£ $72t>
DIZIONARIO
DI ERUDIZIONE
STORICO-ECCLESIASTICA
t>A S. PIETRO SINO AI NOSTRI GIORNI
SPECIALMENTE INTORNO
AI PRINCIPALI SANTI, BEATI, MARTIRI, PADRI, Al SOMMI PONTEFICI, CARDINALI
E PIÙ CELEBRI SCRITTORI ECCLESIASTICI, AI VARII GRADI DELLA GERARCHIA
DELLA CHIESA CATTOLICA, ALLE CITTA PATRIARCALI, ARCIVESCOVILI E
VESCOVILI, AGLI SCISMI, ALLE ERESIE, AI CONCILtI, ALLE FESTE PIÙ SOLENNI,
AI RITI, ALLE CERIMONIE SACRE, ALLE CAPPELLE PAPALI , CARDINALIZIE E
PRELATIZIE, AGLI ORDINI RELIGIOSI, MILITARI, EQUESTRI ED OSPITALIERI, NON
CHE ALLA CORTE E CURIA ROMANA ED ALLA FAMIGLIA PONTIFICIA, EC. EC. EC.
COMPILAZIONE
DEL CAVALIERE GAETANO MORONI ROMANO
SECONDO AIUTANTE Di CAMERA
DI SUA SANTITÀ PIO IX.
VOL. XCIII.
IN VENEZIA
t> A L L A TIPOGRAFIA EMILIANA
MDCCCL1X.
La presente edizione è posta sotto la salvaguardia delle leggi
vigenti, per quanto riguarda la proprietà letteraria, di cui
l'Autore intende godere il diritto, giusta le Convenzioni
relative.
DIZIONARIO
DI ERUDIZIONE
STORI CO -ECCLESIASTICA
VEN
VEN
Compimento dell' articolo Venezia.
§ XX. Brevi cenni storici della città di
Venezia dal 1797 al 18 58 j sue va-
rie principali vicende e governi.
1. lo conseguenza de* preliminari di
pace tra l'imperatore Francesco II e la
repubblica francese, stabiliti nel castello
di Eckenwald presso Leoben, e del trat-
tato definitivo firmato a' 17 ottobre 1797
a Campoformio, villaggio poco lungi da
Udine, Veuezia colle Lagune e sue Isole,
tutti i paesi veneti diTerraferma compre-
si fra gli stali ereditari dell'augusta casa
d'Austria e il mezzo del lago di Garda, la
sinistra sponda dell'Adige sino a Porto Le-
gnago, e la sinistra sponda del Posi de-
volsero in pieua sovranità del detto im-
peratore, rimanendo alla repubblica Ci-
salpina, oltre l'antica Lombardia austria-
ca cou Milano sua capitale, il Bergama-
sco, il Bresciano, il Cremasco, la città e
fortezza di Mantova, Peschiera e tutta la
parte degli stati veneti ch'è posta a ponen-
te e ad austro denominati confini. Cessa-
to così nelle venete provincie l' effimero
democratico reggimento per 9 soli mesi
succeduto a quello d'una repubblica, la
quale, bene instituita e governata, erasi
conservata più lungamente d'ogni altra,
venerata e amata da' suoi sudditi, pel
suo governo veramente paterno estima-
to pure dalle poleuze estere,le quali nel-
le strettezze e imbarazzi politici, in più
incontri invocarono la saggezza dell'au-
gusto senato veneto, a volerle assistere
col sagacissimo suo consiglio; cessata
V odiosa temporanea occupazione de' re-
pubblicani francesi, gl'imperiali coman-
dati dal conte Olivieri di Wallis entra-
rono in Palmanova a' io gennaio 1798,
in Venezia a' 18, in Rovigo a' 24, e suc-
cessivamente s' impossessarono di lut-
ti i paesi loro ceduti col trattato di Cam-
poformio, onde il Veneziano divenne
una provincia austriaca. Benché i de-
magoghi, infatuati dalle false idee di se-
dicente Virtù, Libertà, Uguaglianza,
per togliere l'inveterato affetto de' veneti
al principe loro, fossero stati larghi nel ri-
4 VEN
cordalo brevissimo spazio di comesi d'in-
verecondie e incomposti discorsi contro
le monarchie, contro i ricchi, contro i
nobili, e si fossero affaccendali di provare
ì vantaggi della democrazia; benchèessi
avessero pur arditamente stampato, non
essere il governo che un mostro onde fin
dalla creazione del mondo erano itali
trucidati milioni d'uomini, per cui sulla
faccia della terra tutto è confusione e de-
litto.ed altro esso non voler dire, che vio-
lenza, oppressione, rapina; ad onta che
avessero audacemente predicato non es-
sere la democrazia che la giustizia uni-
versale de'popoli, la base necessaria epe-
renne dell'ordine e dell'equilibrio socia-
le; esserla nobiltà della nascita un pre-
giudizio, non trovandosi nobiltà in na-
tura; l'aristocrazia quindi un mostro che
bisognava parimenti annientare, la de-
mocrazia una felicità cui doveasi correre
incontro, l'aristocrazia l'usurpazione de'
tiranni, la democrazia il governo degli
nomini liberi; e detto filialmente si aves-
se a'poveri di Venezia: o poveri, il go-
verno cui siete chiamati è la democrazia,
il governo del popolo, il governo di tutti
i popoli; nientedimeno ed a fronte di tut-
tociò per nulla sollevati e commossi i po-
poli delle venete provincie da quelle pa-
rolesvergognatissime,a braccia aperte al
dominio nuovo si sottomettevano. Tanto
afferma il veneto annalista cav. Mulinel-
li. Imperocché il popolo ormai stanco del-
le laidezze, ruberie, oppressioni ed orgie
repubblicane francesi; stomacalo altresì
dalla tragi-commedia, accolse con vero
giubilo i tedeschi, con feste e pubbliche
dimostrazioni. Accalcatosi sulla piazza di
s. Marco, persino sui tetli, tutti i balconi
furono addobbati di ricche stoffe, for-
mando un soprendente spettacolo, avvi-
vato da un bellissimo cielo e dalla gioia
universale. Incessanti i Fiva, il basso po-
polo frenetico ruppe le file de'soldati au-
striaci, e strappate le loro bandiere dal-
le mani degli alfieri, le portarono in trion-
fo per la piazza e per le principali vie del-
VER
la città: sj affratellò subito conoidali ba-
ciandoli, ed anche baciando le manie le
braccia degli uflìziali d'ogni grado, eque-
sti e quelli corrisposero, secondando i
popolari eccessivi trasporti; nuova scena
che durò un 4 ore. Nella notte tutta la
città fu illuminata a cera, e per ognipiaz-
za si piantarono orchestre. I teatri fu-
rono aperti al pubblico, ed era cosa nuo-
va e singolare, il vedere come il popolo
ne impediva l'ingresso a tutte le donne
che non avevano al loro fianco, un sol-
dato se popolane, ed un affinale se nobi-
li o civili. Finiti con quel giorno quesli
primi slanci d'allegrezza, le feste parziali
d'ogni parrocchia e d'ogni strada mag
giore, divise perturno, durarono per più
di due mesi con musiche, viva, canti po-
polari e illuminazioni. Tutto questo fu
una luminosa prova della generale con-
tentezza, per essersi liberati dallo spaven-
to incusso dalla prepotenza de' partili
occupatoci ; questo prevalse al dolore dei
perduto dominio e del modo perciò usa-
to e pantomimico. Il cessato governo fran-
cese volendosi assicurare della fede o spi-
rito pubblico di tutti gli abitanti di Ve-
nezia, onde corrispondere al pattuito a
Leoben,avea invitato i capi di famiglia
di raccogliersi in determinatogiorno nel-
le chiese delle rispettive parrocchie, per
dare il singolo loro yoto, dichiarando se
amassero di fai si fratelli della repubbli-
ca Cisalpina, o preferissero la sudditanza
dell'impero austriaco; ma con l'istruzio-
ne a'raccoglilori de'voti, di proclamare
in ogni modo la votazione essere favore-
vole alla dominazione austriaca! Al che
i veneziani posero suggello col giuramen-
to di fedeltà che prestarono al nuovo so-
vrano Francesco II, che un notaio pub-
blico per ogni parrocchia andò a ricevere,
insieme alla sottoscrizione di ciascun capo
di famiglia, nella chiesa a cui appartene-
vano. Il nobile veneto Francesco Pesaro,
che recentemente erasi veduto partire da
questa sua città natale, per recarsi, come
dicevasi,e già di sopra notai, a cercare la
VEN
libertà nella Svizzera, e inveceera corso
a Vienna, vi rientrònellaqualitàdi com-
missario imperiale, rivestito d» ogni più
ampio potere; l'uso non generoso da lui
lattone contro non pochi suoi noti avver-
sari politici, coperse di grand' ombra il
suo nome.I uobili quindi stati antichi so-
vrani del paese, prestar dovettero nelle
mani del suo collega il giuramento di fe-
deltà e ubbidienza; e l'ex doge Manin egli
pure a ciò obbligato, nel comparire da-
vanti al Pesaro, trasformato in agente
del l'Austria, nel pronunziare la forma ri-
chiesta, fu colto da tale commovimento,
*:he cadde a terra fuori de'sensi, e l'asse-
nte I' Arte di verificare le date. A' 6
febbraio 1798 si ripristinarono io tutte
le città venete 1 consigli geuerali, i corpi,
1 collegi e i capitoli secolari per l'ammini-
strazione delie pie fondazioni, sotto qua-
lunque nome essi fossero stati nel 1. gen-
naio 1 796, com'erano sotto la veneta re-
pubblica, hi ciascuna terra e castello si
ristabilì la particolare rappresentanza lo-
cale, colle forme e metodi autichi: tutti i
feudatari rientrarononel liberogodimen-
lo de'loro diritti. Nel luglio si richiamò
inosservanza la legge del giàconsigiiode'
J)ieci del 1788 sulle cause di divorzio e
di nullità di matrimonio. Si ordinò poi
che in ogni provincia, secondo gli statuti
vigenti si giudicasse nelle cause civili e
criminali; e chea Venezia, oltre un tribu-
nale d'appello per le provincie, esservene
dovesse uno supremo di revisioue per giu-
dicar le liti in 3/ istanza. L' imperatore
Francesco 11 si dichiarò ampiamente suc-
ceduto cosi nei diritti che nei doveri del-
la veneta sovranità, e con sovrana risolu-
zione 20 novembre 1 798 volle annullato
Jo storno delle parlile di credito, che il
Pesaro avea ordinato nei libri di Zecca
di tutti i capitali, ch'erano siati iscritti a
favore degli acquirenti cariche della ces-
sata repubblica, i quali avevano patito e-
vizione nel 1 2 maggio 1 797, equindi do-
vevano per contratto esserne rimborsati,
cornea tulio il iòo5, ed in parte lo fu-
VEN 5
rono; mentre per moltissime altre fami-
glie il credito sussiste ancora. Tutti Sbo-
schi e selve si assoggettarono al piano bo-
schivo della veneziana repubblica, rein-
tegrate nelle sue prerogative le maestran-
ze dell'arsenale, vietato alla soldatesca il
molestare i cittadini, offerta sicura stanza
a'forestieri d'ogni nazione ;ed inoltre fat-
ti 1 ivi veregli ordini antichi, se ne fecerodi
nuovi e provvidissimi, reintegrata la pub-
blica morale, tutfofacendosi lodevolmen-
te per rendere bene accetto e consolida-
re il novello dominio austriaco, saggioe
giusto, fiorendo il commercio marittimo
sottogl'imperiali vessilli, quasi come l'an-
tico, per esser neutrale fra'belligeranti ;
onde si moltiplicarono nelle Lagune le
navali costruzioni. La Francia progre-
dendo nelle conquiste, la dilatazione del
suo dominio pose in apprensione Fran-
cesco II, che avendole intimato di sgom-
berare l'Italiaela Svizzera, enon avendo
ottenuto soddisfacente risposta, nel decli-
nar del 1 798 si preparò a nuova guerra
collegandosi coll'lnghilterra, la Russia,
la Porta e le due Sicilie, per cui tosto i
francesi gliela dichiararono al cominciar
del 1 799, succedendo Sellerei* a Joubert
nelcomandodilorotruppe in Italia. Que-
ste dunquedi sovente vennero a combat-
timenti cogli austriaci ne'territorii delle
provincie venete, senza che il popolo si
frammischiasse agli avvenimenti milita-
ri principiati nel marzo e proseguiti sino
alla ritirata di Scherer dall'Italia, massi-
me sull'Adige e a Verona, riuscendogli
austriaci vittoriosi su tutti i punti. Ed i
collegati entrarono in MdanOjinMantova,
in Piemonte, in Romagna, in Ferrara e iu
Bologna, e il re delle due Sicilie occupò
Roma e alcune sue provincie. Tuttociò
avvenne mentre Napoleone trova vasi nel-
la spedizione d'Egitto, donde tornato a
Parigi, dopo la rivoluzione fu proclamato
i .°consoledella repubblica, accrescendosi
perciò la forza morale delle truppe. —
Frattanto la s. Sede, dopo tanti enormi
sagriiìzi, era stuta dalla repubblica Iran-
6 VEN
cese interamente spogliata della sua So-
vranità, democratizzati i sudditi, indù-
sivamente a Roma, detronizzato rio VJ
e deportato in Francia sino da' 20 feb-
braio 1 798, e fra' patimenti morì glo-
rioso in Valenza, a' 29 agosto 1 799 ;
mentre per mirabile disposizione della
divina Provvidenza un mese dopo i fran-
cesi erano stali costretti a partire da Ro-
ma da'napoletani, per l'accennato deca-
dimento della fortuna militare francese
in Italia, e preponderanza dell'armi au-
striache e russe, onde Ancona si vide e-
sptignata dalle flotte russo-turche, ed oc-
cupala dagli austriaci, il che meglio dissi
nel voi. LXXXIII, p. 62, inconseguen-
za della ritirata di Macdonald dall'Italia.
Avendo il Papa defunto ordinato, che a
cagione delle politiche circostanze essen-
dosi dispersi i cardinali perseguitati, il
Conclave per 1' elezione del successore,
che fu Pio VII, si radunasse dove si sa-
rebbe trovalo il più gran numero di car-
dinali; esiccome nel settembredello stesso
1799 molti di loro si trovavano in Napoli
e nel Veneziano, fu per appunto stabilito
dal cardinal decano Gio. Francesco Al-
bani di tenere il conclave in Venezia, do-
ve un cameriere di mg.r Caracciolo mae-
stro di camera di Pio VI, avea portato
la sua bolla derogatoria all'antiche leggi
pontificie pei la creaziooedel nuovoSom-
mo Pontefice, colla possibile maggior sol-
lecitudine ; essa comincia colle parole:
Allvnlis pcculiaribus, ut deplorahilius
Ecclesiae circumslantiis. La risoluzione
del sagro collegio de'cardinali di tenere il
conclave in Veuezia, dopo matura pon-
derazione e carteggio, piuttosto che in
Roma o in altra città dello slato ponti-
ficio, allora liberato dalle armi francesi,
fu perchè ricuperato di fresco dagli au-
striaci e da'napoletani, non poteva pre-
sentare quella piena tranquillità ^e sicu-
rezza, di cui abbisogna la gravissima a-
zione, anco pegli eventi della guerra che
da un giorno all'altro potevano insorgere.
D'altronde Venezia, siccome quella che
VEN
per la sua condizione pacifica e maritti-
ma, e per la rettitudine del suo governo,
più. quieta e più acconcia di qualunque al-
tra in que' difficili tempi al grande rito si
dimostra va, saviamente fu scelta, ed il car-
dinal Albani decano del s. collegio a nome
di questo ne die' parte a tutti i sovrani
della cristianità.Edecco dunque Venezia,
per divina disposizione, diventare l' av-
venturoso luogo,ove doveasi far cessare la
Sede apostolica vacante) il che sospira-
to da tutto il cattolico mondo, gli occhi
tutti di questo a lei si rivolsero (nel voi.
XXVII, p. 1 14, ricordai alcune lellere
da'sovrani dirette al sagro collegio), ed in
tal modo a'tanli suoi antichi vanti polè
aggiungere anche questo, glorioso e me-
morando. Tutto narrai negl'indicati ar-
ticoli, ed in quelli pure che ricorderò iu
corsivo,persinole particolarità che accom-
pagnarono l'avvenimento lietissimo, ciò
che abbreviando notabilmente il mio di-
re, racconterò il più notevole, ed in ispe-
cie quanto riguarda Venezia, che ne re-
stò illustrata. Pertanto il sagro collegio,
ottenuto l'assenso dall'imperatore Fran-
cesco II, anzi come meglio altri vogliono
egli stesso offrì al senato apostolico Vene-
zia per adunarsi in conclave, destinando-
gli a tale effetto l'ampio e decoroso mo-
nastero di s. Giorgio Maggiore in isola,
di cui nel § XVUI, n. 1. L'animo reli-
gioso dell'augusto sire, a sue spese ri-
dusse il cenobio de' benedettini cassinesi
colle consuete Celle, in numero di 4°, e
diviso al modo descritto in quell'artico-
lo. La libreria fu ridotta a chiesa inter-
na per la celebrazione delle messe e pie
funzioni, ed il coro domestico de'monaci
servì per cappella degli scrutimi quotidia-
ni. Vi fu pure preparato un decoroso ap-
partamento per abitazione del nuovo Pa-
pa, nel tempoche sarebbe rimasto in Ve-
nezia. E primieramente i cardinali cele-
brarono i funerali novendiali nella chie-
sa patriarcale di s. Pietro di Castello, che
durarono da' i3 (nel voi. LUI per fallo
numerico è detto 2 3) a'2 1 ottobre f 799,
VEN
pe' quali il prelato Despuig patriarca di
Antiochia, poi cardinale, ministro del re
di Spagna al conclave,som ministrò 3,ooo
scudi. Venezia, benché avvezza alle com-
parse di magnificenza e di pompa, ebbe
a stupire dello spettacolo, affatto nuovo
per lei, di quelle funebri ceremonie, mae-
stose e imponenti per l'assistenza di tan-
ti cardinali, di patriarchi, di arcivescovi,
di vescovi e altri prelati. La basilica pa-
triarcale di s. Pietro di Castello apparve
trasformata per l'insolito apparato, che
pur le accresceva magnificenza e splen-
dore, in mezzo al lutto, che da ogni parte
spirava. In tutti i giorni de'novendiali i
cardinali si radunarono nelle camere del
patriarca, per le Congregazioni gene-
rali, che si tengono da tutti i cardinali
avanti di entrare in Conclave ;dopo aver
uno di loro pontificato nella gran messa,
ed altri 4 di essi fatte col celebrante le so-
lenni assoluzioni. L'orazione funebre fu
pronunziata dall' arcivescovo di Nisibi
mg.1 Cesare Brancadoro, poi cardinale, e
fu pubblica la da A. Zatta in Venezia, anco
con traduzione italiana, col titolo riferito
uel voi. LUI, p. i io, insieme alle iscrizioni
diM.Boni,edaglielogidiG.Marinoviche
L. Lanzi. Abbiamo lastessa, Traduiteen
francais aver des notes historiques par
m.* Vabbé d' Auribeaiiy A Venise 1800.
Ed ancora tradotta in inglese, in tedesco,
in ispagnuolo, ed in italiano dall'ab. Pal-
mario Canna con traduzione altresì del-
l'elogio del Marinovich, e giunte interes-
santi, Parma e Rimini 1800. Nel luogo
citato riportai pure i titoli del Diario de1
Novendiali, per F. Andreola; della Re-
lazione delle funzioni, per G. A. Curii;
del Funus adornatimi j del Parentali-
bus Pii V, per A. Zatta; il tutto stampa-
to a Venezia nel 1 799. Tosto Venezia of-
frì lo spettacolo della riunione di buona
parte della corte e curia romana, accor-
rendovi , oltre i cardinali, molti vescovi,
moltissimi prelati, dignitari e uffiziali del-
la s. Sede, inclusivamente al Senatore di
Roma il veneto d. Abbondio Rezzonico,
VEN 7
ed al Maresciallo del conclave principe
d. Agostino Chigi, e vi esercitò il suo o-
norifico uffizio di custode del conclave,
alle cui ruote furono deputati vescovi e
prelati, restando per la guardia a dispo-
sizione de'sagri elettori le milizie austria-
che. Disposte tutte le cose, fu fatto segreta •
rio del conclave mg.r Ercole Consalvi ro-
mano, oriundo di Toscanella, poi cele-
bratissimo cardinale segretario di stato. Il
patriarca di Venezia rag/ Giovanelli a' 1 1
novembre emanò una fervorosa lettera
pastorale a'suoidiocesani parrochi e retto-
ri delle chiese, che riferisce ilMutinelIi. Il
virtuoso prelato pieno d'esultanza per lo
straordinario avvenimento d'un conclave
a Venezia, gioia che animava pure ogni
ordinedi persone,esclama: Chi mai avreb
be pensato che il turbine, il quale da lun-
go tempo infuria contro la mistica navi-
cella, ed intento a rovesciar trono e alta-
re, avesse avuto a contribuire alla mag-
gior gloria e all'esaltamento della nostra
città?.... Saranno dunque i veneziani i
primi a conoscere e venerare il gran Sa-
cerdote? Quindi, come praticasi in Roma
nella sede vacante dal cardinal vicario,
caldamente esortò a fare pubbliche pre-
ci perchè lo Spirito Santo illuminasse a
fare una sollecita e felice elezione del tan-
to desiderato supremo Gerarca, ordinan-
do che in tutto il tempo del conclave o-
gni mattina il clero d'una parrocchia, u
na comunità religiosa, ed una confrater-
nita partendo dalla basilica di s. Marco,
si recassero processionalmente alla visita
della metropolitana di s. Pietro, cantan-
do le litanie de'Santi. Indi, come si fa in
Roma, dal Pinelli fu stampato 1' Orda
servandus in processionibus qnotidiefa-
cicndis tempore Sedis vacantis durante
Conclavi prò electione Stimmi Ponti ficis.
Ma non fu dato all'ottimo pastore la con-
solazione di vedere e venerare il nuovo
augusto Capo che Iddio poneva al gover-
no della sua Chiesa, poiché morte repenti -
nalotolseaU'amorede'veneziania'fo gen-
naio 1 80 o, rattristando pure il sagro sena*
8 VEN
to che ne ammirava l'eccellenti virtù. Do-
1 enti i cardinali di non poter dare perso-
nalmente all' illustre defunto, per esser
chiusi in conclave, come vado a dire, una
pubblica testimonianza di loro distinta
estimazione, ordinarono con inaudito e-
sempio solenni esequie al pianto patriar-
ca in loro nome e spese, ingiungendo a
mezzo di dispacciodi mg." Consalvi, e tan-
to onorevole pel pati iaica, a mg.' Gallerai!
Scotti arci vescovo di Sida e ultimo nunzio
presso la repubblica di Venezia, di farle
eseguire e con invilo a intervenirvi di tut-
ti i vescovi e prelati che trovavansi allo-
ra in Venezia, nella chiesa di s. Francesco
della Vigna, a' 1 9 febbraio, con alla testa
mg/ Despuig patriarca d'Antiochia, ap-
positamente invitato con altro simile bi-
glietto, a solenne dimostrazione di duolo,
di alletto, di riconoscenza, di venerazio-
ne del medesimo sagro collegio. Sulla
porta della chiesa ieggevasi l' iscrizione,
composta da mg.r Marotti segretario del-
ie lettere latine del Papa defunto (riferi-
ta dal Mulinelli, in uno al dispaccio e al
biglietto), in cui fra le altre cose è detto:
S. R. E. Cardinales - Creandi Pont.
Max. causa - Venetiis congregati - Ad
significationem acerbissimi doloris- Quo
morentes- F. 31. Ioannelii - Funere in-
dicto - Antistiti oplirno • De Ecclesia de
Collegio Apostolico - Opti/ne merito. Già
nel i.° dicembre 1799 i cardinali erano
entrali in conclave. Essendo indisposto il
decano cardinal Albani, nella chiesa di s.
Giorgio alla loro presenza celebrò la mes-
sa dello Spirilo Santo il p. ab. Soardi be-
nedettino cassinese, ed il veneto mg/ Gar-
dini vescovo di Crema camaldolese reci-
tò 1' orazione De eligendo Ponti/ice) poi
stampata a Venezia, coH'iutitolazioue ri-
portala nel voi. LUI, p. 1 16. Per morte
di mg.' Pini, vi prestò assistenza il nuo-
vo prefetto de' maestri delle cci emonie
pontifìcie mg/ Gio. Domenico Pacini.
Quindi entrarono in conclave 34 cardi-
pali, dice il Novaes (e disse bene, perchè
il cardiual Heilzuu protettole dell'imiti*
VEN
10 e ministro di Francesco II presso la s«
Sede, vi fece il suo ingresso alcuni gior-
ni dopo, cioè a' 12 dicembre), o3ì se-
condo le note pubblicate dal cav. Artaud,
Storia di Pio PII, 1. 1 > p. £7, e dal cav.
Mulinelli (l'Artaud enumerò46cardina-
li viventi, percliè vi comprese l'arcivesco-
vodi Strigooia Bathyan, ina egli era mor-
to a'22 settembre 1799, come leggo nel-
le ufliciali Notizie di Roma del 1801 a
p. 27). Io nel voi. XXI, p. 238 (nume-
ro sbagliato nel voi. LUI, p. 116, nel ci-
tarlo, leggendosi 228), e più legalmente
essendomene confermato dagli atti stam-
pati del Papa, riprodussi l'identifica no-
ta de'cardinali allora viventi, servita nel
conclave di Venezia, dalla quale risulta
ch'erano 4/> in tutti, gli altri io non in-
tervenendo perchè impediti dadiverse cir-
costanze politichesi età, di salute,di lon-
tananza. Pretendeva di entrarvi Antici,
che avea rinunziato la Porpora, ma non
fu ammesso. Si trovarono dunque riuniti
in conclave i cardinali Albani decano,
York, A ntonelli, Valenti, CaratFa (già nun-
zio di Venezia), Zelada, Calcagnini, Mat-
tei, Archetti, Giuseppe Doria, Livizzaui,
Borgia, Caprara, Vincenti, Maury. Pi-
gnatlelli, Roverella, Somaglia , Antonio
Doria, Braschi (uipoledi Pio V), Carati-
diui, Flangini (veneziano, poi patriarca
patrio), Rinucciui,Honorati (già nunzio di
Venezia), Giovannetti camaldolese, Ger-
dil barnabita, Martioiana, Hertzau, Bel-
lisomi, Chiaramonti (vescovo d'Imola e
poi Papa, che già abbate cassinese, noti
trovando alloggio tra'suoi in s. Giorgio,
quando nell' ottobre giunse in Venezia
prima del conclave , abitò nel convento
de'ss. Gio. e Paolo), Lorenzaua , Busca,
Dugnani, Bussi de Preti», Buffo. JNon vo-
glio tacerei cognomi de' 10 cardinali, che
non si recarono al conclave di Venezia:
Sentmanat, Mendoza, Gallo, Roche fou-
cauld,Rohan,Laval-Monlmorency,Fran-
keberg, Migazzi, Rauuzzi, Ca pece-Zurlo.
Notò il Pistoiesi nella fila di Pio I J Ct
clip intuire j cardinali erano iu conclave,
V E N
mercè la vigilanza del governo, si scopri
Ita' iniqua congiura tramata dalla fami-
glia Ottolini, il cui capo era ex rappresen-
tante di Bergamo, subito dissipata con
tradurlo nel castello di s. Andrea. Altro
avvenimento funesto accadde nella notte
de'g gennaio 1800 nel pubblico palazzo
del collegio de'iuedici, che incenerì l'ar-
chivio e la vasta biblioteca, oltre tutte le
suppellettili, non rimanendovi che le mu-
ra. Nella biografia del Papa che vi fue-
letto, fra le cose che narrai come proce-
dettero gli eminenti elettori alla grande
opera, dopo il discorso del cardinal de-
cano, poi stampato in Venezia e Roma,
che rammentai pure nel voi. XG, p. 2 1,
solamente qui occorre far menzione, che
pel papato Bellisomi di Pavia per quasi
due mesi ebbe 22 voti, de'24 necessari ;
che Ma t tei non prevalse per essere tenuto
debole nel doversi domandare all'impera-
tore (il cui ministro cardinal Hertzan ne
promuoveva l'esaltazione) la restituzione
delle 3 legazioni che avea occupate, e per
altro; che il dottissimo Gerdilebbe l'e-
scIumwa (di questa ne riparlai a Sagro
Collegio) dal Cardinalellertzan in nome
dell'imperatore; che stava per effettuarsi
l'elezione del Bellisomi, quando l'Hertzan
fece osservare inoppoitunameute e con-
tro affatto la libertà dell'elezione del Vi-
cario di Cristo, che il conclave trovan-
dosi in una città dell'imperatore, sarebbe
conveniente fargliene prima conoscere la
scelta, per un corriere , anco per essere
nato suo suddito; che trascorso un mese
senza risposta, gli animi raffreddatisi, an-
co per la lunghezza della sede vacante
in tempi così difficili, rivolsero i loro vo-
li al cardinal Chiaramonti, e la sera de'
12 marzo 1800 tutti furono d'accordo a
suo favore, colla condizione che l'atto si
etfeltuasse la mattina de'i4> benché l'e-
lezione conclusa si sparse per Venezia nel
dì precedente. Nel riferirne il modo, ri-
portai l'asserto dall'egregio diplomatico e
storico (che anco e più solennemente do-
no multo ulfeliuo&aiucule celebrai nel
VE N 9
voi. LXVII , p. 179) cav. Aitaud , ma.
il rettificai con un'autorità più legale*
mg.* Baldassari testimonio di vista e di
udito, e col da lui riportato nella coscien-
ziosa opera: Relazione delle avversità e
patimenti del glorioso Papa Pio Sesto,
t. 2, p. 4o5 e seg. , 2/ edizione. Impa-
ro anche dal cav. Mutinelli, che il mo-
tivo di differire al 1 4- l'elezione convenu-
ta del Chiaramonti, derivò da un delica-
to riguardo alla memoria di mg/ Gio-
vanetti e al rispettabile clero e insigne
città di Venezia, i quali nella mattina del
i3 compivano la celebrazione dell'ulti-
mo funerale a tale loro degno pastore
nella cattedrale, a cui prestarono assi-
stenza le civiche autorità in luogo del do-
ge e della signoria, che intervenivano a*
funerali de'patriarchi. Finalmente, nella
detta mattina de' i4"iarzo 1800, nello
scrutinio unanimemente i cardinali eles-
sero Papa il cardinale Chiaramonti, che
assunseil nome di Pio Ffl,\a cui biogra-
fia va tenuta presente nel principio, per-
chè si rannoda con questa narrazione e
per supplire alle cose che qui non ricor-
do; come de'reali personaggi che trovan-
dosi in Venezia recarono a venerare il
Pontefice. Piesa lai." ubbidienza di ado-
razione a Pio VII, il incardinai diaco-
no Antonio Doria, circa un'ora avanti
mezzodì, dal verone sovrastante la porta
principale del monastero di s. Giorgia
Maggiore, corrispoudente alla piazzuola
dell'isola, annunziò il nome del novelloPa-
store universale, alla moltitudine vene-
ziana e forestiera che 1' attendeva, tutti
prorompendo con replicati applausi, suo-
nando tosto a festa le campane di tutte
le chiese della città, e le molte navi in se-
gno di gioia spararono le loro artiglie-
rie , quasi i cannoni col fragoroso loro
rimbombo volessero comunicare l'annun-
cio lietissimo anche a' lontani, del subli-
me atto ch'erasi compiuto in Venezia ne-
gli inizii del nuovo XIX secolo (nell'usa-
re questo comune modo di dire, io noti
debbo occultare, che si disputò, &e l'au-
io VEN
noi 700 ern l'ultimo del secolo XVII o
il primo del XVIII, come rilevasi da* 3
opuscoli riferiti nella Biblioteca volante
del Cinelli, t-4, p.168. Nel principio del
corrente secolo si rinnovarono tali que-
stioni , ed in Venezia si pubblicarono i
due opuscoli: Quando compiasi il seco-
lo XP '111 \ed abbia principio il XIX? A
cui fu risposto coll'altro: A aitai secolo
appartenga l'anno 1800). Il Papa scris-
se da Venezia alla sua famiglia Chiara-
monti, quella lettera di edificante mode-
razione cbe riportai in quell'articolo, par-
tecipandole la sua esaltazione. A Roma
ne portò la faustissima notizia un corrie-
re, vi giunse a' 18, e subito l'universale
entusiasmo fu solennizzato in più modi,
ed i romani immantinente inviarono a
Venezia una principesca deputazione, per
umiliare al padre e sovrano gli omaggi
di amore riverente e di fedele sudditan-
za, porgendo fervorose istanze a presto
consolarli di sua venerata presenza. Le
altre città dello stato papale a gara ne
imitarono l'esempio. Ed ecco un accor-
rere a Venezia di genti d' ogni condizio-
ne, per ossequiare il padre comune de*
fedeli , e riportarne il religioso conforto
di sua benedizione. Ed ora mi si presen-
ta' quel tesoro di erudizione , che sarà
sempre, Francesco Cancellieri, il quale
nella magnifica Storia de* possessi de*
Pontefici, nel descrivere quello di Pio
VII, fa precedere il suo racconto dal dia-
rio particolareggiato di quanto il Papa
fece nel suo soggiorno a Venezia e nel
suo viaggio per recarsi a Roma, non che
il suo fausto ingresso in questa, essendo-
si servito nella compilazione anche del
pubblicato da' Diari di Roma. Non è
possibile compendiarlojdovendo tener pu-
re presente il cav. Mutinelli, l'ab. Bello-
mo, Continuazione della Storia del Cri-
stianesimo (cioè il proseguimento del l'ab.
Placido Bordoni, anteriore continuatore
dal 1 721 a'i3 marzo 1800), e altre ope-
re, e più di tutto l'inesorabile brevità.
Comiuciaa celebrare l'applaudilissima e-
V EN
lezione , e per salire alla sorgente di sì
gran bene, trasportandosi spettatore sul-
I l'avventurate rive della regina dell' A
driatico,a cui la nostra Roma giustamen-
te gelosa del suo gran privilegio, con una
santa invidia potè allora ridi re con s. Pier
Damiani, Semi. 16, t. 2: Gamie igitur,
etexultansin Domino plaude _, Urbs Ve-
ncta, quia dum in tuo gremio Virum A-
postolicae grati ae suscepisti , et ipsa
auodammodo Sedes Apostolica fieri me-
ntisti. Riporta poi i vari opuscoli stam-
pati a Venezia prima e dopo quest'avve-
nimento, sul cereraoniale del conclave,
sul metodo che si pratica nell'elezione e
coronazione del Papa , e sulla condotta
della Chiesa nell'elezione del Capo visi-
bile. Indi passa a descrivere le ceremonie
che si fanno appena compita la canonica
elezione del Papa, lai.* e 2.a ubbidien-
za d' adorazione, nel la cappella dello
scrutinio del concia ve, e quindi dopo aver
visitato il ss. Sagramento nell'altra cap-
pella del conclave, nel pomeriggio di-
scese a ricevere la 3.a nella chiesa di
s. Giorgio, vagamente apparata e piena
di nobiltà di ogni rango e di popolo, in-
cedendovi il Papa in sedia gestatoria,
preceduto dalla Croce papale , dopo la
quale il cardinal decano intuonò il Te
Deum. Terminata la funzione si restituì
il Papa al suo appartamento, proceden-
do innanzi la Croce d'argento dorato in
asta, di solido e nobile lavoro, dono del
nobile veneto GiacomoGiustiniani (il Pa-
pa ricevè pure il donativo fatto in tempo
del conclave dal veneto Alcaini vescovo
di Belluno, della mitra preziosa pel fu-
turo Pontefice, come notai nel volume
LXXXI, p. 60), trovando in faccia allo
scalone del monastero la lapide che ri-
porta Cancellieri, fatta scolpire dall'abba-
te e monastica famiglia a memoria del-
l'avvenimento, composta dall'ab. Mauro
Boni. Sulla piazza del tempio furono e-
rette due magnifiche orchestre, ove i più
scelti professori di musica istrumentale
eseguirono bellissime sinfonie nella sera,
VEN
In cui si vide superbamente illuminata la
facciata e la cupola del sagro edifizio, non
che il monastero e tutta l'isola. Il duca-
le palazzo era illuminato a torcie , altre
illuminazioni per la città fecero varie ca-
se distinte, massime i monaci benedetti-
ni camaldolesi di s. Michele di Murano.
Nella mattina de' 1 8 il tenente marescial-
lo comandante di Venezia barone Man-
frault, con tutto il corpo dell' ufficiali là
austriaca, recossi dal Papa a tributargli i
suoi ossequi , e nel dì seguente fece al-
trettanto la r. congregazione delegata. Di-
poi il Papa rimise al Manfrault un anello
di zaffiro contornato di brillanti, iu atte-
stato di sua soddisfazione e gradimento
per l'assistenza prestatagli in varie pon-
tifìcie fuuzioni; pregandolo di rimettere
per la slessa ragione altro anello con ba-
iaselo, con egual contorno, al maggiore
della piazza di Venezia sotto il di lui co-
mando. Nel biglietto col quale accompa-
gnò il donativo al Manfrault, gli signifi-
cò, che nell'impossibilità delle circostan-
ze di fargli una dimostrazione convenien-
te , suppliva per lui il vescovo d' Imola
(chiesa che avea ritenuto, mentre l'anel-
lo era quello che avea usato sino all'as-
sunzione del pontificalo nel governo di
quel vescovato) , ed essere tuttavia per-
suaso, che il dono gli riuscirebbe gradi-
to, non per l' intrinseco pregio, ma pel
cuore del donatore, e per la mano che
glielo presentava. A'2 1 marzo, festa di s.
Benedetto, dichiarata per quell' anno di
precetto, perchè ognuno si unisse a pre-
gare il Datore d'ogni bene per la felicità
del Papa, in s. Giorgio si celebrò l'augu-
sta funzione della solenne coronazione ',
annunziata dal suono giulivo de' sagri
bronzi , cui faceva eco il fragore del-
l'artiglierie tonanti dalla Piazzetta, dalle
cannoniere e da'bastimenti. Pio VII ve-
stito degli abiti pontificali, in sedia gesta-
toria, preceduto e accompagnato dalla so-
lita processione, si recò nel tempio mae-
stosamente addobbato, stipato dalla no-
biltà e dal popolo, ricevuto da'oionaci cas-
VEN 11
sinesi, sul principio di esso ascese al tro-
no per ascoltare l'orazione dal cardinal
York in nome del capitolo Vaticano, quat
suo arciprete, dopo la quale adoralo il ss.
Sagramento, rimontato sulla sedia gesta-
toria passò all'altro tronoeretto nella cap-
pella di s. Stefano. Ricevuta l'ubbidien-
za da' cardinali, patriarchi , arcivescovi,
vescovi e altri prelati, questi indi assun-
sero i loro sagri abiti. Dopo di che, asce-
so il Papa in sedia gestatoria, nell' esser
condolto all'altare maggiore, ebbe luogo
la ceremonia della triplice combustione
della stoppa.) e poscia disceso dalla sedia,
andò a collocarsi sul principale trono, ove
intuonata l'ora di terza, si vesti degli a-
biti m issali, ricevè il sagro pallio, e co-
minciò la celebrazione della solenne mes-
sa, nella quale fecero le veci del suddia-
cono e diacono greci due monaci arme-
ni M Militaristi di s. Lazzaro (essi suppli-
rono a'greci, poiché in questa occasione
il clero greco dimorante in Venezia si
manifestòapertamente scismatico, con ri-
fiutarsi dall'assistere al pontificale e dal
cantarvi V Epistola e il Vangelo nel lo-
ro idioma). Prestò assistenza al trono il
senatore di Roma Rezzonico, perciò di-
chiaralo Principe assistente al soglio.
A'monaci benedettini del monastero, in
luogo apposito, fu concesso assistere al
pontificale. Terminati tutti i sagri riti,
Pio VII in sedia gestatoria restituitosi
per la grande scala, tulta ornata, nel mo-
nastero, coll'accompagnameuto della pro-
cessione, si recò alla loggia espressamen-
te preparata e rispondente alla piazzuo-
la dell' isola, dove dopo il canto delle
prescritte preci fu solennemente corona-
to del pontificale triregno dal suddetto
cardinal Antonio Doria i.° diacono. Per
ultimo, recitata dal Papa la consueta o-
razione, con affetto di padre, principe e
pastore.diede l'apostolica benedizione,ac-
compagnata dallo sparo dell'artiglierie,
dal suono festevole delle campane, e da-
gl' incessanti applausi dell'esultante nu-
meroso popolo, ch'erasi portato nell'iso*
12 YEN
ii per riceverla e per aiutili tare i a mae-
stosa funzione. Immediatamente fu pub-
blicata l'indulgenza plenaria da'due car-
dinali diaconi, in latino e in italiano, e
di nuovo il Papa benedisse con benigni-
tà la moltitudine. Ritornalo nella stanza
de'paramenli, ricevè a mezzo del cardi-
nal sotto decano York, le congratulazio-
ni e felicitazioni del sagro collegio , ad
tnultos annosj cui rispose il Papa colle
più soavi e nobili espressioni. E quindi
si restituì alle sue camere. Sulla porta
della chiesa si leggeva l'iscrizione, ripro-
dotta da Cancellieri. Lo straordinario con-
corso del clero e della nobiltà] sì veneta
e sì straniera, dell' udìzialità austriaca e
d'ogni ordine di persone, contribuirono
a decorare il complesso dell'accennate im-
ponenti funzioui. Uu prodigioso numero
di gondole, peote, battelli e barche d'o-
gni genere avea formato del gran cana-
le, su cui sta posta l'isola di s. Giorgio,
un vasto e mirabile terrapieno. Gran par-
te della città era addobbata con ricchi
damaschi alle finestre, e su la sera la gran
Piazza e la Piazzetta di s. Marco, come
pure la maggior parte de'pubblici edili-
zi, de'palazzi e delle case furono illumi-
nati a torcie, e tutti i campanili a fiac-
cole e fanali. Fra tutti però si distinsero
i monaci di s. Giorgio, nell'illuminazio-
ne della facciata, della cupola e del mo-
nastero, e i parrocchiani di s. Maria For-
mosa.La mai ina seminata di navigli sem-
brava che divampasse, tutti rischiarati
dagli accesi fanali e iu vaga mostra dispo-
feti. Brillante dunque fu la luminaria. Ora
conviene far cenno delle cose più uiemo-
ìabili accadute in Venezia, uel tempo del-
la permanenza di Pio VII, ma torno a
protestare appena dovrò rapidamente in-
dicai le, potendosi vedere circostanziale
nel laudato sommo erudito. Fmchè visi
trattenne, furono continui gli alti di os-
sequio, che gli si resero da molti distinti
personaggi (in buona parte registrati qu-
elle dal cav. Mulinelli), e da varie citlà e
coi pi ecclesiastici e citili d'Italia, o peuo-
VEN
natmenteo pe'loro deputati, innumerabili
le lettere di profonda venerazione e di gra-
tuluzioneindirizzatea Venezia a Pio VII
dà monarchi e da personaggi, a da ogni
grado di persone, da ogni dove provenien-
ti, quantunque uon ancora reintegrato
de'suoi domimi temporali. Venezia si vi-
de trasformata in una Uotua nel lun«o
D
soggiorno del «agro collegio e del Sommo
Pontefice, avvertendo il Cancellieri che
mg.1 Anuibale Smith o Schmid si propo-
se di registrarne minutamente tulle le me-
morie, a cui era presente ((piale dapifero
del cardinal decano, ed era romano, be-
neficiato Valicano e fatto dal Papa pel l.°
cameriere d'onore; ma per quanto sia a
mia cognizione, uon si conosce per le.
slampe). A' 19 marzo avea il Papa gra-
ziosamente ricevuta tuttala prelatura al-
la sua 1 ." udienza e al bacio del piede; in-
di passato nella sala del concistoro , po-
stosi sotto al trono, fu introdotta all'u-
dienza la nobile congregazione delegata
della città , tutti nominati dai già nun-
zio mg.r GalleratifScotli, poi suo maestro
di camera, e Pio VII rivolse loro un bre-
ve e acconcio discorso. Nella sera de'2 5
nel nobile casiuo a s. Cassiano, le dame
di esso diedero una brillatile accademia
in musica per solennizzare l'acclamata e-
lezione del nuovo Ptvpa, la quale^forme-
rà sempre epoca d'imperituro lustro per
Venezia. Nella seguente mattina 26 mar-
zo nella chiesa de'tuouaci benedettini del-
la congregazione camaldolese di s. Miche-
le di Murano iti isola, il cardinal Giovati-
meli di quell' ordine e arcivescovo di Bo-
logna cantò solennemente la messa, e poi
iutuonò il Te Deum, il tutto accompa-
gnato da scella e numerosa musica, in
ringraziamenlo a Dio della seguita fau-
stissima elezionedel supremoPastore,col-
l'assistenza di 3 pp. abbati mitrati del mo-
nastero medesimo. La decorosa funzione
fuonorata dalla presenza de'cardinali So-
maglia, Antonio Doria e Braschi protet-
tore di tutto l'ordine camaldolese; oltre
ua gran concorso di prelati e uobilù
1
VEN
tanfo veneta che forestiera. Per tale cir-
costanza la chiesa era slata vagamente
apparata, e sulla porta maggioreeravi in-
nalzata l'iscrizione, che offre Cancellieri.
Tale giorno si rese più giocondo pe' ca-
maldolesi , quando dopo le ore 22 Pio
VII volle segnalare la i.a sua uscita dal'
la papale residenza di s. Giorgio per re-
carsi in gondola a visitare la chiesa e il ce-
lebre monastero di s. Michele di Mura-
no, ricevuto alla riva dal p. abbate (a cui
poi confermò il privilegio d'usare il ber-
reltino ecclesiastico e il rocchetto con le
maniche, il che notai nel voi. LV1II , p.
78), da'monaci e da immenso popolo giu-
bilante. Il Papa accompagnato dalla sua
corte entrò in chiesa, orò avanti il ss.*Sa-
gramento e all'altare maggiore/indi si tra-
sferì nel monasteroe nella superba libreria
ornata allora a foggia di sala accademica.
Passò poi negli appartamenti del cardinal
Giovannetti,ove si riunirono vari cardina-
li e prelati, e con affettuosa degnazione am-
mise al bacio del piede tutta la religiosa
comunità e diverse persone accorsevi per
venerarlo. Indi parti lasciando i monaci
pieni di gioia per sì paterna onorificenza
e distinzione, i quali ad esternare mag-
giormeute i sentimenti da cui furono
compresi pel segnalalo favore, il p. abba-
te e i monaci composero quell'estempo-
ranea iscrizione che esibisce Cancellieri,
ed in cui giustamente si rimarcò: Quod
lociim isiàm ab ej'us inaugura Lione, Pri-
mo majeslate implevit et henignissime.
La sera l'esterno della chiesa, della cap-
pella Emiliana, o tempietto, e del mona-
stero fu magnificamente illuminato, eoa
l'interno del cenobio, e nella famosa bi-
blioteca, che celebrai nel § XVM,n.i8,
si tenne una brillante accademia di mu«
sica vocale e istrumentale, la quale fu o-
norala da vari cardinali e prelati e da
molte persone di rango. Nel seguente gior-
no il Papa si trasferì improvvisamente
col suo seguito a s. .Nicolò al Lido. Nel-
la mattina appresso de'28, Pio VII ten-
ue il r .° Concistoro, al quale iutervenne-
VEN i3
ro 32 cardinali, cioè nella sala che avea
servito per cappella durante il conclave,
nel quale concistoro dopo Y extra omncs
lesse l'eloquente e umile allocuzione» Ad
Supremum Ecclesìae regimen) presso il
Bull. Boni. coni, t.i i,p. 1, ed in italia-
no nel Mulinelli. Con essa Pio VII di-
chiarò con apostolica facondia, per vole-
re di Dio averlo i cardinali, in tempi co-
sì turbolenti e gravi, il più indegno di
tutti, scelto però fra'più deboli, appunto
servendosi Dio di Ioli consigli nel soste-
nere la sua Chiesa per confondere la su-
perbia de'forti.» Or se un Pietro pesca-
torce pochi Apostoli chiamati ad illumi-
nare gli uomini dalla oscurità della Ga-
lilea, furono valevoli a far cose grandi,
non sembrerà perciò meraviglia, se Noi
pure da quest'isola, che, per ammirabile
divina provvidenza, e per benefìcio di Ce-
sare (da cui nulla vi è che sperar non dob-
biamo per la difesa e per il decoro della
Chiesa), ci offerse un asilo, se da un mo-
nastero di quell'ordine dalle cui santis-
sime leggiNoi fummo ammaestrati, chia-
mati siamo al governo della Chiesa, af-
finchè quanto è più grande la piccolezza
Nostra, tanto maggiormente conoscasi
esser ella non da Noi, ma da Iddio go-
verna la. Reggerà dunque Dio la sua Chie-
sa, e Noi al divino aiuto appoggiati, ed
a 'consigli vostri, venerabili fratelli, cori
tutto lo studio e con tutta la fede ci sfor-
zeremo a praticare e ad eseguire quan-
to dobbiamo. Preghiamo dunque Dio,
che ci assista nell'incominciamento del
governo Nostro, e che faccia sì colla vii.-,
tu sua, che quanto è a tutti più manife-
sta la debolezza Nostra, tanto più chia-
raroentenel reggimentodellaChiesa l'am-
mirabilesua Divinità facciasi manifesta".
Indi reso pubblico il concistoro, ed am-
messavi la prelatura, e molta nobiltà e-
stera e nazionale,il Papa impose il cap-
pello cardinalizio al cardinal Martinia-
na , e la sera glielo mandò per mezzo di
mg.r Ginnasi cameriere segreto e guar-
daroba. A/29 recossi Pio VII alla Certo-
i4 VEN
sa, ove ammise al bacio del picele la mo-
nastica famiglia, diverse darne forestiere
e venete, e fra queste la sorella e la figlia
delcardinalFIangini.Nel dì seguente giun-
se in Venezia l'arciducliessa Marianna Fer-
dinanda d'Austria badessa del capitolo di
s. Giorgio di Praga e sorella dell' impe-
ratore, e nella mattina de'3 i si portò dal
Papa, il quale rincontrò nelP aprirsi la
bussola di sua camera, e prostratasi ba-
ciò il piede, quantunque il Papa volesse
impedirlo. Trattenuta benignamentepiù
d'un'ora, passò poi a visitare il decano
cardinal Albani. Nella mattina del Ca-
prile Pio VII si servi per la l." volta deb
le 3 gondole di gala, già appartenenti al-
la nunziatura apostolica, nel trasferirsi al
monastero delle monache di s. Lorenzo
ove abitava l'arciduchessa Marianna, con
treno semipubblico. Precedeva una del-
le gondole dorate, in cui vi era al di fuo-
ri la Croce pontificia, e dentro il crocife-
ro con alcuni camerieri segreti. Indi se-
guiva la 2.a gondola parimenti dorata co-
gli stemmi pontificii, in cui trovavàsiSua
Santità co' prelati maggiordomo e mae-
stro di camera. La 3.a gondola poi con-
teneva mg.1 ceremoniere e alcuni came-
rieri di spada e cappa. Indi venivano al-
tre gondole del seguito della corte papa-
le. Tutte le strade che corrispondono a*
canali , pe' quali passava il Papa, erano
affollate di popolo. Alla porta fu ricevu-
to dalle monache genuflesse in due ale,
indi incontrato dall'arciduchessa, che con
trasporto di divozione gli baciò il piede
in ginocchio, sebbeue il Beatissimo Pa-
dre cercasse di sollevarla. Si trattenne lun-
gamente nel suo appartamento, e poi in
addobbato salone, in trono die'a baciar il
piede alle monache, alle nobili educan-
de e alle converse. Disceso nella cappel-
la contigua alla chiesa, iu altro trono am-
mise al detto bacio i cappellani e man-
sionari, e molle persone de'due sessi. In
ultimo si recò nella chiesa a venerare il
ss. Sagramento,epoisirestituia s. Gior-
gio. Nella mattina de' 2 ivi tenue couci-
VEN
storo segreto., in cui chiuse e apri la boc-
ca al cardinal Martiniana, e gli conferì
il titolo cardinalizio e gl'impose P anel-
lo; trasferì dall'ordine diaconale al pre-
sbiterale il cardinal Frangiai, e gli asse-
gnò per titolo la chiesa di s. Marco di
Roma (nel seguente anno, per nomina
dell'imperatore, lo dichiarò patriarca di
sua patria Venezia); e preconizzò vari
vescovi, provvedendo diverse chiese con
essi. A'3 il Sauto Padre ricevè in forma
pubblica tutto l'imperiai governo gene-
rale di Venezia, ammettendone gl'indi-
vidui a baciar il piede. Indi il presiden-
te nobile Zen fece un elegante, rispetto-
so e commovente discorso, cui il Papa
rispose con affettuose e significanti espres-
sioni. Poi furono introdotti con formali-
tà i nobili componenti il r. tribunale re-
visorio, e il presidente nobile Priuli pro-
nunziò faconda orazione, corrisposto be-
nignamente. Nel pomeriggio il Papa tor-
nò alla Certosa, ricevuto con sommo giu-
bilo. Nella seguente mattina Parciduch.es-
sa Marianna si recò privatamente dal Pa-
pa, enei partire fu accompagnata dalla
famiglia pontificia fino alla gondola. Nel
dì 5 numeroso fu il concorso di distinti
soggetti all' isola di s. Giorgio per esser
ammessi al bacio del pontificio piede e
ricevere l'apostolica benedizione; e peli.0
il r. tribunal d'appello, dal cui nobile pre-
sidente fu recitato un assai ben inteso di-
scorso, indi il r. tribunal criminale, e per
ultimo quello r. di prima istanza. Inol-
tre il Papa accolse i deputati d' Udine
conte Antonio Bartolini, coutePietro An-
drea Mattioli e nobile Antonio M.a Bel-
lori! , i quali riscossero dal Santo Padre
le più significanti dimostrazioni di gradi-
mento, e di paterna predilezione verso la
loro città. Successe in appresso il r. tri-
bunal mercantile, come pure il rispetta-
bile corpo de* »iobili cavalieri di Malta,
ed i deputati della città di Conegliano,
oltre molti altri chequotidianamente pre-
senta vansi a tributar l'omaggio di loro
religione ed ossequio, Nello stesso gior-
YEN
no il Papa visitò la chiesa di s. Giobbe.
La mattina de' 6 ammise alia sua pre-
senza i maestri delle pubbliche scuole,
dette de'gesuiti. Nel di seguente si pre-
sentarono i nobili componenti il r. tribu-
nal sommario definitivo, i nobili deputa-
ti di Macerata e di Viterbo, e del capito-
lo di Torcello, tutti trattali colla solita
cortese e consolante maniera. A'9 l'arci-
duchessa Marianna, colle consuete rive-
renti dimostrazioni si congedò dal Papa,
e partì per Padova. II Beatissimo Padre
appagò la divozione de'fedeli, assistendo
pontificalmente alle commoventi funzio-
ni dei giovedì e venerdì sauto nella pa-
triarcale di s. Pietro: nel giovedì celebrò
la messa il cardinal Archetti e nel vener-
dì fece la funzione il cardinal Roverella.
Decorarono le sagre funzioni, oltre 25
cardinali e prelati, gran uobiltà romana,
veneta ed estera, che d'ogni parte affluiva
continuamente a Venezia, per venerare
Pio Vii e ammirarne l'amabili qualità,
che duvauo risalto alla sublime dignità.
Inteneriti tutti, quando uel giovedì santo
il Papa, dopo aver portato processionai-
mente il ss.Sagramenloal Sepolcro, nella
gran sala eseguì la Lavanda de piedi a
i3 poverelli; e quando nel venerdì santo
a piedi scalzi, imitato da'cardinali e pre-
lati, ed altri cospicui personaggi, si recò
all'adorazione della Croce. Sull'adiacen-
te piazza fu conservato il buon ordine
da numerosa soldatesca ex veneta, e in
chiesa dall'imperiale. Nella stessa patriar-
cale Ja mattina di Pasqua, il Papa ponti-
ficò la solenne messa coll'assistenza di 28
cardinali, di tutta la prelatura, di nobili
veneti e stranieri; dopo la quale passò
ad una gran loggia eretta appositamen-
te fuori del tempio a spese de' patrizi a
ciò deputati, doudecomparlìformalrnen-
te la benedizione papale all'immenso po-
polo, tutto compunto e giubilante di fé-
stoseacclamazioui. La 2." festa di Pasqua
Pio VII si portò alla chiesa delle bene-
dettine di s. Zaccaria, splendidamente ad-
dobbala, ricevuto dal cardinal Somaglia,
VEN i5
da alcuni prelati e da'6 nobili deputali
del monastero; venne salutalo all'ingres-
so dall'antifona: Ecce Sacerdos rnagnus,
accompagnala da scelta musica vocale e
istrumentale. Celebrò la messa, e ascol-
tò quella d'un cappellano segreto. Am-
messe in sagrestia al bacio del piede di-
verse dame, entrò nel monastero e fu ser-
vito col suo corteggio di squisito rinfre-
sco. Die' a baciar il piede alle monache,
e la badessa gli offrì una mappa di scel-
ti fiori fiuti, sovrastati da una rosa d'o-
ro con un brillante nel mezzo e col pie-
de della mappa pur d' oro in figura di
vasetto ben inciso, sul quale era l'arme
e la figura di s. Zaccaria in rilievo; il li-
bro superbamente legato delle Brevi no-
tizie della chiesa e monastero di s. Zac-
caria; ed un calice ben lavorato e ornalo
di pietre preziose, di cui fece poi uso il
Papa; che commosso di gradimento, con-
fortate la badessa e le monache con ac-
concie parole e la benedizione , dopo a-
ver ammirato l'elegante e prezioso archi-
vio riordinalo dal camaldolese p. ab. Na-
chi, parli fra'plausi della gente accorsa e
lo strepito di copiosi mastii. Nella malti •
na della 3.a festa di Pasqua, col solito no-
bile treno, Pio VII si recò alle benedetti-
ne di s. Lorenzo, ricevuto dal cardinal
Somaglia, da vari prelati e patrizi vene-
ti: celebrò la messa e indi assistè a quel-
la d'un cappellano segreto, essendo l'ap-
parato della chiesa elegante e decoroso,
così la musica. Indi passò alla contigua
chiesa di s. Sebastiano, ed ammise in ma-
gnifico trono a baciar il piede a moltis-
sime dame e distinte persone. Entrato nel
monastero fu trattato di lauto rinfresco,
in uno alla corte. Ricevè la badessa e le
monache al bacio del piede, e gradì da
quella una specie di palma di scelti fiori
fìnti legati con fittuccia d'oro e simile fioc-
co, colla dichiarazione d'essere un segno
anticipato dell'oblazione che si propone-
va fargli il monastero (a Venezia pure le
monache sono gentilissime : io ammiro
l'accorto e grazioso pensiero nell' offrire
i6 VEN
una rosa e una palma, onde sopperirò ■
quelle che il Papa non ovea potuto be-
nedire nelle corrispondenti funzioni, ri-
correnti nella 4a e nella 6.:' domenica
di Quaresima). A' 1 6 si condusse a s.
Maria delle Grazie in isola, ricevuto dal
nobile Caterino Corner (il quale poi do-
nò al Papa il suo palazzo, detto Cor-
ner della Regina, ora luogo ilei monte
eli pietà, per averlo alienato i beneme-
riti conti Cavanis, a' quali in seguito lo
die'Pio VII : tutto narrai nel§ Xll,n.i6),
dal Papa fatto suo cameriere segreto di
spada e cappa (e come tale lo trovo al se-
guito pontifìcio nell'andata e ritorno di
Pio VII a Padova, il quale distinguendo-
lo con particolare benevolenza ed adizio-
ne, e per quanto altro dirò poi, mosse il
Corner all'atto generoso; inoltre lo tro-
\o nel corteggio del Papa quaudo partì
da Venezia), e da'sacerdoli di quel mo-
nastero delle cappuccine. Orato in chiesa,
entrò nel claustro, ove ammise al bacio
«lei piede i nominati e le monache, lascian-
dole piene di spirituale consolazione, Nel
dì seguente si portò alla chiesa di s. Ci-
priano di Murano, e dopo pregato salì al
contiguo collegio de'somaschi, ove am-
mise con paterna bontà i religiosi, i no-
bili convittori e i seminaristi. Essendogli
presen itilo il p. m. fr. Pio Giuseppe Cad-
di già procuratore generale de'domenica-
ni, l'accolse con distinzione, lo confermò
■vicario generale dell'ordine de'predicato-
ri, la cui protettoria vacata per morte del
predecessore Pio VI, l'assunse egli. A'i8
recatosi al nobile monastero di s. Maria
delle Vergini, fu ricevuto da mg.r Galle-
rati-Scotti; fatte preghiere nella chiesa, ri-
cevute in sagrestia molte persone al bacio
del piede, altrettanto fece colle monache
e parecchie dame nel monastero. Nello
stesso giorno accolse ad eguale omaggia
e con distinzione il principe Carlo Fer-
dinando d'Artois duca di Berry (la cui
real vedova da vari anni soggiorna in Ve-
nezia nel proprio palazzo, come notai nel
§XlV,n.3),econ lui si trattenne in luo-
VEM
c;o segreto ragionamento: esso poi a' 20
partì per Palermo (il eh. Pistoiesi,/'//*/ di
Pio VJ[y di quanto vado descrivendo ne
dà distinta notizia: egli dunque dice che
il duca si presentò in Venezia, sotto il
nome di conte di Maillary). Il 19 si tra-
sferì all'isola di s. Clemente,visilò la chie-
sa, die'nel coro a baciare il piede agli e-
remiti camaldolesi, ed a molte altre perso-
ne,ed entrato nel chiostro, si fermò qual-
che tempo benignamente con alcuni reli-
giosi. Fu poi ossequiato a s. Giorgio dal-
l'arcivescovo di Milano, e da'vescovi di
Modena e di Rimini. Domenica 20 con-
dottosi nella chiesa de'ss. A postoli, iu cut
si celebrava pomposamente la festa titola-
re, fu ricevuto da' fratelli della scuola e
da'sacerdoti alla riva, e sulla porta del
tempio dal cardinal Vincenti. Ricevuta la
benedizione col ss.Sagrameuto dal cardi-
nal Somaglia,in sagrestia permise che gli
baciassero il piede il clero e i capi del so-
dalizio. Il 21 ricevè i deputati della so-
cietàdegli avvocati, del capitolo di s. Bar-
tolomeo, del Friuli, de' ma astri della dot-
trina cristiana; e nel pomeriggio audò al-
l'isola di s. Elena a orare nella chiesa de'
monaci Olivetani, a' quali die'poi il piede
a baciare. Nel dì seguente e nelle ore po-
meridiane all'improvviso recossi al sud-
detto palazzo del patrizio Caterino Cor-
ner alla Giudecca, ricevuto con ogni di-
mostrazione ossequiosa ; restò commosso
e sorpreso quel ragguardevole veneto di
tanta graziosa benignità, consolato in ve-
der visitata dal supremo Gerarca la sua
cappella domestica, da lui arricchita di
sagri ornamenti e insigni ss. Reliquie, e
confuso per sì segnalata onorificenza. Do-
po di ciò il Papa tornò nell'isola di s. Cle-
mente a fare orazione nella chiesa, e vi
sitare nel chiostro gli eremiti camaldole-
si. Restituitosi a s.Giorgio, concesse udien-
za a' canonici del ss. Salvatore ed a' cap-
puccini. A'23 festa di s. Giorgio martire,
secondando l' invito del p. abbate e de
monaci del monastero da lui abitato, calò
in chiesa a celebrare la messa all'altare
VEN
del glorioso Santo litolare, e ne ascoltò
altra ila un suo cappellano segreto; do-
po di che in sagrestia appagò le pie bra-
me delle dame, d'altre signore ed altri,
con far loro baciare il piede. Indi aggradi
un rinfresco della monastica comunità.
Nel pomeriggio tornò a visitare la chie-
sa, e si prestò poi a far baciare il piede
alle dame e altre persone accorse. Nel
dì seguente andò nel monastero delle
eremi te nella parrocchia de' ss. Gerva-
sio e Protasio, e dopo visitalo il ss. Sa-
gramento, permise alle monache che gli
baciassero il piede. Tornato alla sua re-
sidenza, concesse udienza a' filippini di
Venezia, ed a' deputati del capitolo di
Concordia. Altrettanto nel dì seguente
ottennero que'd'Asolo e del suo capitolo,
l'arcivescovo d' Udine, allora metropoli-
tano dell'Istria e Terraferma, ed i vesco-
vi di Lodi e Gubbio. A'26 visitata la chie-
sa di s. Giacomo alla Giudecca, de' ser-
viti, si trasferì in quella delle benedetti-
ne de'ss. Cosma e Damiano magnifica-
mente ornata. Entrato nel monasterocol-
l 'a rei vescovo di Milano e mg.r Gallerati-
Scotti, ne permise l'accesso a molte perso-
ne, che colle monache gli baciarono il pie-
de. La badessa gli fece presentare dalla più
giovane dell'educande una mappa rappre-
sentante un piccolo triregno, circondalo
da una ghirlanda di scelti fiori; ed una
cassettina con ricca pianeta di ganzo d'ar-
gento fiorato guernita d'oro, colla stola
e manipolo, amilto e camice con eleganti
merletti, e cingolo di seta con fiocchi d'o-
ro. I deputali lo servirono di nobile rin-
fresco. Nel pomeriggio de'28, visitata la
chiesa delle monache francescane del 9.
Sepolcro, l'altare col miracoloso simula-
cro di Gesù morto, e il sotterraneo ove si
custodiva, passò nell'adiacente monaste-
ro a rallegrare le monache colla sua be-
nedizione e concessione del bacio del pie-
de, e con visitarne due inferme: degnan-
dosi poi gustare un rinfresco. A'29 fu al
monastero delle teresiane, ricevuto alla
riva da mg.r Gullerali-Scolti. Oròdal co
voi. xeni.
VEN 17
retto corrispondente in chiesa, accolse al
bacio del piede le religiose e molte dame, e
fu presentato di rinfresco. Nel dì seguente
si condusse alla visita della chiesa di s. Bia-
gio alla Giudecca, bellamente ornata, e
venerò al suo altare il corpo della beata
Giuliana Collallo. Ammesse varie dame
in sagrestia al bacio del piede, altrettan-
to permise ad altre di esse nel monaste-
ro e alle benedettine, trovandolo illu-
minato e addobbato con pompa. Oltre
il rinfresco, gli fu offerta una magnifica
ed elegante mappa di fiori, con on libro
nobilmente legato, unitamente a un ca-
lice d'argento grandioso e fregiato di bel-
lissimi lavori dorati. Giovedì i.°maggio
andò nella chiesa di s. Anna, e nel mona-
stero lasciò che le monache e le dame gli
baciassero il piede, visitando l' inferme,
come soleva fare, tutte confortando colle
parole di padre e la benedizione di Pon-
tefice, il che sempre praticava. Di lì ri-
tornò alla Certosa, ed orato nella chiesa
s'intrattenne co'religiosi. Nella sera ac-
colse il vescovo di Lavant. A' 2 passò a
visitar la chiesa del Redentore, ricevuto
dal cardinal York, e nella sagrestia die'a
baciare il piede a'eappuccini, ed entrato
nel convento ne visitò i maiali. Nel dì
seguente portossi alla chiesa e monastero
di s. Chiara, appagandole pie brame del-
le agostiniane. Nelle ore pomeridiane del
4 fece ritorno alle monache di s. Zacca-
ria, orò nel coro ecomodamentegirò pel
monastero. Nel seguente lunedì festa di
s. Pio V, celebrandosi solennemente in
ss. Gio. e Paolo, vi si recò e venne rice-
vuto da'vescovi di Como e Luni-Sarzana
domenicani, dal vicario generale, dal p.
maestro del s. palazzo, dal p. segretario
dell'Indice e da tutta la comunità, a cui
eransi unite quelle degli altri domenica-
ni di Venezia. Celebrò la messa ali' al-
tare maggiore, ascoltò quella d'un cap-
pellano segreto, visitò la cappella del ss.
Rosario, i cui numerosi fratelli baciarono
gli il piede; onore che compartì in sagre-
. Oròdal co- stia a molte
(S&bflm&ivb WMA
dame e altre persone, e nel
18 v H R
convento (da lui ahitnlo ila1 12 ottobre
al i.° dicembre 1791), prima d'entrare in
conclave) a tutti i religiosi, dopo il rio-
fresco accettando un mazzo di fiori di seta
di1' più belli che si lavoravano a Vicenza,
coll'immagine in seta del Santo adorno
con merletto d'oro. Nel pomeriggio andò
dngli eremiti camaldolesi di s. Clemente
in isola. A'6 sapendosi che il Papa voleva
visitare s. Giovanni Nuovo, tutta la stra-
da fu vagamente ornata eie finestre con
ricchi drappi. Numerosa truppa avea al-
la testa il maggiore di piazza e il tenente
generale Manfrault. All' avvicinarsi del
Santo Padre, da'balconi si sparsero fiori,
e due fanciulli graziosamente vestiti fe-
cero ilsimile dinanzi la chiesa. Fra la ve-
nerazione e la gioia del numerosissimo
popolo, pervenuto alla chiesa, vi fu ri-
cevuto dal cardinal Giuseppe Doria, da
mg/ Gallerati-Scotti e altri prelati, dal
clero eda'nobili deputati. II cardinal Du-
gnani die'la benedizione col venerabile.
Riuscì di edificazione vedere il Sommo
Pontefice recarsi nella casa del parroco
perconsolare un benefattore della chiesa,
che ardendo del desiderio di baciare il
piede e esser benedetto,essendo infermo,
ivi si fece portare. Poscia ebbe luogo un
rinfresco. A '7 visitò la chiesa di s.Caterina
magnificamente decorata, ricevuto dal
clero eda'nobili deputati, fra'quali il con-
te Antonio Wid man fratello di suor M."
Eletta badessa del contiguo nobile e ma-
gnifico monastero, pur messo a festa. In
esso entrato, ammise benignamentetutte
le religiose al bacio del piede, presentato
di rinfresco, d'una gran mappa d'eleganti
fiori artificiali, e d'un calice d' argento
dorato con superbi lavori. Nel seguente
giorno andò nella chiesa di s. Maria del-
la Celestia, riccamente parata, ed entrò
poi nel monastero a far baciar il piede
alle monache, all' educande ed a molte
dame,cui colla solita indulgenza permise
l'ingresso. Dopo il rinfresco la più piccola
dell' educande, con breve complimento
in versi, umiliò una bellissima mappa di
V EN
fiori ili finissimo filo ingegnosamente la-
vorala, con un merletto intrecciato per
rocchetto. Nello stesso giorno, col moto-
proprio JYos voUnieSy Datum ì cnetiis-
ex monastero s. Georgii Ma Jori» (eolla
«piai data sono tutti gli alti ilei pontili
calo e delle lettere pontificie, finche Pio
VII dimorò in Venezia), presso il Bull.
Rom. coni,, 1. 1 1, p. 3, concesse grazie e
privilegi n conclavisti intervenuti nel con-
clave di Venezia; e con l'altro moto-pro-
prio del medesimo giorno, Nos volente*,
loco citato, p. 1 3, accordò grazie e privi-
legi a' dapiferi inservienti al conclave.
Fra questi e fra'concla visti vi ho letto de'
veneti, e non già del veneto cardinal Flan-
gini. A'g accolse gli Giacqui del capitolo
d'Oderzo, e si portò all'isola de' monaci
M echi tar isti armeni di s. Lazzaro (e lo
notai in quell'articolo,che va tenuto pre-
sente per altre notizie), ricevuto alla riva
dal cardinal Borgia, da mg.r Brancadoro
segretario di propaganda, da mg.1 Nuzzi,
dal marchese Giovanni de Serpos came-
riere segreto del Papa, dal superiore (ab-
bate generale p. Stefano Aconzio Ruver,
poi dal Papa fatto arcivescovo di Suinia,
nel quale articolo dissi, che prima inter-
pellato il patriarca di Venezia cardinal
Flangini, questi fu favorevolissimo all'i n-
troduzionediquesta dignità nella sua dio-
cesi patriarcale, per l'ordinazione nel rito
armeno de'giovani monaci, e d'allora in
poi ne furonopureinsigniti gli altri succes-
sori abbati generali della medesima con-
gregazione) e dagli altri religiosi del mo-
nastero. Entralo in chièsa a venerare il ss.
Sagramenlo nella sua cappella, trovò il
Papa lateralmente all'altarealcuni mona-
ci in abili sagri del loro rito, che secondo
questo cantarono sagri inni. Trasferitosi
nella sagrestia, ammise al bacio del piede
molte dame e signore armene e di altre
nazioni. Quindi salito nel monastero con
paterni modi ricevè a eguale omaggio il
rtn.°p. superiore con tutti i monaci e col-
legiali, non che molti connazionali arme-
ni e altre persone. Successiva mente fu
VEN
servito di squisito rinfresco, ed in luogo
apportato tutta la sua corte nobile. In
quel tempo fece una sorpresa a Sua San-
tità, l'altezza serenissima del cardinal du-
ca di York. Nella mattina de'ioricevèa
udienza rng. r Francesco de'marchesi Po-
lesini vescovo di Parenzo colle prime di-
gnità del suo capitolo, e i deputati della
cattedrale di Mantova. Nel pomeriggio
si portò a visitare la chiesa della Presen-
tazione allaGiudecca,e il luogo pio delle
Zitelle, ricevuto dal clero e da'deputati.
All'ingresso del conservatorio si trovare-
o
no le governatrici, dando il piede a ba-
ciare a varie dame, e salito nel conserva-
torio feceil simile co 'superiori e le zitelle.
A' 12 tenne concistoro segreto per varie
chiese vescovili, coll'intervenlo di 21 car-
dinali.E nelle ore pomeridiane si trasferì
alle cappuccine di Castello, che dopo o-
rato nella chiesa ricevè al bacio del pie-
de, coll'educande, diverse dame e il cle-
ro. Il i3 andò al monastero di s. Giusep-
pe di Castello, visitandone la chiesa, e
poi benignamente permettendo il solito
omaggio alle religiose, agli addetti e alle
dame. Oltre il rinfresco, ebbe in dono due
ingegnosi lavori di filigrana a forma di
reliquiari, guerniti di fiori di lama d'ar-
gento, con in mezzo l'immagine iu rilie-
vo di s. Domenico e dis. Agostino, fissati
su basi di legno cirrato e coperti da cam-
pane di cristallo. Nella sera giunse io Ve-
nezia il marchese Ghislieri invialo dell'im-
peratore, e nella mattina seguente tratte-
nuto a lunga udienza. Questa accordò
pure al reale principe di Condé", e pare
anco col nipote duca d' Enghien, come
leggo nel Coppi e nel Bellomo, con tutte
le distinzioni dovute a! suo grado: era
arrivato ancor esso in Venezia nel dì pre-
cedente e ne parti subito. In tal giorno
visitò la chiesa e il monasterodi s. Marta,
in una cappella privata del quale venerò
l'insigne reliquia d'un' intera Mia mano;
poi fece baciare il piede alle monache e
agli altri. A' i5 pubblicò la lettera enci-
clica, Diu satis vidcmur, presso il citato
VEN 19
Ballar.) p. 21, affettuosissima e grave»
diretta a tutto V Episcopato cattolico,
per partecipargli la sua assunzione al
pontificato, e la sua riconoscenza all'im-
peratore Francesco II, deplorando i ma-
li che angustiavano la Chiesa eineulcau-
done calorosamente il riparo. Nel di se-
guente si portò colla sua gondola nobile
e con numeroso corteggio alla chiesa
parrocchiale di s. Paolo, in occasione che
vi si celebrava la festa di s. Giova tini Ne-
pomuceno. Alla porta vi si trovarono il
tenente maresciallo Manfrault col mar-
chese Ghislieri, ricevuto dal clero e da*
deputati, dal cardinal Pignattelli e da
mg.r sagri* ta. Celebrò la messa al mag-
gior altare, poi ascoltando altra d'un suo
cappellano segreto. Indi in sagrestia sot-
to magnifico baldacchino ammise al ba-
cio del piede le dame e le signore della
parrocchia. Ritornato in chiesa visitò l'or-
natissima cappella delle copiosissime ss.
Reliquie, e la cappella dedicala al Santo,
e passato nella canonica guslò un rinfre-
sco. Gli fu offerto un elegante mazzetto
di fiori finti, un magnifico calice d'ar-
gento con lavori messi a oro, ed un bel-
lissimo Crocefisso d'argento da tavolino
con croce di lapislazzuli ornata d'angeli
d'argento sostenenti gì' istromenti della
Passione. In altra nobile camera ricevè
al bacio del piede il parroco, il nume-
roso clero, i nobili deputali, e molte per-
sone distinte della parrocchia, rimontan-
do in gondola fra le acclamazioni d'im-
menso popolo, rallegrato dalle sinfonie
dell'orchestra, con molta truppa schiera-
ta. Nel dopo pranzo andò alla chiesa deb
le domenicane de! Corpus Dotninit rice-
vuto dal clero e da' deputati, col canto
dell'acce Sacerdosfllagnus.'EiilvalQ nel
monastero, nel coro die* a baciare il pie-
de alle religiose, all'educande e alle da-
me graziosamente introdotte. L'educan-
da Quirinicon elegante complimento gli
oifiì un bel mazzetto di fiori, con un su-
perbo reliquiario di metallo dorato di
gotico disegno, contenente un dito di s.
ao VEN
Caterina da Siena, e indi fu imbandito
un decoroso rinfresco. Prima di partire
venerò un prodigioso ss. Crocefisso, nel-
la cappella interna. Nel pomeriggio de'
1 7 tornò a visitar la chiesa e le cappucci-
ne di s. Maria delle Grazie. Nella seguente
mattina poi, il Papa fece in s. Giorgio Mag-
giore la solenne consagrazionedel cardinal
Uertzan in vescovo di Subaria, colla messa
letta, alla presenza di 17 cardinali, molti
vescovi e prelati, oltre gli assistenti e la
monastica famiglia, nobiltà e popolo, leg-
gendo la dotta ed eloquente omelia, Epi-
scopalis consecrationis s a cr amento ^vxb-
blicata colle stampe e dal Bull, citato, p.
26. Nelle ore pomeridiane visitò nuova-
mente la chiesa di s. Clemente degli ere-
miti camaldolesi, ed in quelle del seguen-
te giorno visitò il ss. Sagramento solen-
nemente esposto in s. Maria Formosa,
ricevuto dal cardinal Roverella e da 5
prelati, ricevendo la benedizione dal car*
dinal Pignattelli, indi in sagrestia fece
baciare il piede al clero, a'deputati e ad
altri. A'20 nel pomeriggio si portò alla
chiesa delle servite, dette cappuccine, ac-
colto dal cardinal Somaglia e da mg/ sa-
grista, e poi entrato nel monastero rice-
vè le monache al solito atto ossequio-
so, accettando vari divozionali e 4 mappe
di bellissimi fiori lavorati dalle religiose.
A'21 recossi alla chiesa dell'agostiniane
di s.Andrea magnificamente ornata, es-
sendo di fuori numerosa orchestra. Nel
monastero fece baciare il piede alle mo-
nache, all'educande e alle dame ammes-
se, e dopo il rinfresco ricevè il dono d'un
messale nobilmente coperto di velluto
cremisi, con eleganti riporti d'argento,
colle immagini de'ss. Andrea e Agostino.
A'22, festa dell'Ascensione, si degnò or-
dinare sacerdote nella sua privata cap-
pella il monaco di s. Giorgio d. Antonio
Boeiio, e nel pomeriggio visitò la chiesa
di s. Clemente in isola. Rilevai nella bio-
grafia di Pio, VII e altrove, die si trat-
tò di farlo restare in Veuezia, o di trasfe-
rirsi a Vienna fino alla pace generale. Ma
VEN
il Papa bramosissimo di recarsi a Poma
(V.) sua propria e vera sede, per riordi-
narvi tanto il regime ecclesiastico che il
civile, energicamente fece tanto, che su-
però le gravi dilììcoltà degli austriaci e
de' napoletani, che avevano occupato i
di lui stati, mentre sospettarono alcuni
•* desiderarsi da ambedue quelle poten-
ze di tenerli sino alla pace, per poterne
piò. facilmente disporre secondo le occor-
renze 1" Tuttavolta, riferisce il cav. Cop-
pi, il Papa ottenne che Ferdinando IV
re delle due Sicilie, coerente al dichiara-
to anteriormente al sagro collegio,di non
custodire Roma e le provincie, che per
restituirle al nuovo Papa, acconsentisse di
consegnare quella parte ch'era in suo po-
tere, e Francesco 11 imperatore solo rite-
nesse le Legazioni e Ancona. Dunque Pio
VII riebbe soltanto di sua Sovranità,
da Fano a Roma, e da questa a Terraci-
na. Pertanto in questo giorno nominò in
Venezia una congregazione composta de'
cardinali Albani, Roverella e Somaglia,
i quali come legati a latere lo precedes-
sero in Roma, e ricevessero la consegna
del governo secondo le graziose intenzioni
manifestate da Ferdinando IV. Intanto i
progressi fatti nuovamente da' francesi
nella primavera in Germania e in Italia,
indussero gli austriaci a restringere le lo-
ro armate, nello stato papale, e le mire
della politica; e da tutto ciò ne avvenne
che i legati apostolici a'22 giugno ebbero
finalmente la consegna di Roma cogli al-
tri paesi amministrati da'napoletani, e nel
dì 25 quelli delle provincie governate da-
gli austriaci, da'dintorni di Roma sino a
Fano. Ambedue le potenze lasciarono pe-
rò le loro truppe nelle fortezze e ne'posti
militari dello stato pontificio. Alcuni, co-
me il Cancellieri, riferiscono la nomina
de'legati a*23 maggio. In questo giorno il
Papa si portò alla chiesa di s. Giustina
delle agostiniane,ricevuto dal prelato Gal-
lerati-Scolti,dalcleroeda'deputati, e pas-
sato poi nel monastero* assiso in magnifi-
co trono, ammise le monache e i nominati
V EN
al bacio del piede, e gradi un nobile rin-
fresco; mentre la badessa gli presentò un
ben lavorato secchietto d'argento coli' a-
spersorio, ed un eccellente quadro espri-
mente la 15. Vergine col Bambino, S.Giu-
stina e altri Santi, con bellissima cornice
d'argento coll'arme pontificia. A* 24 s'
recò dagli eremiti camaldolesi a s. Cle-
mente in isola, e poi passò nell'antichissi-
mo monastero delle benedettine di s. Cro-
ce alla Gindecca, venerando prima in chie-
sa il ss. Sagramento ed il corpo del dottore
s. Atanasio. Nella cappella interna orò a-
vanti l'insigni reliquie della ss. Croce, del
corpo intatto colle sue vesti della b. Eufe-
mia Giustiniani, ed una camicia di scotto
cogli abiti pontificali di s. Lorenzo Giusti-
niani, un individuo della cui famiglia, con
al! ri nobili veneti, assisteva il Papa. Ri-
cevute le monache al bacio del piede, os-
servato tutto il vasto monastero, accettò
un messale coperto d'argento cisellato e
la vita della b. Eufemia. Si portò poi nel-
la chiesa incontro delloSpirito Santo deb
l'agosti fiiane sulle Zattere, indi consolò le
religiose colla sua presenza, che gli ofFri-
frirono un finissimo rocchetto con asola
d'oro e guernitodi ricco merletto, ed una
sloia ricamata in oro. Nel medesimo gior-
no pubblicò colla lettera, Ex quo Ecclc-
siam, l'universale Giubileo, che fu stam-
pata in Venezia, come altri atti. Nella do-
menica de'25 maggio, desideroso Pio VII
di venerare la tomba del glorioso tauma-
turgo s. Antonio di Padova, poco dopo
il mezzodì, servito alla riva da' cardinali
Poverella e Pignattelli, parti da s.^Gior-
gio per Padova in nobile burchiello o
bucintoro, nel quale il suo gabinetto era
parato di damaschi cremisi, la sala pei
prelati di bianco, e l'esterno di seta cele-
ste, essendo il coperto adorno de'pontificii
stemmi,con 7 mistiche navicelle iughirlan-
date di fiori: altro simile portava la corte
e l'equipaggio, accompagnato da nume-
rose nobili goudole de' patrizi veneti, che
in ogni occasione si distinsero e edificaro-
no, nel dare le più sincere dimostrazioni
VEN 11
d'attaccamento e di vozionealla sagra per-
sona del Capo visibile della Chiesa. A Liz-
za Fusina trovò 3 carrozze del palazzo
apostolico, ricevuto da distinti personag-
gi veneti e forestieri, essendovi sul pon-
tile schierata la truppa tedesca, e poi un
distaccamento di cavalleria per l'accom-
pagno ; e giunto al Dolo, disceso dalla
propria carrozza, montò in quella più ma-
gnifica inviatagli in dono dall'arciduches-
sa Marianna, cha trovò a Padova, ove al-
loggiò nel celebre monastero di s. Giusti-
na, in cui da giovane era stato studente
novizio, onde per memoria gli lasciò il suo
cappello cardinalizio. L'abbate di quel mo-
nastero d. Gio. Alberto Campolongo, ri-
splendette tanto a' suoi occhi per le sue
virtù, che poi lo voleva fare vescovo d'A-
dria e designava al cardinalato, se quel
degno figlio di s. Benedetto non avesse ri-
fiutato cosi eminenti onori. Abbiamo del-
l'ab. Giuseppe Gennari, con note dell'ab.
Domenico Tiatoje Memorie compendio-
se sull'arrivo e soggiorno iti Padova di
Sua Santità Pio VIIy Padova 1800.
Dopo essere stato onoratamente festeg-
giato in Padova, ne partì all'ore 7 antime-
ridiane di venerdì 3o maggio; montato
in carrozza, ne discese poi alla porta del
Portello,alla cui riva era pronto il nobile
burchiello, e navigando sulla Brenta per
restituirsi a Venezia. Giunto a Lizza Fu-
sina, si destò un universale giubilo nel-
la moltitudine d'ogni grado e condizione,
ch'erasi recata a incontrarlo. Appena due
ore dopo mezzodì si distinse dall'alto del
campanile dis. Marco, oltre s. Giorgio in
Alga, il maestoso naviglio, tutte le cam-
pane della città cominciarono suonare a
festa, per darne il sospirato annunzio. In
un momento si vide circondato da una
moltitudine di legni, che scorrendo con
vago ordine Io corteggiarono in tutto il
corso della Laguna. La nobiltà, il clero,
tutti gli ordini de'cittadini, dimentichi di
ogui altra cura, per affetto spontaneo di
divozione, fecero a gara di attestare il lo-
ro attaccamento a Pio VII, eletto nella pa-
22 V li iN
tua loro. Gondole, battelli, e barche d'o-
gni forma, peote adorne di seta e festoni
a vari colori, singolarmente di parecchi
parrochi e del loro clero, caicchi e bui -
t Incili con ondeggianti bandiere facevano
una vista assai biillante,siccome tutte gaie
e in mille guise adorne; rallegrala da
tuoi ti musicali strumenti,cheaccouipagna-
vano il seguito, e che univano l'armonio-
so lor buono al busso mormorio dell'acque
da tanti remi agitate, dal concerto delle
campane e da' replicati evviva del giubi-
lante e divolo popolo immenso, che co-
priva le rive,i ponti e le finestre delle ca-
se, quanto è lungo il canale della Giudee-
ca. Tulio insieme formava uno spettacolo
sorprèndente e commovenlissirno, avente
l'aspetto d'un vero trionfo, e che solò può
(Uri re la speciale e unica situazione della
meravigliosa Venezia, fabbricata nel ma-
re ! A render più lieta la festa, concorse la
tranquillità dell'onde, e il velo delle nu-
vole, clie dall'ingresso del Beatissimo Pa-
dre nella Laguna sino all'approdare a s.
Giorgio, ripararonoglisplendenli raggi del
sole, il quale nascondendosi fra di esse,
parve che auch'egli volesse concorrere a
render meno disagiata e incomoda la lun-
ga dimora del Papa a cielo scoperto, per
appagare l'universale desiderio. Poiché,
per compiacere il comun giubilo,con ama-
bile gradimento, il benignissimo Pio VII
si degnò 6tare sulla prua del burchiello,
consolando tutta la popolazione colla gio-
vialità del venerando suo volto, e impar-
tendo a lutti con effusione d'intenerito a-
rùmo l'apostolica benedizione. In mezzo
alla corona de'prelati,ilPapa a vea a destra
il rappresentante imperiale marcheseGhi-
slieri, ed a sinistra il patrizio veneto Cate-
rino Coi uer,suo cameriere segreto di spa-
da e cappa (nella famiglia pontificia figu-
ra il 3.° nominalo, il 2.° il conle Widman
sunnominato, e il i ,° il marchese Costan-
tino Balbi genovese)e specialmente addet-
to alla sua sagra persona. In breve, fu un
trionfo il suo ingresso di ritorno a Vene-
zia, alla quale pareva in quel punto rive-
VEN
dei e nella di lui persona risorto il gran Pio
VI, e che quel fausto giorno fosse il §5
maggio i 782: dolce illusione d'un istan-
te, e perciò ancor più degna di compassio-
ne! Tanto osserva anche il Belluino. Giun-
to il nobilissimo convoglio, alle ore /[ po-
meridiane,alla residenza di s. Giorgio Mag-
giore, fra il replicalo e fragoroso rimbom-
bo dell'artiglierie, e le pubbliche entusia-
stiche acclamazioni, fu ricevuto alla ri-
va da 5 cardinali, da gran numero di pre-
lati e da'iuoi monaci cassinoti. Visitalo il
ss. Sagra mento, si ritirò nelle sue stan-
ze. Nel dì seguente visitò nel pomeriggio
la chiesa e il nobil monastero delle cauo-
nichesse Lateranensi di s.Daniele,che am-
mise al bacio del piede, gustando il rin-
fresco e accettando un bel secchiello d'ar-
gento per l'acquasanta, avente in mezzo
la reliquia di s. Pietro apostolo, ed una
stola di fondo rosso con elegante ricamo
intrecciato di perle. Nella mattina del i.°
giugno giunse in Venezia Ferdinando du-
ca di Parma, coll'arciduchessa sua moglie
e la principessa figlia, e tosto si recarono
ad ossequiare il Papa, ricevuti colla mag-
giore cordialità, baciandogli il piede, il
Papa li fece ospitare nel monastero, li vi-
sitò e tenne seco a mensa. Dopo di questa
Pio VII visitò la chiesa e il monastero del-
le cappuccine di s. GirolamOjChecon mol-
te dame poterono inchinarsi al bacio del
piede: offrirono un rinfresco, un quadro
eccellente rappreseutante s. Girolamo, ed
una pianeta bianca con ricami di seta e
oro. Nella sera i reali ospiti si congedaro-
no dal Papa e partirono per Padova e pei
loro stati, perchè i francesi valicato il Po,
aveauo di nuovo già occupato Piacenza. In
questi pericolosi frangenti,narra l'ab. Bel-
lomo,il cardinal Hertzan opinava che non
dovesse il Papa andare in Roma, ma ben-
sì rimanersi colla corte io Venezia o altra
cittadella monarchia austriaca. Diversa-
mente risolvette Pio VII, a cui l'aspetto
del pericolo aggiunse un più forte slimolo
di affrettare la sua partenza per Roma.
Laonde mirando al governo spirituale del
VEN
gregge cattolico, che star dee congiuntoal
centro di unità, indirizzò in forma di bre-
ve la lettera Vtmerabilibus fratribus ac
dilectìs filiis ,Nuncìis apostolicistArchìe-
piscopis età, a'2 giugno, colla quale ri-
chiamò da'nunzi e dall'Episcopato le fa-
coltà loro accordale dal suo predecessore,
e nominatamente quelle espresse dalle di
luiIetteredeirottobrei798,emanatedalla
Certosa di Firenze, insieme dichiarando lo-
ro l'imminente suo viaggio perRoma.« Ec-
co che Noi già siamo decisi di andarsene a
Uoma,ovec'invitano i desiderii, le premu-
re e le voci incessanti de'Noslri popoli,ove
Pietro principe degli Apostoli/ti quale per
divino comando piantò colà a se stesso ed
a'suoi successori laSede, ci chiama dallo
stesso suo Sepolcro, e pare in certo modo
querelarsi del Nostro troppo lungo ritar-
do". Aggiungeva per altro in questo breve
o'nunzija'vescovi^'delegatiapostolicijche
a quelle chiese tuttora oppresse dalle me-
desime angustie, e per le quali continuas-
sero le stesse cause infelici, intendeva che
i prelati continuassero a ritenere le memo-
rate facoltà. Inoltre a' 3 giugno ricevè i
ringraziamenti del capitolo di Padova, per
averne visitalo la cattedrale, ed un reli-
quiario d'argento col fegato del b. cardi-
nal Barbarigo veneto. Nel dì seguente si
recò alla chiesa e monastero delle bene-
dettine dell' Umiltà, che gli baciarono il
piede, e presentarono di rinfresco e d'una
scatola d'argeuto dorato per 1' ostie della
messa. Ristringendosi il tempo di sua per-
manenza in Venezia, uscito dall' Umiltà,
Pio VII volle anche consolare le monache
di s. Alvise, visitò la chiesa magnificamen-
te addobbata, e nel monastero ricevè al
bacio del piede l'agostiuiane, che dopo rin-
fresco, offrirono una pianeta di ganzo d'ar-
gento inlessuto a fiori d'oro e guernita da
simile gallone : nel partire osservò il deli-
zioso giardino. ludi passò dalle francesca-
ne della Croce, dal cui coro orò nella chie-
sa, poi fece loro baciare il piede: nel dì se-
guente le monachigli mandarono un bel-
lissimo rocchetto e diverse altre cose. La
VEN 23
mattina di giovedì 5 giuguo, Pio VII si
portò a celebrare la messa nella superba
cappella del palazzo alla Giudecca del suo
cameriere segreto Caterino Corner, ed assi-
stè a quella d'un cappellano segreto. Fu
poi servito di soutuoso rinfresco, di cui
partecipò la corte nobile. Indi il uobile
Corner umiliò al Papa il magnìfico calice
con lavori dorati cheavea usato, e l'am-
polle d'argento. Nel pomeriggio, dopo a-
ver permesso ad un grandissimo numero
di popolo ch'erasi affollato a s. Giorgio,
di baciargli il piede, come fece nel ritor-
no,si trasferì alla chiesa e nobil monaste-
ro delle benedettine d'Ognissanti, che ri-
cevè al consueto omaggio, col clero e de-
putali. Gradì il riufresco, il complimento
in versi d'una educanda, e l'ampolle d'ar-
gento dorato d'eccellente lavoro, ringra-
ziando la badessa del piviale o manto con
eleganti ricami d'oro e sua canestra con
velo, ricevuto nel dì dell' Ascensione.
Giunto finalmente il tempo in cui Pio
VII, entrato iu Venezia cardinale a' 12
ottobre iygg.dovea partirne Papa a' G
giugno 1800, e come tale vi avea fatto
soggiorno 85 dì, impiegati ne'gravi affari
della Chiesa e poi dello Stato , non che
nel modo che ho accennato, avendo in
un concistoro già preso congedo da'ear-
dinali, nella detta mattina del 6 si por-
tarono ad inchinarlo e felicitarlo a s.
Giorgio molti distinti personaggi. Si di-
mostrarono commossi di dispiacere per
la sua parteuza, dopo aver ricevuto tan-
te prove di paterno affetto e di predile-
zione,date loro e alla città, che può a ra-
gione andar superba d'aver avuto un tal
glorioso ospite, e d'averne ammiralo da
vicino le virtù singolari che l'adornava-
no, e resero per sempre veuerauclo e a-
dorabile. Verso le ore 7 Pio VII uscì dal-
le sue stanze e da una loggia risponden-
te all'orto die' la sua apostolica benedi-
zione all' amata città e alle persoue ac«
corse, che mille augurii inualzarono di
prospero viaggio. Dopo ciò per la nobile
scala, seguito dalla coite, da tutti i ino-
*4 VEN
naci, e da gran numero di persone, scese
alla riva, ove eia schierala la truppa au-
striaca, fra le lagrime degl' inconsolabili
veneziani, che negli ultimi momenti mi-
randolo, e le sue benedizioni implorando,
dcducelant cum ad Navcm\Act. e. 20,
v. 38). Ivi trovò preparato un magnifi-
co caicco, ove salì il Papa coordinali
Borgia, Caprara, Pignattelli , Giuseppe
Doria e Bi aschi , col tenente-colonnello
Calugi, aiutante generale della marina,
e il capitano Jansich aiutante del Quiri-
ni; il resto della corte s'imbarcò in diver-
se lancie. II marchese Ghislieri, e il no-
bile Caterino Corner salirono in due altri
legni. Era seguilo il convoglio da una de-
corosa peota de'monaci, da altre 6 ma-
gnifiche de'parrochi de'seslieri della città,
istoriate di sagri emblemi, oltre un indi-
cibile uumero d'altre barche d' ogni sor-
te. Con questo imponente accompagna-
mento giunse il Papa alla i. r. fregata da
guerra Bellona, armata di 4° cannoni, e
giàdella repubblica,comandata dal tenen-
te-colonnello Silvestro Dandolo patrizio
veneto, poi vice-ammiraglio sullodalo,
per condurlo a Pesaro, non giudicandosi
conveniente da'eommissari austriaci che
viaggiasse per le Legazioni da loro rite-
nute. Salì il Papa a bordo, con lutto il
suo accompagnamento. Nel partire da s.
Giorgio, appena erasi staccato dalla riva,
una salva generale d' artiglieria, anche
delia fregata, e il suono di tutte le campa-
ne, unitamente alle voci d'immenso po-
polo rammaiicatoe affollalo sulla riva op-
posta della Piazzetta e in quella de'Schia-
voni,gli replicarono gli augurii affettuosi
di felicissimo viaggio. Nel passar per la
Laguna fu salutato con replicati spari di
artiglieria de'diversi bastimenti ancorati.
Nel presentarsi il Papa al canale dello
Spingon presso il porto di Malamoco,alla
Bellona, una nuova salva lo salutò, ma
dopo che vi ascese, rinnovò l'apostolica
benedizione a'suoi diletti veneziani ed a
tutti quelli che l'aveauo accompagnato,
da'quali collo sguardo e col cuore fu se-
VEN
guito per lungo tratto l'avvenluroso na-
viglio, a cui era rivolta l'attenzione lilia-
le, le speranze e le brame del mondo cat-
tolico, da numerosa nobiltà veneta e fo-
restiera, che ambì di rendere questi ulte-
riori onori al successore di s. Pietro. Le
sublimi prerogative di Pio VII e la sua
impareggiabile affabilità, seppero acqui-
stargli in Venezia la venerazione e l'affet-
to universale. Non contenta la divota po-
polazione veneta de' voti fatti per la sua
prosperità, volle anche ripeterli con pub-
bliche preci e processioni. Mg.r Nicolò
Bortolatti arcidiacono della patriarcale e
vicario capitolare, fece stampare: Prece?
dicendae prò felici itinere SS. D. N. Pii
PP. VII. Venetiis Andreola 1820. Fra
le molle belle composizioni , che furono
fatte a Venezia in questa circostanza, gi-
rò il distico: Ad Gregis IniperiumCkris ti
Patrwn mula vehebat : - Ad Petri So*
lium vexitet unda Pium.Ln versione in
un madrigale, la riporta pure Cancellie-
ri, con un sonetto stampato. Ma non es-
sendo favorevoli i venti e soffiando con-
trari, quasi che, favorendo i veneziani,
staccar non volessero da'loro lidi sì pre-
zioso tesoro, V i. r. fregata dovè tralte-
nersi alcuni giorni dentro il canale dello
Spingon. Allora il Papa per diporto, do-
vendo rimanersi circa tre giorni presso
Malamocco, ivi si recò, visitando le chie-
se e le monache, come pure altri luoghi
di quel litorale, e andò ad ammirare l'o-
pera sorprendente e grandiosa de'Mu raz-
zi, nel Bargio della fregata. Ritornato a
quesla, appena a' io avea perduto di vi-
sta il porto, che mutatosi un'altra volta
il vento, fu da un colpo di libeccio tra-
sportato e sospinto alle coste d'Istria, per
ventura di quelle popolazioni, nel litora-
le sino a Capodistria, ed a Parenzo. In
questo porto Pio VII fu ricevuto dal ve-
scovo Polesini, dal marchese .fratello, dal
clero e nobili, fra le acclamazioni del giu-
bilante popolo, esultante dell'inatteso av-
venimento, ed il Papa sensibile fece quel-
le concessioni che narrai ne] ricordalo ar-
VEW
ticolo. Ma poi spirando vento propizio,
potè approdare a Pesaro felicemente ai
i 7, ed a'3 del seguente luglio fece il suo
Ingresso solenne in Roma. I monaci di
s. Giorgio Maggiore per ricordare un
tanto glorioso avvenimento fecero esegui-
re dal valente pittore Teodoro Matteini
il ritratto di Pio VII, collocandolo sopra
il pilastro destro della cappella maggiore
della chiesa con corrispondente lapide, da
dove fu poi trasportato sulla porta prin-
cipale. Dall'altro canto, il Papa a dare u-
na dimostrazione e memoria di ricono-
scenza alla chiesa di s. Giorgio, per l'ospi-
talità data nel monastero a lui ed al s. col.
legio,a mezzo di mg. r Tosi suo segretario
intimo, a'i5 marzo i8o3 scrisse al p. ab-
bate d. Bonaventura Venier,chein con-
trassegno d'animo memore e grato, gli
manda va»perornamento dell'altare mag-
giore della chiesa di s. Giorgio 6 candellieri
con la Croce; inoltre 4 a'tl> candellieri
inferiori, eda ultimo le tavolette delle divi»
ne parole, che staranno presenti avanti a-
gli occhi del sacerdote celebrante. Per ve-
rità sono essi di bronzo (dorato); ma sono
travagliati con elegante industria e squi-
sito artificio, perfetti, e in tutto tali, che
bastantemente corrispondono alla digni-
tà di codesto tempio e alla sua ampiezza.
Voi ancora agognerete di essere vivi can-
dellieri, tutti d'un oro purissimo, affinchè
la luce delle più belle virtù si diffondi per
ogni dove nella Casa del Signore; e nel-
la fiducia che cosi avverrà , diamo con
paterno affetto a Voi e a tutti i vostri fi-
gli l'apostolica benedizione". Alla fine di
detto mese, i donativi giunsero in Vene-
zia, portati dallo stesso celebre artista ro-
mano Francesco Righetti, che con som-
ma perizia li lavorò, e furono trovati di
tanto insigne pregio, che per appagare la
pubblica curiosità di sì superbo dono,
si esposero all' ammirazione de* vene-
ziani nelle 3 feste di Pasqua. Tutto si ri-
porta dal Diario di Roma del i8o3 ne'n.
240 e 241. Però al fatale momento della
soppressone del monastero, sotto il gover-
VEN 25
no Italico, i candellieri, la Croce,le tabelle
furono trasportati nel 1807 (vivente anco-
ra e regnante in Roma il venerando do-
natore!) a Milano nella chiesa della corte
sotto l' invocazione di s. Gottardo, dove
tuttora si trovano. Quest'ultima notizia
la ricavo dal cav. Mulinelli, che descrive
tali arredi, e daW Inscrizioni Veneziane,
t. 4i p- 4^7 e seo'> del cav« Cicogna, il
quale illustrando l'iscrizione mentovata
de'monaci, oltre il riferire le notizie sul
conclave tenuto in s. Giorgio, elezione ivi
eseguita ;di Pio VII e del suo soggiorno,
narra pure molte delle visite pontificie che
ho compendiate sul Cancellieri, riporta
la nota di 33 opuscoli, iscrizioni e carte
uscite in Venezia per la detta occasione;
però di quelle per la morte di Pio VI, di-
cendo parlarne ove ragionerà di lui. Di-
scorre pure delle medaglie coniate in Ve-
nezia perPioVII,notificandochedi tutto
ne dà minuta informazione laóen'e crono-
logica de' pievani di Venezia promossi
alla dignità vescovile, opera diAlessan*
dro Orsoni, Venezia 181 5, Alvisopoli.
L'altro veneto e illustre defunto ab. Gio.
Bellomo nella ricordata Continuazione
della Storia del Cristianesimo, t. 1, p.
ioeseg.,4^> 5o, 67 e ig5, ragiona: Sul-
l'elezione di Pio VII, come avvenimento
che confonde le sette nemiche della reli-
gione cristiana; macchinazioni e prepo-
tenze de Teofilantropi. Di sua incorona-
zione. Dellai." allocuzione fatta alsagro
collegio. Delle visite falle alle chiese e mo-
nasteri di Venezia, e sagre funzioni cele-
brate dal Papa. Del suo breve soggiorno
in Padova. Di sua partenza per Roma.
Donativo fatto a s. Giorgio, colla ponti-
ficia lettera. Ed opportunamente osserva:
"Siccome poi il Capo della Chiesa, dopo
il generale saccheggio di Roma (intende
dire de' repubblicani francesi), trovavasi
spoglio di sagri arredi, e persino di vasi
sagri; così i veneziani (e pel i.° mg.r Ai-
caini) non tralignando da quella pietà col-
la quale soccorso aveano uel 1 1 77 il pro-
fugo Alessandro 111, alfreltarousi di of-
*6 YEN
dire n Pio VII V omaggio ili ricchi (ioni
e di preziose suppellettili, nel che e ve*
scovi e chiese, e monasteri e ogni online
di persone fecero bella gara di generosa
divozione. Certamenteera questo un gran-
de e sublime spettacolo, e il più alto a e*
dilicare l'animo de' buoni! L'umile Pio
VII, adorno di esimie virtù, i cardinali
spogliati d'ogni pompa e d' ogni magni-
ficenza propria del loro grado, per la più
parte magnanimi confessori della fede di
Cristo a cagione de'solferli patimenti (si-
no a intimare a ciascuno nel i 79B la ri-
nunzia della loro dignità e della Porpo-
ra, e ricusandosi, furono imbarcali a Ci-
vitavecchia sopra fragili scialuppe, per-
ciò esposti al pericolo di certa morte, giac-
chèa) lori una fiera procella sconvolgeva il
mare. Ria, soggiunge il Belluino stesso:
Dominus qui habitat in coelis, irridebit
eos), rappresentavano una vera immagi*
ne della Chiesa tuttavia nascente, allor-
ché s. Pietro e gli altri Apostoli in Ge-
rusalemme ricevevano le offerte, che de-
poneva a'Ioro piedi l'amore de'primitivi
fedeli !" Dice il eh. Pistoiesi nella Vita di
Pio FU , che dettagliatamente riporta
molte delle cose descritte, e diverse iscri-
zioni. » Si dirà forse d'aver noi notate
alcune lievi circostanze, che non interes-
sando gran fatto l'illustre carriera del
Chiaramonti,potevanoanche tacersi sen-
za danno di sua gloria. Risponderei!! noi,
che nella storia degli uomini sommi non
\'ha piccolo oggetto, in cui non si fermi
l'attenzione de'posteri, che ameranno di
leggere tuttociò, che spetta alla vita del
primo luminare del secolo XIX". A me
poi correvano, ed ero responsabile di due
obblighi: il 1 ,° di aver promesso nella bio-
grafia del magnanimo e immortale Pio
VII , di trattare in questo articolo Io
svolto argomento, eseguito però con mi-
nime proporzioni; il 2.0 pel riflesso, che
un Conclave e il lungo soggiorno d'un
Papa in una città sono glorie rare, per
cui non dovea defraudarne Venezia, che
uveudole meritate, per essersene mostra-
VEN
la eminentemente degna, edificando col
suo nobile, religioso e gene» pso contegno
il cristianesimo, io dove.i lumeggiarne al-
meno i principali modi. Non vi è catto-
lico infine, e non v'è uomo di senno, che
in quel gran fatto del trattato di Campo-
formio 17 ottobre 1797, e della tregua
che dietro vi tenue in Italia, mentre la
Chiesa stava per essere minacciata da li-
no scisma, e la romana Sede nel maggior
dei pericoli; non ravvisi uno di quei su-
premi ed inaspettati voleri pei quali, non
solamente Venezia fu da un istante al-
l'altro cambiata in sede di pace opporli!-
nissima alla riunione di un conclave ed
alla nomina d'un Pontefice, mentre Pio
VI dagli empii era tenuto per I' ultimo;
ma la stessa romana Sede nella sua spi-
rituale e temporale immobilità fu e sa-
rà sempredalladivinaonnipotenzae man-
tenuta e difesa. — Napoleone Bonaparte
i.° console della repubblica francese, a -
vendo per poco rispettato il suo trattato
di Campoformio, già accennai l'accesa
nuova guerra contro l'Austria, laonde
molte battaglie eransi combattute in Ita-
lia, la più clamorosa delle quali fu quel-
la da lui vinta a Marengo presso il Ta-
naro a'i4 giugno 1800, contro il mare-
sciallo Melas, il quale fu costretto ad ab-
bandonare l'Italia, e perciò fu decisa im'
altra volta a favore de' francesi la sorte
della Lombardia. Queste guerre tra le al-
tre conseguenze produssero due funeste
epidemie, negli auimali l'epizoozia, negli
uomini il tifo, che sviluppatosi in Padova
penetrò in Venezia; e predominando pu-
re i morbilli e il vaiuolo, la strage fu nu-
merosa. La fortuna delle armi pose Na-
poleone in grado di dettare le condizio-
ni di pace, con trattato sottoscritto a Lu-
neville a'g febbraio 1801, in cui si con-
fermò quello di Campoformio, circa alla
cessione de'Paesi Bassi alla Francia, ed il
possesso de'dominii veneti a favore del-
l'Austria. Nel 1802 bramò che il gran Ca-
nova facesse il suo ritratto, per cui fu in-
caricato il ministro Cacault presso la s.
V E N
Sedead invitai lo,viaggio pagalo e 120,000
fianchi prezzo della statua. Ma per quan-
ti sforzi facesse il ministro, Canova che
teneva per fermo essere le aiti libere co-
me il pensiero, stentava a decidersi e di-
ceva. » E' quel Bonaparte, che ha distrut-
to i! governo del mio paese, e quindi l'ha
ceduto all'Austria. Ho qui mille lavori;
io non sono un uomo politico, nulla do-
mando al potere: e inoltre siamo prossi-
mi alla stagione d' inverno; io andrei a
morire fra le nevi di Parigi ! " Jl Cacault
i ispondevagli. » La natura produce di
tempo in tempo uomini grandi in tutti
generi: e questi glandi uomini, quando
appartengono al medesimo secolo, deb-
l*onsi fra loro appoggio, affetto e concor-
so. Il grand'uomo di guerra della Fran-
cia ha fatto peli.0 il suo dovere, egli ha
chiamalo con modi veramente principe-
schi, il grand'uomo delle arti dell'Italia.
Questi non può rifiutarsi ad un invito ch'e-
ragli dovuto. Mancherebbe alla sua vo-
cazione, alla sua stella, al suo destino, se
ad esso mancasse. Io beri apprezzo il de-
li ilo privato di Venezia. Ah ! se così ora
si fosse trattalo colla mia Bretagna ! e
tutto insieme ben concepisco e valuto gli
scrupoli e la indignazione del figlio del-
le gondole. Ma Canova in Roma non è
più veneziano. Bonaparte serve e difen-
de Roma novella patria di Canova (per-
chè allora erasi concluso il Concordato,
che ristorò la religione in Francia). Il
compianto prodigalizzato all' autorità di
quel governo si antico, che del resto fu
dalla guerra divorato, quella tenerez-
za che un asolano (allusione alla città
prossima al luogo di nascita di Canova)
conserva per le sue montagne, tutto va
benissimo, sono effetti d'una bell'anima,
ti' un culto di patria casto e puro : ma
lutlociò non forma che una circostanza
di second'ordine in una carriera vasta ed
immortale.Non vuol dunqueCanova com-
piere tutta intiera la missione per la qua-
le è stato crealo? " E Canova resisteva an-
cora, ma con una dolce fermezza che uou
YEN 27
{scoraggiala Cacault. Il Papa, vivamente
lo pregò ad annuire; e il cardinal Coti-
salvi energicamente gli fece conoscere la
conseguenza della ripulsa, pel risentimen-
to di Napoleone contro Roma, dov'egli
era ospite, figlio e concittadiuo. Canova
soggiungeva.'» Ma, vi prego, abbiatequal-
che pietà di me: io sono gelato: io darò
dunque la mia mano, la mia mano sola-
mente; non vi può essere in me ne calo-
re, ne entusiasmo: io sono ferito, il mio
cuore sarà freddo". Cacault istruito di
queste difficoltà, visitò per una 2.a volta
Canova, non gli disse altro che gentilez-
ze, si diffuse sull'argomento della scon-
tentezza politica, dell'artista senza ispira-
zione (come gli scrittori); lodò il candore
della rispostaci modo cortese con cui si
accompagnava il rifiuto, le forme sotto le
quali uu ministro francese amava con-
getturare nell'artista qualche rincresci-
mento di non potere acconsentire, e tut-
to ad un trailo troncò il discorso, aggiun-
gendo solamente, che per un riguardo do-
vuto al primo console, il suo ambasciato-
re differirebbe qualche tempo ad inviare
la risposta. La sera Cacault chiamò il suo
i.° segretario d'ambasciala, eh' erasi tro-
vato presente al colloquio, cioè il ca v. Ar-
taud (dalla cui Storia di Pio VII, t. r,
cap. 23 ecap. 27, io ritraggo questo rac-
conto : egli nel cap. xiu narra 1' andata
nel precedente 1 80 1 a Venezia di Cacault,
con Carolina Bonaparte sorella di Napo-
leone e moglie di Murat, per averne gran
voglia, sotto il nome di sua figlia j q lo
scalpore che fece il governo austriaco per
questo viaggiare occulti, ponendosi in gra-
vi apprensioni, giacché il marito coman-
dava 3o,ooo uomini a Firenze), e gli co-
municò le sue istruzioni per vincere Ca-
nova nel rifiuto." Questo rifiuto, appog-
giato principalmente a si buone ragioni,
diventerà un gran dramma. Io vi vedo
una dichiarazione di guerra di una sin-
golare natura, e in questa lolla ove si tro-
verebbero gli alleati di Canova? Egli at-
tirerebbe la folgore sulla citlà in cui sog-
28 VEN
giorni ... Egli non ha acconsentito a fare
il ri! ratto del gra miei. "console dell aFran-
eia , è verissimo; e disse al vincitore ili
tutta Italia: Io non mi curo di voi j sia-
te Varbiiro e il padrone delle leggi di
tutta la penisola i il mio scalpello rima-
ne libero j il mio solo scalpello ... Chie-
dete a Canova, ch'è mio buon amico, un
ultimo rifiuto ... Ditegli tutto quanto vi
ho detto: quel buon galantuomo, l'uomo
delicato che io ben conosco, il Fidia or-
goglioso quanto dehh'essere a tutta ragio-
ne, è già al presente assai più vinto da*
suoi propri rimproveri , che dalle mie
sollecitazioni... E come Ilo ho potuto
spingere a Parigi il primo ministro del
Successore degli Apostoli (cioè del Prin-
cipe di essi; il cardinal Consalvi), non a-
vrò, o signore, spirito bastante per fare
accettare 120,000 franchi, un'eccellente
carrozza, tutti i compagni che vorrà, e o-
nori e gloria a nembi, ad un uomo, ch'è
certamente, nessuno il contrasta, il prin-
cipe delle arti, ma che deve diversamen-
te rispondere innanzi ad Alessandro in
riposo, che Io chiama a 'suoi quartieri d'in-
verno per onorarlo : io non persuaderei
un uomo religioso che può essere utile a
Roma; un vèneto, il quale dovrebbe non
ignorareche quello ch'è slato fatto in un
senso, potrebbe essere disfatto con un vol-
gere di mano (allude nuovamente al con-
cordato con Francia) 1 " L' amabile Ar-
taud, emulo di Cacault nell'amore a Ro-
ma, riferito 1' animato discorso del suo
ambasciatore, a Canova, questi non op-
pose più difficoltà , e si commosse sensi-
bilmente, allorché nel corso della conver-
sazione , il facondo Artaud gli rammen-
tò un detto di Napoleone alla vista d'u-
na statua colossale scoperta in Egitto in-
nanzi alla sua presenza: Ahi s'io nonfos-
si conquistatore^ vorrei essere scultore.
L'agente austriaco in Roma, accordò al
Canova, allora suddito del suo imperato-
re, una specie di consenso, presso a poco
simile a quello ch'era stato dato per la
nomina de' cardinali francesi. Cauova
VEN
giunto a Parigi, fu ben ricevuto da Na-
poleone. Durante il la-voro di sua statua,
Napoleone leggeva o diverti vali a ce-
liare colla moglie Giuseppina, o parlava
di cose politiche co! l'artista. In uno di que-
sti colloqui cadile il discorsosul rapimen-
to de'Cavalli di bronzo, che ornavano la
facciata di s. Marco, e sfuggirono di boc-
ca a Canova tali parole: *> La distruzio-
ne di questa repubblica m'affliggerà per
tutto il tempo della mia vita". 11 primo
console non mostrò di aver fatta attenzio-
ne al lamento del veneziano; ma ordinò
che fosse trattato colla maggiore cordia-
lità. Gli artisti e gli scienziati lo festeggia-
rono. Canova poi parti da Parigi, con l'i-
struzione di fare la statua nelle propor-
zioni dell'Ercole Farnese, cioè aitai o pal-
mi. L'eseguì in forme colossali, prima io
marmo, indi in bronzo, e giuoco dell' in-
costante fortuna, il i.° passò poi a Lon-
dra, il 2.0 a Milano. Provarono i fatti, che
in quella statua egli non comparisce il Ca-
nova di Rezzonico e di Ganganelli ; è il
Canova di Ronaparte, distruttore della re-
pubblica veneta! E' il pensiero, che ani-
ma il genio e V immaginazione, e fa su-
blimila penna, il pennello, lo scalpello! — ■
PioVlI nel concistoro de' 1 7gennaio 1 8o3,
dichiarò «'cardinali nell'allocuzione. «Per
quello poi risguarda i veneziani, affinchè
nelP aumentare il numero de' cardinali
dell'estere nazioni venga l'onor loro con-
siderato, e al vostro numero venga ag-
gregato un veneto patrizio,]che appella-
no tiglio di s. Marco, il cui onore hanno
avuto sempre in considerazione nelle lo-
ro promozioni i Pontefici nostri prede-
cessori, a motivo degli antichi meriti de*
veneziani verso quest'apostolica Sede, voi
ben comprendete, venerabili fratelli, che
con molto più di ragione lo stesso dee
farsi da Noi, che tra le altre cose da Noi
considerate nell'attenerci a questa costu-
manza de' nostri predecessori, abbiamo
ancora questa di particolare, che Noi nel-
la nostra comune dispersione ne'più sca-
brosi tempi della Chiesa, per benefizio
VEN
dcll'augustoCesare siamo slatiaccolti nel-
la nobile città di Venezia, come in un si-
curissimo porto, affinchè provvedessimo
al gregge cristiano privo del suo Pasto-
re; che ivi a questa sublimità di onore,
benché immeritevoli, siamo stati innal*
zati co'vostri suffragi, e che ivi abbiamo
ricevuto da'veneziani tanti pegni d'amo-
re, di ossequio e di riverenza, che il ram-
mentare que' tempi sarà sempre cosa gio-
condissima e per Noi e per voi. Tanto
più volontieri adunque in testimonianza
della nostra gratitudine abbiamo decre-
tato di ascrivere al vostro collegio l'otti-
mo prelato Pietro Antonio Zorzì (nato
nel castello di Novegradi diocesi di Zara)
dell'ordine de'chi elici regolari della con-
gregazione somasca, arcivescovo d'Udine,
che Noi abbiamo giudicato degnissimo di
essere sublimato a questo grado di ono-
re".— Narra il Coppi a detto anno 1 8o3,
cheil Veneziano ricevette dal governo au-
striaco alcuni regolamenti. Esso fu divi,
so in 7 provincie di cui furono città ca-
pitali: Venezia, Udine, Treviso (ove mo-
rì il duca di Modena Ercole III), Pado-
va, Vicenza, Verona e Bassano; e fu sta-
bilito che ognuna di esse avesse un capo
col titolo di regio capitano generale, e col-
le attribuzioni d' invigilare all' ammini-
strazione ed alla polizia. Furono simil-
mente ordinali tribunali temporanei, fin-
tantoché nou fosse compiuto il nuovo co-
dice civile e criminale, che si era divisato
di compilare pegli stati austriaci eredita-
ri. A' 20 aprile 1804 giunto in Venezia
l'arciduca Gio. Battista, fratello dell'im-
peratore , impiegò più giorni ad ammi-
rare quanto di raro, di straordinario e di
bello la città racchiude ; festeggiato con
mascherate danze al teatro della Fenice,
con uno splendido corso di barche nel Ca-
nal grande , e coli' addobbamento delle
Mercerie da'ciltadi ni; e dal commissario
plenipotenziario conte di Bissingen, con
una cantata posta in musica da Pavesi.
Visitò poi le provincie, ricevendo da per
tutto dimostrazioui di venerazione, e di
VEN 29
divozione all' austriaco reggimento. Na-
poleone Bonapaile intanto proclamato
imperatore ereditario de' francesi, col no-
me di Napoleone I(giàccn essodi preferen-
za lo chiamai, in confronto del cognome
Bonaparte. Tale nome battesimale fu a
lui imposto in memoria dello zio di Car-
lo suo padre. Quanto all'ortografia del
cognome è noto, che non pochi scrittori
sostennero doversi scrivere anche colla
u : Buonapar le. Dappoiché fino dal 1 792
il nome patronimico di tal famiglia tro-
vasi sempre colla U, e l'atto di nascita di
Napoleone è errato dal curato per leg-
gersi Bonaparte, come si pronunzia in
Corsica, dove generalmente si dice bona
per buona. Il fratello maggiore Giuseppe,
nel 1 793 commissario di guerra,ancorasi
sottoscriveva Buonapartc), a' 18 maggio
1804, la moglie Giuseppina Tascher de la
Pagerie,vedovf. del general Alessandro vi-
scontediBeauharnais(decapitatonel 1 793
dalla stessa rivoluzione di Francia per la
quale avea riportato vittorie, essendo al-
lora deputato della Convenzione), fu sa-
lutata imperatrice. Così alla repubblica
successe l'impero. Luigi XVIII a'6 giu-
gno protestò in Varsavia contro 1' usur-
pazione a preservazione de' suoi diritti.
Non ostante, la maggior parte delle po-
tenze d'Europa riconobbero subito Na-
poleone 1 imperatore de'francesi. L'im-
peratore Francesco 11 rimase alquanto so-
speso, ma in fine lo riconobbe anch' es-
so; ma volendo provvedere al decoro di
sua famiglia coli' aggiungere la dignità
imperiale ereditaria a quella elettiva di
cui era personalmente insignito, per rap-
porto agli stati ereditari austriaci indi-
pendenti, V 1 1 agosto dello stesso 1804
prese il titolo di Francesco 1 imperatore
ereditario d' Austria. Aveva Napoleone,
mentre era i.° console e presidente della
repubblica Cisalpina, da lui fatta ricono-
scere nel trattato di Luneville, a'sG gen-
naio 1802 cambiato il di lei nome chia-
mandola Italiana, anco per esser egli ita-
liano d'origine; ma divenuto imperato-
3o V li N
re, da'depntati italiani, seguendogli stes-
si principii checostituivano il governo del*
l'in» pero francese, n'i5 marzo i8o5 fece
dichiarerei! govei nodtlla repubblica ita-
liana monarchico ereditario; e l' impe-
ratore Napoleone 1 fondatore della re-
pubblica, essere proclamato re d' haliti
(/ .), ma la corona non poter essere uni-
ta a quella di Francia se non che nel-
la sua persona; pregandolo di recarsi a
Milano per assumervi la Corona difer-
ro degli antichi re longobardi. A' 18 Na-
poleone I accettò la corona , a cui erasi
fatto nominare, per dirugginarla e con-
solidarla, e per trasmetterla ad uno de'
suoi figli legittimi, naturali o adottivi; in-
di si recò a prenderla ui6 aprile nella
metropolitana di Milano, ma con rito in
parte nuovo. Poiché invece d'attendere
l'arcivescovo cardinal Capraia, acciò
gl'imponesse la corona sul capo, egli al-
l'opposto, accostosi all'altare, la prese di
propria mano, emettendosela in testa dis-
se : Iddio me V ha data} guai a chi la.
(occherà! Altrettanto avea fatto brusca-
mente nella funzione in cui nella metro-
politana di Parigi, dopo che Pio VII l'a-
lee unto imperatore, ed al quale spetta-
va eseguire la Coronazione dell'Impera'
torej anzi in quel punto ancora avea col-
le stesse sue mani coronalo l'imperatrice.
Con questo operare, volle Napoleone 1 in-
dica re, che dal solo Dio riceveva la pode-
stà sovrana, e che niun diritto o pretesto
voleva somministrare alle questioni più
volte agitate tra il Sacerdozio e VIwjc-
ro. Già fino da' 2 8 marzo avea stabilito,
che i grandi ufllziali del regno fossero: il
cancelliere guarda-sigilli della corona , i
ministri durante l'esercizio delle loro fun-
zioni, gli arcivescovi di Milano, Ravenna,
Bologna e Ferrara (giacché in conseguen-
za dell'anteriore riunione della repubbli-
ca Cispadana alla Cisalpina, anche le 3
ultime provincie omonime erano divenu-
te parte del regno Italico, avendole Napo-
leone stesso ritolte agli austriaci e rico-
nosciuto il trattalo di Tolentino da lui
v e n
dettato), /{ marescialli da nominarsi, e G
ha' principali possidenti. In seguito pre-
scrisse la compilazione del codice penale
e di procedura criminale, per avervi già
promulgato il codice civile francese; isti-
tuì l'ordine della Corona ferrea (V.)j q
con decreto de'7 giugno nominò suo vi-
ceré d' Italia il principe Eugenio beau-
harnais suo figliastro, come figlio dell'im-
peratrice Giuseppina (nato a Parigi nel
1 78 1 , non avea compito il 1 4.°anno quan •
do la scure della rivoluzione troncò i gior-
ni del padre suo, e poi si dedicò alla car-
riera militare sotto il generale fioche.
Avendo poi la madre 1*8 marzo 179^
sposato civilmente Napoleone, questi po-
scia lo nominò suo aiutante di campo, e
recatosi in Italia, giunse al quartiere ge-
nerale mentre si stipulavano i prelimina-
ri di Leoben. Quando pel trattato di Cam -
poformio, l'isole Jonie passarono sotto la
protezione di Francia, vi fu spedilo a ve-
gliare l'esecuzione del trattato, e dare al-
l'isole un'istituzione francese. Reduce di
tal missione, nel 1797 fu di passaggio per
Roma, ove Giuseppe Ronaparte, fratello
del suo padrigno Napoleone, era aad)a-
sciatore. Stando presso di lui la notte de'
28 dicembre , nel Palazzo Corsini, pel
tafferuglio avvenuto per opera de'faziosi,
corse pericolo di vita quando presso di
lui restò ucciso il general Duphot, mo-
strando però sangue freddo e coraggio;
e partì subito nel dì seguente, coli'atnba-
sciatore e gli altri francesi per Firenze.
Questo fatto sciagurato die' pretesto al-
l'occupazione di Roma e detronizzazione
di Pio VI. Raggiunto Napoleone, il se-
guì nella spedizione d'Egitto, e lo zelo e
coraggio da lui dimostrato lo resero sem-
pre più caro al suo padrigno. Questo di-
venuto 1 ,° console, lo fece capitano de'cac-
ciatori a cavallo della guardia consolare,
e si segnalò nella battaglia di Marengo,
onde sulcampo fu da lui fatto capo-squa-
drone: di più Io promosse successivamen-
te, nel 1804 a general di brigata e colon-
nello generale de'cacciatori, nell'anuivcr-
VE?l
V E W
3i
sai-in ili Ma rengo lo dichiarò principe, il che comandava l'ala sinistra^ ottenne se-
gnalati vantaggi alla posizione di Chiavi-
ca ilei Cristo. Massena pubblicò ne'suoi
rapporti d'aver in quella giornata tolto a-
gli austriaci 5,5oo prigionieri, oltre un
gran numero d'uccisi, meni r'esso non ne
perde che 2,000. All'opposto l'arciduca
Carlo, confessando d'aver perduto in tut-
to 0,672 uomini, fece ascendere ad 8,000
la perdita de'francesi. Costretto esso non-
dimeno a retrocedere, attesa la marcia
di Napoleone I in Baviera , cominciò la
sua ritirata la notte precedente a' 2 no-
i.° febbraio i8o5 grande ammiraglio e
nel dì seguente grande ufiìziale della le-
gione d'onore). Avendo cosi Napoleone I
riunito due sovranità, dato a Elisa sua
sorella il principato di Piombino e di Lue*
cay ed annessa Genova all'impero, gli ae-
rimi de'potentati temerono nuovi sovver-
timenti, si allearono l'Inghilterra e laRus-
ila, e ad esse si uni l' imperatore d' Au-
stria. Questi lagnatosi dell'ambizione di
Napoleone I, fece occupare la Baviera e
collocare un esercito sull'Iller. Dall'altro
canto 1' imperatore de'francesi pubblicò
le sue lagnanze e fece armamenti straor-
dinari. Rotta guerra, battè in diversi pun-
ti gli austriaci, circondò e fece prigionie-
ro il general Mack in Ulma, e spinse le
sue truppe in Austria e nel Tirolo. Pre-
se Vienna, e passato il Danubio penetrò
in Moravia. A questi grandi avvenimen-
ti di Germania corrisposero i movimenti
dell'armate francesi in Italia, il cui fiori-
to esercito era comandato dal marescial-
lo Massena. Nell'ottobre i8o5 radunate
le sue truppe, di circa 52, 000 uomini,
ne'dinlorni di Zevio , quindi cominciate
con prospero successo le ostilità, le con-
dusse poi ne'campi di Caldiero poche mi-
glia lungi da Verona , tentando passar
l'Adige. Egli fu respinto: nondimeno per-
venne a risarcire un ponte che gli au-
striaci aveano in parte rotto, ed a forti-
ficarne la lesta sulla sponda sinistra. In-
formato poi de' vantaggi riportati da'fran-
cesi ad Ulma, rinnovò l'attacco a'2Q ot-
tobre. Diresse una divisione sulla destra
sopra Alberedo, sulla sinistra un'altra a
Ponte Polo, ed esso colle altre varcò il
fiume presso Verona. Gli austriaci oppo-
sero una vigorosa resistenza a s. Miche*
le ed a s. Martino , e quindi retrocedet-
tero alle forti posizioni di Caldiero. L'ar-
ciduca Carlo schierò quivi le sue truppe
in battaglia, e attese l' inimico. Massena
avanzossi ad attaccarlo a' 3o , ma fu re-
spinto e dovè retrocedere sull'Adige, e nel
dì seguente il general austriaco Bellegard,
vembre. Il generale Hillinger rimasto in-
dietro, per ordine o per errore, con una
colonna di 5,ooo uomini, fu circondato
da'francesi e costretto a deporre l'armi a
Casa Albert ini in detto giorno; ma intan-
to gli austriaci diressero le loro bagaglie
e artiglierie verso la Brenta. Massena giun-
se a'3 a Montebello,e nel seguente gior-
no entrò in Vicenza a forza, avendo la re-
troguardia austriaca opposta qualche re-
sistenza. Raggiunto frattanto sulla destra
dal general Saint-Cyr con 8,000 uomini,
a'5 passò la Brenta, mandò il general Ver-
dier a occupar Padova, e nel dì seguen-
te fece occupar Bassano dal general Se-
ras. L'arciduca lasciò un presidio in Ve-
nezia , abbandonò la Piave e si ritirò al
Tagliamento. Opposta quivi qualche re-
sistenza, a' 12 novembre continuò dipoi
a retrocedere; abbandonò Palmanova, le
sponde dell'Isonzo, e a'27 giunse a Cilly
sulle frontiere dell'Ungheria e della Croa-
zia. Il general Saint-Cyr frattanto bloc-
cò Venezia, e Massena giunto a Gorizia
a'20, spedì Seras a occupar Trieste. In-
tanto l'arciduca Giovanni minaccialo nel
Tirolo da forze superiori, raggiunse l'ar-
mata d'Italia a Cilly. Nel ritirarsi egli a-
vea richiamaloJellachich e Rohan deSou-
bise (principe comandante gli emigrati
francesi), che con due corpi occupavano
il Vorarlberg. Ma i francesi e i bavaresi li
prevennero alle spalle e li circondarono.
Jellachich si arrese ad Augerau con 4,5oo
uomini, Rohau con un numero di trup-
32 YEN
|>e quasi eguale scese per la valle dulia
Brenta , e tentò u" attraversare la linea
francese per penetrare a Venezia o rag-
giungere 1' armata dell' arciduca Carlo.
Giunto di fatti a' 22 novembre a Bassa-
no , fece prigioniera quella guarnigione
francese, e proseguì la sua marcia per Ca-
stel Franco. Ma presto Ma ssena retroce-
dette da Gorizia con forti colonne sulla
Piave; Saint-Cyr fece avanzare altre trup-
pe dal blocco di Venezia verso Campo s.
Pietro; e allora Rohan circondato da for-
fè superiori per ogni parte, a'24 si rese
prigioniere. Intanto idue arciduchi colle
truppe d'Italia e del Tirolo avevano for-
mato un esercito di 80,000 combattenti;
ma la loro marcia fu poi subito sospesa per
gli avvenimenti di Moravia. Eransi colà
1 iunitiGo, 000 russi, a'qualipureeransi ac-
coppiati 20,000 austriaci, e il maresciallo
russo Kulusow stabilì di venire a batta-
glia campale che decidesse la sorte della
guerra. Erano presenti all'armata gl'im-
peratori Francesco I imperatore d' Au-
stria ed Alessandro 1 imperatore di Rus-
sia. L' imperatore Napoleone I , anche
esso in quel luogo, con circa 80,000 si
dispose eziandio alla pugna. Questa fu
combattuta a*2 dicembre ad Austerlitzj
e per lo sbaglio di Kulusow, che indebo-
lì la sua linea con prolungarla onde as>
salir l'ala destra del nemico, Napoleone
1 profittò dell'errore, e invece d'attende-
re l'assalto, marciò egli stesso all'attacco;
penetrò fra il centro e le ale dell'eserci-
to austro-russo, e lo sconfisse, coadiuvato
da Beruadotte, Soult , Lannes e Murat.
Confessarono i russi aver perduto 1 2,000
uomini, dicendo però che 18,000 era
stata la perdita de' francesi. AH' opposto
Napoleone I pubblicò aver perduto sol-
tanto 3,900 uomini e preso 20,000 pri-
gionieri. Abbattuto Francesco I da sì fa-
tale giornata, detta de' tre imperatori,
dalla loro presenza, e giornata del'
V anniversario , per ricorrere quello
della coronazione imperiale di Napoleo-
ne I, nel seguente giorno domandò ar-
VEN
mfsftzfo e pace, ed a' /[ si recò egli stesso
ad abboccarsi col vincitore a Sarosehntz,
e concertarono le basi della sospensione
dell' ostilità e d'un prossimo pacifica-
mento. Infatti a'6 dicembre 1 8o5fu sot-
toscritto in Austerlitz un armistizio, in
cui si convenne tra le altre cose, che i
francesi dovessero occupare gli stati del-
l'antica repubblica di Venezia con que-
sta città. Napoleone I dettò la pace a suo
piacimento, ad onta che la sua situazio-
ne non era esente da pericoli, perchè egli
era sempre pronto , audace e sagace in
politica, quanto nell* armi. Bisognò ac-
cettare le sue condizioni, fra le quali l' A u-
stria perdette i domimi veneti.
2. I plenipotenziari pel trattato di pa-
ce, in conseguenza della memorabile
giornata d' Austerlitz e susseguente armi-
stizio, si adunarono subito a Nicolsburg,
ma poi il congresso fu trasferito aPre-
sburgo. V intervennero per l'Austria il
principe Giovanni di Lichtenstein e il con-
te Giulay, eTalleyrand per la Francia,
e sottoscrissero il trattato a'26 dicembre
i8o5. Tra le stipulazioni, l' imperatore
d'Austria rinunziò alla partedegli stati ve-
neti che gli era stata ceduta co'trattati di
Campoformio e di Luneville, e convenne
che questa fosse riunita al regno Italico,
riconoscendo il titolo di re che aveano
preso gli elettori di Baviera e di Wur-
temberg. Che Venezia fosse rimessa ai
francesi nello spazio di i5 giorni dopo
il cambio delle ratificazioni. Queste fu-
rono cambiate in Vienna il i.° gennaio
1806. Con questo trattato l'Austria per-
de 2,785,000 abitanti, e 1 3,6 10,000 fio-
rini di rendita; la comunicazione milita-
re coll'Italia e colla Svizzera, e l'influenza
nella Germania. Più, dovè pagare l' im-
posta di 100 milioni di fiorini. Unite
dunque leprovincie venete al regno d'I-
talia, la celeberrima Venezia, che dal La-
rio a* Dardanelli avea per mare e per
terra signoreggiato, divenne il capoluo-
go del dipartimento dell'Adriatico; bensì
partecipò poi de' vantaggi procuratigli a
V E N
quell'epoca dall'impero francese, e fu il
ceolro dell'Italica marina. Venezia dun-
que fu consegnata dagli austriaci a' com-
missari dell'armata francese e poi a quelli
del regno. Il principe Eugenio Beauhar-
nais viceré d'Italia, iti Monaco era stato
da Napoleone I, nello stesso gennaio, a-
dottato per figlio, chiamandolo alla suc-
cessione del regno d'Italia in mancanza
di figli propri, ed a'i3 del medesimo me-
se aveagli fatto sposare la principessa Au-
gusta Amalia figlia del nuovo re di Ba-
viera Massimiliano I. Il quale principe
Eugenio portatosi poi a Verona, pertan-
to Venezia si affrettò di spedirgli in de-
putazione solenne i nobili veneti Nicolò
Corner, Francesco Pisani, Tommaso So-
rauzo, AlviseQuirini,e Antonio Revedin
mercante, per rendergli omaggio e con-
gratularsi. Il principe benignamente ac-
colse gl'inviati, rispondendo loro: veder
con piacere la premura de' veneziani di
recarsi a lui; pronto essere d'occuparsi
de'mezzi tutti capaci a restituire al suo
primiero splendore Venezia, ed avere in
animo di quanto prima condursi egli
stesso colla reale sua sposa. Questo propo-
nimento del principe, Dauiele Renier, al-
lora presidente del governo provvisorio di
Venezia, a'28 gennaio lo annunziò a'suoi
concittadini; quindi l'ampio palazzo Pi-
sani a s. Stefauo si allestì magnificameute
per la principesca coppia, ed a corteggio
del viceré pel suo soggiorno in Venezia
si formò una guardia d'onore, composta
di giovani gentiluomini, di cittadini e di
mercanti, vestiti di uniformi bianche con
trine d'argento e cappello ornato di piu-
me : capitano fu dichiarato il conte Lo-
dovico Widman. Non tardò il principe la
sua venuta: ricevuto a Mestre da splen-
dide barche, circondato e seguito da ma-
gnifico accompagnamento di altre, adat-
tandosi tutti alle circostanze, giunse in Ve-
nezia a' 3 febbraio, tra le dimostrazioni
d'uso. Promise molle cose, nominò il Re-
nier capo del municipio della ciltà, e ne
partì dopo 5 giorni di permanenza. Do-
vol. xeni.
V E N 33
pò la riunione delle provincie venete al
regno d'Italia, le leggi di questo diven-
nero fondamentali di quelle. Ma da' ve-
neziani si tenne per avvilimento, l'aver
prescelto Milano a Venezia per capita-
le del regno Italico (malcontento rinno-
vatosi all'istituzione del regno Lombar-
do-Veneto). Eglino ci videro manifesta-
mente l'oppressione d'una metropoli glo-
riosa per XIV secoli d'esistenza e di ver-
ginità, al confronto di Milano, tratto
tratto invasa da' vandali, da' goti, dagli
ostrogoti, da' longobardi, dagl' impera-
tori : disputata poi dagli altri stranie-
ri spagnuoli, francesi, tedeschi, e persi-
no ora da uno e ora dall' altro domi-
natore italiano. Alla fine di marzo Na-
poleone 1 imperatore de' francesi e re
d'Italia, in Parigi, dopo aver già dichia-
rato al corpo legislativo, aver unito al
suo sistema federativo Venezia e Napo-
li, annunziò al senato i suoi decreti, fra'
quali : Gli .Stati Veneti ceduti dall' im-
peratore di Germania ( titolo e dignità
che Francesco I abdicò poi a' 6 agosto ,
sciogliendosi V Impero romano d' Occi-
dente, e il collegio degli Elettori del me-
desimo) col trattato di Presburgo, essere
uniti al regno d'Italia. 11 codice Napoleo-
ne, il sistema monetario dell'impero, e il
Concordato tra Pio Vile la repubbli-
ca Italiana (V.), fin dal i8o3 concluso
colla s. Sede, fossero leggi fondamentali e
irrevocabili dello stato. Istituire (con de-
creto de'3o marzo) in ducali e grandi feudi
dell'impero le seguenti provincie; Dalma-
zia, Istria, Friuli, Cadore, Belluno, Cone-
gliano, Treviso, Fellre, Bassano, Vicen-
za, Padova e Rovigo. Riservarsi di dame
l'investitura, per essere trasmessi con or-
dine di primogenitura a' discendenti di
coloro in favore de'quali ne avrebbe di-
sposto^ in caso di estinzione di loro discen-
denza fossero riversibili alla sua corona (i
superstiti di quelli poscia investiti, tutto-
ra ne conservano il titolo). Intendere che
fosse annesso a questi feudi il quindicesi-
mo della rendita che il regno d' Italia
3
34 VEN
traeva dalle sopraddette provi ncie} per es-
sere posseduto da coloro che ne avrebbe
investito. L'erede presuntivo del regno di
Italia portasse il titolo di Principe di Ve-
nezia. Dipoi stabilì Napoleone I a*26apri-
le: Che essendo necessario di determinare
i diritti e le prerogative de'grandi feuda-
tari nelle provincie venete, in modo che
restasse pienamente libero l'esercizio del
governo e dell'amministrazione economi-
ca del regno d'Italia , decretava che in
luogo della quindicesima parte dello ren-
dita, i grandi feudatari ricevessero dal
pubblico tesoro del regno un' annua in-
variabile corrisposta di 100,000 franchi
per la Dalmazia, altrettanto per l'Istria,
e di 60,000 per ciascuno degli altri io
feudi. I grandi feudatari non avessero
sulla provincia di cui sarebbero investiti
altea prerogativa che il titolo di duca.
Posteriormente Napoleone I conferì que-
lli feudi a marescialli e ministri francesi.
Diede la Dalmazia a Soult, l'Istria a Bes-
siers, il Friuli aDuroc, il Cadore a Chain-
pagny, e Belluno a Victor. Assegnò Co-
negliano a Moncey, Treviso a Mortier ,
Feltre a Clarke, Bassano a Maret, Vicen-
za a Coulincourt, Padova ad Arrighi, e
Rovigo a Savary. E questi e altri sono i
vincoli co' quali Napoleone I unì al suo
grande impero l'Italia. Non solo poi sta-
bilì con decreto de*2o dicembre 1807 ,
che il viceré Eugenio portasse il titolo di
principe di Venezia, ma natagli nello
stesso 1 807 Giuseppina Massimiliana (ora
regina regnante di Svezia e Norvegia)t
le conferì il titolo di principessa di Bolo-
gna. Con decreto di Napoleone I de' icj
aprile, riferibile al comparto del regno
d'Italia, la provincia di Venezia prese il
nome di dipartimento dell* Adriatico ,
quella di Verona dell' Adige, quella di
Padova del Brenta, quella di Vicenza del
Bacchiglione, quella di Belluno del Pia-
ve, quella del Friuli del Passerianot nul-
la dicendosi della provincia di Rovigo
perchè già molto prima nel dipartimento
del Basso Po immedesimala. Tale unio-
V E N
ne fu festeggiata in Venezia il i.n mag-
gio. I distretti assegnati a ciascun dipar-
timento si leggono negli Annali delle
Provincie Venete del cav. Mulinelli. Delle
principali disposizioni e leggi vicereali, 0
emanated'ordine espresso dell'imperato*
re-re, a suo luogo ne'precedenli §§ ne ho
parlato,dilfusamente ragionandone ilMu-
tinelli. Diròin breve col cav. Coppi, e eoa
altre mie particolari notizie. In primo luo-
go Napoleone I stabilì una linea militare
nel confinante Tirolo italiano, vietando
al re di Baviera di costruirvi sino alla
medesima alcuna fortificazione o farvi
qualunque appareechioguen esco. A M'op-
posto ordinò la costruzione di due nuove
strade per facilitare le comunicazioni fra
il Veneziano e quella montuosa provin-
cia. Restrinse il numero de' religiosi e
delle religiose, e poi soppresse queste e
quelli, oltre le confraternite e i luoghi
pii,al modo compianto in diversi §§. So-
lo la scuola grande di s. Rocco, perduti
però gli argenti ed i fondi, rimase a ine-
rito dell' inallora viceiè Eugenio, sicco-
me ho detto nel § XIII, 11. 5, e il decre-
to 18 luglioi 806, inserito nel Bolletti-
no delle leggi, assegnava pel suo man-
tenimento lire 5oo mensili di Milano.
Stabilì ne' dipartimenti addiacenti alle
coste dell'Adriatico P iscrizione maritti-
ma per far le levate di uomini necessari
alla marina militare. Riconobbe come
debiti dello stato quelli che avea la repub-
blica di Venezia verso la zecca ed il Ban-
co Giro, sebbene l'Austria avesse prece-
dentemente ricusato di riconoscerli, e
prima di essa gli aveano annullati i re-
pubblicani francesi, con desolazione e
rovina di migliaia di famiglie. Essi a*
scendevano a circa cento milioni di lire,
e dispose che la quarta parte ne fosse
pagata in beni demaniali,ed il restante
fosse iscritto sul Monte Napoleone di Mi-
lano. Conservò l'università di Padova e
stabilì che fosse pareggiata a quelle di
Bologna e di Pavia. Quanto poi fu gra-
dita agli antichi sudditi del regno Italico
VEN
l'unione delle provincie Tenete (contie-
ne una popolazione d'un milione e set-
tecento mila abitanti, secondo lo stesso
Coppi), altrettanto dispiacquero ad essi
i gran feudi ed i tributi co'quali furono
le medesime vincolate alla Francia. Ma
il viceré procurò di giustificare per quan-
to potè la disposizione imperiale, dimo-
strando: essere le medesime convenienti
per gratitudine verso coloro che avevano
contribuito col loro valore a stabilire il
nuovo regno, e necessarie per sostenerlo
contro gli esterni assalti. Fu destinata l'i-
sola di s.GiorgioMaggiore a deposito fran-
co di mercanzie forestiere, e l'altra isola
della Giudecca pe'frumenti, altri siti per
gli olii e per il sale, si dichiararono at-
tinenze di detto deposito franco. Fu isti-
tuito un monte di prestiti senza interes-
se, ma che non dovessero eccedere la
somma di lire i5italiane. Si formò una
giunta de'più rinomati idraulici pe* la-
vori delle acque de'paesi veneti. Si rico-
struirono e migliorarono diverse strade.
La riconcentrazione di molte religiose
corporazioni d'ambo i sessi produsse as
sai lagnanze ; cosi a'nobili l'onere del
servigio gravoso delle armi a'ioro figli ,
sotto il titolo di guardie d* onore. Dissi
nel § I, n. 3, che nella i.a dominazione
austriaca cessò del tutto l'indecoroso co-
stume di giuocare presso le monumen-
tali colonne della Piazzetta; forse quel
governo erasi proposto di assolutamente
proibirlo, ma propriamente il morale di-
vieto si deve riconoscere da un decreto
vicereale sotto il governo Italico. Fu in-
viata a Parigi una deputazione di nota-
bili persone de'dipartimenti, per giurare
ubbidienza all' imperatore re d'Italia :
rappresentanti di Venezia furono Fran-
cesco (lo chiama il cav. Mulinelli, ed Er-
molao I Alvise Io denomina il conte Dan-
dolo) Pisani, LeonardoGiusliniani e An-
tonio Revedin. Ricevuti a s. Cloud, il Pi-
sani fece il discorso.«R.avvivata l'agricol-
tura, domati e diretti i fiumi, rinvigori-
ta l'istruzione, e richiamala Venezia al-
V E IV 35
l'antica sua gloria commerciale e guer-
riera, saremo, o Sire , I' opera vostra ;
gusteremo per voi di quella nuova for
tunata esistenza che sarà per offrirvi un
oggetto al vostro cuore non discaro ogni
volta che discender vogliate a felicitare
)e nostre contrade coli' onore sospirato
della vostra augusta presenza". I deputati
provinciali si recarono pure a ossequiare
l'imperatrice Giuseppina, madre del vi-
cerè.E ripatriando, trovarono già in par-
teesauditi i voti da loro espressi. Fu per-
ciò istituita l'accademia di belle arti, fon-
dati licei e alcuni con convitto, emanate
norme per V uniforme insegnamento ,
tutte provvidenze già discorse a' loro
luoghi. Ma però intendevasi a guastare
l'aurea lingua italiana, ad arte in Vene-
zia e nelle provincie disseminandosi com-
pagnie comiche francesi. Assonnati così
gli uomini, e per eccellenza d' adulare
disposti, opportunissimo momento era
quello per la calata di Napoleone I alle
Lagune dell'antica Venezia. Arrivò a'29
novembre 1807000 un pomposo segui-
to di re e di principi, tra' quali primeg-
giavano il di lui fratello Giuseppe re di
Napoli, Massimiliano I re di Baviera colla
regina sua moglie, la principessa di Luc-
ca Elisa sorella dell' imperatore, il gran-
duca di Cleves e Berg Murat cognato del
medesimo, il principe di Neufchalel Ber-
thier, oltre Eugenio viceré. * Infuriava
in quel dì la tempesta, e così pertinace
da dirsi quasi che il genio della città ,
stata già per secoli ricovero famoso di
libertà, mal sofferendo che per primo in
lei, siccome suo signore, Napoleone po-
nesse il piede, aizzato avesse i venti a
scor; volgere il mare sì ch'egli ogni perso-
na in se annegasse ". Il cav. Renier po-
destà, col consiglio municipale de' savi ,
l' incontrò a Lizza-Fusina con grande
pompa e barche adornatissime, e molle
d' acqua complimentava I' imperatore
con dignitosa allocuzione, fra il sibilo de'
venti e lo strepito de' marosi, e per mez-
zo di due mori gli rassegnò due chiavi a
36 V E N
l'ima d'oro, l'altra d'argento, simbolo ili
fedele sudditanza, tosto a lui rimesse (nel-
l'Arsenale si conserva il bacile d'argen-
to colle due chiavi dello stesso metallo
dorate, che servirono come omaggio pre-
sentato quando visitò l'Arsenale stesso).
Entrato I' imperatore in superbissima
peota, cognominati .sovrani e principi, vi
ammise il podestà. Poi salutato dall'ar-
tiglierie de'ridolti sparsi per la Laguna,
e da quelle delle molte navi da guerra ,
salutato dal popolo nelle barche, sopra
i margini delle vie e alle finestre affol-
lato, percorrendo il Canal grande, al cui
principio erasi eretto con molta maestria
e magnificenza un grande arco trionfa-
le, avente a'Iati due colonne rostrate so-
vrastate dall'aquila, disegno di Giannau-
Ionio Selva, i cui ornati eseguirono i va-
lenti artisti Borsato,Bosa,Zaudomeneghi
e Ferrari. Giunse Napoleone l iu Vene-
zia sul vespero, e si recò ad alloggiare
nell'edilìzio dello Scamozzi sulla piazza
di s. Marco in reali stanze; anzi lo tro-
vo denominato palazzo reale , sebbene
le Procurale uuove, ora palazzo reale,
cominciate dallo Scamozzi fino al io.°
arco, fu quindi compiuta l'opera a più.
riprese in tempi diversi e da vari archi-
tetti, e la nuova ala nel 1 8 1 o demolila la
chiesa di s. Geminiano, bensì già il giar-
dino erasi formato nel 1808 coli' atter-
ramento degli antichi granai. Datosi ne'
giorni appresso ad informarsi con accon-
cie interrogazioni sull'andamento de'
pubblici affari, istruitosi de'bisogni della
città, e fattosi a visitarla diligentemente,
in uno a'iuoghi principali della Laguna,
era intanto aperta ad adunanze splendi-
dissime e a concerti melodiosi la reggia,
celebrandosi in pari tempo da'veneziani
il grande avvenimento cou una cantata e
con un festino nel teatro della Fenice,
oltremisura magnifici, coll'usato e anti-
chissimo nazionale spettacolo della rega-
ta, oltre quello popolare di più. vetusta o-
rigine del giuoco delle forze nel canale
dell'Arsenale , e con quello non meno
V E PI
meraviglioso dell' illuminazione a cer
della piazza di s. Marco. Nel visitare la
basilica di tal nome, fu ricevuto dal pa-
triarca mg.r Gamboni e dal clero, can-
tando i musici della cappella: Domino
salvimi fac Ini pera torem et Rcgem no-
strum Napoleonem. Invocazione scritta
pure nell' esterno sulla porta maggiore.
Cosi trascorsi ben io giorni, 1' 8 dicem-
bre abbandonava Napoleone 1 Venezia ,
dopo aver emanato diversi provvedimen-
ti. Accrebbe il territorio del dipartititeli-
lo dell' Adriatico , comprendendovi an-
che la famosa Aquileia, Giulia Concor-
dia e Adria. Elesse capo del gelosissimo
magistrato sanitario il podestà, lasciando
pressoché intatti i diritti e le sapientis-
sime leggi già stabilite dalla repubblica
veneta . Assegnò annue lire 100,000 per
le riparazioni del porto di Malamocco ,
per l'esca vazione de'grandi canali, per la
conservazione di quelle scogliere e di
quelle mura ammirabili esistenti lungo
il Lido di Peleslrina e di Chioggia, delti
Murazzi; altre annue 600,000 lire per
l'escavazione d' un canale di comunica-
zione diretta fra l' Arsenale e il detto
porto di Malamacco, e per rendere que-
sto capace al passaggio di vascelli da
7 4 cannoni. Pose a disposizione del mu-
nicipio l'isola di s. Cristoforo della Pace
per la formazione del pubblico generale
cimiterio della città, ordinò diesi faces-
sero i pubblici giardini , rinvigorì con
ricche dotazioni le rendile del comune
e degli istituti di beneficenza, donò alla
biblioteca, pur da lui visitata, 23,ooo li*
re per acquisto di libri;» e Morelli bi-
bliotecario , da bibliografo chiarissimo
fattosi servile e non leggiadro istorico
delle feste anzidette, vedeasi gratificato
con una vitalizia pensione di 2000 lire,
e coli' ordine della corona di ferro ". Il
Mulinelli, che così parla, tra le note il-
lustrative, ne riporta l' estratto. Io pos-
seggo il libro, dedicato all'altezza impe-
riale della viceregina d'Italia Augusta
Amalia di Baviera (per supplirealla sveu-
.
VEN
loca toccata a' veneziani nella mancanza
sua alle feste da loro celebrate in omag-
gio di esultazione per la venuta faustis-
sima), di magnifica edizione con elegan-
ti disegni maestrevolmente incisi e acqua-
rellati. Descrizione delle feste celebra-
te in Venezia per la venuta eli S. M. I.
R. Napoleone il Massimo imperatore
de' Francesi , re d' Italia e protettore
della confederazione del Reno, data al
pubblico dal cav. ab. Morelli regio
bibliotecario. In Venezia nella tipogra-
fìa Ricotti 1808. Rappresentano le 5 ta-
vole : la i.a il prospetto dell'arco trion-
fale eretto all' imboccatura del Canal
grande, pure coli' imponente veduta di
questo e delle magnifiche e splendide
barche che dirò, stupendamente deli-
neato dal Borsaio ed inciso dal Maina; la
2.ail prospetto del medesimoarco sorgen-
te dall'acque marine, inciso da Albertol-
Ii;3/la peota e la bissona a servizio del-
l' imperatore re, invenzione di Puzzi, di-
segno del Corsalo, incisione dell' Alber-
elli ; 4" la peota a servizio del viceré,
e la bissona fatta eseguire dal podestà,
invenzione e disegno di Borsato, incisio-
ne dell'Albertolli; 5.a il prospetto della
macchina per la regata, invenzione e in-
cisione de'due lodati egregi artisti. Impe-
rocché la regata, una fra le più brillanti
feste veneziane, di cui il Canal grande è
nobile e decoroso teatro, spettacolo pro-
prio di Venezia, soltanto dal i3oo circa.
la quale nel 1 3 1 5 decretò regate annua-
li a' 25 gennaio con galee (il vocabolo
vuoisi derivato da riga, che vale linea,
perchè precisamente in riga e in linea si
mettono le barchette che corrono il pre-
mio; altri lo pretendono da rcmicatai e
meno assai da auriga: la i.a istituzione
ebbe a scopo l'esercizio delia gioveutù
marineresca al maneggio del remo sulle
galee e altre barche guerriere; ne parlai
nel § XVI, n. 5); spettacolo sempre più
sorprendente che veder si possa per la
maguificentissima pompa del singolare
suo complesso; e siccome fra il palaz-
V EN 37
zo Foscari e quello de' Balbi erigevasi la
meta, a cui pervenivano le gareggian-
ti barchette per cogliere il premio, la
macchina fa appunto costruita presso
al palazzo Balbi. In questo poi e in una
magnifica loggia, costrutta per domina-
recoraodamente la veduta delle duebrac-
cia del Canale, si recò a goderla l'impe-
ratore colia regia comitiva, e partita la
3.a regata, nel suo maestoso caicco, co'
sovrani e principi, girò acclamato pel Ca-
nal grande, indi al palazzo reale fece ri-
torno. Lasciata Napoleone I la signora
antica de'mari, per Treviso, ben accolto,
si recò a visitare pure Palmanova e le
fortificazioni d'Osopo, indi festeggialo a
Udine, retrocedendo fu al regio palazzo
di Stra, e per Mantova fece ritorno a
Mtlano, senza intrattenersi un istante a
Padova. Questa dolente e confusa, gl'in-
vio un'ambasciata con a capo il virile in-
gegno del concittadino Melchiorre Ce-
sarotti, allora ammirato principe della
letteratura (poeta stimato, scrittore vi-
vace, acuto filosofo, critico erudito, sin-
golareggiandosi nella poesia e prosa con
parole e frasi francesi, come osservano :
Moschi ni, Della letteratura Veneziana
del secolo XVIII fino a nostri giorni ;
Gamba, Galleria de' letterati ed arti-
sti illustri delle provincie Venete del
secolo XVIII) ; la potenza della cui e-
loquenza, ne vinse Io sdegno, l' amicò
con Padova, ed all' oratore procurò vi-
talizia pensione di 4>ooo lire e il gra-
do di commendatore della corona fer-
rea, che divenuto maggiormente entu-
siasta, anco alla poesia estese le lodi pro-
fuse nella prosa, col poema Pronea. Nel-
la Storia di Pio VII, dell'Artaud, t. 2,
p.9D,è una lettera scritta daChampagny
all' ambasciatore francese Alquier, a' 7
dicembre da Venezia, celebrando l'acco-
glienza futa a Napaleoue I, colla mira
» d'incoraggiare coloro che sostenevano
essere conveniente che il Papa cedesse
alle pretensioni d'un sì grande vincito-
re, il quale a suo talento disponeva au-
38 YEN
che degli stati dell'antica e possente repub-
blica veneta". — Intanto fra le angustie
enormi che Napoleone I incessantemente
recava a Pio VII, altra amara questione
addolorava l'ottimo Papa, per 1' esten-
sione alle proviucie venete del summen-
tovato concordato del regno Italico. L'ac-
cennai nella sua biografìa, e qui come luo-
go suo col Coppi meglio ne riparlerò.
Sino dal settembre 1806 il ministro del
culto del regno Italico avea trasmesso a
Roma le nomine a diversi vescovati tan-
to dell'antiche diocesi della repubblica
italiana, quanto di alcune esistenti uel
territorio veneto unito al regno dopo la
pace di Presburgo. 11 Papa però rispose :
» Certamente uiunopiù di lui desiderai e
che si provvedessero le chiese de'ioro pa-
stori. Far però osservare che dal gover-
no Italico le nomine si erano fatte in
forza del concordalo; ma questo da Na-
poleone essersi violato nella stessa sua
promulgazione; dalla s. Sede non essersi
perciò pubblicalo : quiudi non potersi in
forza del medesimo nominare. Doversi
inoltre considerare che il privilegio di
queste nomine accordate per il regno I-
lalico non si poteva estendere a'dominii
veneti che posteriormente vi erano slati
uniti. Di più essersi dal governo Italico
nominalo ad alcune diocesi venete, alle
quali per lo innanzi aveva sempre prov-
veduto direttamente la s. Sede. In tale
stato di cose pertanto, doversi prima ac-
comodare le questioni insorte sul concor-
dalo Italico, e doversene concludere un
altro pe' veneti dominii prima di provve-
dere de'ioro vescovi le diocesi indicate".
A questi principii d'ecclesiastica discipli-
na il viceré Eugenio osservava: » Che sa-
rebbe opportuno il differire ad altra e-
poca la discussione de'reclami relativi al
concordato. Nelle circostanze in cui era
allora l'Europa, e specialmente il più po-
tente fra' monarchi cattolici, doversi piut-
tosto prescindere da ogni al tra cosa e prov-
vedere le Chiese de' loro pastori ". Del
resto, egli comunicòil tutto a Napoleone
V EN
I, il quale rispose sul fine di luglio 1807.
» Il Papa meditare interdetti e scomuni-
che, e cercare cou un tal mezzo di susci-
tare guerre e rivolte. In tale stalo di co-
se dover esso provvedere alla tranquilli-
tà de'suoi popoli, e separarsi co'medesimi
dalla Sede romana! Tutta la colpa ne sa-
rebbe stata del Papa, il quale era guidalo
da interessi temporali a preferenza de'di-
vini! Del rimanente se questi voleva com-
porre tutte le questioni pendenti, incari-
casse un plenipotenziario a trattare a l'a-
rici. Partecipasse tultociò a Roma". Co-
si fece il viceré, e Pio VII replicò tran-
quillamente a tanta improntitudine I' 1 1
agosto. ** Non aver potuto leggere senza
ribrezzo le proposizioni contenute nella
lettera di Napoleone ; ma esse non aver
bisogno di confutazione, essendo di già
state confutate le tante volte. Esse nou
aver nemmeno potuto turbare 1' animo
suo per le conseguenze minacciale riguar-
do alla separazione dalla s. Sede di tanta
parte d'Europa. In tal ca60 egli ne avreb-
be pianto, ma ninna colpa sicuramente
se ne sarebbe potuta rifondere in lui. Del
resto con tutto il piacere prestarsi alla pro-
posta trattativa in Parigi per comporre
tulte le vertenze". Nominò di fatti il car-
dinal Litta milanese per portarsi colà a
negoziare, ma Napoleone lo rifiutò; fece
lo stesso di un altro eh' era stalo surro-
gato, cioè il cardinal Pacca, e finalmente
manifestò, che avrebbe ricusalo qualun-
que cardinale, tranne \\ francese Latici'
de Bay amie, del tutto sordo! Nel tempo
stesso Champagny, nuovo ministro degli
affari esteri di Francia, dichiarò al cardi-
nal Capraia legato in Parigi, Pio VII a-
ver buone intenzioni ma cattivi consi-
glieri : scegliesse, o la perdita delle Mar-
che, 0 il cambiamento della sua politica;
più esigere l'imperatore, che si trattasse
anche in Parigi uu concordato per la con-
federazione Renana di Germania, e ciò
co'cardinali Capraia o Latierde Bayan-
ne, o col nunzio dimorante in quella re-
gione mg/ della Genga (poi LeoueXIf).
V E »
A tante insolenze e invettive, corrispose
il mansueto Pio VII con compiacete an-
che in questo il prepotente Napoleone I.
Questi però, benché mg.r della Genga
già fosse giunto iu Parigi, e il cardinal
Latier de Bayanne viaggiasse a quella
volta, eseguì tirannicamente le minacce,
facendo colle truppe di Lemarois occu-
parle provincied'Ancona, Macerata, Fer-
mo e. Urbino, riunendo queste Marche
a! regno Italico. Tutlociò succedeva men-
tre Champagny avea notificato a' pleni-
potenziari pontifìcii: dovere ilPapa adot-
tare il sistema federativo e far causa co-
mune coll'imperatore in tutte le guerre;
riconoscere i sovrani fatti da lui, inclu-
si vameute a'fratelli Luigi e Girolamo, re
d'Olanda il i.°,edi Weslfaiia il 2.0; ri-
nunziare a'principati di Benevento e Pou-
tecorvo, da lui dati a Talleyrand e Ber-
nadette, senza nemmeno parteciparlo al
la signora di essi, la s. Sede; portare il
numero de'cardinali francesi a!3.°di quel-
lo del sagro collegio: finalmente, il con-
cordato stabilito pel regno d'Italia, rice-
vesse eziandio la sua esecuzione nell'an-
tico stalo veneto, in tutti i paesi del re-
gno annessi, ed in quelli di Lucca e Piom-
bino; e che n;un vescovo del regno d'I-
talia fosse obbligato di portarsi a Roma
per esservi consagrato. Riservarsi fare al-
tre domande, specialmente per tardanza
di risposta. Non potendo Pi VII accon-
sentire all' accennate e altre esorbitanze,
lini con perdere il resto dello stato e con
essere strascinato prigione a Savona ! La
gerarchia ecclesiastica perseguitata e di-
spersa, manomesso ogni ordine di cose.
Frattanto iu Venezia si sopprimevano con-
venti e monasteri, riuuendo in altri ac-
calcati religiosi e monache, alcuni di tali
edifizi colle chiese si demolivano, e così
sparivano monumenti antichi e nobilissi-
mi per meravigliose pitture, di pietà pa-
tria e di religione, rovinando sotto vene-
ziani picconi, e per essi violati e distrutti
i cittadini sepolcri, che contenevano illu-
stri ceneri di benemerentissimi veneti.
V E N 39
Successivamente il genio malefico distrut-
tore, in breve giganteggiò in Venezia, nel
modo tante volte lagrimato cou isdegno.
11 domiuio francese in Italia, ormai avea
suscitato contro di se lo spirito pubblico,
essendo per lo più i conquistatori dete-
stati da'popoli vinti. L'Austria vieppiù
divenuta gelosa della crescente colossale
potenza di Napoleone I, die avea dato il
regno di Spagna ai fratello Giuseppe, e
quello di Napoli al cognato Murai, si ar-
mò poderosamente nel 1808, onde Na-
poleone I se ne lagnò acremente e fece
marciare truppe in Germania, benché
l'imperatore Francesco 1 pel suo amba-
sciatore Mettermeli avesse dichiarato a
Parigi nell'agosto non volersi che difen-
dere; ma poi nel seguenteanno 1809 pub-
blicò un manifesto contro le operazioni
della Francia, e fece maneggi per sot-
trarre dal suo dominio la Germania set-
tentrionale, l'Olanda e l' Italia. Indi gli
austriaci si avanzarono a' 9 aprile sulle
offese, con invadere, l'arciduca Carlo, la
Baviera ; ma Napoleone I vinse gli au-
striaci a Landsut,ad Eekmùhl ed a Ra-
tisbona, e prese Vienna; ma passato il
Danubio dall'arciduca Carlo, Io vinse a
Esling o Gross-Aspern. Nel detto giorno
9 aprile l'arciduca Gio. Battista passato
l'Isonzo si avanzò nel Friuli, con nume-
rosi corpi di cavalleria, ponendo l'assedio
a Palmanova ed Osopo. Il viceré Euge-
nio trovavasi iu Udine, senz'avere adu-
nata la sua armata, onde si ritirò per con-
centrarla sostenendo vari combattimen-
ti, a Pordenone il i5 perdendo un di-
staccamento francese fatto prigioniero.
Intanto colle sue divisioni unite credette
poter presentare battaglia agli austriaci
e tentare di arrestare t movimenti offen-
sivi, mentre era di già pervenuto a pren-
dere posizione sulla Voncel. Adunque
nella mattina de' 16 schierò presso Sa-
cile le divisioni di Grenier e di Barbou
nel centro, Seras e Severoli all'ala destra,
Broussier alla sinistra, e tenue in riserva
la cavalleria diSahuc con qualche squa-
4o VEN
drodC della guardia italiana. Si combat-
le per 6 ore con eguale coraggio e fortu-
na, nelle pianure di Fontanafredda fra
Pordenone e Sacile, grave e sanguinosa
pugna; ma in fine gli austriaci superiori
in numero e specialmente in cavalleria,
minacciarono ài circondare l'ala sinistra
del viceré, ed allora questi dovette cede-
re, e alle 3 pomeridiane ordinò la riti*
rata su Sacile. La cavalleria di Salme fu
disfatta ; e Broussier sostenne con diffi-
coltà la ritirata. La sola notte mise fine
alla battaglia, che fu disastrosa pe' fran-
cesi e italiani, avendovi essi perduto più
di 2,000 uomini: tra' feriti vi furono i
generali francesi Garresi! e Teste. Dopo
questo disastro il viceré, obbligato s pie-
gare e a ritirarsi, mandò il general Bar-
bou con sufficiente presidio a Venezia, e
ritirossi a Caldiero sull'Adige, dove giun-
se a'22 aprile. Radunòquivi tutlele trup-
pe disponibili del regno Italico, e fu raf-
forzalo dalle divisioni francesi di Rusca
e Durutte. Napoleone I gli spedì per ap-
poggio o consiglieri Macdonaid e Luigi
Baraguay d'Hilliers generali d'antica ri-
putazione. Allora egli die'un nuovo ordi-
namento all'armata ; e mentredava que-
ste disposizioni sull'Adige, avendo gli au-
si riaci invasoli Veneziano,cioè ilTrevigia-
no.il Padovanoe parte del Vicentino,suc-
cedevano diversi combattimenti sotto le
piazzeassediate,especialmente presso Ve-
nezia, dove da qualche tempo il governo
attendeva a fortificare le Lagune con 8
forti e 97 fortini. A'23 aprile l'arciduca
Giovanni assaltò con molte truppe uno
di questi forti costrutto a Malghcra,e ne
ftt respinto con perdila di diverse centi-
naia d'uomini. Intanto occupò Padova
e Vicenza, e poi si recò sull'Alpoue pres-
so Caldiero. Nel tempo stessoattesero gli
austriaci a spargere proclami per indur-
re gl'italiani a rivolgersi contro i france-
si,ma non produssero molto effetto. Dap-
poiché attesa la disfatta della principale
armata austriaca in Germania, l'arcidu-
ca Giovanni ebbe ordine di retrocedere,
VEN
percuia'28 aprile sospese i suoi movi
menti offensivi. Il viceré che ili ciò si ac-
corse, nel dì seguente volici fare una ri-
cognizione generale su tutta la linea, e
ne seguirono diversi combattimenti ; ri-
chiamò poi l'armata a'suoi postinolo la-
sciando un forte distaccamento a Baslia.
A' 3o aprile V attaccarono e presero gli
austriaci, e nella seguente notte comin-
ciarono la ritirata; ripassato il Brenta a'
3 maggio, a'6 furono sulla riva sinistra
della Piave. Il viceré li persegui e accad-
dero diversi combattimenti, specialmen-
te a Montebello, Olmo, Vicenza, Bana-
no e Treviso. Sulla Piave però gli au-
striaci mostrarono di volersi fermare al-
quanto, massime presso il ponte della
Priula che distrussero, e a Rocca di Stra-
da sulla via di Collegllano. Il viceré pas-
sato subito il fiume a guado presso Lo-
vadina e s. Michele l' 8 maggio comin-
ciò a far passare le sue truppe senz'im-
pedimento, assaltando il nemico, e tosto
l'azione divenne fiera e generale. Gli au-
striaci opposero vigorosa resistenza, ma
poi retrocederono si! tutti i punti, riti-
randosi a Conegliano. I francesi calcola-
rono la loro perdita a 2,5oo uomini, e
quella degli austriaci a 10,000. L'arci-
duca continuò a ritirarsi verso la Stiria
e l'Ungheria, inseguito dal viceré che lo
danneggiò a s. Daniele, occupando diver-
se città e luoghi. A' i4 g,ugno> benché
con forze inferiori, presso la città di Ruab
o Già varino, assaltò con 36, 000 uomi-
ni l'arciduca, e dopo 4 °,e di combatti-
mento senza che alcuna delle parti ce-
desse, gli austriaci si ritirarono verso il
Danubio. I francesi annunziarono d'aver
perduto 2,5oo uomini, e d'averne fatti
perdere agli austriaci 7,000. Dipoi il vi-
ceré pubblicò, che nell'i «seguire l'arma -
la austriaca dall' Adige al Danubio, le
toUe 37,000 prigionieri con 197 canno-
ni. Precaria dunque fu la dominazione
austriaca ne' luoghi occupali e tosto le
loro disposizioni furono annullate, alle-
viandosi i danni risentili da'ciltadiui de'
V E N
dipartimenti dell' Adriatico, del Bacchi-
glioiie, del Brenta, del Piave, del 'raglia-
mento e del Passeriano, con proroga di
pagamento alle pubbliche gravezze. La
vittoria riportata a Wagram a'6 luglio
da Napoleone I, indusse Francesco I nel-
la seguente notte all'armistizio di Zua ti m,
e alla rovinosa pace diSehonbrunn. — Il
decreto fatale de'2 3 aprile 18 io per Ve-
nezia e pe' paesi veneti ordinò la genera-
le soppressione delle corporazioni reli-
giose de' due sessi, delle confraternite e
di altri stabilimenti pii. Nel 18 10 creato
in Milano un istituto di scienze, lettere
ed arti, una sezione fu stabilita in Vene-
zia (di recente si è pubblicato: Atti del-
Vi. r. Istituto Veneto di scienze, lettere
ed arti dal novembre 1 858 all'ottobre
1859. Tòmo 4°> serie 3. \ dispensa !.",
Venezia tipografia Antonelli 1859), che
poi nel 1812 vide fondato l'Ateneo ve-
neto, e 1' Arsenale divenne operosissi-
mo per navali costruzioni, da non cede-
re all'attività spiegata in pari tempo da
que' di Tolone, Brest, Anversa ed Olan-
da. A' i5 agosto del 181 1 s'inaugurò
in Venezia la statua colossale di Napo-
leone 1, lavorata da Domenico Bariti, ed
eretta sulla Piazzetta di s. Marco alla me-
dieta della facciata del palazzo ducale ;
tolta poi a' 19 aprile 18 i4> e distrutta, il
modello originale fu collocato nel mu-
seo di A. Sanquirico,ora alienato sta per
passare in Francia. Frattanto, avendo
Napoleone 1, in mezzo a tanta formi-
dabile potenza e gloria, perduto la spe-
ranza d'avere successione di figli nel gran-
de impero dall'imperatrice Giuseppina,
senza badare all'indissolubilità del matri-
monio, la ripudiò nel declinar del 1809,
e nell'aprile del 18 io si congiunse in ma-
trimonio coll'arciduchessa d'Austria Ma-
ria Luigia, figlia dell' imperatore Fran-
cesco 1, argomenti abbastanza parlati a'
propri luoghi. — Poco dopo Napoleone
I volle che Canova facesse il ritratto del-
la novella imperatrice sua consorte, sol-
lecitandolo a ritornare a Parigi,e questo
VEN ii
secondo viaggio fornisce incidenti ,che per
una gloria veneta non si debbono intra-
lasciare, ricavandoli dall'accuratissimo
e autorevole cav. Artaud, t. 2, cap. 62.
Genova giunse inParigi 1' 1 1 ottobre 18 i o,
e fu presentato a' 1 2 all'imperatore e al-
l'imperatrice, mentre facevano colazione.
Canova disse, ch'era venuto a fare il ri-
tratto all'imperatrice, per soddisfare Sua
Maestà, e tornare al più presto a Roma
per riprendervi i suoi lavori. >-> Ma, ri-
spose l'imperatore, Parigi è al presente
la capitale, bisogna che restiate qui, e lo
farete bene. — Voi, Sire, siete il padrone
della mia vita, ma se piace all'impera-
tore che sia questa impiegata e spesa a
suo servizio, bisogna che mi conceda di
tornare a Pioma tosto che avrò compiu-
to i lavori pe'qoali sono qui venuto. Mi
è stato parlato di fare il ritratto dell'im-
peratrice : io la rappresenterò sotto la fi-
gura della Concordia ". L' imperatore
cortesemente sorrise e replicò. « Il cen-
tro è qui, qui si trovano tutti i capolavo-
ri antichi. Manca solo l'Ercole Farnese
ch'èa Napoli. Me lo sono riservato per me.
1 — Lasci, riprese Canova, ah lasci alme-
no qualche cosa all'Italia; i monumenti
antichi formano collezione e catena con
un'infinità d'altri che non si ponno tra-
sportare né da Roma, nèda Napoli". Bel-
lo sarebbe il riportare i diversi dialoghi,
fra wn Napoleone I ed un Canova, ma
appeua mie dato riprodurne alcuni. Dis-
se Napoleone I, che a riparare le perdite
d'Italia, avrebbe ordinato scavi a Roma;
ma Canova rispose, su di essi averne un
sagro diritto i romani, né potendoli ven-
dere e mandar fuori, qual retaggio del
popolo re e ricompensa data dalla vitto-
ria a'ioro antichi padri. Parlandosi del-
la già discorsa statua colossale in piedi
dell'imperatore, questi mostrò dispiacere
sapendo eseguirla ignuda, onde disse al
Canova. » Ma perchè non fate voi nuda
anche la mia statua colossale a cavallo?
— Questa deve avere il costume eroico :
i vecchi re di Francia, e il vostro Giù»
4* V EN
seppe II iti Vienna, o Madama, sono così
dligiali, perchè sono a cavallo". Canova
francamente, per l'amore ohe aveaal Pa-
pa ed a Roma, piti volte affettuosamente
deplorò la condizione dell'uno e dall'al-
ti a, perchè separali.»* Ma noi, soggiunse
Napoleone I, faremo Roma capitale d'I-
i dia, e vi aggiungeremo Napoli. Che ne
dite? ne sareste contento? — Le arti po-
trebbero ricondurvi la prosperità. La Re-
ligione favorisce le arti, e questa, o Sire,
questa sola le ha sostenute presso gli egi-
si, i greci ed i romani. I lavori de' ro-
mani portano tutti l'impronta della Re-
ligione. Questa salutare influenza sulle
fi iti le ha salvate ancora in parte dalla
rovina de' barbari. Tutte le religioni so-
no benefattrici delle arti; e quella eh' è
più. particolarmente e più splendidamen-
te la loro protettrice e la loro madre, è
la vera Religione, la nostra Religione
cattolica romana. I protestanti, Sire, si
contentano d' una semplice Cappella e
d1 una Croce, e non porgono occasione
d'eseguire pregevoli capolavori d' arte.
Gli edifìzi eli essi possedono furono fab-
bricati da altri ". L'imperatore voi tosi
a Maria Luigia, interrompendo Canova,
esclamò:*» Egli ha ragione, niente hanno
«li bello i protestanti". In un'altra sedu-
ta, non mostrando fare attenzione che a*
tratti dell'imperatrice ea'lineamenti dol-
ci e delicati del suo viso, e dando ase stes-
so un'intrepida missione innanzi al Gio-
ve Italico (sic), Canova parlò ad un tratto
«li Pio VII. »» Le prime parole che sfug-
girono al veneziano furono si forti, che
temetteperun momento d'aver commes-
sa una imperdonabile imprudenza, ma
il sopracciglio di Napoleone l non avea
annunziatola burrasca ; ascoltava egli at-
tentamente questi rimproveri, che per
quanto fossero forti e tendessero eviden-
temente ad un diretto fine, erano però
articolati con un accento gentile, rispet-
toso, con quel noti so che del carezze-
vole veneziano che tanto allctta, in una
lingua dove la parola propria uon arri.
V EN
vava sempre a punto, senza però che il
pensiero nulla perdesse del suo valore
e di certa quale irresistibile incisione.
L'imperatrice guardava Canova con me-
raviglia mista con una contegnosa sod-
«lisfazione ". Allora Canova incoraggia-
to maggiormente, continuava il suo te-
ma: persuaso che l'animo dell'impera •
lore non fosse tirannico, ma solo gua-
sto dagli adulatori che gli nascondevano
la verità. Pareva che Canova avesse Ti a
sua libera disposizione, e per se solo, il
Napoleone credente.Dopo uno di que'mo-
vimenti d'artista, che pareva a null'altro
intento che a più profondamente studia-
re il suo modello, siccome poi confidò
al grazioso eloquente storico, continuò.
» Ma, Sire, perchè Vostra Maestà non si
riconcilia in qualche modo col Papa? —
Perchè i preti, signore, vogliono coman-
dare dappertutto, ed esser padroni di tut-
to (pretendeva di credere Napoleone), co-
me Gregorio FII(F.). — Mi pare però,
Sire, che ciò non si possa temere oggidì,
poiché Vostra Maestà è padrone di tutto
in Italia. — I Papi hanno sempre tenuta
repressa la nazione italiana, quando \\ov\
erano neppure signori in Roma (qui Na-
poleone si mostra ignaro della storia), in
grazia delle fazioni de' Colonna e degli
Orsini (altri errori storici di Napoleone).
— Certamente, o Sire, se i Papi avessero
avuto l'ardire di Vostra Maestà, ebbero
bei momenti per diventare i padroni di
tutta Italia! — Questa ci vuole, mio si-
guore,l'interruppe Napoleone I, toccando
l'eLa della sua spada, la spada ci vuole
(ma Napoleone, come pur leggo nell'Ai*-
taud, avea detto a'suoi ministri: trattale
col Papa come potenza che disponga di
2oo,ooobaionetle prontejeduuo de'suoi
più illuminati ministri, Cacault, scriveva
a'27 ottobre 1802 a Napoleone: Il Pa-
pa è affezionalo alla Francia, ma dev'es-
sere rispettato e ubbidito come un sovra-
no che avesse cinquecento mila uomini
a'suoi comandi. Lievissimo paragone del-
l'un a» e usa forza morale de'Papi,a cui per
V EN
lo meno piegano li ginocchio, nelle cin-
que parti del mondo, duecento milioni
d'individui !). — Non la Spadn(Pr.) sola,
con essa il liuto (bastone ricurvo usato
dagli auguri; ma il Canova, poiché tutti
i grandi artisti hanno privilegiato inge-
gno, dono di Dio, e sono eruditi, intese
alludere al Pastorale). Ma finalmente,
Sire, giacche voisietegiuntoa tanta gran-
dezza colla vostra spada, non permettete
che i nostri mali si accrescano, lo ve lo
dico ingenuamente, se non sostenete Ro-
//jtf,essa diviene quella ch'era allora quan-
do i Papi trova vansi stanziati in Avigno-
ne". L'i muratore parve vivamente com-
mosso e colpito da questo fatto; disse con
forza. >* Ma mi fauno resistenza? E che?
non sono io forse il padrone della Fran-
cia, di tutta Italia, di tre grau parli del-
la Germania? non sono il successore di
Carlo Magno l Se i P»pi d'oggidì fos-
sero stati come i Papi d'una volta, il tut-
to sarebbe assestato (opinione privata di
Napoleone: del resto m'appello alla Sto-
ria). E i vostri veneziani, sì, essi pure,
non ebbero brighe co'Papi ? — Non sino
al punto ove si è portata Vostra Maestà.
— Ma iu Italia il Papa è tutto tedesco'*.
