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Full text of "Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni. Compilazione di Gaetano Moroni romano"

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DIZIONARIO 

DI  ERUDIZIONE 

STORICO-ECCLESIASTICA 

DA  S.  PIETRO  SINO  AI  NOSTRI  GIORNI 

SPECIALMENTE      INTORNO 

AI  PRINCIPALI  SANTI,  BEATI,  MARTIRI,  PADRI,  AI  SOMMI  PONTEFICI,  CARDINALI 
E  PIÙ*  CELEBRI  SCRITTORI  ECCLESIASTICI,  AI  VARII  GRADI  DELLA  GERARCHIA 
DELLA  CHIESA  CATTOLICA,  ALLE  CITTA  PATRIARCALI,  ARCIVESCOVILI  E 
VESCOVILI,  AGLI  SCISMI,  ALLE  ERESIE,  AI  CONCILII,  ALLE  FESTE  PIÙ  SOLENNI, 
AI  RITI,  ALLE  CERIMONIE  SACRE,  ALLE  CAPPELLE  PAPALI,  CARDINALIZIE  E 
PRELATIZIE,  AGLI  ORDINI  RELIGIOSI,  MILITARI,  EQUESTRI  ED  OSPITALIERI,  NON 
CHE    ALLA    CORTE    E    CURIA    ROMANA    ED    ALLA    FAMIGLIA    PONTIFICIA,    EC.    EC.    EC. 

COMPILAZIONE 

DEL  CAVALIERE  GAETANO  MORONI  ROMANO 

SECONDO  AIUTANTE  DI  CAMERA 

DI   SUA   SANTITÀ   PIO   IX. 


VOL.  LXXVII. 
IN     VENEZIA 

DALLA      TIPOGRAFIA     EMILIANA 

MDCCCLVI. 


La  presente  edizione  è  posta  sotto  la  salvaguardia  delle  leggi 
vigenti,  per  quanto  riguarda  la  proprietà  letteraria,  di  cui 
l'Autore  intende  godere  il  diritto,  giusta  le  Convenzioni 
relative. 


DIZIONARIO 


DI  ERUDIZIONE 


STORICO-ECCLESIASTICA 


T 


TOL 


TOL 


A  OLOMEI  Gio.  Battista,  Cardina- 
le Di  Pistoia  e  oriundo  sanese,  nacque  in 
Gamberaia,  feudo  di  sua  famiglia,  che  fu 
assai  nobile  e  distinta, imperocché  appren- 
do da  Novaes,cheil  ramo  di  essa  trapian- 
tato in  Pistoia  lo  fu  da  Tolomeo  figlio  di 
Beatrice,  già  convertito  da  s.  Caterina  di 
Siena,  e  morto  santamente  nell'ordine  do- 
menicano neh 4o6;  contandosi  dell'illu- 
stre prosapia  fino  a  20  col  titolo  di  beato, 
e  di  questi  1 5  furono  domenicani.  Da  due 
donne  Toloraei  uscirono  i  cardiuali  Gian- 
Vincenzo  Caraffa  e  Anselmo  Manali. Fatti 
i  primi  studi  in  Firenze,  si  trasferì  a  Pisa 
per  applicarsi  nell'uuiversità  alle  scieuze 
legali.  Ivi  prese  l'uso  di  passare  veglian- 
do talvolta  le  intere  notti,  applicato  al- 
l'orazione e  allo  studio,  costume  che  poi 
tenne  per  tutto  il  corso  distia  vita.  Quan- 
tunque tra 'suoi  fratelli  fosse  ili  .',non  per 
tanto  sentendosi  chiamaioa  vita  religiosa, 
supplicò  il  padre  a  dargliene  il  permesso, 
quale  però  non  potè  giammai  ottenere. Do- 
po la  inni  ledi  esso  subito  fu  ammesso  nel- 
la compagnia  di  Gesù,  dove  libero  da  qua- 
lunque molestia,  potè  applicarsi  allo  stu- 


dio delle  lingue  orientali,  delle  quali  di- 
venne pubblico  professore, giungendo  col 
lem  pò  ad  a  ver  pei  fetta  notizia  di  9  diversi 
idiomi,  per  lo  che  fornito  di  tante  cogni- 
zioni non  gli  riuscì  difficile  l'interpretare 
l'antico  Testamento  a  infinita  moltitudi- 
ne di  scolari,  che  concorrevano  a  udirlo. 
Esseudostato  improvvisamente  destinato 
alla  cattedra  di  filosofia  nel  collegio  ro- 
mano, compito  il  corso,  fu  obbligato  di 
pubblicar  colle  stampe  le  sue  lezioni,  che 
poi  con  aggiunte  si  ristamparono  in  Ger- 
mania, e  commendate  dall'accademia  di 
Lipsia  nel  1608.  Eletto  rettore  del  colle- 
gio romano,  non  già  con  severità,  ma  con 
mansuetudine,  piacevolezza  ed  esempi  di 
vita  edificante,  resse  e  governò  i  da  lui  di- 
pendenti. Accrebbe  notabilmente  il  famo- 
so museo  Kircheriano,  e  l'insigne  e  cele- 
bre biblioteca  di  quel  collegio,  il  qualear- 
rtochì  d'un  indice  copiosissimo,  in  cui  non 
solo  i  titoli  de'libri,  ma  le  materie checou- 
lengono furono  esposte  con  brevità  ed  e- 
rudizioue.  Nel  capitolo  generale  del  suo 
ordine,  impetrò  dal  Papa  un  breve,  in 
Virtù  del  quale  veniva  esentato  dall'ad- 


4  TOL 

dossarsi  il  corico  di  generale,  in  caso  che 
sopra  di  lui  fosse  caduta  l'elezione;  tanto 
piti  die  essendo  procuratoregenerale  non 
eia  molto  difficile  che  avvenisse  quanto 
egli  andava  prognosticando.  Clemeute  XI 
successivamente  lo  dichiarò  consultore 
de'  riti,  dell'indice  e  dell'indulgenze,  ed 
esaminatore  de'vescovi,indiin  premio  di 
sua  integrità,  dottrina  e  fatiche  tollerate 
a  vantaggio  della  santa  Sede,  a'  3o  gen- 
naio 1 7 1 3  all'improvviso  lo  creò  cardina- 
le prete  di  s.  Pietro  Molitorio.  Assisteva  il 
p.  Tolomei  nel  collegio  germanico,  di  cui 
era  rettore, ad  una  conclusione  di  teolo- 
gia, allorquando  ricevè  la  notizia  di  sua 
promozione  alla  porpora,  e  non  volle  in 
modo  alcuno  che  rimanesse  interrotta  (al- 
tro simile  esempio  lo  narrai  nella  bio- 
grafia del  cisterciense  cardinal  Giambat- 
tista Gabrielli).  Affollato  quindi  da  im- 
mensa turba  di  personaggi,  venuti  a  con- 
gratularsi con  lui,  si  nascose  in  solitaria 
cella,  tristo  e  addolorato  del  suo  destino, 
senza  voler  ammettere  persona  alla  sua 
presenza.  Scrisse  a  Clemente  XI  dotta  ed 
ossequiosa  lettera,  per  indurlo  ad  accet- 
tar la  rinunzia  che  faceva  della  conferi- 
tagli dignità.  Il  Papa  anziché  smontare 
dalla  presa  determinazione,  per  mezzo  del 
cardinal  Fabroni  suo  concittadino  l'ob- 
bligò con  preciso  comando  e  precetto 
d'  ubbidienza  ad  accettarla,  e  lo  ascrisse 
alle  congregazioni  del  s.  uffizio,  del  con- 
cilio ede'riti,  valendosi  dell'opera  sua  nel- 
la condanna  delle  proposizioni  diQuesnel- 
Io.  Nella  nuova  dignità  ritenne  lo  stesso 
anteriore  metodo  di  vita  privata  e  reli- 
giosa, contento  di  due  sole  stanze  nel  col- 
legio romano,  dalle  quali  allorché  la  ne- 
cessità o  la  convenienza  lo  richiedeva,  per 
mezzo  d'  un  ponte  passava  nel  contiguo 
palazzo,  che  avea  preso  per  comodo  della 
famiglia.  Contento  di  mediocre  rendita, 
ne  ricusò  una  maggiore,  e  colla  parsimo- 
nia del  vitto,  che  avea  dello  straordina- 
rio e  incredibile,  si  trovò  in  istalo  di  sov- 
venire i  poveri  con  larghe  e  frequenti  li- 
mosinc,  visitandoli  sovente  ne' pubblici 


TOL 

spedali.  Per  lo  spazio  di  r4  anni  in  cui  fa 
cardinale,  non  uscì  mai  di  casa  per  pas- 
seggiare o  ricrearsi,  essendo  per  l'altra 
parte  diligenlissimo  nell'inlervenire  alle 
cappelle,  a'eoncistori  e  alle  congregazioni 
cui  apparteneva. Finalmente  dopo  essersi 
trovato  presente  all'elezioni  d'Innocenzo 
XIII  e  Benedetto  XIII,  di  cui  fu  princi- 
pale promotore  e  persuase  accettare,  per 
quanto  notai  nel  voi.  LVII,  p.  3  i4,  sor- 
preso da  grave  malattia,  in  cui  fu  visitato 
dal  Papa,  rese  tranquillamente  Io  spirito 
al  Creatore  in  Roma  sul  cominciare  del 
1726,  tra  le  lagrime  de'suoi  correligiosi, 
in  età  di  73  anni, e  fu  sepolto  nella  chiesa 
di  s.  Ignazio  presso  l'altare  maggiore,  sot- 
to nitida  e  marmorea  lapide,  ornata  del 
suo  slemma  gentilizio  e  di  magnifico  elo- 
gio. Diluì  non  abbiamo  stampato  che  il  ri- 
cordato corso  di  filosofia, nel  quale  si  cono- 
sce l'uomo  grande,  e  malcontento  del  ran- 
cido filosofare  peripatetico.  La  sua  gran- 
de opera  d'aggiunte  alle  Controversie  dei 
gesuita  cardinal  Bellarmino  restò  inedita 
con  raro  esempio  di  religiosa  umiltà  e  ub- 
bidienza, mentre  essendo  cardinale  eragli 
agevole  superar  gli  ostacoli  frapposti  alla 
stampa  da'revisori  quand'era  semplice  re- 
ligioso. L'Eggs  crede,  che  i  superiori  l'a- 
vessero in  vitatoa  continuar  g\\  Annali  del 
Baronio,  e  che  lo  eseguì  arrivando  a'suoi 
tempi.  Di  lui  abbiamo  I'  Elogio  storico 
che  gli  feceil  gesuita  p.  Pier  M.a  Salomo- 
ni,  inserito  nel  Giornale  tVItalia  t.  37, 
par.  1,  art.  1,  e  poi  con  sue  aggiunte  del- 
l'autore fu  ripubblicato  dal  Zaccaria  nel- 
la Biìdioteca  Pistoiese. 

TOLONE  oTOULON,  Tolonium. 
Città  vescoviledi  Francia  nella  bassa  Pro- 
venza,grande  e  ben  fortificata,  con  porto, 
nel  dipartimento  del  Varo,  capoluogo  di 
circondario  e  di  due  cantoni  ,  in  riva  al 
Mediterraneo,  in  fondo  a  una  doppia  ra- 
da, una  delle  più  sicure  di  detto  mare  , 
disiatile  10  leghe  da  Marsiglia,  16  da  Aix, 
e  207  da  Parigi.  L  questo  il  2.0  porto  di 
Francia  per  la  marineria  dello  slato,  ed 
il  capoluogo  del  5°  circondario  marini- 


TO  L 

roo;  residenza  d'  un  prefetto  marittimo, 
d'un  commissario  generale,  di  5 commis- 
sari ordinari  e  d'8  sotto-commissari  di  ma- 
rineria, e  di  altre  autorità  marittime  e  ter- 
restri. Sede  di  tribunali  dal'  istanza,  di 
marineria  e  di  commercio  ;  residenza  di 
molli  consoli  stranieri.  Esposta  al  sud,  è 
al  nord  coperta  dall'alta  montagna  nu- 
da e  spelata  di  Pharon,  la  quale  pel  ri- 
verbero del  sole  contribuisce  a  rendervi 
nell'estate  il  clima  d'un  calore  quasi  in- 
sopportabile. E"  cinta  d'una  muraglia  in- 
stionata,  presso  la  quale  estendesi  dalla 
parte  nord  il  recinto  murato  detto  Cam- 
po trincerato  di  s.  Anna;  gran  numero  d'o- 
pere di  fortificazione  isolate  stando  ripar- 
tite davanti  la  sua  cinta,  in  tutta  la  cir- 
conferenza, co'fuochi  così  bene  combina- 
ti, die  presentemente  considerasi  questa 
piazza  come  insuperabile;  all'est  sono    i 
forti  Pharon,  della  Croce  di  Pharon. d'Ar- 
tigues,  s.  Caterina  della  Malgue,  s.  Luigi 
e  della  Torre  Grossa;  all'ovest  quelli  del 
Grande  e  del  Piccolo  s.Antonio,  Malbous- 
quet ,  del  Cairo,  dell'  Aiguillette,  Baia- 
guier,  della  Croce  de'Segnali  e  di  s.  El- 
mo. Non  entrasi  in  Tolone  che  per  due 
porte,  quella  di  Francia  e  quella  d'Italia. 
L'interno  assai  generalmente  ben  fabbri- 
cato e  bene  insiniciato,è  vivacissimo  e  di- 
stinguesi  in  quartieri  vecchio  e  nuovo:  il 
i.°  che  occupa  la  parte  orientale  non  ha 
di  notabile  che  il  Corso,  lunga  via  pian- 
tata di  belli  alberi  e  ammattonata  ,  che 
torma  un  ameno  passeggio,  e  dove  tieusi 
ogni  mattina  uu  mercato  frequentato;  il 
palazzo  civico,  la  cui  facciata  guarda  il  por- 
to mercantile  ed  è  decorato  da  due  ca- 
riatidi o  statue  colossali,  considerate  ca- 
polavoro di  Puget,  che  ne  sostengono  il 
verone;  la  casa  di  tal  celebre  scultore,  in 
via  del  Palazzo  Civico,  il  cui  esterno  offre 
una  superba  cornice  e  molti  ornamenti;  e 
la  pescheria  ,  con  vasta  tettoia  sostenuta 
dacolonne  enormi.  Il  quartiere  nuovo  ha 
le  strade  tirate  a  lilo,in  generale  beue  fab- 
bricale ,  bellissimi  edilìzi  tanto  pubblici 
come  particolari^  la  vasta  piazza  delCam- 


TO  L  5 

pò  di  Battaglia, circondata  da  belle  pian- 
tagioni d'olmi  e  platani,  decorata  da  nu- 
merosi caffè,e  sulla  quale  sorge  il  bel  palaz- 
zo dell'intendenza  della  marineria.  Spar- 
se in  tutte  le  parti  della  città  circa  ifio  fon- 
tane rinfrescano  l'atmosfera  e  convoglia- 
no al  mare  le  ini  mondizie,  attesoché  la  na- 
tura del  suolo  si  oppone  all'escavo  di  cloa- 
che sotterranee:  si  fauno  rimarcare  tra  le 
altre  quella  della  piazza  del  Fieno,  quella 
del  Porto  decorata  da  una  piramide  sor- 
montata da  un  busto  di  Giano;  la  fontana 
di  Provenza  sulla  piazza  dell'Olio,  ornata 
d'una  statua  di  donna,  opera  di  Fozzati,e 
l'altra  della  piazza  di  s.  Rocco.  Niente  più 
imponente  della  vista  del  porlo  di  Tolo- 
ne, sempre  zeppo  di  navi  di  tutte  le  gran- 
dezze: distinguesi  in  porto  vecchio  all'est, 
ed  in  porto  nuovo  all'ovest,  che  tra  essi 
comunicano;  ciascuno  con  un  ingresso  sul- 
la rada  sì  angusto  che  non  può  passarvi 
più  d'una  nave  alla  volta;  ed  i  due  moli 
che  dal  mare  li  separano,  sono  stati  co- 
minciati sotto  Enrico  IV  nel  i  jt)  {.,  e  ter- 
mina li  nel  i  396. 1 1  porto  vecchio,  al  com- 
mercio consagrato,  è  fronteggiato  da  una 
larga  riviera  ed  assai  bella,  che  adornano 
case  eleganti,  e  la  quale  preseuta  un  qua- 
dro animatissimo.  11  porto  nuovo  devesi 
a  Luigi  XI V:  quivi  intorno  sono  i  fabbri- 
cati servienti  da  arsenali,  cantieri  di  co- 
struzione e  magazzini  per  tuttociò  che  si 
rende  necessa  rio  all'armamento  e  provve- 
dimento de'legni  dello  stato;fibbricati  ma- 
gnifici ,  ben  adattati  alle  destinazioni  ri- 
spettive, che  formano  l'ammirazione  de' 
viaggiatori;  il  parco  d'artiglieria,  la  fon- 
deria di  cannoni,  sono  degni  d'attenzione; 
la  sala  delle  vele  è  d'una  lunghezza  straor- 
dinaria; la  corderia,  fabbricata  in  pietra 
viva  sopra  disegno  di  Vauban,  fatta  a  vol- 
ta, misura  3oo  tese  o  pertichedi  lunghez- 
za; la  sala  d'armi  divenne  soprattutto  cu- 
riosa per  la  bella  collezione  d'armature 
antiche  che  contiene.  Nell'arsenale  è  sta- 
bilita la  scuola  degli  alunni  di  marina,  sot- 
to la  direzione  d'un  capitano  di  vascello 
e  d'un  capitano  di  fregata,  nella  quale  tro- 


6  T  O  L 

vasi  una  biblioteca  e  una  bella  collezio- 
ne di  vascelli  d'ogni  specie:  hav vi  pure  una 
scuola  d'artiglieria  della  marineria,  ed  li- 
na scuola  di  navigazione.  L'ospedale  de' 
condannati  e  il  bagno  stanno  sulla  parte 
che  divide  i  due  bacini  ;  e  quest'  ultimo 
contiene  circa  5ooo  condannati,  i  quali 
vengono,  al  pari  d'altre  3ooo  persone  li- 
bere e  più,  impiegati  nell'arsenale;  il  laz- 
zaretto giace  situalo  in  fondo  alla  rada, 
ili  marcasi  nel  porto  militare  il  bacino  in- 
terno pel  racconciamento  de' vascelli,  o- 
pera  ingegnosissima  diGrognard,edè  lun 
go  3oo  piedi  e  largo  100.  Pel  complesso 
di  tante  cose,  il  porto  di  Tolone  è  unode' 
migliori  del  globo,  ed  il  suo  arsenale  di 
mare  uno  de'più  belli  d'Europa.  Possie- 
de Tolone  la  cattedrale  dedicata  alla  B. 
Vergine  Assunta,  ed  a  s. Cipriano  suo  ve- 
scovo,piccola  e  tetra,  ma  decorata  da  pa- 
recebie  opere  di  Puget  e  da  una  facciala 
assai  notabile;  3  altre  cinese  pan  occhiali, 
s. Giovanni,  9.  Pietro, e  s. Luigi,  la  cui  fac- 
ciala olire  un  colonnato  di  gradevole  ef- 
fetto. Vi  è  il  palazzo  vescovile,  quello  della 
jagione alquanto  piccolo,l'aisenaledi  ter- 
ra che  occupa  l'aulico  monastero  di  s.  Or- 
sola,l'ospedale  militare  e  due  ospizi  civili, 
uno  de'quali  pe'trovatelIi,il  vasto  spedale 
della  marineria  che  contiene  l'osservato* 
i  io  donde  si  gode  di  magnifica  vista  sulla 
città  e  dinlorni;  un  museo  di  storia  na- 
turale ricchissimo,  e  una  bella  biblioteca 
di  medicina,  monte  di  pietà,  cassa  di  ri- 
sparmio, borsa  di  commercio,  sala  pegli 
spettacoli,  parecchi  bagni  e  altri  stabili- 
menti pubblici  di  piacere  e  d'utilità  che 
non  trovami  se  non  nelle  città  grandi.  Di 
più  sono  vi  il  bel  collegio  comunale,  la  bi- 
blioteca pubblica  di  circa  i  o,ooo  volumi, 
la  scuola  d'artiglieria  della  marineria,  il 
giardino  bolanico.belle  caserme,società  di 
lettere,  scienze  ed  arti,  un  corso  di  geome- 
tria e  meccanica  applica leallearli, la  socie- 
tà di  carità  materna.  L'industria  e  il  com- 
mercio non  sono  del  lutto  in  proporzione 
alla  bontà  del  porto,  e  vi  si  trovano  alcu- 
ne fabbriche  di  sapone,  di  grosse  stoffe  di 


TOL 

lana  dette  pi  achilia  t,  di  marrocchini,  di 
cioccolata,  di  candele,  di  vermicelli  e  di- 
verse concie  di  pelli.  Vi  si  attende  alla  co- 
struzione della  marina  mercantile ,  vi  è 
emporio  di  sale,  vi  si  traffica  di  vini  par- 
ticolarmente de'pregiatissimi  del  poggio 
delle  Malgue,  acquavite,  olio,  fruiti  sec- 
chi, grani  e  altre  produzioni  del  paese.  Vi 
si  tengono  due  annue  fiere  d'8  giorni  l'u- 
na.  E"  patria  del  cav.  Paul  che  di  sempli- 
ce mozzo  divenne  vice-ammiraglio,  di  Mi- 
let  Mureau  ministro  della  guerra  e  auto- 
re del  viaggio  di  La  Perouse,  del  pittore 
Saint-Simon,  del  lo  scultore  Vassc,  di  Lui- 
giFerrandoavvocatoal  parlamento  e  dot- 
to nelle  lingue  greca  e  orientali,  de'  due 
religiosi  domenicani  Serry  e  Drouin  ce- 
lebri per  le  loro  opere  teologiche,  e  di  al- 
tri illustri  anche  per  dignità  ecclesiasti- 
che e  santità  di  vita.  Fertilissima  n'è  la 
campagna, particolarmente  ne'luoghi  bas 
si,  e  vi  si  coltivano  eccellenti  legumi,  la 
vite,  l'olivo,  il  cappero  e  il  melarancio. 
Questa  città  credesi  generalmente  fon- 
dala (\<\  una  colonia  romana  e  trae  il  no- 
me da  Telo  Mar  li us ,  generale  romano 
che  vi  si  stabili,  secondo  l'itinerario  d'An- 
toninOjOwerodal  nome  d'un  tribuno  mi 
litare  che  vi  condusse  una  colonia  roma- 
na. Fu  restaurata  da  Tolumno  goto,  do- 
po i  danni  recatile  da  Teodorico  re  de' 
goti.  Fu  pur  chiamata  Tclo/iiu/n,  Tulcu- 
li/uim,  Tuuroetum. ÀI  principio  del  seco- 
lo V  i  romani  vi  aveano  una  gran  fabbri- 
ca di  tintoria  in  porpora.  I  saraceni  la  de- 
vastarono più  volte,  nondimeno  risorse 
dalle  sue  rovine,  ma  fu  nuovamente  per- 
cossa nel  il  76  e  1  197  da' pirati  africani. 
Luigi  XII  per  proteggerla  contro  le  incur- 
sioni de'pirati  fece  costruire  la  torre  Gros- 
sa, che  terminò  Francesco  I.  Neh  536  il 
contestabile  di  Borbone,  comandante  l'e- 
sercito di  Carlo  V,  se  ne  impadronì.  Vo- 
lendo Luigi  XIV  formarne  un  baluardo 
dellaFrancia  dalla  pai  ted'Italia,lafecein- 
leramente  fortificare  alla  moderna,e fab- 
bricare l'arsenale  sopra  i  disegui  ili  Vati- 
ban.  Il  duca  di  Savoia,  aiutato  dalle  (lotte 


TOL 
d'Inghilterra  e  d'Olanda,  ed  alla  testa  di 
torcuidabile  esercito,  assediolla  indarno 
per  mare  e  per  terra  nel  1 707.  A'  1 6  ago- 
sto 179  3  fu  abbandonata  agl'inglesi  eda- 
gli spaglinoli,  che  ne  furono  discacciati  4 
mesi  dopo,  ma  i  francesi  vi  perderouo  mol- 
ta gente;  ritirandosi  i  uemici,incendiaruuo 
i  magazzini  della  marineria,  arsero  24  va- 
scelli di  linea,  e  seco  ne  menarono  tutti  i 
bastimenti  che  trovavansi  nel  porto.  Fu 
a  quel  memorabile  assedio  che  Napoleo- 
ne Conapartedièper  la  involta  prò  ve  d'un 
talento  militare  che  in  progresso  svihip- 
possi  iu  si  straordinario  modo.  Dal  porto 
di  questa  città  salparono  le  spedizioni  del- 
l'Egitto nel  1  7g8,diMorea  nel  1 827,  d'Al- 
geri neh83o,  e  d'Ancona  neh 832,  oltre 
altre  più  recenti  e  per  la  Crimea.  Toloue 
ha  di  sovente  sofferto  danui  dalla  peste, 
segnatamente  ne' secoli  XV  e  XVII;  ne 
subì  pure  una  nel  1720  che  fu  terribile, 
ma  poi  di  quel  tempo  le  prese  misure  sa- 
nitarie hanno  schivato  il  flagello,  senza  e- 
v  ita  re  quello  del  cholera.  Tolone  che  nel 
18  1  5  contava  soli  3o,ooo  abitanti,  pre- 
sentemente ne  ha  80,000. Ora  poichegli 
alfaii  politici  si  raggruppano,  per  così  di- 
re, sempre  più  nel  Mediterraneo,  e  che 
la  Francia  deve  mantenere  per  un  tem- 
po ancora  indeterminato  continue  relazio- 
ni nell'acque  del  Levan  te, la  città  avrà  certo 
in  una  diecina  d'anni  una  popolazione  di 
i5o,ooo  abitanti.  Tantoaumento,  frutto 
della  concentrazione  degli  affari  maritti- 
mi e  delle  nuove  idee  che  informano  l'at- 
tuale governo,  forse  danneggierà  Brest, 
Rochefurt,  Cherbourg  e  Lorieul, porti  sul- 

I  Atlantico,  fra 'quali  prima  riparti  vasi  il 
movimeuto  navaledella  posseuteFranciu. 

II  sistema  di  navigazione  pare  che  subi- 
rà presto  cambiamenti  di  qualche  impor- 
tanza: tutti  i  vascelli  della  marina  fran- 
cese vennero  nel  decorso  inverno  a  subi- 
re uè'  3  arsenali  trasformazioni  e  miglio- 
ramenti di  rilievo.  Senza  la  forza  del  va- 
pore ^è  orinai  cosa  nota  e  accettata)  sa- 
rebbe sluto  impossibile  muover  guerra  al- 
la Russia,  colosso  del  nord,  e  vincerlo.  A 


TOL  7 

proposizione  dell'ammiraglio  Bouel-Wil- 
laumez,  nella  della  stagione  furono  man- 
dati a  Tolone  tutti  i  navigli  a  vela  di  alcu- 
ne squadre,  acciò  si  potesse  applicar  loro 
il  sistema  misto;  reudendoli  cioè  suscet- 
tibili di  solcare  le  onde,  secondo  il  tem- 
po e  le  occasioni,  sia  colle  vele,  sia  col  va- 
pore, per  la  guerra  che  arde  in  oriente. 
La  sede  vescovile  appartenne  alia  2. "pro- 
vincia ecclesiastica  di  Vienna  neh'  esar- 
cato de'Gauli,  suffragane^  della  metropo- 
litana d'Arles,  eretta  al  dire  di  Comman- 
ville circa  1)  430.  Nella  Gallio.  Christia- 
na, Tolonenses  Episcopi  et  Domini,  per- 
chè un  tempo  la  signoreggiarono,  è  regi- 
strato peri."  vescovo  s.  Pietro  de  Alma- 
narra;  nel  43  is.  Onoralo,  di  cui  fece  men- 
zione s.  Leone  I  nella  lettera  scritta  in  ita- 
liano a'  vescovi  delle  Gallie.  Gli  successe 
s.  Cipriano  costituito  vescovo  di  Tolone 
das.  Cesario  d'Arles  verso  il  5i6,beneme- 
rito  anche  contro  1'  arianesimo  introdot- 
to nella  Provenza  da'goti,  e  per  quanto 
operò  ue'coucilii:  scrisse  la  vita  di  s.  Cesa- 
rio,di  cui  ni  discepolo, morì  nella  metà  del 
VI  secolo,  ed  è  2.0  patrono  di  Tolone.  Ver- 
so il  472  fiorì  s.  Graziano  martire,  nella 
persecuzioue  de'  goti  ariani ,  secondo  uu 
mss.  di  poca  autorità  della  chiesa  di  To- 
loue. Palladio  assistèal  concilio  d'Orleans 
del  54q,ed  a  quello  d'Arles  del  5  J4;  De- 
siderio trovossi  al  concilio  di  Parigi  nel 
573,  e  per  un  deputato  all'altro  di  Macon. 
del  585;  a  Meuua  nel  601  scrisse  s.  Gre- 
gorio I.  Per  le  vicende de'tempi  ignoransi 
i  nomi  degli  altri  vescovi  fluo  al  secolo  IX, 
a  molivoprincipalinentedeH'irruzioiiide' 
saraceni  sulle  coste  di  Provenza  ,  per  la 
quale  probabilmente  restò  a  luogo  la  se- 
de vacante.  Leone  trovasi  che  l'occupava 
nell'804.  Eustorgio  sottoscrisse  nell'879 
al  concilio  di  Mantala.  Deodato  nel  1040, 
con  tutti  i  vescovi  del'  Alpi  .Marittime, 
a'  1 5  ottobre  intervenne  alla  solenne  cou- 
s  «grazione  della  chiesa  dell'abbazia  di  s. 
Vittore  di  Marsiglia:  e  v'intervenne  an- 
cora il  Papa  Benedetto  IX,  probabilmen- 
te per  la  stima  che  godeva  l'abbate  s.  I 


8  T  O  L 

sarno.  Tra'principi  secolari  che  vi  furono 
a  ossequiare  il  Papa  ,  vanno  nominali  i 
conti  di  Provenza  e  i  visconti  di  Marsi- 
glia. Ricorderò  fra  gli  altri  vescovi,  Ay- 
luino  che  parti  per  la  crociata  di  Palesti- 
na, con  Goffredo  di  Buglione  e  con  Rai- 
mondo conte  di  s.Egidio,al  cui  testamento 
sottoscrisse  nel  i  io5uel  monte  Pellegri- 
no in  Siria.  Pietro  Isnardi  o  Aynardi  nel 
i  179  intervenne  al  concilio  generale  di 
La  ter  ano  III.  Galterio  Gaufrido  del  1  2G3 
che  meglio  stabilì  il  capitolo,  distribuen- 
do le  prebende  a  12  canonici,  creando  le 
dignità  dell'arciprete  e  dell'arcidiacono, 
oltre  il  sagrista  e  il  preceutore,  facendo 
il  tutto  approvare  nel  1270  dal  suo  capi- 
tolo e  dall'arcivescovo  d  Arles.  Giovanni 
consagrò  l'altare  maggiore  della  cattedra- 
le, ove  nel  1  1 83  collocò  le  reliquie  del  pre- 
decessore s.  Cipriano,  e  fondò  le  cappel- 
Janie  di  s.  Gio.  Ballista  e  di  s.  Maria  Mad- 
dalena. Giacomo  religioso  intervenne  nel 
i337  al  concilio  provinciale  d'Avignone, 
tenuto  nel  monastero  di  s.  Rufo.  Gio.  Sil- 
vestro spagnuolo  deli  371,  al  cui  tempo 
Giovanna  1  signora  di  Provenza  eresse  in 
Tolone  il  convento  de'domenicani;ed  eb- 
be a  successore  nel  1  3go  fr.  Pietro  de  Ma- 
ra  villa  domenicano.  Vitale  francese  fu  al 
concilio  di  Costanza.  Dionisio  Brissonnet 
figlio  del  cardinal  Guglielmo  donò  ma- 
gnifici ornamenti  per  1'  altare  maggiore 
della  cattedrale,  in  questa  edificò  la  cap- 
pella della  ss.  Trinità,  restaurò  l'episco- 
pio neh  5o4,  e  intervenne  al  conciliabolo 
di  Pisa,  e  poi  al  concilio  generale  di  Lu- 
terano V.  Nel  1 5 1 8  il  cardinal  Nicola  Fie- 
schi,  cui  successe  neh  524  ''  cardinal  A- 
goslino  Trhndzi,  al  cui  nipote  Antonio 
2Yivulzine\  1 528  fu  data  la  sede  in  com- 
menda e  amministrazione,  poi  cardinale. 
Neh  564  Girolamo  della  Rovere, elevato 
al  cardinalato  da  Sisto  V.  Fr.  Tommaso 
Giacobelli  piemontese  domenicano,  au- 
tore d'opere.  Egidio  de  Septres  d'Avigno- 
ne nobilitò  l'altare  maggiore  e  nella  cap- 
pella di  s.  Cipriano  trasportò  le  sue  reli- 
quie, introducendo  in  Tolone  nel  1 60G  i 


TOL 
cappuccini  e  neh 609  i  minimi,  restau- 
rando la  chiesa  di  s.  Paolo  de  Arcis.  Au- 
gusto de  Fourbin  edificò  il  monastero  di 
s.  Orsola  e  vi  stabilì  le  religiose  ,  e  nel 
i634  ammise  in  Tolone  le  sorelle  della 
B.  Vergine.  Giacomo  Danes  di  Parigi  e- 
resse  nella  diocesi  due  collegiate,  fece  sta- 
bilire la  congregazione  dell'  oratorio  in 
Tolone,  e  fu  zelante  pastore.  1  successori 
sono  riportati  nella  Gallio,  Christiana, 
in  uno  alla  serie  de'preposti  della  chiesa 
di  Tolone,  cominciando  da  Ristagno  del 
1  2  1  7. Gli  ultimi  vescovi  diTolone  furono: 
neh  738  Lodovico  Alberto  Joly  deChoin 
liouese;  nel  i75cj  Alessandro  Lascaris 
di  Venlimiglia;  neh  786  Eileone  de  Ca- 
stellaue-Mozangues  della  diocesi  di  Mar- 
siglia. Pel  concordato  deh 801  di  Pio  VII 
colla  Francia  fu  soppressa  la  sede  vesco- 
vile diTolone, riunendosi  la  diocesi  a  quel- 
la di  Frejus  (P^.)-  Il  capitolo  della  catte- 
drale si  componeva  delle  nominate  due  di- 
gnità, non  che  di  duecauonici  maggiori 
e  di  8  altri  canonici  minori  o  sacerdoti  di 
coro.  I  pp.  dell'oratorio  vi  aveano  un  col- 
legio, ed  i  gesuiti  il  seminario.  Eranvi nel- 
la città  altre  7  case  religiose  di  uomini,  e 
4  di  donne.  La  diocesi  conteneva  20  par- 
rocchie, con  varie  chiese  collegiate  a  Hiè- 
res,  Cuers  e  Sixfoura.  Il  vescovo  godeva 
per  mensa  i5,ooo  lire  di  rendita,  e  paga- 
va 4°o  fiorini  per  le  sue  bolle.  Riporta 
il  n.°238  del  Giornale  di  Roma  del  1 85  3, 
che  mg.'  Alessio  Casimiro  Giuseppe  Wi- 
cart,  diMeteren  arcidiocesi  di  Cambray, 
i.°  vicario  generale  di  essa  e  professore 
di  quel  seminario,  da  Gregorio  XVI  fatto 
vescovo  nel  concistoro  de'24  aprile  1 845, 
era  stato  autorizzato  ad  aggiungere  al  suo 
titolo  di  vescovo  di  Frejus,  quello  di  ve- 
scovo di  Tolone, e  a'6  ottobre  1 853  prese 
possesso  del  palazzo  episcopale  a  lui  pre- 
parato dalla  città  di  Tolone.  Il  suo  ingres- 
so ebbe  luogo  con  grande  applauso,  al  suo- 
no delle  campane,  e  fu  il  vescovo  ricevuto 
dal  clero,  dalle  autorità  ,  e  da  immeuso 
popolo  accorso  ad  incontrarlo.  Nel  conci- 
storo de'28  settembre  1 855  i\  prelato  fu 


TOL 

trasferito  alla  nuova  sede  vescovile  eli  La- 
vai, dichiarata  suffraganea  di  Toursj  ed 
in  sua  vece  il  Papa  Pio  IX  nel  concisto- 
ro de'20  dicembre  1 855  dichiarò  vesco- 
vo di  Frejus  mg.r  Antonio  Giuseppe  En- 
rico Jordany  di  Digne,  presidente  di  quel 
seminario  e  canonico  della  cattedrale  pa- 
tria. 

TOLOS.Vo  TOULOUSE  (  Tolosan). 
Città  con  residenza  arcivescovile  di  Fi  an- 
cia, antica. grande  e  celebre  capitale  della 
Liuguadoca,  ed  al  presente  capoluogo  del- 
l'Alta Carotina,  di  circondario  e  di  4  can- 
toni, a  5olegheda  Bordeaux.  4  "da  Mont- 
pellier ei5o  da  Parigi.  Giace  in  vasta  e 
bella  pianura,  sulla  sponda  destra  della 
Garonna,  chela  divide  in  due  parti  ine- 
guali e  vi  forma  una  lieve  incurvatura  e 
parecchie  isole,  una  delle  quali,  quella  di 
Tounis,  è  coperta  di  case,  alquantosupe- 
riormentealla  locedelgran  canalediMez- 
zod'i  o  Midi  o  di  Liuguadoca  o  de'  due 
Mari, mentre  il  canaleBrienne,Iuugoi53o 
metri,  unisce  all'uscire  della  città  la  Ga- 
ronua  col  detto  canale  deiMezzotli.E'  inol- 
tre capoluogo  e  quartiere  generale  della 
io.'  divisione  militare,  e  centro  della  1  2/ 
conservazione  boschi  va;  ha  uua  corte  im- 
periale, la  cui  giurisdizione  si  estende  sui 
dipartimenti  de ll'Ariège,deH'Alta Garon- 
na, del  Tarn  e  di  Tarn  e  Garonna;  cor- 
te d'assise,  ti  ibunaledi  1. 'istanza  e  di  com- 
mercio, direzione  de'demani  e  delle  con- 
tribuzioni dirette  e  indirette;  conservazio- 
ne dell'ipoteche,  zecca  lettera  M,  accade- 
mia universitaria,  la  cui  giurisdizione  di- 
stendesi  sopra  i  dipartimenti  delFAriège, 
dell'Alta  Garonna,  del  Tai  u  e  di  Tarn  e 
Garonna.  Tolosa,  posta  tra  il  canale  di 
Mezzodì  e  la  Garonna,  occupa  una  vera 
penisola:! sobborghi  diBazaele,d'Aruaud- 
Beroard,  di  Matabiau  e  di  s.  Stefano,  co- 
me pure  giardini  e  bei  passeggi  composti 
d'un  ampio  circolo  contornato  da  4  hle 
d'alberi,  ed  a  cui  mettono  capo  4  belli  via- 
li, la  separano  al  sud-est  dal  canale;  all'est 
di  là  dal  canale  giace  il  sobborgo  Guille- 
iuery,  ed  al  sud  trovasi  quello  di  ».  .Miche- 


TOL  9 

le;  all'ovest  è  disgiunta  dal  sobborgo  s. 
Cipriano  per  mezzo  della  Garonna.  Que- 
sta città,  senza  i  sobborghi ,  è  di  figura 
pressoché  ovale,  e  misura  circa  una  lega 
e  1/4  di  circuito;  i  bastioui  che  sino  dal 
i345  la  cingevano,  ed  i  quali  da  lungo 
tempo  non  erano  che  muri  di  cinta,  a  po- 
co a  poco  che  si  andarono  abbattendo,  fu- 
rono sostituiti  da  fabbricati  nuovi  e  di 
buon  gusto.  Da'  primi  del  corrente  se- 
colo la  città  si  è  progressivamente  mol- 
to abbellita,  sia  nelle  abitazioni,  sia  nelle 
strade,  ed  anche  le  piazze  sono  più  nu- 
merose, le  nuove  belle  e  regolari,  le  an- 
tiche grandemente  migliorate.  Questa  cit- 
tà mancava  di  fontane  pubbliche,  e  tutte 
le  piazze  ne  sono  attualmente  adorne,  e 
più  di  100  pilastrini  a  fontana,  non  privi 
di  eleganza,  lavano  giorno  e  notte  le  stra- 
de. Tra  le  piazze  pubbliche  distinguesi 
quella  d'Angoulème,  che  forma  uno  dei 
begl'ingressi  della  città  e  venne  ornata  di 
bella  fontana  di  marmo  bianco  de'Pirenei, 
la  cui  statua  principale  rappresenta  la 
Francia  io  atto  di  calpestare  l'idra  delle 
rivoluzioni.  Da  questa  piazza  una  via  lar- 
ga e  bella  mena  alla  piazza  quadrata  del 
Campidoglio,  della  quale  solo  due  lati  an- 
ni addietro  erano  bene  edificati, onde  sarà 
stata  perfezionata;  ed  i  4  angoli  sono  de- 
corati da  fontane  monumentali.  La  pisci- 
na che  alimenta  tutte  le  fontaneè  un  bel 
monumento  di  architettura,  situato  nel 
sobborgo  s.  Cipriano.  Vie  assai  bel  nu- 
mero di  palazzi,  parecchi  antichissimi, ed 
i  più  degni  d'  essere  citati  sono  quelli  di 
Le\y,  di  Mac-Charty,  d'Anguin,e  di  Mal- 
ta: quello  de'conti  di  Tolosa  fu  assegna- 
to ■'tribunali.  Il  teatro  vasto  e  graziosa- 
mente adorno. 11  magnifico  ponte  sullaGa- 
rollini,  terminalo  da  un  aico  trionfale,  è 
disegno  del  famoso  Mansard.  L'edifìzio 
pubblico  più  notabile  è  il  Campidoglio,  o 
palazzo  civico,  monumento  antichissimo, 
poiché  se  ne  fa  risalire  la  fondazione  al 
tempo  de'romani,  sotto  l'imperatore  Gal- 
ba;  ma  la  facciata  é  stata  riedificata  nel 
XVill  secolo,  e  decorala  com'è  da  b»  co- 


■  o  TOL 

lonne  ioniche  di  marmo  riesce  d'aspetto 
imponente,  quantunque  di  stile  mediocre; 
fu  terminala  nel  1 769, sopra  i  disegni  del- 
l'architetto Ri  valz.  Nella  1  /corte  di  questo 
Campidoglio  fu  decapitato  a'  3o  ottobre 
1  632,  il  duca  di  Montmorency,  a  pie  del- 
la statua  d'Enrico  IV;  in  una  delle  sale, 
detta  degl'illustri,  osservatisi  circa  4°  bu- 
sti d'uomini  celebri  nati  nella  città,  mo- 
dellali in  terra  cotta,  e  ciascuno  con  pom- 
posa iscrizione  latina  a  lettere  d'oro;  os- 
servasi pure  in  alti  a  sala  la  statua  in  mar- 
ino bianco  di  Clemenza  Isaura,  fondatri- 
ce de'Giuochi  Floreali;  e  questo  slesso  e- 
difÌ7Ìo contiene  la  sala  pegli  spettacoli,  be- 
nissituoornata.  I  magistrati  della  città  an- 
ticamente chiamavausi  capitonls  in  fran- 
cese, ovvero  capilularìi ,  eapitulares,  o 
domìni  de  capitulo  in  latino,  dal  vocabo- 
lo capitolimi,  capitolo,  assemblea,  riunio- 
ne, e  che  espritnevasi  colla  parola  capital 
Iteli'  antico  linguaggio  del  paese.  Questi 
magistrati  acquistavano  la  nobiltà  colla 
loro  carica,  e  la  trasmettevano  a'Ioro  di- 
scendenti. Erano  in  numero  di  8,  confor- 
memente agli  8  quartieri,  alle  8  parroc- 
chie e  alle  8  porle  della  città,  di  cui  cu- 
stodivano essi  le  chiavi.  Dislirtguonsi  poi 
il  palazzo  della  prefettura,  i  nuovi  palaz- 
zi della  corte  regia  e  del  tribunale  dit.'' 
istanza,  i  nuovi  e  be'fabbricati  della  scuo- 
la veterinaria  e  de'macelli.  La  cattedrale 
è  sotto  l'invocazione  di  s.  Stefano  proto  - 
martire.di  gotica  struttura  del  secoloXl  1 1, 
una  delle  più  magnitichedi  Francia.  Ani 
miratisi  in  essa  particolarmente  l'altare 
maggiore,  il  coro  e  l'organo,  opera  vera- 
mente ardita,  il pnlpiloè rimarcabile  per 
la  sua  vetustà,  e  non  venne  mai  cambiato 
per  rispetto  agl'illustri  predicatori  chesa- 
luono  su  di  esso,  quali  furono  il  b.  Rober- 
to d'Arbrisselles  istitutore  della  congre- 
gaz\oneà\Font-Evrault, s.  Bernardo  dot- 
tore della  Chiesa,  s.  Domenico  fondatore 
dell'ordine  de' Predicatori,  s.  Antonio  di 
J'adova  e  s.  Vincenzo  Ferreri.  Nella  tor- 
re campanaria  era  la  famosa  campana 
dell'arcivescovo  Cnrdaillac,  del  peso  di 


TOL 

5o,ooo  libbre.  Vi  è  il  fonie  battesimale, 
colla  cura  d'anime  amministrata  da  un 
canonico  onorario  e  da  un  vicario.  Il  ca- 
pitolo si  compone  dir  2  canonici  titolari, 
fii'quali  il  preposto  e  l'arcidiacono, le  pre- 
bende teologale  e  penitenziale,  di  diversi 
canonici  onorari,  depueri  de  choro  inser- 
vienti alle  sagre  ceremonie, oltre  altri  pre- 
li  e  chierici.  L'antico  capitolo  fu  per  lun- 
go tempo  regolare ,  sotto  la  regola  di  s. 
Agostino,  e  fu  secolarizzato  neh 524  da 
ClementeVII.Era  composto  del  preposto, 
di  5  arcidiaconi,  di  24  canonici,  uno  dei 
quali  era  cancelliere  della  chiesa  e  dell'u- 
niversità ,  e  di  molli  altri  benefiziati.   Il 
preposto,  scelto  sempre  dal  grembo  dei 
canonici,  veniva  eletto  a  pluralità  di  voti. 
Avea  giurisdizione  immediata  su  tulio  il 
capitolo,  il  quale  era  esente  dall'ordina- 
rio. Quando  ufficiava  portava  il  bastone 
pastorale,  ed  era  assistilo  all'altare  da  4 
canonici.  Quando  andava  in  processione 
dovea  avere  presso  di  se  due  elemosinie- 
ri e  uno  scudiere.  I  preposti  che  venivano 
nominati  vescovi,  non  lasciavano  la  loro 
1/ dignità.  ISammartani  ne  pubblicaro- 
no la  serie  nel  ti  della  Gallia  Christia- 
na, p.  71  1.  Il  palazzo  arcivescovile  è  al- 
quanto distante  dalla  metropolitana,  ed  è 
magnifico,  rifabbricato  a  spese  dell'arci- 
vescovo Colbert.  Nella  città  vi  sono  altre 
8  chiese  parrocchiali  munite  del  battiste- 
rio,  e  secondo  l'ultima  proposizione  con- 
cistoriale eranvi  6  comunità  di  religiosi-, 
diversi  sodalizi,  due  ospedali,  due  semi- 
nari, uno  grande  e  l'altro  piccolo  con  mol- 
ti alunni.  Leggo  nel  n.°i4'  de\\'  Osserva- 
tore Romano  deli  852.» Il  3i  maggio  la 
città  sì  eminentemente  cattolica  di  Tolo- 
sa, avea  la  sorte  di  vedere  riaperta  l'au- 
lica chiesa de'minimi,  il giornodella  chiu- 
sura del  mese  Mariano.  I  tolosani  sperano 
che  si  farà  altrettanto  dell'antiche  chiese 
de'franeescaniede'domenicani".  Aggiun- 
gerò, che  infatti  i  domenicani  ripristinali 
in  Francia  dal  benemerito  p.  La  Cordai- 
re,  aprirono  anche  in  Tolosa  un  conven- 
to ed  una  chiesa,  che  ambedue  sono  co- 


TOL 

■e  nuove,  quantunque  gli  abbiano  dato 
il  nome  vecchio,  chiamandolo  convento 
e  chiesa  di  s.  Romano.  Di  più  trovo  nel 
Giornale  Romano  del  1 853  a  p.  858,  di 
chefeoi  parola  a  Sorella.»  Un  nuovo  sta- 
bilimento viene  fondato  in  questa  nostra 
città  di  Tolosa,  già  assai  ricca  in  tal  ge- 
nere di  opere  di  beneficenza.  Le  piccole 
sorelline  de* poveri,  il  di  cui  solo  nome  è 
una  vera  e  bella  raccomandazione  pres- 
so tutte  le  anime  caritatevoli,  edellequa- 
li  si  ammira  in  molte  città  della  Francia 
li  pietàe la sublimedivozione,hannocrea- 
lo  in  Tolosa  una  casa  del  loro  istituto.  O- 
gnun  sa  che  queste  sante  figliuole  si  sono 
date  il  carico  di  sostenere,  nutrire  ed  as- 
sistere le  povere  vecchie, col  prodotto  del- 
l'elemosine che  esse  ricavano  dalla  que- 
stua che  giornalmente  fanno  da  una  casa 
all'altra  onde  ali  meri  tare  queste  in  felici  lo- 
ro protette".  Inoltre  si  dice  a  p.  874-'  Il 
provinciale  de' cappuccini  ha  comprato 
uu  vasto  terreno  nel  sobborgo  s.  Cipria- 
no, per  stabilirvi  un  convento  del  suo  or- 
dine. In  Tolosa  si  prepara  un  couvenlo 
anche  pe'padri  domenicani".  Anticamen- 
te in  Tolosa  eiauvi  26  comunità  religio- 
se di  uomini  e  circa  1 6  di  religiose.  Mar- 
ra Cancellieri  ne' Possessi,  che  il  guardia- 
no de'conventuali  di  Tolosa,  appena  sep- 
pe la  morte  di  Clemente  XIV,  scrisse  di 
voler  mandare  a  Roma  della  terra  del  ci- 
ìniterio  del  suo  convento,  atta  a  conser- 
vare i  cadaveri.  La  collegiata  di  s.  Ser- 
nin  (o  s.  Saturnino  martire  e  i. "vescovo  di 
Tolosa),  avea  un  abbate  secolare,  ed  era 
la  più  distinta  della  metropoli,  composta 
di  24  canonici,  senza  il  basso  coro.  La  sua 
chiesa  celebre,  antica  e  parrocchiale,  ia 
più  distinta  dopo  la  metropolitana, è  una 
delle  più  belle  di  Francia.  Sebbene  piut- 
tosto tetra,  è  grandissima  e  maestosa:  in 
essa  si  collocarono  moltissime  reliquie,  ol- 
tre quelle  del  santo  titolare  in  una  ricchis- 
sima cassa  d'argento,  non  che  quelle  di 
s.  Tommaso  d'Aquino  nel  secolo  passato. 
L'abbate  era  immediatamente  soggetto 
alla  s.  Sede,  in  uno  al  suo  capitolo,  che 


TOL  11 

essendo  regolare  di  s.  Agostinofu  nel  1  526 
secolarizzato  da  Clemente  VII.  Avea  il 
diritto  d'usare  tutti  gli  ornamenti  vesco- 
vili,e  benediceva  il  popolo  nella  sua  chie- 
sa. Era  conigliere  a)  parlamento  di  To- 
losa, e  conservatore  de'diritti  dell'univer- 
sità. Li  chiesa  parrocchiale  della  Madon- 
na della  Daurade,  Deauratae,  fabbricata 
da  s.Esnperio  sopra  un  antico  lempiod'A- 
pollo  o  di  Minerva,  apparteneva  al  mo- 
nastero riformato  di  Clugny,  ch'era  sta- 
to unito  alla  congregazione  di  s.  Mauro 
nel  secolo  XVII.  Altra  chiesa  degna  di 
speciale  menzione  è  quella  già  degli  ago- 
stiniani, e  del  pari  il  chiostro  che  contie- 
ne il  museo.  L'antico  convento  di  s.  Pro- 
mano de' domenicani  era  assai  rimarca- 
bile, come  il  più  antico  e  i.°  dell'ordine 
(pel  narrato  a  Predicatori),  e  per  esser- 
vi slato  deposto  in  una  bellissima  cappel- 
la della  chiesa  di  s.  Sernin  il  corpo  del 
dottores.  Tommaso  d' Aquino  {V!),  den- 
ti o  a  un  superbo  mausoleo  a  4  faccie,meu- 
tre  la  sua  testa  fu  posta  nella  sagrestia  in 
busto  d'argento  dorato,  esponendosi  alla 
venerazionede'fedeli  nel  dì  della  sua  festa. 
Questionatoli  s. Corpo, per  sentenza  d'Ur- 
inino V  neh  368  fu  aggiudicato  a  questo 
convento,  ricevuto  dalla  città  colla  più 
gran  solennità  e  immenso  concorso  di  per- 
sone, oltre  il  duca  d'Angiò  fratello  del  re 
Carlo  V,  gli  arcivescovi  di  Tolosa  e  di 
Narbona,  molli  vescovi,  abbati  e  signori. 
Ora  mi  occorre  qui  fare  una  breve  di- 
gressione sopra  le  reliquie  di  s  Tomma- 
so d'Aquino,  splendore  dell'inclito  ordi- 
ne domenicano,  e  da  s.  Pio  V  dichiara- 
to 5.°  dottori'  della  chiesa  latina,  colla 
bolla Mirabilis  DeiiSjdeW  1  1  aprile  1 367. 
Questa  gloria  immortale  dell'encomiato 
ordine,  mentre  da  Napoli  si  portava  al 
concilio  generale  di  Lione,  morìa'7  raar- 
zoi  274  nel  monastero cisterciensedi/^Q^- 
sanuo\'a(T  .)  nella  diocesi  di  Tcrracina. 
Usuo  corpo  fu  trasferitoda  Ouoratoconte 
di  Fondi  nel  convento  domenicano  di  tal 
città,  e  Papa  Giovanni  XXII  colla  bolla 
Redemptio:u.'iii  jnisit,  de' 18  luglio  1 3 20, 


i2  TOL 

Bull.  Rom.  t.  3,  par.  2,  p. 1 88,  locano* 
uizzò  in  Avignone.  Indi  i  domenicani  di 
Fondi  furono  accusati  da'cislerciensi  per 
essersi  preso  il  corpo  del  satito,  ed  Urba- 
no V  terminò  la  gran  vertenza,  con  ag- 
giudicarlo in  Monte  Fiascone,  contro  le 
pretensioni  de'cisterciensi  di  Kossanuova, 
nel  maggioi368  in  fivore  de'domenica- 
ni  di  Tolosa,  ove  nell'istesso  anno  fu  tra- 
sferito, come  affermano  ancora  i  Bollan- 
disti ,  Aeta  ss.  Mariti ,  1. 1,  p.  720.  La 
chiesa  de'domenicani  di  Tolosa  fu  prefe- 
rita a  quelle  delle  altre  città  e  della  stessa 
Parigi,  perchè  in  quel  convento  fu  fon- 
dato l'ordine  da  s.  Domenico,  e  perchè 
Urbano  V,  prevedendo  le  molte  solleci- 
tazioni che  i  frati  predicatori  avrebbero 
avute  da  varie  parli,  scelse  egli  la  chie- 
sa di  Tolosa,  dicendo  al  p.  generale  del- 
l'ordine nella  corrispondente  bolla  queste 
parole.  Ut  le  eripiam  de  iinportunitate 
Itine  inde  sollicitantiuni  ipsemet  eligo  in 
locwn  prò  dicto  saneto  eorpore  Eeele- 
siani  vestii  conventus  Tolosani... quia  ibi 
est  universitas  nova  in  theologia  quarti 
volo  /andari  in  solida  et  firma  doc tri- 
na illius  Saneti.  Si  può  vedere  il  dome- 
nicano p.  Antouio  Touron  (biografo  pu- 
re di  s.  Domenico  e  degli  uomini  illustri 
innumerabili  dell'ordine),  Pie  des.  Tho- 
mas, Paris  1737,  a  p.  344*  uoa  c^ie  ''a'* 
tro  domenicano  p.  Guglielmo  de  Tocco, 
Vita  d.  Thomae  de  Aquino,  presso  i  ci- 
tati Bollandisti;  ove  vi  è  del  correligioso 
p.  Raimondo  Ugone,  De  Translat.  cor- 
por,  b.  Thomae  de  Aquino,  bulla  Urb. 
V  data  x  kal.  jul.  pont,  an.  ri,  Copio- 
susin  misericordia  Domini.  Il  corpo  del- 
l'angelico  s.  Tommaso  si  venera  nella 
chiesa  parrocchiale  di  s.  Sernin  di  Tolo- 
sa, di  cui  già  feci  parola,  ma  quanto  alla 
testa  vi  sono  diverse  opinioni.  In  Tolosa 
si  sostiene  possederla;  però  si  venera  pu- 
re in  Pipenio,  trasportata  da  Fossanuo- 
va  con  due  ampolle  del  suo  sangue,  co- 
me notai  ne' voi.  XXVI,  p.  19,  LUI,  p. 
240  e  2475  dicendo  quando  venerò  l' li- 
na e  le  altre  Gregorio  XVI,  ed  io  di  vota- 


TOL 

mente  feci  altrettanto.  Tuttavolta,  quan- 
to al  corpo,  vi  ha  chi  dice  ,  essere  stato 
bruciato  da'furibondi  eretici  Ugonotti  in 
Tolosa  nel  secolo  XVI.  Il  sin  qui  accen- 
nato venne  di  recente  ex  professo  trat- 
tato, colla  storia  della  sepoltura  e  trasla- 
zione del  corpo  e  reliquie  di  s.  Tomma- 
so d'Aquino  (essendovene  in  Italia,  Fran- 
cia e  Spagna), iuclusivamente  a  quella  se- 
guita nel  1  794  irt  Tolosa  stessa  dalla  sua 
chiesa  de'domenicani  a  quella  di  s.  Ser- 
nin,dall'interessantissimo  opuscolodi  cui 
mi  duole  non  dare  un  sunto,  dovendo  os- 
servare la  brevità,  e  intitolato:  Histoire 
des  Reliques  des.  Thomas d' 'Aquin par 
E.  Cartier,  Parisi  854-  I  francescani  e  i 
dottrinari  aveano  in  Tolosa  pubbliche  bi- 
blioteche, ed  i  gesuiti  6  case.  Era  vi  una  u- 
ni  versila  eretta  da  Papa  Gregorio  IX,  per 
l'istanze  del  re  s.  Luigi  IX:  i  suoi  profes- 
sori venivano  tumulati  coli' anello,  coi 
gnauli,  la  spada  e  gli  speroni  dorati.  Un 
tempo  vi  fu  uncollegioper  la  missione  di- 
pendente dalla  congregazione  di  propa- 
ganda  fide,  fondato  da  un  cappuccino  i- 
beruese,  che  col  fine  d'averne  ecclesiasti- 
ci ne  avea  istituito  altro  a  Bordeaux:  fu 
dotato  dal  magistrato  di  Tolosa,  ammi- 
nistrando le  rendite  il  rettore  e  i  provve- 
ditori. 1 16  alunni  aveano  l'obbligo  di  f  ir- 
si sacerdoti,  e  studiavano  nell'università 
l'alte  scienze.  Nelle  biografie  de' seguenti 
cardinali  notai  i  collegi  fondati  nella  loro 
pia  munificenza  in  Tolosa.  Elia  Pcrigurd 
Talleyrand eresse  il  eollegioPerigord  per 
istruire  nella  legge  i  giovani ,  poi  perfe- 
zionato da  Papa  Gregorio  XI.  Andoiuo 
$  Albert  nipote  d'  Innocenzo  VI,  ordinò 
che  dopo  la  sua  morte,  con  buone  reudi- 
te fosse  fondalo  un  collegio,  e  chiamato 
Magalonense  dal  nome  del  suo  vescova- 
to di  Maguclone.  Pietro  di  Fuxo  o  Foix 
il  seniore,  celebre  legatod'  Avignone,  fon- 
dando il  collegio  per  alimentarvi  2D  gio- 
vani applicati  allo  studio  delle  leggi,  lo 
chiamò  Fuxiense,  gli  assegnò  ricca  dote 
e  gli  donò  scella  e  copiosa  biblioteca.  In- 
oltre Papa  Innocenzo  VI,  già  dottore  e 


TOL 

professore  famoso  nel  diritto  legale,  e  giu- 
dice maggiore  della  siniscalchia  di  Tolo- 
sa, quivi  fabbricò  il  collegio  de'  Poveri. 
Tutti  questi  e  altri  vantaggi,  li  riportò  To- 
losa nell'epoca  in  cui  i  l'api  risiederono 
in  Avignone,  dopo  la  strana  risoluzione 
di  Clemente  V.  Sono  al  presente  rimar- 
cabili in  Tolosa  i  vasti  spedali  dell'Hótel- 
Dieu,  e  di  s.  Gioseffo  de-la-Grave;  le  bel- 
le riviere  cbe  corrono  lungo  la  Garonua, 
ed  il  famoso  mulino  del  Basacle,  situato 
all'uscita  del  fiume  e  rifabbricato  nel  1 8  14 
sopra  disegno  bellissimo,  e  sopra  a  questo 
mulino  appunto  operasi  la  congiunzione, 
del  canale  di  Brienne  colla  Garonna;  al- 
la riunione  dello  stesso  canale  di  Brienne 
con  quello  del  Mezzodì,  in  qualche  distan- 
za dalla  città,  trovasi  un  ponte  doppio, 
chiamato  Jumeau  ossia  Gemello, sul  qua- 
le vedesi  rappresentata  in  basso  rilievo 
lungo  5o  piedi,  la  congiunzione  de' due 
mari,  con  figure  di  grandezza  colossale; 
e  la  magnificenza  del  viale  d'alberi  che 
fiancheggia  i  due  canali,  il  doppio  e  su- 
perbo sostegno  pel  quale  spandonsi  le  lo- 
ro acque;  questo  basso  rilievo  e  il  ponte 
meritano  l'ammirazione  di  tulli  i  viaggia- 
tori. Gli  altri  passeggi  pubblici  souo  la 
spianata,  nel  centro  ornata  d'un  bel  get- 
to d'acqua;  il  grande  giardino  pubblico, 
il  giardino  delle  piante,  uno  de'più  vasti 
e  più  belli  di  Francia,  ricco  soprattutto 
di  piante  esotiche  meridionali,  e  di  pian- 
te indigene  de'Pirenei,  e  nel  qualesi  fan- 
no corsi  di  botanica.  All'estremità  meri- 
dionale dell'isola  di  Tounis,  sono  le  rui- 
ne  del  castello  Naibonese,  antica  citta- 
della de'ie  di  Francia  e  de'conti  di  To- 
losa, e  colà  presso  sorge  un  altro  bel  mu> 
lino,  rivale  di  quello  dei  Basacle;  alquan- 
to inferiormente  alla  della  i^.la  è  il  pon- 
te sulla  Garonna  ,  che  fa  comunicare  la 
città  col  sobborgo  di  s.  Cipriano,  ponte  di 
beila  esecuzione  e  costruito  «sotto  Luigi 
KW  ,  sopra  disegno  di  Soulbon,  con  7 
archi  di  varie  grandezze,  largoia  tese  o 
pertiche  e  1  35  lungo,  e  che  dalla  parte  del 
sobborgo  termina  con  una  porta  ad  arco 


TOL  i3 

trionfale,  disegno  di  F.  Mansard.  Il  qua- 
le sobborgo,  il  più  bello  e  considerabile 
di  tutti,  è  fabbricato  e  distribuito  rego- 
larmente; la  via  di  Chercydon, larga  e  di- 
ritta, che  principia  allo  sbocco  del  ponte, 
conduce  alla  piazza  quadrata  dello  stesso 
nome,  circondata  da  facciate  regolari,  e 
che  precede  la  porta  di  Tarbes,  formata 
da  bel  cancello  di  ferro,  a  destra  e  a  si- 
nistra del  quale  veggonsi  le  statue  colos- 
sali rappresentanti  la  città  di  Tolosa  e  la 
provincia  di  Linguadoca,  scolpite  da  F. 
Lucas.  Di  là  da  detta  partecontinua  una 
bella  via  che  termina  in  una  gran  piaz- 
za ollagona,  alla  quale  mettono  capo  due 
altre  vie  e  tre  bei  viali,  e  famosa  nella  cit- 
tà sotto  il  nome  di  Zampa  d'Oca.  Ed  e- 
ziandio  nellostessosobborgo  trovasi  il  bel 
passeggio  detto  il  Corso  Dillon,  che  pro- 
lungai a  terrazzo  sulla  sponda  della  Ga- 
ronna, dal  ponte  sino  alla  porta  di  Mu- 
ret,  chiusa  da  bel  cancello  di  ferro.  11  por- 
to di  questa  città  sul  canale  del  Mezzodì, 
giace  uel  sobborgo  s.  Stefano.  Possiede 
Tolosa  un'infinità  di  stabilimenti  d'istru- 
zione pubblica,  ed  il  numero  di  coloro  che 
li  frequentano  ed  allo  studiosi  danno,di- 
mostra  che  questa  città  mai  sempre  con- 
serva l'antico  suo  amore  per  le  scienze,  le 
lettere  e  le  arti.  Vi  si  compila  buon  nu- 
mero d'opere  periodiche,  e  le  società  dot- 
te distribuiscono  premi:  il  più  antico  di 
tali  istilliti  è  l'accademia  rinomata  dei 
Giuochi  Floreali  o  della  Dea  Flora,  che 
conta  più  di  5  secoli  d'esistenza,  e  la  cui 
fondazione  si  attribuisce  a  quella  celebre 
Clemenza  Isaura  che  l'avrebbe  riccamen- 
te dotata  ,  ma  dispiace  che  non  si  vada 
d'accordo  sul  tempo  in  cui  abbia  vissuto, 
alcuni  riportaudoue  al  1  220.  l'istituzione 
accademica, altri  la  ritardanoal  1  323;  co- 
munque sia,  l'accademia  distribuisce  i  se- 
guenti premi:  pel  1 .°  una  viola  d'ora,  pel 
2.0  una  rosa  selvatica  pur  d'oro,  pel  3."  un 
fiore-arancio  dello  stesso  metallo.  Tutti  i 
poeti  francesi  hanno  diritto  di  concorrer- 
vi ,  e  parecchi  fra'  più  celebri  vi  furono 
coronati.  Vi  sono  inoli  re,  l'accademia  del- 


14  TOL 

le  scienze,  iscrizioni  e  belle  lettere;  l'acca- 
demia di  pittura,  scultura  e  architettura; 
il  collegio  regio,  la  scuola  secondaria  di 
medicina  echirurgia,  la  scuola  d'ai  ti  e  me- 
slieri,  quella  speciale  di  disegno ,  scuole 
regie  d'equitazione,  di  musica  e  di  canto, 
un  eorso  di  geometria  e  meccanica  appli- 
cale alle  arti,  altre  di  fisica  sperimentale, 
di  chimica  e  d'ostetricia  all'Ilòtel-Dieu  ; 
società  di  medicina,  delle  belle  arti,  d'a- 
gricoltura e  di  carità  materna;  una  socie- 
tà biblica  ausiliaria  protestante,  ed  una 
di  prestito  gratuito  sopra  pegno;  e  due  hi 
bliolechepubb!iche,unadi  piùche3o,ooo 
volumi,  e  l'altra  supera  i  24,000:  quella 
del  collegioconlenendo,  tra  altri  mss.  pre- 
ziosi, le  Ore  di  Carlo  Magno,  quelle  del- 
la regina  di  Bretagna,  un'  Apocalisse  tra- 
dotta in  versi  francesi,  ed  un  Eschilo  coi 
margini  sopraccaricati  di  note  per  mano 
di  Racine.  Possiede  ancora  questa  città 
un  osservatorio,  dove  si  fanno  corsi  d'a- 
stronomia; museo  di  pittura  ed'anlichità, 
cresciuto  colle  ricche  scoperte  fatte  nel 
1827  presso  la  città  di  Martres,  e  tra  le 
altre  cose,  60  busti  d'imperatori  e  impe- 
ratrici in  marmo,  d'un  Giove  Serapicle, 
ec.  Vi  è  la  scuola  dell'artiglieria  con  ar- 
senale poligono,  polveriera, fucine,  e  fon- 
deria di  cannoni,  ed  un  semenzaio  dipar- 
timentale. Anche  l'industria  quivi  conta 
parecchi  stabilimenti  importanti:  tali  so- 
no precipuamente  un  laminatoio,  che  ri- 
duce in  lastre  circa  i5o,ooo  chilogram- 
mi di  rame  all'anno, ed  una  fabbrica  d'og- 
getti d'acciaio,  falci  e  lime,  la  più  ragguar- 
devole che  esista  in  Francia,  ed  il  cui  pro- 
dotto ad  annocomuneascentlead8oo,ooo 
chilogrammi  d'acciaio,  80,000  di  lime,  e 
circa  120,000  falci;  hawi  inoltre  fucine 
alla  catalana,  magli  da  ferro,  altri  lami- 
natoi per  ferro  e  rame,  fonderie  di  rame 
per  campane  e  altri  oggetti,  fabbriche  di 
cera  e  di  candele  dell'*  slessa  materia,  ac- 
qua vile,  olio,  paste  italiane,  carte  dipin- 
te, tele  incerate,  corde  da  strumenti,  ma- 
terie resinose,  marocchini,  indiane, coper- 
te di  lana  e  di  coione,  cappelli  di  paglia 


TOL 

all'ospizio,  maiolica,  porcellana,  terra  da 
pipe,  manifattura  regia  di  tabacchi,  fila 
toi,  concie  di  pelli,  birrerie,  corderie,  fab- 
briche di  misure  ee.Numerose  sono  le  tipo- 
grafie e  i  fondachi  de'librai:  il  già  proprie- 
tario d'uno  di  essi, il  eh.  Agostino  Mana- 
vit  tolosauOjio  lo  chiamerò  l'^Zf/o^i  To- 
/o.srule'nostri  giorni.  Saggio, eruditissimo 
e  pio  scrittore,  gli  dichiarai  la  mia  am- 
mirazione e  riconoscenza  nel  voi.  LXIV, 
p.  32  1,  per  la  traduzione  delle  mie  Cap* 
pelle  Pontificie^  per  quantoeg regiamen- 
te scrisse  d'un  Gregorio  XVI  e  d'uu  car- 
dinal Mezzofanti,  e  qui  solennemente  gli 
rinnovo  i  miei  omaggi,con  particolare  sod- 
disfazione dell'ani mo,  sebhene egli  sia  pas- 
sato a  miglior  vita  nel  declinar  deli 855, 
e  fu  una  perdita  giustamente  deplorala 
dall'illustre  patria,  e  da  chi  ne  conosceva 
le  virtù  ed  i  pregi.  Ogni  due  anni  dal  1 5 
giugno  ali  5  luglio  si  fa  pubblica  esposi- 
zione ili  prodotti  dell'industria  diparti- 
mentale. Il  commercio,  senza  essere  mol- 
to attivissimo,  non  vi  è  perciò  meno  di 
assai  grande  importanza,  principalmente 
colla  Spagna;  ma  quello  di  emporio  coi 
porli  di  Marsiglia  e  Bordeaux  e  coll'in- 
terno  della  Francia  non  è  tanto  quanto 
potrebbe  credersi  animato;  è  questo  pu- 
re l'emporiode  ferri  del  dipartimento  del- 
l'Ariège,  non  che  de' due  mari.  Esporla 
questa  città  principalmente  molto  grano 
e  farina  ,  prodotto  più  essenziale  del  suo 
territorio;  manda  essa  nell'  interno  della 
Francia  pasticci  di  fegato  d'anitra  che  so- 
no rinomali.  Vi  si  tengono  due  grandi 
mercati  all'anno,  pe'fiori  e  pel  porco  sa- 
lato, ed  8  fiere,  fra  le  quali  è  importan- 
te quella  de'i5  giugno  per  le  lane  e  panni. 
Il  suo  canale  di  Mezzodì  è  della  maggior 
importanza  pel  commercio  della  Fran- 
cia meridionale.  Progettata  sotto  France- 
sco I,  la  comunicazione  della  Carolina  col 
Mediterraneo,  questo  grande  monumen- 
to non  fu  eseguito  che  sotto  Luigi  XIV, 
pegli  ordini  di  Colberl  e  mercè  il  genio  di 
iliquet.  Si  cominciò  nel  1667,  e  nel  1681 
la  uavigazione  fu  in  attività  su  tulta  la  li- 


TOL 

nea.  Per  questo  complesso  di  pregi,  e  di 
altri  che  sarebbe  lungo  il  rilevare,  Tolo- 
sa è  una  delle  più  belle  e  più  grandi  cit- 
tà della  floridissima  e  possente  Francia. 
Essa  inoltre  vanta  una  moltitudine  di  uo- 
mini celebri  in  tutti  i  generi,  e  tra  gli  al- 
tri il  giurecousultoCujacio5al  quale  giusta- 
mentela  patria  P8  dicembre  1 85o  innalzò 
a  suo  onore  una  statua,  e  sul  piedistallo 
fu  incisa  questa  iscrizione:  Jacofro  Cuia- 
rio  Tolosano.  E'  patria  dei  poeti  e  autori 
drammatici  Guy  Oufaure  signore  di  Pi- 
brac,  Goudouly,  Maynard,  Cailhava,  Pa- 
laprat,  Campistron,  Nicolò  Ptchantté; del 
poeta  e  matematico  Fermat,  del  fisico  e 
dotto  minimo  Maignan,  degli  storici  Ca- 
seneuve  e  Guglielmo  Caldi  ;  de* ultori 
Francesco  e  Gio.  Francesco  de  Trov:  dei 
pittori,  scultori  e  architetti  N.  Bachelier, 
F.  Lucas,  Antonio  Rivale;  di  Bertrand  di 
Mollevilie  ministro  della  marineria  tolto 
Luigi  X\  I,  e  autore  d'  una  storia  della 
mutazione;  del  bravo  general  Dupuy 
morto  alCairo,  e  del  marescialloPeriguon. 
Colle  loro  opere  poetiche  si  tesero  chiara 
Elisabetta  Dreuillet,  Desparre  e  Monte- 
gnt.  E  pur  la  patria  di  Riquel,  che  s'im- 
mortalò col  celebralo  canale  di  Lingua- 
duca  o  Mezzodì.  Vi  ebbe  pure  i  natali  il 
d. 'Giovanni  Esquirol. benemerito  degl'in- 
felici dementi.  I  fasti  ecclesiastici  si  glo- 
riano di  molli  cardinali,aici vescovi, vesco- 
vi e  altri  prelati.  Tolosauo  fu  il  b.  e  Papa 
Benedetto  A"// del  Fornoo  Fournier,  ua- 
to  in  Saverdun  territorio  di  Tolosa,  da  un 
molinaio, secondo  alcuni,  già  inquisitore 
della  provincia  di  Tolosa,  ove  estirpò  gli 
eretici  che  l'inondavano,  e  nipote  di  Gio- 
vanni XX11,  che  pure  diversi  dicono  di 
bassa  origine,  e  perciò  tanto  più  gloriosi, 
e  ben  lo  si  mostrò  il  b.  Benedetto  XI I  col- 
la \  ir  luosa  moderazione,  nel  mai  itare  con 
mediocre  dote  la  nipote  a  un  mercante  di 
Tolosa,  rifiutando  ragguardevoli  perso- 
naggi. Tolosano  si  fa  pure  Urbano  f  Gri- 
moardi,  veramente  di  Linguadoca,  e  pare 
oriundo  di  Limogese  nato  in  Grissac  nella 
contea  di  Gevaudan.già  professore  insigne 


TOL  .5 

de'canoui  in  Tolosa.  Tolosano  fu  il  cardi- 
nal Raimondo.l/c>/i/ò/7,  la  cui  famiglia  un 
tempo  signoreggiò  Tolosa.  L'ultimo  san- 
to tolosano  a  cui  la  s.  Sede  ha  decretato 
il  pubblico  culto  è  la  b.  Germaua  Cousin 
di  Pibrac,  villaggio  poco  lontano  da  To- 
losa ,  nata  da  poveri  parenti  e  destinata 
duDioadareal  mondo  il  maggioi  esempio 
dell'umiltà.  Introdotta  la  causa  di  sua  ca- 
nonizzazione nel  i845  avanti  Gregorio 
X\  I,  e  continuata  con  molta  alacrità,  il 
legnante  Pio  IX  nedecrelòlasolennebea- 
tificazione,  celebrata  nella  basilica  \  ali- 
cana  a'7  maggio  1  854,  con  quella  pompa 
descritta  nel  n.°io5del  Giuntale  di  Ro- 
ma >  insieme  alle  notizie  sulla  serva  di  Dio. 
Gli  abitanti  sommano  a  circa  65,ooo,  i 
quali  partecipano  del  linguaggio,  del  ca- 
rattere e  dell'abitudini  de'guascoui,  per- 
chè ilsud-ovestdeli'Alta  Garonua  ne  com- 
pi endemia  parie,  onde  alcuni  geografi  per 
qualche  riguardo  considerarono  Tolosa 
come  eapitaledel  paese  Guascone. LaGua- 
scogna,  divisa  in  Alta  e  Cassa,  rinchiude- 
va quasi  tutta  la  contrada  compresa  fra 
la  Garonua,  i  Pireui  e  l'Atlantico,  in  tuo- 
doche  corrispondeva  pi  esso  a  poco  uìì'A- 
quitaìda^iua  delle3  parli  dell'auticaGfl/- 
//<7;ossiaGallia  Armorica  o  Marittima, di- 
visa poi  in  Aquitauia  i/,in  Aquitania  2.*, 
ed  in  Novempopulania.  La  Guascogna 
prese  il  suo  nomeda'guasconi  o  vasconi, 
popoli  della  Spagna  Tarragonese, che  vi 
s'introdussero  da'viciuiPireuci  dopo  aver- 
ne caccialo  i  visigoti.  Si  dicono  i  tofOMtaj 
più  istruiti  ordinariamente  degii  abitanti 
dell'antica  provincia  di  Guascogna.  Lo 
studio  delle  leggi,  l'applicazione  alle  scien- 
ze, alh  lettere  e  alle  arti  de'tolosani,  il  lo- 
ro gusto  per  la  musica  e  la  dauza,  li  ren- 
dono più  riflessivi ,  di  più  mite  società, 
senza  per  altro  diminuir  quella  vivacità 
di  spirilo  così  generale  in  questa  parte  di 
Frauda.  Il  tolosano  senza  istruzione,  lau- 
to per  conto  religioso  che  politico,  talvol- 
ta si  abbandonò  ad  eccessi  ch'ebbe  poi  a 
pentirsi,  per  la  variabilità  del  partito  che 
prese,  s'  è  realmente  vero  quanto  su  ciò 


i6  TOL 

osserva  taluno.  Amono  è  il  clima  di  To- 
losa in  ogni  tempo,  ti  amie  l'estate,  e  sano 
vi  si  perviene  a  età  avanzatissima;  buoni 
sono  i  viveri,  svariati  e  a  buon  mercato. 
La  danza,  il  teatro  e  soprattutto  il  canto 
formano  i  principali  diletti;  la  disposizio- 
ne al  canto  vi  è  straordinaria,  e  di  soven- 
te vi  fioriscono  belle  voci.  La  pianura  di 
Tolosa, feracissima  di  grano,  è  immensa, 
ma  monotona,  essendo  spoglia  d'alberi. 
JNon  offre  la  città  die  pochissimi  avanzi 
de'montimenti  di  sua  antichità  e  impor- 
tanza a  tempo  de'romani,  come  i  ruderi 
d'un  anfiteatro  e  d'un  acquedotto;  ma  si 
sono  trovati  nel  letto  della  Garouna  fon- 
damenti di  edilìzi,  medaglie,  statue  e  altri 
monumenti.  Si  presume  che  i  visigoti  ab- 
bianodistrutto  interamente  l'anfiteatro,  i 
templi  e  altri  bei  monumenti  che  possede- 
va.La  Linguadoca,  Occitaniae  Septima- 
iiia,  antica  ed  eslesa  provincia  della  Fran- 
cia, compresa  fra  il  Rodano  e  laGaronna 
e  formante  la  Gallio,  Bracata,  avea  qua- 
si 4°  leghe  nella  sua  maggior  larghezza, 
e  circa  90  dalla  sua  porzione  più  setten- 
trionale si  no  alla  più  meridionale,di  viden- 
dosi  in  3  parti:  i.° l'Alta  Linguadoca,  che 
rinchiudeva  il  Tolosano,  l'Albigese,  il  Lo- 
raghese,  ed  i  paesi  di  Mirepoix  e  Carcas- 
sona;2.°la  Bassa  Linguadoca checompo- 
uevasi  de'paesi  di  Narbona,  di  Beziers,  di 
Nimesedi  Uzès;  3.°  le  Cevenne,  che  con- 
tenevano il  Vivarese,  il  Velay,  il  Gevau- 
dan,  ed  il  paese  di  Alais.  La  1. "rinchiude- 
va 9  diocesi  vescovili,  la  2."  1  i,e  3  la  3." 
Tolosa  era  la  capitale  della  provincia,  e 
in  particolare  dell'Alta  Linguadoca,  e 
Montpellier  lo  era  della  Bassa.  Vi  sono 
pochi  paesi  in  Francia  ove  si  trovino  mag- 
giori monumenti  di  antichità  quanto  nel- 
la Linguadoca.  Alcuni  autori  dissero  che 
al  momento  della  conquista  de'goti,questo 
paese  prese  il  nome  di  Linguadoca,  come 
si  direbbe  lingua  di  goto,  0  landt-goth, 
cioè  a  dire  terra  0  paese  di  goto.  Altri  e 
forse  in  maggior  numero  pretendono,  che 
soltanto  nel  secolo  XIII  s'incominciasse  a 
disegnare  questa  provincia  col  nome  di 


TOL 

Linguadoca,  sotto  al  quale  si  comprese- 
ro prima  tutti  i  paesi  in  cui  parlavasi  la 
lingua  tolosana  o  la  lingua  d'Oc,  parola 
che  corrisponde  all'Otti,"  verisimilmemte 
da  questo  termine  venne  anche  la  deno- 
minazione d'Occitania,  che  alcune  volte 
si  applicò  a  questa  contrada,  una  porzio- 
ne della  quale  portòanche  il  nome  di  con- 
tea  di  s.  Gilles  o  s.  Egidio,  patria  di  Cle- 
mente I  V.  Verso  la  decadenza  dell'impe- 
ro d'occidente  poi,  la  Linguadoca  portò  il 
nome  di  Septimania,  secondo  l'opinione 
de'più  a  cagione  delle  7  diocesi  sulfraga- 
nee  di  Tolosa,  e  ne  riparlerò:  altri  voglio- 
no die  il  nome  di  Settimania  le  derivò 
dalla  settima  legione  romana  che  vi  stan- 
ziava, e  secondo  altri  dalla  città  di  s.  Gil- 
les o  Saint-Gilles  anticamente  così  appel- 
lata; o  meglio  si  attribuisce  alla  divisio- 
ne delle  7  provincie,  cioè  le  5  stabilite  da 
Augusto  nella  Gallia  Narbonese,  distinte 
co'vocaboli  dii.'é  2. "Narbonese,  Vienne- 
se, Alpi  Marittime,  Alpi  Graie  0  perniine, 
cui  Adriano  aggiunse  le  due  di  Marsiglia 
e  dell'  Alpi  Cozie. 

Ila  la  rinomatissima  Tolosa  la  fama 
d'una  delle  più  antiche  città  delle  Gallie, 
ma  se  ne  ignora  l'origine:  questa  si  preten- 
deanleriorea  quella  di  Roma,esi  attribui- 
sce a  Tolo  o  Talosso  troiano,  con  raccon- 
to favoloso.  Pare  che  fosse  abitata  da'  te- 
ctosagi  allorquando,  secondo  Ausonio  che 
la  pose  tra  le  metropoli  illustri,  i  roma- 
ni sotto  Servilio  Cepione  la  presero  l'an- 
nodi Roma  648,  pel  qual  console  soggiac- 
que alla  depredazione  d'immense  somme 
del  denaro  sagro,  onde  n'ebbe  infamia  per 
testimonianza  diStrabonee  diTrogo.  Fu 
anche  colonia  romana, e  G.  Cesare  la  chia- 
mò Tolosaj  Tolomeo,  Tolosa  Colonia, 
e  Sidonio  Apollinare,  Urbs  Tolosatium: 
altri  Palladia,Roma  Garunmae,  Tecto- 
sagum.Pevò  la  conquista  della  contrada 
tli  Linguadoca  è  anteriore, e  si  attribuisce 
sotto  il  consolato  di  Fabio  Massimo  nel- 
l'anno di  Roma  636,  abitala  essendo  dai 
volci,  teclosagi,  volci  arecomici,  gaba- 
li,  velauni,  ruteni,  umbiatici  e  cadurci. 


TOL 

Sebbene  Tolosa  fu  inipot  tantissima  al 
tempo  de' romani,  ed  avesse  il  Campido- 
glio, il  tempio  d'  Apollo  e  più  altri  belli 
monumenti,  non  fu  mai  sotto  que'couqui- 
statori  capitale  della  provincia.  Nel  prin- 
cipio del  V  secolo  i  vandali, gli  svevi  e  gli 
alani  cagionarono  orribili  guasti  nelleGal- 
lie,  e  Tolosa  fu  preservata  da' vandali  per 
le  virtù  e  pregbiere  del  vescovo  s.  Esu- 
perio.  Ma  nel  4'9  '  S°t*  invasero  la  Lin- 
guadoca,  abbandonata  loro  dall'impera- 
tore Onorio,  e  vennero  distinti  col  nome 
di  /  isigoti  que'  goti  cbe  in  questa  parte 
delle  Gallie  fissarono  il  principale  stabi- 
limento e  la  eressero  in  mona  rchia,  dichia- 
rali Jone  capitale  Tolosa,  e  vi  fecero  la  lo- 
ro residenza  per  88  anni.  Dierouo  essi  al- 
la regione  il  nome  di  Gothia  o  Gozia, con- 
servando pur  anco  quello  di  Septimauia, 
e  presero  il  titolo  di  re  di  Tolosa.  Alari- 
co 1  fu  il  i  .°re  a  dominare  la  regione  e  par- 
te della  Spagna,  cui  successero  nel  412 
Ataulfo,  nel  413  Sigerico,e  Vallia  il  qua- 
le distrusse  gli  alani,  uel  4 '9  Teodorico 

I,  nel  45 1  Torrismondo,  nel  453  Teodo- 
rico 11.  nel  4^6  Enrico,  nel  484  Alarico 

II.  Questi  uel  007  fu  viuto  uella  battaglia 
di  Youillé  o  Poitiers  da  Clodoveo  I  re  dei 
franchi,  onde  la  possanza  di  questi  ebbe 
grande  incremento,  e  decadde  quella  dei 
visigoti. Nel  segueuteannoClodoveoIs'im- 
padroiù  di  Tolosa  capitale  del  regno  dei 
visigoti,  e  spense  con  ciò  la  loro  monarchia 
iu  Francia.  Tolosa  e  i  pae?i  conquistati  sui 
goti,  furono  per  circa  128  anni  diretti  da 
duchi  e  da  conti  iu  nome  de'  re  francesi 
successori  di  Clodoveo  I,  sino  e  inclusive 
a  Clotario  II.  11  suo  figlio  Cariberto  non 
avendo  avuto  alcuna  parte  alla  successio- 
ne paterna,  contro  l'uso  di  quel  tempo, 
ottenne  dal  fratello  primogenito  Dago- 
berto  I  con  trattato  degli  ultimi  d'aprile 
63o,  che  altri  anticipano  al  628,  il  Tolo- 
sano,  il  Quercy  (che  poi  cede),  l'Agenese, 
il  Poitou,  il  Perigord,  e  la  Noverapopu- 
lania  ossia  Guascogna.  Pochi  giorni  dopo 
Cariberto  si  recò  ad  Orleans  per  tenere 
al  fonte  battesimale  suo  nipote  Sigeber- 


TOL  17 

to  II.  Di  là  continuando  il  suo  cammino, 
si  portò  a  prender  possesso  de'suoi  nuo- 
vi stati  a  Tolosa,  ove  fissò  la  sua  residen- 
za, e  fece  rivivere  nella  sua  persona  l'an- 
tico titolode'redi  Tolosa  cheda  circa  1 23 
anni  erasi  spento  colla  monarchia  visigo- 
ta in  Francia.  Nella  primavera  63 1  mar- 
ciò a  domar  i  guasconi  ribellati  alloro  du- 
ca Amand  suo  suocero,  ma  tornato  vitto- 
rioso a  Tolosa  mori  nell'istessoanno,  la- 
sciando 3  figli  della  regiua  Gisele ,  cioè 
Childerico,  Boggis  e  Bertrand.  Childe- 
rico  fanciullo  poco  dopo  mori  per  opera 
di  Dagoberto  I,  al  dire  di  alcuni,  il  quale 
riunì  a'suoi  stati  il  reguo  di  Tolosa.  Ma 
Amand  in  favore  de'uipoti  Boggis  e  Ber- 
trand aizzò  i  popoli  del  suo  ducato,  e  uel 
636  estese  le  sue  escursioni  iu  tutto  l'an- 
tico regno  di  Cariberto.  Nel  qual  anno  Da- 
goberto I  assediata  Poitiers,  in  pena  del- 
la ribellione  la  fece  smantellare,  cosi  ab- 
battendo la  fierezza  de' guasconi.  Questi 
poi  portatisi  col  duca  Amand  a  Clichi  da 
Dagoberto  I,  lo  piegarono  a  forza  di  som- 
missioni; ed  il  duca  fece  col  re  un  tratta- 
to,che  assicurò  l'Aquitauia  a  Boggis  a  ti- 
tolo di  ducalo  ereditario,  riservandosi  il 
re  la  sovranità  e  un  annuo  tributo.  Nel 
63t  dunque  Boggis  e  Bertrand  quali  du- 
chi ereditari  di  Tolosa  e  d'Aquitania  en- 
trarouo  al  possesso  degli  slati  paterui,e 
ne  godettero  col  titolo  di  duchi  di  Tolo- 
sa e  d'Aquitania,  a  coudizione  di  fedeltà 
e  omaggio  alla  corona  di  Francia,  e  del 
pagamento  d'anuuale  tributo.  Questo  fu 
il  i.°esempio  dell'eredità  de'  feudi  nella 
monarchia  francese,  o  piuttosto  d'un  ap- 
pannaggio assegnato  a'prineipi  della  fa- 
miglia regia.  11  ducato  d'Aquitania  fuau- 
mentato  da  molte  altre  terre  considerabi- 
li, e  dal  ducato  di  Guascogna  ereditato 
da'duchi  dall'avo.  Morì  Boggis  nel  688, 
e  gli  successe  il  figlio  Eude,  al  quale  Li- 
berto nato  da  Bertrand  gli  cede  i  propri 
diritti  per  consagrarsi  a  Dio,  morto  dipoi 
santamente  vescovo  di  Liegi.  Eudediven- 
ne  celebre  per  le  guerre  fatte  a' maestri 
di  palazzo  ed  a' saraceni,  e  regnò  da  so- 


VOL.   LXXYK. 


j  8  TOL 

vrano  su  tuttala  Linguadoca  francese,  ri- 
conosciuto dal  re  Chilperico  11.  Assedia- 
ta 4a  saraceni  nel  721  Tolosa,  Eude  lo 
fece  levare  e  li  tagliò  a  pezzi;  tua  nel  73  1 
soggiacque  col  paese  alle  loro  terribili  stra- 
gi, arrestate  dal  soccorso  di  Carlo  Martello 
che  li  disfece.  Nel  j35  Unaldo  successe  al 
padre  Eude,  non  lenza  opposizione  di  Car* 
lo  Martello,  che  poi  gli  permise  di  tener 
l'Aquitania  con  titolo  di  duca,  in  fede  e 
omaggio  di  lui  e  de'fìgli  Carloinano  e  Pi- 
pinoci quali  poi  Unnldo  combattè.  Aven- 
do questi  fatto  cavar  gli  occhi  al  proprio 
fratello  Ballon,  lacerato  da'rioiorsi  abdi- 
cò la  corona  ducale,  e  si  fece  religioso  nel 
monastero  dell'isola  Re  fondalo  dal  pa- 
dre, lasciandoli  ducato  di  Tolosa  e  Aqui- 
tauia al  figlio  Wafria  nel  7  45.  Questi  re- 
gnò su  tutta  l'Aquitania  e  la  Guascogna, 
die  asilo  nel  j5o  a  Grippone  fratello  di 
Pipino,  il  quale  nel  752  divenne  re  de' 
francesi,  e  poi  nel  760  gli  mosse  guerra, 
indi  perdonandolo  per  aver  chiesto  pace 
e  promesso  giuramento  di  fedeltà.  Lun- 
gi di  tener  la  parola,  Wafria  scorse  l'Au- 
tunnese  col  ferro  e  col  fuoco.  Il  re  per  ven- 
dicarsi fece  3  anni  di  desolante  guerra  , 
vincendo  due  volte  il  duca,  che  perì  as- 
sassinalo ai  giugno  768  nelPerigord.  Co- 
sì finì  l'ultimo  duca  ereditario  di  Tolosa 
e  Aquitauia,  che  discendeva  dalla  1. "stir- 
pe de're francesi,  e  l'Aquitania  venne  riu- 
nita alla  corona  di  Francia.  Wafria  lasciò 
Lupo  suo  figlio,che  pera  ver  nel  778  scon- 
fitto il  retroguardo  di  Carlo  Magno,  re- 
duce dalla  Spagna,  il  re  lo  f.  ce  impicca- 
re: i  suoi  figli  furono  duchi  di  Guascogna. 
Callo  Magnoeresse  in  regno  Tolosa  e  l'A- 
quitania, e  ne  dichiarò  re  il  figlio  Lodo- 
vico I  il  7-Youel  781  di  3  anni,  e  condot- 
tolo a  Roma  lo  consagrò  Papa  Adriano  I 
in  uno  al  fratello  Pipino  nel  giorno  di  Pa- 
squa. Da  Roma  in  culla,  com'eravi  sialo 
porta to.Lodovico  I  fu  trasportato  aTolosa 
per  prendere  possesso  de'suoi  stali,  di  cui 
era  la  città  capitale.  Il  suo  ingresso  fu  più 
spleudidodi  quanto  sembrava  permetter* 
lo  la  sua  età.  Gli  si  fecero  per  tal  ceremo- 


TOL 
nia  armi  e  vestili  militari  proporzionati 
alla  statura;  Io  si  pose  alla  meglio  a  ca- 
vallo ,  e  con  questo  apparalo  ricevè  l'o- 
maggio de'grandi  e  del  popolo.  Tosto  che 
fu  inistatodi  governare  volle  impone  col 
la  magnificenza,  però  accortosi  che  il  lus- 
so era  oneroso  a'popoli  si  riformò  da  se 
slesso,  e  colla  economia  potè  mantenere 
una  corte  brillante.  Fece  guerra  con  suc- 
cesso a' saraceni  di  Spagna,  e  per  morte 
del  padre  nelT  8  1 4  fu  elevato  all' impe- 
ro e  spedì  il  proprio  figlio  Pipino  I  a  To- 
losa perle  sue  veci  qual  re  d'Aquitania, 
riconosciuto  poi  per  tale  nell'8  1  7.  A  Pi- 
pino I  successe  nel  regno  il  figlio  Pipino 
II  nell'839  assai  giovane,  per  acclamazio- 
ne d'alcuni  signori,  nel  timore  che  l'avo 
imperatore  volesse  investirne  il  figlio  Car- 
lo il  Calvo,  come  realmente  fece  nel- 
l'assemblea di  Chalons:  chi  ricusò  il  giu- 
ramento di  fedeltà  fu  punito  con  supplizi, 
indi  l'imperatore  inviato  il  figlio  a  Poi- 
liers,  passò  a  combattere  i  malcontenti  a- 
quitani.  Morto  Lodovico  I  uell'84o  si  ri- 
destò il  partilo  di  Pipino  II,  ma  venne  fu- 
ga lo  da  Carlo  a  Bourges.  Questi  a'  1 3  mag- 
gio 843  pose  l'assedio  dinanzi  Tolosa,  che 
poi  levò  a'ao  giugno  per  recarsi  a  Ver- 
dun a  conferire  co'fralelli  Lotario  I  e  Lo- 
dovico II;  abboccamento  il  cui  esito  riu- 
scì falalea  Pipinoli,  che  si  vide  spogliato 
dopo  a  ver  combat  tutu  a  favore  di  Lotariol. 
Egli  non  si  perde  di  coraggio  e  si  preparò  a 
vigorosa  difesa.TornatoCarlo  I'  11  maggio 
844  a  ripigliar  l'assedio  di  Tolosa,  fu  da 
Pipino  II  costretto  a  ritirarsi  sulla  fine  di 
giugno.  Nell'845  seguì  tra  loro  un  trat- 
tato, col  quale  Carlo  cede  al  nipote  Pi- 
pino II  tutta  l'Aquitania,  tranne  il  Poi- 
tou,  il  Saiutong  e  l'Angumese,  riserban- 
dosi per  altro  la  signoria  feudale  sul  ri- 
manente. Divenuto  Pipino  II  padrone  del 
regno,  l'Aquitania,  fu  divisa  in  due  ducali 
o  governi,  l'uno  sotto  il  suo  dominio,  l'al- 
tro sotto  quello  di  Carlo.  Malcontenti  i  po- 
poli de\miuistri  di  Pipino  II,  invitarono 
uell'848  Carlo  a  governarli,  ed  egli  feee»i 
coronare  a  Limoges  re  d' Aquitauia.  Nel 


TO  L 

seguente  anno  s'impadronì  di  Tolosa  e  poi 
della  Seltimauia.  Gli  aquilani  leggeri  e 
incostanti  si  annoiarono  ben  presto  di  Car- 
lo il  Calvo,  e  Pipino  II  ricomparve  dopo 
la  sua  partenza, e  nell'Soo  di  nuovo  fu  ac- 
clamato re.  Per  guarentirsi  dallo  ziochia- 
mi)  i  normanni,  che  presa  Tolosa  la  sac- 
cheggiarono. Nello  stesso  tempo  si  alleò 
co'  saraceni  di  Spagna,  che  sbarcati  sulle 
spiaggie  della  Seltimania  la  devastarono. 
Per  tutto  questo  nell'852  Pipino  II  nuo- 
vamente venneahbandonato,  l'Aquilania 
rientrando  nell'ubbidienza  diCai  lo,il  qua- 
le fece  prender  l'abito  monastico  al  nipo- 
te. Gli  aquitani  sempre  inclinevoli  alla  ri- 
volta, chiesero  nell'853  a  Luigi  il  Tede- 
sco i .°  re  di  Germania  il  suo  primogenito 
Luigi  per  loro  sovrano,  a  che  avendo  il 
padre  annuito/il  giovaneLuigi  si  recò  l'an- 
no dopo  a  ricevere  la  corona  d'Aquitania; 
ma  tragittata  appena  la  Loira  svanirono 
le  sue  speranze.  Poiché  Pipino  II  annoiato 
del  suo  monastero  ne  uscì,  mentre  il  fra- 
tello Carlo  rilegato  in  quello  di  Corbeia  fe- 
ce altrettanto;  raggiuntisi  si  recarono  in 
Aquitauia,  ove  furouo  riveduti  da'popoli 
con  gioia,  e  fu  decretata  un'altra  volta  a 
Pipino  li  la  sovranità.  Carlo  il  Calvo  ac- 
corse per  salvare  il  regno  alla  monarchia, 
ma  senza  successo;  nondimeno  uell'855 
gli  aquitani  tornali  alla  sua  ubbidienza 
gli  domandarono  e  ottennero  per  re  il  fi- 
glio Carlo, il  quale  inaugurato  nella  metà 
di  ottobre,  cominciò  il  suo  regno  con  ri- 
portare nel  Poitou  compita  vittoria  sui 
normanni.  Ma  gli  aquilani  malgrado  sì 
glorioso  successo,  si  ribellarono  e  fecero 
tornare  Pipino  II. Abbandonarono  poi  an- 
cora una  volta  questo  principe,  e  depu- 
tarono a  Luigi  di  Germania  per  ottenere 
la  sua  protezione.  Andata  a  vuoto  tal  pra- 
tica, npigliarono  le  parti  di  Carlo  il  Cal- 
vo per  ridomandai  gli  suo  figlio.  Appena 
tornalo  il  giovane  Carlo,  fu  soverchiato 
da  Pipino  11,  e  tra  loro  per  7  anni  durò 
la  guerra  con  vario  successo.  Finalmente 
nell'86  j  Pipino  II  ingannalo  da  Piainulfo 
coute  di  Poitou  e  duca  d'Aquitania,  fu  pi  e- 


TOL  .9 

so  e  consegnato  aCarlo  il  Calvo.e  pare  mo- 
risse prigione.  La  confusione  che  produs- 
sero in  Aquitauia  le  controversie  Ira  Car- 
lo il  Calvo  e  Pipino  II,  ridusse  il  regno 
a  una  specie  d'anarchia,  in  guisa  che  non 
riconoscendo  alcun  sovrano,  molti  segna- 
vano gli  atti  dagli  anni  posteriori  alla  mor- 
te di  Lodovico  I.  Ma  Carlo  languente  pe' 
colpi  ricevuti  nel  bosco  di  Guise,  non  co- 
nosciuto, morì  a'29  settembre  866.  Nel 
seguente  il  fratello  Lodovico  II  il  Ball/o 
fu  coronato  re  d'Aquitania,  quindi  nel- 
P877  divenuto  re  di  Francia  per  morie 
del  padre  Carlo  il  Calvo,  l'Aquitauia  fu 
riunita  alla  corona  di  Francia  e  confuso 
il  suo   regno  col  resto  della  monarchia. 
Sotto  il  re  Carlo  III  il  Semplice  dell'892 
principalmente,  i  duchi  e  i  conli  di  Tolo- 
sa e  di  Aquitania  acquistarono  ue'loro  go- 
verni maggiore  autori  là,  e  la  spi  userò  lan- 
t  oltre  che  si  resero  finalmente  quasi  in- 
dipendenti, ciascuno  nella  loro  provincia, 
usurpandone  i  diritti  regali.  Molti  fra'ma- 
gistratidelle  città,  subalterne  si  arrogaro- 
no eziandio  a  tempo  di  Carlo  II  I  il  Sem- 
plice il  supremo  potere,  e  crebbe  così  il 
numero  de'conti,  che  solevano  a'gover- 
natori  divenuti  conti  di  Tolosa  prestare 
omaggio,  comechè  questi  ormai  resisi  in- 
dipendenti da'redi  Francia.  Dissi  cheCar 
lo  Magno  nel  ristabilire  il  regno  d'Aqui- 
tania nel  778  a  favore  del  figlio  Lodo- 
vico I,che  bambino  essendo  iucapace  di 
reggere  il  reguo,  fu  dal  padre  provveduto 
con  l'  istituire  conli  o  governatori  nella 
maggior  parte  delle  città  ;  ciò  che  diede 
occasione  ad  alcuni  moderni  di  riferire  a 
quest'epoca  lo  stabilimento  de'conti  e  di 
attribuirne  l'istituzione  a  Carlo  Migno  ; 
ma  V Arie  di  verificare  le  date,  che  ri- 
porta tanto  la  cronologia  storica  de' rife- 
riti re  francesi  di  Tolosa  ed  Aquitania  , 
come  de'conti  o  duchi  di  Tolosa,  che  va- 
do a  riprodurre,  avverte  che  l'istituzione 
de'  Conli  è  di  molto  più  antica.  Nel  co- 
dice Teodosiano  in  fittisi  fa  menziouede' 
couti  cheaveauo  1' amministrazione  del- 
le proviucie.  Si  potrebbe  far  rimontar  l'o- 


20  TO  L 

rigine  de'conli  fmoad  Augusto.  Sotto  Co- 
stantino I  il  Grande  questo  titolo  diven- 
ne più  comune  e  fu  dato  allora  ■'princi- 
pali ufficiali  dell'impero:  l'uso  se  n'era  pu- 
re introdotto  presso  le  nazioni  bai  bare.  I 
conti  e  duchi  stabiliti  da  CarloMagno  non 
furonodimqueunanuovaistituzione.Tra 
questi  conti  quelli  di  Tolosa  furono  i  soli 
che  presero  il  titolo  di  duchi.  Essi  chia- 
mavansi  indifferentemente  conti  o  duchi, 
perchè  Tolosa  era  contea  e  ducato  ad  uu 
tempo.  Si  chiamava  conte  quello  che  a- 
vea  il  governo  d'una  sola  città,  o  d'una 
diocesi  soltanto;  e  duca  quello  che  gover- 
nava più  città,  più  diocesi,  od  una  pro- 
vincia. Il  i.°duca  beneficiario  di  Tolosa 
fu  Chorson  o  Torsin,  nominalo  nel  778 
conte  o  duca  di  Tolosa  da  Carlo  Maglio. 
Egli  marciò  nel  787  contro  Adalrico  fi- 
glio di  Lupo  duca  de'guascooi,  che  avea 
disfatta  la  retroguardia  di  Carlo  Magno 
nella  vallata  di  Roncevaux;  ma  fu  preso 
da  Addii  ico  che  gli  fece  acquistare  la  sua 
libertà  a  condizioni  vergognose.  L'  anno 
790  Chorson  fu  destituito  dal  suo  gover- 
no in  castigo  della  sua  viltà,  per  giudizio 
d'una  dieta  che  Carlo  Magno  fece  tenere 
a  Worms.  Nel  790  stesso  s.  Guglielmo  I 
divenne  duca  di  Tolosa,  e  si  rese  celebre 
per  le  sue  grandi  prerogative  civili,  mili- 
tari e  cristiane,  fu  eletto  duca  di  Tolosa 
e  Aquitania  nella  detta  dieta,  qual  figlio 
di  Teodorico  e  di  Aldane.  11  padre  avea 
comandatogli  eserciti  sotto  Pipino  e  Car- 
lo Magno  sino  a  quest'epoca,  era  prossi- 
mo loro  congiunto  qual  pronipote  di  Chil- 
tlebraudo  per  partedell'avo  paterno  Teo- 
doino  conte  di  Vienna  e  d'Autun,  quel 
desso  che  nel  753  incaricato  da  Pipino 
d'opporsi  a  Grippone  suo  fratello  che  vo- 
leva passare  in  Italia,  gli  die  nella  vallata 
di  Malmenile  un  combattimento  in  cui 
perirono  entrambi. Non  degenerò  Gugliel- 
mo I  dal  valore  de'suoi  antenati,  fece  la 
suai/  spedizione  controi  guasconi  chea- 
veano  preso  l'armi  a  favore  del  duca  A- 
dalrico,  proscritto  nella  dieta  di  Worms, 
e  riuscì  a  pacificarli  con  abilità  e  valore. 


TOL 

Nel  793,  dopo  incredibili  sforzi,  fu  vinto 
da'saraceni  tra  Narbonn  e  Carcassona;  in- 
di nell'8o  1  indusse  Lodovico  I  il  l'io  re 
d'Aquitania  a  formar  l'assedio  di  Barcel- 
lona contro  quegl'iufedeli,  e  si  distinse  in 
tale  spedizione  ottenendo  dopo  7  mesi  la 
dedizione  della  piazza.  Avendo  fondato  il 
monastero  diGcIlone  nella  diocesi  di  Lo- 
deve,  detto  s.  Guglielmo  del  Deserto,  neh 
l'8o6  vi  si  ritirò,  e  vestito  l'abito  religio- 
so morì  santamente  verso  l'8 1 3,  e  per  le 
sue  virtù  fu  posto  nel  catalogo  de' santi, 
canonizzato  nel  1202  da  Innocenzo  111. 
Nell'8 1  o  gli  successe  Raimondo  detto  Ra- 
fìnel  qual  duca  d'Aquitania.  Nell'817  il 
ducatodiTolosa  divenne  mollo  meno  rag- 
guardevole per  esserne  sta  te  staccate  laSet- 
timania  e  la  Marca  di  Spagna  attesa  la  di- 
visione fatta  da  Lodovico  I  de'suoi  slati 
tra'propri  figli.  Nell'8  1 8  trovasi  Beren- 
gario duca  beneficiario  di  Tolosa,  non  me- 
no illustre  per  saggezza  e  buona  condot- 
ta, che  pe'suoi  natali, discendendo  da  Ugo 
contedi  Tours  prossimocongiunto  di  det- 
to imperatore,  il  quale  nell'832  lo  nomi- 
nò duca  di  Settimania  e  morì  nell'835. 
La  Settimania  o  Gothia,  parte  della  i." 
Narbonese,  che  restò  a'  visigoti  dopo  che 
i  franchi  gli  ebbero  spogliati  della  mag- 
gior parte  di  loro  conquiste  nelle  Gallie, 
fu  chiamata  Settimania  a  motivo  delle  7 
principali  città  che  la  componevano,  e  Go- 
thia dal  nome  della  nazione  che  I'  avea 
conquistata,  come  già  indicai  con  altre  0- 
pinioni.  Essa  comprendeva  tutta  la  Lin- 
guadoca,  ad  eccezione  dell'antiche  dioce- 
si di  Tolosa  e  d'Alby,  e  di  quelle  di  Usez 
e  di  Viviers.  11  re  di  Francia  Pipino  do- 
po averla  conquistala  verso  il  760  l'unì 
alla  corona,  e  ne  fu  staccata  poi  dal  figlio 
Carlo  Magno  per  far  parte  del  regno  d'A- 
quitania da  lui  eretto  nel  778.  L'impera- 
tore Lodovico  I  nell'817  l'incorporò  al- 
la Marca  di  Spagna,  e  fece  delle  due  Pro- 
vincie un  ducato  particolare, di  cui  Bar- 
cellona fu  la  capitale.  Dell'uno  e  dell'al- 
tro di  questi  ultimi  due  stali, ora  vado  a 
parlare!  dicendo  d'alcuni  de'duchi  e  inai- 


TOL 

diesi  ili  Settimauia.  Neil' 835  Bernardo 
duca  di  Settimana,  come  figlio  del  defun- 
to s.  Guglielmo,  gli  successe  al  ducato  di 
Tolosa,  morì  nell'844  e  dovrò  riparlar- 
ne nel  riportare  la  serie  de'duchi  di  Set- 
timauia. In  tale  armo  o  neli'845  il  figlio 
Guglielmo  II  divenne  duca  e  conte  bene- 
ficiario di  Tolosa  per  disposizione  di  Pi- 
pino li  re  d'Aquitania.  Ne!l'85o  arresta- 
toio Barcellona,  di  cui  erasi  nell'848  im- 
padronito coll'aiuto  de' saraceni,  qual  reo 
di  lesa  maestà  fu  messo  a  morte.  JNeII'8  1  7 
Lodovico  I  dopo  d'aver  diviso  i  suoi  sta- 
ti tra'3  figli,  eresse  in  ducato  la  Seltima- 
nia,  ch'era  nella  porzione  del  primoge- 
nito Lotario  1,  e  gli  die  peri. "duca  Bera 
di  nascita  visigoto,  già  conte  di  Barcello- 
nadali'801,  epoca  in  cui  i  francesi  l'avea- 
no  tolta  a'saraceni,ealla  presenza  di  Car- 
lo  Magno  in  quell'assedio  avea  dato  pio- 
ve di  valore.  Nell'820  calunniato  dal  vi- 
cino conte  Sanila,  per  difetto  di  prove  l'ac- 
cusatore offri  il  duello,  e  Bera  restato  vin- 
to ,  secondo  i  pregiudizi  delle  prove  che 
portava  la  convinzione  del  delitto,  fu  ri- 
legato a  Rouen:  da  lui  poi  in  Linguado- 
ca  fu  detto  Bera  per  ingiuria  quello  che 
mancava  di  fede  al  proprio  sovrano.  Nel- 
l'85o  Fredelone  d'illustre  discendenza, 
comandava  in  Tolosa  quando  fu  assedia- 
ta per  la  3."  volta  da  Carlo  il  Calvo,  cui 
rese  l'importatile  piazza  e  ricevè  in  com- 
penso la  contea  di  Tolosa,  alla  quale  era 
unito  il  ducato  d'Aquitania.  Morendo  nel- 
1  8  J2  senza  maschi,  trasmise  a  Raimon- 
do suo  fratello  la  contea  o  ducato  di  To- 
losa, colla  contea  di  Rouergue.  Le  diguità 
ereditarie  aveano  di  già  comincialo,  co- 
me rilevai,  nell'impero  di  Lodovico  l,ma 
non  furono  interamente  e  legalmenlesta- 
bilite  che  all'innalzameli  tu  al  regno  di  U- 
gp Capete.  Innanzi  di  procedere  colle  no- 
tizie di  Raimondo  e  de'couti  ereditari  di 
Tolosa,  dirò  prima  de'duchi  di  Settima- 
uia. Bernardo  I  già  rammentato,  figlio 
di  s.  Guglielmo  I  duca  di  Tolosa,  uell'820 
tu  sostituito  a  Bera  qual  duca  beneficia- 
rio di  Selliuiauia.  Egli  segnalò  il  suo  va- 


TOL  2 1 

iore  e  la  sua  prudenza  uell'826  contro  Ai  - 
zon  che  avea  fatto  sollevare  la  Marca  di 
Spagna.  Fatto  venire  dall'imperatore  Lo- 
dovico I  alla  sua  corte  nell'828,  lo  dichia- 
rò suoi.0  ministro,  indi  nell' 829  lo  fece 
suo  cameriere  o gran  ciambellano  e  lo  no- 
minò aio  di  suo  figlio  Carlo  il  Calvo.  Ber- 
nardo entrò  nel  partito  dell'imperatrice 
Giulitta  madre  di  tal  principe  pel  suo  sta- 
bilimento, e  determinò  I'  imperatore  ad 
assegnargli  un  regno  a  pregiudizio  della 
convenzione  divisionale  falla  tra'figli  del 
1 .°  letto.  Questi  malcontenti  di  tale  dispo- 
sizione tramarono  una  congiura  contro 
Bernardo,  con  molti  signori  dello  stato, 
accusandolo  di  tirannia  e  di  criminosa  cor- 
rispondenza con  l'imperatrice.  Neil  83o 
l'imperatore  per  dare  qualche  soddisfa- 
zione a'congiurati,  rimaudò  Bernardo  al 
suo  goveruOjil  quale  con  giuramento  volle 
poi  purgarsi  nella  dieta  di  Thionville,  non 
trovando  chi  volesse  accettare  il  duello. 
Però  non  essendo  ripristinato  nel  favore, 
si  unì  col  re  Pipino  l  contro  gl'interessi 
dell'imperatore  suo  padre.  Questi  consa- 
pevole di  sue  procedure  lo  privò  uell'832 
de'  suoi  onori,  e  il  ducato  di  Settiraania 
fu  dato  al  suddettoBerengario  duca  di  To- 
losa. Bernardo  poi  dichiarossi  contro  i  fi- 
gli ribelli  di  Lodovico  I,  e  die  opera  pel 
ristabilimento  di  questo  principe  deposto, 
onde  neh' 833  ricuperò  il  suo  ducato  di 
Tolosa.  Vedendosi  alla  testa  di  due  gran- 
di provincie  ,  Tolosa  e  la  Settimania,  si 
credè  tutto  permesso,  usurpò  i  beni  eccle- 
siastici e  oppresse  i  popoli.  Carlo  il  Calvo 
nell'  840  gli  ritolse  il  ducato  di  Tolosa, 
per  l'intelligenze  che  avea  con  Pipino  11 
re  d'Aquitania,  e  uominò  in  sua  vece \  Va- 
ria signore  borgognone.  Bernardo  ricon- 
ciliato apparentemente  con  Carlo,  marciò 
nell'84.1  sotto  i  suoi  vessilli  alla  battaglia 
di  Fonteuai,  limitandosi  alle  parti  di  sem- 
plice spettatore,  mentre  Warin  col  suo  va- 
lore fece  volgere  a  favor  di  Carlo  la  vit- 
toria. Non  andò  impunita  la  sua  perfidia, 
e  nell' 844  arrestato  Bernardo  d'ordine 
di  Carlo,  questi  nel  giugno  lo  fece  morire 


ii  T  O  L 

per  delitto  di  fellonia:  lasciò  due  figli, Gu- 
glielmo li  duca  di  Tolosa  ,  e  Bernardo. 
CarloiI  Calvo  nell'844  °  prima  della  tra- 
gica fine  di  Bernardo,  die  il  governo  della 
Setlimania  a  Suni freddo,  figlio  del  conte 
d'Ausone  nella  AI  a  rea  di  Spagna,  ch'era 
conte  diGironaed'Urgel,ed  allora  la  Set- 
timania  prese  titolo  di  marchesato.  i\el- 
P848  Aledrangovernatoredi  Setlimania 
difese  la  Marca  ili  Spagna  contro  Gugliel- 
mo II  conte  di  Tolosa  unito  a'saraceni , 
perdendo  Barcellona  e  Ampurias  ;  però 
Carlo  il  Calvo  nell'85o  lo  rimise  in  pos- 
sessodiesse, perdendoBarcellona  nell'852 
per  tradimento  degli  ebrei,  che  presa  da' 
saraceni  Cu  saccheggiata  e. poi  abbando- 
nata. Nell'852  era  marchese  di  Seltima- 
nia  Odalrico  conte  di  Girona,  e  restò  fe- 
dele a  Carlo  il  Calvo  quando  insorse  l'A- 
quilania.  Per  sua  morie  nell'857  fu  mar- 
chese Unfreddo  della  famiglia  di  s.  Gu« 
glielmo  I  conte  di  Besalu,  che  neh'  863 
s'impadronì  di  Tolosa  cacciandone  il  con- 
te Raimondo,  di  che  informato  Carlo  il 
Calvo,  privò  dell'864  Unfreddo  de'suoi 
onori  e  lo  proscrisse.  Allora  l'imperatole 
divisela  Setlimania  in  due  governi,  quello 
di  Settimauia  propriamente  detta,  e  l'altro 
della  Marca  di  Spagna  e  Barcellona.  Per- 
tanto la  Setlimania  fu  data  a  Bernardo 
Il  e  poi  anche  conte  di  Poitiers,  e  non- 
dimeno ss  unì  in  favore  di  Carlomano  e 
contro  Carlo  il  Calvo,  nou  che  contro  il 
figlio  Lodovico  II  il  Balbo. Scomunicato 
dal  concilio  di  Troyes  per  aver  invaso  il 
Ber  17 e  Bourges,  nell'879  semD,'a  punito 
coll'ullimo  supplizio,  d'ordine  di  Lodo- 
vico II  e  di  Carlomano.  Nel  precedente 
anno  il  re  Lodovico  II  surrogò  nel  mar- 
chesato Bernardo  III  detto  Piantavello- 
sa  conte  d'Auvergne,  e  si  meritò  la  sua 
confidenza  pe'servigi  importanti  che  gli 
rese,  onde  iti  morte  lo  nominò  tutore  del 
suo  primogènito;  Lodovico  111,  che  si  af 
frettò  di  far  coronare,  insieme  al  fratello 
Carlomano,  per  prevenire  i  disegni  de' 
malintenzionati. Di  fa  Iti  quasi  subito  scop- 
piarono le  mire  ambiziose  del  duca  Boso- 


T  O  L 

ne,  che  da' vescovi  di  sua  giurisdizione  si 
fece  proclamare  re  di  Provenza.  Bosone 
conferì  a'suoi  partigiani  le  contee  del  nuo- 
vo regno,  fra'quali  Bernardo  II  già  mar- 
chese di  Settimauia ebbela contea  di  Ma- 
$on.  Nell'880  sotto  la  sua  condotta  si  po- 
sero in  marcia  due  re  per  discacciare  il  ti- 
raniiOjCominciarono  dal  l'assediar  la  capi- 
tale della  contea,  indi  Vienna  oppose  lun- 
ga resistenza,  e  combattendo  sempre  con- 
tro Bosone  vi  perde  la  vita  nel!'  886.  11 
suo  figlio  Guglielmo  il  Pio  ereditò  il  mar- 
chesato di  Seltirnaniae  la  contea  d'Auver- 
gne.  Sposò  Ingelberge  figlia  di  Bosone  re 
di  Provenza,  da  cui  non  ebbe  prole,  onde 
dopo  la  sua  morte  a  vvenulaa'6  lugliog  1 8, 
la  Setlimania  passò  alla  casa  di  Tolosa, 
de'cui  conti  ereditari  vado  a  ragionare. 
Nell'852  alla  morte  del  summentova- 
to  Fredelone  conte  di  Tolosa,  successe  il 
fratello  B-aimondo  I,  che  prese  il  titolo  di 
ducajrinnì  alle  contee  diTolosa  ediRouer- 
gue,  quella  di  Quercy,  facendole  passare 
alla  sua  posterità,  che  ne  godè  sino  a  ver- 
so la  fine  del  secolo  XI 11.  Da  questo  Rai- 
mondo I  discesero  i  conti  ereditari  di  To- 
losa, che  possederono  la  maggior  parie  di 
Linguadoca  sinché  fu  riunita  alla  corona. 
Nell'862  Raimondo  l  fondò  l'abbazia  di 
Vabres  in  Rouergue,  e  ne  vestì  l'abito  col 
nome  di  Benedetto  il  4-°  figlio  Ariberto. 
JNTell'863  Raimondo  I  fu  caccialo  da  To- 
losa da  Unfreddo  marchese  di  Setlimania, 
ma  vi  rientrò  nell'  864  dopo  che  questi 
abbandonò  la  città.  Raimondo  I  morì  ver- 
so Pasqua  di  tal  anno  o  del  seguente,  suc- 
cesso dal  primogenito  Bernardo  con  tutti 
gli  onori,  intitolandosi  conte,  marchese  e 
duca;  cioè  conte  di  Tolosa  perchè  gover- 
natore della  città,  marchese  per  l'autori- 
tà che  avea  su  porzione  della  1  ."Narbone- 
se,  e  duca  per  quella  che  esercitava  sopra 
parte dell'Aquilauia.  Sidiceche  morì  nel- 
ì'875  di  malamorte,  per  avere  usurpati  i 
beni  dellechiese  di  Reims  posti  nell'Aqtii- 
tania.  Scrissero  alcuni,  e  lo  ricordai  a  Pe.v- 
na  e  altrove,  che  nella  pace  traCarlo  il  Cal- 
vo imperatori  e  re  di  Francia,  e  Bernur- 


TOL 

do  conte  di  Tolosa,  essi  la  sottoscrissero 
colla  penna  intinta  nel  Sangue  di  Gesù 
Cristo.  Primamente  conviene  avvertire, 
di  non  confondere  questo  Bernardo,  come 
fecero  diversi  moderni,  con  Bernardo  II 
marchese  di  Gothia  o  Settimania,  né  con 
Bernardo  conte  d'Auvergnc  figlio  del  du- 
ca di  Settimania,  i  quali  erano  contempo- 
ranei, e  si  trovarono  tutti  e  tre  nell'868 
alla  dieta  di  Pitres  presso  Pont  de  l'Arche 
nella  diocesi  di  Rouen,  convocata  da  Carlo 
il  Calvo.  Se  realmente  ciò  fu  fatto,  e  se 
propriamente  anche  cou  altri  ebhe  luogo 
rito  si  strano  o  come  seguì,  si  può  vedere 
il  voi.  LXX1 V,  p.  26  e  27.  Su  questo  gra- 
ve punto  il  Mondelli,  poi  vescovo  di  Ter- 
racina,  ci  diede  nelle  sue  Dissert.  Eccle- 
siastiche la  Dissert.  VII  Sopra  la  de- 
posizione e  la  scomunica  di  Pirro  mo- 
no udita,  fatta  e  sottoscritta  dal  Ponte- 
fice Teodoro  I.  al  quale  si  attribuisce  pu- 
re di  averlo  praticato,  e  perciò  venne  con- 
futato dal  Mondelli,  il  quale  a  p.i  44  so5 
iunge:'>Così  la  sottoscrizione  di  pace  fat- 
col  Divin  Sangue  tra  Carlo  Cai  vo,e  Ber- 
nardo conledi  Tolosa,  dal  solo  Ariberto 
Odone  ci  viene  riferita,  e  ne  tacciono  su 
di  ciò  gli  altri  autori  tutti,  quantunque 
delle  geste  de' re  e  de'loro  costumi  ne  ab- 
biano minute  e  diligenti  memorie".  A  Ber- 
nardo immediatamente  successe  il  fratel- 
lo Odone  o  Eude,  che  nell'878  unì  alla 
contea  di  Tolosa  l'Albigese  ed  estese  mol- 
to la  sua  autorità  nella  provincia.  L  1  1 
settembre  gio  sottoscrisse  la  carta  della 
fondanone  del  celebre  monastero  di  Citi- 
gnyt  data  da  Guglielmo  il  Pio  duca  d'A- 
quitaiiia  e  marchese  di  Gothia,  col  quale 
era  intimamente  legato.  Morì  assai  vec- 
chio verso  il  9 1 9,  lasciando  della  sua  spo- 
sa Garsiude  figlia  d'  Ermeugardo  coute 
d'Alby  due  figli,  Raimondo  II  ed  Ermen- 
gardo,  che  si  divisero  la  sua  eredità  e  for- 
marono due  linee,  cioè  de'conti  di  Tolosa 
e  de'conti  di  R.ouergue.  I  due  fratelli  go- 
di-tono iu  comune  I'  Albigese,  il  Quercy 
i  d  marchesato  di  Gothia  o  Settimania, 
clic  dal  defuulo  Guglielmo  il  Accra  pas- 


TOL  23 

sala  in  sorte  alla  casa  di  Tolosa  di  loro  fa- 
miglia. Raimondo  li  primogenito  d'Odo- 
ne ,  quando  successe  nella  contea  già  ne 
porta  vai  titoli,  comechè  dal  padre  associa- 
lo al  governo.  Tanto  esso  che  il  fratello 
non  presero  mai  parte  alla  congiura  for- 
mata nel  922  contro  Carlo  III  il  Sempli' 
cere  di  Francia,  né  all'elezione  di  Rober- 
to I  duca  di  Francia.  Nel  923  Raimon- 
do II  segnalò  il  proprio  valore  contro  i 
normanni  in  un  fatto  d'armi  dato  loro  con 
Guglielmo  II  conte  d'Auvergue  che  l'a- 
vea  chiamato  in  suo  aiuto.  Morì  Raimon- 
do II  poco  dopo  tale  spedizione  e  fors'au- 
che  nell'azione,  lasciando  nel  923  succes- 
sore il  figlio  Raimondo  Pons  III.  Questi 
pure  restò  fedele  a  Carlo  III  il  Semplice, 
e  finché  visse  questo  re  non  volle  mai  ri- 
conoscere Raul  o  Raolfo  a  re  di  Francia, 
e  neppur  dopo  per  lungo  tempo.  Questo 
avvenimento  è  una  dell'epoche  principali 
del  potere  esteso  che  si  attribuirono  i  con- 
ti di  Tolosa,  da  governatori  divenendo  so- 
vrani assoluti  e  indipendenti  del  paese.  Nel 
92J  Raimondo  HI  sconfisse  gli  ungheri 
ch'erano  entrati  nella  Provenza,  e  nel  g32 
riconobbe  Raul  a  re  di  Francia,che  dispo- 
se a  suo  favore  del  ducato  d'Aquitania  e 
della  contea  particolare  d'Auvergne:  pe- 
rò dopo  Raimondo  III  niuuo  de'conti  di 
Tolosa  si  qualificò  mai  per  duca  d'Aquita- 
nia. Morì  verso  il  gio  egli  successe  nel- 
la coutea  e  uella  più  parte  de'suoi  posse- 
dimenti sotto  la  tutela  della  madre  il  figlio 
Guglielmo  III  Tagliaferro,  mentre  il  fra- 
tello Pons  Raimondo  ebbe  l'Albigese,  e  fu 
assassinato  nel  989  dal  figliastro.  Nel  97  J 
Guglielmo  111  fece  cou  Raimondo  III  con- 
te di  Rouergue  un  trattato  di  divisione  dei 
possessi  di  famiglia,  col  quale  ciascuno  tra 
le  altre  cose  si  riservò  la  metà  della  con- 
tea di  Nimes,  da  ereditarsi  da'loro  discen- 
denti ■.  la  porzione  di  questa  contea  che 
toccò  al  coute  di  Tolosa  fu  detta  la  coutea 
di  Saint-Gilles  per  trovarsi  compresa  ivi 
l'abbazia  di  tal  nome  posta  sul  Rodano. 
Dalla  moglie  àrsiodc  da  Chartres  ebbe 
Rainioudo  e  Enrico,  Costanza  che  sposò 


24  T  O  L 

Roberto  II  re  di  Francia  (dopo  il  ripudio 
di  Berta  stia  cugina,  per  cui  era  stalo  in- 
terdetto il  regno,  strepitoso  avvenimento 
che  toccai  anche  nel  voi.  LXII,  p.  216), 
ed  Ermengarde  maritala  a  Roberto  I  con- 
te d'Au  vergile.  Verso  il  990  Guglielmo 
III  sposò  in  seconde  nozze  Emma  figlia 
di  Rolbold  conte  di  Provenza,  la  quale 
portò  nella  casa  di  Tolosa  ciò  che  chiamos- 
si  in  seguito  marchesato  di  Provenza:  do- 
po questo  matrimonio  egli  formò  la  sua 
residenza  ordinaria  in  Provenza.  Il  con- 
te Guglielmo  III,  come  tutti  i  grandi  vas- 
salli della  corona,  nominava  avescovati  e 
abbazie  poste  sotto  la  sua  giurisdizione, 
ma  non  era  scrupoloso  sul  modo  ,  onde 
offri  il  vescovato  di  Cahors  per  ragguarde- 
vole somma.  Sotto  il  suo  governo  succes- 
se un  singoiar  avvenimento  a  Tolosa.  Era 
uso  immemorabile  di  questa  città,  che  tut- 
ti gli  anni  il  giorno  di  Pasqua  si  condu- 
cesse nella  cattedrale  un  ebreo,  a  cui  si  da- 
va una  guanciata  in  ricambio  di  quella 
riportala  dai  Salvatore  presso  il  gran  sa- 
cerdote. Trovatosi  in  tal  giorno  del  1 002 
a  Tolosa  Aimeri  visconte  di  Rochechovart, 
ebbe  l'onore  di  essere  destinato  a  schiaf- 
feggiare l'ebreo;  ma  lo  fece  con  tanta  for- 
za e  violenza  da  mandare  in  aria  il  cer- 
vello e  gli  occhi  dello  sciagurato  che  cad- 
de morto  a'suoi  piedi.  In  tal  guisa  un  ze- 
lo cieco  degenera  sovente  in  barbarie.  Fi- 
nì i  suoi  giorni  Guglielmo  III  di  go  anni 
neho3y,  lasciando  del  2.0  suo  matrimo- 
nio Pons  che  gli  successe ,  e  Bertrando 
ch'ebbe  in  appannaggio  porzione  della 
Provenza.  Pons  ereditò  le  contee  di  To- 
losa,d'Albigese,  diQuercy  e  di  Saint-Gil- 
les dal  lato  paterno,  e  dal  materno  una 
porzione  della  Provenza.  Possedeva  inol- 
tre come  feudi  di  sua  giurisdizione  il  ve- 
scovato d'Alby  e  una  parte  di  quello  di 
Nimes,  e  a  questi  titoli  univa  quello  pure 
di  conte  palatino.  L'origine  di  questo  de- 
rivò dall'essere  slato  s.  Guglielmo  I  con- 
te di  palazzo  de're  d'Aquitania,  e  perciò 
i  successoli  lo  furono  ancora  nella  digni- 
tà. Pons  fu  avido  usurpatore  de'beni  ec- 


TOL 

clesiastici,  e  non  solo  impunemente,  ma 
anco  in  tranquillità  di  coscienza,  come  si 
vede  dall'assegnazione  fatta  del  vescova- 
to d'Alby  nel  io3y  stesso  a  sua  moglie  IVI  a- 
jore  per  suo  vedovile.  Egli  dispose  pure 
perdenarodel  vescovato diPuy.  Morì  nel 
1  060  e  fu  sepolto  come  suo  padre  nella 
chiesa  di  s.  Sernin,  in  una  tomba  di  mar- 
mo bianco;  e  nelle  contee  di  Tolosa,  d'Al- 
bigeois  e  di  Quercy  gli  successe  il  figlio 
Guglielmo  IV,  principe  virtuoso,  che  si 
die  principalmente  a  far  fiorire ne'suoi  sta- 
ti la  religione.  Nel  1079  nella  guerra  con 
Guglielmo  VI  conte  di  Poitiers  lo  scon- 
fìsse davanti  Bordeaux;  ma  questi  por- 
tatosi nel  Tolosano  saccheggiò  in  ricam- 
bio il  paese  e  ne  prese  la  capitale,  che  fu 
lostoda  lui  restituita.  Perduti  da  Gugliel- 
mo IV  tutti  i  suoi  figli  maschi, e  mancan- 
dogli la  speranza  d'averne,  nel  1088  chia- 
mò alla  successione  il  fratello  Raimondo 
IV  detto  di  Saint-Gilles  (perchè  la  ma- 
dre gli  avea  ceduto  la  contea  avuta  pel 
suo  vedovile),  a  cui  rinunziò  o  vendè  la 
contea  di  Tolosa  con  tutti  gli  altri  suoi 
possedimenti  a  pregiudizio  dell'unica  fi- 
glia rimastagli,  che  maritata  al  duca  d'A- 
quitania, questi  die  il  consenso  per  una 
somma  d'indennizzo.  Partì  poi  nel  1092 
per  Terra  Santa,  ove  morì  l'anno  dopo. 
Le  sue  grandi  liberalità  verso  le  chiese, 
i  poveri  e  gli  ospedali,  il  suo  zelo  per  la 
riforma  del  clero  e  le  altre  sue  virtù,  gli 
fecero  dare  da  alcuni  autori  il  titolo  di 
Cristianissimo. Papa  Urbano  II  gli  scris- 
se ringraziandolo  della  protezione  da  lui 
accordata  agli  abbati  di  Rloissac  e  di  Le- 
zat,  che  ingiustamente  voleansi  cacciare 
dalle  loro  sedi  per  sostituirne  altri.  Nel- 
la stessa  lettera  il  Papa  gli  accordò  il  per- 
messo di  far  costruire  un  cimilerio  a  To- 
losa presso  la  chiesa  di  Nostra  Dama  del- 
la Daurade  per  lui  e  i  suoi  posteri,  ordi- 
nando al  vescovo  di  benedirlo.  La  sepol- 
tura de'conti  di  Tolosa  che  sino  allora  era 
stata  a  s.  Sernin,  fu  quindi  trasferita  al- 
la Daurade.  Raimondo  IV  già  conle  di 
Roucrgue,  di  Niuies,  di  Saint  Gilles  e  di 


TO  L 

Narl)ona,tinìa'liloIi  della  casa  de'conti  di 
Tolosa  quello  di  duca  di  Narbona,  ch'è 
identico  con  quello  di  marchese  di  Golhia 
o  di  Settimania,  passato  nella  sua  (fimi- 
glia  dopo  la  morte  di  Guglielmo  il  Pio 
duca  (ì'Aquitania,e  the  posseduto  per  lun- 
ga pezza  dalla  linea  cadetta  di  Rouergue, 
fu  riunito  alla  linea  primogenita  nella  sua 
persona  e  in  quella  di  suo  fratello.  Rai- 
mondo IV  al  suo  avvenimento  nel  1088 
alla  contea  di  Tolosa,  eia  già  stato  ma- 
ritato due  volte;  nel  1  066  colla  cugina  fi- 
glia  di  Bertrando  I  conte  di  Piovenza,  la 
quale  gli  portò  i  suoi  diritti  sulla  metà  di 
quella  contea,  ma  da  cui  Papa  s.  Grego- 
rio VII  voleva  col  mezzo  delle  censure  si 
separasse;  e  nel  1080  con  Matilde  figlia 
di  Roggero  conte  di  Sicilia,  che  andò  egli 
slesso  a  trovare  in  quell'  isola;  sposò  in 
terze  nozze  nel  ioq4  Elvira  figlia  natura- 
le d'  Alfonso  VI  re  di  Leon  e  Castiglia. 
Nel  109 5  Raimondo  IV  maritò  il  primo- 
genito Dei  traodo  con  Elena  figlia  del  du- 
ca di  Borgogna,  ed  inviò  ambasciatoli  al 
concilio  di  Clermont,  ove  Urbano  II  avea 
promulgato  la  guerra  Crociata  per  libe- 
rare la  Terra  Santa  dagl'infedeli,  per  di- 
chiarare ch'egli  e  molti  de'cavatieri  suoi 
vassalli  aveano  presa  la  croce.  Egli  fu  il 
l."de'principi  a  prenderla,  ed  il  suo  esem- 
pio ne  trascinò  seco  lui  molli  altri;  ma 
ciò  che  lo  distinse  tra  tutti  fu  il  voto  da 
lui  fatto  e  adempiutoci  non  tornar  più 
alla  patria  e  d'impiegare  i  rimanenti  suoi 
giorni  nel  combattere  gl'in  fedeli  ad  espia- 
zione desuoi  peccati.  ÌNel  ioq6  Urbano  II 
onorò  di  sua  presenza  Tolosa,  reduce  da 
Tour* a  Saiules,e  consagrò  la  celebre  chie- 
sa di  s.  StHMa  (altri  dicono  nel  1097,  ma 
non  pare),  che  avea  rifabbricala  s.  Rai- 
mondo canonico  regolare  del  suo  mona- 
stero, e  la  dichiarò  immediatamente  sog- 
getta alla  s.  Sede;  quindi  il  Papa  verso  la 
metà  di  luglio  passò  a  Maguelone.  Da  To- 
losa partì  Raimondo  IV  sul  fine  d'otto- 
bre di  tal  anno  per  Terra  Santa  alla  testa 
d'un  esercito  di  1 00,000  uomini,  compo- 
sto di  goti,  d'aquilani  e  di  provenzali,  ac- 


TOL  25 

compagnato  da  Elvira  sua  moglie, da  un 
loro  fi  gì  io,  e  da  Ademaro  A  vaiar  de  Mon- 
teil  vescovo  di  Puye  legato  pontificio  per 
la  crociata.  Valicate  le  Alpi  entrò  in  Lom- 
bardia, e  pel  Friuli  e  la  Dalmazia  giun- 
se in  Costantinopoli  cogli  altri  capi  ero- 
cesignali.  Raimondo  IV  fu"  quasi  il  solo 
che  non  ebbe  la  debolezza  d'acconsentire 
alla  proposizione  fatta  loro  dall'impera- 
tore greco  Alessio  I,  di  rendergli  antici- 
patamente omaggio  de'paesi  che  andava- 
no a  conquistare.  Bensì  giurò  di  nulla  in- 
traprendere contro  la  vita  e  l'onore  del- 
l'imperatore, sempre  però  ch'egli  mante- 
nesse a'crociati  le  fitte  promesse.  Sicco- 
me il  conte  cogli  altri  avea  promesso  ad 
Alessio  I  di  dargli  le  piazze  dell'  impero 
che  log!iessero  agl'infedeli,  e  non  veueu- 
do  effettuato,  da  ciò  derivarono  le  con- 
troversie tra  Raimondo  IV  ,  che  voleva 
osservare  i  patti,  e  Boemondo  dopo  la 
presa  d'Antiochia  che  questi  ritenne  per 
se.  Mentre  Raimondo  IV  combatteva  nel- 
l'oriente per  la  causa  comune,  molto  si  ri- 
sentirono di  sua  assenza  negli  stati  d'occi- 
dente. NelioQSGuglielmo  il  Vecchio  con- 
te di  Poitiers  iuvase  il  Tolosano  e  ne  pre- 
se la  capitale  il  mese  di  luglio  col  pretesto 
de'diritti  che  avea  la  moglie  Filippa  figlia 
del  conte  Guglielmo  IV.  La  nuova  che  di 
questo  avvenimento  giunse  a  Raimondo 
IV  noi  distolse  dal  suo  proponimento,  ma 
continuò  nel  servigio  a  cui  erasi  consacra- 
to,  occupandosi  unicamente  degl'interessi 
della  crociata,  in  cui  si  distinse  tanto  van- 
taggiosamente tra  lutti  i  capi  della  spedi- 
zione,ch'essi  d'accordogli  olfrirono  il  tro- 
no di  Gerusalemme  dopoché  questa  cit- 
tà fu  presa.  Ma  egli  ricusò  generosamen- 
te tale  onore,  non  tanto  per  la  sua  decli- 
nante età  e  per  la  perdita  fatta  d'un  oc- 
chio, quanto  per  modestia.  Pel  suo  rifiu- 
to e  sull'indicazione  da  lui  fitta,  la  coro- 
na fu  conferita  a  Goffredo  di  Buglione,  il 
quale  mal  corrispose  a  tale  eroismo;  giac- 
ché mentre  Raimondo  IV  erasi  impadro- 
nito nell'  assalto  di  Gerusalemme  della 
torre  di  David  e  intendeva  conservarla  per 


26  TOL  TOL 
.se,  gli  fu  intimato  dal  nuovo  re  di  con-  liraio  i  io5  nel  castello  di  Mont-Pelarin 
segnarla  a  lui.  Ebbe  poi  a  provar  altra  da  lui  costruito  vicino  a  Tripoli,  dispo- 
inoi  tificazione  per  parte  di  Goffredo  dopo  nendo  in  favore  del  nipoteGuglielnio  con- 
ia battaglia  il'Ascalona,  vinta  a'  1 2  agosto  tedi  Cerdagne  delle  piazze  da  lui  conqui- 
1099,  quando  gli  abitanti  della  città  al-  state  in  Siria,  cioè  Arcbes,  Giblet  eTor- 
tesa  l'alta  sua  riputazione  aveano  prono-  tosa.  Il  figlio  Alfonso  condotto  in  Francia 
sto  d'arrendersi  a  lui,  ma  il  re  vi  si  op-  neh  107,  da  Guglielmo  signore  di  Mont- 
pose,amando  piuttosto  assediar  la  piazza,  pellier,  ebbe  la  contea  di  Rouergue.  Rai- 
Gli  andò  fallito  il  tentativo,  né  i  crociali  inondo  IV  fu  sotto  ogni  aspetto  uno  dei 
poterono  mai  più  impadronirsi  d'Ascalo-  maggiori  principi  dell'età  sua.  Per  la  va- 
na. Non  minor  motivo  di  lagno  die  a  Rai-  sta  estensione de'suoi  dominii  potente,  po- 
mondol  V,  Boemondo,  che  dopo  a  ver  con-  leva  contendere  co'più  grandi  vassalli  del- 
quistato  Laodicea durante  l'assediod'Au-  la  corona  e  collo  slesso  re,  il  cui  patrono- 
tiocliin,  Cavea  rimessa  all'imperatore  gre-  nio  privato  era  di  gran  lunga  meno  este- 
co.  Boemondo  nel  1  100  si  recò  ad  asse-  so.  Bertrando  suo  figlio,  dichiarato  con- 
diar  quella  piazza  e  l'espugnò  malgrado  gli  le  di  Tolosa  nel  1096,  spogliato  nel  1098 
sforzi  del  conte  contro  si  ingiusta  intrapre-  da  Guglielmo  IX  duca  d'Aquilania,  e  fi- 
sa.Disgustalo  di  lai  procedere,lasciò  la  Pa-  nalmenle  ristabilito  nel  1  100,  successe  a 
festina  e  si  recò  a  Costantinopoli,  ove  di-  suo  padre  neh  io5.  A  di  lui  esempio  sa- 
molo per  oltre  un  anno,  godendo  del  più  grifieando  il  proprio  riposo  e  i  suoi  stati 
aperto  favore  della  corte  imperiale.  Nel  nel  servire  alla  religione  contro  gl'infede- 
1  101  giunti  più  di  200,000  crociati  da  li  ,  intraprese  il  viaggio  di  Palestina  nel 
diverse  regioni  alle  porte  di  Costantino-  marzo  1  109,  e  s'imbarcò  coll'unico  figlio 
[ioli,  chiesero  all'imperatore  un  capo  che  d'  1  1  anni.  La  sua  squadra  composta  di 
li  guidasse,  e  Alessio  I  die  loro  il  conte  di  4°  vele  con  100  cavalieri  per  vascello,  fu 
Tolosa  con  uno  de'suoi  generali  di  nome  ingrossata  per  via  da  go  legni  tra  geuo- 
Zitas  e  5oo  lurcopoli  o  soldati  nati  da  un  vesi  e  pisani  che  a  lui  si  unirono,  ponen- 
turco  e  da  una  greca.  Tragittato  il  Bosfo-  dosi  sotto  la  sua  protezione.  Approdato 
10  s'ingrossò  la  loro  truppa,  per  la  con-  al  porto  d'Amiroth  presso  Costantinopoli, 
giunzione  di  quella  ch'era  sotto  il  cornati-  fu  invitato  da  Alessio  I  a  recarsi  alla  sua 
«lo  di  Stefano  conte  di  lìlois  e  di  altri  si-  corte  e  ne  partì  assai  contento,  dopo  aver 
gnori;  ma  siffatta  moltitudine,  ribelle  ai  rinnovatoaqueU'ioiperatoreilgiuramen- 
propri  capi, fu  da'lurchi  distrutta  alla  spie-  lo  del  padre.  Giunto  al  porto  d'Antiochia 
ciolata.  In  una  sola  battaglia  seguita  nel-  sbarcò  e  fu  visitato  da  Tancredi,  che  per 
l'agosto  ne'deserti  di  Cappadocia  ne  pe-  l'assente  zio  Boemondo  reggeva  quel  prin- 
rironoben  5o, 000.  Raimondo  1 V  che  neh  cipato.  Non  essendosi  accordati,  sia  per  la 
l'azione  avea  fatto  prodigi  di  valore,  fug-  parte  d'Antiochia  che  spettava  al  padre, 
gì  a  Costantinopoli^  ve  provò  amari  ri  ni-  sia  per  riprendere  Mamistra  consegnala 
proveri  dalfimperatore.Neh  i02imbar-  dagli  armeni  a'  greci,  Bertrando  partì  e 
calosi  per  tornare  in  Siria,  fu  arrestato  a  approdò  finalmente  al  porto  di  Tortosa, 
Tarso  eimprigionaloda  Tancredi  suo  ne-  allora  del  conte  di  Cerdagne  cogli  altri 
mico. Restituito  in  libertà  per  l'istanze  dei  conquisti  paterni  fatti  in  oriente.  Invano 
principi  che  lo  presero  per  capo,  s'impa-  Bertrando  invitò  il  parente  a  restituirgli 
drouì  di  Ortosia  0  Tortosa  in  Siria,  e  si  la  sua  eredità,  poiché  Raimondo  IVal- 
recò  a  far  l'assedio  di  Tripoli.  Nel  i  io3  l'usanza  de'  britanni  a  lui  li  avea  lasciali 
Elvira  gli  partorì  un  figlio,  detto  Alfon-  come  più  atto  a  conservarci  fruiti  del  suo 
so  Giordano  perchè  battezzato  nel  fiume  valore,  ludi  si  recò  a  riprendere  l'assedio 
omonimo.  Morì  Raimondo  IV  a'28  fi-b-  di  Tripoli,  cominciato  dal  padre  e  couli- 


TO  L 

■tanto  dal  conte  di  Cerdagne  che  poi  l'a- 
vrà abbandonato.  Venuto  in  di  lui  soccor- 
so Baldovino  I  redi  Gerusalemme,  ordi- 
nò al  conte  e  a  Tancredi  di  raggiungerlo 
e  di  riconciliarsi  con  Bertrando,  e  coopera- 
rono a  renderlo  padrone  di  Tripoli,  che 
dopo  7  anni  d'assedio  o  di  blocco  gli  a- 
prì  le  porte  a' io  giugno i  i  09.  Allora  fu 
conosciuto  conte  di  Tripoli  e  sue  dipeli- 
denze,alle  quali  unì  le  terre  restituitegli  da 
Cerdagne  a  mediazione  del  re.  Servì  poi 
questo  monarca  in  diverse  spedizioni  , 
quando  morte  immatura  gli  troncò  la  vita 
a'22  aprile  1  1  12,  lasciando  colla  vedova 
che  l'avea  seguito  il  figlio  Pons  di  1 4  an- 
ni, che  succede  soltanto  agli  slati  paterni 
d'oriente  e  alla  contea  di  Tripoli,  ch'era 
uno  de'4  principati  eretti  colà  da'princi- 
pi  cristiani.  Ivi  fissò  la  sua  dimora  e  tra- 
smise questo  possedimento  a'suoi  posteri, 
lasciando  in  tal  guisa  godere  ad  Alfonso 
Giordano  suo  zio  paterno  la  contea  di  To- 
losa e  gli  altri  stati  d'occidente.  Pons  si 
rese  famigerato  per  le  sue  gesta  in  Pale- 
stina, ma  nel  1  1  Z'j  tradito  da'siri  fu  pre- 
so in  un  combattimento  da  lui  dato  sotto 
il  Mont-Pelarin  al  capo  della  milizia  di 
Damasco  che  lo  fece  perire  crudelmente. 
AlfonsoGiordano  nel  1  1  I  2  successe  al  fra- 
tello Bertrando  ne'ducati  di  Nat  bona  e  di 
Tolosa,  e  nel  marchesato  di  Provenza.  Se- 
dotto da'  suoi  istitutori  (com'ebbe  poscia 
a  confessare),  sugli  esordi  del  suo  gover- 
no, ristabilì  nell'abbazieda  lui  dipenden- 
ti gli  abbati  cavalieri  aboliti  da'predeces- 
Sori,  ujossi  dal  pregiudizio  che  li  domina- 
va contro  la  disciplina  regolare.  iNel  1  1  1 4 
Alfonso  fu  spogliato  della  contea  di  To- 
losa da  Guglielmo  il  T'ccchiu  conte  di  Poi- 
liers  e  duca  d'  Aquila  aia ,  che  per  la  2/ 
volta  se  n'impadronì.  Si  ritirò  quindi  in 
Provenza,  e  impotente  di  far  fronte  al  suo 
competitore,  gli  lasciò  godere  l'usurpazio- 
ne; ma  Guglielmo  dopo  la  morte  della 
moglie  Filippa  avendo  abbandonato  To- 
losa neh  1  19,  i  tolosani  scossero  i!  giogo 
del  suo  dominio,  nel  quale  anno  fu  a  fo- 
iosa e  presiedè  al  concilio  Papa  Calisto 


TOL  27 

II,  come  poi  narrerò.  Però  è  rilevante  di 
qui  rimarcare,  che  il  Papa  vi  condannò 
l'eresiarca  Pietro  de  Bruys,  caposetta  dei 
Petro-Brussiani  {I .),  poi  bruciato  in 
Saint-Gilles;  i  quali  eretici  infestando  par- 
te di  Provenza,  si  avanzarono  sino  a  To- 
losa, ove  gii  errori  furono  propagati  dal- 
l'apostata Enrico,  icui  partigiani  ehiatna- 
rousi  Enriciani,  diversi  per  altro  da'con- 
dannati  nel  concilio  di  Quedlìmburgo.  Di 
questi  enriciaui  di  Tolosa,  sebbene  citati 
altrove,  non  credei  di  faine  articolo  per- 
chè l'eremita  o  monaco  di  Tolosa  Enri- 
co come  discepolo  di  Pietro  de  Bruys  in- 
segnò gli  stessi  suoi  errori,  a'qua li  aggiun- 
se ch'era  un  burlarsi  di  Dio  il  cantar  l'uf- 
fizio della  Chiesa.  Enrico  fu  convinto  nel- 
la Linguadoca  dipoi  da  s.  Bernardo  nel 
1  1 4-7»  onde  gli  scrittori  della  sua  vita  ne 
trattano.  Queste  dunque  furono  le  prime 
eresie  che  serpeggiarono  nel  folosano,  le 
qualisuccesse  dall'altre  che  riferirò, furo- 
no cagione  di  deplorabili  e  disastrose  con- 
seguenze per  la  contrada,  e  la  causa  pre- 
cipua della  rovina  de'posseuli conti  di  To- 
losa. I  tolosani  nel  ino  o  sul  principio 
del  1  12  1  si  dichiararono  per  Alfonso  che 
riguardavano  quale  legittimo  principe  ; 
ma  questi  dovendo  sostenere  una  guerra 
in  Provenza  contro  il  conte  di  Barcellona 
alleato  del  duca  d'Aquitania,  nominò  go- 
vernatore di  Tolosa  in  sua  assenza  Ar- 
naldo di  Levezan  vescovo  di  Beziers,  e  i 
tolosani  capitanati  da  questo  prelato  as- 
sediarono nel  1  122  Guglielmo  di  .Mout- 
maurel  nel  castello  Narbottese  di  Tolosa, 
ov'ei  comaudavaa  nome  del  duca,  e  lo  co- 
strinsero a  sgombrare  dalla  piazza;  indi 
in  corpo  d'armata  si  recarono  nel  1  1  23  a 
liberare  il  conte  Alfonso  assediato  in  O- 
range  dal  conte  di  Barcellona,  e  lo  ricon- 
dussero in  trionfoa  Tolosa.  Nel  in!)  Al- 
fonso die  termine.mediante divisione  fat- 
ta a' 1  6  settembre,  alla  guerra  vivissima 
che  avea  per  la  contea  di  Provenza,  con 
Raimonda  Berengario  IH  conte  di  Bar- 
cellona (celebre  per  la  saggezza  del  suo  go- 
verno, per  pietà,  generatila,  e  gesta  con- 


a8  TO  L 

tro  i  mori  di  Spagna  ),  il  quale  gli  cede 
la  città  «li  Beaucaire  colle  sue  dipenden- 
ze, in  uno  alla  metà  d'Avignone  e  a  quel- 
la parte  di  Provenza  che  giace  Ira  rise- 
ro eia  Duratine  il  castellodi  Valpergue. 
Al  conte  di  Barcellona  fu  data  l'altra  por- 
zione d'Avignone,  il  ponte  di  Sorgues  e 
tutta  la  parte  della  Provenza  che  rade  il 
Mediterraneo:  inoltre  i  due  principi  si  fe- 
cero reciprocamente  eredi  l'uno  dell'al- 
tro in  mancanza  di  posterità.  Con  tal  di- 
visione dunque  passarono  ne'conti  di  To- 
losa, col  titolo  di  marchesato  di  Proven- 
za, una  gran  partedelladioetsid'Avigno- 
ne,  il  contado  Venaissiuo  (jpiccolo  paese 
di  Francia  fra  la  Provenza  e  il  Delfi  na- 
to, la  Duranza  e  il  Rodano),  colle  diocesi 
di  Carpenti-asso  sua  capitale,  Cavaillon  e 
\aison,e  le  diocesi  d'Orange,Saint-Paub 
trois-Chateaux,  di  Valenza  e  di  Die.  Nel 
i  i34  Raimondo  Berengario  III  s'impa- 
dronì diNaibona  per  morte  del  visconte 
Aymeri  11,  ma  la  restituì  poi  neh  1 43  al- 
la sua  primogenita  Ermengarde.Nel  i  1 4- ' 
mentre  Alfonso  era  in  Provenza  reduce 
da  un  pellegrinaggio  al  santuario  di  Com- 
poslella,  Luigi  VII  re  di  Francia  entrò 
ostilmente  nella  contea  di  Tolosa  e  ne  as- 
sediò la  capitale,  pe' diritti  che  avea  la 
moglie  Eleonora  qual  nipote  di  Filippa; 
ma  i  tolosani  gli  opposero  vigorosa  resi- 
stenza, onde  poi  Alfonso  testificò  ad  essi  la 
sua  gratitudine  accordando  loro  parecchi 
privilegi.  Neh  i44  Alfonso  fondò  la  cit- 
tà di  Moutauban;  neh  i46  prese  la  cro- 
cecon  altri  principi  nell'assemblea  di  Ve- 
zelai  convocata  da  Luigi  VII,  e  nell'ago- 
sto 1 147  s'imbarcò  sopra  una  flotta  fat- 
ta da  lui  equipaggiare  ove  poi  fu  costrui- 
to il  porto  d'  Aigues-Mortes.   Giunto  a 
Costantinopoli  vi  passò  l'inverno,  e  nel- 
la primavera  i  i48  approdò  al  porto  di 
Tolemaide  e  morì  poco  dopo  neh'  apri- 
le pel  veleno  che  gli  die  nella  cena  la  pri- 
ma sera  che  giunse  a  Cesarea,  Melissen- 
de  regina  di  Gerusalemme, onde  fu  il  4- 
conte  di  Tolosa  morto  in  Terra  Santa.  La- 
sciò tra  gli  altri,  due  figli,  Uuimoudo  V 


TOL 

che  gli  successe,  e  Alfonso  II.  Entrambi 
si  qualificarono  egualmente  per  conti  di 
Tolosa,  duchi  di  Narbona  e  marchesi  di 
Provenza,  dignità  che  possederono  in  co- 
mune cogli  altri   loro  domestici  possedi- 
menti: pare  però  che  Raimondo  Vsi  ri- 
servasse l'autorità  principale.  La  sua  or- 
dinaria residenza  fu  a  Tolosa  nella  parte 
occidentale  de'suoi  domimi,  mentre  Al- 
fonso II  si  stabilì  nell'orientale  e  ne'din- 
torni  del  Rodano.  Così  voleva  l'estensio- 
ne de'loro  stati  perchè  potessero  reggerli 
più  facilmente,  giacché  essi  comprende- 
vano, come  ho  detto,  oltre  il  dominio  di- 
retto e  utile  di  tulli  i  paesi  rinchiusi  nel- 
la provincia  ecclesiastica  di  Tolosa,  i.° le 
contee  particolari  d'Albigese,  di  Quercye 
di  Rouergue,  colla  signoria  feudale  di  Car- 
cassez  e  del  Razes;  2.°  il  ducalo  di  Nar- 
bona; 3.°  le  contee  particolari  di  Lingua- 
doca,  tra  cui  quelle  di  Narbona, di  Nimes 
e  di  Saint-Gilles;  4-°  il  marchesato  di  Pro- 
venza che  dominava  su  tutta  la  regione 
situata  tra  il  Rodano,  l'Isero,  l'Alpi  e  la 
Duranza.  Nel  i  1 53  Raimondo  V  dichia- 
rò guerra  a  Raimondo  Trencavel  viscon- 
te di  Carcassona,  per  aver  riconosciuto  a 
pregiudizio  di  lui  la  signoria  feudale  del 
conte  di  Barcellona,  e  presolo  in  battaglia 
lo  fece  trar  prigione  a  Tolosa.  Nel  1 154 
egli  sposò  Costanza  sorella  del  re  Luigi 
Vii,  la  quale  comechè  vedova  d'Eusta- 
chio conte  di  Boulogne  e  figlio  di  Stefa- 
no re  d'Inghiltera,  ch'era  slato  coronato 
re  d'Inghilterra  vivente  il  padre,  portò  il 
titolo  di  regina.  Nel  i  i5g  Enrico  II   re 
d'Inghilterra  ridomandò  a  Raimondo  V 
la  contea  di  Tolosa,  sullo  stesso  principio, 
perquanto  sembra,  concili  Luigi  VII  l'u- 
vea rivendicata  nel  i  i  \.i  .  cioè  a  dire  in 
nome  della  moglie  Eleonora  quale  nipo- 
te di  Guglielmo  IV  conte  di  Tolosa  dal 
lato  di  sua  madre  Filippa,  unica  figlia  di 
quel  principe,  il  quale  ad  essa  unica  erede 
preferì  il  proprio  fratello  Raimondo  IV; 
il  che  avendo  ricusato  il  conte,  si  accinse 
il  re  a  farsi  giustizia  colla  via  dell'armi,  a- 
iulalo  da  diversi  alleali, fra'quali  il  conte  di 


TOL 

Barcellona  e  il  signorediMontpellier.Tut- 
to  cedette  innanzi  il  formidabile  esercito 
d'Enrico  II  sino  alle  porte  di  Tolosa  fatta 
da  lui  investire.  Luigi  VII. i  cui  interessi 
aveano  mutato  d'aspetto  dopo  il  suo  di- 
vorzio con  Eleonora,  corse  in  aiuto  di  Rai- 
mondo V  di  lui  vassallo  e  cognato,  ruppe 
l'armata  nemica  e  si  trovò  in  Tolosa  pri- 
ma che  gl'inglesi  avessero  saputo  ch'egli 
armavate  fatta  eseguire  una  di  versionesul- 
la  Normandia,  obbligò  il  re  d'Inghilterra 
ad  abbandonar  l'impresa,  levando  l'asse- 
dio di  Tolosa,  ma  prese  nel  ritirarsi  Ca- 
liors  con  diversi  castelli  della  contea  di  To- 
losa, lasciando  a  Tommaso  Becquet  suo 
cancelliere  la  cura  di  continuar  la  guerra, 
indi  segui  la  pace.  Ricominciata  nel  i  i  64 
la  guerra,  ebbe  termine  con  altra  pace  nel 
1169.  Intanto  Raimondo  V  sedotto  nel 
1 165  dall'imperatore  Federico  I,  perse- 
cutore della  Chiesa  e  di  Papa  Alessandro 
III,  per  seguire  lo  scismatico  partito  del- 
l'antipapa Pasquale  III,  ordinò  a  tutti  gli 
ecclesiastici  di  riconoscerlo  o  altrimenti  di 
uscire  da' suoi  stati.  Alessandro  III  dopo 
avere  inutilmente  tentato  di  riguadagnar- 
lo, gettò  l'iutei  detto  sulle  sue  terre,  la  cui 
grave  pena  ecclesiastica  sussisteva  ancora 
neh  i68,come  prova  la  lettera  de'  in  mar- 
zo di  quel  Papa  a'tolosani,  colla  quale  li 
assolse  a  istanza  del  redi  Francia  che  non 
avea  presa  parte  alloscisma.  Raimoudo  V 
trattava  assai  male  la  sua  sposa  Costanza, 
la  quale  stanca  del  suo  procedere  lo  ab- 
bandonò ueli  i6j  e  si  ritirò  alla  corte  del 
re  fratello:  il  conte  la  ripudiò  nel  1  1 66  per 
sposare  Richilde  vedova  del  conledi  Pro- 
venza. Tanto  il  divorzio,  che  le  nuove  noz- 
ze furono  appio  va  teda  d'antipapa  Pasqua- 
le III,  di  cui  continuava  a  seguir  le  parti. 
Nel  1173  il  conte  si  pacificò  col  re  d'Inghil- 
terra, il  quale  gli  guarentì  la  proprietà  del- 
la contea  di  Tolosa,  a  condizione  di  rico- 
uusceilo,  come  duca  d'Aquitania,  per  suo 
signore  feudale,  salva  peiò  la  fedeltà  da 
lui  dovuta  a  Luigi  VII  redi  Francia:  ma 
questo  vassallaggio  non  ebhe  lunga  dura- 
ta. Kcln  74  Raimoudo  V  abbandonò  il 


%0  L  29 

partito  dell'antipapa  Calisto  IH,  successo- 
re  di  Pasquale  1 1 1.  per  rientrare  sotto  l'ub- 
bidienza d'Alessandro  I  Il.il  quale  procurò 
invano  d'indurlo  a  ripigliarsi  Costanza.  Ai 
18  febbraio  1  176  il  conte  con  Alfonso  II 
re  d'Aragona  cou  gran  seguito  di  signori 
si  recarono  all'isola  di  Gemica  tra  Beau- 
caire  e  Tarascona,  e  fecero  una  convenzio- 
ne, colla  quale  Raimoudo  V  cede  al  re  i 
suoi  diritti  sulla  contea  d'Arles  o  di  Pro- 
venza mercè  lo  sborso  di  3oro  marchi 
d'argento.  Questa  riconciliazione  fu  cele- 
brata con  gran  festa  a  Deaucaire,ovei  più 
licchi  si  distinsero  con  folli  e  rovinose  spe- 
se. Il  cav.  Bertrando  R.ainibaud  fece  la- 
vorale con  1 1  paia  di  bovi  i  cortili  del  ca- 
stello perseininarvi  3o,ooosoldi.  Gugliel- 
mo Grosde  Mirici,  che  avea  in  sua  com- 
pagnia 3oo  cavalieri  e  ne  avea  10,000  a 
quella  corte,  fece  cuocere  tutte  le  vivan- 
de colla  vampa  di  candele  e  torcie.  Rai- 
mondo di  Venoul  per  ostentazione  fece 
bruciar  pubblicamente  3o  de'suoi  caval- 
li. La  prodigalità  più.  lodevole  fu  quella 
di  Raimoudo  d'Agout,  il  quale  ricevuti 
100,000  soldi  dal  conte  di  Tolosa,  li  di- 
stribuì in  parte  eguali  a  100  cavalieri.  L'e- 
resia degli  Albigcsi(ì ''.)  col  favore  delle 
guerre  pressoché  continue  sostenute  sino 
allora  dal  conte  di  Tolosa,  erasi  di  molto 
estesa  ne'  suoi  stati.  Seguendo  gli  errori 
àc  Manichei  e  Valdesi  (/'"•),  con  un  am- 
masso pernicioso  di  quelli  d'altre  ripro- 
vevoli sette,furono  scoperti  inTolosa,  don- 
de cacciali  si  ricoverarono  in  Alby  enei 
suo  territorio,  i  cui  abitanti  chiamandosi 
albigesi,  e  nella  più  parte  restandone  in- 
fetti, l'empia  setta  fu  così  denominata  e 
condannata  nel  concilio  d'Alby del  1  176, 
alla  presenza  di  Raimondo  V,  e  lo  notai 
pure  nel  voi.  Ili,  p.162.  lu  detto  concilio 
Alessandro  111  vi  chiamò  i  più  sapieuti  tra 
gli  eresia rchi a  veuiradesporreedifendere 
le  loro  dottrine,  ed  essi  l'esposero  alia  pre- 
senza di  molli  baroni  che  gli  accompagna* 
vano;  ma  benché  fissero  chiarite  erronee 
e  condannate  da'vescovi  e  dagli  alti  i  eccle- 
siastici pieseuli,  non  lasciarono  per  que- 


3o  T  O  L 

slo  di  vantarsi  d'aver  essi  soli  la  chiave 
del  vero,  mentre  erano  del  tutto  imbe\  li- 
ti dell'empia  eresia.  Raimondo  V  deside- 
rando d'estinguerla,  scrisse  nel  settembre 
i  177  al  capitolo  generale  de' Ci s lercie usi 
(inchiedendo  missionari  capaci  di  secon- 
dale il  suo  zelo.  Alessandro  HI, al  quale 
pure  erasi  rivolto,  spedi  sul  luogo  per  le- 
gato il  cardinal  Pietro  vescovo  di  Meaux, 
forse  della  famiglia  Dandini,  il  quale  as- 
sociatisi que'prelati  che  nominai  nella  bio- 
grafia, in  principio  operò  con  buon  succes- 
so a  far  discredere  i  popoli  sedotti  delTo- 
losanoe  dell'Albigese.  Ma  comparsi  in  To- 
losa il  cardinale  e  l'abbate  de'cistercien- 
si,  per  la  propensione  degli  abitanti  agli 
eretici,  vennero  accolti  con  motteggi  e  in- 
sulti, anche  pubblicamente. L'eresia  quin- 
di, anziché  diminuire,  crebbe  sfrontata- 
mente, e  vieppiù  si  rese  infesta  acattolici 
e  alla  Chiesa  :  i  loro  capi  la  predicavano 
iti  pubblico  e  ponevano  in  opera  tutti  i 
modi  per  fare  proseliti,  i  quali  a  loro  si 
davano  trascinati  dalla  potenza  d'una  nuo- 
va dottrina,  che  lasciava  sbrigliate  le  loro 
passioni,  e  dall'avversione  loro  verso  la 
Chiesa  che  l'infrenava.  Alessandro  III  in- 
darno commise  al  celebre  Alano  di  Lilla, 
il  più  dotto  scrittore  de'suoi  tempi,  di  scri- 
vere contro  di  loro.  Costretto  poco  dopo 
Raimondo  V  a  l'imbrandire  le  armi  con- 
tro il  re  d'Aragona  e  contro  Riccardo  du- 
ca d'Aquitania,  gli  eretici  profittarono  di 
quelle  turbolenze  per  spargere  di  nuovo 
i  loro  errori,  per  cui  il  cardinale  li  fulmi- 
nò con  sentenza  di  scomunica.  Indi  nel 
1179  Alessandro  III  nel  concilio  genera- 
le di  Lolerano  ///condannò  formalmen- 
tegli  eretici  albigesi,  che  poi  si  divisero  in 
Catari,  Gazavi,  Palariui  e  Pubblicani 
(T  .)■  Papa  Lucio  111  invano  spedi  a  To- 
losa il  cardinal  b.  Enrico,  che  neavea  ri- 
cusato il  vescovato,  con  una  scorta  d'ar- 
mati per  ottener  colla  forza  quel  che  non 
si  poten  ottener  colle  parole;  invano  con- 
vocò egli  nuove  assemblee  di  signori  tem- 
perali e  spirituali  del  paese;  nulla  poteva 
arrestare i  progressi  dell'eresia, né  rimuo- 


T  O  L 

vere  il  pericolo  che  alla  Chiesa  sovrastava; 
egualmente  infruttuosa  fu  la  lega  di  pa- 
recchi baroni  con  un  vescovo,  al  fine  di 
opporsi  vigorosamente  a  tanti  fatali  erro- 
ri. Divisala  vasta  regione  in  piccole  e  gran- 
di signorie,  i  settari  trovavano  facilmente 
nitilu,protezionee  talvolta  aderimento  al- 
le loro  dottrine  fallaci,  tranne  gli  stati  del 
conte  di  Montpellier.  Nel  1  182  Raimondo 
V,a  istanza  del  re  d'Inghilterra, portò  soc- 
corsi in  Aquilania  al  duca  Riccardo  suo 
figlio  contro  i  suoi  vassalli  ribellati;  ma 
l'anno  dopo  disgustatosi  collo  stesso  mo- 
narca, die  aiuto  all'altro  suo  figlio  Enrico 
perchè  gli  facesse  guerra.  Nel  1  186  guer- 
reggiò contro  Riccardo,  e  nel  1  188  col- 
legossi  con  diversi  signori  aquilani,  onde 
il  duca  entrato  furiosamente  nel  Quercy 
ridusse  il  conte  agli  estremi,  il  quale  ri- 
voltosi al  re  di  Francia  ,  questi  dichiarò 
guerra  al  duca  e  al  re  suo  padre.  Dopo 
alcune  ostilità  Riccardo  si  riconciliò  col 
re  di  Francia,  rimase  padrone  del  Quer- 
cy, e  per  impedire  che  il  conte  non  glielo 
ritogliesse,  sordamente  gl'istigò  contro  i 
tolosani,  onde  il  conte  occupato  in  repri- 
merli lasciò  il  duca  in  possesso  del  suo  con- 
quisto. Divenuto  Riccardo  re  d'Inghilter- 
ra, essendo  assente  e  infermo  il  siniscalco 
di  Gn Jenna  (che  comprese  quasi  tutta  l'A- 
quitania,  poi  divisa  ne'ducali  di  Gujeiiua 
e  Guascogna,  ili.°diqua  dalla  Carotina, 
il  2.0 di  là  da  tal  fiume),  il  conte  formata 
lega  con  parecchi  signori  del  paese,  die  il 
guasto  alla  Guascogna;  guarito  il  siniscal- 
co piombò  alla  sua  volta  sulla  contea  di 
Tolosa,  avanzandosi  sino  alle  porte  della 
capitale.  Mori  Raimondo  V  nel  1  ig4, do- 
po aver  aumentalo  i  suoidominiicolla  vis- 
contea di  Nimes,  lasciando  di  Costanza 
3  figli  e  una  figlia,  cioè  Raimondo  VI  il 
/  ecchto  che  gli  successe  in  tutti  i  suoi  pos- 
sedimenti, Balduino,  Alberico  Tagliafer- 
ro che  sposò  Beatrice  Delfina  di  Vienna, 
per  cui  si  qualificò  conte  di  Viennese  e 
d'Albon,e  Adelaide  moglie  di  Roggero  li 
conte  di  Carcassona.  La  corte  di  Raimon- 
do V  passò  per  una  fra  le  più  splendide 


TOL 
d'Europa;  bellissime  dame,  briosi  cavalie- 
rini trovatori  (de'fjitali  riparlai  aTEATRo) 

10  celebravano,  facendosi  di  tulio  l'anno 
una  festa  continua. Sebbene  egli  pose  ogni 
cura  e  severità  contro  gli  eretici  e  chiamò 
i  cisterciensi  per  convertirli,  vide  con  pe- 
na che  il  figlio  passò  gran  parte  di  sua 
giovinezza  in  loro  compagnia,  onde  nedi- 
venne  costante  protettore,  regalando  100 
mai  chi  d'argento  a  quel  cavaliere  che  a- 
postatava,  per  meglio  propagare  la  setta. 

Raimondo  VI  a'6  gennaio r  ig5  prese 
possesso  della  città  e  contea  di  Tolosa,  nel- 
l'età di  38  anni.  Egli  era  già  stato  mari- 
tato 3  volle:  con  Ermessiude  erede  della 
contea  di  Melgueil ,  con  Beatrice  di  Re- 
ziers  che  ripudiò  per  sposare  Borgogna 
figlia  d'Amami  o  Amalrico  re  di  Cipro, 
alla  quale  fece  lo  stesso  affronto.  Egli  l'a- 
vea  rapita  a  Marsiglia,  ov'era  stata  con- 
dotta per  passare  in  Fiandra  a  sposare  il 
conte  Baldovino  IX.  Duiava  ancora  la 
guerra  dichiarata  al  padre  da  Riccardore 
d'Inghilterra,»)!  qualesi  pacificò  nel  i  ig6 
per  avere  rinunziato  alle  sue  pretensio- 
ni sulla  contea  di  Tolosa  e  restituito  il 
Queicy;  di  più  il  re  die  al  conte  in  isposa 
la  sorella  Giovanna  vedova  di  Guglielmo 

11  re  di  Sicilia,  assegnandole  in  dote  l'A- 
genese.  Kel  i  198  Raimondo  VI  si  collegò 
col  cognato,  contro  Filippo  li  Angusto 
re  di  Francia;  perde  la  moglie  Giovanna 
e  poi  sposò  Eleonora  sorella  di  Pietro  II 
re  d'Aragona,  col  quale  nel  1  204  fece  un 
trattato.,  cioè  ricevè  le  viscontee  di  Mil- 
haud  e  Gevaudau  in  cauzione  di  3ooo 
marchi  d'argento.  In  principio  del  regno 
Raimondo  VI  dissimulò  la  sua  grande  in- 
clinazione all'eresia,  ma  la  sua  divozio- 
ne alla  Chiesa  fu  sempre  dubbiosissima;  le 
violenze  commesse  a  danno  dell'abbazia 
di  s.  Gilies  o  Egidio,  la  prigionia  fatta  pa- 
tire all'abbate  di  Montaubau,  provoca- 
rono su  di  lui  la  scomunica  di  Celestino 
III,  da  cui  fu  assolto  poi  da  Inoocenzo  III. 
Egli  prezzolava  cerretani  e  buffoni,  per 
porre  in  derisione  i  preti  mentre  uflìzia- 
vano.  Tolosa  sotto  di  lui  era  divenuta  or- 


TOL  3 1 

mai  il  principal  ricetto  dell'eiesia,  poiché 
le  grandi  franchigie  che  godeva  la  città  più 
contribuivano  n  render  gli  abitanti  meno 
ubbidienti  a'decreti  della  Chiesa.  Il  conte 
poidavaili.  esempio  d'irriverenza  verso 
il  vescovo  Foulques  o  Folco,  si  poca  si- 
curtà concedendogli,  che  ogni  volta  che 
avea  da  visitar  parrocchie  era  necessitato 
a  domandar  una  guardia  al  signore  del 
Iuogo,e dimorava  nell'episcopiocomeuna 
città  nemica.  Altri  protettori  d'eretici  e- 
rano  Raimondo  Ruggiero  visconte  di  Re- 
ziers  e  signore  di  Carcassona;  Gastone  VI 
visconte  di  Rearn;  Rernardo  lVcoutedi 
Commi nges  nemico  de  vescovi  di  Conse- 
rans;  Raimondo  Ruggiero  conte  di  Foix, 
giurato  nemico  d'ogni  difensordclla  Chie- 
sa ,e  collegato  operosissimo  del  con  te  d  «To- 
losa; finalmente  Geroldo  IV  conte  d'Ar- 
magnaCjche  dal  padre  avea  ereditato  l'o- 
dio contro  l'arcivescovo  d'Auch,  spoglia- 
loredelle  chiese  e  confiscatole  desimi  be- 
ni. L'eresia  trovò  pure  patrocinio  in  Ber- 
linghieri  arcivescovo  di  Narbona  e  vesco- 
vo di  Lerida,  bastardo  del  conte  di  Rar- 
cellona;  indegno  pastore,  solo  intento  ad 
a  m  massai- tesori,e  a  coni  mettere  enormez- 
ze  simoniache. Inoltre  la  propagazionedel- 
l'eresia  debbesi  pure  attribuire  alla  volu- 
bile natura  degli  abitanti  di  que'p<iesi,ove 
qual  idra  si  distese;  al  dispregio  de'grandi 
inche  tenevano  gli  ecclesiastici,  agognan- 
done le  ricchezze;  alla  folla  de'trovatori, 
che  frequentando  le  corti  di  Provenza,  di 
castello  in  castello  rallegrando  i  signori  e 
.  le  brigate  con  narrare  scandalose  novelle 
sui  vescovi,sui  frati. sulle  monache,e scher- 
zando sulle  cose  sagre;  ed  in  generale  la 
vita  licenziosa  d'alcuni  ecclesiastici,  la  tra- 
scuranza  degli  uffizi  divini,  la  noncuran- 
za delle  chiese  che  si  lasciavano  cadere  e 
poi  convertite  in  fortezze. Continua  va  a  fi- 
re  rapidi  e  lagrimevoli  progressi  in  Lin- 
guadoca  l'eresia  degli  albigesi,  a  malgra- 
do lo  zelode'missionari  ch'eransi  recati  a 
combatterli.  Papa  Innocenzo  IH[l  *.)  di 
allo  intendimento,  per  riparare  alle  fu- 
neste conseguenze  di  tanto  male,  prese  il 


32  T  O  L 

partito  d'inviar  legati  sui  luoghi  con  or- 
dine eli  reclamare  il  braccio  secolare,  per 
sk-rminar  coloro  che  non  potessero  colla 
persuasione  ricondursi  alla  vera  fede,  e 
se  i  signori  ricusassero  il  soccorso  della 
spada,  dovessero  scomunicarsi.  Il  conte 
Raimondo  YI,  infetto  d'eresia  sino  da  fan- 
ciullojSi  oppose  a  lalespedieii(e,nè  si  credè 
in  obbligo  di  contribuire  in  certo  modo 
quasi  alla  distruzione  di  partede'suoi  sud- 
diti, perchè  non  rinunciavano  all'errore. 
Nondimeno  le  minacce  de'pontificii  legali 
Rauleo  Rodolfo, e s. Pietro  diCastelnau  o 
Castelnuovo  abbate  cisterciense  di  Monte- 
freddo  oFontefredda, l'indussero  nel  1 2o5 
a  promettere  con  giuramento  di  cacciare 
da  Tolosa  e  da'suoi  domimi,  pel  mante- 
nimento della  purità  della  fede,gli  eretici  e 
pei  vicaci,  onde  evitare  funestissime  conse- 
guenze politiche  e  religiose.  L'infaticabile 
Pietro  di  Castelnau  trasferitosi  al  di  là  del 
Rodano  per  riconciliare  i  discordi  del  pae- 
se, riuscì  nel  1207  a  far  tra  essi  conclu- 
dere un  trattato  di  pace,  e  ciò  colla  mi- 
ra di  unire  le  loro  forze  contro  gli  ereti- 
ci; ma  quando  fu  recato  a  Raimondo  VI 
il  trattalo,  quale  pertinace  protettoredeb 
l'eresia,  di  costumi  e  azioni  indegne,  pie- 
no di  vizi  e  bestemmiatore,  ricusò  all'alto 
di  sottoscriverlo.  Il  zelante  legato  dopo  a- 
verlo  inutilmente  ammonitogli  minacciò 
le  censure  ecclesiastiche,  e  poi  per  la  2.° 
volta  lo  scomunicò;  quindi  il  Papa  gra- 
vemente gli  scrisse,  perchè  si  sottomet- 
tesse; il  conte  lo  finse  e  firmò  la  conven- 
zione. Volendosi  poi  vendicare  di  Pietro, 
ne  ordinò  a  tradimento  l'uccisione.  A' 16 
gennaio  1208  mentre  Pietro  dopo  a  ver  ce- 
lebralo la  messa  era  per  imbarcarsi  sul 
Rodano,  fu  assassinato  crudelmente  d'or- 
dine di  Raimondo  Yl  da  due  suoi  vassalli 
sconosciuti  colla  lancia  tra  le  coste  (e  l'uc- 
cisore riparò  poi  a  Beaucaire  per  toglie- 
re al  suo  signore  la  possibilità  di  punirlo, 
e  per  sgravarlo  da  ogni  sospetto  dicom- 
plicità). Rivolto  Pietro  lo  sguardo  al  si- 
cario, imitando  Gesù  Cristo  e  s.  Stefano, 
gli  disse:  Dio  li  perdoni,  che  io  li  perdo* 


TOL 

no,  replicando  più  volte  queste  parole  di 
pietà  e  di  pazienza  eroica.  Così  trafitto, 
dimenticò  l'acerbità  della  ferita  per  la  spe- 
ranza delle  cose  celesti;  ordinate  le  cose 
della  pace  e  della  fede  a'suoi  compagni, 
tra  divote  e  continue  orazioni ,  si  addor- 
mentò nel  Signore  coronalo  del  martirio. 
In  molti  luoghi  lo  celebrai,  fra'quali  nel 
vol.XXXVl,  p.  43, dicendo  pure  del  suo 
culto,  ed  avvertendo  che  non  devesi  con- 
fondere con  s.  l}ictro( 'V.)  martiredell'in- 
quisizione  e  domenicano;  ma  ad  onta  di 
questo,  ora  mi  avvidi  che  nel  voi.  XVI,  p. 
221,  colonna  i.*,  essendosi  sturbata  la 
stainpa,dopo  la  linea  3 5,  precisamente  do- 
po la  parola  apostolico,  fu  ommesso:  tritr 
cidato  nel  1 208  ,  diverso  da  s.  Pietro  da 
Verona domenicano,anch'esso  dipoi  mar- 
tirizzato (non  però  nel  1 25 1  come  ivi  è  det- 
to, ma  nel  1252).  11  sagro  suo  corpo  fu 
deposto  nel  chiostro  dell'abbazia  di  Saint- 
Gilles;  trasportato  in  chiesa  dopo  lungo 
tempo  fu  trovato  incorrotto,  e  dal  suo  cor- 
po uscì  mirabile  fragranza.  Indi  fu  og- 
getto della  tenera  divozione  de'fedeli, co- 
me quello  che  avea  predetto  non  poter 
trionfare  la  causa  di  Cristo  nella  contra- 
da, finché  uno  de'suoi  predicatori  non  sa- 
grificasse  la  vita  per  la  sua  fede,  auguran- 
dosi d'esser  egli  la  [.'vittima  del  persecu- 
tore. Ma  neh  562  le  sue  reliquie  furono 
da'fanatici  eretici  ugonotti  date  in  preda 
alle  fiamme.  Deve  notarsi,  che  Innocenzo 
III  non  solo  a'eisterciensi,  ma  anche  a  s. 
Domenico  e  a'frati  Predicatori  (/^.)  da 
lui  istituiti  affidò  la  predicazione  per  la 
conversione  degli  eretici;  il  Papa  in  To- 
losa istituì  ih.°  tribunale  della  s.  Inani- 
zione (P-),  vale  a  dire  meglio  e  formal- 
mente stabilì  la  preesistente  inquisizione, 
ed  ivi  dissi  chi  furono  i  primi  inquisitori, 
e  che  s.  Domenicofu  un  portento  cogl'in- 
felici  albigesi  onde  convertirli,  essendo  co- 
sa contesa  se  fu  veramente  inquisitore,  il 
che  rimarcai  ancora  nel  voi.  XVI,p.  22  r. 
Udita  Innocenzo  111  la  barbara  uccisio- 
ne di  s.  Pietro  di  Castelnuovo,  adirato  di 
giusto  sdeguo  per  tale  delitto,  scrisse  lei- 


TO  L 

fere  pressa n li ssi me  a'vescovi,  n'conti  e  a' 
l>nroni  della  contrada  e  Francia  meridio- 
nale, esortandoli  a  prender  l'armi  contro 
l'eretico  e  crudele  Raimondo  VI,  a  nuo- 
vamentescomunicarlo,  e  ad  impadronirsi 
de'suoi  stati;  gli  esorlò  alla  predicazione, 
a  fecondar  con  essa  le  sementi  della  fede, 
a  scomunicar  eziandio  tutti  i  complici  del- 
l'assassinio, a  por  l'interdetto  in  tutti  i  luo- 
ghi ove  si  trovassero,  a  sciogliere  i  sudditi 
del  conte  dal  giuramento  d'  ubbidienza 
verso  di  lui;  chiunque  professasse  la  cat- 
tolica religione,  poter  non  solo  persegui- 
tar la  persona  sua,  ma  eziandio  impadro- 
nirsi delle  sue  terre,  tanto  più  all'  uopo 
di  purgarle  dall'eresia.  Che  se  nondime- 
no Raimondo  VI  consentisse  a  dar  sod- 
disfazione.dovessero  eglino. per  prima  pro- 
va del  suo  pentimento,  esiger  la  cacciata 
degli  eretici  da'suoi  stati.  Del  medesimo 
tenore  Innocenzo  III  scrisse  al  re  di  Fran- 
cia Filippo  II  Augusto,  perchè  sorgesse 
qual  soldato  di  Cristo  e  principe  cristia- 
nissimo in  aiuto  della  Chiesa  a  combatte- 
re con  poderosa  mano  contro  gli  eretici 
pe™iori  ancora  de'saraceui.  Il  eh.  Ilur- 
terche  nella  bella  Storia  d' LinocenzoIII, 
fa  pur  quella  degli  albigesi  del  suo  tempo 
(ed  io  nella  biografia  di  quel  Papa  in  più. 
luoghi  lumeggiai  quanto  energicamente 
fece  per  estirparli,  cioè  nel  voi.  XXXV, 
e  segnatamente  a  p.  273,  ij5,  277,  280, 
285,  oltre  gli  altri  luoghi  qui  citati  ),  e 
quanto  alla  lettera  del  Papa  al  redi  Fran- 
cia, dice  eh  e  noto  il  giudizio  recato  su  di 
essa,  ma  non  tanto  nota  all'incontro  è  l'o- 
pera del  tollerante  Beza  ginevrino  intito- 
lata: De  haereticis  a  magìslra  tu  civili pu- 
niendis.  Cosi  pure,  egli  aggiunge,  igno- 
rasi da 'pia  che  Calvino  suo  maestro,  nel 
suo  libro  contro  Servet,  stabilisce  questa 
tesi:  Jure  gladii  eoerecndos  esse  haere- 
.  Di  più  Innocenzo  HI  fece  bandir  la 
crociata  contro  gli  eretici  albigesi;  perciò 
gran  numero  di  signori  e  altri  fedeli  si 
consagrarono  a  tale  spedizione  e  guerra  di 
religione,  anche  per  le  indulgenze,  privi- 
legi ed  esenzioni  loro  accordate.  Ognuno 
voi.  LXXVII. 


TO  L  33 

stimava  di  rendersi  per  sempre  ricordevo- 
le nella  memoria  degli  uomini  morendo 
nella  spedizione.!  novelli croecsignati por- 
tavano la  croce  rossa  sul  petto,  per  distin- 
guersi da  quelli  di  Terra  Santa  che  l'avea- 
no  sulla  spalla,  e  moltissimi  oltre  le  armi 
portavano  un  bordone  a  significare  che 
quella  spedizione  era  un  pellegrinaggio  sa- 
gro, gloriandosi  di  rendere  questo  servi- 
gio alla  fede  cattolica.  Qui  noterò  che  poi 
fu  istituita  in  Tolosa  una  milizia  cristia- 
na o  ordiue  equestre  per  la  difesa  della  fe- 
de cattolica,  sotto  l'invocazione  di  s.  Pie- 
troMartire.di.<:.  Domenico  e  di  Gesù  Cri- 
sto (Tr.)>  il  quale  in  seguito  variò  secon- 
do i  luoghi  nell'insegne  e  nel  nome.  Verso 
il  tempo  stesso  il  Papa  mandò  istruzioni 
a'nuovi  legati  da  lui  eletti  in  sostituzione 
del  martirizzato  s.  Pietro  di  Castelnuovo. 
Erano  essi  i  vescovi  di  Riez,di  Conserans, 
e  l'abbate  de'  cisterciensi,  a'  quali  si  uni 
Tedisioo  Teodisio  canonico  di  Genova,  e 
Milone  protonotaro  apostolico  col  titolo 
di  legato  a  Intere.  Questi  nel  1209  citò 
Raimondo  VI  al  suo  tribunale  e  consiglio 
in  Valenza,  ove  per  timore  della  crociata 
contro  di  lui  promulgata,  accettò  le  con- 
dizioni impostegli  dal  prelato,  per  otte- 
nere l'assoluzione  della  mortedi  s.  Pietro 
e  de'suoi  reali,  dando  per  malleveria  alla 
s.  Sede 8  castelli,  3  de'quali  erano  del  con- 
tado Venaissino.  Tratto  a  Saint-Gilles,  fu 
obbligato  a'  18  giugno  presentarsi  scal- 
zo e  con  calzoni  di  tela  nel  vestibolo  della 
chiesa  davanti  un  altare  portatile  o v'era 
esposto  il  ss.  Sagramento,  la  ss.  Croce,  le 
reliquie  de'santiegli  Evangeli.  Milonese- 
guito  da  3  arcivescovi  eiq  vescovi,  std cor- 
po di  Cristo  e  sulle  reliquie  de'  santi  gli 
fece  rinnovare  il  giuramento  d'ubbidire 
agli  ordini  del  Papa  e  de'legati  sui  1  5 ar- 
ticoli che  gli  aveano  tratta  addosso  la  sco- 
munica. Poscia  il  legato  postagli  al  collo 
una  stola  l'introdusse  nella  chiesa  percuo- 
tendolo sulle  spalle  nudate  con  verghe, 
indi  gli  die  l'assoluzione  in  mezzo  a  una 
folla  immensa  di  popolo.  Per  cui  mezzo 
nudo  dovè  passare  innanzi  al  sepolcro  di 


34  TO  L 

s.  Pietro,  e  fu  costretto  fi  fare  riverenza  a 
colui  morto  che  avea  odiato  vivo.  A'  22 
dello  stesso  mese  il  conte  temendo  d'es- 
sere oppresso  da'erociati,  che  si  avanza- 
vano ardenti  d'entusiasmo  religioso,  prese 
egli  slesso  la  croce  e  si  unì  seco  loro  per 
far  guerra  agli  ostinati  eretici  alhigesi  suoi 
sudditi.  Intanto  il  legato  di  Francia  car- 
dinal Bicchieri  rivolse  le  sue  cure  agli  al- 
bigesi,  al  ravvedimento  cle'quali  si  appli- 
cò con  7  ahhati  e  5  monaci  cisterciensi, 
uomini  lutti  per  santità  e  dottrina  chia- 
rissimi; ma  non  giovando  uè  la  dolcezza, 
né  la  mansuetudine,  né  le  soavi  maniere, 
si  determinò  il  cardinale  di   raccogliere 
un  esercito  di  crociati  sotto  l' insegne  del 
prode  conte  Simone  di  Monfort,  e  nel  de- 
clinar di  luglio  espugnata  Bezieis,  disfe- 
ce l'esercito  eretico  colla  strage  di  1 2,000 
alhigesi,  per  la  quale  insigne  vittoria  ri- 
mase la  fazione  eretica  notabilmente  in- 
debolita. Altri  dissero  che  nella  presa  d'as- 
sallo  di  Bezieis  furono  passati  a  fil  di  spa- 
da 10,000  nemici;  altri  con  enorme  esa- 
gerazione dissero  massacrale  3o,ooo  per- 
sone. Nel  seguente  agosto  i  crociati  dopo 
di  essersi  impadroniti  di  Carcassona  e  di 
100  altre  piazze,  invocato  il  lume  dello 
Spirito  santo,  scelsero  a  capo  supremo  Si- 
mone di  Monfort,  atteso  il  rifiuto  del  le- 
gato abbate  de'cislerciensi  Arnaldo,  e  di- 
cesi ancora  del  duca  di  Borgogna  Otto- 
ne, e  de'conli  di  Nivers  Pietro  de  Cour- 
tenay,e  di  s.  Paul  cugino  del  re  di  Fran- 
cia; ma  il  tuono  imperioso  che  quel  ge- 
nerale prese  col  conte  di  Tolosa,  e  l'am- 
bizione che  trapelava  nella  sua  condotta, 
secondo  alcuni,  non  tardarono  a  inimica r- 
locon  Raimondo  VI.  Non  pareche  quan- 
do il  conte  di  Monfort  fu  eletto  genera- 
lissimo de'crocesignatij  i  nominati  non  a- 
vessero  voluto  accettare,  tranne  l'abbate 
cisterciense  Arnaldo.  Temo  che  sia  con- 
fuso l'avvenuto  alla  presa  di  Carcassona, 
nella  quale  il  Monfort  fece  prodigi  di 
valore,  come  sempre.  Espugnata  la  città, 
l'abbate  cisterciense,  convocati  i  capi  del- 
l'esercito, gl'invito  a  eleggere  fra  loro  un 


TOL 

cavalierea  cui  confidare  il  reggimento  del 
paese  conquistato,  e  rivoltosi  al  duca  di 
Borgogna,e  a'eonti  di  Nivers  e  di  s.  Paul, 
tutti  si  rifiutarono;  allora  Arnaldo  indus- 
se Monfort  ad  accettare  l'offerta  virtute 
obedicntiac,e  trovò  pronto  aggradimento, 
per  cui  fu  gridatocontedi  Beziersdi  Car- 
cassona, ed  Innocenzo  III  gliene  die  l'in- 
vestitura, serbando  a  se  i  diritti  di  domi- 
nio supremo.  Raimondo  VI  dopo  la  con- 
quista di  Carcassona  lasciò  l'esercito  cro- 
ciato, e  desiderando  di  strettamente  col- 
legarsi con  Simone  di  Monfort,  patteggiò 
le  nozze  della  propria  figlia  con  un  figlio 
di  lui.  Ma  poco  dopo  d'essersi  restituito  a 
Tolosa,  i  legati  Arnaldo  e  Milone  favoren- 
do giustamente  il  conte  di  Monfort,  il  cori  - 
te  di  Tolosa  si  vide  escluso  dalla  propria 
capitale,  e  ottenuto  poi  il  permesso  d'en- 
trarvi gli  fu  imposto  di  consegnare  tutti 
i  tolosani  sospetti  d'eresia.  Egli  si  ricusò, 
protestando  ohe  sarebbe  andato  in  Roma 
a  lagnarsi  col  Papa  di  tali  ingiuste  vessa- 
zioni, e  ricorso  al  re  di  Francia  e  all'im- 
peratore. Del  suo  avviso  furono  i  tolosani 
e  diversi  signori,  e  dopo  aver  fatto  testa- 
mento a'  20  settembre  Raimondo  VI  si 
recò  a  Parigi  per  depositarlo  negli  archivi 
di  S.Dionigi;  indi  partì  per  Roma  accom- 
pagnato du'deputati  della  città  diTolosa, e 
da  altri  personaggi  distinti  che  fecero  con 
lui  causa  comune.  Quindi  vennero  citati 
dall'abbate  cisterciense  i  consoli  e  abitanti 
di  Tolosa  a  scolparsi  dell'accusa  d'eresia, 
e  poi  li  scomunicò,  sottomettendo  la  città 
alla  pena  dell'interdetto.  Intanto  Simone 
di  Monfort,  continuando  contro  gli  ere- 
tici le  sue  spedizioni,  prese  Mirepoix  prin- 
cipale rifugio  degli  eretici,  Paraiers,  Al- 
bye  altri  luoghi.  Innocenzo  III  lo  felicitò 
de'suoi  conquisti,  e  gliene  confermò  il  pos- 
sesso con  lettera  dell'i  1  novembre. Giunse 
a  Roma  Raimondo  VI  sul  declinar  di  gen- 
naio 12  io,  e  fu  ammesso  all'udienza  del 
Papa,  che  assicuratosi  del  suo  pentimento 
gli  die  l'assoluzione,  e  lo  regalò  d'un  ric- 
co manto  e  d'un  prezioso  anello.  Da  Ro- 
ma passò  alla  corte  dell'imperatore  Ot- 


TO  L 

Ione  IV,  già  divenuto  ingratamente  ne- 
mico della  s.  Sede  che  l'avea  innalzato  al- 
l' impero,  per  implorare  il  suo  soccorso 
contro  le  vessazioni  del  contedi  Monfort; 
ritornato  poi  a  Tolosa, restituita  algrem- 
bo  della  Chiesa,  per  concorrere  alla  guer- 
ra contro  gli  eretici  ,  indi  passò  a  ritro- 
var l'abbate  de' cisterciensi  e  il  generale 
de'crociati,  notificò  lorogli  ordini  del  lJa 
pa  per  essere  ammesso  a  giustificarsi  de' 
delitti  a  lui  imputali.  Malgrado  le  sue  sol- 
lecitudini, ed  essendo  divenuto  peggio  di 
prima,  dal  vescovo  di  Riez  e  da  maestro 
Teodisio  principalmente,  severamente 
non  si  volle  permettergli  di  giustificarsi 
presso  il  concilio  di  s.  Gilles  (/>.)  tenu- 
tosi verso  la  fine  di  settembre,  intorno 
all'accusa  d'eresia  e  d'omicidio  di  s.  Pie- 
tro diCastelnuovo,  come  il  tutto  provato, 
se  prima  non  ubbidiva  al  Papa  nel  cac- 
ciare gli  eretici  e  nel  togliere  le  gabelle; 
il  perchè  fu  di  nuovo  scomunicato,  seu- 
tenza  confermata  nella  conferenza  di  Nar- 
bona.  La  guerra  venne  sempre  più  acqui- 
stando fierezza  e  crudeltà,  com'  è  solito 
di  somiglianti  discordie,  in  cui  si  combat- 
te uomo  contr'uomo  in  ogni  luogo.  Frat- 
tanto i  crociati  progredendo  ne'conquisti 
in  Linguadoca  sui  vassalli  di  Raimondo 
VI,  questi  temendo  pe'suoi  possedimenti, 
per  rafforzare  i  suoi  legami  con  Pietro  II 
re  d'Aragona  di  lui  cognato,  die  in  isposa 
al  suo  primogenito  Raimondo  di  soli  1 4 
«inni,  Sancia  sorella  del  re.  Questo  matri- 
monio diede  ombra  al  conte  di  Monfort, 
dovendo  sua  figlia  sposare  il  figlio  del  re 
d'Aragona,  allorché  fosse  giunto  all'età 
pubere.  11  rancore  che  covava  Raimondo 
VI  contro  Simone  finalmente  scoppiò  nel- 
l'uscirdelia  io,  con  adunare  vari  nemici 
dell'emulo  per  impadronirsi  di  lui;  onde 
quest'ultimo  avvisatone  l'accusò  poi  d'a- 
vergli insidiato  la  vita.  1  legali  d'intelli- 
genza con  Monfort  adunarono  nel  r  1 1  i  in 
Arles  un  concilio,  a  cui  furono  chiamati 
con  invito  il  re  e  con  citazioneilconte. Rai- 
mondo VI  per  ricusare  di  sottoscrivere  le 
dure  coudizioni  volute  per  la  sua  assolti- 


TO  L  35 

zione,  fu  scomunicato,  e  la  sentenza  venne 
confermata  da  InuocenzoIH,  ilquale  non 
bene  informato  ordinò  a'Iegati  d'impos- 
sessarsi della  contea  di  Melgueil  appar- 
tenente a  s.  Pietro,  e  di  custodirla  fino  a 
nuovo  ordine;  poiché  pe'dintli  di  sovra- 
nità che  la  santa  Sede  avea  sulla  contea, 
già  ne  avea  ricevuto  omaggio  dallo  stes- 
so Raimondo  VI,  e  poi  il  vescovo  di  Ma- 
guelone  pagò  per  tal  contado  l'annuo  cen- 
so di  20  marchi  alla  romana  chiesa.  Al- 
lora il  conte  di  Tolosa  vedendosi  attac- 
cato da'erociati,  si  pose  co'confederati  iu 
istato  di  difesa.  Il  Monfort  dopo  essersi 
impadronilo  delle  principali  piazzeappar- 
tenenti  a  Raimondo  Rosero  visconte  di 
Beziers  e  di  Carcassona ,  principale  fau- 
tore degli  eretici,  dopo  aver  terminato  il 
memorando  assedio  di  Lavaur  nell'Albi- 
gese,  nido  di  eretici,  colla  presa  della  for- 
tissima piazza  e  la  strage  degli  abitanti, 
rivolse  le  sue  anni  contro  Raimondo  VI, 
essendo  d'intelligenza  col  zelantee  ottimo 
vescovo  di  Tolosa  Foulques.  Questi  avea 
da  qualche  tempo,  per  opporsi  all'eresia, 
formato  nella  città  una  confraternita  cro- 
ciata colle  ordinarie  indulgenze,  col  no- 
me di  confraternita  bianca.  La  borgata 
dominata  dagli  eretici  gli  oppose  la  con- 
fraternita nera,  e  vi  ebbero  tra  esse  san- 
guinosi combattimenti.  Avendo  il  vesco- 
vo ordinato  a  1 1 a  i . a  ci i  marciare  all'assedio 
di  Lavaur,  vi  si  oppose  il  conte,  ma  non 
fu  ubbidito.  Dipoi  trovandosi  il  vescovo 
imbarazzato  per  far  la  sua  ordinazione  nel 
sabbato  santo,  poiché  i  legati  aveano  po- 
sto l'interdetto  a  tutti  i  luoghi  in  cui  si 
trovasse  Raimondo  VI  scomunicato,man- 
dò  a  pregarlo  d'uscire  in  giorno  assegnato 
dalla  città  sotto  pretesto  di  far  una  pas- 
seggiata. Il  conte  prendendo  questa  pre- 
ghiera per  un  insulto,  gl'intimo  eh'  egli 
stesso  uscisse  immediatamente  da'suoi  sta  - 
ti,  al  che  il  prelato  rispose:  »  Non  fu  già 
altrimenti  il  conte  che  m'abbia  fatto  ve- 
scovo. Io  fui  eletto  secondo  le  leggi  eo:le 
siastiche,  non  intruso  per  violenza  né  per 
di  lui  autorità,  e  quindi  uon  uscirò  mai 


3G  TOL. 

a  motivo  di  lui".  Fou'lqnes  attese  il  conte 
nella  sua  capitale  per  3  settimane,  poi  ne 
uscì  volontario  con  giusto  risentimento. 
Intanto  le  anni  di  Montini  facevano  nel 
Tolosano  estesi  progressi,  ma  ciò  che  più, 
addolorò  il  conte  fu  il  vedersi  abbando- 
nato dal  fratello  Ralduino,  che  unitosi 
alla  crociata  gli  fece  guerra  implacabile. 
Marciando  di  conquista  in  conquista  i  cro- 
cesignati, l'armata  venne fìnalmentea  pre- 
sentarsi davanti  a  Tolosa.  11  vescovo  che 
l'accompagnava,  dichiarò  a'suoi  tolosaui 
veoiressi  assediati  unicamente  perchè  se- 
guivano le  parti  del  conte,  e  perchè  tol- 
leravano ch'egli  dimorasse  tra  loro;  che 
nonsi  farebbe  ad  essi  alcun  male,  ove  vo- 
lessero cacciarlo  co'suoi  partitanti  eretici, 
e  accogliere  per  signore  quello  che  dareb- 
be loro  la  Chiesa;  altrimenti  si  trattereb- 
bero da  eretici  e  fautori  d'eresia.  Essen- 
do state  rigettate  tali  proposizioni,  Foul- 
ques  ordinò  al  preposto  di  sua  cattedrale 
e  a  tulli  gli  ecclesiastici  di  Tolosa  d'uscir 
subilo  di  città.  Tutto  il  clero  ubbidì  e  u- 
scì  a  piedi  nudi  col  ss.  Sagramento;  ma 
uè  questore  la  scomunica  che  fu  lanciata 
su  Ila  città. non  avvantaggiarono  le  cose  del- 
l'assedio. Venuti  i  conti  di  Foix,  di  Com- 
mingesedi  Forcalquier,  altri  fdutorid'e- 
retici ,  a  raggiungere  Raimondo  VI  alla 
testa  de'loro  vassalli,  fecero  con  lui  il  27 
giugno  una  sortita  così  viva  e  micidiale, 
che  obbligarono  3  giorni  dopoMonfort  a 
levar  l'assedio.  Nel  successivo  agosto  Rai- 
mondo VI  rivendicò  parecchi  castelli, e  sul 
finir  di  settembre  assediò  Monfort  in  Ca- 
stelnaudari.A  malgrado  la  superiorità  del 
numero, la  sua  armata  fu  sconfitta  e  posta 
in  fuga  dal  valore  de'  crociati,  ove  pre- 
tendesi  vi  a  vesserò  a  combattere  uno  di  lo- 
ro 3o  nemici, onde  il  comandante  conte  di 
Foix  svergognalo  dovè  ritirarsi  con  mol- 
tissima perdita.  I  legati  in  virtù  delle  pie- 
ne ficoltà  di  cui  erano  investiti,  si  cre- 
derono autorizzati  a  Iraltare  il  conte  di 
Tolosa  come  loro  da\a  il  capriccio  per  le 
altrui  informazioni:  procedere  che  certa- 
mente avrebbe  disapprovato  il  Papa  vii- 


TOL 

filosamente  moderato.Non  dee  recare  per- 
ciò meraviglia  se  Raimondo  VII,  per  le 
violenze  di  Simone  e  de'legati,  dimenti- 
cando l'amorevole  accoglienza  fattagli  da 
Innocenzo  III,  cominciasse  seriamente  a 
diffidar  di  lui,  oltredichè  in  Roma  non  a- 
vea  ninno  che  lo  difendesse.  Il  re  di  Fran- 
cia che  avea  somministralo  un  esercito  di 
i5,ooo  uomini,  si  lagnò  amaramente  per 
lacessionedelleterrediRaimondo  VI  fatta 
da'legati  a  Monfort, con  lesione de'suoi  di- 
ritti come  signore  supremo.  Tuttavolta 
neh 2 12  la  guerra  continuò,  e  lo  stesso 
Luigi  Vili  fìgliodel  redi  Francia  vivente 
prese  con  parecchi  cavalieri  la  croce:  le 
due  parti  stellerò  continuamente  sull'ar- 
mi ,  e  si  dierono  con  alterna  vicenda  di 
date  e  tocche  sconfìtte  agli  assalti  e  alle 
difese.  Molte  castella  furono  prese  e  ripre- 
se, molte  città  espugnate  0  cedute.  Mon- 
fort sottomise  però  la  proviucia  d'  Agen 
e  la  maggior  parte  del  Quercy;  e  da  Ger- 
mania ricevè  nuovi  rinforzi  di  crociati  : 
gli  eretici  ripararono  in  Tolosa  e  inMon- 
tauban.Kel  12  i  3  lnnocenzolll  mosso  dal- 
le preghiere  di  Pietro  II  re  d'Aragona  a 
favore  di  Raimondo  VI ,  sospese  la  cro- 
ciala contro  gli  albigesi.  Il  concilio  di  La- 
s'aur  (V.)  ricusò  d'ammettere  lo  spergiu- 
ro Raimondo  Vìa  giustificarsi,  e  di  resti- 
tuir le  terre  a'eonti  di  Foix  e  Comminges, 
altri  fanatici  protettori  degli  empi  eretici; 
ed  il  re  d'Aragona  ne  appellò  al  Papa  in 
favore  del  conte  suo  cognato,  dimentican- 
do i  benefìzi  ricevuti  da  Innocenzo  III, 
che  peli.0  lo  coronò  re.  Il  re  inviò  i  suoi 
ambasciatori  al  Papa,  supplicandolo  d'as- 
sicurar la  contea  a  Raimondo  VII,  pro- 
mettendo di  tenerlo  alla  sua  corte  a  stil- 
largli le  buone  dottrine  e  di  purgar  da- 
gli eretici  tolta  l'Aragona,  intautochè  il 
padre  Raimoudo  VI  profferiva^  d'espiar 
i  suoi  falli  combattendo  i  nemici  di  Cri- 
sto, dove  più  egli  volesse  in  Palestina  o 
in  Ispagna.  Innocenzo  111  uditi  gli  amba- 
sciatori,si  lagnò  co'legntiedipiù  conMon- 
forl,  rimproverandolo  d'aver  convertilo 
l'armi  contro  gli  eretici  anche  a  danno  dei 


TO  L 

fedeli,  versato  sangue  innocente  e  occu- 
pato proviucie  non  infette  d'eresia,  di  più 
molestato  i  sudditi  aragonesi, e  dover  fa- 
re omaggio  a  Pietro  II  per  l'investitura 
di  Carcassona.  Tutto  questo  prova  l'im- 
parzialità  e  la  giustizia  d'I  nnocenzoIII,non 
ostante  la  soddisfazione  che  provava  in 
vedere  estirpata  l'eresia  e  per  le  testimo- 
nianze che  ricevea  di  rispetto  e  divozio- 
ne di  Montb/1  verso  la  Chiesa.  Laonde  se 
questa  lunga  guerra  fu  piena  di  lagrime- 
voli  eccessi,  non  è  a  darne  la  colpa  a  In- 
nocenzo III,  il  quale  non  potea  aver  l'oc- 
chio in  ogni  parte,  e  per  moltissime  cose 
dovea  stare  alle  relazioni  di  persone  che 
non  sempre  corrispondevano  alla  sua  con- 
fidenza. Ma  il  concilio  di  Lavaur  chiarì 
bene  in  tutto  il  Papa,  tanto  contro  il  conte 
Raimondo  VI,  che  contro  il  re  Pietro  II 
divenuto  apostata,  per  cui  Innocenzo  III 
dichiarò  essere  stato  male  informato  dal 
re;  indi  i  vescovi  pronunziarono  la  sco- 
munica contro  i  conti  fautori  degli  eretici 
e  il  re  loro  capo.  Si  ripresero  l'armi  d'am- 
bo le  parti,  ed  il  re  co'tre  conti  assedia- 
rono a' io  settembre  IMuret,  piccola  città 
nella  contea  di  Comminges.  Simone  di 
Moufort  corse  in  aiuto  della  piazza,  e  a' 12 
si  venue  alle  mani,  dopo  aver  più  volte 
inutilmente  tentato  di  pacificarsi  col  re, 
e  di  venire  ad  un  accordo.  Il  re  d'  Ara- 
gona fu  ucciso  nell'azione,  e  gli  altri  capi 
dell'armata,  presi  dallo  spavento,  abban- 
donarono a'crociati  il  campo  di  battaglia, 
avendo  perduto  circa  20,000  uomini, 
mentre  Simone  non  perde  che  un  solo  ca- 
valiere e  altri  8  crociati,  considerati  mar- 
tiri della  fede,comealtri  crociali. Per  quan- 
to gli  storici  ligi  agli  eretici  abbiano  vo- 
luto nascondere  il  mirabile  ardore  e  zelo 
religioso  che  animavano  i  crociatije  la  par- 
ticolare evidente  protezione  divina, per  la 
quale  riportarono  prodigiose  vittorie,non- 
dimeno  questo  si  apprende  da  altri  scrit- 
tori imparziali.  Nel  voi.  XX.XV,  p.  28/1., 
narrando  la  battaglia  di  Muret,  rimarcai 
la  [lieta  del  conte  di  Monfort.  Raimondo 
VI  prese  il  partito  di  ritirarsi  alla  corte 


T  O  L  37 

del  cognato  Giovanui  re  d' Inghilterra, 
già  scomunicato  per  lesueabbomiuevoli 
iniquità  da  Innocenzo  III,  donde  ripartì 
nel  1  2  1 4-  Al  suo  ritorno  gli  fu  consegnato 
il  fratello  Balduino,  fatto  da  Monfort  si- 
gnore del  Queicy,  ch'era  stato  arrestato 
a  tradimento  dal  sigoore  del  castello  d'Ol- 
me,  e  Raimondo  VI  crudelmente  lo  con- 
dannò a  morte:  il  conte  di  Foix  con  suo 
figlio  Ruggero  Bernardo,  e  Bernardo  ili 
Portelle  ignominiosaraente  facendo  da 
carnefici  eseguirono  essi  stessi  la  senten- 
za, eimpeseroBalduiuo  a  una  noce.  Non- 
dimeno il  fratello  Raimoudo  VI  gli  fece 
poi  dare  onorata  sepoltura  a  Ville  Dieu 
nella  chiesa  de'templari.  Sempre  più  a- 
vanzando  le  armi  crociate,  i  conti  di  To- 
losa, di  Foix  e  di  Comminges,  ed  altri 
signori  confederati,  ridotti  agli  estremi, 
chiesero  grazia  al  legato  cardinal  Colle- 
vaccino  di  Benevento,  e  si  sottomisero  a' 
suoi  ordini  il  18  aprilei2i4;  ma  mentre 
il  cardinale  trattava  cou  que'principi,  sic- 
come l'esperienza  avea  mostrato  di  nou 
fidarsene,Simone  radunò  numeroso  eser- 
cito di  crociati,  e  poi  terminò  l'occupa- 
zione de'dominii  del  contedi  Tolosa.  Nel 
geunaioi2i5  il  concilio  di  Montpellier, 
presieduto  da  detto  cardinale,  deliberò 
sulla  scelta  di  quello  a  cui  dovea  essere  da- 
ta la  città  di  Tolosa,  e  le  altre  piazze  con- 
quistate da'erociati,  e  fu  deciso  che  sareb- 
bero date  al  conte  di  Monfort.  Ma  il  car- 
dinale giudicò  ben  fatto  mandare  a  Ro- 
ma per  averne  l'approvazione  del  Papa. 
Bensì  il  cardinale  spedì  il  vescovo  Foul- 
ques  a  prender  possesso  in  nome  della 
Chiesa  romana,  di  Tolosa  e  del  castello 
Narbouese  che  serviva  al  coute  di  palaz- 
zo; furono  consegnati  la  città  e  i  castelli, 
ed  obbligati  Raimondo  VI,  il  figlio  e  le 
contesse  loro  spose  a  ritirarsi  in  casa  priva- 
la. Innocenzo  III  considerando  che  lo  sco- 
municato e  deposto  Raimoudo  VI  conti- 
nuava a  favorire  gli  eretici,  confermò  il 
decretato  dal  concilio  di  Montpellier  sui 
domimi  da  darsi  al  Monfort, purché  l'ap- 
provasse il  coucilio  generale  che  doyeasi 


38  T  OL 

adunare  a  Roma.  Perciò  scrisse  al  Mon- 
fort alFettuosamente,dicendogli  aver  me- 
ritato la  bt- riedizione  della  Chiesa  e  la  co- 
rona dell'onore,  combattendo  da  soldato 
degno  di  Cristo  per  la  fede  cattolici,  ed 
essersi  fatto  gloriosissimo  per  tutto  il  mon- 
do.Onde  alla  guardia  sua  confidava  il  pae- 
se conquistalo  fino  alla  deliberazione  del 
concilio  generale,  e  concedergli  di  usarne 
l'entrate  ed  esercitarvi  la  suprema  giuris- 
dizione. La  crociata  di  Luigi  Vili  fu  del 
tutto  pacifica,  perchè  giunse  quando  era 
finita  ogni  resistenza,  e  sottomesso  tutto 
il  paese,  ed  in  compagnia  di  Monfort  fe- 
cero il  solenne  ingresso  in  Tolosa.  Si  di- 
ce che  il  vescovo  Folco  proponesse  d'ap- 
piccare il  fuoco  a'4  canti  della  città,  onde 
punirla  de'danni  recati  all'armata  catto- 
lica. Mail  Monfort  di  sentimenti  più  miti 
fu  di  parere  che  solo  si  dovessero  distrug- 
gere le  fortifìcazioni,edi  porre  nel  castello 
un  forte  presidio,  e  fu  fatto.  Intanto  il  con- 
te di  Tolosa,  co'conti  di  Foix  e  di  Com- 
minges,  si  recò  in  Roma,  ove  lo  raggiun- 
se il  figlio  Raimondo  VII,  tutti  mostran- 
dosi disposti  di  rientrare  nel  grembo  del- 
la Chiesa.  Nel  novembre  celebrandosi 
il  concilio  generale  di  Luterano  IV^  vi 
furono  condannati  gli  empi  errori  de- 
gli et  etici  albigesi;  si  dichiarò  che  il  me- 
tropolitano potrebbe  scomunicare  il  si- 
gnore temporale  che  trascura  di  purgar 
la  sua  terra  dagli  eretici,  e  se  non  lo  fa- 
rà, il  Papa  scioglierà  dalgiuramentodi  fe- 
deltà i  sudditi,  ed  esposta  la  terra  alla  con- 
quista de'caltolici, annuendo  a  tal  decreto 
tutti  gli  ambasciatori  de'sovrani  interve- 
nuti al  concilio.  Il  concilio  accordò  acat- 
tolici che  prendevano  la  croce  per  ster- 
minare gli  eretici,  l'indulgenza  di  quelli 
che  vanno  a  Terra  Santa,  e  scomunicò  i 
fautori  degli  eretici.  Raimondo  VI  col  fi- 
glio e  i  detti  conti  si  presentarono  al  con- 
cilio, inginocchiandosi  a'  piedi  del  Papa 
che  li  fece  alzare,  ed  esposero  i  loro  re- 
clami contro  Monfort  e  contro  il  legato, 
reclamando  le  terre  di  cui  erano  stati  spo- 
gliati. Il  vescovo  di  Tolosa  ne  assunse  ca- 


TOL 

lorosamente  la  difesa,  dichiarando  riboc- 
care d'eretici  gli  stati  del  conte,  e  di  aver 
fatto  trucidare  6000  soldati  cattolici  ne' 
dintorni  di  Montjoire.  In  vece  il  contedi 
Foix  rimproverò  il  vescovo  di  aver  sedot- 
to tanta  povera  gente,  e  per  colpa  sua  es- 
sersi Tolosa  presa  e  saccheggiata  ,  colla 
strage  di  1  0,000  abitanti. Ritiratisi,  il  con- 
cilio discutendo  l'aliare,  negò  d'esaudire 
Raimondo  VI,  per  la  ragione,  disse  il  Pa- 
pa, che  la  fede  e  la  pace  non  aveano  mai 
potuto  conservarsi  ne'suoi  paesi,  sebbene 
avea  procurato  di  giovarlo,  e  di  favorire 
specialmente  il  figlio.  Dichiaratosi  escluso 
Raimondo  VI  per  sempre  dalle  sue  terre, 
e  decaduto  da  ogni  diritto  di  sovranità,  as- 
segnandogli per  sostentamento  4°°  mar- 
chi, e  questi  finché  non  facesse  resisten- 
za. Inoltre  fu  lasciato  alla  contessa  sua  mo- 
glie, in  grazia  di  sue  virtù,  il  godimento 
de'suoi  fondi  dotali,  a  condizione  di  go- 
vernar le  sue  terre  secondochè  avrebbe 
ordinalo  la  Chiesa,  per  la  conservazione 
della  pace  e  della  fede.  Al  conte  di  Mon- 
fort furono  aggiudicatiToIosa  e  tutti  i  pae- 
si conquistati  da'crociati, salvi  i  diritti  del- 
la Chiesa  e  delle  persone  cattoliche;  riser- 
vando il  rimanente  al  giovine  Raimondo 
V II,  cioè  tutto  o  in  parte  di  quanto  resta- 
va a  conquistare,  secondochè  ei  meritasse 
come  fosse  uscito  di  pupillo.  II  conte  di 
Foix  restò  sotto  i!  patrocinio  della  s.  Sede, 
onde  poi  Onorio  III  gli  rese  il  suo  castel- 
lo.11  medesimo  pare  che  siasi  praticato  col 
contedi  Comminges.  Neh  2  1  6  Simone  di 
Monfort  prese  di  nuovo  possesso  di  To- 
losa, ed  a'7  marzo  per  se  e  suoi  discen- 
denti ricevè  dagli  abitanti  il  giuramento 
di  fedeltà:  quanto  egli  fu  lodato  da  Inno- 
cenzo 111,  quali  titoli  egli  prese,  oltreché 
di  conte  di  Tolosa  per  la  grazia  diDio,lo 
notai  nel  voi.  XXXV,  p.  286  6287,  in- 
sieme all'investitura  che  ricevè  dal  re  di 
Francia  delle  provincie  conquistate,  per 
consiglio  del  suo  fratello  Guido  di  Mon- 
fort, per  le  contee  di  Narbona  e  di  To- 
losa, per  le  viscontee  di  Reziers  e  di  Car- 
cassoua,  e  così  pure  per  gli  altri  feudi  che 


TOL 
il  conte  Raimondo  VI  teneva  dal  re.  Con 
quest'ultimo  atto  Raimondo  VI  tolta  si 
vide  ogni  speranza  di  ricuperare  i  suoi  sta- 
li. Tuttavia  Raimondo  VI  e  suo  figlio  ri- 
tornati nell'anno  stesso  da  Roma,  si  accin- 
sero a  ricuperale  i  loro  stati:  furono  ben 
accolli  a  Marsiglia,  entrarono  in  Avigno- 
ne in  mezzo  alle  replicate  grida:  Piva  To- 
losa, il  conte  Raimondo  e  suojìglio;  e 
poi  vi  assoldarono  un'armata  di  cui  prese 
il  comando  Raimondo  VII.  Propriamen- 
te il  concilio  avea  solo  conceduto  a  Simo- 
ne quella  parte  degli  stati  di  Raimondo 
Vlcouquislata  dall'armata  cattolica, men- 
tre l'altra  situata  sul  Rodano,  era  stata 
assegnata  da  Innocenzo  III  a!  giovine  Rai- 
mondo VII,  il  quale  approdato  a  Marsi- 
glia e  proseguendo  il  suo  viaggio  trovò  gli 
auimi  bendisposti. Tarasconapuredichia- 
rossi  per  lui,  e  parecchi  signori  si  offrirò- 
no  aiutarlo  alla  ricupera  dell'avito  retag- 
gio. Deliberatasi  la  guerra  coutro  Mori- 
turi, unirono  le  loro  iusegnea  quelle  del 
conte  varie  città  di  Provenza  e  del  conta- 
do \  enaissino;  e  Raimondo  VI  si  portò 
in  Aragona  per  chiedere  aiuto  di  gente. 
In  questo  mentre  morì  Innocenzo  III  a'16 
luglio  1 2 1 6,  e  gli  successe  Onorio  III.  Fio- 
che l'esercito  cattolico  non  altro  combattè 
che  pel  ristabilimento  della  fede  e  l'estir- 
pazione dell'  eresia,  egli  corse  di  vittoria 
in  vittoria;  ma  poiché  Simone  ebbe  com- 
pita la  conquista  del  paese  e  partitolo  fra' 
suoi ,  a  se  riservando  la  suprema  signo- 
ria.e  mutato  iu  altro  il  primo  iutento  della 
spedizione;  e  poiché  i  francesi,  rotto  il  fre- 
no alla  cupidità,  loro,  attribuirono  più  al 
loro  valore  che  alla  manifesta  protezione 
divina  quelle  vittorie,  il  Signore  versò  so- 
pra di  tulli  il  calice  dell'ira  sua.  La  de- 
cisione del  concilio  Laterauense  dispiac- 
que alla  maggior  parte  de'barooi  france- 
si, onde  cessarono  i  rinforzi  che  l'armata 
traeva  da  loro  ogni  anuo;  per  cui  troppo 
deboli  si  trovarono  i  nuovi  signori  delle 
contrade  conquistate,  a  tenere  in  dove- 
re i  mal  domali  abitanti.  In  questi  si  potè 
comprimere  ma  uon  ispeguere  l'aulico  al- 


TOL  39 

fetto  pe'loro  conti,  e  si  riaccese  più  vivo 
al  primo  comparir  del  giovine  Raimon- 
do VII  dinanzi  Beaucaire ,  sulla  quale 
Moufort  non  avea  valevoli  diritti.  Simo- 
ne fece  di  tutto  per  liberarla,  ma  in  line 
si  trovò  costretto  a  cederla  con  un  trat- 
tato al  nemico.  La  guerra  passò  poi  sulle 
terre  del  conte  di  Foix;  e  nel  1  2  1 7  gli  a- 
bitaulidi  Tolosa  richiamarono  il  loro  an- 
tico signore,  il  quale  fu  accolto  in  questa 
sua  capitale  a' 1 3  settembre  con  grandi  di- 
mostrazioni d'aliegrezza.  Sulla  fine  di  tal 
mese  Simone  si  recò  ad  assediarla  col  car- 
dinal Bertrando  SavelU  leg  ito  e  parente 
del  Papa,  avendo  il  cardinale  vietato  sotto 
pena  di  scomunica  al  re  d'Aragona  e  suoi 
alleati  d'invadere  ostilmente  le  terre  di 
Monfoit, come  aveauo  determinato  di  fa- 
re. Però  Simone  iuvano  strinse  Tolosa 
per  9  mesi,  resistendo  la  città  a  lutti  i  rin- 
forzi ebe  gli  giunsero  di  Francia,  e  con- 
tro tutto  lo  sforzo  della  sua  perizia  di  guer- 
ra e  dell'attività  sua.  Finché  tutto  essen- 
do sollevato  il  paese  intorno,  e  sempre  più 
facendosi  rari  gli  aiuti,  a*2D  giugno  1 2  18 
Simone  fu  colto  a  pie  di  Tolosa  da  una 
pietra  scagliata  dalle  baliste  degli  asse- 
diati, e  si  gravemente  ferito  che  appeua 
potè  raccomandar  l'anima  sua  a  Dio:  lui 
morto,  il  primogenito  e  successore  Alme- 
rico o  Araaurijche  avea  sposato  Beatri- 
ce Delfina,  levò  l'assedio  di  Tolosa.  Cosi 
finì  Simone  signore  del  castello  di  Mou- 
fort, piccola  signoria  situata  sur  un'emi- 
nenza fra  Chartrese  Parigi, e  conte  di  Lei- 
cester ,  di  stirpe  antichissima  più  nobile 
che  ricca,  imparentata  colla  casa  di  Fran- 
cia e  altre  illustri,  spleudido  modello  de' 
cavalieri  del  suo  tempo.  Guerriero  prode 
di  mano  e  di  senno  in  guerra,  tutto  po- 
spose alla  fede  e  all'  onore  della  Chiesa; 
ma  varcò  spesso  i  confiui  della  giustizia, 
spinto  da  eccessivo  desiderio  di  far  glan- 
de b  sua  casa.  Bello  della  persoua,  vigi- 
lante, prudente  e  audacissimo  nelle  bat- 
taglie; probo,  pio,  affabile  e  destro  iu  o- 
gui  sorta  di  negozi;  dualmente  la  pietà,  lo 
zelo  per  la  fede,  la  castità  de'suoi  costu- 


4o  T  O  L 

mi, compi vanoin  lui  quella  perfezioneper 
la  quale  la  cavalleria  rappresentava,  per 
cos'i  dire,  la  Chiesa,  nelle  sue  relazioni  col 
inondo.  Affezionato  al  clero,  lo  rispetta- 
vo, eseguendo  fedelmente  l'ultime  pie  di- 
sposizioni de'sùoi  parenti;  fu  generosocol- 
l'ordine  cisterciense,  e  con  molti  vescova- 
ti della  Francia  meridionale,  con  donazio- 
ni e  restituzioni,  uè  pativa  che  i  suoi  vas- 
salli usurpassero  i  diritti  e  le  rendite  del- 
ie istituzioni  religiose.  Delle  provincie  da 
lui  conquistate  formò  diversi  principati, 
e  per  introdurre  l'unità  nelle  parti,  fece 
stabilire  nell'assemblea  di  Partner!  ottimi 
provvedimenti  per  rinnovar  la  pace  e  la 
giustizia,  distruggere  l'eresia  e  rafferma- 
re la  libertà  della  Chiesa,  di  cui  fu  cam- 
pione. Fra' contemporanei,  chi  lo  esalta 
come  un  martire,  e  chi  meu  parziale  con- 
danna la  cupidità  sua  e  altresì  la  sua  in- 
dulgenza per  l'enormezze  commesse  dal- 
l'armata cattolica  co'roghi,  colle  forche, 
colle  mutilazioni,  e  con  altri  orrendi  sup- 
plizi co'quali  punirono  gli  eretici.  Questi 
però  operavano  altrettanto  e  assai  più 
peggio,  e  facevano  perire  tra  le  loro  orren- 
de grida  e  bestemmie  preti,  frati  e  soldati 
cattolici,  i  quali  per  evitare  inauditi  tor- 
menti, non  avean  che  eleggere  fra  l'apo- 
stasia e  il  supplizio.  Commisero  atrocità 
indescrivibili  e  in  molte  provincie  porta- 
rono la  desolazione ,  tutto  distruggendo 
col  ferro  e  col  fuoco.  1  posteri  ripongo- 
no Simone  di  Monfort  a  ragione  fra'più 
illustri  capitani  che  possa  vantarla  Fran- 
cia. Suo  figlio  lo  fece  seppellire  nella  cat- 
tedrale di  Carcassona,  donde  più  tardi  fu 
trasportato  a  riposar  co'suoi  nella  badia 
di  Ilautes  Bruyeres,  situata  lungi  una  le- 
ga da  Monforl-A Imeneo  castello  di  sua 
famiglia,  dove  fu  sulla  pietra  che  copri- 
va il  mausoleo  scolpito  colle  mani  giun- 
te e  cogli  occhi  rivolti  all'aitar  maggiore, 
a  ricordare  a'nipoti  i  sentimenti  più  in- 
timi e  più  sublimi  di  sua  vita.  Questo  mo- 
numento fu  distrutto  dalla  rivoluzione. 
Nella  primavera  del  i  a  i<)  i  crociati  sotto 
la  condotta  d'Ama  uri  di  Moufortasaedia- 


