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Full text of "Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni. Compilazione di Gaetano Moroni romano"

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DIZIONARIO 

DI  ERUDIZIONE 

STORICO-ECCLESIASTICA 

t>A  S.  PIETRO  SINO  AI  NOSTRI  GIORNI 

SPECIALMENTE     INTORNO 

AI  PRINCIPALI  SANTI,  BEATI,  MARTIRI,  PADRI,  Al  SOMMI  PONTEFICI,  CARDINALI 
E  PIÙ  CELEBRI  SCRITTORI  ECCLESIASTICI,  AI  VARII  GRADI  DELLA  GERARCHIA 
DELLA  CHIESA  CATTOLICA,  ALLE  CITTA  PATRIARCALI,  ARCIVESCOVILI  E 
VESCOVILI,  AGLI  SCISMI,  ALLE  ERESIE,  AI  CONCILtI,  ALLE  FESTE  PIÙ  SOLENNI, 
AI  RITI,  ALLE  CERIMONIE  SACRE,  ALLE  CAPPELLE  PAPALI  ,  CARDINALIZIE  E 
PRELATIZIE,  AGLI  ORDINI  RELIGIOSI,  MILITARI,  EQUESTRI  ED  OSPITALIERI,  NON 
CHE    ALLA    CORTE    E    CURIA    ROMANA    ED    ALLA    FAMIGLIA    PONTIFICIA,  EC.  EC.  EC. 

COMPILAZIONE 

DEL  CAVALIERE  GAETANO  MORONI  ROMANO 

SECONDO  AIUTANTE  Di  CAMERA 

DI  SUA  SANTITÀ  PIO   IX. 


VOL.  XCIII. 
IN     VENEZIA 

t>  A  L  L  A      TIPOGRAFIA      EMILIANA 

MDCCCL1X. 


La  presente  edizione  è  posta  sotto  la  salvaguardia  delle  leggi 
vigenti,  per  quanto  riguarda  la  proprietà  letteraria,  di  cui 
l'Autore  intende  godere  il  diritto,  giusta  le  Convenzioni 
relative. 


DIZIONARIO 


DI  ERUDIZIONE 


STORI  CO -ECCLESIASTICA 


VEN 


VEN 


Compimento  dell'  articolo  Venezia. 

§  XX.  Brevi  cenni  storici  della  città  di 
Venezia  dal  1797  al  18 58 j  sue  va- 
rie principali  vicende  e  governi. 

1.  lo  conseguenza  de*  preliminari  di 
pace  tra  l'imperatore  Francesco  II  e  la 
repubblica  francese,  stabiliti  nel  castello 
di  Eckenwald  presso  Leoben,  e  del  trat- 
tato definitivo  firmato  a'  17  ottobre  1797 
a  Campoformio,  villaggio  poco  lungi  da 
Udine,  Veuezia  colle  Lagune  e  sue  Isole, 
tutti i  paesi  veneti  diTerraferma compre- 
si fra  gli  stali  ereditari  dell'augusta  casa 
d'Austria  e  il  mezzo  del  lago  di  Garda,  la 
sinistra  sponda  dell'Adige  sino  a  Porto Le- 
gnago,  e  la  sinistra  sponda  del  Posi  de- 
volsero  in  pieua  sovranità  del  detto  im- 
peratore, rimanendo  alla  repubblica  Ci- 
salpina, oltre  l'antica  Lombardia  austria- 
ca cou  Milano  sua  capitale,  il  Bergama- 
sco, il  Bresciano,  il  Cremasco,  la  città  e 
fortezza  di  Mantova,  Peschiera  e  tutta  la 
parte  degli  stati  veneti  ch'è  posta  a  ponen- 


te e  ad  austro  denominati  confini.  Cessa- 
to così  nelle  venete  provincie  l'  effimero 
democratico  reggimento  per  9  soli  mesi 
succeduto  a  quello  d'una  repubblica,  la 
quale,  bene  instituita  e  governata,  erasi 
conservata  più  lungamente  d'ogni  altra, 
venerata  e  amata  da'  suoi  sudditi,  pel 
suo  governo  veramente  paterno  estima- 
to pure  dalle  poleuze  estere,le  quali  nel- 
le strettezze  e  imbarazzi  politici,  in  più 
incontri  invocarono  la  saggezza  dell'au- 
gusto senato  veneto,  a  volerle  assistere 
col  sagacissimo  suo  consiglio;  cessata 
V  odiosa  temporanea  occupazione  de'  re- 
pubblicani francesi,  gl'imperiali  coman- 
dati dal  conte  Olivieri  di  Wallis  entra- 
rono in  Palmanova  a' io  gennaio  1798, 
in  Venezia  a' 18,  in  Rovigo  a'  24,  e  suc- 
cessivamente s' impossessarono  di  lut- 
ti i  paesi  loro  ceduti  col  trattato  di  Cam- 
poformio, onde  il  Veneziano  divenne 
una  provincia  austriaca.  Benché  i  de- 
magoghi, infatuati  dalle  false  idee  di  se- 
dicente Virtù,  Libertà,  Uguaglianza, 
per  togliere  l'inveterato  affetto  de' veneti 
al  principe  loro,  fossero  stati  larghi  nel  ri- 


4  VEN 

cordalo  brevissimo  spazio  di  comesi  d'in- 
verecondie e  incomposti  discorsi  contro 
le  monarchie,  contro  i  ricchi,  contro  i 
nobili, e  si  fossero  affaccendali  di  provare 
ì  vantaggi  della  democrazia;  benchèessi 
avessero  pur  arditamente  stampato,  non 
essere  il  governo  che  un  mostro  onde  fin 
dalla  creazione  del  mondo  erano  itali 
trucidati  milioni  d'uomini,  per  cui  sulla 
faccia  della  terra  tutto  è  confusione  e  de- 
litto.ed  altro  esso  non  voler  dire,  che  vio- 
lenza, oppressione,  rapina;  ad  onta  che 
avessero  audacemente  predicato  non  es- 
sere la  democrazia  che  la  giustizia  uni- 
versale de'popoli, la  base  necessaria  epe- 
renne  dell'ordine  e  dell'equilibrio  socia- 
le; esserla  nobiltà  della  nascita  un  pre- 
giudizio, non  trovandosi  nobiltà  in  na- 
tura; l'aristocrazia  quindi  un  mostro  che 
bisognava  parimenti  annientare,  la  de- 
mocrazia una  felicità  cui  doveasi  correre 
incontro,  l'aristocrazia  l'usurpazione  de' 
tiranni,  la  democrazia  il  governo  degli 
nomini  liberi;  e  detto  filialmente  si  aves- 
se a'poveri  di  Venezia:  o  poveri,  il  go- 
verno cui  siete  chiamati  è  la  democrazia, 
il  governo  del  popolo,  il  governo  di  tutti 
i  popoli;  nientedimeno  ed  a  fronte  di  tut- 
tociò  per  nulla  sollevati  e  commossi  i  po- 
poli delle  venete  provincie  da  quelle  pa- 
rolesvergognatissime,a  braccia  aperte  al 
dominio  nuovo  si  sottomettevano.  Tanto 
afferma  il  veneto  annalista  cav.  Mulinel- 
li. Imperocché  il  popolo  ormai  stanco  del- 
le laidezze,  ruberie,  oppressioni  ed  orgie 
repubblicane  francesi;  stomacalo  altresì 
dalla  tragi-commedia,  accolse  con  vero 
giubilo  i  tedeschi,  con  feste  e  pubbliche 
dimostrazioni.  Accalcatosi  sulla  piazza  di 
s.  Marco,  persino  sui  tetli,  tutti  i  balconi 
furono  addobbati  di  ricche  stoffe,  for- 
mando un  soprendente  spettacolo,  avvi- 
vato da  un  bellissimo  cielo  e  dalla  gioia 
universale.  Incessanti  i  Fiva,  il  basso  po- 
polo frenetico  ruppe  le  file  de'soldati  au- 
striaci, e  strappate  le  loro  bandiere  dal- 
le mani  degli  alfieri,  le  portarono  in  trion- 
fo per  la  piazza  e  per  le  principali  vie  del- 


VER 

la  città:  sj  affratellò  subito  conoidali  ba- 
ciandoli, ed  anche  baciando  le  manie  le 
braccia  degli  uflìziali  d'ogni  grado,  eque- 
sti e  quelli  corrisposero,  secondando  i 
popolari  eccessivi  trasporti;  nuova  scena 
che  durò  un  4  ore.  Nella  notte  tutta  la 
città  fu  illuminata  a  cera, e  per  ognipiaz- 
za  si  piantarono  orchestre.  I  teatri  fu- 
rono aperti  al  pubblico,  ed  era  cosa  nuo- 
va e  singolare,  il  vedere  come  il  popolo 
ne  impediva  l'ingresso  a  tutte  le  donne 
che  non  avevano  al  loro  fianco,  un  sol- 
dato se  popolane,  ed  un  affinale  se  nobi- 
li o  civili.  Finiti  con  quel  giorno  quesli 
primi  slanci  d'allegrezza,  le  feste  parziali 
d'ogni  parrocchia  e  d'ogni  strada  mag 
giore,  divise  perturno,  durarono  per  più 
di  due  mesi  con  musiche,  viva,  canti  po- 
polari e  illuminazioni.  Tutto  questo  fu 
una  luminosa  prova  della  generale  con- 
tentezza, per  essersi  liberati  dallo  spaven- 
to incusso  dalla  prepotenza  de' partili 
occupatoci  ;  questo  prevalse  al  dolore  dei 
perduto  dominio  e  del  modo  perciò  usa- 
to e  pantomimico.  Il  cessato  governo  fran- 
cese volendosi  assicurare  della  fede  o  spi- 
rito pubblico  di  tutti  gli  abitanti  di  Ve- 
nezia, onde  corrispondere  al  pattuito  a 
Leoben,avea  invitato  i  capi  di  famiglia 
di  raccogliersi  in  determinatogiorno  nel- 
le chiese  delle  rispettive  parrocchie,  per 
dare  il  singolo  loro  yoto,  dichiarando  se 
amassero  di  fai  si  fratelli  della  repubbli- 
ca Cisalpina,  o  preferissero  la  sudditanza 
dell'impero  austriaco;  ma  con  l'istruzio- 
ne a'raccoglilori  de'voti,  di  proclamare 
in  ogni  modo  la  votazione  essere  favore- 
vole alla  dominazione  austriaca!  Al  che 
i  veneziani  posero  suggello  col  giuramen- 
to di  fedeltà  che  prestarono  al  nuovo  so- 
vrano Francesco  II,  che  un  notaio  pub- 
blico per  ogni  parrocchia  andò  a  ricevere, 
insieme  alla  sottoscrizione  di  ciascun  capo 
di  famiglia,  nella  chiesa  a  cui  appartene- 
vano. Il  nobile  veneto  Francesco  Pesaro, 
che  recentemente  erasi  veduto  partire  da 
questa  sua  città  natale,  per  recarsi,  come 
dicevasi,e  già  di  sopra  notai, a  cercare  la 


VEN 
libertà  nella  Svizzera,  e  inveceera  corso 
a  Vienna,  vi  rientrònellaqualitàdi  com- 
missario imperiale,  rivestito  d»  ogni  più 
ampio  potere;  l'uso  non  generoso  da  lui 
lattone  contro  non  pochi  suoi  noti  avver- 
sari politici,  coperse  di  grand'  ombra  il 
suo  nome.I  uobili  quindi  stati  antichi  so- 
vrani del  paese,  prestar  dovettero  nelle 
mani  del  suo  collega  il  giuramento  di  fe- 
deltà e  ubbidienza;  e  l'ex  doge  Manin  egli 
pure  a  ciò  obbligato,  nel  comparire  da- 
vanti al  Pesaro,  trasformato  in  agente 
del  l'Austria,  nel  pronunziare  la  forma  ri- 
chiesta, fu  colto  da  tale  commovimento, 
*:he  cadde  a  terra  fuori  de'sensi,  e  l'asse- 
nte I'  Arte  di  verificare  le  date.  A'  6 
febbraio  1798  si  ripristinarono  io  tutte 
le  città  venete  1  consigli  geuerali,  i  corpi, 
1  collegi  e  i  capitoli  secolari  per  l'ammini- 
strazione delie  pie  fondazioni,  sotto  qua- 
lunque nome  essi  fossero  stati  nel  1. gen- 
naio 1 796, com'erano  sotto  la  veneta  re- 
pubblica, hi  ciascuna  terra  e  castello  si 
ristabilì  la  particolare  rappresentanza  lo- 
cale, colle  forme  e  metodi  autichi:  tutti  i 
feudatari  rientrarononel  liberogodimen- 
lo  de'loro  diritti.  Nel  luglio  si  richiamò 
inosservanza  la  legge  del  giàconsigiiode' 
J)ieci  del  1788  sulle  cause  di  divorzio  e 
di  nullità  di  matrimonio.  Si  ordinò  poi 
che  in  ogni  provincia, secondo  gli  statuti 
vigenti  si  giudicasse  nelle  cause  civili  e 
criminali;  e  chea  Venezia, oltre  un  tribu- 
nale d'appello  per  le  provincie,  esservene 
dovesse  uno  supremo  di  revisioue  per  giu- 
dicar le  liti  in  3/  istanza.  L' imperatore 
Francesco  11  si  dichiarò  ampiamente  suc- 
ceduto cosi  nei  diritti  che  nei  doveri  del- 
la veneta  sovranità,  e  con  sovrana  risolu- 
zione 20  novembre  1  798  volle  annullato 
Jo  storno  delle  parlile  di  credito,  che  il 
Pesaro  avea  ordinato  nei  libri  di  Zecca 
di  tutti  i  capitali,  ch'erano  siati  iscritti  a 
favore  degli  acquirenti  cariche  della  ces- 
sata repubblica,  i  quali  avevano  patito  e- 
vizione  nel  1 2  maggio  1  797,  equindi  do- 
vevano per  contratto  esserne  rimborsati, 
cornea  tulio  il  iòo5,  ed  in  parte  lo  fu- 


VEN  5 

rono;  mentre  per  moltissime  altre  fami- 
glie il  credito  sussiste  ancora.  Tutti  Sbo- 
schi e  selve  si  assoggettarono  al  piano  bo- 
schivo della  veneziana  repubblica,  rein- 
tegrate nelle  sue  prerogative  le  maestran- 
ze dell'arsenale,  vietato  alla  soldatesca  il 
molestare  i  cittadini, offerta  sicura  stanza 
a'forestieri  d'ogni  nazione  ;ed  inoltre  fat- 
ti 1  ivi veregli ordini  antichi, se  ne  fecerodi 
nuovi  e  provvidissimi,  reintegrata  la  pub- 
blica morale,  tutfofacendosi  lodevolmen- 
te per  rendere  bene  accetto  e  consolida- 
re il  novello  dominio  austriaco,  saggioe 
giusto,  fiorendo  il  commercio  marittimo 
sottogl'imperiali  vessilli,  quasi  come  l'an- 
tico, per  esser  neutrale  fra'belligeranti  ; 
onde  si  moltiplicarono  nelle  Lagune  le 
navali  costruzioni.  La  Francia  progre- 
dendo nelle  conquiste,  la  dilatazione  del 
suo  dominio  pose  in  apprensione  Fran- 
cesco II,  che  avendole  intimato  di  sgom- 
berare l'Italiaela  Svizzera,  enon  avendo 
ottenuto  soddisfacente  risposta,  nel  decli- 
nar del  1 798  si  preparò  a  nuova  guerra 
collegandosi  coll'lnghilterra,  la  Russia, 
la  Porta  e  le  due  Sicilie,  per  cui  tosto  i 
francesi  gliela  dichiararono  al  cominciar 
del  1 799,  succedendo  Sellerei*  a  Joubert 
nelcomandodilorotruppe  in  Italia. Que- 
ste dunquedi  sovente  vennero  a  combat- 
timenti cogli  austriaci  ne'territorii  delle 
provincie  venete,  senza  che  il  popolo  si 
frammischiasse  agli  avvenimenti  milita- 
ri principiati  nel  marzo  e  proseguiti  sino 
alla  ritirata  di  Scherer  dall'Italia,  massi- 
me sull'Adige  e  a  Verona,  riuscendogli 
austriaci  vittoriosi  su  tutti  i  punti.  Ed  i 
collegati  entrarono  in  MdanOjinMantova, 
in  Piemonte,  in  Romagna, in  Ferrara  e  iu 
Bologna,  e  il  re  delle  due  Sicilie  occupò 
Roma  e  alcune  sue  provincie.  Tuttociò 
avvenne  mentre  Napoleone  trova  vasi  nel- 
la spedizione  d'Egitto,  donde  tornato  a 
Parigi,  dopo  la  rivoluzione  fu  proclamato 
i  .°consoledella repubblica, accrescendosi 
perciò  la  forza  morale  delle  truppe.  — 
Frattanto  la  s.  Sede,  dopo  tanti  enormi 
sagriiìzi,  era  stuta  dalla  repubblica  Iran- 