E iti così dire, Napoleone I guardò l'im-
peratrice. >» Posso accertare, l' impera-
trice rispose, che quando io era in Ger-
mania, vi si diceva che il Papa era tutto
francese". Napoleone I continuò: » E-
gli non ha voluto (Pio VII) cacciare ne
i russi, ne gl'inglesi, ne gli svedesi, né i
sardi da' suoi stali". Il 5 novembre l'im-
peratore, prima di congedare Canova,
volle dargli un'idea della sua potenza,
per mostrargli il perchè non dovea mai
dare addietro.* Signor sì, ho sessanta mi-
lioni di sudditi, da otto a novecento mi-
la soldati, centomila cavalli. Gli stessi an-
tichi romani non ebbero mai forza pari
olla mia. Ilo dato quaranta battaglie: in
quella di Wagiam ho sparato centomila
colpi di cannone, e questa signora, ag-
giunse volgendosi all'un pelatrice, sì, que-
sta signora, che allora era arciduchessa
YEN 43
d' Austria, voleva la mia morte ". — E
vero, riprese Maria Luigia. — Canova,
co'suoi magnanimi sensi avea detto tut-
to quello che poteva dire un cristiano co-
raggioso, e ripartì per Roma, da lui a-
mata quanto Venezia, ricusando la digni-
tà di membro del senato di Parigi. Egli
dunque procedette avanti quello che fa-
ceva tremare lutti, da cattolico e da ita-
liano (Canova ritornò poi una 3.a volta
a Parigi da Luigi XVUI, per commis-
sione di Pio VII, per ricuperare a Roma
i capi d'opera di scultura e pittura, ol-
tre gli arazzi ivi trasportati: ne ragionai
nella biografia del Papa e altrove. Vi
si recò col fido e colto Acate, il fratello
uterino mg.r Sartori-Canova. A tanto
nome, mi piace qui aggiungere, agli o-
nori funebri resi all' illustre prelato e
dichiarati nel voi. XCI, p. 276, quelli
annunciati dalla Civiltà Cattolica de' io
febbraio! 8 5g a p. 479. Giuseppe da Col,
Discorso funebre per Mg.r 111° e Rev.°
Vescovo di Mindo Giambattista Sar-
tori-Canova, letto nelle solenni esequie
fatte nel tempio diPossagno dalla con-
gregazione delle scuole di Carità nel 26
luglio 1 858, Castel Franco tipografia di
Gaetano Lougo 1 858. Neil' esequie di
Monsignor Giambattista Sartori- Ca-
nova vescovo di Mindo, celebrate in Cre-
spano il 3 agosto 1 858. Orazione del-
Vab. Giuseppe Jacopo prof Ferrazzi}
Bassano tipografia di A. Roberti 1 858).
— Per le vicende politiche, l'imperato-
re Francesco I, dipoi nel 181 2 si collegò
col genero; indi avvicinandosi il tramon-
to della fbrluua Napoleonica, altra av-
ventura, catnbiatrice di destini, sovrasta-
va intanto all'Italia. Narrai in tanti ar-
ticoli, che Napoleone I nel 181 1 si pre-
parò alla strepitosa guerra controia Rus-
sia, alleata dell'Inghilterra, e nel 18 12
marciò ad invaderla; ma non ostante i
progressi fatti, tentò inutilmente paci-
ficarsi coll'imperatore Alessandro I, si ri-
tirò da Mosca e perde il fioritissimo eser-
cite, nel quale erano tanti valorosi ita-
W VEN
liani, eneli8i3 ville l'i m perai ore Fran-
cesco I suo suocero collegarsi contro di
lui colla Russia, l'Inghilterra e la Prus-
sia, cui poi si unirono altri sovrani e la
Baviera, per ripristinare l'equilibrio eu-
ropeo, onde da essi gli fu dichiarata la
guerra. Nella Sassonia e ne' campi di
Lipsia a' i 8 ottobre, colla famosa disfat-
ta di Napoleone l,si vendicarono i collega-
ti delle lunghe ingiurie sofferte. Raccon-
tano il cav. Mulinelli e il cav. Coppi,con-
sequenza degli strepitosi guerreschi av-
venimenti, i paesi veneti si trovarono
esposti alle armi austriache, comandate
dal principe Enrico XV di Reuss-Plauen,
prima a mezzo del generale in capotili-
lei* facendo cominciare le olfese nel fine
di settembre; prese Trieste, e spedì trup-
pe sufficienti per ricuperare la Croazia,
l'Istria e la Dalmazia. Laonde il viceré
Eugenio a tempo avea ordinato le cose
necessarie alla guerra imminente. Aven-
do egli da 70,000 uomini, con molta
prudenza li divise in 3 principali corpi ;
il 1. "comandato da Grenier pose campo
sulle rive dell'Isonzo e del Tagliamenlo;
il i.° diretto da Verdier si stabilì a Vi-
cenza, a Castelfranco, a Bassanoea Fel-
tre; il 3.° governato da Fino, a Padova
e a Verona alloggiava. Ma forti gli au-
striaci di buone ragioni, ed avendo i po-
poli amici, il viceré li combatté inutil-
mente, benché da condottiero valoroso
ed esperto, facesse onorale fazioni sull'I-
sonzo, sul Piave, ed a Rosa presso Bas-
sano ; ed eziandio ad onta di altri sforzi,
e che barbaramente ordinasse il brucia-
mento del ponte sul Brenta a Bassano,
famosa opera di Bartolomeo Ferracinu.
Obbligato quindi V esercito di Eugenio
a ritirarsi, fissò a Verona i suoi alloggia-
menti nel principio di novembre, sicco-
me posizione strategica e munita, dopo
aver perduto ne' diversi combattimenti
circa 6,000 uomini, e quasi altrettanti
gli austriaci. Le perdite fatte, aggiunte
alle diserzioni de'soldati appartenenti al-
le pro\incie sgombrate, che andavano
VEN
conquistando gli austriaci, ed a' presidii
lisciati a Venezia, Palmanova, Osopo e
altrove, ridussero la sua armata a 32, 000
combattenti; nondimeno la posizione gli
permetteva sostenersi contro le forze su-
periori austriache, anzi di respingerle si-
no a Pilcante, facendo il simile Gifllen-
ga in valle Trompia. Intanto Hitler a' >
novembre lasciò Marschal condue briga-
te sotto Venezia, già da'3 ottobre bloc-
cata anche per mare dagl' inglesi, che da
più. anni ne dominavano il mare; a'.i5
fu respinto dal viceré a Caldiero e Colo-
gnola, sino alla riva sinistra dell' Alpo-
ne; ma però, avanzatosi a' 19 Hiller con
molte truppe, ad assalire il posto di s.
Michele, difeso da circa 4>°oo francesi,
dopo resistenza gli obbligò a ritirarsi in
Verona. Nel tempo stesso il general Nu-
gent, essendosi imbarcato a Trieste so-
pra bastimenti inglesi con 3,ooo soldati
di diverse nazioni, a' i5 novembre per
operare nelle Legazioni pontificie, passa-
to il Po e l'Adige, «barcò nell'imbocca-
tura del canale di Mesola, es'inipadrouì
delle rive del Po a Goro ed a Volano, e
poi si mise in comunicazione con Hiller
e il forte dell'esercito austriaco, a'2 i no-
vembre nel Padovano. In tal giorno, già
occupati da' vincitori tutti i passi, tutti i
canali che conducono alleLagune di Ve-
nezia, questa perde l' unica via che le
rimaneva ancor libera dalla parte di
Chioggia e di Brondolo,e restò perfetta-
mente bloccata e con essa Chioggia e le
isole tutte delle Lagune. Venezia intera-
mente imprigionata, conteneva una po-
polazione di 160,000 persone compresa
quella delle isole (le donne eccedendo di
10,000 sugli uomini), oltre il presidio
che sommava a circa 1 1,000 soldati. Il
veneto cav. Mulinelli ci dà P esatto sta-
to della città di Venezia e delle isole,
uelTattualità del blocco generale; quel-
lo de'diversi corpi della guarnigione ita-
liani e francesi, delle occorrenti razioni
1 5,ooo quotidiane; la disposizione della
forza marittima composta in tutto di
VÉN
4,5ooinoncompresaneidetio numero (^c'
presidio, l'enumerazione della squadra,
della riserva, della flottiglia ripartita nel-
le località con 7 divisioni. Ricorda il Gior-
nale che contiene quanto è accaduto di
militare e politico in Venezia e circon-
dario durante l'assedio cominciato col
giorno 3 ottobre i 8 1 3 e terminato nel 20
aprileiSì^, Venezia 1 8 1 4s dalla fonde-
ria e stamperia di Giovanni Parolari. Ri-
porta pure lo stato della qualità e quan-
tità de'diversi articoli di vitluaria perve-
nuti in città dalla parte di mare duran-
te il blocco, senza pagamento di dazio, e
perciò preciso; non compresi molti altri
generi portati in Venezia dalla terrafer-
ma, e non denunciati ad alcun uffizio. 11
general Seras militarmente e con solda-
tesca licenza governava Venezia, mentre
con molto accorgimento e amore la reg-
geva qual podestà il conte Bartolomeo
Gradenigo , illustre patrizio veneto che
avea sostenuto luminosi uffizi per la sua
repubblica, e con molta lode ambascia-
te. Dichiarata dal viceré Eugenio la cit-
tà in istato d' assedio dal precedente ot-
tobre, e sospese per i5 giorni le gabelle
sulle grasce, si era giovato il podestà per
invitare i cittadini a provvedersi ciascu-
no di vettovaglie, almeno per 6 mesi, e
per ordinare a lutti i venditori delle co-
se necessarie al vitto e alle bevande, di
provvedere copiosamente i loro fondachi;
una commissione annonaria poi, com-
posta de' personaggi integerrimi JNicolò
Bianchini, Francesco Banchieri, Giusep-
pe Giovanelli, Angelo Zusto e Vincenzo
Dario Paolucci, fu deputata a impedire i
monopoli! de'venditori, e di vegliare sui
giusti pesi e misure. Per questi saggi prov-
vedimenti, e per una gran latitudine di
acque e di valli, che abbondevolmente
somministravano saporito e delicato pe-
sce, e per la destrezza de'barcaiuoli nel-
l'introduzione delle vettovaglie, evitando
ì legni inglesi e le vedette austriache, e
profittando de'porti e degl'innumerevoli
rivoletti delle maremme, Venezia noD pa-
V E N 4-5
ti penuria del necessario al sostentamen-
to, tranne gPiufortunii che deplorerò. E-
sauslo l'erario e fatto ancor più povero
dal viceré pel ritiro di 160,000 lite, che
disse di sua ragione, intendeva Seras a
ristorarlo coll'imporre un prestito di óv.e
milioni di lire, nel termine di 24 ore, e
da ripartirsi sopra nicchi mercanti e pos-
sidenti, guarentendolo però con altret-
tanto valore di argento vivo di regia ap-
partenenza. Poi, affinchè i cannoni della
fortezza di Lido potessero liberamente
giuocare, ordinò la distruzione de' molti
vigneti e delle case che fino a Malamoc-
co facevano ricca e deliziosa quella ma-
rina; volle pure che rimpetto alle popo-
lose vie di Castello, della Piazzetta e del-
le Zattere gettassero le ancore il Rigene-
ratore, il s. Bernardo e il Castiglione,
vascelli da 64 cannoni, affinchè la miglior
parte di Venezia potesse provare il terri-
bile efletto di quelle molte artiglierie; or-
dinava in fine, che ninno, passata mez-
zanotte, girasse per la città senza lume,
ordine tramutalo in vero trastullo, la le-
tizia non essendo mai mancata, finché >l
tifo divenuto generale contagio fece stra-
ge. IVloltiplicaronsi gli accattoni nel chie-
der per le vie l'elemosina, già vietali, ma
le conseguenze del blocco e del malore
aveano diffuso il bisogno anche nelle classi
agiate e nel clero, quindi si dovè lasciar
libero il freno alla questua, vedendosi poi
intere famiglie limosinare lungo il Pon-
te di Rialto e la Merceria. Ma la carità
veneziana, con esempio meritevole di pas-
sare ricordato alla più tarda posterità,
come esclama il conte Priuli , Discorso
sugli Asili infantili^ p. 53, seppe in quel-
la terribile e stringente circostanza sosti-
tuire oro all'oro, che il male interpreta-
to italico decreto de'25aprilei 806 d'av-
vocazione allo stato de' beni delle sedi-
centi mani morte, sinonimo delle bene-
fiche comunità religiose, avea rapito aile
parrocchiali fraterne de' poveri (poi in
gran parte rivendicato nel 1 826 dalla vir-
tù di Francesco 1). In queste strettezze,
4f> V E N
%Seras tempestava con una 2." tassa di ni-
tro milione, senza che, tentili i giorni di
carnevale, s'intralasciassero le maschere,
i teatri, le musiche, le danze. In così stra-
no contrasto di lutto e di feste, di mise-
rie e di gozzoviglie, sopraggiunse un fred-
do insolito da accrescere le sciagure, to-
gliendo in gran parte agli assediati vene-
7Ì;mi il cibo fin allora goduto in abbondan-
za e a vii prezzo; imperocché pel gelo del-
le acque perì infinita quantità di pesce
nelle valli, ne'canali e ne'vivai. Nel me-
desimo tempo mostra varisi asciutte le ci-
sterne, maggiormente scemò il vino , si
difellòil pane,e i poveri ascesero a44. 1 67.
E pure, un altro milione e mezzo s' im-
poneva, e tale fu il pubblico malconten-
to che Seras si mise sulle difese a s. Ste-
fano ove abitava. Venne la s. Pasqua, e
riuscì affliggente per la carezza de'vive-
ri, vendendosi molta carne di cavallo per
vacca, e i gatti per lepri ed a caro prez-
zo. Finalmente, mosso Dio a misericordia
de'popoli, e de'roali de'veneziani già pros-
simi a patire i casi estremi, opportuna-
mente fece cambiare i destini d'Europa.
Vinto Napoleone I da'collegati, a'3 1 mar-
zoi8i4 entrati essi trionfalmente in Pa-
rigi, a' 2 aprile il senato lo dichiarò de-
caduto dal trono, ed a'6 Luigi XVIII fu
riconosciutole di Francia. Costretto Na-
poleone l* 1 1 aprile ad abdicare le sue di-
gnità per se, e pel figlio Napoleone II (il
quale partì per Vienna colla madre, poi
duchessa di Parma, Piacenza e Gua-
stalla. Questa principessa, dopo la mor-
te di Napoleone, prese in consorte il con-
te Alberto Adamo di Neipperg tenente
maresciallo nelle truppe austriache e
suo cavaliere d'onore, che poi morì nel
1829. Da questo ebbe figli, de'quali al-
la sua morte erano viventi A Ibertina mo-
glie del conte Luigi Sanvitale, ed Alber-
to che volgendo in italiano il cognome
di Neipperg fu denominato il conte di
Montenuovo, ed era allora nell'esercito
austriaco col grado di maggiore. Si cre-
dette generalmente, che dopo la morte
V E N
del Neipperg, l'arciduchessa avesse spo-
sato il conte Carlo di llom belle* ausimi -
co,suo maggiordomo e presidente ilei con-
siglio), a'20 partì egli per l'isola dell'El-
ba di Toscana (V.)>* lui assegnata. Do-
po la deposizione di Napoleone, i confe-
derati parteciparono al savoiardo conte
Bellegarde maresciallo austriaco, già sor-
rogito ad Hiller comandante in capo del-
l'armala d'Italia, perevitare inutile spar-
gimento di sangue, di procurare di con-
cludere un armistizio col viceré Eugenio,
ch'erasi ridotto colcampoa Mantova, fi-
gli vi acconsentì facilmente, essendo per-
suaso dell'inutilità d'ogni ulteriore guer-
ra, e d'altronde volendo tentare se pote-
va in quelle circostanze conservare gli a-
vanzi del reg««o Italico. Quindi radunati-
si nel castello di Schiarino-Iiizzino pres-
so Mantova, il conte e luogotenente ma-
resciallo Neipperg austriaco, il generale
comandante il genio d'Italia Dode de la
Brunnerie francese, e il general Zuccbi
italiano governatore di Mantova, a' 16 a-
prile sottoscrissero la convenzione mili-
tare, che riporta il Mutinelli , ratificata
dal Bellegarde e dal viceré Eugenio, che
il Coppi così compendia. » Fosse armi-
stizio fra le truppe comandate dal conte
Bellegarde, dal re di Napoli Murai (ch'e-
rasi collegato con l'imperatore d'Austria
contro il cognato Napoleone), e da lord
Bentinck, e quelle capitanate dal viceré
Eugenio. Le truppe francesi, facenti par-
te dell'armala del viceré, rientrassero nel-
le frontiere dell' antica Francia al di là
delle Alpi, e incominciassero il movimen-
to dopo due giorni se non ricevevano pri-
ma ordine dal loro governo. Le italiane
continuassero ad occupare tutta la par-
te del regno d' Italia, e quelle piazze che
non erano state ancora prese dai col-
legati. Le austriache potessero attraver-
sare il regno d' Italia per le strade di
Cremona e di Brescia. Una deputazione
del medesimo regno avesse la libertà di
portarsi al grande quartiere generale de'
collegati, e nel caso che la risposta non
V E N
fos^p tale da conciliare il tuffo, U ostili*
tà fra 'collegati e gl'italiani non dovesse-
ro incominciare chef 5 giorni dopo rice-
vnte le determinazioni dell'alte potenze
collegate. Le piazze di Osopo, di Palma-
nova, di Legnago e di Venezia, ed i forti
dipendenti, fossero rime«se nell'attuale lo-
ro stato agli austriaci nel giorno 20 apri-
le; le cui guarnigioni ne sortiranno cogli
(inori militari, armi e bagagli, essendo in
libertà di seguirle le autorità civili, am-
ministrative e giudiziarie, lasciando alle
autorità austriache le carte e gli archivi".
Si ha di Federico Coraccinì, Storia del-
l' amministrazione del regno dJ Italia du-
rante il dominio francese) Lugano 1 823.
Saggio storico dell'amministrazione fi-
nanziera del regno d'Italia da li 802 al
1 8 1 4 di Giuseppe Pecchio, Milano 1 826.
Storia del regno dJ Italia divisa in 4 #•
bri di Fabio Mulinelli, Venezia tipo-
grafìa Cecchini 1848, libro che merite-
rebbe ed amplia rione e ristampa, cose
agevoli all' illustre e operosissimo scrit-
tore.
3. Venezia liberata dal blocco,con gran-
de esultanza accoglieva a' 19 aprile i pri-
mi soldati austriaci (il conte Brillìi dice
a'20), accorrendo il popolo, tumultuan-
do, a svillaneggiale e minacciar rovina al
marmoreo simulacro di Napoleone, men-
ti e Duperé, contrammiraglio francese, o-
sanandosi a non volere ri conoscere altra
autorità che quella di Napoleone I, non
la convenzione di Schiarino-' Rizzino, e di-
chiarando di non voler cedere i suoi va-
scelli a qualsivoglia sovrano, stava già
colle miccie accese presso i cannoni per
ridurre nell'ira sua in un mucchio di sas-
si l'emporio di meraviglie dell'innocente
città, già metropoli di quella repubbli-
ca, dal celebre veronese marchese MatTei
nella sua Verona illustrata, chiamata
nella dedica che le fece di tale dottissima
opera, all'inclita repubblica Veneta uni-
ca discendenza della Romana, dicen-
dola pure Repubblica eterna, come non
senza fondamento si lusingava che tale ne
V E N 47
fosse la durata. Toltasi di notte tempo la
statua di Napoleone, per ovviare ad altri
oltraggi, scomparse tutte le memorie del
suo regno,nomi, immagini, insegne; per-
suasosi finalmenteDuperé,e divenuta Ve-
nezia nuovamente austriaca, i veneziani
abbandona vansi a inaspettata gioia/esteg-
giando con luminarie, con tripudi, e con
processioni solennissime delle parrocchie
alla basilica di s. Marco (sulla cui porta
fu collocato il ritratto del gloriosoPio VI I,
che a' 24 maggio rientrò trionfalmente
nella sua Roma), di ringraziamento alla
B. Vergine sotto i cui possenti auspicii fu
fondata la città, per la cui intercessione
DioTavea preservata nella decorsa dolo-
rosa epoca, da que'flagelli co'quali la di-
vina giustizia avea punito le colpe di al-
tre nazioni (come si esprime I* invito del
podestà, riprodotto dal Mulinelli colla de-
scrizione delle processioni); ed insieme so-
lennizzando il felice avvenimento, invia-
rono in deputazione a Vienna all' impe-
ratore Francesco 1 il podestà Gradenigo,
Daniele Renier suo predecessore, e Gar-
zoni, per tributargli il loro ossequio. Se-
guì poi a'23 aprile ima convenzione fra
Eugenio viceré e Bellegarde, in forza del-
la quale gli austriaci occuparono tutto il
regno Italico colle fortezze, a tenore del
trattato di Fontainebleau degli 1 i, fra le
potenze alleate e Napoleone, per aver que-
sti rinunziato per se e suoi discendenti, co-
me pure per ciascuno de'membri di sua
famiglia, a qualunque diritto di sovrani-
tà e di dominio sul regno d'Italia. Dice
di Eugenio il Coppi: Fece tentativi per
avere il regno d'Italia, della di cui divi-
sione avea trattatocon Murat, quandori-
voltato contro Napoleone lo combatteva.
Che dopo la caduta di Napoleone, il re-
gno Italico restò abbandonato alle pro-
prie forze, bensì ragguardevoli, ma in-
sufficienti a sostenerlo; ed Eugenio,il qua-
le da principio con modi graziosi uniti
alla fama militare e alla civile prudenza,
erasi procacciato l'alletto di molti, dive-
nuto poi burbero, parziale de' francesi da'
4« V EN
quali era circondato, e disprezzato! e de-
gl'italiani, si era infine concitata un'av-
versione quasi generale. Che Napoleone,
nel ricordato trattato colle potenze , a-
veva pattuito ridursi a un milione I' as-
segnamento all' imperatrice Giuseppina,
morta poi a'29 del seguente maggio, ed
al figlio di lei Eugenio fosse dato un con-
veniente stabilimento fuori di Francia; il
quale poi fu risoluto in cinque milioni
di franchi, che gli pagò il re delle due Si-
cilie, e nella conservazione dell'appannag-
gio statuito precedentemente neliBio da
Napoleone d'una rendita d'un milione di
lire, per la maggior parte formato co'be-
ui ecclesiastici delle Marche, per cui con-
venne a Pio VII darglieli in enfiteusi, con
]audemio e annuo canone , però riser-
vandosi redimerli, il che fu gloria di Gre-
gorio XVI. Del resto, il principe Euge-
nio si ritirò in Baviera presso il suocero
Massimiliano 1, il quale nel 18 17 gli con-
ferì i titoli di duca di Leuchtenberg, di
principe d'Eichstadt, e di altezza reale :
dichiarò la sua casa, la prima della mo-
narchia bavarese, e il rango immediato
presso i principi della famiglia reale. 11
principe Eugenio, dicesi ch'ebbe una ren-
dita di sei milioni , fu magnifico ed e-
conomo, e morì a Munich a' 21 o 26
febbraio (altri vogliono 24 settembre)
1824. 1 suoi figli s'imparentarono col-
le corti di Svezia , Russia , Portogallo ,
Brasile ec, ne'quali articoli ne parlai. Fu
erede di sua madre; e dalla sua sorella
Ortensia regina d' Olanda, e moglie di
Luigi fratello di Napoleone, nacque il re-
gnante imperatore de'francesi Napoleone
111. Eurico XV principe di Reuss-Plauen,
continuò per l'Austria a governare prov-
visoriamente Venezia eie provincie ve*
liete, colle leggi e colle forme italiche. In-
tanto, adunatosi il famoso congresso di
T ienna (V.), per ristabilire le auliche so-
vranità e regolare 1' equilibrio politico
d'Europa, oltre altri affari, si riconobbe
dovere 1' Austria essere forte e in istato
di poter facilmente soccorrere i suoi sia-
V EN
bilimenti d'Italia, per opporsi da questa
porte all'eventuale ambizione della Fran-
cia, onde fra le altre cose si con venne: Che
ricuperasse tutta le provincie chea vea ce-
duto co'trattati di Carnpoformio, di Lu-
nedile, di Presburgo, di Fontainebleau
e di Schònbiunn. Perciò in Italia aves-
se nuovamente Milano, Mantova, e tut-
ti gli stati veneti di Terraferma. Possedes-
se inoltreqnalunque altro territorio com-
preso fra il Ticino, il Po e il mare Adria-
tico. Ebbein tal guisa alcuni distretti sul-
la riva sinistra del Po, che anticamente
appartenevano a Panna e al Ferrarese;
ed inoltre le valli di Valtellina, di Bor-
mio e di Chiavenna , ed i territori! che
una volta formavano la repubblica di Ra-
gusi. Già l'imperatore Francesco I sino
da'7 aprile 1 8 i5avea pubblicato una leg-
ge fondamentale con cui in sostanza di-
spose. » In conseguenza de' trattati con-
clusi restare in perpetuo incorporate al-
l'Impero Austriaco le provincie Lombar-
de e Venete, come anche la Valtellina,
eie contee di Chiavenna e di Bormio. Per
consolidare poi i vincoli al suo impero, e-
rigere queste provincie in Regno col ti-
tolo di Lombardo-Veneto. Si conservas-
se l'antica Corona di ferro come corona
di questo regno; ed i suoi successori do-
vessero colla medesima essere coronati
al loro avvenimento al trono. L' ordine
della Corona di ferro, regolato con nuo-
vo statuto , essere ammesso fra gli altri
ordini equestri della Casa imperiale. Si
sarebbe in questo nuovo regno fatto rap-
presentare da un viceré. Per agevolarne
poi l'amministrazione, il medesimo fosse
diviso in due governi separati dal Min-
cio. Ogni governo fosse diviso in provin-
cie, e queste suddivise in distretti e comu-
ni. Per conoscere poi i desiderii e i biso-
gni degli abitanti , e per mettere a pio-
fìtto uella pubblica amministrazione i lu-
mi ed i consigli che i loro rappresentanti
potessero somministrare a vantaggio del-
la patria, aver determinato d'erigere col-
legi permanenti, composti di varie classi
V E M
d'individui nazionali. Per taleeifetto sareb-
bero istituite tluc congregazioni centra
li, in Milano (capitale delle provinole lom-
barde), ed in Venezia (capitale delle pro-
vincie venete), ed in ogni provincia sa-
rebbe creata una congregazione provin-
ciale cbe risiedesse nel capoluogo ". Nel
dì seguente 8 aprile, avendo l'imperato-
re ordinato , clie non fosse prorogato il
solenne omaggio di fedeltà e di sudditan-
za da prestargli dagli abitanti del nuo-
vo regno, a questo effetto mandò subito
in Italia il fratello arciduca Giovanni, co-
me suo commissario plenipotenziario.
Non era intempestiva quella sollecitudi-
ne, poiché pubblicata dal redi Napoli
Murat l'ambiziosa voglia d'impadronirsi
d'Italia e di farsi grandissimo, sotto colo-
re di proclamare l'unione e l'indipenden-
za d'Italia quale uazione, dichiarata guer-
ra all'Austria, marciò con 4o>ooo uomi-
ni e 60 cannoni verso i paesi veneti, e in
brevissimo tempo giunse al Po, investen-
do a'7 aprile il ponte d'Occhiobello, ma
ripetutamente respinto, ne'primidi mag-
gio restò sconfitto dagli austriaci presso
Macerata e Tolentino. Ciò accadeva men-
tre a'3 maggio in Venezia si giurava so-
lennemente ubbidienza e fede all'impe-
ratore Francesco 1 , nelle mani dell' ar-
ciduca Giovanni, circondato dall'aureola
de' suoi fasti militari , da tutti i rappre-
sentanti de'paesi veneti, essendo allora
governatore di Venezia il conte Pietro
di Goess. L'omaggio più formalmente si
celebrò nella basilica di s. Marco a'7, al
modo narrato dal Mutinelli, con allocu-
zioni e discorsi della circostanza, termi-
nandosi col Te Deuni, e cou largo getti-
to fatto dall'arciduca dall'esterna loggia
del palazzo de' dogi alla moltitudine, di
monete argentee appositamente coniate
del valore d'una lira italiana; indi nel-
l'antica sala de banchetti dogali, convitò
tutti i rappresentanti delle provincie , e
la pubblica allegrezza si compì con altri
festeggiamenti. L'imperatore poi, in con-
formità delle promesse fatte dall'areidu-
vol. xeni.
VEN 49
ca fratello, reduce dall'aver co'suui allea-
ti vinto l'ultimo tentativo fatto da Napo-
leone a Vaterloo, per la 1.* volta onoiò
di sua presenza il veneto territorio, giun-
gendo a Bassano la sera de' 29 ottobre
i8i5coirimperatriceMaria Luigia d'E-
ste, fra le festevoli dimostrazioni di quel-
l'ameno paese, saggio delle maggiori con
cui Venezia l'onorò. Penetrata questa dal
più vivo entusiasmo, esultante l'incon-
trò a'3 i ottobre a Lizza-Fusina,e per la
Laguna con treno di splendidissime pen-
te e bissone, seguito dagli arciduchi Fer-
dinando III granduca di Toscana e Fran-
cesco IV duca di Modena, e Ferdinando
e Massimiliano suoi fratelli, come pure
dal celebre e benemerito principe Cle-
mente Lotario di Mettermeli, oltre altri
eminenti personaggi. L'augusto volle co-
noscere i bisogni tutti de' nuovi sudditi,
visitò gli edilizi più cospicui, e tra'festeg-
giamenti de'giubilauti veneziani, ricorde-
rò la cuccagna sulla piazza di s. Marco,
il notturno corso di barche nel Canal
grande, la regata, ed un magnifico ballo
mascherato nel teatro della Fenice (nel
quale l'imperatore e l'imperatrice volen-
do onorare l'antico uso veneziano di ma-
scherarsi, presentavasi ih.° in tabarro e
bauta, la 2." in vesta e zendà). Per la i .a
volta s'illuminò a disegno, seguendo l'or-
dinearchitettonico delle meravigliose fab-
briche , la piazza di s. Marco ; si addob-
barono sontuosamente le botteghe della
Merceria; altro festino fu ripetuto nella
sala de'banchetli del palazzo ducale; si
vararono il Cesare e \>AugustaJ vascel-
lo il i.° di 74 cannoni, fregata la 2/ A-
vendo 1* imperatore ricuperato i tesori
d'arte e di scienze involati da' repubbli-
cani francesi, volle che alla sua presen-
za si restituissero i 4 famosi cavalli di
bronzo al sito loro, nel dì anniversario
del rapimento a'i3 dicembre, con gran-
dissima festa e grida di pubblica gioia.
Partì 5 giorni appresso per Padova, ac-
coltovi in trionfo, e dalle venete provin-
cie si condusse alle lombarde per Le-
4
So V E JN
gnago. Nel 1816 le città ili Venetia, Ve-
rona, Viceirza, Padova, Uiline e Treviso
fiimno ciascuna decorate evi titolo di AY-
giet col diritto d'aver ognuna un rappre-
setitante presso il collegio centrale da isti-
Idi ni a Venezia, ed uu altro da stabilirsi
in ogni città principale di provincia , in
conseguenza della surriferita disposizio-
ne. Nello stesso tempo abolita l'italica de-
nominazione di dipartimenti, si riassun-
se da'paesi veneti 1' antica di provincie,
ripartite nelle seguenti 8: Venezia, Pa-
dova, Polesine, Verona, Vicenza, Trevi-
so, Belluno, Friuli. Regie pur si dissero
le città di Rovigo, di Deiluno, di Bassa-
nò. Ogni provincia fu divisa in distretti
e quella di Venezia in 8, cioè Venezia,
Mestre, Dolo, Chioggia, Loreo, Ariano,
s. Dona, Portogruaro. In altra forma si
ordinarono i municipii , retto quello di
Venezia da un podestà con 6 assessori.
Fatto il novero degli abitanti delle pro-
vincie venete sommarono ad 1,870,706.
Si accrebbero notabilmeute in progresso
a seguo, che nel § XVI, n. 1, parlando del-
le statistiche, potei registrare 2,321,52.5
abitanti, llche mostra floridezza e benes-
sere, non ostante i rapili dal terribile mor-
bo cholera. Mantenute finalmente o mo-
dificate le leggi relative ai pubblico in-
segnamento, erano conservate quelle che
miravano allo studio delle belle arti. In
questa guisa dopo 20 anni di sovverti-
menti e di guerre continue, si giudicò op-
portuno di promuovere efficacemente, ol-
tre le belle arti, anche le necessarie con
incoraggiamenti e premi. L'imperatore
tornato nelle provincie venete, restò af-
flitto in Verona pei la pianta perdita del-
l'imperatrice Maria Luigia d'Este, avve-
nuta a'7 aprilei 8 16, oude senza pompa
riparava in Venezia accompaguato dalla
figlia Maria Luigia moglie dì Napoleone
rilegalo a s. Elena (di cui nel voi. XXXV,
p. 120), e ristrettosi in Dio piamente as-
sistè in s. Marco alle commoventi cere-
wonie della settimana santa. Finite le fe-
ste di Pasqua e rinfrancatosi alquanto l'a-
VE N
nimo, lo rivolse a beneficar Venezia, e
volle tosto rialzato sulla Piazzetta il Leo
ne alato, ritornato da Parigi, ed a bear-
si nel veder reintegrata la città de'capo-
lavori del veueto pennello, e de' preziosi
libri ecodici; quiudi paiù,e dovettero an-
che gli altri luoghi rispettare il lutto, con
astenersi da allegre dimostrazioni. Nelle
provincie già componenti la repubblica
di Venezia le cose ecclesiastiche erauo ri-
maste sconcertate perchè Napoleone, co-
me narrai, avrebbe voluto estendere al-
le medesime il concordato del regno Ita-
lico, e per conseguenza nominare a' ve-
scovati, alcuni de' quali erano riservati
alla s. Sede. All'opposto Pio VII era fer-
mo nel principio che la giurisdizione ec-
clesiastica non cambia secondo le vicen-
de politiche. Uniti que'dominii all'impe-
ro d'Austria, si concertò la cosa che l'im-
peratore Francesco I chiedesse il privile-
gio di nominare alle chiese patriarcali,
arcivescovili e vescovili tanto delle pro-
vincie venete che di Piagusi , ed il Papa
difatti lo concesse tantoa Francesco Iche
a'suoi successori cattolici. Fu bensì sog-
giunto che » la nomina si facesse nel tem-
po stabilito dal diritto canonico, ed i no-
minali per ottenere l'istituzione canoni-
ca dovessero adempire a tutte quelle co-
se alle quali per legge e consuetudine e-
rano obbligali. La bolla d'indulto diret-
ta all'imperatore Francesco 1, Niìdl Ro-
mani Pontifìces, de'3o settembre 1817,
si legge nel Bull. Rom. cont. t. 14, p.
389. Addolorata Veuezia per l'anteriori
pioggie e patito contagio del tifo (nel 1 8 1 8
co'tipi dell' Andreola pubblicò il profes-
sore Federigo: Le costituzioni de tifi, che
predominarono in Venezia negli anni
1 80 1,1806,181 3, 1814 e 181 7), a'6 ot-
tobre dello stesso 1 8 1 7 un Basilio Caievich
vi portava la peste, da Cavalla città della
Romelia; ma per merito delle sanitarie
provvidissime precauzioni, dopo alcune
vittime, rimase vinta nell'isola del Laz-
zaretto vecchio ov' erasi sviluppata, ces-
sando l'allarme della città, e ne ragiona
V EN
il Federigo nella Topografìa fisico-me-
dica della città di Venezia. A sì tristi av-
venimenti,nel 1 8 1 8 successero! lietissimi,
della nomina a viceré del regno Lombar-
do-Veneto dell'inclito e umanissimo ar-
ciduca Giuseppe Ranieri; e del nuovo ma-
ritaggio dell'imperatore Francesco I con
Carolina Augusta figlia di Massimiliano
I re di Baviera, a cui le proviucie vene-
te fecero quell'artistico e nobile dono spo-
sereccio, che descrive il cav. Mulinelli e
l'opuscolo: Omaggio delle Provincie Tre-
nete alla Maestà di Carolina Augusta
imperatrice d'Austria, Venezia tipogra-
fia Alvisopoli 1 8 1 8. Indi gì' imperiali
coniugi onorarono Venezia di loro presen-
za da' 17 a'27 febbraio 1819, seguiti da
splendida corte, sotto il modesto titolo di
duca e di duchessa di Mantova, e ricrea-
tisi per alquanti dì nelle giovialità del
carnevale, sempre in Venezia brillante,
proseguirono il viaggio per Toscana, Ro-
ma (che spese circa 400,000 scudi, dice
il Coppi), e Napoli, e riuscì una continua
festa trionfale: per Perugia, Firenze e il
Veneziano ritornarono in Germania. Sul
principio del 1819 la polizia del regno
Lombardo- Veneto scoprì che nella pro-
vincia del Polesine sin dal 18 1 7 si era in-
trodotta la Setta de' Carbonari. Ne arre-
stò alcuni soci, e dall'apposita commissio-
ne stabilita nell'isola di s. Michele di Mu-
rano, nel 1821 de'rei d'alto tradimento
i3 furono condannati alla pena di mor-
te, che però dall'imperatore fu commu-
tata in quella del carcere, altri a prigio-
nia temporanea. Osserva il Mutinelli ch'e-
rano tutte persone di verun nome, e ap-
partenenti a que'paesi di Rovigo dal con-
gresso di Vienna tolti al Ferrarese, non
ostante le proteste di Pio VII. Frattanto
nell'Italia si tornò a vagheggiare l'indi-
pendenza nazionale; dopo i voti d'indi-
pendenza venivano quelli dell'unità, al-
cuni però bramando uno stato solo, al-
tri una confederazione. L'antico spirito
repubblicano non erasi punto estinto col-
la distruzione delle repubbliche di Ve-
VEN 5i
nezia, di Genova e di Lucca, e molti gio-
vani studenti concepirono ammirazione
per l'antica repubblica romana, e brama
di vederne il ristabilimento in alcuna del-
le rivoluzioni che potessero accadere. Al-
tri più moderati restringevano i deside-
ri'! a governi misti, denominati comune-
mente costituzionali. Fra tante idee, in-
sorsero alcuni audaci che azzardavano
cospirare, ed altri turbolenti che si uni-
vano in società di Sette segrete e pro-
scritte, per ottenere colle trame quello
che non potevano conseguire in altri mo-
di. E questi ultimi declamando, invei-
vano non solo contro i governi assolu-
ti, ma eziandio contro il clero, massime
regolare. Da tultociò seguirono grandi
rivolgimenti politici nel 1820 nel regno
delle due Sicilie, e nel seguente anno iu
quello di Sardegna, che raffrenati po-
scia si rinnovarono dopo quasi un decen-
nio in altri slati. Celebratosi perciò in
Verona il congresso con diversi sovra-
ni nel 1822, Francesco I termiuato che
fu ambì di mostrare egli stesso la più
bella gemma della sua corona, Venezia,
ad Alessandro I imperatore delle Russie,
ed a Ferdinando 1 re delle due Sicilie,
e vi si trattennero da' 1 2 al 26 dicembre.
Neli824 considerando l'imperatore che
dalla diversità del calcolo delle varie mo-
nete che circolavano nelle provincie, deri-
vavano sensibili pregiudizi al pubblico
traffico, e conosciuta la necessità d'un si-
stema monetario uniforme a quello degli
altri paesi della monarchia austriaca, con
decreto de' 6 febbraio venne introdotto
anche fra' veneti, col cominciare ad aver
corso l'argentea moneta denominata lira
austriaca e divisa ini 00 parti chiamate
centesimi. Nel 1825 Francesco 1 volle ri-
vedere l'Italia con l'imperatrice, e farla
ammirare anche agli eccelsi genitori del
Sire che ora regna, cioè il suo secondoge-
nito arciduca Francesco Carlo colla di lui
moglie l'arciduchessa Sofia Doroteo,essa
pure figlia di Massimiliano I re di Bavie-
ra; indi preceduto dalla duchessa di Par-
52 V L N
ma, a' o.C) luglio rivide Venezia, ove lo
raggiunsero il granduca e la granduches-
sa eli Toscana, e il duca di Modena. Ve-
nezia fece i rallegramenti consueti, la re-
gata , la distribuzione di 60 doti di lire
5oo ciascuna, ad altrettante povere ed o-
neste veneziane. La corporazione de'mer-
canti poi a' 28 luglio volle celebrare in
più giulivo e vago modo [a patria festa
detta Sagra di s. Alarla, descritta dal
31 u tinelli. Gli augusti j H rsonaggi lietissi-
mi partirono da Venezia a'9 agosto; in»
Docenti gioie muta te presto in amaro com-
pianto per terribili alluvioni, e violenta
tempesta de'9 dicembre. Rallegrossi pe-
rò Venezia con vedere esteso a tutta la
città il porlofranco il i.° febbraio i83o
dalla benignità di Francesco l;e nell'an-
no seguente per l'esaltazione alla veneran-
da cattedra di s. Pietro del nobile bellu-
nese Gregorio XVI, che per lunghi anni
avendolo ammirato monaco e abbate ca-
maldolese del monastero di s. Michele di
Murano in isola, e conscia dell'affetto che
le portava, loconsiderava quale cittadino,
ed egli riguardava Venezia come altra
sua patria,come meglio dirò nel seguente e
ultimo§ a tale epoca. Delle pubbliche di-
mostrazioni reciproche del Papa e de've-
neziani, abbastanza ne ho parlalo a'Ioro
luoghi, principalmente Gregorio XVI o-
norandola basilica dis. Marco, il patriar-
ca e il podeslàjedandosegni solenni di pa-
terna predilezione a parecchi veneziani,
tutti poi riguardando con singolare beni-
gnità e benevolenza. Cose tutte celebrate
anche dall'annalista orba no cav. Mulinelli
degnamente. Nel 1 83 1 scoppiò la rivolu-
zione nel ducalo di Modena e nello Sta-
lo pontifichi per i precedenti accennati
fermenti politici, repressa dalle truppe
austriache, e di ciò anco in questo articolo
tornai a parlarne, cioè nel voi. XCI,p. 54-5
e 548. Nel regno Lombardo- Veneto il go-
verno austriaco attendeva a' pubblici la-
bori, e specialmente al la costruzione orni-
glioramento di strade e argini, e di canali
di navigazione. Infausto poi riuscì per Ve-
V E W
netta e le provinole venete il 1 835. Dappri-
ma con generale compianto moriva l'a-
mato e venerato imperatore Francesco I
a*2 marzo, il quale testando lasciava a'
sudditi il suoamore, all'esercito isuoi rin-
graziamenti; luttuoso avvenimento che fu
profondamente sentito da Venezia, e so-
lennissimi furono i funerali a lui celebra-
ti, ed in s. Marco il cardinal Menico pa-
triarca con assai commovente orazione ne
disse le lodi. Il primogenito Ferdinando
1 gli successe, a cui Venezia recò a piedi
dell'imperiai trono, colle condoglianze
della fatta perdita, l'omaggio d'esultan-
za del suo avvenimento alla corona , in-
sieme a'deputati delle venete provinole.
Ed ecco apparire a mezzo settembre per
la 1.* volta nelle provinole venete, e per
la1!." in quella precisamente di Venezia
la desolante e micidiale Pestilenza del
cholera, che già avea riempito di spaven-
to e di stragi altre parti d'Italia. Penetrò
l'orrendo miasma in Ariano, ed a' 9 ot-
tobre nella stessa Venezia, e nella assai
popolosa contrada di s. Pietro di Castel-
lo, ed immantinente fu sollecito il muni-
cipio della città, dietro le istruzioni avu-
te dal governo, a prendere gli opportu-
ni provvedimenti, riferiti dal Mulinelli.
Egli osserva, Venezia che, per la topo-
grafica sua posizione e per la miseria di
molti suoi abitatori, sembrava favorevol-
mente disposta ad offrire doloroso pasco-
lo alla terribile malattia, Venezia in con-
fronto di altre men popolate città, e che
si trovavano solto ogni aspetto in eccel-
lenti condizioni, non ne fu che mediocre-
mente afflitta; in grazia dell'implorato di-
vino aiuto,della possente intercessione del-
la B. Vergine della Salute, e per tutte le
provvidenze e lodevoli azioni di benefi-
cenza, zelo edificante del clero e de'pre-
posti al pubblico soccorso. Il flagello non
ebbe propriamente fine che a'3 ottobre
1837, senza che però nell'ultimo perio-
do, tanto a Venezia quanto nelle provin-
ole, vestisse il carattere epidemico, scio-
gliendosi da ultimo con alcuni di que'ca-
YEN
ài delti sporadici. Dice Io stesso patrio sto-
rico. Popolate le 8 provincie venete da
3,075,970 abitanti, 43?4^2 ne ammala-
rono, 23,357 si salvarono, 20, 1 2 3 ne mo-
rirono (il cav. Coppi, dice che Venezia
nel i835 ebbe 359 v*tume). Come ebbe
termine il malore crudelissimo, per rico-
noscenza a Dio, il Comune di Venezia de-
cretò un solenne triduo nel tempio di s.
Maria della Salute, a' 1 8, ! 9 e 20 novem •
brei836, e il dono ad esso d'una gran-
de lampada o lumiera d'argento, mera-
viglioso lavoro del veneziano orefice Fa-
nro dello Burri, sul disegno del prof. Giu-
seppe Borsato. In tale anno per altra
sventura a' 1 2 giugno si fece sentire il ter-
remoto con forte scossa, allre minori ri-
petendosi a'21 giugno ed a' i 5 luglio, più
gagliarda essendo l'ultima del 20 : però
senza ninna disgrazia, dalle quali non
andarono esenti diversi infelici luoghi del-
le provincie. Da lugubri memorie pas-
sando alle gioconde, dirò che a' io set-
tembre 1 838 l'imperatore Ferdinando I
nel duomo di Milano fu unto re del re-
gno Lombardo-Veneto, e coronato colla
corona di ferro, Coronazione di Re, con
solenne Convito, che descrissi colle loro
particolarità in quegli articoli, insiemea-
gli ullìzi esercitati dal patriarca di Vene-
zia. Imperocché narra il d.r Gio. France-
sco Del Bue, Dell'origine dell'Araldica,
nobiltà, titoli, predicati <V onore, digni-
tà e cariche di corte inslituite nel regno
Lombardo -Feneto, Lodi 1846, pel Wil-
mant (splendida edizione), allorché l'im-
peratore Francesco I eresse tale regno,
pensò altres'i a destinare con patente de
1 o ottobre 1 8 1 5 de'grandi uffiziali per l'i.
r. Corte Lombardo-Veneta, stabilendo le
dignità d'un gran maggiordomo maggiore,
di due cappellani della corona, d'un gran
ciambellano, d'un grande scudiere, d'un
grande siniscalco peonie accennai ne' voi.
LXH.p. 9 1 ,LX1 II, p. 25).Nell'art. 4 viene
dello che le funzioni e serifai che dovran-
no prestare, saranno quelli indicati dalla
ji>pelliva carica verso il sovrano, allorché
V E N 53
comparisce qua 1 redi Lombardia e di Ve-
nezia,equesti servizi dovranuoessere pre-
stati nelle proprie mani del sovrano; ma
nella patente non si disse della qualità
speciale de'servizi di questi dignitari, che
però devono giurare. In occasione però
della coronazione di Ferdinando I in re
d'Italia (sic), furono a ciascun dignitario
assegnate lerispettive incumbenze secon-
do la circostanza, che il d.r Del Bue de-
scrive. Parlando de'due cappellani della
corona, i servigi che debbono essi pre-
slare sono bastantemente indicati dalla
slessa loro dignità. L'arcivescovo di Mi-
lano e il patriarca di Venezia protempo-
re sono i cappellani, e la loro carica è vi-
talizia, ed inerente ad un'altra dignità ec-
clesiastica, mentre le allre cariche non
sono che meramente personali. Come in
seguito Francesco I creò altra eminente
oarica , col titolo di gran maestro delle
ceremonie, cosi Ferdinando 1 dipoi nel
1 84 ' aggiunse quella di gran dignitario
del regno Lombardo- Veneto, pel tenen-
temarescialloDeBartoletti, capitano del-
la guardia nobile Lombardo Veneta, re-
sideule presso la cesarea corte, essendo
tale dignità senza denominazione e con-
ferita come inerente alla qualità della
rappresentanza. Quel corpo fu istituito
colla residenza in Vienna nel 1840 dal
medesimo Ferdinando I. Le succennate
grandi cariche di corte diconsi interne, a
differenza delle altre minori dette ester-
ne, che sono quelle di coppiere, scalco e
scudiere, per le quali però si addomanda
il grado nobile. Ora dunque, Ferdinan-
do I volendo religiosamente tenere la pa-
rola data a'deputati veneziani di recarsi
dopo que'riti nelle loro provincie, vi giun-
geva a'27 settembre 1 838,cioè pochi gior-
ni dopo l'incoronazione, in compagnia del-
l'imperatrice Maria Anna(donata daGre-
gorio XVI r lei la Rosa d'oro benedetta),
prima a Verona , donde per Vicenza e
Padova, da per lutto festeggiato, a'5 ot-
tobre si recava per Lizza-Fusina a Ve-
nezia, con quell'illustre accompagnameli-
S.{ VEN
to che descrive il cav. Mulinelli, direnilo
persino dove ciascuno alloggiò. Esso si
compose degli arciduchi Francesco Car-
lo suo fratello, Giovanni, Luigi, Ranieri
viceré coll'arciduchessa vice-regina Ma-
ria Elisabetta di Sardegna, dell' arcuiti-
chessa e imperatrice M.a Luigia duchessa
di Parma, degli arciduchi Ferdinando e
Massimiliano d'Este, di Francesco IV du-
ca di Modena, del principe di Mettermeli
cancelliere della casa imperiale, della cor-
te e dello sthto (oracolo e nestore della
diplomazia europea e conservatore della
pace, al quale in testimonianza di grato
animo pel suo attaccamento alla s. Sede,
Gregorio XVI inviò in dono, con breve
pieno di benevole e onorevolissime espres-
sioni, per le sue grandi benemerenze, un
sontuosoaltare, composto di preziosi mar-
mi, adornodi metalli di squisito lavoro ro-
mano, ed arricchito di molte insigni reli-
quie; allarechedal principedi Mettermeli
fu collocato in una magnifica chiesa dalla
sua pietà edificata. Morto il Papa, il prin-
cipe per divozione mi fece domandare li-
na di lui Scarpa; ed io con mia iscrizio-
ne gli mandai una di quelle indossate da
Gregorio XVI nel duplice abboccamen-
to con Nicolò I imperatore delle Russie;
quindi a lode eterna del Papa e del prin-
cipe, lutto dichiarai ne'due ricordati ar-
ticoli), del conte di K.ollowratLiebstein-
sky ministro di stato, del conte Clam-
Martinilz aiutante generale dell'impera-
tore, del consigliere aulico Gerway, del
corpo diplomatico con alla testa mg.r Lo-
dovico Altieri arcivescovo d'Efeso nunzio
apostolico (che il cav. Giuseppe Battag-
gia console pontificio decorosamente al-
loggiò nella casa di sua proprietà adia-
cente alla sua tipografia Emiliana ), in-
clusivamente all' inviato straordinario e
ministro plenipotenziario dell'ordine so-
vrano Gerosolimitano conte di Kheveu-
huller-Metsch, ed all'ambasciatore di
Turchia Rifaat bey. Inoltre il cav. Mu-
linelli compilò e scrisse a parte, e grazio-
samente mi donò: Dell' avvenimento di
VEN
S. RI I. R. A. Ferdinando hV Austria in
Venezia, e delle civiche solennità d'al-
lora; narrazione di Fabio Midinetti,
disegni di Giovanni Pividor, Venezia co'
tipi del Gondoliere 1 838. L'elegante e-
dizione diiooo esemplari, con bellissime
litografie, si eseguì a spese del podestà
conte Correr, gratuitamente operò il cav.
Mulinelli , ed il baron Pascotini presi-
de della commissione dirigente gli asili
per l'infanzia, consigliò a volgerne il lu-
cro a vantaggio di quella pia istituzione.
All' annunzio dell'arrivo dell'imperatore
dimenticandosi Venezia de'secoli passati
e delle patite sciagure , faceasi a festeg-
giare l'avventuroso avvenimento in tut-
ta la possibile pompa e de' migliori suoi
vestimenti abbigliata, che per la memo-
ria delie abitudini antiche, ben sapeva
Venezia in qual foggia dovesse apparire.
Quindi appariva all' imperiale cospetto
tutta ornata e decorosa , quasi matrona
rispettabile » che sebben oppressa da an-
ni, ed afflitta da sventure, non ricusa di
lasciare per alcun tratto l'abituale ritiro
qualora grande ed illustre fatto lo esiga.
Innalzato a Lizza-Fusina dalla tesoreria,
al margine della Laguna, un assai gran-
de e ricco padiglione per il momentaneo
ricevimento delle auguste persone, appre-
stato ad uso loro dal popolo un naviglio,
il quale più che naviglio era un ritondo
tempio galleggiante^ magnifico ad un tem-
po e gentile, circondato da bissone e da
peote ornate di varie guise di oro e di
seta, di fiori, di piume e di arzigoghi (os-
sia con invenzioni fantastiche ), seguito
da grandi lancie, da gondole, da battelli
e da liuti abbelliti di pennoncelli, di ban-
diere, di rami di ulivo, di mortella e di
alloro, fu assai solenne e pressoché trion-
fale l'ingresso di Ferdinando I in Venezia
(il ceremoniale dell' ingresso solenne, il
Mulinelli lo riporta negli Annali Urba-
ni3 ove leggo che in s. Marco il cardinal
Monico patriarca di Venezia presentò al-
l'imperatore e all'imperatrice l'acquasan-
ta, da cui e dal clero, dopo il Te Deum,
V EN
furono accompagnati sino alla porta -.se-
gue il prospetto delle feste, ceremonieec,
ch'ebbero luogo uè* giorni della dimora
degl'imperiali coniugi), non meno poi so-
lenni essendo stati gli spettacoli offertigli
a riprese dal popolo, e di una cantata nel
teatro della Fenice, e di una regata nel
Canal grande , e di una tombola nella
piazza di s. Marco, e di una luminaria a
disegno delle fabbriche tutte della piazza
slessa, e di un cittadinesco baccanale so-
pra la spiaggia del Lido". Segui poi l'in-
augurazione e reposizione solenne della
l«* pietra della costruzione della diga a
vantaggio del porlo di Malamocco , di*
scorsa nella descrizione di quell'isola. Nel
dì seguente! 4 ottobre si tenne nel palaz-
zo ducale ili.° solenne capitolo del nuo-
vo cavalleresco ordine austriaco della Co-
rona di ferro, e una nuova ordinazione
di cavalieri. L'imperatore essendo vesti-
to da gran maestro dell'ordine, sedeva
in trono, lateralmente al quale in tribu-
ne presero luogo le auguste persone, il
corpo diplomatico, i grandi della corte, i
nobili e altri ragguardevoli personaggi.
Era l'imperatore circondato da'ca valle-
li del medesimo ordine vestiti colie pro-
prie vesti nobili. Prestato da quest'ulti-
mi il giuramento di uso, ricevevano dal-
le mani imperiali i cavalieri di i .a e 2.a
classe,colla piattonata e coll'accollata,l'in-
segne dell'ordine. In quell'istante Venezia
e le veneziane provincie vedevano creati
cavalieri i personaggi riferiti dalMutinelli:
io mi contenterò di solamente registrare:
di i .* classe,il cardinal Monico patriarca di
Venezia, e Giovambattista conte di Spaur
governatore; di 2.a classe Francesco baro-
ne di Galvagna presidente del magistrato
camerale; di 3. 'classe il conte Correr pò-
deslà di Venezia e il vice-delegato baron
Pascotini, il nobile Diedo segretario del-
l'accademia delle belle arti, e l'ab. Betlio
bibliotecario della Marciana. Terminato
il solenne rito, preceduto da numeroso
corteggio, l'imperatore passava nell'ali t*a
amplissima sala detta del Maggior Con-
VEN $5
siglio (in quella stessa cioè, ov'era «tato
trattato a pubblicoconvito Enrico IH nel
i 564; edove mancandoli governo al pò-
polo, a' 12 maggio 1797 erasi dichiarata
cessata la repubblica di Venezia , dopo
XIV secoli di gloriosa esistenza; per cui
in quel punto scorsero per la mente di
alcuno fauste e tristi memorie), per ivi
regiamente banchettare, al suono di lie-
tissime sinfonie, i cavalieri, compiacen-
dosi il Sire di sedere a separata mensa
sotto aureo baldacchino. I graziosissimi
disegni litografici delle feste civiche date
da' veneziani in questo lietissimo avveni-
mento ali' imperatore e all'imperatrice,
rappresentano egregiamente: il magnifi-
co padiglione inualzato a Fusina al mar-
gine della Laguna pel ricevimento e im-
barco dell'imperiali maestà, invenzione di
Giambattista Meduna; il navìglio galleg-
giante elegantissimo in forma di rotondo
tempio, invenzione del prof. Giuseppe
Borsaio; quattro nobilissime bissone, cia-
scuna con 8 rematori, del municipio, e-
sprimenli l'impero Austriaco, ed i regni
d'Ungheria, di Boemia, e del Lombardo-
Veneto, vestendone i remiganti le foggie
(due altre bissone parimenti nobilissime
erano del conte Correr podestà, e de'fra-
telli conti Andrea e Pietro Giovanelli, la
1 .a come le precedenti invenzione del prof.
Borsato, la 2.a del prof. Francesco Wuco-
vich Lazzari ; di più, altre magnifiche
bissone apprestarono il conte Giovanni
Papadopoli, ed i nobili fratelli Jacopo e
Isacco Treves, pure invenzione del valen-
te Borsato; per non dire de'maestosi sca-
lè, e delle grandi e adornatissime peote
del cleroede'magistrati, non che del cor-
po rappresentante le provincie e le città
venete,e de'mercanti); la imponente e ma-
gica regata , colla veduta magnifica del
Caual grande; il mirabile e singolare ar-
co eretto da Murano all'imboccatura del
canale de' Vetrai di Murano, meraviglio-
so pe'suoi ornamenti dicauuuccie di fra-
gilissimo vetro, invenzione del muranese
Giuseppe Zanetti; la funzione per la coi-
$8 VEN
locazione della i.* pietra nella diga di Ma-
lamoeco; la sorprendente notturna illu-
minazione a disegno delle superbe fab-
briche dell'istorica piazza di s. Marco; la
festa popolare d* un lunedì di settembre
al Lido, con padiglione a pagode foggia-
to per godere gl'imperiali coniugi e le al-
„ Ire auguste persone i sollazzi del plau-
dente popolo. Posseggo ancora : Feste
celebrale in occasione del soggiorno
Mie LL. SS. IL RR. A A. MM. in Ve-
nezia, Giuseppe Deve litografo editore
e proprietario in Venezia. Consistono i
disegni eleganti di questa premiata li-
tografia, oltre la vignetta del frontespi-
zio esprimente la galleggiante, in quel-
li che rappresentano V Ingresso dell'im-
periai coppia in Venezia dalla parte del-
la Piazzetta sotto baldacchino ; la Rega-
ta sul Canal grande; la Festa di ballo
alla Fenice in maschera, con l'interno
illuminato del teatro ; 1' Illuminazione
della piazza di s. Marco. Sono i bei di-
segni di Tommaso Viola, Giovanni Ri-
vidor, e Gaetano Nap. Valei j. La par-
te illustrativa, di egregia penna, contie-
ne la prefazione, e le belle descrizioni
dell'ingresso, della regata, del ballo ma-
scherato (cavalchina) nel gran teatro del-
la Penice, dell'illuminazione della piaz-
za ili s.Marco,della fondazione della diga
di Malamocco. AbbandonataVenezia dal-
l'imperatore e dall'imperatrice, e dagli
altri eccelsi personaggi, nel mattino de' 1 8
ottobre, per Treviso e Udine, per la via
di Pontebba ritornarono alle terre ger-
maniche. Questo fausto avvenimento co-
sto alle provincie venete lire 3,o3o,yi6,
comprese le somme destinale sia in ma-
nifestazione di pubblica esultanza, sia per
alti transitori'! di beneficenza, sia per isti-
tuti da attivarsi o da sovvenirsi. La sola
Venezia, Chioggin e le Comuni foresi spe-
sero lirei,3cp,4fic). Non contenti di tut-
tociò i veneziani mnnicipii , unitamente
a'Icmhaidi, din «ero e ottennero di po~
U\ iustiluire una guardia nobile, forma -
di giovani delle più delti l uiiiglic del-
VEN
le provincie, da mantenersi dalle prò fin*
eie stesse perennemente a Vienna per la
custodia della persona dell'imperatore, e
per quella dell'imperiai famiglia. L' im-
peratore retribuii tante affettuose e so-
lenni dimostrazioni d' esultanza e di di-
vozione, con dichiarare la più benigna e
grata soddisfazione, e col fondare in Ve-
nezia l'Istituto di scienze, lettere ed arti,
e coli' ordinare che due delle reali inse-
gne che aveano servito all'incoronazione
di lui qual re del regno Lombardo-Ve-
neto, lo scettro e il globo fornito di bril-
lanti sceltissimi, di lavoro viennese, ve-
nissero depositate nel tesoro della basili-
ca di s. Marco, come già notai parlando-
ne, per esservi in perpetuocustodite a cu-
ra del patriarca e di quel capitolo. Innal-
zò pure l'imperatore molti cittadini a no-
biltà, e molti nobili a'piìi elevati gradi
di consiglieri intimi e ciambellani; distri-
buì finalmente, ad uomini del popolo per
lettere, per arti, per carità verso il pros-
simo, per commerci e per industrie assai
chiari e benemeriti, medaglie d'oro gran-
di, medie e piccole, con catena o con na-
stro parecchie. A tantegiocondità del i 838
successero nel i83q orrendi disastri per
alluvioni, e la provincia di Venezia li pro-
vò gravissimi e memorandi la notte del
5 al 6 dicembre, la città restando inon-
dala in diverse contrade, danni ficaia nel-
le merci, contaminata nelle cisterne, più
terribilmente solFrendonegli arianesi.Ora
mi cessa la per me utilissima guida del-
l'annalista cav. Mulinelli, nulla registran-
do eli Venezia il cav. Coppi. Nel 1 84 i rin -
Dovala In festa della regata, fu sospesa do-
po ih 847, Pei' le lagrimevoli politiche vi-
cende che più sotto vado in breve a nar-
rare. — Avanti il i843, narrai a suo luo-
go, s'incominciò ad illuminare la città a
gaz. Intanto i letterati favorivano gene-
ralmente le cose rtuove, riflettendo che
molte del secolo precedente non erano più
convenienti al presente. Fra essi desiò en-
tusiasmo nel i843 il sacerdote Vincenzo
Gioberti con l'opera sul Primato mora-
V E iN
le e civile de^F italiani (della quale nel
1 846 feci cenno nel voi. XXXVI, p. 1 7 1 ,
e dipoi nel voi. XCJ, p. 55* , indicai il
cauto giudizio che ne die* l'acuto inge-
gno di Gregorio XVI, e nei voi. LXX V 1 1,
p. 236, come nell'odierno pontificato fu-
rono proibite e condannate tutte le sue
opere;oltre l'averne riparlato in altri luo-
ghi), trattando in questa del modo di mi-
gliorare e riordinare l'Italia. Premise, o-
gni riforma scientifica essere inutile , se
non faceva capo dalla religione, ed ogni
disegno di risorgimento italiano essere
inutile, se non avea per base la pietra an-
golare del Pontificato Romano. Essere il
caltolicismo destinato ad incivilire tutto
il mondo barbaro, e ad unificare tutto il
mondo civile. Roma, capitale religiosa de'
popoli cattolici, essere pure civile e mo-
rale metropoli della civiltà universale del
genere umano. La storia d'Italia essere
quella del Papato, e la storia del Papa-
to immedesimarsi con quella del mondo
civile e cristiano, ed essere insomma una
storia cosmopolita. L'unione dell' Italia
in uno stalo, essere impossibile; bensì pos-
sibilissima e facilissima ['■ unione di essa
per mezzo d' una eonfederazione, della
quale il Papa fosse cupo civile e presi-
dente; come Roma è il seggio privilegia-
to della cristiana sapienza , il Piemonte
essere a'dì nostri la stanza principale del-
la milizia italiana. Da Roma e da Tori-
no unanimi dipendere i fati d' Italia. Le
riforme essere le sole vie efficaci per e-
vitare le rivoluzioni. Quest'opera, allora
non proibita dalla s. Sede, si diffuse im-
mensamente; divenne in poco tempo po-
polare, e servì potentemente ad aumen-
tare in molti il desiderio di confederazio-
ne e di riforme. Molti per altro osserva-
rono, che Gioberti discorrendo di confe-
derazione avea orn messo di riflettere ad
un ostacolo essenziale,deiivante dalla do-
minazione straniera alla quale era sog-
getta una parte ragguardevole della pe-
nisola. Su questo articolo scrissealtroita-
liauo. Il coute Cesare Balbo, appena let-
V E H 57
to il libro del Primato, ne scrisse un al-
tro che intitolò, Speranze (V Italia, col
quale dimostrò la confederazione essere
impossibile, finche una parte d' Italia è
provincia straniera. Soggiunse poi essere
certa, anzi prossima la caduta dell'impe-
ro di Turchia, e certo il movimento del-
la civiltà cristiana verso l'Oriente. Esse-
re interesse speciale dell'Austria di esten-
dere il suo impero verso lo sbocco dei
Danubio (come avea di già dimostrato
Talleyrand a Napoleone I), e perciò di ce-
dere i suoi dominii d'Italia. Tale politi-
ca essere nel tempo stesso conveniente al-
la Germania, alla Francia, all'Inghilter-
ra ed alla stessa Russia; e questa eventua-
lità essere appunto la più probabile iti
cui l'Italia possa ottenere la totale indi-
pendenza. Aggiunse in fine un'appendi-
ce, nella quale esaminò,se e come sia spe-
rabile una lega doganale italiana. Anche
questo libro divenne in tempo brevissimo
popolare, scosse immensamente gli ani-
mi degl'italiani e ne ravvivò i desiderii e
le speranze d'indipendenza nazionale. —
Fino dal 1 835 una società di azionisti i-
deò una strada ferrata da Milano a Co-
mo, e nel 1841 ne cominciò i lavori. Nel-
lo stesso anno si aprì quella principiata
neh 838 da Milano a Monza. Nel 1837
fu istituita la società per la costruzione
della ferrovia da Venezia a Mdano. E
qui debbo notare, che già il doge Marco
Foscarini (dotto autore della Letterata"
ra Veneziana ed altri scrittori intorno
ad essa, che impressa nuovamente dalla
Gattei l'intitolò al letteratissimo princi-
pe Andrea Giovanelli, di che feci cenno
nel voi. XCII,p. 5go), nel suo breve prin-
cipato di io mesi,! 762-63, avea vagheg-
giato un punto che unisse l' isolata Ve-
nezia alla Terraferma. Nel 1840 s'inco-
minciò altra ferrovia da Milano per Ve-
rona, Vicenza e Padova, da terminarsi
a Venezia. Si disputò lungamente, se do-
vesse passare per Bergamo, e più diret-
tamente per Treviglio. I veneziani patro-
cinati specialmente dall'avv. Dauiele Ma-
58 YEN
nin, sostennero quest'ultimo punto, l'ot-
tennero, e fu denominata Ferdi nautica,
«lai nome dell'imperatore allora regnan-
te. Pertanto nello stesso 1 84o s'in tra pre-
sero i latori presso Venezia coll'intendi-
mento di protrarla sino all'interno della
città, sebbene divisa dal continente dal-
la vastaLaguna. Quindi a'25 aprile 1 8 . ] 1 ,
giorno sagro a s. Marco, si collocò solen-
nemente lai." pietra pel grandioso pon-
te, e iti sul fine dell'ottobre 1 84-5 l'ope-
ra fu compiuta, congiungendosi la stra-
da a Venezia, col magnifico ponte che
ne fa parte, costruito sopra la Laguna.
Segui la imi corsa di prova a' 4 gennaio
1846, e l'inaugurazione agli 1 1 del me-
d esimo» unitamente al tronco della fer-
rovia prolungata a Vicenza. Principia il
meraviglioso ponte a Venezia nel luogo
detto Sacca di s. Lucia, e con direzione
verso ponente termina alla Terraferma
presso la fortezza di Malgliera. Le sue 5
piazze ponno convertirsi in fortini; e col-
le 48 camerette da mine, de'piloni, in ca-
so di bisogno si può distruggere il ponte
inparte e anche in tutto. La speranza che
la chiesa di s. Lucia, di cui nel vol.XCI,p.
39, ultima opera Palladiana, potesse esse-
re conservato, è quasi perduta. Ne'primi
del corrente 1859 è stata decretata la de-
molizione di questo insigne edilìzio, per
ritenute necessità di spazio elocali ad uso
della stazione della strada ferrata. Il sagro
corpo della Santa titolare sarà forse tra-
sportalo alla chiesa parrocchiale di i. Ge-
remia. Noterò, che fin dal 1842 erasi a-
perto il i.° tronco della ferrovia da Me-
stre a Padova, e nel gennaio del 1 846 ven-
ne esteso a Vicenza, e nel seguente feb-
braio si aprì quella da Milano a Trevi-
glio. Nel precedente mese mori France-
sco IV duca di Modena, in benedizione
de' buoni e in riprovazione de' rivoltosi,
perchè avversava lo spirito del secolo.
Gli successe il figlio regnante France-
sco V. — Nell'aprile 1846 insorse-
ro dissapori tra le corti di Vienna e di
Torino. Conviene sapere, che nel ij5i
V E PC
erasi tra loro convenuto, fosse permesso
al re di Sardegna di far transitare pegli
stati della Lombardia-Austriaca, quella
quantità di sali procedenti da Venezia che
occorresse peglt stati sardi. In correspetti-
vo di tale concessione il re cedesse e ri-
nunziasse a favore della camera di Mila-
no all'intiero commercio attivo di sali co'
cantoni svizzeri e baliaggi da essi dipen-
denti in Italia. Queste convenzioni furo-
no confermate nel 181 5 al congresso di
Vienna. Essendosi però allora unito il
porto di Genova agli stati di Terrafer-
ma del re di Sardegna, questi tralascia-
rono di provvedersi di sali dal Venezia-
no. I ticinesi lagna vansi che il governo di
Lombardia non somministrasse loro una
quantità di sale suflìcientea'bisogni, e per-
ciò talvolta ne chiesero al re di Sardegna,
e nel i843 per contratto il re si obbligò
per 4 anni somministrarne loro una de-
terminata quantità; ma l'Austria noi ra-
tificò. Allora i ticinesi comprarono sali
per conto proprio, e chiesero il transito
pegli stati sardi. I ministri regi» giudicaro-
no che ciò non fosse vietato dalla conven-
zione e lo permisero; ma gli austriaci opi-
nando diversamente , chiesero la revoca
di tale licenza, negoziandosi inutilmente
per 3 anni. In fine il governo austriaco
si appigliò a rappresaglie, e con notifica-
zione de'20 aprile 1846 aumentò il dazio
sui vini che dagli stati sardi s'introduce-
vano nella Lombardia, in modo equiva-
lente a totale esclusione, con gravissimo
pregiudizio de' proprietari piemontesi.
Narra il Memorandum storico -politico,
del conte Solaro della Margherita, mini-
stro er.° segretario di stato per gli alfari
esteri del re di Sardegna Carlo Alberto,
che il governo di questi, per far conosce-
re che non avea trascurato gì' interessi
de'suoi sudditi, fece pubblicare dalla Gaz'
zetta Piemontese il motivo che avea da-
to luogo a tale misura. Quest' annunzio
d' una questione sostenuta contro I' Au-
stria, procacciò a Carlo Alberto uno spe-
ciale favore in tutta Italia, e specialmen-
YEN
te in Torino. Quivi i fautori dell'indipen-
denza e dell'unità nazionale, sulla propo-
sizione del cav. Massimo Tapparelli d'A-
zeglio, deliberarono di procacciargli dal
popolo una dimostrazione giuliva ed ita-
lica, mentre nella mattina de' 7 maggio
sarebbe andato, secondo il solito, a co-
mandare gli esercizi militari uel Campo
di Marte. Infatti di buon mattinola piaz-
za del Castello e la contrada Nuova, per
lequali dovea passare, erano piene di po-
polo; alle finestre ed a'balconi eranvi da-
me disposte a gettare fiori , e nella fol-
la erano persone pronte a gridare, Vi-
va il re d'Italia. Carlo Alberto informa-
to della cosa , e vedendo la moltitudine
assembrata, dopo titubanza risolse di non
uscire, e contramandò gli esercizi. Vi an-
dò bensì nella mattina de'g e fu accolto
dalle truppe con insoliti evviva. Fu ezian-
dio applaudito in vari luoghi della città,
nel ritornare al palazzo; applausi che si
fecero ancora la sera dell'i 1 alla regina
neltealroCarignano. Frattanto nel Lom-
bardo Veneto la prosperità privata, de-
rivata da 32 anni di pace, e l'utilità de'
molti pubblici lavori, non erano stati suf-
ficienti a togliere la contrarietà alla do-
minazione straniera. Poiché fra' nobili,
letterati, professori e giovani eranvene
sempre molti che vagheggiavano le no-
vità politiche e T unità nazionale d'I-
talia. E queste idee erano assiduamente
incoraggiate dagli emigrati italiani, e da'
comitati direttori di rivolgimenti stabili-
ti in Londra e in Parigi. In queste criti-
che circostanze in Roma{V.) venne a mor-
te ili.° giugno il Sommo Pontefice Gre-
gorio XVI, gravissimo inaspettato avve-
nimento che destò per lutto il mondo do-
lore a 'savi ed a'buoni, piacere e speran-
ze a'ti isti edagli amanti delle novità. To-
sto gli successe il Papa regnante Pio IX
(V.), che nel seguente luglio accordata
amnistia a'rei politici, questo e diverse ri-
forme destarono eccessiva esultanza e cla-
morose acclamazioui da per tutto; strepi-
tose dimostrazioni che fecero concepire
VEW 59
serie apprensioni dovunque, per reputar-
si da'saggi pericolose, con prognostici si-
nistri di funeste conseguenze, ed inutil-
mente in Roma e negli altri luoghi si pò-
terono raffrenare da'governi. Imperocché
frammiste a' Viva, con imponenti movi-
menti popolari, si cominciò con impron-
titudine a far domande, in principio al-
quanto discrete, e rapidamente esorbitan-
ti, politiche e sediziose. Nel congresso de-
gli scienziati tenuto in Genova nel set-
tembre, si trattarono è vero le cose scien-
tifiche, ma nelle private conversazioni e
ne'convili, ormai apertamente si discorse
con ardore del risorgimento italiano e sul
modo di rendere la nazione indipendente,
unita e libera. Lo spirito liberale che agita-
va l'Italia veementemente, non divenne
minore iu altre regioni al di là dalle Alpi,
nella Svizzera, nella Francia e a Pari-
gi, l'audacia popolare per ogni dove gi-
ganteggiando. Le idee di libertà si comu-
nicarono pure nella Germania, ne\[' Un-
gheria, ed in altre regioni , persino ne'
ducati di Schleswig ed Holstein della
monarchia danese. Di tale spirito pub-
blico, nello stesso 1846, si ebbe un picco-
lo saggio in Venezia, dove non ostante il
presidio austriaco, nella sera de'4 ottobre
vari giovani ardirono di cantare per di-
verse strade e per molto tempo canzoni,
alternando grida: Abbasso V Austria, Vi-
va Pio IX, Viva V Italia! Altro saggio
più. allarmante vi fu sul fine dell'anno in
Milano, per ledimostrazioni politiche fat-
te in occasione de'funerali al conte Fede-
rico Confalonieri, famoso per ordita con-
giura contro l'Austria nel 1821, per cui
era stato condannato ed esiliato. Divenu-
to generale in Italia lo spirito delle ri-
forme, nel gennaio 1847 anche la Tosca-
na bramò averle, alcuni vagheggiando,
come altrove, la distruzione della monar-
chia e il ristabilimento della repubblica.
11 granduca Leopoldo II informò la cor-
te di Vienna dello stato in cui erasi esal-
tato lo spirito pubblico; ed il principe di
Metternich i.° ministro della medesima.
<>o YEN
sul principio d'aprile giudicò opportuno
di scrivergli una lettera, nella quale io
sostanza osservava: L'Italia essere agita-
ta da l!lKTa!i<in<» e d.i radicalismo. Il i.°
essendo inetto, in fine avrebbe prevalso
il a.° 1 gran vocaboli Unione e Nazio-
nalità, non essere die la divisa apparen-
te del gran progetto di porre tutto il pae-
se in rivoluzione. L'unità in Italia non
essere fattibile , poicbè nessun sovrano
poteva riunirla sotto il suo scettro , e
quello cbe lo tentasse incontrerebbe nel-
le potenze d'Europa ostacoli insupera -
bili. L'odio all' Austria derivare princi-
palmente, perchè la sua possanza in Ita-
lia rendeva vani i progetti de' rivoluzio-
nari control principi: tolta questa forza,
sarebbe più facile il volgere contro di lo-
ro la cospirazione. Riflettesse pertanto, che
essendo egli arciduca d'Austria,comeFer*
dinando II re delle due Sicilie èva della
famiglia de'Borboni, ne l'uno, uè l'altro
sarebbero considerati come italiani da chi
voleva scacciare tutti gii stranieri dalla
penisola, onde la nazione avesse governi
meramente italiani. Queste osservazioni
non distolsero punto il granduca nella po-
litica che avea adottala, quindi venne al-
le concessioni, succedute dalle dimostra-
zioni tumultuarie, divenute generali, per
l'indipendenza italiana, laonde la forza
de! governo passò in mano deliberali. Nel
commovimento universale della peniso-
la, principiato in Roma e propagato alle
altre regioni, sorse un desiderio univer-
sale di approfittare della circostanza per
procurare lo stabilimento d'una confede-
razione italiana, facendosi evviva anco a
Leopoldo li, ed a Carlo Alberto, nelle di-
mostrazioni popolari alle bandiere pone-
vansi coccarde pontificie. Intanto s'inco-
minciò a stabilire una lega doganale fra
Roma, Sardegna e Toscana, alla quale si
fi/lutarono Ferdinando 1 1 re delle due Si-
cilie e Francesco V duca di Modena. In
Torino, come in tutte le allre parti d'I-
talia, ebbero presto luogo gli applausi ed
j Fiva Pio JXt inui e cauti diretti ad ili-
V &«
fianimare la moltitudine. Prospere era-
no allora le cose degli stati sardi. Le ren-
dite ordinarie ascendevano ad 87 milio-
ni di lire, e le spese a soli 84 milioni. II
debito pubblico ascendeva a q milioni
579,000 lire all'anno, tcuuivsiino in pa-
ragone di quello dagli altri stati. Ma le
idee d'unione e d'indipendenza naziona-
le erano maggiori in Piemonte, che nel-
le altre parti d'Italia, appoggiate princi-
palmente all'esercito, che nelf evento si
reputava il principale strumento di tanta
impresa. Non ostante queste prosperità
s'invocavano riforme e miglioramenti. Il
re di ciò cornpiacevasi, fomentato da al-
enili de'primnri liberali. Per cui, quando
il conte Ruol-Schavenstein, allora mini-
stro austriaco in Torin o, comunicò al con -
te Solaro della Margherita, come questi
riporta nel Memorandum, la lettera del
principe di Mettermeli a Leopoldo II, Car-
lo Alberto sene offese altamente, ritenen-
do insultata la sua indipendenza. Osser-
vando l'Austria attentamente il fermen-
to che cresceva a dismisura nello stato
pontificio, nella metà di luglio avea raf-
forzato imponentemente il suo presidio
di Ferrara; e per insulti fatti a un ca-
pitano, il comandante di tal fortezza te-
nente maresciallo Auersperg, ordinò pat-
tuglie in alcuni luoghi della città, ov'e-
rano caserme ed alloggi de'suoi militari.
Il legato cardinal Ciacchi emise protesta;
ed il feld-maresciallo conte Radetzky, co-
mandante in capodell'armata d'Italia, in-
vece impose di occupare la gran guardia
e le 4 porle di Ferrara, onde il cardina-
le pubblicò altra protesta, approvata in
uno alia 1 .a dal Papa. Ne furono conse-
guenza, incremento immenso in Italia di
agitazione degli animi contro gli austria-
ci; e Carlo Alberto mise a disposizione del
Papa tutte le forze che avea in suo pote-
re, il che gli accrebbe indicibilmente il
favore deliberali italiani, e quindi il re
giudicò opportuno d' appigliarsi alle ri-
forme. Queste promulgate nel novembre
aumentarono il fermento nella Lombar-
VE V
dia, e il desiderio di molti, specialmente
fra'principali possidenti, di passare dallo
scettro austriaco a quello della casa di
Savoia. In Milano la i .a dimostrazione ita-
lica si fecenel principio di settembre, pren-
dendosi occasione del nuovo arcivescovo
mg/ Bartolomeo Romilli italiano, e pel
trambusto che seguì, sempre più si au*
mento il mal umore in Milano e in tut-
ta la Lombardia. L'agitazione liberale si
propagò ancora nel regno delle due Sici-
lie, ma la rivoluzione cominciala a mani*
festarsi, per allora fu in breve repressa.
Riforme e guardia civica dovette accor-
dare eziandio Carlo di Borbone duca di
Lucca, ed entrar nella via del progresso
nel settembre. Indi voleva abdicare a fa-
vore del principe Ferdinando suo figlio,
tuttavolta nel seguente ottobre cede lo
stato al granduca di Toscana^ al quale
dovea passare soltanto dopo la morte del-
l'arciduchessa Maria Luisa duchessa di
Parma e Piacenza, che infermicela da al-
cun tempo faceva prevedere vicina. In-
tanto il duca Carlo, finche non fosse en-
trato in possesso degli aviti ducali, ebbe
dalla Toscana perappannaggiocjooo fran-
cesconi al mese. In conseguenza di che,
Francesco V duca di Modena, nel dicem-
bre 1847 ebbe ingranditi i suoi dominii
con Fivizzano e altri luoghi, e poi nel se-
guente mese ottenne il ducato di Gua-
stalla. Questo principe benché avesse a-
dottato principii moderati, non potè im-
pedire che anco ne'suoi dominii seguisse-
ro alcune dimostrazioni liberali e tumul-
tuose colle consuete grida e Viva, nella
stessa capitale Modena. Eziandio in Par-
ina avvennero sconcerti, con malconten-
to dell'arciduchessa Maria Luisa, che mo-
ri a' 18 dicembre. Divenuto perciò l'ex
duca di Lucca Carlo di Borbone sovra-
no di Parma e Piacenza , mentre trova-
vasi in Genova, il comune di Parma pre-
tese assumere le redini del governo, e
chiedere al nuovo principe varie riforme;
ma invece il consiglio de'ministri assun-
se la reggenza dello stalo, e tosto a'26 di-
VEN 61
cembre fu confermato dal duca con pro-
clama, nel quale indirettamente confutò
l' indirizzo di riforma che volevano do-
mandare i parmigiani; per cui il suo in-
gresso, effettuato nelr.° del seguente an-
no, non fu giulivo. Annunziando il duca
di Parma e Piacenza a'sovrani d'Europa
l'avvenimento al trono degli avi suoi, il
Papa Pio IX fece rispondere : Che rin-
graziava della partecipazione, se necou-
gratulava, ma intendeva di conservare il-
lesi i sovrani diritti della s. Setle sopra i
ducati di Parma e di Piacenza; dovendo
in tale circostanza rinnovare le sue pro-
teste,rammentandoformalmente cheque'
ducati appartenevano al principato tem-
porale della Chiesa Romana. Tanto è ve-
ro, quanto dichiarai di sopra, cioè nel pie-
cedente voi. XCII, a p. 4^0, contro chi
pretese impugnare tale alto dominio pon-
tificio. — Prima di lasciare il 1 847, devo
dire del IX congresso degli scienziati te-
nuto in Venezia, di cui feci parola su-
periormente in più luoghi. Fu aperto a'
i3 e chiuso a* 28 settembre. IN'ebbe la
presidenza il principe Andrea Giovanel-
li. Vi si recò Carlo Bonaparte principe di
Canino, col suo segretario Luigi Masi, in
divisa di semplice soldato della guardia
civica di Roma. Passando per la Tosca-
na furono ambedue applaudili strepito-
samente da'libernli esaltali di Livorno, di
Pisa e di Firenze. Giunti sul territorio
ansti iaco,a Rovigo tennero pubblicamen-
te discorsi diretti a suscitare gli animi con-
tro quel governo, per cui a'i5 settembre
ambedue furono espulsi da Venezia e ri-
mandati sul territorio pontificio. Del resto
le sessioni si tennero nell'ampia e magnifi-
ca sala delMaggioi Consiglio dell'antica re-
pubblica veneta, e fra gli oratori fu spe-
ci a Imente applaudi tol'avv.DanieleManin
pe' sensi italici 'francamente manifestati
trattandodirnaterierelative alla pubblica
economia, laonde fu poi messo sotlo la sor-
veglianza della polizia. 11 cav. Cesare Can-
lù discorrendo delle strade ferrate, inau-
gurò l'orazione col nome del Papa, esal-
Ga V E N
taudolo quale eroe di bontà e ili riconci-
liazione, clte avea posto la Croce olla te-
sta ilei progresso. Accennò le linee ili co-
municazione che avea ideato ila Uoma,
tanto verso Napoli, che verso l'Italia set-
tentrionale e le Alpi, barriera creata al-
l'Italia dalla natura, ma inutilmente. Con-
eluse con l'osservare, che i veneziani do-
vevano unire i loro interessi a quelli de'
vicini fratelli italiani, dov'era seguito un
tale movimento e sfolgorava ormai tanta
luce, che il non risentirsene dovrebbe a-
scriversi ad inerzia od a viltà. Fece voti
per la libertà e la prosperità maggiore
ed ormai vicina dell'Italia, divisa in die-
ci diversi domimi, sebbene vi si parli una
sola lingua. Questo discorso pronunzia-
to in una sala che rammentava tante glo-
rie patrie, fu accolto con applausi strepi-
tosissimi dagli uditori che vi erano in nu-
mero di circa tremila, ed il modo col qua-
le fu applaudilo, servi a dimostrare che
i veneti erano disposti ad uuirsi al movi-
mento italiano. In memoria di questo con-
gresso, fu coniata una medaglia bellissi-
ma del valente veneto incisore Francesco
Stime. Rappresenta Dante, enei rovescio
l'Arsenale di Venezia, secondo la descri-
zione di quel divino poeta. Ha per motto
il noto verso del medesimo.Ne furono bat-
tuti pochissimi esemplari inargento e po-
chi in rame. Ma dopo tale congresso, si
sparsero in Veuezia le prime scintille di
quell'incendio che dovea poi dilatarsi.
4. Negli articoli di questa mia opera,
impressi dopo l'infausta ultima epoca del-
la grande rivoluzione di molti stati d'Eu-
ropa e di tutta Italia, alcuni de' quali
rammentai nelle precedenti analoghe no-
tizie, e tornerò a ricordare in corsivo, nou
mancai laconicamente di descriverne,
colle principali vicende, lo spirito po-
litico, che principalmente fu di natu-
ra democratico, demagogico, Socialista
e irreligioso, il quale fa guerra ad ogni
autorità (come deploro anche a Verona),
che la produsse. Qui per Venezia procede-
rò precipuamente, però con alcune giunte
V E W
di schiarimento , massime fra parentesi,
coli' opuscolo stampato in Venezia stes-
sa nel 1 85o col titolo: La Repubblica i c-
neta de iQi giorni nel 1 8/f8 come ap-
pendice a tutte le Storie di Venezia fi-
nora pubblicale. Lo preferisco, per far-
ue liberamente un sunto o quasi ripro-
duzione, pel suo punto di vista e com-
plesso, tutto essendo interessante senza
superfluità di parole, e come più adallo
al mio sistema compendioso, inoltre pro-
fitterò de'due seguenti opuscoli che pur
posseggo. Nuovo Memoriale Veneto del-
la rivoluzione delle Provincie Venete ne-
gli A/mù -848-49 di P- C, Venezia 1 85o,
tipografia Grimaldo. Venezia negli an-
tri 1 848 a 1 849 di Aless. le Musson, au-
tore diCustozae di Novara, Venezia co'
tipi di Gio. Cecchini 1 85 1. Vi e pure la
collezione degli Alti, D cere ti, ec.,di quel-
l'epoca, che potino essere materiali inte-
ressanti e positi vi, pei chi vorrà intrapren-
derne la storia. L' autore dunque N. T.
dell'opuscolo d'86 pagine, La Repubbli-
ca Veneta de' 1 02 giorni, lo divide assai
opportunamente in IX capi, e dichiara
nella prefazione. Dopo gli avvenimenti del
1848 la. storia della repubblica veneta
non si arresta più al 1797, ma vi aggiun-
ge un'altra pagina, poiché trascorsi 5o
anni dalla sua caduta, risorse quella re-
pubblica, od almeno il suo nome. » Pro-
ponendoci di riempire il vuoto della sto-
ria a questo riguardo, ci protestiamo sem-
plici sposi tori di falli, lasciando a' politici
l'incarico di commentarli". Capoi. Fon-
dazione e caduta dell'antica repubblica
Veneta. L'autore N. T. volle far prece-
dere il suo proponimento di parlare del-
la nuova repubblica veneta, come oppor-
tuno, da un cenno dell'antica, per riguar-
dar quella appendice di questa. Detto
dell'origine di Venezia, per emigrazione
degli abitanti del continente vicino alle
sue isolette, de'governanti tribuni di que-
ste, dell'elezione del doge preside a tut-
to il corpo della nazione , degli abusi e
restrizione di sua autorità, dei freno al-
V E N
)a popolare licenza e dell'istituzione del-
la repubblica aristocratica; chiama que-
sta, a confessione degli stranieri, la piti
bella d'Europa nel suo genere, copia fe-
dele dell'antiche repubbliche della Gre-
cia e come il complesso delle migliori lo-
ro leggi: l'esistenza essere stata gloriosa e
durata XIV secoli, cioè più lunga d'ogni
altra anteriore e celebre. Poiché quella di
Spai ta visse 700 anni; e quella dilioma, la
più illustre di tutte, ne contò appena 5oo.
» Ragiona poi della dilatazione progressi-
va del dominio, ottenuto più per la for-
za morale che per la materiale. Consi-
derata dopo il conquisto di Costantino*
poli, per una delle maggiori potenze, e-
sercilò influenza sull'altre. Indi l'ulterio-
re imnandimeutode' veneziani derivò dal-
o
la bontà del loro sapiente reggimento, ac-
coppiato al valore guerriero, che rese la
repubblica temuta e forte. In appresso die'
un crollo al suo potere, il progresso nel-
la navigazione delle altre nazioni , che
scuoprirono la nuova via all'Indie orien-
tali. Nondimeno essendo ancor grande la
sua influenza politica , questa fiaccò la
lega di Cambrayjperòconlinuòa riscuo-
tere l'universale ammirazione, la rego-
larità del suo governo, la saggezza di sue
leggi, il mirabil ordine de'suoi consigli e
l'equità de'suoi tribunali, la moderazio-
ne, la protezione delle scienze e delle ar-
ti, restandole ancora provincie floride e
fertilissime. Percorso lo stadio di poten-
za e di gloria, cominciata a dar segui di
decrepitezza, quasi esausto 1' erario per
l'ultima guerra lurchesca e le 3 neutra-
lità armate; i uobili di Terraferma sof-
frendo a malincuore l'esclusione dall'am-
ministrazione pubblica, il popolo corrot-
to dalla mollezza, la sua difesa era ormai
solo affidata agli schiavoni. Nello scorcio
del secolo passato, l'ambasciatore veneto
a Parigi Quirini, fatto accorto del peri-
colo cui correva Venezia, l'eccitò ad ar-
marsi; quindi la rivoluzione le staccava
Bergamo e Como, e le stragi di Verona
furono il guanto di disfida colla repub-
YEN 63
blica francese. Troppo tardi, aprirono fi-
nalmente gli occhi i veneziani. Quel Na-
poleone che aveale olferto aiuto per re-
primere i ribelli, a'2 maggio le intimò
guerra, e fece occupar l'Estuario circon-
dante la Laguna. Da dove , il debolissi-
mo doge Manin, sentendo tuonar il can-
none,esclamò nell'assemblea: Questa not-
te non siamo sicuri nemmeno sul nostro
letto. Napoleone fece quindi diverse inti-
mazioni. L'atterrito governo non seppe
resistere: perciò licenziò gli schiavoni, di-
sarmò la Laguna; ed a' \i maggio 1797
adunato il maggior consiglio , tremante
il doge, molti patrizi ingannati o ingan-
natori avversando il vecchio sistema, po-
chi i coraggiosi, moltissimi i deboli, il po-
polo diviso in partiti, Villetard corse co'
partigiani tra la folla a diffonder le loro
idee e cercar seguaci. Spaventatoli deli-
berante consiglio da alcune scariche de-
gli schiavoni che partivano, abdicò al po-
tere. Seguirono giorni d' anarchia , da'
due partiti si sparse sangue cittadino, ed
ar'16 i francesi entravano io Venezia con-
dotti dal loro Villetard, che prometteva
tibertàt eguaglianza , fratellanza. Così
cadde la gloriosa repubblica, vittima del-
la ricchezza, della corruzione, dell'ingan-
no. Poi pel trattato diCampoformio, de'
17 ottobre, Venezia passò sotto il domi-
nio dell'Austria; in appresso fece parte
del regno d'Italia, 0 finalmente nel 1 8 14
ritornò sotto lo scettro dell' Austria e rima-
se tranquilla 33 anni. Capo 2.0 Procla-
mazione della nuova Repubblica. E no-
ta l'agitazioue generale in cui trovavasi
l'Italia verso il 1848 (sull'esempio dato
e di sopra tratteggiato genericamente,
per la migliore intelligenza della mia bre-
ve narrazione, cioè da Roma e da altri
governi italiani di Sardegna, di Par-
ma% di Toscana, delle due Sicilie, che
operarono delle modificazioni, anche i
popoli del regno Lombardo- Veneto le
attendevano, le speravano, ma uon le
ottenevano), agitazione che prese forza
maggiore dalla rivoluzione francese av-
r>;
VEN
Tenuta a Parigi «'primi irti qncll*cinno (;/
22 febbraio l'imperatoie Ferdinando 1,
in considerazione dello stato in cui Uo-
va vasi il regno Lombardo- Veneto, e nel-
Ja mira di assicurare la dovuta ubbidien-
za alle leggi, fece promulgare per lutto
il regno la norma di procedura abbrevia-
ta, da lui sancita «'24 novembre 1847,
pe'casi d'alto tradimento e per altri casi
ili perturbata tranquillità. Sovrana riso-
luzione cbe leggo a p.i 3o della Gazzet-
ta di Roma del 1848. Ivi è pure la noti-
ficazione dello stesso giorno, dell'i, r. go-
verno, in cui è detto: Nel proclama im-
periale de'9 gennaio, essersi manifestato
Ja dolorosa sensazione prodotta a Ferdi-
nando 1 dall'agitazione in cui trovasi il
suo regno Lombardo-Veneto, per opera
d'irrequieti individui, cbe istigati dall'e-
stero e mossi da mire interessate, ten-
tano sconvolgere il presente ordine le-
gale delle cose: dichiaVando in pari tem-
po essere sua ferma volontà di tutelale
la sicurezza e quiete interna ed esterna
del detto suo regno con tutti que'tmezzi
cbe la Provvidenza gli ha dato, memore
de'suoi doveri di sovrano, fra'quali èi.°
il vegliare al bene dello stato e alla tu-
tela de' fedeli suoi sudditi. Ora renden-
dosi necessario cbe tanto il potere giudi-
ziario, quanto le autorità di polizia, sie-
no munite di quella maggior forza, che
ì bisogni del momenti e l'importanza del-
l'uffizio loro richiedono, l'imperatore ha
ordinato, che per tutte quelle azioni che
turbano la pubblica tranquillità, e sono
punitedelle vigenti leggi, abbia luogo una
procedura sommaria, secondo le norme
che si pubblicano contemporaneamente
alla presente con altra notificazione. Se-
guono le norme ec). Due cittadini, l'avv.
Daniele Manin veneziano e Nicolò Tom-
maseo, avevano già domandato all'Au-
stria (con ardite rimostranze) in nome
della popolazione di Venezia, nuovi or-
dinamenti amministrativi e nuove fran-
chigie (per quanto Le Masson nella sua
Venezia, a p. 33, ed in altri luoghi fa os-
V E N
servare), ma le loro domande vennero
respinte ed essi medesimi carcerati (a' 1 8
gennaio 1848). Ma io qui debbo di ciò
dare un cenno. G. B. Nazzari membro
della congregazione centrale Lombarda
per la provincia di Bergamo, nel dì 8 di-
cembre 1847 parlò in quel consesso del
malcontento e dell'inquietudine della pò-
polazioue,quindi propose di nomina re una
commissione di deputati delle provinole
lombarde, per in vesti game le cause e far-
ne rapporto. Questo il conte di Spaur go-
vernatore della Lombardia partecipato al-
l'arciduca Ranieri viceré, d' ordine suo
significò alla detta congregazione, che ap-
punto stavasi occupando de'già noti de-
siderii delle provincie lombarde,onde pre-
sentarli al trono. Dipoi le congregazioni
provinciali di Milano,di Pavia e di Como
inviarono alla centrale di Milano le loro
particolari petizioni riguardanti i dicaste-
ri, l'abbreviazione del servizio militare,
le misure di polizia , la dignità effettiva
del regno Lombardo- Veneto, le imposte,
i tribunali, l'abolizione del giuoco del lot-
to. Nella metà di dicembre l'avv. Manin
ebbe una copia della proposizione del Naz-
zari alla congregazione centrale Lombar-
da, e immediatamente ne fece trascrive-
re e spargere molti esemplari, quindi pro-
curò d* indurre qualche membro della
congregazione centrale Veneta ad imitar-
ne l'esempio. Non essendogli riuscito, coni*
pilo egli stesso una domanda a quel con-
sesso, della stessa natura. Quindi a mez-
zo dell'amico Francesco degli Antoui ne
sparse molte copie per la città di Vene-
zia, e ne mandò altre a Milano ed a Bre-
scia. I progressisti veueti corsero in fol-
la a congratularsi col concittadino , pel
coraggio mostralo; ed i milanesi spediro-
no Serbelloni per rallegrarsi. Ad esem-
pio del Manin, a' 28 dicembre Gio. Cal-
lista Morosiui deputato della congrega-
zione provinciale di Venezia, ad essa pro-
pose di presentare un rapporto alla con-
gregazione centrale Veueta,si mi le a quel-
lo della Lombarda, affinchè nominasse
V E N
una commissione per istudiare i bisogni
del paese e ne suggerisse i rimedi. INel
dì seguente 5 consiglieri comunali pro-
posero al municipio di Venezia , di pre-
gare la congregazione centrale delle pro-
vincie venete., di porsi in relazione colla
Lombarda, per convenire sulle doman-
de da rassegnarsi all'imperatore a van-
taggio del regno. Alle rappresentanze le-
gali si unirono le dimostrazioni popola-
ri. Nella sera precedente de'26, già al tea-
tro erano state accolte con fragorosissimi
applausi le parole del coro del Macbetb,
colle quali s'invitavano i fratelli a sorge-
re ed a salvare la patria tradita; parole
die cantarono gli spettatori, e ripetero-
no per varie sere seguenti, siccome allu-
denti alle circostanze di Venezia. A' 3o
dicembre Nicolò Tommaseo lesse nell'A-
teneo Veneto un discorso sullo stalo at-
tuale delia letteratura in Italia, e vi trat-
tò della censura preventiva negli stati au-
striaci; rilevando non essere osservata la
legge, e doversi ricorrere al sovrano, pro-
ponendo una petizione, cbe subito fu co-
perta di firme, ancbe de'semplici udito-
li. Poscia la spedì nelle provincie per al-
tre sottoscrizioni, e indi il Tommaseo la
consegnò al governo perchè fosse inviata
a Vienna. Per tali motivi Manin e Tom-
maseo furono imprigionati. Intanto l'Au-
stria, mentre partecipava olle altre grandi
potenze quali fossero le sue idee relati-
vamente all'Italia, ad istanza del feld-ma-
resciallo Radet?ky avea rafforzato il suo
esercito in Lombardia, a'36,ooo cbe ne
comandava, con altri 25, 000 uomini, e
stabili aumentaili sino a 8o,ooo. Ma lo
spirito italiano erasi comunicato a'tede-
scbi, e nella stessa Vienna nacquero im-
ponenti dimostrazioni, con ispargimen-
to di sangue. — Caduto il ministero di
Vienna pe'fatti avvenuti in quella città,
e giunta in Venezia a' 17 marzo la noti-
zia della soppressione della censura (del-
la stampa) e della convocazione degli sta-
ti delle provincie tedescbe e slave, non-
che delle congregazioni centrali del re-
vol. xeni.
VE N 65
gno Lombardo-Veneto, il popolazzo pre-
se ardimento ed in folla accorse nella
piazza di s. Marco per domandare la
scarcerazione de' sunnominati due citla-
dini,ed esitando il governatore(ci vile con-
te Luigi di Palfify, essendo il governato-
re militare comandante la città e fortez-
za il conte Zichy tenente maresciallo, am-
bo ungaresi) a concederla, irrompe nelle
carceri, li libera e li porta a spalle d'uo-
mini in piazza. Questo tumulto, insolito
nella tranquilla popolazione di Venezia,
incute gravi timori ne' due governatori,
militare e civile, i quali fanno schierare
in piazza numerosa truppa. Questa ol-
traggiata dalle grida del popolo e da qual-
che colpo di pietra che le veniva sca-
gliato, rotta la militaredisciplina, investe
colla baionetta il popolo, che si disperde,
rimanendo alcuni feriti e uno soffocato
nella calca. Durante tutto quel giorno
avvenne qualche scontro tra'militari e il
popolo, ma non però di grave conseguen-
za (Insorse Venezia in questo giorno 17
marzo, o meglio que'che rappresentaro-
no la rivoluzione, che si compì con 5 gior-
nate, che i democratici chiamarono glo-
riose, e si emanciparono dal governo au-
striaco , durando lo stato rivoluzionario
1 7 mesi, compresi i 102 giorni di repub-
blica). Nel dì seguente parlavasi dagl'in-
sorti di volere ulteriori concessioni, anzi
di una Costituzione, l'ufficiai notizia del-
le quali il governatore civile, in suo ma-
nifesto, diceva attendere con una staffet-
ta. Il popolo ammutinato, entrato in dif-
fidenza e in sospetto, si porta a torme in
piazza s. Marco in aspetto minaccioso,
colla coccarda tricolore al petto, ed ap-
picca le bandiere nazionali. La truppa
nuovamente crede d'essere oltraggiata ;
molti arditi cittadini svelgono con I' un-
ghie i macigni del selciato, e fatti a pez-
zi, gli scagliano contro la truppa: questa
fa fuoco; 5 cittadini cadono morti e mol-
ti altri restano feriti. Il popolo fugge chie-
dendo armi, ed alcuni le tolgono già a*
soldati. In vista della gravità delle circo-
5
G<> VEil
stanze, (In dalla matlinn alquanti filladi,
ni raccoltisi nella casa dell'avv. Manin, e
con esso alla testa si erano condotti al
municipio per domandare l'istituzione di
ima guardia cittadina temporanea. Il nu-
mero de* richiedenti si fece in breve ora
grandissimo, e il pericolo divenendo «em-
pie più imminente, il podestà (conte Cor-
rer) s'indusse a recare, seguito da' suoi
assessori, quella petizione al governato-
re civile. Questi, d'accordo col governa-
tore militare, vi acconsente, ed in poclie
ore si vede girar la citlà una numerosis-
sima guardia cittadina (nello stesso gior-
noi8 marzo alla pure insorta Milano fu
concessa la guardia civica: la bandiera na-
zionale tosto fu piantata sul duomo, on-
de poterono le campane sonar pur esse a
stormo, con tutte l'altre d'ogni chiesa,
che dal giorno 19 al 23 non cessarono un
istante d'avvisare i dintorni del pericolo
grave, dell'eccidio generale che sovrasta-
vano. Fu sparso molto sangue ne' com-
battimenti fra il popolo e la truppa, cui
successero le bombe e i cannoni del Ca-
stello, ov'erasi ritirato il feld-maresciallo
conte Radet/ky comandante militare ge-
nerale del regno Lombardo-Veneto con
residenza ordinaria a Verona , che pro-
dussero altre stragi ed incendi. Fu una ri-
voluzione sanguinosa). Nella sera giunse
la notizia da Trieste che colà era stata
promulgata la costituzione. L' alto ufli-
ciale venne tosto letto al popolo dal go-
vernatore civile. Sparsosi per la citlà ta-
le annunzio,incontanente la piazza si riem-
pì di popolo, il quale prolungò le sue ma-
nifestazioni di giubilo fino a notte avan-
zata.Ne'due successivi giorni, 1 gè 20 mar-
zo, ebbero luogo alcuni scontri fra il po-
polo e i soldati austriaci, i quali si tene-
vano sempre come beffati ed offesi. Nel
giorno 21 però si ammutinarono gli o-
perai dell'Arsenale, i quali già da molto
tempo lagna varisi della severità del co-
lonnello Marinoviche pubblicamente di-
chiararono volerne la vita. Le guardie ci-
viche riuscirono a sottrarre «jtielf'tifficia-
VEPI
le dal popolare furore, ma crebbe oltre-
modo il fermento nella notte per la voce
sparsa che «li razzi alla Congrìve avesse
egli armate alcune navi e piroghe per in-
cendiar la città. Ad onta però de'consigli
in contrario ricevuti, egli volle nella mat-
tina de'22 recarli all'Alienale, ma gli o-
perai miseramente e crudelmente l'ucci-
sero, facendo orrendo sfratto del di lui
corpo. La notizia della barbara morte
dell'infelice Marinovich si diffuse tosto
per tutta la città. Allora l'aw. Manin si
pose alla testa d'un numero di guardie
civiche e s'impadronì de'piti importanti
ponti dell' Arsenale. Uscendo egli di là
annunziò che l' Arsenale era in suo po-
tere, alla quale notizia i soldati del mag-
giore Wimpffen e quelli della marina,
gittate le insegne austriache (pomponi),
vi sostituirono la coccarda tricolore. Do-
po ciò la veneta marina disponeva legni,
armi e munizioni a tutela della Laguna,
decanati e de' folti. Frattanto il munici-
pio delegò una deputazione onde dichia-
rasse francamente al governatore civile,
che la città non sarebbe stata tranquilla
finche tutti i mezzi d' offesa e di difesa
non fossero posti in mano de' cittadini.
Questo governatore depose il potere nel-
le mani del governatore militare, il qua-
le fu obbligato, nellostesso giorno 22 mar-
20, a stipulare colla delta deputazione la
seguente capitolazione.» Cessare il gover-
no civile e militare; le truppe austriache
abbandonare la città e tutti i forti, e par-
tire per via di mare, restando a Venezia
le truppe italiane; il materiale da guerra
e tutte le casse; il nuovo governo dover
provvedere al trasporto delle truppe, al-
le quali sarà data la paga per 3 mesi; a
garanzia del trattato il governatore mi-
litare dover rimanere l'ultimo in Ve-
nezia ". Il governo venne assunto da
deputati. Alle ore due pomeridiane con-
vennero sulla piazza 2,000 uomini del-
la guardia civica (essendone comandan-
te in capo l'aw. Angelo Mengaldo) per
assistere alla benedizione della bandiera
VE N
ustionale tricolore. In questo frattempo
In presa dell'Arsenale viene avvertita dal-
le ^rida : Viva la Repubblica ! Viva s.
Marco! Era Manin alla testa de'suoi re-
duce dall'Arsenale. Egli arringò il popo-
la e propose la forma di governo repub-
blicano.! contraenti della detta deputazio-
ne deposero il potere nelle mani del co-
mandante la guardia civica, affinchè co-
stituisse un governo provvisorio. Egli fe-
ce defilare sulla piazza i battaglioni della
guardia civica, e dopo ricevuta dal pa-
triarca cardinal Monico la benedizione
della bandiera, propose all'approvazione
del popolo e della guardia stessa i nomi
de'ineuihri ebe comporrebbero il gover-
no provvisorio, proposte ebe vennero tut-
te confermate. Le funzioni governative
vennero nel seguente modo distribuite:
Daniele Manin, ministro degli affari ester-
ni con presidenza; Nicolò Tommaseo, cul-
to ed istruzione; Jacopo Castelli, giusti-
zia; Francesco Camerata, finanze; Fran-
cesco Solerà , guerra; Antonio Paolucci
marina; Pietro Paleocapa, interno e co-
struzioni; Leone Pincherle, commercio;
Angelo TofFoli artiere, senza portafoglio
(Jacopo Zcnnari segretario). In appresso,
per rinunzia di Solerà, il portafoglio del-
la guerra venne affidato al ministro del-
la marina Paolucci. Fin dàlia sera de'
22 la guardia civica di Mestre con un
colpo di mano s' impadronì de' forti di
Margbera, ed a'o,3 que' di Chioggia oc-
cuparono il castello di s. Felice. Quasi
contemporaneamente le truppe austria-
che sgombrarono lutti gli altri ebe mu-
niscono la Laguna. Divulgatasi poi la no-
tizia degli avvenimenti di Venezia nel-
l'altre provincie venete, queste seguiro-
no tosto l'esempio della loro capitale e si
costituirono in governi provvisori'!; i qua-
li tutti furono più o meno pronti ad ade-
rire al governo della repubblica. — Capo
3. Primi atti del Governo provvisorio.
Manin , nell'atto di proporre al popolo
lo slato repubblicano disse; « Essere que-
sta, a sua opinione, la miglior forma di
fcN
*1
governo: il nome di repubblica ridestare
negli animi de' veneziani gloriose memo-
rie; molti difetti avere avuto l'antico go-
verno di s. Marco, ma ebe questi si cor-
reggerebbero da'nuovi governanti". Isti-
tuito poi il nuovo governo nello stesso
23 marzo, questo proclamò, ebe il nome
di Repubblica Veneta non poteva por-
tare ormai alcuna idea ambiziosa o mu-
nicipale, che le provincie, le quali si so-
no dimostrate tanto coraggiosamente u
rianimi alla comune dignità, le provincie
ebe a questa forma di governo aderisco-
no , faranno insieme una sola famiglia
senza veruna disparità di vantaggi e di
diritti , poiché eguali a tutti saranno i
doveri, ed incomincieranno dall' inviare
in giusta proporzione i loro deputati cia-
scuna a formare il proprio statuto; che
aiutarsi fraternamente a vicenda, rispet
tarei diritti altrui, difendere i propri, tal
era il fermo proponimento del governo;
che l'esempio ch'esso dee porgere si è
quello principalmente delle riforme so-
ciali e morali, che importano più delle
politiche assai, l'esempio della non sov-
vertitrice, ma giusta e religiosamente e-
sercitata eguaglianza. Dalle dichiarazio«
ni di Manin e dal successivo proclama
governativo, v'era tutta la ragione per
presumere che il nuovo governo repub-
blicano avrebbe toccato Peccellenza,quel-
la per altro a cui può pervenire un go-
verno di questo genere. Ma esso fu tale
in effetto? Soggiunge l'autore: Noisetti-
pièci spositori di fatti, risponderemo col-
la sposizione di fatti. Dovevasi con un
dispaccio richiamar la flotta, che allora
trovavasi stanziata a Pola; un piroscafo
trasportava a Trieste il governatore ci-
vile austriaco e parecchi altri individui
del cessato governo; il governo veneto af-
fidava al capitano di quel piroscafo il di-
spaccio di richiamo,e ciò costò nientemeno
che la perdita della flotta, per cui a Venezia
non restò altra forza marittima che una
squadra navale. Erano restate in Venezia
le truppe italiane in forza della capitola-
68 V EN
lione, truppe sufficienti a formare il nu-
cleo d'un nuovo esercito, aia tutte si ri-
mandarono alle case loro. Riguardo poi
alle riforme morali e sociali di cui parla
il proclama del nuovo governo, sono l'in-
dicale nel seguente capo (tutto quanto
l'operato nel 22 e nel 23 marzo, riferì
Ih Gazzella di Venezia , e riprodusse
quella di Roma, massime I' articolo : Il
Ventìduc Marzo ! Vi è pure un ma-
nifesto di Mengaldo del 23, che dice a-
vere il cardinal patriarca annuito a ri-
conoscere il seguito rivolgimento politi-
co; e che a mezzodì dovea intuonare il
solenne Te Dcum in s. Marco« in rendi-
mento di grazie al Signore per la nostra
liberazione dalla servitù, dello stranie-
ro ". L'adesione delle provincie co'nomi
de'deputati delle medesime che la fecero;
ed il proclama del Governo provvisorio
della Repubblica Veneta, di ringrazia-
mento al popolo veneziano, perchè a un
tratto sorgendosi mostròdeguodel suo no-
me).— Ca po4« Ordinamento civile epoli-
lieo. La bandiera della repubblica veneta
■venne stabilita di 3 colori, verde, bianco
e rosso j il verde al bastone, il bianco nel
mezzo, il rosso pendente; in alto, in cam-
po bianco fasciato da'3 colori, il Leone
giallo. Co'3 colori comuni a tutte le ban-
diere d'Italia si voleva professare l'unio-
ne italiana, il Leone poi era il simbolo
speciale di una delle italiane famiglie. La
coccarda nazionale si compose de'3 colo-
ri, cioè il verde nel centro, il rosso al di
fuori, e il bianco nel mezzo de'due. Il go-
\erno delle provincie venete assunse il
titolo di Magistrato politico , conservan-
do esso e gli altri uffizi esistenti le abi-
tuali attribuzioni. S'institui poi un Co-
mitato di difesa composto di antichi mi-
litari per assistere il ministero e il go-
verno nelle sue deliberazioni relative al-
l'ordinamento delle forze militari e alla
difesa del paese. Posteriormente gli fu so-
stituito il Comitato di guerra. I tribu-
nali d'appello, di 1/ istanza, di commer-
cio, il criminale e le preture conserva-
V EN
reno le loro attribuzioni. La direzione
generale di polizia cambiò il nome in
quello di Prefettura centrale di ordine
pubblico, colle stesse attribuzioni di pri-
ma. Dipoi, in sussidio a questa venne
istituito un Comitato di pubblica sorve-
glianza. Questo, di concerto colla prelet-
tura centrale di ordine pubblico, doveva
occuparsi dello scoprimento degli occulti
nemici dello stato, perchè fosse proceduto
in loro confronto secondo la legge. Così
pure, di concerto colla prefettura, doveva
prendere l'opportune disposizioui contro
le persone pericolose e sospette affinchè
fosse tolta ad esse la possibilità di nuo-
cere. Ne'casi istantanei, vale a dire, quan-
do il concerto colla prefettura portasse
una perdita di tempo congiunta a peri-
colo, il comitato dovea prendere le dispo-
sizioni opportune riferendole tosto alla
prefettura. A raggiungere lo scopo il co-
mitato, oltre a' mezzi ch'esso stesso sa-
pesse procacciarsi, doveva ricevere le si-
gnificazioni che ognuno credesse poter
fargli. Le significazioni dovevano conte-
nere descrizioni di fatti e di particolari
circostanze, essere iu iscritto e firmate
dalla persona che le insinuava, ed indi-
care il luogo preciso ov' essa dimorava.
Venne istituita una Commissione lem-
poraria per tutte le cause civili e cri-
minali, i cui atti non erano già stati
inoltrati a Verona a' 22 marzo 184B.
Questa commissione avea perle provin-
cie unite della repubblica tutte l'attribu-
zioni proprie del tribunale revisionale in
Verona; corrispondeva col governo prov-
visorio,come prima corrispondeva co'di-
casteri governativi. Si soppresse l'ufficio
denominato dipartimento governativo
del genio. Alla direzione delle poste ven-
ne sostituito un Consiglio delle Poste.
I codici civile, penale, di procedura, di
commercio, leleggi amministraliveetut-
te le altre emanate dal governo austria-
co furono conservati in vigore. Riguar-
do a'diritti civili e allo stato civile, fu
statuito che tutt'i cittadini delle provin-
V E N
eie unite della repubblica veneta, qua-
lunque sieuo le loro confessioni religio-
se, niuna eccettuata, debbano godere di
perfetta eguaglianza di diritti civili e po-
litici, toglteudo tutte le prescrizioni di
leggi contrarie a questo principio; e che
l'età maggiore fosse a'2 i anni compili.
Rispetto a' militari, si abolì il loro fo-
ro privilegiato, e la pena delle verghe e
del bastone. Nella procedura si fecero di-
verse innovazioni, massime sulla difesa e
i tribunali giudicanti. In quanto alle
pubbliche gravezze e al commercio, si
abolì il giuoco del lotto, si soppressela
tassa personale e si tolse il bollo de'gior-
nali. Il prezzo del sale venue ribassato di
un 3.°, si abolì la coutrolleria sul cotone,
sulle sue manifatture e sui filati, e si
esentarono le barche armate alla pesca
dal diritto di porto, da'diritti sanitari e
da qualsiasi diritto e tassa. Riguardo alle
leggi civili ingenere,si richiamò in osser-
vanza il decreto italico 9 agosto 1 8 1 1 ne'
suoi titoli 1 .°, 6.° e 8.° relativi all'avvoca-
tura ; si statuì che l'annotazioni fatte sui
libri censuari per mera ingiunzione go-
vernativa e camerale del governo austria-
co si cancellassero a istanza delle parti-
In quanto alla libera stampa, si statuì a
sua guarentigia che l'autore o 1' editore
debba apporre il suo nome; che la liber-
tà della stampa non toglie 1' obbligo di
presentare 3 esemplari di ciascuno scrit-
to che si stampi, fosse anche d'un foglio
volante, e che questi 3 esemplari debba-
no esser deposti, uno alla biblioteca Mar-
ciana, altro a quella di Padova, il 3.° a
quella di Milano. Per l'istruzione pub-
blica fu prescritto che gli uomini di noto
valore siano chiamati ad insegnare an-
che senza prova di esami ; si raccomandò
rammaestramento con più predilezione
sulla storia italiana segnatamente nelle
relazioni colla veneta, finche sia istituita
una cattedra di storia patria ; s'istituì un
Consiglio di reggenza presso l'università
di Padova per proporre riforme nell'uni-
versità e nelle scuole ; raccomandandosi
V E N 69
a'professori, segnatamente di scienze re-
ligiose, morali e civili, d'animare il loro
insegnamento d'uno spirito tutto italia-
no; si provvide a migliorare il liceo di s.
Caterina. Riguardo alle rappresentanze
delle provincie della repubblica, ciascuna
delle provincie che aderirono alla repub-
blica veneta, e per essa il rispettivo co-
mitato provvisorio dipartimentale, ven-
nero invitate ad eleggere e inviare a Ve-
nezia 3 consultori, così le altre che ade-
rissero poi ; stabilendosi che altrettan-
ti ne fossero eletti per la provincia di
Venezia dal governo provvisorio. Si con-
venne che la Consulta s'adunasse in Ve-
nezia a' io aprile, per nominare il presi-
dente e statuire l'ordine delle discussioni.
La Consulta dovere risiedere nel palaz-
zo ducale, e corrispondere direttamente
col governo provvisorio. Riuscendo in*
compatibile col nuovo ordine di cose la
Congregazione centrale , pel io aprile si
volle cessata. La Guardia civica pel mo-
mento si costituì di 3 legioni, ciascuna
composta di 3 battaglioni, e ognuno di
questi diviso in 3 compagnie di 100 uo-
mini. Ogni legione si fece comandare da
un colonnello, da un tenente-colonnello
e da altri uffiziali nominali dal governo,
i minori nominandoli le proprie com-
pagnie. Si chiamarono ad iscriversi a ta-
le guardia tutti i cittadini idonei da' 18
a'55 anni, gli esteri domiciliati nel ter-
ritorio della repubblica che lo bramasse-
ro, e si dispensarono gli ecclesiastici, ed i
militari inattualità d'esercizio, i capi del-
le magistrature requirenti la forza pub-
blica, gli agènti subalterni di giustizia e
di polizia, gli esercenti mestieri abbietti,
i domestici, i braccianti, i giornalieri ed
i coloni, ma poter far parte de' corpi di
riserv». Fu commesso alla guardia civica
il servizio interno ed esterno della città,
il presidio della piazza, i pubblici stabi-
limenti, le residenze del governo, del mu-
nicipio,de'tribunali, delle casse ec.e par-
ticolarmente la tutela della tranquillità
pubblica. L'i 1 aprile s'aprì il suo armo-
7o VEK
lamento regolare, a'20 maggio fu istituì-
lo il corpo di riserva, con norme e rego-
lamento organico. — Capo 5. Annaiiivn
li. Le condizioni di Venezia, come for-
tezza, sono piuttosto uniche che singola-
ri (è questo il punto più strategico di tut-
ta l'Italia). Essa non è propriamente a
dire una piazza di guerra, ma una spe-
rie di provincia fui liticata, una catena
di opere diverse slese sopra una linea di
circa 70 miglia d'estensione. Uipartesi
imlilarmeule in 3 circondari. 11 i.°de'
quali, dalla ciltà movendo a Fusina, gi-
ia per Marghera, anivo alle Porte grau-
di del Sile, ripiegasi a'Treporli, termina
a s. Erasmo: lungo ^1 miglia e munito
di ii) furti ed opere fortificate. II 2.0 è
fumalo dalla linea de' Lidi, che dalla
punta di s.INicolò per Malamocco ed Al-
beloni si protendono fino alla estremila
de' Murazzi di Pelestrina, sopra una li-
nea di olire 20 miglia e con i3 fortifi-
cazioni.Il 3.°comprendeledifesediChiog-
già e di Ciondolo, sino alla foce del Bren-
ta e racchiude 6 forti. Tulli questi punii
vennero provveduti d'artiglieri e di qne'
lauti presidii de'quali mancavano. Ed al-
l'armo de'legni e de'forti si aggiunse pu-
re il chiudere ed assicurare, con affon-
dare bastimenti e costruire barricate di
legname, gl'ingressi de' porti e de' tanti
eanali che mettono nella veneta Laguna
interna e 1' attraversano in ogni parte.
Per tali lavori si aggiunsero 800 operai
u'noo che lavoravano ordinariamente
nell'Arsenale. Si fabbricarono e si ripa-
rarono armi e munizioni, e si distribui-
rono non solamente alia città, a'Iegui, a'
forti, ma anche alle provinole fiuilime
ed a'vari comuni, oltre 1 5 migliaia di fu-
cili, un centinaio di cannoni, 2,600 scia-
bole, 60,000 funti di polvere, i,5o>o ca-
riche di cannone, un milione di cartoc-
ci da fucile, racchette, palle, capsule e al-
tri oggetti di artiglieria, oltre due can-
noni somministrati al vapore sardo il
Ma {fatano e 10 spediti in Ancona. E
frattanto i veneti carpentieri aiutavano
VEN
a'Iavori di barricate nelle città vicine, i
pompieri si occuparono a spegnere gl'in-
cendi prodotti dal bombarli, uuenlo, i
pontonieii erano a disposizione del ge-
neral Durando, al quale la marina vene-
ta somministrava pressoché tulle le mu-
niz ioni per l'esercito. Ne'primi giorni del-
la rivoluzione 77 legni armali presidia-
vano i 3 circondari di difesa con 327
bocche da fuoco. In seguito si allestì la
corvetta la Civica e poi il brick a vapo-
re il Crocialo; a'7 maggio usci 1' altro
s. Marco, e 5 giorni dopo ledue corvet-
te di 1 /Vango la Lombardia el' Indi-
pendenza. A' 22 marzo rimanevano in
Venezia uu battaglione di granatieri ed
un altrodel reggimentoWimplTen^.ooo
uomini in tutti, ed un 3.°composto nella
maggior parte d'italiani, il qoale faceva
il servizio di sanità ed era ripartito a Ve-
nezia, Chioggia e Mestre, ma queste trup-
pe, come già si disse, furono dal governo
rimandate alle case loro. A' 27 marzo
si aprì l' iscrizione per io battaglioni di
volontari, ciascuno de'quali composto di
6 compagnie, ed ogu una di queste di 1 00
uomini: s'istituì la guardia civica mobi-
le, ed a'28 marzo i gendarmi, di cui si
formarouo 4 compagnie, in lutti 600.
A'3 1 del dello mese s'aprì un arruola-
mento pegli artiglieri, e il loro numero
aumentò poi ogni giorno. A'3 aprile si
decretò uu corpo di 200 soldati di ca-
valleria regolare. Parecchi cittadini pro-
posero la formazione d'un corpo di volon-
tari che gratuilamenle servissero nella cit-
tà e De'forti, ed a'26 aprile si assegnaro-
no 4 uflìziali a dirigere le istruzioni di
tal corpo formato di 200 uomini, com-
presi vari sotto-ufììciali di marina ; que-
sti istruiti nel maneggio del fucile e del
cannone, parte furono inviati a presidia-
re il forte Alberoui, parte in altri sili.
Guardie civiche mobilizzate, squadre di
veneli crociali e volontari, frazioni di cor-
pi disfatti o distrutti, pellegrini, avven-
turieri d'ogni parte giunsero a Venezia.
lu breve, le forze propriamente venete
V EN
delle Zf ainii , faittet ia, cavalleria, artiglie
ria e genio, formavano negli ultimi tem-
pi del governo repubblicano un com-
plesso di 1 3,ooo uomini, ed i sussidiari
circa 6,ooo, per cui il presidio di Vene-
zia e dell'Estuario, Cuor delle truppe ma-
rittime e dell'Arsenale, ossia l'esercito di
cui si disponeva ne'forli verso la Terra-
ferma, era di circa 1 9,000 uomini. — Ca-
po 6. Finanze. Le provincie di Terra-
ferma, a mano a mano che conseguirono
la loro liberazione, istituirono de'goverui
provvisori!, che dopo le adesioni delle
provincie stesse al governo della repub-
blica, si tramutarono in comitali dipar-
timentali. Essi disposero delle rendite del-
le rispettive provincie e delle casse di fi-
nanza, senza mandare alcun avanzo alla
centrale com'era di costume sotto la do-
minazione austriaca. A'^3 marzo il go-
verno trovò che tra denaro e note di ban-
co esisteva la somma di 5,66o,i43 di li*
re presso le due casse centrale e provin-
ciale di Venezia, e fu con quelfoudo che
cominciò a sostenere i dispendi. Dell'im-
poste dirette la sola rata di marzo della
provincia di Venezia, in lire 467,297:60
affluì uella cassa centrale; avrebbe dovu-
to entrarvi anche quella dell'altra pro-
vincia di Padova del mese successivo, in
lire 683,5o7, ma la somma ritornò in-
tegralmente colà, come si dirà insegui-
to. Riguardo poi al contributo arti e com-
mercio, durante il governo della repub-
blica non è avvenuta l'abituale sua sca-
denza. Il prodottodell'indiretta nella pro-
vincia di Veneziasi limitò a lire 993,620.
"Dalla cassa del lotto, che venne abolito,
si ritirarono gli avanzi dell'estrazioni an-
teriori nella somma di lire 4^,000. Nella
cassa della posta a'2 3 marzo si trovaro-
no 40,000 lire costituite in parte in no-
te di banco; ma quest'azienda riuscì to-
talmente passiva e dovettesovvenirsi dal-
la cassa centrale, mentre la posta fu in-
caricala di slraordiuari servigi militari e
diplomatiche per mantenere la corrispou-
deuza fu costretta ad attuare mezzi Uso*
YEN 7 1
liti e per stradali indiretti con gravissimi
dispendi. Nella zecca a'23 marzo si tro-
vò uu fondo di lire 708, 1 98 tra monete
coniate e paste d'oro e d'argeuto da mo-
netarsi. La zecca del governo austriaco
era mantenuta in via affatto interinale
per soddisfare a'bisogni del veneto com-
mercio, specialmente per la monetazione
de'talleri pel Levante, e la somma di so-
pra indicata avrebbe dovuto considerarsi
piuttosto come dotazioue dello stabili-
mento : nondimeno le si fecero versare in
cassa centrale lire 246,41 5 onde aumen-
tare i fondi disponibili. La zecca si pre-
stò a coniare anche nuova moneta (a'29
giugno 1848 fu stabilito: Nella zecca ve-
neta si corneranno de'pezzi d'argeuto da
lire 5 italiane. Nel diritto avranno la leg-
genda : Repubblica Pineta 22 marzo
1848, ed in mezzo il Leone; nel rovescio
UnioneItaliana,e dentro uua coroua for-
mala da due rami Lire 5 ; al di sotto la
lettera F. À*7 giugno il governo veneto
proibì l'estrazione di oro, argento, rame
per qualuuque porto austriaco; ed a'16
agosto in termine di 48 ore volle la con-
segna al la zecca degli ori e degli argenti per
uu prestilo, o iu vece denaro, olire l'aver
decretato ritenzioni sugli stipendi e pen-
sioni. E qui noterò, che lungo sarebbe
il dovere registrare lutti i prestiti imposti
né' 1 7 mesi,fra'qualiquellodella carta mo-
netato delta patriottica di 5 milioni con
garanzia del consiglio comunale di Ve-
nezia. Imperocché mi è impossibile il ri-
cordare quanto energicamente si operò,
e quante offerte si prodigarono. D'altron-
de, forse niuua nazione, quauto la vene-
ziana, avea titolo per aspirare al pos-
sibile ricupero di sua libertà, per tale un
complesso di cose, che non mi sem-
bra azzardata la proposizione, in un'e-
poca in cui gì' italiani erano infiamma-
ti del prevalente spirito di apparente
indipendenza, dopo quattordici secoli di
reggimento repubblicauo aristu-demo-
cratico). S'ingiunse al comitato della fer-
rovia il versamento de'foudi che si tro«
72 VEN
vavauo giacenti nella sua casta, e si ebbe
così uu fondo di 3,000,000 di lire, la
inaggiorpartein cambiali. L'offerte spon-
tanee de'citladini al governo ascesero al-
la somma di lire 25o,ooo. A'i4 '"aggio
il governo decretò uu prestito forzoso di
j 0,000,000 di lire coll'interesse del 5 per
100. Il prestito fu garantito dalla unzio-
ne con pegno di tante azioni della socie*
tà della strada ferrata, e dovea essere ri-
fuso in 6 anni da) 1849 in poi, ripartito
nelle provincie non rioccupale dagli au-
striaci. Il prestito non si potè realizzare
nella provincia di Treviso per la totale
sua nuova occupazione, e Io si realizzò in
parte in quella di Vicenza, Padova e Ro-
vigo, che successivamente furono pure
occupale. Nella sola città di Venezia e in
alcuni distretti di sua provincia si pote-
rono ultimare le operazioni per riparli-
mento individuale nella somma di lire
4,5oo,ooo alla provincia stessa attri-
buita. In seguito poi il governo aggiunse
per questa provincia altre lire i,5oo,ooo
al detto quoto fissato sopra questo pre-
stito nazionale di io milioni che non ha
potuto effettuare nelle provincie rioccu-
pale dall'Austria. Da' depositi giudiziali
pressoi! tribunale civile di Venezia il go-
verno prelevò la somma di circa 100,000
lire : l'erario se ne costituì depositario as-
sicurando le parli, alle quali que'depositi
appartenevano,collestessegaranzieche fu-
rono date a'sovveulori del prestito forza-
to. Io complesso durante il governo della
repubblica, entrarono in cassa erariale
1 3,665,584 :3o di Ih e, e se ne spesero
1 2, 1 22,263 : 3o, sicché a*2 3 giugno ri-
manevano in cassa i,433,228:8p di lire
tra denaro, uote di banco e cambiali. Ve-
nezia circoscritta alle sue Lagune e nello
stato d'isolamento in cui trovavasi allo-
ra, non dava un reddito maggiore di men-
sili lire 1 90, 000, mentre le spese si faceva-
no ascendere a 2,5oo,ooo mensili. — Ca-
po 7. Condizioni politiche e relazioni e-
j/e/'e.Coslit uito il governo provvisorio del-
la repubblica, ne fu data notizia a tulli 3IÌ
VEN
stati che in Venezia aveano rappresen-
tanza consolare. Il nuovo governo ven-
ne tosto riconosciuto con dichiarazione
verbale dal console degli Stati- Uniti d" A.»
melica, ad esempio di quanto avea fatto
recentemente in caso simile l'ambascia-
tore di quella potenza in Parigi. Fu inol-
tre riconosciuto in iscritto dal direttorio
federale svizzero, e col fatto delle ufficia-
li relazioni diplomatiche dal governo del
re di Sardegna Carlo Alberto e dal go-
verno provvisorio dell'insorta Lombar-
dia. La repubblica veneta ebbe altri ri-
conoscimenti impliciti da' vari governi
d'Italia. Vennero e rimasero in Venezia
inviali del re Sardo, che per stabilirvi in-
time relazioni a' 12 aprile vi spedì Lazza-
ro Rebizzo incaricato provvisorio; non
che del governo provvisorio di Lombar-
dia. Il governo della repubblica mandò
inviati suoi al campo di detto re, a Mila-
no, a Roma, a Parigi. Quando gli aiuti
mandati dal governo delle due Sicilie,
che già si trovavano presso il Po e do-
vevano varcarlo per operare nel Veneto
unitamente alle milizie venuteda Roma;
e intanto che l'esercito piemontese ope-
rava nel territorio Lombardo, mancaro-
no a* veneziani pegli ordini che le truppe
ricevettero di retrocedere, e soltanto po-
chi con Pepe loro generale giunsero a Ve-
nezia ; quando Vicenza e poi Treviso
dovettero capitolare, e beo 12,000 sol-
dati italiani fra pontificii e veneti vennero
per 3 mesi posti fuori di combattimento;
e quando tutto il Veneto fu rioccupato
dagli austriaci (comandati dal general
Victor fin da'3 1 marzo aveano formato
un cordone sull'Isonzo, dove si raccolsero
anche le truppe partite da Venezia; ed
il governo di questa sequestrò lutti i be-
ni mobili e immobili posseduti nel terri-
torio veneto dal viceré arciduca Ranieri,
e da Francesco Vduca di Modena, però
a favore di questa), restando libera la so-
la Venezia, e anch'essa da'medesimi vi-
vamente minacciata; allora i veneziani
fecero molte istanze al governo, coperte
V E N
d'un numero grandissimo di sottoscrizio-
ni, colte quali si voleva dimostrare la ne-
cessità di chiedere il soccorso della Fran-
cia, ed insistevasi perchè fosse chiesto. Il
governo interpellò prima i governi d'I-
talia, affinchè dicessero se veramente le
forze italiane potevano bastare all'indi-
pendenza italiana, e quando no, concor-
ressero a chiedere in nome comune del-
la nazione italiana l'alleanza della nazio-
ne francese. Il governo di Toscana e quel-
lo di Roma nella risposta a quesl'inter-
pellazione, promisero d' inviare nuovi
soccorsi secondo le proprie forze, ma si
dichiararono avversi all'intervento fran-
cese.— CapoS. Movimenti militari e fatti
<7V//7/z/.lldì8aprileg!i austriaci aMonte-
bello si scontrarono con un corpo di cro-
ciati pado vani, tri vigiani, vicentini e lom-
bardi,studenti in gran parte, che nel gior-
no antecedente si batterono senza cede-
re; ma in tale mattina nuovi drappelli au-
striaci sopraggiunti girarono il poggio di
Sorio, alle cui falde combattevano i cro-
ciati, e ne acquistarono la sommità. I cro-
ciati si trovarono tra due fuochi, e sban-
daroosi in parte alla volta di Vicenza e
in parte sopra Arzignano. Di essi furono
trovati morti 5i sul luogo e altri 3o cir-
ca rimasero sotto le macerie delle case
incendiale. In questo stesso giorno suc-
cesse una gran battaglia tra gli austriaci
e i piemontesi in prossimità di Peschiera.
Giunse in aiuto diPalmanova un corpo di
crociati veneziani, unitamente a circa 3oo
uomini di truppa proveniente da Udine,
ed a iio artiglieri piemontesi. A' i 7 i
crociati fecero una sortita e si spinsero sin
sotto a Visco, ma gli austriaci li obbli-
garono a battere la ritirata ; però 2 3 cro-
ciali caddero prigionieri. Udine a' 22 si
arrese agli austriaci per capitolazione, e
vi entrarono capitanati dal general Nu-
gent. A' 28 giunse in Padova il general
Durando con 6,000 uomini e 12 canno*
ni dirigendosi a Treviso. Ed a'3o a Caor-
le sbarcò un corpo di crociati. Da Trie-
ste a'3 maggio si pubblicò il blocco di
VEN 73
Venezia per mare. Verso le coste di Chiog-
gia si diresse, imbrogliate le vele, una
fregata austriaca rimurchiata da un va-
pore,direttaa Porto Levante. Il vice-am-
miraglio veneto pose i legni che guarda-
vano il porto in istato di combattimen-
to, discese poi a terra e fece battere la
generale : la popolazione di Chioggia e
di Pelestrina corse tutta alle armi. Bel-
luno, dopo aver resistilo per 3 giorni, as-
salita di fronte e alle spalle, a' 4 cadde
in mano degli austriaci senza capitola-
zione. Carlo Alberto a' 6 spintosi fino a
s. Lucia e Croce Bianca, ordina il ritor-
no al quartiere di Somma Campagna, ri-
portando grave danno. Agli 8 avvenne la
battaglia di Cornuda fra gli austriaci e i
pontificii, con danno di quest'ultimi, che
invano attesero il rinforzo del general
Durando (la cui condotta incomincia a
destar sospetti). Gli austriaci a* io per 5
ore bombardarono Palmanova inutil-
menle. Agli 11 pel fatto d'armi alle Cà-
Strette, le truppe pontifìcie comandate
dal general Ferrari si ritirarono a Tre-
viso. Inoltre gli austriaci a' 1 2 attaccaro-
no quella città, gl'italiani fecero 3 sorti-
te. In questo giorno il general Giacomo
Antonini, comandante la legione italiana
organizzata a Parigi, fu nominato co-
mandante della città e fortezza di Vene-
zia. Ivi a' i3 giunse un corpo di volon-
tari siciliani capitanati dal colonnelloGiu-
seppe La Masa; e gli austriaci rinnovaro-
no l'assalto su Palmanova (a' i/\. il co-
mando della divisioue navale veneta è af-
fidato al general contrammiraglio Gior-
gio Bua). A' 16 arrivò la flotta napoleta-
na nel porto di Venezia tra il tuonar del
cannone, il suono delle campane e della
banda civica: era composta di 5 fregate
a vapore, 2 fregate a vela e un brick. Il
popolo veneto voleva accorrere alla di-
fesa di Treviso, ma non l'ascoltò il go-
verno. A'rq si seppe la dedizione di Mi-
lano a Carlo Alberto. In tal giorno gli
austriaci abbandonarono Treviso, e mar-
ciarono verso Catnisano. A'21 poi assa-
74 VEN
Jirono Vicenza, ove giunse final niente
colle sue truppe il general Durando; e
Manin e Tommaseo vi si recarono con un
migliaio ili militi, tra cui la legione An-
tciuiui. La flotta iarda a' 22 maggio fu
«Ila vista di Venezia e si unì agli altri le-
gni italiani per avviarsi aTrieste (che mi-
nacciò, limitandosi al blocco della divisio-
ne austriaca e a impedirle le ostilità con-
tro Venezia : la flotta sarda couiponevasi
«li 17 legni, con circa 4>ooo d'equipag-
gio, comandata dall'ammiraglio Albini).
La flotta austriaca, meno forte, si ritirò
dietro il molo della Lanterna. Gli austria-
ci a' 23 (in tal giorno il proclama di re
Carlo Alberto, ai popoli della Venezia, gli
assicurava non aver altro scopo che la
liberazione della propria patria dallo
straniero) ritornati su Vicenza, l'assali-
rono a'24 con razzi e 2,000 bombe, ri-
tirandosi a 3 miglia dopo un combatti-
mento di i5 ore. Una compagnia di cro-
ciati assaltata in Cittadella una caserma
d'austriaci, fece molli prigionieri e li con-
dusse a Vicenza. A' 26 il Cadore venne
minacciato in 4 punti dagli austriaci, ed
a' 28 i cadorini li lasciarono entrare in
ima gola per 3 miglia circa e poi diedero
fuoco alle mine. A'28 entrarono in Bar-
dolino 800 austriaci, dopo inutile resi-
stenza, e poi si diressero a Caprino. Car-
lo Alberto fece trasferire il suo quartie-
re generale da SommaCampagua a Val-
leggio. L'esercito austriaco, mosso verso
Cintatone, sbaragliò i toscani. Il general
Antonini a'3o spedì 4^0 uomini di sua
legione à difesa di Treviso. Successe gran
battaglia a Goito con vantaggio de' pie-
montesi. Per la fame si rese Peschiera a'
3i per capitolazione, ed usciti gli austria-
ci con onori militari, vi entrarono i pie-
montesi (Già il i.° giugno gli assennati
conoscevano le somme difficoltà per l'a-
nità italiana y massime per lo scoglio di
fissare la capitale. Milano si accomodò a-
gevolmenle alla fusione nella speranza
eli divenire la capitale dell' ideato regno
dell'alta Italia: Venezia non ci vide il
V lì N
suo conto. Intanto persone pagate, unir
si sa da chi, scrivono e gridano : Viva
Carlo Alberto ! La Spada d'Italia!). A'
4 ginguo Bassano venne occupata dagli
austriaci, a'qnali cede il Cadore. A'9 ar-
rivò in Rovigo il geueral Pepe, portan-
do in aiuto a Venezia 4 mortai, 2 obizzi,
6 cannoni, piò di 20 carri di munizioni
e attrezzi, ed in complesso i5oo uomini:
il resto dell'esercito napoletano ub&dien-
teal proprio re tornò indietro. Il feld-ma-
resciallo Radet/ky coli' esercito attaccò
tutta all'intorno Vicenza. Dopo 12 ore
di fuoco vivissimo, il general Durando so-
stituiva la bandiera di tregua a quella
di guerra, ma il popolo la crivellava di
moschettate. Per altre Gore durò la stra-
ge, e quando gli austriaci voltarono i can-
noni contro la città, s'inalberò la bandie-
ra bianca e si capitolò. 11 lladetzky dis-
se: Non potersi negare una capitolazione
a chi si era difeso così eroicamente. La
caduta di Vicenza aggravò molto i so-
spetti concepiti sul Durando. Dietro or-
dine di Ferdinando lire delle due Sici-
lie, la suddetta flotta napoletana, ch'erasi
unita alla divisione della flotta sarda e
veneta, agli 1 1 partì tra gli urli ed i fi-
schi de'sardi e de' veneti. A' 12 un corpo
austriaco di Vicenza interruppe la ferro-
via a Poiana. Il comitato centrale della
guerra in Venezia, dietro il fatto di Vi-
cenza, risolse di concentrare le proprie
forze di Padova e di Treviso a difesa del-
le fortificazioni di Venezia. Treviso non
volle ubbidire, e quindi il bombarda*
mentoseguì la mattina de' i4i pochi dan-
ni contava la città, ma gli abitanti insi-
sterono per una capitolazione. Questa
venne nella sera proposta al general au-
striaco, il quale accordar voleva le armi
egli onori militari a'soli granatieri pon-
tificii. 1 corpi franchi non volevano ce-
dere le armi; il generale austriaco persi-
ste nella sua deliberazione ; i comandanti
italiani decidono d'aprirsi colle armi la
via per Venezia, a vviandovisi com2 can-
nimi; allora il general austriaco, dietro
V E N
rimostranze, accordò la capitolazione ne'
modi proposti. A'i5 successe una fazio-
ne sotto Caorle: una cannonata fa scop-
piare !a veneta penici) e Furiosa^ sulla
quale restò illeso solo il comandante, e
gli i i che stavano a bordo rimasero par-
te morti e parte feriti. Giunse in Venezia
il genend Pepe colla fra zio uè dell'eserci-
to napoletano disubbidiente al suo re, e
venne tosto nominato generale in capo
delle truppe di terra che si trovavano nel
Veneto. Gli austriaci a'i8 occupano Me-
stre, e Venezia viene bloccata per la via
di terra. 1 bastimenti veneti ilei la linea
diFusina vengono attaccali sull'albeggiar
del ?.3 da una batteria austriaca. La ca-
pitolazione di Pai mano va è conclusa a'
^giugno fra il colonnello auslriacoKor-
paii ed il presidente Putelli luogotenen-
te del generale Zucchi. Ecconeil tenore:
n Garantita la vita, la libertà e le proprie-
tà de'civili e de'roilitari e della guardia
civica; le truppe regolari delle provincia
del Friuli, di Belluno e di Treviso, non
the i crociati di Venezia ripatrieranno
disarmati; gli artiglieri piemontesi ritor-
neranno alla patria colie armi e gli onori
militari". Così assoggettavasi la città ri-
conoscendo di »» essere coro promessa, ben-
ché fornita di sussistenze e mezzi di di-
fesa"(A*28 s'istituiscono telegrafi in vari
putiti di Venezia e formasi uu corpo di
telegrafisti). I lquartier generale del re sar-
do a'29 si trasportò da Valieggioa Ro-
verbello.I napoletani partono dal campo
per ordini pressantissimi avuti da Napo-
li.A'3 luglioaPiranosucces^e uno scontro
tra legui austriaci e veneti che cannoneg-
giarono il fortino delle Rose. — Capo g.
Partito repubblicano e realista , e cadu-
ta dellaRepubblica.ì proclami del reCar-
lo Alberto » che senza prestabilire alcun
patto prometteva la liberazione dell'in-
tiera penisola" cominciarono ad alienare
gli animi degli abitanti delle provincia ve-
nete di terraferma dal governo della re-
pubblica. La maggior parte del popolo ve-
uelo ripete va in tutti i modi» piuttosto che
V E N 75
i piemontesi, gli austriaci". GPiniproperii
scaglia ti contro il Piemonte è in utile il dir-
li, come ripetuti da lutti i giornali, dagli
atti e dalle parole de'go vernanti d'allora.
Pervenuta la notizia della fusione di Mi-
lano col Piemonte, alcuni temettero che
l'esempioinfluisse nelVenetoe venne pro-
dotto un indirizzo al governo affinchè
pubblicasse seuza indugio una legge e-
lellorale e convocasse entro un mese
1' Assemblea Costituente per Venezia e
per quelle provincie che non si fossero
ancora date definitivamente al Piemon-
te. 11 comitato provvisorio di Padova ,
per parte sua e de'comitali di Treviso ,
Rovigo, Vicenza, nel 3 1 maggio 1848
intima al governo di Venezia di dichia-
rarsi entro 3 giorni per la fusione del
Piemonte in un solo Stato , intendendo
essi, in caso diverso, di staccarsi dalla re-
pubblica veneta. Questa notizia sparge il
malumore tra'veneti.Si diffondono scritti
prò e contro e si dà origine a due par-
titi, il Repubblicano ed il Realista^ che,
più debole e formato per la maggior
parte di forestieri, profonde denaro per
acquistarsi fautori. Questi parliti danno
origine a diverse manifestazioni popola-
ri. Fra le altre, una settantina di pesca-
tori armati di lunghe fioccine(o fiocine,
pettinelle, islromenti di ferro a guisa di
tridente, con 007 denti, o lunghe pun-
te d'acciaio lavorato a foggia d'amo, che
si adattano ad una lunga asta di legno per
colpire e prendere i pesci: tal ciurma fu
detta la processione delle fiocine) ferrate
andavano un giorno gridando Viva la
Repubblica^ forzavano gli altri a secon-
darli. Così pure un corpo di ci ria 1,200
guardie civiche invitato nel campo di
Marte per una rivista fa una dimostra-
zione nel senso della fusione di Venezia
col Piemonte. Quest'atto imprudente
cagionò clamori ed assembramenti pe-
ricolosi nella sera iu piazza di s. Marco,
ove s' intese gridare: Morte a Manin e
a Tommaseo! 11 governo provvisorio di
Venezia, dietro la fatta dichiarazioue
?8 V lì N
«Ielle venete provincie, a' 3 giugno con-
voca (pel giorno 1 8, poi sospesa a' i 5, ed
n*2i inlimata pe* 3 luglio) un'assemblea
di deputati eletti fra gli abitanti della
provincia in ragione di uno sopra 2000,
«ode: i.° deliberi se la questione relati-
va alla presente condizione politica deb-
ba essere decisa subito od a guerra fini-
ta; i.° determini, nel caso che fosse deli-
berata per la decisione istantanea, se il
territorio di Venezia debba fare uno
slato da se, od associarsi al Piemonte;
3.° sostituisca o confermi i membri del
governo provvisorio. A* 3 luglio 1848
propriamente seguì V apertura solenne
dell' assemblea nazionale ( nella sala del
maggior Consiglio con 1 33 deputati de'
193 eletti). Nel dì seguente Tommaseo
dissuase la immediata fusione col Pie-
>nonte,dimostraudo necessario e decoro-
so astenersi per ora da un passo che non
potrebbe sembrare né libero, né utile, né
onorevole. Paleocapa gli rispose ch'era
cosa giusta, prudente e diplomatica di
ricorrere alla fusione, e lo sostenne chia-
mandosi uomo pratico e positivo. Dopo i
loro discorsi Manin sale la bigoncia e
dice: I discorsi de due valenti oratori
che mi precedettero , dimostrano che
non vi è opinione ministeriale j che noi
parliamo qui, non come ministri, ma
come semplici deputati^ e come sempli-
ce deputato parlo anche io parole di
concordiaedi amore. Inoggi ho la stessa
opinione che aveva nel 11 marzo quan-
do dinanzi la porta dell'Arsenale pro-
clamai la Repubblica. Ora tutti non
l'hanno (agitazione). Parlo parole di
concordia e di amore e prego di non es-
sere interrotto. E un fatto che tutti oggi
non l'hanno. E pure un fatto che il ne-
mico sta alle nostre porte, che il nemico
attende e desidera una discordia in
questo paese, inespugnabile finche sia-
mo d' accordo, espugnabilissimo se qui
entra la guerra civile. Io, astraendo da
ogni discussione sulle opinioni mie e
sulle opinioni altruit domandq oggi as-
V E N
sistema, domando oggi un grande sa-
g ri/ìzio, (.' lo domando al partito mio, al
generoso partito repubblicano. All'ini-
mico sulle nostre porle ,che aspettasse la
nostra discordia, diamo oggi una so-
lenne mentita. Dimentichiamo oggi tutù
i partiti j mostriamo che oggi dimen-
tichiamo di essere realisti o repubbli-
cani, ma che oggi siamo lutti italiani. Ai
repubblicani dico : Nostro e l'avvenire.
Tutto quello che si e fatto e che si fa,
e provvisorio. Deciderà la Dieta italia-
na a Roiiitl Vive e prolungate accla-
mazioni susseguono a questo discorso.
Tornato Manin al suo posto, l'avv. Ca-
stelli e molti altri deputati vanno ad ab-
bracciarlo con grande effusione di ani-
mo. L'aw. Castelli sale in bigoncia e col-
le braccia alzate esclama: La patria e
salvai Viva Manin! Si venne finalmen-
te a' voti. Al i.° tema, se la condizione
politica di Venezia debba decidersi su-
bito o no, voti affermativi i3o, negati-
vi 3; al 2.°iema, dell' immediata fusio-
ne di Venezia negli Stati Sardi colla
Lombardia, voti affermativi 127, nega-
tivi 6; il 3.° teina delle sostituzioni e
forme de' ministri fu riservato al dì se-
guente. In questa tornata Manin venne
eletto membro del nuovo ministero a
grande maggioranza di voti, e probabil-
mente sarebbe stato rieletto a presidente,
ma egli rispose: Lo ringrazio vivamente V
assemblea di questo nuovo contrassegno
di fiducia e di affetto sma debbo pregar-
la di dispensarmi. Io non ho dissimula-
to che fui, sono e resto repubblicano. In
uno stato monarchico io non posso esser
niente^ posso essere della opposizione ,
ma non posso essere del governo. Prego
i mìei concittadini a non co stringermi a
far cosa contraria alle mie idee. Poi io
sono stanco e sono affranto dalle lun-
gi te dolcezze di questi tre mesi : fisica-
mente non ne posso più, credetemelo. La
mia testa non reggerebbe e non potrei
fare certamente che male. Prego viva-
mente ad essere dispensalo. Dichiaro
V E N
eziandio che, essendo dello, non accet-
terei. Si venne quindi alla nomina ile'
nuovi membri del governo provvisorio, e
fu eletto a presidente l'avv. Jacopo Ca-
stelli, il quale dopo la votazione montò
in tribuna e disse: Accettiamo il grave
incarico che la patria e impone. Lo ac-
cettiamo senza guardare alle nostre
forze, ma con potenti conforti, che sono
la nostra coscienza e la confidenza vo'
stra,la gitale sarà sempre la nostra
inestimabile ricompensa. Termina N. T.
il suo libro colle seguenti parole. » Cosi
cadde la veneta repubblica democrati-
ca proclamata a' 22 marzo. Il nuovo go-
verno provvisorio (composto del Ca-
stelli, Camerata, Paulucci, Martinengo,
Cavedalis, B.eali, fu tacciato di odorare
d' assolutismo ) a' 7 agosto 1848 solen-
nemente dimise e cesse in perpetuo a S.
M. Carlo Alberto il possesso, dominio e
sovranità della città e provincia di Ve-
nezia; l'esercizio del governo venne quin-
di assunto da 3 commissari in nomedel re,
(general Colli, cav. Ci br a rie, avv. Castel-
li veneto, il proclama de' quali commis-
sari straordinari dello stesso 7 agosto ,
lo leggo a p. 646 della Gazzetta dì Ro-
ma; termina coli' acclamazione: Viva s.
Marco! Piva Carlo A IL erto! Viva l'I-
talia!). Agli 11 agosto, pervenuta in
Venezia la notizia della capitolazione Sa-
lasco (riferita nell'articolo Sabdegna
Stati e altrove),il popolosi ammutina,
si scacciano i commissari regi , ed un
nuovo governoprovvisorio veneto si for-
ma colla presidenza dell'avv. Manin. Ve-
nezia in tal modo si sostenne fino al 22
agosto del successivo anno 1849, m cul
da lungo tempo bloccata per terra e per
mare, sprovvista di vettovaglie, desolata
dal cholera e bombardata, si soltomise
all'austriaco governo". — Per la brevità
dell'ultimo periodo, occorre riempirne la
lacuna con un rapidissimo cenno, traen-
dolo in buona parte dall'opuscolo: Nuovo
Memoriale Veneto di P. C. I commis-
sari regi con proclama del 9 agosto di-
VEN 77
chiararono. ■ Venezia è in una condizio-
ne unica al mondo : la sua posizione a-
iutata dal valor cittadino, la renile ine-
spugnabile. La nostra flotta le assicura
la via del mare. Qui è il vero propugna-
colo della libertà italiana, qui donde
mosse il i.° esempio del viver libero,
della grandezza cittadina ". L'austriaco
general supremoWelden fin dal 2 7 luglio
1 848 da Padova avea domandato al go-
verno la resadiVenezia,epoil'i 1 agosto
comunicò a'eommissari regi la capito-
lazione Salasco, per la quale era stipula-
to : evacuazione di Venezia, de'forti e de'
porti delle truppe sarde e della flotta sar-
da. Fu allora die il popolo infuriato pro-
ruppe: Abbasso il governo regio! Ab~
basso i commissari! Viva Manin! Que-
sti calmò il popolo, assumendo col suo
assenso il governo per 4§ ore, finché
1' assemblea nominasse il nuovo, dichia-
rando a'militi italiani , che difendendo
Venezia avevano salvato l'indipendenza
d'Italia. Subito partirono per Parigi
Tommaseo e Toffoli, sperando ottenere
V intervento della repubblica francese.
A memoria dell'i 1 agosto si decretò poi
la coniazione d' una moneta d'argento.
Raccolta l'assemblea a* i3, stabilì nomi-
nare un governo dittatoriale di 3 fino
alla durala del pericolo patrio, e si di-
chiarò permanente. Si decise poi, che
de'3 uno dovesse appai tenere all'armata
di mare ed uno a quella di terra, onde
elesse Manin, Graziani e Cavedalis. Il
Mengaldo rinunziò il comando della
guardia civica , per andare a Parigi in
missione, e lo successe il contrammira-
glio G. Marsich. Continuandosi dagli au-
striaci le fazioni contro la bloccata Vene-
zia, al comitato di guerra successe il Con-
siglio di difesa ; e ad impedire le comu-
nicazioni fra l'interno e l'esterno, gli au-
striaci circondarono la città con un cor-
done di barche armate a' 18 agosto. Si
apri un prestito di io milioni di lire ita-
liane a' 3i , garantito dalle provincie
Lombardo- Venite, con cauzione ipote-
7« V E N
cario del pnÌ072o ducale e delle Procuro-
tie nuove, a' 1 2 settembre il cardinal pa-
triarca ordinò alle chiese preci quotidia-
ne per le necessità di Venezia. Nonman-
carono funerali a'morti perl'indipenden-
7.0 d'Italia, e Te 1) rum per vantaggi ri-
portali ne'combaltimenti. L' i i ottobre
furono confermati i dittatori triumviri
do i 18 voti contro i3. Osopo si arrese
agli austriaci, a'quali poi i veneti tolsero
nel.paese del Cavallino?. cannoni e molti
commestibili. Altri cannoni e prigionieri
furono presi nelle fazioni di Fusina e
Mestre a' 27; ma le concepite speranze
della mediazione anglo- francese vieppiù
si andavano illanguidendo. A' 23 no-
vembre nella piazza di s. Marco venne
bruciato il n.° 42 del giornale Y Impar-
ziale, e ciò per un articolo, nel quale si
predicava la candidatura a re del regno
Lombardo-Venetodelduca di Leuehfen-
bergMassimiliano, figlio del principe Eu-
genio. Frattanto, come notai negli arti-
coli Pio IX. Ungheria ed altrove , in
Olmiitz P imperatore d' Austria Ferdi-
nando I, a*2 dicembre 1848 rinunziò al
trono in favore del suo nipote Francesco
Giuseppe I, imperatore regnante, dichia-
rato maggiore nel dì precedente; e ciò
in conseguenza che il di lui fratello ar-
ciduca Francesco Cai lo, nello stesso gior-
no avea rinunziato di succedergli, con
abdicazione parimenti in favore del suo
primogenito il nominato augusto. Indi
l'i m pera loreFerdinandoI, col l'imperatri-
ce Maria Anna, stabilì l'ordinaria sua
residenza a Praga. Il comune di Vene-
zia, verso il fine di novembre, emise car-
ta monetata denominandola Moneta del
Comune dì Venezia; quindi il governo
considerata la scarsezza della moneta
metallica, istituì ne' primi di dicembre
una commissione per fissare ogni dome-
nica il corso cambiario delle monete ef-
fettive e nominali di sopra indicate; e
decretò la coniazione d'una moneta del
valore di 1 5 centesimi di lira cori ente. A'
17 di detto inese,in conseguenza della ri-
V lì IV
votazione di Roma, per cui il governo n«
vea ordinato a?/),ooo pontifìcii militanti
in Venezia di tornare nelle loro provili-
cie, il circolo italiano donò una bandiera,
in segno di fratellanza, colla preghiera
fosse recata sul Campidoglio a nome del
popolo veneziano: portava scritto nel
bianco: Italia libera ed una. E nelle cra-
vatte: A Roma e Fenezia.Mn Roma era
divenuto il ricovero della demagogia eu-
ropea e de'nemici accaniti dell' ordine
sociale. Viene iniziato il i.° gennaio i84<)
col divieto delle maschere, per le condi-
zioni eccezionali del paese. Indi il cardi-
nal patriarca esortò a celebrare cou i-
straordinaria solennità la festa de* due
gran cittadini una volta di Venezia e ora
del cielo, il patriarca s. Lorenzo Giusti-
niani e il doge s. Pietro Orseolo, affinchè
eglino colla santa loro intercessione im-
petrino dal Padre della luce savi e sa-
lutevoli consigli per il bene della patria
a'suoi rappresentanti. A' 1 4 il governo de-
cretò coniarsi una moneta d'oro da2o lire
italiane; e nel dì seguente, per facilitare
le minute contrattazioni, ordinò la conia-
zione di moneta di rame del valore no-
minale di centesimi 5, 3 e 1 ; indi a' 16
il municipio annunciò la creazione della
carta moneta da mezza lira , reclamata
dal bisogno di moneta spiccia per la cir-
colazione. Il governo inviò Valentino Pa-
sini pe' suoi alfari a Parigi, richiamando
il Tommaseo, onde appagare le reiterate
brame di questi , che giunse a Venezia
il i.° febbraio. A' 1 5 convocata l'assem-
blea Costituente nel palazzo ducale, per
decidere la sorte del paese, essa aJi7 con-
ferì il potere esecutivo a'rappresentanti
Manin, Oraziani e Cavedalis, con poteri
straordinari per quanto riguarda la di-
fesa dello stato, esclusa la facoltà di pro-
rogare e sciogliere l'assemblea. A questa
epoca Carlo Alberto riguardava Vene-
zia » essere il forte inespugnabile che de-
cide dell'esito della causa generale ". Ma
Venezia avea una spesa di tre milioni al
mese! e le sue rendile ordinarie a stento
VEN
giungevano a duecento mila! Però i pre-
siili volontari e forzali, la creazione della
caria patriottica, le sovvenzioni del mu-
nicipio, il riscatto dell'argenterie dona-
te da privati , le trattenute sui salari! e
sulle pensioni, le questue nelle chiese del-
la città, i fondi della zecca, i depositi de*
privati e le offerte delle città italiane
( poca cosa ! ), aveano bastato a sostenere
le ingenti spese dello scorso anno, e far
poco fondo eli cassa pel nuovo anno. Ài
7 marzo l'assemblea costituente decretò
con 108 voli de'i io volanli: la nomina
d'un capo del. potere esecutivo con titolo
di presidente nella persona di Daniele
Manin, con ampli poteri per la difesa in-
terna ed esterna del paese, d'aggiornare
l'assemblea per giusti motivi , dovendo
riconvocarla dopo i 5 giorni. A' 19 marzo
il general Pepe trasportò il suo quartie-
re generale a Cbioggia. Uditasi nel de-
clinar di marzo la notizia della disfatta
di Carlo Alberto, operata dal conte Ra-
delzky, e di sua abdicazione e fuga in Por-
togallo, in Venezia gli animi cominciaro-
no a costernarsi. Imperocché si legge nel-
la Civiltà Co ttolica, serie /\.\ t. 2. p. 9.
» Non erano ancora rammarginate le pia-
ghe, riè cancellate le vergogne della 1.*
campagna dell' inr^pendenza, combattu-
ta dall'Italia e capitanata dal Piemonte
nella state del 1848; ed ecco, passati ap-
pena 6 mesi, quando ne si era assestato
l'erario dallo sperpero, né rifatto l'eser-
cito dallo sgomento, ne provveduti duci
abili, né studialo il terrenoconoscinto dal
nemico a palmo a palmo; ed ecco quella
fazione fanatica sospingere a furia d'urli,
eli fremiti e di minacce il re sventurato,
il paese renitente, l'esercito impreparato
e lostalosconvoltoalla memorabile e cer-
ta sconfitta che l'aspettava a Novara il
marzo del 1 849* • . • Quindi il re obbligato
ad abdicare, per poscia finire di crepacuo-
re nella mestaOporto (o Porto); 70 milioni
di contribuzione di guerra ,e l'aver dovuto
alla moderazione del vincitore, chequeslo
non marciasse sull'indifesa Torino e l'oc-
V E IV 7C}
cupnsse". Tu Venezia tutta volta l'assemblea
costituente a' 2 aprile decretò in comita-
to secreto. » Venezia resisterà all' au-
siriaco ad ogni costo. A tale scopo il pre-
sidente Manin è investito di poteri illi-
mitati ". Deliberazione acclamata eoa
grande entusiasmo. Nel dì seguente il
general Pepe, per limitarsi alla difesa del-
la Laguna, riprese il comando della città
e fortezza. Si comincia da alcuni a co-
noscere, essere una stoltezza 1' ostinarsi
nello stalu quo. Seguono nuovi prestiti
e nuove tasse, e l'armamento volontario
della marina per difendere Venezia dal
blocco. Nel giorno della festa di s. Mar-
co, Manin arringò il popolo, comincian-
do colle parole: Cittadini! chi dura vin-
ce, e noi dureremo evinceremo. Viva s.
MarcolA'4 maggio gli austriaci comincia-
rono con Sbatterie a fulminare con razzi
e bombe l' importantissima fortezza di
Margheraj difesa da Pepe; ed il feldma-
resciallo Radetzky intimò la resa di Ve-
nezia, promettendo il perdona. Manin in
risposta gli mandò il riferito decreto 2
aprile , ed essere il governo in istanza
presso le potenze mediatrici. A'6 rispose
Badetzky: l'imperatore non ammettere
mediazioni di potenze estere fra lui e i
suoi sudditi ribelli, ogni tale speranza del
governo rivoluzionario di Venezia è illu-
soria, vana e fatta per ingannare i poveri
abitanti : cessare ogni carteggio, e deplo-
rare che Venezia abbia a subire le sorti
della guerra. A5 19 i sudditi esteri ven-
nero avvertiti da' consoli d'allontanarsi
prima del giorno 20 da Venezia, onde
evitare la miseria del blocco (forse più
stretto). Dopo lunga e valorosa difesa, il
governo decretò lo sgombro diMarghe-
ra, divenuta mucchio di rovine pel mi-
cidiale fuoco; e la ritirata seguì sen-
za perdita, dopo essersi del pari evacuato
il forte s. Giuliano. A'27 si cominciò ala-
cremente a demolire parte del ponte del-
la Laguna, convertendosi il gran piazzale
in fortezza, come dissi nel § XV11, n. 4;
ed a'3 1 si confermò il decreto di resistei!-
8o V EN
za de'a aprile, mentre Venezia eia anne-
rata da ogni lalo! E rispondendo l'ai»
semblea all'interpellanza del ministro De
Bruck, che trovavosi a Mestre, quali sa-
rebbero le condizioni per la pacificazio-
ne : l'indipendenza assoluta del leni-
torio Lombardo-Veneto! Il ministro a-
vendo richiesto persona per trattare, si
modificarono le pretensioni : l' indipen-
denza della città di Venezia,con un raggio
di territorio che rendesse economica-
mente possibile la di lei esistenza. 11 mi-
nistro rispose, aver F Austria deciso di
riconquistare Venezia, solo potersi discu-
tere sul suo governamenlo. Dopo diver-
se fazioni, gli austriaci a' i3 giugno fa-
cendo fuoco da 5 differenti batterie, alcu-
ni proiettili giunsero a colpire nell'estre-
ma parte della città, cosa senza esempio
nella storia di Venezia che non era stata
mai bombardata : la i.* palla infuocata
cadde a s. Giobbe alle Penitenti. Il po-
polo non si spaventò, e solo alcune fa-
miglie cominciarono a sgomberare dalle
parti di Cannaregio. A' 16 si cominciò
a mescere la segala alla farina pel pane
misto, e si fece una riquisizione di polve-
re sulfurea con pagamento, indi esplose
la polveriera dell'isola la Grazia. A' 29
comincia il malcontento del popolo per
la qualità del pane; indi si rigetta \ Ul-
timatum dell'Austria a'3o giugno. Con-
tinuano fazioni e cannoneggiamenti, lan-
ciandosi pure palloni incendiarli» Alla
metà di luglio cresce il mormorio del po-
polo per la penuria delle farine, ed il go-
verno procura mitigarlo con provvedi-
menti. Finalmente, alle ore 11 pomeri-
diane de'29 lug''°>a"a distanza di me-
tri 5235, gli austriaci cominciarono il
bombardamento generale di Venezia, le
palle piombando nell'interno della città
col solo peso naturale sui tetti e sulle
muraglie , facevano un buco e si spro-
fondavano. 1 punti più bersagliati, oltre
Cannaregio, furono s. Samuele e s. Bar-
naba, rifugiandosi gli abitanti in luoghi
lontani: uno solo ne fu colpito. In piazza
V ElN
a s. Marco, sulla riva degli Schia toni e a
Castello moltissimi si rifugiarono : fu a-
perto il palazzo ducale, e si die' pure ri-
covero sugli anditi e sulle scale. Cornino-
ventissirno spettacolo! Imperocché* allu
penuria del pane, che ugni dì si rendeva
più spaventevole, e alle distruzioni, si ag-
giunse, che sviluppatosi il cholera, pro-
grediva orribilmente. Eppure in mezzo
a tante desolanti miserie, guai a chi par-
lava di capitolazione. Il popolo in gene-
rale era pertinace nella difesa, ma i ca-
pi ormai mancavano d' energia. Due
palle caddero tra il 3o e 3 1 luglio nella
chiesa di s. Apollinare, e rimangono le
vestigia sul pavimento in que'due circoli
di marmo nero che visi posero a memoria.
I militi veneti non mancarono di fare
rappresaglie. A'3 agosto accadde spiace-
volissimo avvenimento. Il palazzo del
pio e rispettabile cardinal patriarca fu
aggredito da una turba di fanatici, che
atterrale le porle, fra minacce violenti».
sime, entrarono a furia, cercarono da per
tutto il prelato, che per buona sorte era
riuscito a sottrarsi, e tutto fracassando ,
gettarono nel vicino canale molte sup-
pellettili preziose, con danno significan-
te. Accorsi i gendarmi, li dispersero. Ciò
avvenne, per essere stata dagT ignoranti
male interpretata un'istanza, in cui fra
parecchi era sottoscritto il patriarca , e
colla quale chiedevasi al governo che
palesasse i motivi che potevano indurlo
alla resistenza ad ogni costo, in onta al-
le sopravvenute nuove calamità del pae-
se, tempestato di palle, mancante di vi-
veri, e anche flagellato dal cholera; istan-
za ragionata e semplice, dettata da un
beninteso amor di patria. Ma alcuni per-
turbatori la fecero credere una ricerca
di capitolare, e provocarono questo di-
sordine^ quest'insulto verso una perso-
na di cosi eminente dignità sagra e be-
nemerita. A' 5 si aumentò la pioggia di
fuoco, su tre quarti della città, e qualche
volta i proiettili su d'alcun infelice; il
cholera progrediva, il pane si petiiii'iava
V E i\
spesso sino a sera, disagio di abitazioni,
spavento, erano il corollario a tanti dan-
ni iNel dì seguente l'assemblea concentrò
nel presidente Manin ogni potere, acciò
provveda pel meglio dell'onore e salvez-
za di Venezia, riservandosi la ratifica. Il
popolo schiamazzando voleva uscire in
massa e battersi. Manin gli disse fatelo, ma
che finora le parole non corrisposero a'
fatti. L?8 salpò la flotta veneta composta
di 2 corvette di i .°rango, 2 corvettedi 2.0,
una goletta, 3 britk, un piroscafo, 10
trabaccoli e 3 piroghe da rimurchio.La
flotta austriaca prese subito il largo: es-
sa componevasi di 3 fregate, 2 corvette,
5 brick, 4 battelli a vapore, de' quali
uno solo da gnerra,ed alcuni trasporti.
Nella sera de* io la flotta veneta rientrò,
restando delusa la viva speranza di Ve-
nezia per un fortunato combattimento.
La grandine de'proieltili continuava in-
cessante, facendo danni e incendi , che
i pompieri tra' più gravi pericoli taira*
bilmenle estinguevano. A' 1 2 la flotta ri-
prese il mare, e il governo d'accordo col
consiglio comunale ordinò un' ulteriore
gravezza colla sovrimposta di sei milio-
ni a carico di tutti gì' immobili , da pa-
garsi mediante un'addizionale di ^cen-
tesimi per ogni lira di estimo, divisa in
rate trimestrali (ciò fece ascendere a 33
milioni l'ammontare della carta mone-
tala, ed a 60 milioni il totale delle spe-
se dell'epoca dell' insurrezione). A' i5
fu il maxunum de'casi del cholera ; di
4o2,ne morirono 270. A' 18 Manin par-
lò per l'ultima volta al popolo, all'oliato
sulla piazza, e mostrando assai viva agi-
tazione. Gli disse: Le condizioni essere
gravi, ne averlo taciuto all'assemblea,
non però disperate. Per negoziare occor-
rere calma e dignità, com' egli procede-
va : il volersi da lui una viltà, sarebbe
sagrifìzio che non farebbe mai, nemme-
no a Venezia. La flotta non potè esser
mai attaccata dall'austriaca, ed essere an-
ch'essa afflitta dal cholera, pel quale e
pel tempo fortunoso era rientrato, pron-
voi. xcur.
VEN #i
la 0 miglior occasione a uscir di nuovo
(nondimeno il suo contegno fece forma-
re sospetti, non essendosi arrischiata a
nulla per la salvezza di Venezia, benché
di essa la marina è antica gloria). Ne' 3
seguenti giorni le speranze d'aiuto sva-
nirono pe' veneziani. Manin avea perdu-
to la popolarità, non rimanevano forine
che per qualche giorno, la popolazione
in tanto desolante situazione era unani-
me nel domandare che si capitolasse; il
partito della resistenza non riducendosi
più che a poche teste esaltate , antichi
uffizi» li al servizio dell'Austria, magistra-
ti e altre persone maggiormente com-
promesse. A' 22 una commissione ve-
neta, durando ancora il bombardamen-
to, e composta di 3 membri del muni-
cipio, di uno dell' ormata e di uno del
commercio, si recò al quartiere genera-
le austriaco in Marocco (villaggio del di-
stretto di Mestre) ad offrire la sommis-
sione de' veneziani, e stipularne la capi-
tolazione. Ecco le condizioni. Sommissio-
ne assoluta; reddizione della città, forti
ec, per occuparsi dal 25 al 3 r agosto ;
consegna di tutte le armi appartenenti
allo slato ed a' privati. Dover lasciare
Venezia tutti gl'impiegati imperiali regi
che volsero le armi contro il loro sovra-
no, tutti i militi esteri, e tutte le persone
civili nominate nell'elenco che sarà con-
segnato a'deputati veneti (si riporta dal
Nuovo Memoriale : è di 39 o 4o indivi-
dui esiliati, fra 'quali Manin, Tommaseo,
Mengaldo ec.,e gli estensori de'giornali,
Libero Italiano e Sior Antonio Rioba.
Del Pasquino di Venezia, così chiamato,
parlai a suo luogo). La carta monetata co-
munale, ridotta alla metà del valore fino
al suo ritiro e soslituzione. L'ammortizza-
zione di tale nuova carta dover seguire
a tutto peso della città di Venezia e del-
l'Estuario mediante la detta sovrimpo-
sta ceduta già alComune per altrettanta
nuova carta moneta, perciò non furono
inflitte multe di guerra. Oltre il riti-
ro dello carta patriottica, poi su di essa
6
82 V EN
si prenderebbero altre determ inazioni.
Quindi Venezia restò immersa nel si-
lenzio e nell'abbattimento; non più si u-
d'i il fiero rimbombo dell'artiglierie lau-
cianli bombe, granate, raccbelte. Il po-
polo atterrilo dalla continua pioggia di
ferro ebe durò con poche interruzioni
per 24 giorni, oppresso da lunghi pati-
menti, minacciato pur sempre dal cho-
leia,si mostrò rassegnato. La guardia ci-
nica continuò a prestarsi cou patrio ze-
lo per l'ordine interno, e con essa Ma-
nin represse i querelanti diCannaregio,
i quali con audacia, alle minacce aggiun-
sero contro di lui Io scarico di qualche
moschetto. Quindi il governo provviso-
rio di Venezia, con dichiarazione del Ma-
nin, cessò dalle sue funzioni, trasfonden-
dole nel municipio a' 24 agosto. Nello
stesso giorno la congregazione municipa-
le e il podestà conte Correr , assunto il
nome di commissione governativa, pub-
blicò i finali risullamenti delle pratiche
instituite col generale di cavalleria cav.
de Gorzkowski comandante in capo della
4.* divisione del 2.0 corpo d'armata di
riserva relativamente all'occupazione di
Venezia e dell'annesso territorio dal Ia-
to dell' armate dell' imperatore France-
sco Giuseppe I ; in un all' elenco degli
individui del ceto civile, che doveano al-
lontanarsi da Venezia e da tutti gli stati
austriaci, che riprodusse anco il Gior-
nale di Roma del 1849, a P* 2I^* ^s"
serva LeMasson. >* Ne'24 giorni che du-
rò il bombardamento, furono lanciati in
Venezia 23 mila proiettili, quasi mille al
giorno. Con tutto ciò non vi furono che
tre persone uccise, e una trentina di fe-
rite. I proiettili perdevano della loro vio-
lenza cadendo sulla città; quelli che col-
pivano i muri non vi lasciavano che lie-
vi tracce, e quelli che cadevano sui tetti
trapassavano rare volte più. di due pia-
ni. Gl'incendi erauG piuttosto frequenti,
ma facilmente estinti, poiché il fuoco ap-
piccato a quel modo si sviluppa lenta-
mente. Una casa e un oratorio soltanto
VEN
furono preda delle fìumme. Tulli i pr
lazzi, tulli i monumeuli, capi d'opera
architettura, ripieni di capi d'opera
pittura e scultura, sfuggirono alla distro-
zinne e alla devastazione senza soffrire
quasi alcun danno In quanto all'as-
sedio in se slesso, nulla ha offerto di ri-
marchevole, fuori della coslanza e della
divozione delle truppe austriache, che
per 4 mesi continui dovettero sopporta-
re fatiche e patimenti inauditi .... Lo
spirito d'unione dell' esercito austriaco
salvò l'impero. Gl'italiani, combattendo
per la loro indipendenza, che reclamano
cosi altamente, hanno mostrato assai mi-
nor unione fra loro che i soldati dell'Au-
stria per conservare al loro imperatore
le provincie d'Italia .... Le perdite ca-
gionate furono poco considerevoli , per
un assedio di 4 niesi , e per l' effettivo
delle truppe e la quantità de'colpi tirati
da ambe le parti. 1 veneziani non ebbe-
ro che 900 uomini fuori di combatti-
mento, gli austriaci 1,200.1 primi han-
no scagliato 80,000 proiettili circa , i
secondi 120,000. Le perdite cagionate
dalle malattie furono immense ; le fati-
che, il caldo, le febbri, il cholera, hanno
mietuto 7 a 8000 austriaci, e resi inabili
al servizio altrettanti almeno. . . . Vene-
zia, che non era ormai stimata che per le
sue meraviglie artistiche, ha provato che
il regime di soggezione sotto il quale
trovavasi dopo il 18 15 non valse ad e-
slinguereiu essa il sentimento d'indipen-
denza, ne a farle dimenticare le sue tra-
dizioni e la grandezza del suo passato.
Essa diede una mentita alla sua fama di
città molle, anneghittita ne' divertimen-
ti. Venezia non ha imitato né la folle
presunzione di Milano, né la sfrontatez-
za demagogica di Roma , ne l'apatia di
Firenze; sarebbesi detto che la saggezza
dell' Italia si fosse, come nel medio evo,
circoscritta nel recinto delle Lagune. Ve-
nezia ha saputo governarsi in mezzo ad
una rivoluzione come in mezzo alia guer-
ra. Essa ha provato che non aveva in-
VEN
teranientc perduto le sue (l'adizioni, e
che com prendeva il pregio dell'indipen-
denza e ciò che faceva d' uopo operare
per riconquistarla . ... La guerra fu pe-
lò mal condotta, gli approvigionameuli
Irascaratissimi, non si pensò abbastanza
all' armamento marittimo, per cui per-
dette tutti i vantaggi della più bella po-
sizione militare. Col mare libero, Venezia
può opporre una resistenza indetermina-
ta... Venezia ha resistito per se stessa, e
soccombette perl'imperizia degli uomini
che l'opinione pubblica (non però gene-
rale) avea chiamali al potere. Questi uo-
mini non ebbero il talento di mettersi
all'altezza della situazione, afferrarne i
vantaggi, diminuirne i pericoli; e cos'i
una causa eh' era facile a guadagnarsi,
fu perduta nelle loro mani. Manin non
ebbe altro merito fuorché quello di far
fronte agli esaltali, i quali avrebbero
governato molto più male di lui ; in
quanto a Pepe, tutte le sue azioni por-
tano P impronta d'uu talento assai me-
diocre, e d' una volontà senza efficacia.
Tutti e due avevano del disinteresse e
del patriottismo, ma la loro intelligenza
non era all'altezza del loro cuore
In Venezia, come in Piemonte, mancò
un uomo che fosse ad un tempo ed abile
politico ed esperto generale .... La lot-
ta ch'essa ha sostenuta non ebbe tutto
quel clamore che doveva avere, perchè
P Europa era occupata in avvenimenti
d'un interesse più generale; ma non lasciò
pertanto di essere stato uno degli episodii
più interessanti de'deploi abili aouii848
e 1 849>che furono per l'Europa un tem-
po di crisi suprema....". Le giornate de'
23 e 24 agosto furono contraddistinte da
disordini alquanto gravi. Vari assembra-
menti tumultuosi ebbero luogo sulla piaz-
za di s. Marco.Una parte delle truppe mal-
contente dell'indennità loro assegnala,
si ammutinarono, reclamando 3 mesi
di paga. Quelle delle batterie al ponte
giunsero per fino ad appuntare i cannoni
contro la città e minacciale cP assalto il
VEN 83
palazzo del governo se non faceva giu-
stizia alle loro ragioni. Manin e le auto-
rità militari le fecero tornare al dovere.
La capitolazione cominciò ad effettuarsi
nel dì seguente, e contiuuò ne' giorni
successivi senza disordine e seuza diffi-
coltà ; ed a'26 si presero disposizioni sul
decrescente cholera.I bastimenti francesi
e inglesi accolsero al loro bordo tutte le
4o persone proscritte e altre che volle-
ro allontanarsi. Pepe, Tommaseo e Ma-
nin s'imbarcarono il 27 (la Civillà Ca-
tolìcci, serie 3.a, t. 8, p. 25o, e il Giorno.'
le di Roma del 1857 a p. 869 annun-
ziarono: Manin, uno de'eapi dell' ulti-
ma rivoluzione italiana a Venezia, a'23
settembre 18^7 d'una malattia di cuo-
re morì a Parigi, pretendono certi gior-
nali, seuza chiedere i sagramenti. Il go-
verno poi, temendo che i democratici
parigini volessero profittare dell' occasio-
ne de'suoi funerali per far le loro solite
dimostrazioni, vietò a'giornali di pubbli-
care il domicilio del defunto e P ora di
sua sepoltura; la quale fu fatta con poco
accompagnamento e senz' alcun discorso
sopra la tomba. Disse di Manin la Revue
des deux Mondes: » S' ingannava nei
suoi disegui e ne' suoi voti, perchè face-
va dipendere l'avvenire dell' Italia da
combinazioni chimeriche". Abbiamo di
un anonimo, Hisloire de la republique
de Fenise som Manin. Manin et l'Italiei
Parisi 858). Mi è noto che sulla rivoluzio-
ne del 1848-49 ha scritto un Commen-
tario il laborioso cav. Mutiuelli, ricchis-
simo di documenti, che la sola sua posi-
zione particolare poteva conoscere, che
però non trovò prudente pubblicare.
5. Venezia tornata in dominio dell'Au-
s-tria, tosto a'27 agosto con proclama del
general Dierkes, comandante austriaco
della città di Venezia, fu in questa per-
messa l'entrata per via di terra e di ma-
re a ogni genere di vitluaria, senz' alcun
dazio consumojonde approvigionare ab-
bondantemente la città; ma tempora-
neamente fu limitato il porto franco al
ft4 VEN
suo antico confine ilell'isoln ili s. Gior-
gio; si abolì la lassa personale, e (issò il
prezzo del sale. A' 28 il general Gorz-
kowski governatore civile e militare di
Venezia, annunziò il suo ingresso nella
città alla testa delle truppe dell'impera-
tore Francesco Giuseppe I, per recarvi
)e consolazioni della pace , ricomporre
l'ordine pubblico e rimarginare possibil-
mente le profonde ferite, causate da una
resistenza temeraria e pazzamente pro-
lungata , da cui non poteva risultarne
cbe slrazii inutili e la rovina d'una cit-
tà monumentale. Nel passare però dallo
stato di esaltamento all'ordine legale e
al quieto vivere, a garanzia della pub-
blica tranquillità, per ora dichiarava in
ìstato d'assedio Venezia, Chioggia e i
luoghi compresi nell' Estuario, per cui
tutti i poteri si riconcentravano nella sua
persona ; emanando altre disposizioni
analoghe, il giudizio statario per le de-
linquenze, e soggettando la stampa alla
censura preventiva. Nello stesso giorno
28 il general Gorzkowski prese legale
possesso della città di Venezia quale go-
vernatore civile e militare, colle truppe,
facendola presidiare da esse in uno a'forti
dell'Estuario. A' 3o vi fece il solenne in-
gresso il conte Radetzky, con lieto vol-
to, proveniente da Milano, con brillan-
te stato maggiore, col suo capo baione
Hess, accolto dalla popolazione festevol-
mente, tra le salve dell'artiglierie , e il
suouo delle campane di s. Marco, e del-
le bande militari, accompagnato dall'ar-
ciduca Sigismondo che poi partì per re-
care all'imperatore le chiavi , simbolo
del ritorno all'ubbidienza di Venezia, e
cie'voti cordiali di tanti sudditi fedeli e
sventurati, che al pari di tanti altri po-
poli italiani non ebbero che pene e tor-
menti senza gioie e senza colpa, come
dice la Gazzetta di Venezia. Il feldma-
resciallo Radelzky entrato in detta basi-
lica, vi udì la messa e fu cantato il Te
Deum in rendimento di grazie a Dio per
la riacquistata illustre e bella città. Dopo
t E •
che la T» digiune ave» compita e corona-
ta la politica e militare oeremotìia, se-
guì il decoroso banchetto, ove si convi-
tarono tutte le autorità ecclesiastiche ,
militari, civili e municipali ; e nella sera
l'illuminazione rese splendente la magi-
ca piazza di s. Marco , tra le melodie
della banda militare e gli evviva sonori
e replicati al valoroso conte Radetzky ,
dell'affollata popolazione.»» Il popolo ve-
neziano , riferisce la citata Gazzetta ,
non diede forse mai prove del suo senno
e del suo buon cuore , come in questa
occasione ". Quindi il governo imperiale
successivamente, e come dì sopra a' loro
luoghi rilevai, andò riparando le conse-
guenze de'politici sconvolgimenti, princi-
piando a ristabilire la parte atterrata del
ponte sulla Laguna, onde nel novembre
1849 tornò nella sua attività. Dipoi a'3i
dicembre i85o con l'ordinanza im pe-
nale di cui feci cenno nel voi. XC1 , p.