TOL 
rono  Marmane).  Nel  corso  di  quella  spe- 
dizione il  giovane  Raimondo  VII  assistito 
da'conli  di  Foix  e  di  Comminges,  attac- 
cò presso  Basiege a  3  leghe  daTolosa  un  al- 
tro corpo  di  crociati  comandato  da  Fer- 
rami e  da  Brigier  strenui  cavalieri,  e  nel- 
la mischia  con  un  colpo  di  lancia  trapas- 
sò il  i.°  e  lo  rovesciò,  ponendo  in  disor- 
dine i  francesi.  Ma  il  principe  Luigi  di 
Francia, giunto  davanti  Marmami,  riparò 
quella  sconfitta,  con  obbligar  la  piazza  a 
rendersi  a  discrezione;  nondimeno  non  si 
potè  impedire  che  le  truppe  facessero  man 
bassa  sugli  abitanti.  Indi  fu  assediata  inu- 
tilmente Tolosa,  da  Luigi  di  Francia  ac- 
compagnato dal  cardinal  Sa  velli  legato. 
Continuando  le  molestie  che  gli  eretici  al- 
bigesi  recavano  acattolici,  facendosi  bef- 
fe e  scherno  della  religione  cattolica,  con  - 
culcando  e  profanando  le  cose  sagre,  nel 
1222  Papa  Onorio  111  scrisse  una  lettera 
a  Filippo  li  Augusto  re  di  Francia  per 
indurlo  a  frenarli;  dicendogli  che  la  po- 
destà secolare  è  tenuta  reprimere  colla 
spada  materiale  que' ribelli,  che  la  spada 
spirituale  non  può  li  trarre  dalla  malizia; 
e  che  i  principi  della  terra  devono  pur- 
gare i  lorodominii  dagli  uomini  perversi  e 
rei,  che  se  negligenti  saranno  costretti  da 
s.  Chiesa.  L'avvisò  poi  d'aver  scomunica- 
to Raimondo  VI  e  il  suo  figlio,  co' loro 
fautori;  e  ad  onta  d'averli  falli  benigna- 
mente ammonire,  nou  si  emendavano  e 
perseveravano  nella  loro  malvagità  e  con- 
tumacia. Morì  Raimondo  VI  di  morte  su- 
bitanea e  allacciato  dalla  scomunica,  nel- 
l'agosto 1222,  dopo  avere  rivendicato  i 
suoi  stati  e  trasmessi  al  figlio  Raimondo 
VII,  il  quale  non  potè  inai  ottenere  pel 
padre  gli  onori  della  sepoltura  ecclesiasti- 
ca. Gli  storici  della  crociata  contro  gli  al- 
bigesi  fecero  di  Raimondo  VI  un  orribile 
ritratto,  ma  sono  tacciali  di  parzialità. 
Raimondo  VII  detto  il  Giovine,  essendo- 
si distinto  per  parecchie  gesta  militari  , 
strinse  così  vivamente  Amauri  diMonfort, 
che  fu  costretto  a'  1 4  ^linaio  i  2?.4  ad  un 
trattato  co'  couti  di  Tolosa  e  di  Foix ,  e 


TOL 

per  la  pace  s'interpose  Onorio  inscriven- 
done al  re  di  Francia,  e  al  suo  legatocar- 
dinal  d'  Urrach  cisterciense.  E  siccome 
Raimondo  VII  avea  manifestamente  ri- 
preso la  protezione  degli  eretici,  il  Papa 
lo  minacciò  di  privarlo  della  sua  signo- 
ria. Amauri  abbandonò  per  sempre  il  pae- 
se e  si  ritirò  in  Francia,cedendo  al  re  Lui- 
gi Vili  la  Linguadoca  e  tutti  i  suoi  diritti 
sui  conquisti  de'crociali, e  in  ricompensa  fu 
creato  contestabile  del  regno.  Nel  secolo 
seguente  di  sua  famiglia  fiori  il  cardinal 
Raimondo  di  Monfòrte  nato  in  Tolosa. 
Raimondo  VII  non  era  peròdisposto  a  la- 
sciarsi spogliare  dal  monarca  suo  signor 
feudale, e  continuò  nel  proteggere  l'eresia. 
JNel  i  224  Onorio  111  sentendo  con  quan- 
ta empietà  gli  albigesi  contaminavano  la 
provincia  di  Narbona,  con  ogni  diligen- 
za procurò  di  commuovere  il  re  di  Fran- 
cia contro  il  conte  di  Tolosa  loro  princi- 
pale fautore,  perché  colle  armi  l'induces- 
se a  ravvedersi.  Temendo  il  conte  la  po- 
tenza del  re,  si  consigliò  con  molti  albi- 
gesi di  voler  tornare  all'ubbidienza  della 
chiesa  romana,  e  vi  fu  ammesso  co'suoi 
a  patto  di  restituire  i  beni  tolti  agli  ec- 
clesiastici, e  di  espellere  gli  eretici  da'suoi 
stali.  Tosto  però  tornando  a'suoi  errori, 
Luigi  Vili  s'incaricò  della  guerra  in  per- 
sona contro  il  conte,  quando  fu  pubblica- 
to scomunicato  e  dichiaralo  eretico  dal 
cardinal  Bonaventura llomano  legato,  in 
un'assemblea  tenutasi  a  Parigi  a'28  gen- 
naio 1226.  Quindi  il  re  entrò  ne'suoi  sta- 
ti cou  possente  esercito  e  s'impadronì  di 
tutte  le  città  e  castella  di  Linguadoca  si- 
no a  4  leghe  da  Tolosa.  Morto  il  re  1*8 
novembre,  Raimondo  VII  si  pose  in  cam- 
pagna ,  restaurò  le  cose  sue  e  sottomise 
parecchie  piazze,  continuando  la  guerra. 
Nel  1227  degnamente  ascese  la  cattedra 
apostolica  Gregorio  IX,  mentre  sedeva  su  1 
trono  di  Francia  s.  Luigi  IX,  e  subito  nel 
suo  zelo  si  occupò  per  sterminare  la  pe- 
stilente eresia  degli  albigesi  che  danneg- 
giava pure  la  Francia,  onde  scomunicò 
due  volte  Raimondo  VII  e  isuoi  fautori, 


TOL  4c 

indi  eccitò  la  pietà  del  re  a  contribuirvi 
con  eloquente  lettera  ,  rammentandogli 
I'  operato  de'suoi  padre  e  avo.  La  pietà 
del  giovine  re  corrispose  alla  pontificia 
sollecitudine,  e  fece  apparecchiare  un  for- 
te esercitole  intanto  il  cardinal  Bonaven- 
tura Romano  iuviòa'tolosani  Elia  abba- 
te di  Granselva,  invitandoli  alla  pace  e  a 
tornar  all'ubbidienza  di  s.  Chiesa.  I  tolo- 
sani  vedendo  il  formidabile  preparativo 
di  guerra  che  si  faceva  contro  di  loro,  e 
che  pel  decretato  nel  r22ydal  concilio  pro- 
vinciale di  Narbona,  in  tutte  le  feste  for- 
malmente in  ciascuna  parrocchia  si  de- 
nunziava la  scomunica  contro  il  contee 
suoi  aderenti,  divenuti  timidi,  fecero  tre- 
gua per  tenersi  intanto  un  parlamento  nel 
quale  si  trattasse  la  pace.  Desso  si  adunò 
in  Meaox  nel  1  228,  ove  si  recarono  Rai- 
mondo VII  e  gli  ambasciatori  de'tolosa- 
ni,  il  cardinal  Bonaventura  Romano  le- 
gato con  diversi  prelati,  e  stabilitisi  gli 
articoli  della  pace,  tutti  passarono  in  Pa- 
rigi dal  re  s.  Luigi  IX,  e  alla  sua  presen- 
za fu  confermata  a'o,  aprile  (a'  1  2  e  nel 
I22f)  si  legge  neWArte  di  verificare  le 
date,  ma  non  pare  secondo  gli  Annali  ec- 
clesiastici del  Rinaldi,  e  V Istoria  cV Avi- 
gnone e  del  contado  Venesino  stati  del- 
la Sede  apostolica  nella  Gallia,  del  p. 
Fantoni,  col  quale  nell'articolo  Avigno- 
ne principalmente  procedei  in  narrare  la 
storia  degli  albigesi,  e  l'origine  dell'acqui- 
sto fatto  dalla  s.  Sede  del  contado  Venais- 
sino,  cominciando  dal  1  1  35  in  poi,  e  per- 
ciò con  molte  interessanti  particolarità 
delle  fin  qui  raccontate  vicende  de'conti 
di  Tolosa, ede'successivi  avvenimenti,  on- 
de conviene  tener  presente  tutto  quanto 
il  riportalo  nel  voi.  HI,  p.  16  1  eseg.).  L'at- 
to fu  concluso  tra  s.  Luigi  IX,  Raimondo 
VII  e  la  s.  Sede,  alla  presenza  de'cardi- 
nali  Bonaventura  Romano,  e  Pecorai -ia 
legato  d'I  nghillerra.il  con  te  diTolosa  giu- 
rò sulla  porta  maggiore  di  Nostra  Dama 
di  Parigi  l'osservanza  del  trattato;  quin- 
di venne  a  piedi  nudi,  in  camicia  e  colle 
sole  braghe  (ipial  penitenza   pubblica), 


42  TO  L 

condotto  all'altare  dal  cardinal  Bonaven- 
tura Romano, che  con  autorità  di  Grego- 
rio 1 X  gli  die  l'assoluzione  formale  con  so- 
lenne rilo,e  riconciliato  collaChiesa.  Riferi- 
sce VA/lc  di  verificar  le  dateflhéRai  mon- 
do VII  con  quel  trattato  perde  la  mag- 
gior parte  de'  suoi  possedimenti  (siccome 
destituito  da  ogni  diritto  da  cui  era  de- 
caduto per  la  sua  eretica  condotta),  aven- 
do lasciato  alla  chiesa  romana  quanto  a 
lui  apparteneva  oltre  il  Rodano,  e  al  re 
di  Francia  tutti  i  diritti  che  a  lui  spetta- 
vano da'eonfini  della  diocesi  di  Tolosa  (la 
quale  abbracciava  allora  tuttociò  che  al 
presente  è  compreso  nella  provincia  ec- 
clesiastica di  questo  nome)  e  dalla  sponda 
del  Tarn  fino  al  Rodano.  Per  dar  cauzio- 
ne della  sincerila  di  sue  disposizioni  ,  il 
conte  si  rassegnò  volontario  nelle  prigio- 
ni del  Louvre  sino  a  che  avessero  avuto 
esecuzione  i  3  articoli  preliminari  a' (pia- 
li s'era  obbligato,e  vi  rimase  circa  6 set- 
timane, essendo  stato  al  suo  uscire,  il  gior- 
no di  Pentecoste  3  giugno  ,  creato  da  s. 
Luigi  IX  cavaliere.  Giovanna  figlia  di  Rai- 
mondo VII, ch'era  stata  da  lui  consegna- 
ta a'ministri  regi.com'erasi  convenuto  nel 
trattato  di  pace,  fu  nel  mese  slesso  fidan- 
zata ad  Alfonso  conte  di  Poitiers  fratello 
del  re;  ma  siccome  gli  sposi  non  aveano 
cheqanni,natiessendo entrambi  nel  1220, 
non  ebbe  effetto  il  matrimonio  che  8  an- 
ni dopo.  Rinaldi  aggiunge  ,  che  il  conte 
si  obbligò  a  non  lasciare  a  verun  suo  e- 
lede  Tolosa  col  territorio  suo  cheesten- 
devasi  quanto  il  vescovato,  concedutagli 
solamente  sua  vita  durante;  e  che  niun 
suo  erede  e  le  figlie  se  ne  potessero  richia- 
mare giammai,  se  non  se  i  soli  discenden- 
ti di  Giovanna  e  discendenti  di  lei  e  da 
Alfonso  fratello  del  re.  Che  bastasse  per 
sua  penitenza,  ch'egli  stesse  5  anni  olire 
mare,obbligandosi  di  pagare27,ooo  mar- 
che d'argento.  Che  similmente  quietò  e 
lasciò  al  re  e  alla  chiesa  romana  tutto 
lo  slato  oltre  il  vescovato  verso  levante, 
di  qua  e  di  là  dal  Rodano.  Dichiara  il  No- 
vaes,  nella  Storia  di  Gregorio  IX,  che 


TO  L 

Raimondo  VII  conte  di  Tolosa,  spogliato 
del  proprio  dominio  dal  legato  apostoli- 
co, come  sostenitore  degli  eretici,  si  diino- 
sirò  pentito,  onde  nel  1229  fu  riconcilia- 
to colia  Chiesa  e  assolto  d.dl'incorse  cen- 
sure, accettando  le  condizioni  che  gli  fu- 
rono prescritte  dal  legato  pontificio  e  da 
s.  Luigi  IX,  ch'erano: dover  egli  per  l'av- 
venire esser  fedele  alla  romana  chiesa  e 
a're  di  Fi  ancia, prendere  la  croce  contro 
i  saraceni, militando  per 5 anni  ne' l'orien- 
te^: dare  in  matrimonio  l'unica  figliaGio- 
vauna  ad  un  fratello  del  re,da'quali  non  na- 
scendo figlila  contea  diTolosa  e  la  Lingua- 
doca  apparterrebbero  al  regno  di   Fran- 
cia. Che  nello  stesso  trattatosi  contene- 
va, che  le  provincie  di  qua  dal  Rodano, 
possedute  per  l'innanzi  daRaimondo  VII, 
apparterrebbero  in  perpetuo  al  reame  di 
Francia,  e  quelle  del  contado  Jenaissi- 
no  (V,)  fossero  devol  ute  similmente   in 
perpetuo  alla  chiesa  romana,  alla  quale 
fin  d'allora  furono  consegnate  e  dal  legato 
apostolico  ricevute;  onde  nel  i  229  comin- 
ciò il  dominio  temporaledellas.  Sede  sul- 
la contea  Venaissiua,  durato  sino  al  decli- 
nar del  decorso  secolo,  in  cui  glielo  tolse 
la  rivoluzione.  Ripelo  che  meglio  è  vede- 
re, anco  su  questo  grave  e  delicato  pun- 
toci ricordalo  articolo  Avignopte,  col  det- 
taglio delle  circostanze  che  lo  precedette- 
ro, accompagnarono  e  seguirono,  intrin- 
secamente riguardanti  pure  Tolosa  e  la 
già  possente  e  vasta  contea  omonima:  a- 
vendo  eziandio  rilevato,  die  se  la  s.  Sede 
ricevè  il  contado  Venaissiuo,  fu  in  com- 
penso delle  gravissime  spese  da  lungo  tem- 
po contribuite  da'Papi  per  guerreggiare 
i  fanatici  e  crudeli  eretici,  per  la  pace  e 
prosperità  di  ampie  contrade,  e  perchè  il 
pestifero  contagio  non  si  propagasse  colla 
perdizione  d'immenso  numero  d'anime; 
e  che  se  s.  Luigi  IX  cooperò  alla  cessione 
delle  terre  Vena  issine  alla  chiesa  roma- 
na, il  fece  perchè  essa  consentisse  nell'ac- 
quisto da  lui  fatto  della  conica  di  JVlelgueil, 
sulla  quale,come  rilevai  di  sopra,la  s.Sede 
avea  delle  ragioni  sovrane,  e  de' «j  de'7  ca- 


TOL 

stelli  di  là  dal  Rodano,  che  in  virtù  del- 
l'obbligazioni del  defunto  Raimondo  VI 
si  erano  devoluti  alla  chiesa  romana,  co- 
tnechè  dati  ad  essa  in  malleveria,  oltre  la 
parte  o  metà  che  avea  e  poteva  consegui- 
redella  città  d'Avignone.  Nel  luglio  la  cit- 
tà di  Tolosa  fu  riconciliata  colla  Chiesa,  e 
si  riaprirono  i  sagri  templi  per  ordine  di 
Pietro  di  Collemedio  vice-legato  apostoli- 
co, e  siccome  ancora  la  città  stava  in  po- 
tere del  re,  furono  abbattuti  i  suoi  pro- 
pugnacoli e  date  le  altre  rocche  a'regi  mi- 
nistri. Raimondo  VII  tornò  a  Tolosa  sul 
fine  di  settembre,  rinnovò  le  sue  promes- 
se alla  presenza  del  cardinal  Bonaventu- 
ra Promano  legato,  che  l'avea  seguilo  col- 
l'esercito  crociato,per  domare  a  forza  d'ar- 
mi chiunque  avesse  osato  violare  i  patti 
della  stabilita  concordia.  Indi  il  cardinale 
tenne  a  Tolosa  un  concilio,  anche  coll'in- 
tervento  del  conte  e  de'baroni,  in  uno  ai 
cousoli  della  città, confermaudovisi  lecon- 
dizioni  della  pace  con  solenne  giuramen- 
to del  contee  de'suoi.  Il  cardinale  eoman- 
dòche  si  facesse  inquisizione  contro  le  per- 
sone sospette  d'eresia, e  fu  reintegrato  nel- 
la fama  Guglielmo  di  Solario,  acciò  la  sua 
testimonianza  valesse  contro  coloro  ch'e- 
gli conosceva  veramente  colpevoli.  Egli 
era  stato  eretico  e  si  era  poi  ritirato  dal- 
la loro  pravità,  come  afferma  il  Rinaldi. 
L'inquisizione  fu  ordinala  in  modo,  che 
ciascuno  de' vescovi  presenti  esaminasse  i 
testimoni  prodotti  dal  vescovo  di  Tolosa, 
e  rendessero  in  iscritto  per  esser  conser- 
vati al  vedovo  medesimo  i  detti  degli  e- 
retici. \i Arie  di  verificar  le  date,  nel  di- 
re che  l'inquisizione  fu  istituita  in  Tolosa 
dal  suo  concilio,  per  l'investigazione  con- 
tro gli  eretici,  e  che  cominciandosi  subi- 
to le  analoghe  procedure,  durante  1'  in- 
verno fu  preso  Guglielmo  detto  il  Papa 
degli  ^//;/»r.«'(aN[CHiNTAdissi  d'un  pre- 
teso antipapa  di  tal  nome  degli  albigesi 
neh  167),  e  con  sentenza  di  quel  tribuna- 
le fu  bruciato  vivo.  Ad  istanza  del  gene- 
rale domenicano  s.  Raimondo  di  Pegna- 
fort,  circa  il  1 23 1  Gregorio  IX  conferuiau- 


TO  L  43 

do  in  Tolosa  il  tribunale  òeW'InqtrisiziO' 
ne,  lo  ristabilì,  affidandolo  ■'domenicani 
per  essersi  co'  cisterciensi  con  prodigioso 
fervore  dedicati  alla  conversione  degli  e- 
retici,  e  dichiarando  il  loro  generale  in- 
quisitore della  cristianità.  Rifiorì  adunque 
in  queste  parti  la  cattolica  religione,  e  per- 
chè non  crescessero  gli  errori  per  mancan- 
za d'uomini  dotti,  si  trattò  di  formare  in 
Tolosa  un'accademia  o  università,  il  Pa- 
pa la  decretò  e  fu  ordinato  a  Raimondo 
VII,  che  a  seconda  dello  stabilito  sommi* 
uistrasse  del  suo  gli  stipendi  a'  maestri. 
Pertanto  egli  si  obbligò  di  m in  tenere  per 
1  o  anni  i  maestri  o  professori  di  teologia, 
diritto  canonico,  filosofia  e  grammatica: 
le  scienze  continuarono  ad  esservi  inse- 
gnate anche  dopo  tal  periodo,  aggiuntivi 
in  seguito  professori  di  diritto  civile  e  di 
medicina,  formandosi  l'università  di  4  fa" 
collii.  Ma  il  conte  contro  le  solenni  sue 
obbligazioni  erasi  neli2  3o  collegato  con 

altri  baroni  è  il  re  d'Inghilterra  a  dauno 
o 

di  s.  Luigi  IX,  onde  il  vescovo  di  Carcas- 
sona  ottenne  da  Gregorio  IX  che  depu- 
tasse in  Tolosa  per  legato  apostolico  il 
vescovo  di  Touruay.  Questi  giunto  nella 
città,  l'esortò  a  ritirarsi  dalla  lega,  a  emen- 
dai si  di  quanto  era  cagione  di  richiami,  e 
ili  effettuare  l'indennità  dovuta  alle  chie- 
se. Tornato  Raimondo  VII  a  familiariz- 
zarsi cogli  eretici,  Gregorio  IX  ne  scrisse 
al  re  di  Francia  perchè  l'ammonisse,  e  fu 
esaudito,  poiché  il  conte  in  un  solenne 
parlamento  di  vescovi  e  di  baroni  pro- 
mulgò leggi  severe  contro  gli  eretici.  Ma 
sempre  versipelle  poco  durò  questo  ap- 
parente zelo,  perchè  sembrando  a  lui  e  ai 
tolosani  troppo  severo  il  zelante  procede- 
re de'domenicani  nel  combattere  le  false 
dottrine  e  nel  procedere  contro  gli  ereti- 
ci, inaspriti  gli  animi  furono  col  vescovo 
espulsi  da  Tolosa,  col  loro  capo  fr.  Gu- 
glielmo d'Arnaldo,  insieme  al  clero  e  ai 
frati  minori;  ed  i  domenicani  ne  uscirono 
al  modo  indicato  nel  voi.  Ili,  p.  168,  ve- 
nendo mandati  via  pure  da  Narbona  e  da 
altre  città.  Però  a  tutto  riparò  Gregorio 


44  TOL 

IX,  al  modo  dello  a  Inquisizione,  ripri- 
stinandola a  Tolosa  e  altrove,  e  per  toglie- 
re pretesti  a'reclami,  accoppiò  all'inqui- 
sitore domenicano  un  inquisitore  france- 
scano. Frattanto  Raimondo  VII  nel  1235 
riportò  parecchie  sentenze  di  scomunica 
per  parte  dell'arci  vescovo  di  Naibona,de- 
gl'  inquisitori  e  de'commissari  pontificii, 
perchè  istigava  i  suoi  sudditi  a  rivoltarsi 
contro  le  loro  procedure,  che  qualificava 
violenze;  e  non  osservando  il  suo  giura- 
mento ili  conservare  la  libertà  ecclesiasti- 
ca, il  Papa  scrisse  al  re  di  Francia  acciò 
terminasse  la  santa  impresa  contro  gli  e- 
retici,  estirpandone  le  reliquie  esistenti 
nella  provincia  di  Tolosa,  ed  a  costringe- 
re il  conte  al  promesso,  di  marciare  con 
unesercito  per  Terra  Santa.  Inoltre  Gre- 
gorio IX  si  lamentòpuredireltamente  col 
conte,  anco  degli  oltraggi  e  ingiurie  fatte 
a'domenicani  quando  li  espulse,  rimpro- 
verandogli tutto  il  giurato  a  Parigi  e  nel 
concilio  di  Tolosa,  di  difendere  le  chiese  e 
le  persone  ecclesiastiche,  di  confutar  gli 
eretici  e  reprimerli,  di  salariare  i  maestri 
dell'accademia,  di  partire  per  la  crociala 
secondo  il  voto  fatto;  mentre  operava  tut- 
to all'opposto,  ed  era  caldo  fautore  degli 
eretici  senza  vergognarsene;  gli  rimpro- 
verò altri  eccessi  commessi  da  lui  eda'cou- 
soli  di  Tolosa,  oud'erano  stati  scomuni- 
cati con  autorità  apostolica  da'  vescovi, 
perciò  doversi  di  tutto  emendare,  ed  ese- 
guire quanto  gli  avrebbe  ordinato  il  lega- 
to, e  che  si  ponesse  in  pronto  di  partire 
nel  maggio  per  la  Palestina  e  dimoiarvi 
5  anni.  Al  legato  poi  comandò  Gregorio 
IX,  che  ripristinasse  lo  studio  di  Tolosa, 
annullasse  le  leggi  fatte  contro  la  libertà 
ecclesiastica,  rimovesse  da'pubblici  uffizi 
i  sospetti  d'eresia,  punisse  gli  eretici  e  lo- 
ro fautori,  e  ne  abbattesse  in  Tolosa  le 
casea  loro  perpetuo  vituperio. Nuovamen- 
te il  Papa  pregò  il  re  d'adoperare  la  po- 
tenza datagli  da  Dio,  per  costringere  il 
conte  e  consoli  di  Tolosa  ad  emendarsi, 
di  far  partire  ili. "per  la  crociata,  invian- 
do il  fratello  Allòusoal  governo  della  con- 


TOL 

tea  di  Tolosa;  e  per  effettuare  il  suo  ma- 
trimonio con  Giovanna,  con  breve  lo  di- 
spensò dal  4°  grado  di  parentela.  Essen- 
dosi ricusatoli  Papa  d'investire  il  conte 
del  Venaissino, questi  lodomandòeotten- 
ne  dall'imperatore  Federico  II,  che  pre- 
tendeva appartenergli,  concessione  nulla 
sì  pel  disposto  del  concilio  Laterauense, 
che  per  essere  Federico  li  anch'egli  inter- 
detto, onde  i  rettori  pontificii  continua- 
rono a  governar  la  contea,  tranne  alcuni 
baroni  partigiani  del  conte.  Quesli  essen- 
dosi lagnatodell'eecessiva  severità  d'alcu- 
ni inquisitori,  il  Papa  ne  commise  la  ve- 
rifica all'arcivescovo  di  Vienna  legato  del- 
la s.  Sede,  autorizzandolo  a  rimuoverli 
se  colpevoli;  e  ad  istanza  del  re  concesse 
al  conte  la  perentoria  proroga  d'un  anno 
a  partire  perla  Soria.  Ma  il  conte  inve- 
ce di  fare  i  preparativi,  nel  i  23j  mosse 
guerra  a  favore  de'  marsigliesi  e  contro 
Raimondo  Berengario  IV  conte  di  Pro- 
venza, il  che  spiacque  al  Papa  e  ne  fece 
rimostranze  al  re  perchè  l' impedisse,  e- 
sortando  gli  aviguonesi  a  non  favorire  il 
conte  di  Tolosa  contro  il  proprio  signo- 
re: di questotenore scrisse  purea  Raimon- 
do VII  e  al  legato  suddetto.  Il  conte  si 
scosse  e  scrisse  all'arcivescovo  di  Vienna 
a'28  luglio,  d'ubbidire  al  santo  Padre,  cui 
poi  mandò  prelati  e  religiosi  per  amba- 
sciatori, per  essere  perdonato  dell' ollese 
fitte  alla  libertà  ecclesiastica,  dichiaran- 
dosi pronto  al  volere  della  s.  Sede  per  lo 
splendore  della  fede;  e  diceudo  apparte- 
nere al  Papa  d'imitar  la  clemenza  di  Co- 
lui, il  quale  ama  non  la  morte  ma  la  sa- 
lute de'peccalori.  Giurando  il  conte  d'e- 
mendare i  falli  commessi,  e  supplicando 
misericordia,  Del  12 38  Gregorio  IX  lo  ri- 
conciliò colla  Chiesa,  assolvendolo  dalle 
censure;  quindi  nel  1  239  con  altra  amba- 
sceria ottenne  dal  Papa  d'essere  pure  di- 
spensato dalla  crociata,  assicurandolo  per 
mezzo  di  s.  Luigi  IX  che  vi  sarebbe  an- 
dato nella  prossima  spedizione.  ÌNcl  124.0 
Raimondo  VII  marciò  sulla  Provenza  per 
impadronirsene,  per  avergliela  in  parto 


TOL 

aggiudicata  Federico  II  nell'aver  posto  al 
Laudo  dell'impero  il  suo  conte,  ma  i  soc- 
corsi che  questi  ricevè  dal  re  di  Francia 
l'obbligarono  a  ritirarsi.  Nel  i  24  '  «ipndiò 
formalmente  Sancia  sorella  di  Pietro  II 
d'Aragona,  da  cui  vivea  separato  da  lun- 
go tempo  :  col  pretesto,  convalidato  dal 
vescovo  d' A  lby,  dell'affittila  spirituale  col- 
la medesima,  ma  in  fatto  eia  di  voler  spo- 
sare Sancia  figlia  di  Raimondo  Berenga- 
rio IV  conte  di  Provenza,  ma  il  matrimo- 
nio non  ebbe  effetto.  Nel  1  242  si  die  al 
parlilo  d'Ugo  conte  de  la  Marche  contro 
s.  Luigi  IX,  collegandosi  ambedue  col  re 
d  Inghilterra,  il  quale  vergoguosamente 
fu  battuto.  Intanto  il  bailo  del  conte  in 
A  vignonetio  diocesi  di  Tolosa,  in  odio  del- 
la lede  che  difendevano,  fece  martirizza- 
re fr.  Guglielmo  d'Arnaldo  co'suoi  dome- 
nicani compagni  e  inquisitori  .cantando 
essi  nel  morire  il  Te  Dcum  laudaniusj  il 
perchè  s.  Luigi  IX  vieppiù  si  accese  di 
zelo,  per  abbattere  i  resti  della  pestilente 
eresia.  Meutre  era  occupalo  nel  Poitou  e 
e  nel  Saintonge,  il  conte  co'suoi  alleati 
pentirò  sul  fluir  di  giugno  ne'dominii  di 
Francia,  s'impadronì  di  parecchie  piazze, 
fra  cui  Xarbona,  donde  espulse  l'arcive- 
scovo che  lo  scomunicò,  riassunse  il  tito- 
lo di  duca  di  Xarbona,  e  recatosi  poscia  a 
Bordeaux,  ov'erasi  riparato  il  re  inglese 
dopo  la  sconfitta,  strinse  secolui  alleanza 
particolare;  ma  indi  a  poco  udendo  i  pro- 
gressi di  s.  Luigi  IX  e  incalzato  dalle  sol- 
lecitazioni del  vescovo  di  Tolosa,  ti  allò  di 
pace  e  l'ottenne  nel  gennaio  1 243.  In  que- 
st'anno Raimondo  VII  valicò  le  Alpi,  vi- 
sitò Federico  li  in  Puglia,  donde  passò  a 
Roma  per  continuare  il  suo  appello  con- 
tro gl'inquisitori  che  l'aveano  scomunica- 
to,crtdendolo  complice  dell'uccisione  de- 
gli altri.  Si  discolpò,  con  ordinare  la  pu- 
nizione di  quelli  che  l'aveano  commessa, 
e  dal  nuovo  Papa  Innocenzo  IV  ottenne 
a  istanza  di  s.  Luigi  IX  l'assoluzione  dal- 
le censure  ,  e  la  vitalizia  investitura  del 
contado  Venaissinodominiodella  s  Sede, 
e  cosi  di  sua  figlia  e  genero  se  uon  avea- 


TOL  4  > 

no  prole,  mentre  da  Federico  li  avea  ri- 
cevuto quella  del  marchesato  di  Proven- 
za. Il  soggiorno  nelle  due  corti  fu  quasi 
d'un  anno.  Federico  II  l'investì  della  con- 
tea di  Forcalquier,  e  sentendo  che  il  Pa- 
pa erasi  portato  in  Genova  nel  1  244  Per 
celebrare  un  concilio  a  Lione,  per  distor- 
lo con  varie  esibizioni  gl'invio  Raimondo 
VII, che  da  Savona  trattò  col  Papa  per 
mezzo  di  messi  e  di  lettere,  avendogli  vie- 
tato l'imperatored'entrarein  Genova;  ma 
nulla  ottenne,  non  facendo  conto  il  Papa 
delle  promesse  fallaci  tante  volte  ripetu- 
te. Adunque  ueli245  Innocenzo  IV  re- 
cossi  al  concilio  di  Lione  I,  ove  fu  depo- 
sto e  scomunicato  Federico  II,  e  v'inter- 
venne pure  il  conle,  che  ottenne  la  sepa- 
razione del  matrimonio  contratto  con 
M  trgheritadela  Marche,  per  sposar  San- 
cia di  Provenza,  il  che  non  ebbe  luogo, 
come  già  notai,  per  essersi  invece  mari- 
tata con  Riccardo  fratello  del  re  d'Inghil- 
terra ,meutre  la  sorella  primogenita  si  ma- 
ritò con  s.  Luigi  IX.  Nel  1 246  intraprese 
il  pellegrinaggio  diCompostelIa,e  nel  12  [j 
si  recò  alla  corte  di  Francia, ed  il  re  l'in- 
dusse a  crociarsi  con  lui  per  Terra  San- 
ta. Lo  trattenne  dal  viaggio  Innocenzo  IV 
per  opporlo  a'partigiani  di  Federico  li. 
Nel  1249  Raimondo  VII  tornando  da  Ai- 
gues-Mortes  per  vedere  sua  figlia  Giovan- 
na che  partiva  collo  sposo  per  la  crociata, 
cadde  malato  e  fece  testamento  a*23  set- 
tembre, col  quale  l'istituì  erede*uni ver- 
sale, morendo  a'27  a  Milhau  nel  Rouer- 
guedi  52  anni  e  fu  sepolto  sotto  il  coro  di 
Font-Evrauld  accanto  alla  madre,  com'e- 
ra stalo  da  lui  ordinato.  11  Rinaldi  ne  nar- 
ra l'edificante  morte,  dicendo  che  dopo 
aver  fatto  ardere  alla  sua  presenza  80  e- 
retici  a  Derlaigas,  convinti  o  confessi  d'e- 
resia, fu  colpito  dalla  febbre,  volle  con- 
fessarsi, e  comunicarsi  dal  vescovo  d'Ai- 
by.  Entrando  il  corpo  di  Cristo  nella  sua 
casa  ,  tuttoché  debole  si  alzò  dal  letto  e 
l'incoutròa  metà  di  essa, e  gittatosi  in  ter- 
ra ivi  Io  ricevè,  indi  fu  estremato.  Così 
ebbe  termine  la  sua  vita,  dando  saggio  di 


46  TOL 

zelo  contro  gli  eretici,  di  viva  fede  catto- 
lica e  di  pietà.  Con  lui  si  estinse  la  discen- 
denza maschile  de'  potentissimi  conti  di 
Tolosa  ,  che  avea  posseduto  la  contea  4 
secoli  da  Fredelon  dell' 85o  in  poi.  Al 
vasto  e  grave  argomento  sin  qui  tratteg- 
giato genericamente  ,  ponuo  in  qualche 
modo  supplire  i  ricordati  articoli,  men- 
tre per  la  storia  tra'molti  che  ne  scrisse- 
ro ricorderò  iseguenti.il  p.GiuseppeVais- 
sete  della  diocesi  d'Alhy,  studente  nell'ac- 
cademia di  Tolosaedotto benedettino  del 
monastero  della  Dauvade, Storia  genera- 
le della  Li nguadoca,con  note  e  documen- 
ti giustificanti y  Parigi  i  73o-45.  Restata 
imperfetta  questa  eccellente  opera  per  sua 
morte,  ne  compilò  il  6.°  voi.  il  p.  Bourot- 
te,  Compendio  della  storia  genera  le  del- 
la Linguadoca,Va\\§\  i  j/\.^.IIistoiredcs 
Croisades  eontre  Ics  Albigeois  par  le  p. 
Jean  Baptiste  Langlois  de  la  Compa- 
gnie de  Jesus,Roi\en  i  jo/±.  Pietro  diCer- 
nay  monaco  cistercense,  che  faticò  mol- 
to nella  conversione  di  detti  eretici,  e  de- 
dicò la  sua  opera  a  Innocenzo  IH,  la  qua- 
le trovasi  ancora  nella  Dibliotheca  Ci- 
sterciensis:Historia  Albigensium,  Troys 
i6o5.  Giovanni  Benedetto  dotto  dome- 
nicano, Ilistoires  des  Albigeois ,  et  des 
Vaudois  ou  Besbets,  Paris  i  6q  i  .  P.  Laz- 
zeri  gesuita,  De  Tlaeresi  Albigensium  E- 
xercitatio  habita  in  collegio  romano,Ko- 
maei765.  Scrissero  ancora  degli  albige- 
si,  Sandero  presso  Labbé,  Concil.  t.  io, 
p.  i  534;  Bernino,  Historia  di  tutte  l'ere- 
sie, oltre  il  suo  compendiatore  Lancisi.  Il 
veti.  p.  Moneta  domenicano,  pubblicata 
e  illustrata  dal  p.  Ricchini  dello  stesso  or- 
dine, Adversus  Catharos  et  Valdenscs 
libri  V ,  quos  ex  mss.  codicibus  Vatica' 
uo,Bononiensi,et  Neapolilano  nunepri- 
mum  edidit,  etc.  Romae  1 743-  Di  quest'o- 
pera contro  i  Catari,  i  quali  erano  una 
propagine  de' Manichei,  si  servì  opportu- 
namente l'altro  dotto  e  celebre  domeni- 
cano p.Mamachi  nella  sua  opera  de\ Dirit- 
to libero  della  Chiesa  di  acquistare  ec, 
stampata  neh  769  contro  gl'impugnato- 


TO  L 

ri  dello  stesso  diritto  e  specialmente  con- 
tro l'autore  del  Ragionamento  intorno  ai 
beni  temporali  posseduti  dalle  chiese, 
Venezia  1  766,iIqualeautoresuscitògli  er- 
rori de'nomiuati  Catari,  Valdesi,  fiele- 
fisti,  Ussiti  e  altri,  i  quali  tutti  sosteneva- 
no erroneamente  fra  le  altre  cose,  che  la 
Chiesa  egli  ecclesiastici  non  potevano  ac- 
quistare né  posseder  beui  terreni,  che  in 
buona  parte  erano  pure  errori  degli  al- 
bigesi  che  infestarono  la  Chiesa  ne'secoli 
XII  e  XIII,  ed  abbandonati  da'loro  pro- 
tettori rimasero  interamente  distrutti,  i 
superstiti  essendosi  uniti  a'  valdesi.  Nel 
1  ^4g  dunque  successe  nella  contea  di  To- 
losa al suoceroRaimondo  VII,ultimocon- 
te,  Alfonso  conte  di  Poi  tiers  e  figlio  di  Lui- 
gi Vili  re  di  Francia,  di  cui  avea  sposa- 
ta la  figlia  ed  erede  Giovanna.  Con  questa 
era  partito  col  fratello  s.  Luigi  IX  oltre- 
mare per  la  Crociata  di  Terra  Santa,  por- 
tandovi di  Francia  un  altro  esercito  di 
crocesignati,  ma  la  regina  Bianca  sua  ma- 
dre vegliò  a'  di  lui  interessi.  A'  5  aprile 
i2  5o  Alfonso  fu  fatto  prigione  dc'sara- 
ceni  insieme  col  re,  indi  lasciato  in  liber- 
tà per  l'accordo  de'6  maggio,  e  condotto 
a  Damietta  raggiunse  la  sposa  che  in  ri 
vederlo  ne  provò  estrema  gioia.  Sulla  line 
del  giugno  s'imbarcò  nel  porto  diTolemai- 
de per  ritornare  inFrancia  conCarlo  d'An- 
giò  suo  fratello  (che  avea  sposa toBeatrice, 
altra  figlia  di  Raimondo  Berengario  IV 
conledi  Provenzali  quale  con  testamento 
l'avea  dichiarata  sua  erede)  e  colle  princi- 
pesse spose.  A'^3  maggio  ix5i  Alfonso  e 
Giovanna  fecero  il  loro  ingresso  solenne  in 
Tolosa,  ricevendo  dagli  abitanti  il  giura- 
mento di  fedeltà.  Dopo  aver  percorso  le 
loro  terre  tornarono  in  Francia,  ove  poi 
fermarono  il  loro  soggiorno  ordinario, 
particolarmente  nel  castello  di  Viucennes. 
Circa  la  fine  deli  252  Alfonso  vedendo- 
si in  gran  pericolo  per  un  attacco  d'apo- 
plesia,  fece  voto  di  restituirsi  in  Terra  San- 
ta. Nel  1^53  Inuocenzo  IV  commosso  dal- 
le tristi  notizie  degl'  infelici  successi  di  s. 
Luigi  IX,  scrisse  ad  Alfonso  già  crocesigna- 


TO  L 

lo,  che  solto  ili  lui  si  formasse  un  eserci- 
to per  aiutarlo,  e  con  flebili  lettere  ecci- 
tò i  francesi  a  correre  in  aiuto  del  loro  re, 
perchè  non  del  tutto  si  spegnesse  in  So- 
ria  il  nome  cristiano;  ed  ingiunse  al  p. 
priore  de'domenicani  di  Parigi  che  ban- 
disse perciò  nel  consueto  modo  la  croce 
ne* regni  di  Francia  e  di  Na  varivi, nellaBre- 
t.igna  minore.nella  Boi  gogna  e  negli  stati 
del  conte  di  Tolosa.  Il  viaggio  d'Alfonso 
fu  ritardato  per  vari  ostacoli  sopravvenu- 
ti dopo,  né  fu  da  lui  intrapreso  che  nel 
i  270.  Prima  diquesto  tempo  e  nel  1265 
protesse  la  costruzione  fatta  dagli  abitan- 
ti di  Saint-Saturnin  del  pontedi  Saint-E- 
sprit, e  così  denominato  perchè  si  attribuì 
il  concepimento  della  risoluzione  ad  ispi- 
razione dello  Spirito  santo;  celebre  pon- 
te che  comincialo  in  tal  anno  non  fu  ul- 
timato che  verso  la  fine  del  1  3og,  ed  es- 
so die  poi  il  nome  alla  città  di  Saint-Sa- 
tiunin-du-Pont,  così  chiamata  a  motivo 
del  passo  ch'eravi  in  quel  sito  sul  Roda- 
no. Finalmente  nel  1  270  Alfonso, per  sod- 
disfare il  voto  fatto,  si  recò  colla  contessa 
Giovanna  prima  del  terminar  di  maggio 
a  Aimargues  nella  diocesi  di  Nimes,  ove 
ambedue  fecero  testamento.  Imbarcatoli- 
si  poscia  ad  Aigues-Moi  tes  e  raggiunse- 
ro il  re  s.  Luigi  IX  a!  porto  di  Caglia- 
ri, ov'erasi  fermala  la  flotta,  e  nel  17  lu- 
glio sbarcarono  a  Tunisi.  Avendo  la  mor- 
te del  santo  re,  avvenuta  a'  20  agosto, 
sconcertati  tutti  i  progetti  de'crociati,  Al- 
fonso colla  sposa  salpò  dalla  spiaggia  d'A- 
frica e  approdò  a  quella  di  Sicilia  a'  22 
novembre,  ove  passarono  tutto  l'inverno 
e  una  parte  di  primavera.  Postisi  nuova- 
menteinmare,sbarcaronoin  Italia  e  con- 
tinuarono il  loro  cammino  per  terra.  ìNel 
castello  di  Corneto  sui  confini  di  Tosca- 
na e  degli  stati  di  Genova,  furono  colti 
entrambi  da  violento  morbo  e  si  fecero 
trasportare  a  Savona,  ove  morì  Alfonso 
a'21  agosto  127  i  in  età  di  5i  anni,  sen- 
za lasciar  posterità,  ed  a'25  morì  Giovan- 
na, onde  alcuno  dubitò  e  fece  sospetti  che 
fossero  morti  di  veleno.  Il  corpo  d'Alfoti- 


T  O  L  4  7 

so  fu  trasferito  nella  chiesa  di  s.  Dionigi, 
da  lui  scelta  per  sua  sepoltura,  restando 
i  precordi  nella  cattedrale  di  Savona  do- 
po le  solenni  esequie;  e  quello  di  Giovan- 
na nella  badia  di  Gerci  in  Brie  da  lei  fon- 
data nel  1269.  Alfonso  fu  principe  buo- 
no, casto, pio,  Iimosiniero,giustoedequo: 
non  mancò  di  valore  e  di  fermezza,  e  cam- 
minò sulle  pedate  del  re  suo  fratello  nel- 
la pratica  delle  virtù  cristiane.  Sembra 
che  la  contessa  sua  moglie  fosse  di  carat- 
tere pressoché  somigliante.  Filippo  III 
V  Ardito  figlio  e  successore  di  s.  Luigi  IX, 
raccolse  tutta  la  loro  eredità.  Invano  Fi- 
lippa di  Lomagne  erede  di  Giovanna  fe- 
ce chiedere  al  parlamento  col  mezzo  del 
conte  di  s.  Paul  suo  tutore  d'essere  ammes- 
sa a  fede  e  omaggio  pe 'dominii  di  quel- 
la successione  appartenuti  a  Giovanna:  la 
sua  domanda  fu  rigettata  con  sentenza 
del  1  274.  Filippo  III  e  i  suoi  successori  re 
di  Francia  ressero  sino  al  1  36  1  i  vari  pae- 
si ereditati  per  la  morte  di  Giovanna,  co- 
me conti  particolari  di  Tolosa  e  non  co- 
me re,  finché  in  dello  anno  la  contea  in- 
sieme alla  Lin<niadoca  fu  riunita  alla  co- 
o 

rona  da  Giovanni  II.  Proclamata  la  for- 
male riunione,  convenne  che  si  radunas- 
sero in  Tolosa  gli  stati  provinciali,  diesi 
valessero  del  Diritto  scritto,  eche  i  gover- 
natori dovessero  essere  scelti  fra'principi 
del  sangue.Prima della  riunionedella con- 
tea di  Tolosa  alla  corona,  il  conte  e  cia- 
scun signore  particolare  radunavano  i  lo- 
ro sudditi  quando  aveano  a  chiedere  lo- 
ro sussidii.  Dopo  la  riunione  i  re  di  Fran- 
cia seguirono  per  qualche  tempo  tale  pra- 
tica, e  raccoglievano  gli  abitanti  d'ogni 
siniscalcheria  separatamente  ;  ma  Carlo 
VII  il  Fitlorioso^vemlo  trovato  più  op- 
portuno di  convocare  le  siniscalcherie  in 
un  sol  corpo  di  stati,  fu  in  appresso  osser- 
vata mai  sempre  tale  formalità,e  così  quel 
re  nel  i447  istituì  propriamente  il  par- 
lamento di  Tolosa  per  la  Linguadoca  e 
qual  sua  capitale.  Inoltre  Filippo  III  igno- 
rando i  diritti  della  s.  Sede  sul  contarlo 
Venaissiuo,  s' impossessò  non  solo  della 


48  TO  L 

mela  della  città  d'Avignone,  ma  ancora 
del  Venaissino.  Conosciuto  però  l'errore, 
a  istanza  di  Gregorio  X  restituì  pronta- 
mente alla  chiesa  romana  la  provincia  Ve- 
nesina,  senza  che  d  Papa  si  curasse  di  ri- 
petere la  metà  d'Avignone,  che  Alfonso 
avea  ridotto  alla  sua  ubbidienza.  Questo 
rafferma  il  p.  Fantoni,  che  sembrami  in 
ciò  doversi  preferire  aW'Arte  di  verifica- 
re le  date, e  sebbene  citi  Vaissete,  poiché 
in  quest'opera  si  legge  in  Gregorio  X. 
»>  Nel  fehbraioi274  ricevè  in  Lione  la  vi- 
sita di  Filippo  III.  Profittò  di  questa  oc- 
casione Gregorio  X  per  chiedere  a  quel 
monarca  il  contado  Venosino,  che  ficea 
parte  del  marchesato  di  Provenza,  cedu- 
to nel  1229  alla  s.  Sede  da  Raimondo  VII 
conte  di  Tolosa.  Ma  siccome  Gregorio  IX 
avea  restituito  alcuni  anni  dopo  cotesto 
marchesato  a  Raimondo,  cosi  poteva  le- 
gittimamente rigettarsi  la  domanda  del 
Pontefice  (non  è  vero  per  la  surriferita 
disposizione  d'Innocenzo  IV  e  pel  narra- 
to ad  Avignone).  Nondimeno  essendo  in- 
teresse del  redi  tenerselo  affezionalo,  vol- 
le annuire  alla  sua  istanza.  Ma  nel  far- 
gliene la  tradizione,  egli  riserbò  per  se  la 
metà  d'Avignone  che  Filippo  IV  il  Bello 
di  lui  figlio  permutò  16  anni  dopo  con 
Carlo  II, conte  di  Provenza  e  re  di  Sici- 
lia." A'5  giugno  1 3o5  eletto  Clemente  V 
guascone,  con  estremo  stupore  di  tutto  il 
mondo  cattolico,  volle  stabilire  la  resi- 
denza papale  in  Provenza,  ove  la  s.  Sede 
godeva  la  sovranità  della  contea  Venais- 
sina,  preferendo  le  rive  del  Rodano  alle 
celebratissime  del  Tevere  (P.),  Avigno- 
ne a  Roma  (f*.),  come  contigua  al  Ve- 
naissino. Sul  finir  d'  agosto  da  Bordeaux 
passò  ad  Agen  ed  a  Tolosa,  e  per  Mont- 
pellier si  recò  a  Lione  a  farsi  coronare.  Nel 
l3o8  il  Papa  nell'agosto  da  Poitiers  si 
portò  a  Bord.eaux,  indi  per  Agen  giunse 
a  Tolosa,  ricevutovi  nel  dicembre  da  tut- 
ti gli  ordini  della  città  con  molta  solen- 
nità. Nel  giorno  di  Natale  vi  cantò  ponti- 
ficalmente la  messa  servito  da  9  cardina- 
li, e  vi  dimoiò  sino  all'Epifania  del  1 809. 


TOL 

Poi  si  trasferì  a  Commiuges  dov'era  stato 
vescovo,  e  vi  fece  solennemente  la  trasla- 
zione del  corpo dis.  Bertrando  suo  prede- 
cessore in  quella  sede. Continuando  il  viag- 
gio per  Carcassona,  Montpellier  e  N'unes, 
giunse  in  Avignone  verso  il  fine  di  mar- 
zo. Ivi  siederouo altri  6  Papi,nel  qual  tem- 
po moltissimi  della  contrada  furono  ele- 
vati al  cardinalato,  all'episcopato  e  ad  al- 
tre dignità.  Nel  grande  Scisma  d'  occi- 
dente, Tolosa  e  la  Linguadoca  seguiro- 
no gli  antipapi  d'Avignone.  Tolosa  signo- 
reggiata da're  di  Francia  e  poi  riunita  al- 
la monarchia,  ne  segni  i  destini  colla  con- 
tea. Gl'inglesi  uel  secolo  XIV  fecero  va- 
rie conquiste  nella  contrada,  ma  ne  fu- 
rono cacciati  sotto  Carlo  V.NelsecoloXVI 
vide  rinnovarsi  le  guerre  civili  e  religio- 
se, per  gli  errori  di  Lutero  e  di  Calvino, 
e  pe' tenibili  e  crudeli  eretici  Ugonotti. 
Se  ne  impadronirono  l'i  1  maggio  i56z 
e  ne  sortirono  a' 17:  le  vie  furono  loro  con- 
trastate dagli  abitanti  palmo  a  palino,  ed 
i  nobili  opposero  una  resistenza  degna  de' 
tempi  delle  crociate.  Dipoi  Tolosa  godè 
d'una  pace  profonda  sino  alla  rivoluzio- 
ne, che  le  fece  perdere  la  sua  università. 
In  tale  infausta  epoca  la  reazione  fu  gran- 
de e  tremenda.  Alla  caduta  di  Napoleo- 
ne I,  il  duca  di  Wellington  alla  testa  di 
5o,ooo  inglesi,  spagnuoli  e  portoghesi , 
andò  a' io  aprile  18  i/J-ad  attaccarvi  i  fran- 
cesi, in  numero  minore  di  2  5,ooo,coman- 
dati  dal  maresciallo  Soult  duca  di  Dal- 
mazia: fu  la  vittoria  dispulata  con  accani- 
mento e  sostenuto  l'onore  dell'armi  fran- 
cesi; né  la  lotta  tanto  disegnale  finì  se  non 
perchè  fu  fatta  conoscere  al  maresciallo 
l'abdicazione  di  detto  imperatore;  allora 
ritiratisi  i  francesi,  Wellington  entrò  in 
Tolosa,  avendo  fatto  delle  perdite  di  ol- 
tre 10,000  combattenti.  La  giornata  del 
io  fu  di  gloria  e  di  carnificina  pe'due  e- 
serciti,  cui  successe  un'altra  di  spavento 
pe'tolosani,  poiché  Soult  erasi  deciso  di 
seppellirsi  sotto  le  rovine  della  città  in- 
sieme al  suo  esercito.  La  voce  dell'uma- 
nità edella  ragione  domò  l'iutiepidoguer- 


T  O  L 
riero,  e  abbandonò  Tolosa  la  notte  del- 
l'i r  al  12  dirigendo  la  sua  ritirata  sulla 
■via  della  Bassa-Lin^uadoca.  Wellington 
poteva  chiudergli  ogni  uscita,  attaccar  la 
città  di  viva  furza,  e  costringerlo  a  capi- 
tolare per  mancanza  di  sussistenze  ;  ma 
egli  non  ismentì  la  dichiarazione  delle  po- 
tenze alleate:  esse  non  fanno  la  guerra 
alla  nazione  francese;  e  si  sovvenne  della 
parola  data  da  lui  al  duca  d'Angoulème, 
che  l'avea  scongiurato  di  risparmiare  To- 
losa. Laonde  egli  lasciò  defilare  sotto  i 
suoi  cannoni  l'esercito  di  Soult  senza  ti- 
rare una  palla,eda'i7  fece  il  suo  ingresso 
nella  città  %aiVwa  i  Borboni,  e  fu  con- 
dotto in  trionfo  al  Campidoglio,  in  mez- 
zo alla  generale  letizia.  Quanto  alla  Lio* 
guadoca, colla  nuova  organizzazione  si  for- 
marono i  g  dipartimenti  dell'Alto-Loira, 
Lozère,  Ardèche,Gard,Herault,Aude,Al- 
to-Garonna,  Tarn,  e  Tarn-Garonna,  fa- 
cendosi ascendere  la  popolazione  a  circa 
3  milioni  d'abitauti,quasi  70,000  de'qua- 
li  contandone  Tolosa. 

La  fede  cristiana  fu  predicata  in  To- 
losa dal  suo  e  ."vescovo  s.  Saturnino  detto 
volgarmente  s.  Sernin,  inviato  da  Roma 
in  Franciaalla  sua  missioneapostolica,dal 
Papas.  Fabiano  verso  il  24  5.  Scorsa  una 
parte  delle  Spagne  e  delle  Gallie,  quindi 
andò  a  Tolosa  capitale  de'tectosagi  e  pel 
l.°  vi  portò  la  fiaccola  dell'  evangelo.  11 
felice  successo  delle  sue  zelanti  fatiche  a- 
Tendo  in  breve  tempo  aumentato  il  nu- 
mero de'cristianijfu  egli  scelto  verso  il  200 
per  dirigere  quel  gregge  fedele  che  avea 
illuminato  colle  fervorose  sue  predicazio- 
ni. Nel  257  0  prima  soffri  gloriosamente 
il  martirio  per  la  difesa  della  religione, al 
modo  riferito  nella  biografia.  Due  donne 
cristiane  raccolsero  quanto  poterouo  tro- 
vare del  suo  corpo,  e  rinchiusolo  iu  una 
bara,  lo  posero  in  una  fossa  profonda,  per 
involarlo  più  sicuramente  agl'insulti  dei 
pagani.  Le  reliquie  di  s.  Saturnino  rima- 
sero cosi  fino  all'impero  di  Costantino  I, 
quando  il  vescovo  di  Tolosa  s.  Ilario,  ri- 
trovato il  suo  corpo,  fece  fabbricargli  so- 

VOL.   LXXVII. 


TOL  49 

pra  una  cappella;  ed  il  successore  s.  Sil- 
vio pose  i  fondamenti  della  magnifica  chie- 
sa in  suo  onore  detta  s.  Sernin  ,  poi  dal 
vescovo  s.  Esuperio  finita  ,  consagrata  e 
dedicata,  trasferendovi  le  reliquie  del  san- 
to, che  qual  prezioso  tesoro  sono  tenute 
in  somma  venerazione.  La  sede  vescovi- 
le divenne  sullraganeadi  Narbona,  e  pas- 
sò ad  esserlo  di  Bourges  quando  Tolosa 
da'galli  cadde  in  potere  de'goti, cessato  il 
dominio  de'quali  tornò  ad  esserlo  di  Nar- 
bona; e  Bourges  con  molti  titoli  volle  so- 
stenere la  sua  primazia  quando   Tolosa 
fu  elevata  a  sede  metropolitana.  Ciò  av- 
venne a'26  giugno  1  3  1  7  per  disposizione 
diGiovanni  XXII,  mediante  la  bolla  Sai' 
valor  noster,  attribuendogli  persuffraga- 
nei  i  vescovati  pure  da  lui  eretti,  tranne 
ili.°,di  Pamiers,  Montauban,  Mirepoix, 
Lavaur,  Rieux,  Lombez  e  di  s.  Papoul. Di- 
smembrò parte  della  vasta  diocesi  di  To- 
losa, ch'era  una  delle  più.  grandi  del  re- 
gno, per  formare  3  delle  diocesi  suffraga- 
nee,  ed  assegnò  all'arcivescovo  per  mensa 
90,000  lire,chepoi  si  aumentò  a  100,000 
lire,  onde  pagava  5ooo  fiorini  per  le  bol- 
le. Altri  scrissero, che  Giovanni  XXII  col- 
la sola  diocesi  di  Tolosa  forinola  provin- 
cia ecclesiastica  del  suo  nome,  componen- 
dola, compresa  ad  essa,  d' 8  diocesi,  le 
quali  poi  diminuirono.  I  Monasteri  nul- 
lius  dioecesis,  già  esistenti  nell'arcidioce- 
si,  li  riportai  in  tale  articolo  cogli  altri  di 
Francia.   Nel  concordato  del  1801   sop- 
presso da  Pio  VII  l'arcivescovato  di  Nar- 
bona, poscia  neli8i7  lo  ripristinò  nel  ti- 
tolo e  l'unì  a  Tolosa,  per  cui  d'allora  in  poi 
l'arcivescovo  di  Tolosa  porta  pure  il  titolo 
di  Narbona.  Nella  bolla  Conunissa  divi- 
nitus,àtii'j  luglio  1  8  18,  Bull.  Rorn.  cont. 
t.  14.  p-  369  di  Pio  VII,  nella  sua  nuo- 
va circoscrizione  di  diocesi  della  Francia, 
si  legge  la  descrizione  della  provincia  ec- 
clesiastica di  Narbona,  e  quella  di  Tolosa 
co'due  soli  suffragane")  di  Pamiers  e  Mon- 
ta uban, il  quale  soppresso  uel  1 80 1  ,lo  stes- 
so Pio  VII  ristabilì  il  vescovato  colla  bol- 
la Supremo  pastorali,  de'  17  febbraio 

4 


Ch,         .  T  O  L 

i  808,  Bull.  cil.  1. 1  3,  p.  253,  separando- 
lo dalla  vasta  diocesi  di  Cahors  cui  era 
slato  unito ,  ed  assoggettandolo  nuova- 
niente  alla  metropolitana  di  Tolosa.  Sic- 
come Montpellier,  Pio  VII  colla  della  bol- 
la Commissa  divini 7».sTavea  sottratta  dal- 
la metropoli  d'Avignone  per  farla  suifra- 
ganea  di  Narl>ona,  colla  bolla  Etti perno» 
slras, de'24sellembrei82  1,  larestituìad 
Avignone,  come  si* legge  nel  Bull. ài.  t. 
1  5,  p.  4^7-  Al  presente  sono  suffragatici 
dell'  arcivescovo  di  Tolosa  i  vescovi  e  le 
sedi  di  Pamiers,  Carcassa  une  Montati- 
iuin.  A  s.  Saturnino  successe  s.  Onoralo, 
già  suo  discepolo  e  vicario,  che  venne  se- 
polto presso  diluì.  Indi  s.  Ilario  summen- 
tovato;  così  il  successore  s.  Silvio  che  vi- 
vea  verso  il  38o  e  inori  in  principio  del 
V  secolo,  il  cui  corpo  con  quelli  de'ss.  O- 
norato  ed  Ilario  fu  trovato  nella  chiesa 
dis.  Sernin  nel  1  265. Rodanio  sembra  con- 
trastato. Onde  a  s.  Silvio  si  dà  in  succes- 
sore s.  Esuperio  verso  il  4°^,  e  sotto  del 
quale  i  vandali,  gli  svevi  e  gli  alani  rovi- 
narono le  Gallie;  stimato  da  s.  Paolino 
per  uno  de'più  gran  vescovi  che  illustra- 
rono la  chiesa  Gallicana,  poiché  si  distinse 
per  somma  carità  e  profonda  dottrina.  Du- 
rante una  lunga  carestia,  dopo  di  aver  di- 
stribuito i  suoi  averi ,  vendè  i  vasi  sagri 
d'argento  e  oro  per  soccorrere  a'bisogni 
de'poveri,  talché  fu  costretto  a  conservare 
il  corpo  di  Cristo  in  un  paniere  di  vimi- 
ni, e  il  suo  Sangue  in  un  calice  di  vetro. 
Papa  6.  Innocenzo  1  gl'indirizzo  una  de- 
cretale, celebre  nella  storia  ecclesiastica, 
pe'regolamenti  di  disciplina  che  contiene. 
Pare chesia  morto  verso  il  4'  7.  Indi  contro 
sua  voglia  fu  creato  vescovo  Massimo,  as- 
sai lodato  dall'annalista  Rinaldi,  bello  di 
corpo  e  modestissimo  nell'abitazione  e  nel- 
Iamensa,chedeslòammirazione  qual  mo- 
dello di  parsimonia.  Dopo  Massimo  del 
44  '  >  che  vivea  nel  465,  ed  Eracliano,che 
nel  5o6  fu  al  concilio  d'Agde,  fiorì  s.  Ge- 
1  emaro  o  s.  Germerio,  che  il  clero  e  po- 
polo di  Tolosa  circa  il  5i  1  surrogarono 
a  Israeliano:  alcuni  lo  fanno  di  Gei  usa - 


T  O  L 
lemme,  altri  d'Angouléme,  ritardando  il 
vescovato  al  54  1,  e  dicendo  aver  gover- 
nato la  chiesa  36  anni.  Il  suo  corpo  fu  tu  - 
nudato  ad  Oz  o  Ox  presso  Muret,  ove  ven- 
ne innalzato  un  monastero  che  prese  il 
suo  nome,  ed  in  seguito  diventò  un  prio- 
rato conventuale  della  badia  di  Lezat;  e 
le  sue  reliquie  da  tal  chiesa  vennero  tra- 
sferite in  quella  di  S.Giacomo  di  Muret. 
La  famiglia  Orsini,  secondo  Novaes,  van- 
ta un  s.  Volusiano  martire  arcivescovo  di 
Tolosa,  ma  noi  trovo  nella  Gallia  Chri- 
stiana, 1. 1 ,  p.  670,  Tolosani  Episcopi  et 
Archiepiscopi,  ed  allora  la  sede  era  vesco- 
vile. Magnulfo  nel  585  sottoscrisse  il  con- 
cilio di  Macon,el)be  grave  alterco  conGuti- 
dobaldo  naturale  di  Clotario  I,  per  cui  fu 
esiliato,  e  poi  venne  ristabilito. Menna  del 
601, a  cui  scrisse  diverse  lettere  s.  Grego- 
rio I,  raccomandandogli  i  monaci  che  in- 
viava a  s.  Agostino  in  Inghilterra.  Sadoco 
del  627  incolpato  di  connivenza  nella  ri- 
bellione de'guasconi  fu  esiliato.Guillegise- 
lo  inlervenne  al  concilio  di  Reimsnel  63o. 
Clotario  III  fece  chiamare  per  succederlo 
nel  657  dal  monastero  diFontenelle il  mo- 
naco s.  Eremberto,  ma  preferendo  egli  la 
vita  religiosa  alle  gravi  curedel  vescovato, 
ritornò  al  suo  ritiro  nel  67  1 ,  che  Cutter  lo 
dice  annodi  sua  beata  morte,  la  quale  da 
altri  si  ritarda  cou  riportare  tale  abdica- 
zione al  690.  Non  si  é  d'accordo  sul  vesco- 
vato di  s. Silvino  monaco  di  s.  botino  nel 
monastero  dis.Omer,  di  mirabile  santità, 
che  visse  molti  anni  col  solo  sagro  cibodel- 
l'Encaristia,  e  morì  nel  Signore  nel  7  1 5. 
Arruso  é  ricordato  nel  concilio  di  Narbo- 
na  del  785.  Manziofiorì  nell'820.  Samue- 
le nell'844-  Elizacar  nell'856.  Bernardo 
I  intervenne nell'886alconciliodi  Nimes; 
nel  920  era  vescovo  Armanno,  nel  932 
Raimondo  I,  nelgSó  Isloolslus,  nel  g48 
Ugo  I,  nel  975  Issolo,  nel  982  Atto,  nel 
1020  Raimondo  11, nel  io35  Arnaldo  in- 
tervenne al  concilio  di  Tolosa  del  io56 
conlio  la  simonia.  Nel  1060  Pietro  Roger 
I  ebhe  una  controversia  co'canonici  di  s. 
Saturnino  per  la  restaurazione  di  tal  ba- 


T  O  L 

silica  ;  fu  successo  verso  detto  tempo  da 
Duranno  cliiniacense  e  discepolo  di  s.Ugo- 
ne,di  santa  vita,  che  intervenne  al  concilio 
di  Tolosa  del  i  068,  reclamando  contro  il 
capitolo  e  il  preposto  sulla  giurisdizione 
della  chiesa  di  s.  Maria  Deauratae.  Izarno 
nominato  vescovo  neh  071,  unì  all'ordi- 
ne cliiniacense  nel  1077  'a  detta  chiesa 
della  Daurade,  stabilì  la  vita  regolare  nei 
canonici  della  cattedrale,  fece  doni  consi- 
derevoli al  capitolo,  e  si  trovò  presente  al 
concilio  di  Tolosa  del  1079, ed  a  quello  del 
1  090.  Gli  successe  nel  1  1  o5  Amelio  Rai- 
mondo Du  Puy,  che  fu  a  3  concilii  di  To- 
losa, due  de'quali  convocati  da  Gelasio  II 
e  Calisto  II. Neil  ì^o  Raimondo  III, al  qua- 
le scrisse  Papa  Innocenzo  II  per  la  ricu- 
pera de'beni  di  sua  chiesa,  e  per  prende- 
re la  cattedrale  di  s.  Stefano  sotto  la  pro- 
tezione apostolica.  Il  preposto  di  essa  Ber- 
nardo Bonomo  neh  i63  ne  fu  successo- 
re, che  fece  una  donazione  alla  medesima. 
Nel  1  164  Gerardo  de  la  Barthc,  pel  qua- 
le Luigi  VII  re  di  Francia  scrisse  a  l'apa 
Alessandro  III  per  la  sua  consagrazione, 
essendo  Tolosa  allacciata  dall'interdetto, 
indi  il  vescovo  dotò  la  sua  chiesa  con  vari 
beni.  Neh  172  Ugo  II  già  abbate  di  s.  Sa- 
turnino; poi  Bertrando  neh  175.  Gosceli- 
no  intervenuto  nel  1  1 76  al  concilio  d'Al- 
by,  ove  furono  esaminati  gli  eretici  albi- 
gesi.  Neh  180  Folcrando,  avanti  il  quale 
fu  abitata  la  vertenza  tra  il  sacrista  della 
cattedrale,  e  gli  ebrei  di  Tolosa,  per  la  ce- 
ra ch'erano  tenuti  somministrare  nel  ve- 
nerdì santo;  lodato  per  pietà,  e  insieme 
censurato  per  la  sua  semplicità  e  negli- 
genza, onde  gli  eretici  albigesi  molto  si 
propagarono  nella  sua  diocesi.  Neh  201 
Raimondo  de  Rabastens  simoniacamen- 
te,  per  cui  fu  deposto  dalla  s.  Sede.  Il  fa- 
migerato Folco  o  Foulques  figlio  d'Alfon- 
so ricco  mercante  di  Genova  stabilito  a 
Marsiglia,  si  fece  religioso  cisterciense  ver- 
so il  1  1 99  con  due  suoi  figli  e  persuase  sua 
moglie  a  farsi  monaca  del  medesimo  or- 
dine: era  già  abbate  di  Toronet,  nella  dio- 
cesi di  Frejus,  quaudo  neh  20  5  venne  uo- 


TOL  5t 

minato  vescovo  di  Tolosa.  Durante  il  suo 
vescovato,  il  che  già  descrissi,  Tolosa  sof- 
frì grandi  disastri  per  la  guerra  contro  gli 
albigesi ,  ed  egli  soggiacque  alle  narrate 
vicende;  intervenne  al  concilio  di  Tolosa 
dell  229  e  morì  nel  dicembre  1  23  1.  Rai- 
mondo di  Falgar  di  Mirammit,  provin- 
ciale de' domenicani ,  eletto  vescovo  nel 
marzo  1232  concordemente  dal  capitolo 
e  approvato  dal  legato,  si  distinse  pel  suo 
zelo  contro  gli  eretici  e  morì  nel  1270. 
In  questo  di  commi  consenso  il  capitolo 
gli  sostituì  Bertrando  dell'  Ile-Jourdaiu 
preposto  della  cattedrale ,  lodato  per  le 
sue  grandi  liberalità  ,  sia  in  vita  che  in 
morte,  tanto  a  favore  de'povei  i  che  delle 
chiese:  fondò  nel  capitolo  di  s.  Stefano  le 
12  prebende  poi  chiamate  di  dozzina,  e 
8  posti  pe'chierici.  Nel  principio  del  suo 
vescovato  le  monache  cisterciensi  forma- 
rono un  monastero  in  Tolosi  ,  collocato 
nel  quartiere  di  s.  Cipriano  e  poi  trasfe- 
rito in  quello  dell'  università.  Morì  nel 
1283  e  fu  ih. "vescovo  di  Tolosa  tumu- 
lato nella  cattedrale  di  s.  Stefano,  avendo 
i  suoi  predecessori  la  loro  sepoltura  nella 
chiesa  di  s.  Saturnino.  Neh  285  Ugo  Ma- 
scaion  canonico  della  cattedrale,  dopo  la 
cui  morte  Bonifacio  Vili  separò  Pamiers 
dalla  diocesi  di  Tolosa  e  l'eresse  in  sede 
vescovile.  Nel  dicembre  I2g6  Bonifacio 
Vili  nominò  vescovo  s.  Litigio  Lodovico 
figlio  di  Carlo  II  redi  Sicilia,  dispensan- 
dolo dall'eia,  conferendogli  pure  Tatuali 
nistrazione  del  vescovato  di  Pamiers  da 
lui  recentemente  istituito:  fu  coiivigrato 
nel  seguente  fehbraio,  e  imitatore  delle 
preclare  virtù  del  suo  pro-zio s.  Luigi  IX, 
morì  a' 19  agosto  1  297.  Giovanni  XXII, 
di  cui  era  slato  discepolo,  in  Avignoneai 
7  aprile  1  3 1 7  lo  canonizzò  colla  bolla  Sol 
Orient,  e  con  un  breve  ne  die  partecipa- 
zione a  Maria  d'Ungheria  sua  madre  an- 
cor viveute.  Arnaldo  Raimondi  de'conti 
di  Comminges  preposto  della  cattedrale, 
eletto  dal  capitolo  verso  la  festa  d'  Ognis- 
santi 1297,  Bonifacio  VIII  non  solo  lo  con- 
fermò, ma  nella  domenica  lattare  del 


5?.  TOL 

1 298  Io  consagrò.  Poco  visse,  onde  il  Pa- 
pa gli  surrogò  Pietro  Tagliafer  de  la  Cha- 
pelle,  che  creò  cardinale  Clemente  V,  se- 
condo alcuni  stato  suo  discepolo.  Mori  nel 
j  3 1  2,e  lo  stesso  Papa  elesse  il  nipote  pro- 
prio Gailardo  de  la  Mollie  di  Pressac,  dal 
successore  Giovanni  XXII  creato  cardi- 
nale. Questi  da  Maguelone  vi  trasferì  Gio- 
vanni Raimondi  de  Comminges  e  ne  fu 
ili. "arcivescovo,  neh 3  19  vi  celebrò  il  si- 
nodo prò  vinciale,e  lo  stessoGiovanniXX  II 
Io  creò  cardinale.  Nella  sede  apostolica  va- 
cante fu  eletto  Papa,  ea  conditione,  ut 
nunquam  Romani  projicisceretur,  sum- 
ma  animi  gene  rosi  tate  Pontificatimi  re- 
cusavit  his  conditionibus  oblatum,  seque 
polius  cardinalatui  renuncialurum  pa- 
lam  professus  est,  qua  ni  tali  proposito 
eligeretur.  Per  questo  eroismo,  che  lo  re- 
se immortale  e  glorioso,  Io  celebrai  anche 
a  Rinunzia,  giustamente  rigettando  l'in- 
degna condizione  di  preferire  Avignone 
aU'almaRoraa,vera  e  propria  sede  del  Pa- 
pa. Nel  i328  fu  2.0  arcivescovo  di  Tolosa 
fr.  Guglielmo  deLauduno  domenicano, 
traslato  da  Vienna,  che  ad  onore  di  s.  Do- 
menico fondò  nella  cattedrale  4  preben- 
de. Neil  347  Raimondo  de  Canillac  poi 
cardinale;  neh35o  Stefano  Aldobrando 
de  Cambaruti  tesoriere  di  Clemente  VI, 
traslato  da  s.  Pons.  Mentre  Stefano  era 
abbate  o  priore  Cellense,  il  Papa  essendo 
ancor  monaco,  recandosi  da  Parigi  al  suo 
monastero  di  Casa  di  Dio,  fu  spogliato  dai 
ladri  nella  macchia  di  Randano,  e  ricove- 
ratosi da  Stefano  fu  provveduto  degli  a- 
biti  necessari.  Grato  il  monaco  disse  al- 
l'abbate: Quando  vi  potrò  ricompensare 
sì  opportuno  benefìcio?  Rispose  Stefano 
con  grande  prontezza:  Quando  sarete  Pa- 
pa. Infatti  appena  vide  avverala  la  pre- 
dizione, ricordandosi  di  Stefano,  lo  chia- 
mò per  suo  cubicularius  maior  e  lo  pro- 
mosse ad  altre  dignità.  Neh  36 1  da  Car- 
cassona  passò  a  questa  sede  Gaufrido  de 
Vayrolis,  al  cui  tempo  s'introdussero  in 
Tolosa  i  trinitari  della  redenzione  degli 
schiavi,  istituì  nella  cattedrale  4  cappel- 


TOL 

lanie,  e  Urbano  V  decisela  lite  e  contro- 
versia tra'  cistcrciensi  di  Fossanuova  e  i 
domenicani  sul  corpo  di  s.  Tommaso  d'A- 
quino, concedendolo  a  fr.  Elia  Raimondi 
tolosano  generale  de'domenicani,  pel  con- 
vento  e  chiesa  di  Tolosa.  Nel  1  3y6  fu  di- 
chiarato amministratore  perpetuo  Gio- 
vanni de  Cardaillac  patriarca  d'Alessan- 
dria dottoe  pio,  celebre  giureconsulto  del- 
l'università  di  Tolosa;  pose  in  sontuosa 
custodia  il  capo  di  s.  Stefano  protomar- 
tire nella  cattedrale,  alla  quale  donò  la  ri- 
nomata campana  maggiore.  Neh  391  da 
Arles  vi  fu  trasferito  Fraucescode  Con- 
ziè  camerlengo  dis.  Chiesa ',  poi  di  Nar- 
bona.  Nel  1392  Pietro  de  Saint-Martial 
traslocato  da  Carcassona,  benemerito  e 
generoso  pastore.  Nel  i4o  1  il  capitolo  e- 
lesse  e  l'arcivescovo  di  Bourges  confermò 
(forse  perchè  in  tempo  del  gran  scisma) 
Vitale  de  Caslelmaur  o  Castel  Mauron, 
preposto  della  cattedrale  e  tolosano  dot- 
tissimo. L'antipapa  Benedetto  XIII,a  cui 
ubbidiva  la  Francia  e  Tolosa,  rigettando 
tal  nomina,  vi  destinò  Pietro  vescovo  di 
s.  Pons,  ed  inviò  presso  i  tolosani  un  nun- 
zio, assumendo  il  dominio  temporale  del- 
la città.  Quindi  grandissima  fu  la  efiscor- 
dia  della  provincia  pe'  due  arcivescovi, 
onde  Carlo  VI  rediFrancia  neh  404  al 
siniscalco  di  Tolosa  attribuì  l'ammini- 
strazione della  città.  Poi  Alessandro  V  nel 
sinodo  di  Pisa  rimosse  l' intruso,  e  rico- 
nobbe Vitale  nel  i4°9'  Gli  successe  nel 
i4'2  fjr.  Domenico  Florence  domenica- 
no, già  confessore  dell'antipapa  Clemente 
VII,  vescovo  di  s.  Pons  e  d'Alby:  con  fa- 
coltà di  Martino  V  riformò  il  capitolo  e 
il  collegio  di  Maguelone,  fondò  i!  ginnasio 
di  Mirepoix,  e  lasciò  la  sua  ragguardevo- 
le eredità  a'domenicani  di  s.  Massimino. 
Nel  ì^.79.  e  confermato  dal  primate  di 
BourgeSjDionisiodeMoulio  patriarca  d'A- 
lessandria, peritissimo  dottore  in  gius  ci- 
vile e  canonico,  poi  traslalo  a  Parigi  nel 
1439.  Gli  successe  il  fratello  Pietro  sena- 
tore tolosano,  approvato  da  Eugenio  IV; 
costruì  il  maguifìco  vestibolo  della  catte- 


TOL 

drale,  riedificò  l'arci-episcopio  e  l'amplis- 
sima  sala  del  castello  Viridisfolii,  morto 
di  peste  in  Balma  presso  Tolosa  a'3  otto- 
bre 1 45 1,  col  titolo  di  principe  de'poeti. 
Nel  j452  il  tolosano  Bernardo  de  Rosier 
traslato  da  Montauban,  già  arcidiacono 
e  preposto  della  patria  cattedrale,  pro- 
fessore e  cancelliere  dell'uui  versila,  dotto 
autore  d'opere,  munifico  colla  metropo- 
litana, e  cuori  santamente.Nel  i475Pietro 
de  Lion  aquilano  fratello  del  siniscalco  di 
Tolosa.  Nel  1491  Ettore  di  Bourbon  per 
nomina  pontificia.cuenire  il  capitolo  avea 
designato  il  preposto  Pietro  Roser,percui 
vi  fu  grave  lite  e  alterazione  nel  parla- 
mento di  Bordeaux.  Nel  1 5o2  e  di  1 8  an- 
ni l'egregio  Giovanni  A' Orleans  de'  du- 
chi di  Longueville,  poi  cardinale;  adornò 
la  cattedrale,  costruì  la  sagrestia  con  di- 
verse cappelle  e  il  coro,  e  con  dispensa  ot- 
tenne l'amministrazione  d'Orleans.A'27 
ottobre  1 533  gli  successeli  cardinal  Ga- 
briele de  Grandemont  o  Grammont  o 
Gradmoiit}moilo  nel  palazzo  arcivesco- 
vile di  Balma  a'  i5  marzo  o  26  maggio 
i534>  Perciò  ne  occupò  la  sede  il  cardi- 
nal OJetto  di   Coligny,  amministratore 
di  Beauvais,  deposto  da  tutte  le  dignità 
da  Pio  IV,  per  quanto  riportai  nella  bio- 
grafia ed  a  Porpora.  Nel  1 53g  il  cardinal 
A.n\.oa\oSanguin. indi  amministratore  nel 
i559  il  cardinal  Roberto  de  Lenoncourt 
lodatissimo.  Poscia    il  celebre  cardinal 
Giorgio  d'  Armagliele ,  governatore  del- 
l'Occitania  e  legato  d'Avignone,  della  cui 
sede  divenne  amministratore.  Nel  i5y3 
Paolo  de  Foix  oratore  regio  a  vari  prin- 
cipi e  presso  Gregorio  XIII,  altamente 
encomiato  per  le  sue  eccellenti  doti.  Nel 
1  584  •'  cardinal  Francesco  di  Giojosa, 
che  nel  1  Dgo  celebrò  il  concilio  provincia* 
le  co'  suoi  suffragatici,  nel  quale  furono 
ordinate  ottime  costituzioni  pel  governo 
delle  chiese,  a  seconda  de'decreli  del  con- 
cilio di  Trento,  e  rifece  il  coro  della  cat- 
tedrale consunto  dal  fuoco.  Per  sua  di- 
missione nel  16 14  Lodovico  ùe  Xogaret 
poi  cardinale,  sotto  del  quale  s'iulrodus- 


TGL  53 

sero  nel  1616  in  Tolosa  le  carmelitane, 
nel  1 620  le  terziarie,  nel  1 622  i  benedet- 
tini di  s.  Mauro,  nel  1623  i  cisterciensi 
foglianti.  Per  di  lui  rinunzia,  nel  1628 
Carlo  de  Montchal  dotto  in  ogni  scienza 
ed  eloquente  ,  pel  cui  esempio,  predica- 
zione e  vigilanza,  l'antica  pietà  de'tolo- 
sani  ricevè  notabile  incremento  ;  acerri- 
mo difensore  della  libertà  ecclesiastica  e 
zelante  pastore,a'  1  3  novembre  1 644  nel" 
la  chiesa  di  s.  Saturnino  fece  la  solennis- 
sima  traslazione  delle  reliquie  de'ss.  Ed- 
mondo re,  Sinforiano,  Claudio,  Nicostra- 
to, Castore  e  Simpliciano  martiri,  assisti- 
to da'  suffraganei  e  alla  presenza  del  se- 
nato di  Tolosa  ede'suoi  otloviri  capito- 
lini; indi  nel  1 647  celebrò  quella  de'corpi 
de'martiri  Raimondo  e  Bernardo, cano- 
nico e  chierico  di  Tolosa,  trucidati  per  la 
fede  cattolica  dagli  albigesi.  Fondò  il  se- 
minario presso  la  chiesa  di  S.Pietro,  e  con- 
tribuì alle  istituzioni  de' carmelitani  te- 
resiani,di  monasteri  di  monache  e  ospe- 
dale; assai  lodato  per  le  sue  opere  e  per 
l'indefessa  episcopale  sua  vigilanza,  mo- 
rendo colle  parole:  In  manus  Inas  Do- 
mine commendo  spiritimi  menni, et  Spon- 
sam  meam.  Pe'  successori  di  Pietro  de 
Marca  (V.),  traslato  da  Conserans  nel 
i652e  poi  di  Parigi,  si  può  vedere  la  Gal- 
Ha  Christiana  della  2.*  edizione.  Le  No- 
tizie di  Roma  riportano  la  seguente  se- 
rie. Nel  1740  Carlo  Antonio  de  la  Roche 
Aymont  poi  cardinale.  Nel  17 53  Fran- 
cesco de  Crussol  d'Usez  di  Clermont,  già 
vescovo  di  Blois.  Nel  1758  Arturo  Ric- 
cardo de  Dillou  di  s.  Germano  in  Laya. 
Nel  i  'j63Sie(anoCm\oLomenié de D ricii' 
ne,  già  vescovo  di  Condoni,  e  fece  quel 
bene  che  notai  nella  biografia,  misto  di 
male  gravissimo  e  deplorabile;  traslato  a 
Sentii  re  gli  ottenne  il  cardinalato  dal  ri- 
pugnantePioVKche  poi  volendolo  depor- 
re dalla  Porpora  (!'.),  egli  furbissimo  la 
rinunziò.  Nel  1788  Francesco  de  Fonta- 
gnes  di  Clermont,  già  di  Bourgeaj  pel  con- 
cordato del  1802  die  la  sua  dimissione, 
e  veune  perciò  deportato  ad  A.utuu,  dove 


54  T  O  L 

H»ori  nel  1 806  martire  di  sua  cai  ilei. Clau- 
dio Francesco  M/  Prunai  dell'arcidioc'e- 
si  di  Lione,  gui  consagralo  vescovo  costi- 
tuzionale di  Tolosa  nel  1  792,  venne  pie- 
conizzatocauonicamenlcda  Pio  VII  a'29 
aprile  1802,  e  mori  nel  1816.  Lo  stesso 
Papa  il  1  ."ottobre  1 8 1  7  gli  sostituì  Fran- 
cesco de  Bovet,  già  vescovo  di  Sisteron, 
ed  a  questi  a'28  agosto  1820  die  a  suc- 
cessore AnnaAutonioGiuliodeC/crmo/if- 
Tonnerre,  che  nel  1822  creò  cardinale. 
Per  sua  morte  Pio  Vili  a'5  luglio i83o 
preconizzò  Paolo  Teresa  David  d'Astros 
di  Tours,  già  vescovo  di  Bajona  fino  dal 
1820.  Il  sullodato  tolosano  A.  Mauavil, 
nella  Nolicc  sur  la  vie  et  le  Pontifica  t  de 
Gregoire  XVI,  non  solamente  descrisse 
j  rapporti  particolari  fra  quel  Papa  e  l'ar- 
cidiocesi  di  Tolosa,  ma  ancora  diverse  no- 
tizie sull'arcivescovo  D'Astros, e  le  tribo- 
lazioni da  lui  sofferte  ne'  primi  anni  del 
secolo  corrente  per  la  fede  romana  e  pei 
motivi  di  cui  feci  cenno  altrove  e  ne'vol. 
XXVII,  p.  127  ei  28,  XXXIII,  p.  12,  LI, 
p.  2  1  o(avendogliPio  VII  indirizzalo3  bre- 
vi,quando  rigettatole  nomine  diNapoleo- 
ne  1  alle  chiese  vescovili  vacanti,  questi  in- 
dusse i  capitoli  di  tali  cattedrali  ad  elegge- 
re per  vicari  capitolari  i  soggetti  da  esso  no- 
minati a  quelle  sedi  vescovili,  con  funeste 
conseguenze);  dal  medesimo  Papa  cono- 
sciute e  altamente  comaien<ìdle,do?it  le  su- 
preme Pasteur  eutvoulu  pouvoir  récom- 
penser  les  vertus  par  lapourpre  romai- 
ne.  Celebrò  il  suo  zelo  infaticabile  pel  bene 
della  religione,  la  sua  dottrina  e  vigilanza 
colla  quale  con  ardore  propugnò  pel  trion- 
fo delle  verità  cattoliche,  anche  contro  gli 
errori  di  La  Mennais.  Come  ricostituì  in 
Tolosa  l'opera  de'pi  eli  ausiliari  missiona- 
ri adoratori  e  contemplatori  del  ss.  Cuo- 
re di  Gesù  e  ne  scrisse  gli  statuti,  indi  ne 
Ottenne  nel  1 84 1  da  Gregorio  XVI  l'ap- 
provazione e  l'elogio,  con  breve  in  cui  il 
Papa  rese  solennemente  giustizia  a'  veri 
meriti  di  mg/D'Astros  colla  s.  Sede,  e  co- 
stante divozione  per  la  medesima;  al  suo 
mirabile  spirito,  dottrina,  virtù  e  pietà, 


T  OL 
Come  il  prelato  s'interessò  e  quanta  parte 
prese  nella  questione  dell'insegnamento,   - 
in  quella  de'gesuiti,  e  nella  questione  li- 
turgica fatta  da  Gueranger;  ecome  il  pro- 
cesso della  beatificazione  della  veu.  Ger- 
mana Cousin  borghigiana  di  Tolosa  co- 
minciò sotto  Gregorio  XVI,  per  cura  del- 
l'arcivescovo che  poi  fu  consolato  del  fe- 
lice risultato.  Il  premio  di  tanti  ineriti  che 
si  proponeva  di  dare  Gregorio  XVI  al- 
l'insigne prelato  ,  P  effettuò  il  successore 
Pio  IX  a'3o  settembre  i85o,  creandolo 
cardinale  dell'ordine  de'preti,  e  rimetten- 
dogli a  Tolosa  la  notizia  e  il  berrettino 
rosso  per  la  guardia  nobile  conte  Pompeo 
Troili,  deputando  in  ablegato  pontificio 
per  la  presentazione  della  berretta  cardi- 
uali/.ia,  mg/  Achille  Apolloni  (incaricato 
di  fare  altrettanto  col  cardinal  Mathieu 
arcivescovo  di  Besancon  e  col  cardinal 
Gousset  arcivescovo  di  Reims)  attuale  de- 
legato apostolico  di  Rieti.  Per  la  sua  gra- 
veetà  e  debole  salute,  non  potendo  il  car- 
dinal D'Astros  recarsi  in  Parigi  a  ricever- 
la per  le  mani  del  presidente  della  repub- 
blica francese,  ora  imperatore  Napoleone 
IHjCome fecero  gli  altri  duecardinali  men- 
tovati, il  Papa  stabili  che  si  facesse  in  To- 
losa, ed  ecco  come  seguì,  secondo  la  rela- 
zione che  ne  pubblicò  il  Giornale  di  Ro- 
ma a  p.  1  1  62.  Sua  Santità  delegò  per  ta- 
le offizio  il  cardinal  Fornai-i,  già  nunzio 
di  Parigi,  colla  facoltà  di  suddelegare  al- 
tro dignitario  della  chiesa  fra  gli  arcive- 
scovi viciniori,  in  caso  ch'egli  non  potesse 
recarvisi  personalmente.  Difatti  il  cardinal 
Fornari  suddelegò  mg/  Francesco  Don- 
net  arci  vescovo  di  Bordeaux  (nel  i852  an- 
ch'egli  elevato  al  cardinaiato).Questopre- 
lato,che  trovatisi  allora  in  Parigi,  ne  par- 
tì a' 1  5  novembre  con  mg.1  Apolloni  able- 
gato apostolico,  e  passando  per  Orleans, 
Tours,  Nantes,  Lucon,  Pons,  Blaye  e  Bor- 
deaux, a'26  giunse  in  Tolosa.  Le  popola- 
zioni degl'indicati  luoghi  e  degli  altri  in- 
termedi, informate  che  i  due  prelati  era- 
no insigniti  d'  una  missione  del  sommo 
Pontefice ,  fecero  loro  dovunque  dimo- 


TO  L 

slrazioni  onorifiche,  in  segno  della  loro 
speciale  divozione  verso  i  1  capo  della  Chie- 
sa. La  cerernonia  dell"  imposizione  della 
berretta  rossa  si  dovea  fare  nella  chiesa 
metropolitana,  ina  il  cardinal  D'Astros 
non  potendo  visi  recare  per  tostalo  di  sua 
salute  ,  si  esegui  nella  sua  cappella  pri- 
vata. Erasi  innanzi  all'altare  di  essa  col- 
locato un  genuflessorio  destinalo  pel  car- 
dinale: a  diritta  e  a  sinistra  ve  n'erano  al- 
tri per  l'arcivescovo  di  Bordeaux,  l'arci- 
vescovo di  Sardi  mg.r  Mioland  coadiuto- 
re di  Tolosa,  e  l'antico  vescovo  di  Bajoua 
(mg.r  Stefano  M.1  Brunone  d'Arbou,  ohe 
traslalo  da  Verdun  era  successo  al  cardi- 
nale in  quella  sede,  che  rinunziò  a  Gre- 
gorio XVI  neh  838);  un  cuscino  ed  una 
sedia  a  hracciuoli  per  l'ahlegato  pontifi- 
cio :  nel  centro  erativi  altre  sedie  per  le 
prime  autorità  giudiziarie,  civili  e  milita- 
ri invitate  ad  intervenirvi.  Il  clero  stava 
ne'hanchi  a  diritta  e  a  sinistra.  Dopo  aver 
l'arcivescovo  di  Sardi  celebratala  messa, 
una  deputazione  del  capilolo  metropoli- 
lano  si  recò  a  prendere  il  cardinale,  che 
entrò  nella  cappella  preceduto  dalia  cro- 
ce arcivescovile.  Indi  il  cardinale  s'  ingi- 
nocchiò, e  l'ahlegato  gli  presentò  su  d'una 
coppa  d'  argento  il  hreve  apostolico,  col 
quale  il  Papa  Pio  IX  lo  creava  cardina- 
le di  s.  romana  chiesa.  L'ab.  Roger  uno 
de'  vicari  generali  lo  lesse;  quindi  l'arci- 
vescovo di  Bordeaux  proferì  il  seguente 
discorso.  »  Eminenza.  Colloca  ndo  sul  ca- 
po dell'Eminenza  Vostra  R..ma  le  insegne 
della  dignità  cardinalizia,  mi  attribuisco 
ad  onore  l'adempiere  ad  un  incarico,  che 
certamente  sarebbe  stato  più  maestoso, 
ove  fosse  stato  eseguito  dallo  stesso  Rap- 
presentante della  s.  Sede  in  Parigi.  Alla 
mancanza  di  quello  splendore  che  avreb- 
be alla  ceremonia  apportato  la  presenza 
di  lui,  piacciavi  di  supplire  cogli  omaggi 
ohe  vi  otfre  un  cuore,  il  di  cui  allaccimeli- 
to  è  da  voi  ben  conosciuto.  11  nunzio  a- 
postolico  conoscitore  profondo  de'  senti- 
menti di  Roma,  e  fedele  interprete  della 
pubblica  opinioue  diFraacia,  vi  avrebbe, 


I  O  L 
o  Eminenza,  detto  con  più  autorità  ,  in 
quale  venerazione  siate  presso  di  tutti,  e 
i  molli  molivi,  per  cui  si  è  posta  sul  vo- 
stro capo  un'insegna  che  viene  a  corona- 
re la  vostra  lunga  e  laboriosa  carriera. 
Questi  titoli  e  queste  uni  versali  testimo- 
nianze vi  si  sarebbero  altresì  in  singoiar 
modo  manifestate  ,  per  mezzo  d'una  di 
quelle  generose  e  simpatiche  parole, cheil 
Capo  dello  Statosi  è  fatto  sfuggire  dal  lab- 
bro, nella  recente  solennità ,  in  cui  due 
de' nostri  più  illustri  colleghi  ricevettero 
onori  sì  ben  meritati:  parole  d'un  cuore 
nobile:ammaestramento che  rimarrà  per- 
peluameute  scolpito  nella  nostra  istoria 
contemporanea.  Dalle  vostre  virtù  e  dal- 
la vostra  fermezza  incapace  d'essere  smos- 
sa, il  Nipote  di  Napoleone  comprese  la 
gloria  del  confessore  della  fede;  ed  ha  pub- 
blicamente dichiarato  che  l'onor  della  por- 
pora, di  cui  siete  oggi  cgo  tanta  solenni- 
tà rivestilo,  non  era  già  una  compiacen- 
za del  suo  cuore,  ma  un  giusto  guiderdo- 
ne per  voi.  Al  pensiero  d'una  promozio- 
ne che  ha  rallegrato  l'episcopato,  non  pos- 
so non  aggiungere  l'altro  d'un  principe 
della  Chiesa,  che  fu  pur  egli  insuperabile 
nella  fedeltà,  instancabile  per  lo  zelo,  la 
cui  memoria  benedicono  ancora  oggidì  le 
opere  fatte  nelle  vaste  nostre  diocesi,  co- 
me, o  Eminenlissimo,  glorificano  il  vostro 
nome  quelle  di  Bajoua  e  di  Tolosa.  In  pre- 
senza di  quest'altro  voi  stesso,  di  questo 
vostro  coadiutore,  pur  egli  com'io,  figlio 
della  chiesa  di  Lioue,  mi  conviene  di  ren- 
dere quesla  testimonianza  ad  un  vescovo 
doppiamente  illustre  per  la  sua  divozioue 
alla  s.  Sede  apostolica,  e  pe'legami  di  san- 
gue, che  l'univano  al  trono  imperiale.  Co- 
sì la  Provvidenza  giustifica  le  sue  opera- 
zioni. Nulla  è  caso;  noi  siamo  gl'ignoran- 
ti. Se  alcuua  cosa  succede  nell'ordine  de- 
gli avvenimenti,  è,  dice  la  s.  Scrittura,  la 
sapienza  di  Dio  ladens  coranico  inoibe 
terrarum.  Ebbeoel  non  pare  che  questa 
sapienza  abbia  scelto  il  Nipote  dell'Impe- 
ratore per  fecondare  dopo  tanti  successi 
tutti  i  nostri  elementi  di  ordine,  di  unio- 


56  T  O  L 

ne  e  di  armonia  ?  Non  potrò  aggiungere, 
e  per  riparare  eziaudio  a  vostro  riguardo 
le  violenze  della  politica  umana,  fra  tan- 
te cose  d'altronde  sì  consolanti  e  sì  gran- 
di per  la  Chiesa,  che  cominciarono  il  più 
glorioso  di  tutti  i  regni.  E  voi,  mg.r  Ab- 
legato,  che  siete  venuto  nella  nostra  cit- 
tà ad  adempire  un  incarico,  cui  vi  chia- 
mò la  fiducia  che  il  Santo  Padre  in  voi  ri- 
poneva, permettete  che  con  esso  voi  ci  con- 
gratuliamo per  vedervi  fra  noi.  Vostra  Ec- 
cellenza, nel  vedetesi  da  vicino  le  nostre 
popolazioni,  e  gli  uomini  ragguardevolis- 
simi che  presiedono  alle  cose  pubbliche, 
ha  dovuto  essere  commossa  dalle  testimo- 
nianze di  rispetto  che  si  danno  alla  Chie- 
sa di  Gesù  Cristo.  E  come  potrebb'esse- 
re  altrimenti? Non  è  forse  essa  che  in  mez- 
zo alle  nostre  tempeste  ha  mantenuto  la 
pace  al  di  dentro,  ed  ha  fatto  nello  ester- 
no scorgere  il  valore  e  l'animo  cristiano 
de*  nostri  soldati  ?  Voi  avete  veduto  nel 
vostro  viaggio  fra  noi  la  religione,  sem- 
pre inesauribile  nellesue  misericordie,  ap- 
pacificare gli  odii,  dare  appoggio  alla  de- 
bolezza, perdonare  all'errore,  e  prepara- 
re un  migliore  avveuire,  facendo  un  ap- 
pello alla  nostra  ragione,  a' nostri  cuori, 
a  tutti  i  nostri  più  cari  interessi.  Potrete 
adunque  dir  voi  al  nostro  immortale  Pio 
IX  le  meravigliose  conquiste  della  fede  e 
della  libertà  in  mezzo  a  lauti  avvenimen- 
ti impreveduli,  che  per  un'ammirabile 
disposizione  della  Provvidenza,  invece  di 
allontanarci  dalla  religione,  ci  ha  ad  esso- 
lei  avvicinati.  Voi  addolcirete  le  ama- 
rezze del  paterno  suo  cuore,  parlandogli 
dell'amore  inviolabile  de'suoi  figli,  i  cat- 
tolici di  Francia  ,  soave  balsamo  gittato 
nel  calice  de'suoi  dolori.  Possano  queste 
dolci  impressioni  rimanervi  scolpite  col- 
la memoria  di  questo  giorno.  Possa  que- 
sta lesla,  nella  quale  prendono  una  parte 
sì  viva  l'illustre  clero,  la  magistratura,  la 
truppa  e  lutti  i  divoti  fedeli  che  vi  si  affol- 
lano intorno,  portare  un  novello  splendo- 
re alla  città  di  Tolosa,  che  conta  di  già  sì 
belle  fèste  negli  annali  della  sua  istoria", 


TOL 
Terminatosi  il  discorso  dall'arcivescovo 
di  Bordeaux,  l'ablegato  pontificio  aven- 
dogli presentata  la  berretta  su  di  una  cop- 
pa d'argenlo,  il  suddelegato  la  collocò  sul 
capo  dell'  illustre  arcivescovo  di  Tolosa, 
che  inginocchiato,  commosso  e  con  umile 
atteggiamento  ricevè  un  così  segnalato  o- 
nore.  Tutti  gli  occhi  erano  rivolti  sopra 
di  questo  degno  confessore  della  fede:  ed 
uno  era  il  voto  e  la  preghiera  di  tutti  i 
cuori.  Dopo  l'imposizione  della  berretta, 
sua  Eminenza  intuonò  il  Te  Deum,  e  pre- 
ceduto dalla  deputazione  del  capitolo  me- 
tropolitano, da'vicari  generali  e  dall'able- 
gaio,  rientrò  ne'suoi  appartamenti  per  ve- 
stire l'abito  cardinalizio.  Ritornato  nella 
cappella  terminò  l'inno  di  ringraziamen- 
to colle  consuete  orazioni,  e  salito  sull'al- 
tare die  l'episcopale  benedizione  agli  a- 
stanti.  Quindi  il  clero  processionalmente 
accompagnò  il  cardinale  nella  gran  sala 
dell'  arcivescovato,  ove  il  cardinale  pro- 
nunziò il  seguente  discorso  in  risposta  al 
fattogli  dall'  arcivescovo  di  Bordeaux. 
«Monsignore.  Una  grave  malattia  e  nu- 
merosi incomodi  avendomi  impedi  lo  d'an- 
dare a  Parigi  co'miei  venerandi  colleghi 
per  ricevere  dalle  mani  del  Presidente  la 
berretta  cardinalizia,  trovo  un  dolce  com- 
penso nella  consolazione  che  provo  in  a- 
vere  le  insegne  della  mia  nuova  dignità 
da  voi,  o  Monsignore,  per  cui  da  lungo 
tempo  professo  una  profondissima  vene- 
razione,un  attaccamento  sincero.Quest'of- 
ficio,  o  Signore,  che  a  nome  di  Sua  San- 
tità vi  fu  confidato,  e  che  con  tanta  be- 
nevolenza avete  adempiuto,  possa  essere 
per  voi  un  mezzo  a  più  grandi  favori  (pre- 
sagio verificato).  Frattanto,  o  Monsigno- 
re, accettate  i  miei  ringraziamenti  per  tut- 
ti i  disagi  che  vi  ha  recalo  questa  delega- 
zione, e  fate  giungere  al  Padre  comune 
de'fcdeli  unnuovo  contrassegno  della  mia 
viva  riconoscenza  per  l'estrema  bontà  che 
lo  ha  indotto  a  rivestirmi,  malgrado  la 
mia  indegnitàjdella  Romana  Porpora. Per 
parte  mia  non  lascerò  mai  di  addottanda- 
re  uH'unuiputeiilissimo  Iddio,  che  degui 


TOL 

versare  sul  nostro  amato  Pontefice,  e  sul 
vostro  capo,  o  Monsignore,  le  più  abbon- 
danti benedizioni.  Vi  prego  altresì  di  far 
conoscere  al  Presidente  della  Repubblica 
quanto  io  sia  commosso  da  un  nuovo  con- 
trassegno di  boutà,cheha  voluto  darmi, 
scrivendomi  in  occasionedella  mia  promo- 
zione una  lettera  piena  di  sapienza  e  di 
sensi  generosi.  Voi,o  Monsignore,  mi  a- 
vete  ricordati  due  tempi  della  mia  vita, 
che  quantunque  assai  differenti,  mi  fanno 
benedite  la  divina  Provvidenza, imperoc- 
ché l'imo  e  l'altro  mi  hanno  dato  consola- 
zione, iddio  meglio  di  noi  sa  quello  che  ci 
bisogna,  ed  egli  solo  potrà  duci  quello  che 
sarebbe  stato  realmente  più  utile  nella  mia 
prigionia  del  1 8 1  t ,  o  nella  promozione  al 
cardinalato  nel  1 85o.  Quauto  a  me  oserò 
dirvi  con  confidenza,  che  mai  non  è  resta- 
ta nel  mio  cuore  memoria  amara  del  pas- 
sato, e  checotiserverò sempre  un  vivosen- 
timento  dt  gratitudine  per  la  nobile  e  de- 
licata maniera  con  cui  il  Presidente  della 
Repubblica  ha  voluto  alludere  ad  un  fatto 
di  venuto  già  così  antico".  Finito  il  discor- 
,  so  il  cardinale  ricevè  le  congratulazioni 
de'prelati,  del  clero  e  delle  principali  au- 
torità invitate  alla  ceremonia.  L'eloquen- 
te discorso  pronunziato  dal  cardinal  Don- 
net  arcivescovo  di  Bordeaux,  tanto  ono- 
rifico per  la  Francia  religiosa  e  alla  sua 
divozione  pel  sommo  Pontefice,  mi  richia- 
ma alla  memoria  il  recente  dichiarato  dal- 
la benemerentissima  Civiltà  Cattolica 
(sempre  più  intenta  indefessamente  a  van- 
taggio di  lutto  il  mondo,  per  promuove- 
re con  ogni  argomento  i  buoni  piiucipii 
religiosi  e  morali  della  società  umana,  a- 
nimando  tutti  e  principalmente  gl'italiuui 
■  al  doveroso  ossequio  d'ogni  legittima  au- 
torità divina  e  umana,  che  a'dì  nostri  è 
tanto  sventuratamente  impugnata  da'ii- 
bertini  avversari  dell'ordine  e  della  pace), 
cioè  nell'esordire  coli 856  la  sua  3/  Se- 
,  rie  nel  magnifico  articolo:  Uno  sguardo 
I  al  passato  triennio.  Edificato  dalla  uo- 
l  bilissima  nazione  francese  e  dal  veneran- 
do suo  clero,  nel  fargli  con  eifuMoue  d'u- 


TOL  57 

nimo  veritiero  e  fervido  eco,  dall'ammi- 
razione mi  sento  spinto  a  qui  riportar- 
lo, siccome  grande  e  glorioso  trionfo  spi- 
rituale della  ss.  Religione  cattolica  apo- 
stolica romana,  il  che  mi  fa  pure  rincuo- 
rare intorno  all'avvenire.  Giustamente 
e  sapientemente  la  sempre  dotta  Civiltà 
Cattolica  celebra  il  mirabile  e  progre- 
diente spirilo  religioso,  che  sfolgorante 
regna  in  tutta  Francia,  la  quale  venuta 
la  prima  tra  le  barbariche  genti  al  seno 
delia  chiesa  cattolica,  di  ragione  si  appel- 
la la  primogenita  figlia  (titolo  splendi- 
do, di  cui  riparlai  a  Titolo  d'  osore),  e 
perciò  ecco  quanto  dice."  hi  lei  è  talmen- 
te abbarbicata  alle  sue  più  intime  fibre  la 
fede,  ch'essa  potrà  essere  sfiorala  e  sfron- 
dala a  quando  a  quando,  ora  più  ora  me- 
no, ma  non  divelta  ne  diradicata  giam- 
mai. Anzi  per  singoiar  privilegio  del  cielo 
lo  spirito  cattolico  che  la  informò  da  pri- 
ma è  pieno  ili  vita  ,  che  dopo  i  più  fieri 
combattimenti  e  le  più  sformate  tempe- 
ste, le  quali  han  sembianza  d'averlo  del 
tutto  inabissato  e  spento,  gli  bastava  ima 
breve  tregua  e  una  piccola  calma,  per  ri- 
pigliar nuovo  slaucio e  manifestarsi  in  tut- 
ta l'efficacia  del  suo  nativo  vigore.Or  nella 
Francia  molte  cose  sono  accadute  in  que- 
sti tre  anni,  delle  quali  la  s.  Chiesa  di  Dio 
ha  cagione  di  rallegrarsi.  A  tacere  de'san- 
tuari  e  delle  chiese  riaperte,  delle  statue 
iunalzale  a  Maria,  dell'accrescimento  de- 
gli ordini  religiosi  (e  per  ultimo  di  quello 
de'cisterciensijChe  avendo  ricevuto  la  cul- 
la in  Francia  è  il  più  nazionale  di  tutti, 
avendovi  contribuito  il  pioegeneroso  zelo 
d'alcuni  principi  della  casa  Bonaparle;e 
dal  monastero  di  s.  Croce  iti  Gerusalem- 
me di Pioma, ora  vaa  ripiantarsi  tra'frau- 
cesi  questo  bell'albero  del  giardino  della 
Chiesa,  pel  narrato  nel  n.°3  del  Giornale 
di  Roma  del  i  856,  di  che  mi  gode  l'ani- 
mo di  potere  in  questo  articolo  farne  ri- 
cordo, per  essere  stata  Tolosa  un  campo 
fecondo  allo  zelo  de'cisterciettsi,  pel  rife- 
rito di  sopra);  due  cose  sopra  le  altre  ci 
seuibruuo  degue  d'essere  commemorale. 


58  TOL 

I/una  è  lo  spirito  di  religione  ridestatosi 
nell'esercito,  coli'  occasione  della  guerra 
d'Oriente  (che  ora  sembra  finita. Tripudia 
il  mio  cuore  di  poter  qui  sugli  stampo- 
ni aggiungere  l'intonazione  d'uu  Alleluia 
e  d'un  Te  Dcutn,  pel  sottoscritto  proto- 
eolio  de'preliminari  di  pace  a  Vienna  il 
i.°  febbraio;  pace  e  trionfo  morale  che 
principalmente  si  deve  agli  sforzi  pacifici 
della  sempreeminentemente  saggia  e  pos- 
senteAustria,ed  alla  generosa  Francia  che 
in  questa  micidiale  guerra  procede  tan- 
to eroicamente  e  nobilmente,  non  che  al- 
l'animo elevato  e  magnanimo  di  Alessan- 
dro Il  imperatore  delle  Russie.  Così  l'o- 
pera della  generale  pacificazione  va  a  suc- 
cederea  una  guerra  calamitosa  e  pernicio- 
sa ,  ad  una  terribile  e  formidabile  lotta, 
che  ci  teneva  tutti  trepidanti:  l'opera  del- 
la riedificazione  e  deila  concordia  ,  va  a 
succedere  alla  distruzione  e  all'odio:  l'o- 
nera della  penna  del  diplomatico  alla  spa- 
da del  guerriero:  l'opera  della  ragione  al- 
le passioni.  Dopo  il  lutto  la  gioia,  dopo 
le  lagrime  i  rendimenti  di  grazie  a  Dio, 
a  chi  vi  ha  contribuito,  e  ad  Alessandro 
II,  monarca  il  cui  disinteresse,  modera- 
zione, saggezza  e  amore  alla  pace  hanno 
portalo  a  questi  felici  risultali;  perciò  sa- 
lutato dalle  benedizioni  universali,  onde 
non  può  mancare  che  l'opera  con  sì  fau- 
sti auspicii  cominciata  ,  sia  pel  patroci- 
nio dell'Immacolata  Concezione  compila 
e  coronata  dalle  benedizioni  del  cielo  in 
Parigi!);  l'altra  è  l'annientamento  quasi 
compito delGallieanismo nel  clero. Ognun 
che  ricorda  lo  stato  deplorabile  a  che  sotto 
il  passalo  governo  erano  ridotte  in  fatto  di 
pietà  le  milizie  francesi,  non  può  fare  che 
non  renda  immortali  grazie  a  Dio  per  la 
mutazione  che  ora  vi  scorge.  Dove  prima 
i  battaglioni  perfino  mancavano  di  cap- 
pellani,d'accostarsi  ■'«graffienti  era  pel 
soldato  non  pur  cosa  strana,  ma  quasi  im- 
possibile ad  avverarsi;  ora  quel  vittorioso 
esercito  fornito  di  ministri  evangelici  e  di 
caritative  Suore  fa  echeggiare  il  mondo 
u  u  meno  de' prodigi  del  suo  valore,  che 


TOL 

delle  mostre  più  franche  e  generose  della 
sua  pietà.  Ed  oh  potessimo  qui  riportare 
anche  sol  pochi  brani  di  queste  lettere  sì 
commoventi  colle  quali  o  i  cappellani  stes- 
si partecipano  tratto  tratto  le  meraviglie 
dell'eroismo  cristiano  orallaFrancia  atto- 
nita,or  a  conforto  delle  famiglie  desolate, 
ovvero  quegli  sfoghi  domestici  in  cui  gli 
stessi  guerrieri  valendosi  di  qualche  mo- 
mento di  tregua  aprono  agi'  intimi  loro 
congiunti  que  sentimeli  ti  di  pietà  che  un 
dì  sarebbouo  stati  in  Francia  monopolio 
di  congregati  o  di  cenobi  ti!  Ma  se  la  bre- 
vità di  questo  scritto  non  ci  permette  di 
riferire  quelle  lunghe  citazioni,  che  può 
ciascuno  ricerca  rea  diletto  ne'giornali  cat- 
tolici di  Francia,  come  potrem  noi  tace- 
re il  ricordo  di  quel  commiato  ove  la  pia 
imperatrice  de'  francesi  veniva  richiesta 
da'principali  fra'duei  della  spedizione  di 
coprirli  coll'egida  d'una  Medaglia  bene- 
detta, e  la  lettera  del  Canrobert  genera- 
lissimo che  da  tale  medaglia  riconosceva 
la  sua  salvezza  nelle  micidiali  baltagliedel- 
l'AIrna  ed'lnkerman,  e  la  solennità  inu- 
sitata con  cui  la  nave  ammiraglia  espose 
sul  suo  ponte  alla  venerazione  dell'  ar- 
mata l'immagine  di  Maria,  dono  di  Na- 
poleone III,  e  i  sentimenti  di  pietà  di- 
mostrati sul  letto  di  morte  dal  Saint-Ar- 
naud  e  da  tre  o  quattro  altri  de'duci  su- 
premi, e  quelle  funebri  ceremonie  che  sul- 
la terra  mussulmana  chiamarono  sulla 
pietà  francese  lo  sguardo  attonito  dell'i- 
slamita? Lo  spirito  di  religione  è  sempre 
bello  dove  che  sia;  ma  non  risplende  mai 
di  così  vaga  luce  come  quando  è  congiun- 
to colla  fortezza.  Ed  è  forse  questa  la  ra- 
gione per  cui  a  preferenza  d'  ogni  altro 
nome  il  Signore  si  piace  sovente  d'appel- 
larsi nelle  Scritture:  Dio  degli  eserciti. 
Per  ciò  che  poi  si  attiene  al  Gallicanismo, 
era  in  altri  tempi  sommamente  doloroso 
in  vedere  un  clero  sì  illustre  per  virtù  e 
per  dottrina,  se  purea  lui  può  attribuir- 
si il  torto  di  pochi  membri,  essersi  colie 
famose  sue  quattro  Proposizioni  (/r.)  del 
1682  sotto  specie  di  libertà  assoggettato 


T  O  L 

ti  più  indebito  e  abbietto  servaggio.  Men- 
tre alzava  riottosa  la  fronte  verso  la  cat- 
tedra di  s.  Pietro,  si  strisciava  bassamen- 
te a  pie  del  trono  laicale;  invilendo  così 
doppiamente  se  slesso,  e  per  ciò  cbe  ri- 
cusava di  soggezione  al  legittimo  supe- 
riore, e  perciò  che  s'  accollava  di  dipen- 
denza da  un  estraneo  potere.  Ma  Iddio 
benignissimo  che  non  volea  comportare 
lungamente  in  sìnobil  parte  della  sua  ter- 
restre gerarchia  cotanta  macchia,  visitò 
quel  clero  con  lunga  serie  di  duoli;  e  così 
lipurgatolo  al  crogiuolo  della  tribolazio- 
ne e  frittolo  più  sapiente,  lo  ricondusse 
passo  passo  a  rimettersi  verso  del  suo  Vi- 
cario in  quella  canonica  dipendenza,  dal- 
la quale  non  altro  risulta  ne'peculiari  pa- 
stori che  dignità  e  fortezza. UGallicanismo 
si  sapea  da  un  pezzo  già  moribondo  nella 
Francia,  ma  piacque  a  Dio  che  in  questo 
triennio  ricevesse  quasi  l'ultimo  colpo  e 
per  mano  diquella  Vergine  invitta,  di  cui 
è  proprio  spegnere  tutte  le  dissensioni  nel 
mondo  cristiano  :  universa*  haereses  in- 
teremistiin  universo  mundo. ha  granMa- 
dre  di  Dio  riserbo  la  definizione  del  suo 
immacolato  Concepimento  (che  celebrai 
dopo  l'articolo  Teatine),  perchè  fosse  oc- 
casione alla  chiesa  di  Francia  di  testimo- 
nio nella  maniera  più  solenne  che  essa  ac- 
coglieva e  venerava  gli  oracoli  pontificii, 
con  quella  slessa  religiosità  e  ubbidienza 
che  tutti  i  fedeli  dell'  ovile  di  Cristo.  Il 
perchè  il  domina  dell'immacolata  Con- 
cezione di  Maria  se  è  caro  a  tutti  i  catto- 
lici,èin  particola»-  modo  carissimo  a'fran- 
cesi,  per  questa  professione  appunto  di 
fede  sincera  che  vi  è  congiunta.  Ma  la  fe- 
de è  tal  pianta  sì  rigogliosa,  che  non  prò  • 
duce  frutti  saporosi  e  gentili,  senz'accop- 
piarvi in  buon  dato  l'ornamento  e  il  ri- 
paro di  dense  fiondi  e  vistose.  E  così  il 
rinvigorì  mento  della  fede  in  Francia  non 
ha  portato  soltanto  (mesta  solenne  ade- 
J  6Ìone  al  domina,  ma  vi  aggiunse  conti- 
!  imamente  dimostrazioni  novelle  che  ne 
I  rendono  la  luce  e  più  brillante  e  più  si- 
;    cura,  e  dauao  all'epoca  presunte  di  quel 


T  O  L  59 

clero  quasi  sua  propria  fisouomia  la  per- 
fezione dell'unità  cattolica  in  una  più  prò* 
fonda  esentila  riverenza  verso  il  Vicario 
di  Gesù  Cristo.  Quindi  quel  frequentissi- 
mo pellegrinar  di  vescovi  ad  sacra  Li- 
mina,  quell'ossequio  in  cui  i  sinodi  pro- 
vinciali raccoltisi  periodicamente  all'in- 
vilo del  supremo  Pastore,  da  lui  chiedono 
la  sanzione  ultima  de' lor  decreti,  quelle 
consulte  di  casi  di  coscienza  alle  varie  con» 
gregazioni  romane,  quell'edificante  sot- 
toporsi perfin  degli  autori  alle  proibizio- 
ni di  libri  e  di  dottrine,  quel  ricomporsi 
a  tranquillità  gli  animi  agitati  da  discor- 
danti opinioni  all'udire  l'oracolo  o l'esor- 
tazioni del  Valicano.  La  Liturgia  stessa 
che  dal  nascimento  dv\  Giansenismo  avea 
contralta  quella  screziata  varietà  di  Riti 
e  di  accenti,  che  quasi  in  ogni  diocesi  ob- 
bligava a  cambiar  forinola  e  canto,  com- 
pie ormai  quasi  il  suo  perfetto  l'annoda- 
mento all'unità  colla  vicina  introduzione 
in  Parigi  stessa  del  Breviario  romano.  Che 
più?  lestesse forme  del  vestir  clericale  in- 
cominciano in  certi  luoghi  a  prender  sem- 
bianze romane;  e  lo  zelo  degl'illustri  pa- 
stori quasi  volesse  assicurare  indefettibi- 
le alla  Francia  la  preziosa  eredità  di  co- 
desto spirito  (massime  dopo  la  celebra- 
zione de  Sinodi,  che  encomiai  in  questo  e 
ne'relativi  articoli,  come  pur  feci  della  ri- 
pristinata liturgia  romana),  ha  stabilito 
nella  capitale  del  mondo  cattolico  quel  se- 
minario francese  (la  Cronaca  di  Milano 
a  p.  ioo4  dice  che  si  fondò  dal  i85o  in 
poi,  perchè  i  vescovi  di  Francia  desiderosi 
di  restaurare  nelle  loro  diocesi  gli  studi 
teologici,  pensarono  d'inviare  alcuni  gio- 
vani a  studiare  in  Roma, ed  aggiunge, che 
nel  novembre  i855  i  giovani  erano  più 
di  3o  e  viveano  come  in  perfetto  semi- 
nario), ove  da  ogni  parte  concorrono  le- 
viti adolescenti  per  attingere  dottrine  in- 
corrottedalla  tomba  stessa  de' Principi  de- 
gli Apostoli."  Tornando  al  cardinal  D'A- 
stros,  la  nuova  dignità  così  ben  mei  data 
la  godè  appena  un  anno,  morendo  in  To- 
losa a'29  settembre i85i  di  circa  jy  un- 


60  TOL 

ni.  Il  suo  corpo  imbalsamato  venne  por- 
tato nella  cappella  dell'arcivescovato  in 
mezzo  a  due  lumi,  ed  esposto  sopra  un 
letto  funebre  colle  insegne  cardinalizie, 
ove  mg/Mioland  cantò  la  messa  funebre  e 
asperse  il  corpo  del  predecessore, facendo 
altrettanto  il  capitolo.  Damaschi  neri  e 
violacei  decoravano  il  gran  scalone  del- 
l'arcivescovato e  la  gran  porta  inferiore; 
il  popolo  si  recò  in  fòlla  a  venerare  il  suo 
ben  amato  pastore,  dando  alla  sua  me- 
moria testimonianze  sincere  di  rispetto  e 
di  dolore.  Nella  metropolitana  si  celebra- 
rono le  solenni  esequie  a'y  ottobre,  con 
l'assistenza  de' vescovi  suffragane*!  di  Mon- 
tauban,  Pamiers  e  Carcassona,  co'loro  vi- 
cari generali, oltre  il  suddetto  mg.r  d'Ar- 
bou.ll  corpo  fu  tumulato  in  detta  cbiesa, 
ed  il  cuore  venne  portato  nella  cbiesa  de' 
suddetti  missionari  diocesani.  Gli  succes- 
se il  coadiutore  sullodato  e  attuale  arci- 
vescovo mg/  Gio.  Maria  Mioland  di  Lio- 
ne, già  arcivescovo  di  Sardi:  prima  era 
stato  vicario  generale  di  sua  arcidiocesi 
di  Lione,  e  nel  i838  fatto  vescovo  d'A- 
miens.  L' arcidiocesi  è  ampia  e  contiene 
molli  luogbi,  formata  dal  dipartimento 
dell'Ai ta-Garonna.  Ogni  nuovo  vescovo 
è  lassato  ne'  libri  della  camera  apostolica 
in  fiorini  55o,  ascendendo  la  mensa  a 
franchi  2  5,ooo. 

Co  nei  lu  di  Tolosa. 
Il  i .°  fu  tenuto  nel  5oj,  indicato  dal  p. 
Arduino,  ma  mancano  gli  atti.  Il  2.°  nel- 
l'828  celebrato  perordinedi  Lodovico  I  il 
Pio.  11  3.°nell'829,  di  cui  tratta,  come  di 
altri, la  Gallia  Christiana.  Il  4-°nell'873 
o883  sulle  lagnanze  degli  ebrei  contro  i 
cristiani.  Il  5.°  nell'879.  11  6.°  nel  ioo5. 
Il  7.°neho56  a' 1 3  settembre,  composto 
dii8  vescovi,  e  presieduto  da  Ilarnbaldo 
arcivescovo  d'Arlcs,  e  da  Ponzio  arcive- 
scovo di  Aix,come  vicari  diPapa Vittore  1 1 
nelle  Gallie,  e  furono  fatti  1  3  canoni  sul- 
la disciplina  e  altre  materie  ecclesiastiche, 
per  abolire  la  simonia,  e  prescrivere  a' 
chierici  il  celibato,  non  che  rimediare  al- 
tri abusi.  Tra  le  altre  cose  vi  fu  ordinato, 


TOL 

che  se  un  chierico  si  faceva  monaco  in  un 
monastero,  coll'intenzione  di  divenir  ab- 
bate, vi  resterebbe  monaco,  senza  poter 
essere  abbate,  sotto  pena  di  scomunica.  Vi 
si  rinnovò  la  legge  sulla  continenza  de' 
chierici,  sotto  peuadi  deposizione.In  que- 
sto concilio  Berengario  visconte  di  Nar- 
bona  fece  un  lamento  vivissimo  coli' ar- 
civescovo Guifredo,  accusandolo  d'  aver 
dato  le  terre  della  chiesa  di  Naibona  e  de* 
canonici,  a  quelli  che  portavano  1'  armi 
per  lui;  ma  non  si  conosce  qual  effetto  eb- 
bero tali  lagnanze.  L'8. "secondo  il  Man- 
si tra  il  1  o  58  e  il  1 06 1 ,  nel  quale  la  chiesa 
di  s.  Segolena  fu  data  al  monastero  di  s. 
Vittore.  Il  g.°  nel  1 068  omeglio  nel  1 086, 
tenuto  dal  legato  cardinal  Ugo  Candido, 
coll'assistenza  di  1 1  vescovi.  Vi  si  condan- 
nò la  simonia, e  si  ristabilì  il  vescovato  di 
Leclottre,  ch'era  stato  cambiato  in  mo- 
nastero. Tra  queste  contrastate  epoche  si 
pone  pure  un  altro  concilio  alla  fine  del 
107C),  che  tenne  Ugo  vescovo  di  Die  le- 
gato della  s.  Sede,  nel  quale  fu  deposto  il 
vescovo  di  Maguelone  come  simoniaco.  Il 
i  o.  nel  1  oqo  verso  la  Pentecoste,  aduna- 
10  e  presieduto  da'legati  di  Papa  Urba- 
no 11,  assistiti  da' vescovi  di  diverse  pro- 
vince, e  in  particolare  da  Bernardo  arci- 
vescovo di  Toledo  ritornato  da  Roma  in 
Ispagna,  per  la  purgazione  del  vescovo  di 
Tolosa  e  la  riforma  di  alcune  cose  della 
chiesa  Gallicana.  Vi  si  corressero  diversi 
abusi,  e  ad  istanza  del  re  di  Casliglia  s'in- 
viò una  legazione  a  Toledo  per  ristabilir- 
vi la  religione.  L'i  i.°  nel  1  t  io  dopo  la 
Penlecoste,dal  cardinal  Riccardo  Riccar- 
di lega  lo  di  Pasquale  II,  i  di  cui  atti  si  sono 
perduti,  è  pare  che  vi  si  facessero  ancora 
delle coslituzioni  conlrogl'invasori  de'be- 
m  della  cattedrale.  II12.0  nel  1  1  18  con- 
vocato da  Papa  Gelasio  II  che  trovavasi 
in  questecontiade,poichè  sbarcato  in  Pro- 
venza al  monastero  di  s.  Gilles,  circonda- 
lo dall'ossequio  di  una  folla  di  signori,  vi 
consagrò  le  3  chiese  ricordate  nel  voi.  XI, 
p.  253;  il  re  di  Francia  Luigi  VI  si  ab- 
boccò con  lui  a  V ezela y,  e  gli  spedì  a  Ma- 


TOL 

guelone  l'abbate  Sugero  di  s.  Dionigi.  Il 
Papa  proseguii!  viaggio  perAvignone  eal- 
tre ciltàdi  Francia,  ma  aggiuntasi  alla  sua 
podagra  una  pleurilide,morìin  Cluny.Nel 
concilio  si  trattò  degli  errori  di  Pietro  di 
Bruys  del  Delfinato,  caposetta  òePetro- 
Brussìani.  che  se  la  prendeva  contro  l'Eu- 
caristia, il  Battesimo,  la  Chiesa,  la  Croce, 
oltre  altri  errori;  e  si  concluse  la  crociata 
contro  i  saraceni  di  Spagna,  in  aiuto  d'Al- 
fonso 1  re  d'Aragona  e  Navarro,  che  gua- 
dagnò una  gran  battaglia  a' io  dicembre. 
Il  i  3.°  a'  i  3  giugno  i  i  !  o,  presieduto  dal 
nuovo  Papa  Calisto  11  eletto  in  Cinny , 
assistito  da'caidinali,  da'  vescovi  e  dagli 
abbati  di  Linguadoca.  Visi  fecero  io  ca- 
noni sui  benefizi  ecclesiastici,  sugli  eretici 
seguaci  di  Pietro  di  Bruysesetta  di  ma- 
nichei, sulle  decime  e  altro.  11  3.°  canone, 
ch'è  il  più  rimarchevole,  dice:  »  Noi  ordi- 
niamo che  l'autorità  secolare  reprima  co- 
loro che  affettano  un'  apparente  pietà,con- 
dannando  il  sagramento  del  Corpo  e  del 
Sangue  di  Nostro  Signore  Gesù  Cristo, 
il  battesimo  de'fanciulli,  il  sacerdozio  e  gli 
altri  ordini  ecclesiastici,  e  i  matrimoni  le- 
gittimi, e  noi  gli  cacciamo  dalla  Chiesa  co- 
me eretici."  Vi  si  pronunciò  la  scomuni- 
ca contro  i  monaci,  i  canonici  e  i  chie- 
rici che  rinunziano  alla  loro  professione, 
e  si  lasciano  crescere  la  barba  e  i  capelli 
come  i  laici.  Il  1 4-°  nel  i  1 1^  sopra  i  sagra- 
menti,  accennalo  da  Arduino.  11  i5.°nel 
1160  01161  per  Alessandro  III,  avver- 
sato dallo  scisma  dell'antipapa  Vittore  V 
sostenuto  dall'imperatore  Federico  I.  Fu 
convocato  da  Luigi  VII  re  di  Francia  e 
da  Enrico  li  re  d'Inghilterra.  Vi  si  tro- 
varono 100  prelati,  tra  vescovi  e  abbati 
de'due  regni,  e  vi  riconobbero  il  Papa  più 
solennemente  che  non  avea  fatto  l'anno 
avanti,  nell'assemblee  tenute  da  ciascuno 
di  loro  a  Deauvais  e  a  Neuf-Marche,  in 
Normandia  e  a  Londra.  Ili 6.°  neh  162 
1  contro  l'antipapa  Vittore  V  e  in  favore 
del  legittimo  Alessandro  III.  Il  17.°  nel 
1  178  contro i  terribili  eretici  albigesi,  che 
tenevano  agitala  tutta  la  contrada  e  la 


TOL  61 

Chiesa.  Hi8.°neli2i9sopra  la  disciplina 
ecclesiastica,  e  ne  parla  il  Martene,  CoU 
lect.  t.  7.  Il  ig.°  nel  1  229  in  settembre  o 
novembre,  tenuto  dagli  arcivescovi  di  Nar- 
bona,di  Bordeaux  e  di  Auch,conmolti  ve- 
scovi ealtri  prelati.  Visi  trovò  ancora  Rai- 
mondo VII  conte  di  Tolosa  con  altri  si- 
gnori, il  siniscalco  di  Carcassona,  e  i  due 
consoli  di  Tolosa,cioè  della  città  e  del  bor- 
go. Presieduto  dal  celebre  legato  cardi- 
nal Romano  Bonaventura,  vi  si  pubbli- 
carono 45  canoni,  tutti  tendenti  ad  estin- 
guere completamente  la  funesta  eresia  al- 
bigese,  e  a  ristabilire  la  pace  e  l'osservan- 
za di  quanto  erasi  perciò  prescritto.  Il  più 
rimarchevole  è  questo:  »  Che  i  vescovi  e- 
leggeranno  in  ogni  parrocchia  un  prete, 
e  due  o  tre  laici  di  buona  riputazione,  a' 
quali  faranno  prestare  giuramento  di  rin- 
tracciare diligentemente  e  frequentemen- 
te gli  eretici  nelle  case,  nelle  caverne  o  do- 
vunque si  potessero  nascondere  ;  e  dopo 
aver  preso  le  necessarie  cautele  ,  perchè 
non  possano  fuggire,  ne  darau  parte  pron- 
tamente al  vescovo,  al  signore  del  luogo 
o  al  suo  balivo.  Anche  i  signori  cerche- 
ranno gli  eretici  ne'villaggi,  nelle  case  e 
ne'boschi."  Gli  altri  canoni  riguardano  i 
diritti  e  immunità  delle  chiese  sconvolte 
dagli  eretici.  Il  20. °  fu  tenuto  neh  3  19, 
di  cui  mancano  gli  atti,  sebbene  ricorda- 
to da'collettori  Labbé  e  Arduino.  Il  21.0 
neh  327,  in  cui  fu  proibito  di  farsi  cele- 
brare i  funerali  prima  della  propria  mor- 
te. Il  22.0  neh  090  in  maggio,  celebrato 
dall'arcivescovo  diTolosa  cardiual  di  Gio- 
iosa e  da  lui  presieduto,colPassistenza  de' 
vescovi  di  s.  Paul,  Piieux  e  Lavaur,  da'de- 
putati  di  quelli  di  Lombez,  Pamiers,  .Mi- 
repoix  e  Montauban.  Vi  si  fecero  de're- 
golamenti  utilissimi  divisi  in  4  parti,  e  ri- 
guardanti i  doveri  de'vescovi,  de'capitoli, 
de'  curati,  de'  preti,  de'  chierici,  de'  pre- 
dicalori,  de'vicari  foranei  e  delle  mona- 
che. Vi  si  trattò  de'sagramenti  in  gene- 
rale, e  persino  della  tonsura;  e  in  parti- 
colare delle  reliquie  de'santi,  dell'indul- 
genze, delle  feste,  de'  voti,  de'  seminari, 


<>2  TOM 

degli  ospizi,  della  scomunica;  e  dello  giu- 
risdizione ecclesiastica, dell'alienazione  de' 
beni  delle  chiese,  della  residenza,  delle 
provvisioni  de' benefìzi ,  della  simonia  e 
confjdenza,deH'inquisizione,  degli  usurai, 
de'sortilegi  e  de'maghi. 

TOM  A  CELLI  Alberico  o  Uldarico, 
Cardinale.  Napoletano,  che  altri  voglio- 
no della  famiglia  Cibo,  nelle  tempora  del 
dicembre i  125  Onorio  II  lo  creò  cardi- 
nale prete  de'ss.  Gio.  e  Paolo,  e  finì  i  suoi 
giorni  neh  i54,dopo  aver  sottoscritto  due 
bolle  d'Onorio  11  neh  127  ei  128.  Osser- 
va Caldei  la,  che  non  trovandosi  tra  gli  e- 
lettori  de'6  Papi  successori  d'  Onorio  li, 
crede  probabile  che  morisse  nel  suo  pon- 
tificato. 

TOMACELLI  Pitn^Cardinak,  V. 
Bonifacio  IX  Papa. 

TOMBA.  V,  Sepoltura,  Taberna- 
colo. 

TOMI.  Sede  arcivescovile  e  metropo- 
li della  piccola  Scizia  del  Ponto,  arcive- 
scovato onorario  nel  VI  secolo  del  patriar- 
cato diCostantinopoli  nelle  provincieBar- 
bare,  senza  suffraganei,e  ne  parlai  a  Tar- 
taria  descrivendo  la  Scizia.  La  città  ro- 
vinata sorse  verso  l'imboccatura  del  Da- 
nubio, che  alcuni  credono  succeduta  al- 
l'attuale Tomisvor,  villaggio  della  Tur- 
chia europea,  in  Bulgaria,  sangiacato  di 
Silistria;  sul  mar  Nero,  tra  Ruslendje  e 
Mangali.  Ha  un  piccolo  porto  dove  si  fa 
qualche  commercio.  Creclesichesia  il  luo- 
go d'esilio  del  famoso  poeta  Ovidio,  eia 
patria  di  Papa  Conone.  Siccome  fu  rite- 
nuta Temes'War giacere  sul  suolo  dell'an- 
tica Tomi  o  Tomes,  in  quell'articolo  ri- 
portai le  recenti  scoperte  archeologiche 
che  ciò  escludono.  11  martirologio  fa  so- 
vente menzione  di  Tomi,  relativamente 
a'molti  ss.  Martiri  che  quivi  versarono  il 
loro  sangue  per  la  fede  di  Gesù  Cristo.  Si 
conoscono  i  seguenti  vescovi.  Evangelico 
sedeva  a  tempo  dell'  imperatore  Diocle- 
siano;  Filio  fu  gettato  in  mare  dopo  aver 
sofferto  altri  tormenti  ,  e  il  martirologio 
di  l'cda  uè  la  menzione  a'3  gennaio;  IN'. 


T  O  M 

assistette  nel  325 al  conciliodi  Nicea;Bret- 
tannionc,  commendevole  per  la  sua  san- 
tità e  pelsuozeloper  la  fede  cattolica,  fio- 
riva nell'impero  di  Valente  ariano,  a  cui 
resistette  valorosamente,  e  la  Chiesa  ogni 
anno  ne  celebra  la  memoria;  Geronzio  in- 
tervenne al  1 .°  concilio  generale  di  Costan- 
tinopoli; Teolirno  I  vivea  nel  3g3,  s.  Gi- 
rolamo lo  annovera  fra  gli  scrittori  del  suo 
tempo,eil  martirologio  romano  ne  fa  men- 
zione a'20  aprile;  Timoteo  trovossi  al  con- 
cilio d'Efeso  nel  43  1  ;Giovanni  zelante  del- 
la fede  cattolica  contro  i  nestoriani  eglieu- 
tichiani,  morì  prima  del  44^>  Alessandro 
intervenne  al  concilio  di  Costantinopoli 
del  449iec'afluell°  diCalcedonia  del  4^7; 
Teotimo  II  ebbe  lettera  dell'imperatore 
Leone  I,  sull'assassinio  di  s.  Protetto;  Pa- 
terno sottoscrisse  la  relazione  che  il  con- 
cilio di  Costantinopoli  mandò  a  Papa  s. 
Ormisda,  sull'elezione  del  patriarca  Epi- 
fanio ;  Valentiniano,  cui  il  Papa  Vigilio 
scrisse  per  la  condanna  de'Tre  Capitoli  nel 
54q  o  55o.  Oricns  christ.ì.  I,  p.  1212. 
TOM  ISMOoTO  MI  STI.  Chiamasi  To- 
mismo la  dottrina  dell'angelico  s.  Tom- 
maso d'Aquino  (/^.),  risguardante  quella 
parte  di  Teologia  (V.),  che  tratta  della 
grazia  e  della  predestinazione;  e  Tomisti 
que'  Teologi  (T7.)  che  fanno  professione 
di  seguirla,  particolarmente  i  domenicani 
o Predicatori.  Dichiarai!  Bergier  nel  suo 
Dizionario  della  teologia.  »  Non  appar- 
tiene a  noi  di  terminare  questa  disputa, 
la  quale  dura  già  da  molti  secoli,  e  che 
probabilmente  dorerà  ancora  un  più  lun- 
go tempo;  noi  non  vi  prendiamo  né  in- 
teresse, uè  partealcuria.Noi  vogliamo  sol- 
tanto che  allorquando  avvi  questione  di 
sistemi  arbitrari  sopra  un  mistero  incom- 
prensibile, come  la  predestinazione,  non 
vi  si  metta  alcun  calore,che  si  si  astenga  dal 
far  uso  di  termini  duri  e  di  accuse  teme- 
rarie; egli  è  assai  meglio  per  un  teologo 
di  consumare  il  suo  tempo,  di  adoperare 
i  suoi  talenti  e  procurare  ogni  suo  sforzo 
di  difendere  le  verità  della  nostra  fede  con- 
tro coloro  i  quali  le  negano." 


T  O  M 
TOMMASI  Viviano  o  Vibuno,  Car- 
dinale. Denominato  il  Maestro,  orviela- 
no,  o  come  altri  vogliono  sanese  e  origi- 
nario d'Ancona,  da  dove  la  sua  famiglia 
si  rifugiò  e  stabilì  in  Siena  a  tempo  di  Fe- 
derico I  imperatore,  che  nemico  impla- 
cabile della  chiesa  romana  occupò  colle 
armi  Ancona.  Xell'articoloORviETo ripor- 
tandolo tra'cardinali  orvietani,  notai  che 
sanese  lo  qualificarono  Cardella  eNovaes, 
sebbene  il  i  .°nel  classificare  i  cardinali  per 
pali  ia  pose  il  Tomtnasi  tra  gli  orvietani 
ed  ommise  i  sanesi.  Ne'  Ritratti  poetici  con 
note  biografiche  eli  alcuni  illustri  uomi- 
ni (V Orvieto,  vi  è  compreso  il  Tommasi, 
lodato  per  svegliassimo  ingegno.  Essen- 
do nella  sua  verde  età  arcidiacono  nella 
cattedrale  d'Orvieto,  indi  portatosi  in  B.o- 
ma  ed  acquistatasi  col  suo  sapere  alta  ri- 
putazione quale  avvocato  nella  curia  ro- 
mana, Alessandro  III  nelle  tempora  di  set- 
tembre! i  7  i,  ovvero  nel  i  i  73, lo  creò  car- 
dinale prete  di  s.  Stefano  al  Monte  Celio. 
Indi  il  Papa  nel  1  1  76  Io  destinò  con  Gra- 
ziano nipote  d'Eugenio  III,  alla  legazio- 
ne di  Scozia  e  Irlanda,  per  ordinare  le  co- 
se religiose  e  comporre  le  chiese  di  que' 
due  regni  discordanti  fra  loro,  e  vi  si  ap- 
plicò col  suo  talento  e  zelo. Tenuto  un  con- 
cilio in  Dublino,  coll'mtervento  de'vesco- 
tì  e  abbati  d'  ambedue  que'  regni,  com- 
pose e  aggiustò  colla  sua  autorità,  dottri- 
na emodiaccetlevoli  le  differenze  di  quel- 
le chiese;  e  si  studiò  colla  sua  prudente 
destrezza  di  riconciliare  Enrico  11  red'ln- 
ghillerra  con  s.  Tommaso  arcivescovo  di 
Cantorbei  y.Ma  le  frodi, l'astuzie  e  la  mala 
fede  del  re,  che  nou  avendo  la  volontà  di 
pacificarsi  sinceramente  eoll'illustie  pre- 
lato, per  mezzo  prima  di  regali  e  di  bian- 
de parole,  e  poi  di  minacce  studia  vasi  di 
trattenere,  sebbene  indarno,  in  quel  re- 
gno il  cardinale,ne  impedirono  il  bramato 
effetto.  Alcune  particolarità  di  questa  le- 
1  gazione  si  potino  vedere  nel  De  Marca, 
Concordia  lib.  5,  cap.  56.  Avendo  mo- 
I  strato  perizia  nel  maneggio  de'  pubblici 
1  negozi  ecclesiastici,  destinato  ad  una  2/ 


T  O  M  63 

legazione,  celebrò  altro  concilio  in  Iseo- 
zia,  in  un  luogo  detto  il  Castello  delle  Fan- 
ciulle, iu  cui  con  fermezza  sospese  dall'e- 
sercizio delle  pontificali  funzioni  Cristia- 
no vescovo  di  Casablanca,  che  ricusò  d'in- 
tervenirvi e  di  troncare  le  differenze  pel 
quale  era  stato  convocato.  Mentre  si  trat- 
teneva nella  Scozia  ,  applicato  a  spedire 
i  negozi  di  sua  legazione,  veleggiando  per 
diporto  in  mare,  fu  fallo  prigione  dalle 
genti  di  Giovanni  de'Curci,  il  quale  ap- 
pena n'ebbe  notizia  ne  ordinò  la  libera- 
zione. Il  vescovo  Tommaso  de  Borgo  nel- 
la sua  Ibernia  Domenicana. ci  fa  sapere 
che  il  card  ina  le  fu  nel  1  i85speditoda  Lu- 
cio III  per  suo  legato  in  Manda,  per  fa- 
re la  solenne  traslazione  delle  reliquie  «li 
S.  Brigida  vergine  e  della  b.  Colomba  ab- 
badessa,  nella  metropolitana  d'Armagli, 
lo  che  seguì  con  gian  pompa  e  solennità 
alla  presenza  di  1  5  vescovi ,  di  gran  nu- 
mero di  decani,  abbati,  priori,  sacerdoti 
e  chierici,  di  nobiltà  e  popolo.  Il  sepolcro 
di  queste  sante   rimase  glorioso   sino  a' 
tempi  d'Enrico  Vili.  Ma  quanto  as.  Bri- 
gida, della  vedova  e  fiorita  due  secoli  do- 
po, già  narrai  a  Svezia  che  in  quel  regno 
fu  trasportato  il  suo  corpo,  est  venera  in 
Vesteras:  ciò  avverto  per  evitare  equivo- 
ci ;  così  pure  per  la   b.  Colomba  ,  diver- 
sa dalla  domenicana, che  nata  in  Rieti  mo- 
rì a  Perugia,oves\  venera  nella  chiesa  del 
monastero  da  lei  fondato.  Dopo  avere  il 
cardinale  radunato  nella  legazione  d'Ir- 
landa una  considerabile  somma  d'oro  e 
d'argento, tutto  dovè  lasciare  versoil  1  1  86 
nel  pontificalo  d'Urbano  III,  alla  cui  ele- 
zione, cornea  quella  di  Lucio  III,  erasi  tro- 
vato presente,  dopo  aver  ritenuta  quasi  1  "> 
anni  la  dignità  cardinalizia, poiché  la  mor- 
te gli  rapì  con  detto  tesoro  la  vita,  restan- 
dogli la  fama  di  celebre  legato  ,  per  es- 
sersi distinto  nell'arte  difficile  de'pubblici 
affari  con  energica  dignità. 

TOMMASI  Gaetano  Jacopo,  Cardi- 
nale. V.  Gaetasi  Tommasi. 

TOMMASI  Giuseppe  Maria (h.)Car 
'////«/(•.Nobile  siciliano,  figlio  primogenito 


64  TOM  TO  M 

del  duca  di  Palma,  principe  di  Lampe-  solenne  professione  a'?.  5  marzo  1 666,  alla 
dusa,  baione  di  Torretta  e  Montechiaro,  presenza  del  padre  e  della  famiglia. La  sua 
nacque  in  Alicata  diocesi  di  Girgenti  a'  cagionevole  salute  e  gracile  temperamen- 
i  a  settembre  iG^f),  e  gli  fu  imposto  il  no-  to,  nel  1672  lo  costrinse  a  riprendere  ra- 
me di  Giuseppe  per  riconoscenza  verso  il  ria  nativa,  prima  di  cominciare  il  corso 
santo  alla  cui  intercessione  l'ottenero  i  gè-  degli  studi  ecclesiastici;  ed  in  seno  de'suoi 
nitori  che  ancora  non  aveanoavulo  figli,  nuovamente  si  fece  ammirare  pel  suorac- 
Novaes  dice  la  sua  famiglia  originaria  da  coglimenlo  e  abituale  divozione.  Resti- 
Siena,  e  l'annotatore  di  Carlo  Buller  (ni-  tuitosi  a  Palermo,  passò  in  Messina  a  slu- 
potè  e  continuatore  del  celebre  Albano),  diar  filosofia,  e  si  perfezionò  tanto  nella 
riferisce  che  il  padre  di  Giuseppe  M.'  fu  lingua  greca,  sino  a  scriverla  con  facilità. 
un  modello  di  virtù,  e  la  sua  vita  stampa-  Non  confacendogli  il  clima  di  Messina,  fu 
ta  è  molto  edificante; che  le  4  sorelle  del  mandato  a  Roma  nella  casa  di  s.  Silve- 
beato  abbracciarono  lo  stato  religioso  in  stro  sulQuirinale,  allora  de'teatini,  don- 
un  monastero  di  benedettine  fondalo  dal-  de  fu  trasferito  a  Ferrara,  e  poi  a  Mode- 
la  loro  famiglia,  ed  ivi  vissero  nella  per-  na.  In  questi  diversi  luoghi  proseguì  af- 
fezione della  propria  santificazione,  in  cremente  gli  studi,  e  innamorò  i  suoi  su- 
compagnia  della  madre  ch'erasi  coll'as-  periorie  i  confratelli  colla  sua  incontarni- 
senso  del  marito  ritirata  con  esse  :  una  di  nata  innocenza,  modestia,  umiltà,  vita  au- 
tali  monache  M.''  Crocefissa  fu  dichiarata  stera  e  penitente,  esattezza  nell'adempi- 
venerabile  e  s'introdusse  il  processo  per  mento  de'suoi  doveri,  congiungendo  a  tut- 
la  sua  canonizzazione.  L'altro  e  unico  fra-  to  questo  lo  sviluppo  di  straordinari  talen- 
tellod. Ferdinando, fu  un  pio  laico, e  di  cui  ti. Ritornato  a  R.oma,cominciò  il  corso  dei- 
pure  venne  pubblicata  l'esemplare  vita.  la  teologia  nella  casa  di  s.  Andrea  della 
TostocheGiuseppeM/seppeleggere,  per  Valle,  e  con  diletto  vi  si  approfondì;  pol- 
le felici  disposizioni  alla  virtù  inculcata-  che  con  esso  si  trovò  in  un  più  intimo  coni- 
gli dal  padre,  cominciò  a  gustare  le  ope-  mercio  colla  fonte  d'ogni  giustizia  e  d'o- 
re di  s.  Francesco  di  Sales.  Amando  la  so-  gni  verità,  senza  menomare  gli  esercizi  re- 
litudine  ,  non  trovava  alcun  piacere  ne'  ligiosi,  che  da  lui  vennero  santificati  eoa 
sollazzi  di  sua  età,  e  die  saggio  di  singo-  l'orazione  vocale  e  mentale,  e  colla  nior- 
golar  disposizione  alle  lettere.  L'esempio  tificazione.  Frequentando  assiduamente 
di  due  sorelle  che  si  fecero  religiose,  prò-  le  scuole,  impiegava  gran  parte  del  suo 
dusse  in  lui  profonda  impressione;  desi-  tempo  nello  studio  della  s.  Scrittura  e  de' 
derava  imitarle,  ma  gravi  ostacoli  incon-  ss.  Padri,  da'quali  fece  molti  estratti  che 
Irò,  oltre  la  resistenza  paterna.  Per  vin-  poi  gli  riuscirono  utili  alle  sue  dotte  fati- 
cerla  ricorse  all'orazione,  e  con  vivi  sen-  che.  Frattanto  morta  nel  fior  degli  auni 
timentidi  pietà  supplicò  il  genitoreaper-  la  cognata,  il  detto  zio  nel  crudo  inver- 
meltergli  d'abhracciare  Io  slato  ecclesia-  no  lo  fece  partire  per  la  Sicilia  a  conso- 
stico.  Il  padre  commosso  dalle  sue  edili-  lare  l'afflitto  fratello;  ma  appena  giunto 
canti  lagrime,  e  dalla  costanza  della  vo-  in  Palma,  il  fratello  che  peusava  rendersi 
cazione,  finalmente  l'esaudì,  rinunziando  cappuccino,  cadde  infermo  e  dopo  pochi 
egli  la  primogenitura  con  atto  puhblico  giorni  cessò  di  vivere  di  21  anni,  lascian- 
al  fratello.  Recatosi  d'anni  i5  a  Palermo,  do  un  bambino  che  presto  lo  seguì  nella 
entrò  ne'tealini,oveeravi  loziop.d.Carlo,  tomba.  Il  beato  ned' assistere  il  fratello 
che  abbandonate  le  ricchezze  e  dignità  al  non  solamente  mostrò  mirabile  fortezza 
fratello  minore,!  vi  santamente  vivea.Giu-  d'auimo,  ma  nell'esequie  con  istupore  di 
seppe  M.  fece  il  noviziato  con  angelico  fer-  tutti  esercitò  l'ullìziodi  diacono.  Poiché 
voi  e,  e  dopo  un  anno  di  prova  emise  la  ebbe  mitigato  il  dolore  de'suoi  congiunti, 


TO  M 

si  recò  in  Palermo  a  compiervi  lo  studio 
teologico,  indi  richiamato  in  Roma,  an- 
dò ad  abitare  nella  ricordata  casa  di  s. 
Silvestro,  e  vi  restò  sino  al  cardinalato. 
Ordinato  prete  nel  1670,  amabile  e  mo- 
desto, le  sue  maniere  comandavano  il  ri- 
spetto a  segno  che  cessava  negli  altri  o- 
gni  contesa  quando  compariva.  Incarica- 
to quindi  di  vegliare  sui  più  giovani  stu- 
denti, edificava  li  colle  sue  azioni, mostran- 
dosi zelantissimo  de' loro  progressi  nelle 
virtù,  impegno  che  temperava  con  manie- 
re affetluose,e  l'esortazioni  raddolciva  col- 
la carità.  Sofferente  perla  sua  cattiva  sa- 
nità, che  gli  abbatteva  lo  spirito,  con  ras- 
segnazione cristiana  sapeva  rendere  le  sue 
pene  meritorie  agli  occhi  di  Dio:  i  supe- 
riori lo  sgravarono  del  pulpito  e  del  con- 
fessionale, ed  egli  con  più  ardore  conti- 
nuò a  dedicarsi  alla  teologia.  Da  quest'e- 
poca può  dirsi  ch'egli  visse  nelle  biblio- 
teche di  Roma,  frugando  di  continuo  ne- 
gli archivi  e  ne'monumenti  di  sagra  an- 
tichità.Cercava  sopra  lutto  le  vestigia  del- 
l' antica  disciplina  e  delle  liturgie  della 
Chiesa  per  la  celebrazione  della  messa,  per 
la  recita  dell'uffizio  divino,  per  l'ammi- 
nistrazione de'  sagratnenti.  Vieppiù  era 
assiduo  nel  leggere  la  s.  Scrittura  e  isuoi 
commentatori,ed  avvedendosi  essergli  ne- 
cessaria la  conoscenza  della  lingua  ebrai- 
ca, l'imparò  perfettamente  da  un  rabbi- 
no giudeo,  che  co'  suoi  sforzi  tiuseì  con- 
vertire al  cristianesimo.  Questa  conver- 
sione fu  poi  da'teatini  fatta  dipingere  in 
quadro  dal  cav.  Concioli,  ed  offerto  a  Pio 
"N  11.  Le  sue  scientifiche  ed  erudite  ricer- 
che erano  guidate  dalla  fede,  per  mostra- 
re la  conformità  di  credenza  della  chiesa 
romana  colla  primitiva  chiesa.  Questa  fe- 
de manifestavasi  peculiarmente  nel  cullo 
del  ss.  Sagramento,  e  nella  celebrazione 
della  messa.  Verso  questo  tempo  fu  più  fre- 
quente la  corrispondenza  epistolare  colle 
sue  4  sorelle  religiose,  nella  quale  si  am- 
mira il  combattimento  di  spirito  che  pa- 
tiva, volendo  abbandonare  l'imprese  let- 
terarie e  ritirarsi  nella  solitudine,  per  in- 
vot,.  txxvti. 


TOM  65 

teramente  dedicarsi  alla  penitenza  e  al- 
l' orazione.  Però  il  suo  genio  fomentato 
dall'amicizia  e  dalle  insinuazioni  del  car- 
dinal Francesco  Dai berini  il  seniore,  ed  il 
pio  e  dotlo  cardinal  Bona  (gli  altri  cardi- 
nali eslimatori  del  p.  Tommasisi  ponuo 
leggere  in  Cardella),  incominciò  a  pub- 
blicare i frutti de'suoi  elaborali  studi,  sin- 
golarmente nelle  materie  liturgiche,  e  ne 
farò  in  ultimo  il  novero.  Solo  qui  dirò  col 
Pienazzi,  Storia  dell' Università  di  Ro- 
ma t.  4,  p-  i  74>  coe  'a  *  -opera  che  intor- 
no ad  esse  egli  die  alla  luce,  fu  la  col- 
lezione di  antichissimi  codici  ,  che  nella 
maggior  parte  spettavano  alla  celebre  bi- 
blioteca di  Cristina  regina  di  Svezia,  la 
quale  l'ebbe  in  sommo  pregio,  in  cui  e- 
rano  descritti  i  vetusti  riti  dell'ammini- 
strazione de'  sagratnenti.  Appresso  pub- 
blicò la  raccolta  de'  responsoriali  e  degli 
antifonari  della  chiesa  romana,  premet- 
tendovi eruditissime  prefazioni,  con  note 
e  documenti  acconci  a  illustrare  le  rispet- 
tive materie.  Così  pur  fece  nell'edizione 
del  Salterio,  che  per  sua  cura  fu  pubbli- 
cato secondo  la  versione  romana  e  gallica- 
na. Ne  di  essa  pago,  rivolse  le  sue  fatiche 
a  tutta  la  Bibbia,  pubblicandone  gli  an- 
tichi titoli  e  capitoli  de'libri  chela  com- 
pongono. Recò  poscia  in  Ialino  l'uffizio  di 
cui  i  greci  fanno  uso  nel  venerdì  santo.Ci 
diede  pure  le  istituzioni  teologiche,  o  rac- 
colta di  opuscoli  de'ss.  Padri,onde  servis- 
sero d'introduzione  e  di  fondamento  allo 
studio  della  religione;  lasciando  di  ricor- 
dare altri  opuscoli  di  minor  rilievo,cbe  so- 
no inseriti  nella  completissima  edizione 
che  di  tutte  le  sue  opere  stampò  in  Roma 
nel  i  747  il  teatino  p.  d.  Anton  Francesco 
Vezzosi,  ed  il  Fagliarmi  ne  fece  la  i.'  edi- 
zione. Tanto  sapere  egli  abbelliva  colla 
profonda  umiltà  e  colla  più  rara  modestia: 
gli  uomini  più  scienziati  d'Europa,  an- 
corché acattolici,  formarono  un'  alta  opi- 
nione dell'estensione  di  sua  erudizione  e 
della  giustezza  di  sua  critica. Cardella  nelle 
Memorie  isteriche  de' cardinali,  dice  che 
le  sue  dotte  opere  gli  meritarono  il  titolo 
5 


GC>  TOM 

ili  principe  e  dottore  della  liturgia  della 
chiesa  occidentale;  e  che  nella  sua  persona 
die  l'idea  del  perfetto  ecclesiastico.  Men- 
tre il  p.  Tom  ma  si  seguiva  indefessamente 
a  faticare,  e  ad  arricchire  di  nuova  luce 
le  sagre  discipline  e  le  cose  religiose,  ri- 
manendo sempre  semplice  teatino,  per  ri- 
cusare tutti  i  posti  onorevoli  che  nell'or- 
dine e  fuori  gli  si  offrirono,  attesa  la  fa- 
ma di  sua  santità  e  profonda  erudizione, 
Innocenzo  Xll,cheavea  letto  eammirato 
isuoi  scritti, volle  conoscerlo  di  persona,  e 
ad  istanza  del  cardinal  Albani  lo  nominò 
esaminatore  de'vescovi  e  consultore  de'ri- 
ti.  Però  con  quella  stessa  costanza  con  cui 
avea  rinunziato  le  cariche  del  suo  ordine, 
si  astenne  d'accettare  quelle  ancora,  te- 
nendosi in  concetto  di  uomo  da  nulla,  e 
incapace  eziandio  d'  ascoltare  le  sagra- 
mentali  confessioni.  Tanto  era  la  sua  sin- 
cera umiltà,  che  usava  vesti  logore,  ed 
un  letto  appena  largo  3  palmi,  composto 
di  3  tavole  e  coperto  di  eoltre  lacera  e 
sdrucita.  Nemico  del  denaro,  tosto  die  gli 
capitava  nelle  mani,  lo  distribuiva  a'po- 
veri.  Castigalo  persino  negli  occhi,  giam- 
mai li  fissava  nel  volto  delle  donne.  Lo 
scarso  alimento  l'amareggiava  coll'assen- 
zio  e  polvere  di  ruta;  e  castigava  il  corpo 
con  aspre  e  diuturne  flagellazioni,  Per  la 
riputazione  chegodeva,  quando  nel  i  700 
il  cardinal  Albani  fueletto  Papa  Clemen- 
te XI,  ricusando  questi  di  accettare  volle 
separatamente  consu!tare4  teologi  da  lui 
più  stimati,  fra'quali  il  p.  Tom  masi,  che 
lo  convinsero  e  persuasero  a  dare  il  con- 
senso,altrimenli  avrebbe  forse  anche  pec- 
cato. Indi  il  Papa  per  espresso  comando 
l'obbligò  ad  accettar  gli  uffizi  di  quali- 
ficatore del  s.  oflizio  (consultore  scrive  il 
JVovaes),  e  di  consultore  de'rili  e  dell'in- 
dulgenze.Così  si  aprì  per  lui  un  vasto  cam- 
po, nel  quale  ebbe  frequenti  occasioni  d'e- 
sercitare la  sua  naturale  capacità  e  le  co- 
gnizioni acquistate,  alla  presenza  de'car- 
dinali,  i  quali  più  volte  resero  testimo- 
nianza al  suo  profondo  sapere  e  alla  sua 
grande  umiltà.  JNel  dire  la  sua  opinione 


T  O  M 

era  sempre  modesto,  a  ninno  opponen- 
dosi, salvo  che  l'autorità  de'conoilii  o  il 
parere  de' ss.  Padri  non  lo  rendesse  ne- 
cessario; e  tale  era  la  sua  soave  maniera 
che  infallibilmente  conduceva  i  cardinali 
o  i  suoi  colleghi  nell'opinione  che  difen- 
deva. Intanto  Clemente  XI  volendo  dare 
un  cospicuo  ornamento  alla  chiesa  roma- 
na, inaspettatamente  nel  concistoro  de' 
18  maggio  1712  Io  creò  cardinale  del- 
l'ordine de'preti  con  applausodi  tutta  Ro 
ma,  ed  estrema  gioia  del  sagro  collegio. 
Il  p.  Tornatasi  nel  riceverne  la  notizia  fu 
come  colpito  da  xm  fulmine,  e  coti  lagri- 
me e  preghiere  si  ricusò  d'accettare,  ri- 
putandosi allatto  indegno  dell'eminente 
grado.  Fu  allora, e  come  già  notai  a  Por>- 
l'or.A  e  Rinunzia,  che  Clemente  XI  dopo 
avergli  ripetuto  quelle  stesse  ragioni  da 
lui  manifestate  nel  costringerlo  ad  assu- 
merei! pontificalo,  autorevolmente  e  per 
precetto. d'ubbidienza  gl'impose  di  rice- 
vere il  compartito  onore,  a  mezzo  del  suo 
arebiatro  mg.1  Lancisi, e  del  cardinal  Fer- 
rari che  gliene  fece  I'  intimazione.  Quin- 
di il  Papa  gli  conferì  per  titolo  la  chiesa 
de  ss.  Martino  e  Silvestro  a 'Monti,  ero 
ascrisse  alle  principali  congregazioni  car- 
dinalizie. Rimarcai  a  Famiglia  db'cardi- 
nai.i,  che  quella  formatasi  dal  cardinal" 
si  componeva  di  gente  deforme,  povera 
e  storpia;  e  come  faceva  loro  in  tutto  da 
tenero  padre,  e  quando  pioveva  e  in  al- 
tre occasioni  li  prendeva  seco  in  esrroz- 
za.  Da  principio  si  chiamò  conlento  di  due 
semplici  stanze  che  avea  nella  casa  di  s. 
Silvestro, e  riguardava  coti  orrore  il  titolo 
di  Eminentìssimo  e  le  Pestitcardìnati- 
zie.  Ricusò  colle  più  gentili  e  obbliganti 
maniere  que'donativi  d'uso,  che  in  occa- 
sione di  sua  promozione  gli  offrirono  ber- 
sone  graduate  e  distinte.  Tante  sublimi 
virtù  non  andarono  esenti  da  motteggi,  e 
la  sua  avversione  al  fasto  fu  posta  in  ri- 
dicolo. Finalmente  per  decoro  della  uno 
va  dignità,  s'indusse  ad  abitare  una  mo- 
desta casa  vicina  alla  sua  chiesa,  dove  por- 
tò seco  un  religioso  laico  teatino,  manten- 


TO  M 

ne  lo  stesso  metodo  di  vita  che  menava  da 
religioso,  e  divenne  un  santuario  di  virtù. 
Questa  casa  o  palazzo  del  baione  Passa- 
rmi, posta  al  n.°  207, nella  via  che  con- 
duce a  s.  Lorenzo  in  Pane  e  Penìa  (e  lo 
notò  pure  il  cav.  Belli,  Delle  case  abitate 
in  Roma  da  parecchi  uomini  illustri,  p. 
So),  ricordata  dal  Bernardini  nella  De- 
scrizione de  Rioni  di  Roma,  parlando  del 
rione  Monti,  ora  in  parte  proprietà  de'fra- 
lelli Di  l}ietro,fu  a bitataa'uost ri  giorni  dal- 
l'illustre e  venerando  patriarca  di  Costan- 
tinopoli mg.1  Antonio  M."  Traversi,  e  o- 
norata  3  volte  dalle  visite  diGregorioXVI 
suo  aulico  e  degno  amico,  ed  ebbi  l'onore 
di  seguirlo;  delle  quali  visite  feci  parola 
nel  voi.  XVIII,  p.  1  06,  celebrando  la  dot- 
trina, le  virtù  del  prelato,  e  la  somma  e 
cordiale  amorevolezza  ch'egli  ebbe  per 
me.  Perciò  nella  sala  ove  fu  il  Papa,  vi  po- 
se il  prelato  la  seguente  marmorea  iscri- 
zione: Gregorio  XVI  P.  M.-In  memo- 
riam  auspicatissimi  dici- vi  id.feb.  A. 
i836-  Quo  domimi  liane  sua  sponte  in- 
gressus-  Vetercm  in  Antonium  Traver- 
si- Benevolentiam- Nova  honoris  adie- 
ètione- Cumulavi t.\ì  cardinal  Tommasi 
prese  per  modello  il  cardinal  s.  Carlo  Bor- 
romeo,che  prima  di  lui  era  stato  titolare  di 
sua  chiesa.  In  questa  e  in  conformità  del- 
l'antica disciplina, assisteva  in  tutte  le  feste, 
non  impedite  dalle  cappelle  pontificie,  in 
coro  alla  recita  delle  ore  canoniche  sì  nella 
mattina  che  nel  pomeriggio;  predicava 
ogni  domenica  al  popolo,  e  dilettavasi  di 
spiegare  il  catechismo  e  la  dottrina  cri- 
stiana a'fanciulli,  e  principalmente  a' fi- 
gli de' poveri.  Dava  udienza  a  chiunque 
la  richiedeva  e  in  ogni  ora, con  tal  dolcez- 
za di  parole  e  benignità  di  tratto,  e  con 
tale  speditezza,  che  rimaneva  dubbio  s'e- 
gli amasse  più  gli  accorrenti  o  il  tempo. 
Avrebbe  desiderato  di  fare  rivivere  alcu- 
ne pratiche  dell'antica  disciplina,  ina  la 
brevità  della  vita  non  gli  permise  di  ria 
«ciré  nel  disegno,  e  le  sue  intenzioni  già 
aveano  incontrato  forti  opposizioni.  Del- 
le sue  rendile  serbava  pel  suo  scarso  man 


T  O  M  67 

lenimento  piccola  somma,  onde  il  me- 
dico l'avvertì  che  nou  si  nutriva  abba- 
stanza, ed  il  resto  distribuiva  a'  poveri, 
di  cui  in  ogni  occasione  fu  l'avvocato. 
Dopo  7  mesi  di  cardinalato  predisse  la  vi- 
cina sua  morte,  e  caduto  infermo  nella 
vigilia  del  s.  Natale,  nondimeno  volle  in- 
tervenire nella  basilica  Vaticana  al  ve- 
spero  pontificale,  e  nella  notte  al  mattu- 
tino e  messa  nella  cappella  pontificia. Au- 
mentatosi il  male,  nella  mattina  della  fe- 
sta e  nella  seguente  volle  assistere  nell'o- 
ratorio domestico  al  s.  sagrifizio.  Avvi- 
cinandosi il  suo  fine,  ricevè  i  ss.  Sagra - 
nienti,  e  il  s.  Viatico  col  volto  tutto  in- 
fiammato,ansioso  di  unirsi  al  suoDio.Di- 
vulgalasi  per  Roma  la  notizia  del  suo  gra- 
ve male,  universale  fu  il  dispiacere, molli 
cardinali  corsero  a  visitarlo,  e  non  poten- 
do ciò  fare  Clemente  XI  per  essere  a  let- 
to indisposto,  gli  mandò  la  pontificia  be- 
nedizione in  articulo  moi'tis,  a  mezzo  de' 
nipoti  cardinal  Annibale  e  mg.'  Alessan- 
dro Albani,  i  quali  si  offrirono  pronti  a 
qualunque  sua  richiesta  e  bisogno.  L'a 
gouizzante  porporato,  altro  non  doman- 
dò, che  supplicare  il  Papa  a  degnarsi  di 
guardare  con  occhio  di  clemenza  i  suoi 
poveri  e  amati  famigliari,  i  quali  erano 
immersi  nel  dolore  di  perdere  sì  incom- 
parabile padre  e  non  padrone.  Eguale  i- 
stanza  il  cardinale  replicò  al  Papa  nel  suo 
testamento,  in  cui  lasciò  erede  il  collegio 
di  propagandante,  pel.  fervido  deside- 
rio che  sempre  avea  avuto  di  predicar  la 
fede  alle  nazioni  idolatre;  dispose  alcuni 
legati  alla  sua  chiesa  titolare,  al  cui  or- 
namento avea  speso  2000  scudi  d'  oro, 
ordinando  d'essere  tumulalo  nel  suo  sot- 
terraneo collesempliciiuiziali  del  suo  uo- 
me  e  del  titolo  cardinalizio,  scolpile  so- 
pra un  mattone,  il  che  fu  poi  puntualmen- 
te eseguito.  Giunto  il  punto  estremo,  vol- 
le da  se  cercare  nel  rituale  le  preci  dell'a- 
gonia, e  vi  cadde  tosto,  ma  l'ebbe  tran- 
quilla. Un'aria  di  gioia  si  sparse  sul  suo 
volto,  e  baciato  teneramente  il  Crocefis- 
so, e  poste  le  braccia  in  croce  sul  petto, 


68  TOM 

rese  la  bell'anima  aDio  il  i  /gennaio  1 7 1 3, 
di  G4anni,efu  da  lutti  amaramente  pian- 
to, massime  da'poveri  a'  quali  in  G  mesi 
avea  distribuito  più  di  4.000  scudi  d'oro. 
Il  popolo  corse  in  folla  al  palazzo,  tulli  gri- 
dando co'  famigliari:  è  morto  il  santo; 
sciogliendosi  in  lagrime  ed  in  elogi.  Non 
trovandosi  l'occorrente  denaro  pe'  fune- 
rali, ordinò  il  Papa  che  vi  supplisse  la  ca- 
mera apostolica  (per  coincidenza  ricorde- 
rò aver  detto  nel  voi.  XXVIII,  p.  59, che 
ivi  morendo  mg/  Traversi,  da  Gregorio 
XVI  gli  furono  fatti  celebrare  i  funerali, 
e  inoltre  gli  eresse  un  nobile  monumen- 
to). Ne  scrissero  la  Vita,  Antonmaria  Bor- 
romeo vescovo  di  Capo  d'  Istria,  Venezia 
1  7  1  3,  riprodotta  dal  Crescimbeni  nel  t.  3 
degli  Arcadi  illustri,  ove  a  p.  44  ripoHa 
la  lettera  del  p.  Tommasi  al  Papa  della 
rinunzia  della  porpora  a  cui  l'avca  esal- 
tato; Domenico  Bei  nino,  e  stampata  in 
Roma  nel  1722;  mg.r  Giusto  Fontaniui 
che  la  pubblicò  nel  Giornale  de  letterati 
d'Italia  ne'l.  1 7  e  26;  il  p. d.  Giambattista 
Bonaglia  preposito  generale  de'  tealiui, 
postulatole  della  causa  di  sua  beatifica- 
zione e  pubblicala  in  tale  circostanza;  ol- 
tre quanto  ne  scrisse  il  p.  Vezzosi  nell'  e- 
dizioue  che  pubblicò  di  tutte  le  sue  opere, 
di  cui  eccone  1'  elenco.  1.  Speculimi  divi 
Aurclii  Augustini  episcopi  Hipponen- 
sis.  2.  Codices  Sacramentoriun,  nongen- 
tis  annis  vetustiores.  3.  Exercitium  fi~ 
dei,  spei,  et  charitatis.  4-  Psalterium 
juxta  duplicali  edilionem,  quam  Roma- 
nam  dicunt,  et  Gallicanam.  5.  Respon- 
sorialia  et  Antiphonaria  romanae  Ec- 
clesiae.  6.  La  vera  maniera  di  glorili' 
care  Dio  e  di  far  orazione.  7 .  Sacrorum 
Bibliorum  juxta  edilionem  seuhXXin- 
terpretum,  seu  b.  Hieronymi,  veteris  li- 
tuli,  sive  capitula,  ante  1000  annos  in 
occidente  usitata.  8.  Antiqui  libri  Mis- 
sarum  romanae  Ecclesiae.  9.  Qjjìcium 
Dominicae  Passionis,  secundum  ritum 
graccorum.io.  Psalterium  cum  Canli- 
cis ,  versibus  prisco  more  distinctum. 
u.  Piccolo  estratto  dc'salmi.12.  Indi- 


TOM 

culus  Instilutìonum  theologicarum  ve- 
tcritm  Patrum.  i3.  Institutiones  theo- 
logicae  anlicpiorum  Patrum.  i4-  Bre- 
ve istruzione  sulla  maniera  d'assistere 
con  frutto  alla  s.  Messa.  i5.  Esercizio 
giornaliero  per  la  casa.  16.  Costituzio- 
ne delle  religiose  benedettine  della  dio- 
cesi di  Gir  genti.  1  7.  Prisci  fermenti  nova 
expositio:  et  de  fermento  quod  dabatur 
sabbaio  ante  Palmas  in  consistono  ha- 
ter 'anensi, .Lasciò  inoltre  il  cardinale  mss.: 
1  .Brevieulus  aliquot  monumentorum  ve- 
teris moris  quo  Cliristìficlcles  ad  sae- 
aduni  usque  X  utebantur  in  celebra tio- 
ne  Missarum.  1.  Deprivato  ecclesiasli- 
corum  qfficiorum  Breviario  extra  elio- 
rum.  3.  Memorialis  indiculus  veteris  et 
probatae  in  Ecclesia  consuetudinis  con- 
cederteli  indulgentias.  Alla  sua  morte  il 
cardili  tic  lavorava  in  una  edizione  del  ve- 
ro Sacramentario  di s.  Gregorio  I  Pa- 
pa, purgalo  dalle  aggiunte  fatte  ne'tem- 
pi  posteriori.  Pe'prodigi  da  Dio  operati  a 
sua  intercessione  in  vita  e  dopo  morlo,ad 
istanza  di  molti  personaggi  s'intraprese 
la  compilazione  de'processi  sulle  sue  eroi- 
che virtù  emiracolijOndepoi  procedere  al- 
la canonizzazione,  nell'anno  stesso  di  sua 
morte,  e  le  sue  opere  furono  sottoposte  a 
severo  esame.  Benedetto  XIV  che  l'avea 
ammiralo  vivente,derogòalIa  legge  d'Ur- 
bano Vili  sui  5o  anni  dopo  la  morie  on- 
de procedere  alla  canonizzazione. Clemen- 
te XIII  nel  1761  lo  dichiarò  venerabile  e 
ne  riconobbele  virtù  in  grado  eroico.Com- 
provati  i  miracoli, Pio  VII  colla  bolla^e- 
ternus  Dei  filius,  de'  1 6  settembre  1 8o3, 
Bull.  Rom.  coni.  t.  i2,p.  62,  ne  ordinò 
la  solenne  beatificazione,  la  quale  fu  ce- 
lebrata nella  basilica  Vaticana  a'  29  set- 
tembre stesso,  con  quel  magnifico  appa- 
rato che  riporta  il  n.°  287  del  Diario  di 
Roma.  Il  sagro  suo  corpo  si  venera  nella 
suddetta  chiesa  de'ss. Martino  e  Silvestro, 
nell'urna  ch'è  sotto  la  mensa  del  2.0  al- 
tare a  sinistra  di  chi  entra  dal  principale 
ingresso,  esistendo  tuttora  la  lapide  nella 
chiesa  sotterranea,  ove  fu  deposto  e  vi  ie- 


TOM 

sto  sino  alla  traslazione  nel  detto  altare, 
sulla  quale  si  può  vedere  il  Pistoiesi,  Vi- 
1 1  di  Pio  VII,  t.  i,  p.  170.  La  sua  festa 
si  celebra  a'24.  marzo.  Ora  qui  conviene 
che  io  dica  alcuna  cosa  sul  luogo  di  sua 
antica  sepoltura  e  su  quello  ove  ora  si  ve- 
nerano le  sue  spoglie  mortali,  di  più  ag- 
giungendovi alcune  altre  nozioni  sulla 
chiesa  che  le  racchiude,  per  averlo  pro- 
messo altrove,  come  tempiosingolareche 
può  dirsi  contenere  tre  chiese,  una  sopra 
l'altra;  cioè  la  Chiesa  de  ss.  Silvestro  e 
Martino  a'Monti,  l'oratorio  sotterraneo 
e  la  chiesa  sotto  a  questo  fabbricati  da  s. 
Silvestro  I.  Questo  Papa  abitò  il  luogo  già 
Terme  di  Tito  (V.)  e  dette  di  Domizia- 
no e  Traiano,  pel  riferito  a  tale  articolo. 
Il  Papa  vi  edificò  un  oratorio  colla  sem- 
plicità propria  de'suoi  tempi  e  della  con- 
dizione de'crislianijOveprivatamenie  am- 
ministrò i  sagiamenti  a  consolazione  de* 
fedeli.  Per  la  persecuzione  insorta  per  o- 
pera  de'gentili,  sotto  lo  stesso  Costantino 
1,  da  questa  sua  stanza  s.  Silvestro  I  fuggì 
al  Soratle.  Restituitasi  da  quell'impera- 
tore interamente  la  pace  allaChiesa,s.  Sil- 
vestro I  tornò  ad  abitare  presso  l"  orato- 
rio, e  quindi  sotto  di  esso  e  sopra  una  parte 
de'pilastri  delle  terme,smisurati  per  gros- 
sezza, eresse  la  chiesa  che  costituì  in  ti- 
tolo cardinalizio  col  nome  di  Equizio,per- 
chè  fondata  sul  podere  o  casa  del  pretedi 
tal  nome.  6i  crede  che  la  consagrasse  in 
onore  della  B.  Vergine,  dalla  sua  imma- 
gine trovata  in  musaico  sull'altare,  il  qua- 
le esiste  e  sembra  il  maggiore  comechè  in 
fondo  della  nave  più  graude.  Poscia  que- 
sta chiesa  da  Costantino  I  fu  ingrandita, 
ornata  di  pitture,  e  arricchita  di  preziosi 
doni  e  rendite.  Iviil  Papa  celebrò  duecon- 
cilii,  nel  324  e  °el  325  0  nel  326.  Papa  s. 
Simmaco  nel  fine  del  secolo  seguente  fab- 
bricò da'fòndameu  ti  contigua  e  sopra  all'o- 
ra torio  e  alla  chiesa  di  s.  Sd  vestro,la  chiesa 
superiore  attuale  in  onore  di  s.  Martino 
di  Tours,  la  quale  in  seguito  prese  il  no- 
me de'ss.  Silvestro  e  Martino  Papi,  per 
memoria  di  s.  Silvestro  I ,  e  per  esservi 


T  O  M  69 

stato  portato  il  corpo  di  Papas.  Martino 
I,  e  vi  si  venerano  ancora  i  corpi  di  s.  Sil- 
vestro I  e  di  s.  Giusta  sua  madre,  come 
vuole  il  p.  Filippini;  quanto  al  Papa  però 
contraddetto  da  molti,  e  dagli  storici  della 
Chiesa  di  s.  Silvestro  in  Capite.  Per  le  ba  r  • 
bariee  vicende  de'tempi,  e  dopo  l'erezione 
della  chiesa  di  s.  Simmaco,  l'oratorio  e  la 
chiesa  di  S.Silvestro  I  siempironodi  mace- 
rie edi  terra;ma  versoili65oil  p.Gio. An- 
tonio Fdippini  genera  le  de'carmelitani,a- 
vendo  ritrovato  ne'suoi  scavi  in  tal  infeli- 
ce condizione  i  sotterranei  oratorio  e  chie- 
sa, li  fece  interamente  vuotare,  e  restituì 
alla  venerazione  de'  fedeli  ,  restaurando 
l'oratorio.  Indi  e  con  isplendida  magni- 
ficenza e  la  spesa  di  più  che  70,000  scudi 
ristorò  e  abbellì  la  chiesa  superioree  priu- 
cipale  de'ss.  Silvestro  e  Martino,  dando- 
le la  forma  che  si  ammira.  In  tale  occa- 
sione il  cardinal  Francesco  Barberini  ni- 
pote d'Urbano  Vili  ordinò  che  del  mu- 
saico della  chiesa  sotterranea,  esprimente 
Maria  Vergine,  se  ne  facesse  copia,  e  poi 
la  fece  sovrapporre  al  medesimo  antico  e 
deteriorato.  Quanto  al  b.  cardinal  Tom- 
masi,  secondo  la  sua  disposizione,  fu  tu- 
mulato si  può  dire  nella  3.»  chiesa  sot- 
toposta,  cioè  in  mezzo  e  avanti  1'  altare 
della  B.  Vergine,  detto  ancora  di  s.  Sil- 
vestro, corrispondente  al  2.0  piano  delle 
terme  di  Tito,  ili. "essendo  impraticabile. 
Ne*  miei  accessi  agl'indicati  sagri  luoghi, 
vidi  la  lapide  marmorea  eretta  nella  3/ 
chiesa  da'teatiui,  la  quale  ora  è  incastrata 
nel  contiguo  pilastro  a  destra,  mentre  in 
quello  di  contro  tuttora  esiste  la  vettina 
co'suoi  precordi,ed  a  cornuEvangelii  del- 
l'altare vi  è  la  cassa  d'albuccio  ove  fu  po- 
sto il  corpo  del  santo  cardinale.  Ivi  inol- 
tre sono  diverse  sepol  turerà  le  quali  quel- 
la del  cardinal  Zelada(V.). Elevalo  il  ve- 
nerando cardinale  agli  onori  dell'altare, 
il  suo  corpo  fu  trasportato  di  sopra  nella 
i.a  chiesa,  e  collocato  sotto  l'altare,  che  è 
il  2.0  della  nave  miuore  a  sinistra,  della 
cappella  fabbricata  da  Pulcheria  Orsini 
Cesi  di  buon  disegno,  che  ha  per  quadro 


7o  T  O  M 

s.  Alberto  carmelitano  del  Muziano,  ed 
io  ovato  sull'altare  stesso  vi  è  il  ritratto 
del  b.  cardinal  Tommasi. 

TOMMASO  (s.) ,  apostolo,  chiamato 
anche  Didimo,  nome  che  in  greco  signi- 
fica gemello  (il  gran  Leonardo  da  Vinci 
nella  celeberrima  sua  pittura  del  Cena- 
colo P  espresse  con  6  dita  alla  mano  sini- 
stra, forse  pei  che  chiamandosi  Didymus, 
P  interpretò  per  P  A 'postolo  del  dito  ge- 
mello: essendo  stato  ih.°fra  gli  Apostoli 
a  spargere  il  suo  sangue  col  martirio,  il 
Vinci  lo  dipinse  vestilo  di  colore  rosso, 
d'una  tinta  più  viva  di  quella  degli  altri  A- 
postoli,  ma  minore  in  confronto  di  quella 
di  Gesù  Cristo), egualmente  che  Theom  o 
Tommasoinebraic.o.Eragiudeo,ea  quan- 
to pare  nato  in  Galilea,  di  bassa  stirpe. 
Metafraste  lo  fa  pescatore.  Gesù  Cristo  lo 
chiamò  all'apostolato  nell'anno  3  i.  Sem- 
bra ch'egli  fosse  privo  delle  cognizioni  u- 
inane,ma  vi  supplì  col  candore  e  colla  sem- 
plicità dell'anima  sua, come  pure  colla  vi- 
vacità del  suo  amore  pel  divino  Maestro, 
di  cui  diede  prova  allorché  andando  Ge- 
sù Cristo  nel  vicinato  di  Gerusalemme  per 
risuscitar  Lazzaro,  e  cercando  i  suoi  di- 
scepoli di  dissuaderlo,  perchè  i  sacerdoti 
e  i  farisei  volevano  metterlo  a  morte,Tom- 
maso  gli  eccitò  a  seguirlo,  dicendo:»  Ari- 
diamoanchenoi.a  fine  di  morire  eoa  lui". 
11  Salvatore  nell'ultima  cena,  dichiaran- 
do a'suoi  discepoli  ch'era  per  lasciarli,  ag- 
giunse per  consolarli  che  andava  a  pre- 
parare loro  un  posto  nella  casa  di  suo  Pa- 
dre. Tommaso,  che  desiderava  ardente- 
mente di  seguitarlo,  gli  disse:»  Signore, 
noi  non  sappiamo  dove  andate;  or  come 
potremo  conoscere  la  via  ?"  Gesù  Cristo 
lo  illuminò  con  questo  oracolo:  »  Io  sono 
la  via,  la  verità  e  la  vita:  ninno  va  a  mio 
Padre  che  per  me".  Non  essendosi  trova- 
lo Tommaso  cogli  altri  discepoli,  quan- 
do il  Salvatore  apparve  ad  essi  dopo  la 
sua  gloriosa  risurrezione,  ricusò  di  cre- 
dere alle  loro  parole.  Gesù  Cristo,  peruna 
mirabile  condiscendente  alla  debolezza  di 
Tommaso,  apparve  nuovamente, essendo 


TOM 
lotti  insieme  radunati;  e  dopo  aver  loro 
auguralo  la  pace,  a  lui  si  rivolse,  egli  dis- 
se di  mettere  il  suo  dito  ne'fori  de'chiodi 
ed  in  quello  del  suo  costato.  Non  spiega 
P  evangelo  se  s.  Tommaso  abbia  ciò  fat- 
to, e  parecchi  autori  avvisano,  che  convin- 
to della  risurrezione  del  divino  Maestro, 
non  abbia  avuto  ardimento  di  toccare  il 
suo  corpo.  Bensì  pieno  de'più  vivi  senti- 
menti di  compunzione,  di  rispetto  e  di  a- 
more,  esclamò:  »  Mio  Signore,  mio  Dio!" 
confessando  così,secondo  alcuni  Pad  ri, l'u- 
manità e  la  divinità  di  Gesù  Cristo.  Del 
resto  la  sua  incredulità  è  la  più  forte  pro- 
va della  risurrezione  del  Salvatore,  e  ser- 
ve meravigliosamente  a  confermare  la  no- 
stra fede  sopra  questo  mistero.  A  Chiodi 
meglio  riportai  le  parole  di  Gesù  Cristo  e 
di  s.  Tommaso.  Si  può  vedere  il  Donati 
de  Dittici  sagri,  p.  2  1 1  e  2 1 3;  il  p.  Co- 
stadoni  nelle  sue  Osservazioni,  presso  il 
Calogerà,  Opuscoli  A.  43,  p.  33o;  il  Re- 
sozzi,  Storia  della  basilica  di  s.  Croce, 
in  Gerusalemme  p.  1 4^5  ove  dice  conser- 
varsi il  dito  di  s.  Tommaso,  col  quale  toc- 
cò il  sagralissimo  costato  di  Gesù  Cristo 
risuscitato;  dito  che  posto  nell'aperto  co- 
stato del  risorto  Gesù  vinse  la  incredulità 
diTonimaso,con fermando  una  delle  più  e- 
videnti  prove  della  credenza  cristiana.  Ab- 
biamo di  Antonio  Francesco  Fracassi, Chi. 
piìi  giovasse  alla  Chieda, o  la  gran  fide 
del  Centurione  o  la  diffidenza  di  Tom- 
maso? Roma  1676.  Leggesi  in  alcuni 
antichi  scrittori,  che  dopo  la  discesa  del- 
lo Spirilo  santo,  s.  Tommaso  mandò  Tad- 
deo, uno  de'  72  discepoli,  ad  Abgarore 
o  toparco  di  Edessa,  per  istruirlo  e  bat- 
tezzarlo. Sappiamo  da  Origene,  che  do- 
po la  dispersione  degli  Apostoli,  s.  Tom- 
maso andò  a  predicare!'  evangelo  ai  par- 
ti, e  poscia  passò  in  altre  nazioni  e  scor- 
se tutto  l'Oriente.  Secondo  Sofronio,  egli 
piantò  la  fede  presso  i  medi,  i  persiani , 
i  caimani,  gP  ircani,  i  batlriani  ed  altri 
popoli  vicini.  I  greci  moderni  lo  fanno  e- 
ziandio  apostolo  degl'indiani  e  degli  elio 
pi;  ma  gli  antichi  indicavano  con  questi 


T  O  M 

norai  tulli  gli  orientali.  Pretendono  gl'in- 
diani moderni  ed  i  portoghesi,  ch'egli  ab- 
bia annunziato  Gesù  Cristo  ai  bracmaui  e 
agl'indiani  aldi  là  della  graud'isola  di  Ta- 
probana,  die  gli  uni  prendono  per  Cey- 
I -i ti.  gli  altri  per  Sumatra;  ed  aggiungo- 
no cbe  (offerse  il  martirio  a  Meliapor  o 
s.  Tommaso  sulla  costa  del  Coromandel. 
S.  Gaudenzio  dice  che  fu  messo  a  morte 
dagl'infedeli  a  Calamuia  nell'India.  Til- 
lemont  ed  altri  opinano  che  non  sia  mor- 
to lungi  da  Edessa,  e  dubitano  che  ab- 
bia predicato  al  di  là  dell'isola  di  Ta pro- 
ba Qa.  In  moltissimi  articoli  parlai  de'luo- 
ghi  ove  VA  postolo  d illuse  l'evangelo,come 
a  IndieOrientali(T~.)%e  visonode'crislia- 
11  i  che  si  chiamano  Cristìanidis.  Tomma- 
so.e  ne  parlai  ne' voi. XI li,  p.  109,  XVIII, 
p.  2o5,  XXX1 V,  p.  20 1  e  206,  a  Mala.- 
e\ui  e  altrove.  Sia  comunque,  dsuo  corpo 
fu  certo  portato  in  processo  di  tempo  ad  E- 
dessa,dove  veniva  onorato  nella  cattedrale 
con  singolare  venerazione,  al  tempo  di  s. 
Gio.  Crisostomo,  nellecuiopereed  in  Ru- 
fino si  legge,  che  non  si  conoscevano  al- 
lora le  tombe  degli  Apostoli,  ad  eccezione 
di  «iiielle eli  s.  Pietro,  di  s.  Paolo,di  s.  Gio- 
vanni e  di  s.  Tommaso.  Nell'orazione  so- 
pra questo  santo  Apostolo,  scritta  nel  402, 
e  pubblicata  fra  le  opere  di  s.  Gio.  Cri- 
sostomo, si  dice  che  il  suo  corpo  era  ad 
Edessa,  dove  fu  una  chiesa  numerosa  e 
florida  uel  III  e  IV  secolo.  Milano,  Bre- 
scia, Nola  ebbero  alcune  porzioni  delle  sue 
reliquie:  Or  tona  pure  crede  di  venerar- 
ne il  corpo,  oltre  .Mcliitpor,  altri  dicono 
altrove;  ed  anche  per  questo  santo,  forse 
si  prese  una  parte  di  sue  reliquie  per  tutto 
il  corpo.  Quanto  ad  Edessa  (J-),  e  si  può 
vedere  anche  il  voi.  LI,  p.  3o8,  è  memo- 
rabile ciò  che  si  mirra  dal  Piazza  nel  suo 
Santuario  Romano  a'2  1  dicembre.  Fi- 
nito il  vespero  di  sua  festa,  il  vescovo  an- 
dava al  suo  sepolcro,  e  apertolo  poneva 
in  mano  dell'Apostolo  un  ramo  di  vile  sec- 
co, e  la  mattina  seguente  il  ritrovava  ver- 
de  con  tanta  uva,  quanto  bastata  per  i- 
spremerne  il  vino  necessario  per  cousagra- 


TOM  71 

renella  mesta.  E  degno  d'altrettanta  me- 
raviglia è  ciò  che  avvenne  nel  1 543.  Vo- 
lendo i  portoghesi  di  Calamuia,  ove  se- 
condo molli  il  sauto  morì,  piantare  un  o- 
ratorio,  ivi  nello  scavare  le  fondamenta 
ritrovarono  quella  croce  di  marmo,  a?au- 
ti  la  quale  fu  ucciso,  tinta  del  suo  sangue; 
e  facendosi  poi  ogni  anno  la  festa  solen- 
nemente, nel  cantarsi  il  Vangelo,  caugia- 
vasi  in  vari  colori,  e  poi  mandava  tanto 
sangue,  che  molti  ne  attingevano  i  panni 
per  rasciugarla,  miracolo  diesi  rinnovò 
ancora  nel  1  564-Secondo  gli  storici  porto- 
ghesi fu  trovatoli  corpo  di  S.Tommaso  nel 
IJ23  in  un'antica  cappella  rovinata, ch'e- 
ra sulla  sua  tomba  fuori  delle  mura  di  Me- 
liapor. Ivi  vicino  i  portoghesi  fecero  edifi- 
care una  nuova  città  che  chiamarono  s. 
Tommaso  o  Thomèdi  Meliapor  (P.).  1 
latini  celebrano  la  festa  di  s.  Tommaso  a' 
2  1  dicembre,  i  greci  a'6  ottobre,  e  gl'in- 
diani al  (Ali  luglio.  Perchè  la  sua  vigilia 
non  fu  posta  nel  Calendario,  lo  notai  uel 
voi.  Ili,  p.  3oi. 

TOMMASO  (s.),  arcivescovo  di  Can- 
torbery.  Figlio  di  Gilberto  Becker,  gentil- 
uomo inglese,  che  nella  sua  giovinezza  mi- 
litò in  Terra  santa,  dove  inspirò  all'unica 
figliuola  d'un  emiro  de'saraceni  il  deside- 
rio di  abbracciare  la  religione  cristiana,  e 
di  poi,  essendosi  portata  in  Inghilterra,  ri 
cevette  il  battesimo,  prese  il  nome  di  Ma- 
tilde, e  sposò  Gilberto.  Tommaso  nacque 
a  Londra  il  2  1  dicembre  1  1  1  7,  e  sortì  le 
più  eccellenti  qualità,che  furono  coltivate 
da  una  pei  fetta  educazione.  Cominciati 
i  suoi  studi  in  un  monastero  di  canoni- 
ci regolari,  li  continuò  a  Londra,  poscia 
si  portò  a  Oxford,  e  quindi  a  Parigi, dove 
si  perfezionò  nella  conoscenza  del  diritto 
canouico  e  nelle  diverse  parti  della  lette- 
ra tura.  Tornato  a  Londra,  s'impiegò  in 
qualità  di  chierico  o  di  segretario  alla  cor- 
te della  città,  e  diede  a  conoscere  gran- 
de capacità  pergli  altari.  In  seguito  Teo- 
baldo arcivescovo  di  Cantorbery  gli  offer- 
te un  posto  uella  sua  casa,  non  tardò  ad 
aflidargli  lecure  più  importanti  dell'arci- 


?2  TOM 

vescovato,  e  lo  fece  suo  arcidiacono.  Ver- 
so l'annoi  ì5j  Enrico  II  re  d'Inghilter- 
ra Io  nominò  cancelliere  del  regno,  e  gli 
commise  altresì  l'educazione  del  princi- 
pe Enrico  suo  figlio;  poi  lo  spedì  in  Fran- 
cia per  stabilire  il  matrimonio  di  questo 
principe  con  Margherita  di  Francia  figlia 
diLuigiVII  WGìovOnéfl  negozia  re  un  trat- 
tato tra  le  due  corone,  locchè  eseguì  con 
felice  successo.  Tommaso  però  non  si  la- 
sciò abbagliare  dagli  onori, continuò  ad  et- 
sere  umile,  mortificato,  raccolto  e  casto. 
La  gelosia  gli  suscitò  delle  persecuzioni, ma 
egli  fece  tacerei  suoi  nemici  colla  sua  dol- 
cezza e  col  suo  silenzio.  Elelto  arcivesco- 
vo di  Cantorbery  la  vigilia  della  Pente- 
coste del  i  1 62,  si  dedicò  intieramente  al- 
le funzioni  dell'episcopato;  abbracciò  la 
disciplina  regolai  e  e  monastica  de'canòni- 
ci  della  sua  cattedrale,  indossò  un  ruvido 
cilizio  che  non  lasciò  fino  alla  morte,  e  si 
sottomise  ad  un  genere  di  vita  austerissi- 
mo.  Levavasi  ogni  giorno  a  2  ore  della 
mattina,  e  recitato  l'uffizio  della  notte,  la- 
vava i  piedi  ai  3  poveri,  cui  donava  una 
somma  di  denaro,  raccomandandosi  alle 
loro  orazioni.  All'ora  dii.'il  suo  limosi- 
niere  lavava  i  piedi  a  1  2  altri  poveri,  e  di- 
stribuiva loro  pane  e  carne.  Dopo  mattu- 
tino prendeva  un  breve  riposo,  poi  faceva 
la  meditazione,  e  visitava  i  malati  che  vi 
erano  fra'suoi  monaci  o  nel  suo  clero.  Al- 
le ore  f)  diceva  la  messa  o  l'ascoltava,  in- 
di faceva  una  nuova  distribuzione  di  li- 
mosine,in  guisa  che  quotidianamente  soc- 
correva 1  00  poveri.  La  sua  mensa  era  im- 
bandita decentemente  a  cagione  di  quelli 
che  eranvi  invitati,  ma  egli  osservava  la 
più  esatta  sobrietà.  Durante  il  pranzo fa- 
cevasi  leggere  qualche  libro  di  pietà, e  do- 
po conversava  qualche  tempo  con  pii  e 
dotti  ecclesiastici  sopra  materiedi  religio- 
ne. Nel  1  1  63  intervenne  al  concilio  di 
Tours,  e  la  fermezza  che  mostrò  nell'ese- 
cuzione de' decreti  di  questo  concilio  con- 
tro gli  usurpatori  dei  beni  ecclesiastici,  e 
nel  mantenimento  delle  immunità  della 
chiesa  d'inghiltena,gli  attirò  lo  sdegno  del 


TOM 

re,  il  quale  esigette  che  i  vescovi  giurasse- 
ro di  mantenere  tutti  i  costumi  del  regno. 
Tommaso  ben  vide  che  con  ciò  Enrico  II 
intendeva  di  convalidareabusi  notorii  ed 
aperte  ingiustizie,  perciò  dichiarò  che  non 
avrebbe  fatto  ilgiuramento,checollaclau- 
sola  salvo  il  dovere  e  la  coscienza.  Non- 
dimeno, lasciatosi  vincere  dalle  preghiere 
del  clero,  acconsentì  in  una  radunanza  te- 
nuta a  Clarendon  neh  164,  di  firmare  i 
16  articoli  chiamati  Costituzioni  di  Chi' 
rendon.  Egli  si  pentì  subito  di  sua  condi- 
scendenza, e  pianse  la  sua  debolezza,  fin- 
ché ebbe  consultato  Papa  Alessandro  III, 
cui  chiese  l'assoluzioue.  Il  Papa  nell'ac- 
cordargliela,  gì' ingiunse  di  riparare  con 
episcopale  vigore  il  fallo  in  cui  era  cadu- 
to. Il  suo  cambiamento  irritò  fortemen- 
te il  re,  che  gli  minacciò  la  morte,  e  ra- 
dunati l'8  ottobre  dello  stesso  anno  i  ve- 
scovi ed  i  signori  a  Norlhampton,  venne 
Tommaso  condannalo,  e  tutti  i  suoi  be- 
ni furono  confiscati. Crescendo  sempre  più 
la  persecuzione,  si  risolvette  Tommaso  di 
segretamente  allontanarsi  dal  regno, dopo 
che  la  sua  causa  fu  evocata  alla  s.  Sede. 
Sbarcato  in  Fiandra,  si  rese  a  s.  Orner  e  al- 
loggiò nell'abbazia  di  s.  Bertmo,  donde  in- 
vitalo da  Luigi  VII  re  di  Francia,  si  recò 
a  Soibsons.  Presentatosi  dipoi  ad  Alessan- 
dro HI,  che  tiovavasi  a  Sens,  lo  supplicò 
di  accettare  la  sua  rinunzia  all'arcivesco- 
vato di  Cantorbery,  ma  il  Papa  gli  oidi- 
uò  di  ritenerlo.  11  santo  arcivescovo  si  ri- 
tirò allora  nell'abbazia  di  Pontigny,  dove 
si  assoggettò  a  tutte  le  osservanze  della  co- 
munità, ed  esercitò  con  gioia  le  più  ab- 
biette ed  umilianti  funzioni,  praticando 
le  maggiori  austerità.  Finalmente  dopo 
molle  pratiche  fatte  dal  Papa  e  dal  re  di 
Francia  per  procurare  la  riconciliazione 
dell'arcivescovo couEnrico  II,  questi  mo- 
strò di  acconsentirvi,  e  Tommaso  ritornò 
in  Inghilterra;  ma  poco  dopo  fu  empia- 
mente assassinalo  nella  sua  chiesa  il  2f) 
dicembre  1  170,  56.°  anno  dell'età  sua,  e 
q.°  del  suo  episcopato.  Usuo  corpo  fu  sep- 
pellito in  una,  volta  sotterranea,  donde  di- 


TO  M 

poi  fu  disotterrato  e  rinchiuso  in  una  ric- 
chissima urna. Saccheggiata  questa  duEn 
lieo  Vili,  neh  538  Crouwell  fece  brucia- 
re le  ossa  del  sauto;  ma  il  suo  capo  si  cu- 
stodisce a  Royaumont  nella  diocesi  di 
Beauvais.  Papa  Alessandro  111  lo  canoniz- 
zò neh  173,  e  la  sua  festa  si  celebra  il  2g 
dicembre.  Di  questo  mai  tire  i\e\Y  Immu- 
nità ecclesiastica  (F.),  va  letto  il  voi. 
XXXV,  p.  4t  e  seg.  sulla  condotta  tenu- 
ta dal  re  prima  e  dopo  tale  assassinio,  e 
quanto  energicamente  fece  il  Papa  Ales- 
sandro III.  Ogni  anno  il  giorno  della  sua 
festa  in  Roma  si  celebra  cappella  cardi- 
nalizia a  onore  del  santo,  che  descrissi  uè' 
voi.  IX,  p.  1  4-,  e  XXXIV,  p.  39. 

TOMM ASO d'Aquino (s.),doltòre  del- 
la Chiesa,  detto  Y Angelico.  D'una  delle 
più  cospicue  famiglie  del  regno  di  Napo- 
li,  nacque  sul  finir  dell'anno  1226,  da 
Landollocouled'Aquiuoedi  Soni, signor 
di  Loreto  e  di  Belcastro,  e  da  Teodora  fi- 
glia del  conte  di  Chieti.  A  questa  dama 
del  sangue  de'  normanni,  mentre  n'  era 
incinta,  l'eremita  Buono  di  santa  vita,  le 
predisse  che  il  bambino  che  teneva  nel 
\entre  sarebbe  stato  il  lume  della  Chie- 
sa e  lo  splendore  di  sua  famiglia,  e  che  a- 
vrebbe  preferito  alla  gloria  del  secolo,  la 
qualità  di  discepolo  di  Cristo,  e  le  ingiun- 
se di  chiamarlo  Tommaso.  Con  questo 
nome  fu  battezzato,  per  parte  di  Onorio 
HI,  da  Gregorio  vescovo  di  Soia  da  lui 
consagrato.  Apparve  chiaramente  fino 
da'suoi  più  teneri  anni,  che  Dio  Io  desti- 
nava a  grandi  cose,  poiché  fu  scevro  da 
que'difelti  che  d'ordinario  accompagna- 
no l'adolescenza.  In  età  di  5  anni  suo  pa- 
dre lo  po*e  sotto  la  direzione  dei  religiosi 
di  Monte  Cassino,  onde  lo  istruissero  nei 
principii  delle  lettere  e  della  religione.Xon 
avea  che  1  o  anni  quando  l'abbate  di  Mon- 
te Cassino  consigliò  lidi  lui  padre  a  man- 
darlo in  qualche  università.  li  conte  d'A- 
quino però  gli  fece  passare  alcuni  mesi 
presso  sua  madre  nel  castello  di  Loreto, 
dove  Tommaso  si  meritò  l'ammirazione 
di  tutta  la  sua  famiglia,  maravigliata  a 


T  O  M  73 

vedere  in  lui  tanta  modestia,  pietà  e  rac- 
coglimento. La  contessa,  che  avea  posto 
uno  sviscerato  amore  a  suo  figlio,  propo- 
sedi  fargli  continuare  gli  studi  nella  casa 
paterna,  per  evitare  i  rischi  che  corre  la 
gioventù  nelle  pubbliche  scuole;  ma  il  con- 
te fu  di  diverso  avviso,  e  mandollo  a  Na- 
poli, dove  l'imperatore  Federico  II  avea 
fondato  un'università  neh  224. Tomma- 
so non  istette  molto  ad  accorgersi  che  la 
sua  virtù  avea  molto  a  temere  per  i  di» 
sordini  e  la  corruttela  che  eransi  intro- 
dotti in  quell'università  colla  moltitudi- 
ne degli  studenti;  ma  siccome  non  stava 
iu  lui  il  ritornare  nella  solitudine  di  Mou- 
te  Cassino,  che  avrebbe  preferito,  si  rive- 
sti di  tutte  le  armi  della  fede,  e  seppe  pre- 
servarsi da  ogni  corruzione.  Finalmente 
risolvette  di  secondare  l'ardente  suo  de- 
siderio di  entrare  nell'ordine  di  s.  Dome- 
nico, e  superata  colla  costanza  la  contra- 
rietà del  padre,  prese  l'abito  de'doroeni- 
caui  in  Napoli  neh  243.  Di  là  portossi  a 
Boma  per  schivare  l'incontro  di  sua  ma- 
dre, che  andava  a  Napoli  per  cercare  di 
fargli  abbandonare  il  suo  stato.  Dipoi  fu 
mandato  a  Parigi;  ma  esseudo  stato  ar- 
restato in  cammiuo,peropera  de'suoi  fra- 
telli Landolfo  e  Raiualdo,  fu  condotto  nel 
castello  di  Roccasecca,  il  quale  apparte- 
neva alla  sua  famiglia,  dove  per  vincere 
la  sua  fermezza  impiegaronsi  inutilmen- 
te dapprima  le  più  vive  istanze  eie  più 
tenere  esortazioni, poscia  le  più  grandi  mi- 
nacele e  i  più  aspri  trattamenti.  Era  già 
passatomi  anno  o  due  che  Tommaso  tro- 
vavasi  imprigionato  nel  castello  di  Roc- 
casecca (come  nel  parlare  di  quella  roc- 
ca dissi  nel  voi.  LV1I,  p.  218  ),  quan- 
do Papa  lunocenzo  IV  e  l'imperatore 
Federico  II,  informati  della  persecuzio- 
ne che  soffriva,  si  mossero  in  suo  favo- 
re, e  fecero  parlare  a  sua  madre  e  a'  suoi 
fratelli,  i  quali  quindi  adottarono  più  a* 
mani  sentimenti,  anzi  la  contessa  non  si 
mostrò  lontana  da  favorirne  segretamen- 
te la  fuga.  Avvertiti  di  ciò  i  domenicani 
di  Napoli,  mandarono  alcuui  religiosi  al 


74  t  o  ai 

castello  di  Roccasecca,  i  quali  presoTorn- 
niaso,  die  tuia  delle  dì  lui  sorelle  calò  giù 
in  uno  sportone,  lo  condussero  giubilanti 
al  convolilo,  ove  l'anno  dopo  professò.  La 
madre  e  i  fratelli  avendo  reclamato  alla 
s.  Sede,  il  Papa  chiamò  Tommaso  a  Ro- 
ma,e  dopo  a  ver  lo  esamina  tori  pprovò  la  sua 
professione.  Noterò  che  nel  voi.  XXVII, 
p.  285  ricordai  la  prigionia  sofferta  dal 
santo  in  Monte  s.  Giovanni,  d'ordine  de' 
suoi  parenti,  a  cui  spettava  il  paese  con  ti- 
tolo di  ducato,  indispettiti  dall'aver  egli 
abbracciato  lo  stato  religioso;  prigione  che 
fu  poi  cambiala  in  elegante  cappellani  me- 
moria della  sua  biennale  dimora  in  Monte 
s.  Giovanni, illustrata  dalle  sue  virtù  e  ac- 
compagnata da  prodigi.  Poscia  Giovanni 
Teutonico  generale  de'domenicani  lo  con- 
dusse seco  a  Parigi,  indi  lo  fece  passare  a 
Colonia,  dove  studiò  teologia  sotto  Alber- 
to Magno,  con  meraviglioso  profitto.  Nel 
1  245, essendo  stato  Alberto  mandato  ad 
insegnar  teologia  a  Parigi  nel  collegio  di  s. 
Giacomo,  Tommaso  lo  seguì  per  conti- 
nuare isuoi  studi.  Egli  vi  fece  di  se  la  più 
luminosa  mostra,  ma  la  sua  applicazione 
agli  sludi  filosofici  non  portò  raffredda- 
mento al  suo  spirito  religioso.  Nominato 
dal  capitolo  generale  del  suo  ordine  a  pro- 
fessore in  Colonia  con  Alberto  Magno,  le- 
vossi  ben  presto  in  grande  riputazione.In 
quel  tempo  pubblicò  i  suoi  Commentari 
sulla  morale  d'Aristotile  e  sopra  altre  o- 
pere  di  quel  filosofo. Raddoppiando  il  fer- 
vore nella  preghiera,  nelle  veglie  e  negli 
altri  esercizi  di  pietà,  si  preparò  a  riceve- 
re gli  ordini  sagri.  Dopo  che  fu  ordinato 
sacerdote,  incaricato  di  annunziare  la  di- 
vina parolaio  fece  con  sì  ammirabile  un- 
zione, che  operò  ovunque  un  numero 
grande  di  conversioni;  e  Colonia,  Parigi, 
Roma,  ed  alcune  altre  città  d'Italia  furo- 
no i  principali  teatri  del  suo  zelo. Gli  stessi 
ebrei  seguirono  l'esempio  de'  cristiani, 
imperocché  si  sentivano  colpiti  non  me- 
no dal  lustro  delle  sue  virtù,che  convinti 
dalla  forza  de'suoi  ragionamenti.  La  più 
vecchia  delle  sue  sorelle  si  cousagrò  a  Dio 


T  O  M 

nel  monastero  di  s.  Maria  di  Capua,  del 
(piale  morì  abbadessa.  La  seconda,  Teo- 
dora, che  s'era  sposata  al  conte  di  Marsi- 
co,  passò  il  rimanente  di  sua  vita  in  una 
maniera  assai  esemplare.  Sua  madre  e- 
spiò  con  ogni  sorta  di  opere  buone  i  falli 
che  aveale  fatto  commettere  una  troppo 
naturale  tenerezza,  e  finì  anch'essa  san- 
tamente la  sua  vita.  Anche  i  suoi  fratelli 
Landolfo  e  Rainaldo  ebbero  la  sorte  di 
morire  da  buoni  cristiani,  soddisfacendo 
alla  divina  giustizia  colla  rassegnazione  al- 
le persecuzioni  mosse  loro  dall'impera- 
tore Federico  II,  il  quale  per  punirli  di 
aver  abbandonato  il  suo  servizio, spianò 
la  città  d'Aquino  nel  i25o.  Tommaso  fu 
rimandato  a  Parigi  nel  1  252  per  insegnar- 
vi la  teologia,  ed  il  concetto  ch'aveasi  già 
acquistato  per  la  perspicacia  del  suo  in- 
gegno, e  per  la  sodezza  del  suo  senno, 
trasse  innumerevole  moltitudine  ad  udir- 
lo. Egli  ricevette  il  grado  di  dottore  a*2  3 
ottobre  1  257,  in  età  di  3  1  anni,  indottovi 
dal  comando  de'suoi  superiori.  Neli2  5(j 
si  trovò  predente  al  3(5.°capitolo  generale 
del  suo  ordine,  tenuto  a  Valenciennes, nel 
quale  fu  incombenzato  di  stendere  alcu- 
ni regolamenti  per  gli  studi,  insieme  con 
Alberto  Magno  ed  altri  Ire  dottori.  Di  ri- 
torno a  Parigi,  continuò  le  sue  lezioni  di 
teologia,  e  finì  di  guadagnarsi  gli  animi  di 
lutti  colla  sua  affabilità  e  modestia.  Co- 
munque grande  fosse  il  suo  zelo  nel  so- 
stenere la  verità,  pure  anche  nel  bollor 
della  disputa  sape  va  sì  bene  l'attenersi,  che 
mai  gli  usciva  alcun  motto  aspro  e  ingiu- 
rioso. Papa  Urbano  IV,  che  conosceva 
tulio  il  merito  di  Tommaso,  chiamollo  a 
lioma  nei  1261,  e  gli  offerse  più  d'  una 
volta  delle  dignità  ecclesiastiche;  ma  egli 
tutte  rifiutolle,preferendo  lo  stalo  di  sem- 
plice religioso.  Ciò  che  Urbano  IV  potè 
ottenere  da  lui,  fu  che  non  si  allontane- 
rebbe più  dalla  sua  persona;  e  questo  gli 
procurò  l'occasione  di  predicare  nelle  cit- 
tà ove  il  Papa  soleva  risiedere,  come  a 
Roma,  Viterbo,  Orvieto,  Fondi,  Perugia, 
e  gli  léce  comporre  l'uffizio  della  solen- 


T  O  M 

nilà  del  Corpus  Domini;  e  al  diredi  Na- 
tale Alessandro  anche  l'inno  Pange  Un- 
.  anzi  altri  gli  attribuiscono  pure  il 
Lauda  Sion.  Ebbe  cattedra  anche  in  A- 
nagni  nel  convento  da  lui  abitato,  e  an- 
nesso alla  chiesa  del  suo  ordine,  dedicata 
a  s.  Giacomo,  ov'è  un  altare  in  cui  si  ve- 
nera la  celebre  Croce  chiamata  di  s. Tom- 
maso d' Aquino,  siccome  da  lui  colle  sue 
proprie  mani  delineala  sul  muro  in  let- 
tere gotiche,  colle  divote  parole:  *£♦■  Crux 
mihi  certa  salus  +£t-  Crux  est  quam  seni' 
iter  adoro  ♦♦+  Crux  Domini  mecum  +£t- 
Crux  mihi  rcfugiumjle  quali  parole  par- 
tendo dal  centro  ove  trovasi  l'iniziale  C, 
e  diramandosi  da  4  parti  in  5  linee,  for- 
mano la  mistica  Croce  che  dal  suo  titolo 
viene  detta  Angelica,^  la  cui  immagine 
ha  una  sì  sperimentata  virtù  contro  i  ful- 
mini e  le  tempeste,  che  se  ne  fecero  in  gran 
numero  coi  tipi  di  caratteri, con  incisioni, 
io  ottone,  in  argento  e  in  altri  metalli,  e  si 
tiene  indosso  o  nelle  case  con  molta  divo- 
zione. Mostrossi  anche  con  moito  onore  a 
Bologna  e  a  Napoli,  dove  diede  luminosi 
saggi  de'grandi  suoi  talenti  per  la  predica- 
zione e  per  l'insegnamento.  Avendo  i  do- 
menicani tenuto  il  4o.°  capitolo  generale 
aLoudra  nel  i  263, egli  vi  assistette. Qual- 
che tempo  dopo  domandò  la  permissio- 
ne di  non  più  insegnare,  e  gli  fu  accorda- 
ta; laonde  rientrò  nello  stato  di  semplice 
religioso,  come  la  sua  umiltà  faceagli  da 
gran  tempo  desiderare.  Non  pertanto  Pa- 
pa Clemente  IV, che  lo  stimava  al  pari 
del  suo  predecessore,  gli  olhì  nel  1265 
l'arcivescovato  di  Napoli,  che  costante- 
mente rifiutò,  com'anco  tutte  le  altre  di- 
gnità cui  lo  stesso  Papa  avrebbe  voluto  in- 
nalzarlo. A  Bologna  scrisse  la  i. 'parte  del- 
la Somma  teologica,  indi  passò  a  Napoli, 
dove  pregando  un  giorno  fervorosameu- 
teda vanti  unCrocefisso, entrò  in  una  dol- 
ce estasi,  e  fu  levato  4  palmi  sopra  terra. 
Da'6  dicembre  12^3  lino  a'7  marzo  del- 
l'auno  seguente,  che  fu  il  giorno  della  sua 
morte,  il  santo  dottore  non  volle  più  par- 
lare né  scrivere  di  materie  teologiche,  e 


TOM  75 

rinnnziòintiernmentea'suoi  studi  per  non 
pensare  che  alla  eternità. Ma  mentre  vi  vea 
nel  ritiro  e  nell'orazione,  Gregorio  X  lo 
trasseda  questa  diletta  sua  solitudine  per 
mandarlo  al  concilio  generale  che  avea 
convocato  aLione  per  il  i.°dì  maggio  t  2-4, 
onde  adoperarsi  a  spegnere  lo  scisma  de' 
greci,  e  raccogliere  soccorsi  per  Terra- 
santa.  Trovavasi  allora  Tommaso  in  as- 
sai tristo  stato  di  salute;  nondimeno  ver- 
so la  fine  di  gennaio  partì  da  Napoli,  in 
compagnia  del  p.  Reginaldoda  Piperno,al 
quales'mgiunsedi  aver  diradi  lui. Si  trat- 
tenne alcun  tempo  nel  castello  di  Maenza 
(come  notai  parlandone  nel  voi.  XX\  II, 
p.  289),  presso  sua  nipote  Francesca  d'A- 
quino, maritata  al  contedi  Ceccano.  Qui- 
vi la  sua  malattia  s'accrebbe  di  moito,  e 
fupiesoda  nausea  generale  di  qualunque 
cibo. Tutta  via  rinvigoritosi  un  poco,  con- 
tinuò il  suo  viaggio;  ma  aggravatosi  di 
uuovo,  fu  costretto  fermarsi  a  Fossanuo- 
va, celebre  badia  de'cisterciensi, nella  dio- 
cesi di  Tenacina,ed  entrato  in  quel  chio- 
stro, esclamò:  Questo  sarà  il  luogo  del  mio 
riposo  per  sempre.  I  religiosi  di  Fossauuo- 
va  gareggiavano  in  prestargli  assistenza, 
stimandosi  avventurati  di  poter  rendere 
qualche  servigio  a  tale  che  risguardava- 
no  come  un  angelo  in  carne.  Pregato  il 
santo  da'religiosi  a  voler  lasciar  loro  un 
ricordo  di  sua  angelica  dottrina,  egli  be- 
nignamente compiacendoli  prese  loro  ad 
esporre  brevemente  il  Cantico  de  Canti- 
ci (che  avea  già  commentato  ampiamen- 
te in  altro  tempo),  con  tale  un'ispirazio- 
ne celestiale  ed  una  sublimità  di  concelti, 
che  già  pareane  l'anima  sciolta  dal  corpo 
e  beata  nelle  delizie  dell' Eterno  amore. 
Quanto  più  il  santo  vedeva  appressarsi  l'o- 
ra della  sua  morte,  tanto  più  sospirava  il 
momento  felice,  che  dovea  farlo  entrare 
nella  gloriadel  suo  Dio.  Ricevuta  l'assolu- 
zione con  tutli  i  sentimenti  da  vero  peni- 
tente.dominalo  il  s.  Viatico, che  volle  rice- 
vere disteso  sulla  cenere.  Di  minuendo  sem- 
prepiii  lesue  fòrze,vollechegli  si  ammini- 
•tntfsel'tttcmn  uuiioue,  uieutre  era  ao- 


76  TOM 

eòi*  perfettamente  presente  a  se  itesso,  e 
rispose  egli  medesimo  a  tutte  le  preci  ilei- 
la  Chiesa.  Indi  ringraziati  l'abbate  e  i  re- 
ligiosi di  Fossanuova,  s'addormentò  nel 
Signore  a'7  di  marzo  1274»  qualche  mi- 
nuto dopo  la  mezzanotte.  Secondo  alcuni 
autori  egli  era  entrato  nel  suo  5o.°  anno; 
ma  il  Butler  è  d'avviso  di  tenersi  al  parere 
di  Bartolomeo  da  Lucca,  e  di  altri  autori 
contemporanei,  i  quali  dicono  che  morì  di 
480  49  anni, la  quale  data  meglio  s'accor- 
cia con  tutta  la  serie  della  sua  vita.  Appe- 
na fu  intesa  la  novella  della  sua  morte, 
da  tutte  le  parti  si  accorse  ad  assistere  a' 
suoi  funerali.  Alcuni  religiosi  di  Fossa- 
nuova  e  parecchie  altre  persone  amma- 
late furono  miracolosamente  guarite  per 
la  virtù  delle  sue  reliquie,  cornee  ripor- 
tato nella  bolla  di  sua  canonizzazione.  An- 
che in  seguito,sopratlulto  nelle  varie  tras- 
lazioni delle  sue  reliquie,  operaronsi  so- 
miglianti miracoli,  di  che  abbiamo  rela- 
zioni molto  autentiche  pubblicate  da'Bol- 
fonduti.  Le  università  di  Parigi, di  Roma, 
di  Bologna  e  d'altre  città,  molti  principi 
e  diversi  ordini  domandarono  a  gara  il  suo 
corpo.  Della  contrastata  traslazione  del 
medesimo  da  Fossanuova  a  Fondi,  e  poi 
nel  1 368  per  decreto  di  Urbano  V  a  To- 
losa, ed  eziandio  dell'altre  sue  reliquie,  a 
tale  ultimo  articolo  in  breve  ne  parlai  con 
importanti  notizie.  Solo  qui  aggiungerò 
col  Torrigio,  che  Urbano  Vili  neli633 
donò  alla  chiesa  de'cappuccini  di  Roma 
uu  braccio  di  s.  Tommaso,  e  un  braccio 
di  s.  Bonaventura  altro  Dottore  della 
Chiesa. S.Tommaso  fu  solennemente  ca- 
nonizzalo da  Giovanni  XXII  nel  i323, 
e  Pio  V  ordinò  nel  1567  che  la  sua  fe- 
sta a'  7  marzo  si  celebrasse  della  stessa 
maniera,  come  quella  de'quattro  dottori 
della  Chiesa  d'occidente,  s.  Ambrogio,  s. 
Agostino,  s.  Girolamo,  s.  Gregorio  Ma- 
gno. Le  opere  di  s.  Tommaso  si  ponno  di- 
videre in  4  classi.  Nella  1.''  sono  le  opere 
di  filosofia,  nella  2.*  quelle  di  teologia  ; 
nella  3.a  i  Commentari  sulla  s.  Scrittura  ; 
nella  £,"  gli  opuscoli,  che  pouuo  dirsi  ope- 


TOM 

re  miste  per  le  varie  materie  che  vi  sono 
spiegate:  vi  si  trova  la  confutazione  dei 
greci  scismatici  e  di  parecchie  eresie;  la 
discussione  di  molti  punti  di  filosofia  e  di 
teologia;  delle  spiegazioni  sul  Simbolo, 
sui  sacramenti,  sul  decalogo,  sulla  ora- 
zione dominicale,  sulla  salutazione  ange- 
lica, ec.  Egli  combattè  i  nemici  della  ve- 
rità colle  loro  proprie  armi,  e  fece  servi- 
re la  dottrina  di  Aristotile  alla  difesa  del- 
la fede.  I  suoi  Commentari  sui  4  libri  di 
Pietro  Lombardo  detto  il  Maestro  delle 
sentenze,  comprendono  un  corso  metodi- 
co di  teologia.  La  Somma  teologica  è  o- 
pera  mirabile,  quantunque  la  morte  gli 
abbia  impedito  di  darvi  l'ultima  mano. 
La  migliore  edizione  delle  sue  opere  è 
quella  che  si  fece  a  Roma  nel  1 570,  in  1 7 
voi.  in  foglio.  Delle  opere  di  S.Tommaso, 
chiamato  il  principe  de' teologi, ed  il  mae- 
stro de' teologi  di  tutti  i  tempi,  parlai  in 
molti  articoli,  a  Teologi  e  Teologia,  di- 
cendosi Tomismo  (V.)  la  sua  dottrina  ri- 
guardante quella  parte  di  teologia,  che 
tratta  della  grazia  e  della  predestinazio- 
ne. La  Civiltà  cattolica  ne\\a  1?  serie,  t. 
5,  p.  278,  ragiona:  Dei  manoscritti  di  s. 
'Tommaso  e  della  necessità  di  consultar- 
li per  le  nuove  edizioni  delle  sue  opere. 
Ap.  660  poi  riparla  delle  opere  del  s.  Dot- 
tore, nel  dar  contezza  delle  Institutiones 
Theologiae  theoreticae  seu  dogmatico- 
polemicae  concinnatae  a  r.  p.  Alberto 
Knoll  Ord.  min.  s.  Frati.  Camuse.,  Tau- 
rini 1 853.  In  Roma  nel  celebre  convento 
dell'ordine  de' Predicatori  (F.)  vi  è  il  Col- 
legio di  s.  Tommaso  d' Aquino  (F.),  isti- 
tuito per  ispiegare  la  sua  angelica  dottri- 
na teologica.  Ferdinando  II  re  del  regno 
delle  due  Sicilie,  curando  l'incremento  e 
il  lustro  della  regia  università  degli  sludi, 
allargando  l'insegnamento  colla  istituzio- 
ne di  7  novelle  cattedre  ,  prescrisse  che 
fosse  sottoposta  alla  speciale  protezione  di 
s.  Tommaso  d'Aquino,  e  che  i  professori 
di  essa,  il  presidente,e  i componenti  il  con- 
siglio generale  di  pubblica  istruzione  por- 
tassero sospeso  al  colio  col  luutro  celeste, 


TOM 

simbolo  della  ss.  Immacolata,  una  meda- 
glia sormontata  da  una  corona  ed  avente 
da  un  Iato  l'effigie  del  santo  colle  parole: 
Divus  Thomas  Aquinas  regiae  neapoli- 
tauae  Lniversilatis  professor  etpatro- 
nusj  e  dall' altro:  Fcrdinandus  II  Rcx 
P.  F.  A.  bonamim  ar tinnì  stalori85o. 
L'uso  di  questo  fregio  insigne  fu  solen- 
nemente inaugurato  il  dì  sagro  appunto 
alla  Concezione  Immacolata  dellaVergine 
nella  chiesa  de'gesuiti,  contigua  all'edifi- 
cio dell'università  stessa,con  pompa  di  di- 
vini uffizi  nel  i  853.  In  Roma  tuttora  nella 
Chiesa  di s.  Maria  sopra  Minerva  (della 
quale  anche  uel  voi.  LXX  V,  p.  2  1 6),  nel 
giorno  della  festa  di  s.  Tommaso  d'Aqui- 
no si  celebra  con  cappella  cardinalizia,  che 
descrissi  uel  voi.  IX, p.  i  3  J;  cornea  santo 
alla  cui  fama  è  angusto  il  mondo,  e  co- 
me a  gran  dottore  sulle  cui  opere  impal- 
lidiscono di  stupore  i  filosofi,  al  di  cui  an- 
gelico nome  s'inchina  l'orbe  cattolico. Ne 
scrissero  la  vita,  fra  gli  altri,  Bartolomeo 
da  Lucca,  che  fu  per  qualche  tempo  suo 
confessore;  e  Guglielmo  daTocco  priore  di 
EeneventOjil  quale  tra  stato  in  modo  par- 
ticolare stretto  in  amicizia  col  sauto  dot- 
tore. 

