneficio fu assegnato per stipendio a 4
maestri eletti due in Butano e due in Mu-
rano, per istruire i chierici nella lingua la-
tina e nel canto gregoriano. Neh 6i5 pel
suo decesso a' ig febbraio venne eletto
Marco Giustiniani, che dopo 7 mesi pas-
sò a Ceneda e poi a Verona; onde nello
stesso 1 62 5 gli successe MarcoZeno,il qua •
lea'25 novembre eseguì la traslazione ilei
corpi de'ss. Tabra eTabrata martiri, con
lealtre summentovate reliquie della cat-
tedrale, in diversi altari della medesima,
e nell'altare della B. Vergine il corpo di
s. Eliodoro in un'arca di scelto marmo fu
onorevolmente deposto: morì neh 64» ifl
Venezia e fu tumulato in s. Maria Glo-
riosa. Neh 643 Marc'Antonio Marlinen-
go bresciano, e altro patrizio veneto, ca-
nonico e vicario generale di Padova, pru-
dente e dotto, con opportune costituzio-
ni stabilite nel sinodo diocesano da lui te-
nuto e stampato, provvide alla buona di-
sciplina del clero e delle monache, morì
in Padova e fu sepolto nella chiesa de'tea-
tini.Nel 1678 Giacomo Vianoli nobile ve-
neto, già titolare di Famagosta , lodalo
pastore, morto in Venezia e sepolto nel-
la tomba gentilizia in s. Francesco della
Vigna. Qui noterò, che il p. Gio. Girola-
mo Gradenigo nella sua Brescia sagro^
riferisce che fu vescovo di Torcello Pie-
tro Ottobotti, poi Alessandro Vili, perde-
sti nazione d'Urbano VI II. e siccome altret-
tanto scrive il Novacs nella Storia d\l-
TOR
Iosa udrò VIHjpev tale lo tlissi nella bio-
grafìa; tua l'Ughelli, il Quirini e il Cor-
ner non ne fanno alcuna menzione. Mei
1692 Marco Giustiniani patrizio veneto,
che ottenne dalla s. Sede clie s. Lorenzo
Giustiniani fosse dichiarato protettore del-
la città e diocesi di Torcetto, con festa di
precetto, ed istituì la confraternita sotto
la sua invocazione nella chiesa matrice e
collegiata di s. Donato di IM Urano, la qua-
le in miglior forma ridusse, e la cappel-
la maggiore in suo onore edificò e abbel-
lì splendidamente. Inoltre non potendo
più i vescovi soggiornare in Torcello per
l'insalubrità dell'aria, per cui dimorava-
DO fuori della diocesi in Venezia, a suespe-
se in Murano vi fabbricò e decorò il son-
tuoso palazzo vescovile, ove stabilì 1 ar-
chivio, e fu encomialo per altre chiare a-
fcionuim perocché nello stessoMurano isti-
tuì il seminario e l'affidò alla direzione
degli scolopi, e morendo lasciò tutto il suo
a vantaggio del divin culto, delle chiese
e de' poveri. Nel 1735 Vincenzo M.a Die-
do nobile veneto, morto nel 17 53. Frat-
tanto avendo il senato della repubblica di
Venezia ottenuto dalla s, Sede il privile-
gio di nominare a'vescovati di Torcello,
Ghioggia e Caorle,sutfiiiganeideT patriar-
ca di Venezia, a'g agosto scelse per suc-
cessore d. Nicolò Antonio Giustiniani mo-
naco cassi nese e priore di s. Giustina di
Padova, col quale il Corner termina la
serie de'7 1 vescovi di Torcello, la quale
compirò colle Notizie di Roma. Nel j 7 5g
Muco Giuseppe Cornalo nobile di Ve-
nezia. Nel 1 767 Giovanni Nani nobile di
Venezia. Nel 1773 fr. Paolo da Ponte car-
melitano scalzo di Venezia, traslato daCor-
tù colta ritenzione del titolo arcivescovile.
Nel 1 792 Nicolò Sagredo nobile di Vene-
zia, traflato da Udine a' 18 giugno, che fu
l'ultimo vescovo, morto ne'pi imi anni del
corrente secolo, cioè nell'agosto 1804. Re-
stata vacante la sede, Pio VII nel 18 18 la
soppresse colla bolla De salutis Dominici
gregis,ed in perpetuo ne unì la diocesi a
quella patriarcale di Venezia,
TOR i23
La cattedrale di antica struttura, di for-
ma bislunga, èdi vita in 3 navi sostenute da
1 8colounealteegrossedi marmo greco, la
qua le benché grande e solida menlefahbri*
cala,dice il Corner, riesce disadorna e poco
convenienleaque'molli inestimabili tesori
che racchiude. 1 maggiori abbellimenti di
essa sono antichi musaici, uno rappresen-
tante il Giudizio finale nella facciata in-
teriore sopra la porta maggiore; I' altro
nella tribuna della cappella maggiore, ora
fra gli altri santi si vede s. Eliodoro for-
mato pur di musaico sopra l'antichissima
cattedra vescovile di marmo, che posta di
mezzo fra 'continuati sedili di pietra. servi-
va con essi ad uso di convocarvi i sinodi
diocesani, antichità ecclesiastica assai ri-
spettabile, e che ben merita di conservar-
si a perpetua erudizione e memoria. Que-
sto monumento è in fondo alla nave di
mezzo, nell'antico presbiterio, ove al di-
re del p. Costadoni, il clero slava assiso
secondo il suo rango nell'ecclesiastiche
funzioni, tenendo in mezzo il vescovo con-
forme al costume antichissimo della chie-
sa, precisamente secondo il disegno fatto
incidere dal p. Costadoni e pubblicato col-
le sue Osservazioni j ma qualifica diceria
del volgo, che ivi s. Lorenzo Giustiniani
patriarca di Venezia, come primate e me-
tropolitano, vi abbia tenuto un concilio
provinciale. Il presbiterio in figura di se-
micircolo è composto di 6 scaglioni di pie-
tra, i due superiori più alti e più larghi;
ed essendo i 4 rimanenti più stretti e me-
no alti, è probabile che questi servissero
per ascendere a quelli, in cui solo sede-
vasi. Tali scaglioni vengono poi tagliati in
mezzo da alt: e stretta scala d'i 1 scalini,
in capo alla quale vi è la cattedra vesco-
vile di marmo, su cui sedendo il prelato
nelle sue funzioni , scorgeva facilmente
tutto il popolo che vi era sinoal fondodel»
la basilica. Nell'apsideo tribuna del pre-
sbiterio vi sono dipinti a musaico i XII A-
postoli , e invece del solo Salvatore vi si
figurò la 13, Vergine col divin Figlio tra
le braccia, giacché a Maria é dedicata la
1*4 TOR
basilica, menti e sulla cattedra visi espres-
se l'immagine di s. Eliodoro, il che fa sup-
porre che anco negli antichi tempi fosse
il protettore principale della diocesi, come
10 è s. Marco Evangelista. L'antico san-
tuario formasi da una cancellata di mar-
mi orientali, che chiude le navate in 3 la-
ti. In mezzo al coro vi è l'altare, in cui ri-
posa nell'urna il corpo di s. Eliodoro, che
vuoisi da principio rivolto verso il popolo
come ne'secoli andati, essendo dietro ad
esso il presbiteiio e la cattedra vescovile.
11 p. Costadoni nell' illustrare il tempio,
descrive pure la tavola d'altare o dittico
d'argento dorato, già del nominato altare
e poi posto sopra l'antica porta santa del
santuario, di lavoro greco come lo ei'a la
struttura della cappella antica, e ne dà il
modello colla dichiarazione delle molte fi-
gurecesellate a bassorilievo.anche decan-
ti patroni e di quelli le cui sagre reliquie
vi si trasportarono da Aitino (quanto a
quelle de'ss. Liberale, Teonisto e compa-
gni, la cattedrale di Treviso pretende pu-
le di possederle: ne avrantfo forse ciascu-
na una parte e non i corpi interi). Sotto
al presbiterio vedesi l'antica confessione
sotterranea, in cui si discende per due co-
mode scale di marmo, che hanno princi-
pio nelle due navate laterali, e dove si ve-
neravano i corpi de' santi. Fuori del pre-
sbiterio moderno, ossia dell'antico coro
de'cantori,sonovidue amboni o pulpiti di
marmi orientali, trasportali dalle rovine
d'Aitino. Il pavimento di marmo èa mu-
saicojla pila dell'acqua santa pare ara gen-
tilesca dallescolpite profane e strane figu-
re che ad alcuno sembrano deità egizie;
cosa assai rara è poi a vedersi le imposte
di marmo per coprire le finestre laterali
della basilica , che stanno girando sopra
due gì ossi perni dello stesso marmo in al-
to l'uno, e l'altroin basso, ma per l'ingiu-
ria del tempo due sole sono le superstiti.
Il p. Costadoni descrive pure con erudite
osservazioni la spaziosa e stravagante pit-
tura di musaico, che per essere strana e
simbolica nou la crede opera degli auti-
T OR
chi, ma di più inferiori tempi, nel suo es-
sendo ancora bene conservata, e la crede
opera del secolo XII opocodopoe fors'an-
che del XIV. Dessa incominciando non
molto dopo il piano occupa tutta la fac-
ciata interiore della basilica, ed è divisa
da 6spartimenti orizzontali, che lutti rap-
presentano de'fatli particolari : la porta
della facciata separa ili.°spartimento, e
sopra di essa in mezzaluna a musaico si
rappresenta l'immagine della B. Vergine,
vestita alla greca, colle braccia alzate in
atto d'orare, come si costumava antica-
mente nella chiesa (enei voi. XXXIV, p.9
eiodissiil perchè cos'i venne rappresenta-
tala B. Vergine anticamente),elodichiara
Muratori, Dìssert. de rebus liturgicis,ùel
quale uso ci è rimastoqualche avanzo pres-
soi sacerdoti quando celebrano. Io non in-
tendo per brevità di descrivere i musaiei,
che può leggersi nel p. Costadoni, il qua-
le ne fece l'illustrazione: solo dirò che i due
primi spartiinenli simboleggiano princi-
palmente, come pel battesimo e l'innocen-
za si entra in paradiso; il pui gatorio,il lim-
bo, l'inferno col demonio e la fornace di
fuoco tenuto sempre acceso in quel luo-
go di pene eterne dalla giustizia di Dio.
Il 3.° spartimento ha uel mezzo una spe-
cie d'altare, sul quale è un libro degli e-
vangeli tutto gemmato e prezioso, e vi è
pure una croce alla greca con due traver-
se. Dice il p. Costadoni, che di tal foggia
di croce trattarono Wagenseil in una Dis-
sertazìone pubblicata in Alidori nel i6c)4>
e Corrado Schoenleben nell'eruditissima
Notiziad'im testo greco a penna de' Van-
geli, stampata aNorimberga nel 1 748. Per
quanto di siffatta croce ragionai anche nei
voi. LI, p. 298,6 LXXIII,p. 373,11011 riu-
scirà superfluo chequi aggiunga per la sua
grave importanza alcun'altra nozione. Di-
chiara il p. Costadoni, che la croce greca
con due traverse chiamasi gerosoliniit<i'
na, patriarcale, apostolica. Avendo egli
meglio parlato di tal forma di croce nel-
le Osservazioni sopra un'antica tavola,
greca in cui è rinchiuso un insigne pez-
TOR
so della croce di Gesù Cristo, la a uà le
conservasi nel monastero di s. Michele
di Murano (ora in quello dell'Avellana,
come rilevai nel voi. Lll,p. i o3,neldescri-
vere quel celebre monastero camaldole-
se) de' 'monaci camaldolesi .presso il p.Ca-
logerà, t. 3q, p. 1 o5 (della Raccolta d'O-
puscoli scientifici, anzi della Croce se ne
tratta pure nel t. 48, p. 33q e seg. nella
' Dissertatio del Cori con aggiunte del p.
Del Torre), col disegno inciso della me-
desima, a'cui lati sono le figure di s. fi-
lena e di Costantino I, per essere noi ad
, essi debitori deli' avventuroso ritrova-
mento del prezioso legno, l'imperatrice
essendo alla sinistra parte, come maggio-
re e più nobile presso i greci egli orien-
tali (altra testimonianza ebe giustifica il
perchè s. Pietro fu rappresentato alla sini-
stra di s. Paolo,argomento ebe ritoccai nel
■voi. LXVI,p. g3). Pertanto il p. Cosladoni
nel cap. 1 o: Del legno della s. Croce rac-
chiuso nella tavola, dopo avere riportalo
le opinioni di verse su Ila qualità e specie del
legno della Croce in cui fu Crocefisso il
Salvatore, gli uni avendo sostenuto ebe
' fosse di quercia, gli altri ebe fosse com-
posta di 4 legni, cioè di cipresso, di cedro,
di pino e di bosso, avvertendo le diver-
se favole inventate specialmente da' gre-
ci circa il medesimo venerabile legno, che
lo pretendono nato da tre differenti spe-
cie di legno; dopo aver esternalo il suo
parere, ebe la vera Croce fosse di legno
\ile e ordinario di quelle parli d'oriente
(a Titolo della ss. Croce Io dissi di le-
gno odi corteccia d'albero: il vescovo Sar-
nelli, Lett. ecclesiastiche t. 5, lelt. 3q :
Di aitai legno fosse quello della s. Cro-
ce di Cristo, riferisce che nella Glossa del-
la Clementina prima de Summa Trini-
tale, dicesi che fosse di cedro lo stipite,
il tronco di palma, il legno trasverso di
cipresso, il titolo d'ulivo. Egli però osser-
va essere contrastato fra' dottori se la s.
' Croce fu d'un solo o di più legni formata,
gli uni diceudola di cipresso, pino e ce-
dro, gli altri aggiungendoci il bosso pel
TOR ii5
titolo. Sarnelli ritiene che fosse d'una sola
specie di legno, e pe'4 legni doversi piut-
tosto prendere in un senso mistico; per-
chè come cedro uccise i serpenti dell in-
ferno, come cipresso fece il funerale della
morte, come palma vinse i nostri nemici,
come ulivo pacificò quaeinterris^tquae
in coelis. Essere bensì verosimile che fos-
se di quercia, e ne riporta le ragioui ; e
che dicesi lunga 1 5 piedi il tronco, 8 la tra-
versa, un piede e mezzo il titolo, che po-
teva essere d'altro legno e atto a scrivere
le 3 iscrizioni), ecco quanto riferisce sulle
croci con due traverse. » La forma della
nostra Croce è doppia per essere da due
trasversi legni divisa; ma in questa foggia
non adoperavasi però a tormentare i col-
pevoli, non ritrovandosene esempio alcu-
no presso Lipsio, il quale tutti li differenti
supplizi di croce dagli antichi praticati de-
scrisse, e non vi è apparenza, che ad al-
cun uso il doppio trasverso legno essere
potesse. Quindi è, che non si può sapere
per qual cagione siasi introdotto un tal
costume di così formarla , come lo con-
fessa anche il DìiCange(Dissert.dc infer.
aevinumism. n.° 23). Per rinvenire l'an-
tichità di questo costume della doppia cro-
ce io ricorsi alle medaglie, e non mi ven-
ne fatto di ritrovarla espressa più antica-
mente se non se in quella di Leone 1 11 I /•
saurìco imperatore di Costantinopoli, il
quale regnò nel 717. Avvegnacchè que-
sto augusto, per istigazione di certo ebreo,
abbia esercitata una fiera persecuzione
contro le sasre immagini, nulladimeno
egli venerò sempre quella della s. Croce,
ammettendo gì' iconoclasti le immagini
di essa. Ritrovai ancora molte fiate que-
sta doppia croce nelle medaglie di Michele
Balbo, di Basilio il Macedone, di Giovanni
Zemisce, di Romano Diogene, e degli al-
tri susseguenti imperatori d'oriente; e nel
Meuologio spesso nominato di Basilio qua-
si sempre questa doppia croce vedesi di-
segnata. Quindi il coslumedi questa dop-
pia croce talmente si stabili appresso i gre-
ci, che oggigiorno pure in questa nazione è
i26 TOR
in vigore. Appellasi una tal doppia croce,
Patriarcale e Gerosolimitana, poiché
in (al foggia formala portavasi la croce di-
nanzi a' patriarchi di Gerusalemme e di
altrove (altri Io negauo,come notai a'suoi
luoghi, fra 'quali il ricordalo vescovo Sar-
nelli, e piuttosto egli crede adoperarsi in
oriente per disegno delle Chiese, ed io lo
ripeleia Tempio, che sogliono farsi iu for-
ma di croce doppia ; e che il costume di
portare la croce era degP imperatori gre-
ci). Forse piacque ad essi patriarchi così
adornare od accrescere la croce che dinan-
zi a loro portavasi, affine di meglio distin-
guersi da' vescovi loro inferiori e sotto-
posti, i quali secondo l'ordinaria forma la
portano. Viene questa doppia croce de-
nominala ancora Apostolica dagli sciit-
lori del regno d' Ungheria, imperocché
il romano Pontefice mandolla in dono col •
la regal corona a s. Stefano I re degli un-
gheri(lnchoferus,^/wtf/.«r/.p. 3o4)>co-
me insegna di apostolato, mentre questo
principe convertì alla fede di Cristo que'
suoi popoli; e diedegli il medesimo Pon-
tefice la facoltà di farsela portare dinanzi
come legato della Sede apostolica (Anton.
Bonfin., Ilist. Hangar.), polestatc sibi
posterisque regibus cavi praefercndi.Ye-
dasi l'istoria Didattica (p. 207) dell'eru-
ditissimo p.d. Magnoaldo Ziegclbaur mo-
naco nostro benedettino di Germania, alla
cui gentilezza e benevolenza io molto deb-
bo. Traile insegne patriarcali di Alberto
patriarca di Gerusalemme, il quale suc-
cedute ad Eraclio nel 1204 ( Honufrius
Panvin. in Chronic.),\\ si trova la croce
portatile non solo doppia, ma triplice,cioè
con 3 trasversi legni, il superiore de'quali
è inferiore al secondo, e il secondo al terzo.
Ma una tal croce pare che meglio conve-
nir debba al sommo Pontefice ((un'altro,
e lo provai con felice successo ne' luoghi
citati disopra) in segno della suprema po-
destà che ha sopra tutti li patriarchi. On-
de il Molano (lib. 4, cap. 29 Ilistor.ss. I-
magiuum et pictur.) dice, che Supremo
Patriarchae, sis'e Romano Pontifici <pd-
X OR
dam dant pcduin cum triplici Cruce, af-
fiti di riprendere la cieca baldanza di co-
loro, che uguagliavano il Papa al patriar-
ca di Costantinopoli (an/i quest'ultimo nel
suo orgoglio adottò tal forma di croce per
pretendere di soverchiare anche in que-
sto il Papa , il quale seguendo coslante-
menle l'uso antico maisempre usò pei- pa-
sloraleYà croce con una sola traversatine
narrai ne'ricordati articoli, e mi duole che
i patriarchi e gli arcivescovi Ialini per or-
namento de'loro stemmi abbiano preso la
forma della croce greca doppia, non pon-
derandone bene l'origine, che in vece do-
veano rigettare). Il Fivizzani {De rituss.
Crucis Eom. Pont, praeferendae, lib. 1)
poi aggiunge alcune ragioni pen rendere
probabile questa opinione, ed afferma es-
servi qualche esempio d' immagini de'
Pontefici, i quali hanno in mano la croce
ciijiis stipes duplici et triplici linea, est
decussatus (ma qui tornerò a replicare il
da me detto altrove, e riverentemente in
proposito anche al Papa Gregorio XVI,
che mi fece tale obbiezione: i capricci eie
licenze degli artisti non fanno autorità
nella Chiesa di Dio). Per altro è dillicil
cosa l'affermarsi un tal rito «Iella triplice
croce(godo e mi compiaccio di questa ve-
ridica e rispettabile dichiarazione), poi-
ché nell'antichità liturgica non si ha te-
stimonianza alcuna, che i Papi abbiano
mai usa lodi far pò rtare a vanti di se le cro-
ci di questa tal figura, non ritrovandosi
menzionata nell' eruditissima opera, Dà
Liturgia Romaìii Ponti f/'cis ,di mg.' Gior-
"i di chiarissima ricordanza. Nien tedi mei
no però lo stesso Fivizzani (nel 1592 de-
ificò il Coinnientarius de ritti ss. Crucis
a Clemente Vili di cui era Sagrista), as-
serisce esservi delle chiese metropolitane
e patriarcali in Europa (ora tutti i palriar-
chi e arcivescovi,ancorché in parli')u.'),;\\
di cui prelati Cr/«r praeire solehattqualn
super Patriarcharum insignibus statuì-
/?//•. Indi assegna la ragione di questo fatto]
e dice, che questa diversità ili croci ci da
a divedere, che nella Chiesa di Dio vi so-
TOR
no varie sed'ihoiioreet ditione dispari-.'!.
Anche nelle antichità cristiane ritrovasi
scolpita questa triplice croce, e due ne ri-
porta il Boldelti (Osservaz. sopra i cimi-
teri de'santi), cioè una sul sepolcro diGio-
vina, ed un'altra su quello eli Lucifero ve-
scovo di Cagliari (uiortocirca il 371!), ab-
benchè quest'ultima sia apocrifa." La cro-
ce poi di Torcello è ornata d'una corona
di spine, collocata nell'unione dell' inte-
rior tra verso,dall'estremilà del quale pen-
dono una lancia e un'asta su cui è appesa
una sponga, e quinci e quindi si vedono
due cherubini, pei non dire di altre figu-
re, fra le quali due angeli suonano le trom-
be verso il mare e due altii verso la ter-
ra, forse per esprimerei! risnrgimentode'
corpi umani al divino giudizio. Nel 4-°
spartimento è l'immagine del Salvatore,
con altro rappresentante la gloria del pa-
radiso. Nel 5 ."spartimento giganteggia al-
tra figura del Redentore colla croce alla
greca nella mano manca, comechè più no-
bile presso i greci, il che già ri levai (e per
le immagini de'ss. Pietro e Paolo anche
nel voi. LXXV, p. 4 • >) tirando a se colla
destra un vecchiarello, oltre altre figure
laterali, e sotto vi è l'elligiedel demonio,
esprimendo quesl' azione «lei Pvedentore
il di lui risorgimento eia liberazione de'
ss. Padri dal limbo. Finalmente nel 6.° e
ultimo spartimento del musaico vi è un
Crocefisso assai grande, i piedi del quale
sonoserarataaieute trafitti da due chiodi
e sostenuti da un suppedaneo, come per
lo più vedesi negli antichi musaici lavo-
rali specialmente da'greci, e in molte al-
tre antichità cristiane. Di questa dotta dis-
sertazione del p. Costadoni, ne die con-
tezza il Zaccaria. Storia letteraria d'I-
talia t. 2, p. 418, ma quantunque gli ren-
da lode perla rara erudizione colla quale
illustrò la cattedrale di Torcello, dice d'a-
ver tralasciato di far altrettanto dell'an-
ticaglie gentilesche esistenti nella medesi-
ma. Il capitolo de'canouici della cattedra-
le, che vanta la sua origine fino da remo-
tissimi tempi, fu prima formato di soli 4
TOR 137
sacerdoti, oltre però le 3 primarie dignità
di arcidiacono, arciprete e primicerio. Di-
poi furono istituiti altri 4 canonicati, e.l
a""iunti 6 onorari non obbligali all'ulh-
ciatura.ln faccia alla porta maggiore della
cattedrale è il superstite rotondo tempiet-
to del s. fonte battesimale, entro una cap-
pella chiamata battisterio, secondo l'uso
degli antichi secoli, dedicata a s. Gio. Bat-
tista, la sola chiesa battesimale della città,
perchè ne'primi tempi battezzavano isoli
vescovi. Anche di questa tratta il p. Co-
stadoni, in uno agli antichi battisteri,
dicendo che avea no tempo i suoi preti,
ch'era fatta a foggia dell' antiche, e nel
mezzo coll'urna di marmo quadrata co'
lati incavati a mezza luna per immergervi
i bambini; ma ne'restauri della chiesa si
tolsero le colonne, e si perde l'urna. Con-
tigno alla cattedrale verso il X secolo fu
eretto un oratorio sotto l'invocazione di
s. Fosca vergine e martire, nel cui altare
oltre le sue ossa furono collocate quelle
di s. Maura già sua nutrice e compagna
nel martirio inRavenna: un tempo la chie-
sa ebbe i suoi propri canonici. Dietro la
cattedrale fu la chiesetta di s. Marco, fab-
bricata da Rustico torcellano, dopoché
trasse d'Alessandria il corpo del santo e
lo tradusse a Venezia. Inoltre il Cornaro
descrive le seguenti chiese e monasteri di
Torcello, di cui darò un cenno. Rinomata
fu l'abbazia e chiesa cisterciensedi S.Tom-
maso, detta de'Borgoguoni, perchè dopo
es-ei vi stati introdotti nel 1 1 90 i canonici
regolari di s. Agostino, pochi anni appres-
so vi furono chiamati i cisterciensi di Bor-
gogna, e tosto fiori e fu beneficata dalla
pietà de'fedeli,ricevendola Onorio III sot-
to la protezione della s. Sede con privi-
legi. La primitiva fondazione del mona-
stero però si deve a Marco Trevisano no-
bile veneto. Alcuni abbati furono ledati
di Gregorio IX, Nicolò IV, Clemente V
per le crociate di Palestina, altri abbati
furono incaricati da altri Papi d'onore-
voli commissioni. Poscia furono eletti di-
versi abbati non cisterciensi, auche dalla
128 TOR
famiglia Trevisani pel padronato, eri e-
zia lidio alci) ni di essi. Giovar) ni XXI 11 con-
cesse in perpetuo all'abbate de'privilegi,
Ja mitra e l'anello pontificale. Il i.° mo-
nastero, clie fondato nelle lagune dell'A-
driatico racchiudesse donne consagrale a
Dio, fu quello di s. Gio. Evangelista nel-
l'isola di Torcello, poiché Paolo vescovo
d'Aitino, nel fuggirla ferocia de'longobar-
di, condusse seco pure le sagre vergini per
esentarle dalle violenze, e le collocò vici-
no alla cattedrale, ove il vescovo Mauro
eresse loro la chiesa di s. Giovanni verso
il 64o, essendo tribuni dell'isola di Tor-
cello Aurio e Aratore di lui figlio. Per
l'osservanza delle religiose, vari benefat-
tori ne aumentarono le rendite, ma nel
1279 un incendio quasi consumò chiesa
e monastero. Rifabbricati, nel 1 343 il mo-
nastero soggiacque a egual disastro, e su-
bito surse più ampio e maestoso. Rallen-
tata l'osservanza, i disordini furono ripa-
iati dalla riforma nel 1 523. Fra le reliquie
che furono collocate nella chiesa, primeg-
giavano il corpo di s. Sisinnio vescovo di
Teos, nato per intercessione di s. Giovan-
ni; ed il coipo di s. Barbara vergine marti-
rizzata dal padre Dioscoro in Nicomedia;
mane'vol.LVlJ,p. 2 i3,LX,p. 42, col ve-
scovo Marini dissi che da Scandriglia i rea-
tini portarono il corpo della santa nella
lorocattedrale.il vescovodi Rieti Marini,
Memorie di s. Barbarci^ dichiara non sus-
sister affatto la sua traslazione a Torcello,
e come altre la ritiene supposta, mostran-
dosi istruito di quanto ne scrissero gli sto-
rici veneti inclusivamente a Corner, e ri-
petendo con Benedetto XIV, che gli atti
della santa sono soggetti a molle difficoltà,
riporta tutte le discrepanti opinioni. Le
monache benedettine di s.Ciprianoda ter-
ra diocesi di'forcello e vicino a Meslre,per
sottrarsi dalla diabolica furia d'Ezzelino
nella guerra ch'egli faceva alla Chiesa, si
ricovrarono in Venezia. Quindi dal vesco-
vo Stefano nel 1 246 fu offerta loro l'an-
tica chiesa dis. Antonio abbate con alcu-
ni pochi edilizi situali in una piccola isola,
TO R
che per mezzo d'un lungo ponte si uni-
sce a Torcello. Ivi si rinchiusero le rain-
minghe religiose,e vivendo esetnplannen-
te.merilaronochenel 1 247 Innocenzo IV
le ricevesse sotto la protezione della s.Sede.
Per le generose oblazioni de'fedeli, e per
essersi ad esse unite le monache dell'isole
d'Ammiano e di Costanziaco, e le prime
vi condussero il corpo di s. Cristina ver-
ginee martire, il monastero di venne flo-
rido e numeroso, indi riformato dal ve-
scovo Porzia. Nella loro chiesa tra le re-
liquie insigni si venerò un s. Chiodo che
tradisse sulla croce il Redentore. Il Cor-
ner passaquindialla descrizionedellechie-
se e monasteri dell'isole di Mazorbo, Ba-
rano e Murano della diocesi di Torcello.
Ogni nuovo vescovo era tassato ne'libri
della camera apostolica di 200 fiorini, a-
scendendo la mensa a 3ooo ducali.
TOKCHlNEoTURCHINE o CELE-
STI. Ordine delle monache agostiniane
riformale della ss. Annunziata Turehinc
o Celesti [V.), delle quali riparlai nel voi.
XI, p. 287 e altrove. Nondimeno trovo
necessario di aggiungere qui alcun altro
cenno. La fondatrice b. Maria Vittoria
Fornai i-Strata, nacque in Genova nel
i562,divennesanta moglie e madre,sanla
vedova e santa religiosa, quando già 3 figli
erano tra' minimi e due figlie tra le cauo-
nichesse regolari nel monastero delle Gra-
zie di Genova. La B. Vergine le fece com-
prendere, per via d'un' interna illustra-
zione, che dovea istituire una nuova con-
gregazione di vergini, il cui scopo specia-
le fosse di adorare il mistero dell'Incar-
nazione del divin Verbo, per tanti secoli
ascoso al mondo, e onorare la B. Vergi-
ne che di questo divin Verbo incarnato
fu immacolata madre. Superate tutte le
difficoltà, la beata fondò il suo istituto in
patria, sotto la regola di s. Agostino, che
tosto prosperando si propagò per l'Italia
e altrove, contribuendovi il suo confesso-
re p. Zaunoni gesuita e compilatore delle
costituzioni approvale e lodale dalla s.Se-
de. Vivente la fondatrice, ed esseudoi.*
.TOR
superiora del suo monastero inFrancia, si
contavano 3 monasteri, e i 5 anni dopo la
sua morte i monasteri erano giunti a 27,
compresi que'di Germania e del Belgio,
tutti corrispondendo col principale di Ge-
nova, onde meglio lo spirito della fonda-
trice si conoscesse da tutte le religiose, e
tut te di ventassero diligenti emula Irici del-
le sue mirabili virtù. Questo monastero
primario lo fabbricò Vicentina Lomelli-
ni esuomaritoStefano Centurioni, il qua-
le permise alla moglie di entrarvi colla
beata e professarne la regola. Dessa e tut-
te le monache presero ad esempio dell'i—
stitutrice per cognome quello dell' An-
nunziata , come tuttavia si osserva in que-
st'ordine, formandosi lo stemma di que-
ste religiose dell'Annunziazione di Maria
Vergme. A'voti aggiunseroquellodi clau-
sura perpetua, e ciascuna può far anche
quello di non lasciarsi veder mai da alcu-
no alla grata del parlatorio. Per abito fu
stabilito, per le monache il soggolo 00-
neslina increspata, la veste bianca, sca- ,
polare, cintura, mantello e pianelle, tutto
turchino, onde furono dette Turchine;
per le converse la sottana otonaca alquan-
to stretta e lo scapolare turchini, del qual
colore dev'essere la veste nella solennità,
i sandali o scarpe grosse. Il colore turchi-
no 0 celeste fu adottato, per rammentar-
si che le loro azioni debbono essere cele-
sti e non terrene. La fondatrice santamen-
te morì iu Genova a'i5 dicembrei6i7,
colla consolazione di vedere nel suo mo-
nastero 4o religiose, eh' è il numero de-
terminato dalle costituzioni per ciascun
monastero. Iddio a sua intercessione ope-
rò molte grazie prodigiose, e Leone XII
a' 19 marzo 1828 con decreto della con-
gregazione de'riti approvò due miracoli,
e di potersi celebrare la sua beatificazio-
ne mediante altro decreto fatto pubbli-
care a*26 maggio, la quale funzione ebbe
luogo nella solennità di Pentecoste nella
basilica Vaticana, e poi in Genova si ce-
lebrò con tutta magnificenza. Per tale oc-
casione si pubblicò la T'ita della b. Mar
voi., txxvii.
TOR 129
ria Vittoria Fornari-Strata fondatri-
ce dell'ordine della ss. Annunziata det-
to delle Turchine, Roma 1828. Di que-
sta serva di Dio, del suoordine, e delle co-
stituzioni che osservano le religiose tur-
chine, fra gli altri scrissero, il p. Helyot,
Storia degli ordini monastici, t. 4> P«
33 r, cap. 42: Delle religiose Annunzia-
te dette le Turchine, con la vita della
madre Vittoria Fornari loro fondatri-
ce; p. da Latera, Compendio degli ordi-
ni regolari par. 3, cap. 18 : Delle reli-
giose Torchine; ab. Semeria, Storia ec-
clesiastica di Genova, p. 263 e seg. In
Roma queste religiose hanno chiesa e mo-
nastero, nel rione Monti in via Paolina,
fondati e dotati dalla principessa d. Ca-
milla Orsini nel 1 670, come leggo nel Ve-
nuti, Roma moderna p. 99: Della chie-
sa della ss. Annunziata, e del mona ite-
ro delle Turchine, situati iu s'ito eleva-
to, salubre e delizioso per 1' amenità de'
giardini. Iu questo monastero la fonda-
trice Orsini prese l'abito religioso, e pia-
mente terminò i suoi giorni. Neil' altare
maggiore della chiesa Giuseppe Ghezzi
dipinse 3 quadri, in mezzo quello dell'An-
nunziazione, e ne'lati quelli di s. Paola in
atto di benedire i figli, mentre è per par-
tire pel deserto, e di s. Geltrude.
TORDONO, Cardinale. Intervenne
al concilio romauo del 743 o 745celebra-
toda s. Zaccaria.e si sottoscrisse prete del
titolo di s. Sabina.
TORIBIO o TURIBIO (s.), arcive-
scovo di Lima. Nacque a' 16 novembre
i538, secondogenito del signore di Mo-
grobeio,e dimostrò fiuo dall'infanzia deci-
sa inclinazione alla virtù, e sommo orrore
al peccato, spingendo poi l'austerità del-
la mortificazione a segno, che fu d'uopo
moderarne lo zelo. Cominciati gli studi
più alti a Valladolid, li terminò a Sala-
manca. Filippo II re di Spagna, che co-
nobbe il suo merito,gli conferì ragguarde-
voli posti, e lo fece presidente della 1. ''ma-
gistratura di Granata ; carica che Tori-
bio sostenne per 5 anni con stima gene-
9
Ito TOP»
rale, che gli preparò la strada al suo in-
nalzamento nella Chiesa. Essendo rima-
sto vacante 1' arcivescovato di Lima nel
Perù, vi fu nominalo, ognuno riguardan-
dolo come il solo uomo che fosse capace
di ristorare la religione in quella regione.
Egli nella sua umiltà fece di lutto per e-
stillarsi da siffatto incarico, ma dovette
sottostarvi, e ìicevuti in 4 domeniche suc-
cessive gli ordini minori, e poi gli altri, fu
consagrato vescovo;indi senza rilardo ini-
barcossi pel Perù,e appi odo vicino a Lima
neh 58 i.vSubitodopo il suo arrivo impre-
se la visita di quella vasta diocesi, che misu-
rava i 3o leghe di estensione,ecomprende-
\a,oltre parecchie città, un gran numero
di villaggi e di casolari dispersi sulla dop-
pia catena delle Andes, che si hanno per le
più alte montagne del mondo. Aon si po-
trebbe agevolmente dare una giusta idea
delle fatiche e de' pericoli ch'egli ebbe a
sostenere. Commosso alla veduta de'mol-
teplici disordini che ovunque regnavano,
si accinse con animo invitto a porvi ri-
medio. Pose dappertutto pastori dotti e
zelanti, procacciando il soccorso dell'istru-
zione e de' sagramenti a coloro che abi-
tavano in mezzo alle più inaccessibili roc-
ce; e pel mantenimento della disciplina
ecclesiastica stabilì che si tenessero ogni
2 anni de' sinodi diocesani, e ogni j de
concilii provinciali. 11 suo zelo reselo og-
getto delle persecuzioni de' governatori
del Perù, che tiranneggiavano que' popo-
li, e che per satollare la loro cupidigia po-
nevano in non cale ogni sentimento di re-
ligione e di umanità. Egli non oppose lo-
ro che la dolcezza e la pazienza, senza pe-
rò discostarsi dalla santità delle regole, e
colla sua perseveranza vide scomparire gli
abusi più invecchiati. Le massime del van-
gelo crebbero sempre più di forza, e fu-
rono predicale con un fervore degno de'
primi secoli del cristianesimo. Il santo ar-
civescovo fondò seminari, chiese e speda-
li. Quand'era a Lima visitava tulli i gior-
ni i poveri malati, li confortava con pa-
terna bontà, e amministrava loro i sagra-
T O 1
menli. Essendosi appiccata la pestilenza
ad una parte della diocesi, egli si privò
sino del necessario per provvedere a' bi-
sogni di quegli sventurati, comechè pron-
to a dare la vita pel suo gregge. A questi
atti di religione accoppiava le orazioni,
le veglie e rigorosi digiuni. Tre volte fece
la visita della sua diocesi, occupando mi
la r." 7 anni, 5 nella i.\ e poco meno n< 1-
la 3.", e la conversione d'una innmnera-
bilc moltitudine d'infedeli ne fu il frutto.
Predicava e catechizzava con uno zelo in
defesso, e per essere in grado di meglio
adempiere questa importante funzione, si
diede, benché in età molto avanzata, ad
imparare le diverse lingue che parlavano
gli abitanti del Perù. Celebrava ogni gior-
no la s. messa con divozione da angelo,
facendo prima e dopo lunga meditazione.
La gloria di Dio era la meta di tutte le
sue azioni, la sua carità verso i poveri non
avea confini, e la sua umilia non cedeva
punto la mano alle allre sue virtù. Egli
. ebbe il inerito di t'innovare lo stato delia
chiesa del Perii, e se non ne fu il ì. "a po-
stolo, fu almeno il ristoratore della pietà
che vi era quasi generalmente spenta. I
decreti fatti nei concilii provinciali, che si
tennero sotto di lui, saranno sempre au-
tentici monumenti del suo zelo, pietà, sa-
pere e prudenza : essi vennero risguaida-
ti come oracoli non solo nel nuovo mon
do, ma anche in Europa e a Pioma stessa.
Caduto malato a Santa, città lontana i i é
leghe da Lima, mentre visitava la dioce-
si, predisse la sua morte; diede a 'suoi do-
mestici lutto ciò che serviva al suo uso;
il resto de' suoi beni lasciollo a' poveri.
Volle essere portato in chiesa per riceve-
re il s. Viatico; ma l'estrema unzione fu
obbligato riceverla in letto, e raccoman-
data la sua anima a Dio, spirò santamen-
te a'23 marzo i 606, nel 68.° anno dell'e-
tà sua. L'anno dopo il suo corpo incor-
rotto fu trasporlaloa Lima. L'autore del-
la sua vita Cipriano di Ilerrera, e gii alti
della sua canonizzazione riferiscono che
ancor vivo risuscitò un defunto, e guarì
TOR
molte malattie, e dopo morto furono falli
pure molti miracoli persila intercessio-
ne. Toribio venne beatificato da Innocen-
zo XI nel 1679, e canonizzato da Bene-
detto X11I nel 1726, celebrandosene la
festa a'2 3 di marzo.
TOR IR IO (s.), vescovo d'Astorga nel-
la Galizia. Succeduto su questa sede a Di-
etimo, ch'ebbe la sventura di cadere nel-
l'eresia dei Priscillìanisti, must rossi ze-
lantissimo dell'osservanza della discipli-
na ecclesiastica^ si oppose fortementeagli
errori de' detti eretici, che si l'innovella-
rono nella Spagna. Papa s. Leone I il
Grande, il quale gli scrisse una lettera che
noi abbiane ancora, gli porse aiuto nelle
sue fatiche. S. Toribio morì l'anno 460,
ed è nominato nel martirologio romano
a* 1 G di api ile.
TORINO (TaurinenfrGxlih con resi
denza arcivescovile, celebre, nobile e va-
ghissima dell' Italia settentrionale, capi-
tale dogli stali del regno di Sardegna e
del principato di Piemonte (T ,)j capo-
luogo di pi ovincia, che comprende 9 man-
damenti e nel cui centro sorge, la quale
formava sotto l' impero francese la più
gran parte del dipartimento del Po; ca-
poluogo di divisione amministrativa, il
cui circondario a'3 dicembre 1 847 si com-
pose della stessa provincia diToriuo, e di
quelle di Pincrolo e Susa. Resa vasta do-
po gl'ingrandimenti avuti, giace in ame-
na pianura, a levante sulla manca e per
poco sulla destra del Po, ed a settentrio-
ne fin contro la Dora Riparia. Cinta da
vaga collina e pressoché dall'Alpi all'in-
torno, questa città è lai .ache, calandone
lo straniero, incontra in Italia. Ella si tro-
va distante 1 3 5 le-he da Parigi, 3o da
Milano, 35 da Genova, 78 da Firenze e
1 43 da Roma, sotto 4^° 4 20" di latitu-
dine nord o settenìi 'tonale, e 5" 20' o' di
longitudine est o orientale; a 243 metri
sopra il livello del mare. Torino è l'or-
dinaria residenza del re di Sardegna, per
cui dicesi ancora Re di Torino ed anco
Re di Piemonte, ed in conseguenza del
TOR i3c
corpo diplomatico. Era iuollresede d'una
regia camera, de'eonli e d'un reale sena-
to, ambedue magistrati supremi ; e dal
1848 per lo statuto costituzionale, che ri-
portai nel voi. LI, p. i44»del governo mo-
narchico e rappresentativo, composto di
due camere, il senato e quella de' depu-
tati. La giurisdizione della regia camera
de'conti si stendeva su tutte le proviucie
di Terraferma; quella del senato abbrac-
ciava le divisioni di Torino, Alessandri.»,
Cuneo, Novara e Aosta. Quindi siede in
Torino un tribunale di prefettura, oss'13
dii/istanza perla proviticia.oltre le prin-
cipali autorità della monarchia. La città
è rappresentala da un cospicuo corpo de-
curiottale, amministrata da due sindaci,
eretta nella polizia da un vicario, oltre le
segreterie, e l'azienda de'molini. Bislun-
ga n'è la forma, e si calcolava che il cir-
cuito di Torino avesse da 1800 metri in
lunghezza,eda 1200 in larghezza; altri gli
datino due leghe di circonferenza, com-
presi i due grandi sobborghi del Po e della
Dora : ingrandito in oggi il circuito per
più di un quinto, ha molto guadagnato
nel suo largo e poco nel lungo. Era Tori-
no altre volte fortifìcato,come putito prin-
cipale sul Po ; divenuto formidabile nel
volgete de'due ultimi secoli, ma i suoi ba-
luardi, famosi pe' 3 memorabili assedi ,
del 1640 a tempo delle guerre civili, del
1 706 liberalo dal principe Eugenio,e del
I 799, furono smantellati da'franeesi sot-
to il consolalo di Bonaparle. Delle vec-
chie sue mura non rimangono che la cit-
tadella, costrutta dal duca Emanuele Fi-
libeito Testa di ferro nel 1 565, sui di-
segni del celebre architetto Paciotto da
Urbino, la 1. "forse io Europa nel suo ge-
nere e quale fortificazione della città, ri-
tenuta in que' tempi un capolavoro, ed
un resto di bastioni serbalo a sostegno del
giardino del re, dove mirasi l'orecchione
d'un vecchio baluardo, che dicesi il 2. in
Europa, costruito sotto il duca Luigi nel
1643, onde resistei e «'possenti eifetli del-
la polvere Sulfurea. N\l!a cittadella uni-
j32 TOR
miravasiunpozzodi genere notevole, do-
ve per due discese spirali sovrapposte l'a-
lia all'altra, chiuse di muri, e illumina-
te da sufficienti finestre,si conduceano due
cavalli di fronte all' abbeveratoio posto
in fondo, e risalivano senza incontrarsi.
Guastalo coll'andar del tempo e ricono-
sciutosi di poca utilità, fu poi abbando-
nato interamente. Sotto il governo fran-
cese fu demolita pure una vecchia torre,
cui sormontava l'insegna municipale del
Toro, onde Torino fu detta la Città del
Toro, e che impediva il più bel punto di
vista nella principale contrada. 11 Cancel-
lieri nelle Notizie sulle campane e cam-
panili, chiama celebre il campanile di To-
rino, detto la Torre della città, avente
in cima della guglia un toro colossale di
bronzo dorato antico. Questa torre mu-
nicipale o campanile, di antichissima e i-
gnota origine, era di forma quadrata, al-
la circa 172 piedi, colla base e porta di
marmo. Era ornata fino alla cima di ca-
pricciosi arabeschi, con pitture e iscrizio-
ni, che dimostravano gli «litichi privile-
gi accordati da Giulio Cesare e da Augu-
sto alla citlà. Sopra queste pitture, dalla
parte rispondente alla piazzarsi vedeva
un globo matematico, parte nero e parte
doralo, che col suo giro dimostrava le di-
versefasi della luna. Al di sopra dell'oro-
logio eranvi le campane, le quali serviva-
no per la chiesa del Corpus Domini, e per
la bandella che si suonava in tulle le fe-
ste de'ss. Protettori. Nel fine del quadra-
to della torre, in mezzo d' una galleria,
s'iunalzava altra torre oltangolare,termi-
nata da una gran corona di ferro dorato,
appoggiata sopra 8 torri pur dorate che
stavano negli angoli in forma di modi-
glioni. Dentro di questi trovavasi la mag-
gior campana del comune, che dava il se-
gno ogni sera della Salutazione Angelica
e della Ritirata. Su questo ottangolare
posava l'altissima e magnifica guglia, co-
perla di lame di ferro dorato a guisa di
squamma di pesce. Sulla cima poi della
guglia era il gran Toro di bronzo doralo,
TOR
antica insegna della citlà, a cui sovrasta-
va una gran croce di ferro egualmente
dorato. La torre o campanile fu rimoder-
nata nel 1666 da Carlo Emanuele 11, e
sebbene si lodava per ricchezza, dicevasi
che lutto il moderno sapeva troppo della
bizzarra scuola di Borromini. Dividevasi
altre volle Torino in 1 55 parti, cioè a di-
re isole, ch'erano distribuite in 4 sezioni
ossiano rioni, del Monviso, del Montece-
nisio, del Po e della Dora. Avea 4 porte
d'entrata e i due memorati sobborghi fuo-
ri del cinto delle mura. Anticamente To-
rino ebbe 4 porle principali e 4minori.E-
rano le principali quelle chiamate Fibel-
lona, Marmorea, Susa o Susina, e Pala-
tina o Doranea e più anticamente Comi-
tale e Turrianica. Le porte minori si de-
nominavano, del Vescovo, s. Michele, Pu-
sterla, e Nuova. Ora Torino uon ha più
porte, ma delle barriere doganali,che con-
servano il nome dell'antiche porte. In og-
gi ascendono le isole a più di 200, per-
chè di giorno in giorno crescono di nu-
mero; rimangono le 4 sezioni, ma sono
scomparsele porte, e a'due vecchi sobbor-
ghi si aggiunse il 3.° o Borgo Nuovo, che
più ampio di lutti sorge a mezzodì, di là
dalle mura che si vanno atterrando. Già
distinta la città di Torino e divisa co'no-
mi di città vecchia e città nuova, in mol-
te parti può oggi dirsi nuovissima. Il vec-
chio Torino, che abbraccia un 6.°de'ca-
samenti, si svolge a settentrione; la città
nuova che fu opera nel 1620 del duca Car-
lo Emanuele I verso mezzogiorno, e nel
i663 del duca Carlo Emanuele li verso
levante, era stata compita verso ponente
dal duca Vittorio Amedeo II nel 1703.
La città nuovissima surta dopo il 1 8 1 4»
interamente è dovuta agli ordinamenti de'
re Vittorio Emanuele I, Carlo Felice e
Carlo Alberto, non che all'essere sciolta
dal procinto, onde ora ha le ricordate bar-
riere. Anche il regnante re Vittorio Ema-
nuele Il è intento all'abbellimento della
sua capitale Torino. Si contano in Torino
più di 100 strade, di cui più di 5o vie e
TOR
viottoli, anguste e tortuose appartengo-
no al vecchio abitalo, e le altre spaziose,
rettilinee ed incrocianlesi ad angoli retti,
guidano fra'uuovi e nuovissimi isolati. E-
leganti portici adornano la via del Po che
conduce alla reggia, cui solamente cedono
il primato le altre due dette il Dora Gros-
sa e la Strada Nuova. Torino già tanto
ricca di bei fasti e di molte fra le più care
glorie italiane,a'nostri giorni si andòsem-
pre più arricchendo di tuttociò che la fa
leggiadra e piacevole, non meno decorosa
a questa ragguardevole parte d'Italia. Im-
perocché nel giro di pochi anni molte e
grandiose opere furono messe felicemen-
te ad effetto: spianate vie nel di fuori, col-
locati fermissimi ponti, dirizzate e abbre-
viate le comunicazioni da uno ad altro pae-
se, tolti gli avanzi de'già temuti bastioni
e baloardi che guernivano la cinta delle
mura torinesi; condotte, ove s'innalzava-
no le aspre difese d'un'età bellicosa, pa-
cifiche ombre di viali e di giardini ; un
moltiplicarsi, fuor dell'antica linea della
città, di ampie contrade, di maestose piaz-
ze, di ridenti palagi. Si ammirano in To-
rino più di 60 belli palazzi, spettanti a fa-
miglie cospicue per nobiltà e ricchezza. 11
veramente sontuoso si è quello del re, con
piazza chiamata R.eale sul davanti, che al-
to e ben lavorato cancello di ferro sepa-
ra dalla piazza che nome piglia dal Castel-
lo che in mezzo vi sorge. Vecchio e gran-
dioso edifìzio è questo castello, detto il pa-
lazzo di Madama, innalzato o rifabbrica-
to da Lodovico o Luigi conte di Torino
e principe d'Acaia e di Morea (o Eliade
paese della Grecia, o Livadia di cui Ate-
ne era la capitale, anticamente chiamata
Grecia propria; dicesi pure Peloponneso
o penisola di Morea, ch'ebbe a metropoli
Corinto), compito dal duca di Savoia A-
medeo Vili, e ornato di superba facciata
d'ordine corintio. Quando i sovrani signo-
ri di Torino più non abitarono il palazzo
ora detto le Torri, ed ogni volta che non
prendeano il Castello per loro dimora, es-
sa rimanea fissata nel palazzo vecchio at-
TOR i33
tiguoalla piazzadi s.Giovanni,allora cen-
tro d'ogni eleganza e sociabilità torinese;
ed era pur colà il teatro di corte, il quale
vi rimase sinché venne consumato dalle
fiamme più d'un secolo addietro. Il nuovo
pajazzo reale in discorso fu eretto dal du-
ca Carlo Emanuele II, il quale volle ono-
rare la memoria del padre Vittorio Ame-
deo I con quella statua equestre che ve-
desi in fronte dello scalone, e vien delta
volgarmente il Cavallo di Marmo. Il fi-
glio Vittorio Amedeo 1 1 1 .°re diSardegna,
e più assai il nipote Carlo Emanuele III
l'accrebbero e l'abbellirono, rimodernan-
do anche il giardino confinante con quel
bastione turrito detto Garritone o Ba-
stione Verde ,che primo di tutti fu innal-
zato dal duca Luigi nel 1^.6 1. Quale ora
trovasi il palazzo de' re di Sardegna, può
quasi dirsi unico fra le resideuze sovrane
in Europa per la sua vastità e ingegnosa
distribuzione; mentre il racchiudere sen-
za intervallo nel suo recinto, e si può dire
sotto un medesimo tetto, chiese precipue,
uffizi bastevoli a pressoché tulli i dicasteri
di stato, influiti e splendidi appartamen-
ti, accademia militare, zecca, giardini, ca-
vallerizza, scuderie ec. ec, ben dimostra
l'indole di que'principi che usarono sem-
pre governare da se stessi, e reggere col-
f occhio e colla mano ogni parte dell'am-
ministrazione suprema. Il Castello poi, e
detto palazzo Madama, fu cominciato nel
i4o3 da Lodovico conte del Piemonte e
di Torino, ultimo de'principi d'Acaia e di
Morea,praticandovi anche davanti la piaz-
za che ne porta il nome. Egli mori nel
i4iBaTorino,dove abitavano spesse vol-
te i principi suoi predecessori,benchè aves-
sero fissata la loro residenza a Pinerolo.
Non avendo prole legittima, i suoi popoli
del Piemonte passarono sotto la domina-
zione del duca di Savoia Amedeo VIII,clie
per l'estinzione quasi simultanea de'baro-
ni di Vaud, vide i suoi stati crescere di e-
stensione e potenza. Amedeo Vili ter-
minò il Castello, e munitolo di 4 fortis-
sime torri, di cui due sole rimangono iu
1 34 TOR T O R
piedi; prete il nome di Castello delle qual- biicatodemaniale idoneo,si studiò un pro-
tro Toni, servì da quella parte di vali- getto (ancora restato senza effetto) per la
da difesa all'attigua porta della città, costruzione U'an edilìzio apposito per riu-
mentre quivi s'incontravano le mura per nirvi l'accademia di belle arti e la pina-
cui veniva questa rinchiuse a que' tem- coteca. Intanto, essendo altresì urgente di
pi in un recinto quadrato, il Castello, co- togliere gli archivi delle finanze dal palaz-
me dissi, die il suo nome alla piazza che zodell'accademia delle scienze,atteso l'iti-
lo circonda. Servì pure quindi spesse voi- gomhro che derivava dalla soverchia cre-
te d'abitazione a'sovrani, e specialmente sceule mole delle carte e registri in loca-
a Madama reale duchessa Giovanna Dat- le relativamente ristretto, ed inconside-
ti>la di Savoia-lNemours, da cui prese razione dell'eccessivo peso che gravitava
d nome di Palazzo Madama. Però il p. sulle volte del sottostante museo, con evi-
Semeria dicendo il Castello rifabbrica- dente pericolo per quel vasto edificio, si di-
to daLodovico in occasione delle sue noz- viso di trasferirvi provvisoriamente i qua-
ze con Bona di Savoia, vuole che ne ab- dri della galleria, i quali sarel}bono stati
bia tratto il nome, secondo il parere di gravemente danneggiati da un ulterior
molli, di palazzo Madama , Palalium permanenza nellestanze degli uffìzi del se-
Domnac. Sul disegno del celebre mes- nato. Inoltre il re Carlo Alberto nel suo
sinese Juvara fu ornato il suddetto prò- realpalazzoadunòin vasta galleria l'arme*
spetto a ponente, con quella magnificen- riareale, formandola di quante mai sono e
za che ora si vede e fa vieppiù risaltare furono graziose, splendide, terribili entra-
la semplicità romantica dell'opposta fac- ne foggie di armi che abbia ritrovato la
ciata. Tagliatasi poscia fuori, sol [trinci- potenza dell' umano ingegno. Di questa
piar del corrente secolo, certa galleria di raccolta, in vero stupenda e nel suogenere
comunicazione col palazzo reale, la qua- unica, nel i %f\\ ne pubblicò la dotta ed ele-
le era di struttura meschina e di spiace- gante descrizione il p. AntonioBrescianie-
vole effetto architettonico, rimase segre- loquente gesuita rettore del realecollegio
gaio il castello, cui il re Vittorio Ema- de'nobili, che per molte e molte opere di
miele I a' nostri giorni innalzò una spe- somma utilità. sì deve collocare tra'più be-
cola astronomica, e che dalla munificen- nemeriti scrittori di cui si vanti Italia. U-
za de'suoi successori venne destinato alla na maestosa galleria, detta del Beaumont,
pubblica esposizione della reale galleria di la quale spiccasi dalla gran fronte della
pittura, cioè quando Carlo Alberto vi col- reggia,ecorresinoa fi ancheggiare la piaz-
locò ima ricca collezione di quadri scelti e za Castello, è il luogo ove Carlo Alberto
tolti da'suoi reali appartamenti, aperta ad fece raccògliere, tini 1 833 ali837, le ar-
incoraggiamento, comodo e profitto degli mi più pregiate e rare. Nel mezzo della
allievi e amatori dell'arti del disegno. Pe- corsia si ammirano principi e guerrieri a
1011611852 le molle indagini ed i replica- cavallo armati di tutto punto, grandi al
ti sludi fattisi per cura del governo, onde naturale e atteggiati a fierezza e a gentile
provvedere alla conservazione de'prezio- orgoglio. I cavalli sono coperti di lamiere
si dipinti della real pinacoteca, ed agli uf- a piastra d'acciaio, e lutti adorni di quel-
iìziaun tempodel senatodel regno,loper- la pompa e di que'forti arnesi che li fa-
suasero non potersi tali uffizi trasportare ceauo di così terribile e insieme grattavo-
in altri locali del palazzo Madama, stati le mostra in campo ne'secoli addietro. Sì
riconosciuti insufficienti, non adatti e in- le posture lanciate e feroci di quegli ani-
decorosi pel i.° corpo dello stato, quindi mali, a cui di vivo non manca che il bol-
venne risoluto di collocare altrove la gal- lente alitare, e il tremar de' nervi impa -
(cria. A tal uopo non avendosi alcun fab- zienti, sì la maestà de'cavalieri ohe in at-
TO R
lo di entrai- nelle micidiali zuil'e sembra-
no recarsi in pugno la certezza della vit-
toria, ti empiouodi tale stupore che met-
te per le vene un fremito bellicoso e ac-
cende nella fantasia l'immagini dell'an-
tiche prove del coraggio. I cimieri sono
sovrastati da tigri, da leoni oda altre sif-
fatte belve; le brune visiere calate, le gor-
ghiere, gli usberghi col! » resta, e le cotte,
e i sai, e le mantelline d'arme, e i braccia-
li, e i guanti aspri di ferro, e tutte le molte
orrendezzeche fanti > ornamento e difesa
a ipie'prodi che rappresentano. Lungo le
pareti poi, ed entro le vctriere l'occhio si
pasce di lutto il meraviglioso arredo di
tante armi e intere e smezzate, a gruppi
e a trofei, ritte o a giacere, appese agli ar-
pioni e rette dall'alabarde, intrecciate e
divise, ma tutte con armonia, ordine e mi-
sura, insinoal numero di i5oo. D'elmi, di
corazze e d'altri arnesi di guardia è pure
riccamente fornita l'armeria reale. Vi so-
no antichissimi elmetti greci a foggia di
celata, ed altri romani distati e lisci; e mo-
rioni,e barbute, e galericoìi, e bacinetti, e
simili varietà per lavoro e per forbitezza
mirabili. Vedonsi inoltre lungo la galleria
guerrieri tutti armati dal capo alle pian-
te con varie forme di corazze, di loriche,
di corsaletti, di giachi. Qui e colà appesi
alle pai eli dorsieri, battei, panzeroni, spal-
lacci, gambiere, cosciali, e cent'altre fer-
rerie da collo, di spalle e di giunture. So-
no pur illustri pel sommo artifìcio delle
storie o favole in essi rappreseutate, varie
• ili scudi, rotelle, targhe e brocchie-
ri. D'armi offensive è copia grandissima,
bellamente disposte lungo le pareti; qui
_ nisi quegli enormi spadoni sì lunghi,
>ì larghi e ti grossi da isgomentare i mo-
derni duellatori, uou meno per maneg-
giarli nel combattimento, che a portarli
sulle spalle: eppure i nostri antichi erano
poderosissimi nel vibrarle di punta e di
taglio, ecertamente a veano nervi, museo-
li e ossa ben diverse dalle nostre. ludi si
presentanogli amplissimi verduchi a /j. ta-
gli, i palosci, le scimitarre» h] molte q ia-
TOR i35
litàdi stuelli e ili stili acutissimi, i tremen-
di pugnali a scocco, i quali cacciati in pet-
to o tra le coste, toccando una molla, git-
liiij da' lati lancette ed ami che squar-
ciano e dilaniano la ferita. Né vi manca la
famiglia copiosa dell'alabarde, caia veri-
ne, ronconi, picche, brandistocchi e partir
giinedi tutte le forme; e una lunga schie-
ra di martelli d'armi, e di accette, e di az-
ze a piccoue, a rostro, a corno, a grani pa,
e le mazze ferrate ei terribili mazzafru-
sti. Solenni memorie son qui pure vive e
parlanti delle geste nobilissime onde gli
antichi principi guerrieri di Savoia of-
frivano all'altre nazioni esempio d'amor
di patria, dia cui difesa furono più volte
maneggiati i tanti strumenti d'eccidio qui
riuniti, incutendo orrore e spavento le lo-
ro tante e variale foggie. Innanzi a tutte
si vagheggiano le armi dell'invitto Ema-
nuele Filiberto, e nel contemplarle aifac-
ci asi alla meute la gloriosa giovinezza di
quell'eroe,che ventenne conducendo i ves-
silli dello zio Carlo V per combattere la
possaois dell'emulo francese, rompe i ba-
loardi di Terouanne e sale vittorioso per
la breccia di Ediuo; quindi le strepitose
vittorie di s. Quintino eGiavelinga.Que-
Sto grande è rappresentato a cavallo in
quell'atto, io che lo modellò in bronzo il
Maroelietti sulla piazza di s. Carlo, fre-
nante l'animoso destriero: il principe vit-
torioso, che con grave senno dettando il
trattato di Cambrais, procurò all'Euro-
pa e all'Italia, dopo io lustri di guerre e
di sterminio, paceesicurtà. rinfodera quel-
la spada che fece tante volte impallidir lo
straniero. Del suo tiglio Carlo Emanue-
le 1, è a vedersi fra'taoti, lo scudo d'ac-
ciaio bruui lo, irraggiato nel mezzo di on
gran sole che gitta dal centro una borchia
fiammeggiante: attorno ìeggousi 4 motti
d'impresa alternali colle corone ducali.
Solus Deus, Solus Sol, Solus Milcs, So-
lus Sabaudiic Dux. Questo degno figlio
del gran guerriero fu valido propugna-
tore dell'italiana libertà contro le insidie
e gli sforzi di Francia e di Spagua, e di-
i36 TOH
slese isuoi trionfi dal mar di Provenza al
lago Lemano. Uno de'più superbi orna-
lìienti dell'armeria si è la corazza del som-
mo tra'guerrieri savoiardi, magnanimo
diiènsoredelleglorie italiane e propugna-
colo contro i turchi, il principe Eugenio,
nome benedetto e sagro finché religione
e patria avviveranno di potentissimo af-
fetto le umane generazioni, rimeritato da
Clemente XI coll'insigne e onorifico do-
no dello Stocco e Berrettone benedetti
(V.). In questa real collezione si serbano
ancora illustri avanzi dell'armi e bandie-
re conquistate in battaglia da'valorosis-
simi principi sabaudi. Sono fra'molli tro-
fei della gran giornata in cui Torino fu
sgombra per le armi di Vittorio Amedeo
11 edell'incliloEugenio dagli assalti fran-
cesijduegran drappi di stendardo semina-
ti di gigli d'oro in campo azzurro,e inler-
siali có'delfìni della soprainsegna diFran-
cia. A'gigli francesi sono congiuntele tor-
ri di Casliglia, pel senno e valore de'mo-
narchi sabaudi. Quel vessillo spagnuolo,
che porta il motto di Guadalaxara fu
combattu to e presonella battaglia diCam-
posanto. Questi trofei avuti sopra Fran-
cia e Spagna,sono accompagna ti dalle spo-
glie vinte di altre bellicose nazioni. Tra
le molte e insigni memorie del valore pa-
trio, è a vedersi una bellissima spada già
d'alcuno di que'prodi cavalieri che al tem-
po delle crociale veleggiavano il mar di
Siria, d'Egitto e d'Africa adannode'sa-
raceni : nella lama è incisa la croce del-
l'ordine di Rodi col motto: SoliDeo Glo-
ria: Civitas Soli Regi. Buon numero di
strumenti da guerra, portati da lontanis-
simi paesi di gente barbara o selvaggia,
d'Orienle,d' A merica e dell' Indie occiden-
tali, ornano vieppiù questa stupenda ir*
meria. Merita ricordo una sciabola per-
siana fiammeggiante, che nella lama ha
scritto in arabo l'epigrafe: 0 lunga. scia-
biajnon ti per metter e vittoria senza Dio.
Se ogni spada e più ogni cuore portasse
profondamente scritta questa celeste di-
visa, beali i re e beato l'esercito che li cir-
TOR
concia 1 La guerra non sarebbe più un ma-
le necessario al mondo ! Queslo veramen-
te inestimabile tesoro d' armi antiche e
moderne, il quale supera tante celebrale
collezioni di tal genere, e a niuno certo è
secondo, nou esclusa la sommamente lo-
data di Londra, meritava questo fugace
cenno,avendolaanchedescritta e illustra-
ta il conte Vittorio Seyuel d'Aix, Arme-
ria antica e moderna di sua Maestà
Carlo Alberto, Torino i84o, con tavo-
le a parte dell'armi difensive e offensive.
Tra'palazzi degni di particolare riguardo,
vi è quello del duca Genevese, sulla piaz-
za di s. Giovanni, attinente alla reggia, ed
in cui dimorava il re Carlo Felice, prima
duca del Genevese, ed il palazzo Carigna-
no, già stanza del re Carlo Alberto, che
salilo al trono vi stabilì il consiglio di sta-
to da lui creato. In esso si aduna pure il
parlamento nazionale o camera de'depu-
lali. Fra'belli palazzi sono da noverarsi
quelli della curia civica, con due fontane
state aperte sulla faccia del suo portica-
to. Il celebre Deot, valoroso meccanico,au-
lore di preziosi cronometri e costruttore
di macchine di squisita perfezione per mi-
surare i minimi tempuscoli,eseguì per To-
rino duecapolavori, il cronometro del rea-
le osservatorio, e l'orologio normale che
nel 1 853 s'innalzò sulla facciata del palaz-
zo civico, il quale dietro l'autorevole giu-
dizio de'più intelligenti astronomi e oro-
logieri, è forse ili.0 orologio del mondo.
Allri pregievoli palazzi e rimarcabili fab-
bricati, e di alcuni de'quali poi ne parle-
rò, sono quelli del senato del regno, del-
l'accademia delle scienze, dell'università,
delle segreterie, degli archivi di corte, del
seminario, dell'arsenale,della dogana, ec;
quindi il magazzino del sale, e la caserma
per la cavalleria. Mancano però in Tori-
no quegli edilìzi da chiamarsi capo-lavo-
ri dell'arte architettonica j vi s'incontra-
no bensì fabbricati dignitosi e ben oidi-
nati. Se non vi si ammirano i monumen-
ti di Venezia, di Genova, di Padova , di
Firenze, vi trionfa il regolare, il dicevole,
TOR
il comodo. Scarseggia dunque Torino di
monumenti storici più che ogni altra cit-
tà capitale in Italia, perchè le molle peri-
pezie sollerte, e le moderne fortificazioni
onde fra tutte essa sola venne munita a
scauso d'ulteriori danni , e quella totale
devastazione seguita da diligente cultura
che ebbe poi luogo fuori del recinto di-
feso, trassero successivamente a scompa-
rire tutti gli edifizi più memorabili sì del-
l'antichità che del medio evo. Può dirsi
pertanto che questa città Dell'acquistare
cotale regolare e piacevolissima apparen-
za, ch'essa vanta con ragioneria rimasta
spogliala interamente di quella fisonomia
preziosa per rimembranze, che tuttora
conservano tutte le altre città d'Italia, ed
a cui è pur dubbio, se una circolazione più.
agiata ed un aspetto più lieto, porgano
sufficiente compenso. Comunque sia, non
rimane più in Torino altro veramente mo-
numento storico di riguardo , se non se
quelle due torri di color rossiccio che si
vedono vicine alla Porta Palazzo, e che,
ora carcere comunale, ed anticamente pa-
lazzo de's ignori di Torino in diversi seco-
li, dierono a quella parte il nome di Por-
ta Palatina. Volendo trarre induzioni
.dalle varie foggie d'architettura di cui vi
si osserva ancora qualche avanzo, erede-
si che fosse a tempo de'romani il Pala-
tiwn Augustale, poi tra il Vie l'VHI se-
colo la dimora deducili longobardi, e tal-
volta de're, fra 'quali Guido o Vido vuoi-
si abbia dato il nome alle torri, che per
corruzione furonoda taluni scioccamente
chiamale Torri d' Ovidio . Sei -vii ono a va-
ri usi in diverse epoche, né si ha da tace-
re l'ultima in cui veooe fregialo col Dome
di Gesù un certo tondo che vi si scorge di
mezzo, dove s'apriva allora la porta Pa»
latina. £ fu quando il duca Emanuele Fi-
liberto, ricondotto dalla vittoria ne'suoi
stali paterni, volle insignire di quel santo
nome le 4 porte della sua città capitale, sì
iu memoria del Labaro diCostantino l,che
in auspicio perpetuo di vittoriosa posizio-
ne (si vuule che Costantino 1 abbia avuto
TOR i37
diverseapparizioni del Labaro, tra le qua-
li si noverano quelle avute innanzi di vin-
cere l'esercito di Massenzio nelle pianure
di Torino e innanzi di trionfare del tiran-
no presso il ponte Milvio, come notai nei
voi. LVIII, p. 228, LXVlll , p. 244,
LXX, p. 1 45)- Oltre le piazze Reale e del
Castello, Torino ne ha altre 12. Godesi
l'ultima d'un bel porticato aperto nelle
case uniformi all'intorno, con lastrico di
pietre di taglio granitiche, dove lungo i
succedentisi archi, miratisi ricche botte-
ghe e magazzini abbondevoli di mercan-
zie, e rimpetto ben acconciati botteghini
in legname, splendenti d'ogni maniera di
mercerie e chincaglie; costruzione resa re-
golare per l'ordinamento operalo anni ad-
dietro.Delle 1 2 altre piazze 3 sono del vec-
chio Torino; cioè di s. Giovanni in faccia
alla cattedrale, con bel porticato sul fon-
do della legua e del fieno, sullo Spianato
della cittadella , e della Corona grossa do-
ve tieusi il mercato del riso; 6 altre sono
già moderne, cioè le dette di Carignano,
di s. Carlo, dell'Erbe, la Carlina, la Su-
sina, e quella delle Caserme, delle quali
lai/, la 2/ e l'ultima del pan souo attor-
niate da portici. Le più vaste sono le 3 nuo-
vissimed l'Emanuele Filiberto, di Vittorio
Emanuele I, detta pure della Venuta del
Re, e di Carlo Felice; le due ultime pure
accerchiate da portici. Alle quali si può
aggiungere la piazza delle Frutta, già e-
sistenle con portici a' 3 lati, ma che in-
grandita ultimamente pel lato aperto,met-
le sulla piazza d'Emanuele Filiberto. Del-
le 1 5 piazze la più maestosa è quella che
porta il nome del re Vittorio Emanuele
I; essa occupa i siti della Spianata che si
chiamava il Rondò, dove per un piano in-
clinato si calava alle rive del Po. Le dan-
no vaghezza i deliziosi prospetti della Col-
lina di Torino, e l'essere fiancheggiata da
altee nobili case, la cui architettura ha il
pregio di correggere la visuale scadente
delle linee che s'abbassano verso il fiume,
lìisplende Torino per la magnificenza di
due ponti di pietra; l'uno di 5 archi sul
.38 TOH
Po, costruito dal governo francese sopra
disegni dell'ingegnere Pei tinchamp; l'al-
tro sulla Dora d'un sol arco, opera inge-
gnosa, ardita, ammirabile per sodezza e
beltà, del eav. Mosca. Trovali ili. "sulla
linea della strada Po, die ornata di por-
tici, come dissi, dalla piazza Castello fa
canoa quella di Vittorio Emanuele; il 2.°
segue e mette fine alla via d' Italia, che
dalla piazza dell'Erbe guida allo stradale
di Lombardia. Molte sono le belle coll-
imile in Torino; le due degne d'osserva-
stona sono quelle di sopra accennate diDo-
ra Grossa lunga daiooo metri, e la det-
ta tuttora Strada o Contrada Nuova. Un
ben inteso acquedotto, con canali apposi-
ti lungo le mura delle case, raccoglie l'ac-
que piovane sulle vie di Dora Grossa, del
Po e di Strada Nuova; ma oltreciò un
limpido ruscello d'acqua derivata dalla
Dora, scorre a piacimento per tutte le con-
trade di Torino, e serve a sgombrarne le
nevi nell'inverno, a nettarle dall'immon-
dizie e rinfrescarle neU'eslatejcome a spe-
snervi gl'incendi, cui a (frena il ben inte-
so servizio d' una compagnia di guardia
da fuoco, mentre ne risarciscono il danno
due società d'assicurazione stabilitesi mo-
dernamente, l'ima mutua, l'altra a pre-
mio fisso. Di vote e ben fornite di sagre sup-
pellettili vi sono le chiese, in numero di
circa 5o,la principale essendo la cattedra-
le e metropolitana basilica sotto l'invoca
zione di s. Gio. Battista, antica e d'ottima
struttura. Credesi comunemente che A-
gilulfo duca longobardo di Torino, dive-
nuto re d'Italia e de' longobardi pel suo
matrimonio colla regina Teodolinda, ne
fosse il fondatore nel 602. Poche sono le
contrade di Lombardia, dove onori si mo-
strino ancora, o non si sentano citar mo-
numenti della pietà di uno ile'due coniu-
gi. In Monza fabbricarono la basilica di
s. Gio. Battista, cheda'longobardi era ve-
nerato particolare protetlore.ed altrettan-
to fecero in Torino della chiesa del Bat-
tistero al s. Precursore eretta; ed in allo-
ra può d'irsi ch'ebbe principio la superio-
TO R
ri là della basilica di s. Giovanni, sopra le
due anteriori chiese del ss. Salvatore e di
». Maria, come osserva il p. Semeria , a
delle quali parlerò inseguito. Però in due
distinte parti, benché unite insieme, si di-
vide il duomo di Torino, cioè in chiesa
metropolitana dedicata al s. Precursore,
ed in altra chiesa o chiesuola più eleva-
ta,dove (piasi palladio de' torinesi si cu-
stodisce con gran venerazione la ss. Sin-
done di Qcsìi Cristo^ ed a cui si ha l'a-
dito dalla l." per una scalinata di marmo,
e dal palazzo reale per una galleria al me-
desimo livello; insigne e magnifico san-
tuario di bizzarra architettura , che de-
scrissi Dell'indicato articolo. La chiesa me-
tropolitana nel 1498 fu interamente ri-
fabbrieataa spese del vescovo cardinalDo-
nienico della Rovere. Si deplora che al-
lora si limitasse con intendimento imper-
fetto di adornarla alle sole porte esterne,
intorno a cui veggonsi scolpiti de'bei fre-
gi Raffaelleschi, lasciandone l'interno in
uno slato di nudità compassionevole, cui
da ultimo alquanto si rimediò con dipin-
ti. Il re Carlo Alberto fece levare da'sol-
terrauei della cattedrale i mortali avan-
zi de'dudii Amedeo Vili ed Emanuele
Filiberto, e tumulare nella regia cappel- ,
la della ss. Sindone, dove neh 8^1 eres-
se loro magnifici mausolei. Del eh. inge-
gnere Gaetano Sozzara abbiamo l'erudi-
tissima Memoria di dite monumenti da
collocarsi nel duomo di Torino, clic Ut
munificenza sovrana di S, M. il re di
Sardegna. Carlo Alberto commetteva a-
gli scultori Pompeo Marchesi cavaliere
di piti ordinile Benedetto Cacciatori. per
eternare la memoria di Emanuele Fi-
liberto ed Amedeo Vili, premessi alcu-
ni ce/mi storico-artistici sull'origine dei
principali mausolei o monumenti scpol*
evali antichi e moderni, Milano ic»42.
L' insigne Marchesi scolpì il gruppo del
monumento d'Emanuele Filiberto, il cui
assieme della statua firma un tipo ili squi-
sita bellezza. E' rappresentato in piedi, ve-
stito in armatura, colla spada impugna-
TOR
la. Alla destra di lui avvila Storia, che
sia scrivendo ciò che la Munificenza per-
sonificata posta al lato sinistro, ed aven-
te il leone a'piedi, le addita per manda-
re a' po-teri le gloriose gesta del duca.
Queste sono due figure d' una bellezza
impareggiabile. Nel basamento è l'iscri-
zione nella quale il duca èqualificato, Re-
stitutori.1; Imperli. Termina ii magnifi-
co lavoro collo stemma ducale. L'esimio
e valente scultoreCacciatori costituì il mo-
numento d'Amedeo Vili di 3 figure prin-
cipali, cioè del Duca, della Giustizia e del-
la Felicità. 11 duca maestoso sotto forme
colossali tiene il braccio destro piegato sul-
la spalla della Giustizia, mentre l'altro è
proteso sopra la testa della Felicità che gli
sta assisa al Iato sinistro, tenente in una
mano il cornucopia, e nell'altra un ramo-
scello d'ulivo. Amedeo Vili èawoltoin
Ira ricco manto, sotto il quale lascia tra-
spai ire l'arnia tura cavalleresca: edi ècin-
1 D
to di spada, e del berretto ducale tutto
gemmalo all'ingiro. La bellissima e ma-
gnifica testa è colla barba (ch'erasi fatto
tagliare in Thonon quando vi entrò co-
me antipapa Felice f, perchè dispiace-
va alla moltitudine) che gli serpeggia mol-
lemente su! mento. La Giustizia è cinta
di diadema, sorreggente colla mano de-
stra la bilancia, l'ai tra l'ha ri volta al petto,
voglia dire, qui iuta centro le mie
ii. La Felicità, di forme avvenenti,
è avvolta in un ricco campo di pieghe. 11
bassorilievo che serve di parapetto o basa*
rneiitOjSembra un capola voro che ci forni-
sce l'idea dell'arte greca. Le figure che lo
compongono sono q,ed esprimono quan-
do Amedeo Vili sta per pubblicar ie sue
. onde si inerito il titolo di Salomo-
ne del suo secolo, oltre il nome di Paci-
lco per aver conservato la pace ne'suoi
stati fra l'Europa agitata. Egli è seduto
in abito di vicario imperiale; presso di lui
è il figlio Luigi, a cui cede le redini dello
stato,e di rimpetto il vescovo di Chambe-
i v e i grandi delducalo. Aldisottodi que-
sto bassorilievo trovasi il blasoue o stecn-
TOP, i39
ina della casa di Savoia, intrecciato di fra-
sche d'ulivo, alloro e quercia, simboli del-
la pace, della gloria e del potere. La Fer-
mezza e la Sapienza sono due statue che
sorgono lateralmente, e fra queste e lo
lo stemma avvi 1' iscrizione, in cui vie-
ne qualificato: Principi* legìbus populo
constitutis, Sanctitate \-itae, Pace Orbi
Christiano partaclarìssimifione con al-
lusione all'essersi dimesso dall'antipodi-
ficaio). Nella cattedrale si venerano altre
insigni reliquie, de'corpi santi e fra'quali
quello di s.Martiniano. Vie il battisterioe
la cura d'anime,che amministra un vicario
curato perpetuo. II capitolo della metro*
politami si compone della i.a dignità del
preposto, e delle altre dignità dell'arcidia-
cono,tesoriere,arciprete,primicerio e can-
tore, di i2 canonici comprese le pi dien-
ti e del teologo e del penitenz:ere,d'alcuni
beneficiali chiamati cappellani, e di altri
preti e chierici addetti al servizio del divin
culto. Il p. Semeria tratta di questo cospi-
cuo capitolojdelsuocominciainento e pro-
gressi. Riferisce apparire da' sermoni del
vescovo s.M:issimo,ch'egli avea il suocle-
ro,e sembra verosimile che avesse con Ivi
comune l'abitazione e la mensa, o alme-
no separati dal vescovo formassero una so-
la famiglia a guisa di religiosa comunità.
Certo è che il vescovo Rognimiro oRe-
guimiro fiorito verso la fine del seco-
lo Vili, ripristinò il suo clero all'antico
metodo d' una vita comune, prescriven-
do saggi regolamenti, casa e vaste pos-
sessioni assegnando, ond'è riconosciuto i .°
autore o restauratore del capitolo episco-
pale e metropolitano di s. Giovanni, o co-
me allora chiamavasi de' canonici del ss.
Salvatore. Le possessioni dal prelato esuoi
successori.da'principi e \n ispecieda Ade-
laide donate al collegio de'canonici tori-
uesi/uronosolenuemente confermate dal-
l'imperatore Enrico III nel 1047- Quanto
alla vita comune cadde indisuso prim i del
1 460, intorno o prima al qua! tempo cessò
pure l'antica disciplina, per cui il senato
della cattedrale eleggeva il proprio pasto-
i4o TOR
re.1I i ."vescovo torinese promosso senza ia
proposta del capitolo, si vuole Aimone e-
leltoda Giovanni XXIII nel 1 4^ l • " B«"
pa approvava prima l'elezioni, ma Boni-
facio Vili neli3oo annullò quella fatta
di Tommaso di Savoia. 11 numero de'ca-
nonici degli antichi tempi era di 25, cioè
3 dignità, 2 uffizi, a'quali succedevano gli
altri 20, e questi classificati in 6 sacerdoti,
in 6 diaconi, in 6 suddiaconi, in 2 acculi-
ti, i quali conservano tuttora il nome, ben-
ché l'uffizio è sacerdotale e non più di sem-
plice accolitato. I canonici primari si qua-
lificavano nelle sottoscrizioni col titolo di
Cardinale, il quale nome di que' tempi
era pressoché universale a que'sacerdoti
del presbiterio o senato vescovile o pa-
triarcale, a'quali assegnavasi il governo
d'una chiesa particolare, poi riservato a'
componenti il Sagro collegio, di che ra-
gionai pure a Titoli cardinalizi. Le chie-
se delss. Salvatore e di s. Maria erano rette
dal canonico cardinale preposto , quella
di s. Stefano protomartire veniva gover-
nata dal canonico cardinale arcidiacono,
quella di s. Martino ossia Martiniano dal
canonico cardinal arciprete; la chiesa de'
ss. Filippo e Giacomo apostoli dal cano-
nico cardinal cantore, quella de'ss. Simeo-
ne e Giuda apostoli amministrata da un
cauonico cardinale diacono. Anche la ba-
silica di s.Eusebio, la quale era governata
dal canonico cardinal primicerio , come
quella di s. Massimo oggidì di Collegno,
erano decorate del titolo cardinalizio. Ac-
quistò dipoi questo titolo anche la chiesa
d'Oulx, dacché per la facoltà concessa dal
vescovo Cuniberto e dal suo senato, il pre-
posto di que'canonici regolari fu ricevuto
nel collegio de'canonici torinesi. Le chiese
di s. Maria e di s. Eusebio di Torino, ol-
tre al titolo cardinalizio, a veano quello di
Diaconia, forse per esservi contigui gli o-
spizi per gl'infermi e per soccorrere i po-
veri. Da'monumjenti antichi apparisce che
la primaria dignità de'canonici del ss. Sal-
vatore era il preposto, indi quella dell'ar-
cidiacono. Avendo il preposto la cura d 'a-
TOR
nime nella chiesa di s. Maria, non allog-
giava entro il chiostro della casa canoni-
cale, per essere così di più facile accesso
a'f'edeli, e di minore disturbo a'suoi col-
leghi. A lui appartenevano le più solenni
funzioni, per assenza o impotenza del ve-
scovo, come di radunare il presbiterio o
senato per gli occorrenti provvedimenti.
Avea il capitolo un'insigne biblioteca, ric-
ca di molti codici latini e greci, dispersa,
credesi, quando cessò l'alloggioe il vivere
comune. 11 suoeom'mciamentosi attribui-
sce al canonico preposto Ricolfo, che molti
codici ottenne da'monaci della Novalesa,
il 2.0 monastero fondato nel Piemonte, al-
lorché fuggirono da quel monastero per
l'incursione de'saraceni di Spagna del qo6
e si salvarono in Torino. Gli antichi sta-
tuti capitolari riformati nel 1468, furono
confermali dal Papa Paolo II. In tutti i
tempi questo capitolo fu veneratissimo e
celebratissimo , per essere sempre stato
composto di sacerdoti insigni per nobiltà
di natali, per esemplarità di vita, dottri-
na e assidua assistenza al coro, alla direzio-
ne del clero e del seminario, al soccorso
spirituale e temporale di tutta la città; e
del proprio pastore si mostrarono in ogni
occorrenza, siccome oggidì, valido soste-
gno e cooperatori illuminali e fedeli. Uà
solo esempio di dissidenza del capitolo col
vescovo, anzi collo stesso Papa Innocen-
zo IV, trovasi nel vescovato di Giovanni
Arborio.Aggiungeil p.Seiueria.» Fuori di
quest'esempio singolare, la buona armo-
nia e una retta intelligenza legò l'animo
de'primari pastori con quello del suo se-
nato; siccome il cuore de'canonici stette
sempre congiunto a quello de'propri pre-
lati: ammirabile e santissima concordia,
per operare nelle diocesi la salvezza delle
anime non meno che la propria; e verità
importantissima per certe chiese cattedra-
li, anche d'Italia, nelle quali le gare, le
pretensioni e dirò i puntigli sembrano tra-
mandarsi di età in età, ed ereditarsi al-
l'infinito, sotto colore di difendere gli an-
tichi diritti e privilegi ; divisioni scisma-
TOR
fiche clie riescono di scandalo a' popoli,
di obbrobrio al sacerdozio, di dolore alla
Chiesa; e Dio non voglia, anche di eter-
na perdizione a coloro che le promuovo-
no e fomentano, senza voler fare per a-
more all'unità i necessari sagrjfizi." Non
è quindi meraviglia, se dal collegio de'ca-
nonici torinesi sono stali scelti in ogni se-
colo i prelati a governar le diocesi del Pie-
monte, molti de'quali per ubbidienza ac-
cettarono la mitra, ed altri per invitta co-
stanza la ricusarono: gli uni egli altri com-
mendevoli. L'ospedale massimo di To-
rino, edilizio di soda e vaga magnificenza,
chiamasi volgarmente di s. Giovanni, ap-
punto perchè da'canonici del duomo eb-
be il i .°suo cominciamento, il più. vigoro-
so progresso e la migliore sua dotazione
ed assistenza. Inoltre nella basilica metro-
politana di s. Giovanni, alla cappella della
ss. Trinità, sta anuesso un collegio di al
tri canonici della collegiata della ss. Tri-
nila. Ebbero principio col semplice tito-
lo di cappellani in numero di 6 nel i o34,
istituiti e stipendiati dal piissimo sacer-
dote Sigifredo con obbligo di qualche ce-
lebrazione e servizio a quell'altare della
ss. Trinila. Venne poco dopo avvalorata
questa istituzione dalia contessa Berta o
sua figlia Adelaide, quando fecero una do-
nazione alla chiesa di s. Giovanni di To-
rino nel i 037, di ampie rendite, ed arric-
chì la cappella dellass. Trinità, in cui gia-
cevano le ossa del trapassato suo marito
Manfredo, affinchè 6 sacerdoti ogni tiì ce-
lebrassero quivi il solenue sagrifizio, e por-
gessero al Signore caldi prieghi, sì per lei
che pel suo marito e gli altri congiunti.
Alla quale di lei pietà avendo riguardo
Landolfo vescovo di Torino, onorò col ti-
tolo di canonici i 6 sacerdoti, e volle che
si chiamassero dipoi il collegio della ss.
Trinità. 11 numero di questi canonici fu
in seguito aumentato, ed ebbero la cura
di diverse parrocchie: trovasi di fatto che
nel i 3y 5 reggevano le chiese parrocchiali
di s. Gregorio, di s. Silvestro, di s. Simeo-
ne, e di s. Pielro De Curie Ducis ossia del-
TOR l£i
la corte degli antichi duchi longobardi.
La città diTorino nel 1 77gcondiscese,che
la congregazione de'6 preti teologi, eret-
ta nel i655 pel servizio della sua chiesa
del Corpus Domini, impetrato il sovrano
reale gradimento, e con l'autorità dell ar-
civescovo, fosse aggregata al collegio dei
canonici della ss. Trinità; e questa colle-
giata ebbe sempre i diritti e l'onore del-
la precedenza a lutti i beneficiati della cit-
tà, e a tutte le collegiate ancheinsigni del-
la diocesi. Ad altri 6 canonici di quella
collegiata il re Carlo Alberto assegnò sul-
la fine del 1837 il servizio della chiesa di
s. Lorenzo, che già appartenne a'teatini.
Dalla collegiata eziandio della ss. Trini-
tà uscirono molti uomini apostolici per
la città di Torino, e prelati dotti e pii a
reugere le diocesi. Il palazzo arcivescovi-
le è alquanto distante dalla metropolita-
na. Oltre di essa in Torino vi sono altre
1 3 chiese parrocchiali munite del s. fonte.
Fra le principali chiese di Torino, la
più bella è quella di s. Filippo Neri, am-
pia e di slimata architettura del celebre
Juvara, ed a cui solo mancando il com-
pimento della facciata, credo che ormai
l'avrà ricevuto. Nuovo lustro le accrebbe
nel i834 Gregorio XVI, quando ordinò
la beatificazione del b. Sebastiano "N al fi è
della diocesi d'Alba, della congregazione
de'filippini di Torino, da'quali viene uf-
ficiata in uno all' amministrazione della
cura d'anime, e nella quale si venera il
sagro suo corpo: esempio impareggiabi-
le di carità evangelica, nel 17 io meritò
nell'ultima sua infermità d'essere due vol-
te affettuosamente visitato dal re Vitto-
rio Amedeo li, il quale raccomandando
se e la famiglia reale alle sue orazioni, ri-
spose il beato:»Ho sempre pregato in tut-
ta mia vita per V. A. R. e per la sua fami-
glia; e ora le prometto che seguiterò a fa-
re lo stesso anche dopo la motte. V. A.
compatisca e cerchi sollevare le miserie
de' suoi sudditi da tanto tempo oppressi
dalle lunghe guerre, procuri d'intender-
sela sempre e di slare unito col Sommo
j4?. tor
Poni elìce, Vicario di Gesù disto, se vuo-
le che Dio feliciti sé, la sua realef uniglia,
ed il suo stalo". Tanto leggo nella r ita
del h. Sebastiano Talfre della congre-
gazione dell'oratorio di Torino, Roma
i834. La mentovata chiesa di s. Loren-
zo ha 1' architettura la più strana deni-
gri templi della città. L'ahuso delle lince
curve contorte per ogni verso contrasse-
gnò il genio bizzarro del celebre p. G mi-
rini teatino, ma quivi almeno compensò
in parte la stravaganza del disegno col-
l'arditezza e leggiadria della cupola tut-
ta traforata da archi incrocicchiati. Ma
convien dire che altrove, eprincipalmen
te nel palazzoCarignano, biasimevole seu •
za scusa sia stalo I' impiego da lui fatto
della linea curva. E non senza ragione fu
da 'migliori maestri dell'arte giudicata la
linea iella come generalmente la più ac-
costante nel bello in architettura, al che
si pub aggiungere che in molte cose nel-
l'ordine materiale, come sempre nel mu-
rale, essa è non solo la più breve, ma e-
ziandio la più lodevole e la più sicura da
tenersi. Nella censura che merita l'abuso
delle linee curve non si devono certamen-
te comprendere le belle forme tondeggian-
ti, per cui si ammirano tanti monumen-
ti religiosi sì antichi che moderni. Tut-
tavia non si può negare la bellezza di
questo stile adottato per la nuova chiesa
della Beata Vergine Madre di Dio, che il
corpo decurionale di Torino fece costrui-
re dirimpetto al ponte Po, onde perpe-
tuare la memoria del felice ritorno della
real casa di Savoia ne'suoi stati, e del re
Vittorio Emanuele 1 in Torino nel 181 4;
ed anzi è da lodare il magnifico prospet-
to ch'essa porge alla strada di Po, e pom-
peggia fra'grati aspetti della piazza della
Venula del He. Ne fu architetto il cav.
Bonsignore, e l'eseguì sull'idea del Pan-
theon di Ruma , forma che agli amatori
de' tipi de' templi cristiani non del tutto
piacque. La chiesa del Corpus Dominimi
porla a riferirne l'origine col p. Semeria.
1 documeuli che comprovano il iniraco-
TO R
lo del l'OsliaEucaristica,av venuto nel cen-
tro di Torino a'G giugno i453, sono sta-
ti l'accolli e pubblicali diligentissimamen-
te dal canonico e teologo collegiate d. Gio.
Angelo Colombo, rettore della ricordata
veu. congregazione del Corpus Domìni,
illustrati poi dall'altro canonico teologo
collegiale e socio dell' islcsso sodalizio d.
Clemente De Negri co' Cenni storico-cri-
tici sopra l'insigne miracolo della ss. O-
stia, Tori no 1637. Se ne tratta pure dal
marchese Tancredi di Barolo ne' Cenni
diretti alla gioventù intorno a' fatti reli-
giosi successi in Torino, ivi i836. Per-
tanto, nel i453 disegnando Renato duca
ci* Angiò di calar in Italia con 35oo ca-
valli, quando Luigi duca di Savoia gli con-
trastò il passo ne' suoi stati, per questa
opposizione e per altre vertenze tra Lui-
gi e il Delfino di Francia, furono messi
a sacco que'villaggi che stavano sul con-
fine degli stati del Piemonte verso il Del-
finalo, fra' quali Iixilleso Issilie ultima
terra della provincia di Susa. In questi
saccheggia menti, uno di Exilles per toglie-
re alla profanazione il Corpo del Signo-
re, ch'era in un reliquiario d'argento (al-
tri dicono con più probabilità, che i la-
droni lo derubarono con allri oggetti), lo
iu viluppo in certe balle che pose sopra un
mulo, e si recò a Torino. Giunto il mulo
innanzi la chiesa di s. Silvestro, si fermò
gettandosi a terra colie ginocchia piega-
te. Dislegate le balle per opera sovrauma-
na, ne uscì fuori il Corpo ili Cristo col re-
liquiario e si elevò miracolosamente inai-
lo con grande splendore simile a un sole.
Avvisalo del portento il vescovo Lodovi-
co di Romagnano, subito si recò sul luo-
go col capitolo e il clero, e appena arri-
vato,cadde il reliquiario, e la ss. Ostia cou-
sagrata rimase in aria splendente di rag-
gi. Inginocchiatosi il vescovo commosso,
e adorando cogli astanti il ss. Sagramen-
lo, si fece portare un calice e presente tut-
to il popolo la ss. Ostia discese nel sagro
vaso. 11 vescovo tutto infervorilo lo por-
tò con gran divozione, accompagnato dui
TOR
canonici e clero, non che da'nobili oilt»'
{lini, nella caltetlrale,e poi renne colloca"
to in bellissimo tabernacolo, che esistette
sinché fu fatto il duomo nuovo, iti Iut-
iera venerandosi la ss. Ostia. In comme-
morazione di sì strepitoso prodigio, fu sta-
bilito che in Torino e iti tutta la diocesi
si celebrasse con processione generale la
fétta e l'oV del Corpus Domini. La f-mia
dell'accaduto trasse la moltitudine de'cir-
costanli paesi ad adorare Gesù sotto le
specie sagramenlali, e implorarne grazie
e favori nel luogo ch'erosi eletto pel suo
culto, e se ne pai tuono consolati per quan-
to ottennero. Dipoi i decurioni «Iella cit-
tà, desiderosi che viva sempre si mante-
nesse la memoria dell'avvenimento mira-
coloso, nel i 52 i deliberarono di fabbri-
care una cappella o oratorio viciuo alla
detta chiesa di s. Silvestro, in onore del
Corpo di Cristo, e precisamenle nel silo
ove in pieno meriggio e in presenza del-
l'intera popolazione si manifestò, istituen-
dosi a suo onore la compagnia del ss. Sa
gramento o congregazione de'leologi del
Corpus Domini. Sul finire dello slesso se-
colo, desolata Torino dalla guerra e dal-
la peste, i decurioni fecero solenne volo
di convertire l'oratorio in tempio di più
Tasta e magnifica forma. Nove anni dopo
enei 1 607 ne gettarono le fondamenta al-
la presenza del duca Carlo Emanuele I,
e del celebre architetto Ascanio Yittozzi
autore del diseguo, e la chiesa riuscì una
delle più belle e ricche di Torino (piale
oggi si vede e divotamente -i frequenta.
Dell' antico oratorio non rimane se non
se il piccolo sito chiuso da balaustra do-
ve successe l'insigne prodigio. La chiesa
riccamente ornata per ogni parte mostra-
si alquanto angusta rispetto al gran con-
e al fervore popolare. E tale rima-
se pei che impedì allargarla l'estrema vi-
cinanza della chiesa antichissima dello
Spirilo santo, già tempio di Diana per
quanto si crede, poi convertita in chiesa
ad onore di s. Silvestro da s. Vittore i.°
vescovo di Toiino, e finalmente rifatta
TOR .43
dall'attuale confraternita nel 1 594>°iu,n-
cii restaurala nel 1 763, quale ora trova-
si. Per lauti sicurissimi docamenti, che
all'ultima evidenza confermano il mira-
colo della ss. Eucaristia, la s. Sede dopo
le più severe e giuste disamine, sotto Gre-
gorio XVI riconobbe la verità del mira-
coloso avvenimento, e nel i83o accordò
l'uffizio proprio per la festa solita a ce-
lebrarsi nell'anniversario del portento ai
6 giugno; pontificia concessione che co-
ronò i pissimi desiderii del clero, della
città e della real corte, e pone un perpe-
tuo sigillo a ogni ulteriore disquisizione.
La chiesa della Consolata ebbe origine
da'monaci della suddetta badia di N'uva-
lesa, quando nel qo6 vedendola posta dai
saraceni a fuoco e sangue , si salvarono
coli'abbate Doniverto in Torino. Quivi
fondarono l'abbazia di s. Andrea a porla
Turrianica o Susina, che dopo pochi an-
ni incendiala da alcuni saraceni prigio-
nieri, venne rifabbricala vicino alla porla
Comitale ossia Palatina. Ora altro avan-
zo non ne rimane se non che il campani-
le, in cui si può ravvisare una di quelle
torri a difesa che allora sol concedev;insi
a'monasteii e a'feudatari. Quivi dopo lo
strepitoso prodigo che vado fe narrare, fa
perordined'Ardoiuo re d'Italia «retta una
prima cappella che tuttora vi si vede sot-
terra nel luo£o ove si rinvenne la s. Im-
magine di Maria Vergine, divenula poi
per 8 secoli oggetto della ben giusta di-
vozione de'loriuesi. E' pia credenza che
fosse questa la medesima già esposta alla
loro venerazione da s. Massimo (cui l'a-
\ea donata s. Eusebio reduce dall'orien-
te), in un certo piccolo oratorio attiguo
alle mura della città. che fu distrutto nel-
l'universale devastazione del ^ I <eculo per
la mano de'barbari, o per involarla allo
scempio che delle ss. Immagini fece il ve-
scovo Claudio iconoclasta. Ma u uova men-
te scompari verso il ic8o l'effigie sagra
involta nelle rovine della chiesa allora ab-
bandonata fra gli orrori delle guerre ci-
vili, pesti, procelle e carestie che condus-
I#4 TOR
aero Torino a un quasi totale sterminio.
Mentre governava la chiesa torinese A-
mizzone II, Giovanni Rivaccino nobile
cieco nato di Briancon, spinto da quella
somma fede cheDio pur sempre rimerita,
venne in cerca della smarrita immagine,
ed eragli dal cielo riserbata la sorte di ri-
provarla a'20 giugno 1 104 tra'frantumi
della badia di cui altro non rimanca che
la torre, e nel sito stesso della cappella
ove la fece collocare il re Ardoino. Impe-
rocché questo principe ordinò all'abbate
Guglielmo, di curare la pronta costruzio-
ne della cappella in onore della Regina de-
gli Angeli accanto la chiesa di s. Andrea
di Torino. La cappella fu dedicala a'^3
novembreioi6 dal vescovo Majnardo I,
ed il Papa Benedetto "Vili con suo diplo-
ma l'arricchì d'indulgenze. Non tardò la
divozionee la gratitudine de'torinesi, men-
tre in ogni modo risorgeva la loro città,
a edificare sopra questa cappella, rimasta
sotterranea perchè le macerie delle pas-
sate vicendeaveano innalzato il livello ge-
nerale, non solo una nuova chiesa di s. An-
drea,ma un adiacente santuario ossia chie-
sa unita alla prima e dedicata alla B. Ver-
gine della Consolazione. Ora è questa ap-
punto che ampliata nel i5g4, poi rifab-
bricata nel 1705 quale al presente si ve-
de, e ognor più adornata dalla pietà dei
cittadini non che dagli stranieri, racchiu-
de in oggi la venerata immagine: questa
che fu poi sempre ed è tuttora , la Dio
mercè, consueto rifugio dell'anima o del
corpo, fonte perpetuo di grazie pubbliche
e particolari, oggetto di non intiepidito
fervore perla popolazione tutta d'una fra
le più religiose città, dicesi volgarmente
Consolala. Del miracoloso evento volen-
done perpetuare la memoria, Carlo Ema-
nuele I e la duchessa sua consorte Cate-
rina d' Austria ordinarono nel 1 5g5 che
fosse sopra marmorea lapide scolpita o-
gin più minuta circostanza slorica di tal
fatto, e questa venne per loro comando
collocata nella cappella maggiore del san-
tuario della Consolata, come tuttora osi-
TOR
ste. Il quadro della B. Vergine è dipinto
eccellentemente in tela, e somiglia in tut-
to, tranne le stelle sul capo e sulla fronte,
aquellochesi venera in Roma nella Chie-
sa di s. Maria del Popolo (f^-). Sulla
piazzuola laterale al santuario della Con-
solata venne eretta una colonna dedica-
ta alla B. Vergine che ivi si venera, e ciò
a scioglimento del voto fatto dalla città
di Torino a'3o agosto 1 835 nella gravis-
sima congiuntura che il cholera asiatico
avea invasa questa illustre capitale. 11 fu-
sto della colonna è d'un sol pezzo di gra-
nito lisciato di Campigiia; e dello stesso
granito lucido sono pure lo zoccolo ed i
3 gradini su cui esso s'innalza, talché il
bel color grigio paonazzelto del masso
principale fa maggiormente spiccarela ba-
se e il capitello corintio di marmo bianco
di Carrara. In cima poi del monumento
ergesi una bella e divota statua marmo-
rea di Maria ss. col divin Figlio che in at-
to a un tempo dignitoso e amorevole sten-
de la sua manina a benedire i fedeli ac-
correnti al santuario. Lo zoccolo vienecir-
condato da una leggera inferriata ossia
cancello di forma circolare,e sulla sua fac-
ciata anteriore una breve iscrizione inci-
sa in lettere d'oro rammenta l'insignegra-
zia ricevuta da'torinesi per l'intercessio-
ne di tanta protettrice, pel cui patrocinio
attenuato mirabilmente dapprima, scom-
parve poscia in breve il formidabile e de-
solante flagello. Nel 1767 in Torino fu
stampata V Istoria del miracoloso ritrat-
to di Maria Vergine detto della Conso-
lata.ha chiesa de'ss. Martiri, già crollan-
te tempio pagano d'Iside, posto fuori del-
le mura nel sito a un di presso ora occu-
pato dalla cittadella, fu dal memorato ve-
scovo s. Vittore disposto al culto del vero
Dio e in onore de'ss. Solutore, Avvento-
re e Ottavio martiri della legione Tebea.