464, si stabilirono i principi! fondamen-
tali sull'organizzazione dell'autorità poli-
tico-amministrative nel regno Lombar-
do-Veneto, mentre dell'odierna di Vene-
zia ne parlai nel voi. XG, p. 208 (dove
sarebbe da aggiungere la Commissione
alle Monture, che dà tanto e continuo
lavoro alle famiglie povere ). Piccatosi
l'imperatore a Venezia il 27 marzo 1 85 1 ,
immediatamente emanò il decreto della
ripristinazione del porto franco per il 20
del successivo luglio; e poco dopo nuova -
mente volle rallegrarla di sua presenza,
avendo fatto altrettanto a Milano, in cui
sparse le sue beneficenze sui poveri, ed al-
l'istituto de'ciechi. Riferisce la Gazzetta di
Venezia ,presso il Giornale di Roma a p.
914, in data de'3o settembre 1 85 1. » Il
suono di tutte lecampane verso la mezza-
notte di ieri annunzia va l'arrivo dell'impe-
ratore e re nostro,alla stazione di s. Lucia.
Gran copia di torchi a vento e di fuochi
bengalici la rischiaravano nell'interno, e
migliaia di lampe artificiali co'più vaghi
accidenti di luce ne illuminavano tutto il
di fuori. L'accoglienza che fecero i veue-
YEN
7iaui ier sera al loro monarca-, il quale,
anticipando di due giorni la sua venuta,
si presentò inaspettato al suo popolo, noti
aveva il carattere della solennità regola-
re, consueta in somiglianti occasioni. Al
buon volere de'veneziani mancava il be-
nefizio del tempo , nella cui ristrettezza
improvvisarono alla Maestà del Sovrano
un ricevimento, che gli tornò più gradi-
to, perdio , disadorno di tutte le medi-
tate raffinatezze dell'arte, serbava il can-
dore di quella semplicità estemporanea,
cui non è dato di assumete fallaci appa-
renze d'affetto, ma che, interprete genui-
na del cuore, ne spiega le veraci impres-
sioni, i veneziani ier sera accolsero il lo-
ro monarca, non già colla pompa sfog-
giata de'riti politici, col ceremoniale pre-
scritto dalle diverse ragioni del gover-
natile e de' governati, ma colla sponta-
nea naturalezza de' cittadini , che, quasi
tìgli, sopraggiuuti dall'inaspettata, an-
corché sempre cara, presenza del padre,
gli esprimono i sensi della grata loro sor-
presa, gli sono dattorno, e fanno a chi più
festeggiarlo, a chi più benedirlo. L'ospi-
te augusto ebbe ier sera il commovente
spettacolo d'una scena, per cosi dire, do-
mestica. Erano ad incontrarlo l'eccellen-
za del nostro governatore, il nostro luo-
gotenente, il podestà, il delegato, il ve-
nerabile clero, e le autorità primarie e
ci vili. Migliaia e migliaia di gondole, quan-
tunque a mezza la notte, circondavano
quella, dov'era il pegno prezioso, a cui
tutti volgevano avidamente lo sguardo,
per cui tutti i cuori in quel punto batte-
vano, e traducevano in alto la comunan-
za del lor sentimento col fremito degli
evviva e col suon delle mani. Al giubilo
universale del popolo veneziano parteci-
pavano pure altri popoli, rappresentati
dai loro consoli, intervenutivi. Una ban-
da cittadina salutava coli' inno dell' im-
pero il monarca, mentre egli saliva sul
proprio legno. Si udiano, per bocca di di-
lettanti artigiani, cantate alcune delle
nostre arie più belle, e gì oziosissimi eori
VEN 85
dì moderni maestri ; tutte le vie lunghes-
so il Canal grande all'oliate di spettatori
plaudenti ; buon numero di palagi illu-
minati al di dentro offrivano esterior-
mente più vago l'incanto dell'architetto-
nico lor magistero ; i davanzali delle fi-
nestre, i poggiuoli addobbati ad arazzi, e
molti e molti gremiti di gente d'ogni età,
d'ogni sesso ; leggiadre spose e fanciulle
agitanti i bianchi lor lini al passaggio del
Sire; le alternate melodie d'istrumenli e
di canti accaloravano gli animi all'entu-
siasmo, che ruppe in un impeto di accla-
mazioni e d'applausi davanti le innume-
revoli faci, onde splendevano, con mira-
bile ordiue di screziali colori, i balaustri
e gli archi del ponte di Rialto. La moria
lettera è inadeguata a descrivere il ma-
gico elfetto di quella viva realtà. Era des-
sa un'emblema parlante dell'ossequio de'
veneziani verso il loro monarca : riflet-
teva in immagine I' ardore, che gli all'i-
ma a riverite la Maestà dell'imperatore,
guarentigia suprema d'ogni lor sicurezza
presente e d'ogni ben avvenire, inespu-
gnabile rocca che sola può rendere vani
gli sforzi della cospirante anarchia, sola
munire la crescente prosperità di Vene-
zia. La M. S. discese, fra le ovazioni del
popolo, a' giardini del palazzo di corte.
La piazza di s. Marco, illuminata a gior-
no, nonostante una pioggia sottile, era
zeppa d'ogni classe di cittadini ; un bat-
tere universale di mani, ripetuto più vol-
te, esprimeva vivissimo il desiderio del
pubblico di contemplare l'aspetto del suo
Monarca. Differendo a miglior tempo i
particolari delle affettuose dimostrazioni
fattegli anche da'vicentini e da' padova-
ni, trascorsivamente diremo come sì gli
uni, sì gli altri gareggiassero in prove
della più divota osservanza. Se la prima
venuta dell'imperatore a Venezia inau-
gurò, come allora scrivemmo, un'era nuo-
va di conciliazione e d'amore tra il prin-
cipe e il popolo, suggello indissolubile di
un nuovo patto di più stretta alleanza fra
loro, questa seconda apparizione del Sire
86 YEN
ci lega più inlr'msecaroenle all'animo suo,
ci unisce alla sagra persona col nodo più
arcano e più santo, che unisce il padre
a'suoi figli". Quindi la medesima Gaz-
zetta di Venezia descrive le poche ore
passate in Venezia dall'imperatore Fran-
cesco Giuseppe I, la sua visita al campo
di Marte, ove comandò gli esercizi ; quel-
la del posto militare di s. Giorgio ; quel-
la all'Arsenale e alle sue ofuciue, non che
alla casa delle Zitelle, al tempio del Re-
dentore,aU'ora torio maschile de'Gesuati,
al femminile delle Terese, alla scuola di
s. Rocco,alla chiesa de'Frari,ammirando
e lodando il monumento di Tiziano; e la
sua partenza pel porto di Malamocco fra
incessanti applausi il i .° d'ottobre. — In
Venezia fu ranno 1 855 comincialo con
dimostrazioni di tenera divozione per la
nuova gloria della Regina del Cielo, pro-
gredito e quasi terminato col flagello
colerico. Nel voi. LXXIII, p. 42 e seg.
narrai quanto precedette, accompagnò e
seguì la definizione dogmatica, in Vati-
cano promulgata dal regnante Papa Pio
IX; ed a p.g4 accennai come fu festeggia-
ta in Venezia nella basilica di s. Marco
l'8, il 9 e il io febbraio. V importante ,
bella e edificante descrizione della Gaz-
zetta diVenezia) riprodusse il n. 42 del
Giornale di Roma i855. Qui poi ag-
giungo, che tra le altre chiese che solen-
ruzzarono il memorabile avvenimento in
Venezia, vanno ricordale: s. Michele di
Murano in isola, in cui ne'giorni 20, 2 1
e 22 aprile, da' minori osservanti rifor-
mali fu celebralo solenuissimo triduo, e
n'è a stampa la descrizione, colla Lette-
ra al conte Tullio Dandolo, del cav.
Filippo Scolarì,\ enezià tipografia An-
tonelli i855; e l'altro tempio francesca-
no del ss. Redentore, nel quale, i minori
cappuccini, parimenti celebrarono un tri-
duo solenne 1' 1 1 , 1 2 e 1 3 maggio,che pure
meritò la religiosa descrizione colla Let-
tera al conte Francesco M* Torricelli,
del cav. Filippo Scolari, Venezia i855
tipografia Perini. Si legge nella Civiltà
VEN
Cattolica, serie 2.*, 1. 12, p. 107. » La
festa solennissima fatta in Venezia, cit-
tà nobilissima e per munificenza d'illu-
stre e ricco municipio ordinata, fu diret-
ta da' rr. pp. cappuccini dell'isola della
Giudecca, operosi, zelanti e industriosi ,
e pel concorso aiutata di cittadini cal-
dissimi veneratori di Maria ss., riuscì
certamente una delle più belle solenniz-
zatesi in Italia. Il superbo tempio eretto
dal Palladio, fu con tanta profusione di
preziosi drappi ornato, che del solo da-
masco in seta tremila braccia, e del vel-
luto e dell' altre stoffe più di ottomila
vi abbisognarono a fregiarlo. Fra tor-
cliioni, ceri e candele onde componevasi
la splendida illuminazione del tempio,
furono in tre dì consumale fino a nove-
mila libbre di cera. Molti gli ordini de*
cittadini che si recarono in ischiere a ve-
nerare la ss. Vergine uel tempio: nume-
rosissima la processione che aprì la so-
lennità : parecchi i vescovi e i prelati di
vario ordine secolare e regolare che de-
corarono la festa : innumerabili i sacer-
doti che offersero in questo triduo a Dio
benedetto l'Ostia di pace nello splendi-
do tempio : elegantissimi i Ire discorsi
recitati da tre de'più distinti oratori d'f-
talia : folte di sceltissimi sonatori e can-
tori le quattro orchestre innalzate nella
chiesa : molte le pubbliche testimonian-
ze di sagro tripudio date da tutta la cit-
tà con luminarie, archi, festoni d'arazzi,
fuochi d'allegrezza, poesie stampate, con-
certi di musica : insomma ne'giorni 1 r,
12 e i3 maggio, Venezia volle apparire
maggiore di se per offrire allaVergine Im-
macolata onorevole e degno ossequio dì
filiale pielà".Riporlò poi la stessa Civiltà
Cattolica, 3.a serie, t. 1, p. 588. » Con
due brevi spediti l'uno al ven. patriarca
di Venezia,e l'altro agli arcipreti, presidi,
sindaci maggiori e componenti le IX con-
gregazioni del clero di quella città, il Sau-
to Padre esprime la sua letizia per la divo-
tissima festa con che i detti illustri per-
sonaggi solennizzarono in s. Maria For-
VEN
mosa la dogmatica definizione cieli* Ira-
mncolata.Si rallegra inoltre del di voto af-
fetto che sa nutrire essi verso la supre-
ma Sedia di Pietro, confortandoli a cal-
deggiar la gloria di Dio e la salute del-
l'anime; rende loro grazie d'un elegante
volumetto di poesie che a sfogo di di-
vozione verso la Madre di Dio diedero
alla luce in quell'occasione e di cui pre-
sentarono copia allo stesso Santo Padre".
Poco prima erasi manifestato il mici-
diale morbo, che con diverse fasi, senza
grandi siragi, accompagnò il resto del-
l'anno. Verso la fine del 1 856 l'imperato-
re Francesco Giuseppe I, con nobile fi-
ducia volle tornare a visitare il suo regno
Lombardo- Veneto, accompagnato dalle
graziedelladiletta moglie l'imperatriceE-
lisabetta Amalia di Baviera,preceduti dal-
l'incinte arciduchessaSofia loro primoge-
nita, di nuovo manifestando apertamente
la benigna intenzione d'obbliareil passa-
to, auimare i popoli alla speranza e alla
fede nel loro monarca, di consolare un
gran numero di famiglie, di avvalorare i
fedeli sudditi, di affezionarsi i titubanti,
di vincere colla più. franca generosità
gli avversi. L'imperatore e l'imperatrice
<{uindi, trovaronsi quasi ad una festa di
famiglia; e veramente furono accolli
dalle popolazioni del Veneto e del Lom-
bardo con affetto filiale e superiore al-
l'espettativa. Venezia diede I' esempio ,
Chioggia, Padova, Piovigo, Vicenza, Ve-
rona, Crescia, Bergamo, Milano, fecero a
gara per accogliere degnamente il caval-
leresco Sire e la graziosa Sovrana. Alle
tante grazie concesse coll'imperiale per-
messo dal conte Radetzky, moltissime ne
aggiunse la magnanimità e clemenza del-
l'augusto monarca, ed inoltre volleesse-
re istruito in ogni parte dell'amministra-
zione pubblica. La Civiltà Cattolica, se-
rie 3.',t. 4» P- 7^4» °e riferisce i partico-
lari, che in quanto a Venezia ora ripro-
duco. A' 20 novembre 1 856 l'impera-
tore e l'imperatrice giunsero in Trieste ,
aecolli con dimostrazioni d'esultanza e
VEN
87
di onore, e partirono per Venezia la
mattina de'2 t>, che alle 3 pomeridiane ne
festeggiò l'arrivo nel modo più splendido.
Dopo i ricevimenti ufficiali, r.° pensiero
del Sire, fu quello di provare co'fatti come
egli venisse portatore di larghezze e di
grazie. Perciò a' 28 fu dato un decreto
pel quale » nell* intento di alleviare le
conseguenze de'luttuosi avvenimenti de-
gli anni 1 848 e 1 849, e porre le comuni
di Venezia, Borano, Malamocco , Mu-
rauo, Chioggia e Pelestrina in situazione
di poter regolare la loro economia in-
terna, dissestata per quegli avvenimen-
ti " condona vasi alle medesime, Venezia
e a'comuni dell'Estuario « in via di gra-
zia la somma tuttora residua di austria-
che lire 1 3,052,800:29, del debito (fatto
nell'ultima repubblica e già discorso) di
austriache lire 13,230,021:91, da esse
contratto, onde cambiare la carta comu-
nale in viglietti del tesoro ". Quindi a*2
dicembre, anniversario del suo avveni-
mento al trono , il giovane imperatore
volle cancellare ogni reliquia delle deplo-
rate vicende de'precedenti anni, e perciò
con decreto si degnò » condonare, per at-
to di grazia, interamente la pena a 70
condannali per alto tradimento o per al-
tre azioni criminose contro l'ordine pub-
blico". Con altro decreto levò i sequestri
de'profughi politici del regno Lombar-
do-Veneto, sulle loro sostauze imposti
a'i3 febbraio 1 853; autorizzando il feld-
maresciallo Radetzky » anche per 1* av-
venire, a decidere sulle istanze de'profu-
ghi politici per impune ripatrio e per
riammissione alla cittadinanza austriaca,
in quanto l'avessero perduta, e ad ac-
cordar loro l'implorata grazia, qualora i
supplicanti promettano, mediante una
reversale, di comportarsi ognora da sud-
diti leali e fedeli ". Il 3.° decreto poi
contiene un atto di munificenza ad un
tempo e di cristiana pietà verso la basilica
di s. Marco, che ne abbisognava. Per sop-
perire dunque alla necessità di maggiori
lavori, che mostra vansi indispensabili pel
88 V E N
ristami» del patriarcale tempio, accordò
un imporlo annuo di fiorini ventimila.
E qualora, nel corso degli anni, tale som
ina cessasse di essere per intero o in
parie a ciò necessaria, ordmò che l'intero
imporlo o il sopravanzo fòsse capitaliz-
zato in aumento dell'ut tuale sostanza del-
la medesima basilica Marciana, e che do-
vranno gl'interessi relativi essere impie-
gati sempre per la manutenzione del fab-
bricalo clella chiesa slessa. Così la conces-
sione annua de' 20,000 fiorini divenne
perpetua. La Gazzetta dì Venezia^ ri-
prodotta óa\Giornale di Roma del 1 856
a p. 1 i'r>.,fa l'elegantissima narrazione
del grandioso spettacolo popolarti e pro-
prio solo di Venezia, della Regata olfer-
ta a'7 dicembre dalla città agli augusti
sovrani, per tributare al generoso largi-
toredi lauti beuefizi il pubblico omaggio
della sua riconoscenza. Quindi si ammi-
rarono nel Canal grande le peote e bisso-
ne che fecero splendido corteggio agl'im-
periali coniugi nel loro ingresso, ricom-
parendo le peote Giovanelli, Papadopo-
li, e quelle dell'arie Vetraria e del Com-
mercio, lo bissona Treves d'una ricchezza
ed eleganza squisita, la tipografia natau-
le dell'Anlouelli e le barche de'Napoleta-
in e dei Chiozzolti che Ira' canti e i suo-
ni lanciavano prodigalmente e confettu-
re ed aranci a'più vicini ed a'lontani,e le
altre tutte che si avevano in quell'incou-
Ilio ammirate: ed a queste altre se ne ag-
giunsero, sfarzosamente e con buon gu-
.slo fornite, tra le quali una margarota,
graziosa barchetta vogala da 6 remato-
ri abbigliati bizzarramente alla spagno-
la. « Intanto il Canal grande, questa via
unica, cominciava a presentare uuo spet-
tacolo sorprendente, indescrivibile. Le fi-
nestre, i pogginoli, le rive degli stupendi
edifizi che lo fiancheggiano, e che formar
no l'ammirazione dello straniero, il qua-
le, dopo aver compito il giro d' Europa ,
dee confessare di non aver mai veduto
nulla di simile, perchè, come dice u\\ for-
bito scrittore, J'euezia non somiglia che
ve r»
a se stesiti, ornati esternamente di va-
ghe e ricche tappezzerie, si riempivano
di una moltitudine infinita, quale assai
pochi ricordano l'eguale. All'ora istessa le
LL. MM. avevano la degnazione di con-
dursi nella regia loro gondola al palaz-
zo della nobile famiglia Balbi, scella al-
l'alto onore di ospitarle, affinchè dal pog-
ginolo, ch'era stato a tal uopo pomposa-
mente addobbato, potessero riguardar
comodamente ambi due le braccia del
grande Canale, e godere così in ogni sua
parie la patria festa. Al loro affacciarsi le
musiche bande suonarono l'inno impe-
riale, e l'esultante popolo le salutò con
ripetuti clamorosissimi evviva, onde fu
lietamente e sotto sovrani faustissimi au-
spicii inauguratala singoiar lotta che a-
nimosamente,ma pacificamente altresì,
andava sotto i loro sguardia combatterti.
Se il tempo e lo spazio ce lo consentisse-
ro vorremmo seguire passo posso la voga
affannala de'rivali gondolieri; vorremmo
descrivere questi novelli giuochi Olimpi-
ci, i di cui giostratori hanno per arena il
mare, e per anfiteatro una città magnifi-
ca,piantata quasi per prodigio sull'acqua;
vorremmo diffusamente narrare come al
dato segnale le leggerissime e a poca di-
stanza appena visibili barchette si slan-
ciassero alla nobile gara, gara della for-
za e delia destrezza insieme congiunte,
ma gara innocente che non ha pericoli ,
peroni debbano sempre trepidare gli spet-
tatori, e che dona pura e incruenta la
vittoria. . . Se non che, lasciando ad altri,
e specialmente a'poeti, il cantare le glo-
rie de' vincitori, noi compiendo ii grave
e onorevole uffizio di scrivere la storia,
tenteremo, se l'ingegno e le parole ci ba-
steranno, di descrivere un nuovo spetta-
colo, quello delle clamorose incessanti o-
vazioni che il popolo entusiastato e com-
mosso consagrò agli augusti so via ni, qua ri-
do finita la lotta si degnarono di scende-
re nella galleggiante municipale, ove fu-
rono ossequiosamente accolti dal podestà
co. Correr, ch'ebbe l'onore di accampa-
v e n
guarii nella corsa, che, porta li quasi a di-
re in trionfo fecero da un capo all' altro
ilei gran Canale. Non v'era fondamenta,
non riva, non il più piccolo spazio che
non fosse occupato e gremilodi genti avi-
de di contemplare i beuignissimi princi-
pi, i quali sul dinanzi della prora ricam-
biavano di graziosi saluti le grida di
plauso che mille e mille voci ad ogni i-
stante ripetevano. E il sesso gentile, che
numeroso e leggiadro occupava in mag-
gior parte le finestre e pogginoli delle ca-
se e dei palagi che prospettano il gran
Canale, coll'mcessante agitar de'fazzoletti
accompagnava i plausi che la sottoposta
folla tributava all' eccelsa coppia impe-
riale. Era una scena, la cui sublimità può
essere sentita e compresa , ma non con
adeguale parole descritta. Sul ponte di
Uialto.chegigaute torreggia attraverso il
Canale, sulleampie fondamenta o riveche
gli sono di fianco, la calca era si fìtta che
ii muoversi era quasi impossibile; e fu
qui dove la popolare esultanza non ebbe
freno a disfogarsi in fragorose e prolun-
gate acclamazioni. Da per lutto era lo
s(esso tripudio, da per tutto la gente era
accorsa a festeggiare gii augusti sovrani,
ella vi era accalcala sino «'punti estremi
del gran Canale presso alla stazione del-
ia strada ferrata, ove la società concessio-
naria fece con lauto spendio innalzare un
magnifico padiglione di stile moresco li-
bero, del quale avremo motivo di tenere
ad altra occasione più lungo discorso. E
come il principio tale fu il termine del
corso succeduto alla Regata, mentre le
ovazioni non ebbero tregua se non quan-
do, verso il tramonto, la galleggiante ri-
condusse le LL. MM. alla residenza im-
periale ". Descrissero questo trionfale
viaggio: Fior cV Absburgo in Italia ,os-
sja completa relazione del viaggio del-
le Loro Maestà apostoliche l' impera-
tore Francesco Giuseppe I, e l'impera-
trice Elisabetta Amalia ne' loro dominii
Italiani, negli anni 1806-1857. Tipo-
grafia editrice fratelli Centenari, Milano
V E | 89
1837. Soggiorno delle IL. MM. I. li.
A. Francesco Giuseppe I, ed Elisabet-
ta Amalia nelle provinole Venete, ed O-
maggio delle scuole Reali, inferiori ed
elementari. Tip. editrice Anlonelli, Vene-
zia 1807. A p. 1 09 delGiomale di Roma
del 18J7 si riporta l'onorevolissima let-
tera scriitaa'28 febbraio 1807 in Milano
dall'imperatore, al fe!d-marescial!o l\a-
delzky, colla quale ricolmandolo di alte
lodi, esaudisce le sue istanze, per essere
esonerato nella tarda sua età dal governo
del regno Lombardo-Veneto, ponendo a
sua disposizione il palazzo di Strà , ed
altri palazzi imperiali; non che la lettera
nello stesso giorno indirizzala all'arcidu-
ca fratello Ferdinando Massimiliano, co-
mandante supremo della marina, nomi-
nandolo governatore generale del regno
Lombardo-Veneto, per dare a' sudditi
una prova particolare dell'assidua sol-
lecitudine pel benessere loro, confidando
nella distinta avvedutezza da lui ognora
spiegata ».. .di munirla come mio rappre-
sentatile uV necessairi poteri, alfinchèsia
in grado di condegnamente adempiere
tale mandato in questo regno, di vegliare
efficacemente al regolare e giusto anda-
mento, non che alla pronta pertrattazio-
ne degli all'ari in ogni ramo della pub-
blica amministrazione, di rilevare i biso-
gni in lulto ciò che concerne lo svilup-
po intellettuale e materiale del paese, e
prendere a tempo debito ed energica-
mente l'iniziativa rispetto a quelle mi-
snreed istituzioni atte a soddisfarli. Ella
risiederà alternativamente a Milano e
Venezia .... la cui prosperità mi è tanto
a cuore ". Inoltre e contemporaneamente
l'imperatore nominò il generale d' arti-
glieria Francesco co. Gyulai, comandante
della 2.* armata, e generale comandante
nel regno Lombardo- Veneto, nella Ca-
rinzia, Carinola e nel Litorale. Pel con-
seguente allontanamento dell' arciduca
Ferdinando Massimiliano dalla sede uffi-
ciale del cornando supremo della mari-
na Trieste, rimanendo in questa lo stes-
90 VEN
so comando sotto la direzione del vice-
ammiraglio barone deBujacovich ad Ut-
tus del comandante supremo, dispose
l'imperatore la sfera d'azione del mede-
simo arciduca fratello. 11 n. 83 del Gior-
nale di Roma dell'aprile 1857, contiene
i poteri e le attribuzioni del nuovo go-
vernatore generale. Recatosi a Vene-
zia dopo la metà di ottobre, l' arci*
duca con P arciduchessa sua sposa, si
pubblicò: Altamente lieta questa città
per il fausto arrivo degli augustissimi
sposi S. A. I. R. l'arciduca Ferdinando
Massimiliano e l'arciduchessa Carlot-
ta, festosamente dettava questi carmi}
edin segno di umilissima devozione Mel-
clu'orc Fontana tipografo e litografo al-
le LL. A A. IL RR. li consagra. Tipo-
grafia Fontana, Venezia 1857. Di sopra
in diversi luoghi celebrai gli augusti con-
iugi, enei voi. LXXXV1, p. 85, narrai,
come prima di recarsi l'arciduca a Brus-
selles a sposare la reale principessa, da
Milano si portò a'3o giugno a Pesaro a
visitare il Papa che regna e ricevete le
sue benedizioni , inaugurando così uno
de'più solenni momenti di sua vita; par-
tendo quindi il Pontefice per Bologna ,
ove giunto ricevè eziandio gli omaggi
del conte di Bissingen luogotenente delle
provincie venete, inviato ad hoc dall'im-
peratore d'Austria, del sullodato conte
Gyulai, e de'consoli francese e pontificio
di Venezia, come notificò il Giornale di
Roma, "Dei resto, sull'arrivo nel regno
Lombardo- Veneto dell'arciduca Ferdi .
nandoMassimiiiano e della sua sposa l'ar-
ciduchessa Carlotta Amalia principessa
del Belgio, anche nella Civiltà Cattolica
de' 3i ottobre 1857 se ne descrivono le
solenni accoglienze fatte agli augusti prin •
ci pi da'municipii e dalle popolazioni, sin»
cera espressione del sentimento comune.
A Trieste, a Venezia, a Verona, a Milano
eguali furono le testimonianze dell'amo-
re e della riverenza de' popoli, e della
piena soddisfcizionede'giovani eccelsi spo-
si. » Que'forestieri che s'accertano de'fat-
V E 81
ti cogli occhi propri , confessano candi-
damente essere tanto mutato tra noi (di-
ce il corrispondente del Lombardo- Ve-
neto a detta Civiltà) lo spirito pubblico,
che non rimane più. se non che (polche
rara ed impotente favilla dell'incendio
del 1848. L'opera del rinsavimcnto non
è certo pienamente compita, ma va ogni
giorno perfezionandosi. Clemenza e per-
donogenerale,assoluta dimenticanza del
passato, saggia amministrazione, provvi-
de leggi, rispetto alle legittime tradizio-
ni della nazionale grandezza, tendenza a
riunire nel bene tutte le classi sociali al-
l'ombra del principato, tutte le carriere
aperte all' ingegno accompagnalo dalla
lealtà del carattere e dalla eminenza del
merito, libertà amplissima e buon mer-
cato di comunicazioni nell'interno e col-
l'esterno, sono benefizi che i popoli ap-
prezzano e riconoscono. Aggiungete nel-
l'arciduca una mente perspicace e vo-
gliosa del bene, una volontà determina-
ta, un cuore veramente benefico, ed in-
tenderete il perchè del nuovo indirizzo
dell'opinione pubblica. Alcuni giornali
nostri e forestieri indirettamente o diret-
tamente censurano il governatore arci-
duca per avere introdotto nella sua corte
un lusso cb'essi dicono eccessivo. Ma è da
notare, anzi tutto, che egli ha dallo sta-
to la somma d' un milione duecento mi-
la lire all'anno da spendere: inoltre egli è
assai ricco del proprio, e può quindi, sen*
za inconvenienti, mantenere la sua corte
in un lustro veramente reale. La sua ge-
nerosità poi e la sua splendidezza non
possono che giovare alle arti ed all'indu-
stria nazionale, sia direttamente, sia col-
l'eccilamentocomunicalo da quell'esem-
pio alla classe nobile e signorile. I dan-
ni cagionati tra noi dalla rivoluzione alle
arti ed alle lettere sono incredibili ....
Dopo 10 lunghi annidi miserie e di sten-
ti, le arti e le lettere hanno d'uopo d'u-
na mano forte e generosa che le sollevi
e le rianimi. La strada ferrata da Milano
a Venezia, dopo 11 anni, è finalmente
V E N
compita, essendo stata aperta sin dal i 2
ottobre. L'arciduca è partito da parecchi
dì per Venezia in compagnia dell' arci-
duchessa sua sposa. Egli vuole acquistar-
si V amore de'suoi amministrali, per ot-
tenere il quale intento non lascia sfuggi-
re veruna occasione favorevole". Infatti,
tosto se ne giovò. Imperocché recatosi
l'arciduca governatore nel 1 858 a Vien-
na, ne'3 mesi del suo soggiorno presso
l'imperatore fratello, a seconda della sua
ingiunzione allorché gli affidò il governo
del regno Lombardo- Veneto, di ricono-
scere i bisogni del paese in luttociò che
ne concerne il progresso intellettuale e
materiale, e di prendere a tempo valida-
mente 1* iniziativa rispetto a' provvedi-
menti alti a soddisfarvi, espose gli studi
fatti ed i bisogni. Avendo l'arciduca con-
sultato le congregazioni del regno , esa-
minò poi egli stesso lo stato dell'ammini-
strazione, scoperse abusi, conobbe biso-
gni, pensò a riforme, e dopo un anno di
ponderazione, recò egli stesso al monarca
le sue proposte per il bene del suo popolo.
Indi, dopo esame, l'imperatore a' 16 lu-
glio 1 858 ordinò quelle molte importan-
ti disposizioni e miglioramenti ammini-
strativi, che raccontai superiormente ai
propri luoghi, sia sulla giusta proporzio-
ne di perequazione sull'imposta prediale
nel regno Lombardo-Veneto, sia per la
riforma dell'accademie, per dare un più
sicuro indirizzo e una piti vigorosa vita-
lità alle arti del disegno, fulgidissima glo-
ria d'Italia, sia in vantaggio de* medici
condotti, sia per facilitazioni negli obbli-
ghi di coscrizione, sia per animare l'ope-
re grandiose in corso, compimento della
rete di ferrovia, la copia d'acqua pota-
bile in Venezia, e quanto altro contiene
l'ammirabile circolare dell'arciduca go-
vernatore del regno, precipuamente a
vantaggio delle due capitali Milano e Ve-
nezia, la i.a ricco centro di un'operosità
intellettuale e pratica, la 2.a bella di ar-
ti e monumenti, come città commerciale
e marittima, onde prosperino vieppiù nel
V E H 91
ripreso moto d' un crescente e florido
progredimento. A'2 1 agosto i858 la na-
scita a Laxenburg , presso Vienna, del
principe ereditario Rodolfo Francesco, fu
cagione di lieto e vero giubilo, come in
tutta la monarchia, così pure nel Lom-
bardo- Veneto,dove interpreti de' voti del
popolo, le congregazioni centrali, provin-
ciali e municipali deposero a'piedi del tro-
no gli omaggi e le congratulazioni del pae-
se; festeggiandosi V avvenimento anche
con molte opere di carità, da'municipii e
da' privati. Iu Venezia a' 22, anniversa-
rio g.° memorabile della cessazione del
suo stato penoso, a ringraziare Dio del-
l'esaudito fervido voto del paterno cuo-
re dell'imperatore Francesco Giuseppe I,
le cariche di corte, tutte le autorità civi-
li, militari, ecclesiastiche, le pubbliche
rappresentanze, si adunarono nella regia
basilica patriarcale di s. Marco, pel solen-
ne canto del Te Dcum, e quindi il conte
di Bissingen luogotenente, ricevè ne'suoi
appartamenti gli omaggi della generale
esultanza. Nel medesimo i858 fu pub-
blicato dalla tipografia Antonelli: Rego-
lamento organico della società di mu-
tuo soccorso de 'maestri e delle maestre
elementari della provincia di Venezia
sotto la protezione di s. Giuseppe Cala-
Sanzio. Questa istituzione è già sistemata.
Di quella di Milano, copiosamente ragio-
na la Cronaca di Milano del cav. Igna-
zio Cantù, il quale n' è benemerito pre-
sidente e promotore. Delle anteriori cou-
dizioni di simili maestri, si legge cidi eh.
encomiato scrittore un commovente ar-
ticolo: // Maestro di campagna, nella
dispensa 2/ dell'anno V della Cronaca.
Inoltre nel i858 si pubblióò: Quattro
Jiori di Matrone veneziane, Polissena
Contarini, Damala Moccnigo, Elisa-
bella Michiel Marlinengo, Maria Bon-
fadini Porlo } Margarita de Susani Re*
vedili) presentali alle faustissime nozze
Marcello Zon, da Lazzari Giuseppe.
Dalla Costanza di Riese, nell'ottobre del
1 858. Egli èquesto l'auspicatissimo ma-
9i V EN
(rimonto celebrato dal nobilissimo e de-
gnissimo Alessandro Marcello attuale pò-
desta di Venezia, e nel ricordare l' ele-
gante libro cbe lo solennizzò, lietamente
intendo unirmi alle piti affettuose e rive-
renti felicitazioni, rassegnale al rispetta-
bile ed egregio primo magistrato civico
d'una Venezia, la quale non deve mai
nominarsi senza lode. La Gazzetta di
Venezia de'4 marzo del corrente i85g,
riferita dal Giornale di Roman p. 222,
c'istruisce del gas portatile recato a Ve-
nezia, non senza aversi motivo di cre-
dere, che l'illuminazione del gas porta-
tde stia per essere in breve introdotta
nelle provincie venete, ed in particolare
a Venezia, e che l'impresa trovi ormai
favorevole accoglienza presso gran nu-
mero de'consumalori. Il gas portatile è
un estratto di schisto bituminoso, detto
Boghead, che trovasi uella Scozia, ed
ha ia proprietà di fornire un gas d' un
potere illuminante circa tre volte supe-
riore a quello del carbon fossile. Com-
presso poi entro adatti recipienti, pub
rappresentare un volume molte volte
maggiore di gas ordinario; per il che è
reso possibile e f icileil trasportarle con-
servarlo nelle abitazioni private, cou ri-
sparmio dell'ingente spesa di canalizza-
zione sotterranea. Considerevole n'è futi-
lilànelle vie poco popolate ©distanti dal-
l' officina di fabbricazione, nelle piccole
borgate, negli stabilimenti isolati, ovun-
que in somma lo stabilire, mantenere, ed
alimentare un sistema di canalizzazione
importi una spesa non proporzionata.
— In quest' articolo, consagrato a Ve-
nezia, essendo una delle due metropoli
civili ed ecclesiastiche del regno Lombar-
do- Veneto, per ragioni di storia e di rap-
porti, v' intrecciai non poche notizie ri-
guardanti la metropoli Milano eia Lom-
bardia, come nel voi. XCU, p. 422- lvi
ho riferito la nomina di due prelati U-
ditori di Rota, mg.r Luigi Flir di Lan-
deck nel Tirolo diocesi di Bressannone,
e mg.1 Francesco Nardi di Vazzola dio-
V EN
cesi di Ceneda. Quanto al preciso loro
titolo nazionale, presso il romano sagro
Tribunale, mi diressi ad autorevole per-
sonaggio, ch'era in grado di siperlo ; ma
uomo, fu inesatto, e tale perciò vi coni
parisco io, nel citato luogo, anche per
altro. Imperocché dissi mg." Flir udito-
re per Venezia, e mg.r Nardi uditore per
Melano. L'emenda vado a riferirla. In-
tanto comincio dal correggere, l'aver ivi
detto mg.r Serafini passato perla 2.* di
tali nomine dall' uditorato Milanese al
Ferrarese, mentre venne trattalo al va-
cante uditorato d'Aragona, col consen-
so della corte di Spagna. Ciò premesso,
e dovendosi tener presente l'articolo U-
ditori di Nota, primamente rammen-
to che l' uditore per la Germania du-
rò sino a! 6 agosto 1806 in cui si sciol-
se l' Impero Romano-Germanico; 1' w-
ditore di Venezia, durò sino alla cadu-
ta dell' antica e gloriosa repubbblica.
Però i due prelati che erano investiti del-
l'uditorato nazionale, continuarono a se-
dere nel sagro tribunale della romana
Rota finché vissero o fino all'occupazio-
ne francese di Roma del 1809. Altret-
tanto avvenne all' uditore per Milano.
Ricomposte le cose politiche, ricuperati
dall'imperatore d'Austria i suoi stati d'I-
talia, egli nel 181 5 rinunziò al privile-
gio di nominare e presentare alla s. Sede
V udito re per Venezia, e nominò per Vu-
di lo rato dell' Impero d* Austria mg.r
Carlo Odescalchi, il quale tutta volta, in
uno a'di lui successori, eziandio vennero
quasi riguardati uditori veneti-milanes i.
Mi veramente per Milano, prò Longo-
bardo (perchè come notai nel citato ar-
ticolo, coll'eruditbsimo milanese Piazza,
l'uditore nazionale era per tutta la Lom-
bardia), i Papi d'allora in poi nomina-
rono un prelato romano o di altro luogo
del proprio stato. Non riuscirà poi super-
fluo, che ancor qui meglio ricordi come
a proposizione fatta nel i56o in conci-
storo dal celebre milanese cardinal Mo-
roui, il Papa Pio IV (e non V, come per
VEN
fallo tipografico si legge ap. 142 nel t. 1,
delia bellissima opera, Milano e il suo
Territorio, ivi impresso nel 1&44) Per
amore alla comune patria Milano, e per
essere già appartenuto a quell' insigne
collegio di dottori o nobili giureconsulti,
a questo concesse il privilegio della du-
plice nomina e pi espilazione di tre dot»
tori, sia per l'uditorato di Rota nazionale,
sia per l'avvocato concistoriale nazionale
(oltre il doversi scegliere dal suo seno an-
co il patrio arcivescovo: di più Pio IV
ordinò 1'edifizio pel collegio in piaz7a de'
Mercanti. Dal ceto medesimo, il sovrano o
governatore di Milano, nominava un re-
gio luogotenente, che finito Tanno pas-
sava vicario di provvisione, cioè prefetto
o podestà di Milano. Inoltre fra' dottori
del collegio si sceglievano le principali
cariche; per l'amministrazione della giu-
stizia, un capitano generale, un vicario
civile e un criminale, un fiscale e consoli
giudiziari). Intanto al venerando Ode-
scalchi (V .) successero oWudìlorato del-
l'Impero d'Austria i prelati Buspoli, poi
uditore della camera, e de Silvestri di
Rovigo. Questi elevalo alla dignità car-
dinalizia, il regnante imperatore Fran-
cesco Giuseppe 1, nominò e presentò alla
s. Sede, uditori dell' Impero d'Austria
(coll'assegno annuo pei ciascunodi4ooo
fiorini pari a scudi 1900), mg.r Flir e
mg.r Nardi. Nella pontificia elezione di
mg. r Flir, non vi è detto prò Austria,
uè prò Germania, ma soltanto uditore
di Rota surrogalo al cardinal de Silve-
stri. Forse cosi venne praticato, per evi-
tare osservazioni, quanto al titolo. Nel
motuproprio pontifìcio per mg.r Nardi,
è detto uditore di R.ota pro-Longobar-
do. Nondimeno i ministri imperiali quali-
ficarono i due prelati, Uditori di Bota
per l'Impero d'Austria, Riportano i n.
55 e 67 del Giornale di Roma del 1 85g,
che mg/ Flir morì a'8 marzo fra' con-
forti della religione (dovendo io ciò noti-
ficare in questo articolo, per quantoavea
riferito nel voi. XC1I, mentre la stampa
ve ri
93
di esso progrediva a) suo termine, m'in-
sorse dubbio : se realmente mg.f Flirei a
uditore per Venezia, ed in conseguenza,
se era stato ripristinato l'uditorato na-
zionale veneziano j e le mie pazienti ri-
cerche, produssero le narrate indispensa-
bili rettificazioni). m Nella chiesa di s.
Maria dell' Anima, furono fatti solenni
funerali, per il defunto mg.r Flir udi-
tore di Rota per V Impero d'Austria, Gli
Em.i signori cardinali Rauscher arcive-
scovo di Vienna, e Reisach. S. E. il sig/
ambasciatore di S. M. l'Imperatore d'Au-
stria, e S. E. il sig. r ministro di S. M. il
Re di Baviera, alcuni uditori di Rota,
e altri prelati assistettero alla mesta ce-
remonia, la quale ebbe termine colPora-
zione funebre detta da mg/ Nardi^ eletto
uditore della sagra Rota, che porse un
degno tributo di lode al compianto pre-
lato ". Meritò nitidissima stampa, sicco-
me eloquente e dotta, filosofica e religio-
sa, affettuosa e commovente, col titolo:
Elogio funebre di mg.' Luigi Flir udi-
tore eletto di sagra Bota, recitato il 16
marzo 1 85g nella chiesa di s. Maria
dell'Anima di Boni a, da mg* Fra ne e-
sco Nardi uditore eletto della sagra
Boia. — Nello stesso mese, il tenente ma-
resciallo Guglielmo barone d'Alemann,
comandante del X corpo d'armala, dal-
l'imperatore venne nominato a coman-
dante della città e fortezza di Venezia,
in luogo del barone Lederei'. Di più l'im-
peratore,avuto riguardo all'attuale stato
delle divisioni di flottiglia in Italia, ap-
provò la riunione delle medesime colla
denominazione, Comando delle flotti-
glie delle Lagune e de' Laghi Meditcr-
ranei^nìiwgoàeU'ailwòìComandodellc
flottiglie delle Lagune e del Lago Mag-
giore. Il n. 69 del Giornale di Boma de'
28 marzo 1859, riprodusse il seguente
ragguaglio della Gazzetta Austriaca,
sulla organizzazione del regno Lombar-
do-Veneto. » L'Austria ha ristabilito in
questi paesi l'antica organizzazione mu-
nicipale ed ha lasciato sussistere i pei fé-
94 VEN
Ilota unenti introdottovi nella forma e
che vi stabilivano maggiore regolarità.
Questa organizzazione comunale creata
ila Maria Teresa sussiste oggi nelle sue
parti principali. Garantisce al paese Un
tal governa mento che non solo le altre
provincie austriache, ma molti slati d'Eu-
ropa potrebbero invidiare al regno Lom-
bardo-Veneto. Le leggi generali dell' Au-
stria so. io in vigore in Lombardia, ma noti
hanno mai pregiudicato alla nazionalità e
all'esistenza individuale del paese. Non so-
lo nella pubblica istruzione e nel Tarn mini*
strazione si è rispettata la lingua e gli usi
del paese ; ma il governo non è di razza
tedesca. Nel supremo tribunale, di tede-
schi non vi sono che due consiglieri e il
procuratore generale. Nella prefettura
delle finanze vi è un solo consigliere te-
desco, e nella procura delle finanze ues-
sun tedesco. Se consideriamo inoltre che
moltissimi italiani sono impiegati nell'al-
tre provincie austriache, vedremo che per
gl'italiani la loro unione coll'Austria non
ha fatto che aumentare la possibilità di
distinguersi ne'posti importanti. Bastano
questecifre per rispondere al rimprovero
che si tolga la nazionalità. Se viene con-
siderato inoltre il generale organismo del
paese, vedrassi che una gran parte degli
affari correnti è trattala da organi elet-
tivi. L'amministrazione si è trovata sem-
pre e ancora si trova in mano degl'ita-
liani. Il numero degl'impiegati del regno
è in tutto di 7273, di cui 554 oss,a il 7
e mezzo per 100 sono tedeschi, se dob-
biamo giudicare dal loro nome. Su que-
sta cifra, gl'impiegati in Lombardia sono
338o, di cui 343 tedeschi: nella Vene-
zia sono 3g53, di cui 211 tedeschi. E
questo rapporto è lo stesso su tutti i gradi
della scala amministrativa. Nella provin-
cia di Venezia, i soli funzionari tedeschi
sono, nel governo stesso, il governatore,
il vice-presidente, un consigliere e un vi-
ce-segrelatio : nel tribunale superiore il
presidente e sei consiglieri: nella procura
V EN
delle finanze, il procuratore. In Lombar-
dia, nel governo, il governatore, il vice-
presidente, tre segretari e un vice-segre-
tario. I governatori stabilitine! paese han-
no non solo la più parte delle attribuzio-
ni amministrative, ma ricevono il loro
ordine dal governo generale, alla testa
del quale si trova l'arciduca Massimilia-
no, fratello dell'imperatore. Il governa-
tore generale riunisce in sue mani tutte
le attribuzioni d'un ministro particolare
della corona per questo paese: decide di
tutti gli affari, nomina e destina gì' im-
piegati, ha sì vaste attribuzioni, quan-
tunque pochi affari siano sottoposti a'
ministri a Vienna, che le sole disposizioni
riguardanti tutto l'impero,emanano per
il regno Lombardo-Veneto dall'ammini-
strazione centrale. La slessa situazione
del principe governatore, come fratello
di S. M., gli permette di agire più libe-
ramente nel paese che amministra, di
quello che possati farlo gli altri gover-
natori ". Quanto all'attuale grave que-
stione italiana, inorpellata co' pomposi e
splendidi paroloni di Nazionalità e lif
dipendenza ; a'timori d'uua guerra rui-
nosa ed europea, con pericolo all' Italia
di soggiacere alla balia delle sette od a
stranieri padroni, che presto le farebbe-
ro desiderare i presenti, poiché lo stesso
Gioberti temeva più l'intervento francese,
che non il dominio tedesco, qualora non
seguisse una probabile sconfitta; in fine
alle speranze della pace fondata nel con-
gresso europeo che va ad adunarsi, se-
condo i generali desideri i ; ampiamente
ne ragiona la Civiltà Cattolica^ serie 4«,>
t. 1, p. 609: La Questione Italiana nel
1859, colla confutazione degli opuscoli
che ne trattano, e l'appendice sull'Orga-
nismo governativo degli Stati pontificii.
Più a p. 657 : V opinione Italiana in-
torno alla guerra d* indipendenza. E
nel t. 2, p. 5: La sconfitta e la vittoria
nella terza riscossa Italiana.
VEN
§ XXI. Serie de vescovi di Olivolo e di
Castello, e de' patria re hi dì Venezia.
i. La s. Chiesa di Venezia, dichiara il
sullodato suo dolto figlio e benemerito
storico d. Giuseppe Cappelletti prete ve-
neto >* in ordine ad ecclesiastica gerar-
chia, quanto al suo titolo patriarcale, è
la prima chiesa dell' Italia t subito dopo
la suprema vSW/e pontificale diRomajbew-
che non lo sia in ordine a preminenza ne
ad antichità; sotto il quale aspetto, la fi-
glia primogenita dell'apostolica Sede, la
prima dopo la Chiesa Piomana, è l'arci-
vescovile di Ravenna (V.). -Né solamen-
te la prerogativa di patriarcale adorna
la Veneziana sopra le altre chiese me-
tropolitane d'Italia, ma l'illustra altresì
l'onore, ridotto presentemente ad un sem-
plice nome, ùxprimaziale sopra le chie-
se della Dalmazia, Queste due lumino-
se qualità, sino a mezzo il secolo XV, ap-
partenevano alla chiesa di Grado: Ve-
nezia allora non era che un semplice ve-
scovato, ristretto entro il giro della città;
anzi neppur tutta la città entrava a for-
marne la diocesi, essendoché su alcune
pievi di essa aveva giurisdizione libera ed
assoluta il gradese patriarca; edanzi nep-
pur col nome di Venezia denominavasi.
Olivolo diceasi da prima e poscia Castel-
lo.Ma soppresse aitine dal Pontefice Ni-
colò V nel i45 r, entrambe le diocesi, la
vescovile di Castello e la patriarcale di
Grado, sorse dall'unione di esse la nuo-
va diocesi patriarcale, metropolitana, pri-
maziale di Venezia. A questa nuova dio-
cesi derivarono tutte le prerogative , le
giurisdizioni, i privilegi dell'una e dell'al-
tra: quindi essa diventò patriarcale, per-
chè lo era la chiesa di Grado ; metropoli-
tana, perchè le furono aggregale le me-
desime sufhaganee di Torcello, di Chiog-
gia, di Caorle, di Gesolo ossia Equilio, che
dipendevano allora dalla metropolitica
giurisdizione di Grado; primaziale final-
mente, perchè la primazia, cui la patriar-
cale di Grado godeva sulla chiesa della
VEN
9*
Dalmazia e persino sull'arcivescovile me-
tropolitana di Zara, fu in lei conseguen-
temente trasfusa. Ilqual l\lo\o ài patriar-
ca, attribuito a'sagri pastori della chie-
sa di Grado, derivato perciò a quelli al-
tresì di Venezia, non è di così antica de-
rivazione siccome lo era negli aquileiesi
pastori. Esso anzi dalla residenza, che fa-
cevano questi nel castello di Grado; dal-
li doppia serie de'medesimi allorché col
titolo di Aquileia dimoravano gli uni
nell'una e gli altri nell'altra città, passò
come in consuetudine, sicché lo portaro-
no entrambi indistintamente ... Il titolo
di patriarca derivò a' pastori gradesi a
poco a poco ed in tempi posteriori a quel-
li, in cui lo usavano i patriarchi di Aqui-
leia. Quanto al giro della diocesi di Ve-
nezia, esso non comprendeva in sulle pri-
me, che il territorio delle due diocesi di
Castello e di Grado; poi crebbe alcun po-
co nel 1466, allorché le fu aggregata Ir
soppressa diocesi diGesolo;e vieppiù creb-
be nel 1 8 1 8, allorché per la soppressione
delle due diocesi di Torcello e di Caorle,
derivolle quasi tutto il territorio di en-
trambe. Ed in quell'anno medesimo fu
dilatata di molto anche la metropolitica
sua gii risdizione; perchè ridotta a sempli-
ce vescovato la chiesa arcivescovile me-
tropolitana di Udine (V.)f e questa e tutte
le diocesi, ch'erano suffraganee di questa
medesima, vennero assegnate a suffraga-
needi lei. Le quali diocesi, oltre all'udine-
se, furono Adria, che per l'addietro di-
pendeva dall'arci vescovo diRavenna, Ve-
rona, Vicenza, Padova,Treviso,Feltree
Belluno aeque prmeipaiiter unite, Cene-
da,Concordia,Emonia ossia Città Nova
nell'Istria, Giustinopoli ossia Capo aV I-
stria, Pola e Parenzo: tuttociò in vigo-
re della bolla del r^ootefice Pio VII , la
quale incomincia: De salute dominici gre-
gis, deli.0 maggioi8i8. Bensì le ultime
quattro chiese summentovate di Paren-
zo, di Pola, di Capo d' Istria e di Emo-
nia soppressa ed immedesimata colla
diocesi di Trieste (V.), le furono tolte
06 VE N
|)f>t lii anni dòpo, per assorellarle all'ar-
ci vescovo ili Gorizia (f .). Parimente / -
dine le fu tolta nel 1847, perchè venne
ristabilita nella sua pristina dignità ar-
civescovile metropolitica. Quindi è che
nello stato odierno la nostra s. Chiesa di
Venezia continua ad essere patriarcale e
metropolitana nel proprio MMO ecclesia-
stico; continua a portate il titolo di pri-
maziale della Dalmazia , a cagione del-
l' antico diritto, che su quelle diocesi e-
sercitava. Lesue sulfraganee adunque og-
gidì sono Adria (della quale per fare il
vescovo l'ordinaria sua resideuza in Ro-
vigo , in tale articolo meglio ne ragio-
nai), Ceneda, Cliioggìa, Concordia (con
residenza in Poi togruaro), Belluno eFel-
tre, Padova, Treviso (che comprende la
soppressa Asolo, e tra'suoi confini è l'al-
tra pure antica sede A' Eraclea), P ero-
na, Vicenza (V.) ". Noterò, che narrai
nell' articolo Spalatro, che la sua sede
vescovile successe nella dignità a quella
di Salona, metropoli di tutta V Illiria,
poi gli arcivescovi, con approvazione de'
Papi, s'intitolarono dal 1 i55 primati del-
la Dalmaziat'ìiuM anche della Croazia j
ma perchè la chiesa di Zara, distaccata
dalla metropolitana di Spalatro, fu essa
dichiarala metropoli e attribuita colle
sue chiese su (fraga nee al patriarca di Gra-
do, così quest'ultimo fu costituito loro
primate, grado e dignità che col patriar-
cato passò al vescovo di Venezia, per a-
vere soggette il patriarca ie chiese della
parte occidentale inferiore della Dalma-
zia; che però rimase al prelato della chie-
sa di Spalatro l'antica denominazione di
primate della Dalmazia e della Croazia,
per la giurisdizione che gli restò sulla
Croazia esopra parte della Dalmazia, giu-
risdizione e grado che gli tolse LeoneXU
nella nuova circoscrizione delle diocesi
della Dalmazia, ad istanza dell' Austria,
dichiarando Spalatro semplice sede ve-
scovile, unendole quella di Macarska, e
facendola sùffraganea di Zara capitale
della Dalmazia. La serie de' vescovi d'O*
v l n
li volo e di Castello, e de' patriarchi di
Venezia, oltre il eh. Cappelletti, la ri-
portarono pinna di lui i seguenti. Ughel
li, Italia sacra, t. 5, p.i 169: Palriarca-
ius Ventilatimi Dalmatiac Prfntas, al
cui teli) pò, nel secolo XVII, erano sol-
tanto suoi suffraganei i vescovati di Cani-
le, Chioggia e Torcetto. Corner, Notizie
storiche delleChiese di J'cnczia e di 'Tor-
ce Ilo, p. 1 e seg. Cronologia storica dei
vescoviOlivolensi detti dappoi Castella-
ni, e successivi patriarchi di Venezia,
di Alessandro Orsoni , Venezia Picot-
ti 1 828. Strie cronologica de' vescovi O-
livolensi- Castellani e patriarchi di Ve-
nezia, aggiuntavi la descrizione delle
solenni esequie eseguite nella basilica
di s. Marco per la morte di Sua Ec-
cellenza Reverendissima d. Pietro Ali'
re Ho Mutti patriarca di Venezia , ivi
1857, tipografia Grimaldo. Stalo per-
sonale del clero della città e diocesi di
Venezia: Serie de' vescovi e patriarchi
di Venezia (incominciando da'vescovi di
Malamocco fino alla istituzione della se-
de Olivolense in Venezia), e di quelli a'
quali successero j cioè de' vescovi di Pa-
dova, alla cui giurisdizione le isole Reai-
tine furono soggette, secondo la più vol-
gata opinione, principiando das. Prosdo-
cimo greco, discepolo del principe degli
Apostoli s. Pietro,e<:Z Apostolo della Ve-
nezia; e de'vescovi d'Aquileia, che fu la
prima Chiesa d'Italia, cominciando dal
suo fondatore s. Marco Evangelista, de'
suoi arcivescovi a di quelli d'Aquileia in
Grado, de'patriarchi d'Aquileia in Gra-
do, de'patriarchi di Grado, e de'patriar-
chi di Grado residenti in Venezia. Inol-
tre nello Stalo personale vi sono regi-
strati i Vescovati del regno Lombardo-
Vene lo , co' loro odierni pastori. 1 titoli
che usa il pastore della s. Chiesa Vene-
ziana, sono: Noi NN. per divina miseri -
cordia Patriarca di pTenezia, Primate
della Dalmazia, Metropolita delle prò-
vincie Venete e dell'Istria, Abbate com-
mendatario perpetuo di s. Cipriano dì
VEN
Murano , gran dignitario , cappellano
della Corona dì Ferra del regno Lom-
bardo-Fenefo, Consigliere inlimo attua-
le di Stato di S. 31 1. R. A. Se il patriar-
ca appartiene a qualche ordine o congre-
gazione regolare, lo dice subito dopo il
cognome, come p. e. fece da ultimo mg.r
Multi : Jhbate dell' ordine di s. Bene-
detto della congregazione Cassi ne se. De'
quali titoli, oltre il poc'anzi detto, resi
già ragione ne'§§ precedenti. Nel § VI,
n. 3, feci avvertenza, che siccome Udi-
ne fu l'ultimo luogo residenziale de'pa-
triarchi à'Aquileia, di tutto quanto ri-
guarda f illustre chiesa e patriarcato a-
quileiese, meglio e con particolarità ne
trattai neh.0 de'due articoli, altresì con
tullociò che di piti importante spetta alla
sede patriarcale di Grado, derivata dal-
l'Aquileiése, e dalla quoleprovenne la tut-
tora fiorente di Venezia, le cui notizie si
rannodano con quelle, onde in quest' ar-
ticolo è indispensabile il doversi tener
sempre presente l'articolo Udine, e quelli
a 1 1 resi d' Aquileia e Grado. Della resi-
denza poi e giurisdizione del patriarca
grad^se in Venezia , ne tenni proposito
nel § Vili» n. 56, e negli altri relativi di
quest'articolo. Inoltre nel citato § e n.°
parlai del particolare Rito Patriarchi/io,
che dalla chiesa aquileiese passato alla
gradese, s'introdusse quindi nella vene-
ziana, nella quale però comincio a cessa-
re verso il 1 4. 1 8, per l'introduzione o ri-
pristinazione del Rito Romano; quindi
il Rito Patriarcliino terminò nel i^56,
restando fino al 1807 ne^a s°la chiesa di
s. Marco. Nel descrivere l'antichissimo
rito, d'accordo coll'ab. Cappelletti, pro-
cedei principalmente col Dizionario sa-
cro-liturgico diG. Diclich sacerdote ve-
neto, nel cui orticolo Salterio o libro de'
Salmi, riproducendo i testi del Salterio
comune e del Salterio od uso della basi-
lica di s. Marco, cioè il Gallicano ossia
la versione antica di s. Girolamo, diffe-
rente da quella del medesimo s. Dottore
che usa la Chiesa Romana, esseudo l'al-
VOL. XCIII.
V E N 97
Ira usata pure per antichissimo costume
nel!' Ufficiatura Ambrosiana e à&UnMo-
zarabìca, avverte che anco il detto an-
tico Salterio cessò nella basilica di s. IVInr-
codi Venezia nel 1 807 quando il patriar-
ca Gamboni la dichiarò cattedrale, poi
da Pio VII eretta in tale grado canoni-
camente, uniformandosi al comune del-
la Chiesa. Di più nel luogo citato o voi.
XC, p. 309, avendo fatto pur cenno, col-
1' encomiato Diclich, che sino al 1820
nella chiesa di s. Cagiano si conservava
un Evangelario del secolo XI, simile al-
l'Aquileiese, quonto oll'epoca della sua
dispersione, avendone fatto poi interpel-
lare l'egregio sacerdote d. Luigi Caligo,
ebbi questa cortese risposta. « Nella chie-
sa parrocchiale, allora collegiata di s.Cas-
siano,esisteva un codice dell'8oo, il quale
conteneva solamente i quattro Vangeli.
Ora dunque conterebbe io58 anni. Quan-
to fosse stimatissimo presso gli amatori
dell'antichità, prova indubitata è la se-
guente.— Ildolto abbate Canonici, gran-
de raccoglitore di sagre scritture, pres-
soché in tutti gli svariati linguaggi, mosso
dal suo solito genio, esibì al parroco d.
Vincenzo Vaerini (morto circa dopo la
distruzione de'capitoli, ossia dopoil ì 8 1 o),
sotto cui ho preso la sagra veste, non so
se cento ducati correnti o d'argento, non
che un reliquiario con reliquia 0 sua pie-
nissima scelta. A que' tempi i parrochi
erano semplicemente capi de' loro reve-
rendi capitoli. Laonde Vaerini convocò
il suo, composto di cinque individui, cioè
di primo, secondo, terzo prete, di diaco-
no e suddiacono. La proposizione del-
l'ab. Canonici fu rigettata a pieni voti,
perchè cinque ballotte furono verdi, ed
una bianca. I componenti il capitolo era-
no manutentoride'dirittipiùomenodelle
loro chiese. Che cosa sia successo in ap-
presso sull'esistenza del codice, nientealtro
posso affermare". Inoltre nel decorso del
presente articolo, col mio sistema compen-
dioso,non solamente hogià riferito le prin-
cipali e più interessanti nozioni riguardali-
98 V EN
ti la s. Chiesa Veneziana, ma eziandio de'
suoi vescovi e patriarchi, mentre quelle
degli insigniti della dignità cardinalizia,
nelle loro biografie ne trailo. Adunque
per tutte queste avvertenze, nel riporta-
re precipuamente coll'ab. Cappelletti, J.t
Chiese d'Italia, Venezia, t. 9, p. io5 e
seg., liberamente la serie de' vescovi di
Olivolo e Castello, e de'patriarchi di Ve-
nezia 3 da lui corretta e rettificata dagli
errori dell'Ughelli e di altri scrittori, an-
che patrii, potendosi riscontrare nella sua
bell'opera le prove di quanto narrerò,
sarò brevissimo onde non riferire super-
flue ripetizioni, e ricordando in quali §§
e numeri già discorsi le cose principa-
li , in prova di quanto qui asserisco e
per essere dispensato da ulteriormente
ragionarne. Delle abbazie della chiesa ve-
neziana, tratta il p. Lubin. Abbaliarum
Italiac, p. 409 e seg. Nel § IX ho de-
scritto le 3 chiese esenti di Venezia, cioè
nel n.i l'abbaziale priorale di s. Maria
della Misericordia, colla serie de'suoi ab-
bati mitrati, loro prerogative vescovili e
giurisdizione; nel n. 2 la chiesa di s. Biagio
di Castello, parrocchia dell'i, r. marina
da guerra ; nel n. 3 la chiesa di s. Gio.
Battista del gran priorato Gerosolimita-
no del regno Lombardo-Veneto. Fio VII
nel 1 8 1 7, oltre la nomina de' vescovi de'
domimi veneti e diRagu*a.già discorsa nel
§XX,n. 3, concessa all'imperatore d'Au-
slria^ro tempore,^ accorciò pure il pri-
vilegio di nominare a tutte le abbazie
non patronali esistenti negli stati veneti.
Vescovi d' Olivolo.
2. L'esistenza della presente Venezia
cominciò nel t^i 1 di nostra era, per tut-
to quanto il più volte narrato, e nuova-
mente nel § XIX, n. 1 e 2. La formaro-
no a poco a poco i profughi abitatori del-
la Terraferma o veneti secondi, inlimo-
riti dalle diverse fiere irruzioni de' barba-
ri d'ollremoute,accorrendo nelle Marem-
me dell'ultimo seno del golfo Adriatico
VEN
a cercarvi sicuro asilo; e di mano in ma-
no che vi giunsero, piantarono sul dorso
delle molte isolette della Laguna Veneta
abituri e. capanne: la Laguna di Torcel-
lo è al nord, quella di Chioggia a mezzo-
dì, quella di Venezia nel mezzo, e sino
al secolo XIII il piano di Venezia era di
molto più basso, la Laguna più estesa e
più profonda. La più numerosa emigra-
zione di tali genti derivò dallo spavento
anche a loro incusso dal feroce Attila re
degli unni. Fu allora che si ricovrarono
nell'isolettei cittadini d'Aquileia, di Con-
cordia, di Padova, di Aitino, di Oderzo.
L'accompagnarono i loro vescovi, e cia-
scuno piantò nell'una o nell'altra di det-
te isole la propria sede vescovile; per cui
ne derivarono le chiese episcopali di Gra-
do, di Caorle, di Eraclea, di Equilio, di
Torcello, di Malamocco. Così tutte que-
ste città nacquero cristiane e ad un tem*
pò decorale del seggio vescovile; mentre
Venezia tale onore e vantaggio spirituale
l'ebbe tre secoli e mezzo dopo la sua fon -
dazione. Osserva il marchese Maffei nella
Verona illustrala, in cui ragionò pure
dell'origine di Venezia, che le colonie ve-
nete erano illustri sopra tutte le altre, e
di nobiltà romana distintamente ripie-
ne; e come dal fiore di esse, concorso a
rifugiarsi in questi fortunati riposi del ma-
re, nuova cillà e nuovo governo si ven-
ne poi in breve tempo a comporre. « E
la città però e la popolazione da'romani
fondata e di romani composta anche uni-
forme principio con Roma ebbero e co'
romani perchè nate parimente da gen-
te in luogo di ricovero adunata, e in
sito di sicuro asilo raccolta. Ma vaglia
il vero, quanto più pura e ragguarde-
vole e chiara fu mai la Veneta origine
della Promana ? " L'asilo per queste iso-
lette prestato, da famosissime città chia-
mò principalmente le primarie e le più
scelte famiglie, cioè a dire quelle che mo-
do aver potevano e sussidii per sottrar-
si alia ruinosa procella de' barbari eser-
cire che prezigse cose avevano da pone
VEN
in salvo. Intanto i pochi o molti rifugia-
ti nelle varie isolette (le più grandi di-
cendosi Rialto, Oli volo, Luprio, Dorso-
duro), il cui groppo formò il nucleo sul
quale sorge la meravigliosa e famosis-
sima Venezia, aveano compreso il biso-
gno d'aver alcun sacerdote per la spiri-
tuale assistenza, ed un tempio per adu-
narsi a pregare Dio e celebrare gli uffizi
divini. Pertanto, secondo la più. comune
credenza (sulle contrarie opinioni parlai
ne' ricordati luoghi), fu eretta nell' isola
di Rialto, della quale anche nel § XIV,
n. 2, una chiesa a onore di Dio e sotto
l'invocazione di s. Giacomo Maggiore a-
postolo, ritenuta la primaria, e die'il no-
me per sette e più secoli all'intera città :
la descrissi nel § VI II, n. 5g. Altra chie-
sa, contemporaneamente o poco dopo, fu
innalzata nell'isola d'Olivolo, parimenti
per l'esercizio del culto divino e coll'in-
vocazione de'ss. Sergio e Bacco martiri.
Di questa, primitiva cattedrale, di cui
anche nel § Vili, n. r, una delle primis-
sime erette dalla pietà de'primitivi pro-
fughi di Terraferma o Venezia terrestre,
solamente si conserva divota memoria;
l'altra esiste qualeoratoriosagramentale,
non più dal 1 8 i o prima parrocchia e col-
legiata. Della chiesa di s. Giacomo si ce-
lebra a'2,5 marzo la memoria di sua con-
sngrazione, essendo contrastato che se-
guisse nel detto anno 4?- ', bensì per ma-
no di 4 vescovi, cioè Severiano di Pado-
va, Ambrogio o Ilario d'Aitino, Epodio
d'Oderzo, Giocondo di Treviso. E' igno-
to a quale di essi appartenesse la giuris-
dizione episcopale sugli abitanti dell'i-
sola di Rialto, allora poco abitata ; e for-
se a Severiano, il i.° nominato, e proba-
bilmente come a più vecchio la conces-
sero i circostanti pastori, e pare anzi che
egli invitasse gli altri alla consagrazio-
ne, il che mostrerebbe la sua giurisdizio-
ne sopra que'luoghi. Vuoisi che a 1 .° par-
roco fosse destinato un Felice; altri ne du-
bitano. Nelle discrepanti opinioni , am-
messo che prima di s. Giacomo, nell'iso-
VEN 99
lette della Laguna già esistessero altre
chiese, si opina con più di probabilità, che
almeno sarà stata lai.3 a ricevere l'epi-
scopale consagrazione, che succeduta nel-
la solennità della Annunziazione di Ma-
ria Vergine, questa sotto il titolo di tal
mistero fausto fu presa a primaria pro-
tettrice degli abitanti e della città. Dal
quale avventurato giorno principiò l'era
veneziana, nelP antiche carte detta con
frase latina More F" ertelo t poi trasferi-
ta e computata col 1 .° marzo. Dice il Di-
ci ich, col De R.ubeis, Mommi. Aquil. Ec-
cles.y cap. 20, p. 1 88. » Ad Aquileia an-
dò soggetta Venezia, sino dall'anno 4 ' 9,
quando cioè i suoi vescovi prestarono giu-
ramento ad Agostino vescovo aquileiese,
come loro metropolita, perchè ricusato
aveano di sottoporsi alla lettera Tralta-
toria di s. Zosimo Papa (417-18)". Del
posteriore grave affare de' Tre Capitoli
(V.) riparlai di sopra, per conto de' ve-
scovi della Venezia marittima e terrestre,
e dellJIstria; scisma che separò gli aqui-
leiesi pastori da'Romani Pontefici, ossia
che la loro chiesa si divise in due capi,
uno scismatico, cioè dJ Aquileia, l' altro
ortodosso nell'isola di Grado. Aggiunge
il Diclich, che Venezia dopo esser stata
suffraganea d'Aquileia, lo divenne del pa-
triarcato di Grado, la cui istituzione, se-
condo il Gallicciolli, risale al 607, in che
si accorda il Corner. Leggo in questi, che
in Oli volo fu eretta la chiesa de'ss. Ser-
gio e Bacco, da'nobili Tribuui fuggiti dal
furore d'Attila, la quale divenne giuris-
dizione immediata da' patriarchi grade-
si, insieme con tutte le altre della Vene-
zia marittima, finché una nuova incur-
sione di barbari die'occasione di fondar-
si il vescovato d'Oli volo. Il tutto notai
parlando della chiesa di s. Pietro di Ca-
stello, e delle sue origini e tradizioni. Se
queste opinioni non in tutto si accordano
col da me riferito altrove, qui non sono
che semplice riferente di esse. Anzi qui
mi piace avvertire, che nel voi. LXIX,
p. I2Q, riportai un canone del concilio
ioo VEN
ili Fernetta del 465, come lo chiama il
Dizionario di' Co neilil; ma devesi in-
tendere di Cannes, come leggo nel Len-
glet, Tavolette rro7io/o*f/V/ip,percliè Van-
ne» fu dettai Cwitas 7~cnelenensis9 e lo
notai anche nel voi. XC, p. 238. Sull'isola
ili Malamoccotò\ cui anche nel § XVIII,
n. 28, come ragguardevole delle Lagu-
ne, surse l'omonima città illustre e così
considerevole che fu per alcun tempo la
residenza deJdogi veneziani. Ivi pure fu
piantata una cattedra vescovile a cui e*
rauo soggette tutte l'isole del lato meri-
dionale della Laguna, incominciando dal
gruppo di quelle che formano l'odierna
Venezia, e proseguendo al di là delle due
Chioggie, di Brondolo, e di Cavarzere 0
Capodargine sulla riva dell' Adige verso
ileonfiue Padovano. L'origine della se-
de, Tal). Cappelletti la stabilisce all'anno
642, uon potendo conveuire pienamen-
te alla metà del V secolo, come scrivono
altri, per farla derivare dall'asilo presovi
col suo clero dal vescovo di Padova Be-
raulo o Bando, ed ivi gli successero Gio-
vanni e Cipriano, dopo i quali Padova
riacquistò i suoi pastori residenziali. Laon-
de Malamocco, che non avea mai avuto
vescovi per l'addietro, e che per un 4o
anui avea dato ricetto a'vescovi padova-
ni, sul declinar dello stesso secolo V, ri-
mase come prima senza vescovi e senza
cattedra; ne in tutto il secolo VI trovasi
indizio che ne abbia avuto. Stabilisce poi
a i.° vescovo un padovano anonimo nel
642, che vi rimase; altri invece vi rico-
noscono Tricidio, che dalla sua sede era-
visi rifugiato, cui successe nel 647 Ber-
guardo o Bergualdo, che poi tornò a Pa-
dova. Dopo Tauonimo del 642, nel 774
trovasi altro vescovo, di cui pure s'igno-
ra il nome; mentre nel 742 da Eraclea
in Malamocco fu trasferita la sede duca-
le, dal 4^° doge Teodato ivi eletto. Cre-
sciuta iu gran numero la popolazione del-
l'isole Reaitine, e moltiplicatesi anche le
chiese, riusciva difficile al vescovo di Ma-
lamocco, sotto la cui giurisdizione quel*
V EW
le stavano, V esercitarvi le pastorali ii>
ruitihenze. E più difficile ancora lo ren-
deva la distanza considerevole, che corre
tra esse e Malamocco. Queste circostan-
ze non poterono sfuggire dall'occhio del
benemerito 7.0 doge Maurizio Galbaio,
verso cui la repubblica andava debitrice
di ogni suo migliore prosperamento. E-
gli adunque per provvedervi, sapiente-
mente decretò da prima l'erezione d'una
particolare sede vescovile in Rialto, con
di smembra mento dalla diocesi di Mala-
mocco; poi ne chiese a Papa Adriano I
la facoltà, avendo trattato con esso della
sede, del titolo e delle rendite della nuo-
va diocesi; in fine, col patriarca di Grado
Giovanni 1, convocata la generale assem-
blea e un sinodo provinciale in Mala-
mocco, coll'intervento di tutto il clero del-
la veueziana consociazione, si stabilì 1' e-
rezione d'un vescovato nell'isola d' Oli-
volo, una delle Reaitine, poscia Venezia,
affatto diverso da quello di Malamocco;
e si elesse il pastore che pel 1 .° ne dovea
assumere il governo, nella persona di O-
helerio o Obelibato. L' estensione della
diocesi fu circoscritta alle sole isole Reai-
tine, già della diocesi di Malamocco, os-
sia alla presente città di Venezia; eie ren-
dite delia mensa pel suo mantenimeuto
furono limitate alle decime mortuarie su
tulle le famiglie della città. La fondazio-
ne quindi della veneta diocesi e l'elezio-
ne del suo i.° vescovo si deve riconosce-
re all'anno 775, o forse al 776, massi-
me se il fatto propriamente s'abbia a ri-
ferireaJmesidi gennaio o febbraio del 775
move veneto^ i quali secondo il calcolo co-
mune, rilevato nel § XIX , ri. 2, appar-
tengono veramente al 776. La giurisdi-
zione della cattedrale vescovile d'Olivo-
lo, ristretta allora alle sole isole Reaiti-
ne, preparava nella città di Venezia gli
elementi ad assai più ampio territorio.
Era l'isola d'Olivolo mollo solida, e for-
mava da se sola una distinta comunità
in fra le altre, che componevano 1' inte-
ro corpo della città } distinta da Rialto,
YEN
e indicata altresì col nome di Castello;
il perchè quelli che la popolavano, era-
no nominati Olivolenses vel habitatores
Casini Olwoli, del cui vocabolo feci (li-
verse parole nel § Vili, ti. i e altrove. Si
chiamava poi Castello di Olinolo, ed an-
co semplicemente Castello, a cagione ap-
punto del castello che vi avevano fab-
bricato i veneziani, a difesa delle altre iso-
le Reaitine, ed a guardia del vicino por»
to di s. Nicolò; il quale nome di Castel-
lodi Olìvolo, odi Castello, derivò a tut-
ta l'estensione dell'isola, prendendosene,
come suol dirsi , una parte per il tutto.
Rimanevano, come restano , nel sestiere
di Castello, le due vicinissime isole Ge-
mine, delle quali ora non trovasi indizio
di separazione; sebbene si conosca, aver
avuto pur esse il proprio tribuno parti-
colare, da cui erano governate: pare che
comprendessero il tratto aucora occupa-
to dalle chiese di s. Zaccaria, di s. Gio-
vanni iti B t'agora (che nel descriverla nel
§ Vili, n. 4, feci pur menzione dell'isole
Gemine), e dall' aree ove sursero fino a'
uostri giorni le chiese di s. Procolo, di s.
Severo, de'ss. Filippo e Giacomo (discor-
se nel § VI, n. 2, e nel § Vili, u. 1 2 e ri.
7 1 ). Dissi pure, a suo luogo, che tale isola
primaria, pare ch'abbia avuto il nome di
Olivolo, perchè sulla piazza dov'è la con-
ca tk'diale, e già patriarcale, di s. Pietro
di Castello, vegetava un albero smisura-
to ili olivo, o con più di ragione, per-
chè di molti oli veti era sparsa tutta l' i-
sola. Si credè pure derivato il nome dal-
ia forma d'oliva che ha l'isola, o a pare-
re del Gallicciolli, per originare dal gre-
co e per dirsi nella sua primitiva deno-
minazione: Pago Olivos, ossia Castellet-
to , pari ad Oligolensìs. Da una s\ gran-
de ampiezza dell'isola, convenendosi da-
gli scrittori l'erezione in essa della catte-
drale, variarono però nel determinarne
il preciso sito. Taluni la dissero stabilita
ove elevasi la basilica di s. Pietro, già
cattedrale e ora concattedrale; altri ver-
so la punta dell'isola di Quinavalle, os-
VEN iot
sia del luogo detto propriamente Oli-
volo o di Castello stesso, ove eretta era
la chiesa antichissima de* ss. Sergio e
Racco, la quale precede P esistenza di
quella di s. Pietro, che a quella fu sosti-
tuita almeno uell'anno della fondazione
della diocesi Olivolese (in questo caso
la chiesa de' ss. Sergio e Bacco sarebbe
slata fino allora propriamente non la
cattedrale, ma piuttosto la chiesa del pa-
triarca di Grado, o riguardata per prin-
cipale , o meglio perchè fu sostituita da
quella di s. Pietro che divenne cattedra-
le, giacche sino all'erezione di questa, tro-
vo che lai." chiesa parrocchiale era quel-
la di s. Giacomo di Rialto; ma non si
deve tacere l'opinione, che da principio
la cattedrale fu piantata in s. Teodoro;
lutto però più sotto chiarirò col patrio
storico, come promisi, descrivendo l'ori-
gine della chiesa di s. Pietro), altri nel-
P isola di s. Elena, la quale erronea-
mente si credette da taluno che fos-
se unita all'intero corpo della città, e fu
di ragione de'vescovi; altri persino P in-
dicarono nel Morso, ossia sull'estremità
occidentale dell'isola, presso fa chiesa di
s. Teodoro antico protettore della città,
la cui fabbrica si attribuì a Narsete, va-
riamente chiamalo anche Nersete , poi
compresa in quella della basilica Marcia-
na. Ciò potrebbe essere, poiché il io. ' do-
ge Agnello Partecipazio, appeua trasfe-
rita da lui oell'81 1 o nell'8i3 da Mala-
mocco in Rialto la stabile sede ducale e
del governo della repubblica (avvenimen-
to che anco qui dirò memorabile, poiché
die' principio alla singoiar città, che as-
sai posteriormente lasciato il nome di
Rialto , assunse quello di Venezia), in-
cominciò a fabbricare accanto alla chie-
sa di s. Teodoro, e fu il i.° germe del
palazzo ducale, invece della tribunizia a-
bitazione a'ss. Apostoli; e più tardi cioè
nell'827, quando sotto il dogado del di
lui figlio e successore Giustiniano Parte-
cipazio, fu portato il corpo di s. Marco
Evangelista, tosto proclamato principale
io2 VEN
protettore, fu incominciato l'edifizio sa-
gro in suo onore. Ed allora il vescovo, per
dar luogo tanto all'erezione di quella ba-
silica, che all'abitazione del doge, si tra-
sferì forse all'altra estremità dell' isola,
alla punta cioè di Castello. Fra le diver-
se analoghe osservazioni che eruditamen-
te fa lab. Cappelletti, per concordare il
riferito dagli scrittori, notò ancora: » che
nel giro di tanti secoli e di tante vicen-
de, la cattedra pastorale della nostra cit-
tà, rimasta per mille anni iu s. Pietro di
Castello, ritornò alla fine colà, dove ave-
va avuto la sua primitiva stazione; nel
tempio di s. Marco, il quale fu piantato
sul precedente di s. Teodoro: sempre per
altro ella stette nella medesima isola d'O-
livolo. Era naturale, che piantata la cat-
tedrale vescovile in Oli volo, il vescovo
dovesse assumere il titolo di Olivolese.
Ma poiché dal nome del luogo, su cui fu
stabilita la sede, derivò anche l'intitola-
zione del vescovo, così col variare di quel-
lo, variò anche il titolo vescovile. Quan-
do infatti, nel declinar dell'Xl secolo, l'i-
sola d'Oli volo, e più precisamente il sito
dovestava la catledrale,incomiuciò a no-
minarsi Castello^ a cagione del castello
ch'eravi fabbricato, anche il vescovo co-
minciò a dirsi Vescovo Castellano. Tal-
volta però, ma ben di rado, dal nome
dell'intera città si chiamava anco Vesco-
vo di Rialto , ovvero Rivoaltese , e così
trovasi nominato in una carta dell'8 1 9,
e in altra del ioo5, Rivoaltensis Sedis
Episcopis. S\ nominava altresì Vescovo
de morti 3 per due cagioni: i.° perchè so-
leva accompagnare i funerali de'suoi dio-
cesani^.0 e principalmente perchè il suo
primario provvedimento derivava nelle
decime sulle sostanze de'morti ". — Il 1 ,°
vescovo d'Oli volo Obelerio del 775, è de-
nominalo con varianti di lieve momento,
che non alterano la sostanza del nome.
Era figlio d'Eneangelo, chiamato egli pu-
re con alcuna differenza di lettere, e dal
Sansovino col nome di Massimo, forse co-
gnome o altro nome che avea, tribuno
VEN
di Malamocco, e apparteneva al clero di
quella città e di quella chiesa: resse oltre
22 anni la chiesa olivolese e morì nel
798. — In questo gli successe Cristoforo
/greco da Damiata o della famiglia Da-
miati, secondo la Cronaca Altinalc con-
sanguineo del patrizio Nersete e fratello
di Longino prefetto di Ravenna. Narrai
nel dogado 8.°, nel n. 4 del § XIX, che
Giovanni I venerabile patriarca di Gra-
do, si ricusò di consagrarlo per non ave-
re l'età canouica, come giovanissimo di
16 ovvero 22 anni. Ciò fece montare in
furia l'indegno doge Giovanni Galbaio,
il quale portatosi a Grado col figlio Mau-
rizio (non si deve confondere coli' enco-
miato doge di tal nome e suo avo), cru-
dele quanto il padre, che J'avea associa-
to al principato, e con sicari io trucida-
rono, anche per averli ammoniti di loro
turpe vita. Al magnanimo prelato suc-
cesse nell' 8o3 nel patriarcato il nipote
Fortunato, che non solo si rifiutò ordi-
nare Cristoforo I, ma gli riuscì nell'8o4
a far eleggere doge Obelerio Antenoreo,
per cui i due Galbai furono costretti a
fuggire dalle venete Lagune, in uno al-
l'eletto Cristoforo I. Allora i veneziani in-
trusero uellJ8o4 nella sua sede un Gio-
vanni diacono (egli è diverso da quel Gio-
vanni che alquauto dopo usurpò la sede
di Grado), il quale esercitò per qualche
tempo il pastorale ministero. Ma caduto
nelle mani di Fortunato, lo fece porre in
carcere a Mestre; donde essendo fuggito
tornò a Venezia. Intanto riuscì a Cristo-
foro I di guadagnarsi il favore del pa-
triarca Fortunato, l'intruso Giovanni do-
vette ritornare alla natia oscurità della
casa paterna, e Cristoforo I nell' 807 fu
ristabilito e prese il possesso della sua se-
de. Però non andò guari, ch'egli non fos-
se di nuovo cacciato, per sospetti di for-
mati concerti co' franchi, presso i quali
nel suo esilio erasi rifugiato. Fu condot-
to a Costantinopoli, sotto pretesto di far
cosa grata all' imperatore Niceforo , che
ne avea procuralo l'elezioue, ma ivi ginn-
V E W
lo, fu da lui rilegato. — Nell'8 1 o ft> no-
minato il 3.° vescovo della chiesa d'Oli-
volo, Cristoforo II Tancredi o Tancre-
dOyCome lo eh ia tua no alcuni, greco e pie-
vano di s. Moisè, che vuoisi fratello del
generale Nersele. Egli viene accusato di
aver ingannato gli elettori nel rappresen-
tare vacante la cattedra olivolese e per
farsi credere degno di possederla; certo
è che tutti lo qualificano ipocrita, e l'ab.
Cappelletti, pel suo operato, opina do-
versi riputare illegittimo e intruso, ben-
ché annoverato tra vescovi. Per altro non
durò molto, poiché colpito d'apoplessia
o da epilessia, mentre pontificava solen-
nemente in s. Teodoro, presente il doge,
il popolo ignorante lo credè agitato dal
deiuouio, e perciò non volle più ricono-
scerlo per pastore; anche per averne sco-
perto l'indole perversa, che avea saputo
celare. Nell'8 i 3 nou era più vescovo, e
tornato pievano di s. Moisè, il che pare
strano. Dall'uniformità poi degli scritto-
li , in affermare accaduto il fatto nella
chiesa di s. Teodoro, uel mentre ch'egli
solennemente funzionava, l'ab. Cappel-
letti trova vieppiù confermata l'opinio-
ne, che là fosse stata piantata da princi-
pio la cattedra vescovile (ma il Corner
nuovamente riparla della cattedralità
della chiesa de'ss. Sergio e Bacco, dicendo
del 3.° vescovo d'Olivolo Cristoforo li,
che a suo tempo furono trasportate le ossa
di que'santi e collocate nella loro chiesa
allora cattedrale dellacittà, in decente
urna di marmo. Indi aggiunge del 4-° ve-
scovo d'Olivolo Orso, che, sollecito del
divin culto, volle riedificare con migliore
e più ampia struttura la chiesa di s. Pie-
tro, la costituì cattedrale, trasferendo in
essa l'insigni reliquie de'ss. Sergio e Bac-
co. E descrivendo le reliquie che si ve-
nerano in s. Pietro , di nuovo afferma,
che i vescovi d'Olivolo risiederono pri-
ma nelf antica cattedrale de'ss. Sergio e
Bacco, poscia nella nuova chiesa di s. Pie-
tro, ove si venerano i corpi de'ss. Sergio
e Bacco. Lo Stalo pcrsonalet dice ciak la
VEN io3
chiesa di $. Pietro divenne cattedrale nel
775, ch'è l'epoca della fondazione del
vescovato, mentre Orso fio ri nell'827,
come vado a dire. Ma e come notai nel
§ Vili, B.f, riferendo le diverse opinioni
sull'origine di essa, sembra la più proba-
bile quella dell'ab. Cappelletti,coucordan-
do a un tempo quanto riguarda le chie-
se de'ss. Sergio e Bacco e di s. Teodoro).
Diversi scrittori delle cose veneziane con-
fusero il vescovato de'due Cristofori e le
cose avvenute, protraendo quello del 2.0
erroneamente, ed il Corner facendo mor-
to Cristoforo 1 in Costantinopoli. Invece,
deposto Cristoforo II, almeno nell'8i3,
iu questo fu richiamato dall'esilio in Gre-
cia Cristoforo I, e nuovamente per la 3."
volta ristabilito nella sede, com'è pure
registrato nello Stato personale. L' ab.
Cappelletti lo prova con critica erudizio-
ne, e adduce pure il riferito dal diligen-
tissimo ed eruditissimo archeologo cav.
Cicogna, nelle sue Tavole cronologiche
della storia veneta^ le quali formano par-
te dell'opera municipale di Venezia e le
sue Lagune. Sembra morto oell'827 in
cui già trovasi eletto il 4-° vescovo — Orso
I Partecipazio^ che alcuni pretesero fi-
glio del doge Agnello Partecipazio , ma
non è sicuro. Nell'anno stesso di sua pro-
mozione avvenne il memorando trasferi-
mento del corpo di s. Marco Evangelista
da Alessandria a Venezia , di cui parlai
in più luoghi del presente articolo, iu uno
all'identità incontrovertibile del s. Cor-
po, e l'ab. Cappelletti ne fa diligente rac-
conto col verace cronista Dandolo. Il do-
ge Giustiniano Partecipazio lo fece depo-
sitare nella cappella ducale, e decretò che
là dove sorgeva il tempio di s. Teodoro,
altro sene piantasse magnifico e sorpren-
dente, intitolato a s. Marco, e ne vide il
principio. Orso vescovo ne benedì co'sa-
gri riti lai.3 pietra, e la collocò nelle fon-
damenta. Questo celebreavvenimento av-
valorò l'antichissima tradizione che il s.
Evangelista vivente visitò le Lagune, al
modo che uarrai nel § X, u . 27, ed attestò
io4 VER
«'veneti una rnauifesta solenne prolezio.
ite del cielo verso la città e la repubbli-
ca di Venezia. » San Marco Tu allora pro-
clamato da tutte le voci protettore e pa-
trono di questa e di quella; e si, che il
popolo, nella sua fiducia e nell' entusia-
smo pei- lui, si avvezzò ad alternate ed
immedesimare eoll'idea della patria stes-
sa l'idea del suo protettore; e il grido po-
polare di Viva s. Marco! diventò il gri-
do di guerra egualmente che l'espressio-
ne d'un sentimeulo'ciltadinesco, che fu
sempre il segnale di riunione M* pericoli,
e che ne'giorni della sciagura egualmen-
te ciie dell'allegrezza trasse sul ciglio di
ogni buon patriota lagrime ili tenerezza
e di a (lezione sincera ". — Divido colla
massima espansione d'animo tali religiosi
sentimenti, cogli egregi e rispettabili ve-
neziani tutti, e vi aggiungo quello di pro-
fonda e inesprimibile riconoscenza, lui*
perocché., neli83g l'articolo Venezia lo
scrissi ini 58 grandi pagine. Dovendo poi
ridurlo nelle proporzioni più ampie, a-
dottate nel punto di stampare questo mio
Dizionario , per quanto dichiarai inge»
imamente nel voi. XC, p. 2i5, dal gior-
no 3 1 marzo 1 858 in cui cominciai a sci i-
veie questo articolo, fino al suo compi-
mento a'3i dicembre i858,che compren-
de i3oi pagine, parimente da me scritte
in grandi pagine, quotidianamente e con
fervore più volte implorai con fiducia il
patrocinio del santo Evangelista (.anco
durante le stampa : terminata, non lo
dimenticherò), siccome abbagliato e tre-
pidante dell' imponente argomento. E
mentre io qui iu Roma scriveva 1' ar-
ticolo Venezia, in questa si comincia-
va seuza iuterruzione la stampa, sulle
cui prove feci non poche aggiunte, per-
ciò non comprese nel mio mss. Ilo det-
to tutto per gratitudine a Dio e all'in-
vocato Patrono de'veueziaui, perciò: Vi-
va a. Marco! — L'erezione del tempio
di s. Marco, portò di necessaria conse-
guenza la demolizione di quello di s. Teo-
doro; « perciò anche il vescovo Orso, di-
V E N
chiara l'nb. Cappelletti, il quale nvea in
s. Teodoro la cattedra pastorale, si tra-
sferì ad altro luogo. Non già a s. Pietro,
perchè quella basilica non per anco esi-
steva, ma bensì all'antichissima de'ss. Ser-
gio e Bacco; donde più tardi all'altra di
s. Pietro passò. Dissi, che la basilica di s.
Pietro non per anco esisteva, perchè sap-
piamo dal Dandolo, diedi essa pure get-
tò le fondamenta lo slesso Orso. E per-
ciò probabilmente si accinse a fabbricar-
la, perchè la troppa strettezza di quella
de'ss. Sergio e Bacco era disdicevole allo
scopo, a cui doveva servile, di chiesa cat-
tedrale. E con molla celerilà la condus-
se al suo termine, o almeno la ridusse in
grado da poter essere ufficiata: in capo ad
otto anni soli, dacché ne avea posto le
fondamenta, precisamente nell'841» essa
era condotta a tal punto; ed in essa por-
tava le 6agre spoglie de' ss. Martiri sud-
delti , le quali il s. vescovo Magno avea
trasferito da Eraclea alla chiesa suindi-
cata, che ne portava il titolo. E le ossa
di que'ss. Martiri tuttora vi riposano. La
consagrò il dì 3o maggio". Il eh. Zanot-
to nella Nuovissima Guida di Venezia,
descrivendo la chiesa di s. Pietro di Ca-
stello, ecco come si esprime. « Fondata,
secondo la tradizione, da s. Magno, o co-
me altri narrano, da Orso Partecipazio
vescovo, per rivelazione di detto santo
dall'832 all' 84 1 ••• L'antica chiesa, co-
strutta al modo greco, era al di fuori or-
nata con monumenti e depositi, a simi-
litudine di quella de'ss. Gio. e Paolo".
Anche la chiesa di s. Marco, se deve cre-
dersi alla Cronaca Alti naie, fu condotta
al suo compimento sotto il vescovato di
Orso. Jn essa egli stesso collocò le sagre
spoglie dell'evangelista s. Marco, e la con-
sagrò con solenne rito. Ma ciò dev'esse-
re inleso della basilica ridotta soltanto al-
lo stato di poter essere ufììziata e nulla
più, avverte lo storico; non già a quella
magnificenza, a cui la vediamo oggidì, la
quale fu opera de'secoli successivi, secon-
do la descrizione che uè feci nel § V, o voi.
V E W
XC. p. 247. Il vescovo Orso visse lunga-
mente at> ovvero 3o anni nel seggio pa-
storale,altri accorciandone il tempo, per-
ché sono incerti l'anno e il giorno di sua
morte. Usuo testamento è de'i3 febbraio
853 more veneto, cioè 854, ed in cui
splende la sua pietà e generosità. Con esso
donò la chiesa di s. Lorenzo colle sue ap-
partenzealla sorella,acciò nel fondato mo-
nastero attendesse alle divine lodi, ordi-
nando che la chiesa di s. Severo vi fosse
unita, il tutto avendo narrato nel § X,
n. 4- Lasciò 3oo libbre d' argento alla
chiesa di s. Pietro da lui fabbricata, ed
il resto di sue possessioni volle divise in 3
parti, una per redimere gli schiavi, l'al-
tra a sovvenimento de'sacerdoti e de'po-
veri, la 3.a pel l'istauro di chiese e mona-
steri. — - Il 5.° vescovo Maurizio o Mau-
ro Dusìniaco o Busnadego lo divenne
nell'854 o più. tardi, non essendo certo
che in tale anno morisse il predecessore;
e non è vero che gli succedesse Zacca-
rìaCandianojch'vtìmnìo pmeZuanne Sa-
nudo, moderno cognome de'Candiani, co-
me pretesero alcuni, altri anticipando il
supposto suo vescovato all' 81 1. Mauri-
zio già pievano della chiesa di s. Marghe-
rita, edificata dal padre suo Giovanni o
Gcnanio, come lo chiamai col Corner nel
§ Vili, n. G3, la cousagiò. 11 Cappelletti
corregge taluno che narrò nel suo vesco-
vato il rapimento delle spose veneziane,
di cui nel detto §, 11. 7, e POrsoni, che
lo raccontò sotto il predecessore, copian-
done le paroledal Filiasi, Cronologia sto*
r'tcade'vescoviOlivolesi^c. Maurizio vis-
se io anni. — Domenico ITradonico6.°
vescovo gli successe nell' 864, che Coleti
e Ughelli ritardano, veneziano e figlio di
Giovanni Apolo, onde si potrebbe chia-
mar con tal cognome, eletto a insinua-
zione del parente doge PietroTradonico: è
pure denominato Patrizio (ma sembra er-
rore e doversi dire Partecipa/io). Gli scris-
se nell'877 Papa Giovanni Vili, insieme
a Leone vescovo di Caorle, incaricandoli
a iuduire i vescovi Felice di Malamocco
VEN io5
e Pietro d'Equiliò a recarsi in Roma per
l'affare dell'eunuco Domenico Caloprino
eletto vescovo di Torcello, protetto dal
doge Orso I Partecipazio pel riferito nel
§ XIX, n. 5, dogadoi4.° Per detta data
devesi escludere nella serie de' vescovi
Crasso Fazio o Zago, che alcuno inserì,
come l'Ughelli. — iNell'877 Giovanni!
Sanudo oCandiano 7.°vescovo,e non più
tardi: il Cappelletti esclude dalla crono-
logia Giovanni Avventurato, benché ri-
portalo dall'Ughelli, e sebbene la sua ef-
fìgie, sulla fede del Sansovino, fu dipinta
nella sala del palazzo patriarcale in s. Pie-
tro di Castello. — Invece Lorenzo I Ti-
mens Deum o Tcmidìo, nell'8 80 fu l'8.°
vescovo veneto; abitava in Malamocco,
e figlio eli Barba Taurello,i cui parenti di-
moravano a Torino. Sostenne nell'883 o-
norevole legazione pel dogeGiovanni Par-
tecipazio 11, all'imperatore Carlo Hi il
Grosso, da cui ottenne a favore de' ve-
neziani un diploma, e morì nel maggio
909. Alcuno lo disse ucciso dal popolo,
perchè violentemente portavasi qua e là
ad esigere le decime mortuarie, di che
non lasciarono memoria gli antichi scrit-
tori. La stessa cosa altri invece narrano
del vescovo Uamperto Polo, morto ver-
so il i3oq. — Vescovo 9.0 nel 909 fu
Domenico II Pitonico (meglio Villoni-
co), di cui scrisse l'Altinate col suo bar-
baro e scorretto stile, qui fitti nacio-
ne suorum pareti tum de veda Verce-
linsi civita te } habitatores in Mata-
mauco et in Rivo allo sfilili* Barbe Ro-
manus Vilinicus in ecclesìa s. Mauri
martiri s erat resìdens. Egli fu promos-
so dal popolo col consenso del patriarca
di Grado e del clero, ma contro la vo-
lontà del doge, ne perciò ebbe da questo
l'investitura, ma prese da per se il basto-
ne pastorale dall'altare di s. Marco, in no-
me del quale si dava (di queste investi-
ture ecclesiastiche parlai nel § VI, n. 2,
e nel § XIX , n. 3). Morì nel dicembre
9 1 o, o al più nel gennaio 911. — -Ilio.0
vescovo Domenico III David Qrcia-
io6 VEN
no, figlio di Pietro Orciano, nel gii
fu sollevato anch'egli alla dignità per e-
lezione del popolo, che a tutta forza
lo volle benché avesse moglie e figli,
mi onta che a tutto suo potere vi si op-
ponesse. Ne venerava il popolo la pu-
rezza e santità di costumi, e perciò sì vi-
vamente insistette nel volerlo a pastore,
che alla fine si trovò costretto a cedere
alle comuni istanze. Ricevuta l'episcopa-
le consagrazione, tenne tuttavia nel suo
palazzo presso di se la moglie ed i figli;
dicono per altro gli antichi storici, ch'e-
gli vivesse con la moglie in perfetta con-
tinenza. »» Ciò attesterebbe, in quella età
non essere stata per anco tra' veneti, for-
se per la frequente loro comunicazione
cogli orientali, così stretta ed immutabi-
le la legge del celibato, come lo è presen-
temente alla Chiesa latina; perchè, egli è
certo, dice il Gallicciolli, Meni. veri, anti-
che, che se la disciplina di que'tempi in
Venezia avesse escluso assolutamente da-
gli ordini clericali gli ammogliati, clero e
popolo non avrebbero immaginato di e-
leggere un tal uomo vescovo, né i prela-
ti l'avrebbero ordinato". Altro punto di
ecclesiastica disciplina viene attestato dal-
le cronache antiche, ed è che il clero ve-
neto non portava allora la barba, o al-
meno non l'usava alla foggia de'secòlari;
il perchè costretto Orciano ad esser ve-
scovo, gli raserò la barba (di questa ri-
parlai nel § XVI, n. 2, o vol.XCI, p. 365,
e di quella deMogi nel § XIX, n. 3). Il
Torrelli, ne Secoli Agostiniani, si forzò
a dimostrare questo vescovo pellegrinan-
te avere appartenuto nella giovinezza a-
gli eremiti agostiniani, ma i suoi argo-
menti non sono che di probabilità; inve-
ce trovasi notizia del suo stato coniuga-
le e della sua convivenza colla moglie e
co'figli nell'episcopio; ed egualmente che
il Torrelli , errò quindi chi nella ,ala
dell'antico patriarchio a s. Pietro di Ca-
stello lo avea fatto dipingere vestito in
abito di eremita agostiniano. La cronaca
Zolfina ne cambiò il nome in Anasta-
VEN
fio III romano, confondendolo col Pa-
pa che allora regnava. Visse 9 anni e non
di più. — Nel 920 trovasi l'i i.° vesco-
vo Giovanni II, e governò almeno sino
al 929. — In taleannogli successe ili 2. °
Pietro I Tribuno o Tron, figlio del de-
funto doge omonimo, che alla chiesa di
6. Maria Formosa fece quanto notai nel
descriverla nel § Vili, n. 7, morendo nel
cader del 937,0 nel principio del 938. —
In questo comparisce ili 3.° vescovo Or-
so II Magadisoo I\lagadisìo veneto, già
vicario di s. Cassiano, lodato per bontà
di vita e sapienza. Fu a suo tempo, alla
sua presenza e mentre celebrava pontifi-
calmente nella cattedrale d'Olivolo, a'3i
gennaio 930 circa, ovvero nel 932, che
i triestini approdati furtivamente nel tem-
pio audacemente rapirono le spose vene-
ziane, ratto che altri ritardano al 935 e al
944» 'e quali, giusta il costume, il vesco-
vo co'sagri riti nuziali dopo la messa do-
vea benedire. Avverte l'ab. Cappelletti,
che tale funzionerei ta \a festa delle Ma-
rie, facevasi sempre a'3i gennaio, e non
ili.° febbraio o vigilia della Pnrificazio-
ne,come altri scrissero. — Immediato suc-
cessore e 1 4° vescovo nel 945 fu Dome-
nico IF T aionico o Tradonico veneto,
cappellano di s. Marco e cancelliere del
doge Pietro Candiano III, che pose le re-
liquie di k. Gio. Battista nella chiesa di
s. Gio. Battista in Bragora , come notai
parlandone nel § Vili, n.4; e siccome ivi
riposa il corpo di s. Giovanni Elemosina-
rio, sospetta l'ab. Cappelletti che fosse col-
locato,invecedi dette reliquie,dal vescovo,
il quale terminò di vivere nel 9>5. — In
quello ne fu successore il 1 5.° vescovo Pie-
tro II Marturio veneto da Quintavalle,
ossia nato nell'estremità orientale dell'i-
sola d'Olivolo, il quale col padre e altri
parenti fondò la chiesa di s. Agostino par-
rocchiale , e con testamento la soggettò
in perpetuo a'vescovi suoi successori, il
che non mancai accennare nel n. 53 del
citato §. Nel 960 fu radunato in Rialto
il sinodo provinciale, a cui Pietro II, col
V E N
patriarca diGrado Buono Blancanico,tro-
vossi presente con altri vescovi e ne sotto-
scrisse gli atti, che ilCappellelti dice ripor-
tare nella Storia della Chiesa di Vene-
sia, non per anco compiuta. Forse è que-
sto quel sinodo, in cui furono decretate se-
verissime pene contro que'veneziani che
portavansi ne'porti di Soria e dell'Egit-
to, che le leggi civili punivano di morte,
perchè lemevasi che facessero co'sarace-
ni traffico di legname o di ferro o altri re-
lativi articoli, o somministrassero loro fa-
cilità d'aver armi per la guerra, che coro-
battevasi dalla repuhhlica veneta colle-
gala co'greci. E qui dirò coll'ab. Cappel-
letti, che anteriormente, non ostante il
ci vii divieto, approdarono in Alessan-
dria, Buono tribuno di Malamocco e R.u-
stico cittadino di Torcello, come lo qua-
lifica, i quali poterono acquistare il teso-
lo delle spoglie di s. Marco. O feti jc cul-
pa! Certamente nel sinodo del 960 s'im-
posero severe pene ecclesiastiche contro
il riprovevole traffico degli schiavi cri-
stiani, clw i veneti solevano fare , come
raccontai in fine del n. 4 del § XVI. Ap-
prendo dagli Annali Urbani di Vene.ziai
del cav. Mulinelli, all'anno 960, che il si-
nodo, cui pure intervenne il vescovo di
Torcello Pietro IV, fu tenulo nella cap-
pella ducale di s. Marco, ilche prova l'am-
piezza eziandio della primitiva chiesa, fi-
gli pure narra, chea niuno garbava il ne-
goziato infamissimo di schiavi che i libe-
ri veneziani facevano, i quali non sola-
mente continuavano ad adoperarli ne'bi-
sogni loro, ma eziandio li vendevano a-
gli africani (!) e ad altri popoli; per nien-
te poi garbava a' veneziani , che lettere
dall'Italia e dalla Germania a'greci e al
greco imperatore si recassero. Potendo
adunque da quel traffico tanto scanda-
loso e da quel clandestino trasporto di
lettere venirne forse pessime conseguen-
ze, opportunamente si volle impedire i
due inconvenienti, col mezzo allora più
di qualsivoglia altra pena temuto. Perciò
si fulminò l'anatema e si tolse la parie-
VEN io?
cipazione del Corpo e del Sangue del si-
gnore, a' trafficanti di schiavi, ed a que'
che private lettere portavano a Costanti-
nopoli. Erano questi i secoli barbari ! ? 11
Mulinelli di più offre il testo de' 5 cano-
ni decretati dal sinodo. Morì Pietro II
nel 964- — Nello stesso gli fu sostituito
il 1 6.°pastore Gregorio di Giorgio o Zor-
ziy la cui famiglia ancora sussiste, e per
nomarsi il padre Andrea, tribuno d' E-
quilio , alcuno lo disse Andreadi quasi
fosse cognome, ovvero per questo i copi-
sti presero il nome paterno. — ■ Al bre-
vissimo suo governo soltentrò il 17.° ve-
scovo Marino Crtss/Vz/i/co, che sedette più
di 20 anni, encomiato per virtù e pietà.
Nel 97 1 si adunò in Rialto un sinodo, in
cui nuovamente fu vietata qualunque co-
municazione co'saraceni. Morì nel 986 o
al più tardi nel 987. — Dopo probabile se-
de vacante nel 992 fu 18.0 vescovo Do-
menico V Gradonico veneto, dell'odier-
na famiglia Gradenigo, consagrato da Vi-
tale IV Candiano patriarca di Grado, alla
presenza del doge Pietro II Orseolo, che
lo avea eletto, e dal quale poi fu investi-
lo e intronizzato. Raccontai nel n.i3 del
§ XVI11, che dal benedire solennemente
nella cattedrale di s. Pietro d'Oli volo que-
sto vescovo nella festa dell' AscensioneggS
la bandiera della repubblica, e consegnar-
la al dello doge nell'intraprendere la fa-
mosa spedizione contro gli slavi, di cui
fu vincitore pel conquisto della Dalma-
zia e della Croazia, ebbe origine la ma-
gnifica solennità, che poi si fece in quel-
la dell' Ascensione, e la consuetudine di
ricevere in essa il vescovo a s. Nicolò di
Lido il doge, quando ivi dalla cattedra-
le d' Olivolo fu trasferita la cerernonia;
funzione che divenne più splendida, do-
poché nel 11 77 Papa Alessandro III do-
nò al doge Ziani l'anello d'oro per spo-
sare il mare, onde il rito fu detto benedi-
zione del mare e volgarmente sposalizio
del mare. Domenico V, decorsi 33 anni e
6 mesi di vescovato , dopo aver veduto
arricchire Venezia del corpo di s. Barba-
io8 YEN
ra di Nicomedia, di die nel $ XVIII, n.
?.3, e di (jtiello di s. Tarasio , di cut nel
voi. XCI, ». io4, terminò la suo carrie-
ra mortale nel 1 026. — Subito ne occupò
la cattedra il figlio del fratello, Domeni-
co 1y I Gradoìiico% 1 c).° vescovo oli volese,
ai cui tempo e nel 1 o jo fu celebralo un
sinodo provinciale in Rialto nella basilica
di s. Marco (per singoiar coincidenza, iu
tale anno anche in Vannes fu tenuto un
concilio, egualmente sulla disciplina ec-
clesiastica : per l'avvertito quasi in princi-
piodi questo §,forse non sarà inopportuna
la nota clie <jui scrivo), col suo intervento
e in presidenza d'Orso Orseolo patriarca
di Grado : già ne discorsi nel § XI X, n. 6,
dogado 29. °, e si trattò di vari punti di
disciplina ecclesiastica alla presenza del
doge. Nel seguente anno tra il vescovo e
il detto patriarca si fece transazione sul-
lo gravissima controversia per la giuris-
dizione della chiesa de'ss. Gervasioe Pro»
tiisiojcheaccennai nel § Vili, n.66,e l'nb.
Cappelletti ne produce il documento. Nel
vescovato di Domenico VI , oltre la no-
minata chiesa, furono edificate quelle di
s. Apollinare, e di s. Secondo neh' isola
del suo nome. S'ignora l'epoca precisa di
sua morte e sembra iho44- — 'Contem-
poranea pare l'elezione del 20.0 vescovo
Domenico P II Conta ri ni. Appartiene al
suo tempo la fondazione fatta dal fratel-
lo doge Domenico Contarmi, del mona-
stero di s.Nicolò di Lido, essendo patriar-
ca gradeseDomenico IN Marengo; così vi
concorsero 3 Domenici , come si ha dal
documento, in cui Domenico VII s' inti-
tola: Domimeli* miseratione Divina E-
piscopus Olivolensisje fra'testimoni d'un
altro documento si legge: Hermacora ar-
ci ri presby ter Olivolensis Ecclesiae testis.
Al medesimo vescovo, Papa s. Leone IX
diresse la bolla Olivolensis Ecclesia e ,del
io53, presso l'Ughelli, p. 1217, di con-
ferma a' vescovi d' Olivolo di tutti i di-
ritti e privilegi ad essi e alla loro chiesa
concessi, forse in occasione che si recò a
Venezia. Inoltre s. Leone IX, come già
V H N
notai nel § XIX, n. 6, dogado 3o.°, rico«
nobbe il patriarca di Grido, e l'annali-
sta Rinaldi diceche talvolta fu detto pu-
re di Trinegiai ne confermò il patriarci-
Io, gli concesse il pallio e diversi privile-
gi. I veneziani riconoscenti alle sue pon-
tificie beneficenze, gf intitolarono la chie-
sa di s. Caterina. La più antica investi-
tura di chiesa veneta che si ricordi, è del
io6q fatta dal patriarca di Grado Dome-
nico III Marengo, afavore del Plebaniun
et Priorcm della basilica di s. Silvestro,
come dissi nel descriverla nel § Vili, n.
56, presso la quale era il loro patriarchio
(però la stabile e legittima residenza de'
patriarchi gradesijn Rialto cominciò nel
1 1 3 1 ). Il vescovo Contarmi chiuse in pa-
ce i suoi giorni circa il 1074* — 1° ess0
sedeva il nipote e figlio del defunto do-
ge, Enrico Contarmi 1 1 .° vescovo oli vo-
lese. Essendo patriarca di Grado Dome-
nico IV Cervoni oCerbono, la somma po-
vertà a cui era ridotto il patrimonio pa-
triarcale, mosse Papa s. Gregorio VII a
scrivere una lettera di rimprovero al do-
ge Domenico Selvo , e alla comunità e
popolo di Venezia, perchè si pensasse ad
accrescerlo decentemente e in proporzio-
ne dell'onorevole sua dignità, e del deco-
ro del loro patriarchatus. Per tanto nar-
rai nel § XIX, n. 6, dogado 3 r .°, che per
tale esortazione il doge prima che morisse
il vescovo Domenico VII ne avea tenu-
to proposito con lui, e quindi nel'settem-
brei074 tenuto un concilio o radunan-
za di vescovi, fra'quali Enrico Contarmi,
di abbati e di magistrati, ne accrebbe al-
quanto le rendile, coll'imporre a ciascu-
na chiesa suffraganea, ed a' prima ri mo-
nasteri della provincia ecclesiastica,un an-
nuo tributo in generi e in denaro. Fu se-
gnalato il vescovato d'Enrico pel faustis-
simo ritrovamento del corpo di s.MarcoE-
vangelista,che celebrai a suo luogo; poiché
da un secolo i veneziani deploravano non
sapere in quale luogodella basilica ducale
fosse stato nascosto, ovvero se fosse stato
involato, mentre il segreto comunicato-
VE N
si progressivamente fra le primarie digni-
tà erasi venuto a perder del lutto. Preoc*
cupati gli animi di tristezza, fu stabilito
farne diligente ricerca. Intimalo un di-
giuno generale di 3 giorni, fatta una so-
lennissima processione, alla quale concor-
se con fervore il popolo, anche di tutte
l'isole e delle città dello stalo, Dio esau-
dì le comuni preci, facendo cadere, alla
presenza della moltitudine, da una colon-
na o pilastro della basilica, alcune pietre
che lasciarono scuoprire la cassa marmo-
rea in cui era chiuso il sospirato s. Cor*
pò che si cercava, fra la gioia e le lagri-
me di tutti. Ciò avvenne a' 25 giugno
1 094, e se ne festeggia tuttora l'anniver-
sario di questa apparizione,come la chia-
ma J'ulEziatura. Narra la tradizione, che
il Santo per indicare ove riposava^ mostrò
dal pilastro un braccio. Certo è, che a-
vanti ad un musaico esprimente la Cro-
ce, sopra il pilastro dell altare di s. Già»
corno,è sempre accesa una lampada avan-
ti. Miracoloso sicuramente fu il discopri-
inento della cassa, la quale si tenne espo-
sta 3 giorni, e poi l'8 ottobre in occasio-
ne della consagrazione (ma nel io85 la
dice avvenuta lo Stato personale) , che
l'ab. Cappelletti afferma celebrata nello
stesso j og4, fu collocata sotto la mensa
dell'altare maggiore, ove si trovò nell'ul-
timo scuoprimento, che dirò alla sua vol-
ta. Tre anni dopo le Lagune furono ar-
ricchite anche del corpo o almeno di
buona parte delle ossa di s. Nicolò ve-
scovo di Mira, di cui tenni ragione nel
citalo n. i3 del § XVIII.
Fé scovi di Castello.
3. 11 vescovo Enrico Contarini fu il
i.°a cambiare il titolo della sua sede
Olivolese, e a dirla invece Castellana ,
probabilmente perchè a'suoi giorni era
andato in disuso il nome di Olivolo e
col solo di Castello se ne nominava tut-
to il sestiere. Questo cambiamento di ti-
tolo si comincia a trovare neh 091, inti-
tolandosi il prelato appunto Benrióus
VEN 109
CoritarcnoGa$tcllanusIipiscopiis,(]i\at\r
do sottoscrisse nel 1107 al diploma del
doge Ordelafo Falier, che donava al pa-
triarca di Grado la chiesa di s. A l'elu-
dano in Costantinopoli. Ma leggo nel de-
creto pel miglioramento delle rendite pa-
triarcali diGrado,piesso lostesso eh. Cap-
pelletti., Le Chiese tV Italia, t. 9, p. 53
e seg., del settembre 1074» discorso più
sopra, dopo la sottoscrizione : tj> Ego Do-
minicus Sylvius Dei gratta Dux consen-
si3etm. ni. ss.j quella immediata: +|+ F-
go Henricus Dei ' grati a Castellanus E-
piscopus subscripsi. Seguono le sotto-
scrizioni degli altri 4 vescovi, degli abba-
ti e degli altri che intervennero al sinodo
o radunanza, per migliorare la mensa del
prelato gradese. Dunque da sì solenne at-
to si ricava, che già il vescovo d'Olivolo
avea assunto nel 1074 il titolo di Castel-
lo. Morì Enrico a* i5 novembre 11 08.
— Pochi giorni dopo fu eletto 22.0 ve-
scovo Pitale I Michel veneziano e vi-
cario della chiesa di s. Paolo. Ormai tra-
lascio di registrare le cose più. comuni già
discorse a'loro§§ riguardanti le fondazio-
ni di chiese e monasteri, e il trasferimento
in Venezia di ss. Reliquie, altrimenti suc-
cederebbe una monotonia di continua-
le citazioni, pel numero grandissimo del-
le fondazioni e de'sagri tesori da cui fu
arricchita Venezia,così pure di consagra-
zione di chiese e altari, e per accorciare
il mio dire; il tutto avendo riferito, prin-
cipalmente col Corner, a' luoghi loro,
laonde sarebbero troppe ripetizioni. Vi-
tale 1 lasciò vedova la sua chiesa di Ca-
stello nel dicembre 1 1 20, e mentre a' 1 6
gli si celebravano i solenni funerali in s.
Pietro di Castello, la troppa quantità di
lumi o la trascuranza de'chierici, pro-
dusse tale incendio che distrusse la catte-
drale, e con essa perirono altresì tutte le
contigue fabbriche e abitazioni. — Nel dì
seguente 17 dicembre fu consagrato sa-
cerdote il 23.°vescovo fr. Bonifacio Fa-
lier eremitano agostiniano, acclamato
dal clero e dal popolo successore al de-
no VEN
imito, e nella susseguente domenica ri-
cevè l'episcopale consagrasione, ossia nel
dì seguente 1 8 dicembre. Nobile di stir-
pe, più nobile per le virtù, contro sua
voglia ricevè la dignità, tra V esultanza
del popolo. Morì nel i i 33, impugnando
Cappelletti il Gallicciolli, che sulla fede
d' una cronaca anonima lo disse ucciso
nel i i 3 1 dal popolo. — JNello stesso an-
no, 24.°vescovo fu Giovanni III Poloni)
figlio del vivente doge e pievano di s. Bar-
tolomeo. Ebbe lite col fondatore Bonfilio
Zusto de'canonici regolari della canonica
del ss. Salvatore, per avervi acconsentito
il patriarca di Grado, mentre la chiesa
apparteneva alla stia giurisdizione; ma
Papa Innocenzo II la troncò prendendo-
la sotto la protezione della s. Sede. Tut-
to narrai nel §VIII,n. 28, insieme all'as-
sassinio del Zusto, che Dio fece risplen-
dei e per miracoli. Il vescovo regolò la
suddetta festa delle Marie, protratta a
8 giorni, nella quale i vescovi di Castel-
lo, e poi i patriarchi di Venezia, finche
durò la veneta repubblica, ricevevano
que'donativi descritti nel luogo di sopra
citato. Però la festa popolare, in princi-
pio virtuosa e innocente, divenuta cla-
morosa e depravatasi gravemente, dopo
severe leggi promulgate dal governo per
frenarne gli abusi e gli sconcerti, terminò
coll'esser abolita nel 1 379 ; riducendosi
alla visita annua del doge alla chiesa di
s. Maria Formosa, e nel vespero e mes-
sa solenne che vi celebravano i vescovi e
i patriarchi. In quella circostanza il doge
benediva le Marie e l'accompagna va, be-
nedizione, cui prò dignhate palalii im-
partiva pure al popolo. Tra le preroga-
tive ducali, eravi quella di benedire in al-
cuni giorni solenni il popolo; quasiché
fosse il padre che benedicesse i suoi figli.
Di questo trattai in fine del n. 3 del § VI
e alti ove,ove pur dissi che benediva ezian-
dio le monache. Nel regolamento fatto
dal vescovo Polani per porre un freno a*
disordini in feste cosi popolari, nella sot-
toscrizione del decreto del 1 i43> non so-
V E IV
lo leggo dopo il suo nome, Dei gratin
Castellanti* Episcopus, ma quello pure
del Castellami!; Archidiaconus. Lo tro-
vo anche nell' Ughelli, il quale riporta
purea p. 1 9.4.1 la bolla del 1 1 44 '*' '>a*
pa Lucio 11, Aequum etrationabile est ;
cominciando col saluto: Generabili fra-
tri Jo. Olivolensis seu Castellanae Ec-
clesiae Episcopo. Con essa ornò di molli
privilegi e diritti il vescovato Castellano:
il quale privilegio rinnovò Adriano IV
a*25 gennaio 1 i56 in Benevento, ov'era-
si portato nel precedente ottobre. Morì
Giovanni HI in epoca sconosciuta, non
rimanendo notizia di lui dopo il 1 1 57,
benché alcuni dicono verso il 1 164. —
In questo era già 2 5.°vescovo Pietro III
G randa liconi, non conosciuto che dal-
l'ab. Cappelletti, che ritiene aver princi-
piato qualche anno avanti il suo pasto-
rale governo, mentre il ir 64 fu l'ultimo
di sua vita e il 1 ."del suo successore. Di lui
si ha memoria, dalla sua sottoscrizione
ad una sentenza pronunziata nel giugno
1 [64 in Rialto, dal cardinal Ildebrando
Grassi, legato del Papa Alessandro III, a
favore di Marco priore d'Iàpide, contro
Geltrude badessa di s. Zaccaria di Vene-
zia. Avverte l'ah. Cappelletti, che non si
deve confondere co'due altri Pietri, che
per strana combinazione erano allora ve-
scovi di Civita Castellana e di Città di
Castello (de' loro antichi vocaboli latini
riparlai ne' voi. LXX I X, p. 3, e LXXXV,
p. 3 io), che come il veneto intitolavan-
si : Petrus Castellanae Episcopus (ora
però ambedue usano preporre avanti la
parola Civitatis o Civitas, anzi quello di
Città di Castello anche Tiphernwn Ti-
berinum, e Civitatis Castelli). Il Gallic-
ciolli, sulla testimonianza d'un cronista,
disse il Grandaliconi vescovo d' Olivolo
nel 1 146, per isbaglio di stampa, doven-
do dire 1 1 64. — Successore di lui in tale
anno e 26.0 vescovo fu Vitale II Mi-
chel, nel dogado di Vitale II Michel, per
sine-olar coincidenza. Non dice lo storico
che fossero parenti. Egli era pievano di
V E V
s. Paolo. Nel i 170 fondò un ospedale nel-
l'isola di s. Elena, di cui feci ricordo nel
descriverla, nel n. 16 del§XVHI, riser-
vando a se ed a'successori l'elezione del
priore. IN'el tempo del suo governo si re-
cò in Venezia Papa Alessandro III, nel
1 177, al modo ampiamente narrato nel §
XIX, n. 8,dogado 39.0 di Sebastiano Zia-
ni, ma non mai incognito e occultamen-
te, come provai anco con autorità venete,
non mancando di riferire l'opinione con-
traria. Nel memorabile soggiorno fatto
dal Papa in Venezia, celebrò nella basi-
lica Marciana quel concilio che descrissi
in detto luogo (i cui atti mancando nel
Labbé e nel Mansi, dice l'ab. Cappelletti
averli pubblicati nella sua Storia della
Chiesa di Venezia, t. 6, p. 1 00 eseg.) con-
sagrò varie chiese, ornò di molte prero-
gative la città e il doge, concesse la per-
petua indulgenza plenaria alla basilica di
s. Marco per la solennità dell'Ascensione
e sua 8.*, confermando il giudizio pro-
nunziato da'vescovi di Torcello e Jesolo,
contro l'abbate ed i monaci di s. Nicolò
del Lido,che negavano al vescovo di Ca-
stello l'onore dovutogli in tal giorno del-
la benedizione e sposalizio del mare, nel-
la loro chiesa, colla bolla, Ea, auae jn-
dirio staluunluri presso I' Ughelli, p.
1 245. Dice il saluto: Venerabili fratri
V. Castellano Episcopo saluterà; e la
data: Dat. Venetiaruw in Rivo Allo hai.
junii (il eh. p. Bresciani, nel 1. 1 2, p. 69 1
della Civiltà Cattolica, serie 3.a, nell'elo-
quente ai ticolo,S<7/rtc//tf, tratta: LaPa-
cedi Venezia). Inoltre l'Ughelli riporta la
bolla di conferma d'Urbano III data in
Verona.Morì il vescovoVitale II nel 1 1 8 1 .
— Nello stesso fu eletto il 27.0 vescovo
Filippo Casiolo ,che visse appena pochi
mesi. — Nel novembre 1 1 8 1 già sedeva
il 2 8. "vescovo Ma reo I Nicolai, detto an-
che Nicola o di Nicola, pievano di s.
Silvestro assai stimato, narrando di lui
il Dandolo, che muniva le sue bolle col
sigillo di piombo, mentre niuno de'pie-
decessori e successori l'usò. Papa Clemen-
V E N 1 1 r
mente III spedì un diploma di protezio-
ne de'diritti alle decime dovute al vesco-
vo di Castello in Costantinopoli, poiché
tanto esso, quanto il patriarca di Gra-
do, aveano diritto di decimare sopra al-
cuni luoghi dell'impero d'oriente, come
in s. Giovanni d' Acri oAccon. Avverte
l'ab. Cappelletti, che sbagliò il Nerini
nell'opera, De tempio ss. Bonifacii et A-
lexii, nel dire che Marco fu nel i2o3in
Pioma alla consagrazione di esso, celebra-
ta da Papa Onorio HI (epoca errata
nella stampa, sì per essere slato eletto
quel Papa nel 12 16, e sì perchè leggo
nel Nerini eseguita la cousagrazione nel
1 2 1 7 domenica delle Palme,specialmen-
te nominandosi nell'atto cum Veneto
Archiepiscopo, che il Nerini dichiarò es-
sere Marco), per aver trovato, che v'in-
tervenne il veneto arcivescovo, quale non
poteva essere che il patriarca di Grado
Angelo Barozzi allora in Roma, n Ed
inoltre si noti, che allora la nostra città,
non si nominava per anco / enezia,wa,
Rialto, e che il vescovo si diceva Castel'
latto e non Veneto ". In fatti osservo
nell'Ughelli, nel documento col quale il
vescovo Marco, col suo capitolo, concesse
nel 1 199 al sacerdote Domenico Franco,
già religioso nel monastero di s. Andrea
d'Amroiano, due isolette, dagli antichi
\eneti dette tombe (nelle Lagune vi era-
no Valli e Palale, Veline, Cavane eBa-
rene. A queste si aggiungevano Ghehhi
e Pallido, Dossi e Conche. Il pallido è
sito più alto della barena. Il ghebbo fu
anche misura, prima d'un piede e poi di
un piede e mezzo. I Dossi 'maggiori sul-
l'acque della Laguna, si dissero Tombe,
come rilevai altrove ), acciò su di esse
piantasse una chiesa (essa è l'isola della
Certosa, di cui nel § XVIII, n. i5) all'a-
postolo s. Andrea; non solamente la da-
ta di Rivoalti, e la sottoscrizione del ve-
scovo Dei grada Castellanum Episco-
pio, ma quelle pure di Pietro Vitturi di-
vina gratìa Castelli Archid., di Leonar-
do Castell. Primiccrius) di Gio. Bosso
ìi2 VEJN
preb. Cotteli. Eecltsiae oc canonirus,
di Matteo Jorzani diaconus Castali. Ec-
(/., ili JacopodiaconusCastelLErcl.es..
di Marco subdiac. Castell. Eccl. , di
Balduini presb. Cast. Erri. Ca/i., etc.
Queste sottoscrizioni, con più. ordine ge-
rarebico e più usato vocabolo di canoni
co,egualmente neirUghelli,Io vedo nel di-
ploma, col quale nel 1220 il vescovo fe-
ce donativi al priore e monaci di s. Da-
niele. 11 Cappelletti riporta un erudito
documento, d'una ceremonia particolare,
non trovata da lui ancora in altro luogo
d'Italia. Benedetta vedova Gradenigo ,
raccomandò al tribuno Da rozzi l'esazio-
ne di sue rendite a Costantinopoli e nel-
la Romania, con (Strumento di procura.
Era questa ceremonia l' indossamento
della veste vedovile, la quale ricevè Be-
nedetta dalle mani del vescovo Marco.
Nel vescovato di questo, pel conquisto di
Costantinopoli, furono trasferite a Vene-
zia molte insigni ss. Reliquie, che registrai
ne'rispeltivi siti, e il simile feci colle pro-
digiose ss. Immagini, pervenute in essa in
diversi tempi. Non voglio qui tacere, die
r\c\X Aliante Mariano del p. Gumppem-
berg gesuita, con giunte del sacerdote
veronese Agostino Zanella, trovatisi de-
scritti altri sagri tesori di Venezia : le
ss. Immagini di Maria miracolose. In-
vecchiato il benemerito vescovo, otten-
ne nell'anno 1225 da Onorio IH un
coadiutore, e raccomandata la scelta
al patriarca di Grado e al vescovo di
Torcello; ma nel mentre che essi lo cer-
cavano, morì nell'anno stesso Marco e fu
sepolto nella cattedrale. — Marco II Mi-
cliel divenne nel 1225 vescovo 29.0, e
giurò fedeltà e ubbidienzaal patriarca di
Grado, come a suo metropolitano a'6 a-
prile 1229; ritardo che non dee recar
meraviglia, trovandosi pure in altri ve-
scovi di questa, egualmente che di altre
chiese suifraganee. Iu tale anno a'29 a-
prile convocò il sinodo diocesano, per con-
sultare il suo clero circa una quarta par-
te della decima de'morli, per sovvenire
V EN
con questa alle necessità de' poveri, delle
vedove, degli orfani e di qualunque clas-
se di bisognosi della diocesi. Narra il eh.
Cappelletti, sull'interessante e curioso ar-
gomento delle decime mortuarie, per le
quali il prelato castellano si nominò tal-
volta vescovo de'morli. » Tutti gli altri
/ escavi e Benefizi ecclesiastici percepi-
vano annualmente, e ciò per diritto di-
vino,sino dalla loro originaria fondazione,
la Decima (Jr>) parte de'frutti delle cam-
pagne, e questa formava la rendita del
Vescovo e del Clero, sicché potessero a-
ver i sagri ministri un congruo sostenta-
mento proporzionalo al grado loro. Ciò
non poteva farsi in Venezia, ove non es-
sendo campagne, tutto il popolo viveva
della pescagione e del traffico. Era stato
invece stabilito, sinodal tempo della fon-
dazione della sua cattedra vescovile, che
ogni veneziano in morte lasciasse al ve-
scovo per testamento la decima sulla fa-
coltà che possedeva. Della quale il vesco-
vo poi doveva far quattro parti, una per
se, un'altra pel clero, la 3.a per la fab-
brica, ossia per lo mantenimento delle
fabbriche sagre e per le spese del culto
ecclesiasticoja 4-a pe'povet ((precisamen-
te secondo l'antica disciplina sulla divi-
sione e uso i\e\\aRendita ecclesiastica).\\
vescovo percepiva intiera sempre la sua
porzione: le altre, del clero, delle fabbri-
che e de' poveri, spettavano alla contra-
da, a cui apparteneva il defunto; ed ivi il
clero, la chiesa, i poveri ne godevano la
quota rispetti va. Dà questa ultima parte
poi estraevasi una4-a parte, la quale no-
mina vasi quarta della quartale la si di-
stribuiva a' poveri di tutta la diocesi ".
Cosi fu praticato regolarmente sino ai
tempi del vescovo Marco II Michel. Egli
poi, vedendo forse mal provveduto a
questa divisione, o forse mal distribui-
ta a'poveri tal quarta della quarta, ra-
dunò nel suindicato anno 1229 il suo
clero, e proposegli, che questa quarta di
quarta si consegnase al vescovo, perchè
meglio l'impiegasse all'uopo stabilitone :
VEN
cJ il sinodo dichiarò, che estendo il ve-
scovo in is pedalila il padre e il benefat-
tore de'povcri, pupilli ed orfani e delle
vedove del suo vescovato, meglio da lui,
che non da altri, ne sarebbero distribui-
ta sussidi. JLbbeW vescovo Marco li lun-
ghe e difficili controversie col suddetto
patriarca gradese Barozzi ; e queste per
sostenere e difendere i diritti della pro-
pria chiesa. Una lunga serie di siifatti
diritti, i quali gli erano contrastati dal
prelato di Grado, onde ne pativa consi-
derabile discapito lo stalo delle rendite
vescovili, ci è conservata nel documento
di sentenza pronunziata a' 6 dicembre
I2t3i da'giudici arbitri i priori di s. Be-
nedetto di Padova e di s. Giovanni di
]VJonselice,a ciò deputati da Papa Grego-
rio IX. La sentenza fu pronunziata quasi
su di ogni articoloin favore del vescovo;
si ebbe tutto al più un qualche riguardo
alle 5 chiese parrocchiali appartenen-
ti al patriarca, che come dissi ripetuta-
mente aloro luoghi, erano quelle di s.
Silvestro, s. Giacomo dall'Orio, s. Mat-
teo, s. Militino e s. Canziano. Quindi il
Papa sanzionò colla bolla Longinquitate
saepefit tempori», riportata dall'Ughelli
a p. 1258, il giudizio de'deputati aposto-
lici nel febbraio i23a, e v'iuseiì per in-
tero la loro sentenza. Una lite anche più
grave ebbe poi Marco 11 a sostenere con-
tro il governo, il quale pretendeva , che
VEN
iì3
jli ecclesiastici avessero ad essere chia-
mati in ogni e qualunque causa, tranne
le civili e le meramente spirituali, dinan-
zi a 'giudici secolari, il che deplorai più
volte nel § XIX, anche perle funeste con-
seguenze e vertenze gravi colla's. Sede,
vindice della libertà ecclesiastica contro
le usurpazioni laicali ; ed in esse il go-
verno veneto si acquistò non lodevole
fama, afìlisse diversi Papi, e fu fomite di
perniciosi esempi ad altri stati, che fatal-
mente l'imitarono, poiché sempre il ma-
le più facilmente si segue che il bene.
Alle quali pretensioni oppose il vescovo
Marco li, con petto sacerdotale, mirabile
vol. xeni
e vigorosissima resistenza; ed ottenne al-
meno,per decreto del doge JacopoTiepolo
(che fu il i .°a porre in ordine le leggi vene-
te col suo Statuto, del quale dice il Cap-
pelletti averne parlato nella sua Storiti
della Repubblica di Venezia), che la giu-
dicatura de' soli beni immobili dovesse
appartenere alla curia secolare , per di-
mostrare il dominio supremo; tutto il
resto poi fosse soggetto alla podestà epi-
scopale. Inoltre, tentò Marco II, sempre
zelatore di conservare e ingrandire al-
tresì i suoi poteri, di assoggettare a se la
basilica ducale di s. Marco ; ma in que-
sto fu deciso, ch'ella avesse a rimanere
nella primitiva sua indipendenza, padro-
nato del doge e nella giurisdizione del
primicerio di s. Marco, nullius diocesi*,
capitolo e cappellani, di che trattai nel §
VI, n. 2; mentre de'procuratori di s.
Marco, cui spettava la cura del tempio e
l'amministrazione de'suoi beni, originali
nell'829, stabiliti neh 18 r, primarie di-
gnità della repubblica, dopo quella del
doge, e vitalizia come quella di cavaliere
della stola d'oro (eletti dal senato, la cui
primitiva istituzione vuoisi risalire al-
I899), ne parlai nel fine del § V e altro-
ve. Mori Marco li nel marzo 1235 e fu
sepolto nella cattedrale con epigrafe non
più esistente, poiché quando fu rifabbri-
cato il tempio, tutte le ossa de'vescovi
ivi deposte furono unite in un luogo so-
lo, presso la porta maggiore, e le iscrizio-
ni andarono per la maggior parte per-
dute.— Pietro IP Pino arcidiacono del-
la cattedrale nello stesso 1235 fu eletto
3o.° pastcre,dovendosi ommettere Mar-
co Morosini registrato dall'Ughelli, ed
escluso con buone ragioni dal patrio sto-
rico Cappelletti. A Pietro IV diressero
lettere i Papi Gregorio IX e Innocenzo
IV, il i.° per accogliere sotto la prote-
zione della s. Sede l'inclita città di Ve-
nezia, e per invitarlo a riassumere il
pastorale governo della s. Chiesa Castel-
lana, da cui erasi sciolto per grave infer-
ite, miraDiie rnità.e cjò a calde istanze de'prelatì e eie-
V
RtóWW^W&o "fc
i.4 VEN
io dello diocesi estimatori di lue virtù.
Dalle fondamenta rifabbricò il palazzo
vescovile, ove per memoria si pose l'epi-
grafe: Pina Domiti Petro fulget insi-
gni* alttmno — TTrbs Venelumhoc gau-
desPraesule dar a pio. Terminò sua vita
nel i254a'3o dicembre, e pare fallo tipo-
grafico il 12 55. — In esso bensì l'8 febbra-
io susseguente gli fu surrogato fi*. Gualtie-
ro JgnusDci venezianodomenicano e3i.°
vescovo, traslato dalla sede diTreviso da
Alessandro IV, ad istanza del capitolo
de'canonici, ma breve visse nella nuova
cattedra, che restò vedova verso il giu-
gno 1^57 , e fu tumulato in ss. Gio. e
Paolo del suo ordine. — Nel 1207 fu 32.
vescovo Tommaso I Orimonclo cappel-
lano della basilica ducale, di cui altro non
si conosce che il suo decesso nel 1261. —
In questo l'arcidiacono di Castello, Tom-
maso 11 Franco Ju promosso a suo 33.°
pastore,e probabilmente moiìa'5 agosto
1267. — Restò vacante il vescovato si-
no al 1274, perchè i canonici, discordi
nell'opinione, litigarono lungamente per
la scelta del proprio pastore. A por fine
a tanto danno si ricorse a Gregorio X,
che a'5aprile nominò 34-° vescovo Bar-
lolomeo 1 Quirinì ', già pievano di s. Mar-
tino e di s. Maria Formosa, e allora ca-
nonico di s. Pietro; lodato per pietà e
per beneficenza verso i monasteri e le
chiese , fondò 1' ospedale di s. Bartolo-
meo a Castello, di cui nel §X, n. 64; ac-
crebbe di altri 8 canonici il suo capito-
lo, colle corrispondenti prebende, difese
i diritti e le proprietà della cattedrale.
Morì il i.° marzo 1291. — Nello stes-
so fu 35.° vescovo patrio Simeone Mo-
ro primicerio di s. Marco, onde già par-
lai di lui nella serie di essi, stato vicario
generale di Tommaso II e capitolare
nella detta lunga sede vacante. L'opera
che scrisse, Caeremoniale ducalis basili-
vae s. Marci, fu base e fondamento di
altre di simil genere che scrissero altri.
Cessò di vivere nel dicembre 1292. —
Ne fu successore e 36,°vescovo l'altro ve-
VEN
neto Bartolomeo II Qutrini, pure pri-
micerio di s. Marco, e giurò fedeltà e ub-
bidienza a Lorenzo 111 patriarca di Gra-
do, il cui successore Egidio celebrando
nella festa de' ss. Ermagora e Fortunato
del 1297 il concilio provinciale, v* inter-
venne con altri vescovi. Poi a'20 febbraio
i3o3 fu traslocato alla sede di Novara,
d'onde passò a quella di Trento. — Nello
stesso giorno di tal traslazione venne e-
letto 37.°vescovofr. Ramperto Polo do-
menicano bolognese,chiamato nmeLam-
berlo ed Alberto de* Primadisi, premu-
rosissimo del buon ordine e della osser-
vanza dell' ecclesiastica disciplina, e ze-
lante conservatore de* diritti del suo ve-
scovato, formò un catalogo di tutte le
sue rendite,e delle costumanze vigenti,
perchè si avessero a mantenere nell'av-
venire; ed è la raccolta chiamata: Ca»
tastico del vescovo Ramperto. Egli è Io-
dato dagli annalisti domenicani qual va-
lente scrittore, e sono riputate opere di
lui un Apologelìcum ed uno Speculimi.
S'ignora l'epoca precisa della morte del
prelato.AIcuni scrittori, non antichi, rac-
contano, che un vescovo Castellano, di cui
tacciono il nome, donò alcune decime
mortuarie alla parrocchia di s.Pantaleo-
ne (se ciò è vero, potrebbe essere stato il
vescovo Moro), di cui era stalo pievano;
che il vescovo Ramperto non volle rico-
noscere la concessione, perchè offendeva
le ragioni de' successori, e portatosi in
occasione d'un funerale ad esigere le de-
cime a lui dovute, nel furore popolare vi
rimase, ucciso, cioè perì miseramente op-
presso dalla furia del popolo tumultuan-
te, nel sito detto Malcanton,óa\ funesto
caso. Altri anche soggiungono, che molti
abitanti di Castello siano furiosamente
corsi as.Pantaleone per vendicare l'ucciso
prelato, e che il popolo della parrocchia,
assistito da quello di s. Nicolò de'iVIen<Ji-
coli, abbia loro opposto valida resistenza;
che gli uni e gli altri azzufFaronsi rabbio-
samente, entrambi ingrossati da' popoli
delle circostanti parrocchie, e che da que-
VEN
sto abbiano avuto origine i due notissimi
partiti de' Castellani e de' IVicolotti (al-
tra origine di tali fazioni, e più probabi-
le, la narrai nel vol.XCI,p. 368 e altro-
ve), ne' quali poi si divisela popolazio-
ne bassa di Venezia. Il Corner ancora ,
reputa favola tal volgar tradizione, ta-
ciuta da'più sinceri e accreditati scrittori
delle cose venete, tanto più che da alcu-
no di poco credito viene lo stesso riferito
deH'8.° vescovo Lorenzo delP88o,come
già dissi. Pare morto fr. Rai» per to nel
i 3o8, poiché si ha documento che la se»
de era già vacante a' i4 febbraio i3og,
per esserne vicario capitolare Francesco
da Barberino ; mentre nel seguente 1 3 i o
lo era Jacopo pievano di s. Fantino , il
quale condannò all' esilio del placitum
futuri episcopi Castellani , alcuni cano-
nici, pievani e chierici, per avere preso
parte alla famosa congiura di Baiamonte
Tiepolo, che narrai nel § XIX, n. 12. —
Nel 3i maggio 1 3 1 1 venne eletto 38.°
vescovo Galasso de* conti Alberimi da
Prato, nipote del famoso cardinale Nicolò
di Prato, da Clemente V di cui era sud*
diacono, grato allo zio da cui principal-
mente dovea riconoscere il papato, e di-
cesi apertamente, benché italiano, colla
deplorabile condizione di stabilire in
Francia la residenza pontifìcia; per cui
Filippo IV il Bello, già scomunicato da
Bonifacio Vili e da Benedetto XI, im-
mediati predecessori di Clemente V, per
vincere il partito a di lui favore profuse
molto oro. Quanto a Galasso, trovandosi
in Avignone presso il Papa, ivi mori nel
seguente giugno, senz'essere stato consa-
grato. Laonde Clemente V, nello stesso
mese gli sostituì per 3g.° vescovo di Ca-
stello, il fratello Jacopo Alber tini da Pra-
to, parroco del borgo di s. Lorenzo, cospi-
cua terra della diocesi fiorentina, la cui
ordinazione si protrasse al marzo i3i6
o nel principio del i3iy, e finalmente si
recò alla sua chiesa nell'ottobre i3i8,a-
Vendola fatta governare da' suoi vicari
nella sua assenza,incoutrato sino a Me-
VEN n5
stre dal clero «ecolare e regolare. À suo
tempo insorsero questioni sul quarto di
quarta parte, il quale per l'addietro so-
leva darsi al vescovo, per le fabbriche e
riparazioni della cattedrale di s. Pietro;
e sembra che fossero rilevanti, per l'in-
tervento del governo, per cui nel consi-
glio de'Pregadi si decretò, chequel quar-
to in avvenire si consegnasse a' procu-
ratori di delta chiesa, peri suoi ristami
ed ornati , col consenso del vescovo.
Quanto poi al quarto di quarta parte ,
di cui aveva disposto il sinodo 1 229, per-
chè fosse consegnato al vescovo per di-
stribuirlo a poveri, il Pregadi l'abolì, or-
dinando che tutta intera la quarta par-
te appartenente a'poveri andasse distri-
buita nella contrada rispettiva. Esisto-
no molte memorie della residenza del
vescovo in Venezia sino e inclusive al
1327 ; indi partì per Roma,ove si die al
partilo ghibellino dello scismatico Lodo-
vico V il Bavaro, scomunicato da Gio-
vanni XXII per aver assunto l'impero,
senza l' assenso della santa Sede, men-
tre altri elettori dell' impero aveano
nominato Federico il Bello duca d'Au-
stria, e poscia si recò a Milano ad a-
speltare il principe. Il Bavaro dopo ave-
re ricevuto da lui e da altri vescovi la co-
rona di ferro in MiIano,portatosi in Roma
nel i328 per essere coronato imperato-
re, vi trovò l'interdetto fulminato in Avi-
gnone dal Papa, e nondimeno favorito da'
ghibellini, acclamato re de'romani e sena-
tore di R.oma, indi a' 1 7 gennaio nella ba-
silica Vaticana si fece consagrare dal ve-
scovo Albertini, e da Gherardo Orlaudini
vescovo d'Aleria io Corsica, imponendo-
gli la corona Sciarra Colonna capitano
del popolo romano, a nome di questo,
assistito da 4 sindaci a ciò deputali. Già,
saputasi da Giovanni XXII in Avigno-
ne la coronazione di Milano, avea sco-
municato e deposto dal vescovato l' Al-
bertini nel novembre 1 327, sentenza che
fu letta solennemente nella cattedrale di
Castello a'6 dicembre. Quindi il Bava-
i.O VEN
io, nel di dell'Ascensione a' 12 maggio,
creò antipapa l'eretico ammogliato e (Va-
te apostata Nicolò V ; e tosto Nicolò da
Fabriano recitò uu sermone,dopo il qua-
le il vescovo di Castello Albertini (the
molti storici dicono di Vinegia), doman-
dò 3 volte al popolo romano se accetta-
va per Papa l'eletto dall'imperatore, e
rispondendo tulli di sì, fu fatto il decre-
to dell'elezione. Allora l'antipapa colle
sue mani coronò di nuovo Lodovico V,
creò alcuni anticardinali, fra'quali l'Al-
bertini (l'Ughelli aggiunge, et in Germa-
nia legatus missus, misere vilam li-
quii), e tutti poi presi a sassate da' ro-
mani, fuggirono a Todi, a Pisa, e si spar-
pagliarono. — Restata vacaute la sede
castellana, Giovanni XXI I a' 1 5 gennaio
1 329 elesse 4o.° vescovo il canonico del-
la cattedrale angelo I Delfino, che nello
stesso anno tenne il sinodo, vi fece utili
discipline, massime dirette a regolare il
disordine de'beuefìciati, che non risiede-
vano nelle rispettive case e non interve-
nivano a' divini uffizi. Noterò, che nelle
chiese di Venezia, oltre le frequenti pre-
diche, eran vi anche i semplici lettori de'li-
bri sagri e de'Padri, delti Paterici. In det-
to anno l'arcivescovo di Ravenna, per de-
legazione apostolica, ridusse a dodici i ca-
nonici della cattedrale di s. Pietro, com-
prese le 3 dignità diarcidiacono, arciprete
e primicerio. Nel seguente 1 33o, Angelo,
cogli altri vescovi suffraganei, assistè al si-
nodo provinciale radunato da Domeni-
co V patriarca di Grado. Nel 1 332 con-
cesse a' suoi canonici la metà delia por-
zione di decima, a lui appartenente, di
tutti coloro che fossero morti fuori di
città. Mori a' 19 agosto 1 336. — • A' 27
agosto stesso, a pieni voti dal senato fu
eletto 4*-° vescovo Nicolo I Morosìni,
veneto. Neil 338 Benedetto Xll da Avi-
gnone l'incaricò a recarsi in Padova, ed
assolverla dall'interdetto, a cui era stata
sottoposta nella signoria degli Scaligeri.
Fra* suoi vicari generali, eh' ebbe nelle
assenze, vi fu Jacopo vescovo d'Avello-
VEN
na o Aulona, e Stefano vescovo di Tiro.
Da alcuni anni erano tornale in campo
l'antiche questioni sulle decune mortua-
rie, e queste con tanto più di calore si
riaccesero, perchè molto danno ne avea
soflerto il clero, per la Gerissi ma*, peste
che nel declinar del 1 347 e neh 348 a-
vea desolato Venezia. I preti si mostra-
rono di soverchio interessati, non ostan-
te la pubblica calamità, con malconten-
to de' fedeli, poiché in parecchie fami-
glie erano periti padre, figli e nipoti, per
cui in breve tempo in ciascuna di esse si
conseguirono sino a 3 decime. Per tutto
questo, il governo s' intromise in difesa
de'citladini, non essendo riuscito ad altri
mediatori di ricomporre la turbata ar-
monia Ira clero e popolo. Neil 348 erasi
falla una composizione, approvata dal
Papa Clemente VI, cioè che la repub-
blica darebbe a tulio il clero 1 2,000 du-
cati d' oro pel tempo passalo, e 7,000
all'anno per l'avvenire. Ma dopo qual-
che mese, il vescovo e il clero, fatto cal-
colo della quantità di persone morte di
peste, si reputarono di troppo defrauda-
ti ne' loro diritti della decima ; perciò
rinnovate le loro querele al senato e al
Papa, ottennero 1' annullamento della
composizione, e che ne fosse falta altra,
e lo fu a'2 3 agosto 1 35o ; che in sostan-
za accordò il compenso di 28,000 ducati
d'oro a tutto il 29 giugno 1349, dopo ^
qual giorno rientrassero ne' loro diritti,
con far l'antica divisione. Ciò non tron-
cò le questioni che insorgevano alla mor-
te de'citladini, nell'esigere il clero 1* in-
ventario, onde trarsi la decima che gli
competeva, il che alterava la pubblica
tranquillità. Di queste questioni, e del-
la parte presane dal governo, ne ragiona
pure il prof. Romanin, nella Storia do-
cumentata di Venezia, t. 3,p. 1 6 1 e seg.,
sino al componimento della controver-
sia, non senza osservare: » Già abbiamo
notato come il sentimento religioso, on-
d'erano fin da principio animati i fug-
giaschi all'Isole, iu que'tempi di sciagu-
V E N
ve divenire poi ereditario e tradiziona-
le fra' veneziani, onde quell' ardore che
metteva ciascuna famiglia e ciascuna con-
trada nell'erigere chiese.cappelle, altari al
proprioSanto; e quelle pieconfraternite,e
le processioni, e le pompe tuttedelculto,e
il gran numero de'conventi, e l'accoglien-
za che in Venezia trovarono tutti gli or-
dini monastici. Però il governo, uel tem-
po stesso che largheggiava nelle dimo-
strazioni di pietà, volle riservarsi il dirit-
to di regolare le cose del clero aventi re-
lazione collo stato, specialmente in quan-
to concernevano la possessione d'immo-
bili e di tutelare gl'interessi de'cittadini ...
Mei libro Spiritus, leggesi il decreto de'
21 maggio 1 347, che riferendosi ad altro
piìi antico, col quale si vietava di lascia-
re i beni immobili per suffragio dell'ani-
ma o per cause pie per oltre un decennio,
solo concedendo che si fabbricassero chie-
se e ospedali; or notava essersi questi più,
ilei bisogno aumentati, e siccome per la
smania di costruirne di nuovi, si trascu-
ravano i vecchi, ordinava non si potesse-
ro erigere altri spedali e monasteri , se
non con licenza de'6 consiglieri, de'3 capi
della Quarantia, di 35 di questa e 3 par-
ti del maggior consiglio". Neil 35 1 Cle-
mente VI commise al vescovo Morosiui
di trattar la pace tra le repubbliche di
Venezia e di Genova, colla lettera Ama-
ra nobis est discordia gravis, presso l'U-
ghelli, p.1279. Indi nel 1 354 ottenne da
lunocenzo VI la conferma del diritto sul-
le decime, colla bolla Exhibìta nobis> e-
gualcente riferita a p. 1280 dall'Ughel-
li. Neh 355 il vescovo fu incolpato reo di
gravi scandali, e il senato castigò i com-
plici col carcere. Di che adontatosi Moro-
siui, neh 356 si recò in Avignone ad ac-
cusare ad Innocenzo VI il governo, d'a-
ver violala l'immunità ecclesiastica. Ma
il doge Giovanni Delfiuo scrisse al Papa,
informandolo minutamente delia condot •
ta del colpevole vescovo, e del contegno
del senato; le quali informazioni indusse-
ro Innocenzo VI a tenerlo lontano dalla
VEN 117
sita sede per ben io anni; ed intanto la
diocesi fu amministrata da'vicari genera-
li, l'ultimo de* quali fu Luca vescovo di
Cardica. Ritornò il Morosini a Venezia
neh 366, e fu incontrato dal clero; mo-
rendo nel seguente 1 367 a' 1 7 febbraio. — ■
I) consiglio de' Pregadi poste a scrutinio
le nomine degli 8 concorrenti che aspi-
vano al vescovato ( ! ) , senz'essere can-
didato, da quello di Corone vi fu traslato
il veneto Paolo Foscari , 42-° pastore,
che a'7 maggio 1367 ne prese possesso.
Egli con più vigore ed invincibile ostina-
zione ridestò e sostenne le questioni per
le decime mortuarie, dichiarando ripetu-
tamente aver giurato difendere e conser-
vare intatti i diritti della chiesa e del cle-
ro, avendo ottenuto la conferma della bol-
la d'Innocenzo VI, che ne assicurava il
diritto, da Urbano V. Pertanto intraprese
tali atti giurisdizionali, che riuscirono mo-
lestissimi al doge e al governo. Sono nar-
rati dilfusamente dall'ab. Cappelletti, ma
io mi limiterò solo ad accennarli. Veden-
do il governo irremovibile il vesco vo, de-
cretò a'29agostoi 368: proibizione a tut-
ti, con minaccia di pene, di pagare in de-
naro o elfetti la decima al clero, qualora
non fosse stala dichiarata nel testamento
dal defunto, o non ne avesse dato licenza
il senato; e dichiarazione di surrettizia la
2.a riduzione ottenuta dalla s. Sede. Il
perchè a'3 settembre foggi il vescovo iti
Avignone per sottrarsi al potere del go-
verno e ricorrere al Papa (ma allora Ur*
bano /zera fino dal giugno 1367 uel suo
stato pontificio d'Italia, e non tornò in
Avignone che a'24 settembre 1370, ove
morì a' 1 9 dicembre, e dopo 1 o giorni gli
successe Gregorio XI. Si deve tenere pu-
re presente, che il doge Cornaro, sotto il
quale s'inasprì la controversia, morì a'
i3 gennaio 1 368). Il senato subito spedì
in Avignone per istruir bene il Papa, gli
ambasciatori Zaccaria Contarmi e Daniel
Corner, anche collo scopo della traslazio-
ne ad altra sede del Foscari, e delia ri-
vocazioue della bolla 2 3 agosto 1 35o.Tut-
n8 YEN
li i loro sforzi riuscirono vani, e non po-
terono impedire die la lite fosse portala
avanti al tribunale della s. Rota, onde il
senato li richiamò e colmò di rimprove-
ri. D'altronde il Papa era irritalissicuo pel
decreto 29 agosto i368, lesivo enorme-
mente l'immunità ecclesiastica. Pungeva
alia signoria il sapere, che il vescovo, sem •
pre acerrimo, instava presso il Papa, on-
de si citasse con pubblico editto, poiché
la citazione per cursore non poteva effet-
tuarsi, il doge Coutarini a comparire in
Avignone dinanzi il tribunale ecclesiasti-
co,pei cui a tutto suo potere tentava d'im-
pedirlo; ed a tale effetto mandò per non
zi veneti in Avignone Tommaso Bonin-
contro e Napoleone, per frenare eziandio
la temerità del vescovo; anzi per ottener-
ne riulenlo più prontamente, fece par-
tire per Avignone il di lui padre Giovan-
ni Foscari, ma tutto inutilmente. Intan-
to la causa fu affidata al cardinal Guido
de Boulogne già legalo d'Italia e allora
vicario di essa per l'imperatore Carlo IV,
ed egli accordò la citazione per editto
contro il doge e la signoria, il che riuscì
d'inesprimibile molestia a tutta la città.
Perciò il doge si lagnò direttamente col
Papa, ricordandogli i meriti della repub-
blica colla s. Chiesa; supplicandolo a de-
sistere dal procedere sì acerbamente cou-
tro di essa, rivocaudo V editto così gra-
voso e insultante all'onore del nome vene*
ziauo. Altrettanto scrisse al cardinal de
Boulogne, specialmente contro l'editto di
tanta infamia per la repubblica. Ma tut-
to senza risultati favorevoli , ne miglior
esito ebbe il carteggio e il nuovo nunzio
veneto Pietro Polani inviato a trattare col
cardinale , il quale si lagnò dell'asilo da*
lo in Chioggia a Francesco Ordelaffo con-
tumace di s. Chiesa, cacciato dalle mili-
zie papali da Forlì e Cesena. Al che fu
risposto, contenersi egli tranquillo, ed es-
ser noto a tutto il mondo la libertà d'a-
silo in Venezia. Il cardinale quindi pro-
pose: accordasse la signoria per ragione
delle decime 6,000 ducati annui al eie-
V EN
10 di Venezia, e ch'egli avrebbe ridotto
il vescovo all'accomodamento. Invece il
senato sostenne, non doversi pagar le de»
cime, se uon quando e nella misura che
fossero ordiuate nel testamento; e poi of-
frì 4,5oo ducati, frutto di capitale che a-
vrebbe perciò assegnato. Nulla si conclu-
se, ed il Polani tornò a Venezia , il go-
verno sempre più inasprendosi nel con-
siderare, che pel privilegio delle decime
Venezia era posta in perpetua servitù, e
tutti i beni de'cittadini venivano ad esse-
re obbligati al clero e alle chiese; poteu-
do per esso la città veuir scomunicata.
Fu quindi intimato al padre del Fosca-
ri, di persuaderei! figlio a cedere, altri-
menti egli co' figli sarebbe in perpetuo
bandito da Venezia e suo distretto, con
confisca de'beni a favore del co mu uè. Tan-
to era a cuore del senato il fine di sì de-
licatissimo e importante affare, per evi-
tare il disonore della giudicatura della
corte papale. Ma neppure giovò l'autori-
tà paterna, violentata dalle minacce di
severe e non meritate peue, a danno di
tutta la famiglia. Riuscì pure inutile l'in-
vio al Papa dell'altro ambasciatore Do-
menico Mot osini , colla detta offerta di
4, 5ooducati, poiché 6e ne volevano 6,000.
Frattanto verso il declinar deli 376, par-
tito Gregorio XI d'Avignone, per rista-
bilire la dimora papale in Roma, la re-
pubblica gl'invio a complimentarlo 3 am-
basciatori, Andrea Graden igo, Giovanni
Bembo e Zaccaria Coutarini, con l'istru-
zione a quest'ultimo di rimanere in Ro-
ma per ultimare il doloroso affare delle
decime. L'ostinazione però del vescovo
Paolo Foscari facendosi più tenace, mi-
nacciò scomunicar tutti quelli che uon
pagassero le decime, e già l'avea intima-
ta per tutte le parrocchie, se non si fos-
sero pagate pel s. Natale, con proibizione
a'pievani d' amministrare i sagramenti,
neppure in punto di morte, a'morosi. Iu
tal modo s'irritava vieppiù il governo, e
si comprometteva la pubblica libertà. Fi-
nalmente il vescovo, a vendo seguito Gre-
VEH
goi io XI in Roma, ivi morì nel 1376 (for-
se more veneto , giacche è positivo che
Gregorio XI fece il suo ingresso in Roma
a'17 gennaioi377), e fu tolto ogni osta-
colo alla riconciliazione della repubblica
colla Chiesa, e composte le differenze. —
Nello stesso auno (11131377) fu 43.° ve*
scovo Giovanni IV Piacentini parmigia-
no, già vescovo di Cervia, di Padova e di
Orvieto. Egli tosto dichiarò non voler
punto sostenere la pendente spinosa lite,
e affidarsi alla discrezione del governo.
Fu allora dunque decretato, di stabilire
5,5oo ducati annui da dividersi a tenore
delle costituzioni ecclesiastiche venete, tra
il vescovo, il clero delle parrocchie, la
fabbrica delle chiese ed i poveri; al qual
componimento Gregorio XI di buou gra-
do aderì, eziandio che il vescovo ritiras-
se la quota spettante al predecessore. Co-
sì terminò la lunga e acerba controver-
sia, che tenne per tanti anni agitati gli
animi, non interrotta neppure dalla stre-
pitosa guerra contro Genova, descritta
in detti e successivi anui nel §XlX(e sic-
come ne fu pure cagione la primazia sul
mare Adriatico, mi sia lecito qui aggiun-
gere sugli stamponi, la notizia d'uu'opera
relativa, annunciata dalla Civiltà Catto-
lica de' 2 aprile 1859, Del diritto de' ve-
neziani e della loro giurisdizione sul ma-
re Adriatico; opera del giureconsulto di
Mar ostie a e Vicenza Angelo Matteazzi,
1 . professore di Pandette nell'universi-
tà Patavina nel secolo XVI j ripubbli-
cata, voltata in italiano e commentata
da Leonardo Dudreville, dottore e mae-
stro in ambo le leggi ed avvocato del foro
veneto, Venezia tip. dellaGazzetta ufficiale
1 8 58); e si ristabilì la tranquillità e la con-
cordia tra il clero e il governo. Gregorio
XI morì a'28 marzo 1 378,6 dopo 1 1 gior-
ni gli successe Urbano VI, contro il quale
insorse l'antipapa Clemeule VII a'20 set-
lembre,che recatosi in Avignone, vi stabi-
lì una pestilente cattedra e fu cagione del
grande, lungo e funestissimo Scisma di
Occidente, nel quale vescovi e fedeli §i di-
VEN 119
visero nella vera Ubbidienza di Roma e
nella falsa d'Avignone. Questa 2." fatal-
mente abbracciò il vescovo Piacentini nel-
lo stesso 13780 partì da Venezia, proba-
bilmente cacciatovi. Nondimeno conser-
vò qualche relazione colla chiesa castel-
lana, o almeno continuò a percepire an-
che neh 379 le sue rendite. Del che fau-
no prova le parole della carta circa il ri-
cevimento della decima pagatagli da'pro-
curatori di s. Marco, che per l'accordo
ne aveano assunto l'incarico: Rev. P. D.
Joannem Deielapostolicae Sedis grati a
episcopum Caste l lamini etc. Egli in que-
sto tempo era stato spogliato del vesco-
vato per sentenza d'Urbauo VI, la cui e-
secuzioue intimata dal priore de'ss. Gio-
vanni e Paolo, fr. Nicolò da s. Giuliano
domenicano, qual commissario apostoli-
co, pe'3o dicembre 1378, pare che avesse
esecuzione nel seguente anno. L'antipapa
nel 1 385, benché absensa Curia, lo creò
auticardinale prete di s.C\i'iaco,voluitque
appellari Cardinalis Venetiarum, leg-
go nell'Ughelli, denominato anche Loia-
bardus. Alla morte dell* antipapa , nel
1394 entrò nel pseudo conclave d' Avi-
gnone per l'elezione dell'antipapa Bene-
detto XI li, nella cui falsa ubbidienza mo-
rì. Avendone parlato nel voi. Ili, p. 214»
chiamandolo francese, vescovo castella-
nense nel Belgio, vanno soppresse quel-
l'erronee parole, che ricavai dall' opera
classica del p. Ciaecouio, Vitae Cardina*
lium, t. 2, p. 682, ove si legge: natione
gallimi, Episcopus Castellami, Castel*
lum urbs est Galliae Belgicae,vita mi'
gravit die 9 maii anno i^o^ Nota l'ab.
Cappelletti, che in alcuni rass.si trova re-
gistrato il vescovo Giovanni Amadeo, in
luogo di Giovanni Piacentini, e lo si di-
ce veneziano. Quindi egli esser d'avviso,
sebbene vi sia errore quanto al dirlo ve-
neziano, non abbiasi a crederlo diverso
dal Piacentini, il quale forse portava il
2.0 nome di Amadeo. Nou mi dispiace la
spiegazione, e forse mi farebbe venire il
sospetto che fosse quel cardiual Amadeo
no VEN
veneziano, riportato dagli scrittori de'car-
dinali, e che invece io trovai essere, l'at-
tribuito a lui, in buona parie proprio di
Giovanni Crisolini d'Amelia, come notai
nel voi. LXXXVI, p. 28, e ricordai in
quest'articolo nel voi. XCI, p. 391. Quel
dirlo l'Ughelli, voliti /gite appellati Car~
dina li$ Venetiantm, potrebbe compen-
sare al difetto della patria , essendo egli
parmigiano. Il p. Affò , Memorie degli
scrittori e letterali Parmigiani, t. 2, p.
G5, ragionando di Bartolomeo Piacenti-
ni, fa pur cenno del nostro Giovanni, de
suoi vescovati e anlieardinalato, e cita va*
ri scrittori che ne parlarono. Meglio im-
paro dal Colle, Storia dello studio di Pa-
dova, t. 2, p. 1 47,che il vescovo Giovan-
ni era fratello del celebre professore Bar-
tolomeo, e stato anche canonico e poi ar-
ciprete di Padova, e quando fu rimosso
dal vescovato patavino fu nominato arci-
vescovo di Patrasso, e quindi veneto ve-
scovo di Castello, cacciato e anticardi-
nale. Ma l'ommissione del passaggio dal
titolo di Patrasso alla sede d'Orvieto, la
leggo corretta nel p. Valle, Storia del
duomo d'Orvieto, p. 4°- l riferiti scrit-
tori semplicemente lo chiamano Giovan-
ni. D'altronde ilCiacconio nella sua dot-
ta opera, prima dell' anticardinale Gio-
vanni Piacentini, già a vea parlato del car-
dinal Giovanni arcivescovo di Corfù,che
Cardella, Novaes e altri cognominarono
Amadeo e dissero veneziano.-^Poco do-
po la deposizione del Piacentini, 44«°ve""
scovo fu nel 1 379 il veneto Nicolo II Mo-
rosini arcidiacono della cattedrale e pro-
fondano apostolico, ma nello stesso an-
no mori a'24 novembre. — Pochi giorni
dopoeneli379divennevescovo45.°della
patria il celebre Angelo II Corraroo Cor-
rer, il quale tardò a venire alla sua sede
per trovarsi allora occupato nella lega-
zione apostolica del Piceno (non lo no-
mina il Leopardi, nella Series Reclores
Alarchiae, se non nel i4o5-o6 Vicarius
Vonlificis e cardinale di s. Marco), e pa-
re che facesse il suo ingresso 0 ne preu-
VEN
desse possesso a'22 novembre i38o. To-
sto tenne il sinodo diocesano, da' fram-
menti del quale rilevasi la costituzinne,che
vieta di celebrare due messe in un gior-
no a chiunque, e quella che condanna al-
le carceri il chierico e la monaca ince-
stuosi. Governò poco più d'un decennio
la chiesa castellana, poi fu trasferito al
patriarcato di Costantinopoli , nel qual
tempo ebbe in commenda il vescovato di
Calcide e anche la sede arcivescovile di
Corone, nel i4o5 fu creato cardinale e
nel seguente Papa col nome di Gregorio
XII, laonde molto ne ragionai, anche in
quest'articolo nel § XIX alla sua memo-
rabile epoca di scisma e di turbolenze. —
Trasferito appena il Correr al detto pa-
triarcato,nel 1 390 i canonici diCastello do-
mandarono per 46." pastore il venetoG zo-
vanni V Loredan, primicerio di s. Mar-
co, e l' ottennero per pochi mesi, poiché
a'2 1 novembre fu traslocato alla sede di
Capodistria. Intanto per Venezia fu de-
stinalo amministratore il cardinal Cosi-
moMigliorati(<\\ Sulmona, e poi nel i4o4
Papa Innocenzo VII ' ), il quale ebbe a
suo vicario Antonio de' Belanciui pievano
di s. Toma, o forse fu amministratore nel-
la vacanza della sede dell'uno o dell' al-
tro de' due vescovi successori del Lore-
dan.— Neh 391 da Modone passò a que-
sta sede il veneto Francesco IFalier 47.°
vescovo, e vi giunse a' 3 luglio, morendo
poi a'2 7 marzo 1392. — Un mese dopo,
a'29 aprile, 48.0 vescovo fu eletto Leo-
nardo Delfino veneziano, già canonico
cantore di Modone, e successivamente de-
stinalo al vescovato di Jesolo, quindi nel
i385 vescovo d'Eraclea e nel 1387 arci-
vescovo di Creta. Convocò nel maggio
1396 il sinodo diocesano, di cui se ne sa
solo la notizia. Per la coronazione del do-
ge Steno, pronunziò orazione gratulato-
ria, e dal medesimo fu tosto invitato a
ricevere col consueto ceremoniale l'inve-
stitura del vescovato. Ma siccome erano
passati 9 anni senza essersi mai soggetta-
to a lai cereuiouia, e continuando a ricu-
VEN
sorsi, il doge e il senato ottennero la sua
remozioiie da Bonifacio IX, il quale a'q
giugno j4oi lo trasferì al titolo di patriar-
ca d'Alessandria, finche nel i 4o8 fu rista-
bilito nell'arcivescovato di Creta o Can-
dia, sino allora avendo dimorato in Ve-
nezia, probabilmente nella casa pater-
na.— A'27 luglio 1 4o i Bonifacio IX, a
istanza del doge e del senato, dichiarò
49. ° vescovo patrio Francesco II Bem-
bo , e perchè non si rinnovasse V abuso
del suo antecessore, il doge non tardò a
dargli la temporale investitura del vesco-
vato, la formalità rilevandosi dal seguen-
te documento.» i4oi i4 septembris. In-
diclione X. Reverendus Pater Dominus
Franciscus Bembo, Dei et apostolicaeSe-
dis gratia Episcopus Casteìlanus persona -
liter ad ecclesia ni s. Marci se contulit, et
fuit in missis cum illustrissimo Domino
Domino Michaele Steno Dei gratia inclito
Duce Venetiarumetc. et completo Credo
in unum Deum accessit idem d. Episcopus
cum venerabile viro Joanne Lauretano
primicerio, et aliquibus ex capellanis di-
claeecclesiaeseu capellae s. Marci ad alta-
re s. Marci, et ibi stante genuflexodictod.
Episcopo, idem d. primicerius, dixit ali-
qua verba quae in elleclu fuerunt, et ipse
primicerius nomine et prò parte praefa-
ti d. Ducis acceplabat ipsum d. Episco-
pum ad episcopatum Castellanum , et
deinde cantato Te Deum laudamus per
ipsos d. Episcopum, primicerium et ca-
pellanos, et dieta piallone Spirilus Sancii
per primicerium suprascriptum, idem d.
Episcopum cum praedictis primicerio et
capellanis accessit ad praesentiarn prae-
fati d. Ducis , qui cum uno annido liga-
to cum una cordula rubra serici, prae-
senlibus ex nobilibus Venetiarum in nu-
mero copioso, investiva ipsum d. Episco-
pum de bonis temporalibus existeulibus
in ducalu Veneliaruiu praefato Episco-
po et episcopatui suo spedanti bus et per-
tinentibus,prout est in siroilibus fieri con-
suetuin, quibus sic solemniter peractis ad
fiuem missae processimi est ". 11 largo e
VEN 121
gioviale vivere de'veneziani, che qua e là
ha appena toccato, del molto che ho letto
ne' loro storici antichi e odierni, portò di
conseguenza, che talvolta non pochi del
clero, in mezzo a tanti fomiti, si abban-
donarono a riprovevoli disordini, e cosi,
diversi de' molti monasteri di monache,
come rilevai uel § X e altrove, principal-
mente nella lagninata epoca del perni-
cioso, ostinato e lungo scisma, che da per
tutta rallentò la disciplina ecclesiastica e
la osservanza religiosa. Quindi nou è da
meravigliare, se lo storico ab. Cappellet-
ti racconta, come in que'deplorabili tem-
pi taluni ecclesiastici travestiti in abito
secolare si abbandonarono ad ogni gene-
re di misfatti, e poi colti dalla civile giu-
stiziacela vano di sottraisene coll'accam-
pare il privilegio dell'immunità ecclesia-
stica; e come vi pose freno il già loro ve-
scovo e concittadino Gregorio XII , eoa
lettera de' 18 maggio 1407, di cui ripor-
ta il seguente brano. « Quod si quis cle-
ricus deinceps infra ordinem subdiaco-
natus consistens tempore crimiuis non de-
ferebat habitum et tonsurarti per men-
seni ante immediate crimen commissum,
si ve deprehensusfueritsine habitu et ton-
sura clericali, ipso facto, et quod post
crimen commissum , fecerit se insiguiri
prima tonsura, et ex tunc non portaverit
continuo habitum et tonsurarti, ita quod
non appareat clericus, sint onini privilegio
clericali privaloet forosaecularisubjecti".
Terminò i suoi giorni il vescovoBemboa'G
settembre 1 4 1 6, lasciando onorevole me-
moria di somma pietà e di molto sapere.—
Gli sconcerti della Chiesa romana, per Io
scisma avignonese e per le sue sciagurate
conseguenze, che l'agitavano, raccontate
in breve ne'n ,i 1 6, 1 7 e 1 8 del § XIX, teu-
nero lungamente vedova di pastore la se-
de castellana, finche Papa Martino V, e«
letto l'u novembre i4!7> tosto appro-
vò il candidato dal senato stabilito sin
dal gennaio dello stesso anuo, per 5o.°
vescovo,nel nobile veneto Marco IIILa ri-
do, la cui memoria è nella cappella d'O*
122 VEN
guissanti della basilica di s. Pietro, l'uni*
ca superstite dell'aulica cattedrale, e da
lui edificala. Verso la medesima chiesa
fu generoso d' altre munificenze pel re-
staurato tetto, fondazione di due cappel
Ionie, donativi d'arredi sagri ec. Premu-
roso della disciplina ecclesiastica e della
riforma de'coslumi del clero , celebrò il
sinodo, in cui decretò utilissime costitu-
zioni , e celebralo per altre virtù morì
prima de'26 gennaio 1^16. — Verso il
luglio cessò la sede vacante colla trasla-
zione dall'arcivescovato di Creta, del ve-
neziano Pietro IV Donalo 5 1 »° vescovo,
mentre era governatore di Perugia, ove
restò a comporre i dissidii dell'Umbria ;
laonde, e per essere stato trasferito a Pa-
dova circa il luglio 1428, non venne mai
alla sua residenza. — A 52.° vescovo fu
promosso a' 16 luglio 1428 fir. Francesco
III Malipiero, già abbate di s. Cipriano
di Murano, e allora arcivescovo di Spa-
latro, indi l'i 1 maggio 1 43 3 passò al ve-
scovato di Vicenza a istanza di quel ca-
pitolo.— In tal mese Eugenio IV veneto
dichiarò 53.° vescovo di Castello, e fu l'ul-
timo, il concittadino s. Lorenzo II Già-
stinianit delle cui splendide virtù e san-
tità di vita, parlai nella biografìa, in va-
ri luoghi del presente articolo , e nel u.
25, § XVIII, siccome zelante ed esem-
plare priore de'canonici regolari di S.Gior-
gio in Alga da altri e può dirsi anche da
lui fondati, per l'incremento ch'egli die'
alla congregazione. L'encomiate doli e la
sua dottrinagli meritarono la patria cat-
tedra, ch'egli fece di tutto per ricusare,
anzi vi oppose resistenza la stessa sua fa-
miglia claustrale; ma nulla valse a disto-
gliere il Papa, che vi avea appartenuto,
dalla sua deliberazione. N'è luminosa te-
stimonianza il carteggio eh' ebbe luogo
su tale argomento tra Eugenio IV, il san-
to ed i canonici d'Alga, riportato dall'U-
ghelli e più intero dali'ab. Cappelletti. Il
quale dice : di quanto encomio fossero
queste lettere alle virtù e al merito del
piissimo candidato, si palesano da se; di
VEN
quanta forza per costringerlo ad ubbidi-
re, lo mostrò ben tosto l'elicilo. Impe-
rocché non polendo il sauto più a lungo
resistervi, vi si assoggettò finalmente a'
5 settembre, dice il Novaes. Ne'quali o-
norevoli e dolci coutrasti s'impiegarono
4 mesi circa. Il clero recossi a fargli omag-
gio a' 18 settembre 1 433. Lungo sareb-
be il dire le somme virlù, i portenti me-
ravigliosi, la celeste prudenza, di cui fu
impreziosito il suo pastorale ministero, di
cui distesamente parlarono gli scrittori di
sua vita, che poi noterò, siccome modello
de' vescovi. Bensì va ricordato il sinodo
diocesano da lui radunato, appena assun-
to il governo di sua chiesa, in cui molte
cose circa l'ecclesiastica disciplina stabilì,
e particolarmente le promozioni de'tito-
lati delle chiese; il diritto di convenire
con patti sulla mercede de'fuuerali e del-
la sepoltura de'morti, in luogo delle de-
cime, su cui altre novità erauo state in-
trodotte. Regolò altresì l'elezioni de'pie-
vani e molti altri punti rilevantissimi. Fe-
ce pure saggi regolamenti, di cui poi ot-
tenne la pontificia sanzione, sul ministe-
ro corale della cattedrale, sulla fondazio-
ne del seminario per 1' educazione de'
chierici, sulle promozioni e istituzioni de'
titolati per le varie chiese, e su altri pun-
ti di disciplina ecclesiastica. In vigore de'
quali regolamenti stabili vasi, che i cano-
nici della cattedrale dovessero osservare
la legge della residenza, e per facilitarne
l'osservanza concedeva usi loro alcuni ac-
crescimenti nelle rendite; che al capitolo
de'canonici fossero aggiunti 6 sotto cano-
nici, per servire alle sagre ufUziature, 3
nell'uffizio di diaconi e 3 di suddiaconi;
che i canonici nou avessero a conseguire
e tenere nel medesimo tempo ver un al-
tro beneficio , legato ad obbligo di resi-
denza, come cure parrocchiali o canoni-
cati nella basilica di s. Marco; che i ve-
scovi di Castello fossero obbligati ad as-
sistere personalmente in cattedrale alla
messa solenne in ogni domenica eiu tut-
te le festività della B. Vergine e de'ss. A-
VEK
postoli; ohe fosse fondato un collegio ili 1 2
chierici poveri, con due maestri per edu-
carli nella grammatica e nel canto eccle-
siastico; che l'elezioue de'canomci, decot-
to Canonici, de'cbierici e de' maestri ap-
partenga, per questa 1." volta, all'attuale
vescovo Lorenzo 11, ed in seguito al ca-
pitolo stesso, il quale per altro sia in ob-
bligo poi di presentare al vescovo il can-
didato per ottenere la dovuta couferma;
che al uiauleniuaeuto sì de' chierici, che
de'maeslri, sieno stabilite le reudite del
pievanato dis. Gio. Elemosinano di Rial-
to e de'3 primi titoli presbiterali, che in
tal chiesa fossero rimasti vacanti, e le ren-
dite altresì del distrullo monastero di s.
Marco in Boccalama, e della chiesa di s.
Giacomo di Rialto, le quali complessiva*
* mente formavano un annuo introito di
circa go ducati d'oro. Eugenio IV tutto
confermò colla bolla Injunctuni nobis, de'
29 dicembre 1 44'» presso il Cappelletti,
il quale riporta pure la bolla Ut igilur,
de' 1 o ottobre 1 442> co--a quale affidò l'e-
secuzione dell'altra a'vescovi di Padova
e di Treviso. Esibisce ancora le note che
il s. vescovo nel i45i registrò di suo pu-
gno nel Calastico del Vescovato, che fan»
no fede della sua paterna sollecitudine e
cura per le rendite della sede di Castel*
lo. Ma ormai siamo giunti ad un' epoca
d'iucremento di decoro e di lustro per la
s. Chiesa di Venezia, l'istituzione del suo
patriarcato.
Patriarchi di Venezia.
4. Nel i45i essendo morto Domeni-
co VI Michel patriarca 62.0dfGrado, la
povertà di sua mensa non comportava
più oltre il mantenimento d'un nuovo pa-
triarca, ed il suo pastore non poteva mai
o quasi mai recarsi in Grado a sedere
nella sua cattedra, essendo costretto a di-
morare costantemente nell'altrui diocesi,
cioè in quella di Castello, ove sulle 10
parrocchie che possedeva in Veuezia eser-
citava la sua giurisdizioue, ed anche que-
VEN 123
sta non di rado contrastatogli, mentre in
quella de' ss. Gervasio e Protasio i pa-
triarchi l' esercitavano promiscuamente
co' vescovi di Castello. Non era poi lieve
sconcio, che in una stessa città sedessero
due pastori, ed avessero in tutti gli angoli
e contrade di essa, frammischiate qua e
là, le chiese a se soggette; e tutte, com-
prese le appartenenti al patriarcato grade-
se e chene formavanola diocesi, s'intitolas-
sero indistintamente Castellatine Dioe-
cesis. Pertanto, considerando tutto que-
sto il glorioso Papa Nicolò V, dietro l'i-
stanze fattegli dal senato della repubbli-
ca veneta (dunque non è vero, che il se-
nato temendo che la dignità patriarcale
aggiunta al loro vescovo fosse per recare
alcun pregiudizio al comune, ond'erano
da principio di ciò malcontenti, e solo si
consolarono quaudo uè videro s. Loren-
zo investito, come narra il Rinaldi, An-
nali ecclesiastici) an. i45o, u. ig), sop-
presse il vescovato di Castello e il pa-
triarcato di Grado, ne incorporò i beni,
ne soppresse i titoli; eresse un nuovo pa-
triarcato col titolo di Patriarcato di Ve-
nezia. Il tutto eseguì colla bolla Regis
aeterni) ac Pastori scegli 8 ottobre 1 45 1 ,
Si riporta dall'ab. Cappelletti,dall'Ughel-
li, a p. 1 292, e dal Bull. Rota. t. 3, par.
3, p. 68. Quindi Nicolò V ne istituì pri-
mo patriarca il già vescovo di Castello
S.Lorenzo I Giustiniani. Vedasi Giusep-
pe Motta, De Metropolitico jure, §184.
Decorato così il santo prelato del titolo di
patriarca di Venezia sua patria, intrapre-
se il governo della nuova diocesi patriar-
cale, ben di molto più vasta di quello che
lo fosse il primitivo suo vescovato. Una
delle sue prime cure fu di radunare il si-
nodo provinciale, di cui non resta che Li-
na lettera di Maffeo Valaresso arcivesco-
vo di Zara, de'2D aprile i455, nel cui ti-
tolo si legge: Miser adone Divina Pa-
triarchae Venetiarum. Il quale arcive-
scovo, siccome in addietro era sottoposto
al patriarca di Grado, in quantochè era
questi primate della Dalmazia, così per
ii4 VEN
la slessa ragione dovea dipendere adesso
dal patriarca di Venezia, ehe nella digni-
tà priniaziale era succeduto a quello per
L\ recente istituzione. Era stato intimato
il sinodo per la 4-" Setti malia dopo Pa-
tulla del i4j5, e la lettera offre la dotta
data, e dichiara la sua impotenza d' in-
terveuirvi,e la sua prontezza in accettare
ed eseguire quanto vi fosse decretato.Un'
altra delle cure del fervido zelo di s. Lo-
renzo, pel bene della sua nuova diocesi,
fu l'invocare da Papa Calisto III la con-
forma di tutto ciò che Eugenio IV avea
concesso a favore della cattedrale di s.
Pietro, ora divenuta patriarcale e metro-
politana, e de' canonici e sotto-canonici,
acciocché il suo nuovo grado non avesse
a produrle alterazione veruna. E Cahsto
111 l'esaudì con bolla de'26 giugno i455.
Da un'altra bolla dello slesso Papa de'
19 luglio, diretta al prolo-palriarea, ci è
latto noto un abuso, contro cui essa è di-
letta. Avveniva in Venezia non di rado,
che coloro i quali trovavansi aggravati
da debili, uè aveano il modo o la volontà
di pagarli, si ascrivevano al clero, per sot-
trarsi quindi dal comparire dinanzi a'tri-
buttali civili; la qual cosa eziandio ci di*
mostra quanto allora fosse religiosamen-
te osservala in Venezia la legge dell'im-
munità ecclesiastica. Ma perchè le leggi
della Chiesa non devono mai concorrere
a patrocinio della frode, uè ad ingiusto
danno di altrui, perciò Calisto Ili, onde
impedire e sradicare così enorme disor-
dine, comandò al patriarca di costringe-
re ciò non ostante al pagamento di tulli i
debiti, chiunque per non pagarli si fosse
arresalo fraudolentemente alla milizia
ecclesiastica. Carico di meriti e di virtù,
ammirato e amato da tutli, e da tulli
pianto e desiderato, cessò di vivere il s.
Patriarca 1*8 genuaio i456; nel che gio-
va notare, che chi lo disse morto uel i45»5,
come il Buller e il iXovaes che seguo, non
«'avvidero doversi calcolare l'auno ad
uso veneto, il quale perciò diventa il
1 \i6. 11 suo bealo trausito, accompa-
VEN
guato da celesti prodigi, segnò il princi-
pio del culto, che a lui tributarono i ve-
neziani, come a loro celeste patrono. Im-
perocché insorta gravissima dispula, cir-
ca il luogo della sua sepoltura, rimase
insepolto per ben 4o giorni, senza dare
indizio di corruzione, anai spirando soa-
vissimo odore. Alla quale lite avea dalo
molivoegli stesso, ordinando che il suo
corpo fosse trasferito nell'isola di s. Gior-
gio io Alga, ove avea professato la clau-
strale osservanza. Ma i canonici della cat-
tedrale vi si opposero,ed ottennero che fos-
se deposto nella loro chiesa, ove tuttora
si venera nella cappella maggiore, nel-
l'urna ove fu riposto a'4 gennaio 1666.