TOMMASO  (s.),  vescovo  di  Hereford 
in  Inghilterra.  iN'acque  nelLancashire,  ed 
era  il  maggiore  de'suoi  fratelli  e  sorelle, 
i  quali  ebbero  tutti  un  onorevole  posto 
nel  mondo. Suo  padre  GuglielmodiChan- 
teloup,  che  fu  uuo  de'  più  famosi  guer- 
rieri dell'Inghilterra  e  gran  maestro  del 
regno,  dovendo  vivere  alla  corte,  e  cono- 
scendo i  pericoli  che  vi  potevano  correre 
i  suoi  figli,  prese  le  maggiori  precauzioni 
per  preservarli  da  ogni  corruzione  ed  al- 
levarli cristianamente.  Allorché  Tomma- 
so fu  in  età  d'in)  para  re  le  scienze,  lo  mise 
sotto  la  guida  di  Guglielmo  da  Citante- 
loup  vescovo  di  Hereford,  suo  prossimo 
parente;  dipoi  sotto  quella  di  Roberto 
Kilwarby  dotto  domenicano,  che  fu  suc- 
cessivamente arcivescovo  di  Cantorbery, 
cardiuale  e  vescovo  di  Porto.  Il  giovine 
discc-jjolo,alleutu  allo  studio,  Io  santifica- 


T  O  ■  77 

■va  con  tenera  pietà,  recitava  l'officio  del- 
la Chiesa,  e  adempiva  tutti  i  doveri  della 
religione  con  fervore  straordinario.  Fat- 
to il  corso  di  filosofia  a  Parigi, ai  ritolse 
d'abbracciare  lo  stato  ecclesiastico,  quin- 
di si  recò  ad  Orleans  per  impararvi  il  di- 
ritto civile,  che  serve  di  fondamento  al 
canonico.  Poco  dopo  ritornò  in  Inghilter- 
ra per  continuarvi  i  suoi  studi,  e  passato 
dottore  in  diritto  ad  Oxford,fu  eletto  can- 
celliere di  quella  famosa  università. In  ta- 
le posto  acquistossi  tanta  riputazione, che 
il  re  Enrico  III  lo  creò  gran  cancelliere 
del  regno,  nella  qual  carica  egli  fece  spic- 
care la  sua  prudenza,  il  suo  zelo,  l'amore 
per  la  giustizia  :  si  oppose  con  tutto  il  suo 
potere  ai  diversi  abusi,  e  fece  esiliare  gli 
ebrei,  de'  quali  non  eransi  potute  impe- 
dire le  usure  e  le  estorsioni.  Dopo  reite- 
rale istanze,  all'innalzameuto  di  Eduar- 
do I  al  trono,  ottenne  di  essere  sollevato 
da  siffatto  incarico,  che  Io  riteneva  suo 
malgrado  alla  corte,  e  ritirossi  quindi  ad 
Oxford  per  non  occuparsi  che  della  let- 
tura e  degli  esercizi  di  pietà.  Prese  ivi  il 
grado  di  dottore  in  teologia  nella  chiesa 
de'  domenicani,  presso  i  quali  avea  stu- 
diato. Papa  Gregorio  X  lo  chiamò  nel 
i  274  al  2. "concilio  generale  di  Lione  per 
la  riunione  de'greci,  e  l'anno  seguente  fu 
eletto  vescovo  di  Hereford.  Pieno  di  fer- 
vore nell'adempiere  gli  uffizi  di  buon  pa- 
store, trovava  le  sue  delizie  nel  ritiro,  in 
cui  colla  preghiera  e  colla  meditazione 
manteneva  la  sua  unione  con  Dio;  mor- 
tificava la  sua  carne  col  digiuno,  colle  ve- 
glie, e  colle  altre  austerità  della  peniten- 
za, portando  il  cilicio  infino  alla  morte. 
Al  grande  suo  zelo  per  la  gloria  dellaChie- 
sa,  aggiungeva  uua  carità  che  abbraccia- 
va i  bisogni  corporali  e  spirituali  del  pros- 
simo, facendo  provare  gli  effetti  della  più 
tenera  allezione  a' poveri,  che  chiamava 
suoi  fratelli. Alcuni  contrasti  ch'egli  ebbe, 
del  pari  che  gli  altri  vescovi  della  provin- 
cia, coll'arcivescovo  «li  Cantorbery,  lo  co- 
strinsero a  recarsi  in  Roma,  dove  fu  ac- 
colto coll'ouore  che  meritavano  le  sue  vir- 


78  T  O  M 

tu.  Partitone  per  tornare  in  Inghilterra, 
Aggravandosi  lesue  infermità  dovette  fer- 
marsi aMonleFiasconenellaToscana  pon- 
tifìcia, edivi  piamente  morì  a'%5  agosto 
1282,  in  età  di  G3  anni.  Fu  seppellito  6 
giorni  appresso  nella  chiesa  del  monastero 
di  s.  Severo;  ma  non  guari  dopo  le  sue  ossa 
furono  poi  tale  ad  Hereford  e  deposte  in 
quella  cattedrale.  PapaGiovanni  XXII  lo 
canonizzò  nel  1 3  1  o(così  Ieggesi  nel  Butler; 
ma  questo  Papa  fu  eletto  nel  1  3  1 6,  e  nel 
1 3  1  o  regnava  Clemente  V  :  meglio  è  ri- 
tenersi l'epoca  che  riportai  a  Hereford), 
forse  ai  di  ottobre,  ch'è  il  giorno  in  cui 
si  celebra  la  festa  principale  di  questo 
santo  vescovo. 

TOMMASO  da  Villanova  (s.),  arci- 
vescovo di  Valenza  in  Ispagna.  Nacque 
nel  1488  a  Fuenlana  in  Castiglia,  ed  eb- 
be poi  il  soprannome  di  Villanova  da 
Villanova  di  los  lnfantes, piccola  città  do- 
v'egli  fu  allevato.  I  suoi  genitori  Alfonso 
Tommaso  Garcias  e  Lucia  Martinez  era- 
no pure  oriundi  di  Villanova.  Benché  di 
mediocre  fortuna,  essi  erano  molto  limo- 
linieri,  e  questo  spirito  di  carità  fu  l'ere- 
dità più  preziosa  che  lasciarono  al  loro  fi- 
glio; di  che  l'amore  dei  poveri  divenne  il 
suo  distintivo  carattere.  Giunto  all'età  di 
1  5  anni,  i  suoi  genitori  lo  mandarono  al- 
l'università di  Alcalà,  ove  percorsegli  stu- 
di col  maggior  profitto,  e  i  suoi  talenti  gli 
meritarono  un  posto  nel  collegio  di  s.  II- 
delònso.  Avea  26  anni  quando  fu  rice- 
vuto maestro  delle  arti,  e  scelto  a  profes- 
sore di  filosofia.  Dopo  due  anni  fu  tratto 
a  Salamanca  per  esercitarvi  lo  stesso  ufli- 
ciocon  maggiori  vantaggi,  e  colà  poi  pre- 
se l'abito  degli  eremiti  di  s.  Agostino.  Nel 
suo  noviziato  si  scorse  com'egli  erasi  av- 
vezzato già  da  lungo  tempo  alla  pratica 
delle  austerità,  alla  rinunzia  della  pro- 
pria volonlàed  agli  esercizi  della  contem- 
plazione. Elevato  agli  ordini  sagri,  rice- 
vette il  sacerdozio  nel  i520,  e  il  giorno 
di  Natale  celebrò  con  indicibile  fervore  la 
prima  messa.  I  superiori  lo  impiegarono 
tosto  a  predicare  la  parola  di  Dio  e  ad 


TOM 

amministrare  il  sagramenlo  della  peni- 
lenza,  ed  egli  adempì  queste  importanti 
funzioni  con  lale  successo,  che  gli  fu  dalo 
il  nome  di  apostolo  della  Spagna,  ludi 
fu  eletto  a  priore  de'convenli  di  Salaman- 
ca, di  Bui  gos  e  di  Valladolid  ;  due  volte 
provinciale  nell'Andalusia,  e  una  volta  in 
Castiglia.  L'imperatore  Carlo  V  lo  scelse 
per  uno  de'suoi  predicatori,  anzi  lo  mise 
nel  numero  di  quelli  che  consultava,  e 
quando  non  lo  avea  presso  di  se,  gli  scri- 
vea  per  chiedergli  il  suo  consiglio.  Aven- 
dolo nominato  all'arcivescovato  di  Gra- 
nata, egli  pose  tutto  in  opera  per  evitare 
questa  dignità;  ina  dovette  poi  accettare 
quello  di  Valenza,  in  virtù  di  obbedienza 
religiosa,  ed  entrò  nella  sua  sede  il  1. "del- 
l'anno 1  54^-Benchèpostoin  sì  alta  digni- 
tà, continuò  a  mostrar  quella  umiltà  di 
cui  avea  dato  saggio  nel  suo  ritiro.  Non 
comportando  alcun  apparato  di  esteriore 
grandezza,  ritenne  il  suo  abito  religioso, 
chesi  rattoppava  da  se  stesso;  la  sua  men- 
sa era  strettameli  te  fi  ugale.osser  vaudo  l'a- 
stinenza e  i  digiuni  prescritti  dalla  regola 
che  avea  abbracciato;  non  si  vedeva  alcu- 
na tappezzeria  nel  suo  palazzo;  non  por- 
tava indosso  panno  di  lino  se  non  quando 
era  ammalalo;  sovente  coricavasi  sopra 
un  fascio  di  rami  d'albero,  e  una  pietra 
gli  serviva  di  guanciale.  Fedele  in  adem- 
piere i  doveri  di  buon  pastore,  visitava  le 
chiese  della  sua  diocesi,  predicando  nelle 
città  e  nei  villaggi  con  meravigliosi  effetti. 
Finita  la  sua  visita  ,  radunò  un  concilio 
provinciale,  in  cui  si  fecero  saggi  regola- 
menti per  togliere  gli  abusi  che  si  erano 
introdotti  massime  nel  clero,  nel  che  eb- 
be ad  incontrare  gravi  difficoltà,  ma  colla 
sua  pazienza  venne  a  capo  di  superarle. 
L'arcivescovato  di  Valenza  avea  18,000 
ducati  di  rendila  annua.  Il  santo  arcive- 
scovo ne  dava  2,000  al  principe  Giorgio 
d'Austria  suo  predecessore,  che  si  era  di- 
messo ,  riservandosi  questa  pensione  ; 
1 3,ooo  ne  impiegava  al  sollievo  de'povc- 
ri,  e  servivasi  del  rimanente  pel  manteni- 
mento della  sua  casa  e  pe'ristauri  del  suo 


TOM 

palazzo.  Ogni  giorno  vedeansi  alla  sua 
porta  da  5oo  poveri. che  riceveano  pane, 
vino  e  una  moneta  d'argento  ciascuno,  ed 
inoltre  faceva  innumerabili  altre  carità. 
L'amore  ch'egli  avea  pelsuoprossimo,e  le 
altre  sue  virtù  riceveauo  la  loro  perfezio- 
ne da  quell'amore  ardente  verso  Dio,  che 
avvampavagli  in  cuore,  e  che  manifesta- 
va molto  più  colle  opere  che  colle  paro- 
le, li  cattivo  stato  di  sua  salute  non  gli 
permise  di  recarsi  al  concilio  di  Trento, 
«•ode  vi  mandò  in  suo  luogo  il  vescovo  di 
I Inesca.  Più  d'una  volta  ricorse  a  Roma 
e  alla  corte  di  Spagna  per  ottenere  la  per- 
missione di  dimettersi. Finalmente  Dio  "li 
tese  la  libertà  che  tanto  desiderava, chia- 
mandolo a  >e,  e  facendogli  conoscere  in 
modo  soprannaturale  the  avrebbe  finito 
di  vivere  nella  festa  della  Natività  di  Ma- 
lia Vergine.  A'29  agosto  i555  fu  colto 
da  unasquinanzia,  accompagnata  da  feb- 
)>i  e  violenta,  e  la  mattina  deyli  8  settem- 
bre,fatta  celebiare  la  messa  nella  sua  ca- 
mera, spirò  dopo  la  comunione  del  sacer- 
dote, essendo  nell'età  di  67  a  uni.  Confor- 
me al  suo  desiderio  fu  sepolto  nella  chiesa 
degli  agostiniani  di  Valenza.  Paolo  V  lo 
beatificò  nel  1618  ;  Alessandro  VII  lo 
canonizzò  nel  1 658,  e  la  sua  festa  fu  po- 
sta a'  1  8  di  settembre. 

TOMMASO  Bellxci  (b.),  francesca- 
no. Nato  a  Linari  presso  Firenze,  ebbe 
una  buona  educazione, ina  non  seppegua- 
rentirsi  dalla  seduzione  del  mondo,  e  tra 
sanato  da  cattivi  compagni  fu  per  qual- 
che tempo  schiavo  delle  proprie  passioni. 
I  n  tristo  aliare  nel  quale  fu  posto  a  gran- 
de rischio,  divenne  il  mezzo  di  cui  la  mi- 
sericordia di  Dio  si  servì  per  disingannar- 
lo e  farlo  entrare  nel  sentiero  della  virtù. 
Dedicatosi  quindi  con  ardore  all'opera 
della  sua  perfezione, si  aggregò  aduna  pia 
confraternita  di  s.  Girolamo;  e  non  gua- 
ri dopo  per  staccarsi  interamente  dal 
mondo  entrò  nell'  ordine  di  s.  France- 
sco de'  conventuali  quale  laico.  In  que- 
sto nuovo  statoceli  riparò  con  abbondan- 
ti e  degni  frutti  di  penitenza  gli  errori  del- 


T  O  M  79 

la  sua  vita  passata,  e  pervenne  ad  alto 
grado  di  sa  uli  tà,i  untando  le  virtù  dell'am- 
mirabile suo  fondatore,  ad  esempio  del 
quale,  dividendo  l'anno  in  sette  quaresi- 
me, non  vivea  che  di  pane  e  di  alcuni  le- 
gumi. Un  genere  di  vita  sì  austero  gli  me- 
ri lo  delle  grazie  particolari  dal  cielo,  e  gli 
procacciò  la  stima  degli  uomini. Divenne 
successivamente  compagno  del  ven.  Gio- 
vanni da  Stroncone,  incaricalo  della  ri- 
forma de'  frati  minori  nel  regno  di  Na- 
poli, e  suo  vicario  iu  una  delie  provincie 
dell'ordine.  Papa  Martino  V,  conosciuto 
il  raro  merito  di  Tommaso,  lo  incaricò  di 
cacciare  gli  eretici  Fraticelli  da'couvenli 
di  cui  si  erano  impadroniti,  e  di  procura- 
re di  ricondurli  all'  unità  della  fede.  Il 
successo  cotonò  i  suoi  sforzi,  sicché  rota- 
bili i  conventi  del  suo  ordine,  li  riempì  di 
uomini  virtuosi, e  vi  ricevette  anche  mol- 
ti fraticelli,  i  quali  essendosi  convertiti, 
perseverarono  nella  buona  via  con  edi- 
ficazione. La  saggezza  cheTommaso  avea 
mostrato  in  un  affare  così  delicato,  indus- 
se Papa  Eugenio  IV,  ad  unirlo  al  p.  Al- 
berto di  Sarzana,  che  inviava  agli  orien- 
tali per  invitarli  al  concilio  ecumenico  di 
Firenze.  Allorché  il  p.  Alberto  vide  che  il 
suo  negoziato  prendeva  un  aspetto  favo- 
revole, mandòTommaso  con  tre  altri  re- 
ligiosi a  fare  lo  stesso  invito  al  re  di  Elio- 
pia.  In  viaggio  Tommaso  e  i  suoi  compa- 
gni furono  presi  da'mori,  i  quali  li  chiu- 
sero iu  una  cisterna,  dove  li  lasciarono  per 
20  giorni  senza  dar  loro  uè  bere,  uè  man- 
giare, e  ne  uscirono  soltanto  dopo  tre  me- 
si, rifiniti  da'bisogni  d'ogni  maniera  che 
aveano  provato.  Tommaso  si  fcceamini- 
rare  da  bai  bari  colia  sua  invitta  pazien- 
za, e  col  suo  zelo  di  predicare  le  verità  del- 
la fede  cristiana  e  di  combattere  gli  er- 
rori di  Maometto.  A  ila  fine  fu  liberato  co' 
suoi  compagni  dalla  schiavitù  de'turchi, 
da  Papa  Eugenio  IV7  che  fece  contai  e  5oo 
scudi  pel  loro  riscatto.  Ritornato  in  Ita- 
lia, questo  santo  religioso  era  inconsola- 
bile perchè  non  avea  potuto  ottenere  la 
palma  del  martino,  ch'era  1'  oggetto  de' 


80  TOM 

suoi  voti.  Perciò  risolvette  di  recarsi  a  Ro- 
ma per  chiedere  di  essere  di  nuovo  man- 
dalo in  oriente;  ma  fu  costretto  fermarsi 
nel  convento  di  Rieti  per  una  febbre  che 
gli  prese  e  che  Io  condusse  alla  tomba, 
ivi  terminando  il  corso  di  sua  vita  mor- 
tale il  3i  ottobre  1 44 7-  Siccome  la  fama 
di  sua  santità  e  de'  suoi  miracoli,  come 
pure  il  concorso  de'fedeh  alla  sua  tomba, 
accrescevano  ogni  di  più,  i  frati  minori 
collocarono  le  sue  reliquie  in  un  mauso- 
leo, e  domandarono  alla  s.  Sede  l'appro- 
vazione del  cullo  che  ad  esso  rendevasi. 
Clemente  XIV  autorizzò  questo  cullo,  e 
permise  con  decreto  della  s.  congregazio- 
ne de'rili  nel  r  77  1,  che  si  onorasse  Tom- 
maso come  beato. 

TOMMASO  di  Cobi  (b.),  frate  minore 
dell'osservanza.  Ebbe  i  natali  in  Cori,dio- 
cesi  di  P  ellctri(Pr.),da  rispettabili  e  pii  ge- 
nitori. Di  purissimi  costumi,  mostrò  (in 
da  fanciullo  a  qual  grado  di  santità  sa- 
rebbe pervenuto,  e  dopo  la  morte  del  pa- 
dre e  della  madre  prese  I'  abito  de'  frali 
minori  dell'osservanza.  Finito  il  novizia- 
Io,  nel  quale  si  fece  ammirare  perla  sua 
umiltà,  passò  a  continuare  gli  studi  nel 
convento  di  Velletri,  ove  fu  elevato  al  sa- 
cerdozio; quindi  ottenne  da'suoi  superio- 
ri il  permesso  di  andare  ad  abitare  l'anti- 
co convento  di  Civitella  presso  Subiaco, 
cangiato  da  poco  tempo  in  un  luogo  di 
ritiro.  Ivi  menò  vita  sommamente  auste, 
ra,  che  continuò  nel  convento  di  Palum- 
baria,  situato  nella  diocesi  di  Sabina. L'a- 
more di  Dio  e  del  prossimo  che  ardeva 
nel  suo  cuore,  gl'inspirò  il  pensiero  di  an- 
dar nella  China  a  predicare  la  fede  catto- 
lica e  a  versare  il  sangue  per  essa.  Avendo 
però  conosciuto  che  la  volontà  divina  op- 
ponevasi  alla  esecuzione  di  questo  dise- 
guo, rimase  con  sommissione  a  travaglia- 
re nella  vigna  del  Signore,  nel  territorio 
di  Subiaco  e  ne'luoghi  circonvicini.  Fie- 
no di  dolcezza  e  di  carità  pe'poveri,  a'cui 
bisogni  provvedeva  spesso  in  modo  pro- 
digioso, gl'infermi  specialmente  eccita- 
vano la  sua  compassione.  Allorché  si  trat- 


T  O  M 

lava  di  soccorrerli,  non  era  arrestalo  né 
da'doloti  che  cagionavagli  un'ulcera  che 
avea  nella  gamba,  né  dalla  oscurità  della 
notte,  né  dalle  difficoltà  delle  vie,  né  dal- 
l'intemperie delle  stagioni.  Passando  so- 
vente a  digiuno  il  giorno  ed  anche  parte 
deìla  notte  nell'ascoltare  le  confessioni,  ri- 
cevea  con  particolare  tenerezza  i  peccatori 
indurati,  e  conducevali  nella  via  della  sa- 
lute. Scorse  per  molti  anni  i  borghi  e  i  vil- 
laggi della  diocesi  di  Subiaco,  facendo  e- 
ziandio  frequenti  viaggi  a  Coti  sua  pa- 
tria; e  l'elL-tto  eh'  egli  produceva  ovun- 
que sul  popolo  era  tale, che  la  riforma  de' 
costumi  seguiva  sempre  la  sua  presenza, 
in  guisa  che  potrebbesi  chiamarlo  il  nuo- 
vo apostolo  di  questo  paese.  Consumata 
così  la  sua  illibata  e  virtuosissima  vita, 
cadde  malato  nel  convento  di  Civitella, 
dove  favorito  delle  celesti  consolazioni, 
moiì  della  morte  de'giusti  l'i  1  gennaio 
1729,  in  età  di  74  anni.  I  miracoli  pro- 
varono subito  la  santità  di  questo  servo 
di  Dio,  e  Papa  Pio  VI,  dopo  averli  fatti  e- 
sa  mi  tiare,  decretò  solennemente  a  Tom- 
maso gli  onori  della  beatificazione,  colla 
sua  bolla  de'  1 8  agosto  1  786,  nella  quale 
si  fa  un  bell'elogio  dell'ardente  di  lui  zelo 
per  la  salute  del  prossimo.  Poscia  il  Papa 
recandosi  a  Subiaco,  si  portò  a  venerar- 
ne il  corpo  in  Civitella,  come  narrai  nel 
voi.  LXX,  p.  229, descrivendo  tal  paese. 
TOMMASO,  Cardinale.  Di  Milano  e 
canonico  regolare  della  congregazioue  di 
s.  Maria  di  Crescenziaco,  3  miglia  lungi  da 
detta  città,  nelle  tempora  di  dicembre  del 
1  1  38  Innocenzo  II  lo  creò  cardinale  pre- 
te di  s.  Vitale.  Si  trovò  presente  all'ele- 
zioni di  Celestino  lì,  di  Lucio  II,  e  d'Eu- 
genio III, alle  bollede'quali  oppose  la  sua 
soscrizione,  e  l'ultima  porta  la  data  del 
1  i45  e  fu  a  favore  della  chiesa  di  Vero- 
na, laonde  dev'essere  morto  nel  pontifi- 
cato d'Eugenio  III.  11  Ciaccolilo  lo  con- 
fuse con  un  altro  cardinal  Tommaso  del- 
l'ordine de'diaconi  e  poi  di  quello  de'pre- 
li  ;  il  Panvinio  però  e  altri  scrittori  ne 
corressero  l'equivoco. 


TOM 

TOMMASO,  Cardinale.  Onorio  III 
verso  il  fine  del  12  iG  lo  creò  prete  car- 
dinale di  s.Baibina,  e  sottoscrisse  alla  bol- 
la da  detto  Papa  spedita  in  Lalerano  a 
favore  di  Simone  vescovo  di  Terracina  a' 
18  gennaio  1  2  1  7,  insieme  al  cardinal  Ro- 
berto Rainaldi  di  Sezze  (?'.),  altro  car- 
dinale d'Onorio  III  della  stessa  promo- 
zione, e  col  titolo  presbiterale  de'ss.  Gio. 
e  Paolo,  perciò  ricordato  dal  Rondinini 
nella  Storia  di  tal  basilica  a  p.  176,  e 
nella  stessa  bolla  riprodotta  da  Ughelli, 
Italia  sarra  t.  1,  p.  i2g5. 

TOMMASO  (s.).  Cristiani  di  s.  Tom- 
maso apostolo.  V.  Malabari,  s.  Tommaso 
apostolo, e  i  voi. XVIII, p.  20 5,e XXXIV, 
p.  20  r  e  206. 

TOMMASO  o  THOME"  (s.).  V.  Me- 

IIAPOR. 

TOMMASO(s.),lS'.  Thomae  in  Insula. 
Città  con  residenza  vescovile  dell'Africa 
occidentale,  nella  Guinea  e  nel  golfo  di 
tal  nome,  capoluogo  dell'isola  di  s.  Tom- 
maso, la  quale  forma  il  limite  della  Gui- 
nea superiore  e  della  Guinea  inferiore,  ed 
appartiene  al  Portogallo.  Quest'  isola  , 
composta  di  basalte  compatto  e  pesantis- 
simo, è  montuosa,  calda  e  malsana  soprat- 
tutto nelle  valli,  dove  dense  nuvole  cuo- 
prono  il  paese  principalmente  durante  i 
mesi  di  dicembre,  gennaio  e  febbraio.  Le 
montagne  di  s.  Tommaso  sono  coperte  di 
boscbi,  ed  il  picco  rotondo  di  s.  Anna  s'in- 
nalza ai  100  pertiche.  Parecchi  ruscelli, 
molto  pescosi,  innaffiano  l'isola.  Attivissi- 
ma è  quivi  la  vegetazione,  le  pecore  e  le 
capre  vi  sono  belle;  le  bestie  cornute  più 
piccole  che  in  Europa,  i  porci  abbonda- 
no. I  portoghesi  Y  occuparono  nel  1 4<p, 
ma  vani  furono  i  loro  sforzi  per  tentare 
d'introdurvi  la  coltura  de'cereali  e  della 
vite.  Vi  prosperano  tuttavia  il  riso,  il  mi- 
glio, lo  zucchero  in  abbondanza,  le  pata- 
te, la  cannella  ,  ec.  Gli  abitanti  di  quasi 
20,000  si  compongono  di  portoghesi  e  ne- 
gri schiavi;  nelle  montagne  vive  un  certo 
numero  di  negri  marroni. La  religione  cat- 
tolica è  professata  dalla  popolazione,  mas- 

VOL.  L  XX  VII. 


TOM  8 1 

sime  del  capoluogo,  ed  ascende  a  più  di 
18,000.  Questa  città  situata  sulla  costa 
orientale, oltre  di  chiamarsi  s.  Tommaso  t 
dicesi  pure  Cliaveso  PanoasanoPavoas* 
san ,  Fanum  s.    Thomae,  s.  Thorrì-,  s. 
Tommaso  dell' 'Isola j  nome  che  fu  dato 
da'portoghesi  all'isola  per  averla  scoperta 
nel  giorno  della  festa  di  s.  Tommaso  a- 
postolo.  Contiene  più  di  700  case,  di  le- 
gno la  maggior  parte.  Siede  a  nord  della 
città  un  forte  sopra  una  lingua  di  terra. 
1]  porto  è  bensì  piccolo,  ma  otfie  asilo  si- 
curo alle  navi.  Gli  abitanti  di  color  nero 
nella  più  parte,  sono  dotati  di  molto  spi- 
rito e  di  gran  memoria,  di  carattere  do- 
cile. Ha  3  chiese,  la  cattedrale  ora  colle- 
giata avea  un  capitolo  composto  di  14  ca- 
nonici: le  altre  due  chiese  della  città  sono 
sotto  l'invocazione  di  s.  Antonio  e  di  s.  A- 
gostino.  La  diocesi  avea  8  parrochi,  due 
cappellani  e  de'  chierici.  Eranvi  diverse 
confraternite,  un  convento  degli  agosti- 
niani scalzi,  ed  ospizi  di  cappuccini  ita- 
liani. L'isola  di  s.  Tommaso  e  le  adiacenti 
fino  a'uostri  giorni  ebbero  il  proprio  ve- 
scovo residenziale  nella  città  di  s.  Tom- 
maso, di  nomina  particolaredelre  di  Por- 
togallo,ead  istanza  del  reGiovanni  IlI,con 
bolla  de'23  novembrei534  Paolo  III  vi 
eresse  la  sede  vescovile,dichiarandola  suf- 
fiaganea  dell'arcivescovo  di  Lisbona;  di- 
poi lo  di  venne  dell'arci  vescovo  di  s.  Salva- 
toredella  Baia  di  Tutti  i  Santi  del  Bra- 
sile,  quando  Innocenzo  XI  elevò  questa 
sede  al  grado  di  metropolitana  nel  1676, 
ovvero  da  alcuno  de'suoi  successori. Quin- 
di Gregorio  XVI  colla  bolla  Quae  oliai 
a  Summis  Pontifieibus,  de'  i3  geunaio 
i844jsolll'asse  da  la'e  arcivescovato  i  ve- 
scovati di  s.  Tommaso  e  di  Angola  o  An- 
gora, e  li  sottopose  nuovamente  al  patriar- 
ca di  Lisbona.  Ecco  gli  ultimi  vescovi  di 
s.  Tom  maso  riportati  dalle  Notizie  di  Ro- 
ma. Neil  742  h\  Lodovico  della  Conce- 
zione agostiniano  scalzo  di  Lisbona.  Nel 
1  74^  fi'-  Lodovico  delle  Piaghe  agostinia- 
no scalzo  d' Alcabenique  diocesi  di  Coim- 
bra.  Nel  17  53  Antonio  Nogueira  d'Elvas. 
6 


ga  T  O  M 

Neh  779  fr.  Vincenzo  dello  Spirilo  santo 
agostiniano  scalzo  di  Lisbona.  Nel  1782 
fr.  Domenico  del  Rosario  domenicano  di 
Lisbona.  Nel  1  794  f''-  Raffaele  de  Castello 
de  Vide  minore  osservante  di Portallegre. 
]N'eli8o5  fr.  Custodio  da  s.  Anna  agosti- 
niano scalzo  di  Porlo.  Nel  18 16  fr.  Bar- 
tolomeo de  Martyribus  carmelitano  scal- 
zo di  Sandomir,  diocesi  di  Coimbra,  pre- 
conizzato da  Pio  VII  nel  concistoro  de- 
gli 8  marzo:  vivea  nel  1 847,  dopo  il  quale 
anno  le  dette  Notizie  registrano  vacante 
questo  vescovato.  Inoltre  s.  Tommaso  fu 
pure  un'antichissima  prefettura  aposto- 
lica di  cappuccini,  la  quale  comprendeva 
l'isole  Annob nono  o  Annabnna .  del  Prin- 
cipe e  altre  di  minor  grandezza,  ed  ora 
formanti  la  diocesi  di  s.  Tommaso.  An- 
nobuono,  isola  del  golfo  della  bassa  Gui- 
nea, con  città  omonima,  fu  cosi  denomi- 
nala da 'portoghesi  perchè  la  scoprirono 
ili.°  gennaio  1 4/ 3,  e  non  vi  trovarono  a- 
nimali,  tranne  i  volatili  ;  poi  vi  s' intro- 
dussero, massime  le  capre.  Fertilissime  so- 
no le  valli,  pescose  le  rive:  principale  pro- 
duzione è  il  cotone.  I  navigatori  diretti  al- 
l'Indie vi  cercano  tregua  dal  viaggio. Nel 
1778  venne  ceduta  agli  spaguuoli,  e  da 
questi  n'ebbero  poi  il  possesso  gl'inglesi. 
L'isola  del  Principe  fu  scoperta  da'Por- 
toghesi  nel  147  1,  e  ne  mantennero  il  pos- 
sesso. Il  suolo  offre  riso,  tabacco,  miglio, 
zucchero  e  frutta  tropicali.  L'unico  bor- 
go è  situato  sulla  riva  settentrionale;  a 
giato  e  sicuro  n'è  il  porto.  Annobuonoè 
popolato  da  qooo  quasi  lutti  negri  e  cat- 
tolici. Ila  la  chiesa  dedicata  alla  Conce- 
zione di  Maria  Vergine,  4  cappelle,  col 
parroco.  Uno  di  questi  morì  dopo  avere 
esposto  il  ss.  Sagramento,  il  quale  restò 
cosi  per  14  mesi,  finché  arrivato  un  reli- 
gioso consumò  le  specie  sagra  mentali.  Du- 
rante questo  lungo  spazio  di  tempo,  il  po- 
polo vi  mantenne  innanzi  sempre  le  lam- 
pade accese,  e  due  persone  vi  assisterono 
in  continua  orazione.  L'isola  del  Principe 
conta  1 4,000  abitanti, nella  principale  par- 
te cattolici,  con  due  chiese,  una  confi  a  ter 


T  O  N 
niln,e  l'ospizio  de'cappuccini. A  vea  un  par- 
roco e  8  preti  indigeni.  In  generale,  i  cri- 
stiani eranodicaltivicoslumijcomeinqua 
si  tutta  l'Africa.  Il  cleroindigeno  non  tutto 
corrispondeva  alla  santità  del  grado.L'aria 
insalubre  e  i  calori  insopportabili  fecero 
cessare  la  missione  de'cappuccini,  lo  stesso 
vocabolo  Guinea  significando  caldo  e  sec- 
co, sebbene  le  pioggie  sono  quasi  conti- 
nue. Leggo  nella  relazione  delle  missio- 
ni da  mg.r  Fortiguerri  segretario  di  pro- 
paganda fide  estratla  da  quell'archivio, 
«l'ordine  di  Clemente  XI,  che  nell'isola 
di  s.Thomè  esistente  nel  seno  etiopico, l'a- 
ria pe'foraslieri  era  cosi  cattiva,  che  in  po- 
chi giorni  di  febbre  acuta  vi  morivano  , 
e  se  riusciva  loro  di  guarire,  per  slare  be- 
ne non  potevano  cibarsi  che  pel  necessa- 
rio nutrimento.  La  missione  de'cappuc- 
cini in  Guinea  fu  istituita  nel  iG5q  e  me 
gì  io  stabilita  nel  1  Cyj \;  indi  v'introdusse- 
ro gli  agostiniani  scalzi  della  provincia  di 
Portogallo.  Nel  1688  il  prefetto  de'cap- 
puccini spedi  a  delta  congregazione  lo  sla- 
to delle  missioni  dell'isola  di  s.  Thomè,  ri- 
marcando la  penuria  di  missionari  e  I'  i- 
gnoranza  de' popoli  nelle  cose  spettanti  al- 
la fede,  essendo  le  parrocchie  tra  loro  di- 
stanti 3o  miglia,  onde  la  cristianità  erasi 
inselvatichita,  massime  nell'isola  d'Aimo- 
bon, ed  avea  appresi  i  costumi  della  re- 
gione, che  sono  principalmente  l'avere  le 
concubine,  preferendosi  i  bastardi  a'fìgli 
legittimi. 

TONACA  o  TONICA  o  TUNICA,  TV 
idea,  Toga.  Veste  lunga  e  con  maniche 
lunghe,  usala  dagli  antichi,  oggi  propria 
de'clauslralid'ambo  i  sessi  ,Religìosie  Re- 
ligiose (I  •),  di  lana  odi  scotto  de'coloii 
propri  de'loro  istituti.  Si  suole  cingere  per 
fermarla  alle  reni  con  Cintura  o  Fu. scia 
(V.)  di  diverse  materie,  come  di  cuoio,  di 
lana,  ci ì  canape  o  corda,  la  (piale  ha  i  suoi 
misteriosi  significati.  Mentre  la  tonaca  a- 
vendo  come  altre_  vesti  la  forma  di  croce, 
vuoisi  per  essa  denotare  come  gli  eccle- 
siastici devono  imitare  Gesù  Crocefisso 
(1  -ÌS  e  la  sua  lunghezza  diecsi  significale 


TO  N 

la  perseveranza  finale  dell'opere  buone. 
Sulla  tonaca,  come  sott'abito,  tla'monaci, 
da'fiati,  dalle  monache  si  sovrappone  il 
coni;>imen(o  del  loro  abito,come  lo  Sea- 
poiaret\a  Cappa,  il  Cappuccio^  Manto 
o  Mantello  [fr.).  Inoltre  sulla  tonaca  i  re- 
ligiosi assumono  la  cotta  e  le  altre  lesti 
sagre.  Al  dire  di  Vairone,  la  tonaca  fu 
così  dotta  a  tuendo,  dal  difendere  il  cor- 
po, come  la  Toga  (V.)  a  tegendo ,  cioè 
dui  copi  irsi. PoichèosservaBiondodaFor- 
lì,  nella  Roma  trionfante,  trattando  delle 
vesti  de'romani  antichi,  die  la  tonaca  fu 
veste  assettata  al  corpo,  corrispondente 
oncbe  all'odierna  Sottana  (T  .),  e  la  toga 
il  mantello  o  veste  più  ampia  e  lunga  che 
si  portava  disopra.  Si  portavano  dagli  an- 
tichi d'ordinario  due  tonache,  e  talvolta 
ancora  più  di  due. La  tonaca  esteriore  chia- 
mavasi  Umica,  quella  di  sotto  subucula 
e  anche  indusìum,  la  cpiale  serviva  più 
sovente  per  le  femmine.  Essa  era  in  so- 
stanza una  camicia,  che  in  principio  si  fa- 
ceva di  lana,  e  più  tardi  si  formò  con  tela 
di  lino.  llp.  Bounani,  La  Gerarchia  ec- 
clesiastica considerata  nelle  vesti  sagre 
e  cis-i/i,  dice  che  da'romani  oltre  la  toga 
fu  usata  un'altra  veste  delta  tonaca,  dalla 
parola  latina  /«wcv/, la  quale  procede  dalla 
paiola  tticndo,  che  perciò  le  membrane 
U egli  occhi  e  defluiti  si  dicono  tuniche. 
Lunga  era  la  tonaca,  ma  più  breve  della 
toga,  sotto  la  quale  si  portava,  e  copriva 
immediatamente  il  corpo  di  chi  fusa  va. 
Aggiunge  essére  stala  tal  sorte  di  veste  co- 
mune anche  agli  ebrei  e  di  due  sorti,  una 
con  maniche,  l'altra  senza;  alcune  erano 
larghe,  altre  più  strette;  alcune  di  lana,  al- 
tre di  lino,  secondo  la  coudizione  di  quelli 
che  se  ne  servi  vano. Questa  si  nominava  in- 
dusiu/n,  e  benché  il  nome  di  tonaca  sia  ge- 
nerale, contultociò comunemente  s'inleu- 
de  la  veste  interiore  che  sotto  la  toga  si 
usava. Questa  fu  adoperata  dagli  Apostoli, 
OOtnechè  veste  degli  ebrei  e  de'  romani 
d'ambo  i  sessi,  più  lunga  essendola  toga 
delle  donne. Di  sola  tonaca  vestirono  molti, 
cuine  quelli  i  quali  presso  i  romani  face- 


TO  N  83 

vano  professione  di  vita  austera,  così  al- 
cuni profeti  antichi  vestivano  di  sola  pel- 
liccia. Della  sola  tonaca  vestivano  in  casa 
gli  antichi  romani,  come  si  ha  da  Tertul- 
liano, e  di  questa  anche  erano  vestiti  i  ser- 
vi de'medesimi,  ed  è  tuttora  tal  veste  ri- 
sata da  diversi  popoli.  Circa  la  forma,  era 
quasi  simile  alla  veste  Dalmatica  o  Tn- 
nacella  [1  '.).  vale  a  dire  infera  avanti  al 
pettoedivisa  ne'lati  sino  alle  ginocchia.  In 
principio  la  tonaca  degli  uomini  era  sen- 
za maniche,  ovvero  colle  maniche  stese 
sino  a  mezzo  braccio,  ma  nelle  donne  le 
maniche,  si  stendevano  sino  alle  mini. 
Riferisce  ancora  il  p.  Bonanni,  essere  in- 
certa 1'  epoca  di  quando  cominciò  1'  uso 
delle  tonache  colle  maniche,  e  crede  pro- 
babile nel  tempo  degli  Apostoli  e  de'cri- 
stiani  della  primitiva  Chieda  ,  poiché  sa- 
rebbe stato  indecente  che  esercitassero  le 
funzioni  ecclesiastiche  colla  veste  priva 
delle  maniche.  Nou  eraperòquesl'uso  in- 
teramente propagato  e  comune  a  tutti  i 
cristiani  nel  principio  del  V  secolo,  giac- 
ché Cassiano  che  visse  nella  metà  di  esso, 
De  Inslit.  monachorum  lib.i,  ragionan- 
do di  que'd'Egitto  dice:  Coloìnis  auoqut, 
lineis  induti.cpiae  vix  ad cubitorum  ima 
pcrlingunty  nudas  de  reliauo  circnmfe- 
runt  manus,  utamputatos  habere  eos  a- 
ctiis,  et  opera  mundi  hujus  suggcrat  ab- 
scistio  manicarum.etab omndconversa-1 
tiouc  terrena  mortijicatos  eos  velami  ni* 
linei  doceat  indumentum.  E  dall'uso  di 
tal  veste  de' 'Solitari  d'Egitto,  stimò  Pan 
ciroli  che  procedesse  la  pazienza  o  sca- 
polare monastico.  Tale  veste,  nominata 
da  Cassiano  Colobio(f  .), cioè  tonaca sen 
za  maniche,  era  comune  a'monaci  e  solita- 
ri, per  essere  più  spediti  oell' opere  ma- 
nuali, alle  quali  si  applicavano  per  fug- 
gir l'ozio.  Notai  a  Colori  ecclesiastici  , 
nel  pai  lare  di  quelli  usati  da'chierici  nel 
vestimento  ordiuario  e  sagro,  che  sino  dal 
nasceredellaChiesa  furono  distinti  i  chie- 
rici colla  Tonsura  e  colla  veste  talare,  più 
corta  però  di  quella  delle  donne, cioè  usa- 
vano la  tonaca  o  toga  senza  maniche,  la 


84  TON 

quale  veniva  sovrapposta  all'altra  toga  o 
tonaca  colle  maniche  più  o  meno  strette, 
nel  modo  che  vestono  diversi  orientali  ap- 
partenenti al  clero. La  veste  tonaca  fu  chia- 
mata da'greciCtf//7..v/W.?,eda'rotnanitSVo  la 
come  a  questo  articolo  dissi,  notando  da 
chi  usata,  e  che  quella  con  maniche  corte 
fu  detta  stola  o  tonaca  reale,  come  abito 
ordinario  de're  e  de'roagisU  assomiglian- 
te agli  odierni  rubboni  usati  da' Gonfalo- 
nieri, Priori e  altri  municipali. Di  pitiche 
il  sommo  sacerdote,!  sacerdoti  ed  i  leviti 
degli  ebrei  vestirono  le  tonache  chiamate 
stole.  Ed  inoltre  che  fu  chiamata  stola  del 
Pontefice  massimo  de'romani  pagani,  di 
cui  meglio  riparlai  altrove,  come  nel  voi. 
LXX11I,  p.  280,  281,  283,  284,  quella 
veste  che  diversi  scrittori  denominarono 
tonaca, indossandola  gl'imperatori,  quan- 
do furono  rivestiti  di  tale  religiosa  dignità, 
sotto  l' imperiale  paludamento.  Quando 
sulle  tuniche  romane  si  poneva  il  Lati- 
clavio, nel  quale  articolo  dissi  come  for- 
mate tali  tuniche  e  usate  pure  dagli  ebrei, 
da'profeliedalSalvatore,e  quella  di  que- 
sti fu  appellata  Tonaca  o  Tunica  Incori- 
£utile(F.),s\a\\ìal'\c\aM\oàiPorpora{F^.)i 
sia  d'oro,  allora  le  tuniche  si  chiamava- 
no Augusticlave  o  Laticlavc,  ed  in  Gre- 
cia molto  si  usarono  da'ricchi.  11  Cami- 
ce (V.)  degli  ecclesiastici,  Tunieas  Alias 
(  antica  veste  bianca  talare  detta  ancora 
A/bao  Camisia  romana,  di  cui  ragionai 
anche  altrove  come  a  Rocchetto),  pure 
chiamossi  tonaca,  e  derivò  dalle  tonache 
bianche  degli  antichi  romani, secondochè 
pretendono  alcuni.  Ma  il  dotto  Marango- 
ni, Delle  cose,  gentilesche  e  profane  tra- 
sportate ad  uso  e  ad  ornamento  delle 
chiese,  osserva  che  da'  monumenti  appa- 
risce l'antica  disciplina  della  Chiesa,  qual 
fu  di  abborrire  unicamente  quella  sorte 
di  vestimenti,  i  quali  erano  distintivi  spe- 
cifici di  culto  idolatrico.  Laonde  quanto 
alle  altre  vesti,  benché  adoperate  da  sa- 
cerdoti gentili,  anche  ne'sagrifìzi,  tale  di- 
stintiva sacrilega  non  portavano,  mentre 
a  tulli  erano  anche  culmini;  efia  queste 


TON 

era  certamente  la  tunica  bianca  di  lino, 
la  quale  adoperatisi  da  ogni  Sorta  di  sa- 
cerdoti gentili  d'oriente  e  d'occidente,  es- 
sendovi in  Campidoglio  una  famosa  sta- 
tua di  sacerdote  idolatra,  vestita  con  ve- 
ste che  quasi  in  nulla  differisce  da'noslri 
camici,  e  anco  bene  arricciato.  Però  sog- 
giunge, questa  sorta  di  vestimento  laChie- 
sa  per  certo  non  prese  da'  gentili  sacer- 
doti, ma  bensì  dagli  ebrei  e  dalla  s.  Sci  it- 
tura,  ove  da  Dio  fu  prescritta  ad  Aron- 
ne e  suoi  figli.  Tunicam  lineam,  et  stri- 
dami Porro  fìliis  Aaron  tunieas  lineas, 
parabis,ete.  V  esliesque  his  omnibus  Aa- 
ron, et  jilios  ejus  curri  eo.  Che  la  tunica 
linea,  o  camice  come  noi  l'appelliamo,  non 
fosse  presa  da'gentili,  ma  dagli  ebrei,  dice 
Marangoni, provarsi  chiaramente  dall'es- 
sere stata  usata  ne'principii  della  nascente 
Chiesa  da  S.Giacomo  apostolo,  il  quale  u- 
sava  solamente  veste  di  lino;  e  questo  era 
proprio  vestimento  sacerdotale.  Di  que- 
sta veste  linea,  dopo  s.  Giacomo,  Maran- 
goni ne  trovò  altra  memoria  negli  atti  di 
s.  Cipriano  vescovo  di  Cartagine  e  marti- 
re, ne'quali  si  legge:  Curn  se  dalmatica 
expoliasscty et eam  Diaconibus  tradidis- 
set,  in  linea  stetit,  et  coepit  spiculalorem 
sustinere.  Il  camice  era  la  tonaca  di  lino 
usata  dal  primitivo  clero  in  chiesa  e  fuori, 
però  l'adoperato  ne'sagri  templi  era  più. 
mondo  e  più  nobile.Dal  camice  poi  ebbe- 
ro origine  le  vesti  ecclesiastiche  del  Roc- 
chetto, eziandio  detto  Tunica,^  della  Cot- 
ta (P-),  appellata  altresì  Tunica  talari. 
In  quest'ultimo  articolo  rimarcai,  che  al- 
cuni stimano  avere  l'antico  clero  vestito 
la  tonaca  bianca  talare,  senza  maniche,  e 
poi  mutata  la  materia  si  convertì  in  Pia- 
neta (V.)  e  divenne  propria  de'sacerdoti. 
Di  più  pare  che  dalla  tonaca  fosse  formato 
il  Sacco  (P'.)t abito  penitente  de'confra- 
tri  de' Sodalizi  (V.)%  i  quali  se  Io  cingo- 
no a'iombi  con  cinture  o  cingoli  di  cuoio, 
di  corda,  di  lana,  di  seta,  di  filo  o  cotone. 
Adunque  1'  antica  tonaca  o  tunica  fu 
vestimento  che  portavasi  immediatamen- 
te sul  corpo,  ed  era  comune  ad  ambo  i  ses- 


TON 

si.  Ne  fecero  uso  quasi  tutti  gli  antichi  po- 
poli, ma  gli  uni  la  portavano  con  mani- 
che, altri  senza;  pe'primi  era  molto  larga, 
assai  più  stretta  presso  gli  ultimi.  Com- 
ponevasi  ordinariamente  di  due  pezzi,  che 
offrivano  a  un  dipresso  la  figura  d'  un 
quadrilungo;  l'uno  copriva  il  petto,  l'al- 
tro il  dorso  ,  ed  entrambi  univansi  sulle 
spalle  agli  angoli  superiori,  lasciando  in 
mezzo  un'  apertura  per  la  quale  usciva  la 
testa.  I  due  pezzi  avvicinavansi  sotto  le 
ascelle,  sempre  allargandosi  al  basso,  con 
una  marcata  differenza  pegli  uomini  e  per 
le  donne.  La  tunica  tenevasi  soggetta  con 
una  cintura,  lasciandosi  cosi  alle  membra 
la  libertà  e  facilità  de'movimenti.  La  cin- 
tura si  assumeva  quando  si  usciva  dalla 
propria  casa,  giacché  nell'interno  la  tona- 
ca  portavasi  senza  alcuna  cintura. Le  per- 
sone voluttuose  stringevano  meno  la  lo- 
ro cintura  che  non  le  altre ,  cosicché  la 
tonaca  rimaneva  con  pieghe  pin  ampie, 
e  questo  riguardavasi  come  un  indizio  di 
mollezza,  e  non  era  molto  onorifico  alle 
persone,  per  cui  se  ne  fece  rimprovero  al- 
lo stesso  Mecenate.  Da  principio  eradi  la- 
na, e  gli  uomini  la  conservarono  di  tale 
stoffa  lungamente,  mentre  per  le  donne 
sembra  chefossein  uso  il  lino  fino  da'pri- 
mi  tempi  o  poco  meno.  Erano  le  tuniche 
cucite  dagli  orli  inferiori  fino  alle  anche; 
alcune  antiche  figure  lasciano  persino  di- 
stinguere le  cuciture.  Erano  per  lo  più 
bianche,  ma  si  portavano  anche  di  colore: 
Ovidio  rimarca  che  la  tunica  nera  sta  be- 
ne alle  donne  bianche ,  e  la  bianca  alle 
brune.  1  cittadini  di  poche  fortune,  i  sol- 
dati e  gli  schiavi  portavano  tuniche  tin- 
te di  rosso,  tali  divenute  in  forza  dell'uso. 
Trebellio  Pollione  fa  menzione  della  tu- 
nica rossa  de'soldati.  1  lacedemoni  la  por- 
tavano rossa  alla  guerra,  onde  il  sangue 
delle  ferite  colpisse  meno  la  vista,  per  evi- 
tare l'abbattimento  negli  altri. Presso  i  ro- 
mani la  tunica  scendeva  pegli  uomini  fino 
alle  ginocchia,  fino  a' talloni  per  le  donne; 
ma  i  soldati  ei  viaggiatori  la  rialzavano 
fino  alla  metà  delle  cosce,doude  venne  lo- 


T  O  »  85 

ro  il  nome  di  * iicciiu: ti o  duelliti.  Andava 
la  tunica  si  giusta  al  collo,  e  scendeva  sì 
basso  presso  le  donne  vereconde,  che  non 
si  vedeva  di  esse  fuorché  il  volto.  Quan- 
do il  lusso  ebbe  introdotto  l'uso  dell'oro 
e  de'gioielli,  iucoroinciossi  impunemente 
a  mostrare  il  collo,  le  spalle  e  la  parte  su- 
periore del  seno;  la  vauilà  andò  prenden- 
do piede,  e  le  tuniche  s'incavarono  mag- 
giormente; il  che  si  attribuisce  per  le  pri- 
me alla  romane,  insieme  a  portare  tona- 
che d'una  stoffa  fina  e  trasparente,  per  U 
qual  cosa  Seneca  diceva  nulla  poter  di- 
fendere in  esse  il  corpo  e  il  pudore,  cosic- 
ché alcuna  non  avrebbe  potuto  giurare 
d'essere  nuda. Spesse  volte  le  maniche  non 
erano  unite,  e  dall'alto  della  mano  fino 
alla  spalla  erano  attaccate  con  fermagli 
d'oro  e  d'argento.  Il  portare  uua  tunica 
lunga  fino  a'  piedi  era  pegli  uomini  indi- 
zio di  mollezza  e  dissolutezza;  lo  stesso  ac- 
cadea  delle  tuniche  a  lunghe  maniche  che 
chiamavansi  chirodatae  o  manidealac, 
chi  ridata  o  inamidata;  esse  non  conve- 
nivano che  a'barbari,  riguardandosi  co- 
me indecente,  ed  un  greco  deipari  che  un 
romano  avrebbe  arrossito  di  portarle.  Ma 
cambiati  i  costumi  colla  repubblica,  sta- 
bilissi un  uso  affatto  contrario,  ed  il  por- 
tare tuniche  senza  maniche  divenne  allo- 
ra ignominia.  Gli  ordinari  ornamenti  del- 
la tunica  consistevano  in  una  larga  ben- 
da di  porpora  chiamata  clavas  e  lativla- 
yust  chescendeva  dall'alto  al  basso.  A  Ro- 
ma il  solo  basso  popolo  e  gli  abitanti  del- 
le campagne,  non  aventi  i  mezzi  di  com- 
perarsi una  toga,  uscivanoin  pubblico  col- 
la semplice  tunica,  onde  trovasi  in  alcuni 
autori  tunicatas populus,  tunicata piebs. 
Ma  nelle  altre  città  ed  in  campagna,  tan- 
to i  ricchi  quanto  i  poveri  andavano  sen- 
za distinzione  colla  sola  tunica.  Ben  di  ra- 
do scorgesi  sulle  tuniche  alcun  ornamen- 
to,tranne  i  fermagli  sulle  spalle,  ed  i  bot- 
toni lungo  le  maniche.  Non  si  sono  mai 
rinvenute  frangie  d'oro.  I  greci  chiama- 
rono questo  vestimento  col  uome  di  Ctf» 
Idàirii,  e  ino uv chitoni/  o  monofjcpln  4ir 


86  T  O  N 

c:evansi  le  donne  che  non  erano  vestite 
fuorché  della  tunica  con  cui  dormivano. 
Quanto  alla  tunica  cle'Iacederuoni,  pera- 
venie  una  giusta  idea  Don  si  è  trovata  fi- 
gura piti  antica  di  quella  tratta  da  un  bas- 
sorilievodella  villa  Borghese  di  Roma.  E 
noto  che  la  tunica  delle  donzelle  lacede- 
moni era  diversa  da  quella  delle  donne, 
perche  «perla  da  ambo  le  parti  dall'estre- 
mità inferiori  fìtto  all'alto  delle  cosce,  le 
quali  quindi  potevano  vcdersi;dal  che  ven- 
nero esse  chiamale  jeuoineridi,  cioè  che 
lasciano  apparire  le  cosce.  Sofocle  t  im- 
proverò la  principessa  Lrmione,perchè  a- 
vanzata  in  eia  portava  ancora  la  tunica  a- 
perla  dalle  due  parli.  La  tunica  avea  co- 
me la  toga  diversi  nomi.  La  tunica  linea 
o  di  lino,  non  si  conosce  l'epoca  precisa- 
mente in  cui  a  Roma  comiitciossi  ad  usa- 
re il  lino  per  le  tuniche;  per  lunghissimo 
tempo ftt  essa  di  lana,  e  quegliscritlori  che 
distinguono  due  tuniche,  ambe  di  lana  le 
suppongono;  motivo  per  cui  sì  spesso  ba- 
gnavansi  i  romani  nelle  Terme  (I  .),  on- 
de rimediare  agl'inconvenienti  che  deri- 
vavano dalla  mancanza  di  biancheria  di 
lino  (del  quale  riparlai  a  Stoppa).  Secon- 
do Lampi  idio  ili. "a  far  uso  della  tunica 
di  lino  fu  l'imperatore  Alessandro  Severo; 
ma  l'uso  di  essa  non  divenne  comune  che 
mollo  tempo  dopo  di  lui.  Fu  detta  tuni- 
ca molesta,  quella  specie  di  camicia  into- 
nacata di  zolfo,  di  cui  copri vansi  i  rei  che 
doveansi  abbruciar  vivi.  Tunica  palmata 
si  disse  quella  di  porpora  con  una  benda 
di  stoffa  d'oro,  vestimento  di  coloro  ch'e- 
rano onorati  del  trionfo  ,  e  di  que'  pure 
che  presiedevano  a' giuochi  circensi.  La 
tunica  retta  sembra  essere  stala  così  dna  • 
mala,  perchè  non  vi  si  poneva  sopra  al 
cuna  cintura  e  lasciavasi  ondeggiare:  ila- 
vasi  quesla  sorta  di  tunica  a'Iiberti;  men- 
tre la  tunica  cou  una  sola  manica  era  ri- 
servata agli  schiavi.  Si  dicevano  tuni- 
che palliolate,  quelle  cui  (mi vasi  un  leg- 
gero manto;  nella  stessa  guisa  che  vestes 
citeitliatae  chiamavausi  gli  abiti  guerni- 
ti  di  cuppuccio.  Le  donne  ricche  aveauo 


TO  IN 
tanti  piccoli  manti  quante aveano tuniche, 
e  quando  cambiavano  quest'ultime  pren- 
devano anche  il  manto  che  conveniva  e 
th'  eravi  attaccato  ,  dimodoché  pareva  i 
due  pezzi  non  formarne  che  uno.  La  tu- 
nica pietà  era  carica  di  ricami,  o  coper- 
ta di  fiori  e  altri  disegni;  convenne  in  pri- 
ma a'soli  trionfanti,  poi  ad  altri  fu  data 
e  specialmente  a' consoli.  Importanti  ed 
erudite  notizie  sulla  tonaca  o  tunica  ri- 
porta Buonarroti,  nsN  Osservazioni  dei 
t'^.s7^//f/(7t/\//i't^/o,eprincipalmentesul- 
le  tuniche  davate  ossia  ornate  di  fram- 
menti e  striscie  di  porpora,  in  uso  presso 
gli  ebrei  anche  pastori  (forse  i  davi  usali 
da'pastori  edalle  persone  meccaniche  può 
essere  che  non  fossero  di  rosso  buono  di 
porpora),  e  di  essi  clavi  furono  ornate  le 
tuniche  pure  de' profeti,  del  Salvatore  e 
degli  apostoli.  Che  le  tuniche  davate  e  col- 
le maniche  lunghe  non  sempre  si  hanno 
da  pigliare  per  dalmatiche.  Le  tuniche  de- 
gli ebrei  erano  lunghe  e  cinte  in  due  luo- 
ghi, cioè  intorno  alle  mammelle  in  alto  e 
vicino  a'reni.  Delle  tuniche  lunghe  e  cin- 
te, adoperate  da'servi  per  servire  a  tavo- 
la, indi  furono  introdotte  le  tuniche  fatte 
apposta  corte  e  non  cinte,  di  quante  sor- 
ti; mentre  le  tuniche  de' romani  antichi 
nella  loro  primitiva  semplicità  per  essere 
corte  non  si  cingevano,  come  quelle  delle 
persone  di  vita  apostolica.  Che  le  tuniche 
non  cinte,  per  la  preziosità  della  materia, 
e  del  lavoro  che  impediva  di  lasciarle  ac- 
costare alla  persona,  si  ilice  va  stare  e  tu- 
nìcaó  (liseiuclae.  Delle  tuniche  o  penule 
d'una  manica  sola.  Delle  tuniche  palmate 
tle'trionfanli,  poi  date  a'consoli  ed  a'eapi- 
tani,  così  dette  a  cagione  degli  ornamen- 
ti di  palme,  co' quali  fu  solito  abbellirle 
anticamente;  che  per  la  preziosità  loro  si 
confusero  o  si  cambiarono  nelle  dalmati- 
che, e  si  aggiunsero  a  quelle  le  maniche 
lunghe  e  larghe,  quando  quesla  sorla  di 
veste  di  lusso  dalla  Dalmazia  passò  in  Ro- 
ma: erano  di  porpora  e  sopra  ornale  d'o 
ro,  con  diverse  figure  o  tessute  o  ricama- 
le. E  finalmente  delle  tuniche  subarma- 


T  O  N 
li, da  portarsi  solto  il  torace  o  sotto  le  ar- 
mi da 'soldati,  appellate  profundum,  dal- 
l'usarsi  sotto  tutte  le  altre  vestiineula.  I 
fanciulli  romani  nel  prendere  la  tonaca 
virile,  giunti  all'età  di  17  anui,  depone- 
vano la  Bollii  d'oro,  della  qua  le  riparlai 
nel  voi.  LXXI,p.  71,  dicendo  delle  su- 
perstizioni. Questa  bolla  o  globetto  vuo- 
to d'  oro  pendeva  loro  dal  collo,  e  I'  u- 
savano  sulla  veste  corta  detta  pratic- 
ata, che  giungeva  appena  sotto  il  ginoc- 
chio. 11  Guasco,  I  riti  funebri  di  Roma 
pagana,  a  p.  77  parla  delle  tuniche*rne- 
ravigliose  colle  quali  si  chiudevano  i  ca- 
daveri, e  che  poste  al  fuoco  non  ardeva- 
no. Riferisce  pertanto,  che  i  romaui  per 
raccogliere  le  ceneri  nel  bruciamento  de' 
cadaveri,  acciocché  non  si  mescolassero  e 
confondessero  co'combustibili  che  le  di- 
sti uggevano,ammautellav  ano  i  morti  con 
Certe  camicie  o  tuniche  fatte  d'  un  lino 
incombustibile,  per  modo  che  il  corpo 
tutto  coperto  inclusivamente  al  capo  con 
Ctse,  non  abbruciava  perchè  fosse  tocco 
dalle  fiamme,  ma  per  la  forza  dell'ardo- 
re ond'era  circondato,  il  quale  assorben- 
do tutto  l'umilio  delle  membra,  agevol- 
mente lo  scompaginava,  finche  ridottolo 
in  minutissime  parli  veniva  poi  fatto  in 
polvere.Di  lino  sì  prodigioso  lasciò  memo- 
ria Plinio,  che  lo  chiama  lino  vivo,  e  di- 
ce che  non  arde  nel  fuoco,  in  prova  di  che 
all'erma  d'aver  veduto  tovagliuoli  falli  di 
esso,  i  quali  giltali  nelle  fiamme  rimase- 
ro purgali  e  netti  d'ogni  macchia,  senza 
riceverne  la  menoma  diesa,  anzi  ripor- 
tandone lucentezza  tale,che  maggiore  non 
potevano  acquistai  e. Soggiunge  che  di  es- 
so lino  facevansi  le  vesti,  nelle  quali  in- 
tonacavano i  morti,  per  evitare  la  me- 
scolanza delle  ceneri  diverse.  Inoltre  Pli- 
nio dice  che  tale  lino  nasceva  ne'deserli 
deli'  India  più  dominali  dal  sole,  e  non 
soggetti  alle  pioggie. Questo  lino  vivu.cre- 
de  il  <»ua>co  lo  stesso  che  l'amianto,  al- 
lume assai  noto  e  chiamato  Carysliuni, 
Garpasiwn,  Carboswn,  Bostrichitcn, 
PuL-is  Salainandrac,Jaiiicuwuì  da'la- 


T  O  N  87 

tini  Schiston  e  Scissile,  da  alcuni  Cor- 
soides,  da  altri  Politi,  Sartopolia,  e  da 
greci  Amianthu»  e  Asbeston,  cioè  incom- 
bustibile: il  quale  essendo  di  sua  natura 
assai  tenero  e  arrendevole,  facilmente  as- 
sottiglia vasi,  e  maestrevolmente  sfilaccia- 
lo si  lavorava  e  riduceva  a  foggia  di  (ìli 
da  trama,  e  tessevasene  tovaglie,  cami- 
cie, tuniche,  sciugamani,  lucignoli  e  co- 
se simili.  Questa  pietra  dunque  trasmu- 
tata cote  mirabil  arte  in  tela  maneggevo- 
le, quanto  più  slava  nel  fuoco,  tanto  più 
s'imbianchiva  senza  putito  scemare.  Il 
Guasco  riporta  uu  gran  numero  di  scritto- 
ri che  tuttociò  affermano.  Per  altre  nozio- 
ni sull'amianto  e  sul  bruciamento  de' ca- 
da veri, può  vedersiFuxERALE  e  Sepoltura. 
1  francesi  dicono  che  a  tempo  delle  crocia- 
le le  tonache  ebbero  molta  voga  nel  loro 
paese,  poiché  la  moda  venne  originaria- 
mente da'saraceni,  i  quali  portavano  co- 
munemente una  specie  di  tonaca  sopra  le 
loro  armi;  quindi  è  che  i  francesi  in  quel- 
l'epoca le  chiamarono  Saladinc,  dal  uu- 
me  del  celebre  sultauo  Saladino.  Essi  pe- 
rò davano  egualmente  il  nome  loro  di  sa- 
Lule  uou  solamente  all'armatura  che  tro- 
va vasi  coperta  dalla  tonaca  o  saladma,  ma 
ancora  ad  uu  elmo  privo  di  cresta  e  più 
leggero  di  quello  che  comunemente  si  a- 
doperava. 

TONACA  o  TUNICA  INCONSLTI- 
LE  DI  GESÙ*  CRISTO,  Tonaca  [neon- 
sutili.s-  Coristi.  Reliquia  insigne,  vesle  in- 
teriore e  lunga  portata  sempre  dal  Salva- 
tore, in  giro  intessuta  dalla  B.  Vergine  sua 
madre;  denominala  Jnco/isulilc  perchè 
prodigiosamente  cresciuta  proporzionata- 
mente colle  sue  divine  membra,  e  che  poi 
nella  suaPitssione  venne  tra'soldati  messa 
a  sorte,  e  ripartita  tra  essi, insieme  agli  altri 
suoi  vestimenti.  Si  crede  che  fosse  di  colo- 
re d'oro  smontato  o  di  rosa  secca,del  colo- 
re della  Fascia  (fT.)  che  all'uso  de'naza- 
reni  usò;  mentre  il  manto  o  pallio  o  so- 
pravveste da  lui  usata,  si  vuole  percomuu 
consenso  che  fosse  azzurro  ovvero  paonaz- 
zo carico  di  tintura.  Gesù  Cristo  vtmue 


88  T  O  N 

anche  rappresentato  col  Pallio  [V.)  sul- 
le spalle,  onde  alcuni  credono  che  desso 
fu  la  veste  che  i  soldati  nella  sua  passio- 
ne si  divisero  a  sorte  in  4  parti,  per  la  ra- 
gione detta  nel  citato  articolo,  ma  sembra 
meglio,  per  quanto  dirò,  riconoscersi  per 
la  veste  tratta  a  sorte  la  tonaca  intonsa* 
tile,  come  indivisibile.  Questa  veste  dice- 
si che  s'imponeva  per  l'apertura  del  collo, 
e  quasi  corrispondente  alla  penula  o  Pia- 
netti  o  alla  Croccia  (/'.).  Dissi  a  Guanti, 
col  vescovo  Sarnelli,  che  i  pontificali  deb- 
bono essere  inconsulili,  cioè  lavorati  con 
ago,  come  la  veste  del  Redentore,  per  de- 
notare l'integrità  della  fede.  Osservò  Hur- 
ter  iieUnStoria  d'Innocenzo  ///,chc que- 
sto dottissimo  Papa  in  più  d'un  luogo  del- 
le sue  epistole,  allega  la  veste  di  Cristo  tu- 
idea,  inconsutilis,  qual  simbolo  dell'uni* 
là  della  Chiesa,  e  dicendo:  La  Chiesa, al 
pari  della  veste  inconsulile  di  Cristo,  non 
vuol  essere  ne  cucita  ne  sdrucita,  con  al- 
lusione alla  separazione  de'  Greci  dalla 
Chiesa  cattolica. \\  p.Bonamìi,Z,rtGe/v?/*- 
chia  considerata  nelle  vesti,  ragionan- 
do del  Superumerale  (/  .)del  sommo  sa- 
cerdote e  delle  altre  vesti  sagre,  dice  che 
fossero  fatte  opere  polymìto,  cioè  tessuto 
vìidlis  filis  variorum colorimi,  come  era 
la  veste  di  Giuseppe  figlio  di  Giacobbe, 
tunicam  poly  mi  tam.  Di  piùaggiungecre- 
dersi  anche  opere  textili,  dalla  qual  pa- 
rola nasce  dubbio,  se  si  debba  intendere 
fosse  fatta  la  veste  con  tela  tessuta  ,  e  di 
vari  pezzi  insieme  uniti  con  l'ago,  come 
ora  comunemente  si  lavorano,  ovvero  fos- 
se fatta  di  maglia  nel  modo  che  si  lavo- 
rano le  calze,  guanti  e  simili,  oppure  fosse 
tessuta  in  maniera  che  non  si  congiunges- 
se una  parte  coli' altra,  e  di  tale  lavoro 
stimò  ilBiaunio,y9c'  Vest.  Sacerd.  Ilehr. 
l.i,  ci  6,  che  fossero  le  vesti  sacerdotali, 
come  fu  la  veste  inconsulile  del  Salvato* 
re ,  contexta  per  totum.  li  Marangoni, 
Istoria  di  Sanata  Sanctorum  e  dell'im- 
magine del  ss.  Salvatore,  osserva  che  tut- 
te le  sue  immagini  appariscono  vestite  al 
di  sotto  colla  veste  inconsulile  fino  a'pie- 


TON 
di,  la  quale  era  non  cucita,  ma  tessuta  e 
lavorata  ad  ago,  e  formata  dalla  B.  Ver- 
gine colle  sue  mani, come  scrisse  s.Eutimio 
presso  Baronio  all'anno  34,  n.°35,  e  so- 
pra di  essa  vedesi  un  ampio  pallio,  che  de- 
centemente raccolto  in  pieghe  si  sostiene 
colla  mano  sinistra.  Che  Nostro  Signore 
portasse,  oltre  la  tunica  inconsutile,  altra 
sopravveste  o  pallio,  apparisce  dal  testo 
di  S.Giovanni  Evangelista  al  capoigdel 
suoEvangelo,  ver.  23:  Milites  ergo,  curii 
crucifixissenl  eiini,  acccpcrunt  vestimeli' 
ta  ej'us,  et  fecerunt  quatuor partes  (uni- 
cuique  militi  partem)  et  tunicam.  Erat 
autem  tunicam  inconsutilis  desuper  coti' 
iexta,  per  totum.  Cornelio  a  Lapide  uel 
Commentario  sopra  s.  Matteo,  cap.  27, 
v.  3-7,  nota  2.%  riporta  che  lo  slesso  Enti- 
mio  è  di  parere,  che  le  vesli  di  Cristo  fos- 
sero Ire:  la  1  .ache  fosse  l'inconsutile,  come 
ì&camiscia  interiore;  la  2/  una  veste  ta- 
lare simile  a  quella  degli  ecclesiastici, detta 
dagl'italiani  e  da  altri  Sottana^/  .)',\a  3/ 
esteriore  più  ampia,  che  a  guisa  di  pallio 
tulio  il  corpo  ricoprisse  dalle  spalìe  fino 
a'piedie  lo  adornava:  imperocché  non  era 
in  uso  dagli  ebrei  di  portare  né  giubbo- 
ne uè  femorali,  come  anche  sino  al  tem- 
po di  Marangoni  si  praticava  da  molti  o- 
rientali.E  questa2.acingevasi  versoi  lom- 
bi con  una  coreggia  o  cintura  o  fiscia 
d'altra  materia,  detta  zona;  e  che  si  por- 
tasse da  Cristo  non  è  da  dubitarsene,  men- 
tre egli  prescrivendo  a'suoi  apostoli  l'abi- 
to, gli  ordinò:  Nolite  possidere  tiuritm, 
ncque  argentimi,  ncque  pecunia  in  in  zo- 
nis  vestris.  E  sopra  il  verso  35  del  cap. 
12  di  s.  Luca  :  Sinl  lumia  vestii  prae- 
cincti,  come  spiega  Cornelio  citato,  volle 
il  Signore  alludere  al  rito  degli  orienta- 
li, quali  erano  gli  ebrei  e  gli  assiri:  .. //pud 
quos  mos  erat  longìoribus  vestihus  ,  et 
tuuicis  inditi,  quas  iter  pie  turi,  vel  la- 
horaluri praecìngebant,  E  questione  pe- 
rò, dice  Marangoni,  se  la  tonaca  incon- 
sulile fosse  quella  interiora,  che  noi  ap- 
pelliamo camiscia,  o  pure  la  2.  che  a  que- 
sta 1. "sovrappone vasi.  Su  diche  può  ve- 


TOX 

dersi  quanto  più  ampiamente  ne  scrisse 
il  Ferrano,  De  re  vestiario,  lib.  3,  cap. 
i  ei6,  t.  6.  Essendo  però  cosa  certa,  die 
questo  titolo  d' Inconsutile  si  èdalo,e  con- 
fusamente si  applica  anche  alla  cauiisda 
di  Nostro  Signore,  che  serbasi  fra  le  re» 
iiquie  della  Chiesa  di  s.  Giovanni  in  La- 
terano,  mentre  nella  tavola  Magna  La- 
teranense  ella  ritrovasi  fra  le  medesime 
enunciata  con  queste  paiole:  Prima  Ca- 
miscia  Salvatori*.  Ma  nell'indice  delle 
medesimescriltoda  GiovanniDiacono  La- 
teraneuse  leggesi  :  Tunica  Inconsutilis, 
a nani  feci t  s.  Maria  ì  irgo  Filio  suo  Je- 
su  Chris to.  Contuttociò  sembra  al  Ma- 
rangoni più  verosimile,  che  questo  titolo 
di  /  este  Inconsutile  appartenga  piutto- 
sto alla  2.'  che  tutto  il  corpo  del  Salvato- 
re interamente  ricopriva  dal  collo  fino  ai 
piedi,  e  fosse  la  veste  che  noi  diciamo  Sot- 
tana. E  che  sebbene  s.  Giovanni  nell'al- 
legato testo  non  fa  menzione  di  questa 
camiscia,  od' Intenda,  ma  sulamenledel- 
ia  sopravveste  divisa  in  4  parti  da'solda- 
ti,  e  di  questa  Inconsutile ,  ciò  poter  es- 
sere accaduto,  perchè  essendo  stato  spo- 
gliato il  Salvatole  di  tutte  le  vesti  per  bat- 
terio con  Flagelli  legato  a  una  Colonna, 
nell'essere  rivestito  in  fretta  non  gli  fosse 
posta  la  caoaiscia,  ma  la  sola  veste  incon- 
sutile e  la  sopra  v  veste  o  pallio,  mentre  que- 
ste sole  erano  necessarie  per  farlo  da  tut- 
ti conoscere,  nel  portare  la  croce  al  Cal- 
vario. E  certamente,  che  alla  camiscia  e 
insieme  alla  tunica  talare  non  competes- 
se ad  ambedue  questo  titolo  d'Inconsu- 
tile  né  di  Tunica,  apparisce  dalla  proibi- 
zione fatta  da  Cristo  a'suoi  apostoli  di  non 
possedere,  e  portare  due  tuniche,  mentre 
pre-so  gli  ebrei,  e  massime  i  più  dovizio- 
si,era  costume  di  portarsi  due  e  anche  più 
Tonache  f I  .).  Di  qual  colore  poi  furono 
le  vesti  di  Gesù,  dice  Marangoni,  non  ci 
è  rimasta  memoria;  bensì  è  da  credersi, 
che  fossero  di  colore  piuttosto  scuro  e  mo- 
desto, iucui  uouapparisse singolarità,  mi 
che  non  fossero  né  anche  nere,  ma  secon- 
dol'usoconjuueilautopiùche  s.  Gio.  Gri- 


TON  89 

sostomo  nell'omelia  84  sopra  l'erangelo 
di  s.  Giovanni  è  di  sentimento  che  queste 
due  vesti  esteriori  del  Redentore  non  fos- 
sero di  materia  preziosa,  aia  piuttosto  vi- 
le e  ordinaria,  mentre  in  tutte  le  altre  co- 
se non  volle  comparire  diverso,  ma  in  tut- 
te conservare  la  sua  povertà  e  bassezza 
volontaria.  Ed  inoltre  deve  notarsi,  come 
nell'immagine  del  Salvatore  effigiala  da 
s.  Leone  III,  nella  parte  destra  fuori  del- 
la tribuna  del  suo  Triclinio  Lateranen- 
se,sedente  in  trono  in  atto  di  dare  le  chia- 
vi a  s.  Pietro  e  lo  stendardo  a  Carlo  Ma- 
gno, oltre  l'essere  cinta  a  mezza  vita,  tie- 
ne la  sopravveste  o  pallio  attaccato  sopra 
le  spalle  con  una  fibula  o  fibbia;  ma  in 
moltissime  altre questoaltaccamento  non 
si  conosce.  Ci  fa  conoscere  ancora  s.  Mat- 
teo, cap.  q,  v.  3o,  che  la  sopravveste  del 
Salvatore  avea  la  sua  fimbria  o  orlo  nel- 
la sua  estremità:  accessit  retro,  ac  teti- 
git  fimbria  vestimenti  ej'us.  Queste  fim- 
brie erano  fili  0  tessuti  o  cuciti  all'estre- 
mità della  veste  esteriore,  di  colore  di  gia- 
cinto o  violaceo,  che  il  Signore  avea  or- 
dinato agli  ebrei, aftinché  nel  vedere  que- 
ste fimbrie  si  ricordassero  de'precetti  di- 
vini. Conviene  tener  presente,  che  Gesù 
Cristo  nella  sua  passione  indossò  altre  ve- 
sti ancora  per  contumelia;  prima  gì' im- 
posero d'ordine  d' Erode  per  vituperio  una 
veste  bianca,  considerandolo  pazzo;poi  per 
ironia  lo  vestirono  di  finte  vesti  e  insegne 
regie,  come  di  uno  straccio  di  Porpora, 
o  logoro  paludamento  o  clamide  di  tal 
drappo, dello  *$Ve//ro  di  Canna,  della  Co- 
rona di  Spine,  e  lo  salutarono  con  belle 
re  de'giudei,e  perciò  sulla  croce  lo  deri- 
serocol  Titolo  di  Re.v  Judaeonun.e  pro- 
babilmente lasciandogli  la  corona  di  spi- 
ne incapo,quaudogii  tolserogl'indumen- 
ti  reali;  e  sebbene  ue'primitivi  tempi  del 
cristianesimo  i  Crocefissi  erano  privi  del- 
la corona  di  spine,  con  più  fondamenta  si 
crede  che  il  Salvatore  fu  confitto  in  cro- 
ce col  capo  circondalo  di  spine  a  foggia 
di  corona,  come  dimostrano  il  Gretsero, 
Deduce  hb.  ijCdp.22;eI5euedellu\l\  , 


9o  TON 

De  fisti s  cap.  7,  tic  fer.  vi,  1.  89.  Nel  li* 

I  >ro  di  Baldeschi  e  Cresci  miteni,  Stato  (fel- 
la chiesa  papale  Lateranense,  fra  il  no- 
vero delle  reliquie  insigni  che  possiede,  si 
comprendono;  il  Vestimento  di  porpora, 
col  quale  fu  vestito  Cristo  per  ischerno 
nel  pretorio  di  Pilato:  il  Velo,  che  si  tras- 
se dal  capo  la  D.  Vergine,  per  ricoprire 
la  nudità  di  Cristo  quando  fu  spogliato 
Dell'inchiodarlo  sulla  croco;  nel  cpial  velo 
si  vedono  delle  stille  del  suo  Stingile  pre- 
ziosissimo: il  Sudario  (f  ,)  asperso  di  san- 
gue, col  quale  gli  fu  ricoperto  il  volto  nel 
sepolcro:  la  Camicia,chegli  fece  colle  sue 
mani  la  B.  Vergine:  parte  delloSciugatoio, 
del  quale  Cristo  si  servì  per  asciugare  i 
piedi  degli  apostoli  dopo  la  Lavanda  ilei 
piedi.  Oltre  delle  Vestimenla  dellaB.  Ver- 
gine, nella  basilica  Lateranense  si  vene- 
rano ancora  il  Cilicio  tessuto  di  pelli  di 
cammello,  del  precursore  s.Gio. Battista;  e 
(•Tunica di  s. Giovanni  apostolo  e  evange- 
lista, che  custodi  vasi  nella  cappelletti!  sot- 
to il  ciborio  e  tabernacolo  del  le  ss.  Teste, 

II  cardinal  Besozzi,  Storia  di  s ,  Crocei/i 
Gerusalemme,  riferisce  che  in  questa  ba- 
silica si  conserva  la  corda  colla  quale  fu 
legato  Gesù,  in  croce,  e  una  gran  parte 
di  sua  veste.  Nella  chiesa  di  s,  Paolino  al- 
la Regola  de'  francescani  del  terz  ordi- 
ne, tra  le  reliquie  insigni  vi  sono  de' Ve- 
stimenti di  Gesù  Cristo  e  de'suoi  Sanda- 
li,come  trovoin  Cancellieri,  Dìssert.  del- 
le scarpe  o  sandali.  Dichiara  Marango- 
ni, che  quasi  tutte  le  intere  immagini  del 
Salvatore,  che  stanno  in  piedi  0  a  sedere, 
hanno  i  sandali  a'piedi, ed  èa  credersi  che 
gli  usasse,  mentre  egli  stesso  ne  prescrisse 
l'uso  a'suoi  discepoli,  presso  s.  Marco  cap. 
6,  v.  8;  Et  praeeepit  eis  ne  quid  tolle- 
rent  in  via,  ni  si  virgam  tantum,  non pe- 
rain,  non  panem, ncque  in  zona  aes,  sed 
ealceatos  sandaliis.  Ed  in  vero  le  an- 
tiche pitture  a  colori  e  a  musaico  li  di- 
mostrano co'sandali,  eh' è  una  sorte  di 
Scarpe,  le  quali  hanno  nel  fondo  la  suo- 
la, ove  posa  In  pianta  del  piede,  e  si  le- 
gano al  di  sopra,  di  maniera  che  tutta  la 


TON 

parte  superiore  del  piede  rimane  scoper- 
ta, come  si  vede  usarsi  da'carmelitani  scal- 
zi, cappuccini,  minori  osservanti  e  altri  re- 
ligiosi. Due  sandali  di  s.  Bernardino  da 
Siena  minore  osservante  si  conservano 
fra  le  reliquie  della  chiesa  di  s.  Cecilia  di 
Roma.  Che  Cristo  li  usasse,  dissi  a  Scala, 
santa,  che  ivi  si  custodiscono,  e  porzione 
anche  nella  detta  chiesa  di  s.  Paolino.  Non 
devesi  tacere,  che  Gesù  Crocefisso  in  va- 
rie maniere  fu  elligiato  ne'vetusti  tempi. 
Da  una  pittura  esistente  in  un  cubiculo 
clelcimiterio  di  s.  Valentino  di  Roma,  ve- 
desi  il  Salvatore  tunicato  dai  collo  fin  qua- 
si a'piedi,  come  riferì  il  Bottari,  Sculture 
e  pitture  de'  Cimiteri  di  Roma,  t.  3,  p. 
iy4>  et'  è  questo  forse  l'uso  più  antico. 
Poscia  non  si  conservò  della  tunica  tala- 
re che  la  parte  inferiore  da'  fianchi  alle 
ginocchia,  e  tal  foggia  di  veste,  oud'è  co- 
perto il  Salvatore,  si  ravvisa  spesse  volte 
ne'Crocefissi  del  medioevo.  Dappoi  fu  cin- 
to d'una  fascia  a'lombi,quaI  vedesi  tutto- 
ra adoperata,  o  ricoperto  d'un  guarnello 
o  panno  dalle  reni  fino  alle  ginocchia,  ed 
anche  vestito  di  tunica  ,  come  il  Celebre 
ss.  Crocefisso  di  Lucca;  tutte  queste  co- 
perturesembrauo  derivate  dal  pudore  che 
vollero  rispettare  i  cristiani  verso  l'ado- 
rabileGesù.  Il  Rocca,  Opera  omnia,  t.  r, 
p.  3.53,  De  par  tic  ula  ss,  Crucis,  non  so- 
lamente tratta  di  questo  argomento,  ma 
ci  die  un  disegno  con  4  Crocefissi,  due  con 
tunica  dal  collo  a'  piedi,  delle  quali  una 
con  maniche  e  l'altra  senza;  gli  altri  due, 
uno  ha  il  velo  a'Iombi,  l'altro  un  guar- 
nello cheda'lomhi  scende  sino  alla  metà 
delle  ginocchia.  Ma  come  Torino  vanta  di 
possedere  la  ss.  Sindone.  (Jr-)  ove  fu  rav- 
volto il  sagro  corpo  del  Redentore  nel  se- 
polcro, così  Treveri  (/"''.)  si  gloria  di  ve- 
nerare nella  sua  cattedrale  la  Tunica  del 
medesimo.  Il  p.  Menochio,  Stuore,  cen- 
turia 1 .  ',cap.  44:  Della  veste  bianca  del' 
la  quale  Cristo  fu  per  ischerno  vestito 
da  Erode,  dice  che  forse  non  fu  bianca, 
ma  candida,  cioè  risplendente,  e  non  ogni 
vtsle  candida  è  bianca,  perchè  la  voce  gre- 


TON 

cn  del  s.  testo  propriamente  significa  splen- 
dente, di  qualunque  colore  sia  il  drappo, 
bianco,  rosso  o  giallo.  Nella  centuria  <_)/, 
cap.  82:  Diche  colore  fossero  le  vesti  di 
Cristo,  e  degli  ecclesiastici  anticamente, 
incomincia  dal  riferire  che  il  popolo  ebreo 
usava  le  vesti  di  quel  colore  ch'è  nativo 
nella  lana,  non  ancora  tinta  d'altro  colo- 
re aggiunto  con  arte.  E  siccome  confor- 
me alla  legge  di  frequente  lavavano  le  ve- 
sti per  le  purificazioni, meglio  riusci  va  che 
le  vesti  fossero  del  colore  naturale  della 
lana,  che  d'alcun  altro,  mentre  colla  fre- 
quente lavanda  avrebbe  perduto  la  sua 
prima  bellezza.  E' dunque  probabile  che 
le  vesti  di  Cristo,  perchè  si  accomodava 
all'uso  comune  del  popolo,  e  non  de'ric- 
chi  che  usavano  colori  e  tinture  preziose, 
fossero  del  colore  nativo  della  lana,  cioè 
bianco.  Altri  furono  d'opinione  che  le  Ve- 
stimenla  del  Salvatore  fossero  di  colore  az- 
zurro o  di  viola,  e  probabilmente  il  cin- 
golo del  colore  della  veste.  Nella  chiesa  di 
s.  Gio.  Evangelista  di  Besancon  si  vene- 
rava  una  particella  della  veste  di  Cristo 
purpurei  subobscurì coloris,  ch'è  appun- 
to il  colore  azzurro  o  di  viola.  Nella  dio- 
cesi di  Vagliadolid  in  s.  Maria  d'Arriago 
de'cisterciensi  si  venerava  una  particella 
della  veste  di  Cristo:  dono  fatto  dall'im- 
peratore greco  Emanuele  Paleologo,  ad 
Enrico  III  re  di  Castiglia,  nella  cui  auten- 
tica si  legge.  Dedimus  particulam  1  csti- 
incnti  nostri  Rede/nptoris /piasi biavi  co- 
loris,ex  eo  scilicctFcstimento,cujus  f/'/a- 
briam  tangens  mulier,  ajluzu  sanguini* 
est  sanata.  Osserva  il  p.  Menochio,  che 
il  color  biavo  è  l'azzurro,  come  si  rac- 
coglie dal  riferito  da  s.  Brigida,  Rivela- 
zioni, lib.  i,  cap.  3i  ,  la  quale  parlando 
d'una  apparizione  della  B.  Vergine,  dice 
ch'era  vestita:  Et  mantellina  blavum  de 
Li- uro,  seti  sereni  cacti  coloris.  A  que- 
sta opinione  del  colore  azzurro  si  potreb- 
be opporre,  che  ordinando  la  legge  Beli 
ebrei  ili  attaccare  a'Ioro  mantelli  fiocchi 
«li  colore  azzurro,  pare  che  d'altro  colore 
dovesse  essere  il  mantello;  ma  si  crede,che 


TON  91 

poteva  essere  l'uno  e  l'altro  del  colore  me- 
desimo, poiché  la  figura  e  fattura  di  quei 
fiocchi  faceva  l'elfetto  da  Dio  voluto,  cioè 
di  distinguere  il  popolo  ebreo  dal  genti- 
le ,  e  servisse  ad  essi  di  segno  per  tener 
presente  nella  loro  memoria  l'osservanza 
della  divina  legge.  Questo  stesso  colore 
azzurro,  pare  secondo  il  p.  Menochio,  che 
ritenesse  anticamente  l'ordine  clericale, 
come  M$ii  Annali  ecclesiastici  notò  il 
cardinal  Baronio  all'anno  3q3,  il  quale 
si  è  mantenuto  sino  a'nostri  giorni  nella 
famiglia  pontificia,  ne'seminari  de'chieri- 
ci,  da'vescovi  e  altri  prelati,  vale  a  dire 
l'azzurro  violaceo.  11  color  nero  poi  pare, 
al  dire  del  p.  Menochio,  che  si  comincias- 
se a  usare  dal  clero  quando  si  ricevè  in 
alcune  chiese  da'  chierici  il  monacato,  e 
quando  i  vescovi  da'  monasteri  si  elesse- 
ro; poiché  come  si  ha  da  s.  Girolamo  nel- 
l'epitaffio di  s.  Marcella,  nell'epistola  22 
e  altrove,  i  monaci  solevano  vestire  di  ne- 
ro. Trovo  nel  Magri,  che  la  Dalmatica 
eia  Tonace Ila (F.)  rappresentano  la  ve- 
ste inconsutile  di  Cristo.  Abbiamo  di  Do- 
menico IL*  Cantagalli,  Lettera  sopra  la 
Treste  Inconsutile  di  QeshCristo,scritta 
al  d,r  Pier  Francesco  Faggini j  e  prima 
del  riportato  dal  Marangoni  pubblicata 
nel  t.  22  degli  Opuscoli  del  p  Calogerà; 
e  più  tardi  riprodotta  nel  t.  2  delle  Dis- 
sero ecclesiastiche  ih  F.  A.  Zaccaria,  Bo- 
ma  1792  :  ne  darò  un  breve  estratto. 

Fu  costume  de'tempi  antichi,  che  i  rei 
condannati  dovessero  cedere  a'  ministri 
del  loro  supplizio  le  proprie  vesti.  Quindi 
è,  che  appena  ebbero  i  soldati  spogliato 
e  confitto  in  croce  Cristo  Signor  nostro, 
sebbene  innocentissimo,come  reo  condan- 
nato ,  furono  prese  le  di  lui  vestimenta, 
cioè  il  pallio  e  la  tonica,  quello  divisero 
in  4  parti,  dandone  a  ciascuno  la  sua,  e 
questa  tirarono  a  sorte,  poiché  ella  non 
poteva  dividersi  in  guisa  tale,  che  utile 
fosse  a  più  d'uno,  come  aveano  fitto  del 
pallio,  ch'era  un  panno  quadrato  e  mol- 
to ampio.  Cristo  dunque,  seguendo  l'u- 
sanza disua  Dazione  ebrea,  poi  lava  le  no- 


9*  TON 

minate  vesti,  e  le  stesse  indossava  quando 
fu  condotto  a  ingiusta  morte.  Avendo  s. 
Giovanni  nel  riferirlo  detto  vestimento, 
per  vestimentum,  e  sebbene  vi  sono  scrit- 
tori, come  il  Saimasio  e  il  Sincero,  che  af- 
fermano che  1'  Evangelista  usò  alla  greca 
il  plurale  invece  del  singolare,  veramen- 
te più  di  due  furono  le  vesti  portate  in 
quel  tempo  dal  Salvatore, secondo  la  più 
comune  opinione.  1  sostenitori  di  questa 
pensano,  che  oltre  lai/  tonica  inconsuli- 
le, la  quale  serviva  come  di  camicia,  un' 
altra  Gesù  ne  avea  sovrapposta  a  guisa  di 
sottana  (non  avendo  in  costume  gli  ebrei 
di  portare  giubbetti,  calze  o calzoni),  sul- 
la quale  poi  veniva  assunta  la  3.a  che  pal- 
lio comunemente  si  chiamava.  Delle  due 
opinioni,  Cantagalli  crede  probabile  la  i .'; 
uè  volendo  parlare  del  pallio,  della  toni- 
ca volle  ragionare.  Comincia  dall'avver- 
tire,  ch'eranvi  due  sorte  di  toniche, alcu- 
ne aperte  che  si  congiungevano  con  na- 
stri o  fibbie,  o  in  altra  somigliante  ma- 
niera; ed  altre  come  le  nostre  camicie, 
chiuse  per  ogni  parte  fuorché  dalla  supe- 
riore, ed  unite  insieme  per  artifìcio  o  del 
tessitore  o  del  sarto.  Perciò  quando  dice- 
si nella  s.  Scrittura,  che  alcuno  stracciò 
le  sue  vesti  ,  Scidit  vestimento,  sua3  non 
vuoisi  intendere  certamente  del  comune 
e  vero  stracciare,  ma  bensì  dello  scioglier- 
le o  sfibbiarle  impetuosamente.  Così  an- 
cora fece  nel  Sinedrio  (F.)  l'infuriato 
principe  de'sacerdoti, allorché  interrogalo 
Cesa  Cristo,  s'era  figliuolo  di  Dio,  udì 
da  esso  per  risposta:  Che  l'avrebbero  di 
lì  a  non  molto  veduto  sedere  alla  destra 
di  Dio,  e  venir  sopra  le  nuvole.  Della  2." 
sorte  dunque  di  veste,  cioè  di  quella  sen- 
za fìbbie  o  nastri,  era  la  tonica  del  Sal- 
vatore, dice  il  Cantagalli  ,  cioè  inconsu- 
tile  per  non  aver  tali  fìbbie  o  allacciatu- 
re. Però  i  ss.  Interpreti  trovatisi  in  gran- 
di angustie,  nel  determinare  la  maniera 
di  formare  la  veste incousutile.  Alcuni  sti- 
mano ch'ella  non  si  potè  in  un  tempo  tes- 
sere tutta  insieme  ,  e  vogliono  che  fosse 
cucita  insieme  coll'ago,  e  solamente  uou 


TON 

avesse  le  fìbbie  o  legature.  Che  questa  ve- 
ste fosse  composta  di  due  pezzi,  fu  pure 
opinione  di  s.  Gio.  Grisostomo,seguitoda 
Teofilatoe  daTeofane,uniti  insieme  colla 
tessitura  e  non  con  cucitura,  congiungeu- 
do  cioè  in  tal  maniera  l'estremità  dell'u- 
no e  dell'altro  pezzo  con  un  filo  di  lana, 
in  modo  che  la  veste  pareva  in  uno  stesso 
tempo  tutta  insieme  tessuta.  Teofilato  ag- 
giunge che  gli  antichi,  per  far  questo,  si 
servivano  ancora  d'una  certa  sorta  di  cu- 
cito nascosto,  col  quale  talmente  si  uni- 
vano insieme  ambedue  l' estremità  del 
panno,  che  la  cucitura  punto  non  appa- 
riva, come  eziandio  poi  osservò  il  Mero. 
Wè  mancarono  alcuni,  fra'cjualiCasaubuo- 
no,  Ferrai-io  e  Grozio,  i  quali  giudicaro- 
no, che  questa  veste  si  formasse  a  foggia 
di  rete  con  aghi  più  grandi,  o  forse  co'fèr- 
ri,  come  suol  farsi  colle  calze  e  berretti  di 
lana,  cioè  a  maglie;  del  qual  parere  sem- 
bra che  sieno  stati  Eulimio  e  s.  Isidoro 
Pelusiota.  li  Cantagalli  inclina  piuttosto 
al  sentimento  delBraunio,il  quale  da  mol- 
ti altri  scrittori  poscia  seguito,  vuole  che 
la  tonica  di  Cristo,  né  con  ordinario,  né 
con  nascosto  cucito  di  più  pezzi  congiun- 
ta fosse,  né  fitta  con  ferri,  ma  veramen- 
te tutta  quanta  tessuta.  Sapevano  gli  an- 
tichi a  meraviglia  l'arte  di  tesser  vesti,  di 
qualunque  figura  o  grandezza  elle  si  fos- 
sero; alcune  delle  quali  cominciavano  a 
tessere  dalla  parte  di  sopra,  com'era  ap- 
punto quella  del  Salvatore,  desujìer  coa- 
texto  per  totani j  cioè  come  suol  dirsi,  da 
capo  a  piedi  tessuta.  Queste  toniche  chia- 
inavansi  da'latini,  Tunieoe  ree  toc,  come 
avverte  il  Buonarroti;  ed  erano  tessute, co- 
me riferisce  s.  Isidoro,  da  persone  che  sta- 
vano in  piedi ,  donde  forse  avvenne  che 
rectae  fossero  chiamate,  al  diredi  Caluiet. 
Che  questa  sorte  di  vestimento  si  usasse 
alcuna  volta  da' romani,  ne  fa  fede  Plinio, 
scrivendo  che  Caia  Cecilia  (ili  Tarquinia 
chiamata  anche  Tanaquilla,  saggia  e  feli- 
ce tessitrice,  industriosissima  nel  lavora- 
re la  lana,  come  notai  ne'vol.  LVIII,  p. 
187,  LX1X,  p.  i43  e  altrove;  si  conserva- 


TON 

vano  i  lavori  delle  sue  mani  con  venera- 
zione in  Roma,  e  nel  tempio  d'Ercole  la 
sua  conocchia  e  il  fuso,  con  della  lana  da 
lei  filata;  nel  tempio  poi  della  Fortuna 
custodivasi  gelosamente  l'abito  leale  di 
Servio  Tullio  suo  genero,  dalla  regina  fat- 
to ascendere  al  trono  di  Roma  dopo  il  ina- 
lito; dicesi  pure  che  fu  essa  la  prima  a  far 
quelle  tuniche  tessute  che  davasi  a'giova- 
ni  quando  prendevano  la  veste  o  toga  vi- 
rile, e  alle  donzelle  quando  celebravano 
lo  Sposalizio),  moglie  di  re  Tarquinio 
Prisco,  prima  d'ogni  altra  tessè  una  toni- 
ca di  simil  fatta.  A  queste  certamente  dis- 
somigliante non  era  quella  che  usava  il 
sommo  sacerdote  degli  ebrei,  descritta  da 
Mosè,  da  Giuseppe  e  da  Filone,  la  quale 
copriva  tutto  quanto  il  corpo,avendo  una 
apertura  solo  dalla  parte  superiore,  per 
dove  potesse  passare  il  capo,  e  da  Mosè 
chiamata  opera  del  tessitore.  Or  vaglia  il 
vero,  dice  il  Cantagalli,  come  si  può  mai 
equamente  rivocarein  dubbiose  tale  pos- 
sa essere  stata  la  veste  inconsutile  di  Cri- 
sto Signore?  Attesta  il  Braunio, che  a  suo 
tempo  era  in  vigore  l'arte  di  tessere  vesti 
di  simile  foggia  presso  alcuni  popoli  d'o- 
riente, facendo  egli  formare  il  telaio  col 
quale  tessevaosi.  Essendo  comune  presso 
gli  orientali,  e  in  ispecie  tra  gli  ebrei,  l'uso 
di  tessere  siffatte  vesti,  il  Cantagalli  non 
vede  quale  ripugnanza  porti  seco  l'inten- 
dere strettamente,  checché  lodevolmente 
ne  dicano  altri,  il  sagro  testo,  e  dire,  che 
questa  veste  di  Gesù  Cristo  fosse  veramen- 
te inconsutile,  cioè  senza  verun  cucimen- 
to.  Vi  è  questione  tra  gli  eruditi,  sequesta 
tonica  fosse  assolutamente  di  color  bianco, 
come  dimostra  il  Ferrano  essersi  usata 
comunemente  dagli  ebrei.  Imperocché  se 
ella  era  bianca,  come  mai  dice  la  s.  Scrit- 
tura, che  il  re  Erode  fece  vestir  Cristo  d'u- 
na veste  parimenti  di  color  bianco  per 
iscliernii  lo,  quando  Io  rimandò  a  Pilato? 
Per  le  ragioni  che  adduce,  pare  doversi 
ci  edere,  che  Erode  fece  vestire  il  Reden- 
tore d'  una  tonica,  quantunque  di  color 
biaucOjpiù  splendida  e  più  nobile  pei  bef- 


T  O  X  93 

fa  del  regno,  cui  si  diceva  comunemente 
ch'egli  affettasse  (ma  notai  altrove,  col- 
lo storico  Gioseffo,  che  veramente  la  ve- 
ste candida  non  era  abito  reale  presso  gli 
ebrei,  bens\  la  porpora;  e  che  Erode  ir- 
ritato dal  silenzio  del  Salvatore, lo  dichia- 
rò pazzo  e  fecelo  perciò  vestir  di  bianca 
veste).  Ed  in  vero  gli  apostoli  stessi,  dei 
quali  è  credibile  che  in  tutto  si  uniformas- 
sero agli  usi  del  loro  divino  Maestro,  a- 
doperarono  toniche  di  somigliante  colore 
(si  tenga  presente  l'articolo  Colori  eccle- 
siastici), il  che  fu  eseguito  da  molti  dei 
primieri  cristiani,  riportandonealcune  te- 
stimonianze. Che  poi  fosse  la  tonica  di  Cri- 
sto molto  lunga  e  facilmente  fino  a  terra, 
pare  che  si  ricavi  abbastanza  da  s.  Gio- 
vanni, nel  riferire  che  per  lavare  i  piedi 
agli  apostoli,  levatosi  il  pallio,  si  cinse  (pe- 
rò già  accennai  che  Cristo  all'usanza  dei 
nazareni,  com'  egli  era,  faceva  uso  della 
cintura);  dicendo  con  Calmet,  che  la  to- 
nica pressori  ebrei  era  una  veste  talare 
che  arrivava  sino  alle  piante,  talché  era- 
no obbligati  ad  alzarsela  e  cingersela, qua- 
lunque voltasi  mettevano  in  viaggio  oad 
operare  alcuna  cosa;  ne  produce  alcuni  e- 
sempi,  notando  che  la  tonica  comune  fu 
detta  anche  stola,  e  quella  de' sacerdoti 
stola  santa,  sempre  veste  talare.  La  toni- 
ca di  Gesù  Cristo  fu  stretta,  secondo  il  co- 
mune uso  degli  ebrei,  ordinariamente  di 
lino,  onde  crede  probabile  che  simile  fosse 
eziandio  quella  del  Salvatore.  Quanto  al- 
l'antica e  comune  tradizione,  che  questa 
tonica  fu  tessuta  a  Cristo  per  mano  della 
stessa  Vergine  sua  Madre,  lo  asserisceGio. 
Battista  Mantovano;  riferendo  la  s.  Scrit- 
tura e  antichissimi  autori,  che  ne'prischi 
tempi  spellava  alle  donne  l'arte  di  far  ve- 
sti, come  Anna  madre  di  Samuele,  la  qua- 
le a  lui  tessè  di  propria  mano  una  toni- 
ca, Alessandro  I  il  Grande  si  servì  d'una 
veste  lavorata  dalla  madre  e  dalle  sorel- 
le, così  Augusto  usò  vesti  formate  dalla 
moglie  e  dalle  figlie:  Omero  e  Virgilio  ri- 
produssero altri  esempi,  e  s.  Gio.  Bocca- 
doro si  lagnò,  chela  troppa  delicatezza  in- 


()4  T  0  N 

valsa  nelle  donne,  a'suoi  tempi  trasferì  ne- 
gli uomini  l'arte  di  tessere  vesti  e  di  fin* 
la  tela.  Marra  Chifflezio,  Cristi  Ifist.  de. 
Linteis  Sejmlc.  Chris  ti t  cap.  6,  che  dalla 
B.  Vergine  (n  l'atta  di  propria  mano  a  Cri- 
sto ancor  fanciullo  una  camicia  di  lino,  al* 
quaoto  però  ordinario,  la  quale  finora  si 
conserva  in  Roma  nella  chiesa  di  s.  Gio- 
vanni in  Laternno;come afferma  purePin- 
no,  nel  Sommario  dell' indulgenze  di  Bo- 
logna. Da  essa  parimenti,  dice  Metafra- 
ste, fu  fallo  il  Sudario  ;  e  Ceda  le  attri- 
buisce ancora  un  panno  alquanto  maggio- 
re, che  conteneva  l'immagini  de'Xll  A- 
posloli  e  dell'islesso  divin  Figlio,  il  quale 
da  un  lato  era  rosso,  e  dall'altro  verde,  se- 
condo la  tradizione  di  sua  epoca.  Non  pe- 
rò facilmente  si  accorda  la  volgar  creden- 
za, cioè  che  la  tonica  usata  da  Cristo  sem- 
pre fu  quella  stessa  che  la  ss.  Vergine  gli 
tessè  da  fanciullo,  non  mai  consumata  e 
con  lui  insieme  cresciuta,  come  vogliono 
alcuni,  tra'quali  s.  Giustino  nel  Dialogo 
con  Trifone ' ,  dicendo  essere  prodigiosa- 
mente cresciute  le  vesti  degli  ebrei  per  lo 
spaziodi4oanni  ch'essi  postarono  nel  de- 
serto, ricavandosi  dal  Deuteronomio ,  v. 
4-  Il  che  non  apparendo  chiaro,  viene  giu- 
dicato incerto  dall'Eslio,  e  negalo  da  al- 
tri scrittoli  pressoi!  Calmet,  i  quali  stima- 
no significarsi  da  tal  passo,  che  Dio  tal- 
mente provvide  alle  necessità  degli  ebrei, 
che  non  venissero  a  mancare  in  quel  tem- 
po giammai  le  vesti.  Con  Cornelio  a  La- 
pide, nel  commento  del  cap.  27  di  s.  Mat- 
teo, riporta  il  Canlagalli,  chela  veste  in- 
consulile  del  Salvatore,  di  cui  ragiona,  nel- 
la città  di  Treveri  con  molta  venerazione 
fino  al  presente  si  conserva,  di  che  ognu- 
no giudichi  a  piacere,  a  motivo  di  trovar 
egli  presso  s.  Gregorio  di  Tour»,  De  Mi- 
raeul.  hb.  8  ,  essere  stata  tradizione  dei 
tempisuoi,  ch'ella  si  conservasse  chiusa  in 
una  cassa  di  legno,  nella  basilica  di  Gala- 
tea,  da  altri  impropriamente  detta  Gala- 
zia,  città  lungi  1  5o  miglia  da  Costanti- 
nopoli. Secondo  la  Crònaca  di  Frcdcga- 
no  cap.  1  1,  la  Ionica  iucunsulile  fu  tra- 


TON 
sportata  con  solenne  e  di  vota  pompa,  nel- 
l'anno 3o  di  re  Gumtrummo  (pare  Con- 
trailo re  d'Orleans  e  di  Borgogna  dal  56 1 
al  593),  dalla  città  di  Zafat  o  Zaphat,  os- 
sia Jaffa  0  Zaffo,  in  Gerusalemme,  nella 
quii  traslazione  segui  questo  miracolo. 
Stando  ella  riposta  in  una  cassa  di  mar- 
mo e  con  essa  dovendosi  trasportare,  per- 
de naturalmente  la  sua  naturale  grevez- 
za,  che  a'portatori  sembrò  di  leggerissimo 
legno.  Si  ha  poi  dal  R tutta rt,  nelle  note 
a  s.  Gregorio  di  Tours,  che  da  Gerusalem- 
me fu  a  tempo  di  Carlo  Magno  trasferita 
in  Francia,  e  collocata  nella  chiesa  d'Ai*- 
gentolio  (  Argenteuil  ,  grosso  borgo  di 
Francia,  dipartimento  della  Senna  ed  Oi- 
se,  quasi  3  leghe  da  Parigi,  capoluogo  di 
cantone),dov'erano  monacheGisela  oGisln 
sua  sorella  e  Teodrada  di  lui  figlia,  e  do- 
ve dopo  essere  stata  molto  tempo  nasco- 
sta, finalmente  ritrovata  neh  1 56,  si  col- 
locò presso  i  monaci  di  s.  Benedetto,  ve- 
nerandosi con  sommo  culto.  Ma  osserva 
il  Cantagalli,  che  la  veste  che  si  conserva- 
va nella  chiesa  d' Argentolio,  non  è  cer- 
tamente una  tonica  come  dichiarò  il  Cal- 
met, ma  bensì  un  pallio  di  colore  rosso. 
Delle  reliquie  poi  di  questa  veste,  egli  ag- 
giunge, se  ne  trovano  in  varie  chiese  ,  e 
specialmente  nel  duomo  di  Milano;  in 
quello  di  Firenze  e  donata  con  un   dito 
di  s.  Gio.  Battista  da  Giovanni  Corsini  che 
l'avea  ottenuta  nella  corte  di  Costantino- 
poli; nella  chiesa  di  s.  Pietro  di  Bologna; 
in  quella  della  Madonna  di  Galiera,  cioè 
della  veste  bianca  di  Cristo;  nella  basili- 
ca di  s.  Marco  a  Venezia,  ossia  parte  del 
vestimento  di  Cristo.  Finalmente  il  Can- 
tagalli termina  la  sua  lettera  con  parla- 
re de'misteri,  che  giusta  il  sentimento  dei 
Padri  e  degl'Interpreti,  sotto  questa  veste 
inconsutilcsi  racchiudono.  Vuole  pertan- 
to s.  Atanasio  nel  suo  sermone  sopra  la 
Croce,  che  la  tonica  del  Salvatore  fosse 
simbolicamente  iucousutile  ,  allineile  da 
questo  ancora  intender  potessero  agevol- 
mente i  giudei,  Chi  e  d'onde  fosse  Colui 
che  la  portòjCioè  ch'Egli  era  il  Verbo,  non 


ila  alcuno  pai  te  di  questa  terra,  ma  veni», 
lo  dal  cielo;  non  già  divisibile,  ma  indi- 
visibile Verbo  del  Padre,  e  che  fattosi  Uo- 
mo,non  uncGrpoavea  preso  intessuto,  per 
cosi  dire,  da  maschio  e  da  femmina,  ma 
per  grazia  del  divino  Spirito,  da  una  Ver- 
gine sola  formato.  Che  se  al  senso  tropo- 
logico vuoisi  avere  riguardo  ,  giudica  il 
mellifluo  dottore  s.  Bernardo  nel  sermo- 
ne i  ."sopra  l'Annunziazione,  non  altro  es- 
sere la  Veste  Inconsutile  di  Gesù  Cristo, 
se  non  la  Divina  Immagine,  la  quale  non 
cucita  per  dir  così,  ma  infusa  e  impressa 
al  dì  dentro  della  natura,  dividere  non  si 
può,  uè  separare.  In  senso  allegorico  in  fi- 
ne, come  osserva  Cornelio  a  Lapidealcap. 
iq  di  s.  Giovanni,  viene  per  essa  signifi- 
cata la  Chiesa,  acni  non  conviene  alcun 
scisma  o  divisione;  sul  qual  proposito  si 
racconta  di  s.  Pietro  patriarca  d'Alessan- 
dria, che  menlr'eia  in  carcere,  gli  appar- 
ve di  notte  Gesù  ricoperto  d'  una  veste 
tutta  lacera  e  fatta  in  pezzi,  e  gli  disse  che 
l'eresiarca  Ario  gliela  avea  in  siffatta  gui- 
sa strappata,  onde  non  dovea  in  ninna  ma- 
niera riceverlo  nella  comunione  de'  suoi 
fedeli,  com'egli  andava  astutamente  cer- 
cando; anzi  che  dovea  comandare  ad  A- 
chilla  e  ad  Alessandro,  che  sarebhero  a  lui 
succeduti  nel  governo  della  chiesa  Ales- 
sandrina,che  neppur  eglino  lo  ricevessero. 
TOKACELLA  oTONICELLAoTU- 
iS'ICLLLA,  Twiicella.  Dalmatica,  1  c- 
stem  Subdiaconalem.  Veste  e  paramen- 
to sagro,  ed  ornamento  ecclesiastico  del 
Suddiacono  (J\).  ed  è  quasi  simile  alla 
Dalmatica  (^ .),  se  non  che  più  angusta 
e  colle  maniche  più  lunghe,  sebbene  or- 
mai in  generale  non  si  distinguono  più 
tra  loro.  Anche  il  nome  è  divenuto  in  cer- 
to modo  comune,  onde  si  suol  dire  la  dal- 
matica, dalmatica  maggiore,  e  la  tona- 
cella,  dalmatica  minore.  E'  usata  sopra 
il  Camice  (J\)  nella  celebrazione  della 
messa  e  di  altri  riti;  ma  dessa  e  la  dalma- 
tica, come  vesti  d'allegrezza,  non  si  ado- 
perano nelle  messe  dalla  Seltuagesima 
all'uffizio  di  Pastoia,  perchè  la  Chiesa  as- 


T  0  Si  95 

sume  in  tal  tempo  tutti  i  segni  di  duolo 
per  deplorare  la  passione  e  morte  del  Re- 
dentore; così  pure  non  si  adoperano  la 
touacella  e  la  dalmatica  nelle  messe  del- 
Y  Avvento,  per  essere  tempo  destinato  al  - 
l'astinenza  e  al  digiuno,  di  penitenza,  on- 
de degnamente  prepararsi  alla  gran  festa 
della  venuta  di  Gesù  Cristo.  Sono  eccet- 
tuate però  la  domenica  Laetare  di  qua- 
resima, e  la  festa  della  ss.  Annunziata  se 
cade  in  tale  tempo;  non  che  la  domenica 
Gaudetc  dell'avvento,  e  la  festa  dell'Im- 
macolata Concezione,  la  (piale  celebrasi 
in  tale  tempo,  imperocché  111  dette  4  fe- 
lle si  assumono  le  dalmatiche  eie  tona- 
celle.  In  luogo  poi  di  queste  due  vesti,  ne' 
ricordali  tempi  dalla  setluagesima  a  Pa- 
squa e  nell'avvento, lauto  il  diacono  che  il 
suddiacono  assumono  la  Pianeta  (/  .)  ri- 
piegata innanzi  al  petto, eziandio  per  le  ra- 
gioni riferite  aDAtMATtCa,  il  contenntodel 
quale  articolo  è  interamente  comune  a 
questo,  per  cui  tralascio  qui  di  dire  Milla 
touacella, quanto  già  in  esso  riportai.  No- 
tai a 'suoi  luoghi,  che  allorquando  il  sud- 
diacono in  detti  tempi  in  cui  porta  la  Pia- 
neta piegata,  la  depone  per  fare  l'uffizio 
di  lettore  e  leggere  ['Epistola,  il  diaco- 
no fa  altrettanto  prima  di  leggere  P  E- 
vangelo,  restandone  ambedue  senza  sino 
ni  Pbst" Communio,  ma  con  grandi  Sto* 
le  paonazze  a  traverso  del  corpo  sul  ca- 
mice. Lepgo  nel  p.  Donanni,  La  Gerar- 
chia ecclesiastica  considerata  nelle  ir- 
sti 'sagre: ca p.  53,  Della  Dalmatica  det- 
ta Volgarmente  Tonicella,  che  ne' detti 
tempi  di  quare>ima  e  dell'avvento,  nella 
cappella  pontificia  e  in  alcune  chiese, 
quando  il  diacono  dovea  cantare  il  vange- 
lo, prima  che  fossero  adottati  i  nominati 
stoloni,  ripiegava  la  pianeta  sulla  spalla 
sinistra.  Egli  riporta  la  figura  del  diaco- 
no con  tunicella,  ove  si  vede  il  suo  for- 
mato e  ornamento  di  trine,  ricami  e  fran- 
gie  d'oro  o  d'argento,  con  fiocchi  simili 
come  la  dalmatica;  i  quali  due  sagri  Pa- 
ramenti sono  di  seta, di  stoffa,  di  tela  d  o 
io  o  d'argento,  e  del  colore  nero,  bianco, 


0f,  TON  TON 
rosso,paonazzo,rosaceoe  verde. Nel  Poti-  le  unzioni  del  sagro  olio  della  cima  del 
tifìcale  Romanum  vi  è  la  benedizione,  capo,  del  petto,  delle  spalle,  de'polsi.fu  al» 
tSpccialisfìenedictiocujuslibelindurnen-  lacciaia  la  camicia  eilsaioch'eransi  per- 
ti,  vel  tunicellain,  vel  dalmati  e  ani.  La  ciòscoperti,  ed  unto  sulle  palme  delle  ma- 
tonacella  ne'  secoli  XIII  e  XIV,  secondo  ni,  il  re  calzò  un  paro  di  guanti  henedet- 
il  Zaccaria,  Onomasticon  Rituale, fu  pur  li.  Vestirono  quindi  gli  assistenti  il  re,  dei- 
chiamata  Tunicam  Episcopalcm,  ed  in  la  tunica  di  suddiacono  e  della  dalmati- 
fatti  quando  celebrano  solennemente  il  ca  di  diacono,  e  sopra  questa  del  manto 
Papa  ed  i  vescovi,  sul  camice  assumono  reale;  i  quali  vestimenti  tutti  erano  di  vel- 
ia fonaceli.-!  e  la  dalmatica,  sovrapponen-  luto  paonazzo  con  gigli  d'oro  ricamati,  e 
do  ad  ambedue  la  pianeta,  ed  il  Papa  an-  all'intorno  un  fregio  di  4  dita  fatto  a  ri- 
che  il  Fanone.  Per  privilegio  i  Papi  con-  caino  di  perle.  La  dalmatica  in  origine  era 
cessero  l'uso  della  tonacella  e  della  dal-  una  speciedi  Tonaca  (P .)  con  lungbe  ma- 
malica  sotto  la  pianeta  ai  cardinali  del-  niclie,  le  quali  scendevano  sino  al  pugno, 
l'ordine  de'preti,  ed  agli  abbati  mitrati  e  s.  Silvestro  I  del  3  1 4-  l'assegnò  a'  elia- 
che hanno  l'uso  de'pontificali;  paramenti  coni,  invece  del  Colobio  (^.),  veste  che 
lutti  ebe  debbono  essere  d'un  medesimo  non  avendo  maniche, o  erano  brevissime, 
colore,  sebbene  notai  a  Dalmatica,  che  lasciava  le  braccia  nude;  quindi  più  tar- 
un  tempo  questa  nel  colore  diversificava  di  fu  accordata  anco  a' suddiaconi ,  per 
dalla  tonacella, ed  usandosiambedue.Que-  maggiore  comodità  nelle  feste  e  sagre  fun- 
ste  dalmatiche  e  tonacelle  die  si  porla-  zioni.  La  dalmatica  propriamente  diver- 
no sotto  la  pianeta,  sono  ordinariamen-  sifica  dalla  tonacella  per  larghe  maniche, 
le  semplici  di  seta  e  ornate  di  sole  triuet-  strette  essendo  quelle  della  tonacella  ;  le 
te  d'oro,  acciò  non  formino  imbarazzo;  dalmatiche  e  tonacelle  de' vescovi  hanno 
mentre  le  dalmatiche  e  tonacelle  che  si  le  maniche  alquanto  più  larghe  di  quelle 
usano  discoperte,  sono  più  nobili  e  ricche,  del  diacono  e  suddiacono,  perle  ragioni 
più  o  meno  ornate  e  di  drappi  diversi,  ed  che  riferii  a  Dalmatica,  insieme  alle  al- 
inoltre  più  ampie.  Anticamente  pare  che  Ire  spiegazioni  misteriose  di  questi  sagri 
i  cardinali  diaconi  nell' assistere  il  Papa,  indumenti.  Presso  de'greci  non  vi  è  l'uso 
sotto  la  dalmatica  assumessero  altresì  la  della  dalmatica  ,  la  quale  è  vietata  anco 
tonacella.  Si  seppelliscono  con  la  tona-  a'  diaconi,  ed  è  permessa  usarsi  soltanto 
cella  e  gli  altri  nominati  paramenti,  il  Pa-  da'patriarchi,e  questa  differisce  nella  for- 
pa  e  tuttodì  colore  rosso,  i  cardinali  ve-  ma  dalla  dalmatica  latina,  mentre  (pie- 
scovi  e  preti  di  colore  paonazzo,  così  i  ve-  sta  è  aperta  ne'lati,  e  la  greca  è  lunga  e 
scovi,  mentre  i  cardinali  dell'ordine  de'  chiusa  a  guisa  di  sacco,  e  difatti  i  greci  la 
diaconi  si  seppelliscono  colla  stola,  mani-  chiamano  sacco.  Tuttavia  il  cantore,  il 
polo  e  dalmatica  rossa.  Inoltre  i  Papi  ac-  suddiacono  e  il  diacono  greci  hanno  per 
cordarono  l'uso  della  tonacella  o  dalma-  vesti  sagre,  ili.0  una  tonaca  corta,  il  2.° 
lica  agl'imperatori  nella  \ovo  co  ronazio-  una  tonaca  lunga,  il  3.°  una  tonaca  arn- 
nc,  per  fare  l'uflizio  di  Suddiacono  (F.),  p>a  e  talare,  equantoaltrodescrissi  a  de- 
diche riparlai  ne'vol.  XVII,  p.212,  219,  cia,  mentre  parlando  delle  altre  nazioni 
22  3  e  224.  XXXI V,  p.  i43  e  «46.  Di  orientali,  trattai  delle  loro  vesti  sagre.  Il 
più  i  Papi  concessero  per  la  Coroimzio-  Magri,  Notizia  de' vocaboli  ecclesiastici, 
ne  de  re  (V.).,  l'uso  della  tonacella  o  dal-  nel  vocabolo  Tunicella  o  Tonicella ,  la 
malica  ai  Re  (ì'.)j  ed  il  p.  Gallico,  Ada  chiama  abito  proprio  del  suddiacono,  la 
vaereinonialìa  p.  228,  riportando  la  re-  quale  non  era  in  uso  al  tempo  di  s.  Gre- 
lazionedclla  coronazione  in  Reims  di  En-  gorio  1  Pupa  del  5go,  usandosi  allora  dal 
rico  III  re  di  Francia,  si  legge  che  dopo  suddiacouo,couie  oggidì  i  greci^olamente 


TON 

il  Camice.  Dice  che  dovrebbe  essere  più 
stretta  e  più  lunga  della  dalmatica  dia- 
conale, che  però  da  alcuni  fu  determinata 
Dalmatica  minor.  Da  Onorio  vieu  chia- 
mata Suolile,  da  Amalario  Tunica  o  Su- 
bucula,ùa\\'Ovd\ae  romano  Subdiacona- 
lis,non  però  dagli  antichi,  ne'quali  trat- 
tandosi delle  vesti  pontificali  si  fa  men- 
zione della  sola  dalmatica.  Anche  il  Ma- 
gri afferma  che  il  rito  di  portare  la  toni- 
cella  non  è  molto  antico,  e  ciò  si  vede  tna- 
nifestameute  dalle  pittureantiche  di  mu- 
saico. Nel  rituale  ms.  di  Katoldo  si  dice 
che  la  tonacella  antica  del  vescovo  avea 
intorno  al  lembo  le  campanelle,  come 
quella  che  portava  il  sommo  sacerdote  de- 
gli ebrei.  Super  haec  itaque  ministratur 
ei  tunica  gyris  in  tintinnabulis.  Il  Magri 
rimproverò  i  maestri  delle  ceremonie  de' 
tempi  suoi,  perchè  piegavano  le  maniche 
della  tonicella  e  della  dalmatica  sulle  spal- 
le del  vescovo  celebrante;  sembrandogli, 
che  con  tale  abuso  dimostrassero  non  os- 
servare o  ignorare  i  profondi  misteri  delle 
maniche  larghe  nella  dalmatica  e  strette 
nella  tonicella;  e  coti  nasconderle  sotto  la 
pianeta  toglievano  la  maestà  di  questi  a- 
biti  sagri,  né  ciò  porta  alcuna  comodità  al 
celebrante,  perchè  con  fagottarle,  oltre  la 
poca  decenza,  riuscivano  di  maggior  im- 
piccio. Gli  esortò  quindi  a  lasciare  restar 
le  maniche  piegate,  e  continuar  l'antico 
rito  della  Chiesa,  introdotto  da'sagri  ca- 
noni de'concilii  e  da'ss.  Padri;  né  preten- 
dere di  saperne  più  di  essi,  perchè  non  vi 
sarebbe  alcuna  diversità  tra  la  dalmatica, 
la  tonicella  e  il  colobio;  ed  acciò  si  possi- 
no  veder  le  maniche  della  tonicella,  ordi- 
na la  rubrica,  si  facciano  un  tantino  più 
lunghe.  Inoltre  vuole  Magri,  che  la  toni- 
cella  rappresenti  la  Tonaca  Inconsutile 
di  Cristo  (/'.),  e  per  conseguenza  la  sua 
dottrina,  che  non  si  può  lacerare,  come 
dichiarò  Innocenzo  111  nel  cap.  3q.  Mo- 
ralmentesignifica  la  virtù  interioredel  ve- 
sco  vo. Questa  tonacella  del  vescovoera  an- 
ticamente di  color  celeste  e  azzurro,  co- 
me vedesi  negli  anlichi  musaici  e  lassi- 

VOL.   LXXVII. 


TON  97 

cura  Durando, lib.  3,  cap. io.  A  Laticla- 
vio, col  vescovo  Sarnelli:  Della  forma 
d'alcune  ecclesiastiche  vesti. somiglianti 
a  quelle  degli  antichi  romani,  dissi  che 
la  tunicella  del  suddiacono  e  la  dalmati- 
ca del  diacono,  sono  simili  al  lato  davo 
de  seaalovì,  ed a\V angusto  davo  de'cava- 
lieri  romani,  cosi  venendo  denominate  le 
tonache de'romani  di  cui  n'erano  fregiati. 
Queste  tonacheerano  vesti  quadrate, ossia 
vesti  di  due  pezzi  di  panni  quadrati,  che 
si  affibbiavano  sulla  spalla.  Tali  dice  Ter- 
tulliano che  fossero  le  tonache  degli  an- 
tichi cartaginesi,  e  che  chiama  quadrOn- 
gulas.  poiché  aperte  ne'fianchi  pendeva- 
no 4  angoli.  Laonde  il  dotto  prelato  ri- 
inarcò  la  dalmatica  e  la  tunicella,  somi- 
glianti alle  tonache  di  detti  romani.  Ag- 
giunge che  a  queste  tonache  si  uni  vano  in- 
sieme le  mezze  maniche,  mentre  le  lun- 
che  sino  al  polso  le  usavano  solo  le  don- 
ne e  queste  pure  erano  talari,  più  somi- 
glianti alle  vere  dalmatiche.  UBuouarroti 
ae\Y  Osservazioni  sui  vasi  antichi  di  ve- 
tro, eruditissimamente  tratta  anche  della 
dalmatica.  Avverte  in  prima  ,  che  erro- 
neamente fu  creduta  la  clamide  della  mi- 
lizia palatina, cioè da'dotliSeverano  e  Ar- 
ringhi, descrivendo  s.  Milesdipintonelci- 
miterio  di  Poliziano.  Che  vi  furono  tuni- 
che dalmatiche  ornate  con  due  davi  dì 
porpora,  e  poi  anche  d'oro  e  di  ricamo 
con  mantenere  la  loro  primiera  figura,  le 
quali  vesti  dagli  ornamenti  del  secolo  pas- 
sarono a  fare  più  augusto  il  culto  divino 
ue'sagri  ministri.  Nota  poi,  che  nell'  an- 
tiche pitture  esprimenti  gii  Apostoli,  dal- 
matiche non  sempre  si  hanno  da  repu- 
tare le  vesti  di  lusso  o  tuniche  davate,  e 
colle  maniche  lunghe  sino  a'polsi,  ma  tu- 
niche comunali.  Che  colle  dalmatiche  si 
confusero  le  tuniche  palmate  de'trionfan- 
ti,  introdotte  forse  da  Domiziano  per  or- 
namento pure  del  consolato.  Importante 
è  poi  il  rimarco,  che  per  lo  più  i  greci  rap- 
presentarono nelle  pitture  i  loro  vescovi 
vestiti  della  dalmatica,  mentre  i  latini  pra- 
ticarono più  di  sovente  di  figurarli  vestiti 

7 


98  T  O  N 

colla  penula  grande  o  pianeta,  per  l'ab- 
bondanza del  panno;  e  siccome  i  pillori 
rappresentarono  i  personaggi  adornati 
delle  vesti  ch'erano  di  maggior  decoro  al 
loro  grado,  dalle  memorie  sagre  si  ha  ar- 
gomento di  credere,  che  la  dalmatica  già 
fosse  di  più  stima  della  penula,  solendosi 
quella  concedere  da'  Papi  per  privilegio 
specialissimo  anche  a'vescovi,  il  che  della 
pianeta  non  si  legge,  veste  in  origine  ro- 
tonda e  chiusa  da  tutte  le  parti,  e  comu- 
ne alla  chiesa  greca  e  latina, però  colla  dif- 
ferenza,che  la  latina  fu  semplice  e  la  greca 
coperta  e  sparsa  di  croci  ;  vesti  che  quan- 
tunque chiuse  e  rotonde  ,  erano  tagliate 
in  guisa,  che  senza  alzarsi  nell'atto  della 
celebrazionede'divinimisteri,polessero  li- 
beramente per  due  aperture  uscir  le  brac- 
cia e  le  mani. 

TONCHI  NO  oTUNRINO.  V.  Vica- 
riati APOSTOLICI. 

TONGRES,  Tmgeren.  Città  vesco- 
vile del  Delgio,provincia  di  Limburgo, cir- 
condario, a  4  leghe  da  Matti  iebt  e  5  da 
Liegi  .capoluogo  di  cantone, in  riva  al  Jaar. 
Possiede  chiese,  un  collegio,  ha  concie  di 
pelli,  e  fa  gran  traffico  di  porci  e  graui.  I 
dintorni  olirono  ancora  avanzi  dell'anti- 
ca cinta  di  questa  città,  che  pare  sia  stata 
considerabilissima,  ed  in  un'  amena  val- 
lee una  sorgente  minerale  ferruginea  ^Iel- 
la quale  parlò  Plinio.  Si  pretende cheTon- 
gres  sia  l'aulica  fortezza  da  Cesare  chia- 
mata A tuatitccr,  situata  nel  mezzo  al  pae- 
se degli  eburoni,  popolo  che  Augusto  poi 
designò  sotto  il  nome  di  Tougri.  Perven- 
ne in  seguito  a  grande  prosperità,  ma  ver- 
so la  metà  del  V  secolo  fu  saccheggiata 
e  rovinata  da  Attila  re  degli  unni.  Appe- 
na rialzavasi  da' suoi  danni  allorquando 
i  normanni  la  devastarono  nell'88i.  Vi 
si  fece  neli4o3  una  convenzione  tra  il  ve- 
scovo diocesano  e  i  borghigiani,  col  no- 
me di  Pare  dì  Tongres.  Carlo  il  Teme- 
rario duca  di  Borgogna  se  ne  insignorì 
nel  1467  e  la  distrusse  neli4f>8.  Riedifi- 
cata,» francesi  la  presero  nel  1 672,^  sman- 
tellarono neh  6^3,  e  se  ne  resero  nuova- 


TON 
mente  padroni  nel  1 G77.  Ancora  nel  1792 
1'  espugnarono  e  abbatterono  nel  179^  : 
convicn  dire  o  che  fosse  fortificata  o  si- 
tuata in  punto  strategico.  Il  28  febbraio 
1828  vi  si  sentirono  assai  forti  scosse  di 
terremoto.  La  sede  vescovile  fu  istituita 
nel  III  secolo.  Leleggeude fanno  discepolo 
di  s.  Pietro,  s.  Materno  vescovo  di  Colo- 
nia e  di  Treveri,  che  niori  verso  il  347>>l 
che  esclude  che  vivesse  nel  tempo  del  prin  • 
cipedegli  Apostoli;anzi  si  Impure  che  con 
Papa  s.  Melchiade  e  Pielicio  d*  Arles  fu 
nominato  giudice  da  Costantino  I  nell'af 
farede'donatisti.  Il  martirologio  romano. 
che  a'i  4  settembre  registra  la  festa  d'un 
s.  Materno  che  convertì  que'di  Tongres, 
di  Colonia  e  di  Treveri,  suppone  che  sia 
stato  discepolo  di  s.  Pietro;  e  da  ciò  de- 
rivò l'opinione  di  coloro  che  pretesero  l'e- 
sistenza di  due  Materni,  200  anni  uno  di- 
stante dall'altro,  contro  la  fede  de'dittici 
e  decataloghi  de'vescovi,  i  quali  comin- 
cianocon  quello  che  visse  sotto  Costantino 
I,  e  non  parlano  d'altri  di  questo  nome. 
Si  poti  ebbe  forse  dire,  che  l'unico  s.  Ma- 
terno fu  prima  vescovo diTreverisul  prin- 
cipio del  IV  secolo,  che  rinunziò  in  seguilo 
il  vescovato  a  s.  Agricio,  e  andò  a  fonda- 
re dopo  il  3  1  4  le  chiese  di  Colonia  e  di 
Tongres,  ch'ebbero  dopo  di  lui  ciascuna 
il  suo  vescovo.  Colonia,  Tongres  e  l'Al- 
sazia lo  riguardano  come  loro  apostolo; 
e  come  ad  altri,  fu  qualificato  discepolo 
di  s.  Pietro,  per  conformar  con  esso  la  sua 
dottrina,e  perciò  di  sovente  ebbero  la  qua- 
lifica di  discepoli  di  s.  Pietro  i  primi  ve- 
scovi delle  città,  fino  al  principio  del  IV 
secolo,particolarmente  nelle  Gallie  e  nella 
Spagna.  Le  tre  chiese  di  Colonia,  di  Ton- 
gres e  di  Treveri  ne  onorano  la  memo- 
ria in  detto  giorno;  ed  il  suo  corpo  si  cre- 
de trasportalo  a  Treveri  e  posto  vicino  a 
quello  di  s.  Luca  rio.  Celebre  suo  succes- 
sore immediato  e  vescovo  di  Tongres  fu 
s.  Servazio  o  Servato,  zelantissimo  nella 
fede,soprattutto  ne'concilii  di  Sardica  e  di 
Rimini;  predisse  l'invasione  (Irgli  unni 
nelle  Gallie,  e  dopo  37  anni  di  vescovato 


T  O  N 

si  riposò  nel  Signore  a'  1 3  maggio  384, 
venendo  erella  uni  chiesa  sulla  sua  lom- 
ba,  ma  poi  la  maggior  parte  di  sue  reli- 
quie si  trasferirono  a  Mastricht(V.)  nella 
nobile  collegiata,  ove  alcuni  scrittori  cre- 
dettero che  il  santo  vi  trasferisse  la  sua  se- 
de, poco  prima  di  sua  morte.  Ma  sembra 
più  certo  die  questa  traslazione  non  si  fe- 
ce che  nel  seguente  secolo,  e  dopo  die  la 
città  di  Tongres  fu  distrutta  da  Attila. 
Comman  ville,  [list,  de  tous  Ics  evesdwz, 
dicecheMastricbt  fu  la  residenza  tempora- 
nea del  vescovo  diTongres,  che  nel  f\0)%  vi 
stabili  la  sua  sede,  la  quale  poi  nel  709 
fu  trasportata  a  Liegi  (^.^conservando 
per  un  tempo  il  titolo  del  vescovato  di 
Tongres,  e  solo  nel  C)6i  cominciò  stabil- 
mente quello  di  Liegi.  In  fatti  quando  Pa- 
pa s.  Zaccaria  nel  7 4^  °  ne'  7^'  confer- 
mò l'arcivescovato  di  Magonza,  eretto  nel 
vescovato  di  tal  città  da  s.  Bonifacio  le- 
gato pontifìcio  e  apostolo  di  Germania  , 
tra'  5  vescovati  sullraganei  che  gli  attri- 
buì, vi  comprese  Tongres. 

TOMCELLA.  P.  Tonaceila. 

TONNO,  TENNO  oTUNNO.Sede  ve- 
scovile della  provincia  proconsolare  d'A- 
frica sotto  la  metropoli  di  Cartagine,  eb- 
be a  vescovi:  Crescouio  esiliato  da  Unne- 
rico  re  de'vandali  per  la  purità  della  fede 
che  professava,  Oliato  che  trovossi  al  con- 
cilio di  Cartagine  del  325,  e  Vittore  il  qua- 
le scrisse  la  storia  dal  principio  del  mon- 
do fino  al  5&i.  Morcelli,  Afr.  dir.  t.  I. 

TONSURA  CLERICALE  o  ECCLE- 
SIASTICA, Tonsura  Clcricalis,  prima 
Tonsura. Chierica  0  corona, rasura  roton- 
da de'capelli  della  cima  e  sommità  poste- 
lioredelcapode'cliierici.  Atto  preparato- 
rio agli  ordini  minori.che  anco  dicesi  pri- 
ma tonsura,  ed  è  il  tondere  de'capelli  che 
fa  In  1.'  volta  l'ordinante  a  coloro  che  in- 
tendono di  consagrarsi  al  chiericato  e  pas- 
sare agli  ordini  sagri,  clericus  tonsura 
iniliarc.  Corona  reale,  insegna  del  chie- 
ricato e  del  sacerdozio,  onde  i  chierici  per 
onore  furono  chiamali  Coronati,  con  al- 
lusione a  ciò  che  leggesi  nell'Apocalisse  de' 


TON  99 

24  seniori  o  sacerdoti  ch'erano  intorno  al 
Pontefice  e  aveano  la  corona  d'oro  in  ca- 
po. La  tonsura  clericale  è  una  sagra  ce- 
remonia  colla  quale  il  vescovo,  tagliando 
a  quello  che  la  riceve  una  parte  de' suoi 
capelli  in  forma  di  corona, con  alcune  pre- 
ghiere, lo  fa  entrare  nello  stato  ecclesia- 
stico, e  lo  rende  capace  de'benefizi,  de'sa- 
gri  ordini  e  degli  altri  privilegi  del  Clero. 
Si  legge  nel  Pontificale  Romanum  il  rito 
eia  benedizione  vescovile  pel  conferimen 
to  della  tonsura:  Prima  Tonsura  non  i- 
nilientur,  qui  Sacramentum  Confirma' 
tionis  non  suscepcrint,  et  fichi  rudimen- 
fa  edocti  non  fuerintj  quique  legere  et 
scribere  nesdant,  et  de  qiiibus  probabi- 
lis  conjectura  non  sit,  eos  non  saecula- 
ris  judicii  fugiendi  fraude,  sed  ut  Deo 
fidelem  cultum  praestent,  hoc  vitae  gc- 
nus  elegisse.  Quindi  nel  cap.  De,  Clerico 
j "adendo ,  il  Pontificale  riporta  il  ceremo- 
niale  e  le  orazioni  pel  conferimento  della 
tonsura, essendo  il  vescovo  in  mitra,e  l'a- 
spirante con  abito  talare  e  la  colta  sul  brac- 
cio sinistro,  stringendo  la  candela  colla  de- 
stra. Quiudi  il  vescovo  sedente  nel  faldi- 
storio, cimi  forjìcibus  incidit  unicuique 
extremilates  capillorum  in  quatuor  lo- 
cis;  videliect,  in  fronte,  in  occipitio,  et  ad 
utramque  aurem, deinde  inmedio  cajji- 
Vis  aliquot  crines  capillorum,  et  in  ba- 
cile deponit,et  cuilibet,cum  tonde  tur,  di- 
cit  ec.  Poscia  il  vescovo gl'impone  la  Cot- 
ta e  l'esorta  alle  buone  opere  proprie  del 
chiericato.  Sino  dalla  nasceute  Chiesa  fu- 
rono distinti  i  Chierici  (V.)  colla  tonsu- 
ra e  colla  Peste  talare,  cioè  la  Toga,  o 
Tonaca(P.)sema  manicherà  quale  veni- 
va sovrapposta  da  altra  colle  maniche,  ora 
Sottana  e  ciantello  (P.J.  La  tonsura  non 
è  un  ordine,  e  non  produce  né  il  caratte- 
re, né  la  grazia,  ex  opere  operato,  per  che 
essa  non  è  istituila  da  Gesù  Cristo  ,  ma 
solamente  dalla  Chiesa.  Chiamasi  ton- 
sura, perchè  il  vescovo  taglia  i  capelli  in 
forma  di  corona,  per  insegnare  al  tonsu- 
rato che  dev'  essere  distaccato  dal  mon- 
do e  spogliarci  da  ogni  superfluità.  Latou- 


ioo  TON 

■ora  è  una  preparazione  agli  Ordini  sagri, 

e  non  si  ponno  ricevere  senz'essere  ton- 
surato. Le  disposizioni  richieste  per  parte 
di  quelli  diesi  fanno  tonsurare,  sono.  Di 
avere  7  anni  compiti  e  di  essere  stato  cre- 
simato; di  saper  leggere  e  scrivere,  e  d'es- 
sere istruito  de'principali  articoli  della  fe- 
de; di  consagra!  si  al  servizio  di  Dio,  per 
un  puro  motivo  della  sua  gloria  ,  e  sen- 
z'alcuna  vista  di  orgoglio,  di  sensualità, 
d' interesse;  di  condurre  una  vita  appli- 
cata allo  studio,  alla  preghiera  e  alla  pe- 
nitenza; di  ubbidire  in  tutte  le  cose  al  lo- 
ro vescovo  e  a 'sagri  canoni;  di  portare  in 
tutta  la  loro  vita  i  segni  del  loro  stato,  che 
sono  la  tonsura  ,  i  capelli  corti  e  V  abito 
ecclesiastico;  di  vivere  e  di  morire  nello 
stato  clericale.  Dal  che  ne  consegue,  se- 
condo il  concilio  di  Trento  ei  teologi,  che 
quelli  i  quali  prendono  la  tonsura  sola- 
mente per  avere  de'benefizi,  e  senza  in- 
tenzione di  vivere  e  morire  nello  stato  di 
ecclesiastico,  si  rendono  colpevoli  di  pec- 
cato mortale.  Decretò  il  concilio  di  Lon- 
dra nel  1 258.  »  Portino  i  chierici  i  capelli 
corti,  e  la  corona  d'una  grandezza  compe- 
tente, per  testimoniare  in  questa  guisa  che 
hanno rinunziatoa'vantaggi  della  vita, per 
non  aspirare  che  alla  dignità  d'un  Sacer- 
dozio regale."Dichiarò  il  concilio  di  Tren- 
lo,sess.  23 de Reform.  e.  i.»I  contrassegni 
della  vocazione  allo  stato  ecclesiastico  sono 
d'esservi  entrati  con  retta  intenzione,  vale 
a  dire  di  non  cercare  né  la  gloria  del  mon- 
do, nèle  rendile,  uè  una  vita  agiata  e -sen- 
suale;  ma  di  proporvisi  la  fatica,  per  pro- 
muovere la  gloria  di  Dio,  la  salute  del- 
l'anime^ la  propria  santificazione."  Que- 
sta èia  disposizione,cheilconciliodi Tren- 
to esige  in  coloro  che  devono  ricevere  la 
tonsura.  Nella  stessa  sessione  e.  3,  il  me- 
desimo concilio  dispose.  »  Non  si  ammet- 
teranno alla  1/  tonsura  quelli  che  nona- 
■vranno  ricevuto  il  sagramento  della  Con- 
ferinazione,ec\\e  non  saranno  stati  istruiti 
ne'primi  principii  della  fede,  né  quelli  che 
non  sapranno  né  leggere, né  seri  vere,e  de' 
quali  non  si  avrà  una  congettura  proba- 


TON 

bile,  che  abbiano  eletto  questo  genere  di 
vita  per  rendere  a  Dio  un  servizio  fede- 
le." Dice  il  p.  Chardon,  niuno  deve  intro- 
dursi da  se  nel  servizio  della  Chiesa,  ma 
deve  essere  chiamato  da  Dio.  La  vocazio- 
ne .si  conosce  per  giudizio  del  vescovo,  e 
dal  testimonio  di  tutta  la  Chiesa. Così  ne' 
primi  secoli  i  vescovi  non  ordinavano  se 
non  quelli  di  merito  conosciuto  ad  istan- 
za de'popoli,  e  sempre  di  loro  consenso. 
Non  si  cercava  molto  la  volontà  dell'or- 
dinando, e  sovente  se  gli  faceva  violenza 
per  superare  la  sua  umiltà.  Per  meglio  co- 
noscerne il  merito  si  seguivano  le  regole 
date  da  s.  Paolo,  di  non  affrettarsi  a  ina- 
por  le  mani,  per  non  partecipare  de' pec- 
cati altrui, di  non  ordinare  un  neofito,  ac- 
ciocché non  insuperbisse.Se  qualche  volta 
si  dispensava  da  questa  regola ,  facevasi 
per  motivi  particolari,  cioè  per  l'eminen- 
te virtù  di  quelli  diesi  ordinavano,  o  per- 
chè Dio  gli  avea  indicati  alla  Chiesa  eoa 
segni  soprannaturali.  Cosi  fu  ordinato  s. 
Ambrogio,  eletto  mentre  era  catecumeno, 
e  consagrato  pochi  giorni  dopo  il  suo  bat- 
tesimo. I  chierici  doveano  scegliersi  tra' 
più  santi  de'  laici;  perciò  i  canoni  esclu- 
devano tutti  quelli  che  aveano  qualche 
nota.  Anche  l'Apostolo  vuole  che  il  vesco- 
vo e  il  diacono  sieno  irreprensibili  ,  e  di 
buona  fama  anche  tra  gl'infedeli.  Si  riget- 
tavano adunque  coloro,  che  dopo  il  bat- 
tesimo erano  caduti  in  eresia,  apostasia, 
omicidio,  adulterio,  benché  ne  avessero 
fattala  penitenza, efossero  riconciliati  alla 
Chiesa, perchè  la  memoria  de'delitti  sem- 
pre rimane,  e  quelli  che  sono  una  volta 
caduti  debbono  credersi  più  fiacchi  di  quel- 
li che  non  caderono  mai.  In  una  paiola, 
secondo  l'antica  disciplina,  non  potevano 
mai  ordinarsi  quelli  eh'  erano  stati  in  pe- 
nitenza pubblica.  Ne'primi  cinque  o  sei 
secoli  della  Chiesa  la  tonsura  non  confe- 
rmasi che  col  primo  ordine  sagro,  e  non 
fu  che  in  fine  del  secolo  VI  o  in  princi- 
pio del  VII ,  che  fu  data  separatamente 
e  prima  degli  ordini  minori,  in  occasio- 
ne de'figli  che  i  padri  e  le  madri  consa- 


TON 
gravano  a  Dio,  e  presentavano  a' vescovi 
in  un'  età  così  tenera  ,  che  non  potendo 
far  l'officio  di  lettore  o  di  osliario,  con- 
tentavasi  di  dar  loro  la  tonsura  e  l'abito 
ecclesiastico.  Non  si  può  esercitare  alcun 
ministero  ecclesiastico,nè  possedere  un  be- 
neficio di  chiesa  senza  aver  ricevuto  la  ton- 
sura; e  perchè  un  tonsurato  sia  ammesso 
a  pretendere  o  contestare  un  beneficio,  bi- 
sogna che  produca  in  originale  le  sue  let- 
tere di  tonsura.  Il  solo  proprio  vescovo 
può  dare  la  tonsura  al  suo  diocesano,  e 
quello  che  l'avrà  ricevuta  da  un  altro  sa- 
rà obbligato  d'ottenere  dal  Papa  le  lette- 
re dì  perirtele  valere.  E"  noto  che  nou  può 
essere  promosso  agli  ordini  sagri  quello 
che  ricevette  gli  anteriori  dal  Papa,  tut- 
tavialnnocenzo  III  ne  conferì  la  facoltà  al- 
l'arcivescovo di  Milano»  Benedetto  XIV 
uella'sua  cappella  segreta  die  la  i.a  ton- 
sura e  nella  stessa  mallina  i  4  ordini  mi» 
noti  al  cardinal  York,  e  Pio  VII  nella 
Cappella  segreta  del  maggiordomo  con- 
ferì la  tonsura  e  tutti  gli  ordini  minori  a 
Francesco  di  Paola  infante  di  Spagna,  e 

10  ricordai  pure  a  Ordinazioni  de' Pon- 
tefici.Anticamente  la  tonsura  si  dava  an- 
che da  un  prete  cattedrale,  oggi  canoni- 
co, probabilmente  per  ordine  del  vesco- 
vo, come  per  sua  delegazione  esercitava 
altri  uffizi,  nominava  i  cantori,  riconci- 
liava i  penitenti  pubblici,  ec.  ec.  L'anti- 
ca disciplina  non  voleva  che  cantassero  se 
non  i  Cantori  tonsurati,  dichiarati  abi- 
li a  ciò  e  regolarmente  destinati;  gli  al- 
tri tonsurati,  non  cantori  d'ufficio,  pote- 
vano essere  i  salmisti  perla  Salmodia  non 
cantata  e  pe'minori  servigi  della  chiesa. 

11  canonico  ebdomadario  della  collegiata 
di  s.Martinodi  Tours,nella  messa  dava  la 
tonsura  a  coloro  che  dal  capitolo  erano  sta- 
ti ammessi  a  riceverla.  11  fare  il  salmista, 
oggidì  tonsurato,spettavaa'preti  del  Pre- 
sbiterio, non  a  qualunque  prete.  Forse  ne' 
primi  secoli  eravi  una  sola  formola,  di- 
cendosi ne'  canoni  antichi  sola  jussionc 
Presbiteri ,  e  in  seguito  vi  fu  aggiunto 
auche  il  taglio  de'capelli;  se  pure  debba 


T  O  N  -     101 

meglio  leggersi  sola  jussionc  Presbyte- 
r».Trovasi  anticamente,e  rilevasi  dal  con- 
cilio di  Cantorbery  nel  VII  secolo,  e  nel 
787  in  quello  di  Nicea  e  da  altri  docu- 
menti, come  al  presente,  conferita  la  ton- 
sura e  gli  ordini  minori  dagli  abbati,  ed 
anche  il  suddiaconato,  a'ioro  sudditi;  pur- 
ché l'abbate  avesse  avuta  l' imposizione 
ceremoniale  delie  mani  e  la  benedizione 
del  vescovo,  e  che  usavasi  una  solenne  ce- 
remonia  nel  crear  1'  abbate,  nella  quale 
tra  le  altre  cose  tuttora  il  vescovo  dice  : 
Antiqua  ss.  Patrum  institutio  docct,et 
praecipit,  ut  is  qui  ad  regimen  anima- 
rum  eligitur  ete.  Di  fatto  l'abbate  ha  un 
regime  d'auime, avendo  come  un  ordina- 
rio nullius,  per  disposizione  della  Chiesa, 
giurisdizione  spirituale  ed  esterna  sui  suoi 
sudditi,  e  perciò  nel  medio  evo  talora  in 
uu  certo  Iato  senso  fu  chiamato  pastore, 
come  lo  chiama  il  Pontificale  romano  nel- 
lo stesso  lato  senso  per  l'estrema  giuris- 
dizione, nell'atto  della  sua  benedizione, 
e  gli  parla  del  gregge  di  Cristo  (i  monaci) 
da  custodire,  e  gli  dà  il  bacolo  Pastoralis 
qffìeii,  perchè  ha  il  libero  e  pieno  regi- 
me spirituale  e  temporale  sul  monastero 
e  monaci,  come  dice  lo  stesso  Pontificale. 
Papa  s.  Gregorio  I  neWEpist.  62,  lib.  g, 
a  Romano  difensore  della  chiesa  roma- 
na in  Sicilia,  gli  ordinò  di  reprimere  l'au- 
dacia de'  lonsuratori  che  volevano  farla 
da  difensori.  Questi  lonsuratori  da  alcu- 
ni si  vuole  che  fossero  chierici  minori,  da 
altri  laici  distinti  per  la  tonsura  de'loro 
capelli,  i  quali  muniti  di  lettera  del  Pa- 
pati-ano in  qualità  di  agenti  e  fattori  de- 
stinati a  soprintendere  a'coloni  e  possesso- 
ri de'predi  della  chiesa  romana  in  Sicilia. 
Ne  fa  menzione  s.  Gregorio  I  neWEpist. 
32,  lib.  2,  a  Pietro  suddiacono  di  Sicilia. 
In  questa  si  parla  di  tonsura  civile  e  non 
già  ecclesiastica,  ed  il  passo  è  molto  ana- 
logo all'altro  del  libro  Ponlijieale  t.  2  , 
n.  Zi  e  33,  nel  quale  narrasi  che  a  Pa- 
pa Adriano  I  si  ollrirono  diversi  del  du- 
calo di  Spoleto,  gli  commisero  le  loro  fa- 
coltà, ed  a  s.  Pietro  e  a  lui  giurarono  fé- 


102     •  TON 

deità  come  a  principe  temporale,  e  si  fe- 
cero tonsurare  alla  romana,  cioè  venne- 
ro ridotti  nelle  loro  barbe  e  capellatu- 
re alla  foggia  romana.  Ilo  voluto  qui  ri- 
cordare questa  specie  di  tonsure,  perchè 
non  si  coufondino  colle  tonsure  clericali. 
Altro  esempio  è  la  coudizione  imposta  a' 
polacchi  da  Benedetto  IX,  nel  concedere 
la  dispeusa  al  monaco  Casimiro,  di  pren- 
der moglie  e  di  ascendere  sul  trono  di  Po- 
lonia, cioè  che  i  nobili  dovessero  aver  la 
la  lesta  tosala  a  guisa  di  monaci.  Il  Buo- 
narroti nelle  Osservazioni  sopra  i  vasi 
antichi  di  vetro,  parla  della  corona  di  ca- 
pelli in  uso  de'nobili  presso  i  greci  anti- 
chi,di  cui  ne  restò  vestigio  ne'tempi  bassi, 
come  costume  passato  da'greci  antichi  ne' 
roinaui,  in  occasione  dell'  impero  greco, 
osservandosi  in  alcune  medaglie  Teodo- 
sio II  il  Giovane  e  Valentiniano  HI  colla 
cima  del  capo  tosala,  e  con  una  corona  di 
capelli  al  pari  della  fronte,  e  coll'insegne 
del  consolato  ch'essi  tennero  nel  43o.Con 
lai  lòggia  di  capelli  si  vede  il  console  in- 
cognito nel  Dittico  riportato  da  Du  Can- 
ge,  e  parimenti  nel  Menologio  di  Basilio 
si  trova  dipiulocon  uncerchio  di  capelli 
s.  Eustachio  vestito  diclamide,come  quel 
lo  ch'era  di  nascita  e  di  conto  presso  i  gen- 
tili; e  da  ciò  forse  potè  procedere,  che  nelle 
pitture  de'4  Evangelisti  di  qualche  anti- 
chilàjSolo  s.  Luca  suole  essere  dipinto  colla 
corona  di  capelli, secondochè  notòilLam- 
becio;  il  che  fece  credere  al  Buonarroti, 
che  avendo  s.  Luca  esercitato  l'uffizio  di 
medico,  ed  essendo  consuetudine  de'me- 
dici  di  trattarsi  nobilmente,  talora  i  me- 
desimi avranno  costumato  quella  sorta  e 
quella  forma  di  capelliera  delle  persone 
nobili.  Già  della  tonsura  clericale  ragio- 
nai in  più  articoli,  laonde  qui  rammente- 
rò in  quali  principalmente  lo  feci,  pere- 
vitate  ripetizioni,  non  senza  aggiungervi 
ajtre  erudizioni  analoghe  e  opportune.  A 
Chierica,  dichiarato  il  vocabolo,  narrai 
della  i .  chierica  che  a'nuovi  cardinali  in- 
combeva di  fare  l'aiutante  di  camera  del 
cardinal  segretario  di  statole  più  grande 


T  O  N 
della  precedente,  colla  propina  di  scudi 
venti  che  tuttora  percepisce,  ancorché  ciò 
non  abbia  più  luogo.  IlPapa,i  vescovieal- 
tri  dignitari  della  Chiesa,  portano  la  chie- 
rica più  grande  dell'ordinaria.  A  Capelli 
dissi  che  i  sacerdoti  degli  ebrei  con  for- 
bici se  lifacevano  tagliar  ogni  i  5  giorni; 
mentre  i  Nazareni ,  i  quali  erano  come 
religiosi  tra  gli  ebrei,  dovendo  portar  la 
zazzera  o  capigliatura  lunga  sino  alle  spal- 
le, non  potevano  tagliarla  finché  non  de- 
ponevano il  nazarealo,  che  talvolta  era  a 
vita,  bruciando  i  capelli  ch'eransi  rasi  con 
ceremonia  accompagnata  da  sagrifizi.  Che 
ne'primi  tempi  del  cristianesimo  gli  eccle- 
siastici, ad  esempio  degli  Schiavi  (kit  por- 
tavano il  capo  interamente  raso  ,  coinin- 
rono  a  radersi  affine  di  mostrare  piùevi- 
dentemeute  la  servitù  spirituale,  e  con- 
servando un  cerchio  o  corona  di  capelli  al- 
l'intorno, per  significare  che  il  sacerdozio 
è  il  regno  della  Chiesa,  e  insieme  non  mo- 
strare d'imitargli  ebrei,che  al  termine  del 
nazareato  si  radevano  tutta  la  testa;  ed  an- 
cora per  non  seguire  la  superstizione  de* 
sacerdoti  d'Iside,  di  Serapidee  d'altri  nu- 
mi, i  quali  si  radevano  i  capelli  e  tutti  i 
peli  del  corpo.  Oltre  di  che  vollero  ave- 
re nella  corona  una  perenne  memoria  di 
quella  di  Spine  (nelqualearticolo  dichia- 
rai che  in  memoria  di  essa  gli  ecclesiasti- 
ci portarono  la  corona  di  capelli  sino  da' 
primi  tempi  della  Chiesa  ad  esempio  de- 
gli Apostoli),  che  fu  posta  al  Redentore, 
e  ciò  per  ubbidire  a  s.  Pietro  che  l'avea 
stabilita,  secondo  alcuno.  Che  altri  sosten- 
gono, che  s.  Pietro  mentre  predicava  l'e- 
vangelo  in  A ntiochia,  venne  tosato  per  di- 
spregio da'nemici  della  dottrina  cristia- 
na, come  si  fece  in  Roma  talora  a'filosofi 
per  ischerno.  Però  alcuni  dicono,  che  s. 
Aniceto  Papa  del  167,  impose  a' chierici 
di  dover  portare  la  chierica;  ma  si  dubita 
della  genuinità  di  tal  decreto.  Che  altri 
però  opinano,  che  cominciasse  dopo  il  V 
secolo  (l'uso  n'era  generalmente  ricevuto 
e  stabilito  nel  VII  e  Vili  secolo),  essendo 
altrimenti  un  segno  troppo  palese  nelle 


r  o  n 

persecuzioni.  Qui  rimarco  che  tra  quelli 
che  attribuiscono  a  s.  Pietro  il  principio 
della  tonsura,  vìe  il  Bernini,  Istoria  del- 
l'eresie,  dicendo  che  per  disprezzo  tosato 
con  una  rasa  corona  di  capelli  in  testa, 
tnle  ignominia  pa>sò  in  venerazione  nella 
Chiesa,  che  per  diverse  pie  considerazio- 
ni e  per  memoria  di  quella  di  s.  Pietro  se 
ne  servì  per  insegna  de'sacerdoti.  Quindi 
Simon  Mago  invidiando  ne'sacerdoti  di 
Cristo  la  tonsura,  ne  prescrisse  una  so- 
migliante a'suoi  seguaci,  nella  quale  era- 
vi  più  d'un  solco  raso  di  capelli  da  un'o- 
recchia all'altra,  per  cui  diceva  denotarsi 
il  Zodiaco.  Spiegò  poi  il  significato  di  que- 
sta corona  sacerdotale  s.  Germano  pa- 
triarca di  Costantinopoli.  Excapillorum 
significa  tione,  imaginem  refert  venerati' 
di  capitis  apostoli  Petri,  quoti,  quum 
missas  esset  ad  praedicationem  Domi' 
ni,  et  Magistri,  ei  attonsum  fuit  ab  iis, 
qui  ej'us  sermoni  non  credebant,  ut  illii- 
deretur  ab  ipsis,  eique  Magister  Chri- 
stus  benedixit,  et  infamiatti  in  honorem, 
illusionem  ingratiam  converti t.  Distinsi 
la  tonsura  de' Chierici  da  quella  de'  I/o- 
noci,  i  quali  usarono  radersi  non  solo  la 
sommità  della  testa,  ma  quasi  tutto  il  ca- 
po, a  significare  la  professione  d'una  vita 
solitaria  e  di  penitenza,  giacche  il  radere 
il  capo  fu  segno  di  mestizia  e  di  pianto. 
lu  generale  tra'cristiani  la  rasura  del  ca- 
po fu  segno  di  tristezza,  ed  a'pubblici  Pe- 
nitenti si  tagliavano  i  capelli  dal  vescovo 
o  dal  sacerdote.  I  mouacipoicol  taglio  de' 
capelli  dimostravano  la  rinuuzia  agli  or- 
namenti mondani, e  il  voto  di  soggezione 
a'superiori.  Dissi-pure  dell'uso  di  tagliar 
i  capelli  alle  Religiose.  Che  se  alcuni  ri- 
feiiscono  agli  Apostoli  l'origine  della  ton- 
sura, ciò  doversi  intendere  non  della  som- 
mità del  capo,  ma  bensì  del  precetto  de' 
capelli  tondi  e  corti,  ciò  che  essendo  al- 
lora comune  a  tutti  i  cristiani,  rimase  poi 
l'uso  solo  ne'chierici,  i  quali  furono  per- 
ciò delti  coronati,  per  tagliarsi  i  capelli 
ad  vuq  di  corona.  Per  la  corona  di  capelli 
del  Pupa  e  de' vescovi,  soleva  il  popolo  di 


TON  io3 

frequeute  pregarli  e  scongiurarli  per  ot- 
tenere alcuna  cosa  (sole vauo  i  vescovi  au- 
che  giurare  o  salutare  per  la  tonsura,  co- 
me si  ricava  da'Padri,  rammentali  dal  p. 
Bonanni),  per  coronarti  ^estratti  :  i  ve- 
scovi si  radevano  grau  partedel  capo.Par- 
lai  de'divieti  agli  ecclesiastici  di  coltivar 
la  chioma,  ordinandosi  loro  di  portarla 
corta.  I  capelli  si  solevano  mandare  a  chi 
dovea  far  da  Padrino  (anche  la  bomba  - 
ce  che  avea  tocco  l'olio  santo  nel  battesi- 
mo). La  corona  o  chierica  non  si  portava 
sulla  parte  posteriore  del  capo, com'è  sta- 
to poi  praticato,  ma  sulla  sommità,  sicco- 
me i cappuccini  la  portano  anche  presen- 
temente. Lacorona  denota  la  dignità  rea- 
le de'chierici  consagrati  a  Dio,  lo  spogliar- 
si che  fanno  delle  cose  terrestri,  la  con- 
formità che  devono  avere  con  Gesù  Cri- 
sto, e  la  perfezione  di  vita  che  loro  è  ne- 
cessaria; il  cerchio  essendo  il  segno  della 
perfezione,  giacché  è  la  figura  più  per- 
fetta. Ad  Ordine  dichiarai  che  la  tonsu- 
sa  prepara  a  ricevere  gli  ordini  sagri,  la 
quale  non  è  che  una  ceremonia  che  inizia 
il  battezzato  al  servizio  della  Chiesa,  lo  fa 
partecipe  de'  privilegi  dello  stato  eccle- 
siastico, e  lo  rende  atto  a  conseguire  i  be- 
nefizi di  chiesa,  i  quali  senza  la  tonsura 
per  goderli  occorre  la  pontificia  dispeusa, 
Ora  uoterò,che  molti  concilii  condannaro- 
no la  temerità  de'parenti  che  fanno  tonsu- 
rare i  loro  figli  solo  per  l'ambizione  e  l'a- 
vidità di  procurar  loro  un  benefizio,  sen- 
za informarsi  se  abbiano  la  vocazione  e 
le  qualità  necessarie  per  adempiere  i  do- 
veri dello  -.tato  ecelesiastico,  e  qualche  vol- 
ta perchè  sono  deformi  o  poco  atti  a  riu- 
scire nel  mondo.  Altri  coucdii  fissarono 
l'età  in  cui  si  può  ricevere  la  tonsura,  e 
nelle  diocesi  meglio  regolate  non  si  dà  pri- 
ma de'i  2  anni.  Inoltre  dissi  a  Ordine,  che 
Benedetto  XIV  dichiarò,  potere  i  cardi- 
nali subtubicari  nelle  loro  cappelle  priva- 
te (V.  Titoli  cardinalizi)  soltanto,  con- 
ferire la  tonsura  a'propri  dipendenti  e  dio- 
cesani. Che  il  Pontijicalc  richiede,  che  la 
tonsurasi  possa  dareiu  tutti  i  giorni  e  ore, 


io4  TON 

ed  in  qualunque  luogo,  non  essendo  essa 
ordine,  secondo  la  più.  comune  opinione, 
ma  preparazione  agli  ordini.  I  vescovi  po- 
terla conferire  anche  fuori  di  diocesi,  e  in 
diocesi  nel!'  episcopio  se  non  1'  ammini- 
strano in  chiesa  colle  altre  ordinazioni. Che 
Gregorio  XV  decretò,  niuno  nel  regno  di 
Napoli  si  ammettesse  alla  tonsura  e  ordi- 
ni minori,  se  prima  non  fosse  stato  denun- 
ziato al  popolo  colle  pubblicazioni  del  par- 
roco in  chiesa.  Notai  a  Poitiers,  che  nel 
concilio  del  i  100  fu  ordinato,  per  la  ton- 
sura non  si  esigessero  né  forbici  e  né  to- 
vaglie, da'vescovi  e  dagli  abbati.  A  Ordi- 
nazioni riportai  la  prescrizione  di  Grego- 
rio XVI,  che  qualunque  estero  volesse  or- 
dinarsi in  Ronia,  sottoscrivesse  prima  la 
forinola  da  lui  prescritta.  Qui  aggiungo 
col  p.  Plettemberg,  Nottua  Curine  Ro- 
manae, essere  consuetudine  in  Roma  che 
il  cardinal  Vicario  conferisce  agli  este- 
ri la  prima  tonsura  e  gli  altri  ordini,  an- 
che senza  le  lettere  dimissorie  de'propri 
ordinari,  usando  però  le  convenienti  in- 
dagini sull'idoneità  dell'ordinando.  A  Sa- 
CERDoziOjparlaudoinfinedellasconsagra- 
zione,  riportai  il  rito  col  quale  il  vescovo 
al  degradato  incomincia  colle  forbici  a  to- 
sargli! capelli, opei azione  indi  proseguita 
da  un  laico,  onde  agguagliarli  tutti  alla 
corona  o  chierica,  ossia  tonsura,  affinchè 
questa  del  tutto  sparisca;  mentre  il  vesco- 
vo gli  dice:  Facciamo  disparirti  dalla 
testa  la  reale  insegna  del  sacerdozio, 
ch'è  la  corona.  Nell'articolo  Parrucca, 
zazzera  o  chioma  finta,  rimarcai  che  per 
j  6  secoli  cristiani  non  si  parlò  di  parruc- 
che pegli  uomini,  i  quali  cominciarono  a 
usarle  verso  il  1629  in  Francia,  secondo 
Thiers,  altri  dicendole  già  introdotte  in  I- 
talia.  Nelle  due  regioni,  circa  il  1 660,  l'a- 
dottò qualche  ecclesiastico,  e  pel  1  ."Rivie- 
re morto  vescovo  di  Langres;e  presto  se  ne 
fece  uso  con  eccesso  da'prelati  ed  ecclesia- 
stici, anche  regolari,  con  fìnte  chieriche. 
Siffatto  abuso  fu  frenato  da'vescovi,  dai 
capitoli  e  dalle  congregazioni  religiose, 
perchè  già  proibito  da'ss.  canoni,  la  chiu- 


TO  N 

ma  finta  escludendo  la  tonsura  o  rasu- 
ra vera.  Venne  sentenziata  la  scomuni- 
ca contro  gli  ecclesiastici  secolari  e  rego- 
lari, che  portassero  parrucche,  comechè 
sempre  riprovatedalla  Chiesa,  sia  da'Papi 
che  da'concilii  e  sinodi.  Clemente  XI  le 
proibì,  e  Benedetto  XIII  vieppiù  rigoro- 
samente anche  a'cardiuali,  sebbene  alcu- 
ni l'usassero  per  salute,  non  per  ornamen- 
to. Clemente  XI 1  fu  più  indulgente,  e  Be- 
nedetto XIV  ne  regolò  l'uso, dichiarando 
i  casi  per  concedersi  la  licenza.  Niun  Pa- 
pa usò  mai  parrucca,  e  il  cardinal  Bra- 
schi  appena  divenuto  Pio  VI  la  depose,  e 
poi  comandò  l'uso  della  cipria  a'  capelli 
per  politezza.  Ciò  rilevasi  anche  dal  can. 
Nardi,  Lettera  sopra  lo  specchio  e pet~ 
tini  degli  antichi  cristiani,  dicendo  che 
Pio  VI  vedendo  che  s'  introduceva  una 
certa  spiacevole  luridezza  di  lesta  negli 
ecclesiastici,  con  sue  lettere  commendò 
l'uso  d'un  poco  di  polvere  bianca  sul  ca- 
po ad  tergendas  sordes,  ed  egli  ne  diede 
l'esempiocol  sagro  collegio  e  prelatura. Ri- 
marca inoltre  che  in  Francia,  la  polvere 
sul  capo  è  segno  di  posatezza  e  d'antichità 
di  costume  e  di  pensare,per  cui  egli  la  vide 
restata  a'nostri  giorni  a  qualche  vecchio- 
neea'preli,ed  un  tempo  chi  non  la  porta- 
va avrebbe  scandalezzato  e  sarebbe  stato 
tenuto  seguace  della  moda.  Avverte  il 
Thiers,  Istoria  delle  parrucche,  che  il 
teologo  della  Sorbona  Chamillard  nel  suo 
trattato,  De  corona,  tonsura,  et  hahitu 
clericoruììi,  raccolse  un  grandissimo  nu- 
mero di  canoni  contro  le  parrucche,  come 
in  opposizione  a'  decreti  de'canoni  della 
Chiesa  circa  alla  corona  e  tonsura  clericale 
cheriunìin  ^articoli;  fra'qualiche  le  coro- 
ne o  tonsure  non  debbono  esser  finte  di  te- 
la,di  raso  odi  pelle,  piuttosto  teatrali  che 
clericali.  A  Pettine  dissi,  come  nelle  sa- 
grestie furono  collocati  pettini  e  Specchi 
(P.),per  assestarsi  dagli  ecclesiastici  i  ca- 
pelli e  la  barba,  per  decenza,  prima  d'an- 
dare a  celebrare.  V.  Berrettino  cleri- 
cale. Finalmente  osservai  a  Barba,  che 
uc'teojpiincuisi  usava da'ehierici  la  bar- 


TON 

ba  soltanto  tondata,  prima  che  i  giovani 
si  ammettessero  agli  ordini  minori,  si  co- 
stumava benedirla  solennemente  e  poi 
fondarla,  col  rito  esistente  nel  Pontifica' 
le  Romanum.  Anche  areligiosi  novizi  ve- 
niva benedetta.  I  nuovi  vescovi  si  benedi- 
vano la  barba  prima  di  fondarla.  Inoltre 
riprodussi  le  proibizioni  agli  ecclesiastici, 
di  nudrire  la  barba  con  arte. Osserva  ilSar- 
nelli,che  se  la  tonsura  o  rasura  della  bar- 
ba è  vietata  nella  s.  Scrittura,  perchè  des- 
sa  e  quella  della  testa  praticavasi  da'sa- 
cerdoti  idolatri,  in  altri  luoghi  della  me- 
desima non  si  proibisce  agli  uomini  il 
radersi  i  capelli  e  la  barba,  ma  si  loda  e 
talora  comanda  in  occasione  di  gran  dolo- 
re, come  dimostrano  molti  [tassi  de'  pro- 
felilsaia, Geremia  ed  Ezechiele.  E  siccome 
la  tonsura  della  barba  è  universalmente 
comandata  a 'chierici  latini,  mentre  nella 
primitiva  Chiesa  i  chierici  si  conformaro- 
no al  costume  generale  de'luoghi  come  in 
oriente,  ove  non  radevasi,  tuttavolla  tro- 
vasi anche  vietata  in  alcuni  tempi,  sem- 
brando la  rasura  troppa  delicatezza. 

Il  Magri,  Notizia  de  vocaboli  ecclesia- 
stici,  verbo  Tonsura,  riferisce  di  essere 
tradizione  apostolica,  secondo  Papa  s.  A- 

<  niceto,  scrivendo  a' vescovi  di  Francia,  il 
radersi  gli  ecclesiastici  il  capo  in  forma  di 
corona,  per  significar  la  corona  di  spine 
del  Redentore,come  notò  Beda,  Ilist.  An- 

■  glie.  cap.  22;  l'istesso  avendo  conferma- 
tos.  Germano  di  Costantinopoli:  Raditur 
caput  medium  in  gyrum,  ut  ea  corona 
sit  prò  corona  Chris  ti j  ovvero  per  deno- 
tare il  regio  grado  del  sacerdote,  al  dire 
dis.  Isidoro,  De  Instruct.  Clcr.  Iib.  2,  cap. 
1.  Moralmente  significa  che  gli  ecclesia- 
stici devono  rigettare  i  pensieri  super- 
flui ,  secondo  s.  Gregorio  I  in  Moralib., 
perchè  i  capelli  sono  simbolo  de'pensieri. 
Dice  s.  Dionigi  l'Areopagita,  De  Eccles. 
Hierarc,  cap.  6, che  la  tonsura  clericale 

'  denota  la  vita  pura  e  lontana  dalle  fin- 
zioni. Si  tosano  dunque  i  capelli,  ne  ere- 
scendo oculos  iinpediant.  Durando  lib.  1 , 
cap.  1,  acciocché  i  soverchi  pensieri  nou 


TON  ioj 

offuschino  la  vista  spirituale  delle  cose  e- 
terne.  Alcuni  sono  di  parere  che  si  faccia 
in  memoria  dell'ignomiuia  fatta  a  s.  Pie- 
tro, il  quale  fu  per  beffa  raso  in  Antiochia. 
Sia  come  si  voglia,  dichiara  Magri,  certa 
cosa  è,  essere  segno  d'onore  e  dignità,  on- 
de i  vescovi  e  i  cardinali  la  portano  mag- 
giore degli  altri,  e  i  Papi  per  molli  secoli 
e  sino  a  tutto  il  XVII  portarono  la  coro- 
na all'uso  de'monaci  benedettini,  raden- 
dosi tutto  il  capo  con  lasciare  un  piccolo 
giro  di  capelli,  la  qual  forma  è  antichissi- 
ma, come  accenna  il  g.°  concilio  di  Tole- 
do col  can.  4°:  Ornnes  clerici,  vel  ledo- 
resy  sicut  levitae.  et  sacerdotes  detonso 
superius  capite  toto,  inferiti»  solimi  cir- 
cuiicoronata  rclinquant.Noievò,c\ie  for- 
se da  tal  rasura  del  capo,  i  Papi  cuopri- 
vano  la  testa  col  Camauro  (V.), e  sebbe- 
ne nel  secolo  decorso  pare  cessata  l'ampia 
tonsura  e  sostituita  la  grande  chierica,  pu- 
re continuarono  a  far  uso  di  tal  berrettino, 
però  nel  corrente  rare  volte  costumato.  11 
Magri  che  morì  nel  1672,  in  proposito  del- 
l'ampiezza  dell'antica  tonsura  esclama. 
»  Ma  die  diremo  de'  sacerdoti  moderni, 
li  quali  si  vergognano  di  portare  in  capo 
un  contrasseguo  cotanto  glorioso,  ovvero 
portano  la  corona  tanto  piccola,  che  ap- 
pena si  vede?  Il  tutto  manifesta  la  loro  va- 
nità e  superbia.  Infelice  augurio  era  sti- 
mato da'gentili,  se  cadeva  la  corona  dal 
capo  del  sagrificantej  così  indizio  di  po- 
co spirito  è  il  vedere  sugli  altari  li  sacer- 
doti sagrificanti  senza  la  corona  clerica- 
le. Costoro  poca  speranza  avranno  di  con- 
seguire il  celeste  regno  di  Cristo,  mentre 
si  sono  così  poco  curati  di  portare  il  con- 
trasseguo d'essere  annoverati  tra'regi  del- 
la Chiesa  santa,  che  sono  i  sacerdoti.  Pian- 
ge colai  pazzia  il  ven.  Beda  con  queste  pa- 
role. Quosdam  clericos  corona  caput at- 
tonsuni  gestare  pudet,  quae  ipsus  passio- 
ni s  signum  est.  Si  vergognano  delle  glo- 
riose ignominie  del  Salvatore".  I  greci,  ol- 
tre la  corona,  sogliono  anche  nudrir  la 
chioma  all'  uso  de'  nazareni,  per  imitar 
Cristo  e  i  suoi  apostoli.  Questo  costume 


ioti  TON 

non  pare  essere  stato  antico  nellaChiesa, 
nella  quale  gli  ecclesiastici  non  portavano 
la  chioma  a  tempo  di  s.  Gregorio  Nazian- 
zeno,  il  (piale  raccontando  l'usurpazione 
della  cattedra  di  Costantinopoli  fatta  da 
Massimo  fdosofo,  dice  che  i  vescovi  suoi 
aderenti  gli  tagliarono  la  cinica  chioma  e 
l'ordinarono  vescovo.  Ciò  si  conferma  con 
l'avvenuto  a  Teodoro  di  Tarso  eruditis- 
simo, che  eletto  da  Papa  s.  Vitaliano  ar- 
civescovoin  Inghilterra  e  suo  vicario,  dif- 
ferì per  4  mesi  la  sua  ordinazione,  finché 
gli  crescesse  la  chioma  per  fare  la  corona, 
poiché  avea  la  tonsura  all'uso  degli  orien- 
tali di  S.  Paolo.  Dal   riferito  si   raccoglie 
dunque,  che  piuttosto  in  occidente  costu- 
massero gli  ecclesiastici  portare  la  chioma. 
Qnal  fosse  poi  la  tonsura  di  s.  Paolo,  pen- 
sa il  Magri  che  sia  stata  quella  a  suo  tem- 
po usata  da'maroniti,  i  cui  sacerdoti  si  ra- 
dono il  capo  a  usanza  de'religiosi  latini, 
lanciando  però  un  giro  di  capelli  in  cima 
più  piccolo  dell'usato  da'rnonaci.  Alcuni 
sacerdoti  cristiani  nell'oriente  radevano  il 
capo  in  mauiera  tale  che  venivano  a  for- 
mar la  croce;  e  vivente  il  Magri  l'arcive- 
scovo di  Cranganoi  jde'cristiani  di  s".  Tom- 
maso nell'Indie  orientali,  portava  ia  ton- 
sura in  forma  di  croce. Narra  poi,che  il  mal- 
vagio Simon  Mago  avea  inventato  una 
stravagante  tonsura  usata  da'suoi  disce- 
poli, i  (piali  si  radevano  il  capo  da  un'o- 
recchia all'altra,  lasciando  un  solco  o  li- 
nea, che  dicevano  significare  la  fascia  del 
zodiaco,  essendo  la  loro  testa  tenuta  da 
essi  simbolo  del  gloho  celeste.  Ne'tempi  di 
s.Girolamoe  di  s.  Ambrogio,  come  si  rac- 
coglie da'loro  scritti,  i  chierici  non  si  ra- 
devano il  capo,  ma  si  tosavano  basso  in 
maniera  tale,  che  non  'scoprivano  la  co- 
lemia o  pelle,  forse  per  non  somigliare  ai 
sacerdoti  pagani.  I  giorgiani  lutti  portava- 
no la  tonsura  in  capo,  cioè  i  laici  in  figu- 
ra quadra  e  i  chierici   tonda.  La  corona 
clericale  fu  detta  anche  Carrara,  Peti .  A  u  • 
tioch.,  Episi,  ad  Cenila n.:  Et  nos  Ghar- 
raram  in  capite  facimus    in  honorem 
omnino  Principis  Apostolorum,  super 


T  O  iX 

quem  Dei  magna  Ecclesia   aedi  fica  (a 
estj  quod  enim  impii  ad  Sanctum  dif~ 
famandum  exeogitarunt,  id  nos  pie  fa- 
cientes  in  gloriarli  illius  agimus.  I  mao- 
mettani e  alcuni  cristiani  orientali  si  ra- 
dono spesso  tutta  la  testa,  lasciando  so- 
lamente nel  mezzo  del  vertice  un  fiocco 
di  capelli,  sebbene  i  cristiani  scrupolosi  noi 
portano,  dubitando  che  sia  un  contrasse- 
gno del  maomettismo.  Questo  modo  di  ra- 
dere la  testasi  praticava  nell'Africa  a  tem- 
po di  Tertulliano,  il  quale  scrive:  luxta 
ruteni  tonsor,  et  cultri  vertex  iinmunis. 
Apprendo  pure  dal  Magri,  che  nel  Sagra- 
mentario  di  s.  Gregorio  I  si  legge  un'o- 
razione col  titolo:  Ad  Capillaturam,  la 
quale  per  divozionesi  recitava  sopra  i  fan- 
ciulli «piando  si  tosavano  la  [/volta,  cere- 
monia  diversa  dalla  tonsura  clericale.  Do- 
po segue  un'altra  orazione:  Ad  barbas 
tondendas,  la  quale  si  recitava  sui  giova- 
ni quando  lai. "volta  si  tosavano  la  bar- 
ba. Ora  riporterò  un  sunto  del  p.  Char- 
don,  Storia  de' Sacramenti,  t.  3,  lib.i, 
cap.3i  Della  Tonsura  Clericale.  Delhi 
sua  antichità,  e  delle  sue  figure  in  di- 
versi luoghi  e  tempi.  Che  anticamente 
non  si  dava  separata  dagli  ordini.  Quan- 
do siasi  cominciato.  Il  j>.  Chardon  inco- 
mincia con  riferire  il  seguente  brano  di 
Fleury,  Instit.au Droit  Canonia. Ne1 pvw 
mi  secoli  non  v'era  distinzione  veruna  fra 
i  chierici  e  i  laici  quanto  a'capelli,  allibi- 
to e  a  tutto  l'esterno.  Sarebbe  stato  un 
esporsi  senza  necessità  alla   persecuzione* 
che  vieppiù  infieriva  contro  gli  ecclesia- 
stici, e  inoltre  i  fedeli  erano  tutti  compo- 
sti nell'esteriore  come  se  fossero  stali  chie- 
rici. Dopo  rimasta  I.»  Chiesa  in  libertà,  nei 
primi  del  IV  secolo,  i  chierici  mantenne- 
ro l'ordinario  vestire  de'romani,  eh'  era 
lungo  co'  capelli  corti  e  la  barba  rasa.  I 
barbari  che  disti  ussero  l'impero  romano, 
tutto  all'opposto  aveano  gli  iibiti  corli  e 
serrati,  i  capelli  lunghi,  alcuni  senza  bar- 
ba e  altri  con  barba  lunghissima.  1  roma- 
ni abbonivano  tal  vestito;  e siocoroe quan- 
do i  barbari  si  slabilirouo  ueluoghi  con- 


TON 
quistati,  tutti  i  chierici  erano  romani,  co- 
sì conservarono  diligentemente  il  loro  ve- 
stire, che  divenne  poi  abito  clericale,  di- 
modoché quando  i  franchi  e  altri  barba- 
ri divenuti  cristiani  entravano  nel  elevo, 
si  facevano  tagliar  i  capelli  e  prendevano 
vesti  lunghe.  Circa  quel  tempo  molti  ve- 
scovi e  chierici  assunsero  l'abito  che  al- 
lora solevano  portare  i  monaci,  come  più 
conforme  alla  modestia  cristiana,  e  quin- 
di per  quanto  si  crede  derivò  la  corona 
clericale  da'monaci  che  si  facevano  rade- 
re sopra  la  fronte  per  rendersi  disprege- 
voli. Quindi  osserva  il  p.  Chardon,  che  il 
portar  la  testa  rasa  era  cosa  ignominiosa, 
qual  segno  di  schiavitù  fra  gli  antichi  gre- 
ci e  romani;  laonde  si  tosava  alcuno  per 
beffa  e  vituperio.  Pertanto  i  primi  cristia- 
ni e  specialmente  i  chierici  ambivano  di 
farsi  tosare,  per  rendersi  dispregevoli;  e 
per  togliere  l'occasione  de'v3ni  acconcia- 
menti de'  mondani  per  la  capigliatura, 
portavano  i  capelli  cortissimi.  Finite  le 
persecuzioni,  non  mantenendo  la  più  par- 
te de'cristiani  l'antiea  severità,  le  perso- 
ne pie  si  distinsero  dall'altre  pel  dispre- 
gio alle  chiome;  e  siccome  gli  ecclesiasti- 
ci erano  i  più  perfetti,  non  v'  ha  dubbio 
che  portassero  i  capelli  tosati  in  dispregio 
della  vanità.  Ciò  fj  intendere  s.  Grego- 
rio .Xazianzenoallorchè  rimprovera  alcu- 
ni, che  per  entrar  nella  carica  pastorale 
altra  disposizione  non  recavano,  che  quel- 
la di  tagliar  la  chioma,  al  cui  acconcia- 
mento erano  stati  fin  allora  applicati.  O- 
treio  vescovo  di  Melitene  fiorito  nel  de- 
clinar del  secolo  IV  ,  avendo  battezzato 
s.  Eutimio,  gli  tagliò  i  capelli  e  lo  mise 
nel  numero  de'lettori.  Ciò  dimostra  che 
la  tonsura  clericale  è  molto  antica.  Ma  nei 
quattro  o  cinque  primi  secoli  della  Chie- 
sa, ella  era  piuttosto  una  dimostrazione 
di  modestia  e  di  disprezzodelle  vanità  se- 
colari, che  un  segno  di  distinzione  de'mi- 
nistri  sagri  dall'altre  persone  pie.  Cono- 
scendo s.  Girolamo  le  costumanze  delle 
chiese  d'occideute  e  d'oriente,  rende  testi- 
monianza della  mediocrità  raccomunda- 


TON  107 

ta  a'ehierici  in  tal  punto,  cioè  che  non  col- 
tivassero! capelli  vanamente, né  gli  taglias- 
sero troppo  bassi  per  non  a  (fetta  re  di  ren- 
dersi osservabili,  dovendosi  tosare  in  mo- 
do che  non  si  vedesse  la  pelle.  Avea  già 
il  4-°  concilio  di  Cartagine  ordinato:  Clc- 
ricus  nec  comam  nutriat,  nec  barba/ti.  I 
monaci  non  si  riputarono  obbligati  a  sta- 
re in  questa  mediocrità,  molti  di  loro  per 
attirarsi  il  dispregio  si  radevano  intera- 
mente la  testa,  0  si  lasciavano  crescere  ec- 
cessivamente i  capelli  e  la  barba.  Benché 
il  loro  stato  di  solitudine  potesse  scusare 
ciò  che  sarebbe  stalo  biasimevole  negli 
altri  ecclesiastici,  che  doveano  nel  mondo 
convivere,  nondimeno  s.  Girolamo  stesso, 
ch'era  monaco,  non  approvava  queste  sin- 
goIarità.Nel  principio  del  secolo  VI  i  chie- 
rici cominciarono  non  solo  a  portar  ton- 
sura più  visibile,  ma  ancora  a  tosarsi  iq 
circolo  o  in  forma  di  corona.  Verso  la  me- 
tà di  detto  secolo,  Magnerio  vescovo  di 
Treveri  facendo  la  visita  di  sua  diocesi, 
avendo  inteso  in  Carignano  la  virtù  e  il 
merito  di  s.  Gery ,  che  nel  58o  circa  fu 
vescovo  di  Catnbray,  gli  die  colle  proprie 
mani  la  tonsura  clericale, orando  per  lui, 
e  ornatolo  della  corona  reale  e  sacerdo- 
tale, il  consagrò  per  sempre  al  servizio  di- 
vino. Prova  la  medesima  usanza  della 
corona  ne'chierici  in  detto  tempo,  la  de- 
scrizione fatta  da  s.  Gregorio  Turonese 
della  nascita  colla  chierica  di  s.  Niceta  ve- 
scovo di  Treveri. »S.  Niceta  fu  destiti  ito 
chierico  dal  suo  nascere,  poiché  quando 
venne  alla  luce,  tutta  la  testa  avea  senza 
pelo,  com'è  solito  de'bamboli  nascenti, ma 
avea  un  cerchietto  di  piccoli  capelli  simi- 
le alla  Corona  Clericale'.  Anche  Sido- 
nio  Apollinare,  parlando  di  Germanico 
vescovo,  dice  che  avea  l'abito  stretto  e  i 
capelli  tagliati  in  circolo.  Questa  tonsura 
era  più  grande  dell'odierna,  ed  era  più 
simile  a  quella  de'frati,  che  de'preli,  oc- 
cupando tutto  l'alto  della  testa,  e  termi- 
nandosi con  un  circolo  di  capelli.il  4°  con- 
cilio di  Toledo  ordinò  che  i  chierici  sieno 
tonsurati,  cos\  lettori,  diacoui  e  sacerdo- 


io8  TON 

ti,  cioè  tosati  nella  parte  superiore  della 
testa,  lasciando  di  sotto  una  corona;  e  non 
come  usavano  i  lettori  di  Galizia,  die  a- 
veano  capelli  lunghi  come  i  laici,  e  porta- 
vano tosato  un  piccolo  cerchietto  sul  ca- 
po, poiché  in  tal  modo  aveano  usato  ton- 
surarsi gli  eretici.  Il  concilio  d'Aquisgra- 
na  e  s.  Isidoro  di  Siviglia  raccomandaro- 
no la  stessa  figura,  e  molli  altri  già  ne  fa- 
cevano una  stretta  obbligazione.  Anche 
il  p.  Chardon  dice  che  alcuni  sostengo- 
no ch'ella  dovea  esser  tale,  per  rappresen- 
tar la  corona  di  spine  del  Salvatore;  al- 
tri che  indicasse  il  reame  e  il  sacerdozio, 
perchè  i  re  portavano  in  capo  un  cerchio 
d'oro,  e  i  sacerdoti  dell'  antica  legge  una 
tiara;  altri  insegnano  essere  segnale  d'im- 
pero, con  cui  i  chierici  doveano  regnar  sul- 
le proprie  passioni,  e  che  questa  taglia- 
tuia  di  capelli  significava  il  taglio  de'de- 
siderii  illeciti. Gli  autori  ecclesiastici  poste- 
riori all'Vin  secolo  pai  lauo  spesso  e  am- 
piamente di  tali  significati  della  tonsura 
chiericale,e  3  figure  ne  distinguono  usate 
allora- in  vari  paesi.  Lai/ è  la  descritta, 
che  chiamavano  tonsura  di  s.  Pietro.  La 
2."  quella  de'monaci  orientali,  che  si  face- 
vano tosar  tutta  la  testa  senza  lasciar  cir- 
colo, e  chiamavasi  tonsura  di  s.  Paolo.  Gli 
antichi  bretoni  ritirati  nel  paese  di  Gal- 
les, nell'Irlanda  e  nella  Scozia, aveano  una 
diversa  tonsura  e  non  portavano  la  coro- 
na intera,  ma  solamente  un  semicircalo 
sulla  fronte  raso  da  uu'orecchia  all'altra, 
e  la  parte  posteriore  del  capo  era  coperta 
di  capelli.dimodochèsomigliavanoa  quel- 
li che  sono  naturalmenti  calvi.  Assai  vi 
volle  per  renderli  in  tal  punto  uniformi, 
e  si  trattò  di  tal  altare,  come  di  punto  ca- 
pitale, da'conciliijda're  e  da'vescovi. Gl'in- 
glesi per  derisione  attribuivano  la  tonsura 
degli  scozzesi  a  Simon  Mago,  chiamando 
la  propria  di  s.  Pietro.  Le  dispute  passa- 
rono sino  in  Francia,  ove  si  procede  con- 
tro s.  Colombano  e  i  suoi  discepoli,  ch'e- 
rano tonsurati  come  i  bretoni. Dall'anti- 
che pitture  si  scorge  che  la  tonsura  roton- 
da si  mantenne  lungo  tempo  nelle  chiese 


TON 

di  Francia,  e  il  p.  Chardon  ne  ricorda  i 
monumenti,  e i  decreti  vescovili  che  l'im- 
posero, l'ultimo  essendo  deh  638  di  mg.r 
Solminiac  vescovo  di  Cahors.  »  Gli  eccle- 
siastici portino  la  tonsura  larga  eapparen- 
te, ciascuno  secondo  il  proprio  ordiue,  e 
portino  piccoli  collarini,  il  capello  corto 
e  le  orecchie  scoperte."  Anticamente,  co- 
ni' anche  adesso  ,  nelle  chiese  orientali 
non  si  separava  la  tonsura  dagli  ordini. 
Non  si  conoscevano  ecclesiastici  di  prima 
tonsura,  che  sono  sì  comuni  tra  noi,  e  spe- 
cialmente in  Francia,  ove  la  tonsura  è  un 
sufficiente  titolo  per  possedere  i  più  ric- 
chi benefizi,  almeno  ne'decorsi  tempi.  La 
tonsura  era  una  parte  delleceremonie  del 
conferimento  degli  ordini,  di  che  sono  te- 
stimoni tutti  gli  Eucologi  antichi  e  mo- 
derni, come  può  vedersi  nel  p.  Morin.  Essi 
dicono:  »»  Si  tosa  in  forma  di  croce  quegli 
che  si  ordina  lettore,  e  il  vescovogl'impone 
le  mani."Quest'usanza che  anticamente  e- 
ra  anche  nostra,  è  attestata  da  moltissimi 
scrittori  delle  due  chiese,e  usa  vasi  eziandio 
di  far  lettori  i  piccoli  fanciulli.  Papa  s.  Si- 
ricio  del  385  decretò:  Chiunque  vuol  de- 
dicarsi al  servigio  della  Chiesa  deve  rice- 
vere il  battesimo,  ed  esser  fatto  lettore  in- 
nanzi 1'  età  della  pubertà.  Anticamente 
tanto  era  lungi,  che  si  riputasse  chierico 
chi  non  avea  ordini,  che  anzi  nacque  dub- 
bio se  dovessero  contarsi  nel  clero  quelli 
che  aveano  i  soli  minori.  A  favor  loro  pe- 
rò decise  il  3.°  concilio  di  Cartagine.  La 
tonsura  vieneconsiderata  da  s.  Isidoroco- 
me  unita  agli  ordini,  e  propria  di  quelli 
che  sono  consagrati  al  culto  di  Dio;  e  chia- 
ma chierici  que'che  sono  ordinali  in  qual- 
che grado  ecclesiastico.  La  tonsurasi  co- 
minciò nella  chiesa  latina  a  darsi  separa- 
tamente dagli  ordini,  forse  nel  finire  del 
secolo  VII,  in  occasione  che  molte  buo- 
ne persone  offrivano  i  loro  figli  alla  Chie- 
sa, e  pregavano  i  vescovi  ad  aver  cura  di 
loro  educazione;  il  che  i  vescovi  fecero  vo- 
lonlieri,  considerando  quella  gioventù  co- 
me un  seminario  proprio  a  dar  soggetti 
degni  degli  ecclesiastici  impieghi.  Li  fa- 


T  O  N 

«vano  allevare  con  diligenza,  davano  lo- 
ro per  maestro  un  vecchio,  che  d'ordina- 
rio era  l'arcidiacono,  gli  tenevano  nel  ve- 
scovato, e  gli  facevano  vivere  in  gran  di- 
sciplina. Ovvero  li  raccomandavano  ne' 
Monasteri  (/ .)  a1 monaci  di  carità  e  ta- 
lentosperimentati,e  siccome  molti  di  que- 
sti fanciulli  per  la  troppa  tenera  età  non 

;  potevano  supplire  ad  alcun  ministero,  così 
non  lasciavanodi  tonsurarli  in  segno  della 

1  loro  consagrazione  aDio,e  davano  loro  l'a- 
bito clericale,  acciocché  i  loro  genitori  non 

'    li  ritiiasserodal  divin  servigio.  Ecco  lafor- 

;  mola  del  conferir  la  tonsura  verso  il  I X  se- 
colo, ossia  YOratio  adpuerwn  tonsuran- 
duin,  cavata  da  un  Ordine  romano:  »  Si- 
gnor Gesù  Cristo,  che  siete  Capo  nostro, e 
Corona  di  tutti  i  Santi,  rimirale  sopra  la 
fanciullezza  del  vostro sevvoN., ec.su per  in- 
fantìa famuli  tiri etc."E questa  senza  dub- 
bio,  dice  il  p.  Chardon  col  p.  Morino,  De 
Sanctor.  Ord.,  l'origine  della  separazio- 
ne della  tonsura  dagli  ordini.  Il  p.  Mabil- 
lon  pretende  che  sia  più  antica,  e  ne  reca 
in  prova  tra  le  altre,  che  Paolo  vescovo 
di  Merida,  fiorito  nel  VII  secolo,  ordinò 
che  si  tonsurasse  Fedele  suo  nipote,  indi 
facendolo  passare  per  tutti  i  gradi  lo  isti- 
tuì diacono.  Aggiunge  perciò  il  p.  Mabil- 
loi),  quantunque  vero  sia  il  dire,  che  sul 
fine  del  VI  secolo  la  tonsura  d'ordinario 
si  dava  assiemeco'primiordini,egli  è  certo 
tuttavia  che  in  quel  tempo  ricever  la  ton- 
sura e  divenir  chierico  era  lo  stesso;  ou- 
d'è  che  i  monaci  erano  reputati  chierici 
a  cagione  della  tonsura,  che  riceveanoper 
mano  de'loro  abbati.  Dimostra  inoltre  il 
p.  Mabillon,  che  fino  al  secolo  X  i  sem- 
plici sacerdoti  davano  la  tonsura  clerica- 
le, e  reca  ancora  più  d'un  esempio  di  lai- 
ci, che  la  dierono  ad  altri  laici,  e  i  quali 
perciò  divennero  chierici,  ne'secoli  infeli- 
ci cioè,  ne'qualiper  entrar  nel  clero  ba- 
stava saper  leggere  e  scrivere,  ed  un  let- 
tore doveainteudereciò  che  leggeva,  men- 
tre un  sacerdote  dovea  esser  cap;ice  d'in- 
segnare. Molto  tempo  dopo  si  cominciò  a 
fare  per  gli  adulti  ciocché  facevasi  pe'soli 


TON  109 

fanciulli.specialmente  allorquando  essen- 
do i  vescovi  divenuti  giudici  di  quasi  tutti 
gl'interessi  civili  e  criminali  de' chierici, 
o  per  se  o  per  mezzo  de'loro  uffiziali,  piac- 
que loro  accrescere  il  numero  di  que'che 
dipendevano  da  loro  immediatamente. 
Gran  quantità  di  gente  pigliava  allora  la 
tonsura  per  godere  de'privilegi  del  clero, 
quali  erano  di  portar  le  loro  cause  al  giu- 
dice ecclesiastico,  di  non  poter  esser  tratti 
al  tribunal  secolare  per  qualsivoglia  de- 
litto, e  di  non  poter  essere  battuti  senza 
scomunica  degli  offensori,  d'  esser  esenti 
da  taglie  o  imposizioni,  ec.  Questi  privi- 
legiaveano  talmente  aumentato  il  nume- 
ro de'chierici,  che  molti  maritali,  i  quali 
in  nulla  distinguevansi  dagli  altri  laici , 
portavano  il  nome  di  chierici  coniugati. 
Si  trova  un  accordo  fatto  tra  la  comunità 
di  Meaux  e  i  chierici  coniugati,  pel  quale 
questi  sono  esenti  dal  pagare  le  taglie,  ma 
non  già  le  loro  mogli.  Si  levarono  poi  que- 
sti privilegi,  il  che  fece  disparire  dapper- 
tutto questi  chierici  coniugati,  e  special- 
mente in  Francia. 

Il  p.  Bonnani ,  La  Gerarchia  eccle- 
siastica, cap.  34  :  Della  tonsura  cleri- 
cale, la  dice  altro  contrassegno  dell'ordi- 
ne, il  r.°  essendola  veste  clericale,dappoi- 
chèil  concilio  di  Trento  definì:  »  Non  so- 
limi coronam,  secl  tonsura,  sine  habitu, 
sed  computative  requiritur  utrumqiu.'" 
E  l'ultimo  concilio  d'Aquileia  dichiarò  : 
«  Habitum  clericalem  declaramus  cimi 
esse,  qui  veste  talari,  et  tonsura  con- 
statj  si  ex  duobus  alterimi  deficit,  dici- 
mus  clericalem  habitum  integrimi  non 
esse"D\  questo  segno  dell'ordine  clericale 
invidiosi  gli  erelici,procuraronodi  toglier- 
lo dalla  gerarchia  ecclesiastica  e  Io  pose- 
ro in  derisione,  principalmente  i  valdesi; 
e  poi  l'empio  Wicleff,  il  quale  anche  alle 
donne  attribuiva  l'uffizio  del  sacerdote,  e 
perchè  fossero  i  suoi  discepoli  derisi  li  fa- 
ceva comparire  rasi  in  capo.  Dipoi  Lutero 
nel  libro,  De  instiluendis  Ecclesiac,  bef- 
feggiò e  schernì  acremente  i  chierici  per 
porlare  la  tonsura.  Ma  quanto  s'ingan- 


no  TON 

nassero  questi  furiosi  nemici  della  chiesa 
cattolica,  in  condannare  i  segni  della  stin- 
tila clericale,  impugnandoli  contro  l'anti- 
ca autorità  e  uso  praticalo  da  lutti  i  cat- 
tolici colla  sagra  tonsura,  lo  dimostrò  il 
p.  Bulinimi,  celebrandone  l'antichità  usa- 
ta dalla  Chiesa  sino  dal  tempo  degli  Apo- 
stoli, benché  confessa  ignorarsene  il  pre- 
ciso principio;  aggiungendo  sull'antico  e 
misterioso  uso  della  tonsura  la  testimo- 
nianza di  s.  Gregorio  di  Tours,  De  gloria 
Martyrum,  lib.  i ,  cap.  28,  e  dicendo  che 
s.  Pietro  siccome  costituito  capo  e  guida 
della  chiesa  nasceute,  ad humiliiatcmdo  ■ 
cendant  caput  desuper  tonderi  instituitj 
e  ciò  fece  ancora  ,  secondo  Alcuino,  Di- 
Tonsura  clericali,  ad simili tudinem  spi- 
nac coronae Domini.  Il  vescovo  Saussay, 
De  Panoplia  clcricalis  seu  de  clcrico- 
rurn  tonsura  et  habitu,  espose  un'imma 
gine  dis.  Pietro  antichissima,  e  dal  p.  Bo- 
nanni  riprodotta  a  p.  1  34,  io  cui  dice  egli 
si  vede  l'Apostolo  uon  calvo,  ma  tosato 
nella  cima  del  capo  circolarmente.  Dal- 
l'esempio di  s.  Pietro,  crede  che  la  tonsu- 
ra cominciossi  a  praticare  nella  chiesa  da 
chi  era  ascritto  uel  clero,  il  che  però  non 
fu  uniforme  in  tutti  e  nemmeno  negli  a- 
posloli,  riportando  quanto  ne  scrisse  Be- 
da,  del  qual  parere  furono  oltre  il  citalo 
s.  Gregorio,  s.  lsidoro,De  divin.  qfjìc.  cap. 
4,  e  Geolfrido  abbate  presso  lo  stesso  Be- 
da,  /list.  Augi.  Non  si  sa  però,  soggiunge 
il  p.Bonanni,seiinmediatamente  nel  tem- 
po di  s.  Pietro,  ovvero  negli  anni  poste- 
riori si  mantenesse  quest'uso  negli  anti- 
chi ecclesiastici,  oppure  fiorisse  dopo  che 
fu  resa  la  pace  alla  Chiesa.  Il  Tomassini, 
De.  nova,  et  veteri  Ecclesiae  disciplina, 
cap.  3j:De  clericorum  tonsura,  seguen- 
do il  parere  del  dotto  Pietro  Elallier,  giu- 
dicò essere  più  probabile,  che  ne'primi  5 
secoli  fosse  ordinato  a'  chierici,  che  por- 
tassero i  capelli  alquanto  più  corti  de'se- 
eolari,  e  che  nulla  si  prescrivesse  circa  la 
tonsura o chierica, e  ritiene  non  verosimi- 
le che  il  clero  apparisse  con  lai  distintivo, 
per  cui  in  tempi  pericolosi  delle  persecu- 


TO  N 

zioni  potessero  gli  ecclesiastici  facilmente 
essere  riconosciuti  dagl'infedeli.  Dice  pu- 
re, che  se  s.  Gregorio  di  Tours  scrisse:  Pe- 
trus Apostolus  ad  hiunilitalem  doccn- 
dam  caput  desuper  tonderi  insti tuit,  non 
fu  pe'soli  ecclesiastici,  ma  per  tulli  i  fe- 
deli, e  <;he  si  deve  intendere,  che  non  do- 
veano  fare  la  chierica  o  Corona,  ma  sola- 
mente per  modestia  tosare  i  capelli,  onde 
fossero  più  collidi  quelli  degl'infedeli.  11 
vescovo  Saussay  volle  sostenere  per  vero 
il  decreto  di  s.  Aniceto,  secondo  altri  al- 
terato, e  si  studiò  provare  che  tutti  del  cle- 
ro, anche  in  tempo  delle  persecuzioni, por- 
tassero la  tonsura  sino  al  tempo  di  s.  Sil- 
vestro I,  come  apparisce  dall'antiche  im- 
magini di  musaico  e  da'eodici  antichi;  ed 
il  p.Bonanni  riportò  alcune  favorevoli  te- 
stimonianze della  tonsura  portata  all' e- 
poca  delle  persecuzioni,  onde  da' tiranni 
fu  derisa  e  tormentati  chi  l'avea,  secondo 
le  sue  narrazioni  di  s.  Benigno,  di  s.  Cri- 
solio,  di  s.  Ferreolo,  di  s.  Ferruzione,  di 
s.  Patroclo.  Anzi  dice  che  nella  Ilierarc. 
eccles.  cap.  6,  di  s.  Dionisio  Areopagita, 
fiorilo  nel  i. "secolo,  così  descrisse  il  rito 
della  tonsura  al  suo  tempo.  Sacerdos  cum 
signo  crucis  coiisignatum  tondet,  irei 
Personas  divinac  Dealitudinis  invocan- 
do,omnique  veste  detracta ,  cum  alia  in- 
duit.  Sicché  conclude,  in  cjuel  tempo  si 
praticava  la  tonsura,  e  si  conferiva  a  chi 
voleva  essere  ascritto  al  elei  o.  Se  però  l'u- 
so fosse  costantemente  continuato  da  tut- 
ti, è  cosa  dubbiosa,  mentre  per  1'  una  e 
l'altra  parte  vi  sono  argomenti  favorevoli. 
Avverti  però  l'eruditissimo  e  ricordato 
abbate  Geolfrido,  che  nella  chiesa  antica 
fu  diversa  la  tonsura  del  capo  circa  la  for- 
ma, poiché  ciascuno  la  variò  secondochè 
la  stimava  essere  più  conveniente,  e  ac- 
costarsi ul  misterodi  quella  usata  dal  prin- 
cipe della  gerarchica  ecclesiastica  s.  Pietro. 
I  monaci  cominciarono  a  usar  la  totale 
rasura  del  capo,  perchè  godevano  nell'es- 
ser  derisi  per  amore  di  Cristo. Il  p.  Bonau- 
ìu  dopo  altre  testimonianze  prò  et  con- 
tra,  dichiara:  che  ue'3  primi  secoli  tra  le 


T  ON 
turbolenze  della  Chiesa  fu  praticato  l'uso 
della  tonsura,  ma  senza  alcuna  legge  sta- 
bilita, onde  i  chierici  molte  volte  appena 
si  potevano  distinguere  da'secolaii;  quin- 
di passa  a  trattare  nel  cap.  35:  Come  fu 
stabilito  nella  Chiesa  Fuso  della  tonsii' 
va.  Riferisce  die  Marlene  rifiutò  la  sen- 
tenza di  quelli,  i  quali  affermano,  che  la 
tonsura  clericale  in  forma  di  corona  co- 
minciasse nella  fine  del  V  secolo  ;  che  si 
praticasse  nel  principio  del  III  secolo  e  si 
mantenesse  sino  a  s.  Leone  I  del  44°>  s' 
lia  dal  Saussay.  Tale  usanza  dopo  s.  Leo- 
ne I  fu  poi  praticata  non  solamente  da' 
Papi  e  da' vescovi,  ma  anche  da  lutti  gli 
ascritti  al  clero,  a'  quali  tutti  secondo  i 
gradi  di  ciascuno  fu  prescritta,  e  confer- 
mata da  costituzioni,  sinodi  e  concilii  ge- 
nerali, rammentati  col  decretato  dal  p. 
Bonanni.  Chiaramente  nel  sinodo  d'  Ir- 
landa tenuto  da  s.  Patrizio  nel  456,  col 

!  can.  6,  si  scomunica  il  chierico,  che  non 
purta  la  tonaca  e  la  tonsura.  Di  s.  Gre- 
gorio 1  del  590,  afferma  il  contempora- 
neosuostoricoGiovanui  Diacono, che  nel 

,  suo  capo  era,  corona  rotimela,  ctprctio- 
sa,  capillo  sulmigro,  et  dece/iter  intor' 
to  sub  auriculae  medium  propendente. 

\  Nel  concilio  del  6qo  di  Costantinopoli  si 
determinò  :  rasi  qui  tonsura  sacerdotali 
iisus  fuerit.  Da  tutte  le  leggi  e  decreti  per 
la  tonsura  non  si  potè  ottenere  la  sua  u- 

,  niformità,  beuchè  tutti  convenissero  nel- 
l'unità della  fede,  come  nelle  liturgie  e  ri- 
ti tulli  ipopoli  non  furono  conformi,  si- 
no da'  tempi  degli  Apostoli  che  promul- 
garono l'evangelo.  I  greci  si  distinguono 
da  latini,  poiché  menti  e  questi  tagliano! 
capelli  intorno  all'orecchie  (però  non  tut- 
ti) e  sopra  il  capo  hanno  la  chierica  ton- 
da, i  greci  l'usano,  ma  conservano  i  ca- 
pelli lunghi  e  li  lasciano  pendere  verso  la 
schiena, benché  dall'antiche  immagini  de' 
santi  greci  rilevasi  l'uso  contrario:  i  greci 

.  oltre  i  capelli  lunghi  nutriscono  la  barba, 
che  i  latini  si  radono.  Noterò  col  Thiers, 
che  la  chiesa  greca  usa  i\ue  tonsure,  una 
de'battezzati,  e  degli  ordinanti  l'altra,  se- 


T  O  N  in 

condo  l'Arcudio,Z)cj  Tons.  lib.  6,  notis  ad 
Euchol.,  e  il  p.  Goar,  ad  Ora  tio  capi l- 
lorum.  La  1  .'è  quella  che  il  sacerdote  con- 
ferisce a'bambin'1,0  nel  battezzar!i,ovvero 
8  giorni  dopo  il  battesimo,  e  talvolta  an- 
che più  tardi.  Questa  non  gli  alza  sopra 
i  laici,  ma  solamente  dimostra  chela  of- 
frire a  Dio  i  capelli,  che  loro  si  tagliano, 
si  consagrano  per  sempre  al  suo  servigio. 
Questa  tonsura  era  altre  volte  ancora  in 
uso  nella  chiesa  latina.  La  2."  tonsura  elei 
greci  è  quella  che  il  vescovo  conferisce  a 
coloro,  che  sono  disposti  a  ricevere  gli  or- 
dini, e  questa  propriamente  è  la  tonsura 
clericale.  Arcudio  stima  che  la  1  /tonsura 
sia  abusiva,  ma  viene  confutato  dal  Thiers 
col  p.  Goar,  come  non  del  tutto  istruito 
nelle  pratiche  di  sua  chiesa  greca.  Quan- 
to alla  2.a  diesi  conferisce  a'ieltori  e  ai 
cantori  nell'ordinazione,  il  lettoreeil  can- 
tore colle  preghiere  e  leceremonie  lascia- 
no iloro  capelli  e  li  consagrano  a  Dio.  Do- 
po che  si  sono  tagliati  i  capelli  al  cantore 
in  forma  di  croce  in  5  parti  della  testa, 
il  diacono  dice:  Preghiamo  il  Signore,  che 
in  luogo  de'capelli,  che  gli  sono  stali  ta- 
gliatagli donil'amoredella  giustizia  e  del- 
la virtù.  Il  vescovo  prega  che  il  cantore 
riceva  la  medesima  benedizione,  che  rice- 
vè il  sommo  sacerdote  Melchisedech,  do- 
po che  da  Abramo  per  ordine  di  Dio  si 
fece  tagliare  i  capelli.  Dopo  che  il  canto- 
re si  è  fallo  tagliare  i  capelli,  il  vescovo 
prega  Dio  a  dargli  la  grazia  d'osservare 
i  suoi  comandamenti  con  ogni  sorta  di  ri- 
spetto, di  timore,  di  santità  e  di  giustizia. 
Il  vescovo  inoltre  domanda  aDio  la  per- 
severanza pel  cantore  in  tutte  le  funzioni 
dell'ordine,  che  potrà  ricevere  IO  avve- 
nire, e  ciò  in  considerazione  d'essersi  fat- 
to tagliare  i  capelli  per  amor  di  Dio.  Il 
vescovo  domanda  pure  a  Dio,  che  com'e- 
gli mandò  Abramo  p<:r  tagliare  i  capelli 
a  Melchisedech, eche  f<\  vori  delle  sue  gra- 
zie gli  Apostoli  allorché  gli  assistè  quan- 
do si  tagliò  ad  essi  i  loro  capelli,  ispiri  an- 
cora al  lettore,  per  e>se:si  tagliati  i  pro- 
pri a  im  Unione  di  Melchisedech  e  deg'i  A- 


uà  TO'N 

postoli, l'amore  della  giustizia  e  della  san- 
tità de'costumi,  affinchè  vivendo  secondo 
la  sua  santa  legge  meriti  d'assidersi  alla 
sua  destra  nel  posto  de'predestinati.  Ag- 
giungerò quanto  il  vescovo  Sarnelli  dice 
nelle  Lettere  ecclesiastiche,  t.  8,  lelt.  5: 
Della  tonsura  clericale,  presso  i  greci. 
La  tonsura  de'bambini  battezzati  è  una 
ceremonia  presa  da'nazareni,  rito  che  se- 
condo s.  Cirillo  gli  ebrei  appresero  in  fi- 
glilo, e  che  da  Dio  per  Mosè  fu  trasferi- 
to nella  legge,  per  non  distorti  del  tutto 
dalle  ceremonie  da  loro  vedute  tra  gli  e- 
giziani.  Quanto  alla  tonsura  ecclesiastica 
del  cantore  e  del  lettore,  edalla  storia  che 
Abramo  per  comando  di  Dio  fece  taglia- 
re i  capelli  a  Melchisedech,  e  che  il  Sal- 
vatore fu  presente  quando  gli  Apostoli  se 
li  tagliarono,  al  Sarnelli  sembra  apocri- 
fa,giacché  ueW  lùteo  logio  stampato  a  Ve- 
nezia nel  i6g3,nell'orazionedeir^rttfg7JO- 
ste  o  Psalle,  che  vuol  dir  lettore  e  can- 
tore, non  vi  è  tale  orazione,  percui  e  per- 
ciò che  riporta  la  crede  priva  di  foncla- 
inen'o.  Osserva  poi,  che  non  prima  del 
secolo  IX  i  greci  lasciarono  crescere  la 
chioma  per  odio  de'latini,  sotto  l'intruso 
patriarca  Foca,  radendo  in  giro  solamente 
i  capelli  di  sotto  sicché  la  tonsura  non  ap- 
paia. Nel  rito  greco  non  vi  è  altro  ordine 
minore,  che  la  tonsura,  sahnistato  e  let- 
torato, che  formano  un  ordine  minore  e 
si  danno  tutti  insieme.  Tornando  al  p.  Bo- 
nanni,  il  clero  latino  mantenne  l'uso  dei 
capelli  tagliati  sino  alle  orecchie, dal  qua- 
le differiscono  i  monaci,  poiché  questi  ra- 
dono il  capo  totalmente  (cioè  alcuni),  la- 
sciando solamente  un  piccolo  giro  di  ca- 
pelli sopra  le  orecchie  in  forma  di  coro- 
na (quelli  che  non  si  radono  il  capo  col- 
le forbici  formano  un  solco  da  una  tempia 
all'altra,  in  forma  di  corona).  Sono  anche 
differenti  molti  religiosi,  principalmente  i 
francescani,  i  domenicani  ed  altri,  i  qua- 
li hanno  la  chierica  larga  e  ritengono  una 
corona  di  capelli,  che  circonda  tutta  il  ca- 
po sopra  le  orecchie.  Queste  diversità  il 
p.  Rumami  le  di  musila  cou  8  immagi  ut 


TON 

e  ciascuna  colla  sua  tonsura  o  chierica  :  la 
r/del  greco  con  capelli  lunghi  e  avente 
la  chierica  più  verso  la  fronte;  la  2.a  del 
francescano  con  grande  chierica  e  larga 
corona  di  capelli ,  ossia  la  testa  è  tosata 
tranne  tal  corona;  la  3.a  del  cappuccino 
con  barba  lunga,  ma  del  tutto  tosato,  ciò 
che  oggi  non  si  usa  interamente,  poiché 
la  loro  larga  corona  di  capelli  restando  più 
in  alto,  la  grande  chierica  è  verso  la  fron- 
te, ossia  propriamente  sulla  sommità  del 
capo,  come  anticamente  praticò  il  resto 
del  clero;  la  4-*  del  monaco  con  testa  tosa- 
ta, eccettuato  una  stretta  corona  di  capel- 
lina 5.a  del  sacerdote  secolare  colla  chie- 
rica ordinaria  sulla  parte  posteriore  del 
capo;  la  6/  del  vescovo  con  grande  chieri- 
ca; la  7/  dell'eremita  con  barba  lunga  e 
testa  tosata;  l'8.a  del  chierico  secolare  col- 
la chierica  un  poco  più  piccola  del  sacer- 
dote. Indi  dice  del  costume  de'giorgiani, 
i  chierici  con  grande  tonsura  tonda  in  ci- 
ma alla  testa,  ed  i  laici  con  tonsura  qua- 
dra. Ricorda  la  discorsa  tonsura  imposta 
a'Iaici  polacchi  da  Benedetto  IX,  e  dice 
che  universalmente  parlando,  la  forma 
della  tonsura  clericale  dev'essere  tonda, 
come  si  prescrive  da'sagri  canoni,  ma  la 
grandezza  non  trovasi  determinata. Il  con- 
cilio però  di  Salisburgo  del  1274  avver- 
te che  la  chierica  del  chierico  dev'essere 
differente  da  quella  del  sacerdote,  e  che 
questa  dev'essere  maggiore.  Già  il  conci- 
lio 4-°  di  Ravenna  avea  dichiarato:  Si  in 
sacris  Clerici  fueriut,  aut  beneficiati  in 
Ecclesia  cathedrali,  vel  collegiata  vene- 
rabili ,  ad  servandam  conditionem  sui 
status, por  te  nt  latiorcm^alii  vero  medio- 
cre/n,  vel  minorali  suis  statibus  convc- 
nien  te/n. Il  concilio  di  Toledo  deli  47  3  col 
can.  1 4 prescrisse a'chieiici  di  quella  chie- 
sa la  chierica  quantitatis  unius  regali* 
etc,  la  quale  forma  è  simile  a  una  parai 
cola  della  comunione.  Crebbe  poi  col  tem- 
po la  forma  della  chierica,  e  raccomanda- 
ta al  suo  clero  di  Milano  da  s.  Carlo,  on- 
de fu  usata  da' sacerdoti  grande  quanto 
un'ostia  della  messa,  e  tal  forma  somigliò 


T  0  N  TON                    i .  3 

aquella  ordinata  neh  5t)o  dal  concilio  di  Giulio  I,  Liberio,  Si  rido,  Innocenzo  f,Zo- 
Tolosa  con  queste  parole.  Tonsura  sit  sioio,  Celestino  I,e  dagli  altri  sino  a  Giulio 
conspicua,  non  eaquidem  in  omnibus  eie-  11,  che  dopo  la  presa  diBologna  e  per  incu- 
ri<is  una,  sed  major  sacerdotali*,  digi-  teremaggiore  riverenza  seta  lasciòcresce- 
tis  tribus  undequaque  a  vertice pateatj  re;  quindi  pel  sacco  diRoma  fece  altrettan- 
duobus  diaconalis,  angustior  minorimi  toClemente  Vile  fu  imitato  da'successori, 
ordinimi  omnium,  sit  minima,  et  digito  finché  nel  secolo  XVII  cominciandosi  da' 
widique  sit  dedite ta.  Perchè  tal  segno  Papi  in  parte  a  raderla,  lasciandosi  i  balli 
dell'ordine  clericale  sia  di  forma  tonda,  e  la  barbetta  al  mento  (che  aveanopro- 
dillusamente  viene  spiegato  da  Saussay,  scritto  diversi  condili,  presso  il  Sarnelli, 
par.  i ,  cap.  i  della  Panoplia  cleriealis,  e  il  quale  con  lettera  del  1 685si  scagliòcon- 
nel  cap.  3  espone  le  significazioni  morali  tro  le  barbette,  i  baffi  egli  scopettini  che 
e  mistiche  della  medesima  tonsura.  Op-  usavano  nel  volto  gli  ecclesiastici,  e  con- 
pongono molti  alla  tonsura  usata  dalla  tribuì  ad  eliminarne  il  costume,  della  pie- 
chiesa  latina  l'usanza  de'greci,i  quali  sic-  cola  barba  specialmente  o  barbetta  del 
come  nutriscono  la  barba  ei  capelli,  sono  mento,  portata  co'baffi  anche da'eardina- 
usanzenon  riprovate,  ma  anzi  approvate,  li,  prelati  e  altri),  completamente  se  la  ra- 
E  poi  molte  cose  che  sono  lecite  a'greci,  se  Clemente  XI  e  fu  imitato  da'successo- 
noi  sono  pe'latini,come  il  matrimonio  ai  ri.  Termina  il  p.  Bonanni  con  dire,  che 
diaconi  e  la  consagrazione  del  pane  fer-  tale  rasura  fu  praticata  uella  chiesa  d'oc- 


mentato  de'sacerdoti.  Come  i  latini  non 
riprendono  perciò  i  greci,  cosi  questi  non 
devono  impugnarci  latini.  Forse  l'uso  del- 
la chiesa  greca  di  nutrire  la  barba  e  i  ca- 


cidente  in  quasi  tutto  il  clero;  essere  lo- 
devole e  perciò  praticata  anche  dagli  or- 
dini monastici ,  perchè  con  essa  si  priva 
l'uomo  d'un  ornamento  per  dimostrare 

pelli  procede  dalla  legge  antica,  come  si  la  servitù  a  Dio  professata  (come  fanno 

legge  nel  cap.  ig  del  Lenitico,  Ne  radetis  le  Religiose  col   taglio  de' capelli   nelle 

barbam,  confermando  tal  uso  il  concilio  loro  professioni,  il  che  ricordai  nel  voi. 

di  ÌVicea  cou  addurre  l'esempio  di  s.  Pie-  LXIX,  p.  i4°)-  Ricorda  per  ultimo  l'av- 

tro  e  di  s.  Paolo.  Che  l'avessero  anche  gli  verlito  e  il  riportato  dal  Sarnelli ,  che 

altri  apostoli, loconfermano  le pittureati-  anticamente  costumavasi  dal  vescovo  nel 

tiche,  e  si  legge  in  s.  Dionisio  e  altri  Pa-  farsi  la  prima  tousura  de'  capelli,  di  ese- 

dri  de'primi  secoli,  ed  il  costume  fu  rite-  guir  pure  quella  della  barba, con  forinola 

nulo  da  tutta  la  chiesa  greca.  Presso  i  la-  riportata  in  fine  del  Pontificale  :  Quan- 

tini  fu  vario  l'uso  della  barba,  poiché  in  do  primo  clericis  barbae  tonde  tur  dici 

molte  immagini  antiche  de'Papi  si  vede  debet,  Pontifice  sedente,  cum  mitra,  an» 

la  barba,  e  quelle  senza,  dice  il  p.  Bonanni,  tiphona.n  Sicutros  Hermon,quidescen- 

indicano  forse  che  volessero  imitar  s.  Pie-  dit  in  Montem  Sion,  sic  descendat  super 

tro  loro  capo  e  predecessore,  il  quale  per  te  Dei  benedictio" .  Psalmus  »  Ecce  quani 

ludibrio  fu  da'gentili  raso,  barba  rasus,  bonum"  cimi  Gloria  Patri  tic.  Quo  ex- 

et  capite  decalvatus.  Ma  siccome  vedesi  pleto  repetitur  Antiphona  »  Sicut  ros". 

l'immaginedis. Pietro  barbata.credeSar-  Qua   finita,  Ponti/ex  deposita  mitra 

nelli  che  gli  crebbe  nelle  carceri,  ove  non  surgit,  et  stans  versus  ad  illuni,  dicit: 

potè  farsela  radere  dal  barbiere;e  ben  con-  »  Oremus.  Deus  cui  provi  denti  a,  omnis 

siderando  la  sua  effigie,  si  vede  la  barba  creatura  incrementis  adulta  congau- 

cresciutaad  un  volto  raso,  per  esser  corta  det,preces  nostras  super  hunc  famulum. 

ed  eguale  in  giro.  Tale  rasura, come  notò  tuimi  j uveiti lis  aetate  decore  laetantemj 

Saussay,  fu  mantenuta  ne'primiPapi  i  ss.  et  primis  auspiciis  attondendum  exau- 

Cleto,  Sisto  I,  Aniceto,  Pio  I,  Fabiauo,  di,  ut  in  omnibus  protectionis  tuac  mu- 

VOL.  I.XXV1I.  8 


i.4  TON 

in'iu.s  auxilio,  aevoque  largiord  prove- 

ctuspraescntis  vitaepracsidiis  gamica/, 
ctfuturae.  Per  Dominimi  nostrum  eie." 
]|  quale  antico  istituto  fu  inculcato  da  s. 
Carlo  Borromeo  nella  lettera  pastorale  dei 
3o  dicembre  i  S^Gjdie  tenacissimo  dell'ec- 
clesiastica disciplina,  dolente  di  veder  io- 
ti adotta  la  corruttela  di  nutrire  la  barba  ad 
imitazione  dc'mondani,  volle  rimediarvi. 
Esortò  tutti  gli  ecclesiastici  paternamen- 
te a  portar  la  barba  rasa,  dimostrando 
quanto  ciò  convenisse,  ed  egli  stesso  ne  die 
l'oempio.  11  dotto  vescovo  Sai  nel  li  ci  die- 
de, oltre  hi  ricordala  lettera,  3  altre  let- 
tere nel  1. 1  :  Lelt.  i  o, Deliaca/ionica  che- 
ricale  corona.  Lelt.  i  i ,  Apologia  intor- 
no alla  lettera  antecedente  della  cano- 
nicachericale corona.  Lelt.  1 i, Della  ca- 
nonica tonsura  o  rasura  della  barba 
chericale.  In  queste  eruditissime  lettere 
viene  riferito  con  qualche  diffusione  e  ri- 
produzione di  testi  e  di  canoni,  quanto  già 
in  questo  articolo  e  ne'  relativi  ragionai 
sulla  cbiericale  tonsura,  o  corona  o  chie- 
rica, e  sulla  barba  cbiericale,  suoi  signi- 
ficati, simboli  e  spiegazioni  che  le  furo- 
no date.  Perciò  ora  solo  mi  limiterò  ad 
accennare  qualche  tratto  che  reputo  me- 
ritevole. I  chierici  non  dovere  radersi  tut- 
ta la  testa,  per  non  mostrare  di  giudaiz- 
zareco'nazarei,  né  d'imitare  i  superstizio- 
si sacerdoti  gentili  che  radevansi  tutti  i 
peli  del  corpo  e  i  capelli  del  capo.  Chia- 
ma la  tonsura  clericale,  rito  d'antichissi- 
ma tradizione,  ed  accettala  da  ogni  pro- 
vincia nel  ricevere  la  fede  di  Cristo;  ed  es- 
sere composta  la  corona  cbiericale  di  ra- 
sura e  di  tonsura  :  Duplex  corona,  cir- 
cui/ìpositacapili  Sacerdotis,come  la  no- 
mina s.  Germano.  La  rasura  è  nella  cima 
del  capo  e  rotonda,  della  grandezza  con- 
veniente a  ciascun  ordine;  la  tonsura  cir- 
concide i  capelli  in  modo  di  sfera,  sicché 
la  corona  è  formala  dal  capello  che  lun- 
go pende  dalla  rasura  infìuo  sull'orecchio 
o  al  più  alla  metà  di  questo,  perciò  non 
saper  lodare  coloro  che  si  tosano  tutto  il 
capo,  sembrandogli  udir  Geremia,  che  di' 


T  O  N 

ca:  Cecidit corona  capi tis  nostri.  Chedel- 
la  rasura  e  tonsura,  che  formano  la  coro- 
na cbiericale,  sono  pieni  i  sagri  concilii  si 
generali  come  nazionali,  provinciali  e  dio 
cesani  ,  che  la  comandano  sotto  peccato 
mortale  e  pena  della  scomunica  a'  Ira* 
sgressoii.  11  Sarnelli  ne  riporta  i  canoni, iu- 
clusivaineute  al  concilio  di  Trenlo,alle  re- 
goleecclesiastiche,non  menoche  al  seguen- 
te contenuto  dell'editto  d'  Urbano  Vili. 
>•■  Che  tutti  quelli, chesono  nell'ordine  sa- 
gro, ovvero  che  tengono  benefizi  ecclesia- 
stici, o  servono  con  salari  nelle  chiese,  por- 
tino la  tonsura  chericale  della  grandezza 
conveniente  all'ordine  e  grado  di  ciascu- 
no, e  talmente  apparente,  e  così  spesso  rin- 
novata^ che  si  possa  ben  vedere,  e  che  non 
portino  capelli  o  ciuffi  increspali  o  ricci,  uè 
chesieno  più  alti  sopra  lafronte,ovveroche 
ricaduto  dalle  parti  di  dietroodallebaudc, 
ma  che  sieno  pari  e  di  eguale  e  moderata 
lunghezza". Sul  canone  del  concilio  di  To- 
ledo del  633  avverte  Sarnelli,  che  siccome 
l'avere  i  chierici  accorciata  la  capigliatu- 
ra in  giro  è  il  vero  istituto,  così  tosar  tutto 
il  capo  o  raderlo  interamente  nella  parte 
superiore  fu  comandato  da  tale  canone, 
acciocché  i  cattolici  si  distinguessero  da- 
gli eretici.  Dichiara  quindi,  che  la  rasura 
nostra  esser  dee  ne'sacerdoti  grande  quan- 
to un'ostia  della  messa,  ne'diaconi  alquan- 
to più  piccola, ne'suddiaconi  ancora  meno, 
ecosì  di  grado  in  grado;  ma  che  ninna,  per 
piccola  che  sia,  non  sia  minore  d'un'oslia 
piccola  o  particola  della  comunione.  Dice 
poi  che  tra  la  tonsura  de'chicrici  e  quella 
de'  monaci  vi  è  stata  sempre  differenza, 
poiché  i  monaci  usarono  di  radersi  non 
pure  la  cima,  ma  anzi  tutta  la  testa,  signi- 
ficando così  la  loro  professione,  e  perché 
il  radere  il  capo  fu  simbolo  di  pianto  e  di 
tristizia  anco  nella  s.  Scrittura,  come  si 
leggedi  Giobbe  quando  ebbe  le  nuovedel- 
la  perdita  delle  cose  sue, e  tosandosi  il  ca- 
po adorò  e  benedì  il  Signore,  presso  Isaia 
e  Michea,  ed  altresì  presso  i  gentili.  ISuu 
bastare  il  portarla  chierica, essere  neces- 
saria pure  la  tonsura  del  crine, che  giri  su 


T  O  N  TON                     n5 

per  P  orecchie  e  che  non  cuopra  la  cer-  Dei ,  crine  pracciso  innovcnlur ,  ut  hoc 

vice  ;  e  che  i  greci  oltre  la  chierica  devo-  signo,  et  religione  vilia  reseccnlur,  et 

no  portare  l'inferiore  tonsura,  e  non  nu  criminibus  carnis  nostrae ,  quasi  crini- 

trire  la  chioma  come  fanno,  la  quale  de-  bus,exuainur,  expoliantes  nos  vetcrem 

v'essere  accorciata  in  forma  di  corona.  De-  lioniinemcuni  actibus  suis rfuamrenova- 

plora  Sarnelli  que'latini,  che  tengono  la  tioneni  in  mente  oportet  fieri ',sed  in  ca- 

thioma  rilassata  senza  scrupolo  e  vergo-  pite  clemonstrari  nb  ipsaméns  nosritur 

gna,  e  però  tali  preti  doversi  rigettare  dal-  h  ahi  la  re, come  dice  s.  Isidoro,  De  divìn.  of- 

l'altare, pe'canoni  che  riproduce,e  la  bolla  fic;  non  che  distia  grandezza  emisteriosi 

Cum sacrosanctam dì  Sisto  V  del  1 3  gen-  significati.  Dice  quindi  che  il  concilio  di 

naioi  588  01589;  concludendo,  che  solo  Trento  prescrisse  a'  giovani  cheentrava- 

gli  eretici  impugnarono  la  corona  cleri-  no  nel  semiuario,  Tonsura  statini,  a  tane 

cale.  Quanto  aHa  lettera  sulla  Barba,  per  liabitu  clericale  scinper  utentur.  Questa 

tale  articolo  e  pel  qui  riportato  col  Sar-  dichiara  l'unica   ceremonia,  con  cui  do- 

nelli,  sia  della  rasura  che  della  tonsura,  veansi  ricevere  gli  alunni,  incombendo  al 

altro  non  mi  resta  a  dire  col  dotto  vesco-  direttore  di  fare  ad  essi  comprendere  l'alta 

vo,  che  siccome  la  chericale  corona  de'ca-  slima,  con  cui  debbono  ritenere  la  tonsu- 

pelli  da' Padri  è  spiegata  per  quella  di  spi-  va,e  custodire  fedelmente  l'abito  clericale, 

ne  del  Redentore;  così  la  barba  nuda  di  Su  tal  riflessogli  antichi  Padri  prescrisse- 

peli,  ne  denota  Io  sveltimento  de'peli  della  ro  la  tonsura  patente,  eziandio  colla  pena 

barba  del  medesimo;  per  la  quale  egli  ti-  di  rigorosi  anatemi,  come  può  vedersi  nel 

rato  e  strascinato  fu  nel  colmo  de'suoi  do-  cap.  Si  quicx  clericis  23,  dist.  23,  e  ne! 

lori,  come  afferma  Taulero ,  De  vita  et  cap.  4>  Oc  vita  et  hontsU  cleric.  Che  il 

Pass.  Clirist.  e.  17  :  Lnus  quidem  sputa  concilio  di  Trento,  benché  più  mite,  or- 

in  facicm ;  alius  in  caput,  aliusin  collo  dinò  che  i  disubbidienti  fossero  privati  de' 

pugnos  ingenerabat  j  liic  crinibus ,  ille  privilegi  del  foro  e  de'beuefizi  allorché  li 

barba  trahebat.  Quindi  è  che  s.  Pietro,  abbiano;  lo  stesso  con  maggior  vigore  fu 

cui  per  obbrobrio  de'  gentili  gli  fu  raso  inculcato  colla  detta  bolla  di  Sisto  V,  e 

il  capo  e  la  barba,  e  in  riflesso  ancora  al  poi  da  Benedetto  XIII  colia  bolla  Catho- 

pntito  nella  Passione  dal  divin  Maestro,  licae  Ecclesiae,óe2  maggio  1725. Il  Cec- 

volle  che  quanto  gli  accadde  per  ignomi»  coni  compendia  quanto  riguarda  questo 

nia,  restasse  ne'ministrideH'altareper  mi-  grave  argomento  con  dichiarare:  Che  il 

stero.  Ed  Onorio  Augustudunense  spiega:  chierico  mediante  il  taglio  de'capelli  di- 

Quia  autcni  barbam  radiinus,imberbes  venuto  volontario  schiavo  del  Signore,  co- 

pucros  similamus,  quos  si  humìlitate  i-  ine  i  Nazarei,  interamente  si  consagra  al 

mitabimur,  Angelis  qui  scinper  j'uvenili  suo  servigio.  Con  questo  segno  esterno  di 

ac tate  flore nt >  aequabimur.  Il   vescovo  religione  si  ricorda  a  lui  di  dovere  elimi- 

Cecconi  ,  Istituzione  dei  Seminarli .  di-  naie  i  suoi  vizi,  e  procedere  con  vita  tni- 

scorre  della  chierica  e  tonsura  clericale  gliore.Deponendoegli  la  superfluità  de'ca- 

nell'anlica  legge  da  Dio  ordinata  ,  Tunc  pelli  e  spogliandosi  dell'uomo  vecchio  colle 

radetur  Nazaraeus  ante  ostium  taber-  sue  azioni,  viene  a  liberarsi  da  ogni  delitto 

naculi faederis  cacsariae consecrationis  delta  carne,  e  questa  rinnovazione  è  d'uo- 

suae,  lolletque  capìllos  cjus  et ponet  su*  pò  farla  nella  mente  e  dimostrarla  nella 

per  igfw.'ii,  qui  est  suppositus  sacrificio  testa  ove  i  pensieri  hanno  la  loro  sede.  Che 

pacijicorum;  e  nella  nuova  legge  intro-  se  l'autore  óeWEccles.  Gerarchia,  dice 

dotto  lo  slesso  rito  dagli  Apostoli,  in  per-  che  la  rasura  è  segno  di  mestizia,  vuole 

sona  di  quelli  che  volevano  consagrarsi  al  s.  Paolino  che  sia  ornamento  di  castità  e 

Signore,  quasi  Nazaraci ,  idest  Sancii  di  pudicizia,  e  s.  Gregorio  l  un  taglio  lo- 


n6  TON 

tale  d'ogni  pensiero  terreno  per  attende- 
re più  liberamente  alla  celeste  contempla- 
zione. Soggiunge  il  Cecconi,  che  egual- 
mente misteriosa  èia  chierica  nella  som- 
mità della  testa,  la  quale  in  altri  tempi 
costuma  vasi  in  forma  di  corona,  fatta  dal 
taglio  de'  capelli  come  si  ritiene  dal  Pa- 
pa (cioè  sino  al  tempo  suindicato)  e  quasi 
da  tutti  i  regolari.  Nel  distaccarsi  gli  ec- 
clesiastici dall'aulica  disciplina,  restrinse-! 
ro  la  chierica  in  modo,  che  convenuo-al 
concilio  di  Palencia  del  1 386  prescriverla 
nella  grandezza  d'un'ostia,  e  permaggior 
autentica  fu  appi  ovato  e  confermato  dal 
Papa  Urbano  VI.  Finalmente  osserva,  a 
maggior  confusione  di  coloro  che  quasi 
hanno  rossore  di  portar  sì  nobile  distin- 
tivo, che  alla  chierica  si  attribuisce  il  pre- 
gio come  ad  una  caparra  del  futuro  regno 
promesso  al  reale  loro  sacerdozio.  Men- 
tre pe'suoi  misteriosi  significati  con  isti- 
ma  devesi  assumere  la  tonsura  e  la  chie- 
rica, e  da  essi  si  apprende  con  qual  mag- 
gior pregio  devesi  ritenere  sì  l'una  che  l'ai- 
tra,neH'interno colla  coerenza  de'pensieri, 
e  nell'esterno  mediante  i  discorsi  e  le  a- 
zioni  ad  entrambi  sagri  sentimenti  corri- 
spondenti. Questo  è  quanto  in  ristrette 
proporzioni  potei  raccogliere  sulla  tonsu- 
ra e  chierica  degli  ecclesiastici,  dal  molto 
che  ne  fu  scritto, avendone  trattato  oltre 
i  ricordati  autori  anche  i  seguenti.  Il  Fog- 
gini,  ilp.  CoronellijilDumesnil,  il  p.  Sec- 
carelli,  il  p.  Morino,  Exercitatio  de  ton- 
sura clericali  pai".  3.  De  sacr.  Eccl.  Or- 
din. ;\\  p.  Mabillon,  Observatio  de  ton- 
sura laicorum,  clcricorum,et  monacho- 
rum,  in  Pracf.  ad  Ada  ss.  Ord.  Bencd. 
saec.  in,  par.  i .  P.  Stellarlii,  De  coronis 
et  tonsuris  paganorum,  judaeorum,  et 
christianoru/n,  Duaci  1625. 