6  VEN 

cese  interamente  spogliata  della  sua  So- 
vranità, democratizzati  i  sudditi,  indù- 
sivamente  a  Roma,  detronizzato  rio  VJ 
e  deportato  in  Francia  sino  da' 20  feb- 
braio 1 798,  e  fra'  patimenti  morì  glo- 
rioso in  Valenza,  a'  29  agosto  1 799  ; 
mentre  per  mirabile  disposizione  della 
divina  Provvidenza  un  mese  dopo  i  fran- 
cesi erano  stali  costretti  a  partire  da  Ro- 
ma da'napoletani,  per  l'accennato  deca- 
dimento della  fortuna  militare  francese 
in  Italia,  e  preponderanza  dell'armi  au- 
striache e  russe,  onde  Ancona  si  vide  e- 
sptignata  dalle  flotte  russo-turche,  ed  oc- 
cupala dagli  austriaci,  il  che  meglio  dissi 
nel  voi.  LXXXIII,  p.  62,  inconseguen- 
za della  ritirata  di  Macdonald  dall'Italia. 
Avendo  il  Papa  defunto  ordinato,  che  a 
cagione  delle  politiche  circostanze  essen- 
dosi dispersi  i  cardinali  perseguitati,  il 
Conclave  per  1'  elezione  del  successore, 
che  fu  Pio  VII,  si  radunasse  dove  si  sa- 
rebbe trovalo  il  più  gran  numero  di  car- 
dinali; esiccome  nel  settembredello  stesso 
1799  molti  di  loro  si  trovavano  in  Napoli 
e  nel  Veneziano,  fu  per  appunto  stabilito 
dal  cardinal  decano  Gio.  Francesco  Al- 
bani di  tenere  il  conclave  in  Venezia,  do- 
ve un  cameriere  di  mg.r  Caracciolo  mae- 
stro di  camera  di  Pio  VI,  avea  portato 
la  sua  bolla  derogatoria  all'antiche  leggi 
pontificie  pei  la creaziooedel  nuovoSom- 
mo  Pontefice,  colla  possibile  maggior  sol- 
lecitudine ;  essa  comincia  colle  parole: 
Allvnlis  pcculiaribus,  ut  deplorahilius 
Ecclesiae  circumslantiis.  La  risoluzione 
del  sagro  collegio  de'cardinali  di  tenere  il 
conclave  in  Veuezia,  dopo  matura  pon- 
derazione e  carteggio,  piuttosto  che  in 
Roma  o  in  altra  città  dello  slato  ponti- 
ficio, allora  liberato  dalle  armi  francesi, 
fu  perchè  ricuperato  di  fresco  dagli  au- 
striaci e  da'napoletani,  non  poteva  pre- 
sentare quella  piena  tranquillità  ^e  sicu- 
rezza, di  cui  abbisogna  la  gravissima  a- 
zione,  anco  pegli  eventi  della  guerra  che 
da  un  giorno  all'altro  potevano  insorgere. 
D'altronde  Venezia,  siccome  quella  che 


VEN 

per  la  sua  condizione  pacifica  e  maritti- 
ma, e  per  la  rettitudine  del  suo  governo, 
più.  quieta  e  più  acconcia  di  qualunque  al- 
tra in  que'  difficili  tempi  al  grande  rito  si 
dimostra  va, saviamente  fu  scelta,  ed  il  car- 
dinal Albani  decano  del  s.  collegio  a  nome 
di  questo  ne  die'  parte  a  tutti  i  sovrani 
della  cristianità.Edecco  dunque  Venezia, 
per  divina  disposizione,  diventare  l' av- 
venturoso luogo,ove  doveasi  far  cessare  la 
Sede  apostolica  vacante)  il  che  sospira- 
to da  tutto  il  cattolico  mondo,  gli  occhi 
tutti  di  questo  a  lei  si  rivolsero  (nel  voi. 
XXVII,  p.  1 14,  ricordai  alcune  lellere 
da'sovrani  dirette  al  sagro  collegio),  ed  in 
tal  modo  a'tanli  suoi  antichi  vanti  polè 
aggiungere  anche  questo,  glorioso  e  me- 
morando. Tutto  narrai  negl'indicati  ar- 
ticoli, ed  in  quelli  pure  che  ricorderò  iu 
corsivo,persinole  particolarità  che  accom- 
pagnarono l'avvenimento  lietissimo,  ciò 
che  abbreviando  notabilmente  il  mio  di- 
re, racconterò  il  più  notevole,  ed  in  ispe- 
cie  quanto  riguarda  Venezia,  che  ne  re- 
stò illustrata.  Pertanto  il  sagro  collegio, 
ottenuto  l'assenso  dall'imperatore  Fran- 
cesco II,  anzi  come  meglio  altri  vogliono 
egli  stesso  offrì  al  senato  apostolico  Vene- 
zia per  adunarsi  in  conclave,  destinando- 
gli a  tale  effetto  l'ampio  e  decoroso  mo- 
nastero di  s.  Giorgio  Maggiore  in  isola, 
di  cui  nel  §  XVUI,  n.  1.  L'animo  reli- 
gioso dell'augusto  sire,  a  sue  spese  ri- 
dusse il  cenobio  de' benedettini  cassinesi 
colle  consuete  Celle,  in  numero  di  4°,  e 
diviso  al  modo  descritto  in  quell'artico- 
lo. La  libreria  fu  ridotta  a  chiesa  inter- 
na per  la  celebrazione  delle  messe  e  pie 
funzioni,  ed  il  coro  domestico  de'monaci 
servì  per  cappella  degli  scrutimi  quotidia- 
ni. Vi  fu  pure  preparato  un  decoroso  ap- 
partamento per  abitazione  del  nuovo  Pa- 
pa, nel  tempoche  sarebbe  rimasto  in  Ve- 
nezia.  E  primieramente  i  cardinali  cele- 
brarono i  funerali  novendiali nella  chie- 
sa patriarcale  di  s.  Pietro  di  Castello,  che 
durarono  da'  i3  (nel  voi.  LUI  per  fallo 
numerico  è  detto  2  3)  a'2 1  ottobre  f  799, 


VEN 
pe'  quali  il  prelato  Despuig  patriarca  di 
Antiochia,  poi  cardinale,  ministro  del  re 
di  Spagna  al  conclave,som  ministrò  3,ooo 
scudi.  Venezia,  benché  avvezza  alle  com- 
parse di  magnificenza  e  di  pompa,  ebbe 
a  stupire  dello  spettacolo,  affatto  nuovo 
per  lei,  di  quelle  funebri  ceremonie,  mae- 
stose e  imponenti  per  l'assistenza  di  tan- 
ti cardinali,  di  patriarchi,  di  arcivescovi, 
di  vescovi  e  altri  prelati.  La  basilica  pa- 
triarcale di  s.  Pietro  di  Castello  apparve 
trasformata  per  l'insolito  apparato,  che 
pur  le  accresceva  magnificenza  e  splen- 
dore, in  mezzo  al  lutto,  che  da  ogni  parte 
spirava.  In  tutti  i  giorni  de'novendiali  i 
cardinali  si  radunarono  nelle  camere  del 
patriarca,  per  le  Congregazioni  gene- 
rali, che  si  tengono  da  tutti  i  cardinali 
avanti  di  entrare  in  Conclave ;dopo  aver 
uno  di  loro  pontificato  nella  gran  messa, 
ed  altri  4  di  essi  fatte  col  celebrante  le  so- 
lenni assoluzioni.  L'orazione  funebre  fu 
pronunziata  dall'  arcivescovo  di  Nisibi 
mg.1  Cesare  Brancadoro,  poi  cardinale,  e 
fu  pubblica  la  da  A.  Zatta  in  Venezia, anco 
con  traduzione  italiana,  col  titolo  riferito 
uel  voi.  LUI, p.  i  io, insieme  alle  iscrizioni 
diM.Boni,edaglielogidiG.Marinoviche 
L.  Lanzi.  Abbiamo  lastessa,  Traduiteen 
francais  aver  des  notes  historiques  par 
m.*  Vabbé  d' Auribeaiiy  A  Venise  1800. 
Ed  ancora  tradotta  in  inglese,  in  tedesco, 
in  ispagnuolo,  ed  in  italiano  dall'ab.  Pal- 
mario Canna  con  traduzione  altresì  del- 
l'elogio del  Marinovich,  e  giunte  interes- 
santi, Parma  e  Rimini  1800.  Nel  luogo 
citato  riportai  pure  i  titoli  del  Diario  de1 
Novendiali,  per  F.  Andreola;  della  Re- 
lazione delle  funzioni,  per  G.  A.  Curii; 
del  Funus  adornatimi  j  del  Parentali- 
bus  Pii  V,  per  A.  Zatta;  il  tutto  stampa- 
to a  Venezia  nel  1 799.  Tosto  Venezia  of- 
frì lo  spettacolo  della  riunione  di  buona 
parte  della  corte  e  curia  romana,  accor- 
rendovi ,  oltre  i  cardinali,  molti  vescovi, 
moltissimi  prelati,  dignitari  e  uffiziali  del- 
la s.  Sede,  inclusivamente  al  Senatore  di 
Roma  il  veneto  d.  Abbondio  Rezzonico, 


VEN  7 

ed  al  Maresciallo  del  conclave  principe 
d.  Agostino  Chigi,  e  vi  esercitò  il  suo  o- 
norifico  uffizio  di  custode  del  conclave, 
alle  cui  ruote  furono  deputati  vescovi  e 
prelati,  restando  per  la  guardia  a  dispo- 
sizione de'sagri  elettori  le  milizie  austria- 
che. Disposte  tutte  le  cose,  fu  fatto  segreta  • 
rio  del  conclave  mg.r  Ercole  Consalvi  ro- 
mano, oriundo  di  Toscanella,  poi  cele- 
bratissimo  cardinale  segretario  di  stato.  Il 
patriarca  di  Venezia  rag/  Giovanelli  a'  1 1 
novembre  emanò  una  fervorosa  lettera 
pastorale  a'suoidiocesani  parrochi  e  retto- 
ri delle  chiese, che  riferisce  ilMutinelIi.  Il 
virtuoso  prelato  pieno  d'esultanza  per  lo 
straordinario  avvenimento  d'un  conclave 
a  Venezia,  gioia  che  animava  pure  ogni 
ordinedi  persone,esclama:  Chi  mai  avreb 
be  pensato  che  il  turbine,  il  quale  da  lun- 
go tempo  infuria  contro  la  mistica  navi- 
cella, ed  intento  a  rovesciar  trono  e  alta- 
re, avesse  avuto  a  contribuire  alla  mag- 
gior gloria  e  all'esaltamento  della  nostra 
città?....  Saranno  dunque  i  veneziani  i 
primi  a  conoscere  e  venerare  il  gran  Sa- 
cerdote? Quindi,  come  praticasi  in  Roma 
nella  sede  vacante  dal  cardinal  vicario, 
caldamente  esortò  a  fare  pubbliche  pre- 
ci perchè  lo  Spirito  Santo  illuminasse  a 
fare  una  sollecita  e  felice  elezione  del  tan- 
to desiderato  supremo  Gerarca,  ordinan- 
do che  in  tutto  il  tempo  del  conclave  o- 
gni  mattina  il  clero  d'una  parrocchia,  u 
na  comunità  religiosa,  ed  una  confrater- 
nita partendo  dalla  basilica  di  s.  Marco, 
si  recassero  processionalmente  alla  visita 
della  metropolitana  di  s.  Pietro,  cantan- 
do le  litanie  de'Santi.  Indi,  come  si  fa  in 
Roma,  dal  Pinelli  fu  stampato  1'  Orda 
servandus  in  processionibus  qnotidiefa- 
cicndis  tempore  Sedis  vacantis  durante 
Conclavi  prò  electione  Stimmi  Ponti ficis. 
Ma  non  fu  dato  all'ottimo  pastore  la  con- 
solazione di  vedere  e  venerare  il  nuovo 
augusto  Capo  che  Iddio  poneva  al  gover- 
no della  sua  Chiesa,  poiché  morte  repenti - 
nalotolseaU'amorede'veneziania'fo  gen- 
naio 1 80 o,  rattristando  pure  il  sagro  sena* 


8  VEN 

to  che  ne  ammirava  l'eccellenti  virtù. Do- 
1  enti  i  cardinali  di  non  poter  dare  perso- 
nalmente all'  illustre  defunto,  per  esser 
chiusi  in  conclave,  come  vado  a  dire,  una 
pubblica  testimonianza  di  loro  distinta 
estimazione,  ordinarono  con  inaudito  e- 
sempio  solenni  esequie  al  pianto  patriar- 
ca in  loro  nome  e  spese,  ingiungendo  a 
mezzo  di  dispacciodi  mg."  Consalvi,  e  tan- 
to onorevole  pel  pati  iaica, a  mg.' Gallerai! 
Scotti  arci  vescovo  di  Sida  e  ultimo  nunzio 
presso  la  repubblica  di  Venezia,  di  farle 
eseguire  e  con  invilo  a  intervenirvi  di  tut- 
ti i  vescovi  e  prelati  che  trovavansi  allo- 
ra in  Venezia,  nella  chiesa  di  s.  Francesco 
della  Vigna,  a'  1 9  febbraio,  con  alla  testa 
mg/  Despuig  patriarca  d'Antiochia,  ap- 
positamente invitato  con  altro  simile  bi- 
glietto, a  solenne  dimostrazione  di  duolo, 
di  alletto,  di  riconoscenza,  di  venerazio- 
ne del  medesimo  sagro  collegio.  Sulla 
porta  della  chiesa  ieggevasi  l' iscrizione, 
composta  da  mg.r  Marotti segretario  del- 
ie lettere  latine  del  Papa  defunto  (riferi- 
ta dal  Mulinelli,  in  uno  al  dispaccio  e  al 
biglietto),  in  cui  fra  le  altre  cose  è  detto: 
S.  R.  E.  Cardinales  -  Creandi  Pont. 
Max.  causa  -  Venetiis  congregati  -  Ad 
significationem  acerbissimi doloris-  Quo 
morentes-  F.  31.  Ioannelii  -  Funere  in- 
dicto  -  Antistiti  oplirno  •  De  Ecclesia  de 
Collegio  Apostolico  -  Opti/ne  merito.  Già 
nel  i.°  dicembre  1799  i  cardinali  erano 
entrali  in  conclave.  Essendo  indisposto  il 
decano  cardinal  Albani,  nella  chiesa  di  s. 
Giorgio  alla  loro  presenza  celebrò  la  mes- 
sa dello  Spirilo  Santo  il  p.  ab.  Soardi  be- 
nedettino cassinese,  ed  il  veneto  mg/  Gar- 
dini  vescovo  di  Crema  camaldolese  reci- 
tò 1'  orazione  De  eligendo  Ponti/ice)  poi 
stampata  a  Venezia,  coH'iutitolazioue  ri- 
portala nel  voi.  LUI,  p.  1 16.  Per  morte 
di  mg.'  Pini,  vi  prestò  assistenza  il  nuo- 
vo prefetto  de'  maestri  delle  cci  emonie 
pontifìcie  mg/  Gio.  Domenico  Pacini. 
Quindi  entrarono  in  conclave  34  cardi- 
pali,  dice  il  Novaes  (e  disse  bene,  perchè 
il  cardiual  Heilzuu  protettole  dell'imiti* 


VEN 
10  e  ministro  di  Francesco  II  presso  la  s« 
Sede,  vi  fece  il  suo  ingresso  alcuni  gior- 
ni dopo,  cioè  a'  12  dicembre),  o3ì  se- 
condo le  note  pubblicate  dal  cav.  Artaud, 
Storia  di  Pio  PII,  1. 1  >  p.  £7,  e  dal  cav. 
Mulinelli  (l'Artaud  enumerò46cardina- 
li  viventi,  percliè  vi  comprese  l'arcivesco- 
vodi  Strigooia  Bathyan,  ina  egli  era  mor- 
to a'22  settembre  1799,  come  leggo  nel- 
le ufliciali  Notizie  di  Roma  del  1801  a 
p.  27).  Io  nel  voi.  XXI,  p.  238  (nume- 
ro sbagliato  nel  voi.  LUI,  p.  116,  nel  ci- 
tarlo, leggendosi  228),  e  più  legalmente 
essendomene  confermato  dagli  atti  stam- 
pati del  Papa,  riprodussi  l'identifica  no- 
ta de'cardinali  allora  viventi,  servita  nel 
conclave  di  Venezia,  dalla  quale  risulta 
ch'erano  4/>  in  tutti,  gli  altri  io  non  in- 
tervenendo perchè  impediti  dadiverse  cir- 
costanze politichesi  età,  di  salute,di  lon- 
tananza. Pretendeva  di  entrarvi  Antici, 
che  avea  rinunziato  la  Porpora,  ma  non 
fu  ammesso.  Si  trovarono  dunque  riuniti 
in  conclave  i  cardinali  Albani  decano, 
York,  A  ntonelli,  Valenti,  CaratFa  (già  nun- 
zio di  Venezia),  Zelada,  Calcagnini,  Mat- 
tei,  Archetti,  Giuseppe  Doria,  Livizzaui, 
Borgia,  Caprara,  Vincenti,  Maury.  Pi- 
gnatlelli,  Roverella,  Somaglia  ,  Antonio 
Doria,  Braschi  (uipoledi  Pio  V),  Carati- 
diui,  Flangini  (veneziano,  poi  patriarca 
patrio),  Rinucciui,Honorati  (già  nunzio  di 
Venezia),  Giovannetti camaldolese,  Ger- 
dil  barnabita,  Martioiana,  Hertzau,  Bel- 
lisomi,  Chiaramonti  (vescovo  d'Imola  e 
poi  Papa,  che  già  abbate  cassinese,  noti 
trovando  alloggio  tra'suoi  in  s.  Giorgio, 
quando  nell'  ottobre  giunse  in  Venezia 
prima  del  conclave  ,  abitò  nel  convento 
de'ss.  Gio.  e  Paolo),  Lorenzaua  ,  Busca, 
Dugnani,  Bussi  de  Preti»,  Buffo.  JNon  vo- 
glio tacerei  cognomi  de' 10  cardinali, che 
non  si  recarono  al  conclave  di  Venezia: 
Sentmanat,  Mendoza,  Gallo,  Roche  fou- 
cauld,Rohan,Laval-Monlmorency,Fran- 
keberg,  Migazzi,  Rauuzzi,  Ca pece-Zurlo. 
Notò  il  Pistoiesi  nella  fila  di  Pio  I  J  Ct 
clip  intuire  j  cardinali  erano  iu  conclave, 