La sorreggono 8 Angeli, e sopra di essa
è la statua del Santo in allodi pregare per
la patria, circondato dalle 4 statue in mar- *
mo de'ss. Pietro, Paolo, Giovanni e Mar-
co. Sisto IV nel 1 4-7^ l'onorò del titolo
di Bealo, 16 anni dopo la sua morte,
ordinando il processo per la canonizza-
tone, che fecero proseguire Leone X e
Adriano VI; e benché non compito Cle-
mente VII concesse l'uffizio e la messa di
beato confessore, da celebrarsi in tutte le
chiese del dominio veneto, non che per-
mise che le sue immagini si potessero col-
locare nelle chiese di Venezia, purché fos-
sero dipinte co'soli raggi e senza diade-
ma, come si legge nel suo breve, presso
Daniele Rosa, CoLlect. leslimonior. de s*
Laurentii Justiniani) p. 7 ; per cui il
Novaes lo disse allora propriamente bea-
tificato. Sisto V concesse indulgenza ple-
naria nella sua festa, a chi visitasse la
chiesa ove si venera il corpo, e Clemente
VIII nel 1598 l'estese a tutte le chiese
della congregazione di s. Giorgio in Al-
ga, e ne approvò l'uffizio proprio di rito
doppio con 8.' Nel 161 3 la repubblica
fece istanza alla s. Sede perchè si riassu-
messe il processo per la canouizzazione.
Liberala Palermo dalla peste per l'inter-
cessione del b. Lorenzo, Urbano VIII
glielo concesse per protettore con l'ufli-
fciodcl rilo corri spo udente, $ul breve Ex*
VEN
jìoni nobis, de'28 febbraio 1628, presso
il Cornalo, De Eccles. Fcnct.} e il Guer-
ra, Epitom. Bull. Rom. t. 1, p. 82 ; ed
a'21 agosto permise il Papa che il ven.
corpo si potesse collocare in una delle
cappelle erette nella metropolitana dal
patriarca Antonio 1 Contarmi. Nel i63o
afflitta Venezia dalla peste, ad esempio
de'palermitani, ne implorò il patrocinio,
proponendosi sollecitare la sua ascrizione
al catalogo de'santi, che la sua festa fos-
se annoverata fra quelle di palazzo, e in
essa ne venerassero le sagre ceneri il dogee
il senato, e sulla parete a destra della sud-
detta cappella Antonio Bellucci ne di-
pinse il voto. Finalmente il veneto Ales-
sandro Vili a' 16 ottobre 1690 solenne-
mente lo canonizzò nel Vaticano, indi
Benedetto XIII ne pubblicò la bolla Ra-
tioni congruità de' 12 gennaio 17 24, Bull.
Rom.t. 11, par. 2, p. 392. Innocenzo
XII l'i 1 agosto 1691 assegnò il giorno 5
settembre per celebramela festa con rito
semidoppio ad libitum, per essere quel
gioì no in cui fu esaltato alla dignità ve-
scovile di Castello; ma la s. congregazio-
ne de* riti con decreto 11 gennaioi752
concesse al clero secolare e regolare di
Venezia l'ufficio proprio del Santo, asse-
gnandone la festa al giorno 8 gennaio.
Benedetto XIV nello stesso 17^2 con-
cesse l'odierno uffizio, tutto proprio, con
inni, antifone, lezioni, responsorii ec,
e messa. Il veneto Clemente XIII con
decreto 12 settembre 1759, ordinò che
in tutta la Chiesa se ne celebrasse a' 5
settembre l' uffìzio e messa di precetto
col rito semidoppio. La Vita del b. Lo-
renzo Giustiniani, scritta in latino dal ni-
pote* Bernardo Giustiniani procuratore
di s. Marco, fu stampata in Venezia nel
i475, ed è riportata dal Surio agli 8 gen-
naio; (ìa'BoUatidisiìiAct.ss.Januar., 1. 1,
p. 55? ; da Daniele Piosa, Sillog. Sum-
nior. Sanctissimorumaue Ponti/, illu-
diti ior. Fenetor.y Venetiis 1614, e pre-
messa ancora alle dotte Opere dello stes-
so santo. Questa vita medesima, di cui si
VEN 125
vede un compendio nel Bzovio all'anno
i453, n. 44) ni tradotta in italiano dal
camaldolese p. d. Nicolò Minerbio e pub-
blicata a Venezia nel 171 2. In Roma nel
1703 fu impressa : Vita di s. Lorenzo
Giustiniano patrizio e proto-patriarca
di Venezia. Le opere del santo, che dal
p.Labbé si descrivono nel t. i,De Script.
Eccles. faro no stani pale insieme aBasilea
nel i56o, a Lione nel 1 586 e nel 1628,
a Venezia nel 1 606, a Colonia nel 161 2
e nel 1675, ed a Venezia anche neh 75 5,
t. 2 in fol. per cura di mg.r Nicolò Giu-
stiniani benedettino e vescovo di Verona.
Prima che s. Lorenzo lasciasse questa vi-
ta, riferisce l'ab. Cappelletti, che la re-
pubblica di Venezia avea pregato Nicolò
V, prò singulari grafia elcomplacenlia
nostri domimi. . ..sicut certi sumus Ve-
stram Sanclitalem prò sua singulari
erga nos clementia desiderare, che non
si riservasse l'elezione del successore, con
istanza del consiglio de' Dieci, che pro-
duce, e ne loda la sagacità e prudenza
«nel conservare intatto il suo diritto, per
tanti secoli usato, di eleggere i sagri pa-
stori allo spirituale governo delle diocesi
dello stato, e di conservare in pari tempo
la venerazione dovuta alla s. Sede apo-
stolica".— Maffìo Io Matteo Contarmi
II patriarca. Già canonico di s. Giorgio
in Alga e discepolo del santo predecesso-
re, venne eletto a pieni voti dal senato
a'2 3 gennaio i456, indi si adoperò per
abolire affatto nella sua chiesa l'antichis-
simo rito gvndesetàello patriarchino fCin
unitamente alla diguità patriarcale e tut-
te le altreprerogativedellachiesa di Gra-
do era derivato alla veneziana » seppur
non abbiasi a dire, che prima ancora di
ciò vi si osservasse un rito differente dal
romano: checche ne sia, egli volle intro-
durvi, o forse ripristinarvi il romano ".
Questo rito patria/ chino , lo stesso che
l'aquileiese, già cominciato nel i25o ad
alterare dal vescovo Pino, rimosso del
lutto dalla patriarcale,le parrocchie de Ila
città non vi si adattarono che a poco a
1*6 YEN
poco. Nel suo patriarcato s'introduce in
vece in Venezia il rito greco, dalla colo-
nia greca ivi rifugiatasi nel l44^» 'topo
l'eccidio dell'impero greco. Furono am-
messi a celebrare la messa col proprio
rito cattolico, e perciò venne loro asse-
gnata la cappella di s. Orsola, presso la
chiesa de'ss. Gio. e Paolo ; e poi nel 1 470
fu ordinato dal consiglio de'Dieci, clie ce-
lebrassero i sagri riti nella sola chiesa la-
tina di s. Biagio, acciò i latini potessero
sempre invigilare che i greci fossero e si
conservassero veramente cattolici ed uniti
alla romana Chiesa. Riguardanti questi
greci esistono più bolle -pontificie, e de-
creti di detto consiglio de' Dieci. Di so-
pra parlai di loro ne' voi. XCl,p. io, 290
e 366, XCII, p. 219, 590, 598, ed in
questo voi. nel § XX, n. 1. Ne dirò al-
tre parole nel X Datriarcato. Mori il pa-
triarca Malììo I a* 26 marzo 1460, e fu
sepolto nella chiesa di s. Giorgio in Al-
ga, come aveva ordinato. — Andrea
Bondimerio o Bondimero o Bundumie-
ro IH patriarca. Nel n. 5 del § XVIII
lo celebrai fondatore de' canonici rego-
lari di s. Spirito in isola. A pieni voli Io
elesse il senato a'7 aprile 14.60, e Papa
Pio II ne approvò la scelta con iscrivere
all'eletto, quia tum dignitas haec pa-
triarchalisest magnaci qui eam accipit
recognoscere Seder» aposlolicam debet
et ab illa cognoscij contentaniur (i voli
del doge ede'cittadini),e£ in virtutesan-
cine obedientiae tibimandamustut sinc
mora adnos venias, neque in hoc excu-
sationem ullam praetendas. Ma il vir-
tuoso Andrea ricusando la dignità, il se-
nato deliberò di chiamarlo a se per co-
stringerlo ad accettarla, e Pioli gli scris-
se perciò un'esortatoria derogando al vo-
to da lui fatto di restare nel monastero,
ingiungendogli d'assumere la cura delle
anime a lui commesse. A' 16 maggio il
consiglio de' Pregaci i decretò di eflicace-
mente esortare e invitare il prelato ad
accettare il patriarcato che aveano rac-
comandalo alla s. Sede, ed il Papa, ad
V E N
prece* et supplì cationcs nostra* clcmen-
ter ad iptam dignitalcrn promovit. Co-
stretto adunque di sì forti istanze, ricevè
finalmente Andrea la dignità, che am-
ministrò santamente. Pubblicò utili co-
sliluzioni per l'osservanza della discipli-
na ecclesiastica, massime la residenza per-
sonale de'beneficiati, introdusse nell'urli-
ziatura la particolare commemorazione
de'ss. Ermagora e Fortunato, decretò che
si accendessero lumi sull'altare nella ce-
lebrazione del divino sagrifizio della s.
messa (!), ed uno sempre ardesse dinan-
zi il ss. Sigramento ec. Per migliorare
lo stato delle rendite patriarcali ottenne
licenza dal Papa di vendere il palazzo del
patriarca di Grado, adiacente a s. Silve-
stro, e la contigua cappella d'Ognissan-
ti, per impiegare un 3.° del ricavato a
riparare le altre case di ragione del pa-
triarcato, e cogli altri due terzi acquista-
re nuovi fondi per aumentarne i proven-
ti; la qual cosa non ebbe effetto, perchè
il suo successore die' in vece il palazzo in
enfiteusi alla scuola di s. Rocco. Mentre
era comune uso di far incidere nel si-
gillo lo stemma della propria famiglia, il
pio patriarca vi fece esprimere 1* effigie
di s. Andrea e V iscrizione intorno : Si-
gillimi Andreae Bondimerio Patriar*
chae Venet. Morto a'6 agosto 1 464, il
cadavere fu trasferito nel monastero di
s. Spirito da lui fondato, e meritò che
nel catalogo de'Santi e Beati, raccolto dal
patriarca Tiepolo un secolo e mezzo do-
po, fosse onorato col titolo di Beato. —
Gregorio Correr IV patriarca. Tre
giorni dopo il decesso del predecessore
fu scelto con pieni voti del senato a suc-
cederlo. Era egli pronipote di Grego-
rio XII, abbate commendatario di s. Ze-
no di Verona e protonotario apostoli-
co, la cui elezioue il veneto e paren-
te Paolo II tardò ad approvare, volen-
do in vece che fosse patriarca il proprio
nipote Giovanni Barozzi. Al senato di
già Io aveva raccomandato caldamen-
te il moribondo s. Lorenzo, non che gli
VEN
altri due predecessori Ma (fio e Andrea,
anzi questo avea chiesto che a lui si pre-
ferisse, ma allora nou volle accettare.
Tel suo merito e letteratura, per le bei-
le speranze di lui concepite, riuscì ama-
ra la sollecita sua perdita a' ig novem-
bre. Fu condotto al sepolcro con ma-
gnifica pompa, decorata dall'intervento
del doge e della signoria, nella chiesa di
s. Giorgio in Alga, nella sontuosa cap-
pella da lui eretta, con epigrafe onore-
vole. — Giovatimi B arozzi F patriar-
ca. Avendo il senato eletto Marco Bar»
bo nipote di Paolo II, e non volendo e-
gli accettare la patria suprema dignità
ecclesiastica, per non distaccarsi dallo zio,
che poi lo creò cardinale, nominò in ve-
ce l'altro nipote del Papa, Barozzi allora
vescovo di Bergamo. Questi zelante a-
matore della giustizia e geloso custode
delle leggi ecclesiastiche, promosse la
cristiana pietà e P osservanza de* sagri
riti. Concepì il progetto di trasferire la
cattedra patriarcale da s. Pietro di Ca-
stello alla chiesa de'ss. Gio. e Paolo, ri-
putandola situata in luogo più. acconcio
e di magnificenza più. propria all'altez-
za di sua dignità ; ma non vi riuscì, colto
da morte repentina nel mercoledì santo
1466. — Mqffìo Ho Matteo o Maffeo
Gerardo o Girardi FI patriarca e car-
dinaie. Fu eletto nell'aprile )466, ab-
bate benemerito camaldolese di s. Mi-
chele di Murano e di maturo consiglio.
Questa scelta del senato presentata per
la conferma al concittadino Paolo 1 1, egli
la disapprovò e in vece esibì alla signo-
ria altri 4 prelati nobili veneti, da'quali
destinasse il patriarca. Ma il senato non
costumando rimuoversi dalle sue deter-
minazioni, si rifiutò d'accettare i propo-
sti, laonde le trattative andarono in lun-
go per vari mesi. Penalmente a'3o otto-
bre, per far cessare i mali derivati dalla
notabile sede vacante, il senato ingiunse
a Giovanni Soranzo e Pietro Morosini,
ambasciatori in Roma, di presentarsi al
Papa e d'instare con efficacissime e gra-
VEN 127
vi parole t acciocché fosse appi ovata la
nomina del Girardi, dichiarando che i
voti di tutta la città e dello stesso sena-
to volevano lui a pastore, per la singo-
lare opinione e per la grande stima che
se ne aveva della virtù e bontà. Le istan-
ze degli oratori sortirono il loro effetto,
poiché il Papa finalmente ne approvò
l'elezione e lo stabilì nella sede patriar-
cale vacante. Appena giuntovi, portò su
di essa quelle virtù, che lo avevano di-
stinto nel monastero; e prima di ogni al-
tra cosa si accinse a riformare i costumi
guasti del clero. Al qual proposito, per
esporre il quadro lagrimevolede'vizi d'o-
gni genere, che contaminavano gli eccle-
siastici veneziani di quell'età, il veneto
storico ab. Cappelletti trascrive e offre 5
lettere pontificie; due di Paolo IT, due di
Sisto IV e una d'Innocenzo Vili, scritte
dal i468al 1487, nel tempo del pastorale
governo di Maffio II, contro la funesta de-
pravazione. La 1/ lettera di Paolo II non
bastò a troncare il male dalla radice, sog-
gettando cioè al braccio secolare gli ec-
clesiastici, che per abbandonarsi più fran-
camente a* loro eccessi, si fossero sciolti
dal freno dell'abito loro comandato da'
sagri canoni. Alcuni anzi aveano trova-
to il modo di sottrarsi dall' ubbidienza
dovuta al patriarca ed a'rispettivi vesco-
vi, ottenendo da Roma, per vie indiret-
te, esenzioni, titoli e privilegi ; e tanto
s'era inoltrato anche su ciò il disordine,
che il governo si trovò costretto a pren-
dervi parte e cercare il modo di distrug-
gere P abuso, con domandare al Papa
l'autorizzazione di punire i delinquenti,
e Pottenue colla 2." lettera. Neppur tutto
questo bastando, Sisto IV scrisse le dette
lettere al patriarca sullo stesso argomen-
to, e in vigore di esse, il suo vicario ge-
nerale ebbe facoltà d'assistere agli esa-
mi d'inquisizione contro gli ecclesiastici
accusati d'alto tradimento e di falsifica-
zione di monete, rifiutandosi però d'in-
tervenire a' processi d'altri misfatti; il
perchè reclamando il governo ad Inno-
128
VEN
censo Vili, questi scrisse allo slesso vi-
cario. Anche i religiosi d'alcuni conven-
ti e monasteri, sotto pretesto di non sog-
giacere alla dipendenza ordinaria del
patriarca, tenevano aperta la vi;» a com-
mettere impunemente qualunque ecces-
so, per cui il senato fece due decreti, pu-
re dal Cappelletti riferiti cogli altri ri-
cordati, acciò se ne rendesse consapevo-
le il Papa, per porvi rimedio e togliere
il disordine. Il patriarca pensò ancora
all'erezione del campanile a decoro della
basilica patriarcale, al temporale prov-
vedimento del clero, pregiudicato nelle
decime mortuarie e in altro, e spesso da'
privilegi de' regolari ; ed ottenne pel se-
minario la sostituzione delle rendite, alle
cessate del ripristinato pievano di s. Gio.
Elemosinano. — Nel principio del pa-
triarcato di Ma ilio li, sembra potersi re-
gistrare l'unione ad esso del vescovato di
fu/ ni Ha o Equi Ho, Gesolo o Jesolo in
dialetto veneziano, secondo Corner. Dissi
alcune parole al primo di tali nomi, e
qui ne darò un cenno col Cappelletti. Es-
si sono derivati da'primitivi suoi abitari-
ti,profughi dalle persecuzioni de'barbari,
e nel luogo di mano in mano ricovrati-
si. Il più di essi essendo pastori e guar-
diani di razze di cavalli, dimoranti già
nell'agro di Oderzo e nel basso Friuli ;
ed ecco quindi l'etimologia di Equilia e
di Equilio, e Jesolo, finché in volgare fu
detto Lido Cavallino, col qual nome
chiamasi il Lido, ch'è tra il porto di Pia-
ve e il porto di Treporti. Gesolo poi si
nomina la palude più interna nella Lagu-
na. Per questa doppia denominazione di
Equi Ho e di Jesolo o Gesolo, alcuui e TU-
girelli fra gli altri, riputarono Gesolo ed
Equilio due diverse città. Essa fu consi-
derevole e rinomala presso i veneziani,
florida e forte sino a poter cozzare per
ben 90 anni colla vicina Eraclea o Cit-
tà Nova3 come raccontai nel § XIX ne'
primi numeri. Sorgeva presso l'antica
foce del Piave sopra terreno sano e a-
sciutto, divenuto oggi paludoso e deser-
VEN
to. Ebbe 4.2 belle chiese, ricche di pre-
ziosi marmi, e selciate n musaico soli.» l'or-
gia della basilica Marciana ; ma verso la
metà del secolo XV la città era all'atto
diroccatale mini ta a frumento, con gros-
se piante di uoci e di alti olmi. Pochi an-
ni dopo i muri erano coperti d'edere e
spine. La cattedrale eli s. Maria era uffi-
ciata darò canonici, oltre le dignità del-
l'arcidiacono e dell'arciprete: ricca era
la mensa, nobile l'episcopio. Aveva l'o-
spedale, il convento degli agostiniani di
s. Vito, il monastero delle monache di
s. Giovanni, il celebre monastero bene-
dettino di s. Giorgio di Pineto de' pa-
triarchi gradesi. L'origine del vescovato
è contemporanea a quella della città, per-
chè i profughi che l'edificarono vi con-
dussero il clero e le sagre cose, costrui-
rono chiese e fondarono la cattedra epi-
scopale. Il i.° vescovo che si conosca fu
Pietro dell' 876, a cui Papa Giovanni
Vili interdisse l'esercizio del sagro mi-
nistero per aver negato il dovuto osse-
quio al patriarca di Grado suo metropo-
litano. Poi trovasi Buono, che nel c)5 5
divenne patriarca gradese ; era veneziar
no, come lo fu Leone. Bembo del io io
circa. Ricorderò r piti degni di rimarco.
Giovanni Gradenigo del 1097, poi pa-
triarca di Grado. Pasquale neli 172 fu
spedito ambasciatore a Costantinopoli
per la pace. Felice intervenne neh 177
al sinodo tenuto da Papa Alessandro III
in Venezia, il quale poi neh 180 gli die'
a successore Liviano Fioravanle. Mat-
teo //nel 1220 fu trasferito alla sede di
Costantinopoli. Guglielmo governò dal
1276 al i3o5, e più cose si trovano di
lui. Pietro III Talonico fu vescovo dal
r324 al i343, e fu sepolto in s. Pater-
niano di Venezia, già sua pievania. Il
successore Marco Bianco veneziano, già
notaro, esercitò poi talvolta l'antico uf-
fìzio, ed Innocenzo VI l'elesse giudice in
una causa tra il vescovo di Castello e il
patriarca di Grado. Pietro IV de Na-
tali suo successore nel 1 370, già pievano
V E N
di ss. Apostoli di Venezia, fu volente rac-
itore di memorie di santi, che nel de-
corso dell'anno si onorano di culto, stam-
pate a Lione neh "42. Furono ultimi ve-
scovi d'Equilio oGesolo : Guglielmo IT
del IZJ25, mentre la città si trovava in
istato rovinoso, Antonio Boti del i442
delegato apostolico di Nicolò V in Ve-
nezia, e Andrea IT Buono o Don abba-
te di s. Gregorio di Venezia, e vicario
generale del vescovo di Castello s. Loren-
zo Giustiniani, 3 i.°e ultimo vescovo. Mor-
to nel settembre del 1466 non ebbe suc-
cessore, benché il senato avesse nomina-
to Alessandro Contarmi protonotario a-
postolico. Imperocché avendo decretato
Papa Paolo II, per più ragioni e princi-
palmente per la povertà della mensa, e
per l;i totale distruzione della città e chie-
sa d' Equilio, d' unire questo vescovato
alla chiesa patriarcale di Venezia, il se-
nato allora propose il Contarmi al ve-
scovato di llelimo. Ciò si apprende da'
decreti de* 1 6 settembre e 3 ottobre 1 4^6.
E poco dopo il Papa, con apposita bol-
la, effettuò la soppressione del vescovato
d'Equilio o Jesolo, e I' unione all' arci-
diocesi di Venezia. Siccome il vescovo An-
drea II non immaginò che la sua sede do-
vesse far parte del patriarcato veneto, con
testamento avea lasciato il pastorale, la
mitra e altri indumenti pontificali, per
uso del successore^ro tempore; de'qua-
li non abbisognandone il patriarcato ve-
neto a cui spettavano, Paolo II ordinò a'
12 dicembre 1466, che fosse il tutto con-
segnato alla chiesa d' Emonia o Città
Nova nell'Istria, e ne commise l'esecu-
zione con suo breve a d. Bartolomeo Pa-
rtita abbate di s. Giorgio Maggiore. Nel
n. 23, § XVIII, descrivendo il vicariato
foraneo di Torcello, dissi della chiesa di
s. Maria ad Nives, anticamente celebre
basilica e detta Litus Equilinum j della
chiesa di s. Gio. Battista di Cava Zuccari-
na, avanzo d'Equilio o Jesulo; della chie-
sa di s. Maria del Cavallino, Exquilia-
num. Tornando al patriarca camaldo-
vol. xeni.
VEN 119
lese, informalo Innocenzo VIH, detoni-
mi meriti di Gerardo (V.)} segretamente
lo creò cardinale nel 1489, dandone pe-
rò parte alla repubblica, e n'ebbe ringra-
ziamenti. Nel 1492, alla morte del Papa,
mal volentieri si recò al conclave, e ne fu
i.ivitato dal sagro collegio, ed esortato
dal senato, soltanto conducendo seco il ce-
lebre Pietro Delfino abbate generale de'
camaldolesi. Però nel ripatriare, mentre
già il senato a' losettembre 1492 avea or-
dinato l'incontro solennne del doge e del-
la signoria col bucintoro, onde onorarne
le virtù, morì in Terni, ed il cadavere
trasportato nella sua patriarcale, sulla
tomba si pose l'iscrizione riprodotta dal-
l' abbate Cappelletti, che giustamente
confuta il calunnioso e favoloso raccon-
to del Ciacconio e del Gariberti, con
documenti e critica. — Fr. Tomma-
so Dona VII patriarca. Benemerito
priore de' domenicani di s. Antonio, to-
sto il senato Io sostituì al defunto ili. ot-
tobre, ed a'3o l'approvò Alessandro VI,
dal quale ottenne di potersi celebrare la
i." messa del Natale nelle prime ore not-
turne, anziché a mezza notte, nella pa-
triarcale, come per privilegio si faceva in
s. Marco e in s. Francesco della Vigna.
Inoltre a lui commise, con bolla riportata
dal Cappelletti, la processola e punizione
d'un penitenziere pontifìcio, reo d'alto
tradimento, che il consiglio de'Dieci avea
rimesso al di lui arbitrio, facoltizzando-
lo a procedere in simili casi anche cou
altri ecclesiastici. Nel § VI,n. sparlan-
do del capitolo patriarcale, dissi quan-
to per esso ottenne dal- Papa in ampliar-
lo, e che circa l'elezione de' canonici,
confermò l'indulto d'Eugenio IV e Ca-
listo III. Arricchì la cattedrale di arre-
di sagri, l'abbellì e restaurò, e da' fon-
damenti a suo decoro, e per uso e como-
do de patriarchi, eresse il contiguo orato-
rio o bat.islerio di s. Giovanni Battista.
A vantaggio del patriarchio vi fece più
grandiose le scale, e cinse di muro il va-
sto orto; ed acquistò presso Mirano un
0
1 3o y e n
palazzo di campagna. Onoralo e stimato,
morì l'ri novembre i5o4, e fu deposto
nell'oratorio da lui edificato. — Antonio
J Soriano VJJI patriarca. Priore della
Certosa <li Padova, egià di quella di Vene-
ria, dal senato fu eletto a pieni voti 8*27
novembre i5o4, o alcun dì prima. Con-
tinuò a vivere da t:<onaco, e fu viva luce
di santità e virtù, componendo pure al-
cune opere ascetiche. Finì i suoi giorni
nel maggio i5o8, ed ebbe tomba in s.
Andrea della Certosa. — Alvise I Con-
tari ni IX patriarca. Era priore di s.
Ala ria dell' Orto de* canonici regolari di
». Giorgio in Alga, quando il senato ai
if) di detto maggio lo destinò alla pa-
tria sede, confermandolo Giulio li a' 7
giugno, il quale poi gli scrisse di negare
l'asilo ecclesiastico a' sicari, ribelli e si-
mili delinquenti, e se allora nelle chiese
e monasteri vi fossero rifugiati li cac-
ciasse. Indi la morte lo rapì a' 16 novem-
bre dello stesso 1 5o8, e fu sepolto in det-
ta chiesa. Gli si attribuiscono alcune o-
perette. — Antonio li Contarini X pa-
triarca. Priore de' canonici regolari «li
s. Salvatore, i4 giorni dopo successe al
defunto. A lui Giulio II nel i5i2 con-
fermò tutte le giurisdizioni eprivilegi del
patriarcato. Permise l'erezione del tem-
pio di s. Giorgio a' greci cattolici e l'uf-
ficiatura nel rito loro, di che discorsi nel
§ XIII, iì. 9; ma al presente è ufliziato
«la greci scismatici. Li presiede un arcive-
scovo scismatico, che pretende tenersi e
qualificarsi Ortodosso! Nella seiie 4«*
della Civiltà Cattolica, t. 2, p. 92, si an-
nuncia e si dà contezza della seguente o-
pera: » Eri ori delle Chiese Eoziane fi 're-
ca, Rutena ed Ellenica, e defezione del-
la colonia orientale di Venezia , di Leo-
nardo d.r Dudreville3avvocalo del foro
veneto e docente di diritto ecclesiastico e
civile, Venezia premiata tipografìa di
Giovanni Cecchini 1 S5q. Esiste in Ve-
nezia una colonia orientale di rito greco,
cominciata verso il i44^ d°l)0 'a <:a(!uta.
di Costantinopoli, la quale dopo aver e-
VEK
serri tato il suo rito in varie chiese, ti «fc
be una, costrutta appositamente per tal
fine, e intitolata a Cristo Salvatore ed
al martire s. Giorgio, dedicata nel 1 564-
Questa colonia fu cattolica, senza verun
dubbio del contrario, sino al termine del
secolo decimosettimo: da quell'epoca sino
alla caduta del governo veneto fu sospet-
tata di non intemerata fede; dal ponti-
ficato di Pio VII in appresso fu aperta-
mente scismatica. Ora a fin di tentare
una riconciliazione di questi traviati, il
dottoezelanteautore diquesto libro com-
pendia nella 1." parte la storia dello sci-
sma Foziano, recando alcuni de'molti te-
stimoni che vi sono dell'autorità del Ro-
mano Pontefice riconosciuto da' G reci,
da' Ruteni e dagli Ellenici j nella 2.a par-
te spone le eresie, onde le chiese scisma-
tiche sono infette ; nell* ultima tesse la
storia della colonia orientale in Venezia.
Per uno scritto brevissimo, e per una co-
Ionia sì di fresco passata allo scisma, v'è
quanto basta a farli accorti dell'errore in
che vivono, e provocarli al ravvedimen-
to". Ed io fervorosamente prego Dio e s«
Marco, a benedire le edificanti intenzio-
ni dell'egregio autore, a gloria della Re-
ligione cattolica, di Venezia, d'Italia, con
felice e prospero successo illuminando i
greci Eterodossi di Venezia, con far loro
conoscere la vera e terribile sentenza, die
fuori della Chiesa Cattolica non vi è la
salute eterna; sentenza che per amor fra-
terno non mi stancherò e sazierò mai di
ricordare, come da ultimo feci in quest'ai-
ticolo nel voi. XCI, p. 241 e seg. E qui,
collo stesso affettuoso scopo, godo po-
tere riportare un sunto d' una disserta-
zione recitata nella mia accademia di Re-
ligione cattolica di Roma, a cui indegna-
mente appartengo, che ricavo dalla Ci-
viltà Cattolica, serie 2.8, t. 12, p. 109,
» Nella tornata de'2 agosto 1 855 il Rni*
p. ab. Teobaldo Cesari, procu» atore ge-
nerale de'cisteicicnsi, prese a dimostiare
che la massima fuori ile Ila Chiesa Cat-
tolica non ve salute, è fondata nella Et*
VEN
de e nella s. Scrittura, ed è con Torme alla
retta ragione. S'aprì Ja via alla dimostra-
zione col dichiarare che la sola Chiesa
Romana può e deve dirsi Cattolica. Ciò
f^llo, entrò nell'argomento, e in primo
luogo dichiarò che quella massima è fon-
data nella fede con lungo e sapiente ra-
gionamento, il coi nerbo crediamo possa
ridursi a questo entimema. Nel fondare
la Chiesa il divin Redentore die'la mis-
sione agli Apostoli di promettere la salute
a chi credessealla loropredicazione.Dun-
que non vi può essere salute che solo in
quella Chiesa, nella quale si conserva la
successione e la predicazione apostolica»
qual è solamente la Romana. In secondo
luogo così dimostrò il fondamento che
dà la Scrittura alla medesima verità. Nel
Nuovo Testamento Gesù nostro divino
maestro chiamò gli Apostoli e io loro i
successori degli Apostoli, luce del mon-
do, sale della terra ', e tralci della vite
um ti al tronco : dunque chi è fuori della
Chiesa Romana, ove solo la successione
apostolica si conserva, non sarà preser-
vato dalle tenebre, dalla corruzione, dal-
l'aridità. E ciò dimostrano eziandio le
figure dell'Antico Testamento che pre-
sentano la Chiesa di Gesù Cristo, sicco-
me la città dove giorno e notte assicu-
rasi la salvezza a chi vi si rifugia, sicco-
me la pietra fondamentale sopra la quale
si fonda l'edificio che unisce la terrena
ulla celeste Gerusalemme, e contro cui o-
gni cozzo nemico urta in vano. La quale
doppia figura non può, se guardasi alla
storia della Chiesa, applicarsi che alla sola
Chiesa Romana. Nell'ultima parte il ra-
gionamento un po'più, disteso a provare
la convenevolezza della ragione con que-
sta dottrina, può ridursi a questo punto.
Nella sola Chiesa Romana trovansi que-
gli evidenti motivi di credibilità esterna
che rendono ragionevole l'ossequio della
nostra \m\e} e que'mezzi intrinseci di sal-
vezza che sono i Sacramenti, i quali aiu-
tano sostanzialmente la nostra fragilità
al compimento de'cristiani doveri j quau-
VEN i3t
do fuori d'essa irragionevole è ogni cre-
denza, perduto ogni vero' uso di sagra-
menti. Chiudendo 1' autore la sua dotta
orazione, manifesta con accese parole il
voto del cuor suo che la Chiesa Cattolica
trionfi in tutto il móndo, e la speranza
che questo trionfo sia affrettato dall'osse-
quio che la Chiesa Cattolica rende a Ma-
ria ss. Immacolata". Ma si riprenda l'in-
terrotta narrativa. Nella cattedrale di
s. Pietro, il patriarca Antonio li eresse
nel i 5 1 6 le cappelle del ss. Sagramenlo,
e di s. Croce in Gerusalemme e già di
s. Martino, alla quale Col consenso del
capitolo, unì le rendite di s. Martino di
Bibiano nel territorio di Sacile, e dipen-
dente dal patriarcato. Quasi rifabbricò
da' fondamenti il palazzo patriarcale, e
nella sala massima vi fece dipingere la
serie de'vescovi di Olivolo e di Castello,
e de' patriarchi di Venezia, però inesat-
ta per la necrologia storica. Ora non più
esiste, essendo il palazzo quasi da mezzo
secolo mutato in caserma militare. Quan-
to fu benemerito della riforma de' rilas-
sati monasteri delle religiose, lo narrai
nel § X. Terminò sua vita a' *j ottobre
i 5^4, e fu deposto nel sepolcro da lui
costruito uella cappella di s. Croce. Be-
nemerito pastore, le sue virtù lo resero
meritevole che si avesse in concetto di
santità, e perciò onorato del titolo di
Beato nel catalogo de' Santi veneziani
del patriarca Tiepolo. — Fr* Girala*
mo Quirini XI patriarca. Da priore do-
menicano a* 1 1 ottobre 1324 fu prefe-
rito dal senato ad altri "òj concorrenti (!),
che vi si erano fatti inscrivere, al patrio
patriarcato. Clemente VII non solo l'ap-
provò a' io febbraio i3*5, ma gli con-
cesse di poter disporre delle rendite del
patriarcato per uu biennio, ancorché ili
esso morisse. In quest'anno insorse grave
differenza sull'elezione del vicario per-
petuo di s. Bartolomeo, pretesa da' par-
rocchiani e favorita dal governo, a 'quali
convenne cedere al giudizio della s.Sede<
Durante la lite, e per lai caso, il governa
i32 VEN
implorò dal Papa la bolla Ad sacram
b. Pelvi Salem , ile' 7 febbraio 1 foG,
presso il Cappelli-Ili colle altre die ac-
cennerò, colla quale confermò il padro*
nato ile' parrocchiani nell'elezione ilei
carati della città, provvedendo pure al-
l'istituzione de' titolati e de' titoli bene-
ficiali. 11 patriarca avea proibita la ce-
lebrazione della messa negli oratoria do-
mestici, non ostante gì' indulti aposto-
lici, per cui i sacerdoti regolari a lui non
soggetti porlandovisi a celebrare pregiu-
dicavano notabilmente il clero secolare.
A Ile lagnanze corrispose Clemente VII con
lettera 1 r dicembre 1 529, autorizzando
i parrochi e sacerdoti di Venezia a ce-
lebrare in tali oratorii al bisogno. Il pa-
triarca, tenace osservatore de' sagri ca-
noni, per 1' asprezza de' modi co' quali
n'esigeva l'esecuzione, incontrò il male
umore di molti e dello stesso governo,
per cui il Papa con lettera degli 8 gen-
naio i53i l'esortò alla dolcezza e alla
mansuetudine. Ciò non bastò a modera*
re l' indole dura del prelato, anzi cupido
di dilatare i diritti della sua sede, spesso
negava a' patroni l'esercizio de' loro di-
ritti nelle nomine de' benefizi. Per le
frequenti discordie e disturbi che ne con-
seguirono, il governo ricorse a Clemen-
te VII, e questi vi rimediò colla bolla
Exponi nobisy de' 3o maggio i532, in
cui riconfermate l'antiche consuetudini
diocesane, ordinò che se il patriarca si fos-
se ricusato concedere le licenze per l'e-
lezione de' pievani e de' titolati, o di con-
fermare gli eletti, supplisse il nunzio a-
poslolico residente in Venezia, e in sua
assenza il primicerio di s. Marco, a cui
intanto commise l'esecuzione della bol-
la. Ria tutte queste determinazioni pon-
tificie, anziché promuovere la desiderata
concordia, furono occasione di altre con-
trarietà, e non più tra il patriarca e il
clero, bensì tra il prelato e il nunzio a-
postolico, perchè questi il più delle vol-
te per apostolica autorità annullava ciò
che il patriarca di suo diritto ordinario
VEN
avea stabilito. Per sottrarsi dalle disgu-
stose molestie, che colla sua ostinazione
s'era d'ogni parte suscitale, il patriarca
si risolse a volontario esilio, allontanan-
dosi dalla città con grave scandalo e di-
sonore di essa, come pure della dignità
pontificia , il cui nunzio doveva lottare
spesso contro l'ordinario. Parti fr. Gi-
rolamo nel 1 54 1 > ma già altre volle per
simile cagioue avea abbandonalo la sua
residenza, come nel 1 533, e allora il se-
nato gli avea sospeso le rendite, solo ri-
tornandovi verso il i54o, dopo aver di-
moralo in Ronzano presso Bologna e in
Bologna stessa. Per questa 1.' suaassenza,
Paolo III con breve de' 27 febbraio i5/J2
incaricò il suo nunzio e il primicerio di
s. Marco, a vegliare perchè durante la
sua lontananza .non avessero a patire
discapito le chiese parrocchiali. Trovo
nel prof. Romanin, l. 6, p. i4> che Cle-
mente VII a togliere gli abusi introdot-
ti nella collezione de' benefizi e nell'e-
lezione de' pievani emanò nel i5i 5 (do-
vrà dire nel i525) la bolla detta Cle-
mentina, sebbene pubblicata a' 14 di-
cembre i53o, della quale il governo si
mostrò tanto geloso, che nominò appo-
sito dottore laico, versato nel gius cano-
nico, affinchè col titolo di Conservatore
della bolla Clementina avesse a veglia-
re alla sua puntuale esecuzione. Il Cosmi
ne scrisse la Storia, eh 'è nella Marciana
mss. Il patriarca benché lontano si prese
cura del clero, e specialmente dell'edu-
cazione de' chierici, pe' quali institi» un
fondo pe'maeslri che dovessero istruirli,
e decente abitazione presso la cattedrale.
Fr. Girolamo passò gli ultimi anni del
viver suo, presso Vicenza sul colle di s.
Sebastiano, ove mori a' 19 agosto 1 554,
e trasferito il cadavere in Venezia fu de-
posto nel capitolo del suo antico con-
vento di s. Domenico, nel sepolcro che
erasi preparato, con onorifico epitaffio;
ma a' nostri giorni demolito il convento,
le sue ossa furono trasportate in s. Pietro
di Castello. Grande fu la sua carità verso
VER
i poveri di quel sestiere, mirabile l'amor
patrio, per cui aiutò la repubblica con
denari e con effetti preziosi nelle sue ur-
genze. Le sue maniere strane e l'ecces-
siva rigidezza provocarono il senato a
proporsi quasi per legge, di non isceglie-
re mai più alla patriarcal dignità ve-
ron claustrale, ina quindi innanzi di pro-
muovervi un seuatore. — Pier France-
sco Conlari ni XII patriarca. Senatore
e censore, uno de' più delicati e onore-
voli uilici della repubblica, dallo stato se-
colaresco, fu innalzato al grado supre-
mo dell' ecclesiastica gerarchia veneta ai
21 agosto i 554» però visse soli 16 mesi,
morendo nella uotte di Natale i555, lo-
dalo per molte virtù e 6omtna dottri-
na, forse autore d'un commento sui li-
bri d'Aristotile De physico auditu. —
Rincalzo Diedo XIII patriarca. Po«
desta ili Padova e senatore, fuelettoa'ci5
gennaio 1 556. Ricordevole Paolo lVde'
dissapori tra la nunziatura di Venezia e
il patriarca Quirint, raccomandò al suo
nun?io caldamente la buona < elazioue
col nuovo patriarca. Questi fu vigilan-
tissimo e premurosissimo dell'osservan-
za e del decoro dell' ecclesiastica disci-
plina, perciò ebbe a incontrare molte op-
posizioni col clero cui riusciva gravoso
il suo zelo. Ma il saggio prelato invocò
l'approvazione pontifìcia,e tutelòall'om-
Lra di osa le ilabilite regole. Alche si
riferisce la lettera di Paolo IV de'2 mar-
zo i5j7 sull'idoneità completa degli a-
ipiranti ad ogni benefìcio. 11 patriarca
tesiamo la cattedrale ed i propinqui e-
dilizi, e rnoiì l'8 dicembre i55g, se-
polto dinanzi la porta maggiore di tal
tempio. ; — ■ Giovanni lì Trevisan XI F
patriarca. Abbate 6o.° benedettino di s.
Cipriano di Murano, fu eletto ne' primi
di gennaio i56o, a cui nel confermarlo
a'iG lebbraio Pio IV, gli accordò rite-
nere iti commenda l'abbazia per tutta la
vita, . nel 1. "marzo concesse per indul-
to pontificio l'uso del Rocchetto s come
notai iu quell'articolo, ed altre insegne
VEN i33
de'prelati secolari. Egli fu assai beneme-
rito della s. Chiesa veneziana, che tut-
tora ne tiene in onore il nome. Premu-
rosissimo dell'osservanza delle clericali
discipline e del buon ordine nella chiesa,
fu perciò autore di molte analoghe lo-
devoli provvidenze, che fece confermare
dall'autorità pontificia nel 1 56o e 1 56 1 ;
laonde fu proibito a lutti, analogamente
all'ordinato da Paolo IV, nelle promo-
zioni o concorrenze de' benefizi , l'ap-
pellazione alla s. Sede o al nunzio di Ve-
nezia, de' ripulsati dal patriarca come
non idonei; e si rinnovarono alla chiesa
veneta tutti i privilegi e diritti sino ad
Eugeuio IV concessi da' Papi, tanto alla
chiesa patriarcale di Grado, quanto alla
chiesa di Castello, e lutti Pio IV li con-
centrò nella sola chiesa metropolitaua di
Venezia. Figurò Giovauni tra' padri del
concilio di Trento, e ritornato alla sua
chiesa si die'ogni premura per adattarne
in ogni parte la disciplina, alle regole
stabilite in quel sagrosanlo ecumenico
sinodo. Vi piantò pertanto il seminario
de' chierici presso la chiesa di s. Gere-
mia, donde iu seguito lo trasferì iu s. Ci-
priano di Murauo, di cui ragionai nel
voi. XC, p. 3oo, e nel § XVIII, u. ig,
stabilendone le rendite; tutto poi appio-
vando Sisto V, il quale concesse iu per-
petuo l'abbazia di s.Cipriano,quali abbati
commendatari, a' patriarchi di Venezia,
al modo riferito nel voi. XCI, p. 56j.
Rad imo 3 volte il sinodo diocesano e per
ultimo nel 1 ^78, e raccolte insieme le
migliori leggi disciplinari de' vescovi di
Castello e de'patriarchi di Grado ne for-
mò il corpo delle Constitutiones et pri'
vilegia Patriarchatus et Cleri Fenetia-
runìy e le pubblicò colle stampe, l'ab.
Cappelletti riproducendole nel t. 6 della
Storia della Chiesa di Venezia, insie-
me a' delti sinodi. Della visita eseguila
in Venezia, da due visitatori apostolici
deputati da Gregorio XIII, e delle loro
disposizioni e ricordi pel clero secolare
e regolare, parlai nel § XIX, u. 3o, do-
j34 vbm
gado 87.0 Inoltre Giovanni II ottenne
da Sisto V, colla bolla Romanum ì\>n-
tificem, de' 3o dicembre 1^90, presso
i) Cappelletti, die i chierici della chiesa
veneta continuassero ad essere ammessi
agli ordini sagri (per disposizioni di Leo-
ne X e di Clemente VII nel 15^5, co-
me toccai altrove, e nel voi. XCI, p. 10,
correggendo la data 3o dicembre ), a
titolo dì servitìi di chiesa, ossia sen-
z aver titolo di beneficio o di patròno*
nio (richiesto dal concilio di Trento)
ecclesiastico, col solo appoggio del ser-
vizio prestalo e da prestarsi ad una chie-
sa, nel cui clero avrebbero poscia otte-
nuto alla loro volta il titolo ossia il be-
neficio, entrando a formar parte del ca-
pitolo rispettivo. Sapientissima determi-
nazione, che assicurava alle chiese di Ve-
nezia un servizio stabile e decoroso si
nelle ufìiziature sagre, che nella cura del-
l'anime. Mori il benefico prelato a* 3
agosto iSpo, prima che fosse spedita sì
interessantissima bolla per la diocesi ve-
neta, e f„ deposto nel sepolcro prepara-
tosi ava„ti l'altare da lui eretto, dotato
e conSag|.alo< c|j s- Giovanni Evangelista
Jt:,la patriarcale. 11 senato nello scegliei"
*° alla patria sede, avea derogato dal'
' adollato sistema, die escludeva un ec
c'esiastico regolare, ma tosto tomo a se-
guirlo. -— Lorenzo U Prudi XV pa-
tr'arca e cardinale. Settatore di spec-
chiata vii lu, di somma prudenza, di pro-
fonda dottrina, già savio agli ordini,
ambasciatore in Toscana, a Madrid, a
Parigi, dal 1 584 in poi presso Gregorio
XIII e Sisto Vi allora era podestà di
Brescia, quaudo fu eletto nel gennaio
1 #9 1 . Subito si mostrò espertissimo del-
l'ecclesiastica disciplina, e 1," sua cura fu
la riforma de* costumi del clero e di re-
golarli fittila norma delle leggi canoni-
die, al che prestò mano Clemeute Vili
con bolla de'»5 aprile i5ga, laccomau-
dandogli perciò anche la visita delle cine
se de' regolar». E poiché colla bolla l'e-
sortava pure alla couvocMione d'uu si*
IfiN
nodo o diocesano o metropolitano, a pia.
cere e pel meglio, e^li non lardò a ra-
dunarlo diocesano. Lo tenne a' 9, 10 e
1 1 settembre di detto anno. Fra le alti
cose, furono ripetute le proibizioni di
far nelle chiese rappresentazioni di coso
sagre accompagnate da predica. Fu stam-
palo, e iu seguito gli furono aggiunte le
costituzioni e le esortazioni de' suddetti
visitatori apostolici. Ne radunò altro ai
1 5, 1 6 e 1 7 novembre 1 5i)%, i cui canoni
furono similmente stampatile riuscì come
un perfezionamento del primo. Notai a suo
luogo, che nuove premure del patriarca,
per accrescere le rendite al seminario,
ottennero aiuti da Clemente Vili, e op-
portuna stazione presso le chiese e nelle
fabbriche del priorato della ss. Trinità
de' cavalieri Teutonici, ivi appunto ove
poi sorse il magnifico tempio della Sa-
lute, e dove ai nostri giorni vi tornò e
fiorisce. Clemente Vi 1 1, a' 5 giuguo 1 596
premiò il Priuli (/'.) col cardinalato.
Sostenne lunga lite pe' di ritti d'alcune
reudite, nella villa di Torre di Mosto,
della diocesi di Ceueda, e curò l' estin-
zione d' un debito che gravava la mensa,
con indulto apostolico de' 24 dicembre
1^96, ov'egli è chiamato cardinale dal
tìtolo di s. Maria in Trasponimi ed
amministratore della chiesa palriar*
cale. Queste parole destarono sospetto
all'ab. Cappelletti, che divenuto cardi-
nale, avesse rinunziato il patriarcato, e
ne fosse divenuto amministratore, di che
nulla potè trovare di schiarimento. Nel-
lo stesso anno si accinse alla grandiosa
impresa di rifabbricare la cattedrale, ca-
duta in deperimento, per la quale due
anni iunanzi avea posta la 1/ pietrai la
facciata terminandosi in detto auuo,e nel-
l' iscrizione si legge; Palrìarchae Vene*
tìarum, lo tale occasione il corpo di s,
Lorenzo proto- patriarca, dalla cappella
di 8. Michele, fu trasportalo nell'altare
maggiore. Lasciò poi il cardinali l'inca-
rico al uipote Marco, di erigere nella
nuova chiesa i' altare del mai litio di s.
VEN
Giovanni apostolo, e riuscì uno dei più
belli della medesima. Il cardinale non
potè veder compito il tempio, perchè
morì a' 26 gennaio 1600, e fu sepolto
a pie de' gradini di detto altare, senza
memoria, bensì essa è in due lapidi la-
terali all'altare, collocate nel 1640. Il
suo cadavere 24 anni dopo Iti trovato
intatto e incorrotto, quando il patriarca
Tiepolo fece demolire il vecchio tem-
pio, per continuare l'erezione del nuovo,
e dal rogito die ne fu fatto è chiamato
Patrìarchae Fé net. — Matteo Zane
XP I patriarca. Successa due giorni dopo
al defunto, essendo consigliere ducale e
senatore. Avea sostenuto altri onorevoli
tifiti a prò della patria, ne' quali die'
lumiuose prove di prudenza, probità e
sapere, come nell'ambascerie a' duchi
d'Urbino e Savoia, a' re di Portogallo
e di Spagna, all' imperatore Rodolfo II e
al sultano Animai III. Leggo nella Vita
di Clemente FUI, del veneto Giovanni
Stringa, che il prelato neh 601 si trasferì
in Roma (non già per sottoporlo all^vi-
mc, che il Papa avea ingiunto a tutti i ve-
scovi d'Italia,al che la repubblica oppone-
vasi in base de'suoi privilegi), o v'era con
gran desiderio atteso dal Papa,il quale per
le rare sue qualità, volle con segnalato e
straordinario favore di propria mano or-
dinarlo e consagrarlo; edopo avergli dato
segni di paterno affetto, anche verso la re-
pubblica, gli die'licenza di tornare a Veue-
zia, come fece nel dicembre, dove giun-
to, a' 3 i dello stesso dicembre prese pos-
sesso solenne del patriarcato. Breve fu
il suo pastorale governo, moreudoa'2^
luglio i6o5, e fu sepolto nella basilica
metropolitana. — Francesco Fé/idra-
mino XF li patriarca e cardinale. Già
ambasciatore a Torino, a Madrid, a Vien-
na, a Parigi, a Clemente Vili, a Paolo
V in Roma straordinario, mentre ivi si
trovava, ornato pure della toga senato-
ria, a' 26 luglio i6o5 fu eletto patriar-
ca, cioè dopo due giorni di sede vacati-
le, ma non ottenne la pontificia confa* •
VEN i35
ma se non a* 22 maggio 1608, a cagio
ne delle famosi controversie insorte ap-
punto nell'anno di sua promozione, tra
la repubblica e Paolo V che lanciò la
pena canonica dell' interdetto a Venezia,
il tutto deplorato ne' n. 32 e 33 del §
XIX. La controversia riguardante la sua
elezione, derivò dall'esigere Paolo V che
si recasse in Roma all'esame imposto a*
vescovi eletti. Il senato si oppose, dichia-
rando,che ad un esame non avrebbe giam-
mai acconsentito, solo permettendo nu-
dasse il nuovo patriarca a Roma per ba-
ciare il piede a Sua Santità, se questa di
tal rispettosa dimostrazione si contentas-
se; e questo servì ancora ad inasprire i
disgusti insorti fra il senato e Paolo V,
che poi degenerarono in aperta rottura,
che produsse l'interdetto. Il seuato avea
dato commissiouea'4auibasciatori invia-
ti a Paolo V per le congralulazioui della
sua assunzione al pontificato, di pregarlo
a impartire al patriarca Vendramino la
benedizione senza l'esame,e di sbrigare il
negozio diCeneda, parlato nel § XIX,do-
gado7g.°,per togliere gl'incouveuienti che
ne derivavano. Il patriarca non esseudo
confermatodal Papa, continuò il governo
della diocesi patriarcale il vicario capito-
lare, ed a questo il seuato vietò la pubbli-
cazione della pontificia scomunica. Se-
guila poi la riconciliazione della repub-
blica colla s. Sedet il Papa toruaudo sul-
l'affare dell'esame del prelato, dichiaran-
do il desiderio suo di compiacere il senato,
se gli fosse permesso dal suo sublime mi-
nistero, non lasciò tuttavia d'insistere per-
chè avesse effetto, con l'ambasciatore ve-
ueto Contai ini, il quale però rimise iu
campo, come al solito, i privilegi antichi
della repubblica e le sue consuetudi ui, di
cui era gelosa conservatrice. Iu fiue fu
pur uopo venire auojie iu questo ad un
accordo, e la repubblica permise per que-
sta sola volta l'andata a Roma del pa-
triarca, ottenendo la promessa che per
l'avvenire più non se ne parlerebbe. In
fatti, aY) geuuaio 1609 il cardiual Cor-
1 36 V E N
ghese, nipolc ili Paolo V, scrisse al nun-
zio apostolico eli Venezia. » Quando la
serenissima repubblica di Venezia rimova
l'impedimento del sig.r Francesco Ven-
dramino eletto e nominalo da lei al pa-
triarcato di quella città, per sottoporsi
al solito esame innanzi a Nostro Signore,
e venga per questo effetto a Roma, si con-
tenta Sua Santità che V. S. possa pro-
mettere insuo nome, comeelTeltivamente
prometterà e come promette la Santità
Sua medesima, che pei* qualunque caso
si eleggessero e si presentassero nuovi pa-
triarchi, da qui innanzi non saranno più
tenuti ad esaminarsi, perchè la Santità
Sua in gratificazione della suddetta sere-
nissima repubblica gii dichiara esenti da
adesso, et come tali vuole che sieno asso-
lutamente trattati". Scrisse poi l'amba-
sciatore al senato, che giunto a Roma il
prelato, gli fu fatto un leggerissimo esa-
me, solo per la forma. Governò il pa-
triarca Vendramino sapientemente e san-
tamente la sua chiesa, sino dalla sua ele-
zione. Nella metropolitana, cogli argenti
vecchi della sagrestia, e colla somma da
lui spesa, fece 7 candellieri di tal me-
tallo pe' pontificali, e fabbricò l'organo;
indi per la sua pietà verso la R. Vergine
del Carmelo, ivi le eresse sontuosa cap-
pella, e formò la sua sepoltura senza i-
scrizione, ma con isculture laterali a sua
lode e con epigramma che lo celebra.
Restaurò ed abbellì il patriarchio dal
lato della vigna. Estimatore Paolo V del
Vendramino (F.). a'2 dicembre 1 6 1 5 lo
creò cardinale, morendo l'8 ottobre 1619.
Il suo testamento edifica, per la pietà e
la munificenza verso i poveri e la sua chie-
sa. — Giovanni III Tiepolo XV III pa-
triarca. Declinando il senato dallo sce-
gliere uno del suo corpo, nominò il pri-
micerio di s. Marcoa'2onovembrei6i9.
Uno de'suoi primi pensieri fu d'istituire
nella metropolitana la prebenda del teo-
logo, e fondò un nuovo canonicato, pel.
riferito uel § VI, n. 1. Condusse a com-
pimeulo, con grandissiuio suo dispeudio,
/
VEN
la maestosa fabbrica della basilica pa-
triarcale, e di lui anche parlai nel voi. XC,
p. 289, pel suo Trattato delle ss. lieti-
quic. della basilica Marciana. Morì a' 7
maggio i63i,e fu sepolto nella metro-
politana, colle sigle D. D. D. D. che co-
munemente si spiegano: Dilexi Decora,
Domits Domini. Però in uno de' pilastr
del tempio è scolpito il suo elogio. Egli è
molto encomiato qual sagro scrittore , e
sotto il suo nome si conoscono diverse o-
pere, oltre all' inedita e assai pregievole
che si conserva nella biblioteca Marciana
e in quella del cav. Cicogna , Catalogo
de Santi \Bealie Venerabili veneziani. — -
Federico cardinalCornaro XfXpatriar-
ca. Nel settembre .i63 1 il cardinal Cor-
nare (V.) dalla sede di Padova fu in que-
sta trasferito. Quando fu innalzato alla
romana porpora, qual ugno del vivente
,1 fiali
doge Giovanni, insorse quel grave disgu-
sto fra il senato e il padre, eh' ebbe ter-
mine quando il doge si mostrò pronto a
rinunziare, onde non pregiudicare il fi-
glio, che contro i divieti avea accettalo
l'eminente dignità: il che raccontai nel §
XIX, n. 34> dogado 96. ° All'epoca della
nomina a! patriarcato, tuttavia la peste
desolando Venezia, tardò il cardinale la
partenza da Padova, e solo prese posses-
so a'27 giugno 1 632 con veneziana ma-
gnificenza. Indi a'2 settembre 1 64*2, col-
l' assistenza de' vescovi sul'fraganei di
Chiodaia e Caorle, solennemente colisa»
OD *
grò la nuova metropolitana, e sulla por-
ta che conduceva al patriarchio vi fece
collocare l'esistente memoria. In essa si
ricorda pure la cappella di s. Giusto mar-
tire, del palazzo contiguo, da lui restau-
rata, altra avendone eretta nel chiostro a
s. Ivo. E" commendevole altresì la sua be-
nignità pastorale a comodo del suo greg-
ge, poiché considerando la grande distan-
za del palazzo patriarcale dal centro del-
la città, statuì che in due giorni della set-
timana si sarebbe recato nel palazzo di
sua famiglia a udire chi bramasse parlar-
gli, ed ivi pazientemente tulli riceveva.
V E K
Compiute le parli di zelante e saggio pa-
store, sentendosi diminuir le forze, rinun-
ziò il patriarcato a'2 aprile 1644» e Sl lia"
iferì a Roma quasi a riposo del resto di
Mie vita. Dolente il clero per tanta per-
dita, a perenue testimonianza di sue vir-
tù e zelo, non meno che della propria af-
flinone di non più averlo a pastore, nella
cattedrale pose marmorea epigrafe, la
quale, tuttora esistente, è riportata dal-
l'accuratissimo ab. Cappelletti , colle al-
tre die ricordo e non rammento per scru-
polosa brevità. Ju Roma, a merito suo,
Innocenzo X reintegrò nella sala regia del
Valicano, l'iscrizione onorevolissima per
Venezia e tolta da Urbano Vili, pel rife-
rito nel § XIX, n. 8, verso il fine. Morì in
Roma il 5 giugno 1 653 e fu deposto nella
nubilecappella di s. Teresa da lui edificata
nella chiesa di s. Maria della Vittoria, per
la quale eragli stata coniata una meda-
glia, ed in essa egli avea fatto scolpirei ri-
tratti di 6 cardinali di sua famiglia e del
doge padre. — Gian-Francesco Moro-
sinl XX patriarca. Fa eletto nel dì se-
guente alla rinunzia del predecessore, 3
aprile 1 644- Zelatore della buona disci-
plina nel clero, perciò raccolse due volte
il sinodo diocesano: neh 653, a' 17, 18 e
1 9 giugno; nel 1 667, a' 1 8, 1 9 e 20 apri-
le, pubblicati colle stampe. Avendo il se-
nato per le gravissime vicende della di-
sastrosa guerra di Candì a eretto nella ba-
silica metropolitana il grandioso altare di
marmo in onore del celeste patrono di
Venezia s. Lorenzo Giustiniani, invocan-
done il patrocinio, il suo s. Corpo vi fu
con solenne pompa riposto dal patriarca
a'4 gennaio 1666, come già dissi. Morì
ii Morosini a'5 agostoi678 e fu tumula-
to in magnifico sepolcro in s. Nicola di
Tolentino. — Alvise II Sagredo XXI
patriarca. Già ambasciatore al duca di
Savoia, non esercitò altro pubblico inca-
rico, perchè il suo fratello Nicolò venne
inualzaloalla dignità ducale, essendo vie-
tato dalla legge, come ripetutamente no-
tai nelle biografie de'dogi, ed era morto
VEN i37
di recente nel 1 676;beusì a' 1 8 aprile 1678
venne destinato all' onorevole uffizio di
bailo a Costantinopoli, ma mentre si di-
sponeva alla partenza , 1' 1 1 del susse-
guente agosto fu eletto patriarca. Radu-
nò il sinodo diocesano ne'giorni 6, 7 e 8
maggio 1686. Dopo un decennio di pa-
triarcato, morì nel 1 688, a' 1 3 settembre,
dice lo Stalo personale. Fu sepolto nel
presbiterio di s. Pietro, con semplice epi-
grafe. Non avendo eredi per lasciare le
sue pingui facoltà, ne istituì erede con te-
stamento la repubblica; e il senato per
riconoscenza onorevole dipoi gli eresse
nella slessa metropolitana un monumen-
to col suo busto marmoreo e iscrizione
nel 1742. Un altro monumento, nel se-
guente anno, gl'innalzò il nipote Gerar-
do Sagredo, procuratore di s. Marco, nel-
la cappella gentilizia di S.Gerardo Sagre-
do, in s. Francesco della Vigna, parimen-
te adorno con onorevole lapide.— Gian-
Alberto BadoaroXXII patriarca e car-
dinale. Promosse ben presto il senato al-
la vacante chiesa patria tal soggetto a'
16 maggio (settembre, leggo nello Stato
personale) 1688, essendo primicerio di
s. Marco. Era stato arcidiacono di Crema
presso lo zio vescovo, e canonico di Pa-
dova. La sua pastorale sollecitudine spic-
cò tosto luminosamente, aprendo la s. vi-
sita di tutte le chiese della diocesi, del se-
minario, de'monasteri di monache; da per
tutto estirpando abusi, correggendo di-
sordini, raddrizzando traviati; stabilì e
regolò le scuole della dottrina cristiana;
ebbe somma diligenza nella scelta de'sa-
cei doti, che poneva alla cura delle anime;
ornò di valenti e saggi precettori il semi-
nario de'chierici; ed egli slesso non di ra-
do catechizzava i rozzi e i fanciulli pub-
blicamente nelle chiese; e per coltura del
clero stabilì nel patriarchio due erudite
accademie, l'ima chiamò de1 'Trattenuti,
l'altra denom i no Congregazione di s. Car-
lo. Piantò una casa per le donne peniten-
ti, per toglierle dal mal fare; promosse e
ampliò il culto del predecessore s. Loreu-
i3S VEN
zo, volendo che nella cattedrale si onoras-
sero le 8 domeniche susseguenti alla fe-
sta; profuse gli averi a sollievo de'pove»
li; visitò gl'infermi quando era invitato;
insomma nulla risparmiò per lo spirituale
vantaggio del suo gregge. A' 17 maggio
i 706 Clemente XI lo trasferì alla sede
di Brescia e creò cardinale: come tale col
(lardella nella biografia lo chiamo Jìa-
duaro (V.). Nella nuova cattedra si di-
stinse nello zelo in reprimere gli errori
de'quietisti, di cui Beccarello avea infet-
tato la città, ove carico di meriti e virtù mo-
rì nel 1 7 1 4. — Pietro Barbarico XX III
patriarca. Da canonico di Padova, fatto
primicerio di s. Marco, si narra che men-
tre il senato stava per eleggere il succes-
soie al cardinale, entrò nella sala una co-
lomba, e svolazzando in giro andò a fer-
marsi sulla spalla del senatore Girolamo
Dai barigo padre di Pietro, e che di questi
ne affrettasse la scelta a*25 giuguoi7o6.
Certo è, che nella sala del palazzo di sua
famiglia a'ss. Vito e Modesto, fu posta
un'epigrafe, la quale ricordando la pom-
pa, colla quale \\ doge e la signoria era-
no andati a pigliarlo per condurlo a sf
Pietro di Castello al possesso di sua di-
gnità, ricorda altresì l'avvenimento del-
la colomba; è riferita ancor questa dal eh,
Cappelletti. Ogni cura egli subito pose
per la buona disciplina del clero, e co-
minciò col far noto con un editto, che
ninno sarebbe promosso agli ordini sa-
gri, qualora non se ne fosse reso merite-
vole per l'esercizio d'una specchiata vir-
tù e d'una singolare morigeratezza di co-
stumi. Intraprese la visita pastorale del-
la diocesi, e poscia ne adunò il sinodo a'
28, 29 e 3o maggio 17 i4: Synoclus Ve-
iietììs a patrìarcha Venetianun Barba»
dicii,anno 1 7 1 4> Venetiis. Morì il 1 .°mag-
g'101725 e volle esser sepolto nella chie-
sa de'ss. Vito e Modesto ov'era stato bat-
tezzato. — Marco Gradenigo XXIV pa-
triarca.G'ik coadiutore del patriarca d'A«
quileia e vescovo di Filippopoli, era ve-
scovo di Verona quando a'5 moggio r 725
VEN
il senato l'elesse alla patria cattedra. Mo<
ri il buon patriarca a'i4 novembre 1 7 3.{,
e fu deporto nell'arca de'canouici, co'qna-
li volle per espresso comando aver comu-
ne la sepoltura, il che fu ricordato sulla
pietra marmorea con esemplare epigra-
fe. — - Fr. Francesco Antonio Correr
XXV patriarca, Avea da 5 anni ab-
bracciato l'istituto de'cappuccini, «pian-
do il senato l'elesse a' 1 8 novembre 1 y3 {,
avendo già onoratamente percorso le pri-
me dignità della carriera militare marit-
tima, ed erasi distinto nella guerra di Mo-
rea. Si applicò con tutta premura a re-
golare la disciplina ecclesiastica, ed a ri-
formare i costumi. Perciò nell'aprile 1 74 1
a' 18, 19 e 20 celebrò il sinodo diocesa-
no, importantissimo anco per essere l'ul-
timo deTin qui adunati, ed è tuttora iti
vigore. Fu stampato, ed è assai raro; co-
nosco questo titolo: Corrario, De Syiio-
dus Veneta , Venetiis 1 74 1 • La morte sua
fu repentina a' 1 7 maggio 1 74 1 , poco do-
po il sinodo, e fu attribuita a veleno; av-
venne in una villa presso il castello di
Montagnana , e trasferito il cadavere a
Venezia, ebbe sepoltura nella patriarca-
le.— Alvise III F ascari XXVI palriar -
ca. Canonico di Padova, fu eletto 7 gior •
ni dopo, confermandolo Benedetto XIV
a' 3 luglio 1 74 ij notando nel la bolla:» non
esser stato sino allora derogato mai al-
l'antichissima consuetudine della repub-
blica, circa l'elezione del patriarca e de'
vescovi dello stato veneziano ". Morì a'
28 ottobre 1 758 di 79 anni, e fu sepolto
nella cattedrale. -—-Giovanni IV Braga-
dino XXVII patriarca. Era vescovo di
Verona allorché venne nominato patriar-
ca a'27 novembre £758. A suo tempo ac-
caddero quelle novità sull'immunità ec-
clesiastica,che tanto afflissero il venetoCIe-
menleXIII,e deplorai nel § XIX, n.40. Il
patriarca cessò di vivere a' 24 dicembre
I775,efu tumulato uellachiesa del s. Se-
polcro,ora demolita. — Federico Maria
Giov anelli XXVIII patriarca. Gover-
nava la chiesa vescovile di Chioggia,quan«
V E N
tloilsenatoa'5gennaio i 776 l'elesseal pa-
trio patriarcato, e fu l'ultima elezione die
fece. Le virtù esimie die adornavano il
prelato, lo resero caro al suo gregge, cui
toll'umillà singolarmente e colla pietà e-
tiificò ne'a 3 anni del suo pastorale gover-
no. Visse nel tempo delle più dure vicende
politiche di Venezia e dell'Europa; e vide
nel 1797 crollare I' enorme colosso della
repubblica, invaso lo stalo e la città da'
repubblicani francesi, promulgare l' in-
gannatrice sedicente libertà,opprimerele
glorie venete di XIV secoli, e passar Ve-
nezia e il suo dominio sotto lo scettro del-
l'Austria. L'imperatore Francesco II, a
cui erano palesi la eminente dottrina e
la somma pietà del prelato, con diplo-
ma .de'28 genuaio 1 798, lo dichiarò suo
consigliere intimo, titolo che in seguito
fu concesso anche agli altri patriarchi,
che ressero progressivamente la s. Chie-
da veneziana, sotto l'impero austriaco,
IVe'primi armi del suo patriarcato visitò
parecchie chiese della sua diocesi, e 4 »>e
corisagrò, fra le quali s. Basso poi cam-
biata in usi profani, e s. Margherita sop-
pressa. Indefesso nell' adempiere le in-
combenze patriarcali, non se ne astenne
giammai, beuchè negli ultimi anni di sua
vita colpito da penosissima cecità, ch'e-
gli virtuosamente riputava una grazia del
cielo. Finche visse la madre Giulia Cai-
bo, quando l'andava a trovare, quella pia
dama faceva mettere nella gondola del
figlio sacchetti di denari, acciò avesse più
mezzi per aiutare i poveri. Quando Pio
VI nel 17821 soggiornò io Veuezia, il che
ho descritto nel § XIX, u, 4* » Pe^ P3'
triarca furono giorni di consolazione, E
quando quel glorioso Papa fu strappalo
dalVaticauo e condotto iu Frauda prigio'
ne , stabili mg.r Giovanelli suo delegato
apostolico in queste regioni, acciocché
gì' interessi della religione uou avessero
a soffrii detrimento 0 ritardo.Morto quel-
l'ammirabile supremo Gerarca in Valen-
za a*2Q agosto 1 799, la mano di Dio coti
tUtatet Veuesiai dispersi cardinali pei-
VEiN i39
che gli dassero un successore ; e l'impe-
ratore acconsentì che vi celebrassero il
conclave, come in pacifico e sicuro asilo.
Ma quanto precedette, accompaguò e se-
guì il memorabile avvenimento, inclusi-
vamente all'elezione e dimora di Pio VII
in Venezia, l'ho descritto nel § XX, n.i.
Ivi pur narrai la santa gioia del patriar-
ca Giovanelli, in vedere riunito nella sua
Veuezia il sagro collegio, manifestata con
dotta e fervorosa pastorale, per eccitare
i diocesani alla preghiera, perchè lo Spi-
ri toSanto illuminasse i principi dellaGhie-
sa a sollecitamente eleggere il Pastore su-
premo. Che non ebbe il couforto di ve-
nerare il uuovo Papa , e raddoppiare il
suo giubilo per l'onore che accrescevasi
alia sua patria, perchè iudefesso nel pre-
stare amorevole e riverente assistenza a*
cardinali, e uell' intervenire con fervore
alle pubbliche preci da lui ordinate, esi-
le di corpo, abbattuto dalle fatiche, ca-
duto infermo, morìa' io gennaio! 800, iu
età di 73 auui : e certamente se fosse so^
pravvissuto, Pio VII l'avrebbe anno-
verato al senato apostolico. Che la sua
morte fu pianta da tutti, particolarmen-
te da'poveri, che videro rapirsi il padre;
ed il sagro collegio, addolorato, gli fece ce-
lebrare solenni e onorifici, funerali, per
pubblica dimostrazione di grato animo e
di estimazione. La venerazione verso il
prelato era tauta, che ognuno fece a ga-
ra per ottenere qualche porzione o delle
sue vesti q de'suoi capelli. Ebbe sepoltu-
ra uella basilica patriarcale, dinanzi al-
la porta che conduceva al palazzo, eoa
epigrafe marmorea, postagli da'couli fra-
telli Giuseppe e Antouio Giovanelli. Ol-
tre lab. Cappelletti, lo celebrò l'ab. Bel-
lo tu 0 , Co n tiu uazio ne de Ila Storia de l Cri-
stianesìmo, t,i, p.i3; ed il cav. Mutiuel-
li negli Annali delle Province Fenete,
L'eletto Pio VII,giunto iu Roma, perai»
testare la sua riconoscenza al clero vene-
to concessealcapitolo metropolitano quel-
l'iusegue corali di cui parlai uel§ VI, u.i.
— Siccome sotto V imperatole Giuwp»
)_jo VEJN
pe II furono folte innovazioni nella (lisci-
I .lina ecclesiastica in tolto l'impero iYAu-
stria, sì negli slati {\\(tcrmam'(i}c\\e nella
Lombardia Austriaca, che ricordai pure
nel voi. XCII, p. 593 e 609 ; facendo poi
parte degli slati d'Italia di detto impero
le pioviucie di Crema, Bergamo e Bre-
scia, già appartenenti alla repubblica di
Venezia, in uno a tutte le provincie ve-
neziane, anche esse furono sottoposte alle
medesime discipline, e continuarono ad
» sserlo sino a'noslri giorni, io debbo ri-
portarle. Narrai uegli indicati articoli e
«(«plorai le molte novità introdotte nelle
difese de' suoi domimi da Giuseppe U,
continuate poco più, poco meno, anche
dopo la morte di lui ; ed avendo in molte
cose legato e stravolto le canoniche leggi,
perciò il Papa Pio / /intraprese il viag-
gio di Vienna, e, malgrado le sue limo-
si ranze personali, Giuseppe II rimase fer-
mo nelle sue idee, e inviò al governatore e
ui pi te ho generale della Lombardia Au-
si naca il seguente editto, che in sostanza
restrinse vieppiù il potere ecclesiastico,
ed applicò a se non pochi diritti episco-
pali e pontificii. Esso diceva: » Dopo gli
scambievoli schiarimenti, che in occasio-
ne della dimora del Papa nella nostra
corte sono seguili Ira noi, circa diversi
oggetti ecclesiastici, compresi ne' regola*
n.enti da noi finora prescritti pel vantag-
gio della Religione e dello Stato, abbiamo
trovato necessario spiegarelesegueuli no-
stre determinazioni per intelligenza e di-
ri zione de'rispellivi governi de'nostri do-
mimi, e perchè questi ne procurino la
piena esecuzione ed osservanza. i.° Re-
meranno ferme e perciò si dovranno os-
servare pienamente le nostre delibera-
zioni già pubblicate sulla tolleranza cri-
stiana in materia di Religione. i.° Le
stampe, opere, libri che uscirannoalla lu-
ce, dovranno essere rivedute da' nostri
regi censori; ma ciò non impedirà, che
i vescovi possano fare, come iti addietro,
le loro rappresentanze al governo circa
1 libri che fossero veramente nocivi alla
V E N
nostra s. Religione, e si dorranno preti»
dere in considerazione tali rimostranze
per la soppressione o proibizione dell'o-
pera, rendendocene prima avvisali. 3.°
Dovrà mantenersi in vigore V esercizio
del regio diritto d'ispezioue sopra i semi-
narli vescovili ed altri collegi di educa-
zione del clero, tanto in ordine alla disci-
plina, (pianto alle dottrine che vi s'inse-
gnano. 4-° Dovrà intimarsi a' vescovi l'e-
spressa nostra proibizione, che nessuno
de' loro preti diocesani si faccia lecito in
avvenire di promuovere dispute o que-
stioni sia in voce, sia in iscritto, a favore
o contro la bolla Unigenilus, edovrà pu-
re farsi sapere a'teologi, che debbono li-
mitarsi a dare a'Ioro discepoli le neces-
sarie nozioni intorno la esistenza, i moti-
vi, il contenuto di questa bolla, senza poi
proporvi sopra ne lesi, uè argomenti di
controversia e disputa, in veruna occa-
sione e mollo meno nelle pubbliche le-
zioni, negli esami e negli esperimenti.
5.° Restando sempre nell'intiero suo vi-
gore ed esercizio il supremo diritto del
Hcgio cxeqnaturt tutte le bolle, che trat-
tano di materie dommatiche, non saran-
no sottoposte a venni esame o censura,
tostochè verranno riconosciute per tali.
6.° L'arcivescovo di Milano e i vescovi
della nostra Lombardia saranno obbligati
in avvenire, al pari di tutti quelli degli
altri nostri stati, a prestare, prima ch'en-
trino in possesso della rispettiva loro chie-
sa, uno speciale giuramento a noi, come
legittimo loro sovrano, secondo la for-
mula che sarà annessa, ed il governatore
della Lombardia Austriaca dovrà rice-
verlo in nome nostro da quelli che in
avvenire saranno nominati ed eletti. 7.0
Resta fermo similmente il disposto, che
nessuno de'nostri sudditti possa ricorrere
direttamente da se a Roma per dispense
intornogl'iaipedimenti matrimoniali ne'
gradi proibiti di consanguineità ed afli-
nità. I vescovi useranno in ciò liberamen-
te del loro originario diritto; ma quelli
tra essi, che faruuao difficoltà ed avrau-
V EN
no scrupolo di procedere fare proprio,
non saranno in vernn modo impediti dal
farsi munire dal Santo Padre delle facol-
tà, ch'eglino stimeranno opportune e ne-
cessarie, purché quelle vengano accorda-
te loro vita durante e per ogni genere di
persone rispetto alle dispense de'gradi re-
moti, cioè terzo e quarto. E siccome ne*
gradi più prossimi non dee concedersi la
dispensa a norma delle disposizioni del
concilio di Trento, se non rare volte e
Ira principi grandi o per motivo gravis-
simo o di pubblica causa, sarà in tali casi
lasciato aperto a'vescovi diocesani l'adito
di ricorrere a Roma, previa sempre la
nostra permissione, la quale non verrà
concessa che dietro i termini prescritti.
Dovrà pertanto la domanda presentarsi
al governo, esponendo i motivi; e se que-
sti saranno frivoli o insufficienti, saranno
rigettati, se gì ust i e qualificati, il gover-
no potrà permettere, che se ne faccia l'i-
stanza per la dispensa pontificia. 8.° Le
disposizioni già da noi emanale per la
soppressione de'monasteri di alcuni reli-
giosi dovranno avere il loro pieno effet-
to, e similmente quelle che riguardano
la separazione de' monasteri sussistenti,
da' genera li e congregazioni de' loro or-
dini, residenti fuori degli stati austriaci,
e la loro perfetta subordinazione alla po-
testà ordinaria de' vescovi. Soltanto vo-
gliamo permettere, che i provinciali oca-
pi delle congregazion» nazionali, che sa*
ranno nuovamente eletti, possano notifi-
care la loro elezione al generale del ri-
spettivo istituto, con semplice lettera di
avviso, e a sigillo velante, la quale si do-
vrà presentare al governo, e se sarà nelle
forme prescritte s'invieràal nostro mini-
stro residente in Roma, e per lo slesso ca-
nale ritornerà la risposta del generale;
e qualora da tullociò risulti un qualche
incidente ocaso nuovo, il governo ne darà
parte al nostro cancelliere di corte e di sta-
to".Ed in aggiunta a queste determinazio-
ni, mandava l'imperatore Giuseppe li al-
tri due articoli relativi al Co ricordato fra
VEN i4r
Pio Vie l'imperatore Giuseppe II ( V \
circa i vescovati della Lombardia. In essi
dicevasi che: » Le cattedrali della Lom-
bardia Austriaca, come l'arcivescovato di
Milano, il vescovato di Mantova, ed i 4
vescovati del Milanese, Pavia, Cremona,
Lodi e Como, dovranno dipendere dal-
l'immediata nomina del governo. Quanto
a questi 4 ultimi si avrà particolare ri-
guardo per i soggetti raccomandati dal
Papa ; e perciò nella vacanza d' uno di
essi il governo ne farà consapevole imme-
diatamente il ministro imperiale di Ro-
ma, acciocché ne dia avviso al Santo Pa-
dre;e nel tempo stesso si dovrà farne sape-
re a Vienna l'avvenuta moite, unendovi
le informazioni opportune. Nel caso poi di
vacanza della sede arcivescovile di Mda-
no, la città potrà usare del suo diritto e
supplicale per la elezione di uno de'suoi
patrizi". Saggio consiglio poi fu della reli-
giosa pietà dell'ini peratoi e regnanteFran-
cesco Giuseppe I,di ridonare alla Chiesa,
se non in tutto certo in grande parte, le
primitive sue libertà. Concluse pertanto
in Vienna (V.) un concordato colla s.
Sede, riguardante pure le chiese Austro-
Italiane nel i855, che l'ab. Cappelletti
pubblicò nel 1. 1 i , p. i i , Le Chiese d 'Ita-
lia, ed io ne ragionerò nel citato orticolo.
— Lodovico cardinal Flangini XXIX
patriarca. Nato in Venezia da una Gio-
vanelli, percorsa la carriera delle magi-
strature, sposò una Donato e n'ebbe una
figlia, indi rimase vedovo. Dopo essere
slato di Quarantia, avogadore, senatore,
consigliere, abbracciò la carriera ecclesia-
stica, fatto uditor di Rota veneziano, pei*
nomina del senato, e nel 1 789 creato car-
dinale^.FLANGWi). Intervenneal patrio
conclave, e fu lietissimo di vedere nella
sua Venezia elecsersi il Sommo Pontefì-
ce, dimostrandolo anche con illuminare
a torcie di cera, per 3 sere consecutive,
il suo gentilizio palazzo. Pertanto erano
rivolti sopra di lui lutti gli sguardi della
veneta Chiesa, che lo presagiva siccome
degno successore del piissimo suo pastore
141 tll
che aven cìi recente perduto. Infatti , il
nuovoPapa Pio VH,n'i4novembrei8o i
lo preconizzò patriarca di Venezia, con-
sagrato in Homa dal cardinal Minazzi, e
decoralo dall'imperatore della gran cro-
ce di s. Stefano d'Ungheria. Si recò alla
patria sede a'24 marzo i8o3, lodato dal
Ijcllomo per le vaste sue cognizioni nel-
la letteratura (e per over fatto chiudere
il lììdotto , quando era magistrato della
repubblica, doveeon gran danno del pub*
blico costume V intere famiglie durante
il carnevale esponevano in un colpo a*
ciechi e volubili rischi del giuoco tutte
le loro sostanze) e per altro, lievissima
però fu la durata del suo pastorale go-
verno, poiché il 29 febbraio 1804, fu l'ul-
timo del viver suo. Ebbe tomba nella ba-
silica patriarcale di s. Pietro di Castello,
ove gli fu scolpita I' epigrafe riprodotta
dal eh. Cappelletti, ed erettagli dalla fi-
glia e dalla sorella. Osserva quel patrio
scrittore.» Cessato il sapientissimo gover-
no della repubblica veneziana, era cessa-
ta altresì la sollecitudine e la prontezza
di dare alle chiese dello stato, e princi-
palmente alla chiesa di Venezia, il sagro
pastore, toslochè ne fosse avvenuta la ve-
dovanza. Non più dunque per pochissimi
giorni la nostra sede ne rimase vacante;
ma per mesi talvolta, e talvolta per anni
ebbe a rimanervi dipoi. Dopo la morte
infatti del Giovanelli, corsero quasi due
«imi prima che le fosse eletto il Piangi-
lo; e dopo la morte del Flangini Decor-
sero quasi tre. Ed in questo fra mezzo la
città nostra aveva cangiato padrone. Non
era più dell'imperatore d'Austria: uè a-
veva conseguito il dominio Napoleone, e
formava parte del nuovo regno d'Ita-
lia". — Nicola Saverio Gamboni XXX
patriarca. Milanese, già vescovo di Ca-
pri, e nel i8o5 di Vigevano, l'i 1 gen-
naio 1807, fu dato patriarca a Venezia.
Da lui, come narrai e lagrimai in più
luoghi, cominciarono gli sconvolgimenti
e i disordini delle cose ecclesiastiche in
Venezia, prevalendo le politiche detenni-
V E IV
nazioni alle leggi ed a'eanoni, ed llilfrt*
d ucettdov4«i eantaguen temente mille icon
ci e irregolarità. Egli infatti, perchè Eu-
genio viceré d'Italia a' 19 ottobre 1807
avea dichiarato cattedrale la basilica di
s. Marco, 7 giorni dopo arbitrariamente
vi trasferì la cattedra patriarcale da s.
Pietro di Castello, frammischiando i ca-
nonici delle due chiese e formandone un
solo capitolo, senza curarsi di far appro-
vare il suo operato da Pio VII, dal qua-
le bensì per esso ottenne altri ornamen-
ti corali indicati nel citato luogo. A delta
irregolarità, seguì l'altra della concentra-
zione e riduzione delle parrocchie urba-
ne, descritta nel § Vili, n. 73; fu aboli-
to il privilegio delle sagre ordinazioni a
titolo di servitù di chiesa, e fu imposto a
tutti la condizione del patrimonio ecclesia-
stico. Un avvenimento, parimente già di-
scorso altrove, interessantissimo e lieto
per Venezia, sotto il patriarcato del Gam-
boni, fu il ritrovamento del prezioso cor-
po di s. Marco Evangelista, essendosi per-
duta ogni traccia del sito ov'era stalo de-
posto. Or avvenne, per divina disposi-
zione, che dovendosi ingrandire il pre-
sbiterio pegli stalli de'due capitoli riuni-
ti, nel togliersi alcune colonnette che ser-
ravano l'altare all'intorno, onde riuscis-
se più aperto, rimossa a' 12 maggio 1808
la mensa dell'altare, si trovò un gran cas-
sone sorretto da 4 colonne della sotto-con-
fessione, ma in essa non si potè penetra-
re per l'acqua slagnante che l'ingombra-
va a considerevole altezza. Il patriarca
che avea concepito speranze di ritrovare
il s. Corpo, restando deluso, tralasciò al-
tre indagini, e partilo poi per Milano sua
patria, ivi morì a'20 ottobre ili detto ari-
uo. Rimase non curata l'impresa sino al
gennaio 181 i, nel qual tempo rinato il
divoto desiderio di nuove investigazioni
per tentare T accesso al sotterraneo, per
le zelanti e benemerite insistenze del pre-
te Agostino Correr sotto-sagrista della ba-
silica, alfine a'3o gennaio si pervenne a
ritrovare il s- Corpo, mentre suonava»!
V E F
il vr spero per la traslazione del medesi-
mo , con generale gioia ed entusiasmo.
Qneslopoi fu immenso, quando a'6 mag-
gio si esitasse la cassa, trovandosi den-
tro la lamina ehe indicava Y anno 1094
e 1*8 ottobre giorno della consagrazione
della basilica e della deposizione del glo-
rioso patrono di Venezia, leggendosi scol-
pite le sigle indicanti s. Marcus, ed an-
cbe una Croce di bronzo piena di ss. Re-
liquie, collocatavi dal vescovo di Castello
Enrico Con Urini. La cassa di legno cbe
racchiudeva il sagro pegno, fu estratta e
riconosciuta con rogito nella stanza del
Itsoro, la ricognizione delle ss. Ossa se-
guendo a'9. Esisteva il capo co' denti, le
ossa principali dello scheIetro,affattoscar-
nate e disseccate, oltre molti pezzetti già
polverizzati e molta cenere. Indetta cas-
sa si rinvenne pure un vasetto ligneo pie-
no di materia odorosa, e una simile sca-
tola con alcune ss. Reliquie; probabilmen-
te di s. Antonio anacoreta dell'Egitto, ol-
tie parecchie monete d'argento. Tramu-
tato il s. Corpo in altra cassa di legno
nuovo a' 3o settembre, vi fu posta me-
moria plumbea, e si collocò sotto l'altare
maggiore. - — Stefano Bonsigiiore, intru-
so. Mentre la s. Chiesa veneziana esulta-
va per sì felice ritrovamento, gemeva af-
flitta dalla sciagura d' una sacrilega in-
tiusione sulla sua cattedra patriarcale,
per cui profonde piaghe contaminarono
la tristezza della sua vedovanza.L'ab.Cap-
pel letti la disse intrusione, perchè sebbe-
ne si qualificasse del titolo semplicemen-
te di eletto, tuttavia vi fece la figura stes-
sa, che facevano il caidinal Maury (F.),
vescovo di Monte Fiascone e Cornelo,
trasferito da Napoleone 1 a Parigi capi-
tale della F rancia j e di Antonio Eusta-
chio di Osinomi vescovo di Nancy, pro-
mosso dallo stesso all'ai ci vescovato di Fi-
renze capitale di Toscana j ed in onta de'
s. canoni e dell'ecclesiastiche costituzio-
ni entrati nell'amministrazioni delle dio-
cesi, a cui l'imperatore di sua autorità e
senza l'adesione di Pio VII gli avea de-
V E W i43
slinoti. Stefano Bomignore di Busto Ar-
sizio arcidiocesi di Milano, vescovo di
Faenza (F.), era stato nominato al pa-
triarcato di Venezia a'9 febbraio 1 8 1 1 (e
amministratore della diocesi di Torcello),
ed ivi giunse a'4 del susseguente aprile,
col caiattere d'amministratore capitola-
re della diocesi. Cercò di difendere o al-
meno di mitigare la sconsigliata accet-
tazione di questa dignità il dotto can. An-
dieaStrocchijillustre patrio scrittore faen-
tino nella sua Serie cronologica storico-
critica de'vescoviFaeniini compilata ec,
a p. 249 e seg., ch'era allora suo vicario
generale; e disse che il Bonsignore non
fece mai uso del irono patriarcale. In-
vece afferma l'ab. Cappelletti, che tale no-
tizia si smentisce da chi ne fu testimonio
più volte. L'arcidiacono vicario capitola-
re Nicolò Bortolatti, che nella vacanza
della sede ne reggeva la diocesi, fu co-
stretto a cedere il titolo al patriarca elet-
to , ed assumere il caiattere di speciale
deputato all'interna direzione della dio-
cesi, finche, venuto egli slesso, disimpe-
gno tutte le funzioni di ordinario dioce-
sano, per un triennio e più. Intanto mo-
rì il vicario capitolate Bortolatti, ed i ca-
nonici elessero il collega Luciano Lucia-
ni, eh' era canonico teologo. A mitigare
però la reità del patriarca eletto, in tut-
te le funzioni episcopali esercitate da lui,
n' era autorizzato dal vicario capitolare,
per cui sebbene apparisse ch'egli se ne in-
gerisse di propria autorità, segretamente
agiva per delegazione del vero e legitti-
mo amministratore della diocesi. Colma-
to di onori da Napoleone I, fu suo amba-
sciatore a Pio FU, che l'imperatore a-
vea rilegato a Savona, e nuovamente pel
famoso concilio di Parigi, ed a Fontaine-
bleau per l'imperatore. Finalmente a'9
maggio 1 8 14, già cessato il regno d'Italia
e l'impero di Napoleone, pai ti da Vene-
zia.Furono assoggettati a penitenza quan-
ti da lui erano stati ordinali , i chierici
promossi agli ordini minori a 3 giorni d'e-
sercizi spirituali, ed 8 gli ordinati a'mag-
i44 VEN
gioii. Tornato il prelato in Faenza , si
condusse a'piedi di Pio VII onde purgar-
si di ogni malcauta sua asserzione in
una circolare relativa al contratto civile
del matrimonio, e massimamente eli aver
accettato l'amministrazione del patriar-
cato di Venezia prima d'ottenerne la ca-
nonica istituzione, e dell'essersi ingerito
negli affari della diocesi, come vicario del
capitolo del patriarcato; di tutto fu be-
nignamente assolto dall'indulgenza pon-
tifìcia. Non pero cessò allora la vedovan-
za della veneta sede. Si legge nel t. i, p.
1 18 delle I) uhi orazioni e Ili li attrizioni
degl'Indirizzi stampati in Milano nel
181 i, umiliale a Papa Pio FU, dagli
arcivescovi e vescovi, e da' capitoli d'I-
talia, del capitolo metropolitano di Ve-
nezia, n Beatissimo Padre. Se ne'passati
turbolenti tempi di violenza e di coster-
nazione,!! capitolo della metropolitana di
Venezia, e col suo così detto Indirizzo,
e colla successiva accettazione di mg.'
■vescovo di Faenza in vicario capitolare,
mostrò di troppo sentire la forza della ten-
tazione violenta, protesta però altamente,
ebequesto momentaneo effetto di trasfuso
timore, coll'oggetto forse di schivare una
più grave procella, non alterò punto la
costanza de'suoicattolici sentimenti, e del
suo rispettoso figliale attaccamento alla
Sede Apostolica, edal Capo supremo del-
la Chiesa, Maestro e Pastore universale
di tutta la greggia di Cristo, e de'mede-
simi Pastori con divina indeficiente au-
torità. E ne diede una prova evidente,
allorché, cessata appellala violenza, con
atto capitolare del giorno 4 maggio spen-
tamente intimò al vescovo di Faenza di
deporre il carattere sino allora sostenu-
to; ed ora pervenutagli la cognizione, che
i vescovi e i capitoli del già Italico regno
si affrettano ad umiliare a'piedi del Vi-
cario di Cristo le loro Ritrattazioni, si
fa un dovere di seguirne l'esempio, con-
fessando primieramente l'incompetenza
dell'atto emesso da lui contale Indirizzo,
poiché nou poteva egli interloquire, spe-
VEN
cialmente in quelle circostanze, in mate-
rie gravissime di dottrina e di disciplina,
e di altri oggetti sagri, che si agitavano
allora tra il Capo della Chiesa, e il po-
tente Regnante di que'tempi; per il che
esso capitolo, rivoca, annulla e ritratta in
quel suo preteso Indirizzo tutto ciò che
(non ostante la purezza delle sue inten-
zioni) mostra adesione all' Indirizzo del
capitolo di Parigi 6 gennaio 181 1, e tut-
to ciò che in esso rigetta la Santità Vo-
stra, protestando solennemente, che rap-
porto alla dichiarazione del clero Galli-
cano del 1682 è sempre stato, e saia
sempre sottomesso alle bolle e brevi d'In-
nocenzo XI, di Alessandro Vili, e di Pio
VI nella bolla Auclorem Fida, E quan-
to secondariamente alla deputazione in
vicari capitolari o amministratori delle
sedi vacanti delle persone nominale dalla
potestà secolare, si attiene Io stesso capi-
tolo perfettamente al breve di Vostra
Santità diretto al vicario capitolare di
Firenze arcidiacono Corboli dà Savona
li 1 dicembre 18 io, dichiarando e pro-
testando finalmente, nella più ampia e
e solenne forma, di non voler mai né in-
segnare, né ammettere, né riconoscere
altre dottrine, se non quelle, che sono
approvate dalla Sede di Pietro, nella di
cui dipendenza ogni individuo del capi-
tolo di questa Metropolitana, sempre in-
tatta nella sua fede, si fa una gloria di
voler vivere e morire, esclamando col
massimo dottore s. Girolamo: Si auis
Catìiedrae Pelrijungilur meus est. Ve-
nezia 8 febbraioi8l6. Luciano Luciani
arcidiacono Sicario delegalo". Seguo-
no le sottoscrizioni de'i4 canonici e del
cancelliere capitolare Pier Gio. Maria
Schianta. E' egli questo un monumento
glorioso del capitolo metropolitano della
s. Chiesa Veneziana. — Francesco Ma-
ria Milesi XXXI patriarca. La caduta
di Napoleone I, avendo fatto ritornare Ve-
nezia nel domiuio dell'Austria, T impera-
tore Francesco I l'8 dicembre j 8 r 5 no-
minò il veueziauo Milesi, già successiva-
V E K
mente pievano di s. Silvestro, canonico
onorario della cattedrale, esaminatole
pro-sinodale, arciprete della congregazio-
ne di s. Silvestro, promotore fiscale della
nunziatura apostolica di Venezia, udito-
re generale della metropolitana d'Udine,
vicario generale del vescovo di Torcello,
pro-vicario del cardinal Flangini, ed al-
lora vescovo di Vigevano , da dove Pio
"VII lo traslalò alla patria sede a'23 set-
tembre i 816, come ricavo dal Diario di
lìoma e dalle Notizia di Roma. Nota l'ab.
Cappelletti, che il possesso preso dal pro-
curatore, ebbe luogo in s. Pietro di Ca-
stello, ancora vera e legittima cattedra-
le, ed in s. Marco ov'era stata arbitraria-
niente trasferita hi sede; egli poi fece nel-
la 2.a il suo solenne ingresso a' 2 marzo
1817, e. fu il i.° patriarca che fece resi-
denza presso la basilica Marciana, men-
tre il Gamhoni avea alloggiato in un pa-
lazzo a s. Maurizio, e l'imperatore Fran-
cesco I stabili per patriarchio la porzione
settentrionale del già palazzo ducale, al di
dietro di detta basilica. Tre cose furono
sommamente a cuore al Milesi, l'assisten-
za de' poveri, la cristiana istruzione de*
fanciulli, e I' educazione de'chierici. Per
provvedere regolai mente alla 1 .', istituì la
commissione generale di pubblica bene-
ficenza, e nedichiarò presidenti sé e i sue-
cessorijcon opportune leggi regolò le scuo-
le della dottrina cristiana io tutte le chie-
se della città, per l'insegnamento di essa
a'fanciulliealle fanciulle d'ogni età e con-
dizione, che per l'anteriori vicende era
trascurato; ed essendo il seminario la pu-
pilla dell'occhio suo, per l'incomoda lon-
tananza a s. Cipriano di Murano, otten-
ne la casa de'somaschi alla Salute e ivi
lo trasportò nuovamente. Tutte cose che
descrissi ne' rispettivi luoghi. Cos^i pure
del nuovo lustro col quale nel 1818 da
Pio VII fu decorato il patriarcato con più
estesa giurisdizione, sia colla soppressio-
ne de'vescovati di Caorle e 2orcello,e
ambedue aggregati al patriarcato, sia per
l'accresciute chiese suflìaganee, del sop-
voi. xeni.
VEN i4j
presso arcivescovato d'Udine, il quale al-
lora ridotto a vescovato, fu pure com-
preso tra le suffraganee; inoltre fra que-
ste e temporaneamente si annoverarono,
ad beneplacilum s. Scdis, anche quelle di
Cittanova o Emonia, di Capodistria, in-
di unita a Trieste, di Parenzo e Vola,
indi tutte sufhaganee di Gorizia e Gra-
disca, e tutte discorse a' loro e in altri ar-
ticoli. La bolla De salute dominici gre*
gis, del i.° maggio 18 18, si può leggere
anche nel Bull. Rem. cont. t. i5, p. 36.
Quanto alle unite chiese, di Torcello ali-
bastanza ne riparlai nel § XVIII, n. 2 3,
e quanto a Caorle [V.) duo qui alcune
altre parole, come feci di sopra, in que-
sto stesso numero, per Equilio o Jesolo,
dovendo qui pur far cenno del suo vica-
rialo foraneo, come promisi. — Nell'emi-
grazione de'popoli fuggenti dall'irruzione
de'barbari, e che formarono la venezia-
na consociazione, fu Caorle una delle iso-
le che loro porsero asilo circa il 4°7« Q11'
vennero a ricovrarsi parlicolarmenteque'
di Concordia e delle contigue terre del
Trevigiano, e vi si fermarono finché par-
ve loro cessala la devastatrice procella;
ma ben presto nel 4^2, a' comparir del
feroce Attila, dovettero i concordiesi ri-
parar di nuovo al precedente asilo. Ila
quest'isola il nome di Caorle, quasi cor-
ruzione dell'antico e primitivo, a quanto
sembra derivatole, o dall'abbondanza del-
le capre, che vi si moltiplicavano, o dal-
Tesser stata asilo di fuggiaschi pastori. Oli
antichi nomi sono: Sylva Caprulana,Ca-
pritana, Caprcnsis. Insula Capriae, Ca-
prulae, Caprai ia, Capritanaj anche Ve-
Ironia, che però il Bottani nel Saggio di
storia della città di Caorle, dice non a-
ver buon fondamento tal denominazione,
se pure non derivi dalla via Emilia che
accostavasi alla Sylva Caprulana, e con-
tinuava sino ad Aquileia, la quale fu co-
struita dal console Emilio, alla di cui fa-
miglia appartenne Petronio Didio Seve-
ro, padre di Didjo Giuliano imperatore
romano nel 192, Una tradizione costan-
io
i4C> VEN
le le dà l'epiteto ili Bella. L* isola ne'
primi (empi ebbe il suo tribuno, il quale
insieme agli altri, concorreva a formare
il primo nucleo della veneta repubblica;
ma quando cominciò il governo de'dogi,
vi risiedeva un gaslaldo ducale, e poi un
podestà, recandovisi ogni anno il doge ad
amministrar la giustizia. Tra' vescovati
delle venete Lagune, quello di Caorle è
reputato il più antico, poiché comincia-
to nel 5g8. E dice il Corner, questo ve-
scovato sutnaganeo del patriarca di Ve-
nezia, per la sua antichità il più, ragguar-
devole della yenezia marittima, però per
gli angusti confini di sua diocesi, e per la
ristrettezza di sue rendite, era considera-
to come inferiore a tutti. Inoltre Caorle
ebbe rinomanza, anco perchè qui furono
raggiunti i triestini, che aveano rapito le
spose veneziane, avvenimento di sopra
ancora in questo § rammentato; da ciò
anzi uno de'6uoi porti prese* il nome di
Porto delle Donzelle. Caorle, come tut-
te le altre città e isole dell'Estuario ve-
neto, nacque cristiana ed ebbe illustre se-
de vescovile; dappoiché popolata moltis-
simo, sino dal 5g8, sembra che ili.° suo
pastore sia stato lo stesso vescovo di Con-
cordia, il quale fuggito dalle distruzioni
di Attila, vi abbia fissata la sua dimora.
Egli era Giovanni, untavo d'origine, e più
che per le incursioni de'barbari, per sot-
trarsi allo scisma famoso de Tre Capito-
li, venne a cercarsi asilo in quest' isola,
dal castello delle Nove o Nova, forse lun-
gi 8 miglia prossima al Tagliamento e
su'lidi Caprulani,chepoi a Caorle fa qua-
si per dioecesìm conjuncla. Ma gli sci-
smatici abitatoli del castello delle Nove
vollero che Giovanni tornasse fra loro, ed
egli andatovi ne abbracciò lo scisma. Per-
ciò i caprulani nel 5gg chiesero a Papa
s. Gregorio I un nuovo pastore, di cui
non rimase memoria. Esiste però la let-
tera pontifìcia di congratulazione, e ono-
revole pe'caprulaui, lodali per la loro fe-
deltà alla cattolica dottrina. Il Bollarti
crede che il Papa riconfermasse Giovan-
V EN
ni nel vescovato di Caorle, forse avendo
rinunziato allo scisma, ed il Cappelletti
ne dubita. Cerio è, che dopo tal i.° ve-
scovo di Caorle, sino all' 875 non si co-
nosce altro pastore, e in quell'anno se-
deva il vescovo Leone, contro del quale
Papa Giovanni sentenziò la scomunica,
in pena di non esser intervenuto al con-
cilio di Ravenna, a cui avealo invitato,
indi presto fu assolto a istanza del doge
Orso Partecipazio I. Nel io53 n'era ve-
scovo Giovanni II, e nel 1074 Buono.
De'suoi 62 vescovi, ne ricorderò alcuni.
Pietro nel 1 1 27 fu al sinodo di Torcello.
Domenico II , forse della caprulana fa-
miglia Tomba, nel 1172 era anche dele-
gato apostolico. Rinaldo nel 1 247 consa-
grò l'altare maggiore della sua cattedra-
le , intitolata a s. Stefano protomartire,
come dissi nel suoarticolo citato. A Buo-
no //del 1262, sepolto nell'atrio della
cattedrale, fu scolpita nel gradino della
porta maggiore iscrizione che lo censura:
Non Bonus hic Bonus ... Pastor crai di-
ctu,sed Mercenarius actu etc. I canoni-
ci di Caorle eleggevano il proprio vesco-
vo, ed esercitarono per 1' ultima volta il
diritto nel 1 3^8 col francescano^. Ge-
rardo, poi rimosso nel 1 35o; elezioue che
cagionò dissapore colla s. Sede, per aver-
sene riservato la nomina Clemente VI, e
nondimeno i canonici procederono all'e-
lezione. Anzi il cardinal Guidode Coulo-
gne legato a latere in Italia l'avea con-
fermata, e il patriarca di Grado Andrea
Dolio lo avea pure consagrato. Appena
il Papa n'ebbe notizia annullò l'elezione,
dichiarando nel i35o vescovo di Caorle
Bartolomeo o Bartolino. Successo a det-
to Papa Innocenzo VI, nel i353 provvi-
de fr. Gerardo colla sede di Civita (forse
Città Nova in Istria). Neil 368 Domeni-
co /Fd'Albauia, poi arcivescovo di Za-
ra. Nicolo II del i3g4, fu poi deposto
verso il'4i 1 io pena d'aver abbandona-
to per 4 anni i' affidatogli gregge. Il ve-
neto Pietro II Carli del i473 & ^ene-
merito per aver rifabbricalo da' fonda-
VEN
menti l'episcopio, e cinto di muro in uno
all'orto, e visse sino al 1 5 1 3. Egidio Fal-
cetto, o Falconetti di Cingoli, deli 542,
intervenne onorevolmente al concilio di
Trento, perchè lodato dal Pallavicino co-
me pio e dotto; indi nel i563 trasferito
0 Bertinoro. 11 successore fr. Giulio Su-
perchio carmelitano consagrò in Venezia
4 chiese. Neli5g3yr. Angelo III Casa-
nno domenicano di Treviso, morì in pa-
tria nel 1 600 e fu sepolto iti s. Nicolò del
suo ordine, con lapide che comincia colle
sigle: 31. 31. 31. 31. 31. Vengono spiega '
te: Ulortalis 3Ionumenta Moncnt 31en-
tem 3Ioriendum, Chiudono l'epigrafe le
sigle: S. S. S. S. S. Sì spiegano: Suo
Sumpto Scpulchrum Statuendum Stu-
diai. \\ successore fr. Lodovico de Gri-
gis francescano riformato, fu encomiato
per la sua fermezza Dell'estirpare gli a-
busi e nel promuovere l'osservanza del-
la disciplina ecclesiastica. Nel i656fr. Pie-
tro 31 ar tire Busca conventuale, profes-
sore di teologia e vicario dell'inquisizio-
ne a Padova , ed inquisitore in Adria:
visse sino ali674enel giro di tanto tem-
po vide radicalmente ristorata la catte-
drale, la quale rifabbricata neho38era
ridotta al massimo deperimento, e la con-
sagrò al s. Titolare a'3o agosto 1 665. In
essa eresse un altare a s. Antonio di Pa-
dova, e v'istituì una mansioneria quoti-
diana^ due messe cantate ogni mese. Nel
1698 il somasco Francesco Strada mo-
vi poco dopo la notizia di sua promozio-
ne, e nel 1 699 il successore Giuseppe Sca-
rella padovano morì prima d'esser con-
sagrato, per cui erasi recato a Roma. Nel
1700 Francesco Andrea Grassi chiog-
giotto, si rese benemerito per V amplia-
zione dell'episcopio, e per aver miglio-
rato i redditi della mensa, al che gene-
rosamente concorse il doge Alvise li Mo-
cenigo e la città di Caorle. Nel 17 18 da
Zante vi fu trasferito fr. Gian-Vincen-
zo de Filippi servita, encomiato per pie-
tà, dottrina e pastorale vigilanza; depo-
sto nel sepolcro preparatosi nel mezzo
VEN 147
del presbiterio della cattedrale, con cu-
riosa iscrizione. Gli successe nel 1738
Francesco III de marchesi Trevisau
Suarezy traslato da Pietimo, e ne'3o e più
anni del suo governo meritò molta lode
e venerazione per le sue belle qualità. Col
suo e colle limosine de' fedeli rifabbricò
la chiesa dis. Maria dell'Angelo, e vi vol-
le esser sepolto benché morto in Vene-
zia. Nel 1 776^. Stefano Domenico Sce-
rima/i domenicano, poi nel 1793 trasfe-
rito a Chioggia, ov'era passato il vesco-
vo di Caorle predecessore Benedetto fila-
ria Cwran: ricostruì in Caorle alcuni al-
tari della cattedrale e rinnovò i sagri ar-
redi. Nel dettoi795 fu l'ultimo vescovo
Giuseppe 31aria IlPeruzzi veneto,chie-
rico regolare del ss. Salvatore e vicario
perpetuo di s. Andrea di Pontelongo, nel
1 807 traslato a Chioggia come i due pre-
decessori. Nella sede vacante amministrò
la diocesi un vicario capitolare, finche nel
1818 soppressa la sede fu aggregata al-
la veneta. Sì componeva il capitolo di 1 2
canonici, de'quali era capo il decano, u-
sando l'aimuzia, ed uno era parroco del-
l'unica cura che comprendeva la città: 6
di essi nel 181 [aderirono alle massime del
capitolo metropolitano di Parigi sul pro-
posito del famoso summentovato indiriz-
zo a Napoleone I, sulle 4 proposizioni del
clero gallicano. La diocesi avea un' altra
sola parrocchia intitolata alla ss.Piisurre-
zione,padrouato de'Cottoni,per cui si dice
di Cà Cottoni. Non eranvi seminario, con-
venti, monasteri; un solo ospizio vi avea-
no i cappuccini , eretto dal comune nel
1666. 11 vicariato foraneo di Caorle si
forma come segue, e lo ricavo dallo Sta-
to personale del i858. Comuue appar-
tenente al distretto di Portogruaro, pro-
vincia di Venezia. S. Stefano protomar-
tire, già cattedrale, parrocchia di padro-
nato de'capi di famiglia del comune. A-
ni me 1258. Vi è l'arciprete e vicario fo-
raneo , con un cooperatore. Chiesa sog-
getta al vicariato: ss. Risurrezione di Cà-
Cottoni. Fondata nei 1720 da'nebili fra-
i48 vi:n
felli Domenico e Nicola Col toni, fu bene-
detta a'i 3 novembre i 721 dal vescovo fr.
GJan- Vincenzo de Filippi. Curazia (\\\n\-
clronatodella famigliaSantello, edi Fran-
cesco Viamin. Anime 507. E' una fra-
rione del comune di Caorle distretto di
Porlogruaro, ed ha l'economo spirituale.
Oratoi ii pubblici esistenti nella curazia.:
S. Maria Elisabetta dèi Brian, con ret-
tore. S. Gaetano de' Giacomelli, prima
di Cà- Manuzi, con cappellano. — Ri-
tornando al benemerito e infaticabile pa-
triarca Miiesi, egli morì a' 18 settembre
18 19, ed ebbe tomba nell'oratorio della
ss. Trinità, contiguo eappartenente al se-
minario, con epigrafe che lo dice: Semi-
narli fundatoris. La sua memoria è tut-
tora in benedizione e lo sarà lungamen-
te. Noterò che in detto anno Pio VII ema-
nò la bolla Paterna?, charitatis studio,
de' 1 6 febbraio, Bull. Botti, coni. 1. 1 5, p.
1 76 : Jmmutatio Sedium Episcopalium
in regno Longobardo Veneto. — Giovan-
ni Ladislao Pjrker XXXII patriarca.
Nobile ungherese di Felsò Eòr, di Langh
nel comitato d'Alba Reale, già priore ci-
sterciense e parroco di Turnitz nell'illu-
stre badia di Lilienfeld nell' Austria su-
periore, la cui chiesa, monastero, biblio-
teca e adiacenze essendo state distrutte da
furiosissimo incendio, egli colla sua atti-
vità e generosità ne fece risorgere in bre-
vissimo tempo la fabbrica, assistilo da'
suoi monaci e colleghi. Divenutone ab-
bate nel 1812, indi fu promosso a vesco-
vo di Scepusio, e poi l'imperatore Fran-
cesco I lo nominò al patriarcato veneto,
e Pio VII lo preconizzò a'2 ottobre 1820,
il cui ingresso fece a' 1 5 aprile 182 1. Nel
successivo settembre il Papa colla celebre
bolla Ecelesias quae, corresse l'arbitra-
ria traslazione della sede e del capitolo
patriarcale della chiesa di s. Pietro di Ca-
stello alla basilica di s. Marco, tutto re-
golando canonicamente, al modo riferito
nel § VI, e dichiarando la i.a basilica mi-
nore e concattedrale della 2/ Il patriar-
ca tosto aprì la s. visita della diocesi pa-
V EN
Inarcale, occupandosi con zelo al buon
ordine e al decoro del culto divino e al
perfezionamento dell'ecclesiastiche disci-
pline. Le scuole della dottrina cristiana,
la commissione della pubblica beneficen-
za, l'educazione de'chierici del seminario
ricevettero da lui nuovo impulso a pro-
gredire felicemente nella via, a cui ave-
vaie incamminate il loro benemerito isti-
tutore Miiesi; curando particolarmente
che i chierici d'ogni condizione nel semi-
narioattendessero almeno allo studio teo-
logico, con gratuito mantenimento, per
imperiai concessione, poi modificata con
restrizioni dopo la sua partenza dalla se-
de. Leone XII col breve Exponi nobis,
de'9 dicembre 1823, Bull, cit., t. 16, p.
i4j od istanza del patriarca, concesse la
facoltà di celebrarsi la messa aule me-
diani noe temiti Nativi tale D.N.J. Cli ri-
sii prò Ecclesiapatrìarchali Seminarti.
Si guadagnò la benevolenza del clero, 011 -
de riuscì a moltissimi gravosa e amara
(non a tutti per l'accennato parlandodel-
le Nove Congregazioni del Clero nel §
VII) la sua traslazione all'arcivescovato
ò'Erlau o Agria, conservando il titolo
di patriarca, operata da Leone XII a' 9
aprile 1827. Il prelato partì da Venezia
a' 26 di tal mese, accommiatandosi dal
clero e dal popolo con pastorale, in cui
manifestò lutti i nobili sentimenti del suo
bell'animo, nell'attestare la più viva gra-
titudine a quanti aveano secondato le sue
premure e intenzioni nell'amministrazio-
ne del gregge, e nella prosperità anche
temporale di questo. Carico di anni edi
meriti morì in Erlau o meglio in Vien-
na, come leggo nel n.ioo del Diario di
Boma deli 84.7. a'2 dicembre di quell'an-
no. « Egli era il celebre cantore della Tu-
nisìadc,(\e\ Bodolfo dJ ' Ilabsburgo ,e del-
le Perle della s. Antichità". Aggiunge-
rò cogli A nnali delle scienze religiose del
prof. Arrighi, t. 5, p. 3 1 o, che ne dà con-
tezza : 77 Parroco delle Alpi, versi tra-
dotti dal celebre cav. Angelo M." Micci e
Stampali in Roma nel (847. Fu »1 cardi-
VEN
naie suo successore»» che rivestendo le sa-
gre divise ile' Vida, de'Bembo, de'Sado-
\ttlo e de'Casa, sembra averne ereditata
I,i facondia e l'ingegno" e volendo far
dono all'Italia d'un nuovo geueredi poe-
sia morale, quasi evangelica, rifiorente
dalle avene pastorali de'profeti, ne comin-
ciò la versioued'alcuni componimenti del-
l'alemanno Titiro cristiano j ma le pa-
storali cure della s. Chiesa veneziana sul*
le rive e sulle prodigiose Lagune, impe-
dirono al porporato pastore di trattener-
si sulle vette dell'Alpi e sotto gli alberi
dell'amico vate, e per tal modo era ri-
masto sulle prime linee l'incominciato la-
voro felicemente compilo dal eh. Ricci,
anco traduttoredel Rodolfo cV Absburgo.
La coltura letteraria del Pyrker lo distin-
se Ira'dotti , e lo rese ornamento dell'a-
lemanna letteratura. La sua eleganza nel
verseggiare lo collocò tra'sotnmi poeti del-
la Germania; le sue poesie, che gli acqui-
starono tante lodi , non sempre furono
bene tradotte in italiano. — Jacopo Afo-
nico XXXIII patriarca e cardinale. Di
Illese diocesi di Treviso, già maestro di
rettorica in quel seminario vescovile, par-
roco di s. Vito d'Asolo e allora vescovo
di Ceneda, degnamente da Leone XII fu
trasferito al patriarcato di Venezia, uel-
lostesso giorno del traslocamene del pre-
decessore, e ne prese possesso per procu-
ra a'i3 agosto 1827 e solennemente T 8
del segueute settembre. Intimò la visita
pastorale a'6 luglio 1829 e l'intraprese
nell'anno dopo, rinnovandola neh 838 e
nel 1842. Con affettuosa pastorale de'3i
marzo 1 83 1 al clero e popolo di Venezia,
per un complesso di circostanze conside-
rò un benefizio straordinario del cielo
1' esaltazione al soglio pontificio di Gre-
gorio XVIa'2del precedente mese, e l'in-
vitò a festeggiarla co'piu vivi sentimenti
della cristiana letizia, anche per aver la
divina Provvidenza preparato in lui una
lncedissipalrice delle tenebre funeste che
ingombravano fatalmente tanta partedel
inondo. E quindi colla mirabile sua elo-
V E N 149
quenza, che tante volte celebrai, descrif
te con isplendido elogio le virtù, la dot-
trina, l'operato lodatissimo e le grandi
benemerenze del cardinale camaldolese
sublimato alla cattedra di s. Pietro, che
meritamente gli aveano acquistalo l'uni-
yersale stima e rispetto, anche da penne
straniere; lo commendò eziandio per la
somma pietà, la fermezza, la semplicità,
e la purezza di vita da lui costantemen-
te mostrata; osservando, che se queste
ragioni erano argomento d'universale e-
sultauza, altre ve n'erano peculiari e tut-
te proprie de' veneziani, per cui doveva-
no di preferenza a tutti rallegrarsene; poi-
ché*» nato nella vicina Belluno, aperse gli
occhi, egualmente che noi, alla pura lu-
ce di questo veneto cielo, e veneziano poi
perfettamente divenne, allorquando si e-
lesse, com'egli sperava, a perpetuo sog-
giorno la prossima isola di s. Michele di
Murano (e lo celebrai nel descriverla nel
§ XVIII, u.18), ove ravvolto nelle can-
dide lane, e dello spirito imbevuto del
gran patriarca Benedetto, si educò fiu d'al-
lora, senza immaginarselo, all' alto uffi-
zio, a cui serbavalo il cielo, e diede ben
presto a conoscere che troppo angusto era
il chiostro all'ampiezza del suo cuore e
della sua niente. Nostro dunque dobbia-
mo riputarlo, perchè sortì con noi comu-
ne la nazione e la patria ; nostro perchè
divise per molti anni con parecchi de'no-
stri il convitto, la scuola e gli uffizi della
vita religiosa e civile; nostro in fine, per-
chè quantunque assente da noi, e salito
a sublimi dignità, ed attorniato da innu-
inerabili e gravissime cure, conservò sem-
pre per noi, e per la nostra città, e per
tutte le cose nostre ima speciale affettuo-
sa memoria. Eccitati pertanto da sì giu-
sti e forti motivi a promuovere una pub-
blica manifestazione del nostro giubilo,
ed insieme alla nostra gratitudine verso
Dio, che fece alla sua Chiesa il prezioso
dono di tanto Pontefice" ordinò 3 gior-
ni di festive dimostrazioni, di preci, di
ringraziamenti, e per impetrare lunga
i5o VEN
conservazione e superno aiuto al comu-
ne amorosissimo Patire. Questi poi a di-
re una solenne dimostrazione di patti-
no alleilo alla s. Chiesa veneziana nel
suo degnissimo pastore, a'29 luglio 1 833
lo creò cardinale, gli rimise la Berretta
cardinalizia per mezzo dell'illustre vene-
to prelato Traversi, di cui nel § X, n. 9
(ed il quale dal Papa si chiamava, il più
grande amico che io abbia al mondo ;
il che ripetè pure in presenza del cardi-
nal Ostini, e dell'illustre veneto commen-
daloreTaddeoScarella^di cui nel vol.XCI,
p. 95. Degli splendidi elogi fatti a mg.'
Traversi da Gregorio XVI, si ponno ve-
dere le Proposizioni concistoriali, colle
quali egli lo dichiarò arcivescovo di JVa-
zianzo e poi patriarca ò'xCostantinopoli),
e conservo l'originale allocuzione che e-
gli ablegato apostolico pronunziò in quel-
la lieta occasione, che fece esultare Ve-
nezia; e poi l'accolse in Roma con parti-
colari onorifiche e amorevoli dimostra-
zioni, gl'i in pose il cappello cardinalizio e
per Titolo gli conferì la chiesa dei ss. Ne-
reo ed Achilleo, che Alessandro VI avea
pur dato all'altro patriarca camaldolese
Gerardo; e fra 'doni gli die' il prospetto
e piazzale di quella chiesa, eseguito in e-
legante musaico. Proponendomi, come
cardinale, nelle addizioni di scriverne
la biografia, perchè alla sua morte la let-
tera M era già stampata, e pel non poco
già detto diluì in quest'articolo, mi limi-
terò ad accennare, intralasciando di me-
morare quanto feceGregorio XVI pel ca-
pitolo patriarcale, per la basilica nel do-
no della Rosa d'oro, e altro, come già
detto superiormente,alcun che del mollo
fatto dal cardinal Monico. Nel 1 834 ^u
rinnovato l'altare maggiore nella basilica
metropolitana e patriarcale di s. Marco,
e allora fu visitato di bel nuovo il s. Cor-
po, e più decentemente e più. onorevol-
meuse riposto nel seguente anno quando
il patriarca ne consagrò l'altare. Allora fu
collocala nella cassetta che lo contiene, la
lamina di piombo con incise le parole ri-
V EN
ferite tlall'ab. Cappelletti, tempore Gre-
gorii Papae XVI in nova capsa cor-
pus d. Marci Evangelistae. Più, fu po-
sta entro due tubi di vetro l'epigrafe ri-
portata dal medesimo scrittore, che atte-
sta il suo ritrovamento e traslazione po-
steriore. Nel parapetto della parte poste-
riore dell'altare fu incastrata con lettere
di metallo, quest'epigrafe: Corpus Divi
Marci Evangelistae. La consagrazione
successe a' 6 settembre 1 835, nel qual
giorno mi scrisse amorevolmeute 1' i. r.
censore della stampa in Venezia, l'egre-
gio Francesco Brembilla defunto. «Que-
sta mattina la cospicua nostra basilica di
s. Marco era ridondante di scelta udienza
all' omelia declamata col solito valore
dal nostro veneratissimo Cardinal Pa-
triarca nella circostanza di aver ricollo-
cali li ss. Ossi e Ceneri dell' Evangelista
s. Marco nell'altar maggiore della basili-
ca stessa or ora t'istaurato, e con santa
pompa consagrato. L'omelia fu un capo
d'opera di logica e di eloquenza, avendo
luminosamente dimostrate le prove del-
l'esistenza in quelle Ossa e Ceneri santis-
sime del Corpo dell'Evangelista memo-
rato, e nell'aver colta l'occasione per in-
fiammare i petti de' veneziani alla vene-
razione di essi, non meno che a sempre
più dimostrarsi caldi della Religione san-
tissima. Le accerto che le lagrime-di com-
mozione sgorgarono dagli occhi della mol-
titudine, in sì gran copia riunita nel sa-
gro tempio. Io ne sono sortito veramente
penetrato, e tosto ho dato mano alla pen-
na per farlequesta dolce narrazione,e per
ripetermi ben di cuore. Tutta cosa sua".
Di già a suo luogo notai, che il conte Leo-
nardo Manin ci diede le pregevolissime
Memorie storico-critiche intorno la Vi'
ta3 Traslazione e Invenzioni di s. Mar-
co Evangelista, col discorso letto dal
cardinal Monico a'6 settembre 1 835. II
cardinale consagrò in Venezia 5 chiese,
e sotto di lui furono inaugurate più pie
e benefiche istituzioni, uon che ristabiliti
diversi ordini regolari e monasteri di mo-
V E W
nache: di tutto e di altro ragionai a suo
luogo. Del molto cheavreida dire del vir-
tuoso cardinale, ornamento del s. colle-
gio e uno de'più eloquenti scrittori italia-
ni (tanto in prosa che in_ verso massime
nei sonetti) di volo accennerò. Sanno i
veneziani, quanto egli deplorò la morte
ili Gregorio XVI, qual mondiale sciagu-
ra, e tal fu ! Sanno quanto l'encomiò an-
che defunto e onorò con solenni funerali.
Venuto in Roma al conclave trovò eletto
il Sommo Pontefice regnante, e n'ebbe
distinta accoglienza, seco conducendolo
in carrozza nel dì della sua coronazione,
ed io ebbi l'onore d'incedere in quella
nobile del porporato. L'encomiato prof.
Arrighi trasse dall' Amico Cattolico e
pubblicò nel t. 9, p. i3i Aq' suoi Annali :
Un fatto illustre del cardinal Patriar-
ca di Venezia nell'anno iSfò. » Ne'me*
si in cui Venezia si resse ultimamente da
se, non mancò, come in verun altro pae-
se, il demone della stampa sfrenata di
farvi i suoi tentativi eie sue vittime. Il
giornaletto Sior Antonio Rioba era un
vero maestro d'irreligione, di cinismo ed
anche di comunismo; ma la sua satira fa-
cile e continua, il suo formato assai po-
polare, l'allettamento di sue dottrine gli
avevano presto trovato assai copioso nu-
mero di associali fra quella gente del re-
sto sì buona di cuore e sinceramente
cattolica. Il degno cardinal patriarca di
Venezia sentì il suo dovere, e non esitò
in faccia a' pericoli, a cui in que' tem-
pi sì difficili andava incontro per adem-
pirlo; egli pubblicò il seguente decreto
a condanna di esso giornale, decreto che
rimarrà perpetuo monumento del suo
pastorale coraggio ". Segue il testo del
decreto, postridie kal. decembris anni
1 848. Questa condanna fu letta in tutte le
parrocchie in latino e italiano all'ultima
messa delle feste, ricordando pure le pe-
ne ecclesiastiche comminate dalla Chiesa
contro chi osasse stampare, ritenere o leg-
gere il detto giornale. » Ma ciò che tor-
ua pure ad onore della veneziana popo-
VEN i5i
lazione, si è che appena la condanua ven-
ne pubblicata per tutti i pergami di Ve-
nezia, il giornale, la cui vendila si tace-
va giornalmente, non ebbe più si può
dire alla lettera, un solo acquirente, e
dovette cessare ". Dopo la partenza del
patriarca Pyrker erasi progettato un
grandioso restauro al palazzo di residen-
za patriarcale, ponendo mano a'iavori in-
terni, e ornandone l'esterno di grandiosa
facciata, a cui tutto l'interno rimanesse
adattato; o piuttosto, cui si volle adatta-
re l'esterno. Ma de' vari disegni prevalse
l'inferiore in arte, e su di esso si terminò al-
la meglio la fabbrica. Questo palazzo servì
successivamente dal 1847 in poi a molti
e differenti usi profani: aliatine, nel 18 5o
potè il cardinal patriarca trasferirvisi a
stabile dimora. Ivi morì l'anno seguente
la sera de'25 aprile. Il cardinal Monico
fu dotto e facondo autore di molte pro-
duzioni in verso e in prosa: innumere-
voli sono le sue omelie e lettere pasto-
rali recitate o pubblicate in diverse oc-
casioni,e di queste ultime ne possedo uon
poche. Si incominciò a stampamela rac-
colta, spero che sarà compiuta. — Pie-
tro Aurelio Matti XXXI F patriarca.
bergamasco, già abbate benedettino di s.
Maria di Fraglia, essendo vescovo di Ve-
rona, fu nominato patriarca dal regnante
imperatore a'18 luglio i85i,e fattosi il
consueto formale processo dalla s. Sede,
sullo stato della s. Chiesa di Venezia, eb-
bi l'onore di giurare meritare essa e l'il-
lustre città il seggio patriarcale e trovarsi
in florida condizione, con legale testi mo-
nianza,il che mi piacque dire nel voi. LV,
p. 3o6, e qui con maggiore piacere e con-
vinzione ripeto. Compilato il processo an-
che pel prelato, il Papa Pio IX lo preco-
nizzò nel concistoro de'i5 marzo 1822,
facendo il solenne ingresso nella metro-
politana a'3o dello stesso mese. Intimò la
visita pastorale di sua diocesi patriarcale
a' 17 settembre, e nel seguente mese la co-
minciò. Ne'precedenti §§ più volte ragio-
nai di lui. Trovo nella Civiltà Cattolica,
i52 VBN
3." serie, t. 2,p. 45»7, che per la sua tarda
età e cagionevole salute, non potè andare
* Piemia pel (già ricordato) Concordato,
il quale poi concluso che fu » in Venezia
può dirsi sostanzialmente in alti vita anche
pendente il sinodo di Vienna. Quel luogo-
tenente novello contedi Bissingen, reli-
giosissima persona, cuoreinformato a tut-
te le virtù,strinse col patriarca Multi una
relazione la più affettuosa ; e non che si
opponesse menomameli tea'primi provve-
dimenti presi dal patriarca stesso dopo la
pubblicazione del santo patto, gli fece in-
nanzi intendere come tutti gli avrebbe so-
stenuti secondo la lettera e lo spirilo del
medesimo. Ripeto, a Venezia il Concor»
dato esercita già la sua benefica influen-
za". Leggo nel n.82 del Giornale di
Roma del 1807, che l'ottimo prelato mo-
rì a'g aprile in Venezia. Ivi e nello stesso
anno pubblicò la tipografia editrice Peri-
ni: Alla santa memoria di Sua Eccel-
lenza R.ma Pietro Aurelio Mutti pa-
triarca di Venezia ec. Tributo di G. B.
Contarini. All'altra stampa che ne de-
scrisse l'esequie, nominata superiormen-
te, aggiungerò questa: Nei Funerali so-
lenni di S. E. Illm* e Rev.* Pietro Au-
relio Mutti abbate dell'ordine Benedet-
tino in Pr agita, Patriarca di Venezia,
ec. Orazione letta il {^maggio 1857
nella basilica di s. Giorgio Maggiore,
dal Re\>.° p. abbate titolare d. Placido
Talia della congregazione Cassinese,
Venezia i85»7 tipografia di G. B. Mer-
lo. Nel medesimo anno, in Venezia, la
tipografia editrice Naratovich, annun-
ciò la 2.'1 ristampa delle Opere sagre
e filoso fiche dell'encomiato prelato, col
suo ritratto e biografìa, per associazione,
che col più. favorevole effetto è giunta
pressoché al suo termine. — Angelo Ra-
mazzoltì XXXV e attuale patriarca.
Milanese, della congregazione de'missio-
nari oblatidi Milano, dottore in teologia,
e nel gius civile e canonico, meritò dal-
l'imperatore Francesco Giuseppe I la no-
mina alla insigne sede veseoviledi Pavia,
V EN
ed il Papa Pio IX Io preconizzò nel con-
cistoro de'20 maggio i85o, dichiarando
nella Proporzione Concistoriale, che
nella congregazione delle ss. Missioni,
detta degli oblali, » vitae ratione pre-
clara charitatis specimina exhibuit, ver-
bnm Dei uhiqùe Iocorum tum Medio-
lanen, tura alienae Dioeceseos predican-
do. Moderator deinde Collegii ss. Missio-
nuinelectus,etconfratribus suis acceptis-
simus, egregie munere ilio functus est.Or-
phanotrophium deinde duodecimi j un ab
bine annis proprio aere extrux.it, in quo
plusquam vigiliti adolescentuli a puerili a
usquead vigesimusaetatisannuin squallo-
ri etigna viaeerepti, ad pietatem et ad artes
mechanicas informantur, et suo quoque
sumptu aluntur. Virgravitate,pi udentia,
doclrina, morum prohitate, rerumque '
experientia praeditus, et in ecclesiastici»
functionibus versatus, dignus propterea,
qui dictae Ecclesiae Papiensi iu Episco-
puin praeficialur ". Indi il Papa gli con-
cesse il s. pallio, privilegio di quella chie-
sa. Vacato il patriarcato di Venezia, il me-
desimo Sire lo nominò ad occuparlo, a'
5 febbraio i858,ed il Papa Pio IX nel
concistoro de'i5 del seguente marzo, ad
esso lo trasferì, proclamandolo con que-
st'altro elogio, nella proposizione concisto-
riale :»>... Papiensi Ecclesiae praefectus
fuit. Qui suscepto consecralionis munere
ad suarn Ecclesiarn illieo accessit, inibì re-
sedit, eamrjue simu! ac dioecesim sedulo
visitavit, sacrasexegit ordina tiones, pori ti -
ficaliasolemniler celebravit,conciones ad
populum habuit, caeteraque pastoralia
ninnerà tara laudabiliter obivit, ut di-
gnus propterea censendus sit, qui ad di-
eta tu Patriarci! a lem Ecclesiarn promo-
vealur". E dopo il concistoro gli accordò
altro pallio proprio di sua chiesa. Dice
la detta proposizione: » (ogni nuovo pa-
triarca) Fructus taxati in librii Gamerae
ad florenos 1280, ascendunt ad novetn
circiter mille sentala romana (la mensa,
che il JNTovaes,uello scorcio del secolo pas-
sato, disse rendeva 12,000 ducali). Pu-
YEN
Iriarchatus ambitus ad quinquaginta-
qoinque fere millia passimi» ad septen-
iriouetn cxtendilurtet nonnulla sub se
loca compierli tur.... Novemadpraesens
Episcopi snlfraganlur ". Apprendo dal
Giornale di Roma del 1 858, p. 458, che
sabato i5 maggio verso il meriggio al
suono delle campane di tutta la ciltà,giun-
se in Venezia da Pavia l'atteso mg.r pa-
triarca, h Gli mossero incontro, alla sta-
zione di s. Lucia, il municipio e il clero,
a capode'quali scorgevasi il podestà, no-
bile cavaliere Alessandro Marcello, ed il
vicario generale (stato capitolare) mg.'
can. e cavaliere Vincenzo Moro (proto-
notano apostolico e arcidiacono del ca-
pitolo metropolitano). Il seguente giorno
faceva il suo solenne ingresso nella catte-
drale basilica". Già propagatasi anche
in Venezia sino ÒA i 856 la pia Società
di s. Vincenzo de' Paoli, il novello pa-
triarca apriva le sue medesime stanze
alla prima generale adunanza, che essa
tenne a' 19 luglio nel palazzo patriarca-
le, dove il prof. ab. Giacomo Zanella les-
se un ben appropriato Discorso tc\\e ven-
ne stampato da G. B. Merlo. Quest' o-
pera di carità cristiani», istituita a Pari-
gi e meglio ivi stabilita con particolare
regolamento del dicembre 1 835, conta
ora in Venezia 6 Conferenze o sezioni,
una per sestiere, con un consiglio supe-
riore che dirige tutte le conferenze del
Veneto. Non avendone parlato nel de-
scrivere i pii istituti di Venezia, nel §
XII, ne farò qui un brevissimo cenno.
Lo scopo delle conferenze è di mante-
nere i propri membri nella pratica di
una vita cristiana per mezzo di esempi e
di vicendevoli consigli ; di visitare i po-
veri nelle loro abitazioni e di recar loro
de' soccorsi in generi, e al tempo stesso
religiose consolazioni ; di adoprarsi, per
quanto possono, all'istruzione elemen-
tare e cristiana de' poveri fanciulli ; di
spargere libri morali e religiosi ; di pre-
starsi ad ogni sorta di opere caritatevoli
proporzionale a' propri mezzi, che non
VEN i53
si oppongano allo scopo principale della
società, e per le quali essa medesima in-
vochi l'aiuto delle singole conferenze,
dietro la proposta de'suoi direttori. Nel-
l'anno corrente 1859 fu stampala nella
tipografia Merlo in Venezia la 7." edizio-
ne italiana del Regolamento della So-
cietà di s. Vincenzo de' Paoli. In essa si
leggono: il breve d'indulgenze di Gre-
gorio XVI, R01 nanuni decet Pontifi*
ceni, de 1 o gennaio 1 845, diretto al con-
siglio "enerale della società : altro breve
Do '
del medesimo Papa, Quum Societatemt
de' 12 agosto dell'anno stesso ; il breve
di encomio del regnante Pio IX, Gratae
nobist dell'8 marzo i852 ; e finalmente
le parole di conforto, dette da questo
Pontefice nella straordinaria seduta ge-
nerale tenuta il 5 gennaio 1 855 al Vati-
cano sotto la sua augusta presidenza. —
Il nobile Jacopo Avogadro veneziano,
priore della pia casa de' Catecumeni, e
perciò encomialo nel § XII, n. 7, con-
cepì il caritatevole pensiero d* istituire
in Venezia un Patronato pe'fanciulli va-
gabondi e viziosi,e venne validamente so-
stenuto dalla benedizione e approvazio-
ne del cardinal Monico, e del suo suc-
cessore. Scopo precipuo del santo istitu-
to, è la requisizione de'ragazzi abbando-
nati, vagabondi e viziosi, in Venezia ei-
sole circonvicine, e quindi V incaricarsi
della religiosa e civileeducazione,non che
dell'avviamento all'esercizio della profes-
sione più conveniente alle differenti atti-
tudini. Mg.1 Ramazzotti patriarca,avendo
incessantemente a cuore l'attuazione del
Patronato, al modo celebrato da E. T.
P. A. nel n. 199 della Gazzetta di Vene-
ziaì del i.° settembre 1 858, con tenera e
faconda pastorale, diretta al venerabile
clero e diletto popolo,de' 10 ottobre 1 858,
l'eccitò ad effettuare questo nuovo monu-
mento della mulliformee saggia carità ve-
neziana, rilevandone l'immenso bene che
ne deriverà, e raccomandandolo colla vo-
ce del padre amante de'suoi figli e l'auto-
rità soave del provvido pastore, annuii-
i54 VEK
ciando l' imminente pubblicazione delle
norme. Per ultimo benedì con affetto spe-
ciale coloroche inqualunque modo l'han
no promosso e promuoveranno. Esse lo
furono col Regolamento del Patronato
pei ragazzi vagabondi e viziosi, Vene-
zia 1 858, A. Cordella tipografo patriar-
cale. Si confermò a'21 settembre, anclie
per memoria della nascita auspicatissima
del principe imperiale. Cosi in Venezia
progredisce la pubblica beneficenza, con
edificante gara di rispettabili e beneme-
riti personaggi, poiché la pietà e la carità
sono virtù proprie e domestiche de' vene-
ziani. E quanto essa anche in ciò fiorisce,
ora si apprenderà viemmeglio dal libro
pubblicato nel 1 8 m) dalla tipografia edi-
trice Naratovich : Delle Istituzioni di Be-
neficenza nella città e provincia di Ve-
nezia, studi storico-economico-statistici
del conte Pier Luigi Bembo. Ammirando-
ne il magnifico programma d'associazio-
ne, del eh. P. Cecchetti, mi reputai pregio
1' associarmi, ma ancora non venne in
mio potere, sebbene ne lessi l'importanza
eziandio nella Cronaca di Milano de'28
febbraio 1859 a p. 244* E per essa, nel-
J 'annuncia re l'opera, la Civiltà Cattolica,
de' 19 febbraio 1859, dichiarò proporsi
di farne un esame con (pie! l'ampiezza che
richiede e la gravità del lavoro eia pe-
rizia e l'accuratezza che il nobile autore
ha recato nel compilarla. Del resto il po-
polo e i poveri di Venezia hanno risorse
di vitto economico e saporoso, di varie
specie, di lievissimo e pochissimo costo,
che forse non si trova in altra città del
mondo. Giova che io produca un gra-
ve e morale articolo pubblicato nel pre-
cedente mesedalla Gazzetta uffiziale di
Venezia, ricavandolo dal Giornale di
Roma de* 27 gennaio 1859. Comincia
dal riconoscere il pauperismo, per una
fra le più funeste piaghe sociali dell'età
in cui viviamo. L'aspetto deplorabile e
talora spaventoso, che nelle primarie ca-
pitalid'Europa,ne'graudi centri delcom-
mercio, dell'industria e del lusso, presenta
V EiN
la classe povera del popolo, ha destato
al più alto grado l'attenzione de' filosofi
e de'governanti. » La città specialmente,
che, per la magnificenza de' suoi monu-
menti, per la memoria della sua antica
potenza, per la singolare, anzi unica, sua
forma, per la proverbiale gentilezza de'
suoi svegliati abitatori, visitata giornal-
mente da ricchi e curiosi viaggiatori del
vecchio e nuovo mondo, o(Fre incessante-
mente il tema doloroso di elegiache de-
clamazioni, è la nostra Venezia ( ninna
sorpresa, lo è pure una Roma, ma pe*
maligni ed ingiusti calunniatori ignoran-
ti, che si contentano di superficiali osser-
vazioni e si fidano d'insulse relazioni d'u-
na classe ciarliera e quasi idiota). I gior-
nalisti, i romanzieri, gli eterni detrattori
del presente, mescendo a qualche vero
moltissimo falso, esagerarono enorme-
mente la povertà di Venezia,checon ironi-
ca pompa chiamarono la grande mendica.
E quel che più singolare si è, che le esa-
gerazioni e falsità, ben facilmente con-
donabili alla leggerezza e vacuità di al-
cuni giornali ed alla sbrigliata fantasia
de' romanzieri, si ripeterono da scrit-
tori profondi in opere importanti e di
lunga lena. Quanto siavi di vero, noi
veneziani non lo diremo: noi lascere-
mo invece, che sorridendo lo dicano que'
mille e mille stranieri, i quali vengo-
no a respirare le dolci nostre aure, e
che distesi su' soffici cuscini delle agili
nostre gondolette, passano estatici nel
Gran canale tra le meraviglie dell'arte e
dell'avita grandezza. Lasceremo a loro la
cura di combattere le menzogne e le ca-
lunnie, che farebbero quasi la metà de-
gli abitanti di Venezia altrettanti accat-
toni; noi diciamo e sosteniamo, che anco
il nostro buon popolo ama il lavoro, col-
tiva l'industria ed esercita le arti mecca-
niche con assiduità ed amore : diciamo e
sosteniamo, che per la generosità citta-
dina e per le premure del governo, non
manca in Venezia alcuna di quelle pie
istituzioni, il cui santo scopo è di provve-
V E R
dere a'bisogni delle classi povere e sof-
ferenti. Che a Venezia ci siano poveri,
che il benessere fisico e morale di alcune
classi della nostra popolazione addooian-
di speciali provvedimenti, che le antiche
e le nuove istituzioni di beneficenza re-
clamino in tutto od in parte utili e savie
riforme, non solo noi non vorremo ne-
garlo, ma lo affermeremo anzi cou inti-*
ma persuasione. £ quanto più siamo di
ciò persuasi e convinti, tanto più ci gode
l'animo dipoterannunciare che un cuore
eminentemente religioso e benefico, una
volontà ferma ed illuminata rivolsero cu-
re pietose ed assidue a'poveri di Venezia,
ed a'suoi stabilimenti di pubblica bene-
ficenza. Per essere compresi, noi non ab-
biamo d'uopo di pronunciare l'augusto
nome- di S. A. I. II. il serenissimo arci-
duca Ferdinando Massimiliano, governa*
tore generale di questo regno. Iniziatore
e promotore sapiente di tutto, che può
tornar buono e profittevole a'popoli, che
furono al suo mite governo commessi,
Tumanissimo^principe volle conoscere a
fondo la condizione materiale, morale ed
economica de'suoi pii istituti, nonché lo
stato e l'andamento della loro ammini-
strazione, nell'intendimento di applicarvi
poi que'salutari rimedi che fossero richie-
sti da'bisogni reali del primo e dalla pos-
sibile prosperità de'secondi. Coscienziosa-
mente attinte senza pregiudizi od ingan-
nevoli preoccupazioni alle più pure sor-
genti, pervennero all'A. S. 1. le notizie ed
informazioni dettagliate e positive, che
nella vasta ed importante materia Ella
potesse desiderare. Se per queste veridi-
che relazioni potè da un lato V augusto
principe confermarsi nel convincimento,
che un calcolo totalmente fallace ha fat-
to ascendere il catalogo de'nostri poveri
ad una cifra superiore ad ogni immagi-
nabile realtà, pur ebbe dall'altro a rico-
noscere che la condizione de'poveri stessi
può essere suscettibile di miglioramento;
che la mendicità questuante per le strade,
causa bene spesso o conseguenza del vizio,
VEN i55
deve cessare ; che il numero de' poveri
può gradatamente diminuirsi, e devesi
poi con ogni mezzo impedire che si au-
menti; che riforme consentanee all'esi-
genza del tempo e dell'odierna civiltà so-
no reclamate da vari degli istituti pii, i
quali fanno testimonianza dell'antica re-
ligione e della tuttor viva carità de' vene-
ziani; che infine la distribuzione de'soc-
corsi della pubblica beneficenza, e l'ammi-
nistrazione delle sue rendite deggiono es-
sere sistemate e regolate in modo, che
la prima corrisponda veramente al fine
santissimo, cui è destinata, e la seconda
abbia per risultato la conservazione inte-
grale e il ragionevole incremento del sa-
gro patrimonio del povero. Sopra questi
interessantissimi oggetti, per quanto ci
fu dato di poter da buona fonte rilevare,
l'amato nostro principe governatore ge-
nerale, che di tuttociò che ci riguarda
personalmente si occupa e s'informa, sta
per emanare efficaci provvedimenti. Noi
ci proponiamo d'intrattenerne in una se-
rie di successivi articoli i nostri lettori:
e ci studieremo di farnechiaramenteco-
noscere lo scopo e l'importanza, ad istru-
zione e conforto non solo delle classi bi-
sognose, ma della città tutta, la quale a-
vrà in ciò una prova novella dell'affetto
e della bontà del principe eccelso, che
fece ogni studio particolare e profondo
sull'argomento della pubblica beneficen-
za in questa a lui cara Venezia". Infatti,
avendo il lodato conte Berobocompilata
la sua bell'opera per procurare la mino-
razione e insieme la ben regolata assi-
stenza de'poveri, ne precedeva di poco
la sua pubblicazione il beneficentissimo
decreto e le sapienti istruzioni de' ^gen-
naio i85g, dell'ottimo arciduca gover-
natore, il quale provvide paternamente
a ciò che tutte le ampie e varie risorse
della pubblica beneficenza in Venezia, sia-
no dirette ad uno scopo di provvedimento
a tutto, che sia dedotto dalle massime
fondamentali, che vennero dal medesimo
principe tracciatele demandate per la più
i5'i YEN
calcolata e pronta attuazione ad un'appo •
Mta Direzione Centrale, da cui iuimedia-
tamente dipendano tutti gl'istituti di be-
neficenza in Venezia. — Terminerò que-
st'articolo lietamente, con riferire, che re-
stata vacante la sede vescovile d1 Adria,
con residenza del vescovo a Rovigo 3 per
morte del pastore in tale2.°articolo nomi-
nato, nel concistorodeS 7 settembre 1 858
il Papa Pio IX ne preconizzò nuovo ve-
scovo, il nobile veneto mg.r Camillo de*
conti Benzon canonico teologo del capi*
tolo patriarcale di Venezia, e nella me-
desima città consigliere del tribunale ma-
trimoniale e della pia società della s. In-
fanzia, direttore dell'oratorio della B. Ver-
gine Addolorata de'figli della Carità, su-
periore della pia casa de'ealecumeni nel
riparto femminile, e professore nel semi-
nario patriarcale di lingua ebraica, ar-
cheologia biblica, esegesi sul vecchio e
nuovo Testamento, lingua greca, erme-
neutica e pedagogia; nella proposizione
concistoriale encomiandolo il Pontefice
per doctrinatgravilatet prude litici) ino-
rimi honeslale, rerumcjue uso praedilus
ce Dispensato dal recarsi in Roma, il suo
metropolitano mg.r Ramazzotti patriar-
ca di Venezia a'2 4 febbraio i85g gli con-
ferì l'episcopale consagrazione nel lem-
pio di s. Maria della Salute; funzione che
riuscì con tanto maggior pompa e lustro,
quanto più era letizia comune che l'onor
della mitra e del pastorale tornasse a co-
ronare e fregiare nel consagrato il decoro
del veneto patriziato, cui egli appartie-
ne, e che da circa mezzo secolo era rima-
sto privo di questa cospicua onorificenza,
che un tempo dalle case patrizie venete
era raggiunta assai di frequente,come nar-
rai superiormente e nelle serie de' vescovi
degli antichi domimi veneti. — Per ultimo
mi resta e dire, collo Stato personale ,
la Curia patriarcale formarsi del vica-
rio generale; del referente tutti gli affa-
ri di giurisdizione onoraria e contenziosa,
ed è incaricato nelle cause sì della dioce-
si, che portate in appello dalle proviucie,
VEN
n redigere gl'i alti preparatorii delle sen-
tenze; del promotor fiscale; del cancel-
liere j dell'aggiunto al referente e pro-
motor fiscale; dello scrittore. Apparten-
gono alle parti integrali della Curia. i.°H
venerando tribunale matrimoniale ; i.°
la direzione della censura ecclesiastica;
3.° i reverendissimi esaminatori pro-si-
nodali; 4-° la presidenza generale del-
le congregazioni de' casi di coscienza ;
5.° la presidenza generale delle scuole
della dottrina cristiana. Vi è la cancel-
leria, col direttore, il vice-cancelliere,
i notai, il cursore giurato. Appartiene
ad essa, come altrove notai, il consiglio
di direzione della pia società della s. In-
fanzia.
VENEZUELA o CENEZUELA (s.
Jacobide Benecuelat sive de Caraccas).
Città con residenza arcivescovile dell'A-
merica Meridionale, denominata Vene-
tiolafcìoè piccola Venezia, dall'omonimo
dipartimento di Colombia o Columbia,
che comprende le provinole di Caracca
o Caraccas e di Calabozo, con Caracca o
Venezuela o Venezuela per capoluogo, la
quale è anche capitale delia repubblica
di Venezuela. Fu il dipartimento di Vene-
zuela cosìchiamato dagli spagnuoli,stante
la somiglianza ch'essi trovarono fra la
situazione di parecchie città indiane oc-
cidentali intorno al lago di Maracaybo o
Maracaibo e quella della celeberrima Ve-
nezia decoro e ornamento d'Italia. Il la-
go di Maracaybo, sulla costa settentrio-
nale della Colombia, nel dipartimento
della Sulia, è di forma quasi circolare, ed
ha 4o leghe dal nord al sud sopra 35
dall'est all'ovest. Riceve un gran nume-
ro di riviere, delle quali le principali so-
no il Motatan all'est, la Sulia al sud, la
Perija e il rio di Palmas all'ovest, e scor-
re al nord davanti Maracaybo, mediante
un canale largo 3 leghe, nel golfo di Ma-
racaybo, formato dal mare dell' A mille.
La marea vi si fa sentire più forte che nel-
le coste vicine, e la navigazione vi è faci-
le,anchecou grandi navigli; ma i frequeu-
V R N
ti venti marini per la loro violenza som-
mergono grosse barche. Al nordest ilei
lago è Mena , luogo che possiede inesausta
miniera di eccellente pece minerale, i
cui vapori bituminosi si libi ano sul lago
e infiammandosi, massime ne'gran calo-
ri, durante la notte formano fuochi che
servono di guida a'marinari,ed e perciò
che loro si die' il nome di Lanterna di
Maracaybo. Le riviere del lago sono in
genere cos'i sterili e malsane, che gl'in-
diani preferiscono di costruire le loro a-
bitazioni sulle stesse acque del lago, col
mezzo di solide palafitte. Pesci e uccelli
acquatici formano la loro principale sus-
sistenza ; essendo i pesci di grande va-
rietà siccome portativi dalle diverse ri-
viere che sboccano nel lago. Dopo l'in-
surrezione della Nuova Granata e del Ca-
racca contro la Spagna, fu dato il nome
di Venezuela al governo molto più con-
siderabile dell' accennato dipartimento,
eh' erasi formato nel 1819, nella repub-
blica di Colombia. Della città di Vene-
zuela o Caracca o Bcnczuela, in questo
articolo avendone parlato brevemente ,
per la sua repubblica, ed anche pel suo
seggio metropolitico e pe'suoi pastori oc-
correvano le nozioni che vado a riferire.
Caraccas già sede d'una capitaneria ge-
nerale della Spagna, giace in una valle
formata dalla lunga catena di montagne,
che corre paralellamerite alle coste del
mare da Coro sino al golfo di Paria,
ed al piede del picco della Siila, che si e-
)eva a 1 333 tese sopra il livello del mare.
Coro è una città con porto, stata sede
del governo della provincia del suo no-
me, una delle 7 della capitaneria gene-
rale di Caraccas, nel dipartimento di Su-
lia della repubblica di Columbia. Trovasi
Coro a 70 leghe da Caracca, ed a 4o da
Maracaibo, sulla parte del golfo di que-
sto nome chiamata el Golfeto , in una
pianura sabbionosa e arida a circa una
lega dal mare dell'Antille.Tuttociò si de-
ve notare, perchè Coro fu un tempo ric-
chissima e residenza pure del vescovo, la
VEN i$V
quale insieme a quella del governo, per
aver perduto assai dell'antico splendore,
dopo il 1 636 fu trasferita a Caracca ch'è
molto ben fabbricata a 45>4 tese, pulitis-
sima e in aria salubre. Il paese declina
gradatamente sino alla Guayra, piccolo
fiume che riceve que'de' quali dirò, e si
può guadare, non però dopo copiose piog-
gie. All'est un altro declivio conduce sino
ad Anauco, sul quale fu costruito un bel-
lissimo ponte. L'altro fiume Caroata, che
pure si attraversa sopra un bel ponte di
pietra, divide Caracca propriamente det-
ta, dal quartiere s. Giovanni. Presso al
centro scorre il Catucho, le cui acque a-
limentano le fontane pubbliche, e quelle
assai numerose delle case particolari.
Questi 4 fiumi in seguitosi riuniscono/ir-
rigano la fertile valle di Cacao e si con-
giungono alTuy. La valle di Cacaoèas-
sai celebre per le piante omonime che
produce, Theobroma Cacao, le cui man-
dorle, più grosse delle comuni, diconsi Ca-
cao-Caracca, mollo nutritive e di pia-
cevolissimo sapore, che servono a com-
porre, con diversi ingredienti, la gradi-
tissima e corroborante bevanda della
cioccolata, di tanto comune e vantaggioso
uso, per cui ne ragionai altrove, in uno
a' suoi scrittori. Si attribuisce al fiorenti-
no Francesco Carletli che portasse in Eu-
ropa e in Italia specialmente le notizie
del frutto cacao e del cioccolate , che
presto si ricercarono pel soave sapore e
per alcune proprietà salutari. Si vuole da
altri, che il cacao fu recato dal Messico in
Europa nel 1 520, e che in Francia pel
i.° fece uso di questo nutrimento il car-
dinal Alfonso Richelieu arcivescovo di
Lione , per moderare i vapori che gli
montavano al capo. Per le sue proprie-
tà, la cioccolata fu detta cibo degli Dei.
Da' semi stessi o mandorle del cacao, si
ottiene l'olio che condensalo dicesi bu-
tirro di cacao. Del resto la città di Ca-
racca o Venezuela possiede grandissimo
numero di case con tetti piatti , molte
non avendo che un pian terreno e altre
1 58 V E N
un solo piano. In generale, larghissime,
bene allineate e ben selciale sono le stra-
de, le quali dividono la città in porzioni
quadrate, che diconsi quadra*, e di cui
molte fot mano piazze poco rimarchevo-
li, tranne la gran piazza delMercato, ch'è
uno degli edifizi principali di Caracca ,
essendo adorna nel centro da una fonta-
na e la cui parte orientale è occupata dal'
la cattedrale. Non manca di teatro, di sta-
bilimenti scientifici e benefìci, di vastissi-
ma caserma militare, né di uomini illu-
stri che vi fiorirono, fra'quali primeggia-
vano il general Miranda nativo di Carac-
ca s, e Bolivar. Miranda nel 1806 radu-
nò milizie a s. Domingo , ed a Nuova-
York, proponendosi di conquistare la pa-
tria indipendenza. Ma le forze non ba-
starono allo scopojgli spagnuoli resistero-
no, e fecero molti prigioni, che sebbene
volontariamente arresi, punirono di mor-
te: così quel i.° movimento fu represso.
Bensì nel 181 o, quando i francesi occu-
parono la Spagna, si tornò a parlare del-
la riforma di governo, si radunarono a
Caraccas deputati di tutte le piovincie ,
tranne Maracaibo, s' incominciarono gli
atti in nome di Feidinando VII; ma po-
co dopo, imprigionato il capitano gene-
lale co' membri d' udienza, s'installò la
Confederazione di Venezuela. La rea-
zione della reggenza e delle Cortes di
Spagna fu impolitica e decise il congresso
a'5 luglio 181 1 di proclamare la totale
emancipazione dall'Europa. Il capitano
generale spagnuolo Monteverde fomentò
le idee superstiziose de'popoli, e coli' ap-
poggio di queste assalì Caraccas, debellò
Miranda, ed assoggettò di nuovo il paese
alla corona. Più celebre fu Simeone Do-
livar-y-Ponte, nato in Caraccas da una
famiglia spagnuola diMantuanas,che tro-
vandosi presente alle due coronazioni di
Napoleone I, colpito dalla rapida onni-
potenza a cui era pervenuto, coìl'esempio
di Washington, concepì l'ardito disegno
di liberare la patria d'America dalla do*
turnazione spaguuola;e recatosi a Peonia,
YEN
dicesi che lo giurasse sul monte sagro.
Egli cominciò ad attuare il suo proponi-
mento, con profittare de'diversi partiti in
cui erano divise le popolazioni, seguaci
di Carlo IV, di suo figlio Ferdinando VII,
di Napoleone I e di Giuseppe di lui fra-
tello, quando a'Borboni tolse il trono di
Spagna, cioè dopo la dichiarazione d'in-
dipendenza fatta dal congresso di Vene-
zuela e la dittatura di Miranda, e Mon-
teverde. Ritiratosi da questi a Cartagena,
che al pari di tutta la Nuova Granata
formava colla provincia di s. Marta una
repubblica separata, ivi riunì 3oo vene-
zueli per formare un corpo di truppe per
rivendicare gl'indipendenti su Montever-
de e i disatri politici di Venezuela, pren-
dendovi parte i granatini ed i caraguini.
Nel gennaio 181 3 lasciò Cartagena col
suo piccolo esercito, comandato in secon-
do dal cugino Manuel Castillo; ma l'am-
bizione del comando, presto li divise, re-
stando unito a Bolivar l'altro cugino Fe-
lice Ribas. Animato da'consigli di questo,
marciò co' 3oo venezueli per liberare la
capitaneria generale di Caraccas, e nuo-
vamente Venezuela, aumentando le for-
ze in progresso de'suoi successi ; laonde
giunto sui confini della Nuova Granata
e di Venezuela, più. migliaia di venezueli
corsero a unirsi a'suoi vessilli: s'impadro-
nì di Merida e suo distretto e delle pro-
vinole di Varinas. Intanto Marino stabi-
lito a Maturin, vinti e fugali gli spagnuoli
e Monteverde, rimasto padrone delle pio-
vincie di Cumana e Barcellona, quel ge-
nerale assunse il titolo di generale in ca-
po e dittatore delle provincie orientali
di Venezuela. Dall' altro canto Bolivar
alla testa degl' indipendenti , dopo vari
combattimenti, a'4 agosto 181 3 entrò so-
lennemente in Carracas a modo trion-
fale, salutalo liberatore e 1' armata ap-
plaudita liberatrice; indi prese i titoli di
generale in capo e dittatore delle pro-
vincie occidentali di Veoezuela,cioè quasi
la metà della capitaneria generale. Fu al-
lora che dando sfogo alla vanità de'suoi
VEN
seguaci, Bolivar creò V ordine del Libe-
ratore poi detto de'Liberatori, e quindi
organizzò il governo. Ma i popoli, special-
mente i repubblicani, si accorsero in bre-
ve del suo assolutismo e di voler rap-
presentare il Napoleone dell' /enterica
o del Nuovo Mondo. Nel 1814 « reali-
sti spagnuoli, comandati dal general Bo-
ves, sconfissero Bolivar e Marino; che
perciò questi due emuli, unite le reliquie
de'loro eserciti, raddoppiando i tentativi,
riuscirono a respingerli. Non andò guari
ch'essi lo furono da'realisti, quando nel
capitanato generale successe Gagigal al
Monteverde. Caduto così d'ogni speran-
za sul trionfo dell'indipendenza, il vinto
Bolivar abbandonò momentaneamente
l'impresa, ritirossi a Cartagena, poi a Tuiir
ja, dove gli riuscì unire le discordi prò-
vincie in lega con Bogota, colla condizio-
ne che in quest'ultima città risiederebbe
il congresso, e fu nominato capitano ge-
nerale della Nuova Granata e di Vene-
zuela. Ritiratosi a Cariogena , come al-
leato, vi fu assediato dal generale realista
Morillo, che lo costrinse ad arrendersi ai
6 di dicembre 1 8 1 5, e partì per la Giani-
maica e s. Domingo. Ivi fu di nuovo e-
letto capitano generale di Venezuela e
Nuova Granala, per non trovarsi che lui
capace d'unire alla causa dell'indipenden-
za tutte le 7 provincie Venezuele, e pro-
mulgò gli schiavi negri liberi da ogni gio-
go. Lopo essere stato battuto dal reali-
sta Moralismi generali indipendenti lo ri-
conobbero per capo supremo, a condizio-
ne di convocare un congresso, e che la
sua autorità sarebbe stata puramente mi-
litare, senza ingerirsi nell'amministrazio-
ne civile. Giunto in Barcellona a* 3 i di-
cembre 1816, couvocòil congresso, pro-
clamò il governo provvisorio, e lui capo
col titolo di presidente della repubblica
di Venezuela, riunendo in se i tre pote-
ri : fece pubblicare la legge marziale, e iu-
corpoi òalle sue truppe gli schiavi che con-
coirevanoa lui. Ma la battaglia de'9 gen-
naio 1817 gli fece nuovamente perdere
VEN i5g
la provincia di Barcellona, tranne la ca-
pitale. L' r r febbraio 1 8 1 8 restò vinto il
realista Morillo dinanzi Calabozo, ma
senza sapersene trarre vantaggio, per cut
quel generale potè ripetutamente scon-
figgere Mona gas, e Calabozo tornò in po-
tere de* regii. Tuttavolta non si smar-
rì Bolivar e comparve grande : vinto si
spesso, egli si riaveva come per incan-
to con forze inaspettate, con nuove chia-
mate al patriottismo americano, per la
sua popolarità, malgrado i sofferti disa-
stri. Morillo tornò a disfarlo, e fu supe-
riore ing zuffe parziali. Laonde gì' indi-
pendenti proposero di spogliare Bolivar
della presidenza e rivestirne Paez. Le due
fazioni disputautisi il potere si compone-
vano di unitari e di federalisti , i quali
assumevano i caratteri di quasi monar-
chici e di repubblicani. Bolivar prevalse,
ma per un tempo dovè dividere il potere
assoluto in t\uc sezioni politica e milita-
re, ed accreditò agenti a Washington ed
a Londra. 11 congressoapertosi in s. Tom-
maso d'Angostura nel febbraio 1819,
Bolivar fu acclamato presidente della re-
pubblica sino al compimento della costi-
tuzione; ed egli non tardò a presentare
il piano per la divisione della legislatu-
ra, in due camere, con senato e camera
di pari ereditaria, ed una camera di de-
putati. Nel congresso si modificarono le
sue mire, si presero alcuni saggi prowe- \
dimenìi, si approvò l'ordine de' Libera-
tori. In conseguenza di vari combatti-
menti, Bolivar entrò trionfante in Bogo-
ta capitale della Nuova Granata, abban-
donata dal viceré Samana, a' 12 agosto
1 8 ig, e vi organizzò un congresso di cui
fu presidente: la Venezuela fu nuova-
mente perduta per la Spagna. A' 17 no-
vembre dello stesso anno, con solenne de-
liberazione del congresso, fu proclamata
la riunione delle due repubbliche di Ve-
nezuela e dellaNuovaGranata in una sola
federazione col nome di Repubblica di
Colombia, e questa divisa in 3 grandi
dipartimenti, Fcnezuclai Quito, Con-
i6o VEN
tlinamarcat con norme apposite. E colla
capitaneria generale di Cai accas si com-
posero i 4 dipartimenti di Zulia , del-
l' Orenoeo, di Maturiti e di Fermitela*
Va notato, che quella parte del Venezue-
la, che dalla foce dell'Orcnooo si estende
sino all'isola della Margherita, fu veduta
da Colombo nel suo3.° viaggio nel 1 498,
e ne venne conosciuta la costa fino alla
penisola d'Araya. Secondo alcuni geogra-
fi Americo Vespucci nel precedente anno
«•vea toccato la costa di Paria, e di qua
ebbe origine il fortunato incidente, che
eternò col nome d'America il suo. ludi
a onore del 1 .° scuopritore del Muovo
IMondo, si diede il nome di regione Co-
lumbiana o Colombiana a tutti i luoghi,
che componevano sotto il dominio degli
spagnuoli la Nuova Andalusia, la Castiglia
d'Oro, la Terra-ferma, e di poi il vice-
reame della Nuova Granala, nel quale si
comprendeva una parte dell'antico Perù;
i quali luoghi si fusero dopo l'è ma nei pa-
ltone a formare la nuova Repubblica di
Columbia, ma dopo pochi anni i gover-
ni variarono forma e tornarono a sud-
dividersi, formando le 3 repubbliche di
Venezuelani Nuova Granata e dell'/i-
quatore, tutte tre indipendenti, ma con-
giunte in amichevole nodo d'alleanza di-
fensiva e olfensiva, con trattati commer-
ciali: il sistema divisorio de'dipartimenti
fu abolito e ritornarono leprovincie rette
da governatori sottogli ordini del potere
esecutivo nazionale, onde le 12 provili*
eie della Repubblica di Venezuela sono
le seguenti : Caraccas, Calabozo, Clima-
na, Barcellona, Margherita, Coro, Tru-
xillo, Merida, Maracaibo, Varinas, Apu-
re e Guayana. Poco dopo la formazione
della repubblica di Colombia, ai5 no-
vembre 1820, ebbe luogo un armistizio
con Morillo , ma senza riconoscersi da
quel realista il nuovo stato. Tenuta per
fallo tale tregua, Bolivar a ripararlo, nel
182 1 ne annunziò il termine, ed a'24
giugno marciò contro i generali realisti
La Torre e Morales, ambo stabili ti a Cala-
YEN
boxo, e fu l'ultimo giorno della dominai
itone spaglinola in queste contrade. Boli-
var vittorioso, la liélMg sera entrò in Va-
lenza; Caraccas e la Guaita tornarono in
potere degl' indipendenti per non più u
scirne,nel luglio 1 824 facendo altrettanto
Porto Gabello, runica città della Vene-
zuela restata a 'rea listi. La costituzione di
Cucuta fu pubblicata a'3o agosto 1821.
Entrato Bolivar vincitore io Qui lo e in
Guayaquil l'i 1 luglio 1822, quelle con-
trade furono incorporate alla Colombia,
ed a'3 settembre 1823 fece il suo trion-
fale ingresso in Lima (in memoria di che,
in essa di recente fu eretta la di lui co-
lossale statua equestre in bronzo, il cui
modello magnifico eseguì in Roma il eh.
prof. Adamo Tadolini, che meritò an-
dasse a vederlo nel di lui studio il Pa-
pa Pio IX, del quale segnalato onore
l'esimio scultore pose nelle pareti la-
pide monumentale). Il congresso del
Perù gli decretò la dittatura a' io feb-
braio 1824, e la presidenza nel 182J.
Nel precedente anno essendosi conquista-
te 7 provincie già dipendenti dal gover-
no di Buenos- Ayrés e poi del vice-rea-
me del Perù, Bolivar ne proclamò l'indi-
pendenza, imponendo loro il nome di Bo-
livia ed un codice che denominò Boli-
viano. Ma insorte collisioni, nel 1 826 si
tramò contro la sua vita. Tuttavolta re-
stando nel Perù, fu in Lima eletto presi-
dente a vita, e venne adottalo il codice
Boliviano. L'apogeo di sua gloria fu nei
tre anni dal 1822 al 1826. In quest' ul-
timo si ribellarono a lui Paez federalista
e Marino, con alcune provincie, trovan-
dosi la costituzione di Cucata non con-
venire ad alcuno. Bolivar lasciato il Pe-
rù , mediante nocevoli concessioni nel
1827 nella repubblica di Colombia si
ristabilì un'apparente calma. Bolivar vo-
leva lo scettro, ma non ebbe senno ab-
bastanza da saperlo afferrare. Successi-
vamente scoppiarono nel Perù e nella
Bolivia insurrezioni, ed i peruviani inva-
sero la Bolivia per francarla dal giogo
VEN
del liberatore, crollando così il gigantesco
edilizio dell'alleanza de* popoli, rappre-
sentanti le due Americhe, che Bolivar a-
vea voluto innalzare. Il Perù e la Boli-
via gli sfuggivano; la Colombia si dibat-
teva tra le sue mani, nondimeno la con-
servava. Vedendo però che la sua stella
andava mancaudo, volle finirla, ormai
scorgendo la necessità di diventare il pa-
drone o di andarsene in esilio. Nel de-
clinar del 1829 tentò un estremo sforzo
a Caraccas, nell'assemblea de'24 dicem-
bre presieduta dal general Paez, per la
separazione del governo di Bogota e di Ve-
nezuela,che doveano nondimeno conser-
vare il nome comune di Colombia ; quin-
di di nuovo Bolivar fu esposto a'pugnali
degli amici della libertà, e per miracolo
n'era rimasto salvo a'25 settembre 1829.
Adunque per la 5.a volta risolse dimetter-
si dal potere e l'eiFeltuò con messaggio al
congresso de' 20 gennaio i83o, dopo a-
vere respinto l'imputazione che aspirava
alla corona. Nominato però presidente di
Colombia a'22 gennaio il general Sucre,
dichiarò non potersi accettare la dimis-
sione di Bolivar; il quale decise non o-
stante di abbandonar Bogota, e non ces-
sando le contrarietà volle definitivamen-
te abdicare la sua presidenza a' 27 a-
prile.il congresso di Bogota a'3o ne ac-
cettò la rinunzia. Indi a'4 maggio la Co-
lombia adottò la nuova costituzione sot-
to la presidenza di Mosquava; a* 6 si a-
prì il congresso costituente per Venezuela
a Valenza, eletto presidente Yanes; a' 9
il congresso di Bogota decretò ringra-
ziamenti a Bolivar e 1' annua pensione
di 1 5o,ooo franchi, ed egli partì da Bo-
gota nel dì seguente, a* 1 4 ponendosi Paez
alla testa del governo di Venezuela. Ri-
tiratosi Bolivar inCartagena, andava tem-
poreggiando il suo imbarco, quando in
s. Pietro presso s. Marta cadde infermo,
forse di veleno, e morìa'17 dicembre di
48 anni non compiti, semplice partico-
lare dopo 18 anni di grandezza. Così fi-
nì il fondatore della repubblica di Co-
vol. xcin.
VEN 161
lombia, che sorta per lui parve trovare
sul sepolcro del liberatore de' germi di
morte. Imperocché, come dissi, al princi-
pio dello stesso i83o, il Venezuela stac-
cossi dal resto della Colombia, si eresse
con altri stati in repubblica, percorse va-
rie vicende politiche, e l'odierna sua con-
dizione è la seguente, che trovo nella Ci-
viltà Cattolica de' 16 ottobre i858.»La
Eepubblica di Venezuela fu per un istan-
te in un momento di guerra colla Fran-
cia e coll'Inghilterra, appunto come po-
co fa l'imperatore della Cina. La repub-
blica di Venezuela ebbe dal 18 19 fino
ad ora non si sa quante costituzioni e ri-
voluzioni ; di cui l'ultima e freschissima
atterrò, pochi mesi sono, il presidente
Giuseppe Taddeo Monàgas, ch'era stato
eletto la 2.a volta il 20 aprile del 1857,
e fu cacciato dal general Castro. Ma il
Monàgas appena vedutala mala parata,
abdicò nelle mani del congresso e subito
ricorse alla legazione francese, ponendosi
sotto la sua protezione. Alcuni de' suoi
partigiani ricorsero dal loro lato alla le-
gazione inglese. 11 nuovo presidente con-
cluse allora, per mezzo d'un segretario di
stato, co'ministri forestieri una specie di
trattato, che concedeva al Monàgas ed a-
gli altri la licenza di uscire dal territo-
rio. Ma poco dopo destituì il suo pleni-
potenziario e sconobbe il trattato, chie-
dendo a'ministri che l'ex presidente e i
suoi gli fossero lasciati nelle mani per
essere giudicali da'tribunali. I ministri
non avendo modo di resistere, dovettero
cedere, ma ne scrissero a'ioro governi. I
quali tosto inviarono colà alcune navi da
guerra, chiedendo che subito fossero re-
stituiti i prigionieri alle legazioni a cui
aveano fatto ricorso. Ne avendo il gover-
no voluto a ciò acconsentire, alcune na-
vi da guerra francesi e inglesi dichiararo-
no in istato di blocco i due porti di La-
guayra e di Porto Caballo, e confiscaro-
no le navi di commercio che vi si tro-
vavano. Giunse intanto a Caraccas il si-
gnor Deveton Orme, incaricato inglese ,
1 1
1G2 VEN
cou cui uou tardò il nuovo governo ad
acconciare le cose, dando passaporti al-
l'ex presidente ed a'suoi partigiani, e pro-
mettendo un'indennità (di cui uon si dee
mai tacere quando si ha da fare con un
incaricato inglese), la cui somma precisa
sarà eoo più comodo determinala". Al
presente continua ad essere presidente
provvisorio il general Castro, intimo a-
uiico del general Paez, i principi! politi-
ci de'quali sono identici. 11 tesoro pub-
blico e l'industria prosperano,ed il gover-
no incoraggia l'imniigruzioue. Nel 1 85y
il senato e la camera abolirono negli stali
della repubblica la schiavitù, riconoscen-
do come debito nazionale il valoredegli
schiavi emancipati , da rimborsarsi cou
certi modi e termini.
La sede vescovile di Venezuela o Be-
necuela o Caraccas,ebbe origine nei pri-
mi anni del secolo XVI. Della parte
del Venezuela scoperta dal Colombo,
nel seguente 1 499 Alfouso d' Ojeda ne
prosegui I' esplorazione, cioè della co-
sta da Maracapana sino al Capo della
Vela. Nel i5oo vi giunsero Rodrigo de
lasBa&tidas e Giovanni della Cosa. Nel
i5i2 da s. Domingo sbarcarono sulla
costa del Venezuela i due domenicani
Francesco de Cordova e Giovanni Garces
per esercitarvi l'evangelico ministero nel
paese di Casco; iudi nel i5i8 parecchi
frati domenicani e minori osservanti nel-
le coste della provincia di Cumana vi e-
ressero due conventi. Ma penetrato nel
paese di Casco un pirata spagnuolo, che
radunava gl'indiani sulla costa e ne face-
va preda per rivenderli a'proprietari di
miniere, con apparente amicizia lusinga-
to il principe indigeno di Casco a recarsi
colla moglie e i5 figli al suo bordo, ivi
li pose barbaramente in ceppi e seco li
strascinò. Allora i selvaggi per vendetta
massacrarono gì' innocenti missionari, e
bruciarono i conventi con entro i frati
slessi. Altri 3 domenicani daCabagua re
calisi uel Venezuela per diffondervi il
criftlianeaimo, fondarono chiese e cou-
V EN
venti, ma gli avidi mercanti di carne u-
manu tornando a esercitare le turpi ra-
pine, provocarono un eccidio generale di
tutti gli europei. Nondimeno ti andaro-
no fondando colonie, e nel x^i'j Giovan-
ni Ampuez, ben accolto dal principe di
Manora , fondò la ci Ila di Coro, sulla
sponda orientale del golfo di Maracaybo,
che divenne poi sede del governo perla
sua importanza e opulenza, la quale però
nel 1 636 fu trasferita a Benecuela o Ca-
raccas, attuale capitale della repubblica
di Venezuela , però città fondata nel
1567. Perciò quando Clemente VII nel
i53o o nel 1 532, come vuole Comman-
ville, che chiama la città Venezuela, Ve*
netìola) vi fondò la cattedra vescovile e
sullraganea dell'arcivescovo di s. Domin-
gOjVeramenle pare che fosse in Coro,e solo-
più tardi fu traslatata iu Benecuela. Che
in Coro venne istituita la primitiva sede
vescovile, lo apprendo pure dal dotto car-
dinal Baluffì. L'America un tempo spa-
glinola riguardala sotto V aspetto reli'
gioso, e la chiama prima chiesa Venezo-
lana, che prese nome da Coro ove sorse,
con assegno delle decime, che registra a
scudi 3 16,21 5, come arcivescovato, pe-
rò neh' epoca anteriore e prossima alla
rivoluzione; non senza giustamente av-
vertire, che le decime concesse nel 1 5 1 1
da Giulio II alle nuove chiese d'Ameri-
ca,al cui esempio fecero il simile i succes-
sori, non sono in opposizione alla bolla E-
ximiae del predecessore Alessandro VI ,
colla quale accordò a're di Spagna, che
assegnata da essi sopra i beni reali una
dote sufficiente a tutte le chiese, potesse-
ro percepire le decime dell' Indie occi-
dentali; poiché la nuova concessione di
Giulio II segui pel preventivo accordo coi
re di Spagua,i quali volevano sgravarsi
degli asseguameuti, restituendo alla chie-
sa le decime, come le godevano i vescovi
di Castiglia^ effettuato colla Concordia
di Burgos tlell'8 maggio 1 5i 2, stipulata
fra Ferdinando Ve la regina Giovanna,
co'vescovi di s.Domingo, della Concezio-
V E N
ne, e s. Giovanni di Porto Rico, a! quale
ultimo fu assegnata per diocesi l'isola del
suo nome e quella della Margherita, col-
le provincie di Cumana e di Guayana. Ma
il cardinal Baluffi, da fedele storico, en-
comiando le virtù, lo zelo e le beneficenze
de' venerandi primi vescovi d'America,
nou tace che Rodrigo de IasBastidas,sun-
nominato o suo nipote, primo vescovo di
Coro «avendo assunto interinalmente il
temporale governo della venezolana pro-
vincia,posposta la verga pastorale al ba-
stone della tirannia, fe'tnercato delle vite
degl'indigeni, lordando sua mitra d'inno-
cente saugue, quanti altri furono di quei
primitivi, nessuno oltraggiò la diguità del
grado, tutti onorarono il miuislero. Ma
se gì' indiani di Coro ebbero che inorri-
dirsi di lui, ben ebbero da congratularsi
di que'che gli succedettero. Saranno sem-
pre care le memorie di Àgreda e di Man-
zaniilo messaggeri al popolo di eterna sa-
lute, messaggeri di terrestre prosperità".
1 primi successori di Rodrigo, che sem-
bra fatto vescovo di Coro nel i535 e
morto nel i54^, furono: nel 1 543 Mi-
chele Girolamo Ballesteros; nel i558
l'encomiato fr. Pietro d'Agreda domeni-
cano, morto nel 1 58o ; nel 1 582 fu con-
sagrato il pur lodato fr. Giovanni Man-
zaniilo domenicano^ morto nel i593;nel
1600 fr. Diego di Salinas domenica-
no, morto nello stesso anno; nel 1601
fr. Pietro Martire domenicano ; fr. Pie-
tro Ogna domenicano, nominato ezian-
dio nel 1601, ma non ne prese possesso,
essendo stato trasferito a Gaeta; Antonio
d'Alsega, morto nel 1609 ec. Le Notizie
di Roma registrano i seguenti: 1742 Gio.
Garzia Abbadiauo di Segovia; 1749 B-
manuele Machado-y-Luna , di CuzerevS
diocesi di Coria; 1752 Francesco Julian,
di Zevico diocesi di Palencia_, traslato da
Porto Rico; 1756 Diego Antonio Diez
Madroueio,diTalarubbiasdiocesi di To-
ledo; 1770 Mariauo Marti, di Brassia
diocesi di Tarragona, trasferito da Porlo
Paco; 1792 fr. Gio. Antonio della Ver-
VEN i63
S'ine Maria, di Langrau diocesi di Cala-
horra. Pio VI a' 24 febbraio 1798 tra-
slatò da Guayana o s. Tommaso , sede
da lui istituita, il i.°veseovo della mede-
sima Francesco de Ybarra, di Guaca-
ta diocesi diBenezuela. A suo tempo Pio
VII ad istanza di Carlo IV re di Spagna,
colla bolla In wiiversalis Ecclesiae, de'
24 novembre i8o3, Bull. Rom.cont. t.
12, p. 97, eresse in arcivescovati le sedi
vescovili di s. Giacomo di Cuba, e di Be-
tiecuela vulgo Caraccas. Quanto a Be-
necuela, dichiarò suffraga nei dell'arcive-
scovo, che per i.° dichiarò Francescode
Ybarra, i vescovati di Menda di Mara-
caibo^ di Guayana os. Tommaso d'Aa-
goslura, già suffragane'!, questo di s. Do-
mingo, quello di s. Fede di Bogota.L' 1 1
gennaio 1808 Pio VII nominò 2. ° arci-
vescovo diBenezuela Narciso Coll-y Prat,
di s. Pietro di Cornetta diocesi di Giro-
na, poscia traslalo adEcclesianiPalentin.
Nel 1827 Papa Leone XII preconizzò in
3.° arcivescovo Raimondo Ignazio Men-
dez dottore ulriuscjiiejurist lodatissimo e
idoneo ecclesiastico, non dicendosi la pa-
tria neppure dalla proposizione concisto-
riale. Nel 1 84 1 a' 1 5 luglio Gregorio XVI
preconizzò Gio. Autòaio Ignazio Fer-
naudez Pegna di Menda, canouico deca-
no di quella catledrale, dottore in s. teo-
logia, già parroco, vicario foraneo, pro-
fessore di s. Scrittura nel seminario, pre-
dicatore e ornato di virtù. Il regnante
Pio IX nel concistoro de'27 settembre
i852 promulgò l'odierno arcivescovo
mg.r Silvestro Guevara , di Barcellona
diocesi di Guayana, già parroco in patria
e canonico di detta cattedrale, nou che
vicario generale della sua diocesi, dotto,
probo e degno dell'arcivescovile dignità,
come trovo nella proposizione concisto-
riale che mi sta davanti, in cui pur leg-
go, cani resero 'adone facilita tis novani
ineundi ipsius Archidioeceseos circuiti-
scriptiouem quovis tempore faciendam
arbitrio Sanctitatis Suaet et Apostoli-
cae s. Sedis. Inoltre si dice nella medesi-
164 VE»
ma, la città di s. Giacomo de Caracas,
sive de Benecuela ad montium declive
aedificala conspicitur, quac in ampio
suo circuitu octomillc circiter domos, et
a quinquaginta millibus inhabitalur ci-
vibus. La cattedrale metropolitana, de-
cente e vasto edificio sotto l'invocazione
di s. Anna madre della B. Vergine, ha il
capitolo composto del decano e di altra
dignità, di 5 canonici colle due prebende
del teologo e del penitenziere, di 3 por-
zionari, d' 8 cappellani o beneficiati, e di
altri preti e chierici addetti al servizio
divino. Nella medesima è il fonte bat-
tesimale, e la cura delle anime ammini-
strata da due parrochi: l'arci-episcopio,
buono edificio , le è prossimo. Nella cit-
tà vi sono altre 6 chiese parrocchiali co'
battisteri, un ospizio di preti per le mis-
sioni, 3 monasteri di religiose, diversi so-
dalizi, due spedali, il monte di pietà e il
seminario con alunni. Nel 1857 il gover-
no separòdall'universilà centrale le scuo-
le del seminario, e questo fece consegna-
re all'arcivescovo, rimanendovi stabilite
le cattedre delle scienze ecclesiastiche.
Archidioecescos ambitus satis late paté t,
pluresque sub se complectitur civitates
etoppida. Ogni nuovo arcivescovo è tas-
sato ne* libri della camera apostolica in
fiorini 33 e mezzo, ascendendo le rendi-
te della mensa a circa 5,ooo scudi ro-
mani.
VENI CREATOR SPIRITUS. Inno
in onore dello Spirito Santo (V.), ter-
za persona della ss. Trinità {V). Non si
incomincia Elezione (V.), grande e no-
tabile azione, e qualunque cosa impor-
tante senza l'invocazione del divin Para-
cielo consolatore, mediante i bellissimi e
fervorosi, inno Veni Creator Spiritus,e
Sequenza o Prosa ( V.) , Veni Sancte
Spirilus (V.), che si cantano o recitano
con divozione e fiducia; ambo affettuose
e riverenti invocazioni per implorare dal
Padre de' lumi la sua grazia e aiuto a fi-
ne d'ispirare e di muovere al bene la vo-
lontà, d'illuminare santamente l'intellet-
VEN
to, i sensi, il cuore, ed insieme per accen-
derci e infiammarci del fuoco del suo san-
to amore, unica nostia consolazione, e di
santificarci. Questo Inno (V.) da alcu-
ni si attribuisce a Roberto li redi Fran-
cia, morto nel io3r ; o al b. Erman-
no, detto Contralto dell'aver le mem-
bra contratte, monaco di Richenou, mor-
to nel io54, ° a' h* Nolkero o Notche-
ro monaco di s. Gallo, detto il Balbo a
cagione dell'impedimento di sua lingua,
morto nel 912; o finalmente a Papa 7»*
nocenzo III del 1198. Queste opinioni
le riferisce Cancellieri, Descrizione del-
le cappelle pontificie, \>. 2 53: io però te-
mo che siano stati amalgamati i creduti
autori della sequenza Peni Sancte Spi-
rilus. In numerabili versioni e parafrasi
furono fatte dell' inno Veni Creator
Spiritus, ricorderò solo l'elegante volga-
rizzamento di Samuele Biava, Melodìe
sacre o Inni popolari della Chiesa , p.
i3: comincia con questi versi. O Crea-
tor Spirito, - Vieni ', le menti avviva- De'
figli tuoi, che implorano -Il sempiterno
amori II Papa Pio VI,coosiderando che
la profezia del real salmista David: Man-
da lo Spirilo tuo e saranno creati, e rin-
novellerai la faccia della terra, salmo
io3, v. 3o, ed anche TJf. Emille Spiri-
timi e R>. Et renovabis, adempita nel sa-
gro giorno di Pentecoste (V.), può rin-
novarsi di continuo, se i cristiani col cuo-
re contrito imploreranno l'aiuto del me-
desimo Divino Spirito; e desiderando che
i fedeli lo preghino vivamente, affinchè
spanda sopra la faccia della terra lo spi-
rito di Sapienza ed Intelletto, lo spirito
di Consiglio e di Fortezza, lo spirito di
Scienza, di Pietà e del Timor di Dio; on-
de in virtù di questo Settiforme dono di-
vino (il vescovo Sarnelli, Lettere eccl. t.