TONTI  Michelangelo,  Cardinale. 
Nato  di  mediocri  genitori  in  limoni,  ma 
oriundo  da  Cesena,  per  procacciarsi  gli 
alimenti  si  applicò  all'esercizio  della  mu- 
sica, non  meno  che  alla  scienza  legale,  al 
cui  studio  si  die  a  insinuazione  del  pa- 
dre nell'università  di  Bologna,  nella  qua- 


TON 

le  fu  laureato  ancor  giovane  con  fama 
d'insigne  dottore.  Trasferitosi  in  Roma, 
trovò  pronto  ricetto  nell'  ospedale  di  s. 
Piocco,  con  l'impiego  d'organista  di  sua 
chiesa;  non  però  trascurò  l'esercizio  della 
curia,  la  quale  gli  aprì  la  via  alle  supre- 
me dignità  ecclesiastiche.  Destinato  da 
Francesco  Borghese  in  procuratore  delle 
cause  di  sua  casa,  per  mezzo  del  fratello 
Orazio  fu  fatto  conoscere  all'altro  fratel- 
lo cardinal  Camillo  Borghese, il  quale  di- 
venuto Paolo  V  lo  prese  al  suo  servizio. 
Indi  tutti  gl'interessi  della  casa  Borghe- 
se furono  affidali  alla  sua  diligenza  e  fe- 
deltà, ed  inoltre  venne  assegnato  per  u- 
ditore  generale  al  cardinal  Scipione  Caf- 
farelli  Borghese  nipote  del  Papa,  presso 
il  quale  porporato  in  breve  giunse  a  tal 
grado  d'autorità,  che  trattava  non  solo 
gli  affari  privati  della  famiglia,  ma  i  pub- 
blici ancora  della  camera  apostolica.  Pao- 
lo V  lo  fece  canonico  Lateranense  e  nel 
1608  arcivescovo  di  Nazareth  nel  regno 
di  Napoli,  che  non  esigeva  personale  re- 
sidenza; indi  a'24  novembre  lo  creò  car- 
dinale prete  di  s.  Bartolomeo  all'  Isola, 
arciprete  di  s.  Maria  Maggiore,  pro-da- 
tario e  protettore  de'minimi.  La  sua  in- 
fluenza giunse  a  sì  alto  punto  presso  il  Pa- 
pa,che  parve  facesse  ombra  ailostesso  car- 
dinal nipote,onde  nel  1609  fu  trasferito  al 
vescovato  diCesena,e  dopo  3  anni  sembrò 
che  la  fortuna  si  stancasse  dal  favorirlo, 
poiché  decaduto  a  poco  a  poco  dalla  pon- 
tifìcia grazia,  non  si  sa  se  per  colpa  pro- 
pria o  per  altrui  invidia  e  gelosia,  fuco- 
stretto  ritirarsi  da  Roma  e  condursi  alla 
sua  diocesi  di  Cesena,  dove  si  trattenne 
fino  alla  morte  di  Paolo  V, nel  qual  tem- 
po non  mancò  d'arricchire  quella  chiesa 
di  rara  e  preziosa  suppellettile  e  di  sagre 
reliquie.  Lasciò  alla  sua  patria  un  fondo 
per  alimentare  3  giovani,  che  applicasse- 
ro allo  studio  della  legge  e  da  nominarsi 
dal  capitolo;  restaurò  la  chiesa  di  s.  Eu- 
femia deformata  da  un  fortuito  incendio, 
e  donò  alla  cattedrale  ricchi  arredi,  e  per 
mostrare  la  sua  gratitudine  e  riconosccu- 


TOP  ^ 

za  a  Paolo  V  suo  beuefattore,  eresse  nel 
santuario  di  Loreto  una  cappellani?»  con 
l'obbligo  della  messa  quotidiana  perpe- 
tua in  suffragio  della  di  lui  anima.  Negli 
ultimi  anni  del  vivere  suo  fondò  sulla  sa- 
lita di  s.  Onofrio  un  collegio  per  mante- 
nervi 1 1  giovani,  il  quale  in  breve  acqui- 
stata gran  riputazione,  divenne  angusto 
per  la  moltitudine  de'  nobili  convittori 
che  d'ogni  parte  vi  concorrevano;  laonde 
fu  stimato  necessario  di  trasferirlo  nel  pa- 
lazzo medesimo  del  fondatore,  ch'è  quel- 
lo slesso  in  cui  di  presente  ancora  fiori- 
sce il  Collegio  Nazareno  (J7-.),  nome  che 
prese  dal  suo  antico  arcivescovato,  e  di- 
poi istituì  erede  universale  de'suoi  beni, 
volendo  che  fosse  governato  da'religiosi 
delle  Scuole  Pie  [fr-\  che  tuttora  lo  ri- 
tengono. Questo  cardinale,  sebbene  in  o- 
ligi  ne  povero  di  beni  di  fortuna  e  oscuro 
per  nascita,  fu  assai  illustre  e  commenda- 
bile per  la  nobiltà  delle  azioni  e  pel  can- 
dore de'  costumi,  e  perciò  degno  di  sua 
fortuua.  Fu  ancora  benemerito  della  cu- 
ria romana,  perchè  esercitando  la  carica 
di  datario  con  suprema  autorità,  unico 
suo  scopo  fu  sempre  di  promuovere  sog- 
getti meritevoli,  senza  alcun  riguardo  al 
proprio  genio  e  soddisfazione,  o  a'  suoi 
privali  interessi.  Intervenne  al  conclave 
di  Gregorio  XV,  dopo  il  quale  chiuse  la 
carriera  del  viver  suo  in  Roma  nel  1622, 
di  56  anni,  ed  ebbe  la  tomba  nella  chie- 
sa del  Gesù  con  onorevole  epitaflìo, posto 
avanti  l'altare  di  s.  Ignazio  dal  nipote  An- 
tonio Tonti. 

TOPARCHIA.  Signoria,  governo  d'un 
luogo,d'unaprovincia;piccolostato,picco- 
lo  governo  composto  d'una  sola  città  obor- 
go,o  d'una  piccola  provincia  o  regione:  ter- 
mine greco  che  significa  luogo  e  coman- 
do. Quindi  si  disse  Toparco  o  Toparca 
il  possessore  o  governatore  d'una  topar- 
chia  ;  e  Procopio  cos\  chiamò  1'  armeno 
Abgaro  re  d'Edessa,  e  toparchia  il  suo  re- 
gno. La  Giudea  fu  un  tempo  divisa  in 
io  toparchie,  al  diredi  Plinio.  Neh.0  lib. 
de' Maccabei  parlasi  di  3  toparchie,  cioè 


TOR  117 

d'Aphaereraa,  di  Lida  e  di  Ramatila.  A- 
phaeremafuuuadelle3  toparchieaggiun- 
te  alla  Giudea  da're  d'Assiria, e  probabil- 
mente è  la  stessa  che  l'Ephrem  o  Ephraim 
notata  in  s.Giovanni. però  vi  fu rono due  cit- 
tà omonime,  l'una  nella  tribù  d'Ephraim 
verso  il  Giordano,  I*  altra  nella  tribù  di 
Beniamino  a  8  miglia  circa  da  Gerusa- 
lemme. Lida  o  Lìdda  o  Dioyìoli  fu  oc- 
cupata da'beniamiti  reduci  da  Babilonia, 
indi  divenne  toparchia  distinta  di  Sama- 
ria, come  uno  de'  più  gran  borghi  della 
Giudea, e  quindi  città.  Si  rese  celebre  per 
avervi  s.  Pietro  risuscitato  Tabita,  e  gua- 
rito Enea  paralitico,  non  che  pel  conci- 
lio del  4' 5  contro  Pelagio,  e  per  la  sede 
vescovile.  Ramatila  o  Ramata  o  Rama, 
città  di  Beniamino  tra  G-jbaa  e  Belhel  ver- 
so le  moutagne  d'Ephraim,  fu  patria  di 
Samuele,  e  vi  fu  eseguita  parte  della  stra- 
ge de'ss.  Innocenti,  poi  sede  vescovile.  Lo 
storico  Giuseppe  fi  sovente  menzione  del- 
le toparchie  della  Giudea,  e  cluaui  1  (ili 
le  città  di  Azoto,  Jamnia  e  Fasaelide,  che 
Erode  il  Grande  lasciò  in  testamento  a 
Salome  sua  sorella,  di  cui  feci  parola  a  Te- 
trapoli"  o  regni  divisi  in  4parti,ec;  e  di 
Azoto  e  Jamnia  anche  a  tali  articoli,  sic- 
come poscia  sedi  vescovili,  ambedue  cele- 
bri e  antiche  città  de'  filistei,  e  lai.' Sa- 
trapia  de' medesimi. 

TORCE  LLO,  Torccllwn,  Dorcaeum. 
Sede  vescovile  e  isoletta  del  regno  Lom- 
bardo-Veneto,provincia  e  distretto  di  Ve- 
nezia,nellecui  lagune  dell'Adriatico  si  tro- 
va al  nord-est  1  leghe  distante.  Fu  que- 
sto uno  de'primi  asili  di  quegl'italiani  che 
fuggendo  all'invasione  de'barbari, si  reca- 
rono nelle  venete  lagune  a  cercare  liber- 
tà e  sicurezza,  e  quindi  fondarono  la  già 
famosissima  e  possente  repubblica  vene- 
ziana. Surse  su  quest'isola  una  grande  e 
cospicua  città,  sede  di  moltissime  tra  le 
più  nobili  veneziane  famiglie.  In  appres- 
so, Ira  per  l'ingrandimento  di  Rialto,  ora 
le 'lezi  a  (f~.),  dove  fu  fissato  J  centro  del 
governo,  per  la  gravezza  dell'aria  cagio- 
nata dalle  viciue  puludi,eper  lo  estinguer- 


i  .  8  T  O  R 

si  di  varie  famiglie ,  andò  scemando  dei 
Mftoi  primari  abitatori,  sicché  rimasta  pres- 
soché deserta,  cadde  in  rovina,  né  più  se 
ne  vedono  che  scarsissimi  avanzi.  L'ur  vi 
ìimaneano  mólta  chiese,  conventi  e  mo- 
nasteri; ma  anche  questi  ora  del  tutto  ce- 
dono al  tempo  e  all'abbandono  in  cui  si 
trovano,  né  ad  abitar  l'isola  vi  hanno  che 
alcuni  pescatori,  vignaiuoli  e  ortolani,  i 
quali  conservano  a'frutti  del  luogo  quel- 
l'eccellenza ondefurono  in  ogni  tempo  fa- 
mosi. La  cattedrale  tuttavia  si  mantiene 
in  piedi,  che  per  le  sue  singolarità  viene 
visitata  di  continuo  quasi  da  tulli  i  visi- 
tatori dell'unica  Venezia;  così  rimpetlo 
esiste  il  tempietto  ornato  di  bella  roton- 
da ,  già  battistero  secondo  l'antico  rito. 
L'isola  era  separata  da  un  gran  canale,  le 
cui  rive  erano  popolale  di  case  e  di  pa- 
lazzi,di  tanto  in  tanto  unite  da  ponti,  per 
cuiavea  molta  somiglianza  a  Venezia.  Tra 
quel  tempo  che  Torcello  era  prosperosa 
città  e  1'  altro  in  cui  cadde  interamente, 
era  luogo  di  villeggiatura  di  molle  nobi- 
lissime case  veneziane,  che  vi  tenevano 
magnifici  palazzi,  orti  e  giardini  anienis- 
simi;  macia  ultimo,  a  motivo  dell'insalu- 
brità del  soggiorno. neppure  il  proprio  suo 
vescovo  più  vi  abitava,  recatosi  a  dimo- 
rare in  Murano,  altra  isola  delle  venete 
lagune,  ad  un  4-°  di  lega  da  Venezia,  pure 
altro  luogo  di  delizia  della  veneta  nobil- 
tà, per  la  salubrità  di  sua  aria.  Il  dotto 
senatore  Flaminio  Corner  o  Cornaro  ve- 
neto ci  diede:  Notizie  storiche  delle  chie- 
se e  monasteri  di  Venezia  e  di  TorceU 
lo,  Padova  iy58.  Ed  il  p.d.  AnselmoCo- 
stadoui  camaldolese  scrisse  le  Osserva- 
zioni intorno  alla  cjiiesa  cattedrale  di 
Tonello,  e  ad  alcune  sagre  sue  antichi- 
tà, pubblicate  ne!  1750  dal  p.  Calogeri 
nella  Raccolta  d'opuscoli, ì,  43,  p.  255, 
Prima  di  essi  l'Ughelli  nel  t.  5  dell'Italia 
sacra  a  p.  1 36o,  Torccllani  Episcopi)  a- 
vea  stampalo  colla  serie  de' vescovi  le  no- 
tizie storiche  di  Torcello,  ove  dice:  Alti- 
natcs  post  suae  civilalis  ejecidium ,  qui 
.  jhiludibus  circa  Vcmtias  UUaiUcs  in- 


TOR 

sula  occuparunt ,  Torcellum  aedifica- 
runt,illamcpie  civitatem  Torcellum  .(pia- 
si Torricellum  a  sexta  parte  excisac  ci- 
vitatis  appcllarunt.  Primamente  convie- 
ne ricordare,  che  Aitino  {V.),  città  già  ce- 
lebre nell'antica  provincia  terrestre,  con- 
vertilo dal  gentilesimo  alla  fede  cattolica, 
fu  decorato  colia  sede  vescovile,  e  anno- 
vera fra'suoi  vescovi  s.  Eliodoro,  che  ne 
divenne  poi  il  principal  protettore;  si  re- 
se poi  famoso  il  vescovo  Pietro,  poiché  in- 
sorto l'antipapa  Lorenzo  contro  il  legit- 
timo Papa  s.  Simmaco  (F.),  nel  5o3  rin- 
novati i  tumulti  co' suoi  fautori,  il  goto 
Teodorico  re  d'Italia  di  prepotenza  man- 
dò a  Roma  per  visitatore  Pietro  vescovo 
d'Aitino,  il  quale  unendosi  agli  scismatici 
sturbò  le  cose  della  Chiesa,  per  cui  volen- 
do il  re  dar  fine  a  tanti  tumulti,  col  con- 
senso di  s.  Simmaco  convocò  il  sinodo  Pal- 
mare, nel  quale  fu  dichiarata  l'innocenza 
del  sauto  Pontefice,dallecalunniedeli'an- 
tipapa,  e  questi  fu  cacciato  in  esilio.  Sog- 
giacque Aitino  agl'imperatori  romani,fin- 
ché  uscito  dalla  Pannonia  il  fiero  Attila 
re  degli  unni,  con  un  esercito  inondò  l'I- 
talia, distruggendone  le  più  illustri  città, 
e  fra  queste  Concordia,  Padova  ed  Aiti- 
no, donde  ne  fuggirono  nel  ^5i  i  princi- 
pali cittadini  altinati,ricovrando  le  loro  fa- 
miglie nelle  contigue  lagune,  ove  si  cre- 
dettero in  salvo  dal  furore  de'  barbari. 
Quivi  in  6  principali  isolelte  fermarono 
la  loro  abitazione,  chiamandole  co'notni 
delle  porte  di  loro  patria,  Torcello,  Mazor- 
bo,  burano,  Murano,  Annoiano  e  Costan- 
ziaco.  Partilo  poscia  d'Italia,  e  poco  dopo 
morto  il  terribile  flagello  di  Dio  Aitila, 
ritornò  la  maggior  parte  degli  attillati  a 
ridonarsi  alla  loro  patria,  rialzandola  dal- 
le rovine.  Ma  pe'  danni  recatile  nel  568 
da  Alboino  re  de'longobardi,  per  l'eleva- 
zione dell'acque  dell'Adriatico, ed  inoltre 
rinnovatesi  nel  635  le  feroci  incursioni 
sotto  Rotari  re  de'longobardi,  nemico  di- 
chiaralo del  nome  e  dell'impero  romano, 
gli  altinesi  vedendo  preso  Oderzo  e  poi 
bruciato,  e  già  per  tradizione  de'  loro 


TOR 
antenati  avendo  appreso  quanto  fosse  lo- 
ro riuscito  sicuro  il  ricovero  delle  lagune  e 
paludi  di  Torcello,  qui  vi  sotto  la  direzioue 
di  Paolo  loro  vescovo  si  condussero,  seco 
trasportando  quanto  aveano  di  prezioso, 
e  principalmente  le  reliquie  delle  loro 
chiese,  ch'erano  i  corpi  de'sauti  Teonisto, 
Tubra  e  Tabrata  martiri,  Eliodoro  ili.° 
de'vescovi  d'Aitino  di  cui  ci  sia  pervenuta 
notizia,  e  Liberale  confessore,  di  diversi 
ss.  Innocenti,  insieme  col  braccio  di  s.  Gia- 
como maggiore  apostolo,  il  tutto  descril- 
todal  Corner,  ed  il  restante  del  tesoro  ec- 
clesiastico colle  ricchezze  de'cittadini.  Sta- 
bili il  vescovo  Paolo  la  sua  sede  iu  Tor- 
cello, ove  innalzò  la  città  e  anche  destiuò 
il  silo  per  la  nuova  cattedrale,  ma  preve- 
nuto dalla  morte  pochi  mesi  dopo  il  suo 
ai  livOjOe  lasciò  la  cura  dell  erezione  al  suo 
successore.  Questi  fu  Mauro  o  Maurizio, 
il  quale  dopo  avere  per  autorità  di  Papa 
Severino,  coll'assenso  del  patriarca  diGra- 
du,  di  cui  era  sulfiagauea  la  sede  d'Aiti- 
no, (issala  la  sua  dimora  perpetua  iu  Tor- 
cello, oltre  la  chiesa  cattedrale,  eresse  per 
divina  rivelazione  circa  il  640  molte  chie- 
se ne'diversi  sili  della  nuova  diocesi,  ed  il 
monastero  delle  monache  di  s.  Giovanni 
Evangelista.  Tanto  uarra  il  Corner,  men- 
tre ad  Altino  dissi  che  una  cronaca  nis. 
attribuisce  a  Papa  s.  Sergio  I  del  687  il 
permesso  traslocamelo  della  sede  vesco* 
vile  da  Aitino  a  Torcello,  la  quale  nuo- 
va città  però  sino  al  secolo  XI  trovasi  det- 
ta Novum  Altinum.  Il  Muratori  dubita 
che  nel  breve  pontificato  di  Severino  que- 
sti abbia  potuto  approvatela  traslazione, 
e  quella  pure  fui  la  da  s.  Maglio  vescovo 
di  Oderzo  io  Eraclea,  appellatasi  poi  Cit- 
/.:  A  uos-iij  ma  al  p.  Costadoui  sembra  che 
può  benissimo  avere  Severiuo  spedile  le 
bolle  per  le  due  traslazioni,  ed  aggiunge 
che  l'isola  su  cui  specialmente  i  fuggitivi 
attillati  innalzarono  le  loro  abitazioni,  uon 
prese  subito  il  nome  di  Torcello,  ma  di 
Nuovo  Altino.\j&  nuova  città  divenne  poi 
col  tempo  una  delle  più  ragguardevoli  , 
che  formano  l'esteso  recinto  di  Veuezia, 


TOR  1  19 

specialmente  per  le  ricchezze  e  pel  com- 
mercio.e  Costantino  VI  Porfirogenito,  tra 
i  luoghi  veneziani  nominò  il  grand'empo- 
riodi  Torcello,  poi  divenuta  una  delle  più 
disabitate  isole  di  quest'acque."  In  una  let- 
tera sinodale  di  Papa  s.  Agatone,  inseri- 
ta uegli  alti  del  còucilio  di  Costantinopo- 
li convocato  nel  680,  vi  si  legge  sottoscrit- 
to Paolo  vescovo  d'  Aitino,  humìlis  epi- 
scopio Ecclesiae  Altinensis  provineiae 
Istriae;  il  quale  certamente  è  diverso  dal- 
l'altro Paolo  raeutovatojoi'.de  questo  Pao- 
lo, dice  il  Corner,  dovrebbe  nella  serie  dei 
vescovi  collocarsi  fra  Giuliano  e  Diodato 
vescovi;  se  pure,  il  che  è  più  verosimile, 
uon  siasi  per  errore  trascritto  dalla  lette- 
ra sinodale  il  nome  della  chiesa  Attuiate 
invece  d'altra  consimile,  comesi  legge  nel- 
l'indice de'concilii  dell'Arduino, di  Agnel- 
lo vescovoToi  celiano  oTorcellinodel487, 
vale  a  dire  più  d'un  secolo  avauti  che  iu 
Torcello  vi  fosse  vescovo.  Stima  Corner, 
che  la  meuo  incerta  serie  de'  vescovi  di 
Torcello  sia  la  seguente.  Successe  a  Mauro 
nel  vescovato  Giuliano,  che  nel  lungo  cor- 
so del  suo  governo  vide  accrescersi  il  de- 
coro di  sua  diocesi  colla  fabbrica  di  nuo- 
ve chiese.  Indi  verso  il  697  Diodato  o  A- 
deodato  abbellì  e  perfeziouò  la  cattedra- 
le, dedicandola  alla  B.  Vergine.  Assunta  in 
cielo,  ed  in  essa  onorevolmente  collocò  le 
ss.  Reliquie  trasportate  da  Aitino.  Gui- 
tonio  riportato  dall'Ughelli,  ma  nou  ne 
fa  menzione  il  Dandolo,  né  laccuratissi- 
ma  cronaca  attribuita  a  Giovanni  Sagor- 
niuo.  Onorio  o  Onorato  fu  fatto  vescovo 
verso  il  72-L  Vitale,  ommessoda  Ugbelli, 
resse  il  vescovato  9  aoui  e  6  mesi,  e  pare 
che  sia  slato  l'ultimoa  intitolarsi  vescovo 
Aiutiate,  mentre  i  vescovi  di  lui  successori 
furono  chiamati  Torcellensi o  Forcella." 
ni.  Indi  Severo,  poi  Domenico,  il  quale 
dopo  avere  retta  peralquauto  tempo  que- 
sta chiesa  si  ritirò  a  servir  Dio  in  un  mo- 
nastero. Giovanni  nominato  nella  della 
ci  oliaci,  invece  del  quale  il  Coleìi  anno- 
tatore d'Ughelh  poue  verso  l'8ot)  Giusto 
d'Eraclea  figlio  del  doge  Angelo  Partaci- 


i2o                     TOR.  TOR 

pazio,  contro  l'asserzione  del  Dandolo, che  va  le  rendite  di  sua  mensa  e  si  sottraeva 
scrive  aver  avuto  Angelo  due  figli  ambe-  anche  parte  dell'alimento;  intervenne  col 
due  poi  dogi.  Adeodato  11  ucciso  presso  suo  popolo  alla  traslazione  del  corpo  di  s. 
Aitino  da  due  suoi  servi,  poi  d'ordine  del  .Stefano  protomartire  nella  chiesa  di  s. 
doge  fatti  impiccare.Senatore  acquileiese,  Giorgio  Maggiore,  ove  mentre  con  fervo- 
morto  verso  I874.  Domenico  II  Calopri-  re  predicava,  una  cieca,  mula  e  sorda  si 
110  abbate  del  monastero  d'Aitino,  e  già  gettò  a'suoi  piedi  e  per  intercessione  del 
monaco  di  s.  Ilario,  per  essersi  volontà-  santo  ricuperò  i  sentimenti.  Neh  i5i  Pie- 
namente reso  eunuco  fu  scomunicalo  da  Ira  Michele,  per  la  cui  morte  i  canonici 
Pietro  Mai  tulio  patriarca  di  Grado,  che  elettori  si  divisero  in  due  fazioni,  ed  aven- 
ricusò  anco  d'assentire  alla  di  lui  elezio-  do  l'arcidiacono  eletto  uno,  gli  altri  elet* 
ne  in  vescovo  di  Torcello  e  di  consagrar-  tori  lo  rigettarono  come  scomunicato,  e 
lo.  Insorte  perciò  inimicizie  fra  il  patriar-  chiamarono  al  vescovato  un  altro,  onde 
ca  e  il  doge  Orso  Partecipa/io,  furono  poi  Papa  Alessandro  III  rimisela  decisione  al 
riconciliati  a  condizione,  che  Domenico  patriarca  di  Grado  e  ad  altri  due  giudici 
non  fosse  contagiato  vescovo  finché  vives-  delegati.  Nel  1  1 58  Angelo  Molino  arcidia* 
se  il  patriarca,  ma  godesse  però  le  renili-  cono  di  Torcello  e  pievano  della  chiesa 
le  di  sua  chiesa.  Morto  il  patriarca,  ed  e-  matrice  di  s.  Maria  di  Murano;  nel  1172 
letto  in  di  lui  luogo  Vittore  Parteciparlo,  Martino  Orso  arciprete  di  Torcello  e  no* 
ordinò  benché  di  malgrado  Domenico  in  taro;  nel  1  1  77  Leonardo  Donato,  che  in- 
vescovo, comechè  contro  lo  statuito  dai  tervenne  al  concilio  di  Laterano  III  nel 
canoni.  Benedettogli  sdccesse,quindiGio-  1  179,  ottenne  da  Federico  I  un  imperiai 
vanni  II  di  Torcello,  e  successivamente  diploma  a  favore  di  sua  chiesa,  ed  altro 
Giberto,  Pietro,  Marino,  Domenico  III  ne  impetrò  da  Urbano  III,  riprodotto  poi 
figlio  di  Pietro  Candiano  111  doge  di  Ve-  da  Eugenio  IV  e  pubblicato  dall'Ugliel- 
nezia  morto  nel  <)5q;  Milito  o  Mineo  o  li,  con  altri  documenti  riguardanti  i  ve- 
Marco  veneziano,  ambizioso  intruso  simo-  scovi  di  Torcello,  e  morendo  verso  ili  197 
iliacamente,  fu  aceiecalo  da'  veneziani  a  fu  sepolto  nella  cattedrale.  Immediata* 
persuasione  del  doge.  Giovanni  III  gli  sue-  mente  il  successe  Stefano  Capellizo,  indi 
cesse  in  dello  anno;  Valerio  nominato  in  Giovanni  V  Moro,  sotto  il  quale  fu  fon- 
un  documento  del  qqq  vescovo  della  s.  data  da  Marco  Trevisani  la  celebre  ahba- 
Chiesa  Alti  nate,  e  morto  nel  1  008.  Orso  zia  cisterciense  di  s.  Tommaso  de'Borgo-. 
figlio  di  Pietro  li  doge  di  Venezia,  col  fa-  gnoni,  che  fiorì  per  uomini  illustri,  e  eo- 
voredel  quale  fece  riedificare  la  cattedra  •  struì  monasteri  nell'oriente,  l'Ughelli  ri- 
le  e  l'episcopio,  e  nel  1  o  1 2  passò  alla  sede  portando  la  serie  de'suoi  abbati  dal  1  200 
patriarcale  di  Grado.  Gli  successeli  fra-  al  1 583  e  co'suoi  commendatari.  Buono 
tello  Vitale,  il  quale  per  comando  del  pò-  Balbi,  già  arcidiacono  di  Torcello  e  pie  va- 
polo  veneziano  andò  nel  io3i  a  Costanti-  no  delia  chiesa  matrice  di  s.  Maria  di  Mu- 
nopoli  per  ricondurre  in  patria  Ottone  do-  rano,  concesse  ad  alcune  pie  donne  la  cilie- 
ge suo  fratello  esiliato,  che  trovò  morto,  sa  di  a.  Mauro  di  Borano  ned  1214  per 
e  nel  1  o4o  intervenne  al  concilio  proviti-  fabbricarvi  un  monastero,  e  morì  nel 
ciale  convocato  a  Venezia  nella  chiesa  di  1  2  1  5.  Stefano  Natali,  che  erroneamente 
s.  Marco.  Indi  Giovanni  IV  Bobrario;Or-  l'Ughelli  chiama  Lollini,  giurò  neh  2  16 
so  Badoari  del  1 068,  Allinatis  Ecclesiae,  ubbidienza  a!  patriarca  di  Grado,  permi- 
epi scopo j Stefano  del  1  1  27  della  nobil  fa-  se  l'erezione  del  monastero  di  s.  Antonio 
miglia  Silvia  o  Silveria,  fu  anche  più  il-  in  Torcello,  e  trasferì  nel  1247  ■'  C01P° 
lustre  per  la  santità  de'suoi  costumi,  mol-  di  s.  Fosca  vergine  e  martire  dal  luogo 
to  dolio,  profuso  co'poveri  cui  compatii*  ove  si  trovò,  all'altare  della  chiesa  a  lei 


TOR 
dedicala  presso  la  cattedrale  e  da  lui  con- 
sagrato. Nel  1 254  fr.  Gottifredo  dotneni- 
cano,  che  morto  nel  1 2  56,  in  di  lui  luogo 
elessero  i  canonici  Simeone  Mauro  pieva- 
no di  s.  Barnaba,  perciò  escluso  da  Inno- 
cenzo IV.  Quindi  l'UghelIi  registra  Tau- 
rano  Quirini,  ma  più  probabile  sembra 
fr.  Egidio  bolognese  domenicano  del  1  2  5c> 
e  morto  nel  1289.  Enrico  Contai  ini  del 
1290  visse  pochi  mesi.  Alerone  neh  291 
eletto  da  Nicolò  IV  di  cui  era  cappellano, 
intervenne  nel  1296  al  concilio  provincia- 
le di  Grado,  e  morì  circa  il  1  3o3.  Gii  fu 
subito  sui  rogato  d.  Francesco  Tagliapie- 
tra  abbate  di  s.  Nicolò  del  Lido,  che  ap- 
provò il  nuovo  monastero  di  s.  Nicolò  di 
Mazorbo,  trovò  nascosta  nella  cattedrale 
la  testa  di  s.  Teodoro  martire  e  la  collocò 
in  luogo  più  decente,  e  stabilì  del  proprio 
la  messa  quotidiana  nella  cappella  di  s. 
Nicolò  dell'episcopio.  Morto  nel  declinar 
del  1  3  1  3  o  nel  principio  del  1  3  1 4.  per  po- 
co gli  successe  fr.  Francesco  Dandolo  for- 
se camaldolese.  Domenico  IV  nel  1  3  1  7  fu 
traslato  a  patriarca  di  Grado,  per  rinun- 
zia di  Giuliano  priore  benedettino  di  s. 
Giorgio  Maggiore,  eletto  da' canonici  di 
Grado;  ma  Papa  Giovanni  XXII  nello 
stesso  1  3  1  7  o  nel  1 3  1 8  lo  fece  vescovo  di 
Torcello.  Poco  dopo  fr.  Tolomeo  da  Luc- 
ca domenicano,  della  nobile  famiglia  Fia- 
doni,  discepolo  di  S.Tommaso  d'Aquino 
e  prefetto  della  biblioteca  Vaticana,  uomo 
di  dottrina  fornito  doviziosamente  più  che 
di  moderazione  e  prudenza, a  vendo  lascia- 
to troppo  liberamente  a'suoi  nipoti  il  .'o- 
verno  delle  rendite  vescovili,  che  a  loro 
talento  dispersero  e  danneggiarono,  laon • 
de  fu  chiamato  in  Grado  dal  patriarca  a 
render  conto.  Ricusò  il  vescovo  ostinata- 
mente d'ubbidire,  per  cui  giuridicamen- 
te fu  riconosciuto  reo  di  gravi  colpe  e  sco- 
municato, sentenza  confermata  dal  sino- 
do provinciale  di  Grado.  Finalmente,  a- 
\etulo  ubbidito  e  dal  patriarca  ottenuto  il 
perdono,  continuò  a  fungere  più  lodevol- 
mente gli  esercizi  del  suo  ministero,  e 
l'anteriori  colpe  in  qualche  parte  furono 


TOR  121 

compatite,  comechè  riconosciuto  indebo- 
lito nelle  facoltà  intellettuali.  Abbiamodel 
vescovo  fr.  Tolomeo  da  Lucca  alcuni  bre- 
vi Annali  della  storia  profana,  dal  1060 
fino  al  1  3o3,  ed  una  Storia  ecclesiastica 
in  24  libri,  cominciando  da  Gesù  Cristo 
finoal  1  3  1  2  circa. Nel  i328  fr. Bartolomeo 
Pasquali  o  de  Piscialis  bolognese  domeni- 
cano, altro  discepolo  di  s.  Tommaso  d'A- 
quino e  maestro  del  sagro  palazzo  (ove 
dissi  diversamente  dal  Corner,  onde  va 
letta  l'aggiunta  dal  Coleti  fatta  all'Ughel- 
li,  nella  quale  distingue  due  fr.  Bartolo- 
mei vescovi  di  Torcello),  morto  neh  335 
e  sepolto  in  Venezia  nella  chiesa  de'ss.  Gio- 
vanni e  Paolo  de'suoi  domenicani. Gli  suc- 
se  in  detto  anno  Giacomo  Morosini  dele- 
gato apostolico  di  Papa  Benedetto  XII  a 
prosciogliere  nel  1  339  dall'interdetto  il 
decano  della  cattedrale  di  Treviso  e  la  cit- 
tà stessa.  Il  Coleti  col  Bouoli  corresse  l'U- 
ghelIi che  die  in  successore  a  Bartolomeo 
Ir.  Michele  veneto  domenicano,  invece  ve- 
scovo di  Chioggia.  Neil  35 1  d.  Petrochi- 
no  Casalesci  di  Ferrara,  canonista  e  teo- 
logo chiarissimo,  già  abbate  di  s.  Cipria- 
no di  Murauo  e  lodalo  vicario  generale  di 
Torcello,  poi  nel  1  362  arcivescovo  di  Ra- 
venna. Qui  l'UghelIi  per  abbaglio  ripetè 
il  suddetto  Leonardo  Donato.  Giovanni 
VI,  creduto  religioso,  morì  nel  1 366.  Nel 
1367  Pao'°  Baiando  preposto  della  cat- 
tedrale di  Faenza,  governò  sino  ali 374. 
Indi  nel  1377  Filippo Balardo,  che  zelan- 
te celebrò  subito  il  sinodo  diocesano,  i  cui 
lodevoli  e  provvidi  atti  pubblicò  l'Ughel- 
Ii. Filippo  Nani  nobile  veneto  moiì  nel 
i4o5,  ma  sebbene  l'UghelIi  riporti  l'epi- 
tallio,  avverte  Coleti  che  fu  confuso  con 
Pietro  che  dirò,  ed  il  Corner  segni  l'U- 
ghelIi. Neli4o5  divenne  vescovo  Donalo 
de  Greppa  canonico  di  Torcello  e  pieva- 
no della  chiesa  di  s.  Stefano  di  Murano. 
Da  Città  Nuova  nelle  lagune  nel  1  41  8  vi 
fu  trasferito  Pietro  Nani,  e  sotto  di  lui  si 
restaurò  la  caltedraledanneggiatada  lun- 
go tempo,  morendo  nel  1  426.  Filippo  l'a- 
ruttt  nobile  veuclo,già  diCiltù  Nuova,  per 


122  T  O  R 

la  cui  diligenza  molti  monasteri  di  mona- 
che, ne'quali  era  decaduta  la  regolare  di- 
sciplina, furono  soppressi  e  uniti  ad  altri 
di  più  esatta  osservanza,  ed  in  quello  di 
s.  Antonio  abbate  trasferì  il  corpo  di  s. 
Cristina  verginee  martire; poscia  nel  <44^ 
fu  traslato  a  Candia.  Gii  fu  sostituito  Do« 
nienico  de  Domenici  decano  di  Ceneda, 
maestro  in  teologia  dottissimo,  restaurò 
l'episcopio,  e  nel  i  4^4  passò  a  Brescia,  vi  • 
cario  di  Roma  di  Paolo  II  e  di  Sisto  IV. 
Gli  successe  Placido  Pavanellogià  mona- 
co di  s.  Giustina,  e  da  Eugenio  IV  fatto 
obbategenerale  de'vallombrosani,  poi  ve- 
scovo di  Biblo//? partibus,  indi  di  Paren- 
7.0,  e  nel  i4^4  di  Torcello  con  diploma 
di  Paolo  li  riportato  da  Ugbelli,  insieme 
alla  lettera  che  dipoi  il  Papa  scrisse  alla 
priora  del  monastero  di  s.Giacomodi  Mu- 
rano: morto  nel  1 4^7  |,  fu  sepolto  in  s.  Gio. 
Evangelista.  Nello  stesso  anno,  non  Sigi- 
smondo, né  Scipione  come  scrive  Ugbelli, 
e  di  uno  facendone  due,  ma  Simeone  Con- 
tarmi, che  mori  neh 485.  In  questo  Ste- 
fano III  Tagliazzi  arcivescovo  d'Anlivari 
e  di  Patrasso,  ritenuta  la  2."  sede  s'intito- 
lò arcivescovo  di  Patrasso  e  vescovo  di 
Torcello,  e  intervenne  al  concilio  di  Late- 
rano  V.  Nel  i5>4  gli  successe  per  coadiu- 
toria  Girolamode'conti  Porzia  di  raro  ze- 
lo e  singoiar  dottrina,  commissario  apo- 
stolico per  la  riforma  de'monasteri  di  mo- 
nache della  diocesi  Torcellana,  che  ridus- 
se a  regolare  osservanza.  Neh  526  Giro- 
lamo Foscari  nobile  veneto, di  solo  titolo 
e  amministratore,  finche  ebbe  l'età  cano- 
nica, morto  neh  563  in  Roma  e  sepolto 
in  s.  Maria  del  Popolo.  Non  pai  e  che  gli  sia 
succeduto  Giulio  Grimani,  come  vuole  U- 
gbelli,  sibbene  Giovanni  Delfino  postula- 
to dal  capitolo,  che  sollecito  per  la  con- 
servazione dell'  ecclesiastica  disciplina  , 
convocò  due  volte  il  sinodo  diocesano,  e 
ristorò  le  abitazioni  del  vescovato,  inter- 
venne al  concilio  di  Trento,  e  fu  traslato 
a  Brescia  neh  570,  Nel  qual  anno  Carlo 
Pesaro  canonico  di  Treviso  e  referenda- 
rio di  segnatura,  morto  nel  1587.  \' 2.6 


TOR 

ottobre  Antonio  Grimani, celebrò  il  sino- 
do e  lo  pubblicò  colle  stampe,  uni  al  ca- 
pitolo le  rendite  del  priorato  di  s.  Pietro 
di  Casacalba  già  de' canonici  regolari  di 
s.  Agoslino,efo  nunzio  a  Firenze  di  Pao- 
lo V,  che  neh6i8  Io  dichiarò  patriarca 
d'  Aquileia.  Gli  surrogò  Zaccaria  dalla 
Vecchia  protonolario  apostolico,  che  urù 
il  priorato  di  s.  Cataldo  di  Binano,  an- 
tica abitazione  de'frati  agostiniani,  al  ca- 
pitolo della  cattedrale,ma  non  conferman- 
do ciò  la  s.  Sede,  il  successore  unì  il  prio- 
rato al  seminario,  il  quale  non  potendo 
poi  sussistere  per  mancanza  di  rendite,  il 
beneficio  fu  assegnato  per  stipendio  a  4 
maestri  eletti  due  in  Butano  e  due  in  Mu- 
rano, per  istruire  i  chierici  nella  lingua  la- 
tina e  nel  canto  gregoriano.  Neh  6i5  pel 
suo  decesso  a'  ig  febbraio  venne  eletto 
Marco  Giustiniani,  che  dopo  7  mesi  pas- 
sò a  Ceneda  e  poi  a  Verona;  onde  nello 
stesso  1 62  5  gli  successe  MarcoZeno,il  qua  • 
lea'25  novembre  eseguì  la  traslazione  ilei 
corpi  de'ss.  Tabra  eTabrata  martiri,  con 
lealtre  summentovate  reliquie  della  cat- 
tedrale, in  diversi  altari  della  medesima, 
e  nell'altare  della  B.  Vergine  il  corpo  di 
s.  Eliodoro  in  un'arca  di  scelto  marmo  fu 
onorevolmente  deposto:  morì  neh  64»  ifl 
Venezia  e  fu  tumulato  in  s.  Maria  Glo- 
riosa. Neh 643  Marc'Antonio  Marlinen- 
go  bresciano,  e  altro  patrizio  veneto,  ca- 
nonico e  vicario  generale  di  Padova,  pru- 
dente e  dotto,  con  opportune  costituzio- 
ni stabilite  nel  sinodo  diocesano  da  lui  te- 
nuto e  stampato,  provvide  alla  buona  di- 
sciplina del  clero  e  delle  monache,  morì 
in  Padova  e  fu  sepolto  nella  chiesa  de'tea- 
tini.Nel  1678  Giacomo  Vianoli  nobile  ve- 
neto, già  titolare  di  Famagosta  ,  lodalo 
pastore,  morto  in  Venezia  e  sepolto  nel- 
la tomba  gentilizia  in  s.  Francesco  della 
Vigna.  Qui  noterò,  che  il  p.  Gio.  Girola- 
mo Gradenigo  nella  sua  Brescia  sagro^ 
riferisce  che  fu  vescovo  di  Torcello  Pie- 
tro Ottobotti,  poi  Alessandro  Vili, perde- 
sti nazione  d'Urbano  VI  II.  e  siccome  altret- 
tanto scrive  il  Novacs  nella  Storia  d\l- 


TOR 
Iosa  udrò  VIHjpev  tale  lo  tlissi  nella  bio- 
grafìa; tua  l'Ughelli,  il  Quirini  e  il  Cor- 
ner non  ne  fanno  alcuna  menzione.  Mei 
1692  Marco  Giustiniani  patrizio  veneto, 
che  ottenne  dalla  s.  Sede  clie  s.  Lorenzo 
Giustiniani  fosse  dichiarato  protettore  del- 
la città  e  diocesi  di  Torcetto,  con  festa  di 
precetto,  ed  istituì  la  confraternita  sotto 
la  sua  invocazione  nella  chiesa  matrice  e 
collegiata  di  s.  Donato  di  IM  Urano,  la  qua- 
le in  miglior  forma  ridusse,  e  la  cappel- 
la maggiore  in  suo  onore  edificò  e  abbel- 
lì splendidamente.  Inoltre  non  potendo 
più  i  vescovi  soggiornare  in  Torcello  per 
l'insalubrità  dell'aria,  per  cui  dimorava- 
DO  fuori  della  diocesi  in  Venezia, a  suespe- 
se  in  Murano  vi  fabbricò  e  decorò  il  son- 
tuoso palazzo  vescovile,  ove  stabilì  1  ar- 
chivio, e  fu  encomialo  per  altre  chiare  a- 
fcionuim  perocché  nello  stessoMurano  isti- 
tuì il  seminario  e  l'affidò  alla  direzione 
degli  scolopi,  e  morendo  lasciò  tutto  il  suo 
a  vantaggio  del  divin  culto,  delle  chiese 
e  de' poveri.  Nel  1735  Vincenzo  M.a  Die- 
do  nobile  veneto,  morto  nel  17 53.  Frat- 
tanto avendo  il  senato  della  repubblica  di 
Venezia  ottenuto  dalla  s,  Sede  il  privile- 
gio di  nominare  a'vescovati  di  Torcello, 
Ghioggia  e  Caorle,sutfiiiganeideT  patriar- 
ca di  Venezia,  a'g  agosto  scelse  per  suc- 
cessore d.  Nicolò  Antonio  Giustiniani  mo- 
naco cassi nese  e  priore  di  s.  Giustina  di 
Padova,  col  quale  il  Corner  termina  la 
serie  de'7  1  vescovi  di  Torcello,  la  quale 
compirò  colle  Notizie  di  Roma.  Nel  j  7  5g 
Muco  Giuseppe  Cornalo  nobile  di  Ve- 
nezia. Nel  1  767  Giovanni  Nani  nobile  di 
Venezia. Nel  1773  fr.  Paolo  da  Ponte  car- 
melitano scalzo  di  Venezia,  traslato  daCor- 
tù  colta  ritenzione  del  titolo  arcivescovile. 
Nel  1  792  Nicolò  Sagredo  nobile  di  Vene- 
zia, traflato  da  Udine  a' 18  giugno,  che  fu 
l'ultimo  vescovo,  morto  ne'pi  imi  anni  del 
corrente  secolo, cioè  nell'agosto  1804.  Re- 
stata vacante  la  sede,  Pio  VII  nel  18  18  la 
soppresse  colla  bolla  De  salutis Dominici 
gregis,ed  in  perpetuo  ne  unì  la  diocesi  a 
quella  patriarcale  di  Venezia, 


TOR  i23 

La  cattedrale  di  antica  struttura,  di  for- 
ma bislunga, èdi vita  in  3  navi  sostenute  da 
1  8colounealteegrossedi  marmo  greco,  la 
qua  le  benché  grande  e  solida  menlefahbri* 
cala,dice  il  Corner,  riesce  disadorna  e  poco 
convenienleaque'molli  inestimabili  tesori 
che  racchiude.  1  maggiori  abbellimenti  di 
essa  sono  antichi  musaici,  uno  rappresen- 
tante il  Giudizio  finale  nella  facciata  in- 
teriore sopra  la  porta  maggiore;  I'  altro 
nella  tribuna  della  cappella  maggiore, ora 
fra  gli  altri  santi  si  vede  s.  Eliodoro  for- 
mato pur  di  musaico  sopra  l'antichissima 
cattedra  vescovile  di  marmo,  che  posta  di 
mezzo  fra 'continuati  sedili  di  pietra. servi- 
va con  essi  ad  uso  di  convocarvi  i  sinodi 
diocesani,  antichità  ecclesiastica  assai  ri- 
spettabile, e  che  ben  merita  di  conservar- 
si a  perpetua  erudizione  e  memoria.  Que- 
sto monumento  è  in  fondo  alla  nave  di 
mezzo,  nell'antico  presbiterio,  ove  al  di- 
re del  p.  Costadoni,  il  clero  slava  assiso 
secondo  il  suo  rango  nell'ecclesiastiche 
funzioni,  tenendo  in  mezzo  il  vescovo  con- 
forme al  costume  antichissimo  della  chie- 
sa, precisamente  secondo  il  disegno  fatto 
incidere  dal  p.  Costadoni  e  pubblicato  col- 
le sue  Osservazioni j  ma  qualifica  diceria 
del  volgo,  che  ivi  s.  Lorenzo  Giustiniani 
patriarca  di  Venezia,  come  primate  e  me- 
tropolitano, vi  abbia  tenuto  un  concilio 
provinciale.  Il  presbiterio  in  figura  di  se- 
micircolo è  composto  di  6 scaglioni  di  pie- 
tra, i  due  superiori  più  alti  e  più  larghi; 
ed  essendo  i  4  rimanenti  più  stretti  e  me- 
no alti, è  probabile  che  questi  servissero 
per  ascendere  a  quelli,  in  cui  solo  sede- 
vasi.  Tali  scaglioni  vengono  poi  tagliati  in 
mezzo  da  alt:  e  stretta  scala  d'i  1  scalini, 
in  capo  alla  quale  vi  è  la  cattedra  vesco- 
vile di  marmo,  su  cui  sedendo  il  prelato 
nelle  sue  funzioni ,  scorgeva  facilmente 
tutto  il  popolo  che  vi  era  sinoal  fondodel» 
la  basilica.  Nell'apsideo  tribuna  del  pre- 
sbiterio vi  sono  dipinti  a  musaico  i  XII  A- 
postoli ,  e  invece  del  solo  Salvatore  vi  si 
figurò  la  13,  Vergine  col  divin  Figlio  tra 
le  braccia,  giacché  a  Maria  é  dedicata  la 


1*4  TOR 

basilica,  menti  e  sulla  cattedra  visi  espres- 
se l'immagine  di  s.  Eliodoro,  il  che  fa  sup- 
porre che  anco  negli  antichi  tempi  fosse 
il  protettore  principale  della  diocesi,  come 

10  è  s.  Marco  Evangelista.  L'antico  san- 
tuario formasi  da  una  cancellata  di  mar- 
mi orientali,  che  chiude  le  navate  in  3  la- 
ti. In  mezzo  al  coro  vi  è  l'altare,  in  cui  ri- 
posa nell'urna  il  corpo  di  s.  Eliodoro,  che 
vuoisi  da  principio  rivolto  verso  il  popolo 
come  ne'secoli  andati,  essendo  dietro  ad 
esso  il  presbiteiio  e  la  cattedra  vescovile. 

11  p.  Costadoni  nell'  illustrare  il  tempio, 
descrive  pure  la  tavola  d'altare o  dittico 
d'argento  dorato,  già  del  nominato  altare 
e  poi  posto  sopra  l'antica  porta  santa  del 
santuario,  di  lavoro  greco  come  lo  ei'a  la 
struttura  della  cappella  antica,  e  ne  dà  il 
modello  colla  dichiarazione  delle  molte  fi- 
gurecesellate  a  bassorilievo.anche  decan- 
ti patroni  e  di  quelli  le  cui  sagre  reliquie 
vi  si  trasportarono  da  Aitino  (quanto  a 
quelle  de'ss.  Liberale,  Teonisto  e  compa- 
gni, la  cattedrale  di  Treviso  pretende  pu- 
le di  possederle:  ne  avrantfo  forse  ciascu- 
na una  parte  e  non  i  corpi  interi).  Sotto 
al  presbiterio  vedesi  l'antica  confessione 
sotterranea,  in  cui  si  discende  per  due  co- 
mode scale  di  marmo,  che  hanno  princi- 
pio nelle  due  navate  laterali,  e  dove  si  ve- 
neravano i  corpi  de'  santi.  Fuori  del  pre- 
sbiterio moderno,  ossia  dell'antico  coro 
de'cantori,sonovidue  amboni  o  pulpiti  di 
marmi  orientali,  trasportali  dalle  rovine 
d'Aitino.  Il  pavimento  di  marmo  èa  mu- 
saicojla  pila  dell'acqua  santa  pare  ara  gen- 
tilesca dallescolpite  profane  e  strane  figu- 
re che  ad  alcuno  sembrano  deità  egizie; 
cosa  assai  rara  è  poi  a  vedersi  le  imposte 
di  marmo  per  coprire  le  finestre  laterali 
della  basilica  ,  che  stanno  girando  sopra 
due  gì  ossi  perni  dello  stesso  marmo  in  al- 
to l'uno,  e  l'altroin  basso,  ma  per  l'ingiu- 
ria del  tempo  due  sole  sono  le  superstiti. 
Il  p.  Costadoni  descrive  pure  con  erudite 
osservazioni  la  spaziosa  e  stravagante  pit- 
tura di  musaico,  che  per  essere  strana  e 
simbolica  nou  la  crede  opera  degli  auti- 


T  OR 

chi,  ma  di  più  inferiori  tempi,  nel  suo  es- 
sendo ancora  bene  conservata,  e  la  crede 
opera  del  secolo  XII  opocodopoe  fors'an- 
che  del  XIV.  Dessa  incominciando  non 
molto  dopo  il  piano  occupa  tutta  la  fac- 
ciata interiore  della  basilica,  ed  è  divisa 
da  6spartimenti  orizzontali,  che  lutti  rap- 
presentano de'fatli  particolari  :  la  porta 
della  facciata  separa  ili.°spartimento,  e 
sopra  di  essa  in  mezzaluna  a  musaico  si 
rappresenta  l'immagine  della  B.  Vergine, 
vestita  alla  greca,  colle  braccia  alzate  in 
atto  d'orare,  come  si  costumava  antica- 
mente nella  chiesa  (enei  voi.  XXXIV, p.9 
eiodissiil  perchè  cos'i  venne  rappresenta- 
tala B.  Vergine  anticamente),elodichiara 
Muratori,  Dìssert.  de  rebus  liturgicis,ùel 
quale  uso  ci  è  rimastoqualche  avanzo  pres- 
soi sacerdoti  quando  celebrano. Io  non  in- 
tendo per  brevità  di  descrivere  i  musaiei, 
che  può  leggersi  nel  p.  Costadoni,  il  qua- 
le ne  fece  l'illustrazione:  solo  dirò  che  i  due 
primi  spartiinenli  simboleggiano  princi- 
palmente, come  pel  battesimo  e  l'innocen- 
za si  entra  in  paradiso;  il  pui  gatorio,il  lim- 
bo, l'inferno  col  demonio  e  la  fornace  di 
fuoco  tenuto  sempre  acceso  in  quel  luo- 
go di  pene  eterne  dalla  giustizia  di  Dio. 
Il  3.°  spartimento  ha  uel  mezzo  una  spe- 
cie d'altare,  sul  quale  è  un  libro  degli  e- 
vangeli  tutto  gemmato  e  prezioso,  e  vi  è 
pure  una  croce  alla  greca  con  due  traver- 
se. Dice  il  p.  Costadoni,  che  di  tal  foggia 
di  croce  trattarono  Wagenseil  in  una  Dis- 
sertazìone pubblicata  in  Alidori  nel  i6c)4> 
e  Corrado  Schoenleben  nell'eruditissima 
Notiziad'im  testo  greco  a  penna  de'  Van- 
geli, stampata  aNorimberga  nel  1 748.  Per 
quanto  di  siffatta  croce  ragionai  anche  nei 
voi.  LI,  p.  298,6  LXXIII,p.  373,11011  riu- 
scirà superfluo  chequi  aggiunga  per  la  sua 
grave  importanza  alcun'altra  nozione.  Di- 
chiara il  p.  Costadoni,  che  la  croce  greca 
con  due  traverse  chiamasi  gerosoliniit<i' 
na, patriarcale,  apostolica.  Avendo  egli 
meglio  parlato  di  tal  forma  di  croce  nel- 
le Osservazioni  sopra  un'antica  tavola, 
greca  in  cui  è  rinchiuso  un  insigne  pez- 


TOR 

so  della  croce  di  Gesù  Cristo,  la  a  uà  le 
conservasi  nel  monastero  di  s.  Michele 
di  Murano  (ora  in  quello  dell'Avellana, 
come  rilevai  nel  voi.  Lll,p.  i  o3,neldescri- 
vere  quel  celebre  monastero  camaldole- 
se) de' 'monaci camaldolesi .presso  il  p.Ca- 
logerà,  t.  3q,  p.  1  o5  (della  Raccolta  d'O- 
puscoli  scientifici,  anzi  della  Croce  se  ne 
tratta  pure  nel  t.  48,  p.  33q  e  seg.  nella 

'  Dissertatio  del  Cori  con  aggiunte  del  p. 
Del  Torre),  col  disegno  inciso  della  me- 
desima, a'cui  lati  sono  le  figure  di  s.  fi- 
lena  e  di  Costantino  I,  per  essere  noi  ad 

,  essi  debitori  deli'  avventuroso  ritrova- 
mento del  prezioso  legno,  l'imperatrice 
essendo  alla  sinistra  parte,  come  maggio- 
re e  più  nobile  presso  i  greci  egli  orien- 
tali (altra  testimonianza  ebe  giustifica  il 
perchè  s.  Pietro  fu  rappresentato  alla  sini- 
stra di  s.  Paolo,argomento  ebe  ritoccai  nel 
■voi.  LXVI,p.  g3). Pertanto  il  p.  Cosladoni 
nel  cap.  1  o:  Del  legno  della  s.  Croce  rac- 
chiuso nella  tavola,  dopo  avere  riportalo 
le  opinioni  di  verse  su  Ila  qualità  e  specie  del 
legno  della  Croce  in  cui  fu  Crocefisso  il 
Salvatore,  gli  uni  avendo  sostenuto  ebe 

'  fosse  di  quercia,  gli  altri  ebe  fosse  com- 
posta di  4  legni,  cioè  di  cipresso,  di  cedro, 
di  pino  e  di  bosso,  avvertendo  le  diver- 
se favole  inventate  specialmente  da' gre- 
ci circa  il  medesimo  venerabile  legno, che 
lo  pretendono  nato  da  tre  differenti  spe- 
cie di  legno;  dopo  aver  esternalo  il  suo 
parere,  ebe  la  vera  Croce  fosse  di  legno 
\ile  e  ordinario  di  quelle  parli  d'oriente 
(a  Titolo  della  ss.  Croce  Io  dissi  di  le- 
gno odi  corteccia  d'albero:  il  vescovo  Sar- 
nelli,  Lett.  ecclesiastiche  t.  5,  lelt.  3q  : 
Di  aitai  legno  fosse  quello  della  s.  Cro- 
ce  di  Cristo,  riferisce  che  nella  Glossa  del- 
la Clementina  prima  de  Summa  Trini- 
tale,  dicesi  che  fosse  di  cedro  lo  stipite, 
il  tronco  di  palma,  il  legno  trasverso  di 
cipresso,  il  titolo  d'ulivo.  Egli  però  osser- 
va essere  contrastato  fra'  dottori  se  la  s. 

'  Croce  fu  d'un  solo  o  di  più  legni  formata, 
gli  uni  diceudola  di  cipresso,  pino  e  ce- 
dro, gli  altri  aggiungendoci  il  bosso  pel 


TOR  ii5 

titolo.  Sarnelli  ritiene  che  fosse  d'una  sola 
specie  di  legno,  e  pe'4  legni  doversi  piut- 
tosto prendere  in  un  senso  mistico;  per- 
chè come  cedro  uccise  i  serpenti  dell  in- 
ferno, come  cipresso  fece  il  funerale  della 
morte,  come  palma  vinse  i  nostri  nemici, 
come  ulivo  pacificò  quaeinterris^tquae 
in  coelis.  Essere  bensì  verosimile  che  fos- 
se di  quercia,  e  ne  riporta  le  ragioui  ;  e 
che  dicesi  lunga  1 5  piedi  il  tronco,  8  la  tra- 
versa, un  piede  e  mezzo  il  titolo,  che  po- 
teva essere  d'altro  legno  e  atto  a  scrivere 
le  3  iscrizioni),  ecco  quanto  riferisce  sulle 
croci  con  due  traverse.  »  La  forma  della 
nostra  Croce  è  doppia  per  essere  da  due 
trasversi  legni  divisa;  ma  in  questa  foggia 
non  adoperavasi  però  a  tormentare  i  col- 
pevoli, non  ritrovandosene  esempio  alcu- 
no presso  Lipsio,  il  quale  tutti  li  differenti 
supplizi  di  croce  dagli  antichi  praticati  de- 
scrisse, e  non  vi  è  apparenza,  che  ad  al- 
cun uso  il  doppio  trasverso  legno  essere 
potesse.  Quindi  è,  che  non  si  può  sapere 
per  qual  cagione  siasi  introdotto  un  tal 
costume  di  così  formarla  ,  come  lo  con- 
fessa anche  il  DìiCange(Dissert.dc  infer. 
aevinumism.  n.°  23).  Per  rinvenire  l'an- 
tichità di  questo  costume  della  doppia  cro- 
ce io  ricorsi  alle  medaglie,  e  non  mi  ven- 
ne fatto  di  ritrovarla  espressa  più  antica- 
mente se  non  se  in  quella  di  Leone  1 11  I  /• 
saurìco  imperatore  di  Costantinopoli,  il 
quale  regnò  nel  717.  Avvegnacchè  que- 
sto augusto, per  istigazione  di  certo  ebreo, 
abbia  esercitata  una  fiera  persecuzione 
contro  le  sasre  immagini,  nulladimeno 
egli  venerò  sempre  quella  della  s.  Croce, 
ammettendo  gì'  iconoclasti  le  immagini 
di  essa.  Ritrovai  ancora  molte  fiate  que- 
sta doppia  croce  nelle  medaglie  di  Michele 
Balbo,  di  Basilio  il  Macedone, di  Giovanni 
Zemisce,  di  Romano  Diogene,  e  degli  al- 
tri susseguenti  imperatori  d'oriente;  e  nel 
Meuologio  spesso  nominato  di  Basilio  qua- 
si sempre  questa  doppia  croce  vedesi  di- 
segnata. Quindi  il  coslumedi  questa  dop- 
pia croce  talmente  si  stabili  appresso  i  gre- 
ci, che  oggigiorno  pure  in  questa  nazione  è 


i26  TOR 

in  vigore.  Appellasi  una  tal  doppia  croce, 
Patriarcale  e  Gerosolimitana,  poiché 
in  (al  foggia  formala  portavasi  la  croce  di- 
nanzi a' patriarchi  di  Gerusalemme  e  di 
altrove  (altri  Io  negauo,come  notai  a'suoi 
luoghi, fra 'quali  il  ricordalo  vescovo  Sar- 
nelli,  e  piuttosto  egli  crede  adoperarsi  in 
oriente  per  disegno  delle  Chiese,  ed  io  lo 
ripeleia  Tempio,  che  sogliono  farsi  iu  for- 
ma di  croce  doppia  ;  e  che  il  costume  di 
portare  la  croce  era  degP  imperatori  gre- 
ci). Forse  piacque  ad  essi  patriarchi  così 
adornare  od  accrescere  la  croce  che  dinan- 
zi a  loro  portavasi,  affine  di  meglio  distin- 
guersi da'  vescovi  loro  inferiori  e  sotto- 
posti, i  quali  secondo  l'ordinaria  forma  la 
portano.  Viene  questa  doppia  croce  de- 
nominala ancora  Apostolica  dagli  sciit- 
lori  del  regno  d'  Ungheria,  imperocché 
il  romano  Pontefice  mandolla  in  dono  col  • 
la  regal  corona  a  s.  Stefano  I  re  degli  un- 
gheri(lnchoferus,^/wtf/.«r/.p.  3o4)>co- 
me  insegna  di  apostolato,  mentre  questo 
principe  convertì  alla  fede  di  Cristo  que' 
suoi  popoli;  e  diedegli  il  medesimo  Pon- 
tefice la  facoltà  di  farsela  portare  dinanzi 
come  legato  della  Sede  apostolica  (Anton. 
Bonfin.,  Ilist.  Hangar.),  polestatc  sibi 
posterisque regibus  cavi  praefercndi.Ye- 
dasi  l'istoria  Didattica  (p.  207)  dell'eru- 
ditissimo p.d.  Magnoaldo  Ziegclbaur  mo- 
naco nostro  benedettino  di  Germania,  alla 
cui  gentilezza  e  benevolenza  io  molto  deb- 
bo. Traile  insegne  patriarcali  di  Alberto 
patriarca  di  Gerusalemme,  il  quale  suc- 
cedute ad  Eraclio  nel   1204  (  Honufrius 
Panvin.  in  Chronic.),\\  si  trova  la  croce 
portatile  non  solo  doppia,  ma  triplice,cioè 
con  3  trasversi  legni, il  superiore  de'quali 
è  inferiore  al  secondo,  e  il  secondo  al  terzo. 
Ma  una  tal  croce  pare  che  meglio  conve- 
nir debba  al  sommo  Pontefice  ((un'altro, 
e  lo  provai  con  felice  successo  ne' luoghi 
citati  disopra)  in  segno  della  suprema  po- 
destà che  ha  sopra  tutti  li  patriarchi.  On- 
de  il  Molano (lib.  4,  cap.  29  Ilistor.ss.  I- 
magiuum  et  pictur.)  dice,  che  Supremo 
Patriarchae,  sis'e  Romano  Pontifici  <pd- 


X  OR 

dam  dant  pcduin  cum  triplici  Cruce,  af- 
fiti di  riprendere  la  cieca  baldanza  di  co- 
loro, che  uguagliavano  il  Papa  al  patriar- 
ca di  Costantinopoli  (an/i  quest'ultimo  nel 
suo  orgoglio  adottò  tal  forma  di  croce  per 
pretendere  di  soverchiare  anche  in  que- 
sto il  Papa  ,  il  quale  seguendo  coslante- 
menle  l'uso  antico  maisempre  usò  pei- pa- 
sloraleYà  croce  con  una  sola  traversatine 
narrai  ne'ricordati  articoli, e  mi  duole  che 
i  patriarchi  e  gli  arcivescovi  Ialini  per  or- 
namento de'loro  stemmi  abbiano  preso  la 
forma  della  croce  greca  doppia,  non  pon- 
derandone bene  l'origine, che  in  vece  do- 
veano  rigettare).  Il  Fivizzani  {De  rituss. 
Crucis  Eom.  Pont,  praeferendae,  lib.  1) 
poi  aggiunge  alcune  ragioni  pen  rendere 
probabile  questa  opinione,  ed  afferma  es- 
servi qualche  esempio  d'  immagini    de' 
Pontefici,  i  quali  hanno  in  mano  la  croce 
ciijiis  stipes  duplici  et  triplici  linea,  est 
decussatus (ma  qui  tornerò  a  replicare  il 
da  me  detto  altrove,  e  riverentemente  in 
proposito  anche  al  Papa  Gregorio  XVI, 
che  mi  fece  tale  obbiezione:  i  capricci  eie 
licenze  degli  artisti   non    fanno  autorità 
nella  Chiesa  di  Dio).  Per  altro  è  dillicil 
cosa  l'affermarsi  un  tal  rito  «Iella  triplice 
croce(godo  e  mi  compiaccio  di  questa  ve- 
ridica e  rispettabile  dichiarazione),  poi- 
ché nell'antichità  liturgica  non  si  ha  te- 
stimonianza alcuna,  che  i  Papi  abbiano 
mai  usa  lodi  far  pò  rtare  a  vanti  di  se  le  cro- 
ci di  questa  tal  figura,  non  ritrovandosi 
menzionata  nell' eruditissima  opera,  Dà 
Liturgia  Romaìii  Ponti f/'cis ,di  mg.'  Gior- 
"i  di  chiarissima  ricordanza.  Nien  tedi  mei 
no  però  lo  stesso  Fivizzani  (nel  1592  de- 
ificò il  Coinnientarius  de  ritti  ss.  Crucis 
a  Clemente  Vili  di  cui  era  Sagrista),  as- 
serisce esservi  delle  chiese  metropolitane 
e  patriarcali  in  Europa  (ora  tutti  i  palriar- 
chi  e  arcivescovi,ancorché  in  parli')u.'),;\\ 
di  cui  prelati  Cr/«r praeire  solehattqualn 
super  Patriarcharum  insignibus statuì- 
/?//•. Indi  assegna  la  ragione  di  questo  fatto] 
e  dice,  che  questa  diversità  ili  croci  ci  da 
a  divedere,  che  nella  Chiesa  di  Dio  vi  so- 


TOR 
no  varie  sed'ihoiioreet  ditione  dispari-.'!. 
Anche  nelle  antichità  cristiane  ritrovasi 
scolpita  questa  triplice  croce,  e  due  ne  ri- 
porta il  Boldelti  (Osservaz.  sopra  i  cimi- 
teri de'santi), cioè  una  sul  sepolcro  diGio- 
vina,  ed  un'altra  su  quello  eli  Lucifero  ve- 
scovo di  Cagliari (uiortocirca  il  371!),  ab- 
benchè  quest'ultima  sia  apocrifa."  La  cro- 
ce poi  di  Torcello  è  ornata  d'una  corona 
di  spine,  collocata  nell'unione  dell'  inte- 
rior tra  verso,dall'estremilà  del  quale  pen- 
dono una  lancia  e  un'asta  su  cui  è  appesa 
una  sponga,  e  quinci  e  quindi  si  vedono 
due  cherubini,  pei  non  dire  di  altre  figu- 
re, fra  le  quali  due  angeli  suonano  le  trom- 
be verso  il  mare  e  due  altii  verso  la  ter- 
ra, forse  per  esprimerei!  risnrgimentode' 
corpi  umani  al  divino  giudizio.  Nel  4-° 
spartimento  è  l'immagine  del  Salvatore, 
con  altro  rappresentante  la  gloria  del  pa- 
radiso. Nel  5 ."spartimento giganteggia  al- 
tra figura  del  Redentore  colla  croce  alla 
greca  nella  mano  manca,  comechè  più  no- 
bile presso  i  greci,  il  che  già  ri  levai  (e  per 
le  immagini  de'ss.  Pietro  e  Paolo  anche 
nel  voi.  LXXV,  p.  4  •  >)  tirando  a  se  colla 
destra  un  vecchiarello,  oltre  altre  figure 
laterali, e  sotto  vi  è  l'elligiedel  demonio, 
esprimendo  quesl'  azione  «lei  Pvedentore 
il  di  lui  risorgimento  eia  liberazione  de' 
ss.  Padri  dal  limbo.  Finalmente  nel  6.°  e 
ultimo  spartimento  del  musaico  vi  è  un 
Crocefisso  assai  grande,  i  piedi  del  quale 
sonoserarataaieute  trafitti  da  due  chiodi 
e  sostenuti  da  un  suppedaneo,  come  per 
lo  più  vedesi  negli  antichi  musaici  lavo- 
rali specialmente  da'greci,  e  in  molte  al- 
tre antichità  cristiane.  Di  questa  dotta  dis- 
sertazione del  p.  Costadoni,  ne  die  con- 
tezza il  Zaccaria.  Storia  letteraria  d'I- 
talia t.  2,  p.  418,  ma  quantunque  gli  ren- 
da lode  perla  rara  erudizione  colla  quale 
illustrò  la  cattedrale  di  Torcello,  dice  d'a- 
ver tralasciato  di  far  altrettanto  dell'an- 
ticaglie  gentilesche  esistenti  nella  medesi- 
ma. Il  capitolo de'canouici  della  cattedra- 
le, che  vanta  la  sua  origine  fino  da  remo- 
tissimi tempi,  fu  prima  formato  di  soli  4 


TOR  137 

sacerdoti,  oltre  però  le  3  primarie  dignità 
di  arcidiacono,  arciprete  e  primicerio.  Di- 
poi furono  istituiti  altri  4  canonicati,  e.l 
a""iunti  6  onorari  non  obbligali  all'ulh- 
ciatura.ln  faccia  alla  porta  maggiore  della 
cattedrale  è  il  superstite  rotondo  tempiet- 
to del  s.  fonte  battesimale,  entro  una  cap- 
pella chiamata  battisterio,  secondo  l'uso 
degli  antichi  secoli,  dedicata  a  s.  Gio.  Bat- 
tista, la  sola  chiesa  battesimale  della  città, 
perchè  ne'primi  tempi  battezzavano  isoli 
vescovi.  Anche  di  questa  tratta  il  p.  Co- 
stadoni, in  uno  agli  antichi  battisteri, 
dicendo  che  avea  no  tempo  i  suoi  preti, 
ch'era  fatta  a  foggia  dell'  antiche,  e  nel 
mezzo  coll'urna  di  marmo  quadrata  co' 
lati  incavati  a  mezza  luna  per  immergervi 
i  bambini;  ma  ne'restauri  della  chiesa  si 
tolsero  le  colonne,  e  si  perde  l'urna.  Con- 
tigno alla  cattedrale  verso  il  X  secolo  fu 
eretto  un  oratorio  sotto  l'invocazione  di 
s.  Fosca  vergine  e  martire,  nel  cui  altare 
oltre  le  sue  ossa  furono  collocate  quelle 
di  s.  Maura  già  sua  nutrice  e  compagna 
nel  martirio  inRavenna:  un  tempo  la  chie- 
sa ebbe  i  suoi  propri  canonici.  Dietro  la 
cattedrale  fu  la  chiesetta  di  s.  Marco,  fab- 
bricata da  Rustico  torcellano,  dopoché 
trasse  d'Alessandria  il  corpo  del  santo  e 
lo  tradusse  a  Venezia.  Inoltre  il  Cornaro 
descrive  le  seguenti  chiese  e  monasteri  di 
Torcello,  di  cui  darò  un  cenno.  Rinomata 
fu  l'abbazia  e  chiesa  cisterciensedi  S.Tom- 
maso, detta  de'Borgoguoni,  perchè  dopo 
es-ei  vi  stati  introdotti  nel  1  1 90  i  canonici 
regolari  di  s.  Agostino,  pochi  anni  appres- 
so vi  furono  chiamati  i  cisterciensi  di  Bor- 
gogna, e  tosto  fiori  e  fu  beneficata  dalla 
pietà  de'fedeli,ricevendola  Onorio  III  sot- 
to la  protezione  della  s.  Sede  con  privi- 
legi. La  primitiva  fondazione  del  mona- 
stero però  si  deve  a  Marco  Trevisano  no- 
bile veneto.  Alcuni  abbati  furono  ledati 
di  Gregorio  IX,  Nicolò  IV,  Clemente  V 
per  le  crociate  di  Palestina,  altri  abbati 
furono  incaricati  da  altri  Papi  d'onore- 
voli commissioni.  Poscia  furono  eletti  di- 
versi abbati  non  cisterciensi,  auche  dalla 


128  TOR 

famiglia  Trevisani  pel  padronato,  eri  e- 
zia  lidio  alci)  ni  di  essi. Giovar)  ni  XXI  11  con- 
cesse in  perpetuo  all'abbate  de'privilegi, 
Ja  mitra  e  l'anello  pontificale.  Il  i.°  mo- 
nastero, clie  fondato  nelle  lagune  dell'A- 
driatico racchiudesse  donne  consagrale  a 
Dio,  fu  quello  di  s.  Gio.  Evangelista  nel- 
l'isola di  Torcello,  poiché  Paolo  vescovo 
d'Aitino, nel  fuggirla  ferocia de'longobar- 
di, condusse  seco  pure  le  sagre  vergini  per 
esentarle  dalle  violenze,  e  le  collocò  vici- 
no alla  cattedrale,  ove  il  vescovo  Mauro 
eresse  loro  la  chiesa  di  s.  Giovanni  verso 
il  64o,  essendo  tribuni  dell'isola  di  Tor- 
cello Aurio  e  Aratore  di  lui  figlio.  Per 
l'osservanza  delle  religiose,  vari  benefat- 
tori ne  aumentarono  le  rendite,  ma  nel 
1279  un  incendio  quasi  consumò  chiesa 
e  monastero.  Rifabbricati,  nel  1 343  il  mo- 
nastero soggiacque  a  egual  disastro,  e  su- 
bito surse  più  ampio  e  maestoso.  Rallen- 
tata l'osservanza,  i  disordini  furono  ripa- 
iati  dalla  riforma  nel  1 523. Fra  le  reliquie 
che  furono  collocate  nella  chiesa,  primeg- 
giavano il  corpo  di  s.  Sisinnio  vescovo  di 
Teos,  nato  per  intercessione  di  s.  Giovan- 
ni; ed  il  coipo  di  s. Barbara  vergine  marti- 
rizzata dal  padre  Dioscoro  in  Nicomedia; 
mane'vol.LVlJ,p.  2  i3,LX,p.  42,  col  ve- 
scovo Marini  dissi  che  da  Scandriglia  i  rea- 
tini portarono  il  corpo  della  santa  nella 
lorocattedrale.il  vescovodi  Rieti  Marini, 
Memorie  di  s.  Barbarci^ dichiara  non  sus- 
sister affatto  la  sua  traslazione  a  Torcello, 
e  come  altre  la  ritiene  supposta,  mostran- 
dosi istruito  di  quanto  ne  scrissero  gli  sto- 
rici veneti  inclusivamente  a  Corner,  e  ri- 
petendo con  Benedetto  XIV,  che  gli  atti 
della  santa  sono  soggetti  a  molle  difficoltà, 
riporta  tutte  le  discrepanti  opinioni.  Le 
monache  benedettine  di  s.Ciprianoda  ter- 
ra diocesi  di'forcello  e  vicino  a  Meslre,per 
sottrarsi  dalla  diabolica  furia  d'Ezzelino 
nella  guerra  ch'egli  faceva  alla  Chiesa,  si 
ricovrarono  in  Venezia.  Quindi  dal  vesco- 
vo Stefano  nel  1  246  fu  offerta  loro  l'an- 
tica chiesa  dis.  Antonio  abbate  con  alcu- 
ni pochi  edilizi  situali  in  una  piccola  isola, 


TO  R 
che  per  mezzo  d'un  lungo  ponte  si  uni- 
sce a  Torcello.  Ivi  si  rinchiusero  le  rain- 
minghe  religiose,e  vivendo  esetnplannen- 
te.merilaronochenel  1  247  Innocenzo  IV 
le  ricevesse  sotto  la  protezione  della  s.Sede. 
Per  le  generose  oblazioni  de'fedeli,  e  per 
essersi  ad  esse  unite  le  monache  dell'isole 
d'Ammiano  e  di  Costanziaco,  e  le  prime 
vi  condussero  il  corpo  di  s.  Cristina  ver- 
ginee martire,  il  monastero  di  venne  flo- 
rido e  numeroso,  indi  riformato  dal  ve- 
scovo Porzia.  Nella  loro  chiesa  tra  le  re- 
liquie insigni  si  venerò  un  s.  Chiodo  che 
tradisse  sulla  croce  il  Redentore.  Il  Cor- 
ner passaquindialla  descrizionedellechie- 
se  e  monasteri  dell'isole  di  Mazorbo,  Ba- 
rano e  Murano  della  diocesi  di  Torcello. 
Ogni  nuovo  vescovo  era  tassato  ne'libri 
della  camera  apostolica  di  200  fiorini,  a- 
scendendo  la  mensa  a  3ooo  ducali. 

TOKCHlNEoTURCHINE  o  CELE- 
STI.  Ordine  delle  monache  agostiniane 
riformale  della  ss.  Annunziata  Turehinc 
o  Celesti  [V.),  delle  quali  riparlai  nel  voi. 
XI,  p.  287  e  altrove.  Nondimeno  trovo 
necessario  di  aggiungere  qui  alcun  altro 
cenno.  La  fondatrice  b.  Maria  Vittoria 
Fornai i-Strata,  nacque  in  Genova  nel 
i562,divennesanta  moglie  e  madre,sanla 
vedova  e  santa  religiosa,  quando  già  3  figli 
erano  tra' minimi  e  due  figlie  tra  le  cauo- 
nichesse  regolari  nel  monastero  delle  Gra- 
zie di  Genova.  La  B.  Vergine  le  fece  com- 
prendere, per  via  d'un'  interna  illustra- 
zione, che  dovea  istituire  una  nuova  con- 
gregazione di  vergini,  il  cui  scopo  specia- 
le fosse  di  adorare  il  mistero  dell'Incar- 
nazione del  divin  Verbo,  per  tanti  secoli 
ascoso  al  mondo,  e  onorare  la  B.  Vergi- 
ne che  di  questo  divin  Verbo  incarnato 
fu  immacolata  madre.  Superate  tutte  le 
difficoltà,  la  beata  fondò  il  suo  istituto  in 
patria,  sotto  la  regola  di  s.  Agostino,  che 
tosto  prosperando  si  propagò  per  l'Italia 
e  altrove,  contribuendovi  il  suo  confesso- 
re p.  Zaunoni  gesuita  e  compilatore  delle 
costituzioni  approvale  e  lodale  dalla  s.Se- 
de. Vivente  la  fondatrice,  ed  esseudoi.* 


.TOR 
superiora  del  suo  monastero  inFrancia,  si 
contavano  3  monasteri,  e  i  5  anni  dopo  la 
sua  morte  i  monasteri  erano  giunti  a  27, 
compresi  que'di  Germania  e  del  Belgio, 
tutti  corrispondendo  col  principale  di  Ge- 
nova, onde  meglio  lo  spirito  della  fonda- 
trice si  conoscesse  da  tutte  le  religiose,  e 
tut te  di  ventassero  diligenti  emula Irici  del- 
le sue  mirabili  virtù.  Questo  monastero 
primario  lo  fabbricò  Vicentina  Lomelli- 
ni  esuomaritoStefano  Centurioni, il  qua- 
le permise  alla  moglie  di  entrarvi  colla 
beata  e  professarne  la  regola.  Dessa  e  tut- 
te le  monache  presero  ad  esempio  dell'i— 
stitutrice  per  cognome  quello  dell'  An- 
nunziata ,  come  tuttavia  si  osserva  in  que- 
st'ordine, formandosi  lo  stemma  di  que- 
ste religiose  dell'Annunziazione  di  Maria 
Vergme.  A'voti  aggiunseroquellodi  clau- 
sura perpetua,  e  ciascuna  può  far  anche 
quello  di  non  lasciarsi  veder  mai  da  alcu- 
no alla  grata  del  parlatorio.  Per  abito  fu 
stabilito,  per  le  monache  il  soggolo  00- 
neslina  increspata,  la  veste  bianca,  sca- , 
polare,  cintura,  mantello  e  pianelle,  tutto 
turchino,  onde  furono  dette  Turchine; 
per  le  converse  la  sottana  otonaca  alquan- 
to stretta  e  lo  scapolare  turchini,  del  qual 
colore  dev'essere  la  veste  nella  solennità, 
i  sandali o scarpe  grosse.  Il  colore  turchi- 
no 0  celeste  fu  adottato,  per  rammentar- 
si che  le  loro  azioni  debbono  essere  cele- 
sti e  non  terrene.  La  fondatrice  santamen- 
te morì  iu  Genova  a'i5  dicembrei6i7, 
colla  consolazione  di  vedere  nel  suo  mo- 
nastero 4o  religiose,  eh' è  il  numero  de- 
terminato dalle  costituzioni  per  ciascun 
monastero.  Iddio  a  sua  intercessione  ope- 
rò molte  grazie  prodigiose,  e  Leone  XII 
a' 19  marzo  1828  con  decreto  della  con- 
gregazione de'riti  approvò  due  miracoli, 
e  di  potersi  celebrare  la  sua  beatificazio- 
ne mediante  altro  decreto  fatto  pubbli- 
care a*26  maggio,  la  quale  funzione  ebbe 
luogo  nella  solennità  di  Pentecoste  nella 
basilica  Vaticana,  e  poi  in  Genova  si  ce- 
lebrò con  tutta  magnificenza.  Per  tale  oc- 
casione si  pubblicò  la  T'ita  della  b.  Mar 
voi.,  txxvii. 


TOR  129 

ria  Vittoria  Fornari-Strata fondatri- 
ce dell'ordine  della  ss.  Annunziata  det- 
to delle  Turchine,  Roma  1828.  Di  que- 
sta serva  di  Dio, del  suoordine,  e  delle  co- 
stituzioni che  osservano  le  religiose  tur- 
chine, fra  gli  altri  scrissero,  il  p.  Helyot, 
Storia  degli  ordini  monastici,  t.  4>  P« 
33  r,  cap.  42:  Delle  religiose  Annunzia- 
te dette  le  Turchine,  con  la  vita  della 
madre  Vittoria  Fornari  loro  fondatri- 
ce; p.  da  Latera,  Compendio  degli  ordi- 
ni regolari  par.  3,  cap.  18  :  Delle  reli- 
giose Torchine;  ab.  Semeria,  Storia  ec- 
clesiastica di  Genova,  p.  263  e  seg.  In 
Roma  queste  religiose  hanno  chiesa  e  mo- 
nastero, nel  rione  Monti  in  via  Paolina, 
fondati  e  dotati  dalla  principessa  d.  Ca- 
milla Orsini  nel  1 670, come  leggo  nel  Ve- 
nuti, Roma  moderna  p.  99:  Della  chie- 
sa della  ss.  Annunziata,  e  del  mona  ite- 
ro delle  Turchine,  situati  iu  s'ito  eleva- 
to, salubre  e  delizioso  per  1'  amenità  de' 
giardini.  Iu  questo  monastero  la  fonda- 
trice Orsini  prese  l'abito  religioso,  e  pia- 
mente terminò  i  suoi  giorni.  Neil'  altare 
maggiore  della  chiesa  Giuseppe  Ghezzi 
dipinse  3  quadri,  in  mezzo  quello  dell'An- 
nunziazione, e  ne'lati  quelli  di  s.  Paola  in 
atto  di  benedire  i  figli,  mentre  è  per  par- 
tire pel  deserto,  e  di  s.  Geltrude. 

TORDONO,  Cardinale.  Intervenne 
al  concilio  romauo  del  743  o  745celebra- 
toda  s.  Zaccaria.e  si  sottoscrisse  prete  del 
titolo  di  s.  Sabina. 

TORIBIO  o  TURIBIO  (s.),  arcive- 
scovo di  Lima.  Nacque  a'  16  novembre 
i538,  secondogenito  del  signore  di  Mo- 
grobeio,e  dimostrò  fiuo  dall'infanzia  deci- 
sa inclinazione  alla  virtù,  e  sommo  orrore 
al  peccato,  spingendo  poi  l'austerità  del- 
la mortificazione  a  segno,  che  fu  d'uopo 
moderarne  lo  zelo.  Cominciati  gli  studi 
più  alti  a  Valladolid,  li  terminò  a  Sala- 
manca. Filippo  II  re  di  Spagna,  che  co- 
nobbe il  suo  merito,gli  conferì  ragguarde- 
voli posti,  e  lo  fece  presidente  della  1. ''ma- 
gistratura di  Granata  ;  carica  che  Tori- 
bio  sostenne  per  5  anni  con  stima  gene- 
9 


Ito  TOP» 

rale,  che  gli  preparò  la  strada  al  suo  in- 
nalzamento nella  Chiesa.  Essendo  rima- 
sto vacante  1' arcivescovato  di  Lima  nel 
Perù,  vi  fu  nominalo,  ognuno  riguardan- 
dolo come  il  solo  uomo  che  fosse  capace 
di  ristorare  la  religione  in  quella  regione. 
Egli  nella  sua  umiltà  fece  di  lutto  per  e- 
stillarsi  da  siffatto  incarico,  ma  dovette 
sottostarvi,  e  ìicevuti  in  4 domeniche  suc- 
cessive gli  ordini  minori,  e  poi  gli  altri, fu 
consagrato  vescovo;indi  senza  rilardo  ini- 
barcossi  pel  Perù,e  appi  odo  vicino  a  Lima 
neh  58  i.vSubitodopo  il  suo  arrivo  impre- 
se la  visita  di  quella  vasta  diocesi, che  misu- 
rava i  3o  leghe  di  estensione,ecomprende- 
\a,oltre  parecchie  città,  un  gran  numero 
di  villaggi  e  di  casolari  dispersi  sulla  dop- 
pia catena  delle  Andes,  che  si  hanno  per  le 
più  alte  montagne  del  mondo.  Aon  si  po- 
trebbe agevolmente  dare  una  giusta  idea 
delle  fatiche  e  de' pericoli  ch'egli  ebbe  a 
sostenere.  Commosso  alla  veduta  de'mol- 
teplici  disordini  che  ovunque  regnavano, 
si  accinse  con  animo  invitto  a  porvi   ri- 
medio. Pose  dappertutto  pastori  dotti  e 
zelanti,  procacciando  il  soccorso  dell'istru- 
zione e  de'  sagramenti  a  coloro  che  abi- 
tavano in  mezzo  alle  più  inaccessibili  roc- 
ce; e  pel  mantenimento  della  disciplina 
ecclesiastica  stabilì  che  si  tenessero  ogni 
2  anni  de'  sinodi  diocesani,  e  ogni  j  de 
concilii  provinciali.  11  suo  zelo  reselo  og- 
getto delle  persecuzioni  de'  governatori 
del  Perù,  che  tiranneggiavano  que' popo- 
li, e  che  per  satollare  la  loro  cupidigia  po- 
nevano in  non  cale  ogni  sentimento  di  re- 
ligione e  di  umanità.  Egli  non  oppose  lo- 
ro che  la  dolcezza  e  la  pazienza,  senza  pe- 
rò discostarsi  dalla  santità  delle  regole,  e 
colla  sua  perseveranza  vide  scomparire  gli 
abusi  più  invecchiati. Le  massime  del  van- 
gelo crebbero  sempre  più  di  forza,  e  fu- 
rono predicale  con  un  fervore  degno  de' 
primi  secoli  del  cristianesimo.  Il  santo  ar- 
civescovo fondò  seminari,  chiese  e  speda- 
li. Quand'era  a  Lima  visitava  tulli  i  gior- 
ni i  poveri  malati,  li  confortava  con  pa- 
terna bontà, e  amministrava  loro  i  sagra- 


T  O  1 
menli.  Essendosi  appiccata  la  pestilenza 
ad  una  parte  della  diocesi,  egli  si  privò 
sino  del  necessario  per  provvedere  a'  bi- 
sogni di  quegli  sventurati,  comechè  pron- 
to a  dare  la  vita  pel  suo  gregge.  A  questi 
atti  di  religione  accoppiava  le  orazioni, 
le  veglie  e  rigorosi  digiuni.  Tre  volte  fece 
la  visita  della  sua  diocesi,  occupando  mi 
la  r."  7  anni,  5  nella  i.\  e  poco  meno  n<  1- 
la  3.",  e  la  conversione  d'una  innmnera- 
bilc  moltitudine  d'infedeli  ne  fu  il  frutto. 
Predicava  e  catechizzava  con  uno  zelo  in 
defesso,  e  per  essere  in  grado  di  meglio 
adempiere  questa  importante  funzione, si 
diede,  benché  in  età  molto  avanzata,  ad 
imparare  le  diverse  lingue  che  parlavano 
gli  abitanti  del  Perù.  Celebrava  ogni  gior- 
no la  s.  messa  con  divozione  da  angelo, 
facendo  prima  e  dopo  lunga  meditazione. 
La  gloria  di  Dio  era  la  meta  di  tutte  le 
sue  azioni,  la  sua  carità  verso  i  poveri  non 
avea  confini,  e  la  sua  umilia  non  cedeva 
punto  la  mano  alle  allre  sue  virtù.  Egli 
.  ebbe  il  inerito  di  t'innovare  lo  stato  delia 
chiesa  del  Perii,  e  se  non  ne  fu  il  ì. "a po- 
stolo, fu  almeno  il  ristoratore  della  pietà 
che  vi  era  quasi  generalmente  spenta.  I 
decreti  fatti  nei  concilii  provinciali,  che  si 
tennero  sotto  di  lui,  saranno  sempre  au- 
tentici monumenti  del  suo  zelo,  pietà,  sa- 
pere e  prudenza  :  essi  vennero  risguaida- 
ti  come  oracoli  non  solo  nel  nuovo  mon 
do, ma  anche  in  Europa  e  a  Pioma  stessa. 
Caduto  malato  a  Santa,  città  lontana  i  i  é 
leghe  da  Lima,  mentre  visitava  la  dioce- 
si, predisse  la  sua  morte;  diede a 'suoi  do- 
mestici lutto  ciò  che  serviva  al  suo  uso; 
il  resto  de'  suoi  beni  lasciollo  a'  poveri. 
Volle  essere  portato  in  chiesa  per  riceve- 
re il  s.  Viatico;  ma  l'estrema  unzione  fu 
obbligato  riceverla  in  letto,  e  raccoman- 
data la  sua  anima  a  Dio,  spirò  santamen- 
te a'23  marzo  i  606, nel  68.°  anno  dell'e- 
tà sua.  L'anno  dopo  il  suo  corpo  incor- 
rotto fu  trasporlaloa  Lima.  L'autore  del- 
la sua  vita  Cipriano  di  Ilerrera,  e  gii  alti 
della  sua  canonizzazione  riferiscono  che 
ancor  vivo  risuscitò  un  defunto,  e  guarì 


TOR 
molte  malattie,  e  dopo  morto  furono  falli 
pure  molti  miracoli  persila  intercessio- 
ne. Toribio  venne  beatificato  da  Innocen- 
zo XI  nel  1679,  e  canonizzato  da  Bene- 
detto X11I  nel  1726,  celebrandosene  la 
festa  a'2  3  di  marzo. 

TOR  IR  IO  (s.),  vescovo  d'Astorga  nel- 
la Galizia.  Succeduto  su  questa  sede  a  Di- 
etimo, ch'ebbe  la  sventura  di  cadere  nel- 
l'eresia dei  Priscillìanisti,  must  rossi  ze- 
lantissimo dell'osservanza  della  discipli- 
na ecclesiastica^ si  oppose  fortementeagli 
errori  de' detti  eretici,  che  si  l'innovella- 
rono nella  Spagna.  Papa  s.  Leone  I  il 
Grande,  il  quale  gli  scrisse  una  lettera  che 
noi  abbiane  ancora,  gli  porse  aiuto  nelle 
sue  fatiche.  S.  Toribio  morì  l'anno  460, 
ed  è  nominato  nel  martirologio  romano 
a*  1  G  di  api  ile. 

TORINO  (TaurinenfrGxlih  con  resi 
denza  arcivescovile,  celebre,  nobile  e  va- 
ghissima dell'  Italia  settentrionale,  capi- 
tale dogli  stali  del  regno  di  Sardegna  e 
del  principato  di  Piemonte  (T ,)j  capo- 
luogo di  pi  ovincia, che  comprende  9  man- 
damenti e  nel  cui  centro  sorge,  la  quale 
formava  sotto  l' impero  francese  la  più 
gran  parte  del  dipartimento  del  Po;  ca- 
poluogo di  divisione  amministrativa,  il 
cui  circondario  a'3  dicembre  1  847  si  com- 
pose della  stessa  provincia  diToriuo,  e  di 
quelle  di  Pincrolo  e  Susa.  Resa  vasta  do- 
po gl'ingrandimenti  avuti,  giace  in  ame- 
na pianura,  a  levante  sulla  manca  e  per 
poco  sulla  destra  del  Po, ed  a  settentrio- 
ne fin  contro  la  Dora  Riparia.  Cinta  da 
vaga  collina  e  pressoché  dall'Alpi  all'in- 
torno, questa  città  è  lai  .ache,  calandone 
lo  straniero,  incontra  in  Italia.  Ella  si  tro- 
va distante  1  3  5  le-he  da  Parigi,  3o  da 
Milano,  35  da  Genova,  78  da  Firenze  e 
1  43  da  Roma,  sotto  4^°  4  20"  di  latitu- 
dine nord  o  settenìi  'tonale,  e  5"  20'  o'  di 
longitudine  est  o  orientale;  a  243  metri 
sopra  il  livello  del  mare.  Torino  è  l'or- 
dinaria residenza  del  re  di  Sardegna,  per 
cui  dicesi  ancora  Re  di  Torino  ed  anco 
Re  di  Piemonte,  ed  in  conseguenza  del 


TOR  i3c 

corpo  diplomatico.  Era  iuollresede  d'una 
regia  camera,  de'eonli  e  d'un  reale  sena- 
to, ambedue  magistrati  supremi  ;  e  dal 
1848  per  lo  statuto  costituzionale,  che  ri- 
portai nel  voi.  LI,  p.  i44»del  governo  mo- 
narchico e  rappresentativo,  composto  di 
due  camere,  il  senato  e  quella  de' depu- 
tati. La  giurisdizione  della  regia  camera 
de'conti  si  stendeva  su  tutte  le  proviucie 
di  Terraferma;  quella  del  senato  abbrac- 
ciava le  divisioni  di  Torino,  Alessandri.», 
Cuneo,  Novara  e  Aosta.  Quindi  siede  in 
Torino  un  tribunale  di  prefettura,  oss'13 
dii/istanza  perla  proviticia.oltre  le  prin- 
cipali autorità  della  monarchia.  La  città 
è  rappresentala  da  un  cospicuo  corpo  de- 
curiottale,  amministrata  da  due  sindaci, 
eretta  nella  polizia  da  un  vicario,  oltre  le 
segreterie,  e  l'azienda  de'molini.  Bislun- 
ga n'è  la  forma,  e  si  calcolava  che  il  cir- 
cuito di  Torino  avesse  da  1800  metri  in 
lunghezza,eda  1200  in  larghezza;  altri  gli 
datino  due  leghe  di  circonferenza,  com- 
presi i  due  grandi  sobborghi  del  Po  e  della 
Dora  :  ingrandito  in  oggi  il  circuito  per 
più  di  un  quinto,  ha  molto  guadagnato 
nel  suo  largo  e  poco  nel  lungo.  Era  Tori- 
no altre  volte  fortifìcato,come  putito  prin- 
cipale sul  Po  ;  divenuto  formidabile  nel 
volgete de'due  ultimi  secoli,  ma  i  suoi  ba- 
luardi, famosi  pe'  3  memorabili  assedi  , 
del  1640  a  tempo  delle  guerre  civili,  del 
1  706  liberalo  dal  principe  Eugenio,e  del 
I  799, furono  smantellati  da'franeesi  sot- 
to il  consolalo  di  Bonaparle.  Delle  vec- 
chie sue  mura  non  rimangono  che  la  cit- 
tadella, costrutta  dal  duca  Emanuele Fi- 
libeito  Testa  di  ferro  nel  1 565,  sui  di- 
segni del  celebre  architetto  Paciotto  da 
Urbino,  la  1. "forse  io  Europa  nel  suo  ge- 
nere e  quale  fortificazione  della  città,  ri- 
tenuta in  que'  tempi  un  capolavoro,  ed 
un  resto  di  bastioni  serbalo  a  sostegno  del 
giardino  del  re,  dove  mirasi  l'orecchione 
d'un  vecchio  baluardo,  che  dicesi  il  2.  in 
Europa,  costruito  sotto  il  duca  Luigi  nel 
1643,  onde  resistei  e  «'possenti  eifetli  del- 
la polvere  Sulfurea.  N\l!a  cittadella  uni- 


j32  TOR 

miravasiunpozzodi  genere  notevole,  do- 
ve per  due  discese  spirali  sovrapposte  l'a- 
lia all'altra,  chiuse  di  muri,  e  illumina- 
te da  sufficienti  finestre,si  conduceano  due 
cavalli  di  fronte  all'  abbeveratoio  posto 
in  fondo,  e  risalivano  senza  incontrarsi. 
Guastalo  coll'andar  del  tempo  e  ricono- 
sciutosi di  poca  utilità,  fu  poi  abbando- 
nato interamente.  Sotto  il  governo  fran- 
cese fu  demolita  pure  una  vecchia  torre, 
cui  sormontava  l'insegna  municipale  del 
Toro,  onde  Torino  fu  detta  la  Città  del 
Toro,  e  che  impediva  il  più  bel  punto  di 
vista  nella  principale  contrada.  11  Cancel- 
lieri nelle  Notizie  sulle  campane  e  cam- 
panili, chiama  celebre  il  campanile  di  To- 
rino, detto  la  Torre  della  città,  avente 
in  cima  della  guglia  un  toro  colossale  di 
bronzo  dorato  antico.  Questa  torre  mu- 
nicipale o  campanile,  di  antichissima  e  i- 
gnota  origine,  era  di  forma  quadrata,  al- 
la circa  172  piedi,  colla  base  e  porta  di 
marmo.  Era  ornata  fino  alla  cima  di  ca- 
pricciosi arabeschi,  con  pitture  e  iscrizio- 
ni, che  dimostravano  gli  «litichi  privile- 
gi accordati  da  Giulio  Cesare  e  da  Augu- 
sto alla  citlà.  Sopra  queste  pitture,  dalla 
parte  rispondente  alla  piazzarsi  vedeva 
un  globo  matematico,  parte  nero  e  parte 
doralo,  che  col  suo  giro  dimostrava  le  di- 
versefasi  della  luna.  Al  di  sopra  dell'oro- 
logio eranvi  le  campane,  le  quali  serviva- 
no per  la  chiesa  del  Corpus  Domini,  e  per 
la  bandella  che  si  suonava  in  tulle  le  fe- 
ste de'ss.  Protettori.  Nel  fine  del  quadra- 
to della  torre,  in  mezzo  d'  una  galleria, 
s'iunalzava  altra  torre  oltangolare,termi- 
nata  da  una  gran  corona  di  ferro  dorato, 
appoggiata  sopra  8  torri  pur  dorate  che 
stavano  negli  angoli  in  forma  di  modi- 
glioni. Dentro  di  questi  trovavasi  la  mag- 
gior campana  del  comune,  che  dava  il  se- 
gno ogni  sera  della  Salutazione  Angelica 
e  della  Ritirata.  Su  questo  ottangolare 
posava  l'altissima  e  magnifica  guglia,  co- 
perla  di  lame  di  ferro  dorato  a  guisa  di 
squamma  di  pesce.  Sulla  cima  poi  della 
guglia  era  il  gran  Toro  di  bronzo  doralo, 


TOR 

antica  insegna  della  citlà,  a  cui  sovrasta- 
va una  gran  croce  di  ferro  egualmente 
dorato.  La  torre  o  campanile  fu  rimoder- 
nata nel  1666  da  Carlo  Emanuele  11,  e 
sebbene  si  lodava  per  ricchezza,  dicevasi 
che  lutto  il  moderno  sapeva  troppo  della 
bizzarra  scuola  di  Borromini.  Dividevasi 
altre  volle  Torino  in  1 55  parti,  cioè  a  di- 
re isole,  ch'erano  distribuite  in  4  sezioni 
ossiano  rioni,  del  Monviso, del  Montece- 
nisio,  del  Po  e  della  Dora.  Avea  4  porte 
d'entrata  e  i  due  memorati  sobborghi  fuo- 
ri del  cinto  delle  mura.  Anticamente  To- 
rino ebbe  4  porle  principali  e  4minori.E- 
rano  le  principali  quelle  chiamate  Fibel- 
lona,  Marmorea,  Susa  o  Susina,  e  Pala- 
tina o  Doranea  e  più  anticamente  Comi- 
tale e  Turrianica.  Le  porte  minori  si  de- 
nominavano, del  Vescovo,  s.  Michele, Pu- 
sterla,  e  Nuova.  Ora  Torino  uon  ha  più 
porte,  ma  delle  barriere  doganali,che  con- 
servano il  nome  dell'antiche  porte.  In  og- 
gi ascendono  le  isole  a  più  di  200,  per- 
chè di  giorno  in  giorno  crescono  di  nu- 
mero; rimangono  le  4  sezioni,  ma  sono 
scomparsele  porte,  e  a'due  vecchi  sobbor- 
ghi si  aggiunse  il  3.°  o  Borgo  Nuovo,  che 
più  ampio  di  lutti  sorge  a  mezzodì,  di  là 
dalle  mura  che  si  vanno  atterrando.  Già 
distinta  la  città  di  Torino  e  divisa  co'no- 
mi  di  città  vecchia  e  città  nuova,  in  mol- 
te parti  può  oggi  dirsi  nuovissima.  Il  vec- 
chio Torino,  che  abbraccia  un  6.°de'ca- 
samenti,  si  svolge  a  settentrione;  la  città 
nuova  che  fu  opera  nel  1620  del  duca  Car- 
lo Emanuele  I  verso  mezzogiorno,  e  nel 
i663  del  duca  Carlo  Emanuele  li  verso 
levante,  era  stata  compita  verso  ponente 
dal  duca  Vittorio  Amedeo  II  nel  1703. 
La  città  nuovissima  surta  dopo  il  1 8 1 4» 
interamente  è  dovuta  agli  ordinamenti  de' 
re  Vittorio  Emanuele  I,  Carlo  Felice  e 
Carlo  Alberto,  non  che  all'essere  sciolta 
dal  procinto,  onde  ora  ha  le  ricordate  bar- 
riere. Anche  il  regnante  re  Vittorio  Ema- 
nuele Il  è  intento  all'abbellimento  della 
sua  capitale  Torino.  Si  contano  in  Torino 
più  di  100  strade,  di  cui  più  di  5o  vie  e 


TOR 

viottoli,  anguste  e  tortuose  appartengo- 
no al  vecchio  abitalo,  e  le  altre  spaziose, 
rettilinee  ed  incrocianlesi  ad  angoli  retti, 
guidano  fra'uuovi  e  nuovissimi  isolati. E- 
leganti  portici  adornano  la  via  del  Po  che 
conduce  alla  reggia,  cui  solamente  cedono 
il  primato  le  altre  due  dette  il  Dora  Gros- 
sa e  la  Strada  Nuova.  Torino  già  tanto 
ricca  di  bei  fasti  e  di  molte  fra  le  più  care 
glorie  italiane,a'nostri  giorni  si  andòsem- 
pre  più  arricchendo  di  tuttociò  che  la  fa 
leggiadra  e  piacevole,  non  meno  decorosa 
a  questa  ragguardevole  parte  d'Italia. Im- 
perocché nel  giro  di  pochi  anni  molte  e 
grandiose  opere  furono  messe  felicemen- 
te ad  effetto:  spianate  vie  nel  di  fuori,  col- 
locati fermissimi  ponti,  dirizzate  e  abbre- 
viate le  comunicazioni  da  uno  ad  altro  pae- 
se, tolti  gli  avanzi  de'già  temuti  bastioni 
e  baloardi  che  guernivano  la  cinta  delle 
mura  torinesi;  condotte,  ove  s'innalzava- 
no le  aspre  difese  d'un'età  bellicosa,  pa- 
cifiche ombre  di  viali  e  di  giardini  ;  un 
moltiplicarsi,  fuor  dell'antica  linea  della 
città,  di  ampie  contrade,  di  maestose  piaz- 
ze, di  ridenti  palagi.  Si  ammirano  in  To- 
rino più  di  60  belli  palazzi,  spettanti  a  fa- 
miglie cospicue  per  nobiltà  e  ricchezza.  11 
veramente  sontuoso  si  è  quello  del  re, con 
piazza  chiamata  R.eale  sul  davanti,  che  al- 
to e  ben  lavorato  cancello  di  ferro  sepa- 
ra dalla  piazza  che  nome  piglia  dal  Castel- 
lo che  in  mezzo  vi  sorge.  Vecchio  e  gran- 
dioso edifìzio  è  questo  castello,  detto  il  pa- 
lazzo di  Madama,  innalzato  o  rifabbrica- 
to da  Lodovico  o  Luigi  conte  di  Torino 
e  principe  d'Acaia  e  di  Morea  (o  Eliade 
paese  della  Grecia,  o  Livadia  di  cui  Ate- 
ne era  la  capitale,  anticamente  chiamata 
Grecia  propria;  dicesi  pure  Peloponneso 
o  penisola  di  Morea,  ch'ebbe  a  metropoli 
Corinto),  compito  dal  duca  di  Savoia  A- 
medeo  Vili,  e  ornato  di  superba  facciata 
d'ordine  corintio.  Quando  i  sovrani  signo- 
ri di  Torino  più  non  abitarono  il  palazzo 
ora  detto  le  Torri,  ed  ogni  volta  che  non 
prendeano  il  Castello  per  loro  dimora,  es- 
sa rimanea  fissata  nel  palazzo  vecchio  at- 


TOR  i33 

tiguoalla  piazzadi  s.Giovanni,allora  cen- 
tro d'ogni  eleganza  e  sociabilità  torinese; 
ed  era  pur  colà  il  teatro  di  corte,  il  quale 
vi  rimase  sinché  venne  consumato  dalle 
fiamme  più  d'un  secolo  addietro.  Il  nuovo 
pajazzo  reale  in  discorso  fu  eretto  dal  du- 
ca Carlo  Emanuele  II,  il  quale  volle  ono- 
rare la  memoria  del  padre  Vittorio  Ame- 
deo I  con  quella  statua  equestre  che  ve- 
desi  in  fronte  dello  scalone,  e  vien  delta 
volgarmente  il  Cavallo  di  Marmo.  Il  fi- 
glio Vittorio  Amedeo  1 1 1  .°re  diSardegna, 
e  più  assai  il  nipote  Carlo  Emanuele  III 
l'accrebbero  e  l'abbellirono,  rimodernan- 
do anche  il  giardino  confinante  con  quel 
bastione  turrito  detto  Garritone  o  Ba- 
stione Verde ,che  primo  di  tutti  fu  innal- 
zato dal  duca  Luigi  nel  1^.6 1.  Quale  ora 
trovasi  il  palazzo  de' re  di  Sardegna,  può 
quasi  dirsi  unico  fra  le  resideuze  sovrane 
in  Europa  per  la  sua  vastità  e  ingegnosa 
distribuzione;  mentre  il  racchiudere  sen- 
za intervallo  nel  suo  recinto,  e  si  può  dire 
sotto  un  medesimo  tetto,  chiese  precipue, 
uffizi  bastevoli  a  pressoché  tulli  i  dicasteri 
di  stato,  influiti  e  splendidi  appartamen- 
ti, accademia  militare, zecca,  giardini, ca- 
vallerizza, scuderie  ec.  ec,  ben  dimostra 
l'indole  di  que'principi  che  usarono  sem- 
pre governare  da  se  stessi,  e  reggere col- 
f occhio  e  colla  mano  ogni  parte  dell'am- 
ministrazione suprema.  Il  Castello  poi,  e 
detto  palazzo  Madama,  fu  cominciato  nel 
i4o3  da  Lodovico  conte  del  Piemonte  e 
di  Torino,  ultimo  de'principi  d'Acaia  e  di 
Morea,praticandovi  anche  davanti  la  piaz- 
za che  ne  porta  il  nome.  Egli  mori  nel 
i4iBaTorino,dove  abitavano  spesse  vol- 
te i  principi  suoi  predecessori,benchè  aves- 
sero fissata  la  loro  residenza  a  Pinerolo. 
Non  avendo  prole  legittima,  i  suoi  popoli 
del  Piemonte  passarono  sotto  la  domina- 
zione del  duca  di  Savoia  Amedeo  VIII,clie 
per  l'estinzione  quasi  simultanea  de'baro- 
ni  di  Vaud,  vide  i  suoi  stati  crescere  di  e- 
stensione  e  potenza.  Amedeo  Vili  ter- 
minò il  Castello,  e  munitolo  di  4  fortis- 
sime torri,  di  cui  due  sole  rimangono  iu 


1 34  TOR  T  O  R 
piedi; prete  il  nome  di  Castello  delle  qual-  biicatodemaniale  idoneo,si  studiò  un  pro- 
tro Toni,  servì  da  quella  parte  di  vali-  getto  (ancora  restato  senza  effetto)  per  la 
da  difesa  all'attigua  porta  della  città,  costruzione  U'an  edilìzio  apposito  per  riu- 
mentre  quivi  s'incontravano  le  mura  per  nirvi  l'accademia  di  belle  arti  e  la  pina- 
cui  veniva  questa  rinchiuse  a  que'  tem-  coteca.  Intanto,  essendo  altresì  urgente  di 
pi  in  un  recinto  quadrato,  il  Castello,  co-  togliere  gli  archivi  delle  finanze  dal  palaz- 
me  dissi,  die  il  suo  nome  alla  piazza  che  zodell'accademia  delle  scienze,atteso  l'iti- 
lo circonda.  Servì  pure  quindi  spesse  voi-  gomhro  che  derivava  dalla  soverchia  cre- 
te d'abitazione  a'sovrani,  e  specialmente  sceule  mole  delle  carte  e  registri  in  loca- 
a  Madama  reale  duchessa  Giovanna  Dat-  le  relativamente  ristretto,  ed  inconside- 
ti>la  di  Savoia-lNemours,  da  cui  prese  razione  dell'eccessivo  peso  che  gravitava 
d  nome  di  Palazzo  Madama.  Però  il  p.  sulle  volte  del  sottostante  museo,  con  evi- 
Semeria  dicendo  il  Castello  rifabbrica-  dente  pericolo  per  quel  vasto  edificio,  si  di- 
to daLodovico  in  occasione  delle  sue  noz-  viso  di  trasferirvi  provvisoriamente i  qua- 
ze  con  Bona  di  Savoia,  vuole  che  ne  ab-  dri  della  galleria,  i  quali  sarel}bono  stati 
bia  tratto  il  nome,  secondo  il  parere  di  gravemente  danneggiati  da  un  ulterior 
molli,  di  palazzo  Madama  ,  Palalium  permanenza  nellestanze  degli  uffìzi  del  se- 
Domnac.  Sul  disegno  del  celebre  mes-  nato.  Inoltre  il  re  Carlo  Alberto  nel  suo 
sinese  Juvara  fu  ornato  il  suddetto  prò-  realpalazzoadunòin  vasta  galleria  l'arme* 
spetto  a  ponente,  con  quella  magnificen-  riareale,  formandola  di  quante  mai  sono  e 
za  che  ora  si  vede  e  fa  vieppiù  risaltare  furono  graziose,  splendide,  terribili  entra- 
la semplicità  romantica  dell'opposta  fac-  ne  foggie  di  armi  che  abbia  ritrovato  la 
ciata.  Tagliatasi  poscia  fuori,  sol  [trinci-  potenza  dell'  umano  ingegno.  Di  questa 
piar  del  corrente  secolo,  certa  galleria  di  raccolta, in  vero  stupenda  e  nel  suogenere 
comunicazione  col  palazzo  reale,  la  qua-  unica, nel  i  %f\\  ne  pubblicò  la  dotta  ed  ele- 
le  era  di  struttura  meschina  e  di  spiace-  gante  descrizione  il  p.  AntonioBrescianie- 
vole  effetto  architettonico,  rimase  segre-  loquente  gesuita  rettore  del  realecollegio 
gaio  il  castello,  cui  il  re  Vittorio  Ema-  de'nobili,  che  per  molte  e  molte  opere  di 
miele  I  a'  nostri  giorni  innalzò  una  spe-  somma  utilità. sì  deve  collocare  tra'più  be- 
cola  astronomica,  e  che  dalla  munificen-  nemeriti  scrittori  di  cui  si  vanti  Italia.  U- 
za  de'suoi  successori  venne  destinato  alla  na  maestosa  galleria,  detta  del  Beaumont, 
pubblica  esposizione  della  reale  galleria  di  la  quale  spiccasi  dalla  gran  fronte  della 
pittura,  cioè  quando  Carlo  Alberto  vi  col-  reggia,ecorresinoa  fi  ancheggiare  la  piaz- 
locò  ima  ricca  collezione  di  quadri  scelti  e  za  Castello,  è  il  luogo  ove  Carlo  Alberto 
tolti  da'suoi  reali  appartamenti, aperta  ad  fece  raccògliere,  tini  1 833  ali837,  le  ar- 
incoraggiamento,  comodo  e  profitto  degli  mi  più  pregiate  e  rare.  Nel  mezzo  della 
allievi  e  amatori  dell'arti  del  disegno.  Pe-  corsia  si  ammirano  principi  e  guerrieri  a 
1011611852  le  molle  indagini  ed  i  replica-  cavallo  armati  di  tutto  punto,  grandi  al 
ti  sludi  fattisi  per  cura  del  governo,  onde  naturale  e  atteggiati  a  fierezza  e  a  gentile 
provvedere  alla  conservazione  de'prezio-  orgoglio.  I  cavalli  sono  coperti  di  lamiere 
si  dipinti  della  real  pinacoteca,  ed  agli  uf-  a  piastra  d'acciaio,  e  lutti  adorni  di  quel- 
iìziaun  tempodel  senatodel  regno,loper-  la  pompa  e  di  que'forti  arnesi  che  li  fa- 
suasero  non  potersi  tali  uffizi  trasportare  ceauo  di  così  terribile  e  insieme  grattavo- 
in  altri  locali  del  palazzo  Madama,  stati  le  mostra  in  campo  ne'secoli  addietro.  Sì 
riconosciuti  insufficienti,  non  adatti  e  in-  le  posture  lanciate  e  feroci  di  quegli  ani- 
decorosi  pel  i.°  corpo  dello  stato,  quindi  mali,  a  cui  di  vivo  non  manca  che  il  bol- 
venne  risoluto  di  collocare  altrove  la  gal-  lente  alitare,  e  il  tremar  de'  nervi  impa  - 
(cria.  A  tal  uopo  non  avendosi  alcun  fab-  zienti,  sì  la  maestà  de'cavalieri  ohe  in  at- 


TO  R 
lo  di  entrai-  nelle  micidiali  zuil'e  sembra- 
no recarsi  in  pugno  la  certezza  della  vit- 
toria, ti  empiouodi  tale  stupore  che  met- 
te per  le  vene  un  fremito  bellicoso  e  ac- 
cende nella  fantasia  l'immagini  dell'an- 
tiche prove  del  coraggio.  I  cimieri  sono 
sovrastati  da  tigri,  da  leoni  oda  altre  sif- 
fatte belve;  le  brune  visiere  calate,  le  gor- 
ghiere,  gli  usberghi  col!  »  resta,  e  le  cotte, 
e  i  sai,  e  le  mantelline  d'arme,  e  i  braccia- 
li, e  i  guanti  aspri  di  ferro,  e  tutte  le  molte 
orrendezzeche  fanti  >  ornamento  e  difesa 
a  ipie'prodi  che  rappresentano.  Lungo  le 
pareti  poi,  ed  entro  le  vctriere  l'occhio  si 
pasce  di  lutto  il  meraviglioso  arredo  di 
tante  armi  e  intere  e  smezzate,  a  gruppi 
e  a  trofei,  ritte  o  a  giacere,  appese  agli  ar- 
pioni e  rette  dall'alabarde,  intrecciate  e 
divise, ma  tutte  con  armonia,  ordine  e  mi- 
sura, insinoal  numero  di  i5oo.  D'elmi,  di 
corazze  e  d'altri  arnesi  di  guardia  è  pure 
riccamente  fornita  l'armeria  reale.  Vi  so- 
no antichissimi  elmetti  greci  a  foggia  di 
celata, ed  altri  romani  distati  e  lisci;  e  mo- 
rioni,e  barbute,  e  galericoìi,  e  bacinetti,  e 
simili  varietà  per  lavoro  e  per  forbitezza 
mirabili.  Vedonsi  inoltre  lungo  la  galleria 
guerrieri  tutti  armati  dal  capo  alle  pian- 
te con  varie  forme  di  corazze,  di  loriche, 
di  corsaletti,  di  giachi.  Qui  e  colà  appesi 
alle  pai  eli  dorsieri,  battei,  panzeroni,  spal- 
lacci, gambiere,  cosciali,  e  cent'altre  fer- 
rerie da  collo,  di  spalle  e  di  giunture.  So- 
no pur  illustri  pel  sommo  artifìcio  delle 
storie  o  favole  in  essi  rappreseutate,  varie 

•  ili  scudi, rotelle,  targhe  e  brocchie- 
ri. D'armi  offensive  è  copia  grandissima, 
bellamente  disposte  lungo  le  pareti;  qui 

_  nisi  quegli  enormi  spadoni  sì  lunghi, 
>ì  larghi  e  ti  grossi  da  isgomentare  i  mo- 
derni duellatori,  uou  meno  per  maneg- 
giarli nel  combattimento,  che  a  portarli 
sulle  spalle:  eppure  i  nostri  antichi  erano 
poderosissimi  nel  vibrarle  di  punta  e  di 
taglio,  ecertamente  a  veano  nervi,  museo- 
li  e  ossa  ben  diverse  dalle  nostre.  ludi  si 
presentanogli  amplissimi  verduchi  a  /j.  ta- 
gli, i  palosci,  le  scimitarre» h]  molte  q  ia- 


TOR  i35 

litàdi  stuelli  e  ili  stili  acutissimi,  i  tremen- 
di pugnali  a  scocco,  i  quali  cacciati  in  pet- 
to o  tra  le  coste,  toccando  una  molla,  git- 
liiij  da'  lati  lancette  ed  ami  che  squar- 
ciano e  dilaniano  la  ferita.  Né  vi  manca  la 
famiglia  copiosa  dell'alabarde,  caia  veri- 
ne,  ronconi,  picche,  brandistocchi  e  partir 
giinedi  tutte  le  forme;  e  una  lunga  schie- 
ra di  martelli  d'armi,  e  di  accette, e  di  az- 
ze a  piccoue,  a  rostro,  a  corno,  a  grani  pa, 
e  le  mazze  ferrate  ei  terribili  mazzafru- 
sti. Solenni  memorie  son  qui  pure  vive  e 
parlanti  delle  geste  nobilissime  onde  gli 
antichi  principi  guerrieri  di  Savoia  of- 
frivano all'altre  nazioni  esempio  d'amor 
di  patria,  dia  cui  difesa  furono  più  volte 
maneggiati  i  tanti  strumenti  d'eccidio  qui 
riuniti,  incutendo  orrore  e  spavento  le  lo- 
ro tante  e  variale  foggie.  Innanzi  a  tutte 
si  vagheggiano  le  armi  dell'invitto  Ema- 
nuele Filiberto,  e  nel  contemplarle  aifac- 
ci asi  alla  meute  la  gloriosa  giovinezza  di 
quell'eroe,che  ventenne  conducendo  i  ves- 
silli dello  zio  Carlo  V  per  combattere  la 
possaois  dell'emulo  francese,  rompe  i  ba- 
loardi  di  Terouanne  e  sale  vittorioso  per 
la  breccia  di  Ediuo;  quindi  le  strepitose 
vittorie  di  s.  Quintino  eGiavelinga.Que- 
Sto  grande  è  rappresentato  a  cavallo  in 
quell'atto,  io  che  lo  modellò  in  bronzo  il 
Maroelietti  sulla  piazza  di  s.  Carlo,  fre- 
nante l'animoso  destriero:  il  principe  vit- 
torioso, che  con  grave  senno  dettando  il 
trattato  di  Cambrais,  procurò  all'Euro- 
pa e  all'Italia,  dopo  io  lustri  di  guerre  e 
di  sterminio, paceesicurtà. rinfodera  quel- 
la spada  che  fece  tante  volte  impallidir  lo 
straniero.  Del  suo  tiglio  Carlo  Emanue- 
le 1,  è  a  vedersi  fra'taoti,  lo  scudo  d'ac- 
ciaio bruui  lo,  irraggiato  nel  mezzo  di  on 
gran  sole  che  gitta  dal  centro  una  borchia 
fiammeggiante:  attorno  ìeggousi  4  motti 
d'impresa  alternali  colle  corone  ducali. 
Solus  Deus,  Solus  Sol,  Solus  Milcs,  So- 
lus Sabaudiic  Dux.  Questo  degno  figlio 
del  gran  guerriero  fu  valido  propugna- 
tore dell'italiana  libertà  contro  le  insidie 
e  gli  sforzi  di  Francia  e  di  Spagua,  e  di- 


i36  TOH 

slese  isuoi  trionfi  dal  mar  di  Provenza  al 
lago  Lemano.  Uno  de'più  superbi  orna- 
lìienti  dell'armeria  si  è  la  corazza  del  som- 
mo tra'guerrieri  savoiardi,  magnanimo 
diiènsoredelleglorie  italiane  e  propugna- 
colo contro  i  turchi,  il  principe  Eugenio, 
nome  benedetto  e  sagro  finché  religione 
e  patria  avviveranno  di  potentissimo  af- 
fetto le  umane  generazioni,  rimeritato  da 
Clemente  XI  coll'insigne  e  onorifico  do- 
no dello  Stocco  e  Berrettone  benedetti 
(V.).  In  questa  real  collezione  si  serbano 
ancora  illustri  avanzi  dell'armi  e  bandie- 
re conquistate  in  battaglia  da'valorosis- 
simi  principi  sabaudi.  Sono  fra'molli  tro- 
fei della  gran  giornata  in  cui  Torino  fu 
sgombra  per  le  armi  di  Vittorio  Amedeo 
11  edell'incliloEugenio  dagli  assalti  fran- 
cesijduegran  drappi  di  stendardo  semina- 
ti di  gigli  d'oro  in  campo  azzurro,e  inler- 
siali  có'delfìni  della  soprainsegna  diFran- 
cia. A'gigli  francesi  sono  congiuntele  tor- 
ri di  Casliglia,  pel  senno  e  valore  de'mo- 
narchi  sabaudi.  Quel  vessillo  spagnuolo, 
che  porta  il  motto  di  Guadalaxara  fu 
combattu  to  e  presonella  battaglia  diCam- 
posanto.  Questi  trofei  avuti  sopra  Fran- 
cia e  Spagna,sono  accompagna  ti  dalle  spo- 
glie vinte  di  altre  bellicose  nazioni.  Tra 
le  molte  e  insigni  memorie  del  valore  pa- 
trio, è  a  vedersi  una  bellissima  spada  già 
d'alcuno  di  que'prodi  cavalieri  che  al  tem- 
po delle  crociale  veleggiavano  il  mar  di 
Siria,  d'Egitto  e  d'Africa  adannode'sa- 
raceni  :  nella  lama  è  incisa  la  croce  del- 
l'ordine di  Rodi  col  motto:  SoliDeo  Glo- 
ria: Civitas  Soli  Regi.  Buon  numero  di 
strumenti  da  guerra,  portati  da  lontanis- 
simi paesi  di  gente  barbara  o  selvaggia, 
d'Orienle,d' A  merica  e  dell' Indie  occiden- 
tali, ornano  vieppiù  questa  stupenda  ir* 
meria.  Merita  ricordo  una  sciabola  per- 
siana fiammeggiante,  che  nella  lama  ha 
scritto  in  arabo  l'epigrafe:  0  lunga. scia- 
biajnon  ti  per  metter  e  vittoria  senza  Dio. 
Se  ogni  spada  e  più  ogni  cuore  portasse 
profondamente  scritta  questa  celeste  di- 
visa, beali  i  re  e  beato  l'esercito  che  li  cir- 


TOR 
concia  1  La  guerra  non  sarebbe  più  un  ma- 
le necessario  al  mondo  !  Queslo  veramen- 
te inestimabile  tesoro  d'  armi  antiche  e 
moderne,  il  quale  supera  tante  celebrale 
collezioni  di  tal  genere,  e  a  niuno  certo  è 
secondo,  nou  esclusa  la  sommamente  lo- 
data di  Londra,  meritava  questo  fugace 
cenno,avendolaanchedescritta  e  illustra- 
ta il  conte  Vittorio  Seyuel  d'Aix,  Arme- 
ria antica  e  moderna  di  sua  Maestà 
Carlo  Alberto,  Torino  i84o,  con  tavo- 
le a  parte  dell'armi  difensive  e  offensive. 
Tra'palazzi  degni  di  particolare  riguardo, 
vi  è  quello  del  duca  Genevese,  sulla  piaz- 
za di  s.  Giovanni,  attinente  alla  reggia,  ed 
in  cui  dimorava  il  re  Carlo  Felice,  prima 
duca  del  Genevese, ed  il  palazzo Carigna- 
no,  già  stanza  del  re  Carlo  Alberto,  che 
salilo  al  trono  vi  stabilì  il  consiglio  di  sta- 
to da  lui  creato.  In  esso  si  aduna  pure  il 
parlamento  nazionale  o  camera  de'depu- 
lali.  Fra'belli  palazzi  sono  da  noverarsi 
quelli  della  curia  civica,  con  due  fontane 
state  aperte  sulla  faccia  del  suo  portica- 
to. Il  celebre  Deot, valoroso  meccanico,au- 
lore  di  preziosi  cronometri  e  costruttore 
di  macchine  di  squisita  perfezione  per  mi- 
surare i  minimi  tempuscoli,eseguì  per  To- 
rino duecapolavori, il  cronometro  del  rea- 
le osservatorio,  e  l'orologio  normale  che 
nel  1 853  s'innalzò  sulla  facciata  del  palaz- 
zo civico,  il  quale  dietro  l'autorevole  giu- 
dizio de'più  intelligenti  astronomi  e  oro- 
logieri, è  forse  ili.0  orologio  del  mondo. 
Allri  pregievoli  palazzi  e  rimarcabili  fab- 
bricati, e  di  alcuni  de'quali  poi  ne  parle- 
rò, sono  quelli  del  senato  del  regno,  del- 
l'accademia delle  scienze,  dell'università, 
delle  segreterie, degli  archivi  di  corte,  del 
seminario,  dell'arsenale,della  dogana,  ec; 
quindi  il  magazzino  del  sale,  e  la  caserma 
per  la  cavalleria.  Mancano  però  in  Tori- 
no quegli  edilìzi  da  chiamarsi  capo-lavo- 
ri dell'arte  architettonica  j  vi  s'incontra- 
no bensì  fabbricati  dignitosi  e  ben  oidi- 
nati.  Se  non  vi  si  ammirano  i  monumen- 
ti di  Venezia,  di  Genova,  di  Padova  ,  di 
Firenze,  vi  trionfa  il  regolare,  il  dicevole, 


TOR 
il  comodo.  Scarseggia  dunque  Torino  di 
monumenti  storici  più  che  ogni  altra  cit- 
tà capitale  in  Italia,  perchè  le  molle  peri- 
pezie sollerte,  e  le  moderne  fortificazioni 
onde  fra  tutte  essa  sola  venne  munita  a 
scauso  d'ulteriori  danni  ,  e  quella  totale 
devastazione  seguita  da  diligente  cultura 
che  ebbe  poi  luogo  fuori  del  recinto  di- 
feso, trassero  successivamente  a  scompa- 
rire tutti  gli  edifizi  più  memorabili  sì  del- 
l'antichità che  del  medio  evo.  Può  dirsi 
pertanto  che  questa  città  Dell'acquistare 
cotale  regolare  e  piacevolissima  apparen- 
za, ch'essa  vanta  con  ragioneria  rimasta 
spogliala  interamente  di  quella  fisonomia 
preziosa  per  rimembranze,  che  tuttora 
conservano  tutte  le  altre  città  d'Italia, ed 
a  cui  è  pur  dubbio,  se  una  circolazione  più. 
agiata  ed  un  aspetto  più  lieto,  porgano 
sufficiente  compenso.  Comunque  sia,  non 
rimane  più  in  Torino  altro  veramente  mo- 
numento storico  di  riguardo ,  se  non  se 
quelle  due  torri  di  color  rossiccio  che  si 
vedono  vicine  alla  Porta  Palazzo,  e  che, 
ora  carcere  comunale, ed  anticamente  pa- 
lazzo de's ignori  di  Torino  in  diversi  seco- 
li, dierono  a  quella  parte  il  nome  di  Por- 
ta Palatina.  Volendo  trarre  induzioni 
.dalle  varie  foggie  d'architettura  di  cui  vi 
si  osserva  ancora  qualche  avanzo,  erede- 
si  che  fosse  a  tempo  de'romani  il  Pala- 
tiwn  Augustale,  poi  tra  il  Vie  l'VHI  se- 
colo la  dimora  deducili  longobardi,  e  tal- 
volta de're,  fra 'quali  Guido  o  Vido  vuoi- 
si abbia  dato  il  nome  alle  torri,  che  per 
corruzione  furonoda  taluni  scioccamente 
chiamale  Torri d' Ovidio .  Sei -vii ono  a  va- 
ri usi  in  diverse  epoche,  né  si  ha  da  tace- 
re l'ultima  in  cui  veooe  fregialo  col  Dome 
di  Gesù  un  certo  tondo  che  vi  si  scorge  di 
mezzo,  dove  s'apriva  allora  la  porta  Pa» 
latina.  £  fu  quando  il  duca  Emanuele  Fi- 
liberto, ricondotto  dalla  vittoria  ne'suoi 
stali  paterni,  volle  insignire  di  quel  santo 
nome  le  4  porte  della  sua  città  capitale,  sì 
iu  memoria  del  Labaro  diCostantino  l,che 
in  auspicio  perpetuo  di  vittoriosa  posizio- 
ne (si  vuule  che  Costantino  1  abbia  avuto 


TOR  i37 

diverseapparizioni  del  Labaro,  tra  le  qua- 
li si  noverano  quelle  avute  innanzi  di  vin- 
cere l'esercito  di  Massenzio  nelle  pianure 
di  Torino  e  innanzi  di  trionfare  del  tiran- 
no presso  il  ponte  Milvio,  come  notai  nei 
voi.  LVIII,  p.  228,  LXVlll  ,  p.  244, 
LXX,  p.  1 45)-  Oltre  le  piazze  Reale  e  del 
Castello,  Torino  ne  ha  altre  12.  Godesi 
l'ultima  d'un  bel  porticato  aperto  nelle 
case  uniformi  all'intorno,  con  lastrico  di 
pietre  di  taglio  granitiche,  dove  lungo  i 
succedentisi  archi,  miratisi  ricche  botte- 
ghe e  magazzini  abbondevoli  di  mercan- 
zie, e  rimpetto  ben  acconciati  botteghini 
in  legname,  splendenti  d'ogni  maniera  di 
mercerie  e  chincaglie;  costruzione  resa  re- 
golare per  l'ordinamento  operalo  anni  ad- 
dietro.Delle  1  2  altre  piazze  3  sono  del  vec- 
chio Torino;  cioè  di  s.  Giovanni  in  faccia 
alla  cattedrale,  con  bel  porticato  sul  fon- 
do della  legua  e  del  fieno,  sullo  Spianato 
della  cittadella ,  e  della  Corona  grossa  do- 
ve tieusi  il  mercato  del  riso;  6  altre  sono 
già  moderne,  cioè  le  dette  di  Carignano, 
di  s.  Carlo,  dell'Erbe,  la  Carlina,  la  Su- 
sina, e  quella  delle  Caserme,  delle  quali 
lai/,  la  2/  e  l'ultima  del  pan  souo  attor- 
niate da  portici.  Le  più  vaste  sono  le  3  nuo- 
vissimed l'Emanuele  Filiberto, di  Vittorio 
Emanuele  I,  detta  pure  della  Venuta  del 
Re,  e  di  Carlo  Felice;  le  due  ultime  pure 
accerchiate  da  portici.  Alle  quali  si  può 
aggiungere  la  piazza  delle  Frutta,  già  e- 
sistenle  con  portici  a'  3  lati,  ma  che  in- 
grandita ultimamente  pel  lato  aperto,met- 
le  sulla  piazza  d'Emanuele  Filiberto.  Del- 
le 1 5  piazze  la  più  maestosa  è  quella  che 
porta  il  nome  del  re  Vittorio  Emanuele 
I;  essa  occupa  i  siti  della  Spianata  che  si 
chiamava  il  Rondò,  dove  per  un  piano  in- 
clinato si  calava  alle  rive  del  Po.  Le  dan- 
no vaghezza  i  deliziosi  prospetti  della  Col- 
lina di  Torino,  e  l'essere  fiancheggiata  da 
altee  nobili  case,  la  cui  architettura  ha  il 
pregio  di  correggere  la  visuale  scadente 
delle  linee  che  s'abbassano  verso  il  fiume, 
lìisplende  Torino  per  la  magnificenza  di 
due  ponti  di  pietra;  l'uno  di  5  archi  sul 


.38  TOH 

Po,  costruito  dal  governo  francese  sopra 
disegni  dell'ingegnere  Pei  tinchamp;  l'al- 
tro sulla  Dora  d'un  sol  arco,  opera  inge- 
gnosa, ardita,  ammirabile  per  sodezza  e 
beltà,  del  eav.  Mosca.  Trovali  ili. "sulla 
linea  della  strada  Po,  die  ornata  di  por- 
tici, come  dissi,  dalla  piazza  Castello  fa 
canoa  quella  di  Vittorio  Emanuele;  il  2.° 
segue  e  mette  fine  alla  via  d'  Italia,  che 
dalla  piazza  dell'Erbe  guida  allo  stradale 
di  Lombardia.  Molte  sono  le  belle  coll- 
imile in  Torino;  le  due  degne  d'osserva- 
stona  sono  quelle  di  sopra  accennate  diDo- 
ra  Grossa  lunga  daiooo  metri,  e  la  det- 
ta tuttora  Strada  o  Contrada  Nuova.  Un 
ben  inteso  acquedotto,  con  canali  apposi- 
ti lungo  le  mura  delle  case,  raccoglie  l'ac- 
que piovane  sulle  vie  di  Dora  Grossa,  del 
Po  e  di  Strada  Nuova;  ma  oltreciò  un 
limpido  ruscello  d'acqua  derivata  dalla 
Dora,  scorre  a  piacimento  per  tutte  le  con- 
trade di  Torino,  e  serve  a  sgombrarne  le 
nevi  nell'inverno,  a  nettarle  dall'immon- 
dizie e  rinfrescarle  neU'eslatejcome  a  spe- 
snervi  gl'incendi,  cui  a  (frena  il  ben  inte- 
so servizio  d'  una  compagnia  di  guardia 
da  fuoco,  mentre  ne  risarciscono  il  danno 
due  società  d'assicurazione  stabilitesi  mo- 
dernamente, l'ima  mutua,  l'altra  a  pre- 
mio fisso.  Di  vote  e  ben  fornite  di  sagre  sup- 
pellettili vi  sono  le  chiese,  in  numero  di 
circa  5o,la  principale  essendo  la  cattedra- 
le e  metropolitana  basilica  sotto  l'invoca 
zione  di  s.  Gio.  Battista,  antica  e  d'ottima 
struttura.  Credesi  comunemente  che  A- 
gilulfo  duca  longobardo  di  Torino,  dive- 
nuto re  d'Italia  e  de' longobardi  pel  suo 
matrimonio  colla  regina  Teodolinda,  ne 
fosse  il  fondatore  nel  602.  Poche  sono  le 
contrade  di  Lombardia,  dove  onori  si  mo- 
strino ancora,  o  non  si  sentano  citar  mo- 
numenti della  pietà  di  uno  ile'due  coniu- 
gi. In  Monza  fabbricarono  la  basilica  di 
s.  Gio.  Battista,  cheda'longobardi  era  ve- 
nerato particolare  protetlore.ed  altrettan- 
to fecero  in  Torino  della  chiesa  del  Bat- 
tistero al  s.  Precursore  eretta;  ed  in  allo- 
ra può  d'irsi  ch'ebbe  principio  la  superio- 


TO  R 
ri  là  della  basilica  di  s.  Giovanni,  sopra  le 
due  anteriori  chiese  del  ss.  Salvatore  e  di 
».  Maria,  come  osserva  il  p.  Semeria  ,  a 
delle  quali  parlerò  inseguito.  Però  in  due 
distinte  parti,  benché  unite  insieme, si  di- 
vide il  duomo  di  Torino,  cioè  in  chiesa 
metropolitana  dedicata  al  s.  Precursore, 
ed  in  altra  chiesa  o  chiesuola  più  eleva- 
ta,dove  (piasi  palladio  de'  torinesi  si  cu- 
stodisce con  gran  venerazione  la  ss.  Sin- 
done di  Qcsìi  Cristo^  ed  a  cui  si  ha  l'a- 
dito dalla l." per  una  scalinata  di  marmo, 
e  dal  palazzo  reale  per  una  galleria  al  me- 
desimo livello;  insigne  e  magnifico  san- 
tuario di  bizzarra  architettura  ,  che  de- 
scrissi Dell'indicato  articolo.  La  chiesa  me- 
tropolitana nel  1498  fu  interamente  ri- 
fabbrieataa  spese  del  vescovo  cardinalDo- 
nienico  della  Rovere.  Si  deplora  che  al- 
lora si  limitasse  con  intendimento  imper- 
fetto di  adornarla  alle  sole  porte  esterne, 
intorno  a  cui  veggonsi  scolpiti  de'bei  fre- 
gi Raffaelleschi,  lasciandone  l'interno  in 
uno  slato  di  nudità  compassionevole,  cui 
da  ultimo  alquanto  si  rimediò  con  dipin- 
ti. Il  re  Carlo  Alberto  fece  levare  da'sol- 
terrauei  della  cattedrale  i  mortali  avan- 
zi de'dudii  Amedeo  Vili  ed  Emanuele 
Filiberto,  e  tumulare  nella  regia  cappel- , 
la  della  ss.  Sindone,  dove  neh  8^1  eres- 
se loro  magnifici  mausolei.  Del  eh.  inge- 
gnere Gaetano  Sozzara  abbiamo  l'erudi- 
tissima Memoria  di  dite  monumenti  da 
collocarsi  nel  duomo  di  Torino,  clic  Ut 
munificenza  sovrana  di  S,  M.  il  re  di 
Sardegna.  Carlo  Alberto  commetteva  a- 
gli  scultori  Pompeo  Marchesi  cavaliere 
di  piti  ordinile  Benedetto  Cacciatori. per 
eternare  la  memoria  di  Emanuele  Fi- 
liberto ed  Amedeo  Vili,  premessi  alcu- 
ni ce/mi  storico-artistici  sull'origine  dei 
principali  mausolei  o  monumenti  scpol* 
evali  antichi  e  moderni,  Milano  ic»42. 
L'  insigne  Marchesi  scolpì  il  gruppo  del 
monumento  d'Emanuele  Filiberto,  il  cui 
assieme  della  statua  firma  un  tipo  ili  squi- 
sita bellezza.  E'  rappresentato  in  piedi, ve- 
stito in  armatura,  colla  spada  impugna- 


TOR 

la.  Alla  destra  di  lui  avvila  Storia,  che 
sia  scrivendo  ciò  che  la  Munificenza  per- 
sonificata posta  al  lato  sinistro,  ed  aven- 
te il  leone  a'piedi,  le  addita  per  manda- 
re a'  po-teri  le  gloriose  gesta  del  duca. 
Queste  sono  due  figure  d'  una  bellezza 
impareggiabile.  Nel  basamento  è  l'iscri- 
zione nella  quale  il  duca  èqualificato,  Re- 
stitutori.1; Imperli.  Termina  ii  magnifi- 
co lavoro  collo  stemma  ducale.  L'esimio 
e  valente  scultoreCacciatori  costituì  il  mo- 
numento d'Amedeo  Vili  di  3  figure  prin- 
cipali, cioè  del  Duca, della  Giustizia  e  del- 
la Felicità.  11  duca  maestoso  sotto  forme 
colossali  tiene  il  braccio  destro  piegato  sul- 
la spalla  della  Giustizia,  mentre  l'altro  è 
proteso  sopra  la  testa  della  Felicità  che  gli 
sta  assisa  al  Iato  sinistro,  tenente  in  una 
mano  il  cornucopia,  e  nell'altra  un  ramo- 
scello d'ulivo.  Amedeo  Vili  èawoltoin 
Ira  ricco  manto,  sotto  il  quale  lascia  tra- 
spai ire  l'arnia  tura  cavalleresca:  edi  ècin- 

1  D 

to  di  spada,  e  del  berretto  ducale  tutto 
gemmalo  all'ingiro.  La  bellissima  e  ma- 
gnifica testa  è  colla  barba  (ch'erasi  fatto 
tagliare  in  Thonon  quando  vi  entrò  co- 
me antipapa  Felice  f,  perchè  dispiace- 
va alla  moltitudine)  che  gli  serpeggia  mol- 
lemente su!  mento.  La  Giustizia  è  cinta 
di  diadema,  sorreggente  colla  mano  de- 
stra la  bilancia,  l'ai  tra  l'ha  ri  volta  al  petto, 
voglia  dire,  qui  iuta  centro  le  mie 

ii.  La  Felicità,  di  forme  avvenenti, 
è  avvolta  in  un  ricco  campo  di  pieghe.  11 
bassorilievo  che  serve  di  parapetto  o  basa* 
rneiitOjSembra  un  capola  voro  che  ci  forni- 
sce l'idea  dell'arte  greca.  Le  figure  che  lo 
compongono  sono  q,ed  esprimono  quan- 
do Amedeo  Vili  sta  per  pubblicar  ie  sue 

.  onde  si  inerito  il  titolo  di  Salomo- 
ne del  suo  secolo,  oltre  il  nome  di  Paci- 
lco  per  aver  conservato  la  pace  ne'suoi 
stati  fra  l'Europa  agitata.  Egli  è  seduto 
in  abito  di  vicario  imperiale;  presso  di  lui 
è  il  figlio  Luigi,  a  cui  cede  le  redini  dello 
stato,e  di  rimpetto  il  vescovo  di  Chambe- 
i  v  e  i  grandi  delducalo.  Aldisottodi  que- 
sto bassorilievo  trovasi  il  blasoue  o  stecn- 


TOP,  i39 

ina  della  casa  di  Savoia,  intrecciato  di  fra- 
sche d'ulivo,  alloro  e  quercia,  simboli  del- 
la pace,  della  gloria  e  del  potere.  La  Fer- 
mezza e  la  Sapienza  sono  due  statue  che 
sorgono  lateralmente,  e  fra  queste  e  lo 
lo  stemma  avvi  1'  iscrizione,  in  cui  vie- 
ne qualificato:  Principi*  legìbus populo 
constitutis,  Sanctitate  \-itae,  Pace  Orbi 
Christiano partaclarìssimifione  con  al- 
lusione all'essersi  dimesso  dall'antipodi- 
ficaio).  Nella  cattedrale  si  venerano  altre 
insigni  reliquie,  de'corpi  santi  e  fra'quali 
quello  di  s.Martiniano.  Vie  il  battisterioe 
la  cura  d'anime,che  amministra  un  vicario 
curato  perpetuo.  II  capitolo  della  metro* 
politami  si  compone  della  i.a  dignità  del 
preposto,  e  delle  altre  dignità  dell'arcidia- 
cono,tesoriere,arciprete,primicerio  e  can- 
tore, di  i2  canonici  comprese  le  pi  dien- 
ti e  del  teologo  e  del  penitenz:ere,d'alcuni 
beneficiali  chiamati  cappellani,  e  di  altri 
preti  e  chierici  addetti  al  servizio  del  divin 
culto.  Il  p.  Semeria  tratta  di  questo  cospi- 
cuo capitolojdelsuocominciainento e  pro- 
gressi. Riferisce  apparire  da' sermoni  del 
vescovo  s.M:issimo,ch'egli  avea  il  suocle- 
ro,e  sembra  verosimile  che  avesse  con  Ivi 
comune  l'abitazione  e  la  mensa,  o  alme- 
no separati  dal  vescovo  formassero  una  so- 
la famiglia  a  guisa  di  religiosa  comunità. 
Certo  è  che  il  vescovo  Rognimiro  oRe- 
guimiro  fiorito  verso  la  fine  del  seco- 
lo Vili,  ripristinò  il  suo  clero  all'antico 
metodo  d'  una  vita  comune,  prescriven- 
do saggi  regolamenti,  casa  e  vaste  pos- 
sessioni assegnando,  ond'è  riconosciuto  i .° 
autore  o  restauratore  del  capitolo  episco- 
pale e  metropolitano  di  s.  Giovanni,  o co- 
me allora  chiamavasi  de' canonici  del  ss. 
Salvatore. Le  possessioni  dal  prelato esuoi 
successori.da'principi  e  \n  ispecieda  Ade- 
laide donate  al  collegio  de'canonici  tori- 
uesi/uronosolenuemente  confermate  dal- 
l'imperatore Enrico  III  nel  1047-  Quanto 
alla  vita  comune  cadde  indisuso  prim  i  del 
1 460,  intorno  o  prima  al  qua!  tempo  cessò 
pure  l'antica  disciplina,  per  cui  il  senato 
della  cattedrale eleggeva  il  proprio  pasto- 


i4o  TOR 

re.1I  i  ."vescovo  torinese  promosso  senza  ia 
proposta  del  capitolo,  si  vuole  Aimone  e- 
leltoda  Giovanni  XXIII  nel  1 4^  l  •  "  B«" 
pa  approvava  prima  l'elezioni,  ma  Boni- 
facio Vili  neli3oo  annullò  quella  fatta 
di  Tommaso  di  Savoia.  11  numero  de'ca- 
nonici degli  antichi  tempi  era  di  25,  cioè 
3  dignità,  2  uffizi,  a'quali  succedevano  gli 
altri  20,  e  questi  classificati  in  6  sacerdoti, 
in  6  diaconi,  in  6  suddiaconi,  in  2  acculi- 
ti, i  quali  conservano  tuttora  il  nome,  ben- 
ché l'uffizio  è  sacerdotale  e  non  più  di  sem- 
plice accolitato.  I  canonici  primari  si  qua- 
lificavano nelle  sottoscrizioni  col  titolo  di 
Cardinale,  il  quale  nome  di  que'  tempi 
era  pressoché  universale  a  que'sacerdoti 
del  presbiterio  o  senato  vescovile  o  pa- 
triarcale, a'quali  assegnavasi  il  governo 
d'una  chiesa  particolare,  poi  riservato  a' 
componenti  il  Sagro  collegio,  di  che  ra- 
gionai pure  a  Titoli  cardinalizi.  Le  chie- 
se delss.  Salvatore  e  di  s.  Maria  erano  rette 
dal  canonico  cardinale  preposto  ,  quella 
di  s.  Stefano  protomartire  veniva  gover- 
nata dal  canonico  cardinale  arcidiacono, 
quella  di  s.  Martino  ossia  Martiniano  dal 
canonico  cardinal  arciprete;  la  chiesa  de' 
ss.  Filippo  e  Giacomo  apostoli  dal  cano- 
nico cardinal  cantore,  quella  de'ss.  Simeo- 
ne e  Giuda  apostoli  amministrata  da  un 
cauonico  cardinale  diacono.  Anche  la  ba- 
silica di  s.Eusebio,  la  quale  era  governata 
dal  canonico  cardinal  primicerio  ,  come 
quella  di  s.  Massimo  oggidì  di  Collegno, 
erano  decorate  del  titolo  cardinalizio.  Ac- 
quistò dipoi  questo  titolo  anche  la  chiesa 
d'Oulx,  dacché  per  la  facoltà  concessa  dal 
vescovo  Cuniberto  e  dal  suo  senato,  il  pre- 
posto di  que'canonici  regolari  fu  ricevuto 
nel  collegio  de'canonici  torinesi.  Le  chiese 
di  s.  Maria  e  di  s.  Eusebio  di  Torino,  ol- 
tre al  titolo  cardinalizio,  a veano quello  di 
Diaconia,  forse  per  esservi  contigui  gli  o- 
spizi  per  gl'infermi  e  per  soccorrere  i  po- 
veri. Da'monumjenti  antichi  apparisce  che 
la  primaria  dignità  de'canonici  del  ss.  Sal- 
vatore era  il  preposto,  indi  quella  dell'ar- 
cidiacono. Avendo  il  preposto  la  cura  d 'a- 


TOR 

nime  nella  chiesa  di  s.  Maria,  non  allog- 
giava entro  il  chiostro  della  casa  canoni- 
cale, per  essere  così  di  più  facile  accesso 
a'f'edeli,  e  di  minore  disturbo  a'suoi  col- 
leghi. A  lui  appartenevano  le  più  solenni 
funzioni,  per  assenza  o  impotenza  del  ve- 
scovo, come  di  radunare  il  presbiterio  o 
senato  per  gli  occorrenti  provvedimenti. 
Avea  il  capitolo  un'insigne  biblioteca,  ric- 
ca di  molti  codici  latini  e  greci,  dispersa, 
credesi,  quando  cessò  l'alloggioe  il  vivere 
comune.  11  suoeom'mciamentosi  attribui- 
sce al  canonico  preposto  Ricolfo,  che  molti 
codici  ottenne  da'monaci  della  Novalesa, 
il  2.0  monastero  fondato  nel  Piemonte,  al- 
lorché fuggirono  da  quel  monastero  per 
l'incursione  de'saraceni  di  Spagna  del  qo6 
e  si  salvarono  in  Torino.  Gli  antichi  sta- 
tuti capitolari  riformati  nel  1468,  furono 
confermali  dal  Papa  Paolo  II.  In  tutti  i 
tempi  questo  capitolo  fu  veneratissimo  e 
celebratissimo  ,  per  essere  sempre  stato 
composto  di  sacerdoti  insigni  per  nobiltà 
di  natali,  per  esemplarità  di  vita,  dottri- 
na e  assidua  assistenza  al  coro, alla  direzio- 
ne del  clero  e  del  seminario,  al  soccorso 
spirituale  e  temporale  di  tutta  la  città;  e 
del  proprio  pastore  si  mostrarono  in  ogni 
occorrenza,  siccome  oggidì,  valido  soste- 
gno e  cooperatori  illuminali  e  fedeli.  Uà 
solo  esempio  di  dissidenza  del  capitolo  col 
vescovo,  anzi  collo  stesso  Papa  Innocen- 
zo IV,  trovasi  nel  vescovato  di  Giovanni 
Arborio.Aggiungeil  p.Seiueria.»  Fuori  di 
quest'esempio  singolare,  la  buona  armo- 
nia e  una  retta  intelligenza  legò  l'animo 
de'primari  pastori  con  quello  del  suo  se- 
nato; siccome  il  cuore  de'canonici  stette 
sempre  congiunto  a  quello  de'propri  pre- 
lati: ammirabile  e  santissima  concordia, 
per  operare  nelle  diocesi  la  salvezza  delle 
anime  non  meno  che  la  propria;  e  verità 
importantissima  per  certe  chiese  cattedra- 
li, anche  d'Italia,  nelle  quali  le  gare,  le 
pretensioni  e  dirò  i  puntigli  sembrano  tra- 
mandarsi di  età  in  età,  ed  ereditarsi  al- 
l'infinito, sotto  colore  di  difendere  gli  an- 
tichi diritti  e  privilegi  ;  divisioni  scisma- 


TOR 

fiche  clie  riescono  di  scandalo  a'  popoli, 
di  obbrobrio  al  sacerdozio,  di  dolore  alla 
Chiesa;  e  Dio  non  voglia,  anche  di  eter- 
na perdizione  a  coloro  che  le  promuovo- 
no e  fomentano,  senza  voler  fare  per  a- 
more  all'unità  i  necessari  sagrjfizi."  Non 
è  quindi  meraviglia,  se  dal  collegio  de'ca- 
nonici  torinesi  sono  stali  scelti  in  ogni  se- 
colo i  prelati  a  governar  le  diocesi  del  Pie- 
monte, molti  de'quali  per  ubbidienza  ac- 
cettarono la  mitra,  ed  altri  per  invitta  co- 
stanza la  ricusarono:  gli  uni  egli  altri  com- 
mendevoli.  L'ospedale  massimo  di  To- 
rino, edilizio  di  soda  e  vaga  magnificenza, 
chiamasi  volgarmente  di  s.  Giovanni, ap- 
punto perchè  da'canonici  del  duomo  eb- 
be il  i  .°suo  cominciamento,  il  più.  vigoro- 
so progresso  e  la  migliore  sua  dotazione 
ed  assistenza.  Inoltre  nella  basilica  metro- 
politana di  s.  Giovanni,  alla  cappella  della 
ss.  Trinità,  sta  anuesso  un  collegio  di  al 
tri  canonici  della  collegiata  della  ss.  Tri- 
nila. Ebbero  principio  col  semplice  tito- 
lo di  cappellani  in  numero  di  6  nel  i  o34, 
istituiti  e  stipendiati  dal  piissimo  sacer- 
dote Sigifredo  con  obbligo  di  qualche  ce- 
lebrazione e  servizio  a  quell'altare  della 
ss.  Trinila.  Venne  poco  dopo  avvalorata 
questa  istituzione  dalia  contessa  Berta  o 
sua  figlia  Adelaide,  quando  fecero  una  do- 
nazione alla  chiesa  di  s.  Giovanni  di  To- 
rino nel  i  037,  di  ampie  rendite,  ed  arric- 
chì la  cappella  dellass.  Trinità,  in  cui  gia- 
cevano le  ossa  del  trapassato  suo  marito 
Manfredo,  affinchè  6  sacerdoti  ogni  tiì  ce- 
lebrassero quivi  il  solenue  sagrifizio,  e  por- 
gessero al  Signore  caldi  prieghi,  sì  per  lei 
che  pel  suo  marito  e  gli  altri  congiunti. 
Alla  quale  di  lei  pietà  avendo  riguardo 
Landolfo  vescovo  di  Torino, onorò  col  ti- 
tolo di  canonici  i  6  sacerdoti,  e  volle  che 
si  chiamassero  dipoi  il  collegio  della  ss. 
Trinità.  11  numero  di  questi  canonici  fu 
in  seguito  aumentato,  ed  ebbero  la  cura 
di  diverse  parrocchie:  trovasi  di  fatto  che 
nel  i  3y  5  reggevano  le  chiese  parrocchiali 
di  s.  Gregorio,  di s.  Silvestro,  di  s.  Simeo- 
ne, e  di  s.  Pielro  De  Curie  Ducis  ossia  del- 


TOR  l£i 

la  corte  degli  antichi  duchi  longobardi. 
La  città  diTorino  nel  1  77gcondiscese,che 
la  congregazione  de'6  preti  teologi,  eret- 
ta nel  i655  pel  servizio  della  sua  chiesa 
del  Corpus  Domini,  impetrato  il  sovrano 
reale  gradimento,  e  con  l'autorità  dell  ar- 
civescovo, fosse  aggregata  al  collegio  dei 
canonici  della  ss.  Trinità;  e  questa  colle- 
giata ebbe  sempre  i  diritti  e  l'onore  del- 
la precedenza  a  lutti  i  beneficiati  della  cit- 
tà, e  a  tutte  le  collegiate  ancheinsigni  del- 
la diocesi.  Ad  altri  6  canonici  di  quella 
collegiata  il  re  Carlo  Alberto  assegnò  sul- 
la fine  del  1837  il  servizio  della  chiesa  di 
s.  Lorenzo,  che  già  appartenne  a'teatini. 
Dalla  collegiata  eziandio  della  ss.  Trini- 
tà uscirono  molti  uomini  apostolici  per 
la  città  di  Torino,  e  prelati  dotti  e  pii  a 
reugere  le  diocesi.  Il  palazzo  arcivescovi- 
le è  alquanto  distante  dalla  metropolita- 
na. Oltre  di  essa  in  Torino  vi  sono  altre 
1  3  chiese  parrocchiali  munite  del  s.  fonte. 
Fra  le  principali  chiese  di  Torino,  la 
più  bella  è  quella  di  s.  Filippo  Neri,  am- 
pia e  di  slimata  architettura  del  celebre 
Juvara,  ed  a  cui  solo  mancando  il  com- 
pimento della  facciata,  credo  che  ormai 
l'avrà  ricevuto.  Nuovo  lustro  le  accrebbe 
nel  i834  Gregorio  XVI,  quando  ordinò 
la  beatificazione  del  b.  Sebastiano  "N  al  fi  è 
della  diocesi  d'Alba,  della  congregazione 
de'filippini  di  Torino,  da'quali  viene  uf- 
ficiata in  uno  all'  amministrazione  della 
cura  d'anime,  e  nella  quale  si  venera  il 
sagro  suo  corpo:  esempio  impareggiabi- 
le di  carità  evangelica,  nel  17  io  meritò 
nell'ultima  sua  infermità  d'essere  due  vol- 
te affettuosamente  visitato  dal  re  Vitto- 
rio Amedeo  li,  il  quale  raccomandando 
se  e  la  famiglia  reale  alle  sue  orazioni,  ri- 
spose il beato:»Ho sempre  pregato  in  tut- 
ta mia  vita  per  V.  A.  R.  e  per  la  sua  fami- 
glia; e  ora  le  prometto  che  seguiterò  a  fa- 
re lo  stesso  anche  dopo  la  motte.  V.  A. 
compatisca  e  cerchi  sollevare  le  miserie 
de'  suoi  sudditi  da  tanto  tempo  oppressi 
dalle  lunghe  guerre,  procuri  d'intender- 
sela sempre  e  di  slare  unito  col  Sommo 


j4?.  tor 

Poni  elìce,  Vicario  di  Gesù  disto,  se  vuo- 
le che  Dio  feliciti  sé,  la  sua  realef  uniglia, 
ed  il  suo  stalo".  Tanto  leggo  nella  r  ita 
del  h.  Sebastiano  Talfre  della  congre- 
gazione dell'oratorio  di  Torino,  Roma 
i834.  La  mentovata  chiesa  di  s.  Loren- 
zo ha  1'  architettura  la  più  strana  deni- 
gri templi  della  città. L'ahuso  delle  lince 
curve  contorte  per  ogni  verso  contrasse- 
gnò il  genio  bizzarro  del  celebre  p.  G mi- 
rini teatino,  ma  quivi  almeno  compensò 
in  parte  la  stravaganza  del  disegno  col- 
l'arditezza  e  leggiadria  della  cupola  tut- 
ta traforata  da  archi  incrocicchiati.  Ma 
convien  dire  che  altrove,  eprincipalmen 
te  nel  palazzoCarignano,  biasimevole  seu  • 
za  scusa  sia  stalo  I'  impiego  da  lui  fatto 
della  linea  curva.  E  non  senza  ragione  fu 
da  'migliori  maestri  dell'arte  giudicata  la 
linea  iella  come  generalmente  la  più  ac- 
costante nel  bello  in  architettura,  al  che 
si  pub  aggiungere  che  in  molte  cose  nel- 
l'ordine materiale,  come  sempre  nel  mu- 
rale, essa  è  non  solo  la  più  breve,  ma  e- 
ziandio  la  più  lodevole  e  la  più  sicura  da 
tenersi.  Nella  censura  che  merita  l'abuso 
delle  linee  curve  non  si  devono  certamen- 
te comprendere  le  belle  forme  tondeggian- 
ti, per  cui  si  ammirano  tanti  monumen- 
ti religiosi  sì  antichi  che  moderni.  Tut- 
tavia non  si  può  negare  la  bellezza  di 
questo  stile  adottato  per  la  nuova  chiesa 
della  Beata  Vergine  Madre  di  Dio,  che  il 
corpo  decurionale  di  Torino  fece  costrui- 
re dirimpetto  al  ponte  Po,  onde  perpe- 
tuare la  memoria  del  felice  ritorno  della 
real  casa  di  Savoia  ne'suoi  stati,  e  del  re 
Vittorio  Emanuele  1  in  Torino  nel  181  4; 
ed  anzi  è  da  lodare  il  magnifico  prospet- 
to ch'essa  porge  alla  strada  di  Po,  e  pom- 
peggia fra'grati  aspetti  della  piazza  della 
Venula  del  He.  Ne  fu  architetto  il  cav. 
Bonsignore,  e  l'eseguì  sull'idea  del  Pan- 
theon di  Ruma  ,  forma  che  agli  amatori 
de' tipi  de' templi  cristiani  non  del  tutto 
piacque.  La  chiesa  del  Corpus  Dominimi 
porla  a  riferirne  l'origine  col  p.  Semeria. 
1  documeuli  che  comprovano  il  iniraco- 


TO  R 
lo  del l'OsliaEucaristica,av venuto  nel  cen- 
tro di  Torino  a'G  giugno  i453,  sono  sta- 
ti l'accolli  e  pubblicali  diligentissimamen- 
te dal  canonico  e  teologo  collegiate  d.  Gio. 
Angelo  Colombo,  rettore  della  ricordata 
veu.  congregazione  del  Corpus  Domìni, 
illustrati  poi  dall'altro  canonico  teologo 
collegiale  e  socio  dell' islcsso  sodalizio  d. 
Clemente  De  Negri  co'  Cenni  storico-cri- 
tici sopra  l'insigne  miracolo  della  ss.  O- 
stia,  Tori  no  1637.  Se  ne  tratta  pure  dal 
marchese  Tancredi  di  Barolo  ne'  Cenni 
diretti  alla  gioventù  intorno  a' fatti  reli- 
giosi successi  in  Torino,  ivi  i836.  Per- 
tanto, nel  i453  disegnando  Renato  duca 
ci*  Angiò  di  calar  in  Italia  con  35oo  ca- 
valli, quando  Luigi  duca  di  Savoia  gli  con- 
trastò il  passo  ne'  suoi  stati,  per  questa 
opposizione  e  per  altre  vertenze  tra  Lui- 
gi e  il  Delfino  di  Francia,  furono  messi 
a  sacco  que'villaggi  che  stavano  sul  con- 
fine degli  stati  del  Piemonte  verso  il  Del- 
finalo,  fra' quali  Iixilleso  Issilie  ultima 
terra  della  provincia  di  Susa.  In  questi 
saccheggia  menti,  uno  di  Exilles  per  toglie- 
re alla  profanazione  il  Corpo  del  Signo- 
re, ch'era  in  un  reliquiario  d'argento  (al- 
tri dicono  con  più  probabilità,  che  i  la- 
droni lo  derubarono  con  allri  oggetti),  lo 
iu  viluppo  in  certe  balle  che  pose  sopra  un 
mulo,  e  si  recò  a  Torino.  Giunto  il  mulo 
innanzi  la  chiesa  di  s.  Silvestro,  si  fermò 
gettandosi  a  terra  colie  ginocchia  piega- 
te. Dislegate  le  balle  per  opera  sovrauma- 
na, ne  uscì  fuori  il  Corpo  ili  Cristo  col  re- 
liquiario e  si  elevò  miracolosamente  inai- 
lo con  grande  splendore  simile  a  un  sole. 
Avvisalo  del  portento  il  vescovo  Lodovi- 
co di  Romagnano,  subito  si  recò  sul  luo- 
go col  capitolo  e  il  clero,  e  appena  arri- 
vato,cadde  il  reliquiario,  e  la  ss.  Ostia  cou- 
sagrata  rimase  in  aria  splendente  di  rag- 
gi. Inginocchiatosi  il  vescovo  commosso, 
e  adorando  cogli  astanti  il  ss.  Sagramen- 
lo,  si  fece  portare  un  calice  e  presente  tut- 
to il  popolo  la  ss.  Ostia  discese  nel  sagro 
vaso.  11  vescovo  tutto  infervorilo  lo  por- 
tò con  gran  divozione,  accompagnato  dui 


TOR 
canonici  e  clero,  non  che  da'nobili  oilt»' 
{lini,  nella  caltetlrale,e  poi  renne  colloca" 
to  in  bellissimo  tabernacolo,  che  esistette 
sinché  fu  fatto  il  duomo  nuovo,  iti  Iut- 
iera venerandosi  la  ss.  Ostia.  In  comme- 
morazione di  sì  strepitoso  prodigio,  fu  sta- 
bilito che  in  Torino  e  iti  tutta  la  diocesi 
si  celebrasse  con  processione  generale  la 
fétta  e  l'oV  del  Corpus  Domini.  La  f-mia 
dell'accaduto  trasse  la  moltitudine  de'cir- 
costanli   paesi  ad  adorare   Gesù  sotto  le 
specie  sagramenlali,  e  implorarne  grazie 
e  favori  nel  luogo  ch'erosi  eletto  pel  suo 
culto,  e  se  ne  pai  tuono  consolati  per  quan- 
to ottennero.  Dipoi  i  decurioni  «Iella  cit- 
tà, desiderosi  che  viva  sempre  si  mante- 
nesse la  memoria  dell'avvenimento  mira- 
coloso, nel  i  52  i  deliberarono  di  fabbri- 
care una  cappella  o  oratorio  viciuo  alla 
detta  chiesa  di  s.  Silvestro,  in  onore  del 
Corpo  di  Cristo,  e  precisamenle  nel  silo 
ove  in  pieno  meriggio  e  in  presenza  del- 
l'intera popolazione  si  manifestò,  istituen- 
dosi a  suo  onore  la  compagnia  del  ss.  Sa 
gramento  o  congregazione  de'leologi  del 
Corpus  Domini.  Sul  finire  dello  slesso  se- 
colo, desolata  Torino  dalla  guerra  e  dal- 
la peste,  i  decurioni  fecero  solenne  volo 
di  convertire  l'oratorio  in  tempio  di  più 
Tasta  e  magnifica  forma.  Nove  anni  dopo 
enei  1 607  ne  gettarono  le  fondamenta  al- 
la presenza  del  duca  Carlo  Emanuele  I, 
e  del  celebre  architetto  Ascanio  Yittozzi 
autore  del  diseguo,  e  la  chiesa  riuscì  una 
delle  più  belle  e  ricche  di  Torino  (piale 
oggi  si  vede  e  divotamente  -i  frequenta. 
Dell'  antico  oratorio  non  rimane  se  non 
se  il  piccolo  sito  chiuso  da  balaustra  do- 
ve successe  l'insigne  prodigio.  La  chiesa 
riccamente  ornata  per  ogni  parte  mostra- 
si alquanto  angusta  rispetto  al  gran  con- 
e  al  fervore  popolare.  E  tale  rima- 
se pei  che  impedì  allargarla  l'estrema  vi- 
cinanza  della    chiesa   antichissima   dello 
Spirilo  santo,  già  tempio  di   Diana   per 
quanto  si  crede,  poi  convertita  in  chiesa 
ad  onore  di  s.  Silvestro  da  s.  Vittore i.° 
vescovo  di  Toiino,  e  finalmente  rifatta 


TOR  .43 

dall'attuale  confraternita  nel  1  594>°iu,n- 
cii  restaurala  nel  1  763,  quale  ora  trova- 
si. Per  lauti  sicurissimi  docamenti,  che 
all'ultima  evidenza  confermano  il  mira- 
colo della  ss.  Eucaristia,  la  s.  Sede  dopo 
le  più  severe  e  giuste  disamine,  sotto  Gre- 
gorio XVI  riconobbe  la  verità  del  mira- 
coloso avvenimento,  e  nel  i83o  accordò 
l'uffizio  proprio  per  la  festa  solita  a  ce- 
lebrarsi nell'anniversario  del  portento  ai 
6  giugno;  pontificia  concessione  che  co- 
ronò i  pissimi  desiderii  del  clero,  della 
città  e  della  real  corte,  e  pone  un  perpe- 
tuo sigillo  a  ogni  ulteriore  disquisizione. 
La  chiesa  della  Consolata  ebbe  origine 
da'monaci  della  suddetta  badia  di  N'uva- 
lesa,  quando  nel  qo6  vedendola  posta  dai 
saraceni  a  fuoco  e  sangue  ,  si  salvarono 
coli'abbate  Doniverto  in  Torino.  Quivi 
fondarono  l'abbazia  di  s.  Andrea  a  porla 
Turrianica  o  Susina,  che  dopo  pochi  an- 
ni incendiala  da  alcuni  saraceni  prigio- 
nieri, venne  rifabbricala  vicino  alla  porla 
Comitale  ossia  Palatina.  Ora  altro  avan- 
zo non  ne  rimane  se  non  che  il  campani- 
le, in  cui  si  può  ravvisare  una  di  quelle 
torri  a  difesa  che  allora  sol  concedev;insi 
a'monasteii  e  a'feudatari.  Quivi  dopo  lo 
strepitoso  prodigo  che  vado  fe  narrare,  fa 
perordined'Ardoiuo  re  d'Italia  «retta  una 
prima  cappella  che  tuttora  vi  si  vede  sot- 
terra nel  luo£o  ove  si  rinvenne  la  s.  Im- 
magine di  Maria  Vergine,  divenula  poi 
per  8  secoli  oggetto  della  ben  giusta  di- 
vozione de'loriuesi.  E'  pia  credenza  che 
fosse  questa  la  medesima  già  esposta  alla 
loro  venerazione  da  s.  Massimo  (cui  l'a- 
\ea  donata  s.  Eusebio  reduce  dall'orien- 
te), in  un  certo  piccolo  oratorio  attiguo 
alle  mura  della  città. che  fu  distrutto  nel- 
l'universale devastazione  del  ^  I <eculo  per 
la  mano  de'barbari,  o  per  involarla  allo 
scempio  che  delle  ss.  Immagini  fece  il  ve- 
scovo Claudio  iconoclasta.  Ma  u  uova  men- 
te scompari  verso  il  ic8o  l'effigie  sagra 
involta  nelle  rovine  della  chiesa  allora  ab- 
bandonata fra  gli  orrori  delle  guerre  ci- 
vili, pesti,  procelle  e  carestie  che  condus- 


I#4  TOR 

aero  Torino  a  un  quasi  totale  sterminio. 
Mentre  governava  la  chiesa  torinese  A- 
mizzone  II,  Giovanni  Rivaccino  nobile 
cieco  nato  di  Briancon,  spinto  da  quella 
somma  fede  cheDio  pur  sempre  rimerita, 
venne  in  cerca  della  smarrita  immagine, 
ed  eragli  dal  cielo  riserbata  la  sorte  di  ri- 
provarla a'20  giugno  1  104  tra'frantumi 
della  badia  di  cui  altro  non  rimanca  che 
la  torre,  e  nel  sito  stesso  della  cappella 
ove  la  fece  collocare  il  re  Ardoino.  Impe- 
rocché questo  principe  ordinò  all'abbate 
Guglielmo,  di  curare  la  pronta  costruzio- 
ne della  cappella  in  onore  della  Regina  de- 
gli Angeli  accanto  la  chiesa  di  s.  Andrea 
di  Torino.  La  cappella  fu  dedicala  a'^3 
novembreioi6  dal  vescovo  Majnardo  I, 
ed  il  Papa  Benedetto  "Vili  con  suo  diplo- 
ma l'arricchì  d'indulgenze.  Non  tardò  la 
divozionee  la  gratitudine  de'torinesi, men- 
tre in  ogni  modo  risorgeva  la  loro  città, 
a  edificare  sopra  questa  cappella,  rimasta 
sotterranea  perchè  le  macerie  delle  pas- 
sate vicendeaveano  innalzato  il  livello  ge- 
nerale, non  solo  una  nuova  chiesa  di  s.  An- 
drea,ma  un  adiacente  santuario  ossia  chie- 
sa unita  alla  prima  e  dedicata  alla  B.  Ver- 
gine della  Consolazione.  Ora  è  questa  ap- 
punto che  ampliata  nel  i5g4,  poi  rifab- 
bricata nel  1705  quale  al  presente  si  ve- 
de, e  ognor  più  adornata  dalla  pietà  dei 
cittadini  non  che  dagli  stranieri,  racchiu- 
de in  oggi  la  venerata  immagine:  questa 
che  fu  poi  sempre  ed  è  tuttora ,  la  Dio 
mercè,  consueto  rifugio  dell'anima  o  del 
corpo,  fonte  perpetuo  di  grazie  pubbliche 
e  particolari,  oggetto  di  non  intiepidito 
fervore  perla  popolazione  tutta  d'una  fra 
le  più  religiose  città,  dicesi  volgarmente 
Consolala.  Del  miracoloso  evento  volen- 
done perpetuare  la  memoria, Carlo  Ema- 
nuele I  e  la  duchessa  sua  consorte  Cate- 
rina d'  Austria  ordinarono  nel  1  5g5  che 
fosse  sopra  marmorea  lapide  scolpita  o- 
gin  più  minuta  circostanza  slorica  di  tal 
fatto,  e  questa  venne  per  loro  comando 
collocata  nella  cappella  maggiore  del  san- 
tuario della  Consolata,  come  tuttora  osi- 


TOR 

ste.  Il  quadro  della  B.  Vergine  è  dipinto 
eccellentemente  in  tela,  e  somiglia  in  tut- 
to, tranne  le  stelle  sul  capo  e  sulla  fronte, 
aquellochesi  venera  in  Roma  nella  Chie- 
sa di  s.  Maria  del  Popolo  (f^-).  Sulla 
piazzuola  laterale  al  santuario  della  Con- 
solata venne  eretta  una  colonna  dedica- 
ta alla  B.  Vergine  che  ivi  si  venera,  e  ciò 
a  scioglimento  del  voto  fatto  dalla  città 
di  Torino  a'3o  agosto  1 835  nella  gravis- 
sima congiuntura  che  il  cholera  asiatico 
avea  invasa  questa  illustre  capitale.  11  fu- 
sto della  colonna  è  d'un  sol  pezzo  di  gra- 
nito lisciato  di  Campigiia;  e  dello  stesso 
granito  lucido  sono  pure  lo  zoccolo  ed  i 
3  gradini  su  cui  esso  s'innalza,  talché  il 
bel  color  grigio  paonazzelto  del  masso 
principale  fa  maggiormente  spiccarela  ba- 
se e  il  capitello  corintio  di  marmo  bianco 
di  Carrara.  In  cima  poi  del  monumento 
ergesi  una  bella  e  divota  statua  marmo- 
rea di  Maria  ss.  col  divin  Figlio  che  in  at- 
to a  un  tempo  dignitoso  e  amorevole  sten- 
de la  sua  manina  a  benedire  i  fedeli  ac- 
correnti al  santuario.  Lo  zoccolo  vienecir- 
condato  da  una  leggera  inferriata  ossia 
cancello  di  forma  circolare,e  sulla  sua  fac- 
ciata anteriore  una  breve  iscrizione  inci- 
sa in  lettere  d'oro  rammenta  l'insignegra- 
zia  ricevuta  da'torinesi  per  l'intercessio- 
ne di  tanta  protettrice,  pel  cui  patrocinio 
attenuato  mirabilmente  dapprima, scom- 
parve poscia  in  breve  il  formidabile  e  de- 
solante flagello.  Nel  1767  in  Torino  fu 
stampata  V  Istoria  del  miracoloso  ritrat- 
to di  Maria  Vergine  detto  della  Conso- 
lata.ha  chiesa  de'ss.  Martiri,  già  crollan- 
te tempio  pagano  d'Iside,  posto  fuori  del- 
le mura  nel  sito  a  un  di  presso  ora  occu- 
pato dalla  cittadella,  fu  dal  memorato  ve- 
scovo s.  Vittore  disposto  al  culto  del  vero 
Dio  e  in  onore  de'ss.  Solutore,  Avvento- 
re e  Ottavio  martiri  della  legione  Tebea. 
Vi  depose  il  s.  vescovo  le  reliquie  di  quei 
campioni  della  fedee  protettori  della  cit- 
tà, e  vi  formarono  i  suoi  successori  una 
badia  che  durò  più  secoli  io  gran  credi- 
to. Venuta  poi  meno  fra  le  vicende  di 


TOR 
guerra,  furono  le  sagre  reliquie  trasferi- 
te nella  chiesa  di  s.  Andrea  ossia  della  Con- 
solata, poi  in  questa  che  ora  ne  porta  il 
nome  e  che  fu  fabbricata  nel  1 577  ad  uso 
della  compagnia  di  Gesù.  Questa  bella 
chiesa,  grande  assai  e  ricca  di  marmi  e  di 
sfoggiatile  architettura,  venne  d'allora  in 
poi  ufficiata  in  diversi  tempi  da'discepoli 
dis.lgnazioeda  que'dis.  Vincenzo  dePao- 
li.che  seguendo  del  pari  il  genio  caritate- 
vole de'  loro  sublimi  fondatori  lavorano 
tuttodì  con  zelo  infaticabile  a  prò  della  re- 
ligione e  dell'umanità.  Altre  chiese  rimar- 
chevoli possiede  Torino,  che  lungo  sareb- 
be il  ricordare,  ed  il  p.  Semeria  trattò  pu- 
re delle  chiese  urbane  e  suburbane  nel 
secolo  XIII;  però,  sebbene  suburbana, 
siccome  tanto  riguarda  la  città,  non  pos- 
so a  meno  di  qui  far  parola  della  sontuo- 
sa basilica  di  Soperga  o  Superga,  posta 
sopra  la  cima  culminante  de'colli  torine- 
si della  montagna  omonima, all'est-nord- 
est  di  Torino,  e  da  essa  distante  circa  una 
lega  e  i/4,  presso  la  sponda  del  Po.  Vede- 
si  a  grandissima  distanza, ed  offre  dalla  sua 
vetta  una  prospettiva  magnifica  e  di  som- 
mo effetto,  nella  sua  mirabile  situazione, 
anche  per  la  vastissima  pianura  che  le  ri- 
mane sottoposta,  checo'monti  e  le  Alpi 
le  fanno  corona.  Monumento  reso  insigne 
dall'architettura  di  Juvara,  che  dovè  su- 
perare gravi  difficoltà,  e  dalla  ricordanza 
d'un'epoca  non  meno  gloriosa  per  la  real 
casa  e  non  meno  felice  pe'suoi  sudditi.  Im- 
perocché la  liberazione  dell'assedio,  che  i 
francesi  aveano  posto  alla  cittadella  di  To- 
rino nel  1 7o6,dopo  aver  invaso  il  Piemon- 
te, sarà  sempre  illustre  ne'fasti  della  pa- 
tria e  della  religione;  avvenimento  che  già 
accennai  nel  voi.  LXI,  p.  i56,  ed  a  suw 
luogo  ne  riparlerò.  Quivi  dunque  il  duca 
Vittorio  Amedeo  II  concertò  col  suo  cu- 
gino principe  Eugenio  di  Savoia  il  piano 
della  liberazione  diTorino,  da  cui  dipen- 
deva quella  pure  dello  stato.  Sulla  som- 
mità della  collina  stava  eretta  una  picco- 
la cappella  in  cui  veneravasi  l'immagine 
della  ss.  Vergine.  Il  duca  volgendosi  a 

VOL.  LXXVH. 


TOR  i45 

quella  disse:  Ah  dammi, o gran  Madre  di 
Dio,  che  io  disperda  colà  que'nemici;  e  in 
testimonianza  della  tua  grazia,  io  qui  ti 
farò  sorgere  un  magnifico  tempio. Lagra- 
zia  di  fatto  l'ottenne  a'7  settembre!  706. 
Torino  fu  libera  da  quel  punto:  ed  essa 
che  già  dice  vasi  ed  evala  città  delSagra- 
mento,  potè  appellarsi  più  che  mai  la  cit- 
tà di  Maria.  Il  duca  non  si  dimenticò  di 
sua  promessa,  e  come  le  tante  spese  che 
avea  fatto  per  la  guerra  non  gli  permet- 
tevano di  metter  così  presto  mano  all'o- 
pera, volle  consultare  il  sentimento  del  b. 
Valfrè,  il  quale  con  sua  lettera  rispose,  che 
essendosi  ottenuto  il  prodigio  per  interces- 
sione della  B.  Vergine,  a  lei  doveasi  diri- 
gere il  ringraziamento.  Però  propose  di 
solennizzare  con  magnifica  pompa  le  feste 
della  Natività,  dell'Annunziata  e  dell'Im- 
macolata Concezione;  e  che  alla  B.  Vergi- 
ne dovea  esser  dedicata  la  chiesa,  secoudo 
il  voto  da  fabbricarsi  sul  colle  di  Soperga; 
e  così  facendo,  essere  certissimo  che  Dio 
seguiterebbe  a  proteggere  in  particolare 
modo  Torino,  e  in  tutti  si  manterrà  viva 
la  memoria  della  grazia  ricevuta.  Finita 
la  guerra  tra  le  potenze  d'Europa  col  trat- 
tato d'Utrecht  nel  1  7  1  3,  con  vantaggio 
massimo  del  duca  divenuto  re,  si  sollecitò 
egli  a  dar  principio  al  sagro  edifizio,  sul 
colle  medesimo  di  Soperga,  ove  dalla  Ma- 
dre di  Dio  avea  implorato  soccorso,  e  la 
parte  debole  del  nemico  assediatole  avea 
scoperto.  L'architetto  messinese  ingegno- 
sissimo, stese  il  grandioso  disegno,  e  nel 
17  i5  il  re  die  comiuciamento  all'opera, 
che  nel  1780  fu  felicemente  compita  di 
forma  rotonda,  con.portico,  che  nell'ester- 
no la  mette  in  armonia  bellissima  colla 
tondeggiante  forma  del  monte,  sostenu- 
ta da  pilastri  di  marmo  e  sormontata  da 
una  cupola,  da  un  lato  elevandosi  il  cam- 
panile; con  l'interno  ben  decorato  da  un 
doppio  ordine  d'architettura,  da  colonne 
e  da  diverse  sculture,  ed  il  pavimento  di 
marmo  di  vari  colori.  Tale  è  la  maestria 
d'  arte,  tale  è  la  dovizia  de'  marmi  e  va- 
ghezza di  lavoro, che  l'eccelsa  basilica  non 
io 


146  T  O  R 

tanto  per  la  bellezza  delle  singole  parti, 
quanto  perla  felice  unità  che  ne  risulta, 
forma  sempre  I'  ammirazione  anche  di 
quelli  che  hanno  percorso  tutta  l'Italia. La 
basilica  ha  7  altari.  Le  due  piccole  cappel- 
le-sono  dedicate  a  s.  Maurizio  protettore 
dello  stalo,  ed  a  s.  Luigi  IX  re  di  Fran- 
cia, i  quadri  de'quali  dipinse  Sebastiano 
Ricci  di  Belluno.  L'altare  della  Natività 
della  ss.  Vergine  ha  il  bassorilievo  di  mar- 
mo bianco  esprimente  il  mistero,  scultu- 
ra d'Antonio  Cornacchini  diPistoia.  Quel- 
lo dell'Annunziala  fuscolpitodalcav.  Ber- 
nardino Camelli  romano.  Gli  altari  della 
b.  Margherita  di  Savoia, e  di  s.Carlo-Bor- 
1  omeo  ,  hanno  quadri  eseguiti  dal  cav. 
Beaumont  torinese.  L'altare  maggiore  ha 
il  bassorilievo  di  marmo  allusivo  alla  bat- 
taglia e  alla  liberazione  di  Torino.  Sull'al- 
to è  la  Regina  del  cielo,  bella  di  tutta  la 
sua  clemenza,  avente  a'suoi  piedi  il  b.  A- 
medeo  IX  duca  di  Savoia,  che  nell'infu- 
riar  del  combattimento,  a  lei  raccoman- 
da il  suo  sangue  ed  i  cari  suoi  torinesi.  E' 
sculturadello  stesso  cav.  Cametti.  Per  af- 
fittare questa  chiesa  con  religioso  decoro, 
il  re  Vittorio  Amedeo  II  eresse  una  con- 
gregazióne di  preti,  i  quali  furono  prov- 
veduti di  ampie  rendite,  affinchè  nell'edi- 
lìzio annesso  alla  basilica  abitassero  in  vi- 
ta comune,  e  collo  studio  e  colla  pietà  riu- 
scissero abili  all'importante  ministero  di 
prelati  e  pastori  delle  chiese  de'  regi  sta- 
ti. Di  molli  onori,  privilegi  e  prerogative 
venne  quindi  illustrata  questa  congrega- 
zione dal  re  Carlo  Emanuele  III  neh  782. 
All'alia  destinazione  ben  corrisposero  di 
tempo  in  tempo  i  sacerdoti  di  quel  colle- 
gio; e  moltissimi  ne  uscirono  colla  digni- 
tà vescovile,  e  più  cospicui  ancora  per  la 
vasta  scienza  e  le  egregie  virtù  di  cui  e- 
vano  adorni,  detto  perciò  giustamente  il 
seminario  de'vescovi.  Nuovi  regolamenti 
assegnò  a  quella  congregazione  neh  834 
il  re  Carlo  Alberto,  e  d'allora  in  poi  as- 
sunse il  nome  d'accademia  ecclesiastica: 
lutti  i  vescovi  dello  stato  aveauo  il  diritto 
di  uoruiuarvi  un  chierico,  in  cuiconcor- 


TOR 
ressero  i  necessari  requisiti,  e  la  sagra  e- 
loqùenza  e  la  scienza  de'canoni  partico- 
larmente vi  erano  insegnate.  Ne  riparie 
rò  qui  appresso.  La  biblioteca  è  mirabi- 
le per  la  vastità,  le  ricchezze,  l'ordine  e 
l'eleganza  della  1. "sala,  degna  d'una  reale 
accademia  dove  si  coltivavano  e  fiori  va- 
no le  scienze.  I  sotterranei  della  basilica 
sono  riservati  dopo  il  re  Vittorio  Amedeo 
II  al  sepolcro  de' suoi  successori,  e  della 
famiglia  reale,  sebbene  e  come  notai  nel 
voi.  LXI ,  p.  181  ,  ricordando  un'  opera 
scritta  di  queste  tombe,  Carlo  Alberto  fe- 
ce togliere  da'sotterranei  della  metropo- 
litana 27  spoglie  mortali  di  principi  del- 
la casa  di  Savoia,  e  trasferire  all'antica  ba- 
dia di  s.  Michele  della  Chiusa,  comechè 
la  basilica  di  So  porga  era  destinata  dal 
fondatore  principalmente  alla  tomba  dei 
re.  Chiunque  visita  i  sotterranei,  avendo 
disegnato  le  tombe  Marti nez,  Rana  e  Re- 
velli, sentesi  colpito  suo  malgrado  da  un 
rispettoso  orrore  e  da  una  religiosa  vene- 
razione: la  morte  ivi  è  rivestila  di  splendo- 
re e  addita  I'  immortalità  di  que'grandi 
che  ivi  riposano.  Fra  altri  ornati  si  osser- 
vano particolarmente  certi  teschii  di  pal- 
lido marmo,  cui  cingono  la  spolpata  fron- 
te ricche  corone  reali  rilucenti  d'oro,  qua- 
le simbolo  di  terrena  possanza.  Or  quan- 
te profonde  riflessioni  non  desta  mai  a  tal 
vista,  il  grave  pensiero  religioso  che  volle 
fregiar  que'sepolcri  in  sì  fatta  maniera! 
Non  è  perciò  meraviglia,  se  nel  1  799,  go«- 
vernato  il  Piemonte  dalla  vertigine  e  dal- 
l'irreligione,con  decreto  de' 6  gennaio, uscì 
l'empio  ordine»  che  il  sagro  tempio  fosse 
ridotto  a  un  edifizio  di  filosofia  e  di  na- 
zionale riconoscenza,  e  all'  insegne  reali 
fflssero  sostituiti  gli  emblemi  della  liber- 
tà, e  distrutte  le  tombe  de'  tiranni,  si  e- 
rigessero  i  mausolei  de'piemontesi  morti 
per  la  patria"  come  narrai  nel  voi.  LXI, 
p.  173.  Ma  come  Dio  volle,  il  decreto  del 
furore  e  dell'empietà  non  venne  esegui  - 
to,e  merito  perpetuo  ne  riportarono  par 
ticolarmente  quegli  ecclesiastici  che  con 
santa  industria  fecero  deluso  l'intendi- 


TO  R 

ruento  de'perversi.  Abbiamo:  Stona del- 
Id  reale  basilica  di  Sopcrga,  Torino 
i  8  r  ) .  Del  canonico  Vaticano  e  professo- 
re dell' università  romana  d.  Guglielmo 
Aadisio,  La  reale  basilica  di  Soperga) 
Torino  1842. 

L'ultima  proposizione  concistoriale  per 
la  preconizzazione  dell'odierno  arcivesco- 
vo, riferisce  soltanto  esservi  in  Torino  3 
conventi  di  religiosi  e  2  monasteri  di  mo- 

o 

nacbe.  Eccone  poi  il  copioso  novero  ripor- 
tato dal  p.  Semeria,  anco  d'istituti  non  più 
Mittenti.  I  religiosi  di  s.  Francesco  e  di  s. 
Domenico  si  stabilirono  in  Torino  sin  dal 
priucipio  de!  secolo  XII,  viventi  ancora 
i  loro  santi  fondatori.  Neli2i4  vi  si  recò 
S.Francesco  e  vi  fondò  il  suo  ordine, ed  in 
suo  onore  la  città  eresse  il  convento  e  la 
chieda  che  ne  porta  il  nome,  ma  ili. "sop- 
presso nell'invasione  francese  al  principio 
del  secolo  presente,  non  ritornò  più  a' 
fiati  conventuali.  1  domenicani  pure  in- 
trodotti nel  12  14,  e  soppressi  indetta  e- 
poca,  nel  1 8  1  4  riacquistarono  l'autico  lo- 
ro tempioe  domicilio.  A  s.  Maria  di  Piaz- 
za ebberu  già  convento  i  carmelitani,  tra- 
sferiti poi  alla  chiesa  che  tuttora  ne  porta 
il  nome.  Gli  agostiniani  da  s.  Cristoforo 
nel  borgo  ov'era  il  monastero  abbaziale 
di  s.  Solutore,  distrutto  da'  francesi  nel 
.passarono  alla  parrocchia  de  ss. Fi- 
lippo e  Giacomo,  che  indi  si  cominciò  a 
chiamare  di  s.  Agostino.  I  minori  osser- 
vanti fondarono  l'antica  chiesa  delia  Ma- 
donna degli  Angeli  nel  1 4^  1  presso  alle 
Torri,  poi  ne!  1 54-2  furono  provvisti  della 
chiesa  di  s.  Tommaso,  e  dierono  princi- 
pio alla  fabbrica  della  chiesa  attuale  sul- 
le rovine  dell'antica.  A'minori  riformati 
nel  i6a3  si  assegnò  il  convento  della  Ma- 
donna degli  Angeli,  oggidì  esistente.  I  ci- 
sterciensi  nel  1  58q  sottentrarono  agli  an- 
tichi benedettini  neri  nel  monastero  di  s. 
Andrea .  ove  al  presente  sono  gli  oblati. 
La  città  fabbricò  nel  1 538  il  convento  del- 
la Madonna  diCampagua  pe'cappucciui,e 
quindi  il  convento  delMon  te  nel  1 5go, luo- 
go già  insigne  per  fot  tificazioui  guerriere. 


TOR  >4j 

Noterò,  che  neh  843  Gregorio  XVI  do- 
nò alla  loro  real  chiesa  suburbana  del 
Monte  le  reliquie  di  s.  Botonto  martire, 
estratte  nel  1 84 1  dalle  catacombe  di  s.  A.- 
gnese  fuori  le  mura  di  Roma.  Giuntela 
TorinOjfurono  collocate  in  ricchissima  ur- 
na donata  dal  conte  della  Torre  gover- 
natore della  città,  e  vestite  con  preziosi 
drappi  ricamati  dalla  contessa  Solaro  del- 
la Margherita.  L'urna  fu  quindi  deposi- 
tala nella  chiesa  della  gran  Madre  di  Dio 
esistente  alle  falde  del  Monte,  ed  a'  1  5  gen- 
naio con  processione  solenne  e  concorso 
d'immenso  popolo,  trasportata  alla  regia 
chiesa  di  que'  religiosi,  ch'era  stata  con 
sontuosa  pompa  ornata.  Rimasero  espo- 
ste 8  giorni  le  sagre  reliquie,  e  continua 
fu  la  folla  de'di  voti  fedeli  a  venerarle.  Nel- 
I'  8.°  giorno  i  filarmonici  di  Torino  ese- 
guirono scelta  musica  nella  messa  solen- 
ne: nella  sera  vi  fu  panegirico  e  altra  pro- 
cessione. Lamoltiludinede'divoti  m  que- 
st'ultimo dì  fu  tale,  che  non  dileguossi  se 
non  a  sera  avanzala.  Tutto  fu  eseguitocou 
grandiosità,  che  rammentò  le  traslazioni 
de  corpi  santi  ue'secoli  di  mezzo.  1  gesù. li 
ebbero  la  chiesa  de'ss.  Martiri  e  la  casa 
annessa  nel  1  565.  I  benfratelli  ebbero  o- 
spizio  e  piccolo  spedale  inTorino  nel  1 5g5, 
nel  sito  ove  trovasi  l'ospizio  delle  Pvosi 
ne.  I  camaldolesi  eremiti  furono  iutro 
dotti  ne'monti  della  città  da  Carlo  Emù 
uuele  I  nel 1 5gg.  I  barnabiti,  raccoman- 
dati da  s.  Carlo  e  surrogati  a"canonici  re- 
golari di  s.  Antonio,  ebbero  la  chiesa  di 
s.  Dalmazzo  nel  1 6 1  o:  gli  agostiniani  scal- 
zi quella  di  s.  Carlo  nel  16 12;  i  leresiani 
nella  chiesa  della  santa  loro  fondatrice  fu- 
rono eretti  nel  1 622;  i  minimi  di  s.  Frau 
cesco  di  Paola  cominciarono  nel  1623;  i 
filippini  nel  1649,  c^ie  su'  Pl'lnclpi°  della 
loro  fondazione  furono  soggetti  a  diverse 
vicende  di  chiesa  ed'alloggio;  i  serviti  nel 
i653;i  missionari  nel  i654;i  trinitari  «cai 
zi  per  la  redenzione  degli  schiavi,  nula 
contrada  attualmente  deuominata  di  s. 
Francesco  di  Paola,  presso  al  palazzo  del 
conte  della  Trinità,  nel  1676,  e  sebbene 


j48  tor 

fabbricarono  poi  la  chiesa  e  convento  di 
s.  Michele,  pochissimi  anni  ne  goderono; 
i  ministri  degl'infermi  cominciarono  nel 
1678,  ed  oggidì  hanno  ripresa  l'antica  lo- 
ro chiesa  di  s.  Giuseppe.  Un  monastero 
di  sagre  vergini,  dedicato  a  onore  di  s.  Pie- 
tro, esisteva  in  Torino  sin  dal  1  o  1 4,  pres- 
so al  sito  ove  ora  trovasi  la  cittadella,e  as- 
sai vicino  alla  chiesa  della  Misericordia. 
A  queste  monache  fece  donazione  di  molti 
beni  il  conteOddone fratello  del  marchese 
Magnifredo  11,  e  perciò  zio  dell'  illustre 
Adelaide.  Professavano  la  regola  di  s.  Be- 
nedetto con  molta  osservanza,  e  per  esse- 
re molte  di  numero,  e  quasi  tutte  di  no- 
bile famiglia  e  di  grandi  reudite  possidenti, 
questo  monastero  godeva  non  solo  in  To- 
rino, ma  in  tutto  il  Piemonte  di  luminosa 
riputazione.  Decadute  le  monache  dal  pri- 
miero fervore,  erettisi  d'altronde  in  Tori- 
no monasteri  di  vari  ordinile  monache  di 
s.  Pietro  non  trovarono  più  damigelle  che 
volessero  abbracciare  il  loro  istituto,  per 
cui  ridotte  a  3  monache, s.  Pio  V  nel  1 570 
soppresse  il  monastero  di  s.  Pietro,  e  de' 
loro  redditi  furono  in  vesti  tele  canoniches- 
seLateranensi,  sotto  il  titolo  di  Matcr  Mi- 
sericordiae,  le  quali  in  Torino  erano  state 
fondale  nel  1 535,  ove  è  oggi  la  confrater- 
nita della  Misericordia,  sotto  la  direzione 
de'canonici  regolari  Lateranensiecoll'ap- 
provazione  di  Paolo  111.  Le  prime  fonda- 
trici furono  levatedal  monastero  dell'An- 
nunziata di  Vercelli.  Le  monache  di  s. 
Chiara  ebbero  principio  nel  1 2  1 4;  le  cap- 
puccine nel  1 627;  le carmeli tanedi  s. Cri- 
slina  nel  i635;  quelle  della  Visitazione 
neh  638  per  opera  della  sanla  loro  fon- 
datrice, la  quale  recossi  espressamente  da 
Annecy  a  Torino;  le  agostinianedette  del 
Crocefisso  nel  1 648,  ove  oggidì  alloggiano 
le  monache  del  Sagro  Cuore;  le  penitenti 
di  s.  M."  Maddalena  presero  la  regola  del 
3.°  ordine  di  s.  Francesco  nel  i654,  ove 
ora  sono  le  cappuccine;  e  quelle  di  s.  Pe- 
lagia  neli657.  Alla  pietà  e  magnificenza 
della  duchessa  M. "Cristina,  vedova  di  Vit- 
torioAmedeo  I  e  madre  diCarloEmanuele 


TOR 

II,  sono  debitori  quasi  tutti  gli  ordini  re- 
golari dell'uno  e  dell'  altro  sesso,  per  n- 
verli  introdotti  ne*  regi  stati  o  dotati  di 
convenevoli  rendite,  e  tutti  avendo  sem- 
pre essa  grandemente  protetto.  I  certosi- 
ni stabiliti  in  Loze  neh  191  da  Tommaso 
I  conte  di  Savoia,  traslocali  poi  a  Mon- 
bracco,  neh 600  in  Avigliana  nel  gran- 
dioso convento  degli  estinti  umiliati,  ma 
3o  anni  dopo  dovendolo  sloggiare  per  le 
guerre,onde  rifarli  de'danni  solterti,la  du- 
chessaM. "Cristina  fissò  loro stabilee tran- 
quilla sede  a  Collegno,  ponendo  ivi  nel 
1648  con  luminosa  grandiosità  lai.''  pie- 
tra, assegnando  largo  territorio  a  que'so- 
litari.  Per  la  rivoluzione  francese  Occupa- 
to il  Piemonte,  gl'invasori  venderono  la 
certosa;  indi  neh 8 18  fu  riacquistata  da 
più  benefattori  per  conto  de'certosini  stes- 
si, e  perciò  doppiamente  ritornò  ad  essere 
loro  proprietà.  Tante  religiose  istituzioni 
soggiacquero  ad  una  miseranda  dispersio- 
ne nel  principio  di  questo  secolo,  mentre 
la  dominazione  francese  reggeva  il  Pie- 
monte. Dovettero  uscir  da'  loro  chiostri 
le  monache  e  ricoverarsi  presso  i  loro  pa- 
renti o  pii  benefattori  ,  senza  alcuua  di- 
visa del  loro  istituto;  però  volle  Dioche 
neppur  una  fosse  rimproverata  d'aver 
perduto  il  pudore.  I  sacerdoti  espulsi  da' 
loro  conventi,  si  occuparono  per  uua  gran 
parte  nella  cura  delle  parrocchie  e  nella 
privata  o  pubblica  istruzione,  in  abito  di 
preti  secolari.  Rimasero  così  le  cose  sino 
all'avventuroso  1 8 1 4>  ia  CUI  il  trono  di 
Savoia  tornò  a'suoi  legittimi  principi.  A 
questa  faustissima  epoca,  i  regolari  supeP\ 
stili  che  anco  nel  secolo  uou  aveanode- 
posto  lo  spirito  della  loro  vocazione,  ripi- 
gliarono la  fondata  speranza  d'essere  ri- 
stabiliti alla  primitiva  loro  professione. Ma 
né  così  presto,  né  così  facilmente  pote- 
vano essere  esaudite  le  loro  domande,  seb- 
bene vivissimo  desiderio  ne  avesse  l'otti- 
mo re  Vittorio  Emanuele  I.  Molti  con- 
venti erano  slati  venduti  in  tempodel  go- 
verno francese  e  ridotti  a  case  secolari , 
e  più  ancora  le  loro  antiche  possessioni  e- 


TOR 
inno  passate  a  mani  straniere.  Gli  ordini 
mendicanti  furono  i  prim  i  a  rientrale  nel 
possesso  delle  chiese  e  de'eonveuti;  e  quin- 
di gradatamente  anche  i  molti  possidenti 
riacquistarono  edifìzioe  rendite  sufficien- 
ti,regnando  i  pii  reVittorio  Amedeo  I, Car- 
lo FeliceeCarlo  Alberto. La  mirabile  reli- 
giosa munificenza  degli  encomiati  sovrani 
giunse  tanto  innanzi,  che  noti  si  ebbe  più 
a  dolersi  delle  passale  sventure  straniere, 
essendosi  le  comunità  religiose,  special- 
mente quelle  che  sono  dirette  all'educa- 
zione della  gioventù  e  all'assistenza  de- 
gli ospedali,  si  favorevolmente  moltipli- 
cate, che  pel  numero  e  per  1'  osservanza 
superano  quelle  che  esistevano  per  l'in* 
nauzi,  non  solo  nell'arcidiocesi  di  Torino, 
ma  in  taotealtreprovinciedel  regno.  Così 
ospizi  d'ogni  geuere,  scuole  di  fanciulli, 
soccorsi  a  domicilio,  sale  di  ricovero,  9 
ospedali  compreso  quello  di  s.  Vincenzo 
de  Paoli  di  recente  fondazione,  il  monte 
di  pietà, ed  ogni  altro  ricetto  d'infermità 
fisiche  o  morali,  sono  compresi  nello  sco- 
po di  questi  benefici  istituti.  Si  può  vede- 
re di  Defendente  Sacchi,  Insti  Luti  di  be- 
neficenza di  Torino,  Milano  i835.  Pri- 
mo di  essi  giunse  in  Torino  quello  delle 
suore  di  s.  Giuseppe,  fondato  neh  65 1  a 
Puy  nel  Velay  in  Francia  dal  vescovo  di 
quella  cittàMaopas,a  imitazione  delle  pri- 
me regole  che  s.  Francesco  di  Sales  avea 
dato  alle  suore  della  Visitazione.  Ferma- 
tesi queste  monache  di  s.Giuseppe  per  po- 
co e  in  piccol  numero  in  una  casuccia  del 
borgo  di  Dora,  furono  stabilite  nel  1822 
al  monastero  di  s.  Pelagia,  dove  tengo- 
no un  convitto  per  le  zitelle  di  civil  con- 
dizione.Sono inoltre  loro  affidatedalla  rea- 
le opera  della  ÌMendicità  istruita  8  scuole 
di  povere  fanciullesparse  per  la  città, men- 
tre ancora  assistono  e  istruiscono  le  car- 
cerate, dirigono  il  ritiro  dell'orfane,  e  ten- 
gono l'intera  cura  dell'opera  pia  del  Ile- 
fugio,  aperta  da'piissimi  coniugi  marchesi 
di  Carolo  al  ravvedimento  delle  femmine 
colpevoli,  e  all'  educazione  delle  ragazze 
tra  viute. Nel  1828  furoQo.uhianialeiuToi'i* 


TOR  149 

no  per  servizio  del  manicomio  le  suore  det- 
te bigie,  perchè  vestono  di  color  bigio  con 
velo  nero,  a  differenza  dell'abito  nero  e 
dell'  ampia  culììa  bianca  che  portano  le 
suore  della  Carità,  dalle  quali  quelle  fu- 
rono smembrate  in  Besaucon  nel  1  799» 
cioè  sul  finire  della  rivoluzione  di  Fran- 
cia. Nel  1829  pubblicò  in  Torino  il  d.r  Be- 
nedetto cav.  Trompeo,  Saggio  sul  ma- 
nicomio di  Torino.  Ma  leggo  nella  Civil- 
tà cattolica.  2. 'serie,  t.  4,  p.  J79,  che  i 
certosini  di  Collegnoavendocouceduloiu 
grazia  al  governo  porzione  della  loro  cer- 
tosa per  alloggiarvi  una  mano  di  pazzi, 
che  non  potevano  capire  tutti  nel  mani- 
comio di  Torino  (giacché  deplorai  a  suo 
luogo,  che  negl'infelici  tempi  di  vicende 
politiche, di  rivoluzioni,  di  utopie,  le  aber- 
razioni mentali  souo  più  assai  frequeuti  e 
numerose),  il  ministero  non  si  teuue  con- 
tento di  ciò,  e  nel  1 8  53  iuti  mò  con  decreto 
a'certosiuidi  sgombrareiuteramente  dal- 
la certosa  che  voleasi  convertire  in  una 
pazzeria,  e  di  stabilirsi  a  Superga ,  dove 
saranno  trasportale  le  spoglie  de'cavalieri 
dell'ordine  supremo  della  ss.  Annunziata, 
e  stabilita  la  chiesa  dell'ordine  medesimo. 
Coll'assegnare  ora  a'  certosini  la  basilica 
di  Superga,  si  soppresse  l'accademia,  ope- 
ra gloriosa  di  Carlo  Alberto.  »  Del  resto 
la  sentenza  di  morte  contro  l'accademia 
di  Superga  allora  fu  pronunziata  quando 
ne  venne  sbandito  l'illustre  Audisio(dot- 
tissimo  e  già  lodatoì  che  n'era  il  sostegno 
e  il  decoro.  Essendo  iucapace  quel  luogo 
di  venir  convertito  io  certosa,  uon  reste- 
rà né  certosa,  uè  accademia,  che  è  quello 
che  vogliono!  libertini."  Inoltre  alle  suo- 
re bigie  nel  1 83  t  venne  affidato  il  regio 
spedale  della  sagra  religione  de'ss.  Mau- 
rizio e  Lazzaro,detto  volgarmente  de' Ca- 
valieri. Ebbero  in  appresso  in  Torino  al- 
tri pii  stabilimenti,  e  per  ultimo  neh  833 
il  grande  ospedale  di  Carità.  Neh  832  le 
suore  della  Carità,  già  fondate  in  Parigi 
nel  1 635  da  s.  Vincenzo  de  Paoli,  venne- 
ro a  stabilirsi  in  Torino  in  una  piccola 
casa  del  Borgo  Nuovo,  verso  la  passeggiata 


ilo  TOR 

del  Valentino,  ed  ebbero  tosto  a  prender 
cura  dell'ospedale  militare  di  Torino,  e 
quindi  degli  altri  utilitari  nelle  provincie. 
.Servirono  durante  l'invasione, de!  chole- 
i  a  nell'infermerie  di  Po  e  di  s.  Luigi,  a- 
perte  n'cholerosi:  assunsero  dipoi  l'inca- 
rico d'una  casa  di  Misericordia  destinata 
a  recar  soccorsi  a  domicilio  nelle  parroc- 
chie di  s.  Eusebio  e  di  s.  Francesco  di  Pao- 
la. Per  ultimo  nel  1887,  traslate  dal  Bor- 
go Nuovo  al  convento  di  s.  Salvatore,  as- 
sunsero la  cura  dell'ospedale  di  s.Giovan- 
ni.  Nell'anzidetto  i83s  si  recarono  in  To- 
rino le  suore  dette  della  Provvidenza, sot- 
to la  protezione  speciale  di  s.  Anna,  isti- 
tuito nel  1  763  in  Metz  dal  piissimo  sacer- 
dote Moye  di  quella  diocesi  e  poi  missio- 
uaiio  apostolico  nella  Cina,  collo  scopo 
d'esercitare  tutte  l'opere  di  misericordia 
nello  spirito  di  massima  pò  verta, e  pertan- 
to nelle  campagne  principalmente.  Ven- 
nero dapnrima  per  prender  cura  d'  una 
sala  di asiloo  ricovero  infanti le,fondalo  al- 
lora nella  città(come  toccai  nel  vol.LXI  1 1, 
p,  65  e  G7),  per  opera  de'piissimi  coniugi 
marchesi  di  Carolo;  e  poco  dopo  l'istituto 
stabilito  in  Torino  n'ebbe  due  unite  insie- 
me, apertea  governare  ed  insegnare  tutto 
il  giorno  a  200  fanciullini  fra  maschi  e 
femmine,  d'età  inferiori  a  6  anni  (ma  con- 
viene tenerpresenteil  narrato  dallaC?V*7- 
tà  cattolica  }%Qì\ci}yi.i  i,p.  257:  Gli  Asi- 
li d 'Infanzia  •  1. 1 2,  p.  1 6:  G  li  Asili  il  In- 
fanzia ne  loro  inizii  in  Italia j  e  p.  275: 
Gli  Asili  (V Infanzia  quali  sono  al  pre- 
sente in  Italia).  Indi  le  suore  della  Prov- 
videnza ebbero  la  nuova  casa  edificata  sul 
viale  di  s.Massimo,  sotto  al  santuario  della 
Consolata,  in  cui  oltre  al  noviziato  si  apri 
un  convitto  per  l'educazione  di  fanciulle 
della  classe  popolare.  Di  più  fu  loro  data 
provvisoriamente  una  casa  a  Moncalieri, 
ovedoveanoprendercura  d'alcuni  ragaz- 
zi storpi  e  infermicci  d'ambo  i  sessi.  Un 
somigliante  scopo  d'  educazione  civile  e 
cristiana  si  proposero  le  suore  dette  Com- 
pagne diGesùjVenutedaFranciaueli  836, 
le  quali  tengono  casa  e  convitto  nel  boi* 


T  O  B 

go  di  Po.  A  tutti  questi  istituti  devesi  ag- 
giungere quello  delle  religiose  del  Sagro 
Cuore  diGesù, fondalo  in  Amiens  nel  1 800, 
le  quali  oltre  l'aver  per  iscopo  precipuo 
l'educazione  delle  zitelle  di  superiore  con- 
dizione e  gli  esercizi  spirituali  per  le  da- 
me, non  sono  estranei  a'doveri  di  queste 
religiose  il  soccorso  e  l'ammaestramento 
gratuito  delle  fanciulle  povere.  L'istituto 
del  Sagro  Cuore  fu  stabilito  dal  re  Carlo 
Felice  nel  1823  nel  monastero  del  Croce- 
fisso, che  prima  della  rivoluzione  appar- 
teneva alle  agostiniane.  Or  mentre  in  tan- 
te maniere  si  cercava  in  Torino  di  sov- 
venire all'educazione  femminile  di  tutti 
i  ceti,  restava  a  provvedere  per  l'impor- 
tantissimo oggetto  dell'  educazione  pub- 
blica di  que'giovanetti,  che  non  si  desti- 
nano allo  studio  della  lin«ua  latina.  Di  ciò 
prese  pensiero  dapprima  la  regia  opera 
della  Mendicità,  chiamando  nel  1 83o  alla 
dilezione  dell'insegnamento i  fratelli  del- 
le scuole  cristiane,  istituiti  dal  ven.  Del- 
la Salle,  per  l'istruzione  de'fanciulli  po- 
veri e  figli  d'artigiani,  e  fabbricando  lo- 
ro un'ampia  casa  con  giardino,  dietro  la 
chiesa  di  s.  Pelagia.Due  anni  dopo  si  valse 
pur  di  essi  la  città  per  le  sue  scuole,  e  fissò 
loro  una  2/  abitazione  sul  viale  di  s.Mas- 
simo,rimpetto  alle  fontane.  Vennero  qui  li- 
di affidate  a  questi  benemeriti  e  virtuosi 
maestri  cj  scuole  della  mendicità,e  1 6  scuo- 
le comunali,  nelle  quali  gratuitamente 
s'insegnano  il  catechismo,  la  grammatica 
italiana,  l'aritmetica  in  ogni  sua  parte,  la 
calligrafia,  la  storia  sagra  e  la  geografìa 
elementare,come  e  meglio  si  legge  ne' ram- 
mentati Cenni  intorno  a'  fatti  religiosi 
successi  nel  la  città  diTorino.Viirdìxnenle 
non  deve  tacersi  l'istituto  degli  Oblali  di 
Maria  Vergine,  fondato  in  Pinerolo  nel 
1827,  per  attendere  principalmente  alla 
predicazione  negli  esercizi  spirituali  :  fu 
esso  nel  1 834  destinalo  a  surrogare  i  ci- 
sterciensi  nel  santuario  della  Consolata. 
Neh  836  vennero  stabiliti  nell'antichissi- 
ma chiesa  abbaziale  di  s.  Michele  della 
Chiusa,  come  rilevai  nel  voi.  LXf ,  p.  1 8 1 , 


TOR 

i  sacerdoti  della  Carità  cristiana,  t'ondati 
dal  celebre  sacerdote  conte  Antonio  Ro- 
«filini-Serbati,  ultimamente  defunto,  per 
cui  nel  1 855si  stamparono  inMilano: Cen- 
ni biografici  eli  Antonio  Rosmini,  onori 
funebri  e  testimonianze  rese  alla  sua  me- 
moria,raccolti  (Lì  sacerdotiileW  istituto 
della  Carità  di  Slresa.  Nello  stesso  an- 
no dall'  Enciclopedia  contemporanea  ,co' 
tipi  Lana  di  Fano,  nel  t.  2,p.  104  si  ri- 
portarono: Cenni  intorno  all'ali.  Anto- 
nio Rosmini-Serbati  e  sue  opere.  Final- 
mente le  monache  Adoratriei  perpetue 
del  ss.  Sagramento,  fondate  in  Roma  da 
suor  M.*  Maddalena  dell'  Incarnazione, 
morta  in  buon  odore  di  santità  nel  1 82  4i 
chiamate  a  Torino,  vi  si  stabilirono  nel 
i83g,  aventi  a  superiora  suor  Cherubi- 
na  della  Passione,  nipote  della  fondatri- 
ce  e  peno  anni  sua  alunna  e  consorella. 
La  virtuosa  regina  Maria  Cristina  vedova 
ilei  re  Carlo  Felice,  di  suo  peculio  acqui- 
stò il  locale  che  occupano  le  monache  in 
Borgo  Nuovo,  e  fece  loro  costruire  la  chie- 
sa rotonda  con  disegno  dell'ingegnere  cav. 
Alfonso  Dupuy;  opera  non  terminata  per 
la  morte  della  lodala  benefattrice.  11  se- 
minarioarci  vescovile  pel  narratodalla  Ci- 
viltà cattolica,  a."  serie,  t.  6,  p.  697,  col 
prelesto  che  già  fosse  da  vari  anni  chiuso, 
colla  forza  fu  convertito  neh  854  in  ca- 
serma;poichè  il  governo  nel  far  man  bassa 
sopra  i  beni  della  chiesa,  dopo  aver  po- 
sto il  sequestro  anco  su  quelli  del  semi- 
nario, con  violenza  l'occupò,  ad  onta  delle 
proteste  del  rettore  e  de'professori  del  me- 
desimo ch'eranvi  andati  per  dettar  le  lo- 
inconsuete  lezioni.  Non  manca  Torino  di 
pie  confraternite  di  laici,  e  la  più  antica 
unione  di  confrati  detti  disciplinati,  fu  sta- 
bilita neli3i  1  nella  chiesuola  di  s.  Cate- 
rina. Quella  di  s. Croce  fu  fondata  neh  343 
in  un  piccolo  oratorio  vicino  a  porta  Pa- 
ladina, poi  trasferita  nella  chiesa  parroc- 
chiale di  s.  Paolo,  ora  basilica  magistrale, 
perchè  nel  1729  fu  eretta  in  regia  arci- 
confraternita  de'  ss.  Maurizio  e  Lazzaro. 
Quella  del  ss.  Nome  di  Gesù,  che  in  se- 


IOR  1  5 1 

guito  e  dopo  le  commoventi  esortazioni 
di  s.  Bernardino  da  Siena  fu  istituita  nel 
1  >45  nella  chiesa  parrocchiale  de'ss.  Pro- 
cesso e  Martiniano.  Trent'anni  più  tardi 
furinola  nella  chiesa  pur  parrocchiale  di 
s.  Silvestro  la  confraternita  dello  Spirito 
santo,  la  quale  recatasi  a  Roma  nell'anno 
santo  1700,  vi  fu  aggregata  a  quella  di  s. 
Spirito  in  Sassia,  e  ricevè  poi  per  pia  la- 
scita  l'incarico  di  mantenere  un  ospizio  pe' 
catecumeni  che  vengono  alla  fede  catto- 
lica. Quindi  uu  anno  dopo  e  neliSyG  eb- 
be origine  la  confraternita  della  ss.  Tri- 
nità, nella  chiesa  di  s.  Pietro  de  Curie  Da- 
cis,  oggidì  nella  contrada  del  Gallo.  Tra- 
sferita poi  da  questa  chiesa  iu  quell'an- 
tichissima di  S.Agnese  in  principio  di  Dora 
Grossa,  già  parrocchia  e  basilica  nel  1 1  o3, 
si  dedicò  particolarmente  ad  accogliere  i 
pellegrini. Non  tardarono  inseguito  a  sor- 
gere 4  altre  confraternite,  cioè  quella  di 
s.  Gio.  Decollato,  delta  della  Misericor- 
dia, istituita  nel  1578  per  soccorrerei  car- 
cerali e  assistere  i  condannati  al  patibolo; 
quella  della  ss.  Annunziata, che  smembra 
ta  dall'antica  del  ss.  Nome  di  Gesù,  si  sta- 
bili prima  nella  parrocchiale  di  s.  Mar- 
co nel  1 58o,  nel  luogo  ove  oggidì  è  la  piaz- 
za Vittorio,  e  poi  nel  1649  si  trasferì  en- 
tro la  porta  della  città  all'attuale  sua  chie- 
sa, che  fece  appositameute  costruire  e  por- 
ta il  suo  nome;  finalmente  le  due  della  ss. 
Sindonee  di  s.  Rocco,eretle  lostesso gior- 
no 1  5  luglio  1 5g8,  di  cui  la  1  .a  dopo  aver 
auche  tenuto  la  chiesa  di  s.  Pietro  del  Gal- 
lo, prese  cura  dello  spedale  de'  pazzi  ne' 
tempi  posteriori  al  penultimo  ingrandi- 
mento di  Torino;  e  la  2/  applicatasi  al- 
l'opera misericordiosa  di  seppellire  i  morti 
abbandonati, tiene  ora  lasua  sede  nell'an- 
tica chiesa  parrocchiale  de'ss.  Stefano  e 
Gregorio.  Splende  in  Torino  la  regia  uni- 
versità degli  studi,  la  più  grand'opera  di 
Lodovico  conte diToriuo, ultimo  principe 
d'Acaia  e  di  Morta,  che  perciò  basta  a  tra 
mandare  a  tutte  le  future  generazioni  con 
massima  gloria  il  suo  nome.  Prima  di  que- 
sta sapientissima  istituzione,  ogni  piecuou 


i5a  TOR 

tese  che  bramava  diventar  giurisperito  o 
dottore  fisico,  dovea  uscir  dal  proprio  pae- 
se per  recarsi  ad  una  di  quelle  università 
che  fiorì  va  no  in  Francia  e  in  Italia.  A  que- 
st'inconveniente il  principe  pensò  di  ripa- 
rare, ordinando  nel  centro  de'propri  do- 
mimi un  sistema  di  pubblico  insegnamen- 
to, non  tanto  pegli  studi  grammaticali  , 
quanto  per  le  altre  scienze,  e  questo  sì  sa- 
lutare pensiero  nacque  in  lui,  e  ad  onta 
ch'era  occupato  nell'innalzare  il  Castello 
della  città  ,  poi  palazzo  Madama  sudde- 
scritto,  dalle  preghiere  che  i  professori  di 
Pavia  e  di  Piacenza  gli  presentarono  per 
ottenere  là  facoltà  d'aprire  pubbliche 
scuole  nelle  sue  terre.  Chiamò  a  tale  in- 
tendimento da  Pavia  Bertolino  de  Ber- 
touis  per  l'insegnamento  della  giurispru- 
denza ,  e  volle  che  sul  cominciar  di  no- 
vembre del  1 4o4  cominciasse  le  sue  lezio- 
ni. Onde  non  mancasse  della  giusta  con- 
siderazione lo  studio,  procurò  Lodovico 
che  l'antipapa  Benedetto  XIII,  da  lui  er- 
roneamente supposto  legittimo  Pontefi- 
ce nel  grande  Scisma  d'occidente,  Io  eri? 
gesse  colla  sua  suprema  autorità,  e  con- 
cedesse privilegi  a'  professori  e  agli  sco- 
lasi. Aderì  Benedetto  XIII  alle  istanze,  e 
con  sua  bolla  data  in  Marsiglia  a'24  ot- 
tobrei4o5approvòquesta  nuova  univer- 
sità, concedendo  a'maestri  e  agli  studenti 
que'privilegi  e  immunità  di  cui  godeva- 
no altri  studi  generali, e  dichiarando  inol- 
tre che  al  vescovo  spettar  dovesse  ogni  giu- 
risdizione col  grado  di  cancelliere,  e  che 
alla  presenza  di  lui  o  d'un  suo  delegato 
dovessero  conferirsi  i  gradi  accademici. 
Dopo  alcun  tempo,  celebralo  il  Sinodo 
pisano,  parve  al  principe  Lodovico  molto 
dubbioso  il  pseudo-pontificato  di  Bene- 
detto XI II,  e  perciò  di  niun  valore  la  sua 
bolla;  volendo  quindi  assicurare  i  privi- 
legi della  nascente  università, s'indirizzò 
a  Giovanni  XXIII  per  avere  un'altra  bol- 
la, e  di  fatti  gli  fu  concessa  il  i.°  agosto 
1 4  1  3,  come  si  ha  dal  cav.  Datta,  Storia 
de  prìncipi  di  Acaia.  Bramoso  il  princi- 
pe che  maggiormente  si  estendesse  il  lu* 


TOR 
stro  dello  studio  di  Torino,  avea  pure  spe- 
dito all'imperatore  Sigismondo  in  Buda 
due  legati,  i  quali  si  maneggiarono  mollo 
per  appagarlo  ,  quantunque  ciò  che  do- 
mandavano pareva  pregiudizievole  alleal- 
tre  università  italiane,  e  ciò  non  ostante 
ottennero  il  i.°  luglio I4-1 2  ampio  privi- 
legio imperiale,  che  si  legge  nel  libro:  Pri- 
vilegia almae  Taurin.  U/u\'ersit.,\ugu- 
stae  Taurinorum  1679.  Restituita  la  pa- 
ce generale  alla  Chiesa  col  concilio  di  Co- 
stanza nel  i4i  7,  e  dopo  la  morte  del  prin- 
cipe Lodovico,  essendo  succeduto  al  go- 
verno del  Piemonte  Amedeo  Vili,  volle 
ottenere  all'università  una  sanzione  pon- 
tificia, sopra  la  cui  validità  non  potesse 
mai  più  insorgere  alcuna  dubbiezza  e  con- 
testazione. Per  questo  motivo  mandò  al 
legittimo  Papa, che  allora  reggeva  laChie- 
sa,  il  virtuoso  Eugenio  IV  (contro  il  quale 
fu  poi  eleltoantipapa  dal  conciliabolo  dì 
Basilea,  di  che  meglio  a  Svizzera),  una 
legazione,  la  quale  ottenne  con  lettera  a- 
postolica  data  in  Ferrara  la  pontificia  con- 
ferma de'privilegi  dell'università  di  To- 
rino, nella  più  ampia  e  valevole  forma. 
La  sede  dell'uni  versila,  per  cagione  or  del- 
le guerre  or  delle  pesti,  dovè  subire  di- 
verse emigrazioni.  Di  lì  a  pochi  anni  di 
6ua  fondazione  ,  si  traslatò  a  Sa  vigliano 
nella  provincia  di  Cuneo,  città  1  1  leghe  e 
più  distante  da  Torino,  posta  nella  bella 
pianura  del  Piemonte,  fortificata  e  ben 
edificata,  e  pregievole  per  altre  preroga- 
tive; e  da  essa  fu  di  bel  nuovo  ricondotta 
a  Torino.  Ebbe  in  appresso  un  sicuro  a- 
silo  in  Mondovi,  dove  fiorì  per  alquanti 
anni,  cioè  dal  1 452  alt 566, col  pubblico 
insegnamento  di  que'maestri,  che  Ema- 
nuele Filiberto  avea  chiamali  sotto  alti  sti- 
pendi dalle  più  colte  provincie.  Ma  ap- 
pena che  la  pace  ricompose  i  pubblici  af- 
fari ,  ad  istanza  del  magistrato  civico  di 
Torino,  presso  il  duca  e  l'arcivescovo,  l'u- 
niversità fu  restituita  alla  primitiva  sua  se- 
de di  Torino,  il  che  successe  d'ordine  del- 
l'istesso  duca  a'22  ottobre  1 566.  Scrisse- 
ro alcuui,  che  anco  in  Monoalberi  e  mClue  - 


T  O  R 

ri  ubbia  avuto  residenza,  tua  siifata  opi- 
nione da  altri  è  impugnata,  anzi  il  consi- 
glio di  Torino  si  oppose  virilmente  a'ma- 
neggi  de'chieresi.  La  città  di  Torino  (in 
dal  principio  dello  studio  generale  vi  pose 
il  massimo  interessamento:  ella  pagava  a 
tempi  del  principe  fondatore  annui  1075 
fiorini  d'oro  per  Io  stipendio  de  profes- 
sori e  altre  spese;  il  locale  per  le  scuole 
fu  preso  a  pigione  dalla  città  nel  palazzo 
di  Micliele  Borgbese,  e  fatti  esaminare  gli 
statuti  più  convenienti  ad  adottai  si  ,  in 
gran  parte  segu'i  quelli  dell'università  di 
Pavia.  Inoltie  l'università  in  ogni  tempo 
fu  riputata  da'reali  principi  di  Savoia  la 
più  bella  gemma  di  loro  corona,  e  perciò 
largamente  la  prolessero  e  fa  vonrono.Mu- 
nificentissimo  ristauratore  della  medesi- 
ma, fra  gli  altri  sovrani,  fu  il  re  Vittorio 
Amedeo  11,  avendo  egli  fatto  costi  uire  se- 
condo il  disegno  del  genovese  Ricca,  egre- 
gio architetto  ,  il  grandioso  e  ben  com- 
partito edifizio,  in  cui  le  diverse  classi  ri- 
cevessero l'opportuno  insegnamento,  ma- 
gnifico massime  nella  parte  interna,  pe' 
porticati  adorni  di  fregi,  iscrizioni  e  scul- 
ture, stali  illustrali  nel  libro:  Marmorei 
Tauri  ne  risi  a,  da'professori  Ricolvi  e  Ri- 
vantella.  11  re  sagacemente  ne  accrebbe 
gli  studi  e  stabilì  iediscipliue,  dopo  essersi 
accuratamente  informato  del  praticato 
nelle  più  celebri  università  d'Europa.  Ri- 
cercò; da  tutte  parti  gli  uoraiui  più  illu- 
minati in  tulle  le  scienze,  con  assegni  con- 
venienti, tanto  ebe  riaperta  1'  università 
con  doviziosa  biblioteca  nel  novembre 
1720,  acquistò  in  brevissimo  tempo  un 
floridissimo  risorgimento,  ed  un  luminoso 
splendore  anche  fuori  del  Piemonte.  Fi- 
nalmente in  agosto  1729  pubblicò  il  fa- 
moso regolamento,  oggetto  di  sue  matu- 
re considerazioni  peno  anni,  e  da  cui  le 
scienze,  le  buone  lettere,  la  morigera  lez- 
ta,  la  discipli  uà,  una  sana  dottrina, il  buou 
gusto  risentirono  meravigliosi  vantaggi. 
E  come  sapeva  che  nelle  famiglie  di  po- 
vera e  mediocre  condizione,  gli  acuti  in* 
gegui,  scuzu  un'alta  provvidenza,  uou  pò- 


TOR  i53 

levano  venire  educati  e  colti,  a  tutte  le  pro- 
vincie  del  suo  regno  estese  le  paterne  sue 
beneficenze,  con  istituire  quel  collegio  che 
delle  Provincie  chiamavasi,  in  cui,  sen- 
z'aggravio de'parenti,  i  giovani  di  buon 
talento  erano  istruiti,  e  l'università  avea 
frequenza  e  otteneva  dottori,  e  anche  mae- 
stri specchiatissimi.  Alle  tante  provvide 
cure  de'principi  di  Savoia  egregiamente 
corrispose  1'  università  di  Torino,  sicché 
non  solamente  potè  gareggiare  colle  pri- 
marie d'Europa, ma  in  diverse  epoche  su- 
perarne la  sapienza  e  lo  splendore,  sì  per 
la  dottrina  de'professori,  che  pel  uume- 
10  de'colti  studenti,  e  più  ancora  per  la 
santa  disciplina  che  gli  uni  egli  altri  fe- 
delmente osservavano.  I  primi  professo- 
ri di  leggi  furono  Cristoforo  Castiglione  e 
Signorino  Omodei,  di  decretali  Bertolino 
Duyna,di  teologia  due  domenicani  di  Ge- 
nova e  di  Rapallo.  Nel  principio  del  seco- 
lo XVI  era  in  tal  credito,  che  neli5o5  il 
f.tmoso  Erasmo  di  Rotterdam  volle  in  es- 
sa farsi  laurear  teologo.  Altre  glorie  del 
fiorente  studio  si  ponno  leggere  nel  conte 
ProsperoBalbo:  Lezioni  accademiche  in- 
torno alla  storia  della  regia  universi» 
tà  di  Torino.  Dopo  la  riforma  del  re  Vit- 
torio Amedeo  li,  l'università  brillò  simil- 
mente di  purissima  luce,  e  nelle  scienze 
ecclesiastiche  primeggiarono  d.  Giuseppe 
Pasini  professore  delle  divine  scritture,  d. 
Berardi  d'Oueglia  ne'sagri  canoni,  nella 
filosofia  morale  il  p.Casati  teatino  e  poi  ve- 
scovo di  Mondovi,  e  ilcelebralissimoGr/- 
dil  barnabita  e  poi  cardiuale, nella  teolo- 
gia scolastica  il  p. Casto  Innoceuzo  Ansaldi, 
nelle  sagre  scritture  e  nelle  lingue  orien- 
tali 1'  eruditissimo  Gio.  Francesco  Mar- 
chiui  vercellese,nella  morale  crislianaGio. 
Antonio  Ghio,  ec.  Racchiude  una  scelta 
biblioteca  di  oltre  a  1 3o,ooo  volumi, pro- 
venienti nella  più  parie  in  origine  da  quel- 
la de'  duchi  Emanuele  Filiberto  e  Carlo 
Emanuele  I;  ricca  di  mss.  preziosi,  il  cui 
catalogo  è  stampato,  olire  i6oo  preziosis- 
simi che  le  donò  l'ab.  Valperga  di  Ca- 
luso,  e  too  codici  membranacei  prove- 


.14 


T  O  R 


nienti  dal  celebre  monastero  di  Bobbio. 
Contiene  inoltre  l'edifizio  dell'uni  vendita 
un  ricco  gabinetto  patologico,  stato  ulti 
inamente  aperto,  ed  un  gabinetto  di  fisi- 
ca che  forse  non  ha  il  simile,  e  già  esiste- 
va a' tempi  del  celebre  p.  Beccaria,  stalo 
Bi'1'icchito  da'professori  che  gii  successe- 
ro, ed  ampliato  e  splendidamente  fornito 
in  oggi  di  quanto  po<sa  tornare  a  profit- 
to della  gioventù  studiosa,  nelle  dimo- 
&  trazioni  e  nelle  sperienze  fisiche.  Olire 
l'università,  dove  s'  insegnano  la  teolo- 
gia, la  giurisprudenza,  la  medicina,  la  chi- 
rurgia, l'eloquenza  greca,  Ialina  e  italia- 
na, le  matematiche,  la  filosofia,  l'archi- 
tettura, le  lingue  orientali  ec;  si  hanno 
in  Torino  collegi  e  parecchie  scuole  co- 
munali, già  ricordate. 