V  E  N 
mercè  la  vigilanza  del  governo,  si  scopri 
Ita' iniqua  congiura  tramata  dalla  fami- 
glia Ottolini,  il  cui  capo  era  ex  rappresen- 
tante di  Bergamo,  subito  dissipata  con 
tradurlo  nel  castello  di  s.  Andrea.  Altro 
avvenimento  funesto  accadde  nella  notte 
de'g  gennaio  1800  nel  pubblico  palazzo 
del  collegio  de'iuedici,  che  incenerì  l'ar- 
chivio e  la  vasta  biblioteca,  oltre  tutte  le 
suppellettili, non  rimanendovi  che  le  mu- 
ra. Nella  biografia  del  Papa  che  vi  fue- 
letto,  fra  le  cose  che  narrai  come  proce- 
dettero gli  eminenti  elettori  alla  grande 
opera,  dopo  il  discorso  del  cardinal  de- 
cano, poi  stampato  in  Venezia  e  Roma, 
che  rammentai  pure  nel  voi.  XG,  p.  2 1, 
solamente  qui  occorre  far  menzione,  che 
pel  papato  Bellisomi  di  Pavia  per  quasi 
due  mesi  ebbe  22  voti,  de'24  necessari  ; 
che  Ma  t  tei  non  prevalse  per  essere  tenuto 
debole  nel  doversi  domandare  all'impera- 
tore (il  cui  ministro  cardinal  Hertzan  ne 
promuoveva  l'esaltazione)  la  restituzione 
delle  3  legazioni  che  avea  occupate,  e  per 
altro;  che  il  dottissimo  Gerdilebbe  l'e- 
scIumwa  (di  questa  ne  riparlai  a  Sagro 
Collegio)  dal  Cardinalellertzan  in  nome 
dell'imperatore;  che  stava  per  effettuarsi 
l'elezione  del  Bellisomi, quando  l'Hertzan 
fece  osservare  inoppoitunameute  e  con- 
tro affatto  la  libertà  dell'elezione  del  Vi- 
cario di  Cristo,  che  il  conclave  trovan- 
dosi in  una  città  dell'imperatore,  sarebbe 
conveniente  fargliene  prima  conoscere  la 
scelta,  per  un  corriere  ,  anco  per  essere 
nato  suo  suddito;  che  trascorso  un  mese 
senza  risposta,  gli  animi  raffreddatisi,  an- 
co per  la  lunghezza  della  sede  vacante 
in  tempi  così  difficili,  rivolsero  i  loro  vo- 
li al  cardinal  Chiaramonti,  e  la  sera  de' 
12  marzo  1800  tutti  furono  d'accordo  a 
suo  favore,  colla  condizione  che  l'atto  si 
etfeltuasse  la  mattina  de'i4>  benché  l'e- 
lezione conclusa  si  sparse  per  Venezia  nel 
dì  precedente.  Nel  riferirne  il  modo,  ri- 
portai l'asserto  dall'egregio  diplomatico  e 
storico  (che  anco  e  più  solennemente  do- 
no multo  ulfeliuo&aiucule  celebrai  nel 


VE  N  9 

voi.  LXVII  ,  p.  179)  cav.  Aitaud  ,  ma. 
il  rettificai  con  un'autorità  più   legale* 
mg.*  Baldassari  testimonio  di  vista  e  di 
udito,  e  col  da  lui  riportato  nella  coscien- 
ziosa opera:  Relazione  delle  avversità  e 
patimenti  del  glorioso  Papa  Pio  Sesto, 
t.  2,  p.  4o5  e  seg. ,  2/  edizione.  Impa- 
ro anche  dal  cav.  Mutinelli,   che  il  mo- 
tivo di  differire  al  1 4-  l'elezione  convenu- 
ta del  Chiaramonti,  derivò  da  un  delica- 
to riguardo  alla  memoria  di  mg/   Gio- 
vanetti   e   al  rispettabile  clero  e  insigne 
città  di  Venezia,  i  quali  nella  mattina  del 
i3  compivano  la  celebrazione  dell'ulti- 
mo funerale  a  tale  loro  degno  pastore 
nella  cattedrale,  a  cui   prestarono  assi- 
stenza le  civiche  autorità  in  luogo  del  do- 
ge e  della  signoria,  che  intervenivano  a* 
funerali  de'patriarchi.  Finalmente,  nella 
detta  mattina  de'  i4"iarzo  1800,  nello 
scrutinio  unanimemente  i  cardinali  eles- 
sero Papa  il  cardinale  Chiaramonti,  che 
assunseil  nome  di  Pio  Ffl,\a  cui  biogra- 
fia va  tenuta  presente  nel  principio,  per- 
chè si  rannoda  con  questa  narrazione  e 
per  supplire  alle  cose  che  qui  non  ricor- 
do; come  de'reali  personaggi  che  trovan- 
dosi in  Venezia  recarono  a  venerare  il 
Pontefice.  Piesa  lai."  ubbidienza  di  ado- 
razione a  Pio  VII,  il  incardinai  diaco- 
no Antonio  Doria,  circa  un'ora  avanti 
mezzodì,  dal  verone  sovrastante  la  porta 
principale  del  monastero  di  s.  Giorgia 
Maggiore,  corrispoudente  alla  piazzuola 
dell'isola, annunziò  il  nome  del  novelloPa- 
store  universale,  alla  moltitudine   vene- 
ziana e  forestiera  che  1'  attendeva,  tutti 
prorompendo  con  replicati  applausi,  suo- 
nando tosto  a  festa  le  campane  di  tutte 
le  chiese  della  città,  e  le  molte  navi  in  se- 
gno di  gioia  spararono  le  loro  artiglie- 
rie ,  quasi  i   cannoni  col    fragoroso  loro 
rimbombo  volessero  comunicare  l'annun- 
cio lietissimo  anche  a' lontani,  del  subli- 
me atto  ch'erasi  compiuto  in  Venezia  ne- 
gli inizii  del  nuovo  XIX  secolo  (nell'usa- 
re  questo  comune  modo  di  dire,  io  noti 
debbo  occultare,  che  si  disputò,  &e  l'au- 


io  VEN 

noi 700  ern  l'ultimo  del  secolo  XVII  o 
il  primo  del  XVIII,  come  rilevasi  da*  3 
opuscoli  riferiti  nella  Biblioteca  volante 
del  Cinelli,  t-4,  p.168.  Nel  principio  del 
corrente  secolo  si  rinnovarono  tali  que- 
stioni ,  ed  in  Venezia  si  pubblicarono  i 
due  opuscoli:  Quando  compiasi  il  seco- 
lo XP '111 \ed abbia  principio  il  XIX?  A 
cui  fu  risposto  coll'altro:  A  aitai  secolo 
appartenga  l'anno  1800).  Il  Papa  scris- 
se da  Venezia  alla  sua  famiglia  Chiara- 
monti,  quella  lettera  di  edificante  mode- 
razione cbe riportai  in  quell'articolo,  par- 
tecipandole la  sua  esaltazione.  A  Roma 
ne  portò  la  faustissima  notizia  un  corrie- 
re, vi  giunse  a' 18,  e  subito  l'universale 
entusiasmo  fu  solennizzato  in  più  modi, 
ed  i  romani  immantinente  inviarono  a 
Venezia  una  principesca  deputazione,  per 
umiliare  al  padre  e  sovrano  gli  omaggi 
di  amore  riverente  e  di  fedele  sudditan- 
za, porgendo  fervorose  istanze  a  presto 
consolarli  di  sua  venerata  presenza.  Le 
altre  città  dello  stato  papale  a  gara  ne 
imitarono  l'esempio.  Ed  ecco  un  accor- 
rere a  Venezia  di  genti  d'  ogni  condizio- 
ne, per  ossequiare  il  padre  comune  de* 
fedeli  ,  e  riportarne  il  religioso  conforto 
di  sua  benedizione.  Ed  ora  mi  si  presen- 
ta' quel  tesoro  di  erudizione ,  che  sarà 
sempre,  Francesco  Cancellieri,  il  quale 
nella  magnifica  Storia  de*  possessi  de* 
Pontefici,  nel  descrivere  quello  di  Pio 
VII,  fa  precedere  il  suo  racconto  dal  dia- 
rio particolareggiato  di  quanto  il  Papa 
fece  nel  suo  soggiorno  a  Venezia  e  nel 
suo  viaggio  per  recarsi  a  Roma,  non  che 
il  suo  fausto  ingresso  in  questa,  essendo- 
si servito  nella  compilazione  anche  del 
pubblicato  da'  Diari  di  Roma.  Non  è 
possibile  compendiarlojdovendo  tener  pu- 
re presente  il  cav.  Mutinelli,  l'ab.  Bello- 
mo,  Continuazione  della  Storia  del  Cri- 
stianesimo (cioè  il  proseguimento  del  l'ab. 
Placido  Bordoni,  anteriore  continuatore 
dal  1 721  a'i3  marzo  1800),  e  altre  ope- 
re, e  più  di  tutto  l'inesorabile  brevità. 
Comiuciaa  celebrare  l'applaudilissima  e- 


V  EN 
lezione ,  e  per  salire  alla  sorgente  di  sì 
gran  bene,  trasportandosi  spettatore  sul- 
I l'avventurate  rive  della  regina  dell'  A 
driatico,a  cui  la  nostra  Roma  giustamen- 
te gelosa  del  suo  gran  privilegio,  con  una 
santa  invidia  potè  allora  ridi  re  con  s.  Pier 
Damiani,  Semi.  16,  t.  2:  Gamie  igitur, 
etexultansin  Domino  plaude  _,  Urbs  Ve- 
ncta,  quia  dum  in  tuo  gremio  Virum  A- 
postolicae  grati ae  suscepisti ,  et  ipsa 
auodammodo  Sedes  Apostolica  fieri  me- 
ntisti. Riporta  poi  i  vari  opuscoli  stam- 
pati a  Venezia  prima  e  dopo  quest'avve- 
nimento, sul  cereraoniale  del  conclave, 
sul  metodo  che  si  pratica  nell'elezione  e 
coronazione  del  Papa  ,  e  sulla  condotta 
della  Chiesa  nell'elezione  del  Capo  visi- 
bile. Indi  passa  a  descrivere  le  ceremonie 
che  si  fanno  appena  compita  la  canonica 
elezione  del  Papa,  lai.*  e  2.a  ubbidien- 
za d'  adorazione,  nel  la  cappella  dello 
scrutinio  del  concia  ve,  e  quindi  dopo  aver 
visitato  il  ss.  Sagramento  nell'altra  cap- 
pella del  conclave,  nel  pomeriggio  di- 
scese a  ricevere  la  3.a  nella  chiesa  di 
s.  Giorgio,  vagamente  apparata  e  piena 
di  nobiltà  di  ogni  rango  e  di  popolo,  in- 
cedendovi il  Papa  in  sedia  gestatoria, 
preceduto  dalla  Croce  papale ,  dopo  la 
quale  il  cardinal  decano  intuonò  il  Te 
Deum.  Terminata  la  funzione  si  restituì 
il  Papa  al  suo  appartamento,  proceden- 
do innanzi  la  Croce  d'argento  dorato  in 
asta,  di  solido  e  nobile  lavoro,  dono  del 
nobile  veneto GiacomoGiustiniani  (il  Pa- 
pa ricevè  pure  il  donativo  fatto  in  tempo 
del  conclave  dal  veneto  Alcaini  vescovo 
di  Belluno,  della  mitra  preziosa  pel  fu- 
turo Pontefice,  come  notai  nel  volume 
LXXXI,  p.  60),  trovando  in  faccia  allo 
scalone  del  monastero  la  lapide  che  ri- 
porta Cancellieri,  fatta  scolpire  dall'abba- 
te e  monastica  famiglia  a  memoria  del- 
l'avvenimento, composta  dall'ab.  Mauro 
Boni.  Sulla  piazza  del  tempio  furono  e- 
rette  due  magnifiche  orchestre,  ove  i  più 
scelti  professori  di  musica  istrumentale 
eseguirono  bellissime  sinfonie  nella  sera, 


VEN 

In  cui  si  vide  superbamente  illuminata  la 
facciata  e  la  cupola  del  sagro  edifizio,  non 
che  il  monastero  e  tutta  l'isola.  Il  duca- 
le palazzo  era  illuminato  a  torcie ,  altre 
illuminazioni  per  la  città  fecero  varie  ca- 
se distinte,  massime  i  monaci  benedetti- 
ni camaldolesi  di  s.  Michele  di  Murano. 
Nella  mattina  de'  1 8  il  tenente  marescial- 
lo comandante  di  Venezia  barone  Man- 
frault, con  tutto  il  corpo  dell' ufficiali  là 
austriaca,  recossi  dal  Papa  a  tributargli  i 
suoi  ossequi  ,  e  nel  dì  seguente  fece  al- 
trettanto la  r.  congregazione  delegata.  Di- 
poi il  Papa  rimise  al  Manfrault  un  anello 
di  zaffiro  contornato  di  brillanti,  iu  atte- 
stato di  sua  soddisfazione  e  gradimento 
per  l'assistenza  prestatagli  in  varie  pon- 
tifìcie fuuzioni;  pregandolo  di  rimettere 
per  la  slessa  ragione  altro  anello  con  ba- 
iaselo, con  egual  contorno,  al  maggiore 
della  piazza  di  Venezia  sotto  il  di  lui  co- 
mando. Nel  biglietto  col  quale  accompa- 
gnò il  donativo  al  Manfrault,  gli  signifi- 
cò, che  nell'impossibilità  delle  circostan- 
ze di  fargli  una  dimostrazione  convenien- 
te ,  suppliva  per  lui  il  vescovo  d'  Imola 
(chiesa  che  avea  ritenuto,  mentre  l'anel- 
lo era  quello  che  avea  usato  sino  all'as- 
sunzione del  pontificalo  nel  governo  di 
quel  vescovato)  ,  ed  essere  tuttavia  per- 
suaso, che  il  dono  gli  riuscirebbe  gradi- 
to, non  per  l' intrinseco  pregio,  ma  pel 
cuore  del  donatore,  e  per  la  mano  che 
glielo  presentava.  A'2  1  marzo,  festa  di  s. 
Benedetto,  dichiarata  per  quell'  anno  di 
precetto,  perchè  ognuno  si  unisse  a  pre- 
gare il  Datore  d'ogni  bene  per  la  felicità 
del  Papa,  in  s.  Giorgio  si  celebrò  l'augu- 
sta funzione  della  solenne  coronazione ', 
annunziata  dal  suono  giulivo  de' sagri 
bronzi ,  cui  faceva  eco  il  fragore  del- 
l'artiglierie tonanti  dalla  Piazzetta,  dalle 
cannoniere  e  da'bastimenti.  Pio  VII  ve- 
stito degli  abiti  pontificali,  in  sedia  gesta- 
toria, preceduto  e  accompagnato  dalla  so- 
lita processione,  si  recò  nel  tempio  mae- 
stosamente addobbato,  stipato  dalla  no- 
biltà e  dal  popolo,  ricevuto  da'oionaci  cas- 


VEN  11 

sinesi,  sul  principio  di  esso  ascese  al  tro- 
no per  ascoltare  l'orazione  dal  cardinal 
York  in  nome  del  capitolo  Vaticano, quat 
suo  arciprete,  dopo  la  quale  adoralo  il  ss. 
Sagramento,  rimontato  sulla  sedia  gesta- 
toria passò  all'altro  tronoeretto  nella  cap- 
pella di  s.  Stefano.  Ricevuta  l'ubbidien- 
za da'  cardinali,  patriarchi ,  arcivescovi, 
vescovi  e  altri  prelati,  questi  indi  assun- 
sero i  loro  sagri  abiti.  Dopo  di  che,  asce- 
so il  Papa  in  sedia  gestatoria,  nell' esser 
condolto  all'altare  maggiore,  ebbe  luogo 
la  ceremonia  della   triplice  combustione 
della  stoppa.)  e  poscia  disceso  dalla  sedia, 
andò  a  collocarsi  sul  principale  trono,  ove 
intuonata  l'ora  di  terza,  si  vesti  degli  a- 
biti  m issali,  ricevè  il  sagro  pallio,  e  co- 
minciò la  celebrazione  della  solenne  mes- 
sa, nella  quale  fecero  le  veci  del  suddia- 
cono e  diacono  greci  due  monaci  arme- 
ni M Militaristi  di  s.  Lazzaro  (essi  suppli- 
rono a'greci,  poiché  in  questa  occasione 
il  clero  greco  dimorante   in   Venezia  si 
manifestòapertamente scismatico, con  ri- 
fiutarsi dall'assistere  al  pontificale  e  dal 
cantarvi  V  Epistola  e  il  Vangelo  nel  lo- 
ro idioma).  Prestò  assistenza  al  trono  il 
senatore  di  Roma  Rezzonico,  perciò  di- 
chiaralo Principe  assistente  al  soglio. 
A'monaci  benedettini  del  monastero,  in 
luogo  apposito,  fu  concesso  assistere  al 
pontificale.  Terminati  tutti  i  sagri  riti, 
Pio   VII  in  sedia  gestatoria  restituitosi 
per  la  grande  scala,  tulta  ornata, nel  mo- 
nastero, coll'accompagnameuto  della  pro- 
cessione, si  recò  alla  loggia  espressamen- 
te preparata  e  rispondente  alla  piazzuo- 
la dell'  isola,  dove  dopo  il  canto  delle 
prescritte  preci  fu  solennemente  corona- 
to del  pontificale  triregno  dal  suddetto 
cardinal  Antonio  Doria  i.°  diacono.  Per 
ultimo,  recitata  dal  Papa  la  consueta  o- 
razione,  con  affetto  di  padre,  principe  e 
pastore.diede  l'apostolica  benedizione,ac- 
compagnata  dallo  sparo  dell'artiglierie, 
dal  suono  festevole  delle  campane,  e  da- 
gl'  incessanti  applausi  dell'esultante  nu- 
meroso popolo,  ch'erasi  portato  nell'iso* 