Vi depose il s. vescovo le reliquie di quei
campioni della fedee protettori della cit-
tà, e vi formarono i suoi successori una
badia che durò più secoli io gran credi-
to. Venuta poi meno fra le vicende di
TOR
guerra, furono le sagre reliquie trasferi-
te nella chiesa di s. Andrea ossia della Con-
solata, poi in questa che ora ne porta il
nome e che fu fabbricata nel 1 577 ad uso
della compagnia di Gesù. Questa bella
chiesa, grande assai e ricca di marmi e di
sfoggiatile architettura, venne d'allora in
poi ufficiata in diversi tempi da'discepoli
dis.lgnazioeda que'dis. Vincenzo dePao-
li.che seguendo del pari il genio caritate-
vole de' loro sublimi fondatori lavorano
tuttodì con zelo infaticabile a prò della re-
ligione e dell'umanità. Altre chiese rimar-
chevoli possiede Torino, che lungo sareb-
be il ricordare, ed il p. Semeria trattò pu-
re delle chiese urbane e suburbane nel
secolo XIII; però, sebbene suburbana,
siccome tanto riguarda la città, non pos-
so a meno di qui far parola della sontuo-
sa basilica di Soperga o Superga, posta
sopra la cima culminante de'colli torine-
si della montagna omonima, all'est-nord-
est di Torino, e da essa distante circa una
lega e i/4, presso la sponda del Po. Vede-
si a grandissima distanza, ed offre dalla sua
vetta una prospettiva magnifica e di som-
mo effetto, nella sua mirabile situazione,
anche per la vastissima pianura che le ri-
mane sottoposta, checo'monti e le Alpi
le fanno corona. Monumento reso insigne
dall'architettura di Juvara, che dovè su-
perare gravi difficoltà, e dalla ricordanza
d'un'epoca non meno gloriosa per la real
casa e non meno felice pe'suoi sudditi. Im-
perocché la liberazione dell'assedio, che i
francesi aveano posto alla cittadella di To-
rino nel 1 7o6,dopo aver invaso il Piemon-
te, sarà sempre illustre ne'fasti della pa-
tria e della religione; avvenimento che già
accennai nel voi. LXI, p. i56, ed a suw
luogo ne riparlerò. Quivi dunque il duca
Vittorio Amedeo II concertò col suo cu-
gino principe Eugenio di Savoia il piano
della liberazione diTorino, da cui dipen-
deva quella pure dello stato. Sulla som-
mità della collina stava eretta una picco-
la cappella in cui veneravasi l'immagine
della ss. Vergine. Il duca volgendosi a
VOL. LXXVH.
TOR i45
quella disse: Ah dammi, o gran Madre di
Dio, che io disperda colà que'nemici; e in
testimonianza della tua grazia, io qui ti
farò sorgere un magnifico tempio. Lagra-
zia di fatto l'ottenne a'7 settembre! 706.
Torino fu libera da quel punto: ed essa
che già dice vasi ed evala città delSagra-
mento, potè appellarsi più che mai la cit-
tà di Maria. Il duca non si dimenticò di
sua promessa, e come le tante spese che
avea fatto per la guerra non gli permet-
tevano di metter così presto mano all'o-
pera, volle consultare il sentimento del b.
Valfrè, il quale con sua lettera rispose, che
essendosi ottenuto il prodigio per interces-
sione della B. Vergine, a lei doveasi diri-
gere il ringraziamento. Però propose di
solennizzare con magnifica pompa le feste
della Natività, dell'Annunziata e dell'Im-
macolata Concezione; e che alla B. Vergi-
ne dovea esser dedicata la chiesa, secoudo
il voto da fabbricarsi sul colle di Soperga;
e così facendo, essere certissimo che Dio
seguiterebbe a proteggere in particolare
modo Torino, e in tutti si manterrà viva
la memoria della grazia ricevuta. Finita
la guerra tra le potenze d'Europa col trat-
tato d'Utrecht nel 1 7 1 3, con vantaggio
massimo del duca divenuto re, si sollecitò
egli a dar principio al sagro edifizio, sul
colle medesimo di Soperga, ove dalla Ma-
dre di Dio avea implorato soccorso, e la
parte debole del nemico assediatole avea
scoperto. L'architetto messinese ingegno-
sissimo, stese il grandioso disegno, e nel
17 i5 il re die comiuciamento all'opera,
che nel 1780 fu felicemente compita di
forma rotonda, con.portico, che nell'ester-
no la mette in armonia bellissima colla
tondeggiante forma del monte, sostenu-
ta da pilastri di marmo e sormontata da
una cupola, da un lato elevandosi il cam-
panile; con l'interno ben decorato da un
doppio ordine d'architettura, da colonne
e da diverse sculture, ed il pavimento di
marmo di vari colori. Tale è la maestria
d' arte, tale è la dovizia de' marmi e va-
ghezza di lavoro, che l'eccelsa basilica non
io
146 T O R
tanto per la bellezza delle singole parti,
quanto perla felice unità che ne risulta,
forma sempre I' ammirazione anche di
quelli che hanno percorso tutta l'Italia. La
basilica ha 7 altari. Le due piccole cappel-
le-sono dedicate a s. Maurizio protettore
dello stalo, ed a s. Luigi IX re di Fran-
cia, i quadri de'quali dipinse Sebastiano
Ricci di Belluno. L'altare della Natività
della ss. Vergine ha il bassorilievo di mar-
mo bianco esprimente il mistero, scultu-
ra d'Antonio Cornacchini diPistoia. Quel-
lo dell'Annunziala fuscolpitodalcav. Ber-
nardino Camelli romano. Gli altari della
b. Margherita di Savoia, e di s.Carlo-Bor-
1 omeo , hanno quadri eseguiti dal cav.
Beaumont torinese. L'altare maggiore ha
il bassorilievo di marmo allusivo alla bat-
taglia e alla liberazione di Torino. Sull'al-
to è la Regina del cielo, bella di tutta la
sua clemenza, avente a'suoi piedi il b. A-
medeo IX duca di Savoia, che nell'infu-
riar del combattimento, a lei raccoman-
da il suo sangue ed i cari suoi torinesi. E'
sculturadello stesso cav. Cametti. Per af-
fittare questa chiesa con religioso decoro,
il re Vittorio Amedeo II eresse una con-
gregazióne di preti, i quali furono prov-
veduti di ampie rendite, affinchè nell'edi-
lìzio annesso alla basilica abitassero in vi-
ta comune, e collo studio e colla pietà riu-
scissero abili all'importante ministero di
prelati e pastori delle chiese de' regi sta-
ti. Di molli onori, privilegi e prerogative
venne quindi illustrata questa congrega-
zione dal re Carlo Emanuele III neh 782.
All'alia destinazione ben corrisposero di
tempo in tempo i sacerdoti di quel colle-
gio; e moltissimi ne uscirono colla digni-
tà vescovile, e più cospicui ancora per la
vasta scienza e le egregie virtù di cui e-
vano adorni, detto perciò giustamente il
seminario de'vescovi. Nuovi regolamenti
assegnò a quella congregazione neh 834
il re Carlo Alberto, e d'allora in poi as-
sunse il nome d'accademia ecclesiastica:
lutti i vescovi dello stato aveauo il diritto
di uoruiuarvi un chierico, in cuiconcor-
TOR
ressero i necessari requisiti, e la sagra e-
loqùenza e la scienza de'canoni partico-
larmente vi erano insegnate. Ne riparie
rò qui appresso. La biblioteca è mirabi-
le per la vastità, le ricchezze, l'ordine e
l'eleganza della 1. "sala, degna d'una reale
accademia dove si coltivavano e fiori va-
no le scienze. I sotterranei della basilica
sono riservati dopo il re Vittorio Amedeo
II al sepolcro de' suoi successori, e della
famiglia reale, sebbene e come notai nel
voi. LXI , p. 181 , ricordando un' opera
scritta di queste tombe, Carlo Alberto fe-
ce togliere da'sotterranei della metropo-
litana 27 spoglie mortali di principi del-
la casa di Savoia, e trasferire all'antica ba-
dia di s. Michele della Chiusa, comechè
la basilica di So porga era destinata dal
fondatore principalmente alla tomba dei
re. Chiunque visita i sotterranei, avendo
disegnato le tombe Marti nez, Rana e Re-
velli, sentesi colpito suo malgrado da un
rispettoso orrore e da una religiosa vene-
razione: la morte ivi è rivestila di splendo-
re e addita I' immortalità di que'grandi
che ivi riposano. Fra altri ornati si osser-
vano particolarmente certi teschii di pal-
lido marmo, cui cingono la spolpata fron-
te ricche corone reali rilucenti d'oro, qua-
le simbolo di terrena possanza. Or quan-
te profonde riflessioni non desta mai a tal
vista, il grave pensiero religioso che volle
fregiar que'sepolcri in sì fatta maniera!
Non è perciò meraviglia, se nel 1 799, go«-
vernato il Piemonte dalla vertigine e dal-
l'irreligione,con decreto de' 6 gennaio, uscì
l'empio ordine» che il sagro tempio fosse
ridotto a un edifizio di filosofia e di na-
zionale riconoscenza, e all' insegne reali
fflssero sostituiti gli emblemi della liber-
tà, e distrutte le tombe de' tiranni, si e-
rigessero i mausolei de'piemontesi morti
per la patria" come narrai nel voi. LXI,
p. 173. Ma come Dio volle, il decreto del
furore e dell'empietà non venne esegui -
to,e merito perpetuo ne riportarono par
ticolarmente quegli ecclesiastici che con
santa industria fecero deluso l'intendi-
TO R
ruento de'perversi. Abbiamo: Stona del-
Id reale basilica di Sopcrga, Torino
i 8 r ) . Del canonico Vaticano e professo-
re dell' università romana d. Guglielmo
Aadisio, La reale basilica di Soperga)
Torino 1842.
L'ultima proposizione concistoriale per
la preconizzazione dell'odierno arcivesco-
vo, riferisce soltanto esservi in Torino 3
conventi di religiosi e 2 monasteri di mo-
o
nacbe. Eccone poi il copioso novero ripor-
tato dal p. Semeria, anco d'istituti non più
Mittenti. I religiosi di s. Francesco e di s.
Domenico si stabilirono in Torino sin dal
priucipio de! secolo XII, viventi ancora
i loro santi fondatori. Neli2i4 vi si recò
S.Francesco e vi fondò il suo ordine, ed in
suo onore la città eresse il convento e la
chieda che ne porta il nome, ma ili. "sop-
presso nell'invasione francese al principio
del secolo presente, non ritornò più a'
fiati conventuali. 1 domenicani pure in-
trodotti nel 12 14, e soppressi indetta e-
poca, nel 1 8 1 4 riacquistarono l'autico lo-
ro tempioe domicilio. A s. Maria di Piaz-
za ebberu già convento i carmelitani, tra-
sferiti poi alla chiesa che tuttora ne porta
il nome. Gli agostiniani da s. Cristoforo
nel borgo ov'era il monastero abbaziale
di s. Solutore, distrutto da' francesi nel
.passarono alla parrocchia de ss. Fi-
lippo e Giacomo, che indi si cominciò a
chiamare di s. Agostino. I minori osser-
vanti fondarono l'antica chiesa delia Ma-
donna degli Angeli nel 1 4^ 1 presso alle
Torri, poi ne! 1 54-2 furono provvisti della
chiesa di s. Tommaso, e dierono princi-
pio alla fabbrica della chiesa attuale sul-
le rovine dell'antica. A'minori riformati
nel i6a3 si assegnò il convento della Ma-
donna degli Angeli, oggidì esistente. I ci-
sterciensi nel 1 58q sottentrarono agli an-
tichi benedettini neri nel monastero di s.
Andrea . ove al presente sono gli oblati.
La città fabbricò nel 1 538 il convento del-
la Madonna diCampagua pe'cappucciui,e
quindi il convento delMon te nel 1 5go, luo-
go già insigne per fot tificazioui guerriere.
TOR >4j
Noterò, che neh 843 Gregorio XVI do-
nò alla loro real chiesa suburbana del
Monte le reliquie di s. Botonto martire,
estratte nel 1 84 1 dalle catacombe di s. A.-
gnese fuori le mura di Roma. Giuntela
TorinOjfurono collocate in ricchissima ur-
na donata dal conte della Torre gover-
natore della città, e vestite con preziosi
drappi ricamati dalla contessa Solaro del-
la Margherita. L'urna fu quindi deposi-
tala nella chiesa della gran Madre di Dio
esistente alle falde del Monte, ed a' 1 5 gen-
naio con processione solenne e concorso
d'immenso popolo, trasportata alla regia
chiesa di que' religiosi, ch'era stata con
sontuosa pompa ornata. Rimasero espo-
ste 8 giorni le sagre reliquie, e continua
fu la folla de'di voti fedeli a venerarle. Nel-
I' 8.° giorno i filarmonici di Torino ese-
guirono scelta musica nella messa solen-
ne: nella sera vi fu panegirico e altra pro-
cessione. Lamoltiludinede'divoti m que-
st'ultimo dì fu tale, che non dileguossi se
non a sera avanzala. Tutto fu eseguitocou
grandiosità, che rammentò le traslazioni
de corpi santi ue'secoli di mezzo. 1 gesù. li
ebbero la chiesa de'ss. Martiri e la casa
annessa nel 1 565. I benfratelli ebbero o-
spizio e piccolo spedale inTorino nel 1 5g5,
nel sito ove trovasi l'ospizio delle Pvosi
ne. I camaldolesi eremiti furono iutro
dotti ne'monti della città da Carlo Emù
uuele I nel 1 5gg. I barnabiti, raccoman-
dati da s. Carlo e surrogati a"canonici re-
golari di s. Antonio, ebbero la chiesa di
s. Dalmazzo nel 1 6 1 o: gli agostiniani scal-
zi quella di s. Carlo nel 16 12; i leresiani
nella chiesa della santa loro fondatrice fu-
rono eretti nel 1 622; i minimi di s. Frau
cesco di Paola cominciarono nel 1623; i
filippini nel 1649, c^ie su' Pl'lnclpi° della
loro fondazione furono soggetti a diverse
vicende di chiesa ed'alloggio; i serviti nel
i653;i missionari nel i654;i trinitari «cai
zi per la redenzione degli schiavi, nula
contrada attualmente deuominata di s.
Francesco di Paola, presso al palazzo del
conte della Trinità, nel 1676, e sebbene
j48 tor
fabbricarono poi la chiesa e convento di
s. Michele, pochissimi anni ne goderono;
i ministri degl'infermi cominciarono nel
1678, ed oggidì hanno ripresa l'antica lo-
ro chiesa di s. Giuseppe. Un monastero
di sagre vergini, dedicato a onore di s. Pie-
tro, esisteva in Torino sin dal 1 o 1 4, pres-
so al sito ove ora trovasi la cittadella,e as-
sai vicino alla chiesa della Misericordia.
A queste monache fece donazione di molti
beni il conteOddone fratello del marchese
Magnifredo 11, e perciò zio dell' illustre
Adelaide. Professavano la regola di s. Be-
nedetto con molta osservanza, e per esse-
re molte di numero, e quasi tutte di no-
bile famiglia e di grandi reudite possidenti,
questo monastero godeva non solo in To-
rino, ma in tutto il Piemonte di luminosa
riputazione. Decadute le monache dal pri-
miero fervore, erettisi d'altronde in Tori-
no monasteri di vari ordinile monache di
s. Pietro non trovarono più damigelle che
volessero abbracciare il loro istituto, per
cui ridotte a 3 monache, s. Pio V nel 1 570
soppresse il monastero di s. Pietro, e de'
loro redditi furono in vesti tele canoniches-
seLateranensi, sotto il titolo di Matcr Mi-
sericordiae, le quali in Torino erano state
fondale nel 1 535, ove è oggi la confrater-
nita della Misericordia, sotto la direzione
de'canonici regolari Lateranensiecoll'ap-
provazione di Paolo 111. Le prime fonda-
trici furono levatedal monastero dell'An-
nunziata di Vercelli. Le monache di s.
Chiara ebbero principio nel 1 2 1 4; le cap-
puccine nel 1 627; le carmeli tanedi s. Cri-
slina nel i635; quelle della Visitazione
neh 638 per opera della sanla loro fon-
datrice, la quale recossi espressamente da
Annecy a Torino; le agostinianedette del
Crocefisso nel 1 648, ove oggidì alloggiano
le monache del Sagro Cuore; le penitenti
di s. M." Maddalena presero la regola del
3.° ordine di s. Francesco nel i654, ove
ora sono le cappuccine; e quelle di s. Pe-
lagia neli657. Alla pietà e magnificenza
della duchessa M. "Cristina, vedova di Vit-
torioAmedeo I e madre diCarloEmanuele
TOR
II, sono debitori quasi tutti gli ordini re-
golari dell'uno e dell' altro sesso, per n-
verli introdotti ne* regi stati o dotati di
convenevoli rendite, e tutti avendo sem-
pre essa grandemente protetto. I certosi-
ni stabiliti in Loze neh 191 da Tommaso
I conte di Savoia, traslocali poi a Mon-
bracco, neh 600 in Avigliana nel gran-
dioso convento degli estinti umiliati, ma
3o anni dopo dovendolo sloggiare per le
guerre,onde rifarli de'danni solterti,la du-
chessaM. "Cristina fissò loro stabilee tran-
quilla sede a Collegno, ponendo ivi nel
1648 con luminosa grandiosità lai.'' pie-
tra, assegnando largo territorio a que'so-
litari. Per la rivoluzione francese Occupa-
to il Piemonte, gl'invasori venderono la
certosa; indi neh 8 18 fu riacquistata da
più benefattori per conto de'certosini stes-
si, e perciò doppiamente ritornò ad essere
loro proprietà. Tante religiose istituzioni
soggiacquero ad una miseranda dispersio-
ne nel principio di questo secolo, mentre
la dominazione francese reggeva il Pie-
monte. Dovettero uscir da' loro chiostri
le monache e ricoverarsi presso i loro pa-
renti o pii benefattori , senza alcuua di-
visa del loro istituto; però volle Dioche
neppur una fosse rimproverata d'aver
perduto il pudore. I sacerdoti espulsi da'
loro conventi, si occuparono per uua gran
parte nella cura delle parrocchie e nella
privata o pubblica istruzione, in abito di
preti secolari. Rimasero così le cose sino
all'avventuroso 1 8 1 4> ia CUI il trono di
Savoia tornò a'suoi legittimi principi. A
questa faustissima epoca, i regolari supeP\
stili che anco nel secolo uou aveanode-
posto lo spirito della loro vocazione, ripi-
gliarono la fondata speranza d'essere ri-
stabiliti alla primitiva loro professione. Ma
né così presto, né così facilmente pote-
vano essere esaudite le loro domande, seb-
bene vivissimo desiderio ne avesse l'otti-
mo re Vittorio Emanuele I. Molti con-
venti erano slati venduti in tempodel go-
verno francese e ridotti a case secolari ,
e più ancora le loro antiche possessioni e-
TOR
inno passate a mani straniere. Gli ordini
mendicanti furono i prim i a rientrale nel
possesso delle chiese e de'eonveuti; e quin-
di gradatamente anche i molti possidenti
riacquistarono edifìzioe rendite sufficien-
ti,regnando i pii reVittorio Amedeo I, Car-
lo FeliceeCarlo Alberto. La mirabile reli-
giosa munificenza degli encomiati sovrani
giunse tanto innanzi, che noti si ebbe più
a dolersi delle passale sventure straniere,
essendosi le comunità religiose, special-
mente quelle che sono dirette all'educa-
zione della gioventù e all'assistenza de-
gli ospedali, si favorevolmente moltipli-
cate, che pel numero e per 1' osservanza
superano quelle che esistevano per l'in*
nauzi, non solo nell'arcidiocesi di Torino,
ma in taotealtreprovinciedel regno. Così
ospizi d'ogni geuere, scuole di fanciulli,
soccorsi a domicilio, sale di ricovero, 9
ospedali compreso quello di s. Vincenzo
de Paoli di recente fondazione, il monte
di pietà, ed ogni altro ricetto d'infermità
fisiche o morali, sono compresi nello sco-
po di questi benefici istituti. Si può vede-
re di Defendente Sacchi, Insti Luti di be-
neficenza di Torino, Milano i835. Pri-
mo di essi giunse in Torino quello delle
suore di s. Giuseppe, fondato neh 65 1 a
Puy nel Velay in Francia dal vescovo di
quella cittàMaopas,a imitazione delle pri-
me regole che s. Francesco di Sales avea
dato alle suore della Visitazione. Ferma-
tesi queste monache di s.Giuseppe per po-
co e in piccol numero in una casuccia del
borgo di Dora, furono stabilite nel 1822
al monastero di s. Pelagia, dove tengo-
no un convitto per le zitelle di civil con-
dizione.Sono inoltre loro affidatedalla rea-
le opera della ÌMendicità istruita 8 scuole
di povere fanciullesparse per la città, men-
tre ancora assistono e istruiscono le car-
cerate, dirigono il ritiro dell'orfane, e ten-
gono l'intera cura dell'opera pia del Ile-
fugio, aperta da'piissimi coniugi marchesi
di Carolo al ravvedimento delle femmine
colpevoli, e all' educazione delle ragazze
tra viute. Nel 1828 furoQo.uhianialeiuToi'i*
TOR 149
no per servizio del manicomio le suore det-
te bigie, perchè vestono di color bigio con
velo nero, a differenza dell'abito nero e
dell' ampia culììa bianca che portano le
suore della Carità, dalle quali quelle fu-
rono smembrate in Besaucon nel 1 799»
cioè sul finire della rivoluzione di Fran-
cia. Nel 1829 pubblicò in Torino il d.r Be-
nedetto cav. Trompeo, Saggio sul ma-
nicomio di Torino. Ma leggo nella Civil-
tà cattolica. 2. 'serie, t. 4, p. J79, che i
certosini di Collegnoavendocouceduloiu
grazia al governo porzione della loro cer-
tosa per alloggiarvi una mano di pazzi,
che non potevano capire tutti nel mani-
comio di Torino (giacché deplorai a suo
luogo, che negl'infelici tempi di vicende
politiche, di rivoluzioni, di utopie, le aber-
razioni mentali souo più assai frequeuti e
numerose), il ministero non si teuue con-
tento di ciò, e nel 1 8 53 iuti mò con decreto
a'certosiuidi sgombrareiuteramente dal-
la certosa che voleasi convertire in una
pazzeria, e di stabilirsi a Superga , dove
saranno trasportale le spoglie de'cavalieri
dell'ordine supremo della ss. Annunziata,
e stabilita la chiesa dell'ordine medesimo.
Coll'assegnare ora a' certosini la basilica
di Superga, si soppresse l'accademia, ope-
ra gloriosa di Carlo Alberto. » Del resto
la sentenza di morte contro l'accademia
di Superga allora fu pronunziata quando
ne venne sbandito l'illustre Audisio(dot-
tissimo e già lodatoì che n'era il sostegno
e il decoro. Essendo iucapace quel luogo
di venir convertito io certosa, uon reste-
rà né certosa, uè accademia, che è quello
che vogliono! libertini." Inoltre alle suo-
re bigie nel 1 83 t venne affidato il regio
spedale della sagra religione de'ss. Mau-
rizio e Lazzaro,detto volgarmente de' Ca-
valieri. Ebbero in appresso in Torino al-
tri pii stabilimenti, e per ultimo neh 833
il grande ospedale di Carità. Neh 832 le
suore della Carità, già fondate in Parigi
nel 1 635 da s. Vincenzo de Paoli, venne-
ro a stabilirsi in Torino in una piccola
casa del Borgo Nuovo, verso la passeggiata
ilo TOR
del Valentino, ed ebbero tosto a prender
cura dell'ospedale militare di Torino, e
quindi degli altri utilitari nelle provincie.
.Servirono durante l'invasione, de! chole-
i a nell'infermerie di Po e di s. Luigi, a-
perte n'cholerosi: assunsero dipoi l'inca-
rico d'una casa di Misericordia destinata
a recar soccorsi a domicilio nelle parroc-
chie di s. Eusebio e di s. Francesco di Pao-
la. Per ultimo nel 1887, traslate dal Bor-
go Nuovo al convento di s. Salvatore, as-
sunsero la cura dell'ospedale di s.Giovan-
ni. Nell'anzidetto i83s si recarono in To-
rino le suore dette della Provvidenza, sot-
to la protezione speciale di s. Anna, isti-
tuito nel 1 763 in Metz dal piissimo sacer-
dote Moye di quella diocesi e poi missio-
uaiio apostolico nella Cina, collo scopo
d'esercitare tutte l'opere di misericordia
nello spirito di massima pò verta, e pertan-
to nelle campagne principalmente. Ven-
nero dapnrima per prender cura d' una
sala di asiloo ricovero infanti le,fondalo al-
lora nella città(come toccai nel vol.LXI 1 1,
p, 65 e G7), per opera de'piissimi coniugi
marchesi di Carolo; e poco dopo l'istituto
stabilito in Torino n'ebbe due unite insie-
me, apertea governare ed insegnare tutto
il giorno a 200 fanciullini fra maschi e
femmine, d'età inferiori a 6 anni (ma con-
viene tenerpresenteil narrato dallaC?V*7-
tà cattolica }%Qì\ci}yi.i i,p. 257: Gli Asi-
li d 'Infanzia • 1. 1 2, p. 1 6: G li Asili il In-
fanzia ne loro inizii in Italia j e p. 275:
Gli Asili (V Infanzia quali sono al pre-
sente in Italia). Indi le suore della Prov-
videnza ebbero la nuova casa edificata sul
viale di s.Massimo, sotto al santuario della
Consolata, in cui oltre al noviziato si apri
un convitto per l'educazione di fanciulle
della classe popolare. Di più fu loro data
provvisoriamente una casa a Moncalieri,
ovedoveanoprendercura d'alcuni ragaz-
zi storpi e infermicci d'ambo i sessi. Un
somigliante scopo d' educazione civile e
cristiana si proposero le suore dette Com-
pagne diGesùjVenutedaFranciaueli 836,
le quali tengono casa e convitto nel boi*
T O B
go di Po. A tutti questi istituti devesi ag-
giungere quello delle religiose del Sagro
Cuore diGesù, fondalo in Amiens nel 1 800,
le quali oltre l'aver per iscopo precipuo
l'educazione delle zitelle di superiore con-
dizione e gli esercizi spirituali per le da-
me, non sono estranei a'doveri di queste
religiose il soccorso e l'ammaestramento
gratuito delle fanciulle povere. L'istituto
del Sagro Cuore fu stabilito dal re Carlo
Felice nel 1823 nel monastero del Croce-
fisso, che prima della rivoluzione appar-
teneva alle agostiniane. Or mentre in tan-
te maniere si cercava in Torino di sov-
venire all'educazione femminile di tutti
i ceti, restava a provvedere per l'impor-
tantissimo oggetto dell' educazione pub-
blica di que'giovanetti, che non si desti-
nano allo studio della lin«ua latina. Di ciò
prese pensiero dapprima la regia opera
della Mendicità, chiamando nel 1 83o alla
dilezione dell'insegnamento i fratelli del-
le scuole cristiane, istituiti dal ven. Del-
la Salle, per l'istruzione de'fanciulli po-
veri e figli d'artigiani, e fabbricando lo-
ro un'ampia casa con giardino, dietro la
chiesa di s. Pelagia.Due anni dopo si valse
pur di essi la città per le sue scuole, e fissò
loro una 2/ abitazione sul viale di s.Mas-
simo,rimpetto alle fontane. Vennero qui li-
di affidate a questi benemeriti e virtuosi
maestri cj scuole della mendicità,e 1 6 scuo-
le comunali, nelle quali gratuitamente
s'insegnano il catechismo, la grammatica
italiana, l'aritmetica in ogni sua parte, la
calligrafia, la storia sagra e la geografìa
elementare,come e meglio si legge ne' ram-
mentati Cenni intorno a' fatti religiosi
successi nel la città diTorino.Viirdìxnenle
non deve tacersi l'istituto degli Oblali di
Maria Vergine, fondato in Pinerolo nel
1827, per attendere principalmente alla
predicazione negli esercizi spirituali : fu
esso nel 1 834 destinalo a surrogare i ci-
sterciensi nel santuario della Consolata.
Neh 836 vennero stabiliti nell'antichissi-
ma chiesa abbaziale di s. Michele della
Chiusa, come rilevai nel voi. LXf , p. 1 8 1 ,
TOR
i sacerdoti della Carità cristiana, t'ondati
dal celebre sacerdote conte Antonio Ro-
«filini-Serbati, ultimamente defunto, per
cui nel 1 855si stamparono inMilano: Cen-
ni biografici eli Antonio Rosmini, onori
funebri e testimonianze rese alla sua me-
moria,raccolti (Lì sacerdotiileW istituto
della Carità di Slresa. Nello stesso an-
no dall' Enciclopedia contemporanea ,co'
tipi Lana di Fano, nel t. 2,p. 104 si ri-
portarono: Cenni intorno all'ali. Anto-
nio Rosmini-Serbati e sue opere. Final-
mente le monache Adoratriei perpetue
del ss. Sagramento, fondate in Roma da
suor M.* Maddalena dell' Incarnazione,
morta in buon odore di santità nel 1 82 4i
chiamate a Torino, vi si stabilirono nel
i83g, aventi a superiora suor Cherubi-
na della Passione, nipote della fondatri-
ce e peno anni sua alunna e consorella.
La virtuosa regina Maria Cristina vedova
ilei re Carlo Felice, di suo peculio acqui-
stò il locale che occupano le monache in
Borgo Nuovo, e fece loro costruire la chie-
sa rotonda con disegno dell'ingegnere cav.
Alfonso Dupuy; opera non terminata per
la morte della lodala benefattrice. 11 se-
minarioarci vescovile pel narratodalla Ci-
viltà cattolica, a." serie, t. 6, p. 697, col
prelesto che già fosse da vari anni chiuso,
colla forza fu convertito neh 854 in ca-
serma;poichè il governo nel far man bassa
sopra i beni della chiesa, dopo aver po-
sto il sequestro anco su quelli del semi-
nario, con violenza l'occupò, ad onta delle
proteste del rettore e de'professori del me-
desimo ch'eranvi andati per dettar le lo-
inconsuete lezioni. Non manca Torino di
pie confraternite di laici, e la più antica
unione di confrati detti disciplinati, fu sta-
bilita neli3i 1 nella chiesuola di s. Cate-
rina. Quella di s. Croce fu fondata neh 343
in un piccolo oratorio vicino a porta Pa-
ladina, poi trasferita nella chiesa parroc-
chiale di s. Paolo, ora basilica magistrale,
perchè nel 1729 fu eretta in regia arci-
confraternita de' ss. Maurizio e Lazzaro.
Quella del ss. Nome di Gesù, che in se-
IOR 1 5 1
guito e dopo le commoventi esortazioni
di s. Bernardino da Siena fu istituita nel
1 >45 nella chiesa parrocchiale de'ss. Pro-
cesso e Martiniano. Trent'anni più tardi
furinola nella chiesa pur parrocchiale di
s. Silvestro la confraternita dello Spirito
santo, la quale recatasi a Roma nell'anno
santo 1700, vi fu aggregata a quella di s.
Spirito in Sassia, e ricevè poi per pia la-
scita l'incarico di mantenere un ospizio pe'
catecumeni che vengono alla fede catto-
lica. Quindi uu anno dopo e neliSyG eb-
be origine la confraternita della ss. Tri-
nità, nella chiesa di s. Pietro de Curie Da-
cis, oggidì nella contrada del Gallo. Tra-
sferita poi da questa chiesa iu quell'an-
tichissima di S.Agnese in principio di Dora
Grossa, già parrocchia e basilica nel 1 1 o3,
si dedicò particolarmente ad accogliere i
pellegrini. Non tardarono inseguito a sor-
gere 4 altre confraternite, cioè quella di
s. Gio. Decollato, delta della Misericor-
dia, istituita nel 1578 per soccorrerei car-
cerali e assistere i condannati al patibolo;
quella della ss. Annunziata, che smembra
ta dall'antica del ss. Nome di Gesù, si sta-
bili prima nella parrocchiale di s. Mar-
co nel 1 58o, nel luogo ove oggidì è la piaz-
za Vittorio, e poi nel 1649 si trasferì en-
tro la porta della città all'attuale sua chie-
sa, che fece appositameute costruire e por-
ta il suo nome; finalmente le due della ss.
Sindonee di s. Rocco,eretle lostesso gior-
no 1 5 luglio 1 5g8, di cui la 1 .a dopo aver
auche tenuto la chiesa di s. Pietro del Gal-
lo, prese cura dello spedale de' pazzi ne'
tempi posteriori al penultimo ingrandi-
mento di Torino; e la 2/ applicatasi al-
l'opera misericordiosa di seppellire i morti
abbandonati, tiene ora lasua sede nell'an-
tica chiesa parrocchiale de'ss. Stefano e
Gregorio. Splende in Torino la regia uni-
versità degli studi, la più grand'opera di
Lodovico conte diToriuo, ultimo principe
d'Acaia e di Morta, che perciò basta a tra
mandare a tutte le future generazioni con
massima gloria il suo nome. Prima di que-
sta sapientissima istituzione, ogni piecuou
i5a TOR
tese che bramava diventar giurisperito o
dottore fisico, dovea uscir dal proprio pae-
se per recarsi ad una di quelle università
che fiorì va no in Francia e in Italia. A que-
st'inconveniente il principe pensò di ripa-
rare, ordinando nel centro de'propri do-
mimi un sistema di pubblico insegnamen-
to, non tanto pegli studi grammaticali ,
quanto per le altre scienze, e questo sì sa-
lutare pensiero nacque in lui, e ad onta
ch'era occupato nell'innalzare il Castello
della città , poi palazzo Madama sudde-
scritto, dalle preghiere che i professori di
Pavia e di Piacenza gli presentarono per
ottenere là facoltà d'aprire pubbliche
scuole nelle sue terre. Chiamò a tale in-
tendimento da Pavia Bertolino de Ber-
touis per l'insegnamento della giurispru-
denza , e volle che sul cominciar di no-
vembre del 1 4o4 cominciasse le sue lezio-
ni. Onde non mancasse della giusta con-
siderazione lo studio, procurò Lodovico
che l'antipapa Benedetto XIII, da lui er-
roneamente supposto legittimo Pontefi-
ce nel grande Scisma d'occidente, Io eri?
gesse colla sua suprema autorità, e con-
cedesse privilegi a' professori e agli sco-
lasi. Aderì Benedetto XIII alle istanze, e
con sua bolla data in Marsiglia a'24 ot-
tobrei4o5approvòquesta nuova univer-
sità, concedendo a'maestri e agli studenti
que'privilegi e immunità di cui godeva-
no altri studi generali, e dichiarando inol-
tre che al vescovo spettar dovesse ogni giu-
risdizione col grado di cancelliere, e che
alla presenza di lui o d'un suo delegato
dovessero conferirsi i gradi accademici.
Dopo alcun tempo, celebralo il Sinodo
pisano, parve al principe Lodovico molto
dubbioso il pseudo-pontificato di Bene-
detto XI II, e perciò di niun valore la sua
bolla; volendo quindi assicurare i privi-
legi della nascente università, s'indirizzò
a Giovanni XXIII per avere un'altra bol-
la, e di fatti gli fu concessa il i.° agosto
1 4 1 3, come si ha dal cav. Datta, Storia
de prìncipi di Acaia. Bramoso il princi-
pe che maggiormente si estendesse il lu*
TOR
stro dello studio di Torino, avea pure spe-
dito all'imperatore Sigismondo in Buda
due legati, i quali si maneggiarono mollo
per appagarlo , quantunque ciò che do-
mandavano pareva pregiudizievole alleal-
tre università italiane, e ciò non ostante
ottennero il i.° luglio I4-1 2 ampio privi-
legio imperiale, che si legge nel libro: Pri-
vilegia almae Taurin. U/u\'ersit.,\ugu-
stae Taurinorum 1679. Restituita la pa-
ce generale alla Chiesa col concilio di Co-
stanza nel i4i 7, e dopo la morte del prin-
cipe Lodovico, essendo succeduto al go-
verno del Piemonte Amedeo Vili, volle
ottenere all'università una sanzione pon-
tificia, sopra la cui validità non potesse
mai più insorgere alcuna dubbiezza e con-
testazione. Per questo motivo mandò al
legittimo Papa, che allora reggeva laChie-
sa, il virtuoso Eugenio IV (contro il quale
fu poi eleltoantipapa dal conciliabolo dì
Basilea, di che meglio a Svizzera), una
legazione, la quale ottenne con lettera a-
postolica data in Ferrara la pontificia con-
ferma de'privilegi dell'università di To-
rino, nella più ampia e valevole forma.
La sede dell'uni versila, per cagione or del-
le guerre or delle pesti, dovè subire di-
verse emigrazioni. Di lì a pochi anni di
6ua fondazione , si traslatò a Sa vigliano
nella provincia di Cuneo, città 1 1 leghe e
più distante da Torino, posta nella bella
pianura del Piemonte, fortificata e ben
edificata, e pregievole per altre preroga-
tive; e da essa fu di bel nuovo ricondotta
a Torino. Ebbe in appresso un sicuro a-
silo in Mondovi, dove fiorì per alquanti
anni, cioè dal 1 452 alt 566, col pubblico
insegnamento di que'maestri, che Ema-
nuele Filiberto avea chiamali sotto alti sti-
pendi dalle più colte provincie. Ma ap-
pena che la pace ricompose i pubblici af-
fari , ad istanza del magistrato civico di
Torino, presso il duca e l'arcivescovo, l'u-
niversità fu restituita alla primitiva sua se-
de di Torino, il che successe d'ordine del-
l'istesso duca a'22 ottobre 1 566. Scrisse-
ro alcuui, che anco in Monoalberi e mClue -
T O R
ri ubbia avuto residenza, tua siifata opi-
nione da altri è impugnata, anzi il consi-
glio di Torino si oppose virilmente a'ma-
neggi de'chieresi. La città di Torino (in
dal principio dello studio generale vi pose
il massimo interessamento: ella pagava a
tempi del principe fondatore annui 1075
fiorini d'oro per Io stipendio de profes-
sori e altre spese; il locale per le scuole
fu preso a pigione dalla città nel palazzo
di Micliele Borgbese, e fatti esaminare gli
statuti più convenienti ad adottai si , in
gran parte segu'i quelli dell'università di
Pavia. Inoltie l'università in ogni tempo
fu riputata da'reali principi di Savoia la
più bella gemma di loro corona, e perciò
largamente la prolessero e fa vonrono.Mu-
nificentissimo ristauratore della medesi-
ma, fra gli altri sovrani, fu il re Vittorio
Amedeo 11, avendo egli fatto costi uire se-
condo il disegno del genovese Ricca, egre-
gio architetto , il grandioso e ben com-
partito edifizio, in cui le diverse classi ri-
cevessero l'opportuno insegnamento, ma-
gnifico massime nella parte interna, pe'
porticati adorni di fregi, iscrizioni e scul-
ture, stali illustrali nel libro: Marmorei
Tauri ne risi a, da'professori Ricolvi e Ri-
vantella. 11 re sagacemente ne accrebbe
gli studi e stabilì iediscipliue, dopo essersi
accuratamente informato del praticato
nelle più celebri università d'Europa. Ri-
cercò; da tutte parti gli uoraiui più illu-
minati in tulle le scienze, con assegni con-
venienti, tanto ebe riaperta 1' università
con doviziosa biblioteca nel novembre
1720, acquistò in brevissimo tempo un
floridissimo risorgimento, ed un luminoso
splendore anche fuori del Piemonte. Fi-
nalmente in agosto 1729 pubblicò il fa-
moso regolamento, oggetto di sue matu-
re considerazioni peno anni, e da cui le
scienze, le buone lettere, la morigera lez-
ta, la discipli uà, una sana dottrina, il buou
gusto risentirono meravigliosi vantaggi.
E come sapeva che nelle famiglie di po-
vera e mediocre condizione, gli acuti in*
gegui, scuzu un'alta provvidenza, uou pò-
TOR i53
levano venire educati e colti, a tutte le pro-
vincie del suo regno estese le paterne sue
beneficenze, con istituire quel collegio che
delle Provincie chiamavasi, in cui, sen-
z'aggravio de'parenti, i giovani di buon
talento erano istruiti, e l'università avea
frequenza e otteneva dottori, e anche mae-
stri specchiatissimi. Alle tante provvide
cure de'principi di Savoia egregiamente
corrispose 1' università di Torino, sicché
non solamente potè gareggiare colle pri-
marie d'Europa, ma in diverse epoche su-
perarne la sapienza e lo splendore, sì per
la dottrina de'professori, che pel uume-
10 de'colti studenti, e più ancora per la
santa disciplina che gli uni egli altri fe-
delmente osservavano. I primi professo-
ri di leggi furono Cristoforo Castiglione e
Signorino Omodei, di decretali Bertolino
Duyna,di teologia due domenicani di Ge-
nova e di Rapallo. Nel principio del seco-
lo XVI era in tal credito, che neli5o5 il
f.tmoso Erasmo di Rotterdam volle in es-
sa farsi laurear teologo. Altre glorie del
fiorente studio si ponno leggere nel conte
ProsperoBalbo: Lezioni accademiche in-
torno alla storia della regia universi»
tà di Torino. Dopo la riforma del re Vit-
torio Amedeo li, l'università brillò simil-
mente di purissima luce, e nelle scienze
ecclesiastiche primeggiarono d. Giuseppe
Pasini professore delle divine scritture, d.
Berardi d'Oueglia ne'sagri canoni, nella
filosofia morale il p.Casati teatino e poi ve-
scovo di Mondovi, e ilcelebralissimoGr/-
dil barnabita e poi cardiuale, nella teolo-
gia scolastica il p. Casto Innoceuzo Ansaldi,
nelle sagre scritture e nelle lingue orien-
tali 1' eruditissimo Gio. Francesco Mar-
chiui vercellese,nella morale crislianaGio.
Antonio Ghio, ec. Racchiude una scelta
biblioteca di oltre a 1 3o,ooo volumi, pro-
venienti nella più parie in origine da quel-
la de' duchi Emanuele Filiberto e Carlo
Emanuele I; ricca di mss. preziosi, il cui
catalogo è stampato, olire i6oo preziosis-
simi che le donò l'ab. Valperga di Ca-
luso, e too codici membranacei prove-
.14
T O R
nienti dal celebre monastero di Bobbio.
Contiene inoltre l'edifizio dell'uni vendita
un ricco gabinetto patologico, stato ulti
inamente aperto, ed un gabinetto di fisi-
ca che forse non ha il simile, e già esiste-
va a' tempi del celebre p. Beccaria, stalo
Bi'1'icchito da'professori che gii successe-
ro, ed ampliato e splendidamente fornito
in oggi di quanto po<sa tornare a profit-
to della gioventù studiosa, nelle dimo-
& trazioni e nelle sperienze fisiche. Olire
l'università, dove s' insegnano la teolo-
gia, la giurisprudenza, la medicina, la chi-
rurgia, l'eloquenza greca, Ialina e italia-
na, le matematiche, la filosofia, l'archi-
tettura, le lingue orientali ec; si hanno
in Torino collegi e parecchie scuole co-
munali, già ricordate.
L'arsenale principiato da Carlo Ema-
nuele II, poi rifallo e ingrandito da Car-
lo Emanuele III, è un edifizio sontuoso
che unisce a tutti gli altri pregi più essen-
ziali quello d' essere d'uno stile di archi-
tellina adattatissimo al suo oggetto, me-
rito più raro assai di quanto pare comu-
nemente, e che non si può lodare abba-
slanza in un tempo in cui vuoisi che una
servile imitazione de'mirabili modelli del-
l'antichità, calzi pur sempre a ogni uso e
in qualunque circostanza: in esso vi han-
no scuole per gli artiglieri, come alla Ve-
neria è una scuola veterinaria. La fonde-
ria de'cannoni è grandiosa. Uno degli sta-
bilimenti più ragguardevoli di Torino è
quello della reale accademia delle scien-
ze, stata fondala da Vittorio Amedeo ili
neh 783, e formala dagl'illustri scienziati
che fino dali7D7 eransi raccolti a socie-
tà private, di cui i promotori furono il
conte di Saluzzo, il d.r Cigna e il celebre
Lagrange. Stata divisa quest' accademia
in due classi a' tempi dell' occupazione
francese, l'una di scienze esatte, e l'altra
di letteratura e scienze filosofiche, com-
posta di 4o memhri, 20 per classe: ricom-
pensati gli accademici con pensioni vita-
hzie perpetue, fu ripristinata col nome
d'accademia reale e mantenuta uella sua
T O R
divisione di due classi, cioè per le scien-
ze matematiche e fisiche, e per le morali,
storiche e filologiche , uè cessa ella dal
pubblicar le memorie de'suoi dotti e im-
portanti lavori. Comprende il palazzo del-
la reale accademia, già casa de'gesuiti, do-
ve tenevano ne'lempi trascorsi il rinoma-
to collegio de'nobili, diversi copiosi, ma-
gnifici e ricchi musei. Ammirabile è quel-
lo de'monumenti egiziani dovuto all'im-
prese trilustri del piemontese cav. Dro-
velli, di cui si legge la descrittone nell'o-
pere del. celebre Champollion giurnore.
Contiene il medesimopiù d'8000 monu-
menti di vario genere, e tra le altre sta-
tue colossali di granito nero e roseo , dr
basalte verde 0 nero, quella del celebre
Sesostri considerata come il miglior lavo-
ro dell'egiziana scultura; con molti arti-
coli inservienti al culto, istrumcnti e u-
lensili d'arti e mestieri, papiri, scarabei,
medaglie, e soprattutto la collezione dei
rnss. delle catacombe di Tebe, nelle 3 spe-
cie di caratteri geroglifici, ieratici e domo-
tici. Quindi comprende il palazzo accade-
mico 3 altri musei: quello dell'antichità
greche e romane, il museo mineralogico
distribuito secondo il Broguiart, di cui ha
pubblicato il catalogo l'ab. Borson, equel-
lo di storia naturale, di cui la parte de-
gl'insetti, già, proprietà del valentissimo
prof. Bonelli, è delle più ricche che si ab-
biano per le specie europee. Sono inoltre
iu Torino un'accademia militare per l'i-
struzione de'giovani nobili e di ci vii con-
dizione; una reale accademia di belle ar-
ti, ampliata, arricchita e protetta dal re ;
la società, promotrice delle belle arti, che
per la regia benignità suol fare le annue
pubbliche esposizioni nel palazzo dell'ac-
cademia Albertina ; una società agraria,
un congresso di edili, una camera di com-
mercio. Carlo Alberto cou lettere patenti
de' 16 ottobre 1847 autorizzò la costitu-
zione d'una società anonima per lo sta-
bilimentod'una banca di sconto, di depo-
siti e di couti correnti, col titolo di ban-
ca diTorino, approvandone il relativo sta-
TOH
lulo sulle basi di quello che regge la ban-
di ili Genova. Prima di quest'epoca e nel
1827 fu istituita per la città e suo terri-
torio la cassa di risparmio, ad esempio di
quelle diFrancia, Inghilterra, Germania e
Lombardia, che offre a chiunque e in ispe-
eie agli artigiani, giornalieri e al (ri,il mezzo
di formarsi con piccoli e ripetuti depositi,
die vannosempre accumulandosi pel suc-
cessivo incremento de'fruttiferi interessi,
do capitale per giovarsene al bisogno. Vie
la società 6larmooica,e la società filodram-
matica. I teatri sono 8 tra grandi e piccoli.
Il teatro detto del B.e è uno de'più belli di
cui possa vantarsi l'Italia, opera del con-
te Benedetto Alfieri, d'altra famiglia che
non quella del celebre tragico. Il teatro
Carignano ha la gloria d'aver dato le pri-
me rappresentazioni delle tragedie Alfie-
rane. Due altri sono i teatri di qualche
riguardo, il D'Augcuues e il Sutera. Uo-
po vengono i teatri del Monte di Pietà, il
circo Salez, il Giandusi e le Marionette.
Produsse Torino non pochi uomini illu-
stri, un principe Tommaso, un Emanue-
le Tesauro, un conte Bogino, un IJaret-
ti, un Bertrandi,.un Allioni, un Gioanet-
ti , un conte Saluzzo, un Lagrange, un
Porporati, un ab. Valperga Caluso. Mol-
ti altri Borirono per santità di vita, e nel-
le dignità ecclesiastiche e regolari, vesco-
vi, arcivescovi e cardinali. Di questi ulti-
mi ne scrissi le biografie e sono i cardina-
li seguenti, alcuni però appartenendo ad
altri luoghi del Piemonte, ove ne ripor-
tai altri. A rboreo.l/è rcurio, Giovanni Bo-
na, Francesco Adriano Ceva , Lodovico
Gorros'edo, Guglielmo, Carlo Vittorio
Amedeo delle Lanze, Gio. Battista Rovo-
rOjCarloToinmasoMailUirddi Tour non,
Enrico Ostiense, Cristoforo della Rose-
re,!) omenico della Rovere, Girolaniodel-
ImUovere, Amedeo Saluzzo,Cnv\o di Ma r-
tioùuuz, Giuseppe Morozzo, Vittorio Co-
sta, Teresio Ferrerò della Marinara. 11
Papa Pio IX nel concistoro de'17 dicem-
bre 18 55 creò cardinale dell'ordine dei
pi eli ilrev.inon. ni. Francesco Gaude del-
T O R 1 J ?
l'ordine de' predicatori, nato in Cambia-
no arcidiocesi di Torino, procuratore ge-
nerale del suo ordine, rettore del Semi-
nario Pio, e gli conferì per titolo la chie-
sa di s. Maria in Araceli. Il p. Semeria ri-
porta io biografie di personaggi insigni
per dignità ecclesiastiche o per virtù apo-
stoliche che nel! arcidiocesi di Torino eb-
bero la nascita o la morte. Oltre 4 deno-
minati cardinali, gli altri sono: Carlo An-
to uio Vacchetta della congregazione del-
la missione , Ignazio Carrocio giuniore
canonico preposto della metropolita!) 1 ,
Giuseppe Costa parroco di Morella, Gio.
Antonio Genta parroco di Caotojra, p.
Gio. Battista Prever della congregazione
dell'oratorio, Giuseppe Pollani parroco di
Cavorre. Si può vedere, oltre gli scritto-
ri ricordali a Piemonte: Cario Teni velli,
Biografia de' Piemontesi illustri, Tori-
no 1 -80. Atti de' santi clic fiorirono nel-
la casa di Savoia. Pietro Luigi Galletti,
Inscriptiones Pedemontanae infimi aevi
Romae extantes, Romaei 766. Torino e
Alessandria sono le piazze più importan-
ti di commercio del Piemonte. In Torino
numerose vi sono le fabbriche e le mani-
fatture. Meravigliosi progressi vi ha fatto
l'arte tintoria, e per eccellenza vi si lavo-
rano il ferro e gli altri metalli, i gioielli
finamente lavorati. Abbondevole vi si fa
il commercio di seterie, ed eccellentemen-
te vi si lavorano gli organzini, i velluti, le
slolfe, i drappi e le tele , e le biancherie
da ta vola benissimo lavorate;quindi le por-
cellane, le maioliche, i corami, ed ogni ma-
niera di stoviglie, arredi, carrozze, ed ar-
mi da fuoco. La carta da scrivere e quel-
le de' parati sono di qualità eccellente e
ponno gareggiare colie francesi. Sono ri-
cercati in Europa i liquori di Torino, non
che la cioccolata; come godono di pregio
particolare i libri che si vanno stampando
nelle numerose tipografie, specialmente
dallo stabilimento del Pomba, valoroso ti-
pografo, il quale con gran dispendio di de-
naro si procacciò da Londra il mirabile
torchio meccauico che con pochi operai
1 56 T o n
stampa alcune migliaia di fogli al giorno.
La popolazione di Torino eccede in oggi
i5o,ooo abitanti, compresi iforastieri. Le
antiche mura cederono il luogo ad ameni
passeggi che vi girano attoruo. Gli uni
guidano al castello del Valentino,dove tro-
vasi l'orto botanico dell'università, stato
ingrandito, arricchito e abbellito negli ul-
timi tempi, e si fa la pubblica esposizione
triennale degli oggetti d'industria e d'ar-
te; gli altri mettono al campo di s. Secon-
do, che il volgo chiama tuttora campo di
Marte, perchè destinato agli esercizi guer-
reschi; ovvero aperti tra ridenti case e pa-
lazzi del novello abitato, per sentieri quin-
di appartali e solitari conducono al cam-
posanto o cimilerio generale, che di sem-
plice architettura mortuaria venne stabi-
lito non lungi dal fiume Dora. Questo ci-
milerio è un monumento recente, il cui
maggior pregio.oltre la sua decorosa sem-
plicità, sta nell'ordine col quale ogni più
meschina persona hawi un tumulo distin-
to e registrato. Poiché vi si vedono giornal-
mente tigli, genitori, consorti e altri con-
giunti inginocchiati sulla terra ove sanno
essere racchiusi i cari avanzi de'loro pa-
renti, salmeggiarvi di vote preci al Dio del-
le misericordie in loro sulFragio.il campo-
santo,situalo sul viale del regio Parco a
meri d'un miglio dalla città olfie una su-
perficie di 35 giornate ((tome si esprimo-
no i Cenni intorno a fatti storici, monu-
menti notevoli e particolarità naturali
*/e/P/emo«fc,Torinoi838),divisa in sepol-
ture pubbliche, sepolture pri vate, ossarii e
luoghi adattati pel servizio funebre,e chiu-
sa da una cinta ottangolare in cui sono
praticate 3 20 nicchie per accogliere le la-
pidi e mausolei. Un'altissima croce di pie-
tra vi campeggia in mezzo, ed all'ingres-
so verso la città sorge una cappella fune-
bre fiancheggiata dall'abitazione del cap-
pellano e da quella delle persone di ser-
vizio. Al cimiterio mette uu ponticello di
legno situalo inferiormente sulla Dora, ed
è il luogo forse d'onde si gode meglio, ben-
ché da lungi, la veduta del bel ponte in
T OR
pietra d'un arco solo sulla Dora. Con fe-
lice ardimento e particolare maestria si
condusse a termine nel i83o questo mi-
rabile edilìzio dall'ingegnere piemontese
cav. Carlo Mosca già lodato. La sveltezza
dell'arco tuttoché peritamente stacciato a
comodo della via pubblica, lo slancio va-
ghissimo con cui egli abbraccia le due
sponde, la solidità della posatura, l'elegan-
za dell' ornato, la precisione del lavoro,
tutto è commendevole in quest'opera in-
signe. Se non che l'esserne la maggior bel-
lezza pressoché invisibile a tanti forastieri
che quasi senza accorgersene lo trapassa-
no, lascia pur dubitare se, considerata la
ragguardevole spesa, un s'unii ponte non
istia forse men bene sopra una strada rit-
ta da cui non si suole e non si può nem-
meno deviar facilmente, di quanto stareb-
be nell' interno d' una città trascorsa da
un fiume, dove il prospetto laterale fareb-
be da entrambe le sponde la desiderabi-
le sua comparsa. Splendono ne' dintorni
di Torino , olire la celebrata basilica di
Soperga, maestoso edilizio che dalla vet-
ta del colle addita allo straniero le son-
tuose grandezze del culto cattolico in Ita-
lia, le ville reali. Oltre le antiche villeg-
giature sovrane di Rivoli (nel cui castello
villeggiava volontieri Emanuele Filiber-
to, poi bruciato dal maresciallo di Chati-
nat, e quindi rifabbricato come frequen-
teabitazionede'reguauti,e vi nacque Car-
lo Emanuele 1) e Moncalieri (dove sol si
vedeano un tempo alcune casuece di pe-
scatori con cappella della B. Vergine e il
convento de' gerosolimitani di s. Egidio,
venne popolato nel 1 2 3o da' fuggiaschi del-
la vicina città di Testona distrutta dagli
astigiani e da que'di Chieri in odio de'to-
rinesi, di cui essa era quasi una colonia:
il castello in parte rimodernato è da più;
secoli gradita villeggiatura sovrana, per
la vaghezza della vista e la bontà dell'a-
ria, ivi morendo Vittorio Amedeo li), si
contano ancora intorno a Torino 4 ville
principesche, di cui due souo adoperate
per altri usi. La più ragguardevole, pri-
TOR
ma che venisse devastata nelle peripezie
politiche con cui ebbe fine il secolo scor-
so, era quella della Veneria Reale, casa
di caccia fabbricata da Carlo Emanuele
li in un villaggio prima chiamato Altez-
i zano Superiore a 3 miglia da Torino. Son-
tuose fabbriche e magnifici giardini, di cui
sol restano i disegni, doveano compire l'i-
deata meraviglia. Ma benché siffatti lavo-
' li non si eseguissero tutti quali erano con-
. cepiti, quelli con cui Carlo Emanuele III
abbellì questo luogo ov'egli soleva villeg-
i giare in primavera, rimangonoancorsuf-
. fidenti a far oggetto d'ammirazione^ fra
, questi la cappella, la galleria benché lui-
; ta sfornita, l' immenso stanzone degli a-
lanci trasformato in magazzini, e le bel-
lissime scuderie ora destinate insieme co-
gli avanzi del castello, e colla spianata del
giardino a scuola di equitazione e ad eser-
cizi d'artiglieria. Dallo stesso Carlo Ema-
nuele 111 fu poi interamente creata la vil-
la reale di Stupinigi,destinata pure a'pia-
ceri della caccia, percui quel principe nu-
driva molta propensione. Una certa leg-
giadria nell' aspetto, unita all' ingegno-
sa sebben bizzarra distribuzione dei vari
quartieri che compongono il palazzo, trae
meritamente l'attenzione de'foraslieri. Il
giardino di stile regolare é poca cosa, ma
■ egli mette ad una selva tutta traforala di
strade e viali, e popolatissima un tempo
di selvaggiume con cervi, daini e fagiani.
Ora questi animali vi si trovano in assai
minor numero; ma alcuni altri più rari
sino al 1849 si videro custoditi nel serra-
glio di Stupinigi, fra'quali oravi pure un
bellissimo elefante. Il Valentino, grazioso
edilizio composto di 4 padiglioni con tet-
ti acuti coperti di lavagne alla francese,
ebbe il nome da Valentina Balbiana, per
cui vuoisi fosse primieramente fabbrica-
to da suo marito, il famoso Renato dra-
go cancelliere di Francia nel XVI secolo.
Ampliato, abbellito e ridotto alla sua for-
ma attuale da Madama realeCristina,egli
servi ne'tempi addietro per feste princi-
pesche e diporti sul fiume. Ora i suoi giar-
TOR 1 57
(lini racchiudono il detto orlo botanico,
la sua parte terrena viene usata per ser-
vizio dell'artiglieria, e ili. "piano verso il
Po serve per la ricordata esposizione dei
prodotti dell'industria nazionale. Eranvi
ancora nel bel piano che circonda Torino
due siti di villeggiatura sovrana, ora inte-
ramente abbandonati , cioè il castello di
Millefiori frequentato da Emanuele Fili-
berto, che abitò pure talvolta quello di
Lucento allora appartenente alla corona,
ed il real Parco attualmente ridotto a ma-
nifattura di carta e di tabacco, ma un
tempo soggiorno principesco con giardi-
ni irregolari, abbelliti singolarmente dal-
la vicinanza del colle e del sottoposto fiu-
me, laiche vuoisi che il Tasso in una sua
fermata a Torino ne ritraesse la vaghis-
sima idea del giardino d'Armida (altret-
tanto dicesi della villa d' Esle a Tivoli,
ove la descrissi). Non abbandonata in si-
mile maniera, ma per solito disabitata ri-
mane in ultimo la così detta \ igna del-
la Regina, che sul primo pendio del Col-
le torinese presenta un leggiadro palaz-
zo cinto di terrazzi, statue e balaustri,
cui sovrasta una corona di folti alberi an-
nosi. Venne fabbricata dal cardinai Mau-
rizio di Savoia, il quale rinunziata la por-
pora, dopo il suo matrimonio colla nipo-
te la chiamò dal nome di lei Villa Lodo-
vica, e si compiacea di radunarvi un'ac-
cademia di letterati piemontesi. Mentre
due sole villeggiature principesche si os-
servano sulla Collina di Torino, essa è po-
polatissima di private ville d'ogni forma
e grandezza, che sparse, anzi spesseggiate
appaiono lungo ciascun pendio, sopra cia-
scun poggetlo, entro ciascuna valle. Or
questa vaghissima regione,più salubre for-
se e più ridente de'dintorni di Moncalie-
ri , e principalmente uel tratto rivolto a
mezzogiorno, mostrasi più fresca e più
ombrosa inferiormente a Torino volgen-
do verso Superga, poscia più romita e sel-
vaggia proseguendo ancora lungo le rive
del fiume, ovvero salendo alle vette im-
boschite che le formano corona. Colassù
1 58 T O R
sorgono solitarie e la sontuosa basilica di
Superga, e la torre antica di Tavernette,
la quale segna il passo per cui una nuova
e facile strada valica il colle tendendo da
Torino a Chieri, e le vestigia d'un ere-
mo de'camaldolesi trasformato in giardi-
no di fiori, e finalmente fra'non interrot-
ti castagneti che coprono quelle cime la
bianca cappelletta della Maddalena rimi-
rala da tutti i punti della sottoposta pia-
nura. Ma poco si ha da scendere per im-
battersi in più animate scene, incontran-
do ovunque case e vigne con giardini o
pergolati, indi framezzo l'une e l'altre viot-
toli serpeggianti, strade ombrose, freschi
rivi, verdi ciglioni, e dirupi e massi mu-
schiosi, ed alberi di varie sorta; oggetti
tutti che porgono ad ogni passo il con-
trapposto d'una natura agreste e pittori-
ca, co'lavori più accurati dell'uomo,e col-
le bellezzeartefatted'un frequentatissimo
abitato. Non è perciò meraviglia, se que-
sta Collina fu sempre un luogo di predi-
lezione pe' torinesi, esc antlara no essi sem-
pre a gara nel renderla vieppiù adorna
quanto popolosa. E ben pur si compren-
de come venga tanto ammirata da'fora-
stieri,agli occhi di cui basterebbero le so-
le bellezze naturali, ove dalle sue innu-
merevoli villette non traesse ancora e vi-
ta e brio singolare, per farla giudicare in
nessun modo seconda a'più rinomali col-
li che formano le delizie d'altre capitali.
Ma merita singolarmente l'attenzione del
forastiere, fuori dell'antica porta Susina
per a Rivoli, poco lungi dall'imboccatura
del Canale de'Mulini di Torino, l'edifizio
idraulico della Porrella, fondato ueli 769
da Carlo Emanuele III, sopra i consigli
del prof. Michelolti, dove in ogni anno so-
no chiamati a convenire gli studenti che
si destinano all'architettura idraulica, per
ivi assistere ad un corso d'insegnamento
sperimentale che loro si dà per via d'am-
pia torre a 3 piani distinti, diesi empie
a piacimento d'acqua per virtù d'un ca-
nale, in cui ella da parte superiore è con-
dotta e naturalmente cade; e raccolta in
T O R
due grandi vasche, per alcune luci aper-
te a' diversi piani della torre, ne sgorga
poi ed olire quegli accidenti che, osserva- 1
ti e misurati nelle varie pendenze, servo
noall'istruzionedc'giovani già iniziati nei
misteri d' una scienza reputata fra le più
necessarie e utili in un paese, dove l'io
naffiatnento delle terre e gli artifici! meo
crmici sono la sorgente della pubblica fé
licita. Tra'pregi poi particolari della Col-
lina torinese, s' ha da annoverare quella
vista impareggiabile che da vari punii dì
essa godesi in mirabile guisa. Imperocché
oltre il vagoserpeggiaredel bel fiume che
ne lambisce il piede, e l'amena pianura
fertilissima che al di là di questa si allar-
ga, mentre fra l'ima e l'altra torreggia
una superba città, si scorge poi d'un so-
lo colpo d'occhio pressoché tutta la vasta
catena dell'Alpi da cui è cinto il Piemon -
te; cosicché e quella catena stessa, e que-
sta collina da cui se ne ha un sì vago pro-
spetto, ponno a buon diritto considerar-
si come due particolarità fra le più note-
voli della contrada. Già il nome solo di
Piemonte indica abbastanza la situazio-
ne particolarissima di questo bel paese,
unica forse in Europa , ed alla quale ei
deve la maggior parte de'pregi onde può
vantarsi giustamente. Infitti questi mon-
ti alti da 3 parti, ed anzi altissimi da 1, io
circondano, e forse a dir vero influiscono
sopra alcune men buone perchè troppo
frequenti e rapide variazioni di tempera-
tura, souo tuttavia principal causa deci-
denti o pittorici aspetti non che della som-
ma abbondanza di produzioni variatissi-
me che vi s'incontrano. Se poi si aggiun-
ge a siffatte osservazioni quella de'nume'
rosi fiumi, che appunto prendendo lutti
la loro origine nell'Alpi o negli Apennini
da cui è chiuso il Piemonte, scendono a
dargli vita e fecondità irrigandolo pero-
giri verso, manifestamente appare tutta
l'importanza di questi monti agli occhi
d'ogni piemontese, la cui vista godechiun-
quo è a villeggiare sulla Collina di Ton-
no, in imo alle 3 valli di Lauzo, i cui a-
T OR
tritanti sogliono portarsi alla capitale a
servire domestica mente o a esercitare va-
rie professioni. Una di essa la valle Viù
nel suo ingresso di Lemie e d' Usseglio,
nella parte sua piùelevaln è molto cogni-
ta a Torino per la salubrità dell'aria e del-
l'acque limpidissime che vi abbondano,
come pure per 1' avvenenza della popo-
lazione. L'ombra de'faggi d'alta mole, dei
castagni, di noci e altri alberi in gran nu-
mero, amene praterie, acque zampillanti
per ogni dove, bel cielo e pittorici pro-
spetti sogliono trarre a Viù nell'estate i
cittadini della capitale che vi conducono
la tenera fìgliuolanza , e Jascianvi spesse
volte i loro fanciullini a godere il benefi-
zio di quel salutare soggiorno. Molti van-
taggi recano le 3 valli di Lanzo giornal-
mente, a Torino con somministrargli vi-
telli, selvaggiume, le produzioni del lat-
te e altre cose necessarie. Sono degni di
ricoido, il santuario di s. Ignazio frequen-
talo per esercizi spirituali, e posto sopra
un' altura che domina il confluente delle
3 Sture scese dalle 3 vaili a formarne ivi
una sola; quindi poco più iti giù il ponte
del Roc che con un arco solo attraversa
il fiume al suo sbocco fra due erte rupi,
e che si ha motivo di credere costrutto
da'romani allorquando i loro schiavi la-
voravano a migliaia nelle miniere di fer-
ro delle valli di Lanzo. Anche Torino e
il Piemonte adottarono le illuminazioni a
gas, le Strade ferrate ed i Telegrafi, ai
quali articoline parlai,edanchea Sarde-
gna regno, Savoia, ed altrove. Pubblican-
dosi a Parigi una Biblioteca delle stra-
de di Jerro, che dicesi dare utili e savie
letture, piacque l'esempio,e nel 1 855 nel-
la tipografia di Biagio Morelli di Valen-
za piemontese si volle imi tarlo pubblica li-
do la Biblioteca del viaggiatore delle
strade ferrate, ossia raccolta di opere
edite ed inedite in ogni ramo dello sci-
bile umano. Ne die contezza il cav. Igna-
zio Cantò nella sua Cronaca a p. 287 e
9G9, massime del volume 6.° che porta
il titolo: Le Strade ferrale 0 la macchi-
T O R . 59
na a vapore , cenno storico di Maurizio
Giulia ni. Ossei* va, che ordina rinaiente nel-
le stazioni piemontesi vi è un gran spac-
cio di foglietti brillanti d'un po' di spiri-
to, ma vuoti d'ogni soda sostanza : nel-
l'encomiato volume iuvece si danno pen-
satecele, e mette al fitto dell'attuale con-
dizione delle ferrovie di tutto il mondo:
a saggio di esso ne riprodusse la parte che
riguarda le strade ferrate d'Italia, ed io
ripeterò qualche cenno di quanto è rela-
tivo a Torino e al Piemonte. E' innega-
bile che l'Italia, venuta per le vie di co-
municazioni a seguilod'alcune tra le priu-
cipali nazioni d'Europa, dopo averle al-
tre volte precedute (pe'canali specialmen-
te), ora si mostra molto propensa ad uti-
li imitazioni. Anzi tutti, il Piemonte, met-
tendo a profitto le risorse considerevoli,
di cui potè disporre, efacendo anco un ap-
pallo all'industria privata, si coperse d'un
gran numero di strade ferrate , le quali
oltre ad un carattere politico riuniscono
un interesse economico considerabile, li-
na gran parte di queste costruzioni ven-
nero inaugurate sotto l'attuale regno di
re Vittorio Emauuele II, il quale emulo
del padre suo Carlo Alberto, e secondalo
in ciò da'ministri, le promosse con gran-
de sollecitudine. In Italia ali stati di Lom-
o
bai dia e di Venezia furono i primi paesi,
ne'quali siasi seriamente trattato di apri-
re strade ferrate, ed io aggiungerò il regno
delle dueSicilie nel 1837. mentre nel i838
soltanto la compagnia intraprendente co-
minciò la linea da Milano a Monza, aper-
ta al pubblico neh 84- 1 J vero è però che
solo nel i844 lelocomotivecircolaronoda
Napoli a CaslellamareoStabia,eindia po-
co da Napoli a Capua.Quaudosi effettuerà
la linea d'Ancona a Bologna, ritardata per
apprensioni politiche ed economiche, a-
vrà per conseguenza indispensabile, che
venga attivata quella da Bologna agli sta-
ti sardi per Modena e Parma. Dell'esten-
sione del telegrafo degli stati papali ripar-
lai a Terracina e Toscana. Però il Pie-
monte, sotto il rapporto delle strade fer-
ifio TOR
nte, cammina ormai alla testa di tutte
le altre contrade italiane. Il Piemonte
seppe usufruitila re delle libertà conces-
segli, lo spirito d'associazione destatosi,
creò intraprese d'ogni genere, e in poco
tempo il suolo del paese venne solcato da
vasta rete di strade ferrate, che dello sta-
lo faranno tra breve l'arteria principale
del commercio dell'Europa mediterranea.
Esso conta già oltre a 56o chilometri di
strade ferrate in esercizio su d'un' esten-
sione di circa iooo chilometri, il che si
dimostra dal prodotto specchio (altro a-
vendone io pubblicato nel voi. LXX, p.
1 6 « ). Da questo ricavo che Torino comu-
nica principalmente con tronchi di ferro-
vie, con Genova, Cuneo, Susa, Pinerolo
e Novara. La linea di ferrovia, che da To-
rino peri 66 chilometri mette a Genova,
può appellarsi la più monumentale e dif-
fìcile di tutte le strade ferrate costrutte
non solo in Italia, ma in tutto il continen-
te europeo. L'esercizio di questa ferrovia
fu aperto al pubblico a'24settembre 1 848,
fra Torino e Moncalieri; si prolungò sino
a Cambiaso a'14 dicembre, ed a' io di-
cembre (le corse di esperimento ebbero
luogo il 6 e 7) 1 853 per tutta la sua esten-
sione fino a Genova. Essa si diparte da
Torino alla stazione di Porta Nuova , e
costeggia il Po, che quindi valica presso
Moncalieri, ec, sbocca di contro al por-
to di Genova, e percorrendo fra mezzo al-
le case e giardini del borgo delle Grazie
arriva nella capitale della Liguria. Desta
stupore questa opera gigantesca, median-
te la quale Torino è ad una sì breve di-
stanza dal Mediterraneo. Niuno può far-
si un adeguato concetto della meraviglia
chesorprende il cuore del viaggiatore, che
rapidamente scendendo dall'Apennino si
trova dinanzi il vasto orizzonte marino, là
dove mette foce la Polcevera, e penetra
quindi in mezzo alle più. frequentate vie
che da s. Pier d'Arena guidano a Geno-
va. Nel 1 855 si aprì in tutta la sua esten-
sione la ferrovia di Torino a Savigliano
su Cuneo. Quanto prima sarà posta in e-
TOR
sercizio la linea, che cougiunge Saluzzo a
Sa vigliano, e quella da Bra aCavallermag-
giore, con che le vinifere langhe e le val-
li dell'altoPiemonte rimarranno congiun-
te al grande sistema di ferrovie italiane.
Le linee da Torino a Pinerolo, da Tori-
no a Susa, quella da Torino a Novara, e
da questa ad Arona, linea principale go-
vernativa f a Genova e la Svizzera, pas-
sando per Alessandria; la linea della fer-
rovia fra Sauthià e Biella, è prossima al
suo compimento e sarà aperta al pubbli-
co nel prossimo maggio. E la diramazio-
ne d'Alessandria a Novara, che fa comu-
nicare il Monferrato colla ricca Lomelli-
na, colla Lombardia mediante il tronco
da Mortara a Vigevano, e col Lago Mag-
giore, e colla Svizzera, compie il novero
delle ferrovie piemontesi finora costrut-
te. E' probabile che presto avranno stra-
de ferrate le provincie d' Ivrea, Acqui,
Casale, Tortona, Voghera; non che fra
non molto sarà compita la difficile ferro-
via Vittorio Emanuele II, da Modonea
Chamberye Saint-Genix, confine france-
se. Altra line* condurrà pure da Chain-
bery a Ginevra; e se il perforamento del
Moncenisio poteva eseguirsi, allora l'Eu-
ropa avrebbe veduto una linea, la quale
partendo dall'estrema Calabria, e attra-
versando tutta l'Italia, i sommi gioghi del-
l'Alpi e la Francia, andava a terminare
allostretto della Manica. Inoltre neh 855
il governo sardo ha fatto stabilire il siste-
ma del telegrafo delle locomotive, inven-
zione preziosa del celebre cav. Gaetano
Bonelli direttore generale de'telegra fi sar-
di, ammirato altresì per aver immagina-
to l'elettro-tessitura , cioè l'applicazione
dell'elettricità alla tessitura, che produce
nell'industria una rivoluzione paragona-
bile all'applicazione del vapore come for-
za motrice, e della pila voltaica come mez-
zo a distruggere l'intervallo fra'punti lon-
tani: ne rese ragione la sullodata Cronci'
ca del cav. Cantò a p. 84, con tavola e-
sprimente il telaio alla Bonelli. Quan-
to al telegrafo delle locomotive, destina-
TOH
lo soprattutto a prevenire i disastri fune-
sti che sogliono accadere sulle strade fer-
iate, esso iu sostanza si risolve in una sem-
plice e particolare disposizione di una li-
nea elettro-telegrafica, mercè la quale pa-
recchi convogli, comunque veloci nella lo-
ro corsa, comunicano permanentemente
non solo fra loro in ciascun tratto che per-
corrono, ma inoltre con tutte le stazioni
della lioea. Egli è ben vero, come narrai
a Strada, che iu diversi tempi e luoghi
si tentò con vari mezzi di ovviare a'sioi-
stri che sventuratamente troppo spesso
avvengono lungo le ferrovie; ma è fuori
di dubbio eziandio che ninno fìuora po-
tè raggiungere pienamente l'indispensabi-
le sicurezza assoluta. Questo espetimen-
tato sistema congiuuge a tutti gli altri
vautaggi, anche quello d'una grande eco-
nomia. Se ne legge la descrizione, corro-
borata da tavola incisa di tale telegrafo
delle locomotive inventato dalcav. Bonel-
li, nella summenlo\atai Enciclopediacon-
temporanea, compilata da'eh. prof. Crol-
lalanza, conte Gherardi e Gabrielli, t. 2,
p. 20 5, e quanto al telaio elettrico ap. 3 1
del t. 3 (con tavole portauti il disegno del
telaio iu più aspetti), che con lode si pub-
blica inFano. Inoltre a p. 92 dell'Enci-
clopédia, si riporta un brano dell'eccel-
lente giornale óe\\' Armonia di Torino,
sul telegrafo sottomarino tra Sardegna ed
Africa,auzisicongiungeià pure coll'iudie
orientali, colla Ciua, coli' Australia, colla
California, e finalmente l'America eoll'lu-
ghillerra. Avendogià descritto i principali
avvenimenti che riguardano Torino,negli
articoli Savoia, cSardegna regno oSta-
ti del re di Sardegna, in uno alle gesta
de'conti e duchi di Savoia, poi re di Sar-
degna, ed alle vicende civili ed ecclesia-
stiche spettanti a' domimi de' sovrani di
Savoia principi del Piemonte e della mo-
narchia sarda ; ora in riguardo alla po-
tenza temporale esercitata da' vescovi di
Torino, che signoreggiarono talvolta , e
che la loro storia si rannoda con quella
della città, credo opportuno in questo ar-
voi. txxvn.
TOR 161
ticolo di scrivere i cenni storici della me-
desima città, uniti insieme a quelli della
sede episcopale e suoi pastori, e non se-
paratamente secondo l'ordinario mio me-
todo, per maggiore unità di argomento e
per evitare altresì ripetizioni. Conviene
però tenere presenti, oltre i citati articoli,
que'di Susa, Saluzzo e altri del Piemon-
te che vi hanno relazione, ed altri anco-
ra come Svizzera. Continuerò a giovar-
mi principalmente della pregievole e im-
portantissima (la quale, come dichiara il
eh. autore nella prefazione, non fidando-
si di se slesso, sottopose prima di stam-
parla ad uomini dottissimi , amatori e
scrittori benemeriti di cose patrie, come
il cav. Luigi Cibrario e il cav. Domeni-
co Promis, profittando de'lorolumiedel-
le loro osservazioni): Storia della chie-
sa metropolitana di Torino, descritta
da' tempi apostolici sino all' anno 1840,
offerta a sua Ecc.~& R.ma mg.r Luigi
de' marchesi Fransoni arcivescovo di
Torino, cav. dell'ordine supremo della
ss. Annunziata, cav. di gran croce de-
corato del gran cordone dell' ordine dei
ss. Maurizio e Lazzaro, ec.,per Gio. B.
Se meria prete della congregazione del-
l'oratorio , Torino 1840. Non che avrò
presentialtri storici, e precipuamente l'U-
ghelli, Italia sacra, t. 4, P- 1 o ig: Metro-
polis Taurina j ed il can. Dima , Serie
cronologica degli arcivescovi e vescovi
di tutti gli stati di Terraferma del re-
gno di Sardegna, p. 6g: Cronologia dei
vescovi ed arcivescovi di Torino, e quan-
to altro riportò a p. 1 32 della Serie degli
arcivescovi e vescovi del regno di Sar-
degna,oss\a d'oltremare o isola omouima.
Si ponno inoltre leggere: Filiberto Pigno-
ni, Cronica di Torino. Agostino Chiesa,
Cardino li uni, Archiepìscoporum , Epi-
scoporum etc. Pedemontanae regionis
chronologica historia, Auguslae Tauri-
noi um 1 645. Giuseppe Francesco Meira-
nesio, Pedemontium sacrimi. Istoria del-
l'augusta città di Torino del conte e cav.
d. Emanuele Tesauro,proseguita da Gio.
1 (vi T O K
Pietro 6 ir oidi, Torino 1679. Parte 1.'
dell'ab. Francesco M.a Ferrerò di Lavria-
no, Istoria dell'angusta viltà di Tori-
no, ivi 1712. Monumenta hìstoriae p«u
trine edita jussiircgis Caroli Alberti, t.
3 e 4- Cav. Luigi Cibrario, Storia di To-
rino, o Torino neli835, ivi 1 836.
Prese Torino il nome da' Taurini, an-
tichissimi abitatori della contrada, del
qual popolo bellicoso eia la capita!e/|uan-
do Annibalecartaginese lediede il 1 ." gua-
sto, perchè vi trovò resistenza, né vollero
gli abitanti a lui congiungersi contro i ro-
mani, come aveauo fatto gli allobrogi.
Dopoché il fiero nemico de'romani, pas-
sato il Rodano e la Durenza, non senza
grande difficoltà, venendo molestato da'
paesani abitanti delle Alpi, ove perde più
di 3o,ooo uomini e gran parte de' suoi
cavalli, superato il monte di Ginevra ar-
ditamente discese nel piano di Torino,ove
facendogli rpie'popoli contrasto, ne senti-
rono gravi danni e barbara rovina; il ter-
rore quindi incusso dalla sua severità pie-
gò a soggezione le circostanti regioni, sic-
ché corsero a gara que'popoli ad ingros-
sarne le fila; felice circostanza che al con-
dottiero cartaginese assicurò le memora-
bili vittorie del Ticino, della Trebbia e
del Trasimeno. Conquistala poi da'roma-
ni, circa due secoli avanti l'era corrente,
colla regione Torino, di questa ne fecero
una piazza d'armi; e la contrada ridotta
in provincia romana, comprese i popoli
chiamati in generale liguri e cisalpini, nel
particolare avendo ciascuno origine e no-
mi differenti. Nella discesa di Giulio Ce-
sare alla conquista delle Gallie, ebbe da
lui il nome di Coloniali! lia,mi\lato quin-
di in quello di Augusta Taurinorum,\)ev
volere dell'imperatore Augusto, che tut-
tora latinamente conserva, dicendosi an-
che Taurinum.ìson pare affililo che que-
sti popoli prima dell'era cristiana discen-
dessero da un'antica colonia egiziana, co-
me pretesero alcuni cronisti, e perciò a-
vere adoralo le divinità portate seco dal-
l'Africo, il qual cult-o straniero dicono lui-
T () Il
lenito da' romani. Poiché la venuta dei
principe Fetonte dall'Egitto alle sponde
del Po, è una favola inventata da coloni,
che mischiando le cose divine colle uma-
ne, si studiavano di rendere più auguste
l'origini delle loro città. Non trovaronst
mai sicure vestigia di cullo egiziano in
queste contrade, ed i taurini ebbero per
deità principalmente Giove,Ercole e Dia-
na, a'quali facevano sagri fizi e celthra va-
no feste. In qual secolo, e per mezzo di
quali uomini apostolici siasi diffusa ue'po
poli subalpini, e segnatamente taurini, la
luce evangelica, non è cosa facile a deci-
dersi; però può asserirsi, che questa mi-
rabile mutazione non potè farsi né cos'i
presto, né così facilmente, non deponen-
do gli uomini che gradatamente le paga-
ne e religiose superstizioui, fonientatrici
di passioni, e da cui erano dominati. 1 po-
poli subalpini seguendo i costumi, le leg-
gi, la religione de' romani, il cambiamen-
to del culto dovè procedere lentamente,
per gli ostacoli che si frapponevano agl'in-
veterati pregiudizi. Tuttavolta sin dal 1 ."
secolo dell'era cristiana si diffuse la pre-
dicazione del vangelo,se non da s. Barna-
ba apostolo, almeno per altri uomini a-
postolici; e s. Luca evangelista ebbe da s.
Paolo la commissione di recarsi in Italia
e nella Gallia, ed annunziarvi la religio-
ne cristiana. L'Ughelli,seguendo il Pingo-
nio, a s. Barnaba 0 a' suoi alunni attri-
buisce la propagazionede'primi rudimen-
ti della fede cristiana, verso 1' anno 5o.
Verso quest'epoca è indubitato che i cri-
stiani erano già sparsi in diverse provin-
ole del romano impero, e nelle primarie
città d'Italia, anche per essere stati espulsi
da Roma dall'imperatore Claudio, quan-
do bandì i giudei, fra 'quali eranvi de'eon-
vertiti, oltre i sacerdoti ch'erano inviali
da Roma per togliere l'errore dell'idola-
tria e annunziare le verità eterne. Facil-
mente uè vennero nel paesesubalpino, fre-
quentato passaggio per a udar nelleGallie,
sia per l'Alpi Cozie che attraversavano
Torino, sia per le Alpi Graie d'Ivrea. Aui
TO R
2.° secolo della Chiesa trovami prove ab*
bastanza sicure e positive, che nel Pie-
monte il vangelo era conosciuto e osser-
vato. In esso illustre apostolo del paese
subalpino fu s. Calimero vescovo di Mi-
lano, che eziandio predicò con successo
in tutta la Liguria, di cui il Piemonte an-
tico faceva parte, perlocchè patì glorioso
Martirio. -1 p- Semeria non conviene col
Meiranesio, il quale sostiene che i primi
cotninciameuti della fede cattolica ne'po-
poli taurini devonsi ripetere dall'età de'
ss. Ottavio, Solutore e Aweii7:o o Av-
ventore martiri, ed essersi indi bene sta-
bilita nel 324, quando già Costantino 1 a-
vea promulgato la pace alia Chiesa. Pi ima
del martirio di tali campioni, che secon-
do alcuni si dicono appartenuti alla legio-
ne Tebea (della quale riparlai a Svizzera
e Tebe d'Egitto), avvenuto nel Vallesenel
286 o nel 2C)7, sembra che molte illustri
palme abbia raccolto la religione nel Pie-
monte, come s. Dalmazzo alle rive della
Vei meguana , il cui apostolato si estese
nella provincia di Saluzzo e di Cuneo, in
Torino, in Alba e altri luoghi; s. Mombot-
to fu martirizzato nella Valle di Stura, s.
Magno in quella di Vraita,s. Costanzo in
quella di Macia, i ss. Antonino, Marchi-
sio, Giorio o Giorgio in quella di Susa, s.
Chiaifiedo nell'adiacenze di Saluzzo, e as-
sai più altri ancora sono venerati in di-
verse parti come santi propri e particola-
ri, che in que'luoghi, sebbene in tempi dif-
ferenti, hanno versato il proprio sangue.
La Chiesa venera per martiri torinesi i ss.
Solutore, Avventore e Ottavio, che attri-
buiti alla legione Tebea, il p. Semeria di-
chiara invece nazionali, nati e educati sot-
to il cielo subalpino e glorie patrie, non
mai appartenuti alla legione orientale. Il
loro mai ti rio credesi avvenuto tra la por-
ta d'Italia e la Dosa, da dove i loro cor-
pi furono trasportati ove ora sorge la cit-
tadella, nel sito in cui poi si fabbricò chie-
sa e monastero col nome di s. Solutore.
Altri con poco fondamento riferiscono, che
ferito s. Solutore in Torino, potè recar-
TOR i63
si ad Ivrea, e ivi decapitato, per la pia ve-
dova Giuliana fu il corpo traslato a To-
rino, operando Dio meraviglie. Sul luogo
della sepoltura de' ss. Martìri torinesi, i
primitivi fedeli si radunavano per l'ora-
zione e il s. Sagrifizioj e quel sito diven-
tò un oratorio 0 chiesetta, ma si dubita
se eretta da s. Giuliana che vuoisi d'Ivrea
o di Torino. Tale chiesetta reputasi ili.°
luogo sagro in cui raduuavansi i fedeli,
anche in tempo degli imperatori gentili.
Frattanto Costantino I, guadagnata pres-
so Torino una grande battaglia contro il
competitore Massenzio, e questi mortoan
negalo nell'altra presso Roma, l'impera-
tore divenuto cristiano accordò il libero
esercizio della religione di Cristo. Perciò
nuove chiese si fabbricarono inTorino, ove
sulle rovine dell'idolatria la fede fece mi-
rabili progressi. E certamente assai prima
del4oouua vasta basilica sorgeva in que-
sta città, essendosi in essa radunali a con-
cilio più vescovi e sacerdoti dalle Gallie,
oltre agl'italiani. Una chiesa nuova si e-
resse da'fondamenti a'tempi del grau ve-
scovo s. Massimo 1, per opera de'loiinesi
Maiano e Vitaliano, contribuendovi un
ricchissimo conte, ed il s. vescovo ne cele-
brò la solenne dedicazione, recitando un
sermone al popolo. D'un'altra chiesa tro-
vasi menzione nell'opere di s. Massimo I
nella quale egli radunava e istruiva i neo-
fiti alla solenne amministrazione del bat-
tesimo, ed in cui altre funzioui esercitava,
proprie del ministero episcopale, chiama-
ta perciò chiesa del battisterio di s. Gio-
vanni e capo del vescovato torinese, ch'eb-
be in tempi posteriori diversa forma e più
insigne ingrandimento nel divenire catte-
diale. Vi si congiunsero due altri sagri e-
difizi, uno in onore del ss. Salvatore, l'ai
tro della ss. Vergine, divisi da un muro
interiore, ma che in sostanza non forma-
vano che un sol tempio. Nuovo splendo-
re si accrebbe alla chiesa de' ss. Martiri to-
rinesi nel 49^» Pei" opera del vescovo s.
VittON II, il quale tal chiesa ampliò d'un
porticato, oruaudola d'eleguuti lavori; di
i64 TOR
più credesi aver convertilo al culto del
vero Dio, sotto l'invocazione di s. Silve-
stro I Papa, il tempio di Diana, la quale
in Torino grandemente veneta vasi; chie-
sa poi ristorata dalla confraternita dello
Spirito santo: il che è dubbio, se l'opera-
lo piuttosto si attribuisce a s. Vittore I.
L'epoca precisa dell'incominciamentodel
vescovato di Torino è incerta, solo è co-
sa certissima, che sul principiar del 11 se-
colo era slata predicata e mollo d'illusa la
cristiana religione in tutta la Gallia Ci-
salpina, di cui Torino era una città in-
signe. Vi è probabilità, che anco in quel
secolo un qualche vescovo, per la missio-
ne deromani Pontefici, discepoli de'ss. A-
postoli e successori di s. Pietro, abbia ivi
fissato insegnamento e residenza. Il p. Se-
mena nel § vi del lib. i discute*. Chi sia sta-
to ili. "vescovo, se s. Vittore o s. Massimo.
L'Ughelli nomina i.°vescovo s. Vittore I
del 3 1 o, alla cui autorevole opinione uni-
formansi quasi lutti gli scrittori delle cose
subalpine, inclusivamenteal can. Patendo-
ne Luigi Bima già encomiato, distinguen-
do ragionevolmente due santi vescovi di
nome Vittore, e due di quello di Massi-
mo. Il Tillemont propende molto a cre-
dere che un sol vescovo di nome Vittore
abbia retto la chiesa di Torino e poste-
riore a s. Massimo I; e che i popoli lau-
rini sarebbero stati da principio compre-
si nel vescovato di Milano, indi in quel-
lo di Vercelli, e finalmente sul cominciar
del secolo V avrebbero avuto ili. "vesco-
vo nella persona del grande s. Massimo I:
questa opinione il p. Semeria la crede più.
verosimile. In comprova ricorda , che s.
Massimo I nelle lodi recitale in Torino di
s. Eusebio vescovo di Vercelli, lo chiama
padre e pastore die rigenerò con l'evan-
gelo in Cristo i torinesi, inoltre asserendo
esser eglino debitori a lui dello splendore
dell' ordine sacerdotale , dell' ortodossia
della fede, della purità de'coslumi. Altro
valido argomento, che i popoli taurini ai
tempi di s. Eusebio facessero parte di sua
diocesi, dice potersi dedurre dalla lettera
TOR
pastorale, che il santo rilegato in Se ilopn-
li per l'ariana persecuzione,scrissenel 356
a'sacerdoli e altri del clero, ed a 'buoni fe-
deli di sua diocesi, fia'quali nominò i Te-
stoncnsibus. Nominando la pievania di
Testona, della città poi distrutta e sum-
mcntovdta, dice venirne in conseguenza
che i popoli adiacenti a Torino apparte-
nevano alla sua sede, né aveauo allora il
vescovo. Si legge ne'Bollandisli, non aver
essi prima di s. Massimo 1 veruna certa
memoria d'alcun altro vescovo torinese.
11 vescovo di Torino, come altrove, era e-
letlodal suo clero, secondo la più antica e
usata disciplina della Chiesa; e ne' tempi
posteriori radunavasi nella canonica, nel
chiostro detto Claustrum Paradisi, do-
ve si tenevano l'adunanze capitolari. Le
case del vescovo e de'canonici trovatami
ove oggidì sono i due palazzi reali, vecchio
e nuovo, e precisamente quella del vesco-
vo occupava il sito dell'odierna galleria di
Beaumont,ed attigua sorgeva la cattedra-
le. Gli elettori procedevano per segreto
scrutinio, e in casi di dispareri per com-
promesso. Dopo la metà del secolo XI in-
terveniva alle radunanze degli elettori il
preposto d'Oulx, il quale era sempre re-
putato per uno del capitolo torinese; e nei
tempi posteriori soleva intervenirvi il pre-
posto di Testona, e quello di s. Antonio
d'Inverso. Questa forma d'eleggere i ve-
scovi cessò in quasi tutte le cattedrali per
opera principalmente di Giovanni XXil;
equanto a Torino, molto solevano influi-
re nell'elezioni episcopali i dominatori del
Piemonte, come i duchi di Torino o re
de'longobardi, poi gl'imperatori Carolin-
gi, e quindi gli altri che solevano essere
'incile re d'Italia, e finalmente la real ca-
sa di Savoia per privilegi accordati da'Pa-
pi,al modo narrato a Savoia e Sardegna
regno, di nomina e presentazione alla s.
Sede. Il vescovato di Torino divenne suf-
fraganeo della metropolitana di Milano,
come tutte le altre sedi vescovili del Pie-
monte e della Liguria. Una vastissima e-
stensione uvea ne'primi secoli la diocosi
TOR
di Torino, e prima del i 5 1 i comprende-
va pure grandissima parte delle diocesi di
Saluzzo,Fossano, Pinerolo, Susa e Cuneo;
giacché comprendeva quella parte della
Liguria e della Gallia Cisalpina, che dal-
l'Alpi Marittime, ossia dal colledi Tenda,
stendevasi fino all'Orco, e dall'Alpi Cozie
per tutta la pianura ch'è bagnata dal Po
sino sotto al Tanaro, là ove uon luugi da
Cherasco la Stura col Tanaro si congiun-
ge. Diverse parti dunque che costituiva-
no la diocesi furono distaccate per formar-
ne dell'altre, e pel i.°nel 600 circa fu se-
parato il territorio di s. Giovanni di Mo-
riana e assegnato il proprio vescovo, per
opera di Gontrano redi Borgogna, che
per gelosia di stato non volle che i suoi
sudditi di Moriaoaedelle vallidiSusa ub-
bidissero al vescovo torinese , per essere
questo nel territorio de're longobardi. Di
quest'antica canonica dismembrazione vi-
vamente si dolse il vescovo Ursicino eoa
s. Gregorio I, ma indarno, poiché malgra-
do l'intervento del Papa, sussistè il vesco-
vato e poi fu approvato dalla s. Sede. Co-
sì successivamente avvenne nell'istiluzio-
ue dell'altre nominate 5 sedi, perdendo
la diocesi di Torino oltre 200 parrocchie,
essendo circa i5o quelle che tuttora costi-
tuiscono l'arcidiocesi, dicendola proposi-
zione concistoriale, valile ampia estdioe-
eesis, et 100 sub se loca complec ti Vur.Nel
voi. XLVI, p. 84, nel notare alcuni mo-
nasteri 0 abbazie nullius dioecesis degli
stati sardi, vi nominai anche alcuni del-
l'arcidiocesi di Torino; altre abbazie ri-
cordai negli articoli Savoia, Sardegna re-
gno, Susa,Saluzzo, ec.jcioè di quelle an-
tiche abbazie di monaci dell' arcidiocesi
di Torino, di cui col p. Semeria vado a
darne un breve cenno, avendo egli giu-
stamente profittato de' rammentati Mo-
numenta historiae patriae, raccolti dal-
la regia deputazione sopra gli sludi del-
la medesima, e pubblicali sotto la prote-
zione e gli ordini di Carlo Alberto, la cui
continuazione si sospira dalla repubblica
letteraria. Questa però ora si rallegra, a-
TOR i6ì
vendo letto nella Cronaca ài Milano, del
cav. Ignazio Cantò, An. 2.0, p. 5i, di-
spensa de' 3o gennaio 18 56, che un al-
tro volume de' Monumenta, edito dalla
piemontese deputazione di storia patria,
gittava nell'aia dell'erudizione un'ab-
bondante messe di notizie intorno al Me-
dio-Evo. 11 Della Chiesa nella Serie cro-
nologica de vescovi e degli abbati del
Piemonte, ne fece troppo compendiosa
narrazione. Le monastiche abbazie eret-
te nella diocesi di Torino nel medio evo,
fiorirono per lungo tempo per numerosi
cenobiti, e insigni non meno per dottri-
na che per santità, senza lo studio de'qua-
li saremmo ignari di storia patria, come
dichiarò il celebre ÌN'apione nell' Elogio
de' cronisti piemontesi e de' piemontesi il-
lustri. L'abbazia di s. Costanzo del lll-
laro presso a Saluzzo, fu cosi detta per
credersi ivi avere il santo insieme eoo s.
Vittore sofferto il martirio circa il zqj.
Il corpo di s. Costanzo fu trovato nella
chiesa abbaziale nel i58o. L'abbazia fa
fondata nel 7 1 2 da Ariperto II re de'lon-
gobardi, ed i primi cenobiti furono trat-
ti da quella celebre di Bobbio, eretta da
S.Colombano nel secolo precedente. Riu-
scì assai insigne per religiosa osservanza
di molli monaci, e pel concorso dedivo-
ti pellegrini che per lungo tempo frequen-
tarono il luogo del martirio de'due san-
ti. Soggiacque 1' abbazia al saccheggio e
allo sterminio sul principio del secolo X,
nell' invasione del Piemonte operata dai
saraceni; ma la piissima Adelaide susci-
tata da Dio a erigere e ampliare tutte le
case religiose, iutraprese purea ristorare
sin quasi dalle fondamenta questa del Vii-
laro, dotandola meglio che per l'inuanzi.
I marchesi di Saluzzo e di Busca l'ac-
crebbero di copiose rendite, sicché parve
gareggiare colle più. illustri d'Italia. I Pa-
pi l'arricchirono di particolari esenzioni
e privilegi, massime neh 782 Pio VI, laon-
de nella line del secolo passato sebbene
non fosse che una commenda priva di
monaci, conservava la giurisdizione «pia-
t*>6 T O R
si episcopale in Viilaro e altre terre del
marchesato di Saluzzo. Gli abbati trovati,
si compiutamente registrati nel Synodus
dioecesana habila sub abate Francisco
A ' aloni o Rambaudoan. i 782.Aug.Taur.
11 p. Semeria riporta pure le notizie dei
più celebri e benemeriti abbati commen-
datari cominciati nel principio del secolo
XV. Il monastero di Pagao, poco più. di
due miglia da Saluzzo nella valledi fron-
da, fu fondato da Astolfo re de'longobar-
di del 749) ed era grandioso e ricchissi-
mo cjuando l'imperatore Lotario 1 lo die
a'monaci della No valesa, perchè colle ren-
dite del medesimo potessero più facilmen-
te mantener l'ospizo eretto sul Moneeni-
sio, a utilità de'viaggiatori e de'pellegri-
ni, e di cui riparlai a Svizzera. Riunita
l'abbazia della Novalesa a quella di Bre-
rne, lo fu pure il monastero di Pagno e
ne formò un corpo solo. Un tempo i mo-
naci erano signori del luogo, cessando af-
fatto il priorato nei secolodecorso col riu-
nirsi i beni alla mensa vescovile di Saluz-
zo. L'abbazia di Pedona o del borgo di
s. Dalmazio viene attribuita alla moglie
di Gondegesillo red'una 3." parie di Bor-
gogna, o meglio a'Iongobardi. La regina
Teodolinda mossa da'miracoliche opera-
vansialla tomba del santo, in una cappella
alle rive della Varmegnana,non senza for-
te opposizione de'saluzzesi, fece trasporta-
re le di lui reliquie in luogo più decoroso e
popolato in Pedona, ove col mari toAgilol-
fo duca di Torino eressero in venerazio-
ne del santo martire un monastero con
monaci venuti da Bobbio nel 61 5, dotan-
dolo di moltissime rendite; altre vastissi-
me possessioni vi aggiunse l'imperatore
Lodovico I il Pio. La fioritissima abba-
zia di Pedona fu orribilmente devastata
da'saraceninel 906, che trucidarono mol-
ti monaci. Tornati i superstiti, riparò poi
l'orrendo scempio la magnanima Adelai-
de marchesana o contessa di Susa. Per
opera sua, e col consenso delle sue nuora
e nipote, fu separata l'abbazia di Pedo-
na dalla diocesi di Torino, e assegnata a
T O R
quella d'Asti nel 1089, ilche più tardi ap-
provò Innocenzo IV. In seguito fu data
alla sede di Mondo vi, e parte n'ebbe quel-
la di Cuneo. Dell'abbazia della Novale-
sa, per non dilungarmi troppo, sembra-
mi bastare, oltre quanto vailo dicendo,
il riferito a Susa, perchè fondata 5 miglia
distante, ove dopo Bobbio lo ditti il 2.0
monastero del Piemonte; solo aggiunge-
rò: che dopo il fondatore Abbone gover-
natore di Susa e di Moriana, alle vastis-
sime possessioni da lui assegnate, altre do-
nazioni fecero i re di Francia, gl'impera-
tori e la celebre Adelaide, altri impera-
tori concedendole immunità e privilegi
grandissimijCome CarloMagno che vi sog-
giornò più giorni, e il suo figlio Lodovico
I che die in cura a'monaci benedettini il
ricordato benefico ospizio da lui fondato
sul Moncenisio, per ricovero de'viaggia-
tori e maMime i pellegrini ebe andavano
a Roma ad Limitici ' Apostol ornai. Il mo-
nastero fu un seminario di monaci per
santità e dottrina celebratissimi, e d'or-
dinario venivano scelti a governare lese-
di vescovili e ad essere occupati ne' più
difficili affari della Chiesa. Dòpo la cata-
strofe de'saraeeni, non fu che un priora-
to dipendente dall'abbazia di Brente, si-
tuato nella Lomellina vicino all' imboc-
catura della Sesia nel Po. Egualmente a
Susa parlai dell'abbazia di s. Michele del-
la Chiusa, superiormente rammentata,
comechè situata in mezzo alla sua valle
alla destra del Dora, alla cui costruzione
contribuì Giovanni 1 3. "già arcivescovo di
Raveuna ; sede die avea rinunziata per
menare vita eremitica sul vicino monte
Caprasio, in che non conviene Muratori,
Rerum Italicarum script, t. 1, par. 2,
p. 564- Qui dirò di più, ebe Gezzoue ve-
scovo di Torino nel 1007 ne fu uno dui
primi benefattori, vivente ili. ° sauto ab-
bate Arveo o Avverto benedettino. La fi-
ina delle virtù de'monaci, che viveano più
da angeli che da uomini, tosto si diffuse
in Italia, in Francia e altrove, singolar-
mente per la mirabile ospitalità che eser-
T O R
citavano, vantando tra gli ospiti s. Ansel-
mo arcivescovo di Cantorbery, e il cele-
heiiimo cardinal Ildebrando pois. Gre-
gorio VII. Quindi principi e Papi ricol-
marono il monastero di possessioni e pri-
vilegi, possedendo i5o cinese in diverse
regioni, e solo dipendenti dalla s. Sede.