L'arsenale  principiato  da  Carlo  Ema- 
nuele II,  poi  rifallo  e  ingrandito  da  Car- 
lo Emanuele  III,  è  un  edifizio  sontuoso 
che  unisce  a  tutti  gli  altri  pregi  più  essen- 
ziali quello  d'  essere  d'uno  stile  di  archi- 
tellina  adattatissimo  al  suo  oggetto,  me- 
rito più  raro  assai  di  quanto  pare  comu- 
nemente, e  che  non  si  può  lodare  abba- 
slanza  in  un  tempo  in  cui  vuoisi  che  una 
servile  imitazione  de'mirabili  modelli  del- 
l'antichità, calzi  pur  sempre  a  ogni  uso  e 
in  qualunque  circostanza:  in  esso  vi  han- 
no scuole  per  gli  artiglieri,  come  alla  Ve- 
neria  è  una  scuola  veterinaria.  La  fonde- 
ria de'cannoni  è  grandiosa. Uno  degli  sta- 
bilimenti più  ragguardevoli  di  Torino  è 
quello  della  reale  accademia  delle  scien- 
ze, stata  fondala  da  Vittorio  Amedeo  ili 
neh  783,  e  formala  dagl'illustri  scienziati 
che  fino  dali7D7  eransi  raccolti  a  socie- 
tà private,  di  cui  i  promotori  furono  il 
conte  di  Saluzzo,  il  d.r  Cigna  e  il  celebre 
Lagrange.  Stata  divisa  quest'  accademia 
in  due  classi  a'  tempi  dell'  occupazione 
francese,  l'una  di  scienze  esatte,  e  l'altra 
di  letteratura  e  scienze  filosofiche,  com- 
posta di  4o  memhri,  20  per  classe:  ricom- 
pensati gli  accademici  con  pensioni  vita- 
hzie  perpetue,  fu  ripristinata  col  nome 
d'accademia  reale  e  mantenuta  uella  sua 


T  O  R 

divisione  di  due  classi,  cioè  per  le  scien- 
ze matematiche  e  fisiche,  e  per  le  morali, 
storiche  e  filologiche  ,  uè  cessa  ella  dal 
pubblicar  le  memorie  de'suoi  dotti  e  im- 
portanti lavori.  Comprende  il  palazzo  del- 
la reale  accademia,  già  casa  de'gesuiti,  do- 
ve tenevano  ne'lempi  trascorsi  il  rinoma- 
to collegio  de'nobili,  diversi  copiosi,  ma- 
gnifici e  ricchi  musei.  Ammirabile  è  quel- 
lo de'monumenti  egiziani  dovuto  all'im- 
prese trilustri  del  piemontese  cav.  Dro- 
velli,  di  cui  si  legge  la  descrittone  nell'o- 
pere del. celebre  Champollion  giurnore. 
Contiene  il  medesimopiù  d'8000  monu- 
menti di  vario  genere,  e  tra  le  altre  sta- 
tue colossali  di  granito  nero  e  roseo  ,  dr 
basalte  verde  0  nero,  quella  del  celebre 
Sesostri  considerata  come  il  miglior  lavo- 
ro dell'egiziana  scultura;  con  molti  arti- 
coli inservienti  al  culto,  istrumcnti  e  u- 
lensili  d'arti  e  mestieri,  papiri,  scarabei, 
medaglie,  e  soprattutto  la  collezione  dei 
rnss.  delle  catacombe  di  Tebe,  nelle  3  spe- 
cie di  caratteri  geroglifici,  ieratici  e domo- 
tici.  Quindi  comprende  il  palazzo  accade- 
mico 3  altri  musei:  quello  dell'antichità 
greche  e  romane,  il  museo  mineralogico 
distribuito  secondo  il  Broguiart,  di  cui  ha 
pubblicato  il  catalogo  l'ab.  Borson,  equel- 
lo di  storia  naturale,  di  cui  la  parte  de- 
gl'insetti, già,  proprietà  del  valentissimo 
prof.  Bonelli,  è  delle  più  ricche  che  si  ab- 
biano per  le  specie  europee.  Sono  inoltre 
iu  Torino  un'accademia  militare  per  l'i- 
struzione de'giovani  nobili  e  di  ci  vii  con- 
dizione; una  reale  accademia  di  belle  ar- 
ti, ampliata,  arricchita  e  protetta  dal  re  ; 
la  società,  promotrice  delle  belle  arti,  che 
per  la  regia  benignità  suol  fare  le  annue 
pubbliche  esposizioni  nel  palazzo  dell'ac- 
cademia Albertina  ;  una  società  agraria, 
un  congresso  di  edili,  una  camera  di  com- 
mercio. Carlo  Alberto  cou  lettere  patenti 
de' 16  ottobre  1847  autorizzò  la  costitu- 
zione d'una  società  anonima  per  lo  sta- 
bilimentod'una  banca  di  sconto,  di  depo- 
siti e  di  couti  correnti,  col  titolo  di  ban- 
ca diTorino,  approvandone  il  relativo  sta- 


TOH 
lulo  sulle  basi  di  quello  che  regge  la  ban- 
di ili  Genova.  Prima  di  quest'epoca  e  nel 
1827  fu  istituita  per  la  città  e  suo  terri- 
torio la  cassa  di  risparmio,  ad  esempio  di 
quelle  diFrancia,  Inghilterra, Germania  e 
Lombardia,  che  offre  a  chiunque  e  in  ispe- 
eie  agli  artigiani, giornalieri  e  al (ri,il  mezzo 
di  formarsi  con  piccoli  e  ripetuti  depositi, 
die  vannosempre accumulandosi  pel  suc- 
cessivo incremento  de'fruttiferi  interessi, 
do  capitale  per  giovarsene  al  bisogno.  Vie 
la  società  6larmooica,e  la  società  filodram- 
matica. I  teatri  sono  8  tra  grandi  e  piccoli. 
Il  teatro  detto  del  B.e  è  uno  de'più  belli  di 
cui  possa  vantarsi  l'Italia,  opera  del  con- 
te Benedetto  Alfieri,  d'altra  famiglia  che 
non  quella  del  celebre  tragico.  Il  teatro 
Carignano  ha  la  gloria  d'aver  dato  le  pri- 
me rappresentazioni  delle  tragedie  Alfie- 
rane.  Due  altri  sono  i  teatri  di  qualche 
riguardo,  il  D'Augcuues  e  il  Sutera.  Uo- 
po vengono  i  teatri  del  Monte  di  Pietà,  il 
circo  Salez,  il  Giandusi  e  le  Marionette. 
Produsse  Torino  non  pochi  uomini  illu- 
stri, un  principe  Tommaso,  un  Emanue- 
le Tesauro,  un  conte  Bogino,  un  IJaret- 
ti,  un  Bertrandi,.un  Allioni,  un  Gioanet- 
ti  ,  un  conte  Saluzzo,  un  Lagrange,  un 
Porporati,  un  ab.  Valperga  Caluso.  Mol- 
ti altri  Borirono  per  santità  di  vita,  e  nel- 
le dignità  ecclesiastiche  e  regolari,  vesco- 
vi, arcivescovi  e  cardinali.  Di  questi  ulti- 
mi ne  scrissi  le  biografie  e  sono  i  cardina- 
li seguenti,  alcuni  però  appartenendo  ad 
altri  luoghi  del  Piemonte,  ove  ne  ripor- 
tai altri.  A rboreo.l/è rcurio,  Giovanni  Bo- 
na, Francesco  Adriano  Ceva ,  Lodovico 
Gorros'edo,  Guglielmo,  Carlo  Vittorio 
Amedeo  delle  Lanze,  Gio.  Battista  Rovo- 
rOjCarloToinmasoMailUirddi  Tour  non, 
Enrico  Ostiense,  Cristoforo  della  Rose- 
re,!)  omenico della  Rovere,  Girolaniodel- 
ImUovere,  Amedeo  Saluzzo,Cnv\o  di  Ma r- 
tioùuuz,  Giuseppe Morozzo,  Vittorio  Co- 
sta, Teresio  Ferrerò  della  Marinara.  11 
Papa  Pio  IX  nel  concistoro  de'17  dicem- 
bre 18 55  creò  cardinale  dell'ordine  dei 
pi  eli  ilrev.inon.  ni.  Francesco  Gaude  del- 


T  O  R  1  J  ? 

l'ordine  de' predicatori,  nato  in  Cambia- 
no arcidiocesi  di  Torino,  procuratore  ge- 
nerale del  suo  ordine,  rettore  del  Semi- 
nario Pio,  e  gli  conferì  per  titolo  la  chie- 
sa di  s.  Maria  in  Araceli.  Il  p.  Semeria  ri- 
porta io  biografie  di  personaggi  insigni 
per  dignità  ecclesiastiche  o  per  virtù  apo- 
stoliche che  nel!  arcidiocesi  di  Torino  eb- 
bero la  nascita  o  la  morte.  Oltre  4  deno- 
minati cardinali,  gli  altri  sono:  Carlo  An- 
to uio  Vacchetta  della  congregazione  del- 
la missione  ,  Ignazio  Carrocio  giuniore 
canonico  preposto  della  metropolita!)  1  , 
Giuseppe  Costa  parroco  di  Morella,  Gio. 
Antonio  Genta  parroco  di  Caotojra,  p. 
Gio.  Battista  Prever  della  congregazione 
dell'oratorio,  Giuseppe  Pollani  parroco  di 
Cavorre.  Si  può  vedere,  oltre  gli  scritto- 
ri ricordali  a  Piemonte:  Cario Teni velli, 
Biografia  de' Piemontesi  illustri,  Tori- 
no 1  -80.  Atti  de' santi  clic  fiorirono  nel- 
la casa  di  Savoia.  Pietro  Luigi  Galletti, 
Inscriptiones  Pedemontanae  infimi aevi 
Romae  extantes,  Romaei  766.  Torino  e 
Alessandria  sono  le  piazze  più  importan- 
ti di  commercio  del  Piemonte.  In  Torino 
numerose  vi  sono  le  fabbriche  e  le  mani- 
fatture. Meravigliosi  progressi  vi  ha  fatto 
l'arte  tintoria,  e  per  eccellenza  vi  si  lavo- 
rano il  ferro  e  gli  altri  metalli,  i  gioielli 
finamente  lavorati.  Abbondevole  vi  si  fa 
il  commercio  di  seterie,  ed  eccellentemen- 
te vi  si  lavorano  gli  organzini,  i  velluti,  le 
slolfe,  i  drappi  e  le  tele ,  e  le  biancherie 
da  ta  vola  benissimo  lavorate;quindi  le  por- 
cellane, le  maioliche,  i  corami,  ed  ogni  ma- 
niera di  stoviglie,  arredi,  carrozze,  ed  ar- 
mi da  fuoco.  La  carta  da  scrivere  e  quel- 
le de'  parati  sono  di  qualità  eccellente  e 
ponno  gareggiare  colie  francesi.  Sono  ri- 
cercati in  Europa  i  liquori  di  Torino,  non 
che  la  cioccolata;  come  godono  di  pregio 
particolare  i  libri  che  si  vanno  stampando 
nelle  numerose  tipografie,  specialmente 
dallo  stabilimento  del  Pomba,  valoroso  ti- 
pografo, il  quale  con  gran  dispendio  di  de- 
naro si  procacciò  da  Londra  il  mirabile 
torchio  meccauico  che  con  pochi  operai 


1 56  T  o  n 

stampa  alcune  migliaia  di  fogli  al  giorno. 
La  popolazione  di  Torino  eccede  in  oggi 

i5o,ooo  abitanti,  compresi  iforastieri.  Le 
antiche  mura  cederono  il  luogo  ad  ameni 
passeggi  che  vi  girano  attoruo.  Gli  uni 
guidano  al  castello  del  Valentino,dove  tro- 
vasi l'orto  botanico  dell'università,  stato 
ingrandito, arricchito  e  abbellito  negli  ul- 
timi tempi,  e  si  fa  la  pubblica  esposizione 
triennale  degli  oggetti  d'industria  e  d'ar- 
te; gli  altri  mettono  al  campo  di  s.  Secon- 
do,  che  il  volgo  chiama  tuttora  campo  di 
Marte,  perchè  destinato  agli  esercizi  guer- 
reschi; ovvero  aperti  tra  ridenti  case  e  pa- 
lazzi del  novello  abitato,  per  sentieri  quin- 
di appartali  e  solitari  conducono  al  cam- 
posanto o  cimilerio  generale,  che  di  sem- 
plice architettura  mortuaria  venne  stabi- 
lito non  lungi  dal  fiume  Dora.  Questo  ci- 
milerio è  un  monumento  recente,  il  cui 
maggior  pregio.oltre  la  sua  decorosa  sem- 
plicità, sta  nell'ordine  col  quale  ogni  più 
meschina  persona  hawi  un  tumulo  distin- 
to e  registrato. Poiché  vi  si  vedono  giornal- 
mente tigli,  genitori,  consorti  e  altri  con- 
giunti inginocchiati  sulla  terra  ove  sanno 
essere  racchiusi  i  cari  avanzi  de'loro  pa- 
renti, salmeggiarvi  di  vote  preci  al  Dio  del- 
le misericordie  in  loro  sulFragio.il  campo- 
santo,situalo  sul  viale  del  regio  Parco  a 
meri  d'un  miglio  dalla  città  olfie  una  su- 
perficie di  35  giornate  ((tome  si  esprimo- 
no i  Cenni  intorno  a  fatti  storici,  monu- 
menti notevoli  e  particolarità  naturali 
*/e/P/emo«fc,Torinoi838),divisa  in  sepol- 
ture pubbliche,  sepolture  pri  vate,  ossarii  e 
luoghi  adattati  pel  servizio  funebre,e chiu- 
sa da  una  cinta  ottangolare  in  cui  sono 
praticate 3 20  nicchie  per  accogliere  le  la- 
pidi e  mausolei.  Un'altissima  croce  di  pie- 
tra vi  campeggia  in  mezzo,  ed  all'ingres- 
so verso  la  città  sorge  una  cappella  fune- 
bre fiancheggiata  dall'abitazione  del  cap- 
pellano e  da  quella  delle  persone  di  ser- 
vizio. Al  cimiterio  mette  uu  ponticello  di 
legno  situalo  inferiormente  sulla  Dora,  ed 
è  il  luogo  forse  d'onde  si  gode  meglio,  ben- 
ché da  lungi,  la  veduta  del  bel  ponte  in 


T  OR 
pietra  d'un  arco  solo  sulla  Dora.  Con  fe- 
lice ardimento  e  particolare  maestria  si 
condusse  a  termine  nel  i83o  questo  mi- 
rabile edilìzio  dall'ingegnere  piemontese 
cav.  Carlo  Mosca  già  lodato.  La  sveltezza 
dell'arco  tuttoché  peritamente  stacciato  a 
comodo  della  via  pubblica,  lo  slancio  va- 
ghissimo con  cui  egli  abbraccia  le  due 
sponde,  la  solidità  della  posatura,  l'elegan- 
za dell'  ornato,  la  precisione  del  lavoro, 
tutto  è  commendevole  in  quest'opera  in- 
signe. Se  non  che  l'esserne  la  maggior  bel- 
lezza pressoché  invisibile  a  tanti  forastieri 
che  quasi  senza  accorgersene  lo  trapassa- 
no, lascia  pur  dubitare  se,  considerata  la 
ragguardevole  spesa,  un  s'unii  ponte  non 
istia  forse  men  bene  sopra  una  strada  rit- 
ta da  cui  non  si  suole  e  non  si  può  nem- 
meno deviar  facilmente,  di  quanto  stareb- 
be nell'  interno  d'  una  città  trascorsa  da 
un  fiume,  dove  il  prospetto  laterale  fareb- 
be da  entrambe  le  sponde  la  desiderabi- 
le sua  comparsa.  Splendono  ne' dintorni 
di  Torino  ,  olire  la  celebrata  basilica  di 
Soperga,  maestoso  edilizio  che  dalla  vet- 
ta del  colle  addita  allo  straniero  le  son- 
tuose grandezze  del  culto  cattolico  in  Ita- 
lia, le  ville  reali.  Oltre  le  antiche  villeg- 
giature sovrane  di  Rivoli  (nel  cui  castello 
villeggiava  volontieri  Emanuele  Filiber- 
to, poi  bruciato  dal  maresciallo  di  Chati- 
nat,  e  quindi  rifabbricato  come  frequen- 
teabitazionede'reguauti,e  vi  nacque  Car- 
lo Emanuele  1)  e  Moncalieri  (dove  sol  si 
vedeano  un  tempo  alcune  casuece  di  pe- 
scatori con  cappella  della  B.  Vergine  e  il 
convento  de' gerosolimitani  di  s.  Egidio, 
venne  popolato  nel  1 2  3o  da'  fuggiaschi  del- 
la vicina  città  di  Testona  distrutta  dagli 
astigiani  e  da  que'di  Chieri  in  odio  de'to- 
rinesi,  di  cui  essa  era  quasi  una  colonia: 
il  castello  in  parte  rimodernato  è  da  più; 
secoli  gradita  villeggiatura  sovrana,  per 
la  vaghezza  della  vista  e  la  bontà  dell'a- 
ria, ivi  morendo  Vittorio  Amedeo  li), si 
contano  ancora  intorno  a  Torino  4  ville 
principesche,  di  cui  due  souo  adoperate 
per  altri  usi.  La  più  ragguardevole,  pri- 


TOR 

ma  che  venisse  devastata  nelle  peripezie 
politiche  con  cui  ebbe  fine  il  secolo  scor- 
so, era  quella  della  Veneria  Reale,  casa 
di  caccia  fabbricata  da  Carlo  Emanuele 
li  in  un  villaggio  prima  chiamato  Altez- 
i  zano  Superiore  a  3  miglia  da  Torino.  Son- 
tuose fabbriche  e  magnifici  giardini,  di  cui 
sol  restano  i  disegni,  doveano  compire  l'i- 
deata meraviglia.  Ma  benché  siffatti  lavo- 
'  li  non  si  eseguissero  tutti  quali  erano  con- 
.  cepiti,  quelli  con  cui  Carlo  Emanuele  III 
abbellì  questo  luogo  ov'egli  soleva  villeg- 
i  giare  in  primavera,  rimangonoancorsuf- 
.  fidenti  a  far  oggetto  d'ammirazione^  fra 
,  questi  la  cappella,  la  galleria  benché  lui- 
;  ta  sfornita,  l' immenso  stanzone  degli  a- 
lanci  trasformato  in  magazzini,  e  le  bel- 
lissime scuderie  ora  destinate  insieme  co- 
gli avanzi  del  castello,  e  colla  spianata  del 
giardino  a  scuola  di  equitazione  e  ad  eser- 
cizi d'artiglieria.  Dallo  stesso  Carlo  Ema- 
nuele 111  fu  poi  interamente  creata  la  vil- 
la reale  di  Stupinigi,destinata  pure  a'pia- 
ceri  della  caccia,  percui  quel  principe  nu- 
driva  molta  propensione.  Una  certa  leg- 
giadria nell'  aspetto,  unita  all'  ingegno- 
sa sebben  bizzarra  distribuzione  dei  vari 
quartieri  che  compongono  il  palazzo,  trae 
meritamente  l'attenzione  de'foraslieri.  Il 
giardino  di  stile  regolare  é  poca  cosa,  ma 
■  egli  mette  ad  una  selva  tutta  traforala  di 
strade  e  viali,  e  popolatissima  un  tempo 
di  selvaggiume  con  cervi,  daini  e  fagiani. 
Ora  questi  animali  vi  si  trovano  in  assai 
minor  numero;  ma  alcuni  altri  più  rari 
sino  al  1849  si  videro  custoditi  nel  serra- 
glio di  Stupinigi,  fra'quali  oravi  pure  un 
bellissimo  elefante.  Il  Valentino, grazioso 
edilizio  composto  di  4  padiglioni  con  tet- 
ti acuti  coperti  di  lavagne  alla  francese, 
ebbe  il  nome  da  Valentina  Balbiana,  per 
cui  vuoisi  fosse  primieramente  fabbrica- 
to da  suo  marito,  il  famoso  Renato  dra- 
go cancelliere  di  Francia  nel  XVI  secolo. 
Ampliato, abbellito  e  ridotto  alla  sua  for- 
ma attuale  da  Madama  realeCristina,egli 
servi  ne'tempi  addietro  per  feste  princi- 
pesche e  diporti  sul  fiume.  Ora  i  suoi  giar- 


TOR  1 57 

(lini  racchiudono  il  detto  orlo  botanico, 
la  sua  parte  terrena  viene  usata  per  ser- 
vizio dell'artiglieria,  e  ili. "piano  verso  il 
Po  serve  per  la  ricordata  esposizione  dei 
prodotti  dell'industria  nazionale.  Eranvi 
ancora  nel  bel  piano  che  circonda  Torino 
due  siti  di  villeggiatura  sovrana,  ora  inte- 
ramente abbandonati ,  cioè  il  castello  di 
Millefiori  frequentato  da  Emanuele  Fili- 
berto, che  abitò  pure  talvolta  quello  di 
Lucento  allora  appartenente  alla  corona, 
ed  il  real  Parco  attualmente  ridotto  a  ma- 
nifattura di  carta  e  di  tabacco,  ma  un 
tempo  soggiorno  principesco  con  giardi- 
ni irregolari,  abbelliti  singolarmente  dal- 
la vicinanza  del  colle  e  del  sottoposto  fiu- 
me, laiche  vuoisi  che  il  Tasso  in  una  sua 
fermata  a  Torino  ne  ritraesse  la  vaghis- 
sima idea  del  giardino  d'Armida  (altret- 
tanto dicesi  della  villa  d'  Esle  a  Tivoli, 
ove  la  descrissi).  Non  abbandonata  in  si- 
mile maniera,  ma  per  solito  disabitata  ri- 
mane in  ultimo  la  così  detta  \  igna  del- 
la Regina,  che  sul  primo  pendio  del  Col- 
le torinese  presenta  un  leggiadro  palaz- 
zo cinto  di  terrazzi,  statue  e  balaustri, 
cui  sovrasta  una  corona  di  folti  alberi  an- 
nosi. Venne  fabbricata  dal  cardinai  Mau- 
rizio di  Savoia,  il  quale  rinunziata  la  por- 
pora, dopo  il  suo  matrimonio  colla  nipo- 
te la  chiamò  dal  nome  di  lei  Villa  Lodo- 
vica, e  si  compiacea  di  radunarvi  un'ac- 
cademia di  letterati  piemontesi.  Mentre 
due  sole  villeggiature  principesche  si  os- 
servano sulla  Collina  di  Torino,  essa  è  po- 
polatissima di  private  ville  d'ogni  forma 
e  grandezza,  che  sparse,  anzi  spesseggiate 
appaiono  lungo  ciascun  pendio,  sopra  cia- 
scun poggetlo,  entro  ciascuna  valle.  Or 
questa  vaghissima  regione,più  salubre  for- 
se e  più  ridente  de'dintorni  di  Moncalie- 
ri ,  e  principalmente  uel  tratto  rivolto  a 
mezzogiorno,  mostrasi  più  fresca  e  più 
ombrosa  inferiormente  a  Torino  volgen- 
do verso  Superga,  poscia  più  romita  e  sel- 
vaggia proseguendo  ancora  lungo  le  rive 
del  fiume,  ovvero  salendo  alle  vette  im- 
boschite che  le  formano  corona.  Colassù 


1 58  T  O  R 

sorgono  solitarie  e  la  sontuosa  basilica  di 
Superga,  e  la  torre  antica  di  Tavernette, 
la  quale  segna  il  passo  per  cui  una  nuova 
e  facile  strada  valica  il  colle  tendendo  da 
Torino  a  Chieri,  e  le  vestigia  d'un  ere- 
mo de'camaldolesi  trasformato  in  giardi- 
no di  fiori,  e  finalmente  fra'non  interrot- 
ti castagneti  che  coprono  quelle  cime  la 
bianca  cappelletta  della  Maddalena  rimi- 
rala da  tutti  i  punti  della  sottoposta  pia- 
nura. Ma  poco  si  ha  da  scendere  per  im- 
battersi in  più  animate  scene,  incontran- 
do ovunque  case  e  vigne  con  giardini  o 
pergolati, indi  framezzo  l'une  e  l'altre  viot- 
toli serpeggianti,  strade  ombrose,  freschi 
rivi,  verdi  ciglioni,  e  dirupi  e  massi  mu- 
schiosi,  ed  alberi  di  varie  sorta;  oggetti 
tutti  che  porgono  ad  ogni  passo  il  con- 
trapposto d'una  natura  agreste  e  pittori- 
ca, co'lavori  più  accurati  dell'uomo,e  col- 
le bellezzeartefatted'un  frequentatissimo 
abitato.  Non  è  perciò  meraviglia,  se  que- 
sta Collina  fu  sempre  un  luogo  di  predi- 
lezione pe' torinesi,  esc  antlara  no  essi  sem- 
pre a  gara  nel  renderla  vieppiù  adorna 
quanto  popolosa.  E  ben  pur  si  compren- 
de come  venga  tanto  ammirata  da'fora- 
stieri,agli  occhi  di  cui  basterebbero  le  so- 
le bellezze  naturali,  ove  dalle  sue  innu- 
merevoli villette  non  traesse  ancora  e  vi- 
ta e  brio  singolare,  per  farla  giudicare  in 
nessun  modo  seconda  a'più  rinomali  col- 
li che  formano  le  delizie  d'altre  capitali. 
Ma  merita  singolarmente  l'attenzione  del 
forastiere,  fuori  dell'antica  porta  Susina 
per  a  Rivoli,  poco  lungi  dall'imboccatura 
del  Canale  de'Mulini  di  Torino,  l'edifizio 
idraulico  della  Porrella,  fondato  ueli  769 
da  Carlo  Emanuele  III,  sopra  i  consigli 
del  prof.  Michelolti,  dove  in  ogni  anno  so- 
no chiamati  a  convenire  gli  studenti  che 
si  destinano  all'architettura  idraulica,  per 
ivi  assistere  ad  un  corso  d'insegnamento 
sperimentale  che  loro  si  dà  per  via  d'am- 
pia torre  a  3  piani  distinti,  diesi  empie 
a  piacimento  d'acqua  per  virtù  d'un  ca- 
nale, in  cui  ella  da  parte  superiore  è  con- 
dotta e  naturalmente  cade;  e  raccolta  in 


T  O  R 

due  grandi  vasche,  per  alcune  luci  aper- 
te a'  diversi  piani  della  torre,  ne  sgorga 
poi  ed  olire  quegli  accidenti  che,  osserva-  1 
ti  e  misurati  nelle  varie  pendenze,  servo 
noall'istruzionedc'giovani  già  iniziati  nei 
misteri  d'  una  scienza  reputata  fra  le  più 
necessarie  e  utili  in  un  paese,  dove  l'io 
naffiatnento  delle  terre  e  gli  artifici!  meo 
crmici  sono  la  sorgente  della  pubblica  fé 
licita.  Tra'pregi  poi  particolari  della  Col- 
lina torinese,  s'  ha  da  annoverare  quella 
vista  impareggiabile  che  da  vari  punii  dì 
essa  godesi  in  mirabile  guisa.  Imperocché 
oltre  il  vagoserpeggiaredel  bel  fiume  che 
ne  lambisce  il  piede,  e  l'amena  pianura 
fertilissima  che  al  di  là  di  questa  si  allar- 
ga, mentre  fra  l'ima  e  l'altra  torreggia 
una  superba  città,  si  scorge  poi  d'un  so- 
lo colpo  d'occhio  pressoché  tutta  la  vasta 
catena  dell'Alpi  da  cui  è  cinto  il  Piemon  - 
te;  cosicché  e  quella  catena  stessa,  e  que- 
sta collina  da  cui  se  ne  ha  un  sì  vago  pro- 
spetto, ponno  a  buon  diritto  considerar- 
si come  due  particolarità  fra  le  più  note- 
voli della  contrada.  Già  il  nome  solo  di 
Piemonte  indica  abbastanza  la  situazio- 
ne particolarissima  di  questo  bel  paese, 
unica  forse  in  Europa  ,  ed  alla  quale  ei 
deve  la  maggior  parte  de'pregi  onde  può 
vantarsi  giustamente.  Infitti  questi  mon- 
ti alti  da  3  parti,  ed  anzi  altissimi  da  1,  io 
circondano,  e  forse  a  dir  vero  influiscono 
sopra  alcune  men  buone  perchè  troppo 
frequenti  e  rapide  variazioni  di  tempera- 
tura, souo  tuttavia  principal  causa  deci- 
denti o  pittorici  aspetti  non  che  della  som- 
ma abbondanza  di  produzioni  variatissi- 
me  che  vi  s'incontrano.  Se  poi  si  aggiun- 
ge a  siffatte  osservazioni  quella  de'nume' 
rosi  fiumi,  che  appunto  prendendo  lutti 
la  loro  origine  nell'Alpi  o  negli  Apennini 
da  cui  è  chiuso  il  Piemonte,  scendono  a 
dargli  vita  e  fecondità  irrigandolo  pero- 
giri  verso,  manifestamente  appare  tutta 
l'importanza  di  questi  monti  agli  occhi 
d'ogni  piemontese,  la  cui  vista  godechiun- 
quo  è  a  villeggiare  sulla  Collina  di  Ton- 
no, in  imo  alle  3  valli  di  Lauzo,  i  cui  a- 


T  OR 

tritanti  sogliono  portarsi  alla  capitale  a 
servire  domestica  mente  o  a  esercitare  va- 
rie professioni.  Una  di  essa  la    valle  Viù 
nel  suo  ingresso  di   Lemie  e  d'  Usseglio, 
nella  parte  sua  piùelevaln  è  molto  cogni- 
ta a  Torino  per  la  salubrità  dell'aria  e  del- 
l'acque limpidissime  che  vi  abbondano, 
come  pure  per  1'  avvenenza  della  popo- 
lazione. L'ombra  de'faggi  d'alta  mole,  dei 
castagni,  di  noci  e  altri  alberi  in  gran  nu- 
mero, amene  praterie,  acque  zampillanti 
per  ogni  dove,  bel  cielo  e  pittorici   pro- 
spetti sogliono  trarre  a  Viù  nell'estate  i 
cittadini  della  capitale  che  vi  conducono 
la  tenera  fìgliuolanza  ,  e  Jascianvi  spesse 
volte  i  loro  fanciullini  a  godere  il  benefi- 
zio di  quel  salutare  soggiorno.  Molti  van- 
taggi recano  le  3  valli  di  Lanzo  giornal- 
mente, a  Torino  con  somministrargli  vi- 
telli,  selvaggiume,  le  produzioni  del  lat- 
te e  altre  cose  necessarie.  Sono  degni  di 
ricoido, il  santuario  di  s.  Ignazio  frequen- 
talo per  esercizi  spirituali,  e  posto  sopra 
un'  altura  che  domina  il  confluente  delle 
3  Sture  scese  dalle  3  vaili  a  formarne  ivi 
una  sola;  quindi  poco  più  iti  giù  il  ponte 
del  Roc  che  con  un  arco  solo  attraversa 
il  fiume  al  suo  sbocco  fra  due  erte  rupi, 
e  che  si  ha   motivo  di  credere  costrutto 
da'romani  allorquando  i  loro  schiavi  la- 
voravano a  migliaia  nelle  miniere  di  fer- 
ro delle  valli  di  Lanzo.  Anche  Torino  e 
il  Piemonte  adottarono  le  illuminazioni  a 
gas,  le  Strade  ferrate  ed  i  Telegrafi,  ai 
quali  articoline  parlai,edanchea  Sarde- 
gna regno,  Savoia,  ed  altrove.  Pubblican- 
dosi a  Parigi  una  Biblioteca  delle  stra- 
de di Jerro,  che  dicesi  dare  utili  e  savie 
letture,  piacque  l'esempio,e  nel  1 855  nel- 
la tipografia  di  Biagio  Morelli  di  Valen- 
za piemontese  si  volle  imi  tarlo  pubblica  li- 
do la  Biblioteca  del  viaggiatore  delle 
strade  ferrate,  ossia  raccolta  di  opere 
edite  ed  inedite  in  ogni  ramo  dello  sci- 
bile umano.  Ne  die  contezza  il  cav.  Igna- 
zio Cantò  nella  sua  Cronaca  a  p.  287  e 
9G9,  massime  del  volume  6.°  che  porta 
il  titolo:  Le  Strade  ferrale  0  la  macchi- 


T  O  R  .  59 

na  a  vapore ,  cenno  storico  di  Maurizio 
Giulia  ni. Ossei*  va, che  ordina  rinaiente  nel- 
le stazioni  piemontesi  vi  è  un  gran  spac- 
cio di  foglietti  brillanti  d'un  po' di  spiri- 
to, ma  vuoti  d'ogni  soda  sostanza  :  nel- 
l'encomiato  volume  iuvece  si  danno  pen- 
satecele, e  mette  al  fitto  dell'attuale  con- 
dizione delle  ferrovie  di  tutto  il  mondo: 
a  saggio  di  esso  ne  riprodusse  la  parte  che 
riguarda  le  strade  ferrate  d'Italia,  ed  io 
ripeterò  qualche  cenno  di  quanto  è  rela- 
tivo a  Torino  e  al  Piemonte.  E'  innega- 
bile che  l'Italia,  venuta  per  le  vie  di  co- 
municazioni a  seguilod'alcune  tra  le  priu- 
cipali  nazioni  d'Europa,  dopo  averle  al- 
tre volte  precedute  (pe'canali  specialmen- 
te), ora  si  mostra  molto  propensa  ad  uti- 
li imitazioni.  Anzi  tutti,  il  Piemonte,  met- 
tendo a  profitto  le  risorse  considerevoli, 
di  cui  potè  disporre, efacendo  anco  un  ap- 
pallo all'industria  privata,  si  coperse  d'un 
gran  numero  di  strade  ferrate  ,  le  quali 
oltre  ad  un  carattere  politico  riuniscono 
un  interesse  economico  considerabile,  li- 
na gran  parte  di  queste  costruzioni  ven- 
nero inaugurate  sotto  l'attuale  regno  di 
re  Vittorio  Emauuele  II,  il  quale  emulo 
del  padre  suo  Carlo  Alberto,  e  secondalo 
in  ciò  da'ministri,  le  promosse  con  gran- 
de sollecitudine.  In  Italia  ali  stati  di  Lom- 
o 

bai  dia  e  di  Venezia  furono  i  primi  paesi, 
ne'quali  siasi  seriamente  trattato  di  apri- 
re strade  ferrate,  ed  io  aggiungerò  il  regno 
delle dueSicilie  nel  1837.  mentre  nel  i838 
soltanto  la  compagnia  intraprendente  co- 
minciò la  linea  da  Milano  a  Monza,  aper- 
ta al  pubblico  neh  84- 1 J  vero  è  però  che 
solo  nel  i844  lelocomotivecircolaronoda 
Napoli  a  CaslellamareoStabia,eindia  po- 
co da  Napoli  a  Capua.Quaudosi  effettuerà 
la  linea  d'Ancona  a  Bologna,  ritardata  per 
apprensioni  politiche  ed  economiche,  a- 
vrà  per  conseguenza  indispensabile,  che 
venga  attivata  quella  da  Bologna  agli  sta- 
ti sardi  per  Modena  e  Parma.  Dell'esten- 
sione del  telegrafo  degli  stati  papali  ripar- 
lai a  Terracina  e  Toscana.  Però  il  Pie- 
monte, sotto  il  rapporto  delle  strade  fer- 


ifio  TOR 

nte,  cammina  ormai  alla  testa  di  tutte 
le  altre  contrade  italiane.  Il  Piemonte 
seppe  usufruitila  re  delle  libertà  conces- 
segli,  lo  spirito  d'associazione  destatosi, 
creò  intraprese  d'ogni  genere,  e  in  poco 
tempo  il  suolo  del  paese  venne  solcato  da 
vasta  rete  di  strade  ferrate,  che  dello  sta- 
lo faranno  tra  breve  l'arteria  principale 
del  commercio  dell'Europa  mediterranea. 
Esso  conta  già  oltre  a  56o  chilometri  di 
strade  ferrate  in  esercizio  su  d'un' esten- 
sione di  circa  iooo  chilometri,  il  che  si 
dimostra  dal  prodotto  specchio  (altro  a- 
vendone  io  pubblicato  nel  voi.  LXX,  p. 
1 6  «  ).  Da  questo  ricavo  che  Torino  comu- 
nica principalmente  con  tronchi  di  ferro- 
vie, con  Genova,  Cuneo,  Susa,  Pinerolo 
e  Novara.  La  linea  di  ferrovia,  che  da  To- 
rino peri 66  chilometri  mette  a  Genova, 
può  appellarsi  la  più  monumentale  e  dif- 
fìcile di  tutte  le  strade  ferrate  costrutte 
non  solo  in  Italia,  ma  in  tutto  il  continen- 
te europeo.  L'esercizio  di  questa  ferrovia 
fu  aperto  al  pubblico  a'24settembre  1 848, 
fra  Torino  e  Moncalieri;  si  prolungò  sino 
a  Cambiaso  a'14  dicembre,  ed  a'  io  di- 
cembre (le  corse  di  esperimento  ebbero 
luogo  il  6  e  7)  1 853  per  tutta  la  sua  esten- 
sione fino  a  Genova.  Essa  si  diparte  da 
Torino  alla  stazione  di  Porta  Nuova  ,  e 
costeggia  il  Po,  che  quindi  valica  presso 
Moncalieri,  ec,  sbocca  di  contro  al  por- 
to di  Genova,  e  percorrendo  fra  mezzo  al- 
le case  e  giardini  del  borgo  delle  Grazie 
arriva  nella  capitale  della  Liguria.  Desta 
stupore  questa  opera  gigantesca,  median- 
te la  quale  Torino  è  ad  una  sì  breve  di- 
stanza dal  Mediterraneo.  Niuno  può  far- 
si un  adeguato  concetto  della  meraviglia 
chesorprende  il  cuore  del  viaggiatore,  che 
rapidamente  scendendo  dall'Apennino  si 
trova  dinanzi  il  vasto  orizzonte  marino,  là 
dove  mette  foce  la  Polcevera,  e  penetra 
quindi  in  mezzo  alle  più.  frequentate  vie 
che  da  s.  Pier  d'Arena  guidano  a  Geno- 
va. Nel  1 855  si  aprì  in  tutta  la  sua  esten- 
sione la  ferrovia  di  Torino  a  Savigliano 
su  Cuneo.  Quanto  prima  sarà  posta  in  e- 


TOR 
sercizio  la  linea,  che  cougiunge  Saluzzo  a 
Sa  vigliano,  e  quella  da  Bra  aCavallermag- 
giore,  con  che  le  vinifere  langhe  e  le  val- 
li dell'altoPiemonte  rimarranno  congiun- 
te al  grande  sistema  di  ferrovie  italiane. 
Le  linee  da  Torino  a  Pinerolo,  da  Tori- 
no a  Susa,  quella  da  Torino  a  Novara,  e 
da  questa  ad  Arona,  linea  principale  go- 
vernativa f  a  Genova  e  la  Svizzera,  pas- 
sando per  Alessandria;  la  linea  della  fer- 
rovia fra  Sauthià  e  Biella,  è  prossima  al 
suo  compimento  e  sarà  aperta  al  pubbli- 
co nel  prossimo  maggio.  E  la  diramazio- 
ne d'Alessandria  a  Novara,  che  fa  comu- 
nicare il  Monferrato  colla  ricca  Lomelli- 
na,  colla  Lombardia  mediante  il  tronco 
da  Mortara  a  Vigevano,  e  col  Lago  Mag- 
giore, e  colla  Svizzera,  compie  il  novero 
delle  ferrovie  piemontesi  finora  costrut- 
te. E'  probabile  che  presto  avranno  stra- 
de ferrate  le  provincie  d'  Ivrea,  Acqui, 
Casale,  Tortona,  Voghera;  non  che  fra 
non  molto  sarà  compita  la  difficile  ferro- 
via Vittorio  Emanuele  II,  da  Modonea 
Chamberye  Saint-Genix, confine  france- 
se. Altra  line*  condurrà  pure  da  Chain- 
bery  a  Ginevra;  e  se  il  perforamento  del 
Moncenisio  poteva  eseguirsi,  allora  l'Eu- 
ropa avrebbe  veduto  una  linea,  la  quale 
partendo  dall'estrema  Calabria,  e  attra- 
versando tutta  l'Italia,  i  sommi  gioghi  del- 
l'Alpi e  la  Francia,  andava  a  terminare 
allostretto della  Manica.  Inoltre  neh 855 
il  governo  sardo  ha  fatto  stabilire  il  siste- 
ma del  telegrafo  delle  locomotive,  inven- 
zione preziosa  del  celebre  cav.  Gaetano 
Bonelli  direttore  generale  de'telegra fi  sar- 
di, ammirato  altresì  per  aver  immagina- 
to l'elettro-tessitura ,  cioè  l'applicazione 
dell'elettricità  alla  tessitura,  che  produce 
nell'industria  una  rivoluzione  paragona- 
bile all'applicazione  del  vapore  come  for- 
za motrice,  e  della  pila  voltaica  come  mez- 
zo a  distruggere  l'intervallo  fra'punti  lon- 
tani: ne  rese  ragione  la  sullodata  Cronci' 
ca  del  cav.  Cantò  a  p.  84,  con  tavola  e- 
sprimente  il  telaio  alla  Bonelli.  Quan- 
to al  telegrafo  delle  locomotive,  destina- 


TOH 

lo  soprattutto  a  prevenire  i  disastri  fune- 
sti che  sogliono  accadere  sulle  strade  fer- 
iate, esso  iu  sostanza  si  risolve  in  una  sem- 
plice e  particolare  disposizione  di  una  li- 
nea elettro-telegrafica,  mercè  la  quale  pa- 
recchi convogli,  comunque  veloci  nella  lo- 
ro corsa,  comunicano  permanentemente 
non  solo  fra  loro  in  ciascun  tratto  che  per- 
corrono, ma  inoltre  con  tutte  le  stazioni 
della  lioea.  Egli  è  ben  vero,  come  narrai 
a  Strada,  che  iu  diversi  tempi  e  luoghi 
si  tentò  con  vari  mezzi  di  ovviare  a'sioi- 
stri  che  sventuratamente  troppo  spesso 
avvengono  lungo  le  ferrovie;  ma  è  fuori 
di  dubbio  eziandio  che  ninno  fìuora  po- 
tè raggiungere  pienamente  l'indispensabi- 
le sicurezza  assoluta.  Questo  espetimen- 
tato  sistema  congiuuge  a  tutti  gli  altri 
vautaggi,  anche  quello  d'una  grande  eco- 
nomia. Se  ne  legge  la  descrizione,  corro- 
borata da  tavola  incisa  di  tale  telegrafo 
delle  locomotive  inventato  dalcav.  Bonel- 
li,  nella  summenlo\atai  Enciclopediacon- 
temporanea,  compilata  da'eh.  prof.  Crol- 
lalanza,  conte  Gherardi  e  Gabrielli,  t.  2, 
p.  20 5,  e  quanto  al  telaio  elettrico  ap.  3  1 
del  t.  3  (con  tavole  portauti  il  disegno  del 
telaio  iu  più  aspetti),  che  con  lode  si  pub- 
blica inFano.  Inoltre  a  p.  92  dell'Enci- 
clopédia, si  riporta  un  brano  dell'eccel- 
lente giornale  óe\\'  Armonia  di  Torino, 
sul  telegrafo  sottomarino  tra  Sardegna  ed 
Africa,auzisicongiungeià  pure  coll'iudie 
orientali,  colla  Ciua,  coli'  Australia,  colla 
California,  e  finalmente  l'America  eoll'lu- 
ghillerra.  Avendogià  descritto  i  principali 
avvenimenti  che  riguardano Torino,negli 
articoli  Savoia, cSardegna  regno  oSta- 
ti  del  re  di  Sardegna,  in  uno  alle  gesta 
de'conti  e  duchi  di  Savoia,  poi  re  di  Sar- 
degna, ed  alle  vicende  civili  ed  ecclesia- 
stiche spettanti  a' domimi  de'  sovrani  di 
Savoia  principi  del  Piemonte  e  della  mo- 
narchia sarda  ;  ora  in  riguardo  alla  po- 
tenza temporale  esercitata  da' vescovi  di 
Torino,  che  signoreggiarono  talvolta  ,  e 
che  la  loro  storia  si  rannoda  con  quella 
della  città,  credo  opportuno  in  questo  ar- 
voi.  txxvn. 


TOR  161 

ticolo  di  scrivere  i  cenni  storici  della  me- 
desima città,  uniti  insieme  a  quelli  della 
sede  episcopale  e  suoi  pastori,  e  non  se- 
paratamente secondo  l'ordinario  mio  me- 
todo, per  maggiore  unità  di  argomento  e 
per  evitare  altresì  ripetizioni.  Conviene 
però  tenere  presenti,  oltre  i  citati  articoli, 
que'di  Susa,  Saluzzo  e  altri  del  Piemon- 
te che  vi  hanno  relazione,  ed  altri  anco- 
ra come  Svizzera.  Continuerò  a  giovar- 
mi principalmente  della  pregievole  e  im- 
portantissima (la  quale,  come  dichiara  il 
eh.  autore  nella  prefazione,  non  fidando- 
si di  se  slesso,  sottopose  prima  di  stam- 
parla ad  uomini  dottissimi  ,  amatori  e 
scrittori  benemeriti  di  cose  patrie,  come 
il  cav.  Luigi  Cibrario  e  il  cav.  Domeni- 
co Promis,  profittando  de'lorolumiedel- 
le  loro  osservazioni):  Storia  della  chie- 
sa metropolitana  di  Torino,  descritta 
da' tempi  apostolici  sino  all'  anno  1840, 
offerta  a  sua  Ecc.~&  R.ma  mg.r  Luigi 
de'  marchesi  Fransoni  arcivescovo  di 
Torino,  cav.  dell'ordine  supremo  della 
ss.  Annunziata,  cav.  di  gran  croce  de- 
corato del  gran  cordone  dell'  ordine  dei 
ss.  Maurizio  e  Lazzaro,  ec.,per  Gio.  B. 
Se meria  prete  della  congregazione  del- 
l'oratorio ,  Torino  1840.  Non  che  avrò 
presentialtri  storici, e  precipuamente  l'U- 
ghelli,  Italia  sacra,  t.  4,  P- 1  o  ig:  Metro- 
polis  Taurina  j  ed  il  can.  Dima  ,  Serie 
cronologica  degli  arcivescovi  e  vescovi 
di  tutti  gli  stati  di  Terraferma  del  re- 
gno di  Sardegna,  p.  6g:  Cronologia  dei 
vescovi  ed  arcivescovi  di  Torino,  e  quan- 
to altro  riportò  a  p.  1 32  della  Serie  degli 
arcivescovi  e  vescovi  del  regno  di  Sar- 
degna,oss\a  d'oltremare  o  isola  omouima. 
Si  ponno  inoltre  leggere:  Filiberto  Pigno- 
ni, Cronica  di  Torino.  Agostino  Chiesa, 
Cardino  li  uni,  Archiepìscoporum ,  Epi- 
scoporum  etc.   Pedemontanae  regionis 
chronologica  historia,  Auguslae  Tauri- 
noi  um  1 645.  Giuseppe  Francesco  Meira- 
nesio,  Pedemontium  sacrimi. Istoria  del- 
l'augusta  città  di  Torino  del  conte  e  cav. 
d. Emanuele  Tesauro,proseguita  da  Gio. 


1 (vi  T  O  K 

Pietro  6  ir  oidi,  Torino  1679.  Parte  1.' 
dell'ab.  Francesco  M.a  Ferrerò  di  Lavria- 
no,  Istoria  dell'angusta  viltà  di  Tori- 
no, ivi  1712.  Monumenta  hìstoriae p«u 
trine  edita  jussiircgis  Caroli  Alberti,  t. 
3  e  4-  Cav.  Luigi  Cibrario,  Storia  di  To- 
rino, o  Torino  neli835,  ivi  1 836. 

Prese  Torino  il  nome  da'  Taurini,  an- 
tichissimi abitatori  della  contrada,  del 
qual  popolo  bellicoso  eia  la  capita!e/|uan- 
do  Annibalecartaginese  lediede  il  1 ."  gua- 
sto, perchè  vi  trovò  resistenza,  né  vollero 
gli  abitanti  a  lui  congiungersi  contro  i  ro- 
mani, come  aveauo  fatto  gli  allobrogi. 
Dopoché  il  fiero  nemico  de'romani,  pas- 
sato il  Rodano  e  la  Durenza,  non  senza 
grande  difficoltà,  venendo  molestato  da' 
paesani  abitanti  delle  Alpi,  ove  perde  più 
di  3o,ooo  uomini  e  gran  parte  de'  suoi 
cavalli,  superato  il  monte  di  Ginevra  ar- 
ditamente discese  nel  piano  di  Torino,ove 
facendogli  rpie'popoli  contrasto,  ne  senti- 
rono gravi  danni  e  barbara  rovina;  il  ter- 
rore quindi  incusso  dalla  sua  severità  pie- 
gò a  soggezione  le  circostanti  regioni,  sic- 
ché corsero  a  gara  que'popoli  ad  ingros- 
sarne le  fila;  felice  circostanza  che  al  con- 
dottiero cartaginese  assicurò  le  memora- 
bili vittorie  del  Ticino,  della  Trebbia  e 
del  Trasimeno.  Conquistala  poi  da'roma- 
ni,  circa  due  secoli  avanti  l'era  corrente, 
colla  regione  Torino,  di  questa  ne  fecero 
una  piazza  d'armi;  e  la  contrada  ridotta 
in  provincia  romana,  comprese  i  popoli 
chiamati  in  generale  liguri  e  cisalpini,  nel 
particolare  avendo  ciascuno  origine  e  no- 
mi differenti.  Nella  discesa  di  Giulio  Ce- 
sare alla  conquista  delle  Gallie,  ebbe  da 
lui  il  nome  di  Coloniali!  lia,mi\lato  quin- 
di in  quello  di  Augusta  Taurinorum,\)ev 
volere  dell'imperatore  Augusto,  che  tut- 
tora latinamente  conserva,  dicendosi  an- 
che Taurinum.ìson  pare  affililo  che  que- 
sti popoli  prima  dell'era  cristiana  discen- 
dessero da  un'antica  colonia  egiziana, co- 
me pretesero  alcuni  cronisti,  e  perciò  a- 
vere  adoralo  le  divinità  portate  seco  dal- 
l'Africo, il  qual cult-o straniero  dicono  lui- 


T  ()  Il 

lenito  da'  romani.  Poiché  la  venuta  dei 
principe  Fetonte  dall'Egitto  alle  sponde 
del  Po,  è  una  favola  inventata  da  coloni, 
che  mischiando  le  cose  divine  colle  uma- 
ne, si  studiavano  di  rendere  più  auguste 
l'origini  delle  loro  città.  Non  trovaronst 
mai  sicure  vestigia  di  cullo  egiziano  in 
queste  contrade,  ed  i  taurini  ebbero  per 
deità  principalmente  Giove,Ercole  e  Dia- 
na, a'quali  facevano  sagri fizi  e  celthra  va- 
no feste.  In  qual  secolo,  e  per  mezzo  di 
quali  uomini  apostolici  siasi  diffusa  ue'po 
poli  subalpini,  e  segnatamente  taurini,  la 
luce  evangelica,  non  è  cosa  facile  a  deci- 
dersi; però  può  asserirsi,  che  questa  mi- 
rabile mutazione  non  potè  farsi  né  cos'i 
presto,  né  così  facilmente,  non  deponen- 
do gli  uomini  che  gradatamente  le  paga- 
ne e  religiose  superstizioui,  fonientatrici 
di  passioni,  e  da  cui  erano  dominati.  1  po- 
poli subalpini  seguendo  i  costumi,  le  leg- 
gi, la  religione  de' romani,  il  cambiamen- 
to del  culto  dovè  procedere  lentamente, 
per  gli  ostacoli  che  si  frapponevano  agl'in- 
veterati pregiudizi.  Tuttavolta  sin  dal  1 ." 
secolo  dell'era  cristiana  si  diffuse  la  pre- 
dicazione del  vangelo,se  non  da  s.  Barna- 
ba apostolo,  almeno  per  altri  uomini  a- 
postolici;  e  s.  Luca  evangelista  ebbe  da  s. 
Paolo  la  commissione  di  recarsi  in  Italia 
e  nella  Gallia,  ed  annunziarvi  la  religio- 
ne cristiana.  L'Ughelli,seguendo  il  Pingo- 
nio,  a  s.  Barnaba  0  a'  suoi  alunni  attri- 
buisce la  propagazionede'primi  rudimen- 
ti della  fede  cristiana,  verso  1'  anno  5o. 
Verso  quest'epoca  è  indubitato  che  i  cri- 
stiani erano  già  sparsi  in  diverse  provin- 
ole del  romano  impero,  e  nelle  primarie 
città  d'Italia, anche  per  essere  stati  espulsi 
da  Roma  dall'imperatore  Claudio,  quan- 
do bandì  i  giudei,  fra  'quali  eranvi  de'eon- 
vertiti,  oltre  i  sacerdoti  ch'erano  inviali 
da  Roma  per  togliere  l'errore  dell'idola- 
tria e  annunziare  le  verità  eterne.  Facil- 
mente uè  vennero  nel  paesesubalpino, fre- 
quentato passaggio  per  a udar  nelleGallie, 
sia  per  l'Alpi  Cozie  che  attraversavano 
Torino,  sia  per  le  Alpi  Graie  d'Ivrea. Aui 


TO  R 
2.°  secolo  della  Chiesa  trovami  prove  ab* 
bastanza  sicure  e  positive,  che  nel  Pie- 
monte il  vangelo  era  conosciuto  e  osser- 
vato. In  esso  illustre  apostolo  del  paese 
subalpino  fu  s.  Calimero  vescovo  di  Mi- 
lano, che  eziandio  predicò  con  successo 
in  tutta  la  Liguria,  di  cui  il  Piemonte  an- 
tico faceva  parte,  perlocchè  patì  glorioso 
Martirio.  -1  p-  Semeria  non  conviene  col 
Meiranesio,  il  quale  sostiene  che  i  primi 
cotninciameuti  della  fede  cattolica  ne'po- 
poli  taurini  devonsi  ripetere  dall'età  de' 
ss.  Ottavio,  Solutore  e  Aweii7:o  o  Av- 
ventore martiri,  ed  essersi  indi  bene  sta- 
bilita nel  324,  quando  già  Costantino  1  a- 
vea  promulgato  la  pace  alia  Chiesa. Pi  ima 
del  martirio  di  tali  campioni, che  secon- 
do alcuni  si  dicono  appartenuti  alla  legio- 
ne Tebea  (della  quale  riparlai  a  Svizzera 
e  Tebe  d'Egitto),  avvenuto  nel  Vallesenel 
286  o  nel  2C)7,  sembra  che  molte  illustri 
palme  abbia  raccolto  la  religione  nel  Pie- 
monte, come  s.  Dalmazzo  alle  rive  della 
Vei  meguana  ,  il  cui  apostolato  si  estese 
nella  provincia  di  Saluzzo  e  di  Cuneo,  in 
Torino,  in  Alba  e  altri  luoghi; s.  Mombot- 
to  fu  martirizzato  nella  Valle  di  Stura,  s. 
Magno  in  quella  di  Vraita,s.  Costanzo  in 
quella  di  Macia,  i  ss.  Antonino,  Marchi- 
sio, Giorio  o  Giorgio  in  quella  di  Susa,  s. 
Chiaifiedo  nell'adiacenze  di  Saluzzo,  e  as- 
sai più  altri  ancora  sono  venerati  in  di- 
verse parti  come  santi  propri  e  particola- 
ri, che  in  que'luoghi,  sebbene  in  tempi  dif- 
ferenti, hanno  versato  il  proprio  sangue. 
La  Chiesa  venera  per  martiri  torinesi  i  ss. 
Solutore,  Avventore  e  Ottavio,  che  attri- 
buiti alla  legione  Tebea,  il  p.  Semeria  di- 
chiara invece  nazionali,  nati  e  educati  sot- 
to il  cielo  subalpino  e  glorie  patrie,  non 
mai  appartenuti  alla  legione  orientale.  Il 
loro  mai  ti  rio  credesi  avvenuto  tra  la  por- 
ta d'Italia  e  la  Dosa,  da  dove  i  loro  cor- 
pi furono  trasportati  ove  ora  sorge  la  cit- 
tadella, nel  sito  in  cui  poi  si  fabbricò  chie- 
sa e  monastero  col  nome  di  s.  Solutore. 
Altri  con  poco  fondamento  riferiscono, che 
ferito  s.  Solutore  in  Torino,  potè  recar- 


TOR  i63 

si  ad  Ivrea,  e  ivi  decapitato,  per  la  pia  ve- 
dova Giuliana  fu  il  corpo  traslato  a  To- 
rino, operando  Dio  meraviglie.  Sul  luogo 
della  sepoltura  de' ss.  Martìri  torinesi,  i 
primitivi  fedeli  si  radunavano  per  l'ora- 
zione e  il  s.  Sagrifizioj  e  quel  sito  diven- 
tò un  oratorio  0  chiesetta,  ma  si  dubita 
se  eretta  da  s.  Giuliana  che  vuoisi  d'Ivrea 
o  di  Torino.  Tale  chiesetta  reputasi  ili.° 
luogo  sagro  in  cui  raduuavansi  i  fedeli, 
anche  in  tempo  degli  imperatori  gentili. 
Frattanto  Costantino  I,  guadagnata  pres- 
so Torino  una  grande  battaglia  contro  il 
competitore  Massenzio, e  questi  mortoan 
negalo  nell'altra  presso  Roma,  l'impera- 
tore divenuto  cristiano  accordò  il  libero 
esercizio  della  religione  di  Cristo.  Perciò 
nuove  chiese  si  fabbricarono  inTorino,  ove 
sulle  rovine  dell'idolatria  la  fede  fece  mi- 
rabili progressi.  E  certamente  assai  prima 
del4oouua  vasta  basilica  sorgeva  in  que- 
sta città,  essendosi  in  essa  radunali  a  con- 
cilio più  vescovi  e  sacerdoti  dalle  Gallie, 
oltre  agl'italiani.  Una  chiesa  nuova  si  e- 
resse  da'fondamenti  a'tempi  del  grau  ve- 
scovo s.  Massimo  1,  per  opera  de'loiinesi 
Maiano  e  Vitaliano,  contribuendovi  un 
ricchissimo  conte,  ed  il  s.  vescovo  ne  cele- 
brò la  solenne  dedicazione,  recitando  un 
sermone  al  popolo.  D'un'altra  chiesa  tro- 
vasi menzione  nell'opere  di  s.  Massimo  I 
nella  quale  egli  radunava  e  istruiva  i  neo- 
fiti alla  solenne  amministrazione  del  bat- 
tesimo, ed  in  cui  altre  funzioui  esercitava, 
proprie  del  ministero  episcopale, chiama- 
ta perciò  chiesa  del  battisterio  di  s.  Gio- 
vanni e  capo  del  vescovato  torinese,  ch'eb- 
be in  tempi  posteriori  diversa  forma  e  più 
insigne  ingrandimento  nel  divenire  catte- 
diale.  Vi  si  congiunsero  due  altri  sagri  e- 
difizi,  uno  in  onore  del  ss.  Salvatore,  l'ai 
tro  della  ss.  Vergine,  divisi  da  un  muro 
interiore,  ma  che  in  sostanza  non  forma- 
vano che  un  sol  tempio.  Nuovo  splendo- 
re si  accrebbe  alla  chiesa  de' ss.  Martiri  to- 
rinesi nel  49^»  Pei"  opera  del  vescovo  s. 
VittON  II,  il  quale  tal  chiesa  ampliò  d'un 
porticato,  oruaudola  d'eleguuti  lavori;  di 


i64  TOR 

più  credesi  aver  convertilo  al  culto  del 
vero  Dio,  sotto  l'invocazione  di  s.  Silve- 
stro I  Papa,  il  tempio  di  Diana,  la  quale 
in  Torino  grandemente  veneta  vasi;  chie- 
sa poi  ristorata  dalla  confraternita  dello 
Spirito  santo:  il  che  è  dubbio,  se  l'opera- 
lo piuttosto  si  attribuisce  a  s.  Vittore  I. 
L'epoca  precisa  dell'incominciamentodel 
vescovato  di  Torino  è  incerta,  solo  è  co- 
sa certissima,  che  sul  principiar  del  11  se- 
colo era  slata  predicata  e  mollo  d'illusa  la 
cristiana  religione  in  tutta  la  Gallia  Ci- 
salpina, di  cui  Torino  era  una  città  in- 
signe. Vi  è  probabilità,  che  anco  in  quel 
secolo  un  qualche  vescovo,  per  la  missio- 
ne deromani  Pontefici,  discepoli  de'ss.  A- 
postoli  e  successori  di  s.  Pietro,  abbia  ivi 
fissato  insegnamento  e  residenza.  Il  p.  Se- 
mena  nel  §  vi  del  lib.  i  discute*.  Chi  sia  sta- 
to ili. "vescovo,  se  s.  Vittore  o  s.  Massimo. 
L'Ughelli  nomina i.°vescovo  s.  Vittore  I 
del  3 1  o,  alla  cui  autorevole  opinione  uni- 
formansi  quasi  lutti  gli  scrittori  delle  cose 
subalpine,  inclusivamenteal  can. Patendo- 
ne Luigi Bima  già  encomiato,  distinguen- 
do ragionevolmente  due  santi  vescovi  di 
nome  Vittore,  e  due  di  quello  di  Massi- 
mo. Il  Tillemont  propende  molto  a  cre- 
dere che  un  sol  vescovo  di  nome  Vittore 
abbia  retto  la  chiesa  di  Torino  e  poste- 
riore a  s.  Massimo  I;  e  che  i  popoli  lau- 
rini sarebbero  stati  da  principio  compre- 
si nel  vescovato  di  Milano,  indi  in  quel- 
lo di  Vercelli,  e  finalmente  sul  cominciar 
del  secolo  V  avrebbero  avuto  ili. "vesco- 
vo nella  persona  del  grande s.  Massimo  I: 
questa  opinione  il  p.  Semeria  la  crede  più. 
verosimile.  In  comprova  ricorda  ,  che  s. 
Massimo  I  nelle  lodi  recitale  in  Torino  di 
s.  Eusebio  vescovo  di  Vercelli,  lo  chiama 
padre  e  pastore  die  rigenerò  con  l'evan- 
gelo  in  Cristo  i  torinesi,  inoltre  asserendo 
esser  eglino  debitori  a  lui  dello  splendore 
dell'  ordine  sacerdotale  ,  dell'  ortodossia 
della  fede,  della  purità  de'coslumi.  Altro 
valido  argomento,  che  i  popoli  taurini  ai 
tempi  di  s.  Eusebio  facessero  parte  di  sua 
diocesi,  dice  potersi  dedurre  dalla  lettera 


TOR 
pastorale,  che  il  santo  rilegato  in  Se  ilopn- 
li  per  l'ariana  persecuzione,scrissenel  356 
a'sacerdoli  e  altri  del  clero,  ed  a 'buoni  fe- 
deli di  sua  diocesi,  fia'quali  nominò  i  Te- 
stoncnsibus.  Nominando  la  pievania  di 
Testona,  della  città  poi  distrutta  e  sum- 
mcntovdta,  dice  venirne  in  conseguenza 
che  i  popoli  adiacenti  a  Torino  apparte- 
nevano alla  sua  sede,  né  aveauo  allora  il 
vescovo.  Si  legge  ne'Bollandisli,  non  aver 
essi  prima  di  s.  Massimo  1  veruna  certa 
memoria  d'alcun  altro  vescovo  torinese. 
11  vescovo  di  Torino,  come  altrove,  era  e- 
letlodal  suo  clero,  secondo  la  più  antica  e 
usata  disciplina  della  Chiesa;  e  ne'  tempi 
posteriori  radunavasi  nella  canonica,  nel 
chiostro  detto  Claustrum  Paradisi,  do- 
ve si  tenevano  l'adunanze  capitolari.  Le 
case  del  vescovo  e  de'canonici  trovatami 
ove  oggidì  sono  i  due  palazzi  reali,  vecchio 
e  nuovo,  e  precisamente  quella  del  vesco- 
vo occupava  il  sito  dell'odierna  galleria  di 
Beaumont,ed  attigua  sorgeva  la  cattedra- 
le. Gli  elettori  procedevano  per  segreto 
scrutinio,  e  in  casi  di  dispareri  per  com- 
promesso. Dopo  la  metà  del  secolo  XI  in- 
terveniva alle  radunanze  degli  elettori  il 
preposto  d'Oulx,  il  quale  era  sempre  re- 
putato per  uno  del  capitolo  torinese;  e  nei 
tempi  posteriori  soleva  intervenirvi  il  pre- 
posto di  Testona,  e  quello  di  s.  Antonio 
d'Inverso.  Questa  forma  d'eleggere  i  ve- 
scovi cessò  in  quasi  tutte  le  cattedrali  per 
opera  principalmente  di  Giovanni  XXil; 
equanto  a  Torino,  molto  solevano  influi- 
re nell'elezioni  episcopali  i  dominatori  del 
Piemonte,  come  i  duchi  di  Torino  o  re 
de'longobardi,  poi  gl'imperatori  Carolin- 
gi, e  quindi  gli  altri  che  solevano  essere 
'incile  re  d'Italia,  e  finalmente  la  real  ca- 
sa di  Savoia  per  privilegi  accordati  da'Pa- 
pi,al  modo  narrato  a  Savoia  e  Sardegna 
regno,  di  nomina  e  presentazione  alla  s. 
Sede.  Il  vescovato  di  Torino  divenne  suf- 
fraganeo  della  metropolitana  di  Milano, 
come  tutte  le  altre  sedi  vescovili  del  Pie- 
monte e  della  Liguria.  Una  vastissima  e- 
stensione  uvea  ne'primi  secoli  la  diocosi 


TOR 

di  Torino,  e  prima  del  i  5 1  i  comprende- 
va pure  grandissima  parte  delle  diocesi  di 
Saluzzo,Fossano,  Pinerolo,  Susa  e  Cuneo; 
giacché  comprendeva  quella  parte  della 
Liguria  e  della  Gallia  Cisalpina,  che  dal- 
l'Alpi Marittime, ossia  dal  colledi  Tenda, 
stendevasi  fino  all'Orco,  e  dall'Alpi  Cozie 
per  tutta  la  pianura  ch'è  bagnata  dal  Po 
sino  sotto  al  Tanaro,  là  ove  uon  luugi  da 
Cherasco  la  Stura  col  Tanaro  si  congiun- 
ge. Diverse  parti  dunque  che  costituiva- 
no la  diocesi  furono  distaccate  per  formar- 
ne dell'altre,  e  pel  i.°nel  600  circa  fu  se- 
parato il  territorio  di  s.  Giovanni  di  Mo- 
riana  e  assegnato  il  proprio  vescovo,  per 
opera  di  Gontrano  redi  Borgogna,  che 
per  gelosia  di  stato  non  volle  che  i  suoi 
sudditi  di  Moriaoaedelle  vallidiSusa  ub- 
bidissero al  vescovo  torinese  ,  per  essere 
questo  nel  territorio  de're  longobardi.  Di 
quest'antica  canonica  dismembrazione  vi- 
vamente si  dolse  il  vescovo  Ursicino  eoa 
s.  Gregorio  I,  ma  indarno,  poiché  malgra- 
do l'intervento  del  Papa,  sussistè  il  vesco- 
vato e  poi  fu  approvato  dalla  s.  Sede.  Co- 
sì successivamente  avvenne  nell'istiluzio- 
ue  dell'altre  nominate  5  sedi,  perdendo 
la  diocesi  di  Torino  oltre  200  parrocchie, 
essendo  circa  i5o  quelle  che  tuttora  costi- 
tuiscono l'arcidiocesi,  dicendola  proposi- 
zione concistoriale,  valile  ampia  estdioe- 
eesis,  et  100  sub  se  loca complec ti Vur.Nel 
voi.  XLVI,  p.  84,  nel  notare  alcuni  mo- 
nasteri 0  abbazie  nullius  dioecesis  degli 
stati  sardi,  vi  nominai  anche  alcuni  del- 
l'arcidiocesi  di  Torino;  altre  abbazie  ri- 
cordai negli  articoli  Savoia,  Sardegna  re- 
gno, Susa,Saluzzo,  ec.jcioè  di  quelle  an- 
tiche abbazie  di  monaci  dell'  arcidiocesi 
di  Torino,  di  cui  col  p.  Semeria  vado  a 
darne  un  breve  cenno,  avendo  egli  giu- 
stamente profittato  de' rammentati  Mo- 
numenta historiae  patriae,  raccolti  dal- 
la regia  deputazione  sopra  gli  sludi  del- 
la medesima,  e  pubblicali  sotto  la  prote- 
zione e  gli  ordini  di  Carlo  Alberto,  la  cui 
continuazione  si  sospira  dalla  repubblica 
letteraria.  Questa  però  ora  si  rallegra,  a- 


TOR  i6ì 

vendo  letto  nella  Cronaca  ài  Milano,  del 
cav.  Ignazio  Cantò,  An.  2.0,  p.  5i,  di- 
spensa de'  3o  gennaio  18  56,  che  un  al- 
tro volume  de'  Monumenta,  edito  dalla 
piemontese  deputazione  di  storia  patria, 
gittava  nell'aia  dell'erudizione  un'ab- 
bondante messe  di  notizie  intorno  al  Me- 
dio-Evo. 11  Della  Chiesa  nella  Serie  cro- 
nologica de  vescovi  e  degli  abbati  del 
Piemonte,  ne  fece  troppo  compendiosa 
narrazione.  Le  monastiche  abbazie  eret- 
te nella  diocesi  di  Torino  nel  medio  evo, 
fiorirono  per  lungo  tempo  per  numerosi 
cenobiti,  e  insigni  non  meno  per  dottri- 
na che  per  santità,  senza  lo  studio  de'qua- 
li  saremmo  ignari  di  storia  patria,  come 
dichiarò  il  celebre  ÌN'apione  nell'  Elogio 
de' cronisti  piemontesi  e  de' piemontesi  il- 
lustri. L'abbazia  di  s.  Costanzo  del  lll- 
laro  presso  a  Saluzzo,  fu  cosi  detta  per 
credersi  ivi  avere  il  santo  insieme  eoo  s. 
Vittore  sofferto  il  martirio  circa  il  zqj. 
Il  corpo  di  s.  Costanzo  fu  trovato  nella 
chiesa  abbaziale  nel  i58o.  L'abbazia  fa 
fondata  nel  7  1  2  da  Ariperto  II  re  de'lon- 
gobardi,  ed  i  primi  cenobiti  furono  trat- 
ti da  quella  celebre  di  Bobbio,  eretta  da 
S.Colombano  nel  secolo  precedente.  Riu- 
scì assai  insigne  per  religiosa  osservanza 
di  molli  monaci,  e  pel  concorso  dedivo- 
ti  pellegrini  che  per  lungo  tempo  frequen- 
tarono il  luogo  del  martirio  de'due  san- 
ti. Soggiacque  1'  abbazia  al  saccheggio  e 
allo  sterminio  sul  principio  del  secolo  X, 
nell'  invasione  del  Piemonte  operata  dai 
saraceni;  ma  la  piissima  Adelaide  susci- 
tata da  Dio  a  erigere  e  ampliare  tutte  le 
case  religiose,  iutraprese  purea  ristorare 
sin  quasi  dalle  fondamenta  questa  del  Vii- 
laro,  dotandola  meglio  che  per  l'inuanzi. 
I  marchesi  di  Saluzzo  e  di  Busca  l'ac- 
crebbero di  copiose  rendite,  sicché  parve 
gareggiare  colle  più.  illustri  d'Italia.  I  Pa- 
pi l'arricchirono  di  particolari  esenzioni 
e  privilegi,  massime  neh  782  Pio  VI, laon- 
de nella  line  del  secolo  passato  sebbene 
non  fosse  che  una  commenda  priva  di 
monaci,  conservava  la  giurisdizione  «pia- 


t*>6  T  O  R 

si  episcopale  in  Viilaro  e  altre  terre  del 
marchesato  di  Saluzzo.  Gli  abbati  trovati, 
si  compiutamente  registrati  nel  Synodus 
dioecesana  habila  sub  abate  Francisco 
A ' aloni o  Rambaudoan.  i  782.Aug.Taur. 
11  p.  Semeria  riporta  pure  le  notizie  dei 
più  celebri  e  benemeriti  abbati  commen- 
datari cominciati  nel  principio  del  secolo 
XV.  Il  monastero  di  Pagao,  poco  più. di 
due  miglia  da  Saluzzo  nella  valledi  fron- 
da, fu  fondato  da  Astolfo  re  de'longobar- 
di  del  749)  ed  era  grandioso  e  ricchissi- 
mo cjuando  l'imperatore  Lotario  1  lo  die 
a'monaci  della  No  valesa,  perchè  colle  ren- 
dite del  medesimo  potessero  più  facilmen- 
te mantener  l'ospizo  eretto  sul  Moneeni- 
sio,  a  utilità  de'viaggiatori  e  de'pellegri- 
ni,  e  di  cui  riparlai  a  Svizzera.  Riunita 
l'abbazia  della  Novalesa  a  quella  di  Bre- 
rne,  lo  fu  pure  il  monastero  di  Pagno  e 
ne  formò  un  corpo  solo.  Un  tempo  i  mo- 
naci erano  signori  del  luogo,  cessando  af- 
fatto il  priorato  nei  secolodecorso  col  riu- 
nirsi i  beni  alla  mensa  vescovile  di  Saluz- 
zo. L'abbazia  di  Pedona  o  del  borgo  di 
s.  Dalmazio  viene  attribuita  alla  moglie 
di  Gondegesillo  red'una  3."  parie  di  Bor- 
gogna, o  meglio  a'Iongobardi.  La  regina 
Teodolinda  mossa  da'miracoliche  opera- 
vansialla  tomba  del  santo,  in  una  cappella 
alle  rive  della  Varmegnana,non  senza  for- 
te opposizione  de'saluzzesi,  fece  trasporta- 
re le  di  lui  reliquie  in  luogo  più  decoroso  e 
popolato  in  Pedona,  ove  col  mari toAgilol- 
fo  duca  di  Torino  eressero  in  venerazio- 
ne del  santo  martire  un  monastero  con 
monaci  venuti  da  Bobbio  nel  61 5,  dotan- 
dolo di  moltissime  rendite;  altre  vastissi- 
me possessioni  vi  aggiunse  l'imperatore 
Lodovico  I  il  Pio.  La  fioritissima  abba- 
zia di  Pedona  fu  orribilmente  devastata 
da'saraceninel  906,  che  trucidarono  mol- 
ti monaci.  Tornati  i  superstiti,  riparò  poi 
l'orrendo  scempio  la  magnanima  Adelai- 
de marchesana  o  contessa  di  Susa.  Per 
opera  sua,  e  col  consenso  delle  sue  nuora 
e  nipote,  fu  separata  l'abbazia  di  Pedo- 
na dalla  diocesi  di  Torino,  e  assegnata  a 


T  O  R 

quella  d'Asti  nel  1089,  ilche  più  tardi  ap- 
provò Innocenzo  IV.  In  seguito  fu  data 
alla  sede  di  Mondo  vi,  e  parte  n'ebbe  quel- 
la di  Cuneo.  Dell'abbazia  della  Novale- 
sa, per  non  dilungarmi  troppo,  sembra- 
mi  bastare,  oltre  quanto  vailo  dicendo, 
il  riferito  a  Susa,  perchè  fondata  5  miglia 
distante,  ove  dopo  Bobbio  lo  ditti  il  2.0 
monastero  del  Piemonte;  solo  aggiunge- 
rò: che  dopo  il  fondatore  Abbone  gover- 
natore di  Susa  e  di  Moriana,  alle  vastis- 
sime possessioni  da  lui  assegnate,  altre  do- 
nazioni fecero  i  re  di  Francia,  gl'impera- 
tori e  la  celebre  Adelaide,  altri  impera- 
tori concedendole  immunità  e  privilegi 
grandissimijCome  CarloMagno  che  vi  sog- 
giornò più  giorni,  e  il  suo  figlio  Lodovico 
I  che  die  in  cura  a'monaci  benedettini  il 
ricordato  benefico  ospizio  da  lui  fondato 
sul  Moncenisio,  per  ricovero  de'viaggia- 
tori e  maMime  i  pellegrini  ebe  andavano 
a  Roma  ad  Limitici '  Apostol ornai.  Il  mo- 
nastero fu  un  seminario  di  monaci  per 
santità  e  dottrina  celebratissimi,  e  d'or- 
dinario venivano  scelti  a  governare  lese- 
di  vescovili  e  ad  essere  occupati  ne'  più 
difficili  affari  della  Chiesa.  Dòpo  la  cata- 
strofe de'saraeeni,  non  fu  che  un  priora- 
to dipendente  dall'abbazia  di  Brente,  si- 
tuato nella  Lomellina  vicino  all'  imboc- 
catura della  Sesia  nel  Po.  Egualmente  a 
Susa  parlai  dell'abbazia  di  s.  Michele  del- 
la Chiusa,  superiormente  rammentata, 
comechè  situata  in  mezzo  alla  sua  valle 
alla  destra  del  Dora,  alla  cui  costruzione 
contribuì  Giovanni  1  3. "già  arcivescovo  di 
Raveuna ;  sede  die  avea  rinunziata  per 
menare  vita  eremitica  sul  vicino  monte 
Caprasio,  in  che  non  conviene  Muratori, 
Rerum  Italicarum  script,  t.  1,  par.  2, 
p.  564-  Qui  dirò  di  più,  ebe  Gezzoue  ve- 
scovo di  Torino  nel  1007  ne  fu  uno  dui 
primi  benefattori,  vivente  ili. °  sauto  ab- 
bate Arveo  o  Avverto  benedettino.  La  fi- 
ina  delle  virtù  de'monaci, che  viveano  più 
da  angeli  che  da  uomini,  tosto  si  diffuse 
in  Italia,  in  Francia  e  altrove,  singolar- 
mente per  la  mirabile  ospitalità  che  eser- 


T  O  R 

citavano,  vantando  tra  gli  ospiti  s.  Ansel- 
mo arcivescovo  di  Cantorbery,  e  il  cele- 
heiiimo  cardinal  Ildebrando  pois.  Gre- 
gorio VII.  Quindi  principi  e  Papi  ricol- 
marono il  monastero  di  possessioni  e  pri- 
vilegi, possedendo  i5o  cinese  in  diverse 
regioni,  e  solo  dipendenti  dalla  s.  Sede. 
Ria  rilassala  l'osservanza,  riuscirono  inu- 
tili le  provvidenze  di  Gregorio  X,  e  il  rigo- 
re ili  Nicolò  III  e  di  Bonifacio  Vili.  Dio 
però  neh  3  io  suscitò  il  monaco  Gugliel- 
mo di  santa  vita  e  figlio  di  Tommaso  di 
.Savoia,  per  fare  rifiorire  nel  monastero 
ogni  virtù,  che  celebrò  Tal).  Gustavo  dei 
conti  Avogadrodi  Valdengo,  Storia  del- 
l'abadia  della  Chiusa, Novara  1 83y.Per 
somma  sventura  decaddedi  nuovo  la  mo- 
nastica disciplina  dopo  il  i  365,  onde  il 
vescovo  di  Torino  neh  375  interdisse  il 
triste  abbate  Pietro,  e  la  s.  .Sede  lo  sco- 
municò; indi  il  conte  Amedeo  VI  otten- 
ne da  Papa  libano  VI  neh  38  i,  la  con- 
versione della  badia  in  commenda.  De- 
cadendo vieppiù  i  monaci  nella  discipli- 
na, Gregorio  XV  nel 1 622  soppressa  in- 
teramente questa  già  sì  florida  abbazia; 
una  porzione  delie  rendite  fu  impiegata 
idi 'erezione della  coHegiatadi  Giavelo,  al 
tra  venne  conservata  in  commenda  col- 
I'. mtiea  giurisdizione  episcopalesullechie- 
se  rimaste  sottoposte  all'abbazia.  1  suc- 
cessivi abbati  commendatari  fecero  del 
bene,  e  celebrarono  sinodi  per  la  rifórma 
ilei  clero,  e  lo  furono  il  cardinal  Caval- 
linlli ch'ebbe  V Esclusiva  al  pontificato, 
e  il  sommo  cardinal  Gerdil,  che  soggiac- 
que a  natile  vicenda  e  poi  ne  abitò  il  *«• 
miliario  nel  1  798,  indi  dopo  la  sua  morte 
la  giurisdizione  dell' abbazia  tornò  alla 
chiesa  di  Torino.  Nel  1817  Pio  VII  la 
ripristino,  meno  la  giurisdizione  episco- 
pale, e  Gregorio  XVI  nel  1 836  approvò 
l'assegnazione  che  ne  fece  re  Carlo  Alber- 
to all'istituto  della  Carila  dell'ai).  Rosmi- 
ni, come  tlissi,  insieme  alie  spoglie  mor- 
tali di  molti  reali  principi  eli  Savoia  tras- 
portatevi da 'tot  terranei  della  metropoli- 
tana di  Torino.  L'abbazia  di  s   Giusto  in 


TOR  167 

Susa  originò  da  quel  martire,  uno  de'po 
che  da  alcuni  si  credono  uccisi  nell'incur 
sione  de'ba i-bari  longobardi  dopo  la  me 
tà  del  VI  secolo  pressoOnlx,sull'Alpi  Co- 
zie  che  dividono  il  Piemonte  e  l'Italia  dal- 
la Francia, onde  per  tale  strage  dicesi  che 
la  chiesa  di  s.  Lorenzo  primaria  d'Oulx 
acquistò  l'illustre  nome  di  plebs  Marty- 
runifh  quale  vicenda  con  più  di  ragione  si 
assegna  a'saraceui  nel  secolo  X.  Traslate  a 
Susa  nel  1027  le  ossa  di  «.Giusto,  il  mar- 
chese Magnifredo  o  Manfredo  II  colla  mo- 
glie Berta  e  il  fratello  Olrico  d'Asti  eres- 
sero nel  1 029  una  basilica  e  vi  riposero  la 
più  nobil  parte  di  sue  reliquie,  affidando- 
ne la  custodia  ad  una  congregazione  di 
benedettini,  dedicandola  a  Gesù  Cristo, 
alla  ss.  Trinità, alla  B.  Vergine,  a  s.  Giu- 
sto e  altri  santi.  Pretese  Glabro  che  le  re- 
liquie fossero  supposte,  e  venne  confuta- 
to dal  can.  Sacchetti,  Memorie  della  chie- 
sa di  Susa, Torino l  788.  Alla  detta  con- 
gregazione da  loro  eretta  assegnarono  ren- 
dile con  concederle  la  3/  parte  di  Susa  e 
del  suo  territorio  e  valle,  tranne  il  ca- 
stello, non  che  molti  altri  luoghi  e  il  mo- 
naslerodi  s. Mauro  diPulcherada,  e  la  3." 
parte  delle  decime  di  Susa  e  sua  valle  ; 
tulle  (erre  e  castella,  e  immense  rendite 
che  potevano  formare  un  principato,  a- 
vendo  ottenuto  dalla  s  Sede  1'  esenzione 
daila  dipendenza  di  qualsivoglia  persona, 
solo  riserbaudo  a'Ioro  discendenti  la  no- 
mina dell'abbate,  terminati  i  quali  l'ele- 
zione spettasse  a'monaci.  Per  la  moltitu- 
dine di  questi  celebra vansi  le  divine  lodi 
giorno  e  notte,  e  grande  era  la  loro  edifi- 
cazione. Scemata  la  floridezza  e  perdute 
le  rendite,  neh  58 1  Gregorio  XI II  trasfe- 
rì i  superstiti  benedettini  a  s.  Michele  del- 
la Chiusa,  e  loro  sostituì  i  canonici  rego- 
lari Lateranensi.  Divenuta  commenda  e 
godendola  il  cai  dina  I  delle  Lanze,  Bene- 
dillo XIV  soppresse  l'abbazia  nel  1748 
e  la  ridusse  a  collegiata  di  preti  secolari, 
poi  elevata  a  cattedrale  vescovile  di  Su- 
sa.L'abbazia  della  Pulcheradaos.  Mau- 
ro, siluata  a  3  miglia  da  Torino  nel  vii- 


168  TOR 

laggio  di  s.  Mauro,  sotto  la  prolezione  del 
fjuale  la  fondarono  i  benedettini,  fu  sac- 
cheggiata e  distrutta  da'saraceni  nel  prin- 
cipio del  secolo  X.  Disperando  i  monaci 
di  rifabbricare  il  monasteroj'olfrirono  a' 
canonici  della  cattedrale  di  Torino,  ed  e- 
glino  sul  finir  del  secolo  XI  lo  rifiutaro- 
no. I  marchesi  di  Monferrato  e  quelli  di 
Susa  contribuirono  largamente  alla  sua 
restaurazione,  e  fu  soggettato  al  preceden- 
te monastero  di  s.  Giusto.  Tutta  volta  con- 
tinuarono sino  al  i6o3  i  benedettini  al 
possesso  del  proprio  monastero,  ricono- 
scendo il  pastore  di  Torino  con  annuo  tri- 
buto; quale  poi  venendo  ricusalo,  l'abba- 
zia fu  devoluta  agli  abbati  del  clero  seco- 
lare per  disposizione  della  s.  Sede,  eserci- 
tandovi ginrisdizioneepiscopale.Nel  i  800, 
anno  sterminatore  de'beni  e  degli  ordini 
ecclesiaslicijil  governo  provvisorio  ne  ven- 
dè i  beni  abbaziali,  meno  una  quota  ot- 
tenuta dagli  abitanti  pel  mantenimento 
della  chiesa  e  del  parroco,  e  per  le  spese 
della  comune; indi  PioVIl  neli8o3  sop- 
presse l'abbazia  interamente.  L'abbazia 
di  s.  Pietro  di  Snvigliano benedettina  si 
deve  alla  religiosa  pietà  de'coniugi  Abel- 
lono  e  Amaltruda  Sbrinatori  nel  1028, 
ed  i  primi  monaci  vennero  da  quella  della 
Chiusa.  Celestino  III  nel  1 1 9 1  prese  il 
monastero  sotto  la  protezione  della  s.  Se- 
de, come  avea  fatto  Lucio  111,  per  difen- 
derlo da'pregiudiziche  ricevea  dall'abba- 
zia della  Chiusa;  contese  che  terminaro- 
no nel  1  2  1 9.  Finalmente  nel  1 476  la  ba- 
dia fu  aggregata  a  quella  di  Monte  Cas- 
sino, seguendo  la  riforma  di  s.  Giustina 
di  Padova.  Il  priorato  di  s.  Andrea  posto 
in  Savigliano,  e  uno  de'più  floridi  della 
badia,  è  l'odierna  chiesa  abbaziale,  colle- 
giata e  parrocchia  della  città.  L'abbazia 
òe'òs.  Solutore,  Avventore  e  Ottavio  in 
Torino,  originò  dal  suddetto  oratorio,  o- 
ve  trovasi  la  cittadella,  poi  ampliato  eb- 
be il  nome  di  basilica,  che  la  pietà  ih'i'e- 
deli  andò  restaurando,  finché  divenuta 
(piasi  distrutta,  nel  1004  il  vescovo  Gez- 
zoue  iu  ouore  de'  ss.  Martiri  torinesi  se- 


T  ()  R 
nerosamente  la  rialzò  da'fondamenti,  fé' 
ce  costruire  contiguo  un  monastero  ac- 
ciò si  onorasse  Dio  e  i  santi  suoi  con  cul- 
to regolare  e  continuo,  a  mezzodì  ceno- 
bitiedi  eremiti  in  separate celle,sotto  un 
medesimo  archimandrita  governati;  re- 
ligiosi che  chiamò  dal  monte  Caprio,  se- 
guaci delle  norme  e  degli  esempi  del  già 
nominato  Giovanni,  assegnando  rendite 
pel  loro  mantenimento.  Il  vescovo  Olii- 
co,  Manfredo  11  e  Berta  sua  moglie,  ar 
ricchirono  il  monastero  di  vaste  possessio- 
ni, e  d'innumerevoli  privilegi  neho3  1; 
anche  Adelaide  loro  figlia  fece  molte  do- 
nazioni, imitata  da  diversi  vescovi  che  lo 
riguardarono  sempre  con  particolare  a- 
moievolezza.  Concessioni  tutte  e  privile- 
gi, che  confermò  Eugenio  III  neh  147  iu 
Susa;  né  mancarono  i  conti  di  Savoia  di 
colmare  di  beni  e  di  grazie  i  monaci.  Ma 
degenerati  essi  dalle  primitive  virtù,  e 
mostrandosi  indipendenti  dal  vescovo  di 
Torino,  il  vescovo  Giacomo  I  ne  intra- 
prese la  riforma,  sottoponendo  il  mona- 
stero al  governo  dell'abbate  di  s.  Miche- 
le della  Chiusa,  salva  la  fedeltà  e  ubbi- 
dienza a'vescovi  di  Torino  suoi  successo- 
ri, con  altre  convenzioni  imposte  cogli 
statuti  del  1210,  d'accordo  col  capitolo 
cattedrale.  Mormorando  i  monaci  la  nuo- 
va soggezione,  nel  1224  il  vescovo  con- 
discese che  potessero  eleggersi  un  abbate 
proprio  tratto  dalla  loro  famiglia,  restan- 
do ferme  l'altre  ordinazioni.  Nel  i  536  im- 
padronitosi di  Torino  Francesco  I  re  di 
Francia,  volendo  fortificarla,  fece  demo- 
lire tutti  i sobborghi  e  i  sagri  templi  situa- 
ti fuori  le  mura  della  città.  A  questa  di- 
struzione soggiacendo  il  monastero  e  la 
basilica  de'ss.  Martiri,  furono  tolte  le  lo- 
ro reliquie  e  trasferite  in  una  cella  del  mo- 
nastero di  s.  Andrea,  finché  si  fabbricasse 
altra  chiesa.  Questa  fu  innalzata  nel  cor- 
so dello  stesso  secolo  e  venne  assegnata  ai 
gesuiti,  colla  miglior  parte  delle  rendite 
dell'antica  abbazia.  L'abbazia  di  s.  Gia- 
co/no di  Stura  a  2  miglia  da  Torino  e  u- 
scendo  dalla  porta  d' Italia,  fu  eretta  d<. 


T  OR 

Pietro  Podisio  illustre  giureconsulto  nel 
i  146,  per  l'illibate  di  Vallombrosa,  con 
rendite  anche  per  edificarvi  uno  spedale 
pe'lebbrosi,  giacché  molti  di  que'secoli  e- 
rano  infetti  ili  tal  morbo,  non  che  per  soc- 
correre i  pellegrini  aiutandoli  a  traversa- 
re la  Sima  sopra  una  barca.  Contribui- 
rono a  tanl'opera  benefica  i  vescovi  di  To- 
rino, i  marchesi  di  Monferrato  e  i  princi- 
pi di  Savoia.  A  cagione  dell'atroci  e  fre- 
quenti gliene  che  ai  devano  Ira'detli  si- 
gnori, sul  principio  del  secolo  XIV  cadde 
interamente  rovinata, iodi  fu  data  in  com- 
menda ad  Aimone  vescovo  di  Torino,  e 
Martino  V  nel  1420  l'incorporò  alla  men- 
sa vescovile,  il  che  confermò  Pio  II  coll'e- 
slinzione  della  dignità  ahbaziale,  e  l'unio- 
ne delle  chiese  dipendenti.  L'abbazia  i\\Ri- 
volta  fu  eretta  nel  borgo  lungi  5  miglia 
da  Torino  nel  1  i3o,  e  in  origine  era  un 
collegio  pecanonici  regolari,  a  onore  dei 
s*.  Pietro  e  Andrea,  quindi  beneficato  con 
poderi  e  privilegi  da'eonti  di  Savoia,  dai 
marchesi  di  Monferrato,  e  da' vescovi  tori- 
nesi, tutto  approvando  gl'imperatori  En- 
rico V  1  e  Ottone  IV,  Insorta  vertenza  per 
la  chiesa  di  s.  Vittore  di  Rivalla,  tra  l'ab- 
bazia di  s.  Giusto  e  i  canonici,  in  favore 
di  questi  fu  sentenziato.  Inutilmente  Inno- 
cenzo IV  avendo  vietato  a'eanonici  le  a- 
lienazioni,e  l'osservanza  religiosa  sceman- 
dosi, Alessandro  IV  soppresse  il  collegio, 
e  assegnò  la  chiesa  e  le  rendite  a'monaci 
cislei  densi,  che  formatavi  un'  abbazia  vi 
rimasero  sino  a'nostri  giorni.  L'abbazia  di 
s.  Maria  di  Cavorre  o  Cavour,  fu  eretta 
nel  1037  con  molti  beni  dal  vescovo  di  To- 
rino Landolfo, aumentandone  l'entrale  la 
contessa  Adelaide  neh  044,  e  più  ancora 
il  vescovo  Cuniberto  nel  1 07^,  essendone 
pure  stati  benefici  i  successori  Vitellini  e 
Milone.  Divenuta  commenda,  anche  car- 
dinalizia, Pio  Villa  soppresse  neliSoo  in 
tempo  del  governo  francese;  ma  ritorna- 
to sul  trono  Vittorio  Emanuele  1,  il  Papa 
la  ristabilì  nel  1817,  però  spogliata  della 
massima  parte  di  sue  rendite.  L'abbazia 
di  s.  Maria  di  Pi  aeralo  la  fondò  nel  1 06  \ 


TOR  169 

Adelaide  a  vantaggio  dell'anima  sua  e  dei 
suoi  più  stretti  parenti, con  molte  rendite, 
e  Pallido  b' benedettini,  con  approvazione 
di  s.  Gregorio  V7 1 1  e  regolamenti;  confer- 
mandola pure  Urbano  II  con  l'aggiunta 
di  privilegi  nel  1095,  dichiarandola  sog- 
getta alla  s.  Sede  Calisto  II  nel  1  1  2 3.  Il 
contedi  Savoia  Umberto  II  ne  accrebbe 
le  donazioni.  In  seguito  fu  data  a'eister- 
ciensi  riformati,  i  quali  nel  1622  vi  tenne- 
ro capitolo  genera  le,  presieduto  da  s.  Fran- 
cesco di  Sales  per  Gregorio  XV.  A  ripa- 
rare la  sua  rovina,  a  motivo  delle  vicen- 
de politiche,  nel  i83t  Carlo  Alberto  l'as- 
segnò alle  religiose  del  Sagro  Cuore  per 
l'educazione  delle  fanciulle.  L'abbazia  e 
congregazione  de'canonici  regolari  di  s.  A- 
gostinodi  Ohio  o  Oulx,  appai  tenente  di- 
rettamente al  vescovo  e  capitolo  di  Tori- 
no, fu  fondata  nella  chiesa  di  s.  Lorenzo 
arcidiacono  della  la  Plebe  de' Martiri  (o 
pe' molti  cristiani  ivi  uccisi  in  odio  della 
religione,  o  perchè  ne'primi  secoli  vi  si  ado- 
ra va  Marte),  verso  la  metà  del  secolo  XI  tra 
il  monte  diGinevra  e  Susa,o\e  ne  trattai, 
rilevando  i  Papi  che  vi  furono  alloggiati. 
Laonde  qui  solo  dirò, che  il  suo  preposto, 
come  narrai  di  sopra,  era  di  diritto  cano- 
nico di  Torino  e  occupava  il  3. "posto  d'o- 
nore, per  concessione  del  vescovo  Cuni- 
berto e  del  suo  capitolo.  Istituirono  la  con- 
gregazione Geraldo  poi  neh  06  i  vescovo 
di  Sisteron,  e  i  suoi  compagni  Oldorico  e 
Nantelmo,  pe'chierici  che  si  volessero  se- 
gregare dal  secolo;  quindi  approvata  dal 
vescovo  Cuniberto  con  diverse  concessio- 
ni di  rendite  e  di  chiese,  e  confermata  da 
s.  Gregorio  VII  con  gran  piacere,  come 
tempo  nel  quale  l'incontinenza  eia  simo- 
nia del  clero  teneva  in  trambusto  la  Chie- 
sa. Fu  arricchita  di  privilegi  da'Papi  Ur- 
bano II,  Pasquale  11,  Calisto  II,  Eugenio 
III,  Adriano IV, Alessandro  III,  Lucio  III 
e  Celestino  III, dichiarandola  esente  e  sot- 
to il  patrocinio  della  s.  Sede.  L'esempla- 
rità de'  canonici  fece  presto  divenire  la 
congregazione  madre  e  fondatrice  di  mol- 
ta colonie  iu  Francia  e  in  Italia,  ove  prò- 


i7o  T  O  R 

pagarono  il  culto  di  Dio  e  il  buon  esempio 
de'  fedeli.  Non  essendo  abbastanza  am- 
pia 1' antica  chiesa  di  s.  Lorenzo,  fu  ne- 
cessario di  fabbricarla  più  vasta,  e  se  ne 
fece  la  solenne  dedicazione  nel  107.3,  col- 
1'  intervento  di  molti  vescovi,  prelati  e 
principiatile  la  contessa  Adelaide  co'suoi 
due  figli  Amedeo  e  Pietro,  la  quale  fece 
poi  diverse  donazioni  all'istituto. Losplen- 
dorede'canonici  d'Oulx  cominciò  a  oscu- 
rarsi verso  il  principio  del  secolo  XI V,  e 
già  nel  1  35o  erasi  data  l'abbazia  in  com- 
menda a'sacerdoti  secolari:  possedeva  al- 
lora 28  priorati,  molti  in  Italia  e  in  Fran- 
cia, uno  presso  Savona.  Il  suo  termine  fu 
glorioso,  essendosi  eretta  nel  1  748  da  Be- 
nedetto XIV,  colle  superstiti  rendite,  in 
collegiata  di  canonici  secolari,  e  formata 
la  mensa  del  vescovo  di  Pinerolo,  il  cui 
vescovo  per  concessione  pontificia  s'inti- 
tola preposto  d'Oulx.  Quando  Pio  VI  fu 
depoi  tatoda'francesi  aValenza  nel  1  799, 
passando  per  l'abbazia  della  Chiusa  non 
potè  consolarsi  di  vedere  il  cardinal  Ger- 
dil,  ed  a'27  aprile  arrivò  ad  Oulx  dove 
la  neve  lo  costrinse  a  fermarsi  alle  falde 
di  quelle  spaventose  montagne.  Abbiamo, 
l  Iciensh  Eeclesiae  Cliartariuni  ani- 
mòdversionibus  illustratimi,  Aug.  Tau- 
rin.  1  753.  L'abbazia  di  8,  Maria  di  Sta  f- 
farda  con  l'insigne  monastero  fu  fonda- 
ta a  istanza  di  s.  Bernardo  nel  territorio 
di  Revello,  marchesato  di  Saluzzo,  in  ri- 
va alPo  e  dentro  la  spaziosissima  selva 
del  suo  nome,  nel  1  1  35  per  quanto  notai 
i\  Saluzzo,  per  opera  di  Manfredo  I  mar- 
chese del  Vasto  e  di  Saluzzo,  e  di  sua  ma- 
dre Alice;  indi  nel  1 1 4-4  ricevuta  da  Ce- 
lestino II  sotto  la  tutela  di  s.  Pietro.  Mol- 
te  e  grandiose  possessioni  ottenne  da  Man- 
fredo I  e  moltissime  altre  ne  acquistò  poi, 
ottenendo  dall'imperatore  Federico  1  am- 
pio indulto,  che  riporta  Muletti  nella  ó7o- 
ria  di  Saluzzo,  Altri  e  replicate  donazio- 
ni ricevè  da'marchesi  di  Saluzzo  e  da  que' 
di  Busca,  da'principi  di  Piemonte,  e  da' 
conti  di  Savoia  Pietro,  Amedeo  IV,  Fi- 
lippo d'Acaia  e  altri,  insieme  a  larghe  e- 


TOR 

senzioni.  La  chiesa  e  il  monastero  tenu- 
to da'eisterciensi  fogliarli),  superarono  in 
magnificenza  le  chiese  e  abbazie  circon- 
vicine: nella  chiesa  furono  sepolti  alcuni 
marchesi  di  Saluzzo.  L'abbazia  di  s. Ma- 
ria di  Casanova  fu  fondata  da  Manfre- 
do I  marchese  di  Saluzzo  nel  1  1  3o,  con 
sufficienti  rendite,  privilegi  ed  esenzioni, 
confermati  dal  figlio  Manfredo  1 1  e  da'suc- 
cessori.Fu  eretta  nella  piccola  chiesa  di  s. 
Maria  della  Molta  nei  confini  del  borgo 
di  Carmagnola,  e  soggetta  sino  dal  suo 
principio  a'eisterciensi  di  Stalfarda  ,  che 
venuti  ad  ufliziarla  la  chiamarono  Casa- 
Nova,  Oltre  gli  abbati  claustrali,  ebbe 
anche  i  commendatari  e  cardinali,  L'in- 
signe monastero  delle  monache  di  Cara- 
magna  Sii  fondato  nel  1028  dal  marche- 
se Magnifredo  II  e  da  Berta  sua  moglie, 
in  luogo  circa  1  5  miglia  da  Torino,  sotto 
la  regola  di  s.  Benedetto,  con  molle  pos- 
sessioni approvate  colle  posteriori  acqui- 
siate da  Onorio  III  nel  1216.  Perduta 
l'osservanza  regolare, pel  vivere  licenzio- 
so delle  monache,  l'antipapa  Felice  V  sop- 
presse il  monastero  neli444>  assegnan- 
dolo colle  rendite  a'benedettini.  L'abba- 
zia di  Caramagna,  sebbene  molto  dimi- 
nuita dell'antiche  sue  rendite,  e  priva  af- 
fatto de' diritti  e  privilegi  episcopali,  fu 
ristabilita  da  Pio  VII  nel  18  17  ad  una 
commenda.  Il  monastero  di  monache  del- 
l'abbazia di  s.  Michele  della  Chiusa  già 
esisteva  nel  109  1,  poiché  in  quell'anno 
morto  l'abbate  Benedetto  lì,  interven- 
nero alle  sue  esequie  le  sagre  vergini,  da 
lui  raccolte  e  dirette,  e  tale  fu  l'acerbo  lo- 
ro dolore,  tanto  il  pianto,  che  per  quel 
giorno  la  funebre  funzione  appena  potè 
terminarsi.  La  sede  vescovile  di  Torino 
molti  poderi  acquistò  sotto  i  longobar- 
di, non  solo  per  la  liberalità  de'privati  fe- 
deli ch'erano  mossi  dal  sentimento  di  re- 
ligione, ma  più  ancora  perla  munificen- 
za de'duelii  torinesi,  e  segna  la  mente  d'A- 
gilolfoi."  duca  di  Torino,  poi  re  de'lon- 
gobardi,  e  di  Teodolinda  sua  piissima  con  • 
sorte:  queste  rendile  si  accrebbero  assai 


T  O  R 

tolto  i  principi  longobardi  successori,  da' 
quali  ebbero  i  vescovi  grandi  feudi,  si- 
L'iiorte  e  privilegi, nel  possesso  de'quali  fu- 
rono confermati  dagl'imperatori  germani- 
ci. Prima  deliooo  esercitavano  signoria 
*u  Chieri  e  sopra  molti  de'circostanti  vil- 
laggi, poiché  Ottone  III  imperatore,  ricer- 
calo da  Amizzone  I  vescovo  di  Torino, 
che  si  degnasse  per  la  ristorazione  della  s. 
Chiesa  di  Dio,  e  per  l'onore  di  s.  Gio.  Bat- 
tista, al  cui  nome  la  cattedrale  è  consa- 
grata, di  confermare  alla  medesima  tutte 
le  cose  e  proprietà  sue,  nomina  nel  diplo- 
ma che  ne  spedì,  fra  le  altre  terre,  quelle 
di  Cavi,  Canova,  Celle,  Testona  ed  Ale- 
guano.  In  segno  del  potere  e  della  mag- 
gioranza che  esercitavano  i  vescovi  tori- 
nesi, già  neh  180  sussisteva  un'alta  torre 
annessa  al  loro  palazzo  fra  la  cattedrale  e 
piazza  Castello.  Neil  3o3  aveano  la  cura- 
ria  della  città  di  Torino.  Un  gran  numero 
di  vassalli  tenevano  da  essi  vescovi  terre 
e  castella  in  feudo,  o  l'investitura  delle 
decime,  e  fra  questi  ultimi  era  il  marche- 
se di  Saluzzo  per  le  decime  'del  marche- 
sato. Altri  vassalli  del  vescovo  di  Torino 
erano  il  marchese  di  Monferrato  per  s. 
PwiiFuele  e  talvolta  per  Lanzo;  il  conte  di 
Biandrate  pel  castello  di  Settimo  inferio- 
re;! marchesi  di  Busca  pel  castello  di  Ros- 
sana; i  signori  di  Moncucco,  sia  per  l'av- 
vocazia  della  cattedrale  della  chiesa  di  s. 
Martino  di  Stellone,  delle  pievi  di  Bari- 
liano  e  di  Moutegiove,  di  Vergnano  e  di 
Rutila,  sia  pel  feudo  di  Moncucco,  per 
quello  di  Val  della  Torre  e  per  la  cura- 
ria  de'due  mercati  di  Chieri,.  della  qual 
terra  il  vescovo  avea  nel  secolo  XI  prin- 
cipal  signoria,  come  l'avea  nel  secolo  se- 
guente in  Torino,  sebbene  non  lai  clas- 
se molto  a  fuggirgli  di  mano.  Riconterò 
ancora  i  visconti  di  Bai-atonia  per  Ben* 
Ionia,  Yiù,  Lemie  ed  lisseglio,  i  signori 
di  Lanzo  per  Lanzo.  Infine  ciascuno  pei 
feudi  di  cui  pigliavano  il  nome  i  signori  di 
Montati»,  di  Scatena,  di  l'iobesi,  di  Alpi- 
guano,  di  Rivoli,  di  Monlaldo,  di  Rival- 
la, di  Cordua,  di  Osterò,  di  Polmoucel- 


T  O  R  1 7 1 

lo,  di  Celle,  di  Revigliasco,  di  Castel  vec- 
chio,  di  Montosolo,  di  Triiilàrello  ,  del 
Sabbione  e  parecchi  altri,  ora  più, ora  me- 
no, secondo  le  vicende  de'tempi.  I  prin- 
cipali erano  investiti  coli'anello  e  colla  spa- 
da; gli  altri  con  un  bastone  o  un  libro. 
Tutti  rendeangli  omaggio  e  giuravangli 
fedeltà,  secondo  l'usanza, eolie  mani  giun- 
te e  riposte  ha  quelle  del  vescovo,  inter- 
veniente fìrfelitatis  osculo.  Fra'diritti  cu- 
riosi che  il  vescovo  di  Torino  usava  riscuo- 
tere, farò  memorie  d'un  toro  annualmen- 
te dovutogli  dal  monastero  di  s.  Mauro, 
d'un  porco  che  il  monastero  di  s.  Soluto- 
re era  similmente  tenuto  a  dargli,  e  d'un 
somiere,  di  cui  lo  stesso  monastero  docce 
presentarlo  quando  si  apprestava  a  caval- 
car verso  Roma.  Ma  sebbene  il  vescovo  di 
Torino  abbondasse  anticamente  di  gran 
ricchezze,  era  tuttavia  nel  principio  del  se- 
colo XIV  molto  scaduto  l'aver  suo,  tra  per 
le  incurie  de'suoi  predecessori,  tra  per  le 
vicende  guerresche,  onde  il  vescovo  Tedi- 
sio  si  trovò  costretto  neh3o8  a  doman- 
dare al  legato  Napoleone  Orsini  l'unio- 
ne della  pieve  di  Liramo  alla  sua  mensa. 
Ora  passo  a  riportare  la  serie  de' vescovi 
ed  arcivescovi  di  Torino,  e  tenendo  pre- 
sente l'Ughelli  e  seguendo  il  can.  Bimaco- 
mincierò  cons.  Vittore  I.  delle  cui  discre- 
panti opinioni  feci  di  sopra  menzione. 

Nel  3  io  trovasi  1. "vescovo  di  Torino s. 
Vittore  IjConfusocome  già  dissi  con  s. Vit- 
tore 11  chesuccedettea  s. Massimo  Indub- 
bio però  senza  fondamento,  come  nota 
l'Ughelli,  poiché  nel  3  1  1  s.  Vittore  I  sot- 
toscrisse gli  atti  del  concilio  romano  in  ta- 
le qualità.  Veramente  noti  si  conosce  tale 
concilio,  e  in  tale  anno  soltanto  due  con 
certezza  furono  celebrati  in  Cartagine. 
L'intervento  quindi  al  concilio  di  Roma 
dovrà  ritardarsi  al  3  1  3,  in  cui  Papa  s.  Mei- 
chiade  1'  adunò  nel  palazzo  Lateranense 
datogli  da  Costantino  I,  in  cui  fu  condan- 
nalo Donato  vescovo  capo  de' donatisti. 
Nel  385,  secondo  il  can.  Bima,  fu  i.°  ve- 
scovo di  Torino  s.  Massimo  /dottore  di 
s.  Chiesa,  che  nella  biografia  ripetendo  il 


rya  TOH 

riferito  «lai  celebre  Buller,  sulla  fede  di 
Grennadio,  lo  dissi  del  4  5  i  e  che  vivea  nel 
465,  epoche  che  spellano,  secondo  il  cati. 
Bima,as.  Massimo  II, come  poi  dirò;  ana- 
cronismo vero  o  apparente  derivato  dalla 
differenza  nelle  opinioni,  se  i  ss.  Massimo 
furono  uno  o  due.  Nell'oscurità  in  cui  sia» 
ruo  delle  gesta  di  s.  Massimo,il  p.  Bruni  di 
Cuneo,  insigne  editore  delle  dotte  sueope- 
re,  volle  ricavarle  dalle  medesime,  alqu.il 
di  vita  mento  uniformandosi  il  p.  Semeria 
Dedarò  un  cenno. Di  sua  patria  e  educazio- 
ne (ulto  è  incerto;  lo  si  dice  nativo  d'E- 
truria ,  del  Piemonte  e  segnatamente  di 
Vercelli:  l'Ughelli  lo  vuole  istruito  nelle 
lettere  e  diretto  nella  pietà  da  Wilibcr- 
go  vescovo  di  Mastricht  o  di  Utrecht,  il 
quale  non  conobbero  né  i  Sammartani , 
nèTillemont.  Il  p.  Semeria  ritarda  il  prin- 
cipio del  vescovato  dis.  Massimo  1  al  4  '  5 
circa,  e  perciò  dopo  il  concilio  di  cui  patto 
lerò  dopo  queste  notizie  del  santo.  Posto 
da  Dio  in  questi  tempi  a  illuminaree  reg- 
gere la  chiesa  di  Torino,  perito  nelle  di- 
vi ne  Sci  itti  ire,  primo  suo  studio  fu  di  sban- 
dire tri 'diocesani  tutte  le  superstizioni,  le 
qual.  in  molli  rimanevano  profondamen- 
te radicate.  Molto  più  ebbe  a  faticare  per 
togliere  l'inveterata  usanza  delle  masche- 
re nel  i  ."giorno  di  gennaio,  dichiarando- 
la grande  pazzia  il  trasformare  in  sembian- 
za di  fiere  e  di  pecore,  i  creati  a  sembian- 
za di  Dio,  e  insolvibile  vanità  il  difior- 
mare  quel  volto  che  Dio  si  degnò  fabbri- 
caie  colle  proprie  mani, detestando  inol- 
tre le  parole  sconcie  e  oscene  che  si  pro- 
ferivano. Non  meno  delle  superstizioni  de' 
torinesi  dava  fastidioas.  Massimo  I  quelle 
de'contadini, poiché  discacciata  l'idolatria 
dalie  colte  città, ancor  rimaneva  dispersa 
ne'  villaggi  e  nelle  campagne;  e  quivi  la 
plebe  adorando  l'antiche  profane  deità, 
sagrifìcava  con  riti  abbominevoli  per  im- 
plorare l'abbondanza  della  messe  e  delle 
vendemmie.  Il  santo  vescovo  non  poten- 
do accorrere  in  persona  in  tutti  i  luoghi, 
esorlò  i  padroni  de'poleri  con  diverse  o- 
melie,ad  eliminare  laute  empietà  e  sacri- 


TOR 
legi,  altrimenti  chiamandoli  colpevoli  per 
non  averli  impediti,  adora  udo  essi  Dio  nel- 
le  chiese  e  permettendo  agli  agricoltori  di 
venerare  il  demonio  ne'sobborghi  e  nelle 
campagne.  Non  minor  sollecitudine  mo- 
strò il  santo  pastore  nel  preservare  il  suo 
gregge  dall'infezione  dell'eresie,  che  dira- 
mate dall'oriente  numerose  serpeggiava- 
no, singolarmente  ne'  manichei,  origeni- 
sti,  nesloriaoi,  eutichiani;  errori  tutti  che 
combatteva  negli  eloquenti  suoi  sermoni 
e  ne'  privali  colloqui;  distinguendo  i  veri 
da' falsi  dogmi,  raccomandando  l'abbor- 
rimenlo  d'ogni  errore  e  di  professare  la 
purità  della  fede,  l'ubbidienza  alla  s.  Se- 
de, e  l'osservanza  de'precetti  di  Dio  e  della 
Chiesa,  non  che  la  santificazione  delle  fe- 
ste. Queste  ripetute  rimostranze,  dotte  e 
zelanti,  produssero  ottimo  elfetto  ne'  to- 
rinesi, più  sovente  frequentando  la  basi- 
lica e  più  assiduamente  ascoltando  la  di- 
vina parola.  Quanlo  vado  a  riferire,  per 
le  epoche  non  si  accorda  col  can.  Bima, 
bensì  con  l'Ughelli,  perchè  il  r .°  fa  morto 
s.  Massimo  I  a'i5  giugno  del  42°>  e  g'* 
dà  per  successori  nel  42  '  Amatore  e  nel 
4^o  s.  Massimo  II,  ambeduenon  registrati 
da  Ughelli.  Afferma  il  p.  Semeria  che  s. 
Massimo  I  intervenne  nel  4^i  a'  concilio 
provinciale  di  Milano  per  l'adesione  al  de- 
cretato da  quello  generale  di  Calcedonia 
contro  Eutiche  e  Nestorio,  e  nel  sottoscri- 
verlo spiegò  sul  mistero  dell'Incarnazio- 
ne i  sensi  medesimi  dichiarati  da  Papa  s. 
Leone  I.  Ritornato  nella  diocesi  intese  con 
sommo  dolore  che  i  torinesi  nella  sua  as- 
senza aveano  cessato  di  frequentare  le  sa- 
gre funzioni,  onde  li  esortò  ad  emendarsi 
ed  a  riflettere, che  se  non  vedeano  in  chie- 
sa la  sua  persona,  sempre  vie  presente  il 
Salvatore  vescovo  di  tutti  i  vescovi.  A  ri- 
parare poi  gli  abusi  e  gli  errori  insorti  , 
radunato  il  clero,  celebrò  il  sinodo  dioce- 
sano, ove  riprovò  l'eresia  di  Elvidio.  La 
sua  vigilanza  pastorale  estendevasi  anco 
sopra  tutti  i  bisogni  temporali  che  angu- 
stiavano i  suui  diocesanijSpecialmente  nel- 
la circostanza,  iu  cui  Aitila  re  degli  uuui 


TOR  TOR                    173 

era  penetrato  in  Italia  nei  452,n»nuomes-  senti.  Nel  $G 5 s.  Massimo  I  si  portò  in  Ro- 
sa orribilmente  Aquileia  e  minacciando  lo  ma  per  assistere  al  concilio  convocato  da 
Sterminio  della  penisola. L'Italia  disunita,  Papa  s.  Maro,  e  dopo  la  sua  sotloscrizio- 
non  soccorsa  dagl'imperatori  che  aveano  ne  vi  appose  la  propria,  perchè  gli  altri 
fissato  la  loro  sede  in  Costantinopoli,  tre-  numerosi  vescovi  ne  rispettarono  i  meriti 
pioava  d'essere  interamente  distrutta;  e  e  la  veneranda  di  lui  canizie.  Per  questa 
cogli  altri  popoli  italiani  temevanocoster-  sua  decrepitezza  fu contemporaneoebuon 
nati  i  torinesi  l'invasione  del  barbaro  ne-  amico  di  s.  Remigio  di  Reims,  e  da  ciò 
mico  che  andavasi  avvicinando  sul  Tici-  credesi  derivata  la  fraterna  unionechesu- 
no,  lasciando  dietro  di  se  orme  crudeli  di  siste  fra  il  capitolo  metropolitano  di  To- 
rovina  e  di  sangue.  Non  tralasciarono  in-  lino  e  quello  di  Reims,  tanto  inlima  che 
tanto  di  premunirsi  con  forti  riparazioni  andando  un  canonico  torinese  a  Reims, 

'  intorno  le  mura  e  le  porte  della  città.  Nel  e  viceversa  un  canonico  di  quella  metro- 
comune  abbattimento  il  vescovo  radunati  polilana  venendo  a  Torino,  piglia  posto 
i  cittadini,  e  con  l'autorità  d'un  uomo  di  canonicale  in  coro  e  percepisce  le  consuete 

[  Dio.  con  l'affetto  di  padre,  ravvivò  lo  spen-  distribuzioni.  La  morte  di  s.  Massimo  I 
to  coraggio,  lutti  esortando  a  riporre  in  credesi  avvenuta  a'25  giugno  del  47°  a' 
Dio  una  piena  confidenza,  e  più  che  alle  più  tardi, in  Collegno  che  soleva  fieqien- 
umane  difese  fortificar  la  patria  colle  o-  tare,  ignorandosi  il  luogo  della  sepoltura, 
razioni,  i  digiuni  e  la  penitenza,  e  sareb-  rimasta  ascosa  per  salvarne  lesaute  reli- 
bero restati  salvi.  Come  predisse  s.  Mas-  quie  dall'incursioni  de'barbari  che  in  di- 
simo  I  al  suo  popolo,  Aitila  non  entrò  in  versi  tempi  penetrarono  nel  Piemonte,  ed 
Torino,  anzi  i  cittadini  prosperarono  di  anche  per  assicurarle  dal  fanatico  fi  ".-ore 
commercio  e  di  ricchezze,  mentre  tante  dell'iconoclastaClaudio.Si  congettura  che 
altrecittà  furono  sterminate.  Scrissero  al-  sieno  rimaste  sotto  lesoglie  della  torre  de' 
cuni  che  il  santo  partisse  dalla  diocesi  per  conti  Provana  ili  Collegno.Pio\  I  fecerac- 
incontrare  Attila  e  placarne  il  furore,  il  cogliere  tutte  l'omelie  e  i  sermoni  di  s.M.is- 
che  si  racconta  pure  di  s.  Leone  1.  Un  2.0  simo  I,eco'lipi  di  Propaganda  li  fece  pub- 
disastro  grandemente  afflisse  i  torinesi,  an-  blicare  nel  1  784,000  nobile  edizione  e  dal 
zi  l'Italia  tutta,  nel  4^3  per  l'universale  Papa  dedicata  al  re  Vittorio  Amedeo  HI: 
carestia  prodotta  dalla  siccità;  ed  il  vesco-  S.  Maximi  Epìscopi  Taurinensi  opera, 
\o  ch'era  il  coni  un  padre  de' poveri  e  che  jussu  Pii  TIP.  M.  aucta,  atque  adito- 
nelle  sue  omelie  avea  sempre  raccoman-  lationibus  illustrata  a  p.  Bruitone  Bru~ 
dato  l'eIeuiosiua,in  que>ta  calamità  si  spo-  ni  Scholar.  Piar.  Queste  sapienti  omelie 

•  gliò  d'ogni  cosa  per  accorrere  a  pubblici  sono  piene  di  eluquenza,di  leologia,di  ma- 
fi  privati  bisogui  ,  e  uon  avendo  più  che  rale,  furono  sempre  stimate  nella  Chiesa, 
cosa  dare,  domandò  egli  slesso  a'facoltosi  ed  i  compilatori  del  Breviario  romano  ne 
i  soccorsi,  raddoppiò  il  suo  zelo,  e  la  città  hanno  tratto  molte  lezioni  ;  imperocché 
per  lui  fu  salva.  Di  un'altra  barbara  iu-  principalmente  riguardano  le  maggiori  fé- 
cu, sione  furono  minacciati  i  torinesi  nel  ste  dell'  anno,  molti  santi  e  diversi  sog- 
455,  a  cagione  di  Genserico  re  de'  van-  getti  di  bella  morale.  Credo  opportuno  di 
dali.  che  dall'Africa  era  venuto  a  impa-  qui  ragionare  del  concilio  provinciale  ce- 
dronirsi  dell'Italia.  Sebbene  il  suo  fui  ore  lebrato  nella  basilica  di  Torino  sulla  fine 
non  fosse  meno  terribile  di  quello  d'Ai-  del  IV  secolo,  o  come  altri  vogliono  al  co- 
t ila,  tuttavia  i  cittadini,  nella  precedente  minciar  del  V,poichè  si  attribuisce  al  397, 
invasione  preservali,  mosti  aronsi  più  do-  al  3t)8,  al  4°°»  a'  4QI  a'22  settembre  e 

I    cili  alle  parole  del  santo  loro  pastore;  la  anche  più  tardi,  lenulo  da'vescovi  italiani 

stiuge  fu  weina  ,  ed  essi  ne  audarouo  e-  ad  istanza  de'prelali  delle  Gailie  per  ter- 


1 74                T  °  R  T  o  R 

minare  le  questioni  insorte  tra  loro, opre-  re  suo  merito,  e  non  come  un  diritto  alla 
cipuamente  le  differenze  sulle  pretensioni  sua  sede;  che  però  dopo  la  sua  mortele 
del  vescovo  di  Marsiglia  contro  la  metro-  cose  ritornassero  nell'ordine  connine,  e 
poli  di  Aix,  e  tra'vescovi  di  Vienna  e  di  in  fatti  ne  fu  poi  primate  il  vescovo  d'Aix. 
Arles  intorno  alla  primazia,  ed  alcuni  di  Simplicio  primatedella  provincia  di  Vien- 
essi  v'intervennero  per  comporre  più  fa-  na,  per  una  limile  pretensione,  credeva 
cilmente  le  controversie.  Siccome  Torino  d'avere  i  diritti  metropolitani  sopra  il  ve- 
dipendeva  allora  dalla  metropoli  di  Mi-  scovo  d' Arles,  che  dal  canto  suo  dichia- 
lano,  così  viene  creduto  che  s.  Simplicia-  rava  di  non  volerne  essere  suffraganeo  , 
no  vescovo  di  Milano  lo  facesse  radunare,  appartenere  anzi  alla  sua  sede  la  dignità 
e  pare  che  vi  fossero  presenti    20  vesco-  primazia  le,  per  esser  egli  successore  di  s. 
"vi.  Il  p.Semeria  propende  che  si  celebrasse  Trofimo,  il  quale  ne'  tempi  apostolici  a- 
nel  4oo  e  ne  riprodusse  i  canoni  ,  quali  vea  portato  a  tutte  quelle  provincie  il  lu- 
trovansi  nella  collezione  del  p.  Labbé  nel  me  del  vangelo.  Il  concilio  di  Torino,  giu- 
t.  3,  e  in  quella  d'Arduino  nel  t.  2,  olire  dicando  non  abbastanza  fondate  le  ragio- 
il  parlarne  diversi  gravi  autori;  perciò  dis-  ni  del  vescovo  d' Arles,  decise  doversi  e- 
se  egregiamente  il  p.  Semeria,di  non  me-  saminare  quale  delle  due  città  conteuden- 
ritaie  seria  confutazione  le  strane  e  in-  ti,  se  Arles  o  Vienna,   avesse  i  diritti  di 
giuriose  asserzioni  d'Eugenio  Levis,  che  metropoli  nell'ordine  civile  e  politico:  ri; 
uè  Saggi  deW Accademia  degli  Unani-  conosciuta  sotto  questo  rispetto  la  città 
mi,  osò  pretendere  di  dichiarare,  la  sto-  metropolitana,  il  suo  vescovo  fosse  il  pn- 
ria  del  concilio  di  Torino  non  essere  ap-  mate  di  tutta  la  provincia,  con  facoltà  di 
poggiata  a  sicuro  fondamento,  e  che  non  consagrare  i  vescovi  e  visitar  le  loro  chie- 
uno  ma  due  concili!  furono  celebrati  in  se.  Soggiunsero  però  i  padri  del  concilio, 
Torino,  il  i.°  nel  cader  del  IV  secolo,  il  che  per  l'amore  della  mutua  pace  e  ca- 
2.°  nel  cominciamento  del  V,  e  circa  4  hi-  ri  là,  tanto  necessaria  particolarmente  nel 
stri  tra  loro  intermedia  La  lettera  sino-  ceto  episcopale,  potrebbe  frattanto  ognu- 
dale contiene  Sarticoli,  che  sono  tanti  de-  nodiessi.in  qualità  di  metropolitano,  vi- 
creli  sopra  le  vertenze  proposte  e  discusse  sitare  le  chiese  più  vicine  alla  propria  dio- 
nel  concilio.  Il  l.°  riguarda  Proculo  ve-  cesi.  Conformemente  a  questo  saggio  de- 
scovo di  Marsiglia,  il  quale  sebbene  della  crelo  ,  i  due  vescovi  di  buon  accordo  si 
provincia  di  Vienna  nel  Delfinato,  pre-  divisero  tra  essi  la  provincia,  ed  ebbero 
tendeva  d'essere  metropolitano  della  2.a  ciascunosimil  diritto  e  tilolo:equestacon- 
Narbonese,  adducendo  per  ragione,  che  venzionesi  conservòinvariabilmenled'al- 
le  chiese  della  2.a  provincia  di  Narbona  lora  in  poi  sino  alla  torbida  rivoluzione 
dipendevano  ne'tempi  anteriori  dalla  se-  di  Francia,  sulla  fine  del  secolo  scaduto, 
de  di  Marsiglia,  che  ne  a  vea  ordinati  i  pri-  Al  concilio  inoltre  si  portò  l'affare  de' ve- 
rni vescovi.  Invece  sostenevano  i  vescovi  scovi  Ottavio,  Ursione, Remedio  o  Remi* 
narbonesi,  non  dover  riconoscere  per  me-  gio,  e  Triferio,  che  dicotisi  della  2/  prò- 
tropolitano  colui  che  reggeva   un'  altra  vincia  Narbouese,  accusati  d'  aver  eom- 
provincia.  Volendo  il  concilio  conformar-  messo  diverse  gravi  mancanze  nelle  sagre 
si  agli  statuti  de' canoni  antichi,  e  rista-  ordinazioni.  Non  negarono  essi  le  colpe 
bili  re  la  pace  fra  le  chiese  dissidenti,  ven-  di  cui  furono  accusati,  ma  si  scusarono 
ne  a  un  temperamento  giudizioso,  oidi-  con  dire  di  non  esser  mai  stati  avvertili 
nanclo  che  Proculo  conseguirebbe  bensì  dell'errore  con  qualche  monizione.  Que- 
la  primazia  che  domandava,   ma  ciò  so-  sta  scusa  fu  accettala,  e  però  non  fu  loro 
lamenlea  titolo  d'un  privilegio  personale,  inflitta  alcuna  pena;  bensì  venne  ordinalo 
da  concedersi  alla  sua  età  e  al  particola-  per  l'avvenire,  che  quando  alcuno  toruas- 


T  O  R 

se  a  violar  gli  antichi  decreti  della  Chiesa, 
resterebbe  privo  delle  facoltà  dell'ordine 
episcopale  e  del  diritto  de'sufTragiuel  con- 
cilio; che  rispetto  a'  sacerdoti  fuori  delle 
regole  ordinati,  sarebbero  privati  dell'o- 
nore del  sacerdozio.  Il  sinodo  quindi  con- 
fermò la  sentenza  pronunziata  dal  vesco- 
vo Triferio  contro  il  prete  Esuperanzio, 
che  avea  oltraggiato  il  suo  pastore,  e  con- 
ilo Palladio  semplice  laico,  che  avea  ca- 
lunnialo il  sacerdote  Spano.  Si  riservò  a 
Triferio  la  facoltà  d'usar  grazia  ad  Esupe- 
ranzio e  restituirgli  la  sagra  comunione, 
da  cui  era  slato  escluso  per  diverse  altre 
mancanze  contro  la  disciplina  ecclesiasti- 
ca.Fra 'deputati  dellechiese  Gallicane  pre- 
senti al  concilio,trovai  onsi  quelli  di  Felice 
vescovo  di  Treveri,il  quale  era  stato  ordi- 
nato dagl'  Ilaciani.  Papas.  Siricioe  s.  Am- 
brogio (a  cui  nel  397  era  successo  s.  Sim- 
pliciano nella  sede  di  Milano),  non  sola- 
mente aveano  ricusato  la  comunione  di 
lui,  ma  dichiarato  inoltre,  che  avrebbero 
ricevuto  nella  comunione  della  Chiesa  tut- 
ti coloro  che  da  esso  si  fossero  voluti  sepa- 
rare. Lettere  di  s.  Ambrogio  e  di  s.  Silicio 
furono  lette  nelconcilio  alla  presenza  de' 
deputati  di  Felice  e  unanimemente  ap- 
provate, quindi  secondo  le  medesime  fu 
stabilito,  che  la  comunione  della  Chiesa 
non  si  concederebbe  mai  a  quelli  che  per- 
sistevano nella  comunione  di  lui.  Gli  ul- 
timi canoni  del  concilio  di  Torino  concer- 
nono due  altri  punti  di  disciplina  ecclesia- 
stica, cioè  la  proibizione  fatta  a' vescovi  di 
ammettere  nella  propria  diocesi  i  chierici 
ed  i  sacerdoti  che  da  un  altro  vescovo  fos- 
sero stati  scomunicati ,  e  di  promuovere 
agli  ordini  maggiori  quelli  che  avessero 
ricevuto  illecitamente  i  minori,  o  che  nel 
tempo  in  cui  erano  addetti  al  servizio  de- 
gli altari  avessero  conosciuto  una  donna, 
da  cui  fosse  nata  prole.  Questo  canone  si 
saggio  fu  poi  confermalo  dal  concilio  di 
Iliez  nel  4^9»  e  da  quello  d'Orleans  nel 
i'\  \  1 .  Il  7.0  e  l'8.°  regolamento  furono  re- 
lativi ad  oggetti  di  semplice  disciplina  ec- 
clesiastica. Inoltre  il  concilio  sgravò  s.  Cri- 


T  O  R 


i7a 


gio  dall'accuse  intentate  da  Lazzaro  »e-« 
scovo  d'Ali.  Riprendendo  la  continuazio- 
ne de' vescovi  di  Torino,  già  notai,  che  il 
can.  Birna  nel  \i  1  dà  per  successore  a  s. 
Massimo  I,  Amatore  morto  in  concetto 
di  santità,  dopo  averconsagrato  s.  Patri- 
zio apostolo  e  vescovo  d'Irlanda,  però  su 
questo  santo  va  letto  tale  articolo;  quindi 
registra  nel  45os.  Massimo  II,  che  scrisse 
in  detto  anno  a'padri  del  concilio  di  Co- 
stantinopoli, raccomandando  la  sua  chie- 
sa; e  nel  4y5s.  Vittore  11  legato  al  redi 
Borgogna  Gondebaldo.  Ripeto  che  il  p. 
Semeria,  al  vescovo  s.  Massimo  fa  succe- 
dere s.  Vittore,  notando  hensì  le  divergen- 
ti opinioni,  dichiarando  che  s.  Vittore  vi», 
se  dal  476  al  D02,  a'tempi  d'Odoacre  re 
de«li  ertili,  che  entrato  in  Italia  distrus- 
se  nel  476  l'impero  romano  d'occidente 
in  Ravenna,  ove  assalito  da  Teodorico  re 
de'goli  e  ucciso,  questi  nel  49^  gli  de- 
cesse nel  regno  d'Italia  giàda'goti  invasa. 
Il  vescovo  s.  Vittore  ornò  e  ingrandì  in 
Torino  la  basilica  de'ss.  Solutore,  Avven- 
tore e  Ottavio  martiri,  ed  a  lui  il  p.  Se- 
meria attribuisce  la  memorata  legazione 
a  Gondebaldo,  insieme  al  vescovo  di  Pa- 
via s.  Epifanio,  e  al  compagno  di  questi  e 
poi  successore  s.  Ennodio.  Imperocché  re- 
gnando Gondebaldo  in  una  parte  della. 
Borgogna,  delLionese,  delDelfìnato,  del- 
hiSvizzera  e  dellaSavoia, ardendo  la  guer- 
ra in  Italia  tra  Odoacre  e  Teodorico,  sce- 
se Gondebaldodall'Alpi  verso  il  490chia- 
mato  da  un  de'due,  ma  reputandosi  de- 
luso da  entrambi,  si  vendicò  sulle  contra- 
de di  Liguria  e  di  Piemonte,  che  devastò 
orribilmente,  conducendo  via  una  mol- 
titudine d'abitanti  in  ischiavitù  nel  pron- 
to ritorno  che  fece  al  di  là  de'monti.  Non 
andò  immune  Torino  né  Milano  da  que- 
sta desolazione,  sebbene  passasse  sopra  le 
due  città  qual  nembo  di  procella  stermi- 
nati ice.  Teodorico  barbaro  conquistato- 
re e  saggio  regnante,  mostrava  sebbene a- 
riano  una  certa  riverenza  al  clero  catto- 
lico esegnatamentea  s.  Epifanio,  che  fr«' 
vescovi  d'Italia  distingueva*!  per  virtù  e 


i76  TOH 

dottrina.  Recatosi  in  Ravenna  s.  Epifanio 
con  s.  Lorenzo  vescovo  di  MilariOj  otten- 
ne da  Tcodorico  perdono  a  quelli  che  a- 
veano  impugnato  l'anni  contro  di  Ini.  Il 
re  inoltre  incaricò  s.  Epifanio  di  recarsi 
nelle  Gallic  da  Gondebaldo,  per  negoziar 
il  riscatto  degli  schiavi  fatti  di  qua  del- 
l'Alpi, a  spese  del  regio  erario.  Accettato 
l'incarico,  fu  permesso  al  santo  di  pren- 
dersi a  compagno  nella  legazione  s.  Vit- 
tore vescovo  di  Torino,  comechè  risplen- 
dente di  tutte  le  virtù.  Giunti  i  vescovi  a 
Lione,  il  loro  venerando  credilo  e  l'elo- 
quente perorazione  di  s.  Epifanio,  otten- 
nero daGondehaldo  la  gratuita  liberazio- 
ne di  tulli  gli  schiavinolo  il  re  esigendo  un 
piccolo  prezzo  pe' presi  nel  calor  delle  bat- 
taglie^ tornarono  con  essi  trionfanti  in  I- 
talia  tra  le  universali  benedizioni,  avendo 
pure  pacificalo  i  due  re.  Nel  5o  i  il  vesco- 
vo Trigidio  sottoscrisse  il  sinodo  romano 
di  s.  Simmaco,  e  secondo  Ughelli  anche 
quellodel  5o2.  II  can.  Statagli  dà  per  suc- 
cessore Pelagio  del  526,  la  cui  memoria 
trovasi  in  una  lettera  di  Papa  s.  Felice 
III  dello  IV.  Rulfo  I  del  535,  o  del  55o, 
secondo  il  can.  Dima  e  l' Ughelli,  questi 
diceche  erroneamente  gli  fu  sostituito  A- 
gnello,il  quale  non  di  Torino,ma  di  Tren- 
to fu  vescovo.Nel  55o  il  can. Rima  riporta 
Ruffo  II,  ricordato  in  una  lettera  sinodica 
nel  553  scritta  da'  padri  del  concilio  di 
Costantinopoli.  In  tale  anno  narra  Giof- 
fredo  nella  Storia  delle  Alpi  Marittime, 
che  Torino  fu  assalita  da  Sisualdo  re  de' 
breuti,  già  detti  eruli,  il  quale  ribellatosi 
a  Teia  re  de'goti,  all'improvviso  piombò 
sulla  città  e  su  Ivrea,  dando  il  sacco  al  Ca- 
navese. Il  p.  Semeria  parla  d'un  soloRuf- 
fo  del  56o,  rammentato  da  s.  Gregorio 
di  Tours,  per  esser  andato  in  Moriauasua 
diocesi  a  venerar  le  reliquie  di  s.  Gio.  bat- 
tista portale  da  Samaria  o  da  Alessandria 
d'Egitto  da  Tigris  pia  donna;  e  volendo 
l'arcidiaconoche  l'accompagnava  portar- 
le a  Torino  per  ricevervi  maggior  vene- 
razione, appena  slesa  la  mano  sulla  cas- 
setta in  cui  erano  rinchiuse,perdè  ogni  in- 


TOR 

telligenza  e  acceso  di  febbre  dopo  3  giorni 
morì  con  gran  terrore  de'presenti  e  de'più 
lontani.  Nel  572  o  prima  per  quanto  ri- 
ferirò, fu  vescovo  Ursicino  al  dire  del  p. 
Semeria,  o  nel  58o  secondo  I'  Ughelli  e 
il  can. Bòna,  di  canta  vita  C  moltissimo  tra- 
vagliato da'barbari  de' suoi  tempi.  Con- 
viene sapere,  che  Narsete  dopo  aver  vinto 
e  cacciato  dall'Italia  i  goti  dominatori,  e 
ripristinata  nella  penisola  l'autorità  de- 
gl'imperatori di  Costantinopoli,  disgusta- 
to pel  suo  richiamo  e  motteggi,  invitò  ad 
occuparla  nel  568  Alboino  re  de  Lo  rigo- 
bariti  (P^-).  Una  schiera  di  essi  nel  prin- 
cipio del  569  passò  nel  Vallese,  e  Tanno 
seguente  longobardi  e  sassoni  uniti  ad  essi 
s'inoltrarono  al  di  là  dell'Alpi  Cozie;  i  lon- 
gobardi sino  ad  Embrun,  i  sassoni  sino 
a  Riez.  Discacciali  i  sassoni,  ri  valicarono 
l'Italia,  e  verso  il  571  divisi  in  due  per 
le  vie  d'Embruu  e  Nizza,  ripassarono  le 
Alpi  con  riunirsi  sulle  terre  di  Borgogna, 
il  cui  re  Gnntrauo  li  vinse,  e  nella  pace 
ottenne  da  loro  nel  576  le  valli  e  le  città 
di  Susa  e  di  Aosta.  I  longobardi  ch'eransi 
proposti  di  dividersi  tra  loro  il  dominio 
d'Italia, già  fin  5y5  per  l'interregno  eles- 
sero 36  duchi,  e  fatta  tregua  co'romani 
condussero  il  loro  esercito  nella  Gallia  Ci- 
salpina, che  poi  per  loro  prese  il  nome  di 
Lombardia,  s'impadronirono  di  Torino, 
d'Ivrea  e  di  quelle  altre  città  e  terre,  che 
giacciono  dall'una  e  dall'altra  parte  del 
Po,  ovvero  che  riguardano  l'Italia  alle  fal- 
de dell'Alpi  Cozie,  Graie  e  Perniine,  e  dal 
Piemonte  passarono  in  Provenza.  Quindi 
Torino  fu  dichiarata  capitale  d'uno  de' 
4  ducati  principali  longobardici.  11  lon- 
gobardo Agilulfo  ariano  fu  fallo  i.°duca 
di  Torino,  ch'ebbe  a  successore  1'  ariano 
Arioaldojiion  però  quando  nel  590  o  nel 
5q  1  sposando  Teodolinda  divenne  re  de' 
longobardi,  poiché  ritenne  il  ducato  della 
provincia  torinese.  Dipoi  abiurò  gli  erro- 
ri, e  abbracciò  la  fede  cattolica,  dopo  es- 
sersi pacificato  con  s.  Gregorio  I,  quando 
spinse  le  sue  forze  contro  Roma.  In  una 
di  dette  invasioni  il  vescovo  Ursiciuo  tu 


T  O  R 

barbara  me  ri  le  fatto  schiavo,battuto,  spo- 
gliato de'beni  suoi  propri  e  di  quelli  di  sua 
chiesa,  condotto  via  prigioniero;  e  final- 
mente rapitagli  una  porzione  di  sua  dio- 
cesi, cioè  di  quella  che  possedeva  al  di  là 
dell'Alpi,  fu  costituito  in  essa  un  nuovo 
vescovo  per  nome  Felmassio,  di  s.  Gio- 
vanni di  Moriana  (ne!  quale  articolo  con 
Commanvdle  dissi  eretta  la  sede  in  epo- 
ca anteriore,  il  che  non  sembra  per  quan- 
to vado  narrando),  e  ciò  per  opera  del  re 
di  Borgogna  e  per  quanto  rimarcai  più 
sopra;  perchè  Gontrano  fatta  fabbricare 
una  chiesa  per  le  suddette  reliquie,  indi 
radunatomi  concilio  a  Chalons  vi  fece  sta- 
bilire il  nuovo  vescovato.  Tanti  enormi  ol- 
traggi, venuti  a  cognizione  di  s.  Gregorio 
I,  mossero  il  suo  animo  a  prendere  la  più 
forte  difesa  di  Ursicino,  ma  pare,  come  già 
notai,  senza  felice  riuscita. Sembra  quindi 
al  p.  Semeria,  che  Ursicino  morisse  ili.° 
di  febbraio  del  600  in  Torino  o v'era  tor- 
nalo. Nel  i845iu  Torino  il  dotto  cav.  Lui- 
gi Cibrario  pubblicò,  Notizie  (VI  rsicino 
vescovo  di  Torino  nel  secolo  TI.  Eru- 
ditamente narra  tutto  quanto  appartie- 
ne alle  vicende  di  questo  pastore,  e  del- 
l'importante ritrovamento  del  suo  sepol- 
cro nel  i843  negli  scavi  fitti  sotto  l'andi- 
to che  mette  al  cortile  del  palazzo  nuovo 
del  re,  essendo  stato  probabilmente  tumu- 
lato nel  primitivo  duomo;  pubblicandoal- 
tresì  la  lapide  di  marmo  bianco  rotta  in 
più  luoghi  con  fac-simile,e  dicendo  che  le 
venerande  ossa  trasportale  nella  cattedra- 
le, doveansi  allogare  dall'attuale  arcive- 
scovo in  fondo  della  uavata  acornuevan- 
gelii  presso  la  porta.  Riferisce  il  cav.  Ci- 
brario.chedalledue  iscrizioni  scolpitese- 
la lapide,s'irupara  cheUrsicino  visse  80  an- 
ni,47  de'quah  fu  vescovo, e  morì  a'20  ot- 
tobre forse  del  609,  nella  quale  ipotesi  a- 
vrebbe  conseguito  la  dignità  vescovile  nel 
562.  Di  più  dice  il  cav.  Cibrario,  non  po- 
tersi riconoscere  in  Ursicino  la  stessa  per- 
sona di  quel  s.  Orso  vescovo  ignoto,  di  cui 
il  capitolo  torinese  celebra  la  festa  il  i.° 
febbraio.  Egli  dubita  poi  che  la  Moriana 
voi.  txxvn. 


TOR  177 

appartenesse  alla  diocesi  di  Torino,  per 
le  ragioni  che  adduce;  e  crede  che  le  par- 
rocchie staccate  per  violenza  dalla  diocesi 
torinese  e  unite  alla  sede  di  Moriana,  fìs- 
sero nelle  valli  di  Susa  e  Lnnzo.  In  que- 
sto tempo  regnava  ancora  sul  trono  de' 
longobardi  il  re  Agilulfo  duca  di  Torino, 
checollapiaTeodolinda  fabbricò  il  duomo 
di  s.  Giovanni,  e  protessero  i  cattolici.  Il 
suo  regno  fu  vantaggioso  pel  Piemonte, 
tenendo  lungi  da'suoi  confini  le  guerre, 
né  avvi  a  suo  tempo  memoria  di  disastro 
o  tumulto,  neppure  dall'Alpi  sino  alla  fo- 
ce del  Tesino  o  alle  rive  del  mare  ligu- 
stico. Conviene  qui  far  menzione  di  s.  Co- 
lombano fondatore  del  celebre  monaste- 
ro di  Bobbio,  e  riconosciuto  da'  torinesi 
ili."  patriarca  degl'istituti  monastici  fon- 
dali nella  contrada;  perchè  mosso  dallo 
spirito  di  Dio,  passò  le  Alpi  con  alcuni  suoi 
compagni  e  si  recò  nella  diocesi  di  Tori- 
no, ben  accollo  da  Agilulfo  che  gli  per- 
mise di  eleggere  ne'suoi  stati  quel  luogo 
che  gli  fosse  più  a  grado  per  dimorarvi 
co'suoi  monaci;  ed  egli  scelse  il  paese  al- 
lora deserto  di  Bobbio ,  posto  tra  gli  A- 
pennini  presso  il  fiumeTrebbia,ed  ivi  ap- 
punto fondò  l'abbazia  che  divenne  sì  fa- 
mosa per  la  moltitudine  de'santi  ede'dotti 
che  vi  fiorirono;  mentre  perl'opera  di  Gio- 
na nativo  di  Susa,  degno  discepolo  e  bio- 
grafo di  s.  Colombano,  e  uno  de'rari  let- 
terati del  suo  tempo  in  Italia,  si  propagò 
l'istituto  monastico  anche  nel  Piemonte, 
e  le  sue  prime  colonie  sotto  la  regola  di 
s.  Benedetto  cominciarono  a  ravvivare  la 
civilizzazione  in  questa  parte  d'Europa. 
Bobbio  poi,  ad  accrescerne  la  celebrità, 
Papa  Benedetto  Vili  nel  1014  l'elevò  a 
sede  vescovile  e  A  Itone  ne  fu  destinato  i.° 
vescovo:  dichiarata  la  diocesi  suffraganea 
di  Ravenna,  nel  1 1  33  lo  divenne  di  Ge- 
nova. Soppressa  la  sede  dal  governo  fran- 
cese ne'primi  del  corrente  secolo,  la  rista- 
bilì Pio  VII  neli8i7.  Notai  a  Sarsi:»  a,  che 
il  vescovo  si  chiamò  pureBobiense,  come 
signore  della  contea  di  Bobbio  diversa  da 
Bobbio  del  Piemonte. 


178  TOR 

Dopo  la  mela  del  secolo  VII  governa- 
va con  titolo  di  duca  la  città  e  provincia 
diTorino  Gari baldo,  uomo  malvagio,  tra- 
ditore perfidissimo,  seminatore  di  fatali 
discordie,  onde  per  gl'iniqui  suoi  maneg 
gi  Grimoaldo  1  duca  di  Benevento  ucci- 
se di  propria  mano  Gondeberto  duca  di 
Pavia.  Ora  Ira'fainigliari  dell'ucciso  era- 
vi  un  torinese  di  sveglialo  ingegno  e  pron- 
to di  mano,  il  quale  ritiratosi  in  patria 
serbava  un  vivo  desiderio  di  vendicare  il 
suo  signore.  Per  eseguire  a  colpo  sicuro 
il  suo  mal  animo,  colse  la  circostanza  in 
cui  ricorrendo  la  solennità  della  Pasqua 
del  667.,  il  duca  Garibaldi)  recavasi  con 
grande  corteggio  alla  basilica  di  s.  Gio- 
vanni. Arrampicatosi  sul  fonte  del  batli- 
sterio  l'uomo  vendicativo,  sorreggendosi 
colla  manca  a  una  colonnetta,tenendo  col- 
la destra  il  ferro  sotto  alle  vesti,  che  lun- 
ghe e  ampie  portava  alla  foggia  de'lon- 
gobardi,  nel  punto  che  il  principe  trapas- 
sava la  porta  del  duomo,  vibrò  un  gran 
colpo  e  gli  tagliò  il  capo.  Ma  subitamen- 
te dal  seguito  del  duca  venne  pure  am- 
mazzato di  moltissime  ferite  il  sacrilego 
e  vendicativo  uccisore;  spettacolo  orribi- 
lissimOjChe  bagnò  il  pavimento  della  chie- 
sa di  doppio  sangue,  cambiò  in  profonda 
mestizia  la  gioconda  solennità,  d'inaudi- 
ta profanazione  riempi  il  tempio  del  Si- 
gnore, e  lutti  i  cittadini  d'alto  raccapric- 
cio. Per  lo  spazio  di  circa  due  secoli,  do- 
po Ursicino,  non  si  trova  di  sicure  noti- 
zie, che  il  vescovo  Rustico,  il  quale  inter- 
vcnneal  concilio  romano  celebralo  da  Pa- 
pa s.  Agatone  nel  679,  secondo  il  p.  Se- 
meria.  Però  il  Meiranesio,  riportato  dal 
can.  Dima,  prima  di  Rustico  registra  A- 
gnello  del  602;  ma  di  sopra  notai  ch'egli 
fu  di  Trento,  anzi  il  p.  Samaria  rimar- 
cò che  il  Meiranesio  pure  lo  riconobbe  per 
tale.  Godeva  la  s.  Sede  tra'  Patrimoni 
della  chiesa  romana,  innanzi  s.  Grego- 
rio 1,  quello  àeWAlpì  Cozie,  (V.),  le  qua- 
li occupate  poi  da'  longobardi,  o  dal  re 
Rotali  duca  di  Brescia,  o  da  persone  pri- 
vate, furono  inutilmente  reclamate  da' 


T  O  R 
Papi,  finché  nel  707  Ariperlo  II  re  de' 
longobardi  e  duca  di  Torino,  con  bel  di- 
ploma di  restituzione  e donazione,ne  rein- 
tegrò Papa  Giovanni  VII.  In  che  consi- 
stessero, con  diretto  dominio  temporale, 
varie  furono  le  opinioni,  come  rilevai  nel 
voi.  LXVll,  p.  286.  Il  Denina  disse  che 
l'Alpi  Cozie  erano  le  montagne  e  le  valli 
del  Piemonte;  altri  che  fossero  beni  allo- 
diali e  possessioni  ;  Anastasio  Biblioteca- 
rio, domimi  e  giurisdizioni  con  sovrani- 
tà; e  il  conte  Balbo,  gli  A  pennini  che  so- 
vrastano e  circondano  Genova.  InoItreA- 
riperto  11  confermò  alla  chiesa  di  Ver- 
celli tutte  le  sue  ragioni,  e  specialmente 
la  donazione  falla  da  Gauderi  longobar- 
do che  avea  fondato  il  monastero  di  s. 
Michele  di  Lucedio,  alle  cui  possessioni  il 
buon  re  educa  diTorino  neaggiunse  altre  . 
La  diocesi  di  Torino,  sulla  fine  delI'VIII 
secolo,  fu  la  1  ."spettatrice  e  partecipe  d'u- 
no de'più  celebri  avvenimenti  della  sto- 
ria, cioè  dell'ingresso  di  Carlo  Magno  in 
Italia,  superate  le  Alpi,  che  poi  fu  fonda- 
tore d'un  nuovo  impero.  1  Papi  molesta- 
li dagl'imperatori  di  Costantinopoli,  da- 
gli esarchi  di  Ravenna,  dalla  potenza  dei 
longobardi,  e  dalle  discordie  de' principi 
italiani;  amareggiati  da  nuove  vessazioni 
cagionate  da  Desiderio  re  de'longobardi, 
più  volte  ricorsero  e  con  successo  al  soc- 
corso di  Francia. Minacciata  anche  Roma, 
dovette  Adriano  1  invocar  l'aiuto  del  re 
de'  franchi  a  difesa  della  chiesa  romana  t 
de'suoi  domimi  temporali.  Carlo  Magno 
esaurì  le  vie  di  conciliazione  per  indur- 
re Desiderio  olla  dovuta  soddisfazione 
verso  la  s.  Sede,  e  di  tralasciare  d'esser- 
ne I'  oppressore,  promettendogli  persino 
1 4,ooo  soldi  d'oro.  Riuscito  il  tutto  inu- 
tile, Carlo  Magno  nel  773  convocata  l'a- 
dunanza de'franchi  a  Ginevra  (della  qua- 
le riparlai  meglio  a  Svizzera),  divise  'l'e- 
sercito in  due,  l'una  parte  sotto  lo  zio  pel 
Gran  s.  Bernardo, l'altra  condotta  da  Ini 
pel  Moncenisio.  Contro  il  re  corse  Deside 
rio,  e  prese  posto  alle  Chiuse  in  vai  di 
Susa,  presso  il  luogo  ove  fu  poi  eretta  la 


T  OR 

chiesa  ahbaziale  di  s.  Michele,  sforzando- 
si di  chiudergli  il  passo;  indi  a  un  trailo 
preso  da  spavento  si  ahhandonò  a  preci- 
pitosa fuga,  nella  quale  inseguito  da'fran- 
chi  perde  molti  de' suoi.  In  questo  gran 
successo,  onde  venne  la  mutazione  d'Ita- 
lia, anzi  poi  il  nuovo  andamento  di  tutti 
gli  affari  d'Europa  per  molti  secoli,  Car- 
lo Magno  vi  riconobbe  manife>tamenlela 
possente  mano  di  Dio.  Il  suo  esercito  pas- 
sò per  una  via  per  la  quale  credesi  che 
non  ve  n'era  mai  passato  altro,  coperta  di 
nevi  e  di  mille  pericoli,  mentre  tutte  le 
schiere  longobarde  fuggivano  impaurile 
senza  trar  colpo.  I  popoli  italiani  conob 
bero  in  lui  un  liberatole  mandato  da  Dio, 
e  pe'primi  ne  giubilarono  i  torinesi,  che 
gli  andarono  incotrtroe  riceverono  con  fe- 
ste singolari  entro  le  proprie  mura.  San- 
tificò Carlo  il  suoi  .'ingresso  in  Piemon- 
te, con  concedere  al  monastero  di  Nova- 
lesa  immunità  e  privilegi  grandissimi  ai 
i5  marzo,  epoca  gloriosa  del  suo  arrivo. 
Giunto  a  Pavia,  vinse  Desiderio,  lo  fece 
prigione  e  die  termine  al  regno  longobar- 
do in  Italia  ,  la  quale  con  Torino  e  sua 
provincia  passò  in  potere  di  Carlo  Magno. 
Da'longobardi  è  vero  che  s'introdussero 
tra'torinesi  diversi  abusi,  i  duelli,  le  pro- 
ve o  giudizi  di  Dio.  e  varie  altre  super- 
stizioni, ma  grandi  furono  i  vantaggi  che 
portarono  al  costume.  Presso  di  loro  le 
donne  erano  sempre  sotto  tutela,  cioè  del 
padre  o  del  suo  più  vicino  parente,  e  fi- 
nalmente del  marito;  né  potevano  senza 
il  consenso  del  loro  curatore  disporre  del- 
le proprie  cose.  Questa  dipendenza  delie 
donne,  u^ata  anche  da' romani  in  tempi 
migliori,  era  presso  de'longobardi  di  gra- 
ve interesse  a  mantenere  la  pubblica  one- 
stà. I  longobardi  conquistatori  s'incivili- 
rono rapidamente,  da  pagani  e  da  eretici 
ch'erano, conosciuta  la  verità,  abbtaccia- 
rono  la  fede  cattolica,  e  dierono  lumino- 
si esempi  di  pie  largizioni,  nella  fondazio- 
ne e  anip'iazione  di  chiese  e  monasteri. 
Generosa  e  sincera  fu  la  pietà  de'  longo 
bardi  d'ambo  i  sessi,  d'ogni  età  e  condì 


TOR  179 

zionc,  e  specialmente  di  stirpe  reale.  Do 
pò  il  vescovo  di  Torino  Rustico,  POgliel- 
li  successivamente  riporta  Claudio  I,Clau 
dio  11  e  Claudio  III,  indi  Lancio.  Invece 
il  can.  Bima  registra  nel  jryo  Claudio  I 
Porro,  nell'800  Andrea,  nell'820  Clau 
dio  li  spagnuolo  e  iconoclasta,  nell'83?. 
Virgario,  nell'85o  Regniamo  fondatore 
de'canonici  di  s.  Giovanni,  nell'8^-3  Clau- 
dio IH  Seyssel,  nell'878  Amuloo  Amu- 
Ione  I,  e  nell'887  Lancio.  Ciò  premesso, 
continuo  a  procedere  col  p.  Semeria  nel- 
la seguente  serie,  dalla  quale  si  rileveran- 
no le  diversità.  Circa  l'anno  780  fiorì  il 
vescovo  Reguimiroo  Piegnimiro,  insigne 
per  [lieta,  disinteresse  e  decoro  del  sacer- 
dozio e  di  sua  chiesa:  assegnò  a'suoi  sacer- 
doti la  curadidiversechiese,dtntro  la  cit- 
tà e  nel  circonvicino  territorio  per  la  mag- 
giore utilità  del  popolo;  li  radunò  in  una 
casa  a  vita  comune,  prescrivendo  loro  sag- 
gi regolamenti,  onde  corrispoudessero  con 
merito  alla  loro  vocazione,  e  facessero  con 
ordine  il  servizio  divino,massime  nella  ha- 
silicadel  ss.  Salvatore  ossia  di  s.  Giovanni, 
e  per  l'onesto  loro  sostentamento  conces- 
se ad  essi  molte  terre  e  il  diritto  delle  de> 
cime  in  diversi  luoghi,  ciò  che  confermò 
e  ampliò  poi  nelio4/Con  diploma  l'im- 
peratore Eurico  111.  In  breve^  il  vescovo 
Regiiiniiro  fondò  la  canonica  e  il  chiostro 
a'sacerdoti  del  suo  clero,  uè  ordinò  le  sa- 
gre funzioni  nelle  basiliche,  e  di  molti  be- 
ni li  dotò,  affinchè  fossero  interamente  oc- 
cupati de'doveri  del  santo  miuistero  e  non 
disturbati  dalle  cure  temporali.  Né  deve 
meravigliare  diedi  tante  terre  dispose  da 
padrone,  giacché  la  sede  episcopale  di  To 
lino  da'duchi  e  re  longobardi  era  stata  di 
molto  arricchita.  Andrea  fu  vescovo  cir- 
ca il  799,  di  cui  è  memoria  nel  necrolo- 
gio de'canonici,  e  in  un  placito  tenuto  in 
Pavia  da  Carlo  Magno,  in  tempo  ch'era 
A  e  di  Francia,  e  non  ancora  imperatore, 
alla  quale  dignità  venne  elevato  in  Roma 
da  s.  Leone  III  nell'800,  quando  il  Papa 
ripristinò  l'impero  d'occidente.  Di  più  al- 
tri vescovi  torinesi  trovasi  menzione  neh 


j8o  TOR 

l'indicalo  necrologio,  e  segnatamente  eli 
Rustico,chesi  potrebbe  assegnare  all'8oo. 
Indi  Claudio  1  dell'820  circa,  spagnuolo 
e  discepolodi  Felice  vescovo  d'LFrgel,  che 
recatosi  in  Francia  fu  fatto  cappellano  di 
palazzo  da  Lodovico  I  il  Pio}con  riputa- 
zione di  grande  intelligenza  nelle  divine 
scritture,  sulle  quali  compose  diversi  com- 
mentar"!; in  seguito  fu  posto  alla  direzione 
della  scuola  stabilitavi  da  Carlo  Magno, 
mostrandosi  premuroso  perla  predicazio- 
ne della  divina  parola  e  1'  istruzione  dei 
popoli.  Queste  sue  qualità  mossero  l'im- 
peratore a  proporlo  alla  sede  di  Torino, 
ma  restò  ingannato,  poiché  appena  prese 
Claudio  I  possesso  della  diocesi,  che  spie- 
gò un  carattere  altiero,  e  sotto  colore  di 
volerne  correggere  gli  abusi  e  togliere  da- 
gli animi  la  superstizione,  diffuse  l'eresie 
defd' Iconoclasti,  che  tanto  desolavano  le 
chiese  cattoliche  d'oriente,  per  l'empietà 
e  la  ferocia  degl'imperatori  di  Costanti- 
nopoli. Considerando  le  immagini  sagre 
fattura  degli  uomini,  non  opera  di  Dio, 
le  condannò  al  suo  popolo,  ritenendo  sa- 
crilega abbominazione  il  culto  de' santi, 
perchè  coli'  onorarli  pretendeva  di  to- 
gliersi a  Dio  la  gloria  ch'egli  solo  merita. 
Questi  ingannevoli  insegnamenti  predi- 
cando continuamente,  né  vedendo  perciò 
che  il  clero  e  il  popolo  cessava,  secondo 
il  vero  senso  della  Chiesa,  d'onorare  e  in- 
vocare! santi  e  venerarne  le  reliquie,  tol- 
se alle  chiese  tutte  le  sagre  immagini,  rab- 
biosamente spezzò  le  statue  e  gitlò  a  ter- 
ra lecroci  degli  altari.  Ne'di  vini  utìizi  sop- 
presseli nomede'sanli,  abolì  le  loro  feste, 
e  vietò  i  lumi  nell'ecclesiastiche  funzioni. 
Riprovò  i  pellegrinaggi  alle  tombe  de'ss. 
Pietro  e  Paolo,  e  rinnovò  l'eresie  di  Vigi- 
lanzio,  d'Ario  e  di  N esIorio  intorno  alla  di- 
vinità del  Verbo.  Il  vescovo  fu  perciò  de- 
nominalo Y Iconoclasta,  di  venne  l'obbro- 
brio de'torinesi  e  de'  vicini;  i  canonici  ri* 
corsero  alla  s.Sede,  onde  Papa  s.  Pasqua- 
le 1  si  mostrò  fortemente  sdegnato  con- 
tro l'empio  novatore:  in  Italia,  in  Fran- 
cia e  in  Germania  Dio  suscitò  più  scrii- 


TOR 

tori  a  combatterne  gli  errori,  riprovati  dal 
concilio  di  Parigi  dell' 825;  ma  egli  al- 
tero e  pertinace  morì  nell'errore  senza 
ravvedimento  nell'83o,  restando  la  sua 
memoria  esecrata  nella  chiesa  cattolica.  I 
moderni  eretici  Valdesi  pretesero  d'adot- 
tarlo per  loro  capo,  e  con  altri  protestanti 
assai  lo  lodarono.  Nell'84o  circa  fu  vesco- 
vo Willelmo  o  Guglielmo  I,  sebbene  al- 
cuni supposero  successore  di  Claudio  1  un 
Witigario.  Indi  neh'  873  Claudio  II,  al 
cui  tempo  e  nell'878  Papa  Giovanni  Vili 
ritornando  di  Francia  perla  via  di  Mo- 
riana  e  del  Moncenisio,  venne  a  Torino 
in  compagnia  di  Dosone  duca  di  Proven- 
za^ di  Ermengarda  sua  moglie,  con  nu- 
meroso seguito.  Indi  passò  a  Pavia,  ove 
pel  dicembre  avea  intimato  un  concilio, 
ma  i  vescovi  di  Lombardia  per  timore  di 
Carlomanno  re  di  Baviera  e  imperatore, 
non  osarono  intervenirvi. Nell'887  o  88g 
Lancio  ch'ebbe  conlesa  col  vescovo  d'Asti 
Giuseppe,per  alcune  terre  poste  nella  dio- 
cesi di  Savona,  transalta  da  Oldorico  con- 
te d'Asti.  Nell'899  i'»P0lta  il  P-  Semeria 
Amolone,  ma  non  Io  dice  Amulo  II  co- 
me vuole  il  can.  Bima  che  lo  registra  al- 
l'8q6.  Essendosi  rivoltata  contro  di  lui  la 
cillà  di  Torino,  la  quale  non  solo  nel  re- 
gimespirituale,  ma  molto  ancora  nel  tem- 
porale gli  era  soggetta,  fu  costretto  a  fug- 
gir dalla  sua  sede  e  starne  lontano  per  un 
triennio;  ed  in  questo  tempo,  per  suo  sug- 
gerimento, fu  ucciso  Lamberto  imperato- 
re e  re  d'Italia  (morte  che  altri  dicono  av- 
venuta nell'898),  mentre  in  una  foresta 
divertivasi  alla  caccia.  Pacificate  le  tur- 
bolenze civili,  Amolone  tornò  a  Torino, 
ove  prevalendosi  di  sua  autorità  laicale 
per  castigare  la  città  ri  voltosa,fece  distrug- 
gere la  nobile  corona  di  mura  che  la  cin- 
geva, le  molte  e  alte  torri,  e  tutti  i  guer- 
reschi propugnacoli,  che  fra  le  altre  cit- 
tà d'Italia  la  rendevano  forte  e  superba. 
Queste  cose  narrate  dalla  cronaca  di  No- 
valesa,e  credule  dal  Tesauro  nella  sua  Sto- 
ria di  Tarinole  mette  in  dubbio  il  Mei- 
1  anesio,  almeno  l'uccisione  di  Lamberto, 


T  OR 

poiché  lo  storico  Luitprando  racconta  di- 
versamente la  morte  di  Lamberto.  Nel 
goo  o  nel  901  fiori  il  vescovo  Eginolfo 
o  Eginulfo,  che  intervenne  al  concilio  di 
Pavia  e  sottoscrisse  la  donazioue  che  Be- 
rengario I  re  d' Italia  fece  alla  chiesa  di 
Vercelli  dell'abbazia  di  s.  Michele  di  Lu» 
cedio.  Nel  qo6  Villelmo  o  Uliehno  o  Gu- 
glielmo Il  visse  ne'lempi  infelici,  ue'qua- 
li  i  Saraceni  penetrati  in  tale  anno  nel 
Piemonte,  portarono  alle  chiese  e  a'mo- 
nasteri  una  grandissima  desolazione,  che 
descrive  Reinaud,  Invasioni  dew  Sarra- 
zins  eri  Fraiice,  Parisi 836.  1  saraceni  o 
arabi,  cosi  detti  perchè  uscirono  dalla  cit- 
tà di  Sara  nell'Arabia,  devastavano  i  pae- 
si e  viveauo  di  rapine,  penetrati  in  Pro- 
venza furono  a  portata  di  poter  nuocere 
all'Italia,  che  cominciarono  a  infestare, 
specialmente  la  spiaggia  ligustica. Inoltra- 
tisi nell'Alpi  marittime  per  la  via  di  So- 
spello,  e  traversato  il  colle  di  Tenda,  di- 
scesero a  devastare  il  Piemonte  e  la  Lom- 
bardia. Mentre  s.  Bernolfo  vescovo  d'Asti 
(che  il  can.  Bima  dice  fiorilo  nelI'Soo)  vi- 
sitava la  sua  diocesi,  fu  da'barbari  mar- 
tirizzato nelle  vicinanze  di  Moudovi.  Do- 
po altre  invasioni  ,  entrarono  i  saraceni 
nella  diocesi  di  Torino  ,  nel  qual  tempo 
ossia  sul  fiue  del  secolo  IX  o  sul  principio 
del  X  eravi  creato  il  governo  d'una  Mar- 
ca, che  conteneva  i  contadi  di  Amiate,  di 
Bredulo,  di  Albi  e  di  Asti,  oltre  a  quello 
di  Torino,  verosimilmente  soggetti  ad  es- 
sa Marca,  che  fu  chiamata  lai/  Marca 
d'Italia,  di  cui  porta  e  ingresso  era  Susa. 
Oltrepassando  i  saraceni  la  diocesi  torine- 
se, e  più  oltre  ancora,  saccheggiando  dap- 
pertutto, penetrarono  nel  monastero  del- 
la Novalesa  operandovi  orribili  guasti  e 
crudeltà  che  già  accennai,  con  insaziabi- 
le furore.  Per  colmo  de' inali  mancava  un 
governo  robusto  e  armato,  che  potesse 
combattere  o  frenare  siffatta  audacia.  I 
monaci  colle  sagre  suppellettili  e  reliquie, 
ed  i  codici,  verniero  aToriuo,  città  forti- 
ficata, accolti  da  Guglielmo  1 1,  che  da  pa- 
dre amorevole  procurò  loro  alloggio  e  a- 


TOR  181 

limenti,  e  die  loro  a  uflìziare  la  chiesa  di 
s.  Andrea.  Si  stanziarono  i  monaci  in  To- 
rino e  si  estesero  iti  tutto  il  Piemonte,  e 
la  reliquia  la  più  insigne  che  trasferiro- 
no fu  quella  di  s.  Secondo  duce  della  le- 
gione tebea,  martirizzato  nel  castello  di 
Viclirailio,  o  in  Ventimiglia  secondo  il 
martirologio  romano ,  non  perchè  vera- 
mente ivi  successe,  ma  per  le  ragioni  scrit- 
te dal  p.  Semeria  e  per  possederne  il  ca- 
po ottenuto  da  un  vescovo  da'  monaci. 
Questi  inoltre  recarono  in  s.  Andrea  diTo- 
rino le  reliquie  di  s.  Valerico  abbate  pa- 
trono della  città,  eletto  in  occasione  d'u- 
na pestifera  epidemia,  già  da  Carlo  Ma- 
gno da  Amieus  fatto  trasportare  alla  No- 
valesa. Fu  scritto  che  il  vescovo  Gugliel- 
mo II  restò  sospeso  per  3  anni  dalla  sede 
di  Turino,  per  decreto  del  Papa  e  di  mol- 
ti vescovi  radunati  a  concilio,  ma  pare  co- 
sa non  abbastanza  provata.  Morì  poco  do- 
po il  920,  ma  non  è  vero  che  gli  succes- 
se Riculfo  preposto  del  duomo,  dichiara 
il  p. Semeria,  per  averlo  dimostratoli  Mei- 
ranesio,  nondimeno  riportato  al  928  dal- 
l'Ughelli  e  dal  can.  Bima.  Nel  925  trova- 
si vescovo  Amalrico  e  lo  era  pure  nel  928 
in  cui  fece  una  permutazione  di  alcuni  po- 
deri cogli  abbati  di  Novalesa,  e  credesi  che 
abbia  cessato  di  vivere  nel  960.  Alla  sua 
epoca  morì  in  Torino  Lotario  re  d'Italia, 
che  figlio  d'Ugoue  nel  q47  celebrò  le  noz- 
ze con  Adelaide  figlia  di  Rodolfo  II  re  del- 
la Borgogna  Transjuraua.  Vennero  da  Pa- 
via i  reali  coniugi  a  soggiornare  per  al- 
cun tempo  in  Torino,  ed  in  questa  citlà 
l'ottimo  marito  dopo  3  anni  terminò  di 
vivere  a'22  novembre  930,  forse  di  vele- 
no propinato  da  Berengario  marchese  d'I- 
vrea e  poco  dopo  re  d'Italia  e  imperato- 
re Berengario  II,  ad  onta  che  il  virtuoso 
principe  l'avesse  salvato  dall'ira  del  pa- 
dre che  lo  volea  uccidere.  Il  cadavere  fu 
trasferito  a  Milano,  e  la  piissima  vedova 
tosto  fuggì  da  Torino  e  dal  Piemonte,  e 
potè  appena  salvarsi  nella  fuga  dall'insi- 
die che  gli  tese  perfidamente  Berengario 
medesimo:  dipoi  sposò  l'imperatore  Ot- 


182  TOR 

Ione  I.  Nel  960  si  riporta  per  vescovo  An- 
nucoo  Annucone,  dal  Pingonio,  e  dall'U- 
ghelli  che  però  lo  registra  al  9GG,  e  il  cari. 
Bima  al  9G0:  lo  esclude  Meiranesio,  e  tut- 
lavolla  il  p.  Semcria  non  contende  a  chi 
voglia  qui  porlo.  Amizzone  del  966,  cre- 
duto figlio  di  Arduino  III  detto  Glabrio- 
ne  contedi  Torino,  reggeva  la  chiesa  di 
Torino  allorché  fu  fondato  il  celebralissi- 
mo monastero  della  Chiusa,  a  cui  die  non 
solo  il  suo  consenso,  ma  vi  prestò  l'opera 
e  il  denaro,  avendo  egli  fatto  fabbricare 
>ul  monte  Pinchiriano  la  chiesa  di  s.  Mi- 
chele. In  tempo  di  questo  vescovo  l'impe- 
ratore Ottone  III  con  diploma  del  998 
t  oncesseall'episcopio  di  s.  Giovanni  di  To- 
rino la  proprietà  e  il  possesso  della  valle 
di  Stura  e  di  quella  di  Vraita,  e  molte  al- 
're  terre  e  castella,  fra  le  quali  Ch'ieri,  Ca- 
nova, Celle,  Testona,  Ri  voli  e  Carignano. 
Il  can.  Rima  riporta  Amizzone  al  987,  lo 
■  lice  figlio  d'Arduino  re  d'Italia,  e  che  as- 
-iste  alla  consagrazione  di  s.  Michele  del- 
ia Chiusa.  Nel  1000  o  nel  1001  successe 
Gezzone  vescovo  piissimo  e  di  molli  be- 
ni generoso  verso  gli  ordini  monastici  , 
iòndatore  in  Torino  del  monastero  de'ss. 
Solutore,  Avventore  e  Ottavio,  nel  luogo 
ove  giaceva  la  più  volte  rammentata  loro 
basilica,  oh  rcmedìum  igìtur  aiiìmcie  no- 
s,traet  nostroruJnaue  succes.sorum  Tau- 
i  iiHii.siuin  pvacsidum.  Fu  carissimo  a  Pa- 
pa Giovanni  XIX,  e  consagrò  la  chiesa  di 
-.Tecla  inMilano.  Indi  nel  loioonelioi  1 
Laudolfo  cappellano  della  regia  cappella, 
molti  beni  donò  al  monastero  di  s.  Soluto- 
ie,  ed  ebbe  da  lui  principio  la  fondazio- 
ne e  dotazione  dell'abbazia  di  s.  Maria  di 
Ca vorre,  ingiungendo  a'monaci  soltanto, 
che  pregassero  Dio  giorno  e  notte  per  la 
pace  e  prosperità  spirituale  e  temporale 
della  diocesi,  per  l'imperatore  e  per  l'im- 
peratrice, per  le  anime  di  lutti  i  fedeli  vi- 
vi e  defunti,  e  per  la  salvezza  sua  propria, 
non  meno  che  per  quella  tle'suoi  prede- 
cessori e  futuri  successori.  Nel  1018  ven- 
ne a  Torino  Eribei  lo  arcivescovo  di  Mi- 
lano e  celebrato  da  quegli  storici,  affine 


TOR 

di  visitare  qual  metropolitano  questa  dio- 
cesi. Il  suo  ingresso  fu  oltremodo  strepi- 
toso, coinechè  circondalo  da  una  moltitu- 
dine di  chierici,  ed  insieme  da  una  trup- 
pa di  valorosi  soldati;  accolto  dal  vescovo, 
dal  clero  e  da'  magistrati.  Tosto  comin- 
ciando la  visita  pastorale,  esortò  gli  eccle- 
siastici e  laici  a  tener  fedelmente  l'integri- 
la della  fede  e  1'  osservanza  della  divina 
parola.  Ricercò  quindi  se  in  questi  luoghi 
erravi  eretici, ed  inteso  che  nel  castello  di 
Monforte  diocesi  d'Asti  esistevano  mani- 
chei, li  fece  colla  contessa  arrestare  e  con- 
durre in  Milano,  ove  chi  non  si  converti 
fudannatoal  fuoco.  Landolfo  con  zelo  re- 
staurò ampiamente  la  cattedrale,  eresse  e 
ornò  vari  templi  nella  diocesi, ecinse  di  più 
altemuree  fortificazioni  Ch'ieri,  così  i  ca- 
stelli di  quel  territorio  Mocariado  e  Tizia- 
no: non  lunghi  da  Ch'ieri  edificò  con  va- 
go disegno  la  chiesa  di  s.  Maria,  la  forni 
d'ogni  ornamento  e  vi  collocò  de'chieri- 
ci.  Altrettanto  intraprese  a  vantaggio  di 
Testona,  città  ragguardevole  per  ampiez- 
za di  circuito  e  per  abbondanza  di  popo- 
lo, soggetta  da'più  rimoli  tempi  a'vesco- 
vi  di  Torino,  e  da  loro  fortificata  e  abbel- 
lita; istituendo  nella  chiesa  maggiore  un 
collegio  di  canonici  con  rendite  :  ma  nel 
1228  Testona  fu  distrutta  dalle  armi  dei 
chieresi  edegli  astigiani, e  gli  abitanti  fab- 
bricarono Moncalieri  con  l'aiuto  de'tnila- 
nesi,  ove  fu  trasferita  la  collegiata.  Più 
viaggi  intraprese  l'ottimo  prelato  in  Ita- 
liane primieramente  a  Roma  nel  io  1  5,ove 
trovossi  al  concilio  di  Benedetto  VIII;  a 
Pavia  in  cui  intervennealsinododelio22} 
e  nuovamente  a  Roma  nel  io3o,  sotto- 
scrivendo una  lettera  di  Papa  Giovanni 
XX.  Si  recò  pure  nel  Saintonge  a  s.  Gio- 
vanni d'  Angely,  per  venerare  il  capo  di 
s.  Gio.  Battista  ivi  portato  dall'oriente,  se- 
condo alcuni,  previa  1'  approvazione  del 
suo  riero  e  popolo,  e  ne  ottenne  porzione 
che  ci  nò  alla  cattedrale.  Morì  a' 12  feb- 
braio 1  .38,  lasciando  la  sua  memoria  in 
benedizione.  Invece  il  can.  Bima  lo  vuo- 
le morto  ne! io  16, nel  quale  anno  gli  dà 


TOR 
in  successore  Mainardo  I  di  Nizza  al  ma- 
re, non  nominato  da  Ughelli.  L'annota- 
tore poi  ili  questi  osserva,  che  Bonifacio 
Tauri nus  Episcopus  nel  i  o  r  3  sottoscris- 
se una  bolla  di  Benedetto  Vili  per  la  chie- 
sa d'CJrgel.  A  tempo  di  Landolfo  visse  Ol- 
derico  Manfredo o  Ma^nifredo  1 1  marche- 
se  di  Susa,  discendente  da  Àrdoino  Già- 
brione  conte  di  Torino,  prudente,  glorio- 
so, divoto,  limosiniere,  superiore  agli  al- 
tri italiani  in  fede,  bontà  e  ingegno;  prin- 
cipe le  cui  azioni  lo  di  mostra  no  savio  e  mo- 
derato, amorevole  della  pace,  d'animo 
grande,  mansueto  e  umile,  né  la  cristiana 
semplicità  minore  della  destrezza  nel  ma- 
neggio di  grandi  affini.  Cessò  di  vivere  in 
Torino  nel  io35  universalmente  compian- 
to, sepolto  nel  tempio  dis.  Giovanni  pres- 
so l'altare  della  cappella  della  ss.  Trinità. 
In  questo  medesimo  avello  ebbe  sepoltu- 
ra suo  fratello  Adelrico  o  Alderico  insi- 
gne vescovo  d'Asti,  che  il  can.  Bima  dice 
figlio  di  Manfredo  conte  di  Savoia  e  ni- 
pote del  re  Arduino;  e  più  ancora  Berta 
sua  moglie  chiamata  da  Dio  verso  ÌI1040 
a  godere  il  premio  di  sue  virtù, siccome 
prudenlissima,  divota,  limosiniera  e  illu- 
stre. A  memoria  de'  3  personaggi  nella 
stessa  tomba  seppelliti,  sino  agli  ultimi 
secoli,  ne' 3  giorni  precedenti  la  festa  del- 
la ss.  Trinità  vi  si  portava  il  capitolo  di 
s.  Giovauni,  e  quivi  pregando  per  l'ani- 
me loro  celebrava  il  divin  sagriflzio.  Al- 
le ottime  istruzioni  di  questi  eccelsi  geni- 
tori, ed  eziandio  alle  loro  virtù  corrispo- 
se Adelaide  celebre  loro  unica  figlia  ed  e- 
rede,  contessa  di  Torino  e  marchesana  di 
Susa,  benemerita  non  solo  della  diocesi, 
tua  più  della  chiesa  universale,  per  mol- 
te opere  insigni  di  pietà,  pe'servigi  presta- 
ti alla  s.  Sede,  e  pel  corredo  di  tutte  le 
virtù  religiose,che  la  fecero  una  delle  prin- 
cipali eroine  che  illustrarono  l'Italia.  Di 
questa  principessa  già  parlai  a  Susa,  ed 
a  Savoia  dicendo  delle  origini  di  sì  au- 
gust  i  casa,  a  cui  col  suo  3.°  maritaggio  con 
Odone  figlio  d'Umberto  I  conte  di  Savoia 
portò  per  dote  il  retaggio  delle  provincia 


TOR  i83 

subalpine  del  Piemonte  e  suo  ricco  patri  - 
monio,  riunendosi  così  insieme  il  domi 
nio  dell'una  e  dell'altra  parte  dell'Alpi  e 
del  loro  importante  passaggio;  in  tal  mo- 
do  la  potenza  della  casa  di  Savoia,  conta- 
li suoi  primi  dominii  che  acquistò  in  Ita- 
lia, fu  più  che  raddoppiata  e  dilatata.  La 
Marca  di  Torino  estendevasi  con  ampia 
zona  di  terre  sino  alle  montagne  maritti- 
me, e  abbracciava  larghi  tratti  del  terri- 
torio d'Asti,  d'Alba,  d'Albengi  e  di  Ven- 
ti miglia.  Morto  Odone  versoi!  1060  o  più 
tardi,  resse  Adelaide  virilmente  e  glorio- 
samente i  suoi  striti,  tanto  i  propri  par- 
ticolari nel  marchesato  d'  Iialia ,  quanto 
quelli  di  casa  Savoia  nel  contado  omoni- 
mo e  in  quello  di  Moriana,  prima  unita- 
niente  a'suoi  figli  nati  da  Odone,  Pietro 
e  Amedeo  II,  poi  con  Umberto  II  suo  ni- 
pote, che  peli.  °ebbe  il  titolo  di  signore  e 
di  principe  del  Piemonte,  amministran- 
do la  giustizia  sotto  al  baldacchino  alle 
porte  di  Torino.  L'estensione  de'suoi  do- 
minii la  narrai  a  Savoia,  ed  il  p.  Seme- 
ria  di  questa  vastità  la  dice  con  s.  Pier  Da- 
miani contemporaneo,  cardinale  e  dotto- 
re della  Chiesa,  principessa  di  uon  breve 
estensione  nell'Italia  e  nella  Borgogua,  ed 
in  cui  più  vescovi  reggevano  i  fedeli;  laon 
de  pare  innegabile  che  il  suo  dominio  di 
là  dall'Alpi  giungeva  sino  al  lido  della  Li- 
guria di  ponente.  Sopra  tutte  1'  umane 
graudezze,  il  nome  d'Adelaide  vivrà  im- 
mortale ne'fusti  della  Chiesa,  per  la  san- 
tità de'suoi  costumi,  per  l'ardentissimo 
suo  zelo  nella  difesa  della  religione  e  del- 
la s.  Sede  contro  il  perfido  persecutore  di 
s.  Gregorio  lyIf  (sulla  patria  di  questi, 
se  romano,  se  toscano  e  di  Soaua.  ripar- 
lerò a  Toscana,  dicendo  come  ora  il  cau. 
Cerri  lo  vuole  di  Soana  del  Canavese  in 
Piemonte),  l'imperatore  Enrico  IV  ma- 
rito di  sua  figlia  Berta,  1'  altra  figlia  a- 
vendo  sposato  Rodolfo  duca  di  Svevia  in 
di  re  de'  romani  (eletto  contro  il  cogna- 
to Eurico  IV,  pel  delusamente  narra- 
to nella  biografia  del  Papa),  per  le  prò 
fuse  sue  limosine  e  largizioni  a™li  ordim 


184  TOR 

inonastici,come  pure  alle  cattedrali  di  To- 
rino e  Asti,  ed  alla  badia  di  s.  Solutore. 
.Nella  sua  pia  munificenza  fondò  chiese  e 
abbazie,  altre  ingrandì  e  arriccili  di  pos- 
sessioni vaste  e  pingui.  Non  sarà  mai  di- 
menticato l'opuscolo  a  lei  scritto  das.  Pier 
Damiani,  nel  quale  la  paragona  a  Debo- 
ra nel  governar  lo  stato,  confortandola  a 
non  affliggersi  per  le  replicate  nozze  con- 
tratte, e  raccomandandogli  d'adoperare 
tutta  la  sua  autorità  insieme  con  Cuniber- 
to vescovodi  Torino  per  esterminare  l'in- 
continenza degli  ecclesiastici,  in  modo  pe- 
lò tale,  ch'egli  a'ehierici,  ed  essa  alle  fem- 
mine ponesse  eflicace  riparazione.  Doci- 
le la  pia  matrona  a  questo  suggerimento, 
prestò  difalto  il  forte  suo  braccio  a  toglie- 
re lo  scandaloso  abuso.  Il  gran  Papa  s. 
Gregorio  VII  avea  tanta  buona  opinione 
d'Adelaide  e  delle  grandi  sue  virtù,  che 
nel  1 07  3  scrivendole  una  calda  lettera, mi- 
se sotto  la  protezione  sua  i  monasteri  di 
s.  Benigno  di  Frutluaria  (pure  feudo  ec- 
clesiastico, e  perciò  ne  parlai  a  Sardegna 
e  a  Savoia) e  di  s.  Michele  della  Chiusa,  e 
quindi  a  suo  riguardo  le  mandò  un  bre- 
ve con  cui  regolava  l'elezione  degli  ab- 
bati di  s.  Maria  di  Pinerolo,  al  quale  a- 
vea  soggettato  quello  di  s.  Martino  del- 
l'isola  Gallinaria,  chiamandola  col  glo- 
rioso titolo  di  Figliuola  di  s.  Pietro.  A 
tale  splendido  elogio  ella  corrispose  nel 
conflitto  tra  il  sacerdozio  e  l'impero,  con 
adoperarsi  alla  memorabile  riconciliazio- 
ne d'Enrico  IV  col  Papa,  ed  allorché  l'im- 
peratore volle  recarsi  di  Germania  in  Ita- 
lia per  essere  assolto  dalla  scomunica,  A- 
delaide  accorta  e  sagace,  signora  dell'Al- 
pi Graie  e  Cozie,ne  trasse  profitto  Dell'ac- 
cordargli il  passo  al  Moncenisio,  con  ot- 
tenere la  cessione  di  5  vescovati  nella  Sviz- 
zera e  nella  Savoia,  o  una  provincia  del- 
la Borgogna  e  un  4-°  della  Svizzera;  e  col 
figlio  Amedeo  11  l'incontrò  nel  1077  ma- 
gnificamente nel  paese  di  Vaud  o  in  Vi- 
vey;  lo  trattarono  splendidamente  in  Su- 
sa  e  Torino,  e  poi  accompagnarono  l'im- 
peratore dal  Papa  in  Cauossa,  castello  di 


TOR 

Reggio  della  gran  contessa  Matilde,  cele- 
bre marchesana  di  Toscana  (fr.),  altra 
eroina  della  Chiesa.  Compose  pure  le  dif- 
ferenze fi  a  gli  abbati  di  s.  Benigno  di  Dijon 
e  quelli  di  Frultuaria,  neh  080  in  Tori- 
no ,  ove  si  radunarono  a  questo  fine  un 
cardinale,  ed  i  vescovi  di  D'igne,  Greno- 
ble, Sion  e  Moriana.  Pare  che  negli  ulti- 
mi anni  di  sua  vita  fosse  spogliata  del  po- 
tere e  ridotta  a  povero  stato,  dal  nipote 
Umberto  II, ovvero  essa  spontaueamen- 
te  rinunziò  a  molti  suoi  domimi ,  e  solo 
si  ritenne  que'di  Canischio,  di  Pratocor- 
sano  e  di  Forno  pel  suo  sosteutamenlo. 
Ristretta  a  se  stessa,  applicossi  maggior- 
mente a'doveri  della  religione,  preparan- 
dosi a  ben  morire,  e  cessò  di  vivere  ver- 
so il  1  09 1  in  Canischio  nel  Canavese,  do- 
po aver  soggiornato  a  Valperga,  nella  cui 
chiesa  parrocchiale  fu  mostrato  al  Deui- 
na  il  suo  meschiuissimo  monumento  se- 
polcrale (a  Susa  con  altri  storici  riportai 
l'opinione  che  la  fa  sepolta  in  quella  cat- 
tedrale o  nella  metropolitana  di  Torino 
presso  i  genitori),  alla  qual  chiesa  donò 
una  gran  campana  colf  iscrizione:  Ade- 
laide.? me  feci t,  ma  nel  1 802  fu  squaglia- 
ta e  il  valore  distribuito  a' poveri.  Le  sue 
gesta  furono  anche  descritte  dal  Terra- 
neo nella  sua  Adelaide  illustrata.  To- 
rino divenuto  dominio  de'  conti  di  Sa- 
voia, poi  re  di  Sardegna,  ne  segui  i  gran- 
di destini  e  le  vicende,  che  narrai  in  tali 
articoli. 

Nel  1  o38  successore  al  vescovo  di  Tori- 
noLandolfo,prima  di  settembre,fu  Wido- 
ne  o  Guidone,nel  giugno  dice  il  can.  Bima, 
e  nel  10 36  l'anticipa  l'Ughelli.  Due  viaggi 
egli  intraprese,  l'uno  a  Colonia  nel  io38 
stesso  oneho39  dall'imperatore  Corra- 
do II  il  Salico,  da  cui  ottenne  molti  beni 
e  privilegi  a  favoredella  chiesa  di  Mode- 
na, ch'era  retta  da  Ingoile  a  quella  corte 
pure  intervenuto;  l'altro  a  Magonza  ove 
risiedeva  l'imperatore  Enrico  IH  il  Nero, 
il  quale  per  mediazione  di  Guidone  con- 
cessee  confermò  molti  privilegi  alla  chiesa 
di  Bergamo:  du  questi  lavori  apertamente 


TOR 
si  conosce  che  il  prelato,celebralo  per  pru- 
denza, godeva  di  molta  grazia  e  favore 
nulla  curie  imperiale.  Nelio4  i  confermò 
e  accrebbe  al  monastero  di  Gavone  i  mol- 
ti beni  e  privilegi  conceduti  dal  prede- 
cessore, e  nelio44  co'  consenso  del  capi- 
tolo assegnò  al  monaco  Alberico  la  chie- 
sa di  s.  Secondo  martire,  situata  sulla 
Dora  presso  Torino,  con  tutte  le  terre  e 
pesche  che  le  appartenevano,  acciò  fosse 
riedificata  e  abbellita,  onde  poter  essere 
uflìziata  a  uso  del  monastero.  Gli  successe 
nel  io45  o  nel  1046  Cuniberto,  che  altri 
chiamano  Comberlo,  Gualberto,  Cara- 
berta  e  Umberto.  Nel  1046  intervenne  al 
concilio  di  Pavia,  ove  ricevè  lettere  da  Pa- 
pa Clemente  11;  e  neIio47  fece  larghe  do- 
nazioni al  monastero  di  s.  Solutore  in  To- 
rino, ed  altri  beniassegnò  nel  1  o5ì  all'ab- 
bazia di  s.  Maria  di  Gavone  o  Cavour, 
la  quale  confermò  con  altro  diploma  in 
uno  al  suo  capitolo. Nel  1  o  T9  si  recò  a  Ro- 
ma al  concilio  di  Nicolò  11,  intorno  alla 
libera  Elezione  de  romani  Pontefici.  Ri- 
tornato a  Torino,  partì  nell'anno  stesso 
con  una  fiorita  parte  del  suo  clero  verso 
Milano,  ov'erano  i  due  legati  apostolici  s. 
Pier  Damiani  e  s.  Anselmo  di  Lucca,  per 
mettere  un  valido  freno  all'incontinenza 
de'chierici  e  alla  simonia,  vizi  abbonirne- 
voli  che  deturpavano  laChiesa,essendo ca- 
po de'simoniacidi  Lombardia  e  Piemonte 
altro  Guidone  o  Guido,  il  quale  a  forza  di 
denari  era  stato  investito  della  metropo- 
litana di  Milano  dall'imperatore  Enrico 
III.  I  legati  inviati  per  comporre  le  gra- 
vissime turbolenze  perciò  insorte,  non  po- 
tendo pel  numero  punire  tulli  i colpevoli, 
usarono  il  saggio  temperamento  d'indur- 
re i  delinquenti  adetestare  l'orrenda  mac- 
chia al  cospetto  della  moltitudine,  a  chie- 
derne pubblica  penitenza,  ed  a  promet- 
tere con  solenne  giuramento  d'astenersi 
per  l'avvenire  da  simili  lurpitudiui,sicco- 
me  fece  l'arcivescovo  pel  primo. Ma  partili 
i  lega  li,  egli  di  venne  spergiuro,e  al  tri  chie- 
rici e  prelati  attirò  al  suo  malvagio  par- 
tito, che  tulli  poi  furono  da  Alessandro 


TOR  i85 

Il  colpiti  di  gravissime censure.Se  nel  par- 
tito de' perfidi  entrò  Cuniberto,  ose  egli 
pure  si  meritò  le  pene  canoniche,  non  si 
può  affermare;  certo  è  eh'  egli  mostrossi 
a'ehierici  simoniaci  e  incontinenti  di  sua 
diocesi  troppo  connivente,o  per  una  rilas- 
sata indulgenza  o  per  umano  rispello,  o 
per  non  sentirsi  abbastanza  forte  ad  op- 
porsi al  torrente  d'iniquità.  Di  questa  ri- 
provevole trascuraggine  informato  s.  Pier 
Damiani,  scrisse  al  vescovo  I'  opuscolo, 
Contro,  clerico*  intemperantes  _,•  e  per 
maggior  eccitamento  altra  epistola  indi- 
dirizzò  ad  Adelaide  contessa  di  Torino  , 
ch'egli  chiama  principessaesi^noradidue 
regni,  dell'Italia  cioè  e  della  Borgogna.  Di 
questi  avvisi  salutevoli,  deve  credersi  che 
Cuniberto  abbia  grandemente  profittato, 
non  trovandosi  altre  doglianze,  e  per  pro- 
teggere gli  stabilimenti  alla  santificazio- 
ne e  riforma  del  clero  diretti,  come  quello 
de'canonici  regolari  d'Oulx,  madre  e  mo- 
dello di  molti  altri  nel  Piemonte,  nella 
Liguria  e  in  Francia.  Sostenne  un'acer- 
rima controversia  contro  il  monastero  del- 
la Chiusa,  come  persuaso  che  fosse  eretto 
ne'  beni  allodiali  del  suo  episcopato,  in- 
di portatosi  in  Roma  coli'  abbate  s.  Be- 
nedetto Il  da  s.  Gregorio  VII,  questi  li 
pacificò  e  fece  una  dichiarazione  nel  1078: 
non  pare  probabile  che  Cuniberto  conti- 
nuasse il  suo  mal  animo  contro  il  mona- 
stero, e  che  perciò  fosse  scomunicato  dalla 
s.  Seóe.  Interessante  è  la  digressione  che  il 
p.Semeriaha  fatto  sui  secoli  X  e  XI,  chia- 
mati di  barbane,  d'ignoranza  e  di  super- 
stizione; rilevando  però  il  bene  che  in  essi 
tuttavia  si  operò,  come  nella  diocesi  di  To- 
rino, meno  delle  altre  deformata  dall'i- 
gnoranza e  dalla  scostumatezza.  Che  in 
Torino  Lotario  I  imperatore  ere  d'Italia 
aprì  una  delle  3  scuole  pubbliche  del  Pie- 
monterai  tre  essendo  in  Vercelli  ed  Ivrea, 
e  furono  i  primi  modelli  dell'università 
posteriori.  Alle  scuole  di  Torino  dovea- 
no  accorrere  i  diocesani  di  Savona,  Albeu- 
ga,  Venti  miglia  e  Alba.  Che  non  ostante 
le  cose  riferite,  s.  Pier  Damiani  disse  es- 


1 86  T  O  U 

sergli  in  Milano  sembrato  il  senato  della 
chiesi»  torinese,  come  un  coro  luminoso 
d'angeli;  e  il  monasterod'Oulx  fu  riguar- 
dato baluardo  di  castità,  di  zelo  e  d'ogni 
clericale  virtù.  1  conti  e  i  vescovi  di  Tori- 
no istituirono  abbazie  a'rispettabili  ordi- 
ni monastici,  ove  fiorì  l'osservanza  reli- 
giosa. Sul  finir  del  1080  il  p.  Semeria  di- 
ce che  al  morto  Cuniberto  fu  dato  a  suc- 
cessore Willelmo  o  Guglielmo  111,  nomi- 
na todaUghelli,  già  veniente  incolpato  dal- 
l'autore della  vita  di  s.  Benedetto  II,  per 
aver  ottenuto  con  denaro  la  sede  da  En- 
rico IV, dissipato  i  beni  ecclesiastici  e  per- 
seguitato  i  inoliaci;  mentre  in  vece  favorì 
e  beneficò  gli  ordini  monastici  di  sua  dio- 
cesi, e  segnatamente  l'abbazia  di  Cavour. 
Il  can.  Bima  prima  di  Guglielmo  III,  che 
chiama  II  e  con  1'  Ughelli  dice  interve- 
nuto in  Roma  al  concilio  del  1  08  1,  ripor- 
ta i  vescovi  Reggi  miro  del  1075  vissuto 
«Tue  mesi,  ed  a  cui  scrisse s.  Gregorio  VII; 
e  nel  1076  Cuniberto  o  Cuniberto  o  O- 
heito;  dal  medesimo  ti  dall'  Ughelli  quin- 
di si  nomina  il  vescovo  Ogerio  del  1084. 
Morto  in  vece  nel  1  092,  secondo  il  p.  Se- 
meria, Guglielmo  III,  nell'anno  medesi- 
mo gli  fu  sostituito  "Wi berlo  o  Giliberto, 
che  fece  ampie  donazioni  al  monastero  di 
s.  Solutore.  L'Ughelli  lo  dice  Umberto  o 
Viberto  lì  del  1089,  e  il  can.  Bima  lo  de- 
nomina Umberto  il  del  1  087.  Il  p.  Seme- 
ria  vuole  vescovo  nel  1099  Mainardo  o 
Maginardo,  benefico  col  monastero  di  s. 
Solutore  e  del  proprio  capitolo;  interve- 
nutoa  diversi  concilii  di  Milano, ed  a'eon- 
cilii  di  Laterano  celebrati  da  Pasquale  II 
neh  io5eneh  1  16.  Ma  prima  di  Mainar- 
do, che  il  can.  Bimariportaconl'Ughelli 
dipoi  al  i  1  09,  con  questi  dice  vescovo  nel 
i  104  AmizzoueoAinizioo  Ainisio  H,con- 
lutando  il  p.  Semeria  con  qualche  diffu- 
sione a  p.  1  32  e  seg.  nella  Serie  crono- 
logica degli  arcivescovi  e  vescovi  del  re- 
gno di  Sardegna,  sostenendo  con  l'  U- 
alleili  che  in  tale  anno  e  sotto  tal  vesco- 
vo seguì  1'  invenzione  della  ss.  Immagine 
della  Consolala  e  il  miracolo  del  cieco  na- 


TOR 
to,  come  raccontai  superiormente,  negan- 
do che  avvenne  sotto  Mainardo,il  quale 
fu  vescovo  per  essere  morto  neh  108  A- 
mizzone  II.  Qui  noterò,  che  il  Denina  non 
con  v  iene  con  Guicheuon,  che  il  conte  Uni  - 
berlo  II  fu  nella  crociala  per  la  conquista 
di  Gerusalemme,non  trovandosene  sicuro 
argomento;  e  che  mollo  meno  può  ere-, 
dei  si  l'asserto  d'un  moderno  scrittore,  che 
sotlo  il  principato  d'Umberto  II,  il  vesco- 
vo di  Xorinosi  rese  signore  della  città. Os- 
serva il  p.  Semeria,  che  in  vecedovea  ri- 
marcare, che  a  data  più  antica  rimonta- 
no i  diritti  de'vescovi  torinesi  sopra  diver- 
se terre  e  castella.  L'imperatore  Enrico 
V  con  diploma  de' 3o  giugno  1  1  16  con- 
fermò alla  città  di  Torino  le  sue  libertà 
e  buone  consuetudini,  salva  sempre  so- 
lita justitia  Taurinensis  Episcopi.  Nel 
1  1  18  divenne  vescovo  Guiberto  II,  da  U- 
ghelliedalcan.  Bima  chiamato  Umberto 
111,  già  preposto  della  basilica  del  ss.  Sal- 
vatore; e  nel  1  1 20  Bosone  che  fu  al  sino- 
do provinciale  di  Milano,  e celebroqnello 
diocesano  verso  il  1  125,  in  cui  ordinò  che 
fossero  inviolabilmente  osservate  le  leggi 
della  Tregua  di  Dio  ,  e  morì  nel  t  128. 
Gli  fu  in  tale  anno  surrogato  Arberto  o 
Alberto,  il  quale  ebbe  una  forte  contro- 
versia pe'  diritti  di  giurisdizione,  ossia  pe' 
contini  delle  rispettive  provincie,  con  A- 
medeo  III  conte  di  Savoia,  per  sedar  le 
quali  nominato  da  essi  Pietro  arcivesco- 
vo di  Lione,  dopo  molti  tentativi  lasciò 
indeciso  l'affare.  Volendo  il  vescovo  evi- 
tare ogni  personale  molestia,  di  cui  teme- 
va, da  Torino  rifugiossi  a  Testona;  altri 
dicono  costretto  dalle  armi  del  conte  a  u- 
scir  fuori  della  città.  Intanto  dalle  persua- 
sioni ili  s.  Bernardo  mosso  il  conte  a  por- 
tarsi alla  crociata  d'oriente,  ed  a  ricon- 
ciliarsi col  re  di  Francia  suo  nipote,  potè 
il  vescovo  seco  lui  pacificarsi  e  riprende- 
re il  possesso  de'suoi  diritti.  Per  sua  mor- 
te neh  142  l'arcidiacono  della  cattedrale 
Oberto  o  Umberto  (forse  quell'Umberto 
III  ricordato, poiché  l'Ughellie  il  can.  Bi- 
ma solo  al  1 1  Si  riportano  in  Rainaldo  il 


TOR 

successore  di  Bosone)  fu  elevato  a  pasto- 
re, che  sull'  esempio  de'  predecessori  fe- 
ce molte  donazioni  all'abbazie  di  sua  dio- 
cesi ,  il  che  confermò  Papa  Eugenio  III 
allorché  neh  1 4-7  recandosi  in  Francia  si 
fermò  alquanto  in  Susa  diocesi  di  Tori- 
no. Cessò  di  vivere  neh  1 47»  e  ne'!  '4^ 
gli  fu  surrogato  Carlo  I,  che  Ughelli  e  il 
can.  Bima  danno  per  successore  a  Rinal- 
do neh  i53,  anno  in  cui  egli  fece  dona- 
zione alla  prepostura  di  Vezolano  delle 
chiese  di  s.  Giovanni  e  di  s.  Giacomo  (s. 
Gregorio  dice  il  can.  Bima)  di  Lucerna, 
riservandosi  la  spirituale  giurisdizione  e 
l'annuo  reddito  di  6  monete  di  Susa.  Con- 
cesse a  Guglielmo  de'marchesi  di  Busca 
l'investitura  del  camello  di  Rossana,  colla 
riserva  d'alcuui  diritti  insegno  d'alto  do- 
minio; come  la  die  ad  Aimerico  di  Ve- 
nasca  per  la  3.a  parte  de'beni  che  avea  do- 
nato alla  cattedrale.  Carlo  1  vivea  a'tem- 
pi  del  b.  Umberto  III  conte  di  Savoia,  e 
dell'imperatore  Federico  I,  il  quale  aven- 
do nel  i  i  54  presso  Piacenza  ne'campi  di 
Roncaglia  convocala  la  dieta  del  regno  i- 
lalico,  v'intervennero  tutti  i  vescovi,  prin- 
cipi e  consoli  delle  città.  Carlo  I  rappre- 
sentò i  molli  diritti  chegode  va  la  sua  chie- 
sa, e  i  diversi  privilegi  di  cui  era  stato  spo- 
gliato. Federico  I,  eh' erasi  inteso  a  dire 
da  4  adulatori  dottori  di  legge,  ch'era  pa- 
drone affatto  di  tutto,  ascollò  favorevol- 
mente la  domanda.  Indi  sul  cominciar  del 
1  ij5  Federico  I  s'innoltrò  col  suo  eser- 
cito a  Vercelli,  indi  a  Torino, eindignato 
perchè  Asti  e  Chieri  non  l'avessero  ub- 
bidito, le  fece  incendiare,  contribuendo  a 
sì  barbaro  eccidio  Guglielmo  marchese  di 
Monferrato.  Portatosi  in  Pvoma,  vi  rice- 
vè a'  1 8  giugno  la  corona  imperiale  da  A- 
driano  IV.  In  seguito  l'imperatore  aspi- 
rando alla  corona  d'Italia,  sebbene  dicesi 
averla  ricevuta  in  Monza,  narra  il  p.  Se- 
ineria  che  fu  di  essa  coronato  re,  insieme 
all' imperatrice  sua  moglie  nella  basilica 
di  Torino  in  s.  Giovanni  con  istraordina- 
ìia  pompa.  Se  la  corona  reale  fu  impo- 
rta da  Rinaldo  arcicaucelliere  dell'impero 


TOR  187 

ed  eletto  di  Colonia,  o  in  vece  dal  vesco- 
vo di  Torino,  s'ignora,  né  par  chiara  l'e- 
poca in  cui  successe:  in  ogni  modo  dichia- 
ra il  p.  Semeria  che  sì  grande  avvenimento 
per  Torino  egli  non  dovea  ometterlo.  Di- 
poi Federico  I  a*2 6  gennaio  1  i5g,nel  pon- 
tificalo d'Adriano  I V,  spedì  a  Carlo  I  am- 
plissimo diploma, presso  rUghelli,col  qua- 
le confermò  alla  sua  chiesa  tutte  le  do- 
nazioni fatte  da'predecessoii  e  da  qualsi- 
voglia altra  persona.  Nel  settembre  eletto 
Papa  Alessandro  III,  Federico  I  divenne 
vieppiù  persecutore  della  s.  Sede,  gli  fe- 
ce successivamente  eleggere  contro  4  an- 
tipapi, e  perchè  il  b.  Umberto  III  ripu- 
gnante allo  scisma,  rimase  ubbidiente  al 
virtuosoe  legittimo  Alessandro  I  II,lospo- 
gliò  de'suci  beni  e  ne  investì  il  vescovato 
di  Torino  e  altri  vescovi;  ma  sembra  me- 
glio ritenerlo  effettuato  sotto  il  vescovo 
Carlo  II.  Queste  contese  furono  inasprite 
dalle  tremende  fazioni  de  Guelfi  e  Ghi- 
bellini, che  lacerarono  per  lungo  tempo 
anche  Torino  e  il  Piemonte.  Neh  160  i» 
cui  Alessandro  III  avea  scomunicato  Fe- 
derico I,  per  cui  il  b.  Umberto  III  era-i 
ritirato  dalla  sua  relazione,  e  restò  fedele 
al  Papa  e  unito  alle  città  lombarde,  morì 
Carlo  I,  e  neh  1 62  trovasi  successore  Gu- 
glielmo IV,  rigettato  da  Ughelli  nella  sua 
serie  e  così  dal  can.  Bima,  mentre  si  co- 
nosce eh'  egli  concesse  il  podere  del  R.o- 
saio,  spettante  alla  cattedrale,  a  Willel- 
mo  di  Castelnuovo  e  suoi  discendenti  col- 
l'annuo  ceuso  di  1  2  monete  di  Susa.  Ces- 
sò di  vivere  nel  1  1 64,  e  gii  successe  Carlo 
II,  che  ritardano  Ughelli  e  ah  1 68  il  can. 
Bima,  ambedue  facendolo  successore  d'un 
Oberto  deh  i65.  Carlo  II  colla  città  di 
Torino  continuarono  a  parteggiare  per 
Federico  I,  ed  il  vescovo  ampliò  le  dona- 
zioni fatte  al  preposto  d'Oulx,e  neh  168 
recatosi  col  capitolo  in  Chieri, investì  il  po- 
polo de  tuoi  diritti  e  ragioni,  alle  quali  ri- 
nunziò irrevocabilmente;  ma  tosto  insor- 
se differenza  sull'importante  e  vicino  ca- 
stello di  Montosolo,  di  cui  il  vescovo  rieo- 
uosceva  l'investitura  dall'impero,  quindi 


188  TOR 

seguì  un  accordo.  Io  detto  anno  Federi- 
co 1  trovandosi  in  Lombardia,  andò  gi- 
rando per  vari  luoghi,  pel  Monferrato  e 
pel  Piemonte,  e  con  soli  3o  uomini  a  ca- 
vallo andò  sino  a  s.  Ambrosio,  fra  Tori- 
no e  Susa.  Il  b.  Umberto  III,  ch'era  stato 
da  lui  spogliato  de'propri  domimi,  si  sa- 
rebbe potuto  facilmente  vendicare,  ma  il 
santo  principe  se  ne  astenne.  Pervenuto 
a  Susa  fece  impiccare  un  nobile  brescia- 
no suo  ostaggio, della  cjual  barbarica  ese- 
cutiooefor  temente  corrucciati  gli  abitan- 
ti, volevano  vendicarsi;  preso  l'impera- 
tore da  spavento,  si  die  a  vituperosa  fuga 
per  sentieri  occulti.  Ebbe  poi  il  vescovo 
Carlo  II  gravi  contestazioni  col  b. Umber- 
to III,  che  portate  al  giudizio  dell'impe- 
ratore, la  sentenza  fu  dettata  più  dallo 
spirilo  di  partito  che  da  giustizia,  perchè 
il  conte  continuava  nel  dovuto  ossequio 
ad  Alessandro  IH.  Quindi  Carlo  li  otten- 
ne il  possesso  e  giurisdizione  temporale 
sopra  un  gran  numero  di  villaggi  e  ca- 
stelli, con  esenzione  illimitata  da  ogni  al- 
tro sovrano,  ed  il  b.  Umberto  IH  ne  ri- 
mase quasi  interamente  spogliato.  Vera- 
mente il  conte  come  marchese  d'Italia  e 
di  Susa,  avea  ereditato  delle  ragioni  so- 
vrane su  Torino,  ma  la  città  si  governa- 
va repubblicanamente.  Più  tardi  ricupe- 
rata neh  i  j5  Torino  dal  b.  Umberto  HI, 
quindi  conosciutasi  dall'  imperatore  la 
condotta  del  medesimo,  gli  concesse  pri- 
vilegi e  donazioni,  che  gli  accrebbero  au- 
torità e  potere,  cosi  ne'  cantoni  o  sia  di- 
stretti di  Torino  e  Susa,  come  nella  lun- 
ga valle  diMoriana,al  dire  diDenina;  ma 
non  potè  ottenere  il  castello  di  Pianezza, 
che  fu  nel  i  184  aggiudicato  al  vescovo 
Milone  di  Cardano  salito  alla  cattedra  di 
Torino  fin  dal  i  1 70;  sebbene  prima  di  lui 
il  can.  Bima  riporta  ali  ibg  AmizzonelH, 
e  l'Ughelli  lo  dice  vescovo  neh  170,  cu- 
jus  precibus  Fridericus  imp.  taurinen- 
sibus  injurias  condonavi tj  intli  registra 
neh  1  7  1  Milo.  Questi  già  arciprete  della 
basilica  ambrosiana  di  Mdano,  ricevè  a' 
27  febbraio  1 170  la  cessione  di  Monto- 


TOR 

solo  dà  chi  lo  possedeva,  che  poi  investi 
qual  feudo  semovente  della  chiesa  di  To- 
rino, altrettanto  facendo  poi  di  Colle.Sti- 
mato  grandemente  per  rettitudine,  de- 
stro nel  maneggio  degli  altari  e  di  ogni 
gentil  modo  fornito,  compose  varie  cou- 
troversie.  Morto  s.  Caldino  arcivescovo 
di  Milano,  ivi  si  recò  Milonecogli  altri  ve- 
scovi provinciali  per  eleggere  il  successo- 
re, e  molti  fissarono  l'attenzione  sopra  di 
lui,  ma  prevalse  Lamberto  Crivelli,  che 
divenuto  Papa  Urbano  HI  ritenne  l'arci- 
vescovato.Nel  1  177  portossi  a  Venezia  per 
la  pace  tra  Alessandro  HI  e  Federico  I,  fi- 
gurando quale  unode'deputati  della  lega 
delle  città  lombarde  per  accomodare  le 
gravi  differenze  colf  imperatore,  e  colla 
sua  destrezza  contribuì  al  felice  risulta- 
meuto;  quindi  nel  1  1  79  assistè  al  concilio 
generale  di  Luterano  HI,  in  cui  furono 
condannate  l'eresie  degli.//Z/>/g'e.y/  (de'qua- 
h  meglio  a  Tolosa),  e  de'  Valdesi  (V.), 
gli  errori  de'quali  acciocché  non  si  dila- 
tassero con  danno  della  fede  cattolica,  oc- 
cupò sempre  lo  zelo  de'pastori  di  Torino 
per  eliminarli  dalla  diocesi,  e  non  minore 
fu  la  sollecitudine  de'sovraui  del  Piemon- 
te, per  estirpare  da'propri  stali  la  loro  e- 
resia;ben  persuasi  che  quelli  i  quali  scuo- 
tono l'ubbidienza  alla  Chiesa,  si  rivolta- 
no ancora  contro  il  trono,  ogni  qualvolta 
l'occasione  sia  loro  propizia;  in  fatti  al- 
lorché si  volle  tollerarli,  più  volte  insor- 
sero^ per  frenarne  l'audacia  convenne  im- 
pugnare le  armi.  Fra  le  pacificazioni  che 
co'suoi  bei  modi  ottenne  Milone,  fu  quel- 
la tra'cittadini  di  Chieri  e  di  Testoua,  i 
quali  dopo  essersi  più  volle  oflesi  e  assa- 
liti, pervenne  a  otteuere  una  tregua.  Ma 
poi  i  chieresi  mostrandosi  ritrosi  di  ren- 
dere il  consueto  omaggio  di  fedeltà  al  ve- 
scovo, questi  dalle  sue  genti  d'arme  fece 
guastare  le  loro  fortificazioni  e  ne  piegò 
l'alterezza.  Morto  neh  187  Papa  Urbano 
Ili,  gli  fu  sostituito  nella  sede  di  Mdano 
il  vescovo  Milone,  che  però  resse  quella  di 
Torino  sino  al  1  1 88.  In  questo  gli  succes- 
se Arduiuo  de'couti  di  Valpcrga  uobilis- 


TO  R 

simo,  che  convenne  sull'alienazione  che 
fecero  i  canonici  del  castello  di  Santena  a' 
chieresi,  oggetto  con  essi  di  frequenti  con- 
troversie. Nel  declinar  del  secolo  XII  la 
città  diTorino  era  vicina  a  quella  libertà, 
di  cui  nel  principio  del  medesimoavea  u- 
sato  e  abusato,  e  pronta  a  stringersi  in  u- 
tile  confederazione  col  vescovo,  allorché 
si  trattava  di  respingere  straniere  aggres- 
sioni, non  stava  meno  provveduta  contro 
l'ambizione  di  lui,  ossia  all' impegno  di 
conservare  i  diritti  della  sua  ca  lledrale  ;  in 
fatti  avendo  Arduino  neh  igr  cercato  di 
occupare  qualche  diritto  al  comune,i  bor- 
ghesi levatisi  tumultuosamente  in  armi  lo 
costrinsero  a  riparare  a  Testona,  dove  es- 
sendo stalo  raggiunto  da'  suoi  chierici, 
fermò  pel  timore  d'altri  sinistri  per  qual- 
che anno  la  sede  del  suo  governo. Sembra 
che  l'assenza  avesse  fine  nel  r  193,  aven- 
do il  vescovo  disposto  del  castello  di  Te- 
stona a  favore  de'  torinesi.  Aggiustate  le 
differenze,  e  ritornato  il  vescovo  all'ordi- 
naria sua  residenza,  temevano  i  chieresi 
che  riunite  le  forze  del  vescovo  e  del  co- 
mune di  Torino,  non  avessero  a  soffrir  la 
peggio,  poiché  tra  Chieri  e  Torino  eravi 
una  certa  naturale  gelosia  o  diffidenza,  per 
amore  alla  propria  indipendenza  e  stu- 
diando la  propria  grandezza  colla  depres- 
sione dell'altra  parte.  Cercarono  pertan- 
to i  chieresidi  nuovamente  dividere  gl'in- 
teressi del  vescovo  da  quelii  del  comune 
•  torinese,  colla  quale  divisione  inoltrarsi 
più  facilmente  a  una  forza  superiore;  ed 
ottennero  nuove  concessioni  sempre  più 
utili  alla  loro  libertà.  Intanto  morto  Fe- 
derico I,era  venuto  in  Italia  il  figlio  En- 
rico VI, colla  mira  d'impadronirsi  di  Mi- 
lano e  Alessandria,  e  del  regno  di  Sicilia. 
Procurò  di  quietare  le  guerre  tra  gli  stati 
di  Lombardia,  e  sugli  aifari  del  Piemon- 
te, recatosi  in  Torino,  ordinò  a' 1 5  settem- 
bre !  196  che  il  vescovo  Arduino  avesse 
ogni  più  ampio  diritto  e  facoltà  di  riven- 
dicarsi i  feudi,  senza  suo  beneplacito  stati 
alienati  da'vassalli.  Con  queste  concessio- 
ni il  vescovo  tentasi  più  férmo  nel  riacqui- 


TOR  189 

stare  i  suoi  diritti,  e  la  comune  di  Torino 
essendosi  alleata  con  lui,  per  trarne  il  pro- 
prio vantaggiosi  ridestarono  contro  am- 
bedue i  chieresi,  unendosi  con  que'di  Te- 
stona, e  ruppero  guerra  a  Arduino,  com- 
movendoagraveperturbazionequasi  lut- 
to il  Piemonte,  ciascuna  parte  essendosi 
procurate  forze  ausiliari.  Poderose  truppe 
radunarono  le  due  contrarie  fazioni,  l'u- 
na  per  vincer  l'altra, e  grande  incendio  di 
guerra  tra  loro  si  accese,  e  con  molti  com- 
battimenti si  azzuffarono;  tanto  più  che 
si  accrebbero  in  difesa  delle  repubbliche 
di  Chieri  e  di  Testona,  se  non  gli  aiuti  al- 
meno i  consigli  di  Tommaso  conte  di  Sa- 
voia. Stanche  le  parti  del  lungo  spogliar- 
si e  perseguitarsi,  si  pacificarono  colla  me- 
diazione delle  potenti  repubbliche  diVer- 
celli e  Asti. Fu  statuito  che  il  vescovo  co* 
canonici  rinunziassero  ogni  ragione  al  po- 
destà di  Chieri  su  Montosolo,  onde  il  co- 
mune vi  esercitasse  la  giurisdizione,e  il  ve- 
scovo conservasse  nel  castello  la  superio- 
rità che  riteneva  su  Chieri.  Che  i  testo- 
nesi  liberamente  fruissero  i  pri\ilegi,  e  il 
castellano  si  deputasse  dal  comune  e  dal 
vescovo.  Arduino  usò  larghe  beneficenze 
all'  ospedale  del  Moncenisio  e  a  diverse 
chiese,  acquistò  alla  cattedrale  il  pedag- 
gio della  città  e  molli  proventi  ne'castelli 
di  Verzolo  e  di  Solere.  Il  Gallizia,  nella 
raccolta  decli  alti  de'santi  che  fiorirono 
ne'dominii  della  casa  di  Savoia,  attribui- 
sce il  titolo  di  beato  ad  Arduino,  come 
sapiente,  peritissimo,  a  ninno  secondo  in 
religione,  insigne  per  pietà  e  incompara- 
bile padre  de'poveri;  morì  nel  1206  e  fu 
sepolto  nella  cattedrale.  Gli  successe  Gia- 
como I  de'signori  di  Carisio,  canonico  di 
Vercelli,  da  Ughelli  e  Bima  chiamato  di 
cognome  Mosso  e  Ratteri.  Dovè  subilo  oc- 
cuparsi de'diritti  civili  di  sua  sede,  e  quin- 
di stipulò  nuove  convenzioni  con  Chieri, 
che  poi  confermò  l'imperatore  Ottone  IV; 
dal  quale  i  chieresi  pentiti  degli  accordi 
ottennero  che  li  ripristinasse  ne'loro  an- 
tichi privilegi. In  questa  manierai!  vesco- 
vo rimase  spogliato  d'  ogni  giurisdizione 


i9o  TOR 

civile  e  criminale  sulla  città,  onde  in  se- 
guilo gli  riuscì  d'essere  reintegrato  nel 
j  2  igdall'imperatoreFederico  li  diMon- 
tosolo,  dichiarando  che  la. chiesa  di  Tori- 
no teneva  quel  castello  in  feudo  dagl'im- 
peratori, e  perciò  non  poteva  alienarlo  a 
favore  di  Ch'ieri;  di  più  gli  concesse  ogni 
ampia  facoltà  d'imporre  bandi  pecuniari, 
ossia  multe  per  la  difesa  de'propri  diritti, 
e  finalmente  costituì  il  vescovo  vicario 
dell'aula  imperiale  e  legalo  di  tutta  l'Ita- 
lia. Venuti  poi  a  Torino  i  sindaci  di  Chic- 
ri,  implorarono  l'assoluzione  generale  di 
tutte  le  pene  e  de' debiti  incorsi,  sia  per 
Montosolo,  che  pei' ogni  altra  obbligazio- 
ne, e  furono  esauditi,  col  consenso  de'ca- 
nonici,  practcv<jiiaìii  de  fi  deli  tate,  riser- 
bandosi  il  vescovo  sempre  i  diritti  di  si- 
gnoria sopra  Montosolo  e  sue  adiacenze. 
Papa  Innocenzo  HI  gli  commise  la  com- 
posizione delle  differenze  tra  il  preposto 
d'Oulx  e  il  procuratore  gerosolimitano;'  d 
inoltre  egli  compose  pure  altre  questioni 
con  altri.  Operò  in  più  cose  con  zelo  e  be- 
neficenza. Allorché  Ottone  IV  si  portò  a 
Torino  sottoscrisse  alcuni  diplomi  impe- 
riali, e  l'accompagnò  a  Vercelli.  Siccome 
i  valdesi  eretici  erausi  insinuati  nella  sua 
diocesi,nelle  montagne  d'Agrogna  ediLu- 
cerna,  donde  si  spargevano  nel  Piemonte 
a  seminare  l'empie  loro  dottrine,  ottenne 
dall'imperatore  con  diploma  di  usare  an- 
che la  forza  a  reprimere  l'audacia  de'no- 
vatori.  Giacomo  I  contribuì,  qual  delega- 
to pontificio,  n  comporre  in  concordia  Gu- 
glielmo VI  di  Monferrato  e  i  cittadini  di 
Vercelli,  sopra  la  città  di  Tori  no.  Assegnò 
4  chiese  a  Nicolò  abbate  di  Cavour,  e  alle 
monache  benedettine  diTorino  nel  i  2  i  i . 
Uniti  i  canonici  al  vescovo,  ueh  2  i3  con- 
vennero di  procedere  alla  divisione  de' 
beni  e  delle  rendite,  che  il  capitolo  avea 
fino  allora  posseduto  in  comunità,  onde 
islituironsi  le  prebende  da  ani  ministrarsi 
ciascuna  da  se.  Innocenzo  III  lo  delegò  ad 
assegnare  il  sostentamento  al  rinunzian- 
te  vescovo  d'Alessandria  e  Acqui. Recatosi 
a  suo  tempo  i  ss.  Francesco  e  Domenico 


TOR 

in  Torino,  ivi  introdussero  e  nella  diocesi 
i  loro  religiosi.  Quando  Federico  li  nel 
1220  si  recò  in  Roma  a  ricevere  la  coro- 
na imperiale  da  Onorio  III,  il  vescovo  era 
nel  suo  seguito;  e  quale  legato  imperiale 
pose  Bologna  al  bando  dell'impero,  per 
procedere  ostilmente  contro  Imola. Tor- 
nato a  Torino  gli  riuscì  d'  aggiustare  le 
acerbissime  differenze  tra  il  vescovo  d'A- 
sti e  la  città.  Accrebbe  le  rendite  di  sua 
chiesa,  fu  benefico  co'canonici  d'Oulj.  e 
co'  cisterciensi  di  Casanova,  usando  nel 
suo  titolo  la  formola  :  sola  divina  mise* 
ratione  Episcopus.  Nel  1226  essendosi 
collegate  le  principali  città  di  Lombardia 
e  Torino  contro  Federico  li,  il  vescovo 
con  altri  prelati  però  seguirono  le  parti 
dell'imperatore.  Portate  a  Roma  le  con- 
troversie,Onorio  IH  sentenziò  cheFederi- 
co  II  perdonasse  le  ci  Ila  e  persone  collega- 
te,efuubl)idilo.Sullafinedeli226osul  co- 
minciar del  1 227  occupò  la  sede  Giacomo 
li,  che  molti  confusero  col  predecessore; 
PUghelIi  e  il  can.  Bima  dicono  nel  1 2  1  7 , 
ili."  lo  chiama  Giacomo  II  de'signori  di 
Carisio,  il  2.0  lo  denomina  Giacomo  IH 
parimenti  de'signori  di  Carisio,perchè  nel 
12  io  avea  riportato  Giacomo  II  Mossi  di 
Vercelli  già  abbate  di  s.  Giovanni  di  Par- 
ma. Intervenne  con  altri  prelati  alla  con- 
sagrazione  della  chiesa,  altari  e  cimiterio 
di  s.  Siro  di  Genova  già  cattedrale,  e  mo- 
rì neli23i.  L'Ughelli  e  il  can.  Bima  gli 
danno  nel  1 228  per  successore  Aynardo  o 
Biliardo,  e  neli23o  Ugone  o  Uguccione 
Gagnola  o  Caquarola,  dal  p.  Seroeria  ri- 
portato ali23i.  Eletto  da'eanonici  della 
cattedrale,  senza  l'intervento  consueto  del 
preposto  d'  Oulx,  questi  fece  le  sue  do- 
glianzeal  metropolitanodi  Milano, otten- 
ne sentenza  in  suo  favore,  e  die  il  suo  suf- 
fragio all'eletto.  Pe'suoi  diritti  civili  mos- 
se gravi  contese  al  conte  Tommaso,  che 
nel  1233  voleva  ridurre  Torino  sotto  la 
sua  assoluta  dipendenza,  e  col  figlio  Ame- 
deo IV,  alienando  l'animo  de'lorinesi  da 
ambedue,  persuadendoli  a  non  prestare 
omaggio  al  2.0;  vinto  poi  dalle  ragioni  si 


T  OR 

pacificò  nel  I235,e  indusse  i  torinesi  a  rico- 
noscerlo per  loro  sovrano.  Sembra  più  ve- 
ro il  riferito  dal  Denina,clie  Amedeo  IV, 
sebbene  accorto  e  attivo,  ebbe  a  penar  due 
anni  per  indurre  i  torinesi  a  sottometter- 
si e  prestargli  giurameiitodi  fedeltà; eclie 
pacificossi  ancora  col  vescovo, capo  incon- 
trastabile della  cittadinanza,  e  competi- 
tore non  senza  titoli  del  conte,  pel  domi- 
nio temporale  della  sua  diocesi, che  com- 
prendeva a  quel  tempo  la  massima  parte 
del  Piemonte.  Per  impadronirsi  di  que- 
sto Federico  li,  come  avea  fatto  di  quasi 
lotta  la  Lombardia, nel  12  38  venne  a  Ver- 
celli e  visitò  Torino.  Ne  profittarono  i  chie- 
resi  per  sottrarsi  da  ogni  dipendenza  e 
specialmenteda  quella  del  vescovo  di  To- 
rino^ l'imperatore  gli  esaudì  dichiarando 
la  città  camera  dell'impero,  e  sciogliendo- 
li da  qualunque  accordo  da  loro  contrai- 
lo. In  questa  maniera  Ugone  si  vide  de- 
luso e  spogliato  or  dall'una,  or  dall'altra 
potenza.  Nel  1244  gli  successe  Giovanni 
Arborio  di  Vercelli  già  abbate  di  s.  Gen- 
naro, dopo  18  mesi  circa  di  sede  vacante, 
perchè  Innocenzo  IV  non  confermò  l'e- 
letto dal  capitolo,  ed  invece  nominò  Gio- 
vanni di  piena  autorità.  L'CJghellie  i Ica  11. 
Bima  gli  danno  per  predecessori,  nel  1  236 
Giovanni  1  Provana,  e  nel  1  240  Uguzzio  o 
tigone,  poi  nel  1245  riportano  Giovanni 
Il  Arboreo  Gatlinara.  Bonifacio  marche- 
se di  Monferrato  si  affrettò  a  prestare  o- 
ma^ggio  al  nuovo  vescovo  di  Torino,  per 
ragione  del  feudo  che  teneva,  e  di  cui  era 
stato  investito  dalla  chiesa  torinese:  gli 
giurarono  pur  fedeltà  i  signori  di  Lanzo, 
e  più  rettori  di  chiese  e  superiori  di  mo- 
nasteri. Persistendo  i  canonici  del  duomo 
in  rifiutare  a  proprio  vescovo  Giovanni, 
e  perciò  a  resistere  agli  ordini  pontificii, 
Arnaldo  preposto  di  Biella  esecutore  del  • 
la  bolla  venne  alla  sentenza  di  scomunica, 
che  pronunziò  con  funesta  solennità,  do- 
po aver  fatto  accendere  lecandele  in  chie- 
sa e  suonare  a  lutto  le campane,a'  1  8  gen- 
naio 124  5.  In  Torino  fu  pubblicata  la  sen- 
tenza dal  rettore  del  ss.  Salvatore  nel  luo- 


TOR  191 

go  di  Pianezza  a'22;  quindi  il  vescovo  con 
minaccia  di  scomunica  intimò  aque'di  Ri- 
voli di  prestargli  giuramento  di  vassallag- 
gio pel  feudo  che  tenevano  dalla  chiesa 
torinese.  Nuovi  severi  ordini  replicò  Inno- 
cenzo IV  a'  1  3  febbraio,  commettendo  al 
preposto  di \  ezzolauo  di  scomunicare  l'ar- 
cidiacono, il  preposto  e  il  capitolo  di  To- 
rino, se  pertinaci  in  ubbidire  al  proprio 
pastore,  non  gli  restituissero  il  castello 
di  Rivoli.  Tutte  queste  fulminanti  minac- 
ce non  mossero  punto  i  renitenti,  onde  il 
preposto  di  Vezzolano  intimò  la  censura, 
dichiarandoli  scomunicati  vitandi fXtW'ni' 
timazione  altresì  di  privarli  delle  dignità 
e  de'benefizi. Conobbero  final  ine  n  le  i  cou- 
tumaci  il  proprio  errore,  ed  umiliati  ac- 
cettarono il  vescovo  Giov  anni,  dopo  di  che 
ottennero  perdono  e  assoluzione  da  ogni 
pena.  Finita  la  controversia  col  clero,  un 
altra  sventura  dolorosissima  amareggiò 
l'animo  del  vescovo.  Bollivano,  massima- 
mente in  quegli  anni,  le  famose  e  feroci  fa- 
zioni de'guelfi  aderenti  a'Papi,  e  de  ghi- 
bellini partigiani  dell'imperatore;  e  Gio- 
vanni per  essere  creatura  d'Innocenzo  IV, 
apparteneva  a'  primi,  invece  Tommaso 
li  de' conti  di  Savoia  conte  di  Moriana 
e  di  Fiandra,  fratello  d'Amedeo  IV,  era 
de' secondi  ossia  aderente  di  Federico  li 
nemico  acerrimo  della  s.  Sede.  Quest'im- 
peratore era  venuto  in  Torino  nel  1  24^) 
con  l'apparenza,  onde  giustificarsi,  di  an- 
dare al  concilio  generale  di  Lione  I,  ove 
Innocenzo  IV  lo  scomunicò  e  depose  dal- 
l'impero (notizia  che  seppe  in  Torino,  se- 
condo il  Fedone,  Dc\'iaggi  de' Pontefi- 
ci); ed  essendosi  già  inoltrato  presso  le  Al- 
pi, intese  che  Parma  avea  impugnato  le 
armi  contro  di  lui.  Perciò  lasciando  il  viag- 
gio di  Lione,  che  avea  poca  volontà  di 
proseguire^  per  timore  dell'armi  di  Fran- 
cia ,  retrocedè  pieno  di  furore  per  espu- 
gnarla. Si  opponevano  alle  sue  forze  coi 
parmigiani  tutti  gli  aderenti  del  Papa, ca- 
po de'quali  era  il  suo  legato  Gregorio  di 
Montelungo  protonotano  apostolico  ,  il 
quale  chiamò  in  aiuto  anche   il  vescovo 


i9?.  TOR 

di  Torino,  e  colà  recatosi  Giovanni  con 
tulli  i  suoi  vassalli  in  difesa  della  s.  Sede, 
in  no  fatto  d'armi  da'ghibellini  di  Pavia 
e  Casale  fu  preso  prigioniero  a'2  agosto 
i  247.  Ne  profittarono  que'di  Chieri  per 
impadronirsi  di  Montosolojma  il  conte  di 
Moriana  Tommaso  li, radunate  lesuegen- 
ti  li  cacciò  ,  e  rifabbricata  la  fortezza  se 
ne  pose  in  possesso,  sotto  l'alia  protezione 
di  Federico  II, di  cui  era  vicario  imperia- 
le, il  quale  non  solo  ne  lo  investì,  ma  inol- 
tre di  tutte  le  altre  terre  die  alla  chiosa 
di  Torino  appartenevano.  Languiva  in- 
tanto prigioniero  il  vescovo,  impotentedi 
redimerti  per  essere  stato  spoglialo  di  tut- 
ti i  suoi  beni:  in  queste  strettezze  i  suoi 
canonici  e  aderenti  piegarono  il  conte 
Tommaso  li  a  imprestargli  5oo  denari 
imperinlijCo'quali  potè  riscattarsi  e  tornò 
alla  sua  chiesa  nel  1  25o.  Fece  la  visita  di 
Saluzzo,  parte  di  sua  diocesi,  e  neh  2.5 1 
andò  in  Milano  a  ossequiare  Innocenzo  IV 
e  domandar  la  restituzione  di  tutti  i  suoi 
feudi  posseduti  dal  conte  Tommaso  II. 
Quegli  pure  vi  andò  per  giustificarsi  se- 
gnatamente sulla  riedificazione  della  for- 
tezza di  Montosolo,e  per  esser  assolto  dal- 
l'incorse  censure,  avendo  sposato  la  nipo- 
te del  Papa,  il  cui  fratello  fu  poi  Adria- 
no V.  Deputò  il  Papa  il  vescovo  di  No- 
vara a  proscioglierlo  da  tali  pene,  e  insie- 
me a  convenire  perla  restituzione  di  quel- 
le castella,  esortando  il  conte  a  composi- 
zione amichevole,  per  la  quale  delegò  due 
cardinali  Ubaldini  eGiovanni. Venuti  que- 
sti legati  a  Torino,  tennero  pubblica  se- 
duta a'2  luglio  sotto  i  portici  del  duomo, 
presenti  il  vescovo  e  il  conte,  i  frati  e  i 
principali  personaggi  della  città,  e  senten- 
ziarono un  amichevole  componimento, 
per  cui  Tommaso  promise  restituire  in 
breve  al  vescovo  i  castelli  di  Montosolo, 
Caslelvecchio,  Moncalieri,  Rivoli  e  Lanzo 
da  lui  occupati  quando  teneva  le  parti  del 
defunto  Federico  II.  Ma  il  conte  consegnò 
soltanto  alcune  castella,  ed  il  Papa  mosso 
dalle  sue  ragioni  per  le  altre  gli  accordò 
4  mesi  di  proroga. Morì  il  vescovo  nel  1 2  56 


TOR 

o  neli258,  forse  non  ancora  consagrato, 
da  Pignone  e  Ferrerò  chiamato  prepolen- 
te, ingiusto  e  turbolento,  a  segno  d'  aver 
eccitato  la  città  di  Torino  alla  ribellione 
contro  il  conte  Tommaso  II,  dalle  quali 
imputazioni  lo  giustificò  Meiranesio  con 
sicuri  documenti.  Non  solo  il  conte  Tom- 
maso II  ebbe  signoria  sopra  il  Piemonte, 
in  Torino  e  altri  luoghi;  ma  Innocenzo 
IV  nel  1  254  gli  die  il  principato  di  Capua: 
però  quanto  a'feudi  vescovili,  Tequila  del 
Papa  obbligò  il  nipote  di  restituirli  al  ve- 
scovo. Riferisce  il  p.  Semeria,  con  l'auto- 
rità della  Storia  di  Chieri,  del  cav.  Ci- 
brario,  che  in  quanto  alle  pretensioni  di 
Tommaso  II  sopra  Torino,  bisogna  pre- 
mettere che  questa  città,  sottrattasi  da  o- 
gni  soggezione,  si  reggeva  a  modo  di  re- 
pubblica, ed  avea  neh  226  in  tal  qualità 
formato  accordo  e  lega  colle  altre  città  di 
Lombardia.  Ed  il  Muratori  lasciò  scritto, 
che  Torino  reggevasi  in  forma  di  repub- 
blica, né  più  ubbidiva  a'principi  di  Savoia, 
anzi  di  più  faceva  battere  monete  in  prò» 
prio  nome,  assicurandoci  inoltre  di  aver- 
ne veduta  alcuna  di  argento,  nel  cui  di- 
ritto \e^e\as\:3IonelaTaitri/ie?isi.<;j  e  nel 
rovescio  era  l'aquila,  col  contorno:  Civi- 
ta* imperiali* ;  la  qual  moneta  riferisce  al 
i25o.  Rimarcai  a  Savou,  che  Torino  e- 
sigendo  i  privilegi  di  città  imperiale  e  il 
godimento  di  sua  libertà,  insorse  ogni  vol- 
ta che  vide  alcun  sintomo  di  debolezza 
nella  casa  di  Savoia.  Contuttociò  crede- 
va Tommaso  11  che  la  sua  famiglia  non 
avesse  mai  perduto  gli  antichi  suoi  dirit- 
ti sopra  Torino  e  adiacenze;  ed  in  que- 
sta persuasione  collegatosi  co'  cbieresi  e 
altri  impugnò  le  armi  per  ridurre  la  cit- 
tà nella  primiera  soggezione.  Alla  difesa 
de'torinesi  unironsi  gli  astigiani  eque'del 
marchese  di  Monferrato,  e  presto  le  parti 
vennero  a  combattimenti.  Mischia  terri- 
bile accadde  a  Montebrunodi  Moncalie- 
ri, ma  la  peggio  fu  pel  conte  e  per  l'ab- 
bate di  s.  Giusto  di  Susa  suo  principale 
confederalo, che  rimasero  prigionieri.  Gli 
astigiani  domandarono  d'aver  Tommaso 


TOR 
II  in  loro  custodia,  ed  i  torinesi  glielo  con- 
segnarono. Oltraggio,  che  indignò  i  più 
potenti  monarchi  d'Europa  suoi  parenti, 
ed  invano  isuoi  fratelli  radunarono  trup- 
pe per  liberarlo,  e  Alessandro  IV  fulmi- 
nò censure  per  lo  stesso  oggetto.  A'  1 6  feb- 
braio i  257  Tommaso  II  e  l'abbate  di  Su- 
sa  furono  obbligati  a  f  ire  solenne  rinun- 
zia d'ogni  diritto  che  avessero  nella  città 
di  Torino  0  nel  distretto;  e  di  più  a  Tom- 
maso II,  di  promettere  la  riparazione  di 
tutti  i  danni,  che  per  causa  della  prigionia 
di  lui  i  suoi  fratelli  e  aderenti  avessero  re- 
cato a'torinesi.  Così  ricuperò  il  conte  la  li- 
bertà, lasciando  in  Asti  per  ostaggi  due  fi- 
gli .  ma  poco  sopravvisse  al  cordoglio  di 
vedersi  manomesso  da  quelli  che  prima 
l'ubbidivano:  questo  signore  del  Piemon- 
te, da  cui  per  Tommaso  III  suo  figlio  di- 
scese la  linea  di  Savoia  ne'conti  di  Tori- 
no e  principi  d'Acaia,  che  dominarono  nel 
Piemonte  sino  al  1 4^  1 8,  morì  in  Chambe- 
ry  e  fu  sepolto  in  bel  mausoleo  nella  cat- 
tedrale d'Aosta.  Il  nipote  Bonifacio  conte 
di  Savoia  passò  poi  i  monti  e  venne  a  far 
guerra  a'torinesi.  La  sorte  gli  fu  sfavore- 
vole come  allo  zio,  ed  invece  di  liberare 
i  cugini,  lasciali  statieh'i  in  Asti,  fu  scon- 
fitto e  preso,  morendo  prigione  in  Tori- 
no nel  1 263,  onde  il  suo  retaggio  passò  al 
zio  Pietro.  Nell'osservazioni  sloriche  fat- 
te dal  p.  Semeria  sui  secoli  XII  e  XIII  si 
rileva,  che  forse  furono  i  più  scostumati 
e  infelici  di  quanti  ne'tempi  antichi  e  suc- 
cessivi ha  passalo  la  chiesa  di  Torino.  iNon 
vi  era  allora  unità  di  civile  governo,  non 
centro  fìsso  d'un  capo  supremo,  ora  im- 
perando i  cesari  di  Germania,  ora  i  re  d'I- 
talia, che  d'ordinario  erano  gli  stessi,  ora 
le  città  a  forma  di  repubbliche  quasi  in- 
dipendenti: aveauo  i  loro  propri  diritti  so- 
pra Torino  i  conti  di  Savoia,  discenden- 
ti dalla  benemerentissima  Adelaide;  una 
vastissima  giuiisdizione  temporale  eserci- 
tavano anche  i  vescovi  torinesi;  e  gli  uni 
egli  altri  poteri  tutti  erano  confusi,  uè  ben 
determinali,  cosicché  non  sapevasi  mai  as- 
segnare il  termine  d'uu  diritto  ad  uso  dei 

VOL.   LXXVU. 