12  YEN 

ii  per  riceverla  e  per  aiutili  tare  i  a  mae- 
stosa funzione.  Immediatamente  fu  pub- 
blicata l'indulgenza  plenaria  da'due  car- 
dinali diaconi,  in  latino  e  in  italiano,  e 
di  nuovo  il  Papa  benedisse  con  benigni- 
tà la  moltitudine.  Ritornalo  nella  stanza 
de'paramenli,  ricevè  a  mezzo  del  cardi- 
nal sotto  decano  York,  le  congratulazio- 
ni e  felicitazioni  del  sagro  collegio  ,  ad 
tnultos  annosj  cui  rispose  il  Papa  colle 
più  soavi  e  nobili  espressioni.  E  quindi 
si  restituì  alle  sue  camere.  Sulla  porta 
della  chiesa  si  leggeva  l'iscrizione,  ripro- 
dotta da  Cancellieri.  Lo  straordinario  con- 
corso del  clero  e  della  nobiltà]  sì  veneta 
e  sì  straniera,  dell' udìzialità  austriaca  e 
d'ogni  ordine  di  persone,  contribuirono 
a  decorare  il  complesso  dell'accennate  im- 
ponenti funzioui.  Uu  prodigioso  numero 
di  gondole,  peote,  battelli  e  barche  d'o- 
gni genere  avea  formato  del  gran  cana- 
le, su  cui  sta  posta  l'isola  di  s.  Giorgio, 
un  vasto  e  mirabile  terrapieno.  Gran  par- 
te della  città  era  addobbata  con  ricchi 
damaschi  alle  finestre,  e  su  la  sera  la  gran 
Piazza  e  la  Piazzetta  di  s.  Marco,  come 
pure  la  maggior  parte  de'pubblici  edili- 
zi, de'palazzi  e  delle  case  furono  illumi- 
nati a  torcie,  e  tutti  i  campanili  a  fiac- 
cole e  fanali.  Fra  tutti  però  si  distinsero 
i  monaci  di  s.  Giorgio,  nell'illuminazio- 
ne della  facciata,  della  cupola  e  del  mo- 
nastero, e  i  parrocchiani  di  s.  Maria  For- 
mosa.La  mai  ina  seminata  di  navigli  sem- 
brava che  divampasse,  tutti  rischiarati 
dagli  accesi  fanali  e  iu  vaga  mostra  dispo- 
feti.  Brillante  dunque  fu  la  luminaria.  Ora 
conviene  far  cenno  delle  cose  più  uiemo- 
ìabili  accadute  in  Venezia,  uel  tempo  del- 
la permanenza  di  Pio  VII,  ma  torno  a 
protestare  appena  dovrò  rapidamente  in- 
dicai le,  potendosi  vedere  circostanziale 
nel  laudato  sommo  erudito.  Fmchè  visi 
trattenne,  furono  continui  gli  alti  di  os- 
sequio, che  gli  si  resero  da  molti  distinti 
personaggi  (in  buona  parte  registrati  qu- 
elle dal  cav.  Mulinelli),  e  da  varie  citlà  e 
coi  pi  ecclesiastici  e  citili  d'Italia,  o  peuo- 


VEN 

natmenteo  pe'loro  deputati, innumerabili 
le  lettere  di  profonda  venerazione  e  di  gra- 
tuluzioneindirizzatea  Venezia  a  Pio  VII 
dà  monarchi  e  da  personaggi,  a  da  ogni 
grado  di  persone,  da  ogni  dove  provenien- 
ti, quantunque  uon  ancora  reintegrato 
de'suoi  domimi  temporali.  Venezia  si  vi- 
de trasformata  in  una  Uotua  nel   lun«o 

D 

soggiorno  del  «agro  collegio  e  del  Sommo 
Pontefice,  avvertendo  il  Cancellieri  che 
mg.1  Anuibale  Smith  o  Schmid  si  propo- 
se di  registrarne  minutamente  tulle  le  me- 
morie, a  cui  era  presente  ((piale  dapifero 
del  cardinal  decano,  ed  era  romano,  be- 
neficiato Valicano  e  fatto  dal  Papa  pel  l.° 
cameriere  d'onore;  ma  per  quanto  sia  a 
mia  cognizione,  uon  si  conosce  per  le. 
slampe).  A'  19  marzo  avea  il  Papa  gra- 
ziosamente ricevuta  tuttala  prelatura  al- 
la sua  1 ."  udienza  e  al  bacio  del  piede;  in- 
di passato  nella  sala  del  concistoro  ,  po- 
stosi sotto  al  trono,  fu  introdotta  all'u- 
dienza la  nobile  congregazione  delegata 
della  città  ,  tutti  nominati  dai  già  nun- 
zio mg.r  GalleratifScotli,  poi  suo  maestro 
di  camera,  e  Pio  VII  rivolse  loro  un  bre- 
ve e  acconcio  discorso.  Nella  sera  de'2  5 
nel  nobile  casiuo  a  s.  Cassiano,  le  dame 
di  esso  diedero  una  brillatile  accademia 
in  musica  per  solennizzare  l'acclamata  e- 
lezione  del  nuovo  Ptvpa,  la  quale^forme- 
rà  sempre  epoca  d'imperituro  lustro  per 
Venezia.  Nella  seguente  mattina  26  mar- 
zo nella  chiesa  de'tuouaci  benedettini  del- 
la congregazione  camaldolese  di  s.  Miche- 
le di  Murano  iti  isola,  il  cardinal  Giovati- 
meli di  quell'  ordine  e  arcivescovo  di  Bo- 
logna cantò  solennemente  la  messa,  e  poi 
iutuonò  il  Te  Deum,  il  tutto  accompa- 
gnato da  scella  e  numerosa  musica,  in 
ringraziamenlo  a  Dio  della  seguita  fau- 
stissima elezionedel  supremoPastore,col- 
l'assistenza  di  3  pp.  abbati  mitrati  del  mo- 
nastero medesimo.  La  decorosa  funzione 
fuonorata  dalla  presenza  de'cardinali  So- 
maglia,  Antonio  Doria  e  Braschi  protet- 
tore di  tutto  l'ordine  camaldolese;  oltre 
ua  gran  concorso  di  prelati  e  uobilù 


1 


VEN 
tanfo  veneta  che  forestiera.  Per  tale  cir- 
costanza la  chiesa  era  slata  vagamente 
apparata,  e  sulla  porta  maggioreeravi  in- 
nalzata l'iscrizione,  che  offre  Cancellieri. 
Tale  giorno  si  rese  più  giocondo  pe' ca- 
maldolesi ,  quando  dopo  le  ore  22  Pio 
VII  volle  segnalare  la  i.a  sua  uscita  dal' 
la  papale  residenza  di  s.  Giorgio  per  re- 
carsi in  gondola  a  visitare  la  chiesa  e  il  ce- 
lebre monastero  di  s.  Michele  di  Mura- 
no, ricevuto  alla  riva  dal  p.  abbate  (a  cui 
poi  confermò  il  privilegio  d'usare  il  ber- 
reltino  ecclesiastico  e  il  rocchetto  con  le 
maniche,  il  che  notai  nel  voi.  LV1II ,  p. 
78),  da'monaci  e  da  immenso  popolo  giu- 
bilante. Il  Papa  accompagnato  dalla  sua 
corte  entrò  in  chiesa,  orò  avanti  il  ss.*Sa- 
gramento  e  all'altare  maggiore/indi  si  tra- 
sferì nel  monasteroe  nella  superba  libreria 
ornata  allora  a  foggia  di  sala  accademica. 
Passò  poi  negli  appartamenti  del  cardinal 
Giovannetti,ove  si  riunirono  vari  cardina- 
li e  prelati, e  con  affettuosa  degnazione  am- 
mise al  bacio  del  piede  tutta  la  religiosa 
comunità  e  diverse  persone  accorsevi  per 
venerarlo.  Indi  parti  lasciando  i  monaci 
pieni  di  gioia  per  sì  paterna  onorificenza 
e  distinzione,  i  quali  ad  esternare  mag- 
giormeute  i  sentimenti  da  cui  furono 
compresi  pel  segnalalo  favore,  il  p.  abba- 
te e  i  monaci  composero  quell'estempo- 
ranea iscrizione  che  esibisce  Cancellieri, 
ed  in  cui  giustamente  si  rimarcò:  Quod 
lociim  isiàm  ab  ej'us  inaugura  Lione,  Pri- 
mo majeslate  implevit  et  henignissime. 
La  sera  l'esterno  della  chiesa,  della  cap- 
pella Emiliana,  o  tempietto,  e  del  mona- 
stero fu  magnificamente  illuminato,  eoa 
l'interno  del  cenobio,  e  nella  famosa  bi- 
blioteca, che  celebrai  nel  §  XVM,n.i8, 
si  tenne  una  brillante  accademia  di  mu« 
sica  vocale  e  istrumentale,  la  quale  fu  o- 
norala  da  vari  cardinali  e  prelati  e  da 
molte  persone  di  rango. Nel  seguente  gior- 
no il  Papa  si  trasferì  improvvisamente 
col  suo  seguito  a  s.  .Nicolò  al  Lido.  Nel- 
la mattina  appresso  de'28,  Pio  VII  ten- 
ue il  r .°  Concistoro,  al  quale  iutervenne- 


VEN  i3 

ro  32  cardinali,  cioè  nella  sala  che  avea 
servito  per  cappella  durante  il  conclave, 
nel  quale  concistoro  dopo  Y  extra  omncs 
lesse  l'eloquente  e  umile  allocuzione»  Ad 
Supremum  Ecclesìae  regimen)  presso  il 
Bull.  Boni.  coni,  t.i  i,p.  1,  ed  in  italia- 
no nel  Mulinelli.  Con  essa  Pio  VII  di- 
chiarò con  apostolica  facondia,  per  vole- 
re di  Dio  averlo  i  cardinali,  in  tempi  co- 
sì turbolenti  e  gravi,  il  più  indegno  di 
tutti,  scelto  però  fra'più  deboli,  appunto 
servendosi  Dio  di  Ioli  consigli  nel  soste- 
nere la  sua  Chiesa  per  confondere  la  su- 
perbia de'forti.»  Or  se  un  Pietro  pesca- 
torce  pochi  Apostoli  chiamati  ad  illumi- 
nare gli  uomini  dalla  oscurità  della  Ga- 
lilea, furono  valevoli  a  far  cose  grandi, 
non  sembrerà  perciò  meraviglia,  se  Noi 
pure  da  quest'isola,  che,  per  ammirabile 
divina  provvidenza,  e  per  benefìcio  di  Ce- 
sare (da  cui  nulla  vi  è  che  sperar  non  dob- 
biamo per  la  difesa  e  per  il  decoro  della 
Chiesa),  ci  offerse  un  asilo,  se  da  un  mo- 
nastero di  quell'ordine  dalle  cui  santis- 
sime leggiNoi  fummo  ammaestrati,  chia- 
mati siamo  al  governo  della  Chiesa,  af- 
finchè quanto  è  più  grande  la  piccolezza 
Nostra,  tanto  maggiormente  conoscasi 
esser  ella  non  da  Noi,  ma  da  Iddio  go- 
verna la.  Reggerà  dunque  Dio  la  sua  Chie- 
sa, e  Noi  al  divino  aiuto  appoggiati,  ed 
a 'consigli  vostri,  venerabili  fratelli,  cori 
tutto  lo  studio  e  con  tutta  la  fede  ci  sfor- 
zeremo a  praticare  e  ad  eseguire  quan- 
to dobbiamo.  Preghiamo  dunque  Dio, 
che  ci  assista  nell'incominciamento  del 
governo  Nostro,  e  che  faccia  sì  colla  vii.-, 
tu  sua,  che  quanto  è  a  tutti  più  manife- 
sta la  debolezza  Nostra,  tanto  più  chia- 
raroentenel  reggimentodellaChiesa  l'am- 
mirabilesua  Divinità  facciasi  manifesta". 
Indi  reso  pubblico  il  concistoro,  ed  am- 
messavi la  prelatura,  e  molta  nobiltà  e- 
stera  e  nazionale,il  Papa  impose  il  cap- 
pello cardinalizio  al  cardinal  Martinia- 
na ,  e  la  sera  glielo  mandò  per  mezzo  di 
mg.r  Ginnasi  cameriere  segreto  e  guar- 
daroba. A/29  recossi  Pio  VII  alla  Certo- 


i4  VEN 

sa,  ove  ammise  al  bacio  del  picele  la  mo- 
nastica famiglia,  diverse  darne  forestiere 
e  venete,  e  fra  queste  la  sorella  e  la  figlia 
delcardinalFIangini.Nel  dì  seguente  giun- 
se in  Venezia  l'arciducliessa  Marianna  Fer- 
dinanda d'Austria  badessa  del  capitolo  di 
s.  Giorgio  di  Praga  e  sorella  dell' impe- 
ratore, e  nella  mattina  de'3  i  si  portò  dal 
Papa,  il  quale  rincontrò  nelP  aprirsi  la 
bussola  di  sua  camera,  e  prostratasi  ba- 
ciò il  piede,  quantunque  il  Papa  volesse 
impedirlo.  Trattenuta  benignamentepiù 
d'un'ora,  passò  poi  a  visitare  il  decano 
cardinal  Albani.  Nella  mattina  del  Ca- 
prile Pio  VII  si  servi  per  la  l."  volta  deb 
le  3  gondole  di  gala,  già  appartenenti  al- 
la nunziatura  apostolica,  nel  trasferirsi  al 
monastero  delle  monache  di  s.  Lorenzo 
ove  abitava  l'arciduchessa  Marianna,  con 
treno  semipubblico.  Precedeva  una  del- 
le gondole  dorate,  in  cui  vi  era  al  di  fuo- 
ri la  Croce  pontificia,  e  dentro  il  crocife- 
ro con  alcuni  camerieri  segreti.  Indi  se- 
guiva la  2.a  gondola  parimenti  dorata  co- 
gli stemmi  pontificii,  in  cui  trovavàsiSua 
Santità  co'  prelati  maggiordomo  e  mae- 
stro di  camera.  La  3.a  gondola  poi  con- 
teneva mg.1  ceremoniere  e  alcuni  came- 
rieri di  spada  e  cappa.  Indi  venivano  al- 
tre gondole  del  seguito  della  corte  papa- 
le. Tutte  le  strade  che  corrispondono  a* 
canali ,  pe'  quali  passava  il  Papa,  erano 
affollate  di  popolo.  Alla  porta  fu  ricevu- 
to dalle  monache  genuflesse  in  due  ale, 
indi  incontrato  dall'arciduchessa,  che  con 
trasporto  di  divozione  gli  baciò  il  piede 
in  ginocchio,  sebbeue  il  Beatissimo  Pa- 
dre cercasse  di  sollevarla.  Si  trattenne  lun- 
gamente nel  suo  appartamento,  e  poi  in 
addobbato  salone,  in  trono die'a  baciar  il 
piede  alle  monache,  alle  nobili  educan- 
de e  alle  converse.  Disceso  nella  cappel- 
la contigua  alla  chiesa,  iu  altro  trono  am- 
mise al  detto  bacio  i  cappellani  e  man- 
sionari, e  molle  persone  de'due  sessi.  In 
ultimo  si  recò  nella  chiesa  a  venerare  il 
ss.  Sagramento,epoisirestituia  s.  Gior- 
gio. Nella  mattina  de'  2  ivi  tenue  couci- 


VEN 
storo  segreto.,  in  cui  chiuse  e  apri  la  boc- 
ca al  cardinal  Martiniana,  e  gli  conferì 
il  titolo  cardinalizio  e  gl'impose  P  anel- 
lo; trasferì  dall'ordine  diaconale  al  pre- 
sbiterale il  cardinal  Frangiai,  e  gli  asse- 
gnò per  titolo  la  chiesa  di  s.  Marco  di 
Roma  (nel  seguente  anno,  per  nomina 
dell'imperatore,  lo  dichiarò  patriarca  di 
sua  patria  Venezia);  e  preconizzò  vari 
vescovi,  provvedendo  diverse  chiese  con 
essi.  A'3  il  Sauto  Padre  ricevè  in  forma 
pubblica  tutto  l'imperiai  governo  gene- 
rale di  Venezia,  ammettendone  gl'indi- 
vidui a  baciar  il  piede.  Indi  il  presiden- 
te nobile  Zen  fece  un  elegante,  rispetto- 
so e  commovente  discorso,  cui  il  Papa 
rispose  con  affettuose  e  significanti  espres- 
sioni. Poi  furono  introdotti  con  formali- 
tà i  nobili  componenti  il  r.  tribunale  re- 
visorio, e  il  presidente  nobile  Priuli  pro- 
nunziò faconda  orazione,  corrisposto  be- 
nignamente. Nel  pomeriggio  il  Papa  tor- 
nò alla  Certosa,  ricevuto  con  sommo  giu- 
bilo. Nella  seguente  mattina  Parciduch.es- 
sa  Marianna  si  recò  privatamente  dal  Pa- 
pa, enei  partire  fu  accompagnata  dalla 
famiglia  pontificia  fino  alla  gondola.  Nel 
dì  5  numeroso  fu  il  concorso  di  distinti 
soggetti  all'  isola  di  s.  Giorgio  per  esser 
ammessi  al  bacio  del  pontificio  piede  e 
ricevere  l'apostolica  benedizione;  e  peli.0 
il  r.  tribunal  d'appello,  dal  cui  nobile  pre- 
sidente fu  recitato  un  assai  ben  inteso  di- 
scorso, indi  il  r.  tribunal  criminale,  e  per 
ultimo  quello  r.  di  prima  istanza.  Inol- 
tre il  Papa  accolse  i  deputati  d'  Udine 
conte  Antonio  Bartolini,  coutePietro  An- 
drea Mattioli  e  nobile  Antonio  M.a  Bel- 
lori! ,  i  quali  riscossero  dal  Santo  Padre 
le  più  significanti  dimostrazioni  di  gradi- 
mento, e  di  paterna  predilezione  verso  la 
loro  città.  Successe  in  appresso  il  r.  tri- 
bunal mercantile,  come  pure  il  rispetta- 
bile corpo  de*  »iobili  cavalieri  di  Malta, 
ed  i  deputati  della  città  di  Conegliano, 
oltre  molti  altri  chequotidianamente  pre- 
senta vansi  a  tributar  l'omaggio  di  loro 
religione  ed  ossequio,  Nello  stesso  gior- 