Ria rilassala l'osservanza, riuscirono inu-
tili le provvidenze di Gregorio X, e il rigo-
re ili Nicolò III e di Bonifacio Vili. Dio
però neh 3 io suscitò il monaco Gugliel-
mo di santa vita e figlio di Tommaso di
.Savoia, per fare rifiorire nel monastero
ogni virtù, che celebrò Tal). Gustavo dei
conti Avogadrodi Valdengo, Storia del-
l'abadia della Chiusa, Novara 1 83y.Per
somma sventura decaddedi nuovo la mo-
nastica disciplina dopo il i 365, onde il
vescovo di Torino neh 375 interdisse il
triste abbate Pietro, e la s. .Sede lo sco-
municò; indi il conte Amedeo VI otten-
ne da Papa libano VI neh 38 i, la con-
versione della badia in commenda. De-
cadendo vieppiù i monaci nella discipli-
na, Gregorio XV nel 1 622 soppressa in-
teramente questa già sì florida abbazia;
una porzione delie rendite fu impiegata
idi 'erezione della coHegiatadi Giavelo, al
tra venne conservata in commenda col-
I'. mtiea giurisdizione episcopalesullechie-
se rimaste sottoposte all'abbazia. 1 suc-
cessivi abbati commendatari fecero del
bene, e celebrarono sinodi per la rifórma
ilei clero, e lo furono il cardinal Caval-
linlli ch'ebbe V Esclusiva al pontificato,
e il sommo cardinal Gerdil, che soggiac-
que a natile vicenda e poi ne abitò il *«•
miliario nel 1 798, indi dopo la sua morte
la giurisdizione dell' abbazia tornò alla
chiesa di Torino. Nel 1817 Pio VII la
ripristino, meno la giurisdizione episco-
pale, e Gregorio XVI nel 1 836 approvò
l'assegnazione che ne fece re Carlo Alber-
to all'istituto della Carila dell'ai). Rosmi-
ni, come tlissi, insieme alie spoglie mor-
tali di molti reali principi eli Savoia tras-
portatevi da 'tot terranei della metropoli-
tana di Torino. L'abbazia di s Giusto in
TOR 167
Susa originò da quel martire, uno de'po
che da alcuni si credono uccisi nell'incur
sione de'ba i-bari longobardi dopo la me
tà del VI secolo pressoOnlx,sull'Alpi Co-
zie che dividono il Piemonte e l'Italia dal-
la Francia, onde per tale strage dicesi che
la chiesa di s. Lorenzo primaria d'Oulx
acquistò l'illustre nome di plebs Marty-
runifh quale vicenda con più di ragione si
assegna a'saraceui nel secolo X. Traslate a
Susa nel 1027 le ossa di «.Giusto, il mar-
chese Magnifredo o Manfredo II colla mo-
glie Berta e il fratello Olrico d'Asti eres-
sero nel 1 029 una basilica e vi riposero la
più nobil parte di sue reliquie, affidando-
ne la custodia ad una congregazione di
benedettini, dedicandola a Gesù Cristo,
alla ss. Trinità, alla B. Vergine, a s. Giu-
sto e altri santi. Pretese Glabro che le re-
liquie fossero supposte, e venne confuta-
to dal can. Sacchetti, Memorie della chie-
sa di Susa, Torino l 788. Alla detta con-
gregazione da loro eretta assegnarono ren-
dile con concederle la 3/ parte di Susa e
del suo territorio e valle, tranne il ca-
stello, non che molti altri luoghi e il mo-
naslerodi s. Mauro diPulcherada, e la 3."
parte delle decime di Susa e sua valle ;
tulle (erre e castella, e immense rendite
che potevano formare un principato, a-
vendo ottenuto dalla s Sede 1' esenzione
daila dipendenza di qualsivoglia persona,
solo riserbaudo a'Ioro discendenti la no-
mina dell'abbate, terminati i quali l'ele-
zione spettasse a'monaci. Per la moltitu-
dine di questi celebra vansi le divine lodi
giorno e notte, e grande era la loro edifi-
cazione. Scemata la floridezza e perdute
le rendite, neh 58 1 Gregorio XI II trasfe-
rì i superstiti benedettini a s. Michele del-
la Chiusa, e loro sostituì i canonici rego-
lari Lateranensi. Divenuta commenda e
godendola il cai dina I delle Lanze, Bene-
dillo XIV soppresse l'abbazia nel 1748
e la ridusse a collegiata di preti secolari,
poi elevata a cattedrale vescovile di Su-
sa.L'abbazia della Pulcheradaos. Mau-
ro, siluata a 3 miglia da Torino nel vii-
168 TOR
laggio di s. Mauro, sotto la prolezione del
fjuale la fondarono i benedettini, fu sac-
cheggiata e distrutta da'saraceni nel prin-
cipio del secolo X. Disperando i monaci
di rifabbricare il monasteroj'olfrirono a'
canonici della cattedrale di Torino, ed e-
glino sul finir del secolo XI lo rifiutaro-
no. I marchesi di Monferrato e quelli di
Susa contribuirono largamente alla sua
restaurazione, e fu soggettato al preceden-
te monastero di s. Giusto. Tutta volta con-
tinuarono sino al i6o3 i benedettini al
possesso del proprio monastero, ricono-
scendo il pastore di Torino con annuo tri-
buto; quale poi venendo ricusalo, l'abba-
zia fu devoluta agli abbati del clero seco-
lare per disposizione della s. Sede, eserci-
tandovi ginrisdizioneepiscopale.Nel i 800,
anno sterminatore de'beni e degli ordini
ecclesiaslicijil governo provvisorio ne ven-
dè i beni abbaziali, meno una quota ot-
tenuta dagli abitanti pel mantenimento
della chiesa e del parroco, e per le spese
della comune; indi PioVIl neli8o3 sop-
presse l'abbazia interamente. L'abbazia
di s. Pietro di Snvigliano benedettina si
deve alla religiosa pietà de'coniugi Abel-
lono e Amaltruda Sbrinatori nel 1028,
ed i primi monaci vennero da quella della
Chiusa. Celestino III nel 1 1 9 1 prese il
monastero sotto la protezione della s. Se-
de, come avea fatto Lucio 111, per difen-
derlo da'pregiudiziche ricevea dall'abba-
zia della Chiusa; contese che terminaro-
no nel 1 2 1 9. Finalmente nel 1 476 la ba-
dia fu aggregata a quella di Monte Cas-
sino, seguendo la riforma di s. Giustina
di Padova. Il priorato di s. Andrea posto
in Savigliano, e uno de'più floridi della
badia, è l'odierna chiesa abbaziale, colle-
giata e parrocchia della città. L'abbazia
òe'òs. Solutore, Avventore e Ottavio in
Torino, originò dal suddetto oratorio, o-
ve trovasi la cittadella, poi ampliato eb-
be il nome di basilica, che la pietà ih'i'e-
deli andò restaurando, finché divenuta
(piasi distrutta, nel 1004 il vescovo Gez-
zoue iu ouore de' ss. Martiri torinesi se-
T () R
nerosamente la rialzò da'fondamenti, fé'
ce costruire contiguo un monastero ac-
ciò si onorasse Dio e i santi suoi con cul-
to regolare e continuo, a mezzodì ceno-
bitiedi eremiti in separate celle,sotto un
medesimo archimandrita governati; re-
ligiosi che chiamò dal monte Caprio, se-
guaci delle norme e degli esempi del già
nominato Giovanni, assegnando rendite
pel loro mantenimento. Il vescovo Olii-
co, Manfredo 11 e Berta sua moglie, ar
ricchirono il monastero di vaste possessio-
ni, e d'innumerevoli privilegi neho3 1;
anche Adelaide loro figlia fece molte do-
nazioni, imitata da diversi vescovi che lo
riguardarono sempre con particolare a-
moievolezza. Concessioni tutte e privile-
gi, che confermò Eugenio III neh 147 iu
Susa; né mancarono i conti di Savoia di
colmare di beni e di grazie i monaci. Ma
degenerati essi dalle primitive virtù, e
mostrandosi indipendenti dal vescovo di
Torino, il vescovo Giacomo I ne intra-
prese la riforma, sottoponendo il mona-
stero al governo dell'abbate di s. Miche-
le della Chiusa, salva la fedeltà e ubbi-
dienza a'vescovi di Torino suoi successo-
ri, con altre convenzioni imposte cogli
statuti del 1210, d'accordo col capitolo
cattedrale. Mormorando i monaci la nuo-
va soggezione, nel 1224 il vescovo con-
discese che potessero eleggersi un abbate
proprio tratto dalla loro famiglia, restan-
do ferme l'altre ordinazioni. Nel i 536 im-
padronitosi di Torino Francesco I re di
Francia, volendo fortificarla, fece demo-
lire tutti i sobborghi e i sagri templi situa-
ti fuori le mura della città. A questa di-
struzione soggiacendo il monastero e la
basilica de'ss. Martiri, furono tolte le lo-
ro reliquie e trasferite in una cella del mo-
nastero di s. Andrea, finché si fabbricasse
altra chiesa. Questa fu innalzata nel cor-
so dello stesso secolo e venne assegnata ai
gesuiti, colla miglior parte delle rendite
dell'antica abbazia. L'abbazia di s. Gia-
co/no di Stura a 2 miglia da Torino e u-
scendo dalla porta d' Italia, fu eretta d<.
T OR
Pietro Podisio illustre giureconsulto nel
i 146, per l'illibate di Vallombrosa, con
rendite anche per edificarvi uno spedale
pe'lebbrosi, giacché molti di que'secoli e-
rano infetti ili tal morbo, non che per soc-
correre i pellegrini aiutandoli a traversa-
re la Sima sopra una barca. Contribui-
rono a tanl'opera benefica i vescovi di To-
rino, i marchesi di Monferrato e i princi-
pi di Savoia. A cagione dell'atroci e fre-
quenti gliene che ai devano Ira'detli si-
gnori, sul principio del secolo XIV cadde
interamente rovinata, iodi fu data in com-
menda ad Aimone vescovo di Torino, e
Martino V nel 1420 l'incorporò alla men-
sa vescovile, il che confermò Pio II coll'e-
slinzione della dignità ahbaziale, e l'unio-
ne delle chiese dipendenti. L'abbazia i\\Ri-
volta fu eretta nel borgo lungi 5 miglia
da Torino nel 1 i3o, e in origine era un
collegio pecanonici regolari, a onore dei
s*. Pietro e Andrea, quindi beneficato con
poderi e privilegi da'eonti di Savoia, dai
marchesi di Monferrato, e da' vescovi tori-
nesi, tutto approvando gl'imperatori En-
rico V 1 e Ottone IV, Insorta vertenza per
la chiesa di s. Vittore di Rivalla, tra l'ab-
bazia di s. Giusto e i canonici, in favore
di questi fu sentenziato. Inutilmente Inno-
cenzo IV avendo vietato a'eanonici le a-
lienazioni,e l'osservanza religiosa sceman-
dosi, Alessandro IV soppresse il collegio,
e assegnò la chiesa e le rendite a'monaci
cislei densi, che formatavi un' abbazia vi
rimasero sino a'nostri giorni. L'abbazia di
s. Maria di Cavorre o Cavour, fu eretta
nel 1037 con molti beni dal vescovo di To-
rino Landolfo, aumentandone l'entrale la
contessa Adelaide neh 044, e più ancora
il vescovo Cuniberto nel 1 07^, essendone
pure stati benefici i successori Vitellini e
Milone. Divenuta commenda, anche car-
dinalizia, Pio Villa soppresse neliSoo in
tempo del governo francese; ma ritorna-
to sul trono Vittorio Emanuele 1, il Papa
la ristabilì nel 1817, però spogliata della
massima parte di sue rendite. L'abbazia
di s. Maria di Pi aeralo la fondò nel 1 06 \
TOR 169
Adelaide a vantaggio dell'anima sua e dei
suoi più stretti parenti, con molte rendite,
e Pallido b' benedettini, con approvazione
di s. Gregorio V7 1 1 e regolamenti; confer-
mandola pure Urbano II con l'aggiunta
di privilegi nel 1095, dichiarandola sog-
getta alla s. Sede Calisto II nel 1 1 2 3. Il
contedi Savoia Umberto II ne accrebbe
le donazioni. In seguito fu data a'eister-
ciensi riformati, i quali nel 1622 vi tenne-
ro capitolo genera le, presieduto da s. Fran-
cesco di Sales per Gregorio XV. A ripa-
rare la sua rovina, a motivo delle vicen-
de politiche, nel i83t Carlo Alberto l'as-
segnò alle religiose del Sagro Cuore per
l'educazione delle fanciulle. L'abbazia e
congregazione de'canonici regolari di s. A-
gostinodi Ohio o Oulx, appai tenente di-
rettamente al vescovo e capitolo di Tori-
no, fu fondata nella chiesa di s. Lorenzo
arcidiacono della la Plebe de' Martiri (o
pe' molti cristiani ivi uccisi in odio della
religione, o perchè ne'primi secoli vi si ado-
ra va Marte), verso la metà del secolo XI tra
il monte diGinevra e Susa,o\e ne trattai,
rilevando i Papi che vi furono alloggiati.
Laonde qui solo dirò, che il suo preposto,
come narrai di sopra, era di diritto cano-
nico di Torino e occupava il 3. "posto d'o-
nore, per concessione del vescovo Cuni-
berto e del suo capitolo. Istituirono la con-
gregazione Geraldo poi neh 06 i vescovo
di Sisteron, e i suoi compagni Oldorico e
Nantelmo, pe'chierici che si volessero se-
gregare dal secolo; quindi approvata dal
vescovo Cuniberto con diverse concessio-
ni di rendite e di chiese, e confermata da
s. Gregorio VII con gran piacere, come
tempo nel quale l'incontinenza eia simo-
nia del clero teneva in trambusto la Chie-
sa. Fu arricchita di privilegi da'Papi Ur-
bano II, Pasquale 11, Calisto II, Eugenio
III, Adriano IV, Alessandro III, Lucio III
e Celestino III, dichiarandola esente e sot-
to il patrocinio della s. Sede. L'esempla-
rità de' canonici fece presto divenire la
congregazione madre e fondatrice di mol-
ta colonie iu Francia e in Italia, ove prò-
i7o T O R
pagarono il culto di Dio e il buon esempio
de' fedeli. Non essendo abbastanza am-
pia 1' antica chiesa di s. Lorenzo, fu ne-
cessario di fabbricarla più vasta, e se ne
fece la solenne dedicazione nel 107.3, col-
1' intervento di molti vescovi, prelati e
principiatile la contessa Adelaide co'suoi
due figli Amedeo e Pietro, la quale fece
poi diverse donazioni all'istituto. Losplen-
dorede'canonici d'Oulx cominciò a oscu-
rarsi verso il principio del secolo XI V, e
già nel 1 35o erasi data l'abbazia in com-
menda a'sacerdoti secolari: possedeva al-
lora 28 priorati, molti in Italia e in Fran-
cia, uno presso Savona. Il suo termine fu
glorioso, essendosi eretta nel 1 748 da Be-
nedetto XIV, colle superstiti rendite, in
collegiata di canonici secolari, e formata
la mensa del vescovo di Pinerolo, il cui
vescovo per concessione pontificia s'inti-
tola preposto d'Oulx. Quando Pio VI fu
depoi tatoda'francesi aValenza nel 1 799,
passando per l'abbazia della Chiusa non
potè consolarsi di vedere il cardinal Ger-
dil, ed a'27 aprile arrivò ad Oulx dove
la neve lo costrinse a fermarsi alle falde
di quelle spaventose montagne. Abbiamo,
l Iciensh Eeclesiae Cliartariuni ani-
mòdversionibus illustratimi, Aug. Tau-
rin. 1 753. L'abbazia di 8, Maria di Sta f-
farda con l'insigne monastero fu fonda-
ta a istanza di s. Bernardo nel territorio
di Revello, marchesato di Saluzzo, in ri-
va alPo e dentro la spaziosissima selva
del suo nome, nel 1 1 35 per quanto notai
i\ Saluzzo, per opera di Manfredo I mar-
chese del Vasto e di Saluzzo, e di sua ma-
dre Alice; indi nel 1 1 4-4 ricevuta da Ce-
lestino II sotto la tutela di s. Pietro. Mol-
te e grandiose possessioni ottenne da Man-
fredo I e moltissime altre ne acquistò poi,
ottenendo dall'imperatore Federico 1 am-
pio indulto, che riporta Muletti nella ó7o-
ria di Saluzzo, Altri e replicate donazio-
ni ricevè da'marchesi di Saluzzo e da que'
di Busca, da'principi di Piemonte, e da'
conti di Savoia Pietro, Amedeo IV, Fi-
lippo d'Acaia e altri, insieme a larghe e-
TOR
senzioni. La chiesa e il monastero tenu-
to da'eisterciensi fogliarli), superarono in
magnificenza le chiese e abbazie circon-
vicine: nella chiesa furono sepolti alcuni
marchesi di Saluzzo. L'abbazia di s. Ma-
ria di Casanova fu fondata da Manfre-
do I marchese di Saluzzo nel 1 1 3o, con
sufficienti rendite, privilegi ed esenzioni,
confermati dal figlio Manfredo 1 1 e da'suc-
cessori.Fu eretta nella piccola chiesa di s.
Maria della Molta nei confini del borgo
di Carmagnola, e soggetta sino dal suo
principio a'eisterciensi di Stalfarda , che
venuti ad ufliziarla la chiamarono Casa-
Nova, Oltre gli abbati claustrali, ebbe
anche i commendatari e cardinali, L'in-
signe monastero delle monache di Cara-
magna Sii fondato nel 1028 dal marche-
se Magnifredo II e da Berta sua moglie,
in luogo circa 1 5 miglia da Torino, sotto
la regola di s. Benedetto, con molle pos-
sessioni approvate colle posteriori acqui-
siate da Onorio III nel 1216. Perduta
l'osservanza regolare, pel vivere licenzio-
so delle monache, l'antipapa Felice V sop-
presse il monastero neli444> assegnan-
dolo colle rendite a'benedettini. L'abba-
zia di Caramagna, sebbene molto dimi-
nuita dell'antiche sue rendite, e priva af-
fatto de' diritti e privilegi episcopali, fu
ristabilita da Pio VII nel 18 17 ad una
commenda. Il monastero di monache del-
l'abbazia di s. Michele della Chiusa già
esisteva nel 109 1, poiché in quell'anno
morto l'abbate Benedetto lì, interven-
nero alle sue esequie le sagre vergini, da
lui raccolte e dirette, e tale fu l'acerbo lo-
ro dolore, tanto il pianto, che per quel
giorno la funebre funzione appena potè
terminarsi. La sede vescovile di Torino
molti poderi acquistò sotto i longobar-
di, non solo per la liberalità de'privati fe-
deli ch'erano mossi dal sentimento di re-
ligione, ma più ancora perla munificen-
za de'duelii torinesi, e segna la mente d'A-
gilolfoi." duca di Torino, poi re de'lon-
gobardi, e di Teodolinda sua piissima con •
sorte: queste rendile si accrebbero assai
T O R
tolto i principi longobardi successori, da'
quali ebbero i vescovi grandi feudi, si-
L'iiorte e privilegi, nel possesso de'quali fu-
rono confermati dagl'imperatori germani-
ci. Prima deliooo esercitavano signoria
*u Chieri e sopra molti de'circostanti vil-
laggi, poiché Ottone III imperatore, ricer-
calo da Amizzone I vescovo di Torino,
che si degnasse per la ristorazione della s.
Chiesa di Dio, e per l'onore di s. Gio. Bat-
tista, al cui nome la cattedrale è consa-
grata, di confermare alla medesima tutte
le cose e proprietà sue, nomina nel diplo-
ma che ne spedì, fra le altre terre, quelle
di Cavi, Canova, Celle, Testona ed Ale-
guano. In segno del potere e della mag-
gioranza che esercitavano i vescovi tori-
nesi, già neh 180 sussisteva un'alta torre
annessa al loro palazzo fra la cattedrale e
piazza Castello. Neil 3o3 aveano la cura-
ria della città di Torino. Un gran numero
di vassalli tenevano da essi vescovi terre
e castella in feudo, o l'investitura delle
decime, e fra questi ultimi era il marche-
se di Saluzzo per le decime 'del marche-
sato. Altri vassalli del vescovo di Torino
erano il marchese di Monferrato per s.
PwiiFuele e talvolta per Lanzo; il conte di
Biandrate pel castello di Settimo inferio-
re;! marchesi di Busca pel castello di Ros-
sana; i signori di Moncucco, sia per l'av-
vocazia della cattedrale della chiesa di s.
Martino di Stellone, delle pievi di Bari-
liano e di Moutegiove, di Vergnano e di
Rutila, sia pel feudo di Moncucco, per
quello di Val della Torre e per la cura-
ria de'due mercati di Chieri,. della qual
terra il vescovo avea nel secolo XI prin-
cipal signoria, come l'avea nel secolo se-
guente in Torino, sebbene non lai clas-
se molto a fuggirgli di mano. Riconterò
ancora i visconti di Bai-atonia per Ben*
Ionia, Yiù, Lemie ed lisseglio, i signori
di Lanzo per Lanzo. Infine ciascuno pei
feudi di cui pigliavano il nome i signori di
Montati», di Scatena, di l'iobesi, di Alpi-
guano, di Rivoli, di Monlaldo, di Rival-
la, di Cordua, di Osterò, di Polmoucel-
T O R 1 7 1
lo, di Celle, di Revigliasco, di Castel vec-
chio, di Montosolo, di Triiilàrello , del
Sabbione e parecchi altri, ora più, ora me-
no, secondo le vicende de'tempi. I prin-
cipali erano investiti coli'anello e colla spa-
da; gli altri con un bastone o un libro.
Tutti rendeangli omaggio e giuravangli
fedeltà, secondo l'usanza, eolie mani giun-
te e riposte ha quelle del vescovo, inter-
veniente fìrfelitatis osculo. Fra'diritti cu-
riosi che il vescovo di Torino usava riscuo-
tere, farò memorie d'un toro annualmen-
te dovutogli dal monastero di s. Mauro,
d'un porco che il monastero di s. Soluto-
re era similmente tenuto a dargli, e d'un
somiere, di cui lo stesso monastero docce
presentarlo quando si apprestava a caval-
car verso Roma. Ma sebbene il vescovo di
Torino abbondasse anticamente di gran
ricchezze, era tuttavia nel principio del se-
colo XIV molto scaduto l'aver suo, tra per
le incurie de'suoi predecessori, tra per le
vicende guerresche, onde il vescovo Tedi-
sio si trovò costretto neh3o8 a doman-
dare al legato Napoleone Orsini l'unio-
ne della pieve di Liramo alla sua mensa.
Ora passo a riportare la serie de' vescovi
ed arcivescovi di Torino, e tenendo pre-
sente l'Ughelli e seguendo il can. Bimaco-
mincierò cons. Vittore I. delle cui discre-
panti opinioni feci di sopra menzione.
Nel 3 io trovasi 1. "vescovo di Torino s.
Vittore IjConfusocome già dissi con s. Vit-
tore 11 chesuccedettea s. Massimo Indub-
bio però senza fondamento, come nota
l'Ughelli, poiché nel 3 1 1 s. Vittore I sot-
toscrisse gli atti del concilio romano in ta-
le qualità. Veramente noti si conosce tale
concilio, e in tale anno soltanto due con
certezza furono celebrati in Cartagine.
L'intervento quindi al concilio di Roma
dovrà ritardarsi al 3 1 3, in cui Papa s. Mei-
chiade 1' adunò nel palazzo Lateranense
datogli da Costantino I, in cui fu condan-
nalo Donato vescovo capo de' donatisti.
Nel 385, secondo il can. Bima, fu i.° ve-
scovo di Torino s. Massimo /dottore di
s. Chiesa, che nella biografia ripetendo il
rya TOH
riferito «lai celebre Buller, sulla fede di
Grennadio, lo dissi del 4 5 i e che vivea nel
465, epoche che spellano, secondo il cati.
Bima,as. Massimo II, come poi dirò; ana-
cronismo vero o apparente derivato dalla
differenza nelle opinioni, se i ss. Massimo
furono uno o due. Nell'oscurità in cui sia»
ruo delle gesta di s. Massimo,il p. Bruni di
Cuneo, insigne editore delle dotte sueope-
re, volle ricavarle dalle medesime, alqu.il
di vita mento uniformandosi il p. Semeria
Dedarò un cenno. Di sua patria e educazio-
ne (ulto è incerto; lo si dice nativo d'E-
truria , del Piemonte e segnatamente di
Vercelli: l'Ughelli lo vuole istruito nelle
lettere e diretto nella pietà da Wilibcr-
go vescovo di Mastricht o di Utrecht, il
quale non conobbero né i Sammartani ,
nèTillemont. Il p. Semeria ritarda il prin-
cipio del vescovato dis. Massimo 1 al 4 ' 5
circa, e perciò dopo il concilio di cui patto
lerò dopo queste notizie del santo. Posto
da Dio in questi tempi a illuminaree reg-
gere la chiesa di Torino, perito nelle di-
vi ne Sci itti ire, primo suo studio fu di sban-
dire tri 'diocesani tutte le superstizioni, le
qual. in molli rimanevano profondamen-
te radicate. Molto più ebbe a faticare per
togliere l'inveterata usanza delle masche-
re nel i ."giorno di gennaio, dichiarando-
la grande pazzia il trasformare in sembian-
za di fiere e di pecore, i creati a sembian-
za di Dio, e insolvibile vanità il difior-
mare quel volto che Dio si degnò fabbri-
caie colle proprie mani, detestando inol-
tre le parole sconcie e oscene che si pro-
ferivano. Non meno delle superstizioni de'
torinesi dava fastidioas. Massimo I quelle
de'contadini, poiché discacciata l'idolatria
dalie colte città, ancor rimaneva dispersa
ne' villaggi e nelle campagne; e quivi la
plebe adorando l'antiche profane deità,
sagrifìcava con riti abbominevoli per im-
plorare l'abbondanza della messe e delle
vendemmie. Il santo vescovo non poten-
do accorrere in persona in tutti i luoghi,
esorlò i padroni de'poleri con diverse o-
melie,ad eliminare laute empietà e sacri-
TOR
legi, altrimenti chiamandoli colpevoli per
non averli impediti, adora udo essi Dio nel-
le chiese e permettendo agli agricoltori di
venerare il demonio ne'sobborghi e nelle
campagne. Non minor sollecitudine mo-
strò il santo pastore nel preservare il suo
gregge dall'infezione dell'eresie, che dira-
mate dall'oriente numerose serpeggiava-
no, singolarmente ne' manichei, origeni-
sti, nesloriaoi, eutichiani; errori tutti che
combatteva negli eloquenti suoi sermoni
e ne' privali colloqui; distinguendo i veri
da' falsi dogmi, raccomandando l'abbor-
rimenlo d'ogni errore e di professare la
purità della fede, l'ubbidienza alla s. Se-
de, e l'osservanza de'precetti di Dio e della
Chiesa, non che la santificazione delle fe-
ste. Queste ripetute rimostranze, dotte e
zelanti, produssero ottimo elfetto ne' to-
rinesi, più sovente frequentando la basi-
lica e più assiduamente ascoltando la di-
vina parola. Quanlo vado a riferire, per
le epoche non si accorda col can. Bima,
bensì con l'Ughelli, perchè il r .° fa morto
s. Massimo I a'i5 giugno del 42°> e g'*
dà per successori nel 42 ' Amatore e nel
4^o s. Massimo II, ambeduenon registrati
da Ughelli. Afferma il p. Semeria che s.
Massimo I intervenne nel 4^i a' concilio
provinciale di Milano per l'adesione al de-
cretato da quello generale di Calcedonia
contro Eutiche e Nestorio, e nel sottoscri-
verlo spiegò sul mistero dell'Incarnazio-
ne i sensi medesimi dichiarati da Papa s.
Leone I. Ritornato nella diocesi intese con
sommo dolore che i torinesi nella sua as-
senza aveano cessato di frequentare le sa-
gre funzioni, onde li esortò ad emendarsi
ed a riflettere, che se non vedeano in chie-
sa la sua persona, sempre vie presente il
Salvatore vescovo di tutti i vescovi. A ri-
parare poi gli abusi e gli errori insorti ,
radunato il clero, celebrò il sinodo dioce-
sano, ove riprovò l'eresia di Elvidio. La
sua vigilanza pastorale estendevasi anco
sopra tutti i bisogni temporali che angu-
stiavano i suui diocesanijSpecialmente nel-
la circostanza, iu cui Aitila re degli uuui
TOR TOR 173
era penetrato in Italia nei 452,n»nuomes- senti. Nel $G 5 s. Massimo I si portò in Ro-
sa orribilmente Aquileia e minacciando lo ma per assistere al concilio convocato da
Sterminio della penisola. L'Italia disunita, Papa s. Maro, e dopo la sua sotloscrizio-
non soccorsa dagl'imperatori che aveano ne vi appose la propria, perchè gli altri
fissato la loro sede in Costantinopoli, tre- numerosi vescovi ne rispettarono i meriti
pioava d'essere interamente distrutta; e e la veneranda di lui canizie. Per questa
cogli altri popoli italiani temevanocoster- sua decrepitezza fu contemporaneoebuon
nati i torinesi l'invasione del barbaro ne- amico di s. Remigio di Reims, e da ciò
mico che andavasi avvicinando sul Tici- credesi derivata la fraterna unionechesu-
no, lasciando dietro di se orme crudeli di siste fra il capitolo metropolitano di To-
rovina e di sangue. Non tralasciarono in- lino e quello di Reims, tanto inlima che
tanto di premunirsi con forti riparazioni andando un canonico torinese a Reims,
' intorno le mura e le porte della città. Nel e viceversa un canonico di quella metro-
comune abbattimento il vescovo radunati polilana venendo a Torino, piglia posto
i cittadini, e con l'autorità d'un uomo di canonicale in coro e percepisce le consuete
[ Dio. con l'affetto di padre, ravvivò lo spen- distribuzioni. La morte di s. Massimo I
to coraggio, lutti esortando a riporre in credesi avvenuta a'25 giugno del 47° a'
Dio una piena confidenza, e più che alle più tardi, in Collegno che soleva fieqien-
umane difese fortificar la patria colle o- tare, ignorandosi il luogo della sepoltura,
razioni, i digiuni e la penitenza, e sareb- rimasta ascosa per salvarne lesaute reli-
bero restati salvi. Come predisse s. Mas- quie dall'incursioni de'barbari che in di-
simo I al suo popolo, Aitila non entrò in versi tempi penetrarono nel Piemonte, ed
Torino, anzi i cittadini prosperarono di anche per assicurarle dal fanatico fi ".-ore
commercio e di ricchezze, mentre tante dell'iconoclastaClaudio.Si congettura che
altrecittà furono sterminate. Scrissero al- sieno rimaste sotto lesoglie della torre de'
cuni che il santo partisse dalla diocesi per conti Provana ili Collegno.Pio\ I fecerac-
incontrare Attila e placarne il furore, il cogliere tutte l'omelie e i sermoni di s.M.is-
che si racconta pure di s. Leone 1. Un 2.0 simo I,eco'lipi di Propaganda li fece pub-
disastro grandemente afflisse i torinesi, an- blicare nel 1 784,000 nobile edizione e dal
zi l'Italia tutta, nel 4^3 per l'universale Papa dedicata al re Vittorio Amedeo HI:
carestia prodotta dalla siccità; ed il vesco- S. Maximi Epìscopi Taurinensi opera,
\o ch'era il coni un padre de' poveri e che jussu Pii TIP. M. aucta, atque adito-
nelle sue omelie avea sempre raccoman- lationibus illustrata a p. Bruitone Bru~
dato l'eIeuiosiua,in que>ta calamità si spo- ni Scholar. Piar. Queste sapienti omelie
• gliò d'ogni cosa per accorrere a pubblici sono piene di eluquenza,di leologia,di ma-
fi privati bisogui , e uon avendo più che rale, furono sempre stimate nella Chiesa,
cosa dare, domandò egli slesso a'facoltosi ed i compilatori del Breviario romano ne
i soccorsi, raddoppiò il suo zelo, e la città hanno tratto molte lezioni ; imperocché
per lui fu salva. Di un'altra barbara iu- principalmente riguardano le maggiori fé-
cu, sione furono minacciati i torinesi nel ste dell' anno, molti santi e diversi sog-
455, a cagione di Genserico re de' van- getti di bella morale. Credo opportuno di
dali. che dall'Africa era venuto a impa- qui ragionare del concilio provinciale ce-
dronirsi dell'Italia. Sebbene il suo fui ore lebrato nella basilica di Torino sulla fine
non fosse meno terribile di quello d'Ai- del IV secolo, o come altri vogliono al co-
t ila, tuttavia i cittadini, nella precedente minciar del V,poichè si attribuisce al 397,
invasione preservali, mosti aronsi più do- al 3t)8, al 4°°» a' 4QI a'22 settembre e
I cili alle parole del santo loro pastore; la anche più tardi, lenulo da'vescovi italiani
stiuge fu weina , ed essi ne audarouo e- ad istanza de'prelali delle Gailie per ter-
1 74 T ° R T o R
minare le questioni insorte tra loro, opre- re suo merito, e non come un diritto alla
cipuamente le differenze sulle pretensioni sua sede; che però dopo la sua mortele
del vescovo di Marsiglia contro la metro- cose ritornassero nell'ordine connine, e
poli di Aix, e tra'vescovi di Vienna e di in fatti ne fu poi primate il vescovo d'Aix.
Arles intorno alla primazia, ed alcuni di Simplicio primatedella provincia di Vien-
essi v'intervennero per comporre più fa- na, per una limile pretensione, credeva
cilmente le controversie. Siccome Torino d'avere i diritti metropolitani sopra il ve-
dipendeva allora dalla metropoli di Mi- scovo d' Arles, che dal canto suo dichia-
lano, così viene creduto che s. Simplicia- rava di non volerne essere suffraganeo ,
no vescovo di Milano lo facesse radunare, appartenere anzi alla sua sede la dignità
e pare che vi fossero presenti 20 vesco- primazia le, per esser egli successore di s.
"vi. Il p.Semeria propende che si celebrasse Trofimo, il quale ne' tempi apostolici a-
nel 4oo e ne riprodusse i canoni , quali vea portato a tutte quelle provincie il lu-
trovansi nella collezione del p. Labbé nel me del vangelo. Il concilio di Torino, giu-
t. 3, e in quella d'Arduino nel t. 2, olire dicando non abbastanza fondate le ragio-
il parlarne diversi gravi autori; perciò dis- ni del vescovo d' Arles, decise doversi e-
se egregiamente il p. Semeria,di non me- saminare quale delle due città conteuden-
ritaie seria confutazione le strane e in- ti, se Arles o Vienna, avesse i diritti di
giuriose asserzioni d'Eugenio Levis, che metropoli nell'ordine civile e politico: ri;
uè Saggi deW Accademia degli Unani- conosciuta sotto questo rispetto la città
mi, osò pretendere di dichiarare, la sto- metropolitana, il suo vescovo fosse il pn-
ria del concilio di Torino non essere ap- mate di tutta la provincia, con facoltà di
poggiata a sicuro fondamento, e che non consagrare i vescovi e visitar le loro chie-
uno ma due concili! furono celebrati in se. Soggiunsero però i padri del concilio,
Torino, il i.° nel cader del IV secolo, il che per l'amore della mutua pace e ca-
2.° nel cominciamento del V, e circa 4 hi- ri là, tanto necessaria particolarmente nel
stri tra loro intermedia La lettera sino- ceto episcopale, potrebbe frattanto ognu-
dale contiene Sarticoli, che sono tanti de- nodiessi.in qualità di metropolitano, vi-
creli sopra le vertenze proposte e discusse sitare le chiese più vicine alla propria dio-
nel concilio. Il l.° riguarda Proculo ve- cesi. Conformemente a questo saggio de-
scovo di Marsiglia, il quale sebbene della crelo , i due vescovi di buon accordo si
provincia di Vienna nel Delfinato, pre- divisero tra essi la provincia, ed ebbero
tendeva d'essere metropolitano della 2.a ciascunosimil diritto e tilolo:equestacon-
Narbonese, adducendo per ragione, che venzionesi conservòinvariabilmenled'al-
le chiese della 2.a provincia di Narbona lora in poi sino alla torbida rivoluzione
dipendevano ne'tempi anteriori dalla se- di Francia, sulla fine del secolo scaduto,
de di Marsiglia, che ne a vea ordinati i pri- Al concilio inoltre si portò l'affare de' ve-
rni vescovi. Invece sostenevano i vescovi scovi Ottavio, Ursione, Remedio o Remi*
narbonesi, non dover riconoscere per me- gio, e Triferio, che dicotisi della 2/ prò-
tropolitano colui che reggeva un' altra vincia Narbouese, accusati d' aver eom-
provincia. Volendo il concilio conformar- messo diverse gravi mancanze nelle sagre
si agli statuti de' canoni antichi, e rista- ordinazioni. Non negarono essi le colpe
bili re la pace fra le chiese dissidenti, ven- di cui furono accusati, ma si scusarono
ne a un temperamento giudizioso, oidi- con dire di non esser mai stati avvertili
nanclo che Proculo conseguirebbe bensì dell'errore con qualche monizione. Que-
la primazia che domandava, ma ciò so- sta scusa fu accettala, e però non fu loro
lamenlea titolo d'un privilegio personale, inflitta alcuna pena; bensì venne ordinalo
da concedersi alla sua età e al particola- per l'avvenire, che quando alcuno toruas-
T O R
se a violar gli antichi decreti della Chiesa,
resterebbe privo delle facoltà dell'ordine
episcopale e del diritto de'sufTragiuel con-
cilio; che rispetto a' sacerdoti fuori delle
regole ordinati, sarebbero privati dell'o-
nore del sacerdozio. Il sinodo quindi con-
fermò la sentenza pronunziata dal vesco-
vo Triferio contro il prete Esuperanzio,
che avea oltraggiato il suo pastore, e con-
ilo Palladio semplice laico, che avea ca-
lunnialo il sacerdote Spano. Si riservò a
Triferio la facoltà d'usar grazia ad Esupe-
ranzio e restituirgli la sagra comunione,
da cui era slato escluso per diverse altre
mancanze contro la disciplina ecclesiasti-
ca.Fra 'deputati dellechiese Gallicane pre-
senti al concilio,trovai onsi quelli di Felice
vescovo di Treveri,il quale era stato ordi-
nato dagl' Ilaciani. Papas. Siricioe s. Am-
brogio (a cui nel 397 era successo s. Sim-
pliciano nella sede di Milano), non sola-
mente aveano ricusato la comunione di
lui, ma dichiarato inoltre, che avrebbero
ricevuto nella comunione della Chiesa tut-
ti coloro che da esso si fossero voluti sepa-
rare. Lettere di s. Ambrogio e di s. Silicio
furono lette nelconcilio alla presenza de'
deputati di Felice e unanimemente ap-
provate, quindi secondo le medesime fu
stabilito, che la comunione della Chiesa
non si concederebbe mai a quelli che per-
sistevano nella comunione di lui. Gli ul-
timi canoni del concilio di Torino concer-
nono due altri punti di disciplina ecclesia-
stica, cioè la proibizione fatta a' vescovi di
ammettere nella propria diocesi i chierici
ed i sacerdoti che da un altro vescovo fos-
sero stati scomunicati , e di promuovere
agli ordini maggiori quelli che avessero
ricevuto illecitamente i minori, o che nel
tempo in cui erano addetti al servizio de-
gli altari avessero conosciuto una donna,
da cui fosse nata prole. Questo canone si
saggio fu poi confermalo dal concilio di
Iliez nel 4^9» e da quello d'Orleans nel
i'\ \ 1 . Il 7.0 e l'8.° regolamento furono re-
lativi ad oggetti di semplice disciplina ec-
clesiastica. Inoltre il concilio sgravò s. Cri-
T O R
i7a
gio dall'accuse intentate da Lazzaro »e-«
scovo d'Ali. Riprendendo la continuazio-
ne de' vescovi di Torino, già notai, che il
can. Birna nel \i 1 dà per successore a s.
Massimo I, Amatore morto in concetto
di santità, dopo averconsagrato s. Patri-
zio apostolo e vescovo d'Irlanda, però su
questo santo va letto tale articolo; quindi
registra nel 45os. Massimo II, che scrisse
in detto anno a'padri del concilio di Co-
stantinopoli, raccomandando la sua chie-
sa; e nel 4y5s. Vittore 11 legato al redi
Borgogna Gondebaldo. Ripeto che il p.
Semeria, al vescovo s. Massimo fa succe-
dere s. Vittore, notando hensì le divergen-
ti opinioni, dichiarando che s. Vittore vi»,
se dal 476 al D02, a'tempi d'Odoacre re
de«li ertili, che entrato in Italia distrus-
se nel 476 l'impero romano d'occidente
in Ravenna, ove assalito da Teodorico re
de'goli e ucciso, questi nel 49^ gli de-
cesse nel regno d'Italia giàda'goti invasa.
Il vescovo s. Vittore ornò e ingrandì in
Torino la basilica de'ss. Solutore, Avven-
tore e Ottavio martiri, ed a lui il p. Se-
meria attribuisce la memorata legazione
a Gondebaldo, insieme al vescovo di Pa-
via s. Epifanio, e al compagno di questi e
poi successore s. Ennodio. Imperocché re-
gnando Gondebaldo in una parte della.
Borgogna, delLionese, delDelfìnato, del-
hiSvizzera e dellaSavoia, ardendo la guer-
ra in Italia tra Odoacre e Teodorico, sce-
se Gondebaldodall'Alpi verso il 490chia-
mato da un de'due, ma reputandosi de-
luso da entrambi, si vendicò sulle contra-
de di Liguria e di Piemonte, che devastò
orribilmente, conducendo via una mol-
titudine d'abitanti in ischiavitù nel pron-
to ritorno che fece al di là de'monti. Non
andò immune Torino né Milano da que-
sta desolazione, sebbene passasse sopra le
due città qual nembo di procella stermi-
nati ice. Teodorico barbaro conquistato-
re e saggio regnante, mostrava sebbene a-
riano una certa riverenza al clero catto-
lico esegnatamentea s. Epifanio, che fr«'
vescovi d'Italia distingueva*! per virtù e
i76 TOH
dottrina. Recatosi in Ravenna s. Epifanio
con s. Lorenzo vescovo di MilariOj otten-
ne da Tcodorico perdono a quelli che a-
veano impugnato l'anni contro di Ini. Il
re inoltre incaricò s. Epifanio di recarsi
nelle Gallic da Gondebaldo, per negoziar
il riscatto degli schiavi fatti di qua del-
l'Alpi, a spese del regio erario. Accettato
l'incarico, fu permesso al santo di pren-
dersi a compagno nella legazione s. Vit-
tore vescovo di Torino, comechè risplen-
dente di tutte le virtù. Giunti i vescovi a
Lione, il loro venerando credilo e l'elo-
quente perorazione di s. Epifanio, otten-
nero daGondehaldo la gratuita liberazio-
ne di tulli gli schiavinolo il re esigendo un
piccolo prezzo pe' presi nel calor delle bat-
taglie^ tornarono con essi trionfanti in I-
talia tra le universali benedizioni, avendo
pure pacificalo i due re. Nel 5o i il vesco-
vo Trigidio sottoscrisse il sinodo romano
di s. Simmaco, e secondo Ughelli anche
quellodel 5o2. II can. Statagli dà per suc-
cessore Pelagio del 526, la cui memoria
trovasi in una lettera di Papa s. Felice
III dello IV. Rulfo I del 535, o del 55o,
secondo il can. Dima e l' Ughelli, questi
diceche erroneamente gli fu sostituito A-
gnello,il quale non di Torino,ma di Tren-
to fu vescovo.Nel 55o il can. Rima riporta
Ruffo II, ricordato in una lettera sinodica
nel 553 scritta da' padri del concilio di
Costantinopoli. In tale anno narra Giof-
fredo nella Storia delle Alpi Marittime,
che Torino fu assalita da Sisualdo re de'
breuti, già detti eruli, il quale ribellatosi
a Teia re de'goti, all'improvviso piombò
sulla città e su Ivrea, dando il sacco al Ca-
navese. Il p. Semeria parla d'un soloRuf-
fo del 56o, rammentato da s. Gregorio
di Tours, per esser andato in Moriauasua
diocesi a venerar le reliquie di s. Gio. bat-
tista portale da Samaria o da Alessandria
d'Egitto da Tigris pia donna; e volendo
l'arcidiaconoche l'accompagnava portar-
le a Torino per ricevervi maggior vene-
razione, appena slesa la mano sulla cas-
setta in cui erano rinchiuse,perdè ogni in-
TOR
telligenza e acceso di febbre dopo 3 giorni
morì con gran terrore de'presenti e de'più
lontani. Nel 572 o prima per quanto ri-
ferirò, fu vescovo Ursicino al dire del p.
Semeria, o nel 58o secondo I' Ughelli e
il can. Bòna, di canta vita C moltissimo tra-
vagliato da'barbari de' suoi tempi. Con-
viene sapere, che Narsete dopo aver vinto
e cacciato dall'Italia i goti dominatori, e
ripristinata nella penisola l'autorità de-
gl'imperatori di Costantinopoli, disgusta-
to pel suo richiamo e motteggi, invitò ad
occuparla nel 568 Alboino re de Lo rigo-
bariti (P^-). Una schiera di essi nel prin-
cipio del 569 passò nel Vallese, e Tanno
seguente longobardi e sassoni uniti ad essi
s'inoltrarono al di là dell'Alpi Cozie; i lon-
gobardi sino ad Embrun, i sassoni sino
a Riez. Discacciali i sassoni, ri valicarono
l'Italia, e verso il 571 divisi in due per
le vie d'Embruu e Nizza, ripassarono le
Alpi con riunirsi sulle terre di Borgogna,
il cui re Gnntrauo li vinse, e nella pace
ottenne da loro nel 576 le valli e le città
di Susa e di Aosta. I longobardi ch'eransi
proposti di dividersi tra loro il dominio
d'Italia, già fin 5y5 per l'interregno eles-
sero 36 duchi, e fatta tregua co'romani
condussero il loro esercito nella Gallia Ci-
salpina, che poi per loro prese il nome di
Lombardia, s'impadronirono di Torino,
d'Ivrea e di quelle altre città e terre, che
giacciono dall'una e dall'altra parte del
Po, ovvero che riguardano l'Italia alle fal-
de dell'Alpi Cozie, Graie e Perniine, e dal
Piemonte passarono in Provenza. Quindi
Torino fu dichiarata capitale d'uno de'
4 ducati principali longobardici. 11 lon-
gobardo Agilulfo ariano fu fallo i.°duca
di Torino, ch'ebbe a successore 1' ariano
Arioaldojiion però quando nel 590 o nel
5q 1 sposando Teodolinda divenne re de'
longobardi, poiché ritenne il ducato della
provincia torinese. Dipoi abiurò gli erro-
ri, e abbracciò la fede cattolica, dopo es-
sersi pacificato con s. Gregorio I, quando
spinse le sue forze contro Roma. In una
di dette invasioni il vescovo Ursiciuo tu
T O R
barbara me ri le fatto schiavo,battuto, spo-
gliato de'beni suoi propri e di quelli di sua
chiesa, condotto via prigioniero; e final-
mente rapitagli una porzione di sua dio-
cesi, cioè di quella che possedeva al di là
dell'Alpi, fu costituito in essa un nuovo
vescovo per nome Felmassio, di s. Gio-
vanni di Moriana (ne! quale articolo con
Commanvdle dissi eretta la sede in epo-
ca anteriore, il che non sembra per quan-
to vado narrando), e ciò per opera del re
di Borgogna e per quanto rimarcai più
sopra; perchè Gontrano fatta fabbricare
una chiesa per le suddette reliquie, indi
radunatomi concilio a Chalons vi fece sta-
bilire il nuovo vescovato. Tanti enormi ol-
traggi, venuti a cognizione di s. Gregorio
I, mossero il suo animo a prendere la più
forte difesa di Ursicino, ma pare, come già
notai, senza felice riuscita. Sembra quindi
al p. Semeria, che Ursicino morisse ili.°
di febbraio del 600 in Torino o v'era tor-
nalo. Nel i845iu Torino il dotto cav. Lui-
gi Cibrario pubblicò, Notizie (VI rsicino
vescovo di Torino nel secolo TI. Eru-
ditamente narra tutto quanto appartie-
ne alle vicende di questo pastore, e del-
l'importante ritrovamento del suo sepol-
cro nel i843 negli scavi fitti sotto l'andi-
to che mette al cortile del palazzo nuovo
del re, essendo stato probabilmente tumu-
lato nel primitivo duomo; pubblicandoal-
tresì la lapide di marmo bianco rotta in
più luoghi con fac-simile,e dicendo che le
venerande ossa trasportale nella cattedra-
le, doveansi allogare dall'attuale arcive-
scovo in fondo della uavata acornuevan-
gelii presso la porta. Riferisce il cav. Ci-
brario.chedalledue iscrizioni scolpitese-
la lapide,s'irupara cheUrsicino visse 80 an-
ni,47 de'quah fu vescovo, e morì a'20 ot-
tobre forse del 609, nella quale ipotesi a-
vrebbe conseguito la dignità vescovile nel
562. Di più dice il cav. Cibrario, non po-
tersi riconoscere in Ursicino la stessa per-
sona di quel s. Orso vescovo ignoto, di cui
il capitolo torinese celebra la festa il i.°
febbraio. Egli dubita poi che la Moriana
voi. txxvn.
TOR 177
appartenesse alla diocesi di Torino, per
le ragioni che adduce; e crede che le par-
rocchie staccate per violenza dalla diocesi
torinese e unite alla sede di Moriana, fìs-
sero nelle valli di Susa e Lnnzo. In que-
sto tempo regnava ancora sul trono de'
longobardi il re Agilulfo duca di Torino,
checollapiaTeodolinda fabbricò il duomo
di s. Giovanni, e protessero i cattolici. Il
suo regno fu vantaggioso pel Piemonte,
tenendo lungi da'suoi confini le guerre,
né avvi a suo tempo memoria di disastro
o tumulto, neppure dall'Alpi sino alla fo-
ce del Tesino o alle rive del mare ligu-
stico. Conviene qui far menzione di s. Co-
lombano fondatore del celebre monaste-
ro di Bobbio, e riconosciuto da' torinesi
ili." patriarca degl'istituti monastici fon-
dali nella contrada; perchè mosso dallo
spirito di Dio, passò le Alpi con alcuni suoi
compagni e si recò nella diocesi di Tori-
no, ben accollo da Agilulfo che gli per-
mise di eleggere ne'suoi stati quel luogo
che gli fosse più a grado per dimorarvi
co'suoi monaci; ed egli scelse il paese al-
lora deserto di Bobbio , posto tra gli A-
pennini presso il fiumeTrebbia,ed ivi ap-
punto fondò l'abbazia che divenne sì fa-
mosa per la moltitudine de'santi ede'dotti
che vi fiorirono; mentre perl'opera di Gio-
na nativo di Susa, degno discepolo e bio-
grafo di s. Colombano, e uno de'rari let-
terati del suo tempo in Italia, si propagò
l'istituto monastico anche nel Piemonte,
e le sue prime colonie sotto la regola di
s. Benedetto cominciarono a ravvivare la
civilizzazione in questa parte d'Europa.
Bobbio poi, ad accrescerne la celebrità,
Papa Benedetto Vili nel 1014 l'elevò a
sede vescovile e A Itone ne fu destinato i.°
vescovo: dichiarata la diocesi suffraganea
di Ravenna, nel 1 1 33 lo divenne di Ge-
nova. Soppressa la sede dal governo fran-
cese ne'primi del corrente secolo, la rista-
bilì Pio VII neli8i7. Notai a Sarsi:» a, che
il vescovo si chiamò pureBobiense, come
signore della contea di Bobbio diversa da
Bobbio del Piemonte.
178 TOR
Dopo la mela del secolo VII governa-
va con titolo di duca la città e provincia
diTorino Gari baldo, uomo malvagio, tra-
ditore perfidissimo, seminatore di fatali
discordie, onde per gl'iniqui suoi maneg
gi Grimoaldo 1 duca di Benevento ucci-
se di propria mano Gondeberto duca di
Pavia. Ora Ira'fainigliari dell'ucciso era-
vi un torinese di sveglialo ingegno e pron-
to di mano, il quale ritiratosi in patria
serbava un vivo desiderio di vendicare il
suo signore. Per eseguire a colpo sicuro
il suo mal animo, colse la circostanza in
cui ricorrendo la solennità della Pasqua
del 667., il duca Garibaldi) recavasi con
grande corteggio alla basilica di s. Gio-
vanni. Arrampicatosi sul fonte del batli-
sterio l'uomo vendicativo, sorreggendosi
colla manca a una colonnetta,tenendo col-
la destra il ferro sotto alle vesti, che lun-
ghe e ampie portava alla foggia de'lon-
gobardi, nel punto che il principe trapas-
sava la porta del duomo, vibrò un gran
colpo e gli tagliò il capo. Ma subitamen-
te dal seguito del duca venne pure am-
mazzato di moltissime ferite il sacrilego
e vendicativo uccisore; spettacolo orribi-
lissimOjChe bagnò il pavimento della chie-
sa di doppio sangue, cambiò in profonda
mestizia la gioconda solennità, d'inaudi-
ta profanazione riempi il tempio del Si-
gnore, e lutti i cittadini d'alto raccapric-
cio. Per lo spazio di circa due secoli, do-
po Ursicino, non si trova di sicure noti-
zie, che il vescovo Rustico, il quale inter-
vcnneal concilio romano celebralo da Pa-
pa s. Agatone nel 679, secondo il p. Se-
meria. Però il Meiranesio, riportato dal
can. Dima, prima di Rustico registra A-
gnello del 602; ma di sopra notai ch'egli
fu di Trento, anzi il p. Samaria rimar-
cò che il Meiranesio pure lo riconobbe per
tale. Godeva la s. Sede tra' Patrimoni
della chiesa romana, innanzi s. Grego-
rio 1, quello àeWAlpì Cozie, (V.), le qua-
li occupate poi da' longobardi, o dal re
Rotali duca di Brescia, o da persone pri-
vate, furono inutilmente reclamate da'
T O R
Papi, finché nel 707 Ariperlo II re de'
longobardi e duca di Torino, con bel di-
ploma di restituzione e donazione,ne rein-
tegrò Papa Giovanni VII. In che consi-
stessero, con diretto dominio temporale,
varie furono le opinioni, come rilevai nel
voi. LXVll, p. 286. Il Denina disse che
l'Alpi Cozie erano le montagne e le valli
del Piemonte; altri che fossero beni allo-
diali e possessioni ; Anastasio Biblioteca-
rio, domimi e giurisdizioni con sovrani-
tà; e il conte Balbo, gli A pennini che so-
vrastano e circondano Genova. InoItreA-
riperto 11 confermò alla chiesa di Ver-
celli tutte le sue ragioni, e specialmente
la donazione falla da Gauderi longobar-
do che avea fondato il monastero di s.
Michele di Lucedio, alle cui possessioni il
buon re educa diTorino neaggiunse altre .
La diocesi di Torino, sulla fine delI'VIII
secolo, fu la 1 ."spettatrice e partecipe d'u-
no de'più celebri avvenimenti della sto-
ria, cioè dell'ingresso di Carlo Magno in
Italia, superate le Alpi, che poi fu fonda-
tore d'un nuovo impero. 1 Papi molesta-
li dagl'imperatori di Costantinopoli, da-
gli esarchi di Ravenna, dalla potenza dei
longobardi, e dalle discordie de' principi
italiani; amareggiati da nuove vessazioni
cagionate da Desiderio re de'longobardi,
più volte ricorsero e con successo al soc-
corso di Francia. Minacciata anche Roma,
dovette Adriano 1 invocar l'aiuto del re
de' franchi a difesa della chiesa romana t
de'suoi domimi temporali. Carlo Magno
esaurì le vie di conciliazione per indur-
re Desiderio olla dovuta soddisfazione
verso la s. Sede, e di tralasciare d'esser-
ne I' oppressore, promettendogli persino
1 4,ooo soldi d'oro. Riuscito il tutto inu-
tile, Carlo Magno nel 773 convocata l'a-
dunanza de'franchi a Ginevra (della qua-
le riparlai meglio a Svizzera), divise 'l'e-
sercito in due, l'una parte sotto lo zio pel
Gran s. Bernardo, l'altra condotta da Ini
pel Moncenisio. Contro il re corse Deside
rio, e prese posto alle Chiuse in vai di
Susa, presso il luogo ove fu poi eretta la
T OR
chiesa ahbaziale di s. Michele, sforzando-
si di chiudergli il passo; indi a un trailo
preso da spavento si ahhandonò a preci-
pitosa fuga, nella quale inseguito da'fran-
chi perde molti de' suoi. In questo gran
successo, onde venne la mutazione d'Ita-
lia, anzi poi il nuovo andamento di tutti
gli affari d'Europa per molti secoli, Car-
lo Magno vi riconobbe manife>tamenlela
possente mano di Dio. Il suo esercito pas-
sò per una via per la quale credesi che
non ve n'era mai passato altro, coperta di
nevi e di mille pericoli, mentre tutte le
schiere longobarde fuggivano impaurile
senza trar colpo. I popoli italiani conob
bero in lui un liberatole mandato da Dio,
e pe'primi ne giubilarono i torinesi, che
gli andarono incotrtroe riceverono con fe-
ste singolari entro le proprie mura. San-
tificò Carlo il suoi .'ingresso in Piemon-
te, con concedere al monastero di Nova-
lesa immunità e privilegi grandissimi ai
i5 marzo, epoca gloriosa del suo arrivo.
Giunto a Pavia, vinse Desiderio, lo fece
prigione e die termine al regno longobar-
do in Italia , la quale con Torino e sua
provincia passò in potere di Carlo Magno.
Da'longobardi è vero che s'introdussero
tra'torinesi diversi abusi, i duelli, le pro-
ve o giudizi di Dio. e varie altre super-
stizioni, ma grandi furono i vantaggi che
portarono al costume. Presso di loro le
donne erano sempre sotto tutela, cioè del
padre o del suo più vicino parente, e fi-
nalmente del marito; né potevano senza
il consenso del loro curatore disporre del-
le proprie cose. Questa dipendenza delie
donne, u^ata anche da' romani in tempi
migliori, era presso de'longobardi di gra-
ve interesse a mantenere la pubblica one-
stà. I longobardi conquistatori s'incivili-
rono rapidamente, da pagani e da eretici
ch'erano, conosciuta la verità, abbtaccia-
rono la fede cattolica, e dierono lumino-
si esempi di pie largizioni, nella fondazio-
ne e anip'iazione di chiese e monasteri.
Generosa e sincera fu la pietà de' longo
bardi d'ambo i sessi, d'ogni età e condì
TOR 179
zionc, e specialmente di stirpe reale. Do
pò il vescovo di Torino Rustico, POgliel-
li successivamente riporta Claudio I,Clau
dio 11 e Claudio III, indi Lancio. Invece
il can. Bima registra nel jryo Claudio I
Porro, nell'800 Andrea, nell'820 Clau
dio li spagnuolo e iconoclasta, nell'83?.
Virgario, nell'85o Regniamo fondatore
de'canonici di s. Giovanni, nell'8^-3 Clau-
dio IH Seyssel, nell'878 Amuloo Amu-
Ione I, e nell'887 Lancio. Ciò premesso,
continuo a procedere col p. Semeria nel-
la seguente serie, dalla quale si rileveran-
no le diversità. Circa l'anno 780 fiorì il
vescovo Reguimiroo Piegnimiro, insigne
per [lieta, disinteresse e decoro del sacer-
dozio e di sua chiesa: assegnò a'suoi sacer-
doti la curadidiversechiese,dtntro la cit-
tà e nel circonvicino territorio per la mag-
giore utilità del popolo; li radunò in una
casa a vita comune, prescrivendo loro sag-
gi regolamenti, onde corrispoudessero con
merito alla loro vocazione, e facessero con
ordine il servizio divino,massime nella ha-
silicadel ss. Salvatore ossia di s. Giovanni,
e per l'onesto loro sostentamento conces-
se ad essi molte terre e il diritto delle de>
cime in diversi luoghi, ciò che confermò
e ampliò poi nelio4/Con diploma l'im-
peratore Eurico 111. In breve^ il vescovo
Regiiiniiro fondò la canonica e il chiostro
a'sacerdoti del suo clero, uè ordinò le sa-
gre funzioni nelle basiliche, e di molti be-
ni li dotò, affinchè fossero interamente oc-
cupati de'doveri del santo miuistero e non
disturbati dalle cure temporali. Né deve
meravigliare diedi tante terre dispose da
padrone, giacché la sede episcopale di To
lino da'duchi e re longobardi era stata di
molto arricchita. Andrea fu vescovo cir-
ca il 799, di cui è memoria nel necrolo-
gio de'canonici, e in un placito tenuto in
Pavia da Carlo Magno, in tempo ch'era
A e di Francia, e non ancora imperatore,
alla quale dignità venne elevato in Roma
da s. Leone III nell'800, quando il Papa
ripristinò l'impero d'occidente. Di più al-
tri vescovi torinesi trovasi menzione neh
j8o TOR
l'indicalo necrologio, e segnatamente eli
Rustico,chesi potrebbe assegnare all'8oo.
Indi Claudio 1 dell'820 circa, spagnuolo
e discepolodi Felice vescovo d'LFrgel, che
recatosi in Francia fu fatto cappellano di
palazzo da Lodovico I il Pio}con riputa-
zione di grande intelligenza nelle divine
scritture, sulle quali compose diversi com-
mentar"!; in seguito fu posto alla direzione
della scuola stabilitavi da Carlo Magno,
mostrandosi premuroso perla predicazio-
ne della divina parola e 1' istruzione dei
popoli. Queste sue qualità mossero l'im-
peratore a proporlo alla sede di Torino,
ma restò ingannato, poiché appena prese
Claudio I possesso della diocesi, che spie-
gò un carattere altiero, e sotto colore di
volerne correggere gli abusi e togliere da-
gli animi la superstizione, diffuse l'eresie
defd' Iconoclasti, che tanto desolavano le
chiese cattoliche d'oriente, per l'empietà
e la ferocia degl'imperatori di Costanti-
nopoli. Considerando le immagini sagre
fattura degli uomini, non opera di Dio,
le condannò al suo popolo, ritenendo sa-
crilega abbominazione il culto de' santi,
perchè coli' onorarli pretendeva di to-
gliersi a Dio la gloria ch'egli solo merita.
Questi ingannevoli insegnamenti predi-
cando continuamente, né vedendo perciò
che il clero e il popolo cessava, secondo
il vero senso della Chiesa, d'onorare e in-
vocare! santi e venerarne le reliquie, tol-
se alle chiese tutte le sagre immagini, rab-
biosamente spezzò le statue e gitlò a ter-
ra lecroci degli altari. Ne'di vini utìizi sop-
presseli nomede'sanli, abolì le loro feste,
e vietò i lumi nell'ecclesiastiche funzioni.
Riprovò i pellegrinaggi alle tombe de'ss.
Pietro e Paolo, e rinnovò l'eresie di Vigi-
lanzio, d'Ario e di N esIorio intorno alla di-
vinità del Verbo. Il vescovo fu perciò de-
nominalo Y Iconoclasta, di venne l'obbro-
brio de'torinesi e de' vicini; i canonici ri*
corsero alla s.Sede, onde Papa s. Pasqua-
le 1 si mostrò fortemente sdegnato con-
tro l'empio novatore: in Italia, in Fran-
cia e in Germania Dio suscitò più scrii-
TOR
tori a combatterne gli errori, riprovati dal
concilio di Parigi dell' 825; ma egli al-
tero e pertinace morì nell'errore senza
ravvedimento nell'83o, restando la sua
memoria esecrata nella chiesa cattolica. I
moderni eretici Valdesi pretesero d'adot-
tarlo per loro capo, e con altri protestanti
assai lo lodarono. Nell'84o circa fu vesco-
vo Willelmo o Guglielmo I, sebbene al-
cuni supposero successore di Claudio 1 un
Witigario. Indi neh' 873 Claudio II, al
cui tempo e nell'878 Papa Giovanni Vili
ritornando di Francia perla via di Mo-
riana e del Moncenisio, venne a Torino
in compagnia di Dosone duca di Proven-
za^ di Ermengarda sua moglie, con nu-
meroso seguito. Indi passò a Pavia, ove
pel dicembre avea intimato un concilio,
ma i vescovi di Lombardia per timore di
Carlomanno re di Baviera e imperatore,
non osarono intervenirvi. Nell'887 o 88g
Lancio ch'ebbe conlesa col vescovo d'Asti
Giuseppe,per alcune terre poste nella dio-
cesi di Savona, transalta da Oldorico con-
te d'Asti. Nell'899 i'»P0lta il P- Semeria
Amolone, ma non Io dice Amulo II co-
me vuole il can. Bima che lo registra al-
l'8q6. Essendosi rivoltata contro di lui la
cillà di Torino, la quale non solo nel re-
gimespirituale, ma molto ancora nel tem-
porale gli era soggetta, fu costretto a fug-
gir dalla sua sede e starne lontano per un
triennio; ed in questo tempo, per suo sug-
gerimento, fu ucciso Lamberto imperato-
re e re d'Italia (morte che altri dicono av-
venuta nell'898), mentre in una foresta
divertivasi alla caccia. Pacificate le tur-
bolenze civili, Amolone tornò a Torino,
ove prevalendosi di sua autorità laicale
per castigare la città ri voltosa,fece distrug-
gere la nobile corona di mura che la cin-
geva, le molte e alte torri, e tutti i guer-
reschi propugnacoli, che fra le altre cit-
tà d'Italia la rendevano forte e superba.
Queste cose narrate dalla cronaca di No-
valesa,e credule dal Tesauro nella sua Sto-
ria di Tarinole mette in dubbio il Mei-
1 anesio, almeno l'uccisione di Lamberto,
T OR
poiché lo storico Luitprando racconta di-
versamente la morte di Lamberto. Nel
goo o nel 901 fiori il vescovo Eginolfo
o Eginulfo, che intervenne al concilio di
Pavia e sottoscrisse la donazioue che Be-
rengario I re d' Italia fece alla chiesa di
Vercelli dell'abbazia di s. Michele di Lu»
cedio. Nel qo6 Villelmo o Uliehno o Gu-
glielmo Il visse ne'lempi infelici, ue'qua-
li i Saraceni penetrati in tale anno nel
Piemonte, portarono alle chiese e a'mo-
nasteri una grandissima desolazione, che
descrive Reinaud, Invasioni dew Sarra-
zins eri Fraiice, Parisi 836. 1 saraceni o
arabi, cosi detti perchè uscirono dalla cit-
tà di Sara nell'Arabia, devastavano i pae-
si e viveauo di rapine, penetrati in Pro-
venza furono a portata di poter nuocere
all'Italia, che cominciarono a infestare,
specialmente la spiaggia ligustica. Inoltra-
tisi nell'Alpi marittime per la via di So-
spello, e traversato il colle di Tenda, di-
scesero a devastare il Piemonte e la Lom-
bardia. Mentre s. Bernolfo vescovo d'Asti
(che il can. Bima dice fiorilo nelI'Soo) vi-
sitava la sua diocesi, fu da'barbari mar-
tirizzato nelle vicinanze di Moudovi. Do-
po altre invasioni , entrarono i saraceni
nella diocesi di Torino , nel qual tempo
ossia sul fiue del secolo IX o sul principio
del X eravi creato il governo d'una Mar-
ca, che conteneva i contadi di Amiate, di
Bredulo, di Albi e di Asti, oltre a quello
di Torino, verosimilmente soggetti ad es-
sa Marca, che fu chiamata lai/ Marca
d'Italia, di cui porta e ingresso era Susa.
Oltrepassando i saraceni la diocesi torine-
se, e più oltre ancora, saccheggiando dap-
pertutto, penetrarono nel monastero del-
la Novalesa operandovi orribili guasti e
crudeltà che già accennai, con insaziabi-
le furore. Per colmo de' inali mancava un
governo robusto e armato, che potesse
combattere o frenare siffatta audacia. I
monaci colle sagre suppellettili e reliquie,
ed i codici, verniero aToriuo, città forti-
ficata, accolti da Guglielmo 1 1, che da pa-
dre amorevole procurò loro alloggio e a-
TOR 181
limenti, e die loro a uflìziare la chiesa di
s. Andrea. Si stanziarono i monaci in To-
rino e si estesero iti tutto il Piemonte, e
la reliquia la più insigne che trasferiro-
no fu quella di s. Secondo duce della le-
gione tebea, martirizzato nel castello di
Viclirailio, o in Ventimiglia secondo il
martirologio romano , non perchè vera-
mente ivi successe, ma per le ragioni scrit-
te dal p. Semeria e per possederne il ca-
po ottenuto da un vescovo da' monaci.
Questi inoltre recarono in s. Andrea diTo-
rino le reliquie di s. Valerico abbate pa-
trono della città, eletto in occasione d'u-
na pestifera epidemia, già da Carlo Ma-
gno da Amieus fatto trasportare alla No-
valesa. Fu scritto che il vescovo Gugliel-
mo II restò sospeso per 3 anni dalla sede
di Turino, per decreto del Papa e di mol-
ti vescovi radunati a concilio, ma pare co-
sa non abbastanza provata. Morì poco do-
po il 920, ma non è vero che gli succes-
se Riculfo preposto del duomo, dichiara
il p. Semeria, per averlo dimostratoli Mei-
ranesio, nondimeno riportato al 928 dal-
l'Ughelli e dal can. Bima. Nel 925 trova-
si vescovo Amalrico e lo era pure nel 928
in cui fece una permutazione di alcuni po-
deri cogli abbati di Novalesa, e credesi che
abbia cessato di vivere nel 960. Alla sua
epoca morì in Torino Lotario re d'Italia,
che figlio d'Ugoue nel q47 celebrò le noz-
ze con Adelaide figlia di Rodolfo II re del-
la Borgogna Transjuraua. Vennero da Pa-
via i reali coniugi a soggiornare per al-
cun tempo in Torino, ed in questa citlà
l'ottimo marito dopo 3 anni terminò di
vivere a'22 novembre 930, forse di vele-
no propinato da Berengario marchese d'I-
vrea e poco dopo re d'Italia e imperato-
re Berengario II, ad onta che il virtuoso
principe l'avesse salvato dall'ira del pa-
dre che lo volea uccidere. Il cadavere fu
trasferito a Milano, e la piissima vedova
tosto fuggì da Torino e dal Piemonte, e
potè appena salvarsi nella fuga dall'insi-
die che gli tese perfidamente Berengario
medesimo: dipoi sposò l'imperatore Ot-
182 TOR
Ione I. Nel 960 si riporta per vescovo An-
nucoo Annucone, dal Pingonio, e dall'U-
ghelli che però lo registra al 9GG, e il cari.
Bima al 9G0: lo esclude Meiranesio, e tut-
lavolla il p. Semcria non contende a chi
voglia qui porlo. Amizzone del 966, cre-
duto figlio di Arduino III detto Glabrio-
ne contedi Torino, reggeva la chiesa di
Torino allorché fu fondato il celebralissi-
mo monastero della Chiusa, a cui die non
solo il suo consenso, ma vi prestò l'opera
e il denaro, avendo egli fatto fabbricare
>ul monte Pinchiriano la chiesa di s. Mi-
chele. In tempo di questo vescovo l'impe-
ratore Ottone III con diploma del 998
t oncesseall'episcopio di s. Giovanni di To-
rino la proprietà e il possesso della valle
di Stura e di quella di Vraita, e molte al-
're terre e castella, fra le quali Ch'ieri, Ca-
nova, Celle, Testona, Ri voli e Carignano.
Il can. Rima riporta Amizzone al 987, lo
■ lice figlio d'Arduino re d'Italia, e che as-
-iste alla consagrazione di s. Michele del-
ia Chiusa. Nel 1000 o nel 1001 successe
Gezzone vescovo piissimo e di molli be-
ni generoso verso gli ordini monastici ,
iòndatore in Torino del monastero de'ss.
Solutore, Avventore e Ottavio, nel luogo
ove giaceva la più volte rammentata loro
basilica, oh rcmedìum igìtur aiiìmcie no-
s,traet nostroruJnaue succes.sorum Tau-
i iiHii.siuin pvacsidum. Fu carissimo a Pa-
pa Giovanni XIX, e consagrò la chiesa di
-.Tecla inMilano. Indi nel loioonelioi 1
Laudolfo cappellano della regia cappella,
molti beni donò al monastero di s. Soluto-
ie, ed ebbe da lui principio la fondazio-
ne e dotazione dell'abbazia di s. Maria di
Ca vorre, ingiungendo a'monaci soltanto,
che pregassero Dio giorno e notte per la
pace e prosperità spirituale e temporale
della diocesi, per l'imperatore e per l'im-
peratrice, per le anime di lutti i fedeli vi-
vi e defunti, e per la salvezza sua propria,
non meno che per quella tle'suoi prede-
cessori e futuri successori. Nel 1018 ven-
ne a Torino Eribei lo arcivescovo di Mi-
lano e celebrato da quegli storici, affine
TOR
di visitare qual metropolitano questa dio-
cesi. Il suo ingresso fu oltremodo strepi-
toso, coinechè circondalo da una moltitu-
dine di chierici, ed insieme da una trup-
pa di valorosi soldati; accolto dal vescovo,
dal clero e da' magistrati. Tosto comin-
ciando la visita pastorale, esortò gli eccle-
siastici e laici a tener fedelmente l'integri-
la della fede e 1' osservanza della divina
parola. Ricercò quindi se in questi luoghi
erravi eretici, ed inteso che nel castello di
Monforte diocesi d'Asti esistevano mani-
chei, li fece colla contessa arrestare e con-
durre in Milano, ove chi non si converti
fudannatoal fuoco. Landolfo con zelo re-
staurò ampiamente la cattedrale, eresse e
ornò vari templi nella diocesi, ecinse di più
altemuree fortificazioni Ch'ieri, così i ca-
stelli di quel territorio Mocariado e Tizia-
no: non lunghi da Ch'ieri edificò con va-
go disegno la chiesa di s. Maria, la forni
d'ogni ornamento e vi collocò de'chieri-
ci. Altrettanto intraprese a vantaggio di
Testona, città ragguardevole per ampiez-
za di circuito e per abbondanza di popo-
lo, soggetta da'più rimoli tempi a'vesco-
vi di Torino, e da loro fortificata e abbel-
lita; istituendo nella chiesa maggiore un
collegio di canonici con rendite : ma nel
1228 Testona fu distrutta dalle armi dei
chieresi edegli astigiani, e gli abitanti fab-
bricarono Moncalieri con l'aiuto de'tnila-
nesi, ove fu trasferita la collegiata. Più
viaggi intraprese l'ottimo prelato in Ita-
liane primieramente a Roma nel io 1 5,ove
trovossi al concilio di Benedetto VIII; a
Pavia in cui intervennealsinododelio22}
e nuovamente a Roma nel io3o, sotto-
scrivendo una lettera di Papa Giovanni
XX. Si recò pure nel Saintonge a s. Gio-
vanni d' Angely, per venerare il capo di
s. Gio. Battista ivi portato dall'oriente, se-
condo alcuni, previa 1' approvazione del
suo riero e popolo, e ne ottenne porzione
che ci nò alla cattedrale. Morì a' 12 feb-
braio 1 .38, lasciando la sua memoria in
benedizione. Invece il can. Bima lo vuo-
le morto ne! io 16, nel quale anno gli dà
TOR
in successore Mainardo I di Nizza al ma-
re, non nominato da Ughelli. L'annota-
tore poi ili questi osserva, che Bonifacio
Tauri nus Episcopus nel i o r 3 sottoscris-
se una bolla di Benedetto Vili per la chie-
sa d'CJrgel. A tempo di Landolfo visse Ol-
derico Manfredo o Ma^nifredo 1 1 marche-
se di Susa, discendente da Àrdoino Già-
brione conte di Torino, prudente, glorio-
so, divoto, limosiniere, superiore agli al-
tri italiani in fede, bontà e ingegno; prin-
cipe le cui azioni lo di mostra no savio e mo-
derato, amorevole della pace, d'animo
grande, mansueto e umile, né la cristiana
semplicità minore della destrezza nel ma-
neggio di grandi affini. Cessò di vivere in
Torino nel io35 universalmente compian-
to, sepolto nel tempio dis. Giovanni pres-
so l'altare della cappella della ss. Trinità.
In questo medesimo avello ebbe sepoltu-
ra suo fratello Adelrico o Alderico insi-
gne vescovo d'Asti, che il can. Bima dice
figlio di Manfredo conte di Savoia e ni-
pote del re Arduino; e più ancora Berta
sua moglie chiamata da Dio verso ÌI1040
a godere il premio di sue virtù, siccome
prudenlissima, divota, limosiniera e illu-
stre. A memoria de' 3 personaggi nella
stessa tomba seppelliti, sino agli ultimi
secoli, ne' 3 giorni precedenti la festa del-
la ss. Trinità vi si portava il capitolo di
s. Giovauni, e quivi pregando per l'ani-
me loro celebrava il divin sagriflzio. Al-
le ottime istruzioni di questi eccelsi geni-
tori, ed eziandio alle loro virtù corrispo-
se Adelaide celebre loro unica figlia ed e-
rede, contessa di Torino e marchesana di
Susa, benemerita non solo della diocesi,
tua più della chiesa universale, per mol-
te opere insigni di pietà, pe'servigi presta-
ti alla s. Sede, e pel corredo di tutte le
virtù religiose,che la fecero una delle prin-
cipali eroine che illustrarono l'Italia. Di
questa principessa già parlai a Susa, ed
a Savoia dicendo delle origini di sì au-
gust i casa, a cui col suo 3.° maritaggio con
Odone figlio d'Umberto I conte di Savoia
portò per dote il retaggio delle provincia
TOR i83
subalpine del Piemonte e suo ricco patri -
monio, riunendosi così insieme il domi
nio dell'una e dell'altra parte dell'Alpi e
del loro importante passaggio; in tal mo-
do la potenza della casa di Savoia, conta-
li suoi primi dominii che acquistò in Ita-
lia, fu più che raddoppiata e dilatata. La
Marca di Torino estendevasi con ampia
zona di terre sino alle montagne maritti-
me, e abbracciava larghi tratti del terri-
torio d'Asti, d'Alba, d'Albengi e di Ven-
ti miglia. Morto Odone versoi! 1060 o più
tardi, resse Adelaide virilmente e glorio-
samente i suoi striti, tanto i propri par-
ticolari nel marchesato d' Iialia , quanto
quelli di casa Savoia nel contado omoni-
mo e in quello di Moriana, prima unita-
niente a'suoi figli nati da Odone, Pietro
e Amedeo II, poi con Umberto II suo ni-
pote, che peli. °ebbe il titolo di signore e
di principe del Piemonte, amministran-
do la giustizia sotto al baldacchino alle
porte di Torino. L'estensione de'suoi do-
minii la narrai a Savoia, ed il p. Seme-
ria di questa vastità la dice con s. Pier Da-
miani contemporaneo, cardinale e dotto-
re della Chiesa, principessa di uon breve
estensione nell'Italia e nella Borgogua, ed
in cui più vescovi reggevano i fedeli; laon
de pare innegabile che il suo dominio di
là dall'Alpi giungeva sino al lido della Li-
guria di ponente. Sopra tutte 1' umane
graudezze, il nome d'Adelaide vivrà im-
mortale ne'fusti della Chiesa, per la san-
tità de'suoi costumi, per l'ardentissimo
suo zelo nella difesa della religione e del-
la s. Sede contro il perfido persecutore di
s. Gregorio lyIf (sulla patria di questi,
se romano, se toscano e di Soaua. ripar-
lerò a Toscana, dicendo come ora il cau.
Cerri lo vuole di Soana del Canavese in
Piemonte), l'imperatore Enrico IV ma-
rito di sua figlia Berta, 1' altra figlia a-
vendo sposato Rodolfo duca di Svevia in
di re de' romani (eletto contro il cogna-
to Eurico IV, pel delusamente narra-
to nella biografia del Papa), per le prò
fuse sue limosine e largizioni a™li ordim
184 TOR
inonastici,come pure alle cattedrali di To-
rino e Asti, ed alla badia di s. Solutore.
.Nella sua pia munificenza fondò chiese e
abbazie, altre ingrandì e arriccili di pos-
sessioni vaste e pingui. Non sarà mai di-
menticato l'opuscolo a lei scritto das. Pier
Damiani, nel quale la paragona a Debo-
ra nel governar lo stato, confortandola a
non affliggersi per le replicate nozze con-
tratte, e raccomandandogli d'adoperare
tutta la sua autorità insieme con Cuniber-
to vescovodi Torino per esterminare l'in-
continenza degli ecclesiastici, in modo pe-
lò tale, ch'egli a'ehierici, ed essa alle fem-
mine ponesse eflicace riparazione. Doci-
le la pia matrona a questo suggerimento,
prestò difalto il forte suo braccio a toglie-
re lo scandaloso abuso. Il gran Papa s.
Gregorio VII avea tanta buona opinione
d'Adelaide e delle grandi sue virtù, che
nel 1 07 3 scrivendole una calda lettera, mi-
se sotto la protezione sua i monasteri di
s. Benigno di Frutluaria (pure feudo ec-
clesiastico, e perciò ne parlai a Sardegna
e a Savoia) e di s. Michele della Chiusa, e
quindi a suo riguardo le mandò un bre-
ve con cui regolava l'elezione degli ab-
bati di s. Maria di Pinerolo, al quale a-
vea soggettato quello di s. Martino del-
l'isola Gallinaria, chiamandola col glo-
rioso titolo di Figliuola di s. Pietro. A
tale splendido elogio ella corrispose nel
conflitto tra il sacerdozio e l'impero, con
adoperarsi alla memorabile riconciliazio-
ne d'Enrico IV col Papa, ed allorché l'im-
peratore volle recarsi di Germania in Ita-
lia per essere assolto dalla scomunica, A-
delaide accorta e sagace, signora dell'Al-
pi Graie e Cozie,ne trasse profitto Dell'ac-
cordargli il passo al Moncenisio, con ot-
tenere la cessione di 5 vescovati nella Sviz-
zera e nella Savoia, o una provincia del-
la Borgogna e un 4-° della Svizzera; e col
figlio Amedeo 11 l'incontrò nel 1077 ma-
gnificamente nel paese di Vaud o in Vi-
vey; lo trattarono splendidamente in Su-
sa e Torino, e poi accompagnarono l'im-
peratore dal Papa in Cauossa, castello di
TOR
Reggio della gran contessa Matilde, cele-
bre marchesana di Toscana (fr.), altra
eroina della Chiesa. Compose pure le dif-
ferenze fi a gli abbati di s. Benigno di Dijon
e quelli di Frultuaria, neh 080 in Tori-
no , ove si radunarono a questo fine un
cardinale, ed i vescovi di D'igne, Greno-
ble, Sion e Moriana. Pare che negli ulti-
mi anni di sua vita fosse spogliata del po-
tere e ridotta a povero stato, dal nipote
Umberto II, ovvero essa spontaueamen-
te rinunziò a molti suoi domimi , e solo
si ritenne que'di Canischio, di Pratocor-
sano e di Forno pel suo sosteutamenlo.
Ristretta a se stessa, applicossi maggior-
mente a'doveri della religione, preparan-
dosi a ben morire, e cessò di vivere ver-
so il 1 09 1 in Canischio nel Canavese, do-
po aver soggiornato a Valperga, nella cui
chiesa parrocchiale fu mostrato al Deui-
na il suo meschiuissimo monumento se-
polcrale (a Susa con altri storici riportai
l'opinione che la fa sepolta in quella cat-
tedrale o nella metropolitana di Torino
presso i genitori), alla qual chiesa donò
una gran campana colf iscrizione: Ade-
laide.? me feci t, ma nel 1 802 fu squaglia-
ta e il valore distribuito a' poveri. Le sue
gesta furono anche descritte dal Terra-
neo nella sua Adelaide illustrata. To-
rino divenuto dominio de' conti di Sa-
voia, poi re di Sardegna, ne segui i gran-
di destini e le vicende, che narrai in tali
articoli.
Nel 1 o38 successore al vescovo di Tori-
noLandolfo,prima di settembre,fu Wido-
ne o Guidone,nel giugno dice il can. Bima,
e nel 10 36 l'anticipa l'Ughelli. Due viaggi
egli intraprese, l'uno a Colonia nel io38
stesso oneho39 dall'imperatore Corra-
do II il Salico, da cui ottenne molti beni
e privilegi a favoredella chiesa di Mode-
na, ch'era retta da Ingoile a quella corte
pure intervenuto; l'altro a Magonza ove
risiedeva l'imperatore Enrico IH il Nero,
il quale per mediazione di Guidone con-
cessee confermò molti privilegi alla chiesa
di Bergamo: du questi lavori apertamente
TOR
si conosce che il prelato,celebralo per pru-
denza, godeva di molta grazia e favore
nulla curie imperiale. Nelio4 i confermò
e accrebbe al monastero di Gavone i mol-
ti beni e privilegi conceduti dal prede-
cessore, e nelio44 co' consenso del capi-
tolo assegnò al monaco Alberico la chie-
sa di s. Secondo martire, situata sulla
Dora presso Torino, con tutte le terre e
pesche che le appartenevano, acciò fosse
riedificata e abbellita, onde poter essere
uflìziata a uso del monastero. Gli successe
nel io45 o nel 1046 Cuniberto, che altri
chiamano Comberlo, Gualberto, Cara-
berta e Umberto. Nel 1046 intervenne al
concilio di Pavia, ove ricevè lettere da Pa-
pa Clemente 11; e neIio47 fece larghe do-
nazioni al monastero di s. Solutore in To-
rino, ed altri beniassegnò nel 1 o5ì all'ab-
bazia di s. Maria di Gavone o Cavour,
la quale confermò con altro diploma in
uno al suo capitolo. Nel 1 o T9 si recò a Ro-
ma al concilio di Nicolò 11, intorno alla
libera Elezione de romani Pontefici. Ri-
tornato a Torino, partì nell'anno stesso
con una fiorita parte del suo clero verso
Milano, ov'erano i due legati apostolici s.
Pier Damiani e s. Anselmo di Lucca, per
mettere un valido freno all'incontinenza
de'chierici e alla simonia, vizi abbonirne-
voli che deturpavano laChiesa,essendo ca-
po de'simoniacidi Lombardia e Piemonte
altro Guidone o Guido, il quale a forza di
denari era stato investito della metropo-
litana di Milano dall'imperatore Enrico
III. I legati inviati per comporre le gra-
vissime turbolenze perciò insorte, non po-
tendo pel numero punire tulli i colpevoli,
usarono il saggio temperamento d'indur-
re i delinquenti adetestare l'orrenda mac-
chia al cospetto della moltitudine, a chie-
derne pubblica penitenza, ed a promet-
tere con solenne giuramento d'astenersi
per l'avvenire da simili lurpitudiui,sicco-
me fece l'arcivescovo pel primo. Ma partili
i lega li, egli di venne spergiuro,e al tri chie-
rici e prelati attirò al suo malvagio par-
tito, che tulli poi furono da Alessandro
TOR i85
Il colpiti di gravissime censure.Se nel par-
tito de' perfidi entrò Cuniberto, ose egli
pure si meritò le pene canoniche, non si
può affermare; certo è eh' egli mostrossi
a'ehierici simoniaci e incontinenti di sua
diocesi troppo connivente,o per una rilas-
sata indulgenza o per umano rispello, o
per non sentirsi abbastanza forte ad op-
porsi al torrente d'iniquità. Di questa ri-
provevole trascuraggine informato s. Pier
Damiani, scrisse al vescovo I' opuscolo,
Contro, clerico* intemperantes _,• e per
maggior eccitamento altra epistola indi-
dirizzò ad Adelaide contessa di Torino ,
ch'egli chiama principessaesi^noradidue
regni, dell'Italia cioè e della Borgogna. Di
questi avvisi salutevoli, deve credersi che
Cuniberto abbia grandemente profittato,
non trovandosi altre doglianze, e per pro-
teggere gli stabilimenti alla santificazio-
ne e riforma del clero diretti, come quello
de'canonici regolari d'Oulx, madre e mo-
dello di molti altri nel Piemonte, nella
Liguria e in Francia. Sostenne un'acer-
rima controversia contro il monastero del-
la Chiusa, come persuaso che fosse eretto
ne' beni allodiali del suo episcopato, in-
di portatosi in Roma coli' abbate s. Be-
nedetto Il da s. Gregorio VII, questi li
pacificò e fece una dichiarazione nel 1078:
non pare probabile che Cuniberto conti-
nuasse il suo mal animo contro il mona-
stero, e che perciò fosse scomunicato dalla
s. Seóe. Interessante è la digressione che il
p.Semeriaha fatto sui secoli X e XI, chia-
mati di barbane, d'ignoranza e di super-
stizione; rilevando però il bene che in essi
tuttavia si operò, come nella diocesi di To-
rino, meno delle altre deformata dall'i-
gnoranza e dalla scostumatezza. Che in
Torino Lotario I imperatore ere d'Italia
aprì una delle 3 scuole pubbliche del Pie-
monterai tre essendo in Vercelli ed Ivrea,
e furono i primi modelli dell'università
posteriori. Alle scuole di Torino dovea-
no accorrere i diocesani di Savona, Albeu-
ga, Venti miglia e Alba. Che non ostante
le cose riferite, s. Pier Damiani disse es-
1 86 T O U
sergli in Milano sembrato il senato della
chiesi» torinese, come un coro luminoso
d'angeli; e il monasterod'Oulx fu riguar-
dato baluardo di castità, di zelo e d'ogni
clericale virtù. 1 conti e i vescovi di Tori-
no istituirono abbazie a'rispettabili ordi-
ni monastici, ove fiorì l'osservanza reli-
giosa. Sul finir del 1080 il p. Semeria di-
ce che al morto Cuniberto fu dato a suc-
cessore Willelmo o Guglielmo 111, nomi-
na todaUghelli, già veniente incolpato dal-
l'autore della vita di s. Benedetto II, per
aver ottenuto con denaro la sede da En-
rico IV, dissipato i beni ecclesiastici e per-
seguitato i inoliaci; mentre in vece favorì
e beneficò gli ordini monastici di sua dio-
cesi, e segnatamente l'abbazia di Cavour.
Il can. Bima prima di Guglielmo III, che
chiama II e con 1' Ughelli dice interve-
nuto in Roma al concilio del 1 08 1, ripor-
ta i vescovi Reggi miro del 1075 vissuto
«Tue mesi, ed a cui scrisse s. Gregorio VII;
e nel 1076 Cuniberto o Cuniberto o O-
heito; dal medesimo ti dall' Ughelli quin-
di si nomina il vescovo Ogerio del 1084.
Morto in vece nel 1 092, secondo il p. Se-
meria, Guglielmo III, nell'anno medesi-
mo gli fu sostituito "Wi berlo o Giliberto,
che fece ampie donazioni al monastero di
s. Solutore. L'Ughelli lo dice Umberto o
Viberto lì del 1089, e il can. Bima lo de-
nomina Umberto il del 1 087. Il p. Seme-
ria vuole vescovo nel 1099 Mainardo o
Maginardo, benefico col monastero di s.
Solutore e del proprio capitolo; interve-
nutoa diversi concilii di Milano, ed a'eon-
cilii di Laterano celebrati da Pasquale II
neh io5eneh 1 16. Ma prima di Mainar-
do, che il can. Bimariportaconl'Ughelli
dipoi al i 1 09, con questi dice vescovo nel
i 104 AmizzoueoAinizioo Ainisio H,con-
lutando il p. Semeria con qualche diffu-
sione a p. 1 32 e seg. nella Serie crono-
logica degli arcivescovi e vescovi del re-
gno di Sardegna, sostenendo con l' U-
alleili che in tale anno e sotto tal vesco-
vo seguì 1' invenzione della ss. Immagine
della Consolala e il miracolo del cieco na-
TOR
to, come raccontai superiormente, negan-
do che avvenne sotto Mainardo,il quale
fu vescovo per essere morto neh 108 A-
mizzone II. Qui noterò, che il Denina non
con v iene con Guicheuon, che il conte Uni -
berlo II fu nella crociala per la conquista
di Gerusalemme,non trovandosene sicuro
argomento; e che mollo meno può ere-,
dei si l'asserto d'un moderno scrittore, che
sotlo il principato d'Umberto II, il vesco-
vo di Xorinosi rese signore della città. Os-
serva il p. Semeria, che in vecedovea ri-
marcare, che a data più antica rimonta-
no i diritti de'vescovi torinesi sopra diver-
se terre e castella. L'imperatore Enrico
V con diploma de' 3o giugno 1 1 16 con-
fermò alla città di Torino le sue libertà
e buone consuetudini, salva sempre so-
lita justitia Taurinensis Episcopi. Nel
1 1 18 divenne vescovo Guiberto II, da U-
ghelliedalcan. Bima chiamato Umberto
111, già preposto della basilica del ss. Sal-
vatore; e nel 1 1 20 Bosone che fu al sino-
do provinciale di Milano, e celebroqnello
diocesano verso il 1 125, in cui ordinò che
fossero inviolabilmente osservate le leggi
della Tregua di Dio , e morì nel t 128.
Gli fu in tale anno surrogato Arberto o
Alberto, il quale ebbe una forte contro-
versia pe' diritti di giurisdizione, ossia pe'
contini delle rispettive provincie, con A-
medeo III conte di Savoia, per sedar le
quali nominato da essi Pietro arcivesco-
vo di Lione, dopo molti tentativi lasciò
indeciso l'affare. Volendo il vescovo evi-
tare ogni personale molestia, di cui teme-
va, da Torino rifugiossi a Testona; altri
dicono costretto dalle armi del conte a u-
scir fuori della città. Intanto dalle persua-
sioni ili s. Bernardo mosso il conte a por-
tarsi alla crociata d'oriente, ed a ricon-
ciliarsi col re di Francia suo nipote, potè
il vescovo seco lui pacificarsi e riprende-
re il possesso de'suoi diritti. Per sua mor-
te neh 142 l'arcidiacono della cattedrale
Oberto o Umberto (forse quell'Umberto
III ricordato, poiché l'Ughellie il can. Bi-
ma solo al 1 1 Si riportano in Rainaldo il
TOR
successore di Bosone) fu elevato a pasto-
re, che sull' esempio de' predecessori fe-
ce molte donazioni all'abbazie di sua dio-
cesi , il che confermò Papa Eugenio III
allorché neh 1 4-7 recandosi in Francia si
fermò alquanto in Susa diocesi di Tori-
no. Cessò di vivere neh 1 47» e ne'! '4^
gli fu surrogato Carlo I, che Ughelli e il
can. Bima danno per successore a Rinal-
do neh i53, anno in cui egli fece dona-
zione alla prepostura di Vezolano delle
chiese di s. Giovanni e di s. Giacomo (s.
Gregorio dice il can. Bima) di Lucerna,
riservandosi la spirituale giurisdizione e
l'annuo reddito di 6 monete di Susa. Con-
cesse a Guglielmo de'marchesi di Busca
l'investitura del camello di Rossana, colla
riserva d'alcuui diritti insegno d'alto do-
minio; come la die ad Aimerico di Ve-
nasca per la 3.a parte de'beni che avea do-
nato alla cattedrale. Carlo 1 vivea a'tem-
pi del b. Umberto III conte di Savoia, e
dell'imperatore Federico I, il quale aven-
do nel i i 54 presso Piacenza ne'campi di
Roncaglia convocala la dieta del regno i-
lalico, v'intervennero tutti i vescovi, prin-
cipi e consoli delle città. Carlo I rappre-
sentò i molli diritti chegode va la sua chie-
sa, e i diversi privilegi di cui era stato spo-
gliato. Federico I, eh' erasi inteso a dire
da 4 adulatori dottori di legge, ch'era pa-
drone affatto di tutto, ascollò favorevol-
mente la domanda. Indi sul cominciar del
1 ij5 Federico I s'innoltrò col suo eser-
cito a Vercelli, indi a Torino, eindignato
perchè Asti e Chieri non l'avessero ub-
bidito, le fece incendiare, contribuendo a
sì barbaro eccidio Guglielmo marchese di
Monferrato. Portatosi in Pvoma, vi rice-
vè a' 1 8 giugno la corona imperiale da A-
driano IV. In seguito l'imperatore aspi-
rando alla corona d'Italia, sebbene dicesi
averla ricevuta in Monza, narra il p. Se-
ineria che fu di essa coronato re, insieme
all' imperatrice sua moglie nella basilica
di Torino in s. Giovanni con istraordina-
ìia pompa. Se la corona reale fu impo-
rta da Rinaldo arcicaucelliere dell'impero
TOR 187
ed eletto di Colonia, o in vece dal vesco-
vo di Torino, s'ignora, né par chiara l'e-
poca in cui successe: in ogni modo dichia-
ra il p. Semeria che sì grande avvenimento
per Torino egli non dovea ometterlo. Di-
poi Federico I a*2 6 gennaio 1 i5g,nel pon-
tificalo d'Adriano I V, spedì a Carlo I am-
plissimo diploma, presso rUghelli,col qua-
le confermò alla sua chiesa tutte le do-
nazioni fatte da'predecessoii e da qualsi-
voglia altra persona. Nel settembre eletto
Papa Alessandro III, Federico I divenne
vieppiù persecutore della s. Sede, gli fe-
ce successivamente eleggere contro 4 an-
tipapi, e perchè il b. Umberto III ripu-
gnante allo scisma, rimase ubbidiente al
virtuosoe legittimo Alessandro I II,lospo-
gliò de'suci beni e ne investì il vescovato
di Torino e altri vescovi; ma sembra me-
glio ritenerlo effettuato sotto il vescovo
Carlo II. Queste contese furono inasprite
dalle tremende fazioni de Guelfi e Ghi-
bellini, che lacerarono per lungo tempo
anche Torino e il Piemonte. Neh 160 i»
cui Alessandro III avea scomunicato Fe-
derico I, per cui il b. Umberto III era-i
ritirato dalla sua relazione, e restò fedele
al Papa e unito alle città lombarde, morì
Carlo I, e neh 1 62 trovasi successore Gu-
glielmo IV, rigettato da Ughelli nella sua
serie e così dal can. Bima, mentre si co-
nosce eh' egli concesse il podere del R.o-
saio, spettante alla cattedrale, a Willel-
mo di Castelnuovo e suoi discendenti col-
l'annuo ceuso di 1 2 monete di Susa. Ces-
sò di vivere nel 1 1 64, e gii successe Carlo
II, che ritardano Ughelli e ah 1 68 il can.
Bima, ambedue facendolo successore d'un
Oberto deh i65. Carlo II colla città di
Torino continuarono a parteggiare per
Federico I, ed il vescovo ampliò le dona-
zioni fatte al preposto d'Oulx,e neh 168
recatosi col capitolo in Chieri, investì il po-
polo de tuoi diritti e ragioni, alle quali ri-
nunziò irrevocabilmente; ma tosto insor-
se differenza sull'importante e vicino ca-
stello di Montosolo, di cui il vescovo rieo-
uosceva l'investitura dall'impero, quindi
188 TOR
seguì un accordo. Io detto anno Federi-
co 1 trovandosi in Lombardia, andò gi-
rando per vari luoghi, pel Monferrato e
pel Piemonte, e con soli 3o uomini a ca-
vallo andò sino a s. Ambrosio, fra Tori-
no e Susa. Il b. Umberto III, ch'era stato
da lui spogliato de'propri domimi, si sa-
rebbe potuto facilmente vendicare, ma il
santo principe se ne astenne. Pervenuto
a Susa fece impiccare un nobile brescia-
no suo ostaggio, della cjual barbarica ese-
cutiooefor temente corrucciati gli abitan-
ti, volevano vendicarsi; preso l'impera-
tore da spavento, si die a vituperosa fuga
per sentieri occulti. Ebbe poi il vescovo
Carlo II gravi contestazioni col b. Umber-
to III, che portate al giudizio dell'impe-
ratore, la sentenza fu dettata più dallo
spirilo di partito che da giustizia, perchè
il conte continuava nel dovuto ossequio
ad Alessandro IH. Quindi Carlo li otten-
ne il possesso e giurisdizione temporale
sopra un gran numero di villaggi e ca-
stelli, con esenzione illimitata da ogni al-
tro sovrano, ed il b. Umberto IH ne ri-
mase quasi interamente spogliato. Vera-
mente il conte come marchese d'Italia e
di Susa, avea ereditato delle ragioni so-
vrane su Torino, ma la città si governa-
va repubblicanamente. Più tardi ricupe-
rata neh i j5 Torino dal b. Umberto HI,
quindi conosciutasi dall' imperatore la
condotta del medesimo, gli concesse pri-
vilegi e donazioni, che gli accrebbero au-
torità e potere, cosi ne' cantoni o sia di-
stretti di Torino e Susa, come nella lun-
ga valle diMoriana,al dire diDenina; ma
non potè ottenere il castello di Pianezza,
che fu nel i 184 aggiudicato al vescovo
Milone di Cardano salito alla cattedra di
Torino fin dal i 1 70; sebbene prima di lui
il can. Bima riporta ali ibg AmizzonelH,
e l'Ughelli lo dice vescovo neh 170, cu-
jus precibus Fridericus imp. taurinen-
sibus injurias condonavi tj intli registra
neh 1 7 1 Milo. Questi già arciprete della
basilica ambrosiana di Mdano, ricevè a'
27 febbraio 1 170 la cessione di Monto-
TOR
solo dà chi lo possedeva, che poi investi
qual feudo semovente della chiesa di To-
rino, altrettanto facendo poi di Colle.Sti-
mato grandemente per rettitudine, de-
stro nel maneggio degli altari e di ogni
gentil modo fornito, compose varie cou-
troversie. Morto s. Caldino arcivescovo
di Milano, ivi si recò Milonecogli altri ve-
scovi provinciali per eleggere il successo-
re, e molti fissarono l'attenzione sopra di
lui, ma prevalse Lamberto Crivelli, che
divenuto Papa Urbano HI ritenne l'arci-
vescovato.Nel 1 177 portossi a Venezia per
la pace tra Alessandro HI e Federico I, fi-
gurando quale unode'deputati della lega
delle città lombarde per accomodare le
gravi differenze colf imperatore, e colla
sua destrezza contribuì al felice risulta-
meuto; quindi nel 1 1 79 assistè al concilio
generale di Luterano HI, in cui furono
condannate l'eresie degli.//Z/>/g'e.y/ (de'qua-
h meglio a Tolosa), e de' Valdesi (V.),
gli errori de'quali acciocché non si dila-
tassero con danno della fede cattolica, oc-
cupò sempre lo zelo de'pastori di Torino
per eliminarli dalla diocesi, e non minore
fu la sollecitudine de'sovraui del Piemon-
te, per estirpare da'propri stali la loro e-
resia;ben persuasi che quelli i quali scuo-
tono l'ubbidienza alla Chiesa, si rivolta-
no ancora contro il trono, ogni qualvolta
l'occasione sia loro propizia; in fatti al-
lorché si volle tollerarli, più volte insor-
sero^ per frenarne l'audacia convenne im-
pugnare le armi. Fra le pacificazioni che
co'suoi bei modi ottenne Milone, fu quel-
la tra'cittadini di Chieri e di Testoua, i
quali dopo essersi più volle oflesi e assa-
liti, pervenne a otteuere una tregua. Ma
poi i chieresi mostrandosi ritrosi di ren-
dere il consueto omaggio di fedeltà al ve-
scovo, questi dalle sue genti d'arme fece
guastare le loro fortificazioni e ne piegò
l'alterezza. Morto neh 187 Papa Urbano
Ili, gli fu sostituito nella sede di Mdano
il vescovo Milone, che però resse quella di
Torino sino al 1 1 88. In questo gli succes-
se Arduiuo de'couti di Valpcrga uobilis-
TO R
simo, che convenne sull'alienazione che
fecero i canonici del castello di Santena a'
chieresi, oggetto con essi di frequenti con-
troversie. Nel declinar del secolo XII la
città diTorino era vicina a quella libertà,
di cui nel principio del medesimoavea u-
sato e abusato, e pronta a stringersi in u-
tile confederazione col vescovo, allorché
si trattava di respingere straniere aggres-
sioni, non stava meno provveduta contro
l'ambizione di lui, ossia all' impegno di
conservare i diritti della sua ca lledrale ; in
fatti avendo Arduino neh igr cercato di
occupare qualche diritto al comune,i bor-
ghesi levatisi tumultuosamente in armi lo
costrinsero a riparare a Testona, dove es-
sendo stalo raggiunto da' suoi chierici,
fermò pel timore d'altri sinistri per qual-
che anno la sede del suo governo. Sembra
che l'assenza avesse fine nel r 193, aven-
do il vescovo disposto del castello di Te-
stona a favore de' torinesi. Aggiustate le
differenze, e ritornato il vescovo all'ordi-
naria sua residenza, temevano i chieresi
che riunite le forze del vescovo e del co-
mune di Torino, non avessero a soffrir la
peggio, poiché tra Chieri e Torino eravi
una certa naturale gelosia o diffidenza, per
amore alla propria indipendenza e stu-
diando la propria grandezza colla depres-
sione dell'altra parte. Cercarono pertan-
to i chieresidi nuovamente dividere gl'in-
teressi del vescovo da quelii del comune
• torinese, colla quale divisione inoltrarsi
più facilmente a una forza superiore; ed
ottennero nuove concessioni sempre più
utili alla loro libertà. Intanto morto Fe-
derico I,era venuto in Italia il figlio En-
rico VI, colla mira d'impadronirsi di Mi-
lano e Alessandria, e del regno di Sicilia.
Procurò di quietare le guerre tra gli stati
di Lombardia, e sugli aifari del Piemon-
te, recatosi in Torino, ordinò a' 1 5 settem-
bre ! 196 che il vescovo Arduino avesse
ogni più ampio diritto e facoltà di riven-
dicarsi i feudi, senza suo beneplacito stati
alienati da'vassalli. Con queste concessio-
ni il vescovo tentasi più férmo nel riacqui-
TOR 189
stare i suoi diritti, e la comune di Torino
essendosi alleata con lui, per trarne il pro-
prio vantaggiosi ridestarono contro am-
bedue i chieresi, unendosi con que'di Te-
stona, e ruppero guerra a Arduino, com-
movendoagraveperturbazionequasi lut-
to il Piemonte, ciascuna parte essendosi
procurate forze ausiliari. Poderose truppe
radunarono le due contrarie fazioni, l'u-
na per vincer l'altra, e grande incendio di
guerra tra loro si accese, e con molti com-
battimenti si azzuffarono; tanto più che
si accrebbero in difesa delle repubbliche
di Chieri e di Testona, se non gli aiuti al-
meno i consigli di Tommaso conte di Sa-
voia. Stanche le parti del lungo spogliar-
si e perseguitarsi, si pacificarono colla me-
diazione delle potenti repubbliche diVer-
celli e Asti. Fu statuito che il vescovo co*
canonici rinunziassero ogni ragione al po-
destà di Chieri su Montosolo, onde il co-
mune vi esercitasse la giurisdizione,e il ve-
scovo conservasse nel castello la superio-
rità che riteneva su Chieri. Che i testo-
nesi liberamente fruissero i pri\ilegi, e il
castellano si deputasse dal comune e dal
vescovo. Arduino usò larghe beneficenze
all' ospedale del Moncenisio e a diverse
chiese, acquistò alla cattedrale il pedag-
gio della città e molli proventi ne'castelli
di Verzolo e di Solere. Il Gallizia, nella
raccolta decli alti de'santi che fiorirono
ne'dominii della casa di Savoia, attribui-
sce il titolo di beato ad Arduino, come
sapiente, peritissimo, a ninno secondo in
religione, insigne per pietà e incompara-
bile padre de'poveri; morì nel 1206 e fu
sepolto nella cattedrale. Gli successe Gia-
como I de'signori di Carisio, canonico di
Vercelli, da Ughelli e Bima chiamato di
cognome Mosso e Ratteri. Dovè subilo oc-
cuparsi de'diritti civili di sua sede, e quin-
di stipulò nuove convenzioni con Chieri,
che poi confermò l'imperatore Ottone IV;
dal quale i chieresi pentiti degli accordi
ottennero che li ripristinasse ne'loro an-
tichi privilegi. In questa manierai! vesco-
vo rimase spogliato d' ogni giurisdizione
i9o TOR
civile e criminale sulla città, onde in se-
guilo gli riuscì d'essere reintegrato nel
j 2 igdall'imperatoreFederico li diMon-
tosolo, dichiarando che la. chiesa di Tori-
no teneva quel castello in feudo dagl'im-
peratori, e perciò non poteva alienarlo a
favore di Ch'ieri; di più gli concesse ogni
ampia facoltà d'imporre bandi pecuniari,
ossia multe per la difesa de'propri diritti,
e finalmente costituì il vescovo vicario
dell'aula imperiale e legalo di tutta l'Ita-
lia. Venuti poi a Torino i sindaci di Chic-
ri, implorarono l'assoluzione generale di
tutte le pene e de' debiti incorsi, sia per
Montosolo, che pei' ogni altra obbligazio-
ne, e furono esauditi, col consenso de'ca-
nonici, practcv<jiiaìii de fi deli tate, riser-
bandosi il vescovo sempre i diritti di si-
gnoria sopra Montosolo e sue adiacenze.