TOR  ,93 

reggitori,  senza  ledere  quello  degli  alni. 
Da  ciò  la  gelosia, bene  spesso  l'ambizione, 
rare  volte  la  giustizia,  ficevansi  guerra  a 
vicenda,  sempre  colla  perdita  del  più  de- 
bole, che  alla  sua  volta  risorgeva,  non  so- 
lo per  ripigliare  il  proprio,  ma  di  più  per 
acquistarel'altrui  dominio.  Da  questa  con- 
fusione di  poteri,  dice  il  p.  Semeria,  deri- 
vava che  i  vescovi,  molestati  o  gelosi  nel- 
l'esercizio libero  de'propri  feudi,  stavano 
bene  spesso  lontani  dal  proprio  gregge,  o 
almeno  impediti  e  distratti  dall'applicarsi, 
siccome  faceva  di  bisogno,  alla  predica- 
zione, alla  visita  pastorale, alla  correzione 
de'coslumi.  Andavano  frequentemente  al- 
la corte  degl'imperatori,  o  per  accusare  o 
per  difendersi,  e  di  tanto  in  tanto  veniva- 
no costretti  a  fuggir  da  Torino,  per  rifu- 
giarsi ad  una  vita  meno  agitata  in  Te»to- 
na  o  altrove.  Non  si  devono  però  rimpro- 
verare i  vescovi,  quasi  che  nel  sostenere 
gl'interessi  loro  e  quelli  della  loro  chiesa 
avessero  violato  la  giustizia;  e  muovono 
a  sdegno  quegli  scrittori  che  vituperano  di 
aperte  enormità  i  vescovi  torinesi  de'due 
secoli  in  discorso,  come  il  troppo  morda- 
ce scrittore  per  l'episcopato  Ferrerò  di  La- 
vriano,  di  bollente  immaginazione  teme- 
raria, con  esagerazioni  ripugnanti  alla  sto- 
ria. I  vescovi  di  Torino  invece  d'essere  per 
ambizione  e  per  interesse  usurpatori,  co- 
me li  caratterizza  il  Ferrerò,  furono  in- 
giustamente perseguitati  e  spogliati  de'lo- 
ro  diritti  e  prerogative.  Divisa  e  infranta 
nell'ordine  civile  la  sovrana  autorità,  la 
città  di  Torino  armavasi  contro  gli  anti- 
chi conti  di  Savoia,  e  tuttociò  sempre  sot- 
to colore  di  giustizia  e  di  retta  difesa  dei 
propri  diritti.  Per  buona  sorte  non  ven- 
ne la  chiesa  torinese  mai,  come  tante  al- 
tre cospicue  città  italiane,  sottoposta  al- 
l'ecclesiastico interdetto.  Né  devesi  tacere 
del  turpissimo  ed  esecrabile  abuso  ch'e- 
ra passato  fatalmente  in  consuetudine  nel 
Piemonte,  come  presso  altra  nazione,  e 
dall'immorale  consuetudine  in  riprovevo- 
le privilegio;  dico  il  nefaudo  abuso  del fo- 
dero, che  per  una  vergognosa  prepotenza 
i3 


i94  TOR 

brillale  avcansi  riservalo  i  signori  e  pa- 
droni di  fetidi, cioè  concumbciuli  curri  vìr- 
ghie  sponsa,  prima  mtptiarum  noe  te.  Al 
torrente  de'  vizi  the  nella  società  e  nella 
(Chiesa  inondavano,s'accreL>bequellodegIi 
usurai. Le  crudeli  fazioni  guelfe  e  ghibelli- 
ne investirono  gli  animi  gli  uni  contro  gli 
altri  a  distruzione  della  società.  Nel  dilu- 
vio di  tanti  inali  Dio  donò  al  Piemonte 
molti  piissimi  vescovi,  e  uomini  apostolici 
cislerciensi,  francescani  e  domenicani,  che 
illuminarono  e  santificarono  i  popoli,  ed 
impedirono  1'  incremento  della  pestifera 
semente  de'valdcsi. 

Dopo  la  morte  del  vescovo  Arborio,suc- 
ecssero  forse  un  Guglielmo,  ed  un  Enrico 
o  Ugo  frale  minore,  e  per  brevissimo  tem- 
po; nel  qualeil  conte  Pielrodi  Savoia  ven- 
dicò il  nipote,  assediò  Torino  e  la  forzò  a 
rientrare  sotto  la  dominazione  di  sua  casa. 
Goffredo  di  Montanaro  vercellese,  cano- 
nico di  s.  Antonio  di  Vienna,  fu  promosso 
neh  264  da  Urbano  IV.  11  can.  Rima  an- 
ticipa il  suo  vescovato  ali  258.  Provvido 
e  vigilante  pastore  visitò  la  diocesi,  e  por- 
tatosi neh  266  a  Sahizzo,  (jualche  tempo 
vi  soggiornò,  ove  die  alcune  investiture, 
e  di  molte  altre  fu  generoso  co'vassalli  di 
suachiesa:all'abbaledi  Piivalta  fece  esenti 
lesue chiese  dalla  giurisdizione  episcopale 
per  l'annuo  canone  di  25  lireasteusi  ;  al 
conte  di  Biandrate  concesse  l'investitura 
del  castello  di  Settimo  torinese,  e  al  mar- 
chese di  Saluzzo  accordò  la  decima  di 
tulli  i  novali  nelle  terre  di  suo  dominio 
esistenti  nella  diocesi  di  Torino  e  più  altre 
ancora.  La  liberalità  di  Goffredo  andò  del 
pari  colla  sua  giustizia,  quindi  virilmente 
si  oppose  al  comune  di  Torino  che  vole- 
va ipotecarci  castelli  di  Colleguo  e  di  Mon- 
tosolo,  appartenenti  alla  sua  chiesa.  Pro- 
mosse litecontro  i  conti  Pietro  e  altri  prin- 
cipi di  Savoia,  che  occupavano  le  castella 
di  Cavour,  Rivoli  e  Castelvecchio,  e  non 
volevano  riconoscere  i  diritti  della  chiesa 
di  Torino.  Pertanto  si  portò  nel  1  268  a 
Viterbo  da  Clemente  IV,  ilquale  ingiunse 
a'conli  di  Savoia  la  restituzione  de'castelli, 


TO  II 

nondimeno  la  lite  rimase  indecisa.  Vigile 
sulla  condotta  del  clero,  celebrò  il  sinodo 
nel  la  70  nella  cattedrale,  ove  formò  uti 
lissimi  decreti  pel  decoro  de'chierici  eia 
salute  delie  anime,  intimando  a'trasgres- 
sori  multe  pecuniarie.  Recandosi  Grego- 
rio X  al  concilio  generale  di  Lione  II  nel 
1273  passò  pel  Piemonte,  incontrato  da 
Gofiredo,che  lo  seguì  al  concilio,ove  pro- 
mosse le  sue  questioni  intorno  a' beni  di 
sua  chiesa,  occupali  da'  conti  di  Savoia; 
ma  il  cardinale  di  s.  Sabina  delegato  a  pro- 
nunziare su  queste  vertenze,  dichiarò  do- 
versi lasciar  la  causa  nel  possessorio  della 
curia  romana.  Laonde  nel  1276  tornò  a 
Roma  da  Giovanni  XXI  per  ottenerne  la 
sentenza,  il  quale  prorogò  a'  contumaci 
conti  il  termine  di  due  mesi  per  compa- 
rire a  difendere  la  propria  causa  innanzi  a 
3  delegati  in  Piemonte.  Stimandolo  il  Pa- 
pa per  saggio  e  prudente,  neh  277  l'in- 
viò legato,  col  vescovo  di  Ferentino  e  due 
domenicani,  all'imperatore  Michele  Ps- 
icologo in  Costantinopoli,  per  corroborare 
l'unione  della  chiesa  greca  colla  latina,  e 
procurare  l'accettazione  de'decreli  stabi- 
liti nel  concilio  di  Lione.  Superate  tutte 
le  opposizioni  ,  la'  legazioue  conseguì  fa- 
vorevole risultato.  Ritornato  in  Roma  e 
trovata  la  sede  vacante,  attese  l'elezione 
di  Nicolò  111,  seguita  in  Viterbo  a'25  no- 
vembre, a  cui  fece  relazione  dell'esito  del- 
la legazione,  e  gli  manifestò  le  gravissime 
vessazioni  che  pativa  per  l'abbate  della 
Chiusa,  l'arcivescovo  di  Milano  e  i  conti 
di  Savoia.  Il  Papa  represse  sotto  pena  di 
scomunica  l'audacia  e  le  usurpazioni  del- 
l'abbate^ altri  provvedimenti  emanò  cou- 
formea'bisogni  della  chiesa  torinese.  Tor- 
nato a  questa  Goffredo  ottenne  da  Tom- 
maso 111  de'conti  di  Savoia  la  restituzio- 
ne di  Castelvecchio,  e  nel  1282  celebrò  il 
suo  2.0 sinodo,  in  cui  fece  il  decreto, che  in 
tulli  gli  anni  i  superiori  ecclesiastici  e  re- 
golari si  radunassero  nel  martedì  avanti 
lerogazioni  minori  pel  concilio  che  sareb- 
besi  tenuto  nella  cattedrale;  indi  nel  1  287 
fu  al  concilio  provinciale  di  Milano.  Fiat 


TOR 
tanto  il  dominio  de'conli  di  Savoia  circa  ii 
1290  fu  diviso  in  3  governi  :  il  conte  A- 
medeo  V,  figlio  di  Tommaso  li  conte  di 
Fiandra  e  di  Mortasa,  si   riservò  quello 
di  Savoia;  a  Lodovicosuo  fratello  fu  dato 
0  reggere  la  baronia  di  Yaud;e  Fdippo 
loro  nipote  II  (chiamato  così  per  distin- 
guerlo da  Filippo  I  conte  di  Savoia,  che 
morto  senza  prole  adottò  per  successore 
il  nipote  Amedeo  V  in  pregiudizio  del  fra- 
tello di  questi  Tommaso  III),  perchè  fi- 
gliodi  Tommaso  III  conte  di  Moriana  al- 
tro loro  fratello,  ottenne  la  contea  di  To- 
rino, con  tutti  i  paesi  che  la  famiglia  di 
Savoia  possedeva  iu  Piemonte,  menu  il 
marchesato  diSusa.  Voleva  Fdippo  II  che 
questa  divisione  fosse  assoluta  e  senza  ve- 
runa dipendenza  dal  governo  di  Savoia, 
perchè  discendente  per  linea  primogenita 
dal  conte  Tommaso  I,  dovea  essere  pre- 
ferito secondo  l'ordine  di  rappresentazio- 
ne. Impugnò  le  armi  per  sostenere  que- 
sti suoi  diritti;  così  pure  fece  il  principe 
Giacomo  suo  figlio,  ma  le  loro  intraprese 
non  conseguirono  il  desideralo  intentojsic- 
chè  il  Piemoute governato  da'conli  di  To- 
rino principi  d'Acaia  (per  quanto  vado  an- 
che qui  a  dire) si  reputò  sempre  dipenden- 
te dal  supremo  dominio  de' possenti  conti 
che  regnavano  inSavoia. Filippo  li  fissò  la 
residenza  di  sua  siguoria  \a  Pinerolo,  non 
in  Torino,  e  così  pur  fecero  i  3  principi 
suoi  discendenti  :  forse  la  fresca  rimem- 
branza delle  sventure  che  in  Torino  avea- 
110  sofferto  Tommaso  II  e  Bonifacio,  Io 
indussero  a  eleggere  quel  soggiorno  e  a  fis- 
sarvi la  sua  corte.  Questa  buca  fu  detta 
de'priueipi  d'Acaia  edi  Morea,  per  le  noz- 
ze che  Fdippo  II  contrasse  in  Roma  nel 
febbraio  i3oi,  con  Isabella  di  Yille-Har- 
duin  ,  pronipote  del  famoso  Goffredo  di 
Sciampagna,  che  fu  valoroso  guerriero  e 
leale  scrittore  della  crociata,  la.  quale  ter- 
minò colla  conquista  di  Gerusalemme,  e 
colla  divisione  di  parte  delie  spoglie  del 
greco  impero.  Questa  sposa  portò  in  dote 
il  principato  d'Acaia,  ma  né  suo  marito, 
né  gli  altri  suoi  posteri  poterono  mai  coa- 


TOR  i9j 

seguirne  il  pacifico  possesso,  onde  n'eb- 
bero solo  il  titolo  e  diritti.  Non  mancano 
scrittori  che  affermano,  avere  Fdippo  lì 
venduto  il  principato  d'Acaia  nel  1  3oj  a 
Carlo  li  re  di  Sicilia  della  casa  d'Angiò, 
per  avere  gli  angioini  di  prepotenza  inva- 
so varie  città  del  Piemonte.  Tornando  al 
vescovo  di  Torino  Goffredo,  nel  1  29 1  in- 
traprese una  nuova  visita  pastorale  della 
diocesi  nel  marchesato  di  Saluzzo,  da  cui 
s'  inoltrò  fino  agli  ultimi  confini  di  sua 
spirituale  giurisdizione,  verso  ilDelfiuato 
e  la  Provenza,  lasciando  da  per  tutto  otti- 
mi provvedimenti.  Altameutelodato, mo- 
rì Goffredo  nel  1  3oo,  e  gli  successe  Tedi- 
sio oTeodisio  Pievelli  canonico  d'Amiens 
e  cappellano  di  Bonifacio  Vili,  che  lo  e- 
lesse,  dopo  aver  rigettata  V  elezione  del 
capitolo  fatta  per  compromesso  di  Tom- 
maso fratello  di  Filippo  II  conte  di  To- 
rino e  principe  d'Acaia,  distinto  per  esi- 
mia coltura  di  spirito  e  per  onestà  di  co- 
stumi.Tedisio  fu  di  grande  moderazione, 
disinteressato  e  amante  della  pace.  Tra 
le  investiture  che  concesse  vi  fu  quella  do- 
mandata da  Maufredo  marchese  di  Salii.'. 
zo,  delle  decime  de'novali  per  le  terree- 
sistenti  nella  diocesi,  che  conferì  coii'anel- 
lo  e  con  obbligo  al  marchese  d'essere  sem- 
pre fedele  a'vescovi  e  alla  chiesa  torinese. 
Un'altra  rimarchevole  convenzione  Te- 
disio concluse  con  Amedeo  V  conte  di  Sa- 
voia,intorno  al  feudodella  valle  di  Lanzo, 
che  data  da  Federico  1  imperatore  a've- 
scovi in  odio  della  casa  di  Savoia,  questi 
reputandosi  lesi  e  spogliati  di  quella  pro- 
prietà, sostennero    un   lungo  litigio  Co' 
vescovi  stessi,  e  Tedisio  riconoscente  de' 
molli  benefizi  ricevuti  dal  conte  Amedeo 
V,  gli  rinunziò  il  domiuio  sopra  Lanzo 
e  borghi  di  sue  valli,  solo  riservandosi  il 
diritto  delle  decime.  Le  rendite  dell'epi- 
scopato notabilmente  diminuirono  per  le 
guerre  che  desolavano  il  Piemonte,  com- 
battute tra'  conti  di  Savoia,  i  re  di  Sici- 
lia signori  di  Provenza,  i  marchesi  di  Sa- 
luzzo e  quelli  di  Monferrato.  A  ripararvi 
otleuue  Tedisio  dal  cardinal  Orsini  legato 


]9G  TOR 

di  Lombardia  di  Clemente  V  (che  stra- 
namente avea  neh3o5  trasferito  la  resi- 
denza papale  in  Avignone,  preferendo  al- 
le fortunale  rive  del  Tevere,  quelle  del 
Rodano),  la  già  narrala  riunione  alla  sua 
mensa  della  preposilura  di  Limmo:  non 
essendo  sufficiente  alle  gravi  strettezze  in 
cui  trovavasi  il  vescovo,  con  l'autorità  del 
legato  cardinal  Pelagrue,  incorporò  alla 
sua  mensa  anche  la  pievania  di  Carraglio 
neh  3  io.  Passò  per  Torino  in  quest'an- 
no l'eletto  imperatore  Enrico  VII  per  an- 
dare a  Roma  a  ricevervi  la  corona  impe- 
riale. Con  grande  magnificenza  fu  festeg- 
giato il  suo  arrivo  a'3a  ottobre,  dal  conte 
di  Torino  Filippo  11,  da  molti  principi  e 
signori,   da  Teodoro  di  Monferrato  ,  da 
Manfredo  diSaluzzo,  da  molti  vescovi  di 
Lombardia  e  di  Piemonte  ;  ed  il  vesco- 
vo Tedisio  iti  questa   circostanza  fu  sin- 
golarmente onoralo  per  le  sue  virtù,  ed 
approvò  in  dello  anno  l'erezione  della  col- 
legiata di  Rivoli  e  vi  consagrò  poi  la  chie- 
sa di  s.  Martino.  Non  dimenticando  il  vi- 
gilanle  pastore  i  diritti  di  sua  chiesa,  nel 
1 3  1 1  formalmente  inlimò  a  Chieri  la  re- 
stituzione di  Montosolo,  e  Dell'accordar- 
gliene   l' investitura,  risetbossi  il  diritto 
delle  decime  e  d'annue  pensioni.  Intanto 
il  principe  d'Acaia  Filippo  II,  per  la  sua 
indole  guerriera,  pareva  che  non  sapesse 
mai  vivere  in  pace;  ma  vero  è  ancora  che 
i  potentati  suoi  vicini  e  le  città  stesse  che 
si  reggevano  pressoché  indipendenti,  era- 
no per  l'infelicità  di  que'  tempi  in  con- 
tinue fazioni.  In  discordia  co'  vercellesi , 
venne  ad  una  composizioue,  che  seguì  in 
Torino  ueli3i3,  nella  chiesa  di  s.  Dal- 
mazzo.  Principe  accorto  e  intrepido,  sep- 
pe dissipare  una  nera  congiura  che  in  To- 
rino slesso  erasi  ordita,  per  levargli  il  do- 
minio di  questa  città  e  consegnarla  a'ne- 
mici  suoi,  il  marchese  di  Saluzzo  e  quello 
di  Monferrato.  Entravano  nella  conventi- 
cola secolari  ed  ecclesiastici  del  partito  ghi- 
bellino, ecapo  di  tulli  era  il  preposto  della 
cattedrale  Zucca, che  foggi  a  Milano.  Le 
persone  ecclesiasliche  vennero  cousegua- 


TOR 
le  al  proprio  foro,  e  conlro  gli  altri  si  for- 
mò criminale  giudizio.  In  Torino  il  capi- 
tolodel  duomo  volendo  provvedere  all'as- 
sistenza del  coro  e  a  'bisogni  della  chiesa, 
coll'assenso  del  vescovo  stabilì.  Chi  man- 
cherà d'assistere  al  coro  per  6  mesi,  pa- 
gherà 5  soldi  viennesi,  da  distribuirsi  fra 
quelli  che  avranno  prestato  il  servizio.  ()- 
giti  canonico  che  conseguirà  alcuna  digni- 
tà, donerà  alla  cattedrale  un  piviale  del 
valore  diioo  soldi  viennesi,  ed  un  piviale 
del  valore  di  6o  quello  che  riceverà  un 
canonicato.  Morì  Tedisio,  illustre  per  le 
molte  virtù,  neh  3  H),  e  in  questo  e  non 
nel  i  32o,  come  vogliono  l'Ughelli  e  il  Di- 
ma, gli  successe  Guido  o  Guidetto Canale 
de'signori  diCumiana,  arciprete  del  duo- 
mo e  vicario  generale  della  diocesi, eletto 
da'eanonici.  Fornito  di  egregie  virtù  pa- 
storali, pio  e  dotto,generosoco'poveri, ne- 
mico acerrimo  degli  usurai,  colle  multe 
a  questi  imposte  fondò  e  dotò  un  ospedale 
inPinerolo.  Ivi  neh  334  morì  Filippo  H» 
fu  tumulalo  nella  chiesa  de'frali  minori, 
e  gli  successe  nella  signoria  il  primoge- 
nito Giacomo  o  Jacopo,  la  cui  madrigna 
Caterina  di  Vienna,  prudente,  saggia  e  a- 
mante  della  pace,  n'  ebbe  cura  nella  mi- 
nore età  e  di  tutto  il  principato.  Sollevò 
i  sudditi  da  molti  tributi,  e  paci  fi  cossi  co' 
potentati  vicini.  Il  vescovo  neh  338  spo- 
gliò d'ogni  dignità  il  perturbatore  Zucca, 
e  intringante  contro  il  principe  Giacomo. 
Questi  sposò  Beatrice  figlia  di  Rinaldo 
marchese  di  Ferrara,  senza   averne  suc- 
cessione; e  restato  vedovo,  verso  il  i34o 
prese  in  moglie  Sibilla  figlia  del  siniscal- 
co Delirando  del  Balzo,  signore  di  Cor- 
tasone,  da  cui  nacrpie  il  principe  Filippo, 
famoso  per  le  guerre  domestiche,  per  le 
sue  avventure  di  cui  parlai  a  Savoia  ,  e 
pel  suo  tragico  fine;  indi  neh  36  2  si  am- 
mogliò Giacomo  con  Margherita  di  Beuu- 
lieu,  stizzosa  e  maligna,  che  fu  madre  de' 
principi  Amedeo  e  Luigi  o  Lodovico.  Il  ve- 
scovo Guido  fondò  e  dolo  nella  cattedrale 
la  cappella  di  s.    Michele,  e  zelantissimo 
della  riforma  del  clero  e  del  popolo  di  tua 


TOR 
diocesi,  formò  diverse  costituzioni  sinoda- 
li e  le  pubblicò, tutte  savissime.  Fatale  fu 
pel  Piemonte  il  i  345,  poicliè  una  grandis- 
sima peste  universale,  anche  in  Lombar- 
dia, fece  perire  un  gran  numero  di  perso- 
ne; e  certamente  il  buon  vescovo  avrà  dif- 
fuso in  tutta  la  sua  vasta  diocesi  la  gran- 
de sua  carità.  Neh  34?  Amedeo  VI  conte 
di  Savoia  portò  le  sue  armi  nel  Piemonte, 
per  profittare  della  decadenza  della  casa 
d'Angiò,  e  d'accordo  col  cugino  Giacomo 
conquistò  in  breve  tempo  le  città  e  luoghi 
che  teneva  occupati,  e  con  esso  ne  divise  il 
governo.  Dopo  un  lungo  vescovato  tutto 
applicato  alla  santificazione  di  se  stesso  e 
del  suo  gregge,  Guido  riposò  nel  Signore 
Deli  34^-  A'y  novembre  Clemente  VI  gli 
surrogò  Tommaso  figlio  di  Filippo  II  e  fra- 
tello di  Giacomo,  nipote  dell'altro  Tom- 
maso che  nel  1 3oo  aveano  nominato  i  ca- 
nonici; promozione  che  l'Ughelli  digeri- 
sce al  1  349.  bensì  consagrato  nel  i  35 1  dal- 
l'arcivescovo di  Milano.  La  città  di  To- 
rino ne  provò  tanta  consolazione,  che  gli 
0IIV1  per  uso  della  mensa  1  2  tazze  d'argen- 
to. Intraprese  la  visita  pastorale  nel  mar- 
chesato di  Saluzzo ,  e  nel  confine  riparò 
molti  abusi.  Riguardando  il  vescovo  per 
suoi  vassalli  molti  signori  che  abitavano 
nel  marchesato ,   per  le  prepotenze  fatte 
loro  dal  marchese TommasOjche  d'altron- 
de li  riguardava  ribelli  nel  suo  dominio, 
gl'intimo  nondimeno  l'interdetto,  finché 
avesse  soddisfatto  la  sua  chiesa.  Il  marche- 
se gravemente  se  ne  dolse  e  fece  protesta, 
malgrado  la  quale  dovè  poi  sottomettersi 
e  giustificarsi.  Il  vescovo  Tommaso  cele- 
brò il  sinodo  e  pubblicò  le  costituzioni  nel 
duomo,  interessanti  per  rilevarsi  diversi 
punti  di  disciplina  ecclesiastica  allora  in 
uso.  GiacomogovernandoTorinoe  il  Pie- 
monte ,  quantunque  vassallo  del  cugino 
Amedeo  VI,  osò  nel  1 3 58  imporre  dazi 
sulle  merci  provenienti  da  Savoia,  e  punì 
di  morte  alcuni  commissari  per  aver  fatto 
alteramente  delle  rimostranze.  Il  contedi 
Savoia  volendo  punire  tanti  oltraggi,  va- 
licò coll'esereito  il  Monceuisio,e  prese  To- 


TOR  197 

rino,  Pinerolo,  Moncalieri,  Sa  vigliano  e 

altre  piazze  del  Piemonte,  e  fece  prigio- 
niero Giacomo  che  mandò  a  Rivoli,  non 
ricuperando  la  libertà  che  rinunziando  al 
Piemonte;  ma  poi  Io  ristabilì  ne'suoi  feudi, 
anche  ad  istanza  del  vescovo.  Questi  nel 
i35J>,  col  consenso  de'canonici,  concesse 
in  feudo  al  suo  fratello  Giacomo  e  al  cu- 
gino Amedeo  VI,  il  cartello  di  Solaro  e  più 
altre  castellarne,  dichiarando  i  due  prin- 
cipi con  alto  autentico,  che  tali  terre  rite- 
nevano a  nome  della  chiesa  torinese.  Mi- 
nacciando rovina  la  cattedrale,  con  lette- 
re esortatorie  e  il  premio  dell'indulgenze 
invitò  gli  ecclesiastici  della  diocesi  a  con- 
tribuirvi colle  limosine,  ma  la  riparazio- 
ne ampiamente  si  fece  sol  tanto  nella  chiesa 
o  uà  vata  di  s. Giova  tini.  Il  duomo  era  com- 
posto di  3  chiese  o  basiliche  unite  in  un 
soloedilìzio,  l'una  dall'altra  divisae  chiu- 
sa medianteunmuro  chesorgevadal  suo- 
lo sino  alla  volta;  la  maggiore  delle  quali 
ossia  navata  di  mezzo  era  intitolata  al  ss. 
Salvatore,ein  essasi  pubblicavano  le  sco- 
muniche e  le  costituzioni  sinodali;  la  chie- 
sa o  navata  a  destra  era  intitolata  alla  ss. 
Vergine;  la  3."  chiesa  o  uà  vata  in  cui  e- 
sisteva  il  battistero,  portava  il  nome  di 
s.  Giovanni,  per  la  quale  il  fisco  riscuo- 
teva le  sue  ragioni,  ed  i  doni  de'fedeli  ad 
essa  s'olFrivano.  A' frati  umiliati  d'  Avi- 
gliana  fece  molte  largizioni,  e  lasciò  sa- 
lutari ammaestramenti  per  l'osservanza 
deli'  istituto  e  per  esercitare  con  merito 
l'ospitalità.  Neh  3(5 1  la  peste  infierì   nel 
Piemonte,  ricomparve  nel  1  385  e  serpeg- 
giò sino  alla  fine  del  secolo. Tommaso  pare 
che  sia  morto  nel  i  362, ma  nel  1 36o  dico- 
no (Jghelli  e  Bima,perciò  il  successore  Bar- 
tolomeo d'Este  lo  registrano  a  tale  anno. 
11  p.  Semeria  lo  riporta  ah  362,  lo  dice 
traslato  d'Avignone,  ma  in  quell'articolo 
avendo  proceduto  col  suo  storico  p.  Fan- 
toni  noi  trovai,  anzi  Innocenzo  V  I  che  vi 
risiedeva  erasi  a  se  riservata  la  sede  ad  e- 
sempio  de'Papi  predecessori.  Resse  poco 
più    d'  un  anno  il  vescovato  o  morì  nel 
i364-  Non  pare,  poiché  Urbauo  V  creò 


i9R                    TOR  TOH 
vescovo  nel  gennaio  o  1*8  febbraio  Gio-  animi  istituì  un  giudizioinRivoli,compo- 
vanni  de'signori  eli  Rivalla  e  abbate  coni-  sto  de'più  rinomati  giureconsulti,  acciò  le 
niendatariod:  quel  luogo,  dottissimo  giù-  parti  potessero  dirvi  le  loro  ragioni.  I  gin- 
reconsulto,  die  PUghelli  dice  della  roma-  dici  in  forza  del  testamento  paterno  sen- 
ria famiglia  Orsini  propagata  nel  Piemon-  tenziarono  appartenere  ad  Amedeo  il  do- 
te.Neh  366  intrapresela  visita  pastorale,  minio  del  principato  e  ia  primogenitura, 
cominciandola  nelle  valli  di  Lucerna  e  (li  ed  essere  Filippo  solo  erede  particolare, 
Angrogna  sopra  Pinerolo,  perchè  ivi  sa-  etenuto  a  prestare  al  fratello  il  giuramen- 
peva  essere  maggiore  il  pericolo  della  fé-  to  di  fedeltà.  Non  accettando  la  sentenza, 
de,  per  cagione  degli  eretici  valdesi  cb'e-  Filippo  cercò  di  fuggir  da  Rivoli,  e  morì 
ranvisi  insinuati    nel  principio   del  pie-  di  morte  violenta  nel  i  36g, chi  dicein  pri- 
redenle  secolo,  e  perciò  portò  seco  un  in-  ginnetti  passione  o  per  suicidio,  o  affogato 
quisilor  della  fede,  e  altri  sacerdoti  dotti  nel  lago  d'Avigliana.  Dopo  la  sua  morte, 
e  distinti,  colPopera  de'quali  prese  i  ca-  tutti  prestarono  giuramento  ad  Amedeo 
piscila  detti  barbi  o  barba,  per  disingan-  conte  del  Piemonte  e  3.°  principe  d'Acaia. 
natii  dall'errore  e  quindi  potessero  con-  Quanto  al  vescovo  Giovanni,  si  applicò  a 
vertire  gli  altri.  Con  maniere  soavissime  sistemare  le  monache  Clarisse  di  Carigna- 
li  accolse,  altri  fuggirono  e  diversi  si  con-  no,  cui  nelle  guerre  era  slato  distrutto  il 
verlirono.I  pertinaci  concitarono  all'armi  monastero  e  ne  fu  edificato  altro,  che  fu 
i  cattolici  della  regione,  onde  i  magistra-  cagione  di  gravi  dissensioni  dell'ardito  ali- 
ti punirono  questi  pertm  batoli  col  fuoco  bate  della  Chiusa  contro  il    vescovo  e  le 
in  Pinerolo  e  in  Lucerna  o  Luseriia,  di-  religiose,  onde  Gregorio  XI  dovè  proce- 
versa  da  Lucerna  di  Svizzera.  Nel  i36y  tlere  col  rigore  di  privazione  della  dignità 
il  piissimo  prelato  impresela  visita  nella  ahhaziale  e  del  carcere.  Intanto  i  valdesi 
valle  di  Susa  e  di  que'contorni,  e  per  sra-  si  diramarono  nella  pianura  del  Piemonte 
dicare  le  pessime  corruttele  invecchiate,  a  spargere  le  loro  perverse  dottrine,  e  ne- 
convocò  il  sinodo  di  Torino  pel  1  368.  Nel  cidendo  l'inquisitore  domenicano  mentre 
maggio  i36v  cessò  di  vivere  il  principe  predicava  e  altro  inquisitore  di  tal  òfdi- 
Giacomo  in  Pinerolo, ed  ebbe  tomba  da'  ne.  Gregorio  XI  eccitò  Amedeo   VI  e  il 
francescani:  egli  fu  irreqoieto,infedelealie  vescovo  a  punire  gli  uccisori, contro  i  quali 
promesse,  in  continue  discordie  co'sovra-  fu  pronunziala  severa  e  giusta  sentenza, 
ni  vicini,in  guerra  due  volte  co'conti  di  Sa-  Nel  1378  morto  in  Roma,  ove  avea  resti- 
voia,  per  non  volersi  riconoscere  da  loro  tuilo  la  pontificia  residenza,  Gregorio  Xf, 
dipendente;  di  spirito  debole,  poco  man-  canonicamente  fu  eletto  Urbano  VI,  con- 
ce che  noti  fosse  cagione  della  totale  ro-  Irò  il  quale  insorse  l'antipapa  Clemente, 
vina  de'suoi  siali.  Morendo  lasciò  infelici  /  //de'conti  di  Ginevra, e  perciò  tornai 
i  suoi  sudditi,  continuamente  travagliati  a  ragionar  di  lui  a  Svizzera.  Portatosi  in 
dalle  guerre,  lasciando  in  aperta  rottura  Avignone  vi  stabili  una  cattedra  di  pesti  - 
il  primogenito  Filippo,  pregiudicato  nella  lenza  e  fu  cagione  del  lacrimevole  gran- 
successione,  comechè  diseredato  dal  pa-  de  e  lungo  Sci ima  d'occidente,  nel  quale 
tire  che  gli  preferì  il  fratello  Amedeo,  il  ingannati    molti  principi  e  popoli   I'  ub- 
quale  pose  sotto  la  tutela  d'Amedeo  VI.  bidirono,fra'quah  Amedeo  VI  suo  paren- 
A  rivendicar  le  sue  ragioni,  impugnò  Par-  te,  Amedeo  conte  del  Piemonte,  e  con  essi 
mi  contro  la  madrigna  da  cui  era  nato  A-  i  loro  sudditi  di  Savoia  e  di  Piemonte.  \I- 
tnedeo,  contro  questo  e  l'altro  suo  figlio  cimi  scrissero  che  il  vescovo  Giovanni  fu 
Lodovico.  In  questa  guerra  successero  in-  creato  anticardinale  dal  falso  Clemente 
cendi,  saccheggi  e  nefandità  orribili.  A-  VII,  ma  PUghelli  afferma  non  aver  mai 
medeo  VI  a  porvi  termine  e  conciliare  gli  trovato  di  tale  asserzione  certa  ineinoi  ia, 


TOR 
anzi  il  Muratori  nega  che  l'antipapa  l'in- 
viasse legato  a  Carlo  VI  re  di  Francia.  Nel- 
l'articolo àvig.vone,  col  Ciaccolilo  e  altri, 
gerissi  le  notizie  degli  anticardinali  creati 
dagli  antipapi  d'Avignoue,  ed  affatto  nul- 
la trovai  della  pretesa  pseudo-dignità  di 
Giovanni,  che  per  altro  avrà  dovuto  co- 
me gli  altri  seguir  lo  scisma.  Nel  i  38o  A- 
medeo  signore  del  Piemonte  ,  mediante 
dispensa  dell'antipapa, sposò  Caterina  so- 
rella di  Pietro  conte  di  Geneva  e  sua  pa- 
rente. Pensò  questo  sovrano  di  riacquista- 
re il  principato  d'Acaia, e  già  validissimi 
guerreschi  preparativi  avea  fatto,  e  la  sua 
spediziooeera  arrivata  in  Grecia;  ma  pre- 
sto svanì  ogni  sua  militare  impresa.  La 
morte  lo  colpì  a'7  maggio  1 402,  e  fu  se- 
polto nella  tomba  de'suoi  maggiori  in  Pi- 
nerolo.  Poco  prima  s.  Vincenzo  Ferreri 
era  venuto  in  Piemonte  a  predicare  a' val- 
desi ,  ed  annunziò  pure  la  divina  parola 
a'torinesi  nel  successivo  agosto.  Due  sole 
figlie  lasciò  Amedeo,  Matilde  che  sposò 
il  duca  di  Baviera  nel  1 4-  '  ">  e  Pei'  'a  sua 
dote  si  ohhligò  la  città  di  Torino;  e  la  b. 
Margherita  di  Savoia,  di  cui  il  p.  Seme- 
ria  pubblicò  la  vita  in  Torino  nel  1 833. 
Erasi  sposata  nel  i4o3  con  Teodoro  li 
duca  di  Monferrato,  portando  per  dote 
3o,ooo  genov'me,  e  la  città  di  Torino  ne 
assunse  il  pagamento.  Queste  due  prin- 
cipesse furono  collocate  in  matrimonio  dal 
/io  Lodovico  4-"  e  ultimo  principe  d'  A- 
caia,  che  regnò  sul  Piemonte  dopo  la  mor- 
ledei  fratello  Amedeo.  11  vescovo  Giovan- 
ni, di  somma  virtù  e  di  santi  costumi,  fu 
onorato  del  titolo  di  beato,  dalla  voce  co- 
mune, dopo  la  sua  morte  avveuuta  nel 
giugno  1 4-  *  1,  e  di  più  fu  illustrato  da  Dio 
con  miracoli,  ma  s'ignora  il  suo  sepolcro. 
Il  p.  Semeria  procedendo  col  Meirauesio 
Bella  serie  de' vescovi  e  coli' archivio  ve- 
scovile, riferisce  che  nel  141  •  Giovanni 
XXIII  gli  die  in  successore  Aimone  de' 
marchesi  di  Romagnauo  ,  già  canonico 
d'OuIx  e  preposto  del  Moncenisio.  In  ve- 
ce l'Lghelli  e  il  can. Bima  asseriscono  mor- 
to il  1.  dopo  il  1372  oueh4t  '>  e  il  2.°pri- 


TOR  1 99 

ma  del  1  377,  dappoiché  in  esso  riporta  un 
Guglielmo  IV,  seguendo  l'Lghelli,  e  uu 
Giovanni  IV  neh  386,che  morto  nel  1  4<  t 
successe  Aimone,  Aymone  o  Aymo.  L'o- 
stinatissimo scisma  sostenuto  dall'ambi- 
zioso antipapa  Benedetto  XIII,  che  nel 
1  3q4  era  succeduto  all'intruso  Clemente 
VII  in  Avignone,  volendosi  terminare  in 
tempo  di  Papa  Gregorio  XII  nel  sinodo 
di  Pisa,  in  vece  fu  eletto  Alessandro  V, 
a  cui  successe  il  detto  Giovanni  XXI li  , 
mentre  continuarono  nel  pontificato  Gre- 
gorio XII  e  nello  scisma  Benedetto  XIII 
e  i  suoi  seguaci,  fra'quali  per  lungo  tem- 
po furono  il  Piemonte  e  la  Savoia.  Lace- 
rata la  Chiesa  nella  credenza,  incerti  i  fe- 
deli a  chi  de'  3  uhbidire  e  venerare  per 
vero  Papa,  a  terminare  il  pernicioso  scan- 
dalo e  ridonar  la  pace  all'agitata  Chiesa, 
di  tutti  i  sovrani  d'  Europa  più  di  tutti 
si  mostrarono  zelanti,  oltre  l'imperatore 
Sigismondo  ,  il  marchese  di  Monferrato 
Teodoro  II  e  il  principe  d'Acaia  Lodovi- 
coconle  del  Piemonte,  non  grandi  per  va- 
sto dominio,  ma  i  più  riputati  per  la  sa- 
vie/za e  il  2.0  fondatore  dell'università  di 
Torino,  che  avea  fatto  approvare  da  Be- 
nedetto XIII  nel  i4o5  e  da  Giovanni 
XXIII  nel  i4i  3,  come  narrai.  Intimatosi 
per  l'estinzionetlello  scisma  nel  1 4 1 4  •'  ^a" 
moso concilio  di  Costanza  iie\\aS\'izzera , 
in  cui  ne  riparlai,  tra'principi  v'interven- 
ne pure  il  conte  del  Piemonte  Lodovico, 
e  pienamente  d'  accordo  con  Sigismon- 
do e  gli  ambasciatori  degli  altri  sovrani, 
si  adoperò  con  efficacia  per  la  pace  della 
Chiesa.  Gregorio  XII  eroicamente  rinun- 
ziò il  pontificato,  e  furono  deposti  Gio- 
vanni XXIII  fuggeute  per  In  Svizzera,  e 
Benedetto  XI li, che  inoltre  fu  scomunica- 
to e  dichiarato  deviato  dalla  fnde.  Nell'e- 
lezione del  nuovo  Papa,  i  tre  collegi  de' 
cardinali  dei  le  di  verse  ubbidienze,per  que- 
sto speciale  caso  ammisero  in  concia  ve  al  la 
votazione  3o  prelati  di  5  nazioni  compre- 
sa l'italiana.  Asserisce  il  Guichenon,  par- 
lando di  Louis  prince  d'Acaia,  eh'  egli 
con  savia  destrezza  voltò  le  orgogliose  i- 


2oo  TOR 

dee  d'alcuni  cardinali  ambiziosi  aspiranti 
al  papato,  onde  senza  raggili  fòsse  eletto 
un  Papa  a  tutti  accetto,  e  da  tutti  rico- 
nosciuto. Tale  fu  io  fatti  il  rumano  Mar- 
tino V,  eletto  l'i  i  novembre  1 4' 7-  Usali 
al  nuovo  Papa  gli  ossequi  di  sua  partico- 
lare venerazione,  Lodovico  se  ne  tornò  ne' 
suoi  stati  in  Piemonte.  Partito  Martino  V 
da  Costanza,  per  Sciadusa,  Berna  e  Gi- 
nevra nella  Svizzera,  nel  settembre  1 4 1  8 
traversando  la  Savoia,  entrò  a'3  per  Susa 
in  Piemonte  per  incamminarsi  gradata- 
mente a  Roma.  In  Torino  fu  accolto  dal 
principe  Lodovico,  dalla  sua  corte  e  da 
tutti  i  cittadini  con  massima  esultanza  e 
con  onori  pressoché  divini.  Venne  allog- 
giato nel  Castello,  dove  i  principi  d'Acaia 
solean  fané  la  loro  dimora,  quando  non  la 
pigliavano  ne'  pubblici  alberghi.  Questo 
Castello  alla  venula  di  Martino  V  tro.va- 
vasi  rifabbricato,  non  che  abbellito  d'u- 
na piazza  formatagli  davanti  per  opera  di 
Lodovico  stesso/m  occasione  delle  sue  noz- 
ze con  Bona  di  Savoia  sua  parente.  Più 
settimane  si  fermò  in  Torino  Martino  V, 
con  arricchire  la  citta,  di  molte  grazie  e 
privilegi,  e  donando  molla  pecunia  per  Li- 
na costruzione  in  pietra  del  ponte  di  Po, 
il  quale  veramente  allora  non  si  edificò  e 
rimase  com'era  sino  al  [Trincipio  di  que- 
sto secolo.  Dal  dominio  de'pnncipi  d'A- 
caia s'  inoltrò  Martino  V  in  quello  del 
marchesato  di  Monferrato,  ove  venne  ac- 
colto da  Teodoro  li  e  dalla  piissima  sua 
consorte,  la  b.  Margherita  di  Savoia,  con 
divotissima  solennità,  colla  comitiva  de' 
grandi  di  quella  corte,  de'decurioni  della 
città  di  Trino  nella  porta  verso  Po,  detta 
allora  di  Baffa  e  oggi  di  Casale  (  perchè 
conduce  verso  Casale  capitale  del  marche- 
sato e  ordinaria  residenza  de'marchesi  so- 
vrani, 36  miglia  lungi  da  Torino  ei8  da 
Asti,  a  cui  aulicamente  era  unita  la  dio- 
cesi), e  di  tutti  gli  ecclesiastici  secolari  e 
regolari.  Mentre  il  Papa  processionalmen- 
te  veniva  accompagnalo  alla  primaria 
chiesa  di  s.  Bartolomeo  sotto  baldacchi- 
no, le  aste  erano  sosteuute  da  12  nobili 


T  O  R 

personaggi.  Dopo  a  ver  pernottato  inTrino 
nel  grandioso  palazzo  del  conte  di  s.  Gior- 
gio, la  mattina  seguente  Martino  V  col 
suo  seguito  prese  la  via  di  Vercelli,  per 
passare  a  Pavia,  ove  si  dovea  celebrare  al- 
tro concilio,  e  in  Mantova.  A' 12  dicem- 
bre dello  slessoi4i8  cessò  di  vivere  Lo- 
dovico in  Torino,  e  le  sue  spoglie  furono 
tumulate  in  Pinerolonel  sepolcro  de'suoi 
avi.  Di  tutti  i  principi  della  Morea  e  d'A- 
caia conti  del  Piemonte  della  casa  di  Sa- 
voia, quello  che  ha  lasciato  di  se  v\n  no- 
me glorioso,  il  più  benefico  a'suoi  popoli , 
il  più  utile  alla  religioue,  il  più  generoso 
protettore  delle  lettere,  è  slato  il  princi- 
pe Lodovico.  Gli  successe  Amedeo  Vili 
duca  di  Savoia,  per  titolo  incontestabile 
d'agnazione,  e  per  volontà  del  defunto 
principe,  ed  anche  pel  desiderio  de'popo- 
li  del  Piemonte  che  lo  proclamarono  lo- 
ro sovrano,  ed  egli  dichiarò  Torino  ca- 
pitale de'suoi  slati  e  la  munì  di  fortifica- 
zioni. Amedeo  Vili   diventò  per  questa 
successione  di  gran  lunga  più  potente  che 
niuuo  (osse  stato  de'suoi  predecessori;  a- 
matoda'suoi,  temuto  da'poteutati  vicini, 
ricercato  dagli  stranieri,  tuostrossi  valo- 
roso in  guerra,  più  ancora  inclinato  alla 
pace,  e  saggio  legislatore  di  sua  nazione. 
Per  queste  e  altre  egregie  sue  qualità,  in 
breve  tempo  si  videro  i  suoi  stati  i  più 
floridi  e  avventurosi  di  tutta   1'  Italia;  e 
Torino  andò  successivamente  progreden- 
do al  suo  massimo  incremento  e  agli  alti 
suoi  destini.  La  peste  die  sul  principio  di 
questo  secolo  avea   infestato  Torino  e  il 
Piemonte,  nulla  valendo  a  impedirne  la 
prqpagazionc,  la  comune  olire  alle  mol- 
tissime provvide  cure,   interpose   molle 
preghiere  presso  Dio  ond'esserne  preser- 
vata. Ricorse  al  vescovo  per  prescrivere 
una  processione  col  ss.   Sagrainento  e  le 
reliquie  de'santi  protettori,  e  di  piìi  la  ce- 
lebrazione di  solenne  messa  all'altare  D. 
Rinvine  Consolationis.  Intanto  il  vesco- 
vo Aimone  sostenne  lunga  lite  cogli  abi- 
tanti di  Cuneo  suoi  diocesani,  i  quali  pre- 
tendevano non  esser  tenuti  a  pagar  le  de-    _ 


TOR 

cime  alla  mensa  vescovile,  ma  furono  con- 
dannati, dopo  l'appellazione  a  Martino  V, 
al  pagamento.  Il  vescovo  fece  stare  al  do 
vere  anche  I'  abbate  di  Pulcherada,  che 
voleva  esimersi  dall'annua  contribuzione 
d'un  toro  o  l'equivalente.  Per  amore  del- 
la giustizia  e  insieme  per  la  penuria  di 
sue  rendile,  dovea  Aimone  non  lasciarsi 
spogliare  de'suoi  proventi,  i  quali  erano 
già  di  troppo  diminuiti  dalle  guerre  e 
dalla  rapacità  degl'ingordi  che  de'  beni 
ecclesia>tici  non  sono  mai  sazi.  A  riparar- 
vi ricorse  a  Martino  V,  il  quale  uni  alla 
mensa  l'abbazia  ili  Stura,  il  cui  mona- 
stero giaceva  quasi  distrutto  per  le  guer- 
re tra'  principi  d'  Acaia  e  i  marchesi  di 
Monferrato.  Il  vescovo  approvò  gli  statuti 
della  collegiata  di  Cbieri,  celebrò  due  si- 
nodi nel  i427  e  nel  '4^2  con  utilissimi 
decreli.e  nel i435  fu  testitnonioe  media- 
tore del  trattato  di  pace  concluso  in  To- 
rino,tra  Amedeo  Vili  e  Gio.  Giacomo  di 
Monferrato.  Morì  Aimone  nel  1 4-38  lo- 
dato per  vigilanza,  zelo  e  virtuosa  fermez- 
za,mentre  si  continuava  nella  vicina  Sviz- 
zero la  celebrazione  del  famoso  concilio 
di  Basilea,  trasferitovi  da  Pavia  e  Sic' 
naj  ma  giustamente  sospeso  da  Eugenio 
IV,i  padri  orgogliosi  di  varie  nazioni  vol- 
lero continuarlo,  ed  egli  dipoi  lo  traslocò 
a  Ferrarne  in  Firenze,  ove  la  ma*jgior 
parte  de' padri  si  portarono  col  Papa  stes- 
so nel  1 43S.  Mentre  il  concilio  di  Basilea 
proseguiva  in  legittima  forma  (dice  il  p. 
Semei  ia,  ma  per  quanto  colla  storia  nar- 
rai negl'indicati  articoli,  già  il  suo  proce- 
dere era  scismatico),  i  padri  inviarono  un 
nunzio  in  Torino,  che  radunato  il  capi- 
tolo canonicale  1'  1  1  ottobre,  gì'  impose 
d'eleggere  a  vescovo  di  Torino  il  nipote 
del  debilito,  Lodovico  di  Romagnano  ar- 
cidiacono della  calledrale,adornodigi  an- 
di  meriti  e  giureconsulto  assai  illustre, ma 
conobbe  che  i  canonici  già  l'aveano  elet- 
to. Egli  fu  consagrato  neli439  dall'ar- 
civescovo di  Milano,  con  l'approvazione 
d'  Eugenio  IV,  a!  quale  il  vescovo  pagò 
le  tasse  dell'annate  consuete.  In  tale  au- 


TOR  201 

no  recossi  al  concilio  di  Basilea  (divenuto 
conciliabolo),  in  cui  i  padri  attentarono 
di  sacrilegamente  deporre  ni5  giugno  il 
■virtuoso  Papa  Eugenio  IV,  che  l'avea  a- 
natematizzato;  di  più  osarono  citarlo  di 
comparire  alla  loro  conventicola,  e  quin- 
di dichiararlo  scismatico  e  decaduto  dal- 
la dignità  papale.  Commesso  questo  enor- 
me errore,  ardirono  di  fune  altro  non 
meno  perverso,  con  procedere  all'elezio- 
ne d'un  altro  Pontefice.  Ordinarono  eoa 
tale  pravo  intendimento  un  conclave,  col- 
la maggiorsolennità  possibile,  diretto  dal 
cardinal  Lodovico  (T.)  Alemand  arcive- 
scovo d'Ai  les.  Il  vescovo  di  Torino  Lodo- 
vico, con  Guglielmo  Diderio  vescovo  di 
Vercelli  e  Giorgio  de'marchesi  di  Saluz» 
zo  vescovo  d'Aosta,  furono  deputati  dal 
sinodo  a  elettori  (33  furono  per  introdur- 
re un  nuovo  scisma)  del  nuovo  Pontefi- 
ce per  parte  della  nazione  italiana;  e  ven- 
nero difatti  nella  sessione  37/  a' 28  ot- 
tobre all'elezione  di  Amedeo  Vili.  Vera- 
mente se"uì  la  formale  elezione  a'5  no- 
vembre,  e  siccome  Amedeo  Vili  a'20  lu- 
glio avea  protestato  contro  la  pretesa  de- 
posizione d'Eugenio  1 V, sebbene  non  erasi 
dichiarato  tradue  parliti,  gli  accorti  pa- 
dri scismatici  di  Basilea  per  sostenere  l'i- 
niquissima  lotta,  onde  averlo  a  valido  so- 
stegno lo  compromisero  e  sagri fìcarono, 
coll'apparenza  di  sublimarlo  al  maggio- 
re de'lroni,  ad  onta  ch'egli  ritirato  in  Ri- 
paglia nell'orazione  e  contemplazione  del- 
le cose  celesti,  nella  sua  diletta  solitudine 
penitente, ricevè  con  sorpresa  l'annuncio, 
e  nel  rifiuto  allegò  la  rinunzia  fatta  al  fi- 
glio Luigi  o  Lodovico  del  ducato, e  non 
potere  dopo  aver  lasciato  un  peso  sob- 
barcarsi ad  altro  più  infinitamente  mag- 
giore; oltreché  conosceva  bene  in  quale 
odiosa  conlesa  si  sarebbe  trovato  col  vi- 
vente Eugenio  IV.  Laonde  acconsenti  a 
gran  pena,  a'^3  novembre  o  meglio  di- 
cembre, e  dopo  aver  sparso  molte  lagri- 
me. Rileva  il  can.  Bima,che  il  vescovo  di 
Vercelli  fu  il  solo  fra  gli  elettori  d'Italia 
che  volasse  per  lui  contro  Eugenio  IV,  ed 


202  TOR 

io  aggiungerò  che  Amedeo  Vili  avea  ri- 
cevuto in  3  scrutimi  del  conclave  V  esclusi- 
iv/ dai 6  elettori.  Amedeo  Vili  assunse  il 
iiomediFelice  V,con  istupore  e  sorpresa  di 
tutta  la  cristianilà,che  mai  avrebbe  imma- 
ginato di  vedere  nuovamente  cos'i  presto 
un  altro  antipapa  nelP  illustre  solitario 
diliipaglia.il  p, Semeria  discolpa  Ame- 
deo Vili  dalla  taccia  d'ambizione,  rileva 
con  quanta  ripugnanza  die  il  suo  assenso, 
e  che  l'addottogli  tristo  esempio  del  con- 
cilio di  Costanza,  l'autorità  del  Gersone 
cbe  pretese  attribuire  al  concilio  1'  au- 
torità suprema,  l'essere  negli  stati  di  Sa- 
voia, Piemonte,  Francia,  Spagna  ed  in 
gran  parte  di  Germania  riconosciuto  per 
ecumenico  e  legittimo  il  concilio  di  Oa- 
silea;  tutte  queste  ragioni  avvalorale  a 
viva  voce  dal  cardinal  Lodovico  d'Arles, 
indussero  il  principe  ad  accettar  la  digni- 
tà cbe  gli  si  offriva.  Forse  anche  lo  mos- 
sero le  insinuazioni  di  Guglielmo  Bolo- 
merio  (fallo  poi  morire  dal  duca  figlio), 
già  suo  segielariodi  confidenza ,che  sotto 
l'apparenza  di  bene  della  Chiesa,  deside- 
rava di  vedere  il  suo  signore  crescere  in 
dignità,  pei1  la  speranza  che  avea  di  pro- 
fittarne. I  cavalieri  Cibrario  e  Promisne' 
Documenti,  sigilli  e  monete  appartenen- 
ti alla  storia  di  Savoia,  Torino  i833, 
osservano  che  Felice  V  accettò  la  dignità 
per  aver  poi  modo  di  render  paceallaChie- 
sa,  scendendone  volontariamente  dopo  a- 
verne  assestate  le  cose,  e  troncato  alla  ra- 
dice lo  scisma.  Portatosi  a  Basilea,  vi  fu 
ricevuto  con  grandi  applausi, e  comincian- 
do dalla  tonsura  per  gli -ordini  maggiori, 
fu  consagralo  vescovo  e  coronato  Papa 
dal  cardinale  Lodovico  d'Arles,  il  quale  fu 
tosto  scomunicato  da  Eugenio  IV, insie- 
me all'antipapa  e  a  tulli  i  suoi  fautori.  In 
ilella  città,  in  Ginevra,in  Thonon  e  in  Lo- 
sanna alternò  la  sua  residenza,  creò  26 
anticardinali  di  diverse. nazioni, segnalan- 
dosi con  atti  di  clemenza  e  di  pietà.  Non 
.si  mostrò  prodigo  in  distribuire  i  suoi  le- 
Miri,nè  troppo  indulgente  ad  accordar  pri- 
vilegi e  dispense  agli  ecclesiastici,  che  ati- 


TOR 

zi  fu  riservato  e  avveduto.  Per  questa  sua 
riservatezza,  in  capo  a  due  anni,  molti  di 
quelli  che  da  principio  gli  avevano  pre- 
slato  ubbidienza, lo  lasciarono  per  torna- 
re alla  legittima  d'Eugenio  IV,  altri  ri- 
masero neutrali,  attendendo  schiarimen- 
to delle  cose;  continuarono  a  lui  soggetti 
la  Svizzera,  la  Savoia,  il  Piemonte  e  di- 
verse università.  La  chiesa  di  Torino  ri- 
conobbe Felice  V  come  fosse  stato  Papa 
vero,  e  la  città  lo  gratificò  con  molti  sus- 
sidii.  Uscito  di  vita  Eugenio  IV  neh 447» 
gli  successe  il  non  men  degno  Nicolò  V, 
il  quale  dichiarato  eretico  PantÌpapa,C0Q' 
fisco  i  suoi  beni  e  quelli  de'seguaci  di  lui. 
Quindi  s'insinuò  giudiziosamente  presso 
i  principi,  con  soavità  e  fervido  zelo  per 
estinguere  lo  scisma,  e  vi  riuscì  felice- 
mente. Vi  contribuirono  Carlo  VII  re 
di  Francia,  e  l'imperatore  Federico  III, 
ed  assai  Luigi  duca  di  .Savoia,  aftinché  il 
padre  non  avesse  più  il  biasimo  e  il  no- 
me d'antipapa,  ed  anche  vi  si  adoperò  la 
b.  Margherita  di  Savoia,  vivamente  bra- 
mosa della  pace  dellaChiesa.il  saggio  Ni- 
colò V  si  mostrò  ben  disposto  a  qualun- 
que accordo  di  convenienza,  purché  l'u- 
nità della  Chiesa  fosse  salva,  ed  un  sol 
gregge  ed  un  sol  pastore  fosse  riconosciu- 
to.Pertanto  convalidò  gli  alti  di  Felice  V, 
riconobbe  per  cardinali  molti  di  quelli  da 
lui  creati,  e  lui  stesso  dichiarò  decano  del 
sagro  collegio,  vescovo  di  Sabina  e  legato 
a  latere  del  Piemonte  e  degli  altri  luo- 
ghi detti  nella  biografìa,  e  che  meglio  de- 
scrissi a  Savoia  e  nel  voi.  Il  (non  III  co- 
me per  errore  tipografico  è  ricordato  nel 
voi.  LXII,  p.  24),  p-  214.  per  modo  che 
dopo  il  Papa  tenne  ili. "luogo  nella  chie- 
sa romana.  Sublime,  commovente  e  adat- 
tata fu  P  allocuzione,  che  deponendo  la 
tiara,  Felice  V  indirizzò  a'prelati  di  sua 
corte  e  a'padri  del  concilio  di  Losanna  il 
9  aprile  1 449»  m  cne  s'  fece  generale  al- 
legrezza per  tutto  il  mondo  cristiano.  Ri- 
tornò a  santificarsi  nella  sua  solitudine  di 
Ripaglia,  e  non  ne  usci  che  dopo  la  bat- 
taglia diI3orgomanero,iu  cui  fu  sconfino  il 


TOR 
ilnca  figlio,  che  gran  patte de'milanesi  vo- 
levano per  duca,  da  Francesco  Sforza  pre- 
tendente al  ducato  di  Milano,  per  persua- 
derlo alla  pace,  che  coneluse  il  vescovo  di 
Torinoegregiamente.  Il  cardinal  Amedeo 
mori  in  buon  odore  di  santità,  secondo  il 
p.  Semeria  a'7  gennaio  l^5l  in  Ginevra, 
nel  convento  detto  del  palazzo,,  de'  frati 
domenicani.  Nel  dì  seguente  portato  il  ca- 
davere nella  cattedrale  gli  si  celebrarono 
3oo  messe.  A'g  in  lettiga  venne  trasferi- 
to a  Ripaglia  e  ivi  sepolto  in  mezzo  al  co- 
ro, illustraloda  Dio  con  più  miracoli.  Di- 
poi ne'  primi  di  dicembre  1576,  profa- 
nando gli  eretici  la  chiesa  e  il  romitaggio 
di  Ripaglia,  furono  condotte  le  sue  ossa  a 
Torino,  ricevute  con  somma  onorificen- 
za dall'arcivescovo  e  dal  nunzio  aposto. 
lico,dal  clero  secolare  e  regolare,edal  du- 
ca Emanuele  Filiberto;  indi  le  mortali 
spoglie  furono  deposte  ne'sotterranei  del- 
la metropolitana,  donde  le  trasse  Carlo 
Alberto  e  col  locò  sontuosa  mente  nella  cap- 
pella della  ss. Sindone, come  di>si  in  prin- 
cipio. Il  vescovo  di  Torino  Lodovico  nel 
conciliabolo  di  Basilea  promosse  i  van- 
taggi di  sua  chiesa;  ebbe  poscia  gravi  ver- 
tenze coll'abbate  di  Rivalla,  che  ricusava 
alla  mensa  l'annuo  diritto;  e  dovette  a- 
doperarsi  diligentemente  contro  i  nemi- 
ci della  fede  cattolica,  i  valdesi,  che  a  vea- 
no  riacceso  il  sanguinario  loro  furore  con- 
tro i  fedeli  che  abitavano  le  valli  d' An- 
grogna,Perosa,  flagellato  e  altre,  e  par- 
ticolarmente contro  i  parrochi,  con  vitu- 
perevoli oltraggi  e  con  atroci  fatti,  ed  il 
duca  Luigi  ne  fu  altamente  commosso.  Il 
vescovo  inviò  nelle  valli  l'inquisitore  fr. 
Giacomo  Boronzo  domenicano,  che  fati 
cando  indarno  fulminò  l'interdetto  di  5 
anni  contro  gli  abitanti  delle  valli.  Que- 
sta pena  canonica  fece  molla  sensazione, 
e  tutti  ricorsero  a  Nicolò  V,  protestando 
di  voler  tornare  sinceramente  al  cattoli- 
cismo.  11  Papa  deputò  il  vescovo  e  l'in- 
quisitore a  recarsi  nelle  valli  per  riconci- 
liai li  colla  Chiesa,  e  se  ne  convertirono  piìi 
di  3ooo.Uu  prodigiosissimo  avvenimento 


TOR  ao3 

illustròquesto  episcopato,la  cui  ricordan- 
za sarà  sempre  gloriosa  alla  religione  e 
alla  città  di  Torino,  cioè  il  narrato  mi- 
racolo della  ss.  Eucaristia.  Celebrò  il  ve- 
scovo Lodovico  i  sinodi  del  i465  (nel  qua- 
le anno  il  duca  Luigi  o  Lodovico  istilla 
il  senato  di  Torino, con  suprema  autori- 
tà per  giudicare  le  cause  civili  e  crimina- 
li) e  del  1  4 ( ' 7 j  approvò  i  nuovi  statuti  del 
capitolo,  come  fece  Papa  Paolo  II,  e  mo- 
rì nel  1 4^9  :  m  vece  registrando  il  can. 
Bona  tal  morte  nel  1 4  >&,  nel  1  4^g  ne  di- 
ce successore  Giovanni  V  Campesio  ,  e 
nel  i4^7  Cristoforo  della  Rovere,  a  cui 
nel  1 480  fa  succedere  il  fratello  Domeni- 
co. Il  p.  Semeria  nel  1469  dichiara  suc- 
cessore di  Lodovico,  Giovanni  HI  di  Com- 
peys  oCompesio  uobilesa  voi  ardo,  il  qua- 
le neli4"2  saputa  la  gravissima  malat- 
tia del  duca  b.  Amedeo  IX,  che  dimora- 
va io  Vercelli  ove  soleva  tenere  la  corte, 
ordinò  pubbliche  orazioni.  Mentre  a'3o 
marzo  face  vasi  una  processione  di  più  che 
3ooo  persone,  quasi  sulla  cattedrale  ap- 
parve un  bianco  cerchio  raggiante,  entro 
a  cui  stava  il  duca.  Riguardato  per  mira- 
bile segno  del  suo  transito  al  cielo,  il  ve- 
scovo si  recò  subito  a  Vercelli  e  realmen- 
te trovò  il  santo  principe  defunto.  Tor- 
nato a  Torino  ebbe  la  consolazione  del  ri- 
trovamento del  corpo  di  s.  Gozzelino  e 
delle  reliquie  di  s.  Anastasio,  nella  chiesa 
di  s.  Solutore,  del  cui  monastero  il  r.°era 
stato  abbatee  monaco  il  2.°,operandoDio 
per  illustrarli  molti  miracoli.  Ma  poi  fu 
rammaricato  pegli  eretici  valdesi  ricadu- 
ti nell'errore  e  nello  spergiuro,  vedendo 
fallile  tante  sollecitudini  de'  suoi  prede- 
cessori ;  onde  con  1'  aiuto  delfa  reggente 
Jolanda,  emanò  energici  provvedimenti. 
Compose  le  dilFerenze  col  capitolo  di  Car- 
magnola, sostenne  un  litigio  con  l'abba- 
tedella  Chiusa,convenne  con  Lodovico  II 
marchese  di  Saluzzo  lo  stabilimento  d'u- 
na collegiata  in  quella  città;  e  dopo  ave- 
re riedificalo  il  campanile  della  metropo- 
litana, poi  compito  dal  Juvara  d'ordine 
di  Vittorio  Amedeo  lì,  nel  1482  venne 


2  04 


TOR 


traslato  a  Ginevra  e  poi  all'arcivescovato 
di  Taranlasia.  Nel  tletlo  anno  gli  succes- 
se il  cardinal  Domenico  della  Rovere  to- 
rinese de'signori  di  Vinovo,  fratello  del 
cardiuulCrisloforo,già  preposto  della  cat- 
tedrale e  nunzio  di  Torino  per  Sisto  IV 
della  Rovere, e  perciò  alcuni  dissero  pa- 
rente; il  quale  Papa,  secondo  I'  Ughelli, 
sottrasse  dalla  soggezione  del  metropoli- 
tano di  Milano  il  vescovo  di  Torino  e  lo 
dichiarò  esente.  Di  sue  notizie,  come  di 
tutti  i  vescovi  e  arcivescovi  cardinali  di 
Torino,  ne  tratto  alla  biografìa,  ove  Cui 
da  alcuni  scrittori  indotto  in  errore,  con 
dire,  non  pare  che  fosse  vescovo  di  To- 
rino, e  qui  Olì  correggo.  Il  cardinale  reca- 
tosi in  lloma  pel  conclave,  dipoi  nel  i/[H5 
fu  testimonio  della  solenne  donazione  tra 
vivi  che  Carlotta  di  Lusignano  regina  di 
Cipro  e  dell' Armenia  fece  nella  basilica 
Vaticana  al  suo  nipote  Carlo  I  duca  di 
Savoia. Non  ritornando  alla  sede, nel  1 497 
eamiuendo  Alessandro  V I, si  elesse  a  coa- 
diutore Gio.  Francesco  della  dovere  suo 
nipote.  Però  l'Ughelli  e  il  can.  Bima  li- 
poi  tano  al  1499  Gio.  Lodovico  della  Pio- 
vere e  nel  1  5  1  o  il  nipote  Gio.  Francesco. 
Dimorando  in  Roma  il  cardinal  Dome- 
nico, non  dimenticava  i  bisogni  della  dio- 
cesi, the  anzi  generosamente  riparò  i  ca- 
stelli di  Cinzano  e  di  Rivalla  appartenen- 
ti alla  mensa, e  per  l'aumento  di  questa 
vi  unì  le  rendite  della  chiesa  di  Cavorre 
e  della  pievania  di  Lauzo.  l\ese  poi  im- 
mortale il  suo  nome  colla  riedificazione 
della  cattedrale.  Considerando  che  il  tem- 
pio antico,  opera  de' principi  longobardi, 
e  composto  di  3  chiese  insieme  unite,  co- 
me sono  andato  dicendo,  era  sdrucito  da 
due  parti,  uè  più  capace  di  restauri,  di- 
visò di  demolirlo  e  costruirne  altro  di  Cor- 
ma  all'atto  nuova.  Senza  sgomentarsi  del- 
l'enormità delle  spese,  ricchissimo  di  sua 
casa  e  di  benefizi  ecclesiastici,  inviò  da 
Roma  un  nobile  disegno  del  celebre  [lac- 
cio Pintelli,  raccomandandone  la  perfetta 
esecuzione,  per  la  quale  mandò  casse  pie- 
ne d'argento.  Demolitala  fabbrica  aulica, 


TO  Pi 

neh 49'  fu  solennemente  posta  lai. "pie- 
tra per  la  nuova  a'aa  luglio,  alla  presen- 
za della  reggente  Bianca,  ed  ebbe  compi- 
mento nel  1 49*^-  "  cu-  cav-  Cibrario  la 
chiama  opera  architettonica  rara  e  pre- 
gevole, eseguita  sulle  traccia  delle  miglio- 
ri chiese  de'contemporanei,  ed  egregi  gli 
ornamenti  delle  porte,  somigliando  la  fac- 
ciata ad  altre  belle  chiese,  come  di  s.  A- 
gostino  e  di  s.  Maria  del  Popolo  di  Roma. 
Sulla  porla  maggiore  fu  posta  l'iscrizione 
che  si  legge  nel  p.  Semeria,  che  sostiene 
avere  ritenuto  il  cardinale  il  vescovato  si- 
noalla  morte,avvenuta  in  Pioma  nel  1  5o  r, 
donde  furono  nel  i5io  trasferite  le  sue 
spoglie  in  Torino  e  tumulate  nella  sua  cat- 
tedrale. Il  nipote  coadiutore  Gio.  Lodo- 
vico della  Rovere  gli  successe,  già  prefet- 
to di  Castel  s.  Angelo,  pro-legato  della 
Marca.  Vigilante  e  virtuoso  pastore,  in- 
traprese la  visita  della  diocesi, specialmen- 
te nelle  valli  degli  eretici  ,  quindi  nello 
stesso  i5or  celebrò  il  sinodo  nella  catte- 
drale e  poi  lo  stampò. Si  elesse  a  coadiuto- 
re il  nipote  Gio.  Francesco  della  Rovere 
preposto  della  cattedrale,  e  Giulio  II  l'ap- 
provò neli  5o4,  il  quale  altro  della  Rove- 
re, come  nipote  di  Sisto  IV,  fu  detto  pro- 
zio di  tal  prelato.  Recatosi  il  vescovo  in 
Rnina  per  reclamare  coatro  l'abbate  di  s. 
Mauro  che  voleva  sottrarsi  dalla  sua  giu- 
risdizione, autorizzò  il  suo  vicario  genera- 
le Baldassare  Bernetto  di  Vignone  arcive- 
scovo di  Laodicea  in  parlibus  a  consagra- 
re  la  cattedrale  di  Toriuo  a'2  1  settembre 
1  5o5.  Morto  in  Roma  nel  1  5 1  o,  giusta  la 
sua  disposizione  fu  portato  nella  cattedra- 
le di  Torino,  con  epitaffio  in  cui  è  anche 
detto  Palatii Pontificii  Jf?ec/o/-,ossia  mag- 
giordomo, e  si  legge  pure  nell'Ughelli.  E- 
gli  fu  l'ultimo  vescovo  di  Torino,  e  il  suc- 
cessore il  r.°  arcivescovo. 

Nel  1  5 1  o  successe  allo  zio  per  coadiu- 
toria  Gio.  Francesco  della  Rovere  de'con- 
ti  di  Vinovo,  e  insieme  da  Giulio  II  fallo 
prefetto  di  Castel  s.  Angelo.  Questo  Papa 
nel  1 5 1  1  smembrò  dalla  diocesi  55  par- 
rocchie e  vi  eresse  il  vescovato  di  Sala- 


TOR 

za. Inoltre  Giulio  li  lo  nominò  prelato  do- 
mestico e  referendario,  gli  conferì  pingui 
benefizi  in  Torino  e  in  Savoia,  ed  elesse 
gran  penitenziere  in  Roma,  dice  il  p.  Se- 
meria.  All'articolo  Penitexziere  maggio- 
re ne  formai  la  serie,  e  già  da  quasi  3  se- 
coli erano  sempre  cardinali,  ed  all'epoca 
di  Giulio  II  lo  era  il  cardinal  Leonardo 
Grosso  della  Rovere  zio  del  vescovo.  Me- 
glio è  ritenersi  che  avrà  conseguila  una 
delle  primarie  cariche  della  Pe/atenzie- 
ria. L'Ughelliuon  ricorda  lai  carica, ben- 
ÙAlpiwn  etSabaudiaeGubernator. Sog- 
giornando in  Roma,  applicato  a  tante  in- 
cumbenze,  governava  la  diocesi  pei  vica- 
rio generale.Giunto  all'età  per  cousagrar- 
si  vescovo,  a'2  3  luglio  1  5 1  3  Leone  X  con 
particolare  privilegio  personale  gli  con- 
cesse gli  onori  e  insegne  vescovili,  l'esen- 
tò dalla  giurisdizione  dell'arcive.»covo  di 
Milano(dunque  l'indulto  di  Sisto  1 V  ram- 
mentato da  Ughelli,  egualmente  sarà  sta- 
to personale),  alla  s.  Sede  unicamente  sog- 
getto, con  facoltà  di  farsi  precedei  e  nella 
diocesi  colla  croce  astata,  d'usare  il  pal- 
lio nelle  sagre  funzioni, ediconcederel'in- 
dulgenza  plenaria  in  suo  nome  nella  i." 
messa  pontificale  che  avesse  celebrato  nel- 
la cattedrale.  Portatosi  il  vescovo  alla  sua 
diocesi,  a'2g  maggio  1 5 14  fece  il  suo  in- 
gresso solenne  per  porla  di  Susa,  indi  nel- 
l'ottobre  celebrò  il  sinodo  che  pubblicò 
colle  stampe.Continuandosii11R.oma  quel- 
lo generale  di  Laterano  V,  v'intervenne 
il  vescovo,  e  Leone  X  lo  deputò  uno  dei 
24  giudici  sinodali,  pe'personali  suoi  me- 
riti. Inoltre  a  riguardo  e  in  premio  di  es- 
si, mentre  regnava  il  duca  Carlo  III  ,  il 
Papa  colla  bolla  Cimi  illiu.sy  de'  1 7  mag- 
giori 5,  presso  l'Ughelli,  elesse  la  catte- 
drale di  Torino  in  metropolitana,  con  se- 
pararla affatto  da  quella  di  Milano,  e  con 
lettere  apostoliche  dirette  a'  vescovi  di 
mondavi  e  d'Arca,  egualmente  ripulia- 
te da  Ughelli,  li  dichiarò  sulfraganei  del- 
la medesima,  costituendo  per  1  .°arci  vr sco- 
\odiTorinolostessoGio.Francesco.  Men- 
tre il  Papa  si  proponeva  di  elevarlo  al  car- 


TOR  2.0 

dinalato,  essendosi  il  vescovo  recato  in  C'è 
logna,i*i  morì  nel  dicembre!  5i6  di  26 
anni,  morte  che  altri  ritardano  al  1  5 1  7. 
Il  cadavere  trasportato  nella  metropoli- 
tana di  Torino  vi  ebbe  tomba  con  ono- 
revole iscrizione.  Per  l'elezione  del  suc- 
cessore insorse  lieve  discordia  tra  Leone 
X  e  Carlo  III,  poiché  il  Papa  avea  man- 
dato le  bolle  di  creazione  in  arcivescovo 
al  proprio  nipote  cardinal  Innocenzo  Cibo 
genovese  il  1. "marzo  1  5i  7,  mentre  il  duca 
desiderava  Claudio  di  Seyssel  d'Aix  pro- 
fessore di  giurisprudenza,  e  di  sublimi  ta- 
lenti, già  amministratore  di  Lodi  e  vesco- 
vo di  Marsiglia,  e  legato  in  Torino  del  re 
diFrancia.  Pertanlosi con  venne,cheSeys- 
sei  rinunziò  la  sede  di  Marsiglia  al  cardi- 
nale, e  questi  fece  il  simile  di  quella  di 
Torino  a  Seyssel,  riservandosi  la  facoltà 
del  regresso  alla  medesima  nella  morte  o 
promozione  di  lui;  quindi  il  Seyssel  2.0  ar- 
ci vescovo  ebbe  il  pallio  a'3  giugno.  Nel- 
la festa  di  s.  Gio.  Battista  celebrando  la 
1. "messa  pontificale,  fu  talee  tanta  l'af- 
fluenza delle  genti  venute  in  Torino  da 
tutta  l'arcidiocesi ,  che  la  metropolitana 
non  essendo  sufficiente  a  contenerle,  fu 
necessario  erigere  all'  aperto  un  altare 
temporaneo,  e  così  soddisfare  alla  comu- 
ne divozione  per  lucrare  l'indulgenza  ple- 
naria concessa  da  Leone  X  a  chi  vi  aves- 
se assistilo.  Essendosi  convertili  4  valde- 
si, fu  d'impulso  all'arcivescovo  di  recarsi 
nel  loro  paese  a  procurare  il  ravvedimen- 
to degli  ali  ri  nelle  valli  di  Luserna  e  Au- 
grogna,  e  di  flagellalo  in  alpestri  e  orri- 
di sentieri.  Egli  ne  riporlo  sui  montana- 
ri un  immenso  vantaggio  ,  e  siccome  di 
vastissime  cognizioni  e  di  giudiziosissimo 
discernimento,  esplorò  la  via  più  facile  per 
illuminarli,  onde  compose  ad  utilità  per- 
petua della  religione  il  dotto  trattato:  Ad- 
versus errores et sectam  J  aUlciisiuni^Va- 
risiisioso.CarloIH  lo  nominò  consigliere 
ducale.  Nel  comporre  libri  utilissimi,  nel- 
la vigilanza  del  suo  giegge  e  nell'eserci- 
zio dell'orazione,  l'egregio  prelato  consu- 
mò il  rimanente  de'&uoi  giorni  ch'ebbero 


2o6                    T  Oli  TOR 
termine  neli52o,  dopo  aver  ordinato  la  morbo  colerico.  Quindi  ritengo  beneme- 
costruzione  d'una  cappella  a  fianco  della  rito  l'operato  con  felice  successo  nel  de- 
melropolitana  pel  coro  d'inverno  de'ca-  corso  anno  in  Fabriano  per  l'invasione 
Donici)  e  beneficato  generosamente  i  pò-  del  maloreasiatico,onde  impedirne  la  pro- 
veri da  lui  amati.  Fu  compianto  da  (ut-  pagazione,e  perciò  giustamente  lodalo  dal 
ti  e  altamente  lodato  ne'solenni  funerali,  n.°2gi  del  Giornale  dì  Roma  deli85')! 
anche  cogli  epiteli  di  padre  della  patria  oltre  il  zelante  suo  vescovo  mg/  Faldi, dal 
e  fido  Acate  di  Carlo  III,  indi  sepolto  in  sagace  suo  medico  d.'  bocci;  e  quest'ut' 
detta  cappella  nel  mausoleo  erettogli  dal-  timo  poi  anche  pel  pubblicato  aureo  opti- 
la riconoscenzadecanonici.il  p.Semeria  scoletlo  intitolato:  Avvertimento  popola  ■ 
ci  die  il  catalogo  di  20  sue  opere  slam-  re  sulla  contagiosità  del  Cholera.  asia 
pale, e  il  novero  de'mss.  esistenti  nella  bi-  tiro,  e  siili'  efficacia,  delle  disinfczioni 
blioteca  dell'università  di  Torino,  (piali-  di  cloro  e  cloruri.  Con  un   linguaggio 
beandolo  il  più  copioso  scrittore  di  «pian-  perfettamente  analogo  alla  materia  e  al  • 
li  hanno  rettola  chiesa  torinese,  avendo  lo  scopo,    e  con   ragionamenti  i  più  lo- 
sapulo  Irar  profitto  del  tempo  sino  nel-  gici  appoggiati  a    fatti  irrefragabili,  dica- 
la mensa  con  ottime  letturee  ragiouamen-  il  Giornale  di  Roma,  dimostra  l'egre- 
ti  d'erudizione.  Perciò  la  chiesa  di  Tori-  gio  d.r  Mocci,  co'più  celebri  autori,  non 
nofu  devoluta  pel  regresso  al  cardinal  Ci-  solo  che  il  cholera  è  una  vera  epidemia 
bo  a' 4  luglio,  di  vasto  sapere  e  ardente  contagiosa,  ma  inoltre  fa  toccar  con  ma- 
zelo,  ma  carico  di  altre  sedi  da  Roma  le  no  che  una  tale  persuasione  sia  ne'ruedi- 
governò  pe'vicarii.  La  peste  fece  orridis-  ci  sia  nel  popolo,  anziché  recar  damio,rie- 
simoscempioinlultallalianelsecoloXVI,  scesalutevolissiina,ed  èPunico  mezzo  per 
e  nel  centro  del  Piemonte  nelioi/L  At-  impedirel'introduzioneelestragidel  mor- 
taccòTorino  nel  1  522,  e  parve  cessare  nel  bo.  E  dopo  avere  l'autore  egregiamente, 
febbraio  1 523,  ma  rincrudì  nel  1  52/j.}  con  mostrata  la  differenza  fra 'contagi  e  Pepi- 
gran  travaglio  della  città;  e  qui  aggina*  demie  semplici,  e  le  principali  notecaral- 
gerò,  che  quando  speravano  i  popoli  ver-  turistiche  degli  uni  e  delle  altre,  con  con- 
so  la  fine  del  secolo  d'esserne  allatto  li-  eludenti  parole  e  colla  storia  alla  mano] 
beri,  ricominciò  con  ispaventevoli  stragi,  parla  de' vantaggi  immensi  e  decisi  delle 
restando  pressoché  vuole  di  abitanti, par-  disinfezioni  coleriche.  La  salutare  azione 
te  fuggiti  e  in  grandissimo  numero  eslin-  di  queste  «li  porge  poi  una  nuova  prova 
li,  Venezia,  Milano  e  altre  principali  cit-  per  confermare  la  natura  contagiosa  del 
tà  venete  e  lombarde,  e  ne  fu  immune  il  cholera, e  per  incoraggiare  le  persone  a  non 
Piemonte  sino  al  1^76,  per  le  precauzio-  paventarlo.  Godevano  i  vescovi  e  arci  ve- 
ni diligentissime  d  impedire  sulle  fronlie-  scovi  di  Torino  il  privilegio  dell'  Annata 
re  il  pregiudizievole  e  insinuante  contat-  e  degli  Spogli  ecclesiastici,  ossia  d'appli- 
to  ,  il  che  ora  fatalmente  dappertutto  si  care  alla  loro  mensa  le  rendite  de* bene* 
trascura  pel  cholera,  considerandosi  non  fìzi  non  concistoriali  vacanti,  e  di  più  i  be- 
contagioso!  Qui  per  amore  all'umanità,  ni  mobili  degli  ecclesiastici  loro  diocesani, 
e  sebbene  conosca  il  conflitto  delle  diver-  che  morivano  senza  aver  fatto  disposizio- 
se  opinioni  e  le  rispetti,  come  tuttora  l'i-  ne  testamentaria.  Venuto  in  Torino  il  col- 
gnorarsi  il  sicuro  modo  curativo,  mi  pia-  lettore  apostolico  di  tali  rendile  in  tutto 
ce  osservare,  che  per  i   provvedimenti,  il  Piemonte,  Bernardino  Arelio,  volle  at- 
tenebrali all'articolo  Pestilenze,  le  pre-  tiibuirsi  eguale  diritto  nell'arcidiocesi.  Il 
cauzioni,  isolamenti  e  disinlèzioni  ordina-  cardinale  ricorse  a  Clemente  VII,  che  nel 
ti  da  Gregorio  XVI,  egli  vide  nel  1 83y      i5a8  vietò  al  collettore  il  riscuotere  nel- 
arrestato  e  sepolto  in  Fioiua  il  tremendo  l'arcidiocesi  di  Torino  le  annate  de'bcne- 


T  O  R  T  O  lì                    2..7 

IÌ7Ì  e  lo  spoglio  degli  ecclesiastici,  e  di  re-  corona,  ed  i  nuovi  suoi  popoli  a  parie  dei 

slittine  alla  mensa  il  riscosso.  Intanto  il  privilegi  goduti  da'sooi  sudditi  oltrarno»- 

cardinale,  la  comune  e  alcuni  superiori  Inni.  ISel  febbraio  i  543  per  un  colpo  di 
regolari,  accorsero  a  sovvenire  l'ospedale  rnauo  degl'imperiali,  poco  mancò  che  non 
di  s.  Giovanni  con  aumento  notabile  di  s'impadronissero diTorino,t»edianleslra- 
rendite.  A  mez70  del  vicario  generale,  far-  Ingemma  concepito  da  Cesare  da  Napoli 
civescovo  riparò  agli  abusi  insinuati  nel  per  sorprenderlo  con  carri  carichi  d'ar- 
cuilo divino  e  ne'ministri  della  chiesa, sia  mali  e  coperti  di  fieno.  Salvò  dall'eccidio 
colla  visita  pastorale,  sia  colla  stampa  del-  la  città  un  fabbro, perciò  premiatoda'fran- 
le  sinodali  costituzioni.  Frattanto  il  Pie-  cesi, il  quale  appena  entrati  alcuni  di  essi, 
monte,  per  le  pretensioni  di  Francesco  I  avendo  la  bottega  vicino  alla  porla,  cor- 
redi Francia,  quale  erede de'd'Angiò, di-  se  a  tagliar  la  catena  che  teneva  la  sara- 
venne  il  teatro  della  guerra;  come  il  re-  c'inesca  e  impedì  di  penetrare  nella  città 
sto  d'Italia  già  era  stalo  miserando  caro-  agli  altri  a  soccorrere  i  primi, die  tosto  fu- 
po  di  ballaglie  di  sangue  e  d'infinite  ca-  rone tagliati  a  pezzi da  Alessandro deMag- 
lamilà  per  la  conquista  del  ducato  di  Mi-  gi  milanese.  In  questo  deplorabile  stato 
lano,  nell'implacabile  lotta  tra  il  ree  l'ini-  dì  cose,  il  principe  Emanuele  Filiberto  di 
peralore  Carlo  V.  Il  re  violando  ogni  di-  17  anni,  vedendo  i  paterni  stali  in  preda 
ritto  delle  genti  e  i  più  stretti  doveri  dì  orde'francesi,edor  de'tedeschi  e  spagnuo- 
sangue,  mandò  nel  1  536  gli  eserciti  suoi  li  dello  zio  Carlo  V,  ottenne  nel  1  545  dal 
a  occupare  la  Savoia,  enei  1  ."d'aprile s'ap-  padre  Carlo  1 1 1  d'andarsene  in  Germania 
prossimaronoalle  porte  di  Torino.  Avreb-  a  ben  imparare  l' arte  del  guerreggiare 
be  voluto  la  città. opporsi  con  vigorosa  re-  alla  scuola  di  detto  imperatore,  portando 
sislenza,  ma  minacciando  i  francesi  ferro  seco  la  speranza  di  liberare  col  suo  vaio* 
e  fuoco,  se  la  città  non  si  arrendeva  preti-  re,  quando  che  fosse,  i  popoli  suoi  dati  ala- 
tamente, il  duca  Carlo  III.  che  da  Torino  mi  straniere;  ed  il  padre  a  Uranio  per  lo 
era  partito  colla  famiglia  aio  marzo  per  spoglio  de'suoi  stati  mori  in  Vercelli  nel 
Vercelli  ,  volendo  risparmiar  le  vite  dei  1  553.  Già  il  benemerito  arcivescovo  cai- 
suoi  sudditi,  acconsentì  che  si  aprissero  le  dinal  Cibo  nel  1  548  o  nel  1  549  avea  ri- 
porle,  e  lasciassero  inalberare  la  bandiera  nnnziato  l'arcivescovato  al  nipote  Cesare 
de'gigli,  con  abbaitele  quella  della  croce  Usdimare  Cibo  di  Genova,  stato  vescovo 
bianca  di  Savoia.  Con  alto  de'3  aprile  si  di  Mortami;  onde  essendo  allora  soggetta 
arrese  la  città,  protestando  di  non  voler  Torino  a  Francia,  mandò  il  Papa  le  sue 
pregiudicare  a 'diritti  del  loro  sovrano,  di  lettere  di  nomina  al  re  Enrico  II  pel  libc- 
cui ambivano  di  restare  fedelissimi  suddi-  10  esercizio  del  pastorale  ministero.  Con- 
ti; ma  entrati  i  francesi,  tosto  la  saccheg-  linuaudo  la  cillà  e  arcidiocesi  sollo  il  gio- 
giarono  orrendamente,  come  se  l'avesse-  go  de  francesi,  non  pochi  de'quali  erano 
10  espugnata  colle  armi.  Nell'istesso  an-  infètti deU'eresiede'Lofer/wi/jde'Ca/wU'' 
no  i  francesi  spianarono  al  suolo  4  gran-  iti,  e  altri  Protestanti  (  J  .1,  e  l'empie  Io- 
dissimi  borghi,  che  alle  4  parti  di  Tori-  romassiruesiandavanodisseminandocou- 
110  si  ergevano  con  belli  e  grandiosi  edili-  tro  il  dogma  e  la  morale,  non  solo  in  pri- 
zi,  e  con  essi  rimasero  distrutte  i3  anti-  vaio,  ma  in  pubblici  ragionamenti.  A  que- 
chissime  chiese,  l'anfiteatro  e  innumera-  sii  eretici  unironsi  anche  molti  valdesi,  che 
bili  vetuste  memorie  ond' erano  abbellì-  i  medesimi  errori  aveano  adottato,  laon- 
ti;  indi  nell'agosto  dichiarò  Francesco  I  de  la  fede  cattolica  corse  evidente  perico- 
con  suo  diploma,  appartenere  i  torinesi  lo.  Queste  perverse  dottrine  non  erano 
e  tutti  gli  stali  del  Piemonte  al  regno  di  stale  pubblicamente  insegnale  finché  vis- 
Fraucia,  per  essere  sempre  uniti  a  quella  se  Francesco  I,  ma  morendo  nel  1  547,tli- 


2o8  T  O  R 

ventarono  ardile  a  segno,  che  i  loro  fau- 
tori giunsero  in  un  tal  sopravvento,  a  far 
interdire  nel  i  55o  alle  confraternite  di  s. 
Croce  e  del  ss.  Nome  di  Gesù,  il  consue- 
to esercizio  di  loro  funzioni.  L'arcivesco- 
vo Cesare  dopo  aver  questionato  per  con- 
tinuare il  sussidio  all'ospedale  di  s.  Gio- 
vanni, si  pose  in  discordia  col  consiglio 
della  città,  il  quale  per  opporsi  alla  bal- 
danza de' nuovi  eretici,  oltre  di  avere  a 
proprie  spese  deputato  più  sacerdoti  per  la 
difesa  della  purità  della  fede,  nelle  catte- 
dre e  ne'pulpili,  volle  obbligare  anche  il 
suo  pastore  a  mantenere  de'sagri  oratori 
nella  cattedrale.per  confutare  gli  sparlato- 
li della  chiesa  romana  e  ismenlire  al  popo- 
lo le  loro  perniciose  menzogne.  Non  cre- 
dendosi Cesare  tenuto  a  tale  stipendio,  il 
consiglio  ve  lo  costrinse  con  decreto  regio 
del  i  55o.  Altri  provvedimenti  emanò  il 
consiglio  civico  contro  gli  eretici,  che  viep- 
più si  moltiplicavano,  ormai  divenuta  l'I- 
talia il  rifugio  degli  apostati  e  de'seguaci 
del  libertinaggio.  Nella  minorità  di  Carlo 
IX  rediFrancia,crebbe  l'oltracotanza  dei 
ministri  eretici,  per  avere  la  madre  reg- 
gente nel  i56i  accordato  agli  Ugonotti 
(V.)  il  libero  esercizio  di  loro  pretesa  re- 
ligione riformala,  di  aver  templi  e  farvi 
adunanze  fuori  delle  città.  In  Torino  i 
cittadini  intesero  con  molta  pena  tale  di- 
sposizione, e  ne  fu  conseguenza  che  con  in- 
solenza i  calvinisti  cominciarono  nella  cit- 
tà a  celebrare  le  sedicenti  cene,  e  inveire 
con  empie  declamazioni  contro  il  clero 
cattolico  e  la  ss.  Eucaristia.  Tanta  empie- 
tà non  potendo  più  soffrire  i  decurioni  e 
i  cittadini,  concordemente  deliberarono 
di  ributtare  a  forza  i  perversi  ministri,  o 
spegnerne  1'  eresia  col  loro  sangue.  Que- 
sto proponimento  del  corpo  della  città,  si- 
gnificato al  vescovo  diGinevra  nunzio  apo- 
stolico, e  da  questi  trasmesso  a  Pio  I V,  fu- 
rono i  decurioni  paternamente  confortati 
con  breve,  lodaudone  l'insigne  pietà  e  di- 
vota ubbidienza  alla  s.  Sede.  Animalo  co- 
sì il  corpo  della  città  ricorse  a  Carlo  IX, 
per  ottenere  pronto  rimedio  a  tanti  gra- 


T  O  R 
vi  Diali  e  abolire  la  sella  luterana;  ed  il 
re  ordinò  neh  56 1  al  suo  governatore  e 
luogotenente  generale  in  Piemonte  Bor- 
digliene, di  non  permettere  che  i  ministri 
della  nuova  setta  fossero  tollerati  e  pre- 
dicassero in  Torino  ,  anzi  di  farli  uscire 
da  essa  sotto  pena  di  rigoroso  castigo.  Ces- 
sarono dunque  le  pubbliche  adunanze  de- 
gli eretici  e  molti  ne  partirono;  ma  nou 
tralasciarono  perciò  i  decurioni  nelle  sag- 
gie  provvidenze  presesindal  principio  del- 
le pestifere  dottrine. Imperocché  nel  i  5^2 
volendo  la  città  premunire  gli  abitanti 
da'pericoli  de'nuovi  errori,  avea  stabilito 
un  maestro  che  nella  domenica  spiegasse 
al  popolo  que' testi,  de' quali  particolar- 
mente abusavano  i  luterani  a  danno  del- 
la fede  cattolica;  quindi  nel  i  5/\.2  avea  ot- 
tenuto dal  Papa  che  invece  di  due  par- 
rocchie se  ne  stabilissero  quattro,  una  per 
quartiere  ,  acciò  i  fedeli  fossero  meglio 
istruiti  nella  religione;  e  dall'arcivescovo 
ottenne  la  predicazione  ogni  domenica 
nella  metropolitana,  e  che  ninno  potesse 
essere uffiziale,  senza  prima  aver  fatto  pro- 
fessione di  fede  cattolica,  e  che  non  si  po- 
tesse vendere  riè  affittar  case  agli  eretici. 
Ora  temendo  7  zelantissimi  torinesi  del- 
la stabile  esecuzionedegli  ordini  regi,  pre- 
sero l'espediente  d'opporre  alle  perverse 
cospirazioni  che  macchinavano  in  Gine- 
vra Calvino  e  Beza, una  santa  unione  lai- 
cale, il  cui  scopo  fosse  di  sostenere  la  fede 
cattolica  col  pubblico  esempio  di  religio- 
se opere,  col  titolo  di  Compagni//  della 
Fede, e  poi  di  s.  Paolo  per  essersi  posti 
sollo  la  protezione  dell'Apostolo  nella  fe- 
sta di  sua  Conversione.  Prima  ebbe  un  o- 
r  a  torio  ne' chiostri  di  s.  Domeuico,  indi 
nella  chiesuola  di  s.  Benedetto,  e  poscia 
nella  casa  lasciata  da  Becumi  a' gesuiti. 
Frutti  preziosi  di  questo  pio  istituto,  che 
approvato  dal  Papa  a  richiesta  del  sena- 
to del  Piemonte,  conseguì  la  benemeren- 
za universale,  oltre  l'infervorala  divozio- 
ne «li  Torino  ,  furono  le  seguenti  opere, 
di  cui  alcune  ancora  sussistenti.  La  sov- 
venzione pe'poveri  vergognosi;  l'isliluzio- 


TOH 

ne  delle  umiliate;  la  cooperazione  all'ere- 
zione del  monte  di  pietà,  per  cui  n'ebbe 
il  precipuo  governo;  lo  stabilimento  del 
ritiro  del  soccorso  e  della  casa  di  deposi- 
to; l'albergo  della  virtù  e  l'ospedale  della 
carità.  Divenuto  intanto  il  duca  Emanue- 
le Filiberto  il  vincitore  di  s.  Quintino  e 
di  Gravelinga,  ili  ."generale  d'armata  dei 
suoi  tempi, il  terrore  de' francesi,  un  gran- 
de eroe  del  suo  secolo,  sposo  di  Marghe- 
rita sorella  di  Enrico  li  re  di  Francia, ot- 
tenne la  restituzione  de'suoi  stali,  tranne 
Torino,  Pinerolo  e  3  allre  piazze.  Ritar- 
dandosi a  restituirgli  Torino,  fissò  la  sua 
residenza  in  Vercelli;  finalmente  reinte- 
grato di  tutti  i  suoi  dominila' 17  dicem- 
bre 1 562  fece  il  suo  ingresso  solenne  in  To- 
rino tra  le  più  clamorose  acclamazioni;  e 
cos'i  fecero  la  duchessa,  e  appresso  da  Ca- 
rignano  il  supremo  senato, e  da  Mondo- 
vi  l'università.  D'allora  in  poi  Torino  re- 
stò stabilmente  la  capitale  degli  stati  del 
duca  di  Savoia  principe  del  Piemonte.Nel- 
lo  stesso  mese  a'26  morì  l'arcivescovo  Ce- 
sare, dopo  essere  intervenuto  al  concilio 
di  Trento.  Nel  1  563  gli  fu  sostituito  il  car- 
dinal hinicod'^/rrt/o?  de'marchesi  del  Va- 
sto, che  rinunziò  dopo  un  anno.  Mentre 
la  città  e  arcidiocesi  di  Torino  pendeva 
all'estrema  desolazione,  Dio  suscitò  un  so- 
vrano destinato  a  rialzare  gloriosamente 
il  trono  degli  avi  suoi  e  a  proteggere  la 
religione,  ed  un  pastore  per  riparare  san- 
tamente a'danni  della  Chiesa  e  allo  splen- 
dore del  sacerdozio.  Il  sovrano  fu  il  cele- 
brato Emanuele  Filiberto,  che  aveva  nel 
suo  ritorno  riempito  di  gioia  i  suoi  popo- 
li, soli  i  valdesi  restando  tristi,  i  quali  fo- 
mentali da'calvinisti,  e  favoriti  dagli  al- 
tri eretici  di  Francia  e  Germania,  si  ar- 
marono contro  di  lui.  Il  duca  presto  li  do- 
mò colle  armi  e  gli  obbligò  ad  accettare 
le  leggi,  di  non  trapassare  i  limitati  con- 
fini e  di  non  molestare  i  predicatori  cat- 
tolici che  sarebbero  inviati  nel  loro  distret- 
to ,  e  se  ne  ottennero  conversioni  e  fer- 
mezza ne'cattolici.  Quindi  il  duca  si  die 
a  promuovere  con  ardente  zelo  l'esercizio 
vot.  rami. 


TOR  209 

della  cristiana  religione,  la  maestà  del  cul- 
to cattolico,  l'erezione  di  nuovi  templi,  e 
la  più  solenne  venerazione  delle  ss.  Reli- 
quie, é  coadiuvando  particolarmente  l'ar- 
ci vescovodi  cui  vado  a  parlare. Unicamen- 
te per  gloria  della  religione  il  duca  si  ac- 
cinse a  ridonare  un  maggior  lustro  all'or- 
dine di  s.  Maurizio,  ottenendo  dal  Papa 
l'unione  con  quello  di  s.  Lazzaro.  Il  pa- 
store fu  il  torinese  cardinal  Girolamo  del- 
la Rovere  de'signori  di  Vinovo, nipote  del 
1. "arci vescovo,  alla  cui  dignità  fu  eleva- 
tone! 1  564i  di  bell'ingegno,  già  ambascia- 
tore di  Carlo  IX  a  Emanuele  Filiberto, 
al  quale  ed  a'suoi  concittadini  si  rese  ri- 
spettabile per  lo  splendore  di  sue  virlù  e 
dottrina.  Da  vescovo  di  Tolone,  Pio  IV  ad 
istanza  di  Torino  e  del  duca  lo  trasferì  al- 
la patria  metropolitana.  Subito  applicos- 
si  alla  santificazione  del  clero,  alla  salvez- 
za de'popoli ,  alla  distruzione  dell'eresie 
e  all'osservanza  de' sagri  canoni,  comin- 
ciando nella  propria  condotta  a  dare  e- 
dificanli  esempi.  Nel  1  566  il  duca  volen- 
do fabbricare  a  decoro  e  difesa  della  sua 
capitale  Torino  una  ben  munita  cittadel- 
la, invitò  l'arcivescovo  a  benedire  co'sa- 
gri  riti  lai. 'pietra  fondamentale.  Questi 
col  duca  portaronsi  a  Caraglio  e  Rossano 
perchè  molti  calvinisti  perturbavano  i  cat- 
tolici: alcuni  si  convertirono,  gli  altri  fu- 
rono sbanditi  ;  altrettanto  il  pio  pastore 
fece  nella  visita  della  valle  di  Stura.  I  suoi 
meriti  divenendo  di  giorno  in  giorno  più 
luminosi ,  il  duca  lo  creò  cancelliere  del 
supremo  ordine  della  ss.  Annunziata,  es. 
Pio  V  lofacoltizzò  a  visitare  tulle  le  chie- 
se gentilizie  e  militari ,  sì  delle  monnche 
che  regolari  aventi  cura  d'anime,  sebbene 
privilegiate  ed  esenti,  con  piena  giurisdi- 
zione. Di  più  l'arci  vescovo,secondo  la  men- 
te del  concilio  di  Trento,  fondò  il  semi- 
nario pe' chierici.  Avendo  i  francesi  nel 
1 536  demolito  la  chiesa  di  s.  Solutore,  le 
reliquie  de' ss.  Protettori  furono  trasferite 
alla  Consolata;  il  duca  procurando  che  fos- 
se loro  fabbricata  una  nuova  chiesa,  ot- 
teuuedas.  Francesco  Borgia  generale  del- 

i4 


aio  TOR 

la  compagnia  di  Gesìi,  die  poc'anzi  erasi 
stabilita  in  Torino  per  opera  de'  conflati 
di  s.  Paolo,  allineile  ne  assumesse  l'inca- 
rico; onde  le  ss.  Reliquie  con  solenne  tra- 
slazione prima  e  nel  i5y5  furono  portate 
nell'oratorio  de'  gesuiti  stessi,  coll'inter- 
vento  del  duca, del  nunzio  apostolico,  del* 
l'arcivescovo  e  di  altri  personaggi.  Dipoi 
terminata  la  chiesa,  nel  1 584  '°  stesso  ar- 
civescovoDella  Rovere,  co' vescovi  di  Ver- 
celli e  di  Mondovi,con  magnifica  pompa 
dall'oratorio  de' gesuiti  vi  trasportarono 
I'  urna  colle  ss.  Reliquie  ,  sorreggendo  il 
baldacchino  sopra  di  esse  il  duca  Carlo  E- 
mauuele  1,  accompagnato  dall'ambascia- 
lor  venetOjdal  marchese  d'Estee  dasplen- 
didocorteggio.La  chiesa  fu  data  a'gesuili,e 
prese  il  nome  de'ss.  Martiri  de 'gesuiti,  In 
seguito  l'arcivescovo  contribuì  alla  fonda- 
zionedel  collegio  de'gesuiti,  da  lui  tenera- 
mente a  ma  ti. Nel  ì  5 7  5  il  prelato  a  infervo- 
rare i  parrocbi,  adunò  nella  metropolita- 
na il  sinodo  diocesano,  io  cui  si  statuirono 
santi  decreti,  che  sparsero  luce  luminosa 
su  tutto  il  Piemonte,  ed  i  suoi  successori 
lo  tennero  per  norma  di  loro  costituzio- 
ni. Della  Chiesa  dice  che  celebrò  pure  un 
sinodo  provinciale.  Nel  1578  daChambe- 
ry  solennemente  segui  la  traslazione  in 
Torino  della  ss.  Sindone,  incontrata  dal- 
l'arcivescovo e  da  4  vescovi,  dal  duca,  dal 
nunzio  pontificio,  da'magistrati  e  da  altri 
personaggi,  alla  quale  impareggiabile  re- 
liquia da  Milano  fece  un  pellegrinaggio 
per  venerarla  s.  Carlo  Borromeo.  In  tem- 
po di  quest'arcivescovo  Gregorio  XIII 
mandò  a  visitatore  generale  del  Piemon- 
te, col  titolo  di  delegato  apostolico,il  vesco- 
vo di  Sarsina  Angelo  Peruzzi.  Morendo  nel 
1  58o  Emanuele  Filiberto,  assiduamente 
assistito  dall'ottimo  arcivescovo,  a  questi 
raccomandò  il  successore  suo  figlio  Car- 
lo Emanuele  I,  per  l'istanza  del  quale  Si- 
sto V  nel  1  586  l'annoverò  al  sagro  colle- 
gio. Volendo  il  duca  fabbricarsi  una  reg- 
gia, trovò  che  gli  conveniva  il  palazzo  ar- 
civescovile, che  allora  stava  accanto  alla 
metropolitana  ,  ed  il  cardinale  colla  an- 


T  O  II 
uuenza  pontificia  condiscese  al  desiderio 
del  principe,  ricevendo  nel  i  587  in  com- 
penso 1  5,ooo  scudi.  Allorché  fu  reintegra- 
to de'suoi  stati  Emanuele  Filiberto,  ricu- 
sarono i  popoli  del  Vallese  di  riconoseer- 
loper  sovrano,e  si  unirono  in  appi  esso  coi 
ginevrini,  che  aveano  impugnato  le  anni 
contro  il  figlio  nel  1  589  perchè  voleva 
soggettarli.  Stipulatasi  poi  la  pace,  si  ac- 
cordò a'vallesani  che  continuassero  a  pos- 
sedere I'  usurpato  territorio,  già  spettan- 
te al  duca,  e  segnatameute  il  borgo  e  ii 
monastero  di  s.  Maurizio,  del  quale  ripar- 
lai a  Sion  e  Svizzera,  con  patto  di  rimet- 
tere al  duca  le  reliquie  de'ss.  Maurizia  e 
compagni  'febei  martiri.  In  seguito  di  che 
insorse  fortissima  opposizione  ne'vallesa- 
ni  di  venire  spogliali  interamente  del  sa- 
gro tesoro,  laonde  si  convenne  di  lasciar- 
ne la  metà  al  monastero,  e  l'altra  fu  con- 
segnata al  vescovo  d'Aosta  Ginodio,il  qua- 
le solennemente  neli5qi  le  portò  a  To- 
rino, ove  furono  ricevute  con  gran  pom- 
pa da  4  vescovi,  e  collocate  con  generale 
divota  allegrezza  nella  metropolitana,tiel- 
la  processione  avendo  portata  elevala  la 
spada  di  s.  Maurizio  il  governatore  della 
città.  Il  cardinal  Rovere  mentre  trovata- 
ti in  conclave  nel  1 5g2,  con  isperanza  che 
fosse  eletto  Papa, si  ammalò  nella  fine  di 
gennaio,  raccomandandogli  l'anima  nel- 
l'ultime agonie  il  cardinal  Aldobrandino, 
che  dopo  4  giorni  a'3o  divenne  Clemen- 
te Vili. Nello  stesso  anno  gli  successe  Car- 
lo Broglia  di  Chieri  de'signori  di  Sanle- 
na,  abhate  di  s.  Benigno  di  Fritillaria.  Il 
i.csuo  decreto  pastorale  riguarda  la  san- 
tificazione delle  feste,  vietando  tutte  le  o- 
pere  servili  de'mestieri,  tranne  poche  ec- 
cezioni, e  ciò  in  conformità  del  decretalo 
dalla  città  di  Torino  nel  i4^  1,  e  dal  car- 
dinal Rovere.  Altri  salutari  decreti  con- 
cernono l'astinenza  del  digiuno  quaresi- 
male, le  qualità  e  disposizioni  necessarie 
de'chierici  per  essere  ammessi  a'sagri  or- 
dini, e  nel  i5g5  cominciò  la  visita  dell'ai- 
cidiocesi,  e  tenne  il  suo  1  ."sinodo, poi  stam- 
pato, e  il  2.°nel  1 597. Nel  precedente  anno 


/ 


TOH 

visilòTorino  per  la  i.a  volta  s. Francesco  di 
Sales  allora  sacerdote,  per  conferire  col 
duca  sopra  le  missioni  del  Chablais,  in  cui 
egii  operava  meravigliose  conversioni;  la 
2.a  vi  tornò  nel  1 399  fatto  coadiutore  del 
vescovo  diGinevra;  la  3.anel  i6o3per  visi- 
tare il  piissimo  vescovo  di SaluzzoAncina, 
e  la  4-*  nel  162 2  incaricato  di  presiedete 
in  Pinerolo  al  capitolo  de'cisterciensi;  la- 
sciandovi memorie  insigni  di  religione  e 
di  virtù  prodigiosa.  L'arcivescovo  rinno- 
vò le  sue  fervide  sollecitudini  per  la  con- 
versione degli  eretici  ;  ed  a  questo  fine 
Carlo  Emanuele  I  fece  autorizzare  da 
Clemente  Vili  una  missione  di  gesuiti  e 
cappuccini  con  ampie  facoltà:  alla  testa 
de'secondi  vi  si  pose  il  prelato,  e  grande 
ne  fu  il  frutto  ricavato  dagli  uni  e  dagli 
altri.  Imperversando  nel  Piemonte  orri- 
bile pestilenza,  e  serpeggiando  già  nelJ'ar- 
cidiocesi  e  vicinanze  di  Torino,a'  19  agosto 
i5q8  l'arcivescovo  die  avviso  a'parrochi 
e  superiori  religiosi  della  città  sul  peri- 
colo del  contagio,  caldamente  esortando- 
li a  non  abbandonarla,  se  Dio  volesse  fla- 
gellarla con  tal  male;  e  siccome  dovea  ac- 
compagnare la  principessa  di  Fossano,  di- 
chiarò di  esser  pronto  egli  di  ritornare  a 
Torino  se  vi  fosse  penetrala  la  peste,  per 
soccorrerla  nello  spirituale  e  nel  tempo- 
rale. Ed  infatti  subito  vi  si  restituì, quan- 
do il  morbo  cominciò  a  far  strage  ne'din- 
lorni,  anche  per  animare  col  suo  esempio 
i  sacerdoti,  onde  tutti  gl'infetti  fissero  soc- 
corsi. Interpose  quindi  pubbliche  preghie- 
re, massime  nel  1  599,  per  placare  l'ira  di- 
vina, cessando  la  peste  sul  cominciar  del 
1 600,  onde  il  magistrato  della  città  licen- 
ziò quello  di  sanità.  Il  duca  avendo  fatto 
voto  d'  erigere  un  eremo  di  camaldolesi 
sui  monti  a  levante  di  Torino,  l'eseguì,  e 
rimase  fino  al  principio  del  secolocorren- 
te  in  cui  fu  distrutto;  ed  il  consiglio  civi- 
co ampliò  la  cappella  del  Corpus  Domini. 
Alcuni  deputali  alla  cura  degli  appestati 
ed  a  nettare  le  case,  con  infame  congiura 
si  proposero  di  far  rinnovare  la  peste  in 
più  parti  del  Pieuioute  e  di  Savoia, alleila- 


TOR  21  ; 

ti  dalle  ruberie  fitte  in  Torino,ove  ne  tu- 
rono  giustiziati  circa  3o,spezzati  sulle  ruo- 
te nel  1600.  Ripigliando  l'arcivescovo  la 
conversione  degli  eretici,fece  comporre  un 
ultimo  catechismo;  anche  il  duca  essendo 
intento  all'impresa  di  ridurrei  sudditi  al 
l'unica  vera  credenza,  onde  togliere  così 
il  fomite  sempre  acceso  delle  turbolenze 
civili;  pei  ciò  l'arcivescovo  tornò  nelle  valli 
di  Lnserna  co'gesuiti,  cappuccini  e  altri 
religiosi,  e  s'indussero  molti  allacognizio 
ne  della  verità.  Il  prelato  godeva  tanta  ve- 
nerazione, che  quando  Carlo  Emanuele  I 
si  assentava  dalla  capitale,  i  suoi  4  figli) 
fra'quali  Tommaso  da  cui  ebbe  principio 
il  ramo  di  Savoia-Carignano  oggidì  re- 
gnante, raccomandava  al  governodell'ar- 
tivescovo,  il  quale  ne  assunse  cura  pater- 
na, ed  eglino  lo  ubbidivano  come  alla  per- 
sona del  proprio  padre.  Nel  1606  celebrò 
il  3.°  sinodo  diocesano,  e  lo  fece  stampare 
in  italiano,  e  poi  altri  3. Nel  1617  morì  l'ec- 
celleute  pastore  santamente  come  era 
vissuto,  dopo  aver  difeso  virilmente  i  di- 
ritti di  sua  chiesa,  e  meglio  assicurale  le 
rendite  della  mensa  con  nuove  investitu- 
re, avendo  sempre  solle  vatogeuerosamen- 
te  i  poveri.  Dopo  2  anni  di  sede  vacante, 
nel  1619  da  Muriana  vi  fi  traslato  Fili- 
berto Milliet  de'baroni  di  Faverges  di  Sa- 
voia; il  duca  per  le  sue  egregie  preroga- 
tive lo  nominò  suo  consigliere  e  gran  can- 
celliere dell'ordine  della  ss.  Annunziata, 
e  tosto  die  saggio  del  suo  zelo,  fervore  e 
prudenza.  Vietò  di  soverchiamente  trat- 
tóre gli  ebrei  ,  emanò  un  editto  intorno 
all'abito  e  onestà  de'chierici,  riprovando 
que'laici  che  vestivano  d'abbate;  inculcò 
l'esalto  adempimento  de'pii  legati,  l'osser- 
vanza della  comunione  pasquale,  il  buon 
ordine  de'sodalizi,  l'astinenza  dalle  carni 
e  da'latticini  ne'tempi  vietati,  l'intervento 
a'con fessoli  alla  conferenza  de'casi  morali 
de'gesuiti  e  de'vicari  foranei,  e  per  l'iuse- 
guamento  della  dottrina  cristiana  compo 
se  un  catechismo.  Dotte  eiano  le  sue  pu 
stoiuti,  e  faconde  le  sue  prediche;  visitò 
il  suo  gregge  ne'  luoghi  più  disastrosi  e 


2i2  TOR 

infelli;  ne!  1 624  tenne  il  sinodo  e  fece  im- 
primere in  italiano,  e  mentre  si  propone- 
va celebrarne  altro,  cessò  di  vivere  nel 
162^;  assai  compianto,  ebbe  tomba  nella 
chiesa  de' ss.  Martiri  de' gesuiti.  Urbano 
VI  II  nel  1 626  promosse  a  questa  sede  fr. 
Gio.  Battista  Ferrerò  domenicano  di  Pi- 
nerolo,  eruditissimo  e  d'integerrima  vita, 
proposto  dal  duca  Carlo  Emanuele  1  suo 
peuitente.  Riparò  con  muro  di  circuito  il 
pubblico  cimiterio  ,  allora  contiguo  alla 
metropolitana;  molte  provvidenze  die  al- 
la parrocchia   di  Castel  Delfino,  e  dopo 
un  anno  e  poco  più  di  arcivescovato,  mo- 
rì nel  1627.  Indi  successero  molteplici  e 
gravissimi  flagelli,  non  solo  nella  città  e 
arcidiocesi  di  Torino,  ma  in  quasi  tutto 
il  Piemonte,  tutte  sventure  congiunte  allo 
sterminio  della  nazione.  Una  guerra  im- 
placabile armava  i  potentati  vicini  contro 
gli  stati  del  duca,  ingombri  dalle  sue  trup- 
pe e  da  quelle  francesi,  spagnuole  e  im- 
periali, che  li  desolavano  pure  nella  ricer- 
ca di  viverle  per  l'estrema  carestia  langui- 
vano le  famiglie  anche  possidenti;  sciagure 
accompagnate  da  orribile  pestilenza,  che 
dilatatasi  senza  alcun  ri  legno,  spopolò  cit- 
tà e  le  riempì  di  solitudine  e  di  lutto,  fu- 
nesto contagio  a  cui  contribuì  il  continuo 
passaggio  de' soldati  belligeranti.  Il  con- 
siglio della  cillà,  oltre  altri  voti,  nel  1629 
si  obbligò  di  solennizzare  per  5  anni  la  fe- 
sta della  ss.  Concezione,  nella  cappella  a 
essa  dedicata  in  s.  Francesco  d'Asisi.  Ma- 
nifestatasi la  peste  in  Torino  nel  gennaio 
1 63o,  uscita  la  corte  dalla  ciltà  a  preghie- 
ra del  consiglio  sanitario, spai  ite  nelle  pro- 
vinole le  magistrature,  le  famiglie  più  fa- 
collose  lasciarono  la  capitale,  e  lo  slesso  tri- 
bunale sanitario  era  rimasto  in  piccolo  nu- 
mero, parte  decomponenti  colpiti  dal  fa- 
tale morbo  e  parte  fuggiti  dalpericolo.To- 
rino  era  ridotta  un  orrido  deserto  o  a  cam- 
po di  battaglia,  ove  ad  ogni  passo  incon- 
travansi  cadaveri,  infermi  e  languenti.  Di 
1  1 ,000  abitanti  a  cui  sommava  la  popo- 
lazione rimasta  in  città,  solo  3, 000  scam- 
parono dui  morbo.  Sciolto  il  freno  della 


TOR 

pubblica  autorità,  crebbe  la  baldanza  a' 
tristi  che  giravano  nelle  case  a  rubare,  es- 
sendo al  colmo  la  confusione  e  il  terrore 
ne'pacificiene'deboli.Persommo  de'mali 
slava  la  chiesa  di  Torino  vedova  del  suo 
pastore,  nave  senza  piloto  iti  mezzo  d'un 
mare  tempestoso;  percosso  il  gregge,  non 
avea  custode,  e  le  pietre  del  santuario  in 
gran  parte  disperse,  non  trovavano  un  ar- 
civescovo che  le  potesse  riunire.  In  tanta 
costernazione  e  miseria,sebbene  non  man- 
cassero del  tutto  sacerdoti  secolari  e  re- 
golari pegli  aiuti  spirituali,  colui  che  con 
instancabile  zelo  e  benché  infermo  studia- 
va riparare  a  ogni  disastro,  fu  il  1 .°  sinda- 
co della  città  Giovanni  Bellezia,  coadiu- 
vato dal  protomedico  Fiocchetto  e  dall'av- 
vocato Beccaria  il  solo  rimasto  del  con- 
siglio sanitario:  questi  3  umanissimi  e  re- 
ligiosissimi gentiluomini  fecero  prodigi  di 
carità.  In  mezzo  a  tanle  cure  non  tra  la- 
sciarono  di  ricorrere  alla  misericordia  di 
Dio,  e  alla  protezione  della  B.  Vergine  e 
de'  santi  protettori,  con  voti  e  supplica- 
zioni.Tanti  disastrosi  mali  furono  descrit- 
ti dal  Fiocchetto,  Trattato  della  peste, 
ossia  contagiane  in  Torino  delV  anno 
i63o,  Torino  1720.  Memorie,  ri 'guar- 
danti alla  storia  civile  del  Piemonte  del 
secolo  WII  del  conte  Alessandro  Pi- 
nelli,  Torino  1  83y.  Finalmente  a'7  gen- 
naioi632  Urbano  Vili  preconizzò  arci- 
vescovo Antonio  Pro  vana  de'contidi  Col- 
legno, insigne  per  onestà  e  probità,  trasla- 
to da  Du razzo,  e  già  legato  della  repub- 
blica veneta;  ma  aperto  nemico  di  quel- 
la falsa  politica,  che  studia  sempre  di  co- 
prire le  cose  e  gli  affari  con  artifizi  men- 
zogneri, avea  maneggiato  gli  ardui   ne- 
gozi della  Chiesa  e  del  suo  principe  col- 
la prudenza  evangelica,  la  quale  tace,  par- 
la e  opera  giusta  il  bisogno,  niente  desi- 
derando pel  privato  suo  interesse,  e  tut- 
to indirizzando  al  retto  adempimento  del 
proprio  officio.  Quanto  virtuosamente  fu 
renitente  ad  accettare  la  dignità  per  ub- 
bidienza, secondo  il  volo  di  tutti,  altret- 
tanto fu  saggia  la  condotta  sua  in  adoni 


TOR 

pirne  i  doveri,  come  osserva  l'Uguelli.  Il 
suo  solenne  ingresso  in  Torino  rassere- 
nò gli  animi  afflitti  dalle  patite  peripezie, 
tutti  esultando  per  lui  d'una  santa  alle- 
grezza: la  sua  umiltà,  il  complesso  delle 
sue  splendide  virtù,  superò  la  comune  e- 
spettazione  :  in  3  cose  rifulse  il  fervidissi- 
mo suo  zelo,  nel  promuovere  alle  parroc- 
chie esemplari  e  dotti  pastori  di  sana  dot- 
trina, nel  distruggere  gli  errori  degli  ere- 
tici, nel  provvedere  alle  necessità  de'po- 
veri  innumerevoli  per  le  accennate  de- 
plorabili vicende.  Invitò  i  chierici  all'os- 
servanza de'sagri  canoni  e  delle  sinodali 
costituzioni,  i  secolari  all'onestà  del  pub- 
blico costume,  e  nelle  multe  a 'colpevoli 
procede  senza  umani  riguardi  ;  chiamò 
all'esame  morale  i  sacerdoti,  rinnovò  l'os- 
servanza quaresimale  e  l' adempimento 
del  precetto  pasquale,  e  nel  1 633  celebrò 
nella  metropolitana  il  sinodo  diocesano, 
indi  impresso  colle  stampe.  Adoperossi  a- 
lacremente  al  ravvedimento  degli  ereti- 
ci, secondato  da  Vittorio  Amedeo  I,  ac- 
ciò quella  velenosa  zizzania  non  potesse 
più  dilatarsi  nella  vigna  del  Signore;  ed 
anche  dalla  corte  di  Francia  implorò  ef- 
ficaci provvedimenti,  pe'diocesani  ereti- 
ci che  allignavano  nel  territorio  france- 
se. Con  assidue  sollecitudini  assicurò  le 
rendite  della  mensa,  rimovendo  tutte  le 
contestazioni.  Nella  Novalesa  introdusse 
ìcisterciensi  fogliatiti,  e  in  Torino  le  mo- 
nache della  Visitazione  fondate  da  S.Fran- 
cesco di  Sales  e  da  s.  Giovanna  Francesca 
di  Chantal,  la  quale  da  Annecy  come  in 
trionfo  venne  in  Torino  nel  i638  a  stabi- 
lirle, aprendo  una  scuola  di  civile  e  pia 
educazione  alle  damigelle  delle  più  illu- 
stri famiglie,  protetta  e  venerata  pure  dal- 
la reggente  Cristina  di  Francia  duchessa 
di  Savoia  e  dal  nunzio  pontificio  di  To- 
rino Caffarelli.  La  santa  7  mesi  soggior- 
nò in  Torino  a  ben  formare  il  monaste- 
ro, ora  casa  de'signori  della  missione,  il 
i.°  trapiantato  in  Italia,  e  disse  alle  reli- 
giose nel  partire:  Le  Alpi  dividono  l'I- 
talia da  Francia,  non  giù  il  mio  cuore  dal 


TOR  2 1 3 

vostro.  E  come  debbo  separare  il  vostro 
dal  mio,  e  dall'unione  del  rimanente  del- 
l'ordine? La  carità  rende  eguali  i  monti 
alle  pianure,  uè  altro  termine  riconosce 
che  lo  stendersi  egualmente  a.tutti,  per- 
chè tutti  contempla  e  ama  in  Dio.  Gli  ul- 
timi anni  del  governo  dell' arcivescovo 
Provana  furono  amareggiati  di  pena  sen- 
sibilissima, poiché  trovossi  al  principio 
della  reggenza  di  Cristina,  in  mezzo  alle 
sofferenze  di  Torino,  perchè  armati  i  co- 
gnati contro  la  duchessa,  cioè  i  fratelli  car- 
dinal [Maurizio  di  Sassonia  e  Tommaso 
principe  di  Carignano,vide  la  furiosissima 
guerra  civilee  insieme  straniera  accesa  da 
essi  discordi  per  la  reggenza  dello  stato, 
le  sue  principali  città  e  provinole  divise 
di  sentimento  e  di  fazioni;  i  piemontesi,  i 
diocesani  suoi  uccidersi  a  vicenda  ,  tutti 
per  l'istessa  idea  di  salvar  indipendente  il 
trono  della  real  casa  di  Savoia,  e  liberare 
il  fanciullo  Carlo  Emanuele  II,  unica  spe- 
ranza dello  stato,  dalla  prepotenza  nemi- 
ca; egli  vide  per  ultimo  Torino  e  la  me- 
tropoli  tana  stretta  mente  assedia  tada'frau- 
cesi  alleati  della  reggente,  mentre  il  prin- 
cipe Tommaso  sostenuto  dagli  spagnuolt 
s'impossessava  di  quasi  tutte  le  piazze,  ed 
aveasorpresoToriuoa'27  luglio  1639,  per 
cui  la  cognata  erasi  ritirata  nella  cittadel- 
la difesa  dal  cardinal  la  Vallette  prode  ge- 
nerale de'francesi.  In  questo  sanguinoso  e 
desolantissimo  duplice  assedio  de'  fran- 
cesi di  Torino,  e  degli  spagnuoli  domina- 
tori assediauti  della  cittadella   presidiata 
da  altri  francesi,  l'arcivescovo  caduto  per 
affanno  gravemente  infermo,  a'2D  luglio 
1640  moiì  santamente,  lasciando  esempi 
di  perfezione  e  perciò  deplorato  univer- 
salmente. Dopo  4  inesi  e  mezzo  d'assedio, 
Torino  si  rese  a'24  settembre  a*  france- 
si, comandati  dal  conte  di  Harcourt,  che 
si  obbligarono  di  tener  la  città  sotto  la  reg- 
genza di  Madama  Reale  ossia  Cristina,  la 
quale  tosto  da  Savoia  vi  tornò,  ed  il  prin- 
cipe Tommaso  si  ritirò  in  Ivrea.  1  france- 
si entrati  in  Torino,  benché  alcun  poco  la 
facessero  da  padroni,  tuttavia  fu  salva  la 


a  i  .4 


T  O  LI 


religione  ,  salva  la  sovranità  del  minore 
Carlo  Emanuele  II,  la  reggenza  della  du- 
chessa sua  madre,  e  l'indipendenza  delPic- 
roonte.  Tale  appunto  fu  l'esito  del  tratta- 
to di  pacificazione  concluso  in  Torino  ai 
1 4 giugno  164^(0  a'i4«  &5  1  nglio),  men- 
ile già  a'7  in  arso  (0  nel  164^  secondo  U- 
ghelli  e  Bima)  il  torinese  preposto  della 
metropolitana  Giulio  Cesare  Bergere  dei 
conti  di  Cavallerleone  e  limosiniere  della 
leggente,  era  stato  elevato  a  pastore.  Il 
Tesa  uro  scrisse:  Campeggiamenti  del  Pie- 
monte dcl\6/\o.  Torino  assediato  e  non 
■occorso.  Il  Bergera  fu  prelato  di  gran- 
dissima dottrina  e  di  savissimo  consiglio, 
«li  spirito  assai  intelligente  e  di  cuore  ret- 
tissimo; per  le  quali  doti  era  stato  il  con- 
sigliere del  duca  defunto ,  e  continuò  ad 
esserlo  della  vedova  reggente,  la  quale  di- 
chiarando nel  1 648  maggiore  il  figlio.que- 
sti abbellì  notabilmente  la  sua  capitale  To- 
rino. L'arcivescovo  emanò  eccellenti  de- 
creti, celebrò  il  sinodo  nel  1  647  '"ella  me- 
I ropolilana,  e  in  essa  eresse  la  prebenda 
ilei  canonico  penitenziere.  Intanto  la  citta- 
della di  Torino  fu  evacuata  da'francesi  nel 
i657,  e  restituita  a  Carlo  Emanuele  II, 
il  quale  nel  i65g  col  trattalo  de' Pirenei  si 
consolidò  nel  trono,e  il  Piemonte  fu  sgom- 
inato dalle  truppe  nemiche.  A  queste  con- 
solazioni per  l'arcivescovo,  si  aggiunse  il 
\eder  in  Torino  la  fabbrica  di  nuove  chie- 
se pel  decoro  della  religione,  e  sotto  il  suo 
patrocinio  nascere  e  formarsi  in  Torino 
stesso  due  illustri  congregazioni  ,  quella 
dell'oratorio  di  s.  Filippo  nel  1649, e  quel- 
la della  missione  di  s.  Vincenzo  de  Paoli 
neh  654-  Avendo  governato  con  pietà  e 
saviezza,  e  grandemente  cooperato  alla  pa- 
ce dello  stato,  terminò  il  suo  vivere  nel 
1  660,  e  venne  sepolto  nella  cappella  del- 
la Natività  nella  metropolitana,  con  busto 
e  iscrizione.  Nel  1 662  gli  successe  il  suo  vi- 
cario generale  e  canonico  della  metropo- 
litana, già  vescovo  di  Mondovi,  consagra- 
to da  Alessandro  VII,  Michele  Beggiamo 
d'una  delle  l\  famiglie  più  illustri  di  Sa  vi- 
gliano, e  governò  con  gran  prudenza,  vigi- 


TOR 
lanzaezclo.  Intrapresala  visita  dell'ai  ci- 
dioeesi,  la  percorse  per  ogni  parte,  anche 
nelle  montagne  più  scoscese  e  nelle  valli 
più  orride,  e  fu  campo  vastissimo  per  e- 
sercitarvi  la  sua  dottrina,  carità  e  fortez- 
za d'ani mo,pe'disordini  gravissimi  che  ri- 
mosse, e  provenuti  dall'invasioni  e  guer- 
rede'francesi  espagnuoli. Celebrò  nel  1670 
il  1  ."sinodo,  che  fu  stampalo  e  riputato  il 
più  completo  d'ogni  altro.  Godè  la  stima 
e  la  confidenza  non  meno  di  Carlo  Ema- 
nuele li,  che  della  vedova  M/  Giovanna 
reggente,  che  Io  volle  a  suo  primario  mi  • 
nistro  e  consigliere,  come  ne'suoi  consigli 
l'ammise  poi  Vittorio  Amedeo  II.  Fioren- 
do nella  città  l'osservanza  religiosa,  mo- 
rì nel  1689  e  fu  sepolto  nella  suddetta  cap- 
pella della  Natività,  ove  i  nipoti  gli  eres- 
sero un  busto  con  lapide. 

Il  duca  offrì  la  vacante  mitra  arcive- 
scovilecon  vive  ripetute  istanze  al  b.  Val- 
frè,  ma  per  le  sue  costanti  ripulse,  pro- 
pose alla  s.  Sede  il  torinese  Michele  An- 
tonio Vibò,  già  da'Papi  destinato  uditore 
della  nunziatura  di  Torino,  due  volte  in- 
ternunzio  in  Francia,  amministratore  di 
Baverina  e  governatore  di  Carpentrasso, 
carichi  con  grandi  elogi  eseguiti, promosso 
quindi  alla  patria  sede  a'  *?.  1  novembre 
1690.  Col  suo  maturo  giudizio  e  lunga 
sperienza,  colla  soavità  di  sue  maniere  e 
insieme  fermo  per  la  giustizia,  seppe  pru- 
dentemente condursi  in  circostanze  gelo- 
se e  difficilissime.  Intendo  dire  delle  gravi 
discordie  insorte  tra  la  s.  Sede  e  Vittorio 
Amedeo  II,  per  pretensioni  d'immunità 
personale  e  reale,  che  narrai  e  deplorai 
a  Sardegna  regno.  In  mezzo  all'acerbo 
conflitto,  il  prelato  afflittissimo,  non  po- 
teva muover  passo  verso  d'una  parte  sen- 
za compromettersi  nell'altra,  né  appro- 
vare le  scritture  di  Roma  senza  opporsi 
alle  molte  emanate  da'  magistrati  e  senato 
di  Torino.  In  queste  angustie  seppe  dare 
a  Cesare  ciò  che  a  Cesare  apparteneva,  e 
dare  al  Papa  ciò  elicgli  conveniva.  Non 
essendo  inai  di  falsa  politica,  esortava  il 
sovrano  a  riconciliarsi  colla  s.  Sede,  ed  a- 


TOR 
stenevasi  dal  proferire  un  giudizio,  d'ac- 
cordo in  tutto  col  I).  Valfrè,  il  quale  pur 
amareggiato  profondamente  per  tali  rot- 
ture, diceva  ogni  verità  al  principe  con 
tal  saggia  maniera, che  non  oltendeva  mai 
la  dignità  del  trono.  Perla  morte  di  Carlo 
II  re  di  Spagna,  di  Sardegna  e  delle  due 
Sicilie,  e  sovrano  d'altri  stati,  insorse  la 
lunga  e  memorabile  guerra  per  la  succes- 
sione a  quella  vastissima  monarchia. Vitto- 
rio Amedeo  li  ci  vide  un'occasione  di  cre- 
scer la  propria  potenza,e  contro  le  ragioni 
della  casa  d'Austria, si  noi  di  mal  cuore  a 
Francia,dando  sua  figlia  in  moglie  aFilip- 
poVdi  Borbone  istiluitoerededaldefunto 
Carlo  II;  di  conseguenza  contro  il  cugino 
principe  Eugenio  di  Savoia  contedi  Sois- 
stms,  generalissimo  dell'imperatore,  col 
quale  poi  fece  alleanza  con  larghe  promes- 
se di  dominii,  ma  i  suoi  stati  furono  espo- 
sti al  risentimento  diFrancia  e  Spagna, on- 
de ricorse  a'barbetti  o  valdesi  per  essere 
sostenuto. Nel  i  706  i  francesi  bloccarono  e 
strettamente  assediarono  Torino.  Comin- 
ciò l'oppugnazione  delia  città  V12  mag- 
gio, giorno  in  cui  l'esercito  francese  con- 
dotto da  Feuillade  e  composto  di  68  bat- 
taglioni e  80  squadroni,  con  178  pezzi 
d'artiglieria  compresi  5o  mortai,  s'appres- 
sò alla  distanza  d'un  miglio  dalle  mura,  e 
occupato  il  circuito  quasi  intero  sulla  si- 
nistra del  Po,  aprì  la  trincera  a'2  giugno 
e  il  bombardamento  a'9.  Né  per  tuttociò 
usci  il  duca  dalla  sua  capitale  sino  a' 16, 
die  condotta  iu  salvo  la  reale  famiglia  a 

o 

Cuneo,  si  ri  volse  con  maggior  ardore  con- 
tro gli  assediatiti,  tribolandoli  in  ogni  mo- 
do e  procurando  incessanti  di  versioni. Op- 
poneva utm  resistenza  non  meno  accorta 
che  prode  il  presidio  di  Torino  forte  di 
10,000  uomini  e  comandato  da'valorosi 
contedi  Thaon  e  conte  Solaio  della  Mar- 
gherita.ed  assecondati  dalla  prode  fedeltà 
ùVdttadini,  die  raccolti  in  8  battaglioni 
di  milizia  e  pieni  di  fiducia  nella  prole 
zione  assiduamente  implorata  da  Dio  e 
dalie  B.  Vergine  della  Consolata,  concor- 
revano non  poco  all'eroica  difesa.  L'ar- 


TOR  20 

ci  vescovo  Vibò  nel  centro  di  tante  angu- 
stie, adoperossi  ad  animare  e  infiamma- 
re il  coraggio  de'tirnidi  co'potenti  eccita- 
menti della  religione,  a  sollecitare  pode- 
roso soccorso  alla  patria,  a  confortare  l'ab- 
battimento delle  monache,  a  provveder 
di  pane,  vestimenta  e  denaro  i  bisognosi, 
con  magnanimo  zelo  e  carità  senza  limiti, 
promovendo  il  divino  patrocinio  con  di- 
vote processioni  e  pubbliche  preci,  e  con 
quanto  altro  viene  celebrato  dal  p.  Seme- 
ria  in  uno  al  clero  e  al  b.  Valfrè,  dicen- 
do della  parte  eh'  ebbe  la  religione  nel- 
la segnalata  vittoria,  che  compensò  tanti 
disagi  e  penuria,  tante  vittime  che  si  sa- 
grificarono  all'amor  patrio  e  per  la  sal- 
vezza degli  altri.  Persone  d'ogni  età,  sesso 
e  condizione  con  unanime  sentimento  in- 
tendevano a'pietosi  ullìci  verso  la  patria, 
reputandosi  a  gloria  il  soffrir  per  essa.  Ol- 
tre 3oo  donne,i  fanciulli  orfani  dell'ospe- 
dale di  carità  lavoravano  anch'  essi  negli 
scavi  sotterranei  delle  mine,  dando  ezian- 
dio la  vita  volonterosi,  per  coloro  dallecui 
pie  largizioni  erano  sostentati.  Prosegui- 
va l'assedio  calzante  di  Torino  per  parte 
de'francesi, allorquando  il  duca  d'Orleans 
loro  generalissimo,non  avendo  potutoim- 
pedire  la  calata  iu  Lombardia  dell'insi- 
gne capitano  Eugenio  di  Savoia  e  dell'e- 
sercito imperiale,  si  ridusse  ad  accrescere 
colle  sue  forze  quelle  già  radunale  sotto 
le  mura  di Torino,che  per  5  furiosi  assalti 
era  ridotta  agli  estremi  e  poco  più.  pote- 
va sostenersi.  Unissi  parimenti  il  principe 
Eugenio  a  Vittorio  Amedeo  II  che  lo  a- 
spettava  a  Carmagnola  con  6000  finti  e 
1000  di  cavalleria.  Poi  recatisi  entrambi 
sul  monte  di  Supergaa'2  settembre,e  for- 
mato colà  il  piano  d'attacco  generale,  ne 
scesero  tosto  a  porloin  esecuzione.  Avreb- 
berodovuto  i  francesi  non  aspettare  il  ne- 
mico nelle  loro  linee,  e  tale  era  l'avviso 
del  duca  d'Orleaus,m  1  prevalse  quello  dd 
maresciallo  M  usiti  e  fu  cagione  della  to- 
tale loro  sconfitta, benché  fossero  8o,ooo, 
perciò  in  numero  superiore  più  dd  doppio 
agli  alleati  che  contavano  appena  3o,ooo 


2.(3  TOR 

uomini.  Durò  la  gran  battaglia  con  san- 
guinoso accanimento  quasi  tutto  il  gior- 
node'7. Prodigi  di  valore  illustrarono  am- 
Lo  le  palli.  Mostravansi  primi  al  periglio 
Vittorio  Amedeo  II,in  cui  la  prodezza  era 
come  un  istinto  naturale,  il  grande  Eu- 
genio, ed  i  principi  di  Sassonia  e  di  W  ur- 
tembergjChe  sotto  gli  ordini  di  lui  capi- 
tanavano i  tedeschi.  Tra'francesi  rimase- 
ro feriti  il  duca  d'Orleans,  e  mortalmente 
il  maresciallo  Marsin,  che  fu  poi  sepolto 
alla  Madonna  di  Campagna.  Comprossi 
la  vittoria  con  1800  morti  e  25oo  feri- 
ti, mentre  i  francesi  coperti  da'trincera- 
tnenti  ne  perdevano  soli  2000;  ma  sfor- 
zale le  linee  su  tulti  i  punti,  la  rotta  loro 
divenne  ormai  generale,  talché  ad  ore  4 
di  sera  entiò  il  sovrano  col  principe  Eu- 
genio in  Torino,  smontando  alla  metro- 
politana per  rendere  grazie  a  Dio,  fra  gli 
evviva  entusiastici  dell'esultante  popola- 
zione. Trofei  di  questa  strepitosa  vittoria 
furono  200  cannoni,  55  mortai,  80,000 
barili  di  poi vere,20oo cavalli  e5ooo  mu- 
li, tutte  le  tende  e  i  bagagli  de'francesi  con 
Gooo  prigionieri. Frutto  immenso  ne  ven- 
ne dopo  la  ritirata  de'fraucesi  a  Pinero- 
lo,  e  quindi  la  liberazione  del  Piemonte, 
non  chein  brevequella  del  rimanente  d'I- 
talia. Esclama  il  can.  Audisio, descriven- 
do la  Reale  basilica  di  Soperga,  che  co- 
me descrissi  fu  dal  duca  eretta  per  voto 
inconseguenza  di  tal  glorioso  trionfo:» Io 
non  mi  sazierei  di  contemplare  daque- 
sto  luogo  Torino,  la  città  di  tanti  affan- 
ni e  di  tanto  valore,  e  quella  pianura  ce- 
lebre per  sì  famose  ricordanze,  dove  ac- 
quistaste voi  piemontesi  diritto  sì  giusto 
alla  riconoscenza  italiana.  Voi  salvaste  in 
quel  dì  tutta  l'Italia:  voi  pose  Dio  custo- 
di delle  sue  porte,  e  per  essa  armò  di  va- 
lore i  petti  vostri  e  le  vostre  braccia.  " 
Può  vedersi  l'interessantissimo  Journal 
historiaue  ehi  siége  de  la  ville  et  de  la 
cittadelle  de  Turi  ne  ri  ij o6,mrr  le  rap- 
itori officici  des  opera  lions  de  V  ardile- 
rie,  par  le  comic  Stilar  de  la  Morgue- 
ritc flicutenant  general d 'arlilleric yoni' 


TOR 

mandant  celle  de  la  place  pendant  le 
siége,  Turin  1  838.  L'arcivescovoVibò  in- 
tese il  pesodelle  lunghe  e  sanguinose  guer- 
re, per  esserne  derivati  l'immoralità  de' 
costumi,  la  profanazione  delle  cose  sagre, 
l'insegnamento  di  perverse  dottrine  per 
parte  di  molti  soldati  eretici,  il  diserta- 
meuto  delle  campagne,  la  dispersione  di 
molte  famiglie,  la  carestia  che  inondò  la 
città  di  mendichi;  l'incominciata  visita 
dovè  sospendere,  così  il  sinodo.  Benefico 
colla  metropolitana,  fece  costruire  un  uo- 
bile  sepolcro  nel  coro  agli  arcivescovi,  e- 
resse  un  nuovo  altar4uiaggiore  di  finissi- 
mo marmo  nero,  e  molte  preziose  sup- 
pellettili sagre  donò  alla  sagrestia.  Pieno 
di  meriti  passò  a  miglior  vita  nel    1713 
a'i3  marzo,  e  fu  sepolto  in  detta  tomba. 
Non  potè  vedere  Vittorio  Amedeo  II  as- 
sumere solennemente  in  Torino  il  titolo 
di  re  di  Sicilia  in  conseguenza  della  pa- 
ce segnata  a  Utrecht  l'i  1  aprile, oltre  l'ac- 
quisto del  Monferrato  j  quindi    costret- 
to a  cedere  la  Sicilia,  ricevere  nel  1  720  la 
Sardegna  come  isola  e  regno,  oude  pre- 
se il  nome  di  redi  Sardegna  ,c\\q  tutto- 
ra portano  i  suoi  successori.  Continuan- 
do le  vertenze  del  re  colla  s.  Sede,  tutta- 
volta  avendo  saputo  Clemente  XI,  che  in 
Torino  e  in  Alessandria  si  permetteva  a' 
soldati  eretici  il  libero  esercizio  di  loro  set- 
ta,scrisse  alla  duchessa  vedova  di  Savoia, 
perchè  talmente  si  adoprasse  col   figlio, 
che  sì  empio  e  pernicioso  esercizio  fosse 
interamente  a  quelli  impedito.  Durando 
le  ricordate  scissure,  la  metropolitana  di 
Torino  restò  per  lungo  tempo  vacante, 
però  retta  da  dottissimi  epiissimi  vicari 
capitolari  sino  al  1727.  In  questo  a' 2  1 
giugno,  o  meglio  a'25  come  leggo  nelle 
Notizie  di  Roma,  Benedetto  XI li  preco- 
nizzò arci  vescovo  Francesco  Arborio  Gat- 
linara  di  Gravellona  diocesi  di  Vigeva- 
no, già  vescovo  d'Alessandria,  barnabita 
dottissimo  ed  eloquente,  che  trovò  uel- 
l'arcidiocesi  più  vasto  campo  per  eserci- 
tare le  sue  virtù  pastorali;  in  falli  gover- 
uò  santamente  col  zelo  della  scienza  e  la 


TOR 

severità  della  disciplina,  adoperando  la 
soavità  delle  maniere.  Fece  con  diligenza 
la  sagra  visita,  celebrò  nel  i  729  il  sinodo, 
fu  cancelliere  del  reale  ateneo,  prefetto 
della  regia  cappella,  preside  della  congre- 
gazione de'sacerdoti  di  Soperga,  ed  illu- 
minato consigliere  in  tutti  gli  affari  dello 
stato.  Avendo  il  re  Vittorio  Amedeo  li 
abdicato  la  corona  al  figlio  Carlo  Ema- 
nuele III  a'3  settembre  iy3o,  dipoi  per 
le  suggestioni  dell'ambiziosa  moglie,  pas- 
sato un  anno,  pretendeva  rimontare  sul 
trono,  presentandoci  a  tale  effetto  di  not- 
te alle  porte  di  Torino  onde  riassumere 
il  comando.  11  figlio  di  buon  grado  lo  vo- 
leva contentare,  ma  trovò  energica  op- 
posizione nella  regina  Polissena  sua  con- 
sorte e  in  più  ministri  di  stato.  Combat- 
tuto da  diversi  sentimenti  e  sollecitato  a 
decidersi,  Carlo  Emanuele  III  chiamò  a 
se  la  stessa  notte  l'arcivescovo,  col  gran 
cancelliere,  i  ministri  di  stato  e  il  1  ."presi- 
dente del  senato,  e  li  richiese  del  parere 
loro.  Per  riverenza  e  timore,  niuuo  ar- 
dì parlare;  ma  l'arcivescovo  francamen- 
te con  lungo  e  ragionato  discorso,  esortò 
il  re  a  mantenersi  sul  trono,  perchè  cosi 
la  salute  pubblica  richiedeva.  Il  suo  pa- 
rere fu  da  tutti  applaudito;  il  re  stette  fer- 
mo contro  il  proprio  cuore,  la  pace  dello 
stato  non  fu  punto  alterata.  Gra»ve  argo- 
mento che  diffusamente  il  p.  Semeria 
svolse  nella  Storia  del  re  Carlo  Ema- 
nuele III,  Torino  1 83  1.  Morto  l'arcive- 
scovo nel  1  743,  il  capitolo  riconoscente  a' 
suoi  meriti,  gli  edificò  un  tumulo  ue'sot- 
terranei,con  iscrizione  e  busto  in  una  delle 
pile  della  metropoli  tana,  benedetto  XI V 
nel  1  744  trasferì  da  Acqui  a  questa  sede 
Gio. Battista  Bavero de'nobilissimi  conti 
diPralormo  d'Asti,  già  arcidiacono  della 
metropolitana;  indi  ad  istanza  del  re  il  Pa- 
pa lo  creò  cardinale  nel  ìj56.  Nel  pre- 
cedente avea  celebrato  il  sinodo,  dopo  la 
visita  dell'arcidiocesi.  Il  suo  zelo  per  f in- 
tegrità della  fede  apparve  luminosamen- 
te, quando  un  professore  di  diritto  cano- 
nico nell'università  insegnò  alcune  pro- 


T  OR  217 

posizioni  erronee  intorno  alla  giurisdizio- 
ne ecclesiastica.  Subito  egli  d'accordo  col 
re  vi  prese  savio  e  forte  provvedimento, 
sicché  l'errore  non  potè  propagarsi  e  il 
traviato  venuto  al  disinganno  abiurò  le 
sue  opinioni;  per  cui  Benedetto  XIV  si 
congratulò  grandemente  col  re  e  coll'ar- 
ci  vescovo.  Monumento  di  generosa  pie- 
tà del  cardinale  è  la  facciata  della  chiesa 
di s.  Teresa, che  inoltre  provvide  di  splen- 
didi ornamenti,  e  morendo  nel  1766  vi 
lanciò  il  suo  corporsul  quale  fu  posto  ma- 
gnifico elogio.  Vacata  la  sede  due  anni, 
nel  1  7Ò8  l'occupò  Francesco  Lucerà  R.o- 
reugo  di  Rorà  nobile  di  Campigliene,  tras- 
lato per  proposizione  del  re  da  Ivrea  da 
Clemente  XIII.  Questo  Papa  quando  Io 
vide  e  nifi  in  Roma  per  l'esame  di  tal  se- 
de, ne  restò  così  appagato  che  gli  disse: 
Monsignore,  voi  siete  bello,  voi  siete  dot- 
to, e  speriamo  che  sarete  ancor  santo.  In 
fatti  le  sue  amabili  sembianze,  traspiranti 
grazia  e  maestà,  l'ingegno  e  la  virtù  ne 
formarono  il  ritratto,  essendo  pure  let- 
terato nella  sagra  e  civile  erudizione.  Tut- 
to a  tutti,  egli  fu  infaticabile  e  si  rese  l'a- 
more dell'universale:  facendola  visita  pa- 
storale, predicava,  esaminava  i  confesso- 
ri e  componeva  discordie.  Nel  1777  proi- 
bì le  sepolture  nelle  chiese,  ordinò  che  i 
cadaveri  de'fedeli  venissero  tumulali  ne' 
due  nuovi  cimiteri  della  Rocca,  ove  sono 
i  minori  riformali,  e  di  s.  Pietro  presso  la 
Dora,  e  tolse  altri  abusi  nelle  chiese,  re- 
stituendo alle  sagre  ceremonie  il  decoro. 
Mentre  da  Clemente  XIV  dovea  essere 
creato  cardinale,  morì  nel  1778  e  fu  lu- 
mulatocon  lapide  ue'sotterranei  della  cat- 
tedrale. Gli  successe  nel  1  778  il  pio,  dot- 
to e  prudente  vescovo  di  Vercelli,  Vitto- 
rio Costa  d'Arignauo,  di  nobile  e  virtuo- 
sa famiglia, studioso  della  storia  e  dell'a- 
mena letteratura,  traviatovi  da  Pio  VI  a 
nomina  del  re  Vittorio  Amedeo  III,  il 
quale  in  Torino  fondò  l'accademia  reale 
di  scienze,  quella  di  pittura  e  scultura,  co- 
struì l'osservatorio  della  città  e  ne  illu- 
minò le  vie.  L'arcivescovo  ad  onta  di  sua 


ai8                   TOH  TOR 
gracile  complessione,  resse  la  sua  nuova  pi  tanto  malvagi.  Tutta  l'arcidiocesi  ri- 
chiesa  con  zelo  e  ferme/za,  e  potè  fare  la  dondava  di  sacerdoti  e  religiosi  forastieri 
visita  pastorale.  Celebrò  con  gran  solen-  emigrati,  ivi  da  Francia  accorsi  per  asilo 
nità  il  sinodo  diocesano  nel  i  788,  e  riuscì  e  soccorso,  ed  il  prelato  do  tea  invigilarli, 
tale  clie  ne  ricevè  lode  da  Pio  Vl,il  quale  non  tutti  essendo  degni  del  loro  cara l te- 
in  vista  di  tanti  meriti  nel  1789  lo  creò  re;  le  opere  pie  e  le  chiese  eranostate  spo- 
cardinale;dignità  che  puntonon  l'invanì,  gliate  per  aiutare  il  regio  erario,  intera- 
ma  accrebbe  le  sue  pene,  perchè  gli  dava  mente  esausto  dalla  guerra  e  dall'ecces- 
più  franca  autorità  di  parlare  ne'consi-  sive  imposizioni  de'francesi;  quasi  tutti* 
gli  del  re,ove  convenivano  de'personag  le  fortezze  del  regno  erano  state  demo- 
gi  di  non  retta  politica.  11  suo  parere  non  lite,  e  le  pochissime  superstiti  presidiate 
fu  sempre   ascoltato  ui  que'  minacciosi  da'francesi,  e  la  cittadella  stessa  di' Tori  - 
tempi,  e  gli  affari  politici  cominciarono  a  no  era  da  loro  occupata,  co'più  esaltati 
declinare  in  peggio.  I  francesi  ri voluzio-  repubblicani,  cosicché  spogliati   d'ogni 
nari  proclamata  la  repubblica,  usciti  dal  forza  militare,  l'autorità  regia  restringe- 
proprio  territorio,  a  veano  occupato  la  Sa-  vasi  alle  cose  puramente  civili  e  di  poli- 
voia  e  il  contado  di  Nizzu;  di  che  affli»-  zia;  per  somma  sventura,  lo  spirito  pub- 
gevasi  il  cardinale, anco  per  vedere  alcu-  blico  della  gioventù,  sempre  avida  di  no- 
ni,costituiti  in  luminosi  impieghi,  rivol-  vita,  era  sedottodallemassime  oltramon- 
gersi  contro  il  trono  e  la  religione.  Il  re  tane,  e  non  aspettava  che  il  momento  fa- 
mostrava  al  cardinale  stima  ebenevoleu-  vorevole  per  gridare  alla  libertà,  e  por- 
za,  e  vacata  la  carica  di  gran  cancelliere  lare  la  manomessione  a  tutte  le  sagre  e 
gliela  conferì,  che  il  porporato  alla  sua  civili  istituzioni.  In  breve,  i  francesi  era- 
morte  rinunziò,  vedendo  il  regno  per  de-  no  divenuti  padroni  di  fatto  di  Torino  e 
bolezza  del  governo  e  potere  degli  stra-  degli  stati  di  terraferma,  intanto  che  e- 
nieri  procedere  a  tristo  termine.  Sempre  stendevano  per  l'Italia  le  loro  conquiste, 
generosocò'poveri,qoaudo  infierì  la  guer-  inclusivainente  allo  stato  pontifìcio,  int- 
ra de'francesi  in  Piemonte,  die  all'erario  prigionando  in  Roma  Pio  VI  a'  20  feb- 
lutta  la  copiosa  sua  suppellettile  d'argeu-  Inaio  1  798,  e  deportandolo  a  Siena  e  alla 
to  per  sovvenire  a  bisogni  dello  stato,  e  certosa  di  Firenze.  Nello  stesso  anno  il  go- 
tutta  la  sua  sostanza  lasciò  al  seminario  verno  francese  mandò  a  Torino  il  gene- 
con  istituirlo  suo  erede.  Avvicinandosi  il  ral  Joubert,  a  far  intendere  a  Carlo  E- 
suo  termine,  si  fece  leggere  il  trattato  di  manuele  IV,  che  il  suo  regno  era  cessato, 
s.  Cipriano,  De  mortalìtate,  e  pagò  il  co-  forzandolo  a' 9  dicembre  a  sottoscrivere 
mune  tributo  nel  1  796, sepolto  nella  me-  l'abdicazione.  Il  re  impotente  a  resistere, 
tropolitana  con  semplice  iscrizione  da  lui  partì  nella  notte  da  Torino  e  da  tutto  il 
dettata,  dopo  aver  consigliato  il  re  mi-  Piemonte,  nel  massimo  cordoglio  e  iusie- 
nacciato   nella  capitale  a  pacificarsi  co'  me  nella  sua  pietà  perfettamente  rasse- 
pi eponderanti  francesi  comandali  da  Bo-  gnato,  colla  ven.  M.a  Clotilde  sua  consor- 
naparte.  A  richiesta  del  nuovo  re  Carlo  te,  ed  i  principi  reali.  Tutta  la  città  restò 
Emanuele  IV,  nel  1797  Pio  VI  nominò  immersa  nello  squallore  e  nell'estrema 
amministratore  e  indi  effettivo  arciveseo-  costernazione,  e  l'arcivescovo  penetrato 
vo  Carlo  Buronzo  del  Signore  di  Vercel-  ci i  profondo  dolore,  presago  della  vicina 
li,  già  vescovo  prima  d'Acqui  e  poi  di  No-  tempesta  che  stava  per  piombare  sulla  re- 
vara, d'acutissimo  ingegno  e  dotlo  nelle  ligione,essendosi  recato  dal  re,  questo  che 
scienze  ecclesiastiche.  Osserva  il  p.  Seme-  avea  bisogno  di  conforto,  dovè  consolare 
ria,  che  di  tutti  i  pastori  della  chiesa  di  e  incoraggiare  il  prelato.  Subito  i  francesi 
Torino,niunotrovossi  come  questi  in  lem-  occuparono  militarmente  Torino,  e  si  ral- 


TOR 

legrarono  del  trovato  nell'Inesauribile  ar- 
senale, come  narrai  a  Sardegna  pegno. 
Creatosi  un  governo  provvisorio,  la  di- 
gnità ecclesiastica  fu  avvilita  e  conculca- 
ta :  libercoli  pieni  d'empietà  grossolane, 
romanzi  osceni,  fogli  ripieni  d'impudenti 
sarcasmi  contro  il  trono  e  il  sacerdozio  i- 
nondarono  per  ogni  angolo  la  città,  oltre 
quanto  iniquamente  si  declamava  nell'a- 
dunanze o  club  patriottici.  Dopo  circa  5o 
giorni  dalla  partenza  del  re,  già  il  nuovo 
governo  della  libertà  cominciava  a  infie- 
rire contro  le  comunità  religiose,  la  i. "del- 
le quali  fu  la  congregazione  della  missio- 
ne; e  questo  colpo  riuscì  sensibile  all'ar- 
civescovo, sì  perchè  perdeva  un  corpo  di 
fervidi  e  illuminati  cooperatori,  sì  perchè 
presagiva  imminente  la  dissoluzione  d'o- 
gni altro  regolare  istituto. Frattanto  i  fran- 
cesi nel  17Q9  presero  il  prigioniero  Pio 
VI  alla  detta  certosa  per  condurlo  inFran- 
cia  pel  Piemonte, e  per  Cbivasso  giunse  a 
Torino  a'24  aprile.  Narra  il  Novaes  nella 
Storia  di  Pio  J  I,  che  transitando  la  car- 
rozza per  la  città,  durò  fatica  a  passare, 
per  la  prodigiosa  accorrenza  de'buoni  to- 
rinesi e  de'circostanti  luoghi,  che  accla- 
mandolo martire  della  fede,  imploraro- 
no genuflessi  l'apostolica  benedizione;  e 
poi  con  anacronismo  aggiunge,  che  sa- 
putosi da'  torinesi  il  prossimo  arrivo  del 
Papa, essendosi  posti  in  movimento  per  ri- 
ceverlo colla  maggior  venerazione,  i  fran- 
cesi si  allarmarono  di  qualche  sollevazio- 
ne popolare,  e  per  involarlo  alla  molti- 
tudine, fecero  tardare  la  partenza  da  Chi- 
vas«o,ed  a  3  ore  di  notte  lo  fecero  entrare 
tiella  cittadella  per  la  porta  del  Soccor- 
so, ove  pel  primo  si  umiliò  a'  suoi  piedi 
l'arcivescovo  cardinal  Costa  (già  defunto) 
e  per  ben  due  ore  durò  il  colloquio,  ac- 
cordandogli il  Papa  le  più  estese  facoltà. 
Il  1°  modo  narrato  sull'ingresso  di  Pio  VI 
in  Torino  è  il  più.  vero,  ma  l'arcivescovo, 
come  dirò,  poteva  essere  il  Buronzo,  che 
il  p.  Semei  ia  dice  che  potè  a  slento  pene- 
trare nella  cittadella  a  prestargli  atto  d'os- 
sequio, e  piangere  sulle  comuni  sventure 


TOR  219 

ed  insieme  di  tutta  la  Chiesa,  ma  non  pa- 
re che  ciò  realmente  si  effettuasse.  Prima 
di  giungere  nella  cittadella,  passando  in- 
torno alle  mura  di  Torino,  ignorando  an- 
cora il  Papa  il  luogo  di  sua  rilegazione, 
affranto  dalle  vicende,  dal  male  e  dall'e- 
tà, si  lusingava  che  Torino  fosse  il  termi- 
ne del  disastroso  viaggio,eche  gli  fosse  as- 
segnato per  soggiorno  il  palazzo  reale. Ma 
quando  seppe  che  si  voleva  consegnarlo 
al  comandante  della  cittadella,  per  trasfe- 
rirlo poi  ad  altro  luogo  assai  più  lonta- 
no, con  rassegnazione  esclamò:  Sia  pur 
sempre  fatta  la  volontà  di  Dio;  andiamo 
allegramente  dove  vorranno.  I  particolari 
di  questo  arrivo  meglio  e  con  precisione 
li  racconta  mg.r  Baldassari,  ch'era  nel  se- 
guito del  Papa,  nella  Relizio'ie  delle  av- 
versità e  patimenti  di  Pio  VI.  t.  \,  p.  !  o  1 
e  seg.  Riferisce  che  pur  troppo  si  tardò  la 
partenza  da  Cbivasso  tra  la  pioggia,  onde 

i  torinesi  che  a  migliaia  erano  usciti  dalle 
o 

porte  in  numero  di  circa  12,000,  per  os- 
sequiare con  fervore  il  capo  supremo  del- 
la Chiesa,  la  notte  e  la  dirottissima  piog- 
gia li  costrinse  a  ritornare  a  Torino.  Oue- 
sta  generale  divozione  de'  torinesi  avea 
adombrato  il  generale  Grouchy,  coman- 
dante militare  di  tutto  il  Piemonte,  per 
cui  avea  ordinato  il  ritardo  della  parten- 
za da  Chi  vasso,  onde  il  Papa  potesse  giun- 
gere nella  cittadella  a  ora  inoltrata  oc- 
cultamente. Per  vie  campestri  a  3  ore  di 
notte  arrivò  Pio  VI  alla  porta  del  Soc- 
corso della  cittadella.  Calati  i  ponti  leva- 
toi, nel  passare  la  carrozza  pontificia  poco 
mancò  a  rovesciarsi,  dopo  penoso  viaggio 
in  cui  si  temè  della  vita  del  Papa.  Entra- 
li nella  fortezza  tra  uomini  semivestiti  con 
pippa  in  bocca  e  alquante  donne  sconcia- 
mente ammantate,  ninno  diede  segni  di 
rispetto,  e  solo  si  avvicinarono  per  pro- 
fana curiosità.  Dopo  il  penoso  uflìcio  di 
trarre  I'  augusto  infermo  dal  cocchio  e 
portarlo  di  peso  a  letto,  si  presentò  al  Pa- 
pa nella  sua  camera  l'uflìziale  piemontese 
Campana,  e  con  sostenutezza  disse  a  Pio 
VI.  »  Cittadiuo  Papa,  io  mi  reputo  felice 


a2o  TOR 

di  potervi  accertare  della  stima  e  rispetto 
che  ha  per  la  vostra  persona  il  general 
Groucliy,  comandante  in  Torino.  Ancora 
m'ha  egli  ingiunto  che  v'  inviti  a  rimet- 
tervi in  viaggio  nella  prossima  mattina 
avanti  giorno,  per  andare  insino  a  Gre- 
noble, cosi  avendo  decretato  il  direttorio 
della  repubblica  francese."  Pio  VI  essen- 
do in  istato.  deplorabile  non  die  segno  al- 
cuno d'  aver  inteso  così  strane  esigenze. 
Ciò  vedendo  ilCampana, smontò  alquanto 
dall'alterigia  repubblicana, e  fermatosi  co' 
famigliari  ascoltò  urbanamente  le  ragio- 
ni per  dilazionare  la  partenza,  e  disse  che 
nel  seguente  giorno  avrebbe  a  tale  effetto 
accompagnato  dal  generale  mg.r  Spina.  In 
fatti  la  mattina  de's5  aprile  questo  pre- 
lato ottenne  dal  generale  di  rimanere  il 
Papa  per  quel  giorno  in  indispensabile 
quiete  e  riposo,  e  quindi  circa  la  seguen- 
te mezzanotte  partire  perSusa,ed  entra- 
re in  Francia.  Rigorosamente  i  famigliari 
pontificii  doverono  restare  in  fortezza,  e 
solo  si  permise  al  cuoco  e  a  due  altri  servi 
di  andare  in  Torino  a  fare  provvisioni  ac- 
compagnati da  un  sergente.  Il  generale 
non  permise  che  ninno  si  presentasse  al 
Papa,  e  ne  negò  la  licenza  ostinatamente 
allo  stesso  arcivescovo  Buronzo  e  al  cav. 
Labrador  inviato  di  Spagna  presso  il  Pa- 
pa; anzi  aggiunge  il  Baldassari  che  noti 
lungi  da  s.  Ambrogio  vivea  solitariamen- 
te presso  la  sua  abbazia  della  Chiusa  il 
cardinal  Gerdil,  ch'era  ansioso  di  vedere 
il  Papa  e  riverirlo  per  l'ultima  volta,  ma 
duramente  gli  fu  negato,  e  ne  restò  do- 
lentissimo Pio  VI  quando  lo  seppe.  Giun- 
ta la  mezzanotte  e  dormendo  Pio  VI  pla- 
cidamente, convenne  svegliarlo  e  partire 
senza  alcun  riguardo,  e  per  le  mura  diTo- 
lino  s'incamminò  al  suo  destino;  quindi 
falla  refezione  a  s.  Ambrogio,  la  sera  per- 
venne a  Susa  smontandosi  all'episcopio, 
donde  per  Oulxsi  proseguì  il  viaggio  per 
Briancon,e  poi  morì  a  Valenza.  Poqo  do- 
po gli  austro-russi  comandati  da  Suva- 
row,  conquistata  l'Italia,  espulso  il  nemi- 
co invasore,  espugnata  la  cittadella  di  To> 


TOR 
rino  a'26  maggio,  s'impadronirono  della 
città  e  insieme  della  fortezza;  ma  questo' 
trionfo  fu  lo  splendore  d'un  lampo;  im- 
perocché a'i4  giugnoi8oo  per  la  famo- 
sa battaglia  vinta  da  Bona  parte  i.°  con- 
sole, sugli  austriaci  comandati  dal  mare- 
sciallo Melas,  sostenuta  per  36  ore  nel- 
l'estesa pianura  di  Marengo,  villaggio  de- 
gli stali  sardi  a  una  lega  d'  Alessandria 
sulla  riva  sinistra  del  Fontanone,sul  tam- 
buro portò  la  cessione  a'francesi  di  tutta 
l'alta  Italia,  compreso  il  Piemonte;  e  per 
memoria  ch'era  vi  perito  l' intrepido  ge- 
neral Desaix,  che  principalmente  contri- 
buì al  successo  della  giornata,  fu  eretta 
sul  luogo  una  piccola  colonna  di  granito, 
indi  abbattuta  nel  (8i4da'soldati austria- 
ci. Ripresa  da'  francesi  Torino  la  sman- 
tellarono, e  poi  dichiararono  la  città  ca- 
poluogo del  dipartimento  del  Po,  quando 
nel  1802  il  Piemonte  fu  unito  alla  Fran- 
cia e  ridotto  a  provincia  francese.  Nello 
stesso  1800  a'i4  marzo  fu  eletto  in  Ve- 
nezia Pio  VII,  e  nel  luglio  si  condusse  in 
Roma,  ove  si  portò  a  venerarlo  l'arcive- 
scovo, e  ad  esporgli  importantissimi  affa- 
ri dell'arcidiocesi.  Nel  1802  tutti  gl'isti- 
tuti religiosi,  sia  di  mendicanti  che  di  pos- 
sidenti, di  frati  e  di  monache,  furono  e- 
stinli.  Da  lungo  tempo  penne  brutali  seri- 
veano  essere  le  sagre  vergini  vittime  for- 
zate e  pentite  de'monasteri  ;  e  la  divina 
provvidenza  fece  conoscere  palesemente, 
che  espulse  da'loro  chiostri,  seppero  nel 
secolo  mantenere  quella  verecondia  che 
aveano  promesso  innanzi  agli  altari.  Nel 
medesimo  anno  partì  1'  arcivescovo  per 
Parigi,  perchè  Bonaparte  voleva  diminui- 
re il  numero  delle  diocesi  del  Piemonte, 
e  conformarle  a  quelle  di  Francia,  a  se- 
conda del  concordato  concluso  con  Pio 
VII  nel  1801.  Pei  tanto  in  Piemonte  8  sole 
sedi  vescovili  vi  rimasero  con  autorità  di 
bolla  pontificia,  e  sarebbero  state  ancor 
meno  se  in  Parigi  l'arcivescovo  non  si  fos- 
se perciò  adoperato  col  cardinal  Capraia 
legato  a  Intere:  meglio  ne  parlai  a  Pie- 
monte, riportando  i  vescovadi  fatti  sulfra- 


TOR 
ganei  della  metropolitana  di  Torino,  e  le 
abbazie  soppresse.  Divenuto  Bona  pai  te 
imperatore  de'francesi  col  nome  di  Na- 
poleone 1,  bramò  die  Pio  VII  si  recasse 
a  coronarlo  in  Parigi.  Partito  il  Papa  da 
Roma  nel  novembre  i8o4>  a'  l2  da  A- 
Jessanchia  per  Asti  proseguii!  viaggio  per 
Torino,  avendo  seco  in  carrozza  i  cardi- 
nali Fescb  eLatierde  Bayanne.  A*  i  5  dal- 
la città  fu  incontralo  dall'amministrato- 
re generale  Menou  oMoieau  di  s.  Mery, 
e  da  gran  numero  di  ullìzialità  e  di  trup- 
pe. Pei  venuto  Pio  VII  a  Torino  nella  not- 
te di  detto  giorno,  ivi  trovò  il  cardinal 
Cambacères,  il  senatore  d'Abouville  e  il 
gran  maestro  delle  ceremonieSalvatoris, 
spediti  appositamente  dall'  imperatore 
per  complimentarlo  e  quindi  precederlo 
a  Parigi,  ed  eransi  fermati  a  Voghera.  Si 
trattenne H  Papa  in  Torino  ili3,nella  cui 
mattina,  dopo  celebrata  la  messa,  scopa 
e  adorò  la  ss.  Sindone  portata  dal  capi- 
tolo nel  palazzo  imperiale  già  reale,  e  poi 
ammi«e  al  bacio  del  piede  una  quantità 
immensa  di  signori, signore  e  militati. Nel- 
le ore  pomeridiane,Pio  VII  preceduto  da- 
gli uftiziali  maggiori,  da' generali  e  dal- 
l'amministratore generale  Menou  o  Mo- 
reau  di  s.  Mery,  fra  una  numerosa  para- 
ta di  cavalleria  e  fanteria,  al  rimbombo 
de'cannoni,al  suono  de'm  ili  tari  strumen- 
ti, in  mezzo  a'generali  applausi,  e  seguilo 
da'cardinali  e  dalia  prelatura,  salì  sopra 
una  loggia  situata  nella  piazza  del  palaz- 
zo, ove  die  solennemente  l'apostolica  be- 
nedizione a  immenso  popolo,  cbe  per  la 
sua  divozione  e  tenerezza  verso  il  Vica- 
rio di  Gesù  Cristo,  formava  il  più  com- 
movente spettacolo.  L'illuminazione  e  le 
feste  eseguite  con  magnificenza  e  col  mi- 
glior gusto,  resero  in  detto  giorno  la  città 
di  Torino  sommamente  vaga  e  brillante. 
Nella  mattina  de'  1 4,  previa  la  celebrazio- 
ne del  s.  sagrifizio,  partì  il  Papa  per  Su- 
sa. Tanto  ricavo  dal  n. °rp  del  Diario  di 
Roma  del  i8o4:  in  quelli  poi  de'n.'38e 
39  del  1  8o5  ne  leggo  il  seguente  ritorno. 
A'23  aprile  Pio  VII  partito  da  s.  Giovali» 


TOR  221 

ni  di  Maurienne  pelMoncenisio,ove  per- 
nottò all'ospizio  con  parte  del  seguito,  il 
resto  dormendo  a  Lanslebourg,  recossi 
nella  mattina  seguente  a  pranzo  iuSu-a, 
fra  gli  oroaggi  di  rispetto  e  venerazione, 
donde  passò  la  sera  a  Torino.  Furono  in- 
dicibili le  acclamazioni  colle  quali  1'  ac- 
colse tutto  il  popolo  torinese,  che  sma- 
niando di  vederlo  e  di  baciargli  i  piedi, 
stelle  sempre  afFoliatoal  palazzo  imperia- 
le, ovesi  portò  ad  alloggiare  il  Papa, tra  gli 
evviva  fragorosi  invocandola  s. benedizio- 
ne, che  per  due  voi  te  ottenne.La  divozione 
e  la  riverenza  d'ogni  ceto  di  persone  dimo- 
strala verso  Pio  VII  in  Torino  sorpa>«a 
ogni  immaginazione.  Appena  vi  giunse  il 
Papa,  fu  visitato  da  Napoleone  I  (che  in- 
cavasi a  Milano  per  farsi  consagrare  re 
d'Italia),  espressamente  venuto  da  Stu- 
pinigi,  ove  nel  dì  seguente  si  portò  Pio 
VII  a  restituirgli  la  visita,  recandovisi 
pure  i  cardinali,  accolli  dall'imperatore 
e  dall'imperatrice  Giuseppina  colla  mas- 
sima affabilità.  A'27  aprile  e  alle  ore  io 
il  Papa  fra  le  acclamazioni  dell'immenso 
popolo,  con  prospera  salute  si  rimise  in 
viaggio  per  pernottare  in  Asti  nell'episco- 
pio, e  proseguire  per  Alessandria  e  Vo- 
ghera. L'arcivescovo  Buronzo  in  ambe- 
due le  volte  dell'accesso  di  Pio  VII  a  To- 
rino, eseguì  quanto  si  conviene  ad  un  pa- 
store col  pastore  de'pastori.  Racconta  il 
p.  Semei  ia,  cbe  alloggiando  Napoleone  I 
nell'aprile  1 80 5  in  Slupinigi,  l'arcivesco- 
vo col  suo  capitolo  essendovisi  portalo  a 
prestargli  omaggio,  fu  ricevuto  con  mo- 
di scortesi,  anzi  con  acerbi  rimproveri 
d'essere  troppo  sospetto  al  governo  fran- 
cese, essersi  sempre  dimostrato  eccessiva- 
mente partigiano  della  casa  di  Savoia. 
Senza  smarrirsi  d'animo  rispose  il  prela- 
to. »  Non  può  essere  delitto  il  mio  anti- 
co affetto  a're  di  Sardegna,  cbe  mi  han- 
no colmato  di  benefizi;  e  l'ingratitudine 
non  fu  mai  una  virtù:  però  come  io  sono 
stato  allora  buon  suddito  di  cbi  regnava, 
così  ora  mi  fo  preciso  dovere  di  ricono- 
scere e  di  ouorare  V.  M.  imperiale,  e  pie- 


222  TOR 

starle  fin  d'ora  il  giuramento  di  fedeltà." 
No,  noi  voglio  ,  soggiunse  con  iracondia 
Napoleone  I,  perchè  mi  fareste  un  giura- 
mento di  restrizione  mentale;  e  se  i  miei 
nemici  si  avvicinassero  al  Piemonte,  an- 
elereste voi  ili.°a  raggiungerli  contro  di 
ine.  In  cosi  dire  gli  rivoltò  dispettosamen- 
te il  dorso.  Quindi  l'arcivescovo,  mentre 
di  ritorno  a  Torino  vi  dimorava  l'io  VII, 
si  presentò  ad  usargli  ogni  atto  di  religio- 
sa venerazione,  e  poi  in  privata  udienza 
lo  pregò  di  consiglio  intorno  alla  rinunzia 
dell'arcivescovato.  A  questa  richiesta  ilPa- 
pa  rispose  col  testo  evangelico  :  Excm- 
plam  dedi  voòis,  ut  (/ucniad/nodiuiì  ego 
feri,  ita  et  vos  faciatis  j  le  quali  parole 
egli  replicò  più  volle  alle  nuove  istanze  del 
prelato.  E  da  qui  comprese  l'arcivescovo, 
che  siccome  il  supremo  Gerarca  avea  dato 
1  esempio  di  grandissime  condiscendenze 
pel  bene  dellaChiesa,così  l'arcivescovo  po- 
teva fare  ilsagrifizio  di  sua  sede,per  evitare 
mali  maggiori.  Così  egli  fece  proti tameti le, 
ed  a'primi  d'ottobre  già  era  eletto  il  suc- 
cessore (dice  il  p.Semeria,  ed  ilean.  Dima 
anticipa  la  preconizzazione  del  successore 
nel  concistoro  di  Parigi  del  i.°  febbraio 
1 8o5:  meglio  è  ritenere  quanto  apprendo 
dalle  Notizie  di  Roma,  che  la  traslazione 
d'Acqui  a  Torino  di  Della  Torre  seguì  nel 
concistoro  tenuto  inlloma  da  Pio  VII  a'26 
giugno]  8o5).RitiratosiBuronzoin  patria, 
visse  vita  privata  nell'esercizio  dell'ora- 
zione e  della  lettura,  finché  pieno  di  me- 
riti e  ili  anni  passò  al  riposo  de'giusti  a' 
23  ottobre  1806,  giorno  appunto  di  sua 
nascita.  L'avea  succeduto, come  dissi,  Gia- 
cinto della  Torre  de'  conti  di  Luserna  e 
Valle  di  Saluzzo,  già  agostiniano  e  priore 
del  convento  di  Torino,  letterato  di  sto- 
ria patria,  quindi  arcivescovo  di  Sassari 
e  poi  vescovo  d'Acqui,  che  governò  con  sa- 
piente vigilanza.  Diveuuto  arcivescovo  di 
Torino,  subito  a  proprie  spese  restaurò  il 
seminario,  rinnovò  con  forma  elegante  la 
biblioteca,  fece  rifiorire  gli  studi  ecclesia- 
stici con  nuove  cattedre  e  con  incoraggia- 
menti pe' giovani  d' ingegno  e  di  buona 


TO  R 
volontà,  a  vantaggio  de'quali  dispose  gè- 
nerosi  legati.  Ricomprò  il  luogo  degli  e- 
sercizi  spirituali  ecompitamente  restaurò, 
acciò  si  potesse  tornarvi  a  ritiro  e  raccogli- 
mento spirituale.  Vegliò  perchè  non  s'in- 
segnassero erronee  dottrine,  allo  splen- 
dore del  culto  divino  e  al  pubblico  eser- 
cizio della  religione,  onde  impedì  che  al- 
cune chiese  de'  regolari  fossero  chiuse  o 
profanate;  fu  tanto  splendido  co'poveri, 
che  negli  ultimi  16  mesi  di  sua  vita  di- 
spensò loro  1 5o,ooo  lire.A'7  marzo  1  806 
Napoleone  1  imperatore  de'francesi  e  re 
d'Italia  decretò:i.°  Le  diocesi  componen- 
ti il  circondario  metropolitano  dell'ar- 
civescovato di  Torino,  e  le  diocesi  di  Ge- 
nova, Albenga,  Brogliato,  Noli,  Sarzana, 
Savona  e  Veutimiglia,  sono,  a  datare  da 
questo  giorno,  sottoposte' alla  medesima 
amministrazione  che  le  altre  diocesi  di 
Francia,e  nelmodoche  sarà  regolato  qui 
appresso.  2.0  Alcuna  bolla,  breve,  rescrit- 
to, decreto,  ordine,  registro,  provvedi- 
meli lo,  né  altre  scritture  della  Corte  di 
Roma,  quando  ancora  non  riguardasse- 
ro che  i  particolari,  non  potranno  esse- 
re ricevute,  pubblicate,  stampate,  né  po- 
ste altrimenti  in  esecuzione,  senza  la  no- 
stra autorizzazione  speciale.  3.°  Verun 
concilio  metropolitano,  vermi  sinodo  dio- 
cesano,veruna  assemblea  deliberante  non 
avrà  luogo  senza  la  nostra  permissione 
espressa.  4-°  Tutte  le  parti  del  ministero 
ecclesiastico  saranno  gratuite,  salve  le  ob- 
bligazioni che  fossero  autorizzate  e  fissa- 
le da'regolamenti.  5.°,  6.°  e  y.°,  trattano 
sui  ricorsi,  ne'casi  d'abuso  per  parte  de' 
superiori  e  di  altre  persone  ecclesiastiche, 
da  farsi  al  consiglio  di  slato  ed  a'prefelti. 
8.°  Il  cullo  cattolico  sarà  esercitato  sotto 
la  direzione  degli  arcivescovi  e  vescovi 
nelle  loro  diocesi,  e  sotto  quella  de'  cu- 
rati nelle  loro  parrocchie.  9. "Qualunque 
privilegio  che  porti  esenzione  o  attribu- 
zionedella  giurisdizione  vescovile,  è  abo- 
lito. io.°Gli  arcivescovi  cousagreranno  e 
installeranno  i  loro  suffragatici;  in  caso 
d'impedimento  o  rifiuto  per  parte  loro, 


T  O  R  TO  R                   aa3 

«armino  suppliti  dal  vescovo"  più  antico  pubbliche  preghiere  du  ordinarsi  dall'ioi- 
de I  circondario  metropolitano,  i  r.°liivi-  peratore,  pel  quale  deverei  curati  far  pre- 
gheranno al  mantenimento  della  fede  e  gare  il  popolo,  dopo  la  spiegazione  del 
della  disciplina  nelle  diocesi  dipendenti  \angelo  nelle  messe  parrocchiali;  per  la 
dalle  loro  metropolitane.  12.°  Conosce-  benedizione  nuziale  da  darsi  solo  a  quel- 
ranno  de'ricorsi  e  reclami  avanzali  con-  li  che  avianuo  contratto  il  matrimonio 
tro  la  condotta  e  le  decisioni  de'vescovi  ava. iti  l'officiale  civile;  per  impedire  l'e- 
sulTraganei.  i  3.°  11  prete  nominato  dal-  lezione  di  cure  o  succursali,  lenza  i'au- 
l'imperatore  a  uu  vescovato  «acaule, non  lorizzazione  imperiale  ;  per  la  eompila- 
polrà  esercitare  alcuna  funzione  prima  zione  de' progetti  de'  vescovi  sui  regolu- 
clie  la  bolla  portante  la  sua  istituzione  menti  delle  offerte  pe'ministii  del  cullo, 
canonica  abbia  ricevuto  l'imperiale  Re-  nell'amministrazione  de'sagrainenti,con 
gip  t'acquatiti-,  e  che  egli  abbia  presta-  approvazione  dell'imperatore;  per  la  sau- 
to personalmente  nelle  mani  dell'  impe-  zione  da  darsi  dal  ministro  de  culti  a  qua- 
latore  il  giuramento  prescritto  dall' ar-  luiique  pia  fondazione  o  istituzione  reli- 
ticolo  6.°  della  convenzione  del  26  mes-  giosa;  per  l'episcopali  disposizioni  sulla 
sidoro,  anno  q.°  (  1 5  luglio  1  80  1  o  Con-  conservazione  de'lempli,  e  la  distribuzio- 
cordato  tra  il  governo  francese  e  Pio  ne  delle  limosine,  da  solloporsi  alla  san- 
J' II ).  Seguono  altri  4o  articoli,  e  Napo*  zione  del  ministro  de'cuiti.  Questo  decre- 
leone  I ,  facendola  ancora  in  essi  da  Papa,  to  siili'  amministrazione  delle  diocesi  di 
minutamente  prescrisse  a'vescovi  le  nor-  Torino  e  di  Genova,  poi  fu  esteso  a' di- 
me, pi  incipaloienle  :  per  la  nomina  de*  parlimeuti  d'altre  diosesi,  come  a  quelli 
cui  ali  e  de'v icari  generali,  da  approvarsi  di  Toscana.  Nell'aprile!  808,  le  valli  de' 
dall'imperatore  e  dal  suo  ministro  de'cul-  valdesi,  cioè  di  Chisone  e  del  Pelice,  che 
ti;  per  la  visita  diocesana;  per  l'organiz-  ricordano  i  quadri  più  graziosi  dellaSviz- 
zazione  de'  seminari,  da  approvarsi  da  zera,  massime  ne'luoghi  principali  di  Lu- 
detto  ministro,  a  cui  doversi  ogni  onuo  sema,  la  Torre,  Angioina  e  la  l'erosa, 
spedire  il  risultato  degli  studi  degli  aluu-  diesi  distinguonoeziandiodalla  scene  na- 
ni; per  l'ordinazione  degli  ecclesiastici,  turali  e  pittoresche  del  Piemonte;  furu- 
previa  l'età  di  25  anni  e  il  possesso  del  no  teatro  di  spaventevole  terremoto,  le 
patrimonio  ecclesiastico,  il  cui  numero  cui  tracce  vi  si  scorgono  ancora.  In  esse 
dover  prima  approvare  l'imperatore;  pel  valli  singolare  è  il  contrapposto  delle  mi- 
giuramento  de'curali  a'prefetli;  per  vie-  nacciose  rupi  cogli  ameni  praticelli  e  co' 
tare  agli  ecclesiastici  stranieri, anche  fran-  veideggianti  pascoli.  Intanto  Napoleo- 
cesi,  l'esercizio  del  sagro  ministero,  sen-  uè  I  a' 7  febbraio  1808  eresse  il  gover- 
za  l'imperiai  permissione;  per  la  nomina  no  di  Piemonte  e  del  Genovesato  io  gran 
de'canonici  da  farsi  da'vescovi  e  da  ap-  dignità  dell'impero  francese,  e  poi  ueno- 
provarsi  dall'imperatore;  per  le  sedi  va-  minò  governatore  generale  il  principe  d. 
cauti,  acciò  i  capitoli  ne  diano  avviso,  co-  Camillo  Borghese  suo  cognato,  il  quale 
ine  del  da  loro  operato,  al  ministro  de'  fissò  la  sua  residenza  in  Torino.  Quindi 
culti;  per  la  liturgia  e  il  catechismo,  e-  l'imperatore  s'impossessò de'dominii  del- 
guali  a  que'delle  diocesi  di  Frauda;  per  la  s.  Sede,  detronizzò  Pio  VII,  e  prigione 
il  permesso  imperiale  sull'erezione  delie  nel  luglio  1809  lo  fece  trasportare  a  Gre- 
cappelle  domestiche  e  oratorii  privati;per  noble,  dopo  essersi  cambiati  i  cavalli  della 
destinare  un  posto  distinto  nelle  chiese,  carrozza  del  Papa  presso  Toi  ino  e  d'aver 
per  le  autorità  civili  e  militari  cattoliche;  esso  pernottato  a  Ili \ oli;  e  finalmente  sta- 
per  il  suono  delle  campanella  concertar-  bili  Savona  per  sua  rilegazione.  L'arci- 
si  tra  il  vescovo  e  la  polizia  locale;  per  le  vescovo  Della  Torre  pubblicò  diverse  o- 


2*4  T  °  R 

melie  che  furono  motivo  di  scnndnlo  a- 
gl'  indotti,  per  le  lodi  date  a  Napoleone 
1,  secondochè  esprimesi  il  p.  Semeria,  che 
a  difesa  del  prelato  soggiunge.  »  Ma  de- 
vesi  riflettere,  che  ne'primi  anni  del  suo 
impero  non  avea  Bona  parte  spiegato  quel 
carattere  violento  e  prepotente  che  usò 
dappoi  verso  Pio  VII  e  tutta  la  Chiesa; 
e  certamente  mg. r  Della  Torre,  anche  in 
quegli  encomi,  per  verità  grandiosi,  ehbe 
rettitudine  di  mente,  né  mai  intese  al  prò* 
prio  vantaggio,  né  al  privato  suo  innal- 
zamento." Con  queste  rette  intenzioni  an- 
dò neh8r  i  a  Parigi,  ove  si  tenne  quel 
concilio  detto  nazionale,  e  ne  accettò  l'uf- 
fizio di  segretario.  Del  resto  furono  incal- 
colabili i  vantaggi,  i  quali  dalla  grazia  che 
godeva  l'arcivescovo  presso  l'imperatore 
derivarono all'arcidiocesi.  Volevano i  cal- 
vinisti e  altri  eretici  erigere  in  Torino  un 
tempio  pel  pubblico  esercizio  del  loro  cul- 
lo, allegando  che  Napoleone  I  prolegge- 
va nell'impero  ogni  religione,  motivo  per 
cui  a 'cattolici  era  stata  concessa  in  Gine- 
vra una  chiesa,  cosa  non  mai  più  veduta 
dopo  Calvino;  perciò  avere  essi  ogni  di- 
ritto d'ottenere  simili  concessioni.  L'ar- 
civescovo avendosi  pure  guadagnato  l'a- 
nimo del  principe  Borghese,  governatore 
generale  del  Piemonte,  e  quello  del  mi- 
nistro de' culti  in  Parigi,  dissipò  con  in- 
vincibile fermezza  gli  scaltri  e  validissimi 
maneggi  degli  eretici, né  poterono  mai  riu- 
scire nell'intento,  sebbene  alcuni  cattolici 
li  sostenessero!  Sinistre  impressioni  erasi 
formato  l'imperatore  contro  il  clero  di  To- 
rino, quasi  che  fosse  un  segreto  suoav- 
versario,meritevole  d'essere  disperso  e  pu- 
nito: rispondeva  l'arcivescovo,  che  si  ren- 
deva garante  di  qualunque  disordine  che 
i  sacerdoti  avessero  potuto  commettere 
contro  il  governo,  e  così  li  salvò  da  ogni 
molestia;  potendo  ordinarne  molli  altri, 
liberandoli  dalla  micidiale  coscrizione  mi- 
litare. Moltissimi  beni  ecclesiastici  non  e- 
ransi  ancor  venduti,  e  uomini  ingordi  ne 
provocavano  l'alienazione  per  impadro- 
nirsene a  vii  prezzo.  A  sì  iniqua  usurpa- 


TOR 

zione  Tarcivescovo  si  oppose  virilmente 
in  modo,  che  al  ritorno  del  re  sul  trono 
degli  avi  suoi, trovi»  beni  di  chiesa  in  quan- 
tità rilevantissima,  quindi  potè  ripristi- 
nare diverse  dell'antiche  abbazie,  conven- 
ti, monasteri  e  capitoli;  onde  l'arcidiocesi 
deve  perpetua  riconoscenza  al  prelato. 
Mentre  disponeva  l'effettuazione  dell'  in- 
fausta spedizione  inRussia, Napoleone  I  nel 
1812  fece  trasportare  rapidamente  Pio 
VII  da  Savona  a  Fontaineb'.eau,  ove  pre- 
cipitosamente arrivò  a'20  giugno;  il  Pa- 
pa tu  vicinanza  di  Torino,  cioè  a  Stupì- 
nigi,  trovò  per  disposizione  dell'impera- 
tore e  con  grande  suo  conforto,  mg/  Ber- 
tazzoli  che  restò  poi  sempre  al  suo  fian- 
co. Quindi  Napoleone  I  vedendo  declina- 
re la  sua  colossale  potenza,  nel  18  gof- 
fri al  Papa  la  restituzione  di  buona  parte 
de'dominii  restati  alla  s.  Sede  dopo  il  fa- 
moso trattato  di  Tolentino,  ed  a  tale  ef- 
fetto lo  fece  partire  da  Fontainebleau  a' 
23  gennaio  per  Savona  ,  percorrendo  il 
mezzodì  della  Francia;  laonde  non  pare 
che  traversasse  Torino,  come  vuole  l'avv. 
Caslellanonelladescrizionedi  tal  città  nel 
suo  Specchio  geografico  storico-politico, 
dicendo  che  il  maestoso  ponte  del  Po  ser- 
ba la  memoria  della  liberaaione  di  Pio 
VII,  chei.°  vi  pose  il  piede  nel  i8i4>  ren- 
dendosi  alla  sua  sede.  Foco  dopo  P8  aprile 
morì  l'arcivescovo  Della  Torre,  restando 
la  sede  vacante.  Caduto  il  trono  di  Na- 
poleone I,  furono  reintegrati*'!  sovrani,  da 
lui  deposti,  de'Ioro  stati;  a'g  maggio  gli 
austriaci  occuparono  Torino,  ed  a'20  vi 
fece  il  trionfale  ingresso  il  re  di  Sardegna 
Vittorio  Emanuele  I,  che  aumentò  i  suoi 
domimi  con  quello  di  Genova.  Ben  presto 
Torino  e  il  Piemonte  ripresero  1'  antico 
splendore,  la  capitale  fu  ingrandita  e  ab- 
bellita nobilmente.  Nel  181  5  evaso  Napo- 
leone! dalla  rilegazioue  nell'isola  dell'El- 
ba in  Toscana,  e  sbarcato  in  Francia,  rias- 
sunse la  dignità  imperiale,  e  Murat  re  di 
Napoli  mostrandosi  ostile  collo  stato  pon- 
tificio, col  proponimento  d'occuparlo,  ed 
insieme  col  progetto  chimerico  di  cacciar 


TOR 

dalla  Lombardia  e  dal  Piemonte  gli  au- 
slriaci  e  i  subalpini,  prudentemente  Fio 
VII  partì  per  Genova  colla  corte,  giacché 
il  re  ci i  Sardegna  pel  suo  ministro  mar- 
chese di  San  Saturnino  gli  avea  fallo  of- 
frile un  asilo  sicuro  ne'suoi  stali.  11  car- 
dinal Pacca,  che  fu  del  numero  de' car- 
dinali che  lo  seguì,  pubblicò  la  Relazio- 
ne del  viaggio,  ed  in  essa  riferisce.  Che 
il  Papa  saputa  la  sconfitta  di  Murai  pres- 
so Tolentino  e  perciò  evacuate  dalle  di  lui 
truppe  le  sue  provincie,  e  che  gli  alleati 
marciavano  contro  Napoleone  I,  pensò  di 
ritornare  a  Pioma  sollecitamente.  ÌNIa  ce- 
dendo alle  pressanti  e  affettuose  istanze 
dell'ottimo  Vittorio  Emanuele  I,  che  a- 
vea  assistito  albi  coronazione  della  B.  Ver- 
gine da  lui  fatta  in  Savona, s'indusse  d'an- 
dar prima  a  Torino.  Partito  da  Genova 
a'  1 8  maggiojleggo  ne'n.1 42  e  43  del  Dia- 
rio di  Roma  del  1 8  1 5,  che  da  s.  Pier  d'A- 
rena a  Campomarone,  tutte  le  strade  e- 
rano  adacquate,  sparse  di  fiori  e  adorne 
lateralmente  di  freschi  ratnifronzuti,d'a- 
razzi  e  tappeli.  A  Campomarone  scese  Pio 
^  li  da  carrozza, e  beve  la  cioccolata  nel  pa- 
lazzo del  cav.  Balbi,  ed  il  marchese  Tapa» 
relii  d'Azeglio, gentiluomo  di  camera  del 
re,uel  sovrano  nome  complimentò  il  Papa, 
e  lo  pregò  da  sua  parte  di  non  voler  abban- 
donare i  suoi  stati  senza  onorare  d'  una 
visita  la  capitale  del  suo  regno,  e  grazio- 
samente vi  condiscese.  Perciò  continuò  il 
■viaggio  per  Alessandria  ,  accompagnato 
per  tutta  la  bocchetta  dall'entusiasmo  re- 
ligioso delle  popolazioni  vicine;  edalla  fì- 
uedi  essa  fu  ricevutoa  Voltaggioed  aGa- 
\i  cou  un  tripudio  ed  una  venerazione  i- 
«esprimibili.  A  mezzodì  ilPapa  riposò  nel- 
la magnifica  villa  LomellinadelconteLo- 
mellini.e  trattalo  da  esso  a  lauto  pranzo  co' 
prelati  del  seguito.  Ivi  salutato  il  cardinal 
arcivescovo  di  Genova,  ch'erasi  trovato  a 
riceverlo  sino  al  confine  di  sua  arcidiocesi, 
si  avviò  per  Alessandria  per  proseguir  nel 
dì  seguente  il  viaggioperlacapitale.il  Pa- 
pa con  quelle  festevoli  particolarità  che  de- 
scrive il  Diario  di  Roma,  giunse  u  Torino 

VOL.  LXXVII. 


TOR  22} 

la  notte  del  19  precedente  al  dì  20,ead  una 
posta  di  distanza  da  quella  capitale  si  tro- 
vò a  Moncalieri  lo  stesso  re,  venuto  con  su- 
perbe carrozze  incontro  al  Papa,  che  en- 
trato nella  carrozza  reale,  sedendogli  di- 
contro il  re,  proseguì  il  viaggio  in  mezzo 
a  una  moltitudine  di  popolo  ivi  accorso 
da'luoghi  circonvicini.  Tutta  la  strada  e- 
ra  illuminata  con  lampioni  sospesi  agli  al- 
beri che  l'ornavano.  Altra  grande  illumi- 
nazione fece  la  bella  città  di  Torino,  che 
può  dirsi  simmetricamente  fabbricata,  e 
dà  in  tali  circostanze  un  sorprendente 
spettacolo,  che  non  è  facile  di  vedersi  al- 
trove. Pio  VII  cou  Vittorio  Emanuele  I 
entrarono  in  Torino  con  brillante  comi- 
tiva, al  rimbombo  de' cannoni,  al  suono 
giulivo  di  tutte  le  campane,  e  fra  l'esul- 
tanza generale.  Vi  era  per  tutta  la  città 
e  sulla  piazza  del  palazzo  reale  grau  trup- 
pa di  cavalleria  e  di  fanteria  austriaca  e 
sarda,  che  fecero  nel  passaggio  di  Pio  VII 
tutti  gli  onori  militari,  aprendo  Io  spor- 
tellodella  carrozza  il  reale  priucipe  diCa- 
riguano  poi  re  Carlo  Alberto.  Alloggiò  il 
Papa  nel  palazzo  reale,  e  vi  fu  trattato 
con  regia  magnificenza:  eransi  trovali  a  ri- 
ceverlo i  grandi  della  corona,  il  senato, 
la  camera  regia  de'couti,  i  decurioni  della 
città,  i  membri  dell'università  degli  stu- 
di, e  tutti  gli  ordini  delio  stato.  A'  20  il 
Papa  ricevè  dal  capitolo  metropolitano 
la  dichiarazione  e  ritrattazione  al  vio- 
lento indirizzo,  che  gli  fu  fatto  fare  dal 
governo  francese  a'g  febbraio  181  1.  Si 
legge  nel  t.  2,  p.  92  delle  Dichiarazioni 
e  ritrattazione  degl'indirizzi,  umiliate 
a  Pio  PTI.  Dipoi  a'  20  giugno  il  Papa 
ricevè  la  ritrattazione  di  Carlo  Giuseppe 
Tardi  prete  torinese,  per  avere  nel  i8i3 
accettato  da  Napoleone  I  la  nomina  al  ve- 
scovato di  Vercelli,e  dai  capitolo  l'elezione 
in  vicario  capitolare.ee;  documento  ripor- 
tato a  p.  97  (.\e\\eDickiarazioni.?ìe3 gior- 
ni chePio  VII  dimoròinTorinOjVi  fu  sem- 
pre uno  straordinario  coucorso  di  persone 
distinte  per  baciargli  i  piedi  e  riceverne  la 
benedizione.  In  uno  di  que'giorni  si  aprila 
i5 


itati  T  <>  A 

custodia  che  contiene  la  is. Sindone,  e  fu  e- 
sposta  alla  venerazione  de'fedeli.  Il  giorno 
dono  fu  dal  Papa  coli'  assistenza  di  vari 
vescovi  riposta  nella I.'  custodia,  e  vi  ap- 
posero i  loro  sigilli  Pio  VII  ed  il  re,  co- 
me rilevai  Dell'indicato  articolo.  Osserva 
il  p.  Semeria,  che  nella  pubblica  esposi- 
zione della  ss.  Sindone,  che  il  Papa  svolse 
colle  sue  proprie  ruani,assistito  da  più  car- 
dinali, vescovi  e  prelati,  e  da  tutta  la  reale 
famiglia, erano  trascorsi  4o  anni  che  i  to- 
rinesi non  avevano  veduto  il  ss.  Lenzuo- 
lo, e  non  vi  era  esempio  die  ciò  fosse  av- 
venuto per  le  mani  del  l'apa;  per  cui  fol- 
tissimo fu  il  concorso  della  moltitudine  in 
piazza  Castello,  e  indicibile  l'universale 
commozione,  nel  farsi  l'esposizione  dalle 
due  opposte  logge  del  castello  reale,  com- 
partendo Pio  VII  col  sagro  pegno  l'apo- 
stolica benedizione.  Poiché  la  ss.  Sindone, 
custodita  nella  resi  cappella  della  metro- 
politana, con  solenne  processione  erasi  tra- 
sportata dal  palazzo  realeall'altro  situato 
nel  mezzo  di  delta  gran  piazza.  Il  Papa 
partì  a'22  maggio  per  Modena,  Firenze 
e  Roma.  Quivi  tornato,  in  concistoro  ce- 
lebrò la  religiosa  e  splendida  accoglienza 
ricevuta  da  Vittorio  Emanuele  I,  da  Ge- 
nova e  da  Torino.  Nell'articolo  Concor- 
dalo Ira  Pio  VII  e  Vittorio  Emanuele  I 
i-c  di  Sardegna,  stipulato  nel  1817,  eb- 
be luogo  una  nuova  circoscrizione  di  dio- 
cesi negli  stati  del  Piemonte,  di  Monfer- 
rato e  di  Genova,  promulgata  colla  bolla 
Beali  Pel/i,  emanata  a'  17  luglio,per  l'au- 
torità della  quale  alla  metropoli  di  To- 
rino furouo  assegnate  per  sulfraganee  le 
sedi  vescovili  di  Acqui,  Asti,  Ivrea,  fllon- 
dovi,  Saluzzo,  Alla,  Cuneo,  Possano, 
Pineroloe  Susa,c\\c  lo  sono  tuttora.  In- 
di nel  1818  Pio  VII  die  termine  alla  ve- 
dovanza di  sua  illustre  chiesa  con  collo- 
carvi a  pastore  d.  Colombano  Ghia  verolti, 
che  nella  sua  patria  Torino  era  slato,  ad 
outa  di  sua  virtuosa  e  lunga  resistenza, 
consagrato  nel  precedente  anno  vescovo 
d'Ivrea,  dopo  di  avere  per  più  di  4o  anni 
professato  la  vita  eremitica  camaldolese 


T  O  R 

nella  valle  di  Lanzo,  potente  nelle  opere 
e  nelle  parole.  Si  vide  in  lui  verificato  clic 
prima  di  ben  comandare  bisogna" sapere 
ubbidire,  e  che  nel  religioso  raccoglimen 
to  ben  si  formano  gli  uomini  apostolici. 
Riuscì  un  perfettissimo  prelato,  vigilante, 
avveduto,  pio,  dotto  e  fermo  nelle  criti- 
che occorrenze,  e  sempre  generoso  co' po- 
veri. Ebbe  delle  grandissime  afflizioni,  e 
tutte  le  sopportò  colla  calma  del  giusto 
e  coll'orazione.  Istruì  il  suo  clero  e  lutto 
il  suo  gregge  con  frequenti  omelie,  ripie- 
ne ili  dottrina  e  di  sagra  unzione,  che  me- 
ritarono la  slampa  neh  835.  Trovo  an- 
che nella  Civiltà  cattolica,  a.*  serie,  t.  7, 
p.  5">3,  uno  splendido  elogio  di  questo  ar- 
civescovo, ragionandosi  della  pubblicazio- 
ne d'alcune  sue  opere,che  fanno  parte  del 
la  Collezione  de' buoni  libri  che  lodevol- 
mente da  zelatori  della  cattolica  religione 
stampansi  in  Torino;  dicendosi  ammirare 
in  esse  grande  sodezza  e  vastità  di  mente, 
congiunte  a  di  voto  afletto,che  non  è  facile 
il  ritrovare  in  tutti  gli  scrittori  cattolici, 
tutte  olezzanti  di  spirituale  fragranza. Sag- 
giamente cogl'illustri  e  dotti  direttori  del- 
l' encomiata  Collezione  fa  considerare  la 
Civiltà  cattolica,  che  se  la  voce  d'un  ve- 
scovo suona  sempre  autorevole  e  vene- 
randa per  le  anime  cristiane, Iequali  in  lei 
riconoscono  l'insegnamento  di  chi  viene 
posto  dalloSpirito  santo  al  governo  della 
Chiesa  di  Dio;  quando  poi  questa  voce  si 
fa  sentire  dal  sepolcro,  e  ricorda  un  pa- 
store amantissimo,  allora  pare  che  acqui- 
sti più  efficacia  e  riesca  doppiamente  pre- 
ziosa. 