4, leti. 22 : Qual sia il senso letterale di
quelle parole della Sapienza, e. 1 : et hoc,
quod continel omnia; spiegaudo le 7 lin-
gue e i 7 doni, ingegnosamente l'applica
alle lingue ebrea, latina, greca, spagnuo-
la, italiana, francese, germana, di cui ne
VEN
iileva i pregi) si dilatino i cuori di tulli,
ecorriuo con alacrità nella via de' Comari-
damenti del Signore j perciò con breve
uuiversalee perpetuode'26 maggio 1 796
concede a'fedeli tutti, che una o più. vol-
te al giorno invocheranno il s. Divino Spi-
rito colla recita dell'inno freni Creator
Spiritus, o sequenza Veni Sancte Spiri-
tus, in latino o in qualunque altro idio-
ma, intendendo anche di pregare per la
concordia tra'princi pi cristiani ec, confes-
sati e comunicati V indulgenza plenaria
una volta al mese in un giorno ad arbi-
trio; a quelli poi, che contriti reciteranno
detto inno o sequenza, nella domenica di
Pentecoste esuaottava,concedeogni vol-
ta 3oo giorni d'indulgenza, e giorni 100
in tulli gli altri giorni dell'anno per ogni
volta, quali indulgenze ponno tutte ap-
plicarsi anche a'fedeli defunti. Tutto que-
sto si riporta nel tesoro spirituale, qual è
il libro intitolalo: Raccolta di orazioni e
pie opere per le quali sono state conce-
dute da' Sommi Pontefici le s. Indulgen-
ze. In esso si trovano pure non solamen-
te l'inno e la sequenza, ma anco tradot-
ti e parafrasati egregiamente.
VENI SANCTE SPIR1TUS. Una del-
le quattro principali Sequenze o Prose ,
che ammette la Chiesa romana. Questa
sequenza, come l'inno Veni Creator Spi-
rilus, è in onore dello Spirito Santo, per
quanto ho detto in tale articolo, le cui
nozioni si compenetrano con questo, per
la cui recita divota sono concesse l'indul-
genze descritte nel medesimo articolo, in-
cominciaudo il suo volgarizzamento col-
le parole in versi: Santo Divino Spirito-
Dal vostro trono altissimo - Venite e a
noi vibrate - Un raggio di splendor. An-
che questa sequenza e tenerissima invo-
cazione dello Spirito Santo, si premette
nell'incominciamento dell'azioni (si reci-
ta pure la preghiera: Adsumus Domine^
pel notato nel voi. XVI, p. i5i, e in al-
ili luoghi), o si recita per implorarne la
portentosa assistenza , in questa valle di
miserie e di tribolazioni. Perciò viene ce-
VEN i65
lebrato padre di luce e de'poveri, santo a*
more, in tutto consolatore ottimo, con-
forto nelle afflizioni, lume beatissimo, di-
speusatore di grazie, datore di prosperità
temporali e del gaudio perpetuo in cie-
lo. Il cardinal Lambertini poi Benedetto
XIV, Della s. Messa, attribuisce la com-
posizione della sequenza al b. Ermanno
Contratto; opinione che con altri riportai
nel voi. XXXV, p. 216, insieme a quel-
le che ne fanno autore Roberto II re di
Francia, o Papa Innocenzo III, il che ri-
pelei nel voi. LV, p. 307, notando che
Platina crede composizione del re l'ora-
zione: Sancti Spiritus adsit nobis gra-
tta. Rilevai poi nel voi. LII, p. 88, che
almenolnnocenzolll fu ih.0 a introdurre
la sequenza VeniSancteSpiritus in uso nel
canto ecclesiastico. Il pio e dotto Butler,
Delle feste mobilitai. 9, Della Penteco-
ste, e. 6, n. xv, Orazione a Ilo Spi rito Sa fi-
lovie scrisse una mirabile per unzione, fer-
vore, fede viva; poi notifica, che Surin,
Avrillon e altri scrittori ascetici compo-
sero eccellenti preghiere per ciascuna bea-
titudine, come anco per ciascun dono e
frutto dello Spirito Sauto, ed alcuni so-
pra ciascuna virtù morale, con delle me-
ditazioni acconce. Quindi aggiunge : La
sequenza Veni Sancte Spiritus si può re-
citare tutti i giorni per stabilire il regno
perfetto dello Spirito Santo, spirito d'a-
more nelle nostre anime. Se ne trova una
bella esposizione o parafrasi nel t. 4 del-
le opere del p. Valois. Il suo eruditissi-
mo annotatore dichiara, che questa pro-
sa o sequenza è da alcuni autori attribui-
ta al dotto b. Notkero , ma 1' Ekkard il
Giovane nell'esatta vita di quel religioso
di s. Gallo, lo fa autore soltanto d'un'al-
tra prosa che comincia colle parole: San-
cti Spiritus adsit nobis grada; e attribui-
sce la sequenza Veni Sancte Spiritus a
Papa Innocenzo III, e potersi vedere la
Storia letteraria di Francia, secolo X,
p. 139, e Ceillier, 1. 19, p. 5o4- Conviene
che Notkero scrisse diverse di tali prose,
stampate nelle sue opere; ed opiua che
i6G VEN
Roberto II re di Francia compose anch'e
gli molte di simili prose, e tra le altre sul-
l'Ascensione, che cominci»: Rex omnipo-
tcìis die hodierna, che Clittoveo pubbli-
cò con un commentario. Lo stesso edito-
re, con Guglielmo di Malmesbury e al-
tri, lo dice autore della prosa dello stes-
so Spirito Santo: Sancii Spiritus adsit
nobis grafia, che anco Baillet riferisce a
Notkero. Durando, Tri ttemio, il cardinal
Bona e alcuni altri l'hanno forse confusa
colla bella prosa: Veni Sane te Spiritus,
quando hanno attribuito questa a Rober-
to II. Dice pure, che v'ha ancora chi ne
fa autore Ermanno Contratto, ma Papa
Innocenzo III è generalmente riconosciu-
to pel suo vero autore, come lo prova il
Merati in Gavanto, par. 2, t.i, p. 12 16.
Benedetto XIV assicura la stessa cosa, nel
che sono concordi i Ma uri ni., nella citata
Storia, e Mabillon, Àcta ss. Bened. t. 7,
p. 19.
VENOSA ( Vernisi») . Città con resi-
denza vescovile del regno delle due Sici-
lie, della provincia di Basilicata, nell'an-
ticaLucania,distante circa 4 leghe da Mel-
fi, di cui è distretto, capoluogo di canto-
ne. Giace sul rialto d'una collina, in fer-
tile e amena pianura circoscritta dagli A-
pennini, alla sinistra del Dauno, uno de*
gl'influenti dell'Ofanto.E' assai bene fab-
bricata, parte in monte e parte in piano,
quae in suo cjuatuor circiter milliarium
ambila quingentas domos3 et 7000 coni-
pleclitur incolas, come leggo nell'ultima
proposizione concistoriale. Ha una bella
piazza , parecchie vaghe case particola-
ri. La cattedrale, magnifico e antico edi-
lìzio, a/r^M/z/ft exposcit reparalionem, al
tempo di detta proposizione o 1 848. E'
sagra a Dio, sotto l'invocazione di s. An-
drea apostolo, patrono della città, di cui
possiede un'insigne reliquia, oltre la sta-
tua d'argento, almeno quando n'era ve-
scovo il Corsignani -, ed altre pure ivi si
venerano. L* Ughelli, Italia sacra, t. 7,
p. 1 66: VenusiniEpiscopi,\e descrive: Del
legno della ss. Croce, due ss. Spine della
VEN
Corona del Redentore, parte della costa
di Papa 1. Gregorio 1 Magno, un dito in-
dice del titolare s. Andrea ec. Non è par-
rocchia, ma vi è l'unico fonte battesima-
le della città, per cui i 6 rettori o curati
delle chiese parrocchiali della medesima,
in essa prendono i sagramenti^ro infir-
mis. Il capitolo si compone di 4 dignità,
la maggiore essendo l'arcidiacono, le al-
tre l'arciprete, il cantore, il primicerio;
di 20 canonici, comprese le prebende del
teologo e del penitenziere, di 12 mansio-
nari, e di altri preti e chierici inservien-
ti all'uiTrziatura divina. L'episcopio pros-
simo alla cattedrale, com'essa era la sua
condizione nell'accennato tempo. Nella
città, oltre le parrocchiali, vi sono altre
chiese, il monastero de'monaci benedet-
tini, due monasteri di monache, un con-
servatorio, alcuni sodalizi, l'ospedale, il
monte di pietà, et nondum expleliun se-
minarium. Vi è ancora una casa di com-
mercio, le rovine di diversi monumenti
romani, ed un acquedotto mirabile ali-
menta le fonti della città. De'framrnen-
ti di calendario rinvenuti negli scavi del-
l'agro di Venosa, di cui i suoi fasti for-
mano parte integrante , sebbene si dice-
vano volgarmente Fasti Campani, si può
vedere quanto neh 853 con chiarezza e
critica di erudizione archeologo-epigra-
fico latina ne scrisse il dotto cav. Gio. Bat-
tista De Rossi, e pubblicò nel Giornale
arcadico di Roma, 1. 1 33, p. 92 : 1 Fa-
sti di Venosa restituiti alla sincera le'
zione. Venosa vanta moltissimi uomini
illustri, celebrati nelle sue storie e in quel-
la di mg.r Corsignani. Valga per tutti il
qui ricordare due celebrità, una antica,
l'altra meno. Questa è del cardinal Gio.
Battista De Luca (V.), luminare di giu-
risprudenza che celebrai, in tanti luoghi
per le sue dottissime opere. L'antica è di
Quinto Orazio Fiacco, sommo lirico Iali-
no, nato a Venosa 66 anni avanti la no-
stra felice era, da un ricco liberto, che lo
fece educare eccellentemeute a Roma e
ad Ateue. Insorta la guerra civile prese
YEN
le parti della repubblica e fu tribuno a Fi-
lippi sotto Bruto e Cassio : rimase quasi
povero dopo la caduta della libertà ro-
mana, e comprò una carica di segretario
del tesoro. Per mezzo de'suoi amici Vir-
gilio e Variooltenne la familiarità di Me-
cenate, il quale gli donò un bel podere o
villa presso Tivoli (V.J, per lui divenu-
ta famosa. In seguito ebbe V amicizia di
Agrippa, Pollione e Tibullo; e finalmen-
te entrò nelle parti d'Augusto: ma rifiu-
tò la carica di segretario intimo che quel-
l'imperatore gli offerse, e visse ritirato al-
le muse, all'agiatezza, al piacere, sdegno-
so di servire alla nuova autorità, sebbe-
ne ammirasse le belle gesle de'suoi tem-
pi, e sopraltuttoquelle d'Augusto, moren-
do circa 9 anni avanti la detta era. Le
sue opere sono: Quattro libri di Odi; un
iibro di Epodi; il Poema secolare; due
libri di Satire ; due libri di Epistole o
Sermoni; V Arte Poetica. Orazio lascia
d' assai dietro a se gli altri poeti latini,
né soffre paragone che con Virgilio, ossia
sta a paro con lui solo : gli Epodi sono
la meri buona delle sue opere; le Episto-
le sono forse la migliore, tutto conside-
rato; X Arte Poetica è il codice eterno del
raziocinioedel buon gusto in poesia. Nul-
la di quanto egli scrisse andò perduto: i
suoi versi sommano a 10,000. L'edizioni
delle sue Poesie saranno forse più d'8oo.
Posseggo quella nitidissima, elegantissi-
ma e assai singolare pel minutissimo e
chiarissimo carattere, ogni pagina essen-
do larga poco più d'un pollice, e lunga
due buoni pollici. Compreso l'indice so-
no 229 pagine. E un gioiello tipografi-
co, ma senzn buoni occhiali difficilmen-
te può leggersi. Eccone il titolo : Quinti
1 Toratii F lacci, Opera omnia, recensuit
Filon in regio Ludovici Magni Collegio
professor, Parisiis 1828. A. Mesnier Bi-
bliopolam.Cum litterarum typisabHen-
rico Didot sculptis et propria arte po-
lyamatyma fusis. Excudebat Didot na-
tu minor. Vi è pure la vita del poeta,
scritta da A* C. Svetouio. Il più saga-
VEN i67
ce commentatore d'Orazio si crede Wie-
land. — Vcnusium, seti Vernina ve-
tustissima, ita a priscis vide tur ap-
pellata, vel quod a Generis nobilissi-
mo ibi condito tempio, ejus nomini eam
consecrassent, vel ab aquarum scaturì'
ginibus, quas venas appellante vela w«
nis,quibusabundat Venusiani appella*-
sent. Hujus suis in scripti s meminerunt
Tolomeo, Plinio, Livio, Appiano, Plutar-
co, Catone, Orazio e altri. Constant ta-
men ante annum ab Urbe condita 463
Rempublicam fuisse ; visuntur enim in
eadem civitate plures inscriptiones, Ve-
nusinorum Reipublica testes insignes, a-
liaque vetusta monumenta temporum in-
juriapene corrupta, etlabcfactata, ha-
ctenusque publico civitatis signo his ver.
bis Respublica Venusina. Attesta Var-
rone che fu un tempo capo della Puglia,
ed apparteneva a'sanniti, a'qualii roma-
ni la tolsero fin da'primi tempi della re-
pubblica. Livio commendò i venosini nel-
la guerra punica, restando fedelissimi al-
la repubblica romana, perciò altamente
lodati in pubblico senato. E' pure memo-
randa Venosa per avervi riparato Var-
rone con 5o eletti cavalieri dopo la fa-
mosa sconfitta di Canne, ricevuti umana-
mente con nobile ospizio e rivestendoli.
Al perito M. Marcello, il senato sosti-
tuì Claudio Nerone, ardito duce, il quale
attaccando Annibale sotto Venosa insie-
me co'marsi, ebbe qualche vittoria. I ve-
nosini spesso furono confederati e in lega
co'marsicani, così nella guerra sociale. Do-
po la battaglia di Canne, scribunt ad sup-
plendo? Colonos Velusinorum,aliarum-
que coloniarum post secundum belluni
Punicum anno ab Urbe condita 554,
quatuor summos viros electos fuisse C,
Terentium Varronem,T.Quintium Fla-
minium, P. Cornelium Gneum, Fabium -
que Scipionem. Romanorum itaque co-
lonia effecta , eorum fortunam tandiu
scenata est, quandiu Respublica illapo-
tuitdignitatemsuam Uteri; cum cjusdem
aulem ruinai in aliorum potestalemces-
168 YEN
sit. Il Saroelli afferma, che Venosa fu co-
lonia e sede proconsolare, il proconsole
presiedendo alle due provincie di Luca-
nia e Puglia, tra'confini delle quali è po-
sta la città. I primi ad occuparla furono
i goti, poi successivamente soggiacque al*
la dominazione de'vandali, de'greci, de'
longobardi, de' saraceni, finché cacciati
questi da'normanni, nella divisione delle
città di Puglia da loro conquistate, nel
i o.|2 Venosa fu data al normanno con*
le Drogone. Dopo i normanni, seguendo
le sorti del reame di Napoli, venne in po-
tere de'principi svevi, indide'francesi, poi
degli aragonesi e de'redi Spagna, i qua-
li l' eressero in principato feudale. La si-
guoreggiarono i Del Balzo principi d'AI-
tamura, e Pirro luogotenente regio de'
Marsi needifìcò la presente cattedrale con
colonne marmoree. Pervenuta in signo-
ria de'Gesualdi, Isabella erede di questa
famiglia sposandosi col nipote di Grego-
rio XV, Nicolò Ludovisi, in questi passò
il principato. Dopo diverse politiche vi-
cende, conseguenze di quelle del regno,
patì gravi disastri pel tremendo terremo-
to che a'i4 agosto i85i afflisse diverse
provincie, fra le quali quella di Basilica-
ta, in cui oltre Venosa, Lavello e luoghi
circostanti, furono esposte a danni deplo-
rabili, Melfi riducendola a un mucchio di
rovine, quindi Rapolla, Matera. con al-
tre città e adiacenze; centro del massimo
flagello fu il Vulture, ch'ebbe tra la ge-
nerale rovina a piangere molte vittime
umane. In Venosa soffrirono assai gli e-
ciifìzi del sale, del monte frumentario,del
regio giudicato, dell'archivio comunale,
precipuamente il convento e la chiesa di
s. Domenico la cui cupola e campanile
caddero: gravissimi danni toccarono alle
altre chiese ed al seminario. Il magna-
nimo re Ferdinando II, non contento il
suo paterno cuore de'pronti soccorsi pro-
digali d'ogni maniera da per tutto, altri
innumerabili volle porgerne di persona,
visitando i luoghi contristati da tanta e-
norme sciagura, onde misurarne l'esten-
VEN
sione e provvedervi co' mezzi più idonei
e benefici, per sollevare le popolazioni.
Non solo il re fu accompagnato dal re-
gio fratello Francesco di Paola conte di
Trapani e dal ministro de' lavori pub-
blici, ma dal suo primogenito France-
sco principe ereditario e duca di Cala-
bria (in quest'anno 1859 sposato alla
principessa Maria Sofia di Baviera, sorel-
la della regnante imperatrice d'Austria,
a' 3 febbraio in Bari), per fargli senti-
re come la carità e la beneficenza legano
saldamente i cuori de' sudditi al trono, e
come sanno innalzare voti veraci a Dio,
che ascolla sempre quelli delle popolazio-
ni grate e riconoscenti. Queste accolsero
il munifico sovrano con divoto entusia-
smo. Fu in Melfi, Rapolla, ed a' tg set-
tembre il re col suo corteggio mosse per
Venosa, accompagnato dalle benedizioni
de'popoli. La chiesa della ss. Trinità, la
cominciata chiesa de'monaci benedettini
lo accolsero fra le loro rovine; non è a
dirsi cosa fecero i venosini per esprime-
re la loro gioia riconoscente, li re tratte-
nutosi alquanto presso le claustrali dis.
Maria della Scala, prese la volta di Asco-
li di Capitanata e vi giunse nel dì seguen-
te a dispensarvi le sue incessanti benefi-
cenze ec. Dipoi nella notte de' 16 al 17
dicembre 18^7 il terremoto nuovamente
afflisse il reame di Napoli, massime nelle
provincie del Principato Citeriore e di
Basilicata. In questa 2.anel suo capoluogo
Potenza quasi niun edifizio restò illeso,
inclusivamente alle chiese e specialmen-
te la cattedrale , ed al reale collegio de'
gesuiti; furono distrutti diversi comuni,
massime Polla con circa 2,600 morti; ed
in Venosa cadde la volta della chiesa di
s. Francesco e una torretta del castello.
Del resto strazianti sono i dolorosi parti-
colari delle calamità accadute nelle due
provincie ove si concentrò la violenza del
traballamento della terra. Mentre Liger de
Leisessart dimostrava come tutte le con-
trade del globo terracqueo potevano fra
loro unirsi con una non interrotta liuca
VEN
telegrafica, annodanlesi alle già stabilite;
il regno delle due Sicilie, che fu tra'primi
a fruire i vantaggi di sì alto beneficio,
come lo fu pure in tutta l'italiana peni-
sola a godere i vantaggi meravigliosi de*
ponti di ferro, delle ferrovie, dell'illumi-
nazione a gas e di altri grandi trovati del-
le scienze e dell'arti moderne, e segnata-
mente della chimica e della meccanica, e
delle loro molteplici applicazioni. La te-
legrafia elettrica fu nel regno, sin dal suo
primo nascimento, rivolta dal provvido
Ferdinando II al piti grande ed utile de'
suoi fini, qual è quello di mettere la ca-
pitale in immediata relazione tanto col
resto d'Europa, quanto colle parti rima-
nenti del regno. Imperocché appena ven-
ne compita lai." linea da Napoli a Gae-
ta, dal 1 85i al i852, ne'due anni susse-
guenti si compì quella che mena a' con-
fini dello stato pontifìcio, la cui lunghez-
za d'olire 80 miglia napoletane contai 2
stazioni. Proseguendo senza interruzione
il lavoro,nel 1 856 il filo elettricosi estende-
va verso il sud-est per una linea di 4oo
miglia, cioè quanti ne passano fra la ca-
pitale e Reggio, con 26 stazioni. E nel
gennaio 1 858 era in pochi istanti felice-
mente immerso nell'acque del Faro, ol-
tre il quale si rannodò immediatamente
alla rete delle lineeche si estendono e di-
ramano per la Sicilia per oltre 600 mi-
glia con 25 stazioni. Quindi s'intraprese
una 2.a linea fra Napoli e Reggio, ed ol-
tre a ciò procede la diramazione della li-
nea della Basilicata perMatera e Veno-
sa nella lunghezza d'8g miglia con 3 sta-
zioni, continuando al tempo stesso quel-
la del contado di Molise su 100 miglia
con 3 stazioni, quella delle Puglie a due
fili su 4 1 1 migliacon 25 stazioni, e quel-
la degli Abruzzi su 260 miglia con 18 sta-
zioni. La qual rete offrendo un insieme
d'oltre 2,100 miglia, stringerà viemuiag-
giormente l'unità dell'avventurosa fami-
glia del regno, che già tanto incremento
riconosce delia sua civiltà in questo no-
vello sfoggio della real munificenza. Nel
VEN 169
voi. XCI, p. 44°\ dichiarai: Il regno del-
le due Sicilie è il 1 .° paese in Europa, do-
po l'Inghilterra, che abbia pensato di co-
struire i fili elettrici sottomarini.
La fede cristiana fu predicata in Veno-
sa ne'primordii della Chiesa, narrando la
tradizione che fu una delle prime città di
Puglia a ricevere la luce del Vangelo, per
opera di s. Pietro principe degli Aposto-
li, al cui onore i venosini edificarono la
chiesa di s. Pietro di Oli veto. Tosto i ve-
nosiui innafiìàrono col sangue de'martiri
la loro chiesa, 12 fratelli de' quali sotto
l'impero di Massimiano del 286 in diver-
si luoghi di Puglia riportarono la corona
del martirio, da dove il principe Arechio
dipoi ne trasportò i ss. Corpi in Venosa.
Quivi riceverono la palma del martirio,
nella persecuzione di Diocleziano, l'africa-
no s. Felice vescovo di Tibara nel 3o3,
co'ss. Adauto e Gennaro preti, Fortuna-
to e Settimio lettori, africani anch'essi,
per avere coraggiosamente negato a' pa-
gani la consegna delledivine Scritture per
essere bruciate. L'uffizio proprio ss. Fe-
licis Episcop. et Sociorum Martyr. lo fe-
ce stampare il vescovo Corsignani. Lai."
cattedrale di Venosa fu la detta chiesa di
s. Pietro, la quale rovinata dalle vicende
guerresche, altra ne fu eretta, già tempio
pagano, e consagrata in onore della ss.
Trinità sotloPapa Nicolò II. Indi questa di-
venne celebre abbazia benedettina quan-
do Roberto Guiscardo duca di Puglia e
di Calabria, vi fece edificare il contiguo
magnifico monastero; la bella chiesa pos-
sedendo insigni ss. Reliquie, e vari ma-
gnifici sepolcri di marmo, tra gli altri quel-
li di Guglielmo l Braccio di Ferro e d'al-
tri principi normanni; la badia fu poscia
dichiarata commenda dell'ordine Geroso-
limitano daBonifacioVIH nel 1297. Laon-
de poco distante fu fabbricata altra cat-
tedrale, la quale dopo vari secoli essendo
stato ristretto il circuito della città con
mura, rimasta di fuori e suburbana,e poi
dovendosi nella sua area costruire la for-
tezza a difesa di Venosa, per essere au-
i7o VEN
ette ili venula diruta, fu abbattuta. Ed è
perciò die il nominato Pirro tliDalzo du-
ca di Venosa edificò a sue spese l'odier-
na dentro la città in sito comodo, quindi
consagrata a' 1 2 marzo 1 53 1 . La sede ve-
scovile iliVenosa fu istituita ne'ptimi tem-
pi del cristianesimo, e nel secolo XI da
Alessandro 11 fu fatta suffragaoea di A-
rcre/iza, e confermata da Pio VII nel
J 8 1 8 quando ad Acerenza unì Blatera.
Il i.° vescovo die si conosca, secondo TU-
ghelli, che ne riporta la serie, è Filippo
« onsagrato vescovo di Venosa da Papa s.
Fabiano circa il 238. S'ignorano i nomi
cle'successoi i fino a Giovanni che ne oc-
cupava la sede verso il 44^, de! quale si
narra , che movendo col feroce esercito
Attila re degli unni per distruggere Ve-
nosa, il vescovo vestilo degli abili ponti-
ficali col clero preceduto dalla croce vol-
le incontrarlo per muoverlo a pietà: qui
viso. Deiparae Virginis imagine , qua
eidem, totique exercitui apparivi, re in-
feda reees.sit.ìn memoria del prodigio,
nel luogo subuibano ove avvenne, si fab-
bricò una chiesa, a cui poi si aggiunse un
convento di minori osservanti. Austero
l'enusinus Episcopus, fiorì nel 49^, Gli*
labile pastore, il quale con Piiccardo di
Andria, Giovanni di Ruvo e Sabino di
Canossa santissimi vescovi, intervenne al-
la consagrazione dell'altare della chiesa
di s. Michele Arcangelo in Monte Garga-
no. Si legge negli atti di s. Sabino: Ve-
nusinae diplycae produnthunc s. Episco-
punì coronatimi fui s se mar ly rio in ipso,
Venusina civilatej lamen indiani de hac
re mentioneni inveni in Martyrologiis.
Stefano resse questa chiesa nel 49$> e di
lui è dello nel cap. 2, dist. 96 circa me-
dium, ubi de rebus Ecclesiae disponen»
dis nullamf acullate m laicis a llribui con-
sii tutu m fui L Intervenne a'eonciiii tenuti
da Papa s. Simmaco in Roma negli anni
5oi, 5o2, 5o3 e 5o4« Lunga lacuna ta-
ce i successori sino a s. Pietro delioi4>
che con altri vescovi intervenne alla con-
fi igrazioue della chiesa di s. Maria di Fo-
V E H
resta nella città di Lavello. Giaquinto ve-
scovo di Venosa deho53, fu presente a
quella di s. Michele Arcangelo di Monte
Vullurno, poi chiamato Monte Acuto; nel
quale anno fece nobile donazione a Gau-
frido abbate della ss. Trinità di Venosa,
Drogone divina providentia dux et ma-
mister Italiae, comesque Normannorum,
totius dpuliae}atque Calalniae... oh re-
medio animaemeaefralrisque mei Gnil-
Limi /(dello Braccio di Ferro\.n conte
di Puglia e morto nel 1 o46), Unfredi, Ro-
berti, caeterorumque fratrum, scu pa-
rentum meorumt in eodeni ninnaste rio
missae et orationes} atque vigiliacafra-
tribus agantur. In questo bel documen-
to, nelle sottoscrizioni dopo la +{+ Crux
Drogonis supranominatis Imperiali» vi-
ri, è sottoscritto un BalduinusEpiscopus,
ch'era di Melfi. Inoltre Drogone restau-
rò la detta chiesa. Muisardo de Villargo
Fenusinus, nel io58 col consenso di Pa-
pa Nicolò II e del duca Roberto Guiscar-
do, Ecclesiam ss. Trini tatis Ciliberto ab'
bati benedictìno tradidit, et cum per a-
liquot annos bene rexisset, mortalìtaleni
explevit. Il duca Roberto indi nel io63
donò a detto monastero la cluesa dis. Gio-
vanni di Sala, situata tra Ascoli e Carne-
to. Ruggero Episcopus Venusinus nel
1069, con Risantio vescovo di Lavello, e
quelli di Melfi e Troia, fu testimonio di
altra donazionedi Roberto alla chiesa della
ss. Trinità, nella quale, ossa fratrum suo-
nivi Normannorum pie ubique per qui'
sita nobili in tumulo recondidit, cou iscri-
zione riferita da Ughelli, insieme a quel-
la del sepolcro di Abereda moglie di Ro-
berto. Costantino o Costanzo vescovo nel
1071 intervenne alla consagrazione del-
la basilica di Monte Cassino fatta da A-
lessandro II; e nei 1074 alla donazione
che il duca R.oberto fece al monastero
della ss. Trinità de medietatccivitatisFe-
nusinaeta\la quale fecero da testimoni al-
tri vescovi e Arnaldo arcivescovo d'Ace-
renza. Altre donazioni fece al medesimo
il duca Roberto, eoo documenti prodot-
VEW
ti da Ughelli, in cui è uotniuato il vesco-
vi Costantino, le cui notizie arrivano al
1093. Nota rtJghelIi,che la chiesa della
ss. Trinità, ornata di tanti privilegi, ar-
ricchita da tanti doni, lo fu pure co 'corpi
de'ss. martiri Vittore, Cassandro e Sena-
tore fratelli,couNomanzia loro madre, qui
a pud T'enusium ad colli mnam alligali,
quae adirne visilurtpro fide e a pitis ab scis-
sione tnartyrlumsubjeruntj non che del
corpo di s. Atanasio abbate di Nota, tro-
vato nel io63 sotto l'altare maggiore; que-
sto e quelli chiusi in urne o pile di ter-
ra cotta, come apprendo dal vescovo Cor-
signani, che li riconobbe e autenticò nel
j 735.ll vescovo Roberto fioritoceli io5,
giù canonico della cattedrale, per alquan-
ti anni governò felicemente. Non si tro-
vano altri sino a Pietro, che neh 177 al-
la badessa e monache benedettine di s.
AI aria di Monte Albo concesse diversi be-
ri, antichissimo monastero e illustre per
l'osservanza regolare, posto nel suburba-
no di Venosa; e nel 1 179 intervenne al
conciliogeneraledi LateranoIII.Nel 111Z
Jj.mo, al cui tempo fu edificato il conven-
to di s. Francesco, designato dallo slesso
santo.Giacomo sedeva nel pontificato d'A-
lessandro IV del 1254. Guido del 1299,
viveva ancora nel i3o2. Pietro del 1 33 1,
nel luglio 1 334 fu traslato in Àcerenza,
ed a'5agosto l'avea succeduto fr. Agosti-
no domenicano. Sedeva nel 1 36o allroPie-
tro. Indi nel 1 363 Gaufìido o Goffredo,
che fece la maggiore campana alla catte-
drale, al quale fu sostituito a' 14 giugno
Tommaso arciprete d' Àcerenza da Urba-
no V, e nel 1367 intervenne alla consa-
grazione della chiesa di s. Audeno di Bi-
sceglia. Neh 383 è ricordato Lorenzo E-
gidi di Firenze. Neh 385 o nel seguente
inori in Roma il vescovo Giovanni. Cer-
to è che Urbano VI neh 386 gli surro-
gò Francesco deVeneranieri romano. Gio-
vanni del 1 395, Bonifacio IX lo trasferì a
Grosseto nel 1 4oo, ed in suo luogo da Pi-
vello sua patria trasportò in questa sede
il nobile Andrea de Fusco, che morì nel
VEN 171
1 4 1 9. A' 1 3 novembre Martino V gli die'
in successore fr. Dionisio di Monte Leo-
ne domenicano, illustre dottore in teolo-
gia. Eugenio IV neh 43 1 elevò alla chie-
sa di Venosa l'arciprete della cattedrale
Roberto de Procopio. Neh457 il nobile
di Salerno Nicola Solimele, celebre dot-
tore del juscivilee canonico. Per sua mor-
te neh 459 Nicola Girolamo Porfido, che
fece la campana di s. Maria della Pace e
visse lungamente. Nel 1 49^ ebbe a suc-
cessore il nobile napoletano Sigismondo
Pappacoda {1T)) chiaro per virtù e sa-
pere, neh 499 traslalo a Tropea: creato
cardinale da Clemente VII, nou accettò
la dignità. Nello stesso i499 A-lessa,KU'°
VI nominò vescovo Antonio Ci Valeria ra-
goncnsis, e nunzio apostolico di Napoli,
nel 1 5oo vicario di Roma, morto uel 1 5o 1 .
In questo AlessandroVI elesse il suo Me-
ilìco (f.) Bernardo o Berardo o Bernar-
dino Buongiovanui nobile recanatese, a
cui era carissimo e continuò ad assistere,
per l'iusigne dottrina in diesi distingue-
va. Nel suo governo, Veuosa fu invasa da
terribile pestilenza, ed egli molto operò
da sollecito pastore, cessando il malore per
aver egli col popolo fatto voto a Dio d'in-
nalzare una chiesa a s. Sebastiano ed a
s. Fiocco, alla cui intercessione ottennero
grazia: la chiesa poi fu data a'eappucci-
ni,quaudopropinquofu fabbricato il con-
vento. Il vescovomortoinRomaneh5io,
Tanno slesso Giulio II vi trasferì da Ven-
ce Lamberto Arbaud di Antibo, che in-
tervenne nel concilio generale di Latera-
no V, e fece nella cattedrale i sedili del
coro in marmo, e ne ornò la porta po-
nendovi il suo stemma. Finì sua vita nel
1 527, e Clemente VII in tale anno gli
sostituì il proprio consanguineo Guido de
Medici canonico di Fireuze e prefetto di
Castel s. Angelo(P/.)) quindi a'2 gennaio
1 528 trasferì a Chieti. Il Papa a*23 mar-
zo da Asti vi traslatò Ferdinando Sero-
ne spaguuolo, ordita* s. Angus ti ni, che
poi consagrò solennemente la nuova cat-
tedrale a' 12 marzo i53i, soggiungendo
i7a VE W
PUghelli: etpostquam qualuor et decern
anno* Ulani rexisset, co onere sed libe-
re exolvit, anno i 54 2, Paulo III seden-
te, de quo vide Astensium Episcoporum
nostrani serìem. Non so poi come il eh.
cnn. Bima della cattedrale d'Asti, nella
serie cronologica dique'vescovi, nella sua
bella opera, Serie Cronologica de* vesco-
vi degli stati del re di Sardegna, possa
scrivere: che « Ferdinando Serone morì
o*23 marzo 1 528, avendo già le bolle di
*ua traslazione alla chiesa di Venosa". A'
22 maggio i5$2 divenne vescovo Alva-
ro della Quadra nobile napoletano, spa«
gnuolo d'origine, nato da Anna Serone,
perciò probabiluieute parente del prede-
cessore, chiaro per prudenza e virtù, ed
abbate secolare di s. Antonio di Napoli :
nel 1 55 1 rinunziò Ih sede e dopo due an-
ni passò a quella d'Aquila per volere di
Carlo V Giulio III 3*27 aprile 1 55 1 prov-
vide la chiesa di Venosa con Simone Gat-
loia nobile di Gaeta, primicerio della me-
tropolitana di Napoli, ove morì nel 1 566
e fu sepolto nel tempio della ss. Annun-
ziata, nel sepolcro ch'erasi preparato con
epitaflìo riprodotto dall'Ughelli, ordinan-
do la fondazione dell'ospedale. A'2 1 ago-
sto 1 566 Francesco Rusticucci di Fano,
ove fu trasferito a'3i gennaio 1567. A'21
marzo di tale anuo gli successe fr. Paolo
Oberti bergamasco, domenicano d'incol-
pata vita e di esimia dottrina, ma a* i3
settembre morì e fu tumulato nella tom-
ba de'canonici, ut in testamento caverai.
Il 12 dicembre cessò la sede vacante eoa
l'elezione di Gio. Antonio Locatelli bolo-
gnese, probo ed encomiato pastore, che
dopo 3 anni pianse morto la sua chiesa
nel 1 57 1 . A'6 febbraio di questo, Baldas-
sare Giustiniani genovese oriundo dell'i-
sola di Scio, egregio letterato e già gover-
natore di Terni; lodato per pietà e zelo
pastorale, rapì immaturo la morte nel
1 584 a' i3 marzo. Gio. Tommaso San-
felice nobilissimo napoletano, vescovo di
Cava per 3j anni e rinunziò nel i55o, do-
po essere stalo uuuzio in Germania per
VEN
la convocazione del concilio ecumenico,
poi fu preside dell'Umbria, beneficando
Perugia, e pro-legato dell'Emilia. Qua!
commissario pontificio fu al sinodo di
Trento, in quo curii ipsc concilio exor-
sis quibusdam simultatibus cum graeco
episcopo pervicacius contendissettRomae
carcerem sustinuit. Già dissi nella bio-
grafia di Pio IV ', che lo liberò, trovati
falsi i sospetti formati su di lui in mate-
ria di fede, trattandone il Pallavicino nel-
la Storia del concilio di Trento, lib. 8,
cap. 4 e 6. Lodato per dottrina e probi-
tà, da s. Pio V fu impiegato in affari gra-
vi; Gregorio XIII lo deputò a pacificare
i principi d'Italia, indi a'4 maggio i583
(ma allora viveva il predecessore) lo di-
chiarò vescovo di Venosa; morì a'6 mar-
zo i585 ottuagenario, e fu sepolto nel-
la cattedrale. A'20 di detto mese gli suc-
cesse Gio. Girolamo Mareri aquilano, ar-
ciprete di Trilitii. Nel 1587 Sisto V no-
minò fr. Pietro Ridolfi di Tossignano mi-
nore conventuale, a lui caro, dotto teo-
logo, insigne storico e autore della Storia
Serafica, consultore del s. Uffizio. Ornò
la cattedrale , la custodia delle ss. Reli-
quie e il battisterio; celebrò il sinodo, che
fu stampato neli58o„ e neli5gi fu tra-
sferito a Sinigaglia. Nello slesso giorno,
a' 18 febbraio, gli successe fr. Vincenzo
Calceo di Soncino domenicano , insigne
dottore in teologia, ex provinciale di Ter-
ra Santa; restaurò l'episcopio, e fece tut-
te le parti d'eccellente pastore, morendo
nel 1598. In questo a' 17 agosto Sigismon-
do Donati di Correggio, poi nel i6o5 da
Clemente Vili fu traslato ad Ascoli del
Piceno. Il 3 agosto la sede Venosina fu
provveduta con Mario Mauri di Melfi, che
morto nel 16 10, nel seguente anno Pao-
lo V gli sostituì Andrea Pierbenedetti di
Camerino. Avea esercitato vari uffizi per
la s. Sede, e stato vicario generale in più
diocesi, massime del cardinal Federico
Borromeo arcivescovo di Milano, per cui
nella cattedrale eresse un altare a s. Car-
lo Borromeo e vi pose molti ss. Reliquie.
VEN
Compi la torre campanaria, celebrò il si-
Dodo e ne pubblicò le costituzioni. Essen-
do in grande estimazione d'Urbano Vili,
Jo deputò visitatore apostolico del regno
di Napoli, die con ogni diligenza e decoro
eseguì, cessando di vivere affaticalo nel
i634 di 67 anni. Nel i635 Bartolomeo
Frigeri ferrarese , beneficiato Vaticano,
autore del libro: V Economo prudente.
Dopo circa 1 4 mesi di vescovato passò tra*
più. A'3 dicembre 1 640 Urbano VI li dal-
l'arci vescovato di Conza vi trasfeii Salu-
stio Peculi di Terni, già uditore del nun-
zio nel Belgio. Adunò il sinodo e lo pub-
blicò colle stampe, essendo encomiate le
sue costituzioni. Abbellì l'aula dell' epi-
scopio, e dopo 8 anni rinunziò il vesco-
vato, lasciando di se fama di erudito
ed amatore della veneranda antichità. Nel
1648 a' 18 maggio fr. Antonio Pavonel-
li di Civitella del Tronto , minore con-
ventuale: morì a'^3 settembrei653.NeI
seguente anno fr. Giacinto Tarugi nobi-
le d'Orvieto oriundo di Monte Pulciano,
virtuoso e dotto domenicano, compagno
del p. maestro del s. Palazzo, consagrato
in s. Maria sopra Minerva dal cardinal
Odescalchi, poi Innocenzo XI. Fu salu-
tare esempio al suo popolo, che istruì col-
le sue frequenti prediche. Scrisse e pub-
blicò la vita di s. Onofrio, e lasciò mss.
quella del b. Alberto Magno, e le osser-
vazioni sull'epistole di s. Caterina da Sie-
na, ed altro. Clemente Xa'7 maggio 1674
gli die'a successore Gio. Battista Desìi na-
poletano, tesoriere della metropolitana,
versato nelle sagre e profane lettere, che
morìneli677. Innocenzo Xlnelseguen-
te 1678 da Massa Lubrense vi trasferì
Francesco Maria Neri tiburtino, già ca-
nonico di Napoli, morto neh 685. A* i4
maggio il detto Papa dichiarò vescovo
Gio. Francesco de Laurenzi di Ripatran-
sone, della patria cattedrale arcidiacono,
vicario generale diPesaro,morto nel 1 698
con lode. Dall'arcivescovato di Ragusi nel
,1 699 qua fu traslato Placido Scoppa. Nel
17 i3 Gio. Michele Terroni di Livorno,
VEN 173
già preposito de'barnabiti di s. Carlo a'
Catenari di Roma e procuratore genera-
le di sua congregazione. Con questi ter-
mina la serie de' vescovi V Italia sacra,
e la compirò colle Notizie di Roma. Nel
1726 Pietro Antonio Corsignani di Ce-
lano diocesi di Marsi, dotto e zelante pa-
store, autore d'opere, fra le quali la Reg*
già Marsicana, stampala in Napoli nel
1738, ed ove s'intitola vescovo di Ve-
nosa. Già avendo celebrato il sinodo nel
1728, lo pubblicò colla sua Istoriale-
nosina. Fra le sue benemerenze ricorde-
rò, che in Forenza riedificò e nobilitò l'a-
bitazione della villeggiatura de' vescovi.
Nel 1738 Francesco Antonio Salamoile ili
Termoli. Neh 743 Giuseppe Giustiniani
di Bitritto diocesi di Bari. Nel 1764 Ga-
spare Barletta di Gioiosa diocesi di Gè-
race. Nel 1779, traslato da Minervino Pie-
tro Silvio di Gennaro,della terra di s. Pie-
tro diocesi di Capua. Neh 792 Salvatore
Gonnelli di Turi diocesi di Conversano.
Neh8i8 a'26 giugno Nicola Caldora di
Napoli, preconizzato da Pio VII. Questo
Papa colla bolla De utiliori dominicae,
de'28 di detto mese, Ball. Rom. cont. t.
n5, p. 56, soppresse la sede vescovile di
Lavello {V.) , ed in perpetuo la unì a
questa ili Venosa. Leone XII per dimis-
sione del precedente, nel concistoro de'9
aprile 1827 preconizzò vescovo di Veno-
sa Luigi Maria Paiisio napoletano, dot-
tore nel jus civile e canonico, zelante per
pie opere, dotto e di ottime qualità for-
nito, dichiarate nella proposizione conci-
storiale col pontificio elogio; indi a' 25
del susseguente giugno lo traslalò a Gaeta,
di cui poi divenne il i.° arcivescovo, pel
riferito nel voi. LUI, p. 206. Dopo sede
vacante, Io stesso Leone XII a' 23 giu-
gno 1 828 dichiarò vescovo Federico Gita-
lini benedettino cassinese, già vescovo in
partibus di Nissa, preposito e arciprete di
s. Maria di Mina d'Altamura nella pro-
vincia di Bari, nullius dioecesis, che per-
ciò divenne vacante. Per sua morte, Gre-
gorio XVI nel concistoro de' 2 ottobre
«74
N
1837 preconizzò vescovo Michele de Gat-
ti* ili Uogliauo arcidiocesi ili Cosenza, giù
canonico dell'insigne patria collegiata, ze-
lantissimo ministrodel Signore, ed orna-
to di quelle doti proprie ad un idoneo pa-
store. Vacata la chiesa pel suo decesso, il
regnante Papa Pio IX, nel concistoro di
Gaeta de'22 dicembrei 848, la provvide
coll'attuale vescovo mg.1 Antonio Miche-
le Vaglio di Galatona diocesi di Nardo,
già nella patria collegiata dignitario ca-
nonico priore arciprete, perciò curato per
18 anni zelante, pio, caritatevole e pru-
dente; encomiato ancora nella proposizio-
neconcistorialeper gravità, dottrina, soa-
vità di costume, esperienza e diligenza.
Ogni nuovo vescovo di Venosa è tassato
ne'libri della camera apostolica in fìori-
niioo, le rendite della mensa ascenden-
do a circa 3,ooo ducati. La diocesi si e-
stende per circa 3o miglia di territorio,
con» prendendo 4 luoghi.
VENTAGLIO, Flabellum. Arnese col
cjuale si fa vento, a cagione propriamen-
te di seutir fresco nella stagione calda
principalmente, e moltissimo usato dalle
donne anche per lusso. Il vocabolo sem-
bra derivato da Ven ta re, solila re o tirar
vento, in latino /lare, spirare j per pro-
durre veuto. Inolile chiamasi Rosta lo
strumento da farsi vento, fatto in varie
foggie e di varie materie, ed usandosi an-
cora, come il ventaglio, per cacciare le
mosche ed i mosconi , detto eaccia-mo-
schcj ed anch'esso in latino dicesi Fla*
bellum, Ventulum, Muscarium.ha rosta
si disse pure Veniamola o Ventarola,
vocabolo comune alla banderuola, ven-
lorum index. Dichiara il Felici, Onorila*
sticumRomanum^W'ailìcoìo Ventaglio:
Flabellum est, quo ventilalio sit per de-
statene, ad ie f ri ger anelimi corpus j hoc et
Muscarimn dici(uria mitscìs abigendis.
Antichissimo è l'uso del ventaglio; la sua
origine è oscura quanto rimola. Gii uni
pretendono che la bella Ransi, figlia di
un mandarino cinese, avendo contratto
l'abitudine di teuere la maschera in ma-
VEN
no e di agitarla per rinfrescarsi, i suoi in-
gegnosi contemporanei vi trovassero I' i-
dea madre del ventaglio. Altri attribuì-
scono tale invenzione agli egizi. Certo è
che se ne trovano tracce fino dalla più
remota antichità in Asia, in Grecia , in
Italia. Erano allora grandi strumenti (at-
ti per la più parte con fasci di penne e
piume di pavone e di struzzo, i quali ve-
nivano agitati dagli schiavi, siccome an-
cora si usa in alcune colonie ov'essi sus-
sistono. L'uso del ventaglio diffuso in Eu-
ropa, pare che abbia preso il nome che por-
ta verso la metà del secolo XVII, poiché
taluno osservò, che alcuni profumieri ita-
liani formanti il seguito di Maria de Me-
dici ne'primordii di tal secolo, introdus-
sero in Francia il Ve/itolo. Formato in
principio con dette piume e penne, fer-
mate in manico d'argento o d'avorio, di-
cesi perfezionato da un fiorentino noma-
to Flatore , e giunse ben presto agli ul-
timi confini del lusso e dell'eleganza. Al-
cuni sono di valore e costosi, imperocché
d'avorio o di tartaruga leggiadramente
lavorati, di madreperla, dorati e dipinti,
con intagli d'una finitezza mirabile. Al-
tri colla ventola di seta portante pietre
preziose, con fili d'oro e d'argento, ed al-
tri di carte figurate o con emblemi e mi-
niature. Si rimarca se le galanti donne
l'usano con grazia o goffa mente. E la dot-
ta Cristina, già regina di Svezia, recatasi
a Parigi nel i656, interpellata in argo-
mento da alcune dame per udire la sua
opinione, severa mente rispose." A che m ii
il ventaglio? in fede mia, voi siete abba-
stanza avventate anche senza di lui!"
E' contrastato, se i veutagli passarono dal-
l'uso sagro al profano, o viceversa. Per
altre erudizioni si può vedere V Album di
Roma, t. 9, p. 36: Delle ombrelle e de
ventagli; l. 21, p. 263 : // ventaglio.
Nella Cina si fanno elegantissimi venta-
gli di penne miniate con vivacissimi co-
lori. Quell' imperatore, poiché qui parlo
delle penuedistruzzo edipavoue,le u»adi-
verse secondo le materie,anzi con una pea-1
VEN
na di struzzo vergine scrive le preghiere
indirizzate a Dio, e le lettere asovrani con
cjuelledi pavone; negli editti ponendo an-
che l'ora in cui l'emana, come Augusto.
]l Dizionario delle origini, ragiona del
ventaglio quale arnese per far vento, sen-
tir fresco nella stagione calda , e cacciar
mosche, antichissimo in Italia, ove preslo
se ne fecero de' bellissimi. Riporterò in
compendio il più interessante. Colla vo-
ce italiana di ventaglio e latina ò'xfla-
htllum , riferisce indicarsi propriamente
un istrumenloin forma di foglie, che spes-
so vedesi nelle mani di molte figure sui
monumenti antichi. Ateneo e Nonnio nel-
le Dionisiache ne fanno menzione. Nel-
1' Eunuco di Terenzio, Cherqa racconta
di avere con ventaglio agitato l'aria du-
rante il sonno di Panfìla. Ovidio parla
del gradimento delle donne nell'essere
rinfrescate col ventaglio, del quale ragio-
narono pure Plauto, Marziale, Properzio
e Claudiano. De'rami di mirto, d'acacia
e soprattutto di platano orientale, servi-
vanocertaraentedi ventaglione'tempi piti
antichi. Il Buonarroti, ne' Aledaglioni^Vi-
ce che si formavano i flabelli, per caccia-
re le mosche, con grandi fiondi d'ellera,
ed opina che forse nelle terme si saran-
no adoperali. In breve si cercò d'imitare
la forma di quelle foglie, e si fabbricaro-
no ventagli di materia più solida, ma che
al tutto avevano la forma slessa di quelle
foglici nabab indiani e i primari bramini
servivansi in luogo di ventaglio di una co-
da di bue di color bianco, guernita all'e-
stremità di unacioccadi crini(forse meglio
per cacciar mosche o altri insetti fastidio-
si). Sui monumenti antichi si vedono so-
vente ventagli in forma di foglie, e figure
di ermafroditi egeniiche agitano il vento
con un flabello somiglievole, suscitando
l'aria d'intorno a qualche douna celebre.
Tosto che i greci conobbero i pavoni, cir-
ca 5oo anni avanti l'era presente, impie-
garono le bellissime piume di quel!' uc-
cello alla formazione dementagli. Nell'O-
rbe d'Euripide uu eunuco frigio, secon-
V E N 17^
do l'uso del suo paese, agita il vento cori
un ventaglio di penne sulle guancie e sui
capelli di Elena durante il di lei sonno.
Tutte le volte che nell'opere posteriori
de'greci e de' romani parlasi del lusso e
della toeletta delle donne, si accennano
sempre que' ventagli di penne di pavo-
ne. Ve n'erano di due specie: gli uni ser-
vivano a cacciar le mosche, e chiamali
da'greci Myosobet da'romani Muscaria
pavoninaj gli altri servivano per farsi
vento, e denominati Rhiphis o Psygma.
Il Buonarroti ne' Vetri antichi^ parlan-
do de' Dittici sagrit ragiona de' Flabel-
li usati da'greci, che gli chiamavano Ri-
pida, e da' latini ancora che con essi or-
navano nelle solennità le chiese: meglio
ciò dissi nel ricordato articolo, in cui ri-
portai diversi scrittori sui ventagli. A que-
st'uso impiegavansi di preferenza bellis-
simi giovani schiavi ch'erano da'romani
indicati col uome dijlabarii.Mà siccome
le penne di pavone erano troppo pieghe-
voli, s'immaginò di applicare a'ventagli
Ira le penne dell'assicelle sottilissime di
legno, che furono chiamate tabellae; pa-
rola che da'poeti erotici de'romani è sta-
ta sovente impiegata per indicare il ven-
taglio medesimo. Sembra dunque che
presso le donne dell' antichità, l'impero
della moda non sia stato meno possente
a riguardo de'ventagli come lo è oggidì.
Le donne degli antichi pejò impiegava-
no quasi sempre per rinfrescarsi delle gio-
vani donzelle schiave, che sono indicate
da Plauto colla voce flabelli 'feraci va-
si pubblicati dal Passeri e dal Tischbein
ne somministrano molti esempi: da que-
ste stesse pitture si vede altresì, ch'eran-
vi talvolta de'cesti particolari, in cui por-
lavansi ventagli, quando non si faceva
uso di essi. Di tutte le specie di ventagli
di penne di pavoni , quelli che avevano
la forma di un mazzo o le cui penne for-
mavano un semicerchio, sembrano esse-
re stali più frequentemente e più lungo
tempo in uso. Durante tutloil medio evo
e ancora sino al XVII secolo, le donne
i76 VEN
poi lavano in Italia, in Francia e in In-
ghilterra di simigliatiti mazzi ili penne,
sia per ornamento , sia per la comodità
loro. Venezia, massime, e le altre repub-
bliche traHicanti dell'Italia somministra*
•vano in quell'età a tutta l'Europa le pen-
ne di struzzo, che s'impiegavano di pre-
ferenza per formare questi mazzi o que-
sti ventagli. Nel secolo XI, precipuamen-
te nella Lombardia, l'italiane usavano i
■ventagli in forma di mazzi, sovente di as-
sai bizzarra composizione. Ilmazzodi pen-
ne era ordinariamente fissato all'estremi-
tà d'un manico d'avorio, ornato spesso
d'oro e di pietre preziose. Oltre le pen-
ne di struzzo s'impiegavano allora, al pa-
ri degli antichi, penne di pavone, di pap-
pagallo, di corvo dell'Indie e di altri uc-
celli aventi speciose penne. Fra le altre
cose, dalle catene d'oro, usate a quell'e-
poca dalle donne, pendeva ancora il ven-
taglio. Sotto Elisabetta regina d'Inghil-
terra, i manichi diventagli erano per lo
più di argento di grandissimo valore, il
che rendevali oggetto di smodato desi-
derio a' ladri : talvolta costavano sino a
4o lire sterline; e la regina ne ricevè
uno in dono, riccamente guarnito in dia-
manti. Soggiunge ileitato Dizionario ,che
disse con molto garbo un nostro scritto-
re, f» 1 ventagli ponno definirsi telegrafi
d'amori o di sdegni, o una gelosia per
traguardare senza che le donne sieno ve-
dute, o finalmente un mezzodì eclissare
i movimenti dell'occhio". Notai nel voi.
LXXXI,p. iyG.cheavendopercosso pub-
blicamente il bey tV Algeri con un venta-
glio il console di Francia, questa ne pre-
se motivo per detronizzarlo e occupare la
regione. — Quanto all'uso sagro demen-
tagli, di quelli usati ne'sagrifìzi dagli an-
tichi per cacciare le mosche, ne ragiona
il p. Menochio nelle *S7uore, centuria i.°,
cap. 80: Del flagello delle mosche ^ con
il quale furono afflitti gli egiziani al
tempo di Faraone. Con ragione il sagro
testo chiama le mosche flagello gravissi-
mo, perchè sono in gran maniera mole
VEN
ste e importune; le mosche canine o ca-
valline poi, feriscouo con punture che ca-
vano il sangue.DeH'importunitàdelle mo-
sche, oltre la comune esperienza , parlò
anche Omero nel lib.17 dell' Iliade^ di-
cendo: Atque UH muscae vim intra prac-
cordia misit - Quae quamvis de pelle
viri saepe repulsaf - Assultat morsura
tamen. La mosca, sorta di piccolo inset-
to volatile molto importuno e noioso, e
mollo comune nella calda stagione, per
non avere reminiscenza del passalo, tor-
na subito donde è scacciata; per cui ne
segue, riferisce il Menochio, che non si
ricordi né del bene, né del male, laonde
sebbene percossa lorna di nuovo con mo-
lestissima importunità. Gli antichi abi-
tanti de'paesi caldi per discacciare le mo-
sche ond' erano tormentati, invocavano
l'aiuto degli Dei, e con Superstizione fa-
cevano anche uso di amuleti. I greci a-
veano a Dio particolare contro le mosche
Miiagro, nome derivante e composto del-
le parole greche mosca e cattura. A que-
sto genio immaginario attribuivano la
virtù, di cacciare le mosche durante il sa-
grifizio. Gli arcadi sacrificavangli sempre
innanzi d'onorare Minerva incerta loro
festa solenne: gli elei incensavano costan-
temente le are di esso perchè allontanas-
se quegl'insetti al finir della slate. Anche
i romani sagrificavano a tale divinità fa-
volosa, che chiamavano M//W6j.Ne'giuo-
chi olimpici qualche volta prima d'inco-
minciarli facevasi tale sagrifìzio perchè
gli spettatori non fossero molestati, oude
disse Eliano che le mosche si ritiravano
da tali feste; mentre nel tempio d'Apol-
lo Azziaco immolavasi loro un bove, ed
esse attaccavansi al sangue della vittima,
da cui ritraevansi poi satolle. Questo nu-
me ebbe altri nomi : Miiacerot Miagro,
ApomiO) ed in Africa Acort ch'è lo stes-
so che Belzebut. Adoravano le mosche
gli abitanti di Accarona e dell'Acaruania.
In Roma nel tempio aV Ercole Vincitore^
non entravano mai mosche.Eppuresi pre-
tende da'mitologi, che mentre Ercole sa-
VEN
grificava non potè mai cacciar le mosche,
e neanco Giove ne avea il potere. Le mo-
sche accorrevano in gran moltitudine a'
sagrifizi di Moloc, di Astarot e degli al-
tri idoli de' pagani. Gli ebrei tenevano
qual felice augurio il non aver mai visto
una mosca nel tempio di Salomone. Ma
mentre gli antichi invocavano l'aiuto de'
numi contro le mosche, ad un tempo ser-
vi vansi de'mezzi fisici e principalmente di
ventagli cacciamosene, detti anche miìa-
gri, i romani usando un ramo di mirto
(l'imperaloreDomiziano impiegava un'o-
ra per giorno a infilzar mosche nel suo
gabiuetto,elo notai nel vol.LVIII,p.2i6),
e gl'indiani tuttora adoperano una coda
di cavallo con manico per lo più d'avo-
rio, ornato pure di pietre preziose. Dio
ha creato tutte le cose con somma sa-
pienza e con ottimo fine, inclusivaroen-
te alle moleste e importune mosche, per
punirci e ricordarci la nostra nullità, fra
tanto orgoglio e potenza bastando una
pulce e una mosca per infastidirci; e per
rimedio contro la loro ostinatezza fu in-
trodotto l'uso de' ventagli, ed anche nel-
l'antichità si facevano di penne; osservan-
do il p. Menochio, che il ven. cardinal
Bellarmino erasi talmente avvezzato al-
la pazienza e alla mortificazione, che non
cacciava le mosche neppur dal viso, seb-
bene gli dassero noia ; anzi di ciò mera-
vigliandosi altri, dolcemente rispondeva
non doversi far male a tali animaletti, per
non avere altro godimento chela libertà
di volare e stare a piacere sulle cose. Ste-
fano Durando, De rilibus ecclesiasticis,
lib. i, cap.io, tratta dell'uso dementagli
in Chiesa e del morale significato cava-
to da' ss. Padri. Dalle Costituzioni apo-
stoliche^ attribuite a Papa s. Clemente I
del 93, già trovasi prescritto, checelebran-
do il vescovo, assistessero a'due lati del-
l'altare due diaconi con ventagli di pen-
ne di pavone, di membrane o di lino, per
impedire che le mosche e altri insetti ca-
dessero nel calice consagrato. S. Girola*
mo scrivendo a Marcella 1' Epist. 20, fa
VOL. XCllI.
VEN 177
menzione di simili ventagli ; e quanto
ne scrisse s. Idelberto vescovo di Le Mans,
lo riporta il Menochio, che termina col
narrare come s. Bernardo, senza venta-
glio si liberò dalle mosche che lo mole-
stavano nel consagrare un oratorio nel
territorio di Laon, cioè collo scomunicar-
le (sarà meglio dire colla Maledizione, o
meglio ancora colla Benedizione coutro
tali insetti), e ne morirono in tanto nu-
mero, che bisognò portarle fuori con pa-
le. Il vescovo Sarnelli, Lettere ecclesiast.
1. 1 o, lett. 43: Del ventaglio, che il vesco-
vo greco dà all'ordinalo diaconoj an-
ch' esso dichiara V introduzione del suo
uso nelle sagre liturgie, per rimedio con-
tro l'importunità delle mosche e la schi-
fosità di esse; rilevando che Ateneo scris-
se avere i persi pe'primi usato i ventagli
alle mense per cacciar dalle vivande si-
mili animaletti, attestando Marziale che
si facevano con penne di pavone. Che ì
cinesi adoperano i ventagli non solo nel-
l'estate per cacciar le mosche e refrige*
rarsi,ma nell'inverno per ornamento, co-
me i guanti tra noi nell'estate. L'adotta-
rono le donne imbellettate , per rinfre-
scare il belletto, acciò scorrendo il sudo-
re dalla fronte non lo facesse decompor-
re. Usarsi le penne della coda di pavone
per cacciamosene, perchè diversi anima-
li colla coda le discacciano; e siccome l'è
lefante 1' ha piccola, le uccide con istrin-
ger le rughe della pelle. Della molestia
che recano agli scrittori, l'espresse un poe-
ta sdegnato di loro noia, co'versi riferiti
dal Sarnelli. » Questi animaletti, dice il
Comestore, sono stati da Dio creati per
punizione, correzione e istruzione. Per-
ciò che è punito l'uomo, quando è offeso
da loro; è corretto quando sa essergli
ciò avvenuto per lo peccato;è istruito am-
mirando l'opere di Dio, che si dimostra
più stupendo nelle minutissime sue crea-
ture, colle quali solamente pose in fuga
gli eserciti 1 " Nella Puglia un poeta chia-
mò la mosca, per esservi abbondanti efa-
stidiose : Pugliese mostro,' Sanguisuga
12
i78 VEN
volanti', alata Arpia. Quindi i! Sarnelli
riflette, che se per la cu tu u uè aie risa si
formarono ventagli per cacciare le ino-
sche,maggiormeutedoveasi praticare nel
la sagra inensa,sì perchè non molestino chi
sagrifica,esì perchè non cadino nel calice,
giacché sebhene coperto col la/ v/////, facil-
mente nello scuoprirlo vi s'immergono.
Perciò uè' sagri templi originò l'uso del
Flabello (f .), denominato pure l 'enti-
labrum Ministcriorum, dovendosi muo-
vere dal diacono per impedire alle mo-
sche di molestare il sacerdote et abigere
sacrificium. Ed è perciò, che essendo uf-
fizio del diacono impedirlo alle mosche,
nell'ordinario il vescovo gli consegnava
il flabello ventaglio, nel quale erano di-
pinti due Serafini. Quindi il Sarnelli ri-
porta alcune delle nozioni che io già de-
scrissi a Flabello. Questo ventaglio o pa-
ramosche, formato di penne di struzzo o
di pavone, ora si usa soltanto dal Papa
per que'motivi e simbolici significati che
nell'articolo dichiarai, massime quando
incede in sedia Gestatoria (F.) e nella
macchina o talamo per la Processione del
Corpus Domini (Z7.). A pochi altri il fla-
bello fu concesso per privilegio, cioè a'
nominati nell'articolo, dove pure trattai
dell'uso e delle diverse forme de'flabelli
nella Chiesa Ialina e nella Chiesa orienta*
le, gli usati dal Papa denominandosi an-
cora Flabelli s pontificiis seu Muscariis
pavonicis, e gran pennacchi. Inoltre i Pa-
pi usarono nelle solenni funzioni di far-
si precedere da due preziose insegnechia-
mate Cherubini, ed aventi qualche rela-
zione co'flabelli orientali. Meglio ne trat-
tai nel voi. LXX1V, p. 270 e 271. Fi-
nalmente flabelli, banderuole e ventaro-
le si chiamano quegli arnesi che ne' Fune-
rali (F.) quattro Palafrenieri (V.) 0 altri
inservienti, agitano intorno al feretro de'
cadaveri de' cardinali, e due intorno a
quello degli ambasciatori, ed a quello de'
principi, decorate degli slemmi gentilizi
(nel 17G7 nell'esequie del conte Isolani
ambasciatore di Bologna inPioma,duesuoi
VEN
aiutanti di camera in abito da citta, agi-
tarono leggermente le banderuole, col-
l'armi gentilizie del defunto e della città;
uso introdotto per decoro della funzio-
ne, perciò in esse souo effigiati gli stem-
mi; e decenza per cacciar le mosche da'
volti e dalle mani de'cadaveri, usandosi
anche quando non vi souo, poiché que-
gì* insetti non ponno recare fastidio a'
morti, come rileva il Cancellieri, Notizie
de'ss. Giovanni e Petronio de'bologncsi
di Roma, p. 96).
VENTIM1GLIA (Fentimilien. Pro-
vinciae Janucn.). Città con residenza ve-
scovile degli stati sardi, nel Genovesalo
o Liguria, antica e illustre, divisione di
Nizza, provincia di Sanremo, capoluogo
di mandamento, alla foce della Roja, l'an-
tica Rutuba, nel Mediterraneo o mare
Ligustico: lungo l'alveo della Roja diri-
gevasi la romana via militare per lo tra-
gitto dell'Alpi. Piccolo e sicuro n'è il por-
to, e dal quale si estraggono le indigene
produzioni. E città dell' Alpi marittime
atlinente all'Italia, distante 6 leghe e mez-
za all'esl-sud-est di Nizza, alla cui contea
ora appartiene, due leghe e mezza all'o-
vest-sud-ovest di Sanremo, e 28 al sud-
ovest da Genova. L'ultima proposizione
concistoriale la qualifica: Urbs Liguriae
adclivuni montis aedificatain suo unius
circiter milliari ambita 200 domos, el
20,000 circiter continetincolas (deve es-
servi errore, poiché leggo nella preceden-
te proposizione, 1600 circiter habitato-
rcs. In vece il Dizionario geografico u-
nh'ersale gliene dà 5,ooo, ed il Castella-
no 5,2oo, ed io credo circa 6,000). Chia-
ma la cattedrale, di moderna architet-
tura, dedicataall'Assunzione della B. Ver-
gine, sed boni aedi fidi nulla exigentis
reparationemj ma il zelantissimo vesco-
vo attuale, nel 1842 vedendo che il tem-
pio minacciava rovina, trasportò la sua
cattedra ed il suo capitolo nel!' antichis
sima chiesa di s. Michele Arcangelo, fin-
ché si possa rifabbricarla, o almeno ope-
rarvi un solido restauro. Da uua grande
VEN
lapide incastrata uel vestibolo della cat-
tedrale, e die serve per parte di scalino
della porta principale, si argomenta che
àulicamente era un tempio dedicato a
Giunone. Ed è tradizione, che la chiesa
di s. Michele fu già tempio di Castore
e Polluce, come apprendo dalla classica
opeva, Monumenta historiae palriae,l. 4,
che contiene la Storia delle Alpi Ma-
rittime di Pietro Gioffredo, insieme a
molte notizie della città di Ventimiglia,
del suo comune e contado, e perciò de'
suoi consoli, vicari, capitaui, rettori, con-
testabili, conti e signori diversi, non che
del suo vescovato. Veramente corrispon-
de a quanto dichiarò il eh. prete Gio. Bat-
tista Semeria, nella Storia ecclesiastica
di Genova e della Liguria^do? tempi apo-
stolici sino all'anno 1 838, cioè nel cap.
6 : Vescovi di dentimi glia, abbondare
le civili e politiche notizie della città di
Ventimiglia, invece scarseggiare, in pro-
porzione, le memorie ecclesiastiche. Non
mancherò giovarmi delle dueopere, edel-
le altre che poi dirò, ma sempre nelle cir-
coscritte dimensioni, combinabili colla
natura di questa mia opera, divenuta or-
mai tanto voluminosa, però toccando il
sospirato fine. Del benemerito Semeria,
mi è noto aver pure scritto e pubblicato
con bella edizione : Secoli cristiani del-
la Liguria, ossia Storia della metropo-
litana di Genova, delle diocesi di Sar-
zana, di Brugnato, Savona, Noli, Al-
henga e Ventimiglia, Torino i843. In-
tanto si ritorni alla ricordata proposizio-
ne concistoriale, dichiarante lo stato del-
la chiesa di Ventimiglia nel 1837. Nella
cattedrale esercitava la cura d'anime la
I." dignità del preposto aiutato da un
prete, ed ivi era il s. fonte. Fra le ss. re-
liquie, con somma divozione si venerava
il capo di s. Secondo martire, patrono del-
la città. Il capitolo si compone delle 3 di-
gnità del preposto, dell' arcidiacono e
del cantore; di otto canonici, comprese
le prebende del teologo e del penitenzie-
re; di due beneficiati, e di altri preti e
VEN 179
chierici addetti all'uffiziatura divina. L'e-
piscopio, parimi distai a caihcdrali,
et cum sit boni aedìfìcii nulla indiget
reparatione, e l'encomiato prelato l' ha
restaurato. Sebbene nella città vi sono
altre chiese, niuna però è parrocchiale o
collegiata. L'hanno i minori osservanti
con convento, e le canonichesse Late-
ranensi con monastero eretto sui fonda-
menti dell'antichissimo castello de'conti
già signori della città. Vi sono alcuni so-
dalizi, l'ospedale, non il monte di pietà.
Seminario auteni non saiis apio ad
excipiendos illius dioecesis clericos a-
lumnos, alterimi subslituendiun est in
civitates. Remi ejusdem dioecesis. Il lo-
dato pastore però ne promuove l'amplia-
zione e il fioriraento. Possiede ancora un
collegio comunale, ed il castello o forte
munito di s. Paolo: vi sono alcune anti-
che iscrizioni. I dintorni vanno ricchi di
vino, olio e frutti squisiti, per la fertilità
del territorio, il quale in amenità egua-
glia quello di s.Remo. Quivi V Itinerario
d'Antonino segna il confine deWaLiguria,
sebbene altri lo avanzino al Varo e altri
a Marsiglia. Ma ora conviene dire alcuna
cosa dell'antichità di Ventimiglia. In data
di Ventimiglia 20 febbraio 1 852 pubblicò
l'eccellente periodico V Armonia di To-
rino, e riprodusse il n. 66 del Giornale
di Roma. I coloni d'una villa dell'episco-
pato, pochi passi a pouente della Nervia,
cercando pietre e tasteggiando sotterra
con un palo di ferro, nel precedente gen-
naio videro un non so che di pittoresco
e di solido, che parve loro cosa insolita
da non trascurarsi. Recatane la notizia
a mg.r vescovo, die' ordine che si sgom-
brasse cautamente il terreno soprastante,
e tosto comparve un pavimento in mu-
saico, lungo metri 4 e quasi due deci-
metri e largo 4; di forma quadrata, ben
conservato, e circondato di mura non più.
alle d'un metro circa, poiché il resto era
già stato demolilo. Da' 3 lati di queste
mura si scorgevano 3 porticelle, che ve-
rosimilmente introducevano in pari nu-
180 VEN
mero di gabinetti o di camere. Il laro-
io è delicatissimo, d'una semplicità ele-
gantissima, di gusto greco. Subito il pre-
lato ne fece prendere a penna un colo-
rito modello. Si vedono i busti delle 4
Stagioni dell'anno in altrettanti quadri
simmetricamente disposti, due in alto e
due al basso, vicino al centro del pavi-
mento, e di tinte molto leggiadre. La
Primavera coronata di fiori; la State cin-
ta il crine di bionde spiche; l'Autunno
coronato di pampini edi grappoli di uva;
e l'Inverno imbacuccato la testa, con u-
na canna presso la spalla, e colle sue lun-
ghe foglie pendenti sormontate dall'uni-
co , mesto e verticale lor fiore. Il vago
musaico fu riconosciuto per un lavoro
de'tempi più belli della dominazione ro-
mana, ossia de'primi tempi dell'era cri-
stiana, ne'quali fiorivano le scienze , e
specialmente la scultura e la pittura.
Strabone geografo, fiorito presso a poco
a quell'epoca, appella Ventimiglia Urbs
magna. Questa grande città metropoli
de' liguri InlimelM, non poteva esistere
dove esiste l'attuale Ventimiglia. I mar-
mi lavorati, gli avanzi eli capitelli, di
cornicioni, i portici, le gradi nate, le porte,
le piccole figurine di bronzo, tanti altri
ruderi, le monete romane scoperte o ve-
nute alla luce in quel vasto piano , che
giace vicino alla Nervia, sono prove indu-
bitate, che colà esisteva l'antico Intìme-
lio de' romani; dunque il fabbricato, in
cui venne scoperto il decantato pavimen-
to, faceva parte della città antica, oppu-
re un casino di campagna poco distante
da essa. E chi sa che non appartenesse a
quella Giulia Procilla, madre di Agrico-
la, la quale fu dagli Ottomani colà tru-
cidata iniquamente in suispraediis, co-
me scrisse Tacito nella vita di suo suo-
cero Agricola? O non fosse piuttosto il
palazzo, ossia l'abitazione di quel Domi-
zio, il quale albergò Giulio Cesare, e che
venne strozzato da quel Bellieuo che si
lasciò indurre a quel misfatto dall'oro del-
la fazione contraria, come risulta dali'e-
f EH
pistola di Marco Celio, scrìtta di colà rt
Cicerone ? Il descrittore dell'articolo pre-
vide un' obbiezione desunta dalla natura
delle già dette mura, che circondano il
pavimento, le quali non presentano i ca-
ratteri delle antiche costruzioni romane,
ma piuttosto quelli delle fabbriche anti-
che. » E che? E' forse provato e dimo-
strato, che a'tempi della dominazione ro-
mana le costruzioni e le mura si fabbri-
cassero in tutta l'Italia all'uso romano?
Non già, e noi stessi, allorché nel 1889
e nel 1840 si esegui una tal quale an -
pliazione e rettificazione della strada pro-
vinciale al capo s. Siro , volgarmente il
Don, territorio di Tabiai or Taggia, noi
stessi abbiamo osservato, che l'antiche
costruzioni ivi scoperte, e che facevano
parte della tanto ricercata Costa Balene
della tavola Peutingeriana e dell'Itinera-
rio d'Antonino, quelle vetuste costruzio-
ni non somigliavano punto alle costruzio-
ni de'i omani, ma erano presso a poco con-
formi alle nostre liguri. Non può cadere
alcun dubbio tuli' antichità di quelle co-
struzioni , essendosi scoperte molte mo-
nete romane da Augusto sino a Giuliano
inclusivamente (benché con molle inter-
polazioni, ed oltre una moneta romana
de'tempi della repubblica), parecchi sche-
letri sepolti in un terreno cretoso e com-
patto con evidenti contrassegni di genti-
lesimo, cioè lumi sepolcrali , ed olle a*
fianchi; un frammento di una tabella vo-
tiva, dicente: P. CoepUiì (si sottintende
prò salute, ovxevoprorediUi,proincolu-
mitate ec); oltre un elegantissimo pavi-
mento in musaico, ed altri ruderi di ri-
mota antichità. Dalla natura adunque
delle testé scoperte mura ventimigliesi
non si può desumere veruna obbiezione
contro l'antichità romana del musaico.
Queste mura saranno state lavoro di un
muratore indigeno, e quanto al musaico
sarà stato condotto da un artefice idoneo
di altre parti". Lo scrittore opina che ta-
li rovineavvenneronel 61 1 circa per par-
te di Kotari re de longobardi , il quale
YEN
saccheggiò, devastò e stilati tellò da Luni
sino a'confini del regno di Francia tut-
te Je città de'rornani, siccome risoluto a
non conservarne il dominio. Tanto atte-
stano, Muratori negli Annali d' Italia,
Girolamo Serra nella Storiadella Ligu-
ria e di Genova, e Gi offre do nella Storia
dell'Alpi Marittime, Torino 1 839. Qua-
lora poi non si volesse concedere tanta
antichità al musaico, in tale ipotesi po-
tersene attribuire il lavoro a'conti anti-
chi di Provenza o di Ventimiglia, i quali
ne furono i signori, e specialmente a'La-
scaris. Il che forse ebbe luogo quando
Guglielmo Pietro conte di Ventimiglia,
nel 1261 sposò Eudossia figlia di Teodo-
ro II Lascaris greco imperatore in Nicea
(onde i figli che nacquero da tale matri-
monio assunsero il cognome di Lascaris,
inquartando le armi paterne de'conti di
Ventimiglia con quelle dell'impero gre-
co), il quale ammirati i magnifici edifìzi
di Grecia, ed i litostrali o pavimenti di
musaico, abbia di colà fatto venire arte-
fici per ornare di simili lavori il suo pa-
lazzo o casino di Ventimiglia, per fare co-
sa piacevole alla sposa. Opinione proba-
bile, dal sapersi come già artefici di Co-
stantinopoli nel 1070 lavorarono i mu-
saici della nuova basilica di Monte Cassi-
no, effigiandovi animali, fiori e verzura
con tanta perfezione da sembrare veri. Se
si ammette la narrata ipotesi, l'eccidio dei
fabbricato in discorso pare potersi attri-
buire all'incursioni e devastazioni deli-
rali barbareschi; dappoiché, venuta me-
no nel secolo XV la potenza marittima,
tanto già rzV/oftatade'genovesi,come l'ap-
pellano il Villani e il Biondo, i legni bar-
bareschi trascorrevano impunemente il
mare Ligustico , depredando i navigli e
riducendo in ischiavilù le persone, non
che saccheggiando e talora anche incen-
diando le terre prossime al mare. Suona
tuttora terribile il nome di Ali Dragut,
e quello pure di Ariadeno detto Barba-
rossa crudele e feroce, che incussero tan-
to tenore à'Iiguri, e tante devastazioni e
VEN 181
danni operarono in queste contrade ma-
rittime. Inoltre il Giornale di Roma del
1 853 a p. 904, ricavòdal Bollettino del-*
le scienze il seguente articolo, che fa se-
guito al riferito. Le recenti scoperte fat-
tesi a levante della citlà di Ventimiglia,
nella pianura prossima alla foce del tor-
rente Nervia, hanno gettato gran lucesul-
l'essere dell'antica ìùnl\me\ìo,J IbiumEn.*
temelium, illustre capitale de'liguri di tal
nome , indi municipio romano. Benché
detta da Strabone città grande, ora chi
la visita distesa sul declivio di una colli-
na, signoreggiata dal forte s. Paolo, non
la trova che una modesta e piccola città.
La sua cattedrale eretta sulle rovine d'un
tempio sagro a Giunone, la chiesa di s.
Michele già delubro sagro a Castore e Pol-
luce, ed il castello d'Appio prezioso mo-
numento d'architettura romana, non ba-
stano per dire, qui era una città grande.
Non vedendosi altri considerevoli avanzi
di pubblici o privati edifìzi, anzi mancan-
do l'area per fabbricarli, nasce naturale
il desiderio di sapersi dove potesse buo-
na parte di essa trovarsi. Rispondono pe-
rò chiaro i monumenti da poco tempo
venuti in luce, e le memorie di alcuni rin-
venuti negli scorsi secoli. L'architettura,
la scultura, il disegno, la glittica, l'epi-
grafia e la numismatica, vi trovano cia-
scuna per se preziosi oggetti, e quella pia-
nura coperta d' arena trascinatavi dal-
l'alluvioni della Nervia, o da'venti, e dal-
la quale non sorgono più che pochi ru-
deri, è divenuta importantissima per l'ar-
cheologo e per l'amante di patrie storie.
Parlasi pel i.° d'un acquedotto formato
da un doppio arco di pietre quadrate re-
golari attaccate con pochissimo cemento.
Esso ha principio in una regione del co-
mune di Camporosso detto seborrinoj e
comunquedistrutto in piùluoghi da igno-
ranti villici, vedesi ch'egli avea un lieve
pendio verso mezzogiorno. La città ve-
niva in tal modo provvista d'acque po-
tabili. Si vuole lavoro romano certissimo,
per sapersi essere stati primi i romani a
182 VEN
modificare l'arco forse scoperto dagli e-
(ruschi , adoperando materiali piccoli e
leggeri, e riunendoli con duro cemento,
come nel caso in argomento. Quanto al-
le mura che cingevano la città, di cui si
rinvennero tracce, non è mollo, nelle ter-
re della mensa episcopale, considerevol-
mente robuste, erano costrutte di grosse
pietre irregolari quasi senza cemento, il
qual modo di costruire era proprio de*
più antichi popoli d'Italia. Le molte ca-
se scopertesi pare fossero d'un solo pia-
no, aventi un pavimento durissimo, ed
alcuni altri di musaico, tra 'quali è rimar-
chevole il suddescritto, nuovamente en-
comiato per lavoro peregrino, pe* colori
vivacissimi e per esecuzione la più accu-
rata, che l'ab. Gazzerra disse appartenu-
to ad una sala da bagni. Ma cosi prezio-
so capo d'arte, per iucuria venne guasto
e rotto: questa barbarie e peggio si com-
mise nel secolo XIX! Imperocché la sco-
perta del leggiadro musaico avendo trat-
to sul luogo gran turba di popolo delle
ville adiacenti , specialmente nelle feste
deli.0 e 2.0 febbraio 1 852, ed essendo es-
so situato in campagna aperta, il vesco-
vo avea fatto circondar di siepi il recin-
to; uondiuieuoque'villici non paghi di ve-
dere e osservare a lor piacere il pavimen-
to, discesero nello scavo e ne staccarono
anche de' piccoli pezzi, affine di recarne
un saggio alle loro case, con deplorando
vandalismo. Nelle dette case molti pre-
ziosi oggetti si conservarono, a'tempi del
p. Angelico Aprosio, il Nervia ne scuo-
priva due fornite di tutto punto: s'unii co-
sa succedeva di recente all'egregio Gae-
tano Fenoglio nello scavare le fonda-
menta d'una villeggiatura, il quale a mol-
ti utensili domestici, unisce una preziosa
raccolta di vasi di terra cotta semplici e
in bassorilievo. Vi si scorgono anfore, a-
mule,cadi, lenticule, ed olle tutte in buo-
nissimo stato. Non è molto,per cura del
can. Stefano Aprosio, vedeva la luce lo
zoccolo d'un grandioso edilìzio, formato
da grossissimi massi quadrilateri di cai-
VE N
bonato calcare bianco, con accanto pro-
porzionati cornicioni della stessa pietra ;
vi si rinvennero monete degl'imperatori
Treboniano e Volusiano; e quel che più
monta, un frammento di bassorilievo in
terra cotta, rappresentante Adone e Ve-
nere. Le proporzioni naturali , i profili
delicati in una prominenza assai piccola,
ci sono testimoni del felice stato dell'arti
belle a que' tempi. Pochi passi distante
nel novembre 1 852 si scuoprì un 2.° pa-
vimento a musaico di maggior' graudez-
za deli.0, non però di tanta finezza : vi
campeggia nel mezzo Arione seduto so-
pra un delfino, e gli sono attorno infiniti
altri pesci che guizzano. Dalle rovine an-
cora aderenti, da un frammento d'iscri-
zione onoraria e da vari canaletti sotter-
ranei, si potè qualificare un Sciceli uni.
Si trovarono pure un bassorilievo di mar-
mo ad arabeschi, una colonna e altre co-
se comuni della località. Sotto i vescovi
venlimigliesi Galbiato e Nicolò Spinola
si rinvennero pezzi di marmo di divinità
pagane andate perdute; sotto mg.r Pro-
montorio una preziosa gemma incisa;mg.r
Clavaiini estraeva egli stesso un lungo
tubo metallico di ragguardevole prezzo;
e T attuale vescovo mg.r Biale rinvenne
una testa di bronzo di tipo greco affatto,
avente il capograudee piatto, fronte bas-
sa e spaziosa, faccia larga e quadrata, col-
io corto e grosso. Lungo sarebbe il ricor-
dare le tante medaglie e monete roma-
ne, e spesso greche, scavate iti quel luo-
go; basti Udire, che nel secolo scorso qua-
si tutte le famiglie nobili venlimigliesi ne
avevanoconsiderevoli raccolte, ed alcune
di esse forse adornauo presentemente pri-
vati e pubblici musei. Nel 1857 si comin-
ciò a pubblicare dalla tipografìa econo-
mica editrice di Torino: Storia della cit-
tà di Peritimi glia dalle sue origini a' no-
stri tempi, scritta da Girolamo Rossi. A*
pregi distinti di quest'antica citlà, si ag-
giungono le illustri prerogative del pure
antico suo contado, che quantunque di
non grande estensione, abbonda di terre
V E N
insigni, le quali, come la città, in ogni
tempo diedero personaggi di valore, dot-
trina e probità, sì alla Chiesa e si allotta-
to. Il g>an padre de'monaci e popolato-
re de'deserti, che tante anime col suo e-
sempio guidava al cielo, s. Antonio ab-
bate, sebbene si scrive essere stato di na
zione egizio, ed aver avuto per padreBeal-
basso cittadino d'Alessandria,si tiene non-
dimeno aver avuta per madre Guitta,
Gietta oGhitta, ossia Margherita, matro-
na nobile di Ventimiglia, non già figlia
d'un conte di Ventimiglia, allora essen-
do la città dominata da'romani. Di Ven-
timiglia si vuole anche Publio Elvio Per-
tinace salutato imperatore romano dopo
l'uccisione di Comodo, ma non regnò che
87 giorni, ne'quali fece moltissimi prov-
vedimenti salutari; volendo riformare gli
abusi nelT ormai generale corruttela , i
pretoriani lo trafissero di 1 00 colpi a' 1 8
marzo 1 g3.A Itri lo dissero d'Alba diMon-
ferrato, e l'Ughelli nato libertino patre,
in agro Lolii Gradarti non longe ab In-
timino municipium romanorum. — Fu-
rono i principali luoghi del contado: So-
spello, Sospitellum, piccola città ducale,
situata in profonda valle, che il fìumicel-
lo Deverà, influente del Roja, divide in
due parti alle falde del colle di Braus, già
capoluogo d'una delle vicarie della con-
tea di Nizza: mirabile è l'artificiosa col-
tura a grano, vigne, oli veto e prato. E'
patria del gesuita Teofilo Raynaud. —
Tenda, rinomato borgo ch'ebbe già il ti-
tolo di contea, posto in altura sulla valle
bagnata dalRoja,edàil nomea quel pas-
so della catena delle Alpi Marittime che
mena dal Piemonte a Nizza, detto il Col-
le di Tenda , a 11 e cui falde giace il borgo.
Lo possedette la famiglia de Lascaris, che
regnò uell' impero di Nicea , e die' altri
personaggi insigni. Il conte Gio. Antonio
Lascaris cominciò la fabbrica della chie-
sa di s. Maria, compita poi da Renato di
Savoia, detto il gran bastardo, governa-
tore di Nizza: essa è la più vasta e mae-
stosa chiesa de'dinloi ni . — Saorgio, boi-
VEN iS3
go e importante fortezza posta su diru-
pato scoglio, chedouaina la valle del Roja,
alla sinistra del fiume di tal nome, e do-
ve la valle stessa è più angusta, che me-
glio direbbesi antro, giacché le cime de'
duemontidannoscarsoadito alla luce. — >
Briga, borgo situato sulla riva sinistra del-
la Livenza, con castello e chiesa collegia-
ta. Questi quattro luoghi furono compre-
si poi nel contado di Nizza, sebbene talu-
no di essi sia decaduto dal suo lustro e
stato primiero.
Ventimiglia, viene indicata dagli scrit-
tori latini con vari nomi. Plinio la disse,
Album Inleineliiun ; Varrone , Inteme-
liiimj Stratone, Intemelium, Album In-
lemeliiim , ed Entimelium, Albinteme-
liiirUyEntimellum, Eantimeliwn, Albium
Intimelinm la denominarono altri, f suoi
abitatoti voglionsi originati dagl'Inganni,
popoli liguri antichi alpini soggiogati da'
romani, alleati di Magone figlio d'Amil-
care,vinti da'consoli Appio Claudio i!Z?e/-
lo e da Lucio Emilio Paolo : dierono il
nome ad Albingauna o Albenga, che di ♦
venne loro capitale. Perciò gì' Internelii
chiamarono la loro città capitale Albin-
temilia o Albintimilio 3 e corrottamente
Ventimilia, Vintimiliam , Figintimi-
liam 0 Ventimiglia. Non è vero , come
pretende il Zazzera, che pe'siciliani conti
di Ventimiglia signori di essa, l'etimolo-
gia diVentimiglia derivi da ventimila mo-
ri posti in fuga vicino a Messina da uno
di tale casa, che con poco numero di si-
ciliani era venuto con esso loro a batta-
glia. Il coguome di Lascaris a' conti di
Ventimiglia derivò loro per viadi donne,
ossia del matrimonio con Eudossia, come
già dissi; laonde non sembra affatto che da
essi'sieno derivati gl'imperatori di Nicea,
come pretese alcuno erroneamente. Pare
chea'tempi di Strabone, kìbegaa, Albium
Ingaunum, fosse di minor nome che Al-
bium Intcmelium o Ventimiglia, per a-
verla qualificata cou titolo di grande cit-
tà, l'altra indicandola colla sola voce re-
strittiva d' Oppidum , sebbene poi non
,84 VEN
mancò di tendersi in più modi cospicua
e segnalata. Dalle lettere familiari di Ci-
cerone, lib. 8, Epist.iSySi apprende che
i liguri inttmtlii o ventimigliesi , erano
gente industre, laboriosa, guerriera. Giof -
iredo disse quelli di Sospello e del con-
tado di Vintimiglia, belli ingegni, armi-
geri e animosi, ma ricordevoli delle offe-
se, e perciò mantenitori di risse e fazio-
ni, che con la morte di molti talvolta in
que'contoi ni durano immortali. La città
soggiacque alle molte vicende comuni al-
la Liguria e a tutto il resto d'Italia, nel-
la romana dominazione, finché nell'anno
69 di nostra era, dopo la morte di Ne-
rone, rotta guerra tra gli aderenti di Ot-
tone e di Vitellio, aspiranti all' impero,
tutta la Liguria ne fu il teatro, perchè Ot-
tone per meglio stabilirsi nell'impero vol-
le tirare dalla sua l'Alpi Marittime e la
Provenza , mentre ubbidito dalla mag-
gior parte d'Italia, vedeva però l'Alpi Co-
zie e Pennine inclinate alla fazione del
competitore Vitellio. Più d'ogni altra cit-
tà ne soffri Ventimiglia, seguace di Vi-
tellio. Nel sacco datole dagli Ottomani,
fu allora che peri la summentovata Giu-
lia Procilla madre del celebre capitano
Giulio Agricola di Frejus. Si rese in que-
st'occasione rinomata presso i posteri una
ventimigliese, la quale avendo nascosto il
figlio per dubbio che da'soldati non fos-
se ucciso, credendo quelli che insieme col
i.° e più caro tesoro avesse occultato il
2.0, cioè le gioie ed i denari, e perciò sti-
molandola con tormenti a manifestarlo,
essa quasi burlandosi della morte, rispose
loro mostrandogli il ventre, ch'ivi suo fi-
glio si stava ascoso , né per quanto eoa
varie sorta di strazi e di torture s' inge-
gnassero di farle palesare il nascondiglio,
ottennero da quella donna d'animo viri-
le e valorosa altra risposta, sinché stimo-
lati dallo sdegno e dall'avarizia, barba-
ramente la privarono di vita. Nella de-
cadenza dell'impero romano, Ventimiglia
successivamente fu invasa da'goti e altri
barbari, indi da'Iongobardi, i quali con-
VEN
dotti dal loro re ariano Rotali, vinto l'e-
sarca Teodoro presso il fiume Scultenna
vicino a Modena, nel 639 occupata la Li-
guria, quasi del tutto manomisero e in-
cendiarono Ventimiglia. Intanto i sarace-
ni dopo aver dato il guasto e danneggia-
to le Alpi Marittime, occupato nell'879
Frassineto, visi annidarono e quindi de-
vastarono tutti i dintorni, finché furono
cacciati da Guglielmo I conte di Proven-
za nel 968. Indi nel 999 circa si stabiPi
nell'Alpi Marittime la nobilissima fami-
glia de'conti di Ventimiglia, la di cui di-
scendenza durava ancora nel contado di
Nizza in Provenza, ed in Sicilia, sebbe-
ne diminuita di stato e signorie, cioè al
tempo dello storico Gioffredo, che con-
dusse la sua bella storia oltre l'annoi 652
e morì nel 1692. II documento più anti-
co in riguardo a questi conti è la conven-
zione tra Arduino, marchese probabil-
mente d' Ivrea poi re d'Italia, e gli abi-
tanti di Tenda, Saorgio e Briga, luoghi
dell'antico contado di Ventimiglia, sot-
toscritta da Ottone I e Conrado I conti
di Ventimiglia, originati verosimilmen-
te da Oddone uno de'figli del famoso A-
leramo, marchese investito dall'impera-
tore Ottone I dì nuove terre, marito di
Gerberga figlia del re Berengario II, cre-
duto stipite de' marchesi di Monferrato,
Vasto, Saluzzo, Savona, Ceva ec. La suc-
cessione d'Ottone I e di Conrado I conti
di Veutimiglia, quella de'conti di Ven-
timiglia signori di Lezinasco, e quella de-
gli altri rami de'signori di Tenda, signo-
ri della Briga, signori di Castellaro, si-
gnori di s. Albano e del Poggetto, sono
riportati colle notizie storiche nel citato
t. 4, Monumenta historiae patriac. Ver-
so il 1 1 3o avendo i genovesi costretto cou
violenza il conte di Ventimiglia e gli a-
bitanti di alcune terre a quello soggette
a giurare omaggio al loro comune, O-
berto uno de'conti non potendosi dar pa-
ce, che i genovesi senza alcun giusto ti-
tolo volessero obbligar egli e i suoi sud-
diti ad un ingiusto vassallaggio e soggeziq-
VEN
ne, ricusò di continuare a prestare il det-
to omaggio ed a riconoscere i suoi feudi
da quel comune. Per cui i genovesi vo-
lendocontro di lui armareper maree per
terra, tolsero in loro compagnia i figli di
Bonifacio marchese del Vasto e di Savo-
na, al quale promisero la metà di tutto-
ciò che nel contado di Ventimiglia si fos-
seconquistato, ogniqualvolta checonioo
cavalli e r ooo fanti fossero concorsi a quel-
l'impresa. L'esito di questa mossa fu, che
neh 140 la città di Ventimiglia costret-
ta a cedere alla forza, non potè di meno
da non giurare la fedeltà a' vincitori , i
quali a far lo stesso costrinsero tutte le
terre di quel contado, se è vero ciò che
scrive il Caffaro, il più antico fra gli sto-
rici genovesi. Neil i 57 i genovesi procu-
rarono di stabilirsi con apparenza di nuo-
ve ragioni e titoli nel possesso del conta-
do di Ventimiglia; il che fecero dando la
cittadinanza a Guidone Guerra, uno di
que'conti, il quale in contraccambio giu-
rò fedeltà al comune di Genova, con do-
nargli nel tempo stesso tutte le sue ca-
stella, di cui ricevè da'consoli con inse-
gna rossa rinvestitura. Ma ben presto i
suoi sudditi fecero conoscere quantoaves-
sero in odio la soggezione genovese; per
cui appena nel r i58 l'imperatore Fede-
rico I, vinti i milanesi, mandò i suoi mes-
si a Savona e nel restante della riviera di
ponente per esigere i diritti imperiali, i
ventiraigliesi gettate a terra l'insegne de*
genovesi, e impadronitisi del castello che
per tenerli in fedeaveano fabbricato, a-
nimati a ciò fare da detti messi, l'atter-
rarono interamente. I genovesi si quere-
larono con l'imperatore, domandando la
ristorazione del castello e il risarei men-
to de'danni. Non pare che Federicol das-
se soddisfazione a Genova, e questa per
timore si quietò. L'ultimo d'agosto 1 1 76
si giurò solenne tregua in Italia, che get-
tò i fondamenti della pace conclusa nel
seguente anno iu Venezia (V.), tra le cit-
tà aderenti alla Chiesa e al Papa Ales-
sandro IU, e quelle che si tenevano per
VEN i8ì
lo scismatico e scomunicato imperatore
Federicol, il quale, tra le altre città, a vea
dalla sua quelle d'Asti, Genova, Savona,
Albenga e Ventimiglia, che perciò furo-
no nominatamente comprese nell' istro-
mentodi tale tregua, insieme co'marche-
si di Monferrato, del Vasto e del Bosco,
parimenti aderenti a Cesare. Mentre le
cose erauo intorbidate in Provenza, non
erano totalmente tranquille nella Ligu-
ria per le dissensioni nate tra la città e i
conti di Ventimiglia per cagione dell'im-
munità pretese da quella, e dal dominio
che i conti in essa pensavano continuare,
non ostante gl'impedimenti che in vari
tempi vi a vea no frapposto i genovesi. Fi-
nalmente avendo ambe le parti eletta la
via amichevole, fecero Ottone conte di
Ventimiglia da un canto, e Gandolfo Ca-
sollo console di Ventimiglia dall'altro l'S
o il 9 settembre 1 185 in Genova avanti
i consoli di quel comune certi patti, pe*
quali Ottone conte di Ventimiglia con-
fermò a'ventiinigliesi tuttociò che già era
stato loro concesso e accordatodal fu Gui-
done Guerra conte di Ventimiglia suo
fratello, e ciò ch'egli medesimo avea pat-
tuito in presenza dell'imperatore Fede-
rico I. Promise che non impedirebbe il
libero passaggio ad alcun abitante delle
terre di detto fu suo fratello, il quale ve-
nisse con sale e altre mercanzie partico-
lari, anzi lo difenderebbe a suo potere,
fuorché ciò facesse per fraudare o dimi-
nuire il diritto che gli spettava. Restitui-
va la pace a nome suo e de' suoi figli a
quelli di Ventimiglia, il quale promette-
va di conservar illibata. Venendo a na-
scere qualche discordia tra le parti, quel-
la si terminerebbe amichevolmente fra
4o giorni per mezzo di due uomini dab-
bene da eleggersi quinci e quindi, a'qua-
li, non potendosi concordare, s'aggiunge-
rebbe un causidico a spese comuni. L'os-
servanza di tutto questo giurerebbe egli,
i suoi figli eroo de'suoi sudditi, ad ele-
zione de'cittadini di Ventimiglia. Il tut-
to salva la fedeltà e divieti di Federico I
i86 V E N
imperatore e de' consoli di Genova. Dal-
l'altro canto Gandolfo console di Venti-
miglia promise a nome del suo comune
al conte Ottone, che non avrebbe aggre-
gato fra'cittadini di Ventimiglia alcuno
degli abitanti in 5 luoghi particolari, cioè
nel Zerbio, Gorbio, Pigna, Roccabruna
e Dolceacqua, né altro de' di lui sudditi
che avesse commesso contro di lui, ov-
vero de'suoi figli delitto di fellonia. I ven-
timigliesi non darebberoimpedimento ad
alcun suddito di esso conte abitante m
Ventimiglia , il quale volesse ripatriare.
Non fomenterebbero o spalleggierebbero
alcuno, il quale avesse animo di togliere
le sue terre o diritti ad esso conte, anzi
a loro potere al medesimo conte dareb-
bero aiuto e man forte contro chi lo vo-
lesse offendere ne'beni o nella persona.
Finalmente che si rappacificavano seco,
con la di lui moglie e figli, promettendo
di far giurare l'adempimento di quanto
sopra a'consoli di Ventimiglia d'anno in
anno, ed a 100 de'più cospicui cittadini
che più fossero in grado di detto conte.
Nel i 198 fu guerra nella Liguria occi-
dentale tra'genovesi e i ventimigliesi, i
quali non potendo dimenticare d'essere
stati con violenza necessitati a riconosce-
re il comune di Genova, dopo la depres-
sione de'loro conti, spalleggiati com'è da
credere da'provenzali,che in questo tem-
po non s'intendevano bene con quella re-
pubblica, se le ribellarono contro aper-
tamente. I genovesi, cui premeva ridurli
ad ubbidienza, mandato alla volta di que-
sta città gran numero di gente, la tenne-
ro assediata per mare e per terra da'26
luglio sin dopo il principio di settembre,
combattendola con diverse macchine e
dando il guasto alla campagna. Ma per
mancanza d'unione, i ventimigliesi tor-
narono soggetti a Genova; la quale a'icj
didetto mesefecegiuraread Albengal'an-
tiche convenzioni , e promettere di far
guerra a Ventimiglia, perchè dubitava di
sua fede. Intanto nuove rotture avven-
nero fra'genovesi e Ventimiglia, raostran •
V EN
dosi questa ferma contro le loro minac-
ce. Volendola perciò Genova di nuovo
soggiogare, nel 1200 inviò alla sua volta
il podestà Rolandino lucchesecon alquan-
te galeree buon numero di soldati. Sbar-
carono di primo tratto a s. Remo, quin-
di gettate le ancore e piantati i padiglio-
ni a s. Ampeglio, ivi fermatisi molti gior-
ni attesero a dare il guasto a tutta quel-
la valle, ch'era del distretto di Ventimi-
glia sino al fiume Nervia , tagliando le
biade e gli alberi, e spiantando le vigne;
ma non per questo risolvendosi i venti-
migliesi d'arrendersi, suonossila ritirata.
Nel seguente 1201, i ventimigliesi veden-
dosi da 3 anni attaccati da'genovesi e per-
seguitati in mare nelle loro galere, cre-
derono meglio cedere al tempo, che ti-
rarsi addosso una totale rovina e distru-
zione. Per cui si recarono a Genova a pie-
di scalzi e colle croci in mano, ed ivi pro-
stratisi avanti a' consoli, promisero con
giuramento fedeltà e ubbidienza. Ma non
contenti, la sottomissione non fu since-
ra, e nel 12 i5 i genovesi intercettarono
una lettera de'ventiraigliesi diretta a'pi-
sani per accostarsi a loro, coli' intenzio-
ne di scuotere il giogo di Genova. Avve-
dutisi i ventimigliesi che si dubitava di
loro fedeltà, mandarono in quella città
a giurarla senza limiti, i loro deputati o
consoli nel 1 2 1 8; ma il podestà volle che
altrettanto facessero tutti i capi di casa
in Ventimiglia: tuttavolta non tardaro-
no a romperla. Imperocché dubitando-
ne sempre i genovesi, nel 12 19 inviaro-
no alla città il podestà Rambertino Gui-
dono bolognese con 4 galere della repub-
blica armate, affinchè i cittadini confer-
masseroil giuramento pubblica mente nel-
la cattedrale di s. Maria e nelle mani de'
commissari deputati. Ma i ventimigliesi
ricusarono di corroborare col sigillo del
comune a quanto eransi obbligati con
istromento, non ostante l'ammonizioni
del podestà. Allora questi assediò la città
per mare e per terra, con numeroso e-
sercito a piedi e 5oo cavalli, e gli aiuti
VEN
di diversi aderenti alla repubblica. Co-
iiìinciato l'assedio a* io maggio, dato il
guasto alla campagna e preso un bel va-
scello carico di grano, il podestà tornò a
Genova, lasciando all'assedio 3 galere e
altrettanti legni armati. Non oziando i
ventimigliesi, armala una saettia e invia-
tala in Sicilia in corso, presero ivi due na-
vi de'genovesi. Venendo poi in Sardegna
fecero l'islessa preda d'un vascello geno-
vese uscito dal porlo di Cagliari, e mag-
giori progressi avrebbero fatti , se non
dava alla caccia de'ventimigliesi uua ga-
lea armata genovese, obbligandoli a la-
sciar il vascello, la notte avendo favori-
to la fuga, dopo combattimento e feriti
d'ambe le parti. Di questo non contenti,
dopo pochi giorni i ventimigliesi andati
con uua galera armata nel porto di Tu-
nisi, ivi s' impadronirono d' altra nave
nemica, chiamala Benvenuta, cogli uo-
mini e le mercanzie. Per rifarsi di que-
sto danno, la repubblica fece armare due
galerecomandate da Zaccaria Castello, il
quale raggiunse la saellia presso l'isola
d'Hyeres, la quale colla Benvenuta, che i
ventimigliesi aveano armata, incalzava-
no la nave genovese s. Leonardo. Allora
questa incoraggiata dal veder le due ga-
lere patrie, in unione di queste assaliro-
no la galea ventimigliese, ed obbligata-
la a lasciar libera la Benvenuta, non po-
terono prenderla per esser fuggita in al-
to mare col favor delle tenebre; e poi av-
vicinatasi alla città potè da questa esser
soccorsale liberarsi da M'esser presa, ben-
ché avendo dato tra due scogli sotto Roc-
cabruna restò infranta. Continuandosi»!-
tanto l'assedio di Ventimiglia, il podestà
di Genova Rambertino, a sollecitarne l'e-
spugnazione, tirò dalla sua Manuele con-
te di Ventimiglia, facendo seco a nome
del comune di Genova nuovi accordi, pe'
quali il conte s'obbligò d'assistere duran-
te quell'assedio a'genovesi, colle sue for-
ze, castella e sudditi; d'offendere a tutto
suo potere quelli di Ventimiglia, di rom-
pere la strada che da essa per la Penna
VEN 187
conduceva a s. Dalmazzo; di fare il pos-
sibile per ricuperare il castello di detta
Penna, che tenevasi da'ventimigliesi; di
non far con questi durante tal guerra tre-
gua o pace senza il consenso de'genove-
si, e di rimetter loro i prigioni che aves-
se fatto e mediante riscatto. Invece il po-
destà promise, pagare a lui e all'assente
fratello conte Guglielmo, i5o lire al me-
se finche durasse l'assedio. SdegHati i ven-
timigliesi dell'accordo, piombarono sulle
terre de' conti, ma 4 5 rimasero prigioni,
cheMan uele conseguo al podestà per 1 5oo
lire. Dispiacenti i ventimigliesi della pri-
gionia de' concittadini, per liberarli fìn-
sero di tornar all'ubbidienza della repub-
blica, onde fu loro imposto mandar a Ge-
nova 29 cittadini de'più cospicui per o-
staggi, affinchè servissero ad assicurare
quanto promettevano. Giunti che furo-
no, dubitandosi di qualche inganno, il pò*
desta mentre n'esigeva maggior numero,
alcuni fuggirono e gli altri furono arre-
stati con Giacomo di Caraglio podestà di
Ventimiglia. L'assedio si strinse con mag-
gior vigore anche dalla parte di s.Remo,
e la guerra si riprese con più forza nel
1 22 1 dal nuovo podestà di Genova Lot-
terengo Martinengo bresciano, con nuo-
vo esercito di fanti e 3oo cavalli recan-
dosi a far piazza d'armi a s. Remo, per
poter più da vicino venir a fine di quel-
1' impresa. Ma quando si accingeva con
tutte le armi a portarsi sotto le mura di
Ventimiglia, seppe cheRaimondoBeren-
gario VI conte di Provenza, accompagna-
to da molta nobiltà, era venuto in soc-
corso degli assediali. Il podestà udito il
consiglio, fu risoluto trattenersi in s. Re-
mo, temporeggiando fino alla partenza
del conte, che non dovea tardare per la
scarsezza delle vettovaglie e foraggi insuf-
ficienti a tanta gente e cavalli, siccome av-
venne, lasciando in Ventimiglia suo luo-
gotenente e comandante dell'armi Gu-
glielmo 0 Guigone di Cottignaccon alcu-
ni ufficiali e soldati, i quali pure non tar-
darono a tornar in Provenza. Vedendo
tSK VEN
il podestà Martinengo tolto tale ostacolo»
s'avvicinò alla piazza, disponendo le sue
genti per terra e per mare a simultaneo
attacco. Questo cominciato con impeto,
gli assediati lo respinsero con tanto co-
raggio, che molli ferirono a morte e 1 1
uccisero, a niuno dando quartiere. L'e-
sercito ne restò tanto commosso e indi-
spettito, che voleva ammazzare i prigio-
nieri che il podestà avea seco nel campo.
Egli però quietato il tumulto, li fece por-
tare legati a vista delia città, giurando che
gli avrebhe fatti accecare se fra lo spa-
zio d'8 giorni non si rendeva. Intimoriti
dalla minaccia i difensori, mandarono a
trattar d'accordo, promettendo con giu-
ramento di 3oo cittadini, d' ubbidire a
quanto il Mai tinengo avesse imposto. Ac-
cettando egli questa dedizione, volle pri-
mieramente le chiavi della città e l'ebbe.
Avendo poi comandato che consegnasse-
ro il castello d'Appio, onde farlo presi-
diare da'suoi soldati, nel mandare i de-
putati a riceverlo, non solo si ricusaro*
no, ma cercarono d'imprigionarli; il che
avendo sommamente irritato il podestà
Martinengo , fece subito cavar gli ocelli
ali prigionieri ventimigliesi. Per istrin-
gerepoi maggiormente l'assedio, fece ca-
vare un alveo molto largo e lungo quasi
due miglia, dove introdusse buona par-
te del fiume Rutuba, privando di quel-
)' acque la città, contro la quale inoltre
fece alzare due manganelli e due trabuc-
chi, per tirare grossissime pietre a dan-
no delle case, con terribile riuscita; per
chiudere poi l'entrata della foce di Ven-
timiglia, dove talvolta solevano stanzia-
re i vascelli , vi sommerse un coppano,
specie di naviglio riempito di sassi e cal-
cinaccio. Vi aggiunse una lunga siepe di
grosse pietre, facendovi per molti giorni
incessantemente lavorare con pontoni a-
vuli da Genova. Di questo non contento,
fabbricò nel vicino monte di s. Cristofo-
ro due castelli, e al di sotto vicino al ma-
re un recinto a modo d'una nuova città
circondata di forti mura, alla fabbrica del*
VEN
le quali essendosi unitamente accinti no-
bili e plebei, così presto restarono termi-
nate, che fu cosa di stupore. Alla guar-
dia di queste pose 2,000 valenti soldati
comandati da »Serleone Pepe con sì buon
ordine, che restandone que'di dentro in-
comodati soprammodo, da quel tempo in
poi non poterono più uscire a coltivare i
campi, e se gli riusciva era con pericolo
di vita e della libertà. Non tardò a farsi
sentire in Ventimiglia la penuria delle
vettovaglie, quindi molti per non perire
di fame, ne partirono a invocar perdono
da' genovesi e abitare la nuova città da
dove di frequente offendevano i concitta-
dini, e tra quelli i principali furono i no-
bili della famiglia De' Giudici , beneme-
rita più. d'ogni altra della repubblica per
la fedeltà dimostrata in varie occasioni.
Queste cose in tal guisa ordinate, il po-
destà Martinengo seguito da lutto l'eser-
cito tornò a Genova, lasciando la guar-
dia delle galere per impedire a Ventimi-
glia soccorsi dalia parte del mare. Gli a*
bitanti di s. Remo non furono in queste
contingenze senza fastidi , poiché da un
lato riceveano ordine dal Martinengo per
gli alloggi e spese per la soldatesca, dal-
l'altro gli vietava l'ubbidire Ottone ar-
civescovo di Genova, essendo il luogo sog-
getto nel temporale alla sua mensa, rice-
vuto in dono sino da' tempi di s. Siro e
poi confermato da'eonti di Ventimiglia,
esigeva non doversi contro i sudditi della
Chiesa far alcun aggravio o imposta. La
cosa giunse al punto, che pollatosi l'ar-
ci vescovo a s. Remo, ed atterriti colle cen-
sure gli esecutori, adirato per questo pro-
cedere il podestà di Genova, non poten-
do dare il guasto a'beni de'sanremaschi
pe'suoi capitani Aimerico e Rubaldo, con-
dannò questi all'uscir dell' ufficio a 5oo
lire, e all'arcivescovo non permise ripa-
triare, occupando l'entrate di sua men-
sa. Quest'azione pare non tosse approva-
ta da Dio, poiché poco dopo permise che
una delle galere lasciate di guardia a Ven-
timiglia, fosse nottetempo presa da'ven*
v e n
limigliesi; e che il conte di Ventimiglia
Guglielmo contro il convenuto dal fra-
tello Manuele, lasciato il partito di Ge-
nova, si voltasse a quello di Ventimiglia,
accettando in questa l'uffizio di podestà
e cosi facendosi capo de'combattenti con-
tro la repubblica. Vedendo le terre cir-
convicine, che questa guerra di cosi lun-
ga durata, dopo la città poteva incomo-
dare tutto il suo contado, ed essere attac-
cate, verso il fine del 1221 si collegaro-
no specialmente Tenda, Briga, Saorgio e
Breglio, per reciprocamente difendersi e
aiutarsi contro tutti, fuorché contro il con-
te di Ventimiglia, e di non permettere
l'erezione d'alcun forte ne' loro confini.
Finalmente nel 1222 terminò l'impresa
di Ventimiglia, composte prima le discor-
die tra il podestà e l'arcivescovo di Ge-
nova, che tornò alla sua sede, coll'inter-
vento di Papa Onorio 111. Avendo i ge-
novesi preso una saettia, colla quale cor-
seggiavano ne'circoslanti mari i ventimi-
gliesi, insieme colla miglior parte di lo-
ro, e temendosi che perissero con l'ulti-
mo supplizio , questo fu causa che i cit-
tadini di Ventimiglia, che indarno si sfor-
zavano di resistere a'più potenti, diman-
darono con grande istanza la pace, offe-
rendosi di stare a quelle condizioni che
loro fossero state prescritte da' vincitori.
Queste poi furono in ristretto: Che salve
le persone, cose e beni, la repubblica di
Genova avesse sui ventimigliesi giurisdi-
zione e dominio, con facoltà di destinare
il podestà, e prendere tutti i redditi del
comune, e di fabbricare sì dentro che fuo-
ri della città castelli e luoghi forti. Con-
venute cos'i le cose, il podestà di Geno-
va Spino da Soresina si recò in Ventimi-
glia nel dì dell' Assunzione a prenderne
il possesso, ordinò che si fabbricassero due
forti, uno nel colle d'Appio, l'altro nella
parte superiore della città, il sito de'qua-
li insieme colle case attorno che bisognò
atterrare si comprarono a spese della re-
pubblica; fabbriche cominciale tosto e
compite nel 1223. Si posero comandanti
VE» 189
e presidio d'armati ne'forli interno ed e-
slerno: si spianò il suddetto nuovo recin-
to fatto per l'espugnazione, e vi fu costi-
tuito podestà Serleone Pepe, in nome
della repubblica ponendosi le gabelle ed
entrate della repubblica a pubblico in-
canto. Nel 1288 sollevatasi quasi tutta la
riviera di ponente conilo il dominio de'
genovesi, altrettanto fecero i ventimiglie-
si, a'quali però non fu dato d' impadro-
nirsi delle fortezze come era riuscito agli
altri, poiché ritiratosi a tempo nella roc-
ca Bonifacio Embriacco, che comandava
nella città per la repubblica, colla fami-
glia e gli uffiziali , subito domandò soc-
corso a Genova. Armate tosto 1 4 galere
i genovesi, le spedirono a Ventimiglia,
dove venendo da' cittadini, fortificatisi
dalla parte del mare, con incessanti tiri
d'archi, balestre e altre macchine impe-
dito lo sbarco, ebbero per molti giorni
assai che fare, sinché salito a forza uno
stretto sentiero, rampicati con una ban-
diera per quegli scogli , arrivarono alla
sommità della rocca. Datisi nello stesso
tempo alla fuga que' che difendevano lo
sbarco, parecchi di essi fatti prigioni fu-
rono condotti a Genova nel dì della Pen-
tecoste, ove videro impiccalo il savonese
autore e capo della rivolta. Posle in sicu-
ro le cose di Ventimiglia, le galere fecero
vela verso l'isola d'Albenga.
Papa Innocenzo IV essendosi recato a
celebrare il concilio generale di Lione II,
ne parli a'29 aprile, accompagnato da'
cardinali e da Filippo di Savoia. Volen
dosi portare a Genova sua patria, subito
i genovesi fecero a gran costo racconcia-
re le strade e ricostruire i ponti, e viag-
giò per tutta la Liguria occidentale sem-
pre in lettiga, ricevendo da per tutto so-
lenni dimostrazioni d'onore e di venera-
zione, principalmente in Ventimiglia, e
giunto in Genova vi si trattenne sino a*
22 giugno. Per l'accennata separazione di
Guglielmo conte di Ventimiglia dal par-
tito de'genovesi, legò dopo la di lui mor-
te il conte Guglielmiao suo figlio a quello
»9°
YEN
di Carlo d'Angle e Beatrice conti di Pro-
venza per mezzo di convenzione de' 19
gennaio 1257; in virtù della quale Gu-
glielmino promise per se, suoi (ìgli e fra-
telli, che rimetterebbe a Carlo tutte le ter-
re pervenute a lui dall'eredità paterna,
specialmente i luoghi di s. Chiamilo, di
Colps o Gorbio, Tenda, Briga, Castella-
lo, la Dieta di s. Agnese e di Castiglione;
non che ciò che possedeva nella valle di
Lantosca, salve le ragioni del vescovo di
ÌNizza, e le pretensioni che avea sul con-
tado di Venlimiglia, massime sopra Roc-
cabruna, Monaco, s. Remo e Ceriana. la
contraccambio Carlo d'Angiò s'obbligò
per se e successori dargli altrettante ter-
re in Provenza , che fruttassero annui
5,ooo soldi tornesi, con intera giurisdi-
zione, salva la sovranità e l'obbligo del-
le cavalcate in certi casi, oltre altre con-
venzioni. Acquistate il conte di Proven-
za le sopra specificate terre del conte di
Venlimiglia , pare che le tornasse a in-
feudare al medesimo conte Guglielmino,
avendo continuato nel pacifico possesso
di quelle, massime di Tenda, che poco
dopo die' principio ad una nobile signo-
ria detta poi contado, della Briga, Gor-
bio e Castellalo, i di lui successori della
slessa stirpe de'conti di Venlimiglia. Per
le ragioni acquistate sul contado di Ven-
limiglia, Carlo d'Angiò ne prese possesso
nello stesso 1257, facendosi giurare fedel-
tà dagli abitanti de'luoghi in quello com-
presi, e concedendo diverse franchigie a
Sospello, Saorgio ec. In tal modo la cit-
tà di Ventimiglia e il suo contado furo-
no aggiunti al contado di Provenza, per
cui d'allora in poi si considerarono parte
dell'alta sovranità de'conti e contesse di
Provenza. Nel 1260 si stabilirono alcuni
de'conti di Venlimiglia nel regno di Sici-
lia, dove postisi a servire l'occupatore di
esso re Manfredi, v'acquistarono signorie
principali, trasmesse a'ioro posteri e di-
scendenti, come Gerace, Iscla maggiore
ec. Oltre l'innestamento che in questo
tempo i couli di Venlimiglia fecero io Si-
VEN
cilia, il conte Guglielmo Pietro, uno di
essi, essendo passato da Genova, dove do-
po la morte del conte Pietro Balbo si-
gnore di Tenda suo padre crasi ritirato,
neh 261 iuCostautinopolia recare soccor-
si alla corte colle galere di Genova, s'im-
parentò con una figlia di Teodoro li La-
scaris imperatore de'greci residente a Ni-
cea , per il qual matrimonio i conti di
Ventimiglia hanno poi, come già notai,
assunto il cognome di Lasca ri s e inquar-
tate le armi dell'impero greco, cioè l'a-
quila nera di due teste in campo d'oro,
a quelle di Ventimiglia, ch'erano d'oro
al campo di sangue. Il GiofTredo a cor-
reggere i racconti incerti e favolosi, che
de'personaggi di sì nobilissima famiglia
produssero Zazzera e Del Pozzo, esibisce
la tavola genealogica de'conti di Venti-
miglia. Ed il Semeria nota, che famiglia
sì antica, illustre e nobilissima diramala
in diversi tempi nella Francia, nella Spa-
gna e nella Sicilia, si rappresentava dal-
l'unico superstite marchese Agostino La-
scaris, presidente della reale accademia
delle scienze di Toriuo, nel qual perso-
naggio la linea maschile si estingueva.
Frattanto nel 1265 Papa Clemente IV
investì del regno di Sicilia Carlo I d'An-
giò conte di Provenza, che riportò vit-
toria contro l'usurpatore Manfredi e con-
tro il pretendente Corredino. Mentre Ge-
nova nel 1269 era agitata dalle fazioni,
e le vie d'ambe le riviere infestavano mal-
viventi, in tale sconvolgimento di cose,
avendo molti per loro fini particolari
preteso alla podesteria della città di Ven-
timiglia, LuchettoGrimaldo gentiluomo
genovese, a dispetto degli altri competi-
tori, l'ottenne. Ricusando i Curii, nobili
ventimigliesi, di riconoscerlo, usciti fuo-
ri della città, tirarono dalla loro diversi
nobili di Genova, Chiavari e Rapallo,
che prese le armi s'incamminarono ver-
so Ventimiglia, affine di cacciarne il Gri-
maldo, e rimettervi con riputazione i Cur-
ii molto potenti e ricchi. Ma il Grimaldo
recatosi eoa forze maggiori a incontrar-
VEN
li, li sconfisse e molti fece prigioni. Ciò
produsse zuffa e rivoluzione in Genova,
ottenendo il governo della repubblica O-
berto Spinola e Oberto Doria. Questi ca
pitani ordinarono a Grimaldo di libera-
re i prigioni, e gli fecero giurare in Ge-
nova d'essere per l'avvenire ubbidiente,
onde le cose si tranquillarono tanto in
Genova che nel resto del dominio. Re-
stavano solamente in Ventimiglia alcu-
ni cittadini malcontenti, che parevano
disposti a suscitare nuove dissensioni.
Laonde i capitani, inviato con soldate-
sche Ballano Doria vicario della riviera,
li rimise ne'termini del dovere. Nel 1271
il re Carlo I d' Àngiò, dando ordine al
governo de'suoi stati, ricevette gli amba-
sciatori e deputati di diverse città e luo-
ghi, massime di Saorgio nel contado di
Ventimiglia, cui approvò e confermò gli
statuti municipali. E due altre principa-
li terre dello stesso contado, Tenda e Bri-
ga , fecero non molto dopo particolari
convenzioni di traffichi e scambievole di-
fesa , in presenza del loro signore Gio-
vanni Lascaris Comes Fintimilii. Anche
la Liguria fu afflitta dalle fazioni san-
guinose de' Guelfi e Ghibellini , e nel
1 3 1 7 seguirono altre guerre tra loro;
Ventimiglia essendo di parte ghibellina,
venne in potere de'guelfi. Neil 3 19 Ro-
berto re di Sicilia e conte di Provenza,
gran fautore de'guelfi, mandò ad assali-
re la città e il castello d' Appio, dove i
signori di Dolceacqua di casa Doria e
altri ghibellini s'erano fatti forti dopo a-
verne cacciali i guelfi; ed accomodate le
faccende di Genova, vi lasciò suo vicario,
con potere estensivo a Ventimiglia, Ric-
cardo di Gambatesa cavaliere abruzze-
se, con buou presidio di soldati a piedi
ed a cavallo, e con molte galere in ma-
re; ordinando ad Amelio de Fossis ca-
valiere bailo del contado di Ventimiglia
e valle di Lantosca,che facesse nelle ter-
re di sua giurisdizione osservare certi par-
ticolari statuti, che pel buon governo di
quelle avea di suo ordiue dettato il sini-
VEN 191
scalco di Provenza, ed il bailo li pubbli-
cò in' Sospello. Le guerre per mare e per
terra de'guelfi e ghibellini, dopo la par-
tenza del re Roberto da Genova per la
Provenza, ripresero I' ardore fazionario;
il Papa Giovanni XXII volendo unire
contro i ghibellini le armi temporali al-
le spirituali, nel i320 mandò in Lom-
bardia vicario di s. Chiesa con grosse for-
ze , Filippo di Valois nipote del re di
Francia, e per legato apostolico il cardi-
nal Bertrando o Bernardo Poggetto de*
conti di Ventimiglia, signori di s. Alba-
no e del Poggetto. Dopo varie vicende,
seguì la pace in vari luoghi nel 1 327, pre-
cipuamente nel contado di Ventimiglia,
Tenda, Briga, Limone, Vernante, Saor-
gio , Breglio, Sospello , Pigna e Peglia.
Nate nuove differenze e zuffe , la parte
prevalente occupò pure Ventimiglia nel
1 345, finche la ricuperò con altri luoghi
il podestà di Genova Guiscardo de Lan-
ci bergamasco. Per soccorrerla e mante-
nerla nella divozione della regina Gio-
vanna 1 contessa di Provenza, il siniscal-
co di questa v'inviò le milizie del conta-
do. Durante il dominio temporale di Gio-
vanna I sopra Ventimiglia e suo conta-
do, essa nel 1 349 vi deputò in giudice Si-
mone Girona celebre giureconsulto niz-
zardo. Narrai nell'articolo Sicilia l'atro-
ce assassinio di Andrea d'Ungheria ma-
rito di Giovanna I, le seconde nozze di
questa con Luigi di Taranto, ch'ebbe il
titolo di re , il furore di Lodovico 1 re
d'Ungheria fratello dell'assassinato, per
vendicarlo, e perciò coll'esercito calò ia
Italia, conquistandoli regno di Giovan-
na I fuggita in Provenza. La peste cac-
ciò il re ungherese, ma nel 1 35o tornò nel
reame napoletano. I genovesi aspirando
con inganno a ricuperare Ventimiglia,
dal dominio de' signori di Provenza, si
mostrarono premurosi di aiutare il re
Luigi di Taranto e Giovanna I, contro
il re ungherese, inviando a Napoli 1 2 ga-
lere, onde profittare de'trambusti e del-
la condizione in cui ti'ovayansi i reali con-
192 VEN
jugi. Incaricarono il capitauo, dire alla
regina: la repubblica offrirle aiuto, se le
avesse restituito la città di Ventimiglia ;
altrimenti si darebbe al re d' Ungheria,
a' suoi danni. Giovanna I e suo marito,
vedendosi assediati per terra dalla nu-
merosa cavalleria degli ungheri padroni
della campagna, massime di tutta la Ter-
ra di Lavoro, e non a ./endo galera alcu-
na pel cui mezzo potersi assicurare dal-
la parte di mare le vettovaglie, ed anco
per non inimicarsi del lutto i genovesi,
stretti dalla necessità acconsentirono al-
la richiesta, onde coll'aiulo di quelle for-
ze marittime migliorare la loro condi-
zione. A vendo per tanto incontanente com-
messo a'Ioro ufiiziali di rimettere Venti-
miglia a' deputati della repubblica, non
volevansi le galere muovere dal porto di
Napoli, ne far cosa alcuna sinché dal lo-
ro doge non avessero avviso dell' effet-
tuata consegna; ma appena ricevutane la
notizia, poco curandosi d' osservar la fe-
de e la promessa , partitisi subitamente
da Napoli, presero altro viaggio. Ripro-
vando diversistorici l'operato da'genove-
si, narrano cose che lo rendono più bia-
simevole, come 1' aver essi, non ostante
P anteriori convenzioni co' conti di Pro-
venza, sollecitato Guglielmo Pietro La-
scaris conte di Ventimiglia , siguor di
Briga, Tenda, Limone, Vernante, Roc-
cabruna e altri luoghi, a negar l'omag-
gio alla regina Giovanna 1 e al re Luigi
di Taranto, il che fu causa d'una molto
aspra guerra tra'di lui sudditi ed i pro-
venzali, la quale durò 4 anni, e per ter-
minarla fu necessaria l'autorevole inter-
posizione del Papa. Indi Ventimiglia fu
signoreggiata da'Grirnaldi nobili genove-
si; ma rieletto doge di Genova Simo-
ne Boccanera, tosto applicossi a ridurre
alla divozione sua e del popolo tutte le
terre delle due riviere, e felicemente gli
riuscì al cominciar deli 357, tranne Sa-
vona, Ventimiglia e il forte di Monaco.
Però uel luglio s'accinse alla ricupera di
Ventimiglia, la quale si teneva pe'figli e
VEN
consorti di Carlo de'Grimalcli comigno-
re di Mentone. Per fare più celatamenie
V impresa, sparse voce di voler armare
contro a'catalaui. A questo fine fornì da
tutto punto 20 galee, che costeggiando
al coperto del terreno la riviera, arriva-
te che furono al capo della Bordighiera,
sbarcarono in terra un capitano accom-
pagnalo da balestrieri e altre soldatesche,
le quali copertamente condusse verso la
città in parte men guardata e custodita,
conforme aveauo consiglialo alcuni di
dentro, co'quali il doge avea anticipata-
mente trattato. Intanto le galere voltan-
do dalla parte di mezzogiorno verso un
piccolo seno, dove slava uua galera ar-
mata di que? di Monaco affine d' impa-
dronirsene, gli abitanti desiderosi di di-
fenderla tutti accorsero alla marina. Que-
sto die'agio a'geuovesi, che stavano in a-
guato verso terra,d'avvicinarsi alla porta
della città, entrarvi dentro senza contra-
sto, prendere i posti alti alla difesa, e dare
il cenno concertato alle galere, le quali
subito strettesi alla città, non ebbero pe-
na di totalmente ridurla all'ossequio del-
la repubblica. A'^ Grimaldi fu permesso
di ritirarsi a Monaco, e le galere rivol-
tarono le prore a Genova. 11 già nomi-
nato Guglielmo Pietro Laccarti de'con-
ti di Ventimiglia, signore di Tenda e al-
tri luoghi, resosi famoso per valorose im-
prese, colpito da grave male nel castello
ili Tenda, ivi mori neh 358, eleggendo-
si a sepoltura la chiesa di s. Maria di Ten-
da. Nel dividersi i figli le signorie pater-
ne, ebbero origine le famiglie de'conti di
Tenda e de'signori di Briga, la i.a delle
quali si estinse nel secolo XVI in Anna
Lascaris, e nel seguente la seconda. Do-
po ostinate guerre, nel 1 368 deposero le
armi i conti di Ventimiglia, signori di
Tenda e altri luoghi, sostenute per rifiu-
tare l'omaggio preteso dalla regina Gio-
vanna I; convenendosi, che posposta ogni
pretensione, avrebbero alla regina tribu-
tato il dovere del vassallaggio nelle ma-
ni del deputato da lei, e lo prestarono
V E N
nel 1369 al cav. Onorato eli Cena luo-
gotenente del siniscalco d'Agoult, per le
tene del contado di Ventimi glia e della
valle di Lantosca. Neh 385 cominciaro-
no alcuni popoli dell' Alpi marittime a
riconoscere il dominio della casa di Sa-
voia. Tra' primi furono gli abitanti di
Tornos e del Castellalo. Nel 1 3g4 En-
rico de' conti di Ventimiglia signore del
Castellato, fece testamento e istituì Gui-
done suo primogenito erede universale.
j\Teli4oo Pielrou di Tonon era vicario e
capitano del contado di Ventimiglia, il
quale più. volte ebbe vicari, capitani e
rettori per quelli che lo signoreggiarono.
La Francia avendo nel i3g6 imposto ii
giogo a Genova ed a molli luoghi del
suo dominio, come a Ventimiglia; nel
14.09 i genovesi cacciati i francesi si sot»
torniselo al marchese di Monferrato Teo-
doro II, ma Ventimiglia si ostinò uella
divozione a Carlo VI re di Francia. II
marchese co'genovesi volendo conquista-
re i luoghi restati fedeli a'francesi, si ser-
virono di 5 galere lolle a Lodovico II
d' Angiò conte di Provenza, e di quelle
dell'alleato Ladislao re di Sicilia di qua
dal Faro. Con esse e con altre 6 galee
genovesi, nel 1410 Otlobone Giustinia-
no s'inviò alla volta di Ventimiglia: men-
tre temporeggiava per aspeltar la gente
che per terra si conduceva da' capitani
Domenico e Bartolomeo Doria, vedendo
riuscire infrultuosamentealcune pratiche
d'accordo da lui proposte per impadro-
nirsene senza sangue, avendo determina-
to di venir quanto prima a fine di quel-
l'impresa, ancorché Domenico non fosse
ancor giunto, dopo aver promesso a'sol-
dati il sacco della città, a' 9 giugno da-
tole all'aurora l'assalto dalla parie supe-
riore , si vigorosamente la strinse, che
quantunque si trovasse gagliarda la resi-
stenza, entratovi per forza, tutta la mise
a sacco; trovandovi i soldati di che satol-
lare la loro rapacità, per non aver volu-
to i ventimigliesi, troppo creduli all'opi-
nione delle proprie forze, mettere in sai-
vol xeni.
VEN i93
vo le loro robe. L'onestà delle donne a-
vrebbe corso la slessa sventura, se per 0-
pera di Otlobone, e de'due capitani Do-
ria arrivati in quel mentre, nou si fosse-
ro per conservarla dato gli ordini op-
portuni. 11 castello, sebbene facesse mo-
stra di tener forte, pure si rese anch'es-
so dopo 8 giorni, prendendone Domeni-
co Doria il possesso,e collocandovi il pre-
sidio al nome del marchese di Monfer-
rato; mentre Otlobone avviossi colle ga-
lere alla conquista di Porto Venere, che
parimenti pei francesi ancor si teneva.
Nel 1 4 1 7 successe l'infausta morte di Dea-
trice Lascaris della casa di Tenda , che
ha dato diversamente a parlare agli scrit-
tori d' ogni specie , perciò famoso n'è il
nome e il tragico fine. Era questa stata
congiunta in matrimonio primieramen-
te a Facino Cane di nazione monferrino,
di patria casalasco, de'fatli del quale so-
no piene tutte le storie, conle di Gian-
date, signore d'Alessandria, di Tortona,
Novara, Pavia e Como, e di molte altre
terre di Lombardia, ed un tempo diret-
tore delle cose pubbliche in Milano, ca-
pitano de'più famosi e accreditali del suo
tempo, che essendo morto nel i4I2> ed
avendo lasciato gran tesoro alla moglie
da lui teneramente amata (dicesi anco
che poteva disporre d'uno splendido e-
sercito e delle guarnigioni eli parecchie
città), ciò fu cagione che Filippo Maria
Visconti duca di Milano, divenuto più.
innamorato del valsente di lei, che solo
in contante ascendeva alla somma di
4oo,ooo scudi, non comune in que'tem-
pi, che della bellezza del di lei volto or-
mai tendente alla vecchiezza, per aver 20
anni più di lui, ossia circa 41 anni, la to-
gliesse per sua moglie il medesimo anno
che restò vedova , così avendo disposto
eziandio Facino i.° di lei marito (anzi si
vuole, che distribuito a'soldali il denaro
di Beatrice, ricevè da loro il giuramento
di fedeltà, e li condusse immediatamen-
te a Milano per impossessarsi dell'eredi-
tà dell'ucciso suo fratello Giovanni Ma-
i3
j g4 VEK
ria). Ma essendogli poi, com'è per lo piìi
il consueto di situili matrimoni fatti per
solo motivo d'interesse, massime per no-
tabile disparità di età, bentosto divenu-
ta in odio, stimolalo dall'avarizia, prese
quel crudele duca motivo di esercitare
contro della innocente quella fierezza, a
cui era per malvagio istinto inclinato.
Perchè sotto pretesto , che dal musico
Michele Orombello, si fosse lasciata amo-
reggiare , argomentandolo dalla calun-
niosa confessione di due sue damigelle,
clie deposero averla veduta con esso lui
suonare il liuto assisa sopra d'un letto,
avendola fatta prendere prigione in Mi-
lano a'23 agosto, e mandatala a Binasco,
dopo averle fatto fare il processo perGa-
sperino de Grassi giureconsulto, le fu per
sentenza di quello , la notte seguente a'
i 3 settembre, siccome al suddetto musi-
co e due damigelle, quasiché tale ami-
cizia in tempo non avessero rivelato, op-
pur gli avessero tenuto mano , tagliala
la testa. Ma dell'innocenza di questa mal
avventurata duchessa restò imi verbal-
mente persuaso il mondo, non tanto per-
chè non si potè giammai, quantunque,
come narra il Corio, le fossero dati 24
tratti di corda, indurre a confessare fuo-
ri de' tormenti ciò che nella tortura vio-
lentala dal dolore avea detto; ma perchè
di lei fanno onorata menzione scrittori
coulemporanei, nominandola donna non
meno dotata d'alto spirito, e di pratica
degli affari di stato, che d'onestà e mo-
destia di costume, quantunque il Giovio
si sia fatto lecito d'intaccare senza causa
il di lei nome. Dopo la morte di Beatri-
ce, il duca sposò Maria di Savoia figlia del
duca Amedeo Vili, che la città di Ver-
celli (F.) dal genero ebbe iu dono. Nel
1427 pare che Venlimiglia fosse perve-
nuta in dominio dello slesso duca di Mi-
lano Filippo, dopoché Genova erasi da-
ta a lui fin dal ì^i5'f poiché l'impresti-
to al duca fatto dal cav. Carlo Lomelii-
110 genovese, di 3, 000 ducati d'oro, gli
fu mezzo di rendersi per qualche tempo
VEW
padrone della città e castello di Verilhnl-
glia, assegnatagli dal duca a godere per
lo spazio di io anni. Il che di non buon
occhio fu veduto da'genovesi, che tan-
to nelle riviere, quanto altrove si vedeva-
no alla giornata andar smembrando le
terre al dominio loro appartenenti. In
detto anno fece testamento Guglielmo
de'conti di Venlimiglia, signore del Ma-
ro, di Carpasio e Pielralala, e volendo
provvedere alla successione, dichiarò che
morendo senza prole, gli succedesse il ni-
pote Francesco figlio il' Antonio degli stes-
si conti, abitante in Sicilia. Neh 433 A.-
medeo Vili duca di Savoia ricevendo
continue doglianze controgl'insulti e dan-
ni che facevano a' suoi sudditi que' del
forte di Monaco, domandò al suo gene-
ro duca di Milano e signore di Genova
che si demolisse o smantellasse. 11 Vi-
sconti se ne scusò , per essere il castello
di Monaco nella diocesi di Venlimiglia,
come posto ne'confiui alla conservazione
dello stalo di Genova necessario, promet-
tendo di mettervi un castellano a soddi-
sfazione del duca di Savoia. Nello stesso
tempo si pensò a rifabbricare il Castel -
laro, luogo d'indi non più. di alcune po-
che miglia lontano, e sino da' vecchi tem-
pi posseduto da'signori Lascaris di Ven-
limiglia, riuscendo incomodo abitare nel
Castellalo vecchio posto in sito più emi-
nente. L'ultimo di settembre i435 se-
guì accordo tra Lodovico ed Enricone La-
scaris signori di Gorbio e del Castellalo
vecchio, in virtù del quale, avendo que*
signori permesso di fabbricarlo in un al-
tro sito più opportuno detto il Colletto
di s. Sebastiano, si obbligarono di edifi-
carvi fra lo spazio di 5 anni 29 case d'e-
guale altezza e larghezza, incastellate e
ridotte in fortezza da muraglie sufficien-
ti estrinsecamente, il tutto a sue spese, e
d'abitarvi con le famiglie, come loro fe-
deli uomini e soggetti. Intanto Genova
nel i435 ricuperò la sua libertà, rieleg-
gendo il doge. Nel i447 circa, mentre lo
era Giovanni Fregoso, ebbe ubbidienti i
VEN
luoghituttideldistrettodiGenova,tranne
Ventimiglia eFinale.Quella,esseudo mor-
to Lomellioo, comechè posta ne'coufiui,
non si potè così facilmente nelle varie mu-
tazioni di dogi tener in freno sotto l'ade-
renza del duca di Milano Filippo M.a Vi-
sconti, ricusando di riconoscere il doge e
il comune di Genova", se ne audò cogli
aiuti della parte guelfa governando da
per se stessa, sinché il signore di Mona-
co la tenne per qualche tempo. Dappoi-
ché avendo Luigi XI re di Francia ce*
cìnto a Francesco I Sforza duca di Mila-
no, Savona elesuerogioni su tutto quan-
to il Genovesato, quindi il duca nel pria*
cipio di febbraio 1464 avendo mandato
uella riviera Corrado Fogliano con trup-
pe, fu messo in possesso non solo di Sa-
vona, ma auche delle 3 fortezze , eh' e-
rangli all' intorno. Avendo dipoi tirati
dalla sua Giovanni de'marchesi del Car-
retto e di Finale, e Lamberto de' Gri-
maldi signor di Monaco, per opera loro,
primieramente di Albenga, poi del resto
tutto della riviera di ponente rimase pa-
drone. Per il quale sei-vizio, il duca die*
a Lamberto il dominio o il governo di
Ventimiglia, e quindi il duca s'insignorì
anche di Genova. In seguito la città, ol-
tre i Grimaldi, la dominarono i Doria
ed i Fregosi. Avea Antonio Lascaris de'
conti di Ventimiglia, anche a nome del
fratello Bartolomeo, nel 1 Zf 53 offerto a
Luigi duca di Savoia il riscatto del luo-
go di s. Agnes, che sebbene eragli stato
infeudato, per le opposizioni della vica-
ria di Sospello non aveano potuto pren-
derne possesso; mediaute 1200 fiorini,
insieme col Castellalo, il quale però do-
vea restare presso di essi per esser loro
stato donato in feudo, rifacendogli le spe-
se occorse nella riparazione di quel ca-
stello.Quindi, dopo tale omaggio del Ca-
stellalo, sul quale uou aveano mai cono-
sciuto altro supremo signore, i medesimi
fratelli nel 1 4^68 in Carignauo rinnova-
rono Tatto col duca Amedeo IX, a pat-
to e condizione che gli abitanti di Castel-
VEN i95
laro non fossero tenuti di concorrere ne'
carichi e imposizioni , se non nel modo
che quelli della baronia di Doglio, ine-
rendo a'privilegi già ottenuti dalla regi*
na Giovanna I. Cosi il Castellalo passò
sotto il dominio del duca di Savoia. Ca-
lato nel i494 llì *tal«a Carlo Vili re di
Francia, molti luoghi della riviera si di-
chiararono per lui, in uno a Ventimiglia,
quando i Grimaldi, Paolo Battista Fre-
goso e Luca Doria genovesi, in nome del
re occuparono la città ed altri luoghi del-
la ri vierajeon galere armate al soldo fran-
cese. Ma neh495 voltandosi la fortuna
a Carlo Vili, si sollevarono Ventimiglia
e molli luoghi della riviera, e si ridusse-
ro all'ubbidienza de'genovesi, e di Lodo-
vico Sforza il Moro duca di Milano, per
signore da'genovesi riconosciuto. Parteg-
giando pel re di Francia il cardinal del-
la Rovere, poi Giulio II, ordinò a Pao-
lo Battista Fregoso, che con 6 galere in-
vestisse la riviera di ponente nel 1497; e
nel tempo stesso il cardinale con 200
lancie e 3, 000 fanti accostossi a Venti-
miglia, e la prese, peusando di fare il me-
desimo di Savona sua patria, e non riu-
scendogli, andò a unirsi con Gian Jaco-
po Trivulzi luogotenente del re in Ita-
lia, guerreggiando il duca di Milano, e
nel i499 nuovamente Genova cadde in
potere di Francia, che la dominò sino al
i5o6. Mentre Francesco I re di Francia,
rotta guerra a Carlo III duca di Savoia,
neh 534 ne faceva occupare gli stati, fu-
rono sopite le vecchie discordie che re-
gnavano da una parte tra gli abitanti di
Ventimiglia, e dall' altra tra quelli del
contado, valle di Lantosca, di Tenda e
di Briga, per essersi accresciuto il paga-
mento di certe gabelle e pedaggi. L'ac-
cordo scambievole tra le parti si stipulò
a'25 gennaio nell'episcopio di Ventimi-
glia, per opera del vescovo Filippo de Ma-
ri, il quale pare che in quel tempo fosse
pure amministratore del vescovato diNiz-
za. Frattanto insorse la questione della
Valtellina, perchè sottrattasi da'grigioni,
i96 VEN
dalla Spagna voleva tinnirsi al suo du-
calo di Milano. Il duca di Savoia, Fran-
cia e la repubblica di Venezia seguirono
le parti de'grigioni; e poiché Genova e-
rasi unita a Spagna, il duca ne assalì lo
stato. Quindi Vittorio Amedeo ^essen-
do principe del Piemonte, regnando il pa-
dre Carlo Emanuele I duca di Savoia,
guerreggiando nella riviera di ponente,
avendo occupato s. Remo, Taggia e al-
tri luoghi, nel 1625 non restandola pren-
dere nella costa che Ventimiglia, città
eh' era assai forte e difesa da buon ca-
stello, il principe inviò un trombetta a*
cittadini a intimar loro la resa prima che
si avvicinasse l'esercito; ed essi risposero,
volersi difendere sino alla morte: per il
che avendo cominciato a mandare innan-
zi all'armata la vanguardia, ch'era già
giunta iu s. Lorenzo, il principe partì a'
19 marzo da Porlo Maurizio, venne a s.
Stefano o vogliam dire al piano della fo-
ce, di là alla riva diTaggia,dipoi a Taggia
stessa, continuando il viaggio senza entra-
re dentro in alcun luogo sino a s. Remo,
luogo grosso e delizioso, e numeroso d'a-
bitanti, che mandarono innanzi all' ar-
mata un rinfrescamento, e coprirono tut-
te le strade di qua e di là per un 4«° di
lega di cedri, aranci e limoni in tanta ab-
bondanza, che essendosene caricati i sol-
dati, ne rimase ancora gran quantità so-
pra la terra e sopra l'acqua; il che fece-
ro per divertire i soldati, avidi di simili
frutti, dal guasto de'loro belli giardini,
da'quali anche tolsero gran quantità di
rami odoriferi, di fiori di celioni, che in
quella stagione si vedevano da per tutto,
per tappezzare le strade, per dove passò,
ed il palazzo dove alloggiò il principe; e
ricevuti gli; stessi onori fattigli a Porto
Maurizio, udita la messa, ricevuta la fe-
deltà de'sanremaschi e desinalo, partì per
la Bordigliela, terra che si poteva difen-
dere, e pure ne trovò le porte aperte, la
maggior parte delle case abbandonate e
partitone il commissario della repubbli-
ca. Sentendo quelli di Ventimiglia avvi-
VEK
cinarsi il principe coli' armata, cambia-
rono di linguaggio, inviandogli due reli-
giosi agostiniani a pregarlo di volergli
dar tempo sino all'indomani per potere
capitolare. Rispose il principe, che non
rimetteva mai all'indomani ciò che pote-
va far oggi; che se aspettavano il giorno,
non li voleva piti udire; il che riportalo
in consiglio, risolvettero d'arrendersi
quella stessa notte, mondando deputati,
i quali usarono sì buona diligenza , che
giunti dal principe avanti giorno, accor-
darono seco d'arrendere la città, non es-
sendo in loro balia il castello, sotto il do-
minio di Savoia;la vita, onore e beni sal-
vi; che i soldati uscirebbero senz'armi, le
quali resterebbero al principe insieme
colle munizioni, insegne e artiglierie, la-
sciata nondimeno la spada agli uflìziali;
che i loro privilegi sarebbero conferma-
ti; non si farebbero imposizioni straordi-
narie. I soldati non alloggerebbero nel-
le case de'particolari, ma negli alloggia-
menti, che lor verrebbero assegnati, dove
sarebbero provvisti da'eittadinidi mobili
e utensili; finalmente, che per aver volu-
to veder l'armata, e per dare qualche sod-
disfazione a'soldati, ed evitare disordini,
la città pagherebbe prontamente in con-
tanti 6,000 doppie. Queste cose pattui-
te, il principe entrò a'20 maggio 1625,
colla sua corte in Ventimiglia, dove ri-
conosciuta la piazza e dati gli ordini op-
portuni perla di lei conservazione, si pen-
sò ad assediar il castello , inespugnabile
per altro alle forze di mano, ed assicu-
rato in gran parte dal cannone, essendo
innalzato in forma bislunga sul dorso di
una montagna, che domina la città, cir-
condato da 4 buoni baluardi, co'fossi pro-
fondi da 3 parti, e da una banda dal ma-
re, dove gli scogli discendono in precipi-
zio; e sebbene da tramontana era spalleg-
giato dalla montagna, pure innalzavan-
visi alcuni monticelli, che alquanto il do-
minavano; che se era provvisto con due
baloardi e sue cortine più rilevati che gli
altri, con forti e grossi parapetti, che co-
V EN
privano gli alloggiamenti di dentro, tal-
mente che non poteva essere offeso per
l'altezza della montagna, però mancava
solo in questo, che per non essere abba-
stanza grande, non avea la capacità re-
quisita per un* intera difesa. Lo stesso
giorno della resa di Ventimiglia compar-
ve la flotta di Francia, ed entrò nel por-
to di Villafranca, per essersi arresa tut-
ta la riviera e per attendere le galere di
Provenza per andare sopra Savona e Ge-
nova; ma la conquista di Genova andò
fallita a'francesi. Alloggiate le truppe a'
loro posti, il principe fece cominciare le
operazioni di espugnazione, e piantate
mirabilmente le batterie, dopo poche sca-
ramucce, a'26 maggio cominciatosi a bat-
tere il castello, portate via le garitte del
baloardo e le cannoniere, in poco tempo
restò senza difesa, e le controbatterie ral-
lentando sempre, domandarono que' del
castello finalmente a parlamentare e se-
guale capitoli; in virtù de'qnali Giuseppe
Cazero commissario per la repubblica, ve-
dendo che non più si poteva tenere, per-
chè in due luoghi erano state tolte vie le
difese, ed in altri due le mine erano in
procinto di giuocare colla rovina del tut-
to, convenne di uscire insieme con Aga-
pito Negrone, il colonnello Giacomo Cat-
taneo, tutti gli ufliziali e soldati, rimet-
tendosi alla discrezione e alla generosità
del principe, che non si volle obbligare di
lasciar loro altroché la vita; così quel gior-
110 medesimo quel castello si arrese, re-
stando alla divozione di Savoia lutto il
ttallo marittimodella riviera, che da Fi-
nale a Monaco per lo spazio di 70 miglia
si stende, sebbene infra terra vi fossero
ancora alcuni luoghi forti, che si teneva-
no pe'genovesi, molto difficili per essere
espugnati. Fin qui la fortuna si era mo-
strata propizia a Savoia, ma non tardò
a riguardar di buon occhio i genovesi, me-
diante i poderosi aiuti degli spaguuoli,
poiché non potendo difeuder la riviera
rateano lasciala prendere, per concen-
trare le forze a salvamento di Genova.
YEN 197
Gli spagnuoli avendo ricuperato a'geno-
vesi Gavi e Novi, minacciando Asti, qua-
si tutti i luoghi occupati dal principe del
Piemonte in poco tempo si rimisero nel-
l'antica ubbidienza di Genova, ed al prin-
cipe convenne pensare a difendere il Pie-
monte. Applicatisi poi i genovesi alla ri-
cupera delle terre della riviera , fecero
partire a' io luglio da Savona il marche-
se Santa Croce, comandatitela flotta spa-
glinola, accompagnato da'scnatnri Giam-
battista Saluzzo e Agostino Centurione,
con 8,000 fanti e due compagnie di ca-
valli, tutti spesati dalla repubblica. Oc-
cupata Albenga, benché a soccorrerla e-
rano andate 4compnguie di nizzardi, del-
la guarnigione di Ventimiglia, morendo-
vi uno de'icapitani e altro restando fe-
rito, Albenga si rese a patti. Ne segui-
rono l'esempio tutte l'altre terre della ri-
viera sino ad Oneglia, che pure cede. E-
spugnato Porto Maurizio, e fattevi nuo-
ve fortificazioni, i genovesi riebbero tut-
ti i luoghi marittimi , tranne Ventimi-
glia. Assediata Pigna, terra considerabi-
le del duca di Savoia, alla quale il mar-
chese Santa Croce, anuoiato dagli estivi
caldi soprassiedendo all'impresa di Ven-
timiglia e facendo intanto riordinar le
soldatesche per intraprenderla appena mi-
tigala la stagione, mandò intanto il ba-
rone di Vateville, con circa 3,ooo fatiti,
premendoa'genovesi grandemente di con-
quistar Pigua, perchè era in vicinanza di
Ventimiglia e perchè eranvisi ritirati mol-
ti soldati usciti d* Albenga e dalle terre
circonvicine, che potevano non poco in-
comodare la ricupera di Ventimiglia. Vol-
tatisi dunque a quest' assedio, dopo aver
preso Castelfranco, batterono lungamen-
te nelle trincee, le quali unite alle case
servivano di muro e di riparo, si fecero
quindi scaramucce, e fu non meno osti-
nata 1' olfesa che la difesa; vicino all' as-
salto, Pigua si rese a' 1 3 agosto, allegrez-
za a'genovesi amareggiata per l'esplosioue
della munizione che recò loro gravissimi
danni. ludi subito, rinfrescata la stagio-
198 VIìN
ne e accresciute le truppe con 3,ooo fon-
ti tedeschi levati da Filippo Spinola, p0r-
taronsi con tutte le forze all'espugnazio-
ne di Ventimiglia, la quale dopo alcuni
colpi d'artiglieria, abbandonata dal pie-
sidio, per essersi ristretto alla difesa del
castello, non tardò di venire in mano de-
gli oppugnatori. Ebbero però da fare al-
quanti giorni contro il castello , conti-
nuando da 3 parti la batteria, finche es-
sendosi gli oppugnatori avvicinati sin
sotto la controscarpa, e dubitando que'
di dentro d'una mina, che vedevano co-
minciarsi, patteggiarono anch'essi la de-
dizione a'21 settembre, accordata a con-
dizione , che solamente gli uflìziali por-
tassero seco le armi e il bagaglio , ed i
soldati uscissero disarmati, come fecero,
arrivando poi a Nizza il 27 assai mal in
ordine. Così i genovesi ricuperarono Ven-
timiglia, e qui per essa termina la storia
civile di Giomedo. Poco dopo rotta nuo-
va guerra tra il duca di Savoia e la re-
pubblica, il vescovo Gaudolfì impedì il
saccheggio di Ventimiglia, e poi contri-
buì alla tregua, che si segnò tra le par-
ti, comeripeterò alia sua volta. Neh 636
fu eletto gran maestro del sovrano ordi-
ne Gerosolimitano fr. Gio. Paolo Lasca-
ris de'signori del Castellalo e de'conti di
Ventimiglia della lingua di Provenza: il
suo nipote Gio. Battista nel 1646 diven-
ne luogotenente governatore di Nizza pel
principe Maurizio di Savoia. Ventimi-
glia poi seguì i destini di Genova, che la
ritenne sino all'intera cessione di tutti
gli stati della repubblica alla sovranità
della casa di Savoia, il che avvenne sot-
to il re di Sardegna Vittorio Emanuele
1 neli8i4.
La religione cristiana fu predicata in
Ventimiglia ne' primi tempi della Chie-
sa. L'Ughelli, Italia sacra, t. 4> P- 3o i,
Albintimilienses Episcopi, dice che in es-
sa disseminò il vangelo s. Barnaba apo-
stolo, Nazarius et Celsus invidi Chri-
sti martyres, ut in actis eorunuleia le-
gitur, sed corruptepro Jntimilia, Te-
VEN
merum scriptum, et Molta prò Cemclìa
(Cemele o Cemenelc 0 Cimella, vesco-
vato del secolo 111, nell' Vili unito a Niz-
za), tpcod oppidum ca tempestato fuil
JJguriae. in Alpìbus leslc Vtolomaeo,
cufus Episcopus legitur Valeriawis cir-
ca anno Domini 4^o ejusdcmquc cliam
Cemiliensis Ecclesiae Episcopi alìqui
recenscntur in gallicani» conciliis. A-
pud. liane urhcm s. Secundus ex legione
theba/wrum, unus cohortium tribunus,
in Diocleliana persecutione sub Agre-
sto Liguriae praefecto palmam tumpsit
martyrii, a s. Mauri tio earumdem le-
gionum duce sy adone mundo involti tus
in agonis loco sepultus, cujus deinde
caput in calhedrali, caetera vero lipsa-
na sacra Taurinum relata, magna ve-
neralione coluntur : cujus festum Al-
bintiniilii tanquam praecipui patroni
habetur 16 augusti. Episcopali* digni-
tas forte ab ipso apostolo Barnaba
suum liabuit inilium, tametsi de illis
priscis Episcopis nulla reperialur men-
sio, sino a Giovanni del 680. Il eh. Se-
nseria pure dice non sapersi il tempo, in
cui la cristiana religione sia stata annun-
ziata inVeulimiglia,ede'pritiii vescovi in-
temeliensinon trovasi veruna menzione,
oscurità comune a moltissime altre chie-
se antichissime. Aggiunge, un moderno
avere scritto, che Lattanzio vescovo di
Ventimiglia intervenueal concilio di Cai-
cedonia del ^5i, ma non averlo trova-
to nel Labbc e nell'Arduino ; laonde con-
viene con Ughelli in riconoscervi per i.°
di sicura notizia Giovanili mentovalo.
Riferisce insigne apostolo della Liguria
nel secolo II s. Calimero vescovo di Mi-
lano, e nel principio del IV approdati
dall'Africa alle spiagge de'Cemelii o di
Nizza i ss. Marcellino, poi vescovo d'Em-
brun, Vincenzo e Donnino, per divino
impulso, infiammati di zelo diffusero la
dottrina evangelica, con predicazione av-
valorata da stupendi miracoli, onde pre-
sto gli alpigiani professarono la fede cri-
stiana, cioè gì' intemelii e gl'ingauni, gli
VEN
abitanti delle montagne di Lantosca e
di Sospello, fra il Varo e Rutuba, oggi
Roia, i montimi di Trioria e della pieve
di Teico fra il Roja e il Centa, sino a*
gioghi che sovrastano a Vado Sabazia,
chiamati alpigiani marittimi da Seme-
ria. Il can. Dima ancora è incerto sul r.°
introduttore del cristianesimo in Venti-
miglia, se lo fu da da s. Barnaba apo-
stolo, come la tradizione di questa chie-
sa accenna, o da s. Nazario, ovvero da s.
Calimero vescovo di Milano; è però cer-
to che tale tradizione attribuisce a s. Bar*
tiaba la predicazioue nella Liguria, uni-
ta a quella di tante altre chiese cospicue
e ragguardevoli, e la tiene per assai ve-
nerabile. Riconosce le dispute tra gli eru-
diti, mancandosi di documenti e di noti-
zie, suIi.°vescovo di Ventimiglia, quin-
di non potersene fissare l'esistenza prima
del 680, auno in cui trovasi al concilio
celebrato in Pioma da Papa s. Agatone,
il suddetto Giovanni vescovo Attintimi'
liensis. Stringe il suo dire il can. Bima,
sebbene epoca certa non s\\ possa preci-
sare prima del 680 , tuttavia riporta il
nomede'segueutiricavati da un antichis-
simo mss., avendogli somministrato noti-
zie e documenti sui pastori di questa chie-
sa, il can. Domenico Navone d'Albenga,
ed il can. teologo Taglietti pro-vicario
generale di Ventimiglia. Cleto dell'anno
7 5 si crede il i.° vescovo e discepolo di
s. Barnaba, qui lasciato a pastore avanti
di partire per Milano. Nel 137 R.udrigo
I; nel 189 Frodonico; nel 241 Fabiano,
si legge in una lettera del Papa omoni-
mo fiorito in tale epoca; Eilegio o Eu-
lolio, si dice aver nel 292 soccorso s. Caio
Papa; nel 352 Eutiche ; al vescovo Dio-
nisio nel 396 scrisse Papa s. Silicio; nel
43o Felice; nel 4^o Lattanzio, e inter-
venne nel 4^ * al concilio di Calcedouia;
nel 577Menigio, consagrò ne'confini d'A-
Ìti una cappella a' ss. Apostoli; nel 593
ludrigo If; nel 5og Anastasio; nel 53i
rranco; nel 559 Mistrale; nel 5qi Mo-
ono; nel 62 3 Pastore. Nel 65o Giovan-
VEN ,99
ni I si crede quello stesso che assistè al
ricordato concilio romano, altri però pre-
tendono fosse un altro Giovanni: nel ca-
so affermativo sarebbe quel Giovanni da
cui principia l'CJghelli la serie, sottoscri-
vendosi a detto sinodo Joannes humilis
episcopus s. Ecclesiae T^inctiniiliensis in
liane suggestionem, quam prò apostoli-
ca nostra fide unanimiter construjcimus,
simili ter subscripsi. Anche Gioffredo at-
testa che intervenne al concilio Giovanni
di Ventimiglia, e che si sottoscrisse con
altri due vescovi dell' Alpi Ligustiche,
cioè Bono d'Albenga e Benedetto di Sa-
vona. L'Ughelli lasciò una lacuna di 5oo
anni, nella quale uno solo conobbe il suo
annotatore Coleti. Il mss. però comuni-
cato al Bima riempie tale spazio co'no-
mi di diversi pastori. Nel 687 Lucio, con-
sagrò nel 700 la piccola chiesa di s. Laz-
zaro fuori del borgo di Tenda, che visi-
tata dal can. Bima nel 1837 la trovò sen-
za tetto. Nel 704 Eustachio;nel 728 Eu-
genio; nel 7^7 Giocondo I; nel 789 A-
rnerio consagrò un altare in Noli della
pievania; nell'8o3 Langio; nell'83i Gio-
vanni U;nell'863 Giocondo Ii;nell'89[
Amatore; nel 905 Amato. Nel 937 Mil-
done o Mildo, che nel 9^0 si sottoscrisse
T'igintiniiliensis Episcopus, verso il 940
dice il Coleti, in un istromento d'Attorie
vescovo di Vercelli. Gioioso fu presente
in Roma alla coronazione fatta da Papa
Giovanni XII dell'imperatore Ottone I
a'i3 febbraio 962, insieme ad altri ve-
scovi di Lombardia e del loro metropo-
litano di Milano. Nel 976 Penteio legato
apostolico in Piemonte, forse quel vesco-
vo che il Semeria dice pure legato apo-
stolico nel Piemonte, il quale recatosi a
Susa coosagrò alcuni altari nella ristora-
ta chiesa monastica di Novalesa nel 900;
nella quale legazione, egli aggiunge, eb-
be da'detti monaci in dono il capo del
martire s. Secondo, e lo riportò (sic) nel-
la sua cattedrale ove d' allora in poi si
venerò solennemente. Il Semeria inoltre
rettifica le notizie del santo, diverso da
aoo VEN
quello venerato io Asti , quale uffizialc
«Iella legione Tebea , che patì glorioso
martirio propriamente non in Agatino,
oggi Martignac alle sorgenti del Roda-
no, ove altri colleglli furono martoriati,
ma nel castello di / ictiimulo, al presen-
te Salussola, denominazione confusa col-
la ligure Ventimiglia allora chiamata Al-
bum Intcmeliuni e Albìntemelium, per-
chè il castello venne appellato eziandio
fctimulum e Tctoniulumted ancora Vi-
co Victumuliarum o P'ictirniliarttm, nel-
la diocesi di Vercelli e ora di Biella. Da
Viclunudo le reliquie del corpo di s. Se-
condo furono portate nel non lontano mo-
nastero di Novalesa, e nel principio del
secolo X o anno 904 nella cattedrale di
Torino, quando i monaci di Novalesa 6Ì
rifugiarono in quella città per je corre-
rie de'saraceni devastatori del monaste-
ro, ritenendosi il capo che poi donarono
al detto legato vescovo di Ventimiglia.
Dunque s. Secondo non sostenne il mar-
tirio presso Ventimiglia coraescrisse l'U-
ghelli e ho riferito di sopra, e ripeterono
altri, come il Paganetti nelP Istoria del-
la Liguria. Nel 102 1 trovasi vescovo di
Ventimiglia Bartolomeo, che a'28 otto-
bre consagrò la chiesa di s. Lazzaro in
Tenda, o nel suburbio. Nelio4* Tom-
maso, cede poi nel 1064 un fondo al
monastero di Lerino, o meglio come leg-
go in Gioffredo , Rainaldo de* conti di
Ventimiglia co'figli donò a'monaci leri-
nesi un fondo del Carnolese nel monte
di s. Martino, e quanto avea acquistato
dal vescovo Tommaso nella valle Car-
nolese vicino a Mentone; e pare quel con-
te da cui tolse il nome il luogo di Peri-
naldo, Podium Rainaldi, nel marchesa-
to di Dolceacqua, le quali terre faceva-
no parte dell'attuale diocesi e dell'anti-
co contado di Ventimiglia. Nel 1 08 1 Mar-
tino, il quale poi nel 1092 cede a'mona-
ci di Lerino la chiesa di s. Maria del Pog-
gio di Saorgio, diocesi di Ventimiglia e
nel i09t dice Gioffredo, e ciò per aver
il vescovo appartenuto alla loro celebre
VEN
congregazione; indi nel r 109 gli dono la
chiesa dì s. Maria di Verga o de Fìrgii
nel distretto di Sospello, in presenza de*
cardinali Corrado e Conti, e di Giovano!
suddiacono, di passaggio per Ventimi-
glia, forse legati dì Pasquale li in I'Yan-
eia, Spagna e Inghilterra contro Enrico
V imperatore. Neil 120 sedeva Aleccio,
facendone memoria Papa Ondrio II. Nel
ii43 Cornelio, menzionato da un di-
ploma di Papa Eugenio IH de* 1 3 mag-
gior 146, per la lite co'suoi canonici so-
stenuta contro i monaci di s. Michele, a'
quali apparteneva il monastero colla
chiesa di tal nome, già tempio di^ Casto-
re e Polluce, accennata in principio di
quest'articolo. Stefano del r 1 7 5, anzi del
1 169 perchè trovo in Gioffredo che a*
23 marzo di tale anno pronunciò sen-
tenza arbitrale nel suo palazzo di Ven-
timiglia, per pacificare gli uomini di Ten-
da e di Saorgio discordi pe'confiui, pre-
senti i consoli della città; altrettanto poi
fece per pacificare gli stessi di Tenda coti
que' di Briga. Questo è il 2.0 vescovo co-
nosciuto dall'Ughelli, intervenuto al con-
cilio di Laterano III nel 1 1 79. Erano ve-
scovi, nel 1 2 1 o Guidone, e nel ( 22 [ Gu-
glielmo I. Nel 1232 vuole il Bima,enel
io34 TUghelli, Gioffredo e il Semeria,
Nicolò Larcari già canonico preposto di
s. Maria delle Vigne in Genova, famoso
pe'suoi demeriti. Eletto, secondo la disci-
plina allora in vigore, da una parte del
capitolo cattedrale, l'altra nominò F. de
Derivo, onde il podestà e consiglio della
città commisero la cura de' redditi tem-
porali a 3 uomini dabbene e ad un cano-
nico; e la controversia fu portata al me-
tropolita arcivescovo di Milano, che ri-
gettò l'elezione di Larcari come invali-
da. Egli allora si appellò a Papa Grego.
rio IX, il quale colla bolla Significala'
must dell'i 1 luglio, appresso l'Ughelli,
ne affidò la cognizione in uno all'ammi-
nistrazione della mensa al vescovo e pre-
postod'Albenga,ed all'abbate di Tigret-
to, onde pronunziarne sentenza. Ne rii
V E M
sultb, che il Papa approvò l'elezione di
Laicali, annullando la sentenza dell' ar-
civescovo di Milano. Ma poi accusato il
vescovo alla s. Sede d'essersi con simo-
nia intruso nel vescovato; di permettere
con pubblico scandalo, con denari l'im-
punità di qualsivoglia quantunque enor-
me delitto; contro le disposizioni de's. ca-
noni di lasciar contrarre matrimoni il-
legittimi e di sciogliere senza causa i le-
gittimamente contratti; di aggravare gli
ecclesiastici d'indebite estorsioni, esigen-
do da'medesimi le usure; di ammettere
a' sagri ordini persone irregolari senza
l'autorità delia s. Sede;edi assolvere dal-
le censure ad essa riservate; di proferire
proposizioni ereticali;edi celebrare quan-
tunque per più altri capi scomunicato,
per censure incorse manifestamente. So-
pra tante accuse, Gregorio IX delegò il
vescovo di Sabina e l'abbate di Tigliet-
to, ad assumere giuste e sicure informa-
zioni, le quali si trovarono verissime, e
perciò ne diedero avviso al Papa, ed al
vescovo perchè si giustificasse. Dopo un
anno e mezzo il vescovo Laicati non es-
sendosi discolpato, anzi fattosi reo di
maggiori delitti, il medesimo Papa colla
bolla Olim intelleximus, de'27 giugno
12/f! , diretta al vescovo di Nizza e ri-
portata dall' Uglielli, gli commise di so-
spenderlo da ogni uffizio pastorale, e d'in-
timargli che fra 3 mesi si presentasse ab
la s. Sede, dichiarando in caso di con-
travvenzione i di lui diocesani disobbli-
gati dal prestargli ubbidienza. Ma Gre-
gorio IX morendo poco dopo a'2 1 ago-
sto, ed il successore Celestiuo IV viven-
do appena 17 giorni, per le persecuzio-
ni dell' imperatore Federico II, vacò la
s. Sede 20 mesi ei7 giorni, finche a'24
giugno 1243 fu eletto Innocenzo IV già
vescovo d' Albenga. Per tutte queste vi-
cende , 1' indegno vescovo rimase tran-
quillo nel suo vescovato. Il nuovo Papa
genovese istruito pienamente di tutto, e
continuando il vescovo Larcari nella sua
mauiera di viverescaudjlosa,nò essendosi
VEN sor
presentato in Roma, ne discolpato del-
le gravissime accuse, colla bolla Ea quae
per Sedem, de' 18 marzoi244> indiriz-
zata al capitolo di Ventimiglia, e riferi-
ta dall' Uglielli, dichiarò deposto il ve-
scovo Nicolò Larcari, sciogliendo i cano-
nici da ogni ubbidienza. Con altra bolla
dello stesso giorno Assumpti quamvis ini*
merilis, parimenti riprodotta dall' Ughel-
li, notificò al medesimo capitolo di aver
eletto a loro pastore fr. Giacomo I, e non
Angelo come scrive Gioffredo, domeni-
cano di Castel Àrquato diocesi di Pia-
cenza. Indi Innocenzo IV al nuovo pa-
store scrisse la lettera Ut Ecclesia Vi»
ginliniiliensi, presso l'Ughelli, per impar-
tirgli la facoltà di prosciogliere dalle cen-
sure ecclesiastiche i chierici promossi a-
gli ordini sagri dal sospeso e scomunica-
to predecessore. Nel seguente anno aven-
do il capitolo formato i suoi nuovi sta-
tuti, e per le ristrette rendite soppressa
la dignità dell'arcidiacono, limitando il
numero de' capitolari a soli 7 canouici,
compreso il preposto, Innocenzo IV gli
approvò colla bolla Cunctìs pctentium,
de'2 gennaio 1246, diretta al preposto e
capitolo, che si legge nell' Uglielli. Però
poco dopo la dignità arcidiaconale fu ri-
stabilita, ed il deposto vescovo Larcari,
pentenilosi del suo riprovevole operato,
umilmente implorando perdonodal Pa-
pa, ottenne l'assoluzione dalle censure, e
per clemenza singolare il risarcimentodel-
la sua fama, riabilitato a conseguire be-
nefizi ecclesiastici, all'esercizio del sacer-
dozio , non alla dignità episcopale; me-
diante la bolla che gli diresse, Nicolao
quondam Vigintiiniliensi Episcopo - Qui
delinque ules, de' 1 3 luglio 1 246, riporta-
ta dall'Ugnelli. Nel 12Ì1 divenne vesco-
vo Azone Visconti, per morte dell'ante-
cessore, il quale non essendo stato con-
sagrato, il Papa colla lettera Electo Vi-
gintimiliensi - Personam Inani , de' 17
gennaio, presso l'Ughelli, lo facoltizzòad
usare anello e mitra, e di dare al popolo
la soleune benedizione. Nel 1262 fu ve-
»oa V E N
scovo Norganilo. Neh 265 Giovanni IH
di Alzate. Nel medesimo anno, o nel 1 266
come registra il can. Dima, Oberto o li-
berto Visconti, in grazia del fratello ar-
civescovo di Milano Ottone. Nel 1270
Giacomo 11 Gorgouio di Piacenza. Indi
nel 1282 Guglielmo lì, ma Gioffredo ne
anticipa il vescovato, poiché diceche nel
1276 è nominato nell'aggiustamento per
la chiesa di s. Nicolò di Sospello, fatto
all'abbate di s. Ponzio di Nizza. AI suo
tempo e nel 1285 il capitolo generale
dell'ordina di s. Antonio di Vienna am-
mise i cittadini di Venlimiglia alla par-
tecipazione dell'opere buone del medesi-
mo, iu ossequio alla ventimigliese madre
di s. Antonio abbate. Particolare divo-
zione ebbero a tal santo non solo i citta-
dini, ma i cotiti di Venlimiglia, i quali
digiunavano la vigilia di sua festa e im-
posero spesso il suo nome appropri figli.
Alle di lui reliquie, che si venerano in
Vienna del Delfinato, quasi lutti i conti
di Venlimiglia fecero frequenti pellegri-
naggi. La città d'Arles si gloria di vene-
rare la lesta di sì gran santo, e dice Giof-
fredo, che in memoria della di lui madre
si dava la prelazione a'cittadini di Ven-
timiglia, se trovavansi in quella città, di
portare le aste del baldacchino , nel so-
lennizzarsi la sua festa con processione.
]1 vescovo Guglielmo II nel 1287 inter-
venne al sinodo provinciale di Milano, e
mori nel I2g3. In questo Giovanni IV,
che terminò di vivere nel i3o4. Nello stes-
so, eletto dal capitolo e confermato da Be-
nedetto XI 2 kal. februarii, Ottone I de*
conti di Ventimiglia, secondogenito del
conte Guglielmo Pietro e dell' infanta
Eudossia (dal Gregora e altri chiamata
Irene) Lascaris di Grecia , già canonico
della cattedrale; mandò il suo procura-
tore al sinodo provinciale adunato nel
1 3 1 1 dall'arcivescovo di Milano in Ber-
gamo, e morì neh 3 19. Questo vescovo
fu l'ultimo eletto da'canonici della cat-
tedrale, ed i suoi successoli vennero im-
mediatamente promossi da'Papi. Infatti
VEN
avendo il capitolo eletto Giacomo III
Missino o di Massimino della diocesi d'Ai •
ha, Giovanni XKU cheavea riservalo a
se e successori anche l'elezioni de' vesco-
vi della provincia ecclesiastica di Mila-
no, onde provvedere alle dissensioni che
vi nascevano, ne disapprovò l'elezione.
Tultavia I' intruso esercitò la dignità un
anno. Il Papa con leltera de'26 novem-
bre i320, 01 32 1 secondo Gioffredo che
la riporta, nominò fr. Raimondo france-
scano penitenziere apostolico, neh 328 a'
G settembre traslato a Veuza o Vence e
poi a Nizza. Nello stesso giorno Giovan -
ni XXII gli sostituì fr. Pietro I Marcel-
lo genovese domenicano, morto nel gen»
naio i345. A'3i di tal mese fr. Bonifa-
cio canonico regolare del monastero di
Crueys nella diocesi di Sistemo , morto
di peste nel i348. A' 16 novembre, se-
condo il Bima, o a'2 1 dicernbrei348 al
dire di GiolTiedo, Angelo arcidiacono di
Reggio, suddito come il precedente del-
la regina Giovanna I, sotto di cui si con-
tinuava il dominio di Venlimiglia e suo
contado, che perciò la medesima in tale
anno vi deputò giudice Simone Girona
celebre giureconsulto nizzardo, neh 35 o
trasferito a Tricarico e nel 1 364 a Pa ~
Irasso. A'22 novembrei 35o fr. Pietro li
Gesione o Giso o Pino domenicano, tra-
slato alla sede arcivescovile di Brindisine!
1 3 52. In questo,o nel 1 354 al riferir* d'U-
ghelli,RustiriooR.uslico, morto neh 362.
Già gli era successo Ruffino a'2 giugno,
e neh 369 intervenne alla pace conclusa
a Terrizzo, territorio di Saorgio, tramon-
ti di Ventimiglia e altre persone qualifì -
cale, cogli uffizioli di Giovanna I pel vas-
sallaggio a lei dovuto. Nel 1370 Giaco-
mo IV Fieschi de' conti di Lavagna, nel
1 382 arcivescovo della patria Genova. Il
Dima noi conobbe, ed invece riporta nel
1375 Giambattista, e nel 1379 '' Pseu"
do Bertrando eletto dall'antipapa Cle-
mente VII, che l'Ughelli dice nominato
neh38o; nel qual anno il Bima registra
Roberto, che governò pochi mesi , altro
VEN
intruso. Tale fu pure Pietro III dal Di-
ma segnato al i38i, e dall'Uglielli nel
i 3qo, trasferito nel 1409 da Alessandro
V a Famagosta, dice Gioffredo e Io qua-
lifica fr.; anzi neli3go nomina fi*. Gio-
vanni Abraardi che trovossiall'adunauza
degli stati d'Aix. In que'lempi turbolen-
ti pel grau scisma d'occidente sostenuto
dagli antipapi d'Avignone, la serie de've-
scoviè alterala. Imperocché, il Dima suc-
cessivamente notati 382 Benedetto IBoc-
canegra, eletto da Papa Urbano VI, nel
i4oo morto; 1 4o 1 Tommaso II Degna,
Écismaticoiulruso, nel 4 4^3 morto; i4o3
Benedetto II;i4o8 Pietro IV de Marin-
Iiaco;i4»o Benedetto III Bottamgia, as-
siatelte al concilio di Pisa , ma esso era
stato celebrato nel precedenteanno; 1 4 1 5
Bartolomeo II morto nel i4'7« L'Ughel-
li riferisce: Benedetto del 1407 tesoriere
di s. Chiesa sotto Papa Innocenzo VII,
nel i4°9 fu a' concilio Pisano; Bartolo-
meo morto nel 1 4 1 7- Gioffredo parla de*
seguenti! Benedetto Boccanegradeli4°3
ebbe a vicario generale il benedettinoBar-
tolomeo di Coniglia, ed al suo tempo le
Alpi marittime ricevettero le benedizio-
ni divine, per le continuate predicazioni
di s. Vinceuzo Ferreri domenicano; se-
guiva l'antipapa Benedetto XIII, e si re*
co ad ossequiarlo a Nizza nel i4o6, e pa-
re anche quando diversi popoli si sottrae-
vano dall'ubbidienza del falso Benedet-
to XIII, perchè que'di Sospelloa'3i ot-
tobre^* 1 ottennero da lui di non esser
molestali, per tutto il tempo che dura-
va l'incertezza del vero Papa, e di quan-
to avessero fatto. Bartolomeo morto nel
i4i8. In tanta confusione di legittimi e
di pseudi pastori, sembra la successione
de'primi doversi riconoscere ne'soli Fie-
scbi e Boccanegra. Terminato lo scisma
aetl4E7 coll'elezione di Martino V, que-
sti elesse nell'aprile 14*801419 Tomma-
so 1 1 1 Piivato oRiccato de'Berengari d'A-
melia, canonico di s. Paolo di Liegi e u-
ditore di Rota, morto in Roma a'27 gen-
naio 1422 e sepolto uella basilica Libe-
VEN ao3
liana, con epitaffio esibito da Ughelli e
Gioffredo. A' 1 8 febbraio gli successe Ot-
tobono Belloni, notando Giolfredo aver-
lo fatto vivere sino al 1 45>2, sebbene Gia-
cinto Cambi, nell' Istoria dell'ordine dì
s. Domenico, sotto l'anno 1426 annove-
ra per vescovo di Ventimiglia fi». Giaco-
mo Piacentino domenicano, e quantun-
que egli trova mentovato Ottobono in
una scrittura deli 435, in cui sono pure
nominati Giuliano de Giudici preposto
della cattedrale e suo vicario generale, e
d. Giorgio de'conti di Ventimiglia bene-
dettino priore di s. Michele della stessa
città. Riporta poi Ollone II, non cono-
sciuto da Ughelli e da Bima, come pro-
vasi da certe lettere date in Ventimiglia
n'5 marzo i445, nelle quali fa meuzione
del palazzo vescovile di Sospello luogo
principale di sua diocesi. Nel 14^2 Gia-
como V Feo di Savona o milanese, chie-
rico di camera, dotto e di sommi meri-
ti, Io dice il Samaria, per le commissio-
ni apostoliche affidategli da Papa Pio II,
in Perugia a riscuotere le decime eccle-
siastiche, ordinate perle spese del la guer-
ra contro i turchi, e dovette percorrere
anche tutta la Romagna, usando pruden-
za per non rendersi odioso, ed energia per
non mancare all'ufficio impostogli. Nel
suo testamento del 1467 legò la sua bi-
blioteca al monastero della basilica di s.
Paolo di Roma. L'Ughelli disse, che nel
i463 per la s. Sedefracnaviù Unibriam.
Morì nel 1468, e fiori a suo tempo fr.
Francesco di Ventimiglia insigne teolo-
go francescano. Nell'istesso anno Stefano
li de Robii, al cui tempo Ottobono O-
rengo giudice di Pigna, fondò in Venti-
miglia il convento de'minori osservanti;
traslato dopo un anno ad altra sede: l'i-
gnorarono Ughelli e Gioffredo. Nel 1469
fr. Gio. Battista de Giudici di Finale do-
menicano, virtuoso e dottissimo, massi-
me in teologia. Tutto il tempo che gli
rimaneva sìdalle religiose osservanze che
dalle cure vescovili, iudefesso 1' applica-
va allo studio, perciò scrisse opere loda-
2o4 VER
tissime, come i commentali soprai quat-
tro Evangeli, un dialogo sui discepoli
andati in Emmaus, un commentario sui
4 libri delle Sentenze, ed un bellissimo
li ialogo de contvmplu mundi, impresso
nel 1 49^ in Venezia. Usò vigilanza con-
tro certi eretici introdottisi in Sospello e
altri luoghi della diocesi, de'quali alcu-
ni furono fatti abbruciare da Claudio Bo-
nardi vice-governatore. Fece Y orazione
funebre a Roberto Malatesta signore di
lumini, al solenne funerale che alla sua
presenza gli fece celebrare Sisto IV, nel-
la basilica Vaticana a'25settembre 1482.
Sisto IV nel i 483 lo trasferì all'arcive-
scovato d'A malfide nel i484aquellodiPa-
trasso, morto in tale anno in Roma e se-
polto in s. Maria sopra Minerva, con iscri-
zione postagli dall'amico cardinal della
Rovere, poi Giulio II, riportata dall' U-
ghelli, da GiofFredo e dal Semeria, sen-
za farsi menzione dell'arcivescovato d'A-
malfi. Dice il Bima, nel i483 fu vescovo
Guglielmo III, già arcivescovo d'Amalfi,
che morto dopo 3 mesi, la sede passò di
nuovo sotto 1' amministrazione del pre-
decessore, e col titolo di Patrasso aggiun-
ge l'Ughelli. Pare che ciò sospetti anche
GiofFiedo,ammettendoGuglieImoW,ma
ne esclude Gio. Battista Lascarisde'conti
di Ventimiglia, voluto da mg.r Chiesa e
quel ch'è peggio nel 1 4^74- L'Ughelli nel-
la serie degli a rei vescovi d'Amalfi non ri-
porta Guglielmo, e quanto al de Giudici
tlisseche per pochi mesi tennel'arcivesco-
vato, coque dimìsso ad prima m sponsam
rediit. Nel 1484 Sisto IV (che morì a' 1 3
agosto) fece vescovo Antoniotto Palla-
vicino(y.) genovese, poi cardinale: Giof-
(redo ritarda il vescovato al i485, e che
loera uuovamenle,quan<lo morì nel 1 507
iu Roma, ma non pare. Nel i486 Solcet-
to Fieschi, riportato dal solo Bima, mor-
to nelli487. In questo Alessandro Fre-
goso figlio del cardinal Paolo arcivesco-
vo e doge di Genova, dicendo GiofFredo
avvezzi l'uno e l'altro piuttosto a maneg-
giare la spada, che il pastorale, e più a
VEN
reggere la celata, che a portare la mitra
in capo; fu pure vicario generale di Cri-
stoforo de Latuo vescovo di Glandeve,
assente dalla diocesi. Avendo tramato di
uccidere il governatore di Genova pel re
di Francia, e di fare insorgere il popolo,
scoperta la congiura fuggì. Inseguito e
preso, fu mandato prigione a Milano. Per
sua dimissione nel i5oi, da Noli vi fu tra-
slato nel i5o2 Domenico Vaccari o Va-
cillerò di Sospello. Nel 1 5i 1 Alessandro
Fregoso nuovamente, senza essersi mi-
gliorato, perchè ottenne la sede con bro-
glio, e poi si die' alle armi rinunziando-
la di nuovo. Neli5i8 cardinale Innocen-
eo Cibo (F.) amministratore. Nel 1 5 19
Filippo de Mari genovese, e sembra an-
che amministratore di Nizza. Fu pure
nel 1 544 sufFraganeo e luogotenente del
cardinale nella chiesa di Torino, ove ri-
siedeva. Nondimeno si rese benemerito
della sua diocesi, con rimuoverne i di-
sordini introdotti per la condotta del suo
indegno predecessore; compose le discor-
die ch'erano fra Ventimiglia e di verse co-
muni del contado; lasciando certe me-
morie di sua dottrina e pastorali virtù.