YEN 
no  il  Papa  visitò  la  chiesa  di  s.  Giobbe. 
La  mattina  de' 6  ammise  alia  sua  pre- 
senza i  maestri  delle  pubbliche  scuole, 
dette  de'gesuiti.  Nel  di  seguente  si  pre- 
sentarono i  nobili  componenti  il  r.  tribu- 
nal sommario  definitivo,  i  nobili  deputa- 
ti di  Macerata  e  di  Viterbo,  e  del  capito- 
lo di  Torcello,  tutti  trattali  colla  solita 
cortese  e  consolante  maniera.  A'9  l'arci- 
duchessa Marianna,  colle  consuete  rive- 
renti dimostrazioni  si  congedò  dal  Papa, 
e  partì  per  Padova.  II  Beatissimo  Padre 
appagò  la  divozione  de'fedeli,  assistendo 
pontificalmente  alle  commoventi  funzio- 
ni dei  giovedì  e  venerdì  sauto  nella  pa- 
triarcale di  s.  Pietro:  nel  giovedì  celebrò 
la  messa  il  cardinal  Archetti  e  nel  vener- 
dì fece  la  funzione  il  cardinal  Roverella. 
Decorarono  le  sagre  funzioni,  oltre  25 
cardinali  e  prelati,  gran  uobiltà  romana, 
veneta  ed  estera,  che  d'ogni  parte  affluiva 
continuamente  a  Venezia,  per  venerare 
Pio  Vii  e  ammirarne  l'amabili  qualità, 
che  duvauo  risalto  alla  sublime  dignità. 
Inteneriti  tutti,  quando  uel  giovedì  santo 
il  Papa,  dopo  aver  portato  processionai- 
mente  il  ss.Sagramenloal  Sepolcro,  nella 
gran  sala  eseguì  la  Lavanda  de  piedi  a 
i3  poverelli;  e  quando  nel  venerdì  santo 
a  piedi  scalzi,  imitato  da'cardinali  e  pre- 
lati, ed  altri  cospicui  personaggi,  si  recò 
all'adorazione  della  Croce.  Sull'adiacen- 
te piazza  fu  conservato  il  buon  ordine 
da  numerosa  soldatesca  ex  veneta,  e  in 
chiesa  dall'imperiale.  Nella  stessa  patriar- 
cale Ja  mattina  di  Pasqua,  il  Papa  ponti- 
ficò la  solenne  messa  coll'assistenza  di  28 
cardinali,  di  tutta  la  prelatura,  di  nobili 
veneti  e  stranieri;  dopo  la  quale  passò 
ad  una  gran  loggia  eretta  appositamen- 
te fuori  del  tempio  a  spese  de' patrizi  a 
ciò  deputati,  doudecomparlìformalrnen- 
te  la  benedizione  papale  all'immenso  po- 
polo, tutto  compunto  e  giubilante  di  fé- 
stoseacclamazioui.  La  2."  festa  di  Pasqua 
Pio  VII  si  portò  alla  chiesa  delle  bene- 
dettine di  s.  Zaccaria,  splendidamente  ad- 
dobbala, ricevuto  dal  cardinal  Somaglia, 


VEN  i5 

da  alcuni  prelati  e  da'6  nobili  deputali 
del  monastero;  venne  salutalo  all'ingres- 
so dall'antifona:  Ecce  Sacerdos  rnagnus, 
accompagnala  da  scelta  musica  vocale  e 
istrumentale.  Celebrò  la  messa,  e  ascol- 
tò quella  d'un  cappellano  segreto.  Am- 
messe in  sagrestia  al  bacio  del  piede  di- 
verse dame,  entrò  nel  monastero  e  fu  ser- 
vito col  suo  corteggio  di  squisito  rinfre- 
sco. Die' a  baciar  il  piede  alle  monache, 
e  la  badessa  gli  offrì  una  mappa  di  scel- 
ti fiori  fiuti,  sovrastati  da  una  rosa  d'o- 
ro con  un  brillante  nel  mezzo  e  col  pie- 
de della  mappa  pur  d'  oro  in  figura  di 
vasetto  ben  inciso,  sul  quale  era  l'arme 
e  la  figura  di  s.  Zaccaria  in  rilievo;  il  li- 
bro superbamente  legato  delle  Brevi  no- 
tizie della  chiesa  e  monastero  di  s.  Zac- 
caria; ed  un  calice  ben  lavorato  e  ornalo 
di  pietre  preziose,  di  cui  fece  poi  uso  il 
Papa;  che  commosso  di  gradimento,  con- 
fortate la  badessa  e  le  monache  con  ac- 
concie parole  e  la  benedizione ,  dopo  a- 
ver  ammirato  l'elegante  e  prezioso  archi- 
vio riordinalo  dal  camaldolese  p.  ab.  Na- 
chi,  parli  fra'plausi  della  gente  accorsa  e 
lo  strepito  di  copiosi  mastii.  Nella  malti  • 
na  della  3.a  festa  di  Pasqua, col  solito  no- 
bile treno,  Pio  VII  si  recò  alle  benedetti- 
ne di  s.  Lorenzo,  ricevuto  dal  cardinal 
Somaglia,  da  vari  prelati  e  patrizi  vene- 
ti: celebrò  la  messa  e  indi  assistè  a  quel- 
la d'un  cappellano  segreto,  essendo  l'ap- 
parato della  chiesa  elegante  e  decoroso, 
così  la  musica.  Indi  passò  alla  contigua 
chiesa  di  s.  Sebastiano,  ed  ammise  in  ma- 
gnifico trono  a  baciar  il  piede  a  moltis- 
sime dame  e  distinte  persone.  Entrato  nel 
monastero  fu  trattato  di  lauto  rinfresco, 
in  uno  alla  corte.  Ricevè  la  badessa  e  le 
monache  al  bacio  del  piede,  e  gradì  da 
quella  una  specie  di  palma  di  scelti  fiori 
fìnti  legati  con  fittuccia  d'oro  e  simile  fioc- 
co, colla  dichiarazione  d'essere  un  segno 
anticipato  dell'oblazione  che  si  propone- 
va fargli  il  monastero  (a  Venezia  pure  le 
monache  sono  gentilissime  :  io  ammiro 
l'accorto  e  grazioso  pensiero  nell'  offrire 


i6  VEN 

una  rosa  e  una  palma,  onde  sopperirò  ■ 
quelle  che  il  Papa  non  ovea  potuto  be- 
nedire nelle  corrispondenti  funzioni,  ri- 
correnti nella  4a  e  nella  6.:'  domenica 
di  Quaresima).  A'  1 6  si  condusse  a  s. 
Maria  delle  Grazie  in  isola,  ricevuto  dal 
nobile  Caterino  Corner  (il  quale  poi  do- 
nò al  Papa  il  suo  palazzo,  detto  Cor- 
ner della  Regina,  ora  luogo  ilei  monte 
eli  pietà,  per  averlo  alienato  i  beneme- 
riti conti  Cavanis,  a'  quali  in  seguito  lo 
die'Pio  VII  :  tutto  narrai  nel§  Xll,n.i6), 
dal  Papa  fatto  suo  cameriere  segreto  di 
spada  e  cappa  (e  come  tale  lo  trovo  al  se- 
guito pontifìcio  nell'andata  e  ritorno  di 
Pio  VII  a  Padova,  il  quale  distinguendo- 
lo con  particolare  benevolenza  ed  adizio- 
ne, e  per  quanto  altro  dirò  poi,  mosse  il 
Corner  all'atto  generoso;  inoltre  lo  tro- 
\o  nel  corteggio  del  Papa  quaudo  partì 
da  Venezia),  e  da'sacerdoli  di  quel  mo- 
nastero delle  cappuccine.  Orato  in  chiesa, 
entrò  nel  claustro,  ove  ammise  al  bacio 
«lei  piede  i  nominati  e  le  monache, lascian- 
dole piene  di  spirituale  consolazione, Nel 
dì  seguente  si  portò  alla  chiesa  di  s.  Ci- 
priano di  Murano,  e  dopo  pregato  salì  al 
contiguo  collegio  de'somaschi,  ove  am- 
mise con  paterna  bontà  i  religiosi,  i  no- 
bili convittori  e  i  seminaristi. Essendogli 
presen itilo  il  p.  m.  fr.  Pio  Giuseppe  Cad- 
di già  procuratore  generale  de'domenica- 
ni,  l'accolse  con  distinzione,  lo  confermò 
■vicario generale  dell'ordine  de'predicato- 
ri, la  cui  protettoria  vacata  per  morte  del 
predecessore  Pio  VI,  l'assunse  egli.  A'i8 
recatosi  al  nobile  monastero  di  s.  Maria 
delle  Vergini,  fu  ricevuto  da  mg.r  Galle- 
rati-Scotti;  fatte  preghiere  nella  chiesa,  ri- 
cevute in  sagrestia  molte  persone  al  bacio 
del  piede, altrettanto  fece  colle  monache 
e  parecchie  dame  nel  monastero.  Nello 
stesso  giorno  accolse  ad  eguale  omaggia 
e  con  distinzione  il  principe  Carlo  Fer- 
dinando d'Artois  duca  di  Berry  (la  cui 
real  vedova  da  vari  anni  soggiorna  in  Ve- 
nezia nel  proprio  palazzo,  come  notai  nel 
§XlV,n.3),econ  lui  si  trattenne  in  luo- 


VEM 
c;o  segreto  ragionamento:  esso  poi  a' 20 
partì  per  Palermo  (il eh.  Pistoiesi,/'//*/  di 
Pio  VJ[y  di  quanto  vado  descrivendo  ne 
dà  distinta  notizia:  egli  dunque  dice  che 
il  duca  si  presentò  in  Venezia,  sotto  il 
nome  di  conte  di  Maillary).  Il  19  si  tra- 
sferì all'isola  di  s.  Clemente,visilò  la  chie- 
sa, die'nel  coro  a  baciare  il  piede  agli  e- 
remiti  camaldolesi,  ed  a  molte  altre perso- 
ne,ed  entrato  nel  chiostro,  si  fermò  qual- 
che tempo  benignamente  con  alcuni  reli- 
giosi. Fu  poi  ossequiato  a  s.  Giorgio  dal- 
l'arcivescovo di  Milano,  e  da'vescovi  di 
Modena  e  di  Rimini.  Domenica  20  con- 
dottosi nella  chiesa  de'ss.  A  postoli,  iu  cut 
si  celebrava  pomposamente  la  festa  titola- 
re, fu  ricevuto  da' fratelli  della  scuola  e 
da'sacerdoti  alla  riva,  e  sulla  porta  del 
tempio  dal  cardinal  Vincenti.  Ricevuta  la 
benedizione  col  ss.Sagrameuto  dal  cardi- 
nal Somaglia,in  sagrestia  permise  che  gli 
baciassero  il  piede  il  clero  e  i  capi  del  so- 
dalizio. Il  21  ricevè  i  deputati  della  so- 
cietàdegli  avvocati,  del  capitolo  di s.  Bar- 
tolomeo, del  Friuli,  de' ma  astri  della  dot- 
trina cristiana;  e  nel  pomeriggio  audò al- 
l'isola di  s.  Elena  a  orare  nella  chiesa  de' 
monaci  Olivetani,  a'  quali  die'poi  il  piede 
a  baciare.  Nel  dì  seguente  e  nelle  ore  po- 
meridiane all'improvviso  recossi  al  sud- 
detto palazzo  del  patrizio  Caterino  Cor- 
ner alla  Giudecca,  ricevuto  con  ogni  di- 
mostrazione ossequiosa  ;  restò  commosso 
e  sorpreso  quel  ragguardevole  veneto  di 
tanta  graziosa  benignità,  consolato  in  ve- 
der visitata  dal  supremo  Gerarca  la  sua 
cappella  domestica,  da  lui  arricchita  di 
sagri  ornamenti  e  insigni  ss.  Reliquie,  e 
confuso  per  sì  segnalata  onorificenza.  Do- 
po di  ciò  il  Papa  tornò  nell'isola  di  s.  Cle- 
mente a  fare  orazione  nella  chiesa,  e  vi 
sitare  nel  chiostro  gli  eremiti  camaldole- 
si. Restituitosi  a  s.Giorgio,  concesse  udien- 
za a'  canonici  del  ss.  Salvatore  ed  a' cap- 
puccini. A'23  festa  di  s.  Giorgio  martire, 
secondando  l' invito  del  p.  abbate  e  de 
monaci  del  monastero  da  lui  abitato,  calò 
in  chiesa  a  celebrare  la  messa  all'altare 


VEN 
del  glorioso  Santo  litolare,  e  ne  ascoltò 
altra  ila  un  suo  cappellano  segreto;  do- 
po di  che  in  sagrestia  appagò  le  pie  bra- 
me delle  dame,  d'altre  signore  ed  altri, 
con  far  loro  baciare  il  piede.  Indi  aggradi 
un  rinfresco  della  monastica  comunità. 
Nel  pomeriggio  tornò  a  visitare  la  chie- 
sa, e  si  prestò  poi  a  far  baciare  il  piede 
alle  dame  e  altre  persone  accorse.  Nel 
dì  seguente  andò  nel  monastero  delle 
eremi  te  nella  parrocchia  de'  ss.  Gerva- 
sio  e  Protasio,  e  dopo  visitalo  il  ss.  Sa- 
gramento,  permise  alle  monache  che  gli 
baciassero  il  piede.  Tornato  alla  sua  re- 
sidenza, concesse  udienza  a'  filippini  di 
Venezia,  ed  a'  deputati  del  capitolo  di 
Concordia.  Altrettanto  nel  dì  seguente 
ottennero  que'd'Asolo  e  del  suo  capitolo, 
l'arcivescovo  d'  Udine,  allora  metropoli- 
tano dell'Istria  e  Terraferma,  ed  i  vesco- 
vi di  Lodi  e  Gubbio.  A'26  visitata  la  chie- 
sa di  s.  Giacomo  alla  Giudecca,  de'  ser- 
viti, si  trasferì  in  quella  delle  benedetti- 
ne de'ss.  Cosma  e  Damiano  magnifica- 
mente ornata.  Entrato  nel  monasterocol- 
l 'a  rei  vescovo  di  Milano  e  mg.r  Gallerati- 
Scotti,  ne  permise  l'accesso  a  molte  perso- 
ne, che  colle  monache  gli  baciarono  il  pie- 
de. La  badessa  gli  fece  presentare  dalla  più 
giovane  dell'educande  una  mappa  rappre- 
sentante un  piccolo  triregno,  circondalo 
da  una  ghirlanda  di  scelti  fiori;  ed  una 
cassettina con  ricca  pianeta  di  ganzo  d'ar- 
gento fiorato  guernita  d'oro,  colla  stola 
e  manipolo, amilto  e  camice  con  eleganti 
merletti,  e  cingolo  di  seta  con  fiocchi  d'o- 
ro. I  deputali  lo  servirono  di  nobile  rin- 
fresco. Nel  pomeriggio  de'28,  visitata  la 
chiesa  delle  monache  francescane  del  9. 
Sepolcro,  l'altare  col  miracoloso  simula- 
cro di  Gesù  morto,  e  il  sotterraneo  ove  si 
custodiva,  passò  nell'adiacente  monaste- 
ro a  rallegrare  le  monache  colla  sua  be- 
nedizione e  concessione  del  bacio  del  pie- 
de, e  con  visitarne  due  inferme:  degnan- 
dosi poi  gustare  un  rinfresco.  A'29  fu  al 
monastero  delle  teresiane,  ricevuto  alla 
riva  da  mg.r  Gullerali-Scolti.  Oròdal  co 
voi.  xeni. 