A  Sardegna  regno  rammentai ,  come 
per  le  mene  della  Setta  de'  Carbonari  ai 
g -marzo  1821  scoppiò  la  rivoluzione,  per 
la  quale  il  trono  fu  rovesciato, discenden- 
done dignitosameute  ViltorioEmanuele  I, 
anziché  piegare  dinanzi  l'insurrezione  che 
tendeva  a  rovesciare  tutte  le  monarchie 
d'Europa,come  l'ebbero  a  deplorabilmen- 
te sperimentare  anche  quelle  di  Spagna, 
Portogallo  e  Sicilia.  Che  per  la  fermez- 
za dell'impavido  nuovo  re  Carlo  Felice, 


T  O  R 

la  monarchia  sartia  fu  allora  salva, e  nar- 
rai  quanto  fu  benemerito  precipuamente 
ti;  Torino;  e  ebe  morto  a  Torino  8*27  a- 
pi  ile  j  83  1  l'ultimo  agnato  della  linea  pri- 
llila del  ramo  reale  di  Savoia,  sot- 
lentiòa  regnare  quella  de'principiSavoia- 
Carignano  nella  persona  del  re  Cario  Al- 
berto. Nello  stesso  anno  a'6  agosto  lo  se- 
gui nella  tomba  l'arcivescovo  Chiavarot- 
ti,  che  santamente  mori  com'era  vissuto, 
onde  il  capitolo  della  metropolitana  in 
questa,  ov'è  sepolto,  ed  in  ossequio  a'suoi 
meriti  e  benefizi  ricevuti,  riconoscente  e- 
resse  un  busto  di  marmo  con  simile  iscri- 
zione onorevole.  Per  nomina  del  re  Carlo 
Alberto,  nel  concistoro  de' 24  febbraio 
l83a  Gregorio  XVI  preconizzò  l'odier- 
no arcivescovo  mg.r  Luigi  de'  marchesi 
Fransonidi  Genova,  già  dal  Papa  con  bi  e 
ve  de'6  agosto  1  83  1  dichiarato  ammini- 
stratore dell'arcidiccesi, e  siccome  era  si- 
no dal  1  82  1  consagrato  in  Roma  vescovo 
di  FossanOjCon  indulto  apostolico  Io  con- 
tinuò ad  amministrare  sinoa!i83G.  Inol- 
tre dal  re  fu  fatto  cavaliere  e  cancelliere 
dell'ordine  supremo  della  ss.  Annunziata, 
poi  fu  decorato  del  gran  cordone  dell'or- 
dine de'ss.  Maurizio  e  Lazzaro.  Nella  sua 
proposizione  concistoriale  si  dice,  che  o- 
gni  nuovo  arcivescovo  è  tas»ato  uè'  libri 
della  camera  apostolica  in  fiorini  586,  e 
che  le  rendite  della  mensa  ascendono  a 
circa3o,ooo  librarum  illius monetae,rtn- 
iiipui  pensione  gravati.  Il  p.  Semeria  de- 
dicò a  lui  la  dotta  ed  elaborata  Storia  del- 
la chiesa  metropolitana  di  Torino  (di  cui 
mi  sono  grandemente  giovato),  per  rico- 
noscere, riunire  iu  se  le  gloriose  cesta  di 
tanti  suoi  predecessori,  ed  eziandio  per  a- 
verglieue  destato  l'idea,  con  aver  fallo  di- 
pingere in  una  delle  sale  del  palazzo  arci- 
vescovile la  cronologica  serie  di  tulli  isuoi 
antecessori.  Nel  suo  arcivescovato  memo- 
rabili sono  i  solenni  festeggiamenti  cele- 
brati in  Torino,  e  descritti  dal  benemeri- 
to p.  Semeria, per  la  beatificazione  del  \en. 
Sebastiano  Valfrè,e  pel  culto  religioso  dei 
beali  Umberto  111,  Boatfacie  arcivescofO 


TO  R 

di  Cantorbcry  e  Lodovica  di  Savoia, 
mosso  dal  re  Carlo  Alberto  e  approvato 
da  Papa  Gregorio  XVI,  come  uot 
voi.  LXH,  p.  6.  A  Torseo  farò  cenno  d 
quelli  splendidamente  celebrali  a  Torino 
neli83q  e  nel  i84"2.Ne*più  volle  ricordi 
ti  articoli  Savoia  e  Sardegka  regjto,  a- 
■vendo  narrato  le  relazioni  fra  la  s.  Sede, 
ed  i  sovrani  conli  educhi  di  Savoia,  prin 
cipi  del  Piemonte,  e  de'  re  di  Sardegna, 
ed  appena  in  generale  accennato  le  gravi 
vertenze  ecelesiast.che  e  politiche  inco 
minciatc  nel  1847  e  proseguite  sino  alia 
metà  del  1 853,  qui  a  loro  schiarimento  e 
insieme  a  compimento  ne  datò  uu  ulte- 
riore e  piùdettagliatocenno,eziandiopei 
riguardare  l'avvenuto  al  sullodato  attua- 
le arcivescovo  di  Torino,  alla  sua  chiesa  e 
arcidiocesi ,  potendosene  leggete  tutta  l<, 
storia  nella  Civiltà  cattolica,  sul  fuuesto 
contrasto  sorto  e  vieppiù  -inasprito  iu  que 
sti  ultimi  anni  Ira  il  potere  civile,  e  l'au- 
torità ecclesiastica  e  i  diritti  della  religio- 
ne: ne  fu  principale  vittima  mg.r  Fruii- 
soni,  saldo  e  intrepido  sostenitore  delie 
leggi  della  Chiesa  e  della   libertà  eccle- 
siastica, in  armonioso  accordo  non  menu 
coll'episeopato  piemontese,  che  con  quel- 
lo del  restante  de'regi  slati.  A'4  maggio 
1800  fu  portato  prigione  nella  cittadella 
di  Torino  da  due  uffizioli  de'carabiuui. 
ed  il  prelato  colla  coscienza  d'aver  adem 
pito  ad  un  altissimo  dovere  di  vescovo  (ti 
cui  operato  fu  approvato  e  lodato  dal  Pa 
pa,  e  dall'episcopato  subalpino,  savoiar- 
do, ligure  e  sardo,  unito  ne'suoi  pi  uiupa;, 
tranquillamente  col  solo  breviario  vi  si 
condusse.  Subitovi  fu  visitalo  dal  capito 
lo  metropolitano  e  da  molli  distinti  ptr- 
sona«"i;  dimostrazione  d'alletto  e  di  rivt- 
reuza  che  fu  continuala  da  altre  Hftustri 
persone,  finché  fu  tradotto  nel  forte  di  Fe- 
uest  ielle.  Rice  ve  quindi  in  oblazione  d'am- 
mirazione ricchi  ornamenti  e  Suppelletti- 
li sagre  magnifiche.  Queste  pubbliche  di- 
mostrazioni di  simpatie  falle  dj  naziona- 
li e  stranieri,  collo  spirito  degno  de' più 
bei  tempi  della  Chiesa  nel  meglio  delle  hm 


228 


TOR 


persecuzioni,  fecero  più  volte  con  espan- 
sione di  all'etto  eloquente  esclamare  al 
commosso  prelato  :  Non  nobjs  Dòmine, 
sed  Nomini  tuo  da  gloriarli.  Esiliato  da 
Torino  e  da'  regi  stali  a'  25  settembre 
i  85o,  sequestrate  le  rendite  della  mensa, 
passò  l'arcivescovo  in  Francia ,  si  stabilì 
in  Lione,  e  neh  854  S1  **ecò  'n  Roma  ad 
assistere  alla  solenne  promulgazione  del 
decreto  dogmatico  sull'Immacolato  Con- 
cepimento di  Maria  Vergine,  cbe  celebrai 
co'Cenni  storici  nel  voi.  LXX1II,  p.  49-» 
avendoricordatoa  p.  37  i, che  intervenen- 
do alla  consagrazione  della  basilica  di  s. 
Paolo,  fu  uno  de'4  arcivescovi  cbe  por- 
tarono l'urna  delle  ss.  Reliquie,  funzioni 
maestosamente  celebrate  dal  PapaPio  IX. 
Con  quanto  andrò  con  pena  ad  accenna- 
re, naturalmente  potranno  nascere  mol- 
ti gravi  ,  lagrimevoli  e  morali  confronti 
fra  lo  slato  presente  di  Torino  e  del  Pie- 
monte, da  quello  cbe  sono  andato  descri- 
vendo nel  decorso  di  questo  articolo;  dap- 
poiché la  Civiltà  cattolica  continuamen- 
te deplora  la  stampa  sfrenata  di  Torino, la 
quale  città  dice  divenuta  convegno  di  tut- 
ti i  fuorusciti  e  portabandiera  della  nazio- 
nalità italiana,  il  centro  di  tulle  le  mene 
rivoluzionarie  e  di  tutte  l'eresie  religiose, 
accettando  le  primizie  de'morinoniti;  che 
le  scuole  degli  eretici  valdesi  sono  un  se- 
menzaio d'errori  e  di  pericoli  pe'fanciulli 
cattolici,  dandosi  inoltre  opera  all'erezio- 
ne d'un  altro  tempio  valdese,  mentre  la 
propaganda  anglicana  spese  ben  7000  li- 
re  sterline  per  quello  innalzato  in  uno  dei 
più  belli  quartieri  di  Torino.  Quivi  so- 
no giornali  cbe  predicano  le  dottrine  di 
Valdo  ,  giornali  che  sostengono  gì'  inse- 
gnamenti del  Talmud,  giornali  che  pro- 
pagano i  principii  della  ragione  pura,  per 
non  dire  di  altri.  Tulio  questo  è  un  nul- 
la; meglio  è  parlare  colla  veneranda,  ve- 
ridica e  autorevole  voce  del  sommo  Pon- 
tefice Pio  IX.  11  n.°  36  del  Giornale  di 
Roma  deli 855,  riporta  la  sua  allocuzio- 
ne, Probe  mciniiicrilis,  pronunziala  nel 
concistoro  de'22  gennaio.  Rammenta  con 


TOR 
quanto  dolore  del  suo  animo  nell'augusto 
luogo  lamentò  col  sagro  collegio  i  gran- 
dissimi mali  da' quali  la  chiesa  cattolica 
è  da  vari  anni  afflitta  e  straziata  nel  regno 
Subalpino.  Di  non  aver  onnnesso  zelo, 
sollecitudine  e  longanimità  per  riparare 
a  tanti  mali;  che  tulio  tornò  vano,  così 
i  ripetuti  reclami  falti  dal  cardinal  Anto- 
nelli  segretario  di  stato,  non  meno  che  le 
premure  mostrate  da  un  altro  cardinale 
plenipotenziario,  e  le  sue  private  lettere 
spedite  al  re  di  Sardegna  Vittorio  Ema- 
nuele II.  A  tutti  essere  noti  i  moltissimi 
falti  e  decreti,  con  che  il  governo  sprez- 
zando interamente  le  solenni  convenzio- 
ni stabilite  colla  s.  Sede,  non  dubitò  di  ves- 
sare ogni  giorno  più  i  sagri  ministri,  i  ve- 
scovi e  le  comunità  religiose,  di  ledere  e 
violare  l'immunità  e  libertà  della  Chiesa, 
non  chei  venerandi  suoi  diritti, d'usurpar- 
ne i  beni,  di  fare  ingiurie  gravissime  al- 
la stessa  Chiesa, e  alla  pontificia  suprema 
autorità  ed  a  quella  della  s.  Sede  ,  pie- 
namente disprezzandola.  Di  recente  poi 
fu  posta  in  campo  altra  legge  affatto  ri- 
pugnante allo  slesso  diritto  naturale  divi- 
no e  sociale,  sommamente  contraria  al  be- 
ne dell'umana  società,  e  in  tutto  favore- 
vole a'perniciosissimi  e  funestissimi  erro- 
ri àelSocialismoe  Comunì.smo:coì\a  qua- 
le legge  tra  le  altre  cose  si  propone,  che 
quasi  tutte  le  famiglie  monastiche  e  reli- 
giose d'ambo  i  sessi,  e  le  chiese  collegia- 
te e  i  benefìzi  semplicie  di  padronato  ven- 
gano del  tulio  soppressi,  ed  i  loro  beni  e 
redditi  siano  soggetti  ed  aflidali  all'ammi- 
nistrazione e  arbitrio  della  podestà  civi- 
le. Colla  medesima  legge  proposta  si  at- 
tribuisce eziandio  al  potere  laico  l'auto- 
rità di  prescrivere  le  condizioni,  a  cui  deb- 
bano essere  sottoposte  le  altre  religiose  co- 
munità, che  non  fossero  affatto  soppresse. 
Penetralo  il  Papa  d'amarezza,  ultamente 
deplorò  il  tutto  operato  in  un  regno,  do- 
ve esistono  moltissimi  egregi  cattolici,  e 
dove  principalmente  la  pietà,  la  religio- 
ne e  la  divozione  de' re  verso  la  cattedra 
di  s.  Pietro  e  suoi  successori  ,  una  volta 


TOR 

fiorivano  e  passavano  in  esempio.  Le  cose 
essendo  giunte  al  punto  di  non  bastare  di 
compiangere  i  danni  recali  alla  Chiesa, 
perciò  adempiendo  l'apostolico  ministero 
di  nuovo  levò  alta  la  voce,  riprovando  e 
condannando  tutti  e  singoli  i  decreti  dal 
governo  promulgati  a  detrimento  della  re- 
ligione, della  Chiesa  e  de'diritti  e  autori- 
tà della  s.  Sede;  come  anco  la  legge  di  re- 
cente proposta,  ogni  cosa  dichiarando  af- 
fatto irrita  e  nulla.  Quindi  avvertì  gra- 
vemente coloro  che  ordinarono  o  pubbli- 
carono tali  decreti,  e  coloro  che  alla  leg- 
ge proposta  osassero  favorire,  a  conside- 
rar le  pene  e  censure  che  dalle  costitu- 
zioni apostoliche  e  de' sagri  canoni,  mas- 
sime tridentini  ,  furono  stabilite  contro 
gl'invasori  e  profanatori  delle  cose  sagre, 
i  violatori  della  podestà  e  libertà  eccle- 
siastica, e  contro  gli  usurpatori  de'diritti 
della  Chiesa  e  della  s.  Sede.  Perchè  poi  il 
mondo  cattolico  vegga  le  pontificie  cure 
usate  per  la  difesa  della  Chiesa  nel  regno 
Subalpino, e  insieme  conosca  il  modod'a- 
gire  dal  governo  seguito,  disse  il  Papa  a- 
ver  ordinato  che  fosse  stampata  e  distri- 
buita a'cardinali  una  particolare  esposi- 
zione delle  cose  fatte.  Dichiarò  gli  arcive- 
scovi e  vescovi  del  regno  Subalpino  som- 
mamente lodevoli,  i  quali  corrisponden- 
do a'pontificii  voti,  con  singoiar  valore  e 
costanza  non  cessarono  mai  colla  voce  e 
cogli  scritti  d'opporre  un  argine  a  difesa 
della  casa  d'Israele,  e  di   valorosamente 
propugnar  la  causa  di  Dio  e  di  sua  Chiesa. 
Di  più  il  Papa  si  congratulò  di  cuore  con 
tanti  ragguardevoli  personaggi  laici,  che 
dimorando  nel  regno  e  ben  animati  dai 
sentimenti  cattolici  e  fermamente  a  lui  a- 
derenti  e  alla  s.  Sede,  si  gloriarono  di  di- 
fendere in  pubblico  e  apertamente  a  vo- 
ce e  in  iscritto  i  sagri  diritti  della  Chiesa. 
L'enunciata  esposizione,per  ordine  del  Pa- 
pa, si  stampò  con  questo  titolo:  Allocu- 
zione della  Santità  di  N.  S.  Pio  PP.  IX 
al  sagro  Collegio  nel  concistoro  segreto 
de '22  gennaio 1 855 \seguita da  un'Expo- 
sizione  corredata  di  documenti  sulle  in- 


TOR  229 

cessanti  cure  della  stessa  Santità  sua  a 
riparo  de' gravi  inali  da  cui  è  afflitta  Li 
chiesa  cattolica  nel  regno  di  Sardegna _, 
Pioma  dalla  stamperia  della  Segreteria  dì 
stato  i855.In  breve  egualmente  fu  pubbli- 
cata nel  detto  Giornale  e  nel  seguente,  e 
della  quale,  come  della  posteriore  allocu- 
zione, riporterò  qui  appresso  il  piùprinci- 
pale.OrdinòilPapa  tale  inserzione  nel  fo- 
glio ufficiale,  affinchè  il  mondo  cattolico 
giudichi  sul  modo  di  procedei  e  della  s.  Se- 
de^ su  quello  del  governo  sardo.Incomin- 
ciando  dall'esposizione,  in  essa  si  dice:  Che 
il  Papa  Pio  IX  fin  dal  1 847  ebbe  a  scorgere 
l'iniziamento  de'gravissimi  mali,  che  ora 
travagliano  la  Chiesa  nel  regno  di  Sarde- 
gna, e  che  deplorò  colla  compendiata  allo- 
cuzione. L'ebbe  a  scorgere  uella  legge  sulla 
stampa,  con  che  il  governo  sottrasse  alla 
preventiva  ecclesiastica  approvazione  i  li- 
bri provenienti  dall'estero,  eall'esamedei 
vescovi  le  opere  e  i  giornali  da  pubblicar- 
si. Indi  la  pubblicazione  dello  Statuto,  che 
per  intero  riprodussi  a  Sardegna  regno, 
ove  la  cattolica  religione  fu  dichiarata  la 
sola  negli  stali  tordi,  non  valse  a  garanti- 
rei diritti  e  prerogati  ve  tlella  Chiesa;  dap- 
poiché il  governo  Sabaudo  poco  dopo  or- 
dinò il  Regio  execj  uà  tur  sulle  provvisio- 
ni di  Roma,  riferendolo  ad  usi,  che  la  su- 
prema autorità  della  Chiesa  ha  sempre 
riprovati  come  abusi,  e  perciò  dichiarati 
nulli.  Quindi  abolì  il  foro  civile  e  crimi- 
nale ue'regi  stati  a  favore  degli  ecclesia- 
stici; e  fatta  di  ciò  domanda  al  Papa,  da 
questi  dopo  che  fece  conoscere  come  l'ordi- 
namento dell'ecclesiastica  disciplina  e  del- 
le leggi  che  la  riguardano  sia  affatto  indi- 
pendente dalle  politiche  innovazioni  d'u- 
no stato,  per  esamiuare  se  intorno  all'ec- 
clesiastiche immunità  potevano  essere  ag- 
giunte altre  concessioni  alle  già  ampia- 
mente concedute  in  varie  epoche  da'pre- 
decessori,  fu  destinato  a  plenipotenziario 
il  cardinal  Antonelli,  ed  il  governo  regio 
nominò  il  marchese  Domenico  di  Pareto 
e  l'ab.  Antonio  Rosmini;  onde  il  marche- 
se presentò  uu  progetto  di  concordato,  ma 


T  O  R  1  O  R 

le  richieste  furono  trovate  inopportune  ed     Dessi  huono  principalmente,  te  violenze 
esagerate  dallo  stesso  ab.  Rosmini,  pei  cui      recate  sul  principio  dell  85o  all'arci  vesco- 
ricusò  di  sostenerle,  ed  il  Papa  a  toglierò     vo  di  Cagliari  per  aver  creduto  di  non 
qualunque  ostacolo  propose  a  base  gli  arti-     cedere  all'esigenze  della  commissione  de- 
coli dal  governo  di  Toscana  (/'.)  ricono-     potata  dal  governo  a  preparare  il  proget- 
«citttt»  Ma  appena  cominciatele  conferai-      lo  d'abolizione  delle  decime,  e  per  aver 
*e,il  Papa  dovè  abbandonare  Roma, rueu-     pubblicato  un  monitorio  di  censura  con- 
ti e  in  Piemonte  si  andavano  continuando     tro  i  trasgressori  delle  leggi  canoniche  tul- 
le violazioni, come  la  legge ebenon  ricono-     l'immunità  ecclesiastica:  furono  la  ci  reo - 
:,ce  la  sorveglianza  de' vescovi  nell'uni  ver-     lare  degli  i  i  gennaio  i85o,  con  che  i  ve- 
rità e  iiellescuolepubblicheeprivate.la ri-     scovi  dell'isola  di  Sardegna  erano  avver- 
inola pròf&stonedi  fede  introdotta  daPio     liti  di  sospendere  la  collazione  de'vacanti 
IV,  il  divieto  di  presentar  a'vescovi  le  te-     benefizi;  il  progetto  di  legge  sul  foro  ee- 
li  pe' pubblici  esami,  1' espulsione  de'ge-     clesiastico,  sull'immunità  ecclesiastica  lo- 
■niti  e  delle  religiose  del  sagro  Cuore,  ei     cale  e  sull'osservanza  d'alcuni  giorni  fe- 
loro  beni  attribuiti  al  pubblico  erario,  e     stivi,  presentato  a  7.5  febbraio  alla  discus- 
la  minaccia  della  privazione  deW'ejcéqua-     sioue  della  camera   legislativa  dal  conte 
traile  dispense  pontificie  sul  i.°e  2.°  gra-      Siccardi,  ministro  guardasigilli;  progetto 
do  d'affinità,  che  poi  divenne  fatto  coni-     che  violava  la  parola  date  dal  governo  sar- 
piuto.  Dimorando  il  Papa  a  Gaeta  rice-     do  di  trattare  colla  s.  Sede  sull'ccelesiasti- 
:■  per  inviato  straordinario  il  conte  Ce-      ca  immunità,  e  che  rompeva  i  trattati  e- 
;re  balbo,  il  quale  non  promosse  alcun     sistemi  e  fedelmente  rispettati  dalla  s.  Se- 
y.giuslann'iitOjnè  diede  ragionedi sperati-     de.  E  desso  veniva  comunicato  al  nunzio 
/a.  A  Portici  ricevè  l'altro  inviato  straor-     apostolico  di  Torino  nel  giorno  medesimo 
dinario  conte  Siccardi  ,  il  quale  facendo     che  fu  presentato  alla  camera,  e  dopo  po- 
nhrettauto  se  ne  partì  per  non  aver  pò-     chi  giorni  al  cardinal  Antouelli  dall'inca- 
«nto  ottener  la  remo/ione  dalle  loro  sedi     ricato  sardo  ,  dicendosi  ad  ambedue  ,  il 
dell'arcivescovo  di  Torino  e  del  vescovo     ministero  essere  stato  astretto  a  proporrò 
d'Asti,  lì  Papa  dolente  che  te  cose  volges-     tale  legge,  onde  regolarne  la  discussione, 
oro  alla  peggio,  inviò  mg.'  Charvaz  arci-     dall'esito  infelice  delle  trattative  ripetuta- 
vescovo  di  Sebaste,  e  ora  di  Genova,  al     mente  riprese  e  sempre  invano  dal  gover- 
scgnanteViltorioEmanueleII,perdichia-     no  sardo;  aggiungendosi  poiché  tuttoeiò 
fargli  le  sue  benevole  disposizioni  verso  la     non  impediva  che  la  s.  Sede  trattasse  col 
di  lui  reale  persona  e  verso  i  popoli  a  lui     governo  del  re  uu  accomodamento,  pur- 
boggetti,  e  fargli  conoscere  i  gravi  obbli-     che  le  trattative  fossero  aperte  in  Torino, 
gin  dell'apostolico  ministero  che  gli  avea-     e  venisse  per  immutabile  riconosciuta  la 
no  imposto  di  rigettare  le  domande  fot-      decisione  già  presa  dal  governo  per  pura 
te  d'indurre  alla  rinunzia  i  due  prelati  di     necessità.  Il  Papa  a  mezzo  del  nunzio  e  del 
Torinoe  d'Asti.  Eil  re  rispose, eheavreb-      cardinale  protestò  contro  il  progetto    di 
he  protetto  i  due  prelati,  proposta  alle  ca-     legge  indicato,  e  fece  conoscere  come  L't- 
ntere  costituzionali  una  legge  sulla  pub-      nellicacia  della  missione  degl'inviati  sardi 
blica  istruzione,  ove  fosse  riconosciuto  il     si  dovesse  unicamente  atlribuirealgover- 
diritto  proprio  de' vescovi,  e  che  in  tempo     no  sardo;  e  di  teli  proteste  fece  spedir  co- 
piò acconcio  avrebbe  fatto  riprendere  le     pia  a  tutti  i  rappresentatili  della  s.  Seda 
interrotte  trattative  di  concordalo.  Meiv      presso  le  corti   estere.  Quando   poi   quel 
tre  la  reale  risposta  consolava  l'animo  poti-      progetto  approvato  dalla  camera  legista- 
tilìcio,  i  fatti  cheav  venivano  nel  regno  Sa-     ti  va  con  decreto  i\c'()  aprile  i85o  ricevea 
bando  maggiormente  lo   contristarono,     la  reale  sanzione,  il  nunzio  apostolico  ab- 


TOR 
bandonò  Torino;  però  in  Torino  è  rimasto 
il  sacerdote  d.  Benedetto  Roberti  di  Subia- 
co.incai  -icato  officioso  della  s.  Sede:  merita 
elogio  per  la  prudenza,  saggezza  e  perizia 
che  mostra  nel  trattamento  di  gelosi  e  gra- 
vi affari. Da  quel  momento  ilPapa  spesso  fu 
costretto  a  muovere  lamenti  al  governo 
sardo  pe'  crescenti  e  ingiuriosissimi  atten- 
tati contro  la  Chiesa: colle  due  note  de'i4 
maggio  e  26  giugno  1  85o.  del  cardinal  se- 
gretario di  stalo,  reclamò  contro  le  violcn- 

7U  folte  figli  arcivescovi  di  Torino  e  dì 
Cagliari,  e  nel  concistoro  de'  20  maggio 
i85o  deplorò  le  calamità  da  cui  era  tra- 
vagliata la  Chiesa  nel  regno  di  Sardegna. 
A  tali  reclami  rispose  il  governo  sardo 
colle  note  de'  1  3  giugno  e  24  luglio  r  85o, 
nella  1. 'delle  quali  volle  entrare  in  discor- 
so sulla  natura  de'concordali,  attribuen- 
do a'principi  secolari  il  diritto  d'annullarli 
senza  il  consenso  della  s.  Sede,  e  ciò  come 
conseguenza  della  facoltà  di  mutar  gli  or- 
dini politici  ue'loro  stati.  Questi  falsi  prin- 
cipii  vennero  confutali  dal  cardinal  segre- 
tario di  slato  con  nota  de'  1  q  luglio  1 85o, 
su  di  che  può  vedersi  il  ragionato  a  Pa- 
<:e.  Il  Giornale  di  Roma,  come  officiale 
negli  atli  del  governo  che  pubblica,  dovè 
in  questo  mezzo  smentii  e  il  ministro  guar- 
dasigilli per  avere  asserito  alla  tribuna 
del  parlamento  ,  che  il  governo  trattava 
colla  corte  di  Roma  suil'  abolizione  del- 
l' immunità  ecclesiastica.  E  per  calmare 
I' indegnazione  destatasi  nell'animo  dei 
sudditi  sardi  pelanti  attentali  a'dirittidel- 
la  Chiesa,  il  governo  sardo  nella  metà  d'a- 
gosto 1  8  5o  spedi  a  Roma  in  inviatostraor- 
tlinarioilcav.  Pier  Luigi  Pinchi  presiden- 
te della  camera  de'depntali;  ma  la  s.  Sc- 
ile non  potè  iniziare  trattative,  perchè  il 
nuovo  inviato  persisteva  uelie  massime 
manifestale  dal  suo  governo  sulla  violabi- 
lilà  de'concoidati,  sulla  pretesa  necessità 
di  tener  lontano  dalla  sua  sederarciveseo- 
vo  diTorino,sulla  giustizia  della  leggesan- 
ola  intorno  all' ecclesiastica  immunità, 
non  che  sull'equità  della  condotta  (ino  a 
quel  tempo  tenuta  dal  suo  governo.   La 


TOR  a3i 

corte  di  Roma  solo  si  recò  a  dovere  di  mo- 
strare al  nuovo  inviato  ogni  riguardo  pei  - 
sonale,  e  perciò  il  cardinal  Antoneili  se- 
gretario di  stato  ebbe  con  lui  varie  con- 
ferenze. Ma  in  tempo  che  facevasi  mo- 
stra di  trattar  colla  s.  Sede  mediante  il 
cav  Pinelli,  venne esilialoa"24 settembre 
1  85o  l'arcivescovo  di  Cagliari,  per  aver 
dichiaralo  incorso  nelle  censure  chi  avea 
sequestrati  gli  oggetti  esistenti  nella  can 
celleria  generale,  annessa  al  suo  domici- 
lio, e  veniva  dato  lo  sfratto  a'2  5dello  sles- 
so meseda'regi  stati  all'arcivescovo  di  To- 
rino, dopo  d'  essere  stato  trattenuto  pri- 
gione anche  nel  forte  di  Fenestrelle,  ed  i 
beni  della  sua  mensa  furono  dati  in  am- 
ministrazione, essendo  sequestrati,  al  re- 
gio economo  apostolico.  Il  Papa  allora  fe- 
ce note  all'episcopato  sardo  le  ragioni  per 
cui  tornò  infruttuosa  la  missione  del  cav. 
Pinelli, ed  a'suoi  rappresentanti  presso  le 
corti  estere  rese  manifesta  la  genuina  po- 
sizione delle  cose:  nel  concistoro  poi  del 
1  ."novembre  i85ogiudicò  necessario  ren- 
dere palese  al  mondo  cattolico  la  condot- 
ta tenuta  dal  governo  sardo  dal  1847  fino 
a  quel  giorno  colla  s.  Sede.  Tuttociò  nul- 
la valse  ;  che  il  governo  sardo  non  si  ri- 
stette dal  continuare  nella  falsa  via  inco- 
minciata. Neh  85  1  rifiutò  l'offerta  annua 
del  calice  d'oro  con  patena  (il  che  rilevai 
ne'  voi.  LXV1I,  p.  32o,  LXIX,  p.  278), 
stabilita  fin  dal  17-4»;  oiìde  il  Papa  fu  co- 
stretto a  fune  formale  protesta:  con  re- 
g;e  patenti  de'  16  marzo  dello  stesso  1  85 1 
dichiarava  come  istituzione  puramente 
civile  l'ordine  de'cavalieri  de'ss.  Mauri- 
zio e  Lazzaro;  e  dipoi  nuovamente  pro- 
poneva alle  camere,  discuteva  e  sanciva  il 
progetto  d'abolire  le  decime  ecclesiasti- 
che nell'isola  di  Sardegna.  Prima  però 
che  questo  .  approvato  con  real  decreto 
de'i5aprile,  fosse  pubblicato  (il  che  av- 
venne a'  1  3  giugno),  l'incaricato  regio  in 
Roma  marchese  Spinola  presentava  alla 
s.  Sede  un  progettodi  concordato  sullede- 
cune,  non  occultando  però  nella  sua  leal- 
tà, che  ia  legge  già  avea  ricevuto  la  regia 


23a  TOR 

snnzione,  e  che  solo  non  era  ancor  pub- 
blicata. Presentava  i  noltre  de'fogli  confi- 
denziali, co'quali  richiamava  l'attenzione 
della  s.  Sede  su  taluni  bisogni  della  Chie- 
sa negli  stali  sardi.  E  mentre  aveano  luo- 
go tali  proposte,  la  circolare  de' i  3  mag- 
gio 1 85 1  chiamava  tutti  i  vescovi  del  re- 
gno ad  obbligare  i  professori  delle  facol- 
tà teologiche  ne'loro  seminari  a  seguire  il 
testo  dell'università  centrale,  ed  a  sotto- 
porre le  stesse  scuole  teologiche  all'ispe- 
zione de'delegati  governativi:  un  reni  de- 
creto de'  iZ  dello  stesso  mese  imponeva 
una  tassa  del  4  penoo  sui  beni  de'corpi 
inorali  in  compenso  de'tributi  di  successio- 
ne e  d'insinuazione,  da  cui  sono  natural- 
mente esenti.  Nondimeno  il  Papa,  nel  de- 
siderio che  fosse  posto  un  termine  a  tan- 
ti mali,  fece  conoscere  essere  assai  dispo- 
sto a  stabilire  un  nuovo  concordato,  e  ve- 
nuto in  Roma  l'altro  inviato  straordina- 
rio e  ministro  plenipotenziario  cav.  Man- 
fredo Bertone  di  Samby,  col  mandato  di 
venir  allo  scioglimento  delle  cominciate 
trattative,  e  di  comporre  le  insorte  diffe- 
renze, destinava  a  suo  ministro  plenipo- 
tenziario il  cardinal  Santucci,  allora  segre- 
tario della  s.  congregazione  degli  affari  ec- 
clesiastici straordinari,  perchè  trattasse, 
non  ostante  che  al  parlamento  torinese  il 
ministro  delle  finanze,  nel  parlare  della 
missione  del  nuovo  inviato  sardo,  dichia- 
rasse che  con  essa  non  veniva  disdetta  la 
politica  inaugurata  dal  ministro  Siccardi. 
Il  plenipotenziario  pontificio  nella  i. "con- 
ferenza coli'  inviato  sardo  insistette  sulla 
necessità,  in  cui  era  il  governo  del  re  Vit- 
torio Emanuele  II,  di  riconoscere  l'invio- 
labililà  de'  concordati:  e  I*  inviato  sardo 
propose  un  preambolagli  articoli  da  con- 
cordarsi, e  tale  che  non  potè  essere  accet- 
tato, perchè  mancante  delle  domandate 
cautele, e  perchè  nulla  dicea  sull'inviola- 
bilità cle'concordali, cosa  che  la  s.  Sedevo 
lea  fosse  dichiarata.  Ma  mentre  che  tali 
trattative  furono  così  iniziate,  il  ministro 
sardo  della  pubblica  istruzione  con  circo- 
lare de'2 7  novembrei85i  rendeva  noto 


T  0  R 

a'ehierici  del  regno,  che  per  aver  diritto 
a 'benefizi  era  necessario  aver  frequenta- 
to le  università  dello  stato,  ove  lutti  san- 
no, che  sono  professale  dottrine  condan- 
nate dalla  s.  Sede  ;  come  ancora  di  aver 
conseguito  in  esse  gradi  accademici.  Nel 
gennaio  1 852  la  benemerita  compagnia  di 
s.  Paolo  venne  privata  dell'  amministra- 
zione de' suoi  beni;  fu  permessa  all'  asta 
pubblica  la  vendita  d'alcuni  beni  de'ge- 
suiti;  in  Torino  furono  aperti  templi  pel 

mito  protestante,  a  C.nnen  fu  soppressa  la 

casa  de'minori  conventuali,  a  Sassari  chiu- 
sa la  chiesa  parrocchiale  di  s.  Caterina,  e 
negato  V  exequa  tur  delle  bolle  apostoliche 
per  l'erezione  d'una  nuova  collegiata  a  Sa- 
luzzo.  Il  Papa  poi  benignamente  condi- 
scendendo alle  domande  fatte,  con  breve 
de' 6  settembre  i853  diminuì  nel  regno 
Sabaudo  alcune  feste.  Ma  quest'atto  e  tan- 
ti altri  ,  che  mostravano  da  quali    senti- 
menti fosse  maisempre  animato  il  Papa, 
non  arrestarono  il  ministero  regio  dal  pro- 
porre, come  fece,  una  legge  sui  matrimo- 
ni,di  natura  ben  diversa  dalle  dichiarazio- 
ni che  l'inviato  sardo  atea  fatte  al  pleni- 
potenziario pontificio.  Il  Papa  a  impedir 
che  fosse  data  la  regia  sanzione  a  tale  leg- 
gè,  scrisse  direttamente  al  re  Vittorio  E- 
manuele  II,  dove  chiaramente  espose  la 
dottrina  della  chiesa  cattolica  su  tale  ar- 
gomento. Dopo  lungo  spazio  di  tempo  il 
governo  sardoVispose  alle  note  pontificie 
de'28  febbraio  e  24  agosto  18 53;  e  la  s. 
Sede  nell'i nvWe  il  suo  controprogetto  a- 
gli  articoli  da  concordarsi  ,  accettava    la 
proposta  da  lui  fatta  di  due  commissioni, 
composta  ciascuna  di  tre  vescovi  da  eleg- 
gersi dal  Papa,  e  di  tre  magistrati  del  re- 
gno a  scelta  del  re;  una  destinata  a  esa- 
minare e  riferire  il  modo  di  provvedere 
al  clero  dell'isola  di  Sardegna  in  mancan- 
za delle  decime,  e  l'altra  a  fare  altrettan- 
to in  Terraferma.  E  con  nota  del  suo  ple- 
nipotenziario dichiarò,  che  nelle  cose  e- 
spresse  nel  presente  preambolo  agli  arti- 
coli da  concordarsi  inforno  alle  immuni- 
tà, escluse  sempre  le  persone  de'  vescovi 


TOR 
dalla  giurisdizione  criminale  laico,  non  era 
diOicile  convenire,  quando  fossero  garan- 
tite con  note  diplomatiche.  Il  governo  sar- 
do però  non  rispose  a  questa  nota,  e  non 
attuò  le  due  commissioni  :  solo  continuò 
ad  accrescere  le  cliflìcoltà  per  un  accomo- 
damento colla  s.  Sede:  presentò  al  parla- 
raento  un  progetto  di  legge  per  un  piano 
provvisorio  di  assegni  suppletivi  alle  de- 
cime abolite,  pel  clero  dell'isola  di  Sar- 
degna ,  progetto  contro  cui,  quando  nel 
marzo  1 85 3  ebbe  la  real  sanzione,  prote- 
stò il  cardinal  segretario  di  stato,  perchè 
parlava  d'  assegni  fondati  su  basi  all'atto 
diverse  da  quelle  indicale  nel  contropro- 
getto del  plenipotenziario  pontificio.  Non 
ostante  tale  protesta  e  altri  reclami,  il  go- 
verno sardo  con  appositi  decreti  determi- 
nò gli  assegni  tanto  pe'  minori  chierici, 
quanto  pe'vescovi,  defraudandone  affatto 
l'arcivescovo  di  Cagliari,  e  tutti  i  canoni- 
ci e  beneficiati  eletti  nel  principio  del  1 85o. 
Nel  mentre  che  aveano  luogo  questi  e  al- 
tri atti  contro  i  diritti  della  Chiesa,  ces- 
sarono le  attribuzioni  dell'inviato  straor- 
dinario sardo  a  Roma,  e  in  sua  vece  vi  fu 
spellilo  l'incaricato  d'affari  conte  Rober- 
to Peraudo  di  Pralormo  (poi  ministro  re- 
sidente), senza  però  essere  abilitatoa  con- 
tinuar le  trattative.  Il  perchè  il  Papa  nel- 
la sua  allocuzione  del  concistoro  de'  i  q  di- 
cembre 1 853,  dopo  d'aver  fatto  manifè- 
ste con  nota  del  cardinal  segretario  dista- 
to del  i.°  dicembre,  le  sue  intenzioni  sul 
part  icol  are  delle  tratta  ti  ve,dichi  arò  solen- 
Demente  essere  interrotto  ogni  trattato  fra 
la  s.  Seùe  e  il  governo  sardo  per  colpa  di 
questo.  E  di  più  fece  spedire  dal  cardina- 
le altra  nota  di  reclamo  contro  gli  atti  , 
che  nel  regno  sardo  andavano  moltipli- 
candosi contro  la  Chiesa.  Dopo  ciò  l'inca- 
ricalo sardo  a  nome  del  suo  governo  pi  e- 
sento  una  nota,  dove  lasciati  a  parte  i  pun- 
ti contemplati  in  quella  de'18  settembre 
1802,  indicava  che  si  procedesse  alla  ri- 
forma economica  del  patrimonio  tempo- 
rale del  clero  di  terraferma,  e  che  intan- 
to la  s.  Sede  dichiarale  esoneralo  il  go- 


T  O  R  233 

verno  sardo  dalla  prestazione  degli  asse- 
gni, che  deve  al  clero  dell'isola  di  Sarde- 
gna e  di  terrafeima.  E  il  plenipotenziario 
pontificio  dopo  d'aver  fallo  conoscere  al- 
l' incaricato  sardo  lo  stato  in  cui  erano  ri- 
maste le  trattative  quando  parti  l'invia- 
to straordinario,  dichiarò  che  intorno  al- 
la riforma  economica  in  discorso  la  s.  Se- 
de avea  già  provveduto  accettando  la  pro- 
posta delle  due  commissioni  miste,  alle 
quali  doveano  essere  affidate  l'operazioni 
occorrenti  per  conoscere  e  riferire  tanto 
alla  medesima  s.  Scile,  quanto  al  governo 
lo  stato  di  tale  patrimonio.  Ma  nel  tem- 
po che  su  ciò  aspettavasi  adequata  rispo- 
sta, venne  pubblicato  il  progetto  di  legge 
sulla  soppressionedegli  ordini  religiosi,dei 
capitoli,  delle  collegiale,  de'benefizi  sem- 
plici ec.  Finalmente  il  Papa  Pio  IX,  nel 
concistoro  de'26  luglio  1 855,  pronunziò 
al  sagro  collegio  la  seguente  allocuzione, 
Cimi  saepe  in  hoc  cestro  conscssu,  la  qua- 
le si  legge  in  latino  e  in  italiano  ne'n.'  1 75 
e  176  del  Giornale  di  RomaóeìiS55.  Il 
Papa  richiamandoli  lamentato  con  gran- 
de dolore  del  suo  animo  nella  preceden- 
te allocuzione,  per  le  afflizioni  della  ss.  Re- 
ligione cattolica  nel  regno  Sabaudo,  tor- 
nò a  deplorare  le  ferite  acerbissime  fatte 
ad  essa  posteriormente,  a  detrimento  pu- 
re de'diritti  della  s.  Sede,  massime  la  fu- 
nestissima e  ingiustissima  legge  sulla  sop- 
pressione di  quasi  tutte  le  comunità  mo- 
nastiche e  religiose  de'due  sessi,  le  chiese 
collegiate,  non  che  i  benefìci  semplici  e  di 
padronato,  e  le  rendite  e  i  beni  di  essi  sot- 
toposti all'amministrazionee  arbitrio  del- 
la podestà  civile;  e  tultociò  ad  onta  del- 
l'ammonizioni paterne  fatte  a'fautori  di 
tanti  mali,  e  le  ricordate  censure  e  pene 
spirituali  da  incorrersi  subitamente,  edal- 
le giustissime  querele  mosse  dagl'illustri 
vescovi  del  regno.  Ma  il  governo  Sabau- 
do, non  solo  non  porse  orecchio  a  tali  am- 
monizioni e  querele,  e  non  volse  la  men- 
te e  l'animo  a  più  saggi  consigli,  nèesegui 
le  promesse  fitte  a' vescovi  reclamanti,  ma 
ingiurie  sempre  più  gravi  facendo  alla 


?.34  T  O  II 

Chiesa  e  all'autorità  pontificia  e  della  s. 
Sede,  come  ancora  disprezzando  affatto  le 
molle  pontificie  proteste  e  nuovi  avverti- 
menti, non  paventò  d'interamente  appro- 
vare, sancire  e  promulgare  la  ricordata 
legge,  mutata  in  parole  e  in  certa  appa- 
renza, ma  nella  sostanza,  nel  fine  e  nello 
spirito  all'alio  la  stessa.  Dichiarò  quindi  il 
Papa,  essergli  gravissimo  e  molestissimo 
il  dover  declinare  dalla  mansuetudine,  e 
di  assumere  la  parte  della  severità,  di  cui 
il  suo  animo  è  alieno. Però  in  vedendo  che 
a  nulla  giovò  ogni  cura,  longanimità  e  pa- 
zienza da  lui  praticata  per  più  di  6  anni, 
nel  riparacele  rovine  della  Chiesa,  e  che 
ninna  speranza  nutrendo  dagli  autori  dei 
commessi  attentali,  i  quali  anzi  aggiungo- 
no ingiurie  a  ingiurie,  e  fanno  di  tutto  per 
opprimere  e  distruggere  interamente  nel 
regno  Sabaudo  la  chiesa,  e  la  sua  autori- 
tà e  libertà-,  non  che  i  suoi  diritti,  eragli 
forza  usare  contro  di  essi  dell'ecclesiasti- 
ca severità,  per  non  mancare  al  proprio 
dovere,  seguendo  l'esempio  di  tanti  Papi 
suoi  predecessori,  che  insigni  per  santità 
e  dottrina  non  dubitarono  di  punire  i  fi- 
gli della  Chiesa  degeneri  e  contumaci,  e 
gli  ostinati  violatori  e  usurpatori  de'suoi 
diritti,  con  quelle  pene  che  sono  stabilite 
da'sagri  canoni  contro  i  colpevoli  di  simi- 
li reati.  »  Ond'è  che  in  questo  vostro  am- 
plissimo consesso  nuovamente  alziamo 
l'apostolica  Nostra  voce,  e  ancora  ripio- 
viamo, condanniamo  e  dichiariamo  affat- 
to nulla  e  irrita  tanto  l'enunciala  legge, 
quanto  tutti  ed  i  singoli  fatti  e  decreti  dal 
governo  Sabaudo  emanati  a  danno  del- 
la Religione,  della  Chiesa,  dell'autorità  e 
d  «'diritti  Nostri  e  di  questa  s.  Sede;  e  dei 
quali  vi  abbiamo  dolenti  parlato  e  nella 
Nostra  allocuzione  de'22  gennaio  di  que- 
st'anno e  nella  presente.  Oltre  a  ciò  con 
incredibile  tristezza  dell'anima  Nostra  sia- 
mo costretti  a  dichiarare,  che  tutti  quei 
che  nel  regno  Sabaudo  non  temettero  di 
proporre,  approvare  e  sancirei  ricordali 
decreti  e  la  legge  con  Irò  idi  ritti  della  Chie- 
sa e  di  questa  s.  Sede  :  come  ancora  dei 


TOR 

medesimi  i  committenti,  i  fautori,  i  con- 
sultori, gli  aderenti  ed  esecutori,  hanno 
incorso  la  Scomunica  maggiore,  e  le  al- 
tre censure  e  pene  ecclesiastiche  stabilite 
da'sagri  canoni,  dall'apostoliche  costitu- 
zioni e  da'decreti  de'  concilii  generali,  in 
modo  speciale  delTridentino(sess.  22,cap. 
1  1).  Tuttavia,  sebbene  spinti  dall'inevi- 
tabile necessità  di  compiere  il  Nostro  mi- 
nistero, usiamo  severità,  ben  sappiamo  e 
rammentiamo,  che  Noi  quantunque  im- 
meritevoli teniamo  quaggiù  in  terra  le 
veci  di  Colui,  che  nella  sua  collera  ricor- 
da la  misericordia.il  perchè  sollevando  lo 
sguardo  al  Signore  Iddio  nostro  non  tra- 
lasciamo di  umilmente  e  ardentemente 
chiedere,  perchè  si  degni  colla  celeste  sua 
grazia  illuminare  e  trarre  a  più  saggio 
pensamento  i  figliuoli  degeneri  di  sua  s. 
Chiesa,  di  qualunque  ordiue,grado e  con- 
dizione, sì  laici  che  chierici  anche  insigni- 
ti del  sagro  carattere,  de'quali  non  si  pos- 
sono deplorare  abbastanza  i  traviamenti; 
perchè  non  vi  ha  cosa  tanto  grata  al  No- 
stro cuore  ,  tanto  desiderata  e  gioconda, 
quanto  la  resipiscenza  ed  il  pentimento 
de'traviati.Nè  tralasciamo  in  ogni  pregine' 
ra  e  supplica  con  rendimento  di  grazie  di 
pregar  Colui,  ch'è  ricco  in  misericordia, 
che  non  cessi  con  tutti  i  copiosi  doni  di 
sua  grazia  divina  di  aiutare  e  consolare 
tutti  i  venerabili  Nostri  Fratelli,  gli  arci- 
vescovi ed  i  vescovi  del  regno  Sabaudo, 
posti  in  tante  angustie  e  tribolazioni,  per- 
chè essi,  che  tanto  hanno  fatto  a  lode  del 
suo  nome,  continuino  colla  loro  egregia 
episcopale  virtù  ,  costanza  e  prudenza  a 
valorosamente  propugnar  la  causa  della 
Religione  e  della  Chiesa,  e  con  ogni  cura 
vegiiarealla  salvezza  eincolumitàdel  pro- 
prio gregge. Ed  inoltre  umili  e  fervidi  pre- 
ci continuamente  facciamo  al  clcmeutis- 
simo  Iddio  delle  misericordie,  perché  col 
celeste  suo  aiuto  si  degni  confortare  non 
solo  il  fedele  clero  di  quel  regno,  che  per 
la  massima  parte  seguendo  gli  esempi  dei 
suoi  pastori,  egregiamente  compie  il  suo 
dovere;  ma  anche  tanti  rispettabilissimi 


T  O  K 
bici  dello  stesso  regno,  che  assai  ben  a- 
■itnati  da  scotimenti  cattolici,  e  affezio- 
nati di  cuore  a  Noi  e  a  questa  Cattedra 
eli  Pietro,  si  gloriano  assai  di  consagrare 
1'  opera  loro  alla  difesa   de'  diritti   della 
Chiesa".  Un  fatto  gravissimo  fu  -l'arrivo 
in  Torino  <le\Y Allocuzione  pontificia,  e 
del  volume  de'documenli  pubblicati  nel- 
la Esposizione,  intorno  a'  negoziali  del 
governo  Sabaudo  colla  s.  Sa\e,  Subito  due 
nuove  edizioni  si  fecero  dell'importantis- 
simo volume,  l'una  dalla  benemerita  di- 
rezione dt\V  Armonia,  e  l'altra  da  una  ti- 
:  Lia  ministeriale.  Ambedue  ottenne» 
.  o  u  no  spaccio  straordinario.giacchè  è  uni- 
rci sale  il  desiderio  dì  leggere  la  parola  del 
.Nomino  Pontefice.  Nell'infausto  1 855  To- 
rino, il  regno  sardo,  il  Piemonte  precipua- 
mente,!^) famiglia  reale  furono  immersi  nei 
dotare  enei  lutto,  per  la  rapida  e  gravissi- 
ma perdita  di  3  eccelsi  reati   personaggi 
pianti  in  meno  d'un  mese.  L'annoi 85  5 
incominciò  in  Piemonte  con  duedis«ra- 
zie:  la  discussione  cioè  della  deplorata  leg- 
^e  contro  gii  ordini  religiosi  e  la  proprie- 
tà ecclesiastica;  eia  morte  della  regina  M." 
Teresa  vedova  di  re  Carlo  Alberto,  avve- 
nuta a' 12  gennaio,  e  fu  grande  sventura: 
angelo  di  carità  spandeva  quotidianamen- 
te sui  poveri  le  sue  beneficenze;  il  lutto  fu 
universale,  come  universali  furono  le  be- 
nedizioni ;dla  virtuosa  sua  memoria.  Col- 
pita da  vivo  cordoglio  la  puerpera  regi- 
na M.d  Adelaide,  che  tanto  amava  la  suo- 
cera, tostoammalandosijin  breve  si  ridus- 
se in  pericolo  e  cessò  di  vivere  a'20  gen- 
naio: ottima  sposa  e  madre  affettuosa, die 
sul  trono  gli  esempi  delle  più  luminose 
virtù.  Quindi  a' 1  o  febbraio  di  lenta  infer- 
mità scese  nella  tomba  il  duca  di  Genova 
Ferdinando  M.'  di  Savoia,  unico  fratello 
del  re  ebe  regna  :  fu  ottimo  principe,  a- 
mrilo  e  venerato  da  quanti  il  conobbero, 
e  di  patria  speranze;  di  voto  e  riverente  al- 
la  degna  madre,  la  sua  perdita  ne  abbre- 
viò i  giorni.  Questa  sene  di  sciagure  fu 
una  calamità  uazionale,  alla  quale  la  ca- 
pitale e  tutto  il  regno  presero  vivissima 


TOR  ca- 

parle; e  fu  pure  un'ulteriore  solenne  di- 
mostrazione del  paese  tanto  affezionato 
all'augusta  casa  di  Savoia.  Nel  seguente 
estale  eadde  malato  nel  castello  di  Poi- 
lenza  (tra  Bra  e  Alba  lungo  la  riva  destra 
del  Tanaro;  di  forme  semigotiche  fu  re- 
staurato da  Carlo  Alberto)  il  re  Vittorio 
Emanuele  II,  quindi  con  decreto  de'27 
settembre  delegò  il  principe  Eugenio  di 
Savoia-Carignano  a  provvedere  in  suo 
nome,  sulla  relazione  de'ministri  respon» 
sabili.sugli  affari  correnti  e  d'urgenza,  fir- 
mando i  reali  decreti.  Il  1. "decreto  sotto- 
scritto dal  principe  di  Cartellano  fu  quel- 
lo che  ricostituisce  l'ordine  reale  militare 
di  Savoia,  e  porta  la  data  de'28  settem- 
bre. Come  dissi  al  suo  articolo,  quale  or- 
dine equestre,  quest'ordine  fu  creato  da 
Vittorio  Emanuele  I,  come  onorevole  ri- 
compensa alle  segnalate  fazioni  di  guer- 
ra. Però, come  riferì  al  re  il  ministro  Du- 
rando, rimase  illustre,  ma  sterile  testimo- 
nio di  fede  e  bravura,  sia  per  effetto  del- 
la pace,  interrotta  appena  dalla  gloriosa, 
ma  brevissima  spedizione  di  Tripoli;  sia 
per  le  condizioni,  forse  troppo  strette,  im- 
poste al  conseguimento  delle  decorazioni. 
Nell'occasione  della  guerra  d'Oriente,  che 
per  la  difesa  della  Turchia  arde  principal- 
mente in  Crimea,  ed  alla  quale  ha  preso 
parte  il  re  di  Sardegna,  il  ministro  propo- 
se a  Vittorio  Emanuele  II  di  restaurarla 
Consta  di  4  classi: la i/de'gran croce; l'al- 
tra de'commendatori  dii.a  e  2.a  classe;  la 
3."  degli  ulliziali;  la  4-"  de'cavalieri.  Il  re 
ne  è  capo  e  gran  maestro.  Si  forma  la  de- 
corazione d'una  croce  pendente  da  un  na- 
stro azzurro  tramezzato  da  una  lista  ros- 
sa. In  tempo  di  pace  si  concede  dopo  il  pa- 
rere d'un  consiglio;  in  tempo  di  guerra  e 
in  casi  straordinari  subito  dal  re.  Nello 
stesso  1 855,  con  due  reali  magistrali  de- 
creti, l'uno  di  motu-proprio  in  data  de* 
28  novembre,  1'  altro  sentito  il  con->i;ilio 
de'ministri,  in  data  de' 1  4  dicembre,  il  re 
Vittorio  Emanuele  II  determinò  che  l'or- 
dine de'ss.  Maurizio  e  Lazzaro  sia  diviso 
in  5  classi  ,  come  quello  militare  di  Sa- 


236  T  O  R 

voia  :  la  f ."  di  cavalieri  di  gran  croce;  la 
2/ di  commendatoli  dii.''  classe  (corri- 
spondenti al  grado  di  grande  ufficiale  ne- 
gli ordini  stranieri);  la  3/  di  commenda- 
tori di  2/  classe;  la  4-'  di  ufìiciali;  la  5/ 
di  cavalieri.  Il  re  in  pari  tempo  approvò 
le  divise  de' commendatori  dii."  classe  e 
degli  nlliziali,  e  die  alcune  altre  analoghe 
disposizioni.  Con  decreto  de'22  marzo,  la 
s.  congregazione  deli' Indice  proibì  l'ope- 
ra intitolata:  La  Chiesa  e  lo  Stato  in  Pie» 
monte. Sposizionc •storico-evitica  de' rap- 
porti fra.  la.  s.  Sede,  e  la  Corte  di  Sar- 
degna dal\ooo  ah 854?  Per  l'avv.  col- 
legiate Pier  Carlo  Doggio  ec.  Ora  i  vir- 
tuosi e  benemeriti  della  società,  i  fratelli 
delle  Scuole,  Cristiane  comunali  di  To- 
rino, furono  licenziati  dal  municipio,  ad 
onta  delle  singolari  lodi  che  per  la  verità 
e  per  la  loro  innocenza  fu  costretto  loro 
dare,  sebbene  concludesse  che  fossero  lo- 
ro tolte  le  scuole,  il  famoso  JNepomnceno 
Nuylz,  professore  del  regio  Ateneo  di  To- 
rino, le  cui  opere:  Juris  Ecclesiastici  In- 
sii/i/tiones:  hi  Jus  Ecclesiasticum  uni- 
versum Tractalioiies^aii  agosto 1 85 r 
erano  state  condannale  dal  Papa  Pio  IX 
col  breve  ,  Ad  Aposiolicae  Sedis.  Così 
fu  iniziato  l'anno  i856  in  Torino;  così 
ebbe  termine  la  guerra  rotta  agli  utilis- 
simi ed  esemplari  fratelli  delle  scuole  cri- 
stiane dalla  parte  rivoluzionaria  da  tan- 
to tempo,  e  più  di  recente  dal  famige- 
rato Vincenzo  Gioberti,  nel  suo  Gesuita 
moderno,  condannato  dalla  s.  Sede  con 
decreto  de'3o  maggio  1849,  e  Pos^oab 
l' Indice  de'libri  proibiti,  come  le  nomi- 
nate opere  del  Nuytz.  Dipoi  con  decreto 
della  s.  congregazione  del  s.  oflizio,  de'  i4 
gennaio  i852,  fu  ancora  proibito  e  posto 
al  medesimo  Indice:  Opera  omnia  i  in* 
centii  Gioberti  quocunique  idioma  exa- 
rata. Gli  ottimi  fratelli  delle  scuole  cri- 
stiane furono  in  sostanza  accusati  d'es- 
sere troppo  morali!  e  proclivi  a  sosteue- 
releautorità  ecclesiastiche!  Non  parlodel- 
le  altre  calunniose  accuse,  come  trovate 
insussistenti  daìoro stessi  nemici, che  anzi 


T  OR 
dovettero  confessare  nell'esame  sì  di  loro 
condotta, sì  de'loro  allievi, che  tutto  eravi 
d'ammirare  e  nulla  da  criticare;  e  di  es- 
sere il  loro  insegnamento  e  metodi  eccel- 
lenti. Però  si  dice,  che  i  buoni  torinesi  sup- 
plicarono il  governo,  perchè  non  appro- 
vasse il  deliberato  dal  municipio;  e  che, 
quando  fallisse  questa  via,  probabilmente 
avrà  luogo  una  sottoscrizione,  affinchè  i 
fratelli  delle  scuole  cristiane  restino  in  To- 
rino a  spese  de'privati.  Uditami  L'allean- 
za del  regno  di  Sardegna  colla  Francia, 
Inghilterra  e  Sublime  Porta  nella  guerra 
d'Oriente  contro  la  Russia,  ebbe  per  con- 
seguenza che  i  lidi  di  Crimea,  che  ancora 
rituonano  delle  gesta  e  delle  vittorie  de' 
reali  principi  di  Savoia,  e  rammentano  pu- 
re l'intraprendenza  e  splendore  della  ma- 
rina genovese,  hanno  riveduto  i  discen- 
denti de* medesimi.  Nell'aprile  1  855  le  co- 
municazioni telegrafiche  fra  la  Crimea  , 
Londra  e  Parigi  già  erano  stabilite.  Voglia 
Iddio,  chesecondoi  voti  universali,  nel  so- 
lenuecongressocheora  si  celebra  inParigi, 
si  decreti  solida  pace  sulla  questione  d'o- 
rienterei bene  generale  d'Europa,  i  cui  ef- 
fetti risentiranno  Asia  e  Africa.  Il  re  Vit- 
torio Emanuele  11  destinò  suoi  rappre- 
sentanti a  tale  congresso,  il  conte  Camillo 
Benso  daCavour  presidente  del  consiglio 
de' miniairi  e  ministro  delle  finanze,  ed  il 
marchese  Salvatore  Pes  di  Villainarina 
minitiro  residente  a  Parigi.  Del  nunzio  e 
della  nunziatura  di  Torino  parlai  a  Sa- 
voia ducato  e  provincia,  ed  a  Sardegna. 

BEGXo. 

TORNAQUINCI  Pietro,  Cardinale. 
Nobile  di  Firenze  e  secondo  alcuni  vesco- 
vo di  quella  città,  Urbano  Va' 18  settem- 
bre 1  3(i6  lo  creò  cardinale  prete  di  s.Mar-  1 
cello.  Da  parecchi  scrittori  si  muove  que- 
stione sul  suo  cardinalato,  ma  l'iscrizio- 
ne che  leggesi  sulla  di  lui  tomba  nella  cat- 
tedrale d'Avignone,  lo  nomina  espressa- 
mente cardinale  e  morto  nel  1  383.  Si  pre- 
tese trasferito  nella  cattedrale  di  Firenze, 
ma  non  pare.  SNe'regislride'cardinali  non 
trovasi  il  suo  nome,  ed  il  titolo  di  s.  Alar- 


IO  R 
cello  al  suo  tempo  fu  occupato  successi- 
vamente da  3  cardinali,  laonde  resta  dub- 
biosa la  sua  dignità. 

TORNA W.  V.  Tarnoma. 

TORNEO,  Decursio,  Ludicra,  Pu- 
gna, Torneamentum,  Turniamentum. 
Combattimento  militare  solenne  e  ma- 
gnifico, fìnto  o  reale,  denominato  pure 
Toniiamento  e  TorneameiUo.  Il  torneo 
fìnto  è  un  esercizio  cavalleresco,  esegui- 
to con  pompa  in  occasione  di  grandi  fe- 
steggiamenti di  Sposalizi  o  altri  lieti  av- 
venimenti. Il  torneo  leale  nel  Medio  evo 
era  un  combattimento  sìa  di  disfida. die 
per  far  mostra  di  forza,  destrezza  e  va- 
lore, ed  acquistare  onore,  nel  quale  lor- 
ueamenlo  l'uno  feriva  l'altro,  ed  a  morte 
senonsi  cbiamava  vinto. Il  torneo  fu  dello 
aacheGiuoeo(Pr.)  o  giostra  equestre,  seb- 
bene avverte  il  Dizionario  della  lingua 
italiana,  dicesi  propriamente  Giostra, 
l'armeggiar  con  lancia  a  cavallo,  e  hasti- 
ludium  quando  l'uà  Cavaliere  {?•)  cor- 
re contro  l'altro  cnll'asle  bloccate  col  fer- 
ro di  tre  punle,  dove  non  si  cerca  villo- 
ria,  se  uon  dello  scavallare,  e  in  questo  è 
differente  dal  lorneamento,  dove  si  com- 
batte a  fine  di  morie,  il  quale  torneo  fu 
ripetutamente  e  rigorosamente  proibito 
dalla  Chiesa,  ebe  negò  la  sepoltura  eccle- 
siastica a  coloro  ebe  vi  morivano;  per- 
cbè  come  dissi  parlando  del  concilio  di 
Reims,  ci  correa  rischio  la  vila  del  corpo 
e  dell'anima,  come  in  simili  Spettacoli 
(f*.)tv\Q  Duellici  .).  Definisce  il  De  Bue 
il  torneo,  una  lesta  militale  d'allegrezza 
pubblica,  ebe  da  vasi  Dette  occasioni  di  vit- 
toria, di  pace,  di  nozze  e  d'arrivo  di  qual- 
che principe,  ed  a  prova  di  destrezza  e  di 
valore  vi  si  esercitavano  i  cavalieri  com- 
battendo sì  a  cavallo  che  a  piedi.  11  prin- 
cipe ebe  bandiva  e  apriva  il  torneo,  co- 
stumava spedire  un  Re  d'armi  o  araldo, 
cou  salvacondotto  e  una  spaila  a'princi- 
pie-  cavalieri.  Aggiunge  il  De  Bue,  quanto 
ull'etimologia  di  7 o/v/ro.che la  derivano 
alcuni  dal  nostro  tornare, perchè  ne'lor- 
BCJ  fitcef&Oii  scou. bande  e  giri  volle,  tor- 


T  O  R  a37 

nando  sempre  ad  un  punto,  donde  ripi- 
gliavansi  le  mosse, o perchè  il  duellante 
più.  volte  vi  tornava  all' affronto  ringag- 
giando  la  zulfa,  impaziente  di  veder  sleso 
a  terra  il  nemico  e  riportarne  vittoria,  o 
come  alili  vogliono  dal  greco  strumen- 
to, con  cui  girando  si  lavora  alcuna  cosa 
in  tondo.  Di  più.  il  Casanova  osserva,  ebe 
Ira  le  giostre  e  i  tornei  eravi  questa  dif- 
ferenza :  nelle  prime  combattevasi  tesla 
per  lesta;  ne'secondi  schiera  per  isebiera. 
Lo  stesso  Casanova,  il  Meuagio  e  il  Du- 
chat  vogliono  derivato  il  Torneo  da  tour- 
ner.  nella  barbara  latinità  tornare,  tor- 
neameli tian.f  ei  che  quelle  corse  facevan- 
si  tornando  e  ritornando.  La  voce  di  tor- 
neamentum  trovasi  in  questo  significato 
nell'opere  di  s.  Bernardo,  e  loiwnoyemenL 
per  tournoi  o  torneo  in  alcuni  antichi 
scrittori  francesi. ((Muratori, nella  Disser. 
2g.':  Degli  spettacoli  e  giuochi  pub/diri 
de' secoli  di  mezzo,  conviene  che  i  pub- 
blici giuochi,  quelle  fìnte  battaglie,  che 
tornei  o  tornea  menti  e  giostre  tuttavia  si 
chiamano  in  Italia,  trae  origine  la  paro- 
la tornea  mento  da  tournerje  che  Ottone 
di  Frisinga  nomina  i  tornei,  l\roeinium 
quod  vulgo  nunc  Tumiamentum  dici- 
tura ollaire  ne  Saggi  sui  costumi  e  spi- 
rito delle  nazioni,  dice  che  alcuni  pre- 
tendono che  sia  dalla  cillà  di  Tours  che 
i  tornei  trassero  il  nome,  giacché  non  si 
muoveva  in  giro  in  questi  giuochi,  come 
nelle  corse  de'carri  presso  i  greci  e  i  ro- 
mani negli  anfiteatri  (de'quali,  de'gladia- 
lori  ede'giuochi,  come  del  pugilato  o  ar- 
matura delle  mani, riparlai  a  Teatro,  de- 
scrivendo pure  gli  anfiteatri  e  quanto  in 
essi  facevasi):  è  però  assai  più  probabile, 
clie il  vocabolodi  torneo  venisse da\ìa  Spa- 
da  (/  .)  rivoltata,  ensis  tomeaticus.cusi 
nominala  nella  bassa  latinità,,  perchè  era 
una  spada  senza  punta,  uon  essendo  per- 
messo in  que'giuochi  di  colpire  con  altra 
punta  se  non  con  quella  delle  lande.  Le 
armi  che  ordinariamente  usatami  erano 
bastoni  o  canne,  laucie  senza  ferro  o  cou 
ferro  smussalo,  spade  lenza  tagliente, che 


238  TOH  TOH 
ìiomiiiavansi  per  siffatta  ragione  cortesi  questo  giuoco  solamente  si  esercitavano 
o  graziose:  qualche  volta  nondimeno  a*  i  fanciulli,  e  por  anco  i  provetti,  ma  cui 
doperavansi  lande  con  asta  affilala,  seti-  capo  coperto  d'elmo  e  non  scoperto  e  co 
ri  ed  ogni  sorta  d'armi  di  battaglia. Vi  so-  ronato.  In  seguito  tali  giuochi  si  fa  ce  a 
no  molli  musei  e  collezioni  d'armi  anti-  no  a  piedi  e  diceansi  Torncamcìiti,  e  si 
che  di  varie  foggie,  altresì  usate  ne' tur-  eseguirono  in  occasione  di  qualche  lieto 
nei,  ed  alcuni  li  ricordai  a' luoghi  ove  avvenimento,  come  di  vittoria,  di  sposa - 
sono,  o  parlando  delle  armerie,  come  a  litio,  per  l'esaltazione  o  venuta  d'un  pi  in- 
ToiuNOjOve  dissi  dell'armeria  reale,  e  ri-  cipe,  il  che  si  è  praticalo  anche  a'nostri 
cordando  molte  delle  armi  auliche.  Nel-  giorni,come  poi  narreròdegli  odierni  tor- 
1'  870  i  figli  di  Lodovico  I  il  Pio  segna-  nei.  Nel  medio  evo  erano  in  grande  uso 
laronola  loro  riconciliazione  con  una  so-  i  tornei,  particolarmente  in  Italia,  mas- 
lcune  giostra,  the  chiamossi  in  appresso  simea  Milano,  Pavia,  Siena, Modena,  No- 
torneo,  perchè  dice  lo  storico  Nilardo,  ex  vara,  Ravenna, Napoli, ed  a  Venezia,  ove 
utr/taue  parte  alter  in  alterimi  Pelaci  facevansi  giuochi  anche  ginnastici;  i  qua 
eursu  rutbant.  L'origine  de'lornei  è  as-  li  tornei  con  calore  e  fanatismo  cavalle- 
sai  antica,  e  variano  su  ciò  l'opinioni  de-  l'esco  si  celebrarono  a  tulio  il  secolo  XV, 
gli  scrittori.  La  più  ricevuta  ècheaves-  e  nel  seguente  cessarono  nell'universale, 
sero  principio  in  Germania,  da  dove  col-  e  solo  di  quando  in  (piando  si  celebralo 
l'uso  dell'armi  pervennero  in  Italia,  in  no,  ed  anche  in  Roma,  quale  esercizio  ca 
Francia  e  in  Inghilterra.  Pare  che  i  no-  valleresco  spettacoloso  di  piacere.  Ma  sic- 
slri  tornei  somiglino  all'antichissimo  Lu-  oome  negli  antichi  tornei  il  piìi  delle  voi- 
dus  Trojae,  ch'era  una  giostra  o  disfida  te  avveniva,  Che  i  giuocatori  e  colluttau- 
a  cavallo,  in  cui  la  nobile  gioventù  ama-  ti  incaloriti  andavano  incontro  a  funeste 
va  esercitarsi  j  avendovi  anche  parte  in  conseguenze,  anche  della  vita;  ad  evitare 
quel  mezzo,  rappresentanze  di  allaccili  tali  gravi  inconvenienti,  la  vigile  Chiesa 
guerreschi,  d'assedi  o  simili.  Trasporta-  nella  sua  sollecita  maternità  prese  enei- 
to  l'uso  da  Troia  nel  Lazio  da  Enea,  ne  gici  e  sani  provvedimenti,  sentenziando 
fece  Virgilio  la  descrizione  v\t\\' Eneide,  che  coloro  i  quali  restassero  uccisi  in  tali 
11  Verniiglioli,  Lezioni  di  diritto  eano-  concertale  colluttazioni  resterebbero  pri- 
nico,\tz.  1  3,Dc 'loriicanienli,e]\ce  che  nel  vi  della  L^no/fwraecclesiasticajlulla volta 
proprio  senso  è  un  finto  combattimento  nella  suabenignilàlaChiesadisposeanco- 
con  aste  per  esercizio  cavalleresco,  da'  ra,  che  se  i  soccombenti  pentiti  prima  di 
fiancesi  chiamalo  Tonrnoi, che  significa  morire  d'essersi  esposti  a  perdetela  vita, 
girare  jt\\ces\  anche  jTorwo.Riferisce  che  avessero  ricevuti  i  sagramene  dell'Elica- 
aulicamente  tornei  nppcllavansi  i  giuo-  ristia  e  dell'estrema  unzione,cou  dispensa 
chi  equestri,  che  si  facevano  coi  l'armi  o  potevano  seppellirsi  in  chiesa  o  altro  luo* 
colla  colluttazione;  si  eseguirono  tali  giuo-  go  sagro.  Clemente  V  neh3i  1  nel  con- 
cili equestri  da  Ascanio  figlio  d'Enea  tro-  cilio  generale  di  Vienna  solennemente 
iano  e  dagli  albani.  Tali  giuochi  passa-  proibì  di  nuovo  e  con  più  di  rigore  i  tor- 
1*0 no  a'romani  e  da  essi  pervennero  a  noi,  liei  sotto  pena  di  Scomunica  e  Interdct- 
e  si  dissero  giuochi  troiani  (onde  giostra  to  riservato  al  Papa,  pena  che  estese  an- 
in  latino  dicesi  pure  Trojae  ludu.s),esi  co  a'  cooperatori.  Ma  siccome  ciò  seu>- 
celebravano  nel  circo  (egualmente  de'cir-  brava  piuttosto  recar  danno  che  utilità, 
chi  di  Roma  riparlai  a  Teait.o,  insieme  durando  ancora  le  Crociate  contro  gl'in 
allo  spettacolo  Lndus  Trojae,  e  con  quau-  fedeli, perchè  impediti  i  cavalieri  d'istruir 
to  allro  vi  si  faceva),  tanto  da'  puberi  si  con  tali  esercizi  guerreschi, si  asteneva 
maggiori  che  minori.  Presso  i  troiani  a  no  dall'  arrotarsi  Ira' ' Croccsignati  ueilc 


E  0  R 

milizie  cristiane, così  l'immediato  succes- 
sore Gio vanni  XXII  revocò  le  anteceden- 
ti censure,specialmen  le  pel  regno  diFran- 
cia e  alili  stali,  assolvendo  dalle  censure 
quelli  che  leaveano  incorse.  Però  in  ogni 
tempo,  prima  e  dopo  di  Clemente  V,  i 
Papi  e  i  sinodi  si  occuparono  d'impedi- 
re i  tornei,  i  quali  benché  folli  per  giuo- 
co, quasi  sempre  venivano  macchiali  di 
sangue;  ed  inoltre  condannarono  alle  sles- 
se pene  tanto  i  combattenli,quantoi  supe- 
riori che  non  gì'  impedivano  e  non  prui- 
bivano  i  duelli,  gli  spettatori  che  appo- 
sita mente  reca  va  usi  ad  assidervi,  ed  in 
isptcie  i  cooperatori.  Anche  i  principi  se- 
colari fino  da'  primi  secoli  della  Chiesa 
condannarono  o  proscrissero  i  combatti- 
menti de'gladiatori, come  riportai  ne'luo- 
ghi  ricordati,  e  simili  torneamenti,  mas- 
sime gl'imperatori  Costantino  I  e  Ono- 
rio. Il  citato  Muratori  dice  che  quando 
Teodorico  re  de'goti  entiò  in  Roma  die 
al  popolo  un  congiario,  cioè  120,000 
moggia  di  grano,  e  che  gran  cura  si  pre- 
se de'giuochi  circensi,  per  dar  piacere  al 
popolo  assuefallo  a  somiglianti  spettaco- 
li, tuttoché  egli  punto  non  li  approvasse. 
Il  re Tecdorico, affinchè  i  soldati  e  la  gio- 
ventù non  si  avvezzassero  all'ozio,  istilli! 
alcuni  finii  combattimene, co'quali  si  te- 
neva in  esercizio  la  loro  bravura,  e  si  da- 
va al  popolo  un  gustoso  spettacolo.  Al- 
lettatilo ti  puòcongellurare,  che  un  pa- 
ri studio  non  mancasse  a'  longobardi  o 
fianchi,  allorché  poi  regnarono  in  Ita- 
lia ;  non  semplici  giuochi,  ma  finte  bat- 
taglie; e  in  falli  souo  note  le  pugne,  le 
zulfe  e  le  battagliole  in  cui  si  esercitaro- 
no posteriormenle  gì'  italiani ,  per  ren- 
dersi più  utili  ed  esperti  nelle  vere,  co- 
me i  pavesi,  i  ravennati  tra'  quali  spes- 
so divennero  spettacoli  funesti  e  crudeli 
fuori  delle  porte  della  città  nelle  feste.  Ri- 
provò anche  s.  Agostino  le  micidiali  pugne 
che  in  Africa  si  facevano  co'sassi.  Nondi- 
meno e  ad  onta  di  si  saggie  leggi,  sotto 
altri  aspetti  e  nomi  conlinuarousi  diver- 
si crudeli  giuochi  e  pugne,  per  cui  Papa 


T  O  U  »3g 

Innocenzo  II  nel  1  1 3  1  e  nel  1  i3g  con- 
dannò i  tornei  ne'concilii  di  Reiins  e  di 
La terano  II  generale,e con  essi  tutti  quan- 
ti i  giuochi  che  si  facevano  per  ostenta' 
zione  di  valore  e  di  forza  ;  proibizioni  e 
pene  che  venendo  trascurale,  richiama- 
rono ad  esalta  osservanza  Eugenio  HI  nel 
concilio  di  Reiuis  nel  1  148,  e  Alessandro 
III  nel  couedio  generale  di  Latermio  III 
nel  11 79.  In  queste  proibizioni  non  ù 
compresero  i  giuochi  e  corse  di  Cavalli, 
la  Caccia  e  altri  che  non  sono  vietati, 
meno  che  ne'giorni  festivi  o  a'chierici.  I 
giuochi  de'cavalli  non  sono  vietati  né  a' 
laici,  né  a'chierici,  purché  non  vi  sia  pe- 
ricolo di  ferite,  di  morte  o  d'infamia  per 
la  torpedine  de'ginocatori,  come  dichia- 
rò i!  concilio  in  Trullo;  e  sebbene  non 
vietali,  però  non  ponno  farsi  ne'  luoghi 
sagri  e  religiosi,  come  stabilì  Celestino  III 
nelf  epist.  ad  Episcopos  Aiigliac.  Era 
inoltre  vietato  da'sagri  canoni  e  dalle  pon- 
tificie costituzioni  i  giuochi  delle  uau- 
machie(dellequali  tomaia  pailareaTeR- 
me  e  Tevere),  delle  bestie  e  de'gladia- 
tori, perchè  in  questi  si  spargeva  il  san- 
gue, si  annegavano  gli  uomini,  e  il  più 
delle  volte  alcuni  morivano;  ed  eziandio 
proibirono  que'giuochi  descritti  da  Giu- 
stiniano I:  in  pure  proibita  la  caccia  del 
bove,  divieto  rinnovalo  da  s.  Pio  V  nel 
1  H>-,  da  Gregorio  XIII  nel  1  37 5,  da  Si- 
sto V  nel  1 585  ,  da  Clemente  Vili  nel 
1  jc)  j.  Ancheil  Muratori  riporta  i  divieti 
della  Chiesa  eia  proibizione  di  tutti  i  tor- 
nei, da 'quali  polea  provenire  la  morte  de- 
gli uomini,  e  indarno  i  sagri  canoni  si  op- 
posero a  lai  costume, che  essendosi  pro- 
fondamente radicato  non  si  potè  sradica- 
re del  tutto.  Poiché  egli  dice,  quello  che 
facevano  una  volta  i  soldati  romani  in 
tempo  di  pace,  fu  un  abbozzo  de'giuo- 
chi militari  continuali  a  tempo  di  Teo- 
dorico e  ne'successivi;  i  quali  si  faceva- 
no da  schiere  di  cavalieri  armali,  che  for- 
mavano vari  giri  co'loro  cavalli,  e  si  fe- 
rivano con  lancie  e  spade  spuntate  e  ot- 
tuse.  Tuttavia  anco  con  armi  aguzze,  e 


24o  T  O  R 

a  guisa  in  certa  maniera  ili  nemici,  si  fe- 
cero tali  giuochi,  cosicché  non  finivano 
quasi  mai  senza  I'  intreccio  della  morte 
ili  qualche  nobile,  giacché  solamente  ila' 
nohili  si  facevano. L'opera  importante  ili 
ile  la  Gueriuière  e  intitolata,  Il  perfetto 
cavaliere,  Milano  1825,  tratta  nel  cap. 
22:  De  tornei,  delle  giostre,  de 'carosel- 
lij  Corse  delle  Teste  e  degli  /Incili.  Per 
le  debite  distinzioni,  vado  a  riportarne 
uneslralto;perònon  intendo  che  riporta- 
re le  opinioni  del  dotto  autore,  per  quelle 
divergenti  rimettendomi  agli  articoli  ove 
ne  scrissi.  In  tutti  i  tempi  vi  sono  stati 
degli  esercizi  per  rendere  gli  uomini  for- 
ti e  agili,  e  per  maulenere  in  essi  l'incli- 
nazione guerriera.  1  romani  ne  aveano 
di  più  specie,  come  la  corsa,  la  lotta,  i 
combattimenti  d'uomo  contr'uomo  con 
differenti  armi  ;  quelli  degli  uomini  col- 
le belve,  e  le  corse  de'  cavalli  nel  circo. 
Mediante  la  corsa  eglino  acquistavano  la 
velocilà.  La  lotta  accresceva  la  loro  for- 
za. 1  combattimenti  d'uomo  conlr'  uomo 
insegnavano  a  maneggiar  con  destrezza 
le  armi.  Ne'combattimenti  tra  uomini  e 
belve,  oltre  la  forza  richiedevasi  grande 
previdenza, onde  attaccar  gli  animali  nel- 
la parte  più.  debole.  Per  tal  «nodosi  av- 
vezzavano a  non  paventar  alcun  perico- 
lo, ma  la  barbarie  di  tali  esercizi  indus- 
se Costantino  I  ad  abolirli.  A'giuochi  del 
circo  s'imparava  a  guidar  carri  tirali  da 
2,  da  4j  da  6  e  anche  da 8  cavalli  di  fron- 
te, in  maniera  però  che  potessero  volta- 
le attorno  all'estremità  senza  urlarsi,  e 
sempre  colla  slessa  rapidità.  Alle  corse  in 
seguito  si  aggiunsero  delle  azioni  milita- 
ri, e  questi  esercizi  veneudo  considerati 
come  una  scuola  di  guerra,  formarono 
l'occupazione  de'priucipi  e  della  nobiltà 
che  bramavano  rendersi  destri;  cosi  eb- 
bero principio  i  tornei,  le  giostre,  i  ca- 
roselli, le  corse  delle  teste  e  dell'anello. 
1  tornei  secondo  alcuni  autori  (ciò  che  al- 
tri anticipano  come  dirò)  inventali  da 
Manuele  Comneno  del  1  1 4-3  (come  no- 
tai, già  erano  siali  vietati,  anzi  rimarcai 


TOR 
nel  voi.  LXVI,  p.  67,  che  l'imperatore 
Enrico  I  V Uccellatore  li  avea  istituiti  a 
Gottinga  nelc)34,echeGolhedo  dePreuil- 
fì  gl'introdusse  in  Francia  circa  il  1  o36  : 
qui  però  aggiungo,  che  lo  storico  Nitar- 
do  parla  de'giuochi  d'armi  eseguili  ver- 
so l'842  per  piacevole  iulcrienimento  di 
Carlo  il  Calvo  e  di  Luigi  il  Germanico. 
L'impero  greco  non  adollò  che  in  epoca 
assai  larda  l'uso  de'  tornei,  poiché  tutti 
i  costumi  dell'occidente  erano  disprezza- 
ti da'greci;  essi  sdegnavano  le  insegue  e 
la  scienza  araldica  che  sembrava  loro  ri- 
dicola. Alcuni  credono  che  soltanto  nel 
i326  certi  giovani  savoiardi  dierono  a 
Costantinopoli  lo  spettacolo  d'un  torneo 
in  occasione  del  matrimonio  del  giovane 
imperatore  Andronico  111  con  una  prin- 
cipessa di  Savoia,  di  che  poi  dirò  altre 
parole),  imperatore  di  Costantinopoli,  da 
principio  non  erano  che  semplici  corse  di 
cavalli,  mescolandosi  gli  uni  cogli  altri, 
voltando  e  rivoltando  da' differenti  lati, 
e  da  ciò  ebbero  il  nome  di  Tornei.  Vi 
s'introdussero  in  seguito  alcuni  bastoni 
che  lanciavano  gli  uni  agli  altri,  copren- 
dosi co'loro  scudi.  Questo  giuoco  era  a 
un  dipresso  quello  di  Troia  passato  quìa* 
di  alla  gioventù  romana.  I  turchi,  i  per- 
siani e  alcune  altre  nazioni  orientali  lo 
praticano  ancora.  I  mori  furono  destris- 
simi  ne'tornei.  Eglino  introdussero  le  ci- 
fre, le  figure  dell'  impresa,  le  livree,  di 
cui  adornarono  i  loro  combattenti,  e  le 
gualdrappe  de'loro  cavalli.  Eglino  vi  fe- 
cero pure  un'infinità  di  misteriose  appli- 
cazioni di  colori,  assegnando  il  nero  al- 
la tristezza,  il  verde  alla  speranza,  il  bian- 
co alla  purità,  il  rosso  alla  crudeltà;  ed 
in  questo  modo  indicavano  i  loro  pensie- 
ri e  i  loro  divisamente  E  siccome  genti- 
lissimi, alla  fine  de'loro  tornei  divertiva- 
no col  ballo  (del  quale  riparlai  a  Teatro) 
le  dame  destinate  a  premiare  i  cavalie- 
ri. Le  altre  nazioni  vi  fecero  dell'aggiun- 
te. 1  goti  e  gli  alemanni  posero  sopra  i 
loro  elmi  de'dragoni  alati,delle  arpie, del- 
le lesle  di  leone  e  altre  cose  simili  per  di- 


TOR 
venire  vieppiù  fieri  e  terribili;  e  successi- 
vamente de' pennacchi,  de'mazzi  di  piu- 
me sopra  alle  berrette,  doude  nomaron- 
si  cimieri,  che  in  oggi  solo  si  usano  negli 
Stemmi  (/*.)  gentilizi.  Noterò  che  Romo- 
lo  die  alla  milizia  romana  per  insegna  un 
manipolo  o  fascio  d'erba  o  di  fieno  collo- 
cato sopra  un'asta.  Col  crescere  della  po- 
tenza romana  furono  adottate  per  insegne 
le  aquile,  il  drago,  il  minotauro,  il  caval- 
lo e  altri  animali.  Altra  insegna  fu  la  ma- 
no aperta  e  alzata,  simbolo  o  immagine 
della  giustizia;  ovvero  per  significato  di 
unità  figurata  da  quella  delle  dita,  indi- 
spensabile alla  milizia.  Anzi  alcuni  nar- 
rano che  arringando  i  duci  l'esercito,  i  sol- 
dati in  segno  di  convenire  alle  sue  parole 
alzavano  la  destra;  per  cui  non  manca  chi 
crede,  che  l'odierno  saluto  militare  de'sol- 
dati  co'  loro  superiori ,  alzando  la  mano 
destra  al  lato  destro  del  capo,  e  tutta  a- 
perta  con  dita  unite,  rammenti  l'antica 
usanza,  non  meno  che  l'unità  e  l'ubbidien- 
za. Altre  romane  insegne  furono  le  coro- 
ne d'alloro;le  tavolette, anche  clipeate,  con 
medaglioni  esprimenti  alcun  nume  o  l'im- 
magine degl'imperatori;  e  quelle  altre  che 
descrissi  a'Iuoghi  loro,  e  che  dierono  ori- 
gine alla  Bandiera  ,  allo  Stendardo,  al 
Ilo  (F.),  ed  eziandio  alle  insegne 
cavalleresche  usate  ne'  tornei,  i  combat- 
tenti ornando  i  loro  elmi  colle  figure  di 
animali  spaventevoli  ,  per  dimostrare  la 
loro  fierezza  ,  ed  imporre  a'  nemici  nei 
torneamene.  I  francesi  indossavano  in 
essi  la  cotta  d*  armi,  arnese  portato  dai 
gran  signori  e  da' cavalieri  sopra  la  lo- 
ro corazza.  Nell'origine  gli  stemmi  al- 
tro non  indicavano  che  gli  scudi  e  l'inse- 
gne di  distinzione  introdotte  da'eavalieri 
francesi  e  alemanni  ne'loro  tornei  e  nel- 
le loro  feste  a  cavallo.  Essi  passarono  poi 
nelle  famiglie  come  un  segno  di  uobiltà 
ed  onore.  Eurico  1  l' l  eccitatore  impera- 
tore, introdusse  in  Germania  nel  secolo 
X  l'uso  de'tornei  per  esercitare  e  destare 
l'emulazione  nella  uobiltà. Questi  esercizi, 
continuali  sino  al  fiue  del  secolo  XV;  cad- 

voi.  LXXVII. 


TOR  241 

dero  poi  ad  essa  in  disprezzo,che  in  genera- 
le preferì  la  mollezza  a  ogni  altra  nobile  oc- 
cupazione, e  furono  tolti  di  mezzo.  Le  gio- 
stre erano  corse  nello  steccato,  accompa- 
"natedaassalti  edacombattimenti  di  lau- 

o 

ce,  e  così  noma  vausi  perchè  si  combatte- 
va da  vicino.  Questa  parola  è  tratta  dal 
latino  jiLXta  pugnare.  Due  cavalieri  ar- 
mati di  tutto  punto  partivano  di  carriera 
l'un  contro  l'altro  lungo  uno  steccato  che 
li  racchiudeva,  e  riscontrandosi  nel  mez- 
zo di  esso  investivansi  colle  loro  lance  sì 
fortemente,  che  alcuni  venivano  scaval- 
lati e  sovente  gettati  al  suolo,  ed  altri  at- 
terrati col  loro  cavallo.  L'uso  delle  gio- 
stre e  de'  combattimenti  nello  steccato 
principiò  in  Francia  molto  prima  di  quel- 
lo dei  caroselli.  I  principi,  i  signori  e  i 
gentiluomini  visi  presentavano  senza  ri- 
guardo al  loro  grado  ;  ma  essendo  di- 
poi tali  combattimenti  riusciti  funesti  ad 
Enrico  II  re  di  Francia  (pel  narrato 
nel  voi.  XXVI I,  p.  1 4>  poiché  a  vendo  per- 
duto un  occhio  per  un  colpo  di  lancia, 
morì  della  ferita  a'  :o  luglio  1009),  se 
ne  abolì  l'uso,  ritenendo  quello  dei  ca- 
roselli, ove  le  corse  delle  teste  e  dell'  a- 
nello  fanno  scorgere  seuza  verun  perico- 
lo la  scienza  e  la  destrezza  del  cavaliere. 
Il  carosello  è  una  festa  militare  o  un'im- 
magine viva  di  combattimento,  eseguito 
da  una  moltitudine  di  cavalieri  divisi  in 
più  quadriglie  destiuate  a  far  delle  corse, 
dopo  di  che  souo  premiati  i  vincitori.  Que- 
sto spettacolo  dev'essere  abbellito  da  car- 
ri, da  macchine,  da  decorazioni,  da  divi- 
se, da  recitativi,  da  coucerti  e  da  balli  di 
cavalli,  la  cui  varietà  forma  un  magnifi- 
co colpo  d'occhio.  Come  tali  feste  sono  de- 
stinate all'istruzione  de'  principi  e  delle 
persone  illustri  per  le  quali  si  fauno,  o  ad 
onorare  il  loro  merito,  il  soggetto  dev'es- 
sere iugegnoso,  militare  e  convenevole  ai 
tempi,  a'Iuoghi  e  alle  persone.  In  un  vero 
carosellopiù.  cose  voglionsi  considerare.  1 .° 
11  maestro  di  campo  e  i  suoi  aiutanti.  i.° 
1  cavalieri  che  compongono  ciascuna  qua- 
driglia. 3.°  I  loro  cartelli  di  disfida,  i  no- 
16 


i^i  TOR 

lui,  gli  abiti,  le  divise,  le  armi,  le  macchi- 
ne, i  loro  poggi,  gli  schiavi,  i  fanti, gli  staf- 
fieri, i  cavalli,  gli  ornamenti.  4-  Le  per- 
sone addette  a' recitativi  edalle  macchi- 
ne, ed  i  musici.  5.°  Le  varie  corse  esegui- 
te da'cavalieri  e  pe'quali  dannosi  i  premi. 
II  maestro  di  campo  conduce  tutta  la  pom- 
pa, regola  la  marcia,  fa  sfilare  le  quadri- 
glie e  i  loro  equipaggi,  introduce  nell'ai'- 
ringo  e  Degli  steccati, colloca  a'posti  loro 
i  cavalieri,  e  finalmente  indica  il  luogo  del- 
le macchine.  Gli  aiutanti  di  campo  servo- 
no il  loro  maestro  in  queste  funzioni ,  e 
non  agiscono  che  dietro  i  suoi  ordini,  por- 
tando com'egli  de'bastoni  di  comando.  11 
numero  delle  quadriglie  per  un  vero  ca- 
rosello è  4>  ed,d  maggiore  12.  Esse  devo- 
no essere  tulle  di  numero  pari  ,  onde  le 
parti  riescano  eguali  fra  loro  per  combat- 
tere e  per  fare  le  doppie  corse.  Il  nume- 
ro de'cavalieri  di  cui  è  composta  ogni  qua- 
driglia, ordinariamente  è  4>  qualche  vol- 
ta 6,  8, io  oi  2,  non  compreso  però  il  ca- 
po, ch'è  la  persona  più.  ragguardevole,  a 
meno  che  i  cavalieri  non  sieno  di  condi- 
zione eguale,  imperocché  allora  cavasi  a 
sorte  chi  deve  aver  il  comando  per  ischi- 
vare  le  contese.  Ne'celebri  caroselli  per  lo 
più  ne  sono  capi  i  principi.  Havvi  due  sor- 
te di  quadriglie;  quelle  detenenti  e  quel- 
le degli  assalitori:  la  quadriglia  de'primi 
è  la  più  considerabile.  I  tenenti  sono  quel- 
li che  aprono  il  carosello  e  fanno  le  pri- 
medisfìde  mediante  cartelli  pubblicati  dai 
campioni  araldi.  Diconsi  tenenti  perchè 
avanzano  certe  proposizioni  impegnan- 
dosi di  sostenerle  colle  armi  alla  mano 
contro  chiunque  opponente:  eglino  com- 
pongono le  prime  quadriglie.  Gli  assalito- 
ri so'no  quelli  che  offronsi  a  sostenere  il 
contrario  colleloro  rispostealle  disfide  ed 
a'cartellide'tenenli  :  essi  compongono  le 
avversarie  quadriglie.  Il  cartello  di  disfi- 
da si  la  a  nome  del  capo  della  quadriglia, 
ed  a  questa  egli  dà  le  sue  li  vree.l  cartelli  or- 
dinariamente contengono  5  cose.  Il  nome 
e  l'indirizzo  di  quelli  che  li  tenenti  man- 
dano a  sfidare.  Il  motiva  che  hanno  i  le- 


T  O  R 

nenti  di  combattere  contro  quelli  che  pro- 
vocano. Alcune  altre  proposizioni  ch'egli- 
no colle  armi  vogliono  sostenere  contro 
tutti  quelli  che  vi  si  opporranno.  Il  luo- 
goe  la  maniera  del  combattimento.il  no- 
me de'tenenti  che  mandano  la  disfida  o 
il  cartello;  i  quali  nomi  sono  cavali  o  dal- 
la storia  o  dalla  favola.  Questi  cartelli  poti- 
no essere  in  prosa  o  in  versi;  e  come  le 
cause  di  tali  provocamene  sono  la  brama 
d'acquistar  gloria  e  di  farsi  conoscere,  so- 
glionsi  estendere  con  qualche  millanteria. 
I  principi  sono  eccettuali  dalle  disfide  e 
da'carlelli  che  dannosi  agli  altri.  Siccome 
i  soggetti  de'caroselli  sono  storici,  favolo- 
si ed  emblematici,  i  tenenti  e  gli  assalitori 
ordinariamente  vi  assumono  de'n  orni  con- 
forme al  soggetto  da  loro  rappresentato: 
quelli  per  esempio  che  fingono  qualche 
illustre  romano  prendono  il  nome  di  Giu- 
lio Cesare,  d'Augusto  ec.  Scelgonsi  anche 
nomi  di  romanzi,  cornei  cavalieri  del  gi- 
glio, del  sole,  della  rosa  ec.  Qualche  volta 
sono  di  pura  invenzione  comeFiorimondo, 
Lisandro  ec.  I  nomi  devono  rispondere  al- 
le divise  de'cavalieri,  e  la  quadriglia  de-, 
ve  pure  così  appellarsi.  Gli  abiti,  le  livree, 
le  armi,  le  macchine,  gli  schiavi,  i  cartel- 
li devono  essere  uniformi.  I  paggi  ordina- 
riamente sono  a  cavallo,  e  portano  le  lan- 
ce e  le  divise.  I  fanti  e  gli  staffieri  condu- 
cono i  cavalli  a  mano  e  tengonsi  vicini  al- 
le macchine.  Sono  essi  mascherati  da  tur- 
chi, da  mori,  da  schiavi,  da  selvaggi,  da 
armeni,  da  scimmie,  da  orsi,  secondo  il 
soggetto  e  la  volontà  del  capo  della  qua- 
driglia. I  recitativi,  la  musica  e  la  mag- 
gior parte  delle  macchine  destinate  alla 
pompa  del  carosello,  sono  invenzioni  de- 
gl'italiani,! quali  in  tutte  le  cose  hanno  ri- 
cercato il  fine  dell'applicazione,  e  sempre 
riportarono  la  palma  in  questo  genere.  I 
musici  vi  eseguiscono  concerti  di  voce  e  di 
strumenti,  e  l'armonia  propria  di  queste 
feste  è  di  due  sorte,  militare  1'  una,  cioè 
fiera  e  guerriera;  dolce  e  piacevole  l'al- 
tra. Lai. "è  alla  testa  di  ciascuna  quadri- 
glia per  animare  i  cavalieri,  per  aunnn- 


TOU 
dar  la  venuta  o  l'entrata  loro  nella  car- 
riera clie  tlicesi  comparsa,  e  le  loro  corse; 
l'altra  nonserveche  aYecitativi,  alle  mac- 
chine e  alla  pompa.  Per  l'armonia  guer- 
riera impieganti  trombe,  tamburi, timbai- 
li,  chiarine  e  pifferi.  Per  quella  che  ac- 
compagna i  carri  e  le  macchine  si  ha  ri- 
corso a' violini,  flauti,  cornamuse,  chiari- 
ne ec.  Al  suono  di  tutti  questi  strumenti 
si  tonno  anche  delle  danze  e  de'  balli  di 
cavalli,  il  che  dicesi  fare  la  fola,  termine  di 
carosello  di  cui  poi  dirò.  Tultociò  che  si  è 
detto  fin  qui  non  riguarda  che  la  pompa 
e  l'apparecchio  d'un  carosello,  ma  la  cosa 
principale  consiste  nelle  corse  per  le  qua- 
li si  danno  i  premi,  e  dove  un  cavalie- 
re mostra  la  sua  destrezza  in  tali  esercizi. 
Le  più  considerabili  corse  de' tempi  pas- 
sati consistevano  nel  rompere  delle  lance 
nello  steccato  gli  uni  contro  gli  altri,  nel 
rompere  contro  la  quintina,  nel  combat- 
tere a  cavallo  colla  spada  alla  mano,  nel 
cogliere  le  teste  e  l'anello,  e  uel  far  la  fo- 
la,cioè  quando  tutti  i  giostranti  in  un  tem- 
po si  affrontano, e  quando  dietro  al  moro 
o  saraceno  l'uno  corre  dietro  all'altro  sen- 
z'alcun  ordine.  Parlando  delle  giostre  dis- 
si in  qual  maniera  rompevansi  le  lance 
nello  steccato;  ma  dopo  l'invenzione  del- 
l'armi da  fuoco,  che  fecero  abbandonar 
l'uso  quasi  d'ogni  altra  nell'armate, si  co- 
minciò a  lasciare  questo  pericolosissimo 
esercizio.  Rompevansi  pure  delle  lance 
controia  quintina:  è  questa  una  corsa  an- 
tichissima, di  cui  fu  inventore  certo  Quin- 
to, destinando  un  tronco  d'albero  o  una 
colonna  per  rompervi  contro  la  lancia,on- 
de  accostumarsi  ad  investire  il  nemico  con 
colpi  misurali.  Tale  corsa  poi  si  nominò 
pure  il  facchino,  e  in  allora  correva*'!  con- 
tro uno  di  tal  professione  armato  di  tutto 
punto;  ma  il  più  delle  volte  vi  si  suppli- 
va con  una  figura  di  legno  in  forma  d'uo- 
mo, piantata  sopra  un  perno  affinchè  fos- 
se mobile.  Questa  figura  avea  la  partico- 
larità d'essere  fatta  in  modo  da  rimane- 
re ferma  quando  colpitasi  nella  fronte,  fra 
gli  occhi  e  sul  naso  (erano  questi  i  colpi 


TOIi  243 

migliori);  e  quando  offende  vasi  alti 
girava  s'i  veloce,  che  v!  cavaliere,  se  non 
era  assai  destro  per  iscansarla,  ne  ripoi  - 
tava  un  forte  colpo  della  mano  armati 
d'una  sciabola  di  legno,  sulla  schiena.  Nel 
combattimento  colla  spada  alla  mano,  i 
cavalieri  disponevausi  nell'arringo  tra  lo 
sleccato  e  il  palco  de'  principi ,  4°  passi 
lontano  l'uno  dall'altro,  ed  ivi  armati  di 
tutto  punto  e  colla  spada  alla  mano  at- 
tendevano il  suono  delie  trombe  per  par- 
tire; abbassando  in  seguito  la  mano  del 
la  briglia  e  alzando  il  bi  accio  della  spada 
andavano  con  violenza  l'uno  contro  l'al- 
tro, ed  in  passando  davansi  un  colpo  di 
fendente  sopra  la  faccia,  piegando  un  po- 
co dal  lato  sinistro;  e  nel  luogo  medesimo 
onderà  partilo  l'avversario,  facevasi  una 
mezza  voltata  e  riparti  vasi  nella  slessa  gui- 
sa per  3  volte.  Dopo  il  3.°as>altoinvecedi 
passar  oltre  per  andare  a  riprendere  un' 
altra  mezza  voltata,  piegatasi  dall'una 
all'altra  banda  soprale  voltale  di  una  pe- 
sta rioi petto  l'un  l'altro,  dandosi  di  con- 
tinuo de' colpi  di  taglio  con  un'azione 
pronta,  e  si  proseguiva  così  sino  alla  3." 
voltata;  ritornavano  poscia  d'onde  erano 
partiti,  facendo  sembiante  di  andare  a  ri- 
prendere un'altra  mezza  v  oliata,  ma  nello 
stesso  istante  due  uuovi  cavalieri  reca  va  n- 
si  al  posto  medesimo  e  ripetevano  il  già 
fatto.  Il  coulestabile  di  Moutmorency  si 
rese  celeberrimo  iu  quest'esercizio,  e  dice 
la  Guerinière  che  sarebbe  desiderabile  di 
usarsi  ancora,  essendo  un  vero  maneggio 
di  guerra,  da  cui  potrebbesi  apprendere 
il  modo  di  servirsi  della  spada  e  della  pi- 
stola; tanto  più  che  desso  non  è  affatto  pe- 
ricoloso, potendo  darsi  al  di  sopra  della  te- 
sta, per  opposizione,  tanto  i  colpi  di  spa- 
da come  que'di  pistola,  sparandola  colla 
bocca  della  canna  in  alto.  Di  tutte  le  cor- 
se in  uso  anticamente  ne'toruei  e  ne'ca- 
roselli,  nelle  moderne  accademie  o<«cuo- 
ledi  cavalleria  non  rimangono  che  lecor- 
se  della  testa  e  dell'anello,  e  della  fola, 
che  può  leggersi  nell'cncomiata  opera.  Gli 
alemanni  usarono  l' esercizio  della  corsa 


244  T  °  R 

delle  teste  prima  de'francesi:  le  guerre  da 
loro  sostenute  contro  i  turchi  vi  dierono 
occasione,  esercitandosi  in  allora  a  colpi- 
re delle  figure  con  teste  di  turchi  o  di 
mori,contro  cui  gettavano  il  dardo  e  spa- 
ravano la  pistola,  altre  ne  infilzavano 
colla  punta  della  spada.  Nella  corsa  delle 
teste  adoprasi  la  lancia,  il  dardo,  la  spa- 
da e  la  pistola.  La  corsa  poi  dell'anello, 
pendente  dalla  cima  d'un  hastone,  non  si 
usava  presso  gli  antichi,  e  fu  introdotta 
quando  per  cortesia  e  compiacenza  si  pre- 
posero le  dame  al  giudizio  di  tali  cimenti, 
ed  allora  alle  finte  teste  di  cartone  si  so- 
stituirono gli  anelli, che  faceva  d'uopo  di 
portar  via  colla  punta  della  lancia  per  ot- 
tenere il  premio.  I  premi,  tanto  per  le  te- 
ste come  per  l'anello,  non  riportansi  che 
dopo  3  corse.  Dicesi  fare  la  fola,  in  termi- 
ne di  carosello,  quando  più  cavalieri  fan- 
no a  un  tratto  eseguire  a  un  certo  numero 
di  cavalli  differenti  figure.  Questo  maneg- 
gio è  una  specie  di  ballo  di  cavalli  accom- 
pagnalo dal  suono  di  molti  strumenti;  es- 
so venne  immaginato  dagl'italiani,  i  qua- 
li abbellirono  i  loro  caroselli  con  una  in- 
finità di  galanti  invenzioni,  rendendo  tale 
spettacolo  non  meno  sorprendente  che  di- 
lettevole. Per  eseguire  questo  maneggio 
occorrono  cavalli  ben  ammaestrati,  ed  a- 
gili  non  meno  che  mollo  abili  e  destri  ca- 
valieri, a  motivo  della  difficoltà  nel  con- 
servare la  giusta  proporzione  del  terreno, 
e  nel  mantenere  il  cavallo  in  egual  por- 
tamento e  cadenza.  I  narrali  e  altri  eser- 
cizi di  cavalleria,  furono  istituiti  per  dare 
un'idea  piacevole  e  istruttiva  della  guer- 
ra, e  per  mantenere  l'emulazione  nella 
nobiltà.  Essi  erano  assai  in  uso  iu  Italia 
verso  la  fine  del  secolo  XVI.  Roma  e  Na- 
poli vantavano  le  più  celebri  accademie, 
dove  si  recavano  a  perfezionarsi  le  altre 
nazioni;  e  nella  pratica  di  tali  cose,  che  for- 
mavano allora  i  divertimenti  de'principi 
e  della  nobiltà,  procurava  ognuno  di  di- 
stinguersi onde  poter  servire  il  suo  prin- 
cipe con  onore,  ed  acquistare  virtù  e  ta- 
lenti inseparabili  da  tulli  quelli  che  pro- 


TOR 
fessano  le  armi.  Al  sunnominato  de  Preul- 
lì  si  attribuisce  la  compilazione  delle  leggi 
da  osservarsi  ne'tornei,  e  fors'anche  egli 
immaginò  negli  eserzizi  e  nelle  evoluzio- 
ni di  essi  alcune  novità  che  vi  aggiunse- 
ro perfezionamento,  il  che  contribuì  pres- 
soalcuno  a  farlo  riguardare  quasi  l'inven- 
tore di  questi  giuochi  militari.  Andrea  Fa- 
vi n  ci  diede:  //  Teatro  d'onore  e  di  ca- 
valleria, la  storia  cioè  degli  ordini  mi- 
litari, quella  delle  armi  e  blasonile  gio- 
stre e  tornei)  Parigi  1620.  Vincenzo  Au- 
ria,  La  Giostra  discorso  istorico,  Paler- 
mo 1690.  Giulio  Ferrano,  Storia  ed  a- 
nalisi  degli  antichi  romanzi  di  cavalle- 
ria, e.  de'' poemi  romanzeschi  d' Italia,con, 
dissertazione  sull'origine,  sugli  istitutiJ 
sulle  ceremonie  de  cavalieri,  sulle  corti 
d'amore,  sui  tornei,  sulle  giostre  e  ar- 
mature de  paladini ,sulV invenzione  e  sul- 
l'uso degli  stemmi,  con  figure  tratte  dai 
monumenti  d'arte. 

Il  medio  evo  fu  un  periodo  e  un'età  d'e- 
roismo, di  battaglie  e  di  cavalleria;  per- 
ciò le  città  usavano  con  giuochi  e  feste, 
che  si  celebravano  varie  volte  all'anno, 
educare  i  cittadini  allo  studio  delle  armi, 
massime  colle  giostre  e  co'tornei,  imma- 
gini di  combattimenti.  A  Milano,  nel  Bro- 
glio e  a  s.  Maria  del  Circolo,  gli  uomini 
e  i  giovanetti  convenivano  a  fare  varie- 
sercizi  di  lotta;  a  Pavia  tutte  le  feste  si  di- 
videvano i  giovani  in  due  schiere,secondo 
le  varie  porte  che  abitavano,  e  venivano 
ad  una  fìnta  battaglia.  A  Siena  si  pugna- 
va a  sassi  ed  a  pertiche;  così  a  Modena, 
a  Novara,  in  R.omagna,  a  Ravenna,  ove 
il  giuoco  nel  1  1  go  ebbe  tragico  fine  ;  a  Ve- 
nezia poi  le  pugne  e  gli  esercizi  ginnastici 
erano  sull'acqua,  sebbene  se  ne  tenessero 
entro  l'anno  parecchi  di  forza  in  terra.  Per 
tal  modo  usata  la  nazione,era  facile  l'am- 
bizioso desiderio  ne'più  prodi  di  far  mo- 
stra altrui  del  proprio  valore,  e  anche  ne' 
capi  de'municipii  il  pensiero  di  bandire 
pubblici  giuochi  e  più  solenni,  a  cui  conve- 
nissero campioni  d'ogni  parte,eper  porre  i 
propri  a  generosa  prova,  e  per  acquistare 


TOP». 

rinomanza  di  forti.  Infatti  di  tali  feste  so- 
vento  se  ne  legge  la  ricordanza  presso  gli 
annalisti  italiani;  uè  di  rado  accadeva  che 
seguissero  disfide  fra  due  città  a  provaie 
quali  più  valessero  de'loro  figli,  come  se- 
gui neh  1 58,  che  i  cremonesi  chiamaro- 
no al  paragone  delle  armi  i  piacentini:  ne 
venne  certo  al  tercuiue  la  gara  senza  che 
si  spargesse  di  molto  sangue,  e  vari  vi  per- 
dessero la  vita.  Ma  nulla  meglio  valeva  a 
conseguire  simili  lodi  che  i  tornei,  e  mol- 
tissimi se  ne  bandirono  per  l'Italia  e  spe- 
cialmente nel  regno  di  Xapoli  e  Sicilia, 
ove  ne  durò  a  lungo  l'usanza.  Nel  domi- 
nio degli  Hohenstaufen  della  casa  di  Sve- 
via,  avendo  in  quel  regnola  nobiltà  molto 
conto,  e  questa  esseudo  assai  destra  nel- 
l'arrneggiare,  si  tennero  di  continuo  molti 
e  ragguardevoli  lorneamenli,  principal- 
mente dall'imperatore  Federico  II,  e  da' 
suoi  naturali  Enzo  e  Manfredi.  Né  pel  suc- 
cedere della  dinastia  francese  degli  Angioi- 
ni in  quel  regno,  né  perchè  vi  accadesse- 
ro più  tardi  fiere  turbolenze,  cambiò  af- 
fatto costume,  e  si  rimasero  gli  animi  da 
que'  clamorosi  spettacoli:  ma  assai   se  ne 
dilettava    Carlo  I  d'  Angiò  ,  che  fu  imo 
de'più  valenti  nel  maneggiare  le  armi,  e 
si  vuole  che  ne  rinnovasse  e  migliorasse 
le  leggi;  questo  principe,  come  rilevai  nel 
voi.  LXVIII,  p.  24T,  uel  creare  i  cava- 
lieri nella  cattedrale  di  Napoli  alla  pre- 
senza della  regina, da  questa  e  da  7  dami- 
gelle faceva  loro  cingere  la  spada  al  fian- 
co, dopo  aver  fatto  loro  giurare  che  difen- 
derebbero anco  le  dame  sì  vedove  che  ma- 
ritate. Narra  il  Muratori,che  mentre  Car- 
lo I  era  conledi  Provenza,  incredibili  era- 
no gli  spettacoli  e  toroeamenti  che  dava 
con  gran  piacete  del  suo  popolo  e  de'no- 
bili  francesi  che  da  tutte  le  parti  vi  ac- 
correvano per  far  pompa  di  prodezza.  11 
fratello  s.  Luigi  IX  re  di  Francia  mal  ve- 
dendo questi  gran  movimenti  d'animi  e 
d'armi,  contribuì  alla  spedizione  e  con- 
quisto diSicilia.  Noudimeno  Carlo  1  portò 
nella  sua  nuova  corte  la  passione  de' tor- 
nei, e  così  la  famosa  regiuaGiovauua  I,  co- 


TOR  2/p 

mechè  vivesse  a  tempi  procellosi;  poiché 
sull'animo  di  lei,  più  degli  affanni  e  delle 
cure  di  stato,  potevano  l'amore  del  lusso 
e  il  naturai  talento  del  piacere,  e  i  suoi 
verseggiatori  riputavano  a  gran  ventura 
uscire  vittoriosi   innanzi  a  lei,  e  ottener- 
ne in  compenso  un  benigno  sguardo  ,  o 
un  confortatore  sorriso.  Imperocché  ne* 
festeggiamenti  delle  corti  bandite  ,  delle 
quali  ragionai  anche  a  Corte,  i  cavalieri 
deposte  le  lance,  le  corazze  ed  i  cimieri, 
occupa  vansi  di  poetiche  tenzoni.  Sovente 
i  cavalieri  che  aveano  ottenuto  il  premio 
del  valore,si  presentavano  a  disputar  quel- 
lodella  poesia. Uno de'contendeuti  al  suon 
dell'arpa  proponea  in  rima  l'oggetto  della 
tenzone;  un  altro  avanzavasi  dal  circolo, 
e  rispoudea  con  una  strofa  del  medesimo 
metro,  e  il  più  delle  volte  colle  stesse  ri- 
me. Quest'improvviso  terminava  ordina- 
riamente alla  5.  strofa,  e  allora  la  corte 
deliberava  a  chi  dovesse  accordarsi  il  pre- 
mio. Queste  corti  bandite  erano  andate  in 
dissuetudine,  e  Giovanna  I  le  ristabilì,  ed 
essa  stessa  non  disdegnò  scendere  nell'ai'» 
ringo  contro  la  dama  di  Marchebrusa,  ce- 
lebre poetessa  d'allora.  La  questione  fu 
decisa  a  favore  della  regina,  e  le  fu  de- 
cretata una  corona,  ch'essa  prese  di  sua 
mano,  recandola  ad  un  cavaliere  gen- 
tile, il  cugino  Luigi  priucipe  di  Taran- 
to, uno  de'suoi  amanti  e  poi  2°  marito, 
e  gli  disse:  Da  voi,  nobil  signore,  io  vo- 
glio avere  questa  corona,  siccome  il  più 
degno  d'offrirla  e  il  più  cortese  fra  tutti. 
Pelqualeraatrimoniola  regina  istituì  l'or- 
dine cavalleresco  del  Xodo (V.).  Allorché 
statuivasi  di  celebrare  un  torneo  in  un  pae- 
se, lo  si  bandiva  intorno  con  messi  aral- 
dici e  ambasciate,  perchè  al  divisato  tem- 
po ivi  convenissero  i  cavalieri  e  le  dame; 
queste  poi  ornate  delle  meglio  pompose 
vesti,  di  gioie  e  di  fregi  peregrini, non  solo 
di  loro  presenza  allegravano  la  festa,  ma 
vi  aveano  gran  parte.  L'orrore  di  veder 
spargere  il  sangue  allontanò  per  lungo 
tempo  le  dame  dallo  spettacolo  de'lornei, 
ina  furono  in  breve  tratte  dalla  curiosità 


246  TOH 

a  superai  equella  ripugnanza  naturale;  al • 
loia  esse  per  vanità  vi  accorsero  in  folla, 
e  quest'epoca  fu  quella  della  maggior  ce- 
lebrità di  siffatti  esercizi.  Ne'  giorni  che 
precedevano  la  giostra  uielteansi  in  ve- 
duta, lungo  il  chiostro  di  qualche  mona- 
stero, gli  scudi  de' combattenti  che  ago- 
gnavano far  parte  della  lizza,  coli'  inse- 
gne loro,  nelle  quali  spiegavano  l'inter- 
no del  loro  animo,  ed  a  meglio  scoprirlo 
adornavano  gli  scudi,  i  cimieri  e  le  bar- 
dature de'cavalli  con  i-intrecci  di  vaghe 
e  simboliche  figure;  e  un  araldo  (del  lo- 
ro officio  e  assistenza  ne'lornei  parlai  nel 
voi.  LXVI,  p.  67, con  nozioni  analoghe 
a'tornei)gridavaacui  appartenessero,alle 
donne  che  venivano  a  vederli.  Se  alcuna 
per  avventura  teneasi  offesa  con  talun  ca- 
valiere, batteva  lo  scudo  diluì  per  richia- 
marsene a 'giudici,  e  il  querelava:  e  se  era 
giudicato  iudpgno  vernagli  disdetto  l'en- 
trare nell'onorata  lizza;  e  se  si  fosse  atten- 
tato farlo  a  forza,  tutti  gli  aldi  combat- 
tenti l'assalivano  e  il  mandavano  con  fie- 
re percosse  dolente  e  malconcio;  né  altro 
die  la  dama  olfesa  potea  por  limite  a  quel 
castigo.  Per  essere  ammesso  nel  novero  de' 
campioni  combattenti ,  conveniva  avere 
un  nome  senza  macchia  e  senza  rimpro- 
vero alcuno.  Apparecchiato  il  luogodello 
spettacolo,  ch'era  magnifico  e  grande  per 
torri,  palchi, ballatoi  con  isponde  e  balau- 
stre, e  tende  di  gran  vista,  in  cui  ripara- 
vano i  signori  del  luogo  col  premio,  le  don- 
ne, i  personaggi  più  ragguardevoli,  i  giu- 
dici del  torneo,  e  musici,  e  poeti,  e  gente 
di  corte;  i  cavalieri  dopo  le  proclamazio- 
ni degli  araldi  si  recavano  a  visitarlo  il 
giorno  innanzi  alla  festa,  e  vi  preludeva- 
no trattando  alcune  piccole  armi  e  facen- 
do vari. piacevoli  giuochi.  Si  solennizza- 
va la  vigilia  del  torneo  con  alcune  specie 
di  tali  giostre,  chiamate  saggi  0  vigilie  de' 
tornei  o  scara  ni  ucci  e,  in  cui  gli  scudieri 
cimentavansi  gli  uni  cogli  altri  con  armi 
più  leggiere  e  di  più  agevole  maneggio  che 
quelle  de'i.avalieri,  più  facili  a  rompersi, 
e  meno  pericolose  per  quelli  che  rimaue- 


TOR 

vano  feriti.  Il  d'i  della  prova  ogni  cava- 
liere, armato  di  tutto  punto,  diceasi  ser- 
vo d'alcuna  donna  o  damigella  ivi  adu- 
nata, sceglieva  il  colore  ch'ella  vestiva  nel- 
la sciarpa  che  recava  ad  armacollo,  la  qua- 
le spesso  teneva  dalla  mano  di  lei,  con  un 
braccialetto  0  qualche  altro  donativo.  Le 
trombe  annunziavano  il  combattente  che 
calava  nelParringo,eciuto  dicatene  veni- 
va condotto  dalla  sua  dama  :  il  seguivano 
i  cavalli  e  gli  Scudieri.  Ivi  ricevea  da  lei 
le  armi,  parole  di  conforto,  qualche  pre- 
sente e  spesso  la  stessa  insegua,  la  quale 
se  per  caso  perdeva  nel  bollore  della  mi- 
schia, ella  era  sollecita  a  fornirgliene  un' 
altra  per  infondergli  novello  ardire.  Pel- 
lai maniera  entrati  molti  nell'agone  o  cam- 
po ove  si  dovea  combattere,  davasi  prin- 
cipio alla  lotta,  che  poneasi  nel  correre  le 
aste,  nel  combattere  colle  spade,  cogli  stoc- 
chi, fino  ro'coltelli  e  co'pugni,  ove  venis- 
sero meno  tutte  le  armi.  Al  cavaliere  ab- 
battuto ne  succedeva  un  2.0;  se  questo  vin- 
ceva, pigliava  lite  con  altri,  e  tutti  per  tal 
modo  venivano  alla  prova;  ed  era  più  va- 
lente chi  più  ne  prostrava,  vincitore  chi 
indomito  usciva  orgoglioso  sugli  sconfìtti 
rivali.  Fra  il  furor  di  quelle  pugne  aveansi 
alcune  regole  d'onore,  da  cui  non  si  per- 
metteva che  alcuno  deviasse,  e  che  spesso 
decidevano  del  premio.Consisleva  nel  non 
ferire  colla  spada  di  punta,  non  valicare 
la  segnata  linea,  non  percuotere  il  cavallo 
dell'avversario,  non  tirare  di  lancia  che 
al  viso  o  al  pettorale,  non  assalire  un  guer- 
riero, ove  avesse  alzata  la  visiera  o  fosse 
disarmato,  né  venir  molti  a  combattere 
uno  solo.  Ove  alcuni  rompevano  queste 
leggi,  i  giudici  erano  pronti  a  chiamarli 
all'ordine,  ed  alcuni  araldi  correvano  a' 
pugnanti  e  abbassavano  le  proprie  lun- 
ghe picche  in  segno  che  si  ristessero,  gli 
ammonivano,  e  facevano  perdouanza  s'e- 
ra volontario  l'errore.  Venuto  a  termine 
il  combattimento,  univansi  i  giudici  per 
determinai  e  a  cui  si  convenisse  il  premio, 
richiamando  tutte  le  prove  di  valore  che 
aveano  dato  nella  lotta,  siccome  erasi  ri- 


TO  R 

ferito  dagli  uffizioli  che  stavano  presenti 
e  ne  facevano  continua  relazione;  non  cu 
rado  però  accadeva  che  i  giudici,  nell'in- 
certezza di  dare  retta  sentenza,  chiamas- 
sero le  dame  a  esporre  il  loro  parere;  e 
se  esse  contrastavano  ad  uno  il  premio,ne 
veniva  indubitatamente  escluso. Conve- 
nuti così  del  vincitore,  scegliavasi  fra  le 
donne  quella  che  dovea  compartirgli  il 
premio  ;  e  poiché  lo  si  avea  dalle  stesse 
dame  svestito  delle  armi  e  dell'  insegne 
guerresche,  la  designata  gli  presentava  la 
palma  meritata,  e  il  cnvaliereavea  diritto 
di  ricambiarla  con  un  bacio:  inviolabile 
privilegio  che  reputa  vasi  il  compenso  più 
gì  aditodi  quella  bellica  fatica.  Il  resto  del- 
la festa  andava  in  evviva,  in  canti  ein  al- 
legrezze. Da  tutto  questo  è  agevole  argo- 
mentare qual  esser  dovesse  nelle  donne  il 
desiderio  di  comparire  amabili  e  acqui- 
starsi la  servitù  di  valente  cavaliere,  e  in 
questi  quale  ambizione  di  andar  nominati 
a  dito,  come  poderosi  e  forti;  e  sebbene 
ne  venisse  in  ambo  i  sessi  studio  di  col- 
tura e  di  valore,  non  si  può  occultare  che 
infiniti  mali  derivavano  da  queste  lotte 
ostinale, in  cui  combattevano  tante  pas- 
sioni. Perciò  il  saggio  e  pio  s.  Luigi  IX 
re  di  Francia  fortemente  biasimava  il  fra- 
tello Carlo  I  d'Angiò,  perchè  tanto  vez- 
zeggiasse siffatti  spettacolkMa  Italia  tutta 
ne  era  frequente ,  e  spesso  Can  Grande 
della  Scala  signore  di  Verona,  e  la  pos- 
sente Venezia,  allora  dominatrice  del  ma- 
re e  regina  dell'Adriatico,  aprirono  son- 
tuosi tornei  fra  la  magnificenza  di  loro  mu- 
ra. Clamorosa  fu  la  giostra  che  nella  2." 
ebbe  luogo  nel  i  364  ne'  dogado  di  Lo- 
renzo Celso  per  la  ricupera  di  Caudia.  La 
sontuosa  piazza  di  s.  Marco  fu  il  campo 
della  battaglia:  erano  d'ogni  intorno  ric- 
che le  logge  d'ornamenti  e  di  spettatori, 
e  il  doge  sedeva  in  trono  nella  loggia,  ch'e- 
ra sopra  la  maggior  porta  della  basilica, 
in  mezzo  a'  famigerati  cavalli  di  bron- 
zo, e  d'appre>so  era  vi  assiso  Petrarca.  Due 
furono  gli  assalti  di  quelli  che  giostraro- 
no a  cavallo,  ili.0  de'quali  fu  riservato  a' 


TOR  247 

soli  cittadiui,  il  a.°  fu  aperto ancoagli  stra- 
nieri.Inoltre  vi  pugnarono  2 4 giovani  rag- 
guardevoli per  bellezza  e  per  abiti,  Pie- 
tro I  re  di  Cipro  con  Jacopo  del  Verme 
veronese  illustre  condottiere  d'armi,  e  si 
fecero  dalla  repubblica  splendidi  dona- 
tivi. Ricavalo  nella  più  parte  questo  bel 
racconto  dall'  Album  di  Roma  t.  6,  p.  33, 
del  eh.  Defendente  Sacchi,  con  l'incisio- 
ne esprimente  il  torneo diMarco  Visconti, 
altro  ve  ne  aggiungerò  che  estraggo  dal 
medesimo  Album  t.  2,p.  397,  scritto  da 
A.  G.  col  rame  che  rappresenta  il  fran- 
ceseBertrandoDiiguesclineringleseTom- 
maso  di  Canlorbery  nel  torneo  di  Dinau, 
città  di  Francia  nella  Bretagna  miuoree 
già  soggiorno  de'suoi  duchi,  i  quali  capi- 
tani furono  spediti  nel  luogo,  ove  per  uq' 
incidenza  avvenne  questo  torneamento  , 
da  Carlo  di  Bloise  Giovanni  di  Montfort 
a  sostenere  i  loro  diritti  quando  il  ducato 
di  Bretagna  si  disputarono.  Duguesclin  fu 
uno  de'capitani  più  famosi  e  illustri,  l'e- 
roe della  guerra,  il  maggior  guerriero  di 
sua  età,  chiamato  l'Achille  francese,  ri- 
nomato ne'tornei  come  i  Bocicaut  e  i  Ba- 
iardi  di  sua  nazione.  II  signor  di  Lanca- 
stro,dopoaverneh  3 58 sostenuto  le  parti 
del  giovine  duca  di  Montfort  sul  ducato 
di  Bretagua,  contro  Carlo  di  Blois,  nel  se- 
guente anno  strinse  d'assedio  Dinan,  città 
che  difendeva  per  Carlo  il  prode  Dugues- 
clin. Mentre  tra 'due  duci  erasi  convenu- 
ta una  tregua,  durante  questa  il  giovinet- 
to fratello  (cioè  d'armi  e  chiamandosi  Ja- 
copo Plougaster)  di  Duguesclin  incede- 
va pegli  accampamenti  a  diporto,  quan- 
do fattosi  innanzi  co'  suoi  Tommaso  di 
Cantoi  bery  cavaliere  nemico,  d'illustre  li- 
gnaggio, ma  poco  onesto  per  la  condotta, 
con  prepotenza  gl'intimo  di  darsi  vinto; 
il  giovinetto  inesperto  della  guerra  e  so- 
lo ,  dovè  tacere  e  rendersi  prigione.  Sa- 
putosi da  Duguesclin  il  grave  insulto,  im- 
pallidì di  sdegno,  e  salito  d'un  lampo  a 
cavallo,corse  furibondo  alla  tenda  diTora- 
maso.  Gli  rimproverò  i  rotti  patti,  chie- 
dendo il  fratello.  Tommaso  che  secreta- 


248  TOR 

menle  l'odiava,  in  presenza  di  Monlfort 
e  diLancastro,  tenacemente  negò  di  esau- 
dirlo, e  arditamente  gillò  il  segno  della 
disfida.  Colselo  avidamente  Duguesclin,  e 
strettolo  nella  destra,  rispose  :  In  mezzo 
alle  armi,  il  comun  torto  difenderò.  Com- 
parvero il  giorno  dopo  nella  maggior  piaz- 
za della  città, Lancaslro  conMonlfurt,e  co' 
loro  primari  ulliziali  ascesero  il  palco.  Uo- 
mini d'arme  a  cavallo  circondavano  tutta 
l'arena,  ed  il  popolo  si  affollò  intorno  Tarn  • 
pio  steccalo.  Suonala  la  tromba,  appari- 
rono nell'aperto  Duguesclin  e  Tommaso: 
salutai  onsi  mutuamente,  indi  d'un  subito 
abbassato  il  viso,  dirimpetto  si  andarono 
a  porre.  Venne  allora  nel  mezzo  il  ban- 
ditore del  torneo,  e  tacendo  tutti  alle  sue 
parole,  disse  ad  alta  voce.  Il  mio  signor 
Tommaso, e  il  signor  Duguesclin  voglio- 
no all'armi  lanciarsi.  Ilduca  diMontfort 
lo  acconsentì.  Tommaso  spinse  primo  il 
cavallo,  e  si  serio  sul  nemico  con  tal  im- 
peto e  fuga,  che  misurato  sulla  testa  del- 
l' avversario  un  sicurissimo  colpo,  fesse 
in  due  la  celata  che  cadde  sul  terreno  e 
lasciòil  viso  scoperto  di  Duguesclin.  Que- 
sti inferocitosi,  mise  la  pesante  lancia  sul 
petto  e  fuggito  incontro  a  Tommaso  co- 
me vento  lo  assalì.  Dove  le  clavicole  si  con- 
giungono  al  collo  giunse  il  ferro  a  colpi- 
re, e  tanto  equilibrato  vi  giunse,  che  man- 
dolio  fuori  del  peso  e  dell'arcione  e  con 
supino  volto  balzollo.  Volevano  gli  altri 
aiutarlo  e  suscitossi  un  tumulto:  ma  l'e- 
roe del  torneo,  postosi  a  guardia  del  vinto 
e  caduto   Tommaso,  spaventò  que'  ro- 
moreggianti  in  tal  guisa,  che  all'  infuori 
del  brulicare  e  delle  grida  rotte  d'alcuno 
non  fu  tratta  una  sola  daga.  Dicono  che 
il   prigioniero   fratello    fosse   spettatore 
della  tenzone,  e  che  chiamato  da  Dugue- 
sclin ,  gli  fosse  la  vita  del  caduto  Tom- 
maso posta  in  tutto  a  sua  discrezione,  e 
che  da  entrambi  nobilmente  assoluto  si 
lizzasse  slorditoemuto.A  ulteriore  schia- 
rimento del  riferito  sin  qui,  trovo  conve- 
niente aggiungervi  alcune  erudizioni  ri- 
portate dal  Dizionario  dille,  origini.  11 


TOR 

luogo  del  combattimento  de'  tornei  era 
un  vasto  recinto  chiuso  tulto  all'intorno 
da  tappeti  sospesi,  o  il  più  sovente  da  mi 
doppio  giro  di  barriere,  distanti  l'una  dal- 
l'altra 4  piedi.  Vi  si  collocavano  i  mene- 
strieri  per  suonare  degli  strumenti  (anche 
per  cantare  poesie,  come  narrai  riparlan- 
do di  loro  e  de'lrovatori  ed  altri  cantori 
provenzali  nel  voi.  LXXI1I,  p.i5o,i68, 
i  72),  i  servi  de'cavalieri  per  ritirare  i  lo- 
ro padroni  quando  erano  oppressi  dalla 
folla  o  cadevano  da  cavallo,  oltre  i  padri- 
ni, gli  araldi,  sergenti  e  re  d'armi  per  in- 
vigilare sopra  a'comballenli,  mantenere 
l'ordine,  giudicar  de'colpi  e  dar  soccorso 
o  consigli  a  coloro  che  ne  abbisognava- 
no: il  popolo  si  teneva  al  di  fuori.  Vi  a- 
vea  inoltre  un  anfiteatro  a  molti  ordini 
pe're,  le  regine,  le  principesse,  le  dame,  i 
giudici  de'tornei,  e  i  vecchi  cavalieri  di- 
venuti incapaci  di  combattere.  Delle  sin- 
fonie annunciavano  l'arrivo  de'cavalieri 
magnificamente  assettati,  seguiti  da'loro 
scudieri  a  cavallo.  Qualche  volta  delle  da- 
me e  delle  damigelle  gli  conducevano  av- 
vinti con  catene,  che  ad  essi  toglievano 
allorché  riuniti  nello  steccalo  erano  pronti 
al  combattimento.  Sovente  da  quelle  ma- 
ni gentili  i  cavalieri  riceveano  segni  di  fa- 
vore, come  una  qualche  parte  delle  loro 
vesti  o  un  lavoro  da  esse  iulessuto  ,  con 
cui  ornavano  la  cima  de'loro  elmi,  della 
lancia,  dello  scudo,  del  saione,  o  di  altra 
porzione  della  loro  armatura.  Prima  che 
i  combattenti  entrassero  nel  campo,  si  a- 
vea  cura  di  osservare  se  non  erano  rassi- 
curati con  nascosti  legami  alla  sella  ,  se 
le  armi  erano  conformi  alle  prescritte  leg- 
gi araldiche,  ed  erano  della  conveniente 
lunghezza.  Gli  esercizi  più. ordinari  de'tor- 
nei consistevano  nel  rompere  la  lancia  in 
terra,  o  l'uria  parte  contro  l'altra  nella 
corsa  dell'anello,  di  lanciare  il  dardo  e 
di  comhaltere  a  cavallo  colla  spada  alla 
mano.  Del  rimanente  eranvi  due  sorta  di 
combattimenti:  l'una  in  cui  i  campioni  se- 
parali in  due  schiere,ordinate  ciascuna  sur 
una  linea,  muoveansi  come  negli  eserciti 


TOP. 
allo  scontro  a  vicenda  per  rovesciarsi:  ma 
siccome  coloro  ch'erano  scavalcati  corre- 
dano pericolo  d'essere  calpestati  da'caval- 
li,  s'immaginò,  massime  in  Francia,  una 
doppia  barriera  alzata  nel  mezzo  della  liz- 
za in  tutta  la  sua  lunghezza  per  separare  le 
due  schiere.  In  tal  modo  si  poteva  benis- 
simo colpire  colla  lancia,  ma  i  cavalli  noti 
potevano  più olFenderle. L'altro  era  il  com- 
battimento in  folla,  specie  di  mischia  di- 
sordinata, ove  pugna  vasi  senza  alcun  ri- 
guardo: in  questo  non  impiegatasi  che  la 
spada,  la  scure  o  la  mazza.  Siccome  era 
a»sai  difficile  scernere  in  quel  tumulto  il 
più  valoroso,  e  di  potergli  aggiudicare  il 
premio,  tanto  più  che  la  visiera  copriva 
il  volto, sistabiliallorad'apporregli stem- 
mi o  altri  segui  particolari  agli  scudi  e  a' 
saioni.  In  appresso  ad  esempio  de'greci  e 
romani  che  innalzarono  ne'loro  circhi  e 
ippodromi  degli  altari,  obelischi  e  statue, 
si  decorarono  i  campi  delle  lizze  con  isva- 
riati  ornamenti.  Gli  esercizi  de' tornei  e- 
rano  talmente  privilegiati,  ch'era  proibi- 
to a* servi  e  agli  schiavi  di  presenlarvisi. 
JNVconibattimenti  che  facevansi  per  mez- 
zo di  sfide,  il  cavallo  e  le  armi  del  vinto 
appartenevano  per  diritto  al  vincitore, 
e  qualche  volta  rimaneva  egli  stesso  suo 
prigioniero.  Siccome  questa  specie  di 
combattimenti  erano  1'  immagine  delle 
battaglie,  così  vi  si  osservavano  le  stesse 
leggi  come  negli  eserciti.  Vi  s'impiegava 
specialmente  una  sorta  di  spada  che  no- 
mina vasi  guadagna  pane  ,  nome  che  le 
veniva  senza  dubbio  dall'ottenere  il  vin- 
citore le  spoglie  e  il  riscatto  del  vinto.  La 
giornata  si  chiudeva  sempre  con  alcune 
giostre  senza  premio,  fatte  da  alcuni  va- 
lorosi per  cimentare  la  loro  destrezza  o 
per  piacere  alle  loro  belle.  Terminato  in- 
teramente il  torneo,  succedeva  la  distri- 
buzione de'  premi,  che  si  faceva  ora  nel 
campo  slesso,  ora  nel  palazzo  del  signore 
del  luogo,  in  mezzo  a  feste  ed  a  bauchelti 
clamorosi.  Sedebbonsi  obbiettare  a  questi 
pomposi  giuochi  i  pericoli,  i  saggi  divieti 
della  Chiesa,  le  graudi  spese,  le  disseusio- 


TOR  249 

ni  egli  odii  inseparabili  da  essi,però  si  può 
vantare  a  favor  loro,  ch'erano  un  vantag- 
gioso esercizio  di  forza,  di  destrezza  e  di 
coraggio,  e  persino  una  scuola  d'  onore, 
giacché  per  esservi  ammesso  conveniva  a- 
ver  un  nome  senz'ombra  di  macchia  di- 
sonorante. Non  considerandoli  se  non  co- 
me semplicespettacolod'un  popolo  guer- 
riero, qua*  quadri  piacevoli  e  imponenti 
non  offrono  mai  all'immaginativa  del  poe- 
tae  al  pennello  del  pittorequelle  duedon- 
zel  le  di  nobilissima  stirpe  che  reca  usi  ad  an- 
nunziare l'apertura  del  torneo;  quella  no- 
biltà fiera  e  vigorosa  dell'Europa  ch'entra 
nella  lizza  al  suonodi  bellici  strumenti,  ar- 
mati di  lance,  ornate  di  banderuole  sim- 
boliche e  dell'assise  delle  loro  donne  pre- 
dilette. A  quest'apparato  devesi  aggiun- 
gere la  bellezza  de'destrieri,  la  ricchezza 
degli  arredi,  lo  splendore  dell'armi,  que' 
palchi  a  molti  ordini,  stivati,  per  così  di- 
re, dalle  madri,  dalle  spose  e  dalle  amanti 
de'campioni;  quelle  tende o  padiglioni  co- 
perti d'oro  e  di  seta  sparsi  nella  campa- 
gna; il  premio  accordato  in  conseguenza 
de'suffragi  de'principi,  delle  dame,  degli 
araldi  ede'giudici,eo(fertocon  bacio  dal- 
la regina  del  torneo;  il  vincitore  ricondot- 
to in  mezzo  agli  applausi  del  popolo  e  al 
suouo  degli  strumentijdisarmato  dalle  da- 
me più  cospicue,cibandosi  al  desco  del  re, 
e  divenuto  l'oggetto  delle  feste  che  poi  si 
succedevano;  il  nome  celebrato  da  canzo- 
ni e  da  poesie  e  iscritto  sur  i  registri  de- 
gli ullìziali  dell'  esercito,  e  mille  e  mille 
altre  seducenti  particolarità  a  vicenda  ma- 
gnifiche e  onorevoli. 

Il  eh.  Del  Bue.  Dell'origine  dell'Aral- 
dica, annovera  tra  le  prove  della  I\robil' 
tà  antica  delle  famiglie,  quelle  di  trovar- 
le registrate  tra  quelli  che  figurarono  e 
intervennero  a'tornei,a'caroselli,  alle  gio- 
stre e  iti  altri  simili  simulacri  di  guerre 
finte  usate  in  tempo  di  pace  a  esercizio  dei 
cavalieri.  Quindi  dichiaratali  registri  pro- 
va sicura  di  nobiltà,  mentre  a  ninno  con- 
cedevasi  l'entrare  a'tornei,  neper  giostra- 
tori, uè  per  servire  da  araldo,  se  prima 


25o  TOR 

non  f.icevasi  annunziare  al  luogo  del  tor- 
neo, co!  mezzo  d'un  suono,  al  maestro  del 
campo  e  ad  altri  uflìziali.  Venivano  allo- 
ra gli  araldi  a  riceverlo,  ed  esaminale  le 
prove  di  nobiltà,  se  il  riconoscevano  per 
x  ero  gentil  uomo,  descri  veano  le  armi  gen- 
tilizie di  lui  fra  le  altre  de'cavalieri  am- 
messi a  combattere,  e  collocavate,  giu- 
sta le  ordinazioni  araldiche,  in  bella  mo- 
stra al  luogo  della  lizza,  tre  o  quattro  gior- 
ni avanti  il  torneo,  ne'quali  le  dame  in  un 
agli  araldi  recavansi  a  riconoscerle,  e  tal 
ceremonia  chiamavano:  far  finestra.  Al 
riferire  di  Menestrier,  correva  tal  obbligo 
a  chiunque  cavaliere,  sotto  comminato- 
ria d'esser  cancellato  dal  novero  de'gio- 
stratori.  Finito  il  torneo,  i  più  di  essi  ap- 
pendevano le  armi  alla  chiesa;  siffatti  e- 
sercizi  riunovavansi  ogni  tre  anni,  e  chi 
due  volle  vi  si  era  sperimentato  non  sog- 
giaceva a  esibire  per  la  3.'1  volta  le  prove 
di  sua  nobiltà;  poiché  tenevasi  per  pie- 
na prova  il  sindacato  fattogli  già  due  vol- 
le a  suon  di  trombe.  Ciò  seguilo,  eragli 
dato  di  portare  bizzarramente  intreccia- 
te sopra  l'elmo  due  trombe  o  cornette  ; 
la  qual  insegna  aveasi  per  testimonio  au- 
tentico e  solenne  della  riconosciuta  sua 
nobiltà.  Da  ciò  ebbe  origine  I'  uso  delle 
i\ne  cornette  che  veggonsi  sopra  i  cimieri 
presso  molte  famiglie.  Il  carosello  riguar- 
da vasi  anch'esso  qual  festa  o  rappresen- 
tazione militare  :  era  talvolta  allegorico 
l'argomento,  che  mirar  dovea  all'istruzio- 
ne de'principi,  e  alludere  a'falti  e  alle  oc- 
casioni. Il  carosello  era  così  appellato  dal- 
la voce  appropriata  al  carro  del  Sole,  o 
da'carri  adoperati  in  tali  esercizi;  e  di  fat- 
to il  carosello  era  una  corsa  seguita  da  car- 
ri, macchine,  carole  di  cavalli,  con  appa- 
rato d'immagini,  di  corone,  di  spoglie  ed 
altri  ornamenti  guerreschi.  La  giostra  poi 
era  un  armeggiare  di  lancia  a  cavallo,  sia 
che  con  questa  si  corresse  alla  quintana, 
sia  alle  teste,  sia  all'anello.  Il  Ghirardac- 
ci,  Della,  istoria  di  Bologna,  ne  offre  un 
esempio  nella  giostra  avvenuta  in  quella 
città  neli4<H  Per  l'esaltazione  del  suo  ve- 


TOR 
scovo  Migliorati  al  pontificato  col  nome 
d'Innocenzo  VII:  v'intervennero  molti  va- 
lorosi e  nobilissimi  cavalieri,  fra' quali  il 
bolognese  Pepoli  ne  riportò  l'onore  e  il 
premio.  Il  Meneslrier  novera  sino  a  36 
principali  tornei  celebrati  in  Germania, 
computandoli  dal  solenne  offerto  in  Mag- 
deburgu  verso  il  g34  da  Enrico  I  V  Uc- 
cellatore duca  di  Sassonia  e  poi  impera- 
tore (che  altri  dicono  quanto  notai  di  so- 
pra), e  quello  di  Worms  aperto  nel  1 487. 
Molti  altri  ne  rammenta  Ferra  rio,  e  fra 
essi  quello  dato  pel  solenne  ingresso  a  Pa  - 
rigi  nel  giugno  i  38q,  della  regina  Isabel- 
la di  Baviera,  la  quale  per  ordine  del  re 
Carlo  VI  non  potè  entrarvi  prima,  seb- 
bene a  lui  già  sposata  nel  1 385,  e  vi  fu 
coronata  con  magnifica  pompa.  Queste 
splendidissime  feste  terminarono  con  al- 
cune giostre,  fatte  in  un  luogo  dove  i  com- 
battenti potevano  esser  osservati  da  gran 
numero  di  dame,  chiamato  il  campo  di 
s.  Caterina.  Magnifico  torneo  in  Inghil- 
terra fu  quello  bandito  da  Enrico  li  ,  e 
dato  nelle  pianure  di  Beaucaire.  Stupen- 
da fu  pure  in  Firenze  la  giostra  da  cui 
GiulianodeMedici  uscì  vinci torenel  1468, 
e  con  mirabili  versi  celebrata  da  Polizia- 
no. IXè  meno  celebre  fu  il  torneo  avvenu- 
to in  Bologna  a'4  ottobre  1 470,  nella  fe- 
sta del  patrono  s.  Petronio,  tenendo  la  si- 
gnoria della  città  Giovanni  1 1  Benti voglio 
(le  cui  Memorie  nel  1 839  pubblicò  in  Bo- 
logna il  conte  d.  Giovanni  Gozzadini).  Fu 
descritto  in  8/  rima  da  Francesco  Cieco 
fiorentino:  Tome  amento  fatto  in  Bolo- 
gna per  ordine  di  Giovanni  Bentivoglio 
Vanno  1 47°-  Questa  si  vuole  la  più  cele- 
bre giostra  tra  quelle  tenute  in  Bologna. 
Abbiamo  molle  descrizioni  stampate  di 
giostre  e  tornei,  eseguiti  in  Bologna  in  cir- 
costanza di  varie  festività.  Celebratissimo 
fu  il  torneo  tentilo  in  Cremona  nelio83, 
quando  Gio.  Baldesio  venne  a  singoiar 
tenzone  con  Enrico  figlio  e  poi  successo- 
re d'Enrico  IV;  e  per  la  riportata  vitto- 
ria liberò  la  sua  patria  dal  grave  tribu- 
to della  palla  d'oro,  d'onde  poi  s'ebbe  il 


TOR 

soprannome  d\Zanino  della  Palla.  Quan- 
do Cane  della  Scala  neh  3^8  dopo  la  pre- 
sa di  Padova  tornò  a  Verona  trionfante, 
volle  ivi  festeggiare  quella  conquista  con 
solenuissima  pompa.  Perciò  a'3  i  ottobre 
tenne  in  Verona  corte  bandita:  la  varie- 
tà, la  bellezza,  il  fasto,  la  magnificenza  dei 
tornei,  delle  giostre,  dell'illuminazioni  e 
d'ogni  altro  spettacolo  e  ricreameuto,  in 
quell'occasione  si  emularono  a  prova  nel 
dar  gloria  al  principe.  L'effetto  vinse  l'e- 
spettative  della  fama  e  fino  il  desiderio. 
Alfonso  li  d'Este  duca  di  Ferrara,  volen- 
do neh  56 1  con  ispettacolo  di  lui  degno 
rallegrare  quella  città  e  la  corte,  bandì  al 
suo  popolo  e  agli  stranieri  die  a  gran  calca 
intervennero,  un  sontuosissimo  torneo  di 
forma  non  prima  veduta, econ  corti  ban- 
dite, chiamandolo  il  castello  di  Gorgose- 
rusa:  tra  gli  spettatori  onorante  e  onorato 
vi  fu  Guglielmo  duca  di  Mantova.  A' 18 
novembre  i  565  furono  dati  tornei,  gio- 
stre e  altri  sontuosi  divertimenti.celebiau- 
dosi  in  Brusselles  le  nozze  d'  Alessandro 
Farnese  duca  di  Panna,con  d. Maria  sorel- 
la di  Giovanili  HI  redi  Portogallo,da  dove 
con  real  corteggio  fu  accompagnata  in 
Fiandra,  nella  quale  soggiornava  il  duca 
presso  la  madre  Margherita  d' A  ustria  go- 
vernali  ice  de'Paesi  Bassi.  Nel  i  56g  l'ar- 
ciduca Carlo  portatosi  a  Ferrara  a  visita- 
re la  sorella  Bai  bara  sposa  d'Alfonso  II, 
questi  a'26  maggio  volendone  solenniz- 
zare l'  arrivo,  dispose  un  torneo  di  me- 
ravigliosa forma,  sopra  l'ampia  fossa  del- 
la città.  Lo  spettacolo  fu  notturno,  e  pe- 
rò ingente  la  spesa  delle  luminarie,  oltre 
a  quella  de'ricchi  addobbi,  mostre  e  mac- 
chine d'ogni  varietà  e  d'ogni  forma.  Nel 
1769  in  Parma  fu  celebrato  il  torneo  per 
festeggiar  le  nozze  tra  1'  infante  duca  d. 
Ferdinando  e  l'arciduchessa  M/  Amalia: 
in  quel  solenne  spettacolo  tutta  sembrò 
rinnovarsi  la  pompa  degli  antichi  tornea- 
mene, e  il  voto  non  falliva,  se  giusta  l'u- 
so di  quelli  celebra  vasi  nella  notte,  co>ì 
associando  alla  pompa  e  bellezza  dello 
spettacolo,  il  fastoso  e  magico  incauto  di 


TOR  i5i 

splendida  illuminazione;  e  se  meglio  si  fos- 
se osservata  l'antica  foggia  sì  negli  abiti, 
die  nelle  armature. 

Di  molti  altri  clamorosi  tornei,  giuo- 
chi e  giostre  parlai  a'Ioro  luogbi.  Quanto 
a  Roma,  in  quell'articolo  e  ne'  tanti  die 
la  riguardano  egualmente  ne  trattai,  sì  di 
Roma  reale,  repubblicana  e  imperiale,  sì 
dì  Roma  papale.  Agli  spettacoli  de'  gla- 
diatori e  de'  pugilatori,  e  alla  caccia  e  lot- 
ta colle  fiere,  dopoché  il  re  de'  goti  Teo- 
dorico del  tutto  gli  abo'ì,  furono  sostitui- 
ti diversi  torneamenti  ealtre  feste  pubbli- 
die,  insiemeal  Carnevale  dì  Roma,  mas- 
sime  i  famosi  giuochi  d'Agone  e  di  Testac- 
elo, spettacoli  che  cominciati  dopo  il  seco- 
lo X, cessarono  dopo  la  metà  del  XVI,  i 
quali  descrissi  principalmente  ne' voi.  X, 
p.  84  e  seg.,XXXI,  p-77e  seg..  LX1 V,  p. 
38  e  seg.  Consistevano  tali  giuochi,  oltre 
le  sontuosissime  cavalcate,  in  gran  caccie 
e  giostre  co'tori,  nelle  corse  di  uomini  di 
condizione  diversa  e  di  vecchie,  ed  ezian- 
dio di  animali,  e  di  carri  con  alcuni  por- 
ci, seguite  da  combattimenti  perimpadro- 
n'usi  delle  prede  e  de'palii,  non  die  di  lot- 
te e  corse  dell'anello.  All'articolo  Colos- 
seo, e  ne  riparlai  nel  voi.  LXXII,  p.  243 
e  seg.,  tra  le  pubbliche  rappresentanze  e 
spettacoli  die  vi  ebbero  luogo  ne'secoli  di 
mezzo,  ricordai  la  famosa  giostra  de'3  set- 
tembre 1  332,  eseguita  mentre  i  Papi  e- 
ratio  io  Avignone.  A  darne  qui  miglior 
contezza  mi  gioverò  dell'articolo  pubbli- 
cato nel  t.  2,  p.  362  dell'  Album  di  Ro- 
ma da  A.  G.  Volendo  il  senato  e  popolo 
romano  fare  una  grandiosa  giostra  nel- 
l'aufiteatroFla  vio  detto  ilColosseo,si  man- 
darono attorno  i  bandi  perchè  i  principi 
e  i  baroni  accorressero  al  torneamento , 
onde  renderlo  più  splendido.  Sulle  anti- 
che rovine  del  gigantesco  edificio  si  ope- 
rò in  modo  con  legname,  con  ferri  e  al- 
tri ingegni,  acciò  presentasse  lo  spettaco- 
lo d'un  luogo  perfetto  e  di  figura  vera- 
mente tonda.  Ebbero  3  primarie  dame 
l'incombenza  di  far  invito  alle  nobili  del- 
l'alma città:  la  matrona  Giacoma  de  Vir 


252  TOR 

co,  de'  prefetti  di  Roma,  condusse  il  fior 
delle  donne  che  al  di  là  del  Tevere  facean 
dimora;  una  Savella  Orsini  trasse  all'an- 
fiteatro le  signore  di  s.  Pietro  e  del  circo 
Agonale;  non  che  le  signore  Colonnesi  eb- 
bero a  chiamarvi  tutte  le  dame  che  dimo- 
ra vano  lungo  il  rione  Monti,  lungo  il  tea- 
tro di  Marcello,  e  ne'dintovni  di  s.  Giro- 
lamo, poco  distante  dal  palazzo  ecorteSa- 
velli.  Da  una  parte  si  adagiarono  le  don- 
ne nobili  e  illustri,  dall'altro  lato  ebbero 
le  privale  a  sedere.  Gli  uomini  poi  e  i  com- 
battenti stettero  in  un'altra  parte  dell'an- 
fiteatro divisi.  Comparve  in  quella  in  cui 
tutti  erano  seduti  il  vecchio  Giacomo  Ros- 
si di  s.  Angelo  in  Pescheria,  e  trasse  a  sor- 
te dall'urna  tutti  i  nomi  de' combattenti. 
lli.°di  questi  fu    Galeotto  Malatesta  dei 
signori  di  Rimini,  che  venne  sull'arena 
•vestito  di. verde,  e  teneva  sulla  barhuta 
o  elmo,  o  pennoucello  di  guerra,  il  mot- 
to da  tulli  letto  :  Solo  io  come  Orazio. 
Mise  l'urna  il  2.°,  ed  era  questi  Cicco  del- 
la Valle,  mezzo  a  bruno  vestito,  e  mezzo 
u  candida  tinta,  che  teneva  scritto  sul  suo 
cimiero:  Sono  Enea  per  Lavinia.  Il  3.° 
fu  Mezzo  Aslalli,  di  gramaglia  adornato 
e  mesto,  perchè  di  recente  sua  moglie  e- 
raseue  andata  a'destini, e  teneva  sulla  per- 
sona l'epigrafe:  Così  sconsolato  io  vivo. 
Poscia  uscì  CalFarello,  uu  imberbe  e  ira- 
condo donzello,  che  vestito  d'una  nebri- 
de o  pelle  di  camozza  alpina,  scritto  te- 
neva sulla  celata  :  Chi  più  forte  di  me? 
11  figlio  di  moter  Lodovico  della  Polen- 
ta de' signori  di  Ravenna,  vestito  era  di 
rosso  e  di  nero,  coll'iscrizione:  Senei  san- 
gue moro  annegato,  oh  dolce  morte!  Sa- 
vello d'Auagni  poi,  il  quale  facilmente  si 
recò  nell'arena  per  compiacere  la  donna 
sua,  e  ne  presentiva  gli  efretti,  avea  scrit- 
to con  una  mano  mezzo  pentita:  Ognun 
si  guardi  dalla  pazzia  d'amore.Fu  quin- 
di estratto  dall'urna  Gio.  Giacomo  Capoc- 
ci figlio  di  Giovanni  de'Marsi,ed  era  ve- 
stito color  di  cenere.  Teneva  poi  scritto 
per  motto:  Sotto  la  cenere,  ardo.  Cecco 
Conti  vestendo  color  d'argento  uvea  l'epi- 


TOR 

grafe:  Così  è  bianca  la  fede.  Pietro  Ca- 
pocci con  un  color  di  rose,  avea  per  leg- 
genda: lo  di  Lucrezia  romana  sono  schia- 
vo (fu  interpretata  da  chi  sapeva  i  suoi  a- 
n:ori,  ch'egli  fosse  adoratore  d'una  Lu- 
crezia). Uscì  Agapito  della  Colonna  ador- 
nato color  di  ferro, e  fiamme  e  lampi  met- 
tea  dintorno,  il  quale  vicino  al  peuuon- 
cello  dell'elmo  portava  l' iscrizione  :  Se. 
cado  io,  e  voi  cadrete  che.  mi  vedete  (ciò 
volea  significare  che  la  casa  Colonna  era 
il  perno  della  città  ).  Similmente  Aldo- 
brandino della  Colonna  era  con   panni 
bianco  e  verdi,  e  con  collana  in  testa  col 
motto:  Quanto  grande  altrettanto  for- 
te. Venne  da  ultimo  Cola  della  Colou- 
na,  figlio  di  Stefano  il  senatore,  che  d'un 
colore  bardiglio  coperto  ficea  leggere  a 
tutto  il   popolo  :  Malinconico  e  forte. 
Questi  giovani  accompagnati  da  altri,  co- 
me dal  L'aperoui,  da  Annibale  degli  An- 
nibaldi,  Giacomo  Altieri,  Evangelista  E- 
vangelisti  de'Corsi,  un  giovinetto  di  casa 
Astalli,  Franciotto  de'Mancioi,  ed  amici 
molti  eziandio,  giostratori  e  campioni  tut- 
ti, si  fermarono  sulla  piazza,  ed  attesero 
a  piede  fermò  la  sortila  di  molli  tori.  Al- 
l'alzarsi delle  saracinesche  che  le  bel  ve  te- 
nevano chiuse,  ecco  un  grido  di  timore  e 
di  trepidazione,  ed  un  gelo  negli  ordini 
tuttidegli  spettatori.  Infuriavano  i  tori  at- 
torno, scuotevano  le  teste  fervide,  incide- 
vano con  unghie  il  suolo,  ed  ora  rapidi  e 
foschi  slancia  vansi  sui  garzoni,  ora  in  fu- 
ga erau  posti,  or  ferivano  stramazzando. 
Asti,  brandi,  faville  nel.  tumulto  si  ado- 
perarono. Con  attoniti  e  mossi  sguardi  or 
plaudendo  insensata  ,  or  gridando  furio- 
sa, ne  fervea  la  gente  tutta,  e  brulicando 
e  suonando  l'ampia  giostra  e  l'anfiteatro, 

10  spettacolo  progrediva.  11  quale  certa- 
mente riuscì  dipoi  funestissimo  ,  perchè 
oltre  i  malconci,  18  combattenti  ebbero 
a  boccheggiare  feriti,  indi  rendere  a  Dio 
gli  spiriti:  questi  nobili  giostratori  furono 
onorati  e  compianti,  indi  sepolti  nelle  ba- 
siliche Lateraneuse  e  Liberiana.  De'tori, 

1 1  limaselo  morti  sul  campo,  e  9  di  essi 


TOR 

sanguinolenti.  Restituita  a  Roma  la  resi- 
denza papale  insorse  scisma,  per  cui  ad 
un  tempo  si  trovarono  regnare  il  Papa 
Gregorio  XII, Giovanni XXI 11  eleltocon- 
tro  di  lui.  e  l'antipapa  Benedetto  XIII. 
Incerti  i  fedeli  chi  riconoscere  per  legit- 
timo supremo  pastore,  fu  adunata  in  Co- 
stanza  (della  quale  anche  nel  vol.LXXII, 
p.  73)  l'assemblea  o  Sinodo  (fr.)y  trop- 
po famosa  pe'suoi  quasi  1000  padri,  fra  i 
quali  moltissimi  dottori  e  baccellieri  di 
sbrigliato  opinare,  accorrendo  nella  cit- 
tà circa  4o,ooo  forastieri,  con  diversi  so- 
vrani colle  loro  copiose  e  brillanti  corti, 
cou  migliaia  di    vigorosi  e  floridi  cava- 
lieri.  Gregorio  XII  virtuosamente  rinun- 
ziò; Giovanni  XXIII  avendo  promesso 
d'imitarlo  e  poi  variando  di  parere,  sen- 
tendo che  ne  sarebbe  forzato,  fuggì  da 
Costanza  nella  Svizzera  travestito  da  pa- 
lafreniere, o  meglio  in  abito  cavalleresco 
in  una  barchetta  pel  fiume  Reno;  men- 
tre il  suo  protettore  Federico  duca  d'Au- 
stria per   trafugarlo,  celebrò  nella  città 
un  clamoroso  e  magnifico  torneo,  nel 
quale  giuoco  di  lancia  col  conte  di  Cilley 
oCilly  cognato  dell'imperatore  Sigismon- 
do che  vi  assisteva;  onde  la  pubblica  at- 
tenzione tutta  quanta  rivolta  al  tornea- 
melo, agevolò  tale  evasione.  Giovanni 
XXI II  avea  fatto  lega  segreta  con  Fede- 
rico duca  d'Austria,  per  darsi  scambie- 
vole aiuto  e  soccorso,  dichiarandolo  ca- 
pitano generale  di  s.  Chiesa,  con  annua 
pensione  di  16,000  fiorini  d'oro.  Per  ave- 
re Federico  agevolato  tal  fuga  e  ricevu- 
to Giovanni  XXIII  ne'suoi  stati,  fu  posto 
al  bando  dell'impero,  e  gli  fu  mossa  guer- 
ra, la   quale  sarebbe  subilo  cessata,  se 
Giovanui  XXIII  i  inunziava  al  pontifica- 
to come  avea  promesso  con  giuramento. 
Leggo  nel  Marcatoli  Cancellieri,  che  nel 
maggio  del  1 4-77  da'procuratoridel  conte 
Girolamo  Riaiio  (signore  di  Ford  e  poi 
d' Imola)  nipote  di  Sisto  IV,  fu  sposata  in 
Milano  Caterina  Sforza,  figlia  naturale 
del  duca  Galeazzo  Maria.  Essendo  stata 
Caterina  condotta  in  Roma,sicelebraro- 


T  O  R  253 

no  le  sue  nozze  con  giostre  e  tornei,  re- 
plicati in  più  giorni,  ne'quali  il  Papa  nel 
palazzzo  Vaticano  a  proprie  spese  fece 
splendidamente  imbandire  varie  tavole, 
apparecchiate  giorno  e  notte,  colla  liber- 
tà a  ognuno  di  goderne.  Gli  sposi  si  fer- 
marono in  Roma  sino  al  luglio  1 48  r ,  a- 
bitando  il  loro  palazzo  alla  Lungara,  ora 
Corsini,  con  istraordinaria  lautezza  e  son- 
tuosità, degna  di  nipoti  di  Papa.  Raccon- 
tai a  Forlì,  che  dopo  il  loro  solenne  in- 
gresso nella  città,  il  conte  tenne  pubblica 
e  solennissima  giostra ,  con  premio.  Nei 
voi.  X,  p.  91,  LXXIII,  p.i  y5  e  altrove, 
narrai  le  strepitose  feste  e  spettacoli  fatti 
in  Roma  neh482,  per  avere  il  re  Ferdi- 
nando V  ricuperata  da'  mov\Granata. In- 
oltre nel  voi.  XLV,  p.  1 18,  ricordai  la  gio- 
stra e  l'incamisciata  fatta  da'romani  nel 
1492,  di  notte  nella  piazza  Vaticana  enei 
cortile  del  palazzo  apostolico,  per  solen- 
nizzare I'  elezione  di  Alessandro  VI,  che 
dalle  finestre  di  sua  camera  godè  lo  spet- 
tacolo. Narra  il  eh.  Giordani,  Della  ve» 
mita  e  dimora  in  Bologna  del  sommo 
Pontefice  Clemente  III  per  la  corona- 
zione di  Carlo  V  imperatore  celebrata 
l'annoi  53o.  le  giostre  che  in  tale  occa- 
sione  si  fecero  nella  città.  Primamente  ai 
7  novembre  1  5ig  con  pubblico  bandodel 
podestà  di  Bologna  ebbe  luogo  la  corsa 
de'cavalli  barbari  dalla  porta  di  via  Mag- 
giore sino  a  quella  di  s.  Felice,  col  pre- 
mio d'un  pallio  di  broccato  d'oro,  per  fe- 
steggiare la  venuta  di  Clemente  VII, e  sta- 
bilito da'24n°kd'  paggi  bolognesi  assegna- 
ti pel  corteggio  di  Carlo  V.  A' 19  poi  per 
celebrar  l'anniversario  di  sua  elezione  al 
pontificato,  si  corse  una  giostra  da' valo- 
rosi cavalieri  e  gentiluomini  ch'erano  il 
fiore  della  nobiltà:  gli  apparati,  le  com- 
parse e  gli  armamenti  furono  oltre  ogni 
credere  pomposi  e  straordinari;  perciò  gli 
esercizi  ginnastici  e  marziali  formavano 
in  que'tempi  quasi  la  sola  cura  delle  per- 
soned'alto  rango. Dipoi  a'5dicembrei52g 
nelle  ore  pomeridiane  fuvvi  una  giostra 
che  durò  4  ore,  e  si  ruppero  più  lance  da 


254  T  °  R 

4o  cavalieri  italiani,  spagnuoli  e  tedeschi, 
per  ottenere  i  due  palili  assegnati  a  ih  une 
de'suddetti  paggi,  e  ricevè  per  valore  d'ar- 
mi in  premio  quello  ricamato  d'oro  Io  spa- 
glinolo con  te  d'Alta  mura;  l'altro  poi  di  vel- 
luto cremisino  fu  diviso  a  eguali  parti  Ira 
un  cavaliere  spagnuolo,  e  Giovanni  Grif- 
foni, uno  de'paggi  bolognesi.  La  giostra 
riuscì  ad  ognuno  divertimento  dilettevole, 
e  oltremodo  soddisfece  a  Carlo  V,  che  per 
genio  proprio  di  somiglianti  giuochi  sen- 
tiva singoiar  piacere.  Quest'imperatore  a  - 
niava  mollo  di  giostrare,  ed  amava  tro- 
varsi nelle  giostre  e  ne'  tomeamenti ,  e 
quando  in  Vagliadolid  fu  eseguita  una 
bella  giostra  col  premio  d'  un  diamante, 
sebbene  l'imperatore  travestito  e  incogni- 
to lo  riportasse,  poi  si  scoprì  ch'egli  fu  il 
vincitore.  L'Sdicembre giunta  in  Bologna 
la  notizia  che  all'imperatore  era  nato  un 
altro  figlio  di  nome  Ferdinando,  il  Papa 
ordinò  che  la  città  facesse  pubblici  segni 
d'allegrezza.  I  personaggi  più  illustri  di 
Spagna, sudditi  di  Carlo  V  e  del  suo  segui- 
to fecero  grande  festa, celebrando  con  ma- 
gnificentissimo  apparato  un  combattimen- 
to come  una  giostra.  In  abiti  bellissimi  al- 
la moresca  eseguirono  il  giuoco  delle  can- 
ne che  durò  più  d'un'ora,  sfidandosi  tan- 
ti per  banda,  e  lanciando  le  canne  inar- 
gentate sugli  scudi,  mentre  i  contrari  ri- 
tirandosi voltavano  le  spalle  e  con  quelli 
si  difendevano,  all'uso  de' inori;  giuoco  as- 
sai piacevole,  e  dagli  spagnuoli  e  bologne- 
si molto  bene  eseguito,  e  con  gesti  mollo 
vaghi  e  spiritosi.  D'una  delle  due  bande 
era  capo l'Osorio  marchese  d'Astorga,  del- 
l'altra il  Paceco  duca  d'Ascalona.  Furo- 
no pure  altri  a  cavallo  per  combattere  in 
piazza  alla  foggia  d'un  torneamento,  ove 
giostrarono  ancora  illustri  cavalieri  di  va- 
rie nazioni,  armati  di  tutte  armi  con  im- 
prese d'amore  e  ornamenti  militari,  e  riu- 
scì spettacolo  graditissimo.  Clemente  VII 
e  Carlo  V  guardaronlo  dalle  finestre  del 
palazzo,  ma  posti  dietro  a  certe  bandinel- 
le^ modo  però  ch'eglino  potevano  como- 
damente vedere  senz'essere  veduti.  L'en- 


TOR 

comiato  Giordani  nell'opuscolo,  Cenni  e 
note  intorno  all'antica  ed  eccelsa  casa 
Sparla,  racconta  che  alla  presenza  del  car- 
dinal bernardino  Spada  legato  e  protet- 
tore di  sua  patria  Bologna,  ivi  si  celebrò 
una  giostra  di  scontro  con  varie  compar- 
se a  cavallo  ed  a  piedi,  secondo  l'usanza 
di  quell'epoca,  descritta  estampata  in  Bo- 
logna col  titolo:  La  Montagna  fulmina- 
la,  torneo  fatto  da  alcuni  cavalieri  bo- 
lognesi l'ultimo  di  febbraio  1628.  Nella 
biografia  di  Paolo  ///riportai,  come  i  suoi 
concittadini  romani  per  celebrare  nel  i534 
la  sua  esaltazione,  sulla  piazza  di  s.  Pie- 
tro e  in  quella  de'  ss.  Apostoli  fecero  ca- 
roselli, giostre  e  combattimenti  di  lancia, 
veduti  dal  Papa,  che  perciò  confermò  e 
ampliò  i  privilegi  del  popolo  romano.  Nel 
voi.  X,  p.  92,  riprodussi  la  descrizione  dei 
festeggiamenti  e  caroselli  celebrati  da'ro- 
mani  nel  1  55o  per  l'assunzione  al  ponti- 
ficato di  Giulio  111,  alla  sua  presenza  nel- 
la piazza  di  s.  Pietro,  e  poi  in  quella  di 
Campidoglio.  Dissi  nell'articolo  Palazzo 
apostolico  Vaticano,  che  in  essoBraman- 
te  sotto  Giulio  II  formò  l'ampio  cortile 
detto  allora  teatro  di  Belvedere  con  por- 
tici (poi  dimezzato  da  Sisto  V  con  Tedi  • 
fizio  della  Biblioteca  ì  aticana)e  loggia  - 
ti,  e  nella  testata  con  grande  scalinata  se- 
micircolare a  foggia  d'anfiteatro  per  ve- 
dere gli  spettacoli  0  tornei,  e  altre  feste. 
Con  meravigliosa  disposizione  d'architet- 
tura, Bramante  ornò  il  maestoso  cortile, 
unendo  cioè  con  magnifico  teatro  quella 
porzione  del  palazzo  Vaticano  fabbricata 
da  Alessandro  VI  ,  .onde  dal  suo  cogno- 
me la  torre  si  disse  Borgia,  con  il  palaz- 
zo e  villa  innalzata  a  Tor  de'Venti  da  In- 
nocenzo Vili:  racchiuse  cosi  l'inferior  val- 
le, oggi  cortile  di  Belvedere,  e  il  superior 
suolo  ov'è  il  giardino  segreto  o  della  Pi- 
gna, dimidiato  da  Pio  VII  col  braccio  del 
suo  Museo,  cou  due  bracci  retti  di  loggie, 
che  iti  seguito  venendo  chiuse  divennero 
gallerie.  Ne' voi.  XXVIII,  p.  233,  XLV, 
p.  1  12  e  altrove,  feci  memoria  delio  Spo- 
salizio che  Pio  IV  dopo  il  solenne  Prau- 


TOR 

zo.  tenuto  nella  gran  sala  di  Costantino, 
fece  Ira'suoi  nipoti  conte  Annibale  A  Itemps 
prefetto  dell'armi  pontificie  e  generale  di 
s.  Chiesa,  ed  Ortensia  Borromeo,  nell'E- 
pifania deli  565;  e  che  quindi  a'5  mar- 
zo, in  tempo  di  carnevale,  ebbe  luogo  per 
tali  sponsali  un  magnifico  e  meraviglio- 
so torneo  nel  cortile  di  Belvedere  alla  pre- 
senza del  Papa,  di  22  cardinali  dalle  fine- 
sire  del  nipote  cardinal  s.  Carlo  Borromeo, 
con  l'intervento  di  6000  cavalieri,  ricor- 
dando la  Narrazione  stampata  che  ne 
compilò  il  Cimi.  Io  non  l'ho  letta,  ma  ri- 
produrrò la  relazione  di  Gaspare  Alveri, 
e  prima  riferirò  quanto  ne  dice  il  p.  Ca- 
simiro da  Roma  ,  Memorie  de*  conventi 
della  provincia  romana.  Parlando  que- 
sti di  Palombara  (di  cui  a  Tivoli)  e  di 
Giambattista  Tosi  capitano  stabilito  in 
quella  terra,  dichiara  che  molto  si  segna- 
lò col  suo  valore  nel  torneo  rappresenta- 
to in  Belvedere,  al  quale  fu  invitato  dal 
suo  barone  Bernardino  Savelli,  con  let- 
tera che  riporta.  In  essa  lo  chiama  a  Ro- 
ma sollecitamente,  perchè  il  conte  Anni- 
bale Altemps  da  parte  del  Papa  l'ave*  in- 
vitato a  intervenire  al  torneo  nel  carneva- 
le.portando  seco  6  gentiluomini  per  giuo- 
carvi.  Che  il  Tosi  meglio  degli  altri  rup- 
pe la  1  /lancia,  ed  ebbe  in  premio  unacro- 
ce  con  4  smeraldi,  4  rubini,  2  diamanti 
e  3  perle.  E  poi  per  avere  meglio  d'ogni 
altro  rotto  tutte  e  3  le  lancie,  gli  fu  da- 
to per  2.0  premio  un  pendente  con  un  dia- 
mante e  un  rubino  con  6  perle.  Meglio 
dunque  è  che  io  riporti  la  interessantis- 
sima descrizione  che  del  torneo  ci  lasciò 
l'Alveri,  Roma  in  ogni  stato,  t.  2,  p.  1 4-3 
e  seg.,  tanto  più  ch'egli  afferma  essere  sta- 
to uno  de'maggiori  che  siansi  rappresen- 
tati in  Roma,  sia  per  l'apparato  del  teatro 
di  Belvedere,  come  per  le  mostre  fatte  da 
diversi  cavalieri  e  loro  ordinanze;  ed  es- 
sendo alquanto  dettagliata,  riuscirà  a  da- 
re una  più  chiara  e  compila  idea  degli  an- 
tichi magnifici  tornei, esaràun  simulacro 
di  quelli  più  crudeli  e  di  disfide  sangui- 
nose. Cajjitoli  del  Torneo.  Che  le  squa- 


TOR  275 

dre  de'cavalieri,  dopo  l'entrata  del  conte 
Annibale  precedano  secondo  la  sorte,  al- 
la quale  tireranno  prima.  E  se  alcuna  tar- 
dasse, in  suo  luogo  succeda  quella  che  se- 
gue, e  l'altra  rimanghi  ultima;  e  se  fosse- 
ro più  d'una  si  governeranno  secondo  la 
sorte  prima,  e  l'ordine  de'maestri  di  cam- 
po. Che  ogni  squadra  possa  menar  seco 
due  padrini,  con  staffieri  e  li  vree.  Che  ogni 
squadra  meni  seco  un  armai  uolo,  accioc- 
ché venendo  alcun  cavaliere  disarmato 
per  incontro,  possa  ritornare  ad  armarsi 
ed  a  combattere.  Che  nell'entrata  vadi- 
no  colla  celata  in  testa.  Che  nell'entrata 
si  possa  portar  lancia  con  ferro  ammolato 
a  piacere,  e  si  faccia  prima  la  riverenza  a 
chi  si  deve.  Che  alla  spada  non  si  porti 
ne  legame, uè  catena  perattaccarlaal  brac- 
cio. Che  alla  testiera  del  cavallo  tion  si 
possa  portar  cosa,  ch'abbia  punta  o  possa 
ferire,  e  non  si  possa  armare  se  non  la  te- 
sta di  esso.  Che  nel  correre  non  debbano 
usare  se  non  le  lance  preparate,  che  saran- 
no eguali,  e  sieno  riconosciute  e  date  lo- 
ro in  mano  da'padrini.  Che  si  metta  ma- 
no alla  spada  senza  aiuto  de'padrini  o  al- 
tri. Che  rompendosi  la  spada  ad  alcun  ca- 
valiere, gli  si  dia  tempo  per  prenderne  al- 
tra. Che  abbiano  a  correre  due  sole  volte 
con  lancia  ferendo  o  non  ferendo.  Che  il 
colpo  da  mezzo  il  petto  sino  al  mento  si 
conti  per  uno,  e  nella  testa  rompendo  per 
due,  e  non  rompendo  per  uno.  Che  il  col- 
po da  mezzo  il  petto  in  giù  non  guada- 
gni premio.  Che  a  quello  che  si  lascia  ca- 
der la  lancia  o  la  spada  di  mano  non  si 
darà  premio.  Chi  ferirà  ilcavallonon  gua- 
dagni premio,  e  chi  l'ammazzerà  per  ur- 
to o  lo  guasterà  lo  paghi.  Che  non  si  pos- 
sa menar  più  che 4  colpi  di  spada.  Chi  fe- 
rirà di  punta  non  solo  non  guadagni,  ma 
vada  fuori  del  teatro.  Chi  uscirà  della  sel- 
la per  incontro  o  mancamento  suo  non 
guadagni  premio. Che  a  la  folla  solo  si  pos- 
sa mutare  il  cavallo.  Che  nella  folla  non 
si  debba  far  quadriglia  con  un  solo,  ma 
combaltino  con  leggi  d'amicizia,  la  qual 
folla  si  debba  fluire  ali. "tiro  di  artiche- 


a56  TOR 

ria  dell'ultima  salva.  E  finita  debba  segui- 
re ciascuna  squadra  quella  del  conte  An- 
nibale, e  quell'insegna  che  comparirà  de- 
gna di  sì  valorosi  cavalieri  col  medesimo 
ordine,  che  all'entrare  si  tenne.  Che  la  vir- 
tù di  que'cavalieri  che  più  degli  altri  re- 
sterà segnalata  ne  riporti  il  degno  premio. 
S\  dichiara  che  a  chi  romperà  meglio  la 
l .'lancia,  la  quale  sarà  destinata  alla  da- 
maci darà  una  croce  di  smeraldi,  diaman- 
ti, rubini  e  perle.  A  chi  romperà  meglio 
tutte  e  tre  le  lancie,  si  darà  un  pendente 
con  diamante,  rubino  e  perle.  A  chi  com- 
batterà meglio  colla  spada  ne'  primi  4 
colpi  si  darà  un  altro  pendente  con  rubi- 
no, diamante  e  perle.  A  quella  squadra 
che  con  lancia  e  spada  si  porterà  meglio, 
si  darà  un  frontale  di  rubini  e  perle.  A 
chi  comparila  più  leggiadro,  si  darà  una 
medaglia  con  un  Marte  d'oro.  Che  a'giu- 
dici  non  sia  preciso  il  termine  di  giudicare 
qualsivoglia  querela.  Che  ad  arbitrio  dei 
giudici  stia  il  giudicare  e  il  terminare  o- 
gni  occorrenza,  ed  i  padrini  non  debbano 
replicare  quando  sarà  loro  imposto  silen- 
zio. Cavalieri  di  tutte  le  squadre,  e  pri' 
ma  della  squadra  del  eonte  Annibale. 
Conti  Gambara,CalIarelli,Mignanelli,  Del 
Verme,  Gonzaga,  Giustini,  Porro  e  Ma- 
rino da  Brescia.  Di  d.  Giovanni  ci Ava- 
los.  Basurta,  Quadra,  Lodi,  Buongio  van- 
ni, Ciscara  e  Mutino.  Di  Donato  Carea- 
no  e  Gio.  Battista  Serbelloni  (altro  ni- 
potedelPapa).Gio.BattistaCarcano,Man- 
deIlo,De  Medici,  Da  Monticello  e  Bizocchi. 
Di  Domenico  de  Massimi.  Conte  Retor- 
zi,  Pallavicino,  Cantarello,  Del  Cavaliere, 
conte  Corbara  e  Pignattelli.  Di  Ottavio 
Bufalini.  Amici,  Pusterla,  Momo  da  Ca- 
stello, Stanga,  Guerra  da  Castello,  Giu- 
seppe da  Mantova.  Di  Pompeo  Colonna. 
Prospero  Colonna,D'Azzia,  Gonzaga,  Ma- 
daleni  ,  Mantaco  e  Mazzatosto.  Di  Gio- 
vanni Orsini.  Capitani  Corbara, Bernar- 
dino da  Vicenza,  Galeotto  d'Assisi  e  Gi- 
rolamo da  Trani,  cav.Ca  podi  ferro  e  con- 
te Della  Porta.  Di  Pallavicino  Rangone. 
Maiueri,  Priorato,  Benzoui,  Corgtia,  Del 


TOR 

Nero  e  Emmo.  Di  Pirro  Malvezzi.  Ca- 
pitan Legnano,  cav.  Cospi,  Guidotti,  Vi- 
tale,De  A  matis  e  Tortorel  lo.  DiG  io. Gior- 
gio Cesarini.  Capizzucchi,  Melimi,  Giro- 
lamo e  Enea  Gabrielli,  Garzone  da  Jesi 
e  Muti.  Di  Bernardino  Savelli.  Capita- 
ni Magnano,  Laudi,  Tosi  di  Palombaro 
e  Lodovico  da  Fabriano  ,  Buonassone  e 
cav.  Malvezzi.  Di  Muzio  e  Ciriaco  Mat- 
tei.  Sodarmi,  Palelli,  Ramazzottoe  Paluz- 
zo  Mattei.  Noterò  che  quasi  tutti  i  nomi- 
nati, sebbene  non  espressi  dall'Alveri,  fu- 
rono titolali,  principi,  duchi,  marchesi  e 
baroni,  cavalieri  e  gentiluomini.  Quindi 
dice  l'Ai  veri,  che  Pio  IV  desiderando  d'u- 
nire i  suoi  nipoti  in  matrimonio,  il  conte 
Annibale  Altemps  con  Ortensia  Borromeo 
dama  d'onestissima  bellezza  e  di  rarissi- 
me maniere,  quindi  il  conte  si  applicò  per 
queste  nozze  a  fare  una  festa  e  dimostra- 
zione, dove  intervenisse  alcun  esercizio  di 
cavalleria  e  di  persone  d'onore; e  ritenen- 
do che  al  Papa  non  avrebbe  a  dispiacer- 
gli, si  propose  di  fare  un  torneo  a  campo 
aperto,  ancorché  il  tempo  fosse  breve,  e 
non  solito  in  Roma  di  esercitarsi  in  simi- 
li giuochi  da  molti  anni  addietro,  acciò  o- 
gni  animo  nobile  si  accendesse  di  militar 
desiderio  a  rinnovar  le  glorie  estinte,  ed 
allineile  di  loro  resti  alcuna  memoria  de- 
gna di  lode.  11  desiderio  del  conte  si  an- 
dò crescendo  in  vedere  il  Papa  tutto  in- 
tento ad  abbellire  Roma  e  altre  città  del- 
lo stato,  e  con  inespugnabili  e  nuove  for- 
tezze e  porti,  e  compito  il  magnifico  tea- 
tro degnissimo  d'essere  chiamato  di  Bel- 
vedere, con  colonne  e  statue,  la  cui  piazza 
essere  lunga  canne  66  e  larga  32  ,  oltre 
la  spaziosa  e  vaga  scala  che  pigliava  tutto 
il  largo  per  linea  retta  verso  l'emiciclo,  da 
parte  di  tramontana,  ornata  di  balaustri 
e  capace  di  5ooo  persone,  ed  all'opposto 
sotto  le  stanze  di  torre  Borgia;  con  altra 
comoda  e  bella  scala  cogli  scalini  per  li- 
nea curva  e  molle  nicchie  ,  sopra  la  cui 
nicchia  grande  dalla  parte  meridionale  e 
capace  di  iooo  e  più  persone  stando  a  se- 
dere, dove  si  poteva  fare  ogni  atto  pou- 


TOR 
tificale  e  regio,  come  di  coronare  impe- 
ratoti e  re.  ed  ogni  giuoco  e  onesto  trion- 
fo. Pertanto  il  conte  Annibaleprometten- 
dosi  molto  dall'agilità  di  molli  gentiluo- 
mini, ih. "febbraio  gli  esortò  a  questo  tor- 
neo con  tanta  cortesia, che  ridusse  io  di 
essi  di  fue  una  squadra  insieme  colla  per- 
sona loro  di  7  cavalieri  per  ciascuno  (cioè 
oltre  quella  del  conte,  e  l'ultima  di  6).  Per 
cui  il  conte  subito  pubblicò  il  torneo,  on- 
de ciascuno  si  provvedesse  delle  armi  e  ca- 
valli e  si  esercitasse,  assegnando  per  l'a- 
pertura lunedì  5  marzo  in  istagione  vici- 
na alla  primavera.  Tanto  fu  il  desiderio 
di  vederlo,  che  molti  sin  dalla  sera  pre- 
cedente presero  posto.  I  22  cardinali, che 
Alveri  nomina  individualmente  e  com- 
preso s.  Carlo  ,  furono  accomodati  nelle 
stanze  più  basse  di  mg/  Borromeo,  con 
altri  prelati, come  luogo  più  comodo  a  ve- 
der tutto  il  teatro.  La  sposa  colle  altre  da- 
me e  gentildonne  di  compagnia  furono 
disposte  nella  scala  della  nicchia  verso  tor- 
re Borgia,  tutta  tappezzala,  e  separate  da- 
gli uomini.  Per  giudici  furono  eletti  gli 
ambasciatori  dell'imperatore  e  di  Fran- 
cin,Marc'Antonio  Colonna  e  il  conteFran- 
cesco  Laudriani  autore  de'riportati  capi- 
toli del  torneo,  a' quali  fece  consegnare 
molle  gioie  pe'premi  de'cavalieri;  i  quali 
premi  furono  accomodati  in  un  palco  bas- 
so per  mezzo  la  piazza  sotto  l'arco  verso 
il  boschetto  incontro  la  porta  principale 
del  teatro.  Lo  Sforza  conte  di  Santa  Fio- 
ra e  Gabrio  Serbelloni  (altro  nipote  del 
Papa,  luogotenente  generale  di  sue  mili- 
zie, di  non  meno  sperienza,  valore  e  vir- 
tù del  conte),  furono  eletti  maestri  di  cam- 
po, i  quali  deputarono  gentiluomini  a  ser- 
vire e  accomodare  le  dame  e  gentildonne, 
e  gli  uomini  ue'palchi  o  luoghi  pubblici. 
Essi  posero  ue'debiti  siti  due  compagnie 
di  cavalleggieri  e  la  guardia  svizzera  pel 
buon  ordine,  essendosi  pure  provveduto 
a  quello  della  città.  11  conte  Laudriani  coi 
maestri  di  campo  fecero  fare  sull'area  3 
righe  per  linea  oblicjua  di  terra  nera,  che 
veuivauo  a  mostrare  2  strade  d'ambo  le 
vol.  txxvii. 


TOR  257 

parli  dagli  angoli  in  croce,  e  alquante  al- 
tre per  il  largo  della  piazza ,  acciocché  i 
cavalieri  potessero  fare  il  loro  corso  drit- 
to senza  investirsi.  A  ore  18  cominciaro- 
no a  comparire  nel  campo  o  area  del  tea- 
tro i  cavalieri  co'loro  padrini  e  staffieri, 
e  ad  ogni  squadra  furono  assegnali  due 
archi  pe'loro  maestri,  cavalli  e  arnesi.  E 
cosi  pel  i.°entrò  il  conte  Annibale  Al- 
temps  con  un  cimiero  ornato  di  gioie  e  fi- 
nissime piume,  condotto  da'padriui  Giu- 
lio Orsini,  Torquato  Couti,  baron  Sfou- 
drato  e  Ascanio  Minali,  cou  6  trombetti, 
un  timpano  e  3o  staffieri  vestiti  di  raso 
bianco,  paonazzo  e  giallo,  con  berrette  e 
cappelli  di  velluto  bianco  e  cordoni  d'o- 
ro, con  un  velame  di  seta  bianca  ricama- 
to di  seta  paonazza  e  oro,  che  pendeva- 
no dai  cimiero,  co'5  bellissimi  cavalli  iu- 
nanzi:  il  i.°  e  il  2. °  erano  guarniti  di  vel- 
luto paouazzo  con  girelli,  fiocchi  e  frangie 
ricamati  d'argento,  in  vaghissima  e  diffe- 
rente foggia,  cavalcati  da  due  paggi  eoa 
celate  e  zagaglie  in  mano  all'antica,  ve- 
stili di  velluto  paonazzo  ornato  d'elegan- 
ti lavori  d'argento  e  oro;  il  3.°  e  4-°  erano 
finiti  di  velluto  rosso  cremisi  lavorato  con 
eccellente  ricamo  d'oro  pieno  di  vaghez- 
za, con  due  altri  paggi  sopra,  l'uuo  colla 
celata  da  piedi  con  uno  scudo  e  zagaglia 
in  mano,  l'altro  con  celala  e  lancia  alla 
leggiera;e  il  5.°  bardato  d'arme  rarissime 
tutte  dorale,  con  un  paggio  con  celata  e 
lancia  da  uomo  d'arme,  quali  3  paggi  ul- 
timi erano  vestili  di  velluto  bianco  rica- 
mato di  roteile  di  tela  d'oro  con  fiocchi 
e  frangie  simili;  co'g  suoi  cavalieri  co'pag- 
gi  bene  a  cavallo,  ciascuno  vestiti  del  me- 
desimo velluto  cogl'istessi  ricami,  fiocchi 
e  frangie  d'  oro,  coperti  i  cavalli  pur  di 
velluto  bianco  ricamato  con  rose  di  tela 
d'oro,  perle,  pietre  ,  fiocchi  e  frangie  di 
seta  paonazza,  cinti  di  reticella  d'oro,  tut- 
ti con  bellissimi  e  vaghi  cimieri  sostenuti 
da  alcune  mascherine  d'argento,  ed  i  ca- 
valli di  tutto  ornamento  ed  eccellenza  or- 
nati con  vaghe  piume;  e  fatta  la  debita 
riverenza,  come  fecero  tutti  i  seguenti,  se 
J7 


»38  T  O  R 

n'andò  all'angolo  B  verso  Belvedere.  Se- 
gni d.  Giovanni  tVAvaìos  (V  Aragona, 
condotto  da  Virginio  Orsini  suo  padrino, 
con  4  trombetti  e  un  tamburo  alla  more- 
sca a  guisa  di  fanciulli  rappresentanti  la 
Fama,  vestiti  di  raso  incarnato  e  bianco, 
con  7  |iaggi  vagamente  accomodati  con 
buonissimi  cavalli,  che  significavano  le  7 
Virtù  principati,  con  un  motto  che  di- 
ceva: Assequimur  ustjue  adipiscamurj 
com2  staffieri  vestiti  di  velluto  incarnato 
cremisi  ricamato  di  tela  d'argento,  co'  6 
suoi  cavalieri,  coperti  i  cavalli  di  velluto 
cremisi  incarnato  con  ricami  a  trionfi  di 
teletta  d'argento  con  fiocchi  e  frangio,  ci- 
mieri e  piume,  il  quale  se  ne  andò  all'an- 
golo D  verso  torre  Borgia.  Dopo  seguiro- 
no gli  altri  capi  di  squadre,  l'uno  pres'so 
l'altro  per  ordine,  cioè  Donalo  Corcano 
e  Ciò.  Ballista  Serbelloni,  condotti  dai 
padrini  Pietro  Antonio  Lonatoecapilano 
Alberto  Angelelli,  con  4  trombetti  e  un 
tamburo  alla  moresca  vestiti  di  raso  bian- 
co e  nero,  con  7  paggi  mori  vestiti  simil- 
mente di  raso  bianco  sopra  7  cavalli  bian- 
chi e  leggiadri  senza  sella,  tutti  piccali  i 
vestili  e  i  cavalli  di  nero  a  guisa  ili  leopar- 
di, con  5  cavalieri  coperti  i  cavalli  di  vel- 
luto nero  con  una  reticella  sopra  d'argen- 
to con  tremolanti  simili,  fiocchi,  frangie 
e  piume,  che  se  n'andarono  a  mano  man- 
ca B.  Domenico  de  Massimi,  coudottodai 
padrini  Ferrante  de  Torres,  Orazio  Mas- 
simi ,  Alessandro  Cinquini  e  cav.  Cesare 
Casale, con  4  trombetti  e  un  timpano,  con 
i4  staffieri  vestiti  di  tela  incarnata  pao- 
nazza e  bianca  alla  tnrehesca  con  archi  e 
circassi  pieni  di  freccie,  con  8  paggi  sopra 
cavalli  vestili  del  medesimo  modo ,  con 
un'impresa  d'un  Girasole  e  il  motto:  Non 
san  questi  miei  occhi  volgersi  altrove  j 
con  6  cavalieri  coperti  i  cavalli  di  tela  d'o- 
ro incarnata  paonazza  e  bianca  alla  da- 
maschina, con  diversi  specchietti  accomo- 
dati sopra  per  ordine,  con  frangie,  vaghi 
fiocchi  e  piume,il  quale  andò  a  mano  man- 
ca dell'angolo  A.  Ottavio  Bufalini,  con- 
dotto da'padrini  Fabio  Malici  e  Gio.liat- 


T  O  R 

tista  Bufalini,  con  4  trombetti,  8  stam\n 
e  7  paggi  a  cavallo,  tulli  vestiti  di  raso 
rosso  e  bianco,  con  6  cavalieri  coperti  i 
cavalli  di  tocco  d'oro  e  d'arcento,  euar  - 
niti  sopra  di  raso  bianco  e  rosso  intaglia- 
to con  fiocchi,  frangie  e  piume,  ed  essen- 
do il  suo  cavallo  toccato  da  una  bacchet- 
ta faceva  la  riverenza  colle  ginocchia  a 
terra,  e  levato  da  questa  andò  a  mano 
dritta  dell'angolo  D.  Pompeo  Colonna, 
condotto  da'padrini  Marcello  del  Nero  e 
Lelio  de  Massimi,  con  4  trombetti,  1  o  staf- 
fieri e  8  paggi  bene  a  cavallo,  lutti  vesti- 
ti di  velluto  cremisi  e  bianco,  con  G  ca- 
valieri, guerniti  similmente  i  cavalli  di 
velluto  cremisi  e  bianco  ricamato  ricca- 
mente di  tela  d'oro  a  fogliami,  con  fran- 
gie, fiocchi  e  piume,  e  con  una  Palma 
per  impresa  col  motto:  Serio  qitaerenda. 
ci  Indo,  e  andò  a  mano  manca  dell'an- 
golo C.  Giovanni  Orsini,  condotto  da'pa- 
drini Gio.  Battista  Micinelli  e  capitan  (iio. 
Pietro  Muti,  con  4  trombetti,  7  paggi  a 
cavallo  e  8  staffieri  vestiti  di  velluto  tur- 
chino e  bianco  con  l'impresa  d'un  Bam- 
bino in  atto  di  fare  riverenza,  con  questo 
motto:  Su,  con  6  cavalieri  aventi  i  caval- 
li coperti  di  velluto  turchino  incarnato 
cremisino  e  bianco,  con  ricami  a  fogliami 
di  tela  d'argento  e  d'oro  a  rose,  con  fran- 
gie, fiocchi  e  piume,  ed  andò  a  mino  drit- 
ta dell'  angolo  B.  Il  Pallavicino  Un'ago- 
ne condotto  da'padrini  Antonio  Orsino  e 
Pasotto Fantocci, con  4  trombetti,  7  pag- 
gi a  cavallo  e 9 stallieri  vestitidi  raso  tur- 
chino, e  bianco  e  giallo,  coll'impiesa  d'u- 
na Conca  che  produce  la  perla,  e  men- 
tre ch'ella  s'apre  per  accogliere  la  rugia- 
da, un  mostro  marino  l'osserva,  e  dall'al- 
tra parte  una  Mazza  con  due  palle  di  pe- 
gola col  motto:  Ih  arlibus,  con  6  cava- 
lieri coperti  di  tela  di  seta  turchina  e  gial- 
la con  occhi  dipinti  sotto  molti  specchiet- 
ti, con  un  ricamo  lungo  di  perle  con  al- 
cune mascherine,  frangie,  fiocchi  e  piume, 
il  quale  andò  a  mano  dritta  dell'angolo  D. 
Pirro  Malvezzi,  condotto  da'padrini  Er- 
cole Riario  e  Marc'Autouio  Tasso,  con  (> 


T  O  R 
cavalieri,  nominati  i  De>ti,  venuti  Ha  Bo- 
logna per  mostrare  in  Roma  questo  cor- 
tese segno  dell' animo  loro  verso  il  conte 
Annibale,  con  4  trombetti,  G  ['aggi  a  ca- 
villo e  (3  staffieri-,  tutti  vestiti  ili  raso  ros- 
so e  verde,  coperti  i  cavalli  di  velluto  si- 
mile con  fogliami  di  tela  d'oro,  con  fran- 
gie,  fiocchi  e  piume,  con  l'impresa  d'un 
Callo  con  un  ramo  d'ulivo  in  bocca,  col 
molto:  Figliando,  e  andò  a  mano  dritta 
dell'angolo  A.  Sei  cavalieri  di  Gio.  Gior- 
gio Cesarini. condoni  da'padrini  Ricciar- 
do Mazza  tosto  e  capitan  Cesare  Muli,  con 
4  trombetti,  6  paggi  a  cavallo,  e  9  staf- 
fieri vestiti  di  velluto  rosso,  bianco  e  gial- 
lo, coperti  i  cavalli  di  velluto  de'medesimi 
colori  lavorato  a  fogliami, con  frangie,fioc- 
cbi  e  piume,  i  quali  se  n'andarono  a  mano 
dritta  dell'angolo  C.  Bernardino  Savelli, 
condotto  da'padrini  Lodovico  Savelli  e  ca- 
pitano Innocenzo  da  Norcia,  con  4  trom- 
betti, 7  paggi  a  cavallo,  69  staffieri  vestili 
di  velluto  nero  e  giallo,  con  6  cavalieri  co' 
cavalli  coperti  di  velluto  nero  con  ricami 
di  broccato  e  fila  d'oro  con  frangie,  fiocchi 
e  piume  riccamente  ornati,  cou  l'impresa 
d'un  Carro  trionfante  tirato  da  4  caval- 
li, con  un  imperatore  sotto  un  lauro,  so- 
vrastato da  due  tortore,  e  guidato  verso 
una  stella  che  co'raggi  l'alluma,  e  sen'an-  , 
dò  all'angolo  A.  E  finalmente  Muzio  e  Ci- 
riaco Mattei.  condotti  da'padrini  Fabri- 
zio Massimi  e  Prospero  Cail'.trelli,  con  4 
trombetti,  6  paggi  a  cavallo,  e  7  staffieri 
vestiti  di  velluto  rosso,  turchino,  bianco  e 
giallo,  con  un'impresa  per  ciascun  cava- 
liere, la  I.*  ero  una  Lanterna  con  lume, 
col  molto:  Arde  e  non  lucej  e  la  2."  una 
Pietra  da  fuoco  con  3  fucili,  col  motto: 
Non  quo  vii ;  ferro,  con  6  cavalieri  co'ca- 
valli  coperti  di  velluto  de'medesimi  colo- 
ri a  foggia  di  lume,  piramidi  e  fogliami  con 
frangte,fiocchi  e  piume.e  se  n'andaronoal- 
l'angolo  C.  E  furono  in  tutto  12  squadre 
con  cimieri  bellissimi  leggiadramente  ac- 
comodati, come  anche  comparvero  gli  o- 
noratissimi  padrini  sontuosissimamente 
vestiti  e  ornali,  cou  molti  staffieri  per  cia- 


T  O  R  2T9 

senno,  oltre  i  descritti,  conforme  alle  me- 
desime livree  de'capi  di  squadre,  con  cap- 
pelli finiti  e  ricamati  di  perle,  smeraldi, 
rubini  e  diamanti,  che  rappresentavano 
gran  ricchezza  e  ornamento:  i  quali  padri- 
ni aveano  i  nomi  di  ciascun  cavaliere  per 
farli  correre  secondo  l'ordine,  e  perchè  al- 
la folla  potessero  incontrarsi  co'medesimi, 
co'quali  prima  avessero  corso.  Li  4  ango- 
li erano  segnati  per  ordine:  A  B  verso  Bel- 
vedere, e  C  D  verso  torre  Borgia.  Rappre- 
sentava il  teatro  di  Belvedere  una  prospet- 
tiva di  piume  di  variati  colori  e  un'appa- 
renza intorno  agli  archi  escale,  che  figu- 
rava una  testura  di  variissime  e  ornatissi- 
rae  livree,  di  molte  delle  quali  fu  invento- 
re l'eccellente  miniatore  GiulioClovio,em- 
piendola  vista  altrui  nomnendidilettoche 
di  meraviglia.  Movendosi  prima  d'ogni  al- 
tro il  conte  Annibale  colle  6  squadre  da- 
gli angoli  A  B,  si  pose  in  fila  occupando 
la  testa  della  piazza  e  congiungendosi  a 
mezza  scala.  Il  medesimo  fecero  le  6  altre 
squadre  contrarie  degli  angoli  C  D,  tut- 
ti in  ordine  di  battaglia, colla  visiera  alza- 
ta e  colla  lancia  alla  coscia,  senza  muover- 
si né  cavalieri,  uè  padrini.  Allora  all'im- 
provviso dal  palco  de'giudici  apparve  fuo- 
ri una  banderuola  bianca  e  gialla  per  se 
gno,  alla  vista  della  quale  si  senti  il  tiro 
d'artiglieria  verso  Bel  vedere,di  doveavea 
no  sempre  a  cominciare  gl'inviti  e  le  riti 
rate  o  salve  con  l'artiglieria  e  colle  troni 
be,  e  per  spazio  d'uu  avemmaria  fu  rispo 
sto  con  un  altro  tiro  verso  torre  Borgia, 
di  dove  gli  artiglieri  aveano  sempre  a  ri- 
spondere; ed  appresso  segui  il  suouo  d'al- 
quante trombe  colla  richiamala  a  guisa 
di  provocarsi  a  battaglia,  e  ciò  segui  d'ac- 
cordo e  senza  fraude,  e  il  medesimo  fece- 
ro per  ordine  sino  a  3  volte.  In  ultimo  suo- 
nai ono  tutte  le  trombe,  colla  risposta  dal- 
l'altra parte.Quindi  apparve  il  segno  d'un' 
altra  banderuola  differente,  e  subito  fu  e- 
splosa  una  gran  salva  di  artiglieria  dalla 
parte  di  Belvedere,colla  risposta  verso  tor- 
re Borgia,  ed  a  questa  seguendo  il  suono 
di  tutte  le  trombe  insieme  ,  da  ciascuna 


a6o  TOR 

parie  furono  abbassate  le  visiere,  e  perdi* 
mostrar  l'ardente  desiderio  di  combatte- 
re, cominciarono  a  correre  l'ulta  parte  con- 
tro l'altra  per  alquanto  spazio  e  seguitane 
do  il  suono  delie  trombe  con  rinforzo  n 
modo  di  scaramuccia,  i  cavalieri  correndo 
fecero  un'altra  rappresentanza.  Poi  si  ri- 
tirarono ciascuna  squadra  agli  angoli  lo- 
ro designati.  Così  dopo  altri  tiri  d'artiglie- 
ria e  la  risposta  ,  cominciò  a  correre  al- 
l'incontro il  conte  Annibale  Altemps  con 
d.  Giovanni  d'Avalos,  correndo  due  volle 
collelance,  e  tirandosi  4colpi  di  spada  per 
ciascuno. Appresso  corsero  Bernardino  i>a> 
■velli  e  Muzio  Mattei  incrocicchiando  per 
angolo,  come  aveano  da  fare  tutti  gli  al- 
tri; onde  così  seguendo  per  ordine  l'uno 
appresso  l'altro,  finirono  tutti  i  loro  corsi. 
E  fra  gli  altri  due  cavalieri  delle  squadre 
dell'angolo  B,  con  due  altri  dell'angolo  D, 
s'urtarono  andando  per  terra  co'cavalli,3 
de'  quali  ne  morirono  poco  dopo  e  il  4«° 
restò  maltrattato,  senza  male  alcuno  dei 
cavalieri.  Dopo  questo  si  mosse  il  conte  An- 
nibale colie  6  squadre,  e  fecero  il  mede- 
simo che  all'entrata,  e  poi  riducendole  in 
uno  squadrone  di  6  file,  mostrando  di  vo- 
ler di  nuovo  investire  lo  squadrone  con- 
trario, e  facendo  la  parte  avversa  il  me- 
desimo camminando  versoquella  per  fian-  ■ 
co  con  tutti  i  padrini  a  mano  dritta,  occu- 
parono dall'  angolo  B  sino  al  C  per  lun- 
go in  fila,  non  passando  ciascuna  squadra 
lo  spazio  di  due  ardii  e  mezzo,  avendo  la- 
sciati gli  ultimi  dalle  teste  per  l'impedi- 
mento degli  scalini.  E  la  contraria  parte 
all'opposto  fece  il  medesimo,  occupando 
dall'angolo  D  sino  all' A.  Così  restando 
il  conte  Annibale  verso  gli  archi  del  bo- 
schetto, e  la  parte  contraria  verso  gli  archi 
della  porta  principale, corse  una  lancia  per 
il  largo  con  d.  Giovanni  d'Avalos,  e  così 
seguendo  l'uno  appresso  l'altro  ordinata- 
mente senza  intervallo  finirono  lutti,  che 
riuscì  di  sommo  piacere  e  bellissima  vista. 
Mentre  ebe  seguirono  questi  assalti,  essen- 
do passate  le  23  ore,  oltre  che  Io  spettaco- 
lo rappi  escuta  va  non  meno  sublime  mae- 


TOR 

sia,  che  perfetta  eccellenzn,mostrando  una 
intarsiatura  di  così  vaga  e  bella  gente  con 
quella  maggior  vaghezza  e  leggiadria  che 
può  penetrare  l'umana  intelligenza,  si  vi- 
dero  però  di  poco  in  poco  spazio  sbalzare 
dalla  cima  delle  scale  verso  Bel  vedere  mol- 
ti uomini,  che  scendendo  a  basso  rotolan- 
do sopra  le  spessissime  teste  delle  perso- 
ne dierono  materia  molto  da  ridere,  con 
infini  le  allegre  voci  e  giù  hi  li. Talché  si  può 
credere  che  il  Papa  Pio  IV  (il  quale  non 
si  lasciò  mai  vedere),  sentendo  tanto  ap- 
plauso e  consolazione  del  suo  divotissimo 
popolo  ad  onore  degli  sposi,  commosso  da 
paterna  dolcezza,  non  lasciasse  di  goder- 
ne; e  perchè  non  vi  avesse  a  succedere  ma- 
le alcuno,  ancora  colla  sua  s.  benedizione 
di  favorire  e  contemplare  sì  eccelsa  e  leg- 
giad  rissima  prospettiva  sino  allora  non  più. 
veduta.  Venendo  poi  la  notte,  in  un  mo- 
mento si  accesero  molti  lumi  in  diverse 
lutniniere  per  tutti  gli  archi,  accomodali 
con  materia  artificiata,  e  dopo  breve  spa- 
zio cominciarono  a  suonare  tutte  le  trom- 
be, e  avendo  i  cavalieri  abbassala  la  visie- 
ra e  messo  mano  alla  spada,  cominciò  il 
conte  Annibale  a  battersi  con  d.  Giovan- 
ni d'Avalos,  e  facendo  il  medesimo  i  capi 
delle  squadre,  si  mossero  tulli  gli  altri  ca- 
valieri d'ambe  le  parti  io  aiuto  ciascuno 
del  suo  capo,  e  combatterono  alla  folla  mo- 
strando ogni  valore,  e  fortezza  maggiore 
per  molto  spazio,  sinché  sentito  ili. "tiro 
d'artiglieria,  n'uscì  dall'angolo  B  un  car- 
ro trionfalecaricodi  vari  trofei,  tutto  inar- 
gentato e  clorato,  con  un  Cupido  guidato 
da  una  Venere  regiamente  ornata  con  ve- 
ste finita  d'argento  e  d'oro,  tirato  da  4  leg- 
giadrissimi  e  bianchi  cavalli  colle  sue  piu- 
me per  eccellenza  accomodate,  che  mo- 
strava ardere  que'trofei,  e  gettava  fiam- 
me per  diverse  bocche,  che  andando  alla 
volta  loro  si  divisero  a  poco  a  poco  in  due 
parti  facendo  strada  a  Cupido  con  molto 
diletto  di  ciascuno,  e  seguitando  moltis- 
simi tiri  d'artiglieria  si  sentirono  due  bel- 
lissime salve,  prima  l'una  e  poi  l'altra  per 
risposta  d'ambe  le  parti,  il  quale  Cupido 


TOR 

cull'arco  e  freccie  andava  saettando  quei 
cavalieri  con  grandissimo  piacere  d'ognu- 
no. In  questo  all'improvviso  fu  dato  fuo- 
co ad  tuia  girandola  (del  qna\e  fuoco  ar- 
tificiale ne  ragionai  nel  voi.  X,  p.  i  96  e  seg.) 
dalla  sommità  dell'emiciclo  delle  stanze 
di  Belvedere,  con  una  pioggia  di  razzi, che 
uscivano  da  quelle  colouue,  e  arrivavano 
sino  alle  scale  dove  stava  la  sposa,  con  pia- 
cevolissima vista.  Del  carro  trionfale,  del- 
le salve  e  lumiere  ebbe  cura   Francesco 
Cadamoslo  col  capitano  Salustio  Peruz- 
zi.  Questo  fu  l'allegrisNiino  fine  della  fe- 
sta, con  contentezza  comune  incredibile, 
circa  la  mezz'ora  di  notte.  Tutti  i  nobi- 
lissimi   cavalieri  seguirono  il  conte   Al- 
temps,  die  dopo  aver  girato  col  carro  mol- 
te volte  per  la  piazza  spargendo  melodie 
di  trombe,  l'accompagnarono  sino  alle  sue 
stanze  dell'ai  cipresbiterato.  Si  calcolò  che 
gli  spettatori  furono  5o,ooo.!\Vprimi  due 
incontri  per  angolo,  quasi  la  maggior  par- 
ie de'cavalieri  ruppero  le  loro  lance,  al- 
cuni de'quali  ferirono  Della  testa  e  si  vi- 
dero molti  buoni  colpi,  cos'i  di  lancia  co- 
me di  spada  anco  sulla  testa,  dell'incon- 
trarsi poi  per  largo  quasi  tutti  i  cavalieri 
ruppero  le  loro  lance,  senza  ebe  succedes- 
se discordia  o  male  alcuno,  e  in  ogni  co- 
sa la  perizia  e  giudizio  de'maestri  di  cam- 
po cosi  bene  ordinarono  tuttociòche  con- 
veniva in  quell'occorrenza,  che  il  succes- 
so mostrò  die  non  poteasi  desiderare  di 
meglio.  La  sera  il  conte  Annibale  fece  un 
sontuosissimo  e  lautissimo  pasto,  al  quale 
si  trovarono  i  medesimi  cardinali,  cavalie- 
ri e  gentiluomini,  e  più  di  120  dame  ro- 
mane, che  aveauo  accompagnato  la  sposa 
alle  sue  stanze,  arrivando  iu  tutto  al  nu- 
mero di  1000  persone.  Dopo  la  cena  per 
intermezzode'molti  balli,  delle  sinfonie  di 
varie  rausiebe  die  si  fecero,  fu  pubblica- 
ta la  sentenza  de'giudici  del  seguente  te- 
nore. Forma  della  sentenza  data pe' pre- 
mi del  Torneo.  Avendo  noi  giudici  con 
diligente  esame  e  maturo  discorso  confor- 
me alla  nostra  sincerità,  e  testimonio  di 
persone  degue  di  fede  e  massime  de'mae- 


TOP.  261 

stri  di  campo  ,  con  quella  maggior  dili- 
genza che  hanno  potuto,  e  secondo  la  ma- 
niera del  loro  combattere  ha  conceduto, 
ben  considerale  tutte  l'azioni  de'combat- 
tenti,  diciamo  che  siccome  la  festa  è  sta- 
ta bellissima  rappresentando  una  ben  fin- 
ta guerra,  come  il  conte  desiderava;  così 
avendo  veduto  in  quella  segnalarsi  molti 
cavalieri,  essendosi  ben  incontrati  e  aven- 
do combattuto  molto  valorosamente.  Pe- 
lò per  l'autorità  nostra  dataci  in  virtù  dei 
capitoli,  a'quali  sono  stati  sottoposti  tut- 
ti i  cavalieri,  abbiamo  giudicalo  che  una 
croce  con  4  smeraldi,  4  rubini,  2  diaman- 
ti e  3  perle  si  dia  al  capitano  Gio.  Batti- 
sta Tosi  di  Palombara,  pel  1. "premio,  a- 
vendo  rotto  meglio  la  1. 'lancia. E  parimen- 
ti un  pendente  con  un  diamante,  e  un  ru- 
bino con  6  perle  si  dia  al  medesimo  ca- 
pitan Tosi  per  2.0  premio,  per  aver  rotto 
tutte  e  3  le  lancie  meglio  degli  altri.  Che 
un  nitro  pendente,  con  un  rubino  e  5  per- 
le si  dia  ai  capitan  Bernardino  ila  Vicen- 
za per  premio  ,  avendo  combattuto  me- 
glio colla  spada,  e  con  un  colpo  segnata- 
mente fatto  cadere  la  spada  di  mano  al- 
l'avversario, e  alzatagli  la  visiera;  ancor- 
cliè  i  capitani  Lodovicoda  Fabriano, Gio. 
Battista  Carcano,  Agostino  Benzoni, Pom- 
peo Colonna,  Marc' Antouiod'Azzia,  e  Do- 
menico de  Massimi  abbiano  combattuto 
tanto  bene,che  furono  vicini  ciascuno  d'es- 
si a  riportare  il  premio.  Che  un  frontale 
con  7  rubini  legati  in  oro  e  16  perle,  si  dia 
a  Pompeo  Colonna  colla  sua  squadra,  per 
essersi  ella  non  men  colla  lancia,  che  col- 
la spada  diportata  più  segnalatamente. 
Che  una  medaglia  con  una  figura  di  Mar- 
te d'oro  colla  testa  e  braccia  di  calcedo- 
nia  legala  in  oro  con  alcune  granate,  si 
dia  al  conte  Annibale  (non  ostante  che 
molte  squadre  sieno  comparse  tanto  leg- 
giadramente per  invenzione  e  per  ricchez- 
za, die  meritano  molta  lode)  per  essere 
comparsala  sua  squadra  non  uienoorua- 
ta,chericchissimamente  vestita,  con  mag- 
gior pompi, con  maggior  numero  di  cava- 
beri,  e  con  armi  conformi  a'fatli  di  guerra, 


»f>*  TOR 

ch'é  quello  che  il  torneo  d'oggi  in  tutte  le 
Pelili  ha  voluto  rappresentare.  In  quanto 
alla  decisione  delle  querele   presentateci 
pei  capi  dellesquadre, usando  noi  della  no- 
stra libertà  dataci, diciamo, che  più  tem- 
po Insogna  a  tanta  lite.  A'  cavalieri  che 
caderono  all'incontro  per  difetto  de'loro 
cavalli  non  avendo  noi  premio  da  dai  li 
suppliranno  le  dame  gratificandoli  e  pre- 
mi.indoli  del  perlcoloal  quale  si  sono  espo- 
sti per  piacer  loro,  il  che  avranno  in  mag- 
gior stima  di  quello  che  da  noi  si  potesse 
dar  loro.  E  generalmente  a  lutti  i  cavalieri 
devono  far  favore,  avendo  travagliatoceli 
eomballulo,e  resa  ubbidienza  ni  conte  An- 
nibale,  a  cui  essi  desideravano  che  s'ubbi- 
disse e  servisse;  ed  ancora  a  noi  devono 
qualche  cosa,  poiché  in  sì  reale  spettacolo 
siamostali  ancor  noi  bersaglio  del  medesi- 
mo amore.  Questi  premi  allora  in  presen- 
za della  sposa  e  delle  dame  furono  abo- 
minati cavalieri  presentali.  E  verso  le  7 
ore  ognuno  se  n'andò  a  riposare.  Il  Pa- 
pa si  compiacque  assai  che  gli  sposi  suoi 
nipoti  fossero  onorati  con  tanta  pompa 
e  univcrsal  contenlo,e  massime  che  il  suo 
affeziona tissimo  popolo  mostrasse  e  sen- 
tisse tanta  consolazione  e  allegrezza,  poi- 
ché il  tutto  successe  senz'alcun  disordi- 
ne. Cos'i  carnevale  venne  a  finire  il  suo 
trionfo.  Diversi  torneamenti  rivide  Ro- 
ma nel  pontificalo  d'Urbano  Vili,  per 
opera  della  sua  famiglia  Barberini,  e  pre- 
cipuamente pel  suo  nipote  cardinal  An- 
tonio Barberini  giuniore  generalissimo 
delle  Milizie  pontificie  (delle  quali  ripar- 
lai a  Soldato),  in  occasione  della  guerra 
contro  il  duca  di  Parma.  Perciò  il  Cor- 
della nella  biografia  del  cardinale  rife- 
risce che  non  solo  amava  i  soldati  ed  era 
con  essi  generoso,  ma  che  per  esercitare 
la  romana  gioventù  negli  esercizi  caval- 
lereschi e  militari  propri  di  quell'epoca 
di  guerresche  fazioni,  fece  eseguire  a  sue 
spese  nel  gran  foro  Agonale  di  Roma  o 
Piazza  Navona,  \  giuochi  dell'asta  rap- 
presentanti  una  fìnta  battaglia,  con  tal 
pompa  e  magnificenza,  che  gli  procacciò 


T  O  R 

l'altenzione  e  l'ammirazione  di  tutta  I- 
talia.  De'tornei,  giostre,  caroselli  e  finti 
combattimenti  dati  in  Roma  con  magni- 
ficenza dal  cardinal  Barberini,  ne  feci  ri- 
cordoancbenel  voi.  XLV,  p.  1  18,  ezian- 
dio per  la  regina  Cristina  di  Svezia  (/'•), 
seuonchè  la  dala  è  errata,  dovendo  dire 
l656.  Abbiamo  nel  Mercato  di  Cancel- 
lieri a  p.  q3,  che  a'o.5  febbraio  1 634  ne^ 
sabbato  di  carnevale  il  cardinale  nel  foro 
Agonale  die  al  principe  Alessandro  Car- 
lo di  Polonia  una  bellissima  e  sorpren- 
dente giostra,  di  cui  fu  mantenitore  Cor- 
nelio Denti  voglio  sotto  il  nome  di  Tiamo 
da  Menfi,  oltre  la  festa  notturna  Citta  con 
una  nave  con  musiche:  di  tutto  ne  pub- 
blicò la  relazione  colle  stampe  il  Mascar- 
di, conio  nobili  disegni  d'Andrea  Sac- 
chi :  Festa  fatta  in  Roma  a' i5  febbraio 
1 634-  Festa  di  giostra  con  diverse  com- 
parse e  macelline  fatta  in  piazza  Na- 
vona  da' signori  Barberini  Fanno  i634, 
intagliata,  in  acqua  forte.  Di  più,  dice 
Cancellieri,  che  il  cardinal  Barberini  in 
altri  incontri  fece  spiccare  la  sua  gran- 
dezza d'animo,  poiché  oltre  le  feste  date 
per  la  nascita  del  Delfino,  con  Relazione 
impressa  co'tipi  del  Cavalli,  fece  dipin- 
gere un  quadro  pel  Palazzo  Barberini, 
esprimente  il  torneamento  con  un  carro 
trionfale  superbissimo,  dato  per  festeg- 
giare la  regina  di  Svezia  Cristina,  accom- 
pagnalo da  molti  cavalieri  a  cavallo,  con 
ornamenti  vaghissimi,  un  carosello  e  un 
combattimento  notturno,  con  quantità  di 
torcie  e  musica,  sopra  la  piazza  artificia- 
le  formata  presso  il  suo  palazzo.  Per  altri 
suoi  festeggiamenti  e  ludis  Bacchana- 
libus.  può  vedersi  lo  slesso  Cancellieri.  [ 
caroselli  furono  di  recente  celebrati  in 
Roma  dall'odierna  guarnigione  francese: 
ne  ricorderò  due.  Riporta  il  n.°  209  del 
Giornale,  di  Roma  del  18  53,  che  ai  4 
settembre  nella  magnifica  /'illaJJorghe- 
se  la  cavalleria  della  guarnigione  france- 
se presentò  al  popolo  romano  uno  spet- 
tacolo assai  piacevole.  Fu  un  carosello 
militare  eseguito  da'due  squadroui  del- 


T-O  R 
J'XI  (e  non  i. °  come  avvertì  il  Giorna- 
le col  n.°  210)  reggimento  de'  dragoni, 
per  dare  non  dubbie  prove  ili  loro  abi- 
lità al  generale  di  divisione  d'André  se- 
natore di  Francia',  ed  espressamente  ve- 
nuto in  Roma  come  ispettore  generale 
delle  milizie  francesi  ivi  stanziate.  Chi  ben 
conosce  il  circo  della  villa  Burgbese,  de- 
nominato piazza  di  Siena, facilmente  com- 
prende die  luogo  piìi  acconcio  non  po- 
teva esser  scelto  per  dare  un  simile  spet- 
tacolo. Una  sterminata  moltitudine  di 
spettatori  vagamente  disposta  vedeasi  in- 
torno a  questo  grande  rettangolo:  l'am- 
basciatore di  Francia  conte  Alfonso  de 
llaynevalji  ministri  di  Spagna  e  di  varie 
ultra  corti,  il  generale  Allouveau  deMont- 
real,  comandante  la  divisioue,  e  gli  altri 
generali;  principi  romani  e  dame  in  gran- 
dissimo numero  accorselo  per  vedere  e 
ammirare  i  200  cavalieri,  che  doveano 
dai-  bella  prova  di  se  sotto  la  direzione  e 
il  comando  dell'egregio  loro  capo-squa- 
drone Vincent.  Lo  spettacolo  fu  diviso  in 
due  parli:  la  1  .'abbracciava,  olirei  mo- 
vimenti preparatorii,  l'attacco  de'circoli 
e  l'attacco  di  fianco,  il  mutamento  dima- 
ni), la  croce  di  Malta,  i  quattro  e  poi  gli 
otto  circoli,  e  finalmente  le  cariche;  la 
2.3  couteneva  l'attacco  successivo  in  co- 
lonna, l'attacco  in  colonna  e  la  ritirala 
ni  cerchio,  l'attacco  obliquo,  la  ritirata,  i 
molinelli,  la  croce  di  s.  Andrea  e  di  Pio 
1  \  (cioè  la  decorazione  equestre  dell'or- 
dine Piano), la  doppia  mischia,  e  la  mar- 
cia dillilata.  Era  il  carosello  di  Saumur 
modificato  in  modo  da  poter  essere  ese- 
guitoda  due  squadroni, e  accresciuto  d'al- 
cuni movimenti.  Soltanto  uno  assai  es- 
perio nell'arti  della  milizia,  ed  in  modo 
particolare  di  quella  di  tale  speeie,potreb- 
be  minutamente  e  con  precisione  descri- 
vere ognuna  di  queste  parti,  e  far  cono- 
scere la  granile  abilità  con  che  furono 
tutte  eseguite.  Ogni  spettatore  con  uno 
sguardo  allento  accompagnava  i  200  ca- 
valieri dah.'motneutoche  piesentaronsi 
sull'arena  iiuo al  tei  uuue:  li  mirava  muo- 


TO  R 


3O0 


versi  con  una  precisione  che  mai  la  pili 
grande  ad  ogni  suono  di  tromba  o  co- 
mando del  capo-squadrone.  Ora  divìde* 
vausi  in  ranghi  ed  ora  volteggiavano  in 
mille  modi:  ora  un  arrestarsi  degli  uni 
e  un  correre  degli  altri:  uno  squadrone 
simulava  l'attacco  e  l'altro  la  difesa;  sen- 
za urtarsi  e  confondersi  furouo  veduti 
formare  quando  4  e  quando  un  numero 
assai  maggiore  di  cerchi,  uno  dentro  l'al- 
tro: e  senza  mai  uscire  dall'orbita  segna- 
ta camminare  e  di  trotto  e  di  galoppo,  ed 
in  questi  difficili  movimenti  moderare  a 
talento  il  corso  de'  cavalli,  e  nello  stesso 
tempo  rotare  le  spade,  e  queste  deporre 
onde  afferrare  le  pistole  e  far  fuoco.  Del- 
lo e  sorprendente  vederli  nella  mischia, 
ma  non  mai  confusi,  sempre  maestrevol- 
mente ordinati  a  seconda  de'comandi  che 
nceveano:  alcuni  ranghi  incedendo  di 
trotto  ed  altri  di  galoppo  formavano  grup- 
pi di  grande  difficoltà;  ed  era  con  queste 
mosse  che  presentarono  la  croce  di  s.  An- 
drea e  quella  del  sommo  Pontefice.  I  due 
•quadrarti  furono  veduti  partire  dall'op- 
poste estremità  dell'arena,  e  colle  spade 
spinte  innanzi  slanciarsi  furiosamente  l'u- 
no contro  dell'altro,  e  uel  momeuto  che 
stavano  per  urtarsi  colle  medesime,  im- 
provvisamente alla  voce  del  comandan- 
te arrestare  il  cavallo,  e  sollevate  le  spa- 
de, a  vece  di  vibrare  colpi  di  morte  l'u- 
no contro  I'  altro  piacevolmeute  saluta- 
1  unsi.  Il  pubblico  non  perdeva  di  vista 
nessuno  di  que'difficili  e  complicati  mo- 
vimenti; li  seguiva  con  il  maggior  inte- 
ressamento, e  più  voltecon  fragorosi  bat- 
timenti di  mano  salutò  i  faticati  cavalie- 
ri, che  mediante  la  loro  valentia  in  quel 
continuo  muoversi,  urtare  di  spade  e  in- 
calzare di  cavalli  accorrenti,  non  ebbero 
a  soffrire  il  benché  minimo  danno.  Ogni 
squadrone  faceva  sventolare  la  bandiera 
francese  e  quella  pontificia:  e  ogui  sua 
mossa  compì  a  suouodi  musicali  conceu- 
ti.  Sul  cader  del  sole  il  carosello  con  tan- 
ta maestria  eseguito  ebbe  il  suo  termine 
coi  defilare  de'  cavalieri,  che  mossero  a 


264  T  °  R 

rendere  il  saluto  al  generale  ispettore,  clie 
mostrasti  altamente  soddisfallo.   Inoltre 
dal  n.°  242  del  Giornale  di  Roma  dello 
stesso  1 853  si  apprende,  che  il  magnifi- 
co carosello  di  cui  Roma  fu  spettatrice 
nel  settembre,  venne  ripetuto  a'?.4  otto- 
bre dallo  slesso  reggimento  XI  de'drago- 
nifrancesi.il  generaleAllouveau  deMont- 
real comandante  la  divisione  di  occupa- 
zione in  Italia,  non  che  l'egregio  colon- 
nello di  questo  reggimento  Danias,  col- 
sero assai  di  buon  grado  silFalla  occasio- 
ne per  venire  in  aiuto  della  caritatevole 
società  di  s.  Vincenzo  de  Paoli,  che  con 
tanto  zelo  si  consagra  al  sollievo  de'po- 
veri.  E  il  principe  d.  Marcantonio  Bor- 
ghese, il  quale  nulla  tralascia  per  giovare 
a  chi  è  misero,  apriva  a  tal  uopo  la  sua 
"villa,  come  si  compiacque  concederla  la 
1."  voi  tu.  Il  carosello  ebbe  incom  iucia  men- 
to alle  3  pomeridiane:  200  cavalieri  sot- 
to il  comando  del  capo  squadrone  Vin- 
cent, con  un'ammirabile  precisione  ese- 
guirono ogni  movimento  indicato  nel  pro- 
gramma :  e  quantunque  non  pochi  di  es- 
si non  avessero  fatto  parte  del  i.° carosel- 
lo, tuttavia  ne'circoli,  ne' mutamenti  di 
mano,  e  nelle  cariche,  e  negli  attacchi  in 
colonna,  e  ne'  molinelli,  nella  mischia  e 
nella  marcia  diffilata,  ed  in  qualunque  al- 
tra   mossa,  mostrarono  egoal   valore  a 
quelli  che  già  eransi  cimentati  in  tale  ar- 
ringo. Gli  applausi  della  moltitudine  che 
stipava  la  grandiosa  piazza  di  Siena  mo- 
strarono quanto  si  compiacesse  di  que- 
stospettacolo,  e  furono  l'encomio  che  ven- 
ne a  tributare  a'  bravi  cavalieri,  al  loro 
capo-squadrone  e  al  colonnello,  i  quali 
hanno  saputo  con  tanta  abilità  ammae- 
strarli. Indi  il  n.°  244  del  Giornale  noti- 
ficò, che  le  persone  entrate  nella  villa  a  ve- 
dere il  carosello  furono  10,000,  ed  i  mi- 
litari francesi  e  pontifìcii  non  furono  me- 
no di  5ooo,maessi  ebbero  tutti  l'ingresso 
gratuito.  L'introito  de'biglietti  fu  di  scu- 
di 719,  quello  dell'oblazioni  scudi  1  17, 
in  tutto  scudi  83G.  Essendo  salite  le  spe- 
se a  scudi  35o,  rimasero  a  beneficio  del- 


TOR 
la  pia  società  di  s.  Vincenzo  scudi  ^S6. 
Quanto  alla  giostra  che  un  tempo  si  fa- 
ceva nell'anfiteatro  d'Augusto  o  Correa, 
nel  riparlare  di  esso  nel  voi.  LXXIII,  p. 
248,  ripetei  la  proibizione  fattane  duLeo- 
ne  XII  e  Pio  Vili,  come  spettacolo  san- 
guinario. 