Dovendo stare a Torino, nel dettoi544
ne fece rinunzia al nipote Gio. Battista
III de Mari, morto nel 1 56 1. In questo
Carlo Visconti (V.) milanese, che inter-
venne al concilio di Trento, ove fece co-
noscere la sua molta dottrina e la rara
sua prudenza. Da'cardinali presidenti del
concilio fu mandato a Roma adattare
con Pio IV di gravi questioni, e nella ses-
sione 11. a recitò «m'applaudita orazione.
Le sue virtù gli meritarono il cardinala-
to ne\i565, ed a'6 luglio l'amministra-
zione di Monte Feltro: morì in R.oma a'
i3 novembre dell'istesso anno. Nello stes-
so 6 luglioPio I V da Anagni trasferì a que-
sta chiesa il cardinal Benedetto IV Lo-
tnellino (V.), ed a'7 settembre lo trafit-
to a Luni eSarzana. Agli 8 dicembre 1 565
vi passò da Savona, e già era stato con e-
stimazione di tutti al concilio di Trento,
Carlo li Grimaldi Cebà genovese. A suo
V E W
tempo, narra GiofFredo, introdottesi per-
niciose eresie nella diocesi, massime in
Sospello, Tenda e in altri luoghi, ener-
gicamente vi provvide : nel 1672 fu tras»
Jato ad Albenga. k'i gennaio i5y3 gli
successe FrancescoGalbiati diPonlremo-
Ji, che nel 1576 intervenne al 4*° conci-
lio provinciale di Milano, adunato da s.
Carlo Borromeo, morto nella gran pe-
stilenza che afflisse la Provenza e molti
luoghi del contado di Nizza nel i58o, di-
ce GiofFredo,eneli58i Bima. A*2i mag-
gio Giulio Cesare Ricordi o Ricordato,
morto nel 1602. A' 1 5 aprile Clemente
Vili elesse e poi consagrò Stefano IH
Spinola genovese,lodalo pastore visitò la
diocesi, e nel 1608 celebrò il sinodo, mo-
rendo nel 161 3. In questo, secondo Bima,
o neh6i4 al dire d'Ughelli € di Seme-
ria, Girolamo Curio di Taggia, già udi-
tore di mg.r Costa nunzio di Torino, e
per sua morte uel 161 3 internunzio ef-
fettivo, con aggradimento universale del-
la corte. Poco dopo Paolo V lo destinò
visitatore e commissario apostolico di
tutto il regno di Corsica, con pieno con-
senso della repubblica di Genova. Era-
no insorti in quell'isola forti tumulti po-
polari control vescovi del reame, per lo
più genovesi, e contro i governatori e gius-
dicenti, che vi mandava la repubblica,
riuscì al Curio colle dolci sue maniere di
sedare i tumulti, e di ridurre i ribelli al-
l'ubbidienza. Mentre stava aspettando da
Roma e dalla repubblica gli ordini pel
suo ritorno, occnpavasi con diligente e
giudiziosa sollecitudine della riforma del
clero e del popolo; già avea ricevuto dal
cardinal Borghese nipote del Papa lette-
re di sua prossima promozione, quando
assalito da dolori di visceri, e non senza
sospetto di veleno, se ne mori in Bastia a'
1 3 novembre 1 6 1 6. 1 di lui precordi, per
sua disposizione,furono deposti nella chie-
sa de'gesuiti, e il di lui cadavere trospor-
tatoa Taggia sua patria d'ordine del fra-
tello Giovanni, fu sepolto in un marmo-
reo monumento nella chiesa di s. Dome-
V E N 2o5
nico, con busto in marmo, e con prolis-
sa e splendida iscrizione, riportata dal-
l'ab. Semeria. A'3o gennaioi6i7 Nico-
lò li Spinola genovese, teatino insigne,
dotto nella teologia, morto nel 162 2. In
questo Gio. Francesco Gandolfodi Por-
to Maurizio, abbreviatole del parco mag-
giore e lodato dal Ciampini. Per la sua
grande prudenza e rare doli , divenuto
molto caro alla casa di Savoia, quantun-
que di patria slraniero,a' 1 o gennaio 1 633
fu traslato ad Alba, ed a contemplazio-
ne di lui e del patito da'fratelli nella guer-
ra con Genova, il duca di Savoia confe-
rì a 'suoi il contado di Riccardone e Me-
lazzo. Imperocché il prelato essendosi in-
terposto col principe del Piemonte, per
impedire il saccheggio di Ventimigliaja
repubblica reputandolo partigiano di Sa-
voia, ne fece imprigionare i fratelli; co-
nosciutasi poi l'innocenza del vescovo, la
repubblica si servì del prelato per con-
cludere tregua con Carlo Emanuele I,e
fece annoverare alla nobiltà di Genova
i Gandolfì; ed il duca di Savoia gli ono-
rò con detta contea, mentre il suo figlio
Vittorio Amedeo 1 ottenne che il vesco-
vo fosse promosso ad un vescovato de'
suoi stati. JNel 1 633 Lorenzo Gavolli di
Savona, già prepositode'leatini dis. An-
drea della Valle di Roma, rinunziò poi
nel 1 654 Per varie differenze avute nella
diocesi, indi fallo canonico Liberiano. A'
22 agosto gli successe Mauro Promonto-
rio genovese, monaco cassinese, morto lo-
dato a'4 gennaio i685. A* io settembre
Gio. Girolamo Naselli nobile di Savona
e preposto di quella cattedrale, introdus-
se in Venlimiglia resistenti canoniches-
se, contribuendovi generosamente la fa-
miglia Orengo. Traslato a Luni e Sarta-
na a'7 febbraio 169D, a'2 maggio gli fu
surrogalo Gio. Slelano Pastore di Geno-
va, in patria vicario generale, giudice si-
nodale e consultore del s. OfTìzio, morto
in Fano riOmiiliiseu s. Remigli, ossia s.
Remo,a'2g maggio 1700, e sepolto nella
collegiata di s. Suo. Nel 1 70 1 Ambrogio
aoG YEN
Spinola nobile genovese, dopo avere e-
sercitalo le primarie cariche nella sua con-
gregazione de'barnabiti, traslato a Limi
e Sarzana a* i o marzo r 7 1 o. Con esso le
Notizie di Roma cominciano a registra-
re i vescovi di Ventimiglia, ma l'ultima
data erroneamente la riferiscono per pro-
mozione a questo vescovato.
A* 7 aprile di detto anno Carlo Maria
Mascardi nobile sarzanese ( nel voi. LI,
p. 1 5 r, nel riferire le gravi differenze fra
la s. Sede e Vittorio Amedeo 11, col No-
vaes, Storia di Clemente Xt > t. 12, p.
27, chiamai questo vescovo Carlo Ru-
bioli: riscontrato il breve, è nominalo Car-
lo Maria, dunque è lo stesso che il Ma-
scardi),dopo aver egregiamente esaurito
varie prepositure nella sua congregazio-
ne di s. Paolo de' barnabiti , morto nel
1 73 1. Indi nel xn^i Antonio Maria Ba-
cigalnpi genovese, della congregazione
della Madre di Dio: mentre voleva ridur-
re l'episcopio a seminario , e disponeva
altra migliore residenza vescovile, termi-
nò di vivere a' 1 5 luglio 1740. A' ca-
prile del seguente vi fu traslato da Sago-
na d. Pietro Maria Giustiniani genovese,
nato a Scio, benemerito e iodatissimo pa-
store. Però alquanto aspro, si disgustò col
principe di Monaco, il cui principato es-
sendo nella diocesi di Ventimiglia, do-
mandò alla s. Sade di separarlo dalla dio-
cesi, ed invece ottenne un vicario genera-
le residente in Monaco, esente del tutto
do Ila vescovile giurisdizione. I canonici ne
restarono molto disgustati, in unoa'nohi-
li della città, i quali nella più parte atlii-
buivano al vescovo tal separazione.— Del
principato di Monaco, situato in questa
stessa provincia di Nizza, riparlai, per le
ultime vicende principalmente, nel voi.
LXI, p. i43, e del ducato di Valentinois
donato al principe di Mouaco a Vaiejv-
ea di Francia nel descriverlo; quindi
è opportuno che io qui riproduca il ri-
ferilo dal corrispondente della Civil-
tà Cattolica de' ig giugno i858. « La
vertenza del Piemonte col principe di
V EN
Monaco, da quanto pare, è presso nd a<
vere un qualche scioglimento, essendosi
recalo perciò a Parigi il conte Pallieri ,
come rappresentante del governo sardo,
per entrare in negoziati sopra questo ar-
gomento. Non sarà inutile ch'io ricordi
a' vostri lettori lo stato della questione.
Nel 1848 Menloue e Roccabruna si ri-
bellarono al loro principe e si diedero al
Piemonte, che in forza detrattati, ha di-
ritto di protezione sopra il principato. Il
governo piemontese nel 1849 propose al
parlamento un disegno di legge per in-
corporareallo stato i due comuni di Meo-
Ione e di Roccabruna. Questo disegno
vinse il partito nella camera de'deputati;
ma presentato in senato, la diploma/.ia
si oppose alla sua discussione, e non se
ne parlò più. Da quel punto la lite passò
dal campo parlamentare al campo diplo-
matico, e nel i85o il nostro governo sar-
do faceva pubblicare una Me moire Jii-
storiquesitr Monaco, Mentoli etRocque-
brune, redige di apres Ics documenta
origìnaux, existants à Turiti dans Ics
arc/iivcs du Royaume. Autore di questa
scrittura era il sig.r Leone Menabrea, il
quale sostenne che sin dal 1 448 Giovan-
ni Grimaldi donò mezzo Mentone e tut-
ta Roccabruna a Luigi duca di Savoia;
e nel 1 477 ■ duchi di Savoia acquistaro-
no allo stesso titolo cinque sesti dell'al-
tra metà di Mentone eRoccabruna, laon-
de resterebbe in questione oggidì un solo
dodicesimo di Mentone. Pare però che il
ministero non riputasse abbastanza di-
fesa la sua causa davanti la diplomazia,
giacche nel 1837 die' incarico al prof.
Melegari di scrivere un'altra operetta ,
per sostenere sottosopra la tesi del Me-
nabrea. Ora che il processo si giudica
suilicieutemente istrutto, si sta maturan-
do la senteuza. Si disse che il principe di
Monaco sarebbe disposto a cedere Men-
tone e Roccabruna mediante un milione
in denaro, eduna rendita annua di fran-
chi 5o,ooo; ma un giornale di Mona-
co smeulisce la notizia e dichiara che il
VE&
principe non vuole sapere di aggiusta-
mento, ed esige 1' integrità del suo prin-
cipato ". Di recente il principe Carlo III
seguante, nel voler conservare tale inte-
grità pubblicò la seguente protesta, alla
quale, devo premettere, che die'motivo il
gran parlare, i clamori, le apprensioni
del mondo politico, dal settembre i858
in poi, per la cessione temporanea diVilla-
franca per if\. anni a pigione, come si vuo-
le, fatta dal governo sardo alla Russia ,
ossia apparisce concessa ad una compa-
gnia mercantile russa di navigazione a
vapore, per farvi un deposito di viveri e
di combustibili, le cui navi vanno diretta-
mente da Odessa al Mediterraneo. Spiegò
V Invalido Russo , consistere la cessione
in un pezzo di terra sulla spiaggia orien-
tale della baia di Villafranca, per stabi-
lirvi deposili e officine. Bensì un'articolo
ne' regolamenti della compagnia ricono-
sce il diritto delle navi russe da guerra
d'entrare ne'porti, dove la compagnia a-
vesse stabilimento di questo genere, per
quelle riparazioni che loro occorressero.
Molti peròcredono che diverrà una stazio-
ne militare russa nel porlo di Villafìan-
ca, insieme ad uno stabilimento mercan-
tile russo. E nella vicina Nizza a'i4 di-
cembre i858 fu stabilita e inaugurala
una chiesa greco-russa, nel quartiere di
Longs-Camps, e lo imparo della Civiltà
Catto licci, serie 4-a> t.i,o quaderno 212
a p.234, ove tra le altre leggo le seguen-
ti gravi e significanti parole. » Nizza é
una vera Babele, dove si parlano tutte
le lingue, e a poco a poco s'introdurran-
no tutti i culti . . . .Mentre i russi fabbri-
cano nuove chiese in Piemonte, i poveri
cattolici perdono in Polonia le loro, che
sono date al culto scismatico ". 11 Gior-
nale di Roma de' 3 dicembre i858
riferisce il seguente sunto della dichiara-
zione del principe di Monaco Carlo III, di
cui il Constilutionnel garantisce l'auten-
ticità. « Non è la prima volta che si spar-
ge ne' giornali la voce della cessione del
principato di Monaco ad una qualche pò-
VÈN 207
tenza, ora al Piemonte, ora all'Inghilter-
ra, ora agli Stati Uniti d'America. Non è a
meravigliarsi che nelle circostanze pre-
senti, allorquando l'attenzione dell' Eu-
ropa è attirata su questa parte del Me-
diterraneo, da un lato, la vicinanza di
Villafranca, la natura e lo scopo suppo-
sto degli stabilimenti che vuol fondarvi
la Russia; dall' altro, la posizione tanto
notevole della città di Monaco come po-
sto d'osservazione, l'importanza della sua
fortezza, l'estensione delle baie che domi-
na e la sicurezza del suo porto, abbiano
provocato in vari fogli francesi il ripe-
tersi di queste voci di cessione dando lo-
ro qualche apparente valore. Noi coglia-
mo questa occasione per dire tutto quan-
to il nostro pensiero a questo riguardo.
Non ignoriamo che in questi ultimi tem-
pi lepiù splendide proposizioni, a venti per
iscopo l'acquisto del principato , furono
fatte al suo sovrano; ma i nobili senti-
menti del principe Carlo III attualmente
regnante, la sua lunga resistenza come
quella del suo augusto predeces>ore al-
l' abbandono di due delle sue città in fa-
vore d'uno stato vicino, non permettono
punto di ammettere possa essere più ve-
ro che la questione della cessione sia
stata seriamente trattata , di quello che
sia esatto l'asserire il fallo di vendite an-
teriori totali o parziali contro denari
sonanti. Il principato di Monaco conser-
va nobilmente un attaccamento irremo-
vibile all'antica nobiltà della sua origi-
ne. Costituito, or son più di nove secoli ,
dall' imperatore in sovranità libera da
ogni sottomissione o tributo, esso visse
indipendente in mezzo a convulsioni di
ogni genere, governato senza interruzio-
ne dall'antica dinastia de' Grimaldi. Il
protettorato sempre leale della Francia
l'aiutò, durante vari secoli , a difendere
i suoi diritti, e la rimembranza di questo
passato si associa troppo bene nel prin-
cipe attuale al sentimento della propria
dignità, perchè possa avere il pensiero di
allontanarsi, per un iuleresse personale,
2o8 V E N
dalla linea di condotta eli' egli si è trac-
ciato. Aggiungiamo che le istituzioni, di
cui il principe dotò il paese, sono quello
della Francia; ciò dice abbastanza, che,
oltre i suoi sentimenti d'alfetto perii so-
prano, il principato gli deve delle idee di
saggia liberili, d'ordine e di progresso,che
mettono in salvo la sua debolezza e riget-
tano ben lungi ogni desiderio d' un'an-
nessione a non importa quale (forse do-
vrà dire, e non importa dire a quale )
potenza estera. La posizione anormale
delle città di Mentoue e Roccabruna ,
generalmente dimenticata dalla dq»loma*
zia europea, e che l'opinione pubblica si
meraviglia non pertanto di vedersi prò*
lungare indefiuitivamente, diede a que-
sta voce di cessione uu alimento indiret-
to chebasta a mantenerlo. Speriamo che
le grandi potenze, le quali hanno potuto
metter io salvo l'indipendenza del Mon-
tenegro, regoleranno altresì in un pros-
simo avveuire una questione non meuo
degna d'interesse dal punto di vista dei
trattati e del rispetto alle nazionalità".
— Tornando al vescovo Giustiniani, ze-
Jaute della disciplina del clero, e del de-
coro della casa di Dio, restaurò la catte-
drale. Cede l'antico episcopio a favore
del seminario, che dotò; fabbricando, cou
l'acquisto di varie case, il nuovo palazzo
vescovile. Tenne il suo sinodo, e lasciò in
testamento a'vescovi successori scudi 200
annui, coli'obbligo di visitare a loro spe-
se, senza alcun aggravio altrui, la diocesi
ogni due anni; e dovei vescovi non fos-
sero in caso di godere del legato, ordinò
che detta rendita sia impiegata nel dota-
re povere zitelle diocesane. Abitava or-
dinariamente a Bordighera, e morì a* 5
ottobre 1^65. Gii successe nello slesso
anno Nicolò Pasquale de Franchi , ma
non fu consagrato per insorte questioni
fra la s. Sede e la repubblica di Genova,
come riferisce il Bima, uon registrato dal-
le Notizie diRoma, forse perchè fu sem-
plice nomina. A'20 settembre 1767 Cle-
mente XIII preconizzò d. Angelo Luigi
V EJN
Giovo cassmese , che ristabilì la buona
armonia alterata dal carattere igneo del
d'altronde ottimo predecessore, e si pro-
cacciò il favore del principe di Monaco,
laonde bentosto ricuperò interamente la
giurisdizione episcopale di quel principa-
to, morendo a' 16 aprile 1774* A* 12, o
i3 marzo 1775 fr. Domenico M.a Cla va-
nni domenicano genovese, di cui lunga-
mente parla il Semeria. Nel suo istituto
erasi distinto per esattissima osservanza
religiosa e per somma dolliina,ed accet-
tò il vescovato ripugnante per ubbidien-
za. Consultò di presenza s. Alfonso M.a de
Liguori intorno alla condotta pastorale,
e si propose di eseguire gli ottimi avvisi
che ne avea ricevuto e gli esempi che a-
vea veduto. Cominciò il suo governo eol-
Pevangelica predicazione, col fervido suo
zelo, collo studio di formare buoni pasto-
ri, di migliorare i viziosi, e col costante
esercizio di tutte l'episcopali virtù. Cou
estremo dolore trovò la fabbrica del se-
minario così mal concia, che neppur 4
chierici poteva alloggiare; pareva un ca-
sone svaligiato da'soldali. Primamente ri-
storò e ingrandì l'edificio, e sin dal 1 .°an-
uo potè collocarvi 7 seminaristi. Affida-
to alla provvidenza, continuò i lavori, e
nel novembre 1777 la fabbrica già era ca-
pace accogliere 3o chierici, oltre ad un nu-
mero proporzionato d'ordinandi pe'spi-
riluali esercizi. Perquesta nuova costru-
zione, oltre alle oblazioni de' beneficiali
e de' benefattori , vi spese del proprio
1 1,000 lire, somma rilevante per un ve-
scovo che avea pochissimo dalla mensa, la
quale è tuttora scarsissima. Cercò buoni
maestri, ed ollimo lettole di teologia era
egli stesso: compose i suoi giovaui alla
modestia e alla virtù , onde fornire di
buoni sacerdoti le parrocchie. Ma il ze-
lantissimo pastore ebbe a tollerare cri-
tiche e amare contraddizioni , massime
da que'che dovevano più di tutti secon-
dare le sue cure apostoliche; e queste a-
m a rezze di più 1' angosciarono estrema-
mente pochi mesi prima di morire. Scop-
VEN
piata in Genova nel 1797 la rivoluzione,
piantato l'albero della libertà, gli spiriti
immorali e irreligiosi applaudicela per
tutto meuavano trionfo di tutti gli one-
sti, e singolarmente sopra i virtuosi pa-
stori, che per disprezzo venivano delti
aristocratici. A Venti miglia venne depu-
tato dal governo provvisorio a commis-
sario organizzatore un certo Biagino ,
strano e acceso al pari di un vulcano, il
quale non era mai sì contento, che quan-
do empiamente poteva umiliare il clero
e il monachismo. Prese di particolare mi-
ra l'egregio vescovo Clavarini, pose alla
porta dell' episcopio le guardie temendo
che fuggisse, e divisava di farlo condurre
a Genova come una preda aristocratica,
meritevole di prigionia o di morte. 11
buon prelato infermiccio per natura, già
aiìranto dagli anni e dalle fatiche, dovet-
te soccombere al peso enorme degli af-
fronti e de' disgusti. Celebrò la messa il
i.° ottobre, festa del ss. Rosario, di cui
era divolissimo, vi comunicò i suoi do-
mestici, e nella sera recitando con essi la
corona, die' loro gli ultimi salutari ricor-
di. Nel dì seguente, stanco di vedersi più
in terra e desideroso del cielo , andò a
ricevere il premio di sue virtù e de'suoi
patimenti. Non passò molto tempo, che
il suo persecutore Biagino fu ucciso. Os-
serva il Semeria, dovere recare sorpre-
sa, come una diocesi sì antica e sì rag-
guardevole non ebbe mai un seminario
vasto, ricco e ben ordinato;» che i vescovi
antecessori a mg.r Clavarini , o la città
medesima non abbiano mai dato su di
questo particolare un provvedimento no-
bile e grandioso; che neppure al giorno
d'oggi (pubblicò la sua Storia nel i838)
trovisi un liberale benefattore, il quale
abbia assegnato uu pingue fondo per la
pensione de'poveri cherici,edi quelli che
nella scienza e nella pietà si distinguono.
Eppure certissima cosa è che inVentimi-
glia vi furono sempre molte famiglie no-
bilissime e doviziosissime, che molli dei
suoi cittadini furouo fondatori di pii le-
vol. xeni.
VEN 209
gali e benefattori di conventi e mona-
steri. E come duuque sì poche provvi-
denze al seminario vescovile? Forse che
que'prelati non ebbero zelo? Anzi n'ebbe-
ro grandissimo; ma devesi riflettere che
in se il vescovato era povero, e le pro-
prie sostanze de' vescovi sovente scarseg-
giavano. Il peggio era che le sante loro in-
tenzioni, in vece di trovare cooperazione
e soccorsi, incontravano degli ostacoli; on-
de il seminario restava sempre misero e
negletto. Al giorno d'oggi però si ripara
al passato disordine, fabbricandosi un
edificio che per la forma e per l'ampiez-
za corrisponderà certamente al bisogno
della diocesi, al decoro della città, e al
massimo vantaggio del clero (il beneme-
rito storico allude all'operato dell'attua-
le zelantissimo pastore mg.1 Diale, che ha
pure restaurato l'episcopio e curato il de-
coro dell'uffiziatura divina). Per la mor-
te di mg.r Clavarini restò vacante la se-
de vescovile 7 anni meno 8 giorni, ed in
questo tempo avvennero variazioni im-
portanti. Racconta il medesimo Semeria,
che la diocesi cessò per sempre d' essere
suffraganea di Milano, ed era rimasta la
sola e unica di tutta la Liguria, che dalla
sua origine sino a quel tempo non avea
mai cambiato di chiesa metropolitana
(leggo però nella bolla Expoùtum cum
Nobis , de' 9 aprile 1806 , Bull. Rom.
cont.U i3, p. 17, che Pio VII sottrasse
dalla dipendenza della metropoli di Mi-
lano il vescovato di Ventimiglia, e lo di-
chiarò suffraganeo di quella d'Aix). Di
più, che la diocesi di Ventimiglia è com-
posta di 36 parrocchie, due delle quali
Mentone e Roccabruna nel principato di
Monaco, ed altra in questa città, que-
gli antichi stati della real casa di Savoia,
e 14 nel Genovesato. Ora nel 1802 il
cardinal Caprara legato a Intere in Frau-
da presso il i.° console Napoleone Bo-
naparte , scrisse al capitolo di Ventimi-
glia, che volesse rinunziare a tutte le par-
rocchie ch'erano fuori delGenovesato ca-
dute in potete dellaFrancia, ed i capito-
*4
2,o YEN
lari ili Venlimiglia sponte oc libere ad
consenandam Eeclesiae paeem et imita-
tem3 par te m Ulani Ecelcsiarum paro-
chialium dìoecesis J'intimiliensis in tem-
porali subìeclam reip. Gallicanaedomi-
nationi (erano queste le accennate due
del principato di Monaco, quella di tale
città, e le 19 degli antichi stati Sardi ) ,
curamque earuindem regiminis, cui sili
melius libuerit committtiidi in manibus
Sanclitatis Suae u nani ini ter dimiserunt
ac resignarunt. Essendo pertanto ridot-
ta la diocesi a sole 14 piccolissime par*
rocchie, si dubitava che la diocesi venisse
soppressa -3 tuttavolta nel 1802 fu propo-
sto dal governo della repubblica ligure
per la vacante chiesa di Ventimiglia il p.
Paolo Girolamo Orengo patrizio inleme-
liese e nato nella stessa città, provinciale
de* chierici regolari poveri della Madre
di Dio delle scuole pie, e Pio VII lo pre-
conizzò vescovo nel concistoro de'24 set-
tembre 1804, come ricavo dalle Notizie
di Roma e dagli atti del concistoro pub-
blicali dal n. 77 del Diario di Roma del
i8o4* In base di sì certa data ho slabili lo
di sopra l'epoca della sede vacante, che
il Semeria disse vacante per circa un lu-
stro, ed il Bima provveduta a'3o settem-
bre. Deplorabili vieppiù si fecero i tem-
pi politici, anche per la Liguria, onde il
buon vescovo afflitto e grave per 1* età,
moiì a' 3o maggio 1812, lasciando lun-
gamente vedova la sua chiesa. Ricompo-
sto l'ordine pubblico, il Genovesato dato
al re di Sardegna, ad istanza del re Vit-
torio Emauuele I, il Papa Pio VII, tolse
Ventimi glia alla metropolitana di Aix,e
la fece suiìraganea di quella di Genova ,
colla bolla Solleciludo omnium Eccle-
siarum, de'3o maggio J 8 1 8, e lo è tut-
tora. Lo stesso Papa a* 2 otlobre di-
chiarò vescovo Felice Levi ero di Ge-
nova , già vigilantissimo parroco di s.
Marco di quella città, esemplare e di-
ligente pastore, ampliò eresia uro l'epi-
scopio, morendo a' 5 marzo 1 824. Restò
■vacante la sede, finche Gregorio XVI nel
VE»
suo i.° concistoro de' 28 febbraio 1 83 f
preconizzò Gio. Battista de Albertis di
Genova, dottore in s. teologia, della con-
gregazione delle missioni apostoliche di
s. Carlo, professore di lingua ebraica e
greca uella patria università, prudente,
dotto e ornato d'altri pregi riferiti uella
proposizione concistoriale. Leggo in que-
sta, che allora la diocesi si componeva di
1 j parrocchie, e rendeva la mensa annui
scudi 600, estendendosi iu 25 miglia di
territorio. Il suo vescovato sarà sempre
memorabile per l'ampliazione della dio-
cesi. Dappoiché Gregorio XVI colla bol-
la Ex injuncto Nobis coeliius, de' 20
giugno 1 83 1 , Bull. Rom. coni. t. 1 9, p.
28, di consenso del vescovo di Nizza e
del capitolo d' Albeuga, essendo allora la
sede vacante, l'ampliò con 33 parrocchie,
in compeuso delle 22 che avea perduto
nel 1802. Pertanto la diocesi ricuperò le
8 parrocchie che le appartenevano, nel-
l'aulico marchesato di Dolce Acqua, ag-
gregate a quella di Nizza, cioè Dolce Ac-
qua, La Rocchetta, Seborga, Pennaldo ,
Apricale, Isola Buona, Pigna e Bugio. Le
altre 26 smembrate dal vescovato d'Al-
benga, delle quali 5 sono collegiate, ven-
gouo denominate: Audagna, Badalucco,
Boscomare, Busana, Carpasio, Castella-
lo, Ceriana, Cipressa, Colla, Corte, Costa
Raniera, Longuaglietta, s. Lorenzo, Mo-
liui diTriora, Montalto, Poggio, Pompe*
jana, s. Remo (illustre città e porto, con
feracissimo territorio produttivo iu ab-
bondanza d'olio e agrumi. Posto alle fal-
de d'una collina, è capoluogo di provin-
cia, con collegiata e insigne capitolo,aven-
te monasteri delle salesiane e delle tur-
chine,e convento di cappuccini, noveran-
do più di 10,000 abitanti, tra'quali fio-
rirono uomini illustri, e per ultimo il pre-
lato Stefano Rossi, il cui distiuto ingegno
e vasta dottrina celebrai in più luoghi,
e da ultimo a Verona per avere in Ra-
venna, mentre n' era delegato apostoli-
co, eretto un nobile monumento sepol-
crale al celebre veronese p.Autoaio Cesa-
VEN
ri), Biva, s. Stefano, Taggia (Tabia, già
considerevole borgo, ed ora città, situata
sulle sponde d'un fiumicello che bagna il
fertilissimo territorio. La chiesa matrice
ha titolo di prepositura, ed ha conventi
di domenicani e di cappuccini, e mona-
stero di domenicane. E abitato da circa
4,ooo individui, che vantano alcuni il-
lustri. Squisiti sono i suoi vini moscatel-
li), Tesoro, Triora, Torre Papponi e
Yerezzo. 11 Papa commise 1' esecuzione
della bolla a mg.rAirenti arcivescovo di
Genova, il quale la partecipò al capitolo
d' Albenga, indi al vescovo di Nizza, ed
a '2 2 agosto al vescovo e capitolo di Yen-
limiglia ; e cosi la nuova ampliazione fu
canonicamente stabilita. Il vescovo de Al-
bertis nel 1837 rinunziò la sede, e sta-
bilitosi in Pvoma,GregorioXVI nel 1840
gli conferì il titolo arcivescovile di Na*
zianzo, come notai in quell'articolo. Lo
stesso Papa nel consistoro de'19 maggio
1837 dichiarò l'odierno vescovo mg.r Lo-
renzo Giovanni Battista Diale di Genova,
dottore nel gius canonico, e poi preposto
della patria chiesa metropolitana e vica-
rio generale della medesima, protonota -
rio apostolico; encomiandolo pel suo vasto
sapere, squisita prudenza, felice esperien-
za e sacerdotali virtù, benemerentissimo
pastore, anche per quanto accennai di so-
pra. Nel i844 tenne il sinodo e lo pub-
blicò colle stampe: Synodus Dioecesana
Vinlimiliensis anno 1 844* & Rornuli.
Inoltre il suo vescovato veuue segnalato
da due solenni coronazioni della B. Ver-
gine, celebrate nella diocesi che vado a
descrivere, della 1. "avendolo promesso
nel voi. LXIX, p. i 1 9. — Si apprende da'
Cenni istorici della miracolosa immagi-
ne di Maria SS. detta di Lampedosa.
che sarà solennemente coronata in Ca-
stellare) di Liguria nel settembre 1 845.
>• In Castellaro di Liguria si venera cer-
ta portentosa effigie di Nostra Signora, la
quale stringe nelle braccia in atteggia-
mento assai tenero il Divin Figliuolo, e
a destra gli sta in piedi s. Cateiiua ver-
VEN 211
gine e martire: viene questa detta di
Lampendosa, l'origine del quale nome
venne dall'isola, donde codesta Immagi-
ne fu a Castellaro nel seguente modo
trasferita. Corre il 3.° secolo, che fu dai
turchi tratto in ischiavitù Andrea An-
fossi ligure all'isola di Lampedosa. Ebbe
egli quivi veduto appena la suddetta Im-
magine , che fece voto d' innalzarle uu
tempio in un suo podere, se libero dalla
schiavitù fosse felicemente a Castellaro
sua patria ritornato. Si tolse pertanto ,
occultaudosi nell'isola alle ricerche dei
turchi, i quali alfine di colà si partirono
per qualche ora. Incavato allora rozza-
mente un ceppo informe, ingolfassi An-
drea su di quello in mare, servendosi a
vela della stessa Immagine di Maria. Né
fu fraudata la fede , ch'ebbe in questa
benedetta, poiché sano e salvo, avvegna-
ché colle galere da' turchi indarno inse-
guito , approdò in brevissimo tempo su
di quel ceppo alle spiaggie natie, dove,
per gratitudine dell' ottenuto benefizio,
volle metterla al pubblico, perchè fosse
dal popolo venerata. Non sì tosto V of-
ferse allo sguardo del divoto popolo in
gran folla accorso, che volle la Divina
Madre, con isciogliere la lingua ad una
muta, far conto al popolo di Castellaro
qual tesoro egli avesse pel suo servo
Andrea acquistato. Ne quivi ebbero fine
le meraviglie, che anzi una maggiore non
molto tempo appresso ne avvenue. Con-
ciossiachè fatto consapevole il popolo
del volo di Anfossi volle generosamente
adempirlo. Ma siccome il podere, dov'e-
ra d'uopo innalzare, giusta la promessa ,
il tempio, sarebbe stato per la sua lonta-
nanza di non poco incomodo al popolo,
cosi determinarono di erigerle più vici-
no, forte ripugnando Andrea, una cap-
pella , dove fu esposta la sagra effigie.
Venne il giorno appresso, ne più trovos-
si nella cappella la prodigiosa Immagi-
ne, ma bensì in un rovaio nel podere di
Andrea a lei promesso. Accorse ad un tal
portento frettoloso il popolo, e con più
aia V h . H
venerazione che mai nuovamente recollu
nella destiuata cappella: il lutto però fu
inutile, che per ben due volte riunovossi
Io stesso prodigio. Conosciuto pertanto
il volere della buona Madie , un gaio
tempio, non ostante le difficoltà del silo,
le si eresse nello stesso luogo nel quale
si era da se tanto prodigiosamente por-
tata, donde mai più dipartissi , e dove
con le grazie e gli stupendi miracoli. che
frequentissimi opera a prò de' suoi fi-
gli, mai è che la espilazione de' vicini
e remoti popoli, i quali mai sempre ga-
reggiarono in tributarle omaggi, per im-
petrarne favori, di che abbisognassero,
venga fraudata. Si è dunque per accie*
scere vieppiù il fervore della divozione,
e per gratitudine degli ottenuti benefizi,
che il sacerdote mg.' Gio. Battista Ar-
naldi ligure (nato in Castellato), per sola
clemenza e degnazione di Sua Santità
Papa Gregorio XVI felicemente regnan-
te, prelato domestico e votante di segna-
gnatura (ora degnissimo arcivescovo di
Spoleto , per quanto riportai in quell'ar-
ticolo), fece istanza al Rm.° Capitolo
Vaticano di potere incoronare questa im-
magine miracolosa , e previo il benigno
assenso di Sua Santità ottenne il favo-
revole decreto: aggiunse poi a maggior
lustro di tanta solennità una medaglia
di conio reale, insieme ad altra di conio
più piccolo, che servissero ad appagare
la divozione e fissare l'epoca di si fausto
avvenimento (con l'epigrafe intorno:/?.
Mariae a Lampedusa Aurea Corona
Donatae.Soiio la ss. Immagine è l'iscri-
zione: Joan. Bapt. Arnaldi Alitisi. Urb.
i845. Nel rovescio vi è la sigla del no-
me di Maria, sovrastato dalla Croce rag-
giante, e sotto due cuori, l'uuo circondalo
da corona di spine , 1' altro trafìtto da
spada. In giro si legge : Maria Mater
Dei sis mihi propitia. 11 munifico prela-
to ne fece coniare in metallo. in argento
e in oro), esprimendone ancora in rame
la stessa effigie ( divota e maestosa , in
più dimensioni, anche in nobile minia-
V E W
tura, e con l'iscrizione: Imagi nem Ma-
riae D. N. a Lampedusa in ora Ligu-
riaet Decreto Collegi Canonicontm Ba»
silicaeValicanae aureo diademate redi-
mitala anno 1 845. Gregorio XVI. P. M.
DivinaeMatris cultori pienti s si mo. Jo.
B. Arnaldi AntistcsUrbanus D. D. D.)}
che con corona d'oro deve essere a'd'i 8
settembre 184$, solennemente corona-
ta ". Riferisce il n. 72 del Diario di Ro-
ma del i845, l'invito sagro di iug.r fiiale
vescovo di Ventimiglia pubblicato dalla
Gazzetta di Genova, ed inviato dal
zelante pastore a tutte le parrocchie del-
ia sua diocesi ed altre limitrofe, per in-
vitarle a prendere parte alla solenne co-
ronazione dell'effigie miracolosa di Ma-
ria Vergine, sotto il titolo di Lampedu-
sa, che si venera in Castellalo, e per la
quale tanto si è adoperato l'illustre pie-
lato mg.r Arnaldi, e che per esserne il
benemerito e generoso promotore si era
portatoespressameute in Castellato a que-
sto solo oggetto. 11 vescovo eccitò con fa-
conde e religiose parole le popolazioni
a concorrere a questa di vola funzione, on-
de vieppiù glorificare la ss. Vergine, e po-
ter lucrare l'iudulgenze concesse da Pa-
pa Gregorio XVI a tutti quelli che visi-
teranno in questa solennità la miracolosa
Immagine; e in modo particolare invitò
le confraternite, acciò processionalmenle
si portassero a visitarla ne'giorui che sa-
rebbe solennemente esposta. Disse anco-
ra, che alla funzione interverranno 4 ve-
scovi, oltre mg.r Arnaldi; che comincia-
va a' 7 settembre col solenne trasporlo
dell'effigie della ss. Vergine dal suo san-
tuario nella chiesa parroccbiaIe,e durava
finoa'i4>in cui sarebbe riportata al pro-
prio santuario. La coronazione dover suc-
cedere l'8 settembre, e che in tulli i gior-
ni successivi vi sarebbero pontificali con
analoga orazione panegirica , pubbliche
illuminazioni, accademia di poesia e di
musica in onore della B. Vergine, scelli
fuochi d' arliiìzio, slegante apparato in
chiesa e processioni; acciocché tulio con-
VEN
corresse ail aumentare Io splendore di que-
sto incoronamento. Tutto quanto ebbe
luogo decorosamente, con edificazione di
divoto entusiasmo econ immenso concor-
so di fedeli, anche de'circostanti e lontnni
luoghi, con pubblica letizia. L'incremen-
to di gloria procurato in patria alla ss.
Vergine dal venerando prelato che reg-
ge la s. Chiesa Spolelana, resterà per lui
lustro e benemerenza imperitura. — L'al-
tra solenne coronazione della Deipara, av-
venuta nella diocesi di Ventimiglia nel
vescovato del lodato mg/ Diale, la descri-
ve la Civiltà Cattolica de'2 agosto 1 856,
colle seguenti parole. «Nella chiesa par-
rocchiale ed insigne collegiata della città
di Taggia nella diocesi di Ventimiglia fu
il d'i i.° giugno i856 solennemente in-
coronata una statua di Maria ss. del Sa-
gro Cuore. Gli apparecchi splendidissimi
che vi furono fatti per addobbare ricca-
mente la chiesa, gli archi trionfali e le
cappelle innalzate nelle vie della divota
città per le quali dovea passare la bella
processione, le luminarie, i fuochi artifi-
ciali, gli spari de'moschetti in segno di e-
sultanza sono poca cosa rimpetto al con-
corso di circa 3o mila forestieri venuti
«li lontano per assistere a quest' onore
fitto a Maria, ed alla divozione colla qua-
le i più de'cittadini s'accostarono alla sa-
gra mensa Eucaristica. Il vescovo di Ven-
timiglia mg.r Biale, incaricato dal S. Pa-
dre Pio IX di compiere quel rito solen-
ne, fu assistito da' vescovi d'Albenga, di
Savona e di Novara, i quali vollero in
omaggio a Maria ss. condecorare di loro
presenza quella pia solennità. La cagio-
ne di quest'ossequio, consueto a farsi alle
immagini(P\) di Maria ss. più venerate,
è indicata dal S. Padre medesimo nel bre-
ve indirizzato a mg.r vescovo. Eccone la
parte più importante la quale copiammo
com' essa è tradotta nella Relazione del
prodigioso movimento degli occhi ec.
stampata teste in Genova. = Mentre si
solennizzava, come ci narri, per 8 giorni
nella medesima chiesa rimmacolataCon-
VE If
a 1 3
cezione della Vergine con somma esul-
tanza di tutto il clero e del popolo fedele, e
con ispecialepompae divozione,cominciò
essaStatua a muovere maravigliosamente
gli occhi. E perchè un tal prodigio, come
tu affermi nella stessa tua lettera , ebbe
principio il giorno 1 1 del passato mar-
zo, e sino a quest'ora è durevole , per ciò
stesso moltissime persone d'ogni ordi-
ne e condizione sì da'vicini comeda'lon-
tani paesi colà si portarono a calca per
venerare la B. Vergine in quell'immagi-
ne. Con ottimo senno hai giudicato di
rivolgere tutta la diligente tua cura per
comporre, come era d'uopo , un adegua-
to processo sopra un prodigio di questa
fatta, cui avesti sollecitudine trasmetterci
colla tua lettera , e che Noi ricevemmo
con tutto il piacere. Ma poiché ci sup-
plicasti ad accordarti la facoltà d'impor-
re a Nostro nome una corona d' oro a
quel Simulacro, Noi condiscendiamo ben
tosto a (juesto tuo piissimo desiderio con
un gaudio non lieve certo dell' animo
Nostro, ss Ora dal processo inviato al
Beatissimo Padre si deduce che il movi-
mento degli occhi fu osservato da migliaia
e migliaia di persone , delle quali sole
120 furono esaminate giuridicamente
scegliendole di grado, di età , di patria
differente tutte attestarono \\ fatto che
fu veduto da ogni canto, ad ogni distan-
za, ad ore differentissime; non variò o
o fosse la Statua ornata de' molti ori che
avea, o ne fosse spogliata; o venisse il-
luminata da poche o da molte candele ,
dal sole diretto o dalla luce sparpagliata;
o stesse collocata in alto o fosse posta al
basso. Oltre i giudizi de'periti, l'autore
medesimo della Statua, il bravo scultore
Revelli che ha lo studio in Roma, ed as-
sistette alla coronazione, attestò dell' im-
possibilità d'un artifizio qualsivoglia per
produrre tanta varietà di posizioni che
prendevano le pupille e il bianco di que-
gli occhi. In uno stato dove la miscre-
denza fa ogni sforzo per distruggere la
fede de'popoli sembra che la Vergine ss.
2.4 VEW
aiuto de cristiani t abbia voluto con sì e-
vidente segno animarla e rafforzarla". —
Ogni nuovo vescovo di Ventimiglia è
tassato ne* libri della camera apostolica
in fiorini io?., ascendendo le rendite del-
la mensa a 2,5ooscudi. L'ampiezza della
diocesi già la descrissi, giacché 1' ultima
proposizione concistoriale, forse in questo
copiando la precedente, la dice i5 mi-
glia dì territorio con i4p&n'0cchie, men-
tre ad esse ne furono aggiunte altre 33,
per cui il territorio è assai più vasto.
VENUSTIANI. Eretici del IV secolo
della setta de' Pater ninni (V.)t die a-
veanoper capo Venustio, forse discepolo o
seguace di Paterno di Patagonia capo-set-
ta de'pateroiani il quale credeva che ['Uo-
mo (F.) fosse opera del Demonio. Len
glet nelle Tavolette cronologiche , dice
che Paterno vivea nel 4^o. 11 Bernino ,
//istoria di tutte V heresie , citando s.
Agostino, Haer. 72 e 85, riferisce i pater-
niani nel pontificalo di s. Liberio, che go-
vernò la Chiesa dal 352 al 367; errando
nel sostenere le parti pudende del corpo
umano, fattura e opera del demonio , e
quindi inferivano lecita ogni loro dilet-
tazione; mentre i Patriziani [V.) o pa-
triciani, seguaci del marcionita loro ca-
po, precettore di Simmaco, al contrario,
per nou recare affronto al demonio, mol
ti di essi volontariamente si uccidevano,
per vendicarsi ne' loro corpi del nemico
comune. II Bergier, Dizionario enciclo-
pcdico} all' articolo Paierniani, dice con
s. Agostino, nel suo libro dell' Eresie, n.
86 , che i palei niani da alcuni chiamati
Venusliani) insegnarono che la carne è
opera del demonio ; per questo non era-
no più. mortificati, ne più casti; anzi si
immergevano in ogni sorta di voluttà.
Dicesi che comparvero nel IV secolo, e
che fossero discepoli di Simmaco il Sa-
maritano. Sembra che tale setta , sog-
giunge il Bergier, non sia stata molto nu-
merosa, ne moltoconosciuta dagli scritto-
ri ecclesiastici, il che ho sperimentato an-
ch' io. Quanto a Simmaco Samaritano,
V EH
scrittore del II secolo, conosciuto per una
versione in greco da lui fatta della Bib-
bia, si fece ebreo, poscia cristiano, <• cad-
de in seguilo negli errori degli EbionkiN'x
furono degli eretici nominati simmachia-
ni, i quali negavano il giudizio finale, os-
sia la 2." Venuta del Messia (V), e si
abbandonavano ad ogni sorta di vizi; ma
non pare che Simmaco ne sia stato il ca-
po. Filastrio, De T/aeres.
VENUTA DEL MESSIA. Si dislin-
guono due sorte di venute del Messici
(V.)j una adempiuta quando il Ver-
bo (P.)di Dio si è incarnato, e compar-
ve tra gli uomini vestito di carne mor-
tale ; l'altra futura, nella consumazio-
ne de' secoli, quando discenderà visi-
bilmente dal cielo nella sua gloria e
maestà, accompagnato dagli Angeli suoi,
per giudicare tutti gli uomini vivi e mor-
ti, riuniti in un medesimo luogo. Per vi-
vi s'intendono i giusti o eletti; per mor-
ti i peccatori o reprobi, i quali, quanlo
alla vita naturale , pur troppo saranno
vivi essi ancora, per non morire mai più.
Per vivi, dice la Dichiarazione più co-
piosa della Dottrina Cristiana , Ptoma
i838, si ponno intendere i buoni, che vi-
vono colla vita spirituale della grazia, e per
morti i tristi chesono morti spiritualmente
perii peccato. Ma è vero ancora, soggi un-
ge, che verrà Cristo a giudicare i vivi ed i
morti, quanto al corpo; perchè in quei
giorni molti saranno già morti e molli si
troveranno vivi; i quali sebbene saranno
vivi in quell'ultimo giorno, ed alcuni
saranno anche giovanetti e fanciulli, non-
dimeno tutti in un punto moriranno, e
subito risorgeranno, acciocché paghino il
debito della morte. I giudei sono sem-
pre in espetlazione della i.a venuta del
Messia, e i cristiani della 2.ache precede-
rà il giudizio universale nella fine del mon-
do, il quale sarà interamente distrutto col
fuoco. Quantunque gli Uomini (V.) tutti
sono giudicati in particolare al momento
della loro Morte ( uno de' 4 Novissimi ,
cioè delle cose estreme che accadono al-
V E N
I* «omo ; essa è il i .° Novìssimo, il i." il
Giudìzio universale, il 3° V Inferno, il
4.0 il Paradiso. Considerando bene i 4
Novissimi ci fanno astenere da' peccati ,
poiché dice il Savio neWEccles. 7: Ricor-
dati delle cose ulti me ,e mai non pecche-
rai. Sì dicono i Novissimi ultime quattro
cose, perchè la Morte è il fiue della vita,
e T ultima cosa che ci ha da occorrere
in questo mondo. Il Giudìzio finale è
Y ultimo di tutti i giudizi, che si hanno
da fare ; e però da quello non vi è ap-
pellazione veruna. L' Inferno è l'ultimo
male, che hanno d'avere i malfattori ,
ed in quello stato hanno da stare sem-
pre, senza poterlo mai mutare. Il Para-
diso è l'ultimo bene, che hanno da avere
i buoni, e non l'hanno mai da perdere.
Tanto insegna la Dottrina Cristiana ),
è necessario che lo siano altresì tutti in-
sieme al cospetto dell'universo, da Gesù
Cristo, per 5 ragioni principali: i.°Pec
giustificare la condotta di Dio in faccia
a tutti gli uomini, e far trionfare la sua
provvidenza,controla quale gli empii be-
stemmiano.2.°Per separare pubblicamen-
te i buoni da'reprobi. 3.°Per ricompensa-
re, o per punire gli uomini ne'loro cor-
pi, come nelle loro anime, ratificando il
giudizio particolare. 4«° Per aumentare
la gloria de'santi, de'perseguitati e stra-
ziati, ed il supplizio de' reprobi, in pro-
porzione di ciò che gli uni e gli altri a-
vranno meritato, nel vedersi da tutti la
gloria e la punizione. 5.° Per la gloria di
Gesù Cristo, ingiustamente da molti non
conosciuto, né onorato come conveniva,
per confusione dei superbi nemici di Dio.
Era di ragione che venisse un giorno in
cui tutto il mondo riunito lo conoscesse
e l'onorasse per forza o per amore, vero
Re e Signore dell'Universo. Dice con più
estesa dichiarazione il dotto vocovoBron-
zuoli nelle Istituzioni Cattoliche: 11 giu-
dizio universale è stabilito principalmen-
te: i.° Per la gloria di Dio, nel trionfo
de' suoi attributi, i quali resteranno giu-
stificati dinanzi all'universo, mediante la
VEN 2i5
manifestazione de'misteri di provvidenza
nell'ordine delle cose naturali e sopran-
naturali. 2.0 Per la esaltazione di Gesù
Cristo dinanzi a tutti gli uomini ; perchè
Egli farà conoscere a tutti coloro che
non Io hanno voluto confessare, né han
profittato della sua Redenzione, la sua
Divinità, la sua Sapienza e Potenza di-
vina; e consolerà gli eletti con l'amabi-
lità di sua persona e di sua parola, e col
mostrar loro il segno di quella Croce ,
che seco recherà nel luogo del giudizio,
per la quale essi hanno avuto grazia e
gloria. 3.° Per l'onore e trioufo degli e-
letti, i quali sa rati pubblicamente e solen-
nemente dichiarati i possessori della ere-
dità del celeste Padre , e ammessi nella
gloria del paradiso in compagnia del Co-
ro degli Angeli , alia presenza dei re-
probi, de' quali hanno dovuto sostenere
nel mondo gl'insulti e gli obbrobri. Nel
mondo e mentre viviamo, molti vedendo
i tristi in prosperità, ed i buoni in afflizio-
ne, vanno pensando» che Dio non gover-
ni il mondo bene; ma nel giudizio uni-
versale di tutto il moudo, si vedrà chia-
ro, come Dio ha veduto e notato tutte le
cose, e come con giustizia ha dato a'tristi
qualche prosperità temporale per rimu-
nerarli d'alcuue loro opere buone di po-
co momento, dovendo dar loro l'eterna
pena pe' loro peccati mortali. E per il
contrario ha dato ai buoni temporali
afflizioni per punirli di qualche peccato
veniale, e per dare loro materia di peni-
tenza ; dovendo poi arricchirli d'un teso-
ro infinito di gloria per le loro buone o-
pere. Quanto alla sentenza che pronun-
zierà il di viti Giudice, essa non sarà che
una ratifica solenne di quella già pro-
nunziata nel giudizio particolare, che av-
viene alla morte di ciascun uomo , e di
cui allora le anime ne avranno già pro-
vato le conseguenze ( nel momento che
l'anima si separa dal suo corpo è già
giudicata , col giudizio particolare. La
Potenza, la Sapienza e Giustizia divina,
rende questo giudizio sollecito, profondo,
aiG YEN
inappellabile. È ili fede die subito dopo
morte, e compito il giudizio, l'anima va
al luogo che le vieti destinato dalla di-
vina sentenza. Questo luogo è,o il Pur-
ga torio, qY Inferno, o il Paradiso). Ma
la sentenza del giudizio finale sarà pel
corpo e per l'anima, acciò insieme l'a-
vessero di gloria o di pena. Tutti gli uo-
mini dunque compariranno in corpo e
anima alla fine del mondo davanti al tri-
bunale di Gesù Cristo. Gli Angeli sepa-
reranno gli «letti da' reprobi, come un
pastore separa le ugnelle da* capri. Col-
locheranno gli eletti alla destra ed i re-
probi alla sinistra di Gesù Cristo,il qua-
le pronunzierà agli uni e agli altri la lo-
ro sentenza eterna. Dirà agli eletti : Ve-
nite, benedetti da mìo Padre, possedete
il regno che vi e preparato fino dal priw
cipio del mondo. Dirà a' reprobi: Anda-
te, maledetti, nel fuoco eterno, che è pre-
parato al demonio ed a* suoi angeli. In
allora i reprobi onderanno uell' inferno
a soffrire in corpo ed in anima i supplizi
eterni ; e gli eletti auderanno in corpo
ed in anima a godere in cielo della eter-
na felicità. Quando sia per essere il giu-
dizio finale, non volle Gesù Cristo ma-
nifestarlo neppur agli Apostoli, che glie-
lo aveano espressamente richiesto. Si li-
mitò a indicare diversi segni che lo a-
vrebbero preceduto , giudicando salute-
vole per noi l'ignoranza di questo punto.
Gesù Cristo ha voluto pure lasciarci nel-
l'ignoranza del giorno e dell'ora di nostra
morte, affinchè in ogni giorno e in ogni
momento egli ci trovi disposti ad incon-
trarla con coscienza tranquilla. In più
luoghi notai, come in diversi tempi si
credette prossima la fine del mondo. II
vescovo Sarnelli, Lettere ecclesiastiche,
t. 5, riporta 1' 8.': Essere occulto il dì
dell' universale giudiziose quanto sia
dannevole la curiosità. Tratta poi nella
32.': Che vogliano dire nel Simbolo de-
gli Apostoli quelle parole : Inde venta-
rus est judicare vivos et mortuos. Quan-
to lai." discesa del Figlio di Dio, secou-
V EN
do le divine Scritture, è piacevole e con-
solante, altrettanto terribile e spavento-
sa si presentala '2." Spiegando mg.' Bron-
zuoli l'XI articolo del Simbolo, regola e
compendio degli articoli della Fede, dice
che con esso Dio per mezzo de'ss. Apo-
stoli ci fa sicuri della generale risurrezio-
ne de'morti. Il dogma della generale re-
surrezione è stabilito e confermato nelle
ss. Scritture, sì dell'antico, come del nuo-
vo Testamento, con termini i più assolu-
ti, i più chiari; e tanto sotto la legge Mo-
saico, quanto sotto l'Evangelica legge, è
stata tenuta sempre come uua verità in-
contrastabile di lède. I primitivi cristia-
ni, per testificare la loro fede nella resur-
rezione, aveano gran cura della Sepoltu-
ra (V.), e vi facevano delle spese in pro-
porzione delle loro sostanze. Anche ne'
Funerali (V.) esprimevano tale speran-
za. Decretò nel 589 il «oncilio di Tole-
do: a'sotterramenli de' cristiani si devo-
uo cantare solamente Salmi, per deno-
tare la speranza della resurrezione. Aven-
do i cristiani ferma speranza nel dì estre-
mo del mondo di risuscitare co'loro cor-
pi glorificati, non vollero bruciare i Ca-
daveri, anzi procurarono mantenerli il
più possibile con balsami. Pregavano, e
seppellivano t morti co' piedi verso 1' o-
riente, donde spunta il sole, simbolo del-
la resurrezione, per poterlo vedere nel-
l'ultimo giorno. Come il corpo è stato lo
strumento all'anima per il vizio e per la
virtù, è giusto che il corpo sia parimen-
te partecipe della pene o del premio, per
giustizia di Dio; e quanto specialmente
al corpo de'giusti, la bontà di Dio non
permetterebbe che fosse soggetto a eter-
na distruzione, dopo essere stato il suo
tempio, la sua vittima, l'arca de'suoi ce-
lesti favori. Non a caso i ss. Apostoli han-
no detto la resurrezione della carne , e
non la resurrezione degli uomini. Ciò è
a significare che l'anima umana è im-
mortale, e non muore col corpo; ne ha
bisogno per conseguenza di essere richia-
mata a vita, ma il corpo solo che è cor*
1
VEN
i unibile e mortale. La resurrezione de'
corpi si opererà dall'onnipotenza di Dio.
Questo solo basta a togliere tutte le dif-
ficoltà che incontra l'umana ragione, e a
rispondere a qualunque obbietto che pos-
sa farsi intorno a questo dogma. A Dio,
che dal nulla con un alto solo di sua vo-
lontà ha create tutte le cose, non sarà men
facile il riprodurre l' uomo siccome era
prima, da alcunché che resterà di lui. Il
granello del frumento, la crisalide, sono
esempi in natura di questo mistero. E
certo checiascun'anima riprenderà il pro-
prio suo corpo, (juel medesimo che a-vrà
informatoin questo mondo, traimele im-
perfezioni che lo deformarono. Questo
avverrà alla fine del inondo, dopo che,
secondo l'opinione più comune , anche
l'ultiniodegli uomini sarà andato sogget-
to alla legge della morte. Allora con so-
miglianza all'attoonnipotente della Crea-
zione, in un batter d'occhio, dices. Pao-
lo, allo squillo dell'ultima tromba, sim-
bolo della voce del Figlio di Dio, tutti i
morti risorgeranno. E' certo inoltre che
lutti risorgeranno, tanto i giusti, quan-
to i peccatori: ma infinitamente diversa
sarà la condizione degli uni e degli altri.
Alla fine de' secoli, perpetua sarà la re-
surrezione de' giusti, immortale. La re-
surrezione de' reprobi sarà piuttosto una
2/ morte, che una novella vita. Impe-
rocché i corpi gloriosi de'giusti saranno
impassibili, chiari, diversi nel grado, se-
condo la di versila de'meriti; agili, sotti-
li, penetranti quasi come lo spirito. I cor-
pi de'morti in peccato mortale, e ne'qua-
li ^Dio non troverà somiglianza col Fi-
glio suo Unigenito, risusciteranno pure
incorruttibili e immortali; ma saranno
ignominiosi, e soggetti come le anime a
miserie e spasimi incomprensibili; e l'in-
corruttibilità e immortalità non servirà
che a rendere eterno il loro supplizio, e
irreparabile la loro disgrazia. La resur-
rezione della carne, dalla Dottrina cri-
stiana, viene chiamata il 2.°de'beni prin-
cipali della s. Chiesa; cioè che nell'ulti-
VEN 217
mo giorno tutti quelli che saranno ri-
trovati con la remissione de'peccati tor-
neranno n vivere. Quanto agli altri, che
sono fuori della Chiesa (perciò soggetti
alla sentenza levv\h\\e: fetori del materno
grembo della Chiesa cattolica non vie
l'eterna salute! che ricordai ancora una
volta, per amore al prossimo , nel voi.
XCI , p. i^\ e 1^1 , con alcune parole
su tale vocabolo, alquanto ora in disuso
giacché sostituito dal parolone filantro-
pia)^ non hanno avuta la remissione de*
peccali, torneranno tutti a vivere la vita
nnturale, cosi buoni come tristi; ma non-
dimeno, perchè la resurrezione de' tristi
sarà onde siano tormentati sempre, e non
per avere alcun bene; però quella loro
vita si chiama piuttosto una morte con-
tinua, che vera vita; e così la vera resur-
rezione, cioè la vita desiderabile, non sa-
rà se non de'buoni, i quali saranno tor-
nati senza peccato. Questi stessi corpi ri-
sorgeranno, perchè altrimenti non sareb-
be vera resurrezione, se non risorgesse
quello ch'è caduto, e non ritornasse a vi-
vere quello islesso eh' è morto; e poi la
resurrezione si fa acciocché il corpo sia
partecipe del premio e della pena, sicco-
me è stato partecipe delle buone opere e
de'peccati. Gli uomini torneranno ad es-
sere uomini, e le donne saranno donne,
acciò ognuno goda il premio delle pro-
prie viriti o la pena delle proprie colpe,
che nel sesso suo avrà esercitate. Dice per
ultimo la Dottrina cristiana. » Tutti ri-
susciteranno in quella statura ed in quel -
l'essere, che avranno avuto (s. Agostino,
De Civilate Dei, I.12, e. 5), o erano per
avere nell'età di 33 anni, nella quale ri-
suscitò Nostro Signore. Sicché i fanciulli
risusciteranno tanto grandi, quanto avea-
no da essere, se fossero arrivati a 33 an-
ni, ed i vecchi risusciteranno in quel fior
d'età ch'ebbero, quando furono di 33 an-
ni. E se qualcuno in questa vita sarà sta-
to cieco, o zoppo, o nano, o con altra de-
formità, risusciterà intiero, sano, e con o-
gni perfezione, perchè Dio fa le opere per-
2.8 VEN
fette (Daniele 5i): e cosi nella resurre-
7Ìone, che sarà opera proprio sua , cor-
reggerà gli errori ed i difetti della natu-
ra". Non solamente ciascuno comparirà
al giudizio universale nel proprio suo col-
po, ma è certo ancora che tutti, per l'on-
nipotenza di Dio,si aduneranno in un me-
desimo luogo dinanzi al divin Giudice,
senza distinzione alcuna fra loro, tranne
quella di eletti e di reprobi. Il vescovo
Sarnelli, Lettere ecclesiastiche, t. 9, lett.
34, colMicrologo dice, che ideinomi niu-
na cosa più temono, che il ricordar loro
il giudizio finale, poiché sebbene furono
dannati dal principio del mondo appena
peccarono, e sono continuamente crucia-
li dal fuoco infernale, che per l'onnipo-
tenza di Dio sentono anche assenti dal-
l'inferno; imperocché come strumentoso-
prannaturale di Dio, può agire in qua-
lunque luogo distantissimo; nondimeno
nel giorno del finale giudizio saranno da
Ci istodinuovocoartati e carcerati insem>
piterno neiriuferno. Nel t. io, lett. 64*.
Come Davide disse con veri tàfT'ihi soli
peccavi: e se i peccati de' gius tip e ali sa-
ranno palesati 'nel dì del g/W/z/o. Quan-
to a'delittide'giustificati, osserva il Sar-
nelli, che tutti i teologi con s. Tommaso,
tengono che saranno palesati. Dappoiché
de'santi giustamente premiati, non basta
che si mostrino i meriti, ma anche i pec-
cali, de'quali fecero penitenza e si emen-
darono. Ne riporterei rossore a' santi la
pubblicazione delle colpe loro, come non
la porla a David, a s. Pietro, a s. Maria
Maddalena, i quali sanno che i peccati lo-
ro sono continuamente pubblicati nella
Chiesa. E la ragione è, che i beati non
sono più soggetti a queste passioni, anzi
godono della gloria che ne risulta a Dio,
per la cui misericordia sono stati liberati
da quelle colpe. Nel voi. XXX, p. 3i e
4^, descrivendo la famosa Valledi Gio-
safat, presso Gerusalemme e il monte de-
gli Olivi, Getsemani e il torrente di Ce-
dron, e poi ne riparlai altrove, riportai
la profezia di Gioele o Joele, al popolo
!
VEN
ebreo, del giudizio universale, che quin-
di sembra accennare ivi sarebbe reso; non
meno della difficoltà, per la sua angusta
estensione, a contenere tutto quanto il
genere umano, il che succederà, qualora
abbia Dio veramente designato la detta
Valle, luogo per tenervi il finale giudizio,
supplendovi colla sua onnipotenza, e d
ciò qualche spiegazione dissi in altro luo
go. Diversi interpreti riferiscono con que-
ste parole il vaticinio: Adunerò tutte le
genti e le condurrò nella Traile di Gio-
safat, ed ivi disputerò con esse riguar-
do al mio popolo e riguardo ad Israele
mia eredità, cui elleno han disperso in
questa ed in (ptella regione, avendosi
spartita tra loro lamia terra ... Muo-
vansi le genti e vengano alla Falle di
Giosafat; perocché ivi io sarì assiso per
giudicare le genti, che verranno da tut-
te le parli. Alcuni commentatori di Gioe-
le sono d'avviso, che il profeta non par-
la del luogo, ma bensì del modo con cui
verrà per la 2." volta il Messia, giacché
la Valle di Giosafat é troppo piccola per
contenere tutte le genti. Altri poi sosten-
gono, che gli antichi ebrei, non avendo
conosciuto alcun luogo distinto sotto il
nome di Valle di Giosafat, il profeta vo-
lessesotto di esso dinolarequel luogo qua-
lunque egli sia per essere, dove il Signo-
re farà giudizio di tutte le genti, signifi-
cando Josafat in ebreo giudizio di Dio.
E quest'ultima opinione ha fallo sì, che
alcune persone semplici cercando un luo-
go cui potessero applicare un tal nome,
lo diedero dopo il fatto ad una valle, che
il Salvatore del mondo attraversò nel por-
tar che fece la Croce. Questo contrasse-
gno della maggior umiliazione e gloria
nel Giudice, e la vista di un luogo dov'è-
gli tanto pi fi a prò degli uomini, e di-
verse altre considerazioni poterono ren-
dere verosimile una taleopinione,la qua-
le eternandosi pure colla tradizione di tut-
ti i pellegrini , che dicono lo stesso, di-
venne una specie di verità storica. Il li-
bro intitolalo, La Terra Santa edi luo-
V E IV
chi illustrati dagli A 'postoli ', vedute pit-
toresche ec, Torino i 837, descrive il suo
aspetto fisico, i sentimenti ili tristezza e
di tenore ch'ella ispira, le tombe eli Gio*
safat re di Giudea, da cui prese il nome,
del sommo sacerdote Zaccaria, e di i\s-
salonne erettagli da Davide suo pndre.
IV eli a Scrittura sagra pero si leggr, che
Assalonne avea fatto innalzare per se un
monumento nella Valle di Giosafat, det-
ta ivi Falle del Re, nome che già avea,
e non per essersi fatto gridate tale in E-
hron ribellandosi al genitore; ma non già
che vi sia stato sepolto. Morì infatti molto
lungi di là nella foresta d'Ephraim, dopo
esservi stato sconfitto, restando nella ftiga
appeso ad un albero per la sua bella, lun-
ga e assai folta chioma, e trafìtto da Gioab;
e quindi, come scrive il p. Calmet, La
Storia dell' 'antico e nuovo Testamento,
deposto dentro una fossa del bosco, adu-
nandovisi sopra un mucchiodi sassi, come
per servirgli di mausoleo. Ben<ì, aggiun-
ge il p. Calmet, vivente avea fatto innal-
zare una colonna di marmo nella Falle
del 7?e, per fare rivivere il suo nome, e
chiamò la Mano di Assalonne j e per
conseguenza molto diversa dal preteso se-
polcro d'Assalonne,che scavato dallo scar*
pello si mostra nella valle di Giosafat al-
ì'orientediGerusalemme.Inoltreilp. Cal-
met narra che Gesù Cristo descrivendo
colla maggior energia le disavventure e
la rovina di Gerusalemme, d'ordinario
s'intendono del fine del mondo e del giu-
dizio universale. » Allora, disse, il sole
sarà oscurato, e la luna più non diffon-
derà il suo lume; le stelle caderanno, e
tutti i popoli saranno in tale scompiglio,
che inaridiranno per lo spavento, nell'ai
spettazione delle disavventure, onde tut-
to l'universo sarà minacciato.! n quel tem-
po apparirà il segno del Figliuolo del-
l'Uomo, e si vedrà venire nella sua mae-
stà sopra le nuvole, circondato di gloria
e di possanza. Manderà i suoi Angeli col
suonodella tromba, ed aduneranno i suoi
eletti dalle quattro parti del mondo (beu-
VEN 219
che r Oceania o Mondo marittimo, si ri-
guardi come una quinta parte del mon-
do, altri la chiamano Isole del mare Pa-
cifico e la più considerabile Nuovo Cori'
Unente). Allorché vedrete seguire tutto-
ciò, alzate il capo, perchè è vicina la vo-
stra redenzione". La seconda venuta del
Messia sarà preceduta dall'Anticristo, che
muoverà guerra a lui ed a'suoi santi, che
si farà adorare in sua vece, e che riunirà,
in se solo i caratteri di malizia, di crudel-
tà, d'empietà che si osservarono separa-
tamente ne'Nabuccodonosor, ne'Neroni
e generalmente in tutti i più rinomati
scellerati che furono le figure e i precur-
sori dell'Anticristo. Questo uomo di pec-
cati sarà dunqueun pastore insensato, un
bestemmiatore, il quale si ribellerà a Dio,
sederà nel suo tempio e sopra il suo so-
glio, abolirà l'eterno suo sagrifizio, cer-
cando di far credere Dio se stesso con una
infinità di segni, di meraviglie, di presti-
gi, che, se fosse possibile, sedurrebbero gli
stessi eletti. Egli imporrà a tutte le genti
di portare impressi i caratteri del suo
nome sulla mano destra e sulla fronte,
dannando a morte tutti quelli che vi si
rifiuteranno; e farà pure morirei due te-
stimoni di Gesù Cristo, Enoch ed Elia,
de'quali riparlai nel vol.LXXXV,p. 227,
a quel che credesi; infine dopo aver o se-
dotta o trucidata una moltitudine innu-
merevole di persone, sarà egli stesso vin-
to ed ucciso. E tutto questo è appena qual-
che tinta de'colori, co'quali la s. Scrittu-
ra dipinge in più luoghi l'Anticristo. 11
tempo di sua venuta è affatto ignoto, e
molti grandi ed anche santi personaggi
che hanno voluto determinarlo s'ingan-
narono nelle loro predizioni, come il fat-
to mostrò. Ignoti souo pure i parenti del-
l'Anticristo, il luogo de' suoi natali, |'e+
stensione del suo impero, il segno o il ca-
rattere che farà portare a'suoi settatori,
non che il vero suo nome, che s. Giovan-
ni ne\V Apocalisse, e. i3, v.18, dinota iu
questi termini: Chi ha intelligenza, cal-
coli il numero della bestia, atteso che è
210 VER
numero (Vuomoj ed il suo numero e sei-
cenlosessantasei. Anticamente in diverse
chiese, colla combustione della Stoppa
(^\), si figurava la (ine del mondo. Il
Cancellieri,checchè volledirneiliViebuhr,
cioè contenere le sue opere alcune cose
importanti, molte cose utili, ed ogni co-
sa superflua; sul giudizio universale e li-
mile, e sue pitture e presagi; sulla resur-
rezione de'morti in qual colore, età e sta-
tura, indicata nel simbolo della fenice;
sulla valle di Giosafat, posti ivi presi pel
giudizio estremo^, delle frequenti citazio'
ni e appellazioni ad esso, in detta valle
in die censoria j sulla venuta e quanto
nitro riguarda l'Anticristo; innumerabili
erudizioni bibliografiche riporta in quel-
la miniera di esse , che sono le sue Dis-
sertazioni epistolari bibliografiche so-
praCristoforo Colomboe GiovawriGer'
sen. Come gli antichi cristiani si faceva-
no seppellire colla speranza certa della
resurrezione, lo notai nel voi. XXVH,
p. 2 58.
VERA Giovanni, Cardi nale.Ebbe per
patria Arcilla castello della diocesi di Va-
lenza in Ispagna, e fino dalla puerizia si
die' allo studio delle scienze, e singolar-
mente alle leggi, nelle quali ottenne d'es-
sere laureato. Accompagnò il suo sapere
con tali ottime parti, massime d'integri-
tà e continenza, che il contemporaneo
Volterrano diflidando di poterlo lodare
come convengasi, scrive dover bastare
per suo elogio, che ne'critici tempi d'A-
lessandro VI, niuno fu più accetto di lui
a quel Papa e al duca Valentino suo fi-
glio; siccome, all'incontro, ninno usò il
favore della fortuna più moderatamente
di lui, imperocché quanto più era porta-
to innanzi da quella e da'meriti propri,
tanto più se ne tirava addietro per la sua
modestia, col mezzo della quale si avanzò
talmente nella grazia del Papa, che do-
po avergli affidata la cura e educazione
del duca Valentino Cesare Borgia, nel
i5oo prima lo promosse all'arcivesco-
vato di Salerno, e poi a'28 settembre lo
VER
creò cardinale prete di s. Sabina. Venne
in appresso occupato nella legazione di
Francia e Inghilterra, pei- eccitare que'
sovrani a prestare aiuto perla guerra di
Terra Santa, e poi in quella della Mar-
ca e Romagna contro i vicari temporali,
nella più parte tirannetti usurpatori pre-
potenti delle terre delle Chiesa romana.
Dopo essere intervenuto a'conelavi di Pio
1 1 1 eGiulio Iljchiuse una vita edificante ed
esemplare,con pia e santa morte in Roma
nel i5o7, di 54 anni non compiti, e fu
sepolto nella chiesa di s. Agostino, nella
cappella di s. Monica con magnifico epi-
taffio.
VERA, Veren. Sede vescovile d'Afri-
ca, di cui non mi riuscì trovare notizie.
E' però un titolo vescovile in parlibus>
sotto l'arcivescovato simile di Cartagine,
che conferisce la s. Sede. Pio VII fece
coadiutore del vescovo di Kerry, e ve-
scovo inpartibusd'ì Vera l'irlandese Cor-
nelio Egan, il quale divenne vescovo di
detta diocesi nei 1824 e morì nel i856.
Nel voi. XLVI, p. 28, registrai, che Gre-
gorio XVI nel i843 nominò vicario apo-
stolico di Moldavia e vescovo di Vera iti
parlibus, fr. Paolo Sardi minore conven-
tuale. Inoltre come titolo in partibusi
Vera la trovo pure registrata nelie No-
tizie di Roma del 1859, che per la 1.*
volta, con utile e lodevole scopo, ha pub-
blicato l'elenco delle Chiese arciv esco '
vili e vescovili in partibus infìdelium che
sogliono conferirsi dalla s. Sede.
VERA CROCE, f. Croce Vera.
VERA CROCE, f. Croce (ordine
DELLA VERA).
VEIAA CRUXf^me Crucis). Città
con residenza vescovile e principale por-
to del Messico nell'America settentriona-
le, capoluogo dello stato del suo nome,
in riva e sul golfo del Messico, distante
72 leghedalla città omonima, 67 da Pue-
bla,eio4daTabasco.E' costruita in una
arida pianura, cinta di colline o elevati
banchi di mobile sabbia, e presso palu-
di i cui miasmi pestiferi, aggiunti all'ec-
VER
cessi vo calore prodotto dal riflesso de*
raggi solari, rendono il suo clima uno de'
più malsani che si conoscano. Il gran nu-
mero d' isolette e di scogliere da cui va
circondato il suo porto, ne rende diffici-
le 1' accesso, e ni n essendo ne vasto ne
profondo, i vaselli non trovano riparo
da'veuli settentrionali che vi solììano con
gran violenza; le più notabili di quell'i-
sole essendo quella del Sacrificios, e l'al-
tra su cui si è eretto il forte di s. Juan
de Ulua o Ulloa, cittadella la cui rego-
lare costruzione dicesi costata l'enorme
somma di 3oo milioni di franchie che do-
mina la città, protegge con 200 bocche da
fuoco il porto, alla cui difesa sono pure
due ridotti cou alcuni cannoni, ed è la
migliore e più importante piazza della
confederazione. Il magnifico faro, il qua-
le è un'altissima torre posta all'estremi-
tà di detto castello, insieme colla lanter-
na costò circa 600,000 franchi. Cinge
la città un muro di poca altezza, e la di-
fendono inoltre alcuni ridotti. Il porlo è
poco comodo, ne buono l'ancoraggio,
nondimeno essendo stabilita in esso la
più preziosa fonte di rendita commercia-
le della capitale, è considerala lai. 'piaz-
za del Messico, ed una fra le più com-
mercianti dell' America ; onde da ul-
timo fu minacciata dagli spaguuoli nel
rifiutare il Messico le soddisfazioni do-
mandate dalla Spagna, per gli ultimi at-
tentali coti) messi contro gli spagnuoli nel-
la vita e nelle sostanze. Vera Crux fu da
secoli e tuttora è una fra le più commer-
cianti piazze dell'America, malgrado le
sue infelici condizioni, e la 1." del Mes-
sico. Vera Crux è beila ed assai regolar-
mente edificata, e molto acquistò da al-
cuni anni in poi, per quanto riguarda al-
la polizia interna. Del reslo 1' aspetto è
piacevole del suo interno per 1' ampiez-
za, le vie ne sono diritte e spaziose, con
tutti gli edifizi fabbricati di pietra e ma-
teriali tratti dal fondo del mare, poiché
nella pianura circostante alla città non
m trova pietra. Scavando la terra alla prò-
VER 221
fondita di 9 imo piedi, si trova l'acquo,
ina è un'acqua di cattiva qualità, esi pre-
ferisce l'acqua di pioggia raccolta in un
fosso, oppure quella del ruscello di Te-
noya. Le persone agiate hanno cisterne
generalmente costruite con cattivo dise-
gno. Couvien dire che vi sia stata allac-
ciata della buon'acqua , poiché leggo in
un bell'articolo, pubblicato colla vedu-
ta di Vera Crux dal d.r B. Chimenz, nel-
V Album di Romani* 2 0,p. io5,che l'ac-
quidotto importò la spesa di più milio-
ni di franchi. L' avv. Castellano scrisse,
che l'acquidollo sebbene cominciato fin
clali 763 per condurvi l'acque dello Xa-
mapa, non era ancor terminalo. L'espor-
tazione che si fa da Vera Crux consiste
in oro e argento in verghe o monetalo,
vasellame d'argento, cotone, ed è celebre
per bianchezza e bellezza quello della co-
sta di là da Vera Crux, cocciniglia, zuc-
chero, farina, indaco, carne salala, legu-
mi secchi e alili commestibili, cuoi inci-
si, lo smilace la cui radice è la vera salsa-
pariglia e cresce ne'burroni umidi ed om-
brosi della Cordigliela, vaniglia la mi-
gliore del mondo esi trae da'boschi sem-
pre verdi della Cordigliela, il cacao d'A-
cayucan è ollirno, sapone, legno di cam-
peggio, pepe di Tabasco, e la celebre ra-
dica purgativa che si raccoglie ne' din-
torni di Xalapa che ne trae in Europa il
nome di sciarappa e volgarmente scia-
lappa. Vi sono vasti campi di eccellente
tabacco, il cui prodotto basta alla con-
sumazione di tutto il Messico, fruttando
al governo da 28 a 3o milioni di fran-
chi. Il prodotto totale del commercio di
questa citlà, dal 1795 al 1820 sali fino a
circa due miliardi e 700 milioni di fran-
chi. Al tempo del dommio della Spagna,
la città era pure l'emporio e la sola a cui
si portavano l' immense derrate di que-
sto ricchissimo paese per esservi scambia-
te con quelle di Europa, che vi giunge-
vano dall'Avana; il commercio che vi si
faceva da Acapulco nell'Oceano Pacifico
colle regioni dell'Asia, uou devesi repu-
aii VliK
lare che come piccola frazione del tota-
le commercio del Messico. Poco grato sog-
giorno è Vera Crux; tutto vi è molto ca-
ro; gli avoltoi si contrastano la preda in
mezzo alle pubbliche vie. La formidabi-
le febbre gialla vi esercita le sue stragi
dal mese di giugno, sino al principio di
dicembre, ed è qui più micidiale che in
verun altro luogo dell'Orbe; sembra che
il principio della malattia risieda nell'a-
ria, ed il mezzo di guarigione piti effica-
ce si è quello di allontanarsi dal focola-
re dell'infezione, essendo la febbre gial-
la 4 leghe più io là e seguaudo il limi-
te inferiore della quercia messicana la
linea ove arrestasi il suo influsso. Tale è
quauto ne scrivono i geografi. Invece il
d.r Chimenz avverte, che il tremeudofla-
gello non comparisce regolarmente , se
non sopra pochi punti del golfo del Mes-
sico, e massime a Vera Crux, all' Avana
e alla Nuova Orleans. Fuori di questi
brevi confini, questa malattia non si mo-
strò finora che sopra alcuni punti della
costa degli stati meridionali della Cotife-
derazioue Anglo-Americana alla Cajeu-
na, e in alcuni porti sull'Atlantico, uel-
l'emisferio orientale di Senegal, a Cadice
e in alcuni punti delle coste del Medi-
terraneo, ma sempre ad epoche remote.
Vera Crux non manca di chiese e di sta-
bilimenti: la cattedrale è dedicata alla B.
Vergine Maria, tale dichiarata da Gre-
gorio XVI quando istituì il vescovato di
Vera Crux, colla bolla Quod olim pro-
pheia gravissime lamentai atiu\ de' i
gennaio i845, facendolo suffraganeo del-
la metropolitana di Messico. Ma ancora
non è stato provveduto di vescovo. La
diocesi si cominciò a registrare nelle No-
tiziediRoma del 1 85i.lNonoslaute leper-
dite prodotte dalle guerre e vicende poli-
tiche,e dalla febbre gialla che secondo al-
tri vi è endemica, la popolazione èancora
dii5,ooo anime. Nel 1826 pubblicavausi
a Vera Crux due giornali, oggidì si souo
aumentati in più idiomi. Poche regioni
vi sono nel Nuovo Mondo, io cui il via£-
VER
gialore sia più meraviglialo del ravvici-
namento de'conlrarissimi climi. Tutta la
parte orientale dello stato di Vera Crux
occupa il pendio delle Cordigliere d' A na-
liuac. Nello spazio d' un giorno gli abi-
tanti vi discendono dulia zona delle nevi
eterne a quelle pianure vicine al mare,
dove regnano soffocanti calori. In nessu-
na regione si ricouosce meglio 1' ordine
ammirabile con cui le varie tribù de've-
getabili si succedono come per islrati gli
uni soprapposti agli altri, che salendo dal
porto di Vera Crux verso l'acrocoro di
Perote. Quivi ad ogni passo vedesi cam-
biata la fisionomia del paese, l'aspetto del
cielo, la forma delle piante, la figura de-
gli animali, i costumi degli abitanti, e il
geuere di coltivazione a cui attendono. I
ricolti del paese rimangono lontaui da
quello che sarebbero se più operosa fos-
se l'industria. Vi è grande abbondanza
di bestie cornute verso la foce dell'Hua-
sacualco, dell'Alvarado e del Tampico.
Alcune parli di questo stalo furono scos-
se da'terremoli, e nel 1793 fece una ter-
ribile esplosione il vulcano di Taxtla o
Juxtla, spaventevoli essendone le vora-
gini. La strada che da Vera Crux con-
duce a Perole, costò più di 58o,ooo frau-
chi per lega. 1 dintorni della città sono
sterili e deserti, e le accennale immense
savane paludose appestano l'aria. Nella
stagione della siccità non si vede veruna
specie di vegetazione. Vera Crux la Vieja,
borgo posto alla foce di piccol fiume sul
golfo di Messico, in mezzo a pestifere ma-
remme, non è ragguardevole che per es-
sere il luogo ove Cortes sbarcò colla sua
armata nell'anno i5i8, evi piantò la
Croce con animo di stabilirvi la sua co-
lonia. Ora è il soggiorno di enormi Al-
ligatori (forse coccodrilli) che infestano
quelle acque. A Iva rado, frazione appo-
diata a Vera Crux, era tristo e meschi-
no villaggio, in cui a tempo della rivo-
luzione e durante l'assedio lungo e san-
guinoso della cittadella di s. Juan de U-
Ina erasi concentralo il più del commei-
veh
ciò di Vera Crux: nel 1826 avea piti di
3,ooo abitanti, e dopo] o anni pervenne
ii 4,000. Papantla, villaggio indiano^ no-
tabile per l'aulica piramide piantala in
mezzo ad una folta foresta, e perciò vie-
ne visitalo dagli archeologi. Questo mo-
numento, come lutti i teocalli o templi
americani, si compone di più piani, ma in
luogodi mattoni o argilla mista di ciottoli,
non s'impiegarono chesruisuratepietre ta-
gliale, poi luetiche, la cui pulitezza e rego-
larità del taglio sono degne di osservazio-
ne. Essa è una piramide quadrata di a5
metri di lunghezza, e da 20 a 3o di al-
tezza. Una grande scalèa conduce alla ci-
ma tronca del teocalli. Il recinto de'pia-
ni è ornato di geroglifici, ne* quali si ri-
conoscono serpenti e coccodrilli scolpiti
in rilievo, e ciascun piano offre gran nu-
meio di nicchie quadrate e simmetrica-
mente distribuite: se ne fa il numero to-
tale di 478. Xalapa, città posta in una
deliziosa posizione cinta di giardini e fer-
tili campagne,ove crescono gli alberi frut-
tiferi dell'antico e del nuovo eontineti»
te; ne'suoi dintorni abbonda la ricordala
pianta medicinale sciarappa, e qui forma
il soggiorno di diporto de' più ricchi mer-
canti di Vera Crux, nella cabla stagione.
Fra'pubblici stabilimenti si nota il pub-
blico spedale, ed i religiosi francescani
hanno convento su elevata e deliziosa
collina. Lungi alcune miglia trovasi nel-
la strada di Las Vagas una cascata d'ac-
qua meravigliosa, che ritiensi la più al-
la che esista al mondo, e sulla via di Ve-
ra Crux si passa il Pueute del Bey co-
struito sulla riviera Antigua in una gola
profouda: è questo uno de'più importan-
ti passaggi, ed è famoso negli annali del-
la gueri a della rivoluzione. INe'lempi pas-
sati distinguevasi qual ricco emporio di
merci europee, e la gran fiera che vi si
teneva era la più frequentata del Messico,
[presente divenuta senza importanza,
izaba fiorente cillà è annessa a Vera
ux; dessa fa parie della Confederazio-
, è notabile per le sue immense piau*
VER 123
tagioni di preziosi tabacchi, e per la vi-
cinanza del monte di Citlaltepll, ove è il
suo vulcano. La chiesa matrice è un san-
tuario per la portentosa immagine della
B. Vergine che i pellegrini accorrono a
venerare. Ferole, importante borgo per
la sua cittadella di s. Carolos, per la scuo-
la militare che vi fu stabilita da Napo-
leone I, quando era generale in capo del-
l'armata francese, e per l'altissima mon-
tagna nominata Coffre de Perole, che e-
levasi a 2,097 lese, e credesi uu antico
vulcano. Passando per Guazacualco , è
da ammirarsi la riviera che ne porta il
nome: evvi un porto riputato il miglio-
re che offrono le riviere, le quali sbocca-
no nel golfo del Messico, seuza eccettua-
re il Mississipi, e per la celebrità che gli
acquistò l'infelice esperimento di coloniz-
zazione fatto in questi ullicui anni dal go-
verno messicano, per l'insalubre clima,
trasportando sulle sue rive coloni tede-
schi, svizzeri, olandesi e francesi. — L'o-
rigine e le vieeude di Vera Crux sono
quelle del Messico, de'cui primitivi abi-
tanti, derivati da' fenici o popoli dell'A-
sia anteriore, secondo i recenti studi del
dotto gesuita p. Antonio Bresciani, e ri-
feriti nel n. f\.i del Giornale di Roma
deli85g. Posti questi fondamenti storici,
egli confrontò colle fattezze de'fenici i ti-
pi de'selvaggi del Mississipi, i cui ritratti
al naturale, cioè de' capi di varie tribù
dell'America Settentrionale, furono effi-
giati in istatue, busti e bassorilievi dal
eh. scultore cav. Ferdinando Pettricb, e
da lui esposti e collocati nella sala del
concilio del palazzo Laterauense in Ro-
ma. Inoltre il p. Bresciani fece una gra-
fica descrizione di questa nuova e singo-
lare galleria, analizzando i volti e la for-
mazione delle teste de'selvaggi Sacs e Fo-
xes,de'Sioux,de'Winnesagoes,de'Crecks,
e degli Yacton Sioux, paragonandoli col-
le fattezze degli egiziani Ixos, de'fenici e
de'pelasgo-tirreni. Meglio è leggere : La
Galleria de 'ritraiti de' Selvaggi in La-
leranoy presso la Civiltà Cattolica, sene
a*4 VER
4-", C. 1 » p- 54o. 11 territorio messicano
fu scoperto, secondo recenti notizie, nel
i5i5 ila Francesco Fernandez di Cordo-
va e Giovanni di Grialba, e venne con-
quistato nel 1 5 18 O 1019 da Emano o
Ferdinando Cortes, con piantare la sud-
detta Croce a Vera Crux la Vieja, a 6 le-
ghe nord ovest da Vera Crux. Da quel
momento appartenne alla corona di Ca-
stiglia. Il Nuovo Messico fu conosciuto
circa il 1 583. Fabbricata Vera Crux, i fi-
libustieri se ne impadronirono poi nel
iG83. Nel 1808 scoppiò contro la Spa-
gna una rivolta, nella quale furono sacri-
ficati migliaia di spagnuoli; ma il capo
di essa fu disfatto neh 8 io alla battaglia
di Acapulco, e fatto prigione nel 181 1
venne fucilato.Neli8j2 ebbe luogo altra
insurrezione, nel seguente tentandosi di
proclamare l'indipendenza. Anche il ca-
po di questa fu preso dalle truppe spa-
gouole e passalo per le armi. Nel 1822
llurbidogiunse a farsi proclamare impe-
ratore del Messico col nome di Agostino
1, e poi abdicò e morì fucilato. Nella for-
tezza di s. Giovanni d'Ulloa si ridusse la
dominazione di Spagna, durante i men-
tovali periodi della rivoluzione messica-
na, ed ivi i realisti resistettero a tutti gli
assalti; ma fìualmente nel 1823 le arti-
glierie messicane della città aprirono la
breccia, e sebbene impeluosameute dal
forte si lanciassero le bombe a devastar*
la, dovettero i resti dell'armala spagnuo*
la venire a palli per avere salva la vita,
abbandonando del lutto il messicano ter-
ritorio. Nel 1824 il Messico stabilì la re-
pubblica e fece presidente Guadalupa Vit-
toria. Da quel momento il Messico fu sem-
pre fatale teatro d'anarchia, vittima del-
le discordie degli amici della repubblica
unitaria e di quelli della federale, villi-
ma delle ambizioui. Anche nel i832 il
general Santanna, opponendosi alle mire
del governo di Bustamante per sostene-
re la causa del federalismo, si fece scudo
di questa fortificata città per le sue mi-
litari operazioni,che lo portarono alla pie-
V E R
sidenza. Neil 836 fu dichiarato indipen-
dente il territorio del Texas, e nel.845
incorporato m^Iì Stati Uniti d'America.
Questa nassa di dttgftttie, e lo sviluppa-
molilo dell'industria nazionale in molti
altri punii più favorevoli, menomò no-
tabilmente la popolazione di Vera Crux.
Le ultime notizie sono le seguenti. E' ora
Vera Crux difesa da 5,ooo uomini di
truppe regolari, da 2,000 volontari e da
200 cannoni: ma tali truppe sono poco
disciplinate e poco esercitale, mancando
alla città, nelle correnti circostanze poli-
tiche della regione, munizioni necessarie
a fare una seria resistenza, a più di G.000
armati comandati da un capo di speri-
mentalo valore. Juarez ha concentrato io
Vera Crux tutte le sue forze, lasciando
gli altri porti senza difesa. Si teme dun-
que, che se questa piazza cade in potere
di Miramon, il partito liberale avrà una
sconfitta da cui non potrà presto riaver-
si. Mentre Miramon assedia Vera Crux,
il generale costituzionale Degollado sem-
bra voler marciare su Messico. Dalla fo-
ga di Comonfort, il partito liberale non
si è trovato mai in una posizione così cri-
tica. Se prevalerà, come si crede, Mira-
mon, si hanno speranze che potrà forse
operare la generale pacificazione dello
sventurato paese, desiderata da 4° anni;
i n caso contrario, lo si vedrà come il Te-
xas e la California, cadere alla fin fine
fra le mani degl'insaziabili Stati Uniti.
VERALLl Girolamo, Cardinale. Ni-
pote del cardinal Jacovazzi, per la sorel-
la Giulia, romano e d' antica e nobile
famiglia di Cori, ove nacque, come e-
ziandio prova il Ricchi nel Teatro degli
uomini illustri de'volsci, a p. 1 1 7 e seg.,
riportando quelli che in essa fiorirono,
fìa'quali Gio. Battista eccellente Medico
d' Eugenio IV (nel quale articolo con
Marini dissi incerta tale archialria), che
più volte in Cori ospitò nella sua casa il
vescovo diocesauo d'Ostia e Velletri car-
dinal Farnese decano del s. collegio e poi
Paolo 111, come narrai nel vol.LXXXlX,
VER
p. 199, ragionando della famiglia. Es-
sendosi a quello reso famigliare, il Pa-
pa stabilì in Pioma la di lui famiglia,
colla quale ivi visse. Ma osserverò, che
essendo morto Eugenio IV nel i447>ed
eletto Paolo III nel 1 534 mi sembra dif-
fìcile che Gio. Battista ancor vivesse nel-
l'epoca dell'esaltazione al pontificato del
Farnese. Nondimeno trovo in altre me-
morie, che Giovanni Battista nel i52i
era i.° conservatore di Roma, enei i5s»4
consigliere municipale, anzi nel luogo
citato potei dire che non fu medico di
tal Papa, e così non hanno più luogo
dubbiezze. Dice il Ricchi, che Girola-
mo nell'anno i5i3 conseguì il rettorato
di s. Michele Arcangelo e il benefìcio di
s. Salvatore di Cori, cura e beneficio, che
con regresso rinunziò quando Paolo III
Io fece arcivescovo di Rossano, e poscia
riassunse. Narra Cardella, nelle Memorie
sloriche de' Cardinali t non però esatta-
mente, per l'avvertito di sopra, che Giro-
lamo ebbe per patria Pioma, dove otten-
ne in premio dell'eccellente sua perizia nel-
le leggi, da Paolo 111 neh 54o il vescovato
di Bertinoro, come rimarcai riportando-
ne la serie a Sarsina, dal quale dopo un
anno fu trasferito a quello di Caserta. In-
di meritò d'essere avanzato a luogotenen-
te civile dell'uditore della camera, udito-
re di Rota nel^Sg^oH'amuiinistrazione
della chiesa di Rossano nel 1 544- Gli fu
quindi affidata la nunziatura del senato
"veneto, e in quell'occasione pretendono
Ciacconioe Flemy,che conferisse gli ordi-
ni sagri a'ss. Ignazio Lojola e Francesco
Saverio, non che agli altri compagni del
i.°, confutati da Cardella, il quale asseri-
sce col p. Maffei ei Bollandisti, che la sa-
gra ordinazione la riceverono dal vesco-
vo (d'Albe) Vincenzo Negusanli di Fa-
no, il giorno di s. Gio. Ballista deli 537,
e lo rilevai nel voi. LXXXVI, p. i63.
Aggiunge, che il nunzio Veralli, solo di-
fese s. Ignazio e i suoi compagni dal-
le calunniose accuse portale al suo tri-
bunale , e con formale sentenza li di-
vol. xeni.
VER 225
chiaro Innocenti. Altrettanto dissi io al-
l'articolo Gesuiti, e che il nunzio ricevè
i loro voti di castità e povertà. Anche il
Ricchi rimarca che tra'memorabili suc-
cessi di sua nunziatura, fu quello di rico-
noscere l'innocenza e sana dottrina di s.
Ignazio uniforme alle verità evangeliche
che predicava co'suoi compagni. Meglio
ne tratta il Viola nelle Memorie istori'
che dì Cori, presso il Giornale arcadi-
co di Roma, t. 22, p. 280 eseg. Nozio-
ni analoghe ho pure riferito nel voi. XCI,
p. 49^» il quale luogo nel citarlo a p. 2 1 3
i tipografi impressero n.° 1 in vece di io.
II prelato fu quindi promosso alla nunzia-
tura di Vienna, dove sostenne con intre-
pidezza e valore gl'interessi della cattoli-
ca religione presso Ferdinando I, e poi
col fratello Carlo V. In premio di sue glo-
riose fatiche e apostolico zelo, Paolo III
l'8 aprile i549 ^° c,eo cai'dinale pre-
te de' ss. Silvestro e Martino ai Mon-
ti, e gli conferì l'amministrazione del-
la chiesa di Capaccio, la quale dopo un
anno rinunziò a favore di suo fratello
Paolo Emilio. Da Giulio III fu spedito
legato a latere in Parigi per indurre il
re Enrico II alla pace, ed a por fine alla
guerra di Parma e della Mirandolajnella
quale legazione gli fu assegnato per data-
rio il parente o nipote Giambattista Ca-
stagna, poi Urbano VII. Compiuta la le-
gazione, fu destinato prefetto di segnatu-
ra, e dopo essere intervenuto a' conclavi
di Giulio III, Marcello II e Paolo IV,
consumò la carriera de'suoi giorni in Ro-
ma nel 1 555 d'anni 55te fu sepolto nel-
la chiesa di s. Agostino, dove al pilastro
sinistro della cappella della b. Chiara da
Monte Falco, fu eretto alla sua memoria
un elegante avello col suo busto marmo-
reo espresso al vivo, con magnifico elo-
gio, in cui però si tace l'età del cardina-
le, difetto di moltissime antiche iscrizio-
ni. Ma nell' iscrizione riferita dal Ciac-
conio e riprodotta dal Viola, trovasi
l'età: Aelatis suae LV, Nel voi. LX,
p. 192, parlai del moto- proprio di Pao-
i5
aaG VER
lo IV a favore degli eredi del cardina-
le, sugli Spogli e altre esenzioni. Il Ric-
chi riporta uno splendido elogio del car-
dinale, ed un componimento poetico al*
losivo alle rose del suo stemma genti-
lizio. Altamente è pur celebralo dal Viola
e da altri. La sua morte fu deplorata pure
dal municipio di Cori, il quale inviò in
Roma due cittadini oratori per gli uffici di
condoglianza verso i di lui parenti, preci-
puamente co' fratelli Paolo Emilio (che
Ughelli non bene dice nipote) a cui avea
rassegnato l'arcivescovato di Rossano, e
Matteo sposato a Giulia Astnlli dama
romana, colla dote del castello di s. Pie-
tro in Sabina. Però leggo in altre notizie
certe, che Giulia era della famiglia Mo-
naldeschi della Cervara.
VERALLl Fabrizio, Cardinale. .Ro-
mano e congiunto di sangue con Urbano
Vlljosuo cùginoo nipote, comefu paren-
te del precedente cardinal Girolam o, sicco-
me nato dal suo fratello Matteo e da Giu-
lia Monaldeschi,e perciò di nobil famiglia
originaria di Cori. Fornito dalla natura di
straordinari talenti, conseguita la laurea
dottorale nell'università di Perugia, fu
nominato da lui canonico Vaticauo, ed
avrebbe potuto ricevere maggiori onori,
se la morte in breve non avesse troncato il
suo pontificato. Clemente Vili lo fece pie-
Iato e referendario di segnatura, indi l'in-
viò inquisitore a Malia, e nel 1606 Pao-
lo V lo promosse al vescovato di s. Seve-
ro, iodi spedì nunzio agli svizzeri, ed in
ricompensa della nunziatura da lui so-
stenuta con sommo decoro, ad insinua-
zione del cardinal Milliui, a'24 novem-
bre 1608 lo stesso Paolo V lo creò car-
dinale prete di s. Agostino, e proiettore
presso la s. Sede del regno d'I rlauda, de'
serviti e de' minori osservanti. Ascritto
olle congregazioni del s. Oftìzio, de' ve-
scovi e regolari, e de'riti,ad oggetto di
tutto prestarsi al servigio della Chiesa u-
lii versale, rinunziò liberamente nel 161 5
la sua di s. Severo. Con generosa magnili-
cenza,nel 1620 lestaui ola chiesa e il mo-
VER
nastero di s. Agnese fuori le mura, di cui
era abbate commendatario ; adornò di
pitture la nave maggiore e la tribuna, e
volle che ardessero perpetuamente 8
lampade avanti il corpo della santa. Fi-
nalmente caro e amato da' Papi, e com-
mendabile per la sua probità e dottrina,
e di cui 1' unico difetto fu la propen-
sione all'ira, dopo essere intervenuto ai
conclavi di Gregorio XV e Urbano Vili,
Roma dovette piangere la morte d' un
suo degno figlio nel 1624, in età di 58
anni, o meglio 54» secondo l'epitaffio che
leggo nel Ciacconio e nel Viola. Ebbe
sepoltura nella sua titolare di s. Agosti-
no, nella cappella di sua famiglia, do-
ve nel pilastro prossimo alla medesima
si vede alla sua memoria un assai elegan-
te e ben inleso avello, col busto del car-
dinale scolpito in fino marmo , sotto di
cui leggesi un magnifico elogio, Urbani
VII consanguinei sui.
VERA NO (s.), vescovo di Vence. Fi-
glio di s. Eucheno arcivescovo di Lione,
la sua educazione, del pari che quejla di
s.Salonio suo fratello, fu affidata a maestri
pii ed esperti nelle scienze ecclesiastiche.
Passato alcun tempo nel mouastero di
Lerino, si posero sotto la condotta del ce-
lebre Sai viario, prete di Marsiglia, e il
loro padre non cessò mai di dare ad ea»i
le più salutari lezioni, come testifica lo
stesso Salviano. Furono entrambi inual*
, zati all'episcopato; ma non si sa di qual
sede fosse vescovo Salonio, alcuni dicen-
dolo di Ginevra, altri di Glandeve. Ce-
lebre però è il suo nome per gli elogi che
ne fecero i grandi uomini del suo secolo.
Verano fu posto sulla sede della città di
Vence o lenza (V.), nella Provenza.
Non si hanno sicure notizie delle azioni
di questo sauto vescovo, se non che fu
uno di quelli che Papa s. llaro, il quale
sedette sulla cattedra di *. Pietro dal 46 1
al 4^7» adoperò nei diversi affari chea-
vevano per oggetto i diritti della metro-
poli di Arles. Sembra perciò che sia mor-
to dopo la metà del V secolo. Fu sepolto
VER
nella sua cattedrale, e il suo corpo venne
disotterrato nel 1^5. La sua festa si ce-
lebra a'9 di settembre. Si attribuisce a
lui la lettera diretta a s. Leone I Papa
dai vescovi Cerezio, Salonio e Verano,
per congratularsi seco del suo zelo con-
tro l'eutichianismo e contro l'eresie che
tendevano a corrompere la purità della
fede nelle Gallie.
VERANO (s.), vescovo di Cavaillon.
Originario di Gevaudan. Fino dalla sua
fanciullezza diede a conoscere che Dio
aveva delle mire particolari sopra di lui.
Avendo speciale divozione a s. Privato
mari ire, passò in orazione la notte pre-
cedente la di lui festa nella chiesa di Ja-
voux, e giunto il mattino andò a gettar-
si a' piedi del vescovo per chiedergli la
tonsura chericale. Ricevutala, abbaodo»
DÒ il suo paese, e andò a nascondersi pres-
so a Cavaillon, dove la sua santità e i
miracoli presto lo fecero conoscere. Pas-
lò in Italia col disegno di visitare i se-
polcri de' principi degli Apostoli, e ne
tornò dopo qualche tempo. Rimasta va-
cante la sede di Cavaillon per la morte
di Prelestato, il re Sigeberto vi fece por-
re s. Verano, di cui avea conosciuto la
virtù. Intervenne al concilio di Màcou
del 585, ed ebbe molla parte ai regola-
menti che vi si fecero sulla disciplina. Fu
uno dei vescovi mandati a Parigi
per
la-
girarsi a Clotario 11 dell'assassinio di s.
Prelestato vescovo di Rouen. Childeber-
to II, tenendolo in gran pregio, lo volle
a padriuo di suo figlio Teodorico. Morì
\erso il principio del VI secolo, agli i I
di novembre, nel qual giorno è segnala
la sua festa. Fu sepolto nella cappella
della ss. Vergine, che avea fatto fabbri-
care presso alla foutana di Sorga ; indi
il suo corpo fu trasportato a Cavaillon,
poi a Gergeau nella diocesi di Orleans,
donde venne recata la porzione di sue
reliquie che si conserva nella chiesa che
porta il suo nome nella diocesi di Parigi.
VERAPAZ oCORAN,remP^.C»t-
là vescovile di Gualimala, nell'America
VER 217
Centrale, capoluogo di dipartimento del
suo nome, che occupa tutta la parte o-
rientale dello stato di Gualimal > fra l'Ju-
catan e l'Honduras, in riva al Cohabon,
distante 4o leghe da Guatimela. La con-
trada si chiamò dagli spagnuoli Tierrct
de Guerra per l'ostinata resistenza degli
abitanti, ma quando i religiosi domeni-
cani vi sparsero la luce del cristianesimo,
le dierono per antitesi il nome di Vera-
paz. Tuttora i domenicani vi hanno il
convento, vi sono chiese,stabilimenti, fab-
briche di tele. Contiene più di 12,000 a*
bitanti, nella maggior parte d'origine in-
diana, e dediti con profitto a detta ma-
nifattura. Gli spagnuoli di Cuba scelse-
ro questo punto per irrompere sulla re-
pubblica Guatimalese, ma furono obbli-
gati a precipitosa fuga. La sede vescovi-
le l'eresse Paolo IV ne\i556,e la dichia-
ròsuffraganea della metropolitana diMes-
sico; dipoi Paolo V unì il vescovato nel
1607 a quello di Gualimala (/''.).
VER13ERIA o VERBER1E, Ferini-
bria. Borgo di Francia, o antica città, co-
me la qualifica il Castellano, dipartimen-
to dell'Oise, circondario e 3 leghe e mez-
za al nord-est di Senlis, ed a 3 leghe sud
da Compiègne , cantone di Pont s. Me-
xence.K situata sulla sponda sinistra del-
l'Oise, in deliziosa posizione, appiè d'una
montagna. Vi sono alcune case eleganti,
una sorgente ferruginea, a cui non pochi
accorrono, presso la casa detta di s. Cor-
nelio, così chiamata perchè apparteneva
all'abbazia di s. Cornelio di Compiègne.
Ha fabbriche di prodotti chimici e di te-
gole. La pietra detta di s. Leu è oggetto
di suo traffico. Grande è il commercio di
canepa e cipolle che fanno con Parigi i
suoi 1600 abitanti circa, i quali pur ten-
gono due fiere annue. Era vi un tempo
un castello che i redi Francia della j."
stirpe abitarono, e nel quale si sono te-
nuti i seguenti concilii, detti Verimbrien-
si o Vernicriensii nella diocesi di Sois-
sons, decaduta dal suo antico splendore.
Ili.°conciIionel 7520753 fu fatto radu-
228 VER
naie da Pipino re de'franchi, o propria-
mente fu l'assemblea della unzione. Vi
si fecero per quanto credesi 21 canoni,
la maggior parte riguardanti i mairi. no-
ni. Vi si elice clieil matrimonio in 3.°gra-
do di parentela è nullo, in guisa che do-
po la penitenza fatta, le parti hanno li-
bertà di maritarsi con altri. Nel 4«° g,,f*'
doimponevasi loro la penitenza senza se-
pararli. In una parola, una parte della
penitenza per incesto colla cognata, col-
la matrigna, era di escludere dal matri-
monio per sempre. Il 2.0 fu tenuto nel-
1' agosto 853. Quattro metropolitani e
molli vescovi vi approvarono gli articoli
che il re Carlo I il Calvo avea pubblica-
ti nel concilio di Soissons. Il 3.° concilio
a'25 ottobre 860 o 863. Il de^to Carlo
I vi permise a Rotado di andata a Ro-
ma, giusta gli ordini del Papas. Nicolò I.
II 4-° concilio nell'863, per alcune diffe-
renze tra il vescovo di Le Mans ed al-
cuni religiosi. Il 5.°a'24aPl^e869, com-
posto di 29 vescovi, alla presenza di Car-
lo I. Incmarodi Laon vi fu accusato, e
vedendosi pressato si appellò al Papa A-
driano II, e domandando il permesso di
recarsi a Roma gli fu negato, ma venne
sospesa la procedura. Il 6.° concilio nel-
1*870. Regia, 1. 1 7 e 22; Labbé, t. 6 e 8;
Harduino, t. 3 e 5; Galliachr.t t. 4; Con-
dì., t. 8; Pagi all'anno 870.
VERBO, Verbum. Verbo óìDìoo Di-
vino è quel termine consagrato nellaScrit-
tura sagra e tra'teologi per significare la
Sapienza eterna, il Figliuolo di Dio (F.)
unigenito Gesù Cristo (F.)t Dio e Uo>
mo (F.) insieme, la seconda persona del-
la ss. Trinità (fz.) , eguale e consostan-
ziale al Padre eterno, il nostro Signore,
Salvatore, Maestro e legislatore. Il Ver-
bo di Dio, dice ['Ecclesiastico, 1,5, è la
sorgentedella sapienza; è il nome che con-
viene a Gesù Cristo, siccome effetto del-
la parola e della volontà di Dio: questo
Verbo si è fatto carne, cioè ha preso un
corpo umano, come leggesi chiaramente
in s. Giovanni, e. 1, v.i a 1 £. Ferbo o pn-
VER
rola significa altresì il Comandameli tn
di Dio. Inoltre si mette sovente nella
Scrittura sagra per marcare una cosa; per
esempio, il Signore farà domani questa
parola, per dire questa cosa. Verbo dice-
si finalmente la parola di Dio, Verbunx
Domini^ e si prende o per la parola inte-
riore che Dio faceva a'suoi Profeti, o per
la parola che faceva loro intendere este-
riormente, come a IMosì- sul monte Sinai;
oppure per la parola a' ministri di Dio,
tanto nell'antico quanto nel nuovo Testa-
mento j ovvero per la parola di Dio nz'Li-
bri sagri ; e finalmente per la parola di Dio
giunta fino a noi pel canale d'una Tra-
dizione costante. I teologi doverono for-
mare il loro linguaggio, per quanto era
possibile, su quello della Scrittura sagra,
dopo averne confrontato i passi. Perciò
dicono: Dio conose.endo se stesso necessa-
riamente ed ab eterno, produsse un ter-
mine od un oggetto di questa cognizio-
ne, un Ente eguale a se stesso, sussisten-
te ed infinito come esso, perchè un atto
necessario, continuo e coeterno alla Di-
vinità non può essere simile ad un atto
passeggiero e limitato, né sterile come i
nostri. Perciò quest' oggetto della cogni-
zione di Dio Padre, è chiamato nelIaScrit-
tura sagra suo Verbo, sua Sapienza, suo
Figlio, Immagine della sua sostanza.
Splendore della sua gloriale. Gli scrit-
tori sagri attribuiscono a lui le operazio-
ni della Divinità; ne parlano come d'u-
na persona distinta dal Padre, lo chia-
mano Dio come il Padre ec. I teologi
chiamano generazione quest'atto del-
l'intelletto divino, per cui Dio produsse
il suo Verbo, perchè questa è la parola
consagrata nella Scrittura sagra ad espri-
merlo.L'Incarnazione del Verbo non può
dimostrarsi colla umana ragione, perchè
è un mistero nascosto io Dio, fondato sul-
la fede, che è oscuro, e che non ha con-
nessione necessaria cogli effetti della na-
tura. 1 buoni angeli hanno conosciuto il
mistero dell' Incarnazione, giacché essi
ba mio adorato eannunciato Gesùnascen-
u
VER
le, come c'insegnano s. Luca, a. Matteo
e s. Paolo. Ma quanto a'caltivi angeli es-
si non l'hanno conosciuto con una iute*
ìa certezza; ma lo hanno soltanto conget-
turato. Adamo, i patriarchi, i profeti e gli
altri giusti dell'antica legge hanno cono-
sciuto per rivelazione il mistero dell'In-
carnazione, poiché la fede nella Venuta
del Messia (V.) era loro necessaria per
salvarsi. Fu pure conosciuto da qualche
gentile, come Giobbe, Balaam ec. Il 3.°
orticolo del Simbolo dice: II anale fa
concepito di Spirilo Santo. Gesù Cristo
come Dio non ha Madre; ha solo il Padre
celeste che lo ha generato fin dalla eter-
nità. ComeUomo ebbe soltanto Madre in
Maria di Nazareth, immacolatamente
concetta, sempre Vergine (F.) avanti il
parto, nel parto e dopo il parto. Giusep-
pe fu vero sposo di Maria; di Gesù fu cre-
duto padre, ma null'altro era veramen-
te, che nutricatole e custode, padre pu-
tativo. Maria si chiama ed è veramente
Madre di Dio, perchè da lei è nato Gè-,
su Cristo, che in unità di persona è Dio
e Uomo insieme. Ella lo concepì nell'im-
macolato suo seno della propria sostan-
za, non per la via ordinaria , ma per la
operazione miracolosa della virtù dell'Al-
tissimo. L'anima di Gesù Cristo è slata
creata da Dio, come la nostra , al mo-
mento della sua uuione col corpo; e fino
dal primo istante di vita godè della mag-
gior pienezza delle grazie e de' doni ce-
lesti. Questo mistero, dello il mistero del-
la ss. Incarnazione, consiste neh' essersi
Iddio della gloria abbassalo sino a farsi
uomo, preudendo un corpo ed un' ani-
ma, e faceudosi (tranne il peccato) in tut-
to simile a noi, passibile, mortale, e quel
che è sommamente rimarcabile, per noi
e per la nostra salute eterna. Nel farsi
uomo Egli ha unito la sua natura all'u-
mana così intimamente, che senza me-
scolanza , senza confusione ambedue le
nature distinte, insieme uuile, non sussi-
stono che nella soia Persona divina , iu
uu sol Gesù Cristo. Di questa uuioue per-
VER 229
rettissima che si chiama rpostatica}i\edh-
biarao una similitudine, sebbene imper-
fetta, nell'unione dell'anima e del corpo
umano in un solo individuo. Non dob<
biamo stupire che questo mistero tanto
superiore alla intelligenza umana, che
non si può concepire né spiegare con al-
cun paragone, sia stato combattuto da
tanti eretici, come descrissi a'ioro artico-
li. Anco al tempo di s. Giovanni, che co-
me dissi avea scritto: Il Verbo si è fatto
carne, cioè ha preso un corpo umano; i
Cerintiani, gli Ebioniti 3 poi i Gnostici
divisi in varie sette, i Carpocrazìani , i
Basilidianiy i Menandrianit seguaci di
Menandro discepolo di Simone Mago
(principe e autore degli eretici, primoge-
nito di Satana)) \ Prasseanitì Noezia-
niy i Sabelliani, i Samosatensiy i quali
tutti lasciarono de'discepoli, infine gli A-
rianie'ì loro discendenti attaccarono em-
piamente il mistero dell'Incarnazione del
Verbo in diverse maniere. Gli uni osa-
rono impugnare la divinità di Gesù Cri-
sio, altri stranamente la sua umanità, al-
tri l'unione della divinila e dell'umani-
tà. Alcuni ardirono dire che Gesù Cristo
non era che un puro uomo, altri auda-
cemente non gli attribuivano che una
carne fantastica ed apparente; per Io con-
trario altri gli attribuivano una carne ve-
ra, ma formata di elementi e non del san-
gue di Maria Vergine. Gli Ariani, gli A-
pollinaristi lo spogliavano dell auiraa u-
inana , negando il Figlio consostanziale
al Padre, per un falso fondamento. I Mo-
noteliti non gli davano che uua volontà
ed operazione. Gli Eutichiani non am-
mettevano in lui che una natura dopo
P unione , e i Nestoriani non vi ricono-
scevano che due persone. I monaci del-
la Scizia furono condannati per l'erro-
re contro le due ipostasi in Gesù Cristo.
Felice ed Elipando, vescovi di Spagna,
dicevano che Gesù Cristo non era Figlio
naturale di Dio, ma soltanto adottivo e
per grazia. Ne'due ultimi secoli i Socinia-
ni e i loro seguaci fecero ogni sforzo per
a3o VER
annichilire il mistero del Verbo di Dio,
dogma essenziale efondamentale del Cri-
stianesimo. Tulta questa colluvie d'er*
tori stravaganti ed ereticali, condanna-
rono i Papi, i concilii, i ss. Padri con o-
pere dottissime , oltre altri benemeriti
scrittori ecclesiastici, il tutto avendo di-
scorso a' loro luoghi, e negli articoli in
questo citati o ricordati. Il Buonarroti
nelle Osservazioni sui vasi antichi di ve-
tro, rileva che gli antichi cristiani espres-
sero su di essi e sopra altri monumenti,
Gesù. Cristo assistito da due angeli oche-
rubini, per fare apprendere e dimostra*
re al popolo la diviuità e cousustanzia-
lità del Verbo contro gli errori degli a-
ria ni. L' Evangelio della Messa (tz.):
m In principio era il Verbo, questo Ver-
bo era in Dio (o con Dio) ed era Dio: que-
sto è ciò che era con Dio e nel principio...
il Verbo si fece carne e dimorò tra noi,
e noi vedemmo la sua gloria , la gloria
propria dell'Unigenito Figlio del Padre,
pieno di grazia e verità". Sino dall'anti-
chità fu tanto venerato il mistero del-
l'Incarnazione, che l'Evangelio di s. Gio-
vanni si pose indosso a "fanciulli conilo le
Superstizioni (P.). Insegna dunquechia-
lameute tal Vangelo questa verità, cioè
che il Verbo divino è una persona sus-
sistente, e non uua semplice denomina-
zione. 1 più antichi Padri della Chiesa in-
segnarono con chiarezza e costantemen-
te la Divinità del Verbo. E>si nou pre-
sero ne da Platone, uè da'nuovi Platoni-
ci, né da veruu' altra scuola di filosofia,
ma nella Scrittura sagra, ciò che dissero
del Verbo Divino. Si pouno vedere, Ber-
gier, tradotto, corretto e accresciuto dal
camaldolese p. ab. Biagi, Dizionario en-
ciclopedico ,x\e\ l'articolo: Verbo Divino j
e lebelle Istituzioni cattoliche del vesco-
vo Bronzuoli. 11 vescovo Sarnelli, Lette-
re ecclesiastiche % lett. 3o: Del segno del-
la Salutazione Angelica , il quale suol
darsi 3 volte il giorno, la tratta come a-
dotazione del mistero della ss. Incarna-
zione iueffabile del Verbo Divino, e del
VER
genuflettere alla Salutazione A ngelica sia
tempo Pasquale o no, in riverenza del
mistero, come si genuflette alle paiole :
Et incarnatus est, del Simbolo (V.); Et
T'erbum Caro factum e sl^ùeW* stessa iSrt-
lutazione Angelica (T'\)j Te ergo quae-
sumus lui famuli» snhverutquos pretioso
sanguine redrmisli\dt\V 'inno Te Deum
laudamus (V.), ed i cantori che canta-
no tali versetti fanno la genuflessione do-
po averli cantati, cioè il i .° e V ultimo.
Dalla forinola della preghiera Salutazio-
ne Angelica, si vede che qualunque ne
sia stata 1' istituzione per orare contro i
nemici di s. Chiesa, nondimeno Papa Ca-
listo III dicendo, che genuaflectaut, in-
tenda che sia adorazione, e come tale si
ha ora per tutta la Chiesa, la quale la
tiene per adorazione del mistero dell'In-
carnazione; or questa in quale ora del
giorno sia avvenuta , non si sa; però in
una delle 3 ore, che sono le più verosi-
mili, si dice l'orazione dell'Angelus Z?o-
;wW, dall'adorazione accompagnata. Im-
perocché altri tengono che avvenisse al-
l'aurora, o sia uascita del sole. Così il b.
Alberto Magno e s. Antonio, dicendo s.
Dionisio Aieopagita , che le circostanze
dell'Aununciante debbono essere le pro-
prietà dell'Annunciato: quindi l'Angelo
Gabriele annunciando T Incarnazione col-
lesue proprietà, e quella essendo il na-
scimento del vero sole sopra la terra, che
illumina ogni vivente, e questo tempo è
il principio del giorno; onde si deve cre-
dere che allora fosse fatta l'annunziazio-
ne. E però il Signore risuscitò dilucido,
cioè sull'aurora. E così siccome il sole è
fonte di luce e principio del giorno, l'an-
nunziazione parimente fu principio di no-
stra salute, e diffusione del lume divino.
Altri vogliouo che avvenisse di mezzo-
giorno, nel quale gli Angeli apparvero
ad A bramo, annunciandogli il concepi-
mento d'Isacco, il quale fu figura di Cri-
sto. E similmente perchè nella medesi-
ma ora patì Cristo, per la cui Passione sia-
mo stali illuminati, ed allora il sole stari-
VER
do uel sommo cielo genera grandissimo
calore sopra la terra. Altri dicono ch'^ av-
venisse nella mezzanotte, secondo quel-
l'autorità dellaSapienza,i 8, indimi me-
dium tilenlium te neve ut omnia, et nox
in suo cuvsu medium iter liaberet, omni'
potai* sermo tuus Domine (idest filius)
a vegalìbus sedi bus venit. E però dalla
Campana si suona Y Ave Maria la sera
per esser principio della notte; mentre sul
numero de'tocchi delle campane per la
recita della Salutazione Angelica, ripar-
lai uel voi. XC, p. 190. Non sapendosi a-
dnuque quale sia veramente V ora del*
l'Incarnazione sagrosanta del Verbo Di-
vino, iu tulli e 3 1 tempi si adora sì gran
mistero; e però da chi non è impedito de-
ve dirsi ^ginocchioni l'orazione, che ciò
esprime, contenendo in se l'adorazione:
2£t verbiim Caro factum estj benché ab
antico fosse solamente orazione,dicendo-
si 3 Ave Maria per impetrare aiuto alla
Chiesa ed a' cristiani. Molle indulgenze
concessero i Papi a'fedeli, quando al suo-
no delle campane, per ricordo a'crisliaui,
recitassero Y Angelus Domini, per vene-
rare il mistero dell'Incarnazione del Fi-
glio di Dio uel seno purissimo di Maria
Vergine per opera dello Spirito Santo
(V.); anzi le accordarono più volte al gior-
no per implorare il patrocinio della B.
Vergine e venerare il ss. Mistero. Acqui-
standosi le medesime indulgenze da'reli-
giosi de' due sessi terminati gli esercizi
presentii dalle loro tegole; ed i fedeli
che trovandosi in luoghi ove non sono
campane nelle ore corrispondenti recite-
ranno P Angelus Domini. E siccome Be-
nedetto XIV, che fiorì dopo il Sarnelli,
confermò l'indulgenze , e dichiarò che
V Angelus Domini si dicesse in piedi tut-
te le domeniche dell'anno, cominciando
dalla sera del sabato, e che nel tempo Pa-
squale in suo luogo si dicesse sempre in
piedi l'autifona Regina Coeli laetare, al-
Ic.luja (V.). La solennità con cui la Chie-
sa volle a'25 marzo celebrata la festa del-
YAfuiuuzìazioiw(rr.)èaulidi\iòiiuatL[nii'
VER a3 1
mata Concezione di Cristo e Principio
della Redenzione, onde diverse nazioni
cristiane da tal giorno cominciarono YAiv
ìio(F.), eYEra Cristiana, di Gesù Cri-
sto, ovvero dell' Incarnazione od Era vol-
gare (V.), e così la s. Sede fa colla data
delle Bolle apostoliche, ossia dal miste-
ro della ss. Incarnazione. Il Rinaldi nel-
l'Apparato agli Annali Ecclesiastici, n.
76, dice che l'Incarnazione del Verbo se-
guì nello stesso giorno , che fa formato
Adamo. I Papi poi per tal festa e sua no-
vena elargirono molte indulgenze. Per o-
norare il mistero fu istituito l'ordine del-
le religiose del Verbo Incarnato (V.)t
ed in Roma il monastero delle Carme-
litane ( V.) della ss.Incar nazione del Ver-
bo, del quale riparlai altrove, e così d'al-
tri pii istituti.
VERBO INCARNATO. Ordine delle
religiose, istituite principalmente per o-
norare il mistero dell' Incarnazione del
Divin Verbo (V.), dalla madre Giovan-
na Maria Chezard de Metal, nata in Ro-
vanne nel territorio Forese. Nel 162$ ne
incominciò la fondazione, ritirandosi cou
due compagne in una casa che le reli-
giose Orsoline di Parigi aveauo abban-
donata. Si portò a Lione per comunica-
re il suo disegno all'arcivescovo Carlo Mi-
rosfti quale approvò la fondazione della
congregazione, desiderando anzi che se
ne cominciasse l'istituzione in Lione stes-
so. Quivi infatti ella si stabilì colle sue
compagne, ma la malattia contagiosa che
desolò quella città poco tempo dopo fu
un grave ostacolo, il quale impedì che la
sua congregazione facesse da principio un
gran progresso. Trovò essa altresì forti
opposizioni per parte de'prelati e delle
persone, che potevano contribuire a quel-
lo stabilimento; nondimeno potè ottene-
re la bolla d'erezione da Urbauo VIII a*
12 giugno! 633. Il cardiual Alfonso Ri-
chelieu , divenuto arcivescovo di Lione,
però fece ostacoli al ricevimento della
bolla e si oppose al nuovo istitutori quale
tuttavia andaTaoguora crescendo in mei-
23* VER
20 a tutte le difficoltà. Le religiose era-
no al numero di 3o, quando alcune di
esse si ritirarono a motivo dell'incertez-
za dello stabilimento; ma le altre perse-
verarono costati temente e si unirono sem-
pre più. alla madre de Matel. La loro
perseveranza fece sì, che trova rotisi del-
le occasioni favorevoli, la i.a delle quali
fu lo stabilimento, che presentossi ad A-
vignone,e che si fece a' 1 3 novembre 1 63g
coll'appoggio di mg.r de Cohon vescovo
di Nimes, il quale avea sempre favorito
i disegni della pia fondatrice, e die' l'a-
bito alle prime 5 religiose dell'ordine. La
fondatrice dopo aver dato il governo di
quel monastero alla madre Margherita
di Gesù, de Villars Gibalin, parli da A-
vignone per ritornare a Lione, dove si
fermò sino al principio di gennaio 1 643,
nel qual mese dovette andare a Greno-
ble a stabilire un 2.°monaslero dell'ordi-
ne, otleneuclo per quello stabilimento let-
tere patenti da Luigi XIII re di Francia,
di cui suo padre signore di Matel era
gentiluomo di camera e capitano de'ca-
valleggieri. Appena la nuova casa di Gre-
noble fu orga ti izza ta, che la madre de Ma •
tei ricevè lettere dalla reggente Auna
d'Austria vedova di detto re, colle quali
quella regina l'invitava a recarsi in Pari-
gi per fondarvi un monastero del suo or-
dine. Ella vi andò e stabilì un 3.° mona-
stero, di cui prese possesso ili. "novembre
i644* Indi morto il cardinal Richelieu,
il successore Camillo di Neuville le per-
mise la fondazione del monastero di Lio-
ne, che si effettuò neh 655, già Papa In-
nocenzo X avendo approvato le costitu-
zioni dell'ordine. Soffrì la madre de Matel
varie molestie e persecuzioni, dopo lo sta-
bilimento del monastero di Parigi; tal-
ché rinunziate le poche sostanze che avea,
cadde malata e morì 1' 1 1 settembre 1 670,
nella sua casa di Parigi, vestita coll'abi-
to dell'ordine, dopo aver sostenuto vir-
tuosamente le contrarietà di cui fu segno.
Il suo cuore fu portato al monastero di
Lione. Poco tempo dopo l'ordine perde
VER
il monastero di Parigi, non avendo le re-
ligiose fatto registrare al parlamento di
Parigi le regie lettere patenti pel loro sta-
bilimento, né più vi poterono rientrare.
Bensì fondarono i monasteri di Roque-
mont e di Andusa. L'abito delle religio-
se consisteva in una veste bianca, un man
lo, e in uno scapolare rosso: la veste era
fermata da una cintura di lana rossa, e
sopra Io scapolare dentro una corona di
spine era il ss. Nome di Gesù, e sotto un
cuore sormontato da 3 chiodi, col molto
Amor mcusj il tutto ricamato con seta
turchina. Il gesuita p. Antonio Boissieu
scrisse la Vita della ven. madre Giovan-
na Maria Chezard de Matel. Il p. lie-
lyot nella Storia degli ordini religiosi ci
ha dato nel t. 4> p- 4 ' 5, c- 5° : Delle re-
ligiose dell'ordine del Verbo Incarnato,
colla vitadella ven.madrcMariaGiovan*
na Chezard. de Matel loro fondatrice.
VERCELLI (Fercellen).Cìith con re-
sideuza arcivescovile degli stati del regno
di Sardegna, assai antica e illustre, ca-
poluogo della divisione e della provincia
del suo nome, sulla sponda destra del Se-
sia al confluente del Cervo, ed al canale
manufatto che viene da Ivrea, sulla Do-
ra-Baltea. E situata in una bella pianu-
ra sullo stradale che da Torino tende a
Milano, quasi a mezzo corso, così è di-
stante da quelle due cospicue metropoli
circa 1 5 leghe di Piemonte. Triiun circi'
ter mUliarum ambitus, in qua iSoocir-*
cilerfocularia1 et fere 1 3, 000 numerati'
tur incolae : così I' ultima proposizione
concistoriale. Intorno alla città vi sono
ameni passeggi, cui contribuiscono ad ac-
crescer vaghezza i frequenti e grandiosi
giardini, la verzura delle circostanti cam-
pagne, ed il lontano aspetto dell'orrida
cima gelata del Monte Uosa. I due moli-
ti più alti di gran lunga fra quanti si ve-
dono non solamente nelle Alpi, ma in
tutta l'Europa, sono il Monte Uosa e il
Monte Bianco, ed ili.0 forse al 2.0 supe-
riore in elevazione,da una delle sue ghiac-
ciaie derivando la Sesia. Il uome sembra
VER
derivargli dalla tinta rosea onde le «uè
nevi perpetue vedonsi rispondere al i.°
albore, o quando già più non ricevono
che gli ultimi raggi dei sole tramontato.
E' residenza dell'intendenza generale del-
la divisione amministrativa, e delle cor*
rispondenti magistrature regie, tribuna-
li,giudicature e dell'amministrazione del-
le miniere. Spaziosa e beo ornata è la
piazza del mercato; ed il municipale pa-
lazzo, quello del governo, il rinomato o-
spedale maggiore bello ed egregiamen-
te tenuto (la cui istituzione risale al car-
dinal Guala Bicchieri) ed uuo de'miglio-
ri del Piemonte, il teatro, sono i pubbli-
ci edilizi che incoronano i palazzi e le
molte abitazioni de'privati per eleganza
notabili. Magnifico e ottimo edilizio, di
moderna e sontuosa architettura , è la
chiesa metropolitana, per la sua maesto-
sa architettura e per le marmoree colon-
ne ond'è la sua mole sostenuta; sagra a
Dio sotto l'invocazione del celebre s. Eu-
sebio vescovo e patrono principale della
città. Anticamente era un tempio dedi-
cato alle false divinità, serviva all'empie-
tà e al delitto, mentre quasi tutta la cit-
tà codi abitanti andava ravvolta in un
o
mucchio di miserande rovine, quando i
barbari dopo il 34o penetrarono in Ita-
lia, ed a più riprese la manomisero. S.
Eusebio sollevò il tempio dalle rovine,
intitolandolo al predecessore s. Teoneslo
nobile vercellese, che il p. Gumppenberg
pretese non ultimo della legione Tebea.
JI tempio fu nuova mente distrutto, equiu-
di dal vescovo s. Albino fu restauralo e
intitolato al medesimo s. Eusebio. Papa
Gregorio XVI col breve Ad summuni
Catholicae Ecclesiae pontificatimi, de*
26 agosto i834> Bull. Rom. cont. 1. 19,
p. 657, eresse questa chiesa cattedrale al
grado di basilica minore, con tutti i di-
ritti, privilegi, preminenze ed esenzioni
inerenti, e ciò ad istanza del zelantissimo
odierno arcivescovo, ed in considerazio-
ne del lustro della medesima, imperoc-
ché dice; Equidem V ercellensis melro-x
VER a33
polilana Ecclesia in Gallia Cisalpina
hìstoriafastis insignis, multis sane no-
minibus emicat^alque refulget. Namque
originis vetustate, et catholicae relìgio-
nis fama summopere pracstans , atque
huic Pelri cathedrae vel maxime addi-
età, amplissimis summorum principimi
honoribus aucta, plures pastores sacra
purpura donatus , et sanctitatis gloriae
coelitum ordini adscriptos habuisseglo-
riatur. Acceditetiam r.athedrale ejus-
dem templum magnifico opere extru-
ctum, ac rebus omnibus divino cultuiac-
comodalis splendidissime ornatimi , et
praeclarum illius templi Canonicoruni
collegio iis ecclesiasticisviriinstruclum,
qui pietatis, religionis , et virtutis laude
speciali, magnopere diligentes decorali
domus Dei, ornai cura et diligentia sa~
gri ministerii partes ri te obeuntes virtù-
tem ornatili enitescere curant. In questa
basilica con altre belle cappelle si am-
mira quella col venerando deposito del
b. Amedeo IX duca di Savoia (J7.), pro-
tettore delle partorienti, morto in Ver-
celli neli472, il cui culto immemorabi-
le approvò Innocenzo XI nel 1677. So-
novi pure in grande venerazione i corpi
del glorioso s. Eusebio vescovo di Ver-
celli, e della b. Emilia di Vercelli. Bene-
detto XIV confermò l'indulgenza plena-
ria che si lucrava in forma di giubileo per
3 giorni, cioè l'8, il 9 e 1 o agosto, nell'S/
della festa di s. Eusebio. Tra le altre nu-
merose reliquie insigni che possiede, ri-
corderò iuoltree soltanto del legno della
ss. Croce, cLie ss. Spine , una gamba di
s. Daniele profeta , ed un braccio di s.
Giacomo Maggiore apostolo. Vi si con-
servano eziandio gli Evangeli di s. Matteo
e di s. Marco scritti dalla mano di s. Eu-
sebio e ricchi di preziosi ornamenti, che
donò Berengario II imperatore e re d' I-
talia or sono 9 secoli. Si legge neli' A*
tlante Mariano ossia origine deli* Im-
magini miracolose dellaB. Fy ergine Ma-
nia venerale in tutte le parti del mori'
do, redatto dal gesuita p. Gumppcn»
*3| VER
lag. Europa, t. 5, p.127, dell'edizione
di \ erotta i84^: Immagine miracolasti
(Itila B. l'ergine Maria, la Madonna
della schiaffo nella cattedrale di Ver-
celli. Neh 189 Anna gentildonna di Pal-
ina, delle più ricche, ossessa dal demo-
nio, restandone poi liberata per interces-
sione di s. Eusebio, ^er gratitudine ver-
so il celeste benefattore, volle lutto il re-
sto di sua vita abitare in una casa vici-
no al suo tempio, senza mai partirne, e-
scrcitnndosi nel digiuno e nell'orazione,
e moti di 43 anni. Se tutti gli altri mo-
numenti andarono perduti, pure un so-
lo ne resta, che ottimamente di quella
matrona attesta la divola pietà. E' que-
sto un portico sagro della cattedrale, sot-
tocui in candidissimo marmo scolpito ve-
desi l'avvenimento rappresentato da pic-
cole statue. Fra queste è la Madonna col
divin Figlio, che protendendo la destra
è in atto di benedire. Ora nello scorso se-
colo (deve dire almeno XVII) un colai
aulico, giuocatore non plebeo della setta
di Calvino, adiratosi per la mala sorte
avuta nel giuoco, entrò furioso nel tem-
pio, ed a quell'effigie marmorea della B.
"Vergine con ira scagliò uno schialfo sul-
la guancia sinistra. Con portentoso pro-
digio, dal marmo spruzzò sangue, e tut-
tora si vedono nel venerando simulacro,
oltre il vermiglio del sangue, i segui im-
pressi della sacrilega mano. Costui, alte-
ralo nella mente, non sapendo più tro-
var l'uscita di quel luogo, andava vagan-
do pe'chiostri del propinquo episcopio,
tutlo fuori di se; e siccome o fu veduto
0 egli stesso narrò 1' iniquo fallo, ciò fu
1 iterilo a Carlo duca di Savoia, che pre-
cisamente allora trova vasi in detto palaz-
zo. 11 reo, senza riguardo alla sua nobile
condizione, uè all'aula ove a vea tutto con-
fessato, fu processalo; per cui il duca or-
dinò che nel pubblico foro fosse dal boia
appeso al palinolo. Il giudice lesse al po-
polo il delitto cagione del supplizio; e già
il ribaldo, non avendo che apporre, sa-
liva gli ultimi gradini della scala e al-
VER
tendeva la morte. Il sacrilegio destò tan-
to orrore, che ninno lo scusò o domandi)
più mite punizione; perciò spinto giù dal-
ia scala rimase sospeso, e perì di morte
ignominiosa, degna d'un giuocatore ere-
tico. Lo storico ebbe il procoso scritto
dal decano del capitolo della cattedrale
Gio. Callista Modena. La rosseggiante
macchia , che tuttora si vede , fu dagli
scultori artistica mente esaminata, e tutti
concordi a (ferma tono non esservi stata di-
pinta, uè essere inerente al marmo, poi-
ché niuoo artefice avrebbe lavorato un
sasso con tale imperfezione, precipuamen-
te venendo quella bruttura a riuscire sul
volto. La sagra statua tolta da quel por-
tico fu posta al pubblico culto sopra uu
aliare, ed i vercellesi cominciarono a ve-
nerarla, pe'miracoli che invocata da'eit-
ladini faceva. Nel i63o terribile pesti-
lenza flagellava Vercelli, gli abitanti com-
presi di tenore si rifugiarono nel tem-
pio a cercare salute, con segui di peni-
tenza, invocando il patrocinio della ss.
Immagine peressere liberati dal tremen-
do malore. La B. Vergine gli esaudì, e
tosto cessò la pestilenza, il che risulta da
atti giuridici, aumentandosi così la divo-
zione ai prodigioso simulacro. In questa
cattedrale vi è il battistero e la cura d 'a-
nime affidala alla dignità dell'arciprete.
Il capitolo si compone di 4 diguità, lai/
delle quali è l'arcidiacono, la 2,a l'arcipre-
te, le altre sono il preposto e il cantore
maggiore. L'arcidiacono gode il privile-
gio dell'uso dovunque della mitra, com-
presa la preziosa, però assente dal coro
il vescovo prima e poi l'arcivescovo; ma
l'attuale arcivescovo benignamente per-
mette che la usi anche alla sua presenza.
Di 18 canonici, comprese le prebende del
teologo e del peniteuziere, e di 1 2 sacer-
doti cappellani coristi, oltre altri preti e
chierici addetti alla divina uffiziatura. A.
tempo dell' Cghelli il capitolo era assai
più numeroso, e già i canonici usavano
la cappa paonazza e il rocchetto prò tem-
poriun ratio ne utentes. Le diguità però e-
VER
r.ino le 3 prime nominate, non eravi il
cantore; 24 canonici, 16 beneficiati colle-
giali, 3o cappellani titolari, il maestro
delle ceremonie, 1 sagristi, 3 custodi e 1
chierici. Parlando del rito e deW Uffìzio
Eu$ebìano,ò\s&\ ch'era proprio della chie-
sa di Vercelli, istituito e insegnato da s.
Eusebio, indi dismesso quando il succes-
sore Bonomo del 1 5ji vJintrodusse il ro-
mano. Si convenne però, che alcune co-
se del rito Eusebiano si dovessero conti-
nuare, specialmente alcune feste di san-
ti , massime d'alcuni vescovi vercellesi.
Nel j 57 5 cominciandosi il rito e l'uffizi**
tura romana ad attuare, si conservaro-
no le seguenti particolarità tuttora in vi*
gore. Nell'Avvento e nella Quaresima Va-
bodtilla piane la all'orientale, cioè lacapsu-
la, che adoperano il diacono e il suddia-
cono; il cuoprire le Croci fio dal 1. "gior-
no di quaresima , e scuoprendole nella
domeuicadellePalmein tempo della pio-
cessione, tornandosi poi a cuoprire. Se-
condo s. Ambrogio e altri, s. Eusebio fu
il 1 .° ad introdurre nell'Occidente la di-
sciplina monastica Iva Chierici, ossia ad
istituirvi la Fila connine (F.), nelle ca-
se adiacenti alle chiese, denomina te ca-
noniche, ove abitavauo col proprio pa-
store gli ecclesiastici addetti al Se/vizio
divino delle cattedrali, acciò fossero più.
pronti alle sagre Lffìzialure diurne e not-
turne, i quali in seguito furono detti Ca-
nonici (J7.), con osservare una ingoia,
donde ebbero origiue i Canonici regola-
ri. 11 palazzo arcivescovile è prossimo al-
la metropolitana, ed è comoda e conve-
niente abitazione dell'arcivescovo. Anti-
camente Vercelli avea due cattedrali, la
descritta e quella non più esistente di s.
Maria Maggiore, di cui parlerò all'epoca
di sua fondazione, in uno ad altre nozio-
ni sulla discorsa. Oltre la cattedrale vi
sono iu Vercelli altre 9 cinese parroc-
chiali, delle quali due sono munite del s.
fonte; vi è un monastero di clansse, due
spedali, il monte di pietà, il seminano
proporzionato all'ampiezza dell' arcidio-
VER *35
cesie ben provveduto di maestri. Vi han-
no, almeno sino agli ultimi tempi, i col-
legi de'barnabiti e de* somaschi. Il reale
collegio si estende a tulle le principali
scienze, e possiede un museo di storia na-
turale, una gran parte del quale è consa-
grato alla botanica. Vi sono altresì au-
torizzati diversi convitti. Presso la chiesa
di s. Andrea il convitto ecclesiastico è per
l'educazione de'chierici, diretto dalla con-
gregazione degli obiati di s. Carlo. La
chiesa di s. Andrea, grandiosa e bellissi-
ma, col contiguo celebre monastero, fu
costruita nel 1 1 1 9 sopra un modello d'In-
ghilterra a spese del benefico vercellese
cardinal Guala Bicchieri (F.), legalo d'i
quel regno presso Enrico III, che vi con-
tribuì, e nella quale fu sepolto, secondo
l'Ughelli e le Memorie s loriche de' Car~
dina li del Cardella; altri dicono igno-
rarsi ove sia seppellito, facendolo morto
non in Vercelli, ma in Inghilterra, il che
non pare. Il cardinale nella chiesa collo-
cò il pugnale che trucidò s. Tommaso di
Canlorbery, protomartire dell' Inanimi-
la ecclesiastica soiio Enrico II re d'In-
ghilterra.Dal testamento del cardinal Bic-
chieri, pubblicato dall'Ughelli, Italia sa-
era, t. 4> p- 784. si trae quanto egli fa
generoso e benefico verso le chiese, i mo-
nasteri e gli spedali della diocesi di Ver-
celli. La chiesa di s. Andrea per più se-
coli fu umziata da'eanonici regolari, pri-
ma di s. Vittore, poi da'Lateranensi; ab-
bandonata quindi 10 tempo delle guerre
ue'primordii del corrente secolo, venne
cou ottimo pensiero restaurata e conse-
gnata nel 1824 a'detti obiati. Quale ora
si trova, essa è certamente più vaga assai
e di uno side più leggiadro del duomq
d'Asti, ne altra vi è in Piemonte da pa-
ragonarsele , poiché sono queste le sole
due chiese notevoli di gotica architettu-
ra, ossia sassone o tedesca, la quale si os-
serva nelle chiese più antiche del medio
evo. Quella poicolantoavveuente per va-
ghezza d'archi, sveltezza di colonne e leg-
giadria d'intagli da aver invogliato j| se.
236 VER
col nostro d'imitarla in ogui maniera di
edilìzi e d'ornamenli, è molto più mo-
derna, d'origine orientale e recata da'sa-
i aceni in Ispagna, come da' crociali nel
rimanente d'Europa dove fiorì ne'secoli
XIII, XIV e XV. Apprendo dalla Civil-
tà Cattolica aver pubblicato d. Pao-
lo Guatino, Brevi cenni storici sulla ba-
sìlica ed abbazia di s. Andrea apostolo
in Vercelli^ dal 1 200 ali 85j.' colla no-
ta delle sagre funzioni e indulgenze e
compagnie, che presentemente ivi hanno
luogo , Vercelli tipografìa Guglielmoni
1857. La chiesa di s. Cristoforo è assai
visitata da'viaggiatori a cagione de' bei
dipinti a fresco di Gaudenzio Ferrari di
Valduggia di Valsesia, i quali benché in
parte restaurali destano ancora una viva
ammirazione per quel pennello insigne.
il 11. 1 9 1 del Giornale di Roma del 1 857
scrisse di lui. Pittore di altissimo meri-
to, che negli aiuti prestati in gioventù a
Raffaello in Valicano e in altre opere in
Roma, fu quegli che piùavvicinossi a Pie-
lino del Vaga ed a Giulio Romano. No-
vara , Vercelli e Varallo sono i luoghi,
ove specialmente ammiransi le pitture di
questo grande artista (anche Valesia sua
patria con gran copia di lavori, i quali
tuttora si ammirano), che educato dap-
prima dal Luini (dopo il quale divenne
caposcuola de'pittori milanesi), sotto la di*
lezione del sommo Urbinate imparò una
maniera più grande di disegno e più va-
ga di colorito. Egli si tenne sempre a sog-
getti sagri, e parve unico nell'esprimere
ia maestà dell'Essere Divino, i misteri
della religione, gli affetti della pietà, di
cui fu lodevole seguace, detto exim ie pius
in unsinododi Novara. Alle Grazie in Mi-
lano fu competitore con Tiziano, e la Ca-
duta di s. Paolo a Vercelli è un' opera
stupenda, che se nella grazia e nella bel-
lezza non eguaglia Pialfaello, non è però
che non tenga molto di quel carattere co-
me a s. Cristoforo di Vercelli, ove ha di-
pinto varie storie di Gesù Cristo, e alcu-
ne altre di s. Maria Maddalena. Io que-
V ER
sta grande opera spiegò carattere di pit-
tore vago, più forse che in altra, inseren-
dovi teste bellissime e angelelti quanto
gai nella forma, altrettanto spiritosi nel-
le azioni. 11 busto marmoreo di sì cele-
bre pittore era ben degno di stare nella
ProtomotecaCapitolina,di cui riparlai nel
voi. LXXXV, p. 2o5 e seg., ed il mar-
chese Francesco Arborio di Gattinara ne
afiìdò l'esecuzione all'egregio scultore An-
tonio Bisetti, e nell'agosto di detto anno
con superiore approvazione fu collocato
nei luogo illustre, in solenne tributo di
ammirazione edi onoranza al valente ar-
tista. Della chiesa e celebre monastero
benedettino di s. Stefano di Vercelli, fu
abbate d. Giovanni Gersen (V.)(\\ Ca-
vaglià, creduto da molti autore dell'au-
reo libro, lJ Imitazione di Gesù Cristo,
onde il Cancellieri nelle Dissertazioni e-
pistolari riporta erudite notizie del mo-
nastero, ragionando di chi propriamen-
te Io scrisse. Vanta Vercelli molti uomi-
ni illustri, in santità di vita, nelle digni-
tà ecclesiastiche, nelle scienze, nelle armi
e nelle arti. S. Teonesto vescovo e mar-
tire. S. Massimo 11 vescovo di Torino,
secondo alcuni. S. Orico degli umiliati,
ordine che fiorì nella città. S. Guglielmo
di Vercelli (V.} fondatore della congre-
gazione di Monte Vergine (V.). B. An-
tonio francescano della stretta osservan-
za. B. Ardizio Lignani de'minori.B. Mar-
tino agostiniano. La b. Bruna dell'ordi-
ne delle umiliate, la b. Ugolina domeni-
cana, e la b. Emilia Bicchieri pure do-
menicana, di cui si fa l'uffizio e messa a'
1 7 agosto, ed altri servi di Dio. Le no-
tizie de' seguenti 6 cardinali vercellesi si
ponno vedere alle biografie. Jacopo Gua-
Ja Bicchieri del i 2o5. Gio. Stefano Fer*
reti del 1 5oo.BonifàcioFerrer/ del 1 5i 7,
fratello del precedente. Filiberto Ferrcri
del 1 549, nipote de'nominati. Pier Fran-
cesco Ferreri del 1 56 1, fratello dell'an-
tecedente, e com'esso de'siguori di Casal
Vallone de'marchesi di Romagnano, na-
to io Biella feudo di sua casa, allora dio-
VER
cesi di Vercelli. Guido Ferreri del 1 565»
nipote di Pier Francesco, e pronipote di
Pio IV perchè nato da Maddalena Bor-
romeo sorella di s. Carlo, dal quale ri-
cevè in Milano l'insegne cardinalizie. Al-
tri vercellesi furono elevati alla dignità
episcopale; e l'Ughelli registra per tali s.
Eusebio nel 449 circa vescovo di Mila-
no, che altri vogliono milanese, ed il ce-
lebre s. Fortunato Venanzio vescovo di
Poitiers, da altri detto da Valdobbiade-
ne di Treviso. Illustri vercellesi furono
ancora Martino Serrata , Adriano Ber-
retti, Giovanni Demostene , e Candido
Ronzo. Ebbe santi e dotti tra' religiosi,
precipuamentedomenicaui,come fr. Gio-
vanni 6.° maestro generale dell'ordine,
fr. Bernabè uno de' suoi successori , fr.
Giorgio, fr. Girolamo Ticcioni. Tra'giu-
reconsultisono precipuamente lodatiBar-
tolomeo Saliceto, e Signorolo degli O-
modei. Fra gli artisti ricorderò, Gio. An-
tonio Razzi, che fiori in Siena ove lasciò
fra le altre un'opera mirabile rappresen-
tante lo svenimento dis. Caterina da Sie-
na, dipinta a fresco in una cappella di s.
Domenico, morto nel 1 554; e Bernardi-
no Lanini, scolaro del sullodato Gauden-
zio, dipinse con felice successo in patria,
in Novara e particolarmente in Milano,
morto nel i5y8 circa. Sono 7 anni che
in Vercelli dalla tipografia Guglielmotti
si stampa, LJ Educatore Israelita , gior-
nale mensile per la storia e lo spirito
del giudaismo. Ne* secoli di mezzo Ver-
celli ebbe la propria zecca. Narra V Os-
servatore Romano del 1 852 a p. 73 1 , che
il cav. Proni is scuoprì una moneta del co-
mune di Vercelli.wCon quell'erudizione
che gli è tanto comune il cav. Promis nel-
la illustrazione cheneha pubblicato,com-
pendiò la storia de'mulamenti di signo-
ria del medio evo di questa città; quin-
di viene a discorrere della sua zecca, del-
la quale avea già dato il documento di
fondazione il Durandi. Ma mancava una
prova di fatto, e questa veniva scoperta
nel 1 85 1 io Biella in una moneta d'ar-
VEIl a37
gento avente da un lato una croce con
attorno Vercelle, e dall' altro lato an-
che una croce con questa parola Fbe-
dric, e nel centro 1. P. per Imperatoti
Tutto induce a credere che essa sia un
denaro grosso, e che al totale suo carat-
tere appartenga al secolo XIII, simile a
quello d'Asti pesando grammi 1,020 e
dalla pietra di paragone approssimando-
si a goo millesimi di fine. Ove si consi-
deri che la convenzione di batter moneta
fatta dal comune il 23 giugno 1 255 con
Nicolò Ampollario e Simone Gambolati
di Pavia, recava che si potesse lavorare
grossi da otto piccoli o mezzani al peso
e lega di quelli di Pavia, Piacenza, Cre-
mona, Tortona, Bergamo, Como ed Asti,
si comprende facilmente come gli zec-
chieri, che avevano parte negli utili, pre-
ferissero d'imitare i grossi astesi che era-
no in gran credito. Dall'essersi finora tro-
vata una sola moneta vercellese , e non
rinvenendosi atti notarili e del comune
che menzionino i denari del paese, il
chiarissimo autore è indotto a credere
che molto breve sia stata l'esistenza del-
la zecca in Vercelli, non dovendosi qui
tener conto della moneta ossidionale bat-
tutasi in occasione dell'assedio sostenuto
da Vercelli nel 161 7. E la poca durata
della zecca era una conseguenza necessa-
ria del gran credito che godevano quelle
di Milano, Pavia, Asti, Genova e Susa,
al quale era impossibile che città secon-
darie potessero fare concorrenza. Il cav.
Promis riproduceva poi ne'documenti la
citala convenzione del comunedi Vercel-
li con alcuni zecchieri, ti aendola dall'o-
riginale esistente ne' regi archivi di cor-
te". A niuua altra città piemontese può
Vercelli dirsi seconda per l' importanza
del suo commercio, che consiste princi-
palmente in riso, e poi vino, grano, ca-
nape, lino; con Torino dà biancheria da
tavola la più ben lavorata, non che lavo-
ri di ebanista e minuterie. Le sue forti-
ficazioni furono in Italia per lungo tem-
po famose, e vi si contavano 1 4 regolari
*38 VER
bastioni colle corrispondenti opere di mi -
lilare architettura; ma nel 1704 vennero
da'francesi affatto demolite. Nella pianu-
ra vicina, dicono alcuni contraddetti da
nitri, che secondo la più fondata opinio-
ne, si riconoscono i campi Ratidii, ove il
famoso console romano Caio Mario die-
de a 'cimbri, che scendevanodall'AlpiNo-
riche nel 652 di Roma, la micidiale bat-
taglia colla uccisione di 120,000, e colla
prigionia di 60,000 di que'barbari. Le
loro donne custodite nelle trincee del
campo, gettaronsi col furore della dispe-
lazioue sull'inimico, e venderono cara la
Vita, rimanendo così in un sol colpo tut-
ta quella tremenda moltitudine annien-
tata. Ma il dotto marchese Maffei, Ve-
rona illustrata, p. 101, prova il contra-
lio. Caio Mario si accampò sul Rodano
per impedire l'entrata in Italia a' teu-
toni, ed agli ambroni, alleati de' cimbri,
e in due combattimenti li sconfisse, fa-
cendone grandissima strage. Saputo poi
che i cimbri erano penetrati in Italia,
non avendo potuto il collega LutazioCa-
tulo né respingerli ne trattenerli, corse
a raggiungerlo nel Veronese, ov* eraei
«ccanjpato presso l'Adige, non lungi da
Rivole e Canale. Giunto al campo, Caio
Mario, si accordò con Beorix re de'ci ru-
bri di combattere a'3o luglio. « Per luo-
go stabilirono, se crediamo alle stampe
di Plutarco, la pianura presso Vercelli.
Questo passo ha fatto credere a molli
che seguisse quella battaglia nel Vero-
nese, e non è mancato che in favor di
tal sentenza con calore abbia scritto; ma
avvertirono già il Panvinio e il Sigonio,
errore de' copisti essere in quel luogo di
Plutarco, e doversi leggere presso Ve-
rona (V.). Il complesso delle autorità e
de' fatti, e il contesto di Plutarco stesso,
rendono tal emendazione quasi indi-
sputabile .... Plutarco, poco avanti il
suddetto passo, fa menzione dell'Adige,
da' cimbri valicato ; e di volete in vece
dell'Adige intender la Tosa, con ragione
si rise il Ciuverio". Aggiunge il vero-
VE R
nese MaflVì, il paese nostro fu il teatro
di quella famosa guerra, ed un avanzo
di cimbri rimase per sempre nel Vero-
nese, nel Vicentino e nel Trentino. L'i-
stessa lingua continua quasi in lutto il
territorio de' Sette Comuni del Vicenti-
no. I veronesi chiamano cimbri que'
paesani, e l'antica tradizione di tal no-
me appare da più scrittori del i3oo,
tra' quali è il Marzagaglia veronese, e il
Ferretti vicentino; perla stessa tradì
zione, gli scrittori della menzionata e-
poca, chiamano paese Cimhrico que'
monti, e bizzarramente dicono Cimhria
la città di Vicenza. Irrefragabili prove
anche da questo si irae di tal punto di
antica storia, e della sconfìtta de'cimbri
nel Veronese. Così il Maffei, per non dir
altro del molto che riferisce in propo-
sito. Il territorio è assai fertile e produt-
tivo, massime di frumento, vino e copio-
si frutti. Il circondario contiene le Pro-
vincie di Vercelli, Biella eCasale. La pro-
vincia di Vercelli è limitata da quelle di
Novara, Lomellina , Valsesia, Torino e
Alessandria. Estendesi 1 5 leghe dal nord
al sud,i 1 nella massima larghezza, e 4^
leghe quadrale in superficie. Il nord del-
la provincia va coperto da alcune rami-
ficazioni delle Alpi; il resto è piano e on-
dato. In generale l'aspetto del paese è a-
meno e svariato. La Sesia forma il limi-
te orientale, il Po una parte del confine
meridionale; nell'interno scorrono il Cer-
vo e l'Elvo. Un canale che viene dalla
Dora Baltea percorre il paese, passando
per Santià , per congiungersi alla Sesia.
Le risaie, Tacque troppo abbondanti ren-
dono l'aria della provincia alquanto in-
salubre. La coltivazione del riso è più e-
stesa che altrove nella Lomellina , nel
basso Novarese e nel Vercellese; essa può
considerarsi come una particolarità ben
notevole del Piemonte, il quale trae non
tenne lucro dall' esportazione quasi con-
tinua di siffatta utile derrata. Due specie
di riso sogliono coltivarsi nel Piemonte,
cioè il riso della Cina , ossia dell' India,
V E R
dello ora nostrano, e quello della Caro*
lina, ossia delle regioni calde d'America
e dell'Egitto, che dicesi volgarmente ber-
tone. Oltre al riso, dà grano, avena, ca-
mpa, vino e molta seta. La proviucia di
Vercelli ha per capoluogo la città e divi-
desi ini 3 mandamenti: Ai borio, Ciglia-
no, Crescenti no,Crevacuore,Dezana,Gat-
tinaia, s. Germano, Livorno, Masserano,
Sanlià, Stroppiana, Trino, Vercelli. Pri-
ma che Vercelli per le regie patenti de'
20 ottobrei847 divenisse divisione, ap-
parteneva la proviucia alla divisione di
Novara.
Vercelli, Vercellae, siccome antichis-
sima e ragguardev ole città, sog»iacquean-
ch'essa a favolose narrazioni the ne fece-
ro derivare l'origine da'numi o dagli eroi
dell'antichità, come sci isseioSicar do Cre-
monese e Giovanni Annio, ma la deve a*
libici ovvero e certamente a Salii o Sal-
Invìi o Salluij, conoscendosi salii monta-
ni e salii capillali. Quali fossero i popoli
salii, e quali i confini del paese da essi a-
li italo, l'abbiamo apertamente da Stra-
bone, il quale, dopo aver parlalo del por-
lo di Monaco, inde jam, segue a dire, ad
JlJassiliam usque, atquenon nìliil ulle-
rius Salyes habilant orae tnaritimae
imminente t Alpes , parlewque littoris
permixti Graecisj ed altrove: regionem}
cjiiaeinter Alpes et Rhodanum estusque
ad D nienti a m Jluvium Salyes incolunt
ad IC stadia. Furono anche chiamati
salii liguri da Plinio: Ligurum celeber-
rimi ultra Alpes Salii, Salvii; da L. Flo-
ro, da Àmmiano e da' Fasti Capitolini,
dalle quali autorità appare evidentemen-
te aver essi posseduto da oriente io oc-
cidente non solo una principal porzione
delle Alpi marittime, ma quasi tutta la
Provenza d'oggidì sino a' fiumi Piodano
e Durenza, in ispecie la diocesi e conta-
do di Nizza, come tra'più moderni lo am-
mettono il Biondo, Fdippo da Bergamo,
Leandro Alberti, ed Antonio du Pinet,
i quali sopra quelle parole di Plinio: Ver-
cellae Libìciorum ex Saliis orlae^ dicono
VER 239
che i salii fondatori di Vercelli furono i
montanari abitanti sopra diNizza, da'qua-
li vogliono ancora che fosse il nomea'po-
poli salassi ed alla città di Saluzzo par-
tecipato. Salii montani si dissero i popo-
li alpini, >alii capillali gl'innlpini, Ligu-
res capillali, così del li perchè pollava-
no lunghi e lasciavano crescete a dismi-
sura i loro capelli, forse abbonendola-!
gliorli in segno di libertà , e la regione
da loro abitata si disse Galline Coma-
tae. I Saliio Salluvii o Salini j liguri,
erano popoli celtici venuti dalle Gallieia
Italia. Presso gli antichi scrittori trovasi
ricoidata questa città col nome di Per-
calli e di Pergelli, e pare ch'esso sia de-
rivato dal vocabolo celtico wergen, che
significa allontanare , forse perchè gli
antichi salii, in qualche impresa guerre-
sca, abbiano allontanato o respinto al-
cuna nazione nemica dal luogo, ove po-
scia incoio indossi a fondate la città di
Vercelli o Vergelli; quasiché con esso ab-
biasi voluto perpetuare la memoria del-
l'ottenuto allontanamento. Laonde non
sembra, come pteteseSicardo, che la fon-
datrice Venere nobilissima troiana la
chiamasse P e ree Ile t comedi Venere Cel-
la. Secondo una cronaca di Milano, rife-
rita da Leandro Alberti, prima fu deno-
minata Maropola, e poi essendosi accre-
sciuta , Beloveso primo re di Milano la
chiamò Vercelli. Marziale scrivendo a
Domiziano disse: Aemiliae gentcs,et A-
pollineas Vercellas- EtPhaetontei,qui
petit arva Padì. 1 montani Alpini sono
inoltre da Plinio numerati Irt'uopoH/V
quali i romani comunicarono i privilegi
delle citlà latine : sunl praeterea Latto
donati tic. Ligures et qui montani io-
canlur. Capillalorumque plura genera:
adconfìniuni Ligustici maris. Dice TU-
ghelli : Percellae, Episcopalis civìtas,
de non minus nobilis, quarti antiqua, in
Transpadana Jnsubria supra Jluvium
Sessiamsita, in XJ regione Italia e. Con-
stai antiquìssimam civilalcm esse, in u-
herctamocnoaue territorio silain} cujus,
*4o VER
practercilatosjmininerunlPtolomacus,
Sitili*, Martialisy Tacilus, Plutarc!ius%
JìJarcellinus , aliique plurcs an tic] lussi-
mi scriptores , de qua D. Hieronymus
epist. 49 haec habet. z=z Verccllae Li-
gurum cwitas, haud procul a radicibus
Alpium sita, olimpotens, mine raro ha-
bitalore semiruta* = De aurei s f od ini
vercellensibus memorai idemPliniiiSyOb
quas , legem censoriam lulere romani,
appc II armi tque Vercellenses m un icipes9
quoti illìus provi nciae caput per id teni-
pusexistcrent. Dappoiché Vercelli fu co-
Jouia romana, aggregata alla tribù A men-
se, e poi verso l'anno di Roma 706, fu
onorata del grado di municipio, e tutto
è provato colle antiche lapidi. Figurò
assai nelle varie vicende , cui andò sog-
getta l'Italia ne'successivi secoli della ro-
mana dominazione. Ad esempio delle cit-
tà circonvicine, Vercelli ne'primi anni del
IV secolo dell'era cristiana, mandò de-
putati al vittorioso imperatore Costanti-
no I il Grandeì il quale vi eresse dalle
fondamenta la basilica di s. Maria Mag-
giore, o piuttosto dedicò alla B. Vergine
il tempio ove i pagani sagrifìcavanoalla
dea Venere. Eguale attaccamento la cit-
tà avea mostrato al padre Costanzo Clo-
ro, la cui moglie s. Elena donò alla Co-
stantiniana basilica del figlio, un quadro
in seta da lei lavorato, secondo la tradi-
zione, ombreggiato la maggior parte con
ricami e dipinto variamente a oro, poi
trasferito nella chiesa della ss. Trinità,
dopo la deplorata demolizione della chie-
sa, che contava XIV secoli d'esistenza.
Rappresenta Maria Vergine, che tiene in
grembo il divin fanciullo Gesù, ambo ve-
stiti nel modo descritto dal vercellese Gio,
Antouio Ranza professore d'eloquenza,
direttore della patria tipografia, nel libro:
Delle antichità della chiesa maggiore
di s. Maria di Vercelli, dissertazione
sul quadro di s. Elena, Vercelli 1784.
Raccoglitore e illustratore delle patrie an-
tichità, lo pubblicò in occasione che ven-
ne in Vercelli a venerare le ceneri del b.
VER
Amedeo IX, la discendente principes^
M.* Felicita di Savoia sorella del re Vit-
torio Amedeo 111, a'qoali l'offrì. Cosi nel-
la circostanza che Gustavo III re di Sve-
zia visitò la real corte, die' alla luce: Del-
le antichità della chiesa maggiore di s.
Maria di Vercelli^ disseriazione sopra
un musaico d'una monomachia , Torino
1 784. Esprime il musaico, che serviva di
pavimento alla delta chiesa, un combat-
timento di duello, ch'era in uso nel Pie-
monte nel secolo X, dopoché l' impera-
tore Ottone il l'autorizzò nel 983 nella
dieta di Verona, per terminare le liti col-
la spada; barbarie contro la quale portò
le sue doglianze il vescovo Attone, che a
quell'epoca governava la chiesa Vercel-
lese. Già il Ranza pel pubblico ingresso
del vescovo cardinal di Martiniana avea
impresso cogli eleganti tipi patrii: Dis-
ser tazione patriottica j il primo ingresso
de' vescovi di Vercelli. Dalla tipografia
patria 1 779. Con l'erudito libro presentò
egli un antico ceremoniale inedito del ve-
scovo s. Alberto del 1 185, in cui per se
e successori prescrisse il tenore deli, in-
gresso nella chiesa di Vercelli. Consiste-
va la funzione nella cavalcata, colle sta-
zioni a s. Giuliano,suburbana innanzi che
si ampliasse il circuito delle mura, la pro-
cessione, la stazione a s. Maria Maggio-
re, e l'altra a s. Eusebio, intervenendo
nella cavalcata i vassalli del vescovato.
Determinate famiglie nobili , ab antico,
sostenevano l'aste del baldacchino, e l'e-
numera. I/autore nel descrivere la sta-
zione a s. Maria, eccitò il suo patrio ze-
lo a condannarne la demolizione, dopo
che per tanti secoli avea resistilo all'in-
giurie del tempo, ed era in islato di re-
sistere anche per molti altri; quindi de-
scrisse i principali pregi della medesima,
colTautorità del mentovato vescovo At-
tone. La stabili di fondazione Costanti-
niana, benché mg.r Ciampini non ne fac-
cia menzione nell'opera, De sacris aedi-
ficiis a Constantino Magno construciis.
Dislingue l'antico dal moderno, la fissa
VER
per prima sede vescovile, parla del fatto
avvenuto a s. Eusebio contro gli ariani,
accenna le dignità e i canonici della me-
desima , e per fine espone il possesso di
cattedra e di sede, la quale era marmo-
rea ed esistevaanco nel i5j 5, che si pren-
deva dal nuovo vescovo in questa chie-
sa. Termina il commentario con ragio-
nare brevemente della stazione di s. Eu-
sebio, ch'era un'altra chiesa con canoni-
ci , ed ove pure prendevasi possesso dal
nuovo vescovo della loro sede vescovile.
Parla inoltre del ceremoniale moderno,
simile al praticato ioo e più anni addie-
tro, riproducendo quello eseguito a'28 lu-
glio 1666 da mg.r Girolamo della Piove-
re, e quello praticato a'4 novembre 1 743
da mg.r Gio. Pietro Solaio. Questi cen-
ni l'ho ricavati dal ragguaglio che de'3
libri si leggono nell' Effemeridi dì Roma
del 1780 e del 1784. Che Vercelli avea
due cattedrali, lo conferma il citato U-
ghelli, Italia sacra, t. 4> P* 744: Vcrccl-
lenses Epìscopi. Egli dice: Duas habet
Calhedrales, s. Eusebii, et s. Mariae
Majoris,quae inter se de primalu con-
tenduntjilla quod numero canonicorum,
Sanclorumque lipsanis antecellat, et E-
piscoporum litulus,ct sedes sii: haec oh
antiquilalem, nempe Constantini Magni
imperatoris jus su, glorio sae Vìrgini Dei'
parac dicala fuerit, et consecrala ab
Eugenio III Ponti/ice ex Gal Ha redeun-
te anno 1 1 48, romanis Cardinalibus, ac
s.Bernardo Claraevallensi abbate prae-
scnlibus. Utraque venerabilis et insi-
gnisci prima quam Euscbianam basili*
cani vocanl, s. Theonesti martyris ver-
cellensis nomine ab ipso s. Eusebio ae-
dificala fidi , et ejus fores ab arianis
clausae, ipsi d. Eusebio oranti divinilus
paluertml. Consecratio edam divinilus
facta memoraturj nani cum s. Albinus,
sextus ab Eusebio (dovrò dirlo 8/) , s.
Germanum Allisiodorensem praesu-
lem, illac Ravennani versus iter haben-
icm, orasse t, ut eam Ecclesiam conse-
craret) alque ille postulata scfacturum
vol xeni.
VER 24t
pollìcilus , Ravennae obiisset 3 factum
est, ut ejusdem Germani corpore Ver-
cellis appropinquante, certae faces per
ecclesiae parietes dispositae,q\uie ante
eum diem accendi numquam potuerant,
sua sponle accender entur, sic que intelle-
ctum est, sanctum virumpolliciti memo-
rem mortuum praeslitisse. Sic s.Albinus
populo f eslum consecrationis diem in-
dixit ; fiat aulem hoc a partii Virginis
anno 435. Nunc ìpsius s. Eusebii nomi-
ne basilica nuncupaturj posila est prò-
pc , et extra moenia civitatis antiqua
slructura, choro recens eleganter f ab ri-
calo, atqucornato,et vicinumhabel Coe-
meterium , Episcopium , et Claustrum
Canonicorum. Hic asservatur corpus s.
Eusebii hujus Ecclesiae fundatoris, na-
per in hujus basilicae instauratone in-
ventimi, cum epilaphio inscriplo carmi-
nibus acrosticis, quorum primae lillerae
inter se connexae Epìscopum etMarty-
rem sonanl. Hic etiam est corpus s. Ae-
miliani epìscopi, nec non s. Aure Hi ar-
meni episcopi Rodicinorum , qui anno
Domini 383 Medio lani migravit con-
fessor, quod Noltingus episcopus Ver-
cellas transtulit ... Secunda Ecclesia s.
Mariae Majorisin civitate est antiqua,
et insignis Collegiata est. Calhcdralis o-
limfuit, et nunc etiam Calhedralis ap-
pellalur , habens dignitalem Majora-
lus nuncupatam, de qua loquitur Gros.
in cap. Volumus 89 disk et Canonicos
septem cappis et rocchetto ulentes, qui
licet per se capiliilum separatum fa-
ciant, in solemnitatibus lumen, et sup-
plicationibus in unum corpus Cathedra-
li capilulo coalescunt, et quartam ejus
parlem constituunt. Presso Vercelli fu
superato Castino capitano di Giovanni li-
ranno nel 3g5,da Ardaburo governato-
re dell'Oriente, capitano di Valerio 3.°
figlio dell'imperatore Costanzo, oValeu-
tiniano III. Verso tale epoca , come già
indicai, Vercelli già potente, era ridotta
a pochi abitanti e mezzo diroccata; la
quale desolazione forse derivò dal furo-
16
a4» VER
re ilcir «ulti iore tiranno Massimo nel
387 , allorché di comune accordo con
oltre molte città traspadane e altre ita-
liane ricusò di riconoscerlo. Soggiacque
quindi all' invasioni barbariche, princi-
palmente òegoti e de' longobardi. Popò
Giovanili Vili trovandosi in Ravenna,
avendo saputo che finalmente alle di lui
preghiere calava in Italia Carlo il Cal-
vo, da lui coronato imperatore, con mol-
te truppe a cavallo, circa 1*877 volò a
Vercelli per incontrarlo , ed abboccarsi
con lui, indi insieme passarono a Pavia.
Narra il Rinaldi negli Annali ecclesiasti-
ci, anno 999, n.17, che mentre l'impe-
ratore Oltoue 111 dimorava in tale anno
iu Roma , si mostrò a richiesta di Papa
Silvestro II libéralissimo verso la chiesa
di Vercelli, dandole la stessa città col
contado, e con quello di s. Agata; il cui
istrumento si conserva nell'archivio del-
la chiesa medesima. Infatti trovo ueW'Hi-
storiae Patriae Monumenta edita jussu
Regis Caroli Alberti, l.i, p. 324 e Zi5,
la copia sincrona di tal documento cavato
dall'archivio della cattedrale; cioè che Ot-
tone 111 imperatore conferma alla chiesa
Vercellese le donazioni de'suoi predeces-
sori, e fra le altre cose il coulado Ver-
l cellese, e quel di Santià, ossia s. Agata;
colla confermazione di Papa Silvestro li
in quanto a quesl' ultimo contado. Ivi si
legge : concessimus Leoni nostro episco-
po suaeque s. VercellensiEcclesiae ubi s.
Eusebius requiescit,totam civitatem Ver-
celle nsem in integrimi cum omni publi-
ca potestà te in perpetuum more prae-
cessorum afa uè praedecessorum nostro-
rum . . . Liberalitas nostri imperii prò
Dei et s. Eusebii amore donavit prae-
dicto Leoni episcopo omnibusque sue-
cessoribus suis in perpetuimi lolum Co-
mitatum Vercellensem in integrimi cum
omnibus publicis pertinentiis et totum
Comitatum que dicunt s. Jgathae in
perpetuum cum omnibus castellis, vii-
lis , piscationibus, venationibus, silvis,
pratis, pascuis, aquis, aquarumvc decur-
VE II
silut et cum omnibus publicis pertinen-
ti is, cum mcrcatisyCum omnibus teloneis,
et cum omnibus ut remota omnium ho-
mimmi omni contrarietatc etc.,con pode-
stà al vescovo di tener placiti, di far leg-
gi, qualunque azione, niuno dovendo in-
quietarlo, molestarlo. Qui autem fuerit
transgressor ss. Trinìtas eum maledicet
et inter haereticos damnabit. (Queste e
altre più terribili formole A' imprecazio-
ni si trovano spesso anco ne' diplomi im-
periali e regi. Riferisce il Giornale di
Roma del 1859 a p. 55. La regina di
Spagna Isabella li per la festa de' ss. Re
Magi, con solennità religiosa fece i solili
presenti, che descrissi e con un cenno in
argomento nel voi. LXV111, p. 35, e le
sue vesti per tal circostanza spettano al
duca di Hijar. Tale privilegio fu conce-
duto alla sua famiglia nel i44° "*a *''°"
vanni li re di Castiglia e di Leon, in ri-
compensa d* un servigio segnalato reso-
gli in tal giorno da un individuo della
medesima. 11 re dovea esser assassinalo
da' partigiani dell' infante d. Enrico nel
momento che sarebbe entrato in Tole-
do, quando d. Rodrigo di Villandrando,
lasciate le sue terre e castella , si recò
sui luoghi alla testa di una schiera d'uo-
mini d'arme per difendere il suo signo-
re. Tre giorni dopo Giovanni li firmava
il detto privilegio, in virtù, del quale il
suo salvatore e tutti i suoi discendenti po-
tevano sedere alla mensa de' sovrani di
Castiglia, e avrebbero ricevuto tutte le
vestimenta portate Io slesso giorno da
que'sovrani. Il documento che consagra
questo privilegio termina con quesle pa-
role. Se, ciò che a Dio non piaccia ! si
trovasse un re il quale non rispettasse il
diritto che oggi li concedo, sia maledet-
to da Dio e dalla sua B. Madre la
Vergine Maria, non abbia eredi alla
corona e sìa disgraziato per avere sprez-
zato gli ordini del padre suo , e l'ani-
ma di lui bruci nell'inferno in compa-
gnia del traditore Giuda), Ma del do-
minio temporale de' vescovi di Vercelli,
VER
con altre notizie riguardanti la città, ra-
gioneròdescrivendonela loro serie. Quan-
to alla classica opera, Hisloriae Patriae
Monumenta, la brevità che debbo osser-
vare ni' impedisce giovarmene , tranne
diverse eccezioni. In essa sonovi notizie,
massime nel t. i, e quel che più monta
con copia d' interessanti documenti , ri-
guardanti la città e contado di Vercel-
li; il comune, suoi privilegi, possessioni,
magistrati, podestà, vicari, consoli di giù-
stizia, ambasciatori, cittadini ascritti, con-
troversie con diversi popoli, alleanze e
confederazioni, guerre, tregue, paci e con-
cordati ; la chiesa e i vescovi di Vercelli,
i suoi privilegi, le ricevute donazioni; ed
anche il capitolo e le 3 sue antiche digiti-
la. Papa s. Leoue IX nel io5o, dopo
avere nella basilica Lateranense in un
concilio condannato gli errori di Beren>
gario arcidiacono d' Arles,caposelta de-
gli eretici Bercngarìani (/^.), detti pure
Sagramentari(F '.), si recò a Vercelli, in
occasione che andava a Tulle. In Ver-
celli tenne e presiedette un concilio nel
settembre, altri vogliono nel settembre
io52, e vi si trovarono un gran numero
di vescovi di diverse nazioni. Berengario
non e' intervenne, quantunque vi fosse
stato citato: si confermò la condanna dei
suoi errori. Fu letto e condannato il li-
bro di Giovanni Scoto, sopra la ss. Eu-
caristia, e fu bruciato. Si condannò pure
Erigeue (ma questo è lo slesso di Gio-
vanni Scolo, diverso dal celebre Duns ).
Lanfrauco , De Corpore Domini> e. l\.
Vercelli nel secolo seguente fu onorata
dalla presenza d'un altro Papa, Eugeuio
HI già ricordato con Ughelli. Perseguita-
to dagli eretici arnaldisti, essendosi recato
in Francia, ritornando nel 1 148 i» Ita-
lia, da Laugres e Cistello, giunse in Ver-
celli nel giugno, e come dissi, vi consa-
grò la chiesa di s. Maria Maggiore con
gran pompa ecclesiastica. Essendosi Ver-
celli collegata con Milano contro l' im-
peratore Federico I, nel 1 i 70 tra le due
città si stipularono i patti. In pari tempo
VER 243
fece un accordo il comune, col conte Ot-
tone di Riandrà o Blandrato, questi giu-
rando poi nel 1 182 di non alienare ciò
che teneva da esso in Arborio.iNello stes-
so anno, e dovrò riparlarne, seguì un ac-
cordo tra i marchesi di Monferrato , ed
il comune di Vercelli. Questo essendo sta-
to ammesso nella famosa lega o società
di Lombardia, indi nel 1 i83 aderì alla
pace di Costanza, conclusa tra l'impera-
tore Federico I e le cittadella lega Lom-
barda. I privilegi accordati da Federico
I a'vercellesi, nel 1220 furono conferma-
ti dal nipote imperatore Federico II. La
guerra sanguinosa scoppiata nel 1225
tra' genovesi e alessandrini, interessò in
uno de'due partiti quasi tutti i vicini po-
poli, e molti signorotti feudatari, castel-
lani, baroni e capitani di nome. Essen-
do cogli alessandrini collegati i vercellesi,
albesani e tortonesi, ed avendo essi ostil-
mente assalito il luogo diCamerana nel-
le Langhe spettante agli astigiani amici
de'genovesi, questi volendo accorrere con
tutte le forze a divertire i progressi de-
gli avversari, non solo mandarono attor-
no un bando per la città di Genova e
ad ambe le riviere, che ogni soldato, ar-
derò e balestriere) dovesse iodilatamente
seguire il podestà Braucaleone da Bolo-
gna a quell'impresa , ma vi attirarono
aucora Tommaso conte di Savoia , che
per due mesi vi mandò 200 cavalieri sa-
voiardi , essendo egli impedito da so-
praggiunta indisposizione. La guerra vie-
ne descritta da Gioffredo, nella Storia,
dell" Alpi Marittime. Nel 1 227 i vercel-
lesi nuovamente aderirouo alla confede-
razione delle città di Lombardia, contro
le prepotenze dell'imperatore Federico
li ; onde poi i' imperatore nel 1 2 38 con
diploma rimise loro le pene incorse per
le passate rivolte e ribellione, e loro con-
fermò i privilegi e l'eseuzioni. In quell'e-
poca inVercelli eravi lo studio generale,
ed atfercna il Marchesi ueW&Gallcriadcl»
l'onore, che questa università fiorì nella
giurisprudenza, e fu illustrata da insigui
a4+ VER
precettori giureconsulti. Quando la re-
pubblica di Genova nel i ■>. j i si collegò
col conte di Provenza contro Federico 11,
in favore di questoparteggiarono e com-
batterono i vercellesi, in uno a'pavesi, a-
lessandrmi, lortonesi e altri, tutti coman-
dati da Marino d'Evoli vicario imperia*
le in Lombardia. Ma indebolitosi il par-
tito imperiale, per ormai procedere Pa-
pa Innocenzo IV alla deposizione dello
scomunicato Federico II persecutore del-
la Chiesa, a favore di questa nel 124-3 si
ingagliardì il partito guelfo, per la pace
conclusa tra Bonifacio IV marchese di
Monferrato, ed i marchesi del Carretto e
di Ceva,i quali tutti ghibellini seguivano
prima le parti imperiali, da una parte, ed
i genovesi, milanesi e piacentini , che si
tenevano per la Chiesa, dall'altra. II mar-
chese di Monferrato trattò, ridusse e
concluse, che i vercellesi e novaresi, ab-
bandonalo Federico li, si ponessero al
seguilo della Chiesa. Scrivono alcuni, che
Vercelli per un tempo fu signoreggiato
da'marchesi di Monferrato, anzi da Bo-
nifacio HI, al dire di Alberti e Marchesi.
Essi forse alluderanno al documento che
di sopra citai, riportato dall' Historiae
Patriac, 1. 1, p. 910, de'patti d'accordo
fermato tra' marchesi di Monferrato e il
comune di Vercelli l'8 agosto 1 182, pei
danni da'primi fatti al territorio Vercel-
lese, in cui i marchesi promisero salvare
et guardare homines de Fercellis, et eo-
rum rcs per totani eorum poderium^ì
non usar la forza, di non costruire castelli
senza licenza de' vercellesi , di aiutarli
nelle guerre e difenderli da ogni ingiu-
riale di fare giustizia agli uomini del co-
mune e del vescovato; corrispondenti
promesse fecero i vercellesi, e ambedue le
parti dichiararono, salva la fede all'im-
peratore. Non mi pare trovarvi espressio-
ni equivalenti a dominazione, per parte
de' marchesi di Monferrato, piuttosto una
specie di protezione. Le tremende fazioni
de' Guelfi e Ghibellini desolarono anche
Vercelli : la città fu lacerata da frequenti
VE n
guerre intestine e poco meno die distrut'
ta da'propri cittadini, divisi nelle ostina-
te fazioni de'potenti Avogadri o Avvocati
e de'Tiziani o Ticcioni ; i primi de' quali
prevalendo in potenza, pigliarono il prin-
cipato della patria nel 1 3 1 o. Ma non tar-
dò la città e il contado a cadere nella
signoria di Matteo I Visconti signore di
Milano, alla cui morte nel 1 322 passò iti
Galeazzo I Visconti. Questi la domina-
rono fino al duca Filippo Maria Viscon-
ti, il quale dopo aver fatto crudelmente
morire sua moglie , Beatrice di Tenda
de' conti di Fentimiglia (F.) , e vedova
di Facino Cane, sposò nel 1 4- ■ 8 Maria di
Savoia, figlia d'Amedeo Vili di Savoia,
poi antipapa Felice V,al quale nel i4'9
donò la città di Vercelli col suo conta-
do e territorio. Quindi errarono quelli
che scrissero, avere Amedeo Vili ricevu-
to Vercelli nel i429 Pei' dote di Maria fi-
glia del Visconti, ed a lui sposata. Fu in
vece un dono che il genero offrì al suo-
cero, ed eziandio pel riferito nell' Histo-
riae Patriae, t. 3, p. 6 1 4> 7^6 e 990.
Ivi si legge, che morto nel 1402 Gian
Galeazzo Visconti r.°duca di Milano, gli
successe il figlio Giovanni Maria, al fra-
tello Filippo Maria avendo assegnato il
padre la contea di Pavia, colle città di
Alessandria, Tortona, Vercelli e altri luo-
ghi. Ma Filippo Maria trovandosi nel ca-
stello di Pavia, si vide ben presto poco
men che oppresso dal nominato Facino
Cane, che capitano dell'esercito del duca
morto, sotto pretesto di volergli conser-
vare Pavia col suo castello, vi pose guar-
nigione e interamente la governava; a-
vendo sotto tal colore già ridotto alla
sua ubbidienza anco le città d'Alessan-
dria, Tortona e Vercelli, ed altri luoghi.