Papa Innocenzo HI gli commise la com-
posizione delle differenze tra il preposto
d'Oulx e il procuratore gerosolimitano;' d
inoltre egli compose pure altre questioni
con altri. Operò in più cose con zelo e be-
neficenza. Allorché Ottone IV si portò a
Torino sottoscrisse alcuni diplomi impe-
riali, e l'accompagnò a Vercelli. Siccome
i valdesi eretici erausi insinuati nella sua
diocesi,nelle montagne d'Agrogna ediLu-
cerna, donde si spargevano nel Piemonte
a seminare l'empie loro dottrine, ottenne
dall'imperatore con diploma di usare an-
che la forza a reprimere l'audacia de'no-
vatori. Giacomo I contribuì, qual delega-
to pontificio, n comporre in concordia Gu-
glielmo VI di Monferrato e i cittadini di
Vercelli, sopra la città di Tori no. Assegnò
4 chiese a Nicolò abbate di Cavour, e alle
monache benedettine diTorino nel i 2 i i .
Uniti i canonici al vescovo, ueh 2 i3 con-
vennero di procedere alla divisione de'
beni e delle rendite, che il capitolo avea
fino allora posseduto in comunità, onde
islituironsi le prebende da ani ministrarsi
ciascuna da se. Innocenzo III lo delegò ad
assegnare il sostentamento al rinunzian-
te vescovo d'Alessandria e Acqui. Recatosi
a suo tempo i ss. Francesco e Domenico
TOR
in Torino, ivi introdussero e nella diocesi
i loro religiosi. Quando Federico li nel
1220 si recò in Roma a ricevere la coro-
na imperiale da Onorio III, il vescovo era
nel suo seguito; e quale legato imperiale
pose Bologna al bando dell'impero, per
procedere ostilmente contro Imola. Tor-
nato a Torino gli riuscì d' aggiustare le
acerbissime differenze tra il vescovo d'A-
sti e la città. Accrebbe le rendite di sua
chiesa, fu benefico co'canonici d'Oulj. e
co' cisterciensi di Casanova, usando nel
suo titolo la formola : sola divina mise*
ratione Episcopus. Nel 1226 essendosi
collegate le principali città di Lombardia
e Torino contro Federico li, il vescovo
con altri prelati però seguirono le parti
dell'imperatore. Portate a Roma le con-
troversie,Onorio IH sentenziò cheFederi-
co II perdonasse le ci Ila e persone collega-
te,efuubl)idilo.Sullafinedeli226osul co-
minciar del 1 227 occupò la sede Giacomo
li, che molti confusero col predecessore;
PUghelIi e il can. Bima dicono nel 1 2 1 7 ,
ili." lo chiama Giacomo II de'signori di
Carisio, il 2.0 lo denomina Giacomo IH
parimenti de'signori di Carisio,perchè nel
12 io avea riportato Giacomo II Mossi di
Vercelli già abbate di s. Giovanni di Par-
ma. Intervenne con altri prelati alla con-
sagrazione della chiesa, altari e cimiterio
di s. Siro di Genova già cattedrale, e mo-
rì neli23i. L'Ughelli e il can. Bima gli
danno nel 1 228 per successore Aynardo o
Biliardo, e neli23o Ugone o Uguccione
Gagnola o Caquarola, dal p. Seroeria ri-
portato ali23i. Eletto da'eanonici della
cattedrale, senza l'intervento consueto del
preposto d' Oulx, questi fece le sue do-
glianzeal metropolitanodi Milano, otten-
ne sentenza in suo favore, e die il suo suf-
fragio all'eletto. Pe'suoi diritti civili mos-
se gravi contese al conte Tommaso, che
nel 1233 voleva ridurre Torino sotto la
sua assoluta dipendenza, e col figlio Ame-
deo IV, alienando l'animo de'lorinesi da
ambedue, persuadendoli a non prestare
omaggio al 2.0; vinto poi dalle ragioni si
T OR
pacificò nel I235,e indusse i torinesi a rico-
noscerlo per loro sovrano. Sembra più ve-
ro il riferito dal Denina,clie Amedeo IV,
sebbene accorto e attivo, ebbe a penar due
anni per indurre i torinesi a sottometter-
si e prestargli giurameiitodi fedeltà; eclie
pacificossi ancora col vescovo, capo incon-
trastabile della cittadinanza, e competi-
tore non senza titoli del conte, pel domi-
nio temporale della sua diocesi, che com-
prendeva a quel tempo la massima parte
del Piemonte. Per impadronirsi di que-
sto Federico li, come avea fatto di quasi
lotta la Lombardia, nel 12 38 venne a Ver-
celli e visitò Torino. Ne profittarono i chie-
resi per sottrarsi da ogni dipendenza e
specialmenteda quella del vescovo di To-
rino^ l'imperatore gli esaudì dichiarando
la città camera dell'impero, e sciogliendo-
li da qualunque accordo da loro contrai-
lo. In questa maniera Ugone si vide de-
luso e spogliato or dall'una, or dall'altra
potenza. Nel 1244 gli successe Giovanni
Arborio di Vercelli già abbate di s. Gen-
naro, dopo 18 mesi circa di sede vacante,
perchè Innocenzo IV non confermò l'e-
letto dal capitolo, ed invece nominò Gio-
vanni di piena autorità. L'CJghellie i Ica 11.
Bima gli danno per predecessori, nel 1 236
Giovanni 1 Provana, e nel 1 240 Uguzzio o
tigone, poi nel 1245 riportano Giovanni
Il Arboreo Gatlinara. Bonifacio marche-
se di Monferrato si affrettò a prestare o-
ma^ggio al nuovo vescovo di Torino, per
ragione del feudo che teneva, e di cui era
stato investito dalla chiesa torinese: gli
giurarono pur fedeltà i signori di Lanzo,
e più rettori di chiese e superiori di mo-
nasteri. Persistendo i canonici del duomo
in rifiutare a proprio vescovo Giovanni,
e perciò a resistere agli ordini pontificii,
Arnaldo preposto di Biella esecutore del •
la bolla venne alla sentenza di scomunica,
che pronunziò con funesta solennità, do-
po aver fatto accendere lecandele in chie-
sa e suonare a lutto le campane,a' 1 8 gen-
naio 124 5. In Torino fu pubblicata la sen-
tenza dal rettore del ss. Salvatore nel luo-
TOR 191
go di Pianezza a'22; quindi il vescovo con
minaccia di scomunica intimò aque'di Ri-
voli di prestargli giuramento di vassallag-
gio pel feudo che tenevano dalla chiesa
torinese. Nuovi severi ordini replicò Inno-
cenzo IV a' 1 3 febbraio, commettendo al
preposto di \ ezzolauo di scomunicare l'ar-
cidiacono, il preposto e il capitolo di To-
rino, se pertinaci in ubbidire al proprio
pastore, non gli restituissero il castello
di Rivoli. Tutte queste fulminanti minac-
ce non mossero punto i renitenti, onde il
preposto di Vezzolano intimò la censura,
dichiarandoli scomunicati vitandi fXtW'ni'
timazione altresì di privarli delle dignità
e de'benefizi. Conobbero final ine n le i cou-
tumaci il proprio errore, ed umiliati ac-
cettarono il vescovo Giov anni, dopo di che
ottennero perdono e assoluzione da ogni
pena. Finita la controversia col clero, un
altra sventura dolorosissima amareggiò
l'animo del vescovo. Bollivano, massima-
mente in quegli anni, le famose e feroci fa-
zioni de'guelfi aderenti a'Papi, e de ghi-
bellini partigiani dell'imperatore; e Gio-
vanni per essere creatura d'Innocenzo IV,
apparteneva a' primi, invece Tommaso
li de' conti di Savoia conte di Moriana
e di Fiandra, fratello d'Amedeo IV, era
de' secondi ossia aderente di Federico li
nemico acerrimo della s. Sede. Quest'im-
peratore era venuto in Torino nel 1 24^)
con l'apparenza, onde giustificarsi, di an-
dare al concilio generale di Lione I, ove
Innocenzo IV lo scomunicò e depose dal-
l'impero (notizia che seppe in Torino, se-
condo il Fedone, Dc\'iaggi de' Pontefi-
ci); ed essendosi già inoltrato presso le Al-
pi, intese che Parma avea impugnato le
armi contro di lui. Perciò lasciando il viag-
gio di Lione, che avea poca volontà di
proseguire^ per timore dell'armi di Fran-
cia , retrocedè pieno di furore per espu-
gnarla. Si opponevano alle sue forze coi
parmigiani tutti gli aderenti del Papa, ca-
po de'quali era il suo legato Gregorio di
Montelungo protonotano apostolico , il
quale chiamò in aiuto anche il vescovo
i9?. TOR
di Torino, e colà recatosi Giovanni con
tulli i suoi vassalli in difesa della s. Sede,
in no fatto d'armi da'ghibellini di Pavia
e Casale fu preso prigioniero a'2 agosto
i 247. Ne profittarono que'di Chieri per
impadronirsi di Montosolojma il conte di
Moriana Tommaso li, radunate lesuegen-
ti li cacciò , e rifabbricata la fortezza se
ne pose in possesso, sotto l'alia protezione
di Federico II, di cui era vicario imperia-
le, il quale non solo ne lo investì, ma inol-
tre di tutte le altre terre die alla chiosa
di Torino appartenevano. Languiva in-
tanto prigioniero il vescovo, impotentedi
redimerti per essere stato spoglialo di tut-
ti i suoi beni: in queste strettezze i suoi
canonici e aderenti piegarono il conte
Tommaso li a imprestargli 5oo denari
imperinlijCo'quali potè riscattarsi e tornò
alla sua chiesa nel 1 25o. Fece la visita di
Saluzzo, parte di sua diocesi, e neh 2.5 1
andò in Milano a ossequiare Innocenzo IV
e domandar la restituzione di tutti i suoi
feudi posseduti dal conte Tommaso II.
Quegli pure vi andò per giustificarsi se-
gnatamente sulla riedificazione della for-
tezza di Montosolo,e per esser assolto dal-
l'incorse censure, avendo sposato la nipo-
te del Papa, il cui fratello fu poi Adria-
no V. Deputò il Papa il vescovo di No-
vara a proscioglierlo da tali pene, e insie-
me a convenire perla restituzione di quel-
le castella, esortando il conte a composi-
zione amichevole, per la quale delegò due
cardinali Ubaldini eGiovanni. Venuti que-
sti legati a Torino, tennero pubblica se-
duta a'2 luglio sotto i portici del duomo,
presenti il vescovo e il conte, i frati e i
principali personaggi della città, e senten-
ziarono un amichevole componimento,
per cui Tommaso promise restituire in
breve al vescovo i castelli di Montosolo,
Caslelvecchio, Moncalieri, Rivoli e Lanzo
da lui occupati quando teneva le parti del
defunto Federico II. Ma il conte consegnò
soltanto alcune castella, ed il Papa mosso
dalle sue ragioni per le altre gli accordò
4 mesi di proroga. Morì il vescovo nel 1 2 56
TOR
o neli258, forse non ancora consagrato,
da Pignone e Ferrerò chiamato prepolen-
te, ingiusto e turbolento, a segno d' aver
eccitato la città di Torino alla ribellione
contro il conte Tommaso II, dalle quali
imputazioni lo giustificò Meiranesio con
sicuri documenti. Non solo il conte Tom-
maso II ebbe signoria sopra il Piemonte,
in Torino e altri luoghi; ma Innocenzo
IV nel 1 254 gli die il principato di Capua:
però quanto a'feudi vescovili, Tequila del
Papa obbligò il nipote di restituirli al ve-
scovo. Riferisce il p. Semeria, con l'auto-
rità della Storia di Chieri, del cav. Ci-
brario, che in quanto alle pretensioni di
Tommaso II sopra Torino, bisogna pre-
mettere che questa città, sottrattasi da o-
gni soggezione, si reggeva a modo di re-
pubblica, ed avea neh 226 in tal qualità
formato accordo e lega colle altre città di
Lombardia. Ed il Muratori lasciò scritto,
che Torino reggevasi in forma di repub-
blica, né più ubbidiva a'principi di Savoia,
anzi di più faceva battere monete in prò»
prio nome, assicurandoci inoltre di aver-
ne veduta alcuna di argento, nel cui di-
ritto \e^e\as\:3IonelaTaitri/ie?isi.<;j e nel
rovescio era l'aquila, col contorno: Civi-
ta* imperiali* ; la qual moneta riferisce al
i25o. Rimarcai a Savou, che Torino e-
sigendo i privilegi di città imperiale e il
godimento di sua libertà, insorse ogni vol-
ta che vide alcun sintomo di debolezza
nella casa di Savoia. Contuttociò crede-
va Tommaso 11 che la sua famiglia non
avesse mai perduto gli antichi suoi dirit-
ti sopra Torino e adiacenze; ed in que-
sta persuasione collegatosi co' cbieresi e
altri impugnò le armi per ridurre la cit-
tà nella primiera soggezione. Alla difesa
de'torinesi unironsi gli astigiani eque'del
marchese di Monferrato, e presto le parti
vennero a combattimenti. Mischia terri-
bile accadde a Montebrunodi Moncalie-
ri, ma la peggio fu pel conte e per l'ab-
bate di s. Giusto di Susa suo principale
confederalo, che rimasero prigionieri. Gli
astigiani domandarono d'aver Tommaso
TOR
II in loro custodia, ed i torinesi glielo con-
segnarono. Oltraggio, che indignò i più
potenti monarchi d'Europa suoi parenti,
ed invano isuoi fratelli radunarono trup-
pe per liberarlo, e Alessandro IV fulmi-
nò censure per lo stesso oggetto. A' 1 6 feb-
braio i 257 Tommaso II e l'abbate di Su-
sa furono obbligati a f ire solenne rinun-
zia d'ogni diritto che avessero nella città
di Torino 0 nel distretto; e di più a Tom-
maso II, di promettere la riparazione di
tutti i danni, che per causa della prigionia
di lui i suoi fratelli e aderenti avessero re-
cato a'torinesi. Così ricuperò il conte la li-
bertà, lasciando in Asti per ostaggi due fi-
gli . ma poco sopravvisse al cordoglio di
vedersi manomesso da quelli che prima
l'ubbidivano: questo signore del Piemon-
te, da cui per Tommaso III suo figlio di-
scese la linea di Savoia ne'conti di Tori-
no e principi d'Acaia, che dominarono nel
Piemonte sino al 1 4^ 1 8, morì in Chambe-
ry e fu sepolto in bel mausoleo nella cat-
tedrale d'Aosta. Il nipote Bonifacio conte
di Savoia passò poi i monti e venne a far
guerra a'torinesi. La sorte gli fu sfavore-
vole come allo zio, ed invece di liberare
i cugini, lasciali statieh'i in Asti, fu scon-
fitto e preso, morendo prigione in Tori-
no nel 1 263, onde il suo retaggio passò al
zio Pietro. Nell'osservazioni sloriche fat-
te dal p. Semeria sui secoli XII e XIII si
rileva, che forse furono i più scostumati
e infelici di quanti ne'tempi antichi e suc-
cessivi ha passalo la chiesa di Torino. iNon
vi era allora unità di civile governo, non
centro fìsso d'un capo supremo, ora im-
perando i cesari di Germania, ora i re d'I-
talia, che d'ordinario erano gli stessi, ora
le città a forma di repubbliche quasi in-
dipendenti: aveauo i loro propri diritti so-
pra Torino i conti di Savoia, discenden-
ti dalla benemerentissima Adelaide; una
vastissima giuiisdizione temporale eserci-
tavano anche i vescovi torinesi; e gli uni
egli altri poteri tutti erano confusi, uè ben
determinali, cosicché non sapevasi mai as-
segnare il termine d'uu diritto ad uso dei
VOL. LXXVU.
TOR ,93
reggitori, senza ledere quello degli alni.
Da ciò la gelosia, bene spesso l'ambizione,
rare volte la giustizia, ficevansi guerra a
vicenda, sempre colla perdita del più de-
bole, che alla sua volta risorgeva, non so-
lo per ripigliare il proprio, ma di più per
acquistarel'altrui dominio. Da questa con-
fusione di poteri, dice il p. Semeria, deri-
vava che i vescovi, molestati o gelosi nel-
l'esercizio libero de'propri feudi, stavano
bene spesso lontani dal proprio gregge, o
almeno impediti e distratti dall'applicarsi,
siccome faceva di bisogno, alla predica-
zione, alla visita pastorale, alla correzione
de'coslumi. Andavano frequentemente al-
la corte degl'imperatori, o per accusare o
per difendersi, e di tanto in tanto veniva-
no costretti a fuggir da Torino, per rifu-
giarsi ad una vita meno agitata in Te»to-
na o altrove. Non si devono però rimpro-
verare i vescovi, quasi che nel sostenere
gl'interessi loro e quelli della loro chiesa
avessero violato la giustizia; e muovono
a sdegno quegli scrittori che vituperano di
aperte enormità i vescovi torinesi de'due
secoli in discorso, come il troppo morda-
ce scrittore per l'episcopato Ferrerò di La-
vriano, di bollente immaginazione teme-
raria, con esagerazioni ripugnanti alla sto-
ria. I vescovi di Torino invece d'essere per
ambizione e per interesse usurpatori, co-
me li caratterizza il Ferrerò, furono in-
giustamente perseguitati e spogliati de'lo-
ro diritti e prerogative. Divisa e infranta
nell'ordine civile la sovrana autorità, la
città di Torino armavasi contro gli anti-
chi conti di Savoia, e tuttociò sempre sot-
to colore di giustizia e di retta difesa dei
propri diritti. Per buona sorte non ven-
ne la chiesa torinese mai, come tante al-
tre cospicue città italiane, sottoposta al-
l'ecclesiastico interdetto. Né devesi tacere
del turpissimo ed esecrabile abuso ch'e-
ra passato fatalmente in consuetudine nel
Piemonte, come presso altra nazione, e
dall'immorale consuetudine in riprovevo-
le privilegio; dico il nefaudo abuso del fo-
dero, che per una vergognosa prepotenza
i3
i94 TOR
brillale avcansi riservalo i signori e pa-
droni di fetidi, cioè concumbciuli curri vìr-
ghie sponsa, prima mtptiarum noe te. Al
torrente de' vizi the nella società e nella
(Chiesa inondavano,s'accreL>bequellodegIi
usurai. Le crudeli fazioni guelfe e ghibelli-
ne investirono gli animi gli uni contro gli
altri a distruzione della società. Nel dilu-
vio di tanti inali Dio donò al Piemonte
molti piissimi vescovi, e uomini apostolici
cislerciensi, francescani e domenicani, che
illuminarono e santificarono i popoli, ed
impedirono 1' incremento della pestifera
semente de'valdcsi.
Dopo la morte del vescovo Arborio,suc-
ecssero forse un Guglielmo, ed un Enrico
o Ugo frale minore, e per brevissimo tem-
po; nel qualeil conte Pielrodi Savoia ven-
dicò il nipote, assediò Torino e la forzò a
rientrare sotto la dominazione di sua casa.
Goffredo di Montanaro vercellese, cano-
nico di s. Antonio di Vienna, fu promosso
neh 264 da Urbano IV. 11 can. Rima an-
ticipa il suo vescovato ali 258. Provvido
e vigilante pastore visitò la diocesi, e por-
tatosi neh 266 a Sahizzo, (jualche tempo
vi soggiornò, ove die alcune investiture,
e di molte altre fu generoso co'vassalli di
suachiesa:all'abbaledi Piivalta fece esenti
lesue chiese dalla giurisdizione episcopale
per l'annuo canone di 25 lireasteusi ; al
conte di Biandrate concesse l'investitura
del castello di Settimo torinese, e al mar-
chese di Saluzzo accordò la decima di
tulli i novali nelle terre di suo dominio
esistenti nella diocesi di Torino e più altre
ancora. La liberalità di Goffredo andò del
pari colla sua giustizia, quindi virilmente
si oppose al comune di Torino che vole-
va ipotecarci castelli di Colleguo e di Mon-
tosolo, appartenenti alla sua chiesa. Pro-
mosse litecontro i conti Pietro e altri prin-
cipi di Savoia, che occupavano le castella
di Cavour, Rivoli e Castelvecchio, e non
volevano riconoscere i diritti della chiesa
di Torino. Pertanto si portò nel 1 268 a
Viterbo da Clemente IV, ilquale ingiunse
a'conli di Savoia la restituzione de'castelli,
TO II
nondimeno la lite rimase indecisa. Vigile
sulla condotta del clero, celebrò il sinodo
nel la 70 nella cattedrale, ove formò uti
lissimi decreti pel decoro de'chierici eia
salute delie anime, intimando a'trasgres-
sori multe pecuniarie. Recandosi Grego-
rio X al concilio generale di Lione II nel
1273 passò pel Piemonte, incontrato da
Gofiredo,che lo seguì al concilio,ove pro-
mosse le sue questioni intorno a' beni di
sua chiesa, occupali da' conti di Savoia;
ma il cardinale di s. Sabina delegato a pro-
nunziare su queste vertenze, dichiarò do-
versi lasciar la causa nel possessorio della
curia romana. Laonde nel 1276 tornò a
Roma da Giovanni XXI per ottenerne la
sentenza, il quale prorogò a' contumaci
conti il termine di due mesi per compa-
rire a difendere la propria causa innanzi a
3 delegati in Piemonte. Stimandolo il Pa-
pa per saggio e prudente, neh 277 l'in-
viò legato, col vescovo di Ferentino e due
domenicani, all'imperatore Michele Ps-
icologo in Costantinopoli, per corroborare
l'unione della chiesa greca colla latina, e
procurare l'accettazione de'decreli stabi-
liti nel concilio di Lione. Superate tutte
le opposizioni , la' legazioue conseguì fa-
vorevole risultato. Ritornato in Roma e
trovata la sede vacante, attese l'elezione
di Nicolò 111, seguita in Viterbo a'25 no-
vembre, a cui fece relazione dell'esito del-
la legazione, e gli manifestò le gravissime
vessazioni che pativa per l'abbate della
Chiusa, l'arcivescovo di Milano e i conti
di Savoia. Il Papa represse sotto pena di
scomunica l'audacia e le usurpazioni del-
l'abbate^ altri provvedimenti emanò cou-
formea'bisogni della chiesa torinese. Tor-
nato a questa Goffredo ottenne da Tom-
maso 111 de'conti di Savoia la restituzio-
ne di Castelvecchio, e nel 1282 celebrò il
suo 2.0 sinodo, in cui fece il decreto, che in
tulli gli anni i superiori ecclesiastici e re-
golari si radunassero nel martedì avanti
lerogazioni minori pel concilio che sareb-
besi tenuto nella cattedrale; indi nel 1 287
fu al concilio provinciale di Milano. Fiat
TOR
tanto il dominio de'conli di Savoia circa ii
1290 fu diviso in 3 governi : il conte A-
medeo V, figlio di Tommaso li conte di
Fiandra e di Mortasa, si riservò quello
di Savoia; a Lodovicosuo fratello fu dato
0 reggere la baronia di Yaud;e Fdippo
loro nipote II (chiamato così per distin-
guerlo da Filippo I conte di Savoia, che
morto senza prole adottò per successore
il nipote Amedeo V in pregiudizio del fra-
tello di questi Tommaso III), perchè fi-
gliodi Tommaso III conte di Moriana al-
tro loro fratello, ottenne la contea di To-
rino, con tutti i paesi che la famiglia di
Savoia possedeva iu Piemonte, menu il
marchesato diSusa. Voleva Fdippo II che
questa divisione fosse assoluta e senza ve-
runa dipendenza dal governo di Savoia,
perchè discendente per linea primogenita
dal conte Tommaso I, dovea essere pre-
ferito secondo l'ordine di rappresentazio-
ne. Impugnò le armi per sostenere que-
sti suoi diritti; così pure fece il principe
Giacomo suo figlio, ma le loro intraprese
non conseguirono il desideralo intentojsic-
chè il Piemoute governato da'conli di To-
rino principi d'Acaia (per quanto vado an-
che qui a dire) si reputò sempre dipenden-
te dal supremo dominio de' possenti conti
che regnavano inSavoia. Filippo li fissò la
residenza di sua siguoria \a Pinerolo, non
in Torino, e così pur fecero i 3 principi
suoi discendenti : forse la fresca rimem-
branza delle sventure che in Torino avea-
110 sofferto Tommaso II e Bonifacio, Io
indussero a eleggere quel soggiorno e a fis-
sarvi la sua corte. Questa buca fu detta
de'priueipi d'Acaia edi Morea, per le noz-
ze che Fdippo II contrasse in Roma nel
febbraio i3oi, con Isabella di Yille-Har-
duin , pronipote del famoso Goffredo di
Sciampagna, che fu valoroso guerriero e
leale scrittore della crociata, la. quale ter-
minò colla conquista di Gerusalemme, e
colla divisione di parte delie spoglie del
greco impero. Questa sposa portò in dote
il principato d'Acaia, ma né suo marito,
né gli altri suoi posteri poterono mai coa-
TOR i9j
seguirne il pacifico possesso, onde n'eb-
bero solo il titolo e diritti. Non mancano
scrittori che affermano, avere Fdippo lì
venduto il principato d'Acaia nel 1 3oj a
Carlo li re di Sicilia della casa d'Angiò,
per avere gli angioini di prepotenza inva-
so varie città del Piemonte. Tornando al
vescovo di Torino Goffredo, nel 1 29 1 in-
traprese una nuova visita pastorale della
diocesi nel marchesato di Saluzzo, da cui
s' inoltrò fino agli ultimi confini di sua
spirituale giurisdizione, verso ilDelfiuato
e la Provenza, lasciando da per tutto otti-
mi provvedimenti. Altameutelodato, mo-
rì Goffredo nel 1 3oo, e gli successe Tedi-
sio oTeodisio Pievelli canonico d'Amiens
e cappellano di Bonifacio Vili, che lo e-
lesse, dopo aver rigettata V elezione del
capitolo fatta per compromesso di Tom-
maso fratello di Filippo II conte di To-
rino e principe d'Acaia, distinto per esi-
mia coltura di spirito e per onestà di co-
stumi.Tedisio fu di grande moderazione,
disinteressato e amante della pace. Tra
le investiture che concesse vi fu quella do-
mandata da Maufredo marchese di Salii.'.
zo, delle decime de'novali per le terree-
sistenti nella diocesi, che conferì coii'anel-
lo e con obbligo al marchese d'essere sem-
pre fedele a'vescovi e alla chiesa torinese.
Un'altra rimarchevole convenzione Te-
disio concluse con Amedeo V conte di Sa-
voia,intorno al feudodella valle di Lanzo,
che data da Federico 1 imperatore a've-
scovi in odio della casa di Savoia, questi
reputandosi lesi e spogliati di quella pro-
prietà, sostennero un lungo litigio Co'
vescovi stessi, e Tedisio riconoscente de'
molli benefizi ricevuti dal conte Amedeo
V, gli rinunziò il domiuio sopra Lanzo
e borghi di sue valli, solo riservandosi il
diritto delle decime. Le rendite dell'epi-
scopato notabilmente diminuirono per le
guerre che desolavano il Piemonte, com-
battute tra' conti di Savoia, i re di Sici-
lia signori di Provenza, i marchesi di Sa-
luzzo e quelli di Monferrato. A ripararvi
otleuue Tedisio dal cardinal Orsini legato
]9G TOR
di Lombardia di Clemente V (che stra-
namente avea neh3o5 trasferito la resi-
denza papale in Avignone, preferendo al-
le fortunale rive del Tevere, quelle del
Rodano), la già narrala riunione alla sua
mensa della preposilura di Limmo: non
essendo sufficiente alle gravi strettezze in
cui trovavasi il vescovo, con l'autorità del
legato cardinal Pelagrue, incorporò alla
sua mensa anche la pievania di Carraglio
neh 3 io. Passò per Torino in quest'an-
no l'eletto imperatore Enrico VII per an-
dare a Roma a ricevervi la corona impe-
riale. Con grande magnificenza fu festeg-
giato il suo arrivo a'3a ottobre, dal conte
di Torino Filippo 11, da molti principi e
signori, da Teodoro di Monferrato , da
Manfredo diSaluzzo, da molti vescovi di
Lombardia e di Piemonte ; ed il vesco-
vo Tedisio iti questa circostanza fu sin-
golarmente onoralo per le sue virtù, ed
approvò in dello anno l'erezione della col-
legiata di Rivoli e vi consagrò poi la chie-
sa di s. Martino. Non dimenticando il vi-
gilanle pastore i diritti di sua chiesa, nel
1 3 1 1 formalmente inlimò a Chieri la re-
stituzione di Montosolo, e Dell'accordar-
gliene l' investitura, risetbossi il diritto
delle decime e d'annue pensioni. Intanto
il principe d'Acaia Filippo II, per la sua
indole guerriera, pareva che non sapesse
mai vivere in pace; ma vero è ancora che
i potentati suoi vicini e le città stesse che
si reggevano pressoché indipendenti, era-
no per l'infelicità di que' tempi in con-
tinue fazioni. In discordia co' vercellesi ,
venne ad una composizioue, che seguì in
Torino ueli3i3, nella chiesa di s. Dal-
mazzo. Principe accorto e intrepido, sep-
pe dissipare una nera congiura che in To-
rino slesso erasi ordita, per levargli il do-
minio di questa città e consegnarla a'ne-
mici suoi, il marchese di Saluzzo e quello
di Monferrato. Entravano nella conventi-
cola secolari ed ecclesiastici del partito ghi-
bellino, ecapo di tulli era il preposto della
cattedrale Zucca, che foggi a Milano. Le
persone ecclesiasliche vennero cousegua-
TOR
le al proprio foro, e conlro gli altri si for-
mò criminale giudizio. In Torino il capi-
tolodel duomo volendo provvedere all'as-
sistenza del coro e a 'bisogni della chiesa,
coll'assenso del vescovo stabilì. Chi man-
cherà d'assistere al coro per 6 mesi, pa-
gherà 5 soldi viennesi, da distribuirsi fra
quelli che avranno prestato il servizio. ()-
giti canonico che conseguirà alcuna digni-
tà, donerà alla cattedrale un piviale del
valore diioo soldi viennesi, ed un piviale
del valore di 6o quello che riceverà un
canonicato. Morì Tedisio, illustre per le
molte virtù, neh 3 H), e in questo e non
nel i 32o, come vogliono l'Ughelli e il Di-
ma, gli successe Guido o Guidetto Canale
de'signori diCumiana, arciprete del duo-
mo e vicario generale della diocesi, eletto
da'eanonici. Fornito di egregie virtù pa-
storali, pio e dotto,generosoco'poveri, ne-
mico acerrimo degli usurai, colle multe
a questi imposte fondò e dotò un ospedale
inPinerolo. Ivi neh 334 morì Filippo H»
fu tumulalo nella chiesa de'frali minori,
e gli successe nella signoria il primoge-
nito Giacomo o Jacopo, la cui madrigna
Caterina di Vienna, prudente, saggia e a-
mante della pace, n' ebbe cura nella mi-
nore età e di tutto il principato. Sollevò
i sudditi da molti tributi, e paci fi cossi co'
potentati vicini. Il vescovo neh 338 spo-
gliò d'ogni dignità il perturbatore Zucca,
e intringante contro il principe Giacomo.
Questi sposò Beatrice figlia di Rinaldo
marchese di Ferrara, senza averne suc-
cessione; e restato vedovo, verso il i34o
prese in moglie Sibilla figlia del siniscal-
co Delirando del Balzo, signore di Cor-
tasone, da cui nacrpie il principe Filippo,
famoso per le guerre domestiche, per le
sue avventure di cui parlai a Savoia , e
pel suo tragico fine; indi neh 36 2 si am-
mogliò Giacomo con Margherita di Beuu-
lieu, stizzosa e maligna, che fu madre de'
principi Amedeo e Luigi o Lodovico. Il ve-
scovo Guido fondò e dolo nella cattedrale
la cappella di s. Michele, e zelantissimo
della riforma del clero e del popolo di tua
TOR
diocesi, formò diverse costituzioni sinoda-
li e le pubblicò, tutte savissime. Fatale fu
pel Piemonte il i 345, poicliè una grandis-
sima peste universale, anche in Lombar-
dia, fece perire un gran numero di perso-
ne; e certamente il buon vescovo avrà dif-
fuso in tutta la sua vasta diocesi la gran-
de sua carità. Neh 34? Amedeo VI conte
di Savoia portò le sue armi nel Piemonte,
per profittare della decadenza della casa
d'Angiò, e d'accordo col cugino Giacomo
conquistò in breve tempo le città e luoghi
che teneva occupati, e con esso ne divise il
governo. Dopo un lungo vescovato tutto
applicato alla santificazione di se stesso e
del suo gregge, Guido riposò nel Signore
Deli 34^- A'y novembre Clemente VI gli
surrogò Tommaso figlio di Filippo II e fra-
tello di Giacomo, nipote dell'altro Tom-
maso che nel 1 3oo aveano nominato i ca-
nonici; promozione che l'Ughelli digeri-
sce al 1 349. bensì consagrato nel i 35 1 dal-
l'arcivescovo di Milano. La città di To-
rino ne provò tanta consolazione, che gli
0IIV1 per uso della mensa 1 2 tazze d'argen-
to. Intraprese la visita pastorale nel mar-
chesato di Saluzzo , e nel confine riparò
molti abusi. Riguardando il vescovo per
suoi vassalli molti signori che abitavano
nel marchesato , per le prepotenze fatte
loro dal marchese TommasOjche d'altron-
de li riguardava ribelli nel suo dominio,
gl'intimo nondimeno l'interdetto, finché
avesse soddisfatto la sua chiesa. Il marche-
se gravemente se ne dolse e fece protesta,
malgrado la quale dovè poi sottomettersi
e giustificarsi. Il vescovo Tommaso cele-
brò il sinodo e pubblicò le costituzioni nel
duomo, interessanti per rilevarsi diversi
punti di disciplina ecclesiastica allora in
uso. GiacomogovernandoTorinoe il Pie-
monte , quantunque vassallo del cugino
Amedeo VI, osò nel 1 3 58 imporre dazi
sulle merci provenienti da Savoia, e punì
di morte alcuni commissari per aver fatto
alteramente delle rimostranze. Il contedi
Savoia volendo punire tanti oltraggi, va-
licò coll'esereito il Monceuisio,e prese To-
TOR 197
rino, Pinerolo, Moncalieri, Sa vigliano e
altre piazze del Piemonte, e fece prigio-
niero Giacomo che mandò a Rivoli, non
ricuperando la libertà che rinunziando al
Piemonte; ma poi Io ristabilì ne'suoi feudi,
anche ad istanza del vescovo. Questi nel
i35J>, col consenso de'canonici, concesse
in feudo al suo fratello Giacomo e al cu-
gino Amedeo VI, il cartello di Solaro e più
altre castellarne, dichiarando i due prin-
cipi con alto autentico, che tali terre rite-
nevano a nome della chiesa torinese. Mi-
nacciando rovina la cattedrale, con lette-
re esortatorie e il premio dell'indulgenze
invitò gli ecclesiastici della diocesi a con-
tribuirvi colle limosine, ma la riparazio-
ne ampiamente si fece sol tanto nella chiesa
o uà vata di s. Giova tini. Il duomo era com-
posto di 3 chiese o basiliche unite in un
soloedilìzio, l'una dall'altra divisae chiu-
sa medianteunmuro chesorgevadal suo-
lo sino alla volta; la maggiore delle quali
ossia navata di mezzo era intitolata al ss.
Salvatore,ein essasi pubblicavano le sco-
muniche e le costituzioni sinodali; la chie-
sa o navata a destra era intitolata alla ss.
Vergine; la 3." chiesa o uà vata in cui e-
sisteva il battistero, portava il nome di
s. Giovanni, per la quale il fisco riscuo-
teva le sue ragioni, ed i doni de'fedeli ad
essa s'olFrivano. A' frati umiliati d' Avi-
gliana fece molte largizioni, e lasciò sa-
lutari ammaestramenti per l'osservanza
deli' istituto e per esercitare con merito
l'ospitalità. Neh 3(5 1 la peste infierì nel
Piemonte, ricomparve nel 1 385 e serpeg-
giò sino alla fine del secolo. Tommaso pare
che sia morto nel i 362, ma nel 1 36o dico-
no (Jghelli e Bima,perciò il successore Bar-
tolomeo d'Este lo registrano a tale anno.
11 p. Semeria lo riporta ah 362, lo dice
traslato d'Avignone, ma in quell'articolo
avendo proceduto col suo storico p. Fan-
toni noi trovai, anzi Innocenzo V I che vi
risiedeva erasi a se riservata la sede ad e-
sempio de'Papi predecessori. Resse poco
più d' un anno il vescovato o morì nel
i364- Non pare, poiché Urbauo V creò
i9R TOR TOH
vescovo nel gennaio o 1*8 febbraio Gio- animi istituì un giudizioinRivoli,compo-
vanni de'signori eli Rivalla e abbate coni- sto de'più rinomati giureconsulti, acciò le
niendatariod: quel luogo, dottissimo giù- parti potessero dirvi le loro ragioni. I gin-
reconsulto, die PUghelli dice della roma- dici in forza del testamento paterno sen-
ria famiglia Orsini propagata nel Piemon- tenziarono appartenere ad Amedeo il do-
te.Neh 366 intrapresela visita pastorale, minio del principato e ia primogenitura,
cominciandola nelle valli di Lucerna e (li ed essere Filippo solo erede particolare,
Angrogna sopra Pinerolo, perchè ivi sa- etenuto a prestare al fratello il giuramen-
peva essere maggiore il pericolo della fé- to di fedeltà. Non accettando la sentenza,
de, per cagione degli eretici valdesi cb'e- Filippo cercò di fuggir da Rivoli, e morì
ranvisi insinuati nel principio del pie- di morte violenta nel i 36g, chi dicein pri-
redenle secolo, e perciò portò seco un in- ginnetti passione o per suicidio, o affogato
quisilor della fede, e altri sacerdoti dotti nel lago d'Avigliana. Dopo la sua morte,
e distinti, colPopera de'quali prese i ca- tutti prestarono giuramento ad Amedeo
piscila detti barbi o barba, per disingan- conte del Piemonte e 3.° principe d'Acaia.
natii dall'errore e quindi potessero con- Quanto al vescovo Giovanni, si applicò a
vertire gli altri. Con maniere soavissime sistemare le monache Clarisse di Carigna-
li accolse, altri fuggirono e diversi si con- no, cui nelle guerre era slato distrutto il
verlirono.I pertinaci concitarono all'armi monastero e ne fu edificato altro, che fu
i cattolici della regione, onde i magistra- cagione di gravi dissensioni dell'ardito ali-
ti punirono questi pertm batoli col fuoco bate della Chiusa contro il vescovo e le
in Pinerolo e in Lucerna o Luseriia, di- religiose, onde Gregorio XI dovè proce-
versa da Lucerna di Svizzera. Nel i36y tlere col rigore di privazione della dignità
il piissimo prelato impresela visita nella ahhaziale e del carcere. Intanto i valdesi
valle di Susa e di que'contorni, e per sra- si diramarono nella pianura del Piemonte
dicare le pessime corruttele invecchiate, a spargere le loro perverse dottrine, e ne-
convocò il sinodo di Torino pel 1 368. Nel cidendo l'inquisitore domenicano mentre
maggio i36v cessò di vivere il principe predicava e altro inquisitore di tal òfdi-
Giacomo in Pinerolo, ed ebbe tomba da' ne. Gregorio XI eccitò Amedeo VI e il
francescani: egli fu irreqoieto,infedelealie vescovo a punire gli uccisori, contro i quali
promesse, in continue discordie co'sovra- fu pronunziala severa e giusta sentenza,
ni vicini,in guerra due volte co'conti di Sa- Nel 1378 morto in Roma, ove avea resti-
voia, per non volersi riconoscere da loro tuilo la pontificia residenza, Gregorio Xf,
dipendente; di spirito debole, poco man- canonicamente fu eletto Urbano VI, con-
ce che noti fosse cagione della totale ro- Irò il quale insorse l'antipapa Clemente,
vina de'suoi siali. Morendo lasciò infelici / //de'conti di Ginevra, e perciò tornai
i suoi sudditi, continuamente travagliati a ragionar di lui a Svizzera. Portatosi in
dalle guerre, lasciando in aperta rottura Avignone vi stabili una cattedra di pesti -
il primogenito Filippo, pregiudicato nella lenza e fu cagione del lacrimevole gran-
successione, comechè diseredato dal pa- de e lungo Sci ima d'occidente, nel quale
tire che gli preferì il fratello Amedeo, il ingannati molti principi e popoli I' ub-
quale pose sotto la tutela d'Amedeo VI. bidirono,fra'quah Amedeo VI suo paren-
A rivendicar le sue ragioni, impugnò Par- te, Amedeo conte del Piemonte, e con essi
mi contro la madrigna da cui era nato A- i loro sudditi di Savoia e di Piemonte. \I-
tnedeo, contro questo e l'altro suo figlio cimi scrissero che il vescovo Giovanni fu
Lodovico. In questa guerra successero in- creato anticardinale dal falso Clemente
cendi, saccheggi e nefandità orribili. A- VII, ma PUghelli afferma non aver mai
medeo VI a porvi termine e conciliare gli trovato di tale asserzione certa ineinoi ia,
TOR
anzi il Muratori nega che l'antipapa l'in-
viasse legato a Carlo VI re di Francia. Nel-
l'articolo àvig.vone, col Ciaccolilo e altri,
gerissi le notizie degli anticardinali creati
dagli antipapi d'Avignoue, ed affatto nul-
la trovai della pretesa pseudo-dignità di
Giovanni, che per altro avrà dovuto co-
me gli altri seguir lo scisma. Nel i 38o A-
medeo signore del Piemonte , mediante
dispensa dell'antipapa, sposò Caterina so-
rella di Pietro conte di Geneva e sua pa-
rente. Pensò questo sovrano di riacquista-
re il principato d'Acaia, e già validissimi
guerreschi preparativi avea fatto, e la sua
spediziooeera arrivata in Grecia; ma pre-
sto svanì ogni sua militare impresa. La
morte lo colpì a'7 maggio 1 402, e fu se-
polto nella tomba de'suoi maggiori in Pi-
nerolo. Poco prima s. Vincenzo Ferreri
era venuto in Piemonte a predicare a' val-
desi , ed annunziò pure la divina parola
a'torinesi nel successivo agosto. Due sole
figlie lasciò Amedeo, Matilde che sposò
il duca di Baviera nel 1 4- ' "> e Pei' 'a sua
dote si ohhligò la città di Torino; e la b.
Margherita di Savoia, di cui il p. Seme-
ria pubblicò la vita in Torino nel 1 833.
Erasi sposata nel i4o3 con Teodoro li
duca di Monferrato, portando per dote
3o,ooo genov'me, e la città di Torino ne
assunse il pagamento. Queste due prin-
cipesse furono collocate in matrimonio dal
/io Lodovico 4-" e ultimo principe d' A-
caia, che regnò sul Piemonte dopo la mor-
ledei fratello Amedeo. 11 vescovo Giovan-
ni, di somma virtù e di santi costumi, fu
onorato del titolo di beato, dalla voce co-
mune, dopo la sua morte avveuuta nel
giugno 1 4- * 1, e di più fu illustrato da Dio
con miracoli, ma s'ignora il suo sepolcro.
Il p. Semeria procedendo col Meirauesio
Bella serie de' vescovi e coli' archivio ve-
scovile, riferisce che nel 141 • Giovanni
XXIII gli die in successore Aimone de'
marchesi di Romagnauo , già canonico
d'OuIx e preposto del Moncenisio. In ve-
ce l'Lghelli e il can. Bima asseriscono mor-
to il 1. dopo il 1372 oueh4t '> e il 2.°pri-
TOR 1 99
ma del 1 377, dappoiché in esso riporta un
Guglielmo IV, seguendo l'Lghelli, e uu
Giovanni IV neh 386,che morto nel 1 4< t
successe Aimone, Aymone o Aymo. L'o-
stinatissimo scisma sostenuto dall'ambi-
zioso antipapa Benedetto XIII, che nel
1 3q4 era succeduto all'intruso Clemente
VII in Avignone, volendosi terminare in
tempo di Papa Gregorio XII nel sinodo
di Pisa, in vece fu eletto Alessandro V,
a cui successe il detto Giovanni XXI li ,
mentre continuarono nel pontificato Gre-
gorio XII e nello scisma Benedetto XIII
e i suoi seguaci, fra'quali per lungo tem-
po furono il Piemonte e la Savoia. Lace-
rata la Chiesa nella credenza, incerti i fe-
deli a chi de' 3 uhbidire e venerare per
vero Papa, a terminare il pernicioso scan-
dalo e ridonar la pace all'agitata Chiesa,
di tutti i sovrani d' Europa più di tutti
si mostrarono zelanti, oltre l'imperatore
Sigismondo , il marchese di Monferrato
Teodoro II e il principe d'Acaia Lodovi-
coconle del Piemonte, non grandi per va-
sto dominio, ma i più riputati per la sa-
vie/za e il 2.0 fondatore dell'università di
Torino, che avea fatto approvare da Be-
nedetto XIII nel i4o5 e da Giovanni
XXIII nel i4i 3, come narrai. Intimatosi
per l'estinzionetlello scisma nel 1 4 1 4 •' ^a"
moso concilio di Costanza iie\\aS\'izzera ,
in cui ne riparlai, tra'principi v'interven-
ne pure il conte del Piemonte Lodovico,
e pienamente d' accordo con Sigismon-
do e gli ambasciatori degli altri sovrani,
si adoperò con efficacia per la pace della
Chiesa. Gregorio XII eroicamente rinun-
ziò il pontificato, e furono deposti Gio-
vanni XXIII fuggeute per In Svizzera, e
Benedetto XI li, che inoltre fu scomunica-
to e dichiarato deviato dalla fnde. Nell'e-
lezione del nuovo Papa, i tre collegi de'
cardinali dei le di verse ubbidienze,per que-
sto speciale caso ammisero in concia ve al la
votazione 3o prelati di 5 nazioni compre-
sa l'italiana. Asserisce il Guichenon, par-
lando di Louis prince d'Acaia, eh' egli
con savia destrezza voltò le orgogliose i-
2oo TOR
dee d'alcuni cardinali ambiziosi aspiranti
al papato, onde senza raggili fòsse eletto
un Papa a tutti accetto, e da tutti rico-
nosciuto. Tale fu io fatti il rumano Mar-
tino V, eletto l'i i novembre 1 4' 7- Usali
al nuovo Papa gli ossequi di sua partico-
lare venerazione, Lodovico se ne tornò ne'
suoi stati in Piemonte. Partito Martino V
da Costanza, per Sciadusa, Berna e Gi-
nevra nella Svizzera, nel settembre 1 4 1 8
traversando la Savoia, entrò a'3 per Susa
in Piemonte per incamminarsi gradata-
mente a Roma. In Torino fu accolto dal
principe Lodovico, dalla sua corte e da
tutti i cittadini con massima esultanza e
con onori pressoché divini. Venne allog-
giato nel Castello, dove i principi d'Acaia
solean fané la loro dimora, quando non la
pigliavano ne' pubblici alberghi. Questo
Castello alla venula di Martino V tro.va-
vasi rifabbricato, non che abbellito d'u-
na piazza formatagli davanti per opera di
Lodovico stesso/m occasione delle sue noz-
ze con Bona di Savoia sua parente. Più
settimane si fermò in Torino Martino V,
con arricchire la citta, di molte grazie e
privilegi, e donando molla pecunia per Li-
na costruzione in pietra del ponte di Po,
il quale veramente allora non si edificò e
rimase com'era sino al [Trincipio di que-
sto secolo. Dal dominio de'pnncipi d'A-
caia s' inoltrò Martino V in quello del
marchesato di Monferrato, ove venne ac-
colto da Teodoro li e dalla piissima sua
consorte, la b. Margherita di Savoia, con
divotissima solennità, colla comitiva de'
grandi di quella corte, de'decurioni della
città di Trino nella porta verso Po, detta
allora di Baffa e oggi di Casale ( perchè
conduce verso Casale capitale del marche-
sato e ordinaria residenza de'marchesi so-
vrani, 36 miglia lungi da Torino ei8 da
Asti, a cui aulicamente era unita la dio-
cesi), e di tutti gli ecclesiastici secolari e
regolari. Mentre il Papa processionalmen-
te veniva accompagnalo alla primaria
chiesa di s. Bartolomeo sotto baldacchi-
no, le aste erano sosteuute da 12 nobili
T O R
personaggi. Dopo a ver pernottato inTrino
nel grandioso palazzo del conte di s. Gior-
gio, la mattina seguente Martino V col
suo seguito prese la via di Vercelli, per
passare a Pavia, ove si dovea celebrare al-
tro concilio, e in Mantova. A' 12 dicem-
bre dello slessoi4i8 cessò di vivere Lo-
dovico in Torino, e le sue spoglie furono
tumulate in Pinerolonel sepolcro de'suoi
avi. Di tutti i principi della Morea e d'A-
caia conti del Piemonte della casa di Sa-
voia, quello che ha lasciato di se v\n no-
me glorioso, il più benefico a'suoi popoli ,
il più utile alla religioue, il più generoso
protettore delle lettere, è slato il princi-
pe Lodovico. Gli successe Amedeo Vili
duca di Savoia, per titolo incontestabile
d'agnazione, e per volontà del defunto
principe, ed anche pel desiderio de'popo-
li del Piemonte che lo proclamarono lo-
ro sovrano, ed egli dichiarò Torino ca-
pitale de'suoi slati e la munì di fortifica-
zioni. Amedeo Vili diventò per questa
successione di gran lunga più potente che
niuuo (osse stato de'suoi predecessori; a-
matoda'suoi, temuto da'poteutati vicini,
ricercato dagli stranieri, tuostrossi valo-
roso in guerra, più ancora inclinato alla
pace, e saggio legislatore di sua nazione.
Per queste e altre egregie sue qualità, in
breve tempo si videro i suoi stati i più
floridi e avventurosi di tutta 1' Italia; e
Torino andò successivamente progreden-
do al suo massimo incremento e agli alti
suoi destini. La peste die sul principio di
questo secolo avea infestato Torino e il
Piemonte, nulla valendo a impedirne la
prqpagazionc, la comune olire alle mol-
tissime provvide cure, interpose molle
preghiere presso Dio ond'esserne preser-
vata. Ricorse al vescovo per prescrivere
una processione col ss. Sagrainento e le
reliquie de'santi protettori, e di piìi la ce-
lebrazione di solenne messa all'altare D.
Rinvine Consolationis. Intanto il vesco-
vo Aimone sostenne lunga lite cogli abi-
tanti di Cuneo suoi diocesani, i quali pre-
tendevano non esser tenuti a pagar le de- _
TOR
cime alla mensa vescovile, ma furono con-
dannati, dopo l'appellazione a Martino V,
al pagamento. Il vescovo fece stare al do
vere anche I' abbate di Pulcherada, che
voleva esimersi dall'annua contribuzione
d'un toro o l'equivalente. Per amore del-
la giustizia e insieme per la penuria di
sue rendile, dovea Aimone non lasciarsi
spogliare de'suoi proventi, i quali erano
già di troppo diminuiti dalle guerre e
dalla rapacità degl'ingordi che de' beni
ecclesia>tici non sono mai sazi. A riparar-
vi ricorse a Martino V, il quale uni alla
mensa l'abbazia ili Stura, il cui mona-
stero giaceva quasi distrutto per le guer-
re tra' principi d' Acaia e i marchesi di
Monferrato. Il vescovo approvò gli statuti
della collegiata di Cbieri, celebrò due si-
nodi nel i427 e nel '4^2 con utilissimi
decreli.e nel i435 fu testitnonioe media-
tore del trattato di pace concluso in To-
rino,tra Amedeo Vili e Gio. Giacomo di
Monferrato. Morì Aimone nel 1 4-38 lo-
dato per vigilanza, zelo e virtuosa fermez-
za,mentre si continuava nella vicina Sviz-
zero la celebrazione del famoso concilio
di Basilea, trasferitovi da Pavia e Sic'
naj ma giustamente sospeso da Eugenio
IV,i padri orgogliosi di varie nazioni vol-
lero continuarlo, ed egli dipoi lo traslocò
a Ferrarne in Firenze, ove la ma*jgior
parte de' padri si portarono col Papa stes-
so nel 1 43S. Mentre il concilio di Basilea
proseguiva in legittima forma (dice il p.
Semei ia, ma per quanto colla storia nar-
rai negl'indicati articoli, già il suo proce-
dere era scismatico), i padri inviarono un
nunzio in Torino, che radunato il capi-
tolo canonicale 1' 1 1 ottobre, gì' impose
d'eleggere a vescovo di Torino il nipote
del debilito, Lodovico di Romagnano ar-
cidiacono della calledrale,adornodigi an-
di meriti e giureconsulto assai illustre, ma
conobbe che i canonici già l'aveano elet-
to. Egli fu consagrato neli439 dall'ar-
civescovo di Milano, con l'approvazione
d' Eugenio IV, a! quale il vescovo pagò
le tasse dell'annate consuete. In tale au-
TOR 201
no recossi al concilio di Basilea (divenuto
conciliabolo), in cui i padri attentarono
di sacrilegamente deporre ni5 giugno il
■virtuoso Papa Eugenio IV, che l'avea a-
natematizzato; di più osarono citarlo di
comparire alla loro conventicola, e quin-
di dichiararlo scismatico e decaduto dal-
la dignità papale. Commesso questo enor-
me errore, ardirono di fune altro non
meno perverso, con procedere all'elezio-
ne d'un altro Pontefice. Ordinarono eoa
tale pravo intendimento un conclave, col-
la maggiorsolennità possibile, diretto dal
cardinal Lodovico (T.) Alemand arcive-
scovo d'Ai les. Il vescovo di Torino Lodo-
vico, con Guglielmo Diderio vescovo di
Vercelli e Giorgio de'marchesi di Saluz»
zo vescovo d'Aosta, furono deputati dal
sinodo a elettori (33 furono per introdur-
re un nuovo scisma) del nuovo Pontefi-
ce per parte della nazione italiana; e ven-
nero difatti nella sessione 37/ a' 28 ot-
tobre all'elezione di Amedeo Vili. Vera-
mente se"uì la formale elezione a'5 no-
vembre, e siccome Amedeo Vili a'20 lu-
glio avea protestato contro la pretesa de-
posizione d'Eugenio 1 V, sebbene non erasi
dichiarato tradue parliti, gli accorti pa-
dri scismatici di Basilea per sostenere l'i-
niquissima lotta, onde averlo a valido so-
stegno lo compromisero e sagri fìcarono,
coll'apparenza di sublimarlo al maggio-
re de'lroni, ad onta ch'egli ritirato in Ri-
paglia nell'orazione e contemplazione del-
le cose celesti, nella sua diletta solitudine
penitente, ricevè con sorpresa l'annuncio,
e nel rifiuto allegò la rinunzia fatta al fi-
glio Luigi o Lodovico del ducato, e non
potere dopo aver lasciato un peso sob-
barcarsi ad altro più infinitamente mag-
giore; oltreché conosceva bene in quale
odiosa conlesa si sarebbe trovato col vi-
vente Eugenio IV. Laonde acconsenti a
gran pena, a'^3 novembre o meglio di-
cembre, e dopo aver sparso molte lagri-
me. Rileva il can. Bima,che il vescovo di
Vercelli fu il solo fra gli elettori d'Italia
che volasse per lui contro Eugenio IV, ed
202 TOR
io aggiungerò che Amedeo Vili avea ri-
cevuto in 3 scrutimi del conclave V esclusi-
iv/ dai 6 elettori. Amedeo Vili assunse il
iiomediFelice V,con istupore e sorpresa di
tutta la cristianilà,che mai avrebbe imma-
ginato di vedere nuovamente cos'i presto
un altro antipapa nelP illustre solitario
diliipaglia.il p, Semeria discolpa Ame-
deo Vili dalla taccia d'ambizione, rileva
con quanta ripugnanza die il suo assenso,
e che l'addottogli tristo esempio del con-
cilio di Costanza, l'autorità del Gersone
cbe pretese attribuire al concilio 1' au-
torità suprema, l'essere negli stati di Sa-
voia, Piemonte, Francia, Spagna ed in
gran parte di Germania riconosciuto per
ecumenico e legittimo il concilio di Oa-
silea; tutte queste ragioni avvalorale a
viva voce dal cardinal Lodovico d'Arles,
indussero il principe ad accettar la digni-
tà cbe gli si offriva. Forse anche lo mos-
sero le insinuazioni di Guglielmo Bolo-
merio (fallo poi morire dal duca figlio),
già suo segielariodi confidenza ,che sotto
l'apparenza di bene della Chiesa, deside-
rava di vedere il suo signore crescere in
dignità, pei1 la speranza che avea di pro-
fittarne. I cavalieri Cibrario e Promisne'
Documenti, sigilli e monete appartenen-
ti alla storia di Savoia, Torino i833,
osservano che Felice V accettò la dignità
per aver poi modo di render paceallaChie-
sa, scendendone volontariamente dopo a-
verne assestate le cose, e troncato alla ra-
dice lo scisma. Portatosi a Basilea, vi fu
ricevuto con grandi applausi, e comincian-
do dalla tonsura per gli -ordini maggiori,
fu consagralo vescovo e coronato Papa
dal cardinale Lodovico d'Arles, il quale fu
tosto scomunicato da Eugenio IV, insie-
me all'antipapa e a tulli i suoi fautori. In
ilella città, in Ginevra,in Thonon e in Lo-
sanna alternò la sua residenza, creò 26
anticardinali di diverse. nazioni, segnalan-
dosi con atti di clemenza e di pietà. Non
.si mostrò prodigo in distribuire i suoi le-
Miri,nè troppo indulgente ad accordar pri-
vilegi e dispense agli ecclesiastici, che ati-
TOR
zi fu riservato e avveduto. Per questa sua
riservatezza, in capo a due anni, molti di
quelli che da principio gli avevano pre-
slato ubbidienza, lo lasciarono per torna-
re alla legittima d'Eugenio IV, altri ri-
masero neutrali, attendendo schiarimen-
to delle cose; continuarono a lui soggetti
la Svizzera, la Savoia, il Piemonte e di-
verse università. La chiesa di Torino ri-
conobbe Felice V come fosse stato Papa
vero, e la città lo gratificò con molti sus-
sidii. Uscito di vita Eugenio IV neh 447»
gli successe il non men degno Nicolò V,
il quale dichiarato eretico PantÌpapa,C0Q'
fisco i suoi beni e quelli de'seguaci di lui.
Quindi s'insinuò giudiziosamente presso
i principi, con soavità e fervido zelo per
estinguere lo scisma, e vi riuscì felice-
mente. Vi contribuirono Carlo VII re
di Francia, e l'imperatore Federico III,
ed assai Luigi duca di .Savoia, aftinché il
padre non avesse più il biasimo e il no-
me d'antipapa, ed anche vi si adoperò la
b. Margherita di Savoia, vivamente bra-
mosa della pace dellaChiesa.il saggio Ni-
colò V si mostrò ben disposto a qualun-
que accordo di convenienza, purché l'u-
nità della Chiesa fosse salva, ed un sol
gregge ed un sol pastore fosse riconosciu-
to.Pertanto convalidò gli alti di Felice V,
riconobbe per cardinali molti di quelli da
lui creati, e lui stesso dichiarò decano del
sagro collegio, vescovo di Sabina e legato
a latere del Piemonte e degli altri luo-
ghi detti nella biografìa, e che meglio de-
scrissi a Savoia e nel voi. Il (non III co-
me per errore tipografico è ricordato nel
voi. LXII, p. 24), p- 214. per modo che
dopo il Papa tenne ili. "luogo nella chie-
sa romana. Sublime, commovente e adat-
tata fu P allocuzione, che deponendo la
tiara, Felice V indirizzò a'prelati di sua
corte e a'padri del concilio di Losanna il
9 aprile 1 449» m cne s' fece generale al-
legrezza per tutto il mondo cristiano. Ri-
tornò a santificarsi nella sua solitudine di
Ripaglia, e non ne usci che dopo la bat-
taglia diI3orgomanero,iu cui fu sconfino il
TOR
ilnca figlio, che gran patte de'milanesi vo-
levano per duca, da Francesco Sforza pre-
tendente al ducato di Milano, per persua-
derlo alla pace, che coneluse il vescovo di
Torinoegregiamente. Il cardinal Amedeo
mori in buon odore di santità, secondo il
p. Semeria a'7 gennaio l^5l in Ginevra,
nel convento detto del palazzo,, de' frati
domenicani. Nel dì seguente portato il ca-
davere nella cattedrale gli si celebrarono
3oo messe. A'g in lettiga venne trasferi-
to a Ripaglia e ivi sepolto in mezzo al co-
ro, illustraloda Dio con più miracoli. Di-
poi ne' primi di dicembre 1576, profa-
nando gli eretici la chiesa e il romitaggio
di Ripaglia, furono condotte le sue ossa a
Torino, ricevute con somma onorificen-
za dall'arcivescovo e dal nunzio aposto.
lico,dal clero secolare e regolare,edal du-
ca Emanuele Filiberto; indi le mortali
spoglie furono deposte ne'sotterranei del-
la metropolitana, donde le trasse Carlo
Alberto e col locò sontuosa mente nella cap-
pella della ss. Sindone, come di>si in prin-
cipio. Il vescovo di Torino Lodovico nel
conciliabolo di Basilea promosse i van-
taggi di sua chiesa; ebbe poscia gravi ver-
tenze coll'abbate di Rivalla, che ricusava
alla mensa l'annuo diritto; e dovette a-
doperarsi diligentemente contro i nemi-
ci della fede cattolica, i valdesi, che a vea-
no riacceso il sanguinario loro furore con-
tro i fedeli che abitavano le valli d' An-
grogna,Perosa, flagellato e altre, e par-
ticolarmente contro i parrochi, con vitu-
perevoli oltraggi e con atroci fatti, ed il
duca Luigi ne fu altamente commosso. Il
vescovo inviò nelle valli l'inquisitore fr.
Giacomo Boronzo domenicano, che fati
cando indarno fulminò l'interdetto di 5
anni contro gli abitanti delle valli. Que-
sta pena canonica fece molla sensazione,
e tutti ricorsero a Nicolò V, protestando
di voler tornare sinceramente al cattoli-
cismo. 11 Papa deputò il vescovo e l'in-
quisitore a recarsi nelle valli per riconci-
liai li colla Chiesa, e se ne convertirono piìi
di 3ooo.Uu prodigiosissimo avvenimento
TOR ao3
illustròquesto episcopato,la cui ricordan-
za sarà sempre gloriosa alla religione e
alla città di Torino, cioè il narrato mi-
racolo della ss. Eucaristia. Celebrò il ve-
scovo Lodovico i sinodi del i465 (nel qua-
le anno il duca Luigi o Lodovico istilla
il senato di Torino, con suprema autori-
tà per giudicare le cause civili e crimina-
li) e del 1 4 ( ' 7 j approvò i nuovi statuti del
capitolo, come fece Papa Paolo II, e mo-
rì nel 1 4^9 : m vece registrando il can.
Bona tal morte nel 1 4 >&, nel 1 4^g ne di-
ce successore Giovanni V Campesio , e
nel i4^7 Cristoforo della Rovere, a cui
nel 1 480 fa succedere il fratello Domeni-
co. Il p. Semeria nel 1469 dichiara suc-
cessore di Lodovico, Giovanni HI di Com-
peys oCompesio uobilesa voi ardo, il qua-
le neli4"2 saputa la gravissima malat-
tia del duca b. Amedeo IX, che dimora-
va io Vercelli ove soleva tenere la corte,
ordinò pubbliche orazioni. Mentre a'3o
marzo face vasi una processione di più che
3ooo persone, quasi sulla cattedrale ap-
parve un bianco cerchio raggiante, entro
a cui stava il duca. Riguardato per mira-
bile segno del suo transito al cielo, il ve-
scovo si recò subito a Vercelli e realmen-
te trovò il santo principe defunto. Tor-
nato a Torino ebbe la consolazione del ri-
trovamento del corpo di s. Gozzelino e
delle reliquie di s. Anastasio, nella chiesa
di s. Solutore, del cui monastero il r.°era
stato abbatee monaco il 2.°,operandoDio
per illustrarli molti miracoli. Ma poi fu
rammaricato pegli eretici valdesi ricadu-
ti nell'errore e nello spergiuro, vedendo
fallile tante sollecitudini de' suoi prede-
cessori ; onde con 1' aiuto delfa reggente
Jolanda, emanò energici provvedimenti.
Compose le dilFerenze col capitolo di Car-
magnola, sostenne un litigio con l'abba-
tedella Chiusa,convenne con Lodovico II
marchese di Saluzzo lo stabilimento d'u-
na collegiata in quella città; e dopo ave-
re riedificalo il campanile della metropo-
litana, poi compito dal Juvara d'ordine
di Vittorio Amedeo lì, nel 1482 venne
2 04
TOR
traslato a Ginevra e poi all'arcivescovato
di Taranlasia. Nel tletlo anno gli succes-
se il cardinal Domenico della Rovere to-
rinese de'signori di Vinovo, fratello del
cardiuulCrisloforo,già preposto della cat-
tedrale e nunzio di Torino per Sisto IV
della Rovere, e perciò alcuni dissero pa-
rente; il quale Papa, secondo I' Ughelli,
sottrasse dalla soggezione del metropoli-
tano di Milano il vescovo di Torino e lo
dichiarò esente. Di sue notizie, come di
tutti i vescovi e arcivescovi cardinali di
Torino, ne tratto alla biografìa, ove Cui
da alcuni scrittori indotto in errore, con
dire, non pare che fosse vescovo di To-
rino, e qui Olì correggo. Il cardinale reca-
tosi in lloma pel conclave, dipoi nel i/[H5
fu testimonio della solenne donazione tra
vivi che Carlotta di Lusignano regina di
Cipro e dell' Armenia fece nella basilica
Vaticana al suo nipote Carlo I duca di
Savoia. Non ritornando alla sede, nel 1 497
eamiuendo Alessandro V I, si elesse a coa-
diutore Gio. Francesco della dovere suo
nipote. Però l'Ughelli e il can. Bima li-
poi tano al 1499 Gio. Lodovico della Pio-
vere e nel 1 5 1 o il nipote Gio. Francesco.
Dimorando in Roma il cardinal Dome-
nico, non dimenticava i bisogni della dio-
cesi, the anzi generosamente riparò i ca-
stelli di Cinzano e di Rivalla appartenen-
ti alla mensa, e per l'aumento di questa
vi unì le rendite della chiesa di Cavorre
e della pievania di Lauzo. l\ese poi im-
mortale il suo nome colla riedificazione
della cattedrale. Considerando che il tem-
pio antico, opera de' principi longobardi,
e composto di 3 chiese insieme unite, co-
me sono andato dicendo, era sdrucito da
due parti, uè più capace di restauri, di-
visò di demolirlo e costruirne altro di Cor-
ma all'atto nuova. Senza sgomentarsi del-
l'enormità delle spese, ricchissimo di sua
casa e di benefizi ecclesiastici, inviò da
Roma un nobile disegno del celebre [lac-
cio Pintelli, raccomandandone la perfetta
esecuzione, per la quale mandò casse pie-
ne d'argento. Demolitala fabbrica aulica,
TO Pi
neh 49' fu solennemente posta lai. "pie-
tra per la nuova a'aa luglio, alla presen-
za della reggente Bianca, ed ebbe compi-
mento nel 1 49*^- " cu- cav- Cibrario la
chiama opera architettonica rara e pre-
gevole, eseguita sulle traccia delle miglio-
ri chiese de'contemporanei, ed egregi gli
ornamenti delle porte, somigliando la fac-
ciata ad altre belle chiese, come di s. A-
gostino e di s. Maria del Popolo di Roma.
Sulla porla maggiore fu posta l'iscrizione
che si legge nel p. Semeria, che sostiene
avere ritenuto il cardinale il vescovato si-
noalla morte,avvenuta in Pioma nel 1 5o r,
donde furono nel i5io trasferite le sue
spoglie in Torino e tumulate nella sua cat-
tedrale. Il nipote coadiutore Gio. Lodo-
vico della Rovere gli successe, già prefet-
to di Castel s. Angelo, pro-legato della
Marca. Vigilante e virtuoso pastore, in-
traprese la visita della diocesi, specialmen-
te nelle valli degli eretici , quindi nello
stesso i5or celebrò il sinodo nella catte-
drale e poi lo stampò. Si elesse a coadiuto-
re il nipote Gio. Francesco della Rovere
preposto della cattedrale, e Giulio II l'ap-
provò neli 5o4, il quale altro della Rove-
re, come nipote di Sisto IV, fu detto pro-
zio di tal prelato. Recatosi il vescovo in
Rnina per reclamare coatro l'abbate di s.
Mauro che voleva sottrarsi dalla sua giu-
risdizione, autorizzò il suo vicario genera-
le Baldassare Bernetto di Vignone arcive-
scovo di Laodicea in parlibus a consagra-
re la cattedrale di Toriuo a'2 1 settembre
1 5o5. Morto in Roma nel 1 5 1 o, giusta la
sua disposizione fu portato nella cattedra-
le di Torino, con epitaffio in cui è anche
detto Palatii Pontificii Jf?ec/o/-,ossia mag-
giordomo, e si legge pure nell'Ughelli. E-
gli fu l'ultimo vescovo di Torino, e il suc-
cessore il r.° arcivescovo.
Nel 1 5 1 o successe allo zio per coadiu-
toria Gio. Francesco della Rovere de'con-
ti di Vinovo, e insieme da Giulio II fallo
prefetto di Castel s. Angelo. Questo Papa
nel 1 5 1 1 smembrò dalla diocesi 55 par-
rocchie e vi eresse il vescovato di Sala-
TOR
za. Inoltre Giulio li lo nominò prelato do-
mestico e referendario, gli conferì pingui
benefizi in Torino e in Savoia, ed elesse
gran penitenziere in Roma, dice il p. Se-
meria. All'articolo Penitexziere maggio-
re ne formai la serie, e già da quasi 3 se-
coli erano sempre cardinali, ed all'epoca
di Giulio II lo era il cardinal Leonardo
Grosso della Rovere zio del vescovo. Me-
glio è ritenersi che avrà conseguila una
delle primarie cariche della Pe/atenzie-
ria. L'Ughelliuon ricorda lai carica, ben-
ÙAlpiwn etSabaudiaeGubernator. Sog-
giornando in Roma, applicato a tante in-
cumbenze, governava la diocesi pei vica-
rio generale.Giunto all'età per cousagrar-
si vescovo, a'2 3 luglio 1 5 1 3 Leone X con
particolare privilegio personale gli con-
cesse gli onori e insegne vescovili, l'esen-
tò dalla giurisdizione dell'arcive.»covo di
Milano(dunque l'indulto di Sisto 1 V ram-
mentato da Ughelli, egualmente sarà sta-
to personale), alla s. Sede unicamente sog-
getto, con facoltà di farsi precedei e nella
diocesi colla croce astata, d'usare il pal-
lio nelle sagre funzioni, ediconcederel'in-
dulgenza plenaria in suo nome nella i."
messa pontificale che avesse celebrato nel-
la cattedrale. Portatosi il vescovo alla sua
diocesi, a'2g maggio 1 5 14 fece il suo in-
gresso solenne per porla di Susa, indi nel-
l'ottobre celebrò il sinodo che pubblicò
colle stampe.Continuandosii11R.oma quel-
lo generale di Laterano V, v'intervenne
il vescovo, e Leone X lo deputò uno dei
24 giudici sinodali, pe'personali suoi me-
riti. Inoltre a riguardo e in premio di es-
si, mentre regnava il duca Carlo III , il
Papa colla bolla Cimi illiu.sy de' 1 7 mag-
giori 5, presso l'Ughelli, elesse la catte-
drale di Torino in metropolitana, con se-
pararla affatto da quella di Milano, e con
lettere apostoliche dirette a' vescovi di
mondavi e d'Arca, egualmente ripulia-
te da Ughelli, li dichiarò sulfraganei del-
la medesima, costituendo per 1 .°arci vr sco-
\odiTorinolostessoGio.Francesco. Men-
tre il Papa si proponeva di elevarlo al car-
TOR 2.0
dinalato, essendosi il vescovo recato in C'è
logna,i*i morì nel dicembre! 5i6 di 26
anni, morte che altri ritardano al 1 5 1 7.
Il cadavere trasportato nella metropoli-
tana di Torino vi ebbe tomba con ono-
revole iscrizione. Per l'elezione del suc-
cessore insorse lieve discordia tra Leone
X e Carlo III, poiché il Papa avea man-
dato le bolle di creazione in arcivescovo
al proprio nipote cardinal Innocenzo Cibo
genovese il 1. "marzo 1 5i 7, mentre il duca
desiderava Claudio di Seyssel d'Aix pro-
fessore di giurisprudenza, e di sublimi ta-
lenti, già amministratore di Lodi e vesco-
vo di Marsiglia, e legato in Torino del re
diFrancia. Pertanlosi con venne,cheSeys-
sei rinunziò la sede di Marsiglia al cardi-
nale, e questi fece il simile di quella di
Torino a Seyssel, riservandosi la facoltà
del regresso alla medesima nella morte o
promozione di lui; quindi il Seyssel 2.0 ar-
ci vescovo ebbe il pallio a'3 giugno. Nel-
la festa di s. Gio. Battista celebrando la
1. "messa pontificale, fu talee tanta l'af-
fluenza delle genti venute in Torino da
tutta l'arcidiocesi , che la metropolitana
non essendo sufficiente a contenerle, fu
necessario erigere all' aperto un altare
temporaneo, e così soddisfare alla comu-
ne divozione per lucrare l'indulgenza ple-
naria concessa da Leone X a chi vi aves-
se assistilo. Essendosi convertili 4 valde-
si, fu d'impulso all'arcivescovo di recarsi
nel loro paese a procurare il ravvedimen-
to degli ali ri nelle valli di Luserna e Au-
grogna, e di flagellalo in alpestri e orri-
di sentieri. Egli ne riporlo sui montana-
ri un immenso vantaggio , e siccome di
vastissime cognizioni e di giudiziosissimo
discernimento, esplorò la via più facile per
illuminarli, onde compose ad utilità per-
petua della religione il dotto trattato: Ad-
versus errores et sectam J aUlciisiuni^Va-
risiisioso.CarloIH lo nominò consigliere
ducale. Nel comporre libri utilissimi, nel-
la vigilanza del suo giegge e nell'eserci-
zio dell'orazione, l'egregio prelato consu-
mò il rimanente de'&uoi giorni ch'ebbero
2o6 T Oli TOR
termine neli52o, dopo aver ordinato la morbo colerico. Quindi ritengo beneme-
costruzione d'una cappella a fianco della rito l'operato con felice successo nel de-
melropolitana pel coro d'inverno de'ca- corso anno in Fabriano per l'invasione
Donici) e beneficato generosamente i pò- del maloreasiatico,onde impedirne la pro-
veri da lui amati. Fu compianto da (ut- pagazione,e perciò giustamente lodalo dal
ti e altamente lodato ne'solenni funerali, n.°2gi del Giornale dì Roma deli85')!
anche cogli epiteli di padre della patria oltre il zelante suo vescovo mg/ Faldi, dal
e fido Acate di Carlo III, indi sepolto in sagace suo medico d.' bocci; e quest'ut'
detta cappella nel mausoleo erettogli dal- timo poi anche pel pubblicato aureo opti-
la riconoscenzadecanonici.il p.Semeria scoletlo intitolato: Avvertimento popola ■
ci die il catalogo di 20 sue opere slam- re sulla contagiosità del Cholera. asia
pale, e il novero de'mss. esistenti nella bi- tiro, e siili' efficacia, delle disinfczioni
blioteca dell'università di Torino, (piali- di cloro e cloruri. Con un linguaggio
beandolo il più copioso scrittore di «pian- perfettamente analogo alla materia e al •
li hanno rettola chiesa torinese, avendo lo scopo, e con ragionamenti i più lo-
sapulo Irar profitto del tempo sino nel- gici appoggiati a fatti irrefragabili, dica-
la mensa con ottime letturee ragiouamen- il Giornale di Roma, dimostra l'egre-
ti d'erudizione. Perciò la chiesa di Tori- gio d.r Mocci, co'più celebri autori, non
nofu devoluta pel regresso al cardinal Ci- solo che il cholera è una vera epidemia
bo a' 4 luglio, di vasto sapere e ardente contagiosa, ma inoltre fa toccar con ma-
zelo, ma carico di altre sedi da Roma le no che una tale persuasione sia ne'ruedi-
governò pe'vicarii. La peste fece orridis- ci sia nel popolo, anziché recar damio,rie-
simoscempioinlultallalianelsecoloXVI, scesalutevolissiina,ed èPunico mezzo per
e nel centro del Piemonte nelioi/L At- impedirel'introduzioneelestragidel mor-
taccòTorino nel 1 522, e parve cessare nel bo. E dopo avere l'autore egregiamente,
febbraio 1 523, ma rincrudì nel 1 52/j.} con mostrata la differenza fra 'contagi e Pepi-
gran travaglio della città; e qui aggina* demie semplici, e le principali notecaral-
gerò, che quando speravano i popoli ver- turistiche degli uni e delle altre, con con-
so la fine del secolo d'esserne allatto li- eludenti parole e colla storia alla mano]
beri, ricominciò con ispaventevoli stragi, parla de' vantaggi immensi e decisi delle
restando pressoché vuole di abitanti, par- disinfezioni coleriche. La salutare azione
te fuggiti e in grandissimo numero eslin- di queste «li porge poi una nuova prova
li, Venezia, Milano e altre principali cit- per confermare la natura contagiosa del
tà venete e lombarde, e ne fu immune il cholera, e per incoraggiare le persone a non
Piemonte sino al 1^76, per le precauzio- paventarlo. Godevano i vescovi e arci ve-
ni diligentissime d impedire sulle fronlie- scovi di Torino il privilegio dell' Annata
re il pregiudizievole e insinuante contat- e degli Spogli ecclesiastici, ossia d'appli-
to , il che ora fatalmente dappertutto si care alla loro mensa le rendite de* bene*
trascura pel cholera, considerandosi non fìzi non concistoriali vacanti, e di più i be-
contagioso! Qui per amore all'umanità, ni mobili degli ecclesiastici loro diocesani,
e sebbene conosca il conflitto delle diver- che morivano senza aver fatto disposizio-
se opinioni e le rispetti, come tuttora l'i- ne testamentaria. Venuto in Torino il col-
gnorarsi il sicuro modo curativo, mi pia- lettore apostolico di tali rendile in tutto
ce osservare, che per i provvedimenti, il Piemonte, Bernardino Arelio, volle at-
tenebrali all'articolo Pestilenze, le pre- tiibuirsi eguale diritto nell'arcidiocesi. Il
cauzioni, isolamenti e disinlèzioni ordina- cardinale ricorse a Clemente VII, che nel
ti da Gregorio XVI, egli vide nel 1 83y i5a8 vietò al collettore il riscuotere nel-
arrestato e sepolto in Fioiua il tremendo l'arcidiocesi di Torino le annate de'bcne-
T O R T O lì 2..7
IÌ7Ì e lo spoglio degli ecclesiastici, e di re- corona, ed i nuovi suoi popoli a parie dei
slittine alla mensa il riscosso. Intanto il privilegi goduti da'sooi sudditi oltrarno»-
cardinale, la comune e alcuni superiori Inni. ISel febbraio i 543 per un colpo di
regolari, accorsero a sovvenire l'ospedale rnauo degl'imperiali, poco mancò che non
di s. Giovanni con aumento notabile di s'impadronissero diTorino,t»edianleslra-
rendite. A mez70 del vicario generale, far- Ingemma concepito da Cesare da Napoli
civescovo riparò agli abusi insinuati nel per sorprenderlo con carri carichi d'ar-
cuilo divino e ne'ministri della chiesa, sia mali e coperti di fieno. Salvò dall'eccidio
colla visita pastorale, sia colla stampa del- la città un fabbro, perciò premiatoda'fran-
le sinodali costituzioni. Frattanto il Pie- cesi, il quale appena entrati alcuni di essi,
monte, per le pretensioni di Francesco I avendo la bottega vicino alla porla, cor-
redi Francia, quale erede de'd'Angiò, di- se a tagliar la catena che teneva la sara-
venne il teatro della guerra; come il re- c'inesca e impedì di penetrare nella città
sto d'Italia già era stalo miserando caro- agli altri a soccorrere i primi, die tosto fu-
po di ballaglie di sangue e d'infinite ca- rone tagliati a pezzi da Alessandro deMag-
lamilà per la conquista del ducato di Mi- gi milanese. In questo deplorabile stato
lano, nell'implacabile lotta tra il ree l'ini- dì cose, il principe Emanuele Filiberto di
peralore Carlo V. Il re violando ogni di- 17 anni, vedendo i paterni stali in preda
ritto delle genti e i più stretti doveri dì orde'francesi,edor de'tedeschi e spagnuo-
sangue, mandò nel 1 536 gli eserciti suoi li dello zio Carlo V, ottenne nel 1 545 dal
a occupare la Savoia, enei 1 ."d'aprile s'ap- padre Carlo 1 1 1 d'andarsene in Germania
prossimaronoalle porte di Torino. Avreb- a ben imparare l' arte del guerreggiare
be voluto la città. opporsi con vigorosa re- alla scuola di detto imperatore, portando
sislenza, ma minacciando i francesi ferro seco la speranza di liberare col suo vaio*
e fuoco, se la città non si arrendeva preti- re, quando che fosse, i popoli suoi dati ala-
tamente, il duca Carlo III. che da Torino mi straniere; ed il padre a Uranio per lo
era partito colla famiglia aio marzo per spoglio de'suoi stati mori in Vercelli nel
Vercelli , volendo risparmiar le vite dei 1 553. Già il benemerito arcivescovo cai-
suoi sudditi, acconsentì che si aprissero le dinal Cibo nel 1 548 o nel 1 549 avea ri-
porle, e lasciassero inalberare la bandiera nnnziato l'arcivescovato al nipote Cesare
de'gigli, con abbaitele quella della croce Usdimare Cibo di Genova, stato vescovo
bianca di Savoia. Con alto de'3 aprile si di Mortami; onde essendo allora soggetta
arrese la città, protestando di non voler Torino a Francia, mandò il Papa le sue
pregiudicare a 'diritti del loro sovrano, di lettere di nomina al re Enrico II pel libc-
cui ambivano di restare fedelissimi suddi- 10 esercizio del pastorale ministero. Con-
ti; ma entrati i francesi, tosto la saccheg- linuaudo la cillà e arcidiocesi sollo il gio-
giarono orrendamente, come se l'avesse- go de francesi, non pochi de'quali erano
10 espugnata colle armi. Nell'istesso an- infètti deU'eresiede'Lofer/wi/jde'Ca/wU''
no i francesi spianarono al suolo 4 gran- iti, e altri Protestanti ( J .1, e l'empie Io-
dissimi borghi, che alle 4 parti di Tori- romassiruesiandavanodisseminandocou-
110 si ergevano con belli e grandiosi edili- tro il dogma e la morale, non solo in pri-
zi, e con essi rimasero distrutte i3 anti- vaio, ma in pubblici ragionamenti. A que-
chissime chiese, l'anfiteatro e innumera- sii eretici unironsi anche molti valdesi, che
bili vetuste memorie ond' erano abbellì- i medesimi errori aveano adottato, laon-
ti; indi nell'agosto dichiarò Francesco I de la fede cattolica corse evidente perico-
con suo diploma, appartenere i torinesi lo. Queste perverse dottrine non erano
e tutti gli stali del Piemonte al regno di stale pubblicamente insegnale finché vis-
Fraucia, per essere sempre uniti a quella se Francesco I, ma morendo nel 1 547,tli-
2o8 T O R
ventarono ardile a segno, che i loro fau-
tori giunsero in un tal sopravvento, a far
interdire nel i 55o alle confraternite di s.
Croce e del ss. Nome di Gesù, il consue-
to esercizio di loro funzioni. L'arcivesco-
vo Cesare dopo aver questionato per con-
tinuare il sussidio all'ospedale di s. Gio-
vanni, si pose in discordia col consiglio
della città, il quale per opporsi alla bal-
danza de' nuovi eretici, oltre di avere a
proprie spese deputato più sacerdoti per la
difesa della purità della fede, nelle catte-
dre e ne'pulpili, volle obbligare anche il
suo pastore a mantenere de'sagri oratori
nella cattedrale.per confutare gli sparlato-
li della chiesa romana e ismenlire al popo-
lo le loro perniciose menzogne. Non cre-
dendosi Cesare tenuto a tale stipendio, il
consiglio ve lo costrinse con decreto regio
del i 55o. Altri provvedimenti emanò il
consiglio civico contro gli eretici, che viep-
più si moltiplicavano, ormai divenuta l'I-
talia il rifugio degli apostati e de'seguaci
del libertinaggio. Nella minorità di Carlo
IX rediFrancia,crebbe l'oltracotanza dei
ministri eretici, per avere la madre reg-
gente nel i56i accordato agli Ugonotti
(V.) il libero esercizio di loro pretesa re-
ligione riformala, di aver templi e farvi
adunanze fuori delle città. In Torino i
cittadini intesero con molta pena tale di-
sposizione, e ne fu conseguenza che con in-
solenza i calvinisti cominciarono nella cit-
tà a celebrare le sedicenti cene, e inveire
con empie declamazioni contro il clero
cattolico e la ss. Eucaristia. Tanta empie-
tà non potendo più soffrire i decurioni e
i cittadini, concordemente deliberarono
di ributtare a forza i perversi ministri, o
spegnerne 1' eresia col loro sangue. Que-
sto proponimento del corpo della città, si-
gnificato al vescovo diGinevra nunzio apo-
stolico, e da questi trasmesso a Pio I V, fu-
rono i decurioni paternamente confortati
con breve, lodaudone l'insigne pietà e di-
vota ubbidienza alla s. Sede. Animalo co-
sì il corpo della città ricorse a Carlo IX,
per ottenere pronto rimedio a tanti gra-
T O R
vi Diali e abolire la sella luterana; ed il
re ordinò neh 56 1 al suo governatore e
luogotenente generale in Piemonte Bor-
digliene, di non permettere che i ministri
della nuova setta fossero tollerati e pre-
dicassero in Torino , anzi di farli uscire
da essa sotto pena di rigoroso castigo. Ces-
sarono dunque le pubbliche adunanze de-
gli eretici e molti ne partirono; ma nou
tralasciarono perciò i decurioni nelle sag-
gie provvidenze presesindal principio del-
le pestifere dottrine. Imperocché nel i 5^2
volendo la città premunire gli abitanti
da'pericoli de'nuovi errori, avea stabilito
un maestro che nella domenica spiegasse
al popolo que' testi, de' quali particolar-
mente abusavano i luterani a danno del-
la fede cattolica; quindi nel i 5/\.2 avea ot-
tenuto dal Papa che invece di due par-
rocchie se ne stabilissero quattro, una per
quartiere , acciò i fedeli fossero meglio
istruiti nella religione; e dall'arcivescovo
ottenne la predicazione ogni domenica
nella metropolitana, e che ninno potesse
essere uffiziale, senza prima aver fatto pro-
fessione di fede cattolica, e che non si po-
tesse vendere riè affittar case agli eretici.
Ora temendo 7 zelantissimi torinesi del-
la stabile esecuzionedegli ordini regi, pre-
sero l'espediente d'opporre alle perverse
cospirazioni che macchinavano in Gine-
vra Calvino e Beza, una santa unione lai-
cale, il cui scopo fosse di sostenere la fede
cattolica col pubblico esempio di religio-
se opere, col titolo di Compagni// della
Fede, e poi di s. Paolo per essersi posti
sollo la protezione dell'Apostolo nella fe-
sta di sua Conversione. Prima ebbe un o-
r a torio ne' chiostri di s. Domeuico, indi
nella chiesuola di s. Benedetto, e poscia
nella casa lasciata da Becumi a' gesuiti.
Frutti preziosi di questo pio istituto, che
approvato dal Papa a richiesta del sena-
to del Piemonte, conseguì la benemeren-
za universale, oltre l'infervorala divozio-
ne «li Torino , furono le seguenti opere,
di cui alcune ancora sussistenti. La sov-
venzione pe'poveri vergognosi; l'isliluzio-
TOH
ne delle umiliate; la cooperazione all'ere-
zione del monte di pietà, per cui n'ebbe
il precipuo governo; lo stabilimento del
ritiro del soccorso e della casa di deposi-
to; l'albergo della virtù e l'ospedale della
carità. Divenuto intanto il duca Emanue-
le Filiberto il vincitore di s. Quintino e
di Gravelinga, ili ."generale d'armata dei
suoi tempi, il terrore de' francesi, un gran-
de eroe del suo secolo, sposo di Marghe-
rita sorella di Enrico li re di Francia, ot-
tenne la restituzione de'suoi stali, tranne
Torino, Pinerolo e 3 allre piazze. Ritar-
dandosi a restituirgli Torino, fissò la sua
residenza in Vercelli; finalmente reinte-
grato di tutti i suoi dominila' 17 dicem-
bre 1 562 fece il suo ingresso solenne in To-
rino tra le più clamorose acclamazioni; e
cos'i fecero la duchessa, e appresso da Ca-
rignano il supremo senato, e da Mondo-
vi l'università. D'allora in poi Torino re-
stò stabilmente la capitale degli stati del
duca di Savoia principe del Piemonte.Nel-
lo stesso mese a'26 morì l'arcivescovo Ce-
sare, dopo essere intervenuto al concilio
di Trento. Nel 1 563 gli fu sostituito il car-
dinal hinicod'^/rrt/o? de'marchesi del Va-
sto, che rinunziò dopo un anno. Mentre
la città e arcidiocesi di Torino pendeva
all'estrema desolazione, Dio suscitò un so-
vrano destinato a rialzare gloriosamente
il trono degli avi suoi e a proteggere la
religione, ed un pastore per riparare san-
tamente a'danni della Chiesa e allo splen-
dore del sacerdozio. Il sovrano fu il cele-
brato Emanuele Filiberto, che aveva nel
suo ritorno riempito di gioia i suoi popo-
li, soli i valdesi restando tristi, i quali fo-
mentali da'calvinisti, e favoriti dagli al-
tri eretici di Francia e Germania, si ar-
marono contro di lui. Il duca presto li do-
mò colle armi e gli obbligò ad accettare
le leggi, di non trapassare i limitati con-
fini e di non molestare i predicatori cat-
tolici che sarebbero inviati nel loro distret-
to , e se ne ottennero conversioni e fer-
mezza ne'cattolici. Quindi il duca si die
a promuovere con ardente zelo l'esercizio
vot. rami.
TOR 209
della cristiana religione, la maestà del cul-
to cattolico, l'erezione di nuovi templi, e
la più solenne venerazione delle ss. Reli-
quie, é coadiuvando particolarmente l'ar-
ci vescovodi cui vado a parlare. Unicamen-
te per gloria della religione il duca si ac-
cinse a ridonare un maggior lustro all'or-
dine di s. Maurizio, ottenendo dal Papa
l'unione con quello di s. Lazzaro. Il pa-
store fu il torinese cardinal Girolamo del-
la Rovere de'signori di Vinovo, nipote del
1. "arci vescovo, alla cui dignità fu eleva-
tone! 1 564i di bell'ingegno, già ambascia-
tore di Carlo IX a Emanuele Filiberto,
al quale ed a'suoi concittadini si rese ri-
spettabile per lo splendore di sue virlù e
dottrina. Da vescovo di Tolone, Pio IV ad
istanza di Torino e del duca lo trasferì al-
la patria metropolitana. Subito applicos-
si alla santificazione del clero, alla salvez-
za de'popoli , alla distruzione dell'eresie
e all'osservanza de' sagri canoni, comin-
ciando nella propria condotta a dare e-
dificanli esempi. Nel 1 566 il duca volen-
do fabbricare a decoro e difesa della sua
capitale Torino una ben munita cittadel-
la, invitò l'arcivescovo a benedire co'sa-
gri riti lai. 'pietra fondamentale. Questi
col duca portaronsi a Caraglio e Rossano
perchè molti calvinisti perturbavano i cat-
tolici: alcuni si convertirono, gli altri fu-
rono sbanditi ; altrettanto il pio pastore
fece nella visita della valle di Stura. I suoi
meriti divenendo di giorno in giorno più
luminosi , il duca lo creò cancelliere del
supremo ordine della ss. Annunziata, es.
Pio V lofacoltizzò a visitare tulle le chie-
se gentilizie e militari , sì delle monnche
che regolari aventi cura d'anime, sebbene
privilegiate ed esenti, con piena giurisdi-
zione. Di più l'arci vescovo,secondo la men-
te del concilio di Trento, fondò il semi-
nario pe' chierici. Avendo i francesi nel
1 536 demolito la chiesa di s. Solutore, le
reliquie de' ss. Protettori furono trasferite
alla Consolata; il duca procurando che fos-
se loro fabbricata una nuova chiesa, ot-
teuuedas. Francesco Borgia generale del-
i4
aio TOR
la compagnia di Gesìi, die poc'anzi erasi
stabilita in Torino per opera de' conflati
di s. Paolo, allineile ne assumesse l'inca-
rico; onde le ss. Reliquie con solenne tra-
slazione prima e nel i5y5 furono portate
nell'oratorio de' gesuiti stessi, coll'inter-
vento del duca, del nunzio apostolico, del*
l'arcivescovo e di altri personaggi. Dipoi
terminata la chiesa, nel 1 584 '° stesso ar-
civescovoDella Rovere, co' vescovi di Ver-
celli e di Mondovi,con magnifica pompa
dall'oratorio de' gesuiti vi trasportarono
I' urna colle ss. Reliquie , sorreggendo il
baldacchino sopra di esse il duca Carlo E-
mauuele 1, accompagnato dall'ambascia-
lor venetOjdal marchese d'Estee dasplen-
didocorteggio.La chiesa fu data a'gesuili,e
prese il nome de'ss. Martiri de 'gesuiti, In
seguito l'arcivescovo contribuì alla fonda-
zionedel collegio de'gesuiti, da lui tenera-
mente a ma ti. Nel ì 5 7 5 il prelato a infervo-
rare i parrocbi, adunò nella metropolita-
na il sinodo diocesano, io cui si statuirono
santi decreti, che sparsero luce luminosa
su tutto il Piemonte, ed i suoi successori
lo tennero per norma di loro costituzio-
ni. Della Chiesa dice che celebrò pure un
sinodo provinciale. Nel 1578 daChambe-
ry solennemente segui la traslazione in
Torino della ss. Sindone, incontrata dal-
l'arcivescovo e da 4 vescovi, dal duca, dal
nunzio pontificio, da'magistrati e da altri
personaggi, alla quale impareggiabile re-
liquia da Milano fece un pellegrinaggio
per venerarla s. Carlo Borromeo. In tem-
po di quest'arcivescovo Gregorio XIII
mandò a visitatore generale del Piemon-
te, col titolo di delegato apostolico,il vesco-
vo di Sarsina Angelo Peruzzi. Morendo nel
1 58o Emanuele Filiberto, assiduamente
assistito dall'ottimo arcivescovo, a questi
raccomandò il successore suo figlio Car-
lo Emanuele I, per l'istanza del quale Si-
sto V nel 1 586 l'annoverò al sagro colle-
gio. Volendo il duca fabbricarsi una reg-
gia, trovò che gli conveniva il palazzo ar-
civescovile, che allora stava accanto alla
metropolitana , ed il cardinale colla an-
T O II
uuenza pontificia condiscese al desiderio
del principe, ricevendo nel i 587 in com-
penso 1 5,ooo scudi. Allorché fu reintegra-
to de'suoi stati Emanuele Filiberto, ricu-
sarono i popoli del Vallese di riconoseer-
loper sovrano,e si unirono in appi esso coi
ginevrini, che aveano impugnato le anni
contro il figlio nel 1 589 perchè voleva
soggettarli. Stipulatasi poi la pace, si ac-
cordò a'vallesani che continuassero a pos-
sedere I' usurpato territorio, già spettan-
te al duca, e segnatameute il borgo e ii
monastero di s. Maurizio, del quale ripar-
lai a Sion e Svizzera, con patto di rimet-
tere al duca le reliquie de'ss. Maurizia e
compagni 'febei martiri. In seguito di che
insorse fortissima opposizione ne'vallesa-
ni di venire spogliali interamente del sa-
gro tesoro, laonde si convenne di lasciar-
ne la metà al monastero, e l'altra fu con-
segnata al vescovo d'Aosta Ginodio,il qua-
le solennemente neli5qi le portò a To-
rino, ove furono ricevute con gran pom-
pa da 4 vescovi, e collocate con generale
divota allegrezza nella metropolitana,tiel-
la processione avendo portata elevala la
spada di s. Maurizio il governatore della
città. Il cardinal Rovere mentre trovata-
ti in conclave nel 1 5g2, con isperanza che
fosse eletto Papa, si ammalò nella fine di
gennaio, raccomandandogli l'anima nel-
l'ultime agonie il cardinal Aldobrandino,
che dopo 4 giorni a'3o divenne Clemen-
te Vili. Nello stesso anno gli successe Car-
lo Broglia di Chieri de'signori di Sanle-
na, abhate di s. Benigno di Fritillaria. Il
i.csuo decreto pastorale riguarda la san-
tificazione delle feste, vietando tutte le o-
pere servili de'mestieri, tranne poche ec-
cezioni, e ciò in conformità del decretalo
dalla città di Torino nel i4^ 1, e dal car-
dinal Rovere. Altri salutari decreti con-
cernono l'astinenza del digiuno quaresi-
male, le qualità e disposizioni necessarie
de'chierici per essere ammessi a'sagri or-
dini, e nel i5g5 cominciò la visita dell'ai-
cidiocesi, e tenne il suo 1 ."sinodo, poi stam-
pato, e il 2.°nel 1 597. Nel precedente anno
/
TOH
visilòTorino per la i.a volta s. Francesco di
Sales allora sacerdote, per conferire col
duca sopra le missioni del Chablais, in cui
egii operava meravigliose conversioni; la
2.a vi tornò nel 1 399 fatto coadiutore del
vescovo diGinevra; la 3.anel i6o3per visi-
tare il piissimo vescovo di SaluzzoAncina,
e la 4-* nel 162 2 incaricato di presiedete
in Pinerolo al capitolo de'cisterciensi; la-
sciandovi memorie insigni di religione e
di virtù prodigiosa. L'arcivescovo rinno-
vò le sue fervide sollecitudini per la con-
versione degli eretici ; ed a questo fine
Carlo Emanuele I fece autorizzare da
Clemente Vili una missione di gesuiti e
cappuccini con ampie facoltà: alla testa
de'secondi vi si pose il prelato, e grande
ne fu il frutto ricavato dagli uni e dagli
altri. Imperversando nel Piemonte orri-
bile pestilenza, e serpeggiando già nelJ'ar-
cidiocesi e vicinanze di Torino,a' 19 agosto
i5q8 l'arcivescovo die avviso a'parrochi
e superiori religiosi della città sul peri-
colo del contagio, caldamente esortando-
li a non abbandonarla, se Dio volesse fla-
gellarla con tal male; e siccome dovea ac-
compagnare la principessa di Fossano, di-
chiarò di esser pronto egli di ritornare a
Torino se vi fosse penetrala la peste, per
soccorrerla nello spirituale e nel tempo-
rale. Ed infatti subito vi si restituì, quan-
do il morbo cominciò a far strage ne'din-
lorni, anche per animare col suo esempio
i sacerdoti, onde tutti gl'infetti fissero soc-
corsi. Interpose quindi pubbliche preghie-
re, massime nel 1 599, per placare l'ira di-
vina, cessando la peste sul cominciar del
1 600, onde il magistrato della città licen-
ziò quello di sanità. Il duca avendo fatto
voto d' erigere un eremo di camaldolesi
sui monti a levante di Torino, l'eseguì, e
rimase fino al principio del secolocorren-
te in cui fu distrutto; ed il consiglio civi-
co ampliò la cappella del Corpus Domini.
Alcuni deputali alla cura degli appestati
ed a nettare le case, con infame congiura
si proposero di far rinnovare la peste in
più parti del Pieuioute e di Savoia, alleila-
TOR 21 ;
ti dalle ruberie fitte in Torino,ove ne tu-
rono giustiziati circa 3o,spezzati sulle ruo-
te nel 1600. Ripigliando l'arcivescovo la
conversione degli eretici,fece comporre un
ultimo catechismo; anche il duca essendo
intento all'impresa di ridurrei sudditi al
l'unica vera credenza, onde togliere così
il fomite sempre acceso delle turbolenze
civili; pei ciò l'arcivescovo tornò nelle valli
di Lnserna co'gesuiti, cappuccini e altri
religiosi, e s'indussero molti allacognizio
ne della verità. Il prelato godeva tanta ve-
nerazione, che quando Carlo Emanuele I
si assentava dalla capitale, i suoi 4 figli)
fra'quali Tommaso da cui ebbe principio
il ramo di Savoia-Carignano oggidì re-
gnante, raccomandava al governodell'ar-
tivescovo, il quale ne assunse cura pater-
na, ed eglino lo ubbidivano come alla per-
sona del proprio padre. Nel 1606 celebrò
il 3.° sinodo diocesano, e lo fece stampare
in italiano, e poi altri 3. Nel 1617 morì l'ec-
celleute pastore santamente come era
vissuto, dopo aver difeso virilmente i di-
ritti di sua chiesa, e meglio assicurale le
rendite della mensa con nuove investitu-
re, avendo sempre solle vatogeuerosamen-
te i poveri. Dopo 2 anni di sede vacante,
nel 1619 da Muriana vi fi traslato Fili-
berto Milliet de'baroni di Faverges di Sa-
voia; il duca per le sue egregie preroga-
tive lo nominò suo consigliere e gran can-
celliere dell'ordine della ss. Annunziata,
e tosto die saggio del suo zelo, fervore e
prudenza. Vietò di soverchiamente trat-
tóre gli ebrei , emanò un editto intorno
all'abito e onestà de'chierici, riprovando
que'laici che vestivano d'abbate; inculcò
l'esalto adempimento de'pii legati, l'osser-
vanza della comunione pasquale, il buon
ordine de'sodalizi, l'astinenza dalle carni
e da'latticini ne'tempi vietati, l'intervento
a'con fessoli alla conferenza de'casi morali
de'gesuiti e de'vicari foranei, e per l'iuse-
guamento della dottrina cristiana compo
se un catechismo. Dotte eiano le sue pu
stoiuti, e faconde le sue prediche; visitò
il suo gregge ne' luoghi più disastrosi e
2i2 TOR
infelli; ne! 1 624 tenne il sinodo e fece im-
primere in italiano, e mentre si propone-
va celebrarne altro, cessò di vivere nel
162^; assai compianto, ebbe tomba nella
chiesa de' ss. Martiri de' gesuiti. Urbano
VI II nel 1 626 promosse a questa sede fr.