VEN  17 

retto  corrispondente  in  chiesa,  accolse  al 
bacio  del  piede  le  religiose  e  molte  dame,  e 
fu  presentato  di  rinfresco.  Nel  dì  seguente 
si  condusse  alla  visita  della  chiesa  di  s.  Bia- 
gio alla  Giudecca,  bellamente  ornata,  e 
venerò  al  suo  altare  il  corpo  della  beata 
Giuliana  Collallo.  Ammesse  varie  dame 
in  sagrestia  al  bacio  del  piede,  altrettan- 
to permise  ad  altre  di  esse  nel  monaste- 
ro e  alle  benedettine,  trovandolo  illu- 
minato e  addobbato  con  pompa.  Oltre 
il  rinfresco,  gli  fu  offerta  una  magnifica 
ed  elegante  mappa  di  fiori,  con  on  libro 
nobilmente  legato,  unitamente  a  un  ca- 
lice d'argento  grandioso  e  fregiato  di  bel- 
lissimi lavori  dorati.  Giovedì  i.°maggio 
andò  nella  chiesa  di  s.  Anna,  e  nel  mona- 
stero lasciò  che  le  monache  e  le  dame  gli 
baciassero  il  piede,  visitando  l' inferme, 
come  soleva  fare,  tutte  confortando  colle 
parole  di  padre  e  la  benedizione  di  Pon- 
tefice, il  che  sempre  praticava.  Di  lì  ri- 
tornò alla  Certosa,  ed  orato  nella  chiesa 
s'intrattenne  co'religiosi.  Nella  sera  ac- 
colse il  vescovo  di  Lavant.  A'  2  passò  a 
visitar  la  chiesa  del  Redentore,  ricevuto 
dal  cardinal  York,  e  nella  sagrestia  die'a 
baciare  il  piede  a'eappuccini,  ed  entrato 
nel  convento  ne  visitò  i  maiali.  Nel  dì 
seguente  portossi  alla  chiesa  e  monastero 
di  s.  Chiara,  appagandole  pie  brame  del- 
le agostiniane.  Nelle  ore  pomeridiane  del 
4  fece  ritorno  alle  monache  di  s.  Zacca- 
ria, orò  nel  coro  ecomodamentegirò  pel 
monastero.  Nel  seguente  lunedì  festa  di 
s.  Pio  V,  celebrandosi  solennemente  in 
ss.  Gio.  e  Paolo,  vi  si  recò  e  venne  rice- 
vuto da'vescovi  di  Como  e  Luni-Sarzana 
domenicani,  dal  vicario  generale,  dal  p. 
maestro  del  s.  palazzo,  dal  p.  segretario 
dell'Indice  e  da  tutta  la  comunità,  a  cui 
eransi  unite  quelle  degli  altri  domenica- 
ni di  Venezia.  Celebrò  la  messa  ali'  al- 
tare maggiore,  ascoltò  quella  d'un  cap- 
pellano segreto,  visitò  la  cappella  del  ss. 
Rosario,  i  cui  numerosi  fratelli  baciarono 
gli  il  piede;  onore  che  compartì  in  sagre- 


.  Oròdal  co-     stia  a  molte 

(S&bflm&ivb  WMA 


dame  e  altre  persone,  e  nel 


18  v  H  R 

convento  (da  lui  ahitnlo  ila1  12  ottobre 
al  i.°  dicembre  1791),  prima  d'entrare  in 
conclave)  a  tutti  i  religiosi,  dopo  il  rio- 
fresco  accettando  un  mazzo  di  fiori  di  seta 
di1'  più  belli  che  si  lavoravano  a  Vicenza, 
coll'immagine  in  seta  del  Santo  adorno 
con  merletto  d'oro.  Nel  pomeriggio  andò 
dngli  eremiti  camaldolesi  di  s.  Clemente 
in  isola.  A'6  sapendosi  che  il  Papa  voleva 
visitare  s.  Giovanni  Nuovo,  tutta  la  stra- 
da fu  vagamente  ornata  eie  finestre  con 
ricchi  drappi.  Numerosa  truppa  avea  al- 
la testa  il  maggiore  di  piazza  e  il  tenente 
generale  Manfrault.  All'  avvicinarsi  del 
Santo  Padre,  da'balconi  si  sparsero  fiori, 
e  due  fanciulli  graziosamente  vestiti  fe- 
cero ilsimile  dinanzi  la  chiesa.  Fra  la  ve- 
nerazione e  la  gioia  del  numerosissimo 
popolo,  pervenuto  alla  chiesa,  vi  fu  ri- 
cevuto dal  cardinal  Giuseppe  Doria,  da 
mg/  Gallerati-Scotti  e  altri  prelati,  dal 
clero  eda'nobili  deputati. II  cardinal  Du- 
gnani  die'la  benedizione  col  venerabile. 
Riuscì  di  edificazione  vedere  il  Sommo 
Pontefice  recarsi  nella  casa  del  parroco 
perconsolare  un  benefattore  della  chiesa, 
che  ardendo  del  desiderio  di  baciare  il 
piede  e  esser  benedetto,essendo  infermo, 
ivi  si  fece  portare.  Poscia  ebbe  luogo  un 
rinfresco.  A '7  visitò  la  chiesa  di  s.Caterina 
magnificamente  decorata,  ricevuto  dal 
clero  eda'nobili  deputati,  fra'quali  il  con- 
te Antonio  Wid man  fratello  di  suor  M." 
Eletta  badessa  del  contiguo  nobile  e  ma- 
gnifico monastero,  pur  messo  a  festa.  In 
esso  entrato,  ammise  benignamentetutte 
le  religiose  al  bacio  del  piede,  presentato 
di  rinfresco, d'una  gran  mappa  d'eleganti 
fiori  artificiali,  e  d'un  calice  d'  argento 
dorato  con  superbi  lavori.  Nel  seguente 
giorno  andò  nella  chiesa  di  s.  Maria  del- 
la Celestia,  riccamente  parata,  ed  entrò 
poi  nel  monastero  a  far  baciar  il  piede 
alle  monache,  all' educande  ed  a  molte 
dame,cui  colla  solita  indulgenza  permise 
l'ingresso.  Dopo  il  rinfresco  la  più  piccola 
dell'  educande,  con  breve  complimento 
in  versi,  umiliò  una  bellissima  mappa  di 


V  EN 


fiori  ili  finissimo  filo  ingegnosamente  la- 
vorala, con  un  merletto  intrecciato  per 
rocchetto.  Nello  stesso  giorno,  col  moto- 
proprio  JYos  voUnieSy  Datum  ì  cnetiis- 
ex  monastero  s.  Georgii  Ma  Jori»  (eolla 
«piai  data  sono  tutti  gli  alti  ilei  pontili 
calo  e  delle  lettere  pontificie,  finche  Pio 
VII  dimorò  in  Venezia),  presso  il  Bull. 
Rom.  coni,,  1. 1  1,  p.  3,  concesse  grazie  e 
privilegi  n  conclavisti  intervenuti  nel  con- 
clave di  Venezia;  e  con  l'altro  moto-pro- 
prio del  medesimo  giorno,  Nos  volente*, 
loco  citato,  p.  1 3,  accordò  grazie  e  privi- 
legi a' dapiferi  inservienti  al  conclave. 
Fra  questi  e  fra'concla visti  vi  ho  letto  de' 
veneti,  e  non  già  del  veneto  cardinal  Flan- 
gini.  A'g  accolse  gli  Giacqui  del  capitolo 
d'Oderzo,  e  si  portò  all'isola  de'  monaci 
M echi tar isti  armeni  di  s.  Lazzaro  (e  lo 
notai  in  quell'articolo,che  va  tenuto  pre- 
sente per  altre  notizie),  ricevuto  alla  riva 
dal  cardinal  Borgia, da  mg.r  Brancadoro 
segretario  di  propaganda,  da  mg.1  Nuzzi, 
dal  marchese  Giovanni  de  Serpos  came- 
riere segreto  del  Papa,  dal  superiore  (ab- 
bate generale  p.  Stefano  Aconzio  Ruver, 
poi  dal  Papa  fatto  arcivescovo  di  Suinia, 
nel  quale  articolo  dissi,  che  prima  inter- 
pellato il  patriarca  di  Venezia  cardinal 
Flangini, questi  fu  favorevolissimo  all'i n- 
troduzionediquesta  dignità  nella  sua  dio- 
cesi patriarcale,  per  l'ordinazione  nel  rito 
armeno  de'giovani  monaci,  e  d'allora  in 
poi  ne  furonopureinsigniti  gli  altri  succes- 
sori abbati  generali  della  medesima  con- 
gregazione) e  dagli  altri  religiosi  del  mo- 
nastero. Entralo  in  chièsa  a  venerare  il  ss. 
Sagramenlo  nella  sua  cappella,  trovò  il 
Papa  lateralmente all'altarealcuni  mona- 
ci in  abili  sagri  del  loro  rito,  che  secondo 
questo  cantarono  sagri  inni.  Trasferitosi 
nella  sagrestia,  ammise  al  bacio  del  piede 
molte  dame  e  signore  armene  e  di  altre 
nazioni.  Quindi  salito  nel  monastero  con 
paterni  modi  ricevè  a  eguale  omaggio  il 
rtn.°p.  superiore  con  tutti  i  monaci  e  col- 
legiali, non  che  molti  connazionali  arme- 
ni e  altre  persone.  Successiva  mente   fu 


VEN 
servito  di  squisito  rinfresco,  ed  in  luogo 
apportato  tutta  la  sua  corte  nobile.  In 
quel  tempo  fece  una  sorpresa  a  Sua  San- 
tità, l'altezza  serenissima  del  cardinal  du- 
ca di  York.  Nella  mattina  de'ioricevèa 
udienza  rng. r  Francesco  de'marchesi  Po- 
lesini vescovo  di  Parenzo  colle  prime  di- 
gnità del  suo  capitolo,  e  i  deputati  della 
cattedrale  di  Mantova.  Nel  pomeriggio 
si  portò  a  visitare  la  chiesa  della  Presen- 
tazione allaGiudecca,e  il  luogo  pio  delle 
Zitelle,  ricevuto  dal  clero  e  da'deputati. 
All'ingresso  del  conservatorio  si  trovare- 

o 

no  le  governatrici,  dando  il  piede  a  ba- 
ciare a  varie  dame,  e  salito  nel  conserva- 
torio feceil  simile  co 'superiori  e  le  zitelle. 
A' 12  tenne  concistoro  segreto  per  varie 
chiese  vescovili,  coll'intervenlo  di  21  car- 
dinali.E  nelle  ore  pomeridiane  si  trasferì 
alle  cappuccine  di  Castello,  che  dopo  o- 
rato  nella  chiesa  ricevè  al  bacio  del  pie- 
de, coll'educande,  diverse  dame  e  il  cle- 
ro. Il  i3  andò  al  monastero  di  s.  Giusep- 
pe di  Castello,  visitandone  la  chiesa,  e 
poi  benignamente  permettendo  il  solito 
omaggio  alle  religiose,  agli  addetti  e  alle 
dame.  Oltre  il  rinfresco, ebbe  in  dono  due 
ingegnosi  lavori  di  filigrana  a  forma  di 
reliquiari,  guerniti  di  fiori  di  lama  d'ar- 
gento, con  in  mezzo  l'immagine  iu  rilie- 
vo di  s.  Domenico  e  dis.  Agostino,  fissati 
su  basi  di  legno  cirrato  e  coperti  da  cam- 
pane di  cristallo.  Nella  sera  giunse  io  Ve- 
nezia il  marchese  Ghislieri  invialo  dell'im- 
peratore, e  nella  mattina  seguente  tratte- 
nuto a  lunga  udienza.  Questa  accordò 
pure  al  reale  principe  di  Condé",  e  pare 
anco  col  nipote  duca  d'  Enghien,  come 
leggo  nel  Coppi  e  nel  Bellomo,  con  tutte 
le  distinzioni  dovute  a!  suo  grado:  era 
arrivato  ancor  esso  in  Venezia  nel  dì  pre- 
cedente e  ne  parti  subito.  In  tal  giorno 
visitò  la  chiesa  e  il  monasterodi  s.  Marta, 
in  una  cappella  privata  del  quale  venerò 
l'insigne  reliquia  d'un' intera  Mia  mano; 
poi  fece  baciare  il  piede  alle  monache  e 
agli  altri.  A' i5  pubblicò  la  lettera  enci- 
clica, Diu  satis  vidcmur,  presso  il  citato 


VEN  19 

Ballar.)  p.  21,  affettuosissima  e  grave» 
diretta  a  tutto  V  Episcopato  cattolico, 
per  partecipargli  la  sua  assunzione  al 
pontificato,  e  la  sua  riconoscenza  all'im- 
peratore Francesco  II,  deplorando  i  ma- 
li che  angustiavano  la  Chiesa  eineulcau- 
done  calorosamente  il  riparo.  Nel  di  se- 
guente si  portò  colla  sua  gondola  nobile 
e  con  numeroso  corteggio  alla  chiesa 
parrocchiale  di  s.  Paolo,  in  occasione  che 
vi  si  celebrava  la  festa  di  s.  Giova  tini  Ne- 
pomuceno.  Alla  porta  vi  si  trovarono  il 
tenente  maresciallo  Manfrault  col  mar- 
chese Ghislieri,  ricevuto  dal  clero  e  da* 
deputati,  dal  cardinal  Pignattelli  e  da 
mg.r  sagri*  ta.  Celebrò  la  messa  al  mag- 
gior altare,  poi  ascoltando  altra  d'un  suo 
cappellano  segreto.  Indi  in  sagrestia  sot- 
to magnifico  baldacchino  ammise  al  ba- 
cio del  piede  le  dame  e  le  signore  della 
parrocchia.  Ritornato  in  chiesa  visitò  l'or- 
natissima  cappella  delle  copiosissime  ss. 
Reliquie,  e  la  cappella  dedicala  al  Santo, 
e  passato  nella  canonica  guslò  un  rinfre- 
sco. Gli  fu  offerto  un  elegante  mazzetto 
di  fiori  finti,  un  magnifico  calice  d'ar- 
gento con  lavori  messi  a  oro,  ed  un  bel- 
lissimo Crocefisso  d'argento  da  tavolino 
con  croce  di  lapislazzuli  ornata  d'angeli 
d'argento  sostenenti  gì'  istromenti  della 
Passione.  In  altra  nobile  camera  ricevè 
al  bacio  del  piede  il  parroco,  il  nume- 
roso  clero,  i  nobili  deputali,  e  molte  per- 
sone distinte  della  parrocchia,  rimontan- 
do in  gondola  fra  le  acclamazioni  d'im- 
menso popolo,  rallegrato  dalle  sinfonie 
dell'orchestra, con  molta  truppa  schiera- 
ta. Nel  dopo  pranzo  andò  alla  chiesa  deb 
le  domenicane  de!  Corpus  Dotninit  rice- 
vuto dal  clero  e  da'  deputati,  col  canto 
dell'acce  Sacerdosfllagnus.'EiilvalQ  nel 
monastero,  nel  coro  die*  a  baciare  il  pie- 
de alle  religiose,  all'educande  e  alle  da- 
me graziosamente  introdotte.  L'educan- 
da Quirinicon  elegante  complimento  gli 
oifiì  un  bel  mazzetto  di  fiori,  con  un  su- 
perbo reliquiario  di  metallo  dorato  di 
gotico  disegno,  contenente  un  dito  di  s. 


ao  VEN 

Caterina  da  Siena,  e  indi  fu  imbandito 
un  decoroso  rinfresco.  Prima  di  partire 
venerò  un  prodigioso  ss.  Crocefisso,  nel- 
la cappella  interna.  Nel  pomeriggio  de' 
1 7  tornò  a  visitar  la  chiesa  e  le  cappucci- 
ne di  s.  Maria  delle  Grazie.  Nella  seguente 
mattina  poi,  il  Papa  fece  in  s.  Giorgio  Mag- 
giore la  solenne  consagrazionedel  cardinal 
Uertzan  in  vescovo  di  Subaria,  colla  messa 
letta, alla  presenza  di  17  cardinali,  molti 
vescovi  e  prelati,  oltre  gli  assistenti  e  la 
monastica  famiglia,  nobiltà  e  popolo,  leg- 
gendo la  dotta  ed  eloquente  omelia,  Epi- 
scopalis  consecrationis  s  a  cr  amento  ^vxb- 
blicata  colle  stampe  e  dal  Bull,  citato,  p. 
26.  Nelle  ore  pomeridiane  visitò  nuova- 
mente la  chiesa  di  s.  Clemente  degli  ere- 
miti camaldolesi,  ed  in  quelle  del  seguen- 
te giorno  visitò  il  ss.  Sagramento  solen- 
nemente esposto  in  s.  Maria  Formosa, 
ricevuto  dal  cardinal  Roverella  e  da  5 
prelati,  ricevendo  la  benedizione  dal  car* 
dinal  Pignattelli,  indi  in  sagrestia  fece 
baciare  il  piede  al  clero,  a'deputati  e  ad 
altri.  A'20  nel  pomeriggio  si  portò  alla 
chiesa  delle  servite,  dette  cappuccine,  ac- 
colto dal  cardinal  Somaglia  e  da  mg/  sa- 
grista,  e  poi  entrato  nel  monastero  rice- 
vè le  monache  al  solito  atto  ossequio- 
so, accettando  vari  divozionali  e  4  mappe 
di  bellissimi  fiori  lavorati  dalle  religiose. 
A'21  recossi  alla  chiesa  dell'agostiniane 
di  s.Andrea  magnificamente  ornata,  es- 
sendo di  fuori  numerosa  orchestra.  Nel 
monastero  fece  baciare  il  piede  alle  mo- 
nache, all'educande  e  alle  dame  ammes- 
se, e  dopo  il  rinfresco  ricevè  il  dono  d'un 
messale  nobilmente  coperto  di  velluto 
cremisi,  con  eleganti  riporti  d'argento, 
colle  immagini  de'ss.  Andrea  e  Agostino. 
A'22,  festa  dell'Ascensione,  si  degnò  or- 
dinare sacerdote  nella  sua  privata  cap- 
pella il  monaco  di  s.  Giorgio  d.  Antonio 
Boeiio,  e  nel  pomeriggio  visitò  la  chiesa 
di  s.  Clemente  in  isola.  Rilevai  nella  bio- 
grafia di  Pio,  VII  e  altrove,  die  si  trat- 
tò di  farlo  restare  in  Veuezia,  o  di  trasfe- 
rirsi a  Vienna  fino  alla  pace  generale.  Ma 


VEN 
il  Papa  bramosissimo  di  recarsi  a  Poma 
(V.)  sua  propria  e  vera  sede,  per  riordi- 
narvi tanto  il  regime  ecclesiastico  che  il 
civile,  energicamente  fece  tanto,  che  su- 
però le  gravi  dilììcoltà  degli  austriaci  e 
de'  napoletani,  che  avevano  occupato  i 
di  lui  stati,  mentre  sospettarono  alcuni 
•*  desiderarsi  da  ambedue  quelle  poten- 
ze di  tenerli  sino  alla  pace,  per  poterne 
piò.  facilmente  disporre  secondo  le  occor- 
renze 1"  Tuttavolta,  riferisce  il  cav.  Cop- 
pi, il  Papa  ottenne  che  Ferdinando  IV 
re  delle  due  Sicilie,  coerente  al  dichiara- 
to anteriormente  al  sagro  collegio,di  non 
custodire  Roma  e  le  provincie,  che  per 
restituirle  al  nuovo  Papa,  acconsentisse  di 
consegnare  quella  parte  ch'era  in  suo  po- 
tere, e  Francesco  11  imperatore  solo  rite- 
nesse le  Legazioni  e  Ancona.  Dunque  Pio 
VII  riebbe  soltanto  di  sua  Sovranità, 
da  Fano  a  Roma, e  da  questa  a  Terraci- 
na.  Pertanto  in  questo  giorno  nominò  in 
Venezia  una  congregazione  composta  de' 
cardinali  Albani,  Roverella  e  Somaglia, 
i  quali  come  legati  a  latere  lo  precedes- 
sero in  Roma,  e  ricevessero  la  consegna 
del  governo  secondo  le  graziose  intenzioni 
manifestate  da  Ferdinando  IV.  Intanto  i 
progressi  fatti  nuovamente  da'  francesi 
nella  primavera  in  Germania  e  in  Italia, 
indussero  gli  austriaci  a  restringere  le  lo- 
ro armate,  nello  stato  papale,  e  le  mire 
della  politica;  e  da  tutto  ciò  ne  avvenne 
che  i  legati  apostolici  a'22  giugno  ebbero 
finalmente  la  consegna  di  Roma  cogli  al- 
tri paesi  amministrati  da'napoletani,  e  nel 
dì  25  quelli  delle  provincie  governate  da- 
gli austriaci,  da'dintorni  di  Roma  sino  a 
Fano.  Ambedue  le  potenze  lasciarono  pe- 
rò le  loro  truppe  nelle  fortezze  e  ne'posti 
militari  dello  stato  pontificio.  Alcuni, co- 
me il  Cancellieri,  riferiscono  la  nomina 
de'legati  a*23  maggio.  In  questo  giorno  il 
Papa  si  portò  alla  chiesa  di  s.  Giustina 
delle agostiniane,ricevuto  dal  prelato  Gal- 
lerati-Scolti,dalcleroeda'deputati,  e  pas- 
sato poi  nel  monastero*  assiso  in  magnifi- 
co trono,  ammise  le  monache  e  i  nominati 