I  tornei  furono  nuovamente  celebrali 
negli  ultimi  anni  in  Italia  e  ollremonte. 
Nel  febbraio  i83f),  lieto  Carlo  Alberto  re 
di  Sardegna  per  la  venuta  nella  sua  capi- 
tale Torino  ,  del  gran  duca   Alessandro 
principe  ereditario  della  Russia  (che  a'2 
marzo  1 855  per  la  morte  del  genitore  Ni- 
colò I  salì  al  trono  nello  stesso  giorno,  ed 
è  Alessandro  II  imperatore  regnante  delle 
Russie);  splendida  fu  l'accoglienza,  come 
conveniva  al  figlio  dell'imperatore  Nico- 
lò l,e  fu  bel  pensiero  del  re  perfesleggiare 
l'ospite  augusto  nella  sua  breve  dimora 
in  detta  città,  di  rinnovare  l'antica  usan- 
za de'reali  di  Savoia,  disponendo  un  tor- 
neò. Ne  fu  capo  il  marchese  Corderò  di 
Patnparato,  e  corsero  le  giostre  i  più  scel- 
ti, i  più  gagliardi  ufficiali  di  vari  reggi- 
menti di  cavalleria.  Spettacolo  nuovo  a' 
dì  nostri;  e  tanto  piacque  che  si  ripelea 
per  le  nozze  del  duca  di  Savoia  (ora  re  Vit- 
torio Emanuele  11  resinante,  con  I'  arci- 
duchessa  d'Austria  Maria  Adelaide,  regi- 
na che  morta  nel  1  855  deplorai  a  Tori- 
no), con  più  fasto  ancora,  poiché   mag- 
gior tempo  si  ebbe  a  disporre  così  vago 
esercizio  di  cavalieri  gentili.  Di  quello  del 
i83g  abbiamo  un'elegante  descrizione 
dell'eruditissimo  cav.  Cibrario.  Il  1°  tor- 
neo ebbe  luogo  inTorino  a'2 1  aprile  1842, 
e  con  elegante  articolo  ne  fu  pubblicata 
la    bella  descrizione  dal  t.  9,  p.  q4  del- 
X Album  di  Roma,  scritta  dal  eh.  Pietro 
Bernabò  Silorata,che  vi  fu  presente,  eri  al- 
quanto in  breve  riferirò  sì  grandioso  e  ra- 
ro spettacolo,  il  quale  rinnovò  le  pompe 
antiche  in  tutto  il  suo  splendore  e  impo- 
nenza. Lo  splendido  torneo  si  celebrò  nel 
magnifico  anfiteatro  a  bella  posta  eretto 
sulla  piazza  di  s.  Carlo  (il  De  Bue  dice  che 
questo  gran  circo  fu  inualzalo  all'uopo  dal 


TOR 

municipio,  e  che  il  torneo  o  giostra  ebbe 
ad  argoineulodi  rappresentare  la  magni- 
fica festa  cavalleresca  offerta  uel  secolo 
XIV  in  Costantinopoli,  e  ricordata  di  so- 
pra, dallo  splendido  corteggio  di  Giovan- 
na Anna  figlia  d'Amedeo  V  coule  diSa- 
voia, quando  ella  vi  andò  sposa  al  greco 
imperatore  Andronico  11  he  che  la  di-scri- 
zione di  quello  di  Torino  la  pubblicò  nel 
i  842  \aGazzetta  di  Mila/in  col  u.°  1  1 4)> 
torneo  che  giustamente  può  collocarsi  a 
paro  de'più  famosi  che  si  videro  in  Ita- 
lia, e  da  cui  pel  celebrato  cou  grata  illu- 
sione gli  spettatori  furono  ricondotti  ad 
ammirare  i  più  nobili  esercizi  della  caval- 
leresca antica  gentilezza.  Era  il  meriggio, 
1'  azzurro  del  cielo  brillava  purissimo,  e 
già  pressoché  2 2,000  spettatori  ansiosa- 
mente si  collocavano  per  le  gradinate  e 
per  le  gallerie  tutto  all'intorno  della  va- 
sta arena,cupidi  di  ammirare  le  prove  del- 
la destrezza  e  del  valore.  Le  finestre  de' 
palazzi  laterali,  adorne  di  drappi  azzurri 
e  candidi  festoni,  eran  pienissimi  di  gente, 
e  fino  sull'alto  de'tetti  non  tuancavauogli 
amatori  del  belio.  Nel  mezzo  del  gran  re- 
cinto, ove  sorge  l'equestre  statua  in  bron- 
zo del  duca  Emanuele  Filiberto,  appa- 
gano vagamente  disposti  a  circolo  gii  ar- 
nesi delle  finte  pugne,  aste,  giavellotti, 
rotelle;  e  pronti  a  correre,  ovunque  d'uo- 
po chiedesse,  i  valletti  d'arme,  vestiti  del- 
le loro  fogge  corrispondenti  alla  nazione 
de'loro  signori.  Una  eletta  e  numerosa 
banda  militare  preludeva  con  belle  sin— 
fumé;  una  trepida  giòia  scintillava  da  tutti 
i  volli:  quell'aspettazione  avea  un  non  so 
che  di  grande  e  di  sublime,  da  non  po- 
tersi ridire.  Se  v'era  cosa  che  in  parte  di- 
minuisse i'elfetto  di  que'solenni  apparec- 
chi e  servisse  a  turbare  i  dolci  incinti  di 
quella  poetica  festa,  ben  era  il  volger  l'oc- 
chio dal  drapello  di  que'yarzoni  in  vesti 
di  bizzarra  leggiadrìa  e  da  que'iasci  di  ar- 
nesi cavallereschi  alle  linee  cii  costanti  del- 
l'inuumerevole  assemblea,  dove  la  gret- 
tezza e  la  severità  decolori  degli  abiti  mo- 
derni, particolarmente  ne' maschi,  troppo 


T  OR  26  5 

rammentava  in  qual  secolo  si  vive.  Per 
altro,  il  gentil  sesso  non  rendeva  raen  bel- 
la anco  questa  scena  ;  poiché  il  muover 
con  tin  uo  de' variopinti  e  va  riopiu  ma  li  cap- 
pellini, l'alzar  delle  lanteombrelletted'o- 
gui  forma  e  dimensione,  il  tremolar  de' 
ventagli,  animavano,  in  certo  modo,  quel- 
la calma  ansiosa  e  quella  tacita  impazien- 
za di  tante  moltitudini.  Alfine,  sotto  il  vi- 
vissimo dardeggiar  del  sole,  un  improv- 
viso squillo  di  trombe  e  strepito  di  rote 
annunciò  che  il  re  Carlo  Alberto,  l'augu- 
sta sua  consorte  Maria  Teresa,  ì  reali  sposi 
e  tutta  la  comitiva  degl'insigni  loro  con- 
giunti  e  ospiti  ,  si  recavano  ad  abbellire 
di  loro  presenza  lo  spettacolo,  degno  d'u- 
na valorosa  nazione.  E  poco  staute  si  vi- 
de entrar  primo  nel  grandee  maestoso  pa- 
diglioneadornodi  tutte  le  squisitezze  del- 
l'arte, il  re  a  cui  gli  altri  con  ordine  se- 
gui vano.  A  ho  e  non  interrotto  grido  di  con- 
solazione scoppiò  da  ogni  lato,  e  mille  e 
mille  voci  di  plauso  e  di  augurii  salutaro- 
no il  monarca  e  i  suoi  diletti  su  cui  po- 
savano tantesperanze  de'populi.  Era  una 
grande  famiglia  che  esultava  al  giungere 
del  suo  padre  e  benefattore;  ed  egli  cou 
quella  sua  grazia  e  bontà  singolare  che 
lo  distinse,  mostrava  la  sua  commozione 
a  tanti  segni  di  giubilo  e  di  amore  osse- 
quioso, rispondendo  con  cenni  e  saluti  al- 
l'immenso acclamar  di  tutto  il  circo.  Fat- 
to silenzio,  la  grandiosa  festa  incominciò. 
»  Chi  è  quel  bello  e  maestoso  giovanetto 
diesi  slancia  entro  l'arringo  sopra  un  bol- 
lente destriero,  al  cui  apparire  sorge  un 
batter  fragoroso  di  mani?  Egli  veste  le  fog- 
ge antiche  di  Savoia,  in  colore  azzurrino, 
con  bianca  piuma  in  testa,  e  cinto  d"ar- 
mellino  il  picciol  manto  che  dietro  gli  sv<>. 
lazza.  Bene  composto  e  atteggiato  della 
persona,  ogni  suo  moto  è  indiviso  da  una 
grazia  e  da  una  nobile  venustà  che  cara- 
mente allettano  o.mi  sguardo,  rapiscono 
ogni  cuore.  Un  araldo  a  cavallo,  pompo- 
samente fregiato  delle  sue  divise,  lo  pie- 
cedecon  1 2  trombette,  e  lo  seguono  3  scu- 
dieri e  un poila-stendardo.  All'avvicinarsi 


i66  T  OR  TOR 
eli  lui,  ila  ogni  palèo  viene  un  festoso  mor-  di  corse  tanto  fior  di  gente,  immemore  de- 
moiio  di  voci  d'ani  mi  razione  che  si  leva-  gli  ardori  soverchi  del  sole,  e  lotta  fisa 
no  tosto  in  lieti  evviva;  tulli  se  lo  addi-  in  quegli  splendidi  giuochi  de'nostri  avi. 
limo  a  vicenda,  come  un  perfetto  escili*  La  a.*  quadrìglia  era  distinta  delle  fogge 
pio  de' cavalieri  antichi.  Questi  è  il  real  e  de'colori  degli  antichi  cavalieri  di  Si- 
principe  Ferdinando,  duca  di  Genova, se-  voia;  la  3."  offeriva  il  costume  de'cava- 
coudo  figlio  del  re  Carlo  Alberto,  leggia-  Iieri  piemontesi  ;  nella  4-*  brillavano  di 
«ho  e  amabile  giovinetto  di  appena  4  lu-  sfarzose  vesti  gli  ordini  di  Rodi  e  della 
siri  ,  che  per  felice  indole  e  per  tulle  le  Stella.  Ma  ecco  nuova  e  pili  animata  sce- 
piìi  rare  virtù  già  promette  di  emulare  na  di  prodezze  guerriere.  Quattro  dischi, 
i  più  lodati  eroi  della  sua  casa.  Egli  con  allogali  a  pari  distanze  e  in  modo  che  pre- 
bei  caracolli  si  appressa  al  padiglione,  ove  tentino  il  loro  orbe  al  Ranco  decorrenti 
siede  il  suo  real  genitore,  e  in  allodi  ri-  cavalli,  risvegliano  il  bollor  di  quegli  ani- 
\  (reo  za  liliale,  non  disgiunta  da  guerrie-  mi  giovauili.  Si  spicca  primo  a  sciolte  bri- 
lli dignità,  alcun  poco  attende  il  sovrano  glie  il  duca  di  Genova,  brandisce  un  dar- 
suo  cenno. Poi  tosto  ritorna  ovesonoschie-  do,  e  obliquamente  lanciandolo  ne  infig- 
rale  le  4  quadrighe  de'cavalieri.  Lai/  di  gè  la  punla  nel  disco;  oltrepassa,  e  alfer- 
csse  entra  animosa  nell'ampio  steccato,  rendo  altro  giavellotto  che  i  donzelli  d'ar- 
L'abilo  che  indossano  1 1  di  loro  halefog-  megli  gittano  a  volo,  ripete  la  stessa  pro- 
ge  dell'ordine  di  Costantino,  quello  che  va  con  mirahil  giustezza;  di  4  colpi  a' 4 
adorna  gli  altri  rammenta  l'ordine  di  s.  bersagli  che  dicemmo, unosolo  è  mei)  for- 
Lazzaro;non  può  vedersi  cosa  più  magni-  temente  diretto,  non  cos'i  però  che  non  ri- 
fica delle  vestimenla  in  cui  vieppiù  risai-  porti  il  vanto  Su  tutti  gli  altri  cavalieri , 
latra  agli  occhi  le  beile  forme  de'giovani  che  ad  uno  ad  uno  tentano  saettare  co'lo- 
toi  tiranti:  e  ricche  del  pari  ollremodo  so-  ro  dardi  il  mezzo  dell'opposto  cerchio.  1 
no  le  barilature  de' cavalli.  Andrei  qui  plausi  eglievviva,  al  succedere  de'più  ar- 
troppo  per  le  lunghe  se  volessi  dipingervi  diti  e  fortunati  colpi,  vanno  al  cielo  e  ri- 
le  laute  e  tante  prove  di  destrezza  e  di  sa-  desiano  la  comune  allegrezza.  Ed  ecco  in 
gacilà cavalleresca  onde  si  distinsero  i  no-  mano  di  tutti  i  cavalieri  è  posta  un' alli- 
bili attori  di  quella  specie  di  danza  guer-  lata  e  lunga  lancia:  primo  sempre  il  du- 
riera.  Basti  che  io  dica  che  ne'diversi  giri  ca  di  Genova  corre  intorno  all'arena,  e 
e  intrecciamenli  di  corse  parevano  que'  passando  sotto  4  verghe,  sollevate  a  di- 
iien  e  superbi  animali  aver  una  mente  co'  stanze  eguali,  infilza  e  via  si  porta  coll'a- 
loro  signori,  e  movere  in  esatta  cadenza  sta  uno  degli  anelli  che  da  esse  pendono; 
iil  gioioso  suono  degli  strumenti  militari,  i  24  cavalieri  seguono  con  impeto  e  con 
e  non  fallire  d'un' orma  le  rapide  e  me-  vivissima  gara  rinnovandola  didìcil  pro- 
ra vigliose  volute  per  cui  ad  ogni  tratto  si  va:  lode  sopra  lutti  ha  il  giovane  rampollo 
cambiavano  in  varie  figure  di  circoli ,  e  della  regia  stirpe  di  Savoia.  Indi  con  pari 
affrontale  e  salti  e  scorribande.  L'augu-  ardore  e  con  crescente  letizia  universale 
slo  re  degnava  di  congratulare  alla  bella  si  esercita  quella  nobile  gioventù  a  ferir 
arditezza  de'cavalieri,  plaudendocon  ma-  colle  -pade,  accelerando  il  correr  de'  ca- 
irn econ  parole  di  lode;  e  leeleganti  spet-  valli,  vari  simulacri  di  tesle  or  basse,  or 
latrici  anch'esse  facean  eco  all'universale  alte  dal  suolo, e  poi  tragitta  a  slancio  bar- 
gradimento.  Cos'i,  una  dopo  l'altra,  le  ri-  riere  di  siepi  artificiali,  e  nello  stesso  ar- 
mauenti  3  quadriglie  si  successero  nell'a-  due  di  quel  salto  de' generosi  destrieri 
rena,  alternando  sempre  in  diverse  guise  drizza  i  colpi  delle  spade  in  altre  teste  al- 
gli  sperimenti  del  valore  equestre-, «  de-  logate  sopra  colonnelle  di  legno.  Tutto  ri- 
liziando  con   vaghe  norme  di  aggirate  e  velava  la  fermezza  del  cuore  e  del  braccio; 


T  OR  TOR                    2G7 
;i pei  lanciente  vedevasi  nel  grazioso  e  in-  scellro  ili  Carlo  Alberto;  e  però  da  lut- 
cruento  armeggiare  di  tanti  prodi,  cliealle  la  quanta  l'assemblea  sorse  in  quel  mo- 
niti ilei  valore  e  delle  battaglie  qui  sono  mento  un  lungo,  solenne,  altissimo  ewi» 
ammaestrati  i  non  degeneri  nipoti  di  que'  va.  Fi  «'plausi,  fra  le  grida  di  giubilo  tor- 
subalpini  die  sì  alto  grido  levarono  seni-  nò  in  sella  il  duca  Ferdinando,  ed  a  capo 
pie,  in  Italia  e  fuori,  di  loro  valentìa  nel-  dell'intera  fioritissima  squadra  uscì  dal- 
le armi;  e  clie  saprebbero  in  veri  scontri  l'arena.Le  V)A;r/V<7<7i;7o/7/odi  Roma  del 
sostenere  con  eguale  rinomanza  di  corag-  1 84i  col  n.°  1 6  diei  ono  quelle  del  1 .°  for- 
gio l'onor  del  trono  e  della  patria.'"  in  ni-  neo  rappresentato  a  \  ienna  nella  caval- 
tuno,  posti  via  gli  arnesi  guerreschi  e  rin-  lerizza  iinperialed'invernoaore  7  e  rnez- 
vaginale  le  spade,tutte  lequadriglie  siap-  za  della  sera  del  i.°  aprile,  da  una  società 
presentarono  di  uuovoead  un  tempo  nel-  di  cavalieri  per  celebrare  il  "jo.mo  anniver- 
i'areua;  e  collocate  a  tondo  presso  L'estro-  sario  del  serenissimo  arciduca  Carlo  d'.Vu- 
ina  linea  del  campo,  diedero  luogo  a!  du-  stria  feldmaresciallo  generale  dell'impe- 
ca  diGeno  va  cbecolla  sua  particolare  qua-  10,  come  gran  maestro  dell'ordine  impe- 
driglia  formatasi  de'capi  dell'altre,  degli  riaje  e  militare  di  Maria  Teresa:  gli  altri 
scudieri  e  de'portalori  di  stendardo,  ino-  due  tornei  furono  dati  per  oggetti  di  be- 
lilo quanto  era  valente  e  fianco  in  ogni  neficenza  a"3  e  5  di  detto  mese.  Questo 
più  difficile  guidar  d'un  destriero  e  io  tot-  interessante  e  splendido  spettacolo  fu  per 
te  l'eleganze  che  fan  bello  e  lodato  l'eser-  molti  giorni  argomento  de'pubblici  fogli 
cizio  della  equitazione.  Fui  tutte  le  qua-  e  delle  conversazioni  della  nominata  ca- 
driglie  con  mirabile  accordo  si  raffronta-  pitale.  Eccone  la  descrizione.  Sotto  la  log- 
ìouoe  striusero  velocemente  insieme,  fot- •  già  della  Corte  era  stata  eretta  una  mi- 
mando quasi  una   gran  catena  die  or  si  ghiera  pel  corpo  diplomatico,  nella  quale 
raggruppava  orsi  snodava  iu  centodiver-  lai.  fila eraa^segnataalledamede'gioslra- 
:>e  maniere.  Qui  il  conlento  e  la  meiavi-  tori.  Rimpelto  alla  loggia  della  Corte,  ai- 
glia  del  pubblico  fu  in  sommo  grado;  poi-  l'altro  capo  della  cavallerizza,  erano  state 
cbè  nou  è  a  potersi  ridire  il  brio,  l'ini-  predisposte  altre  ringhiere,   nelle  quali 
peto  nou  seuza  legge  e  misura,  la  quieta  presero  postoi  cavalieri  dell'ordine  di  Ma* 
baldanza,  il  foco  degli  sguardi,  l'armonia  ria  Teresa,  die  in  gran  numero  erano  ve- 
di tutte  le  mosse  e  aggiramenti,  con  cui  nuli  a  Vienna  iu  occasione  della  festa  del- 
gl'intrepidi  cavalieri  si  mescolavano  tra  l'ordine,  ed  altri  ufficiali.  Tutta  lai.'1  rin- 
di  loro  iu  tuttala  vai  ietti  possibile  di  quel-  gbiera  era  occupata  dalle  dame,  cavalieri 
le  danze  guerriere.  Posalo  finalmente  tan-  e  ufliziali,  come  pure  da  impiegati  della 
lo  bollore  di  corse,  l'intera  squadra  di  1  10  corleedellostato,  tutti  indivisa.  Nella  2/ 
si  ordinò  in  battaglia  dinanzi  al  real  pa-  ringhiera,  nella  quale  erano  pure  state  di- 
digliuiie;  e  sceso  di  cavallo  il  principe  cn-  sposle sedie  chiuse,  collocaronsi  le  perso- 
pode'lorneamenti,  e  salito  ov'erano  i  suoi  necheaveano  ricevuto  biglietti  d'ingres- 
reali  genitori  e  congiunti,  offrì  all'inclita  so.  L'ampiospaziodella  cavallerizza  fu  sti- 
sposa,  alla  regina  sua  madre,  e  aìle  arci-  vaio  di  spettatori.  La  cavalleresca  deco- 
duchesse  vaghi  mazzetti  di  bori  come  bel  razione  del  luogo  e  la  sfarzosa  iliumiua- 
tributo  e  omaggio  di  tanti  cavalieri,  che  zioue  davano  un  risalto  particolare  al  ma- 
in  quell'onorata  palestra  erano  concorsi  gui  fico  edilìzio,  e  l'auguslae  illustre  adu- 
a  far  fede  di  vaientezza  e  a  significar  l'è-  nauta  offriva  un  aspetto  oltremodo  im- 
sultanza  pel  faustissimo  maritaggio  del  fu-  ponente.  Sulla  1.'  ringhiera,  a  destra  della 
tuio  erede  del  trono.  Nella  (male  ollerta  loggia  di  Corte,  stava  la  musica  del  reg- 
era  come  compendiato  e  si  rannodava  o-  guuenlo  d'Assia-Omburgo  ;  a  sinistra  il 
gui  fervido  volo  de'popoli,  obbedienti  ailo  curpo  de'trombelti  de'cavalleggieri  pria* 


2G8  T  O  R 

pe  di  Liechtenstein.  Dopo  che  l'impera- 
tore d'Austria  Ferdinando  I,  1'  impera- 
trice Maria  Anna  sua  consorte,  ed  i  se- 
renissimi membri  dell'imperiale  famiglia 
ebbero  preso  posto  nella  loggia  di  Corte, 
e  si  furono  acquetati  gli  applausi  entusia- 
stici, co'quali  la  bella  e  illustre  adunan- 
za salutò  l'arrivo  dell'imperatore  e  del- 
l'imperatrice, e  del  celebrato  eroe  arcidu- 
ca Carlo  che  gli  accompagnava,  comin- 
ciò lo  spettacolo.  I  20  cavalieri  condus- 
sero le  loro  dame  a' posti  per  esse  riser- 
vali. Erano  esse  le  principesse  ,  contesse 
e  baronesse  i  cui  nomi  si  nonno  leggere  nel- 
le Notizie.  Tutte  queste  dame  erano  ve- 
stite con  fogge  del  medio  evo,  e  risplen- 
denti di  gioie.  Il  torneo  aprissi  coll'ordi- 
ne  seguente:  24  valletti  a  piedi;  2  araldi 
(i  due  cavallerizzi  della  scuola  spagnuola 
presso  l'imperiale  regia  cavallerizza, ba- 
rone di  Brano  e  Leopoldo  Gàrlner);  2 
trombetti  e  2  timpanisti;!  giostratori  l'u- 
no dopo  l'altro,  seguito  ognuno  da  2  scu- 
dieri, l'uno  de' quali  portava  la  lancia  e 
lo  scudo,  l'altro  la  bandiera  delsuocam- 
pione.  L'ordinanza  entrò  per  la  porla  di- 
rimpetto alla  loggia  della  Corte  ,  proce- 
dendo col  delto  ordine.  Furono  i  cava- 
lieri: 1.'  Quadriglia,  ver/le  e  oro:  i  conti 
JVadasdy,  Blacas,  e  A.  Rai  oly,  ed  il  prin- 
cipe Clary.  2/  Quadriglia,  azzurro  chia- 
ro carpento:  i  principi  Lobkowitz, e  d'A- 
■versperg,  ed  i  conti  Zicby,  e  L.  Raroly. 
3.''  Quadriglia,  rosso  ciliegia  e  argento  : 
i  conti  Saudor,  Festelics,  Rolowrat, eTa- 
rouca.  4-a  Quadriglia,  nero  e  oro:  i  prin- 
cipi Trautlmansdorf,  e  N.  Esterhazy,  ed 
i  conti  Szapary,e  Lodron. Quadriglia  mi- 
sta: principe  Liechtenstein,  rosso  e  oroj 
conte  Chotek ,  verde  e  oro;  conte  Har- 
rach,  nero  e  oroj  conte  Wolkenstein,  az- 
zurro e  oro.  Le  giostre  furono  eseguite 
dalle  quadriglie  nell'ordine  seguente:  1. 
Verde  e  oro;  2.  Azzurro  cbiaro  e  argento; 
3.  Fiosso  ciliegia  e  argento;  4-  Mista,  da 
uncavaliere  delle  altre  4quadriglie;  5. Ne- 
ro e  oro.  L'esercizio  del  la  tesla  fu  eseguito 
scuz/  armi  du  fuoco,  colla  lancia,  il  gia- 


TO  R 
vellotto ,  la  sciabla  di  taglio  e  di  punta 
(quest'  ultimo  consiste  nell'  infilzar  colla 
sciabla  una  lesta  collocata  sul  terreno,cor- 
rendo  a  briglia  sciolta).  Tutte  le  fazioni 
furono  eseguile  con  particola!1  destrezza. 
1  giostratori  erano  vestiti  all'antica,  però 
senz'  elmi  né  corazze,  con  gorgiorette  di 
pelle  e  berrette  a  piume.  Era  uno  spetta- 
colo veramente  stupendo  il  veder  la  te- 
nuta cavalleresca  di  que'gentiluomini,  ed 
i  superbi  cavallicbe caracollavano  guidati 
da  mani  maestre.  Ed  in  vero  ammirassi 
con  singoiar  diletto  la  perizia  spiegata  da 
lutti  nella  nobile  palestra,  e  singolarmen- 
te da'4  cavalieri  checonducevano  le  qua- 
driglie. Mellecorse  delle  teste  il  suono  del- 
le trombe  annunciava  le  quadriglie;  e  al- 
lora gli  araldi  introducevano  i  cavalieri 
co'loro  porta-insegne.  La  giostra  termi- 
nò con  una  contraddanza  eseguita  da  tulli 
i  20  cavalieri,  che  in  essa  dierono  novella 
prova  della  loro  abilità.  Lo  spettacolo  non 
fu  turbato  da  nessun  accidente,  che  po- 
tesse amareggiare  il  diletto  che  procacciò. 
Finita  la  folla  o  contraddanza,  i  cavalieri 
si  schierarono  in  ordine  di  battaglia.  Al- 
lora comparvero  gli  araldi  co'lrombetti, 
e  la  bella  comitiva  usci  dalla  lizza  coli'or- 
dine  stesso  com'era  venuta.  I  cavalieri  e 
ledame  ebbero  l'onoredopoil  torneod'es- 
sere  invitati  a  prendere  il  thè  presso  l'im- 
peratrice Maria  Anna.  Inoltre  i  giornali 
di  Vienna  del  maì>"io  1 853  fecero  la  de- 
scrizione  della  festa  del  carosello,  esegui- 
ta in  tal  capitale, che  riuscì  una  delle  più 
splendide,  onde  il  n.°  123  del  Giornale 
di  Roma  del  1 853  ne  die  il  seguente  cen- 
no. Questa  festa  consisteva  in  un  giuoco 
d'armi,  in  cui  si  videro  unite  alla  nobile 
pompa  de'  tornei  del   medio  evo,  tutta 
quella  sveltezza  e  quelle  qualità  che  di- 
stinguono il  cavaliere,  dacché  non  entra 
piùiu  campo  col  destriero  coperto  di  fer- 
ro. I  vasti  spazi  della  cavallerizza  impe- 
riale mostravano,  in  mezzo  ad  un  mare 
di  luce,  i  loro  festosi  ornamenti  di  trofei, 
contornali   di    bandiere  bianco-rosso  e 
giallo-nero,  e  di  heaco  fogliame.  Le  due 


T  OR 

gallerie  erano  zeppe  d  i  nobili  signore,  cir- 
condate da  eletti  signori  nelle  più  svaria- 
te uniformi.  Nel  palco  imperiale  dell'im- 
pelatole d'  Austria  regnante  Francesco 
Giuseppe,  oltre  gli  arciduchi  e  le  arcidu- 
chesse, comparvero  gli  augusti  ospiti,  il 
re  di  Prussia  Federico  Guglielmo  IV  e 
i  principi  Carlo  e  Carlo  Federico  di  Prus- 
sia, il  re  del  Belgio  Leopoldo  col  princi- 
pe reale  Leopoldo  duca  di  Brabaute.  Due 
araldi  vestiti  de'colori  dell'  impero  ger- 
manico a  cavallo,  seguiti  da  alfieri  a  pie- 
di, portanti  la  bandiera  dell'impero,  da 
due  suonatori  di  timpani  e  24  trombet- 
tieri a  cavalloni  portarono  sino  sotto, alla 
loggia  imperiale,  dando  il  segnale  d'in- 
gresso a'cavalieri.  Immediatamente  do- 
podue  portatori  di  banderuole,  compar- 
ve il  condottiero  de'cavalieri,  l'arciduca 
Guglielmo  nipote  del  sullodato  arciduca 
Carlo, colla  spada  sguainata. sopra  un  ca- 
vallo con  bardatura  di  colori  azzurri  e 
d'argento.  L'arciduca  portava  un  man- 
tello di  velluto  bianco,  ricamato  in  ar- 
gento e  tempestato  di  pietre  preziose,  sul 
petto  la  croce  rossa  sotto  la  corona,  ed  u- 
na  sciarpa  azzurra  ad  armacollo. Le  brac- 
cia e  le  coscieerano  chiuse  in  un'armatura 
di  filo  di  ferro.  Un  elmo  d'argento  broc- 
cato d'oro  ed  ornalo  de'siinboli  de'  du- 
chi d'Austria,  vale  a  dire  d'uu  mazzetto 
di  corte  penne  di  pavone,  da  cui  s'erge- 
vano alti  pennacchijCopi  iva  il  capo  del  se- 
renissimo condottiero.  L'arciduca  era  ac- 
compagnato ila  8  scudieri  a  piedi,  2  de' 
quali  portavano  lancia  e  scudo.  L'eccel- 
so condottiero  era  seguito  da  24  cavalie- 
ri, accompagnato  da  12  scudieri,  indi  da 
6  destrieri  da  battaglia,  con  gravi  coper- 
te broccate  d'oro.  La  divisione  era  chiu- 
sa da  due  porta-bandiere  e  da  1 2  servi  a 
cavallo.  La  divisione  de'saraceni  era  con- 
dotta dal  real  principe  di  W111  temberg, 
accompagnato  da  due  mori  con  iscudoe 
bastone.  Egli  montava  un  cavallo  arabo 
bruno,  bardato  di  bianco. con  briglia  d'o- 
ro. Consisteva  il  vestito  d'un  caftan. pan- 
taloni broccati  d'  oro,  uo  giustacore  di 


TOR  2(h, 

velluto  verde.  Intorno  all'elmo  d'oro,  con 
mezzaluna,  era  attortigliato  un  turban- 
te verde.  Lo  cingeva  uno  sciatto  bianco- 
azzurro.  Le  armi  erano  una  scimitarra 
ed  un  cangialo.  Il  vestito  e  le  armi  risplen- 
devano in  tutta  la  pompa  orientale  e  di 
pietre  preziose.  Il  principe  era  seguilo  da 
6  mammalucchi  a  piedi,  indi  da  24  no- 
bili cavalieri  musulmani,  con  1  2  beduini 
che  portavano  le  armi,  indi  6  cavalli  di 
puro  sangue  arabo,  ornali  di  coperte  di 
beiglie,  che  Abbas  pascià  e  vice-re  d'K- 
gitto  avea  spedilo  in  dono  all'imperato- 
re Francesco  Giuseppe.  Due  portatoli  di 
code  di  cavallo  aprivano,  ed  altri  2  con 
12  beduini  a  cavallo  chiudevano  il  drap- 
pello de'saraceni.  Il  giuoco  d'armi  inco- 
minciò coll'accompagnamento  ili  2  ban- 
de musicali.  Eseguendo  quadriglie  a  ca- 
valloni vedevano  scambiati  i  giuochi  del- 
l'anello, quello  di  giltare  a  terra  o  d'in- 
filzare teste  turche,  poste  sopra  palii.  il 
ballo  d'armi  era  il  combattimento.  Gl'il- 
lustri cavalieri  dimostrarono  in  tolto  una 
bravura,  degna  della  memorabile  occa- 
sione, nella  quale  fu  concluso  il  matrimo- 
nio del  duca  di  Brabante  con  I'  arcidu- 
chessa Maria  Enrica  figlia  dell'arciduca 
Giuseppe  palatino  d'Ungheria.  Dal  n.°5 
del  Giornale  militare  italiano  <\\  Firen- 
ze del  1846,  ricavo  il  seguente  cenno  del 
real  torneo  celebrato  dal  regnante  Fer- 
dinando Il  re  del  regno  delle  due  Sici- 
lie nella  sua  reggia  di  Caserta,  domeni- 
ca 8  febbraio.  In  questo  splendido  spet- 
tacolo cavalleresco  successivamente  gio- 
strarono i  principi  reali,  i  generali,  gli  uf- 
fiziali  superiori  e  distinti  cavalieri, alla  cui 
schiera  era  capo  l'augusto  re;  e  Ira  le  al- 
tre schiere  l'ima  di  ufliziali  de'di  versi  cor- 
pi di  cavalleria,  l'altra  delle  guardie  del 
corpo,  e  la  3.a  di  sotto-ufliziali  della  stes- 
sa cavalleria,  lutti  di  quella  guarnigione. 
Questo  torneo  fu  aperto  nel  vasto  spiana- 
to, al  cui  fondo  sorge  il  regio  e  sontuo- 
so palazzo  di  Caserta,  capolavoro  d'  ar- 
chitettura; guerrieri  ludi  che  la  pace  lu- 
singhiera, di  lunga  se  non  perpetua  dura- 


»?o                    TUR  TOH 
ta,  avea  mano  mano  mandato  in  oblio;  i  mi,  2  araldi  ei  2  vessilliferi;  ivano  quindi 
quali  tornei  danno  pure  l'immagine  di  i.°de'cavalieri  della  divisa  rossa  il  sovra- 
quel  gran  solco  di  luce  che  serpeggiò  fra  no  Ferdinando  II,  che  di  tutto  era  slato 
le  tenebre  del  medioevo,  siccome  dal  ce-  capo  e  regolatole.  Seguivano  4  scudieri, 
lebre  La  Soge  fu  detta  la  cavalleria,  don-  ed  il  valletto  conducente  per  la  briglia  il 
de  tante  memorande  gesta,  le  immorta-  destriero  serbato  già  sempre  a'più  rischio- 
li  crociate,  e  l'alta  fama  di  capitani  e  poe-  si  e  brillanti  usi  cavallereschi.  In  tal  for- 
ti che  le  cantarono  e  precipuamente  l'A-  ma  entrati  i  ^cavalieri,  cìaiCunocòlpro- 
riosto  ferrarese.  Meraviglia  e  diletto  ecci-  prio  seguilo  e  cavalli,  nello  steccato  dalia 
tu  il  vedere  in  perfetta  guisa  espresso  an-  parte  sinistra,  poiché  n'ebbero  fatto  ed  ile- 
che  in  quella  deli/iosa  parte  d'Italia,  il  si-  rato  il  giro  ,  poiché  compiute  vi  ebbero 
mulacro  di  tempi  e  costumi  sì  rimoli  da  tutte  le  formalità  prescritte  negli  antichi 
noi.  Lo  sleccato  circoscrivente  la  lizza  sor-  codici  di  cavalleria,**  disposero gK  uni  con- 
geva  in  (orma  quadrilatera,  avente  al  fon-  tro  gli  altri  per  cominciare  al  suono  d'ar- 
do, incontro  al  palazzo,  un  padiglione  de-  mouie,  i  torneamene.  Dame,  paggi,  val- 
stinatoal  principe  e  alle  dame  del  torneo,  letti,  armigeri,  scudieri,  lutti  espresselo 
primeggiando  fra  esse  la  regina  madie  e  con  esattezza  il  tempo  che  ricordavano, 
le  reali  principesse;  ed  a'  lati  due  palchi  1  cavalieri  volteggiarono  in  tutte  le  forme 
scoperti  e  di  minor  mole,  uno  pe'giudici,  annunziatrici  di  bella  istruzione  nel  domi- 
l'altro  pel  contestabile  maestro  del  carri-  nar  i  cavalli  e  nel  maneggiar  le  armi,  e 
po,alle  cui  spalle  era  numerosa  banda  mu-  in  tutte  le  vicende  delle  giostre  si  videro 
sicale:  tutto  il  resto  de' lati  del  gran  pa-  arrestare  e  correr  lance  ,  dopo  di  che  si 
rallelogrammo  era  occupato  da  spettalo-  venne  alle  spade.  Non  mancò  la  compar- 
vi sopra  diversi  ordini  di  gradini,  di-po-  sa  del  cavalier  Nero,  di  quello  che  si  co- 
sti come  in  anfiteatro;  ed  eravi  calca  di  nosce  pur  sotto  il  nome  di  cavalier  della 
gente  che  occupava  i  dintorni,  le  logge, le  Morte,  il  quale,  introdotto  colle  forme  a- 
flnestre,  i  terrazzi  delle  case  vicine,  segua-  raldicln*,  andò  a  percuotere  uno  scudo,  in 
tediente  deM  uè  grandi  quartieri,  il  cui  di-  tal  guisa  disfidando  chiunque  volesse  con 
sedilo  tanto  aggiunge  alla  maestosa  ar-  esso  lui  combattere.  Ed  all'invito  seguita 
chitetluradiquellareggia.il  ».  de'suddet-  l'accettazione,  più  lance  il  cavalier  Nero 
ti  3  palchi,  quello  del  principe  e  delle  da-  corse  ecombattè.  Evoluzioni  quindi  e  ma- 
rne, era  interiormente  tappezzato  in  araz-  neggi  furono  pur  fatti,  ed  in  fine  tutti  in 
zi,  e  ornati  di  stile  adallo  all'occasione  ri-  bella  ordinanza  uscirono  dalla  sbarra.  Ar- 
cingevano  le  altre  parti;  ed  i  due  lati,  nel  rivo  poscia  un  drappello  di  cavalieri  con 
cui  centro  erano  eretti  i  palchi  minori,  di-  fogge  del  tempo  di  Francesco  I  re  di  Frau- 
stinguevansi  pure  ciascuno  per  r  2  trofei  eia,  de' quali  furono  ammirati  i    volteg- 
di  usberghi,  celale  e  armi,  a'quali  appen»  giamenti  svelti  e  precisi.  Successero  alla 
der  si  doveano  le  bandiere  de'^4  cavalle-  loro  volta  una  schiera  di  beduini,  ed  una 
ri  della  giostro. Alle2  pomeridiane  losquil-  di  cosacchi,  abbigliale  ancor  esse  in  guisa 
lo  delle  trombe  annunziò  la  comparsa  dei  da  render  pienissima  l'immagine  de'po- 
due  drappelli  ,  che  componevano  la   i/  poli  rappresentati,  e  le  cui  rapide  corse,  i 
schiera,  ciascuno  di  r  2,  uno  di  divisa  ros-  cui  salti  su  per  barriere  portatili,  in  alto 
sa  e  l'altro  in  bianca.  Uscirono  essi  da  un  di  trarla  pistola,  non  riscossero  plausi  mi- 
lato  della  reggia,  ed  era  bello  il  vedere  noti.  Questo  magnifico  spettacolo,  pel  suo 
l'ordine  con  cui  procedevano,  non  chele  universale  gradimento,  fu  rinnovato  dò- 
insolilearmi,  la  varietà  decolori  e  i  pedo-  ni  eruca  r5  febbraio  ì  846.  11  tempo  fu  an- 
ni, lutti  in  divise  caratteristiche.  Proce-  che  più  sereno  e  più  dolce  della   prece- 
devano innanzi  4  trombetti,  il  re  dell'ai*-  dente,  sicché  parca  quasi  una  giornata  di 


T  O  R 
primavera;  ciò  crebbe  ancora  il  diletto  di 
coloro  che  in  gran  folla  vi  si  recarono.  Il 
torneamento  fu  somigliante  all'altro  già 
descritto,  senonchè  le  dame,  le  quali  l'al- 
tra volta  trovaronsi  alcominciamento  sul 
loro  palco,  in  questa  all'una  e  mezzo  usci- 
rono dalla  reggia  sopra  due  cani  leggia- 
dramente disposti, tirati  ciascuno  da  6 ca- 
valli, preceduti  dal  re  dell'armi, ed  accom- 
pagnati da  cavalieri  e  paggi,  mentre  udi- 
va» il  suono  di  musicali  concerti.  Nelr.° 
di  essi  era  il  re  Ferdinando  il,  la  regina 
madre  colle  reali  principesse,  il  principe 
delle  feste  e  il  contestabile.  Nel  2.°,  oltre 
a  quello  delle  dame.era  un  seggio  occupa- 
to da  giudici.  Terminato  poscia  il  torneo, 
le  dame  rientrarono  nel  modo  slesso  come 
erano  venule,  e  accompagnate  furono  da 
tutti  coloro  che  aveano  avuto  parie  al 
giocondo  nobile  trattenimento,  mentre  la 
toilette  delle  dame  fu  tutta  caratteristica 
e  propria  de'toruei.  Narrai  a  Spagna  che 
tuttora  la  nazioneconserva  il  più  vivo  tra- 
sporto pe'torneamenti, corse  e  giostre  dei 
tori;  dissi  de'loro  ardili  picadores  e  aldi 
intrepidi  giostratori;  e  che  l'anfiteatro  di 
Granata  è  uno  de'migliori  della  penisola, 
pe'feroci  combaltimentide'tori,  in  cui  ol- 
tre que'fortissimi  animali  nella  tremenda 
lotta  soccombono  diversi  cavalli  e  talvol- 
ta anco  i  giostranti.  Le  corse  de'tori  nel- 
la piazza  M,i\  or  della.capilale  Madrid, con 
islraordinaria  pompa  si  firmo  per  l'inco- 
rnnazionedel  re,  pel  matrimonio  della  re- 
gina e  per  la  nascila  dell'erede  del  tro- 
no. La  regnante  regina  di  Spagna  Isabel- 
la II,  fidanzata  a'28  agosto  1846  al  suo 
cugino  l'infante  d.  Francesco  d'Asisi  du- 
ca di  Cadice,  lo  sposò  la  sera  de' 10  otto- 
bre, e  conferì  con  decreto  allo  sposo  il  ti- 
tolo onorario  di  re  edi  maestà,  senza  ch'e- 
gli prenda  parte  agli  affari  del  governo. 
Nella  stessa  sera  la  sorella  infante  d.  Ma- 
ria Luisa  si  sposò  al  principe  Antoniodu- 
ca  di  Montpensicr.  Perquesti  duplici  ime- 
nei in  Madrid  si  fecero  strepitose  feste  e 
torneamene,  de'quali  riferirò  quanto  leg- 
go uè'  n.'  84  e  89  del  Diario  dì  Uoma 


t  o  a  271 

del  1 846.  Allo  spettacolo  dell'ippodromo, 
nella  corsa  delle  siepi  una  dell'amazzoni 
fu  balzata  fuori  di  sella  e  uno  de'cavalii 
la  mise  sotto  i  piedi,  ma  senza  gravi  con- 
seguenze. A' 16  ottobre  cominciarono  le 
corsede'tori  nella  piazza  Major  con  pom- 
pa inusitata  e  solo  propria  dell'avveni- 
mento. I!  ree  la  regina  intervennero  ad 
una  corrida  nel  circo  ordinario;  ma  qui 
oltre  la  magnificenza,  opera  della  gene- 
rosità regia  e  dell'  ayuntamienlo,  le  cor- 
se ebbero  un  aspetto  nuovo.  Prima  eh  en- 
trassero nella  lizza  i  picadores  e  gli  espa- 
das,  un'altra  specie  di  lotta  assai  più  ter- 
ribile si  offrì  a  3o,ooo  spettatori  avida- 
mente curiosi.  L'immensa  piazza,  levato- 
ne il  selciato  e  coperto  di  sabbia,  era  con- 
venientemente apparecchiata. Al  di  sopra 
dell'armatura  a  guisa  d'anfiteatro,  ricor- 
rente tutta  attorno  la  piazza,  le  case  a- 
veauo  un  triplice  ordine  di  poggiuoli,  da 
cui  sventolavano  arazzi  di  sfavillanti  co- 
lori. La  regina,  nel  mezzo,  occupava  l'an- 
tico palazzo  del  comune,  bellissimo  edi- 
lìzio del  secolo  XVII  ,  coperto  di  seta  e 
velluto.  Quando  il  re  e  la  regina  furono 
sotto  al  baldacchino  rosso  broccato  d'o- 
ro, al  pogginolo  maggiore.il  prospetto  del- 
la piazza  era  proprio  un  incanto:  la  cor- 
te distinguetesi  fra  tutti  cogli  abiti  pom- 
posi e  le  assise.  Poiché  le  loro  Maestà  se- 
dettero al  poggiuolo  cogli  altri  reali  spo- 
si loro  congiunti,  e  resero  alla  folla  astan- 
te i  saluti,  gli  alabardieri  si  collocarono 
sotto  al  poggiuolo  reale.  Quivi  la  ringhie- 
ra di  legno  è  interrotta, e  gli  alabardieri 
ne  fanno  le  veci  colla  persona.  Se  duran- 
te la  corsa,  il  toro  corre  loro  addosso,  es- 
si gli  presentano  I'  alabarde  contro,  e  se 
l'ammanano  il  suo  corpo  è  loro.  Quattro 
carrozze  da  gala,  tirate  da  6  superbi  ca- 
valli ornali  di  pennacchi,  capitarono  do- 
po gli  alabardieri  e  si  schierarono  davan- 
ti la  regina.  In  ogni  carrozza,  cogli  stem- 
mi delle  più  cospicue  famiglie,  stava  col 
grande  di  Spagna  che  gli  faceva  da  padri- 
no nel  combattimento,  un  cavaliere,  che 
dovea  uscir  dalla  lotta  col  titolo  di  scudie- 


272  TOR 

re  della  regina  e  un  emolumento  di  i  foo 
fianchi.  1  padrini  erano  i  duchi  d'Ossu- 
ua,  d'Alba,  d'Abranles  e  d'Altamira.  Ci- 
gni carrozza  si  fermò  sotto  il   pogginolo 
della  regina,  e  il  padrino  in  assise  ne  sce- 
se, presentando  alle  loro  Maestà  il  suo  fi- 
glioccio, vestito  d'un  abito  pittoresco  del- 
la Spagna  sotto  Enrico  111  re  di  Leon  e 
di  Castiglia  nel  i  3c)0,  col  cappello  piuma- 
toeil  mantello  di  velluto.  Dietro  ogni  car- 
rozza camminavano  vestiti  di  seta  e  di  vel- 
luto ricamato  d'oro  e  d'argento,  e  invol- 
ti ne'loro  lunghi  mantelli ,  gli  espadas,  i 
picadores  ei  banderilleros.  Tutti  i  filino- 
si di  nome  erano  là:  Montes,  il  Cincinne- 
rò, Cucharcs.  Di  mano  in  mano  che  pas- 
savano, essi  erano  accolti  da  applausi  fra- 
gorosi e  frenetici.  Montes,  fresco  da  una 
cornata  nel  petto,  era  oggetto  d'una  at- 
tenzione più  affettuosa,  che  manifestava- 
si  con  grida  gagliarde  e  inesprimibili.  Do- 
po le  carrozze  camminavano,  tenuti  per 
la  briglia  da'palafrenieri  con  livrea  reale, 
i  cavalli  delle  scuderie  della  regina,  desti- 
nali al  combattimento.  I  cavalli  erano  se- 
gniti da  8  araldi  d'arme  con  sul  petto  di- 
pinti gli  stellimi  de'4  padrini:  veniva  po- 
scia una  quantità  di  valletti  e  di  paggi  con 
ricche  e  fantastiche  livree:  per  ultimo  le 
due  coppie  di  muli,chedopo  ciascuna  cor- 
sa levano  i  morti  e  li  portano  via  di  ga- 
loppo fuori  del  campo  di  battaglia.  Chiu- 
deva il  corteggio  una  dozzina  d'alguazili 
a  cavallo,  i  cui  neri  mantelli  facevano  mi- 
rabile contrasto  colle  splendide  livree  del- 
la comparsa.  Il  corpo  sfilò  sotto  il  poggino- 
lo della  regina  fra  gli  applausi  della  mol- 
titudine. Uscite  le  carrozze,  i  4  cavalieri 
montarono  a  cavallo,  e  di  nuovo  saluta- 
rono i  sovrani.  Intanto  che  gli  ultimi  del 
coi  leggio  si  ritiravano  per  ricomparire  sui 
gradini  nel  sito  loro  assegnato,  i  cavalie- 
ri si  mettevano  in  positura,  e  6  alguazi- 
li  si  collocavano,  sempre  a  cavallo,  davan- 
ti gli  alabardieri  ,  ma  volgendo  le  spalle 
agli  spettatori  e  guardando  le  loro  Mae- 
stà. Dopo  alquanti  minuti,  un  di  loro  si 
mosse  e  diede  in  uorne  della  regina  l'or- 


T  O  R 
dine  di  cominciare.  In  questo  mentre  s'a- 
perse una  porta  all'improvviso,  e  il  toro 
balzò  nell'  arena  al  suono  delle  sinfonie, 
con  uno  stormo  di  colombe  sbigottite,  ed 
uscite  a  un  tempo  dalla  slessa  porta.  "Dei 
4  cavalieri,  due  solamente  tennero  fermo; 
il  3.°  e  il  4-°  rovesciati  sin  dalle  prime  dal- 
le loro  cavalcature,  non  si  sentirono  più 
in  istato  di  rientrare  in  agone;  de'due  pri- 
mi medesimi,  uno  gravemente  feritosi  ri- 
tirò anch'esso,  ma  l'altro  corse  valente- 
mente l'arringo,  cioè  Romero  tenente  del 
reggimento  Maria  Cristina,  il  cui  padrino 
era  il  duca  d'Abrantes.  Nel  combattimen- 
to, il  cavaliere  armato  di  lancia  corta,  non 
si  contentò  come  il  picador,  di  stornare  il 
toro,  trattogli  innanzi  co'mantelli  e  colle 
sfide  de'banderilleros,  ma  egli  pugnò  di 
buon  senno  e  cercò  d'uccidere  l'avversa- 
rio. Romero  mise  4  tori  fuori  di  combat- 
timento; per  la  qual  cosa  ad  ogni  colpo 
di  lancia,  il  cui  manico  spezzavasi  nel  fian- 
co del  loro,  gli  applausi  erano  più  che  en- 
tusiastici, lanciandosi  esultanti  fazzoletti 
e  cappelli  in  aria.  11  perchè,  attonito  spet- 
tatore, esclamò  il  compilatore  dell'artico- 
lo: Lo  stesso  Cid  (di  cui  nel  voi.  LXVIIF, 
p.  85),  sguainando  al  sole  la  sua  vecchia 
spada,  il  nome  della  quale  è  noto  a  tutta 
la  Spagna,  e  traendosi  dietro  prigioni  i  4 
re  mori,  non  avrebbe  eccitato  più  vivo,più 
grande  entusiasmo.  Ma  è  raro  trovare  tan- 
ta intrepidezza  congiunta  a  tanta  leggia- 
dria. Scudiere  compito,  Romero  seppe  af- 
frontare il  toro  senza  arrischiare  il  caval- 
lo. Ad  ogni  colpo  fortunato,  un  alguazil, 
in  nome  della  regina,  complimentava  il 
cavaliere.  Più  volte  però  il  toro  e  il  caval- 
lo sarebbero  stali  degni  d'un  tanto  ono- 
re. Dipoi  il  duca  di  Montpensier  fece  con- 
segnale al  Romero  una  spada  molto  be- 
la, già  da  lui  di  sovente  usata.  Morti  i  4 
tori,  i  picadores  entrarono  nella  lizza,  e  la 
solita  corsa  ricominciò  colle  solite  vicen- 
de della  lolla.  Questa  volta  però  i  caval- 
li, più  vigorosi ,  sapevano  meglio  difen- 
dersi e  resistevano  più  lungamente,  cosic- 
ché un  più  gran  pericolo  faceva  più  gran- 


TOR 
di  le  consuete  commozioni.  Ma  siccome 
nel  dramma  spagnuolo,  il  faceto  sta  sem- 
pre dappresso  al  serio,  gli  alguazili,  scon- 
certati dalle  giravolte  del  toro,  più  fiate 
rallegrarono  l'assemblea  colla  loro  paura 
e  co'loro  salti  involontari.  L'onore  di  que- 
sta  2.*    metà   della  corsa   fu  diviso   fra 
Montes ,  Chiclanero  e  Cuchares.  Osser- 
va lo  scrittore:  Montes  già  invecchia,  i 
capelli  gli  diventano  grigi,  ma  conserva 
ancora  il  verde  della  gioventù  e  il  favo- 
re del  pubblico.   I   suoi  due  rivali,  più 
giovani,  hanno  ormai  il  loro  partito  ,  si 
direbbe  i  loro  adulatori  :  destino  d'ogni 
gloria!  A  quella  che  regnò,  succede  un'al- 
tra che  vuole  supplantarla  :  gara  cbe  fa 
maggiore  il  ddelto  degli  spettatori;  im- 
perocché la  brama  scambievole  di  sor- 
passarsi,  induce  gli  emuli  a  tentar  cose 
d'  un*  incredibile  audacia.   Appena  una 
sinfonia  annunziò  ch'era  tempo  d'altro 
combattimento,  1'  espada   s'  avvicinò  al 
poggiuolo  reale,  pose  un  ginocchio  a  ter- 
ra, e  chiese,  agitando  il  cappello,  la  per- 
missione di  misurarsi  col  toro.  Ed  allo- 
ra colla  manca  armata  d'un  pezzo  di  stof- 
fa rossa,  ed  una  lunga  spada  nella  destra, 
si  affacciò  tranquillo  e  a  due  passi  dal  ne- 
mico. Non  vi  è  più  bel  momento  di  quel- 
lo, in  cui  l'espada  e  il  toro  si  guardauo; 
un  grave  silenzio  succede,  rotto  solamen- 
te dallo  scoppio  de'plausi,  nell'atto  che 
il  toro  cade.  Era  quasi  notte  quando  cad- 
de l'ultimo,  ed  esso  era  il  io.mo  ISel  di 
seguente,  colla  stessa  pompa  e  colla  usa- 
ta vivacità,  seguì  la  2.a  corsa  de'tori;  ma 
a'caballeros  o  cavalieri  della  regina,  sot- 
tentrarono quelli  dell'  ayuntamiento.  A 
Modena  ricordai  il  torneo  celebrato  inMo- 
dena  dal  regnante  duca  Francesco  Vd'E- 
sle  arciduca  d'Austria,  in  occasione  del 
matrimonio   della   sorella   arciduchessa 
Maria  Beatrice  d'Este,  col  real  infante  di 
Spagna  d.  Giovanni  di  Borbone,  fratello 
del  contedi  Montemolin  d.  Carlo,  che  per 
la  cessione  dei  diritti  del  genitore  Car- 
lo V,  morto  in  Trieste  (/  .),  alla  coro- 
na di  Spagna,  prese  il  nome  di  Carlo  VI. 

VOI.    LXXVII. 


TOR  a73 

Qui  ripeterò  l' indicazione  che  ne  die  il 
n.°  2  del  già  citato  Giornale  militare  ita- 
liano di  Firenze  del  1847,  con  articolo 
intitolato:  Feste  italiane  del  real  torneo 
di  Modena.  Questo  torneo  fa  eseguito 
dal  sovrano  Francesco  V  nella  sua  capi- 
tale Modena  (e  del  quale  e  suoi  stati  ri- 
parlai a  Reggio,  e  Toscana  pei  clamoro- 
si avvenimenti  succeduti  dopo  la  pubbli- 
cazione dell'articolo  Modena,  consegueu- 
zn  de'quali  furono  i  cambiamenti  di  ter- 
rìtorii  notati  altrove  e  meglio  a  Tose  an  a, 
valeadue  l'aggiunta  al  ducato  di  Modena 
del  ducato  di  Guastalla  e  di  altri  paesi: 
la  cattedrale  di  Modena  neli855  diven- 
ne metropolitana  in  conseguenza  del  di- 
sposto da  Gregorio  XVI,  da   verificarsi 
alla  morte  del  cardinal  Opizzoni  arcive- 
scovo di  Bologna,  di  cui  erano  suffraga- 
nee  le  sedi  di  Modena,  Carpi  e  Reggio; 
che  perciò  verificatosi  il  caso,  fu  Mode- 
na colle  altre  sottratta  da  tal  soggezio- 
ne, e  dichiarata  venne  colla  bolla  l'elab 
antiquis,  de*  22  agosto  18  55,  anche  dal 
regnante  Pio  IX  metropolitana,  conce- 
dendo al  suo  attuale  1. "arcivescovo  mg. 
Francesco  Emilio  Cugini  di  Reggio,  cbe 
n'era  vescovo  dal  1 852  per  morte  di  mg.r 
Luigi  Ferrari  di  Modena  fatto  nel  1848, 
il  pallio  nel  concistoro  de' 28  settembre 
18  55;  assegnandosi  a  seconda  del  presta- 
bilito per  suffragane!  i  vescovati  de'  do- 
mimi Estensi,  cioè  Carpi,  Reggio,  Gua- 
stalla ch'era  imraediatameule  soggetta 
alla  s.  Sede,  e  Massa  di  Carrara  già  di- 
pendente dall'arcivescovo  di  Pisa:  esecu- 
tore della  bolla  per  l'erezione  della  nuo- 
va provincia  ecclesiastica,  e  impositore 
del  pallio,  fu  il  cardinal  BalufE  vescovo 
d'Imola,  nel  modo  solenne  riportato  nel 
n.°i5  del  Giornale  di  Roma  deli 856, 
e  celebrato  nella  festa  dell'Epifania.  Di 
più  mi  si  conceda,  per  essere  questo  mio 
Dizionario  dedicalo  all'indimenticabile 
glorioso  duca  Francesco  IV,  di  recente  e- 
gregiamente  celebrato  dal  eh.  can.  Galva- 
ni, come  rilevai  nel  voi.  LXIX,p.  i8g,che 
qui  aggiunga  pure  con  poche  parole:  che  il 

18 


?.74  T  °  R 

sullodalodegno  fìglioFraneescoV.con  de- 
creto de'aydicembrei  855jOiicle  benigna- 
mente premiare  con  pubblica  onori  fìcen- 
ca  i  segnalati  servigi  resi  alla  sua  regia 
persona  e  famiglia  a  vantaggio  e  soste- 
gno della  legittima  autorità,  o  per  avere 
in  qualunque  altro  modo  acquistalo  ti- 
tolo alla  sovrana  benevolenza, e  promuo- 
vere cos'i  una  lodevole  emulazione,  isti- 
tuì l'ordine  cavalleresco  e  reale,  militare 
e  civile  <\e\Y  Aquila  Estense  sotto  l'invo- 
cazione di*.  Conta rdo d' Es le , assumen- 
done egli  il  gran  magistero;  saggiamen- 
te vietando  l'avanzare  qualsivoglia  do- 
manda diretta  o  indiretta  per  essere  am- 
messo all'ordine,  ludi  con  altro  moto-pro- 
prio de'28,  ambedue  riportati  da'».'  5  e 
8  del  Giornale  di  Roma  del  i856,  di- 
stinse l'ordine  in  3  classi  formate  di  gran 
croci,  commendatoli  e  cavalieri.  Dispo- 
se die  l'insegne  sieno  una  croce  di  smal- 
lo bianco  listala  d'azzurro  oltremarino, 
suddivisa  in  8  punte  terminate  da  glo- 
betti  d'oro.  Il  mezzo  della  croce  rileva  in 
uno  scudo  azzurro  contornato  da  una  li- 
sta bianca.  Sullo  scudo  è  sovrammessa 
Y  aquila  bianca  insegna  di  casa  d'  Esle. 
Nella  lista  in  alto  sta  scritto  l'antico  mot- 
to: Proxima  Soli,  e  in  basso  l'anno  del- 
la fondazione. Nella  parte  posteriore  del- 
lo scudo  è  sovrapposta  l'effìgie  in  oro  di 
s.  Conlardo,  e  nella  lista  si  legge:  S.  Con- 
tardili  Atestinus.  Le  4  principali  brac- 
cia della  croce,  movendo  dallo  scudo  so- 
no collegale  principalmente  dalle  4  let- 
tere E-S-T-E.  La  fascia  e  i  nastri  delle 
croci  sono  bianchi  e  azzurri.  De'  primi 
ebe  ne  furono  insigniti,  se  ne  leggono  i 
nomi  nella  CiviltàcattolÌ€aiZ*Wn»Jt.li 
p.  ?.4o  e  720.  Quanto  qui  per  ossequio 
lio  dello  pel  ducalo  di  Modena,  ad  oc- 
casionem,  altrettanto  praticai  con  altri 
articoli  all'  opportunità,  quali  aggiunte 
al  già  pubblicalo.  Che  se  siffatte  giunte 
talora  appariscono  quasi  fuori  del  pro- 
prio luogo,  ad  esso  si  riuniranno  poi  nel- 
Y Indice.  A  questo  sistema,  per  cose  ac« 
cadute  o  trovale  posteriormente,  cioè  do- 


TOR 

pò  la  pubblicazione  de'rispettivi  articoli, 
mi  persuase  il  riflesso,  che  certe  giunte 
di  qualche  importanza  relativa,  potesse- 
ro collocarsi  tra  parentesi,  a  guisa  di  no- 
te, ne'luoghi  corrispondenti,  per  poi,  lo 
ripeto,  mediante  Y  Indice,  il  lutto  riu- 
nirsi nell'articolo  o  articoli  cui  stretta- 
mente appartengono,  piuttosto  che  af- 
fatto ommetterle.  In  questo  l'erudizione 
ha  tale  una  lalitudine,che  non  è  tenuta  ad 
osservare  i  severi  e  rigorosi  metodi  propri 
degli  studi  d'altro  genere)  e  da' seguen- 
ti cavalieri.  1. "Quadriglia:  S.  A.  R.  Fran- 
cesco V,  conte  Klebesberg,  conte  Forni, 
marchese  Paolucci.  2. a  Quadriglia:  mar- 
chese Coccapani,  conte  Abbati,  consul- 
tore Roncaglia,  conte  Ferrari.  3."  Qua- 
driglia: conle  Benti  voglio,  marchese  Mol  • 
za,  conte  Guerra,  marchese  Campori.4.a 
Quadriglia:  conte  Guicciardi,  conte  Be- 
nincasa , consultore  la rabini,baroneDobr- 
zenski.  Araldo:  Petermayer  seniore.  Por- 
ta-stendardo: Pelei  mayer  juniore.  Il  mo- 
narca con  questi  personaggi  la  sera  de! 
giorno  6  febbraio  1 847,  nella  cui  mattina 
era  seguito  il  matrimonio  col  ceremo- 
niale  riportato  dal  n.°  7  delle  Notizie  del 
giorno  di  Roma,  aprirono  il  torneo  fra 
le  sinfonie  della  musica  militare,  nel  lo- 
cale della  nuova  cavallerizza  splendida- 
mente illuminata  e  vagamente  adorna  di 
bandiere  a  colori  estensi  e  spagnuoli.  Ad 
un'estremità  dell'arena  si  ergeva  sotto  e- 
leganle  padiglione  il  palco  della  real  cor- 
te ed  a' lati  due  ampie  gradinale  per  la 
primaria  nobiltà  ;  ed  all'altra  consimili 
gradinate  sormontale  da  una  galleria  oc- 
cupata dal  resto  della  nobiltà,  dall'uffi- 
cialità e  da  allre  persone  di  distinzione. 
Dopo  eseguita  un'apposita  cantata  col- 
1' accompagnamento  della  banda  musi- 
cale militare,  Io  squillo  delle  trombe  e  il 
suono  dell'inno  nazionale  spaglinolo  an- 
nunziò l'ingresso  de'cavalieri  nell'arena, 
i  quali  abbigliati  in  costume  spaglinolo 
del  secolo  XVI,  e  distinti  in  quadriglie 
precedute  da  un  araldo,  dalle  trombe  e 
dal  porta-bandiera,  fecero  un  triplice  sa- 


TOR 

to  dinanzi  alla  loggia  delle  reali  perso- 
ne, quindi  diedero  principio  agli  eserci- 
zi cavallereschi  del  torneamento.  Ritira- 
tisi poscia,  ed  apprestato  nell'arena  quan- 
to occorre  pe' diversi  giuochi  della  gio- 
stra, vi  tornarono  separatameute  ad  una 
ad  una  le  quadriglie,  e  corsero  alle  teste 
colla  picca,  col  giavellotto  e  colla  spada, 
e  bersagliarono  di  carriera.  Riunite  in- 
fine le  quadriglie,  intrecciarono  una  dan- 
za con  varie  graziose  fìguie,  al  termine 
delle  quali  i  cavalieri  si  trovarono  dispo- 
sti in-  modo  da  rappresentare  le  due  let- 
tere iniziali  de'reali  sposi,  e  con  triplice 
agitare  delle  spade  innalzate  fecero  loro 
un  evviva  all'  uso  cavalleresco  che  mise 
fine  al  torneo.  Non  solo  i  numerosi  spet- 
tatori, ma  anche  le  loro  Maestà  il  conte  e 
la  contessa  di  Molina  (padre  e  madrigna 
dello  sposo),  i  loro  reali  figli  e  il  reale  du- 
ca di  Lucca  si  compiacquero  di  lodare  la 
maestria  nell'esecuzione  degli  esercizi  ca- 
vallereschi e  l'agilità  di  quelli  delle  gio- 
stre, svi  nella  suddetta  sera,  che  in  quel- 
la del  giorno  8,  in  cui  furono  replicati  i 
torneamentie  onorati  della  presenza  an- 
che della  reale  duchessa  di  Parma,  reca- 
tasi a  Modena  per  divider  la  gioia  di  quel- 
la reale  famiglia  per  le  faustissime  nozze. 
Finalmente  dirò  colla  Civiltà  cattolica. 
che  ili  5  agosto  1 853,  qual  giorno  deter- 
minato dal  regnante  imperatore  de'frau- 
cesi  Napoleone  III  per  sua  festa  onoma- 
stica, fu  celebrato  in  tutta  la  Francia  e 
specialmente  in  Parigi  con  istraordina- 
ria  solennità  e  profusione.  In  Parigi,  ol- 
tre le  riviste  militari,  le  luminarie,  i  fuo- 
chi artificiali,  le  regate  sulla  Senna,  le  ar- 
monie, le  ascensioni  areostatiche,  le  rap- 
presentanze mimiche  e  drammatiche;  tra 
gli  spettacoli  dati  al  pubblico  richiamò 
forse  più  di  qualunque  altro  l'attenzio- 
ne una  cavalcata  e  un  torneo  istorico.  La 
cavalcata  rappresentò  il  Camp  du  drap 
d'or:  il  corteggio  era  composto  di  87  per- 
sone in  abiti  e  divisa  di  quel  tempo;  re, 
regine,  cavalieri,  araldi  d'armi,  alabar- 
dieri, scudieri, paggi, donzelli,  poi  ta-bun- 


TO   R  2    1 

diere  ce.  Il  torneo  poi  fu  eseguito  da  :  ("> 
cavalieri  inglesi  e  francesi  coperti  d'ai 
mature  di  ferro,  e  combattenti  sopra  < 
valli  bardati  all'  antica  maniera  di  ferro 
anch'essi. 

TORONE.  Sede  vescoviledella  1  .*  pio 
vincia  di  Macedonia  nell'esarcato  del  sin» 
nome,  sotto  la  metropoli  di  Tessalonici, 
eretta  nel  IV  secolo,  e  da  Commanville, 
Histoire  de  tOUS  Ics  E\c<cliez.  denomi- 
nata anche  Castel  Rampo.  Si  apprende 
dalla  geografia,  che  ora  Toron  è  un  bor- 
go della  Turchia  europea  in  Romelia,!» 
quale  nella  sua  parte  occidentale  corri- 
sponde all'aulica  Macedonia,  nel  sangia- 
cato  di  Salonichi,  sulla  costa  occidentale 
della  piccola  penisola  di  Toron,  che  spor- 
ge nell'Arcipelago  tra'golfidi Monte  San- 
to e  di  Cassandra,  all'ingresso  di  questui 
timo.  Torone,  Toroncn,  è  al  presente  un 
titolo  vescovile  in  partibus,  sotto  l'eguale 
arcivescovato  di  Tes>alonica,che  couferi 
sce  la  s.  Sede.  Riferiscono  le  Notìzie  di 
Roma, che  mg.r  Orazio  Bettacchini,  fatto 
vescovo  di  Torone  in  partila*,  fu  nomi- 
nato vicario  apostolico  di  Jafnapatam  nel 
l'Asia  a' 1  7  seltembrei847,  e  lo  è  tutto 
ra;  e  leggo  pure  nel  n.°  79  del  Diario  di 
Roma  del  1  847,  che  a'  1  q  settembre  nella 
chiesa  de'ss.Gio.  ePaolo,dalcardinalFran 
soni  prefetto  di  propaganda,  assistito  da 
mg.r  Pichi  arcivescovo  d' Eliopoli  e  da 
rug.r  fJettacthini  vescovo  di  Torone,  con 
sagrò  in  arcivescovo  di  Sirace  il  mechi- 
tarista  mg.'  Hurmuz,  ed  iu  vescovo  di  Ni- 
copoli  il  passionista  mg.r  Parsi. 

TORONTO (Torwitin).  Città  con  re 
sidenza  vescovile  della  parte  occidentale 
del  Canada  superiore  nell'America  set- 
tentrionale, ne'possedimenti  inglesi, in  eli 
ma  freddo  e  assai  salubre,  già  nella  dio- 
cesi di  Kingston.  Nella  Notizia  statisti- 
ca delle  missioìri  cattoliche,  pubblicata 
nel  i843,  si  diceToronlo  eretto  iu  vicaria 
to  apostolico  nel  1842  da  Gregorio  XVI, 
essendo  uno  de'luoghi  con  chiese  costruite 
in  pietra.  Perlai."  volta  nelle  3  ~c>  tizie  di 
Roma  deh  84"  si  pubblicò  Toronto  Ira 


276  TOR 

Je  sedi  vescovili  erette  da  Gregorio  XVI, 
chela  fece  suffraganea  della  metropolita- 
na di  Quebeeh,  e  die  le  assegnò  per  r  ."ve- 
scovo a'  1 7  dicembre 1 84 1  >con  breve  apo- 
stolico, mg.r  Michele  Poweo.  Riferisce  il 
Supplemento  al  n.°i2i  del  Giornale  dì 
Roma  del  i85o,  che  a'27  maggio  il  Papa 
Pio  IX  nella  cappella  Sistina  consagrò  3 
vescovi, fra'quali  rog.rArmandode  Char- 
bonnel  da  lui  fatto  vescovo  di  Toronto  a' 
1 5  marzo  1 85o  per  pontificio  breve,  quin- 
di tenuto  a  mensa  dal  cardinal  Antonelli 
segretario  di  stato  cogli  altri  vescovi.  Nel 
n.°  2  54  del  Giornale  di  Roma  deli 85 1 
vi  èia  descrizione  dello  stato  presente  del- 
le diocesi  di  Quebech,  e  quanto  a  quella 
di  Toronto  si  dice.  »  Fondata  nel  1 844»  è 
governata  da  mg/di  Charbonnel  che  ven- 
ne consagrato  da  sua  Santità  a  Roma  nel 
1 85o.  Quaranta  preti  hanno  il  carico  del- 
la diocesi.  Il  convento  di  Nostra  Signora 
di  Loreto, stabilito  a  Toronto  per  l'edu- 
cazionedellegiovauette,  è  diretto  dalle  so- 
relle di  quest'ordine  (cioè  delle  suore  gri- 
gie di  Monreale).  Il  medesimo  Pio  IX  con 
breve  de'20  dicembre  1 852  dichiarò  coa- 
diutore con  futura  successione  dell'odier- 
no sunnominato  vescovo  ,  mg/  Patrizio 
Dowd,  a  cui  conferì  il  titolo  di  Canea  in 
parlibus.  Questa  sede  vescovile  dipende 
dalla  congregazione  di  propagandante. 
Non  essendosi  ancora  fatta  proposizione 
concistoriale  pe'suoi  pastori,  non  mi  è  da- 
to poter  dire  altro;  e  per  essere  città  po- 
co antica  non  ne  trattarono  i  diversi  geo- 
grafi da  me  osservati. 

TORRE,  Turris,  Turreis.  Edificio  e- 
minente,  per  lo  più  quadrangolare,  assai 
più  alto  che  largo,fatto  comunemente  per 
propugnacolo  e  per  fortezza  delle  terre.  A 
questa  definizione  del  Dizionario  della 
lingua  italiana,  aggiungerò  quella  del 
/ oeabolario  delle  arti  del  disegno.  No- 
bileedifizio,  il  quale  con  poca  pianta  e  sen- 
za appoggio  moltos'innalza  dal  piano  del- 
la terra,  o  della  fabbrica  ov'è  posato.  Fan- 
nosi  torre  quadrate,  rotonde  (le  quali  co- 
munemente si  credono  posteriori  al  secolo 


TOR 

IX),  ottangolari  e  d'altre  figure,  trame?,- 
zate  per  lo  più  da  diverse  impalcature  che 
si  dicono  nodi.  La  più  alta  parte  delle  tor- 
ri termina  alcuna  volta  in  loggie,  agnglie, 
merlature,  e  così  simili.  Torri  campana- 
rie diconsi  in  oggi  sovente  i  campanili  che 
s'  innalzano  presso  le  chiese,  talvolta  ad 
un'altezza  considerabile.  Alcune  di  que- 
ste torri  terminano1  in  un  terrazzo,  altre 
in  un' eguglia,  altre  in  una  specie  di  cu- 
pola. Ioni  isolate  chiamansi  quelle  che 
sono  slaccate  da  qualunque  edilizio.  La 
torre  de'Venti  d'Atene  era  una  specie  di 
anemometro  (con  tal  vocabolo  i  fisici  chia- 
mano lo  stromento,  con  che  misurano  i 
diversi  gradi  della  forza  del  vento).  Sulla 
torre  de'Venti  d'  Atene  si  legge  un  eru- 
dito articolo,  con  sua  incisione,  ne\Y Al- 
bum di  Roma,  1. 18,  p.  220.  L'edifìcio  è 
di  marmo  bianco,  di  forma  ottagona,  si- 
tuato al  nord  e  a  breve  distanza  dalla  cit- 
tadella. Sopra  ciascuna  delle  sue  faccie  è 
scolpita  in  bassorilievo  una  figura  rappre- 
sentante uno  de' venti  principali,  co' loro 
nomi  incisi  in  grandi  caratteri.  Vilruvio 
e  Varrone  dicono  che  costruì  questo  sin- 
golare monumento  Andronico  Cirreste;  e- 
gli  è  il  solo  monumento  aulico  di  questo 
genere  che  sia  slato  conservato,  offrendo 
grande  interesse  sotto  il  duplice  rapporto 
della  sua  destinazione  e  delia  sua  archi- 
tettura.Nel  suo  complesso  la  torre  de'Ven- 
ti di  Atene  riunisce  1'  eleganza  e  la  soli- 
dità convenienti  a  un  edificio  d'  utilità 
pubblica, orientata  a  perfezione.  Una  cle- 
psidra  o  Orologio  idraulico  posto  nell'in- 
terno della  torre,  suppliva  a'  quadranti 
solari,  eh'  erano  stati  tracciali  sotto  cia- 
scun vento,  allorché  non  potevano  servi- 
re; ond'è  che  l'edificio  indicava  agli  abi- 
tanti d'Atene  non  solo  la  direzione  de' ven- 
ti, ma  le  Ore  col  mezzo  de'quadr^nti  du- 
rante i  giorni  sereni,  e  coll'aiuto  della  eie- 
psidra  dopo  il  tramontar  del  sole  o  duran- 
te i  giorni  nuvolosi.  La  torre  de' Venti  di 
A  tene  non  può  risalire  che  al  secolo  di  Pe- 
ricle, non  essendo  allora  i  greci  abbastan- 
za versali  nelle  scieuze  dipendenti  dalla 


TOR 

geometria,  quali  sarebbero  la  geometria 
e  la  gnomonica,  per  orientare  esattamen- 
te l'edificio  e  tracciarvi  quadranti  solari 
perfetti  come  quello  che  qui  si  vede.  Os- 
serva il  Cancellieri  nelle  sue  Campane , 
che  il  r.°  modello  delle  ventarole  de'cam- 
panili  o  torri  campanarie,  può  dirsi  intro- 
dotto in  questa  torre  da  Andronico  astro- 
nomo di  Cirra,  sopra  di  cui  fece  incidere 
le  figure  de' venti  Solano,  Euro,  Austro, 
Africo,  Favonio,  Coro,  Settentrione  e  A- 
quilone.  Un  tritone  di  bronzogirava  il  suo 
perno  in  cima  della  torre,  posando  la  bac- 
chetta, che  teneva  in  mano,  sulla  figura 
del  vento  che  soffiava.  Anche  in  Roma  vi 
è  la  torre  de'  Venti  ueiPalazzo  apostolico 
Vaticano,  sito  fatto  edificare  da  Gregorio 
XIII  in  piedi  (come  dice  il  Rusconi  nella 
sua  Architettura)  della  sua  famosa  gal- 
leria di  Belvedere  (ora  nobilmente  restau- 
rata dal  regnante  Pio  IX)  per  ritirarsi  alle 
volte  a  diporto.  L'  anemoscopio  e  meri- 
diana antica  è  opera  del  celebre  Eguazio 
Danti  domenicano.  La  meridiana  non  è 
compita,  ed  esaminata  dal  prof.  d.  Giu- 
seppe Calandrelli  fu  trovata  declinare  più 
d'  un  grado  verso  oriente,  ed  inoltre  os- 
servò che  gli  equinozi  sono  posti  in  guisa 
d'anticipare  di  circa  un  giorno  il  vero  in- 
gresso del  sole  in  ariete.  Tanto  apprendo 
dall'opuscolo  di  Conti  e  Ricchebach,  Po- 
sizione geografica  de' principali  luoghi 
di  liotna,  p.93.  Per  la  torre  de'Venli  del 
Vaticano  e  per  le  specole  e  osservatorii  a- 
stronomici  di  Roma  si  può  vedere  Spe- 
cola, Zelada,  Università  romana.  Anche 
\Porti(V.)  hanno  gli  osservatorii, ed  ora 
si  va  a  costruire  l'osservatorio  magneti- 
co in  quello  d'Ancona,  ed  un  consimile 
si  erigerà  nel  porto  di  Civitavecchia.Mor- 
celli  chiamò  1'  osservatorio  e  la  specola  : 
Turris  astrorum  speculatrix  j   Turris 
speculatoriaj  Turris  ad  coelestes  orbes. 
Dicesi  Torrione  la  torre  la  cui  grandez- 
za eccede  in  grossezza,  come  si  vede  per 
lo  più  intorno  alle  Mura  e  Porte  delle 
città  e  castella;  Torricella,  Torrioncello 
0  Torrioncino  le  piccole  torri,  o  simili  e- 


TOR  377 

difici;  Torraccia,  la  torre  guasta  e  scas- 
sinata. Dagli  antichi  per  lo  più  si  faceva- 
no sulle  mura  delle  città,  sulle  torri  e  sui 
palazzi,  per  ornamento  e  per  fortificazio- 
ne, i  merli  e  le  merlature;  parti  superiori 
delle  muraglie,  non  continuate,  ma  inter- 
rotte da  eguale  distanza,  in  figura  qua- 
drata di  muro  o  di  pietra,  e  poste  per  ter- 
mini di  tali  edificii.  Aristotile  pretende  , 
che  i  ciclopi  pe'primi  immaginarono  l'in- 
nalzamento delle  torri;  ma  Teofrasto  o- 
pinachesienostalii  feuicii,e  Virgilio  nella 
Bucolica  sembra  attribuire  la  gloria  aMi- 
nerva  di  quella  invenzione.  Certo  è  che 
la  s.  Scrittura  fa  menzione  di  molte  torri 
destinate  a  usi  diversi.  Ve  ne  aveano  per 
fortificare  le  città, come  quelle  di  Sichem, 
di  Tebe  o  Thebes,  di  Tiro,  di  Siloe,  e  tutte 
quelle  di  Gerusalemme.  Altre  servivano 
a  scoprire  da  lungi,  e  s'innalzavano  pure 
torri  uelle  campagne1  per  invigilare  alla  si- 
curezza de'frulli  e  degli  armenti.  Egli  fu 
per  invigilare  alla  conservazioue  del  greg- 
ge, che  Osia  fece  fabbricare  delle  torri  nel 
deserto,  e  siccome  vi  erano  delle  scolle  in 
quelle  delle  torri  per  difendere  i  pastori 
e  gli  armenti  contro  gli  assalimene  de'ma- 
laminili,  quest'uso  somministrò  una  ma- 
niera di  parlare,  sovente  usata  nella]  s. 
Scrittura,  per  esempio:  dalla  torre  delle 
scolle  o  sentinelle  sino  alla  città  fortifica- 
ta. Le  torri  più  rimarcabili  di  cui  si  parla 
nella  s.  Scrittura  ,  oltre  quelle  di  Geru- 
salemme (P.),  sono  le  toni  di  Sichem  e 
di  Babele.  La  torre  di  Sichem  era  come 
una  cittadella  situata  in  luogo  piùelevato 
del  restante  della  città  ,  ed  abbastanza 
grande  da  poter  contenere  più  di  1000 
persone.  Abimelech  figlio  di  Gedeone,giu- 
dice  d'Israele, essendosi  a  lui  ribellati  gli 
abilantidiSichem, marciò  sulla  città,e  do- 
po averla  espugnata,  la  mise  a  sacco  e  ne 
uccise  gli  abitatori, indi  la  distrusse  in  tal 
guisa  che  vi  seminò  il  sale;  in  seguito  risol- 
se di  costringere  col  fuoco  i  difensori  del- 
la Ione  o  cittadella  ad  arrendersi.  Si  por- 
tò quindi  con  tutta  la  geute  al  monte Sel- 
mon,  e  quivi  fece  tagliare  uua  gran  quaii- 


2?8  T  O  B 

htà  di  rumi  d'alberi,  e  avendo  con  essi 
circondala  la  torre  vi  fece  appiccare  il  fuo- 
co, ed  in  tal  guisa  dal  fumo  e  dalle  fiam 
me  furono  uccise  iooo  persone,  uomini 
t-donnech'erano  nella  torre.  Ma  dipoi  nel- 
l'assalto che  die  alla  torre  di  Thebes,  città 
distante  circa  3  leghe  da  Sichem,  e  nella 
<;ualeeiansi  rifugiali  moltisichimili,men- 
IreAbimelech  combatte  va  valorosa  mente 
a  pie  della  torre  e  appressatosi  alla  porla 
ieiitava  d'appiccarle  il  fuoco,  una  donna 
dall'alto  gli  fracassò  la  testa  con  un  pez- 
za di  macina  da  molino;  ed  egli  perchè 
non  si  dicesse  d'essere  stato  ammazzato 
da  una  donna,  ordinò  allo  scudiere  di  uc- 
ciderlo colla  spada.  La  costruzione  della 
limi  osa  torre  di  Babele  viene  determina- 
la circa  l'anno  del  mondo  i  7y5  ei  20  do- 
po il  diluvio.  Siccome  durante  la  sua  e- 
•  ezione  Dio  confuse  la  Lingua  degli  uo- 
mini che  l'edifica  vano, di  maniera  che  non 
potevano  più  intendersi  fra  di  loro,  così 
venne  dalo  il  nome  di  Babele  (confusione 
e  mescolanza  )  alla  ciltà  e  provincia  di 
babilonia,  dove  venne  ei  ella, come  si  ha 
dalla  Genesi.  Si  fmno  diverte  congettu- 
re circa  il  modo  con  cui  avvenne  la  con- 
fusione delle  lingue  a  Babele,  che  accen- 
nai Dell'indicato  articolo,  co' molivi  che 
indussero  gli  uomini  con  Neinbrod  a  in- 
Ira  prende  re  la  fabbrica  di  tal  mole  per  ga- 
rantirsi da  un  nuovo  diluvio,  sebbene  nou 
'ulti  convengano  di  attribuirla  a  Nem- 
bi od  fondatore  di  Babilonia,  che  divenne 
la  capitale  del  più.  antico  impero  de!  mon- 
do, munita  da  i5o  ovvero  3oo  grosse  tor- 
ri alte  So  piedi ,  fiancheggienti  le  mura 
che  superavano  di  io  piedi.  INon  è  preci- 
samente noto  l'altezza  a  cui  fu  portata  la 
torre  di  babele;  si  dice  che  avesse  8  piani, 
4  1  6  cubiti  d'altezza,  e  4»  o  5 1 60  passi  di 
circuito  alla  sua  base.Vuolsi  che  si  formas- 
se di  mattoni  colti  e  la  creta  avesse  servito 
di  calce.DaU'innalzameuto  di  questa  torre 
nacquero  le  due  famose  favole  de'giganli 
o  titani,  e  degli  animali  parlanti.  Anche 
i  moderni  viaggiatori  variano  nella  de- 
scrizione sugli  avanzi  della  torre  di  Babe- 


TOR 

le;  e  lultociò  che  viene  narralo  su  di  essa, 
tranne  il  riferito  dalla  s.  Scrittura,  è  favo- 
loso, e  le  mine  d'alcune  torri  che  si  fan- 
no osservare  in  Babilonia  sono  tutl'altro 
che  gli  avanzi  e  i  ruderi  della  torre  di  Ba- 
bele. Delle  principali  e  più  antiche  torri 
superstiti  parlai  a*  luoghi  ove  sussistono, 
primeggiando  in  Italia  quella  di  Pisa  e 
quelle  di  Bologna  (V.).  Famosa  è  la  tor- 
re di  Londra  (P \).  In  Ispahan,  capita- 
le della  Persia  ,  vi  è  la  famigerata  torre 
chiamala  la  Torre  de' Corni,  perchè  fu 
costi  uita  solamente  di  ossami,  teste  di  gaz- 
zelle e  di  altri  animali  selvatici  presi  in 
una  sola  caccia,  nella  quale  si  trovarono, 
per  quanto  narrasi,  più  di  centomila  cac- 
ciatori. Questa  torre  singolare  è  d'  una 
grande  altezza:  le  teste  delle  gazzelle,  che 
mollo  somigliano  a  quelle  delle  capre,  so- 
no disposte  dal  fondo  della  torre  sino  al- 
la cima,  in  modo  che  presentano  i  corni 
in  fuori.  Gli  storici  aggiungono,  che  que- 
sto mostruoso  e  inutile  edifizio  fu  innal- 
zato nel  tempo  d'un  banchetto,  cioè  nel- 
lo spazio  di  circa  8  ore,  e  che  l'architetto 
avendo  domandato  al  re  che  mancava  la 
testa  d'  un  grosso  animale  per  formarne 
la  sommità,  quel  principe  riscaldato  dal 
vino  gli  rispose:  Dove  vuoi  tu  che  andia- 
mo a  quest'ora  in  cerca  d'una  tesla  così 
grande?  Non  si  potrebbe  trovare  una  be- 
stia più  grossa  di  te;  bisogna  mettervi  la 
tua.  Il  re  fu  subito  ubbidito,  e  la  testa  ta- 
gliata di  quello  sciagurato  fu  messa  sul  co 
mignolo  di  quellostra  vagante  edifizio.Gio- 
vanniBonitoscrisse:/JiemoraZ>/7/6u/c'  Tur- 
vibus  ex  Ustoria,  Lipsiaei6g4-  A  Foste, 
ed  a  Strada  ragionando  de'telegrafì,  no- 
tai che  invece  di  questi  gli  antichi  si  ser- 
virono di  segnali  che  facevano  da  eleva- 
te torri  e  da  quelle  situate  sull'alture,  on- 
de gli  uni  e  gli  altri  furono  il  germe  da 
cui  poi  nacque  l'invenzione  portentosa  dei 
telegrafi.  In  molle  città  italiane  del  medio 
evo  dalla  sommità  delle  torri ,  massime 
m unicipali, e  da'torreggian li  campanili, le 
vedette  del  comune  speculavano  agevol- 
mente la  città  e  la  campagna,  e  davan  se- 


TOR 

gno  delle  novità  che  scoprivano  o  d'incen- 
dio o  di  tumulto,  o  ili  cose  nemiche.  Le 
torri  sopra  le  quali  clavansi  i  segnali  dice- 
vansi  Mire  o  Mirre,  corue  riferisce  il  eh. 
Rambelii  nell'erudito  articolo:  Prime  se- 
menze del  telegrafo  in  Italia,  pubbli- 
cato \\e\Y  Album  di  Roma,  t.  16,  p.  174» 
come  cpiello  che  sempre  propugna  in  fa 
vore  degl'italiani  il  primato  sopra  moltis- 
sime invenzioni  e  scoperte.  Egli  spiega 
quel  vocabolo  dicendo  the  il  DuCangeal- 
la  voce  Mira  scrive  Spenda  ab  ital.  mi- 
rare, spedare,  rèspicere.  E  Rutaudino 
padovano,  presso  Muratori,  Rer.  Ital.  t. 
b,dice:  Faclis  quiuusdam  Speeidis  ave 
Miris  in  rimeria,  mule  itur  a  Padita  ad 
Monteni  Sìliccm  positi  sunt  in  iis  locis 
custode*  ne  possent  adilla  castra  itila 
victualia  deportali.  Lo  stesso  Muratori 
nella  Dissert.  26/  è  di  parere  che  auche 
la  voce  Merlo  (pinna  del  muro  della  for- 
tezza) avesse  la  sua  origine  da  Mirare. 
Quindi  riportando  debitamente  gli  stori- 
ci da  cui  trasse  le  diverse  testimonianze, 
narra  quanto  compendiosamente  dirò.  Si 
facevano  segnali  dalle  torri  con  fiammel- 
le convenzionali  quanto  al  colore  e  al  nu- 
mero, e  con  fanali  piantati  di  distanza  iu 
distanza  sopra  allure  si  avvisava  l'allar- 
me per  le  marcie  del  nemico  e  il  perico- 
lo che  sovrastava.  Ciò  principalmente  fu 
praticato  nelle  montuose  regioni  di  Savo- 
ia, nella  Lombardia,  nella  Toscana  pre- 
cipuamente in  tempi  delle  fazioni  de'guel- 
fi  e  ghibellini;  CON  praticarono  uelle  pic- 
cole guerre  i  comuni  lucchesi  e  modeuesi 
della  Garfagnana.  Sulla  torre  del  comu- 
ne di  Mantova  tenevansi  accomodati  ar- 
tifizi chiamali  Mirre  ,  oggi  telegrafi,  a 
mezzo  de'quali  di  notte  e  di  giorno  si  fa- 
cevano certi  segnali,  che  compresi  da'pro- 
pinqui,  questi  a  mano  a  mano  li  ripete- 
vano sino  a'Iuoghi  più  lontani,  onde  gli 
ordini  e  i  bisogni  in  brevissimo  tempo  si 
notificavano  a  tutto  lo  stato.  In  vari  luo- 
ghi del  contado  di  Bologna  si  fecero  al- 
cune torri  e  vi  si  posero  guardie  per  as- 
Mcuntrti  da' nemici  e  conoscerne  le  mosse. 


TOR  279 

In  ciascuna  torre  eranvi  4  bandiere,  bian- 
ca, uera,  gialla  e  rossa.  Quando  le  guar- 
die vedevano  il  nemico  recarsi  verso  il  con- 
tado di  Bologna  e  con  100  cavalli,  allora 
si  mostrava  la  bandiera  bianca  piegata  dal 
lato  verso  il  quale  i  nemici  cavalcavano. 
Se  essi  cavalcavano  verso  la  montagna  e 
con  più  di  1  00  cavalli,  il  cenno  da  vasi  col- 
la bandiera  uera  e  con  quella  bianca  in- 
sieme: se  erano  3oo  i  cavalli,  a  tali  ban- 
diere si  aggiungeva  una  3.*;  ma  se  caval- 
cava tutto  l'esercito,  si  ponevano  fuori  tut- 
te e  4  le  bandiere,  sempre  piegando  ver- 
so la  parte  per  la  quale  i  nemici  di  diri- 
gevano. La  notte  poi  si  facevano  i  mede- 
simi segnali  con  lumiere  accese,  piegan- 
dole dov'era  bisogno  d'accennare  la  stra- 
da che  percorreva  il  nemico.  La  torre  del- 
la cattedrale  di  Modena  delta  la  Giuristi* 
dina  (assai  bella,  incrostata  di  marmi  di 
vario  colore,  nel  cui  fondo  conservasi  ta 
celebre  Secchia  tolta  da'modenesi  a'  bo- 
lognesi nel  1 325  dopo  la  battaglia  di  Zap- 
polino),  servi  ad  uso  di  Mirra,  ad  esem- 
pio di  Mantova  e  Bologna  tra  le  quali  è 
collocata,  nelle  frequenti  guerre  ch'ebbe 
a  sostenere  contro  i  bolognesi.  Il  lodato 
Rambelli  dice  inoltre,  che  forse  al  mede- 
simo fine  dovettero  servire  le  altissime 
torri  che  ne'secoli  XI  e  XI I  si  videro  sor- 
gere in  ogni  parte,  e  principalmente  in 
quelle  città  eh'  ebbero  maggior  nome  in 
Italia,  come  oltre  le  mentovale  sono  quel- 
le di  s.  Marco  in  Venezia,  delle  cattedra- 
li di  Pisa,  di  Cremona  (nel  cui  articolo 
parlando  del  suo  torrazzo,  come  uua  del- 
le torri  più  alte  d'Italia,  narrai  che  es- 
sendovi saliti  per  godere  la  bella  veduta 
Papa  Giovanni  XXIII  e  l'imperatore  Si- 
gismondo, d  malvagio  Cablino  tiranno 
di  Cremona  s'intese  tentato  a  precipitarli 
da  essa  ambedue;  il  che  iniquamente  con- 
fessò prima  d'andare  al  supplizio,  a  cui 
lo  condannò  Filippo  M.'  duca  di  Mila- 
no,dopo  averlo  fitto  prigione,  dispiacen- 
te di  non  averlo  fatto),  e  di  s.  Maria  del 
Fiore  in  Firenze.  Non  occultando  quan- 
to precedentemente  aveauo  praticato  gii 


28o  TOR 

antichi  greci  e  romani,  racconta  il  Ram- 
belli  i  cenni  di  fuoco  che  si  facevano  in 
tempi  di  pace  e  di  guerra.  Agamennone 
stabilì  segnali  di  fuochi  dal  monte  Ida  ad 
A  rgo. per  annunziare  aClitennestra  la  pre- 
sa di  Troia.  Alessandro  il  Grande  fece 
stabilire  da  luogo  a  luogo  de'  soldati  sta- 
zionari con  un  vaso  pieno  d'acqua,  sulla 
quale  galleggiava  una  tavola  di  sughero 
che  facevasi  ascendere  e  discendere  a  mi- 
sura che  si  dovea  mostrare  or  queste  or 
quelle  cifre  che  v'eran  sopra  notate.  Po- 
libio ricorda  di  Cleosseno  inventore  d'un 
metodo  con  cui  per  via  di  faci  potea  far- 
si leggere  di  lontano  ad  un  osservatore 
quanto  importava  conoscere.  Riporta  Ve- 
gezio,  solersi  sospendere  sulle  torri  delle 
città  grossi  pezzi  di  legno,  coli' innalzare 
e  abbassare  i  quali  venivasi  a  denotare 
quanto  accadeva;  e  forse  tali  legni  denta- 
no essere  infiammati  perchè  si  vedessero 
di  notte,  evenire  adoperati  a  brevi  distan- 
ze. Conclude,  che  nelle  Mirre  italiane  e- 
gli  vide,  se  non  rinnovato  e  risuscitato, 
almeno  continuato  e  forse  migliorato  e 
perfezionalo  il  sistema  de'segnali  che  si  da- 
vano e  riceveano  dalle  torri,  dal  quale, 
aggiuntovi  il  telescopio,  originava  certa- 
mente il  moderno  telegrafo;  ed  aggiunge- 
rò, al  quale  mirabile  trovalo  di  recente 
il  nostro  italiano  cav.  Bonelli  recò  incre- 
mento, meglioapplicaudolo  alle  locomo- 
tive delle  ferrovie,  come  rilevai  a  Toeino 
ove  l'introdusse  con  tanto  plauso.  Arro- 
ge  quanto  nello  stesso  Album  t.  2,  p.  117 
si  legge,  e  con  Cancellieri  notai  a  Campa- 
nile, che  fu  abitudine  nel  medio  evo  di 
mettere  sulle  torri  eallasommitàde'eam- 
panili,  o  altri  monumenti  più  elevati,  al- 
cune guardie  che  doveano  vegliare  alla 
quiete  pubblica,  per  dare  avviso  sia  del- 
l'avvicinamento del  nemico,  sia  degl'in- 
cendiijde'furli,  degli  omicidi!  che  si  com- 
mettevano nell'interno  delle  città.  In  se- 
guitoavendo  l'ordinamento  delle  ben  re- 
golate polizie  reso  inutili  tali  misure,  se 
ne  conservò  per  allro  la  memoria  co- 
struendo figure  di  ferro  o  di  bronzo,  alle 


TOR 

quali  si  fecero  suonare  l'ore  per  gli  oro- 
logi pubblici,  molti  de'quali  si  collocano 
sopra  le  torri  e  massime  nelle  torri  cam- 
panarie sì  municipali  che  di  chiese.  Ebbe 
l'Italia  un  tempo  di  tante  sciagure  che  nel- 
le sue  fertilissime  terre  non  vedea  che  in- 
cendii,  ruberie,  devastazioni,  tradimenti, 
crudeli  uccisioni  e  quanti  mali  menano  se- 
co le  civili  guerre.  Questo  si  chiama  tem- 
po di  mezzo  o  bassi  tempi,  perchè  è  ap- 
punto quel  periodo  di  mezzo  che  rimane 
tra  la  moderna  civiltà  e  l'antica  devonia- 
ni e  de'primi  secoli  del  cristianesimo.  Ora 
a  quella  malaugurata  stagione  non  solo 
era  in  guerra  ciascuna  città  italiana  l'una 
contro  l'altra,  ma  tante  erano  le  parti  e 
le  fazioni  che  i  cittadini  d'una  stessa  città 
quasi  ogni  dì  venivano  alle  mani  tra  lo- 
ro, si  uccidevano  per  le  vie  e  per  le  piaz- 
ze, combattevano  dalle  finestre  e  da'tet- 
ti,  né  più.  si  avea  rispetto  a'sagri  luoghi. 
La  parte  Guelfa  e  la  Ghibellina  fu  cia- 
scuna la  più  eslesa  fra  le  fazioni,  e  per 
la  loro  accanila  ostinazione  la  più.  este- 
sa e  di  maggior  funesta  durata  :  furo- 
no i  Bianchi  e  i  Neri  a  Pistoia,  i  Cappel- 
letti e  Montecchi  a  Verona;  a  Roma  gli 
Orsini,  i  Colonnesi,  i  Savelli  e  molti  altri, 
i  quali  erano  nobili  e  potenti  famiglie  che 
assoldando  genti  d'arme,  e  quanti  potea- 
no  traendo  a  loro  parte,  miravano  sem- 
pre alla  signoria  di  loro  patria  o  a  pri- 
meggiarvi; e  poiché  eranvi  pur  quelli  che 
loro  opponevansi,  tali  fazioni  si  chiama- 
vano ancora  di  grandi  e  popolani.  Essen- 
do tali  città  sempre  in  armi,  ad  ogni  pe- 
ricolo ratta  si  levava  una  torre  per  po- 
tervi combattere  e  tenervisi  impunemen- 
te sicuro;  né  v'era  cittadino  alquanto  po- 
tente e  prepotente  che  allato  alla  sua  casa 
non  ne  facesse  fabbricare.  Vedute  allora 
di  lontano  tali  città  sembravano  selve  di 
altissimi  alberi.  Lucca  giunse  ad  averne 
sino  a  3oo.  A  Firenze  ne  furono  drizzate 
i5o  alte  più  di  100  braccia,  al  tempo  di 
Carlo  Magno,  altri  però  dicono  più  tardi. 
Verona  ne  avea  48.  Le  mura  diTivoli  furo- 
no fiancheggiate  dui  00  torri.Infioe  fu  sì 


TOH 

grande  l'uso  di  queste  torri  .segnatamente 
dopo  ili  ioo,che  Pisa  giunse  ad  averne  ni- 
no a  i  0,000  secondo  alcuni.  Fu  quindi  bi- 
sogno che  i  principi  e  i  capi  delle  città,  or 
con  bandi  le  facessero  atterrare,  ora  ne 
stabilissero  l'altezza  e  il  miineio,  ora  proi- 
bissero di  più  fabbricarne.  Alcune  però 
rimangono  tuttavia  nelle  varie  città  d'I- 
talia, parte  mezze  rovinate  e  parte  anco* 
ra  integre.  Si  fabbricarono  torri  anche  a 
difesa  de'monasteri  e  delie  chiese,  ad  es- 
se propinque, dopo  averne  peli. "da lo  l'e- 
sempio s.  Leone  IV  nell'848  colla  Città 
Leonina  (f.).  Infatti  si  trova  che  altret- 
tanto fecero  nelle  loro  città,  Ansperlo  ar- 
civescovo di  Milanoinortoiiell'882,eLeo- 
dino  vescovodi  Modeua  verso  I'8q3,  men- 
tre bollivano  furiose  guerre,e  i  sai  aceni  fa- 
cevano tremende  irruzioni,  cui  successero 
poi  quelle  degli  ungali.  A  munirsi  da  que- 
sti Enrardo  vescovo  di  Piacenza  nell'898 
costruì  un  propugnacolo,  Berengario!  con- 
cesse ad  Adalberto  vescovo  di  Bergamo  e 
a' cittadini  di  potere  riedificar  le  mura  e 
le  torri  della  città,  così  Gauslino  vescovo 
di  Padova  impetrò  altrettanto  nel  964  da 
Ottone  I;  poiché  se  alcuno  in  Italia  osa- 
va piantar  fortezze  e  torri  senza  licenza 
del  principe,  correva  pericolo  di  fabbricar- 
le per  esso.  Perciò  Paolo  abbate  del  mo- 
nastero di  Volturno  nel  967  domandò  li- 
cenza a'principi  di  Beueveuto,  di  erigere 
una  torre  e  un  castello  pel  monastero.  E- 
guale  facoltà  Berengario  l  conferì  nel  9 1  2 
all' abbadessa  di  s.  Maria  in  Posteria  di 
Pavia.  Per  tal  modo  a  poco  a  poco  vesco- 
\i  e  abbati,  ed  anche  conti  e  altri  poten- 
ti fabbricarono  tanta  copia  di  rocche,  tor- 
ri e  fortezze,  che  nel  secolo  X  e  di  più  nel 
XI  se  ne  mirava  per  così  dire  una  selva, 
specialmente  in  Lombardia,  nelle  pianu- 
re, nelle  colline  e  moutagne  per  accresce- 
re forza  a  quelle  naturali  fortificazioni;  e 
nel  Modenese  e  nel  Reggiano  erano  co- 
ronate di  rocche  e  di  torri.  Tanto  e  me- 
glio si  può  apprendere  dal  Muratori  nel- 
la Disserti  26/:  Della  milizia  de'  seco- 
li dì  mezzo  in  Italia.  Egli  iuoltre  parla 


TOR  281 

delle  torri  sulle  mura  e  dentro  le  città  fab- 
bricate in  Italia,  e  pertanto  dice,  che  ol- 
tre alle  torri,  che  si  costi  -divano  ne'  vec- 
chi tempi  nel  giro  delie  mura  delle  città 
e  fortezze  per  maggior  difesa  e  guardia 
delle  medesime,  formate  di  marino  o  di 
mattoni  colti,  con  determinato  ordine  o 
intervallo  inserite  nelle  mura,  per  batte- 
re non  meno  da  fronte  che  da' fianchi  il 
nemico  che  avesse  osato  tentare  la  scala- 
ta, si  gueruirono  di  bastioni,  porte,  e  po- 
sterie cioè  piccole  porte,  e  di  cataratte  ed 
esse  composte  d'una  ferrata  da  potersi  al- 
zare e  abbassare,  chiamate  poi  saracine- 
sche, ed  anco  di  antemurali  o  basse  mura 
di  circuito,  detti  pure  barbacani,  per  im- 
pedire l'avviciuamento  delle  macchine  da 
guerra,  come  le  torri  di  legno  guernite  di 
pelli  fresche  o  altro  per  ripararle  dal  fuo- 
co. Da  queste  torri  ambulanti  sopra  ruo- 
te, si  lanciavano  dardi,  sassi,  fuochi, e  fi- 
nalmente ponti  per  calare  nel:a  piazza  che 
si  voleva  espugnare.  Indi  s'iulrodusse  nel- 
le città  più  potenti  anche  il  costume,  che 
i  nobili  privati  fabbricavano  nelleloro  ca- 
se e  a  loro  spese  delle  torri.  Indizio  di  chia- 
ra Nobiltà  era  tenuto  allora  il  poter  alza- 
re e  avere  somiglianti  torri. perchè  i  nobi- 
li soli  godevano  il  privilegio  e  la  possan- 
za di  edificarle.  Conta vansi  nelle  medesi- 
me città  i  campanili  delle  chiese,  laonde 
una  vaga  e  nobile  vista  rappresentavano 
tante  torri  a  chi  veniva  colà.  In  qual  tem- 
po si  cominciasse  a  fabbricare  queste  tor- 
ri private  da'  potenti,  non  si  può  deter- 
minare cori  certezza.  11  Muratori  conget- 
tura che  nel  secolo  X  alcuna  se  uè  alzas- 
se, che  ne  crescesse  il  numero  nel  XI  e 
maggiormente  poi  si  moltiplicassero,  da 
che  le  città  si  misero  in  libertà,  ed  insor- 
sero  le  gare  de'guelfi  e  ghibellini;  perciò 
Turrita  Papia,  Turrita  Cremona  si  ve- 
dono anticamente  appellate,  e  lo  stesso  fu 
detto  di  altre  città  (come  Ascoli,  Siena  e 
Bologna).  Parlando  l'arcivescovo  s.  Arial- 
donel  1076  al  suo  popolo  unlanese,gli  dis- 
se: /  estri  sacerdoles,  qui  epici  possimi 
diliores  in  terrenis  rebus t  cxcelsiorcs  in 


a8a  TOR 

atdijlcandis  turribjus  et  domibus  ctc.  ipsi 
jmtantìir  beatiores.  Il  Cancellieri  poi  nel 
suo  Mercato  a  p.  99,  dice  credersi  dagli 
eruditi  che  l'introduzione  delle  torri  sia 
cominciata  dopo  le  Crociate,  cioè  dopo  il 
pontificato  d'Urbano  II,  che  promulgò  la 
».  neliogj,  essendo  state  innalzate  o  per 
fortificarsi  nelle  guerre  civili,  o  per  me- 
moria del  valore  dimostrato  nelle  batta- 
glie, o  in  segno  di  ricchezza  e  di  nobiltà. 
Si  può  aggiungere,  e  fatto  luogo  di  Fri- 
gioite  o  Carcere  di  rei,  custodia  di  pri- 
gionieri, asilo  di  prepotenze,  soverchierie 
e  crudeltà,  anche  co'  trabocchetti  ,  pozzi 
profondi  o  luoghi  fabbricati  con  insidie, 
denti  oa'quali  si  precipitavano  con  ingan- 
no, con  orribili  meccanismi,  in   siti  spa- 
ventevoli e  profondi,  le  cui  partii  erano 
annate  di  taglieiilisMine  lamine  di  ferro, 
le  vittime  infelici  delle  passioni  di   tanti 
barbarie  inumani  baroni ,  massime  ne'lo- 
10  Feudi.  L'uso  infame  e  detestabile  de- 
gli occulti  trabocchetti  o  trappole  fu  ap- 
plicato anche  nef castelli  e  ne'p.dazzi  e  al- 
tri antichi  edifizi,  de'feudatari  e  signorot- 
ti, nella  demolizione  o  1  estauro  de'quali 
luoghi   furono  trovate  in  fondo  cataste 
d'ossa  di  morti  ivi  tra  pene  atroci  periti. 
Altri  trabocchetti  aveano  una  macchina 
tutta  guernita  di  acutissime  punte  e  la- 
mine, dalle  quali  veni  va  fatto  in  pezzi  l'in- 
felice che  incauto  mettendo  il  piede  in  cer- 
te camere,  il  cui  pavimento  era  coperto 
con  tavola  di  legno  chiamata  riballa,  im- 
provvisamente precipitava  dal  suolo,  ar- 
tatamente coperto,  in  quel  profondo  ba- 
ratro. Vi  furono  macchine  militari,  da  do- 
ve si  scagliavano  sassi, chiamate  Trabu- 
chela,  Trcbuchetae  Frabucìdj  si  disse- 
ro pure  petriere,  e  scagliavano  per  aria 
sassi  di  smisurato  peso,  mediante  torri  di 
legno  o  castelli  a  ruote, sui  quali  i  Solila- 
//accostandosi  alle  mura  e  alle  torri,  dal- 
la sommità  combattevano  con  que'dì  den- 
tro. L'inveuziouedella  torre  di  leguoqual 
macchina  da  guerra  si  attribuisce  alla  Si- 
cilia quando  la  dominava  il  tiranno  Dioni- 
sio, e  riuscì  con  molto  successo  negli  as- 


TOR 

sedi  delle  città.  Composte  di  grosse  travi 
e  tavole,  d'ordinario  aveano  3o  piedi  iti 
quadrato:  la  loro  altezza  spesso  sorpassa- 
va quella  delle  mura,  ed  eziandio  delle  tor- 
ri delle  città.  Mosse  con  delle  ruote,  si  co- 
municava a'di  versi  piani  condelle  scale.  Al 
basso  era  collocata  la  macchina  detta  a- 
riete  per  aprire  la  breccia  ,  sul  piano  di 
mezzo  erati  un  ponte  levatoio,  col  quale 
gli  assediatili  abbassandolo  sul  muro  del- 
la città  se  ne  impadronivano. Sui  piani  al- 
ti i  combattenti  non  cessavano  di  lanciar 
dardi  sugli  assediati.  Queste  torri  lignee 
erano  coperte  di  lamine  di  ferro  ne'luo- 
ghi  più  esposti,  ond'esscre  meno  sogget- 
te al  fuoco.  Il  Borgia,  Memorie  isteriche 
tli  Benevento,  diceche  in  tal  città  già  nel- 
1*871  il  palazzo  de' principi  avea  la   sua 
torre, e  la  più  antica  de'nobili  beneventa- 
ni fu  quella  del  palazzo  di  Dacouiario  del 
1102  prossimo  alla  cattedrale  e  quale  in- 
dizio di  nobiltà,  perchè  a  que'tempi  i  no- 
bili godevano  il  privilegio  e  la  possanza 
di  edificarle.  Di  queste  torri  se  ne  edifica- 
rono tante  in  Benevento,  che  Onorio  III 
nel  1221  dovette  scrivere  lettere  a'giudi- 
ci,  consoli  e  popolo  della  città,  colle  qua- 
li per  provvedere  alla  pubblica  quiete  or» 
dinò  sotto  pena  di  confisca,  che  niuno  più 
ardisse  di   togliere  le  torri  altrui ,  e  che 
quelle  già  tolte  si  rendessero  a'  legittimi 
padroni  nello  spazio  di  3  giorni  ad  man- 
datimi nostri»  vel  Rectoris.  Di  tante  tor- 
ri ch'erano  allora  in  Benevento  appena 
oggidì  si  vede  qualche  vestigio,  perchè  es- 
sendo poi  queste  divenute  cagione  di  di- 
scordia e  di  guerra,  parte  si  demolirono 
nel  furore  delle  medesime  guerre  civili, 
parte  vennero  meno  per  ingiuria  del  tem- 
po ,  e  parte  nella  devastazione  data  alla 
città  da  Federico  II.  Tornando  a  Murato- 
ri, riferisce  quanto  scrivea  di  Pavia  circa 
ili3oo  l'Aulico  ticinese.  Quasi  omnesEc- 
clesiae  habent  Turres  excelsas  propter 
campanas  etc.  Celerarum  antan  Tur- 
rium  super  laico  rum  domibus  excelsa- 
rum  mirabiliter  maximus  est  numerus, 
ex  quibus  multae  tam  ex  vetusta  te  quam 


TOR 
'Indio  civium  te  invicern  j>ersequentiuni, 
cecidernnt.  Più  curioso  ancora  era  il  ve- 
dere lo  strano  gusto  di  que'  tempi ,  che 
giunse  a  fabbricar  torri  non  diritte,  ma 
inchinate  e  pendenti;  se  pure  è  vero  che 
ciò  si  facesse  a  bello  studio.  Ne  resta  l'e- 
sempio nel  bel  campanile  di  Pisa  e  nella 
torre  Garisenda  di  Bologna,  la  quale  eia 
anche  più  alta,  ma  pei'  testimonianza  di 
Benvenuto  da  Imola  fu  alquanto  castra- 
ta da  Giovanni  di  Oleggio,  e  perciò  det- 
ta Mozza.  Fu  di  parere  il  p.  Montfaucon, 
che  il  caso  e  non  1'  arte  facesse  inchinar 
quelle  torri,  e  veramente  in  salire  Mura- 
tori la  pisana  ne  dubitò.  Noterò  che  in  Bo- 
logna moltissime  toui i  furono  innalza- 
te perseguo  di  possanza  e  di  nobiltà;  ma 
le  due  più  celebri,  fabbricale  nel  princi- 
pio del  secolo  XI,  sono  la  torre  Asinelli, 
la  più  aita  tra  le  7  torri  famose  d'Italia, 
e  la  torre  Mozza  o  Garisendi  rinomala  per 
la  sua  pendenza.  Le  misure  dell'altezza  e 
«arie  lai  ghezze  trovansi  esattamente  de- 
scritte dai  prof.  Biancoui  nella  Guidadcl 
forestiere  in  Bologna,  ivi  i836.  Nel  pa- 
lazzo del  Podestà  ergesi  nel  mezzo  isola* 
la  e  sorretta  da  sopra-archi  in  4  pilastri 
la  torre  dell' Arengo.  Inoltre  in  Bologna 
era  assai  rinomata  la  torre  isolata  della 
Magione, ossia  della  chiesa  di  s.  Maria  del 
Tempio  già  de'templari  e  poi  de'geroso- 
lunitani,  la  quale  nel  1^.55  videsi  inge- 
gnosamente  trasportare  intera  e  drizzata 
colle  campane  dal  primiero  sito  ,  in  cui 
venne  innalzata,  sino  al  luogo  ove  fu  de- 
molita nel  1825,  e  cioè  pel  tratto  di  pie- 
di 35;  mirabile  trasporto  eseguito  colla 
direzione  dell'ingegnere  architetto  Ridol- 
fo  Fioravanti  bolognese,  detto  mastro  A- 
listolile  Alberti,  il  quale  raddrizzò  pure 
un  campanile  a  Cento  della  chiesa  di  s. 
Biagioche  peudeva  5  piedi  e  mezzo.  Rife- 
ce in  Ungheria  i  ponti  sul  Danubio  e  fe- 
ce tante  altre  meraviglie,  che  il  re  lo  di- 
chiarò cavaliere,  e  gli  pei  mise  di  batter 
moneta  col  proprio  uome  e  impronto.  Al- 
tre uotizie  su  questo  raro  geuio  »i  potino 
leggere  nel  Milizia,  Le  vite  de' più  cclc- 


T  O  R  a83 

bri  architetti;  e  nel  eh.  Giordani,  Della 
venula  di  Clemente  VII  in  Bologna,  no- 
ta 44-  Osserva  Muratori  ,  che  in  Roma 
stessa  non  mancavano  una  volta  le  torri 
de'potenli,  ed  in  un  solo  suo  borgo  a'tem- 
pi  di  Martino  V  del  i4'7»  Sl  trovavano 
in  piedi  44  lolT'  co'loro  merli  per  difesa 
(da'quali  si  saettava  e  gittava  sassi),  ed  io 
aggiungerò  molte  delle  quali  fece  atter- 
rare l'immediato  successore  Eugenio  IV; 
in  un  tempo  cioè  che  per  I'  assenza  dei 
Papi  e  pel  lungo  scisma  Lì  orna  presenta- 
va triste  rovine  di  sua  grandezza,  chiese 
abbandonale  e  spesso  cambiate  in  fortez- 
ze, e  Palazzi  fatti  più  per  combattere  che 
per  abitare.  Già  altrove  riconosciutosi  col 
tempo,  che  proveniva  danno  al  pubbli- 
co da  siffatte  torri  urbane,  come  fomen- 
tatile'! di  guerra,  erasi  cominciato  a  vie- 
tarle; il  che  venne  ordinalo  nel  1228  da- 
gli statuti  di  Verona,  così  io  quegli  anti- 
chi di  Pistoia  fu  proibito.  Delle  tante  tor- 
ri una  volta  esistenti;  delle  quali  ora  non 
rimane  vestigio,  per  due  cagioni  andito- 
no  ita  rovina,  cioè  per  ingiuria  de'tempi 
o  per  la  vecchiezza,  o  per  negligenza  dei 
padroni  si  diruparono  e  caddero;  ovvero 
furono  distrutte  pel  furore  delle  guerre 
civili,  che  infestò  buona  parte  delle  città 
italiane,  e  in  molti  luoghi  per  provvida 
legge  municipale.  Imperocché  tali  erano 
le  prodezze  de'guelfì  e  ghibellini,  che  in- 
furiati gli  uni  contro  gli  altri,  chi  preva- 
leva sfocava  la  sua  rabbia  addosso  alle 
o 

torri  e  case  degli  emoli  cacciati  o  abbat- 
tuti ,  come  deplorai  in  tanti  articoli.  Lo 
stesso  avvenne  in  altre  città  ,  e  segnata - 
mente  allorché  0  per  elezione,  o  per  usur- 
pazione alcuno  vi  fu  assuuloal  principa- 
to, per  levare  a'privati  cittadini  la  tenta- 
zione di  rivoltarsi.  In  tal  modo  Drudo 
Marcellino  podestà  di  Genova  nel  1  196 
feci  abbattere  80  torri  in  quella  città;  co- 
sì p  faticò  nel  1  225  in  Modena  il  podestà; 
in  Lucca  Castruccio  fece  abbassare  ed  a- 
gujigliare  alle  case  3oo  torri;  ciò  fu  pra- 
tici to  anche  in  Firenze,  ove  le  torri  era- 
uu 'in  grati  umilerò,  alte  quali  i  00  e  quali 


284  T  °  ll 

120  braccia,  poiché  tutti  i  nobili  o  la  mag- 
gior parte  aveano  torri.  Ed  in  vero  nei 
tempi  eli  guerra  veniva  considerata  una 
buona  torre  per  una  rocca  e  fortezza;  ed 
è  noto  che  più  e  più  giorni  un  esercito  si 
perdeva  dietro  a  una  Ione,  purché  que- 
sta fosse  ben  provveduta  di  combattenti, 
viveri  e  armi.  Perciò  nelle  terre  e  castel- 
la solevano  gli  antichi  alzare  almeno  una 
torre,possenlea  resistere  perqualche  leni, 
pò  a'nemici,  e  di  alcune  se  ne  fece  gran 
conto.  La  maniera  di  prendere  le  città,  le 
rocche  ,  le  fortezze  ,  le  torri  consisteva 
nella  scalata ,  o  neh'  accostar  le  torri  di 
legno  mobili  alle  mura  per  combatterle 
esultarvi  dentro,  oltrealtre  macchine  di- 
roccanti le  muraglia  con  aprir  la  breccia, 
evenir  poscia  all'assalto.  A  M'articolo  Sol- 
dato ricordai  più  articoli  ove  parlai  del- 
l'ai  te  militare  terrestre  e  navale  :  delle 
principali  fortezze,  anche  deporti  marit- 
timi, ne  ragionai  ne'luoghi  ove  furono  o 
sono.  Circa  a' Porti  dello  slato  pontifìcio 
(l/ .),  è  interessante  che  io  ricordi  le  no- 
tizie diverse  o  catalogo  de'  i  3  fari  del   li- 
torale pontificio,  pubblicato  dall'egregio 
ingegnere    Alessandro  Bettocchi    nel  u.° 
1  35  del  Giornale  di Romadel  1 853, per- 
chè fa  osservare,  come  altri  fari  :  Che  il 
faro  del  porto  di  Civitavecchia  è  stabili- 
to sulla  torre  della  lanterna  ;  quello  dei 
porto-canale  di  Fiumicino,  del  quale  ri- 
parlai a  Tevere,  è  stabilito  sulla  torre  Cle- 
mentina; quello  di  Porto  d'Anzio  è  sta- 
bilito sulla  torre  esistente  presso  l'estre- 
mila meridionale  del  poeto  Innocenziano; 
i  due  piccoli  fanali  del  porto-canale  di 
Badino,presso  Terracina,  si  elevano  pres- 
so l'estremità  delle  palafitte  del  canale 
dello  Portatore  al  suo  sbocco  in  mare,  ed 
il  faro  è  situato  sulla  prossima  torre,  ina 
non  è  in  attività.  Ciò  quanto  al  litorale 
del  Mediterraneo;  nel  litorale  del   mare 
Adriatico,  il  faro  del  porto  d'  Ancona  è 
situato  sulla  torre  presso  l'estremità  del 
molo  dementino  alla  destra  della  sorti- 
ta del  porto;  sono  stabiliti  sopra  altri  e- 
difizi  i  fari  de'  porti  di  Sinigagliat  Fa- 


TOR 
no,  Pesaro,  Riinini,  i  due  del  Cesenatico 
nella  delegazione  di  Forlì,  di  cui  ripar- 
lai a  Porti,  così  di  quelli  di  Cervia  e  del 
porto-canale  Corsini  di  Ravenna.  Parlan- 
do delle  spiaggie  pontificie.de'due  mari, 
dissi  delle  principali  loro  torri  alcune  no- 
tizie. Delle  suddescritte  torri  o  macchine 
di  legno  per  gli  assedi,  se  uè  fece  uso  an- 
che sopra  i  vascelli,  ed  Agrippa  fu  ili." 
a  introdurne  1'  uso  al  tempo  d'Augusto, 
e  vari  monumenti  locomprovano.  Per  es- 
sere stata  s.  Barbara  rinchiusa  in  una  tor- 
re ,  con  questa  viene  sempre  rappreseli* 
tata,  ed  è  patrona  de'fnilitari  e  in  parti- 
colare degli  artiglieri,  come  dissi  ne'vol. 
X,p.  ig5,iC)6,  XLV,  p.  i  1 4-  Quanto  alle 
fazioni  de'  Guelfi  eòa'  Ghibellini  (V.),  dei 
Bianchi  e  de  JYeri.de  quali  riparlala  Pi- 
stoia, come  delle  altre  ne'luoghi  ove  in- 
fierirono, le  prime  comechè  più  generali 
ebbero  nell'  insegue  quelle  particolarità 
per  distinguersi,  che  notai  ne'vol.  XXIV, 
p.  246,  247,  XXXI li,  p.  i85,  LXXVI, 
p.  76  e  171  ed  altrove;  e  persino  nella 
forma  delle  torri  e  loro  merli,  come  ri- 
marcai nel  voi.  XXXllI,p.  186.  Nel  voi. 
LXVI,  p.  6q,  ragionando  dell'origine  de- 
gli stemmi  gentilizi,  rilevai  chederivarono 
pure  da  castelli, torri, merlature,  palizzate 
e  baloardi,  da  chi  le  prese  per  arme  gen- 
tilizia forzati  o  difesi.  Il  De  Bue,  Dell'o- 
rigine dell'  Araldica,  fra  le  prove  di  an- 
tica nobiltà,  novera  il  possesso  delle  torri 
antichequali  in  Cremona,  Bologna, Pado- 
va e  Pavia,  perchè  già  fatte  fabbricare  da 
famiglie  nobili  ne'tempi  delle  discordie  e 
guerre  civili  fra  guelfi  e  ghibellini,  origi- 
nale dalla  Germania  di  cui  sovente  tur- 
barono il  riposo.  Osservò  Sigonio,Z?c:  Re- 
gno Italiae  ,  che  comunemente  le  torri 
cominciarono  a  fabbricarsi  in  Bologna  e 
in  altri  luoghi  d'  Italia  circa  il  973  da^z- 
miglie  nobili,  in  segno  della  loro  ricchez- 
za e  potenza.  Il  Malavolta  nell' III 'sto rie 
di  Siena,  narra  essere  state  introdotte  iu 
premio  di  viriti  dimostrate  in  battaglia, 
come  seguì  in  Siena  alla  famiglia  degl  In- 
contrati, iu  vece  delle  statue  che  usava- 


TOR 
no  gli  antichi,  e  lo  deduce  anclie  tini  ve- 
dersene alcune  di  esse  così  strette  che  po- 
co o  nulla  potevano  servire  per  difesa,  e 
che  indi  fosse  conceduta  dal  pubblico  la 
licenza  di  fabbricarle  a  molti  gentiluomi- 
ni, in  testimonio  della  loro  nobiltà.  In  Fi- 
renze, in  Roma  e  altrove  le  antiche  fa- 
miglie nobili  si  distinguevano  in  quelle 
di  loggia  e  di  torre,  loggia  e  porticale,  co- 
me notai  a  Palazzi  di  Roma;  però  nar- 
rai ne'vol.LXIX,  p.  7,LXX,  p.  1 37,  che 
sagacemente  Sisto  IV, a  consiglio  di  Fer- 
dinando I  re  di  Napoli,  feeedemolire  i  mi- 
gnani  e  i  porticati  in  Roma,  onde  domina- 
re liberamente  la  città.  Prima  di  questo 
tempo  si  scagliò  contro  le  torri  il  Petrarca 
nel  Sonetto  i  06,  dicendo:  Le  torri  su- 
perbe al  del  nemiche,  E  nel  Seuil.  I.  ix, 
Ep.  1,  p.  268.  Dum  supervacuas,  et  ine- 
ptas  turres  construimus,  ut  Caelo  tenus 
scandal  ruinatura  superbia,  Immilli- 
mani  Chris  ti  /idem  non  est.  qui  tue  tur, 
et  vindieet.  Le  torri  furono  espi  esse  an- 
che ne'sigilli  e  nelle  monete,  poiché  tutte 
le  città  n'erano  guarnite.  Il  cardinal  Ga- 
rampi,  nell' Illustrazione  (Furi  antico  si- 
gillo della  Garfagnana,  già  dominio 
temporale  della  s.  Sede,  diceche  le  3  tor- 
ri ivi  espresse ponno  denotare  i  vari  e  nu- 
merosi castelli  della  contrada,  per  cui 
sembra  plausibile  che  ne'sigilli  e  nelle  mo- 
nete, per  angustia  del  sito  una  o  più  tor- 
ri si  rappresentassero,  in  vece  d'esprime- 
re fortezze  0  castelli.  Essendo  noto  quan- 
to utili  e  atte  alla  difesa  fossero  nella  di- 
sciplina militare  del  medio  evo  le  torri, 
non  solo  i  luoghi  di  campagna  e  le  mura 
delle  città  se  ne  munivano,  ma  per  fin 
dentro  le  città  slesse. Solevano  le  torri  del- 
le persone  potenti  essere  munite  di  pa- 
rapetto e  altri  edifizi,  che  maggiormen- 
te le  guardassero,  simili  in  certo  modo 
a'  castelli  veri.  I  merli  poi  erano  quelle 
prominenze  lasciale  sulla  cima  de'muri, 
e  posle  l'ima  dall'altra  in  egual  distanza, 
8d  effetto  di  coprire  le  persone,  che  indi 
scagliavano  dardi  e  sassi  contro  i  nemi- 
ci, e  gli  antichi  chiamarono  pinnae  mu- 


T  O  R  *85 

rorum  e  propugnaculum,  vocabolo  che 
il  Garampi  dice  aver  spiegato  meglio  il 
Ferrari,  che  lo  fece  derivare  dal  latino 
murus  e  muridus,  quando  non  si  volesse 
attribuirlo  ad  origine  di  lingua  germani- 
ca, in  cui  mer  significava  aggiungere  e 
aumentare,  essendo  infatti  i  merli  una 
ciunla  eaccrescimento  fatlosulla  cima  de' 
mini.  Dice  il  Cancellieri  neWeCampane 
e  Campanili, che  i  tornesi  furono  coniati 
nella  zecca  di  Tours,  in  memoria  della 
schiavitù  di  s.  Luigi  IX  re  di  Francia,  e 
vi  si  espressero  i  ceppi  e  la  torre.  In  for- 
ma di  Ione  furono  fatti  vari  utensili, an- 
che sagri  e  d'oro  e  d'argento,  come  Re* 
liquiari.Ostensoriie  Tabernacoli (ì  .). 
Anche  inRoma  nella  ciltà  eterna  le  tor- 
ri appartenenti  a'  proprietari  particolari 
erano  indizio  di  nobiltà  e  ricchezza,  ed  e- 
rette  per  ornamento  e  sicurezza  dell'  a- 
bilazioni,  precipuamente  per  fortificarsi 
nelle  guerre  civili  o in  memoria  delle  pro- 
dezze fatte  ne'combatlimenti  da  chi  le  e- 
rigeva.  La  più  antica  Ione  particolare  che 
siasi  eretta  in  Roma  è  quella  di  Mecena- 
te da  lui  eretta  sul  campo  Esquilino  os- 
sia l'Esquilie,  nel  sito  ove  ora  sorge  la  no- 
bile villa  Massimo  già  di  Sisto  V,  a  de- 
stra degli  orti  formati  dallo  stesso  Mece- 
nate, nel  luogo  più  eminente  di  Roma, 
Altissimus  Romae  locus.  Questa  era  si 
vastissima,  alta  ed  eccelsa,  che,  secondo 
Orario,  la  cima  sormontava  le  nubi.  Di- 
venne famosa  perchè  vuoisi  che  dall'al- 
to di  essa  Nerone  si  godesse  l'incendio  di 
Roma.  Per  non  essersi  dagli  antichi  scrit- 
tori additato  il  di  lei  sito  preciso  è  tutto- 
ra presso  i  moderni  controverso  e  incer- 
to. Alcuni  la  collocarono  nel  giardino  de' 
Colonna  sul  Monte  Quirinale,  dov'era 
un  masso  d'antica  fabbrica,  chiamata  dal 
volgo  Torre  Mesa,  vocabolo  corrotta- 
mente fatto  derivare  da  Maeeenaliana, 
spezzato  con  mine  per  fabbricarvi  le  at- 
tuali scuderie  e  quartiere  del  Palazzo  a- 
postoliro  Quirinale,  il  quale  ha  un  lor- 
rione.Altri  dicono  che  Nerone  si  procurò 
il  barbaro  piacere  di  vedere  Roma  in  mez- 


$6  TOP, 

>  alle  fiamma  sulla  lo  ire  delle  Milizie. 
Non  mancano  di  quelli  che  pretendono 
essere  la  torre  di  Mecenate  la  bassa  torre 
che  sorge  sotto  s.  Prassede,  tra  le  chiese 
di  s.  Martino  e  di  s.  Lucia  in  Selce,  e  le 
Filippiue.Eruditameute  e  con  buone  ra- 
gioni il  principe  Massimo,  nelle  Notizie 
della  villa  Massimo  alle  terme  Diocle- 
ziano, dichiara  che  sebbene  sarebbe  pre- 
sunzione il  voler  precisare  il  silo  d'una 
fabbrica,  della  quale  non  rimangono  le 
vestigia,  e  di  cui  gli  antichi  scrittori  non 
ci  lasciarono  descritta  la  situazione;  pu- 
re volendo  accostarsi  al  sentimento  de' 
più  accreditali  antiquari,  che  riproduce, 
essa  fu  da  Mecenate  costruita  nel  terre- 
no presentemente  occupato  dalla  Pilla 
Massimo  j non  si  conviene  per  altro  sulla 
di  lei  precisa  situazione,  alcuni  volendo 
che  stasse  verso  le  terme  Dioelcziane,  e 
altri  versola  chiesa  di  s.  Antonio  delle  ca- 
maldolesi, l'are  che  sorgesse  nel  punto  pù 
alto  dì  Roma  uella  vigna  del  cardinal  V  e- 
rallo  riunita  a  detta  villa,  in  quella  parte 
di  questa  detto  il  Monte  della  Giustizia, 
che  ancora  al  presente  è  il  punto  più  ele- 
valo del  suolo  di  Roma,  innalzandosi  so- 
pra l'antico  argine  o  Aggere  di  Servio 
Tullio,  vigna  che  passata  in  potere  di  Fa- 
brizio Naro, quelli  la  vendè  a  d.  Camilla 
Peretti  sorella  di  Sisto  V,  per  unirla  al 
restante  della  villa,  e  dove  il  Papa  avea 
intenzione  di  fabbricarvi  un  3.°  palazzo 
bellissimo,  per  contemplarvi  la  magnili- 
ca  vista  di  tutta  la  villa,  e  della  campa- 
gna intorno  a  Roma  colla  sua  corona  di 
montagne,  che  da  quel  punto  deliziosa- 
mente si  gode.  In  vece  sulla  sommità  del 
monte  il  suo  pronipote  cardinal  Montai* 
lo  vi  collocò  la  stalua  colossale  di  Roma 
sedente,non  tenente  colla  destra  una  lan- 
cia e  colla  sinistra  una  Vittoria,  come  suo- 
le rappresentarsi,  onde  il  volgo  la  credè 
una  figura  della  Giustiziarla  cui  prese  la 
denominazione  il  monte.  A  Roma  ed  a 
Mura  di  Roma,  nel  parlar  di  queste,  dissi 
delle  sue  torri  che  la  difendevano,  come 
delle  superstiti,  e  che  nel  declinar  del  se- 


TOR 

colo  VII!  di  nostra  era,  conservando  tut- 
tora il  circuito  e  recinto  dell'imperatore 
Aureliano,  non  essendovi  aggiunta  la  Cit- 
tà Leonina,  le  sue  mura  erano  difese  da 
387  torri,  ed  erano  guernite  da  7079 
mei  li  che  in  buona  parte  sussistono,  mol- 
tissimi però  rovinali. L' Alberimi  chescris- 
se,  De  mirabilibus  Urbis  Romae,ne\  1  5 1  o 
sotto  Giulio  II,  all'erma  che  in  Roma  le 
torri  erano  in  tutte  le  case  de'cardinali  e 
de'signoi  i  romani.  Che  in  quel  leni  pò  era 
frequente  l'uso  che  le  case  de'  cardinali 
dovessero  avere  una  torre,  lo  rilevai  nel 
voi.  LX.XI1I,  p.  2oq.  Sisto  V  fece  del  tut- 
to demolire  il  Settizonio  (V.),  magnifi- 
ca mole  a  7  ordini  di  portici,  in  forma  di 
alta  e  forte  torre,  edificato  dall'  impera 
lore  Settimio  Severo.  Nel  voi.  LV1II,  p. 
278  notai  quali  furono  le  più  potenti  fa- 
miglie romane  che  s'impadronirono  de' 
luoghi  furti  di  Roma,  e  vi  fabbricarono 
oli  ridussero  a  torri,  nelle  quali  si  sosten- 
nero nelle  loro  prepotenze  e  guerre  in- 
testine. Il  Bernardini,  che  nel  1 74-4  d'or- 
dine di  Benedetto  XIV  pubblicò  la  De- 
scrizione  del  nuovo  ripartimentode'/i/o- 
ni  di  Roma,  registrò  come  esistenti  37 
torri  de'bassi  secoli  nell'interno  della  cit- 
tà, e  sono  le  seguenti  ;  che  indicando  in 
corsivo  gli  articoli  che  si  potino  vedere  e 
citando  i  luoghi  ove  ne  parlai,  agevolmen- 
te se  ne  potranno  leggere  le  notizie,  olire 
quelleche  aggiungerò.  Nel  rione  Monti  9, 
cioè:  i.°La  torre  nell'abitazione  Canta- 
relli o  Santarelli  presso  il  monastero  delle 
Filippine.  2.0 Gli  avanzi  della  grandio- 
sa torre  unita  all'  antica  abitazione  de' 
Conti }  che  dà  il  nome  alla  contrada  di  Tor 
de'Conti,  edificata  nella  Suburra  da  In* 
nocenzo  III  dì  tal  famiglia,  che  vi  ebbe 
in  Roma  le  sue  prime  abitazioni  nelle  li- 
nee di  Segni '  e  di  Valmonlone  (della  qua- 
le a  Velletri);  ed  anche  qui  ricorderò 
che  ne  scrissero  il  Valesio,  Disscrtalio  de 
tnrri  Comitum,  presso  il  p.  Calogerà,  O- 
puscoli  t.  28,  p.  3i;  ed  il  Ratti,  Della 
famiglia  Sforza  pa  r.  2,  p.  2  1 6  e  seg.  Dil- 
la famiglia  Confidi  Segni,  vamo  che  la 


tor 

possedè  insieme  alla  torre  detta  delle  Mi- 
lizie, altra  linea  essendo  i  Conti  di  Peli 
(di  cui  anche  a  Tivoli).  Il  marcheseMel- 
cliiorri  nella  Guida  di  Roma  attribuì  la 
torre  a  s.  Nicolò  I,  e  che  1  nnocenzo  111  la 
fece  risarcire  e  fortificare  dall'architetto 
Marchionni  aretino.  3.°  Torre  a  s.  Fran- 
cesco di  Paola  de' Mìnimi}  ridotta  ad  uso 
di  campanile.  La  torre  è  quadrangolare, 
terminata  con  ringhi  era,  composta  a  fog- 
gia di  archetti,  con  me  nsolead  uso  di  for- 
tezza. In  mezzo  di  essa  alzasi  il  campa- 
nile con  4  archetti  sostenuti  d'altrettanti 
piedritti,  ha'  (piali  sono  appese  le  cam- 
pane ;  onde  ad  una  certa  distanza  sem- 
bra il  torrione  d'una  fortezza.  Meglio  non 
potevasi  collocare,  ed  è  l'unico  in  Roma 
con  simile  torre  per  base,  e  benché  sem- 
plicissimo merita  d'essere  veduto. ^"Tor- 
re delGrillo  unita  al  palazzo  già  de'Conti, 
l'uno  e  l'altra  da  loro  edificati,  della  cui 
celebre  acqua  parlai  ne' voi.  XX  V,p.  i  5g, 
L1X,  p.  i  65  e  altrove.  5.°  Torre  non  in- 
tera nella  vigna  del  monastero  di  s.  Lo- 
renzo in  Pane  e  Perua,  del  quale  nel  voi. 
XXVI,  p.  189.  6.°  Torre  nel  monastero 
di  s.  Lucia  in  Selce,  di  cui  nel  voi.  XII, 
p.  72.  7.0  Torre  detta  delle  Milizie  e  gran- 
diosissima nel  monastero  delle  domenica- 
ne di  s.  Caterina  di  Siena  ,  innalzata  da 
Gregorio  lXConti  nipote  d'Innocenzo  1 1 1, 
per  abitazione  dì  sua  famiglia,  chiamata 
delle  Milizie  da  qualche  presidio  milita- 
re che  ivi  si  sarà  tenuto  in  tempo  delle  fa- 
rioni  ,  e  non  già  perchè   la  medesima  o 
quel  sito  fosse  una  stazione  dell'auliche  mi- 
lizie romane  sotto  gl'imperatori,  come  al- 
cuni antiquari  hanno  pensato,  al  dire  del 
Ealti,  che  ripetei  nel  voi.  XVII, p.  7o;ai- 
tre  opinioni  del  Melchiorri  le  riferii  nei 
voi.  LV,  p. io5,  LXXII,  p.  188,  il  quale 
dice  che  alcuno  la  suppose  opera  di  Boni- 
facio "V  III,  forse  perchè  i  suoi  parenti  se 
ne  impadronirono,  come  notai  nel   voi. 
L\  III,  p.  278,  facendosi  fui  li  anche  pel 
sepolcro  suburbano  di  Cecilia  !\lelella,che 
descrissi  nel  voi.  LXIV,  p.  ì^o.  8.°  Torre 
nel  monasteio  di  s.  Pi  assale  de'  I '  allom- 


T  O  R  287 

brosani(F  .).q.°  Torre  nell'abitazione  del 
marchese  Stefanoni  vicino  alla  piazza  de' 
Zingari,  nella  panocchia  di  s.  Maria  dei 
Monti.  Nel  rione  Trevi  2  torri,  cioè;  i.° 
Torre  all'  abitazione  della  famiglia  del 
contestabile  Colonna  alle  Tre  Cannelle. 
E  qui  aggiungerò  che  ti  a'pahizzi  de'Co- 
lonna  presso i ss.  Apostoli,  unoavea  la  tor- 
re, per  quanto  riportai  nel  voi.  LXXV, 
p.  227  e  228.  Il  Cancellieri  nel  Mercato 
chiamala  torrede'Colonna  alla  salila  del- 
le tre  Cannelle,  la  torre  di  Mecenate.  2.0 
Torre  nel  monastero  di  s.  Nicola  di  To- 
lentino delle  Battìstìne. Nel  rione  Colon- 
na 2  torri,  cioè:  1. 'Torre  ilei  Collegio  Ca- 
pranica.  2.0  Torre  del  Palazzo  Ottobo- 
ni  Piano.  Nel  rione  Campo  Marzo  la  so- 
la torre  annessa  al  Collegio  dementino 
àe'Somaschi.  Vi  è  però  la  piazza  e  il  vi- 
colo della  Torretta,  nella  parrocchia  di 
s.  Lorenzo  in  Lucina,  poiché  vuoisi  che 
tali  denominazioni  derivino  da  qualche 
torre  che  ivi  anticamente  esistette,  sotto 
il  qual  vocabolo  ecoll'insegua  d'una  tor- 
retta vi  fu  stabilita  una  trattoria,  come 
nella  parte  opposta  alla  Torre  Sangui- 
gna. Nel  rione  Ponte  2  torri,  cioè:  i  .'Tor- 
re nel  palazzo  deli'  arciconfraternita  del 
Gonfalone  prima  Scappucci. 2. °Toi  reSau- 
guigna  che  da  nome  alla  piazza,  delia  fa- 
miglia Sanguigna  o  Sanguinei*,  presso  la 
Chiesa  di  s.  Apollinare  (/  .).  La  fi  mi- 
glia antichissima  romana  che  le  die  no- 
me fini  con  Pantasiiea  maritatasi  con  quel 
Torres  di  cui  riparlai  nel  voi.  Lll,  p.  284» 
e  ch'ebbe  de' cardinali.  Il  Galletti  nel  Pri- 
miierio,  parla  de'nobili  Sanguigno  e  Ric- 
cardo de  Sanguigni  del  i374-HPapa  Leo- 
ne \  1  del  928  era  di  tale,  stirpe.  In  que- 
sto rione  fu  già  la  famosa  Torre  di  Nona, 
da  cui  prese  il  nome  la  via  di  TordiNon.i, 
nel  sito  della  quale  fu  edificato  l'odierno 
Teatro  d'Apollo,  ove  riparlai  della  car- 
cere ch'era  nella  torre.  Nel  rione  Pai  io- 
ne 2  torri,  cioè:  1 .°  Torre  nel  Palazzo  So- 
ra  de'fjoucouipaguo.  2.0  Torre  Millina 
con  abitazione  della  famiglia  Milli  ni  no- 
bile romana  che  die  a!  s:igio  collegio  4    '"* 


a88  T  O  R 

dina!i;Mario  formò  unadeliziosa  villa  sulla 
sommità  di  Monte  Mario,  e  Pietro  la  chie- 
sa «Iella  ss.  Croce,  di  che  feci  ricordo  ne' 
voi.  XLVl,p.  279,  LXX,  p.  i45.  In  alto 
ha  l'iscrizionedi  Torre  Mi  Ili na, nome  che 
prese  la  contrada.  Della  famiglia  e  della 
torre,  tratta  Cancellieri  nel  Mercato,  in 
un  al  palazzo  comprato  da  Innocenzo  X 
per  ingrandire  il  stio  Pamphilj.  Collo 
stesso  Cancellieri  noterò,  che  quando  gli 
Orsini  possedevano  il  Palazzo  B raschi, 
\i  aveano  una  torre,  in  capo  al  circo  A- 
gonale,  oggi  piazza  Navona.  Inoltre  nel 
rione Parione  era  la'torre  di  Campo,  pres- 
so la  quale  un  cubiculario  pontificio  nel 
recarsi  il  Papa  dal  Vaticano  al  Lutera- 
no distribuiva  l'elemosina,  come  rilevai 
nel  voi.  XXI,  p.  161  e  altrove.  Nel  rione 
Regola  la  sola  torre  del  palazzo  Cenci,  di 
cui  nel  voi.  LXXV,  p.  1 43,  nella  Piazza 
de' Cenci.  Nel  rione  s.  Eustachio  3  torri, 
cioè:i.°  Torre  Argentina  che  die  la  deno- 
minazione alla  via,  ed  al  Teatro  di  Tor- 
re atrgentina,  ove  descrissi  la  torre.  2." 
Torre  del  palazzo  Palma  presso  s.  Salva- 
tore  delle  Coppelle.3. "Torre  Medici  o  Ma- 
dama, già  de'Crescenzi,  ossia  nel  Palaz- 
zo del  Governo  o  Madama,  ora  del  mi- 
nistero delle  finanze,  e  perciò  ne  ragionai 
nuovamente  nell'  articolo  Tesoriere.  Di 
quest'antica  ed  elevata  torre  di  tufa,  rim- 
petto  a\P alazzo  Carpe gna, probabilmen- 
te se  ne  fanno  autori  i  potenti  Conti  Tu- 
scolani  del  ramo  de'Crescenzi  poi  delti  di 
s.  Eustachio,  de'  quali  riparlai  a  Tivoli, 
descrivendo  Poli,  Guadagnolo  e  la  Men- 
lorella  ,  ossia  nel  voi.  LXXV,  p.  285  e 
seg.;  dappoiché  in  Roma  essi  aveano  le  a- 
bitazioni  presso  la  propinqua  Chiesa  di 
s.  Eustachio,  e  tuttora  la  contrada  porla 
il  nome  di  via  e  salita  de'Crescenzi,  an- 
che pel  palazzo  che  vi  possederono,  ora 
Bonelli,  altro  avendone  un  poco  più  di- 
stante,cioè  il  Palazzo  Scr lupi  de  marche- 
si Serlupi-Crescenzi.  In  fatti  il  Fea,  De' 
diritti  del  Principato  sugli  antichi  edi- 
jìzi,  a  p.  8,  narra  che  i  Conti  Tuscolani 
del  ramo  di  s.  Eustachio  ne'bassi  tempi 


TOR 

s'impadronirono  di  alcuni  luoghi  forti  di 
Roma,  fra'quali  delle  Terme  di  Nerone. 
e  di  Alessandro  Severo  (Jr),  presso  alla 
loro  antica  chiesa  di  s.  Eustachio,con  tutta 
l'isola;  nel  qual  palazzo, detto  poi  Mada- 
ma, rimasero  le  continuate  abitazioni  di 
questo  ramo  fino  al  tempo  di  Sisto  IV  , 
sotto  del  quale  totalmente  si  estinse.  Che 
nel  palazzo  vi  sono  vestigia  di  dette  ter- 
me lo  afferma  il  Galletti  nel  Primicero  a 
p.  220,  riportando  un  placito  tenuto  in 
s.  Pietro  alla  presenza  di  Papa  Gregorio 
V  e  Ottone  III  imperatore  nel  998  per 
la  vertenza  tra  l'abbate  di  Farfa  ed  i  preti 
dis.  Eustachio  di  Roma  (dellaqual chiesa 
rifeci  menzione,  pe'suoi  nobili  e  grandi  re- 
stauri, nel  voi.  LXXV,  p.  219),  circa  le 
due  chiese  di  s.  Maria  e  di  s.  Benedetto 
nelle  terme  Alessandrine,  le  quali  furono 
aggiudicate  all'abbate  e  suo  monastero; 
dice  che  nel  palazzo  già  de'granduchi  di 
Toscana,  oggi  della  Camera  apostolica, 
tra  s.  Eustachio  e  piazza  Madama  già  det- 
ta de'  Lombardi,  vi  sono  vestigi  di  terme 
o  di  Nerone  o  d'  Alessandro  Severo,  di 
grandissima  magnificenza.  Il  Nibby  nella 
Roma  nel\  838,  asserisce  che  i  Conti  Tu- 
scolani, come  signori  della  contrada,  sotto 
mano  in  detto  placito  assisterono  i  preti 
di  s.  Eustachio.  Essi  occuparono  le  terme 
da  oriente  a  occidente ,  cioè  il  tratto  fra 
la  piazza  della  Rotonda  e  la  piazza  Mada- 
ma, e  da  mezzogiorno  a  settentrione  fra 
la  chiesa  di  s.  Eustachio  e  la  via  delle  Cop- 
pelle. Egli  crede  che  i  Conti  Tuscolani  si 
annidarono  nelle  loro  vicinanze  e  in  parte 
sopra  le  terme  nel  secolo  X,  che  fra'giu- 
dici  del  placito  eravi  Giovanni  prefetto  di 
Roma  e  conte  del  palazzo,  figlio  del  fa- 
moso Crescenzio  Nomentano,  il  quale  per 
essersi  impadronito  delMausoleo  d'Adria- 
no, quella  mole  prese  per  lui  il  nome  di 
Torre  di  Crescenzio,  come  trovo  in  Mu- 
ratori nella  suddetta  Dissert. ,  Castello 
e  Torre  di  Crescentio,a\  dire  del  Seve- 
rano  nelle  Memorie  sagre  ,  e  Torre  di 
Crescendo  lo  chiama  Degli  Effetti  nelle 
Memorie  del  Soratte,  che  inoltre  parla 


X  OR 

d'altro  castello  o  fortezza  omonima  ne'din- 
torni  di  Roma  verso  Baccano,  proprietà 
de'Crescenzi:  il  Mausoleo  poi  fu  denomi- 
nato Castel  s.  Angelo.  Dopo  la  morte  di 
Ottone  III,  Giovanni  Crescenzio  assunse 
il  titolo  di  Patrizio  di  Romaje  appoggia- 
to alla  fazione  del  padre,  che  l' impera- 
tore avea  fatto  perire,  e  affidato  alla  so- 
lidità delle  terme  Alessandrine  da  lui  oc- 
cupate e  fortificate,  usurpò  il  dominio  di 
Roma,  onde  Ditmaro  lo  chiama  Aposto- 
liche sedis  destructorem.  Come  patrizio 
m iene  ricordato  nel  i  o  i  o  col  figlio  Crescen- 
zio II  prefetto  di  Roma,  in  quella  specie 
d'appello  che  fecero  dalla  sentenza  pro- 
nunciata anche  contro  di  loro  dal  ram- 
mentato piacilo.  Inoltre  Nibhy  conferma, 
che  i  Conti  Tuscolani  del  ramo  di  Cre- 
scenzio poi  detto  di  s.  Eustachio,  annida- 
tisi sopra  le  terme  Alessaudrine  e  Nero- 
niaue,  vi  si  mantennero  sempre  ;  delle 
quali  terme  si  trovarono  avanzi  nota- 
bili più  volte  presso  il  palazzo  del  cardi» 
nal  de  Medici  o.  Madama.  Narrai  nella  se- 
rie de  Prefetti  di  Roma,  che  il  detto  Cre- 
scenzio, o  meglio  altro  contemporaneo  , 
detto  anche  di  Berardo  de'conti  di  Marsi, 
fu  appellato  de  Arco,  de  Tur  re,  del  Ca- 
stello munito,  perchè  stabilitosi  presso  il 
foro  e  Tempio  di  Nerva  lo  cinse  di  torri 
e  di  ben  muniti  ripari,  e  forse  una  di  tali 
torri  è  la  superstite  sunnominata  nel  pa- 
lazzo Grillo.  Di  questo  Crescenzio,  e  al- 
tri di  tale  famiglia, diverse  uotizie  riporta 
l'autore  del  Compendio  della  famiglia 
Trasmondo,  dalla  quale  discese  il  ramo 
de'Conti  d'Innocenzo  III,  e  lo  dice  proge- 
nitore della  nobilissima  famiglia  Crescen- 
zi di  Roma,  ch'ebbe  diversi  cardinali,  e 
della  quale  in  tanti  luoghi  trattai. Restrin- 
go il  mio  dire,  che  avendo  provalo,  che 
i  potenti  Crescenzi  de'Conti  Tuscolani  , 
poi  del  ramo  di  s.  Eustachio,  nel  secolo 
X  s'impadronirono  delle  terme  Alessan- 
drine e  Neronia  ne  evi  si  fortificarono;  che 
parte  dell'area  delle  terme  viene  occupa- 
ta dall'odierno  palazzo  de!  ministero  delle 
finanze,  nel  quale  soigela  torre,  utdoche 
vol.  txxvn. 


T  O  R  289 

questa  sia  slata  a  detta  epoca  costruita  da' 
possenti  Crescenzi,  i  quali  si  estinsero  nel 
declinar  del  secoloXV;sebbene  della  torre 
propriamente  non  mi  riuscì  trovare  clic 
uotizie  di  congruenza.  Nel  rione  Pigna  vi 
è  la  sola  torre  nell'  abitazione  Persiani  , 
nel  vicolo  tra  la  chiavica  dell'Olmo  e  il 
palazzo  Colonna  Sonnino,  prima  Baccelli 
e  già  de'Cavalieri,  accauto  al  palazzo  Ce- 
sarmi verso  s.  Elena.  Aggiungerò  la  tor- 
re del  Palazzo  apostolico  di  s.  Marco 
(V.)  j  preesistente  ad  esso  ,  comechè  già 
posseduta  dagli  Annibaldeschi.  Nel  rione 
Campitelli  5  torri,  cioè:i.°La  torre  non 
intera  (fu  poi  demolita  del  tutto  nel  1829, 
e  solo  ne  restano  i  ruderi  e  i  fondamenti 
visibili),  già  detta  Cancellarla  e  Char- 
tularia  e  de'Frangipani,  alla  Polveriera 
verso  l'arco  di  Tito.  Ne  parlai  in  tanti  luo- 
ghi, come  a  Colosseo,  che  le  e**a  vicino, 
da' Frangipani  ridotta  a  forte  rocca,  ri- 
fugiandovisi  dal  Lalerano  il  Papa  Alessan- 
dro III  contro  le  insidie  de'partigiani  di 
Federico  I  e  dell'antipapa  Pasquale  III, 
della  quale  fanno  ricordo  il  Punaldi  ne- 
gli Annali,  all'annoi  167,11.°  5,  dicendo 
che  Alessandro  III  si  rifugiò  nella  torre 
Cartulario  de  Frangipane s  de  Cartula- 
ria  alle  radici  del  Monte  Palatino,  chia- 
mata con  altro  nome  delle  Sette  Lucerne, 
donde  il  Papa  non  vedendovisi  più  sicuro 
fuggì  pel  Tevere  a  Gaeta  e  Benevento  ve- 
stito come  un  pellegrino;  ed  il  Muratori, 
che  la  chiama  Torre  Cartulario,  Tur- 
ris  Centii Frajapanis.  I  Frangipani  pa- 
droni del  Settizonio  (ove  la  data  di  Vit- 
torio III  dev'essere  1086),  e  dell'arco  di 
Costantino,anche questo  aveano  fortifica- 
to e  ridotto  a  torre,  così  la  torre  dell'ar- 
co del  circo  Massimo,  ricordata  nel  citato 
articolo.  Raccontai  nel  voi.  LVIII.p.278 
e  279  ,  che  il  senatore  Brancaleone  nel 
1257  uscito  di  prigione,  per  vendetta  con- 
tro i  nobili  romani,  distrusse  lutti  gli  an- 
tichi palazzi  rimasti  in  piedi,  le  terme,  i 
templie  moltissime  colonne,  al  riferire  di 
Fea,  ecotoni  nella  più  parte  fabbricate 
sopra  i  solidi  avanzi  de'mooumenti  anti- 

'9 


•()< 


T  O  11 


chi  insieme  alla  torre  Cartulario  e  al  Set- 
tizonio.  Il  Cancellieri  che  ne  discorre  nel 
Mercato,  dice  che  neh  328  Lodovico  V 
il  Bavaro. distrusse  le  abitazioni  de'Fran- 
gipani  fra  l'arco  di  Tito,  s.  Maria  in  Pal- 
lara  o  Chiesa  di  s.  Sebastiano  alla  Pol- 
veriera, e  il  Colosseo,  e  naturalmente  es- 
sendovi stata  compresa  la  torre  Cartula- 
rio, passarono  ad  abitare  presso  la  piaz- 
za del  Gesù, ove  si  trovano  nel  1 347,  Pres* 
so  gli  avanzi  del  Tempio  d'Iside  e  Sera- 
pide,  e  forse  da'gradi  di  esso  fu  detta  la 
contrada  ad  Gradellas,  ed  i  Frangipani 
quindi  chiauiarousi  de.  Gradellis.  11  vo- 
cabolo Sette  Lacerne,  la  torre  Carlula- 
ria  lo  prese  dal  vicino  arco  di  Tito,  per- 
chè tra  le  sue  sculture  esprimenti  il  trion- 
fo per  la  distruzione  di  Gerusalemme,  vi 
è  il  celebre  candelabro  di  quel  tempio, 
il  quale  fece  appellare  l'arco,  Arcus  Se- 
pieni  Lucer narwn.  i.°  Torre  non  intera 
all'antica  dogana  dellaGrascia  ntWùPiaz- 
za  di  Campo  Vaccino.  3.°  Torre  uni  la 
al  Palazzo  di  Campidoglio  del  Senato- 
re, di  Roma  (/  .),  dalla  banda  dell'arco 
di  Settimio  Severo,  con  l'osservatorio  a- 
stronomico  adì' Università  Romana.  4-° 
Torre  presso  l'antico  Palazzo  apostoli' 
eode'ss.  Quattro  Coronati. 5. "Ione det- 
ta degli  Specchi  ,  da  una  famiglia  di  tal 
nome  nell'abitazione  de'marchesi  Cava- 
lieri, incontro  al  monastero  dell'  Oblate 
di  s.  Francesca  romana  di  Tor  degli 
Specchi  (V.),  TurrisSpeculorum,a\  qua- 
le articolo  ed  a  Campanella  dissi  della 
pretesa  e  favolosa  torre  altissima  d'oro  di 
Campidoglio,  ove  di  nottespleudeva  una 
lucerna  che  faceva  lume  a'  naviganti ,  e 
dove  era  congegnalo  uno  specchio  da  cui 
si  scuopri  va  quanto  opera  vasi  nel  mondo,e 
delle  fa  voloseslatue  con  campanella  espri- 
menti i  bisogni  delle  proviucie.  Tor  degli 
Specchi  dà  il  nome  alla  contrada.  A  Mer- 
cato parlai  della  torre  diCampkloglio  det- 
ta del  Mercato,  ove  i  consoli  e  i  camerlen- 
ghi delle  arti  vi  rendevano  ragione,  giac- 
ché anticamente  il  mercato  di  Roma  lene- 
vasi  ne'coulornidel  colici  insorti  i  roma- 


TOR 
ni  a*23  agosto 1 4o6,gittaronoa  terra  tulli 
i  merli  e  la  torre  del  mercato.  Nel  rione 
s.  Angelo  vi  sono  2  torri,  cioè:  i.°  Torre 
Margana  nel  palazzo  della  congregazione 
de'nobili  della  chiesa  del  Gesù,  in  piazza 
Maiganaj  e  vicino  vi  era  quella  di  cui  fe- 
ci menzione  nel  voi.  L1V,  p.  49.  Abbia- 
mo ae\3Iercato  di  Cancellieri  che  la  torre 
e  la  piazza  prese  il  nome  dalle  case  che  vi 
possedeva  l'antica  e  nobile  fa  miglia  Marga- 
na romana,  poi  corrottamente  detta  Mor- 
gana. 2.0  Torre  nel  Palazzo  Santacroce, 
fra  la  via  del  Pianto  e  piazza  Costaguti. 
3.°  Torre  del  Ghetto  degli  Ebrei,  al  vi- 
colo della  Torre.  Nel  rione  Ripa  2  torri, 
cioè:  1 ,°  Torre  presso  la  Chiesa  di  s.  Rai- 
bina  (della  quale  riparlai  nel  voi.  LXXV, 
p.  219).  2.°  Torre  nell'  isola  del  Tevere 
già  de'Caetani,  ora  del  convento  france- 
scano della  Chiesa,  di  s.  Rarlolomeo  al- 
l'Isola.  Nel  rione  Trastevere  2  torri,  cioè: 
i.°  Torre  situata  nella  via  di  s.  Salvato- 
re a  Ponte  Rotto.  2.0  Torre  incontro  al 
monastero  di  s.  R.uffina  delle  religiose  del 
Sagro  Cuore.  Debbo  però  avvertire,  che 
in  questo  rione  furono  diverse  torri, oltre 
quelledelle  ripe  del  Tevere,  di  qua  e  di  là 
dal  fiume  erette  da  s.  Leone  IV,  delle  quali 
parla  Torrigio,  Grotte  Vaticane  p.  523; 
vi  è  il  vicolo  della  Torretta  nella  parroc- 
chia di  s.  Grisogono,  nome  che  prese  da 
una  torricella  che  sorgeva  in  questo  luo- 
go e  di  cui  se  ne  vede  ancora  qualche  a- 
vanzo;  ed  inoltre  vi  è  la  torre  dell'  An- 
guillaia, cioè  de'conti  di  tal  nome  di  casa 
Orsini,  propinqua  alla  loro  antica  abita- 
zione, della  quale  ragionai  in  tanti  luo- 
ghi, ed  anche  ne' voi.  XXXI li,  p.  i85, 
LVIlI,p.  278,  avendo  rimarcato  nell'io* 
dicato  articolo  perchè  prese  un  ramo  di 
tal  casa  quel  nome  e  per  istemma  due  an- 
guille incrociate,  sopra  uno  scudo  contor- 
nato dal  cingolo  militare.  Di  questa  ulti- 
ma torre  si  hanno  i  Cenni  storici  sulla- 
Torre  Anguillarain  Trastevere  redatti. 
dal  principe,  d.  Camillo  Massimo,  Ro- 
ma 1 847-  Ne  die  contezza  il  eh.  cav.  Belli 
nel  u.°  3  delle  Notizie  del  giorno  di  Ho- 


T  O  U 
ina  del  i  847,  enoooiìamlohe  i  prègi,  e  che 
l'eruditissimo  compilatore  li  pubblicò  nel 
l'occasione  del  Presepio  a  giorno,  che  con 
mollo  accorgimento  d'arte,  buon  gusto  e 
spesa,  vi  si  fa  sulla  sommità  annualmente 
dall'egregio  Giuseppe  Forti  enfìteuta  del- 
la casa,sulla quale  la  smantellata  torres'in- 
nalza    piesso  l'arco  dell'Annunziata  sulla 
via  della  Lungaretta  o  Longarelta  ,  così 
detta  per  do  sua  lunghezza,  proseguita  dal- 
la via   Longarina,  cioè  in  questa  ha  l'in- 
gresso principale,  mentre  il  minoreèdal- 
la  parte  di  dietro,  ossia  postei  ula,  anch'es- 
sa come  la   torre  costruita  ne'bassi  tempi 
e  nel  detto  Arco  a  poca  distanza  dalla  ri- 
pa del  Tevere,  vedendosi  sull'architrave 
marmoreo  di  detta  porticella  l'indicala  ar- 
ma gentilizia  intagliate.  La  torre  ed  i  pro- 
pinqui locali  e  fabbriche  sono  proprietà 
diretta  del  Conservatorio  dis.  Eufemia, 
di  cui  riparlai  nel  voi.  XIX,  p.  247  e  seg., 
onde  sull'architrave  della    porta  maggio- 
re è  scolpito:  Puellarum  s.  Euphemiae. 
La  casa  ebbe  anche  un  portico,  altra  an- 
tica distinzione  de'nobili  romani.  I  Cenni 
colla  storia  sulla  torre  e  casa  Anguillaia  in 
Trastevere,  con  disegno  li  riprodusse  l' Al- 
lumi di  Roma  nel  t.  j4,  p.  333  e  344»  e 
del  quale  vado  a  darne  un  fugaceestratto, 
anco  per  esservi  diverse  nozioni  che  han- 
no analogia  a  questo  articolo.  La  torre  è 
di   costruzione  a  cortina  ,  ora  ridotta  al- 
l' altezza  di  palmi  106  sopra  22,  per  3o 
di  larghezza  e  compresi  2  palmi  e  mezzo 
di  grossezza  del  le  sue  mura  esposte  in  for- 
ma di  parallelogramma  a'4  venti  cardi- 
nali, con  annessi  fabbricati  e  col  suo  recin- 
to ad  uso  di  fortificazione.  Il  detto  stem- 
ma si  vede  ripelutonegli  architravi  del  ca-  , 
samento  annesso,  le  cui  finestre  alla  guel- 
fa, ossia  con  telali  a  croce  in  pietra  scor- 
niciata l'indicano  fabbrica  cospicua,  che 
a'tempi  in  cui  venne  innalzata  potè  chia- 
mare palazzo,  e  nella  cui  sala  d'ingie.^o 
al  i.°  piano  di  grandiose  dimensioni,  an- 
cora esiste  uno  di  quegli  enormi  cammi- 
ni, che  ordinariamente  ornavano  le  abi- 
tazioni de'grandi.  La  famiglia  Orsini  del- 


TOR 


,,v 


l'Anguillara,  una  della  più  polenti  di  lis- 
ina ne'bassi  tempi,  da  antica  epoca  era  do 
miciliala  inTrastevere,ove  a  sue  spese  ri  ri 
novo  la  chiesa  di  s.  Francesco  a  Ripa,cotne 
accennai  descrivendola  nel  voi.  XXVI,  p. 
1  5g,  e  il  con ìig'.io  convento,  molti  di  essa 
ivi  essendo  stati  sepolti,  il  che  apparito* 
dalle  loro  lapidi.  Molti  personaggi  di  que- 
sta casa  si  distinsero  per  valore  militare  se 
guendo  quasi  sempre  la  parte  guelfa,  pro- 
pria degliOrsinida'quali  derivava.  Quan- 
do il  Papa  dimorava  in  Avignone  e  nel  l3ii 
EnricoY  II  venne  a  Roma  per  incoronarsi, 
questi  trovò  la  città  divisa  in  due  partiti 
e  in  quotidiane  sanguinose  zuffe  rese  più 
terribili  perle  offese  che  sui  combatten- 
ti provenivano  dall'alto  delle  toni  e  da 
altri  luoghi  elevati,  da'quali  colle  bale- 
stre si  lanciavano  sassi  e  passatoi  (pietre 
o  sassi  più  grandi,  e  di  quelli  che  .servo- 
no a  passar  fossati  e  rigagnoli),  e  perfino 
acqua  bollente  dalle  donne  della  fazione 
contraria  a'pugnanti.  Poiché  gli  Orsini, 
fra 'quali  il  conte  dell'Anguillara,  con  l'a- 
iuto di  Giovanni  principe  di  Morsa  fra- 
tello del  re  di  Sicilia,  essendosi  iropadro 
niti  del  Campidoglio  e  della  sua  torre  del 
Mercato,  di  altre  torri,  del  Castel  s.  An- 
gelo e  del  Vaticano,  si  erano  fortificati  in 
quella  parie  di  Roma,  che  di  qua  costeg- 
gia il  Tevere,  e  di  Trastevere,  in  quella 
occasione  avrà  loro  pur  servita  la  torre 
degli  Anguillaia,  che  in  quell'epoca  do- 
vea  essere  tutta  intera,  molto  più  altadell  1 
presente,  e  colla  sua  corona  di  merli,  pei 
la  forma  e  numero  de'quali  si  distingue- 
vano le  due  fazioni  guelfa  eghibellina.  Al- 
l'incontro i  Colonnesi  ghibellini  craiisi for- 
tificati nella  parte  opposta,  avendo  occu- 
pato il  Pantheon,  la  torre  delle  Milizie,  la 
basilica  Liberiana  e  la  chiesa  dis.  Sabi 
na,  per  cui  poterono  favorire  l'incorona- 
zione dell'imperatore  in  Laterano  (presso 
il  quale  i  potenti  Annibaldeschi  aveano 
le  abitazioni  e  la  torre  del  loro  nome,  co- 
me riferisce  il  Severano;  forse  fu  quella 
torre  di  cui  feci  parola  nel  voi.  LXXV, 
p.  49),  perchè  gli  Orsini  impedirono  chu 


292  TOR 

sì  facesse  in  s.  Pietro.  Partito  l'imperalo-' 
re  ila  Roma,  le  due  fazioni  avendo  sbarra- 
«eie  strade  continuarono  a  danneggiarsi, 
sinché  il  popolo  stanco  di  più  soffrii  e  prese 
l'armi,  s'impadronì  di  Castel  s.  Angelo, 
della  torre  delle  Milizie  e  di  altri  luoghi 
forti,  e  radunatosi  in  Campidoglio,  abolì 
ogni  magistrato  ,  ed  elesse  a  capitano  e 
rettore  della  città  con  autorità  suprema 
Giacomo  Arlotto  degli  Stefaneschi,uorno 
di  sommo  ardire,  il  quale  dopo  aver  fatto 
carcerare  alcuni  de'  primari   personaggi 
delle  due  fazioni,  imitando  o  volendo  su- 
perare la  ferocia  del  summentovato  se- 
natore Biaucaleone,  fece  atterrare!  loro 
palazzi,  mutilarne  le  torri,  e  demolirne 
le  fortificazioni;  e  fra  le  altre  ilMangoneo 
fortissima  tori  e  posta  all'ingresso  del  sud- 
detto ponte  Rotto,  usando  pure  la  stessa 
barbarie  col  devastare  i  muri  e  le  porte 
dall'altra  parte  del  Trastevere,  per  defor- 
marecosì  la  città  in  disprezzo  de'inagnali, 
come  osserva  il  Fea.  Perciò  si  disponeva 
a  rovinare  anche  il  Castel  s.  Augelo,  se  i 
nobili  accorrendo  dalle  loro  terre  dove  es- 
so li  avea  rilegati,  non  si  fossero  riuniti 
in  Campidoglio,  e  non  lo  avessero  depo- 
sto, carceralo,efaltodecapitare  a  pie  del- 
le sue  scale.  Si  arguisce  dunque  che  nel 
i  3 1  3  restò  pur  mutilata  la  lorredell'An- 
guillara  e  demolito  il  suo  recinto,  della 
cui  porla  ancora  vedonsi  le  tracce  verso 
il  Tevere,  a  meno  che  la  cima  della  torre 
non  venisse  decimala  dall'orribile  Terre- 
molo  (V.)  che  si  fece  sentire  in  Roma  a 
ore  23  de'a5  gennaio i  348,  pel  quale  la 
torre  de' Conti  alla  Suburra  rimase  con- 
quassata e  decapitata.  La  medesima  sorte 
o  pel  terremoto,  o  per  la  narrata  deva- 
stazione può  esser  toccata  all'altra  ricor- 
dala torre,  nella  stessa  linea  dell'Anguil- 
lara,  nella  continuazione  della  stessa  via 
Lungarina.  Questa  torre  largai 5  palmi 
e  3o  profonda,  fabbricata  come  la  pre- 
cedente in  mattoni  a  cortina,  che  colla  sua 
altezza  domiua  la  ripa  del  Tevere  fra  il 
ponte  Rotto  e  il  ponte  Quattro  Capi,  ap- 
partenne a'guelfi  Alberteschi,  altra  nubi- 


TOR 

le  famiglia  di  Trastevere  e  stretta  in  pa- 
rentela cogli  Anguillaia,  la  torre  de'quali 
situata  in  poca  distanza  parimente  veilesi 
dominare  la  ripa  del  Tevere,  fra  il  dello 
ponte  Quattro  Capi  e  il  ponte  Sisto,  dal 
che  è  facile  comprendere  come  facessero 
quelle  fazioni  de'bassi  tempi  a  impadro- 
nirsi dell'  intere  contrade  della  città  per 
mezzo  delle  torri  appartenenti  alle  fami- 
glie del  loro  partito.  Che  fosse  degli  Al- 
berteschi la  torre  situala  verso  ponte 
Rotto,  apparisce  dalla  loro  arme  consi- 
stente in  uuo  scudo  d'antica  forma,  semi- 
nalo di  io  gigli,  e  sostenuto  da  due  rami 
di  fogliami  e  altri  gigli,  scolpito  iu  pietra 
sull'architrave  d'un  cammino  situalo  nel- 
la sala  del  i.°  piano  della  casa  contigua  al- 
la torre,  la  cui  finestra  guelfa  mette  sulla 
stessa  via  Lungarina,  e  da  cui  si  ascende 
alla  torre  medesima,  nell'  interno  della 
quale  non  esiste  scala  per  potervi  salire  in 
cima,  ma  è  tutta  vuota  onde  appoggiarvi 
scalea  piroli,  ovvero  come  anticamente  u- 
savasi  una  scala  di  corda  per  cui  salivano 
que'che  la  difendevano,  vedendosi  al  di 
fuori  ancora  i  buchi  quadrati, pe'quall  pas- 
sa vanoeappoggiavano  le  pertiche  che  reg- 
gevano le  tavole  per  sostenersi  nell'offen- 
dereo  nel  difendersi.  L'arme  suddetta  de' 
gigli  indica  l'origine  normanna  di  quel- 
l'illustre famiglia,  che  perciò  talvolta  si 
chiamò  de'Normandi,e  Innocenzo  111  fece 
cardinale  Stefano  de  Normandis,  e  si  di- 
vise in  più  rami  denominati  de'Sordi,  Pa- 
losci o  Palosi  oPalocci,  e  Urbano  VI  creò 
cardinale  Stefano  Palosio,  e  Venerameli; 
e  Poncelletto  Veneranieri  essendosi  ribel- 
lato a  Eugenio  IV  e  rifugiato  in  Pales tri- 
na, presso  gl'insorti  Colouuesi,  fu  cagio- 
ne dell'eccidio  di  quella  città  e  Poncel- 
letto venne  fatto  morire.  Tali  diversi  ra- 
mi inquartarono  ne'  loro  stemmi  le  onde 
a  sinistra  de'gigli.GliAlberteschi  vendero- 
no la  torre  divenula  diruta  e  la  casa  annes- 
sa,nel  i  37  1  peri  1  o  fiorini  d'oro.  11  famoso 
conte  Everso  11  dell' A  nguillara,di  cui  par- 
lai in  tanti  luoghi,  per  le  terre  the  signo- 
reggiò la  famiglia  e  per  le  guciresusltnulc 


T  O  R 

contro  i  Papi  e  diversi  baroni,  si  foi  tifico 
nella  sua  casa  inTrastevere  restaurandone 
la  torre,  i  ili  cui  mattoni  a  cortina  che  la 
compongono  di  forma  triangolare  ordi- 
nariamente ,  sono  collegati  insieme  con 
calce  tenacissima,  ed  ampliò  l'antica  abi- 
tazione de'suoi  avi  con  nuove  fabbriche, 
come  ne  fanno  fede  le  sue  armi  con  mo- 
rtone sormontate  dal  cimiero  da  cui  esce 
un  mezzo  cinghiale,  che  tiene  fra'  denti 
un'anguilla;  arme  che  vedesi  ripetuta  nel 
muro  esterno  dell'  Ospedale  del  ss.  Sai- 
valore  presso  s.  Giovanni  in  Luterano, 
iu  memoria  delle  benefiche  lascile  fatte- 
gli con  testamento,  colle  quali  fu  fabbrica- 
to un  nuovo  braccio;  in  pentimento  del- 
l'iniijuitàe  invasioni  da  lui  coni messe,e fal- 
sificatore delle  monete  di  Nicolò  V,  Ca- 
listo IH  e  Pio  II.  I  figli  seguendo  le  cat- 
tive vestigia  del  padre  furono  puniti  da 
Paolo  II,  loglieudo  loro  l'Anguillaia  con 
i  i  luoghi  fortissimi ,  non  molto  lontani 
da  Roma,  tali  resi  da  Everso  II  pel  genio 
particolare  che  avea  nel  fabbricare  torri 
e  fortificazioni,  onde  sostenersi  nelle  sue 
prepotenze.Pucuperata  l'Anguillaia  dal  fi- 
glio Francesco,  la  ritolse  Innocenzo  VIII 
forse  per  essere  termiuato  iu  lui  il  ramo 
primogenito,  rimanendovi  quello  di  Sta- 
bio  e  di  Calcata  nella  provincia  di  /  iter- 
bo,  nel  quale  passarono  i  pochi  beni  ri- 
masti,colle  case  e  torre  in  Trastevere, che 
venendo  a  deperire  il  palazzo  e  la  torre  la 
vendè  nel  i  538  per  400  scudi  ad  Ales- 
sandro Picciolotti  di  Carbognano  scritto- 
re di  brevi  di  Paolo  111,  che  con  molta 
spesa  restaurò  e  ampliò  e  fu  detto  il  Pa- 
lazzaccio  o  la  Carbognana,  e  tutto  il  suo 
figlio  Gio.  Battista  lasciò  al  conservato- 
rio di  s.Eufemia  con  testamento  del  1 6 1 8, 
ed  il  pio  luogo  nel  1827  lo  concesse  in  en- 
fiteusi a  Camillo  Forti.  L'encomiato  suo 
figlio  Giuseppe  impiegò  vistose  somme 
per  rendere  servibile  il  locale  divenuto  di- 
ruto, ed  una  parte  lo  destinò  per  fare  ri- 
vivere in  Roma  sua  patria  la  nobilissima 
arte  della  pittura  sul  vetro  e  per  la  fab- 
bricazione di  varie  specie  di  smalti.  Delle 


T  O  R  9g3 

torri  del  rioueDorgo  nulla  dice  ilReruardi 
ni.  Quando  s.  Leone  77  uell'848  fabbricò 
la  Città  Leonina  (F.)  la  munì  di  44 ton  ' 
e  una  delle  quali  die  nome  alla  porta  del 
Torrione  o  Porta  delle  Fornaci  o  Porla 
Cavalleggieri.  Nel  citato  articolo,edaPA- 
lazzo  apostolico  Vaticano,  rimarcai  le 
poche  superstiti  torri  di  s.  Leone  IV  e  al- 
tri Papi.  Delle  principali  torri  suburba- 
ne di  Roma  parlai  iu  quell  articolo  diceu- 
do  della  Campagna  Romana  e  della  Co- 
marca  di  Roma ,  e  descrivendo  i  luoghi 
de'dintorni.  Di  molte  ne  trattano  Deglilìf- 
fetti ,  Memorie  del  Soratte  e  de'  luoghi 
convicini,  e  de' Borgia  di  Roma;  eNib- 
by,  Analisi  de'dintorni  di  Roma. 

Nell'articolo  Campanile,  torre  o  edifi- 
cio per  l'ordinario  assai  elevato,  dove  si 
tengono  le  campane  sospese,  e  perciò  de- 
nominata Torre  Campanaria,  eretta  al 
di  sopra  o  a  fianco  delle  Chièse,  delle  quali 
molto  ragionai  pure  a  Tempio,  per  le  me- 
desime campane,  affinchè  possano  udirsi 
da  lontano.  Ricordai  i  più  rinomati  e  biz- 
zarri, che  a'ioro  luoghi  descrissi  sì  d'Ita- 
lia che  d'  oltremonte  ,  e  che  dal  Rocca  , 
De  Campanis,  a  s.  Leone  IV  si  attribuì 
peli.0  d'aver  inualzato  nell'85o  la  torre 
campanaria:  lo  stesso  Rocca  nel  Commen- 
tarius  citato,  tratta  nel  cap.  8,  De  cam- 
panariun  origine,  qua  a  tubis  ve  te  ri-, 
Testamenti  in  Ecclesia  sanata  Dei  lui- 
beri  censentur.  Però  mg/ Bartoliui  nella 
Dissert.:  Le  nuove  Catacombe  di  Chiù- 
si,  parlando  della  città  di  Nola  uella  Cam- 
pania, riferisce  ch'ebbe  iu  un  suo  sob- 
borgo ampio  e  celebratissimo  cimiterto, 
dove  furono  sepolti  molti  martiri,  e  clic 
diede  ii  nome  di  Cimitile  al  villaggio  che 
dipoi  ivi  sorse;  e  che  vicino  a  questo  ci- 
miterio  s.  Paolino  vescovo  di  Nola  edi- 
ficò parecchi  oratorii  con  la  sua  basilica 
ni  martire  s.  Felice  prete,  che  servì  di  ti- 
po a  Ile  altre  posteriori  basiliche  anche  per 
la  Torre.  Campanaria,  la  prima  che  ap- 
parve al  mondo  con  le  sue  campane  per 
chiamare  i  fedeli  alle  sagre  funzioni,  di- 
chiarando il  eh.  prelato  ch'egli  stesso  a- 


2y4  TOR 

vea  potuto  osservare.  Noterò  che  s.  Pao- 
lino volò  al  cielo  nel  43  i.  Dissi  pure  a 
Campanile,  che  servì  la  campana  del  fa- 
moso Carroccio  per  darei  segni  delle  pre- 
ghiere, tlelle  messe  militari,  e  per  radu- 
nare i  soldati.  Del  famigerato  campanile 
portatile  detto  Carroccio, ebe  si  traspor- 
tava nel  campo  di  battaglia  come  un  pal- 
ladio e  perciò  si  custodiva  gelosamente, 
ossia  gran  carro  militare  composto  da  un 
castello  di  legno  in  forma  di  torre,  dal 
•  piale  pendeva  la  campana, ed  era  sovra- 
stato dallo  Stendardo  del  comune,  e  la 
cui  Campana  in  Firenze  fino  dal  1206, 
«piandola  repubblica  aveadecisodi  muo- 
ver guerra,  si  suonava  per  un  mese  d'i 
».  notte,  per  convocare  i  combattenti  al- 
le armi,  ne   parlai  agi'  indicati  articoli. 
Portai  inoltre de'minareti  o  alte  e  stret- 
te torri  che  fiancheggiano   la   maggior 
parte  degli  edilizi  sagri  de'  maometta- 
ni^ come  le  Moschee  (7  .),  terminan- 
ti a  freccia  colla  figura  della  luna  cre- 
scente, ossia  la  6."  parte  del  disco  lunare, 
io  bronzo  o  rame  dorato.  Queste  torric- 
ciuole  servono,  a  così  dire,  di  campanili 
alle  moschee,  poiché  non  avendo  i  mu- 
sulmani l'uso  dellecampane,  ne  Ritmo  l'of- 
ficio i  muezzin  istituiti  da  Maometto  ad 
ii  rinunciare  al  popolo  5  volte  al  giorno  l'o- 
ra canonica  della  preghiera,  alla  quale  in- 
vitano ad  alta  voce.  I  muezzin  sono  spe- 
cialmente notevoli  pel  suono  aggradevole 
della  voce  e  per  la  melodia  del  loro  canto, 
massime  quelli  delle  principali  moschee, 
col  quale  dall'alto  de'minareti  intuonano 
Y czann  o  annuncio  alla  preghiera,  che 
principia  e  finisce  col  nome  di  Dio,  come 
principio  e  fine  d'ogni  cosa,  onde  ram- 
mentare che  l'uomo  nulla  deve  intrapren- 
dere, riè  terminare,che  non  abbia  per  og 
getto  1'  onore  e  la  gloria  del  suo  nome. 
Dall'alto  de'minareti  essi  annunciano  al- 
1  islamismo  l'ezann,  stando  rivolti  verso 
la  Mecca,  patria  di  Maometto  ed  ove  è  la 
più  sontuosa  moschea  dell'impero  otto- 
mano, tenendo  gli  occhi  chiusi,  le  due  ma- 
ni aperte  innalzale  e  «/pollici  uell'orec- 


TOR 
chie.  In  tale  attitudine,  dopo  la  prima 
chiamata,  percorrono  a  passi  lenti  la  pic- 
cola galleria  che  gira  all'intorno  d'ogni 
minareto.  La  calma  e  il  silenzio  che  re- 
gnano in  tutte  le  città  dell'  oriente ,  ove 
non  si  rimane  mai  sbalordito,  né  dal  suo- 
no delle  campane  ,  che  sono  ignote  tra' 
maomettani,  uè  dal  rumore  delle  carroz- 
ze o  de'carri  che  sono  rarissimi,  portano 
da  lontano  il  suono  di  queste  voci  aeree 
in  tutte  le  ore  canoniche,  ma  principal- 
mente nel  mattino  allo  spuntar  dell'auro- 
ra. Questi  annunzi  enfatici  e  periodici,  ri- 
petuti3  voi  te, hanno  un  non  so  che  di  gran  • 
dee  di  maestoso,  e  risvegliano  potente- 
mente la  divozione  nelle  persone  anche  le 
meno  religiose.  Al  momento  che  la  voce 
del  muezzin  si  fa  sentire,  il  musulmano  di 
qualunque  età,  sesso  e  condizione,  abban- 
dona tutto  per  dedicarsi  a  Dio,  dirigendo- 
gli ardenti  e  fervorose  preci;  e  queste  si 
fanno  in  ogni  luogo, nelle  moschee,  nelle 
case,  nelle  botteghe,  ne'mercati,  sulle  stra- 
de, dappertutto  ove  il  maomettano  si  tro- 
vi, con  iscrupolosa  prontezza.  Imperocché 
sebbene  alcuno  sia  incredulo, non  osa  di 
mancare  a  questa  divota  pratica  univer- 
sale, ed  è  attento  a'  doveri  del  culto  e- 
sterno,  pel  timore  d'essere  considerato  ir- 
religioso. Nelle  moschee  lontane  dall'a- 
bitato, i  muezzin  prima  dell'annuncio  si 
servono  talvolta  d'un  ferro  largo  e  sottile 
come  quello  d'una  falce,  sul  quale  batto- 
no con  un  martello,  onde  avvertire  il  po- 
polo del  tempo  canonico  per  la  preghiera. 
La  torre  campanaria  colla  sua  elevatezza 
ci  rammenta  l'età  in  cui  parve  che  solo 
colla  sommità  delle  torri  e  delle  guglie 
potessero  i  duomi  e  le  cattedrali  portare 
fino  al  cielo  l'omaggio  universale  dell'a- 
more e  della  fede  vittoriosa  de'cristiani, 
tutto  convenne  si  elevasse  e  si  slanciasse, 
come  eloquentemente  si  esprime  il  ch.cav. 
CesareCantù.Su  di  che  può  leggersi  quan- 
to riportai  a  Tempio,  sull'idea  mistica  e 
simbolica  architettura  dell'estetica  cristia- 
na, per  gli  edifizi  sagri.  I  campanili  si  fau- 
no di  tutti  gli  ordiui,  sebbene  lodevole  sa- 


TOR 
ì  ebbe  ritenere  gli  ordini  architettonici  del 
tempio  o  altri  edifizi,  a'quali  queste  toni 
sono  unite.  Se  ne  ammirano  molti  per  la 
lui  Pilligli!,  ampiezza  e  solidità  di  costru- 
zione. Ma  il  severo  Milizia,  sdegnato  per 
la  parte  architettonica  di  tanti  campanili, 
•tra  vacante  e  capricciosa,  qualifica  i  cam- 
panili come  superfluità  de'  cristiani,  pro- 
dotti dalla  superfluità  e  abuso  delle  cam- 
pane; li  chiama  altezze  futili,  che  gli  an- 
tichi greci  ne  riderebbero,  e  che  ordina- 
riamente sono  edifizi  i  primi  aruinarene' 
grandi  Terremoti.  Il  p.  Lupi  nelle  Dis- 
sertazioni t.i,  p.  42  e  se3-  ragiona  delle 
torri  presso  alle  chiese,  modellate  sull'e- 
sempio degli  edifizi  gentileschi,  e  de' vari 
usi  delle  medesime  presso  i  gentili.  Dice 
pertanto,  che  sebbene  egli  non  vide  vesti- 
gio di  torre  alcuna  prossima  a'templi  pa- 
gani, pure  qualche  cosa  di  simile  al  cam- 
panile fu  in  Dodona, dovei  paioli  o  vasi 
ili  metallo  erano  sospesi;  e  qualche  cosa 
simile  ebbe  sul  Campidoglio  il  tempio  di 
Giove  Tonante,  dove  Augusto  fece  appic- 
ca re  sul  più  alto  que'tintinnabu li  o  campa- 
nelli che  si  tenevano  prima  pendenti  dal- 
ie porte.  Nelle  grandi  abitazioni  isolate  de' 
romani  vi  era  la  sentinella,  e  non  poteva 
essere  se  non  che  qualche  torre,  dove  sta- 
vano di  notte  le  guardie  con  istnuuento 
corrispondente  alla  campana.  Di  questa 
si  servivano  a  svegliare  gli  operai  e  gli 
schiavi  al  lavoro,  nelle  grandi  case  o  ba- 
rrii ove  si  ritiravano  la  notte.  In  Grecia 
si  usavano  tali  bronzi  o  strumenti  fracas- 
si-voli  chiamati  codoni,  ne'mercati  perda- 
le il  segno  alla  città  dell'aprirsi  la  pesche- 
1  ia,  e  principio  della  vendita  del  pesce,  e 
probabilmente  per  farsi  sentire  nell'inte- 
ra città  saranno  stali  grandi  e  sospesi  in 
qualche  torre  o  somigliante  luogo  elevalo. 
Siccome  nelle  terme  col  martello  si  batte- 
va un  istrumento  per  avvisare  in  que' vasti 
edilìzi  il  popolo  ad  entrarvi  e  poi  uscirvi, 
si  crede  che  fosse  una  catinella  di  bron- 
co campana  o  campanone,  alla  quale  pa- 
re dolersi  concedere  una  torre.  Ciòquan- 
toalle  torri  strepitose.  Quantopoi  alletor- 


TOR  acp 

ri  vicine  a'templi  per  ornamento,  il  p.  Lu- 
pi ricorda  che  il  tempio  di  Giove  Celo  in 
Babilonia  era  abbellito  da  più  toni  l'uua 
all'altra  sovrapposte;  e  si  trova  una  torre 
prossima  e  appartenente  al  tempio  d"E- 
sculapio.  La  torre  edificata  presso  il  tem- 
pio di  Salomone  in  Gerusalemme,  sem- 
bra che  fosse  anche  a  difesa  e  per  abita- 
zione de'sagri  ministri.  Ricorda  quindi  le 
torri  per  bellezza  e  abitazione,come quella 
edificata  in  Roma  ne'suoi  orti  da  Mece- 
nate; le  due  torri  (.Iella  villa  Laurentina 
di  Plinio;  le  altre  due  uella  villa  Tibur- 
tina  di  Cintia  amica  di  Properzio,  seppur 
non  erano  due  colombaie,  che  sono  torri 
o  altre  parti  d'un  edificio,  in  cui  si  sono 
praticati  de'fori  per  dar  comodo  a'colom- 
bi  di  nidificare;  la  torre  sagra  e  dedicata 
alla  dea  Vittoria  e  vicina  al  suo  tempio; 
le  torri  annesse  al  tempio  dedicato  al  dio 
Eiiogabalo  nelle  vicinanze  di  Roma,  e  da 
quell'imperatore  erette  affine  di  distribuir 
da  esse  un  congiario  al  popolo,  del  quale 
donativo  feci  parola  nel  voi.  LV,  p.  8,  ed 
altrove.  Osserva  finalmente  il  p.  Lupi,  che 
per  difesa  e  abitazione  nel  santuario  di  Lo- 
reto furono  innalzati  intorno  torrioni  e 
baloardi,  anche  per  accrescere  maestà  al 
sontuoso  edifizio;  e  che  il  rito  di  dedicar 
le  torri  fu  ancora  seguito  da'eristiani  con 
benedizione  e  liturgia  distinta,  riponen- 
dovi sagre  reliquie,  ed  erigendovi  un  al- 
tare per  lo  più  dedicato  a  s.  Michele,  come 
si  ha  dal  p.  Marlene,  De  tacrU  Eeclesiae 
ritibus  t.  3,  lib.  2,  cap.  it.  Molte  ed  eru- 
dite notizie  sulle  torri  campanarie  ci  diede 
il  Cancellieri  ne; le  sue  belle  Notizie  sui 
campanili té\  cui  mi  giovai  intaleartieo- 
lo  e  poi  qui  aggiungerò  alcun'altra  nozio- 
ne. Il  Ratti,  Trattato  per  V erezione  de' 
sagri  tempii,  a  p.  io5  tratta  del  Cam- 
panile, Campane  ed  Orologio  e  loro  tor- 
ri. Dice  che  la  torre  campanaria  si  costrui- 
sce in  capo  all'atrio  o  al  portico, ch'è  vi- 
ci no  alle  porte  delle  chiese,  e  che  dove  non 
è  atrio  si  edificherà  a  mano  destra  entran- 
do, disgiunta  in  modo  da  ogni  altro  uhi 
ro  che  si  possa  girarla.  Confessa  chela  si 


?.</>  T  O  R 

funzione  però  è  sempre  molestn  reta  ti  va- 
mente  all'euritmia  delle  chiese,  Onde  per- 
sino si  prese  il  partito  per  le  chiese  grandi 
di  costruirne  due,*  fa  huon  edotto,  special- 
mente se  vi  è  di  mezzo  la  cupola.  Narra  che 
i  campanili  più  considerevoli  furono  in- 
nalzali nel  medio  evo  sino  al  secolo  de- 
corso, e  alcuni  di  celebrità  per  le  loro  e- 
levatezze,  singolarità  di  forme,  e  sveltez- 
za delle  parti  che  li  compongono.  I  cam- 
panili avere  il  più  sovente  la  forma  di  tor- 
re coronata  da  una  piattaforma.o  sormon- 
tata da  una  piramide  o  guglia,  ora  di  le- 
gno ricoperto  di  piomho odi  lavagna, ora 
di  pietre  o  di  tegole;  che  vi  fu  un  tempo 
in  cui  le  torri  campanarie  che  si  vedeva- 
no da  lungi  servivano  a  indicare  i  diversi 
partiti  di  fazioni,  come  per  esempio  quelle 
a  guglie  o  obelischi  indicavano  che  il  pae- 
se era  del  partito  de'ghibellini,  e  quelle  a 
piattaforma  de'guelfi.  Gli  antichi  di  buon 
gusto  conobbero  già  da  lungo  tempo  che 
i  campanili  sono  incompatibili  colle  chiese 
costrutte  in  forma  regolare,  e  però  s.  Pie- 
tro di  Roma  non  ha  campanili  visibili,  ma 
due  cnpolette  colle  campane, e  quello  che 
fu  edificato  venne  tosto  dislrutto;onde  nel- 
la maggior  parte  delle  rinoma  te  chiese  d'I- 
talia il  campanile  è  una  costruzione  a  par- 
te. J  campanili  percompiacereil  popolo  si 
t  inno  alti  quanto  più  è  possibile,  mentre 
credono  che  quanto  piùil  suono  viene  dal- 
l'alto tanto  più  si  oda  da  lontano.  Que- 
sto è  un  errore,  poiché  la  fisica  insegna  che 
il  suono  propagasi  meglio  quando  si  ori- 
gina presso  il  suolo,  essendo  le  molecole 
dell'aria  respinte  in  alto  e  all'intorno  del- 
la superfìcie  della  terra  come  palle  elasti- 
che. Nel  dichiarare  il  Ratti  il  modo  di  co- 
struzione delle  torri  campanarie  o  caai- 
panili,  dice  fra  l'altre  cose,  che  dal  piede 
della  torre  fino  al  luogo  delle  campane  si 
sogliono  ommellere  le  finestre  perchè  pa- 
iono inutili,  e  perché  si  mostra  una  mag- 
gior fermezza  come  si  ricerca  nelle  torri. 
Vi  si  fanno  però  alcune  aperture  e  (pia- 
si fessure,  ossia  finestrelle  mollo  strette  e 
lunghe  in  luogo  opportuno, perebè  s'intro- 


no * 

duca  la  luce  per  illuminare  le  scale,che  se 
si  può  meglio  è  costruirle  a  lumaca.  In  Ro- 
ma, il  Cancellieri  tra'campanili  rimarcò 
il  suddescritto  di  s.  Francesco  di  Paola, 
non  che  quello  curioso  del  Conservato- 
rio rrhicsa  di  s.  Caterina  de'funari,  che 
consiste  in  una  torre  quadrata  di  medio- 
cre grossezza,  che  slargasi  in  cima  a  fog- 
gia d'un  cono  rovesciato,  sul  quale  è  una 
cella  con  proporzione  più  grande  in  ogni 
senso  di  quella  della  torre.  Essa  è  orna- 
ta da  4  archetti  con  pilastri  e  frontoni,  ed 
è  sormontata  da  due  altre  piccole  celle 
ottagone,  una  di  proporzione  inferiore  al- 
l'altra, pure  con  archetti  e  frontoni,  e  so- 
pra l'ultima  posa  una  cupola  con  croce 
in  cima.  Onde  l'insieme  di  questo  cam- 
panile si  somiglia  a  quegli  antichi  osten- 
sori i,  che  nelle  pitture  del  secolo  XV  tie- 
ne in  mano  «.Chiara  (il  Magri,  Notizia  dei 
vocaboli,  a  quello  di  Tun-is,  parla  del 
vaso  cosi  fatto  e  chiamato  per  portare  la 
ss.  Eucaristia).  Quindi  per  la  forma  con- 
traddice il  principio  ricevuto  in  architettu- 
ra, che  la  parte  sostenente  dev'essere  più 
forte  della  sostenuta,  la  torre  che  sostie- 
ne la  cella  trovandosi  assai  minuta  rela- 
tivamente alla  cella.  Inoltre  il  Cancellie- 
ri dichiara  singolare  quello  di  s.  Andrea 
delle  Fratte,  che  in  parte  descrissi  nel  voi. 
XLV,  p.  i  y5,  eretto  sui  disegni  del  capric- 
cioso Borromini,  ove  sopra  una  specie  di 
torre  ornata  con  colonne  e  finestre,  in  ma- 
niera di  base,  alzò  un  tempietto  rotondo 
formato  con  piedritti  dentro,  e  con  colon- 
ne al  di  fuori  che  hanno  i  loro  lati  incas- 
sali e  d'ordine  composito,  ne'di  cui  capi- 
telli in  guisa  di  fiorami ,  nel  mezzo  vi  è 
una  faccia  con  testa  di  giovinotto  e  nel- 
l'altra d'un  vecchio  con  barba  lunga.  Que- 
ste colonne  sostengono  un  intavolato  con 
ringhiera,  sul  quale  sono  8  serafini  coper- 
ti nel  corpo  dalle  loro  ali  a  guisa  di  caria- 
tidi, i  quali  sostengono  una  cupolelta  a- 
guzzala,  in  cima  della  quale  posa  una  spe- 
cie d'urna  sepolcrale,  con  corona  radiata 
di  ferro.  Quando  suona  la  campana  gros- 
sa, l'urna,  sebbene  assai  distante  da  essa, 


TOR 

si  muove  avanti  e  dietro,  incutendo  timo- 
re •'riguardatili  come  cadesse.  Quantun- 
que assai  bizzarro  sia  questo  campanile, 
tuttavia  il  celebre  Vanvitelli  seppe   rica- 
varne un  disegno  pel  suo  campanile  del 
santuario  di  Loreto,  detraendone  il  super- 
fluo. Tanto  è  vero,  quanto  un  uomo  di 
genio  può  profittar  dell'opere  altrui,  sen- 
za copiarle  servilmente.  11  campanile   di 
Loreto,  compito  nel  1^54)  sarebbe  forse  il 
migliore  del  secolo  passato,  se  meno  Bor- 
rominesca  fosse  la  cupola   conica  cbe  lo 
termina  e  da  lontano  pare  un  vaso  rove- 
sciato, sormontata  da  palla  con  croce  e 
ventarola  o  banderuola,  lentorum  index. 
Nelle  ventarole  de' campanili,  ordinaria- 
mente di  ferro  o  di  bronzo,  vi  sono  scol- 
piti o  traforati  gli  stemmi  delle  cinese  o 
ordini  regolari  cui  appartengono  ,  o  dei 
benefattori  cbe  eressero  l'edilìzio,  ovvero 
l'immagine  del  santo  a  cui  la  chiesa  è  de- 
dicata. Infatti  in  Pioma,  la  veutaiola  del 
campanile  di  s.  Spirito  in  Sassia  ba  una 
colomba;  quella  della  ss.  Trinità  de'Mon- 
ti  lo  slemma  de' re  di  Francia,  quella  del- 
le carmelitane  di  Regina  Coeli  lo  stemma 
de'Colonna,  quella  di  S.Francesco  di  Pao- 
la la  parola  Charitasj  e  lecorrisponden- 
ti  spiegazioni  si  ponno  vedere  negli  arti- 
coli di  tali  Chiese  di  Roma.  Quanto  al 
detto  uso  di  dedicare  all'arcangelo  s.  Mi- 
ritele le  torri  campanarie,  colle  parti  più 
alte  delle  fabbriche  sagre,  crede  Cancel- 
lieri che  sarà  stato  introdotto  forse  a  imi- 
tazione della  cbiesa  a  lui  dedicata  in  Ro- 
ma, in  luogo  così  alto,  cbe  viene  detto  in- 
ter  nubes  yitus ,  come  lo  cbiama  Adone 
nel  suo  Martirologio  a*2g  settembre,  ove 
dopo  aver  parlalo  dell'  Apparizione  sua 
nel  Monte  Gargano,  dice:  Sed  non  mul- 
to post  Romac  venerabili."}  etiani  Boni- 
facius  Ponti/ex  Ecclesiam  s.  Michaelis 
nomine  constructam  dedicami  in  tummi- 
tate  Cirri  cryptatim  miro  opere  altissi- 
mo porrectamj  unde  et  idem    locus   in 
summitate  sua  eontinens  Ecclesia»  in- 
ter  nubes  situs  vocatur.  Il    Baronio  nel 
suo  Martirologio  non  potè  conoscere  qual 


TOR  297 

fosse  questa  chiesa  di  Roma,  onde  Can- 
cellieri conclude  essere  fuori  di  dubbio  che 
fu  edificata  in  luogo  altissimo,  Inter  nu- 
bes, e  quindi  in  una  torre.  Noterò,  che  a 
Manfredonia  dissi  avvenuta  l'apparizio- 
ne di  s.  Michele  al  Gargano  nel  pontifi- 
cato di  s.  Gelasio  I,  morto  nel  4<)6>  e  che 
Papa  s.  Bonifacio  li  fu  eletto  nel  53o:  di 
più  avere  riferito  a  Castel s.  Angelo,  che 
pur  fu  chiamato  Turris ,  di  essere  stato 
così  denominato  dopo  1'  apparizione  sul 
medesimo  di  s.  Michele  nel  093,  onde  nel- 
la sommità  dell'edilìzio  gli  fu  eretta  una 
cappella  a  suo  onore,  e  la  pietra  su  cui 
l'Arcangelo  vi  lasciò  l'impronta  delle  pe- 
date fu  trasportata  nella  chiesa  d'Araceli, 
secondo  Panciroli;  che  la  cappella  si  dis- 
se di  s.  Michele  inter  Nubes ,  poiché  il 
luogo  fu  detto  Torre  fra'  cieli  e  Monte 
s.  Angelo,  ed  anco  Chiesa  di  s.  Angelo 
fino  al  cielo.  Aggiunge  Cancellieri ,  che 
non  solo  le  torri  furono  dedicate  all'Ar- 
cangelo, ina  anche  tutte  le  parti  alte  del- 
le fabbriche  sagre,  per  cui  si  vede  la  sua 
statua  in  cima,  oltreché  su  detto  castello, 
sulle  diverse  facciate  di  chiese  e  in  cima 
alla  più  alta  piramide  de'sepolcri  che  no- 
mina; passando  quindi  col  Marlene  a  ri- 
portare alcuni  riti  particolari  usati  nelle 
feste  di  questo  protettore  delle  fabbriche 
sagre.  Il  Cecconi,  //  sacro  rito  di  consa- 
crare le  chiese,  tratta  al  cap.  1 5:  La  chie- 
sa deve  avere  anche  le  campane  su  le 
torri j  della  loro  origine,  uso  e  significa- 
tij  cap.  1 6:  Della  benedizione  delle  cam- 
pane e  suoi  significati.  All'articolo  Cam- 
pana trattai  dell'  origine   delle  campane 
minori  e  maggiori;  della  forma  diversa  e 
qualità  di  metallo,  loro  grandezze  e  del- 
le più  celebri;  della  benedizionedellecam- 
pane,  edi  quelle  benedette  da'Papi  inclu- 
sivamente  a  Pio  VII;  dell'uso  delle  cam- 
pane sagro  e  pubblico,  e  de'loro  suonato- 
ri; argomenti  tutti  di  cui  tornai  a  ragiona- 
re iu  molti  articoli  analoghi.  Siccome  dai 
Papi  Gregorio  XVI  e  regnante  Pio  IX  so- 
lennemente fu  benedetta  la  campana  mag- 
giora della  basilica  Liberiana,  quandogià 


298  TOR 

erano  stampali  gli  articoli  che  potevano 
avervi  relnzione,perciò  promisi  eli  qui  sup- 
plirvi e  ora  l'adempio.  Il  Campanile  del- 
la Chiesa  e.  basilica  Liberiana  di  s.  Ma- 
ria- Maggiore  (che  tornai  a  celebrale  in 
molti  articoli  pe'lanti  suoi  eminenti  pre- 
gi, come  nella  biografia  di  Papa  Teodo- 
ro 1,  per  le  insigni  reliquie  della  Nativi- 
tà e  Infanzia  del  Salvatore  che  le  donò, 
ed  a  Palazzo  apostolico  di  s. Mafia  Mag- 
giore per  la  residenza  che  vi  fecero  i  Pa- 
pi), è  uno  de'tanti  in  forma  di  torre  qua- 
drata (anzi  al  dire  di  Canc(>llieri,che  lo  de- 
scrive, la  torre  campanaria  più  grande  di 
Roma)  e  altissimi  d'  opera  laterizia,  con 
più  ordini  d'archetti  semicircolari  soste- 
nuti da  colonnuccie  (non  però  con  corni- 
ci a  seghe  di  ma  ttoni,e  modiglioni  di  mar- 
mo bianco  per  indicarne  i  diversi  piani  e 
la  trabeazione,  e  formarvi  gl'mtavolamen- 
ti,  come  gli  altri  campanili  de' bassi  se- 
coli), con  mensole  per  esprimere  la  tra- 
beazione e  modinature  di  marmo  an- 
che nei  pilastroni  angolari;  ed  i  piatti  con- 
cavi di  maiolica  verde  sono  incastrati  con 
simmetria  e  circondati  da  cornici  di  mar- 
mo bianco,  pine  tonde,  invece  di  quei 
pezzi  di  diversi  marmi,  che  senz'  ordine 
trovatisi  collocati  ne'  più  antichi.  Nella 
parte  anteriore  vi  è  nel  i  ."ordine  la  mo- 
stra dell'orologio,  con  sopra  lo  stemma 
d'un  Papa,  che  nella  repubblica  del  1 798 
fu  cancellato.  Gregorio  XI,  che  nel  1377 
da  Avignone  restituì  la  pontificia  residen- 
za a  Roma,  ordinò  l'erezione  del  campa- 
nile, che  sebbene  di  forma  antica,  annun- 
zia qualche  miglioramento  nell'artearchi- 
tettonica  di  que'  tempi.  Fece  fondere  il 
campanone,  e  come  riporta  il  De  Angelis, 
Basilicae  s.  MariaeM.  descripiio,  p.  6  1, 
coll'iscrizione+3+  Mentem  sanctam  span- 
ta neam  Deo  gloriavi  et  patriae  libera- 
tionem  -t^f.  Questa  è  la  celebre  così  detta 
benedizione  di  s.  Agata,  adoprala  dopo 
il  1  i5o  per  molti  secoli  in  quasi  tutte  le 
campane  di  Sicilia  e  d'Italia,  che  spiega 
il  citato  Piocca.  Piotlosi  il  campanone  nel 
1  61 4  sotto  Paolo  V,  fu  da  lui  rifatto,  fa- 


TOR 

cendovi  scolpire  la  detta  benedizione,  ma 
dopo  quasi  due  secoli  e  mezzo  si  ruppe 
nel  sabato  santo  deli 844-  Accorse  la  be- 
neficenza di  Gregorio  XVI  a  farla  rifon- 
dere, e  l'eseguì  il  fonditore  Giovanni  Lu- 
centi in  Roma.  Quindi  il  capitolo  suppli- 
cò il  Papa  affinchè  volesse  benedirla  so- 
lennemente, e  fu  esaudito,  come  descrive 
il  n.°  39  del  Diario  di  Roma  del  184^, 
nella  mattina  de'3  maggio.  A  tenore  del- 
la schedula  stampata, prò  Signum  majus 
Basilicae  novi  ter  con  fiatimi  solcami  ri- 
tti benedicci,  si  recarono  nella  basilica  i 
cardinali  in  vesti  e  cappe  rosse,  co'cauda- 
tari  in  croccia,  i  votanti  di  segnatura  in 
cotta  e  rocchetto,  gli  altri  co'consueti  a- 
biti.  Il  Papa  assunti  i  sagri  paramenti,  il 
piviale  bianco  e  la  mitra  di  lama  d'oro, 
dalla  sagrestia  Ut  condotto  in  sedia  gesta- 
toria tra' flabelli  nella  basilica.  Adorato 
il  ss.  Sagramento  nella  cappella  Sistina  , 
quindi  si  trasferì  nella  nave  grande,  ov'e- 
ra  la  nuova  campana  e  ogni  cosa  appa- 
recchiata per  l'esecuzione  del  sagro  ri- 
to. Asceso  il  Papa  in  trono  ricevè  all'ub- 
bidienza i  cardinali,  i  quali  occupavano  i 
banchi  a'Iati  del  trono,  siccome  occupa- 
vansi  i  rispettivi  loro  posti  dalla  prelatu- 
ra ,  e  dagli  altri  collegi  e  cubiculari  col- 
l'ordinestesso della  cappella  pontificia, ed 
il  capitolo  della  basilica  ancora  vi  godè 
un  luogo  distinto.  In  due  tribune  erette 
appositamente  presero  luogo  il  corpo  di- 
plomatico e  la  nobiltà  romana,  e  così  in 
altri  posti  distinti  molli  forestieri  ebbero 
agio  di  godere  la  funzione.  Dopo  l'ubbi- 
dienza ebbe  luogo  la  sagra  e  bella  funzio- 
ne, che  con  ogni  accuratezza  fu  eseguita  a 
norma  del  pontificale  romano.  I  salmi  e 
le  antifone  prescritte  si  cantarono  da'eap- 
pedani  cantori  della  cappella  papale.  Il 
Papa  fu  assistito  al  trono  da'  cardina- 
li diaconi  Riario  e  Rernetti,  e  dal  car- 
dinal Fransoni  i.°  prete  assistente:  nel- 
la funzione  gli  prestarono  assistenza  due 
canonici  della  basilica,  cioè  da  diacono 
mg.1  Pentini  Suddiacono  della  cappella 
pontificia,  e  da  suddiacono  mg.'  Alesaau  - 


TOR 

di- oMacioti  a  scelta  del  collega,  per  quanto 
ho  riportato  nell'indicato  articolo;  i  quali 
prelati  in  colta  e  rocchetto  lavarono  e  a- 
sciugarono  la  campana,  e  poi  assunsero 
le  tonacelle  per  assistere  il  Papa  nell'al- 
ti e  funzioni,  e  mg/  dentini  cantò  l'evan- 
gelo  nel  fine  della  funzione,  terminata  la 
quale  il  Papa  compartì  l'apostolica  bene- 
dizioneall'immenso  popolo  accorso.  IlPa- 
pa  benedì  la  campana  in  onore  della  B. 
Vergine  ,  di  s.  Gregorio  I  Magno  ,  di  s. 
Cailo  Borromeo  e  del  b.  Nicolò  Alberga- 
li ambedue  stati  cardinali  arcipreti  della 
basilica.  Tornato  il  Papa  in  sagrestia  e 
deposti  i  paramenti,  si  restituì  alla  sua  re- 
sidenza del  Vaticano.  11  capitolo  per  gra- 
to animo  fece  scolpire  sul  marmo  la  se- 
guente lapide  che  stampata  dispensò.  Gre- 
gorioXP  IPont.  Max.  -  Principio ptiino 
Munificentissimo  -  AlmaeDeiGenitricis 
Marine  Studiosissimo-  Qiiod-  Sacrimi 
.  le  s  Maximum  Templi  Liberiani  -  Tem- 
poris  J  etustate  Effractum-Praesenli 
Ope  Restituerit  -  Aloisius  Del  Drago 
Card.  Archipresby ter- Et  Canonieorum 
Collcgium-Grati  Animi  Caussa-Tanti 
Benefici  Memoriam-Litteris  In  Lapide 
Insculplis  -  Posteritati  Consignandam 
Curar  uni  -  Anno  mdcccxxxxiiii.  Ma 
per  difetto  della  fusione  la  campana  po- 
co dopo  si  ruppe  a'  i  5  agosto  i  840,  nella 
vigilia  della  festa  dell'Assunzione  della  B. 
Vergine,  ch'è  la  principale  festività  della 
basilica:  mentre  Gregorio  XVI  pensava 
a  riparare  l'  infortunio ,  passò  a  miglior 
vila.  Dipoi  ribellatisi  i  demagoghi  venu- 
ti in  Roma ,  il  Papa  Pio  IX  ne  partì,  e 
proclamatasi  quindi  nel  1  849  la  repubbli- 
ca, fra  le  tante  deplorabili  enormezze  che 
commisero  i  repubblicani,  inveirono  alla 
distruzione  delle  campane  e  de'confessio- 
uali  delle  chiese  di  Ilouia,  che  altamente 
riprovò  anche  la  Civiltà  cattolica  nel  t. 
il,  p.  172:  La  Repubblica  Romana,  le 
Campane  e  i  Confessionali. "Ha  prima, 
sotto  sembiante  di  fondere  i  sacri  bronzi 
ju  cannoni  a  difesa  della  patria,  dichiara- 
rono che  uon  sarebbero  tocche  le  campa- 


TOR  299 

ne  delle  basiliche,  delle  parrocchie,  delle 
chiese  nazionali,  e  le  rare  per  arte  e  quel- 
le che  servivano  a'pubblici  orologi,  ffou 
attennero  una  sola  di  tali  promesse.  So- 
prattutto voleano  far  orila  alla  Chiesa  ro- 
mana; poscia  non  far  cannoni  ma  quattri- 
ni ,  e  gli  ebrei  comperarono  la  maggior 
parte  di  quel  bronzo  a  contanti;  di  guisa 
chei  commissari  in  luogo  di  portarlo  alle 
fonderie  di  castello,  rccavanloa  gran  not- 
te in  ghetto.  La  basilici  di  s.  .Maria  Mag- 
giore avea  un  campanone  smisurato,  che 
fece  gitlar  Papa  Gregorio  XVI  poc'anni 
innanzi,  e  ai  primi  tocchi,  non  si  sa  come 
e  perchè,  s'era  fesso.  1  repubblicani  che 
n'averian  tratto  di  buona  moneta,  volean 
calarlo  contro  il  loro  decreto;  ma  era  sì 
malagevole  incastellare  i  ponti  a  quell'al- 
tezza, che  divisarono  di  spezzarlo  a  colpi 
di  mazza.  Indi  ecco  fabbri  e  facchini  pic- 
chiarlo a  muta  a  muta  con  mazzapicchi 
e  martellimi  da  magona;  ma  quella  cam- 
pana che  a'piimi  cozzi  del  battaglio  s'era 
fessa,ora  per  picchiarla  e  tempestarla,  non 
che  si  rompesse,  ma  né  anco  ne  schizzò 
qualche  sverza,  o  slabbrossi,  o  intaccossi 
punto  nulla  come  se  la  fosse  di  diamante. 
Quegli  empi  ci  sano  velarono  intorno  per 
più  giorni,  e  all'alternar  de'gran  colpi  ne 
usciva  un  suono  sì  mesto,  che  parea  che 
piangesse  e  gemesse  ,  o  lamentasse  tanto 
sacrilegio  e  sì  crudo  governo.  Ma  del  rom- 
perla non  fu  nulla  e  parve  portento  che 
volle  mostrare  a  que'nbaldi  la  Madonna 
Santissima.  E  per  vero  ,  mentre  non  la 
poterono  mai  non  che  rompere  ma  pur 
ischeggiare  i  repubblicani  ,  quest'  anuo 
18  j2  avendo  voluto  il  sommo  Pontefice 
Pio  IX  farla  rifondere,  si  lasciò  spezza- 
re agevolmente".  Pertanto  si  legge  nel 
n.°72  del  Giornale  di  Roma  del  18  52, 
che  avendo  stabilito  il  Papa  di  solenne- 
mente benedire  la  rifusa  gran  campana 
a'  1  7  marzo,  nel  fronte  posteriore  della 
basilica  che  guarda  il  Monte  Quirinale, 
collocata  nel  centro  dell'apside,  vi  fu  po- 
sta la  segueute  epigrafe,  onde  venivano  i 
lcdeli  invitati  ad  assistere  all'augusta  fuu- 


3oo  TOR 

zione.  vili  Kal.  apr.  an.  saluti*  rep- 
MDCCCLii  -  Die  sacra  Mariac  Dominae 
Nostrae  ab  Angelo  tallitole-  Ch'ex  hospi- 
lesane  adeste frequentes-Pius  IX  Pont. 
Max.-Acs  Tnrris  Campanariac  Maxi- 
mum-Diffìssum  denno  conjlatum  denuo- 
Solenmi  precatione  lustrat-Mariae  Dei 
Parenti  Dedicai.  Il  cav.Gio.  Ballista  Be- 
nedetti architetto  diresse  l'armatura  per 
sostener  le  campane  del  peso  gravissimo 
di  circa  i3  migliaia  di  libbre  romane,  e 
la  vaga  edicola  d'  ordine  corinlio  da  cui 
pendeva  il  magnifico  bronzo ,  e  nelle  4 
faccie  degli  architravi  leggevansi  ne'fregi 
le  4  iscrizioni  che  pure  riprodusse  il  Gior- 
nale, ricordanti  a'fedeli  gli  uffizi  de'suo- 
ni  del  sagro  bronzo:  desse  come  la  ripor- 
tati epigrafe  istorica  le  compose  il  eh.  p. 
Marchi  gesuita  con  aurea  latinità.  Altra 
leggenda  Ialina  impressa  nella  campana 
diceva  le  diverse  rifusioni  narrate  del- 
la slessa  campana,  l'ultima  delle  quali  fu 
eseguila  nel  l85i  nel  pontificato  di  Pio 
IX,  essendo  arciprete  della  basilica  il  car- 
dinal Costantino  Patrizi,  e  i  due  seguen- 
ti mirabili  distici,  che  si  credono  stati  già 
scolpiti  nella  precedente.  Nella  parte  su- 
periore: /  n.r  Dica,  vox  Domila  morta- 
les  admonet  omnes-  Ut  coelam  toto  pe- 
ctore disa/pia/it.  Nella  parte  inferiore  : 
Alma  DeiGenitrix  Noster  o  dulcìssima 
Mater  -  Fac  tecum  aeternos  vivere  posse 
dies.  I  bassorilievi  della  campana  espri- 
mevano l'immagine  della  li.  Vergine,  e 
quelle  de'suddetti  3  santi  il  cui  nome  le 
fu  di  nuovo  imposto;  e  gli  onorandi  stem- 
mi di  Gregorio  XVI  e  di  Pio  IX.  Quindi 
si  loda  molto  il  valente  fonditore  Lucen- 
ti per  l'eseguita  nuova  fusione  del  bron- 
zo, comechè  una  delle  più  ampie  campa- 
ne di  Homa,  per  la  vaghezza  della  sago- 
ma, per  la  finita  esecuzione  de'suoi  orna- 
ti a  bassorilievo  di  cui  è  riccamente  ador- 
na, per  la  capegliatura  a  branche  di  leo- 
ne adorne  di  foglie  d'acanto,  per  le  varie 
ghirlande  di  fogliami  e  bei  meandri ,  e 
specialmente  la  corona  formata  da  angeli 
volanti  sostenenti  degli  encarpi,  e  l'altra 


TOR 
ove  sono  effigiati  i  venerandi  stemmi  dei 
ss.  Nomi  di  Gesù  e  di  Maria.  La  sagra 
funzione  fu  in  tutto  simile  alla  preceden- 
te, facendo  da  diacono  mg.1  Pentini  e  da 
suddiacono  1'  altro  canonico  Liberiano 
mg.r  Bartolomeo  Orsi  chierico  di  camera; 
solo  vi  fu  di  piùche  il  Papa  volle  prima  ce- 
lebrare la  messa,  e  grande  fu  il  concorso 
del  popolo  al  maestoso  rito.» Si  potrebbe 
più  sentire  che  descrivere  d  sagro  digni- 
toso decoro  onde  il  sommo  Pontefice  ce- 
lebrava la  santa  funzione,  o  che  benedi- 
cesse l'acqua  e  di  essa  tergesse  il  bronzo 
compreso,  o  che  pregasse  dal  sommo  Id- 
dio, che  si  degnasse  infondere  virtudi  al- 
le squille  della  campana,  d'allontanare  la 
forza  delle  insidie  e  degli  spaventi,  la  fo- 
ga de'turbini  e  la  percossa  delle  folgori, 
il  terrore  de'tuoni,  la  calamità  delle  tem- 
peste, e  di  tornare  la  celeste  serenità,  non 
che  a  somiglianza  delle  argentee  trombe 
mosaiche,cheil  suo  suono  invitassei  fede- 
li al  tempio  col  fervore  della  preghiera". 
TORRE  Augerio  Bertrando,  Cardi- 
nale. Sortì  i  natali  d'illustre  prosapia  in 
CambolicOjdiocesi  di  Chaors,  e  non  d  i  Mi- 
lano o  Chieti  come  pretendono  altri;  pro- 
fessò la  regola  di  s.  Francesco,  e  fu  pro- 
vinciale d'Aquitania.  Ad  un  integerrimo 
costumecongiunse  straordinaria  facondia 
nel  perorare,  e  pari  perizia  nella  scienza 
delle  divine  Scritture  e  della  teologia,  do- 
ti che  resolo  insigne  gli  acquistarono  il  ti- 
tolo di  dottore  famoso,  ed  indussero  Gio- 
vanni XXII  ad  incaricarlo  di  ridurre  al- 
l'ovile del  suo  ordine  alcuni  frati  minori, 
che  vagando  per  la  Gallia  Narbonese  sen- 
za le  debite  facoltà  eransi  stabiliti  in  Nar- 
bona  e  in  Beziers;  ma  niente  potè  ottenere 
da  que'girovaghi,  che  appellandosi  alla  s. 
Sede,ricusaronodi  prestare  a  lui  ubbidien- 
za. Indi  il  Papa  si  decise  ad  inviarlo  con 
Bertrando  Guidone  domenicano,  inquisi- 
tore in  Francia  e  nunzio  apostolico  in  Ita- 
lia crudelmente  sconvolta  e  lacerata  dal- 
le guerre  civili.  1  pisani  viveano  in  gran 
timore  per  aver  dalla  loro  città  cacciati  i 
ghibellini;  la  repubblica  di  Geuova  atte- 


TOR 
se  le  nuove  discordie  in  essa  eccitatesi,  si 
trovava  in  gran  rischio;  i  ghibellini  della 
Lombardia  aveano  posto  l'assedio  a  Cre- 
mona,ed  i  veronesi  aveano  impugnato  !e 
armi  contro  i  padovaui.  Roberto  redi  Si- 
cilia erasi  inimicato  con  Amedeo  V  con- 
te di  Savoia,  Manfredo  marchese  di  Sa- 
luzzo,  Filippo  di  Savoia  e  Maffeo  Viscon- 
ti; il  che  presagiva  l'incendio  d'una  guer- 
ra universale.  In  premio  di  questa  nun- 
ziatura,esercitatada  lui  con  incomparabi- 
le zelo  e  valore,  Giovauni  XXI 1  nel  i  3  1 9 
lo  fece  arcivescovo  di  Salerno,  ed  a'20  di- 
cembre i3ao  lo  creò  cardinale  prete  di  s. 
Mattino  o  di  s.  Vitale.  Essendo  slato  de- 
poslodal  Papa  dalla  carica  di  ministro  ge- 
nerale de'fiancescani  Michele  da  Cesena, 
gli  surrogò  Bertrando  col  titolo  d'ammi- 
nistratore dell'ordine.  Per  mezzo  di  mol- 
ti libri  che  pubblicò,  si  acquistò  gran  ripu- 
tazionee  fama.  Prof  ssò  speciale  divozione 
alla  B.Vergine,eneli  322  diventò  vescovo 
di  Frascati.  La  morte  lo  sorprese  in  Avi- 
gnone nel  i33o  o  prima,  altri  ritardan- 
dola al  1  334,  e  fu  sepolto  in  detta  città. 
TORRE  Giovami,  Cardinale.  D'AI- 
vernia  e  non  di  Limoges,  d'una  famiglia 
feconda  di  grandi  uomini,  monaco  e  ab- 
bate del  monastero  di  s.  Beuedetto  di  s. 
Flour  sulla  Loira,  della  congregazione  di 
Clugny.  Gregorio  XI  a'6  o  agli  8  giugno, 
uvveroa'3oo3i  maggio  1371  lo  creò  car- 
dinale prete  di  s.  Lorenzo  in  Lucina,  e  do- 
po 3  anni  depose  le  spoglie  mortali  in  A- 
vignone  nel  1  3j$. 

TORRE  o  TOUR  Bernardo,  Cardi- 
ìtale.  De'signori  de  la  Tour  d'  Alvernia 
nelle  Gallie,  canonico  di  Lione  e  suddia- 
cono apostolico. in  grazia  di  suo  nipote Gu- 
gliehnocheavea  sposalo  Elipdim  figlia  di 
Guglielmo  Roger  signore  di  Cambonio  e 
affine  di  Clemente  "VI,  questi  a'20  dicem- 
bre 1  342  lo  creò  cardinale  diacono  di  s. 
Eustachio. Per  speciale  commissione  d'In- 
nocenzo VI  col  cardinal  Mot  ha  die  il  pal- 
lio al  caidinal  Bertrando  di  Colon) bier  ve- 
scovo d'Ostia,  che  dovea  recarsi  a  R.oma 
per  coronare  tu  nome  del  Papa  l'impe- 


T  O  R  3o  i 

ratore  Carlo  IV.  Tocco  dalla  pestilenza, 
mori  in  Avignone  nel  1  36 1, dopo  a  ver  con- 
tribuito all'elezione  d'Innocenzo  VI. 

TORRE  o  TOUR  Enrico  Osvaldo, 
Cardinale.  Della  potente  e  illustre  pro- 
sapia di  Buglione  d'Alvernia,  nipote  del 
cardinal  Emanuele  di  Buglione,  nel  mag- 
gio 1693  ottenute  l'insegne  di  dottore  in 
teologia  nell'università  di  Sorbona,  con- 
segui dalla  munificenza  del  re  Luigi  XIV 
due  pingui  abbazie,  oltre  l'essere  stalo  fat- 
to coadiutore  del  zio  nella  celebre  abba- 
zia di  Clugny,  che  poi  nel  1715  ottenne 
in  proprietà.  Esercitò  quindi  l'impiego  di 
vicario  generale  di  Arnaldo  Montmoiiii 
arcivescovo  di  Vienna  nel  Delfinalo,  enei 
1729  ne  fu  eletto  preposto,  essendo  pure 
canonico  delle  cattedrali  di  Strasburgo  e 
di  Liegi.  Fino  dal  declinare  del  1  7  19  Cle- 
mente XI  l'avea  promosso  all'ai  ci  vesco- 
vato di  Tours,  e  prima  d'averne  ottenu- 
te le  bolle  nel  1  72  1  da  Innocenzo  XIII  fu 
trasferito  al  ricordatodi  Vienna.  Nel  1 723 
intervenne  cpial  deputato  di  sua  provin- 
cia all'assemblea  del  clero  in  Parigi,  e  di 
nuovo  vi  si  trovò  presente  neh  734  come 
uno  de'  presidenti.  Nel  precedente  anno 
Luigi  XV  l'avea  decorato  del  grado  di 
commendatore  dello  Spirito  santo,  e  fece 
istanza  a  Clemente  XI I  perchè  lo  creasse 
cardinale,  e  l'esaudì  a'20  dicembre  1737 
col  titolo  presbiterale  di  s.  Calisto.  Indi 
fu  al  conclave  di  Beuedetto  XI  V,che  l'an- 
noveròalle  congregazioni  de' vescovi  e  re- 
golari, del  concilio,  de'riti  e  altre.  Resti- 
tuitosi in  patria,  lasciò  la  vita  in  Parigi 
nel  1  747  di  75  anni. 

TORREoTURRIANOMichei  e,  CV/r. 
dittate.  Da  Udiue  e  de' conti  di  Valdessi- 
na,  d'una  famiglia  che  per  antica  poten- 
za e  splendore  gareggiava  colle  principa- 
li d'Italia.  Fatti  con  successo  i  suoi  studi, 
fu  dichiarato  referendario  di  segnatura,  e 
nel  1 547  fatto  da  Paolo III  perpetuo  ani- 
ministratole  della  chiesa  di  Ceneda,  do- 
ve si  rese  chiaro  per  l'integrità  de'coslu- 
mi,  per  la  perizia  de'cauoni,  per  islraor- 
diuaiiu  eloquenza, e  mollo  piìi  per  lo  zc- 


3o2  T  O  li  T  O  R 
lo  con  cui  governò  la  sua  citte*  e  diocesi  d'Africo  nella  Bizacena, sotto  la  metropoli 
audienci  civile,nel!a<pialeoccasionecom-  d  Ti  udì  a  mito,  di  cut  è  fatta  menzione  nel 
pose  le  intestine  discordie,  onde  quella  cit-  concilio  di  Bizacena.  Ebbe  per  vescovi  : 
tà  era  miseramente  sconvolta  e  agitata.  Massimiuo  donatista, intervenutone!  4'  ' 
Jntervenne  con  riputazione  al  concilio  di  alla  conferenza  di  Cartagine;  Paolo  esi- 
Trento,ePaolo  II!  Io  spedì  nunzio  inFran-  liato  da  Unnerico  re  de' vandali  nel  /|<S'| 
eia  a  Enrico  II,  presso  del  quale  sostenne  per  la  purità  di  sua  fede;  e  Daziano  che 
tal  carattere  pure  a  nome  di  Giulio  111,  sottoscrisse  l'epistola  die  il  concilio  Biza- 
con  soddisfazione  non  meno  del  Papa  che  ceno  scrisse  nel  6|i  al  l'imperatore  Era- 
dei re.  Restituitosi  a  Roma,  nel  i  555  Pao-  elio  Costantino  contro  i  monoteliti.  Mol- 
lo I V  io  fece  maggiordomo,  e  dopo  qua!-  celli,  Afr.  ohr,  t.  i. 
che  anno  gli  fu  affidato  il  governo  del-  TORUE  CAMARIN  \,  Turris  Canut- 
l'Umbria,  bisognosa  allora  d'un  soggetto  ri  un.  Sede  vescovile  e  antica  di  Sicilia  nella 
prudente  ed  esperto, per  regolarla  e  tener-  costa  meridionale,  a  2  i  leghe  ovest  dal  sud 
la  a  freno.  In  tempo  di  s.  Pio  V  bolliva-  di  Siracusa, nella  valledi  Noto,e  chiamata 
no  col  maggior  calore  le  fazioni  nellaFian-  pure  Torre  diCamarànn.  SecondoEuse- 
eia,  dov(;  gli  affari  della  religione  esigeva-  bio  fu  fabbricata  sotto  la  44-a  °  4^-"  °''m" 
no  la  più  utlenla  e  sollecita  vigilanza,  e  piade,  ed  atterrala  totalmente  5aanni  do- 
ri inno  era*  i  certamente  più  alto a  prestar-  poda'siracusaui.ln  seguito  fu  rifabbricala 
la  di  quoto  prelato,  già  pratico  e  infoi-  da  certo Hippona,  quindi  nuovamentedel 
inalo  delle  cose  del  regno.  Colà  dunque  tuttodistrutta,nou  restando  poscia  di  essa 
venne  di  nuovo  nelt5o9  inviato  a  Cai  lo  che  una  torre  sulla  costa  meridionale  di 
IX, a  fine  d'infiammarlo  a  sterminare  dal  detta  valle,  a  i  5  leghe  da  Passato  oPasse- 
suo  regno  gli  eretici  ugonotti.  Nel  viaggio  io,  isola  e  capo  di  Sicilia,  Pacliyuum  Pro- 
fermatosi  a  Toriuo,  in  nome  di  s.  Pio  Y  moittorium.e  trasferendo  il  nome  suo  ad 
levò  al  sagro  fonte  Carlo  Emanuele  1  fi-  uu  fiume  e  ad  un  villaggio.  Diodoro  dili- 
gilo del  duca  di  Savoia.  Finalmente  do-  cilia,  Plinio  e  Strabone  ne  fanno  parola, 
pò  avere  reso  molti  e  grandi  servigi  alla  Fu  rimarchevole  questa  città  per  quanto 
.s.  Sede  sollo  diversi  Papi,  a' 12  dicembre  avvenne  a'suoi  abitanti,  i  quali  incomo- 
ì  583  GregorioXIll  lo  creò  cardinale  pie-  dati  dall'aria  malsana,  che  dipendeva  da 
te,ma  non  ebbe  mai  titolo.  Erio  Sansovitio  da  alcune  circonvicine  paludi,  ebbero  ri- 
liei  rimproverare  la  corte  di  iloma  d'  in-  corso  all'oracolo  ond'esscrne  liberali.  La 
gratitudine,  per  non  averlo  premiato  col  risposta  gli  avvertì,  che  qualora  le  disec- 
cardinalato.  Si  trovò  presente  al  conclave  cassero  ne  audrebbero  incomodali  di  più. 
di  Sisto  V,  ed  ebbe  gran  numero  di  vo-  In  fatti  avendo  eglino  agito  al  contrario 
ti  pel  pontificato,  mentre  Pelramellara  di  tale  avviso,  i  nemici  entrarono  da  quel- 
pretese  cite  ne  fosse  assente.  Morì  in  Ro-  la  parte  nella  città;  dal  che  ebbe  origine 
ma,  o  in  Ceueda  neh  586  di  75  anni,  e  il  proverbio  antico;  Camarinam  ne  mo- 
ta in  quella  cattedrale  sepolto  senza  fu-  veas.  Camarilla  o  Torre  Camarilla  molto 
nebre  memoria.  figurò  nella  storia  antica  di  Sicilia  (P.). 

TORRE  ALBA.Scde  vescoviled'Afri-  Nel  V  secolo  ebbe  la  sede  vescovile,  ma 

ca  nella  Numidia,soltu  la  metropoli  diCir-  presto  fu  unita  a  quella  di  Siracusa,  e  se 

la,  di  cui  fu  vescovo  Veriano  doualista,  ne  ignorano  i  vescovi  ,  che  dipeudcrono 

che  trovossi  alla  conferenza  tenuta  in  Cai-  dal  vicariato  romano, 

tagine  nel  41  1.  Morcelli,  jifr.  chr.  t.  1.  TORRE  CAMPANARIA.  /  .  TolM 

TOR.RE  BLANDA.  Sede    vescovile  e  Campanile. 

FINE  DEL   VOLUME  STSTTANTKSIMOSETT1MO. 


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To 


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To 


BX  841  .M67  1840 

SMCR 

fioroni ,  Gaetano, 

1802-1883. 
Dizionario  di  erudizione 

storico-ecclesiastica 
AFK-9455  (awsk)