Gio. Battista Ferrerò domenicano di Pi-
nerolo, eruditissimo e d'integerrima vita,
proposto dal duca Carlo Emanuele 1 suo
peuitente. Riparò con muro di circuito il
pubblico cimiterio , allora contiguo alla
metropolitana; molte provvidenze die al-
la parrocchia di Castel Delfino, e dopo
un anno e poco più di arcivescovato, mo-
rì nel 1627. Indi successero molteplici e
gravissimi flagelli, non solo nella città e
arcidiocesi di Torino, ma in quasi tutto
il Piemonte, tutte sventure congiunte allo
sterminio della nazione. Una guerra im-
placabile armava i potentati vicini contro
gli stati del duca, ingombri dalle sue trup-
pe e da quelle francesi, spagnuole e im-
periali, che li desolavano pure nella ricer-
ca di viverle per l'estrema carestia langui-
vano le famiglie anche possidenti; sciagure
accompagnate da orribile pestilenza, che
dilatatasi senza alcun ri legno, spopolò cit-
tà e le riempì di solitudine e di lutto, fu-
nesto contagio a cui contribuì il continuo
passaggio de' soldati belligeranti. Il con-
siglio della cillà, oltre altri voti, nel 1629
si obbligò di solennizzare per 5 anni la fe-
sta della ss. Concezione, nella cappella a
essa dedicata in s. Francesco d'Asisi. Ma-
nifestatasi la peste in Torino nel gennaio
1 63o, uscita la corte dalla ciltà a preghie-
ra del consiglio sanitario, spai ite nelle pro-
vinole le magistrature, le famiglie più fa-
collose lasciarono la capitale, e lo slesso tri-
bunale sanitario era rimasto in piccolo nu-
mero, parte decomponenti colpiti dal fa-
tale morbo e parte fuggiti dalpericolo.To-
rino era ridotta un orrido deserto o a cam-
po di battaglia, ove ad ogni passo incon-
travansi cadaveri, infermi e languenti. Di
1 1 ,000 abitanti a cui sommava la popo-
lazione rimasta in città, solo 3, 000 scam-
parono dui morbo. Sciolto il freno della
TOR
pubblica autorità, crebbe la baldanza a'
tristi che giravano nelle case a rubare, es-
sendo al colmo la confusione e il terrore
ne'pacificiene'deboli.Persommo de'mali
slava la chiesa di Torino vedova del suo
pastore, nave senza piloto iti mezzo d'un
mare tempestoso; percosso il gregge, non
avea custode, e le pietre del santuario in
gran parte disperse, non trovavano un ar-
civescovo che le potesse riunire. In tanta
costernazione e miseria,sebbene non man-
cassero del tutto sacerdoti secolari e re-
golari pegli aiuti spirituali, colui che con
instancabile zelo e benché infermo studia-
va riparare a ogni disastro, fu il 1 .° sinda-
co della città Giovanni Bellezia, coadiu-
vato dal protomedico Fiocchetto e dall'av-
vocato Beccaria il solo rimasto del con-
siglio sanitario: questi 3 umanissimi e re-
ligiosissimi gentiluomini fecero prodigi di
carità. In mezzo a tanle cure non tra la-
sciarono di ricorrere alla misericordia di
Dio, e alla protezione della B. Vergine e
de' santi protettori, con voti e supplica-
zioni.Tanti disastrosi mali furono descrit-
ti dal Fiocchetto, Trattato della peste,
ossia contagiane in Torino delV anno
i63o, Torino 1720. Memorie, ri 'guar-
danti alla storia civile del Piemonte del
secolo WII del conte Alessandro Pi-
nelli, Torino 1 83y. Finalmente a'7 gen-
naioi632 Urbano Vili preconizzò arci-
vescovo Antonio Pro vana de'contidi Col-
legno, insigne per onestà e probità, trasla-
to da Du razzo, e già legato della repub-
blica veneta; ma aperto nemico di quel-
la falsa politica, che studia sempre di co-
prire le cose e gli affari con artifizi men-
zogneri, avea maneggiato gli ardui ne-
gozi della Chiesa e del suo principe col-
la prudenza evangelica, la quale tace, par-
la e opera giusta il bisogno, niente desi-
derando pel privato suo interesse, e tut-
to indirizzando al retto adempimento del
proprio officio. Quanto virtuosamente fu
renitente ad accettare la dignità per ub-
bidienza, secondo il volo di tutti, altret-
tanto fu saggia la condotta sua in adoni
TOR
pirne i doveri, come osserva l'Uguelli. Il
suo solenne ingresso in Torino rassere-
nò gli animi afflitti dalle patite peripezie,
tutti esultando per lui d'una santa alle-
grezza: la sua umiltà, il complesso delle
sue splendide virtù, superò la comune e-
spettazione : in 3 cose rifulse il fervidissi-
mo suo zelo, nel promuovere alle parroc-
chie esemplari e dotti pastori di sana dot-
trina, nel distruggere gli errori degli ere-
tici, nel provvedere alle necessità de'po-
veri innumerevoli per le accennate de-
plorabili vicende. Invitò i chierici all'os-
servanza de'sagri canoni e delle sinodali
costituzioni, i secolari all'onestà del pub-
blico costume, e nelle multe a 'colpevoli
procede senza umani riguardi ; chiamò
all'esame morale i sacerdoti, rinnovò l'os-
servanza quaresimale e l' adempimento
del precetto pasquale, e nel 1 633 celebrò
nella metropolitana il sinodo diocesano,
indi impresso colle stampe. Adoperossi a-
lacremente al ravvedimento degli ereti-
ci, secondato da Vittorio Amedeo I, ac-
ciò quella velenosa zizzania non potesse
più dilatarsi nella vigna del Signore; ed
anche dalla corte di Francia implorò ef-
ficaci provvedimenti, pe'diocesani ereti-
ci che allignavano nel territorio france-
se. Con assidue sollecitudini assicurò le
rendite della mensa, rimovendo tutte le
contestazioni. Nella Novalesa introdusse
ìcisterciensi fogliatiti, e in Torino le mo-
nache della Visitazione fondate da S.Fran-
cesco di Sales e da s. Giovanna Francesca
di Chantal, la quale da Annecy come in
trionfo venne in Torino nel i638 a stabi-
lirle, aprendo una scuola di civile e pia
educazione alle damigelle delle più illu-
stri famiglie, protetta e venerata pure dal-
la reggente Cristina di Francia duchessa
di Savoia e dal nunzio pontificio di To-
rino Caffarelli. La santa 7 mesi soggior-
nò in Torino a ben formare il monaste-
ro, ora casa de'signori della missione, il
i.° trapiantato in Italia, e disse alle reli-
giose nel partire: Le Alpi dividono l'I-
talia da Francia, non giù il mio cuore dal
TOR 2 1 3
vostro. E come debbo separare il vostro
dal mio, e dall'unione del rimanente del-
l'ordine? La carità rende eguali i monti
alle pianure, uè altro termine riconosce
che lo stendersi egualmente a.tutti, per-
chè tutti contempla e ama in Dio. Gli ul-
timi anni del governo dell' arcivescovo
Provana furono amareggiati di pena sen-
sibilissima, poiché trovossi al principio
della reggenza di Cristina, in mezzo alle
sofferenze di Torino, perchè armati i co-
gnati contro la duchessa, cioè i fratelli car-
dinal [Maurizio di Sassonia e Tommaso
principe di Carignano,vide la furiosissima
guerra civilee insieme straniera accesa da
essi discordi per la reggenza dello stato,
le sue principali città e provinole divise
di sentimento e di fazioni; i piemontesi, i
diocesani suoi uccidersi a vicenda , tutti
per l'istessa idea di salvar indipendente il
trono della real casa di Savoia, e liberare
il fanciullo Carlo Emanuele II, unica spe-
ranza dello stato, dalla prepotenza nemi-
ca; egli vide per ultimo Torino e la me-
tropoli tana stretta mente assedia tada'frau-
cesi alleati della reggente, mentre il prin-
cipe Tommaso sostenuto dagli spagnuolt
s'impossessava di quasi tutte le piazze, ed
aveasorpresoToriuoa'27 luglio 1639, per
cui la cognata erasi ritirata nella cittadel-
la difesa dal cardinal la Vallette prode ge-
nerale de'francesi. In questo sanguinoso e
desolantissimo duplice assedio de' fran-
cesi di Torino, e degli spagnuoli domina-
tori assediauti della cittadella presidiata
da altri francesi, l'arcivescovo caduto per
affanno gravemente infermo, a'2D luglio
1640 moiì santamente, lasciando esempi
di perfezione e perciò deplorato univer-
salmente. Dopo 4 inesi e mezzo d'assedio,
Torino si rese a'24 settembre a* france-
si, comandati dal conte di Harcourt, che
si obbligarono di tener la città sotto la reg-
genza di Madama Reale ossia Cristina, la
quale tosto da Savoia vi tornò, ed il prin-
cipe Tommaso si ritirò in Ivrea. 1 france-
si entrati in Torino, benché alcun poco la
facessero da padroni, tuttavia fu salva la
a i .4
T O LI
religione , salva la sovranità del minore
Carlo Emanuele II, la reggenza della du-
chessa sua madre, e l'indipendenza delPic-
roonte. Tale appunto fu l'esito del tratta-
to di pacificazione concluso in Torino ai
1 4 giugno 164^(0 a'i4« &5 1 nglio), men-
ile già a'7 in arso (0 nel 164^ secondo U-
ghelli e Bima) il torinese preposto della
metropolitana Giulio Cesare Bergere dei
conti di Cavallerleone e limosiniere della
leggente, era stato elevato a pastore. Il
Tesa uro scrisse: Campeggiamenti del Pie-
monte dcl\6/\o. Torino assediato e non
■occorso. Il Bergera fu prelato di gran-
dissima dottrina e di savissimo consiglio,
«li spirito assai intelligente e di cuore ret-
tissimo; per le quali doti era stato il con-
sigliere del duca defunto , e continuò ad
esserlo della vedova reggente, la quale di-
chiarando nel 1 648 maggiore il figlio.que-
sti abbellì notabilmente la sua capitale To-
rino. L'arcivescovo emanò eccellenti de-
creti, celebrò il sinodo nel 1 647 '"ella me-
I ropolilana, e in essa eresse la prebenda
ilei canonico penitenziere. Intanto la citta-
della di Torino fu evacuata da'francesi nel
i657, e restituita a Carlo Emanuele II,
il quale nel i65g col trattalo de' Pirenei si
consolidò nel trono,e il Piemonte fu sgom-
inato dalle truppe nemiche. A queste con-
solazioni per l'arcivescovo, si aggiunse il
\eder in Torino la fabbrica di nuove chie-
se pel decoro della religione, e sotto il suo
patrocinio nascere e formarsi in Torino
stesso due illustri congregazioni , quella
dell'oratorio di s. Filippo nel 1649, e quel-
la della missione di s. Vincenzo de Paoli
neh 654- Avendo governato con pietà e
saviezza, e grandemente cooperato alla pa-
ce dello stato, terminò il suo vivere nel
1 660, e venne sepolto nella cappella del-
la Natività nella metropolitana, con busto
e iscrizione. Nel 1 662 gli successe il suo vi-
cario generale e canonico della metropo-
litana, già vescovo di Mondovi, consagra-
to da Alessandro VII, Michele Beggiamo
d'una delle l\ famiglie più illustri di Sa vi-
gliano, e governò con gran prudenza, vigi-
TOR
lanzaezclo. Intrapresala visita dell'ai ci-
dioeesi, la percorse per ogni parte, anche
nelle montagne più scoscese e nelle valli
più orride, e fu campo vastissimo per e-
sercitarvi la sua dottrina, carità e fortez-
za d'ani mo,pe'disordini gravissimi che ri-
mosse, e provenuti dall'invasioni e guer-
rede'francesi espagnuoli. Celebrò nel 1670
il 1 ."sinodo, che fu stampalo e riputato il
più completo d'ogni altro. Godè la stima
e la confidenza non meno di Carlo Ema-
nuele li, che della vedova M/ Giovanna
reggente, che Io volle a suo primario mi •
nistro e consigliere, come ne'suoi consigli
l'ammise poi Vittorio Amedeo II. Fioren-
do nella città l'osservanza religiosa, mo-
rì nel 1689 e fu sepolto nella suddetta cap-
pella della Natività, ove i nipoti gli eres-
sero un busto con lapide.
Il duca offrì la vacante mitra arcive-
scovilecon vive ripetute istanze al b. Val-
frè, ma per le sue costanti ripulse, pro-
pose alla s. Sede il torinese Michele An-
tonio Vibò, già da'Papi destinato uditore
della nunziatura di Torino, due volte in-
ternunzio in Francia, amministratore di
Baverina e governatore di Carpentrasso,
carichi con grandi elogi eseguiti, promosso
quindi alla patria sede a' *?. 1 novembre
1690. Col suo maturo giudizio e lunga
sperienza, colla soavità di sue maniere e
insieme fermo per la giustizia, seppe pru-
dentemente condursi in circostanze gelo-
se e difficilissime. Intendo dire delle gravi
discordie insorte tra la s. Sede e Vittorio
Amedeo II, per pretensioni d'immunità
personale e reale, che narrai e deplorai
a Sardegna regno. In mezzo all'acerbo
conflitto, il prelato afflittissimo, non po-
teva muover passo verso d'una parte sen-
za compromettersi nell'altra, né appro-
vare le scritture di Roma senza opporsi
alle molte emanate da' magistrati e senato
di Torino. In queste angustie seppe dare
a Cesare ciò che a Cesare apparteneva, e
dare al Papa ciò elicgli conveniva. Non
essendo inai di falsa politica, esortava il
sovrano a riconciliarsi colla s. Sede, ed a-
TOR
stenevasi dal proferire un giudizio, d'ac-
cordo in tutto col I). Valfrè, il quale pur
amareggiato profondamente per tali rot-
ture, diceva ogni verità al principe con
tal saggia maniera, che non oltendeva mai
la dignità del trono. Perla morte di Carlo
II re di Spagna, di Sardegna e delle due
Sicilie, e sovrano d'altri stati, insorse la
lunga e memorabile guerra per la succes-
sione a quella vastissima monarchia. Vitto-
rio Amedeo li ci vide un'occasione di cre-
scer la propria potenza,e contro le ragioni
della casa d'Austria, si noi di mal cuore a
Francia,dando sua figlia in moglie aFilip-
poVdi Borbone istiluitoerededaldefunto
Carlo II; di conseguenza contro il cugino
principe Eugenio di Savoia contedi Sois-
stms, generalissimo dell'imperatore, col
quale poi fece alleanza con larghe promes-
se di dominii, ma i suoi stati furono espo-
sti al risentimento diFrancia e Spagna, on-
de ricorse a'barbetti o valdesi per essere
sostenuto. Nel i 706 i francesi bloccarono e
strettamente assediarono Torino. Comin-
ciò l'oppugnazione delia città V12 mag-
gio, giorno in cui l'esercito francese con-
dotto da Feuillade e composto di 68 bat-
taglioni e 80 squadroni, con 178 pezzi
d'artiglieria compresi 5o mortai, s'appres-
sò alla distanza d'un miglio dalle mura, e
occupato il circuito quasi intero sulla si-
nistra del Po, aprì la trincera a'2 giugno
e il bombardamento a'9. Né per tuttociò
usci il duca dalla sua capitale sino a' 16,
die condotta iu salvo la reale famiglia a
o
Cuneo, si ri volse con maggior ardore con-
tro gli assediatiti, tribolandoli in ogni mo-
do e procurando incessanti di versioni. Op-
poneva utm resistenza non meno accorta
che prode il presidio di Torino forte di
10,000 uomini e comandato da'valorosi
contedi Thaon e conte Solaio della Mar-
gherita.ed assecondati dalla prode fedeltà
ùVdttadini, die raccolti in 8 battaglioni
di milizia e pieni di fiducia nella prole
zione assiduamente implorata da Dio e
dalie B. Vergine della Consolata, concor-
revano non poco all'eroica difesa. L'ar-
TOR 20
ci vescovo Vibò nel centro di tante angu-
stie, adoperossi ad animare e infiamma-
re il coraggio de'tirnidi co'potenti eccita-
menti della religione, a sollecitare pode-
roso soccorso alla patria, a confortare l'ab-
battimento delle monache, a provveder
di pane, vestimenta e denaro i bisognosi,
con magnanimo zelo e carità senza limiti,
promovendo il divino patrocinio con di-
vote processioni e pubbliche preci, e con
quanto altro viene celebrato dal p. Seme-
ria in uno al clero e al b. Valfrè, dicen-
do della parte eh' ebbe la religione nel-
la segnalata vittoria, che compensò tanti
disagi e penuria, tante vittime che si sa-
grificarono all'amor patrio e per la sal-
vezza degli altri. Persone d'ogni età, sesso
e condizione con unanime sentimento in-
tendevano a'pietosi ullìci verso la patria,
reputandosi a gloria il soffrir per essa. Ol-
tre 3oo donne,i fanciulli orfani dell'ospe-
dale di carità lavoravano anch' essi negli
scavi sotterranei delle mine, dando ezian-
dio la vita volonterosi, per coloro dallecui
pie largizioni erano sostentati. Prosegui-
va l'assedio calzante di Torino per parte
de'francesi, allorquando il duca d'Orleans
loro generalissimo,non avendo potutoim-
pedire la calata iu Lombardia dell'insi-
gne capitano Eugenio di Savoia e dell'e-
sercito imperiale, si ridusse ad accrescere
colle sue forze quelle già radunale sotto
le mura di Torino,che per 5 furiosi assalti
era ridotta agli estremi e poco più. pote-
va sostenersi. Unissi parimenti il principe
Eugenio a Vittorio Amedeo II che lo a-
spettava a Carmagnola con 6000 finti e
1000 di cavalleria. Poi recatisi entrambi
sul monte di Supergaa'2 settembre,e for-
mato colà il piano d'attacco generale, ne
scesero tosto a porloin esecuzione. Avreb-
berodovuto i francesi non aspettare il ne-
mico nelle loro linee, e tale era l'avviso
del duca d'Orleaus,m 1 prevalse quello dd
maresciallo M usiti e fu cagione della to-
tale loro sconfitta, benché fossero 8o,ooo,
perciò in numero superiore più dd doppio
agli alleati che contavano appena 3o,ooo
2.(3 TOR
uomini. Durò la gran battaglia con san-
guinoso accanimento quasi tutto il gior-
node'7. Prodigi di valore illustrarono am-
Lo le palli. Mostravansi primi al periglio
Vittorio Amedeo II,in cui la prodezza era
come un istinto naturale, il grande Eu-
genio, ed i principi di Sassonia e di W ur-
tembergjChe sotto gli ordini di lui capi-
tanavano i tedeschi. Tra'francesi rimase-
ro feriti il duca d'Orleans, e mortalmente
il maresciallo Marsin, che fu poi sepolto
alla Madonna di Campagna. Comprossi
la vittoria con 1800 morti e 25oo feri-
ti, mentre i francesi coperti da'trincera-
tnenti ne perdevano soli 2000; ma sfor-
zale le linee su tulti i punti, la rotta loro
divenne ormai generale, talché ad ore 4
di sera entiò il sovrano col principe Eu-
genio in Torino, smontando alla metro-
politana per rendere grazie a Dio, fra gli
evviva entusiastici dell'esultante popola-
zione. Trofei di questa strepitosa vittoria
furono 200 cannoni, 55 mortai, 80,000
barili di poi vere,20oo cavalli e5ooo mu-
li, tutte le tende e i bagagli de'francesi con
Gooo prigionieri. Frutto immenso ne ven-
ne dopo la ritirata de'fraucesi a Pinero-
lo, e quindi la liberazione del Piemonte,
non chein brevequella del rimanente d'I-
talia. Esclama il can. Audisio, descriven-
do la Reale basilica di Soperga, che co-
me descrissi fu dal duca eretta per voto
inconseguenza di tal glorioso trionfo:» Io
non mi sazierei di contemplare daque-
sto luogo Torino, la città di tanti affan-
ni e di tanto valore, e quella pianura ce-
lebre per sì famose ricordanze, dove ac-
quistaste voi piemontesi diritto sì giusto
alla riconoscenza italiana. Voi salvaste in
quel dì tutta l'Italia: voi pose Dio custo-
di delle sue porte, e per essa armò di va-
lore i petti vostri e le vostre braccia. "
Può vedersi l'interessantissimo Journal
historiaue ehi siége de la ville et de la
cittadelle de Turi ne ri ij o6,mrr le rap-
itori officici des opera lions de V ardile-
rie, par le comic Stilar de la Morgue-
ritc flicutenant general d 'arlilleric yoni'
TOR
mandant celle de la place pendant le
siége, Turin 1 838. L'arcivescovoVibò in-
tese il pesodelle lunghe e sanguinose guer-
re, per esserne derivati l'immoralità de'
costumi, la profanazione delle cose sagre,
l'insegnamento di perverse dottrine per
parte di molti soldati eretici, il diserta-
meuto delle campagne, la dispersione di
molte famiglie, la carestia che inondò la
città di mendichi; l'incominciata visita
dovè sospendere, così il sinodo. Benefico
colla metropolitana, fece costruire un uo-
bile sepolcro nel coro agli arcivescovi, e-
resse un nuovo altar4uiaggiore di finissi-
mo marmo nero, e molte preziose sup-
pellettili sagre donò alla sagrestia. Pieno
di meriti passò a miglior vita nel 1713
a'i3 marzo, e fu sepolto in detta tomba.
Non potè vedere Vittorio Amedeo II as-
sumere solennemente in Torino il titolo
di re di Sicilia in conseguenza della pa-
ce segnata a Utrecht l'i 1 aprile, oltre l'ac-
quisto del Monferrato j quindi costret-
to a cedere la Sicilia, ricevere nel 1 720 la
Sardegna come isola e regno, oude pre-
se il nome di redi Sardegna ,c\\q tutto-
ra portano i suoi successori. Continuan-
do le vertenze del re colla s. Sede, tutta-
volta avendo saputo Clemente XI, che in
Torino e in Alessandria si permetteva a'
soldati eretici il libero esercizio di loro set-
ta,scrisse alla duchessa vedova di Savoia,
perchè talmente si adoprasse col figlio,
che sì empio e pernicioso esercizio fosse
interamente a quelli impedito. Durando
le ricordate scissure, la metropolitana di
Torino restò per lungo tempo vacante,
però retta da dottissimi epiissimi vicari
capitolari sino al 1727. In questo a' 2 1
giugno, o meglio a'25 come leggo nelle
Notizie di Roma, Benedetto XI li preco-
nizzò arci vescovo Francesco Arborio Gat-
linara di Gravellona diocesi di Vigeva-
no, già vescovo d'Alessandria, barnabita
dottissimo ed eloquente, che trovò uel-
l'arcidiocesi più vasto campo per eserci-
tare le sue virtù pastorali; in falli gover-
uò santamente col zelo della scienza e la
TOR
severità della disciplina, adoperando la
soavità delle maniere. Fece con diligenza
la sagra visita, celebrò nel i 729 il sinodo,
fu cancelliere del reale ateneo, prefetto
della regia cappella, preside della congre-
gazione de'sacerdoti di Soperga, ed illu-
minato consigliere in tutti gli affari dello
stato. Avendo il re Vittorio Amedeo li
abdicato la corona al figlio Carlo Ema-
nuele III a'3 settembre iy3o, dipoi per
le suggestioni dell'ambiziosa moglie, pas-
sato un anno, pretendeva rimontare sul
trono, presentandoci a tale effetto di not-
te alle porte di Torino onde riassumere
il comando. 11 figlio di buon grado lo vo-
leva contentare, ma trovò energica op-
posizione nella regina Polissena sua con-
sorte e in più ministri di stato. Combat-
tuto da diversi sentimenti e sollecitato a
decidersi, Carlo Emanuele III chiamò a
se la stessa notte l'arcivescovo, col gran
cancelliere, i ministri di stato e il 1 ."presi-
dente del senato, e li richiese del parere
loro. Per riverenza e timore, niuuo ar-
dì parlare; ma l'arcivescovo francamen-
te con lungo e ragionato discorso, esortò
il re a mantenersi sul trono, perchè cosi
la salute pubblica richiedeva. Il suo pa-
rere fu da tutti applaudito; il re stette fer-
mo contro il proprio cuore, la pace dello
stato non fu punto alterata. Gra»ve argo-
mento che diffusamente il p. Semeria
svolse nella Storia del re Carlo Ema-
nuele III, Torino 1 83 1. Morto l'arcive-
scovo nel 1 743, il capitolo riconoscente a'
suoi meriti, gli edificò un tumulo ue'sot-
terranei,con iscrizione e busto in una delle
pile della metropoli tana, benedetto XI V
nel 1 744 trasferì da Acqui a questa sede
Gio. Battista Bavero de'nobilissimi conti
diPralormo d'Asti, già arcidiacono della
metropolitana; indi ad istanza del re il Pa-
pa lo creò cardinale nel ìj56. Nel pre-
cedente avea celebrato il sinodo, dopo la
visita dell'arcidiocesi. Il suo zelo per f in-
tegrità della fede apparve luminosamen-
te, quando un professore di diritto cano-
nico nell'università insegnò alcune pro-
T OR 217
posizioni erronee intorno alla giurisdizio-
ne ecclesiastica. Subito egli d'accordo col
re vi prese savio e forte provvedimento,
sicché l'errore non potè propagarsi e il
traviato venuto al disinganno abiurò le
sue opinioni; per cui Benedetto XIV si
congratulò grandemente col re e coll'ar-
ci vescovo. Monumento di generosa pie-
tà del cardinale è la facciata della chiesa
di s. Teresa, che inoltre provvide di splen-
didi ornamenti, e morendo nel 1766 vi
lanciò il suo corporsul quale fu posto ma-
gnifico elogio. Vacata la sede due anni,
nel 1 7Ò8 l'occupò Francesco Lucerà R.o-
reugo di Rorà nobile di Campigliene, tras-
lato per proposizione del re da Ivrea da
Clemente XIII. Questo Papa quando Io
vide e nifi in Roma per l'esame di tal se-
de, ne restò così appagato che gli disse:
Monsignore, voi siete bello, voi siete dot-
to, e speriamo che sarete ancor santo. In
fatti le sue amabili sembianze, traspiranti
grazia e maestà, l'ingegno e la virtù ne
formarono il ritratto, essendo pure let-
terato nella sagra e civile erudizione. Tut-
to a tutti, egli fu infaticabile e si rese l'a-
more dell'universale: facendola visita pa-
storale, predicava, esaminava i confesso-
ri e componeva discordie. Nel 1777 proi-
bì le sepolture nelle chiese, ordinò che i
cadaveri de'fedeli venissero tumulali ne'
due nuovi cimiteri della Rocca, ove sono
i minori riformali, e di s. Pietro presso la
Dora, e tolse altri abusi nelle chiese, re-
stituendo alle sagre ceremonie il decoro.
Mentre da Clemente XIV dovea essere
creato cardinale, morì nel 1778 e fu lu-
mulatocon lapide ue'sotterranei della cat-
tedrale. Gli successe nel 1 778 il pio, dot-
to e prudente vescovo di Vercelli, Vitto-
rio Costa d'Arignauo, di nobile e virtuo-
sa famiglia, studioso della storia e dell'a-
mena letteratura, traviatovi da Pio VI a
nomina del re Vittorio Amedeo III, il
quale in Torino fondò l'accademia reale
di scienze, quella di pittura e scultura, co-
struì l'osservatorio della città e ne illu-
minò le vie. L'arcivescovo ad onta di sua
ai8 TOH TOR
gracile complessione, resse la sua nuova pi tanto malvagi. Tutta l'arcidiocesi ri-
chiesa con zelo e ferme/za, e potè fare la dondava di sacerdoti e religiosi forastieri
visita pastorale. Celebrò con gran solen- emigrati, ivi da Francia accorsi per asilo
nità il sinodo diocesano nel i 788, e riuscì e soccorso, ed il prelato do tea invigilarli,
tale clie ne ricevè lode da Pio Vl,il quale non tutti essendo degni del loro cara l te-
in vista di tanti meriti nel 1789 lo creò re; le opere pie e le chiese eranostate spo-
cardinale;dignità che puntonon l'invanì, gliate per aiutare il regio erario, intera-
ma accrebbe le sue pene, perchè gli dava mente esausto dalla guerra e dall'ecces-
più franca autorità di parlare ne'consi- sive imposizioni de'francesi; quasi tutti*
gli del re,ove convenivano de'personag le fortezze del regno erano state demo-
gi di non retta politica. 11 suo parere non lite, e le pochissime superstiti presidiate
fu sempre ascoltato ui que' minacciosi da'francesi, e la cittadella stessa di' Tori -
tempi, e gli affari politici cominciarono a no era da loro occupata, co'più esaltati
declinare in peggio. I francesi ri voluzio- repubblicani, cosicché spogliati d'ogni
nari proclamata la repubblica, usciti dal forza militare, l'autorità regia restringe-
proprio territorio, a veano occupato la Sa- vasi alle cose puramente civili e di poli-
voia e il contado di Nizzu; di che affli»- zia; per somma sventura, lo spirito pub-
gevasi il cardinale, anco per vedere alcu- blico della gioventù, sempre avida di no-
ni,costituiti in luminosi impieghi, rivol- vita, era sedottodallemassime oltramon-
gersi contro il trono e la religione. Il re tane, e non aspettava che il momento fa-
mostrava al cardinale stima ebenevoleu- vorevole per gridare alla libertà, e por-
za, e vacata la carica di gran cancelliere lare la manomessione a tutte le sagre e
gliela conferì, che il porporato alla sua civili istituzioni. In breve, i francesi era-
morte rinunziò, vedendo il regno per de- no divenuti padroni di fatto di Torino e
bolezza del governo e potere degli stra- degli stati di terraferma, intanto che e-
nieri procedere a tristo termine. Sempre stendevano per l'Italia le loro conquiste,
generosocò'poveri,qoaudo infierì la guer- inclusivainente allo stato pontifìcio, int-
ra de'francesi in Piemonte, die all'erario prigionando in Roma Pio VI a' 20 feb-
lutta la copiosa sua suppellettile d'argeu- Inaio 1 798, e deportandolo a Siena e alla
to per sovvenire a bisogni dello stato, e certosa di Firenze. Nello stesso anno il go-
tutta la sua sostanza lasciò al seminario verno francese mandò a Torino il gene-
con istituirlo suo erede. Avvicinandosi il ral Joubert, a far intendere a Carlo E-
suo termine, si fece leggere il trattato di manuele IV, che il suo regno era cessato,
s. Cipriano, De mortalìtate, e pagò il co- forzandolo a' 9 dicembre a sottoscrivere
mune tributo nel 1 796, sepolto nella me- l'abdicazione. Il re impotente a resistere,
tropolitana con semplice iscrizione da lui partì nella notte da Torino e da tutto il
dettata, dopo aver consigliato il re mi- Piemonte, nel massimo cordoglio e iusie-
nacciato nella capitale a pacificarsi co' me nella sua pietà perfettamente rasse-
pi eponderanti francesi comandali da Bo- gnato, colla ven. M.a Clotilde sua consor-
naparte. A richiesta del nuovo re Carlo te, ed i principi reali. Tutta la città restò
Emanuele IV, nel 1797 Pio VI nominò immersa nello squallore e nell'estrema
amministratore e indi effettivo arciveseo- costernazione, e l'arcivescovo penetrato
vo Carlo Buronzo del Signore di Vercel- ci i profondo dolore, presago della vicina
li, già vescovo prima d'Acqui e poi di No- tempesta che stava per piombare sulla re-
vara, d'acutissimo ingegno e dotlo nelle ligione,essendosi recato dal re, questo che
scienze ecclesiastiche. Osserva il p. Seme- avea bisogno di conforto, dovè consolare
ria, che di tutti i pastori della chiesa di e incoraggiare il prelato. Subito i francesi
Torino,niunotrovossi come questi in lem- occuparono militarmente Torino, e si ral-
TOR
legrarono del trovato nell'Inesauribile ar-
senale, come narrai a Sardegna pegno.
Creatosi un governo provvisorio, la di-
gnità ecclesiastica fu avvilita e conculca-
ta : libercoli pieni d'empietà grossolane,
romanzi osceni, fogli ripieni d'impudenti
sarcasmi contro il trono e il sacerdozio i-
nondarono per ogni angolo la città, oltre
quanto iniquamente si declamava nell'a-
dunanze o club patriottici. Dopo circa 5o
giorni dalla partenza del re, già il nuovo
governo della libertà cominciava a infie-
rire contro le comunità religiose, la i. "del-
le quali fu la congregazione della missio-
ne; e questo colpo riuscì sensibile all'ar-
civescovo, sì perchè perdeva un corpo di
fervidi e illuminati cooperatori, sì perchè
presagiva imminente la dissoluzione d'o-
gni altro regolare istituto. Frattanto i fran-
cesi nel 17Q9 presero il prigioniero Pio
VI alla detta certosa per condurlo inFran-
cia pel Piemonte, e per Cbivasso giunse a
Torino a'24 aprile. Narra il Novaes nella
Storia di Pio J I, che transitando la car-
rozza per la città, durò fatica a passare,
per la prodigiosa accorrenza de'buoni to-
rinesi e de'circostanti luoghi, che accla-
mandolo martire della fede, imploraro-
no genuflessi l'apostolica benedizione; e
poi con anacronismo aggiunge, che sa-
putosi da' torinesi il prossimo arrivo del
Papa, essendosi posti in movimento per ri-
ceverlo colla maggior venerazione, i fran-
cesi si allarmarono di qualche sollevazio-
ne popolare, e per involarlo alla molti-
tudine, fecero tardare la partenza da Chi-
vas«o,ed a 3 ore di notte lo fecero entrare
tiella cittadella per la porta del Soccor-
so, ove pel primo si umiliò a' suoi piedi
l'arcivescovo cardinal Costa (già defunto)
e per ben due ore durò il colloquio, ac-
cordandogli il Papa le più estese facoltà.
Il 1° modo narrato sull'ingresso di Pio VI
in Torino è il più. vero, ma l'arcivescovo,
come dirò, poteva essere il Buronzo, che
il p. Semei ia dice che potè a slento pene-
trare nella cittadella a prestargli atto d'os-
sequio, e piangere sulle comuni sventure
TOR 219
ed insieme di tutta la Chiesa, ma non pa-
re che ciò realmente si effettuasse. Prima
di giungere nella cittadella, passando in-
torno alle mura di Torino, ignorando an-
cora il Papa il luogo di sua rilegazione,
affranto dalle vicende, dal male e dall'e-
tà, si lusingava che Torino fosse il termi-
ne del disastroso viaggio,eche gli fosse as-
segnato per soggiorno il palazzo reale. Ma
quando seppe che si voleva consegnarlo
al comandante della cittadella, per trasfe-
rirlo poi ad altro luogo assai più lonta-
no, con rassegnazione esclamò: Sia pur
sempre fatta la volontà di Dio; andiamo
allegramente dove vorranno. I particolari
di questo arrivo meglio e con precisione
li racconta mg.r Baldassari, ch'era nel se-
guito del Papa, nella Relizio'ie delle av-
versità e patimenti di Pio VI. t. \, p. ! o 1
e seg. Riferisce che pur troppo si tardò la
partenza da Cbivasso tra la pioggia, onde
i torinesi che a migliaia erano usciti dalle
o
porte in numero di circa 12,000, per os-
sequiare con fervore il capo supremo del-
la Chiesa, la notte e la dirottissima piog-
gia li costrinse a ritornare a Torino. Oue-
sta generale divozione de' torinesi avea
adombrato il generale Grouchy, coman-
dante militare di tutto il Piemonte, per
cui avea ordinato il ritardo della parten-
za da Chi vasso, onde il Papa potesse giun-
gere nella cittadella a ora inoltrata oc-
cultamente. Per vie campestri a 3 ore di
notte arrivò Pio VI alla porta del Soc-
corso della cittadella. Calati i ponti leva-
toi, nel passare la carrozza pontificia poco
mancò a rovesciarsi, dopo penoso viaggio
in cui si temè della vita del Papa. Entra-
li nella fortezza tra uomini semivestiti con
pippa in bocca e alquante donne sconcia-
mente ammantate, ninno diede segni di
rispetto, e solo si avvicinarono per pro-
fana curiosità. Dopo il penoso uflìcio di
trarre I' augusto infermo dal cocchio e
portarlo di peso a letto, si presentò al Pa-
pa nella sua camera l'uflìziale piemontese
Campana, e con sostenutezza disse a Pio
VI. » Cittadiuo Papa, io mi reputo felice
a2o TOR
di potervi accertare della stima e rispetto
che ha per la vostra persona il general
Groucliy, comandante in Torino. Ancora
m'ha egli ingiunto che v' inviti a rimet-
tervi in viaggio nella prossima mattina
avanti giorno, per andare insino a Gre-
noble, cosi avendo decretato il direttorio
della repubblica francese." Pio VI essen-
do in istato. deplorabile non die segno al-
cuno d' aver inteso così strane esigenze.
Ciò vedendo ilCampana, smontò alquanto
dall'alterigia repubblicana, e fermatosi co'
famigliari ascoltò urbanamente le ragio-
ni per dilazionare la partenza, e disse che
nel seguente giorno avrebbe a tale effetto
accompagnato dal generale mg.r Spina. In
fatti la mattina de's5 aprile questo pre-
lato ottenne dal generale di rimanere il
Papa per quel giorno in indispensabile
quiete e riposo, e quindi circa la seguen-
te mezzanotte partire perSusa,ed entra-
re in Francia. Rigorosamente i famigliari
pontificii doverono restare in fortezza, e
solo si permise al cuoco e a due altri servi
di andare in Torino a fare provvisioni ac-
compagnati da un sergente. Il generale
non permise che ninno si presentasse al
Papa, e ne negò la licenza ostinatamente
allo stesso arcivescovo Buronzo e al cav.
Labrador inviato di Spagna presso il Pa-
pa; anzi aggiunge il Baldassari che noti
lungi da s. Ambrogio vivea solitariamen-
te presso la sua abbazia della Chiusa il
cardinal Gerdil, ch'era ansioso di vedere
il Papa e riverirlo per l'ultima volta, ma
duramente gli fu negato, e ne restò do-
lentissimo Pio VI quando lo seppe. Giun-
ta la mezzanotte e dormendo Pio VI pla-
cidamente, convenne svegliarlo e partire
senza alcun riguardo, e per le mura diTo-
lino s'incamminò al suo destino; quindi
falla refezione a s. Ambrogio, la sera per-
venne a Susa smontandosi all'episcopio,
donde per Oulxsi proseguì il viaggio per
Briancon,e poi morì a Valenza. Poqo do-
po gli austro-russi comandati da Suva-
row, conquistata l'Italia, espulso il nemi-
co invasore, espugnata la cittadella di To>
TOR
rino a'26 maggio, s'impadronirono della
città e insieme della fortezza; ma questo'
trionfo fu lo splendore d'un lampo; im-
perocché a'i4 giugnoi8oo per la famo-
sa battaglia vinta da Bona parte i.° con-
sole, sugli austriaci comandati dal mare-
sciallo Melas, sostenuta per 36 ore nel-
l'estesa pianura di Marengo, villaggio de-
gli stali sardi a una lega d' Alessandria
sulla riva sinistra del Fontanone,sul tam-
buro portò la cessione a'francesi di tutta
l'alta Italia, compreso il Piemonte; e per
memoria ch'era vi perito l' intrepido ge-
neral Desaix, che principalmente contri-
buì al successo della giornata, fu eretta
sul luogo una piccola colonna di granito,
indi abbattuta nel (8i4da'soldati austria-
ci. Ripresa da' francesi Torino la sman-
tellarono, e poi dichiararono la città ca-
poluogo del dipartimento del Po, quando
nel 1802 il Piemonte fu unito alla Fran-
cia e ridotto a provincia francese. Nello
stesso 1800 a'i4 marzo fu eletto in Ve-
nezia Pio VII, e nel luglio si condusse in
Roma, ove si portò a venerarlo l'arcive-
scovo, e ad esporgli importantissimi affa-
ri dell'arcidiocesi. Nel 1802 tutti gl'isti-
tuti religiosi, sia di mendicanti che di pos-
sidenti, di frati e di monache, furono e-
stinli. Da lungo tempo penne brutali seri-
veano essere le sagre vergini vittime for-
zate e pentite de'monasteri ; e la divina
provvidenza fece conoscere palesemente,
che espulse da'loro chiostri, seppero nel
secolo mantenere quella verecondia che
aveano promesso innanzi agli altari. Nel
medesimo anno partì 1' arcivescovo per
Parigi, perchè Bonaparte voleva diminui-
re il numero delle diocesi del Piemonte,
e conformarle a quelle di Francia, a se-
conda del concordato concluso con Pio
VII nel 1801. Pei tanto in Piemonte 8 sole
sedi vescovili vi rimasero con autorità di
bolla pontificia, e sarebbero state ancor
meno se in Parigi l'arcivescovo non si fos-
se perciò adoperato col cardinal Capraia
legato a Intere: meglio ne parlai a Pie-
monte, riportando i vescovadi fatti sulfra-
TOR
ganei della metropolitana di Torino, e le
abbazie soppresse. Divenuto Bona pai te
imperatore de'francesi col nome di Na-
poleone 1, bramò die Pio VII si recasse
a coronarlo in Parigi. Partito il Papa da
Roma nel novembre i8o4> a' l2 da A-
Jessanchia per Asti proseguii! viaggio per
Torino, avendo seco in carrozza i cardi-
nali Fescb eLatierde Bayanne. A* i 5 dal-
la città fu incontralo dall'amministrato-
re generale Menou oMoieau di s. Mery,
e da gran numero di ullìzialità e di trup-
pe. Pei venuto Pio VII a Torino nella not-
te di detto giorno, ivi trovò il cardinal
Cambacères, il senatore d'Abouville e il
gran maestro delle ceremonieSalvatoris,
spediti appositamente dall' imperatore
per complimentarlo e quindi precederlo
a Parigi, ed eransi fermati a Voghera. Si
trattenne H Papa in Torino ili3,nella cui
mattina, dopo celebrata la messa, scopa
e adorò la ss. Sindone portata dal capi-
tolo nel palazzo imperiale già reale, e poi
ammi«e al bacio del piede una quantità
immensa di signori, signore e militati. Nel-
le ore pomeridiane,Pio VII preceduto da-
gli uftiziali maggiori, da' generali e dal-
l'amministratore generale Menou o Mo-
reau di s. Mery, fra una numerosa para-
ta di cavalleria e fanteria, al rimbombo
de'cannoni,al suono de'm ili tari strumen-
ti, in mezzo a'generali applausi, e seguilo
da'cardinali e dalia prelatura, salì sopra
una loggia situata nella piazza del palaz-
zo, ove die solennemente l'apostolica be-
nedizione a immenso popolo, cbe per la
sua divozione e tenerezza verso il Vica-
rio di Gesù Cristo, formava il più com-
movente spettacolo. L'illuminazione e le
feste eseguite con magnificenza e col mi-
glior gusto, resero in detto giorno la città
di Torino sommamente vaga e brillante.
Nella mattina de' 1 4, previa la celebrazio-
ne del s. sagrifizio, partì il Papa per Su-
sa. Tanto ricavo dal n. °rp del Diario di
Roma del i8o4: in quelli poi de'n.'38e
39 del 1 8o5 ne leggo il seguente ritorno.
A'23 aprile Pio VII partito da s. Giovali»
TOR 221
ni di Maurienne pelMoncenisio,ove per-
nottò all'ospizio con parte del seguito, il
resto dormendo a Lanslebourg, recossi
nella mattina seguente a pranzo iuSu-a,
fra gli oroaggi di rispetto e venerazione,
donde passò la sera a Torino. Furono in-
dicibili le acclamazioni colle quali 1' ac-
colse tutto il popolo torinese, che sma-
niando di vederlo e di baciargli i piedi,
stelle sempre afFoliatoal palazzo imperia-
le, ovesi portò ad alloggiare il Papa, tra gli
evviva fragorosi invocandola s. benedizio-
ne, che per due voi te ottenne.La divozione
e la riverenza d'ogni ceto di persone dimo-
strala verso Pio VII in Torino sorpa>«a
ogni immaginazione. Appena vi giunse il
Papa, fu visitato da Napoleone I (che in-
cavasi a Milano per farsi consagrare re
d'Italia), espressamente venuto da Stu-
pinigi, ove nel dì seguente si portò Pio
VII a restituirgli la visita, recandovisi
pure i cardinali, accolli dall'imperatore
e dall'imperatrice Giuseppina colla mas-
sima affabilità. A'27 aprile e alle ore io
il Papa fra le acclamazioni dell'immenso
popolo, con prospera salute si rimise in
viaggio per pernottare in Asti nell'episco-
pio, e proseguire per Alessandria e Vo-
ghera. L'arcivescovo Buronzo in ambe-
due le volte dell'accesso di Pio VII a To-
rino, eseguì quanto si conviene ad un pa-
store col pastore de'pastori. Racconta il
p. Semei ia, cbe alloggiando Napoleone I
nell'aprile 1 80 5 in Slupinigi, l'arcivesco-
vo col suo capitolo essendovisi portalo a
prestargli omaggio, fu ricevuto con mo-
di scortesi, anzi con acerbi rimproveri
d'essere troppo sospetto al governo fran-
cese, essersi sempre dimostrato eccessiva-
mente partigiano della casa di Savoia.
Senza smarrirsi d'animo rispose il prela-
to. » Non può essere delitto il mio anti-
co affetto a're di Sardegna, cbe mi han-
no colmato di benefizi; e l'ingratitudine
non fu mai una virtù: però come io sono
stato allora buon suddito di cbi regnava,
così ora mi fo preciso dovere di ricono-
scere e di ouorare V. M. imperiale, e pie-
222 TOR
starle fin d'ora il giuramento di fedeltà."
No, noi voglio , soggiunse con iracondia
Napoleone I, perchè mi fareste un giura-
mento di restrizione mentale; e se i miei
nemici si avvicinassero al Piemonte, an-
elereste voi ili.°a raggiungerli contro di
ine. In cosi dire gli rivoltò dispettosamen-
te il dorso. Quindi l'arcivescovo, mentre
di ritorno a Torino vi dimorava l'io VII,
si presentò ad usargli ogni atto di religio-
sa venerazione, e poi in privata udienza
lo pregò di consiglio intorno alla rinunzia
dell'arcivescovato. A questa richiesta ilPa-
pa rispose col testo evangelico : Excm-
plam dedi voòis, ut (/ucniad/nodiuiì ego
feri, ita et vos faciatis j le quali parole
egli replicò più volle alle nuove istanze del
prelato. E da qui comprese l'arcivescovo,
che siccome il supremo Gerarca avea dato
1 esempio di grandissime condiscendenze
pel bene dellaChiesa,così l'arcivescovo po-
teva fare ilsagrifizio di sua sede,per evitare
mali maggiori. Così egli fece proti tameti le,
ed a'primi d'ottobre già era eletto il suc-
cessore (dice il p.Semeria, ed ilean. Dima
anticipa la preconizzazione del successore
nel concistoro di Parigi del i.° febbraio
1 8o5: meglio è ritenere quanto apprendo
dalle Notizie di Roma, che la traslazione
d'Acqui a Torino di Della Torre seguì nel
concistoro tenuto inlloma da Pio VII a'26
giugno] 8o5).RitiratosiBuronzoin patria,
visse vita privata nell'esercizio dell'ora-
zione e della lettura, finché pieno di me-
riti e ili anni passò al riposo de'giusti a'
23 ottobre 1806, giorno appunto di sua
nascita. L'avea succeduto, come dissi, Gia-
cinto della Torre de' conti di Luserna e
Valle di Saluzzo, già agostiniano e priore
del convento di Torino, letterato di sto-
ria patria, quindi arcivescovo di Sassari
e poi vescovo d'Acqui, che governò con sa-
piente vigilanza. Diveuuto arcivescovo di
Torino, subito a proprie spese restaurò il
seminario, rinnovò con forma elegante la
biblioteca, fece rifiorire gli studi ecclesia-
stici con nuove cattedre e con incoraggia-
menti pe' giovani d' ingegno e di buona
TO R
volontà, a vantaggio de'quali dispose gè-
nerosi legati. Ricomprò il luogo degli e-
sercizi spirituali ecompitamente restaurò,
acciò si potesse tornarvi a ritiro e raccogli-
mento spirituale. Vegliò perchè non s'in-
segnassero erronee dottrine, allo splen-
dore del culto divino e al pubblico eser-
cizio della religione, onde impedì che al-
cune chiese de' regolari fossero chiuse o
profanate; fu tanto splendido co'poveri,
che negli ultimi 16 mesi di sua vita di-
spensò loro 1 5o,ooo lire.A'7 marzo 1 806
Napoleone 1 imperatore de'francesi e re
d'Italia decretò:i.° Le diocesi componen-
ti il circondario metropolitano dell'ar-
civescovato di Torino, e le diocesi di Ge-
nova, Albenga, Brogliato, Noli, Sarzana,
Savona e Veutimiglia, sono, a datare da
questo giorno, sottoposte' alla medesima
amministrazione che le altre diocesi di
Francia,e nelmodoche sarà regolato qui
appresso. 2.0 Alcuna bolla, breve, rescrit-
to, decreto, ordine, registro, provvedi-
meli lo, né altre scritture della Corte di
Roma, quando ancora non riguardasse-
ro che i particolari, non potranno esse-
re ricevute, pubblicate, stampate, né po-
ste altrimenti in esecuzione, senza la no-
stra autorizzazione speciale. 3.° Verun
concilio metropolitano, vermi sinodo dio-
cesano,veruna assemblea deliberante non
avrà luogo senza la nostra permissione
espressa. 4-° Tutte le parti del ministero
ecclesiastico saranno gratuite, salve le ob-
bligazioni che fossero autorizzate e fissa-
le da'regolamenti. 5.°, 6.° e y.°, trattano
sui ricorsi, ne'casi d'abuso per parte de'
superiori e di altre persone ecclesiastiche,
da farsi al consiglio di slato ed a'prefelti.
8.° Il cullo cattolico sarà esercitato sotto
la direzione degli arcivescovi e vescovi
nelle loro diocesi, e sotto quella de' cu-
rati nelle loro parrocchie. 9. "Qualunque
privilegio che porti esenzione o attribu-
zionedella giurisdizione vescovile, è abo-
lito. io.°Gli arcivescovi cousagreranno e
installeranno i loro suffragatici; in caso
d'impedimento o rifiuto per parte loro,
T O R TO R aa3
«armino suppliti dal vescovo" più antico pubbliche preghiere du ordinarsi dall'ioi-
de I circondario metropolitano, i r.°liivi- peratore, pel quale deverei curati far pre-
gheranno al mantenimento della fede e gare il popolo, dopo la spiegazione del
della disciplina nelle diocesi dipendenti \angelo nelle messe parrocchiali; per la
dalle loro metropolitane. 12.° Conosce- benedizione nuziale da darsi solo a quel-
ranno de'ricorsi e reclami avanzali con- li che avianuo contratto il matrimonio
tro la condotta e le decisioni de'vescovi ava. iti l'officiale civile; per impedire l'e-
sulTraganei. i 3.° 11 prete nominato dal- lezione di cure o succursali, lenza i'au-
l'imperatore a uu vescovato «acaule, non lorizzazione imperiale ; per la eompila-
polrà esercitare alcuna funzione prima zione de' progetti de' vescovi sui regolu-
clie la bolla portante la sua istituzione menti delle offerte pe'ministii del cullo,
canonica abbia ricevuto l'imperiale Re- nell'amministrazione de'sagrainenti,con
gip t'acquatiti-, e che egli abbia presta- approvazione dell'imperatore; per la sau-
to personalmente nelle mani dell' impe- zione da darsi dal ministro de culti a qua-
latore il giuramento prescritto dall' ar- luiique pia fondazione o istituzione reli-
ticolo 6.° della convenzione del 26 mes- giosa; per l'episcopali disposizioni sulla
sidoro, anno q.° ( 1 5 luglio 1 80 1 o Con- conservazione de'lempli, e la distribuzio-
cordato tra il governo francese e Pio ne delle limosine, da solloporsi alla san-
J' II ). Seguono altri 4o articoli, e Napo* zione del ministro de'cuiti. Questo decre-
leone I , facendola ancora in essi da Papa, to siili' amministrazione delle diocesi di
minutamente prescrisse a'vescovi le nor- Torino e di Genova, poi fu esteso a' di-
me, pi incipaloienle : per la nomina de* parlimeuti d'altre diosesi, come a quelli
cui ali e de'v icari generali, da approvarsi di Toscana. Nell'aprile! 808, le valli de'
dall'imperatore e dal suo ministro de'cul- valdesi, cioè di Chisone e del Pelice, che
ti; per la visita diocesana; per l'organiz- ricordano i quadri più graziosi dellaSviz-
zazione de' seminari, da approvarsi da zera, massime ne'luoghi principali di Lu-
detto ministro, a cui doversi ogni onuo sema, la Torre, Angioina e la l'erosa,
spedire il risultato degli studi degli aluu- diesi distinguonoeziandiodalla scene na-
ni; per l'ordinazione degli ecclesiastici, turali e pittoresche del Piemonte; furu-
previa l'età di 25 anni e il possesso del no teatro di spaventevole terremoto, le
patrimonio ecclesiastico, il cui numero cui tracce vi si scorgono ancora. In esse
dover prima approvare l'imperatore; pel valli singolare è il contrapposto delle mi-
giuramento de'curali a'prefetli; per vie- nacciose rupi cogli ameni praticelli e co'
tare agli ecclesiastici stranieri, anche fran- veideggianti pascoli. Intanto Napoleo-
cesi, l'esercizio del sagro ministero, sen- uè I a' 7 febbraio 1808 eresse il gover-
za l'imperiai permissione; per la nomina no di Piemonte e del Genovesato io gran
de'canonici da farsi da'vescovi e da ap- dignità dell'impero francese, e poi ueno-
provarsi dall'imperatore; per le sedi va- minò governatore generale il principe d.
cauti, acciò i capitoli ne diano avviso, co- Camillo Borghese suo cognato, il quale
ine del da loro operato, al ministro de' fissò la sua residenza in Torino. Quindi
culti; per la liturgia e il catechismo, e- l'imperatore s'impossessò de'dominii del-
guali a que'delle diocesi di Frauda; per la s. Sede, detronizzò Pio VII, e prigione
il permesso imperiale sull'erezione delie nel luglio 1809 lo fece trasportare a Gre-
cappelle domestiche e oratorii privati;per noble, dopo essersi cambiati i cavalli della
destinare un posto distinto nelle chiese, carrozza del Papa presso Toi ino e d'aver
per le autorità civili e militari cattoliche; esso pernottato a Ili \ oli; e finalmente sta-
per il suono delle campanella concertar- bili Savona per sua rilegazione. L'arci-
si tra il vescovo e la polizia locale; per le vescovo Della Torre pubblicò diverse o-
2*4 T ° R
melie che furono motivo di scnndnlo a-
gl' indotti, per le lodi date a Napoleone
1, secondochè esprimesi il p. Semeria, che
a difesa del prelato soggiunge. » Ma de-
vesi riflettere, che ne'primi anni del suo
impero non avea Bona parte spiegato quel
carattere violento e prepotente che usò
dappoi verso Pio VII e tutta la Chiesa;
e certamente mg. r Della Torre, anche in
quegli encomi, per verità grandiosi, ehbe
rettitudine di mente, né mai intese al prò*
prio vantaggio, né al privato suo innal-
zamento." Con queste rette intenzioni an-
dò neh8r i a Parigi, ove si tenne quel
concilio detto nazionale, e ne accettò l'uf-
fizio di segretario. Del resto furono incal-
colabili i vantaggi, i quali dalla grazia che
godeva l'arcivescovo presso l'imperatore
derivarono all'arcidiocesi. Volevano i cal-
vinisti e altri eretici erigere in Torino un
tempio pel pubblico esercizio del loro cul-
lo, allegando che Napoleone I prolegge-
va nell'impero ogni religione, motivo per
cui a 'cattolici era stata concessa in Gine-
vra una chiesa, cosa non mai più veduta
dopo Calvino; perciò avere essi ogni di-
ritto d'ottenere simili concessioni. L'ar-
civescovo avendosi pure guadagnato l'a-
nimo del principe Borghese, governatore
generale del Piemonte, e quello del mi-
nistro de' culti in Parigi, dissipò con in-
vincibile fermezza gli scaltri e validissimi
maneggi degli eretici, né poterono mai riu-
scire nell'intento, sebbene alcuni cattolici
li sostenessero! Sinistre impressioni erasi
formato l'imperatore contro il clero di To-
rino, quasi che fosse un segreto suoav-
versario,meritevole d'essere disperso e pu-
nito: rispondeva l'arcivescovo, che si ren-
deva garante di qualunque disordine che
i sacerdoti avessero potuto commettere
contro il governo, e così li salvò da ogni
molestia; potendo ordinarne molli altri,
liberandoli dalla micidiale coscrizione mi-
litare. Moltissimi beni ecclesiastici non e-
ransi ancor venduti, e uomini ingordi ne
provocavano l'alienazione per impadro-
nirsene a vii prezzo. A sì iniqua usurpa-
TOR
zione Tarcivescovo si oppose virilmente
in modo, che al ritorno del re sul trono
degli avi suoi, trovi» beni di chiesa in quan-
tità rilevantissima, quindi potè ripristi-
nare diverse dell'antiche abbazie, conven-
ti, monasteri e capitoli; onde l'arcidiocesi
deve perpetua riconoscenza al prelato.
Mentre disponeva l'effettuazione dell' in-
fausta spedizione inRussia, Napoleone I nel
1812 fece trasportare rapidamente Pio
VII da Savona a Fontaineb'.eau, ove pre-
cipitosamente arrivò a'20 giugno; il Pa-
pa tu vicinanza di Torino, cioè a Stupì-
nigi, trovò per disposizione dell'impera-
tore e con grande suo conforto, mg/ Ber-
tazzoli che restò poi sempre al suo fian-
co. Quindi Napoleone I vedendo declina-
re la sua colossale potenza, nel 18 gof-
fri al Papa la restituzione di buona parte
de'dominii restati alla s. Sede dopo il fa-
moso trattato di Tolentino, ed a tale ef-
fetto lo fece partire da Fontainebleau a'
23 gennaio per Savona , percorrendo il
mezzodì della Francia; laonde non pare
che traversasse Torino, come vuole l'avv.
Caslellanonelladescrizionedi tal città nel
suo Specchio geografico storico-politico,
dicendo che il maestoso ponte del Po ser-
ba la memoria della liberaaione di Pio
VII, chei.° vi pose il piede nel i8i4> ren-
dendosi alla sua sede. Foco dopo P8 aprile
morì l'arcivescovo Della Torre, restando
la sede vacante. Caduto il trono di Na-
poleone I, furono reintegrati*'! sovrani, da
lui deposti, de'Ioro stati; a'g maggio gli
austriaci occuparono Torino, ed a'20 vi
fece il trionfale ingresso il re di Sardegna
Vittorio Emanuele I, che aumentò i suoi
domimi con quello di Genova. Ben presto
Torino e il Piemonte ripresero 1' antico
splendore, la capitale fu ingrandita e ab-
bellita nobilmente. Nel 181 5 evaso Napo-
leone! dalla rilegazioue nell'isola dell'El-
ba in Toscana, e sbarcato in Francia, rias-
sunse la dignità imperiale, e Murat re di
Napoli mostrandosi ostile collo stato pon-
tificio, col proponimento d'occuparlo, ed
insieme col progetto chimerico di cacciar
TOR
dalla Lombardia e dal Piemonte gli au-
slriaci e i subalpini, prudentemente Fio
VII partì per Genova colla corte, giacché
il re ci i Sardegna pel suo ministro mar-
chese di San Saturnino gli avea fallo of-
frile un asilo sicuro ne'suoi stali. 11 car-
dinal Pacca, che fu del numero de' car-
dinali che lo seguì, pubblicò la Relazio-
ne del viaggio, ed in essa riferisce. Che
il Papa saputa la sconfitta di Murai pres-
so Tolentino e perciò evacuate dalle di lui
truppe le sue provincie, e che gli alleati
marciavano contro Napoleone I, pensò di
ritornare a Pioma sollecitamente. ÌNIa ce-
dendo alle pressanti e affettuose istanze
dell'ottimo Vittorio Emanuele I, che a-
vea assistito albi coronazione della B. Ver-
gine da lui fatta in Savona, s'indusse d'an-
dar prima a Torino. Partito da Genova
a' 1 8 maggiojleggo ne'n.1 42 e 43 del Dia-
rio di Roma del 1 8 1 5, che da s. Pier d'A-
rena a Campomarone, tutte le strade e-
rano adacquate, sparse di fiori e adorne
lateralmente di freschi ratnifronzuti,d'a-
razzi e tappeli. A Campomarone scese Pio
^ li da carrozza, e beve la cioccolata nel pa-
lazzo del cav. Balbi, ed il marchese Tapa»
relii d'Azeglio, gentiluomo di camera del
re,uel sovrano nome complimentò il Papa,
e lo pregò da sua parte di non voler abban-
donare i suoi stati senza onorare d' una
visita la capitale del suo regno, e grazio-
samente vi condiscese. Perciò continuò il
■viaggio per Alessandria , accompagnato
per tutta la bocchetta dall'entusiasmo re-
ligioso delle popolazioni vicine; edalla fì-
uedi essa fu ricevutoa Voltaggioed aGa-
\i cou un tripudio ed una venerazione i-
«esprimibili. A mezzodì ilPapa riposò nel-
la magnifica villa LomellinadelconteLo-
mellini.e trattalo da esso a lauto pranzo co'
prelati del seguito. Ivi salutato il cardinal
arcivescovo di Genova, ch'erasi trovato a
riceverlo sino al confine di sua arcidiocesi,
si avviò per Alessandria per proseguir nel
dì seguente il viaggioperlacapitale.il Pa-
pa con quelle festevoli particolarità che de-
scrive il Diario di Roma, giunse u Torino
VOL. LXXVII.
TOR 22}
la notte del 19 precedente al dì 20,ead una
posta di distanza da quella capitale si tro-
vò a Moncalieri lo stesso re, venuto con su-
perbe carrozze incontro al Papa, che en-
trato nella carrozza reale, sedendogli di-
contro il re, proseguì il viaggio in mezzo
a una moltitudine di popolo ivi accorso
da'luoghi circonvicini. Tutta la strada e-
ra illuminata con lampioni sospesi agli al-
beri che l'ornavano. Altra grande illumi-
nazione fece la bella città di Torino, che
può dirsi simmetricamente fabbricata, e
dà in tali circostanze un sorprendente
spettacolo, che non è facile di vedersi al-
trove. Pio VII cou Vittorio Emanuele I
entrarono in Torino con brillante comi-
tiva, al rimbombo de' cannoni, al suono
giulivo di tutte le campane, e fra l'esul-
tanza generale. Vi era per tutta la città
e sulla piazza del palazzo reale grau trup-
pa di cavalleria e di fanteria austriaca e
sarda, che fecero nel passaggio di Pio VII
tutti gli onori militari, aprendo Io spor-
tellodella carrozza il reale priucipe diCa-
riguano poi re Carlo Alberto. Alloggiò il
Papa nel palazzo reale, e vi fu trattato
con regia magnificenza: eransi trovali a ri-
ceverlo i grandi della corona, il senato,
la camera regia de'couti, i decurioni della
città, i membri dell'università degli stu-
di, e tutti gli ordini delio stato. A' 20 il
Papa ricevè dal capitolo metropolitano
la dichiarazione e ritrattazione al vio-
lento indirizzo, che gli fu fatto fare dal
governo francese a'g febbraio 181 1. Si
legge nel t. 2, p. 92 delle Dichiarazioni
e ritrattazione degl'indirizzi, umiliate
a Pio PTI. Dipoi a' 20 giugno il Papa
ricevè la ritrattazione di Carlo Giuseppe
Tardi prete torinese, per avere nel i8i3
accettato da Napoleone I la nomina al ve-
scovato di Vercelli,e dai capitolo l'elezione
in vicario capitolare.ee; documento ripor-
tato a p. 97 (.\e\\eDickiarazioni.?ìe3 gior-
ni chePio VII dimoròinTorinOjVi fu sem-
pre uno straordinario coucorso di persone
distinte per baciargli i piedi e riceverne la
benedizione. In uno di que'giorni si aprila
i5
itati T <> A
custodia che contiene la is. Sindone, e fu e-
sposta alla venerazione de'fedeli. Il giorno
dono fu dal Papa coli' assistenza di vari
vescovi riposta nella I.' custodia, e vi ap-
posero i loro sigilli Pio VII ed il re, co-
me rilevai Dell'indicato articolo. Osserva
il p. Semeria, che nella pubblica esposi-
zione della ss. Sindone, che il Papa svolse
colle sue proprie ruani,assistito da più car-
dinali, vescovi e prelati, e da tutta la reale
famiglia, erano trascorsi 4o anni che i to-
rinesi non avevano veduto il ss. Lenzuo-
lo, e non vi era esempio die ciò fosse av-
venuto per le mani del l'apa; per cui fol-
tissimo fu il concorso della moltitudine in
piazza Castello, e indicibile l'universale
commozione, nel farsi l'esposizione dalle
due opposte logge del castello reale, com-
partendo Pio VII col sagro pegno l'apo-
stolica benedizione. Poiché la ss. Sindone,
custodita nella resi cappella della metro-
politana, con solenne processione erasi tra-
sportata dal palazzo realeall'altro situato
nel mezzo di delta gran piazza. Il Papa
partì a'22 maggio per Modena, Firenze
e Roma. Quivi tornato, in concistoro ce-
lebrò la religiosa e splendida accoglienza
ricevuta da Vittorio Emanuele I, da Ge-
nova e da Torino. Nell'articolo Concor-
dalo Ira Pio VII e Vittorio Emanuele I
i-c di Sardegna, stipulato nel 1817, eb-
be luogo una nuova circoscrizione di dio-
cesi negli stati del Piemonte, di Monfer-
rato e di Genova, promulgata colla bolla
Beali Pel/i, emanata a' 17 luglio,per l'au-
torità della quale alla metropoli di To-
rino furouo assegnate per sulfraganee le
sedi vescovili di Acqui, Asti, Ivrea, fllon-
dovi, Saluzzo, Alla, Cuneo, Possano,
Pineroloe Susa,c\\c lo sono tuttora. In-
di nel 1818 Pio VII die termine alla ve-
dovanza di sua illustre chiesa con collo-
carvi a pastore d. Colombano Ghia verolti,
che nella sua patria Torino era slato, ad
outa di sua virtuosa e lunga resistenza,
consagrato nel precedente anno vescovo
d'Ivrea, dopo di avere per più di 4o anni
professato la vita eremitica camaldolese
T O R
nella valle di Lanzo, potente nelle opere
e nelle parole. Si vide in lui verificato clic
prima di ben comandare bisogna" sapere
ubbidire, e che nel religioso raccoglimen
to ben si formano gli uomini apostolici.
Riuscì un perfettissimo prelato, vigilante,
avveduto, pio, dotto e fermo nelle criti-
che occorrenze, e sempre generoso co' po-
veri. Ebbe delle grandissime afflizioni, e
tutte le sopportò colla calma del giusto
e coll'orazione. Istruì il suo clero e lutto
il suo gregge con frequenti omelie, ripie-
ne ili dottrina e di sagra unzione, che me-
ritarono la slampa neh 835. Trovo an-
che nella Civiltà cattolica, a.* serie, t. 7,
p. 5">3, uno splendido elogio di questo ar-
civescovo, ragionandosi della pubblicazio-
ne d'alcune sue opere,che fanno parte del
la Collezione de' buoni libri che lodevol-
mente da zelatori della cattolica religione
stampansi in Torino; dicendosi ammirare
in esse grande sodezza e vastità di mente,
congiunte a di voto afletto,che non è facile
il ritrovare in tutti gli scrittori cattolici,
tutte olezzanti di spirituale fragranza. Sag-
giamente cogl'illustri e dotti direttori del-
l' encomiata Collezione fa considerare la
Civiltà cattolica, che se la voce d'un ve-
scovo suona sempre autorevole e vene-
randa per le anime cristiane, Iequali in lei
riconoscono l'insegnamento di chi viene
posto dalloSpirito santo al governo della
Chiesa di Dio; quando poi questa voce si
fa sentire dal sepolcro, e ricorda un pa-
store amantissimo, allora pare che acqui-
sti più efficacia e riesca doppiamente pre-
ziosa.
A Sardegna regno rammentai , come
per le mene della Setta de' Carbonari ai
g -marzo 1821 scoppiò la rivoluzione, per
la quale il trono fu rovesciato, discenden-
done dignitosameute ViltorioEmanuele I,
anziché piegare dinanzi l'insurrezione che
tendeva a rovesciare tutte le monarchie
d'Europa,come l'ebbero a deplorabilmen-
te sperimentare anche quelle di Spagna,
Portogallo e Sicilia. Che per la fermez-
za dell'impavido nuovo re Carlo Felice,
T O R
la monarchia sartia fu allora salva, e nar-
rai quanto fu benemerito precipuamente
ti; Torino; e ebe morto a Torino 8*27 a-
pi ile j 83 1 l'ultimo agnato della linea pri-
llila del ramo reale di Savoia, sot-
lentiòa regnare quella de'principiSavoia-
Carignano nella persona del re Cario Al-
berto. Nello stesso anno a'6 agosto lo se-
gui nella tomba l'arcivescovo Chiavarot-
ti, che santamente mori com'era vissuto,
onde il capitolo della metropolitana in
questa, ov'è sepolto, ed in ossequio a'suoi
meriti e benefizi ricevuti, riconoscente e-
resse un busto di marmo con simile iscri-
zione onorevole. Per nomina del re Carlo
Alberto, nel concistoro de' 24 febbraio
l83a Gregorio XVI preconizzò l'odier-
no arcivescovo mg.r Luigi de' marchesi
Fransonidi Genova, già dal Papa con bi e
ve de'6 agosto 1 83 1 dichiarato ammini-
stratore dell'arcidiccesi, e siccome era si-
no dal 1 82 1 consagrato in Roma vescovo
di FossanOjCon indulto apostolico Io con-
tinuò ad amministrare sinoa!i83G. Inol-
tre dal re fu fatto cavaliere e cancelliere
dell'ordine supremo della ss. Annunziata,
poi fu decorato del gran cordone dell'or-
dine de'ss. Maurizio e Lazzaro. Nella sua
proposizione concistoriale si dice, che o-
gni nuovo arcivescovo è tas»ato uè' libri
della camera apostolica in fiorini 586, e
che le rendite della mensa ascendono a
circa3o,ooo librarum illius monetae,rtn-
iiipui pensione gravati. Il p. Semeria de-
dicò a lui la dotta ed elaborata Storia del-
la chiesa metropolitana di Torino (di cui
mi sono grandemente giovato), per rico-
noscere, riunire iu se le gloriose cesta di
tanti suoi predecessori, ed eziandio per a-
verglieue destato l'idea, con aver fallo di-
pingere in una delle sale del palazzo arci-
vescovile la cronologica serie di tulli isuoi
antecessori. Nel suo arcivescovato memo-
rabili sono i solenni festeggiamenti cele-
brati in Torino, e descritti dal benemeri-
to p. Semeria, per la beatificazione del \en.
Sebastiano Valfrè,e pel culto religioso dei
beali Umberto 111, Boatfacie arcivescofO
TO R
di Cantorbcry e Lodovica di Savoia,
mosso dal re Carlo Alberto e approvato
da Papa Gregorio XVI, come uot
voi. LXH, p. 6. A Torseo farò cenno d
quelli splendidamente celebrali a Torino
neli83q e nel i84"2.Ne*più volle ricordi
ti articoli Savoia e Sardegka regjto, a-
■vendo narrato le relazioni fra la s. Sede,
ed i sovrani conli educhi di Savoia, prin
cipi del Piemonte, e de' re di Sardegna,
ed appena in generale accennato le gravi
vertenze ecelesiast.che e politiche inco
minciatc nel 1847 e proseguite sino alia
metà del 1 853, qui a loro schiarimento e
insieme a compimento ne datò uu ulte-
riore e piùdettagliatocenno,eziandiopei
riguardare l'avvenuto al sullodato attua-
le arcivescovo di Torino, alla sua chiesa e
arcidiocesi , potendosene leggete tutta l<,
storia nella Civiltà cattolica, sul fuuesto
contrasto sorto e vieppiù -inasprito iu que
sti ultimi anni Ira il potere civile, e l'au-
torità ecclesiastica e i diritti della religio-
ne: ne fu principale vittima mg.r Fruii-
soni, saldo e intrepido sostenitore delie
leggi della Chiesa e della libertà eccle-
siastica, in armonioso accordo non menu
coll'episeopato piemontese, che con quel-
lo del restante de'regi slati. A'4 maggio
1800 fu portato prigione nella cittadella
di Torino da due uffizioli de'carabiuui.
ed il prelato colla coscienza d'aver adem
pito ad un altissimo dovere di vescovo (ti
cui operato fu approvato e lodato dal Pa
pa, e dall'episcopato subalpino, savoiar-
do, ligure e sardo, unito ne'suoi pi uiupa;,
tranquillamente col solo breviario vi si
condusse. Subitovi fu visitalo dal capito
lo metropolitano e da molli distinti ptr-
sona«"i; dimostrazione d'alletto e di rivt-
reuza che fu continuala da altre Hftustri
persone, finché fu tradotto nel forte di Fe-
uest ielle. Rice ve quindi in oblazione d'am-
mirazione ricchi ornamenti e Suppelletti-
li sagre magnifiche. Queste pubbliche di-
mostrazioni di simpatie falle dj naziona-
li e stranieri, collo spirito degno de' più
bei tempi della Chiesa nel meglio delle hm
228
TOR
persecuzioni, fecero più volte con espan-
sione di all'etto eloquente esclamare al
commosso prelato : Non nobjs Dòmine,
sed Nomini tuo da gloriarli. Esiliato da
Torino e da' regi stali a' 25 settembre
i 85o, sequestrate le rendite della mensa,
passò l'arcivescovo in Francia , si stabilì
in Lione, e neh 854 S1 **ecò 'n Roma ad
assistere alla solenne promulgazione del
decreto dogmatico sull'Immacolato Con-
cepimento di Maria Vergine, cbe celebrai
co'Cenni storici nel voi. LXX1II, p. 49-»
avendoricordatoa p. 37 i, che intervenen-
do alla consagrazione della basilica di s.
Paolo, fu uno de'4 arcivescovi cbe por-
tarono l'urna delle ss. Reliquie, funzioni
maestosamente celebrate dal PapaPio IX.
Con quanto andrò con pena ad accenna-
re, naturalmente potranno nascere mol-
ti gravi , lagrimevoli e morali confronti
fra lo slato presente di Torino e del Pie-
monte, da quello cbe sono andato descri-
vendo nel decorso di questo articolo; dap-
poiché la Civiltà cattolica continuamen-
te deplora la stampa sfrenata di Torino, la
quale città dice divenuta convegno di tut-
ti i fuorusciti e portabandiera della nazio-
nalità italiana, il centro di tulle le mene
rivoluzionarie e di tutte l'eresie religiose,
accettando le primizie de'morinoniti; che
le scuole degli eretici valdesi sono un se-
menzaio d'errori e di pericoli pe'fanciulli
cattolici, dandosi inoltre opera all'erezio-
ne d'un altro tempio valdese, mentre la
propaganda anglicana spese ben 7000 li-
re sterline per quello innalzato in uno dei
più belli quartieri di Torino. Quivi so-
no giornali cbe predicano le dottrine di
Valdo , giornali che sostengono gì' inse-
gnamenti del Talmud, giornali che pro-
pagano i principii della ragione pura, per
non dire di altri. Tulio questo è un nul-
la; meglio è parlare colla veneranda, ve-
ridica e autorevole voce del sommo Pon-
tefice Pio IX. 11 n.° 36 del Giornale di
Roma deli 855, riporta la sua allocuzio-
ne, Probe mciniiicrilis, pronunziala nel
concistoro de'22 gennaio. Rammenta con
TOR
quanto dolore del suo animo nell'augusto
luogo lamentò col sagro collegio i gran-
dissimi mali da' quali la chiesa cattolica
è da vari anni afflitta e straziata nel regno
Subalpino. Di non aver onnnesso zelo,
sollecitudine e longanimità per riparare
a tanti mali; che tulio tornò vano, così
i ripetuti reclami falti dal cardinal Anto-
nelli segretario di stato, non meno che le
premure mostrate da un altro cardinale
plenipotenziario, e le sue private lettere
spedite al re di Sardegna Vittorio Ema-
nuele II. A tutti essere noti i moltissimi
falti e decreti, con che il governo sprez-
zando interamente le solenni convenzio-
ni stabilite colla s. Sede, non dubitò di ves-
sare ogni giorno più i sagri ministri, i ve-
scovi e le comunità religiose, di ledere e
violare l'immunità e libertà della Chiesa,
non chei venerandi suoi diritti, d'usurpar-
ne i beni, di fare ingiurie gravissime al-
la stessa Chiesa, e alla pontificia suprema
autorità ed a quella della s. Sede , pie-
namente disprezzandola. Di recente poi
fu posta in campo altra legge affatto ri-
pugnante allo slesso diritto naturale divi-
no e sociale, sommamente contraria al be-
ne dell'umana società, e in tutto favore-
vole a'perniciosissimi e funestissimi erro-
ri àelSocialismoe Comunì.smo:coì\a qua-
le legge tra le altre cose si propone, che
quasi tutte le famiglie monastiche e reli-
giose d'ambo i sessi, e le chiese collegia-
te e i benefìzi semplicie di padronato ven-
gano del tulio soppressi, ed i loro beni e
redditi siano soggetti ed aflidali all'ammi-
nistrazione e arbitrio della podestà civi-
le. Colla medesima legge proposta si at-
tribuisce eziandio al potere laico l'auto-
rità di prescrivere le condizioni, a cui deb-
bano essere sottoposte le altre religiose co-
munità, che non fossero affatto soppresse.
Penetralo il Papa d'amarezza, ultamente
deplorò il tutto operato in un regno, do-
ve esistono moltissimi egregi cattolici, e
dove principalmente la pietà, la religio-
ne e la divozione de' re verso la cattedra
di s. Pietro e suoi successori , una volta
TOR
fiorivano e passavano in esempio. Le cose
essendo giunte al punto di non bastare di
compiangere i danni recali alla Chiesa,
perciò adempiendo l'apostolico ministero
di nuovo levò alta la voce, riprovando e
condannando tutti e singoli i decreti dal
governo promulgati a detrimento della re-
ligione, della Chiesa e de'diritti e autori-
tà della s. Sede; come anco la legge di re-
cente proposta, ogni cosa dichiarando af-
fatto irrita e nulla. Quindi avvertì gra-
vemente coloro che ordinarono o pubbli-
carono tali decreti, e coloro che alla leg-
ge proposta osassero favorire, a conside-
rar le pene e censure che dalle costitu-
zioni apostoliche e de' sagri canoni, mas-
sime tridentini , furono stabilite contro
gl'invasori e profanatori delle cose sagre,
i violatori della podestà e libertà eccle-
siastica, e contro gli usurpatori de'diritti
della Chiesa e della s. Sede. Perchè poi il
mondo cattolico vegga le pontificie cure
usate per la difesa della Chiesa nel regno
Subalpino, e insieme conosca il modod'a-
gire dal governo seguito, disse il Papa a-
ver ordinato che fosse stampata e distri-
buita a'cardinali una particolare esposi-
zione delle cose fatte. Dichiarò gli arcive-
scovi e vescovi del regno Subalpino som-
mamente lodevoli, i quali corrisponden-
do a'pontificii voti, con singoiar valore e
costanza non cessarono mai colla voce e
cogli scritti d'opporre un argine a difesa
della casa d'Israele, e di valorosamente
propugnar la causa di Dio e di sua Chiesa.
Di più il Papa si congratulò di cuore con
tanti ragguardevoli personaggi laici, che
dimorando nel regno e ben animati dai
sentimenti cattolici e fermamente a lui a-
derenti e alla s. Sede, si gloriarono di di-
fendere in pubblico e apertamente a vo-
ce e in iscritto i sagri diritti della Chiesa.
L'enunciata esposizione,per ordine del Pa-
pa, si stampò con questo titolo: Allocu-
zione della Santità di N. S. Pio PP. IX
al sagro Collegio nel concistoro segreto
de '22 gennaio 1 855 \seguita da un'Expo-
sizione corredata di documenti sulle in-
TOR 229
cessanti cure della stessa Santità sua a
riparo de' gravi inali da cui è afflitta Li
chiesa cattolica nel regno di Sardegna _,
Pioma dalla stamperia della Segreteria dì
stato i855.In breve egualmente fu pubbli-
cata nel detto Giornale e nel seguente, e
della quale, come della posteriore allocu-
zione, riporterò qui appresso il piùprinci-
pale.OrdinòilPapa tale inserzione nel fo-
glio ufficiale, affinchè il mondo cattolico
giudichi sul modo di procedei e della s. Se-
de^ su quello del governo sardo.Incomin-
ciando dall'esposizione, in essa si dice: Che
il Papa Pio IX fin dal 1 847 ebbe a scorgere
l'iniziamento de'gravissimi mali, che ora
travagliano la Chiesa nel regno di Sarde-
gna, e che deplorò colla compendiata allo-
cuzione. L'ebbe a scorgere uella legge sulla
stampa, con che il governo sottrasse alla
preventiva ecclesiastica approvazione i li-
bri provenienti dall'estero, eall'esamedei
vescovi le opere e i giornali da pubblicar-
si. Indi la pubblicazione dello Statuto, che
per intero riprodussi a Sardegna regno,
ove la cattolica religione fu dichiarata la
sola negli stali tordi, non valse a garanti-
rei diritti e prerogati ve tlella Chiesa; dap-
poiché il governo Sabaudo poco dopo or-
dinò il Regio execj uà tur sulle provvisio-
ni di Roma, riferendolo ad usi, che la su-
prema autorità della Chiesa ha sempre
riprovati come abusi, e perciò dichiarati
nulli. Quindi abolì il foro civile e crimi-
nale ue'regi stati a favore degli ecclesia-
stici; e fatta di ciò domanda al Papa, da
questi dopo che fece conoscere come l'ordi-
namento dell'ecclesiastica disciplina e del-
le leggi che la riguardano sia affatto indi-
pendente dalle politiche innovazioni d'u-
no stato, per esamiuare se intorno all'ec-
clesiastiche immunità potevano essere ag-
giunte altre concessioni alle già ampia-
mente concedute in varie epoche da'pre-
decessori, fu destinato a plenipotenziario
il cardinal Antonelli, ed il governo regio
nominò il marchese Domenico di Pareto
e l'ab. Antonio Rosmini; onde il marche-
se presentò uu progetto di concordato, ma
T O R 1 O R
le richieste furono trovate inopportune ed Dessi huono principalmente, te violenze
esagerate dallo stesso ab. Rosmini, pei cui recate sul principio dell 85o all'arci vesco-
ricusò di sostenerle, ed il Papa a toglierò vo di Cagliari per aver creduto di non
qualunque ostacolo propose a base gli arti- cedere all'esigenze della commissione de-
coli dal governo di Toscana (/'.) ricono- potata dal governo a preparare il proget-
«citttt» Ma appena cominciatele conferai- lo d'abolizione delle decime, e per aver
*e,il Papa dovè abbandonare Roma, rueu- pubblicato un monitorio di censura con-
ti e in Piemonte si andavano continuando tro i trasgressori delle leggi canoniche tul-
le violazioni, come la legge ebenon ricono- l'immunità ecclesiastica: furono la ci reo -
:,ce la sorveglianza de' vescovi nell'uni ver- lare degli i i gennaio i85o, con che i ve-
rità e iiellescuolepubblicheeprivate.la ri- scovi dell'isola di Sardegna erano avver-
inola pròf&stonedi fede introdotta daPio liti di sospendere la collazione de'vacanti
IV, il divieto di presentar a'vescovi le te- benefizi; il progetto di legge sul foro ee-
li pe' pubblici esami, 1' espulsione de'ge- clesiastico, sull'immunità ecclesiastica lo-
■niti e delle religiose del sagro Cuore, ei cale e sull'osservanza d'alcuni giorni fe-
loro beni attribuiti al pubblico erario, e stivi, presentato a 7.5 febbraio alla discus-
la minaccia della privazione deW'ejcéqua- sioue della camera legislativa dal conte
traile dispense pontificie sul i.°e 2.° gra- Siccardi, ministro guardasigilli; progetto
do d'affinità, che poi divenne fatto coni- che violava la parola date dal governo sar-
piuto. Dimorando il Papa a Gaeta rice- do di trattare colla s. Sede sull'ccelesiasti-
:■ per inviato straordinario il conte Ce- ca immunità, e che rompeva i trattati e-
;re balbo, il quale non promosse alcun sistemi e fedelmente rispettati dalla s. Se-
y.giuslann'iitOjnè diede ragionedi sperati- de. E desso veniva comunicato al nunzio
/a. A Portici ricevè l'altro inviato straor- apostolico di Torino nel giorno medesimo
dinario conte Siccardi , il quale facendo che fu presentato alla camera, e dopo po-
nhrettauto se ne partì per non aver pò- chi giorni al cardinal Antouelli dall'inca-
«nto ottener la remo/ione dalle loro sedi ricato sardo , dicendosi ad ambedue , il
dell'arcivescovo di Torino e del vescovo ministero essere stato astretto a proporrò
d'Asti, lì Papa dolente che te cose volges- tale legge, onde regolarne la discussione,
oro alla peggio, inviò mg.' Charvaz arci- dall'esito infelice delle trattative ripetuta-
vescovo di Sebaste, e ora di Genova, al mente riprese e sempre invano dal gover-
scgnanteViltorioEmanueleII,perdichia- no sardo; aggiungendosi poiché tuttoeiò
fargli le sue benevole disposizioni verso la non impediva che la s. Sede trattasse col
di lui reale persona e verso i popoli a lui governo del re uu accomodamento, pur-
boggetti, e fargli conoscere i gravi obbli- che le trattative fossero aperte in Torino,
gin dell'apostolico ministero che gli avea- e venisse per immutabile riconosciuta la
no imposto di rigettare le domande fot- decisione già presa dal governo per pura
te d'indurre alla rinunzia i due prelati di necessità. Il Papa a mezzo del nunzio e del
Torinoe d'Asti. Eil re rispose, eheavreb- cardinale protestò contro il progetto di
he protetto i due prelati, proposta alle ca- legge indicato, e fece conoscere come L't-
ntere costituzionali una legge sulla pub- nellicacia della missione degl'inviati sardi
blica istruzione, ove fosse riconosciuto il si dovesse unicamente atlribuirealgover-
diritto proprio de' vescovi, e che in tempo no sardo; e di teli proteste fece spedir co-
piò acconcio avrebbe fatto riprendere le pia a tutti i rappresentatili della s. Seda
interrotte trattative di concordalo. Meiv presso le corti estere. Quando poi quel
tre la reale risposta consolava l'animo poti- progetto approvato dalla camera legista-
tilìcio, i fatti cheav venivano nel regno Sa- ti va con decreto i\c'() aprile i85o ricevea
bando maggiormente lo contristarono, la reale sanzione, il nunzio apostolico ab-
TOR
bandonò Torino; però in Torino è rimasto
il sacerdote d. Benedetto Roberti di Subia-
co.incai -icato officioso della s. Sede: merita
elogio per la prudenza, saggezza e perizia
che mostra nel trattamento di gelosi e gra-
vi affari. Da quel momento ilPapa spesso fu
costretto a muovere lamenti al governo
sardo pe' crescenti e ingiuriosissimi atten-
tati contro la Chiesa: colle due note de'i4
maggio e 26 giugno 1 85o. del cardinal se-
gretario di stalo, reclamò contro le violcn-
7U folte figli arcivescovi di Torino e dì
Cagliari, e nel concistoro de' 20 maggio
i85o deplorò le calamità da cui era tra-
vagliata la Chiesa nel regno di Sardegna.
A tali reclami rispose il governo sardo
colle note de' 1 3 giugno e 24 luglio r 85o,
nella 1. 'delle quali volle entrare in discor-
so sulla natura de'concordali, attribuen-
do a'principi secolari il diritto d'annullarli
senza il consenso della s. Sede, e ciò come
conseguenza della facoltà di mutar gli or-
dini politici ue'loro stati. Questi falsi prin-
cipii vennero confutali dal cardinal segre-
tario di slato con nota de' 1 q luglio 1 85o,
su di che può vedersi il ragionato a Pa-
<:e. Il Giornale di Roma, come officiale
negli atli del governo che pubblica, dovè
in questo mezzo smentii e il ministro guar-
dasigilli per avere asserito alla tribuna
del parlamento , che il governo trattava
colla corte di Roma suil' abolizione del-
l' immunità ecclesiastica. E per calmare
I' indegnazione destatasi nell'animo dei
sudditi sardi pelanti attentali a'dirittidel-
la Chiesa, il governo sardo nella metà d'a-
gosto 1 8 5o spedi a Roma in inviatostraor-
tlinarioilcav. Pier Luigi Pinchi presiden-
te della camera de'depntali; ma la s. Sc-
ile non potè iniziare trattative, perchè il
nuovo inviato persisteva uelie massime
manifestale dal suo governo sulla violabi-
lilà de'concoidati, sulla pretesa necessità
di tener lontano dalla sua sederarciveseo-
vo diTorino,sulla giustizia della leggesan-
ola intorno all' ecclesiastica immunità,
non che sull'equità della condotta (ino a
quel tempo tenuta dal suo governo. La
TOR a3i
corte di Roma solo si recò a dovere di mo-
strare al nuovo inviato ogni riguardo pei -
sonale, e perciò il cardinal Antoneili se-
gretario di stato ebbe con lui varie con-
ferenze. Ma in tempo che facevasi mo-
stra di trattar colla s. Sede mediante il
cav Pinelli, venne esilialoa"24 settembre
1 85o l'arcivescovo di Cagliari, per aver
dichiaralo incorso nelle censure chi avea
sequestrati gli oggetti esistenti nella can
celleria generale, annessa al suo domici-
lio, e veniva dato lo sfratto a'2 5dello sles-
so meseda'regi stati all'arcivescovo di To-
rino, dopo d' essere stato trattenuto pri-
gione anche nel forte di Fenestrelle, ed i
beni della sua mensa furono dati in am-
ministrazione, essendo sequestrati, al re-
gio economo apostolico. Il Papa allora fe-
ce note all'episcopato sardo le ragioni per
cui tornò infruttuosa la missione del cav.
Pinelli, ed a'suoi rappresentanti presso le
corti estere rese manifesta la genuina po-
sizione delle cose: nel concistoro poi del
1 ."novembre i85ogiudicò necessario ren-
dere palese al mondo cattolico la condot-
ta tenuta dal governo sardo dal 1847 fino
a quel giorno colla s. Sede. Tuttociò nul-
la valse ; che il governo sardo non si ri-
stette dal continuare nella falsa via inco-
minciata. Neh 85 1 rifiutò l'offerta annua
del calice d'oro con patena (il che rilevai
ne' voi. LXV1I, p. 32o, LXIX, p. 278),
stabilita fin dal 17-4»; oiìde il Papa fu co-
stretto a fune formale protesta: con re-
g;e patenti de' 16 marzo dello stesso 1 85 1
dichiarava come istituzione puramente
civile l'ordine de'cavalieri de'ss. Mauri-
zio e Lazzaro; e dipoi nuovamente pro-
poneva alle camere, discuteva e sanciva il
progetto d'abolire le decime ecclesiasti-
che nell'isola di Sardegna. Prima però
che questo . approvato con real decreto
de'i5aprile, fosse pubblicato (il che av-
venne a' 1 3 giugno), l'incaricato regio in
Roma marchese Spinola presentava alla
s. Sede un progettodi concordato sullede-
cune, non occultando però nella sua leal-
tà, che ia legge già avea ricevuto la regia
23a TOR
snnzione, e che solo non era ancor pub-
blicata. Presentava i noltre de'fogli confi-
denziali, co'quali richiamava l'attenzione
della s. Sede su taluni bisogni della Chie-
sa negli stali sardi. E mentre aveano luo-
go tali proposte, la circolare de' i 3 mag-
gio 1 85 1 chiamava tutti i vescovi del re-
gno ad obbligare i professori delle facol-
tà teologiche ne'loro seminari a seguire il
testo dell'università centrale, ed a sotto-
porre le stesse scuole teologiche all'ispe-
zione de'delegati governativi: un reni de-
creto de' iZ dello stesso mese imponeva
una tassa del 4 penoo sui beni de'corpi
inorali in compenso de'tributi di successio-
ne e d'insinuazione, da cui sono natural-
mente esenti. Nondimeno il Papa, nel de-
siderio che fosse posto un termine a tan-
ti mali, fece conoscere essere assai dispo-
sto a stabilire un nuovo concordato, e ve-
nuto in Roma l'altro inviato straordina-
rio e ministro plenipotenziario cav. Man-
fredo Bertone di Samby, col mandato di
venir allo scioglimento delle cominciate
trattative, e di comporre le insorte diffe-
renze, destinava a suo ministro plenipo-
tenziario il cardinal Santucci, allora segre-
tario della s. congregazione degli affari ec-
clesiastici straordinari, perchè trattasse,
non ostante che al parlamento torinese il
ministro delle finanze, nel parlare della
missione del nuovo inviato sardo, dichia-
rasse che con essa non veniva disdetta la
politica inaugurata dal ministro Siccardi.
Il plenipotenziario pontificio nella i. "con-
ferenza coli' inviato sardo insistette sulla
necessità, in cui era il governo del re Vit-
torio Emanuele II, di riconoscere l'invio-
labililà de' concordati: e I* inviato sardo
propose un preambolagli articoli da con-
cordarsi, e tale che non potè essere accet-
tato, perchè mancante delle domandate
cautele, e perchè nulla dicea sull'inviola-
bilità cle'concordali, cosa che la s. Sedevo
lea fosse dichiarata. Ma mentre che tali
trattative furono così iniziate, il ministro
sardo della pubblica istruzione con circo-
lare de'2 7 novembrei85i rendeva noto
T 0 R
a'ehierici del regno, che per aver diritto
a 'benefizi era necessario aver frequenta-
to le università dello stato, ove lutti san-
no, che sono professale dottrine condan-
nate dalla s. Sede ; come ancora di aver
conseguito in esse gradi accademici. Nel
gennaio 1 852 la benemerita compagnia di
s. Paolo venne privata dell' amministra-
zione de' suoi beni; fu permessa all' asta
pubblica la vendita d'alcuni beni de'ge-
suiti; in Torino furono aperti templi pel
mito protestante, a C.nnen fu soppressa la
casa de'minori conventuali, a Sassari chiu-
sa la chiesa parrocchiale di s. Caterina, e
negato V exequa tur delle bolle apostoliche
per l'erezione d'una nuova collegiata a Sa-
luzzo. Il Papa poi benignamente condi-
scendendo alle domande fatte, con breve
de' 6 settembre i853 diminuì nel regno
Sabaudo alcune feste. Ma quest'atto e tan-
ti altri , che mostravano da quali senti-
menti fosse maisempre animato il Papa,
non arrestarono il ministero regio dal pro-
porre, come fece, una legge sui matrimo-
ni,di natura ben diversa dalle dichiarazio-
ni che l'inviato sardo atea fatte al pleni-
potenziario pontificio. Il Papa a impedir
che fosse data la regia sanzione a tale leg-
gè, scrisse direttamente al re Vittorio E-
manuele II, dove chiaramente espose la
dottrina della chiesa cattolica su tale ar-
gomento. Dopo lungo spazio di tempo il
governo sardoVispose alle note pontificie
de'28 febbraio e 24 agosto 18 53; e la s.
Sede nell'i nvWe il suo controprogetto a-
gli articoli da concordarsi , accettava la
proposta da lui fatta di due commissioni,
composta ciascuna di tre vescovi da eleg-
gersi dal Papa, e di tre magistrati del re-
gno a scelta del re; una destinata a esa-
minare e riferire il modo di provvedere
al clero dell'isola di Sardegna in mancan-
za delle decime, e l'altra a fare altrettan-
to in Terraferma. E con nota del suo ple-
nipotenziario dichiarò, che nelle cose e-
spresse nel presente preambolo agli arti-
coli da concordarsi inforno alle immuni-
tà, escluse sempre le persone de' vescovi
TOR
dalla giurisdizione criminale laico, non era
diOicile convenire, quando fossero garan-
tite con note diplomatiche. Il governo sar-
do però non rispose a questa nota, e non
attuò le due commissioni : solo continuò
ad accrescere le cliflìcoltà per un accomo-
damento colla s. Sede: presentò al parla-
raento un progetto di legge per un piano
provvisorio di assegni suppletivi alle de-
cime abolite, pel clero dell'isola di Sar-
degna , progetto contro cui, quando nel
marzo 1 85 3 ebbe la real sanzione, prote-
stò il cardinal segretario di stato, perchè
parlava d' assegni fondati su basi all'atto
diverse da quelle indicale nel contropro-
getto del plenipotenziario pontificio. Non
ostante tale protesta e altri reclami, il go-
verno sardo con appositi decreti determi-
nò gli assegni tanto pe' minori chierici,
quanto pe'vescovi, defraudandone affatto
l'arcivescovo di Cagliari, e tutti i canoni-
ci e beneficiati eletti nel principio del 1 85o.
Nel mentre che aveano luogo questi e al-
tri atti contro i diritti della Chiesa, ces-
sarono le attribuzioni dell'inviato straor-
dinario sardo a Roma, e in sua vece vi fu
spellilo l'incaricato d'affari conte Rober-
to Peraudo di Pralormo (poi ministro re-
sidente), senza però essere abilitatoa con-
tinuar le trattative. Il perchè il Papa nel-
la sua allocuzione del concistoro de' i q di-
cembre 1 853, dopo d'aver fatto manifè-
ste con nota del cardinal segretario dista-
to del i.° dicembre, le sue intenzioni sul
part icol are delle tratta ti ve,dichi arò solen-
Demente essere interrotto ogni trattato fra
la s. Seùe e il governo sardo per colpa di
questo. E di più fece spedire dal cardina-
le altra nota di reclamo contro gli atti ,
che nel regno sardo andavano moltipli-
candosi contro la Chiesa. Dopo ciò l'inca-
ricalo sardo a nome del suo governo pi e-
sento una nota, dove lasciati a parte i pun-
ti contemplati in quella de'18 settembre
1802, indicava che si procedesse alla ri-
forma economica del patrimonio tempo-
rale del clero di terraferma, e che intan-
to la s. Sede dichiarale esoneralo il go-
T O R 233
verno sardo dalla prestazione degli asse-
gni, che deve al clero dell'isola di Sarde-
gna e di terrafeima. E il plenipotenziario
pontificio dopo d'aver fallo conoscere al-
l' incaricato sardo lo stato in cui erano ri-
maste le trattative quando parti l'invia-
to straordinario, dichiarò che intorno al-
la riforma economica in discorso la s. Se-
de avea già provveduto accettando la pro-
posta delle due commissioni miste, alle
quali doveano essere affidate l'operazioni
occorrenti per conoscere e riferire tanto
alla medesima s. Scile, quanto al governo
lo stato di tale patrimonio. Ma nel tem-
po che su ciò aspettavasi adequata rispo-
sta, venne pubblicato il progetto di legge
sulla soppressionedegli ordini religiosi,dei
capitoli, delle collegiale, de'benefizi sem-
plici ec. Finalmente il Papa Pio IX, nel
concistoro de'26 luglio 1 855, pronunziò
al sagro collegio la seguente allocuzione,
Cimi saepe in hoc cestro conscssu, la qua-
le si legge in latino e in italiano ne'n.' 1 75
e 176 del Giornale di RomaóeìiS55. Il
Papa richiamandoli lamentato con gran-
de dolore del suo animo nella preceden-
te allocuzione, per le afflizioni della ss. Re-
ligione cattolica nel regno Sabaudo, tor-
nò a deplorare le ferite acerbissime fatte
ad essa posteriormente, a detrimento pu-
re de'diritti della s. Sede, massime la fu-
nestissima e ingiustissima legge sulla sop-
pressione di quasi tutte le comunità mo-
nastiche e religiose de'due sessi, le chiese
collegiate, non che i benefìci semplici e di
padronato, e le rendite e i beni di essi sot-
toposti all'amministrazionee arbitrio del-
la podestà civile; e tultociò ad onta del-
l'ammonizioni paterne fatte a'fautori di
tanti mali, e le ricordate censure e pene
spirituali da incorrersi subitamente, edal-
le giustissime querele mosse dagl'illustri
vescovi del regno. Ma il governo Sabau-
do, non solo non porse orecchio a tali am-
monizioni e querele, e non volse la men-
te e l'animo a più saggi consigli, nèesegui
le promesse fitte a' vescovi reclamanti, ma
ingiurie sempre più gravi facendo alla
?.34 T O II
Chiesa e all'autorità pontificia e della s.
Sede, come ancora disprezzando affatto le
molle pontificie proteste e nuovi avverti-
menti, non paventò d'interamente appro-
vare, sancire e promulgare la ricordata
legge, mutata in parole e in certa appa-
renza, ma nella sostanza, nel fine e nello
spirito all'alio la stessa. Dichiarò quindi il
Papa, essergli gravissimo e molestissimo
il dover declinare dalla mansuetudine, e
di assumere la parte della severità, di cui
il suo animo è alieno. Però in vedendo che
a nulla giovò ogni cura, longanimità e pa-
zienza da lui praticata per più di 6 anni,
nel riparacele rovine della Chiesa, e che
ninna speranza nutrendo dagli autori dei
commessi attentali, i quali anzi aggiungo-
no ingiurie a ingiurie, e fanno di tutto per
opprimere e distruggere interamente nel
regno Sabaudo la chiesa, e la sua autori-
tà e libertà-, non che i suoi diritti, eragli
forza usare contro di essi dell'ecclesiasti-
ca severità, per non mancare al proprio
dovere, seguendo l'esempio di tanti Papi
suoi predecessori, che insigni per santità
e dottrina non dubitarono di punire i fi-
gli della Chiesa degeneri e contumaci, e
gli ostinati violatori e usurpatori de'suoi
diritti, con quelle pene che sono stabilite
da'sagri canoni contro i colpevoli di simi-
li reati. » Ond'è che in questo vostro am-
plissimo consesso nuovamente alziamo
l'apostolica Nostra voce, e ancora ripio-
viamo, condanniamo e dichiariamo affat-
to nulla e irrita tanto l'enunciala legge,
quanto tutti ed i singoli fatti e decreti dal
governo Sabaudo emanati a danno del-
la Religione, della Chiesa, dell'autorità e
d «'diritti Nostri e di questa s. Sede; e dei
quali vi abbiamo dolenti parlato e nella
Nostra allocuzione de'22 gennaio di que-
st'anno e nella presente. Oltre a ciò con
incredibile tristezza dell'anima Nostra sia-
mo costretti a dichiarare, che tutti quei
che nel regno Sabaudo non temettero di
proporre, approvare e sancirei ricordali
decreti e la legge con Irò idi ritti della Chie-
sa e di questa s. Sede : come ancora dei
TOR
medesimi i committenti, i fautori, i con-
sultori, gli aderenti ed esecutori, hanno
incorso la Scomunica maggiore, e le al-
tre censure e pene ecclesiastiche stabilite
da'sagri canoni, dall'apostoliche costitu-
zioni e da'decreti de' concilii generali, in
modo speciale delTridentino(sess. 22,cap.
1 1). Tuttavia, sebbene spinti dall'inevi-
tabile necessità di compiere il Nostro mi-
nistero, usiamo severità, ben sappiamo e
rammentiamo, che Noi quantunque im-
meritevoli teniamo quaggiù in terra le
veci di Colui, che nella sua collera ricor-
da la misericordia.il perchè sollevando lo
sguardo al Signore Iddio nostro non tra-
lasciamo di umilmente e ardentemente
chiedere, perchè si degni colla celeste sua
grazia illuminare e trarre a più saggio
pensamento i figliuoli degeneri di sua s.
Chiesa, di qualunque ordiue,grado e con-
dizione, sì laici che chierici anche insigni-
ti del sagro carattere, de'quali non si pos-
sono deplorare abbastanza i traviamenti;
perchè non vi ha cosa tanto grata al No-
stro cuore , tanto desiderata e gioconda,
quanto la resipiscenza ed il pentimento
de'traviati.Nè tralasciamo in ogni pregine'
ra e supplica con rendimento di grazie di
pregar Colui, ch'è ricco in misericordia,
che non cessi con tutti i copiosi doni di
sua grazia divina di aiutare e consolare
tutti i venerabili Nostri Fratelli, gli arci-
vescovi ed i vescovi del regno Sabaudo,
posti in tante angustie e tribolazioni, per-
chè essi, che tanto hanno fatto a lode del
suo nome, continuino colla loro egregia
episcopale virtù , costanza e prudenza a
valorosamente propugnar la causa della
Religione e della Chiesa, e con ogni cura
vegiiarealla salvezza eincolumitàdel pro-
prio gregge. Ed inoltre umili e fervidi pre-
ci continuamente facciamo al clcmeutis-
simo Iddio delle misericordie, perché col
celeste suo aiuto si degni confortare non
solo il fedele clero di quel regno, che per
la massima parte seguendo gli esempi dei
suoi pastori, egregiamente compie il suo
dovere; ma anche tanti rispettabilissimi
T O K
bici dello stesso regno, che assai ben a-
■itnati da scotimenti cattolici, e affezio-
nati di cuore a Noi e a questa Cattedra
eli Pietro, si gloriano assai di consagrare
1' opera loro alla difesa de' diritti della
Chiesa". Un fatto gravissimo fu -l'arrivo
in Torino <le\Y Allocuzione pontificia, e
del volume de'documenli pubblicati nel-
la Esposizione, intorno a' negoziali del
governo Sabaudo colla s. Sa\e, Subito due
nuove edizioni si fecero dell'importantis-
simo volume, l'una dalla benemerita di-
rezione dt\V Armonia, e l'altra da una ti-
: Lia ministeriale. Ambedue ottenne»
. o u no spaccio straordinario.giacchè è uni-
rci sale il desiderio dì leggere la parola del
.Nomino Pontefice. Nell'infausto 1 855 To-
rino, il regno sardo, il Piemonte precipua-
mente,!^) famiglia reale furono immersi nei
dotare enei lutto, per la rapida e gravissi-
ma perdita di 3 eccelsi reati personaggi
pianti in meno d'un mese. L'annoi 85 5
incominciò in Piemonte con duedis«ra-
zie: la discussione cioè della deplorata leg-
^e contro gii ordini religiosi e la proprie-
tà ecclesiastica; eia morte della regina M."