V  EN 
al  bacio  del  piede,  e  gradi  un  nobile  rin- 
fresco; mentre  la  badessa  gli  presentò  un 
ben  lavorato  secchietto  d'argento  coli' a- 
spersorio,  ed  un  eccellente  quadro  espri- 
mente la  15.  Vergine  col  Bambino,  S.Giu- 
stina e  altri  Santi,  con  bellissima  cornice 
d'argento  coll'arme  pontificia.  A*  24  s' 
recò  dagli  eremiti  camaldolesi  a  s.  Cle- 
mente in  isola,  e  poi  passò  nell'antichissi- 
mo monastero  delle  benedettine  di  s.  Cro- 
ce alla  Gindecca,  venerando  prima  in  chie- 
sa il  ss.  Sagramento  ed  il  corpo  del  dottore 
s.  Atanasio.  Nella  cappella  interna  orò  a- 
vanti  l'insigni  reliquie  della  ss.  Croce, del 
corpo  intatto  colle  sue  vesti  della  b.  Eufe- 
mia Giustiniani,  ed  una  camicia  di  scotto 
cogli  abiti  pontificali  di  s.  Lorenzo  Giusti- 
niani, un  individuo  della  cui  famiglia, con 
al! ri  nobili  veneti,  assisteva  il  Papa.  Ri- 
cevute le  monache  al  bacio  del  piede,  os- 
servato  tutto  il  vasto  monastero,  accettò 
un  messale  coperto  d'argento  cisellato  e 
la  vita  della  b.  Eufemia.  Si  portò  poi  nel- 
la chiesa  incontro  delloSpirito  Santo  deb 
l'agosti fiiane  sulle  Zattere,  indi  consolò  le 
religiose  colla  sua  presenza,  che  gli  ofFri- 
frirono  un  finissimo  rocchetto  con  asola 
d'oro  e  guernitodi  ricco  merletto, ed  una 
sloia  ricamata  in  oro.  Nel  medesimo  gior- 
no pubblicò  colla  lettera,  Ex  quo  Ecclc- 
siam,  l'universale  Giubileo,  che  fu  stam- 
pata in  Venezia, come  altri  atti.  Nella  do- 
menica de'25  maggio,  desideroso  Pio  VII 
di  venerare  la  tomba  del  glorioso  tauma- 
turgo s.  Antonio  di  Padova,  poco  dopo 
il  mezzodì,  servito  alla  riva  da' cardinali 
Poverella  e  Pignattelli,  parti  da  s.^Gior- 
gio  per  Padova  in  nobile  burchiello  o 
bucintoro,  nel  quale  il  suo  gabinetto  era 
parato  di  damaschi  cremisi,  la  sala  pei 
prelati  di  bianco,  e  l'esterno  di  seta  cele- 
ste, essendo  il  coperto  adorno  de'pontificii 
stemmi,con  7  mistiche  navicelle  iughirlan- 
date  di  fiori:  altro  simile  portava  la  corte 
e  l'equipaggio,  accompagnato  da  nume- 
rose nobili  goudole  de'  patrizi  veneti,  che 
in  ogni  occasione  si  distinsero  e  edificaro- 
no, nel  dare  le  più  sincere  dimostrazioni 


VEN  11 

d'attaccamento  e  di  vozionealla  sagra  per- 
sona del  Capo  visibile  della  Chiesa.  A  Liz- 
za Fusina  trovò  3  carrozze  del  palazzo 
apostolico,  ricevuto  da  distinti  personag- 
gi veneti  e  forestieri,  essendovi  sul  pon- 
tile schierata  la  truppa  tedesca,  e  poi  un 
distaccamento  di  cavalleria  per  l'accom- 
pagno ;  e  giunto  al  Dolo,  disceso  dalla 
propria  carrozza,  montò  in  quella  più  ma- 
gnifica inviatagli  in  dono  dall'arciduches- 
sa Marianna,  cha  trovò  a  Padova,  ove  al- 
loggiò nel  celebre  monastero  di  s.  Giusti- 
na, in  cui  da  giovane  era  stato  studente 
novizio, onde  per  memoria  gli  lasciò  il  suo 
cappello  cardinalizio. L'abbate  di  quel  mo- 
nastero d.  Gio.  Alberto  Campolongo,  ri- 
splendette tanto  a'  suoi  occhi  per  le  sue 
virtù,  che  poi  lo  voleva  fare  vescovo  d'A- 
dria e  designava  al  cardinalato,  se  quel 
degno  figlio  di  s.  Benedetto  non  avesse  ri- 
fiutato cosi  eminenti  onori.  Abbiamo  del- 
l'ab.  Giuseppe  Gennari,  con  note  dell'ab. 
Domenico  Tiatoje  Memorie  compendio- 
se sull'arrivo  e  soggiorno  iti  Padova  di 
Sua  Santità  Pio  VIIy  Padova  1800. 
Dopo  essere  stato  onoratamente  festeg- 
giato in  Padova, ne  partì  all'ore  7  antime- 
ridiane di  venerdì  3o  maggio;  montato 
in  carrozza,  ne  discese  poi  alla  porta  del 
Portello,alla  cui  riva  era  pronto  il  nobile 
burchiello,  e  navigando  sulla  Brenta  per 
restituirsi  a  Venezia.  Giunto  a  Lizza  Fu- 
sina, si  destò  un  universale  giubilo  nel- 
la moltitudine  d'ogni  grado  e  condizione, 
ch'erasi  recata  a  incontrarlo.  Appena  due 
ore  dopo  mezzodì  si  distinse  dall'alto  del 
campanile  dis.  Marco, oltre  s.  Giorgio  in 
Alga,  il  maestoso  naviglio,  tutte  le  cam- 
pane della  città  cominciarono  suonare  a 
festa,  per  darne  il  sospirato  annunzio.  In 
un  momento  si  vide  circondato  da  una 
moltitudine  di  legni,  che  scorrendo  con 
vago  ordine  Io  corteggiarono  in  tutto  il 
corso  della  Laguna.  La  nobiltà,  il  clero, 
tutti  gli  ordini  de'cittadini,  dimentichi  di 
ogui  altra  cura,  per  affetto  spontaneo  di 
divozione,  fecero  a  gara  di  attestare  il  lo- 
ro attaccamento  a  Pio  VII,  eletto  nella  pa- 


22  V  li  iN 

tua  loro.  Gondole,  battelli,  e  barche  d'o- 
gni forma,  peote  adorne  di  seta  e  festoni 
a  vari  colori,  singolarmente  di  parecchi 
parrochi  e  del  loro  clero,  caicchi  e  bui  - 
t  Incili  con  ondeggianti  bandiere  facevano 
una  vista  assai  biillante,siccome  tutte  gaie 
e  in  mille  guise  adorne;  rallegrala  da 
tuoi  ti  musicali  strumenti,cheaccouipagna- 
vano  il  seguito,  e  che  univano  l'armonio- 
so lor  buono  al  busso  mormorio  dell'acque 
da  tanti  remi  agitate,  dal  concerto  delle 
campane  e  da' replicati  evviva  del  giubi- 
lante e  divolo  popolo  immenso,  che  co- 
priva le  rive,i  ponti  e  le  finestre  delle  ca- 
se, quanto  è  lungo  il  canale  della  Giudee- 
ca.  Tulio  insieme  formava  uno  spettacolo 
sorprèndente  e  commovenlissirno,  avente 
l'aspetto  d'un  vero  trionfo,  e  che  solò  può 
(Uri  re  la  speciale  e  unica  situazione  della 
meravigliosa  Venezia,  fabbricata  nel  ma- 
re !  A  render  più  lieta  la  festa, concorse  la 
tranquillità  dell'onde,  e  il  velo  delle  nu- 
vole, clie  dall'ingresso  del  Beatissimo  Pa- 
dre nella  Laguna  sino  all'approdare  a  s. 
Giorgio, ripararonoglisplendenli  raggi  del 
sole,  il  quale  nascondendosi  fra  di  esse, 
parve  che  auch'egli  volesse  concorrere  a 
render  meno  disagiata  e  incomoda  la  lun- 
ga dimora  del  Papa  a  cielo  scoperto,  per 
appagare  l'universale  desiderio.  Poiché, 
per  compiacere  il  comun  giubilo,con  ama- 
bile gradimento,  il  benignissimo  Pio  VII 
si  degnò  6tare  sulla  prua  del  burchiello, 
consolando  tutta  la  popolazione  colla  gio- 
vialità del  venerando  suo  volto,  e  impar- 
tendo a  lutti  con  effusione  d'intenerito  a- 
rùmo  l'apostolica  benedizione.  In  mezzo 
alla  corona  de'prelati,ilPapa  a  vea  a  destra 
il  rappresentante  imperiale  marcheseGhi- 
slieri,  ed  a  sinistra  il  patrizio  veneto  Cate- 
rino Coi  uer,suo  cameriere  segreto  di  spa- 
da e  cappa  (nella  famiglia  pontificia  figu- 
ra il  3.°  nominalo,  il  2.°  il  conle  Widman 
sunnominato,  e  il  i ,°  il  marchese  Costan- 
tino Balbi  genovese)e  specialmente  addet- 
to alla  sua  sagra  persona.  In  breve,  fu  un 
trionfo  il  suo  ingresso  di  ritorno  a  Vene- 
zia, alla  quale  pareva  in  quel  punto  rive- 


VEN 
dei  e  nella  di  lui  persona  risorto  il  gran  Pio 
VI,  e  che  quel  fausto  giorno  fosse  il  §5 
maggio  i  782:  dolce  illusione  d'un  istan- 
te, e  perciò  ancor  più  degna  di  compassio- 
ne! Tanto  osserva  anche  il  Belluino. Giun- 
to il  nobilissimo  convoglio,  alle  ore  /[  po- 
meridiane,alla  residenza  di  s.  Giorgio  Mag- 
giore, fra  il  replicalo  e  fragoroso  rimbom- 
bo dell'artiglierie,  e  le  pubbliche  entusia- 
stiche acclamazioni,  fu  ricevuto  alla  ri- 
va da  5 cardinali, da  gran  numero  di  pre- 
lati e  da'iuoi  monaci  cassinoti.  Visitalo  il 
ss.  Sagra  mento,  si  ritirò  nelle  sue  stan- 
ze. Nel  dì  seguente  visitò  nel  pomeriggio 
la  chiesa  e  il  nobil  monastero  delle  cauo- 
nichesse  Lateranensi  di  s.Daniele,che  am- 
mise al  bacio  del  piede,  gustando  il  rin- 
fresco e  accettando  un  bel  secchiello  d'ar- 
gento per  l'acquasanta,  avente  in  mezzo 
la  reliquia  di  s.  Pietro  apostolo,  ed  una 
stola  di  fondo  rosso  con  elegante  ricamo 
intrecciato  di  perle.  Nella  mattina  del  i.° 
giugno  giunse  in  Venezia  Ferdinando  du- 
ca di  Parma,  coll'arciduchessa  sua  moglie 
e  la  principessa  figlia,  e  tosto  si  recarono 
ad  ossequiare  il  Papa,  ricevuti  colla  mag- 
giore cordialità,  baciandogli  il  piede,  il 
Papa  li  fece  ospitare  nel  monastero,  li  vi- 
sitò e  tenne  seco  a  mensa.  Dopo  di  questa 
Pio  VII  visitò  la  chiesa  e  il  monastero  del- 
le cappuccine  di  s.  GirolamOjChecon  mol- 
te dame  poterono  inchinarsi  al  bacio  del 
piede:  offrirono  un  rinfresco,  un  quadro 
eccellente  rappreseutante  s.  Girolamo,  ed 
una  pianeta  bianca  con  ricami  di  seta  e 
oro. Nella  sera  i  reali  ospiti  si  congedaro- 
no dal  Papa  e  partirono  per  Padova  e  pei 
loro  stati,  perchè  i  francesi  valicato  il  Po, 
aveauo  di  nuovo  già  occupato  Piacenza. In 
questi  pericolosi  frangenti,narra  l'ab.  Bel- 
lomo,il  cardinal  Hertzan  opinava  che  non 
dovesse  il  Papa  andare  in  Roma, ma  ben- 
sì rimanersi  colla  corte  io  Venezia  o  altra 
cittadella  monarchia  austriaca. Diversa- 
mente risolvette  Pio  VII,  a  cui  l'aspetto 
del  pericolo  aggiunse  un  più  forte  slimolo 
di  affrettare  la  sua  partenza  per  Roma. 
Laonde  mirando  al  governo  spirituale  del 


VEN 
gregge  cattolico,  che  star  dee  congiuntoal 
centro  di  unità,  indirizzò  in  forma  di  bre- 
ve la  lettera   Vtmerabilibus  fratribus  ac 
dilectìs filiis ,Nuncìis  apostolicistArchìe- 
piscopis  età,  a'2  giugno,  colla  quale  ri- 
chiamò da'nunzi  e  dall'Episcopato  le  fa- 
coltà loro  accordale  dal  suo  predecessore, 
e  nominatamente  quelle  espresse  dalle  di 
luiIetteredeirottobrei798,emanatedalla 
Certosa  di  Firenze, insieme  dichiarando  lo- 
ro l'imminente  suo  viaggio  perRoma.«  Ec- 
co che  Noi  già  siamo  decisi  di  andarsene  a 
Uoma,ovec'invitano  i  desiderii,  le  premu- 
re e  le  voci  incessanti  de'Noslri  popoli,ove 
Pietro  principe  degli  Apostoli/ti  quale  per 
divino  comando  piantò  colà  a  se  stesso  ed 
a'suoi  successori  laSede,  ci  chiama  dallo 
stesso  suo  Sepolcro,  e  pare  in  certo  modo 
querelarsi  del  Nostro  troppo  lungo  ritar- 
do". Aggiungeva  per  altro  in  questo  breve 
o'nunzija'vescovi^'delegatiapostolicijche 
a  quelle  chiese  tuttora  oppresse  dalle  me- 
desime angustie,  e  per  le  quali  continuas- 
sero le  stesse  cause  infelici,  intendeva  che 
i  prelati  continuassero  a  ritenere  le  memo- 
rate facoltà.  Inoltre  a' 3  giugno  ricevè  i 
ringraziamenti  del  capitolo  di  Padova,  per 
averne  visitalo  la  cattedrale,  ed  un  reli- 
quiario d'argento  col  fegato  del  b.  cardi- 
nal Barbarigo  veneto.  Nel  dì  seguente  si 
recò  alla  chiesa  e  monastero  delle  bene- 
dettine dell'  Umiltà,  che  gli  baciarono  il 
piede,  e  presentarono  di  rinfresco  e  d'una 
scatola  d'argeuto  dorato  per  1'  ostie  della 
messa.  Ristringendosi  il  tempo  di  sua  per- 
manenza in  Venezia,  uscito  dall'  Umiltà, 
Pio  VII  volle  anche  consolare  le  monache 
di  s.  Alvise,  visitò  la  chiesa  magnificamen- 
te addobbata,  e  nel  monastero  ricevè  al 
bacio  del  piede  l'agostiuiane,  che  dopo  rin- 
fresco, offrirono  una  pianeta  di  ganzo  d'ar- 
gento inlessuto  a  fiori  d'oro  e  guernita  da 
simile  gallone  :  nel  partire  osservò  il  deli- 
zioso giardino.  ludi  passò  dalle  francesca- 
ne della  Croce,  dal  cui  coro  orò  nella  chie- 
sa, poi  fece  loro  baciare  il  piede:  nel  dì  se- 
guente le  monachigli  mandarono  un  bel- 
lissimo rocchetto  e  diverse  altre  cose.  La 