Fu ventura di Filippo Maria, che mo-
rendo nel 14 1 2 il duca fratello, moti pu-
re Facino Cane nel castello di Pavia, ove
erasi recato per mutar aria a cagione d'u-
na sua infermità. Laonde Filippo Maria
ebbe agio di tirare a se i capitani di Fa-
cino e del duca suo fratello, col consiglio
VER
de'quali ne sposò la detta vedova Bea-
1 1 ice di Tenda, dalla quale ricevendo buo-
na somma di denari, ricuperò le usurpa*
te tene , e facendo generale il famoso
Francesco Carmagnola s' impadronì di
Milanojdove erasi fatto gridar duca Etto*
re Visconti figlio di Bernabò, il quale rin-
serrò in Monza ove mori. Dipoi Filippo
Maria per divertire dalla confederazione
con Venezia (V.) Amedeo Vili, al ser-
vizio della qual repubblica eia passatoli
Carmagnola, diede al duca di Savoia Ver-
celli e ne sposò la figlia Maria, dopo aver
fallo ingratamente morire Beatrice.Quin-
lii Vercelli seguì le vicende de* duchi di
Savoia (V.), poi re di Sardegna% che vi
posero governalori, e s'intitolano Signori
di Vcrcelli.Dopo la morte di Filippo Ma-
ria, succendendolo nel ducato il genero
Francesco 1 Sforza, co' milanesi noi» poco
travagliò Vercelli. 11 b. Amedeo IX duca
di Savoia, e nipote di Amedeo Vili, do-
po lunghe iufermità, recatosi in Vercelli,
santamente vi morì a' 3o marzo i472»
le cui venerande spoglie mortali ven-
nero deposte nella cattedrale. Duran-
te la guerra tra Enrico II re di Francia, e
Carlo IH duca di Savoia, questi ammalò
di pena e morì a Vercelli. Gli successe il
fìllio Emanuele Filiberto, che militava
nelle Fiandre per Carlo V imperatore ,
ma trovò assai ristretta la paterna ere-
dità, per avere i francesi occupato la Sa-
voia e altri domimi. Quindi essi nel no-
vembre 1 553, comandati dal marescial-
lo di Bri sa eco , per precedenti concerti
presi co' fratelli Biraghi in Vercelli , in
buou numero vi penetrarono nottetem-
po. Avendo il castellano, con poco suo o-
nore, subito reso il castello, saccheggia-
rono tutte le cose più preziose che il duca
vi avesse, tra le altre un carbonchio d'in-
estimabile valore, ed un corno d'alicorno
il più grande e bello che si fosse visto in
Europa, che fu mandalo al re di Francia.
Ma Emanuele Filiberto non tardò a ven-
dicarsene, guadagnando sui francesi nel
.557 la famosa battaglia di s. Quenlin
VER 245
(V>). Seguì la pace, il duca ricuperò i
suoi stati, soltanto gli spa^nuoli suoi al-
leati restando alla difesa di Vercelli e Asti.
Dell'assedio patito da Vercelli nel 161 7,
già feci parola. Esso e la sua presa fu la
più importante fazione della guerra so-
stenuta per la successione del Monferra-
to, insieme alla Spagna ed a Venezia, dal
dina Carlo Emanuele , che si può dire
fondatore della grandezza de'reali di Sa-
voia, secondo il prof. Mazio, che nel Sag-
giatore Romanot X, 4, p. 129, pubblicò la
Brevissima relazione delle cose più no-
tabili successe nelV assedio di Vercelli
del 161 7, tratto dall'archivio Caetani di
Roma. Il re di Spagna Filippo III ve-
dendo progredire la guerra del Piemon-
te, per l'alleanza del duca colla Francia,
vi mandò il prode d. Girolamo Cara fa
marchese di Montenero,che fu fatto mae-
stro generale di campo dell'esercito. Que-
sti dopo aver impedito l'espugnazione di
s. Germano, vedendogli eserciti francese
e savoiardo in cattivo stato ridotti , pel
sofferto nell'inverno, bramò che tosto si
attaccasse Vercelli, piazza di grande sti-
ma e tenuta allora la più importante degli
stati del duca di Savoia e la chiave di Mila-
no. Però a d. Pietro di Toledo marchese di
Villafranca e governatore di Milano,sem-
brò impresa grande e troppo difficile, non
essendo ancora arrivati i soccorsi di Na-
poli e di Fiandra. Tuttavolta ilMonlene-
l*o stette fermo nella sua opinione, segui-
to da d. Giovanni Bravo, considerando
ormai il nemico debole e disfatto; onde
fu determinato l'assedio di Vercelli ai
if\ maggio. L' esercito si componeva di
1 i,5oo fanti e 3. 000 cavalli, oltre l'ar-
tiglierie, e d. Giovanni Doriani vi con-
dusse altri 5oo fanti. Il i.° giugno si
cominciarono a battere le trincee delle
porte s. Andrea e di Torino. Dopo di-
verse fazioni,»' 19 giugno agli assediatiti
giunsero pure 5;ooo fauli valloui,ei ,000
corazze, condotti dal maestro di campo
Verdugo e da Monsar di Coen. Poscia
a'26 d. Pietro d'Avila, altro maestro di
a4G VER
campo della fanteria spagnuola, porlo
1,200 uomini, e vi giunsero ancora in a-
iuto dell'esercito espugnatore, d. Vincen-
zo Gonzaga fratello del duca di Manto-
va, e 1,000 alemanni del conte di Say.
Era Vercelli difeso dal conte Cianflone,
uomo valoroso e peritissimo nelle fortifi-
cazioni, le quali con sommo studio avea
munito di fuori. La città si batteva da
4 parti, succedendo varie scara m uccie ,
colla perdita d'alcuni capitani spagnuoli,
oltre i feriti, per essere animatissima In
resistenza della piazza. Il duca di Savoia
per aiutare Vercelli , pose campo presso
la Sesia, e potè soccorrerla per la porta di
Milano, con gioia de' vercellesi. Dipoi il
nemico die'un grande assalto, senza riu-
scita. Finalmente avendo per altro tutto
destramente ben disposto il marchese Ca-
ra fa, nondimeno a'16 luglio, giorno di s.
Anna favorevole agli spagouoli,seguirono
accordi pacifici di cessione della città, per
cui dopo 63 giorni d'assedio, potè ilTo-
ledo entrare in Vercelli con umanità e
cortesia, con 3,ooo fanti e 3oo cavalli ,
visitando particolarmente i luoghi sagri
e riparandoli con somma cura. À'26 ago-
sto poi, la città e il Vercellese giurarono
nelle mani del Toledo, vassallaggio e fe-
deltà al re di Spagna; ed il governo di
Vercelli fu affidato a un Barbo, forse ve-
neziano, e vi rimase sino alla pace. In-
tanto guerreggiando il duca Vittorio A-
medeo I coll'Austria, indottovi da' fran-
cesi, fu colpito da gravissimo malore , e
morì in Vercelli a' 7 ottobre 1637. In
appresso per nuove guerre contro la Spa-
gna, questa nuovamente occupò Vercelli.
E poi nel i65g per la pace de' Pirenei,
Vercelli fu restituito al duca di Savoia
Carlo Emanuele II. Il duca Vittorio A-
medeo II, poi i.° re di Sardegna , con
grandi spese avea reso Vercelli una delle
piazze più forti e considerevoli del Pie-
monte; ma nella guerra della successione
di Spagna, fu da'francesi strettamente as-
sediata, e dopo aver fatto valida resi-
stenza colla perdila di 5jOoo valorosi sol-
VER
dati, cadde in potere di Luigi XIV, il qua-
le colle mine fece saltarne in aria le for-
tificazioni e lasciò la città smantellata.
Vercelli continuò a seguire i destini dei
suoi sovrani. A supplire al mio laconismo,
serviranno le seguenti opere. Lauro Da-
vidico, De Celine Verae Veneris lati-
elibus, Patavii i568. Giacomo Durandi,
Dell* antica condizione del Vercellese,
Torino 1766. Amedeo Bellini, Antichità
di Vercelli. Lettera intorno al vescovato
dì s. Teoneslo. Nuova raccolta di Opu-
scoli del p. Calogerà, t.8, p. 3 1 1. Fran-
cesco Innocenzo Fileppo, Antiquitas ac
dìgnìtas Ecclesiae Vercellensis vind ira-
ta, Lucae 1754. Giuseppe Giacinto Tri-
xev\o,Ad eumdem ani madver sione s,Ye-
netiis 1755. Gli rispose Fileppo rigoro-
samente con autorevoli documenti. Il
Triverio gli oppose una Storico-criti-
ca dissertazione. Gio. Battista Passeri,
Scoperta de1 due Vercelli già esistenti
dentro la regione Padana, diversi dal
Vercelli del Piemonte. Nuova raccolta
d'Opuscoli delp. Calogerà, 1. 11, p. 24.
L'agostiniano eremitano fr. Aurelio Cor-
bellini, Del Vescovi di Vercelli. Il Gre-
gori scrisse della vercellese letteratura.
La fede cristiana fu promulgata in
Vercelli dall'apostolo s. Barnaba, secon-
do la tradizione del paese. Scrive I' U-
ghelli: Haud satis constai , quis ibi E-
vangelium divulgaverit: non autem vai-
de aberraverit, si quis haud absurda
conjeclura ductus ,asserat ab alumnis s.
Barnabae apostoli Evangelicam luceni
accepisse , qui in ea provincia fidem
Christi plantavit, laluisseque Vercellis
christianae pielatis studium sub bar-
barorum Caesarum per secutionibus us-
que ad Magni Conslantini tempora ,
deinde rejloruisse, subque proprio pa-
store crivisse in sanclimoniae palmìles.
Il eh. ab.Cappelletti,£e Chiese d'Italia,
t. 14, p- 353, Vercelli, dichiara, che
senza entrare nella questione, circa il i.°
seminatore della fede evangelica in que-
sta città e nel suo territorio, mentre con-
VER
viene che risole alla più rimota antichi-
tà, come delle circonvicine diocesi, esclu-
de P opinione dell' immaginario aposto-
lato di s. Barnaba in queste parti, e in
vece ne attribuisce la derivazione alle fa-
tiche evangeliche di s. Anatalone i.° ve-
scovo di Milano nell'anno 53, odi altro
de'sagri pastori di que' primi tempi apo-
stolici; per cui fino a' nostri giorni la s.
Chiesa di Vercelli formò parte della va-
stissima provincia ecclesiastica di Mila -
no. Dice inoltre, comunemente suol dirsi
i.° vescovo di Vercelli il martire s. Eu-
sebio, che visse nel IV secolo; benché non
si dubiti, che anco prima di lui n'esistesse
la sede vescovile, ed abbia avuto i suoi
vescovi,de*quali si perderono colle memo-
rie persino i nomi; se ciò fosse, conver-
rebbe dirsi s. Eusebio il i.° vescovo che
si conosca, non già assolutamente il i.° ve-
scovo che ne abbia posseduto la cattedra.
Quindi egli, sull' appoggio d'autorevoli
testimonianze e della critica, riconosce i
seguenti 3 vescovi più antichi di s. Euse-
bio. In onta a quanto di contrario ne
scrisse il domenicano Triverio, contro il
canonico teologo Fileppo, alle cui ragio-
ni di preferenza si attiene, circa P anti-
chità della chiesa di Vercelli, ne reputa
fondatore e i." vescovo s. Sabiniano, il
quale circa Panno 4o di nostra era y vi
predicò la fede cristiana. E infatti lo mo-
strano i.°vescovo di Vercelli e gli antichi
riti della basilica Eusebiana, ove fu sem-
pre onorato qual vescovo di questa chie-
sa, e gli antichissimi calendari e messali
e breviari di essa, ne'quali è qualificato
espressamente come vescovo di Vercelli,
e in un codice vetustissimo della cattedra-
le, scritto avanti PVIII secolo, è notato ai
19 ottobre s. Sabuiiani martyris Epi-
scopi Fercellensis. Di più da un vec-
chio lezi onia rio vercellese sono in breve
descritte le sue azioni. Conligit dispo-
silione Dei et affalibus summi Aposlo-
lorum Petri martyris Christi, Savinia-
num3 Pontianum et Albinum Italiani
ve loci ter percolare , sicque ad ultimimi
VER 247
popuhsae gentis Gallìarum /Ines expe-
tivere , qui per tantae inquietitudinis
viam q uos darti perfidiae viros sacri e w
spide eloquii et divina eruditione pieni-
ter educaverunt, et ab instrumento dia-
bolicae actionis commodius subtrahen-
tes legibus vivifìcis supposuerunt , Ver-
cellis autemjìdei Christianae quosdam
viros cum pauci s mulieribus in itineris
cursu baptizaverunt et documentis spi-
ritualibus pleniter instruxerunt. Enim
vero colle properato cum ìiis et aliis com-
pluribus comitibus beatus Savinianus no-
ster Pontifex prinius indefessus urbis
Senonum firma peragrat moeniaì etsuis
spiritualibus machìnis aggreditur. Quan-
do neh 5j 5 fu introdotto in questa chie-
sa il rito romano, venne statuito che al-
cune cose del discorso rito Eusebiano si
avessero a continuare , specialmente le
feste d'alcuni santi, precipuamente dei
santi suoi vescovi. Perciò la festa de' ss.
Sabiniano e Marziale,che perconsuetudi-
ne antichissima vi si celebra va, fu ritenuta
nel caIendariodiVercelIi,invirtùdi attica-
pitolari e per decreto del vescovoBonomo.
E sebbene tal cosa trovasse per lungo
tempo opposizione e contrasti, nondime-
no nel 1 740 con efficacia si adoprò il ve-
scovocardinalCarloVincenzo Maria Fer-
reri, presso la s. congregazione de' riti ,
quindi ottenuta l'approvazione, nel r 74 *
intimò l'obbligo della messa e uffizio, in
tutta la diocesi, de'ss. Sabiniano e Mar-
ziale vescovi di Vercelli. Laonde il Cap-
pelletti dichiara incontrastabilmente di-
mostrato l'apostolato di s. Sabiniano nel-
la città e territorio vercellese, e la fonda-
zione per lui avvenuta di questa catte-
dra vescovile. Dopo di averla piantata ,
proseguì s. Sabiniano il suo cammino
nella Francia, ove piantò la chiesa di Sens
(nel quale articolo lo chiamai Saviniano,
anche col Buller, ne celebrai le sante a-
zioni, qual i.° vescovo di Sens e apostolo
di quelle regioni: eziandio la Gallia Chri-
stiana, t. 1, p. 64» lo dice i.° vescovo di
Sens e promulgatola del Vangelo, col
a48 VER
nome di s. Savinianus)tei\ ivi sostenne
per la fede il martirio nell' anno 46 (io
dissi nell'anno 74 col Clienti, Archiepi-
scoporum et Episcoporum Galliate pi
i85 ). Sull'autorità del ricordato codice
dell' VI II secolo, dice l'encomiato ab. Cap-
pelletti, si ha che poscia divenne vescovo
di Vercelli il già nominato s. Marziale
(/'.), non solo apostolo di questa chiesa,
ina fondatore altresì di quella di Limo-
gcs ( tale lo dissi in quell' articolo , ma
col Boiler, e col Com man ville, Histoire
de tous les Archeveschez et Eveschez ,
scrissi fiorito circa la metà del HI secolo:
però hGallia Christiana, t. 2, p. 36o, Io
chiama, uno ex di sci pulì s Chris ti opinio-
ne vulgari credi tur ), di Annecy (il can.
Bima, Serie cronologica degli Arcive-
scovi e Vescovi di tutti gli stati di Sar-
degna, non ne parla), e di altre sedi an-
cora. Fu brevissimo il suo pastorale mi-
nistero in Vercelli, circa l'anno 6a; tut-
ta volta, come si è detto, la chiesa vercel-
lese lo conosce e venera per suo pastore,
leggendosi nel summentovato codice : s.
Marlialis Apostoli episcopi fercellen-
sis. Se ne segna comunemente la beata
morte nell'anno 73. Dopo s. Marziale ,
segnò il Fileppo un vescovo Giustiniano,
e poscia Teonesto. Ma Giustiniano, dice il
Cappelletti, va escluso qui perchè visse
più tardi (in fatti nelle serie dell' Ughelli
e del Bima, che non conobbero i 3 ve-
scovi, di cui parla il Cappelletti, lo regi
strano 7." vescovo ); forse 4 secoli dopo;
e Teonesto di cui è tradizione riposarne
le sagre ossa nella cattedrale, fu confu-
so da alcuni inesattamente col martire s.
Teonisto, vescovo d' Aitino, martirizzato
dagli ariani in sul declinar del III secolo
(anzi, come rilevai di sopra, altri lo prete-
sero della legioneTebea),edi cui riposano
le sagre spoglie nella cattedrale di Tre-
viso ( V.) Ma il vercellese s. Teonesto sof-
frì il martirio sotto Diocleziano, e la chie-
sa di Vercelli ne' suoi antichi monumen-
ti lo attesta suo vescovo. Aggiunge 1' ab.
Cappelletti, che esistono monete coniale
VER
in Vercelli, che l'esprimono in abito pon*
tilìcale , in qualità di protettore di essa.
E nell'antica basilica Eusebiana se ne ve-
deva dipinta I' effigie, insieme con altri
vescovi vercellesi : finalmente gli antichi
calendari e martirologi di questa chiesa,
lo commemorano martire e vescovo di
Vercelli. Fiorì probabilmente circa l'an-
no 290. Ora procederò alla serie de' suc-
cessori coll'Ughelli e col Rima, tenendo
presente l'ab. Cappelletti e le Notizie di
Roma. Co' due primi scrittori, come di
altri e del Butler, s. Eusebio lo dissi nella
biografìa i.° vescovo di Vercelli, che pel
riferito diviene il 4-° Pel narrato di lui in
quell'articolo, in altri e di sopra, sarò
breve, l'Ughelli avendone pubblicato la
vita a p. 747» Passio vel vita s- Eusebii
Fercellensis episcopi, tratta da un an-
tico mss. della badia di Nonantola, e su
di essa fece alcune importanti osservazio-
ni il Coleti, che col tesoro della continua-
zione e correzione dell' Ughelli possiede
in Venezia la Marciana, da dove il ve-
neto Cappelletti ricavò un interessante
brano, per fissare approssimativamente il
tempo di sua promozione all'episcopato
vercellese, eh 'è l'anno 34o. In questo pure
l'Ughelli l'avea detto consagrato, e regi-
strato in tale anno altresì il can. Bima,
tutti in ciò essendo concordi. Molti scrisse-
ro la vita del celebratissimos. Eusebio, e
vuoisi la più esatta quella del successore
Gio. Francesco Bonomo, pubblicata più
tardi dall' aldo vescovo Gio. Giuseppe
Orsini. Abbiamo pure del vescovo di
Vercelli Gio. Stefano Ferrari, Vitaeet
res gestae s. Eusebii Fercellensis Epi-
scopi et marlyris , et ejus Successorum
ad Clementem Vili, R omae 1602. San-
cùEusebii Fercellensis Episcopi et mar-
tyris, Vita et res gestae, Vercellis apud
Hieronymum A) lamini 1609. Nacque s.
Eusebio in Sardegna nella città di Ca-
gliari, e portato in Roma dalla madre
Restituta, fu istruito nella fede e battez-
zato da Papa s. Eusebio, che gl'ini pose il
proprio nome. Papa s. Melchiade 1' aia-
VER
mise nel dero, Papa s. Silvestro I l'ordi-
nò lettore, e prete il successore s. Marco.
iVel seguente pontificato di S.Giulio lan-
dò a Vercelli, ove il popolo ad una voce
col clero lo elesse vescovo, e l'Ughelli lo
dice consagrato dall'ultimo di detti Pa-
pi. Secondo s. Ambrogio è il i.° che ab-
bia unito e congiunto in Occidente la
vita monastica alla cbericale : rinchiuso
nella città col suo clero, praticava gli
stessi esercizi de' monaci d' Oriente. Al-
tri dicono, s. Atanasio fu il i.°in Orien-
te che con Monaci diede sacerdoti al suo
clero; il cui esempio pel i.° eseguì iu
Occidente s. Eusebio. Il Rodotà, Dell'o'
ridine del rito greco in Iialiatì. i} p. 3o,
riferisce che s. Eusebio fu il i.° iu Occi-
dente a formare de' suoi chierici e dei
ministri delta sua chiesa di Vercelli un
monastero; avendo introdotto 1' istitu-
to monastico in Milano s. Martino di
Tours,ed in Roma S.Atanasio, prima an-
cora che Rullino in Italia vi portasse la
regola di s. Basilio, il che avvenne nel
4oi. I chierici abitavano la stessa casa
del loro pastore, si applicavano dì e not-
te a combattere i nemici della salute,
loro continua occupazione era il salmeg-
gio per lodare Dio, né aveano altro de-
siderio che di rendersi il cielo propizio
col fervore delle loro orazioni. Aggiunge-
vano a questi esercizi la lettura o il la-
voro delle mani. » Che di più mirabile
di questa vita? esclama s. Ambrogio.
Nulla vi ha da temere; tutto vi è degno
d' imitazione; I* austerità de' digiuni vi
è ricompensata colla pace e tranquillità
dell'anima: l'esempio vi serve di sosten-
tamento; ciò che costa più alla natura
diviene facile per l'abitudine; vi si gu-
stano delle ineffabili dolcezze nella pra-
tica delle virtù; non vi si prova turba-
mento per l'imbarazzo degli affari, né
distrazioni pel tumulto del mondo , ne
importunità per visite inutili, ne divaga-
mento pel commercio del mondo ". Lo
$eopo che si proponeva il s. vescovo, era
di formare de' degni ministri di Gesù
VER 349
Cristo; e Li sua condotta si giustificava
dall' esito felice. Parecchie chiese volle-
ro essere governate da' suoi discepoli; e
si vide uscir dal suo clero un gran nu-
mero di santi prelati, non meno com-
mendabili per virtù che per dottrina.
Questa è una bella gloria della s. Chiesa
di Vercelli. Egli nulla trascurava di tut-
tociò che poteva contribuire all' istru-
zione di sua gregge, e procurava d'ispi-
rare a tutti l'amore delle sante massime
del Vangelo. Molti mossi dalle sue esor-
tazioni, si consagrarono a Dio nello sta-
to del celibato, in breve tempo tutta la
città di Vercelli parve avvampare di
quel sagro fuoco che Gesù Cristo è ve-
nuto ad accendere sopra la terra. I pec-
catori, convinti dalla forza della verità ,
che il s. vescovo annunziava, persuasi dal-
la dolcezza e dalla carità di cui tutta la
sua condotta portava l'impronta, e ani-
mali soprattutto da' suoi esempi, erano
premurosi di lasciare i loro disordini, e si
eccitavano 1' un l'altro a! fervore nel
servigio di Dio. Ma la sua santità sareb-
be rimasta imperfetta, se non fosse stata
provata colle persecuzioni. Gli eretici
ariani, sostenuti dall'imperatore Costan-
zo, usavano da per tutto le più grandi
violenze. Nel 354 s* Eusebio di Vercelli
e Lucifero di Cagliari furono mandati
da Papa s. Liberio in deputazione all'au-
gusto in Arles, per domandargli la con-
vocazione d'un concilio in cui si potesse
trattare liberamente. Costanzo sembrò
acconsentire, e la celebrazione del conci-
lio di Milano fu indicata nel 355, dove
eia allora l' imperatore. Eusebio, cono-
scendo che tutto sarebbe fatto con vio-
lenza, e che gli ariani sarebbero stati i
preponderanti, quantunque i vescovi cat-
tolici fossero più numerosi, ricusò d' in-
tervenirvi: ma Papa s. Liberio, come i
suoi legati Lucifero di Cagliari, Pancra-
zio ed Ilario, l'eccitarono a recarvisi ap-
punto per resistere agli ariani , come s.
Pietro erasi opposto a Simon Mago.
Giunto a Milano, gli ariani che lo teme-
*5o VER
\ano,gl'impedirono per io giorni di com-
parire a) concilio. Ammessovi, presentò
il Simbolo di Nice.a , e domandò che
filili i vescovi Io sottoscrivessero qnal
norma di fede, prima d'incominciar l'af-
fare di s. Atanasio d'Alessandria, illu-
stre difensore della fede. Ma avendo gli
eretici aprincipal fiuedi condannarequel
propugnatore delle verità cattoliche,men-
tres. Dionisio di Milano si credette in do-
vere di sottoscriverlo, Valente vescovo
di Min da, il più furioso degli ariani, gli
strappò la penna dalle mani e lacerò la
carta. Quindi gli eretici , per impedire
che la proposizione di s. Eusebio fosse
approvata , trasferirono il concilio nel
palazzo dell' imperatore. Ivi non si par-
lò più della sottoscrizione delSimbolo Ni-
ceno, sì temuta dagli ariani, e si attese u-
nicamenle all' alFare di s. Atanasio. Pa-
recchi cattolici deboli, guadagnati dagli
ariani, o intimoriti dalle minacce di Co-
stanzo, sottoscrissero la sentenza pronun-
ciata contro questo santo vescovo ; s. Dio-
nisio di Milano firmò la condanna di s.
Atanasio, a condizione che gli ariani do-
vessero approvare la fet\e di Nicea. S.
Eusebio scuoprì I' insidia con mirabile
accortezza. Quando gli venne proposto
di sottoscriversi, egli fece un'obbiezione,
dicendo che non poteva farlo dopo s.
Dionisio, il quale era più giovane di se
e quasi suo figlio, per averlo consagrato.
Gli ariani acconsentirono che si cancel-
lasse il nome di s. Dionisio, per togliere
la difficoltà ; ma rimasero attoniti, quan-
do videro e s. Eusebio e s. Dionisio ri-
cusare costantemente la loro firma. L'im-
peratore li fece venire ambedue avanti di
se, con Lucifero di Cagliari, e gli eccitò
a condannare Atanasio. Essigli mostra-
rono questo vescovo essere innocente, e
non potersi condannare senza ascoltarlo.
» Io sono il suo accusatore, disse il pre-
potente e fanatico Costanzo, e voi dove-
te credere alla mia parola ". Gli rispose-
ro. » Qui non si tratta d'un affare civile,
alla cui decisione deve concorrere il pa-
VER
rere dell' imperatore ". Egli però «og-
giunse: »» La mia volontà deve passare
per regola, ed essa piace a vescovi di Si-
ria : ubbidite, o sarete esiliati ". Nel dir-
gli i vescovi, che un giorno avrebbe do-
vuto render conto dell'uso che faceva del
suo potere, Costanzo montò in furia e
voleva condannarli a morte. Contentan-
dosi d'esiliarli , comandò ad alcuni uflì-
ziali d'entrare nel santuario, e di strap-
parli dall'altare, per condurli ne'diversi
luoghi da lui stabiliti per esilio. S. Dio-
nisio fu mandato nella Cappadocia, dove
morì, ed è nominato a' i5 maggio nel
Martirologio romano. Lucifero diCagliari
fu condotto a Germanicia nella Siria, che
avea per vescovoEudossiofimoso ariano.
S. Eusebio fu esilialo a Scitopoli nella Pa-
lestina, dove l'ariano vescovo Patrofilo
ebbe autorità di trattarlo come lo avesse
giudicato conveniente. Le catene ed i pa-
timenti non chiusero la bocca a'confesso-
ri,i quali servirono laChiesa confonden do
gli eretici. Papa s. Liberio scrisse loro
per congratularsi con essi dell'onore che
aveano di patire per Gesù Cristo, e con-
fortarli a tenere costantemente la fede.
Eusebio alloggiò prima in casa del con-
te Giuseppe,che lo trattò con ogni carità,
e dove fu visitato das. Epifanio e da al-
tri pii cattolici. Quivi ricevette i depu-
tati di Vercelli , i quali affettuosamente
gli portarono de'soccorsi per vivere. Non
potè ritenere le sue lagrime udendo che
la sua gregge detestava l'eresia, e che era
docile alle istruzioni de' sacerdoti ch'egli
avea nominato per governare la sua dio-
cesi nella sua assenza. Donò parte di ciò
che gli era stato portato a'poveri ed a
quelli che soffrivano con lui per la difesa
della fede. Ma egli era riserbato a più
grandi prove. Morto il conte Giuseppe,
gli ariani e gli uffiziali dell' imperatore,
ricolmarono di oltraggi il santo , e Io
strascinarono per terra; indi rinchiusolo
in una piccola cameretta gli fecero sof-
frire per 4 dì i più crudeli trattamenti,
con intenzione di stancare la sua pazien-
VER
za. Eglino proibirono a'suoi diaconi e
ad ogni allra persona di visitarlo. Ma il
s. vescovo non fece il più minimo lamen-
to, e quando videsi abbandonato e privo
di ogni consolazione, scrisse a Petrofita
una lettera colla soprascritta. « Eugenio,
servo di Dio, e gli altri servi di Dio che
soffrono con me per la fede, a Pa trafilo,
carceriere, e a' suoi uffìziali". Dopo ave-
re riferito,in poche parole, ciò che avea
sofferto, domandava che si permettesse
almeno a' suoi diaconi e chierici di ve-
nirlo a visitare, e da essi o da altri cat-
tolici potersi alimentare. Gli ariani gli
accordarono finalmente la libertà di ri-
tornare nella sua abitazione. Egli non
avea mangiato da 4 giorni, ricusando i
cibi e le bevande offerte a lui dagli a-
rianijOtide non si vantassero aver con tal
mezzo comunicato con esso. Circa un
mese dopo, gli ariani ritornarono armati
di bastoni, ruppero una muraglia della
sua casa, e lo condussero in un'oscura
prigione, col prete Tegrino. Non conlenti
di essersi impadroniti di luttociò ch'egli
aveva, fecero ancora rinchiudere nelle
pubbliche carceri i preti, i monaci e le
religiose che pensavano come il s. confes-
sore. Egli scrisse dalla prigione a' vercel-
lesi, narrando loro i suoi patimenti e il
libello inviato al crudele Patrofilo. Ven-
ne quindi strascinato più volte per una
scala dagli ariani, per costringerlo a co-
municar con loro; il che egli sempre in-
trepidamente ricusò di fare. Allora gli
eretici per farlo più soffrire, daScitopoli
lo confinarono nella Cappadocia; e poco
dopo fu condotto nell'alta Tebaide in E-
gitto. Di là scrisse una lettera a Grego-
rio vescovo d'Elvira, in cui l'esorta ad
opporsi coraggiosamente ad Osio vescovo
di Cordova, il quale era disgraziatamen-
te caduto nell'errore, come pure a tutti
quelli che aveano abbandonato la fede
della Chiesa, e a non temere la possanza
de* principi ; dicendogli inoltra, avere
gran desiderio di finire la sua vita ne'pa-
timenti, per meritare d'essere glorificato
VER 2?r
nel resino di Dio. In tal modo Eusebio
o
accoppiava lo zelo d'un santo pastore ,
alla fermezza d' un martire. Morto Co-
stanzo in sullo scorcio del 36 i, Giuliano
l'Apostata, che il successe, permise a've-
scovi esiliati di tornare alle proprie dio-
cesi, non avendo ancora manifestato la
sua empietà. Eusebio quindi lasciatala
Tebaide si recò in Alessandria, per con-
certare con s. Atanasio i mezzi di rime-
diare a' mali che affliggevano la Chiesa.
Egli sottoscrisse, dopo s. Atanasio, al con-
cilio tenuto in quella città nel 362, e
nel quale fu deciso che i vescovi ch'erano
stati ingannati nel concilio di Rimini ,
nel 2.° periodo divenuto conciliabolo, e
che erano pentiti del loro fallo, conserve-
rebbero la loro dignità. Da Alessandria,
quale legato di Oriente di Papa s. Libe-
rio, passò in Antiochia per estinguere lo
scisma, che turbava la chiesa di questa
città, e che Lucifero di Cagliari avea di
recente accresciuto, ordinando vescovo
Paolino, quale legato apostolico. Egli ri-
cusò di comunicare con quest'ultimo, e
si affrettò ad uscire d' Antiochia. Luci-
fero suo collega, credendosi offeso dalla
condotta di lui, ricusò di comunicare con
Eusebio e con tutti quelli che nell'ulti-
mo concilio d'Alessandria aveano ricevu-
to i vescovi precedentemente ingannati
dagli ariani, e come pentiti gli aveano la-
sciati nelle loro sedi. Tale fu l'origine del-
la caduta e dello scisma di Lucifero , il
quale perdette col suo orgoglio il frutto
di tutto ciò che avea fatto e sofferto per
la causa di Gesù Cristo: mori ostinato
nello scisma, e quelli che vi aderirono si
dissero Lucifirianì (F".). S. Eusebio, do-
po avere ridotte moltissime chiese orien-
tali al caltolicismo, ritornando d'Orien-
te, passò per l'Illiria, ove confermò nella
fede i vacillanti, e gli sviati ricondusse
nella sana dottrina. Al suo ritorno, I' [-
talia lasciò i suoi abiti di lutto, secondo
l'espressione di s. Girolamo , poiché vi
fu ricevuto con gran gioia, e per lui i ve-
scovi ingannati dagli ariani, furono solle-
ili VER
vali e raccolti nella Chiesa cattolica. Scri-
ve l'Ughelli : Cum in Italiani rcdiisset,
sa lutato Liberio Ponti fice, Vercellapro-
fectusest, exceplusque tanta populorum
gratulatone, ut sui humeris ad sedem
illuni deportare velie viderentur. Egli
si uni in islretta amicizia con s. Ilario di
IViliers, e ambedue combatterono l'a-
rianesimo , dirigendo principalmente gli
sforzi del loro zelo contro Aussenzio di
Milano; il quale eretico ariano, e suo
persecutore, trovò modo di accattarsi la
grazia di Valentiniano I, e sostenersi col-
In sua protezione. Il santo sino dal 358,
con s. Emiliano vescovo di Valenza, avea
consagrato i.°vescovo d'Ambrun S.Mar-
cellino; e in diversi tempi ne consagrò
pure altri delle vicine città , come si
h'gge nella riprodotta vita nelP Ughelli.
Eusebio morì il i.° agosto del 370 circa
o nel 37 id'88 anni. Fu deposto nel tem-
pio ch'egli avea eretto o intitolato al
predecessore s. Teonesto, che probabil-
mente gli servì di cattedrale, e poi prese
il suo nome nel restaurarlo s. Albino. Nel
rifabbricarsi, fu trovato il venerando suo
corpo in urna di marmo, con lungo epi-
taffio in versi acrostici riferito dall' U-
ghelli, con sommo gaudio de' vercellesi, i
quali tuttora affettuosamente si vantano
chiamarsi divotissimi e fervorosi figli di
s. Eusebio, come con edificazione appresi
da un illustre di essi, il piissimo marche-
se Giuseppe Berzetli di Mura zza no. Egli
è veneralo a'i5 dicembre nel Breviario
romano, forsea cagione della traslazione
di sue reliquie fatta in questo giorno ,
mentre negli antichi calendari è regi-
strato nel i.° agosto, per la festa che in
tal giorno ne celebrò la gloriosa rimem-
branza la Chiesa occidentale e orientale.
Quanto poi fosse dopo morto illustrato
da Dio con miracoli, cacciando i demo-
mi da'corpi umani, ancora coll'olio delle
lampade che ardevano nella sua chiesa ,
ne fa certa fedes. Gregorio di Tours, De
glor. Confess. e. 3. Impugnatole acer-
rimo dell' arianesimo, che miseramente
VER
infestava la Chiesa, e gran difensore di «.
A tanasio, è celebrato confessore di Cristo,
dal medesimo s. Gregorio di Tours e da s.
Adone di Vienna. E poi giustamente an-
che detto martire ne'due panegirici com-
posti in suo onore da s. Ambrogio, e nel
Martirologio romano, per I' accennate
gravissime tribolazioni patite per la pu-
rezza della fede cattolica, onde ne avea a-
vuto il merito. Egli era dotto, ed eccel-
lentissimo nelle lettere greche e latine, di
nobilissimo ingegno, massimo nell'elo-
quenza; e non si dubita che abbia com-
posto molte opere, come avea tradotto in
latino i commentari d' Eusebio di Cesa-
rea bui salmi, ed espurgato dagli errori
i commentari d' Origene ; ma non ci ri-
mane di lui, che le lettere scritte al clero
e popolo di Vercelli e delle circostanti
città, ed al vescovo d'Elvira, oltre un bi-
glietto all'imperatore Costanzo. La pri-
ma di dette lettere è indirizzata: Dile-
clìssimis fratribus, et satis desìderatis-
simis presbyteris, diaconibus , et omni
clero, sed et sanctis in fide consistenti'
bus, plebibus Vercellensi, Novariensi 3
Hypporegyensì, Augustan is, Tndustrien -
gibus etAgaminis ad Palatium, nec non
Testonensibus. L' ab. Semeria che ciò
riporta nella Storia della Chiesa di To-
rino* p. 1 5, osserva che avendo il san-
to scritta la lettera a' principali suoi dio-
cesani, e per Testonensibus dovendosi
riconoscere la pievania di Testona fra
quelle del clero di sua diocesi « ne viene
in conseguenza che i popoli adiacenti a
Torino (V.) appartenevano alla sua se-
de, né avevano fino allora altro vescovo.
Né deve perciò temersi che la chiesa di
Torino perda del suo lustro, quando di-
cesi che ne' più rimoti tempi apparten-
ne alla sede di Vercelli. Non sarà dunque
abbastanza antica e luminosa , quando
tengasi che dal principio del secolo V
cominciò ad aver la sede episcopale, e
dal grande s. Massimo I si cominci a ri-
petere la serie de'suoi pastori? . . Infatti
s. Massimo I ragionando delle lodi di
VER
s. Eusebio di Vercelli, lo chiama padre e
pastore che rigenerò a Cristo i torinesi...
Come avrebbe potuto qualificare i suoi
uditori pev figliuoli di s. Eusebio, se
questo santo martire non fosse giammai
stato proprio loro pastore? Si dirà forse
che si espresse così s. Massimo I in un
lato significato, per essere stato s. Euse-
bio la colonna della feóe cattolica nel-
l'Occidente, siccome s. Atanasio lo era
stato in tutto 1' Oriente? Benissimo un
tale confronto; ma qual soda ragione di
interpretare le espressioni di s. Massimo
I in senso esagerato, quando meglio si
possono intendere in giusta significazio-
ne di termini? Qual ripugnanza a crede-
re che l'Episcopato Vercellese si esten-
desse anche a Torino, mentre, giusta il
Tillemont (Notes surs. Eusebe de Ver-
ce/7, nota 1 1, t. 7, p. 7 7 2), estende vasi a
Novara, ad Ivrea, e forse anco sino a
Tortona ? " Anche in altri scrittori delle
cose piemontesi ho letto, che Vercelli è
una delle sedi vescovili più antiche del
Piemonte, ed al tempo di s. Eusebio, che
tanto la illustrò colla sua dottrina e col*
le sue virtù, la diocesi comprendeva qua-
si tutto il Piemonte settentrionale. Non
debbo tacere quanto nota il eh. ab. Cap-
pelletti a p. 349* E' antichissima chiesa
di Vercelli, sino da'più limoli secoli go-
deva per la sua vetusta origine e cospi-
cuità , una preminenza d'onore sopra
tutte le altre chiese vescovili della prò*
vincia; non però una preminenza me-
tropolitica, come vorrebbero taluni sfor-
zarsi di dimostrare. E vero,che s. Euse-
bio, nel IV secolo, esercitava parecchi
uffìzi, che appartengono ora alla giuris-
dizione metropolitica ; è vero, che negli
atti del concilio di Milano del 355 egli
è qualificato col titolo di Metropolita di
Italiaj è vero, che il clero e il popolo
di Milano mandarono solenne legazione,
e ch'egli consagrò vescovi delle vicine
città; ma non per questo si può dire,
eh' egli o la sua chiesa godesse una pre-
rogativa metropolitica, nel senso ecclesia-
VER 253
stico ordinario odierno, mentre allora iti
Italia non era stata per anco stabilita
quella dignità. La preminenza goduta
da s. Eusebio tra gli altri vescovi dell».
provincia derivò specialmente dalla sua
anzianità. Egli avea consagrato quasi tutti
gli altri vescovi e persino lo stesso s. Dio-
nisio vescovo di Milano; egli avea eret-
to parecchie chiese , ed avea portato la
fede a parecchie città. E perciò soltanto
scrisse l'autore della sua vita , che la s.
Chiesa Vercellese godeva a buon diritto
sopra le altre una dignità di premi nen-
ia. Tunc enim rite sub tanto Pastore
sua civitas primatum tenebat} quae se
et alias circunicirca vicìnas urbes verbo
salutis etunilis fide pascebat.N elle quali
parole, l'espressione sub tanto Pastore
determina e stringe in S.Eusebio la qua-
lità del primato, che distinguevala fra le
altre. E per ciò appunto nel suindicato
sinodo di Milano, s. Eusebio, i.°di tutti
i vescovi radunati, per tutti rispose, di-
resse il concilio, ne prescrisse l'ordine da
osservarsi, e 1.* di tutti si sottoscrisse
(cioè non sottoscrisse, e si rifiutò, come
dissi e trovo nel p.Labbé, Sacrosancla
Concilia ad Regi a ni editionem exacta,
t. 2, p. 771 : Concilium Mediolanense
universale, ac reprobatimi. Dovrà in-
tendersi, l'esercizio di preminenza eserci-
tata nel far cassai e la firma di s. Dionisio,
per apporvi la propria, ma in vece, sub-
scribere recusanles). Ed in questo me-
desimo senso vanno intese anche le altre
parole, con cui lo scrittore egualmente
della sua vita determina in seguito la
qualità della preminenza, che in s. Eu-
sebio suo vescovo godeva la chiesa di
Vercelli, dicendo , che Vercellis civitas
Liguriarum Primatum inler caeteras
urbes obiinebattcjuam postea Primatum
Mediolanum obtinuit: cioè, non più per
ragione d'anzianità del vescovo, ma per
la nuova dignità, che l'imperatore Teo-
dosio I conferì al vescovo s. Ambrogio,
Milano ottennequella prerogativa di pre-
minenza. E questa nuova dignità fu eoa-
a54 VER
ferita alla s. Chiesa Milanese, non perchè
foss' ella ili una maggiore antichità e di-
gnità della Vercellese; ma perchè la san-
tità, la dottrina e l'autorità di s. Ambro-
gio avevano trasferito iu essa quella pre-
minenza, che poc'anzi per le virtù e per
la sapieuza di s.Eusebio aveva goduto la
chiesa di Vercelli, e gliela trasferì in uu
tempo, in cui cominciavasi nelle Chiese
dell'Italia a stabilirvela permanente. Così
lo storico di esse, benemerito Cappellet-
ti. Già avea scritto l'Ughelli, padre della
medesima storia: Ecclesìa Vercellensis
dignità te, ac privile giis Regimi , et Im-
peratorum , aiitiquitale praeterea , et
Praesulum sanctilate,ac praestanlia in
Gallio. Cisalpina, si qua alia, clarissi-
ma est. Etenim, quemadnioduni ex Ec-
clesiae hujus tabularlo constai, anno
Domini 1 3 1 1 occasione coronalionis
He urici VII Rornanorum Regis in ci-
vitate Mediolanensi contentione oborta
inter Episcopo s Brixiensem, et Vercel-
lensem, cimi compertum esset ipsum
V crccllensem inConciliis, parlamentis ,
ac Convenùbus solemnibus tamquam
praecellentem, et honorabiliorem suf-
fraganeorum Longobardiae sedere so-
litimi post Me tropo litania n, juxta Re-
geni Rornanorum, Imperaloremq uè con-
sliluendum, propinquiorem sedem coro-
ìialioni illius, et in solemnitate diadema-
tis, ac coronae regalis capiti propinquius
ministrare ad latus dextrum serenità'
tis regalis ,decrevil Rex idemetiam lune
et in posterum fieri, atque ita ipse Ver-
cellensis Episcopus a dextris Mediola-
nensis Archiepiscopi stetit, sedit, legit-
que primam orationem ante omnes Epi-
scopos, item recepit de manu cjusdem
ensem, quo Imperatorem accinxit , et
sceptrum regale, et virgam , pomumque
aureum Regi porrexit,insuper coronata
ferream ab ipso Archiepiscopo benedi-
etani una cimi ipso capiti ipsius Regis
imposuit 3 et ad latus Regis dexterum
sedil, atque ila decretum est, ut Vercel-
Icnsis Episcopus minisCrarel incorona-
VE li
tione Regis, Brixicnsis in coronatione
Reginae. Erant etiam Vercellenses E-
piscopi Regni Italiae Archìcancellarii,
antequam a Gregorio V Ponti fece in Ro-
mani Imperli ordinatione Coloniensibus
Archiepiscopìs id niunus demandarelur.
Primus omnium Luiduardus Vercellen-
sis Episcopus a Carolo II (o Carlo III
il Grosso) Imperatore Archicancella-
riusfactus est anno Domini 890 (circa,
e lo fu pure il vescovo Gregorio del 1 o44)>
eoque timi munere reliqui deinceps Ver-
cellenses Episcopi diu perfunctij po-
stremo, principis Imperli ùlulo conde-
corati sunt ab He urico VI Imperatore,
qui suo diplomate, anno 1 1 9 1 Medio-
lani dalo,Alberlum dilectum, etfidelem
Principali suum vocavit, quo deinde ti-
tillo, ac dignilate reliqui ad eo Vercel-
lenses Episcopi usi sunt. Episcopus
Ver cellensis j ani inde ab incunabulis
Archiepiscopo Mediolanensi subjectus
fidi. Ritenuto il vescovo di Vercelli per
i.° vescovo d'Italia, dopo quello di Mi-
lano, è tradizione patria, che anticamen-
te godesse l'ornamento del s. pallio, per
averlo concesso Papa Anastasio HI nel
9 1 2 al vescovo Rengeberto, e Papa Gio -
vanni XIX detto XX al vescovo Pietio
circa il 1024, il che spiacendo al cardi-
nal s. Carlo Borromeo arcivescovo di
Milano, si dice che ottenne a'vescovi prò
tempore di Vercelli, invece del pallio, l'u-
so delle vesti purpuree, cioè la cappa e
gli abiti cardinalizi di colore rosso, tran-
ne il cappello, la berretta e il berrettino
rossi, che propriamente sono iusegne del-
la dignità cardinalizia. Tali vesti rosse i
pastori di Vercelli tuttora l'usano in tut-
te le feste di i.a classe, sebbene sieno
divenuti arcivescovi e fregiati del pallio,
come narrerò a suo luogo. Non debbo
tacere , che prima 1' eruditissimo Dima ,
Serie cronologica, p. 1 52, e poi il dotto
Cappelletti, Le Chiese d'Italia, t.i4> P-
394, scrissero. Il vescovo di Vercelli bea-
to Alberto Avogadro del 1 184 o 1 185 :
» Ottenne per se e per li suoi successori
VER
l'uso della porpora in alcune solennità
dell'anno '\ Ma lo stabilimento dellaPor-
pora (V.)t che concessa daTapi a' Car-
dinali, e poi da'medesimi per privilegio
si accordò ad alcuui Vescovi e Canonici,
mediante le Vesti Cardinalizie (V.)y
sembra piti tardi avvenuto.
Successe a s. Eusebio nel 371 o 372
il di lui discepolo s. Limenio greco , il
quale fu amicissimo di s, Ambrogio e fu
con esso al concilio d'Aquileia nel 38 1 .
Morto verso il 3go, restò vacante la se-
de per le civili discordie de' vercellesi,
indi per le saggie esortazioni di san-
t'Ambrogio, avendoli con affettuosa let-
tera esortati ad eleggere in pastore il
più degno, nel 397 scelsero il patrizio
concittadino s. Onorato, discepolo di s.
Eusebio e degno imitatore di sue vir-
tù; laonde, principalmente, maulenne
illibata la sua chiesa dall'eresia, non ve-
rilus tormenta, non carceres, quae curii
magislro Paulo ante voraverat alacri-
tate mirabili. Avvisato per divina rive-
lazione dell'imminente morte di s. Am-
brogio, di cui eia intimo, nel 397 stesso
si recò a Milano,gli amministrò il s. Via-
tico e gli altri aiuti spirituali. Morì s. O-
norato a'28 ottobre 4* 5, e se ne celebra
la festa nel dì seguente. Fu sepolto nella
chiesa di s. Eusebio, ove presso la porta
del tempio fu posta una pietra con elo-
gio scolpito iu versi, il quale pubblicato
dall' Ughelli, riprodusse corretto il Cap-
pelletti. Siccome dal suo tenore egli è
detto 3.° vescovo di Vercelli, ed in con-
seguenza non dovrebbonsi contare i 3
premessi dallo stesso Cappelletti, questo
si conferma nell'ammetlerli sì perchè vi
esercitarono almeno per qualche tempo
l'episcopale ministero, e sì perchè la chie-
sa di Vercelli li venerò sempre per suoi.
Nel 4*5 divenne vescovo s. Celio o Du-
scelio, il cui nome è inserito collo stesso
ordine nelle litanie di questa chiesa: mo-
rì nel 43o. In questo s. Diego, a tempo
della regina Teodelinda, riferito dal Cor-
bellini, riportato daH'Ughelli e dal Lima,
VER 255
ed a tale epoca escluso dui Cappelletti,
per non esisterne memoria uè' monu-
menti diVercelli. Giustamente il Cappel-
letti lo registra nel 594, poiché allora fiori
Teodelinda figlia di Garibaldo duca di
Baviera, vedova d'Autari re de'longobar-
di, e moglie in seconde nozze d'Agilulfo
duca di Torino, che perciò divenne re dei
longobardi. Questa celebre, pia e saggia
regina contribuì con s. Colombano alla
fondazione del monastero insigne di Bob-
bio, che poi divenne ed è città vescovile.
Circa il 435 s. Albino spagnuolo mona-
co, che restaurata la cattedrale, intitola-
ta a s. Teonesto, e volendola consagrare
col titolo di s. Eusebio, narrai superior-
mente che pregò di fu ine la cerimonia
s. Germano vescovo d'Auxerre, ch'erasi
portato a Vercelli: il santo gli promise
effettuarla nel ritorno da Ravenna, ove
però morì verso il 44^ ° 4^°J per cui
9. Albino egli stesso ne eseguì la consa-
grazione, presente il cadavere di s. Ger-
mano, perchè portandosi da Ravenna in
Francia, s. Albino volle recarsi incontro
alla sagra spoglia nelle vicinanze di Ver-
celli, e col clero con di vota pompa la con-
dusse alla cattedrale.Ciòavvenne non sen-
za duplice prodigio, imperocché s. Albi-
no procedendo alla consagrazione, jani-
gue candelabra imperabat ardere j sed
illa pertinaciler contempserunt conci-
pere Jlammam, quamobrem miraculo
terrìtus Albinus^cam dedicationem di-
stulit in alium diem. Ma appena porta-
tovi il corpo di s. Germano, cum sponte
candelabra lumine conceptofulsere. Me-
mi ni t ergoAlbinus promissionis sibifa-
ctae a SanctOj intellexitque consecra-
tioni illivelmorluum interesse voltasse,
qui quod pollicitus fuerat vivus non po-
tuisset praestare. Morto s. Albino il i.°
marzo del45o circa, fu sepolto nella ba-
silica Eusebiaua, e dipoi ne rinvenne le
s. ossa il vescovo cardinal Guido Ferre-
ri. 11 vescovo s. Giustiniano nel 4^2 aS*
sislè al concilio di Milano adunato con-
tro l'eresiarca Eutiche. Nel 470 s. Sina-
*56 VER
plicio morto irei 475. Nei seguente s. Mas-
simiano, che terminò di vivere nel 4 So.
In questo s. Lanfranco di Vercelli, gover-
nò 9 anni. Nel .}S\) s. Emiliano nato in
Castro Cesai iano, ossia in Celione borgo
della diocesi, dalla famiglia Avogadro:
assistè a'concilii romani del /j<)6, 5oi e
504IC mori l'i 1 settembre 520 di 100
auui. L' uflìzio e festa a suo onore , nel
1 192 fu ordinato dal vescovo §. Alberto
Avogadro. Nello stesso J20 s. Eusebio II
\ ia lardi, morto a'i5 marzo 53o. In tuie
anno s. Costanzo dell'antica famigliu ver-
cellese Costanzi, consagrò a Dio due so-
relle, governò 9 anni, predisse l'elezione
del successore e morì nel 539. L* anno
seguente l'altro vercellese s. Flaviano,
convertì le rendite di sua mensa nella
restaurazione de'sagri templi , saccheg-
giati da Alarico re de'goli ; rifabbricò il
coro della cattedrale, e ricevette in sua
casa s. Mauro abbate, inviato da s. Bene-
detto in Francia a propagare l'ordine
monastico, da cui ebbe in dono un pezzo
della ss. Croce, e mori a'5 uovembre 54^:
fu sepolto in cattedrale con epitaffio in
versi, che offre Ughelli. Circa il 553 s.
Vedasto, sotto il cui governo Vercelli fu
saccheggiato d'ordine di Cacamo re dei
bavari: moiì a'7 febbraio 577, nel quale
giorno se ne celebra la festa. In quest'an-
no Tiberio, che Bima anticipa, ed Ughelli
ritarda dopoil 61 J.Berardo oBeraldo nel
583. Nel 594 sarà bene riportare il sud-
detto s. Diego. Nel 599 s. Filosofo, visse in
tempi difficilissimi, e fu costretto ritirarsi
nel monte Catinariojcioènel castello dis.
Lorenzo presso Gattinara, da dove prov-
vedeva a'bisogni di sua chiesa, costretto-
vi dalla persecuzione degli ariani longo-
bardi e da Riperto ariano da loro intru-
so nella sua sede, a cui nel 610 diedero
successore l'altro ariano intruso Borioso.
Morì s. Filosofo celebre per miracoli ai
j 9 novembre 618 in detto luogo, e nel
ii45 dal vescovo Ghisolfo Avogadro fu
fatta la solenne traslazione del suo sagro
corpo e ordinato l' uflìzio. Nel 621 Cinl-
V ER
10, nel 633 Damiano, nel 653 Emiliano
11, per le cui egregie doti ottenne prote-
zione e privile»! da Ariperto 1 re de'lon-
gobardi. Nel 65S o nel 663 Celso, sepol-
to nella cattedrale con lapide di versi
acrostici prodotta da Ughelli. Nel 665 o
nel 678 Teodoro di Milano , assistè al
patrio concilio del 679, contro i djoiio-
telili adunalo dall'arcivescovo Mansue-
to. Nel 687 o 690 Magnesio o Magne-
sio, sotto il cui vescovato fu fondata l'ab-
bazia di s. Michele di Lucedio nel 712,
al dire dell' Ughelli, ma già lo era, come
dirò. Nel 697 Attone. Nel 704 Emilia*
no III, a cui Ariperto II rede'longobardi
con diploma de'9 ottobre 707, che si leg-
ge nel Vllistoriae Patriae, t. 1, p. i3,
confermò quanto egli già possedeva , e
pose sotto la sua podestà la badia di Lu-
cedio testé fondala daGautari ex soldato
longobardo, che ne divenne 1. "abbate. Nel
760 Rodolfo, intervenne al concilio ros-
olano del 761, il che nega l'ab. Cappel-
letti, avvertendo alterata la serie de've-
scovi (pianto a'tempi. Nel 765 Sinfredo
patrizio vercellese, dal Papa s. Paolo I
consagralo. Nel 770 Anselberto, poi tu-
mulato nella chiesa di s. Eusebio. Nel
776 Crisanto o Grisanzio francese. Nel
780 o 783 Baringo monaco benedettino,
tumulato in cattedrale. Nel 788 o 790
Giso o Gisone francese, al quale il prete
Bebo trascrisse l'istoria d'Eusebio di Ce-
sarea. Nel 795 Cuniberto, non morto
nell' 8 1 8 a* 1 9 aprile. Imperochè il Cap-
pelletti registra uell'800 s. Albino II, alle
cui istanze Carlo Magno , libéralissimo
verso la sede di Vercelli, fabbricò in Sei-
vabella, oggi Mortara , due chiese, una
intitolata all'apostolo s. Pietro., l'altra a
s. Eusebio; ed in esse Albino li introdusse
ad uffiziare i canonici regolari , i quali
conservarono il rito Eusebiano sino al
1575. Inoltre il s. vescovo ottenne dal
medesimo imperatore ampio diploma
confermativo de' possedimenti e privile-
gi di sua chiesa. Ammalatosi in Mortara>
ivi finì di vivere circa 1*826 e fu seno!-
VER
lo in quella chiesa di s. Eusebio, alla
quale perciò in seguito fu cambialo il no-
me con quello di questo s. Albino. Adun-
que Antero o Àutcrio o Aulerico, die
Ughelli e Dima dicono intervenuto 1*8.24
al concilio diMantova ,coH'ab. Cappelletti
lo registrerò all'826, e bensì fu a quel si-
nodo che fu però celebrato l'826o 1*827,
per la controversia tra' patriarchi d' A-
quileia e di Grado. Nell'83o Nottingo di
Germania figlio del conte ErIafrido,già
famigliare di Carlo Magno, egregio per
l'erudizione e la dottrina, fondatore in
Germania del rinomato monastero d'IIi-
saugia. L'imperatore Carlo il Calvo gli
donò un ponte in premio di sua agilità
nel cavalcare, che poi prese il suo nome,
col quale ponlem No tìngimi è ricordato
in più diplomi imperiali. In seguito il
ponte si disse Cerviolo dal nome della
vicina terra. Nell'84i Luviduardo, alle
cui preghiere l'imperatore Lotario I do-
nò al monastero di s. Michele di Luce-
dio il corpo di s. Gennaro martire. Nel-
l'844 Nortardo o Norguado francese, che
intervenne in Roma alla coronazione di
Lodovico II figlio di Lotario I , e pare
che fu regolatore del capitolo canonica-
le^ fors'anco delle dignità capitolari da
lui istituite. Giuseppe dell'870, traslalo
ad Asti nell'88 1 ; ma il Cappelletti lo di-
ce intruso nell'879, e perciò scomunica-
to dall'arcivescovo di Milano Ansperto,
bensì conviene alla traslazione. Nell'864
Adalgaudo o Aldagardo francese sotto-
scrisse il concilio di Milano, e nell' 876
firmò il giuramento prestato da'principi e
\escovi d'Italia a Carlo il Calvo: nel se-
guente 877 fu presente al concilio di
Ravenna, e nell'agosto accolse in Vercel-
li il detto imperatore e Papa Giovanni
Vili, morendo nell'879. I" questo per
molti e luughi contrasti s'intruse il ricor-
dalo Giuseppe, e fu eletto vescovo Con-
spetto, che vi durò pochi mesi. Di tali
differenze rUghelli riporta 3 lettere scrit-
te da Giovanni Vili a Carlomanno re
d'Italia, a Carlo III il Grosso imperato-
voi. xeni.
VER 257
re, ed al clero e popolo di Vercelli. Nel-
l'88o Liutardo o Luiduardo o Lottar-
ci o , a cui scrisse in tale anno Giovanni
VIII. L'Ughelli riferisce il diploma di
Carlo III il Grosso, d'i cui era arcican-
celliere, col quale nell'882 donò e confer-
mò alla chiesa di Vercelli varie corti ,
specialmente Biella, Foglisso, Romagna-
no, la valle di Cly, la selva Roasenda e al-
tri beni, 11 diploma più esatto si legge
ve\\' Historiae Patriae, t. 1, p. 64. Egli
fu al sinodo romano dell'885, ed a quel-
lo di Magonza dell'888. Gli fu tolto l'ar-
cicancellieralo, ed espulso dalla corte, per
sospetto d'amorosa tresca coll'imperalri-
ce Ricarda, e per avere rapilo dal mo-
nastero di s. Giulia di Brescia una ver-
gine figlia del conte Wnoco parente del-
l'imperatore, coli' intenzione di volerla
sposare ad un suo nipote. Il vescovo Se-
bastiano è nominato in un piacilo di Pa-
via, riprodotto óaN'Historiae Patriae,
t. r, p. 97, nel quale lodasi la donazio-
ne fatta nel 90 idei monastero di Luce-
dio, dal re Berengario I alla chiesa di
Vercelli. Qui il Cappelletti esclude Die-
go li e Norgando, attribuiti a questa chie-
sa, dall'Ughelli nel 923 e nel 925, dal
Bima nel 910 e nel 920. Dappoiché nel
904 n'era al governo il vescovo Renge-
btrto (conosciuto dal Coleti nell' Adden-
da el Corrigenda all'Ughelli, Italia sa-
cra, t. io, p. 355), e nel 91 2 gli scrisse
Papa Anastasio IH, circa l'uso del pallio,
cui per distintissimo privilegio gli con-
cesse, altri avendone accordati al vesco-
vo di Pavia. La qual concessione, tanto
onorifica alla chiesa di Vercellesi appren-
de dal lesto della bella lettera pontifìcia
riprodotta dalPab. Cappelletti, diebus vi-
ta* suae tantummodo, prescrivendogli le
feste in cui dovea usarlo, inter Mìssarum
solemnia. Si conferma 1' esclusione dei
due nominati vescovi, dall'essere occu-
pata là sede sino a' 12 marzo924 dal ve-
scovo Rangeberto, e dallo stesso 9243!
961 da Alto oAtlonelI. Nel t. i,p.i55
dell' Tlistoriae Patriae è il documento col
l7
25$ V E II
quale Attone II vescovo di Vercelli nel
c)45 concede alla canonica di Vercelli, in
uumentodi dole,la piccola coite di Mon-
tanaro, in cui si dice essere l'anno 2 idei
suo vescovato, onde si comprova che lo
cominciò nel 9^4- Di più il documento
testifica la pastorale sollecitudine di Al-
to Il pel decoro del sagro tempio e pel
provvedimento de'suoi canonici. In altri
è mostrato impegnalissimo a promuove-
re in ogni guisa il bene del suo popolo;
e nel voi. LXX1, p. 63, dissi quanto in-
veì contro la peste della Superstizione.
Nello stesso g4^,o secondo altri nel g4i >
ovvero nel 94°> f'1 al concilio di Milano;
ed anche in altre pubbliche radunanze
o placiti figurò sino al 960 o forse al
principio del 961, in cui (luì la sua vita.
Una solenne testimonianza dell' affetto
suo verso la chiesa metropolitana di Mi-
lano si ricavadal testamento del 948, ed
esibito dall'accuratissimo Cappelletti. In
sostanza lascia i propri beni o valli di Bel-
linica o Blegno o Bellania,edi Lebenti-
na o Le veti lina, prò mercede et reme-
dio animae meae, et aliquantis rebus et
familiismeis, alle dignità e canonici, pre-
ti e diaconi della metropolitana, non che
a'decumani,de'quali eziandio riparlai ne'
voi. XXIV, p. 199, LXXX1I, p. 3oo,
LXXXVI1I, p. 258. L'Ughelli dice Alto
Il , figlio di Aldegario Visconti, dottissimo
teologo e preclaro canonista, parla di sue
opere, e riporta il diploma di Ugo e
Lotario re d'Italia a favore della chiesa e
canonici di Vercelli, con doni e privilegi.
Si conosce l'opera intitolata: Sancii At-
tonis Sanctae Vercellarum Ecclesiae E-
piscopi. Opera, curante Carolo Buron-
tio del Signore. Vercellis 1 768 due tomi
in foglio. U Saggiatore Romano, t. 3,p.
9, riporta il Testamento di Attone di Ver'
celli del 94$ confermato nel 948, colle
considerazioni dell' illustre letterato da
ultimo defunto, Carlo Trova. Ed a p.69
del medesimo il Discorso intorno adE-
ver ardo figliuolo del re Desiderio , ed
al vescovo Attorie di Vercelli, Lo dice
VER
dotto e ricco, già arcidiacono della me-
tropolitana di Milano, nato d'alio lignag-
gio longobardo, il quale credeva* proce-
dere dal trisavolo Everardo figlio di Desi-
derio re de' longobardi, come il vescovo
afferma nel testamento de* |5 maggio
945, essendo egli nato da Aldigerio,o Er-
menculfo ch'è il nome del padre di Desi-
derio. In questo allo di i.a donazione al
capitolo di Vercelli, Aitone 11 piegandosi
a'desiderii de' 3o canonici della sua chie-
sa di s.Eusebio Vercellese, i quali lo sup-
plicarono di soccorrerli o di scemarne il
numero, egli allora die' al capitolo una
sua Corticella , situala nel luogo del
DJoutanario e spettante ad una corte più
ampia donatagli da're Ugo e Lotario, che
è il documento ricordato di sopra; vo-
lendo che da' frulli di quella terra si pre-
parasse un annuo desinare a* canonici ,
nella domenica delle Palme, ed il rima-
nente de'f rutti si dividesse fra loro nel-
l'8.a di Pentecoste. Alla chiesa di s.Eu-
sebio di Vercelli assegnò l'usufrutto di 4
casali nella valled'Aosla,e alili 2 in Ver-
dezze Seguono le disposizioni in favore
dell'arcivescovo, del capitolo metropoli-
tano e dell'abate d'un monastero di Mi-
lano.Questo testamento lesse e fece ap-
provare dal sinodo di Milano. Si ragiona
quindi del 2.0 testamento o codicillo del
948, e degli effetti che seguirono alle do-
na/ioni. Da'diplomi imperiali, quanto al-
le donazioni vercellesi, si fa sempre paro-
la degl' invasori, ed anche de'ladroni che
occuparono il patrimonio di s. Eusebio,
e delle inique alienazioni e permute fat-
tene e annullate dagl'imperatori, massi-
me quelle del vescovo di Vercelli Ansel-
mo. Seguono altre eruditissime conside-
razioni Sili Une testamenti, non che i dub-
bii sul contenuto de'medesimi, fra' quali
se l'Eberardo Visconti, che pel i.°il coli-
le Lilla registrò nel io3y, procedesse o
no dalla famiglia d'Attone vercellese, ra-
gionandosi per ultimo della discendenza
di re Desiderio. Per finirla con Attorie 11,
dirò che lui morto, ben tosto gli fu so-
VER
stituito nel 961 Ingone, tam parenti,
(inani filio Otlionibus Caesavibus diari,
sotto del quale e nell'agosto eli detto anno
seguì la fondazione dell'abbazia di s. Ma-
ria^ de'ss. Pietro e Cristina di Glassa-
no, luogo della diocesi di Vercelli, per o-
pera benefica di Alerame marchese del
Monferrato e di sua moglie Gilberta, figlia
del re Berengario l,e l'Uglielli ne pro-
duce il documento: prese poi il nome
de'ss. Vittore eCorona,indipassòin coni
menda, e per ultimo restò soppressa. Nel
964 radunò il sinodo, un frammento del
quale è nell'archivio della chiesa di Ver-
celli. Fu biasimato qual dilapidatore dei
beni di sua chiesa, per cui ne rivendicò i
diritti un suo successore per la prolezio-
ne d'Ottone 111 imperatore: ciò avvenne
nel 1000, e Dell' His forine Patriaet t. 1,
p. 338, è il diploma di quell'augusto col
quale concede alla chiesa di Vercelli vari
privilegi e tutte le tene possedute dal
marchese Ardoino e da Ardicino suo fi-
glio. Morto Ingone nel977,non pare che
gli sia succeduto Adelberto, bensì Pietro
nel 978, eh 'è pure nominato in un pla-
cito del 996 de'messi imperiali, riferito
dall' Historiae Patriae, t. 1, p. 3oo, in
cui si loda una donazione fatta dall'im-
peratrice Adelaide alla chiesa di Vercel-
li. Mentre a p. 3o5 si legge la donazione
fatta in detto anno al vescovato di Ver-
celli, dal marchese Ugo, del castello e cor-
te di Caresana colle appartenenze. Os-
serva ilCappelletti che s. Pietro II vercel-
lese, l'Uglielli lo registrò più tardi dopo
Leone, mentre i duri avvenimenti che
narra di lui spettano al discorso Pietro,
trucidato nel 997 e il cui corpo fu tro-
vato nella cattedrale nel 1076. Il can.
Bima pure dopo Leone scrive: » 1021 s.
Pietro lì, cittadino di Vercelli, appena
eletto vescovo intraprese il viaggio di
Terra Santa, e questo suo pellegrinaggio
gli fu copioso di tribolazioni: fatto pri-
gionieroe schiavo, venne carico di catene
condotto in Babilonia d'Egitto; tutto sop-
portò con pazienza, finché ottenuta la li-
V E R 2$9
berta a intercessione del santo anacoreta
Bononio, si restituì alla sua sede, ove
giunto ottenne dal Papa Giovanni XIX
detto XX ( eletto nel 1 024 ) , I* uso del
pallio, e morì a'i3 febbraio 1026". Nel
settembre 997 Ottone 111 spedì un di-
ploma al vescovo Pietro io favore della
chiesa vercellese; ed altro simile nel suc-
cessivo dicembre al vescovo Reginfredo,
che il Bima dice già arcidiacono della cat-
tedrale. A questi successe nel 999 il men-
zionato Leone monaco, a cui Ottone III
col diploma discorso piti sopra del 999, e
con altro poc' anzi ricordato del 1000,
confermò il possesso di tutti i beni e pre-
rogative di sua chiesa , e con accresci-
mento gli donò il contado di Vercelli e
di s. Agata, con giurisdizione, insieme al-
le ragioni sulle miniere d'oro, ed eziandio
sull'oro che si trovasse nella diocesi e nel
contado Vercellese e nella contea di s. A-
gala. In fine di questo diploma l'impe-
ratore dichiarò , per tutelare le conces-
sioni fatte alla chiesa vescovile di s. Eu-
sebio, ed a' suoi pastori. Si aids miteni
noslrisaut futuris temporibus diabolico
duclus spirita s. Ecclesiani Vercellen-
sein,Leonem episcopum aut suos succes-
sores in ali quo ingenio disvestire aut
alla racione inquietare vel faticare a-
liquando presumpserit componat mille
libras auri medietalem nostraecamerae
et Vercellensi Ecclesiae alteraìnì et
praeceptum firmnm permaneal. Tali di-
plomi meno esatti li pubblicò pure I' U-
ghelli. Al tempo del vescovo Leone Ver-
celli soffrì gravissime molestie da Ardoino
marchese d'Ivrea e re d'Italia, poiché i
vercellesi preferirono al suo partito di
seguir quello dell' imperatore s. Enrico
li. Il perchè Ardoino s'impadronì di
Vercelli nel 1 o 1 4> e tra'molti danni che
vi recò, distrusse la cattedrale di s. Eu-
sebio. Però s.Enrico li nell'istesso anno,
a premiare la fedeltà de' vercellesi, fa-
vorì la loro chiesa di amplissimo privi-
legio e col dono di moltissimi possedi-
menti, già di alcuni aderenti del re Ar-
2f.o VER
doino, oltre la restituzione di vari altri ,
tutti enumerati nel diploma esistente nel-
l'archivio capitolare di Vercelli, e pub-
blicato nel t. i, p. 4°6 , dell' Historiae
Patriae Monumenta, colla penale a'tra
'sgressori. Quicumque autem s. Verrei-
lenseni Ecclesiam de his omnibus disve
stiverit vel inquietaveritcomponat Ka-
merae nostrae mille libras auri et s. Eu-
sebio alteravi. Visse il vescovo Leone
molti altri anni, e nel 1024 si eollegò coi
lombardi che volevano scuotere la domi-
nazione de'principi di Germania in Italia,
onde fu costretto fuggire di Vercelli e ri-
coverarsi in Francia, ove morì dopo due
anni, avendo indarno fatto tentativi per
ricuperare il suo seggio. Subito gli fu sur-
rogato Ardeiico 0 Alderico di regia stir-
pe, il quale intervenne in Roma alla co-
ronazione che Papa Giovanni XIX detto
XX fece dell'imperatore Corrado li a'26
marzo 1027, cui proprio obsequio ad-
minìstraturus, loco archiepiscopi Me-
diolanensis, adliaesit, quem abesse con-
tigerat, ut de regno Italiae refert Sigo-
gonius. In grazia del Papa, l'imperatore
a' 7 del seguente aprile con diploma e-
sibito nel t. i,p. ^5 ^àe\V Historiae Pa-
triae , con fermò le donazioni fatte da'suoi
predecessori alla chiesa vescovile di Ver-
celli, e specialmente le confermò il pos-
sesso del contado e della città di Ver-
celli, e del contado di Santià o s. Agata ,
ad essa donali da Ottone I II in tempo del
vescovo Leone, egualmente, cum univcr-
sis publicis funcionibus totani Civitatem
cum omnipublica polestate in integrimi ,
et cum omnibus publicis pertinenciisCo-
mitatus etCivitatis et totum Comitatum
quaedicunts. Agathac in perpetuimi funi
omnibus castellisi villis3 piscacionibus,
venacionibus, silvis, pralis) pascuis, a-
quis, aquarumve decursibus et omnibus
publicis pertinenciis, mercalis, theloneis
et cum omnibus publicis funcionibus in
Civitate V ercellensi intus et foris in lo-
to Comitatu V ercellensi et in toto Co-
mitatu s, Agalhae intus et foris, et in o-
V ER
mnibus ennirn pertinenciis, et ut in ca-
stella s, A galline et in burgo ejus aut per
quinque.mìlinria in circuita nulliis nuni-
quani placilam leneat aut fodrum colli-
gal auf albergarias faciat publicas aut
publicam exaclìonem exigat, nisi Ver-
cellensis Episcopus aut ejus niissus in to-
ta Campania nullus theloneum accipiat,
nullus mercalum habeal publicum in
V ercellensi Ecclesia theloneum et dì-
slrictum suarum plebium etc. Si quis
autem etc. Soggiunge PUghelli: Eodem
anno cum Homobonus miraculis incly-
tus excessissete vivi. 9, Ardericus Romani
profectus, a Ponti fice impetrava, ut pie
defuncto ponere aram sibi liceret,quam
magno Ver cellensis populi plausu detti-
que dedicavi t. È però diverso da s. O-
mobono di Cremona volato al cielo nel
1 .197, che Innocenzo III canonizzò nel
seguente anno. Ma il vescovo Arderico
nel 1037 fu cacciato in esilio, in uno ai
vescovi di Cremona e di Piacenza , co
quod apud Imperalorem accusali sunt,
regnando ancora Corrado II, di parteg-
giare co'lombardijOnde eliminare dall'I-
talia la dominazione alemanna. Non mol-
lo dopo e nelio4ofu restituito alla sua
sede, e morì a'4 magg10 circa il lodi-
lo questuerà già vescovo Gregorio Fon-
tana piacentino, come si trae dall' Hi-
storine Patriae, t. 1, p. 555, per la car-
ta d'Enrico vescovo d'Ivrea, colla quale
stabilì dote conveniente al monastero di
s. Stefano da lui fondato, al quale atto
Gregorio si trovò presente. Nel 1046 in-
tervenne al concilio di Pavia, e neh o5o
accolse in Vercelli Papa s. Leone IX, ed
assistè al già discorso concilio ivi da quel
Papa celebrato. Ma tornato il Papa in
Roma, nel concilio che adunò dopo Pa-
squa vi scomunicò e depose dalla sede
di Vercelli Gregorio assente, quale adul-
tero e spergiuro, e fece un nuovo decreto
sulla continenza de'chierici, allora fatal-
mente inosservata, pel pubblico e scan-
daloso concubinato del clero^ onde con
dolore leggo nelle vecchie carte pubbli-
VER
che, nominati apertamente i figli de've-
scovi, de'preli, de'diaconi. Dell'anatema
di Gregorio, parlano Novaes nella Storia
ili s. Leone IX; Fellone, De* viaggi dei
Pontefici, e l'Ughelli. 11 Dizionario dei
Concila, dice che Gregorio avendo poi
promesso di dare soddisfazione, fu rimes-
so uelle sue funzioni. Trovo ueWHisto-
riae Palriae, 1. 1, p. 58 a, il diploma del-
l'imperatore Eurico HI del io54>incui
chiama Gregorio dilecto Episcopo, e
conferma alla chiesa di Vercelli i conta-
di di Vercelli e di s. Agata, e le altre
concessioni fatte alla medesima da' suoi
predecessori, inclusivamente totani Ci-
vitatem Vercellensem in integrimi cura
anni publica potestate in integrimi in
perpetuimi. JNelio59 trovossi al concilio
di Roma di Nicolò 11, in cui Berengario
per la 3.a volta fu obbligato ad abiurare
i suoi errori, e si condannarono i Nico-
lai ti (f.). Poscia seguendo le parti dello
scismatico persecutore della Chiesa En-
rico IV, di cui diveune cancelliere nel
regno d' Italia, si recòal conciliabolo te-
milo nella diocesi di Novara da Goto-
fredo intruso pastore di Milano , sco-
municalo co'suoi fautori da Papa Ales-
sandro 11, contro il quale Enrico IV lo
n pristino nella cattedra. Sempre più im-
perversando Gregorio, riconobbe l'auti-
papa Onorio II eletto dalla fazione im-
periale, e da Enrico IV fu dichiarato an-
che legato regio in Italia. Il perfido a-
vendo simulato pentimento, fu assolto e
reintegrato della sede da Papa s. Grego-
rio VII, ma ricaduto nello scisma fece
parte della riprovevole radunanza di
Roncaglia, che pretendeva deporre un s.
| Gregorio VII, ed infelicemente moti nel-
lo scisma, non mai pieno di ineriti, come
scrisse il cau. D'una, uelioyB. Tosto gli
successe l'altro scismatico Wennerico
scolastico di Tre veri, a cui falsamente fu
attribuito lo scismatico libro, De Unita-
te Ecclesiae. Poco dopo la sua morte ,
Enrico IV con diploma de'4 luglio 1080,
presso ì'IIisloiiac l\itria< , t. i,p. 6G6,
VER 261
avendo donato alla chiesa di Vercelli i
castelli di Miribello e diBeceto ad istan-
za del vescovo Regennerio, mi fa sospet-
tare che questi ne seguisse le parti; cer-
to è che fu scomunicato da Vittore IH e
da Urbano II, ma colla protezione de'suoi
aderenti si sostenne nella sede oltre i i
anni. L' UghelJi e il Binia lo chiamano
Rainerio o Reiuerio Avogadro, e lo dico-
no morto nel io()4-H apriporta un di-
ploma di t?apa Innocenzo 11 del a i4o ,
dal quale si ricava avere il vescovo fon-
dato l'abbazia benedellina di s. Salvatore
della Bessa. Dopo la sua morte, Eurico
IV v'intruse Butano canonico di Goslar
in Germania, che però si astenne dal re-
carvisi e dall'esercitate l'uffizio pastorale.
Nel i 108 trovasi Gisulfo, da taluno cre-
duto altro intruso , il cui nome si legge
sottoscritto nella carta che offre l'Ughelli,
uni la mente allo scismatico vescovo di No-
vara Anselmo, riguardante la pieve di s.
Vittorino di tal diocesi. Il Corbellini ri-
ferisce quindi un Gregorio intruso da
Enrico V, che seguiva le pedate d'Enri-
co 1 V suo padre nel perseguitare la Chie-
sa. Sigifredo o Zeifredo del a aio è ri-
putato scismatico, perchè intruso daEu-
ricoV, traslato da Coirà, beuchè non ap-
parisce tale nella serie di que' pastori.
Nel i i 1 1 si trovò presente in Intra alla
cessiooe fatta da Eurico V della strada
delta Romana alla città di Torino, ed è
nominato in altri diplomi imperiali sino
ali i 17. Successero coufusameute,quau-
to all'epoche, gl'intrusi Luitpraiido figlio
d'Alberto conte di Blandiate; Baldeno,
ambizioso, per poco tempo; Gregorio de
Veruca nobile; e dopo pochi mesi E ve-
laccio, tutti scismatici e seguaci di Euri-
co V , il quale soltanto si pacificò colla
Chiesa nel 1 122 per la Pace Callistina.
Regetn berlo legittimo uel a i3o, erudito
e illustre per vii tu. Nel a i32 Anselmo
ex Advocata genie, ossia Avogadro. Da
Acqui neh 1 35 fu v vi trasferito Azzo o Az-
zone, motto nel 1 i3n. Invece l'ab. Gap-
pellet ti scrive che Azzoue nel 1 1 35 fu
262 VER
traslato ad Acqui, ed iti questo gli fu so-
stituito Gisolfo 11 menzionato in un do-
cumento de'g marzo di tale anno pub-
blicato ueWlf istorine Patriaeì t. i, p.
77 i. Estratto dall'archivio del marchese
Ai borio Gallinaio di Vercelli, ma non
è detto di qual chiesa fosse vescovo. U-
ghelli e Bima registrano: i i 37 Ardizzo
o Ardizzone Bolgaro nobile di Vercelli,
morto il 1 ."ottobre non ancor consagra-
to, dopo aver commutalo coli' impera-
tore Corrado III il Castrimi Messurani
sai Alessorianum, probabilmente Mas-
semno poi dominio della s.Sede. Indi ri-
portano uel 11 38 il detto Ghisolfo o
Gisulfo 1 1 Avogadro di Valdengo di Biel-
la, cultore esimio della disciplina eccle-
siastica, insigne specialmente pe' benefi-
cii falli alla sua chiesa, erigendo a sue
spese il dormitorio pe'canonici della cat-
tedrale, per più: decente dimora , ed il
Papa Innocenzo II con bolla del 1 1 [\i ,
riportata dall' Ughelli , ricevè sotto la
protezione di s. Pietro e sua l' arciprete
e canonici maggiori, e loro successori in
perpetuo. E' sottoscritta dal Papa e da
21 cardinali. Termina colle parole mi-
naccevoli : Si quis contro, linee temere
venire tentavcrit^polestatis honorisque
sui dignitate enrent et sacratissimoCor-
pore et Sanguine D.N.Jesu Christi a-
lienisjìat et in extremo judìcio ultioni
subjaceat. Amen. Amen. Egual favore
il vescovo trovò nel Papa Eugenio III
nel 1 146, e poscia nel 1 1 4^ otlenne che
consagrasse la chiesa di s. Maria Mag-
giore io Vercelli, come già raccontai; se
non che il Bima crede che la venuta del
Papa in Vercelli fu nel 1 1 4^ » mentre
anche 1' Ughelli scrive nel 1 148. Morì
Ghisolfo II a'3o maggio 1 1 49* Neil i5o
Uguccio o Uguzzo di Bergamo arcidia-
cono, chiamalo Lincio nell' Hi storia e
Patriae. Essendo carissimo a Federico I
imperatore, ottenne amplissimo diploma
nel 1 i52 in favore della chiesa di Ver-
celli, ed annullando parecchi atti d'in ve-
stiture concesse dugli anteriori vescovi
VER
intrusi, ed eziandio dal predecessore Gi-
solfo 11, per non essere interamente con-
sentanee alle prescrizioni de'sagri canoni.
Il diploma si legge nell' Ughelli, e me-
glio neWIJisioriac Patriae. Alle giuris-
dizioni accordale in esso al vescovo ver-
cellese, opposero resistenza gli abilauti di
Trillino, i quali sostenuti dal marchese
Wilelmo (probabilmente di Monferrato,
cioè un Guglielmo), ricusarono di sotto-
mettersi alla signoria del vescovo Uguc-
cio. Ma egli nel principio deli 1 53 colle
armi gli assoggetlò, e per dominarli eres-
se un castello su allo colle. Nondimeno,
pacificali gli animi, nel 1 1 55, a nome di
sua chiesa il vescovo concesse a Wilelmo
ogni diritto sul castello e territorio di Tri-
llino. Nello slesso anno Uguccio donò ai
canonici della cattedrale alcuni beni e
decime; e dicesi che nel 1 160 trasferì
gli abitanti di Biella dalla valle in cui
stavano, al monte Palazzo. Nel seguente
1 1 56 I' Ughelli riproduce il documento
delle concessioni fatte, nel vescovato d'U-
guccio,alla summentovata badia di Glas-
sano, dal marchese di Monferrato Gu-
glielmo e dalla moglie Giuditta d'Au-
stria. Pare che a suo tempo e nel 1 1 65
s'intrudesse un Aimone,forse nello scisma
sostenuto dall'imperatore Federico I con-
tro Papa Alessandro 111; anzi Ferreri e
Corbellini, dopo Uguccio registrano un
Lamberto o Oberto o Uberto Crivelli
milanese, e secondo il Ciacconio niente-
meno quello che creato cardinale nel
1 1 7 1 , nel 1 1 85 divenne Papa Urbano
IUÌ come nella biografia notai, ma im-
pugnalo dall'Ughelli e da altri. Uguccio
mori neli 1690 meglio neh iyoa'28 no-
vembre. Immediatamente il successeGua-
laBondanooBondonio nobile vercellese e
preposto della cattedrale, consagrato dal
suo metropolitano s. Galdino Valvassi o
Sala. Il Bondano, dal Bima si confonde
col cardinal Guala Bicchieri t gloria ver-
cellese che celebrai superiormente, ma
l'Ughelli ben distrugge l'errore su i due
personaggi, i quali non ebbero comune
VER
se non il nome e la pallia. II nuovo ve-
scovo subito costituì il fratello Giacomo,
in capitano e avvocato difensore del ve-
scovato e chiesa di Vercelli, e concesse a
lui e successori oppido Ronsechi e uni
juribus et pertinentìis suis. Donò a Gu-
glielmo priore di s. Orso d' Aosta , nel
i 173 la chiesa di s. Paolo presso il fiu-
me Sesia, col propinquo spedale, terre,
beni e diritti annessi. Con atto del 1 174,
riferito dall'Ughelli, e da lui sottoscritto
minister lictt indigniiSy insieme al pre-
posto e canonici della cattedrale, dispose
che il preposto della cougregazione di s.
Bartolomeo fuori delle mura di Ver-
celli, e con esso i suoi religiosi menassero
vita in comune sulle mirabili forme stabi-
lite da s. Eusebio, e ispirate a lui dalla
divina misericordia. Nel 11 77 alla pre-
senza del cardinal Guglielmo Matengo,
legato della s. Sede , il vescovo sedò le
discordie , Vercellis utriusque Eccle-
si ae e Capitala diuturniorem li lem tran-
segeritnt. Pacificò pure i vercellesi con
Guglielmo marchese di Monferrato. Nel
1 181 ritrovò le sagre spoglie del prede-
cessore s. Emiliano I, e le collocò onora-
tamente nell'altare per esse edificato. Ad
esempio de* suoi antecessori implorò ed
ottenne, che Papa Lucio HI uel 1 182
ricevesse sotto la sua protezione e della
Sede apostolica la s. Chiesa e capitolo di
Vercelli. Nel 1 184, al dire di alcuni, per
sentenza d' A Igisio arcivescovo di Milano,
Guala Bendano fu deposto e allontana-
to da questa sede, come dilapidatore di
sue rendite. Meglio è ritenere, con Bima,
Cappelletti e altri, che indotto a rinun-
ziare si trasferì a Roma, ove sostenne ca-
riche onorifiche, e ivi mori nel 1 2 3o. Per
successore, nel 1 1 84 stesso o nel 1 1 85 gli
fu dato il beato (altri lo qualificano sau-
to) Alberto (/'.). Avogadro, nato in Ca-
stel Gualterio feudo di sua casa nel ter-
ritorio di Parma, allora vescovo di Bob-
bio, profondo nella cognizione del diritto
canonico. L'umiltà e le altre sue virtù gli
procacciarono tosto la venerazione dei
VER a63
suoi diocesani, i quali fecero a gara d' i"
mitarne gli esempi. Resse la sua chiesa
con paterna carità, apostolico zelo e sa-
pere. Per lui Papa Urbano III prese in
prolezione la sua chiesa. Neil' 8." di s.
Eusebio, cogli esorcismi liberava gli os-
sessi. Fu caro non meno all'imperatore
Federico l,che al l'augusto Enrico VI suo
figlio, il quale con diploma del iiqi ,
presso l'Ughelli e V Historiae Patriae,
t. 1, p. 976 , confermò i privilegi e le
possessioni della chiesa vescovile di Ver-
celli.Dopo la Pentecoste del 1192 cele-
brò il sinodo diocesano, in cui promulgò
sagge e utili costituzioni. Dice l'Ughelli,
che Papa Celestino III , plurimus eum
decoravit beneficiis.Yid il Bima col Cap-
pelletti, come già notai, ritengono ch'egli
ottenne, senza esprimere da chi, l'uso
della porpora in alcune solennità, per sé
e successori. Istituì la prebenda teologa-
le, e vi assegnò i redditi. Ordinò la ce-
lebrazione della festa di s. Emiliano I suo
predecessore. Papa Innocenzo III lo de-
stinò legato in Lombardia nel 1 1 99, cioè
in Parma e Piacenza. E nel 1201 fu de-
legato conPietro abbate di Lucedio, nelle
vertenze insorte tra V abbate di s. Am-
brogio, ed i canonici della basilicali cui
documento abbiamo dall' Ughelli. Nel
1204 restala vacante la chiesa patriar-
cale di Gerusalemme , per la fama che
da per tutto godeva il b. Alberto, lo no-
minarono patriarca; Innocenzo HI noti
solo fece applauso alla scelta, per trovar-
si quella chiesa nelle più critiche circo-
stanze, ma Io fece venire in Roma e gli
impose il pallio. Parti per la Siria e nel
1206 fissò la sua resideuza in Acri, ove
diede una regola a* Carmelitani (?.),
che lo venerano legislatore dell' ordine.
Indi fu fatto legalo apostolico di Soria.
Morì martire a' 1 4 settembre 1 2 1 4, per-
ciò impedito di recarsi al concilio gene-
rale di Laterano IV. La sua festa si ce-
lebra l'8 aprile. Di sue gioì tose gesle con-
serva un monumento la chiesa vercelle-
se , riprodotto dall' Ughelli. Intanto in
a64 VER
questa nel i2o5 eragli succeduto il cre-
monese Lotario Rosario, che Innocen-
zo III deputò visitatore della diocesi di
Albenga, e nel 1208 traslatò a Pisa, da
dove nel 1216 passò al patriarcato di
Gerusalemme, nuovamente successore
al b. Alberto.
Nel 1208 divenne vescovo di Vercelli
Alipraudo canonico di Milano; accompa*
gnò a Roma l'imperatore Ottone IV, e
poi inviato dal Papa legato a Milano per
pacificare le differenze insorte per l'ele-
zione dell'arcivescovo, meritò d'esserne
egli scelto, ma morì a'26 settembre 12 i3.
Guglielmo, che tosto gli successe, cessò di
vivere pochi giorni dopo nell'istesso an-
no. Gli fu sostituito nel 12 14 Ugo o Ci-
golino Sessa di Reggio, preposto di Bor-
go s. Donnino. Compose le differenze col
marchese di Monferrato pel feudo di Tri-
ditto; nel 12 16 ottenne da Papa Onorio
111 la conferma de'privilegi di sua chie-
sa; e nel 12 18 rinnovò gli statuti del ca-
pitolo de'suoi canonici utilmente. Coin
pose le discordie tra' canonici delle due
chiese; e neli225 Onorio HI gli commi-
se di rimuovere i benedettini da s. Pielro
in Coelo aureo di Pavia, e d'introdurvi
i canonici regolari di Mortara. Morì a'4
novembre 1235, e sepolto in cattedrale
con onorifico epitaffio in versi, che si leg-
ge nell'Ughelli. Neil' istesso anno il ver-
cellese Giacomo Caruerio, uato in Tridi-
110, già canonico di s. Maria e preposto di
s. Eusebio, uomo di grande esperienza pe'
viaggi fatti nelle legazioni del cardinal
Leone Brancaleoni, di cui era uditore, ed
in quelle del cardinal Bicchieri che lo fe-
ce esecutore del testamento. Zelante pa-
store, propugnò la difesa dell'immunità
ecclesiastica, ed impedì nel 12 38 che i
vercellesi seguissero le parti dell'impera-
tore Federico II persecutore della Chie-
sa. L'Ughelli dice che introdusse i dome-
nicani in Vercelli, ma il Cappelletti as-
sicura che già vi esistevano. Sostenitore
de'dirilli di sua chiesa contro gli usurpa-
tori, ricupetòil castello di Masseraoo, ma
VER
poi fu costretto di fuggire da Vercelli,
quando nella città prevalendo i ghibelli-
ni si die' a Federico II, e andò co' suoi
guelfi a ricoverarsi nel fortissimo Castel*
lo di s. Agata; ma giunto al monastero
di Lucedio, ivi morì a' 1 5 febbraio 1241,
e fu tumulalo nella chiesa abbaziale. In-
signe per pietà e per isplendida benefi-
cenza verso la chiesa vercellese , anche
prima d'esserne paslore, per la testamen-
taria disposizione peli." pubblicata dal-
l'ai). Cappelletti. Nel 1 243 cessò la vedo-
vanza della chiesa vercellese con Martino
Avogadro de'signori di Quaregna, nel se-
guente anno celebrò il sinodo, e nel r 24 >
fu a quello generale di Lione I per la depo-
sizione delio scomunicato Federico II. A
suo tempo e nel 12 56 si stabilirono in
Vercelli gli eremiti agostiniani. Lodato
per prudenza, tuttavia fu assolto da Cle-
mente IV dall'irregolarità e censure ca-
noniche incorse per molestie recate al-
l'arcivescovo di Tarantasia e ad altri ec-
clesiastici. Morì nel 1268 e fu deposto
nella cattedrale con iscrizione in versi ri-
ferita dall' Ughelli. JNello stesso gli suc-
cesse Aimone Visconti de Chantal, nato
in Aosta di cui era vescovo, quindi sem-
bra inesatto il racconto deU'Ughelli che
a lui ritarda al 1272 la sede vercellese,
per contrasti tra'canonici elettori, gli uni
volendo il collega Jacopo di Tonego, gli
altri Beniero Avvocali. Nel 1274 inter-
venne al concilio generale di Lione II, e
nel 1 287 a quello provinciale di Milano,
in cui insorse grave controversia tra Ini
e il vescovo di Brescia per la preminen-
za del posto. Pare che il concilio si pro-
nunziò a favore del competitore , onde
Aimone si appellò al Papa e partì. Nel
1288 radunò il sinodo diocesano, ed in-
trodusse i carmelitani in Vercelli. E
qui col p. Gumppenberg, Atlante Maria-
no, t. 5,tt. 123, dirò 'dell'Immagine /w#-
raeolosa della Madonna del Carmine.
di Vercelli: Nell'ultimo assedio di Ver-
celli due soldati grigioni, per sottrarsi al
pericolo di morire, vilmente fuggironojma.
VER
onestati da un feroce capitano eretico e-
rano condotti alla forca, quando il mar-
chese Cusani per liberarli, si offrì man-
tenere due soldati sino al termine della
guerra. La condizione fu accettala, ma
cambiato di parere il capitano esigeva
che morisse quello che gitlasse a'dadi un
numero minore. Quello a cui toccò pel
i.°gittarli, fervorosamente si raccoman-
dò a detta ss. Immagine, ma lanciati che
gli ebbe ambedue presentarono l'unità,
onde fu compreso di terrore per la certa
morte. L'altro, sicuro di sua sorte, con
gioia gettò i dadi, i quali per singoiar ca-
so uno si sovrappose all'altro, presentan-
do il minimo numero uno, che lo con-
dannò al supplizio. Quest' avvenimento
accrebbe moltissimo la venerazione alla
Madonna del Carmine. Il Cappelletti e-
nbisee un documento della chiesa d'Ao-
sta, che mostra la beneficenza verso di
essa del vescovo Aimone, per un pio le-
gato d'annua rendita di dieci lire seu li-
bras viennesi, ed in cui s'intitola: Nos
Aymo miseratione divina Episcopus
J crccllensis et Comes. Dunque i vesco-
vi di Vercelli aveano anche il titolo di
Conte. Moiì Aimone a'ig giugno i3o3.
1 canonici elessero il loro arcidiacono Ra-
niero Avogadro o Avvocati di Vercelli,
già cantore e preposto, forse quello che
secoudo T Ughelli nel 1272 avea scello
inia parte del capitolo; e benché Bonifa-
cio Vili avea riservato a se la nomina del
vescovo di Vercelli, a'ò agosto ad istan-
za del capitolo confermò la loro. Propa-
gandosi la setta eretica de' Dulcinisli
(Z7.), Reniero gli affrontò, e colle armi
distrusse e sconfìsse a'2 3 marzo 1 307, ve-
nendo bruciato inVercelli l'eresiarcnDo!-
cino con diversi suoi seguaci. Papa Cle-
mente V a premiare il zelo del vescovo
contro l'eretica pravità e per la difesa della
purità cattolica, con 3 distinte bolle da*
te in Poitiers, e riferite dall'Ughelli, gli
concesse facoltà d' esigere determinata
somma di denaro in occasioue delle sagre
visiti», l'esentò da qualunque tassa verso
VER 2<>5
la curia romana, e gli die' giurisdizione
di conferire l'investitura de'canonicati e
degli altri benefizi semplici nelle chiese
cattedrali, collegiate e parrocchiali delle
diocesi di Vercelli, Novara, Asti, Ivrea e
Torino, e della collegiata di s. Giovanni
di Monza. Mori Reniero a' 19 novembre
1 3 1 o, e fu sepolto in cattedrale, ove nel
i55o fu trovalo ancora inlatto il cada-
vere. Nel medesimo anno gli fu surroga-
to il vercellese Uberto Avogadro di Co-
lobiauo, la cui consagrazione fu ritarda-
ta per le civili e gravi discordie tra le pri-
marie famiglie degli Avogadri e de'Ti-
ziani, da altri chiamati Avvocati e Ticcio-
ni, ch'egli mirabilmente riconciliò e per-
ciò benemerito della patria. Nel 1 3 1 1 in-
tervenne in Milano alla coronazione di
Enrico VII, in uno agli altri suffragane^
della provincia. In questa circostanza si
rinnovò tra' vescovi di Vercelli e Brescia
la disputa di preminenza del posto, alla
quale controversia pose fine l'imperato-
re, decretando quanto già riportai più.
sopra, col diploma de'6 gennaioi3i 1, in
favore del vescovo di Vercelli, che pro-
duce l'Ughelli, il quale aggiunge : Caele-
rum Ubertus dedit manus, ut Philippi-
nus Comes de Languatco Fercellensem
civilatem exactis Tizonibus praepo lenti-
bus viris sibi subjaceret imperio ari.
i3i2 mense majo. Sulle vicende civili e
militari di questo vescovo, e sulla sua pri-
gionia, fuga ed assedio nel castello di
Biella , ne tratta la Cron. Asten. presso
il Muratori, Rer. hai. Script, t.i i.Nel
1 3 1 8 confermò gli antichi statuii del ca-
pitolo di s. Eusebio, e rinnovò quelli di
s. Stefano di Biella. Inoltre riferisce l'U-
ghelli. Anno veroiZio cum inter Joan-
nem XXII Pontificali thac MaUhaeum
VicecomitemMediolaniDominumexar-
sisset contentio, sequerelurque Ubertus
ponti ficias pariesì Malihaeus valido e-
xercitu, captaque arce, venil Ubertus in
polestatem vieto r ìs , diuque mulctatus
carcere, indeque postea exiens, pristini
propositi tenax, Raymundo Cardonio
266 VER
cadmiano pontificii exerciius impigro iti
Insubri* duci adhaesittJoannique Pon-
tifici imperanti magno ustiifuit. Morto
Uberto nel i 328, a' 1 6 dicembre di elet-
to Lombardino della Torre milauese, già.
canonico d'Aquileia edi Ci vidale, in gran-
de estimazione di Giovanni XXII, e cir-
ca ili 329 s'iutruse nella sede fr. Teodoro
da Berghen nominato dall'antipapa Ni-
colò V e sostenuto da' fautori dello sci-
smatico Lodovico V il Bavaro, preten-
dente all'impero, i quali costrinsero Lom-
bardino a fuggire da Vercelli. Neh 339
confermò gli antichi statuti del capitolo
di Vercelli, ed altri ve ne aggiunse. Mo-
rì in Biella a'9 aprile 1 343, e fu sepolto
in s. Stefano con epitaffio in versi riferì*
lo dali'Ughelli. AJ25 giugno gli fu sur-
rogato il nobile genovese Emanuele Fie-
sebi canonico d' Evora, adoperato in di-
versi affari da Clemente VI e collettore
degli spogli ecclesiastici nell' Insubria,
morto nel i347« Nel seguente a' 12 gen-
naio I' altro genovese Giovanni Fiaschi
(P.) cappellano pontifìcio, nelle guerre
parteggiando pe' Visconti signori di Mi-
lano, gli fu vietato da Innocenzo VI in
uno a'diocesani, ed Urbano V gli proibì
guerreggiare il marchese di Monferrato.
Difese colle armi i diritti di sua chiesa
contro Galeazzo II Visconti, e riportò
vittoria de'nemici della Chiesa a s. Ger-
mano, per cui ebbegratulazioni nel 1 374
da Gregorio XI. Sempre bellicoso, riu-
scì a'suoi nemici di Vercelli d'arrestarlo
in Biella e di tenerlo prigione un anno
nel 1377, e solo liberato per l'istanze del
Papa che appositamente spedì un nun-
zio. Insorto l'antipapa Clemente VII, che
fissò la sua residenza in Avignone e die'
principio al grande scisma d'Occidente,
fedele il vescovo al vero Papa Urbano
VI, fu da questi nel 1379 creato cardi-
nale , colla ritenzione dei vescovato in
amministrazione. Lo scisma lacerò anche
la chiesa di Vercelli, per avervi l'antipa-
pa in detto anno destinato a falso pasto-
re Ottone Brusato. intruso che il cardi-
VER
naie seppe raffrenare; ma tosto I' antipa-
pa gli sostituì nello stesso 1379 '' sn0 ^"
migliare Giacomo de Castellis o de Ca-
valli cremonese, che lungamente infestò
il vescovato, finché Giovanni XXIII nel
l4i2 Io provvide del Sewrincnscm E-
phcopalum. Però non lo trovo né fra'pa-
stori di s. Scverina , uè fra quelli di s.
Severo. Bensì nella 1." sede trovo un Gia-
como fatto da Urbano VI vescovo di s.
Leone, e da Bonifacio IX trasferito nel
i4oo a s. Severiua, morto nel 1 4- 1 3 , e
probabilmente sarà desso. Il cardinale le
gittimo pastore morto neh 384, Urbano
VI lo fece succedere subito da Lodovico
Fieschi (F.) genovese de'conti di Lava-
gna, e nel dicembre lo creò cardinale, ri-
lasciandogli la sua chiesa a beneplacito
apostolico, e poi contribuì a liberare Ur-
bano VI assediato in Noccra de Paga-
ni. Da Bonifacio IX fatto nel 1399 lega-
to di Marittima e Campagna, ricuperò
Anagni dagli scismatici; e indi da Inno-
cenzo VII spedito legato alla repubblica
di Genova la confermò nell' ubbidienza
pontificia. Però mentre si trovava in ta-
le città, ad insinuazione degli ambascia-
tori dei re di Francia Carlo VI, che se-
guiva l'antipapa BeuedettoXIII, con pes-
simo esempio aderì allo scisma co' suoi
concittadini neh 406. Indignato il Papa
di tanta ribellione, lo privò della chiesa
di Vercelli, depose dal cardinalato e sco-
municò; ed egli recatosi in Avignone fu
fatto anlicardinale dal falso Benedetto
XIII. Nel i.° aprile di detto anno^ Inno-
cenzo VII indirizzò la lettera riportata
dali'Ughelli, a Matteo Gisalberti, ple.ba-
niae Monlis Calvi praefectus, seu pleba»
niitf frercellensis dioecesis, eleggendolo
a vescovo di Vercelli. Non tardò anch'e-
gli a ribellarsi a'suoi giuramenti, ed a se-
guire il deplorabile scisma, per cui Gio-
vanni XXI lì neh4i2 lo spogliò del ve-
scovato, laonde visse privato nell'umilia-
zione, finché a'28 aprile-i 4^3 per com-
passione Martino V lo provvide del ve-
scovato di Acqui. Inoltre Giovanni XX 1 1 1
V E R
con lettera de*26 agosto 1 4 12, presso l'U-
ghelli, dichiarò vescovo lbletoFieschi ge-
lìovesejngenti pepalo gralulalione^juip-
pe quibus contigissetsub legi timo pasto-
re degere usque ad annitrii i4^7> m cul
mori. Al suo tempo Vercelli era passa-
ta nel dominio del duca di Savoia; e leg-
go in GioiFredo, Storia dell'Alpi marit-
time, all'anno 1437, Giovanni Fiesco de'
conti di lavagna eletto vescovo di Ver-
celli. Invece V Ughelli e gli altri compi-
latori della serie de'vescovi di Vercelli,
dicono traviato dalla sede di Belley a'18
dicembre Guglielmo Diderio. Interven-
ne al concilio di Basilea-, cujus Palres
illi cani aliis theologìs demandarunt} ut
Constanliensis Concilio acta uno vola-
mine complccleretur. Divenuto concilia-
bolo, prese parte allo scisma che pretese
deporre il Papa Eugenio IV 3 e fu uno
degli 8 elettori della nazione italica, che
elessero V antipapa Felice Vt già Ame-
deo Vili duca di Savoia (V.)je non co-
me dice il Himat fu il solo fra gli eletto-
ri che abbia nel concilio di Basilea con-
tro Eugenio IV votalo per Felice V. 1 na -
perocché il Ciacconio, Fitae Pontificum,
l. 2, p. 93o, enumera gli 8 elettori na-
tionis Italiane, cioè il francese Diderio
vescovo di Vercelli, i vescovi d'Aosta, di
Ivrea e di Torino; gli abbati di Fluttua-
rla e di Segusia; ed i dottori fr. Giovan-
ni e Ir. Bartolomeo. Cosi Vercelli e lutti
i domimi del duca di Savoia dal 14^9 se-
guirono lo scisma, finché il pseudo Fe-
lice V nel concilio di Losanna a'9 apri-
le 1 449 depuse l'antipontificato. Nel 1 452
Diderio rinunziò il vescovato, e Papa Ni-
colò Va'i3 ottobre elesse il nobile sa-
voiardo Giovanni Giliaco chierico di ca-
mera, e nunzio in Savoia, morto in Ro-
ma a'26 maggio i456, e sepolto in s. A-
gostino con lapide prodotta da Ughelli,
in cui leggo Episcopus Vérccllensis et
Comes. A'3 1 di dello mese gli successe il
fratello Giorgio Giliaco arcidiacono del-
la cattedrale, morto nel 1 458. A'20 mag-
gio Amedeo Nari nobile di Cipro: ebbe a
VER 267
suffragane! Enrico Aliberti vescovo di
Ancona amministratore, e Gabriele Ab-
biali vescovo Bericense vicario generale,
che governarono per lui la diocesi, essen-
do egli qual consigliere del duca Lodovi-
co occupalo io gravi affari. Morto nel
1469, a'4 maggio gli fu sostituito Urba-
no Bonivardo abbate cassinese di t. Ma-
ria di Pinerolo, e commendatario del
priorato di s. Vittore di Genova, il (pia-
le rinunziato, ritenne il monastero. A suo
tempo Sisto IV, nel 1472 aggiunse alla
mensa la preposilura di s. Bartolomeo
degli agostiniani, e nel 1 474- dismembrò
dalla diocesi Casale e V eresse in vesco-
vato; in compenso, alla mensa di Vercel-
li fu data la prepositura vercellese di s.
Graziano. Consigliere ducale, pio e gene-
roso, eresse un collegio per 6 poveri chie-
rici presso s. Maria di Pinerolo, e rilira-
tosi in quel monastero da lui beneficato,
vi morì a' 16 luglio 1499 e venne sepol-
to nella chiesa coll'iscrizione riferita dal-
I1 Ughelli (Nota il can. Bima, che in Moti-
temagno diocesi di Casale, nella piccola
chiesa di s. Maria della Cava, padrona-
to de' Pullara, trovasi l'iscrizione semi-
gotica : S. Grad. Ep. Vere. C. Cons.
1 491 die 29 "idrtiij da cui sembra esse-
re stata consagrata. Ma non esiste a tal
epoca un s. Grado vescovo di Vercelli,
se pine non fu uu vercellese vescovo, ma
non della patria). Tosto gli successe il
coadiutore, che già dal 1 49^ governava
la diocesi, Gio. Stefano Ferreri (V.) na-
to in Biella diocesi di Vercelli, prolono-
tario apostolico e uditore di Rota, nel qua-
le anno celebrò il sinodo con vantaggia
della disciplina ecclesiastica: creato car-
dinale nel 1 5oo e pubblicato nel r5o2,ed
a' 28 luglio passò alla sede di Bologna,
dopo aver amministrato perqualche tem-
po il vescovato di Nizza. Il cardinal Giu-
liano della Rovere vescovo di Bologna,
mal soffrendola tirannia diGiovauniBen-
li voglio, d'accordo col cardinal Ferreri
fece la permuta di tal chiesa colla ver-
cellese, la fece amministrale dal vescovo
a68 VER
d'Albenga Leonardo Marchese, ed il i .°
novembre i5o3 divenne il gran Giulio
If^y.). Allora il cardinal Ferreri ripre-
se il governo del vescovato di Vercelli, ri-
servandosi alcuni benefizi ecclesiastici di
quello di Bologna che lasciò, e lo conti-
nuò sino a'5 novembre 1509. Nel qual
giorno Io commutò colla sede d'I vrea, che
possedeva il fratello Bonifacio Ferreri
(/^.), che perciò fu fatto vescovo di Ver-
celli.Ma morto i filloma a' 1 3ottobre 1 5 io
il cardinal Gio. Stefano (e non nelr52o,
com'è detto nella biografìa), Bonifacio a*
5 del seguente novembre volle ritornare
alla vacata sede d'Ivrea (e nel 1 5 1 7 fu
crealocardinale), cedendo la vercellese al-
l'altro fratello Agostino Ferreri, già ca-
meriere di Giulio II, ed allora vescovo di
Nizza e abbate di s. Salvatore di Casale,
il quale vi fu nominato a' 16 settembre
imi, rinunziando Nizza a Girolamo Ar-
sago milanese. Con autorità di Leone X,
neli5i6 dismembrò dalla mensa la pre-
positura suburbana di s. Bartolomeo, e
la concesse olla congregazione de'gesua-
ti. Neli5i7 il Papa gli permise d'istitui-
re un collegio d' 8 coristi, colle rendite
della parrocchia di s. Stefano di Gregio.
Ampliò l'episcopio, e donò alla cattedra-
le la Croce, il pastorale, ed il Crocefisso
d'argento per baciarsi nel venerdì santo.
Emulatore delle virtù de'suoi maggiori,
morì nel 1 536. Secondo l'ab. Cappellet-
ti, allora per la riserva del diritto di re-
gresso, il cardinal Bonifacio riprese il ve-
scovato di Vercelli, ma nell'anno stesso
lo rinunziòa favore del nipote Pier Fran-
cesco Ferreri (f.). L' Ughelli e il Bima
però, soltanto dicono, che Pier France-
sco, commendatario di s. Stefano di Ver-
celli e referendario apostolico, a' 20 di-
cembre 1 536 fu dichiaralo vescovo di
Vercelli da Paolo III. Fu assistente del-
la cappella pontificia , vicelegato di Bo-
logna, nella legazione di detto zio; e sen-
va ripetere lutto il riferito nella biogra-
fa, e le singolari benemerenze con Ver-
celli, mi limiterò a dire, che fu al cenci
VER
l'iodi Trento, accompagnò il cardinal Ca-
rola nella legazioneal Belgio, nunzio pres-
so la repubblica di Venezia, e Pio IV nel
1 56 1 lo creò cardinale di s.Cesario, poi eb-
be i titoli di s.Agnese e di s. Anastasia. A'
2 marzoi562 rinunziò la sede al nipo-
te Guido Ferreri (V.) abbate commen-
datario di s. Stefano in Cittadella, di s.
Michele della Chiusa e di s. Stefano d'I-
vrea , referendario delle due legnature.
Indi nel 1 564 fu nunzio di Venezia e nel
seguente creato cardinale. Intervenne al
i." sinodo provinciale di Milano celebra-
lo dallo zios. Carlo. Continuò e compì la
fabbrica del seminario, cominciata nelle
fondamenta dallo zio predecessore, e per-
la città e diocesi fecequanto raccontai nel-
la biografia, comprensivamente a' due
collegi da lui fondati, l'uno peri 6 bene-
ficiali addetti alla chiesa di s. Eusebio,
l'altro pe'gesuiti, ed alla celebrazione del
sinodo, in cui correggendo gli abusi, ri-
pristinò la disciplina ecclesiastica a nor-
ma del concilio Tridentino. Rinunziato
nel 1572 il vescovato di Vercelli, non ri-
nunziò all'alletto per esso e alle splendi-
de beneficenze che gli continuò. A' 1 7 ot-
tobre gli successe Gio. Francesco Bono-
mo nobile cremonese, virtuoso, dotto, e-
rudito, eloquente in prosa e in versi, ri-
nunziando l'abbazia di Nonanlola, che
fu couferita al predecessore. Già familia-
re del metropolitano s. Carlo, fu da lui
consagrato nel duomo di Milano. Sebbe-
ne in servigio della s. Sede assente, dili-
gentissimo e vigilante pastore fece cele-
brare r 1 sinodi, ed intervenne al ^.° e 5.°
provinciale di Milano adunati dallo stes-
so s. Carlo, al 6.° inviandovi un suo pro-
curatore. Già dissi, che nel 1 5jo soppres-
so l'antichissimo rito Eusebiano, intro-
dusse in Vercelli e diocesi il romano; nel
quale anno accolti i barnabiti, commise
ad essi la cura del semiuario,autnentaudo-
ne i redditi col priorato di s. Maria di
Vezzolauo. Ottenne dal Papa, che il ve-
scovo di Vercelli usasse il sigillo coll'im-
magine di s. Eusebio* e nella città fondò
VER
il monte di pielà, che poi dichiarò suo e-
rede. Terminò nella cattedrale i sedili del
coro che con elegantissimo artificio uvea
cominciati il predecessore a ornamento
del presbiterio; e con essa fu largo di sa-
gre suppellettili e di arredi d' argento.
Fu a suo tempo che i gesuiti vennero
ammessi in Vercelli nel collegio, ed an-
cor lui contribuì allo stabilimento di sue
rendite. Visitò per pontificia deputazio-
ne le diocesi di Como e di Novara; ven-
ne inviato nunzio nella Svizzera, per in-
trodurvi le prescrizioni del concilio di
Trento, massime ad utilità del clero, e fu
lui che introdusse in Friburgo i gesuiti,
editi Al tdorf i cappuccini. Gregorio XI 11,
per l'apostasia dell'elettore arcivescovo di
ColoniaTruclises,nel i 58 i lo mandò nun-
zio all'imperatore Rodolfo li, quindi nel
i 583 lo costituì i .° nunzio di Colonia per
l'esecuzione della scomunica e deposizio-
ne dell'infelice prelato prevaricatore; e
poi neh 584, pure col carattere di nun-
zio, passò nel Belgio a presentare al du-
ca di Parma Alessandro Farnese lo Stoc-
co e berrettone ducale benedetti, restan-
do nella regione per gravi affari d'ordi-
ne di Sisto V, e morendo in Liegi a* i5
o 26 febbraio 1 587. Trasportato il cada-
vere nella cattedrale dell'amata Vercel-
li, il gran prelato fu deposto nel sepolcro
che avea edificato per se e pe'suoi suc-
cessori, come si legge nell'epitaffio scolpi-
tovi, ed esibito dall'Uglielli. Sisto V a'6
aprile tosto gli die'a successore il proprio
correligioso e familiarissimo fr. Costanzo
Boccafuoco (V.) di Sarnano de'conven-
Inali, che a' 17 dicembre creò cardinale:
rinunziò dopo due anni. Ili ."agosto 1 589
gli successe Corrado Asinari nobile d'A-
sli, già governatore di Faenza, Imola e
Forlì, non che d'Ascoli e Spoleto, Peru-
gia e Umbria, nunzio a'sovrani di Savoia
e di Toscana, referendario delle due se-
gnature, abbate commendatario di s. Al-
berto di Tortona. Prese possesso solenne
ih. "agosto 1590, ed in questo morì in
Asti e vi restò sepolto. Convien dire pò-
VER 2%
chi giorni dopo, poiché a' 1 3 agosto 1 090
trovo il successore Marc' Antonio Vista,
altro nobile d'Asti, arciprete della catte-
drale e priore Scensine: nel 1 599 rinun-
ziò, e ritiratosi a Torino, in morte fu de-
posto nella chiesa di s. Maria della Piaz-
za, varinntis fortunae exemplar fttln-
rus. A' 29 maggio gli venne surrogato
Gio. Stefano Ferreri di Biella, come isuoi
antenati , benché considerati vercellesi,
referendario delle due segnature, consa-
grato in Pioma dal metropolitano cardi-
nal Federico Borromeo. Neh 600 tenne
il sinodo, visitò la diocesi e la divise per
vicarie. Per le sue virtù amato da Cle-
mente Vili, indi fu nunzio all'impera-
tore di Paolo V. Intervenne al 7.0 sino-
do provinciale di Milano, scrisse la vita
di s. Eusebio, e quella degl'illustri suoi
predecessori,e morendo in Biella nel 1 6 1 t
fu sepolto nella chiesa di s. Sebastiano
nella tomba de'suoi maggiori. A'17 ago-
sto Giacomo Goria di Viliafranca d'A-
sti, la qual terra fu da lui beneficata col-
la fondazione della casa degli oblati di s.
Elena, i quali negli ultimi tempi furono
trasferiti all'educazione del seminario
d'Asti. Lodatissimo pastore per 37 anni,
il Corbellini gli dedicò il commentario de'
suoi antecessori, e morendo nel 1 648 be-
nefico ne fu il testamento a favore di va-
rie chiese della diocesi. S'ignora perchè
la sede restò vacante 12 anni, finché fa
provveduta a'5 maggio 1660 col vercel-
lese Girolamo della Rovere, abbate com-
mendatario di s. Maria della Pulcheria
diocesi di Torino, e di s. Gennaro di quel-
la di Vercelli: scienziato insigne, nunzio
del duca di Savoia al re di Francia e con-
sigliere di stato, finì presto stia vita nel
1 662. A'3o luglio 1 663MicheIangeloBro-
glia nobile torinese e abbate di s. Maria
di Pinerolo, morto nel 1679. In questo
gli successe Vittorio Agostino Ripa nobi-
le torinese, già referendario delle due se-
gnature, e governatore di Jesi, Beneven-
to e Fermo. Pagò l'umano tributo in Ro-
ma a'3 novembre 1691, e fu tumulato a
27o VER
s. Maria in Vallicella, con {splendido e-
Jogio prodotto dal Cappelletti. A'?-! mar-
zo 1692 Gio. Giuseppe M." Orsini nobi-
le torinese, abbate, visitatore e procura-
loie generale de'canonici regolari Late-
ranensi, ma cessò di vivere nell' agosto
i6f)4« Dopo f>e(\e vacante notabile a* 3
giugno 1697 il nobile vercellese Giusep-
pe Antonio Berlodano, preposto dell'in-
signe collegiata di s. Stefano tli Biella, e
abbate commendatario di Bessa e di Frut-
tuaria, elemosiniere del duca Vittorio A-
medeo II; morto d'apoplessia a'4 maggio
1700. Per le differenze tra la s. Sede e
lo stato, p'rù di 27 anni restò vedovi la
cbiesa di Vercelli, ed alfine a' 3o luglio
1727 fu preconizzato da Benedetto XIII,
Girolamo Francesco Malpassnti de'inar-
chesi di Monliglio , nato in quel feudo
diocesi diCasale, epreposto di quella col-
legiata. Ma colpito da repentina morte,
u'q agosto 1728 ritornò a vacar la sede.
A' 1 3 dicembre 1729 il cardinal fr. Car-
lo Vincenzo Maria Ferreri (/z.) di Nizza
domenicano, traslato da Alessandria, ab-
bai e commendatario di s. Maria di Ca-
vour e di s. Mauro di Torino, morto in
Vercelli a'9 dicembre f 74?-> sepolto nel-
la cattedrale. A'i5 luglioi 743 Gio. Pie-
tro de'conti òolaro, di Villanova Solaio
l'elido di sua casa e diocesi di Torino.
L' 1 1 settembre 1 769 Vittorio Maria Bal-
dassare Gaetano Costa (Fy.) di Augna-
no, di nobilissima e virtuosissima lami-
glia di Torino: dottore d'ambe le leggi,
aggregato al collegio delle belle arti, in-
di rettore della reale università, e sem-
pre studiosissimo della storia e dell'ame-
na letteratura. Compilò il catalogo di 1 00
e più codici di sagre antichità apparte-
nenti alla sua cbiesa; fece la pastorale vi-
sita di tutta la vasta diocesi, prima die
Clemente XIV ili. ° giugno 1772 vi di-
smembrasse Biella e l'erigesse in vesco-
vato; nella qual circostanza distrusse la
zizzania die la discoi dia seminava nella
vigna del Signore, e riconciliò gli animi
inaspriti, chiudendo l'antico e famoso
VER
tempio di s. Maria Maggiore, per toglie-
re le gare fra il suo capitolo e quello del-
la cattedrale. Stimato per dottrina , su*
perirne a tutti gli nitri vescovi del Pie-
monte, di santissimi costumi, Pio VI nel
1778 lo trasferì all'arcivescovato di To-
rino (J7.). A* 12 luglio 1779, da s. Gio-
vanni di Mani ienne o Moriana, lo stesso
Papa trasferì a questa sede il cardinal
Carlo Giuseppe Filippo di Mtir umana
(F.) nobile torinese: beneficenlissimo, ze-
lante ed esemplare pastore, morì nel
1802 in Vercelli e fu deposto nella cat-
tedrale. 111.0 febbraio i8o5 da Biella vi
fu traslato Gio. Battista Canaveri di Bor-
go Maro , dell'oratorio di s. Filippo. A
suo tempo per le violenze della repubbli-
ca francese, ad istanza del piissimo re Car-
lo Emanuele IV, nel 1 798 Pio VI prov-
vide sapientemente a'bisogni che dovea-
no deriVore dall'imminenti sciagure, es-
sendo impedito ormai a'vescovi il ricor-
rere alla s. Sede; con concedere provvi-
soriamente le facoltà in alcuni impedi-
menti matrimoniali, circa alcuni casi e
censure, la cui assoluzione era riservata
al Papa, circa la dispensa dalle irregola-
rità per potere ricevere gli ordini sagri,
ed in altri più interessanti punti di eccle-
siastica disciplina. Invasi gli stati del re
di Sardegna da' francesi in Italia, un im-
periai decreto di Napoleone I,a cui Pio
VII , per evitare maggiori mali stimò
prudente il dare pontificio assenso, ridus-
se le 17 diocesi del Piemonte ad 8 sol-
tanto^ 9 ne soppresse a*23 gennaio, cioè
Alba, F ossario t Alessandria, Pinerolo,
Sitsa, Aosta, Bobbio, Tortona e Biella
che fu ricongiunta alla diocesi di Vercel-
li. Si stabilirono soggette alla metropoli*
tana di Torino le suffraga nee Vercelli,
Ivrea, Acqui, Asti, Mondovi, Casale e
Saluzzo. Morì il vescovo Canaveri l'i 1
gennaio! 81 1, e Napoleone 1 nominò ve-
scovo di Vercelli il torinese Carlo Tardi,
il quale non fu mai consagrato e appro-
vato da Pio V lì deportato a Savona. Ces-
sata alfine la funesta procella, il capito-
VER
lo di Vercelli fece la dichiarazione a Pio
VII de'i4 febbraio i8i5, riportata nel
t. », |). 1 22, delle Dichia razioni e Ritrat-
tazioni umiliale a Pio VII. In essa si di-
ce, che ** Durante la vacanza della sede
vescovile di Vercelli , essendosi sotto il
passato governo del Piemonte verificato
il caso di un designalo al vescovato me-
desimo, il capitolo cattedrale di detta
chiesa, dietro la rinunzia dei suo i .° vi-
cario, la di cui nomina non fi\ certamen-
te da niun patto viziata, accolse e nomi-
nò in suo 2.0 vicario il vescovo designa-
to. Mise egli cosi in pratica la massima,
la quale (avvegnaché con termini di ri-
spettosa venerazione verso la Selle apo-
stolica) fu da esso inserita nel suo indi-
rizzo de*25 febbraio 181 x, non già per
ignoranza de' sagri canoni, non per di-
sprezzo de' medesimi, non per deferenza
verso i nemici della s. Sede, non finalmen-
te per genio d'innovar la disciplina, ma
soltanto per un filale concorso d'imperio-
se circostanze, in forza delle quali fra l'at
trattativa di molteplici preceduti esempi
di vescovi e capitoli, a'sagri canoni, ed
alla s. RomanaSede ossequiosissimi^ qua •
li non si credettero per le prese misure
involti nel caso di disprezzo dell'autorità
della pontifìcia Set\e , a cui giustamente
tutto si sarebbe dovuto sacrificare, rimet-
tendo a Dio la causa della Religione e
della sua Chiesa, ignorando da un canto
le disposizioni contenute nella lettera di
Vostra Santilà de'2 dicembreiBio al ca-
pitolo di Firenze, per esser questa stata
dall'autorità politica d'allora gelosamen-
te e severissimamente soppressa; e priva-
to altronde di ogui ricorso a'bramati lu-
mi della Cattedra apostolica, Maestra di
verilà, si persuase, che una ferma resi-
slenza in favore della rigorosa osservan-
ze! de'canoni disciplinari, senza un prodi-
gio dell'Altissimo, avrebbe provocata una
furiosa tempesta d'inevitabili disastri con
danno gravissimo di questa chiesa nel-
l'ordine temporale e politico non solo, ma
ben anche e molto più. nello spirituale.
VER 271
Ora penetrato da gravissimo cordoglio il
rapitolo medesimo, che un tal suo proce-
dere, benché da esso col cambiarsi delle
circostanze immediatamente rivocalo, ab-
bia incontrato la disapprovazione di Vo-
stra Santità, il capitolo straordinariamen-
te quest'oggi radunatosi, previo verbale
avviso del eanonicoarcidiaconoGiambat-
tista Ma la bai la dato a ciascuno de'cano-
nici a quest'oggetto, d' unanime e pieno
consentimento, per quest'atto medesimo,
con inalterabile profondissimo ossequio, e
filiale ubbidienza pienamente se stesso, ed
ogni passata sua condotta le sottomette,
disapprovando tutlociò che meriti e pos-
sa meritare la di Lei disapprovazione.
Prostrato quindi a'piedi di Vostra San-
tità, mentre ha l'onore d'offrirle il since-
ro tributo del più doveroso rispetto a'sa-
gri canoni e della perfettissima sua ade-
sione a'vcneratissimi oracoli e disposizio-
ni pontificie, dalla sovrana paterna bon-
tà di Vostra Beatitudine invocando so-
pra di se e de' membri sottoscritti (24
comprese le dignità) un consolante sguar-
do di clemenza, umilissimamente implo-
ra l'apostolica benedizione". Già ancor*
ritornato nel 1 8 1 4 il re Vittorio Emanue-
le I alla sua reggia, fu nominato ammi-
nistratore di Vercelli il vescovo d'Ivrea
Giuseppe M. ' Grimaldi di Moncalieri dio-
cesi di Torino, finche nuova epoca più.
felice sorse per essa. Infatti ad istanza del
religiosissimo Vittorio Emanuele I, il Pa-
pa Pio VII determinò la giurisdizione del-
le rimanenti diocesi, ristabilì le soppres-
se, vi aggiunse la nuova di Cuneo, eres-
se in arcivescovato la cospicua chiesa di
Vercelli, aggregò all'arcidiocesi di Geno-
va l'isola di Capraia, dismembrandola dal
vescovato d'Aiaccio, e ristabilì nel Pie-
monte le due celebri badie di s. Miche-
le della Chiusa e di s. Benigno di Fruii*
tuaria. In conseguenza pertanto del Con-
cordalo tra Pio Vile Vittorio Emanue-
le Iredi Sardegna (V.)3 il Papa colla
bolla Beali Jpostoloruiu principia, de'
1 7 luglio 1817, Bull. Rom. coni. 1. 1 4> p«
27'
v i a
344» ^'^•'^c 1 o seili vescovili nella profili-
eia cJel Piemonte, ed ordinò la circoscri-
zione delle diocesi. A p. 35 1 si legge lo
scioglimento della dipendenza, che uvea
la chieda di Vercelli, come divenuta suf-
fraganea della metropolitana di Torino,
e fu eretta in chiesa arcivescovile metro-
politana, con tutti i diritti e prerogative,
componendola ci i 1 1 3 luoghi soggetti. Le
assegnò per sufhaganee le chiese vesco-
vili di Alessandria, di Biella e di Casale,
le due prime ripristinate; e dichiarò di
riservarsi in altro tempo di dilatarne, col-
l'aggiunta di altre sulfraganee, la metro-
politica giurisdizione. Nella bolla s. Eu-
sebio è detto primi illius Sedis Episco-
pi et martyris. Inoltre Pio VII compar-
tì al cardinal Paolo Giuseppe Solaio, già
vescovo d'Aosta, le relative facoltà di par-
ticolare delegato apostolico, per l'esalta
esecuzione della bolla in ogni sua parte,
e l'organizzazione delle diocesi del Pie-
monte. Voleva Pio VII aggiungere alla
nuova metropolitana di Vercelli le chie-
se vescovili di Novara e di Vigevano, le
quali erano sempre state soggette alla
metropolitica giurisdizione dell'arcive-
scovo di Milano. Morto intanto l'arcive-
scovo cardinal Gio. Ballista Caprara, po-
tè quindi ricevere l'adesione dal capito-
lo milanese. Perciò inviò al delegato a-
postolico cardinal Solaio, colle analoghe
facoltà, il breve Cani per Nostra lileras,
de'26 settembre 1 8 1 7, Bull, cit., p. 387,
per dismembrale dalla giurisd'zione me-
tropolitica dell' arcivescovo di Milano le
chiese di Novara e di Vigevano, e per sot-
toporle alla soggezione della nuova me-
tropolitana di Vercelli. Questa tuttora ha
per suffragane'! i vescovati di Alessan-
dria, Biella, Casale, Novara, Vigeva-
no. Quindi peri.0 arci vescovo di Vercel-
li, Pio VII preconizzò il i.° ottobre 181 7,
Giuseppe M/Grimaldi,chesinodali8i 4
n'era amministratore apostolico, trasfe-
rendolo dalla sede d' Ivrea che governa-
va dali8o5, allorché vi fu trasferito da
Pineiolo. Egli resse degnamente la chie-
VER
si vercellese sino al i.° gennaio i83o in
cui morì. Gregorio XVI nel concistoro
de'^4 febbraio 1 83?., vi traslatò da Ales-
sandria, che leggeva dal 1818, l'odierno
rispettabile pastore, mg.r arcivescovo A-
lessandro Vincenzo Luigi de' marchesi
d'Angennes di Torino, prelato domesti-
co , assistente al soglio pontificio, cav.
grancroce, decorato del gran cordone del-
l'ordine de'ss. Maurizio e Lazzaro, e cav.
dell'ordine supremo della ss. Annunzia-
ta, e gli conferì il pallio. Ritenne 1' am-
ministrazione della chiesa d'Alessandria,
finche fu provvista d'altro pastore a' 1 5
aprile 1 83 3. Egli è caro al suo popolo pel-
le doti virtuose che lo fregiano, e per la
sua pastorale carità verso tulli indistin-
tamente i suoi figli. Ora a' 3o gennaio
i85gil venerando arcivescovo ha bene-
detto iu Torino nella cappella reale il
matrimonio celebrato fra il principe Na-
poleone, cugiuo di Napoleone III impe-
ratore de'francesi, e la principessa Clo-
tilde di Sa voia, primogenita del re di Sar-
degna Vittorio Emanuele II: a tale be-
nedizione nuziale assisterono i reveren-
dissimi vescovi delle diocesi di Casale, di
Pinerolo, di Savona e di Biella. La po-
polazione di Torino non poteva associar-
si con maggiore slancio e con maggiore
effusione alla gioia domestica del re, in
una congiuntura sì memorabile e sì cara
al suo cuore. Ogni nuovo arcivescovo è
tassato ne'libi i della camera apostolica e
del sagro collegio in fiorini 1,266, essen-
do le rendite della mensa circa 7,000 scu-
di, gravate di pensione antica e perpetua
librar rnn antiquarum 56oc monetaepe-
demonlanae. L'arcidiocesi, già assai va-
sta, fu ristretta nel dismembrarle 200
parrocchie per formare le diocesi di Ca-
sale e di Biella. Al presente contienei 33
parrocchie, delle quali io nella città. Tra
le parrocchie esterne sono da ricordarsi
le 3 insigni collegiate di Santià, s. Aga-
thae Faiium, ufliziata da un preposto e
da 7 canonici, piccola città sulle sponde
del Sesia a 5 leghe ovest da Vercelli; s.
VER
Bartolomeo di Trino, Triditium^ a cui
servono un preposto e 9 canonici , città
principale del basso Monferrato, già de'
duchi di Mantova, cinta e innailiata da
due torrenti che si gettano nel vicino Po,
a 4 leghe sud-nord da Vercelli; e di Mas-
serano, 3Jasseraniwt, che ha un prepo-
sto, 8 canonici ordinari e 6 canonici be-
neficiati festivi, città capitale un lempo
del principato del suo nome, ai6 leghe
al nord ovest da Vercelli. Di Masserano
(V.) e altri feudi della s. Sede nel Pie-
monte, riparlai nel voi. LXXX, p. 188
e 1 97, per essersi dal 1 85 1 tralasciata la
somministrazione dell'annuo tributo, do-
vuto alla medesima dal redi Sardegna,
per la vicaria temporale di cui è investi-
to per pontificia concessione.
\ ERDA (s.), martire. V. Daniele (s.),
prete e martire.
VEPvDALA Ugo, CardinaleWalo no-
bilmente nel castello di Loubens diocesi
d'Àuch nella Guascogna, fin dalla giovi-
nezza si consagrò all'01 dine Gerosolimi-
tano (^.), che fu testimonio del suo co-
raggio e valore nell'età freschissima di 1 9
anni. Si trovò all'assedio dell'isola di Zara,
che Paolo Leone Strozzi priore di Capua
fu costretto a levare, e dove il Verdala
salvò a nuoto lo stendardo della religione
con gran rischio della propria vita. Alla
prodezza avendo congiunta la prudenza,
in breve fu stimato capace di molti im-
pieghi e splendide cariche, e tra le altre
ottenne il priorato di Tolosa e il grado
di generale d'artiglieria; indi fu destina-
to ambasciatore di sua religione in Ro-
ma a Gregorio XIII, di cui si conciliò tal-
mente la stima, che conosciuta la capaci-
tà e le altre sue belle doti, gli procurò
la commenda di Pezenas. Nel 1 582 elet-
to gran maestro dell'ordine gerosolimi-
tano, ridusse in breve gli affari del me-
desimo in ottimo sistema, e riconciliò gli
animi de'cavalieri fra loro alquanto alie-
ni e discordi. Chiamato a Roma da Si-
sto V, che voleva comunicargli la presa
risoluzione di muover guerra a' lui chi, e
VOL. XCI1I.
VER 273
per sedare completamente la sedizione
che perseverava nell'ordine, e per impor-
re il silenzio a'sollevati, fece il viaggio ac-
compagnato da 8 grancroci e da 000
cavalieri, e V Ingresso solenne itiPwi)i(t)
colle onorificenze e pompa praticate d'or-
dine del Papa, e descritte in tale artico-
lo. Quindi a' 18 dicembre i5#7 Sisto V
Io creò cardinale diacono di s. Maria in
Portico, e prefetto delle galere della Ma-
rina pontificia (J7.\ di cui il Papa fu be-
nemerito restauratore, come lo celebrai
in tanti luoghi. Il cardinale dopo avere
fortificato l'isola di A/tf/tó, principale re
sidenza dell' ordine, col castello di Bos-
quet, v'introdusse i cappuccini a'quali fab-
bricò un magnifico convento, e in miglior
forma ridusse gli statuti della religio-
ne gerosolimitana, di cui fece scrivere la
storia in italiano dal celebre Bosio, e pa-
gò 200,000 scudi di debili, de'quali era
aggravata. Ad onta però degl'immensi
vantaggi ad essa da lui procurati, pure
si trovò chi Io accusò a Clemente Vili
come dilapidatore del suo erario , onde
per purgarsi da tal nera calunnia fu ob-
bligato mandare in Roma il proprio ni-
pote. Dopo tante illustri imprese e ma-
gnifiche opere, segnala tissimo nelle a 1 lidi
pace e di guerra, e formidabile a'nemici
del nome cristiano, passò pieno di gloria
all'immortale vita in Valletta nell'isola
di Malta nel i595 d'anni 64, e fu ono-
revolmente sepolto nella chiesa di s. Gio.
Battista in un magnifico avello, in cui si
legge nobile elogio. Errò il Fleury nel-
la Storia ecclesiastica , riferendo che
il cardinale grau maestro, annoialo dai
clamori degl' irritati cavalieri per la ri-
forma degli statuti, abbandonala l'isola,
si recò in Roma, ove morì di 74 anni, e
tultociò contro lo scolpilo nell'epitaffio.
VERDENoFEKDEN, Vercla, Wer-
da. Città vescovile del regno d'Annover,
nel governo di Stade> capoluogo del prin-
cipato e del baliaggio del suo nome, sul-
la sponda destra dell'Allei*, che ivi si var-
ca sopra un ponte, a 7 leghe da Brema.
18
a74 ver
Cinta di mura con 3 porle, vi è un'an-
tica cattedrale, un ospedale, fabbriche di
tabacco, di bina e d'acqnavila, contan-
do più di 4,000 abitanti. 11 principato o
ducalo di Verden, di cui fu capitale, oc-
cupa la parte più meridionale del gover-
no, e dividasi ne'due baliaggi, di Verden
che comprende più di 26,000 abitanti;
ediRotemburgoo Rothemburgo, il qua-
le ne conta più di 17,000, di cui circa
1,000 appartengono alla città omonima
che giace sulla sinistra riva del Wum-
me, e vi riceve la Rodati. Tanto la città
che il principato o ducato di Verden, i
geografi comunemente pongono nella
Germania, nella Baxsa Sassonia o Sasso-
nia inferiore. Successivamente furono do-
minati dal proprio vescovo, dalla Dani-
marca, dalla Svezia che l'ottenne in ces
sione dal re danese Federico III nella pace
diMiinster,allora sopprimendosi la sovra-
nità del vescovo ed erigendosi in ducato;
finalmente passarono in potere dell' An-
nover, cui però nel 1810 furono tolti
da Napoleone I, e vide la città e il duca-
to far parte del nuovo regno di Westfa-
lia, ed ambedue presto ricuperò nel 1 8 1 4
pel congresso di Vienna. La sede vesco-
vile di Verden fu eretta da Papa s. Leo-
ne III verso I' 807, ad istanza di Carlo
Magno j e fatta suffraganea dell' arcive-
scovo di Magonza; e vi si trasferì la sede
vescovile di Barduic, Bardovicum, nello
stesso secolo. Quest'antica cittadella Sas-
sonia,vicina a Luneburgo, abbattuta nel
1 189 da Enrico Leone, fu cagione del-
l'ingrandimento di Luneburgo. Ne fu 1 .
vescovo s. Swidberto il Giovane, ingle-
se, il cui corpo fu levato di sotterra nel
i63o con quelli di 7 altri vescovi suoi
successori, ed è nominato in alcuni mar-
tirologi a'3o aprile. Non va confuso con
s. Swidberto il Secchio apostolo de'fri-
gioni, de'batavi, de'sassoni e altri germa-
nici; né con s. Swidberto abbate nel Cum-
berland. Parlando della 1." Canonizza-
zione (Ar.), secondo alcuni dissi essere
stata attribuita a s. Leone III, per s.
VER
Swidberlo, ecelebrata con Carlo Magno
nell' 804 in Verden, ina notai che non
l'ammettono i critici. Secondo quelli che
la riferiscono, sembra che il servo di Dio
canonizzato fosse il vescovo di Verden,
ed in tal caso converrebbe anticipare l'i-
stituzione del vescovato, che con Com-
manville dissi nell'807; mentre l'abbate
di Cumberland fiorì prima di lui, par-
landone Beila nella sua Hist. eccl., t. 4>
e. 32; e l'apostolo d/grigioni egualmen-
te era anteriore, poiché morì nel 7 1 3. Po-
teva avere il Papa canonizzato in Ver-
den uno de'due ultimi nominati e poi isti-
tuita la sede vescovile, provvedendola di
un pastore dello stesso nome. Il dotto Ma-
rangoni, Delle cose gentilesche traspor-
tate ad uso delle chiese, a p. 1 r8, sostie-
ne che la r .* solenne canonizzazione, tro-
va negli Annali ecclesiastici, che fo quel-
la dis. Swidberto vescovo di Werda nel-
la Germania, celebrata in quella città da
s. Leone III a'4 settembre 8o3. Aggiun-
ge, che già Papa Stefano II, recatosi in
Francia nel 753, fu supplicato da Pipino
re de'franchi di canonizzare s. Swidber-
to (dunque non era il vescovo di Verden,
ma l'apostolo de'gi igioni), ed il Papa ne
commise l'esame e le sue veci a' vescovi
di Colonia, Treveri, Magonza e Liegi, i
quali mentre ordinavano le cose furono
impediti dall'incursioni de'sassoni. Ces-
sate le quali, l'arcivescovo di Colonia col-
locò il corpo del santo in onorevole avel-
lo, il che fu preceduto da una sua mira-
colosa apparizione; però la dice Beatifi-
cazione , e non canonizzazione solenne.
Che finalmente s.LeonelII recatosi inGer-
manianeU'8o3,con molti cardinali e pre-
lati, per le suppliche dell'imperatore Car-
lo Magno, trasferitosi con esso in Wer-
da, e recatosi nella chiesa, mentre si can-
tava la messa fu letta la vita del santo e
la relazionede'suoi miracoli, Papa s. Leo,
de assensu par iter, et consensu suorurn
Cardinalium, caeterorumqut Praclato-
rum illic corani aslantìum, Catalogo
Sanctorum Confessorum illium adscri-
v eh
psil. Già e più brevemente ciò narrai nel-
la biografìa di s. Swidberto il Vecchio.
Il Baroniocon più diffusione ne tratta al-
l'anno 8o4, dicendo che s. Leone III per
l'istanze dell'imperatore e di Felice Hil-
tlebaldo arci vescovo di Colonia, sopra un
naviglio si condusse a Verda, incontrato
processionalmenle da'monaci di s. Swid-
berto fino al Reno, cogli abitanti di Ver-
da, e l'introdussero con Carlo Magno nel-
la chiesa del santo, ove poi nel suddetto
giorno cantò la messa Hildebaldo e seguì
la canonizzazione , col suono delle cam-
pane e il canto del Te Deurn laudamusì
uscendo dalle sagre ossa del santo cele-
ste fragranza di soave odore che ricreò
tutti. Inoltre il Papa determinò, diesi ce-
lebrasse da'verdesi ogni anno la festa an-
niversaria della canonizzazione,conceden-
do indulgenze per l'istessa chiesa a tutti
i fedeli che fossero accorsi a'divini uffizi.
Donò il Papa alla chiesa una piccola Cro-
ce d'oro con dentro del legno della Vera
Croce; Carlo Magno le offrì due calici e
due ampolle d'oro, e altri ricchi doui; e
per simil modo tulli gli altri, dal mag-
giore fino al minore, fecero le loro obla-
zioni, per fare una preziosa cassetta on-
de riporvi le ossa del santo. Propagatasi
per tutta la provincia la venuta in Ver-
da del Papa e dell' imperatore , vi con-
corsero molti popoli de'due sessi per ri-
cevere da s. Leone III la remissione de'
peccati, la benedizione apostolica, e ve-
dere sì gran solennità. Vi si recò pure
Irrogatele sorella dell'arcivescovo Hilde-
baldo, col primogenito Gocellino fanciul-
lo, il «piale nello sbarco annegò nel Pie-
no. Inconsolabile la madre ricorse con fer-
vore a s. Swidberto, e ottenne che lo re-
suscitasse , onde col suo nome lo consa-
grò nel monastero al servigio del santo.
Ma ad onta di tali e piùcircostanziali rac-
conti, il Rinaldi dubita sull'epoca del-
l'andata in Germania di s. Leone III, e
crede doversi anticipare; ed il Novaes più
moderno nega la narrata canonizzazione,
falsamente basata sopra uua lettera, che
VER 275
si pretese attribuire a s. Ludgero vesco-
vo di Miinster. Fu vescovo di Verden il
cardinal Brunone sassone figlio d' Otto-
neduca della Francia-Renana e della Ca-
ri ntia, cugino dell'imperatore Ottone III,
innalzatoa tali dignità da Giovanni XVI,
come insigne erudito nell' umane lette-
re, in que'miseri tempi, di molta pietà
fervorosa e assai limosiniero, benché in
giovanile età, per cui meritò di i/\. anni
succederlo nel pontificalo a' 3o maggio
gg6 col nome di Gregorio V (V.). Po-
scia il vescovo divenne signore della cit-
tà e suo territorio, e principe dell'impe-
ro. Neh 568 infelicemente apostatò l'in-
degno vescovo , ed abbracciò la pretesa
riforma protestante. Quando Uibano
Vili ne fece vescovo Francesco Gugliel-
mo lraUetnbei gli (/r.) de' duchi di Ba-
viera, trovò in deplorabilissimo slato la
religione e culto cattolico, descritto nel-
la biografia, e delle miracolose Ostie rin-
venute anche in questo, in uno alle splen-
dide benemerenze , fondandovi due se-
minari, la casa de'gesuiti, il convento de'
francescani, e ripristinando l'università,
la quale vuoisi istituzione di Carlo Ma-
gno, a vantaggio delle missioni apostoli-
che di Sassoniaj per qui non dire altro,
vi celebrò anche due sinodi. In premio
dell' immenso bene fatto, anco in altre
circostanti diocesi, nel 1 660 fu creato car-
dinale. In seguito cessò Verden d'essere
vescovato, ed i cattolici furono sottoposti
al vicario apostolico delle missioni set-
tentiiouali di Germania, amministratore
d'Osnabruck nella Westfalia.
VERDUN (Ferdumn). Citta con-re-
sidenza vescovile, antica, considerabile e
forte di Francia, nella Lorena, diparti-
mento della Mosa, già capitale del Ver-
dunois, ed attualmente capoluogo di cir-
condario e di cantone, distante \i leghe
da Metz e circa 70 da Parigi; oplimo sub
coelo, ac in monlis cacumine aedificala
conspicitur, conlinetque decem circiler
ìncolarum millia, quiomnes, nonmdlis
exceplis hebraeìs , catholicam re ligio-
276 VER
Rem profìtenlur. Così l'ultima proposi-
zione concistoriale. Vi dimorano le auto-
rità governative, e il tribunale di i .a islan •
za, quello del commercio, l'ulìì/.in della
posta. Situata in riva al Mosa, questo la
di vide in 5 parti, la piìi considerabile del-
le quali viene chiamata città Alta. Altri
dicono che dividevasi in 3 parti, cioè la
città Alta, la Bassa e la Nuova. Cinta di
mura guei nile di bastioni e mezzelune, il
tracciato delle fortificazioni è irregolare.
Desse, e la ben munita cittadella, rico-
nosciuta chiave della Sciampagna, sono
opere del cav. de Ville e del maresciallo
Vauban. Le diverse braccia della Mosa
sono nella città traversale da vari pon-
ti. La cattedrale, sufficiente ampia e de-
cente, è un edilizio d'ottima struttura e
di architettura mista, e trovasi in buono
stato. E' sotto l'invocazione di Maria sem-
pre Vergine o Nostra Donna, in cui am-
mirasi l'altare maggiore. Tra le ss. Re-
liquie è in gran venerazione il corpo di
s. Santino i.° vescovo di Verdun. Vi è il
battisterioe la cura d'anime amministra-
ta dal parroco. Il capitolo si compone d'8
canonici titolari e di diversi onorari, e
nelle feste intervengono all'uflìziatura gli
alunni del gran seminario. L'antico ca-
pitolo formavasi di 7 dignità, fra le quali
l'arcidiacono, il primicerio, il tesoriere, il
cantore ec, e di /\i canonici. Il cardinal
Ugo Guglielmo di Scagno (V.) di Ver-
dun , ottenne da Papa Nicolò V per la
chiesa patria, fra l'altre cose, la conferma
degli statuti del capitolo, pe'quali i nuo-
vi canonici dovevano giurare d'esser nati
di legittimo matrimonio e di libera con-
dizione. L'episcopio è vasto e convenien-
te, trovasi pressoché annesso alla catte-
drale: questi due edilìzi, e la sala degli
spettacoli, sono le fabbriche più notabili
della città. Vi sono altre chiese, due del-
le quali parrocchiali e munite del s. fon-
te, diverse case religiose di donne, com-
prese le sorelle della Carità, due ospedali
uno militare e l'altro civile, grande e pic-
colo seoiiuario, il collegio comunale, uu
VER
tèmpio protestante, la sinagoga degli e-
brei. Prima, dopo la cattedrale figuravi
per principale chiesa, quella dell'antica 0
celebre badia di s. Vitoneo Vittore o Van-
ne*, perciò delta di s. Vanues , situata
nella cittadella, poi Unita alta mensa ve-
scovile, dove aveva avuto origine nel de-
clinar del secolo XVI la riforma de'mo*
naci benedettini del monastero, e quindi
la rinomata congregazione di Lorena o
di s. VatimS) articolo che rannodasi col
presente. Insomma da essa derivò la re-
staurazione della disciplina monastica in
Francia e in Lorena , e fece rivivere lo
spirilo di s. Benedetto; e quindi ne deri-
vò ancora la celebre congregazione di s.
Mauro (Z7.). Ertavi altresì in Verdun
le abbazie di s. Agerico e di s. Paolo, le
monachedis. Mauro; e nella diocesi le ab-
bazie di Beaulieu, di s. Michele e di Cha-
stillon. Di piti fiorì in Verdun la colle-
giata di s. Maddalena, che avea 3 digni-
tà e 20 prebende, un collegio di gesui-
ti, e molle altre case religiose. 11 vesco-
vo qualificavasi conte di Verdun e prin-
cipe del s. Impero romano. Verdun van-
ta diversi illustri, il vescovo d'Agen Clau-
dio Joly, il bravo Francesco di Clievert
ec. Ha molte fucine, concie di cuoi, ve-
triere , cartiere e gualchiere. Fabbrica
tele, bambagine, panni comuni, flanelle
d'Inghilterra, saie incrociate dette di Ver-
dun, confetture e liquori, i suoi confetti
essendo rinomati. 11 suo traffico è molto
esleso, e consiste in vino, panni, olii, dro-
ghe, ferro, legna, Bromati, colori e pelli.
Le due fiere del 2 5 maggio, e del 1 2 no-
vembre durano 3 giorni. Ne dipendono i
cantoni di Varennes, Soulli, Cliarni, E-
tain,Clermont, e Fresne-en-Vaevre, con
i5o comuni. Nella piccola città di Va-
rennes, a 7 leghe da Verdun, fu arresta-
to il virtuoso e sventurato Luigi XVI ar
22 giugno 1791, mentre muovea perla
frontiera Belgica.
Era Verdun già cousiderabile quando
i romani fecero la conquista della Gallia
Belgica, a cui apparteneva; la sua situa-
VER
zione vantaggiosa indusse Giulio Cesare
ad impadronirsene, per farne il deposilo
e il magazzino de'suoi eserciti che armeg-
giavano sulla medesima frontiera. I/lli-
nerario d'Antonino è il più antico docu-
mento in cui sia fatta menzione di Ver-
dun. In latino fu denominata con diver-
se lezioni: Firedieniim)T7iredunumi Vi'
ridunum, Virdumim, e più comunemen-
te Vcrodunum o Pirodiinum, anche Ve>
redima. Pumasta sotto il dominio de' ro-
mani sino al VI secolo, allorché i fran-
chi fecero il conquisto delle Gallie, Ver-
dun colla provincia della i." Belgica, alla
quale apparteneva, fu attribuita al regno
d'Australia, e divenne famosa pel tratta-
to detto di Verdun, perchè ivi concluso
nell'843,e riferito dal conte Gatti nel Ri-
stretto de' principali trattati di pace. Ec-
cone un cenno. L'imperatore Lodovico I
il Pio, figlio di Carlo Magno, dopo aver
mandato aLotario I suo primogenito l'in-
segne della podestà imperiale, e di aver-
gli raccomandato proteggere l'ancor gio-
vane Carlo I il Calvo re de' franchi, al-
tro suo figlio, morì in Ingelheim, a' 20
giugno 840. Lotario I, che allora era in
ltalia,spedì subito segreti messaggi a mol-
ti signori, specialmente di Francia, per
farsi riconoscere solo signore, e passate
l'Alpi si recò in Borgogna. I due suoi fra-
telli Lodovico re di Baviera e Carlo ì re
de'franchi, che per la divisione paterna
erano a parte di porzione dell'impero, in-
vano procurarono rappresentare l'ingiu-
sto suo procedere, Lotario I esigendo,
come imperatore, che fossero a lui sog-
getti. Si venne alle armi, seguirono fazio-
ni guerresche, tregue, accordi, divisioni
di domimi: tutto inutilmente per l'ecces-
sive esigenze di Lotario I. 1 fratelli quin-
di appellarono a Dio e alle loro spade :
a'25 giugno 841 essi riportarono a Fon-
tenay la memorabile vittoria, ove dicesi
perirono 1 00,000 combattenti, e Lotario
1 si ritirò in Aquisgrana, usando anche
mezzi illeciti per soverchiare Lodovico e
Carlo 1, i quali in Strasburgo giurarono
VER 277
a'22 febbraio 842 alleanza perpetua, e
quindi inviarono ambasciatori a Lotario
1 offrendogli pace. Invano: si ripresero le
armi, e Lotario I fuggì a Lione. I suoi
fratelli portatisi in Aquisgrana, fecero di-
chiarare l'imperatore, perla guerra in-
giusta che loro faceva, spergiuro e deca-
duto da'suoi diritti sui regni di Francia
e di Germania, de'quali essi n'erano di-
venuti legittimi possessori.!») seguito Car-
lo I e Lodovico si divisero i domimi : a
ciò che apparteneva al re di Baviera, si
aggiunse la Frisia, la Germania, e tut-
lociò che è tra la Mosa e il Reno; Carlo
I ebbe il resto. Non ostante si venne a trat-
tative con Lodovico I, che ancora avea
forze bastanti per farsi temere,conseguen-
za delle quali fu la convenuta riunione
de'3 fratelli in Verdun nell'agosto 843,
per dividersi la vasta monarchia de'fran-
chi. All'imperatore rimase tutto il paese
tra il Reno, la Mosa e l'Oceano, la Pro-
venza, la Savoia e la Svizzera, i Grigio-
ni, col regno d'Italia; ed allora il paese
della Lorena ebbe questo nome dal far
parte del regno di Lotario. Lodovico eb-
be la Baviera, parte della Fannonia, la
Sassonia e tutte le provincie della Germa-
nia di là dal Reno, co' vescovati di Ma-
gouza, Spira e Worms. Dice il Gatti: al-
lora la Germania cominciò a formare un
regno da se sola. A Carlo I poi rimase la
parte occidentale della Francia, cioè dal-
l'Oceano fino alla Mosa e alla Schelda,
e sino al Rodano, alla Saona eda'Pire-
nei. Lotario I con tal divisione perdette
molte provincie dal padre lasciategli nel-
la Germania. Altra conseguenza del fa-
moso trattato di Verdun, fu la riunione
de'3 fratelli aMarsne sullaMosa nell'847,
dove stabilirono con altro patto: Che vi
sarebbe pace e concordia fra di essi. Che
si adoprerebbero per difendere la Chie-
sa di Dio da'suoi nemici (allora i princi-
pali erauo gì' 'iconoclasti ed i saraceni).
Che i loro figli erediterebbero la corona
de'padri aveudo pe'zii il dovuto rispetto.
Che i vassalli non sarebbero d'ora in a-
278 VER
vanti tenuti a militare pel re, a meno che
ne'casi di guerre generali e d* invasioni
straniere. Convennero inoltre che ogni
uomo libero potrebbe scegliere il suo si
guore tra il re e i suoi vassalli. Adunque
dal IX secolo Verdun fece parie del re-
gno di Lotario 1 e passò nel dominio del
suo figlio Lotario , col nome di Lorena
(/'.), a cui rimase sempre addetto. In se-
guito Verdun e tutta la Lorena fu con-
quistata da Ottone I re di Germania, il
quale verso l'anno g5o die' un conte a
Verdun, e nel gSg la Loiena cominciò
ad avere un duca particolare in Federi-
co I, cognato d'Ugo Capeto poi capo-sti-
pite de'Capeli re di Francia. Avendo Ot-
tone I dato il ducato di Lorena a suo fra-
tello Brunone arci vescovo diColonia, que-
sto hi divise in due provincie, lai." del-
le quali si disse Alta Lorena o Mosci-
lana, perchè attraversata dalla Mosa o
Mosella, l'altra della Bassa Lorena, e
comprendeva il Brabante, il Cambresis,
il vescovato di Liegi e la Gueldria. Il con-
te di Verdun creato da Ottone I, fu Gof-
fredo il Vecchio figlio di Gozilon e di Vo-
da , e nipote per parte di suo padre di
Wigeric conte di palazzo sotto il regno
di Catlo 111 il Semplice re di Francia, e
ceppo della casa d" Ardennes : approvò
colla sua firma , in qualità di conte di
Verdun, l'atto di fondazione del mona-
sfero di s. Vannes, fatta dal vescovo di
Verdun Berengario. Questo è il più an-
tico documento del potere esercitato dal
conte di Verdun. Nel 973, dopo la mor-
te di Garoier e di Rinaldo couti d'Hai-
naut, fu nominalo Goffredo con Arnol-
do, dall'imperatore Ottone II, per sosti-
tuirli; ma nel 977 vennero destituiti da
Carlo di Francia duca della bassa Lore-
na. Non avendo Goffredo potuto ottene-
re giustizia di simile procedura da Ot-
tone II, si ritirò nella sua contea di Ver-
dun, senza però rimanere meno addetto
a quel principe. Nel 978 egli f accompa-
gno nella sua spedizione di Francia per
vendicarsi di Lotario, che gli avea tolto
VER
per sorpresa Aquisgrana, mentre stava
per porsi a tavola e postolo a pericolo di
esser fatto prigione. Fu egli che reduce
dall'esercito imperiale, sulla fine di no-
vembre consigliò l'imperatore a passare
il fiume di Aisne, risparmiando così una
grande effusione di sangue che avrebbe
occasionato dall'una e l' altra parte una
battaglia colle truppe di Lotario che com-
parvero il giorno seguente. Poco dopo
Goffredo unito al conte Arnoldo distrus-
se in un mattino un castello che Ottone
figlio d'Alberto conte di Vermandois fa-
ceta erigere a Vinchi nel Cambresis, a
malgrado diBothard veseovodiCambray,
colla mira di nuocergli. Dopo la morte
d'Ottone li, accaduta nel 983, il re di
Francia Lotario voleva giovarsi delle tur-
bolenze per riavere la Lorena , occasio-
nale nell'impero dalla minorità di suo fi-
glio Ottone III. Con tale divisameuto eu-
trò tosto in quel paese nel 984 col pre-
testo di punire alcuni signori delle rapi-
ne da essi praticate alle frontiere di Fran-
cia. Presentatosi davanti Verdun, lo strin-
se d'assedio, ma fu dal valore di Goffre-
do costretto a levarlo. Lotario per riva-
lersi di questo rovescio diede il guasto al
paese. Lo inseguì Goffredo accompagna-
to da Sifredo suo zio conte di Luxem-
burgo. Raggiunta l'armata francese le
die' battaglia, ma rimase vinto e fatto pri-
gione collo zio e altri personaggi distinti.
La città di Verdun compresa di spaven-
to deputò al vincitore certo Gober per
presentargli le chiavi, sperando con que-
sta sottomissione gli restituisse i suoi cit-
tadini prigionieri. Lotario entrò in fatti
in città e ne mandò liberi alcuni, ma trat-
tenne Goffredo e Sigefredo, spedendoli
entrambi in un castello sulla Marne per
esservi rinchiusi sotto custodia di Ottone
conte di Borgogna e di Ei berlo conte di
Troyes. Durante la prigionia Golfredo
soffrì uno de'piìi pungenti rammarichi
per la proibizione fatta da Lotario alla
città di Verdun di ricevere Adalberon fi-
glio di esso conte, dalla medesima eletto
VER
per vescovo sul finir di quell'anno o al
principio del seguente. Inoltre il re sfogò
il proprio risentimento sopra Adalberon
o Adalberto arcivescovo di Reims, fratel-
lo del conte e zio del prelato eletto, per
avergli conferitogli ordini sagri e man-
dalo all'imperatore a chiedere la confer-
ma di sua elezione. Non avendo potuto
indurlo a scomunicar suo nipote, Lota-
rio di prepotenza Io fece arrestare e por-
re in prigione, minacciandolo della vita.
Frattanto il giovaue imperatore Ottone
111, sollecitato da'congiuuti di Goffredo,
Uligava il monarca francese a restituir-
gli Verdun e mettere in libertà il conte.
Vi acconsenti Lotario, ma a 3 durissime
condizioni: i.° che Goffredo restituisse la
città di Mons al conte Rainiero, colle al-
tre piazze che riteneva dell'Hainaul; 2.°
che obbligasse suo figlio a rinunciare al
vescovato di Verdun, ed egli stesso si spo-
gliassedella contea di questa città; 3.° che
gli facesse omaggio dell'altre terre cui
possedeva nell'Ardenue parte dellaSciam-
pagna. Goffredo, eh' era di alti sentimen-
ti, non volle a condizioni sì umilianti ri-
cevere la propria libertà, e indusse anche
il celebre Gerberlo (probabilmente l' a-
inico dell'arcivescovo Adalberto, quel-
lo che fu poi Papa Silvestro II) a scrive-
re alla conlessa Matilde sua moglie, per
esortarla a non abbandonarsi alla tri-
stezza per amore di lui, a conservarsi fe-
dele all'imperatrice Teofania madre e tu-
trice di Ottone III, a non istringere alcun
trattato colla Francia, uè sotto pretesto
di procurargli la libertà, uè colla spe-
ranza di garantir dalla morte lui ed il fì-
glio,e a ben custodire le sue fortezze. Tan-
to adempì Gei beilo cou lettera de' 22
marzo 980; ed iu altra accenna aH'incir-
ca le slesse cose aligli di Goffredo e Sì-
gefredo per ordine del loro padre. Tra le
piazze cui raccomanda loro custodire cou
maggior cura, notniuaScarpoune, oggidì
villaggio di Charpàigne sulla Mosella, ed
altro luogo nominato Haidon-Chalel.
Gei bei lo gli esorta ad assoldar truppe, a
VER 279
combattere per la patria, e dt*re a vede-
re a'nemici che dopo essersi impadroniti
della persona di Gollredo, non lo aveano
altrimenti tulio intero in loro potere. Fi-
nalmente li consiglia ad affezionarsi ad
Ugo Capelo duca di Fraucia, assicuran-
doli che mercè la protezione di quel prin-
cipe uulla hanno a temere per parte de-
gli altri principi francesi. Fu certo per la
mediazione di questo duca posto in li-
bertà Sigefredo prima de' 1 9 maggio 985,
non si sa sotto quali condizioni; laddove
Goffredo rimase prigione sino alla mor-
te di Lotario accaduta a' 2 marzo 986.
Allora il nuovo re Luigi V il IVullqfecc,
si mostrò più. trattabile sulla liberazione
del conte, che uscì di prigione a' 1 7 del
successivo maggio, dopo aver dovuto ri-
nunziare ad alcune piazze del vescovato
di Verduu, col consenso del vescovo suo
figlio. L'arcivescovo di Reims suo fratel-
lo si richiamò da quei trattalo con lette-
ra all'imperatrice Teofania, per indurla
a non permettere che avesse luogo, sic-
come tendente alla rovina delle chiese e
a'dauni della famiglia imperiale. Ignora-
si l'effetto di tali rimostranze, ma fu fat-
ta la pace tra l'impero e la Francia a' 1 7
giugno 986. Verduu venne restituita al-
l'impero, come testifica Gerberlo, ch'eb-
be grau parte a quell'opera. Goffredo ri-
messo iu libertà e al possesso di sua cou-
tea,ue die'qualche tempo dopo la sua di-
missione a favore di Federico suoZf-0 fi-
glio, conservando l'amministrazione de-
gli altri suoi domimi. Nel 1004 <-'g!i edi-
ficò il castello di Einham presso Onde-
nard sull'Escaut. Era esso il retaggio di
sua moglie Matilde. Sino allora quel luo-
go era di poca cousiderazione, ma ne ac-
quistò molla perle cure di Goffredo e del-
la moglie nel farvi fiorire il commercio
collo stabilimento del porto, fiere e una
abbazia presso la sua cinta. Morto Gof-
fredo a'4 settembre, ignorandosi l'auno,
col titolo di duca, gli fu posto un epitaf-
fio nella chiesa di s. Pietro di Gand, da
Flavigni lodato: Viv probilaie, gratiat
280 V K R
(ìiviliis et honovibus inter magnates no-
mìnatissimut. Sua moglie Malizie mor-
ta dopo a'^4 luglio 1009, fu sepolta nel-
la badia di s. Vannes eli Verdun; era fi-
glia di Ermanno Billing duca di Sasso-
nia, ed in prime nozze avea sposato Bal-
dovino 111 conte di Fiandra. Da Goffre-
do ebbe 5 figli, i due primi de'quali Gof
freclo e Gozelm o Gothelm, furono l'u-
no dopo l'altro i duchi della bassa Lore-
na, e credo di non andar lungi dal vero,
con sospettare che un figlio dell'uno o del-
l'altro sposò la celeberrima Matilde mar-
chesana di Toscana (V.); Adalberon, il
3.°, fu il detto vescovo di Verdun, mor-
to a* 1 8 aprile 988 nel ritornar da Saler-
no, ov' erasi recato per consultare sulla
malferma sua salute i dottori di quella
famosa scuola di medicina; Federico che
segue, ed Ermanno che succederà, furo-
no i due ultimi. Federico divenne conte
di Verdun nel 988 circa, e amministrò
la contea con molla saggezza e pietà. Nel
997 iulraprese un pellegrinaggio a Ge-
rusalemme. Al suo ritorno volendo ri-
nunziare al mondo, fece donazione della
contea di Verdun al vescovo Ileimon o
Haymo, ed a'suoi successori nella chiesa
di Verdun: donazione ratificata da un di-
ploma d'Ottone 111 imperatore. 11 conte
Federico si ritiiòpoi nella badia di s. Van-
nes, ove passò santamente il rimanente
de'suoi giorni, cui terminò nel i 022. Er-
manno , detto anche Llezelon o Eurico,
fratello di Federico, fu nominato viscon-
te di Verdun dal vescovo Heimon, allor-
ché questo prelato fu posto al possesso
della contea della città. Ebbe però sem-
pre il titolo di conte, aitesi i suoi natali.
Egli era uno de' più facoltosi signori di
Lorena, e oltre i domini! legatigli dal pa-
dre, godeva della terra d'Einham reca-
tagli in dote da Matilde sua sposa, figlia
di Luigi conte di Dagsbourg. Andavano
in lui del pari colla ricchezza la prudeu-
za e il valore. Professava anche divozio-
ne., e il inouasleio di s. Laurent di Liegi
lo riguardava per uno de'suoi principali
V É:l
fondatori. Egli difese Goffredo suo fra-
tello duca della bassa Lorena. controLnm-
bert conte di Lovanio ed Alberto conle
di Namurche gli contrastavano quel du-
cato.Nelf oi3 egli marciò in aiuto di Bai-
dric vescovo di Liegi, attaccato da Lam-
bert in occasione che avea eretto il ca-
stello di Ilugarde, colla mira di favorire
il partito di Goffredo. A' io ottobre si
die' battaglia presso Florenes, in cui i lie-
gesi rimasero sconfìtti. II conte Erman-
no fece neir azione prodigi di valore, e
dopo la rotta de'liegesi, fattosi forte en-
tro una chiesa, vi si difese con una ma-
no di gente, finche sopraffallo dal nume-
ro dovette arrendersi. Ma la contessa Er-
mengarda, madre del conte di Nauiur,
alla cui custodia Lambert avea affidato
quel prigioniero, procurò riconciliare suo
figlio coll'imperatore s. Enrico II, tulio
di voto alla casa di Ardennes, prometten-
do a questa condizione di lasciar in liber-
tà Ermanno, all'insaputa del conte di Lo-
vanio. Vi acconsentì l'imperatore mercè
la mediazione de' vescovi di Liegi e di
Cambray,che ne lo aveano pregato a Co-
blenlz. Ritornato in libertà Ermanno,
non trascinò gl'interessi di suo fratello,
e morì nel 1028, secondo il moderno sto-
rico della chiesa di Verdun; però il Mar-
lene prova che ancor vivea a'3 novem-
bre io34- Pretende Meier, ch'egli abbia
finito i suoi giorni nella badia di s. Van-
nes ov' erasi ritirato. Dal suo matrimo-
nio ebbe parecchi figli, la più parie de'
quali morirono nell'infanzia, e ninno gli
sopravvisse. Due di loro, mossa rissa in-
sieme, si uccisero a vicenda a furia di col-
pi di spiedo nella cucina del loro padre.
Odda primogenita d'Ermanno fu bades-
sa di s. Odila nell'Alsazia; Matilde la 2.*
si rnarilò a Rannero IV conle d'Hainaut;
Derida la 3/ morì prima dell'età pube-
re. Nel 1028 GozelonoGolhelon I, figlio
di Goffredo il Vecchio educa della bas-
sa Lorena, fu il successore di Ermanno
suo fratello nella viscontea di Verdun.
Ma non contento di questo titolo, volte
VER
richiamarsi contro la clonazione fatta da
Federico suo fratello alla chiesa di Ver-
dun, e ricorse al consiglio imperiale per
farla cassare. Non essendogli stato favo-
revole il giudicato di quel tribunale, im-
piegò la via delle armi per porsi al pos-
sesso della contea di Verdun, uccise pro-
ditoriamente sulla montagna di s. Van-
nes Luigi di Chini, di fresco nominato dal
vescovo a suo visconte, e diede alle fiam-
me 1' episcopio. Lo storico moderno di
Verdun dice che l'imperatore Corrado
11 il Salico, per consiglio dell'arcivesco-
vo Ermenfredi, definì quella controver-
sia con dare a Gothelou I il ducato del-
l'alta Lorena; ma l'antica storia compen-
diata de'vescovi di Verdun, nulla dice in
tale proposito. E' certo però che Gothe-
lou I non pervenne al ducato dell'alta
Lorena se non nel io34 circa, e non è
men certo ch'egli continuò ad esercitare
il suo potere in Verdun, sia col titolo di
conte, sia con quello dì visconte, sino al-
la sua morte avvenuta nelio43. Tale fu
l'origine della casa di Ardennes.casa illu-
stre che deve la sua denominazione non
ad una contea d'Ardennes propriamen-
te detta, che non ha mai esistito, ma a'
gran dominii da essa colà posseduti. E da
notarsi, che dopo la divisione delle due
Lorene, sul principio tutti i piccoli sta*
ti o contee che le componevano, dipen-
devano immediatamente dall'impero, il
che non toglieva che il rispettivo duca
non possedesse qualche superiorità sui si-
gnori particolari. Era specialmente debi-
to di questi di porsi sotto le sue insegne o-
gniqualvolta venivano convocati pel ser-
vigio dell'imperatore. Nelle città vescovili
gl'imperatori conservarono lungamente
delle contee, anche dopo che i vescovi co-
minciarono a godere superiorità e signo-
ria territoriale sotto certi riguardi. Ed è
pure da osservare che i ter ri lori i di Ti e ve-
ri, Metz, Toul e Verdun vennero nella
divisione della Loiena smembrati, né più
riconobbero nell'ordine fendale altro su-
periore, Uanue il capo dell'impero, quiu-
VER 28!
di i vescovi principi dell'impero, come
questo di Verdun. A Golhelone I, duca
dell'alta e bassa Lorena, nelio43 l'im-
peratore Enrico III nominò duca e suc-
cessore dell'alta Lorena il di lui secondo-
genito Gotheloue li il Neghino so, a mal-
grado di Goffredo il Barbuto suo fratel-
lo maggiore duca della bassa, che preten-
deva all'intera successione paterna. Mor-
to Gothelone 1 1 nel 1 0^.6 senza lasciar po-
sterità, Enrico HI creò duca dell'alta Lo-
rena Alberto o Adalberto d'Alsazia, per
cui adirato nuovamente Goffredo il Bar-
Z>«/o,co!legatosi co'conli di Fiandra e d'O-
landa, scorse tutta la Lorena con in ma-
no il ferro e le faci, nel r 048 prese anche
Verdun, ed uccise nella pugna Alberto,
al quale successe il fratello cadetto, altri
Io dissero nipote, Gerardo d'Alsazia, cep-
po dell'augusta casa d'Austria. Enrico UE
fece imprigionare Goffredo il Barbuto,
che ricuperata la libertà, riprese le armi,
bruciò il magnifico tempiodella D. Ver-
gine di Verdun, e poi pentito Io fece rie-
dificare più sontuoso, facendo per peni-
tenza egli slesso I* ufficio di manuale.
Nello stesso 1048 il cugino di Gherardo
d'Alsazia, divenne Papa s. Leone //Y,che
ritenendo il suo vescovato di Toul, nel
visitarlo da Papa, in uno a diverse parti
della Lorena onorò di sua presenza an-
che Verdun. Questa città nella signoria
del suo vescovo si conservò libera e im-
periale, nel 5.° circolo dell'impero, fino al
1 552 in cui l'occupò insieme alla Lorena
Enrico II re di Francia, gli abitanti es-
sendosi posti sotto la sua protezione; e
poi nel 1648, pel trattato di M mister, la
città colla contea di Verdun furono de-
finitivamente riunite alla Francia. Nel
settembre! 792 Verdun fu bombardala
e presa da'prussianijma a'20 dello stesso
mese, il general Rellerman riporlo sui
medesimi tal segnalata vittoria, ne'campi
di Valmy nel dipartimento della Marna,
che non solo ricuperò Verdun, ma liberò
il territorio francese da' prussiani; onde
poi il suo cuore fu deposto nel campo del
282 VER
suo trionfo con monumento onorario.
Nell'impero di Napoleone I vi si formò
un deposito di prigionieri di guerra in
glesi.
La sede vescovile fa eretta nel IV se
colo sulfraganea della metropoli diTre-
veri,la quale cessando du tal grado, Pio
VII la sottomise a quella di BesauQm, e
Io è tuttora. Il Chenu, Episcoporum
Callide Chronologica Bistorta , nella
Serie* Episcoporum Firdune.nsis Ec-
clesiac, ne registra i .° vescovo s. Santino
( / '.), s. Dionysii di sci palassi Mcldensis
epìscopi**, obiti i 1 8. La Galli a Christia-
na, t. 4> p- ' i <5 1 , firdunenses Episcopi ',
soltanto lo dice ì .° vescovo; ed a p. 6g4
Meldenses Episcopi, fuisse docent vul-
gati omnes datai >«/. Nella biografìa dissi
col Boiler, essere molto oscura la sua
storia, e che s'è vero abbia occupato la
sedediVerdun avanti a quella di Meaux,
sarebbe vissuto nel IV secolo, ne sareb-
be stalo discepolo di s. Dionisio dì Pa-
rigi: egli è ricordato negli antichi mar-
tirologi a' 22 settembre , sebbene se ne
faccia la festa l'i i ottobre a Verdun, ed
a Meaux (/^.). Nei due ultimi ricordai»
articoli parlai della questione, se*. Dio-
nisio di ' Ptfr/gi, l'apostolo di Francia nel
245 circa, sia diverso da s. Dionisio VA-
reopagila) che l'anno 5i promulgò l'È-
■vangelo in Atene. Forse il Chenu creden-
dolo discepolo di qoest' ultimo , benché
molti scrittori sostengano che fosse uno
solo, disse morto s. Santino nel 118. Il
inaurino Du Plessis, che scrisse la Storia
della chiesadi Meaux,* tendo detto che
le reliquie di s. Sputino furono vendute
nel secolo XI ad alcuni mercanti di Ver-
dun, dagli abitanti di Meaux , determi-
natisi a questo sacrilego euor.ne delitto
a motivo d'una forte carestia, Thouiè
canonico di Meaux volle provare che la
storia della vendita delle reliquie di s.
Santino doveva essere considerata come
una favola; e che se le traslazioni di s.
Santino, che diconsi essere state fatte in
diverse occasioni a s. Vannes di Verdun,
VER
sono vere, vi sono due santi dello slesso
nome, uno vescovo di Meaux. e 1' altro
di Verdun. Questa è pure l'opinione di
Baillet, Philippeaux,Ledieu ed altri. Du
Plessis rispose a Tliomó con uua lettera
molto conveniente, nella quale confessò
che le di lui ragioni gli aveano resa la
traslazione pretesa delle reliquie discan-
tino sempre più dubbiosa. La città di
Verdun vuole per se lo stesso santo, e
lo pone nel IV secolo; in vece quella di
Meaux lo ritiene vissuto nel III, ed am-
bedue ne celebrano la festa in uuo stesso
giorno, nel quale il Martirologio di Fran-
cia parla di lui, come se fosse stato prima
vescovo di Verdun, poscia di Meaux; men-
tre che a'22 settembre soltanto celebrasi
uo semplice martire, il quale lavorava
sempre sotto s. Dionisio, e morto a Pari -
gi con s. Antonio a' 3 ottobre. Quanto
allereliquiedis. Santino, nell'ultima pro-
posizione concistoriale di Meaux non se
ne fa menzione, mentre in quella di Ver-
dun, espressamente si dichiara venerar-
sene il corpo nella cattedrale, come notai
in principio. E siccome vuoisi che s. San-
tino intervenisse al i.° concilio di Colonia
nel 346, per deporre Eufrate vescovo
della città, il quale negava la divinità di
Gesù. Cristo; e perchè s. Dionisio di Pa-
rigi, di cui fu discepolo, piantola sede ve-
scovile "m quella città circa il 25o, sembra
che s. Santino facesse altrettanto io Ver-
dun ne'primordi del seguente. Ne furo-
no successori : s. Mjuro morto V 8 no-
vembre (del 1 do, dice CUeuu); s. Salvi-
no (del 222, al dire di Chenu); s. Arato-
re, post quem reperitur interpoliti fi cium
2 00 fere annorum, nota la Gallia Chri-
stiana, perciò sembra ritenere s. Santino
fiorilo avanti il IV secolo. S. Pulcrono di-
scepolo di s. Lupo vescovo di Troyes, fu
eletto nel 4^4 » basferi la cattedra ve-
scovile dalla chiesa suburbaua de'ss. Pie-
tro e Paolo , in quella di s. Maria nella
citlà, da lui fabbricata, ed in cui fece di-
pingerne l'immagine in allo di calpestare
col piede il serpente, simbolo dell'eresia,
V E R
perchè nel concilio di Calcedouia si lodò
la Madre di Dio, Gamìe Maria T'irlo
cunetta haereses etc. Ciò narra il Che-
nu, ed aggiunge che il vescovo intervenne
al concilio, di 3 anni anticipando la sua
epoca , per essersi celebralo nel /±5i; e
mori nel 47°- 1" fjnesto venne scelto s.
Possessore, morto nel 486 e sepolto nella
basilica di detti ss. Apostoli, antica catte-
drale. Nel486s. Firmino, morto uel5oo
in tempo che Verdun si die'a Clodoveo I
re de' franchi. S. Filone (V.) detto vol-
garmente s. Vannes e s. Videno, il Buller
anticipa l'elezione al 498 e lo dice morto
intorno il 525,citando aucheCalmet,67o-
ri a della Lorena, e Le Conile, Armai.
Francor.ad an. 498 e 525. Al contra-
rioChenu lo registra nel 5o2,eche in-
tervenne nel 5 1 1 al concilio d'Orleans a-
dunatò da Clodoveo I. Insigne per mi-
racoli, già dissi della celebre badia sotto
il suo titolo fondata iti Verdun nella ba-
silica de' ss. Pietro e Paolo, che i succes-
sori considerandolo come un luogo pri-
vilegiato, ivi ordinariamente si fecero sep-
pellire, e dalla riforma del monastero de-
rivò la congregazione di s. Vannes, che
si propagò nella Lorena e provi ncie vi-
ciue.Vedesi ancora nel giardino dell'ab-
bazia una gran tomba, sotto di cui stanno
sepolti 8 de'più antichi vescovi di Ver-
dun. S. Desiderio o Desiderato nobile
alemanno, fu segno all'ingiurie di Tier-
rico I re di Metz, che lo spogliò di tutti i
suoi beni, riducendo pure gli abitanti di
Verdun a somma inopia; ma il re Teo-
deberto I, che gli successe, per la fama di
sua santità, gì' imprestò 7,000 monete
d'oro, che il santo erogò a vantaggio dei
cittadini. Nel 529 intervenne al concilio
Àrvernense,o di Clermonl nel 535. Mori
nel 552, e pel i.° fu tumulato nella catte-
drale di s. Maria. Gli successe s. A gerir
ro(^.), detto pure Àrioo Agi o,e l'abbazia
fondata in Verdun sotto il suo nome si
disse s.^/ry.Nato nella città o nella dio-
cesi di Verdun, per le sue virtù fu ordi-
nato pel servigio della chiesa da s. Be-
V E R 283
siderio, e divenne modello de' pastori.
Scoprì le operazioni del demonio in
una donna, la quale seduceva il popolo
con pretesi oracoli, e la fece cacciare non
solo dalla diocesi, ma da tutte le terre del
regno d'Austrasia. Era padrino di batte-
simo del re Childeberto I , perciò ebbe
molto potere sul suo cuore. Ottenne gra-
zia pel general Gontrano Bosone , che
avea mancato di rispetto al re e alla re-
gina Brunechilde, ma poi per altri falli
non potè sottrarlo a'culpi della giustizia.
Egli vide pure trucidare nella sua pro-
pria cappella Bertefredo ch'erasi ribel-
lato. Ma ciò che lo commosse soprattut-
to in quest'ultimo avvenimento, fu la pro-
f-inazione del luogo sagro. Morì nel 588
e fu sepolto nella cappella di s. Martino
da lui edificata, alla quale si unì poi un
monasteroe formossi la detta badia. To-
sto fu surrogato Calimero o Cannerò ,
già referendario del re Cariberto Ijmorì
nel 609 e giace nella cattedrale. Gli suc-
cesse Errnenfredo monaco di Luxeul nel-
la Borgogna, che cessò di vivere nel 62 r.
Codone trovossi nel 63o al concilio di
Reims. Indi s. Paolo (V.), fratello o ni-
pote di s. Germano vescovo di Parigi ,
già virtuoso abbate di Tholey, ammirato
da'sovrani e du'santi vescovi che allora
vantava la Francia. Morì circa il 63 r ,
altri vogliono nel 649, e fu deposto nella
chiesa di s. Saturnino, da lui eretta in
Verdun, e poi ne prese il nome e diven-
ne collegiata. Gisloaldo benedettino di
Tholey dotò la chiesa di s. Saturnino, vi
pose un capitolo d'ecclesiastici, che segui-
rono poi la regola di s. Benedetto nel
975, e quella de'premostrateusi nel 1 1 3 7,
ed allora la badia cambiò il nome con
quello di s. Paolo. Morto Gisloaldo nel
665, in questo fu eletto Gereberto abbate
di Tholey, e resistette alle tirannie che
fece alla chiesa Ebroi no , morendo nel
689. Armonio successore era abbate di
Tholey e consanguineo di Pipino duca
del Brabante ; morì nel 701. Subito fu
eletto il nipote Agreberto arcidiacono di
à*4 VER
Verdun, morto nel 7o8.BerloIamio mo-
naco benedettino in tnle anno. Quindi
Abbo nel 7 1 5 cenobita. Mei 716 Pepo,
zelante pastore che ricuperò al la sua chie-
sa molti beni, e mori nel 722. In esso
Volchisio alemanno, morto nel 729. Il
successe Agronio canonico della cattedra-
le, che finì sua vita nel 73*2. Nel 735 s.
JMaddaleno egregio e piissimo pastore ,
chiaro per miracoli. Amalberto sedeva
nel 762. Nel 774 Pietro italiano, morto
nel 799. In questo Austranno, deposto
in s. Vannes nell'8o5. Nel seguente Eri-
lando, pure tumulato in delta chiesa. Nel-
1*835 llduino, ch'ebbe a successore Atto
monaco di s. Germano d'Auxerre, in-
tervenuto nell'859 al concilio di Tool e
nell'860 a quello d' Aquisgrana, indi le-
gato a Papa s.Nicolò I conTeurgaudo ar-
civescovo di Treveri : ricuperò molte
possidenze ch'erano state alienale alla sua
chiesa , e morendo 11 e 1 1 ' 870 fu sepolto
nella basilica di s. Vannes. Berardo no-
bile d'Austrasia,neir876 fu al concilio di
Pont-Yon. Il suo nipote Dado gli successe
educato in s. Vannes, al cui tempo fu
divisa la mensa vescovile dalla capitola-
re. Intervenne «'concili i di Metz nell'888,
e di Tribur neir8g5 ; zelante e benefico
pastore ottenne molti vantaggi alla sua
chiesa da'monarchi, e pose nella basilica
di s. Pietro ossia dis. Vannes 8 canonici
con dotazione, morendo nel 923. In que-
sto fu consagrato Ugo I,e morì dopo 3
anni. Bernuiuo nipote di Dado, morto
nel 939. Berengario sassone nel 940 ,
dolo il monastero di s. Vannes, in eoaue
ììionacos prò clericis collocavi t. Sotto
di lui nel 947 fu celebrato un concilio in
Verdun, nel quale 7 vescovi confermaro-
no ad Artaudo il possesso della sede di
Reims, contesogli da Ugo. Regia t. 25,
Labbé t. 9, Arduino t. 6. Inoltre per Ar-
taudo nel 94S si tenne il concilio d'In-
gelbeim a cui si recò Berengario. Nel 97 5
Vicfrido norico de* principi di Baviera ,
cancellici e dell'impero, aumentò le ren-
dile della badia di s. Vannes 0 Vilone,
VER
aggiunse il monastero alla chiesa di s.