Teresa vedova di re Carlo Alberto, avve-
nuta a' 12 gennaio, e fu grande sventura:
angelo di carità spandeva quotidianamen-
te sui poveri le sue beneficenze; il lutto fu
universale, come universali furono le be-
nedizioni ;dla virtuosa sua memoria. Col-
pita da vivo cordoglio la puerpera regi-
na M.d Adelaide, che tanto amava la suo-
cera, tostoammalandosijin breve si ridus-
se in pericolo e cessò di vivere a'20 gen-
naio: ottima sposa e madre affettuosa, die
sul trono gli esempi delle più luminose
virtù. Quindi a' 1 o febbraio di lenta infer-
mità scese nella tomba il duca di Genova
Ferdinando M.' di Savoia, unico fratello
del re ebe regna : fu ottimo principe, a-
mrilo e venerato da quanti il conobbero,
e di patria speranze; di voto e riverente al-
la degna madre, la sua perdita ne abbre-
viò i giorni. Questa sene di sciagure fu
una calamità uazionale, alla quale la ca-
pitale e tutto il regno presero vivissima
TOR ca-
parle; e fu pure un'ulteriore solenne di-
mostrazione del paese tanto affezionato
all'augusta casa di Savoia. Nel seguente
estale eadde malato nel castello di Poi-
lenza (tra Bra e Alba lungo la riva destra
del Tanaro; di forme semigotiche fu re-
staurato da Carlo Alberto) il re Vittorio
Emanuele II, quindi con decreto de'27
settembre delegò il principe Eugenio di
Savoia-Carignano a provvedere in suo
nome, sulla relazione de'ministri respon»
sabili.sugli affari correnti e d'urgenza, fir-
mando i reali decreti. Il 1. "decreto sotto-
scritto dal principe di Cartellano fu quel-
lo che ricostituisce l'ordine reale militare
di Savoia, e porta la data de'28 settem-
bre. Come dissi al suo articolo, quale or-
dine equestre, quest'ordine fu creato da
Vittorio Emanuele I, come onorevole ri-
compensa alle segnalate fazioni di guer-
ra. Però, come riferì al re il ministro Du-
rando, rimase illustre, ma sterile testimo-
nio di fede e bravura, sia per effetto del-
la pace, interrotta appena dalla gloriosa,
ma brevissima spedizione di Tripoli; sia
per le condizioni, forse troppo strette, im-
poste al conseguimento delle decorazioni.
Nell'occasione della guerra d'Oriente, che
per la difesa della Turchia arde principal-
mente in Crimea, ed alla quale ha preso
parte il re di Sardegna, il ministro propo-
se a Vittorio Emanuele II di restaurarla
Consta di 4 classi: la i/de'gran croce; l'al-
tra de'commendatori dii.a e 2.a classe; la
3." degli ulliziali; la 4-" de'cavalieri. Il re
ne è capo e gran maestro. Si forma la de-
corazione d'una croce pendente da un na-
stro azzurro tramezzato da una lista ros-
sa. In tempo di pace si concede dopo il pa-
rere d'un consiglio; in tempo di guerra e
in casi straordinari subito dal re. Nello
stesso 1 855, con due reali magistrali de-
creti, l'uno di motu-proprio in data de*
28 novembre, 1' altro sentito il con->i;ilio
de'ministri, in data de' 1 4 dicembre, il re
Vittorio Emanuele II determinò che l'or-
dine de'ss. Maurizio e Lazzaro sia diviso
in 5 classi , come quello militare di Sa-
236 T O R
voia : la f ." di cavalieri di gran croce; la
2/ di commendatoli dii.'' classe (corri-
spondenti al grado di grande ufficiale ne-
gli ordini stranieri); la 3/ di commenda-
tori di 2/ classe; la 4-' di ufìiciali; la 5/
di cavalieri. Il re in pari tempo approvò
le divise de' commendatori dii." classe e
degli nlliziali, e die alcune altre analoghe
disposizioni. Con decreto de'22 marzo, la
s. congregazione deli' Indice proibì l'ope-
ra intitolata: La Chiesa e lo Stato in Pie»
monte. Sposizionc •storico-evitica de' rap-
porti fra. la. s. Sede, e la Corte di Sar-
degna dal\ooo ah 854? Per l'avv. col-
legiate Pier Carlo Doggio ec. Ora i vir-
tuosi e benemeriti della società, i fratelli
delle Scuole, Cristiane comunali di To-
rino, furono licenziati dal municipio, ad
onta delle singolari lodi che per la verità
e per la loro innocenza fu costretto loro
dare, sebbene concludesse che fossero lo-
ro tolte le scuole, il famoso JNepomnceno
Nuylz, professore del regio Ateneo di To-
rino, le cui opere: Juris Ecclesiastici In-
sii/i/tiones: hi Jus Ecclesiasticum uni-
versum Tractalioiies^aii agosto 1 85 r
erano state condannale dal Papa Pio IX
col breve , Ad Aposiolicae Sedis. Così
fu iniziato l'anno i856 in Torino; così
ebbe termine la guerra rotta agli utilis-
simi ed esemplari fratelli delle scuole cri-
stiane dalla parte rivoluzionaria da tan-
to tempo, e più di recente dal famige-
rato Vincenzo Gioberti, nel suo Gesuita
moderno, condannato dalla s. Sede con
decreto de'3o maggio 1849, e Pos^oab
l' Indice de'libri proibiti, come le nomi-
nate opere del Nuytz. Dipoi con decreto
della s. congregazione del s. oflizio, de' i4
gennaio i852, fu ancora proibito e posto
al medesimo Indice: Opera omnia i in*
centii Gioberti quocunique idioma exa-
rata. Gli ottimi fratelli delle scuole cri-
stiane furono in sostanza accusati d'es-
sere troppo morali! e proclivi a sosteue-
releautorità ecclesiastiche! Non parlodel-
le altre calunniose accuse, come trovate
insussistenti daìoro stessi nemici, che anzi
T OR
dovettero confessare nell'esame sì di loro
condotta, sì de'loro allievi, che tutto eravi
d'ammirare e nulla da criticare; e di es-
sere il loro insegnamento e metodi eccel-
lenti. Però si dice, che i buoni torinesi sup-
plicarono il governo, perchè non appro-
vasse il deliberato dal municipio; e che,
quando fallisse questa via, probabilmente
avrà luogo una sottoscrizione, affinchè i
fratelli delle scuole cristiane restino in To-
rino a spese de'privati. Uditami L'allean-
za del regno di Sardegna colla Francia,
Inghilterra e Sublime Porta nella guerra
d'Oriente contro la Russia, ebbe per con-
seguenza che i lidi di Crimea, che ancora
rituonano delle gesta e delle vittorie de'
reali principi di Savoia, e rammentano pu-
re l'intraprendenza e splendore della ma-
rina genovese, hanno riveduto i discen-
denti de* medesimi. Nell'aprile 1 855 le co-
municazioni telegrafiche fra la Crimea ,
Londra e Parigi già erano stabilite. Voglia
Iddio, chesecondoi voti universali, nel so-
lenuecongressocheora si celebra inParigi,
si decreti solida pace sulla questione d'o-
rienterei bene generale d'Europa, i cui ef-
fetti risentiranno Asia e Africa. Il re Vit-
torio Emanuele 11 destinò suoi rappre-
sentanti a tale congresso, il conte Camillo
Benso daCavour presidente del consiglio
de' miniairi e ministro delle finanze, ed il
marchese Salvatore Pes di Villainarina
minitiro residente a Parigi. Del nunzio e
della nunziatura di Torino parlai a Sa-
voia ducato e provincia, ed a Sardegna.
BEGXo.
TORNAQUINCI Pietro, Cardinale.
Nobile di Firenze e secondo alcuni vesco-
vo di quella città, Urbano Va' 18 settem-
bre 1 3(i6 lo creò cardinale prete di s.Mar- 1
cello. Da parecchi scrittori si muove que-
stione sul suo cardinalato, ma l'iscrizio-
ne che leggesi sulla di lui tomba nella cat-
tedrale d'Avignone, lo nomina espressa-
mente cardinale e morto nel 1 383. Si pre-
tese trasferito nella cattedrale di Firenze,
ma non pare. SNe'regislride'cardinali non
trovasi il suo nome, ed il titolo di s. Alar-
IO R
cello al suo tempo fu occupato successi-
vamente da 3 cardinali, laonde resta dub-
biosa la sua dignità.
TORNA W. V. Tarnoma.
TORNEO, Decursio, Ludicra, Pu-
gna, Torneamentum, Turniamentum.
Combattimento militare solenne e ma-
gnifico, fìnto o reale, denominato pure
Toniiamento e TorneameiUo. Il torneo
fìnto è un esercizio cavalleresco, esegui-
to con pompa in occasione di grandi fe-
steggiamenti di Sposalizi o altri lieti av-
venimenti. Il torneo leale nel Medio evo
era un combattimento sìa di disfida. die
per far mostra di forza, destrezza e va-
lore, ed acquistare onore, nel quale lor-
ueamenlo l'uno feriva l'altro, ed a morte
senonsi cbiamava vinto. Il torneo fu dello
aacheGiuoeo(Pr.) o giostra equestre, seb-
bene avverte il Dizionario della lingua
italiana, dicesi propriamente Giostra,
l'armeggiar con lancia a cavallo, e hasti-
ludium quando l'uà Cavaliere {?•) cor-
re contro l'altro cnll'asle bloccate col fer-
ro di tre punle, dove non si cerca villo-
ria, se uon dello scavallare, e in questo è
differente dal lorneamento, dove si com-
batte a fine di morie, il quale torneo fu
ripetutamente e rigorosamente proibito
dalla Chiesa, ebe negò la sepoltura eccle-
siastica a coloro ebe vi morivano; per-
cbè come dissi parlando del concilio di
Reims, ci correa rischio la vila del corpo
e dell'anima, come in simili Spettacoli
(f*.)tv\Q Duellici .). Definisce il De Bue
il torneo, una lesta militale d'allegrezza
pubblica, ebe da vasi Dette occasioni di vit-
toria, di pace, di nozze e d'arrivo di qual-
che principe, ed a prova di destrezza e di
valore vi si esercitavano i cavalieri com-
battendo sì a cavallo che a piedi. 11 prin-
cipe ebe bandiva e apriva il torneo, co-
stumava spedire un Re d'armi o araldo,
cou salvacondotto e una spaila a'princi-
pie- cavalieri. Aggiunge il De Bue, quanto
ull'etimologia di 7 o/v/ro.che la derivano
alcuni dal nostro tornare, perchè ne'lor-
BCJ fitcef&Oii scou. bande e giri volle, tor-
T O R a37
nando sempre ad un punto, donde ripi-
gliavansi le mosse, o perchè il duellante
più. volte vi tornava all' affronto ringag-
giando la zulfa, impaziente di veder sleso
a terra il nemico e riportarne vittoria, o
come alili vogliono dal greco strumen-
to, con cui girando si lavora alcuna cosa
in tondo. Di più. il Casanova osserva, ebe
Ira le giostre e i tornei eravi questa dif-
ferenza : nelle prime combattevasi tesla
per lesta; ne'secondi schiera per isebiera.
Lo stesso Casanova, il Meuagio e il Du-
chat vogliono derivato il Torneo da tour-
ner. nella barbara latinità tornare, tor-
neameli tian.f ei che quelle corse facevan-
si tornando e ritornando. La voce di tor-
neamentum trovasi in questo significato
nell'opere di s. Bernardo, e loiwnoyemenL
per tournoi o torneo in alcuni antichi
scrittori francesi. ((Muratori, nella Disser.
2g.': Degli spettacoli e giuochi pub/diri
de' secoli di mezzo, conviene che i pub-
blici giuochi, quelle fìnte battaglie, che
tornei o tornea menti e giostre tuttavia si
chiamano in Italia, trae origine la paro-
la tornea mento da tournerje che Ottone
di Frisinga nomina i tornei, l\roeinium
quod vulgo nunc Tumiamentum dici-
tura ollaire ne Saggi sui costumi e spi-
rito delle nazioni, dice che alcuni pre-
tendono che sia dalla cillà di Tours che
i tornei trassero il nome, giacché non si
muoveva in giro in questi giuochi, come
nelle corse de'carri presso i greci e i ro-
mani negli anfiteatri (de'quali, de'gladia-
lori ede'giuochi, come del pugilato o ar-
matura delle mani, riparlai a Teatro, de-
scrivendo pure gli anfiteatri e quanto in
essi facevasi): è però assai più probabile,
clie il vocabolodi torneo venisse da\ìa Spa-
da (/ .) rivoltata, ensis tomeaticus.cusi
nominala nella bassa latinità,, perchè era
una spada senza punta, uon essendo per-
messo in que'giuochi di colpire con altra
punta se non con quella delle lande. Le
armi che ordinariamente usatami erano
bastoni o canne, laucie senza ferro o cou
ferro smussalo, spade lenza tagliente, che
238 TOH TOH
ìiomiiiavansi per siffatta ragione cortesi questo giuoco solamente si esercitavano
o graziose: qualche volta nondimeno a* i fanciulli, e por anco i provetti, ma cui
doperavansi lande con asta affilala, seti- capo coperto d'elmo e non scoperto e co
ri ed ogni sorta d'armi di battaglia. Vi so- ronato. In seguito tali giuochi si fa ce a
no molli musei e collezioni d'armi anti- no a piedi e diceansi Torncamcìiti, e si
che di varie foggie, altresì usate ne' tur- eseguirono in occasione di qualche lieto
nei, ed alcuni li ricordai a' luoghi ove avvenimento, come di vittoria, di sposa -
sono, o parlando delle armerie, come a litio, per l'esaltazione o venuta d'un pi in-
ToiuNOjOve dissi dell'armeria reale, e ri- cipe, il che si è praticalo anche a'nostri
cordando molte delle armi auliche. Nel- giorni,come poi narreròdegli odierni tor-
1' 870 i figli di Lodovico I il Pio segna- nei. Nel medio evo erano in grande uso
laronola loro riconciliazione con una so- i tornei, particolarmente in Italia, mas-
lcune giostra, the chiamossi in appresso simea Milano, Pavia, Siena, Modena, No-
torneo, perchè dice lo storico Nilardo, ex vara, Ravenna, Napoli, ed a Venezia, ove
utr/taue parte alter in alterimi Pelaci facevansi giuochi anche ginnastici; i qua
eursu rutbant. L'origine de'lornei è as- li tornei con calore e fanatismo cavalle-
sai antica, e variano su ciò l'opinioni de- l'esco si celebrarono a tulio il secolo XV,
gli scrittori. La più ricevuta ècheaves- e nel seguente cessarono nell'universale,
sero principio in Germania, da dove col- e solo di quando in (piando si celebralo
l'uso dell'armi pervennero in Italia, in no, ed anche in Roma, quale esercizio ca
Francia e in Inghilterra. Pare che i no- valleresco spettacoloso di piacere. Ma sic-
slri tornei somiglino all'antichissimo Lu- oome negli antichi tornei il piìi delle voi-
dus Trojae, ch'era una giostra o disfida te avveniva, Che i giuocatori e colluttau-
a cavallo, in cui la nobile gioventù ama- ti incaloriti andavano incontro a funeste
va esercitarsi j avendovi anche parte in conseguenze, anche della vita; ad evitare
quel mezzo, rappresentanze di allaccili tali gravi inconvenienti, la vigile Chiesa
guerreschi, d'assedi o simili. Trasporta- nella sua sollecita maternità prese enei-
to l'uso da Troia nel Lazio da Enea, ne gici e sani provvedimenti, sentenziando
fece Virgilio la descrizione v\t\\' Eneide, che coloro i quali restassero uccisi in tali
11 Verniiglioli, Lezioni di diritto eano- concertale colluttazioni resterebbero pri-
nico,\tz. 1 3,Dc 'loriicanienli,e]\ce che nel vi della L^no/fwraecclesiasticajlulla volta
proprio senso è un finto combattimento nella suabenignilàlaChiesadisposeanco-
con aste per esercizio cavalleresco, da' ra, che se i soccombenti pentiti prima di
fiancesi chiamalo Tonrnoi, che significa morire d'essersi esposti a perdetela vita,
girare jt\\ces\ anche jTorwo.Riferisce che avessero ricevuti i sagramene dell'Elica-
aulicamente tornei nppcllavansi i giuo- ristia e dell'estrema unzione,cou dispensa
chi equestri, che si facevano coi l'armi o potevano seppellirsi in chiesa o altro luo*
colla colluttazione; si eseguirono tali giuo- go sagro. Clemente V neh3i 1 nel con-
cili equestri da Ascanio figlio d'Enea tro- cilio generale di Vienna solennemente
iano e dagli albani. Tali giuochi passa- proibì di nuovo e con più di rigore i tor-
1*0 no a'romani e da essi pervennero a noi, liei sotto pena di Scomunica e Interdct-
e si dissero giuochi troiani (onde giostra to riservato al Papa, pena che estese an-
in latino dicesi pure Trojae ludu.s),esi co a' cooperatori. Ma siccome ciò seu>-
celebravano nel circo (egualmente de'cir- brava piuttosto recar danno che utilità,
chi di Roma riparlai a Teait.o, insieme durando ancora le Crociate contro gl'in
allo spettacolo Lndus Trojae, e con quau- fedeli, perchè impediti i cavalieri d'istruir
to allro vi si faceva), tanto da' puberi si con tali esercizi guerreschi, si asteneva
maggiori che minori. Presso i troiani a no dall' arrotarsi Ira' ' Croccsignati ueilc
E 0 R
milizie cristiane, così l'immediato succes-
sore Gio vanni XXII revocò le anteceden-
ti censure,specialmen le pel regno diFran-
cia e alili stali, assolvendo dalle censure
quelli che leaveano incorse. Però in ogni
tempo, prima e dopo di Clemente V, i
Papi e i sinodi si occuparono d'impedi-
re i tornei, i quali benché folli per giuo-
co, quasi sempre venivano macchiali di
sangue; ed inoltre condannarono alle sles-
se pene tanto i combattenli,quantoi supe-
riori che non gì' impedivano e non prui-
bivano i duelli, gli spettatori che appo-
sita mente reca va usi ad assidervi, ed in
isptcie i cooperatori. Anche i principi se-
colari fino da' primi secoli della Chiesa
condannarono o proscrissero i combatti-
menti de'gladiatori, come riportai ne'luo-
ghi ricordati, e simili torneamenti, mas-
sime gl'imperatori Costantino I e Ono-
rio. Il citato Muratori dice che quando
Teodorico re de'goti entiò in Roma die
al popolo un congiario, cioè 120,000
moggia di grano, e che gran cura si pre-
se de'giuochi circensi, per dar piacere al
popolo assuefallo a somiglianti spettaco-
li, tuttoché egli punto non li approvasse.
Il re Tecdorico, affinchè i soldati e la gio-
ventù non si avvezzassero all'ozio, istilli!
alcuni finii combattimene, co'quali si te-
neva in esercizio la loro bravura, e si da-
va al popolo un gustoso spettacolo. Al-
lettatilo ti puòcongellurare, che un pa-
ri studio non mancasse a' longobardi o
fianchi, allorché poi regnarono in Ita-
lia ; non semplici giuochi, ma finte bat-
taglie; e in falli souo note le pugne, le
zulfe e le battagliole in cui si esercitaro-
no posteriormenle gì' italiani , per ren-
dersi più utili ed esperti nelle vere, co-
me i pavesi, i ravennati tra' quali spes-
so divennero spettacoli funesti e crudeli
fuori delle porte della città nelle feste. Ri-
provò anche s. Agostino le micidiali pugne
che in Africa si facevano co'sassi. Nondi-
meno e ad onta di si saggie leggi, sotto
altri aspetti e nomi conlinuarousi diver-
si crudeli giuochi e pugne, per cui Papa
T O U »3g
Innocenzo II nel 1 1 3 1 e nel 1 i3g con-
dannò i tornei ne'concilii di Reiins e di
La terano II generale,e con essi tutti quan-
ti i giuochi che si facevano per ostenta'
zione di valore e di forza ; proibizioni e
pene che venendo trascurale, richiama-
rono ad esalta osservanza Eugenio HI nel
concilio di Reiuis nel 1 148, e Alessandro
III nel couedio generale di Latermio III
nel 11 79. In queste proibizioni non ù
compresero i giuochi e corse di Cavalli,
la Caccia e altri che non sono vietati,
meno che ne'giorni festivi o a'chierici. I
giuochi de'cavalli non sono vietati né a'
laici, né a'chierici, purché non vi sia pe-
ricolo di ferite, di morte o d'infamia per
la torpedine de'ginocatori, come dichia-
rò i! concilio in Trullo; e sebbene non
vietali, però non ponno farsi ne' luoghi
sagri e religiosi, come stabilì Celestino III
nelf epist. ad Episcopos Aiigliac. Era
inoltre vietato da'sagri canoni e dalle pon-
tificie costituzioni i giuochi delle uau-
machie(dellequali tomaia pailareaTeR-
me e Tevere), delle bestie e de'gladia-
tori, perchè in questi si spargeva il san-
gue, si annegavano gli uomini, e il più
delle volte alcuni morivano; ed eziandio
proibirono que'giuochi descritti da Giu-
stiniano I: in pure proibita la caccia del
bove, divieto rinnovalo da s. Pio V nel
1 H>-, da Gregorio XIII nel 1 37 5, da Si-
sto V nel 1 585 , da Clemente Vili nel
1 jc) j. Ancheil Muratori riporta i divieti
della Chiesa eia proibizione di tutti i tor-
nei, da 'quali polea provenire la morte de-
gli uomini, e indarno i sagri canoni si op-
posero a lai costume, che essendosi pro-
fondamente radicato non si potè sradica-
re del tutto. Poiché egli dice, quello che
facevano una volta i soldati romani in
tempo di pace, fu un abbozzo de'giuo-
chi militari continuali a tempo di Teo-
dorico e ne'successivi; i quali si faceva-
no da schiere di cavalieri armali, che for-
mavano vari giri co'loro cavalli, e si fe-
rivano con lancie e spade spuntate e ot-
tuse. Tuttavia anco con armi aguzze, e
24o T O R
a guisa in certa maniera ili nemici, si fe-
cero tali giuochi, cosicché non finivano
quasi mai senza I' intreccio della morte
ili qualche nobile, giacché solamente ila'
nohili si facevano. L'opera importante ili
ile la Gueriuière e intitolata, Il perfetto
cavaliere, Milano 1825, tratta nel cap.
22: De tornei, delle giostre, de 'carosel-
lij Corse delle Teste e degli /Incili. Per
le debite distinzioni, vado a riportarne
uneslralto;perònon intendo che riporta-
re le opinioni del dotto autore, per quelle
divergenti rimettendomi agli articoli ove
ne scrissi. In tutti i tempi vi sono stati
degli esercizi per rendere gli uomini for-
ti e agili, e per maulenere in essi l'incli-
nazione guerriera. 1 romani ne aveano
di più specie, come la corsa, la lotta, i
combattimenti d'uomo contr'uomo con
differenti armi ; quelli degli uomini col-
le belve, e le corse de' cavalli nel circo.
Mediante la corsa eglino acquistavano la
velocilà. La lotta accresceva la loro for-
za. 1 combattimenti d'uomo conlr' uomo
insegnavano a maneggiar con destrezza
le armi. Ne'combattimenti tra uomini e
belve, oltre la forza richiedevasi grande
previdenza, onde attaccar gli animali nel-
la parte più. debole. Per tal «nodosi av-
vezzavano a non paventar alcun perico-
lo, ma la barbarie di tali esercizi indus-
se Costantino I ad abolirli. A'giuochi del
circo s'imparava a guidar carri tirali da
2, da 4j da 6 e anche da 8 cavalli di fron-
te, in maniera però che potessero volta-
le attorno all'estremità senza urlarsi, e
sempre colla slessa rapidità. Alle corse in
seguito si aggiunsero delle azioni milita-
ri, e questi esercizi veneudo considerati
come una scuola di guerra, formarono
l'occupazione de'priucipi e della nobiltà
che bramavano rendersi destri; cosi eb-
bero principio i tornei, le giostre, i ca-
roselli, le corse delle teste e dell'anello.
1 tornei secondo alcuni autori (ciò che al-
tri anticipano come dirò) inventali da
Manuele Comneno del 1 1 4-3 (come no-
tai, già erano siali vietati, anzi rimarcai
TOR
nel voi. LXVI, p. 67, che l'imperatore
Enrico I V Uccellatore li avea istituiti a
Gottinga nelc)34,echeGolhedo dePreuil-
fì gl'introdusse in Francia circa il 1 o36 :
qui però aggiungo, che lo storico Nitar-
do parla de'giuochi d'armi eseguili ver-
so l'842 per piacevole iulcrienimento di
Carlo il Calvo e di Luigi il Germanico.
L'impero greco non adollò che in epoca
assai larda l'uso de' tornei, poiché tutti
i costumi dell'occidente erano disprezza-
ti da'greci; essi sdegnavano le insegue e
la scienza araldica che sembrava loro ri-
dicola. Alcuni credono che soltanto nel
i326 certi giovani savoiardi dierono a
Costantinopoli lo spettacolo d'un torneo
in occasione del matrimonio del giovane
imperatore Andronico 111 con una prin-
cipessa di Savoia, di che poi dirò altre
parole), imperatore di Costantinopoli, da
principio non erano che semplici corse di
cavalli, mescolandosi gli uni cogli altri,
voltando e rivoltando da' differenti lati,
e da ciò ebbero il nome di Tornei. Vi
s'introdussero in seguito alcuni bastoni
che lanciavano gli uni agli altri, copren-
dosi co'loro scudi. Questo giuoco era a
un dipresso quello di Troia passato quìa*
di alla gioventù romana. I turchi, i per-
siani e alcune altre nazioni orientali lo
praticano ancora. I mori furono destris-
simi ne'tornei. Eglino introdussero le ci-
fre, le figure dell' impresa, le livree, di
cui adornarono i loro combattenti, e le
gualdrappe de'loro cavalli. Eglino vi fe-
cero pure un'infinità di misteriose appli-
cazioni di colori, assegnando il nero al-
la tristezza, il verde alla speranza, il bian-
co alla purità, il rosso alla crudeltà; ed
in questo modo indicavano i loro pensie-
ri e i loro divisamente E siccome genti-
lissimi, alla fine de'loro tornei divertiva-
no col ballo (del quale riparlai a Teatro)
le dame destinate a premiare i cavalie-
ri. Le altre nazioni vi fecero dell'aggiun-
te. 1 goti e gli alemanni posero sopra i
loro elmi de'dragoni alati,delle arpie, del-
le lesle di leone e altre cose simili per di-
TOR
venire vieppiù fieri e terribili; e successi-
vamente de' pennacchi, de'mazzi di piu-
me sopra alle berrette, doude nomaron-
si cimieri, che in oggi solo si usano negli
Stemmi (/*.) gentilizi. Noterò che Romo-
lo die alla milizia romana per insegna un
manipolo o fascio d'erba o di fieno collo-
cato sopra un'asta. Col crescere della po-
tenza romana furono adottate per insegne
le aquile, il drago, il minotauro, il caval-
lo e altri animali. Altra insegna fu la ma-
no aperta e alzata, simbolo o immagine
della giustizia; ovvero per significato di
unità figurata da quella delle dita, indi-
spensabile alla milizia. Anzi alcuni nar-
rano che arringando i duci l'esercito, i sol-
dati in segno di convenire alle sue parole
alzavano la destra; per cui non manca chi
crede, che l'odierno saluto militare de'sol-
dati co' loro superiori , alzando la mano
destra al lato destro del capo, e tutta a-
perta con dita unite, rammenti l'antica
usanza, non meno che l'unità e l'ubbidien-
za. Altre romane insegne furono le coro-
ne d'alloro;le tavolette, anche clipeate, con
medaglioni esprimenti alcun nume o l'im-
magine degl'imperatori; e quelle altre che
descrissi a'Iuoghi loro, e che dierono ori-
gine alla Bandiera , allo Stendardo, al
Ilo (F.), ed eziandio alle insegne
cavalleresche usate ne' tornei, i combat-
tenti ornando i loro elmi colle figure di
animali spaventevoli , per dimostrare la
loro fierezza , ed imporre a' nemici nei
torneamene. I francesi indossavano in
essi la cotta d* armi, arnese portato dai
gran signori e da' cavalieri sopra la lo-
ro corazza. Nell'origine gli stemmi al-
tro non indicavano che gli scudi e l'inse-
gne di distinzione introdotte da'eavalieri
francesi e alemanni ne'loro tornei e nel-
le loro feste a cavallo. Essi passarono poi
nelle famiglie come un segno di uobiltà
ed onore. Eurico 1 l' l eccitatore impera-
tore, introdusse in Germania nel secolo
X l'uso de'tornei per esercitare e destare
l'emulazione nella uobiltà. Questi esercizi,
continuali sino al fiue del secolo XV; cad-
voi. LXXVII.
TOR 241
dero poi ad essa in disprezzo,che in genera-
le preferì la mollezza a ogni altra nobile oc-
cupazione, e furono tolti di mezzo. Le gio-
stre erano corse nello steccato, accompa-
"natedaassalti edacombattimenti di lau-
o
ce, e così noma vausi perchè si combatte-
va da vicino. Questa parola è tratta dal
latino jiLXta pugnare. Due cavalieri ar-
mati di tutto punto partivano di carriera
l'un contro l'altro lungo uno steccato che
li racchiudeva, e riscontrandosi nel mez-
zo di esso investivansi colle loro lance sì
fortemente, che alcuni venivano scaval-
lati e sovente gettati al suolo, ed altri at-
terrati col loro cavallo. L'uso delle gio-
stre e de' combattimenti nello steccato
principiò in Francia molto prima di quel-
lo dei caroselli. I principi, i signori e i
gentiluomini visi presentavano senza ri-
guardo al loro grado ; ma essendo di-
poi tali combattimenti riusciti funesti ad
Enrico II re di Francia (pel narrato
nel voi. XXVI I, p. 1 4> poiché a vendo per-
duto un occhio per un colpo di lancia,
morì della ferita a' :o luglio 1009), se
ne abolì l'uso, ritenendo quello dei ca-
roselli, ove le corse delle teste e dell' a-
nello fanno scorgere seuza verun perico-
lo la scienza e la destrezza del cavaliere.
Il carosello è una festa militare o un'im-
magine viva di combattimento, eseguito
da una moltitudine di cavalieri divisi in
più quadriglie destiuate a far delle corse,
dopo di che souo premiati i vincitori. Que-
sto spettacolo dev'essere abbellito da car-
ri, da macchine, da decorazioni, da divi-
se, da recitativi, da coucerti e da balli di
cavalli, la cui varietà forma un magnifi-
co colpo d'occhio. Come tali feste sono de-
stinate all'istruzione de' principi e delle
persone illustri per le quali si fauno, o ad
onorare il loro merito, il soggetto dev'es-
sere iugegnoso, militare e convenevole ai
tempi, a'Iuoghi e alle persone. In un vero
carosellopiù. cose voglionsi considerare. 1 .°
11 maestro di campo e i suoi aiutanti. i.°
1 cavalieri che compongono ciascuna qua-
driglia. 3.° I loro cartelli di disfida, i no-
16
i^i TOR
lui, gli abiti, le divise, le armi, le macchi-
ne, i loro poggi, gli schiavi, i fanti, gli staf-
fieri, i cavalli, gli ornamenti. 4- Le per-
sone addette a' recitativi edalle macchi-
ne, ed i musici. 5.° Le varie corse esegui-
te da'cavalieri e pe'quali dannosi i premi.
II maestro di campo conduce tutta la pom-
pa, regola la marcia, fa sfilare le quadri-
glie e i loro equipaggi, introduce nell'ai'-
ringo e Degli steccati, colloca a'posti loro
i cavalieri, e finalmente indica il luogo del-
le macchine. Gli aiutanti di campo servo-
no il loro maestro in queste funzioni , e
non agiscono che dietro i suoi ordini, por-
tando com'egli de'bastoni di comando. 11
numero delle quadriglie per un vero ca-
rosello è 4> ed,d maggiore 12. Esse devo-
no essere tulle di numero pari , onde le
parti riescano eguali fra loro per combat-
tere e per fare le doppie corse. Il nume-
ro de'cavalieri di cui è composta ogni qua-
driglia, ordinariamente è 4> qualche vol-
ta 6, 8, io oi 2, non compreso però il ca-
po, ch'è la persona più. ragguardevole, a
meno che i cavalieri non sieno di condi-
zione eguale, imperocché allora cavasi a
sorte chi deve aver il comando per ischi-
vare le contese. Ne'celebri caroselli per lo
più ne sono capi i principi. Havvi due sor-
te di quadriglie; quelle detenenti e quel-
le degli assalitori: la quadriglia de'primi
è la più considerabile. I tenenti sono quel-
li che aprono il carosello e fanno le pri-
medisfìde mediante cartelli pubblicati dai
campioni araldi. Diconsi tenenti perchè
avanzano certe proposizioni impegnan-
dosi di sostenerle colle armi alla mano
contro chiunque opponente: eglino com-
pongono le prime quadriglie. Gli assalito-
ri so'no quelli che offronsi a sostenere il
contrario colleloro rispostealle disfide ed
a'cartellide'tenenli : essi compongono le
avversarie quadriglie. Il cartello di disfi-
da si la a nome del capo della quadriglia,
ed a questa egli dà le sue li vree.l cartelli or-
dinariamente contengono 5 cose. Il nome
e l'indirizzo di quelli che li tenenti man-
dano a sfidare. Il motiva che hanno i le-
T O R
nenti di combattere contro quelli che pro-
vocano. Alcune altre proposizioni ch'egli-
no colle armi vogliono sostenere contro
tutti quelli che vi si opporranno. Il luo-
goe la maniera del combattimento.il no-
me de'tenenti che mandano la disfida o
il cartello; i quali nomi sono cavali o dal-
la storia o dalla favola. Questi cartelli poti-
no essere in prosa o in versi; e come le
cause di tali provocamene sono la brama
d'acquistar gloria e di farsi conoscere, so-
glionsi estendere con qualche millanteria.
I principi sono eccettuali dalle disfide e
da'carlelli che dannosi agli altri. Siccome
i soggetti de'caroselli sono storici, favolo-
si ed emblematici, i tenenti e gli assalitori
ordinariamente vi assumono de'n orni con-
forme al soggetto da loro rappresentato:
quelli per esempio che fingono qualche
illustre romano prendono il nome di Giu-
lio Cesare, d'Augusto ec. Scelgonsi anche
nomi di romanzi, cornei cavalieri del gi-
glio, del sole, della rosa ec. Qualche volta
sono di pura invenzione comeFiorimondo,
Lisandro ec. I nomi devono rispondere al-
le divise de'cavalieri, e la quadriglia de-,
ve pure così appellarsi. Gli abiti, le livree,
le armi, le macchine, gli schiavi, i cartel-
li devono essere uniformi. I paggi ordina-
riamente sono a cavallo, e portano le lan-
ce e le divise. I fanti e gli staffieri condu-
cono i cavalli a mano e tengonsi vicini al-
le macchine. Sono essi mascherati da tur-
chi, da mori, da schiavi, da selvaggi, da
armeni, da scimmie, da orsi, secondo il
soggetto e la volontà del capo della qua-
driglia. I recitativi, la musica e la mag-
gior parte delle macchine destinate alla
pompa del carosello, sono invenzioni de-
gl'italiani,! quali in tutte le cose hanno ri-
cercato il fine dell'applicazione, e sempre
riportarono la palma in questo genere. I
musici vi eseguiscono concerti di voce e di
strumenti, e l'armonia propria di queste
feste è di due sorte, militare 1' una, cioè
fiera e guerriera; dolce e piacevole l'al-
tra. Lai. "è alla testa di ciascuna quadri-
glia per animare i cavalieri, per aunnn-
TOU
dar la venuta o l'entrata loro nella car-
riera clie tlicesi comparsa, e le loro corse;
l'altra nonserveche aYecitativi, alle mac-
chine e alla pompa. Per l'armonia guer-
riera impieganti trombe, tamburi, timbai-
li, chiarine e pifferi. Per quella che ac-
compagna i carri e le macchine si ha ri-
corso a' violini, flauti, cornamuse, chiari-
ne ec. Al suono di tutti questi strumenti
si tonno anche delle danze e de' balli di
cavalli, il che dicesi fare la fola, termine di
carosello di cui poi dirò. Tultociò che si è
detto fin qui non riguarda che la pompa
e l'apparecchio d'un carosello, ma la cosa
principale consiste nelle corse per le qua-
li si danno i premi, e dove un cavalie-
re mostra la sua destrezza in tali esercizi.
Le più considerabili corse de' tempi pas-
sati consistevano nel rompere delle lance
nello steccato gli uni contro gli altri, nel
rompere contro la quintina, nel combat-
tere a cavallo colla spada alla mano, nel
cogliere le teste e l'anello, e uel far la fo-
la,cioè quando tutti i giostranti in un tem-
po si affrontano, e quando dietro al moro
o saraceno l'uno corre dietro all'altro sen-
z'alcun ordine. Parlando delle giostre dis-
si in qual maniera rompevansi le lance
nello steccato; ma dopo l'invenzione del-
l'armi da fuoco, che fecero abbandonar
l'uso quasi d'ogni altra nell'armate, si co-
minciò a lasciare questo pericolosissimo
esercizio. Rompevansi pure delle lance
controia quintina: è questa una corsa an-
tichissima, di cui fu inventore certo Quin-
to, destinando un tronco d'albero o una
colonna per rompervi contro la lancia,on-
de accostumarsi ad investire il nemico con
colpi misurali. Tale corsa poi si nominò
pure il facchino, e in allora correva*'! con-
tro uno di tal professione armato di tutto
punto; ma il più delle volte vi si suppli-
va con una figura di legno in forma d'uo-
mo, piantata sopra un perno affinchè fos-
se mobile. Questa figura avea la partico-
larità d'essere fatta in modo da rimane-
re ferma quando colpitasi nella fronte, fra
gli occhi e sul naso (erano questi i colpi
TOIi 243
migliori); e quando offende vasi alti
girava s'i veloce, che v! cavaliere, se non
era assai destro per iscansarla, ne ripoi -
tava un forte colpo della mano armati
d'una sciabola di legno, sulla schiena. Nel
combattimento colla spada alla mano, i
cavalieri disponevausi nell'arringo tra lo
sleccato e il palco de' principi , 4° passi
lontano l'uno dall'altro, ed ivi armati di
tutto punto e colla spada alla mano at-
tendevano il suono delie trombe per par-
tire; abbassando in seguito la mano del
la briglia e alzando il bi accio della spada
andavano con violenza l'uno contro l'al-
tro, ed in passando davansi un colpo di
fendente sopra la faccia, piegando un po-
co dal lato sinistro; e nel luogo medesimo
onderà partilo l'avversario, facevasi una
mezza voltata e riparti vasi nella slessa gui-
sa per 3 volte. Dopo il 3.°as>altoinvecedi
passar oltre per andare a riprendere un'
altra mezza voltata, piegatasi dall'una
all'altra banda soprale voltale di una pe-
sta rioi petto l'un l'altro, dandosi di con-
tinuo de' colpi di taglio con un'azione
pronta, e si proseguiva così sino alla 3."
voltata; ritornavano poscia d'onde erano
partiti, facendo sembiante di andare a ri-
prendere un'altra mezza v oliata, ma nello
stesso istante due uuovi cavalieri reca va n-
si al posto medesimo e ripetevano il già
fatto. Il coulestabile di Moutmorency si
rese celeberrimo iu quest'esercizio, e dice
la Guerinière che sarebbe desiderabile di
usarsi ancora, essendo un vero maneggio
di guerra, da cui potrebbesi apprendere
il modo di servirsi della spada e della pi-
stola; tanto più che desso non è affatto pe-
ricoloso, potendo darsi al di sopra della te-
sta, per opposizione, tanto i colpi di spa-
da come que'di pistola, sparandola colla
bocca della canna in alto. Di tutte le cor-
se in uso anticamente ne'toruei e ne'ca-
roselli, nelle moderne accademie o<«cuo-
ledi cavalleria non rimangono che lecor-
se della testa e dell'anello, e della fola,
che può leggersi nell'cncomiata opera. Gli
alemanni usarono l' esercizio della corsa
244 T ° R
delle teste prima de'francesi: le guerre da
loro sostenute contro i turchi vi dierono
occasione, esercitandosi in allora a colpi-
re delle figure con teste di turchi o di
mori,contro cui gettavano il dardo e spa-
ravano la pistola, altre ne infilzavano
colla punta della spada. Nella corsa delle
teste adoprasi la lancia, il dardo, la spa-
da e la pistola. La corsa poi dell'anello,
pendente dalla cima d'un hastone, non si
usava presso gli antichi, e fu introdotta
quando per cortesia e compiacenza si pre-
posero le dame al giudizio di tali cimenti,
ed allora alle finte teste di cartone si so-
stituirono gli anelli, che faceva d'uopo di
portar via colla punta della lancia per ot-
tenere il premio. I premi, tanto per le te-
ste come per l'anello, non riportansi che
dopo 3 corse. Dicesi fare la fola, in termi-
ne di carosello, quando più cavalieri fan-
no a un tratto eseguire a un certo numero
di cavalli differenti figure. Questo maneg-
gio è una specie di ballo di cavalli accom-
pagnalo dal suono di molti strumenti; es-
so venne immaginato dagl'italiani, i qua-
li abbellirono i loro caroselli con una in-
finità di galanti invenzioni, rendendo tale
spettacolo non meno sorprendente che di-
lettevole. Per eseguire questo maneggio
occorrono cavalli ben ammaestrati, ed a-
gili non meno che mollo abili e destri ca-
valieri, a motivo della difficoltà nel con-
servare la giusta proporzione del terreno,
e nel mantenere il cavallo in egual por-
tamento e cadenza. I narrali e altri eser-
cizi di cavalleria, furono istituiti per dare
un'idea piacevole e istruttiva della guer-
ra, e per mantenere l'emulazione nella
nobiltà. Essi erano assai in uso iu Italia
verso la fine del secolo XVI. Roma e Na-
poli vantavano le più celebri accademie,
dove si recavano a perfezionarsi le altre
nazioni; e nella pratica di tali cose, che for-
mavano allora i divertimenti de'principi
e della nobiltà, procurava ognuno di di-
stinguersi onde poter servire il suo prin-
cipe con onore, ed acquistare virtù e ta-
lenti inseparabili da tulli quelli che pro-
TOR
fessano le armi. Al sunnominato de Preul-
lì si attribuisce la compilazione delle leggi
da osservarsi ne'tornei, e fors'anche egli
immaginò negli eserzizi e nelle evoluzio-
ni di essi alcune novità che vi aggiunse-
ro perfezionamento, il che contribuì pres-
soalcuno a farlo riguardare quasi l'inven-
tore di questi giuochi militari. Andrea Fa-
vi n ci diede: // Teatro d'onore e di ca-
valleria, la storia cioè degli ordini mi-
litari, quella delle armi e blasonile gio-
stre e tornei) Parigi 1620. Vincenzo Au-
ria, La Giostra discorso istorico, Paler-
mo 1690. Giulio Ferrano, Storia ed a-
nalisi degli antichi romanzi di cavalle-
ria, e. de'' poemi romanzeschi d' Italia,con,
dissertazione sull'origine, sugli istitutiJ
sulle ceremonie de cavalieri, sulle corti
d'amore, sui tornei, sulle giostre e ar-
mature de paladini ,sulV invenzione e sul-
l'uso degli stemmi, con figure tratte dai
monumenti d'arte.
Il medio evo fu un periodo e un'età d'e-
roismo, di battaglie e di cavalleria; per-
ciò le città usavano con giuochi e feste,
che si celebravano varie volte all'anno,
educare i cittadini allo studio delle armi,
massime colle giostre e co'tornei, imma-
gini di combattimenti. A Milano, nel Bro-
glio e a s. Maria del Circolo, gli uomini
e i giovanetti convenivano a fare varie-
sercizi di lotta; a Pavia tutte le feste si di-
videvano i giovani in due schiere,secondo
le varie porte che abitavano, e venivano
ad una fìnta battaglia. A Siena si pugna-
va a sassi ed a pertiche; così a Modena,
a Novara, in R.omagna, a Ravenna, ove
il giuoco nel 1 1 go ebbe tragico fine ; a Ve-
nezia poi le pugne e gli esercizi ginnastici
erano sull'acqua, sebbene se ne tenessero
entro l'anno parecchi di forza in terra. Per
tal modo usata la nazione,era facile l'am-
bizioso desiderio ne'più prodi di far mo-
stra altrui del proprio valore, e anche ne'
capi de'municipii il pensiero di bandire
pubblici giuochi e più solenni, a cui conve-
nissero campioni d'ogni parte,eper porre i
propri a generosa prova, e per acquistare
TOP».
rinomanza di forti. Infatti di tali feste so-
vento se ne legge la ricordanza presso gli
annalisti italiani; uè di rado accadeva che
seguissero disfide fra due città a provaie
quali più valessero de'loro figli, come se-
gui neh 1 58, che i cremonesi chiamaro-
no al paragone delle armi i piacentini: ne
venne certo al tercuiue la gara senza che
si spargesse di molto sangue, e vari vi per-
dessero la vita. Ma nulla meglio valeva a
conseguire simili lodi che i tornei, e mol-
tissimi se ne bandirono per l'Italia e spe-
cialmente nel regno di Xapoli e Sicilia,
ove ne durò a lungo l'usanza. Nel domi-
nio degli Hohenstaufen della casa di Sve-
via, avendo in quel regnola nobiltà molto
conto, e questa esseudo assai destra nel-
l'arrneggiare, si tennero di continuo molti
e ragguardevoli lorneamenli, principal-
mente dall'imperatore Federico II, e da'
suoi naturali Enzo e Manfredi. Né pel suc-
cedere della dinastia francese degli Angioi-
ni in quel regno, né perchè vi accadesse-
ro più tardi fiere turbolenze, cambiò af-
fatto costume, e si rimasero gli animi da
que' clamorosi spettacoli: ma assai se ne
dilettava Carlo I d' Angiò , che fu imo
de'più valenti nel maneggiare le armi, e
si vuole che ne rinnovasse e migliorasse
le leggi; questo principe, come rilevai nel
voi. LXVIII, p. 24T, uel creare i cava-
lieri nella cattedrale di Napoli alla pre-
senza della regina, da questa e da 7 dami-
gelle faceva loro cingere la spada al fian-
co, dopo aver fatto loro giurare che difen-
derebbero anco le dame sì vedove che ma-
ritate. Narra il Muratori,che mentre Car-
lo I era conledi Provenza, incredibili era-
no gli spettacoli e toroeamenti che dava
con gran piacete del suo popolo e de'no-
bili francesi che da tutte le parti vi ac-
correvano per far pompa di prodezza. 11
fratello s. Luigi IX re di Francia mal ve-
dendo questi gran movimenti d'animi e
d'armi, contribuì alla spedizione e con-
quisto diSicilia. Noudimeno Carlo 1 portò
nella sua nuova corte la passione de' tor-
nei, e così la famosa regiuaGiovauua I, co-
TOR 2/p
mechè vivesse a tempi procellosi; poiché
sull'animo di lei, più degli affanni e delle
cure di stato, potevano l'amore del lusso
e il naturai talento del piacere, e i suoi
verseggiatori riputavano a gran ventura
uscire vittoriosi innanzi a lei, e ottener-
ne in compenso un benigno sguardo , o
un confortatore sorriso. Imperocché ne*
festeggiamenti delle corti bandite , delle
quali ragionai anche a Corte, i cavalieri
deposte le lance, le corazze ed i cimieri,
occupa vansi di poetiche tenzoni. Sovente
i cavalieri che aveano ottenuto il premio
del valore,si presentavano a disputar quel-
lodella poesia. Uno de'contendeuti al suon
dell'arpa proponea in rima l'oggetto della
tenzone; un altro avanzavasi dal circolo,
e rispoudea con una strofa del medesimo
metro, e il più delle volte colle stesse ri-
me. Quest'improvviso terminava ordina-
riamente alla 5. strofa, e allora la corte
deliberava a chi dovesse accordarsi il pre-
mio. Queste corti bandite erano andate in
dissuetudine, e Giovanna I le ristabilì, ed
essa stessa non disdegnò scendere nell'ai'»
ringo contro la dama di Marchebrusa, ce-
lebre poetessa d'allora. La questione fu
decisa a favore della regina, e le fu de-
cretata una corona, ch'essa prese di sua
mano, recandola ad un cavaliere gen-
tile, il cugino Luigi priucipe di Taran-
to, uno de'suoi amanti e poi 2° marito,
e gli disse: Da voi, nobil signore, io vo-
glio avere questa corona, siccome il più
degno d'offrirla e il più cortese fra tutti.
Pelqualeraatrimoniola regina istituì l'or-
dine cavalleresco del Xodo (V.). Allorché
statuivasi di celebrare un torneo in un pae-
se, lo si bandiva intorno con messi aral-
dici e ambasciate, perchè al divisato tem-
po ivi convenissero i cavalieri e le dame;
queste poi ornate delle meglio pompose
vesti, di gioie e di fregi peregrini, non solo
di loro presenza allegravano la festa, ma
vi aveano gran parte. L'orrore di veder
spargere il sangue allontanò per lungo
tempo le dame dallo spettacolo de'lornei,
ina furono in breve tratte dalla curiosità
246 TOH
a superai equella ripugnanza naturale; al •
loia esse per vanità vi accorsero in folla,
e quest'epoca fu quella della maggior ce-
lebrità di siffatti esercizi. Ne' giorni che
precedevano la giostra uielteansi in ve-
duta, lungo il chiostro di qualche mona-
stero, gli scudi de' combattenti che ago-
gnavano far parte della lizza, coli' inse-
gne loro, nelle quali spiegavano l'inter-
no del loro animo, ed a meglio scoprirlo
adornavano gli scudi, i cimieri e le bar-
dature de'cavalli con i-intrecci di vaghe
e simboliche figure; e un araldo (del lo-
ro officio e assistenza ne'lornei parlai nel
voi. LXVI, p. 67, con nozioni analoghe
a'tornei)gridavaacui appartenessero,alle
donne che venivano a vederli. Se alcuna
per avventura teneasi offesa con talun ca-
valiere, batteva lo scudo diluì per richia-
marsene a 'giudici, e il querelava: e se era
giudicato iudpgno vernagli disdetto l'en-
trare nell'onorata lizza; e se si fosse atten-
tato farlo a forza, tutti gli aldi combat-
tenti l'assalivano e il mandavano con fie-
re percosse dolente e malconcio; né altro
die la dama olfesa potea por limite a quel
castigo. Per essere ammesso nel novero de'
campioni combattenti , conveniva avere
un nome senza macchia e senza rimpro-
vero alcuno. Apparecchiato il luogodello
spettacolo, ch'era magnifico e grande per
torri, palchi, ballatoi con isponde e balau-
stre, e tende di gran vista, in cui ripara-
vano i signori del luogo col premio, le don-
ne, i personaggi più ragguardevoli, i giu-
dici del torneo, e musici, e poeti, e gente
di corte; i cavalieri dopo le proclamazio-
ni degli araldi si recavano a visitarlo il
giorno innanzi alla festa, e vi preludeva-
no trattando alcune piccole armi e facen-
do vari. piacevoli giuochi. Si solennizza-
va la vigilia del torneo con alcune specie
di tali giostre, chiamate saggi 0 vigilie de'
tornei o scara ni ucci e, in cui gli scudieri
cimentavansi gli uni cogli altri con armi
più leggiere e di più agevole maneggio che
quelle de'i.avalieri, più facili a rompersi,
e meno pericolose per quelli che rimaue-
TOR
vano feriti. Il d'i della prova ogni cava-
liere, armato di tutto punto, diceasi ser-
vo d'alcuna donna o damigella ivi adu-
nata, sceglieva il colore ch'ella vestiva nel-
la sciarpa che recava ad armacollo, la qua-
le spesso teneva dalla mano di lei, con un
braccialetto 0 qualche altro donativo. Le
trombe annunziavano il combattente che
calava nelParringo,eciuto dicatene veni-
va condotto dalla sua dama : il seguivano
i cavalli e gli Scudieri. Ivi ricevea da lei
le armi, parole di conforto, qualche pre-
sente e spesso la stessa insegua, la quale
se per caso perdeva nel bollore della mi-
schia, ella era sollecita a fornirgliene un'
altra per infondergli novello ardire. Pel-
lai maniera entrati molti nell'agone o cam-
po ove si dovea combattere, davasi prin-
cipio alla lotta, che poneasi nel correre le
aste, nel combattere colle spade, cogli stoc-
chi, fino ro'coltelli e co'pugni, ove venis-
sero meno tutte le armi. Al cavaliere ab-
battuto ne succedeva un 2.0; se questo vin-
ceva, pigliava lite con altri, e tutti per tal
modo venivano alla prova; ed era più va-
lente chi più ne prostrava, vincitore chi
indomito usciva orgoglioso sugli sconfìtti
rivali. Fra il furor di quelle pugne aveansi
alcune regole d'onore, da cui non si per-
metteva che alcuno deviasse, e che spesso
decidevano del premio.Consisleva nel non
ferire colla spada di punta, non valicare
la segnata linea, non percuotere il cavallo
dell'avversario, non tirare di lancia che
al viso o al pettorale, non assalire un guer-
riero, ove avesse alzata la visiera o fosse
disarmato, né venir molti a combattere
uno solo. Ove alcuni rompevano queste
leggi, i giudici erano pronti a chiamarli
all'ordine, ed alcuni araldi correvano a'
pugnanti e abbassavano le proprie lun-
ghe picche in segno che si ristessero, gli
ammonivano, e facevano perdouanza s'e-
ra volontario l'errore. Venuto a termine
il combattimento, univansi i giudici per
determinai e a cui si convenisse il premio,
richiamando tutte le prove di valore che
aveano dato nella lotta, siccome erasi ri-
TO R
ferito dagli uffizioli che stavano presenti
e ne facevano continua relazione; non cu
rado però accadeva che i giudici, nell'in-
certezza di dare retta sentenza, chiamas-
sero le dame a esporre il loro parere; e
se esse contrastavano ad uno il premio,ne
veniva indubitatamente escluso. Conve-
nuti così del vincitore, scegliavasi fra le
donne quella che dovea compartirgli il
premio ; e poiché lo si avea dalle stesse
dame svestito delle armi e dell' insegne
guerresche, la designata gli presentava la
palma meritata, e il cnvaliereavea diritto
di ricambiarla con un bacio: inviolabile
privilegio che reputa vasi il compenso più
gì aditodi quella bellica fatica. Il resto del-
la festa andava in evviva, in canti ein al-
legrezze. Da tutto questo è agevole argo-
mentare qual esser dovesse nelle donne il
desiderio di comparire amabili e acqui-
starsi la servitù di valente cavaliere, e in
questi quale ambizione di andar nominati
a dito, come poderosi e forti; e sebbene
ne venisse in ambo i sessi studio di col-
tura e di valore, non si può occultare che
infiniti mali derivavano da queste lotte
ostinale, in cui combattevano tante pas-
sioni. Perciò il saggio e pio s. Luigi IX
re di Francia fortemente biasimava il fra-
tello Carlo I d'Angiò, perchè tanto vez-
zeggiasse siffatti spettacolkMa Italia tutta
ne era frequente , e spesso Can Grande
della Scala signore di Verona, e la pos-
sente Venezia, allora dominatrice del ma-
re e regina dell'Adriatico, aprirono son-
tuosi tornei fra la magnificenza di loro mu-
ra. Clamorosa fu la giostra che nella 2."
ebbe luogo nel i 364 ne' dogado di Lo-
renzo Celso per la ricupera di Caudia. La
sontuosa piazza di s. Marco fu il campo
della battaglia: erano d'ogni intorno ric-
che le logge d'ornamenti e di spettatori,
e il doge sedeva in trono nella loggia, ch'e-
ra sopra la maggior porta della basilica,
in mezzo a' famigerati cavalli di bron-
zo, e d'appre>so era vi assiso Petrarca. Due
furono gli assalti di quelli che giostraro-
no a cavallo, ili.0 de'quali fu riservato a'
TOR 247
soli cittadiui, il a.° fu aperto ancoagli stra-
nieri.Inoltre vi pugnarono 2 4 giovani rag-
guardevoli per bellezza e per abiti, Pie-
tro I re di Cipro con Jacopo del Verme
veronese illustre condottiere d'armi, e si
fecero dalla repubblica splendidi dona-
tivi. Ricavalo nella più parte questo bel
racconto dall' Album di Roma t. 6, p. 33,
del eh. Defendente Sacchi, con l'incisio-
ne esprimente il torneo diMarco Visconti,
altro ve ne aggiungerò che estraggo dal
medesimo Album t. 2,p. 397, scritto da
A. G. col rame che rappresenta il fran-
ceseBertrandoDiiguesclineringleseTom-
maso di Canlorbery nel torneo di Dinau,
città di Francia nella Bretagna miuoree
già soggiorno de'suoi duchi, i quali capi-
tani furono spediti nel luogo, ove per uq'
incidenza avvenne questo torneamento ,
da Carlo di Bloise Giovanni di Montfort
a sostenere i loro diritti quando il ducato
di Bretagna si disputarono. Duguesclin fu
uno de'capitani più famosi e illustri, l'e-
roe della guerra, il maggior guerriero di
sua età, chiamato l'Achille francese, ri-
nomato ne'tornei come i Bocicaut e i Ba-
iardi di sua nazione. II signor di Lanca-
stro,dopoaverneh 3 58 sostenuto le parti
del giovine duca di Montfort sul ducato
di Bretagua, contro Carlo di Blois, nel se-
guente anno strinse d'assedio Dinan, città
che difendeva per Carlo il prode Dugues-
clin. Mentre tra 'due duci erasi convenu-
ta una tregua, durante questa il giovinet-
to fratello (cioè d'armi e chiamandosi Ja-
copo Plougaster) di Duguesclin incede-
va pegli accampamenti a diporto, quan-
do fattosi innanzi co' suoi Tommaso di
Cantoi bery cavaliere nemico, d'illustre li-
gnaggio, ma poco onesto per la condotta,
con prepotenza gl'intimo di darsi vinto;
il giovinetto inesperto della guerra e so-
lo , dovè tacere e rendersi prigione. Sa-
putosi da Duguesclin il grave insulto, im-
pallidì di sdegno, e salito d'un lampo a
cavallo,corse furibondo alla tenda diTora-
maso. Gli rimproverò i rotti patti, chie-
dendo il fratello. Tommaso che secreta-
248 TOR
menle l'odiava, in presenza di Monlfort
e diLancastro, tenacemente negò di esau-
dirlo, e arditamente gillò il segno della
disfida. Colselo avidamente Duguesclin, e
strettolo nella destra, rispose : In mezzo
alle armi, il comun torto difenderò. Com-
parvero il giorno dopo nella maggior piaz-
za della città, Lancaslro conMonlfurt,e co'
loro primari ulliziali ascesero il palco. Uo-
mini d'arme a cavallo circondavano tutta
l'arena, ed il popolo si affollò intorno Tarn •
pio steccalo. Suonala la tromba, appari-
rono nell'aperto Duguesclin e Tommaso:
salutai onsi mutuamente, indi d'un subito
abbassato il viso, dirimpetto si andarono
a porre. Venne allora nel mezzo il ban-
ditore del torneo, e tacendo tutti alle sue
parole, disse ad alta voce. Il mio signor
Tommaso, e il signor Duguesclin voglio-
no all'armi lanciarsi. Ilduca diMontfort
lo acconsentì. Tommaso spinse primo il
cavallo, e si serio sul nemico con tal im-
peto e fuga, che misurato sulla testa del-
l' avversario un sicurissimo colpo, fesse
in due la celata che cadde sul terreno e
lasciòil viso scoperto di Duguesclin. Que-
sti inferocitosi, mise la pesante lancia sul
petto e fuggito incontro a Tommaso co-
me vento lo assalì. Dove le clavicole si con-
giungono al collo giunse il ferro a colpi-
re, e tanto equilibrato vi giunse, che man-
dolio fuori del peso e dell'arcione e con
supino volto balzollo. Volevano gli altri
aiutarlo e suscitossi un tumulto: ma l'e-
roe del torneo, postosi a guardia del vinto
e caduto Tommaso, spaventò que' ro-
moreggianti in tal guisa, che all' infuori
del brulicare e delle grida rotte d'alcuno
non fu tratta una sola daga. Dicono che
il prigioniero fratello fosse spettatore
della tenzone, e che chiamato da Dugue-
sclin , gli fosse la vita del caduto Tom-
maso posta in tutto a sua discrezione, e
che da entrambi nobilmente assoluto si
lizzasse slorditoemuto.A ulteriore schia-
rimento del riferito sin qui, trovo conve-
niente aggiungervi alcune erudizioni ri-
portate dal Dizionario dille, origini. 11
TOR
luogo del combattimento de' tornei era
un vasto recinto chiuso tulto all'intorno
da tappeti sospesi, o il più sovente da mi
doppio giro di barriere, distanti l'una dal-
l'altra 4 piedi. Vi si collocavano i mene-
strieri per suonare degli strumenti (anche
per cantare poesie, come narrai riparlan-
do di loro e de'lrovatori ed altri cantori
provenzali nel voi. LXXI1I, p.i5o,i68,
i 72), i servi de'cavalieri per ritirare i lo-
ro padroni quando erano oppressi dalla
folla o cadevano da cavallo, oltre i padri-
ni, gli araldi, sergenti e re d'armi per in-
vigilare sopra a'comballenli, mantenere
l'ordine, giudicar de'colpi e dar soccorso
o consigli a coloro che ne abbisognava-
no: il popolo si teneva al di fuori. Vi a-
vea inoltre un anfiteatro a molti ordini
pe're, le regine, le principesse, le dame, i
giudici de'tornei, e i vecchi cavalieri di-
venuti incapaci di combattere. Delle sin-
fonie annunciavano l'arrivo de'cavalieri
magnificamente assettati, seguiti da'loro
scudieri a cavallo. Qualche volta delle da-
me e delle damigelle gli conducevano av-
vinti con catene, che ad essi toglievano
allorché riuniti nello steccalo erano pronti
al combattimento. Sovente da quelle ma-
ni gentili i cavalieri riceveano segni di fa-
vore, come una qualche parte delle loro
vesti o un lavoro da esse iulessuto , con
cui ornavano la cima de'loro elmi, della
lancia, dello scudo, del saione, o di altra
porzione della loro armatura. Prima che
i combattenti entrassero nel campo, si a-
vea cura di osservare se non erano rassi-
curati con nascosti legami alla sella , se
le armi erano conformi alle prescritte leg-
gi araldiche, ed erano della conveniente
lunghezza. Gli esercizi più. ordinari de'tor-
nei consistevano nel rompere la lancia in
terra, o l'uria parte contro l'altra nella
corsa dell'anello, di lanciare il dardo e
di comhaltere a cavallo colla spada alla
mano. Del rimanente eranvi due sorta di
combattimenti: l'una in cui i campioni se-
parali in due schiere,ordinate ciascuna sur
una linea, muoveansi come negli eserciti
TOP.
allo scontro a vicenda per rovesciarsi: ma
siccome coloro ch'erano scavalcati corre-
dano pericolo d'essere calpestati da'caval-
li, s'immaginò, massime in Francia, una
doppia barriera alzata nel mezzo della liz-
za in tutta la sua lunghezza per separare le
due schiere. In tal modo si poteva benis-
simo colpire colla lancia, ma i cavalli noti
potevano più olFenderle. L'altro era il com-
battimento in folla, specie di mischia di-
sordinata, ove pugna vasi senza alcun ri-
guardo: in questo non impiegatasi che la
spada, la scure o la mazza. Siccome era
a»sai difficile scernere in quel tumulto il
più valoroso, e di potergli aggiudicare il
premio, tanto più che la visiera copriva
il volto, sistabiliallorad'apporregli stem-
mi o altri segui particolari agli scudi e a'
saioni. In appresso ad esempio de'greci e
romani che innalzarono ne'loro circhi e
ippodromi degli altari, obelischi e statue,
si decorarono i campi delle lizze con isva-
riati ornamenti. Gli esercizi de' tornei e-
rano talmente privilegiati, ch'era proibi-
to a* servi e agli schiavi di presenlarvisi.
JNVconibattimenti che facevansi per mez-
zo di sfide, il cavallo e le armi del vinto
appartenevano per diritto al vincitore,
e qualche volta rimaneva egli stesso suo
prigioniero. Siccome questa specie di
combattimenti erano 1' immagine delle
battaglie, così vi si osservavano le stesse
leggi come negli eserciti. Vi s'impiegava
specialmente una sorta di spada che no-
mina vasi guadagna pane , nome che le
veniva senza dubbio dall'ottenere il vin-
citore le spoglie e il riscatto del vinto. La
giornata si chiudeva sempre con alcune
giostre senza premio, fatte da alcuni va-
lorosi per cimentare la loro destrezza o
per piacere alle loro belle. Terminato in-
teramente il torneo, succedeva la distri-
buzione de' premi, che si faceva ora nel
campo slesso, ora nel palazzo del signore
del luogo, in mezzo a feste ed a bauchelti
clamorosi. Sedebbonsi obbiettare a questi
pomposi giuochi i pericoli, i saggi divieti
della Chiesa, le graudi spese, le disseusio-
TOR 249
ni egli odii inseparabili da essi,però si può
vantare a favor loro, ch'erano un vantag-
gioso esercizio di forza, di destrezza e di
coraggio, e persino una scuola d' onore,
giacché per esservi ammesso conveniva a-
ver un nome senz'ombra di macchia di-
sonorante. Non considerandoli se non co-
me semplicespettacolod'un popolo guer-
riero, qua* quadri piacevoli e imponenti
non offrono mai all'immaginativa del poe-
tae al pennello del pittorequelle duedon-
zel le di nobilissima stirpe che reca usi ad an-
nunziare l'apertura del torneo; quella no-
biltà fiera e vigorosa dell'Europa ch'entra
nella lizza al suonodi bellici strumenti, ar-
mati di lance, ornate di banderuole sim-
boliche e dell'assise delle loro donne pre-
dilette. A quest'apparato devesi aggiun-
gere la bellezza de'destrieri, la ricchezza
degli arredi, lo splendore dell'armi, que'
palchi a molti ordini, stivati, per così di-
re, dalle madri, dalle spose e dalle amanti
de'campioni; quelle tende o padiglioni co-
perti d'oro e di seta sparsi nella campa-
gna; il premio accordato in conseguenza
de'suffragi de'principi, delle dame, degli
araldi ede'giudici,eo(fertocon bacio dal-
la regina del torneo; il vincitore ricondot-
to in mezzo agli applausi del popolo e al
suouo degli strumentijdisarmato dalle da-
me più cospicue,cibandosi al desco del re,
e divenuto l'oggetto delle feste che poi si
succedevano; il nome celebrato da canzo-
ni e da poesie e iscritto sur i registri de-
gli ullìziali dell' esercito, e mille e mille
altre seducenti particolarità a vicenda ma-
gnifiche e onorevoli.
Il eh. Del Bue. Dell'origine dell'Aral-
dica, annovera tra le prove della I\robil'
tà antica delle famiglie, quelle di trovar-
le registrate tra quelli che figurarono e
intervennero a'tornei,a'caroselli, alle gio-
stre e iti altri simili simulacri di guerre
finte usate in tempo di pace a esercizio dei
cavalieri. Quindi dichiaratali registri pro-
va sicura di nobiltà, mentre a ninno con-
cedevasi l'entrare a'tornei, neper giostra-
tori, uè per servire da araldo, se prima
25o TOR
non f.icevasi annunziare al luogo del tor-
neo, co! mezzo d'un suono, al maestro del
campo e ad altri uflìziali. Venivano allo-
ra gli araldi a riceverlo, ed esaminale le
prove di nobiltà, se il riconoscevano per
x ero gentil uomo, descri veano le armi gen-
tilizie di lui fra le altre de'cavalieri am-
messi a combattere, e collocavate, giu-
sta le ordinazioni araldiche, in bella mo-
stra al luogo della lizza, tre o quattro gior-
ni avanti il torneo, ne'quali le dame in un
agli araldi recavansi a riconoscerle, e tal
ceremonia chiamavano: far finestra. Al
riferire di Menestrier, correva tal obbligo
a chiunque cavaliere, sotto comminato-
ria d'esser cancellato dal novero de'gio-
stratori. Finito il torneo, i più di essi ap-
pendevano le armi alla chiesa; siffatti e-
sercizi riunovavansi ogni tre anni, e chi
due volle vi si era sperimentato non sog-
giaceva a esibire per la 3.'1 volta le prove
di sua nobiltà; poiché tenevasi per pie-
na prova il sindacato fattogli già due vol-
le a suon di trombe. Ciò seguilo, eragli
dato di portare bizzarramente intreccia-
te sopra l'elmo due trombe o cornette ;
la qual insegna aveasi per testimonio au-
tentico e solenne della riconosciuta sua
nobiltà. Da ciò ebbe origine I' uso delle
i\ne cornette che veggonsi sopra i cimieri
presso molte famiglie. Il carosello riguar-
da vasi anch'esso qual festa o rappresen-
tazione militare : era talvolta allegorico
l'argomento, che mirar dovea all'istruzio-
ne de'principi, e alludere a'falti e alle oc-
casioni. Il carosello era così appellato dal-
la voce appropriata al carro del Sole, o
da'carri adoperati in tali esercizi; e di fat-
to il carosello era una corsa seguita da car-
ri, macchine, carole di cavalli, con appa-
rato d'immagini, di corone, di spoglie ed
altri ornamenti guerreschi. La giostra poi
era un armeggiare di lancia a cavallo, sia
che con questa si corresse alla quintana,
sia alle teste, sia all'anello. Il Ghirardac-
ci, Della, istoria di Bologna, ne offre un
esempio nella giostra avvenuta in quella
città neli4<H Per l'esaltazione del suo ve-
TOR
scovo Migliorati al pontificato col nome
d'Innocenzo VII: v'intervennero molti va-
lorosi e nobilissimi cavalieri, fra' quali il
bolognese Pepoli ne riportò l'onore e il
premio. Il Meneslrier novera sino a 36
principali tornei celebrati in Germania,
computandoli dal solenne offerto in Mag-
deburgu verso il g34 da Enrico I V Uc-
cellatore duca di Sassonia e poi impera-
tore (che altri dicono quanto notai di so-
pra), e quello di Worms aperto nel 1 487.
Molti altri ne rammenta Ferra rio, e fra
essi quello dato pel solenne ingresso a Pa -
rigi nel giugno i 38q, della regina Isabel-
la di Baviera, la quale per ordine del re
Carlo VI non potè entrarvi prima, seb-
bene a lui già sposata nel 1 385, e vi fu
coronata con magnifica pompa. Queste
splendidissime feste terminarono con al-
cune giostre, fatte in un luogo dove i com-
battenti potevano esser osservati da gran
numero di dame, chiamato il campo di
s. Caterina. Magnifico torneo in Inghil-
terra fu quello bandito da Enrico li , e
dato nelle pianure di Beaucaire. Stupen-
da fu pure in Firenze la giostra da cui
GiulianodeMedici uscì vinci torenel 1468,
e con mirabili versi celebrata da Polizia-
no. IXè meno celebre fu il torneo avvenu-
to in Bologna a'4 ottobre 1 470, nella fe-
sta del patrono s. Petronio, tenendo la si-
gnoria della città Giovanni 1 1 Benti voglio
(le cui Memorie nel 1 839 pubblicò in Bo-
logna il conte d. Giovanni Gozzadini). Fu
descritto in 8/ rima da Francesco Cieco
fiorentino: Tome amento fatto in Bolo-
gna per ordine di Giovanni Bentivoglio
Vanno 1 47°- Questa si vuole la più cele-
bre giostra tra quelle tenute in Bologna.
Abbiamo molle descrizioni stampate di
giostre e tornei, eseguiti in Bologna in cir-
costanza di varie festività. Celebratissimo
fu il torneo tentilo in Cremona nelio83,
quando Gio. Baldesio venne a singoiar
tenzone con Enrico figlio e poi successo-
re d'Enrico IV; e per la riportata vitto-
ria liberò la sua patria dal grave tribu-
to della palla d'oro, d'onde poi s'ebbe il
TOR
soprannome d\Zanino della Palla. Quan-
do Cane della Scala neh 3^8 dopo la pre-
sa di Padova tornò a Verona trionfante,
volle ivi festeggiare quella conquista con
solenuissima pompa. Perciò a'3 i ottobre
tenne in Verona corte bandita: la varie-
tà, la bellezza, il fasto, la magnificenza dei
tornei, delle giostre, dell'illuminazioni e
d'ogni altro spettacolo e ricreameuto, in
quell'occasione si emularono a prova nel
dar gloria al principe. L'effetto vinse l'e-
spettative della fama e fino il desiderio.
Alfonso li d'Este duca di Ferrara, volen-
do neh 56 1 con ispettacolo di lui degno
rallegrare quella città e la corte, bandì al
suo popolo e agli stranieri die a gran calca
intervennero, un sontuosissimo torneo di
forma non prima veduta, econ corti ban-
dite, chiamandolo il castello di Gorgose-
rusa: tra gli spettatori onorante e onorato
vi fu Guglielmo duca di Mantova. A' 18
novembre i 565 furono dati tornei, gio-
stre e altri sontuosi divertimenti.celebiau-
dosi in Brusselles le nozze d' Alessandro
Farnese duca di Panna,con d. Maria sorel-
la di Giovanili HI redi Portogallo,da dove
con real corteggio fu accompagnata in
Fiandra, nella quale soggiornava il duca
presso la madre Margherita d' A ustria go-
vernali ice de'Paesi Bassi. Nel i 56g l'ar-
ciduca Carlo portatosi a Ferrara a visita-
re la sorella Bai bara sposa d'Alfonso II,
questi a'26 maggio volendone solenniz-
zare l' arrivo, dispose un torneo di me-
ravigliosa forma, sopra l'ampia fossa del-
la città. Lo spettacolo fu notturno, e pe-
rò ingente la spesa delle luminarie, oltre
a quella de'ricchi addobbi, mostre e mac-
chine d'ogni varietà e d'ogni forma. Nel
1769 in Parma fu celebrato il torneo per
festeggiar le nozze tra 1' infante duca d.
Ferdinando e l'arciduchessa M/ Amalia:
in quel solenne spettacolo tutta sembrò
rinnovarsi la pompa degli antichi tornea-
mene, e il voto non falliva, se giusta l'u-
so di quelli celebra vasi nella notte, co>ì
associando alla pompa e bellezza dello
spettacolo, il fastoso e magico incauto di
TOR i5i
splendida illuminazione; e se meglio si fos-
se osservata l'antica foggia sì negli abiti,
die nelle armature.
Di molti altri clamorosi tornei, giuo-
chi e giostre parlai a'Ioro luogbi. Quanto
a Roma, in quell'articolo e ne' tanti die
la riguardano egualmente ne trattai, sì di
Roma reale, repubblicana e imperiale, sì
dì Roma papale. Agli spettacoli de' gla-
diatori e de' pugilatori, e alla caccia e lot-
ta colle fiere, dopoché il re de' goti Teo-
dorico del tutto gli abo'ì, furono sostitui-
ti diversi torneamenti ealtre feste pubbli-
die, insiemeal Carnevale dì Roma, mas-
sime i famosi giuochi d'Agone e di Testac-
elo, spettacoli che cominciati dopo il seco-
lo X, cessarono dopo la metà del XVI, i
quali descrissi principalmente ne' voi. X,
p. 84 e seg.,XXXI, p-77e seg.. LX1 V, p.
38 e seg. Consistevano tali giuochi, oltre
le sontuosissime cavalcate, in gran caccie
e giostre co'tori, nelle corse di uomini di
condizione diversa e di vecchie, ed ezian-
dio di animali, e di carri con alcuni por-
ci, seguite da combattimenti perimpadro-
n'usi delle prede e de'palii, non die di lot-
te e corse dell'anello. All'articolo Colos-
seo, e ne riparlai nel voi. LXXII, p. 243
e seg., tra le pubbliche rappresentanze e
spettacoli die vi ebbero luogo ne'secoli di
mezzo, ricordai la famosa giostra de'3 set-
tembre 1 332, eseguita mentre i Papi e-
ratio io Avignone. A darne qui miglior
contezza mi gioverò dell'articolo pubbli-
cato nel t. 2, p. 362 dell' Album di Ro-
ma da A. G. Volendo il senato e popolo
romano fare una grandiosa giostra nel-
l'aufiteatroFla vio detto ilColosseo,si man-
darono attorno i bandi perchè i principi
e i baroni accorressero al torneamento ,
onde renderlo più splendido. Sulle anti-
che rovine del gigantesco edificio si ope-
rò in modo con legname, con ferri e al-
tri ingegni, acciò presentasse lo spettaco-
lo d'un luogo perfetto e di figura vera-
mente tonda. Ebbero 3 primarie dame
l'incombenza di far invito alle nobili del-
l'alma città: la matrona Giacoma de Vir
252 TOR
co, de' prefetti di Roma, condusse il fior
delle donne che al di là del Tevere facean
dimora; una Savella Orsini trasse all'an-
fiteatro le signore di s. Pietro e del circo
Agonale; non che le signore Colonnesi eb-
bero a chiamarvi tutte le dame che dimo-
ra vano lungo il rione Monti, lungo il tea-
tro di Marcello, e ne'dintovni di s. Giro-
lamo, poco distante dal palazzo ecorteSa-
velli. Da una parte si adagiarono le don-
ne nobili e illustri, dall'altro lato ebbero
le privale a sedere. Gli uomini poi e i com-
battenti stettero in un'altra parte dell'an-
fiteatro divisi. Comparve in quella in cui
tutti erano seduti il vecchio Giacomo Ros-
si di s. Angelo in Pescheria, e trasse a sor-
te dall'urna tutti i nomi de' combattenti.
lli.°di questi fu Galeotto Malatesta dei
signori di Rimini, che venne sull'arena
•vestito di. verde, e teneva sulla barhuta
o elmo, o pennoucello di guerra, il mot-
to da tulli letto : Solo io come Orazio.
Mise l'urna il 2.°, ed era questi Cicco del-
la Valle, mezzo a bruno vestito, e mezzo
u candida tinta, che teneva scritto sul suo
cimiero: Sono Enea per Lavinia. Il 3.°
fu Mezzo Aslalli, di gramaglia adornato
e mesto, perchè di recente sua moglie e-
raseue andata a'destini, e teneva sulla per-
sona l'epigrafe: Così sconsolato io vivo.
Poscia uscì CalFarello, uu imberbe e ira-
condo donzello, che vestito d'una nebri-
de o pelle di camozza alpina, scritto te-
neva sulla celata : Chi più forte di me?
11 figlio di moter Lodovico della Polen-
ta de' signori di Ravenna, vestito era di
rosso e di nero, coll'iscrizione: Senei san-
gue moro annegato, oh dolce morte! Sa-
vello d'Auagni poi, il quale facilmente si
recò nell'arena per compiacere la donna
sua, e ne presentiva gli efretti, avea scrit-
to con una mano mezzo pentita: Ognun
si guardi dalla pazzia d'amore.Fu quin-
di estratto dall'urna Gio. Giacomo Capoc-
ci figlio di Giovanni de'Marsi,ed era ve-
stito color di cenere. Teneva poi scritto
per motto: Sotto la cenere, ardo. Cecco
Conti vestendo color d'argento uvea l'epi-
TOR
grafe: Così è bianca la fede. Pietro Ca-
pocci con un color di rose, avea per leg-
genda: lo di Lucrezia romana sono schia-
vo (fu interpretata da chi sapeva i suoi a-
n:ori, ch'egli fosse adoratore d'una Lu-
crezia). Uscì Agapito della Colonna ador-
nato color di ferro, e fiamme e lampi met-
tea dintorno, il quale vicino al peuuon-
cello dell'elmo portava l' iscrizione : Se.
cado io, e voi cadrete che. mi vedete (ciò
volea significare che la casa Colonna era
il perno della città ). Similmente Aldo-
brandino della Colonna era con panni
bianco e verdi, e con collana in testa col
motto: Quanto grande altrettanto for-
te. Venne da ultimo Cola della Colou-
na, figlio di Stefano il senatore, che d'un
colore bardiglio coperto ficea leggere a
tutto il popolo : Malinconico e forte.
Questi giovani accompagnati da altri, co-
me dal L'aperoui, da Annibale degli An-
nibaldi, Giacomo Altieri, Evangelista E-
vangelisti de'Corsi, un giovinetto di casa
Astalli, Franciotto de'Mancioi, ed amici
molti eziandio, giostratori e campioni tut-
ti, si fermarono sulla piazza, ed attesero
a piede fermò la sortila di molli tori. Al-
l'alzarsi delle saracinesche che le bel ve te-
nevano chiuse, ecco un grido di timore e
di trepidazione, ed un gelo negli ordini
tuttidegli spettatori. Infuriavano i tori at-
torno, scuotevano le teste fervide, incide-
vano con unghie il suolo, ed ora rapidi e
foschi slancia vansi sui garzoni, ora in fu-
ga erau posti, or ferivano stramazzando.
Asti, brandi, faville nel. tumulto si ado-
perarono. Con attoniti e mossi sguardi or
plaudendo insensata , or gridando furio-
sa, ne fervea la gente tutta, e brulicando
e suonando l'ampia giostra e l'anfiteatro,
10 spettacolo progrediva. 11 quale certa-
mente riuscì dipoi funestissimo , perchè
oltre i malconci, 18 combattenti ebbero
a boccheggiare feriti, indi rendere a Dio
gli spiriti: questi nobili giostratori furono
onorati e compianti, indi sepolti nelle ba-
siliche Lateraneuse e Liberiana. De'tori,
1 1 limaselo morti sul campo, e 9 di essi
TOR
sanguinolenti. Restituita a Roma la resi-
denza papale insorse scisma, per cui ad
un tempo si trovarono regnare il Papa
Gregorio XII, Giovanni XXI 11 eleltocon-
tro di lui. e l'antipapa Benedetto XIII.
Incerti i fedeli chi riconoscere per legit-
timo supremo pastore, fu adunata in Co-
stanza (della quale anche nel vol.LXXII,
p. 73) l'assemblea o Sinodo (fr.)y trop-
po famosa pe'suoi quasi 1000 padri, fra i
quali moltissimi dottori e baccellieri di
sbrigliato opinare, accorrendo nella cit-
tà circa 4o,ooo forastieri, con diversi so-
vrani colle loro copiose e brillanti corti,
cou migliaia di vigorosi e floridi cava-
lieri. Gregorio XII virtuosamente rinun-
ziò; Giovanni XXIII avendo promesso
d'imitarlo e poi variando di parere, sen-
tendo che ne sarebbe forzato, fuggì da
Costanza nella Svizzera travestito da pa-
lafreniere, o meglio in abito cavalleresco
in una barchetta pel fiume Reno; men-
tre il suo protettore Federico duca d'Au-
stria per trafugarlo, celebrò nella città
un clamoroso e magnifico torneo, nel
quale giuoco di lancia col conte di Cilley
oCilly cognato dell'imperatore Sigismon-
do che vi assisteva; onde la pubblica at-
tenzione tutta quanta rivolta al tornea-
melo, agevolò tale evasione. Giovanni
XXI II avea fatto lega segreta con Fede-
rico duca d'Austria, per darsi scambie-
vole aiuto e soccorso, dichiarandolo ca-
pitano generale di s. Chiesa, con annua
pensione di 16,000 fiorini d'oro. Per ave-
re Federico agevolato tal fuga e ricevu-
to Giovanni XXIII ne'suoi stati, fu posto
al bando dell'impero, e gli fu mossa guer-
ra, la quale sarebbe subilo cessata, se
Giovanui XXIII i inunziava al pontifica-
to come avea promesso con giuramento.
Leggo nel Marcatoli Cancellieri, che nel
maggio del 1 4-77 da'procuratoridel conte
Girolamo Riaiio (signore di Ford e poi
d' Imola) nipote di Sisto IV, fu sposata in
Milano Caterina Sforza, figlia naturale
del duca Galeazzo Maria. Essendo stata
Caterina condotta in Roma,sicelebraro-
T O R 253
no le sue nozze con giostre e tornei, re-
plicati in più giorni, ne'quali il Papa nel
palazzzo Vaticano a proprie spese fece
splendidamente imbandire varie tavole,
apparecchiate giorno e notte, colla liber-
tà a ognuno di goderne. Gli sposi si fer-
marono in Roma sino al luglio 1 48 r , a-
bitando il loro palazzo alla Lungara, ora
Corsini, con istraordinaria lautezza e son-
tuosità, degna di nipoti di Papa. Raccon-
tai a Forlì, che dopo il loro solenne in-
gresso nella città, il conte tenne pubblica
e solennissima giostra , con premio. Nei
voi. X, p. 91, LXXIII, p.i y5 e altrove,
narrai le strepitose feste e spettacoli fatti
in Roma neh482, per avere il re Ferdi-
nando V ricuperata da' mov\Granata. In-
oltre nel voi. XLV, p. 1 18, ricordai la gio-
stra e l'incamisciata fatta da'romani nel
1492, di notte nella piazza Vaticana enei
cortile del palazzo apostolico, per solen-
nizzare I' elezione di Alessandro VI, che
dalle finestre di sua camera godè lo spet-
tacolo. Narra il eh. Giordani, Della ve»
mita e dimora in Bologna del sommo
Pontefice Clemente III per la corona-
zione di Carlo V imperatore celebrata
l'annoi 53o. le giostre che in tale occa-
sione si fecero nella città. Primamente ai
7 novembre 1 5ig con pubblico bandodel
podestà di Bologna ebbe luogo la corsa
de'cavalli barbari dalla porta di via Mag-
giore sino a quella di s. Felice, col pre-
mio d'un pallio di broccato d'oro, per fe-
steggiare la venuta di Clemente VII, e sta-
bilito da'24n°kd' paggi bolognesi assegna-
ti pel corteggio di Carlo V. A' 19 poi per
celebrar l'anniversario di sua elezione al
pontificato, si corse una giostra da' valo-
rosi cavalieri e gentiluomini ch'erano il
fiore della nobiltà: gli apparati, le com-
parse e gli armamenti furono oltre ogni
credere pomposi e straordinari; perciò gli
esercizi ginnastici e marziali formavano
in que'tempi quasi la sola cura delle per-
soned'alto rango. Dipoi a'5dicembrei52g
nelle ore pomeridiane fuvvi una giostra
che durò 4 ore, e si ruppero più lance da
254 T ° R
4o cavalieri italiani, spagnuoli e tedeschi,
per ottenere i due palili assegnati a ih une
de'suddetti paggi, e ricevè per valore d'ar-
mi in premio quello ricamato d'oro Io spa-
glinolo con te d'Alta mura; l'altro poi di vel-
luto cremisino fu diviso a eguali parti Ira
un cavaliere spagnuolo, e Giovanni Grif-
foni, uno de'paggi bolognesi. La giostra
riuscì ad ognuno divertimento dilettevole,
e oltremodo soddisfece a Carlo V, che per
genio proprio di somiglianti giuochi sen-
tiva singoiar piacere. Quest'imperatore a -
niava mollo di giostrare, ed amava tro-
varsi nelle giostre e ne' tomeamenti , e
quando in Vagliadolid fu eseguita una
bella giostra col premio d' un diamante,
sebbene l'imperatore travestito e incogni-
to lo riportasse, poi si scoprì ch'egli fu il
vincitore. L'Sdicembre giunta in Bologna
la notizia che all'imperatore era nato un
altro figlio di nome Ferdinando, il Papa
ordinò che la città facesse pubblici segni
d'allegrezza. I personaggi più illustri di
Spagna, sudditi di Carlo V e del suo segui-
to fecero grande festa, celebrando con ma-
gnificentissimo apparato un combattimen-
to come una giostra. In abiti bellissimi al-
la moresca eseguirono il giuoco delle can-
ne che durò più d'un'ora, sfidandosi tan-
ti per banda, e lanciando le canne inar-
gentate sugli scudi, mentre i contrari ri-
tirandosi voltavano le spalle e con quelli
si difendevano, all'uso de' inori; giuoco as-
sai piacevole, e dagli spagnuoli e bologne-
si molto bene eseguito, e con gesti mollo
vaghi e spiritosi. D'una delle due bande
era capo l'Osorio marchese d'Astorga, del-
l'altra il Paceco duca d'Ascalona. Furo-
no pure altri a cavallo per combattere in
piazza alla foggia d'un torneamento, ove
giostrarono ancora illustri cavalieri di va-
rie nazioni, armati di tutte armi con im-
prese d'amore e ornamenti militari, e riu-
scì spettacolo graditissimo. Clemente VII
e Carlo V guardaronlo dalle finestre del
palazzo, ma posti dietro a certe bandinel-
le^ modo però ch'eglino potevano como-
damente vedere senz'essere veduti. L'en-
TOR
comiato Giordani nell'opuscolo, Cenni e
note intorno all'antica ed eccelsa casa
Sparla, racconta che alla presenza del car-
dinal bernardino Spada legato e protet-
tore di sua patria Bologna, ivi si celebrò
una giostra di scontro con varie compar-
se a cavallo ed a piedi, secondo l'usanza
di quell'epoca, descritta estampata in Bo-
logna col titolo: La Montagna fulmina-
la, torneo fatto da alcuni cavalieri bo-
lognesi l'ultimo di febbraio 1628. Nella
biografia di Paolo ///riportai, come i suoi
concittadini romani per celebrare nel i534
la sua esaltazione, sulla piazza di s. Pie-
tro e in quella de' ss. Apostoli fecero ca-
roselli, giostre e combattimenti di lancia,
veduti dal Papa, che perciò confermò e
ampliò i privilegi del popolo romano. Nel
voi. X, p. 92, riprodussi la descrizione dei
festeggiamenti e caroselli celebrati da'ro-
mani nel 1 55o per l'assunzione al ponti-
ficato di Giulio 111, alla sua presenza nel-
la piazza di s. Pietro, e poi in quella di
Campidoglio. Dissi nell'articolo Palazzo
apostolico Vaticano, che in essoBraman-
te sotto Giulio II formò l'ampio cortile
detto allora teatro di Belvedere con por-
tici (poi dimezzato da Sisto V con Tedi •
fizio della Biblioteca ì aticana)e loggia -
ti, e nella testata con grande scalinata se-
micircolare a foggia d'anfiteatro per ve-
dere gli spettacoli 0 tornei, e altre feste.
Con meravigliosa disposizione d'architet-
tura, Bramante ornò il maestoso cortile,
unendo cioè con magnifico teatro quella
porzione del palazzo Vaticano fabbricata
da Alessandro VI , .onde dal suo cogno-
me la torre si disse Borgia, con il palaz-
zo e villa innalzata a Tor de'Venti da In-
nocenzo Vili: racchiuse cosi l'inferior val-
le, oggi cortile di Belvedere, e il superior
suolo ov'è il giardino segreto o della Pi-
gna, dimidiato da Pio VII col braccio del
suo Museo, cou due bracci retti di loggie,
che iti seguito venendo chiuse divennero
gallerie. Ne' voi. XXVIII, p. 233, XLV,
p. 1 12 e altrove, feci memoria delio Spo-
salizio che Pio IV dopo il solenne Prau-
TOR
zo. tenuto nella gran sala di Costantino,
fece Ira'suoi nipoti conte Annibale A Itemps
prefetto dell'armi pontificie e generale di
s. Chiesa, ed Ortensia Borromeo, nell'E-
pifania deli 565; e che quindi a'5 mar-
zo, in tempo di carnevale, ebbe luogo per
tali sponsali un magnifico e meraviglio-
so torneo nel cortile di Belvedere alla pre-
senza del Papa, di 22 cardinali dalle fine-
sire del nipote cardinal s. Carlo Borromeo,
con l'intervento di 6000 cavalieri, ricor-
dando la Narrazione stampata che ne
compilò il Cimi. Io non l'ho letta, ma ri-
produrrò la relazione di Gaspare Alveri,
e prima riferirò quanto ne dice il p. Ca-
simiro da Roma , Memorie de* conventi
della provincia romana. Parlando que-
sti di Palombara (di cui a Tivoli) e di
Giambattista Tosi capitano stabilito in
quella terra, dichiara che molto si segna-
lò col suo valore nel torneo rappresenta-
to in Belvedere, al quale fu invitato dal
suo barone Bernardino Savelli, con let-
tera che riporta. In essa lo chiama a Ro-
ma sollecitamente, perchè il conte Anni-
bale Altemps da parte del Papa l'ave* in-
vitato a intervenire al torneo nel carneva-
le.portando seco 6 gentiluomini per giuo-
carvi. Che il Tosi meglio degli altri rup-
pe la 1 /lancia, ed ebbe in premio unacro-
ce con 4 smeraldi, 4 rubini, 2 diamanti
e 3 perle. E poi per avere meglio d'ogni
altro rotto tutte e 3 le lancie, gli fu da-
to per 2.0 premio un pendente con un dia-
mante e un rubino con 6 perle. Meglio
dunque è che io riporti la interessantis-
sima descrizione che del torneo ci lasciò
l'Alveri, Roma in ogni stato, t. 2, p. 1 4-3
e seg., tanto più ch'egli afferma essere sta-
to uno de'maggiori che siansi rappresen-
tati in Roma, sia per l'apparato del teatro
di Belvedere, come per le mostre fatte da
diversi cavalieri e loro ordinanze; ed es-
sendo alquanto dettagliata, riuscirà a da-
re una più chiara e compila idea degli an-
tichi magnifici tornei, esaràun simulacro
di quelli più crudeli e di disfide sangui-
nose. Cajjitoli del Torneo. Che le squa-
TOR 275
dre de'cavalieri, dopo l'entrata del conte
Annibale precedano secondo la sorte, al-
la quale tireranno prima. E se alcuna tar-
dasse, in suo luogo succeda quella che se-
gue, e l'altra rimanghi ultima; e se fosse-
ro più d'una si governeranno secondo la
sorte prima, e l'ordine de'maestri di cam-
po. Che ogni squadra possa menar seco
due padrini, con staffieri e li vree. Che ogni
squadra meni seco un armai uolo, accioc-
ché venendo alcun cavaliere disarmato
per incontro, possa ritornare ad armarsi
ed a combattere. Che nell'entrata vadi-
no colla celata in testa. Che nell'entrata
si possa portar lancia con ferro ammolato
a piacere, e si faccia prima la riverenza a
chi si deve. Che alla spada non si porti
ne legame, uè catena perattaccarlaal brac-
cio. Che alla testiera del cavallo tion si
possa portar cosa, ch'abbia punta o possa
ferire, e non si possa armare se non la te-
sta di esso. Che nel correre non debbano
usare se non le lance preparate, che saran-
no eguali, e sieno riconosciute e date lo-
ro in mano da'padrini. Che si metta ma-
no alla spada senza aiuto de'padrini o al-
tri. Che rompendosi la spada ad alcun ca-
valiere, gli si dia tempo per prenderne al-
tra. Che abbiano a correre due sole volte
con lancia ferendo o non ferendo. Che il
colpo da mezzo il petto sino al mento si
conti per uno, e nella testa rompendo per
due, e non rompendo per uno. Che il col-
po da mezzo il petto in giù non guada-
gni premio. Che a quello che si lascia ca-
der la lancia o la spada di mano non si
darà premio. Chi ferirà ilcavallonon gua-
dagni premio, e chi l'ammazzerà per ur-
to o lo guasterà lo paghi. Che non si pos-
sa menar più che 4 colpi di spada. Chi fe-
rirà di punta non solo non guadagni, ma
vada fuori del teatro. Chi uscirà della sel-
la per incontro o mancamento suo non
guadagni premio. Che a la folla solo si pos-
sa mutare il cavallo. Che nella folla non
si debba far quadriglia con un solo, ma
combaltino con leggi d'amicizia, la qual
folla si debba fluire ali. "tiro di artiche-
a56 TOR
ria dell'ultima salva. E finita debba segui-
re ciascuna squadra quella del conte An-
nibale, e quell'insegna che comparirà de-
gna di sì valorosi cavalieri col medesimo
ordine, che all'entrare si tenne. Che la vir-
tù di que'cavalieri che più degli altri re-
sterà segnalata ne riporti il degno premio.
S\ dichiara che a chi romperà meglio la
l .'lancia, la quale sarà destinata alla da-
maci darà una croce di smeraldi, diaman-
ti, rubini e perle. A chi romperà meglio
tutte e tre le lancie, si darà un pendente
con diamante, rubino e perle. A chi com-
batterà meglio colla spada ne' primi 4
colpi si darà un altro pendente con rubi-
no, diamante e perle. A quella squadra
che con lancia e spada si porterà meglio,
si darà un frontale di rubini e perle. A
chi comparila più leggiadro, si darà una
medaglia con un Marte d'oro. Che a'giu-
dici non sia preciso il termine di giudicare
qualsivoglia querela. Che ad arbitrio dei
giudici stia il giudicare e il terminare o-
gni occorrenza, ed i padrini non debbano
replicare quando sarà loro imposto silen-
zio. Cavalieri di tutte le squadre, e pri'
ma della squadra del eonte Annibale.
Conti Gambara,CalIarelli,Mignanelli, Del
Verme, Gonzaga, Giustini, Porro e Ma-
rino da Brescia. Di d. Giovanni ci Ava-
los. Basurta, Quadra, Lodi, Buongio van-
ni, Ciscara e Mutino. Di Donato Carea-
no e Gio. Battista Serbelloni (altro ni-
potedelPapa).Gio.BattistaCarcano,Man-
deIlo,De Medici, Da Monticello e Bizocchi.
Di Domenico de Massimi. Conte Retor-
zi, Pallavicino, Cantarello, Del Cavaliere,
conte Corbara e Pignattelli. Di Ottavio
Bufalini. Amici, Pusterla, Momo da Ca-
stello, Stanga, Guerra da Castello, Giu-
seppe da Mantova. Di Pompeo Colonna.
Prospero Colonna,D'Azzia, Gonzaga, Ma-
daleni , Mantaco e Mazzatosto. Di Gio-
vanni Orsini. Capitani Corbara, Bernar-
dino da Vicenza, Galeotto d'Assisi e Gi-
rolamo da Trani, cav.Ca podi ferro e con-
te Della Porta. Di Pallavicino Rangone.
Maiueri, Priorato, Benzoui, Corgtia, Del
TOR
Nero e Emmo. Di Pirro Malvezzi. Ca-
pitan Legnano, cav. Cospi, Guidotti, Vi-
tale,De A matis e Tortorel lo. DiG io. Gior-
gio Cesarini. Capizzucchi, Melimi, Giro-
lamo e Enea Gabrielli, Garzone da Jesi
e Muti. Di Bernardino Savelli. Capita-
ni Magnano, Laudi, Tosi di Palombaro
e Lodovico da Fabriano , Buonassone e
cav. Malvezzi. Di Muzio e Ciriaco Mat-
tei. Sodarmi, Palelli, Ramazzottoe Paluz-
zo Mattei. Noterò che quasi tutti i nomi-
nati, sebbene non espressi dall'Alveri, fu-
rono titolali, principi, duchi, marchesi e
baroni, cavalieri e gentiluomini. Quindi
dice l'Ai veri, che Pio IV desiderando d'u-
nire i suoi nipoti in matrimonio, il conte
Annibale Altemps con Ortensia Borromeo
dama d'onestissima bellezza e di rarissi-
me maniere, quindi il conte si applicò per
queste nozze a fare una festa e dimostra-
zione, dove intervenisse alcun esercizio di
cavalleria e di persone d'onore; e ritenen-
do che al Papa non avrebbe a dispiacer-
gli, si propose di fare un torneo a campo
aperto, ancorché il tempo fosse breve, e
non solito in Roma di esercitarsi in simi-
li giuochi da molti anni addietro, acciò o-
gni animo nobile si accendesse di militar
desiderio a rinnovar le glorie estinte, ed
allineile di loro resti alcuna memoria de-
gna di lode. 11 desiderio del conte si an-
dò crescendo in vedere il Papa tutto in-
tento ad abbellire Roma e altre città del-
lo stato, e con inespugnabili e nuove for-
tezze e porti, e compito il magnifico tea-
tro degnissimo d'essere chiamato di Bel-
vedere, con colonne e statue, la cui piazza
essere lunga canne 66 e larga 32 , oltre
la spaziosa e vaga scala che pigliava tutto
il largo per linea retta verso l'emiciclo, da
parte di tramontana, ornata di balaustri
e capace di 5ooo persone, ed all'opposto
sotto le stanze di torre Borgia; con altra
comoda e bella scala cogli scalini per li-
nea curva e molle nicchie , sopra la cui
nicchia grande dalla parte meridionale e
capace di iooo e più persone stando a se-
dere, dove si poteva fare ogni atto pou-
TOR
tificale e regio, come di coronare impe-
ratoti e re. ed ogni giuoco e onesto trion-
fo. Pertanto il conte Annibaleprometten-
dosi molto dall'agilità di molli gentiluo-
mini, ih. "febbraio gli esortò a questo tor-
neo con tanta cortesia, che ridusse io di
essi di fue una squadra insieme colla per-
sona loro di 7 cavalieri per ciascuno (cioè
oltre quella del conte, e l'ultima di 6). Per
cui il conte subito pubblicò il torneo, on-
de ciascuno si provvedesse delle armi e ca-
valli e si esercitasse, assegnando per l'a-
pertura lunedì 5 marzo in istagione vici-
na alla primavera. Tanto fu il desiderio
di vederlo, che molti sin dalla sera pre-
cedente presero posto. I 22 cardinali, che
Alveri nomina individualmente e com-
preso s. Carlo , furono accomodati nelle
stanze più basse di mg/ Borromeo, con
altri prelati, come luogo più comodo a ve-
der tutto il teatro. La sposa colle altre da-
me e gentildonne di compagnia furono
disposte nella scala della nicchia verso tor-
re Borgia, tutta tappezzala, e separate da-
gli uomini. Per giudici furono eletti gli
ambasciatori dell'imperatore e di Fran-
cin,Marc'Antonio Colonna e il conteFran-
cesco Laudriani autore de'riportati capi-
toli del torneo, a' quali fece consegnare
molle gioie pe'premi de'cavalieri; i quali
premi furono accomodati in un palco bas-
so per mezzo la piazza sotto l'arco verso
il boschetto incontro la porta principale
del teatro. Lo Sforza conte di Santa Fio-
ra e Gabrio Serbelloni (altro nipote del
Papa, luogotenente generale di sue mili-
zie, di non meno sperienza, valore e vir-
tù del conte), furono eletti maestri di cam-
po, i quali deputarono gentiluomini a ser-
vire e accomodare le dame e gentildonne,
e gli uomini ue'palchi o luoghi pubblici.
Essi posero ue'debiti siti due compagnie
di cavalleggieri e la guardia svizzera pel
buon ordine, essendosi pure provveduto
a quello della città. 11 conte Laudriani coi
maestri di campo fecero fare sull'area 3
righe per linea oblicjua di terra nera, che
veuivauo a mostrare 2 strade d'ambo le
vol. txxvii.