Saturnino, e presso V oliar maggiore di
esso ebbe tomba. Nel q84 Ugo II d'illu-
stre prosapia per favore dell'imperatore
Ottone III. Rinunziò tosto la sede, e gli
fu sostituito Adalberon I di Lorena fi-
glio di Federico I duca della Mosci In o
Lorena superiore e di Beatrice sorella del
re Ugo Capeto, lodalo per scienza e tra-
sferito a Metz, morto nel ioo5. Narrai
già che nel 984 fu eletto vescovo Adal-
beron II figlio di Gollredo il freccino
conte di Verdun, contrarialo da Lotario
re di Lorena, e lo dissi morto nel 988 ri-
tornando da Salerno, e e] ni aggiungo col-
la Gallici Christiana : decessi t Salerni
in Italia corpus retatimi Virduni sepe-
lietur. Egli era zio di Federico Giuntano
di Lorena, poi cardinale e Papa Stefano
IX detto X. Nello stesso 988 fleimon o
Hayuio alemanno, consigliere del duca
Enrico di Baviera, fece il suo ingresso in
Verdun con solenne pompa. Restaurò la
cattedrale di Nostra Signora, la chiesa di
s. Vilone, e costruì il monastero di s.
Maddalena, oltre altre beneficenze. Fe-
derico pio conte di Verdun, donò a lui
e vescovi successori la contea di Verdun;
donazione convalidata da un diploma di
Ottone III, come più sopra narrai. Mor-
to nel 1024 e sepolto in s. Mauro, gli
successe Ra ini berlo che nel io3o fu al
concilio di Tribur , e di ritorno da Ge-
rusalemme cessò di vivere in Belgrado
nelio38, poi trasportato nel monastero
di s. Agerico. L'imperatore Enrico III gli
surrogò Riccardo Iabbate,figlio del conte
Ildrado , virtuoso e umile , deposto nella
cattedrale. Nel 1 047 Teodorico Magno
teutonico, figlio del conte Gozelone, nel
1049 kenedì il tempio di s. Maria, già
incendiato e distrutto dal suddetto Gof-
freddo il Barbuto. Di più iti tale anno si
recò al concilio di Reims presieduto dal
Papa 1, Leone IX, ed alla dedicazione
della chiesa di s. Arnolfo di Metz. Nel
io5o il Papa reduce da Reims, si recò a
Verdun accollo con tulle le dimostra-
VER
zioni di ossequio e di onore, ed a' 9 ot-
tobre per le suppliche dell'arcidiacono
Ermenfredo consagrò la chiesa di s. Mad-
dalena. Visse Teodorico fino al 1 090, nel
quale il successe Richero de Brie decano
di Metz, morto nel 1 107 e sepolto nella
basilica di s. Vitone avanti l'altare di s.
Lorenzo. Neh 1 08 Riccardo il de Grand-
pré* de'conti del suo nome , arcidiacono
della cattedrale, pel favore d'Enrico V
imperatore nemico della s. Sede, onde
per 7 anni ne seguì lo scisma, scomuni-
calo in uno ad Enrico V nel 1 1 r5 dal
legato apostolico Conone, nel concilio di
Reims, in nome di Papa Pasquale II, e
ritiratosi iu Monte Cassino ivi mori con
gran pentimento: nel suo vescovato o-
però cose notabili. Vacò la sede 4 anni >
e nel 1 1 18 l'ebbe Enrico 1 de* conti di
Blois, nato da Adele sorella d' Enrico I
re d'Inghilterra, già abbate Glasloniense
e vescovo di Winchester , confermato
dal concilio di Reims presieduto da Pa-
pa Calisto II, seda Virduncnsibus non
recipitur j Me ad graliam cornili s Rai-
naldise injlexit, et cimi eo urbem caepit
violenterà comes ad suum votum cives
caepit, et ad redemptioneni pecuniarum
coegit. Nel concilio di Chalons , tenuto
a' 2 febbraio 1129, il legato cardinal
Matteo vescovo d' Albano lo depose dal
vescovato, ed Enrico I a consiglio di s.
Bernardo si sottomise e rinunziò la sede,
e per due anni fu fallo abbale di s. Re-
migio di Reims. In vece da questa badia
passò al vescovato Orso, ma essendo da
poco, abdicò nel 1 i3o e fece ritorno al
suo monastero. Neil 1 3 1 il b. Albero de
Chiny, fratello del conte Ottone, poscia
consagrato nella Pasqua 1 1 36 da Papa
Innocenzo il. Rimosse nella chiesa sub-
urbana di s. Paolo i benedettini , e vi
introdusse i premoslratensi,fra'quali ca-
nonici regolari entrò nel 11 56, rinun-
ziando il vescovato , ed ivi santamen-
te morì nel 11 58. Celebrando per la
sua anima la messa s. Bernardo, in vece
della colletta de' defunti , disse 0 cauto
VER aS5
quella de' ss. Confessori. Nel 11 56 Al-
berto de Marcy primicerio della catte-
drale, impetrò e ottenne diploma dall'im-
peratore Federico I, di conferma della
contea di Verdun in signoria de'suoi ve-
scovi. Abdicata la dignità, si fece monaco
di s. Vannes,ed ivi nel n 62 morì e fu
deposto innanzi l'altare di s. Lorenzo.
Riccardo III de Crissa arcidiacono di Laon
nobilissimo, morto nella crociata di Ge-
rusalemme nel 1171. In esso Arnolfo de
Chiny tesoriere della cattedrale, lodato
pastore, fu pianto perchè ucciso a' 1 4 ago-
sto 1 181 presso s.Manechilde nell'espu-
gnazione del castello, combattendo con-
tro Alberto Pichot: con onorifico epitaf-
fio fu deposto in mezzo al coro di s. Ma-
ria. Nel 1 181 Enrico II de Caslro arci-
diacono di Liegi e consigliere di Fede-
rico I, morto iu quella citlà nel 1 1 87 ,
dopo essersi ritirato dalla diguilà,efu tu-
mulato in s. Lamberto. Alberto li dellir-
gis, nipote dell'infelice Arnolfo, anch'egli
tesoriere della cattedrale , postulato da
parte del capitolo per la sua probità, al-
tri però eleggendo Roberto dinasta de
Grandiprato, perciò parente di Riccardo
III, per cui grave contrasto si fece dinan-
zi le curie imperiale e pontifìcia; ma poi
per deplorabili e scandalose discordie in-
sorte tra' chierici e i laici, il vescovo fu
trucidato nel 1208, e sepolto nell'antico
coro della basilica, con epitaffio encomia-
stico ornato di musaici. Gli fu surrogato
il primicerio della cattedrale Roberto I
de Grandpré", già educato nella corte di
Ottone IV, dopo lunga e grave altera-
zione col pretendente Alberico toparca di
Grandiprato, morto nel 1 2 1 7 reduce da
Roma. Giovanni I de' baroni d' Aspre-
mont di Lorena, canonico di Verdun e
di Metz, virtuoso e perciò da Onorio HI
dispensato dall'età; nel 1224 traslato a
Metz. Gli successe il cugino Rodolfo de
Torote precentore di Laon, unì al capi-
tolo l'uiììzio della tesoreria di Verdun, e
morì nel 1245; nel funerale in s. Maria,
il fratello Roberto vescovo di Liegi istituì
a86 VER
uno cappellata in di lui suffragio. Gui-
do 1 de Trainel de' nobili de Triangulo
in Campanìay dicin clausit poslretimni
apud fior tali ti um Hathonis castrisanno
1 245 cum ingrossimi pararci in cathe-
tirali, ubicarnis sarcinam deposuit.Giù-
do 11 de Mello deìoparchi di Melloto in
Borgogna, decano d'Auxerre, nominato
in detto anno da Innocenzo IV: ebbe gra-
ve contestazione co* cittadini di Verdun
per la sua giurisdizione vescovile, e venne
trasferito ad Auxerre. Nel 1 247 Giovanni
li d'Aix di Aquisgrana, canonico e pri-
micerio di Verdun, eletto da' suffragi del
capitolo: si pacificò co'cittadini con pub-
blico istrumeuto , e nel 1248 ordinò la
fondazione obituarium smini in cathe-
drali, ove fu deposto nel 1 252. In questo
Jacopo I Pantaleoue da Troyes dottore
nel jus canonico, teologo di Parigi, lega-
to apostolico d'Innocenzo IV e da lui e-
levato a questa sede, da dove Alessandro
IV nel declinar del 1 254 lo promosse al
patriarcato di Gerusalemme, o nel 1 255».
Benché non insignito della dignità car-
dinalizia, col nome d' Urbano fF(F.) ,
fu crealo Papa in Viterbo a' 29 agosto
1261, da dove a' 24 settembre scrisse a
Verdun la lettera che principia colle pa-
role : Episcopo et dilectisjiliis de Capi-
tulo Firduncnsi salutoni. Pro gratta di-
lectionis et graliae veslram prosegui de-
lectamur Ecclesiam, quia et ipsa in ho-
norem gloriosae Mariac Firginis con-
s trucia esse dinoscilur. Et nost qui olim
pastorali officio fungebamur ibidem de
ipsa pi imo ad palriarchalus Jerosoly-
mitanicuraniy etsubsequenter licei ini-
meriti, ad Aposlolicae dignitatis fasti-
gium, proni pielali divinae placidi, fui-
mus. Alessandro IV nel vescovato di Ver-
dun nel i25yaveagli dato a successore
Roberto 11 da Milano, perciò lombardo,
morto in Pioma nel 1271 e deposto in
s. Martino con iscrizione. Ulrico de Sai-
nay canonico della cattedrale e preposto
di s. Maria Maddalena di Verdun, nello
stesso anno. Egregio e benemerito pa-
V E R
store, fece utili decreti pel clero, finì sua
vita nel 127 3, istituì un anniversario per
l'anima sua, e fu sepolto ì a s. Martino, con
i splendi da epigrafe in versi celebrante le
sue virtuose doti. Nel 1277 Gerardo de
Grandson dinasta diGrandisono, preposto
della maggiore chiesa di Verdun; gli suc-
cesse il fratello Eurico III nel 1278, mor-
to nell'abbazia cisterciense di Chastillou
nella diocesi, sepolto presso il fratello coti
epitaffio in versi. Nel 1292 Jacopo II de
Revigny del ducato di Bar, dopo 4 anni
di sede vacante, già uditore della roma-
na Piota, e peritissimo nel jus civile e ca-
nonico, i cui scritti lodò il celebre giure-
consulto Bartolo: morì in Firenze nel
recarsi a Pioma nel 1296, per le grandi
controversie che avea co' verdunesi. In
tale anno occupò la sede Giovanni III de
Richericourt d'Aspromonte, già canonico
di Verdun, legò alcuni beni alla chiesa
maggiore per un anniversario, e nel 1 3o2
fu sepolto nella cappella di s.Pietro con
epitaffio in versi. Tommaso de' conti di
Blamont lorenese, primicerio di Verdun,
personaggio di grande autorità, nel 1 3o [
fu tumulato in s. Martino. Nello stesso
Nicolò de Nenfville, toparca di Villano-
va, eresse il convento degli agostiniani
in Verdun, ma per le liti co' verdu-
nesi , rinunziò nel i3i2 al seguente
col consenso del clero. Enrico IV de'to-
paKilii d'Asprcmont, confestim cives in-
terpellat prò restituendo Ficecoinila-
lu} quem in gravameli Ecclesiae deli-
nebant, quod postea complures rixas
excitavit, tandem ad concordiam dis-
se nsio revocatiti", elegit Philippum Fa-
lesinili successoresque reges Erancia e
in prolectores ac dofensores Ecclesiae ,
ac civilatis Firdunensis,publico instru-
mento regìi carlophilacii Parisiensis.
Morì nel i349 e *u tumulto ne^a caP*
pella de' ss. Apostoli della cattedrale.
Il capitolo postulò per successore En-
rico de Germiny nobile lorenese e arci-
diacono di Verdun, ma il Papa lo riget-
tò. In sua vece lo fu Ottone di Poilieis
V E R
deVonti di Valentinois, di' loparchi di
Monlèsmeyrani , obliate di s. Pietro di
Clinlons e uditore di Rota ; ma nel se-
guente i35o si dimise e quindi gli fu
sostituito Ugo III di Bar de%ignori di
Pietrami te, che ottenne dall' imperatore
Carlo IV nel i 35»7, diploma conferma-
tivo di quello di Federico I. Chiaro per
le doti dell'animo, morì nel pellegrinag-
gio di Gerusalemme al monte Sinai. Nel
i362 il capitolo elesse Giovanni IV de
Bourbon decano Eduense, per favore di
Beatrice de Bourbon regina di Boemia;
propter inopi am sui Episcopatus quae-
clatn dominia divendil: morì nel i 37 1 -
In questo Giovanni Vde Dampierre dei
signori di s. Desiderio nella diocesi di
Chalons, parente dell'antecessore Euri-
co IV. Morto nel 1 37 5, nel seguente
Gregorio XI nominò Guido li de Roye
canonico di Noyou , consagrato nella
cappella del cardinal di Ginevra poi Cle-
mente VII antipapa, Iraslalo a Reims.
Neil 878 Leobaldo de Cusan nobile bor-
gognone eletto da' canonici, ed ebbe a
competitore Roliuo de Rodernachi con-
sanguineo di Venceslao re de' romani :
seguì lo scismadel pseudoClemenle VII,
redense diverse terre di sua chiesa , e
morì nel i4o3. In esso Giovanni VI de
Sa re uriche, poi di Chalons. Nel 1 4 ' 9 o
1420 il cardinal Lodovico I de Barry
(/.) o Bar francese, già anticardinale
dell' antipapa Benedetto XIII, e perciò
ne riportai nel voi. Ili, p. 225; fondò un
convento di francescani, e spese grandi
somme per la riedificazione e ornamen-
to della calledrale,ove giacque ueh43o.
In esso Lodovico II de Ilaraucour cava-
liere lorenese, canonico ecantore di Ver-
dun: Renato d'Angiò duca di Lorena e
pretendente al regno delle due Sicilie ,
Io dichiarò viceré di Lorena , trasferito
a Tcul nel 1 437. Gli sucesse Guglielmo l
Fillatre abbate di s. Teodorico di Reims,
poi vescovo di Toul e di Tournay. Nel
j 445 ° nel 1 449 c'a Toul vi ritoi nò Lo-
dovico li, morto nel i456 e sepolto nel
VER 287
mezzo della nave di sua cattedrale. Gli
fu sostituito il nipote Guglielmo II de
Haraucour, de'toparchi d' Haraucuria ,
canonico e pi eposto Monti sfalcoiàs in
Eeclesiae Firdunensis , eletto in con-
correnza del canonico della stessa basili-
ca Olrico de Blammont, sostenuto da
parte del capitolo e poi vescovo di Toul:
fu primario ministro di Giovanni II d'An-
giò duca di Lorena e di Calabria. Ven-
ne imprigionalo col famoso cardinal
Balve, d'ordine di Luigi XI, e morì vec-
chissimo nel i5oo, lilimatur in tempio
d. Mauri Hathonis castri, cujus loci
canonicatus auxcral. Probabilmente nel
tempodelsuo infortunio fu fatto ammi-
nistratore del vescovato il cardinal Giu-
lio della Rovere, poi Papa Giulio II, im-
perocché Ciacconio , Vilat Rom. Pont,
et Cardinali um\l. 3, p. 46; il Cardella,
Memorie storiche de' Cardinali, t. 3,
p. 18 1 ; ed il Novaes, Storia de' Ponte-
liei, in quella di Giulio li, lo dicono ve-
scovo di Verdun, e pare fatto dallo zio
Sisto IV prima del 1476. Varino de
Dompmartin nubile lorenese e di Bar,
già monaco ed abbate di Gorze, nello stes-
so i5oo fu nominato per favore di Re-
nato Il duca ili Lorena e di Bar , num-
quani consecratus s morto nel i5o8 e
tumulato in detta badia. Gli successe Lo-
dovico III di Lorena figlio del duca Re-
nato II, designato dal capitolo anche ve-
scovo di Metz, vescovati che rassegnò al
fratello che segue; fatto conte di Vaude-
mont, morì neh 528 nella spedizione di
Napoli, e fu sepolto in s. Chiara. Nel 1 523
il vescovo di Toul cardinal Giovanni VII
di Lorena (Z7.), poi arcivescovo di Nar-
bona, R.eims e Lione. Per di lui abdica-
zione con regresso nel 1 544 Nicola II di
Lorena figlio del duca Antonio e di Pie-
naia Bourbon, abbate di Gorze e di s.
Vitone; non si ordinò, e rinunziò per la
contea di Vaudemont. Nel 1 548 Nicola
111 Psaulme abbate pi emostiatense di s.
Paolo diVerdun dottissimo,perrassegna-
zione del cardinal di Lorena: zelantissi-
288 VER
mo pastore intervenne al concilio genera-
le di Trento, ed a quello provinciale di
Treveri. Nel i 565 fabbricò il collegio a'
gesuiti. Eodem sedcntcm tnonaslcriuni
s.Pauli suburbanumintra moenia tran-
sferlur, Carolo Lotharingo abbate.Scri-
psit Gallìce vcrani imagineni Ecclesiaey
morì nel i5y5 e fu sepolto nella tomba
da lui fabbricata nella cappella del ss. Sa-
gramento nella maggior basilica , dove
il dolente clero pose onorevole epitallìo;
lasciando il suo cuore a quella de'gesui-
ti, per l'affetto che avea per le loro virtù.
Nicolò IV Bousmard canonico ed arci-
diacono Argonae in Ecclesiale f'irdi-
ìiunensì, praeposìlo Mori ti sfa leoni? ac
decano collegialae s. Magdalenae. Mori
nel 1 584 e venne deposto nella chiesa dei
minimi che lasciò erede, con epitallìo
splendido riferito dal padre Lanovio nel
suo Chronico genera UOrdinis Minorimi ,
oltre iSammartani, i quali riportano pu-
re que'che sono andato accennando. Gli
successe il cardinal Carlo I di Guisa Lo-
rena (/'.) conte di Vaudemont , morto
nel 1587. Non si deve confondere col
cardinal Carlo di Guisa Lorena (/^.) il
giuniore, da Clemente Vili dichiaralo
legato a lalere de' vescovati di Verdun,
di Toul e di Metz, e de'ducali di Lorena
e di Bar. Indi Nicola V Boucher canonico
di Beimsjche finì i suoi giorni neli593.
Enrico di Lorena de'conli diVaudemout
ne fu successore, indi cede il vescovato al
seguente nipote nel 16 io. Carlo di Lo-
rena, figlio di Enrico conte diChaligny,
il cui ingresso a Verdun seguì nel 161 3,
e la consagrazione nel 1617 in s. Giorgio
di Nancy, falla dallo zio antecessore, al-
lora vescovo di Tripoli e suffraganeo di
Strasburgo. Lodato per pietà, somma no-
biltà d' animo, predicatore della parola
di Dio, e altre egregie qualità, per mena-
re vita tranquilla e tutto dedicarsi a Dio,
col consenso di Gregorio XV rinunziò il
vescovato nel 1623, ed entrato nella com-
pagnia diGesù ne professò la regola, mor-
to in Tolosa nel i63 1 . Divenne vescovo
VER
e conle di Verdun il (rateilo Francesco
di Lorena, preposto maggiore e decano
diColonia e Strasburgo, abbate commen-
datario di Belliloco e di Argona. In con-
seguenza del trattato di l\l mister e della
pace di Westf.dia del 1 G 48, rese omag-
gio a Luigi XIV re di Francia , per la
sovranità temporale di Verdun e sua con-
tea. Per la continuazione della serie dei
vescovi e conti di Verdun, si può vedere
la nuova edizione della Gallia Christia-
na. Clemente IX Papa nel i668conees-
se al detto re la facoltà di nominare le
chiese, monasteri e altri benefizi eccle-
siastici della Lorena riunita alla Francia,
ine! usi vomente a Verdun ed agli al-
tri vescovati, questo allora possedendo
60,000 lire di annua rendita. E Papa A-
lessandro Vili al medesimo Luigi XIV,
concesse l'indulto di nominare 5 vesco-
vati non compresi nel concordato di Leo-
ne X e Francesco I, unitamente a Ver-
dun.L'annuali Notizie di Roma registra-
no i seguenti vescovi e conti di Verdun»
Nel 1754 Aimando Cristiano France-
sco Michele de Nicolay di Parigi. Nel
1770 Lodovico Enrico Renato DesNos
della diocesi di Le Mans, traslato da Ben-
nes, e fu l'ultimo conte di Verdun. Re-
stata vacante nel 1794» ?{ì soppressa la
sede pel concordato del 1801 da Pio VII.
Questo Papa in conseguenza del concor-
dalo del 1817 con Luigi X Vili re di
Francia, e della bolla Commissa divini-
tust de' 27 luglio per la nuova circoscri-
zione delle diocesi di Francia, ripristinò
il vescovato di Verdun. Quindi il Papa
nel concistoro del 1 .° ottobre 1817 ne
preconizzò vescovo Guglielmo Albino de
Villele dell'arcidiocesi di Tolosa. A' 16
maggio 1823 gli die' per successore Ste-
fano Maria Bruitone d' Arbou , di Gi-
inont arcidiocesi di Tolosa. Nel 1827 ri-
nunziò il vescovato a Leone XII, poscia
nel i83o Pio Vili lo dichiarò vescovo
di Bajona, dalla quale si dimise neh 836,
ritirandosi nella casa di Carità della par-
rocchia di s. Nicola diTolosa, ove dopo
V E R
lunga e penosa malattia morì ne* primi
di settembre i 8 58, dopo aver beneficato
vui istituii religiosi e caritatevoli di
quella ci Ita. Leone XII nel concistoro
tte'"9 aprile 1827 preconizzò successore
delI'Arbou nella sede di Verdun Fran-
cesco Giuseppe di Villeneuve d'Esclapon
di Grasse, canonico teologo e vicario ge-
nerale della sua diocesi diFrejus, lodan-
dolo per dottrina, prudenza ed esperien-
za. Per sua morte, Gregorio XVI a' 17
dicembre 1832 dichiarò successore Pla-
cido Brunone Valayer, di Grillon arci-
diocesi d'Avignone, parroco e vicario ge-
nerale di Parigi, canonico di quella me-
tropolitana, encomiandolo per gravità ,
piena cognizione degli affari ecclesiasti-
ci, ed integrità di costumi. Per di lui ri-
nunzia fatta nel 1 837, il medesimo Papa
nel concistoro de' 19 maggio gli sostituì
Agostino Giovanni Le Tourneur di Pa-
rigi, benemerito vicariogeuerale e parro-
co di s. Tommaso d'Aquino di quella me-
tropoli, indi vicario generale di Soissons,
rilevandone la dottrina, la perizia, l'in-
nocenza de'eostuon, non disgiunta da e-
sperienza. Conosco di lui due opere: Le
ì/ois de la s. Enfance , Paris et Lyon
i83o: Le Mois de Marie , Paris et
Lyon 1 83 1 . Pel suo decesso, Gregorio
XVI nel concistoro de'17 giugno 1 844
preconizzò l'attuale vescovo mg. Lodo-
vico ftossat di Lione, trasferendolo da
Gap,alla qual diocesi l'avea preposto a'
i4 dicembre «84o,dopo essere stato vi-
cario in due parrocchie di sua arcidio-
cesi, canonico penitenziere della metro-
politana e della medesima per 12 anni
parroco, lodandolo ottimo per dottrina,
prudenza, carità, pietà e zelo, colle quali
doti egregiamente avea governato il ve-
scovato di Gap. Ogni nuovo vescovo è
tassato ne' libri della camera apostolica
in fiorini 370. La diocesi comprende tut-
to il dipartimento o provincia della Mosa,
e si estende per 3o leghe in lunghezza e
20 in larghezza, conlenendo più luoghi,
con 28 parrocchie, 3g2 sussidiarie e 35
vol. xeni.
VER 289
decanati. Dividevasi prima in 35o par-
rocchie e chiese sussidiarie, divise in 9
decanati.
VERGA, Virga. Bacchetta, baston-
cello sottile. Nella s. Scrittura questa pa-
rola ha diversi significati. Un ramo di al-
bero; Giacobbe mette le verghe ne'canali
delle acque; il bastone del viaggiatore e
del pastore; gl'istromenti di cui si serve
Dio per castigare gli uomini; lo scettro,
che è simbolo di autorità; l'ultimo ram-
pollo d'una famiglia; gli avanzi o gli ul-
timi discendenti d'una nazione. Le cir-
costanze nella quale viene usato questo
vocabolo, ne spiegano facilmente il vero
significato. La verga di Mose (/"'.), è il
bastone che Dio ordinò a Mosè di pren-
dere seco lui per operare i miracoli che
dovea fare davanti il Faraone e davanti
al popolo. La s. Scrittura non fa più men-
zione di questa verga, talché ignorasi che
ne sia avvenuto di essa dopo la morte del
legislatore d'Israele. I rabbini la fanno
venire per successione óa Adamo fino a
Giuseppe patriarca. Dicono poi che fu ru-
bata al re d'Egitto, al quale Giuseppe
l'avea lasciata come pegno della sua ri-
conoscenza; aggiungono che tal furto ven-
ne fatto da JetrOjChe la piantò in un
giardino, dove gettò radice così profonde
che il solo Mosè suo genero per una spe-
cie eli miracolo potè svellere dal terreno;
finalmente dicono, che il nome di Dio era
scritto sulla verga, come riporta il p. Cai-
met. Il Baldeschi e il Crescimbeni, Stai-
ti) della s. Cìiiesa papale Lateranense
/?d/i723jriferisconoa p. 1 23, che nel San-
tuario del portico Leoniano della mede-
sima, dalla parte dell'altare del ss. Sa-
gramelo, sono riposte alcune venerabili
reliquie » cioè 1' Arca del vecchio Testa-
mento, il Pastorale d'Aronne, la Verga
di Mosè, e la Tavola in cui Cristo S. N.
nell'ultima cena co'discepoli istituì la s«.
Eucaristia; e queste si mostrano il giove-
dì santo e il dì festivo di s. Tommaso a-
postolo; e innanzi ad esse ardono conti*
imamente 3 Iampadedotale dal cardinal
'9
ago VER
Cesare Raspolli". Rammento, che l'Arca
del vecchio Testamento venne occulta-
ta dopo che i babilonesi abbatterono il
Tempio (/\), nò più si seppe ove fu tra-
sferita. Questa è la comune opinione.
Scrissero sulla verga di Mosè: J.G. Bittel-
mayer, De Bacillo A/oy.«s,Vitlembergae
1675. J. H. Willemer,Dr 'Bacillo May-
siiì Vittembergaei68o. J. Gaillard, De
J'ìrga HJoysis, Lugd. Bat. 1687. Questa
verga fu espressa ne'monumenti per Sim
bolo (/'.) cristiano. La verga d'Aronne,
si chiama il bastone di cui servivasi or-
dinariamente il Sommo Sacerdote (V.)
degli ebrei. Iddio, nella congiura di Co-
re, Dalan ed Abiron, ordinò a Mosè di
farsi dare da ciascuna delle XII Tribù
( f.) d'Israele una verga e di aggiunger-
vi quella d'Aronne, e di riporle nel Ta-
bernacolo (^.). Nel dì seguente Dio fe-
ce conoscere la sua volontà di conferma-
re il Sacerdozio ad Aronne e alla sua po-
sterità, col far trovare che la verga d' A-
ronneera fiorita, e gittati i bottoni n'era-
no usciti i (lori ed aperte le foglie si forma-
vano le mandorle; e ciò senza diesi potes-
se dire che fossero state cambiate le ver-
ghe, su ciascuna delle quali era scritto il
nome della tribù che l'avea presentata.
Sembra, secondo s. Paolo, ueWEpist. a-
gli ebrei, che la verga d'Aronne sia sla-
ta posta uell'Arca dell'Alleanza. Ma seb-
bene non vi sia alcun inconveniente nel
supporre un tal fallo , pure è cerio che
Dio ordinò, nel libro de' Numeri , sem-
plicemente che fosse posta nel Taberna-
colo delTestimonio, leggendosi invece nel
libro 3 de'/ìc, che nell'Arca dell'Allean-
za non eranvi che le Tavole della Legge,
e che in seguilo siavi slata riposta anche
la verga d'Aronne. Così il p. Calmel. Si
raccontano poi molle storie sulla verga
di s. Giuseppe (/ .), sposo dell'immaco-
lata Maria sempre Vergine, le quali sen-
za dubbio hanno dato occasione a'pitto-
li e altri artisti di rappresentare quel s.
patriarca e padre putativo di Gesù Cri-
sto, con un bastone fiorito nell'estremi-
VER
tà in mano; le sorbenti però dalle quali
sono ricavate siffatte storie non avendo
alcuna autorità nella Chiesa , vanno ri-
gettate come avvertì s. Girolamo e ripe-
tei nella citata biografìa. Però non tac-
qui il riferito da altri, che de'pretenden-
ti alla mano della ss. Vergine fiorì sol-
tanto la verga di s. Giuseppe, segnale di
virginità. Tale credenza seguì il celebre
Pietro Perugino nel dipingere un quadro
(le cui somiglianze trovatisi in quello del-
la Podestà delle chiavi data da Cristo a s.
Pietro, dal medesimo eseguito a fresco
nella Cappella Sistina del Vaticano) e-
sprimente lo Sposalizio della B. l'ergi-
ne 31aria(r.)ì descritto dal eh. prof. An-
tonio Mezzanotte, Della vita, e delle ope-
re di Pietro Ganniteci da Castello del-
la Pieve cognominato il Perugino, p. 66,
involato nel 1797 e trasportato in Fran-
cia, ed ora dicesi essere in Nimes ovvero
in Grenoble. Nel dipinto » è notabile la
figura di un giovine che preso da un sen-
timento di sdegno, moderalo però e di-
gnitoso , spezza sulla coscia la sua ver-
ga non fiorita al pari di quella del fortu-
nato Giuseppe, con movenza naturalis-
sima: un altro indietro altra ne rompe
premendola con un ginocchio, e volgen-
dosi al suo vicino mostra di lagnarsi se-
co lui del caso avvenuto. Di questo qua-
dro, nel i5o4 fece Raffaello da Urbino
suo discepolo piena imitazione nel suo
dello stesso sagro tema, ed è lo Sposali-
zio lavorato da lui già adulto nell' arte
per la chiesa di s. Francesco in Città di
Castello (vengo assicurato che poi fu tra-
sportato nella pinacoteca di Milano) ".
Quest'ultimo nel 1 83 1 magistralmente
incise in Roma il eh. Pietro Folo, ed ora
è nella calcografìa camerale. Nel Sacer-
dozio (F.) degli idolatri, massime etru-
schi e romani, si comprendevano tra'mi-
nislri i collegi degli auguri e degli aru-
spici, che usavano una specie di bastone
augurale curvo, o verga, detto lituus, che
portavano nella mano destra. Romolo do-
po la fondazione di Roma formò il cor-
VER
pò armato di 12 littori, i quali portava-
no sempre dinanzi a Ini fasci di verghe
o bacchette legate insieme, con in mezzo
la scure, per fare eseguire le leggi da lui
tutte, e per battere o uccidere chi vole-
va il re. Benché ne parlai in più luoghi,
ne dirò altre parole. Ad eseguire gli or-
dini de'primari magistrati della repub-
blica romana, erano preceduti da'littori,
in maggiore o minor numero secondo il
grado, onde far che il popolo desse luo-
go, servendosi dell'invito: Si vobis vide-
tur, discedite Quiritcs. Vegliavano per-
chè fosse loro fatto il dovuto onore; e
battevano , o decapitavano i rei che e-
rano stali condannati da'magistrati, co-
mandali colla formola: Lictor,addevir-
ga reo, et in enni lege agc. Dicevansi Li-
ctores a ligando , perchè legavano le ma-
ni ed i piedi a'delinquenti prima di giu-
stiziarli, ovvero a ferendis fascibus vir-
gannii ligatis, pe'fasci di verghe legate
insieme che portavano. Pare che usasse-
ro la verga anche i censori di Roma, poi-
ché Quintiliano nel lib. i,cap. 5, discor-
re della Virga Censoria. Grande era la
loro dignità, e quanto all'onore mag-
giore de'consoli, poiché tranne i littori,
erano loro comuni gli ornamenti e le di-
stinzioni. Qualificò Cicerone la censura:
Magìstrapudoris et modestia. Principa -
le loro uffizio era la stima delle facoltà
de cittadini, e il giudizio de'loro costumi;
gli uni e gli altri punivano anche colle
verghe» I romani adoperarono le verghe
nel battere i liberi, ed i Flagelli [V.) nel
flagellare gli Schiavi (F). I ministri del-
la giustizia de'romani, o littori, nell'an-
dare alla casa d'alcuno, percuotevano le
porte con una verga. I riscuotilori de'
tributi, nominali benéficiarii dall'andare
esenti da'pesi della plebe, facendo Pulii-
ciò di littori, percuotevano le porte con
una verga, chiamala pedibulum, da pe-
do bastone de'paslori. I Podestà ( F.) per
insegna d'autorilà aveano l'uso della bac-
chetta, Firga, e lo apprendo anche da'
documenti pubblicati du'mai diesi Vin-
VER 291
cenzo Benigni Ghislieri e fr. Alessandro
Ghislieri ball gerosolimitano, nell'opu-
scolo, Dono di nozze, Narni 1 85g. Da es-
si si ricava, che quando messere Piersi-
mone Ysiliero o Ghislieri di Jesi , nel
1492 pigliò la bacchetta qual podestà di
Firenze, e quando nel i4<)3 la restituì,
pronunziò due analoghe orazioni, che si
riportano. Questi documenti furono trat-
ti dal domestico archivio. Il Sarnelli nel-
le Lettere eccl., t. 9, lett. 9, della Mazza
d'argento, riporta quantodi analogo dis-
si in tale articolo. Parlando io dell'ori-
gine dello Scettro (F.)} bacchetta o ver-
ga reale, seguo d'autorità e di dominio,
dichiarai come si formò e poi come si ri-
dusse, e da chi fu usato. Che la Ferula
{F.), sinonimo di verga, fu detta scettro
pontificio; ed il Pastorale (V.) o Baco-
Io (F.)} fu chiamato verga e scettro de'
vescovi. In greco si disse Narthex la fe-
rula o scettro, pel descritto nell'articolo
in discorso. Sotto la i.' dinastia de* re di
Francia, lo scettro o bastone reale era una
verga d'oro alta quanto la persona, e nel
l'estremità ricurva come il pastorale. Col
ministero d'una verga gl'incantatori e i
maghi esercita vano la Magia (F.),\\ Ma-
lefìcio (F.) o Sortilegio; così la Strega
(F.) o pitonessa con incantesimi e Divi-
nazioni (V.)y invocava l'opera e l'aiu-
to del Demonio (V.), il quale però non
può far nulla senza la permissione del-
l'onnipotente Dio; e, lo dichiarai ezian-
dio tenendo proposito della Superstizio*
ne (F.J} nel combatterla e riprovarla. Gli
uni e le altre tuttociò eseguivano colla
Bacchetta Divinatoria (V.), e ne ripar-
lai nel voi. LXX, p. 193. Verga magica
dicesi quella verga con cui si fanno i cer-
chi o circoli per le magiche operazioni.
Con superstizione si trae dal nocciolo, e
con sacrileghe preci si rende tale. Il me-
todo della divinazione si dice anco rabdo-
manzìa; è assai antico, e ne'tempi mo-
derni fu eseguito con bacchette, mazze o
bastoncelli , e poi quel nome s' applicò
all'arte vana di cercar acque, miniere e
a9a V E 11
tesori sol lena nei con bocchetta divinato»
ria. Quel vocabolo deriva dal greco che
significa Racchetta, e da altro che sì^ni-
ika Predizione o Divinazione. Ciò fu in
uso presso gli ebrei e altri antichi popo-
li, ma si praticò in diverse maniere, con
un cumulo di superstizioni : arte vana,
ch'ebbe piti o meno sempre deplorabili
fautori, pure dotti; impostura però che
fu ripetutamente smascherata, ha Ferit-
iti è insegna d'autorità e giurisdizione,
ed è tuttora usata in alcune sagre fun-
zioni dal Priore (V.) escardinali diaco-
ni. Venne ancora detta Bastone , bac-
chetta e baculetto. L'usarono il priore ba-
silicario di s. Lorenzo ad Sane la Sancto-
rum, ora santuario della Scala Santa
(/%), nelle funzioni che facevansi auche
nel Triclinio (F.). Fu altresì la Ferula
propria del Primicerio (F.) della scuola
de'cantori pontificii, e di altri primiceri
o capi di diversi ordini o dignitari, come
nella chiesa di Milanoov'era distintivo de'
i oo decumani, de'quali riparlai nel voi.
LXXII,p.3oo ed aVERCELLi,appe!lati per-
ciò cento verghe. Dice il Magri nella Noti-
zia de' vocaboli ecclesiastici, verbo Tir-
garius, the con tal nome chiama vasi il
Cantore della chiesa, perchè portava in
mano una verga ; onde vicino alla basilica
Vaticana era una chiesa intitolata s. Ma-
riae Firgariorum^eWa quales.Gregorio
Jajvea istituito un collegio o Scuola di can-
tori, denominata Scuola Virgariorum.
Essi a veano cura d'apparecchiare il Letto
(T-'.Jsopra del qualedovea riposare il Papa
quando camminava processionalmente,
prima di pararsi per celebrar la messa in
quella chiesa ove terminava la processio-
ne, sia per festa, sia per Stazione sagra.
iNe derivò l'attuale Camera de' paramen-
ti (F.). Anticamente la Ferula apostoli-
ca si usava da'PapijZ/z signum regiminis
(della Sovranità temporale ), et corre-
ctionis, allorché dopo l'elezione si pone-
vano a sedere nelle Sedie (F.) Latera-
nensi prendendo possesso del Patriarchio
(t .) e della prole-basilica di Laterano,
V Eli
Qual simbolo poi d'illimitata autorità u-
la tono ed usuilo l'astata Croce Pontifi-
cia (/ .), e ne riparlai nel voi. LXXIII,
p. 373, mentre nel voi. LXXX,p. 2 t 5,
tornai a impugnare e confutare il capric-
cio degli artisti nel rappresentare i l'api
tenendo la Croce doppia greca con due o
tre traverse o sbarre. I Papi non usaro-
no il batolo, perchè è seguo di limitata
giurisdizione, e perchè pu testa tem a so-
lo De.o recipiat. Colla verga o Ferula i
sovrani e signori laici dierono V investitu-
re Ecclesiastiche (F.) di vescovati e ab-
bazie , e ciò talvolta praticarono pure i
P
ipi.
Feci distinzione tra esse e la Ri
galia, in quest'articolo, eziandio per la
Rendita ecclesiastica (F*), La verga pe-
nitenziale venne usata per V Assoluzione
( F.) delle Censure oPcne canonicltef I7,),
per la dovula Penitenza [V.). Se ne con-
serva la memoria nella bacchetta usata
da' Penitenzieri (F.), oltre il detto nel
voi. LI1, p. 61, nelle patriarcali di Ro-
ma e in quelle insigni chiese cui fu con-
cesso per privilegio, però con l'eccezio-
ne notata nel voi. Lll, p. 71. Della bac-
chetta o verga o ferula penitenziale, tor-
nai a parlarne nel voi. LX1I , p. 120,
e altrove, rimarcando che Giulio II nel-
l'assolvei e i veneziani L\a\VInterdello[F.)
e dalla Scomunica (F.J, non volle usa-
re le consuete verghe. \\ Penitenziere mag-
giore (F.) adopera la bacchetta peniten-
ziale dorata. L'uso delle verghe adope-
rate co'delinquenti da'giudici ecclesiasti-
ci è anlichissioìo: il Baronio ne parla ne-
gli Annali ecclesiastici, all'anno 5g2, 11.
28. Il Buonarroti, Osservazioni sui vasi
antichi di vetro, p. 28 e 5i, dice che gli
antichi cristiani rappresentarono in essi
il Pastor buono colla verga in mano, poi-
ché a veano i pastori in uso non solo il ba-
stone, ma anco la verga, e come nota il
JVazianzeno, si servivano di quello per
reggere, e per ridurre in istrada il greg
gè, e perciò si suol vedere colla cima ri-
torta, edicevasi/;e<ioo bastoneda pastore,
da cui derivò ne'vescovi;e altri per privi-
VER
legio,il pastorale;adoperavanopoila ver-
ga per percuotere, e soggiunge lo stesso
s. Padre, che i sagri pastori, a somiglian-
za cìolla mansuetudine ilei Pastoreevan-
gelico,si devono più del bastone pastora-
le servire, che della verga. Negli stessi mo-
numenti, continua il Buonarroti, è rap-
presentatoGesù Cristo colla verga in allo
di far miracoli. » E notabile la verga in
mano del Salvatore, segno del regno, del
sacerdozio e della dottrina del Messia;
pare però a me, vedendola in mano a Cri-
sto, qui e altrove, in occasione di far mi*
racoli, ch'ella significhi l'assoluta sua po-
destà sopra la natura concedutagli dal
Padre '". I fiorentini rappresentarono il
loro patrono s. Gio. Ballista, ne' fiorini
d'oro, tenendo nella sinistra una verga o
scettro, come riscontrasi nel Vettori, //
fiorino d'oro antico illustrato. Il Borgia,
Memorie storiche di Benevento, nel t.i,
p. 64, parla della verga colla quale fu»
rono espressi gli Angeli, e del suo signi-
ficato, come nella moneta che descrive
del principe di Benevento Sicone, nel cui
rovescio è l'effìgie dell'arcangelo s. Mi-
chele, che tiene nella destra una verga
ossia una canna, e colla sinistra una Cro-
ce, dopo avere riferito col Ciampini, Ve-
ter. Alonirn., par. 1 , cap. 1 5, quanto dice
sulle immagini del Salvatore e degli An-
geli espressi con canne in mano, riporta
lo scritto da s. Dionisio l'Areopagita, De
Codesti Ilier ardua, in Bibliotli. PP. I.
2, p. 1 87. » V ir gas Angelorum designa-
re lìegiam, et Duca lem diguilatem, re-
ctaincjuc rei um divinarum ordinatio-
nem hastas(s\ haslas vocale liceat) et se*
cures, vini dissimilia dividendi, virtu-
Uuncjue discernere va lenti um acumen, et
aclivitatcm, atque efficacia ni", 11 cordi*
nal Garampi, Illustrazione del sigillo
della Garfagnana, p. io3, tratta della
verga usata nell'investiture, che soleva-
no darsi per virgam, e impossessi in si-
gnumregiiniuis etcorrectionìs. Antichis-
simo è nella famiglia pontifìcia il colle-
gio de' Maestri Ostiari (/'.) de 1 irga
VER 293
ruhca (F.), custodi della Croce Ponti-
ficia nette funzioni papali, cosi delti, per-
chè custodivano le porte della camera de'
paramenti, e portavano una verga o ba-
stone lungo due palmi circa, coperto di
velluto rosso con ornati d'argento. In In-
ghilterra (A7.), usciere della verga ne-
ra si chiama il primario gentiluomo u-
sciere del re, eh' è detto nel libro nero
lutar Firgae nigrae et hostiariusi ed al-
trove Virgibajulus. 11 suo incarico è di
portare la verga avanti al re nella festa
di s. Giorgio a Windsor. Ha pure la cu-
stodia della casa in cui tiensi il capitolo
dell'ordine della Giarrettiera (Z7.). Du-
rante il parlamento serve alla camera de*
lord. La sua insegna è una verga nera
con un leone d'oro in cima.
VERGINE (SS.). V, Vergine.
VERGINE (SS.). Ordine equestre in
Italia. Nel 1618 i fratelli Pietro, Gio. Bat-
tista e Bernardo Petrigna, gentiluomini
di Spello nello stalo pontificio, fondaro-
no l'ordine militare della ss. Vergine. Il
Papa Paolo V ne approvò gli statuti, se-
condo i quali i cavalieri s' impegnavano
di difendere la religione cristiana, di far
la guerra a' turchi, e di travagliare per
l'esaltazione della s. Chiesa. 11 palazzo di
S.Giovanni in Laterano fu assegnato per
convento e abitazione de' cavalieri. Essi
portavano per insegna cavalleresca una
Croce di raso celeste ricamata d'argento,
colle estremità gigliate, per essere l'ordi-
ne istituito sotto P invocazione della ss.
Vergine, Giglio delle con valli, cioè para-
gonata a'gigli per la sua umiltà e cando-
re. Ciascuna estremila era adorna d'una
stella arricciata ossia circondata di rag-
gi, per significare i 4 Evangelisti: nel mez-
zo vi era un tondo che conteneva la ci-
fra M. S. unita e corona con ghirlanda
di stelle d'oro, significando la cifra San-
ta Diaria. Intorno leggevasi l'epigrafe:
In hoc sitino v'incanì. La conformità di
tutte queste cose, con ciò che dice Elia
Ashmole della Milizia Cristiana, o del-
l'ordine della Concezione della ss. Vergi-
a94 VER
ne, potrebbe far credere, ebesieno stali
confusi questi due ordini nella descrizio-
ne de'loro ornamenti. Così il Dizionario
portatile degli ordini religiosi e milita-
ri, Venezia 1790, ma non pare, come si
può vedere in quegli articoli; anzi sol-
tanto tale opera parla dell'ordine della ss.
l'ergine, almeno con questa semplice de-
nominazione; e se realmente fu istituito,
convien credere che avesse breve dura-
ta, non avendone trovato uotizia inaltre
analoghe opere.
VERGINE, Virgo. Uomo e donna,
maschio e femmina, die non si congiun-
sero carnalmente, ma più. propriamente
di femmina che non esercitò la copula.
Vergine dicesi di qualunque cosa non a-
doperata. Vergini inoltre chiamansi le
donne che non sono mai state maritate;
così pure quelle che hanno fatto voto
di verginità in un Chiostro (V.), deno-
minale sagre vergini; ovvero quelle
che vivono nelle comunità o società re-
golari di ordine religioso, e che non fan-
no i Voti (V.) di religione, fra' quali il
l.° è l'osservanza della castità ossia Ce-
libato (V.). Assolutamente Vergine, di-
cesi per eccellenza Maria Vergine (V.),
la ss. Verginemadre di Gesù Cristo, Vir-
go Deipara, sempre vergine benché ce-
lebrò lo Sposalizio (V.) con s. Giusep-
pe che parimente rimase sempre vergi-
ne. La B. Vergine Maria restò vergine a-
vanti il parto, nel parto e dopo il parto.
E' la vergine di cui disse il profeta Isaia:
» Una Vergine concepirà e partorirà un
Figliuolo, ed il nome di lui sarà detto
Emanuele". Con questa profezia Isaia
annunziò al re Achaz la nascita ei,' Ve-
nuta del Messia ( F\)t e fu com pi u ta i n Gè •
su Cristo, che riunì in se stesso le due na-
ture divina ed umana, ed in questo sen-
so è veramente Emanuel, vale a dire, Dio
con noi , così suonando quel nome tra-
dotto dall'ebraico. Nelle Litanie de San-
ti l'invochiamo: Sanata Virgo Virginum,
in cui pure lo sono: Omnes Sanctae Vir-
gines et Viduae, orate pio nobis. L'in-
VER
vochiamo ancora nelle Litanie Laun la-
ne: Sancta Virgo Virginum; Mater pu-
rissima, castissima, inviolata , interne-
rataj Virgo prudenlissima, veneranda,
praedicanda, polensìtclcmens, fidelis;
Regina Virginum, Regina si ne labe, o-
riginali concepta. 11 p. Calogerà , Rac-
colta d* Opuscoli, t. 43, riporta del ve-
scovo s. Antipalro, Serrilo de B. Virgi-
ne, colle annotazioni del p. ab.Trombel-
li.Ils. vescovo chiama laI3. Vergine, Spo ri-
sa indespo usata j ed il p. Trombetti l'an-
nota : Indesponsala propterea dicitur,
autquia nondum nupta,sed tantum so-
lemni promissione obstrictaJosepho, au t
quia Virgo mariti nescia. Maria Vergi-
ne fu la prima che alzò lo stendardo del-
la Verginità, per quanto poi aggiungerò
col Rinaldi. Ad esempio suo si formaro-
no tante vergini, le quali si consagraro-
no e si consagrano al Signore collo Spo-
salizio spirituale, quindi è innumerabile
il coro delle ss. Vergini. Il Comune delle
ss. Vergini e non Vergini,dice il Diclich ,
nel Dizionario sacro-li torg7*co,quantun -
que serva anche per le Vergini e Marti ri ,
e per le Martiri e non Vergini, pure vi so-
no in esso molte cose proprie. E' da no-
tarsi per questo uflizio, che se sono più
ss. Vergini, oltre la orazione vi è propria
anche l'antifona in ambedue i vesperi,e
nelle laudi, cioè Prudentes Virgìrws,elc.
Nel concorso poi di due ss. Vergini, si po-
tranno dire le due orazioni: Deus, qui in-
ter caetera potentiae, ed Indulgentiain,
taciuti i l'itoli Virginis et Martyris. Ga-
vanto in Rubr. Brev. Roni., § 8, cap. 4-
La virginità delle ss. Martiri fu da Dio
protetta mirabilmente,e miracolosamen-
te coperta la nudità. Abbiamo di Paolo
Enrico Tdemanno , Disputano de jure
circa nnditatem, ubi de nuditate capi-
lis, pecloris, et pedum, Fra ncof urli et
Lipsiaei728ei753. Quantunque sia de-
bole e inferiore «Ila viritela condizione
delle donne, pure l'ellicace e meraviglio-
sa grazia di Gesù Cristo l'ha fatta trion-
fare. E perciò fors'auche più gloriose so
V ER
no comparse le loro vittorie, e più belle
e brillanti le loro corone. Poiché sopra
di esse con un sorprendente splendore lia
campeggiato V onnipotenza divina, che
secondo la giusta riflessione di s. Gio. Cri-
sostomo, vincer volle e conquidere, per
mezzo del sesso imbelle, quell' infernale
serpente, il quale per opera della \? Don-
na da lui sedotta, avea abbattuto il ses-
so più forte deli.0 Uomo. Narra s. Am-
brogio,^ Horlat.ad Firgines 83 » , che
s. Sotei e vergine e martire, nella perse-
cuzione di Diocleziano, fu condotta in-
nanzi al giudice, il quale vedendola co-
si;; ute nella Catìe, ordinò a'miuistri che le
dessero delle guanciale; e che essa a tal
comando scopri intrepidamente il volto,
fin allora tenuto coperto, per mostrare
di non temerle. Lo slesso s. Dottore nel-
YEpist. 27 ad Simpliciam, n. 34> fa il
più vittorioso confronto della meraviglio-
sa costanza delle imbelli donzelle cristia-
ne, e lo pone al di sopra di quella affet-
tata da'più celebri gentili filosofi, in fac-
cia alla morte. Similmente la loroforlez-
fa fu dimostrata assai maggiore di quel-
la de'decantali eroi degl'infedeli, eziandio
dal Crisostomo neU'IIomil. 1 8 in Episf.
ad Corinth., e da s. Agostino, I. 1, De
morib. Feci. cat1iol.t e. 22. Anche Ori-
gene stupefallo de'lrionfì riportati dalle
più tenere verginelle sul furore de'tiran-
tii, per esserne sialo fortunatissimo testi-
monio, ne fa il più splendido elogio nel-
YHom. e), n. 1: In oculis noslris saepe
v\din\u$ Mulieres et Firgines , primac
adiate aelatis, prò marlyrio tirannico ,
pcvlulissc tormenta, quìLns ad infirmi-
talem sexns nonnullae adirne vilae fra-
gili tas addehatur. E neWIIom. 4 inHie-
remia , n. 3 : Tunc enim verofideles)
quando Mar fy rum victimae ferìehan-
tur. Omnis erat multitudo lugentium,
quando calccliumeni in prima statini fi-
de proferendo mar ly rio ducebantur j
quando mulierculae, et infirmus sexus
usque ad morlem manehat intiepidite.
Quest'argomento fu trattato in una Dis-
VER 295
sertalio citata ne' Commentarli de vi-
ta, etscriptis Jo. Dom. Mansi 3 Venetiis
1622 : De Catholicorum et II aer elico-
rum Martyribus, oc Marlyrio , nella
quale, notas quibus ChrisliMartyresdi-
stinguuntur, elcganler, et nitide afferf,
et locultnler Haerelicorum , quos ipsi
jaclant, Marlyres^ cxìàsloria adducis ,
et quantum a vera Marlyrii laude ab-
sintf demonstrat. Deve poi recar la più
gran meraviglia la protezione amorosa,
colla quale il Signore si é degnato di pre-
servare le dilette sue spose da ogni ben-
ché minimo insulto, disonorante il can-
doie dell'odoroso giglio della loro santa
verginità, ad onta di qualunque reo dia-
bolico attentato de'suoi nemici. Poiché gli
Atti sinceri de' primi Martiri della Chie-
sa Cattolica raccolti dal p. Ruinart, ci
presentano i mirabili medi, co'quali Id-
dio ha fallo riuscir vani gli sforzi degli
empii, onde non fosse recata ingiuria al-
la pudicizia delle caste vergini, per aver
concorso con la sua onnipotenza a pro-
teggerle ed a preservarle, sottraendo agli
sguardi licenziosi de'carnefici e del volgo
le loro svestite membra. Una nuvola d'o-
ro tutta ricoperse la vergine s. Barbara,
tratta nuda dal suo barbaro padre al sup-
plizio. Esposta nuda la valorosa veigine
s. Agnese alla pubblica vista, in un pun-
to le crebbero i capelli, che tutta la co-
prirono. Ad altre ss. Vergini Dio fece il
miracolo di non sentire vergogna dell'i-
gnominiosa loro nudità. E chi non com-
prende,che senza comparazioue altrimen-
ti sarebbe loro doluta assai più qualun-
que menoma offesa del loro pudore e del-
ia loro verecondia , che tutti i possibili
strazii e tormenti? Di fatti nella persecu-
zione de'vandali, s. Dionisia nobilissima
matrona africana disse a'suoi persecuto-
ri, che la straziassero pure a lor talento,
ma che non ardissero di offendere la sua
pudicizia. Eranogià persuasi i tiranniche
il massimo degli spasimi delle ss. Vergi-
ni sarebbe stata la nudità delle loro per-
sone. E perciò ne' tormenti loro minac-
a96 VER
ciati, quasi sempre leggonsi emanali or-
clini così iniqui, che ciò non ostante fu
rono sempre delusi dalia special piovvi
(lenza del Signore. Poiché o per prodigio
veniva difesa la modestia delle ss. limi-
ne, oalle loro preghiere aderivano i ti-
ranni a cambiare l'iniquissima sentenza.
In Alessandria, durante la persecuzione
di Severo, il giudice Aquila, dopo aver
fatto straziare co'più crudeli tormenti in
tutto il corpo s. Potamiena, avendo ve-
duto riuscir vane le sue minacele di met-
terla in braccio a più gladiatori, per far-
la violare, comandò, che spogliata ignu-
da , fosse gittata entro una caldaia bol-
lente. Ciò inteso dalla modestissima ver-
gine, scongiurò il presidente, che non la
facesse spogliare; ma che così , com'era
vestita, fosse a poco a poco, per suo mag-
gior tormento, ivi sommersa. Alle fervo-
rose pre^ nere di Potamiena , fece Dio
cambiare al giudice l'empia sua risolu-
zione, avendo permesso che la s. Vergi-
ne' fosse con più lungo e penoso martirio
fatta calare vestila nella cocente caldaia,
in cui dopo lo spazio di 3 ore, allorché
la pece arrivò insino al collo , rendè il
suo spirito a Dio, unitamente a s. Basi-
lide, che ne difese la verginità dalla pe-
tulanza degPirnpudici. Pare certamente
che altrettanto avveuisse a s. Veneranda,
condannata due volte a subir la pena del-
la denudazione, il più terribile di tutti i
supplizi al cuore verginale d'una femmi-
na pudica. Si rammenta da Tacito nel
lib. 5, la legge de' romani (commentata
da Gip. Fid. Pfeiffero, Dissertationes de
curai7 ir ginum apudveteres, llegiomon-
Iiii5y2;eda Bartolomeo LeoneSchwen-
dendoi fiero , Dìssertatio de privilegiis
//7>g/m///iJLipsiae 1 676)^116 nessuna ver-
gine potesse essere condannata a morte;
e che perciò, se a caso per qualche delit-
to qualcuna se la fosse meritata, prima
dell'ultimo supplizio dovesse dal mani-
goldo, o da qualche infamissimo malfat-
tore, deflorarsi con lo stupro. Ma per trat-
to mirabile della Provvidenza, nou si sa
VER
die mai sia stata eseguita legge sì burba.
ra ed iniqua a danno e confusione deb
l'illibate ss. Vergini martirizzate. La co-
stanza e 1' intrepidezza di que' valorosi
campioni di ogni età 3 di ogni sesso , di
ogni condizione, i quali nel mezzo a'piìi
duri e più atroci tormenti, e in faccia al-
le morti più ignominiose e crudeli, so-
stennero coraggiosamente, e confessaro-
no col loro sangue la fede di Gesù Cri-
sto, si celebrò anche da'segueuti scritto-
ri. Gottofredo Gleitsmauno, Dissertali o
de heroica primorum Martyrum con-
stantiayi68y. Urbano Godefredo Siberi,
Dìssertatio de Martyribus Divinitàtìs
Ckrisli testi bus , Lipsiae 1714- Goltleb
Federico Gudi, Commentano de Mar-
lyrìbus Divini lalis Spiritili Saneti testi-
bus, Lipsiaei726. Gio. Gaspare Iieucli-
ni, Dìssertatio de studio Martyrum- in
Ecclesia 'primitiva ,Jenae 1 727.Gio.Giu-
seppe Paulo vich Lucidi, Sopra il modo
di risentire i tormenti , in occasione del
martirio di' 'cristiani, e della cagione
dell'insensibilità osservata ne' maggiori
supplizi de* ss. Martiri, Macarskai 793.
Diiò più sotto del grau numero di sa-
gre vergini, che popolarono tanti mona-
steri, ed in aggiunta al riferito delle ss.
Vergini e Martiri , ora col dotto Paoli,
Notizie del corpo di s. Felici a no mar-
tire, Roma «796, pel Baldassari , scri-
verò alquante parole per rischiarare la
controversia dibattuta intorno alle un-
dici mila V 'ergini , che si dicono com-
pagne e seguaci della fortunata s. Or-
sola (P .) vergine e martire, sotto i cui
auspicii si fondarono moltissimi stabili-
menti di educazione per le donzelle, col
nome di Orso li ne (f7.)- E' ben nota la
difficoltà , che sempre hanno avuta gli
scrittori in ammettere una così numero-
sa moltitudine di ss. Vergini , condotte
come seguaci d'una sola verginella, e tru-
cidate barbaramente dalla pagana cru-
deltà (degli unni e seppellite a Colonia).
11 detto numero, come esagerato e incre-
dibile, ha prodotto l'insolente disprezzo,
VER
cui quale molti poco cui unti del culto do*
vulo a Servi dì Dio (^.), o per mancan-
za di religione, o per corruttela di mas-
sima e di co-lume, hanno riguardato le
memorie antiche della Chiesa, come se
fossero un lavoro di secoli ingannati e o-
seuri. Per modificare 1' espressione del
grandissimo numero, taluno pensò savia-
mente, che la sola cattiva iutel[igenza del -
le lettere romane, apposte a' numeri e
trovate tie'codici (che se sono gemme di
erudizione manoscritta, nello stesso tem-
po e per quanto dissi parlando di uno nel
voi. XCll,p. 47 7, vanno cautamente pon-
derati colla saua critica per giudiziosa-
mente apprezzarne l'idoneità, I' autenti-
cità e il valore che propriamente gli si
debbe attribuire, per evitare la respon-
sabilità di eccezioni a cui ponno essere
segno, nel compromettere gravi e delica-
ti argomenti), abbia fatto crescere a mi-
gliaia quelle, ch'erano di quantità assai
limitata. Quindi nel veder posta la me-
moria loro nella seguente maniera: XI.
M. F. invece di leggere Undici Alar Uri
e Pergini, abbia letto e poi trascritto Un-
dici Mila Vergini. Questa spiegazione
potrà a prima vista togliere l'incredibi-
le, ma non potrà distruggere quella cer-
tezza, che del sicuro e determinato nu-
mero loro abbiamo dalla storia. I più an-
tichi Martirologi, quello di Floro, il più
ristretto di Adoue, quello di Vandelber-
lo, e del Grevenio, non riferironoil trion-
fo di queste coraggiose eroine segnando
il numero, o la qualità loro con sole let-
tere iniziali, ma ne specificarono la mol-
titudine in caratteri, e riportando di al-
cune anche i nomi , sono queste più di
undici. Non può duuquea versi ricorso al-
la cattiva intelligenza de'codici^ come da
taluno si pensò per restringere la quanti-
tà sorprendente di tante vergini unite as-
sieme; ina couverrà piuttosto spiegare il
fatto in altra maniera, e servirà a con-
fermare I' immemorabile tradizione , e
quelle prov e che la chiesa di Colonia con-
vol. xeni.
VER 297
serva per giustificare la certezza di questo
tatto. Il Paoli distingue la festa di migliaia
di ss. Vergini, dalla circostanza che (ossero
tutte sotto la direzione d'una sola. Quau-
to ali." punto, che le nominate autore-
voli prove siano innegabili, crede che la-
li compariranno allorché la continuazio-
ne dell'insigne opera del Bollando (sospe-
sa nel 1794; venne riassunta la classica
e preziosissima compilazione nel 1837,
per quanto uotai nel voi. LXI, p. 75),
arriverà a'2 1 ottobre giorno festivo di s.
Orsola. Tanto ne persuade la frase ri-
soluta e decisiva, colla quale pai landò di
questa festività si esprime il p. Sollerio,
uno degli scrittori Bollandisli, nelle no-
te ad Usuardo ad dieni 2 1 octobris, p.
6 1 5, in toni. Bolland. 7 Junii, laddove
di passaggio nomina questa santa, dopo
aver citato i suddetti Martirologi e altri.
u Convien che abbia un'ostinazione più
dura del ferro colui che a queste auto-
rità, appoggiate all'antica tradizione de'
Coloniensi , continuerà nella negativa.
Bliilia et millenas fuisse illustrissimas
Virgìneslam indulilatum putamus". Il
giudizio di questo scrittore, specialmen-
te in riguardo di questo ramo di lettera-
tura concernente la Fila de Santi (Z7.),
sarà sempre rispettabile; ma come poi
fissare, osserva il Paoli, per condotterà
di sì copioso numero di ss. Vergini una
santa, e come persuadersi che quésta gio-
vine Zitella (V.) potesse 1 adunare undi-
cimila compagne, qualunque fosse l'im-
presa che voleva tentare? Come capire,
che un numero tale di vergini intrapren-
desse un pellegrinaggio siuo a Roma, ed
incontrandosi negli unni fossero trucida-
te, come vari storici narrano , presso il
Raronio nelle note al Martyrol. Rom.
diei 1 octobris? Questa ed ogni altra nar-
rativa, delle varie che si leggono ne'loro
atti, non ponno giustificarsi dalla taccia
di favolose,o almeno esagerate. Ilp. Pao-
li porta opinione, che la festa anticamen-
te stabilita a'2 1 ottobre, avesse per og-
20
a98 V E R
«•etto la commemorazione di tutte le ss.
Vergini e Martiri, che aveano patito in
tli verse parti della cristianità, e nella suc-
cessione di più anni, poste sotto un nu-
mero ili supposizione e arbitrario cioè
undicimila , ed alle quali,venisse,e ben do-
verosamente, unita s. Orsola, come quel-
la che senza dubbio fu nel martirio suo
accompagnata da una quantità conside*
labile di vergini seguaci sue. N u Ila per
avventura potea essere più conveniente
alla pietà de'fedeli, veneratori de' Santi,
quanto una solennità destinata special-
mente per questa schiera delle ss. Vergi-
ni, che seppero intrecciare la palma a'gi-
gli, e con doppio merito presentarsi al ce-
leste sposo loro. La debolezza del sesso,
la timidità del naturale , la delicatezza
delle membra , unite quanto a' comodi
dell'educazione,quanto all'immatura età,
sempre ad una modestia e verecondia pro-
pria loro, e tutlociò posto al eoo Tronto
delle brutali scostumalezze, degli strazii,
delle carnificine, colle quali furono mal-
trattate, fu ne'tempi delle Persecuzioni
della Chiesa^ lo sarà perpetuamente, un
oggetto di meraviglia ne'fasti di nostra s.
Religione, ed un trionfo singolare della
Chiesa cattolica. A confermare l'esposta
opinione, dice il Paoli, gioveranno que*~
monumenti stessi, che ci assicurano d'u-
na festività così celebre come- quella eli
s. Orsola, e di altre undicimila vergini.
Tardi ne'Mai litologi si fa memoria del-
la santa , che per essere slata martiriz-
zata nel secolo IV, o come altri vogliono
nel V, non fu per avventura registrata
nella collezione de'santi se non dopo qual-
che tempo. Assicura il p. Sollerio di non
averne trovata memoria in tanti antichi
monumenti da lui consultati. Ma non co-
sì della festa di molte ss. Vergini, delle
quali, senza nominar s. Orsola, se ne ve-
de cominciata nella Chiesa la solennità
e specialmente in Colonia. Floro nel se-
colo ÌX riporta questa festa colle parole:
InColonia la passione di undicimila J'cr-
VER
gini. Nelle quali non è nominata «. Orso-
la, ne le altre. In termini più generali si
espresse il contemporaneo Vandelberto,
senza determinare il numero, contentan-
dosi dell'espressione generica di piti mi-
gliaia. Soltanto vi aggiunse una partico-
larità, che il p. Paoli crede mostrare ad
evidenza, quanto intende provare, colle
parole guidate da varie Sante condottie-
re loro. Non era dunque una sola alla
testa d'un numero così grandioso di ss.
Vergini, ma intendevasi far la gloriosa
memoria di tutte quelle che in vari luo-
ghie tempi in unione con delle coraggio-
se loro compagne avevano so lferto il mar-
tirio. Grevenio parimenti fece menzione
di migliaia di Sante festeggiate in un
giorno, ma senza indicare il nome. Ado-
ne nel suo più ristretto catalogo de'san-
ti, confrontando con Vandelberto, espo-
se più chiaramente questo fatto: riferisce
. la festa di undicimila Vergini, riportan-
do il nome di 1 3 perchè furono come le
condottieri di varie squadre dell'innomi-
nate, che in diverse parti del mondo se-
gnalarono l'invincibile costanza loro nel
professar la fede, e conservare la vergi-
nità. Pose però e meritamente per lai.8
s. Orsola, non potendosi dubitare che nel-
l'essere sagrificata dalla barbarie al suo
sposo celeste ebbe un gran numero di
compagne. Sopravvenne il Martirologio
Romano, quello cioè pubblicato avanti le
revisioni posteriori, ed usò la prudente
cautela di nominare in genere la festa
delle sante senza far menzione d'alcuna;
e finalmente in quello che al presente è
in uso nella Chiesa romana , con altra
saggia economia si riporta s. Orsola col-
le sue compagne senza indicare il nume-
ro. Né per questo restarono senza culto
le rimanenti, giacché di esse si trova fe-
steggiato il nome loro in altri giorni , e
questo potrà confermare che la solennità
fissata per un numero così grande di ss.
Vergini comprendeva quelle ancora che
non apparteuevauo alla sequela di s. Or-
V Eli
fola. E che in questo senso debba real-
mente intendersi la controversa festività
di s. Orsola con undicimila compagne,
continua il Paoli, si prova ad evidenza
dal confronto che può farsi de' nomi di
queste sante riportate da Adone, co'nomi
delle medesime ripetute in altri giorni e
riconosciute come coudottiere di nume-
rose schiere di vergini, secondo l'espres-
sione di Vandelberto. Saula, e Mardia o
Marta secondo la diversa lezione de' co-
dici.si trovano nel martirologio di Usuar-
do, dove di s. Orsola non si fli comme-
morazione, e le dette due eroine si dico-
no unite a molte vergini : non era dun-
que questa schiera di sante unite alla det-
ta s. Orsola, ma dal giorno proprio loro,
cioè 20 ottobre, erano state trasferite e
unite alla festa delle ss. Vergini in gene-
rale. Lo stesso deve dirsi di s. Saturnina,
la festa della quale in unione con altre
vergini si vede notata nel martirologio
Veissemburghese o Blumanio, a'2 e i3
dicembre. Così ancora di s. Cordala, una
delle eroine che appartengono alla festa
generale delle ss. Vergini, come si ha dal
Combrack, e sotto il giorno 22 ottobre
se ne celebra la festa notata in diversi
martirologi. Nel sostenere il p. Paoli la
sua opinione , dichiarasi ben lontano di
recare il minimo pregiudizio né alla ce-
lebrità della gloriosa s. Orsola, ne al cul-
to che pieno di ossequiosa venerazione
le presta I' inclita città di Colonia, poi-
ché anzi crede d'illustrare maggiormen-
te e l'una e l'altro, e liberare nel tempo
stesso gli atti della medesima dalla criti-
ca di alcuni scrittori e dagl'insulti de'mi-
scredenti. Non può dubitarsi che l'invit-
ta s. Orsola alla testa d'un numero con-
siderabile di verginelle, piena di straordi-
nario coraggio, ed animando le compa-
gne, sostenesse intrepida il martirio. Che
se nella storia di questo fatto, riportato da
vari autori, si scorge qualcbe diflìcollà
per gli anacronismi che vi sono , o per
qualche incongruenza di nomi, si dovrau-
no mettere in non curanza simili negli-
V E R 299
genze ed inutili episodii , giacché la so-
stanza e fondamento del racconto,nel qua
10 convengono tutti gli scrittori, non po-
trà essere controverso, e resterà innega-
bile nella storia, e la sua invincibile co-
stanza e la doppia corona, che tanto es-
se quanto le numerose seguaci sue meri-
tarono in cielo. Che inoltre se fossero sta-
te le ss. Orsoline in unione con altre mol-
te da tutta la cristianità solennemente ce-
lebrate, potevanocomprendere quelle an-
cora che al narrar di Niceforo, neWHist.
Eccles.t lib. 7, cap. 6, chiuse ne'sagri ri-
tiri, ove gelosamente custodivano la lo-
ro pudicizia, e la singolare divozione lo-
ro, furono nella persecuzione di Diocle-
ziano in molte migliaia trucidate. Il che
ammettendosi, avremo una festività so-
lenne, e che faceva onore alle sante ad
essa unite, né poteva in cosa alcuna re-
car pregiudizioalla celebres.Orsola,quan
do era di tutte riconosciuta come prin-
cipale. Di simili commemorazioni di va-
ri santi, fatte collettivamente, se ne vede
anche al presente nelle chiese Reroense,
Silvanettense e Cabilonense, come ripor-
ta Guy et, De festis proprìis Ecclesiast.
11 vescovo Sarnelli nette Lettere ecclesia-
stiche, tratta nella lett. 23 del t. 7: Del-
l'istoria di s. Orsola e delle undicimila
Vergini sue Compagne. Riconosce l'esi-
stenza di varie leggende dubbie e apo-
crife sulle medesime, e intende narrarne
la vera storia, che in breve è questa. Nel
383 Massimo fattosi proclamare impera-
tore contro Graziano, passato nelle Gal-
lie co' bretoni di cui era duce, cacciati
dalle loro sedi gli armorici, die'a 'solda-
ti quel fertile paese, ma senza abitatori.
Laonde Massimo domandò al re di Cor-
nubia nella Brettagna undicimila vergi-
ni per maritarle co'soldali bretoni della
nuova colonia , e fu esaudito, in uno a
s.Orsola di lui figlia per isposare Conna-
no duce de'medesimi. Partite le vergini
da Londra per maritarsi co'loro conna-
stionali,connaviglis'indirizzaronoaU'Ar-
morica, ma una tempesta li portò ne'li-
3oo VER
ili di Germania e nel fiume Reno. Era
allora infestato il mate Germanico dai
corsari Melgade'pitti e Gauno degli un-
ni, in favore dell'imperatore Graziano, i
quali assalite le vergini volevano abusar-
ne. Esse però, ad esortazione di s. Orso-
la, preferirono la morte alla perdita del-
la purità, onde furiosamente furono ta-
gliate a pezzi, martiri della verginità. Es-
sendosi nascosta Cotdula, mossa dall' e
roico esempio delle compagne, intrepida
si scuoprì e fu uccisa. 1 loro corpi, por-
tati in Colonia, furono sepolti in una
chiesa fabbricata con monastero di mo-
nache a loro onore, e venerati col culto
di ss. Martiri. Si chiamavano le princi-
pali, oltre s.Orsola e s. Guida, loro mag-
giori, Seuzia, Gregorio, Pianola, Mai-dia,
Saula, Saturnina, Saturnia, Rabazia, Pai-
ladia,Clemenzia,Graziae Cernitila. Si di-
ce, che s. Orsola e le ss. Vergini compa-
gne favoriscono i loro divoti in punto di
morte. Di più il Sarnelli riferisce nel t.
io, lett. 33, che LeoueX colla bolla Cimi
sìcutyiìe'5 maggio 1 5 1 5, concesse alla ba-
dessa e monache di s. Chiara di Parigi,
di Albiano e di tutto 1' ordine, di poter
celebrare in perpetuo con rito doppio la
festa Undecim milliumFirginum.UVìaz-
za ne\V Emerologio di Roma a'n otto-
bre, festa di s. Orsola con undicimila com-
pagne vergini e martiri, senza nominar-
lo, segue il racconto del Sarnelli, e che
cadute in potere degli unni nemici de'
cristiani, questi attentando alla loro ver-
ginità e fede, animate dalla generosa s.
Orsola, preferirono perdere la vita con
magnanimo accordo, anzi che perdere due
sì gran gioie, per trionfar con esse in cielo.
Anch'egli segue la credenza, che Dio ab*
bia concesso a 'di veti di s.Orsola e delle ss.
Vergini compagne, la grazia della loro
benefica assistenza nel puuto di morte.
Aggiunge la tradizione, d'essersi prima
recate a piedi a Roma per visitarne i san-
tuari ed i sagri cimiteri, nel 474 gover-
nandola Chiesa s. Simplicio. Per ultimo,
il Piazza, enumera le chiese di Roma in
VER
cui celebrasi la festa con indulgenza ple-
naria , per venerarsi in diverse di esse
parte della testa di s. Orsola, le teste del-
le ss. Seconda, diurna, Candida, Vitto-
ria, e di altre sue compagne, oltre il cor-
po di una e le reliquie di altre. Il dotto
annotatore del celebreBuller./V/r de Pa-
dri, de Martiri e degli altri principali
Santi, a'2 1 ottobre riporta una specie di
dissertazione, eruditissima e critica, inti-
tolata : Considerazione istorico-critica
sopra il numero ed i nomi delle ss. Ver-
gini, che hanno sofferto il martirio con
s. Orsola in Colonia. Con ragione dice
essere volgarmente noto quale tortura sia
stata pegli storici e critici eruditi la storia
di s. Orsola e della numerosa sua com-
pagnia. Alcuni rigettano tutta la storia
intorno al martirio di s. Orsola e delle
sue compagne, come invenzione dell'età
posteriore; altri ammettono il fatto e ne
disapprovano le circostanze. Lo scrittoi e,
per tutto quanto l' interessantissimo da
lui ragionato, crede aver giovato alcuu
poco a dilucidare una storia cosi oscura
e ritrattata tante volte; ma agevolmen-
te non parrà a molti sufficiente a chiari-
re e decidere le questioni, precipuamen-
te quella eh' è la maggiore tra* critici e
^l'istorici, per riferire alcuni essere elle-
no state undicimila illustri e nobili Ver-
gini, e sessantamila Vergi ni della minu-
ta gente, sicché tutta la società fu di set-
tantunmiladonzeUe ! Il Cancellieri nell'e-
ruditissima Dissertazione delle ss. Sim-
plicia ed Orsa, riferisce gli autori che
hanno trattato prò e contra di s. Orsola
e delle ss. Vergini sue compagne.
Sono divisigli stati e le professioni, nel
nubile o verginale o libero , se non ob-
bligato a voti, nel matrimoniale, nel ve-
dovile, nel chiericaleo ecclesiastico, e nel
regolare d'ambo i sessi con voti di celi-
bato. Da s. Paolo neìi'Epist. i." a'eorintii
è fatta menzione de'3 stati matrimonia-
le, verginale e vedovile, e seuza difficol-
tà antepone i due ultimi al i.° Dice il
Buonarroti, Osservazioni sui vasi ariti-
VER
chi dì vetro, p. 90, parlando d'una me-
daglia di s. Agnese col numero 60, for-
se poter significare quello del frutto di
merito consagrato alle vergini, e denota-
re il grado del merito della verginità con-
giunto in questa santa col martirio; men-
tre i Padri antichi hanno attribuito il mi-
stero di questo numero sessagesimo alle
vergini , come testifica s. Girolamo nel-
V Apologia de'suoi libri contro Giovinia-
no; e pare che il medesimo santo fosse il
t.°, che applicasse loro il frutto centesi-
mo, per dar luogo, com'egli dice, nel
frutto sessagesimo alle vedove, ed in quel-
lo del trigesimo alle maritate. Il Piazza,
Cherosilogio o discorso dello stato vedo-
vile, p. 142, riferisce, da'teologi rappre-
sentarsi tre sorti di castità raffigurate nel-
l'evangelica semente pure di 3 sorti; par-
te di cui rende il frutto trigesimo, eh' è
appunto la castità matrimoniale, di cui
tanto cautamente parla l'Apostolo al suo
Timoteo; il sessagesimo, ch'è lo stato ve-
dovile, innalzato a maggior grado di es-
so; ed il 3.° è il centesimo, paragonalo al
solo centesimo, cioè al verginale il più
perfetto di tutti, essendo solito dire un
gran maestro di spirito, che il matrimo-
nio riempiva la terra, ma che la vergini-
tà riempiva il cielo. Celebra il citato p.
lluinart la somma verecondia delle ver-
gini cristiane, la loro vita austera, con-
sagrando al Signore i loro capelli col vo-
to di verginità perpetua. Sino da' primi
tempi della Chiesa le vergini che si cou-
sagravano a Dio con tal voto facevano
1' atto generoso del taglio de' capelli in
pubblico nella chiesa; ed i vescovi consi-
derarono sempre quest'alto con qualche
formalità, e particolarmente le vergini of-
ferivano a Dio i loro capelli, siccome or-
namento assai considerabile e pregevole
del capo. Nell'oriente le vergini olleri va-
no a Dio i loro capelli tosandoli, e poi li
custodivano intatti in segno e memoria
della generosa oblazione di loro slesse :
nell'occidente per lo più li conservavano,
aggiustandoli con modestia decente in
VER 3oi
modo simile alle spose terrene, ma però
che apparisse a tutti, almeno nell'adu-
nanze de'fedeli, che elle erano spose di
Gesù Cristo. Quindi a'tempi di s. Giro-
lamo, anche le vedove si tagliavano i ca-
pelli nel dedicarsi a Dio, e poi altrettan-
to fecero le vergini ricevendo il sagro ve-
lo, nel professare qualche istituto religio-
so. Dunque i diversi stati dell'uomo e del-
la donna, sono il Sacerdozio con tutti i
suoi gradi, il Religioso, \\ Matrimonio nel-
lo stato di Laici. In quello del matrimo-
nio l'uomo e la donna divengono Mari-
to e Moglie, Padre e Madre, Vedovo
e Vedova, i figli de'quali restano Orfa-
ni, tutti contraendo diversi gradi di Pa-
rente. E siccome dicendosi Uomo (V.),
vale tutti, comprese anche le Donne, è
analogo che io qui ricordi per le voca-
zioni, l'opera di Giacomo Mazzoni: De
triplici hominum vita , Activa nempe.
Contemplativa, et Religiosa, methodi
tres, Caesenaei 576. — ■ Ora premetto al-
cune indicazioni essenziali iu quest'arti-
colo, ragionate in quelli che ricorderò in
corsivo, ad evitare ripetizioni e giovare
alla brevità. Il Celibato è lo stato di chi
non è congiunto in Matrimonio; è cosa
grata a Dio, ma non perciò è riprovato
il matrimonio santificato dal Sagrameli-
to, da s. Paolo qualificato magnani, fa-
cendo comparazione fra l'unione di Gesù
Cristo e la Chiesa sua sposa. Tuttavol-
ta la verginità fu considerata come sagra
anche da'gentili. — Il Matrimonio è l'u-
nione maritale dell' Uomoe della Donna:
di sua natura è indissolubile, e serve al-
la propagazione perpetua del genere u-
mauo. Nondimeno gli sposi che si obbli-
gano alla continenza con mutuo consen-
so, vivendo come Fratello e Sorella, so-
no veramente maritali. Tali furono, Tino -
macola tamente concetta Maria sempre
vergine, e s. Giuseppe che pure si con-
servò sempre vergine, que'che rammen-
tai ne'vol. XLllI,p. 275,LXIX,p.i5o,
ed in più altri luoghi, conservando la lo-
ro verginità; e Benedetto XIV decretò
3oi VER
alla b. Lucia da Narni l'uffizio del comu-
ne delle Vergini. Nel i .° degli accennali
articoli, e altrove, dissi ancora di quegli
sposi che volendo vivere continenti si se*
pararono, abbracciando il marito lo sta*
to ecclesiastico, e la moglie il monastico,
o vivendo al secolo dedicati al Servizio
di Dio. Molli di tali mariti divennero
suddiaconi, diaconi, preti, vescovi, ed an-
che santi. Quindi le mogli in detto mo-
do continente restate al secolo per vive-
re in celibato, a seconda del grado eccle-
siastico del marilo venivano onorate del
titolo di quella dignità a cui innalzatasi
il marito, perciò si dissero Suddiacones-
se, Diaconesse, Presbileresse, Episcopo
o Vescovesse, senza avere però un posto
nel clero, e tra loro pure fiorirono san-
te. Queste non potevano rimaritarsi con
altri, neppure dopo la morte de'Ioro spo-
si. Tutta la prerogativa, che esse aveva-
no sopra le altre donne 3 era che pote-
vano essere ordinale vere diaconesse, il
quale onore si concedeva loro facilmente,
quando colla gravità de' costumi se lo
meritavano. Fra tali persone si sceglieva-
no le più virtuose per farle diaconesse, e
si ordinavano pubblicamente dinanzi l'al-
tare quasi colle stesse ce» emonie de'dia-
coni, poiché il vescovo imponeva loro le
mani, e recitava la benedizione, chiama-
ta ordinazione; non era pelò vera ordi-
nazione sagiamenlale , ma ceremonia-
Je. — LoSposalizio, solennità del pigliar
moglie e del pigliar marito, è un alto le-
gittimo con cui si (ormano le famiglie pei
progredimento dell'umana società, essen-
do quello cristiano contratto e sagrameli-
to, è tale la sua grazia che vai più della fe-
condità, al dire di s. Agostino. In quasi
tutte le nazioni fu accompagnato da re-
ligiose ceremouie. Anche le vergini mo-
nache si chianfauo spose, ma di Gesù Cri-
sto, e nella loro Vestizione e Professio-
ne con tale intendimento procedono, ri-
cevendo l'anello e quanto alito dissi nel
voi. LXI X, p. 1 4o. — V 'Ordine sa grò , ed
i l'oli solenni, sono cause legittime a scio-
VER
gliele le sponsalizie o promesse matrimo-
niali. Egualmente l'impegno di voti sem-
plici di castità e di religione, dà luogo al-
lo scioglimento degli sponsali, poiché le
promesse di matrimonio contengono sem-
pre questa condizione tacila, ch'esse cioè
non sussisteranno se non nel caso , che
Dio non chiami ad uno stato più santo e
più perfetto. Quelli che sono da tanto da
serbar la verginità, in onore dell'umani-
tà di Gesù Cristo, non ne insuperbisca-
no. Disse Tertulliano, De Virginibusvc-
landis, la verginità affettata è la sorgen-
te di tutti i delitti, poiché ne derivarono
molte eresie, che deplorai ne'loro artico-
li: si può vedere il voi. LXI X, p.i5o. —
Il Velo fu segno di verginità per inse-
gnamento degli Apostoli, oude prestole
cinese usarono di velare le loro vergini.
Il Velo, copertura del capo, del volto e
tal volta eziandio della parie superiore del
corpo, insegua di verginità, quello nu-
ziale fu usato principalmente dalle ver-
gini nello sposarsi, per indicare il pudo-
re che doveano sempre conservare. L'u-
so del velo alle donne fu imposto, mas-
sime nel s. Tempio. 11 velare le sagre ver-
gini si tiene per tradizione apostolica,
ed é un rito simbolo dello sposalizio spi-
rituale della vergine coli' amalo divino
sposo Gesù Cristo; ovvero denota la ri-
tiratezza e verecondia che deve avere la
vergine, e il premio futuro. Nell'artico-
lo in discorso parlai de'veli che si da va-
no, oltre alle religiose e all'abbadesse, al-
le Diaconesse e atìe Vedove tile\\e loro di-
verse specie, e cereraonie nel conferirsi.
Dicevasi velare il cousagrare tanto le ver-
gini, che le vedove: ora dicesi solo delle
prime col velo verginale. La ceremonia
della vestizione e velazione facevasi an-
che ne'primi secoli con solennità, la qua-
le si chiamava nozze spirituali fatte con
disio. Il perchè s.Girolamo appella suo-
cera di Dio, la madre d'una vergine con-
sagrala a Cristo. Delle diverse specie de'
sagri veli , riporterò poi altre erudizio-
nt. — La Religiosa è la vergine o vedo-
VER
va consagrata co'lre voli religiosi, sem-
plici o solenni, di castità, povertà e ub-
bidienza, vivente in Monastero, nel Con-
servatorio, presso ['Ospedale, sotto de-
terminata Regola (nel quale articolo ri-
parlai delle Doti e Livelli per le religio-
se, di origine antichissima, e di quelle ca-
ritatevoli per facilitare uon meno la vo-
cazione monastica , che i maritaggi alle
Zitelle, argomento che discorro pure in
questi tre articoli) e abito uniforme, con
quelle tante denominazioni che ripetei
nell'articolo in argomento, ed in quelli
parziali di ciascuna istituzione; molte del*
le quali benemerite dell'educazione mo-
ralee religiosa delle fanciulle, e della lan-
guente umanità, denominate quest'ulti-
me anco Suore, Sorelle, Figlie della
Carità. Rammentai pure , nell' articolo
che discorro, quello di Monaca, ove di-
chiarai cosa sono le religiose, della loro
origine da'tempi apostolici, e loro diver-
se nomenclature; quanto si diffusero iu
Oriente e in Occidente meravigliosamen-
te. Delle loro superiore, molte delle qua-
li per la Regalia e per la Rendita eccle-
siastica divennero potenti signore di do-
minio temporale , oltre V uso di diverse
insigni prerogati ve con giurisdizione, an-
co del Pastorale: de'pregi del celibato
che osservano, della Clausura (questa è
antichissima anche in Roma, ove sembra
che abbia presa una forma più regolare e
stabile per opera di s. Domenico fonda-
tore de? Predicatori, d'ordiue di Onorio
III, nel monastero di s. Sisto da lui fon-
dato alle sue monache, le quali poi furo-
no trasferite nel fiorente monastero de'
ss. Domenico e Sisto. Notai però nel voi.
XIX, p. 270, che neli'800 non essendo
ancora le sagre vergini astrette a clausu-
ra, nel ritorno trionfante di s. Leone 111
in Roma, l'incontrarono a Ponte Milvio
ora Molle. E che nel 1 1 1 1 , Monachae
quoque centum, lampadibus multis cum
claro homine sumptis, furono mandate
incontro all'imperatore Enrico V,nel re-
carsi a Roma), e Professione religiosa,
VER. 3o3
e di quanto riguarda le vergini regola-
ri. Notando , che le religiose consagrate
a Dio, si chiamano Deo devote, e che le
parole dell'antifona, prò devoto foemineo
sexu, si devono preci puameute appro-
priare alle religiose e poi alla generalità
del sesso medesimo. — La Padova e il
Fedovo, souo la donna e l'uomo cui mo-
ri il coniuge. Le buone vedove amanti
della pudicizia , furono sempre onorate
da tutte le nazioni. Le vedove degli an-
tichi romani erano sepolte con grande o-
nore, colla corona della pudicizia intes-
suta di fiori, come virtuosamente trion^
fanti della concupiscenza. Ne'primi secoli
cristiani furono onorate conisplendidi e-
piteti, ed anco con quello di custodi del-
l'innocenza delle vergini. Dio raccoman-
dò sovente di aver gran cura delle vedo-
ve e di sollevarle: e Gesù Cristo ouorò lo
stato vedovile. Tra le barbare nazioni non
potendo rimaritarsi, si uccidevano o bru-
ciavano per deporne i corpi o le ceneri
nella Sepoltura del defunto sposo, mas
simese sovrane e principesse. A detto luo-
go deplorai queste barbarie, presso alcu-
ni popoli tuttora vigenti. Nel medesimo
articolo pur dissi, che gli antichi scozzesi
sotterravano vive le mogli infedeli; e che
le Pestali vergini gentili de' romani, se
convinte d'incesto, subivano la stessa ter-
ribile punizione. Quando ne' primi seco-
li venivano le sagre vergini accusate di
aver peccato contro la professata vergi-
nità, ovvero questa fosse dubbiosa, più
volte si usò il ripiego, di cui fanno men-
zione s. Cipriano e s. Agostino tra gli al-
tri, onde venir in chiuro della verità, di
farle visitare dalle Levatricij il che non
solamente talvolta riuscì giudizio falla-
cissimo, ma uon si poteva porre in pra-
tica senza ingiuria e senza sommo dolo-
re della sagra vergine, come avvenne a
Indicia di Verona (Z^.), che appellò al
metropolitano s. Ambrogio, il quale sco-
pri la falsità della calunnia e castigò i rei
dell' incolpazione, rimproverando quel
vescovo Siagrio di aver proceduto con
3oi v B *
imprudenza. Nolo il Muffci, nella T'e-
rona illustrala, ove ciò nana, che allo-
ra in Verona eravi pure un monastero
«li donne »» di die, egli dice, sarà diffi-
cili trovare più antico esempio ". Sic-
come avvenne il fatto al tempo di san-
t' Ambrogio, tutti sanno eh' egli gover-
nò la 8. Chiesa di Milano dall'anno
374 «l 397. Anticamente le Meretrìci
impenitenti in Roma si seppellivano nel
suburbano Muro torto, per ignominia.
Dicendo della Sepoltura, riprodussi no-
zioni su quella delle educande e convit-
trici, e delle religiose novizie de' mona-
steri, che ponno eleggersela se non han-
no professato. Occorre il permesso per
essere tumulato nelle chiese delle mona-
che. Sui cadaveri delle vergini ponesi la
Corona o Ghirlanda di Fiori% in segno
di loro verginità. Nel cristianesimo le ve-
dove furono sempre rispettate, aiutate e
anche mantenute, in unoa'pupilli orfa-
ni del padre. Le vedove ne' primi secoli
della Chiesa esercitarono il ragguardevo-
le ministero di Diaconesse, nella loro pro-
fessione facendo voto di celibato e castità
perpetua, venendo quasi consagrate colla
imposizione delle mani, e da una specie
di benedizione, accompagnala da messa
propria, da preci e da riti, fra'quali l'im-
posizione del velo di continenza, di pu-
dore e di onore; cioè alla professione e
presente il sacerdote, dicendo il Piazza nel
Cherosilogio, che la vedova pigliava da
se medesima il velo dall'altare , mentre
nella professione delle vergini, a queste
l'imponeva sul capo il vescovo. Fra le ve-
dove de'secoli antichi eranvi anche delle
vergini di senno e almeno di 4° anni.
Molti furono i descritti uffìzi che funse-
ro nella Chiesa, molti i caritatevoli pre-
stati alla società, in supplenza de'suddia-
coni e de'diaconi; perciò resero importan-
ti servigi al clero ed a* fedeli. Inoltre ve-
gliavano sui costumi dell'altre vedove, e
sulle vergini orfane. Erano in parte una
specie delle decumane della chiesa di Mi •
lano: di esse e de' decumani riparlai ne'
VER
voi. XXIV, p, a99 , LXXXII , p. 3oo,
LXXXVIII, p. 258. Copioso è il nove-
ro delle sante e virtuose vedove , aven-
done celebrate le principali: s. Paolo ed
i ss. Padri vollero che le vedove fossero
onorate e soccorse. Lo sposalizio e matri-
monio in seconde nozze, fu detto anche
Bigamia, chiamandosi bigamo e bigama
quello e quella che riprendono moglie e
marito: ne ragionai non poco nell'artico-
lo di cui fo parola, non senza dire anco-
ra della poligamia, matrimonio d'uomo
con più donne ne! medesimo tempo. Di-
chiara Piazza nel Cherosilogio, quantun-
que lo stato vedovile sia libero, nondi-
meno per virtù cristiana e civile diviene
meritorio conservandosi nella continenza
e pudicizia; e perciò viene riputata la vir-
tuosa vedovanza vicina di grado alla ver-
ginità, e più eccellente delle seconde noz-
ze, ed in molti uffizi _, secondo il parere
dell' Apostolo, ad essa più da vicino si
stringe, laonde disse: » la donna non ma-
ritala e vergine, pensa alle cose del Si-
gnore, acciò cosi sia santa di corpo e di
spirito". E sebbene le vedove hanno per-
duto l'aureola della verginità nelle pri-
me nozze, sono però dotate della pudi-
cizia, la quale quanto cede alla vergina-
le, tanto precede alla matrimoniale, on-
de leggesi nel Levitico: » Era lecito alle
figlie vedove def sacerdoti il mangiare, co-
me quando erano vergini, le sante Obla-
zioni, le quali vivendo i loro mariti, non
solamente non potevano mangiare, ma
neppur toccare". In tanto conto pur eb-
bero i gentili le vedove, non meno che
le vergini, che mentre in Roma fu dato
solamente alle vergini vestali la cura del
fuoco perpetuo nel Tempio di fes la, in
onore di quella dea; cosi in Atene era
dalle vedove solamente custodito il me-
desimo fuoco in onore di Pilhia, per di-
mostrare quella città de'savi, ch'essi tan-
to apprezzavano le vedove, (pianto i ro-
mani in Roma le vergini.
L'iconologia rappresenta la l'ergi 1/1 là
colle formed'una giovane avvenente don-
VER
zella, coronala di fiori. Il suo sguardo è
modesto, e il pallore delle sue gote an-
nuncia la privazione <lef piaceri. Simboli
di sua purità sono il giglio e l'agnello;
bianco è il di lei vestimento, e il suo cor-
po è stretto da una cintura di lana bian-
ca, cui solo Imene ha il diritto di scioglie-
re, nume che presiedeva allo Sposalizio
de'pagani. La dea Verrinila era invoca-
ta presso i romani ne'maritaggi, e la sua
immagine si collocava nella stanza nuzia-
le de'uovelli sposi. Sotto il nome di Fer-
gìne^W ateniesi adoravano Minerva. Gli
egizi consagrarono ad Iside la Vergine 6.°
vegno del zodiaco. Perginetu epiteto del-
la Fortuna, cui erano presentati i vesti-
menti delle donzelle. In Roma, presso il
Tempio della Vittoria, M. Porcio Cato-
ne consagi ò un'edicola alla Vittoria Ver-
gr/zr. {romani adoravano la casta dea Ve-
sta, alla quale dopo disfatto Saturno, se-
condo la Mitologia, Giove offrì tuttociò
che avesse domandato, per cui essa chie-
se di rimanere perpetuamente vergine, e
che gli uomini le offrissero le primizie
di tutte le loro oblazioni e di tutti i loro
sagrifizi; da ciò provenne che non potè
avere se non vergini per sacerdotesse, le
quali dal suo nome si dissero Vestali. I
cittadini romani aveano sui propri figli
il jus patriae potesiatis. Augusto, ad e-
sernpio de' più saggi legislatori, altamen-
te lodò, propagò i matrimoni con leggi,
onori e premi, per accrescere la popola-
zione di Roma, emanando pene contro i
finti celibi, massime colla leggePapia Pop-
pea; quindi maggiori diritti si accorda-
rono a'eittadini padri di tre figli. Questi
diritti si concessero dagl'imperatori suc-
cessori. A' genitori sterili, perchè non si
pentissero del matrimonio contratto, tal-
volta si compartì loro, sì agli uomini e
m alle donne, \\ jus Iriuni liherorum, che
portava tutti i vantaggi èeljus coni mime
iiberorittu, cioè di succedere la moglie al-
l'eredità del marito. Il jus de* figli con-
sisteva,che il marito e la moglie che non
aveano figli comuni si potevano succede-
V E R 3oS
re scambievolmente nell'eredità in vigo-
re di testamento, però questo jus fu as-
sai diminuito dalla legge Papia Pop-
pea. Questa poi fu abolita dagl'impera-
tori cristiani nel 33g e nel 4.00, toglien-
do le pene a' celibi , ed a que' eh' erano
privi di figliuolanza. Tuttavia i romani
gentili nutrivano tanto rispetto per le ver-
gini o nubili donzelle, e cotanto le ono-
ravano, che al cospetto di esse era proi-
bito di proferire qualunque disonesta pa-
rola , e quando le incontravano per le
strade, cedevano loro sempre il passo, il
che pratica vasi anco da'magistrati. Spin-
gevano essi l'urbanità a tale, che i padri
aveano cura di non abbracciare giam-
mai le loro spose al cospetto delle figlie.
Non si ponevano esse a mensa co' fore-
stieri, per timore che le delicate loroo-
recchie non fossero da qualche impudica
parola contaminate. Allorquando le ver-
gini romane comparivano in pubblico, a-
veano sempre il capo velato; uso detta-
to dalla virtù, ma che non ebbe vigore
se non pel tempo in cui regnò la purità
de'costumi. Cessato quel tempo, le ver-
gini comparvero in pubblico a viso sco-
perto, coprendosi invece il viso le matro-
ne. Tertullianobiasimò con ragione que-
sto costume, e sostenne che le vergini do-
vevano esser velate piuttosto che le don-
ne maritate. Non solo i romani ne' bei
tempi ebbero in grande onore la vergi-
nità, per cui offrivano sagrifizi alla sorel-
la e moglie di Fauno, di cui asserivano
aver tanto spinto il pudore che non avea
mai visto, uè era stata mai vista da uo-
mo alcuno, tranne Fauno suo marito, ad
onta della sua eccessiva inclinazioneal vi-
no, che rilevai nel voi. LXIX, p. 1 45. Per
rispetto di essa, e per quanto dissi nel voi.
stesso, p. i4'» »i tutto il mése di mag-
gio erano proibite le nozze alle sole ver-
gini, mentre le vedove potevano sposar-
si in tal mese e ne'g giorni reputati in-
fausti. Fauna fu chiamala la dea Bona,
alla quale era sagro ih.°di maggio,gior-
uo solenne per la dedicazione del suo
3o6 VER
tempio sul monte A ventino,nel quale era
vietato V ingresso agli uomini, ontle Ci»
cerone con un fiume di sdegnosa elo-
quenza inveì contro Clodio, per esser-
\isi con pravo fine introdotto, essendo
quel tempio dedicato all'onestà delle ma-
trone. — Gli ebrei distinguevano la ver-
gine colla parola halmah, clie signifi-
ca persona ritirala, nascosta, oppure ve-
lata, chiusa, perchè I' uso degli orien-
tali fu sempre di tenere le vergini zi-
telle in uu appartamento separato, di
non mai lasciarle sortire se non erano
velate, né mai comparire a viso scoper-
to se non che davanti a' loro più prossi-
mi parenti. Non si trova presso gli ebrei
alcun esempio della professione di una
verginità perpetua, secondo alcuni. Il p.
Menochio nelle Sluore, centuria i .", cap.
28: Se nella legge Mosaico, fosse proi-
bita la verginità e il celibato, dice che
pare si possa provare, che realmente non
fosse lecito il vivere nel celibato, senza
maritarsi, per stimare i giudei obbrobrio
e disonore il morire senza lasciar figli* e
per contrario essere segno di benedizio-
ne di Dio e cosa gloriosa , il generarne
molti. Si dolevano di non aver prole, an-
che per perder la speranza che da loro
discendesse il promesso Messia. Tutta-
volta che fosse lecito di vivere nel celi-
bato si prova dall' esempio de' ss. Elia,
Eliseo e Geremia profeti che non ebbe-
ro moglie, ed ancora di s. Giovanni Bat-
tista, e simili continenti si chiamavano
col nome di eunuchi sebbene propria-
mente non fossero tali. Il medesimo di-
scorre nel cap. 1 4: Del voto di Jefte di sa*
grificare il i.° che incontrasse, pel voto
fatto se riportava vittoria contro gli am-
moniti j e se fece peccato sagrificando
la propria fi glia, che fu lai* a venirgli
incontro. Dichiara che non peccò, e quan-
to alla figlia, ottenne la dilazione di due
mesi, per poter piangere la sua vergini-
tà, dovendo morire senza lasciar figli. Pe-
rò alcuni rabbini sostengono che non mo-
risse, e che il sagri fizio fu metaforico, de*
VER
dicandola al servizio di Dio con voto di
verginità, secondo altri; mentre i ss. Pa-
dri affermano che effettivamente fu ino-
locausto sagrificata dal padre al Signore.
Trovo poi nell1 Apparato agli Annali ec-
clesiastici del Rinaldi, che diverse don-
ne, ed anche vergini, spregiando le de-
lizie del secolo,si dedicavano nel Tempio
di Gerusalemme al di vin servigio, in con •
timia orazione e vegliando alla porta del
Tabernacolo. Una di tali donne fu la ve-
dova Anna profetessa. Nel libro de' Mac-
cabei si fa menzione delle vergini rinchiu-
se net tempio, le quali andavano innan-
zi ad Ouia sommo sacerdote. La B. Ver-
gine, frutto dell'orazione de'santi suoi ge-
nitori, data loro secondo le promesse ce-
lesti, di 3 anni fu presentata al tempio,
secondo il voto de'medesimisi^oi genito-
ri, ove dimorò 1 1 anni, convivendo col-
le donne volate a Dio per servirlo, le qua-
li perciò nulla pagavano a 'sacerdoti per
redimersi, e quindi giunte in età adulta
maritarsi, essendo vergogna il farlo do-
po, ciò seguendocol consiglio de'sacerdo-
ti, appartenendo ad essi il disporre delle
cose offerte a Dio. Adunque avendo la
ss. Vergine già toccato ili 5.° anno circa
di sua età, trattarono i sacerdoti di ma-
ritarla, e venne eletto a sposo s. Giusep-
pe uomo giusto. Fatte le sponsalizie, os-
sia le promesse del connubio, Maria fu
consegnata a'parenti perchè la conduces-
sero a casa, e preparassero le cose neces-
sarie per le nozze. Seguiti gli sponsali,
nel 6.° mese le fu mandato da Dio l'An-
gelo Gabriele, annunziandole l'incarna-
zione delFrerbo(Pr.)elevno: il che senten-
do ella gli replicò: Quo/nodo fietistud quo-
niam virum non cognosco? Significan-
do di aver fatto voto di perpetua vergini-
tà, onde giudicava impossibile il conosce-
re mai uomo. Quanto al tempo che la ss.
Vergine fece il voto, ordiuando la legge,
che mentre le donzelle si votavano a Dio
prima d' essere sposate, o dipoi mentre
stavano in casa de'genitori loro, avendo-
ne il padre notizia, e tacendo fossero ob-
VER
Migaledi voto, e contraddicendo i in mau-
l mente esso, elleno libere rimanessero, e
l'istesso disponendo la medesima legge
lispeltoa'mariti, mentre esse stavano tut-
tavia in casa de' parenti, pensa Rinaldi
che non si scosterà dal vero il dire, che
la ss. Vergine prima d'essere sposata con
s. Giuseppe facesse il voto, ciò sapendo,
ne contraddicendo i suoi genitori, i qua-
li avevano somma espeltazione della san-
tità di lei concepito. 11 che avvenne pri-
m a della morte loro. I ss. Padri scrivo-
no, che per consiglio de'sacerdoti, e per
volontà divina fu dato s. Giuseppe alla
Vergine, non in ordine alla prole, ma co-
me custode della sua vergini là. E' senten-
za di s. Tommaso, seguito da molti al-
tri, che dopo lo sposalizio, Ella esprimes-
se con parole il voto, che avea molto pri-
ma concepito nell' animo suo, acconsen-
teudo lo sposo ch'era al paro di lei ver-
gine e restò tale. E come non doveva
*. Giuseppe far quello che osservavano
allora i farisei fino a certo tempo, e gli
esseni in perpetuo, cioè la verginità? Il
p. Menochio nella centuria 4-*j riportan-
do nel cap. i la genealogia di Gesù Cri-
sto, della Beata Vergine e di s. Giusep-
pe, da tale albero risulla che s. Giusep-
pe e la Beata Vergine erano cugini. Ra-
giona il p. Menochio, centuria ^.'t cap»
46: Se la B. l'ergine sia stala la pri-
ma , die con voto abbia dedicalo a Dio
la sua verginità. Risponde affermativa-
mente coll'autorità de' ss. Padri, che di
cu ti) un consenso le concessero il prima-
to e la corona della verginità. Non tace
che l'osservarono Abele figlio di Adamo,
Melchisedecco , Giosuè, Geremia, Elia,
Eliseo, Daniele co'suoi compagni; ed an-
che Maria sorella di Mosè come voglio-
no s. Ambrogio nel lib. i De Virgini-
/;«j,es. Gregorio Nisseno nel lib. De Vir-
giuiuiU'y cap. 6; ma niuno per voto co-
me Mani» Vergine, lai. a ad aver la glo-
ria di tale prerogativa, professandola nel
più sublime modo. Spiega poi il p. Me-
nochio nella detta centuria, cap. 4 5: Co
VER 3o7
me s'intendono quelle parole che laChie-
sa dice nell'uffizio della Beata Vergine:
Gaude Maria Virgo cunctas baerete»
sola intcr emisti in universo mandò. Tro-
vatisi inoltre tra gli ebrei, dice il Rinal-
di, esempi della continenza delle vedove
dopo la morte del loro marito, che ne è
perciò fatto loro un merito. Giuditta è
lodata,' perchè appena era rimasta vedo-
va di Manasse, in Betulia sua patria si
era fatta nella parte superiore della ca-
sa sua una stanza appartata, dove se ne
stava rinchiusi colle sue ancelle, e por-
tando a'suoi fianchi il cilizio, digiunava
tutti i giorni di sua vita, tranne i saba-
ti. Il sacerdote Ozia e gli anziani del po-
polo la chiamano donna santa e che te-
me Dio. Il sommo sacerdote Joacim,ch'e-
rasi portato a Betulia con tutti gli anzia-
ni per vedere Giuditta, le disse:»» Perchè
tu hai amata la castità, e dopo il tuo ma-
rito non hai conosciuto altro uomo; per
questo ancora la mano del Signore ti ha
fitta fotte, e per questo sarai benedetta
in eterno". Il Vangelo fa presso a poco
i medesimi elogi della suddetta profetes-
sa Anna, nella cui giovinezza perde il ma-
rito, e visse vedova assai avanzata in età.
Negli Atti degli ì A pò stolide™ e$\ che Filip-
po, uno de'y diaconi, avea 4 figlie vergini
(nel vo'.XC^p.sySjCon Piami trio Corner
dissi essere tre, ma più comunemente tro-
vo che furono quattro), le quali tutte pro-
fetizzavano; non è però cerio che avesse-
ro fatto voto a Dio della verginità loro.
Il Rinaldi nondimeno avverte che da ta-
li 4 donzelle dopo la Passione e morte
del Signore, al riferire di s. Girolamo, si
consagrarono le primizie della verginità;
che per errore furono attribuite figlie di
s. Filippo apostolo, non essendo certo, da
s. Pietro in fuori, che gli apostoli fossero
ammogliati; e che quanto poi dicesi del-
le nozze di queste vergini, essendo fal-
so, si riprova con l'autorità di tutti gli
scrittori che di loro trattano: Hermione,
una di esse, secondo il Meuologio greco,
consumò il martirio sotto Traiano. Gesù
3«8 VER
Cristo nel nuovo Testamento, lia racco-
mandato la verginità. Anche s. Paolo e-
sorto i cristiani a conservarla. Infiamma*
li difatti i cristiani di fervore, la vergini*
tà diventò talmente onorabile per essi,
die vi si obbligarono presto con voto pub*
I-lieo; e nel V secolo già si ponevano in
penitenza quelle persone che si marita*
vano dopo aver fatto il voto di vergini-
tà; ma il matrimonio non dichiara vasi
nullo. Imperocché nel secolo precedente
i padri del concilio di Gangres (V.) a*
veano condannato que'che biasimavano
il matrimonio, e che credendolo cattivo
abbracciavano lo stato di verginità; però
dichiarando, ammirare la verginità e la
separazione dal mondo, purché la mode-
stia e l'umiltà non ne fossero disgiunte;
onorando altresì il matrimonio. E senza
che io ricordi altri canoni, in lode della
verginità, basta il rammentare quelli del
concilio di Trento, cioè il gè ilio di dot-
trina sul sacramento del matrimonio.» Se
alcuno dirà, che gli ecclesiastici, costitui-
ti negli ordini sagri, e i regolari, che han-
no fatto professione solenne di castità,
possono contrarre matrimonio, echea-
vendolo contratto, è buono e valido, non
ostante la legge ecclesiastica, o il voto,
che hanno fatto; che il sostenere il con-
trario, non è altro, che un condannare il
matrimonio, e che tutti quelli che non
sentono di aver il dono di castità, quan-
tunque l'abbia no votata, possono contrar-
re matrimonio, sia anatema; poiché Dio
non nega questo dono a coloro, che gliel
dimandano come conviene , e non per-
mette che siamo tentati sopra le nostre
forze. — Se alcuno dirà, che lo stato del
matrimonio deve essere preferito a quel-
lo della verginità, o del celibato; e che
non é miglior cosa, né più felice il vive-
re vergini o celibi, del maritarsi, sia a-
natema". Nel II secolo della Chiesa, es-
sa gloria vasi di aver molte persone d'am-
bo i sessi, che professavano la conlinen-
zk Anzi nell'antecedente, s.Evodio, sue-
e.-ssore di s. Pietro nella chiesa d'Anlio-
VER
chia, icrìsse a'filippensi : Stilato Colle-
gi tini ì 'irgimtm. Sono considerate le ver-
gini come le primizie diDiv e dell' Agnel-
lo; come la più cara parte dell'eredità del
Signore; e si legge nell' Apocalisse, can-
tano dinanzi al suo trono un inno novel-
lo che da niun altro si può cantare, ed
hanno il privilegio di seguir l'Agnello o-
vunque egli vada. Intorno a che esclama
8. Agostino, lib. De sancta f'ìrg. cap.
27, t. 6, n. 354- " In qual luogo va dun-
que questo Agnello, poiché va dove niun
altro che voi, né osa, né può seguirlo?
Dove va quest'Agnello? Quali sono que-
sti boschi, quali sono queste praterie? So-
no que1 luoghi dove si gustano delizie
troppo superiori alle gioie vane, scipite
ed ingannevoli del secolo. Queste non so-
no le delizie che gusteranno nel regno di
Dio coloro che non sono vergini, ma de-
lizie al tutto indifferenti. La gioia de' ver •
gini sarà di godere Gesù Cristo ed in Ge-
sù Cristo: sarà di una forma particolare
e nulla avrà di comune con quella degli
altri santi non vergini. Abbiate cura (sog-
giunge nel cap. 29) di conservare la vo-
stra verginità. Questo è un tesoro , che
non può più trovarsi, allorché siasi per-
duto una volta. Gli altri santi, i quali non
potranno come voi accompagnare V A-
gnello, si vedranno al suo seguito senza
sentire però il minimo morso di gelosia:
ma godranno con voi della vostra felici-
tà; e con questo mezzo possederanno in
voi quello che non poterono avere in se
stessi. Per vero dire essi non potranno
cantare quell'inno novello che vi appar-
tiene; ma potranno pure ascoltarlo e tro-
veranno la loro gioia nel prezioso privi-
legio che voi godrete. Riguardo a voi che
lo canterete e l'udirete ad un tempo, sa-
rete ricolmi di una gioia molto maggio-
re, ed il vostro regno sarà di gran lunga
più beato". Quanto cara fosse a'primiti-
vi cristiani la continenza, ne rendono am •
pia e imbibita testimonianza i primi apo-
logisti della nostra s. Religione, facendo-
lo rimarca re a 'pagani. A ttetfaMinuxioFe*
VER
lice, plerique inviolati corporis vii gini*
tate perpetua, fruuntur potius , a nani
gloriantur. Sì esalta ancora io questo bel
passo di s. Zenone, lib. I, traci. 4 de Pu-
dicitia. Tìi in Firginibus f<Hx, in Vi*
duisfortis, in Conjugiis fidelis, in Sa-
cerdotibus pura, in Marlyribus glorio-
sa, in Angelis clara,in omnibus verolìe-
gina ... tu tuiproposili insolubili» nodus
aeternus, indicando cosi il foto di ver-
ginità, a cui sin d' allora si obbligavano
le cristiane donzelle. Si può vedere s. Me-
todio, Convivami X Virginum, sive de
Casti tate, t. 3, Bibl. /V/fr. Scrisse «.Giu-
stino, Apol. i,o. i5. » Fra di noi, un
gran numero di persone di ambedue i ses-
si, in età di 6o e 70 anni, le quali furo-
no dalla prima loro età istruite nella dot-
trina di Gesù Cristo , perseverano nella
castità, ed io mi obbligo di provare col
fatto che trovatisi di siffatte persone in
tutte le classi e condizioni della società".
Adunque fedeli di 60 anni, al tempo di
s. Giustino, e ch'erano stali allevati nel
cristianesimo siuodalla loro infanzia, non
potranno essere stati istruiti che dagli A -
postoli o da'loi o discepoli immediati. A-
tenagora che scrisse nel medesimo tem-
po, si esprime egualmente, Legat. prò
Clirist., 0. 3. » Vi sono fra di noi molli
uomini e molte donne che vivono nel ce-
libato, nella speiauzadi essere più stret-
tamente uniti a Dio ... Noi usiamo, od a
restare come siamo nati, oppure ad ac-
contentarci di un solo matrimonio". Er-
ma, più antico di Atenagora, dice nel suo
Pastore, lib. 2. » Colui che si rimarita
non pecca; ma se resta solo, acquista mag-
giore onore in faccia a Dio. Custodite la
castità e il pudore, e voi vivrete per il Si-
gnore". Attestano s. Epifanio e s. Giro-
lamo, che s. Clemente romano, in fine
della sua 2.' lettera insegnava la vergi-
nità. Questa grandemente slimarono s.
Clemente Alessandrino, Tertulliano, O-
1 igeue, s. Cipriano e altri. 11 p. Mania-
chi, De' costumi de'primitivi cristiani, t.
2, p. 1 4 i> dopo aver narralo che gli stes-
V E R 3o9
si gentili erano persuasi della continen-
za de'cristiaoi, racconta quanto fosse ap-
presso i primitivi cristiani in onore la
verginità. Era tanto, egli dice, presso i
cristiani, l'amor della purità e continen-
za, che molti avendo letto ne'sagi osanti
Vangeli, esser ella più lodevole la vita di
coloro, i quali per amor del regno de'cie-
li da' piaceri anche leciti si astenevano,
offrivano al Signore la verginità loro, e
rimanevano celibi sino alla morte. E per
lasciar a parte gli esempi che sommini-
strano gli Atti e Y Epistole de' ss. Apo-
stoli, si legge in s. Giustino martire, che
gl'idolatri, i quali erano dediti alla dis-
solutezza, quando erano illuminali, e ab-
bandonavano il gentilesimo, e abbi accia-
vano la religione cristiana, con sommo
studio procuravano di essere casti; e che
molti di loro, sebbene erano giunti all'e-
tà di 60 e di 70 anni, rimanevano con
tutto ciò incorrotti. Per la qual cosa, i
fedeli o rimanevano celibi fino alla mor-
te, o se pure celebravano le nozze, osser-
vavano nel matrimonio una continentis-
sima vita. Lo stesso attesta Atenagora con
dire: » Egli è facile di numerare molti, i
quali ti a noi sono invecchiati celibi. Che
se lo stato dellaverginilàcongiungemag-
gioi mente l'uomo a Dio, e da lui non so-
lamente le opinioni malvagie, ma anco
il solo pensiero cattivo ci distoglie e ci
allontana; forza è, che se detestiamo noi
i pensieri, molto più dobbiamo fuggire le
azioni cattive". Non parla altrimenti Ta-
ziano nell'orazione contro i gentili. An-
che Teofilo antiocheno attesta che tra*
cristiani si osservava la temperanza e la
continenza, si celebravano una sola vol-
ta le nozze, e si custodiva la castità. Ma
più distintamente Tertulliano i\z\\' Apo-
logetico allei ma, che alcuni cristiani, per
vivere con maggior sicurezza, rimaneva-
no vergini. Somiglianti cose scrisse ne'li-
bi i, Del velare le vergini,tDelle prescri-
zioni contro gli eretici. In quello che in-
dirizzò alla moglie, l'esortò a non pas-
sale alle seconde uozze,dicendolt: » Imi-
3io VER
ta gli esempi ilelle nostre sorelle, che non
curandosi dell'avvenenza, né dell'eia lo-
ro, antepongono a'mariti la santità ilei-
la vita, e vogliono piuttosto sposarsi con
Dio, e apparir belle e giovinette nel suo
divin cospetto, che a qualunque mot ta-
le. Conessovivono, con esso parlano, con
esso trattano di giorno e di notte, e oc-
cupandosi nell'elei nobene, e non cercan-
do di maritarsi, sono enumerate nella fa*
miglia degli Angeli". Acconsente Orige-
ne, ne'libri contro Celso, dove parlando
delle vergini de'suoi tempi, e paragonati*
dole a quelle, che presso i gentili erano
in onore e custodite con incredibile ge-
losia, dice: >» Appresso di quelli che ap-
pellatisi Dei da' gentili, sono poche ver-
gini , le quali sieno custodite o non cu-
stodite ... procurino di conservare intie-
ra la purità del loro corpo per onorare
il finto Nume: ma appressoi cristiani, non
per umano rispetto e per essere onorate,
non per essere premia tecon qualche som-
ma di denaro, non per vanagloria si man-
tengono vergini; ma sapendo che a Dio
sono svelate e manifeste le cose tutte, so-
no da Dio medesimo conservate, talché
ripiene di giustizia e di bontà, operano
secondo ciò che detta il dovere e la ra-
gione". Celebrando s. Cipriano le lodi
della Chiesa cattolica, in una delle sue e-
pistole racconta, che fioriva iu quel feli-
ce tempo la Chiesa coronata di tanle ver-
gini, e la castità conservava il tenor del-
la sua gloria col mantenimento della pu-
dicizia. Me perchè all' adultero si facili-
tava la penitenza e il perdono, diminui-
tasi punto il vigor della continenza. Leg-
go nel canone \ \ del concilio di Elvira,
celebralo nel 111 secolo: « Le figlie che
non hanno custodita la loro verginità, se
sposano quelli che le hanno corrotte, sa-
ranno riconciliale dopo un anno di pe-
nitenza; ma se hanno conosciuto degli al-
tri uomini, faranno penitenza per 5 an-
ni", riacconta Rinaldi all'anno 349, che
i fratelli imperatoti Costanzo e Costante
1, fecero una legge contro i rapitori del-
VER
le vergini; ed all'anno 529, che l'impe-
ratore Giustiniano 1 decretò la pena ca-
pitale contro i rapitori delle vergini edel-
le vedove. Trovo ne' canoni di 6. Rasi-
lio, che il rapitore prima d'esser ammes-
so alla penitenza, dovea restituire la per-
sona rapita: poteva poi sposarla col con-
senso di quelli da cui dipendeva. La figlia
poi eh 'erasi lasciata sedurre, avendo ot-
tenuto il consenso de'parenti, dovea fare
3 anni di penitenza. Quella però che a-
vea patito violenza non era soggetta a ve-
runa pena. Il concilio di Calcedonia del
45 1, decretò col canone 27. Quelli che
rapiscono donne, sotto pretesto di ma-
trimonio, i loro complici e i loro fauto-
ri, saranno deposti, se chierici, e anate-
matizzati se laici. 11 concilio di Parigi del
559 represse colla scomunica quelli che
avessero rapito donne con intenzione di
sposarle, vedova o zitella, senza la volon-
tà de'genitori. Il concilio di Trento, sess.
24, Decr. de Refor., e. 6. « Non può far-
si matrimonio tra il rapitore e la perso-
na rapita, finché resti ella in mano di
lui. Che se essendo separata, e messa in
luogo sicuro e libero, acconsente d'aver-
lo per marito, la terrà per sua moglie;
ma non ostante lo stesso rapitore, e lut-
ti que'che gli avranno prestato consiglio
o aiuto, ed assistenza, saranno ipsojiwe
scomunicati". Ma si ritorni a' primitivi
cristiani ed al p. Mamachi. Non fu già
minore nel IV secolo della Chiesa lo stu-
dio di molti nel mantenersi illibati e ver-
gini sino alla morte. Narra Eusebio di Ce-
sarea nella vita dell'imperatore Costan-
tino I, ch'eran da lui massimamente sti-
mati, onorali e premiati que'che davan-
si allo studio della divina filosofia; ed iu
modo particolare rispettava que' che ■■
veano promesso perpetua verginità al ve-
ro Dio, il quale, coni' egli pure crede-
va, abitava nelle loro anime. Non altri-
menti parla delle sagre vergini de' suoi
tempi s. Cirillo gerosolimitano fiorilo nei
IV secolo. A veano i fedeli in ciò preso e-
sempio non solamente dallo sposo delle
VER
vergini Gesù Cristo , e dalla sua illiba-
lissima e ss. Madre, ina eziandio da s.
Giovanni Evangelista, la cui verginità è
sovente dagli scrittori ecclesiastici enco-
miata; e dalle ricordate 4 figlie di s. Fi-
lippo diacono, delle quali fanno onora-
tissima menzione, precipuamente s. Lu-
ca negli Alti Apostolici, ed Eusebio nel-
la Storia ecclesiastica. Non è dunque a
meravigliare, osserva pure il p. Manìa-
chi, se ne' calendari e negli atti de'santi
leggiamo che molte ss. Vergini soffriro-
no con incomparabile intrepidezza il mar-
tirio , e acquistarono la corona e della
continenza e della fortezza loro, in eie
lo. E' difficile impresa il tessere un esat-
to catalogo di quelle beate anime , che
Con tanta gloria loro trionfarono del
mondo, della carne e del demonio. 11 p.
Mamachi si limita a celebrare le vergini
s. Apollonia , a cui a furia di percosse
levarono tutti i denti, e restò incenerita
quindi dalle fiamme; s. Teodosia, che di
18 anni fu cruciata con 01 tendi tormenti
e indi sommersa nel mare. Passa poi il p.
Mamachi a descrivere l'edificante e sin-
golare continenza de' mai itati de' pi imi
secoli cristiani, la loro verecondia, la ca-
stità de'loro discorsi e pensieri, tutto in
loro spirando purità, la diligenza in be-
ne educar la prole, non passando alle se-
conde nozze. Anch'egli racconta, che al*
le volte gli sposi con iscambievole con-
senso si separavano per servire con mag-
gior libertà al Signore, conducendo vita
interamente pudica ed esemplare. Inol-
tre i primitivi cristiani erano ben per-
suasi della debolezza e miseria della na-
tura umana, onde procuravano di schi-
vare que'luoghi e quelle circostanze, che
potevano dar loro occasione di operare
o di pensar male; quindi è, che non fre-
quentavano gli spettacoli, né le licenzio-
se conversazioni, evitando così certi pe-
ricoli di peccare o colle opere o colle pa-
role. Tra'romani gentili, dite il Guasco,
Delle or natrici , le vergini portavano i
capelli uniti in un sol volume, le marita
VER 3n
te costumando dividerli sulla fronte. Il
Buonarroti, Osservazioni sui vasi anti-
chi di *etrot narra che le vergini cristia-
ne portavano i capelli annodati in cima
della testa in un sol nodo; poi raccoglie-
vano i capelli parimenti in cima del ca-
po, ma il gruppo era più grande e ser-
rato con una rete: le vergini sagre poi,
portavano intorno alla testa una fascia
delta mitra o mitella. Secondo il Rinal-
di, l'usa vanoquelledA'frica, ricevendo ta-
le ornamento da'vescovi, mentre in Ro-
ma e altrove si costumava il velo sagro.
Innumèrabili poi sono le beneficenze in
ogni tempo fatte dalla pietà cristiana a
favore delle vergini ezitelle,massimequel-
le che ponno pericolare e Povere (F.)t
per le quali furono fondati Conservatorii,
Ospizi e Monasteri ( F.).
Le sagre vergini a Dio consagrate si
trovano dal cominciamento del cristia-
nesimo, con Foto eziandio di perpetua
castità. Dopo gl'insegnamenti di s. Pao-
lo, cominciarono subito i collegi e le ca-
se in cui convivevano in comunità, più
tardi chiamate Monasteri (F.). Egual-
mente ne' primi tempi della Chiesa co-
minciarono gli uomini la vita di Solita-
ri, di Anacoreti, di Cenohili} di Religio-
si (F.), osservando il celibato, e poi an-
ch'essi ne fecero voto e si raccolsero in
Monasteri e Conventi. Nel II secolo scris-
se Tertulliano: » Quanti sonovi mai Eu-
mtchi volontari (ne riparlai nel volume
LXXXV, p. 233), e vergini dell'uno e
l'altro sesso l"Ne'primi tempi delia-Chie-
sa si dissero Agapete (F.) alcune vergi-
ni, le quali conducevano la vita in comu-
ne, e si dedicavano al servigio caritate-
vole degli ecclesiastici. Questi le chiama-
rono sorelle ejì glie adottive, vivendocon
esse come fratelli e sorelle. Le qualifica-
vano figlie adottive per conservar loro la
verginità e le loro sostanze, sostituendo-
le in qualche guisa a que'fìgli.che avreb-
bero potuto avere da un matrimonio le-
gittimo. Ma tosto tali nomi servirono a
ricoprire, ed a pretendere di giustificare
3i* VE 11
negli ecclesiastici una condotta riprensi-
bile, mentre uvea l'apparenza d'un'ami-
cizia cristiana, sotto lo specioso pretesto
del bisogno che aveano della loro assi-
stenza nelle malattie, o nel domestico go-
verno. Nati gli abusi, con false ragioni si
fortificarono e non poterono a bolirsi, nep-
pure nel 3i5 per le orti inazioni del con-
cilio Niceno, il quale era stato alquanto
indulgente nel permettere a' chierici il
coabitare con certe donne non sospette;
indulgenza che die' ansa agli ecclesiastici
incontinenti, o di una condotta poco re-
golata, di mantenere con tale occasione
delle familiarità indecenti con altre per-
sone del sesso femminile. Da Antiochia,
ove pare che siffatto vivere degli ecclesia-
stici ebbe origine , e dove Leonzio spe-
cialmente, che fu dipoi vescovo di quel-
la città, si fece eunuco per poter libera-
mente abitare con una giovane da lui a-
mata, passò nell'altre chiese. E s. Gio.
Crisostomo, che l'atea fortemente com-
battuto sin da quando non era che sem-
plice sacerdote, lo trovò stabilito nella ca-
pitale dell'impero d'Oriente, quando ne
fu fatto vescovo. Di là si sparse il vizio-
so costume nell'Occidente, dove i diver-
si concilii di Francia, di Spagna, d'Italia
e di altre regioni, che lo proibirono, e gli
scritti di s. Girolamo dimostrano, eh' e-
rasi deplorabilmente introdotto e propa-
gato in tutta la Chiesa. 11 Crisostomo
scrisse in Costantinopoli due libri su que-
sta materia, o due omelie assai lunghe.,
ed impiegò tutta la sua virtuosa eloquen-
za per distruggere nel suo clero un tal
disordine, il che non fu l'ultimo de' mo-
livi che sollevarono gli ecclesiastici con-
tro di lui. Finalmente l'autorità dellaChie-
sa si trovò troppo debole contro un co-
slume sì invecchiato e abbominevole, e
fu costretta a ricorrere al bracciodegl'im-
peratori, tra'quali Onorio fece una legge
nel 4 20 contro a' chierici che tenessero
in loro casa delle femmine straniere, sot-
to il nome di sorelle, o con altri vocabo-
li cohabUanleS) contubernale s , adopii-
V EU
vactext rancar jnulieres subintróductai ,
sorores agapelas ; vocaboli tulli , che
quantunque non abbiano uno stesso suo-
no, tengono però in sostanza a dir lo stes-
so. Il vocabolo di Soti* fntrodoiie\^ .(eb-
be più voga, anch'esse però poi proibite
da' sagri canoni. Ne' primi tempi della
Chiesa eranvi pure delle vergini che si
consagravano a Dio senza ricevere il ve-
lo, ma portavano un abito distinto, il
quale era modesto e di color nero o bi-
gio. Però s. Ambrogio, fra gli altri, /{<■
hort. advirg.,\)av\a espressamente di ver-
gini consagrate a Dio col ricevimento di
un Pelo , che il vescovo benediva alla
messa. In Siriat culla di nostra s. Reli-
gione, le religiose propriamente dette, si
chiamavano figliuole dell' alleanza, sot-
to la quale denominazione comprende-
vansi quella specie di vergini, in seguito
dette Diaconesse e Canonichesse, cioè
quelle che non aveano ancora fallo vo-
to di verginità, ma che in più luoghi as-
sunsero la cura di cantare le lodi di Dio
in chiesa, come si ha nella vita di s. E-
freni. In questa classe si pongono molte
vergini che soffrirono il martirio in Per-
sia, come s. Varada, le due ss. Tede, le
tre ss. Maria, s. Danaca, s. Tolona, s. Ma-
ina, s. Muzachia, s. Anna , s. Abiata, s.
Ale, s. Mamlaca, s. Tata,s. Ama, s. A-
dana e s. Maraca. La ragione ne è, che
i siri danno loro il titolo di JBnalh-Kia-
J7itf,ovverodi figlie dell'alleanza. Le suin-
dicate vergini di tutte le classi, vivevano
in case particolari innanzi la fondazione
de'monasteri; ma non vi erano uomini in
quelle case, comesi ha da s. Cipriano, il
quale purdice,cheseuna di quelle vergi-
ni fosse caduta nella incontinenza, sareb-
be stata riguardata come incestuosa ed
adultera, per avere mancalo di fedeltà a
Gesù Cristo suo sposo divino. Si dove-
vano, giusta Tertulliano, trattare da sa-
crileghe quelle che lasciavano un abito
cousagrato a Dio. Quelle vergini condu-
cevano uua vita ritirala, solitaria, mor-
tificata cou rigorosi digiuui, e pacavano
V E lì
il loro tempo nell'orazione e nel canto
degl'inni sagri. Vi furono delle vergini,
chiamate ecclesiastiche (]a\Bev\eiH\\,/)el-
le oblazioni^ p. 44> cne dedicate a Dio e
professando una vera castità, con abito
religioso e vita regolata, abitavano nelle
proprie case a somiglianza degli Asceti,
i quali con una tal forma di vivere e-
sem piare e mortificato nel secolo si di-
stinguevano da'monaci abitatori de'chio*
stri. La benedizione delle diaconesse dif-
feriva dalla consagrazione delle vergini ;
ceremouia che proibirono a' preti il i.°
concilio di Cartagine, ed il 6." di Parigi;
anzi s. Leone 1 lo vietò a'corepiscopi, nel-
Y Epist. 88. Altre vergini furono imita-
trici degli Anacoreti ', Eremiti e altri So
litari (V.), detti pure reclusi e rinchiu-
si , che vissero Solitarie (Z7.) in piccole
Celle , contigue a chiese e a monasteri,
donde poscia derivarono i monasteri dop-
pi di religiosi e di religiose, i'u processo
di tempo vietati, e ne riparlai nel voi.
XCI, p. io5 eio8. Altre veigini furono
le Stilile (P.), del genere delle solitarie
è recluse. Altre di quest' ultime furono
quelle diesi rinchiusero in Romiloriian-
gusti contigui agliatrii, a'tetti e altre par-
ti de'sagri templi, delle quali dissi altre
parole nel citato voi. a p. 2-?3. Altret-
tanto fecero pie vedove e le Ternpeute
( V .); e già notai, che tra le Diaconesse.
eranvi vedove e vergini attempate, de-
stinale ad assistere gli ecclesiastici al bat-
tesimo per immersione delle donne a-
dulte, ad istruire le catecumene, ad aiu-
tarli nelle malattie, a procurare i neces-
sari soccorsi &' Confessori della fede per-
ciò carcerati, e custodire la porta e quel-
la parte del tempio assegnala alle donne.
Si riguardarono sempre quasi come ver-
gini quelle vedove, massime giovani, che
invece di rimaritarsi vollero vivere celi-
bi per amore di Gesù. Cristo. Equi cre-
do dovere avvertire , che negli articoli
che vado ricordando , sono rammentati
altri in cui ragionai di ulteriori specie di
sagre vergini, senza che qui tomi a no-
VOL. XC1II.
VER 3.3
minarle. Il p. Helyot, Storia degli ordi-
ni monastici e religiosi, tratta nel t. i,§
8: Che s. Sindetica fondò il primo mo-
na stero dì donne, della quale dissi paro*
le nel voi. XLVI, p. 4'* ^on è però o-
pinione comune di tutti gli scrittori, che
s. Sindetica alessandrina sia stata pro-
priamente lai.3 fondatrice óe* Monaste-
ri di sagre Vergini, poiché sebbene da
altri si tiene per tale, alcuni ne dubita-
no, né manca chi lo nega assolutamen-
te. Niceforo Callisto pel r .° l'attribuì a s.
Atanasio, sulla fede di certi mss. che por-
tano in fronte il di lui nome. Tale opi-
nione, secondo Herman e Tillemont, fu
abbracciata per sicura nel secoloXVII da'
più. istruiti, i quali riconobbero s. Sin-
detica per madre delle religiose e per r.a
fondatrice de'monasteri di donne; io quel-
la stessa guisa che s. Antonio abbate pa-
triarca de'cenobiti è tentilo per t.° fon-
datore de' monasteri perfetti de' solitari,
e fiori al tempo di s. Paolo t.° eremita,
il più celebre fra tutti quelli che mena-
rono vita in solitudine. Gli si attribuisce
l'istituzione del monachismo, che il det-
to s. Antonio abbate ordinò e regolò. A
suo onore fu istituito assai più tarili l'or-
dine di s. Paolo primo eremita {Tr.). Si
può vedere Ordine religioso. Alcuni dis-
sero s. Sindetica superiora delle mona-
che del s. Sepolcro fondato in Gerusa-
lemme, da s. Eleoa imperatrice nel 337.
Il p. Helyot riporta gli autori delle dif-
ferenti opinioni sopra s. Sindetica, non
che quelle del tempo in cui fiorì e del-
l'epoca di sua morte, assegnata dà Her-
man alla fine del III secolo, dal Baronie
nel 3 io, da Culteau nel 358, da Tille-
mont nel 365. Tutti poi convengono che
visse circa 84 anni, e che nella sua più
fresca giovinezza si ritirò nella solitudi-
ne; ed eziandio che visse al tempo di s.
Antonio, e perciò aver potuto fondare i
primi monasteri di vergini, come s. An-
tonio fondò i primi monasteri perfetti di
solitari, e con Regola scritta. Pretende
Bulteau, che s. Basilissa sia stata la fon-
ai
3i4 VER
dati ice della i.* comunità di donne, ma
le circostanze della vita di questa santa,
comparendo apocrife, non perniiselo al
p. Helyot di prestargli fede. Sono le cir-
costanze, il raccontarsi dal Bulicati, che
essendosi suscitala da Diocleziano una fie-
ra persecuzione nella Chiesa, s. Basilissa
e s. Giuliauo suo marito offrirono fervo-
rose pi eghiere a Dio per la salute di quel-
li che aveano convertili: che Dio esaudì
s. Basilissa togliendola dal mondo, dopo
aver concesso la stessa grazia quasi a mil-
le religiose, da lei rese perfettamente in-
clinate alla pratica d'ogni virtù. Quanto
a s. Giuliano che a lei sopravvisse, spar-
se il sangue per la fede nella medesima
persecuzione, essendo padre di diecimila
religiosi. Dichiara quindi il p. Helyot, es-
sere troppo inverosimile, che vi fosse un
sì gran numero di religiosi sotto la con-
dotta di s. Giuliano, prima che alla Chie-
sa si rendesse la pace; e più credibile sa-
rebbe stato, ciò che concerne s. Basilis-
sa, se le mille vergini o religiose, di cui
ella era superiora, avessero anzi sofferto
il martirio, che morte tutte avanti s. Ba-
silissa, e quasi nel medesimo tempo. Cre-
do d'avere scritto con più critica de' ss.
Giuliano e Basilissa, che nel giorno de*
loro sponsali stabilirono vivere in perpe-
tua continenza, nel voi. LXXXI V, p. 64.
Jl p. Chardon, Storia de 'Sa gr amenti , t.
3, lib. 1 , cap. 1 2, parlando dell'ordinazio-
ne delle Diaconesse, riferisce che riceve-
vano una specie di ordinazione, benché
non siano mai stale considerate come
membri dell'ecclesiastica gerarchia; e che
la loro istituzione è tanto antica quanto
quella àt Diaconi(V.).S. Paolo parlando
diFeba diaconessa della chiesa diCorinto,
dice che non si confidava già questo mini-
stero ad ogni sorta di persone, ma i .ve-
scovi le sceglievano prudentemente fra le
vergini consacrate a Dio ovvero fra le ve-
dove che avessero avuto un solo marito,
e poi avessero fatto professione di pietà
e voto di castità. Egli riconosce per tali
le figlie di s, Filippo diacono, S. Paolo
V ER
voleva che si ammettessero quelle sole di
cui si poteva essere sicuri che vivessero
come conveniva allo stato loro. « I due
stati di vergini e di vedove, erano in mol-
ta stima presso gli antichi, ed i vescovi ne
avevano una cura particolare. Le vergi-
ni si riputavano come la più illustre por-
zione del gregge di Cristo. Perciò nella
loro consagrazione il vescovo dava loro
colle proprie mani il velo benedetto da
se; laddove le vedove Io pigliavano esse
medesime dall'altare. Un semplice sacer-
dote poteva consagrare le vedove, non già
le vergini, ove per consagrare intendo as-
sistere, poiché le vedove non ricevevano
benedizione, ma solo professavano casti-
tà alla presenza di un sacerdote, siccome
insegna s. Gelasio 1 Papa". Al dichiara-
to dal p. Chardon sulle Vedove, sarà be-
ne leggere quelP articolo. Il sacerdote
Francescanlonio Mondelli nelle sue Dis-
sertazioni ecclesiastiche, Dissert. V so-
pra le sagre Vergini, ri ferisce quanto con
breve cenno vado a riportare, perciò om-
mettendo le critiche prove di sue asser-
zioni, e intrecciandovi alcuni schiarimene
ti ed erudizioni. Non vi è cosa al mondo
che tanto piaccia a Dio , che essendo la
stessa candidezza per essenza suole abita-
re fra' gigli del campo, quanto le sagre
vergini; per queste^ dice s. Tommaso, ha
riservato una corona lucida e risplenden-
te nel reguo eterno; e ragionando di lo-
ro s. Paolo nelle sue Epistole, lo fece con
impeciale compiacenza. Di queste, più che
d'ogni altro altamente si pregia e si ral-
legra la Chiesa, come quelle che del suo
divino sposo formano le più amene e con-
solanti notizie. § I. Se nella Chiesa ancor
nascente vi fossero sagre vergini. Esiste-
vano fino da'tempi apostolici, ne'quali a
comune edificazione de'fedeli, e a grave
confusione de'fieri persecutori del cristia-
nesimo, miravansi per ogni parte in ab-
bondanza donzelle che virilmente la foro
purezza consagravano con perpetuo voto
aDiOjdandosiaduntenoredivilail piùc-
semplare e perfetto. Lai .aa darne fesem-
VER
pio magnanimo e sorprendente fu la gran
Madre dell' Incarnata Sapienza; quindi
condecorata da Lei la Chiesa col nome e
professione di T'ergine, tostoaltredi simi-
le desiderio accese, coraggiosamente ne
seguirono le orme, ricevendo dopo con-
tinue fervorose suppliche la consagrazio-
ne da' ss. Apostoli. Il perchè non v'ha
dubbio, che cominciassero nella Chiesa
ad esistere vergini quando cominciò a
propagarsi l'evangelica dottrina. Solen-
nemente furono consagrate con voto di
castità al Signore, da'ss. Pietro e Paolo,
le ss. Petronilla e Tecla ; altrettanto fe-
cero s. Matteo, con s. Ifigenia, le quat-
tro figlie di s. Filippo diacono, e Papa s.
Clemente I del g3 con s. Flavia Domi-
ti Ila. Erano così numerose ne'primi tem-
pi della Chiesa, che questa nel pontifica-
to di s. Cornelio del 254, ne manteneva
i5oo (aggiungerò, comprese le vedove
che viveano come le vergini), rendendo
servigi alla medesima Chiesa, perciò chia-
mate Canonìcliesse (avverte l'autore, che
esse differivano dalle posteriori canonì-
cliesse di Germania godenti prebende,
senza professare il religioso istituto e sen-
za rinunziare a' propri beni paterni: di
nobili famiglie non sono astrette da voli,
tranne la badessa, e ponno maritarsi; se
noi fanno restano nel numero dell'asce-
tric attendendo alla pietà e agli uffizi di-
vini. Sono una diramazione delle clau-
strali che canonicamente viveano, e me-
ritano non pertanto I* elogio che ne fece
il cardinal Vitrì) , a cui era proibito il
maritaggio pel volo fatto di verginità;
quelle ch'eransi separate da' mariti e le
vedove, diceudosi Suddiaconesse, Dia-
conesse, Presbiteresse, Vescovesse^ dal-
l' uffizio che ad esse apparteneva o dal
grado in cui erano ascesi i mariti tra il
clero, tali di solo nome e senza però or-
dine sagro; e Papa s. Solerò del i j5, nel
vietare con decreto alle sagre vergini il
toccare i Fasi sagri, le palle che cuo-
prono il Calice, e l' Incensazione nelle
chiese (i critici attribuiscono il decreto
VER 3i5
a Papa s. Gelasio I del 4-92)> l'enumerò
fra le persone laiche. I coniugi separati-
si erano sottoposti alla scomunica, se a-
vessero violato la promessa castità, e ve-
nivano deposti i mariti dagli uffizi che-
ri cali. § lì. Se vivessero le vergini ne'
chiostri racchiuse, ovvero nelle private
rispettive abitazioni. E comune opinio-
ne che alcune di esse ne'primitivi tempi
della Chiesa vivessero nelle loro rispet-
tive abitazioni segregate da ogni virii con-
sorzio; altre poi spontaneamente si rac-
chiudevano ne'sagri Chiostri, per ivi più
di proposito attendere alla vita regolare,
e ne parla s. Girolamo nella lettera scrit-
ta ad Eustochia sopra la diligente custo-
dia della santa verginità, altra avendone
indirizzata a Marcella. Istitutrice di que-
ste claustrali si celebra la sorella di s. An-
tonio abbate; altri la sorella di s. Paco-
mio, il quale avea ad essa fabbricato un
monastero, che dal proprio veniva divi-
so dal fiume Nilo, e siccome egli presie-
deva ai4oo monaci o religiosi, essa era
maestra e direttrice di 4oo donzelle. S.
Basilio non solo da'fondamenti eresse ad
alcune vergini i chiostri, ma ancora vi
prescrisse sante leggi. Nella Tebaide il s.
abbate Elia per 4° anm fa premuroso
fondatore e lodevolissimo direttore di beu
3oo vergini. In Oxirinco città dell'Egit-
to ritrovavansi 20,000 vergini e 10,000
monaci. Anche nell'Oriente e nell'Africa
innumerevoli vergini si consagravano al
Signore. L'Oriente, la Palestina, l'Egit-
to, l'Asia, il Ponto, la Cilicia, la Meso-
potamia , I' Europa tutta contenevano
moltissimi chiostri di sagre vergini, che
colle mani lavoravano e con assidui canti
lodavano Dio. S. Paola vergine radunò
molte donzelle di diverse città e proviti-
eie, dividendo in 3 monasteri le nobili
dalle altre, circa i lavori manuali e l'or-
dinario cibo, ma le volle congiunte nel-
la salmodia e nell'orazione. Appena in Ro-
ma s'introdussero i monasteri, subito le
romane donzelle qualificate uè concepi-
rono avversione, stimando di vii condì-
3 . <ì VER
iu i.( quelle che vestivano l'abito religio-
so; ina quando Marcella e la sua figlia
conobbero la dignità e vantaggi della vi-
ta claustrale, cpreuapdp da magnanime
le dicerie elei inondo, intrepide se ne ve-
.sf irono, ed in breve il loro esempio fu
imitato in modo, che tosto si moltiplica-
rono il numero de* sagri chiostri in mo-
do, che copiosi si ammiravano le vergi-
ni e i religiosi. Attesta Papa s. Gregorio
I del 590, che quando Roma da'longo-
bardi venne fieramente saccheggiata (as-
.tediata, non fu espugnala; bensì devasta-
ta la campagna e i dintorni), ed estrema*
menlepenui lavasi di viveri, egli manten-
ne 3,o 00 vergini di vitto e vestito. Don-
de si trae il numero aumentato de'mo-
nasteri, ed in essi non solo dimoravano
le sagre vergini, ma eziandio alcune no-
bili donzelle, per 1' educazione morale e
religiosa; costume già in uso a'tempi di
s. Girolamo nel UV secolo, poiché calda-
mente esortò la vedova Lela, a collocar
Paola sua piccola figlia nel monastero di
Betlemme, sotto la gelosa custodia e san-
ta premura di quelle vergini. Con eguale
impegno e premura, nello stesso secolo,
s. Basilio raccomandò ne'suoi monasteri,
di basiliani e di basiliane, fossero educati
fanciulli e fanciulle, che si volessero con-
sagrare con voto perpetuo di castità al
Signore; costume che fioriva pure nel-
l'Egi Ito. Propriamente l'origine de'mona-
steri di vergini cominciò quando Costan-
tino I nel 3 1 3 stabilì la pace alla perse-
guitala 1 eligione cristiana, iu cui la sorel-
la di s. Antonio abbate meritò il titolo
di monastica fondatrice; tuttavia più an-
tica vuoisi la fondazione de' monasteri
della Siria e della Mesopotamia almeno,
poiché. Tertulliano, De velandis Virgi-
nibus, e s. Cipriano, De disciplina Vir-
ginum, fioriti nel 11 e nel 111 secolo, af-
fermano che a' loro tempi già esistevano
tali monasteri di sagre vergini ; laonde al
più tardi negli inizii del III secolo risale
P istituzione de'sagri chiostri, il che con-
ferma s. Basilio, oltre s. Efrein siro, che
VER
minutamente a'tempi di Costantino ! de-
scrive la monastica vita di tante vergini,
ed i gloriosi esempi fa' Terapeuti e de*
Ccnobiti, proponendone calorosamente
1' imitazione, parlando persino degli abi-
ti de'monaci e delle vergini, come di co-
se antiche. S. Febronia vergine patì il
martirio nel 3o4, ed appartenne al mo-
nastero di Briene nella Siria. § III. Se le
sagre vergini avessero il velo, o altra
veste, che dalle comuni donne le distin-
guessero. E' incontrastabile che le prime
donzelle consagrate al Signore, deponen-
do le secolaresche veslimenta, di altre or-
na vansi di lana e di color fosco, per distin-
guersi così dall'altre donne, come può ve-
dersi nel Tamburini, Sul diritto delle
abradesse, disp. io, quest. 2, n. r4; nel
Tornassi ni, De velcri et nova Ecclesiac
disciplina, part. r, lib. 3, cap. ^1 ; nel
Marlene, De anlìcjuis Ecclesiae rilibus,
lib. 2, cap. 6. Ma nou solo quelle diesi
racchiudevano ue'chiostri, dice s. Atana-
sio nel suo libro delle Vergini, in sirnil
guisa vestivano, ma quelle eziandio le
quali per libera e volontaria istituzione
allottavano vita domestica e ritirata. A
tali vesti era unito il Velo, col quale ri-
coprivano il capo. A meglio ciò compren-
dere, conviene distinguere due sorta di
consagrazione : una dicevasi solenne, l'al-
tra*soleunissima. La i.a era quella nella
quale la donzella giunta all'età di 1 2 an-
ni, in cui pel diritto romano dicevansi
nubili (sull' Età dell' Uomo e della Don-
na, anche per la Professione religiosa,
oltre quegli articoli, ne riparlai ne' voi.
L V 1 1 , p. 9 1 , LXI X, p. 1 3 1 , XC, p. 1 1 4.
Ultimamente si scuoprì nelle catacombe
romane un'iscrizione che conferma l'as-
serto dal Tomassini, Vetus et nova Eccle-
siae disciplina, che la verginità poteva
essere professata nellaj Chiesa primitiva
sin dall'età di 12 anni. Tuttavia quan-
tunque questa età di 12 anni, l'età nu-
bile secondo le leggi romane, fosse quel-
la in cui la Chiesa permetteva di lare si-
mile offerta a Dio, ella riservava però ad
VER
un'età più matura la consagi azione so-
lenne di questo voto ili astinenza. E tale
ceremoniasi faceva nella domenica di Pa-
squa e in altre solennità dal vescovo, il
quale porgeva colle sue mani il velo alle
vergini. E' probabile che all'alto di offer-
ta si limitasse a indossate un abito nero
e senza ornamenti, che i genitori della
giovane le davano dopo ricevuta la pro-
messa di castità. Ma quando qualche pe-
ricolo minacciava la Chiesa, questa per-
metteva di anticipare di alcuni anni il
tempo ordinario della consagrazione, ed
essa fortificava le spose di Cristo nel lo-
ro nobile disegno dando ad esse la sua so-
leune benedizione, come riferisce lo stes-
so Tomassini. Il concilio di Cartagine del
3g7 prescrisse che le vergini non sareb-
bero consagrale che di 25 anni; e che
quelle restate seni-a parenti, fossero col-
locate dalla sollecitudine del vescovo in
un monastero di vergini, o in compagnia
di alcune donne virtuose. In Oriente la
regola di s. Basilio, che governava tulle
le monache, licenziava le vergini a pren-
dere il sagro velo, subito dopo l'annoi 6.°
o 17.0 11 sinodo Tulliano accorciò an-
cora la debita età all'anno io.°; decreto
che quella gran parte di mondo osservò
sino al XII secolo. In alcune chiese d'Oc-
cidente si domandava età più matura nel-
la vergine a fare validamente la profes-
sione religiosa. Nelle Gallie il concilio
d'Agde stabilì l'anno 4°«°» c'°è '» più so-
lenne,che in altre chiese faeevasi a 25 an-
ni, mentre alla privata bastava l'uso libe-
ro della ragione) o da per se o da'ioro pa-
renti erano con abito modesto e fosco ve-
stile nel tempo in cui si consagra va no con
perpetuo voto di castità al Signore. Di
questa solenne consagrazione parla s. Gi-
rolamo, nominando tunica fuscioru/n,
cingulum sed laneum et tota simplicita-
te purissimum eie. (ordiuò il concilio di
Cartagine del 398: La vergine deve es-
sere presentata al vescovo per essere con-
sagrata, nell'abito di sua professione). La
2/ poi si faceva dal vescovo imponendo
voi. xeni.
VER 3 1 7
loro il velo e solennemente benedicendo-
le, nelle principali feste dell'anno, come
si ha da s. Ambrogio e da s. Gelasio I.Ma
nel decorso de' secoli, a questa solennità
si aggiunsero tutte le domeniche dell'an-
no, le feste della B. Vergine e de'ss. Mar-
tiri. Nella chiesa d'Occidente di tal con-
sagrazione il ministro era il solo vescovo,
il quale pronunziava analogo sermone.
Narra I. Ambrogio, nel suo libro delle
Vergini^ cheanco il Som tuo Pontefice tal-
volta ne faceva la funzione, come s. Libe-
rio eseguì uella basilica Vaticana con Mar-
cellina sua sorella, imponendole il sagro
velo verginale nel dì della Nascita del Si-
gnore: ne riparlai uel voi. XLVI, p. 43.
Era anticamente il velo di color porpori-
no, il cui mistico senso spiega s. Girola-
mo, nel libro Istituzione delle 'Vergini:
Succi ngant sacrae Vìrginis crinem mo-
destiam, sobrietas, continentia, et virtù-
tum accincta cornila tu, purpureo Domi-
nici Sanguinis redimita vclaminef mor-
lifìcationem Domini Jesu in sua carne
circumferat. E s. Oliato Milevitano sog-
giunse: Nec ulla sunt praecepta conjun-
ctat vel de qua lana Mitrella fieret, aiti
ile qua purpura pingeretur. In altri luo-
ghi,al riferire del Catalani, Commetti, al
Pontif. Romano, tit. 2, ritrovasi in uso il
velo nero. Ma come rilevasi dalla disserta-
zione eruditissima pubblicala nel 1689
dal mainino p. Mege sul velo sagro, in
seguito molte furono le qualità ed i colo-
ri. Dopo aver egli con sommi eucomii e>-
sallata la verginità, dimostrati i pregi e
I'utilirà, in due elassi divide le vergini,
■ quelle cioè che da per se slesse vesti-
vansi, come Asella a cui scrisse s. Girola-
mo, e in quelle che dal vescovo venivano
solennemente velate,tra le quali enumera
Demetriade. Indi con l'autorità di gravi
scrittori antichi, dichiara i sagri veli divi-
si in 8 generi. Il 1 /competeva a chi lo do-
manda va, e si chiamava velo di prova. II
2.0 era candido per le novizie, e d-icevasi
velo di ricevimento. Il 3.° rosso, e da vasi
nel giorno della professione^ondu nepren-
3i8 VER
deva il nome. Il 4° chianiavasi di colisa-
grazione, e questo, ch'era dal vescovo be-
nedetto, non si dava che alle vergini. Il
5.° si diceva velo di ordinazione, perchè
in ricevendolo le vergini, venivano ordi-
nate diaconesse. Il 6.°era il velo di prela-
tura3 che concedevasi alle badesse in età
non minore di 60 anni (disse il cardi-
nal De Luca : per essere eletta bades-
sa occorrere l'età di 40 anni, ed 8 di
professione). Il 7.0 di continenza, che
comunemente davasi alle vedove. L'8.°
di penitenza, con cui doveasi, tutti gli
altri deposti, velare quelle claustrali che
in alcuna colpa eran cadute (oltre quan-
to notai di sopra, trovo nel can. i3 del
concilio d'Elvira del III secolo: • Le ver-
gini consagrate a Dio, le quali avranno
tradito il loro voto, e saranno vissute nel-
la dissolutezza, non avranno la comunio-
ne nemmeno in Une; ma se non sono ca-
dute più di una volta, per seduzione o per
debolezza, ed hanno fatto penitenza in tut-
ta la vita, si darà loro la comunione in fi-
ne). Seguea parlare de' voti religiosi, della
tonsura de' capelli, della consagrazione,
e de'inonasteri delle vergini da s. Ambro-
gio appellati Sacrari della Verginità.
Anticamente in alcuni luoghi non si ta-
gliavano i capelli, come segno di vergini-
tà, ma in altri era inveterato costume
che la vergine dovea farsi tosare i crini
dalla superiora del monastero. Da s. Am-
brogio, De lapsu Firginis consecrat. cap.
8, e da altri riferiti dal Alartene, appari-
sce che le prime claustrali portavano non
tosati sotto il velo i loro capelli. Ma ne'
chiostri dell' Egitto e della Siria, scrive
s. Girolamo nella Lettera a Sabiniano, es-
sere stato costume, che le vergini e le ve-
dove, le quali rinunziando solennemente
al mondo, si consagravano a Dio, dove-
vano per indispensabile condizione farsi
radere il capo,aflìnchè si dicesse aver elle-
no perfettamente rinunziato a quanto av«
vi nel mondo di piacere e di vanità. Qui
termina ladissertaziouedel Mondelli. Ag-
giungerò sull'età prescritta alla professio»
VER
ne religiosa, in confutazione a'presenti li-
bertini ed agli antichi eresiarchi, Calvi-
no che la pretendeva agli anni 60 ! e Lu-
tero che la dilungava agli Sol s' intende
con empia ironia, con allegare il riferito
dall' illustre dottore della Chiesa s. Am-
brogio nel libro De Virginitate, p. 7.
» Io non mi oppongo alla cautela del sa-
cerdote, nel velare le fanciulle. Guar-
di egli pure, guardi l'eia, ma quella del-
la fede e del pudore. Guardi la matu-
rità della verecondia, osservi la canizie
della gravità, la vecchiezza de' costumi,
gli anni della pudicizia, la robustezza
della castità; se in fine fedele sia sta-
ta la custodia della madre, se sana la
diligenza delle compagne. Se queste co-
se non mancano, neppure mauca la vec-
chia età alle vergini; ma se queste di-
fettinoci tramandi la fanciulla più gio-
vane di costumi che di anni. Non si riget-
ta l'età più verde, ma sene disamina l'a-
nimo. E che, se ogni età atta al servizio
di Dio è perfetta alle nozze di Cristo? Non
diciamo che la virtù è appendice dell' e-
tà, ma bensì l'età è appendice della virtù .
Ne voler ammirare la professione ne'gio-
vani, mentre leggi la passione ne' fanciul-
li... . Non vogliate rigettare le adolescen-
ti, delle quali sta scritto -.propterea ado-
lescenlulae dilexerunl te ".
Fra'motivi che determinarono Antonio
Ulrico duca di Brunswich e di Lunebui-
go , ad abbracciare la fede romana cat-
tolica, pubblicati dal p. Theiner, a p. 47
della Storia del ritorno alla Chiesa cat-
tolica delle case di Brunswich e di Sas-
sonia, vi fu il seguente.» Non meno stu-
pore mi ha recato il vedere fra'cattolici
tante vergini avvenentie doviziose, e tan-
ti giovani di splendidi natali abbandona
re il mondo, sprezzarne le vanità, e cor-
rere gioiosi a racchiudersi ne'chiostri per
menar vitaausterissima per amordi Dio,
ed in vantaggio della eterna loro salute,
senza curar tante volte il disgusto, che con
siffatte risoluzioni danno a' parenti e a'
genitori. Ma fra que'delle sette (eretiche
VER
e scismatiche) appena v'ha alcuno di co-
spicui natali che non vergogni l'enume-
rarsi tra'predicauti; il che noi dico, qua-
siché Iddio si piacesse di aver a suoi mi-
nistri ragguardevoli soggetti, mentre è
noto ch'egli destinò dapprima a sì alto
ministero semplici ed abbietti pescatori;
ma solo il dissi, per conchiudere, che ap-
po i cattolici si vede operare una special
grazia di Dio , e che la loro fede sia la
salutare, essendoché Dio, a que' che la
professano, concede tante grazie" .Anco-
ra un altro motivo. « Non posso mai scor-
darmi, come essendo io giovine, due pre-
dicanti in mia presenza , discorrendo di
un certo giovane a me ben noto, un di loro
ne presagiva da'suoi ben governali costu-
mi pudica vita: l'altro soggiunse essere
pel garzone molta buona ventura se ciò
addivenisse, essendoché la castità derivar
suole da singolare grazia che Dio conce-
de. Io allora assai giovine e luterano, an-
dava tra me pensando, come mai i no-
stri pastori non possiedono colai grazia?
Eppure essi chiamami misuratori della
Chiesa, e si arrogano il titolo di predi-
catori del puro Evangelo! e dicono che
la purità é una grazia speciale che Dio
ci concede! Or donde avviene che niuno
di loro viva nel celibato? Al contrario
i papisti (cui noi riputiamo idolatri) go-
dono questa grazia speciale; e si contan
fra loro vergini claustrali, religiosi e sa-
cerdoti secolari, che splendono perla loro
vita virtuosa e casta. Convien dunque cre-
dere, che la loro fede piaccia a Dio più
della nostra, mentre elicaci essi concede
tante e sì segnalate grazie. Queste cose me-
desime ho ponderato poi altre volte nella
età mia più matura ; e mi han porto un
motivo di più, onde abbracciare il cat-
lolicismo" . 11 dotto prelato e incessante
illustre scrittore che é mg.r Mario Feli-
ce Peraldi, Considerazioni politiche sul
governo dello Sialo Pontifìcio , Pesaro
i832, dopo aver trattato nel § II degli
Ordini Religiosi, a p. 4^ ragiona nel §
III delle Monache. Egli dice, Roma col
VER 3i9
rimanente dello Stato della Chiesa ab-
bonda di monasteri di monache , di ca-
se di ritiro, e di altri domicilii religiosi
per le persone del sesso. Poi soggiunge:
Ma che sono mai cotesti stabilimenti, e
quale utilità presentano alla economia
e alla politica dello Stato? Indi rispon-
de: Non si può ripeterlo, né lodarlo ab-
bastanza. Imperocché , tante onorate e
civili famiglie, e molle ancora di nobile
e distinto rango mancherebbero, e ve-
diam mancare di risorse per apprestar
doti convenienti alla condizione delle loro
nubili figlie (cioè in un deplorabile tem-
po che per l'immoralità non molti si gon-
giungono in matrimonio, e pel rovinosis-
simo lusso si esigono doti vistose che de-
pauperano le famiglie e fomentano quel
terribile tarlo della società),quali perciò
impossibilitate d'andare a nozze per man-
canza di collocamento corrispondente al-
la loro nascita (anche pel vezzo di pre-
ferire nella scelta della sposa un'inglese,
una polacca e via dicendo, e ciò nel tem-
po degl' italianissimi, cotanto amatori
della nazionalità,amore giusto se coereti-
te in tutto il resto), sarebbero obbli-
gate a invecchiare forzosamente in casa
vergini involontarie, noiose a se stesse e
di aggravio alla famiglia. All'opposto
con questi utili stabilimenti , co* mona-
steri che apre la religione, un padre di
numerosa prole ha pronto un onestissi-
mo mezzo, onde provvedere alla virtù e
alla sorte delle figlie chiamate da Dio a
queir istituto di vita perfetta. Sono in
certo modo quasi a sua disposizione i be-
ni di tali stabilimenti , per mantenere
forse una porzione della sua famiglia.
Laonde ben considera l'autore,i medesimi
beni di nome proprietà de' monasteri, dì
fatto goduti da migliaia di famiglie dello
stato, le quali per tale risorsa si alleggeri-
scono da una parte de' loro pesi , consa-
grando in quegli asili di virtù le loi«o ver-
gini, che rendono felici mediante la vo-
cazione religiosa. Oltre le riflessioni di
paterna politica economica, ricorda come?
feò VER
gli antichi romani onorarono con tante dt-
fttinzioni Iìi verginità nelle vestali, benché
pagani e tutto bellicosi, ad onta che non
si può fare il eonfroulo tra le sacerdotes-
se di Vesta, e le sagre vergini del cristia-
nesimo. Annuirà 1' illibata e perpetua
verginità delle donzelle cattoliche, la per-
fètta rinunzia delle cose del mondo, dal
qualesono segregate per sempre nel chio-
stro. Quante sublimi virtù in questo fio-
riscono,superiori alla naturale debolezza
del sesso; quaute sapientissime legislatri-
ci ed eroine che fecero attonito il mon-
do perla perfezione della vita e la Molila
delle opere. 1 monasteri mentre alimen-
tano e danno santo e onesto collocamen-
to a laute migliaia di persone del fragile
sesso, le strappano io pari tempo da'pe-
ricoli di prevaricare, e uè formano uu
modello di esemplare costume per le al-
tre lìglie della patria. Di più, nume-
rosi istituti di monache educano giova-
ni donzelle , e le allevano nelle massi-
me e nelT esercizio sì della morale che
della soda pietà , e ad ogni beli' ope-
rare: di buon'ora le avvezzano alla tol-
leranza e alle solfereoze , ispirano loto
orrore pel mal fare, le addestrano ai la-
voro, e insegnano ad esse vari ingegnosi
ed utili esercizi , correggendo insieme i
viziosi germi della natura, se in que' te-
neri cuori appariscono, formandole in-
somma per la religione e per la società.
Queste poi divenute spose e madri di
famiglia , piena la mente e 1' animo di
que'retti principi! istillali loro fio da'più
verdi anni, sanno mantenere illibata l'in-
violabile fede coniugale, e adempiere i
molteplici doveri del loro slato ; si occu-
pano senza fastidio e con vigile cura nel-
l'educazione della prole , cui ispirano
quelle massime virtuose ch'esse slesse ap-
presero e praticarono; e quindi sorgono
e si moltiplicano le famiglie probe, pie e
onorate , conforto del principato, orna-
mento della società, e gloria della nazio-
ne. » E sono queste utilissime istituzioni
dunque che i (pretesi ) lumi del secolo
VE ti
vorrebbero tolte vie dal mondo, e contro
cui follemente declamasi tuoi' alto, e di-
spregiane e si deridono? Diciamolo fran-
camente: la sensata politica non vede in
esse che un sosteguo del pubblico costu-
me, che la propagazione de'sani priucipii,
una sorgente di tranquillità, l'allontana-
nienlo di molti delitti, un onorato prov-
vedimento a innumerevoli famiglie, e la
più avventurosa sorte per migliaia di
persone del debole sesso; e solo le mas-
sime d' uno spirilo corrotto e falso pos-
sono censurare tanti profìcui stabilimen-
ti, e suggerirne l'abolizione (con pessimo
progresso), onde propagar sempre più
nel mondo la corruttela e la perversità ,
e cou esse l' infelicità e la disperazione
nelle famiglie, e inondar gli stali di de-
litti e di sciagure". Inoltre mg/Peraldi,
Sugli istituti ecclesiastici e loro posse-
dimenìi, Iloma i85o, a p. 1 3 1 torna a
ragionare nel capo 4* De vantaggi eco-
nomici e movali per la civile società de-
gì* istituti di monache. Mi limiterò a ri-
produrne il § IV. «Chiaro è dunque, che
i monastici stabilimenti dell' uno e del-
l' altro sesso concorrono in uno stato a
sostenere e promuoverne sotto moltepli-
ci rapporti la soda prosperità , perchè
provvedono all'onorata sussistenza di nu-
merosi sudditi, e li sottraggono da'delitti
della miseria; perchè diffondono la veri-
tà e i bei costumi tra' popoli; si fanno un
potente argine coutro il delitto circoscri-
vendolo di una sfera più ristretta. E quin-
di concorrendo a conservar meglio l'ordi-
ne morale , politico ed ecouomico della
civile società, assicurando più salda quie-
te allo stato, conciliando verso le leggi e
i governi ubbidienza, fiducia e amore ,
rispetto alle costituite autorità, ragion di
stato non vuole, 1' accorta politica non
suggerisce, i più sagri doveri del princi-
pato non dettano di conservarli e proteg-
gerli cotesti tanto benemeriti istituti ? E
d'uopo convenire, che dove vedete ab-
bondare così utili stabilimenti, mostrasi
colà saggia e accorta vigilanza, e una bene
VER
inlesa provvidenza di regime ". Quanto
sono benemerite le sagre vergini della
ci vile e cristiana educazione lo celebrai io
tanti loro articoli , massime in que' re-
centi e benemeriti istituti, senza clausu-
ra, che ammiriamo tanto propagati nel
mondo a pubblico vantaggio, per le loro
multiformi beneficenze e ingegnose indù»
strie vivificate dallo spirito di carità, col-
le varie denominazioni di Sorelle o Suo-
re (/'.) o Figlie della Carità (V.) ; e nel
voi. LXXXIX, p. 46 riparlai del fioren-
te novello istituto delle Adoratrici del
Di vin Sangue, delle quali molto scrisse il
eh. Michele de Matlhias, Della Pedago-
gia necessaria alle donne, a p. 33 e
seg., opera che ricordai altrove. Narra il
Giornale di Roma dell'8 febbraio 1859,
che il Papa Pio IX, ne' passati giorni si
degnò fare una visita improvvisa all' O-
spizio di s. Luigi Gonzaga (Z7.), cioè vi-
cino all' Ospizio di s. Galla nella par-
rocchia di s. Nicola in Carcere , dove le
religiose del Preziosissimo Sangue tengo-
no pubblica scuola per le fanciulle. Il
Santo Padre si degnò visitare in ogni sua
parte lo stabilimento, che tanto deve alla
sua sovrana munificenza , trattenendosi
colle povere fanciulle, interrogandole
sulla dottrina cristiana. E nel dipartirsi
lasciò pegni di sua grande beneficenza, e
in tutti un profondo sentimento di gra-
titudine, per avere colla sua presenza o-
norato quel locale di pubblica istruzione.
11 Santo Padre nel collocare in detto o-
spizio le religiose ne adidò loro la cura ,
ed in esso vi ricevono la notte le povere
donne , ed il giorno le giovinette a cui
fanno da maestre. Terminerò quest'arti-
colo col far menzione d' un altro recen-
tissimo istituto, ricavandolo dalla Ch'il'
làCaltoliea, serie 3.:1, p. 253, de' 12 lu-
glio 1 856, » In Gerusalemme sono giù»-
te nuove suore, le Figlie di Sion, istituto
fondato da due zelanti convertiti ( dal-
l'ebraismo) ed ora sacerdoti fratelli Ra-
tisboune. L'uno di essi,d. Alfonso Maria
(di cui anche nel voi. LXXlII,p. 4^ e
VER 32i
^2), venuto in pellegrinaggio in Terra
Santa, vi si trattenne lungamente per
cercar via di mandare ad effetto 1' antico
suo vivissimo desiderio di collocare pres-
so il Sepolcro del Divin Redentore que-
ste vergini d' Israello. La Divina Provvi-
denza ha benedetto i suoi voti; e il gior-
no 6 di maggio quattro di esse giunge-
vano in Gerusalemme, eprendevano pos-
sesso della casa già loro preparata. Essa
pregano per la conversione degli ebrei,
fanno opere di carità e di zelo versogli
ebrei, e mantenendosi del proprio non ag-
gravano per nulla la non ricca cassa co-
mune di Terra Santa. Sembra che il Si-
gnore voglia servirsi di queste suore per
frangere la durezza de' cuori del popolo
maledetto; e per opporre un ostacolo ef-
ficace alla propaganda protestante. I pro-
testanti hanno fra noi (scrive il corrispon-
dente di Gerusalemme) chiesa, vescovo, a-
sili di carità e denaro. I loro sforzi coadiu-
vati dall'opera attuosa del console inglese,
ebreo cangiato in protestante, sono rivolti
a far proseliti fra gli ebrei : ed argomen-
to efficace per dimostrar loro Ja venuta
del Messia sono le belle lire sterline che
fin brillare a' loro occhi, e correre fra le
loro mani. In sugli esordii la felickà di
questi nuovi convertiti è al sommo: haa
quattrini, protezione, carezze quante ne
vogliono. Lasciate passare un po'di tem-
po; vengono abbandonati, e ricadono
nella loro miseria e avvilimento non più;
ebrei, enè manco cristiani; facile ma igno-
bile preda a chi nuovamente li compri.
Le Figlie di Sion pregano per la con-
versione de' loro fratelli e cominciauo
dall' implorare per loro la grazia divina;
educano i lorofigliuoli, curano i loro ma-
lati, fan del bene a tutti: e senza nulla
comprare, senza vendere, aspettano che
que'cuori si lascino penetrare da'raggi che
loSpiritoSanto loro infonde, e ammolli-
re dallo spettacolo consolante della carità
cristiana che si sagrifìea.Le Figlie di Sion
formano il 2,° istituto di religiose che sia
iu Terra Sauta.Or son due anni le Dame
32* VER
di Nazaret vi allogarono con felici au-
gurii sorpassati di molto dall'ottimo suc-
cesso delle loro fatiche. Hanno chiesa ,
scuola, ospedale: sono amate ed ammira*
te da'musulroani, da' beduini e dagli a*
rabidel deserto". Sul discorso argomen-
to si ponno consultare le seguenti opere.
Pietro Abailardo , Epistola de origine
Sanctimonialium in ejus Opp. p. g4, Pa-
risiis i (5 1 G.Valesio, De Firginibus adSo-
zomeni yW\\, 2 3. L. A. Muratori, Dissert.
de Monaster. Monialium in t. V Ital.
Medìi Aevi, p. 36. Cancellieri, De Secre-
tariis,ì. 1 ,p. 3 1 6.DcSacrarum Firginuni
Consecratìone in Sacrario Majori; e p.
48 De Monialium Salutaloriis. Andrea
Vittorelli, De origine et clausura San-
ctimonialium, Romae 1645. Giuseppe
Gi beli ini, Disquisì tio Canonica de Clau-
sura regulari, ex veteri et novo furcy
Lugduni 1648. Giovanni Cabassuzio,Dfs-
sertatio de sacris Firginibus , Lugduni
1680, e nel t. 2, p. 66, Disciplinae Po-
puli Dei. Samuele Basnagio, Dissertavo
ile Sacris Firginibus. In ejus Annoi, pò-
Ut. eccles.i. i,p.5io, Roterodamiii 706.
Liborio Fassoni, De Puellarum Mona-
sleriis Canon. 38 Epaonensis Conc. ce
lebratis, Romaei 757. Antonio Gallonio,
Historia delle ss. Fergini romane e dei
gloriosi Martiri Papia e Mauro soldati
romani, Roma 1591. M. Raderio, Fi-
ridarium Sanctorum ex Mcnaeis Grae-
corum, Augustae Vindel. 1604. Ercola-
ni, Fifa delle più illustri romite sagre ,
Venezia 1688. M a ssi n i, Fila di ss. Don-
ne, colla vita della ss. Porgine Maria,
Roma 1769. Leggendario delle ss. Fer-
rini, Livorno i852. Leggendario delle
ss. Fergini, le quali vollero morire per
Gesù Cristo , o per mantenere la sua
santa fede e la verginità, Milano 1 857.
Benedetto Dell'Uva, Le Fergini pruden-
ti, con il pensiero della morte, Firenze
i582. Sono 6 poemetti, de'cjuali i pri-
mi 5 trattano del mai tirio di altrettante
sante, tutti assai stimabili. CaidinalGio.
Battista de Luca, // Religioso pratico
VER
dell' uno e dell'altro sesso, Roma 1 ^79.
Benedetto Giovannini, La vita religio-
sa nello stato secolare 3 Urbino 1691,
Pellizzari, De Monialibus, Romae 1 755,
edizione corretta a senso della s. Congre-
gazione dell'Indice. Zarrabini, Della no-
biltà civile e cristiana, e degli stati ver-
ginale , maritale e vedovile , Venezia
1 586.FiIogenio, Discorso della eccellen-
za delle donne, Fermo 1589.
VERGINI (ss.). F. Veegine.
VERINOPOLI.r.BEitiNOFOLieURA-
NOPOLI.
VERISIENSE. Sede arcivescovile di
Macedonia ovvero di Tracia, Ferisiensis
Ecclesia, ne* dintorni di Tessalonica e di
Tebe, eretta in metropoli nel secolo XI 1 1,
col vescovato Medense per suffiaganeo.
Si conoscono due de'suoi arcivescovi la-
tini. Guarino nominato nel 1206 o nel
1207, indi trasferito all'arcivescovato <Ji
Tessalonica nel 12 io. N. consagrato nel
121 1. Forse questo è il medesimo pre-
lato a cui il Papa Innocenzo III scrisse
nel 121 3, affinchè si portasse al concilio
generale di Laterano V, che doveva le-
dersi nel 121 5. Oriens Chrisl. t. 3 , p.
1 102.
VEKLAM-CASTER. Luogo d' In-
ghilterra, e probabilmente Io stesso che
Sant'Albano (F.). Sì conoscono 3 conci-
lii qui tenuti. Il i.° concilio ivi celebra-
to nel 446 è il primo concilio d'Inghil-
terra, come si ha da Wilkins, e fu ce-
lebrato contro gli errori di Pelagio. Nel
793 si tenne quello per la sepoltura di
s. Albano. Nel 794per fondare l'abbazia
di s. Albano. Regia t. 2o,Labbé t. 7, Ar-
duino t. 4»
VERMAND. Città vescovile di Fran-
cia, a due leghe da s. Quentin sulPOu-
inignon, già capitale del Vermandois, an-
tico paesello nella Picardia , di cui poi
divenne capoluogo s.Quentin. Ora trova-
si compreso nel dipartimento dell'Aisne,
ed in piccolissima parte in quello di Som-
ma. Traeva il nome del popolo gallico
de Feromandiiidiel' dhilavaiiUfed i suoi
VER
conti sotto la 2." stirpe de' re de' franchi
erano vassalli potentissimi. Dipoi il Ver-
mandese fu unito alla corona di Francia
sotto il re Filippo II Augusto del 1 180»
La città diYermandtJzrrmandtioruniCi-
vilas, Augusta V ermanduorum% appar-
tenue alla provincia 2.adellaGalliaBelgi-
ca, e vi fu eretta la sede vescovile nel 3 1 4
circa, poscia suffraga nea di Reims, ma
essendo slata distrutta nel secolo V dagli
unni, e verso il 53odel lutto atterrata da
altri barbari, la cattedra vescovile fu tra-
sferita a Noyon (F.), non restandovi a
Vermaud che un sacerdote per aver cu-
ra de'superstiti abitanti, gli altri essendosi
portati altrove. Nel iogi si rifabbricò
l'antica chiesa di Vermand, e vi furono
messi de'canonici sotto la direzione d'un
preposto, che in seguito prese il titolo di
obbate.Però nel 1 1/±2 la chiesa, il mona-
stero e gli altri edifizi costruttivi, essendo
stati ridotti da un incendio in cenere, fu
creduto a proposito, per ristabilire la ca-
sa, di farne sortire i canonici ch'erano ca-
duti nel maggiore rilassamento, e vi fu-
rono introdotti i canonici regolari premo-
stratensi, che si denominarono da Monte
s. Marliuo,e così divenne un'abbazia del-
l' ordine, che si conservò sino alla rivolu-
zione sul finire del secolo decorso.
VERME (Del) Taddeo Luigi, Cardi-
nale. D'illustre e antica famiglia di Pia-
cenza, fino dalia puerizia mostrò assai ma-
nifestamente i contrassegni di quell'insi-
gne pietà, di cui poi fatto adul to die'le più
luminose riprove. In età di 9 anni volle
dal suo vescovo per mezzo della tonsura
essere iniziato nell'ordine clericale. Tra-
sferitosi nel i665 a Roma di 24 anni,
trovò amorevole accoglienza e valida pro-
tezione ne* cardinali Alberici e Girolamo
Farnese suoi congiunti. Il i.° innanzi al
cardinalato lo condusse a Vienna per
compagnia nella nunziatura , nel qual
tempo il prelato oltre al godere della soa-
vissima conversazione del giovane, ebbe
agio d'ammirarne l'innocenza della v ita e
il candore de'coàtumi; ed io occasione che
V E II 323
l'Alberici fu sorpreso da grave malattia >
trovò in Taddeo un forte sostegno, che
colla sua saviezza e prudenza seppe in
quella circostanza ben condurre gli affari
più ardui della nunziatura. Rapiti però
in breve i due cardinali dalla morte, con
l'assistenza del pio Taddeo, questi restò
privo della loro protezione. Frattanto es-
sendogli stato ucciso alla caccia il fratello
maggiore , e succeduto perciò ne'diritli
primogenitali,queslo non servì che a farlo
più generoso co'poveri; lasciata quindi al
fratello minore V azienda domestica e di
proseguire la sua casa, egli si die' a vita
austera e penitente. Ricusò costantemen-
te il vescovato di Parma, offertogli cor-
tesemente dal duca, e il medesimo fece in
Roma quando gli furono proposte siffat-
te dignità. Ma non potè resistere agli e-
spressi comandi d'Innocenzo XI, che nel
1688 l'obbligò accettare il vescovato ili
Fano, in cui ritenue l'usato tenore di vi-
ta dapprima intrapreso, essendosi propo-
sto ad esemplare s. Carlo Borromeo. Vi-
sitava per lo più a piedi la sua diocesi,
nella quale introdusse perfetta e costan-
te riforma, senza strepito di castighi, di
carceri e di censure; ma sibbene con da-
re, a imitazione dell'eterno SacerdoteGe-
sù Cristo, eroici esempi d'umiltà, di man-
suetudine, di carità e di mortificazione.
Convocò il sinodo e vi promulgò utilissi-
me leggi, adatte al governo della diocesi
e all'indole de'diocesani. Profuso co' bi-
sognosi , distribuiva loro quanto avea ;
rigido contro se stesso, passava le intere
notti in fervente orazione, e se lo sor-
prendeva il sonno, si coricava sulla nu-
da terra con un legno sotto il capo,o so-
pra una sedia. Sparsosi dappertutto il
buon odore di sue sante virtù, Innocen-
zo XII s'intese potentemente ispirato di
promuoverlo alla porpora, ed a' 12 di-
cembre 1695 lo creò cardinale prete.
Ricevutane la notizia , si consigliò col
proprio confessore e con altri uomini
dotti e gravi, se poteva lecitamente ri-
cusare la dignità cardinalizia ; ma veuen-
286055
324 VER
do concordemente persuaso n non op-
porsi a' voleri pontifìcii, si quietò, ed eb-
be in titolo la chiesa di s. Alessio, e Del
i (>()() fu trasferito al vescovato d'Imola.
Ivi pure die'al suo gregge, e singolar-
mente al clero, illustri esempi delle più
sublimi virtù. L'assistenza divota e fre-
quente a'divini uffizi e al tribunale di
penitenza per ascollare le confessioni, le
disile degl' infermi, l'udienze prolungate
a più. oie con invitta pazienza, erano le
sue quotidiane occupazioni. Visitò la dio*
cesi in due anni la più pai te a piedi , e
riconosciute con somma religione le os-
sa e le reliquie di s. Pier Gì isologo, le
collocò in luogo più decente e ornato, e
rinchiuse parte del cranio di quel sauto
dottore in ricca e vaga urna d'argento ,
d'elegante struttura e adorna con figure
di metallo. Nell'anno santo 1700 per sov-
venire i pellegrini che si conducevano a
Roma, vendè le carrozze e i cavalli, cam-
minando a piedi per la città. Ospitale
co' sacerdoti , gli accolse benignamente
nel suo palazzo, ammise alla sua mensa,
che quanto era pulita altrettanto era
frugale; indi faceva loro celebrare la
messa con elemosina a chi la prendeva,
e raccomandandosi alle loro orazioni gen-
tilmeule li licenziava. Mentre stava in
procinto di celebrare in Imola il sinodo, e
già avea tenute alcune congregazioni, fu
da Clemente XI, al cui conclave inter-
venne, trasferito nel 1701 alla sede di
Ferrara, che governò 16 anni in tempi
in cui la città fu travagliata dalle inon-
dazioni di fiumi , dalla peste degli ani-
mali, e dalle scorrerie degli eserciti belli-
geranti. Il zelante porporato vestito del-
VER
l'abito di penitenza intimò pubbliche prò
cessioni e divote preghiere a fine di pla-
car l'ira divina. Celebrò il sinodo, che fu
stampato: Synodus Ferra rie usi* a Card.
T. A. De l' enne ^ anno 1711, Ferra ri ac.
Visitò la diocesi e si accinse con intrepida
magnanimità a rifabbricare la cattedrale
che minacciava rovina, in cheaiutatoda
Clemente XI impiegò immense somme di
denaro, e riuscì opera veramente glorio-
sa e degna d'un santo cardinale. Non
ebbe però la consolazione di vederla com-
pita,mentre nella stessa Ferrara neh 7 1 7
di 76 anni con una morte preziosa nel
cospetto del Signore, da questo luogo di
miserie passò agli eterni riposi. La sua
chiesa ne accolse la preziosa spoglia mor-
tale^ e sulla di lui tomba si legge breve
iscrizione spirante profonda umiltà.
VERNERÒ o VERNERIO, Cardi-
nale. Venuto a luce di nobilissima stir-
pe nell'Alemagna, chiaro per virtù e dot*
trina, consanguineo di s. Ulderico, e ab-
bate del celebre monastero di Fulda. Be-
nedetto VII del 975 lo creò cardinale,
e fece luminosa comparsa nel suo pontifi-
cato. Accetto all'imperatore Ottone li è
suo intimo consigliere, lo segui come nel-
la favorevole così nell'avversa fortuna, e
volle trovarsi con lui alla guerra di Ca-
labria contro i greci scismatici, dove nel
centro delle falangi soccombè da prode
e valoroso nel 983. Si dice che Benedet-
to VII gli diede la legazione d'Inghilter-
ra, dove si crede che celebrasse un conci-
lio in Vinton, lo che però è assai dubbio.
L' E»g» nella Porpora dolla, parla mol-
lo bene di questo cardinale.
FINE DEL VOLUME NOVANTESIIHOTERZO.
XC
VL
BX 841 .M67
1840
SMCR
Moroni , Gaet
ano.
1802-1883.
Di z ionar io d
i erud
iz i one
stor ico-ecc
les i as
t ica
AFK-9455 (awsk)