TOR 257
parli dagli angoli in croce, e alquante al-
tre per il largo della piazza , acciocché i
cavalieri potessero fare il loro corso drit-
to senza investirsi. A ore 18 cominciaro-
no a comparire nel campo o area del tea-
tro i cavalieri co'loro padrini e staffieri,
e ad ogni squadra furono assegnali due
archi pe'loro maestri, cavalli e arnesi. E
cosi pel i.°entrò il conte Annibale Al-
temps con un cimiero ornato di gioie e fi-
nissime piume, condotto da'padriui Giu-
lio Orsini, Torquato Couti, baron Sfou-
drato e Ascanio Minali, cou 6 trombetti,
un timpano e 3o staffieri vestiti di raso
bianco, paonazzo e giallo, con berrette e
cappelli di velluto bianco e cordoni d'o-
ro, con un velame di seta bianca ricama-
to di seta paonazza e oro, che pendeva-
no dai cimiero, co'5 bellissimi cavalli iu-
nanzi: il i.° e il 2. ° erano guarniti di vel-
luto paouazzo con girelli, fiocchi e frangie
ricamati d'argento, in vaghissima e diffe-
rente foggia, cavalcati da due paggi eoa
celate e zagaglie in mano all'antica, ve-
stili di velluto paonazzo ornato d'elegan-
ti lavori d'argento e oro; il 3.° e 4-° erano
finiti di velluto rosso cremisi lavorato con
eccellente ricamo d'oro pieno di vaghez-
za, con due altri paggi sopra, l'uuo colla
celata da piedi con uno scudo e zagaglia
in mano, l'altro con celala e lancia alla
leggiera;e il 5.° bardato d'arme rarissime
tutte dorale, con un paggio con celata e
lancia da uomo d'arme, quali 3 paggi ul-
timi erano vestili di velluto bianco rica-
mato di roteile di tela d'oro con fiocchi
e frangie simili; co'g suoi cavalieri co'pag-
gi bene a cavallo, ciascuno vestiti del me-
desimo velluto cogl'istessi ricami, fiocchi
e frangie d' oro, coperti i cavalli pur di
velluto bianco ricamato con rose di tela
d'oro, perle, pietre , fiocchi e frangie di
seta paonazza, cinti di reticella d'oro, tut-
ti con bellissimi e vaghi cimieri sostenuti
da alcune mascherine d'argento, ed i ca-
valli di tutto ornamento ed eccellenza or-
nati con vaghe piume; e fatta la debita
riverenza, come fecero tutti i seguenti, se
J7
»38 T O R
n'andò all'angolo B verso Belvedere. Se-
gni d. Giovanni tVAvaìos (V Aragona,
condotto da Virginio Orsini suo padrino,
con 4 trombetti e un tamburo alla more-
sca a guisa di fanciulli rappresentanti la
Fama, vestiti di raso incarnato e bianco,
con 7 |iaggi vagamente accomodati con
buonissimi cavalli, che significavano le 7
Virtù principati, con un motto che di-
ceva: Assequimur ustjue adipiscamurj
com2 staffieri vestiti di velluto incarnato
cremisi ricamato di tela d'argento, co' 6
suoi cavalieri, coperti i cavalli di velluto
cremisi incarnato con ricami a trionfi di
teletta d'argento con fiocchi e frangio, ci-
mieri e piume, il quale se ne andò all'an-
golo D verso torre Borgia. Dopo seguiro-
no gli altri capi di squadre, l'uno pres'so
l'altro per ordine, cioè Donalo Corcano
e Ciò. Ballista Serbelloni, condotti dai
padrini Pietro Antonio Lonatoecapilano
Alberto Angelelli, con 4 trombetti e un
tamburo alla moresca vestiti di raso bian-
co e nero, con 7 paggi mori vestiti simil-
mente di raso bianco sopra 7 cavalli bian-
chi e leggiadri senza sella, tutti piccali i
vestili e i cavalli di nero a guisa ili leopar-
di, con 5 cavalieri coperti i cavalli di vel-
luto nero con una reticella sopra d'argen-
to con tremolanti simili, fiocchi, frangie
e piume, che se n'andarono a mano man-
ca B. Domenico de Massimi, coudottodai
padrini Ferrante de Torres, Orazio Mas-
simi , Alessandro Cinquini e cav. Cesare
Casale, con 4 trombetti e un timpano, con
i4 staffieri vestiti di tela incarnata pao-
nazza e bianca alla tnrehesca con archi e
circassi pieni di freccie, con 8 paggi sopra
cavalli vestili del medesimo modo , con
un'impresa d'un Girasole e il motto: Non
san questi miei occhi volgersi altrove j
con 6 cavalieri coperti i cavalli di tela d'o-
ro incarnata paonazza e bianca alla da-
maschina, con diversi specchietti accomo-
dati sopra per ordine, con frangie, vaghi
fiocchi e piume,il quale andò a mano man-
ca dell'angolo A. Ottavio Bufalini, con-
dotto da'padrini Fabio Malici e Gio.liat-
T O R
tista Bufalini, con 4 trombetti, 8 stam\n
e 7 paggi a cavallo, tulli vestiti di raso
rosso e bianco, con 6 cavalieri coperti i
cavalli di tocco d'oro e d'arcento, euar -
niti sopra di raso bianco e rosso intaglia-
to con fiocchi, frangie e piume, ed essen-
do il suo cavallo toccato da una bacchet-
ta faceva la riverenza colle ginocchia a
terra, e levato da questa andò a mano
dritta dell'angolo D. Pompeo Colonna,
condotto da'padrini Marcello del Nero e
Lelio de Massimi, con 4 trombetti, 1 o staf-
fieri e 8 paggi bene a cavallo, lutti vesti-
ti di velluto cremisi e bianco, con G ca-
valieri, guerniti similmente i cavalli di
velluto cremisi e bianco ricamato ricca-
mente di tela d'oro a fogliami, con fran-
gie, fiocchi e piume, e con una Palma
per impresa col motto: Serio qitaerenda.
ci Indo, e andò a mano manca dell'an-
golo C. Giovanni Orsini, condotto da'pa-
drini Gio. Battista Micinelli e capitan (iio.
Pietro Muti, con 4 trombetti, 7 paggi a
cavallo e 8 staffieri vestiti di velluto tur-
chino e bianco con l'impresa d'un Bam-
bino in atto di fare riverenza, con questo
motto: Su, con 6 cavalieri aventi i caval-
li coperti di velluto turchino incarnato
cremisino e bianco, con ricami a fogliami
di tela d'argento e d'oro a rose, con fran-
gie, fiocchi e piume, ed andò a mino drit-
ta dell' angolo B. Il Pallavicino Un'ago-
ne condotto da'padrini Antonio Orsino e
Pasotto Fantocci, con 4 trombetti, 7 pag-
gi a cavallo e 9 stallieri vestitidi raso tur-
chino, e bianco e giallo, coll'impiesa d'u-
na Conca che produce la perla, e men-
tre ch'ella s'apre per accogliere la rugia-
da, un mostro marino l'osserva, e dall'al-
tra parte una Mazza con due palle di pe-
gola col motto: Ih arlibus, con 6 cava-
lieri coperti di tela di seta turchina e gial-
la con occhi dipinti sotto molti specchiet-
ti, con un ricamo lungo di perle con al-
cune mascherine, frangie, fiocchi e piume,
il quale andò a mano dritta dell'angolo D.
Pirro Malvezzi, condotto da'padrini Er-
cole Riario e Marc'Autouio Tasso, con (>
T O R
cavalieri, nominati i De>ti, venuti Ha Bo-
logna per mostrare in Roma questo cor-
tese segno dell' animo loro verso il conte
Annibale, con 4 trombetti, G ['aggi a ca-
villo e (3 staffieri-, tutti vestiti ili raso ros-
so e verde, coperti i cavalli di velluto si-
mile con fogliami di tela d'oro, con fran-
gie, fiocchi e piume, con l'impresa d'un
Callo con un ramo d'ulivo in bocca, col
molto: Figliando, e andò a mano dritta
dell'angolo A. Sei cavalieri di Gio. Gior-
gio Cesarini. condoni da'padrini Ricciar-
do Mazza tosto e capitan Cesare Muli, con
4 trombetti, 6 paggi a cavallo, e 9 staf-
fieri vestiti di velluto rosso, bianco e gial-
lo, coperti i cavalli di velluto de'medesimi
colori lavorato a fogliami, con frangie,fioc-
cbi e piume, i quali se n'andarono a mano
dritta dell'angolo C. Bernardino Savelli,
condotto da'padrini Lodovico Savelli e ca-
pitano Innocenzo da Norcia, con 4 trom-
betti, 7 paggi a cavallo, 69 staffieri vestili
di velluto nero e giallo, con 6 cavalieri co'
cavalli coperti di velluto nero con ricami
di broccato e fila d'oro con frangie, fiocchi
e piume riccamente ornati, cou l'impresa
d'un Carro trionfante tirato da 4 caval-
li, con un imperatore sotto un lauro, so-
vrastato da due tortore, e guidato verso
una stella che co'raggi l'alluma, e sen'an- ,
dò all'angolo A. E finalmente Muzio e Ci-
riaco Mattei. condotti da'padrini Fabri-
zio Massimi e Prospero Cail'.trelli, con 4
trombetti, 6 paggi a cavallo, e 7 staffieri
vestiti di velluto rosso, turchino, bianco e
giallo, con un'impresa per ciascun cava-
liere, la I.* ero una Lanterna con lume,
col molto: Arde e non lucej e la 2." una
Pietra da fuoco con 3 fucili, col motto:
Non quo vii ; ferro, con 6 cavalieri co'ca-
valli coperti di velluto de'medesimi colo-
ri a foggia di lume, piramidi e fogliami con
frangte,fiocchi e piume.e se n'andaronoal-
l'angolo C. E furono in tutto 12 squadre
con cimieri bellissimi leggiadramente ac-
comodati, come anche comparvero gli o-
noratissimi padrini sontuosissimamente
vestiti e ornali, cou molti staffieri per cia-
T O R 2T9
senno, oltre i descritti, conforme alle me-
desime livree de'capi di squadre, con cap-
pelli finiti e ricamati di perle, smeraldi,
rubini e diamanti, che rappresentavano
gran ricchezza e ornamento: i quali padri-
ni aveano i nomi di ciascun cavaliere per
farli correre secondo l'ordine, e perchè al-
la folla potessero incontrarsi co'medesimi,
co'quali prima avessero corso. Li 4 ango-
li erano segnati per ordine: A B verso Bel-
vedere, e C D verso torre Borgia. Rappre-
sentava il teatro di Belvedere una prospet-
tiva di piume di variati colori e un'appa-
renza intorno agli archi escale, che figu-
rava una testura di variissime e ornatissi-
rae livree, di molte delle quali fu invento-
re l'eccellente miniatore GiulioClovio,em-
piendola vista altrui nomnendidilettoche
di meraviglia. Movendosi prima d'ogni al-
tro il conte Annibale colle 6 squadre da-
gli angoli A B, si pose in fila occupando
la testa della piazza e congiungendosi a
mezza scala. Il medesimo fecero le 6 altre
squadre contrarie degli angoli C D, tut-
ti in ordine di battaglia, colla visiera alza-
ta e colla lancia alla coscia, senza muover-
si né cavalieri, uè padrini. Allora all'im-
provviso dal palco de'giudici apparve fuo-
ri una banderuola bianca e gialla per se
gno, alla vista della quale si senti il tiro
d'artiglieria verso Bel vedere,di doveavea
no sempre a cominciare gl'inviti e le riti
rate o salve con l'artiglieria e colle troni
be, e per spazio d'uu avemmaria fu rispo
sto con un altro tiro verso torre Borgia,
di dove gli artiglieri aveano sempre a ri-
spondere; ed appresso segui il suouo d'al-
quante trombe colla richiamala a guisa
di provocarsi a battaglia, e ciò segui d'ac-
cordo e senza fraude, e il medesimo fece-
ro per ordine sino a 3 volte. In ultimo suo-
nai ono tutte le trombe, colla risposta dal-
l'altra parte.Quindi apparve il segno d'un'
altra banderuola differente, e subito fu e-
splosa una gran salva di artiglieria dalla
parte di Belvedere,colla risposta verso tor-
re Borgia, ed a questa seguendo il suono
di tutte le trombe insieme , da ciascuna
a6o TOR
parie furono abbassate le visiere, e perdi*
mostrar l'ardente desiderio di combatte-
re, cominciarono a correre l'ulta parte con-
tro l'altra per alquanto spazio e seguitane
do il suono delie trombe con rinforzo n
modo di scaramuccia, i cavalieri correndo
fecero un'altra rappresentanza. Poi si ri-
tirarono ciascuna squadra agli angoli lo-
ro designati. Così dopo altri tiri d'artiglie-
ria e la risposta , cominciò a correre al-
l'incontro il conte Annibale Altemps con
d. Giovanni d'Avalos, correndo due volle
collelance, e tirandosi 4colpi di spada per
ciascuno. Appresso corsero Bernardino i>a>
■velli e Muzio Mattei incrocicchiando per
angolo, come aveano da fare tutti gli al-
tri; onde così seguendo per ordine l'uno
appresso l'altro, finirono tutti i loro corsi.
E fra gli altri due cavalieri delle squadre
dell'angolo B, con due altri dell'angolo D,
s'urtarono andando per terra co'cavalli,3
de' quali ne morirono poco dopo e il 4«°
restò maltrattato, senza male alcuno dei
cavalieri. Dopo questo si mosse il conte An-
nibale colie 6 squadre, e fecero il mede-
simo che all'entrata, e poi riducendole in
uno squadrone di 6 file, mostrando di vo-
ler di nuovo investire lo squadrone con-
trario, e facendo la parte avversa il me-
desimo camminando versoquella per fian- ■
co con tutti i padrini a mano dritta, occu-
parono dall' angolo B sino al C per lun-
go in fila, non passando ciascuna squadra
lo spazio di due ardii e mezzo, avendo la-
sciati gli ultimi dalle teste per l'impedi-
mento degli scalini. E la contraria parte
all'opposto fece il medesimo, occupando
dall'angolo D sino all' A. Così restando
il conte Annibale verso gli archi del bo-
schetto, e la parte contraria verso gli archi
della porta principale, corse una lancia per
il largo con d. Giovanni d'Avalos, e così
seguendo l'uno appresso l'altro ordinata-
mente senza intervallo finirono lutti, che
riuscì di sommo piacere e bellissima vista.
Mentre ebe seguirono questi assalti, essen-
do passate le 23 ore, oltre che Io spettaco-
lo rappi escuta va non meno sublime mae-
TOR
sia, che perfetta eccellenzn,mostrando una
intarsiatura di così vaga e bella gente con
quella maggior vaghezza e leggiadria che
può penetrare l'umana intelligenza, si vi-
dero però di poco in poco spazio sbalzare
dalla cima delle scale verso Bel vedere mol-
ti uomini, che scendendo a basso rotolan-
do sopra le spessissime teste delle perso-
ne dierono materia molto da ridere, con
infini le allegre voci e giù hi li. Talché si può
credere che il Papa Pio IV (il quale non
si lasciò mai vedere), sentendo tanto ap-
plauso e consolazione del suo divotissimo
popolo ad onore degli sposi, commosso da
paterna dolcezza, non lasciasse di goder-
ne; e perchè non vi avesse a succedere ma-
le alcuno, ancora colla sua s. benedizione
di favorire e contemplare sì eccelsa e leg-
giad rissima prospettiva sino allora non più.
veduta. Venendo poi la notte, in un mo-
mento si accesero molti lumi in diverse
lutniniere per tutti gli archi, accomodali
con materia artificiata, e dopo breve spa-
zio cominciarono a suonare tutte le trom-
be, e avendo i cavalieri abbassala la visie-
ra e messo mano alla spada, cominciò il
conte Annibale a battersi con d. Giovan-
ni d'Avalos, e facendo il medesimo i capi
delle squadre, si mossero tulli gli altri ca-
valieri d'ambe le parti io aiuto ciascuno
del suo capo, e combatterono alla folla mo-
strando ogni valore, e fortezza maggiore
per molto spazio, sinché sentito ili. "tiro
d'artiglieria, n'uscì dall'angolo B un car-
ro trionfalecaricodi vari trofei, tutto inar-
gentato e clorato, con un Cupido guidato
da una Venere regiamente ornata con ve-
ste finita d'argento e d'oro, tirato da 4 leg-
giadrissimi e bianchi cavalli colle sue piu-
me per eccellenza accomodate, che mo-
strava ardere que'trofei, e gettava fiam-
me per diverse bocche, che andando alla
volta loro si divisero a poco a poco in due
parti facendo strada a Cupido con molto
diletto di ciascuno, e seguitando moltis-
simi tiri d'artiglieria si sentirono due bel-
lissime salve, prima l'una e poi l'altra per
risposta d'ambe le parti, il quale Cupido
TOR
cull'arco e freccie andava saettando quei
cavalieri con grandissimo piacere d'ognu-
no. In questo all'improvviso fu dato fuo-
co ad tuia girandola (del qna\e fuoco ar-
tificiale ne ragionai nel voi. X, p. i 96 e seg.)
dalla sommità dell'emiciclo delle stanze
di Belvedere, con una pioggia di razzi, che
uscivano da quelle colouue, e arrivavano
sino alle scale dove stava la sposa, con pia-
cevolissima vista. Del carro trionfale, del-
le salve e lumiere ebbe cura Francesco
Cadamoslo col capitano Salustio Peruz-
zi. Questo fu l'allegrisNiino fine della fe-
sta, con contentezza comune incredibile,
circa la mezz'ora di notte. Tutti i nobi-
lissimi cavalieri seguirono il conte Al-
temps, die dopo aver girato col carro mol-
te volte per la piazza spargendo melodie
di trombe, l'accompagnarono sino alle sue
stanze dell'ai cipresbiterato. Si calcolò che
gli spettatori furono 5o,ooo.!\Vprimi due
incontri per angolo, quasi la maggior par-
ie de'cavalieri ruppero le loro lance, al-
cuni de'quali ferirono Della testa e si vi-
dero molti buoni colpi, cos'i di lancia co-
me di spada anco sulla testa, dell'incon-
trarsi poi per largo quasi tutti i cavalieri
ruppero le loro lance, senza ebe succedes-
se discordia o male alcuno, e in ogni co-
sa la perizia e giudizio de'maestri di cam-
po cosi bene ordinarono tuttociòche con-
veniva in quell'occorrenza, che il succes-
so mostrò die non poteasi desiderare di
meglio. La sera il conte Annibale fece un
sontuosissimo e lautissimo pasto, al quale
si trovarono i medesimi cardinali, cavalie-
ri e gentiluomini, e più di 120 dame ro-
mane, che aveauo accompagnato la sposa
alle sue stanze, arrivando iu tutto al nu-
mero di 1000 persone. Dopo la cena per
intermezzode'molti balli, delle sinfonie di
varie rausiebe die si fecero, fu pubblica-
ta la sentenza de'giudici del seguente te-
nore. Forma della sentenza data pe' pre-
mi del Torneo. Avendo noi giudici con
diligente esame e maturo discorso confor-
me alla nostra sincerità, e testimonio di
persone degue di fede e massime de'mae-
TOP. 261
stri di campo , con quella maggior dili-
genza che hanno potuto, e secondo la ma-
niera del loro combattere ha conceduto,
ben considerale tutte l'azioni de'combat-
tenti, diciamo che siccome la festa è sta-
ta bellissima rappresentando una ben fin-
ta guerra, come il conte desiderava; così
avendo veduto in quella segnalarsi molti
cavalieri, essendosi ben incontrati e aven-
do combattuto molto valorosamente. Pe-
lò per l'autorità nostra dataci in virtù dei
capitoli, a'quali sono stati sottoposti tut-
ti i cavalieri, abbiamo giudicalo che una
croce con 4 smeraldi, 4 rubini, 2 diaman-
ti e 3 perle si dia al capitano Gio. Batti-
sta Tosi di Palombara, pel 1. "premio, a-
vendo rotto meglio la 1. 'lancia. E parimen-
ti un pendente con un diamante, e un ru-
bino con 6 perle si dia al medesimo ca-
pitan Tosi per 2.0 premio, per aver rotto
tutte e 3 le lancie meglio degli altri. Che
un nitro pendente, con un rubino e 5 per-
le si dia ai capitan Bernardino ila Vicen-
za per premio , avendo combattuto me-
glio colla spada, e con un colpo segnata-
mente fatto cadere la spada di mano al-
l'avversario, e alzatagli la visiera; ancor-
cliè i capitani Lodovicoda Fabriano, Gio.
Battista Carcano, Agostino Benzoni, Pom-
peo Colonna, Marc' Antouiod'Azzia, e Do-
menico de Massimi abbiano combattuto
tanto bene,che furono vicini ciascuno d'es-
si a riportare il premio. Che un frontale
con 7 rubini legati in oro e 16 perle, si dia
a Pompeo Colonna colla sua squadra, per
essersi ella non men colla lancia, che col-
la spada diportata più segnalatamente.
Che una medaglia con una figura di Mar-
te d'oro colla testa e braccia di calcedo-
nia legala in oro con alcune granate, si
dia al conte Annibale (non ostante che
molte squadre sieno comparse tanto leg-
giadramente per invenzione e per ricchez-
za, die meritano molta lode) per essere
comparsala sua squadra non uienoorua-
ta,chericchissimamente vestita, con mag-
gior pompi, con maggior numero di cava-
beri, e con armi conformi a'fatli di guerra,
»f>* TOR
ch'é quello che il torneo d'oggi in tutte le
Pelili ha voluto rappresentare. In quanto
alla decisione delle querele presentateci
pei capi dellesquadre, usando noi della no-
stra libertà dataci, diciamo, che più tem-
po Insogna a tanta lite. A' cavalieri che
caderono all'incontro per difetto de'loro
cavalli non avendo noi premio da dai li
suppliranno le dame gratificandoli e pre-
mi.indoli del perlcoloal quale si sono espo-
sti per piacer loro, il che avranno in mag-
gior stima di quello che da noi si potesse
dar loro. E generalmente a lutti i cavalieri
devono far favore, avendo travagliatoceli
eomballulo,e resa ubbidienza ni conte An-
nibale, a cui essi desideravano che s'ubbi-
disse e servisse; ed ancora a noi devono
qualche cosa, poiché in sì reale spettacolo
siamostali ancor noi bersaglio del medesi-
mo amore. Questi premi allora in presen-
za della sposa e delle dame furono abo-
minati cavalieri presentali. E verso le 7
ore ognuno se n'andò a riposare. Il Pa-
pa si compiacque assai che gli sposi suoi
nipoti fossero onorati con tanta pompa
e univcrsal contenlo,e massime che il suo
affeziona tissimo popolo mostrasse e sen-
tisse tanta consolazione e allegrezza, poi-
ché il tutto successe senz'alcun disordi-
ne. Cos'i carnevale venne a finire il suo
trionfo. Diversi torneamenti rivide Ro-
ma nel pontificalo d'Urbano Vili, per
opera della sua famiglia Barberini, e pre-
cipuamente pel suo nipote cardinal An-
tonio Barberini giuniore generalissimo
delle Milizie pontificie (delle quali ripar-
lai a Soldato), in occasione della guerra
contro il duca di Parma. Perciò il Cor-
della nella biografia del cardinale rife-
risce che non solo amava i soldati ed era
con essi generoso, ma che per esercitare
la romana gioventù negli esercizi caval-
lereschi e militari propri di quell'epoca
di guerresche fazioni, fece eseguire a sue
spese nel gran foro Agonale di Roma o
Piazza Navona, \ giuochi dell'asta rap-
presentanti una fìnta battaglia, con tal
pompa e magnificenza, che gli procacciò
T O R
l'altenzione e l'ammirazione di tutta I-
talia. De'tornei, giostre, caroselli e finti
combattimenti dati in Roma con magni-
ficenza dal cardinal Barberini, ne feci ri-
cordoancbenel voi. XLV, p. 1 18, ezian-
dio per la regina Cristina di Svezia (/'•),
seuonchè la dala è errata, dovendo dire
l656. Abbiamo nel Mercato di Cancel-
lieri a p. q3, che a'o.5 febbraio 1 634 ne^
sabbato di carnevale il cardinale nel foro
Agonale die al principe Alessandro Car-
lo di Polonia una bellissima e sorpren-
dente giostra, di cui fu mantenitore Cor-
nelio Denti voglio sotto il nome di Tiamo
da Menfi, oltre la festa notturna Citta con
una nave con musiche: di tutto ne pub-
blicò la relazione colle stampe il Mascar-
di, conio nobili disegni d'Andrea Sac-
chi : Festa fatta in Roma a' i5 febbraio
1 634- Festa di giostra con diverse com-
parse e macelline fatta in piazza Na-
vona da' signori Barberini Fanno i634,
intagliata, in acqua forte. Di più, dice
Cancellieri, che il cardinal Barberini in
altri incontri fece spiccare la sua gran-
dezza d'animo, poiché oltre le feste date
per la nascita del Delfino, con Relazione
impressa co'tipi del Cavalli, fece dipin-
gere un quadro pel Palazzo Barberini,
esprimente il torneamento con un carro
trionfale superbissimo, dato per festeg-
giare la regina di Svezia Cristina, accom-
pagnalo da molti cavalieri a cavallo, con
ornamenti vaghissimi, un carosello e un
combattimento notturno, con quantità di
torcie e musica, sopra la piazza artificia-
le formata presso il suo palazzo. Per altri
suoi festeggiamenti e ludis Bacchana-
libus. può vedersi lo slesso Cancellieri. [
caroselli furono di recente celebrati in
Roma dall'odierna guarnigione francese:
ne ricorderò due. Riporta il n.° 209 del
Giornale, di Roma del 18 53, che ai 4
settembre nella magnifica /'illaJJorghe-
se la cavalleria della guarnigione france-
se presentò al popolo romano uno spet-
tacolo assai piacevole. Fu un carosello
militare eseguito da'due squadroui del-
T-O R
J'XI (e non i. ° come avvertì il Giorna-
le col n.° 210) reggimento de' dragoni,
per dare non dubbie prove ili loro abi-
lità al generale di divisione d'André se-
natore di Francia', ed espressamente ve-
nuto in Roma come ispettore generale
delle milizie francesi ivi stanziate. Chi ben
conosce il circo della villa Burgbese, de-
nominato piazza di Siena, facilmente com-
prende die luogo piìi acconcio non po-
teva esser scelto per dare un simile spet-
tacolo. Una sterminata moltitudine di
spettatori vagamente disposta vedeasi in-
torno a questo grande rettangolo: l'am-
basciatore di Francia conte Alfonso de
llaynevalji ministri di Spagna e di varie
ultra corti, il generale Allouveau deMont-
real, comandante la divisioue, e gli altri
generali; principi romani e dame in gran-
dissimo numero accorselo per vedere e
ammirare i 200 cavalieri, che doveano
dai- bella prova di se sotto la direzione e
il comando dell'egregio loro capo-squa-
drone Vincent. Lo spettacolo fu diviso in
due parli: la 1 .'abbracciava, olirei mo-
vimenti preparatorii, l'attacco de'circoli
e l'attacco di fianco, il mutamento dima-
ni), la croce di Malta, i quattro e poi gli
otto circoli, e finalmente le cariche; la
2.3 couteneva l'attacco successivo in co-
lonna, l'attacco in colonna e la ritirala
ni cerchio, l'attacco obliquo, la ritirata, i
molinelli, la croce di s. Andrea e di Pio
1 \ (cioè la decorazione equestre dell'or-
dine Piano), la doppia mischia, e la mar-
cia dillilata. Era il carosello di Saumur
modificato in modo da poter essere ese-
guitoda due squadroni, e accresciuto d'al-
cuni movimenti. Soltanto uno assai es-
perio nell'arti della milizia, ed in modo
particolare di quella di tale speeie,potreb-
be minutamente e con precisione descri-
vere ognuna di queste parti, e far cono-
scere la granile abilità con che furono
tutte eseguite. Ogni spettatore con uno
sguardo allento accompagnava i 200 ca-
valieri dah.'motneutoche piesentaronsi
sull'arena iiuo al tei uuue: li mirava muo-
TO R
3O0
versi con una precisione che mai la pili
grande ad ogni suono di tromba o co-
mando del capo-squadrone. Ora divìde*
vausi in ranghi ed ora volteggiavano in
mille modi: ora un arrestarsi degli uni
e un correre degli altri: uno squadrone
simulava l'attacco e l'altro la difesa; sen-
za urtarsi e confondersi furouo veduti
formare quando 4 e quando un numero
assai maggiore di cerchi, uno dentro l'al-
tro: e senza mai uscire dall'orbita segna-
ta camminare e di trotto e di galoppo, ed
in questi difficili movimenti moderare a
talento il corso de' cavalli, e nello stesso
tempo rotare le spade, e queste deporre
onde afferrare le pistole e far fuoco. Del-
lo e sorprendente vederli nella mischia,
ma non mai confusi, sempre maestrevol-
mente ordinati a seconda de'comandi che
nceveano: alcuni ranghi incedendo di
trotto ed altri di galoppo formavano grup-
pi di grande difficoltà; ed era con queste
mosse che presentarono la croce di s. An-
drea e quella del sommo Pontefice. I due
•quadrarti furono veduti partire dall'op-
poste estremità dell'arena, e colle spade
spinte innanzi slanciarsi furiosamente l'u-
no contro dell'altro, e uel momeuto che
stavano per urtarsi colle medesime, im-
provvisamente alla voce del comandan-
te arrestare il cavallo, e sollevate le spa-
de, a vece di vibrare colpi di morte l'u-
no contro I' altro piacevolmeute saluta-
1 unsi. Il pubblico non perdeva di vista
nessuno di que'difficili e complicati mo-
vimenti; li seguiva con il maggior inte-
ressamento, e più voltecon fragorosi bat-
timenti di mano salutò i faticati cavalie-
ri, che mediante la loro valentia in quel
continuo muoversi, urtare di spade e in-
calzare di cavalli accorrenti, non ebbero
a soffrire il benché minimo danno. Ogni
squadrone faceva sventolare la bandiera
francese e quella pontificia: e ogui sua
mossa compì a suouodi musicali conceu-
ti. Sul cader del sole il carosello con tan-
ta maestria eseguito ebbe il suo termine
coi defilare de' cavalieri, che mossero a
264 T ° R
rendere il saluto al generale ispettore, clie
mostrasti altamente soddisfallo. Inoltre
dal n.° 242 del Giornale di Roma dello
stesso 1 853 si apprende, che il magnifi-
co carosello di cui Roma fu spettatrice
nel settembre, venne ripetuto a'?.4 otto-
bre dallo slesso reggimento XI de'drago-
nifrancesi.il generaleAllouveau deMont-
real comandante la divisione di occupa-
zione in Italia, non che l'egregio colon-
nello di questo reggimento Danias, col-
sero assai di buon grado silFalla occasio-
ne per venire in aiuto della caritatevole
società di s. Vincenzo de Paoli, che con
tanto zelo si consagra al sollievo de'po-
veri. E il principe d. Marcantonio Bor-
ghese, il quale nulla tralascia per giovare
a chi è misero, apriva a tal uopo la sua
"villa, come si compiacque concederla la
1." voi tu. Il carosello ebbe incom iucia men-
to alle 3 pomeridiane: 200 cavalieri sot-
to il comando del capo squadrone Vin-
cent, con un'ammirabile precisione ese-
guirono ogni movimento indicato nel pro-
gramma : e quantunque non pochi di es-
si non avessero fatto parte del i.° carosel-
lo, tuttavia ne'circoli, ne' mutamenti di
mano, e nelle cariche, e negli attacchi in
colonna, e ne' molinelli, nella mischia e
nella marcia diffilata, ed in qualunque al-
tra mossa, mostrarono egoal valore a
quelli che già eransi cimentati in tale ar-
ringo. Gli applausi della moltitudine che
stipava la grandiosa piazza di Siena mo-
strarono quanto si compiacesse di que-
stospettacolo, e furono l'encomio che ven-
ne a tributare a' bravi cavalieri, al loro
capo-squadrone e al colonnello, i quali
hanno saputo con tanta abilità ammae-
strarli. Indi il n.° 244 del Giornale noti-
ficò, che le persone entrate nella villa a ve-
dere il carosello furono 10,000, ed i mi-
litari francesi e pontifìcii non furono me-
no di 5ooo,maessi ebbero tutti l'ingresso
gratuito. L'introito de'biglietti fu di scu-
di 719, quello dell'oblazioni scudi 1 17,
in tutto scudi 83G. Essendo salite le spe-
se a scudi 35o, rimasero a beneficio del-
TOR
la pia società di s. Vincenzo scudi ^S6.
Quanto alla giostra che un tempo si fa-
ceva nell'anfiteatro d'Augusto o Correa,
nel riparlare di esso nel voi. LXXIII, p.
248, ripetei la proibizione fattane duLeo-
ne XII e Pio Vili, come spettacolo san-
guinario.
I tornei furono nuovamente celebrali
negli ultimi anni in Italia e ollremonte.
Nel febbraio i83f), lieto Carlo Alberto re
di Sardegna per la venuta nella sua capi-
tale Torino , del gran duca Alessandro
principe ereditario della Russia (che a'2
marzo 1 855 per la morte del genitore Ni-
colò I salì al trono nello stesso giorno, ed
è Alessandro II imperatore regnante delle
Russie); splendida fu l'accoglienza, come
conveniva al figlio dell'imperatore Nico-
lò l,e fu bel pensiero del re perfesleggiare
l'ospite augusto nella sua breve dimora
in detta città, di rinnovare l'antica usan-
za de'reali di Savoia, disponendo un tor-
neò. Ne fu capo il marchese Corderò di
Patnparato, e corsero le giostre i più scel-
ti, i più gagliardi ufficiali di vari reggi-
menti di cavalleria. Spettacolo nuovo a'
dì nostri; e tanto piacque che si ripelea
per le nozze del duca di Savoia (ora re Vit-
torio Emanuele 11 resinante, con I' arci-
duchessa d'Austria Maria Adelaide, regi-
na che morta nel 1 855 deplorai a Tori-
no), con più fasto ancora, poiché mag-
gior tempo si ebbe a disporre così vago
esercizio di cavalieri gentili. Di quello del
i83g abbiamo un'elegante descrizione
dell'eruditissimo cav. Cibrario. Il 1° tor-
neo ebbe luogo inTorino a'2 1 aprile 1842,
e con elegante articolo ne fu pubblicata
la bella descrizione dal t. 9, p. q4 del-
X Album di Roma, scritta dal eh. Pietro
Bernabò Silorata,che vi fu presente, eri al-
quanto in breve riferirò sì grandioso e ra-
ro spettacolo, il quale rinnovò le pompe
antiche in tutto il suo splendore e impo-
nenza. Lo splendido torneo si celebrò nel
magnifico anfiteatro a bella posta eretto
sulla piazza di s. Carlo (il De Bue dice che
questo gran circo fu inualzalo all'uopo dal
TOR
municipio, e che il torneo o giostra ebbe
ad argoineulodi rappresentare la magni-
fica festa cavalleresca offerta uel secolo
XIV in Costantinopoli, e ricordata di so-
pra, dallo splendido corteggio di Giovan-
na Anna figlia d'Amedeo V coule diSa-
voia, quando ella vi andò sposa al greco
imperatore Andronico 11 he che la di-scri-
zione di quello di Torino la pubblicò nel
i 842 \aGazzetta di Mila/in col u.° 1 1 4)>
torneo che giustamente può collocarsi a
paro de'più famosi che si videro in Ita-
lia, e da cui pel celebrato cou grata illu-
sione gli spettatori furono ricondotti ad
ammirare i più nobili esercizi della caval-
leresca antica gentilezza. Era il meriggio,
1' azzurro del cielo brillava purissimo, e
già pressoché 2 2,000 spettatori ansiosa-
mente si collocavano per le gradinate e
per le gallerie tutto all'intorno della va-
sta arena,cupidi di ammirare le prove del-
la destrezza e del valore. Le finestre de'
palazzi laterali, adorne di drappi azzurri
e candidi festoni, eran pienissimi di gente,
e fino sull'alto de'tetti non tuancavauogli
amatori del belio. Nel mezzo del gran re-
cinto, ove sorge l'equestre statua in bron-
zo del duca Emanuele Filiberto, appa-
gano vagamente disposti a circolo gii ar-
nesi delle finte pugne, aste, giavellotti,
rotelle; e pronti a correre, ovunque d'uo-
po chiedesse, i valletti d'arme, vestiti del-
le loro fogge corrispondenti alla nazione
de'loro signori. Una eletta e numerosa
banda militare preludeva con belle sin—
fumé; una trepida giòia scintillava da tutti
i volli: quell'aspettazione avea un non so
che di grande e di sublime, da non po-
tersi ridire. Se v'era cosa che in parte di-
minuisse i'elfetto di que'solenni apparec-
chi e servisse a turbare i dolci incinti di
quella poetica festa, ben era il volger l'oc-
chio dal drapello di que'yarzoni in vesti
di bizzarra leggiadrìa e da que'iasci di ar-
nesi cavallereschi alle linee cii costanti del-
l'inuumerevole assemblea, dove la gret-
tezza e la severità decolori degli abiti mo-
derni, particolarmente ne' maschi, troppo
T OR 26 5
rammentava in qual secolo si vive. Per
altro, il gentil sesso non rendeva raen bel-
la anco questa scena ; poiché il muover
con tin uo de' variopinti e va riopiu ma li cap-
pellini, l'alzar delle lanteombrelletted'o-
gui forma e dimensione, il tremolar de'
ventagli, animavano, in certo modo, quel-
la calma ansiosa e quella tacita impazien-
za di tante moltitudini. Alfine, sotto il vi-
vissimo dardeggiar del sole, un improv-
viso squillo di trombe e strepito di rote
annunciò che il re Carlo Alberto, l'augu-
sta sua consorte Maria Teresa, ì reali sposi
e tutta la comitiva degl'insigni loro con-
giunti e ospiti , si recavano ad abbellire
di loro presenza lo spettacolo, degno d'u-
na valorosa nazione. E poco staute si vi-
de entrar primo nel grandee maestoso pa-
diglioneadornodi tutte le squisitezze del-
l'arte, il re a cui gli altri con ordine se-
gui vano. A ho e non interrotto grido di con-
solazione scoppiò da ogni lato, e mille e
mille voci di plauso e di augurii salutaro-
no il monarca e i suoi diletti su cui po-
savano tantesperanze de'populi. Era una
grande famiglia che esultava al giungere
del suo padre e benefattore; ed egli cou
quella sua grazia e bontà singolare che
lo distinse, mostrava la sua commozione
a tanti segni di giubilo e di amore osse-
quioso, rispondendo con cenni e saluti al-
l'immenso acclamar di tutto il circo. Fat-
to silenzio, la grandiosa festa incominciò.
» Chi è quel bello e maestoso giovanetto
diesi slancia entro l'arringo sopra un bol-
lente destriero, al cui apparire sorge un
batter fragoroso di mani? Egli veste le fog-
ge antiche di Savoia, in colore azzurrino,
con bianca piuma in testa, e cinto d"ar-
mellino il picciol manto che dietro gli sv<>.
lazza. Bene composto e atteggiato della
persona, ogni suo moto è indiviso da una
grazia e da una nobile venustà che cara-
mente allettano o.mi sguardo, rapiscono
ogni cuore. Un araldo a cavallo, pompo-
samente fregiato delle sue divise, lo pie-
cedecon 1 2 trombette, e lo seguono 3 scu-
dieri e un poila-stendardo. All'avvicinarsi
i66 T OR TOR
eli lui, ila ogni palèo viene un festoso mor- di corse tanto fior di gente, immemore de-
moiio di voci d'ani mi razione che si leva- gli ardori soverchi del sole, e lotta fisa
no tosto in lieti evviva; tulli se lo addi- in quegli splendidi giuochi de'nostri avi.
limo a vicenda, come un perfetto escili* La a.* quadrìglia era distinta delle fogge
pio de' cavalieri antichi. Questi è il real e de'colori degli antichi cavalieri di Si-
principe Ferdinando, duca di Genova, se- voia; la 3." offeriva il costume de'cava-
coudo figlio del re Carlo Alberto, leggia- Iieri piemontesi ; nella 4-* brillavano di
«ho e amabile giovinetto di appena 4 lu- sfarzose vesti gli ordini di Rodi e della
siri , che per felice indole e per tulle le Stella. Ma ecco nuova e pili animata sce-
piìi rare virtù già promette di emulare na di prodezze guerriere. Quattro dischi,
i più lodati eroi della sua casa. Egli con allogali a pari distanze e in modo che pre-
bei caracolli si appressa al padiglione, ove tentino il loro orbe al Ranco decorrenti
siede il suo real genitore, e in allodi ri- cavalli, risvegliano il bollor di quegli ani-
\ (reo za liliale, non disgiunta da guerrie- mi giovauili. Si spicca primo a sciolte bri-
lli dignità, alcun poco attende il sovrano glie il duca di Genova, brandisce un dar-
suo cenno. Poi tosto ritorna ovesonoschie- do, e obliquamente lanciandolo ne infig-
rale le 4 quadrighe de'cavalieri. Lai/ di gè la punla nel disco; oltrepassa, e alfer-
csse entra animosa nell'ampio steccato, rendo altro giavellotto che i donzelli d'ar-
L'abilo che indossano 1 1 di loro halefog- megli gittano a volo, ripete la stessa pro-
ge dell'ordine di Costantino, quello che va con mirahil giustezza; di 4 colpi a' 4
adorna gli altri rammenta l'ordine di s. bersagli che dicemmo, unosolo è mei) for-
Lazzaro;non può vedersi cosa più magni- temente diretto, non cos'i però che non ri-
fica delle vestimenla in cui vieppiù risai- porti il vanto Su tutti gli altri cavalieri ,
latra agli occhi le beile forme de'giovani che ad uno ad uno tentano saettare co'lo-
toi tiranti: e ricche del pari ollremodo so- ro dardi il mezzo dell'opposto cerchio. 1
no le barilature de' cavalli. Andrei qui plausi eglievviva, al succedere de'più ar-
troppo per le lunghe se volessi dipingervi diti e fortunati colpi, vanno al cielo e ri-
le laute e tante prove di destrezza e di sa- desiano la comune allegrezza. Ed ecco in
gacilà cavalleresca onde si distinsero i no- mano di tutti i cavalieri è posta un' alli-
bili attori di quella specie di danza guer- lata e lunga lancia: primo sempre il du-
riera. Basti che io dica che ne'diversi giri ca di Genova corre intorno all'arena, e
e intrecciamenli di corse parevano que' passando sotto 4 verghe, sollevate a di-
iien e superbi animali aver una mente co' stanze eguali, infilza e via si porta coll'a-
loro signori, e movere in esatta cadenza sta uno degli anelli che da esse pendono;
iil gioioso suono degli strumenti militari, i 24 cavalieri seguono con impeto e con
e non fallire d'un' orma le rapide e me- vivissima gara rinnovandola didìcil pro-
ra vigliose volute per cui ad ogni tratto si va: lode sopra lutti ha il giovane rampollo
cambiavano in varie figure di circoli , e della regia stirpe di Savoia. Indi con pari
affrontale e salti e scorribande. L'augu- ardore e con crescente letizia universale
slo re degnava di congratulare alla bella si esercita quella nobile gioventù a ferir
arditezza de'cavalieri, plaudendocon ma- colle -pade, accelerando il correr de' ca-
irn econ parole di lode; e leeleganti spet- valli, vari simulacri di tesle or basse, or
latrici anch'esse facean eco all'universale alte dal suolo, e poi tragitta a slancio bar-
gradimento. Cos'i, una dopo l'altra, le ri- riere di siepi artificiali, e nello stesso ar-
mauenti 3 quadriglie si successero nell'a- due di quel salto de' generosi destrieri
rena, alternando sempre in diverse guise drizza i colpi delle spade in altre teste al-
gli sperimenti del valore equestre-, « de- logate sopra colonnelle di legno. Tutto ri-
liziando con vaghe norme di aggirate e velava la fermezza del cuore e del braccio;
T OR TOR 2G7
;i pei lanciente vedevasi nel grazioso e in- scellro ili Carlo Alberto; e però da lut-
cruento armeggiare di tanti prodi, cliealle la quanta l'assemblea sorse in quel mo-
niti ilei valore e delle battaglie qui sono mento un lungo, solenne, altissimo ewi»
ammaestrati i non degeneri nipoti di que' va. Fi «'plausi, fra le grida di giubilo tor-
subalpini die sì alto grido levarono seni- nò in sella il duca Ferdinando, ed a capo
pie, in Italia e fuori, di loro valentìa nel- dell'intera fioritissima squadra uscì dal-
le armi; e clie saprebbero in veri scontri l'arena.Le V)A;r/V<7<7i;7o/7/odi Roma del
sostenere con eguale rinomanza di corag- 1 84i col n.° 1 6 diei ono quelle del 1 .° for-
gio l'onor del trono e della patria.'" in ni- neo rappresentato a \ ienna nella caval-
tuno, posti via gli arnesi guerreschi e rin- lerizza iinperialed'invernoaore 7 e rnez-
vaginale le spade,tutte lequadriglie siap- za della sera del i.° aprile, da una società
presentarono di uuovoead un tempo nel- di cavalieri per celebrare il "jo.mo anniver-
i'areua; e collocate a tondo presso L'estro- sario del serenissimo arciduca Carlo d'.Vu-
ina linea del campo, diedero luogo a! du- stria feldmaresciallo generale dell'impe-
ca diGeno va cbecolla sua particolare qua- 10, come gran maestro dell'ordine impe-
driglia formatasi de'capi dell'altre, degli riaje e militare di Maria Teresa: gli altri
scudieri e de'portalori di stendardo, ino- due tornei furono dati per oggetti di be-
lilo quanto era valente e fianco in ogni neficenza a"3 e 5 di detto mese. Questo
più difficile guidar d'un destriero e io tot- interessante e splendido spettacolo fu per
te l'eleganze che fan bello e lodato l'eser- molti giorni argomento de'pubblici fogli
cizio della equitazione. Fui tutte le qua- e delle conversazioni della nominata ca-
driglie con mirabile accordo si raffronta- pitale. Eccone la descrizione. Sotto la log-
ìouoe striusero velocemente insieme, fot- • già della Corte era stata eretta una mi-
mando quasi una gran catena die or si ghiera pel corpo diplomatico, nella quale
raggruppava orsi snodava iu centodiver- lai. fila eraa^segnataalledamede'gioslra-
:>e maniere. Qui il conlento e la meiavi- tori. Rimpelto alla loggia della Corte, ai-
glia del pubblico fu in sommo grado; poi- l'altro capo della cavallerizza, erano state
cbè nou è a potersi ridire il brio, l'ini- predisposte altre ringhiere, nelle quali
peto nou seuza legge e misura, la quieta presero postoi cavalieri dell'ordine di Ma*
baldanza, il foco degli sguardi, l'armonia ria Teresa, die in gran numero erano ve-
di tutte le mosse e aggiramenti, con cui nuli a Vienna iu occasione della festa del-
gl'intrepidi cavalieri si mescolavano tra l'ordine, ed altri ufficiali. Tutta lai.'1 rin-
di loro iu tuttala vai ietti possibile di quel- gbiera era occupata dalle dame, cavalieri
le danze guerriere. Posalo finalmente tan- e ufliziali, come pure da impiegati della
lo bollore di corse, l'intera squadra di 1 10 corleedellostato, tutti indivisa. Nella 2/
si ordinò in battaglia dinanzi al real pa- ringhiera, nella quale erano pure state di-
digliuiie; e sceso di cavallo il principe cn- sposle sedie chiuse, collocaronsi le perso-
pode'lorneamenti, e salito ov'erano i suoi necheaveano ricevuto biglietti d'ingres-
reali genitori e congiunti, offrì all'inclita so. L'ampiospaziodella cavallerizza fu sti-
sposa, alla regina sua madre, e aìle arci- vaio di spettatori. La cavalleresca deco-
duchesse vaghi mazzetti di bori come bel razione del luogo e la sfarzosa iliumiua-
tributo e omaggio di tanti cavalieri, che zioue davano un risalto particolare al ma-
in quell'onorata palestra erano concorsi gui fico edilìzio, e l'auguslae illustre adu-
a far fede di vaientezza e a significar l'è- nauta offriva un aspetto oltremodo im-
sultanza pel faustissimo maritaggio del fu- ponente. Sulla 1.' ringhiera, a destra della
tuio erede del trono. Nella (male ollerta loggia di Corte, stava la musica del reg-
era come compendiato e si rannodava o- guuenlo d'Assia-Omburgo ; a sinistra il
gui fervido volo de'popoli, obbedienti ailo curpo de'trombelti de'cavalleggieri pria*
2G8 T O R
pe di Liechtenstein. Dopo che l'impera-
tore d'Austria Ferdinando I, 1' impera-
trice Maria Anna sua consorte, ed i se-
renissimi membri dell'imperiale famiglia
ebbero preso posto nella loggia di Corte,
e si furono acquetati gli applausi entusia-
stici, co'quali la bella e illustre adunan-
za salutò l'arrivo dell'imperatore e del-
l'imperatrice, e del celebrato eroe arcidu-
ca Carlo che gli accompagnava, comin-
ciò lo spettacolo. I 20 cavalieri condus-
sero le loro dame a' posti per esse riser-
vali. Erano esse le principesse , contesse
e baronesse i cui nomi si nonno leggere nel-
le Notizie. Tutte queste dame erano ve-
stite con fogge del medio evo, e risplen-
denti di gioie. Il torneo aprissi coll'ordi-
ne seguente: 24 valletti a piedi; 2 araldi
(i due cavallerizzi della scuola spagnuola
presso l'imperiale regia cavallerizza, ba-
rone di Brano e Leopoldo Gàrlner); 2
trombetti e 2 timpanisti;! giostratori l'u-
no dopo l'altro, seguito ognuno da 2 scu-
dieri, l'uno de' quali portava la lancia e
lo scudo, l'altro la bandiera delsuocam-
pione. L'ordinanza entrò per la porla di-
rimpetto alla loggia della Corte , proce-
dendo col delto ordine. Furono i cava-
lieri: 1.' Quadriglia, ver/le e oro: i conti
JVadasdy, Blacas, e A. Rai oly, ed il prin-
cipe Clary. 2/ Quadriglia, azzurro chia-
ro carpento: i principi Lobkowitz, e d'A-
■versperg, ed i conti Zicby, e L. Raroly.
3.'' Quadriglia, rosso ciliegia e argento :
i conti Saudor, Festelics, Rolowrat, eTa-
rouca. 4-a Quadriglia, nero e oro: i prin-
cipi Trautlmansdorf, e N. Esterhazy, ed
i conti Szapary,e Lodron. Quadriglia mi-
sta: principe Liechtenstein, rosso e oroj
conte Chotek , verde e oro; conte Har-
rach, nero e oroj conte Wolkenstein, az-
zurro e oro. Le giostre furono eseguite
dalle quadriglie nell'ordine seguente: 1.
Verde e oro; 2. Azzurro cbiaro e argento;
3. Fiosso ciliegia e argento; 4- Mista, da
uncavaliere delle altre 4quadriglie; 5. Ne-
ro e oro. L'esercizio del la tesla fu eseguito
scuz/ armi du fuoco, colla lancia, il gia-
TO R
vellotto , la sciabla di taglio e di punta
(quest' ultimo consiste nell' infilzar colla
sciabla una lesta collocata sul terreno,cor-
rendo a briglia sciolta). Tutte le fazioni
furono eseguile con particola!1 destrezza.
1 giostratori erano vestiti all'antica, però
senz' elmi né corazze, con gorgiorette di
pelle e berrette a piume. Era uno spetta-
colo veramente stupendo il veder la te-
nuta cavalleresca di que'gentiluomini, ed
i superbi cavallicbe caracollavano guidati
da mani maestre. Ed in vero ammirassi
con singoiar diletto la perizia spiegata da
lutti nella nobile palestra, e singolarmen-
te da'4 cavalieri checonducevano le qua-
driglie. Mellecorse delle teste il suono del-
le trombe annunciava le quadriglie; e al-
lora gli araldi introducevano i cavalieri
co'loro porta-insegne. La giostra termi-
nò con una contraddanza eseguita da tulli
i 20 cavalieri, che in essa dierono novella
prova della loro abilità. Lo spettacolo non
fu turbato da nessun accidente, che po-
tesse amareggiare il diletto che procacciò.
Finita la folla o contraddanza, i cavalieri
si schierarono in ordine di battaglia. Al-
lora comparvero gli araldi co'lrombetti,
e la bella comitiva usci dalla lizza coli'or-
dine stesso com'era venuta. I cavalieri e
ledame ebbero l'onoredopoil torneod'es-
sere invitati a prendere il thè presso l'im-
peratrice Maria Anna. Inoltre i giornali
di Vienna del maì>"io 1 853 fecero la de-
scrizione della festa del carosello, esegui-
ta in tal capitale, che riuscì una delle più
splendide, onde il n.° 123 del Giornale
di Roma del 1 853 ne die il seguente cen-
no. Questa festa consisteva in un giuoco
d'armi, in cui si videro unite alla nobile
pompa de' tornei del medio evo, tutta
quella sveltezza e quelle qualità che di-
stinguono il cavaliere, dacché non entra
piùiu campo col destriero coperto di fer-
ro. I vasti spazi della cavallerizza impe-
riale mostravano, in mezzo ad un mare
di luce, i loro festosi ornamenti di trofei,
contornali di bandiere bianco-rosso e
giallo-nero, e di heaco fogliame. Le due
T OR
gallerie erano zeppe d i nobili signore, cir-
condate da eletti signori nelle più svaria-
te uniformi. Nel palco imperiale dell'im-
pelatole d' Austria regnante Francesco
Giuseppe, oltre gli arciduchi e le arcidu-
chesse, comparvero gli augusti ospiti, il
re di Prussia Federico Guglielmo IV e
i principi Carlo e Carlo Federico di Prus-
sia, il re del Belgio Leopoldo col princi-
pe reale Leopoldo duca di Brabaute. Due
araldi vestiti de'colori dell' impero ger-
manico a cavallo, seguiti da alfieri a pie-
di, portanti la bandiera dell'impero, da
due suonatori di timpani e 24 trombet-
tieri a cavalloni portarono sino sotto, alla
loggia imperiale, dando il segnale d'in-
gresso a'cavalieri. Immediatamente do-
podue portatori di banderuole, compar-
ve il condottiero de'cavalieri, l'arciduca
Guglielmo nipote del sullodato arciduca
Carlo, colla spada sguainata. sopra un ca-
vallo con bardatura di colori azzurri e
d'argento. L'arciduca portava un man-
tello di velluto bianco, ricamato in ar-
gento e tempestato di pietre preziose, sul
petto la croce rossa sotto la corona, ed u-
na sciarpa azzurra ad armacollo. Le brac-
cia e le coscieerano chiuse in un'armatura
di filo di ferro. Un elmo d'argento broc-
cato d'oro ed ornalo de'siinboli de' du-
chi d'Austria, vale a dire d'uu mazzetto
di corte penne di pavone, da cui s'erge-
vano alti pennacchijCopi iva il capo del se-
renissimo condottiero. L'arciduca era ac-
compagnato ila 8 scudieri a piedi, 2 de'
quali portavano lancia e scudo. L'eccel-
so condottiero era seguito da 24 cavalie-
ri, accompagnato da 12 scudieri, indi da
6 destrieri da battaglia, con gravi coper-
te broccate d'oro. La divisione era chiu-
sa da due porta-bandiere e da 1 2 servi a
cavallo. La divisione de'saraceni era con-
dotta dal real principe di W111 temberg,
accompagnato da due mori con iscudoe
bastone. Egli montava un cavallo arabo
bruno, bardato di bianco. con briglia d'o-
ro. Consisteva il vestito d'un caftan. pan-
taloni broccati d' oro, uo giustacore di
TOR 2(h,
velluto verde. Intorno all'elmo d'oro, con
mezzaluna, era attortigliato un turban-
te verde. Lo cingeva uno sciatto bianco-
azzurro. Le armi erano una scimitarra
ed un cangialo. Il vestito e le armi risplen-
devano in tutta la pompa orientale e di
pietre preziose. Il principe era seguilo da
6 mammalucchi a piedi, indi da 24 no-
bili cavalieri musulmani, con 1 2 beduini
che portavano le armi, indi 6 cavalli di
puro sangue arabo, ornali di coperte di
beiglie, che Abbas pascià e vice-re d'K-
gitto avea spedilo in dono all'imperato-
re Francesco Giuseppe. Due portatoli di
code di cavallo aprivano, ed altri 2 con
12 beduini a cavallo chiudevano il drap-
pello de'saraceni. Il giuoco d'armi inco-
minciò coll'accompagnamento ili 2 ban-
de musicali. Eseguendo quadriglie a ca-
valloni vedevano scambiati i giuochi del-
l'anello, quello di giltare a terra o d'in-
filzare teste turche, poste sopra palii. il
ballo d'armi era il combattimento. Gl'il-
lustri cavalieri dimostrarono in tolto una
bravura, degna della memorabile occa-
sione, nella quale fu concluso il matrimo-
nio del duca di Brabante con I' arcidu-
chessa Maria Enrica figlia dell'arciduca
Giuseppe palatino d'Ungheria. Dal n.°5
del Giornale militare italiano <\\ Firen-
ze del 1846, ricavo il seguente cenno del
real torneo celebrato dal regnante Fer-
dinando Il re del regno delle due Sici-
lie nella sua reggia di Caserta, domeni-
ca 8 febbraio. In questo splendido spet-
tacolo cavalleresco successivamente gio-
strarono i principi reali, i generali, gli uf-
fiziali superiori e distinti cavalieri, alla cui
schiera era capo l'augusto re; e Ira le al-
tre schiere l'ima di ufliziali de'di versi cor-
pi di cavalleria, l'altra delle guardie del
corpo, e la 3.a di sotto-ufliziali della stes-
sa cavalleria, lutti di quella guarnigione.
Questo torneo fu aperto nel vasto spiana-
to, al cui fondo sorge il regio e sontuo-
so palazzo di Caserta, capolavoro d' ar-
chitettura; guerrieri ludi che la pace lu-
singhiera, di lunga se non perpetua dura-
»?o TUR TOH
ta, avea mano mano mandato in oblio; i mi, 2 araldi ei 2 vessilliferi; ivano quindi
quali tornei danno pure l'immagine di i.°de'cavalieri della divisa rossa il sovra-
quel gran solco di luce che serpeggiò fra no Ferdinando II, che di tutto era slato
le tenebre del medioevo, siccome dal ce- capo e regolatole. Seguivano 4 scudieri,
lebre La Soge fu detta la cavalleria, don- ed il valletto conducente per la briglia il
de tante memorande gesta, le immorta- destriero serbato già sempre a'più rischio-
li crociate, e l'alta fama di capitani e poe- si e brillanti usi cavallereschi. In tal for-
ti che le cantarono e precipuamente l'A- ma entrati i ^cavalieri, cìaiCunocòlpro-
riosto ferrarese. Meraviglia e diletto ecci- prio seguilo e cavalli, nello steccato dalia
tu il vedere in perfetta guisa espresso an- parte sinistra, poiché n'ebbero fatto ed ile-
che in quella deli/iosa parte d'Italia, il si- rato il giro , poiché compiute vi ebbero
mulacro di tempi e costumi sì rimoli da tutte le formalità prescritte negli antichi
noi. Lo sleccato circoscrivente la lizza sor- codici di cavalleria,** disposero gK uni con-
geva in (orma quadrilatera, avente al fon- tro gli altri per cominciare al suono d'ar-
do, incontro al palazzo, un padiglione de- mouie, i torneamene. Dame, paggi, val-
stinatoal principe e alle dame del torneo, letti, armigeri, scudieri, lutti espresselo
primeggiando fra esse la regina madie e con esattezza il tempo che ricordavano,
le reali principesse; ed a' lati due palchi 1 cavalieri volteggiarono in tutte le forme
scoperti e di minor mole, uno pe'giudici, annunziatrici di bella istruzione nel domi-
l'altro pel contestabile maestro del carri- nar i cavalli e nel maneggiar le armi, e
po,alle cui spalle era numerosa banda mu- in tutte le vicende delle giostre si videro
sicale: tutto il resto de' lati del gran pa- arrestare e correr lance , dopo di che si
rallelogrammo era occupato da spettalo- venne alle spade. Non mancò la compar-
vi sopra diversi ordini di gradini, di-po- sa del cavalier Nero, di quello che si co-
sti come in anfiteatro; ed eravi calca di nosce pur sotto il nome di cavalier della
gente che occupava i dintorni, le logge, le Morte, il quale, introdotto colle forme a-
flnestre, i terrazzi delle case vicine, segua- raldicln*, andò a percuotere uno scudo, in
tediente deM uè grandi quartieri, il cui di- tal guisa disfidando chiunque volesse con
sedilo tanto aggiunge alla maestosa ar- esso lui combattere. Ed all'invito seguita
chitetluradiquellareggia.il ». de'suddet- l'accettazione, più lance il cavalier Nero
ti 3 palchi, quello del principe e delle da- corse ecombattè. Evoluzioni quindi e ma-
rne, era interiormente tappezzato in araz- neggi furono pur fatti, ed in fine tutti in
zi, e ornati di stile adallo all'occasione ri- bella ordinanza uscirono dalla sbarra. Ar-
cingevano le altre parti; ed i due lati, nel rivo poscia un drappello di cavalieri con
cui centro erano eretti i palchi minori, di- fogge del tempo di Francesco I re di Frau-
stinguevansi pure ciascuno per r 2 trofei eia, de' quali furono ammirati i volteg-
di usberghi, celale e armi, a'quali appen» giamenti svelti e precisi. Successero alla
der si doveano le bandiere de'^4 cavalle- loro volta una schiera di beduini, ed una
ri della giostro. Alle2 pomeridiane losquil- di cosacchi, abbigliale ancor esse in guisa
lo delle trombe annunziò la comparsa dei da render pienissima l'immagine de'po-
due drappelli , che componevano la i/ poli rappresentati, e le cui rapide corse, i
schiera, ciascuno di r 2, uno di divisa ros- cui salti su per barriere portatili, in alto
sa e l'altro in bianca. Uscirono essi da un di trarla pistola, non riscossero plausi mi-
lato della reggia, ed era bello il vedere noti. Questo magnifico spettacolo, pel suo
l'ordine con cui procedevano, non chele universale gradimento, fu rinnovato dò-
insolilearmi, la varietà decolori e i pedo- ni eruca r5 febbraio ì 846. 11 tempo fu an-
ni, lutti in divise caratteristiche. Proce- che più sereno e più dolce della prece-
devano innanzi 4 trombetti, il re dell'ai*- dente, sicché parca quasi una giornata di
T O R
primavera; ciò crebbe ancora il diletto di
coloro che in gran folla vi si recarono. Il
torneamento fu somigliante all'altro già
descritto, senonchè le dame, le quali l'al-
tra volta trovaronsi alcominciamento sul
loro palco, in questa all'una e mezzo usci-
rono dalla reggia sopra due cani leggia-
dramente disposti, tirati ciascuno da 6 ca-
valli, preceduti dal re dell'armi, ed accom-
pagnati da cavalieri e paggi, mentre udi-
va» il suono di musicali concerti. Nelr.°
di essi era il re Ferdinando il, la regina
madre colle reali principesse, il principe
delle feste e il contestabile. Nel 2.°, oltre
a quello delle dame.era un seggio occupa-
to da giudici. Terminato poscia il torneo,
le dame rientrarono nel modo slesso come
erano venule, e accompagnate furono da
tutti coloro che aveano avuto parie al
giocondo nobile trattenimento, mentre la
toilette delle dame fu tutta caratteristica
e propria de'toruei. Narrai a Spagna che
tuttora la nazioneconserva il più vivo tra-
sporto pe'torneamenti, corse e giostre dei
tori; dissi de'loro ardili picadores e aldi
intrepidi giostratori; e che l'anfiteatro di
Granata è uno de'migliori della penisola,
pe'feroci combaltimentide'tori, in cui ol-
tre que'fortissimi animali nella tremenda
lotta soccombono diversi cavalli e talvol-
ta anco i giostranti. Le corse de'tori nel-
la piazza M,i\ or della.capilale Madrid, con
islraordinaria pompa si firmo per l'inco-
rnnazionedel re, pel matrimonio della re-
gina e per la nascila dell'erede del tro-
no. La regnante regina di Spagna Isabel-
la II, fidanzata a'28 agosto 1846 al suo
cugino l'infante d. Francesco d'Asisi du-
ca di Cadice, lo sposò la sera de' 10 otto-
bre, e conferì con decreto allo sposo il ti-
tolo onorario di re edi maestà, senza ch'e-
gli prenda parte agli affari del governo.
Nella stessa sera la sorella infante d. Ma-
ria Luisa si sposò al principe Antoniodu-
ca di Montpensicr. Perquesti duplici ime-
nei in Madrid si fecero strepitose feste e
torneamene, de'quali riferirò quanto leg-
go uè' n.' 84 e 89 del Diario dì Uoma
t o a 271
del 1 846. Allo spettacolo dell'ippodromo,
nella corsa delle siepi una dell'amazzoni
fu balzata fuori di sella e uno de'cavalii
la mise sotto i piedi, ma senza gravi con-
seguenze. A' 16 ottobre cominciarono le
corsede'tori nella piazza Major con pom-
pa inusitata e solo propria dell'avveni-
mento. I! ree la regina intervennero ad
una corrida nel circo ordinario; ma qui
oltre la magnificenza, opera della gene-
rosità regia e dell' ayuntamienlo, le cor-
se ebbero un aspetto nuovo. Prima eh en-
trassero nella lizza i picadores e gli espa-
das, un'altra specie di lotta assai più ter-
ribile si offrì a 3o,ooo spettatori avida-
mente curiosi. L'immensa piazza, levato-
ne il selciato e coperto di sabbia, era con-
venientemente apparecchiata. Al di sopra
dell'armatura a guisa d'anfiteatro, ricor-
rente tutta attorno la piazza, le case a-
veauo un triplice ordine di poggiuoli, da
cui sventolavano arazzi di sfavillanti co-
lori. La regina, nel mezzo, occupava l'an-
tico palazzo del comune, bellissimo edi-
lìzio del secolo XVII , coperto di seta e
velluto. Quando il re e la regina furono
sotto al baldacchino rosso broccato d'o-
ro, al pogginolo maggiore.il prospetto del-
la piazza era proprio un incanto: la cor-
te distinguetesi fra tutti cogli abiti pom-
posi e le assise. Poiché le loro Maestà se-
dettero al poggiuolo cogli altri reali spo-
si loro congiunti, e resero alla folla astan-
te i saluti, gli alabardieri si collocarono
sotto al poggiuolo reale. Quivi la ringhie-
ra di legno è interrotta, e gli alabardieri
ne fanno le veci colla persona. Se duran-
te la corsa, il toro corre loro addosso, es-
si gli presentano I' alabarde contro, e se
l'ammanano il suo corpo è loro. Quattro
carrozze da gala, tirate da 6 superbi ca-
valli ornali di pennacchi, capitarono do-
po gli alabardieri e si schierarono davan-
ti la regina. In ogni carrozza, cogli stem-
mi delle più cospicue famiglie, stava col
grande di Spagna che gli faceva da padri-
no nel combattimento, un cavaliere, che
dovea uscir dalla lotta col titolo di scudie-
272 TOR
re della regina e un emolumento di i foo
fianchi. 1 padrini erano i duchi d'Ossu-
ua, d'Alba, d'Abranles e d'Altamira. Ci-
gni carrozza si fermò sotto il pogginolo
della regina, e il padrino in assise ne sce-
se, presentando alle loro Maestà il suo fi-
glioccio, vestito d'un abito pittoresco del-
la Spagna sotto Enrico 111 re di Leon e
di Castiglia nel i 3c)0, col cappello piuma-
toeil mantello di velluto. Dietro ogni car-
rozza camminavano vestiti di seta e di vel-
luto ricamato d'oro e d'argento, e invol-
ti ne'loro lunghi mantelli , gli espadas, i
picadores ei banderilleros. Tutti i filino-
si di nome erano là: Montes, il Cincinne-
rò, Cucharcs. Di mano in mano che pas-
savano, essi erano accolti da applausi fra-
gorosi e frenetici. Montes, fresco da una
cornata nel petto, era oggetto d'una at-
tenzione più affettuosa, che manifestava-
si con grida gagliarde e inesprimibili. Do-
po le carrozze camminavano, tenuti per
la briglia da'palafrenieri con livrea reale,
i cavalli delle scuderie della regina, desti-
nali al combattimento. I cavalli erano se-
gniti da 8 araldi d'arme con sul petto di-
pinti gli stellimi de'4 padrini: veniva po-
scia una quantità di valletti e di paggi con
ricche e fantastiche livree: per ultimo le
due coppie di muli,chedopo ciascuna cor-
sa levano i morti e li portano via di ga-
loppo fuori del campo di battaglia. Chiu-
deva il corteggio una dozzina d'alguazili
a cavallo, i cui neri mantelli facevano mi-
rabile contrasto colle splendide livree del-
la comparsa. Il corpo sfilò sotto il poggino-
lo della regina fra gli applausi della mol-
titudine. Uscite le carrozze, i 4 cavalieri
montarono a cavallo, e di nuovo saluta-
rono i sovrani. Intanto che gli ultimi del
coi leggio si ritiravano per ricomparire sui
gradini nel sito loro assegnato, i cavalie-
ri si mettevano in positura, e 6 alguazi-
li si collocavano, sempre a cavallo, davan-
ti gli alabardieri , ma volgendo le spalle
agli spettatori e guardando le loro Mae-
stà. Dopo alquanti minuti, un di loro si
mosse e diede in uorne della regina l'or-
T O R
dine di cominciare. In questo mentre s'a-
perse una porta all'improvviso, e il toro
balzò nell' arena al suono delle sinfonie,
con uno stormo di colombe sbigottite, ed
uscite a un tempo dalla slessa porta. "Dei
4 cavalieri, due solamente tennero fermo;
il 3.° e il 4-° rovesciati sin dalle prime dal-
le loro cavalcature, non si sentirono più
in istato di rientrare in agone; de'due pri-
mi medesimi, uno gravemente feritosi ri-
tirò anch'esso, ma l'altro corse valente-
mente l'arringo, cioè Romero tenente del
reggimento Maria Cristina, il cui padrino
era il duca d'Abrantes. Nel combattimen-
to, il cavaliere armato di lancia corta, non
si contentò come il picador, di stornare il
toro, trattogli innanzi co'mantelli e colle
sfide de'banderilleros, ma egli pugnò di
buon senno e cercò d'uccidere l'avversa-
rio. Romero mise 4 tori fuori di combat-
timento; per la qual cosa ad ogni colpo
di lancia, il cui manico spezzavasi nel fian-
co del loro, gli applausi erano più che en-
tusiastici, lanciandosi esultanti fazzoletti
e cappelli in aria. 11 perchè, attonito spet-
tatore, esclamò il compilatore dell'artico-
lo: Lo stesso Cid (di cui nel voi. LXVIIF,
p. 85), sguainando al sole la sua vecchia
spada, il nome della quale è noto a tutta
la Spagna, e traendosi dietro prigioni i 4
re mori, non avrebbe eccitato più vivo,più
grande entusiasmo. Ma è raro trovare tan-
ta intrepidezza congiunta a tanta leggia-
dria. Scudiere compito, Romero seppe af-
frontare il toro senza arrischiare il caval-
lo. Ad ogni colpo fortunato, un alguazil,
in nome della regina, complimentava il
cavaliere. Più volte però il toro e il caval-
lo sarebbero stali degni d'un tanto ono-
re. Dipoi il duca di Montpensier fece con-
segnale al Romero una spada molto be-
la, già da lui di sovente usata. Morti i 4
tori, i picadores entrarono nella lizza, e la
solita corsa ricominciò colle solite vicen-
de della lolla. Questa volta però i caval-
li, più vigorosi , sapevano meglio difen-
dersi e resistevano più lungamente, cosic-
ché un più gran pericolo faceva più gran-
TOR
di le consuete commozioni. Ma siccome
nel dramma spagnuolo, il faceto sta sem-
pre dappresso al serio, gli alguazili, scon-
certati dalle giravolte del toro, più fiate
rallegrarono l'assemblea colla loro paura
e co'loro salti involontari. L'onore di que-
sta 2.* metà della corsa fu diviso fra
Montes , Chiclanero e Cuchares. Osser-
va lo scrittore: Montes già invecchia, i
capelli gli diventano grigi, ma conserva
ancora il verde della gioventù e il favo-
re del pubblico. I suoi due rivali, più
giovani, hanno ormai il loro partito , si
direbbe i loro adulatori : destino d'ogni
gloria! A quella che regnò, succede un'al-
tra che vuole supplantarla : gara cbe fa
maggiore il ddelto degli spettatori; im-
perocché la brama scambievole di sor-
passarsi, induce gli emuli a tentar cose
d' un* incredibile audacia. Appena una
sinfonia annunziò ch'era tempo d'altro
combattimento, 1' espada s' avvicinò al
poggiuolo reale, pose un ginocchio a ter-
ra, e chiese, agitando il cappello, la per-
missione di misurarsi col toro. Ed allo-
ra colla manca armata d'un pezzo di stof-
fa rossa, ed una lunga spada nella destra,
si affacciò tranquillo e a due passi dal ne-
mico. Non vi è più bel momento di quel-
lo, in cui l'espada e il toro si guardauo;
un grave silenzio succede, rotto solamen-
te dallo scoppio de'plausi, nell'atto che
il toro cade. Era quasi notte quando cad-
de l'ultimo, ed esso era il io.mo ISel di
seguente, colla stessa pompa e colla usa-
ta vivacità, seguì la 2.a corsa de'tori; ma
a'caballeros o cavalieri della regina, sot-
tentrarono quelli dell' ayuntamiento. A
Modena ricordai il torneo celebrato inMo-
dena dal regnante duca Francesco Vd'E-
sle arciduca d'Austria, in occasione del
matrimonio della sorella arciduchessa
Maria Beatrice d'Este, col real infante di
Spagna d. Giovanni di Borbone, fratello
del contedi Montemolin d. Carlo, che per
la cessione dei diritti del genitore Car-
lo V, morto in Trieste (/ .), alla coro-
na di Spagna, prese il nome di Carlo VI.
VOI. LXXVII.
TOR a73
Qui ripeterò l' indicazione che ne die il
n.° 2 del già citato Giornale militare ita-
liano di Firenze del 1847, con articolo
intitolato: Feste italiane del real torneo
di Modena. Questo torneo fa eseguito
dal sovrano Francesco V nella sua capi-
tale Modena (e del quale e suoi stati ri-
parlai a Reggio, e Toscana pei clamoro-
si avvenimenti succeduti dopo la pubbli-
cazione dell'articolo Modena, consegueu-
zn de'quali furono i cambiamenti di ter-
rìtorii notati altrove e meglio a Tose an a,
valeadue l'aggiunta al ducato di Modena
del ducato di Guastalla e di altri paesi:
la cattedrale di Modena neli855 diven-
ne metropolitana in conseguenza del di-
sposto da Gregorio XVI, da verificarsi
alla morte del cardinal Opizzoni arcive-
scovo di Bologna, di cui erano suffraga-
nee le sedi di Modena, Carpi e Reggio;
che perciò verificatosi il caso, fu Mode-
na colle altre sottratta da tal soggezio-
ne, e dichiarata venne colla bolla l'elab
antiquis, de* 22 agosto 18 55, anche dal
regnante Pio IX metropolitana, conce-
dendo al suo attuale 1. "arcivescovo mg.
Francesco Emilio Cugini di Reggio, cbe
n'era vescovo dal 1 852 per morte di mg.r
Luigi Ferrari di Modena fatto nel 1848,
il pallio nel concistoro de' 28 settembre
18 55; assegnandosi a seconda del presta-
bilito per suffragane! i vescovati de' do-
mimi Estensi, cioè Carpi, Reggio, Gua-
stalla ch'era imraediatameule soggetta
alla s. Sede, e Massa di Carrara già di-
pendente dall'arcivescovo di Pisa: esecu-
tore della bolla per l'erezione della nuo-
va provincia ecclesiastica, e impositore
del pallio, fu il cardinal BalufE vescovo
d'Imola, nel modo solenne riportato nel
n.°i5 del Giornale di Roma deli 856,
e celebrato nella festa dell'Epifania. Di
più mi si conceda, per essere questo mio
Dizionario dedicalo all'indimenticabile
glorioso duca Francesco IV, di recente e-
gregiamente celebrato dal eh. can. Galva-
ni, come rilevai nel voi. LXIX,p. i8g,che
qui aggiunga pure con poche parole: che il
18
?.74 T ° R
sullodalodegno fìglioFraneescoV.con de-
creto de'aydicembrei 855jOiicle benigna-
mente premiare con pubblica onori fìcen-
ca i segnalati servigi resi alla sua regia
persona e famiglia a vantaggio e soste-
gno della legittima autorità, o per avere
in qualunque altro modo acquistalo ti-
tolo alla sovrana benevolenza, e promuo-
vere cos'i una lodevole emulazione, isti-
tuì l'ordine cavalleresco e reale, militare
e civile <\e\Y Aquila Estense sotto l'invo-
cazione di*. Conta rdo d' Es le , assumen-
done egli il gran magistero; saggiamen-
te vietando l'avanzare qualsivoglia do-
manda diretta o indiretta per essere am-
messo all'ordine, ludi con altro moto-pro-
prio de'28, ambedue riportati da'».' 5 e
8 del Giornale di Roma del i856, di-
stinse l'ordine in 3 classi formate di gran
croci, commendatoli e cavalieri. Dispo-
se die l'insegne sieno una croce di smal-
lo bianco listala d'azzurro oltremarino,
suddivisa in 8 punte terminate da glo-
betti d'oro. Il mezzo della croce rileva in
uno scudo azzurro contornato da una li-
sta bianca. Sullo scudo è sovrammessa
Y aquila bianca insegna di casa d' Esle.
Nella lista in alto sta scritto l'antico mot-
to: Proxima Soli, e in basso l'anno del-
la fondazione. Nella parte posteriore del-
lo scudo è sovrapposta l'effìgie in oro di
s. Conlardo, e nella lista si legge: S. Con-
tardili Atestinus. Le 4 principali brac-
cia della croce, movendo dallo scudo so-
no collegale principalmente dalle 4 let-
tere E-S-T-E. La fascia e i nastri delle
croci sono bianchi e azzurri. De' primi
ebe ne furono insigniti, se ne leggono i
nomi nella CiviltàcattolÌ€aiZ*Wn»Jt.li
p. ?.4o e 720. Quanto qui per ossequio
lio dello pel ducalo di Modena, ad oc-
casionem, altrettanto praticai con altri
articoli all' opportunità, quali aggiunte
al già pubblicalo. Che se siffatte giunte
talora appariscono quasi fuori del pro-
prio luogo, ad esso si riuniranno poi nel-
Y Indice. A questo sistema, per cose ac«
cadute o trovale posteriormente, cioè do-
TOR
pò la pubblicazione de'rispettivi articoli,
mi persuase il riflesso, che certe giunte
di qualche importanza relativa, potesse-
ro collocarsi tra parentesi, a guisa di no-
te, ne'luoghi corrispondenti, per poi, lo
ripeto, mediante Y Indice, il lutto riu-
nirsi nell'articolo o articoli cui stretta-
mente appartengono, piuttosto che af-
fatto ommetterle. In questo l'erudizione
ha tale una lalitudine,che non è tenuta ad
osservare i severi e rigorosi metodi propri
degli studi d'altro genere) e da' seguen-
ti cavalieri. 1. "Quadriglia: S. A. R. Fran-
cesco V, conte Klebesberg, conte Forni,
marchese Paolucci. 2. a Quadriglia: mar-
chese Coccapani, conte Abbati, consul-
tore Roncaglia, conte Ferrari. 3." Qua-
driglia: conle Benti voglio, marchese Mol •
za, conte Guerra, marchese Campori.4.a
Quadriglia: conte Guicciardi, conte Be-
nincasa , consultore la rabini,baroneDobr-
zenski. Araldo: Petermayer seniore. Por-
ta-stendardo: Pelei mayer juniore. Il mo-
narca con questi personaggi la sera de!
giorno 6 febbraio 1 847, nella cui mattina
era seguito il matrimonio col ceremo-
niale riportato dal n.° 7 delle Notizie del
giorno di Roma, aprirono il torneo fra
le sinfonie della musica militare, nel lo-
cale della nuova cavallerizza splendida-
mente illuminata e vagamente adorna di
bandiere a colori estensi e spagnuoli. Ad
un'estremità dell'arena si ergeva sotto e-
leganle padiglione il palco della real cor-
te ed a' lati due ampie gradinale per la
primaria nobiltà ; ed all'altra consimili
gradinate sormontale da una galleria oc-
cupata dal resto della nobiltà, dall'uffi-
cialità e da allre persone di distinzione.
Dopo eseguita un'apposita cantata col-
1' accompagnamento della banda musi-
cale militare, Io squillo delle trombe e il
suono dell'inno nazionale spaglinolo an-
nunziò l'ingresso de'cavalieri nell'arena,
i quali abbigliati in costume spaglinolo
del secolo XVI, e distinti in quadriglie
precedute da un araldo, dalle trombe e
dal porta-bandiera, fecero un triplice sa-
TOR
to dinanzi alla loggia delle reali perso-
ne, quindi diedero principio agli eserci-
zi cavallereschi del torneamento. Ritira-
tisi poscia, ed apprestato nell'arena quan-
to occorre pe' diversi giuochi della gio-
stra, vi tornarono separatameute ad una
ad una le quadriglie, e corsero alle teste
colla picca, col giavellotto e colla spada,
e bersagliarono di carriera. Riunite in-
fine le quadriglie, intrecciarono una dan-
za con varie graziose fìguie, al termine
delle quali i cavalieri si trovarono dispo-
sti in- modo da rappresentare le due let-
tere iniziali de'reali sposi, e con triplice
agitare delle spade innalzate fecero loro
un evviva all' uso cavalleresco che mise
fine al torneo. Non solo i numerosi spet-
tatori, ma anche le loro Maestà il conte e
la contessa di Molina (padre e madrigna
dello sposo), i loro reali figli e il reale du-
ca di Lucca si compiacquero di lodare la
maestria nell'esecuzione degli esercizi ca-
vallereschi e l'agilità di quelli delle gio-
stre, svi nella suddetta sera, che in quel-
la del giorno 8, in cui furono replicati i
torneamentie onorati della presenza an-
che della reale duchessa di Parma, reca-
tasi a Modena per divider la gioia di quel-
la reale famiglia per le faustissime nozze.
Finalmente dirò colla Civiltà cattolica.
che ili 5 agosto 1 853, qual giorno deter-
minato dal regnante imperatore de'frau-
cesi Napoleone III per sua festa onoma-
stica, fu celebrato in tutta la Francia e
specialmente in Parigi con istraordina-
ria solennità e profusione. In Parigi, ol-
tre le riviste militari, le luminarie, i fuo-
chi artificiali, le regate sulla Senna, le ar-
monie, le ascensioni areostatiche, le rap-
presentanze mimiche e drammatiche; tra
gli spettacoli dati al pubblico richiamò
forse più di qualunque altro l'attenzio-
ne una cavalcata e un torneo istorico. La
cavalcata rappresentò il Camp du drap
d'or: il corteggio era composto di 87 per-
sone in abiti e divisa di quel tempo; re,
regine, cavalieri, araldi d'armi, alabar-
dieri, scudieri, paggi, donzelli, poi ta-bun-
TO R 2 1
diere ce. Il torneo poi fu eseguito da : (">
cavalieri inglesi e francesi coperti d'ai
mature di ferro, e combattenti sopra <
valli bardati all' antica maniera di ferro
anch'essi.
TORONE. Sede vescoviledella 1 .* pio
vincia di Macedonia nell'esarcato del sin»
nome, sotto la metropoli di Tessalonici,
eretta nel IV secolo, e da Commanville,
Histoire de tOUS Ics E\c<cliez. denomi-
nata anche Castel Rampo. Si apprende
dalla geografia, che ora Toron è un bor-
go della Turchia europea in Romelia,!»
quale nella sua parte occidentale corri-
sponde all'aulica Macedonia, nel sangia-
cato di Salonichi, sulla costa occidentale
della piccola penisola di Toron, che spor-
ge nell'Arcipelago tra'golfidi Monte San-
to e di Cassandra, all'ingresso di questui
timo. Torone, Toroncn, è al presente un
titolo vescovile in partibus, sotto l'eguale
arcivescovato di Tes>alonica,che couferi
sce la s. Sede. Riferiscono le Notìzie di
Roma, che mg.r Orazio Bettacchini, fatto
vescovo di Torone in partila*, fu nomi-
nato vicario apostolico di Jafnapatam nel
l'Asia a' 1 7 seltembrei847, e lo è tutto
ra; e leggo pure nel n.° 79 del Diario di
Roma del 1 847, che a' 1 q settembre nella
chiesa de'ss.Gio. ePaolo,dalcardinalFran
soni prefetto di propaganda, assistito da
mg.r Pichi arcivescovo d' Eliopoli e da
rug.r fJettacthini vescovo di Torone, con
sagrò in arcivescovo di Sirace il mechi-
tarista mg.' Hurmuz, ed iu vescovo di Ni-
copoli il passionista mg.r Parsi.
TORONTO (Torwitin). Città con re
sidenza vescovile della parte occidentale
del Canada superiore nell'America set-
tentrionale, ne'possedimenti inglesi, in eli
ma freddo e assai salubre, già nella dio-
cesi di Kingston. Nella Notizia statisti-
ca delle missioìri cattoliche, pubblicata
nel i843, si diceToronlo eretto iu vicaria
to apostolico nel 1842 da Gregorio XVI,
essendo uno de'luoghi con chiese costruite
in pietra. Perlai." volta nelle 3 ~c> tizie di
Roma deh 84" si pubblicò Toronto Ira
276 TOR
Je sedi vescovili erette da Gregorio XVI,
chela fece suffraganea della metropolita-
na di Quebeeh, e die le assegnò per r ."ve-
scovo a' 1 7 dicembre 1 84 1 >con breve apo-
stolico, mg.r Michele Poweo. Riferisce il
Supplemento al n.°i2i del Giornale dì
Roma del i85o, che a'27 maggio il Papa
Pio IX nella cappella Sistina consagrò 3
vescovi, fra'quali rog.rArmandode Char-
bonnel da lui fatto vescovo di Toronto a'
1 5 marzo 1 85o per pontificio breve, quin-
di tenuto a mensa dal cardinal Antonelli
segretario di stato cogli altri vescovi. Nel
n.° 2 54 del Giornale di Roma deli 85 1
vi èia descrizione dello stato presente del-
le diocesi di Quebech, e quanto a quella
di Toronto si dice. » Fondata nel 1 844» è
governata da mg/di Charbonnel che ven-
ne consagrato da sua Santità a Roma nel
1 85o. Quaranta preti hanno il carico del-
la diocesi. Il convento di Nostra Signora
di Loreto, stabilito a Toronto per l'edu-
cazionedellegiovauette, è diretto dalle so-
relle di quest'ordine (cioè delle suore gri-
gie di Monreale). Il medesimo Pio IX con
breve de'20 dicembre 1 852 dichiarò coa-
diutore con futura successione dell'odier-
no sunnominato vescovo , mg/ Patrizio
Dowd, a cui conferì il titolo di Canea in
parlibus. Questa sede vescovile dipende
dalla congregazione di propagandante.
Non essendosi ancora fatta proposizione
concistoriale pe'suoi pastori, non mi è da-
to poter dire altro; e per essere città po-
co antica non ne trattarono i diversi geo-
grafi da me osservati.
TORRE, Turris, Turreis. Edificio e-
minente, per lo più quadrangolare, assai
più alto che largo,fatto comunemente per
propugnacolo e per fortezza delle terre. A
questa definizione del Dizionario della
lingua italiana, aggiungerò quella del
/ oeabolario delle arti del disegno. No-
bileedifizio, il quale con poca pianta e sen-
za appoggio moltos'innalza dal piano del-
la terra, o della fabbrica ov'è posato. Fan-
nosi torre quadrate, rotonde (le quali co-
munemente si credono posteriori al secolo
TOR
IX), ottangolari e d'altre figure, trame?,-
zate per lo più da diverse impalcature che
si dicono nodi. La più alta parte delle tor-
ri termina alcuna volta in loggie, agnglie,
merlature, e così simili. Torri campana-
rie diconsi in oggi sovente i campanili che
s' innalzano presso le chiese, talvolta ad
un'altezza considerabile. Alcune di que-
ste torri terminano1 in un terrazzo, altre
in un' eguglia, altre in una specie di cu-
pola. Ioni isolate chiamansi quelle che
sono slaccate da qualunque edilizio. La
torre de'Venti d'Atene era una specie di
anemometro (con tal vocabolo i fisici chia-
mano lo stromento, con che misurano i
diversi gradi della forza del vento). Sulla
torre de'Venti d' Atene si legge un eru-
dito articolo, con sua incisione, ne\Y Al-
bum di Roma, 1. 18, p. 220. L'edifìcio è
di marmo bianco, di forma ottagona, si-
tuato al nord e a breve distanza dalla cit-
tadella. Sopra ciascuna delle sue faccie è
scolpita in bassorilievo una figura rappre-
sentante uno de' venti principali, co' loro
nomi incisi in grandi caratteri. Vilruvio
e Varrone dicono che costruì questo sin-
golare monumento Andronico Cirreste; e-
gli è il solo monumento aulico di questo
genere che sia slato conservato, offrendo
grande interesse sotto il duplice rapporto
della sua destinazione e delia sua archi-
tettura.Nel suo complesso la torre de'Ven-
ti di Atene riunisce 1' eleganza e la soli-
dità convenienti a un edificio d' utilità
pubblica, orientata a perfezione. Una cle-
psidra o Orologio idraulico posto nell'in-
terno della torre, suppliva a' quadranti
solari, eh' erano stati tracciali sotto cia-
scun vento, allorché non potevano servi-
re; ond'è che l'edificio indicava agli abi-
tanti d'Atene non solo la direzione de' ven-
ti, ma le Ore col mezzo de'quadr^nti du-
rante i giorni sereni, e coll'aiuto della eie-
psidra dopo il tramontar del sole o duran-
te i giorni nuvolosi. La torre de' Venti di
A tene non può risalire che al secolo di Pe-
ricle, non essendo allora i greci abbastan-
za versali nelle scieuze dipendenti dalla
TOR
geometria, quali sarebbero la geometria
e la gnomonica, per orientare esattamen-
te l'edificio e tracciarvi quadranti solari
perfetti come quello che qui si vede. Os-
serva il Cancellieri nelle sue Campane ,
che il r.° modello delle ventarole de'cam-
panili o torri campanarie, può dirsi intro-
dotto in questa torre da Andronico astro-
nomo di Cirra, sopra di cui fece incidere
le figure de' venti Solano, Euro, Austro,
Africo, Favonio, Coro, Settentrione e A-
quilone. Un tritone di bronzogirava il suo
perno in cima della torre, posando la bac-
chetta, che teneva in mano, sulla figura
del vento che soffiava. Anche in Roma vi
è la torre de' Venti ueiPalazzo apostolico
Vaticano, sito fatto edificare da Gregorio
XIII in piedi (come dice il Rusconi nella
sua Architettura) della sua famosa gal-
leria di Belvedere (ora nobilmente restau-
rata dal regnante Pio IX) per ritirarsi alle
volte a diporto. L' anemoscopio e meri-
diana antica è opera del celebre Eguazio
Danti domenicano. La meridiana non è
compita, ed esaminata dal prof. d. Giu-
seppe Calandrelli fu trovata declinare più
d' un grado verso oriente, ed inoltre os-
servò che gli equinozi sono posti in guisa
d'anticipare di circa un giorno il vero in-
gresso del sole in ariete. Tanto apprendo
dall'opuscolo di Conti e Ricchebach, Po-
sizione geografica de' principali luoghi
di liotna, p.93. Per la torre de'Venli del
Vaticano e per le specole e osservatorii a-
stronomici di Roma si può vedere Spe-
cola, Zelada, Università romana. Anche
\Porti(V.) hanno gli osservatorii, ed ora
si va a costruire l'osservatorio magneti-
co in quello d'Ancona, ed un consimile
si erigerà nel porto di Civitavecchia.Mor-
celli chiamò 1' osservatorio e la specola :
Turris astrorum speculatrix j Turris
speculatoriaj Turris ad coelestes orbes.
Dicesi Torrione la torre la cui grandez-
za eccede in grossezza, come si vede per
lo più intorno alle Mura e Porte delle
città e castella; Torricella, Torrioncello
0 Torrioncino le piccole torri, o simili e-
TOR 377
difici; Torraccia, la torre guasta e scas-
sinata. Dagli antichi per lo più si faceva-
no sulle mura delle città, sulle torri e sui
palazzi, per ornamento e per fortificazio-
ne, i merli e le merlature; parti superiori
delle muraglie, non continuate, ma inter-
rotte da eguale distanza, in figura qua-
drata di muro o di pietra, e poste per ter-
mini di tali edificii. Aristotile pretende ,
che i ciclopi pe'primi immaginarono l'in-
nalzamento delle torri; ma Teofrasto o-
pinachesienostalii feuicii,e Virgilio nella
Bucolica sembra attribuire la gloria aMi-
nerva di quella invenzione. Certo è che
la s. Scrittura fa menzione di molte torri
destinate a usi diversi. Ve ne aveano per
fortificare le città, come quelle di Sichem,
di Tebe o Thebes, di Tiro, di Siloe, e tutte
quelle di Gerusalemme. Altre servivano
a scoprire da lungi, e s'innalzavano pure
torri uelle campagne1 per invigilare alla si-
curezza de'frulli e degli armenti. Egli fu
per invigilare alla conservazioue del greg-
ge, che Osia fece fabbricare delle torri nel
deserto, e siccome vi erano delle scolle in
quelle delle torri per difendere i pastori
e gli armenti contro gli assalimene de'ma-
laminili, quest'uso somministrò una ma-
niera di parlare, sovente usata nella] s.
Scrittura, per esempio: dalla torre delle
scolle o sentinelle sino alla città fortifica-
ta. Le torri più rimarcabili di cui si parla
nella s. Scrittura , oltre quelle di Geru-
salemme (P.), sono le toni di Sichem e
di Babele. La torre di Sichem era come
una cittadella situata in luogo piùelevato
del restante della città , ed abbastanza
grande da poter contenere più di 1000
persone. Abimelech figlio di Gedeone,giu-
dice d'Israele, essendosi a lui ribellati gli
abilantidiSichem, marciò sulla città,e do-
po averla espugnata, la mise a sacco e ne
uccise gli abitatori, indi la distrusse in tal
guisa che vi seminò il sale; in seguito risol-
se di costringere col fuoco i difensori del-
la Ione o cittadella ad arrendersi. Si por-
tò quindi con tutta la geute al monte Sel-
mon, e quivi fece tagliare uua gran quaii-
2?8 T O B
htà di rumi d'alberi, e avendo con essi
circondala la torre vi fece appiccare il fuo-
co, ed in tal guisa dal fumo e dalle fiam
me furono uccise iooo persone, uomini
t-donnech'erano nella torre. Ma dipoi nel-
l'assalto che die alla torre di Thebes, città
distante circa 3 leghe da Sichem, e nella
<;ualeeiansi rifugiali moltisichimili,men-
IreAbimelech combatte va valorosa mente
a pie della torre e appressatosi alla porla
ieiitava d'appiccarle il fuoco, una donna
dall'alto gli fracassò la testa con un pez-
za di macina da molino; ed egli perchè
non si dicesse d'essere stato ammazzato
da una donna, ordinò allo scudiere di uc-
ciderlo colla spada. La costruzione della
limi osa torre di Babele viene determina-
la circa l'anno del mondo i 7y5 ei 20 do-
po il diluvio. Siccome durante la sua e-
• ezione Dio confuse la Lingua degli uo-
mini che l'edifica vano, di maniera che non
potevano più intendersi fra di loro, così
venne dalo il nome di Babele (confusione
e mescolanza ) alla ciltà e provincia di
babilonia, dove venne ei ella, come si ha
dalla Genesi. Si fmno diverte congettu-
re circa il modo con cui avvenne la con-
fusione delle lingue a Babele, che accen-
nai Dell'indicato articolo, co' molivi che
indussero gli uomini con Neinbrod a in-
Ira prende re la fabbrica di tal mole per ga-
rantirsi da un nuovo diluvio, sebbene nou
'ulti convengano di attribuirla a Nem-
bi od fondatore di Babilonia, che divenne
la capitale del più. antico impero de! mon-
do, munita da i5o ovvero 3oo grosse tor-
ri alte So piedi , fiancheggienti le mura
che superavano di io piedi. INon è preci-
samente noto l'altezza a cui fu portata la
torre di babele; si dice che avesse 8 piani,
4 1 6 cubiti d'altezza, e 4» o 5 1 60 passi di
circuito alla sua base.Vuolsi che si formas-
se di mattoni colti e la creta avesse servito
di calce.DaU'innalzameuto di questa torre
nacquero le due famose favole de'giganli
o titani, e degli animali parlanti. Anche
i moderni viaggiatori variano nella de-
scrizione sugli avanzi della torre di Babe-
TOR
le; e lultociò che viene narralo su di essa,
tranne il riferito dalla s. Scrittura, è favo-
loso, e le mine d'alcune torri che si fan-
no osservare in Babilonia sono tutl'altro
che gli avanzi e i ruderi della torre di Ba-
bele. Delle principali e più antiche torri
superstiti parlai a* luoghi ove sussistono,
primeggiando in Italia quella di Pisa e
quelle di Bologna (V.). Famosa è la tor-
re di Londra (P \). In Ispahan, capita-
le della Persia , vi è la famigerata torre
chiamala la Torre de' Corni, perchè fu
costi uita solamente di ossami, teste di gaz-
zelle e di altri animali selvatici presi in
una sola caccia, nella quale si trovarono,
per quanto narrasi, più di centomila cac-
ciatori. Questa torre singolare è d' una
grande altezza: le teste delle gazzelle, che
mollo somigliano a quelle delle capre, so-
no disposte dal fondo della torre sino al-
la cima, in modo che presentano i corni
in fuori. Gli storici aggiungono, che que-
sto mostruoso e inutile edifizio fu innal-
zato nel tempo d'un banchetto, cioè nel-
lo spazio di circa 8 ore, e che l'architetto
avendo domandato al re che mancava la
testa d' un grosso animale per formarne
la sommità, quel principe riscaldato dal
vino gli rispose: Dove vuoi tu che andia-
mo a quest'ora in cerca d'una tesla così
grande? Non si potrebbe trovare una be-
stia più grossa di te; bisogna mettervi la
tua. Il re fu subito ubbidito, e la testa ta-
gliata di quello sciagurato fu messa sul co
mignolo di quellostra vagante edifizio.Gio-
vanniBonitoscrisse:/JiemoraZ>/7/6u/c' Tur-
vibus ex Ustoria, Lipsiaei6g4- A Foste,
ed a Strada ragionando de'telegrafì, no-
tai che invece di questi gli antichi si ser-
virono di segnali che facevano da eleva-
te torri e da quelle situate sull'alture, on-
de gli uni e gli altri furono il germe da
cui poi nacque l'invenzione portentosa dei
telegrafi. In molle città italiane del medio
evo dalla sommità delle torri , massime
m unicipali, e da'torreggian li campanili, le
vedette del comune speculavano agevol-
mente la città e la campagna, e davan se-
TOR
gno delle novità che scoprivano o d'incen-
dio o di tumulto, o ili cose nemiche. Le
torri sopra le quali clavansi i segnali dice-
vansi Mire o Mirre, corue riferisce il eh.
Rambelii nell'erudito articolo: Prime se-
menze del telegrafo in Italia, pubbli-
cato \\e\Y Album di Roma, t. 16, p. 174»
come cpiello che sempre propugna in fa
vore degl'italiani il primato sopra moltis-
sime invenzioni e scoperte. Egli spiega
quel vocabolo dicendo the il DuCangeal-
la voce Mira scrive Spenda ab ital. mi-
rare, spedare, rèspicere. E Rutaudino
padovano, presso Muratori, Rer. Ital. t.
b,dice: Faclis quiuusdam Speeidis ave
Miris in rimeria, mule itur a Padita ad
Monteni Sìliccm positi sunt in iis locis
custode* ne possent adilla castra itila
victualia deportali. Lo stesso Muratori
nella Dissert. 26/ è di parere che auche
la voce Merlo (pinna del muro della for-
tezza) avesse la sua origine da Mirare.
Quindi riportando debitamente gli stori-
ci da cui trasse le diverse testimonianze,
narra quanto compendiosamente dirò. Si
facevano segnali dalle torri con fiammel-
le convenzionali quanto al colore e al nu-
mero, e con fanali piantati di distanza iu
distanza sopra allure si avvisava l'allar-
me per le marcie del nemico e il perico-
lo che sovrastava. Ciò principalmente fu
praticato nelle montuose regioni di Savo-
ia, nella Lombardia, nella Toscana pre-
cipuamente in tempi delle fazioni de'guel-
fi e ghibellini; CON praticarono uelle pic-
cole guerre i comuni lucchesi e modeuesi
della Garfagnana. Sulla torre del comu-
ne di Mantova tenevansi accomodati ar-
tifizi chiamali Mirre , oggi telegrafi, a
mezzo de'quali di notte e di giorno si fa-
cevano certi segnali, che compresi da'pro-
pinqui, questi a mano a mano li ripete-
vano sino a'Iuoghi più lontani, onde gli
ordini e i bisogni in brevissimo tempo si
notificavano a tutto lo stato. In vari luo-
ghi del contado di Bologna si fecero al-
cune torri e vi si posero guardie per as-
Mcuntrti da' nemici e conoscerne le mosse.
TOR 279
In ciascuna torre eranvi 4 bandiere, bian-
ca, uera, gialla e rossa. Quando le guar-
die vedevano il nemico recarsi verso il con-
tado di Bologna e con 100 cavalli, allora
si mostrava la bandiera bianca piegata dal
lato verso il quale i nemici cavalcavano.
Se essi cavalcavano verso la montagna e
con più di 1 00 cavalli, il cenno da vasi col-
la bandiera uera e con quella bianca in-
sieme: se erano 3oo i cavalli, a tali ban-
diere si aggiungeva una 3.*; ma se caval-
cava tutto l'esercito, si ponevano fuori tut-
te e 4 le bandiere, sempre piegando ver-
so la parte per la quale i nemici di diri-
gevano. La notte poi si facevano i mede-
simi segnali con lumiere accese, piegan-
dole dov'era bisogno d'accennare la stra-
da che percorreva il nemico. La torre del-
la cattedrale di Modena delta la Giuristi*
dina (assai bella, incrostata di marmi di
vario colore, nel cui fondo conservasi ta
celebre Secchia tolta da'modenesi a' bo-
lognesi nel 1 325 dopo la battaglia di Zap-
polino), servi ad uso di Mirra, ad esem-
pio di Mantova e Bologna tra le quali è
collocata, nelle frequenti guerre ch'ebbe
a sostenere contro i bolognesi. Il lodato
Rambelli dice inoltre, che forse al mede-
simo fine dovettero servire le altissime
torri che ne'secoli XI e XI I si videro sor-
gere in ogni parte, e principalmente in
quelle città eh' ebbero maggior nome in
Italia, come oltre le mentovale sono quel-
le di s. Marco in Venezia, delle cattedra-
li di Pisa, di Cremona (nel cui articolo
parlando del suo torrazzo, come uua del-
le torri più alte d'Italia, narrai che es-
sendovi saliti per godere la bella veduta
Papa Giovanni XXIII e l'imperatore Si-
gismondo, d malvagio Cablino tiranno
di Cremona s'intese tentato a precipitarli
da essa ambedue; il che iniquamente con-
fessò prima d'andare al supplizio, a cui
lo condannò Filippo M.' duca di Mila-
no,dopo averlo fitto prigione, dispiacen-
te di non averlo fatto), e di s. Maria del
Fiore in Firenze. Non occultando quan-
to precedentemente aveauo praticato gii
28o TOR
antichi greci e romani, racconta il Ram-
belli i cenni di fuoco che si facevano in
tempi di pace e di guerra. Agamennone
stabilì segnali di fuochi dal monte Ida ad
A rgo. per annunziare aClitennestra la pre-
sa di Troia. Alessandro il Grande fece
stabilire da luogo a luogo de' soldati sta-
zionari con un vaso pieno d'acqua, sulla
quale galleggiava una tavola di sughero
che facevasi ascendere e discendere a mi-
sura che si dovea mostrare or queste or
quelle cifre che v'eran sopra notate. Po-
libio ricorda di Cleosseno inventore d'un
metodo con cui per via di faci potea far-
si leggere di lontano ad un osservatore
quanto importava conoscere. Riporta Ve-
gezio, solersi sospendere sulle torri delle
città grossi pezzi di legno, coli' innalzare
e abbassare i quali venivasi a denotare
quanto accadeva; e forse tali legni denta-
no essere infiammati perchè si vedessero
di notte, evenire adoperati a brevi distan-
ze. Conclude, che nelle Mirre italiane e-
gli vide, se non rinnovato e risuscitato,
almeno continuato e forse migliorato e
perfezionalo il sistema de'segnali che si da-
vano e riceveano dalle torri, dal quale,
aggiuntovi il telescopio, originava certa-
mente il moderno telegrafo; ed aggiunge-
rò, al quale mirabile trovalo di recente
il nostro italiano cav. Bonelli recò incre-
mento, meglioapplicaudolo alle locomo-
tive delle ferrovie, come rilevai a Toeino
ove l'introdusse con tanto plauso. Arro-
ge quanto nello stesso Album t. 2, p. 117
si legge, e con Cancellieri notai a Campa-
nile, che fu abitudine nel medio evo di
mettere sulle torri eallasommitàde'eam-
panili, o altri monumenti più elevati, al-
cune guardie che doveano vegliare alla
quiete pubblica, per dare avviso sia del-
l'avvicinamento del nemico, sia degl'in-
cendiijde'furli, degli omicidi! che si com-
mettevano nell'interno delle città. In se-
guitoavendo l'ordinamento delle ben re-
golate polizie reso inutili tali misure, se
ne conservò per allro la memoria co-
struendo figure di ferro o di bronzo, alle
TOR
quali si fecero suonare l'ore per gli oro-
logi pubblici, molti de'quali si collocano
sopra le torri e massime nelle torri cam-
panarie sì municipali che di chiese. Ebbe
l'Italia un tempo di tante sciagure che nel-
le sue fertilissime terre non vedea che in-
cendii, ruberie, devastazioni, tradimenti,
crudeli uccisioni e quanti mali menano se-
co le civili guerre. Questo si chiama tem-
po di mezzo o bassi tempi, perchè è ap-
punto quel periodo di mezzo che rimane
tra la moderna civiltà e l'antica devonia-
ni e de'primi secoli del cristianesimo. Ora
a quella malaugurata stagione non solo
era in guerra ciascuna città italiana l'una
contro l'altra, ma tante erano le parti e
le fazioni che i cittadini d'una stessa città
quasi ogni dì venivano alle mani tra lo-
ro, si uccidevano per le vie e per le piaz-
ze, combattevano dalle finestre e da'tet-
ti, né più. si avea rispetto a'sagri luoghi.
La parte Guelfa e la Ghibellina fu cia-
scuna la più eslesa fra le fazioni, e per
la loro accanila ostinazione la più. este-
sa e di maggior funesta durata : furo-
no i Bianchi e i Neri a Pistoia, i Cappel-
letti e Montecchi a Verona; a Roma gli
Orsini, i Colonnesi, i Savelli e molti altri,
i quali erano nobili e potenti famiglie che
assoldando genti d'arme, e quanti potea-
no traendo a loro parte, miravano sem-
pre alla signoria di loro patria o a pri-
meggiarvi; e poiché eranvi pur quelli che
loro opponevansi, tali fazioni si chiama-
vano ancora di grandi e popolani. Essen-
do tali città sempre in armi, ad ogni pe-
ricolo ratta si levava una torre per po-
tervi combattere e tenervisi impunemen-
te sicuro; né v'era cittadino alquanto po-
tente e prepotente che allato alla sua casa
non ne facesse fabbricare. Vedute allora
di lontano tali città sembravano selve di
altissimi alberi. Lucca giunse ad averne
sino a 3oo. A Firenze ne furono drizzate
i5o alte più di 100 braccia, al tempo di
Carlo Magno, altri però dicono più tardi.
Verona ne avea 48. Le mura diTivoli furo-
no fiancheggiate dui 00 torri.Infioe fu sì
TOH
grande l'uso di queste torri .segnatamente
dopo ili ioo,che Pisa giunse ad averne ni-
no a i 0,000 secondo alcuni. Fu quindi bi-
sogno che i principi e i capi delle città, or
con bandi le facessero atterrare, ora ne
stabilissero l'altezza e il miineio, ora proi-
bissero di più fabbricarne. Alcune però
rimangono tuttavia nelle varie città d'I-
talia, parte mezze rovinate e parte anco*
ra integre. Si fabbricarono torri anche a
difesa de'monasteri e delie chiese, ad es-
se propinque, dopo averne peli. "da lo l'e-
sempio s. Leone IV nell'848 colla Città
Leonina (f.). Infatti si trova che altret-
tanto fecero nelle loro città, Ansperlo ar-
civescovo di Milanoinortoiiell'882,eLeo-
dino vescovodi Modeua verso I'8q3, men-
tre bollivano furiose guerre,e i sai aceni fa-
cevano tremende irruzioni, cui successero
poi quelle degli ungali. A munirsi da que-
sti Enrardo vescovo di Piacenza nell'898
costruì un propugnacolo, Berengario! con-
cesse ad Adalberto vescovo di Bergamo e
a' cittadini di potere riedificar le mura e
le torri della città, così Gauslino vescovo
di Padova impetrò altrettanto nel 964 da
Ottone I; poiché se alcuno in Italia osa-
va piantar fortezze e torri senza licenza
del principe, correva pericolo di fabbricar-
le per esso. Perciò Paolo abbate del mo-
nastero di Volturno nel 967 domandò li-
cenza a'principi di Beueveuto, di erigere
una torre e un castello pel monastero. E-
guale facoltà Berengario l conferì nel 9 1 2
all' abbadessa di s. Maria in Posteria di
Pavia. Per tal modo a poco a poco vesco-
\i e abbati, ed anche conti e altri poten-
ti fabbricarono tanta copia di rocche, tor-
ri e fortezze, che nel secolo X e di più nel
XI se ne mirava per così dire una selva,
specialmente in Lombardia, nelle pianu-
re, nelle colline e moutagne per accresce-
re forza a quelle naturali fortificazioni; e
nel Modenese e nel Reggiano erano co-
ronate di rocche e di torri. Tanto e me-
glio si può apprendere dal Muratori nel-
la Disserti 26/: Della milizia de' seco-
li dì mezzo in Italia. Egli iuoltre parla
TOR 281
delle torri sulle mura e dentro le città fab-
bricate in Italia, e pertanto dice, che ol-
tre alle torri, che si costi -divano ne' vec-
chi tempi nel giro delie mura delle città
e fortezze per maggior difesa e guardia
delle medesime, formate di marino o di
mattoni colti, con determinato ordine o
intervallo inserite nelle mura, per batte-
re non meno da fronte che da' fianchi il
nemico che avesse osato tentare la scala-
ta, si gueruirono di bastioni, porte, e po-
sterie cioè piccole porte, e di cataratte ed
esse composte d'una ferrata da potersi al-
zare e abbassare, chiamate poi saracine-
sche, ed anco di antemurali o basse mura
di circuito, detti pure barbacani, per im-
pedire l'avviciuamento delle macchine da
guerra, come le torri di legno guernite di
pelli fresche o altro per ripararle dal fuo-
co. Da queste torri ambulanti sopra ruo-
te, si lanciavano dardi, sassi, fuochi, e fi-
nalmente ponti per calare nel:a piazza che
si voleva espugnare. Indi s'iulrodusse nel-
le città più potenti anche il costume, che
i nobili privati fabbricavano nelleloro ca-
se e a loro spese delle torri. Indizio di chia-
ra Nobiltà era tenuto allora il poter alza-
re e avere somiglianti torri. perchè i nobi-
li soli godevano il privilegio e la possan-
za di edificarle. Conta vansi nelle medesi-
me città i campanili delle chiese, laonde
una vaga e nobile vista rappresentavano
tante torri a chi veniva colà. In qual tem-
po si cominciasse a fabbricare queste tor-
ri private da' potenti, non si può deter-
minare cori certezza. 11 Muratori conget-
tura che nel secolo X alcuna se uè alzas-
se, che ne crescesse il numero nel XI e
maggiormente poi si moltiplicassero, da
che le città si misero in libertà, ed insor-
sero le gare de'guelfi e ghibellini; perciò
Turrita Papia, Turrita Cremona si ve-
dono anticamente appellate, e lo stesso fu
detto di altre città (come Ascoli, Siena e
Bologna). Parlando l'arcivescovo s. Arial-
donel 1076 al suo popolo unlanese,gli dis-
se: / estri sacerdoles, qui epici possimi
diliores in terrenis rebus t cxcelsiorcs in
a8a TOR
atdijlcandis turribjus et domibus ctc. ipsi
jmtantìir beatiores. Il Cancellieri poi nel
suo Mercato a p. 99, dice credersi dagli
eruditi che l'introduzione delle torri sia
cominciata dopo le Crociate, cioè dopo il
pontificato d'Urbano II, che promulgò la
». neliogj, essendo state innalzate o per
fortificarsi nelle guerre civili, o per me-
moria del valore dimostrato nelle batta-
glie, o in segno di ricchezza e di nobiltà.
Si può aggiungere, e fatto luogo di Fri-
gioite o Carcere di rei, custodia di pri-
gionieri, asilo di prepotenze, soverchierie
e crudeltà, anche co' trabocchetti , pozzi
profondi o luoghi fabbricati con insidie,
denti oa'quali si precipitavano con ingan-
no, con orribili meccanismi, in siti spa-
ventevoli e profondi, le cui partii erano
annate di taglieiilisMine lamine di ferro,
le vittime infelici delle passioni di tanti
barbarie inumani baroni , massime ne'lo-
10 Feudi. L'uso infame e detestabile de-
gli occulti trabocchetti o trappole fu ap-
plicato anche nef castelli e ne'p.dazzi e al-
tri antichi edifizi, de'feudatari e signorot-
ti, nella demolizione o 1 estauro de'quali
luoghi furono trovate in fondo cataste
d'ossa di morti ivi tra pene atroci periti.
Altri trabocchetti aveano una macchina
tutta guernita di acutissime punte e la-
mine, dalle quali veni va fatto in pezzi l'in-
felice che incauto mettendo il piede in cer-
te camere, il cui pavimento era coperto
con tavola di legno chiamata riballa, im-
provvisamente precipitava dal suolo, ar-
tatamente coperto, in quel profondo ba-
ratro. Vi furono macchine militari, da do-
ve si scagliavano sassi, chiamate Trabu-
chela, Trcbuchetae Frabucìdj si disse-
ro pure petriere, e scagliavano per aria
sassi di smisurato peso, mediante torri di
legno o castelli a ruote, sui quali i Solila-
//accostandosi alle mura e alle torri, dal-
la sommità combattevano con que'dì den-
tro. L'inveuziouedella torre di leguoqual
macchina da guerra si attribuisce alla Si-
cilia quando la dominava il tiranno Dioni-
sio, e riuscì con molto successo negli as-
TOR
sedi delle città. Composte di grosse travi
e tavole, d'ordinario aveano 3o piedi iti
quadrato: la loro altezza spesso sorpassa-
va quella delle mura, ed eziandio delle tor-
ri delle città. Mosse con delle ruote, si co-
municava a'di versi piani condelle scale. Al
basso era collocata la macchina detta a-
riete per aprire la breccia , sul piano di
mezzo erati un ponte levatoio, col quale
gli assediatili abbassandolo sul muro del-
la città se ne impadronivano. Sui piani al-
ti i combattenti non cessavano di lanciar
dardi sugli assediati. Queste torri lignee
erano coperte di lamine di ferro ne'luo-
ghi più esposti, ond'esscre meno sogget-
te al fuoco. Il Borgia, Memorie isteriche
tli Benevento, diceche in tal città già nel-
1*871 il palazzo de' principi avea la sua
torre, e la più antica de'nobili beneventa-
ni fu quella del palazzo di Dacouiario del
1102 prossimo alla cattedrale e quale in-
dizio di nobiltà, perchè a que'tempi i no-
bili godevano il privilegio e la possanza
di edificarle. Di queste torri se ne edifica-
rono tante in Benevento, che Onorio III
nel 1221 dovette scrivere lettere a'giudi-
ci, consoli e popolo della città, colle qua-
li per provvedere alla pubblica quiete or»
dinò sotto pena di confisca, che niuno più
ardisse di togliere le torri altrui , e che
quelle già tolte si rendessero a' legittimi
padroni nello spazio di 3 giorni ad man-
datimi nostri» vel Rectoris. Di tante tor-
ri ch'erano allora in Benevento appena
oggidì si vede qualche vestigio, perchè es-
sendo poi queste divenute cagione di di-
scordia e di guerra, parte si demolirono
nel furore delle medesime guerre civili,
parte vennero meno per ingiuria del tem-
po , e parte nella devastazione data alla
città da Federico II. Tornando a Murato-
ri, riferisce quanto scrivea di Pavia circa
ili3oo l'Aulico ticinese. Quasi omnesEc-
clesiae habent Turres excelsas propter
campanas etc. Celerarum antan Tur-
rium super laico rum domibus excelsa-
rum mirabiliter maximus est numerus,
ex quibus multae tam ex vetusta te quam
TOR
'Indio civium te invicern j>ersequentiuni,
cecidernnt. Più curioso ancora era il ve-
dere lo strano gusto di que' tempi , che
giunse a fabbricar torri non diritte, ma
inchinate e pendenti; se pure è vero che
ciò si facesse a bello studio. Ne resta l'e-
sempio nel bel campanile di Pisa e nella
torre Garisenda di Bologna, la quale eia
anche più alta, ma pei' testimonianza di
Benvenuto da Imola fu alquanto castra-
ta da Giovanni di Oleggio, e perciò det-
ta Mozza. Fu di parere il p. Montfaucon,
che il caso e non 1' arte facesse inchinar
quelle torri, e veramente in salire Mura-
tori la pisana ne dubitò. Noterò che in Bo-
logna moltissime toui i furono innalza-
te perseguo di possanza e di nobiltà; ma
le due più celebri, fabbricale nel princi-
pio del secolo XI, sono la torre Asinelli,
la più aita tra le 7 torri famose d'Italia,
e la torre Mozza o Garisendi rinomala per
la sua pendenza. Le misure dell'altezza e
«arie lai ghezze trovansi esattamente de-
scritte dai prof. Biancoui nella Guidadcl
forestiere in Bologna, ivi i836. Nel pa-
lazzo del Podestà ergesi nel mezzo isola*
la e sorretta da sopra-archi in 4 pilastri
la torre dell' Arengo. Inoltre in Bologna
era assai rinomata la torre isolata della
Magione, ossia della chiesa di s. Maria del
Tempio già de'templari e poi de'geroso-
lunitani, la quale nel 1^.55 videsi inge-
gnosamente trasportare intera e drizzata
colle campane dal primiero sito , in cui
venne innalzata, sino al luogo ove fu de-
molita nel 1825, e cioè pel tratto di pie-
di 35; mirabile trasporto eseguito colla
direzione dell'ingegnere architetto Ridol-
fo Fioravanti bolognese, detto mastro A-
listolile Alberti, il quale raddrizzò pure
un campanile a Cento della chiesa di s.
Biagioche peudeva 5 piedi e mezzo. Rife-
ce in Ungheria i ponti sul Danubio e fe-
ce tante altre meraviglie, che il re lo di-
chiarò cavaliere, e gli pei mise di batter
moneta col proprio uome e impronto. Al-
tre uotizie su questo raro geuio »i potino
leggere nel Milizia, Le vite de' più cclc-
T O R a83
bri architetti; e nel eh. Giordani, Della
venula di Clemente VII in Bologna, no-
ta 44- Osserva Muratori , che in Roma
stessa non mancavano una volta le torri
de'potenli, ed in un solo suo borgo a'tem-
pi di Martino V del i4'7» Sl trovavano
in piedi 44 lolT' co'loro merli per difesa
(da'quali si saettava e gittava sassi), ed io
aggiungerò molte delle quali fece atter-
rare l'immediato successore Eugenio IV;
in un tempo cioè che per I' assenza dei
Papi e pel lungo scisma Lì orna presenta-
va triste rovine di sua grandezza, chiese
abbandonale e spesso cambiate in fortez-
ze, e Palazzi fatti più per combattere che
per abitare. Già altrove riconosciutosi col
tempo, che proveniva danno al pubbli-
co da siffatte torri urbane, come fomen-
tatile'! di guerra, erasi cominciato a vie-
tarle; il che venne ordinalo nel 1228 da-
gli statuti di Verona, così io quegli anti-
chi di Pistoia fu proibito. Delle tante tor-
ri una volta esistenti; delle quali ora non
rimane vestigio, per due cagioni andito-
no ita rovina, cioè per ingiuria de'tempi
o per la vecchiezza, o per negligenza dei
padroni si diruparono e caddero; ovvero
furono distrutte pel furore delle guerre
civili, che infestò buona parte delle città
italiane, e in molti luoghi per provvida
legge municipale. Imperocché tali erano
le prodezze de'guelfì e ghibellini, che in-
furiati gli uni contro gli altri, chi preva-
leva sfocava la sua rabbia addosso alle
o
torri e case degli emoli cacciati o abbat-
tuti , come deplorai in tanti articoli. Lo
stesso avvenne in altre città , e segnata -
mente allorché 0 per elezione, o per usur-
pazione alcuno vi fu assuuloal principa-
to, per levare a'privati cittadini la tenta-
zione di rivoltarsi. In tal modo Drudo
Marcellino podestà di Genova nel 1 196
feci abbattere 80 torri in quella città; co-
sì p faticò nel 1 225 in Modena il podestà;
in Lucca Castruccio fece abbassare ed a-
gujigliare alle case 3oo torri; ciò fu pra-
tici to anche in Firenze, ove le torri era-
uu 'in grati umilerò, alte quali i 00 e quali
284 T ° ll
120 braccia, poiché tutti i nobili o la mag-
gior parte aveano torri. Ed in vero nei
tempi eli guerra veniva considerata una
buona torre per una rocca e fortezza; ed
è noto che più e più giorni un esercito si
perdeva dietro a una Ione, purché que-
sta fosse ben provveduta di combattenti,
viveri e armi. Perciò nelle terre e castel-
la solevano gli antichi alzare almeno una
torre,possenlea resistere perqualche leni,
pò a'nemici, e di alcune se ne fece gran
conto. La maniera di prendere le città, le
rocche , le fortezze , le torri consisteva
nella scalata , o neh' accostar le torri di
legno mobili alle mura per combatterle
esultarvi dentro, oltrealtre macchine di-
roccanti le muraglia con aprir la breccia,
evenir poscia all'assalto. A M'articolo Sol-
dato ricordai più articoli ove parlai del-
l'ai te militare terrestre e navale : delle
principali fortezze, anche deporti marit-
timi, ne ragionai ne'luoghi ove furono o
sono. Circa a' Porti dello slato pontifìcio
(l/ .), è interessante che io ricordi le no-
tizie diverse o catalogo de' i 3 fari del li-
torale pontificio, pubblicato dall'egregio
ingegnere Alessandro Bettocchi nel u.°
1 35 del Giornale di Romadel 1 853, per-
chè fa osservare, come altri fari : Che il
faro del porto di Civitavecchia è stabili-
to sulla torre della lanterna ; quello dei
porto-canale di Fiumicino, del quale ri-
parlai a Tevere, è stabilito sulla torre Cle-
mentina; quello di Porto d'Anzio è sta-
bilito sulla torre esistente presso l'estre-
mila meridionale del poeto Innocenziano;
i due piccoli fanali del porto-canale di
Badino,presso Terracina, si elevano pres-
so l'estremità delle palafitte del canale
dello Portatore al suo sbocco in mare, ed
il faro è situato sulla prossima torre, ina
non è in attività. Ciò quanto al litorale
del Mediterraneo; nel litorale del mare
Adriatico, il faro del porto d' Ancona è
situato sulla torre presso l'estremità del
molo dementino alla destra della sorti-
ta del porto; sono stabiliti sopra altri e-
difizi i fari de' porti di Sinigagliat Fa-
TOR
no, Pesaro, Riinini, i due del Cesenatico
nella delegazione di Forlì, di cui ripar-
lai a Porti, così di quelli di Cervia e del
porto-canale Corsini di Ravenna. Parlan-
do delle spiaggie pontificie.de'due mari,
dissi delle principali loro torri alcune no-
tizie. Delle suddescritte torri o macchine
di legno per gli assedi, se uè fece uso an-
che sopra i vascelli, ed Agrippa fu ili."
a introdurne 1' uso al tempo d'Augusto,
e vari monumenti locomprovano. Per es-
sere stata s. Barbara rinchiusa in una tor-
re , con questa viene sempre rappreseli*
tata, ed è patrona de'fnilitari e in parti-
colare degli artiglieri, come dissi ne'vol.
X,p. ig5,iC)6, XLV, p. i 1 4- Quanto alle
fazioni de' Guelfi eòa' Ghibellini (V.), dei
Bianchi e de JYeri.de quali riparlala Pi-
stoia, come delle altre ne'luoghi ove in-
fierirono, le prime comechè più generali
ebbero nell' insegue quelle particolarità
per distinguersi, che notai ne'vol. XXIV,
p. 246, 247, XXXI li, p. i85, LXXVI,
p. 76 e 171 ed altrove; e persino nella
forma delle torri e loro merli, come ri-
marcai nel voi. XXXllI,p. 186. Nel voi.
LXVI, p. 6q, ragionando dell'origine de-
gli stemmi gentilizi, rilevai chederivarono
pure da castelli, torri, merlature, palizzate
e baloardi, da chi le prese per arme gen-
tilizia forzati o difesi. Il De Bue, Dell'o-
rigine dell' Araldica, fra le prove di an-
tica nobiltà, novera il possesso delle torri
antichequali in Cremona, Bologna, Pado-
va e Pavia, perchè già fatte fabbricare da
famiglie nobili ne'tempi delle discordie e
guerre civili fra guelfi e ghibellini, origi-
nale dalla Germania di cui sovente tur-
barono il riposo. Osservò Sigonio,Z?c: Re-
gno Italiae , che comunemente le torri
cominciarono a fabbricarsi in Bologna e
in altri luoghi d' Italia circa il 973 da^z-
miglie nobili, in segno della loro ricchez-
za e potenza. Il Malavolta nell' III 'sto rie
di Siena, narra essere state introdotte iu
premio di viriti dimostrate in battaglia,
come seguì in Siena alla famiglia degl In-
contrati, iu vece delle statue che usava-
TOR
no gli antichi, e lo deduce anclie tini ve-
dersene alcune di esse così strette che po-
co o nulla potevano servire per difesa, e
che indi fosse conceduta dal pubblico la
licenza di fabbricarle a molti gentiluomi-
ni, in testimonio della loro nobiltà. In Fi-
renze, in Roma e altrove le antiche fa-
miglie nobili si distinguevano in quelle
di loggia e di torre, loggia e porticale, co-
me notai a Palazzi di Roma; però nar-
rai ne'vol.LXIX, p. 7,LXX, p. 1 37, che
sagacemente Sisto IV, a consiglio di Fer-
dinando I re di Napoli, feeedemolire i mi-
gnani e i porticati in Roma, onde domina-
re liberamente la città. Prima di questo
tempo si scagliò contro le torri il Petrarca
nel Sonetto i 06, dicendo: Le torri su-
perbe al del nemiche, E nel Seuil. I. ix,
Ep. 1, p. 268. Dum supervacuas, et ine-
ptas turres construimus, ut Caelo tenus
scandal ruinatura superbia, Immilli-
mani Chris ti /idem non est. qui tue tur,
et vindieet. Le torri furono espi esse an-
che ne'sigilli e nelle monete, poiché tutte
le città n'erano guarnite. Il cardinal Ga-
rampi, nell' Illustrazione (Furi antico si-
gillo della Garfagnana, già dominio
temporale della s. Sede, diceche le 3 tor-
ri ivi espresse ponno denotare i vari e nu-
merosi castelli della contrada, per cui
sembra plausibile che ne'sigilli e nelle mo-
nete, per angustia del sito una o più tor-
ri si rappresentassero, in vece d'esprime-
re fortezze 0 castelli. Essendo noto quan-
to utili e atte alla difesa fossero nella di-
sciplina militare del medio evo le torri,
non solo i luoghi di campagna e le mura
delle città se ne munivano, ma per fin
dentro le città slesse. Solevano le torri del-
le persone potenti essere munite di pa-
rapetto e altri edifizi, che maggiormen-
te le guardassero, simili in certo modo
a' castelli veri. I merli poi erano quelle
prominenze lasciale sulla cima de'muri,
e posle l'ima dall'altra in egual distanza,
8d effetto di coprire le persone, che indi
scagliavano dardi e sassi contro i nemi-
ci, e gli antichi chiamarono pinnae mu-
T O R *85
rorum e propugnaculum, vocabolo che
il Garampi dice aver spiegato meglio il
Ferrari, che lo fece derivare dal latino
murus e muridus, quando non si volesse
attribuirlo ad origine di lingua germani-
ca, in cui mer significava aggiungere e
aumentare, essendo infatti i merli una
ciunla eaccrescimento fatlosulla cima de'
mini. Dice il Cancellieri neWeCampane
e Campanili, che i tornesi furono coniati
nella zecca di Tours, in memoria della
schiavitù di s. Luigi IX re di Francia, e
vi si espressero i ceppi e la torre. In for-
ma di Ione furono fatti vari utensili, an-
che sagri e d'oro e d'argento, come Re*
liquiari.Ostensoriie Tabernacoli (ì .).
Anche inRoma nella ciltà eterna le tor-
ri appartenenti a' proprietari particolari
erano indizio di nobiltà e ricchezza, ed e-
rette per ornamento e sicurezza dell' a-
bilazioni, precipuamente per fortificarsi
nelle guerre civili o in memoria delle pro-
dezze fatte ne'combatlimenti da chi le e-
rigeva. La più antica Ione particolare che
siasi eretta in Roma è quella di Mecena-
te da lui eretta sul campo Esquilino os-
sia l'Esquilie, nel sito ove ora sorge la no-
bile villa Massimo già di Sisto V, a de-
stra degli orti formati dallo stesso Mece-
nate, nel luogo più eminente di Roma,
Altissimus Romae locus. Questa era si
vastissima, alta ed eccelsa, che, secondo
Orario, la cima sormontava le nubi. Di-
venne famosa perchè vuoisi che dall'al-
to di essa Nerone si godesse l'incendio di
Roma. Per non essersi dagli antichi scrit-
tori additato il di lei sito preciso è tutto-
ra presso i moderni controverso e incer-
to. Alcuni la collocarono nel giardino de'
Colonna sul Monte Quirinale, dov'era
un masso d'antica fabbrica, chiamata dal
volgo Torre Mesa, vocabolo corrotta-
mente fatto derivare da Maeeenaliana,
spezzato con mine per fabbricarvi le at-
tuali scuderie e quartiere del Palazzo a-
postoliro Quirinale, il quale ha un lor-
rione.Altri dicono che Nerone si procurò
il barbaro piacere di vedere Roma in mez-
$6 TOP,
> alle fiamma sulla lo ire delle Milizie.
Non mancano di quelli che pretendono
essere la torre di Mecenate la bassa torre
che sorge sotto s. Prassede, tra le chiese
di s. Martino e di s. Lucia in Selce, e le
Filippiue.Eruditameute e con buone ra-
gioni il principe Massimo, nelle Notizie
della villa Massimo alle terme Diocle-
ziano, dichiara che sebbene sarebbe pre-
sunzione il voler precisare il silo d'una
fabbrica, della quale non rimangono le
vestigia, e di cui gli antichi scrittori non
ci lasciarono descritta la situazione; pu-
re volendo accostarsi al sentimento de'
più accreditali antiquari, che riproduce,
essa fu da Mecenate costruita nel terre-
no presentemente occupato dalla Pilla
Massimo j non si conviene per altro sulla
di lei precisa situazione, alcuni volendo
che stasse verso le terme Dioelcziane, e
altri versola chiesa di s. Antonio delle ca-
maldolesi, l'are che sorgesse nel punto pù
alto dì Roma uella vigna del cardinal V e-
rallo riunita a detta villa, in quella parte
di questa detto il Monte della Giustizia,
che ancora al presente è il punto più ele-
valo del suolo di Roma, innalzandosi so-
pra l'antico argine o Aggere di Servio
Tullio, vigna che passata in potere di Fa-
brizio Naro, quelli la vendè a d. Camilla
Peretti sorella di Sisto V, per unirla al
restante della villa, e dove il Papa avea
intenzione di fabbricarvi un 3.° palazzo
bellissimo, per contemplarvi la magnili-
ca vista di tutta la villa, e della campa-
gna intorno a Roma colla sua corona di
montagne, che da quel punto deliziosa-
mente si gode. In vece sulla sommità del
monte il suo pronipote cardinal Montai*
lo vi collocò la stalua colossale di Roma
sedente,non tenente colla destra una lan-
cia e colla sinistra una Vittoria, come suo-
le rappresentarsi, onde il volgo la credè
una figura della Giustiziarla cui prese la
denominazione il monte. A Roma ed a
Mura di Roma, nel parlar di queste, dissi
delle sue torri che la difendevano, come
delle superstiti, e che nel declinar del se-
TOR
colo VII! di nostra era, conservando tut-
tora il circuito e recinto dell'imperatore
Aureliano, non essendovi aggiunta la Cit-
tà Leonina, le sue mura erano difese da
387 torri, ed erano guernite da 7079
mei li che in buona parte sussistono, mol-
tissimi però rovinali. L' Alberimi chescris-
se, De mirabilibus Urbis Romae,ne\ 1 5 1 o
sotto Giulio II, all'erma che in Roma le
torri erano in tutte le case de'cardinali e
de'signoi i romani. Che in quel leni pò era
frequente l'uso che le case de' cardinali
dovessero avere una torre, lo rilevai nel
voi. LX.XI1I, p. 2oq. Sisto V fece del tut-
to demolire il Settizonio (V.), magnifi-
ca mole a 7 ordini di portici, in forma di
alta e forte torre, edificato dall' impera
lore Settimio Severo. Nel voi. LV1II, p.
278 notai quali furono le più potenti fa-
miglie romane che s'impadronirono de'
luoghi furti di Roma, e vi fabbricarono
oli ridussero a torri, nelle quali si sosten-
nero nelle loro prepotenze e guerre in-
testine. Il Bernardini, che nel 1 74-4 d'or-
dine di Benedetto XIV pubblicò la De-
scrizione del nuovo ripartimentode'/i/o-
ni di Roma, registrò come esistenti 37
torri de'bassi secoli nell'interno della cit-
tà, e sono le seguenti ; che indicando in
corsivo gli articoli che si potino vedere e
citando i luoghi ove ne parlai, agevolmen-
te se ne potranno leggere le notizie, olire
quelleche aggiungerò. Nel rione Monti 9,
cioè: i.°La torre nell'abitazione Canta-
relli o Santarelli presso il monastero delle
Filippine. 2.0 Gli avanzi della grandio-
sa torre unita all' antica abitazione de'
Conti } che dà il nome alla contrada di Tor
de'Conti, edificata nella Suburra da In*
nocenzo III dì tal famiglia, che vi ebbe
in Roma le sue prime abitazioni nelle li-
nee di Segni ' e di Valmonlone (della qua-
le a Velletri); ed anche qui ricorderò
che ne scrissero il Valesio, Disscrtalio de
tnrri Comitum, presso il p. Calogerà, O-
puscoli t. 28, p. 3i; ed il Ratti, Della
famiglia Sforza pa r. 2, p. 2 1 6 e seg. Dil-
la famiglia Confidi Segni, vamo che la
tor
possedè insieme alla torre detta delle Mi-
lizie, altra linea essendo i Conti di Peli
(di cui anche a Tivoli). Il marcheseMel-
cliiorri nella Guida di Roma attribuì la
torre a s. Nicolò I, e che 1 nnocenzo 111 la
fece risarcire e fortificare dall'architetto
Marchionni aretino. 3.° Torre a s. Fran-
cesco di Paola de' Mìnimi} ridotta ad uso
di campanile. La torre è quadrangolare,
terminata con ringhi era, composta a fog-
gia di archetti, con me nsolead uso di for-
tezza. In mezzo di essa alzasi il campa-
nile con 4 archetti sostenuti d'altrettanti
piedritti, ha' (piali sono appese le cam-
pane ; onde ad una certa distanza sem-
bra il torrione d'una fortezza. Meglio non
potevasi collocare, ed è l'unico in Roma
con simile torre per base, e benché sem-
plicissimo merita d'essere veduto. ^"Tor-
re delGrillo unita al palazzo già de'Conti,
l'uno e l'altra da loro edificati, della cui
celebre acqua parlai ne' voi. XX V,p. i 5g,
L1X, p. i 65 e altrove. 5.° Torre non in-
tera nella vigna del monastero di s. Lo-
renzo in Pane e Perua, del quale nel voi.
XXVI, p. 189. 6.° Torre nel monastero
di s. Lucia in Selce, di cui nel voi. XII,
p. 72. 7.0 Torre detta delle Milizie e gran-
diosissima nel monastero delle domenica-
ne di s. Caterina di Siena , innalzata da
Gregorio lXConti nipote d'Innocenzo 1 1 1,
per abitazione dì sua famiglia, chiamata
delle Milizie da qualche presidio milita-
re che ivi si sarà tenuto in tempo delle fa-
rioni , e non già perchè la medesima o
quel sito fosse una stazione dell'auliche mi-
lizie romane sotto gl'imperatori, come al-
cuni antiquari hanno pensato, al dire del
Ealti, che ripetei nel voi. XVII, p. 7o;ai-
tre opinioni del Melchiorri le riferii nei
voi. LV, p. io5, LXXII, p. 188, il quale
dice che alcuno la suppose opera di Boni-
facio "V III, forse perchè i suoi parenti se
ne impadronirono, come notai nel voi.
L\ III, p. 278, facendosi fui li anche pel
sepolcro suburbano di Cecilia !\lelella,che
descrissi nel voi. LXIV, p. ì^o. 8.° Torre
nel monasteio di s. Pi assale de' I ' allom-
T O R 287
brosani(F .).q.° Torre nell'abitazione del
marchese Stefanoni vicino alla piazza de'
Zingari, nella panocchia di s. Maria dei
Monti. Nel rione Trevi 2 torri, cioè; i.°
Torre all' abitazione della famiglia del
contestabile Colonna alle Tre Cannelle.
E qui aggiungerò che ti a'pahizzi de'Co-
lonna presso i ss. Apostoli, unoavea la tor-
re, per quanto riportai nel voi. LXXV,
p. 227 e 228. Il Cancellieri nel Mercato
chiamala torrede'Colonna alla salila del-
le tre Cannelle, la torre di Mecenate. 2.0
Torre nel monastero di s. Nicola di To-
lentino delle Battìstìne. Nel rione Colon-
na 2 torri, cioè: 1. 'Torre ilei Collegio Ca-
pranica. 2.0 Torre del Palazzo Ottobo-
ni Piano. Nel rione Campo Marzo la so-
la torre annessa al Collegio dementino
àe'Somaschi. Vi è però la piazza e il vi-
colo della Torretta, nella parrocchia di
s. Lorenzo in Lucina, poiché vuoisi che
tali denominazioni derivino da qualche
torre che ivi anticamente esistette, sotto
il qual vocabolo ecoll'insegua d'una tor-
retta vi fu stabilita una trattoria, come
nella parte opposta alla Torre Sangui-
gna. Nel rione Ponte 2 torri, cioè: i .'Tor-
re nel palazzo deli' arciconfraternita del
Gonfalone prima Scappucci. 2. °Toi reSau-
guigna che da nome alla piazza, delia fa-
miglia Sanguigna o Sanguinei*, presso la
Chiesa di s. Apollinare (/ .). La fi mi-
glia antichissima romana che le die no-
me fini con Pantasiiea maritatasi con quel
Torres di cui riparlai nel voi. Lll, p. 284»
e ch'ebbe de' cardinali. Il Galletti nel Pri-
miierio, parla de'nobili Sanguigno e Ric-
cardo de Sanguigni del i374-HPapa Leo-
ne \ 1 del 928 era di tale, stirpe. In que-
sto rione fu già la famosa Torre di Nona,
da cui prese il nome la via di TordiNon.i,
nel sito della quale fu edificato l'odierno
Teatro d'Apollo, ove riparlai della car-
cere ch'era nella torre. Nel rione Pai io-
ne 2 torri, cioè: 1 .° Torre nel Palazzo So-
ra de'fjoucouipaguo. 2.0 Torre Millina
con abitazione della famiglia Milli ni no-
bile romana che die a! s:igio collegio 4 '"*
a88 T O R
dina!i;Mario formò unadeliziosa villa sulla
sommità di Monte Mario, e Pietro la chie-
sa «Iella ss. Croce, di che feci ricordo ne'
voi. XLVl,p. 279, LXX, p. i45. In alto
ha l'iscrizionedi Torre Mi Ili na, nome che
prese la contrada. Della famiglia e della
torre, tratta Cancellieri nel Mercato, in
un al palazzo comprato da Innocenzo X
per ingrandire il stio Pamphilj. Collo
stesso Cancellieri noterò, che quando gli
Orsini possedevano il Palazzo B raschi,
\i aveano una torre, in capo al circo A-
gonale, oggi piazza Navona. Inoltre nel
rione Parione era la'torre di Campo, pres-
so la quale un cubiculario pontificio nel
recarsi il Papa dal Vaticano al Lutera-
no distribuiva l'elemosina, come rilevai
nel voi. XXI, p. 161 e altrove. Nel rione
Regola la sola torre del palazzo Cenci, di
cui nel voi. LXXV, p. 1 43, nella Piazza
de' Cenci. Nel rione s. Eustachio 3 torri,
cioè:i.° Torre Argentina che die la deno-
minazione alla via, ed al Teatro di Tor-
re atrgentina, ove descrissi la torre. 2."
Torre del palazzo Palma presso s. Salva-
tore delle Coppelle.3. "Torre Medici o Ma-
dama, già de'Crescenzi, ossia nel Palaz-
zo del Governo o Madama, ora del mi-
nistero delle finanze, e perciò ne ragionai
nuovamente nell' articolo Tesoriere. Di
quest'antica ed elevata torre di tufa, rim-
petto a\P alazzo Carpe gna, probabilmen-
te se ne fanno autori i potenti Conti Tu-
scolani del ramo de'Crescenzi poi delti di
s. Eustachio, de' quali riparlai a Tivoli,
descrivendo Poli, Guadagnolo e la Men-
lorella , ossia nel voi. LXXV, p. 285 e
seg.; dappoiché in Roma essi aveano le a-
bitazioni presso la propinqua Chiesa di
s. Eustachio, e tuttora la contrada porla
il nome di via e salita de'Crescenzi, an-
che pel palazzo che vi possederono, ora
Bonelli, altro avendone un poco più di-
stante,cioè il Palazzo Scr lupi de marche-
si Serlupi-Crescenzi. In fatti il Fea, De'
diritti del Principato sugli antichi edi-
jìzi, a p. 8, narra che i Conti Tuscolani
del ramo di s. Eustachio ne'bassi tempi
TOR
s'impadronirono di alcuni luoghi forti di
Roma, fra'quali delle Terme di Nerone.
e di Alessandro Severo (Jr), presso alla
loro antica chiesa di s. Eustachio,con tutta
l'isola; nel qual palazzo, detto poi Mada-
ma, rimasero le continuate abitazioni di
questo ramo fino al tempo di Sisto IV ,
sotto del quale totalmente si estinse. Che
nel palazzo vi sono vestigia di dette ter-
me lo afferma il Galletti nel Primicero a
p. 220, riportando un placito tenuto in
s. Pietro alla presenza di Papa Gregorio
V e Ottone III imperatore nel 998 per
la vertenza tra l'abbate di Farfa ed i preti
dis. Eustachio di Roma (dellaqual chiesa
rifeci menzione, pe'suoi nobili e grandi re-
stauri, nel voi. LXXV, p. 219), circa le
due chiese di s. Maria e di s. Benedetto
nelle terme Alessandrine, le quali furono
aggiudicate all'abbate e suo monastero;
dice che nel palazzo già de'granduchi di
Toscana, oggi della Camera apostolica,
tra s. Eustachio e piazza Madama già det-
ta de' Lombardi, vi sono vestigi di terme
o di Nerone o d' Alessandro Severo, di
grandissima magnificenza. Il Nibby nella
Roma nel\ 838, asserisce che i Conti Tu-
scolani, come signori della contrada, sotto
mano in detto placito assisterono i preti
di s. Eustachio. Essi occuparono le terme
da oriente a occidente , cioè il tratto fra
la piazza della Rotonda e la piazza Mada-
ma, e da mezzogiorno a settentrione fra
la chiesa di s. Eustachio e la via delle Cop-
pelle. Egli crede che i Conti Tuscolani si
annidarono nelle loro vicinanze e in parte
sopra le terme nel secolo X, che fra'giu-
dici del placito eravi Giovanni prefetto di
Roma e conte del palazzo, figlio del fa-
moso Crescenzio Nomentano, il quale per
essersi impadronito delMausoleo d'Adria-
no, quella mole prese per lui il nome di
Torre di Crescenzio, come trovo in Mu-
ratori nella suddetta Dissert. , Castello
e Torre di Crescentio,a\ dire del Seve-
rano nelle Memorie sagre , e Torre di
Crescendo lo chiama Degli Effetti nelle
Memorie del Soratte, che inoltre parla
X OR
d'altro castello o fortezza omonima ne'din-
torni di Roma verso Baccano, proprietà
de'Crescenzi: il Mausoleo poi fu denomi-
nato Castel s. Angelo. Dopo la morte di
Ottone III, Giovanni Crescenzio assunse
il titolo di Patrizio di Romaje appoggia-
to alla fazione del padre, che l' impera-
tore avea fatto perire, e affidato alla so-
lidità delle terme Alessandrine da lui oc-
cupate e fortificate, usurpò il dominio di
Roma, onde Ditmaro lo chiama Aposto-
liche sedis destructorem. Come patrizio
m iene ricordato nel i o i o col figlio Crescen-
zio II prefetto di Roma, in quella specie
d'appello che fecero dalla sentenza pro-
nunciata anche contro di loro dal ram-
mentato piacilo. Inoltre Nibhy conferma,
che i Conti Tuscolani del ramo di Cre-
scenzio poi detto di s. Eustachio, annida-
tisi sopra le terme Alessaudrine e Nero-
niaue, vi si mantennero sempre ; delle
quali terme si trovarono avanzi nota-
bili più volte presso il palazzo del cardi»
nal de Medici o. Madama. Narrai nella se-
rie de Prefetti di Roma, che il detto Cre-
scenzio, o meglio altro contemporaneo ,
detto anche di Berardo de'conti di Marsi,
fu appellato de Arco, de Tur re, del Ca-
stello munito, perchè stabilitosi presso il
foro e Tempio di Nerva lo cinse di torri
e di ben muniti ripari, e forse una di tali
torri è la superstite sunnominata nel pa-
lazzo Grillo. Di questo Crescenzio, e al-
tri di tale famiglia, diverse uotizie riporta
l'autore del Compendio della famiglia
Trasmondo, dalla quale discese il ramo
de'Conti d'Innocenzo III, e lo dice proge-
nitore della nobilissima famiglia Crescen-
zi di Roma, ch'ebbe diversi cardinali, e
della quale in tanti luoghi trattai. Restrin-
go il mio dire, che avendo provalo, che
i potenti Crescenzi de'Conti Tuscolani ,
poi del ramo di s. Eustachio, nel secolo
X s'impadronirono delle terme Alessan-
drine e Neronia ne evi si fortificarono; che
parte dell'area delle terme viene occupa-
ta dall'odierno palazzo de! ministero delle
finanze, nel quale soigela torre, utdoche
vol. txxvn.
T O R 289
questa sia slata a detta epoca costruita da'
possenti Crescenzi, i quali si estinsero nel
declinar del secoloXV;sebbene della torre
propriamente non mi riuscì trovare clic
uotizie di congruenza. Nel rione Pigna vi
è la sola torre nell' abitazione Persiani ,
nel vicolo tra la chiavica dell'Olmo e il
palazzo Colonna Sonnino, prima Baccelli
e già de'Cavalieri, accauto al palazzo Ce-
sarmi verso s. Elena. Aggiungerò la tor-
re del Palazzo apostolico di s. Marco
(V.) j preesistente ad esso , comechè già
posseduta dagli Annibaldeschi. Nel rione
Campitelli 5 torri, cioè:i.°La torre non
intera (fu poi demolita del tutto nel 1829,
e solo ne restano i ruderi e i fondamenti
visibili), già detta Cancellarla e Char-
tularia e de'Frangipani, alla Polveriera
verso l'arco di Tito. Ne parlai in tanti luo-
ghi, come a Colosseo, che le e**a vicino,
da' Frangipani ridotta a forte rocca, ri-
fugiandovisi dal Lalerano il Papa Alessan-
dro III contro le insidie de'partigiani di
Federico I e dell'antipapa Pasquale III,
della quale fanno ricordo il Punaldi ne-
gli Annali, all'annoi 167,11.° 5, dicendo
che Alessandro III si rifugiò nella torre
Cartulario de Frangipane s de Cartula-
ria alle radici del Monte Palatino, chia-
mata con altro nome delle Sette Lucerne,
donde il Papa non vedendovisi più sicuro
fuggì pel Tevere a Gaeta e Benevento ve-
stito come un pellegrino; ed il Muratori,
che la chiama Torre Cartulario, Tur-
ris Centii Frajapanis. I Frangipani pa-
droni del Settizonio (ove la data di Vit-
torio III dev'essere 1086), e dell'arco di
Costantino,anche questo aveano fortifica-
to e ridotto a torre, così la torre dell'ar-
co del circo Massimo, ricordata nel citato
articolo. Raccontai nel voi. LVIII.p.278
e 279 , che il senatore Brancaleone nel
1257 uscito di prigione, per vendetta con-
tro i nobili romani, distrusse lutti gli an-
tichi palazzi rimasti in piedi, le terme, i
templie moltissime colonne, al riferire di
Fea, ecotoni nella più parte fabbricate
sopra i solidi avanzi de'mooumenti anti-
'9
•()<
T O 11
chi insieme alla torre Cartulario e al Set-
tizonio. Il Cancellieri che ne discorre nel
Mercato, dice che neh 328 Lodovico V
il Bavaro. distrusse le abitazioni de'Fran-
gipani fra l'arco di Tito, s. Maria in Pal-
lara o Chiesa di s. Sebastiano alla Pol-
veriera, e il Colosseo, e naturalmente es-
sendovi stata compresa la torre Cartula-
rio, passarono ad abitare presso la piaz-
za del Gesù, ove si trovano nel 1 347, Pres*
so gli avanzi del Tempio d'Iside e Sera-
pide, e forse da'gradi di esso fu detta la
contrada ad Gradellas, ed i Frangipani
quindi chiauiarousi de. Gradellis. 11 vo-
cabolo Sette Lacerne, la torre Carlula-
ria lo prese dal vicino arco di Tito, per-
chè tra le sue sculture esprimenti il trion-
fo per la distruzione di Gerusalemme, vi
è il celebre candelabro di quel tempio,
il quale fece appellare l'arco, Arcus Se-
pieni Lucer narwn. i.° Torre non intera
all'antica dogana dellaGrascia ntWùPiaz-
za di Campo Vaccino. 3.° Torre uni la
al Palazzo di Campidoglio del Senato-
re, di Roma (/ .), dalla banda dell'arco
di Settimio Severo, con l'osservatorio a-
stronomico adì' Università Romana. 4-°
Torre presso l'antico Palazzo apostoli'
eode'ss. Quattro Coronati. 5. "Ione det-
ta degli Specchi , da una famiglia di tal
nome nell'abitazione de'marchesi Cava-
lieri, incontro al monastero dell' Oblate
di s. Francesca romana di Tor degli
Specchi (V.), TurrisSpeculorum,a\ qua-
le articolo ed a Campanella dissi della
pretesa e favolosa torre altissima d'oro di
Campidoglio, ove di nottespleudeva una
lucerna che faceva lume a' naviganti , e
dove era congegnalo uno specchio da cui
si scuopri va quanto opera vasi nel mondo,e
delle fa voloseslatue con campanella espri-
menti i bisogni delle proviucie. Tor degli
Specchi dà il nome alla contrada. A Mer-
cato parlai della torre diCampkloglio det-
ta del Mercato, ove i consoli e i camerlen-
ghi delle arti vi rendevano ragione, giac-
ché anticamente il mercato di Roma lene-
vasi ne'coulornidel colici insorti i roma-
TOR
ni a*23 agosto 1 4o6,gittaronoa terra tulli
i merli e la torre del mercato. Nel rione
s. Angelo vi sono 2 torri, cioè: i.° Torre
Margana nel palazzo della congregazione
de'nobili della chiesa del Gesù, in piazza
Maiganaj e vicino vi era quella di cui fe-
ci menzione nel voi. L1V, p. 49. Abbia-
mo ae\3Iercato di Cancellieri che la torre
e la piazza prese il nome dalle case che vi
possedeva l'antica e nobile fa miglia Marga-
na romana, poi corrottamente detta Mor-
gana. 2.0 Torre nel Palazzo Santacroce,
fra la via del Pianto e piazza Costaguti.
3.° Torre del Ghetto degli Ebrei, al vi-
colo della Torre. Nel rione Ripa 2 torri,
cioè: 1 ,° Torre presso la Chiesa di s. Rai-
bina (della quale riparlai nel voi. LXXV,
p. 219). 2.° Torre nell' isola del Tevere
già de'Caetani, ora del convento france-
scano della Chiesa, di s. Rarlolomeo al-
l'Isola. Nel rione Trastevere 2 torri, cioè:
i.° Torre situata nella via di s. Salvato-
re a Ponte Rotto. 2.0 Torre incontro al
monastero di s. R.uffina delle religiose del
Sagro Cuore. Debbo però avvertire, che
in questo rione furono diverse torri, oltre
quelledelle ripe del Tevere, di qua e di là
dal fiume erette da s. Leone IV, delle quali
parla Torrigio, Grotte Vaticane p. 523;
vi è il vicolo della Torretta nella parroc-
chia di s. Grisogono, nome che prese da
una torricella che sorgeva in questo luo-
go e di cui se ne vede ancora qualche a-
vanzo; ed inoltre vi è la torre dell' An-
guillaia, cioè de'conti di tal nome di casa
Orsini, propinqua alla loro antica abita-
zione, della quale ragionai in tanti luo-
ghi, ed anche ne' voi. XXXI li, p. i85,
LVIlI,p. 278, avendo rimarcato nell'io*
dicato articolo perchè prese un ramo di
tal casa quel nome e per istemma due an-
guille incrociate, sopra uno scudo contor-
nato dal cingolo militare. Di questa ulti-
ma torre si hanno i Cenni storici sulla-
Torre Anguillarain Trastevere redatti.
dal principe, d. Camillo Massimo, Ro-
ma 1 847- Ne die contezza il eh. cav. Belli
nel u.° 3 delle Notizie del giorno di Ho-
T O U
ina del i 847, enoooiìamlohe i prègi, e che
l'eruditissimo compilatore li pubblicò nel
l'occasione del Presepio a giorno, che con
mollo accorgimento d'arte, buon gusto e
spesa, vi si fa sulla sommità annualmente
dall'egregio Giuseppe Forti enfìteuta del-
la casa,sulla quale la smantellata torres'in-
nalza piesso l'arco dell'Annunziata sulla
via della Lungaretta o Longarelta , così
detta per do sua lunghezza, proseguita dal-
la via Longarina, cioè in questa ha l'in-
gresso principale, mentre il minoreèdal-
la parte di dietro, ossia postei ula, anch'es-
sa come la torre costruita ne'bassi tempi
e nel detto Arco a poca distanza dalla ri-
pa del Tevere, vedendosi sull'architrave
marmoreo di detta porticella l'indicala ar-
ma gentilizia intagliate. La torre ed i pro-
pinqui locali e fabbriche sono proprietà
diretta del Conservatorio dis. Eufemia,
di cui riparlai nel voi. XIX, p. 247 e seg.,
onde sull'architrave della porta maggio-
re è scolpito: Puellarum s. Euphemiae.
La casa ebbe anche un portico, altra an-
tica distinzione de'nobili romani. I Cenni
colla storia sulla torre e casa Anguillaia in
Trastevere, con disegno li riprodusse l' Al-
lumi di Roma nel t. j4, p. 333 e 344» e
del quale vado a darne un fugaceestratto,
anco per esservi diverse nozioni che han-
no analogia a questo articolo. La torre è
di costruzione a cortina , ora ridotta al-
l' altezza di palmi 106 sopra 22, per 3o
di larghezza e compresi 2 palmi e mezzo
di grossezza del le sue mura esposte in for-
ma di parallelogramma a'4 venti cardi-
nali, con annessi fabbricati e col suo recin-
to ad uso di fortificazione. Il detto stem-
ma si vede ripelutonegli architravi del ca- ,
samento annesso, le cui finestre alla guel-
fa, ossia con telali a croce in pietra scor-
niciata l'indicano fabbrica cospicua, che
a'tempi in cui venne innalzata potè chia-
mare palazzo, e nella cui sala d'ingie.^o
al i.° piano di grandiose dimensioni, an-
cora esiste uno di quegli enormi cammi-
ni, che ordinariamente ornavano le abi-
tazioni de'grandi. La famiglia Orsini del-
TOR
,,v
l'Anguillara, una della più polenti di lis-
ina ne'bassi tempi, da antica epoca era do
miciliala inTrastevere,ove a sue spese ri ri
novo la chiesa di s. Francesco a Ripa,cotne
accennai descrivendola nel voi. XXVI, p.
1 5g, e il con ìig'.io convento, molti di essa
ivi essendo stati sepolti, il che apparito*
dalle loro lapidi. Molti personaggi di que-
sta casa si distinsero per valore militare se
guendo quasi sempre la parte guelfa, pro-
pria degliOrsinida'quali derivava. Quan-
do il Papa dimorava in Avignone e nel l3ii
EnricoY II venne a Roma per incoronarsi,
questi trovò la città divisa in due partiti
e in quotidiane sanguinose zuffe rese più
terribili perle offese che sui combatten-
ti provenivano dall'alto delle toni e da
altri luoghi elevati, da'quali colle bale-
stre si lanciavano sassi e passatoi (pietre
o sassi più grandi, e di quelli che .servo-
no a passar fossati e rigagnoli), e perfino
acqua bollente dalle donne della fazione
contraria a'pugnanti. Poiché gli Orsini,
fra 'quali il conte dell'Anguillara, con l'a-
iuto di Giovanni principe di Morsa fra-
tello del re di Sicilia, essendosi iropadro
niti del Campidoglio e della sua torre del
Mercato, di altre torri, del Castel s. An-
gelo e del Vaticano, si erano fortificati in
quella parie di Roma, che di qua costeg-
gia il Tevere, e di Trastevere, in quella
occasione avrà loro pur servita la torre
degli Anguillaia, che in quell'epoca do-
vea essere tutta intera, molto più altadell 1
presente, e colla sua corona di merli, pei
la forma e numero de'quali si distingue-
vano le due fazioni guelfa eghibellina. Al-
l'incontro i Colonnesi ghibellini craiisi for-
tificati nella parte opposta, avendo occu-
pato il Pantheon, la torre delle Milizie, la
basilica Liberiana e la chiesa dis. Sabi
na, per cui poterono favorire l'incorona-
zione dell'imperatore in Laterano (presso
il quale i potenti Annibaldeschi aveano
le abitazioni e la torre del loro nome, co-
me riferisce il Severano; forse fu quella
torre di cui feci parola nel voi. LXXV,
p. 49), perchè gli Orsini impedirono chu
292 TOR
sì facesse in s. Pietro. Partito l'imperalo-'
re ila Roma, le due fazioni avendo sbarra-
«eie strade continuarono a danneggiarsi,
sinché il popolo stanco di più soffrii e prese
l'armi, s'impadronì di Castel s. Angelo,
della torre delle Milizie e di altri luoghi
forti, e radunatosi in Campidoglio, abolì
ogni magistrato , ed elesse a capitano e
rettore della città con autorità suprema
Giacomo Arlotto degli Stefaneschi,uorno
di sommo ardire, il quale dopo aver fatto
carcerare alcuni de' primari personaggi
delle due fazioni, imitando o volendo su-
perare la ferocia del summentovato se-
natore Biaucaleone, fece atterrare! loro
palazzi, mutilarne le torri, e demolirne
le fortificazioni; e fra le altre ilMangoneo
fortissima tori e posta all'ingresso del sud-
detto ponte Rotto, usando pure la stessa
barbarie col devastare i muri e le porte
dall'altra parte del Trastevere, per defor-
marecosì la città in disprezzo de'inagnali,
come osserva il Fea. Perciò si disponeva
a rovinare anche il Castel s. Augelo, se i
nobili accorrendo dalle loro terre dove es-
so li avea rilegati, non si fossero riuniti
in Campidoglio, e non lo avessero depo-
sto, carceralo,efaltodecapitare a pie del-
le sue scale. Si arguisce dunque che nel
i 3 1 3 restò pur mutilata la lorredell'An-
guillara e demolito il suo recinto, della
cui porla ancora vedonsi le tracce verso
il Tevere, a meno che la cima della torre
non venisse decimala dall'orribile Terre-
molo (V.) che si fece sentire in Roma a
ore 23 de'a5 gennaio i 348, pel quale la
torre de' Conti alla Suburra rimase con-
quassata e decapitata. La medesima sorte
o pel terremoto, o per la narrata deva-
stazione può esser toccata all'altra ricor-
dala torre, nella stessa linea dell'Anguil-
lara, nella continuazione della stessa via
Lungarina. Questa torre largai 5 palmi
e 3o profonda, fabbricata come la pre-
cedente in mattoni a cortina, che colla sua
altezza domiua la ripa del Tevere fra il
ponte Rotto e il ponte Quattro Capi, ap-
partenne a'guelfi Alberteschi, altra nubi-
TOR
le famiglia di Trastevere e stretta in pa-
rentela cogli Anguillaia, la torre de'quali
situata in poca distanza parimente veilesi
dominare la ripa del Tevere, fra il dello
ponte Quattro Capi e il ponte Sisto, dal
che è facile comprendere come facessero
quelle fazioni de'bassi tempi a impadro-
nirsi dell' intere contrade della città per
mezzo delle torri appartenenti alle fami-
glie del loro partito. Che fosse degli Al-
berteschi la torre situala verso ponte
Rotto, apparisce dalla loro arme consi-
stente in uuo scudo d'antica forma, semi-
nalo di io gigli, e sostenuto da due rami
di fogliami e altri gigli, scolpito iu pietra
sull'architrave d'un cammino situalo nel-
la sala del i.° piano della casa contigua al-
la torre, la cui finestra guelfa mette sulla
stessa via Lungarina, e da cui si ascende
alla torre medesima, nell' interno della
quale non esiste scala per potervi salire in
cima, ma è tutta vuota onde appoggiarvi
scalea piroli, ovvero come anticamente u-
savasi una scala di corda per cui salivano
que'che la difendevano, vedendosi al di
fuori ancora i buchi quadrati, pe'quall pas-
sa vanoeappoggiavano le pertiche che reg-
gevano le tavole per sostenersi nell'offen-
dereo nel difendersi. L'arme suddetta de'
gigli indica l'origine normanna di quel-
l'illustre famiglia, che perciò talvolta si
chiamò de'Normandi,e Innocenzo 111 fece
cardinale Stefano de Normandis, e si di-
vise in più rami denominati de'Sordi, Pa-
losci o Palosi oPalocci, e Urbano VI creò
cardinale Stefano Palosio, e Venerameli;
e Poncelletto Veneranieri essendosi ribel-
lato a Eugenio IV e rifugiato in Pales tri-
na, presso gl'insorti Colouuesi, fu cagio-
ne dell'eccidio di quella città e Poncel-
letto venne fatto morire. Tali diversi ra-
mi inquartarono ne' loro stemmi le onde
a sinistra de'gigli.GliAlberteschi vendero-
no la torre divenula diruta e la casa annes-
sa,nel i 37 1 peri 1 o fiorini d'oro. 11 famoso
conte Everso 11 dell' A nguillara,di cui par-
lai in tanti luoghi, per le terre the signo-
reggiò la famiglia e per le guciresusltnulc
T O R
contro i Papi e diversi baroni, si foi tifico
nella sua casa inTrastevere restaurandone
la torre, i ili cui mattoni a cortina che la
compongono di forma triangolare ordi-
nariamente , sono collegati insieme con
calce tenacissima, ed ampliò l'antica abi-
tazione de'suoi avi con nuove fabbriche,
come ne fanno fede le sue armi con mo-
rtone sormontate dal cimiero da cui esce
un mezzo cinghiale, che tiene fra' denti
un'anguilla; arme che vedesi ripetuta nel
muro esterno dell' Ospedale del ss. Sai-
valore presso s. Giovanni in Luterano,
iu memoria delle benefiche lascile fatte-
gli con testamento, colle quali fu fabbrica-
to un nuovo braccio; in pentimento del-
l'iniijuitàe invasioni da lui coni messe,e fal-
sificatore delle monete di Nicolò V, Ca-
listo IH e Pio II. I figli seguendo le cat-
tive vestigia del padre furono puniti da
Paolo II, loglieudo loro l'Anguillaia con
i i luoghi fortissimi , non molto lontani
da Roma, tali resi da Everso II pel genio
particolare che avea nel fabbricare torri
e fortificazioni, onde sostenersi nelle sue
prepotenze.Pucuperata l'Anguillaia dal fi-
glio Francesco, la ritolse Innocenzo VIII
forse per essere termiuato iu lui il ramo
primogenito, rimanendovi quello di Sta-
bio e di Calcata nella provincia di / iter-
bo, nel quale passarono i pochi beni ri-
masti,colle case e torre in Trastevere, che
venendo a deperire il palazzo e la torre la
vendè nel i 538 per 400 scudi ad Ales-
sandro Picciolotti di Carbognano scritto-
re di brevi di Paolo 111, che con molta
spesa restaurò e ampliò e fu detto il Pa-
lazzaccio o la Carbognana, e tutto il suo
figlio Gio. Battista lasciò al conservato-
rio di s.Eufemia con testamento del 1 6 1 8,
ed il pio luogo nel 1827 lo concesse in en-
fiteusi a Camillo Forti. L'encomiato suo
figlio Giuseppe impiegò vistose somme
per rendere servibile il locale divenuto di-
ruto, ed una parte lo destinò per fare ri-
vivere in Roma sua patria la nobilissima
arte della pittura sul vetro e per la fab-
bricazione di varie specie di smalti. Delle
T O R 9g3
torri del rioueDorgo nulla dice ilReruardi
ni. Quando s. Leone 77 uell'848 fabbricò
la Città Leonina (F.) la munì di 44 ton '
e una delle quali die nome alla porta del
Torrione o Porta delle Fornaci o Porla
Cavalleggieri. Nel citato articolo,edaPA-
lazzo apostolico Vaticano, rimarcai le
poche superstiti torri di s. Leone IV e al-
tri Papi. Delle principali torri suburba-
ne di Roma parlai iu quell articolo diceu-
do della Campagna Romana e della Co-
marca di Roma , e descrivendo i luoghi
de'dintorni. Di molte ne trattano Deglilìf-
fetti , Memorie del Soratte e de' luoghi
convicini, e de' Borgia di Roma; eNib-
by, Analisi de'dintorni di Roma.
Nell'articolo Campanile, torre o edifi-
cio per l'ordinario assai elevato, dove si
tengono le campane sospese, e perciò de-
nominata Torre Campanaria, eretta al
di sopra o a fianco delle Chièse, delle quali
molto ragionai pure a Tempio, per le me-
desime campane, affinchè possano udirsi
da lontano. Ricordai i più rinomati e biz-
zarri, che a'ioro luoghi descrissi sì d'Ita-
lia che d' oltremonte , e che dal Rocca ,
De Campanis, a s. Leone IV si attribuì
peli.0 d'aver inualzato nell'85o la torre
campanaria: lo stesso Rocca nel Commen-
tarius citato, tratta nel cap. 8, De cam-
panariun origine, qua a tubis ve te ri-,
Testamenti in Ecclesia sanata Dei lui-
beri censentur. Però mg/ Bartoliui nella
Dissert.: Le nuove Catacombe di Chiù-
si, parlando della città di Nola uella Cam-
pania, riferisce ch'ebbe iu un suo sob-
borgo ampio e celebratissimo cimiterto,
dove furono sepolti molti martiri, e clic
diede ii nome di Cimitile al villaggio che
dipoi ivi sorse; e che vicino a questo ci-
miterio s. Paolino vescovo di Nola edi-
ficò parecchi oratorii con la sua basilica
ni martire s. Felice prete, che servì di ti-
po a Ile altre posteriori basiliche anche per
la Torre. Campanaria, la prima che ap-
parve al mondo con le sue campane per
chiamare i fedeli alle sagre funzioni, di-
chiarando il eh. prelato ch'egli stesso a-
2y4 TOR
vea potuto osservare. Noterò che s. Pao-
lino volò al cielo nel 43 i. Dissi pure a
Campanile, che servì la campana del fa-
moso Carroccio per darei segni delle pre-
ghiere, tlelle messe militari, e per radu-
nare i soldati. Del famigerato campanile
portatile detto Carroccio, ebe si traspor-
tava nel campo di battaglia come un pal-
ladio e perciò si custodiva gelosamente,
ossia gran carro militare composto da un
castello di legno in forma di torre, dal
• piale pendeva la campana, ed era sovra-
stato dallo Stendardo del comune, e la
cui Campana in Firenze fino dal 1206,
«piandola repubblica aveadecisodi muo-
ver guerra, si suonava per un mese d'i
». notte, per convocare i combattenti al-
le armi, ne parlai agi' indicati articoli.
Portai inoltre de'minareti o alte e stret-
te torri che fiancheggiano la maggior
parte degli edilizi sagri de' maometta-
ni^ come le Moschee (7 .), terminan-
ti a freccia colla figura della luna cre-
scente, ossia la 6." parte del disco lunare,
io bronzo o rame dorato. Queste torric-
ciuole servono, a così dire, di campanili
alle moschee, poiché non avendo i mu-
sulmani l'uso dellecampane, ne Ritmo l'of-
ficio i muezzin istituiti da Maometto ad
ii rinunciare al popolo 5 volte al giorno l'o-
ra canonica della preghiera, alla quale in-
vitano ad alta voce. I muezzin sono spe-
cialmente notevoli pel suono aggradevole
della voce e per la melodia del loro canto,
massime quelli delle principali moschee,
col quale dall'alto de'minareti intuonano
Y czann o annuncio alla preghiera, che
principia e finisce col nome di Dio, come
principio e fine d'ogni cosa, onde ram-
mentare che l'uomo nulla deve intrapren-
dere, riè terminare,che non abbia per og
getto 1' onore e la gloria del suo nome.
Dall'alto de'minareti essi annunciano al-
1 islamismo l'ezann, stando rivolti verso
la Mecca, patria di Maometto ed ove è la
più sontuosa moschea dell'impero otto-
mano, tenendo gli occhi chiusi, le due ma-
ni aperte innalzale e «/pollici uell'orec-
TOR
chie. In tale attitudine, dopo la prima
chiamata, percorrono a passi lenti la pic-
cola galleria che gira all'intorno d'ogni
minareto. La calma e il silenzio che re-
gnano in tutte le città dell' oriente , ove
non si rimane mai sbalordito, né dal suo-
no delle campane , che sono ignote tra'
maomettani, uè dal rumore delle carroz-
ze o de'carri che sono rarissimi, portano
da lontano il suono di queste voci aeree
in tutte le ore canoniche, ma principal-
mente nel mattino allo spuntar dell'auro-
ra. Questi annunzi enfatici e periodici, ri-
petuti3 voi te, hanno un non so che di gran •
dee di maestoso, e risvegliano potente-
mente la divozione nelle persone anche le
meno religiose. Al momento che la voce
del muezzin si fa sentire, il musulmano di
qualunque età, sesso e condizione, abban-
dona tutto per dedicarsi a Dio, dirigendo-
gli ardenti e fervorose preci; e queste si
fanno in ogni luogo, nelle moschee, nelle
case, nelle botteghe, ne'mercati, sulle stra-
de, dappertutto ove il maomettano si tro-
vi, con iscrupolosa prontezza. Imperocché
sebbene alcuno sia incredulo, non osa di
mancare a questa divota pratica univer-
sale, ed è attento a' doveri del culto e-
sterno, pel timore d'essere considerato ir-
religioso. Nelle moschee lontane dall'a-
bitato, i muezzin prima dell'annuncio si
servono talvolta d'un ferro largo e sottile
come quello d'una falce, sul quale batto-
no con un martello, onde avvertire il po-
polo del tempo canonico per la preghiera.
La torre campanaria colla sua elevatezza
ci rammenta l'età in cui parve che solo
colla sommità delle torri e delle guglie
potessero i duomi e le cattedrali portare
fino al cielo l'omaggio universale dell'a-
more e della fede vittoriosa de'cristiani,
tutto convenne si elevasse e si slanciasse,
come eloquentemente si esprime il ch.cav.
CesareCantù.Su di che può leggersi quan-
to riportai a Tempio, sull'idea mistica e
simbolica architettura dell'estetica cristia-
na, per gli edifizi sagri. I campanili si fau-
no di tutti gli ordiui, sebbene lodevole sa-
TOR
ì ebbe ritenere gli ordini architettonici del
tempio o altri edifizi, a'quali queste toni
sono unite. Se ne ammirano molti per la
lui Pilligli!, ampiezza e solidità di costru-
zione. Ma il severo Milizia, sdegnato per
la parte architettonica di tanti campanili,
•tra vacante e capricciosa, qualifica i cam-
panili come superfluità de' cristiani, pro-
dotti dalla superfluità e abuso delle cam-
pane; li chiama altezze futili, che gli an-
tichi greci ne riderebbero, e che ordina-
riamente sono edifizi i primi aruinarene'
grandi Terremoti. Il p. Lupi nelle Dis-
sertazioni t.i, p. 42 e se3- ragiona delle
torri presso alle chiese, modellate sull'e-
sempio degli edifizi gentileschi, e de' vari
usi delle medesime presso i gentili. Dice
pertanto, che sebbene egli non vide vesti-
gio di torre alcuna prossima a'templi pa-
gani, pure qualche cosa di simile al cam-
panile fu in Dodona, dovei paioli o vasi
ili metallo erano sospesi; e qualche cosa
simile ebbe sul Campidoglio il tempio di
Giove Tonante, dove Augusto fece appic-
ca re sul più alto que'tintinnabu li o campa-
nelli che si tenevano prima pendenti dal-
ie porte. Nelle grandi abitazioni isolate de'
romani vi era la sentinella, e non poteva
essere se non che qualche torre, dove sta-
vano di notte le guardie con istnuuento
corrispondente alla campana. Di questa
si servivano a svegliare gli operai e gli
schiavi al lavoro, nelle grandi case o ba-
rrii ove si ritiravano la notte. In Grecia
si usavano tali bronzi o strumenti fracas-
si-voli chiamati codoni, ne'mercati perda-
le il segno alla città dell'aprirsi la pesche-
1 ia, e principio della vendita del pesce, e
probabilmente per farsi sentire nell'inte-
ra città saranno stali grandi e sospesi in
qualche torre o somigliante luogo elevalo.
Siccome nelle terme col martello si batte-
va un istrumento per avvisare in que' vasti
edilìzi il popolo ad entrarvi e poi uscirvi,
si crede che fosse una catinella di bron-
co campana o campanone, alla quale pa-
re dolersi concedere una torre. Ciòquan-
toalle torri strepitose. Quantopoi alletor-
TOR acp
ri vicine a'templi per ornamento, il p. Lu-
pi ricorda che il tempio di Giove Celo in
Babilonia era abbellito da più toni l'uua
all'altra sovrapposte; e si trova una torre
prossima e appartenente al tempio d"E-
sculapio. La torre edificata presso il tem-
pio di Salomone in Gerusalemme, sem-
bra che fosse anche a difesa e per abita-
zione de'sagri ministri. Ricorda quindi le
torri per bellezza e abitazione,come quella
edificata in Roma ne'suoi orti da Mece-
nate; le due torri (.Iella villa Laurentina
di Plinio; le altre due uella villa Tibur-
tina di Cintia amica di Properzio, seppur
non erano due colombaie, che sono torri
o altre parti d'un edificio, in cui si sono
praticati de'fori per dar comodo a'colom-
bi di nidificare; la torre sagra e dedicata
alla dea Vittoria e vicina al suo tempio;
le torri annesse al tempio dedicato al dio
Eiiogabalo nelle vicinanze di Roma, e da
quell'imperatore erette affine di distribuir
da esse un congiario al popolo, del quale
donativo feci parola nel voi. LV, p. 8, ed
altrove. Osserva finalmente il p. Lupi, che
per difesa e abitazione nel santuario di Lo-
reto furono innalzati intorno torrioni e
baloardi, anche per accrescere maestà al
sontuoso edifizio; e che il rito di dedicar
le torri fu ancora seguito da'eristiani con
benedizione e liturgia distinta, riponen-
dovi sagre reliquie, ed erigendovi un al-
tare per lo più dedicato a s. Michele, come
si ha dal p. Marlene, De tacrU Eeclesiae
ritibus t. 3, lib. 2, cap. it. Molte ed eru-
dite notizie sulle torri campanarie ci diede
il Cancellieri ne; le sue belle Notizie sui
campanili té\ cui mi giovai intaleartieo-
lo e poi qui aggiungerò alcun'altra nozio-
ne. Il Ratti, Trattato per V erezione de'
sagri tempii, a p. io5 tratta del Cam-
panile, Campane ed Orologio e loro tor-
ri. Dice che la torre campanaria si costrui-
sce in capo all'atrio o al portico, ch'è vi-
ci no alle porte delle chiese, e che dove non
è atrio si edificherà a mano destra entran-
do, disgiunta in modo da ogni altro uhi
ro che si possa girarla. Confessa chela si
?.</> T O R
funzione però è sempre molestn reta ti va-
mente all'euritmia delle chiese, Onde per-
sino si prese il partito per le chiese grandi
di costruirne due,* fa huon edotto, special-
mente se vi è di mezzo la cupola. Narra che
i campanili più considerevoli furono in-
nalzali nel medio evo sino al secolo de-
corso, e alcuni di celebrità per le loro e-
levatezze, singolarità di forme, e sveltez-
za delle parti che li compongono. I cam-
panili avere il più sovente la forma di tor-
re coronata da una piattaforma.o sormon-
tata da una piramide o guglia, ora di le-
gno ricoperto di piomho odi lavagna, ora
di pietre o di tegole; che vi fu un tempo
in cui le torri campanarie che si vedeva-
no da lungi servivano a indicare i diversi
partiti di fazioni, come per esempio quelle
a guglie o obelischi indicavano che il pae-
se era del partito de'ghibellini, e quelle a
piattaforma de'guelfi. Gli antichi di buon
gusto conobbero già da lungo tempo che
i campanili sono incompatibili colle chiese
costrutte in forma regolare, e però s. Pie-
tro di Roma non ha campanili visibili, ma
due cnpolette colle campane, e quello che
fu edificato venne tosto dislrutto;onde nel-
la maggior parte delle rinoma te chiese d'I-
talia il campanile è una costruzione a par-
te. J campanili percompiacereil popolo si
t inno alti quanto più è possibile, mentre
credono che quanto piùil suono viene dal-
l'alto tanto più si oda da lontano. Que-
sto è un errore, poiché la fisica insegna che
il suono propagasi meglio quando si ori-
gina presso il suolo, essendo le molecole
dell'aria respinte in alto e all'intorno del-
la superfìcie della terra come palle elasti-
che. Nel dichiarare il Ratti il modo di co-
struzione delle torri campanarie o caai-
panili, dice fra l'altre cose, che dal piede
della torre fino al luogo delle campane si
sogliono ommellere le finestre perchè pa-
iono inutili, e perché si mostra una mag-
gior fermezza come si ricerca nelle torri.
Vi si fanno però alcune aperture e (pia-
si fessure, ossia finestrelle mollo strette e
lunghe in luogo opportuno, perebè s'intro-
no *
duca la luce per illuminare le scale,che se
si può meglio è costruirle a lumaca. In Ro-
ma, il Cancellieri tra'campanili rimarcò
il suddescritto di s. Francesco di Paola,
non che quello curioso del Conservato-
rio rrhicsa di s. Caterina de'funari, che
consiste in una torre quadrata di medio-
cre grossezza, che slargasi in cima a fog-
gia d'un cono rovesciato, sul quale è una
cella con proporzione più grande in ogni
senso di quella della torre. Essa è orna-
ta da 4 archetti con pilastri e frontoni, ed
è sormontata da due altre piccole celle
ottagone, una di proporzione inferiore al-
l'altra, pure con archetti e frontoni, e so-
pra l'ultima posa una cupola con croce
in cima. Onde l'insieme di questo cam-
panile si somiglia a quegli antichi osten-
sori i, che nelle pitture del secolo XV tie-
ne in mano «.Chiara (il Magri, Notizia dei
vocaboli, a quello di Tun-is, parla del
vaso cosi fatto e chiamato per portare la
ss. Eucaristia). Quindi per la forma con-
traddice il principio ricevuto in architettu-
ra, che la parte sostenente dev'essere più
forte della sostenuta, la torre che sostie-
ne la cella trovandosi assai minuta rela-
tivamente alla cella. Inoltre il Cancellie-
ri dichiara singolare quello di s. Andrea
delle Fratte, che in parte descrissi nel voi.
XLV, p. i y5, eretto sui disegni del capric-
cioso Borromini, ove sopra una specie di
torre ornata con colonne e finestre, in ma-
niera di base, alzò un tempietto rotondo
formato con piedritti dentro, e con colon-
ne al di fuori che hanno i loro lati incas-
sali e d'ordine composito, ne'di cui capi-
telli in guisa di fiorami , nel mezzo vi è
una faccia con testa di giovinotto e nel-
l'altra d'un vecchio con barba lunga. Que-
ste colonne sostengono un intavolato con
ringhiera, sul quale sono 8 serafini coper-
ti nel corpo dalle loro ali a guisa di caria-
tidi, i quali sostengono una cupolelta a-
guzzala, in cima della quale posa una spe-
cie d'urna sepolcrale, con corona radiata
di ferro. Quando suona la campana gros-
sa, l'urna, sebbene assai distante da essa,
TOR
si muove avanti e dietro, incutendo timo-
re •'riguardatili come cadesse. Quantun-
que assai bizzarro sia questo campanile,
tuttavia il celebre Vanvitelli seppe rica-
varne un disegno pel suo campanile del
santuario di Loreto, detraendone il super-
fluo. Tanto è vero, quanto un uomo di
genio può profittar dell'opere altrui, sen-
za copiarle servilmente. 11 campanile di
Loreto, compito nel 1^54) sarebbe forse il
migliore del secolo passato, se meno Bor-
rominesca fosse la cupola conica cbe lo
termina e da lontano pare un vaso rove-
sciato, sormontata da palla con croce e
ventarola o banderuola, lentorum index.
Nelle ventarole de' campanili, ordinaria-
mente di ferro o di bronzo, vi sono scol-
piti o traforati gli stemmi delle cinese o
ordini regolari cui appartengono , o dei
benefattori cbe eressero l'edilìzio, ovvero
l'immagine del santo a cui la chiesa è de-
dicata. Infatti in Pioma, la veutaiola del
campanile di s. Spirito in Sassia ba una
colomba; quella della ss. Trinità de'Mon-
ti lo slemma de' re di Francia, quella del-
le carmelitane di Regina Coeli lo stemma
de'Colonna, quella di S.Francesco di Pao-
la la parola Charitasj e lecorrisponden-
ti spiegazioni si ponno vedere negli arti-
coli di tali Chiese di Roma. Quanto al
detto uso di dedicare all'arcangelo s. Mi-
ritele le torri campanarie, colle parti più
alte delle fabbriche sagre, crede Cancel-
lieri che sarà stato introdotto forse a imi-
tazione della cbiesa a lui dedicata in Ro-
ma, in luogo così alto, cbe viene detto in-
ter nubes yitus , come lo cbiama Adone
nel suo Martirologio a*2g settembre, ove
dopo aver parlalo dell' Apparizione sua
nel Monte Gargano, dice: Sed non mul-
to post Romac venerabili."} etiani Boni-
facius Ponti/ex Ecclesiam s. Michaelis
nomine constructam dedicami in tummi-
tate Cirri cryptatim miro opere altissi-
mo porrectamj unde et idem locus in
summitate sua eontinens Ecclesia» in-
ter nubes situs vocatur. Il Baronio nel
suo Martirologio non potè conoscere qual
TOR 297
fosse questa chiesa di Roma, onde Can-
cellieri conclude essere fuori di dubbio che
fu edificata in luogo altissimo, Inter nu-
bes, e quindi in una torre. Noterò, che a
Manfredonia dissi avvenuta l'apparizio-
ne di s. Michele al Gargano nel pontifi-
cato di s. Gelasio I, morto nel 4<)6> e che
Papa s. Bonifacio li fu eletto nel 53o: di
più avere riferito a Castel s. Angelo, che
pur fu chiamato Turris , di essere stato
così denominato dopo 1' apparizione sul
medesimo di s. Michele nel 093, onde nel-
la sommità dell'edilìzio gli fu eretta una
cappella a suo onore, e la pietra su cui
l'Arcangelo vi lasciò l'impronta delle pe-
date fu trasportata nella chiesa d'Araceli,
secondo Panciroli; che la cappella si dis-
se di s. Michele inter Nubes , poiché il
luogo fu detto Torre fra' cieli e Monte
s. Angelo, ed anco Chiesa di s. Angelo
fino al cielo. Aggiunge Cancellieri , che
non solo le torri furono dedicate all'Ar-
cangelo, ina anche tutte le parti alte del-
le fabbriche sagre, per cui si vede la sua
statua in cima, oltreché su detto castello,
sulle diverse facciate di chiese e in cima
alla più alta piramide de'sepolcri che no-
mina; passando quindi col Marlene a ri-
portare alcuni riti particolari usati nelle
feste di questo protettore delle fabbriche
sagre. Il Cecconi, // sacro rito di consa-
crare le chiese, tratta al cap. 1 5: La chie-
sa deve avere anche le campane su le
torri j della loro origine, uso e significa-
tij cap. 1 6: Della benedizione delle cam-
pane e suoi significati. All'articolo Cam-
pana trattai dell' origine delle campane
minori e maggiori; della forma diversa e
qualità di metallo, loro grandezze e del-
le più celebri; della benedizionedellecam-
pane, edi quelle benedette da'Papi inclu-
sivamente a Pio VII; dell'uso delle cam-
pane sagro e pubblico, e de'loro suonato-
ri; argomenti tutti di cui tornai a ragiona-
re iu molti articoli analoghi. Siccome dai
Papi Gregorio XVI e regnante Pio IX so-
lennemente fu benedetta la campana mag-
giora della basilica Liberiana, quandogià
298 TOR
erano stampali gli articoli che potevano
avervi relnzione,perciò promisi eli qui sup-
plirvi e ora l'adempio. Il Campanile del-
la Chiesa e. basilica Liberiana di s. Ma-
ria- Maggiore (che tornai a celebrale in
molti articoli pe'lanti suoi eminenti pre-
gi, come nella biografia di Papa Teodo-
ro 1, per le insigni reliquie della Nativi-
tà e Infanzia del Salvatore che le donò,
ed a Palazzo apostolico di s. Mafia Mag-
giore per la residenza che vi fecero i Pa-
pi), è uno de'tanti in forma di torre qua-
drata (anzi al dire di Canc(>llieri,che lo de-
scrive, la torre campanaria più grande di
Roma) e altissimi d' opera laterizia, con
più ordini d'archetti semicircolari soste-
nuti da colonnuccie (non però con corni-
ci a seghe di ma ttoni,e modiglioni di mar-
mo bianco per indicarne i diversi piani e
la trabeazione, e formarvi gl'mtavolamen-
ti, come gli altri campanili de' bassi se-
coli), con mensole per esprimere la tra-
beazione e modinature di marmo an-
che nei pilastroni angolari; ed i piatti con-
cavi di maiolica verde sono incastrati con
simmetria e circondati da cornici di mar-
mo bianco, pine tonde, invece di quei
pezzi di diversi marmi, che senz' ordine
trovatisi collocati ne' più antichi. Nella
parte anteriore vi è nel i ."ordine la mo-
stra dell'orologio, con sopra lo stemma
d'un Papa, che nella repubblica del 1 798
fu cancellato. Gregorio XI, che nel 1377
da Avignone restituì la pontificia residen-
za a Roma, ordinò l'erezione del campa-
nile, che sebbene di forma antica, annun-
zia qualche miglioramento nell'artearchi-
tettonica di que' tempi. Fece fondere il
campanone, e come riporta il De Angelis,
Basilicae s. MariaeM. descripiio, p. 6 1,
coll'iscrizione+3+ Mentem sanctam span-
ta neam Deo gloriavi et patriae libera-
tionem -t^f. Questa è la celebre così detta
benedizione di s. Agata, adoprala dopo
il 1 i5o per molti secoli in quasi tutte le
campane di Sicilia e d'Italia, che spiega
il citato Piocca. Piotlosi il campanone nel
1 61 4 sotto Paolo V, fu da lui rifatto, fa-
TOR
cendovi scolpire la detta benedizione, ma
dopo quasi due secoli e mezzo si ruppe
nel sabato santo deli 844- Accorse la be-
neficenza di Gregorio XVI a farla rifon-
dere, e l'eseguì il fonditore Giovanni Lu-
centi in Roma. Quindi il capitolo suppli-
cò il Papa affinchè volesse benedirla so-
lennemente, e fu esaudito, come descrive
il n.° 39 del Diario di Roma del 184^,
nella mattina de'3 maggio. A tenore del-
la schedula stampata, prò Signum majus
Basilicae novi ter con fiatimi solcami ri-
tti benedicci, si recarono nella basilica i
cardinali in vesti e cappe rosse, co'cauda-
tari in croccia, i votanti di segnatura in
cotta e rocchetto, gli altri co'consueti a-
biti. Il Papa assunti i sagri paramenti, il
piviale bianco e la mitra di lama d'oro,
dalla sagrestia Ut condotto in sedia gesta-
toria tra' flabelli nella basilica. Adorato
il ss. Sagramento nella cappella Sistina ,
quindi si trasferì nella nave grande, ov'e-
ra la nuova campana e ogni cosa appa-
recchiata per l'esecuzione del sagro ri-
to. Asceso il Papa in trono ricevè all'ub-
bidienza i cardinali, i quali occupavano i
banchi a'Iati del trono, siccome occupa-
vansi i rispettivi loro posti dalla prelatu-
ra , e dagli altri collegi e cubiculari col-
l'ordinestesso della cappella pontificia, ed
il capitolo della basilica ancora vi godè
un luogo distinto. In due tribune erette
appositamente presero luogo il corpo di-
plomatico e la nobiltà romana, e così in
altri posti distinti molli forestieri ebbero
agio di godere la funzione. Dopo l'ubbi-
dienza ebbe luogo la sagra e bella funzio-
ne, che con ogni accuratezza fu eseguita a
norma del pontificale romano. I salmi e
le antifone prescritte si cantarono da'eap-
pedani cantori della cappella papale. Il
Papa fu assistito al trono da' cardina-
li diaconi Riario e Rernetti, e dal car-
dinal Fransoni i.° prete assistente: nel-
la funzione gli prestarono assistenza due
canonici della basilica, cioè da diacono
mg.1 Pentini Suddiacono della cappella
pontificia, e da suddiacono mg.' Alesaau -
TOR
di- oMacioti a scelta del collega, per quanto
ho riportato nell'indicato articolo; i quali
prelati in colta e rocchetto lavarono e a-
sciugarono la campana, e poi assunsero
le tonacelle per assistere il Papa nell'al-
ti e funzioni, e mg/ dentini cantò l'evan-
gelo nel fine della funzione, terminata la
quale il Papa compartì l'apostolica bene-
dizioneall'immenso popolo accorso. IlPa-
pa benedì la campana in onore della B.
Vergine , di s. Gregorio I Magno , di s.
Cailo Borromeo e del b. Nicolò Alberga-
li ambedue stati cardinali arcipreti della
basilica. Tornato il Papa in sagrestia e
deposti i paramenti, si restituì alla sua re-
sidenza del Vaticano. 11 capitolo per gra-
to animo fece scolpire sul marmo la se-
guente lapide che stampata dispensò. Gre-
gorioXP IPont. Max. - Principio ptiino
Munificentissimo - AlmaeDeiGenitricis
Marine Studiosissimo- Qiiod- Sacrimi
. le s Maximum Templi Liberiani - Tem-
poris J etustate Effractum-Praesenli
Ope Restituerit - Aloisius Del Drago
Card. Archipresby ter- Et Canonieorum
Collcgium-Grati Animi Caussa-Tanti
Benefici Memoriam-Litteris In Lapide
Insculplis - Posteritati Consignandam
Curar uni - Anno mdcccxxxxiiii. Ma
per difetto della fusione la campana po-
co dopo si ruppe a' i 5 agosto i 840, nella
vigilia della festa dell'Assunzione della B.
Vergine, ch'è la principale festività della
basilica: mentre Gregorio XVI pensava
a riparare l' infortunio , passò a miglior
vila. Dipoi ribellatisi i demagoghi venu-
ti in Roma , il Papa Pio IX ne partì, e
proclamatasi quindi nel 1 849 la repubbli-
ca, fra le tante deplorabili enormezze che
commisero i repubblicani, inveirono alla
distruzione delle campane e de'confessio-
uali delle chiese di Ilouia, che altamente
riprovò anche la Civiltà cattolica nel t.
il, p. 172: La Repubblica Romana, le
Campane e i Confessionali. "Ha prima,
sotto sembiante di fondere i sacri bronzi
ju cannoni a difesa della patria, dichiara-
rono che uon sarebbero tocche le campa-
TOR 299
ne delle basiliche, delle parrocchie, delle
chiese nazionali, e le rare per arte e quel-
le che servivano a'pubblici orologi, ffou
attennero una sola di tali promesse. So-
prattutto voleano far orila alla Chiesa ro-
mana; poscia non far cannoni ma quattri-
ni , e gli ebrei comperarono la maggior
parte di quel bronzo a contanti; di guisa
chei commissari in luogo di portarlo alle
fonderie di castello, rccavanloa gran not-
te in ghetto. La basilici di s. .Maria Mag-
giore avea un campanone smisurato, che
fece gitlar Papa Gregorio XVI poc'anni
innanzi, e ai primi tocchi, non si sa come
e perchè, s'era fesso. 1 repubblicani che
n'averian tratto di buona moneta, volean
calarlo contro il loro decreto; ma era sì
malagevole incastellare i ponti a quell'al-
tezza, che divisarono di spezzarlo a colpi
di mazza. Indi ecco fabbri e facchini pic-
chiarlo a muta a muta con mazzapicchi
e martellimi da magona; ma quella cam-
pana che a'piimi cozzi del battaglio s'era
fessa,ora per picchiarla e tempestarla, non
che si rompesse, ma né anco ne schizzò
qualche sverza, o slabbrossi, o intaccossi
punto nulla come se la fosse di diamante.
Quegli empi ci sano velarono intorno per
più giorni, e all'alternar de'gran colpi ne
usciva un suono sì mesto, che parea che
piangesse e gemesse , o lamentasse tanto
sacrilegio e sì crudo governo. Ma del rom-
perla non fu nulla e parve portento che
volle mostrare a que'nbaldi la Madonna
Santissima. E per vero , mentre non la
poterono mai non che rompere ma pur
ischeggiare i repubblicani , quest' anuo
18 j2 avendo voluto il sommo Pontefice
Pio IX farla rifondere, si lasciò spezza-
re agevolmente". Pertanto si legge nel
n.°72 del Giornale di Roma del 18 52,
che avendo stabilito il Papa di solenne-
mente benedire la rifusa gran campana
a' 1 7 marzo, nel fronte posteriore della
basilica che guarda il Monte Quirinale,
collocata nel centro dell'apside, vi fu po-
sta la segueute epigrafe, onde venivano i
lcdeli invitati ad assistere all'augusta fuu-
3oo TOR
zione. vili Kal. apr. an. saluti* rep-
MDCCCLii - Die sacra Mariac Dominae
Nostrae ab Angelo tallitole- Ch'ex hospi-
lesane adeste frequentes-Pius IX Pont.
Max.-Acs Tnrris Campanariac Maxi-
mum-Diffìssum denno conjlatum denuo-
Solenmi precatione lustrat-Mariae Dei
Parenti Dedicai. Il cav.Gio. Ballista Be-
nedetti architetto diresse l'armatura per
sostener le campane del peso gravissimo
di circa i3 migliaia di libbre romane, e
la vaga edicola d' ordine corinlio da cui
pendeva il magnifico bronzo , e nelle 4
faccie degli architravi leggevansi ne'fregi
le 4 iscrizioni che pure riprodusse il Gior-
nale, ricordanti a'fedeli gli uffizi de'suo-
ni del sagro bronzo: desse come la ripor-
tati epigrafe istorica le compose il eh. p.
Marchi gesuita con aurea latinità. Altra
leggenda Ialina impressa nella campana
diceva le diverse rifusioni narrate del-
la slessa campana, l'ultima delle quali fu
eseguila nel l85i nel pontificato di Pio
IX, essendo arciprete della basilica il car-
dinal Costantino Patrizi, e i due seguen-
ti mirabili distici, che si credono stati già
scolpiti nella precedente. Nella parte su-
periore: / n.r Dica, vox Domila morta-
les admonet omnes- Ut coelam toto pe-
ctore disa/pia/it. Nella parte inferiore :
Alma DeiGenitrix Noster o dulcìssima
Mater - Fac tecum aeternos vivere posse
dies. I bassorilievi della campana espri-
mevano l'immagine della li. Vergine, e
quelle de'suddetti 3 santi il cui nome le
fu di nuovo imposto; e gli onorandi stem-
mi di Gregorio XVI e di Pio IX. Quindi
si loda molto il valente fonditore Lucen-
ti per l'eseguita nuova fusione del bron-
zo, comechè una delle più ampie campa-
ne di Homa, per la vaghezza della sago-
ma, per la finita esecuzione de'suoi orna-
ti a bassorilievo di cui è riccamente ador-
na, per la capegliatura a branche di leo-
ne adorne di foglie d'acanto, per le varie
ghirlande di fogliami e bei meandri , e
specialmente la corona formata da angeli
volanti sostenenti degli encarpi, e l'altra
TOR
ove sono effigiati i venerandi stemmi dei
ss. Nomi di Gesù e di Maria. La sagra
funzione fu in tutto simile alla preceden-
te, facendo da diacono mg.1 Pentini e da
suddiacono 1' altro canonico Liberiano
mg.r Bartolomeo Orsi chierico di camera;
solo vi fu di piùche il Papa volle prima ce-
lebrare la messa, e grande fu il concorso
del popolo al maestoso rito.» Si potrebbe
più sentire che descrivere d sagro digni-
toso decoro onde il sommo Pontefice ce-
lebrava la santa funzione, o che benedi-
cesse l'acqua e di essa tergesse il bronzo
compreso, o che pregasse dal sommo Id-
dio, che si degnasse infondere virtudi al-
le squille della campana, d'allontanare la
forza delle insidie e degli spaventi, la fo-
ga de'turbini e la percossa delle folgori,
il terrore de'tuoni, la calamità delle tem-
peste, e di tornare la celeste serenità, non
che a somiglianza delle argentee trombe
mosaiche,cheil suo suono invitassei fede-
li al tempio col fervore della preghiera".
TORRE Augerio Bertrando, Cardi-
nale. Sortì i natali d'illustre prosapia in
CambolicOjdiocesi di Chaors, e non d i Mi-
lano o Chieti come pretendono altri; pro-
fessò la regola di s. Francesco, e fu pro-
vinciale d'Aquitania. Ad un integerrimo
costumecongiunse straordinaria facondia
nel perorare, e pari perizia nella scienza
delle divine Scritture e della teologia, do-
ti che resolo insigne gli acquistarono il ti-
tolo di dottore famoso, ed indussero Gio-
vanni XXII ad incaricarlo di ridurre al-
l'ovile del suo ordine alcuni frati minori,
che vagando per la Gallia Narbonese sen-
za le debite facoltà eransi stabiliti in Nar-
bona e in Beziers; ma niente potè ottenere
da que'girovaghi, che appellandosi alla s.
Sede,ricusaronodi prestare a lui ubbidien-
za. Indi il Papa si decise ad inviarlo con
Bertrando Guidone domenicano, inquisi-
tore in Francia e nunzio apostolico in Ita-
lia crudelmente sconvolta e lacerata dal-
le guerre civili. 1 pisani viveano in gran
timore per aver dalla loro città cacciati i
ghibellini; la repubblica di Geuova atte-
TOR
se le nuove discordie in essa eccitatesi, si
trovava in gran rischio; i ghibellini della
Lombardia aveano posto l'assedio a Cre-
mona,ed i veronesi aveano impugnato !e
armi contro i padovaui. Roberto redi Si-
cilia erasi inimicato con Amedeo V con-
te di Savoia, Manfredo marchese di Sa-
luzzo, Filippo di Savoia e Maffeo Viscon-
ti; il che presagiva l'incendio d'una guer-
ra universale. In premio di questa nun-
ziatura,esercitatada lui con incomparabi-
le zelo e valore, Giovauni XXI 1 nel i 3 1 9
lo fece arcivescovo di Salerno, ed a'20 di-
cembre i3ao lo creò cardinale prete di s.
Mattino o di s. Vitale. Essendo slato de-
poslodal Papa dalla carica di ministro ge-
nerale de'fiancescani Michele da Cesena,
gli surrogò Bertrando col titolo d'ammi-
nistratore dell'ordine. Per mezzo di mol-
ti libri che pubblicò, si acquistò gran ripu-
tazionee fama. Prof ssò speciale divozione
alla B.Vergine,eneli 322 diventò vescovo
di Frascati. La morte lo sorprese in Avi-
gnone nel i33o o prima, altri ritardan-
dola al 1 334, e fu sepolto in detta città.
TORRE Giovami, Cardinale. D'AI-
vernia e non di Limoges, d'una famiglia
feconda di grandi uomini, monaco e ab-
bate del monastero di s. Beuedetto di s.
Flour sulla Loira, della congregazione di
Clugny. Gregorio XI a'6 o agli 8 giugno,
uvveroa'3oo3i maggio 1371 lo creò car-
dinale prete di s. Lorenzo in Lucina, e do-
po 3 anni depose le spoglie mortali in A-
vignone nel 1 3j$.
TORRE o TOUR Bernardo, Cardi-
ìtale. De'signori de la Tour d' Alvernia
nelle Gallie, canonico di Lione e suddia-
cono apostolico. in grazia di suo nipote Gu-
gliehnocheavea sposalo Elipdim figlia di
Guglielmo Roger signore di Cambonio e
affine di Clemente "VI, questi a'20 dicem-
bre 1 342 lo creò cardinale diacono di s.
Eustachio. Per speciale commissione d'In-
nocenzo VI col cardinal Mot ha die il pal-
lio al caidinal Bertrando di Colon) bier ve-
scovo d'Ostia, che dovea recarsi a R.oma
per coronare tu nome del Papa l'impe-
T O R 3o i
ratore Carlo IV. Tocco dalla pestilenza,
mori in Avignone nel 1 36 1, dopo a ver con-
tribuito all'elezione d'Innocenzo VI.
TORRE o TOUR Enrico Osvaldo,
Cardinale. Della potente e illustre pro-
sapia di Buglione d'Alvernia, nipote del
cardinal Emanuele di Buglione, nel mag-
gio 1693 ottenute l'insegne di dottore in
teologia nell'università di Sorbona, con-
segui dalla munificenza del re Luigi XIV
due pingui abbazie, oltre l'essere stalo fat-
to coadiutore del zio nella celebre abba-
zia di Clugny, che poi nel 1715 ottenne
in proprietà. Esercitò quindi l'impiego di
vicario generale di Arnaldo Montmoiiii
arcivescovo di Vienna nel Delfinalo, enei
1729 ne fu eletto preposto, essendo pure
canonico delle cattedrali di Strasburgo e
di Liegi. Fino dal declinare del 1 7 19 Cle-
mente XI l'avea promosso all'ai ci vesco-
vato di Tours, e prima d'averne ottenu-
te le bolle nel 1 72 1 da Innocenzo XIII fu
trasferito al ricordatodi Vienna. Nel 1 723
intervenne cpial deputato di sua provin-
cia all'assemblea del clero in Parigi, e di
nuovo vi si trovò presente neh 734 come
uno de' presidenti. Nel precedente anno
Luigi XV l'avea decorato del grado di
commendatore dello Spirito santo, e fece
istanza a Clemente XI I perchè lo creasse
cardinale, e l'esaudì a'20 dicembre 1737
col titolo presbiterale di s. Calisto. Indi
fu al conclave di Beuedetto XI V,che l'an-
noveròalle congregazioni de' vescovi e re-
golari, del concilio, de'riti e altre. Resti-
tuitosi in patria, lasciò la vita in Parigi
nel 1 747 di 75 anni.
TORREoTURRIANOMichei e, CV/r.
dittate. Da Udiue e de' conti di Valdessi-
na, d'una famiglia che per antica poten-
za e splendore gareggiava colle principa-
li d'Italia. Fatti con successo i suoi studi,
fu dichiarato referendario di segnatura, e
nel 1 547 fatto da Paolo III perpetuo ani-
ministratole della chiesa di Ceneda, do-
ve si rese chiaro per l'integrità de'coslu-
mi, per la perizia de'cauoni, per islraor-
diuaiiu eloquenza, e mollo piìi per lo zc-
3o2 T O li T O R
lo con cui governò la sua citte* e diocesi d'Africo nella Bizacena, sotto la metropoli
audienci civile,nel!a<pialeoccasionecom- d Ti udì a mito, di cut è fatta menzione nel
pose le intestine discordie, onde quella cit- concilio di Bizacena. Ebbe per vescovi :
tà era miseramente sconvolta e agitata. Massimiuo donatista, intervenutone! 4' '
Jntervenne con riputazione al concilio di alla conferenza di Cartagine; Paolo esi-
Trento,ePaolo II! Io spedì nunzio inFran- liato da Unnerico re de' vandali nel /|<S'|
eia a Enrico II, presso del quale sostenne per la purità di sua fede; e Daziano che
tal carattere pure a nome di Giulio 111, sottoscrisse l'epistola die il concilio Biza-
con soddisfazione non meno del Papa che ceno scrisse nel 6|i al l'imperatore Era-
dei re. Restituitosi a Roma, nel i 555 Pao- elio Costantino contro i monoteliti. Mol-
lo I V io fece maggiordomo, e dopo qua!- celli, Afr. ohr, t. i.
che anno gli fu affidato il governo del- TORUE CAMARIN \, Turris Canut-
l'Umbria, bisognosa allora d'un soggetto ri un. Sede vescovile e antica di Sicilia nella
prudente ed esperto, per regolarla e tener- costa meridionale, a 2 i leghe ovest dal sud
la a freno. In tempo di s. Pio V bolliva- di Siracusa, nella valledi Noto,e chiamata
no col maggior calore le fazioni nellaFian- pure Torre diCamarànn. SecondoEuse-
eia, dov(; gli affari della religione esigeva- bio fu fabbricata sotto la 44-a ° 4^-" °''m"
no la più utlenla e sollecita vigilanza, e piade, ed atterrala totalmente 5aanni do-
ri inno era* i certamente più alto a prestar- poda'siracusaui.ln seguito fu rifabbricala
la di quoto prelato, già pratico e infoi- da certo Hippona, quindi nuovamentedel
inalo delle cose del regno. Colà dunque tuttodistrutta,nou restando poscia di essa
venne di nuovo nelt5o9 inviato a Cai lo che una torre sulla costa meridionale di
IX, a fine d'infiammarlo a sterminare dal detta valle, a i 5 leghe da Passato oPasse-
suo regno gli eretici ugonotti. Nel viaggio io, isola e capo di Sicilia, Pacliyuum Pro-
fermatosi a Toriuo, in nome di s. Pio Y moittorium.e trasferendo il nome suo ad
levò al sagro fonte Carlo Emanuele 1 fi- uu fiume e ad un villaggio. Diodoro dili-
gilo del duca di Savoia. Finalmente do- cilia, Plinio e Strabone ne fanno parola,
pò avere reso molti e grandi servigi alla Fu rimarchevole questa città per quanto
.s. Sede sollo diversi Papi, a' 12 dicembre avvenne a'suoi abitanti, i quali incomo-
ì 583 GregorioXIll lo creò cardinale pie- dati dall'aria malsana, che dipendeva da
te,ma non ebbe mai titolo. Erio Sansovitio da alcune circonvicine paludi, ebbero ri-
liei rimproverare la corte di iloma d' in- corso all'oracolo ond'esscrne liberali. La
gratitudine, per non averlo premiato col risposta gli avvertì, che qualora le disec-
cardinalato. Si trovò presente al conclave cassero ne audrebbero incomodali di più.
di Sisto V, ed ebbe gran numero di vo- In fatti avendo eglino agito al contrario
ti pel pontificato, mentre Pelramellara di tale avviso, i nemici entrarono da quel-
pretese cite ne fosse assente. Morì in Ro- la parte nella città; dal che ebbe origine
ma, o in Ceueda neh 586 di 75 anni, e il proverbio antico; Camarinam ne mo-
ta in quella cattedrale sepolto senza fu- veas. Camarilla o Torre Camarilla molto
nebre memoria. figurò nella storia antica di Sicilia (P.).
TORRE ALBA.Scde vescoviled'Afri- Nel V secolo ebbe la sede vescovile, ma
ca nella Numidia,soltu la metropoli diCir- presto fu unita a quella di Siracusa, e se
la, di cui fu vescovo Veriano doualista, ne ignorano i vescovi , che dipeudcrono
che trovossi alla conferenza tenuta in Cai- dal vicariato romano,
tagine nel 41 1. Morcelli, jifr. chr. t. 1. TORRE CAMPANARIA. / . TolM
TOR.RE BLANDA. Sede vescovile e Campanile.
FINE DEL VOLUME STSTTANTKSIMOSETT1MO.
286064
To
286064
To
BX 841 .M67 1840
SMCR
fioroni , Gaetano,
1802-1883.
Dizionario di erudizione
storico-ecclesiastica
AFK-9455 (awsk)