VEN  23 

mattina  di  giovedì  5  giuguo,  Pio  VII   si 
portò  a  celebrare  la  messa  nella  superba 
cappella  del  palazzo  alla  Giudecca  del  suo 
cameriere  segreto  Caterino  Corner, ed  assi- 
stè a  quella  d'un  cappellano  segreto.  Fu 
poi  servito  di  soutuoso   rinfresco,  di  cui 
partecipò  la  corte  nobile.  Indi   il   uobile 
Corner  umiliò  al  Papa  il  magnìfico  calice 
con  lavori  dorati  cheavea  usato,  e  l'am- 
polle d'argento.  Nel  pomeriggio,  dopo  a- 
ver  permesso  ad  un  grandissimo  numero 
di  popolo  ch'erasi  affollato  a  s.  Giorgio, 
di  baciargli  il  piede, come  fece  nel  ritor- 
no,si  trasferì  alla  chiesa  e  nobil  monaste- 
ro delle  benedettine  d'Ognissanti,  che  ri- 
cevè al  consueto  omaggio,  col  clero  e  de- 
putali. Gradì  il  riufresco,  il  complimento 
in  versi  d'una  educanda,  e  l'ampolle  d'ar- 
gento dorato  d'eccellente  lavoro,  ringra- 
ziando la  badessa  del  piviale  o  manto  con 
eleganti  ricami  d'oro  e  sua  canestra  con 
velo,   ricevuto  nel   dì    dell'  Ascensione. 
Giunto  finalmente  il  tempo  in   cui  Pio 
VII,  entrato  iu  Venezia  cardinale  a'  12 
ottobre  iygg.dovea  partirne  Papa  a'  G 
giugno  1800,  e  come  tale  vi  avea  fatto 
soggiorno  85  dì,  impiegati  ne'gravi  affari 
della  Chiesa  e  poi  dello  Stato ,  non  che 
nel  modo  che  ho  accennato,  avendo  in 
un  concistoro  già  preso  congedo  da'ear- 
dinali,  nella  detta  mattina  del  6  si  por- 
tarono  ad   inchinarlo  e  felicitarlo   a  s. 
Giorgio  molti  distinti  personaggi.  Si  di- 
mostrarono commossi  di  dispiacere  per 
la  sua  parteuza,  dopo  aver  ricevuto  tan- 
te prove  di  paterno  affetto  e  di  predile- 
zione,date  loro  e  alla  città,  che  può  a  ra- 
gione andar  superba  d'aver  avuto  un  tal 
glorioso  ospite,  e  d'averne  ammiralo  da 
vicino  le  virtù  singolari  che  l'adornava- 
no, e  resero  per  sempre  veuerauclo  e  a- 
dorabile.  Verso  le  ore  7  Pio  VII  uscì  dal- 
le sue  stanze  e  da  una  loggia  risponden- 
te all'orto  die' la  sua  apostolica  benedi- 
zione all'  amata  città  e  alle  persoue  ac« 
corse,  che  mille  augurii  inualzarono  di 
prospero  viaggio.  Dopo  ciò  per  la  nobile 
scala, seguito  dalla  coite,  da  tutti  i  ino- 


*4  VEN 

naci,  e  da  gran  numero  di  persone,  scese 
alla  riva,  ove  eia  schierala  la  truppa  au- 
striaca, fra  le  lagrime  degl'  inconsolabili 
veneziani,  che  negli  ultimi  momenti  mi- 
randolo, e  le  sue  benedizioni  implorando, 
dcducelant  cum  ad  Navcm\Act.  e.  20, 
v.  38).  Ivi  trovò  preparato  un  magnifi- 
co caicco,  ove  salì  il  Papa  coordinali 
Borgia,  Caprara,  Pignattelli ,  Giuseppe 
Doria  e  Bi aschi ,  col  tenente-colonnello 
Calugi,  aiutante  generale  della  marina, 
e  il  capitano  Jansich  aiutante  del  Quiri- 
ni;  il  resto  della  corte  s'imbarcò  in  diver- 
se lancie.  II  marchese  Ghislieri,  e  il  no- 
bile Caterino  Corner  salirono  in  due  altri 
legni. Era  seguilo  il  convoglio  da  una  de- 
corosa peota  de'monaci,  da  altre  6  ma- 
gnifiche de'parrochi  de'seslieri  della  città, 
istoriate  di  sagri  emblemi,  oltre  un  indi- 
cibile uumero  d'altre  barche  d'  ogni  sor- 
te. Con  questo  imponente  accompagna- 
mento giunse  il  Papa  alla  i.  r.  fregata  da 
guerra  Bellona,  armata  di  4°  cannoni,  e 
giàdella  repubblica,comandata  dal  tenen- 
te-colonnello Silvestro  Dandolo  patrizio 
veneto,  poi  vice-ammiraglio  sullodalo, 
per  condurlo  a  Pesaro,  non  giudicandosi 
conveniente  da'eommissari  austriaci  che 
viaggiasse  per  le  Legazioni  da  loro  rite- 
nute. Salì  il  Papa  a  bordo,  con  lutto  il 
suo  accompagnamento.  Nel  partire  da  s. 
Giorgio,  appena  erasi  staccato  dalla  riva, 
una  salva  generale  d'  artiglieria,  anche 
delia  fregata,  e  il  suono  di  tutte  le  campa- 
ne, unitamente  alle  voci  d'immenso  po- 
polo rammaiicatoe  affollalo  sulla  riva  op- 
posta della  Piazzetta  e  in  quella  de'Schia- 
voni,gli  replicarono  gli  augurii  affettuosi 
di  felicissimo  viaggio.  Nel  passar  per  la 
Laguna  fu  salutato  con  replicati  spari  di 
artiglieria  de'diversi  bastimenti  ancorati. 
Nel  presentarsi  il  Papa  al  canale  dello 
Spingon  presso  il  porto  di  Malamoco,alla 
Bellona,  una  nuova  salva  lo  salutò,  ma 
dopo  che  vi  ascese,  rinnovò  l'apostolica 
benedizione  a'suoi  diletti  veneziani  ed  a 
tutti  quelli  che  l'aveauo  accompagnato, 
da'quali  collo  sguardo  e  col  cuore  fu  se- 


VEN 

guito  per  lungo  tratto  l'avvenluroso  na- 
viglio, a  cui  era  rivolta  l'attenzione  lilia- 
le, le  speranze  e  le  brame  del  mondo  cat- 
tolico, da  numerosa  nobiltà  veneta  e  fo- 
restiera, che  ambì  di  rendere  questi  ulte- 
riori onori  al  successore  di  s.  Pietro.  Le 
sublimi  prerogative  di  Pio  VII  e  la  sua 
impareggiabile  affabilità,  seppero  acqui- 
stargli in  Venezia  la  venerazione  e  l'affet- 
to universale.  Non  contenta  la  divota  po- 
polazione veneta  de' voti  fatti  per  la  sua 
prosperità,  volle  anche  ripeterli  con  pub- 
bliche preci  e  processioni.  Mg.r  Nicolò 
Bortolatti  arcidiacono  della  patriarcale  e 
vicario  capitolare,  fece  stampare:  Prece? 
dicendae  prò  felici  itinere  SS.  D.  N.  Pii 
PP.  VII.  Venetiis  Andreola  1820.  Fra 
le  molle  belle  composizioni ,  che  furono 
fatte  a  Venezia  in  questa  circostanza,  gi- 
rò il  distico: Ad Gregis IniperiumCkris ti 
Patrwn  mula  vehebat  :  -  Ad  Petri  So* 
lium  vexitet  unda  Pium.Ln  versione  in 
un  madrigale,  la  riporta  pure  Cancellie- 
ri, con  un  sonetto  stampato.  Ma  non  es- 
sendo favorevoli  i  venti  e  soffiando  con- 
trari, quasi  che,  favorendo  i  veneziani, 
staccar  non  volessero  da'loro  lidi  sì  pre- 
zioso tesoro,  V  i.  r.  fregata  dovè  tralte- 
nersi  alcuni  giorni  dentro  il  canale  dello 
Spingon.  Allora  il  Papa  per  diporto,  do- 
vendo rimanersi  circa  tre  giorni  presso 
Malamocco,  ivi  si  recò,  visitando  le  chie- 
se e  le  monache,  come  pure  altri  luoghi 
di  quel  litorale,  e  andò  ad  ammirare  l'o- 
pera sorprendente  e  grandiosa  de'Mu raz- 
zi, nel  Bargio  della  fregata.  Ritornato  a 
quesla,  appena  a' io  avea  perduto  di  vi- 
sta il  porto,  che  mutatosi  un'altra  volta 
il  vento,  fu  da  un  colpo  di  libeccio  tra- 
sportato e  sospinto  alle  coste  d'Istria,  per 
ventura  di  quelle  popolazioni, nel  litora- 
le sino  a  Capodistria,  ed  a  Parenzo.  In 
questo  porto  Pio  VII  fu  ricevuto  dal  ve- 
scovo Polesini,  dal  marchese  .fratello,  dal 
clero  e  nobili,  fra  le  acclamazioni  del  giu- 
bilante popolo, esultante  dell'inatteso  av- 
venimento, ed  il  Papa  sensibile  fece  quel- 
le concessioni  che  narrai  ne]  ricordalo  ar- 


VEW 
ticolo.  Ma  poi  spirando  vento  propizio, 
potè  approdare  a  Pesaro  felicemente  ai 
i  7,  ed  a'3  del  seguente  luglio  fece  il  suo 
Ingresso  solenne  in  Roma.  I  monaci  di 
s.  Giorgio  Maggiore  per  ricordare  un 
tanto  glorioso  avvenimento  fecero  esegui- 
re dal  valente  pittore  Teodoro  Matteini 
il  ritratto  di  Pio  VII, collocandolo  sopra 
il  pilastro  destro  della  cappella  maggiore 
della  chiesa  con  corrispondente  lapide,  da 
dove  fu  poi  trasportato  sulla  porta  prin- 
cipale. Dall'altro  canto,  il  Papa  a  dare  u- 
na  dimostrazione  e  memoria  di  ricono- 
scenza alla  chiesa  di  s.  Giorgio,  per  l'ospi- 
talità  data  nel  monastero  a  lui  ed  al  s.  col. 
legio,a  mezzo  di  mg. r  Tosi  suo  segretario 
intimo,  a'i5  marzo i8o3  scrisse  al p. ab- 
bate d.  Bonaventura  Venier,chein  con- 
trassegno d'animo  memore  e  grato,  gli 
manda  va»perornamento  dell'altare  mag- 
giore  della  chiesa  di  s.  Giorgio  6  candellieri 
con  la  Croce;  inoltre  4  a'tl>  candellieri 
inferiori, eda  ultimo  le  tavolette  delle  divi» 
ne  parole, che  staranno  presenti  avanti  a- 
gli  occhi  del  sacerdote  celebrante. Per  ve- 
rità sono  essi  di  bronzo  (dorato);  ma  sono 
travagliati  con  elegante  industria  e  squi- 
sito artificio,  perfetti,  e  in  tutto  tali,  che 
bastantemente  corrispondono  alla  digni- 
tà di  codesto  tempio  e  alla  sua  ampiezza. 
Voi  ancora  agognerete  di  essere  vivi  can- 
dellieri, tutti  d'un  oro  purissimo,  affinchè 
la  luce  delle  più  belle  virtù  si  diffondi  per 
ogni  dove  nella  Casa  del  Signore;  e  nel- 
la fiducia  che  cosi  avverrà  ,  diamo  con 
paterno  affetto  a  Voi  e  a  tutti  i  vostri  fi- 
gli l'apostolica  benedizione".  Alla  fine  di 
detto  mese,  i  donativi  giunsero  in  Vene- 
zia, portati  dallo  stesso  celebre  artista  ro- 
mano Francesco  Righetti,  che  con  som- 
ma perizia  li  lavorò,  e  furono  trovati  di 
tanto  insigne  pregio,  che  per  appagare  la 
pubblica  curiosità  di  sì  superbo  dono, 
si  esposero  all'  ammirazione  de*  vene- 
ziani nelle  3  feste  di  Pasqua.  Tutto  si  ri- 
porta dal  Diario  di  Roma  del  i8o3  ne'n. 
240 e  241.  Però  al  fatale  momento  della 
soppressone  del  monastero,  sotto  il  gover- 


VEN  25 

no  Italico,  i  candellieri,  la  Croce,le  tabelle 
furono  trasportati  nel  1807  (vivente anco- 
ra e  regnante  in  Roma  il  venerando  do- 
natore!) a  Milano  nella  chiesa  della  corte 
sotto  l' invocazione  di  s.  Gottardo,  dove 
tuttora  si  trovano.  Quest'ultima  notizia 
la  ricavo  dal  cav.  Mulinelli,  che  descrive 
tali  arredi,  e  daW  Inscrizioni  Veneziane, 
t.  4i  p-  4^7  e  seo'>  del  cav«  Cicogna,  il 
quale  illustrando  l'iscrizione  mentovata 
de'monaci,  oltre  il  riferire  le  notizie  sul 
conclave  tenuto  in  s.  Giorgio,  elezione  ivi 
eseguita  ;di  Pio  VII  e  del  suo  soggiorno, 
narra  pure  molte  delle  visite  pontificie  che 
ho  compendiate  sul  Cancellieri,  riporta 
la  nota  di  33  opuscoli,  iscrizioni  e  carte 
uscite  in  Venezia  per  la  detta  occasione; 
però  di  quelle  per  la  morte  di  Pio  VI,  di- 
cendo parlarne  ove  ragionerà  di  lui.  Di- 
scorre pure  delle  medaglie  coniate  in  Ve- 
nezia perPioVII,notificandochedi  tutto 
ne  dà  minuta  informazione  laóen'e  crono- 
logica de'  pievani  di  Venezia  promossi 
alla  dignità  vescovile,  opera  diAlessan* 
dro  Orsoni,  Venezia  181 5,  Alvisopoli. 
L'altro  veneto  e  illustre  defunto  ab.  Gio. 
Bellomo  nella  ricordata  Continuazione 
della  Storia  del  Cristianesimo,  t.  1,  p. 
ioeseg.,4^>  5o,  67  e ig5, ragiona:  Sul- 
l'elezione di  Pio  VII,  come  avvenimento 
che  confonde  le  sette  nemiche  della  reli- 
gione cristiana;  macchinazioni  e  prepo- 
tenze de  Teofilantropi.  Di  sua  incorona- 
zione. Dellai."  allocuzione  fatta  alsagro 
collegio.  Delle  visite  falle  alle  chiese  e  mo- 
nasteri di  Venezia,  e  sagre  funzioni  cele- 
brate dal  Papa.  Del  suo  breve  soggiorno 
in  Padova.  Di  sua  partenza  per  Roma. 
Donativo  fatto  a  s.  Giorgio,  colla  ponti- 
ficia lettera. Ed  opportunamente  osserva: 
"Siccome  poi  il  Capo  della  Chiesa,  dopo 
il  generale  saccheggio  di  Roma  (intende 
dire  de' repubblicani  francesi),  trovavasi 
spoglio  di  sagri  arredi,  e  persino  di  vasi 
sagri;  così  i  veneziani  (e  pel  i.°  mg.r  Ai- 
caini)  non  tralignando  da  quella  pietà  col- 
la quale  soccorso  aveano  uel  1  1 77  il  pro- 
fugo Alessandro  111,  alfreltarousi  di  of- 


*6  YEN 

dire  n  Pio  VII  V  omaggio  ili  ricchi  (ioni 
e  di  preziose  suppellettili,  nel  che  e  ve* 
scovi  e  chiese,  e  monasteri  e  ogni  online 
di  persone  fecero  bella  gara  di  generosa 
divozione. Certamenteera  questo  un  gran- 
de e  sublime  spettacolo,  e  il  più  alto  a  e* 
dilicare  l'animo  de' buoni!  L'umile  Pio 
VII,  adorno  di  esimie  virtù,  i  cardinali 
spogliati  d'ogni  pompa  e  d'  ogni  magni- 
ficenza propria  del  loro  grado,  per  la  più 
parte  magnanimi  confessori  della  fede  di 
Cristo  a  cagione  de'solferli  patimenti  (si- 
no a  intimare  a  ciascuno  nel  i  79B  la  ri- 
nunzia della  loro  dignità  e  della  Porpo- 
ra, e  ricusandosi,  furono  imbarcali  a  Ci- 
vitavecchia sopra  fragili  scialuppe,  per- 
ciò esposti  al  pericolo  di  certa  morte,  giac- 
chèa)  lori  una  fiera  procella  sconvolgeva  il 
mare.  Ria,  soggiunge  il  Belluino  stesso: 
Dominus  qui  habitat  in  coelis,  irridebit 
eos),  rappresentavano  una  vera  immagi* 
ne  della  Chiesa  tuttavia  nascente,  allor- 
ché s.  Pietro  e  gli  altri  Apostoli  in  Ge- 
rusalemme ricevevano  le  offerte,  che  de- 
poneva a'Ioro  piedi  l'amore  de'primitivi 
fedeli  !"  Dice  il  eh.  Pistoiesi  nella  Vita  di 
Pio  FU ,  che  dettagliatamente  riporta 
molte  delle  cose  descritte,  e  diverse  iscri- 
zioni. »  Si  dirà  forse  d'aver  noi  notate 
alcune  lievi  circostanze,  che  non  interes- 
sando gran  fatto  l'illustre  carriera  del 
Chiaramonti,potevanoanche  tacersi  sen- 
za danno  di  sua  gloria.  Risponderei!!  noi, 
che  nella  storia  degli  uomini  sommi  non 
\'ha  piccolo  oggetto,  in  cui  non  si  fermi 
l'attenzione  de'posteri,  che  ameranno  di 
leggere  tuttociò,  che  spetta  alla  vita  del 
primo  luminare  del  secolo  XIX".  A  me 
poi  correvano,  ed  ero  responsabile  di  due 
obblighi:  il  1 ,°  di  aver  promesso  nella  bio- 
grafia del  magnanimo  e  immortale  Pio 
VII ,  di  trattare  in  questo  articolo  Io 
svolto  argomento,  eseguito  però  con  mi- 
nime proporzioni;  il  2.0  pel  riflesso,  che 
un  Conclave  e  il  lungo  soggiorno  d'un 
Papa  in  una  città  sono  glorie  rare,  per 
cui  non  dovea  defraudarne  Venezia,  che 
uveudole  meritate,  per  essersene  mostra- 


VEN 
la  eminentemente  degna,  edificando  col 
suo  nobile,  religioso  e  gene»  pso  contegno 
il  cristianesimo,  io  dove.i  lumeggiarne  al- 
meno i  principali  modi.  Non  vi  è  catto- 
lico infine,  e  non  v'è  uomo  di  senno,  che 
in  quel  gran  fatto  del  trattato  di  Campo- 
formio  17  ottobre  1797,  e  della  tregua 
che  dietro  vi  tenue  in  Italia,  mentre  la 
Chiesa  stava  per  essere  minacciata  da  li- 
no scisma,  e  la  romana  Sede  nel  maggior 
dei  pericoli;  non  ravvisi  uno  di  quei  su- 
premi ed  inaspettati  voleri  pei  quali,  non 
solamente  Venezia  fu  da  un  istante  al- 
l'altro cambiata  in  sede  di  pace  opporli!- 
nissima  alla  riunione  di  un  conclave  ed 
alla  nomina  d'un  Pontefice,  mentre  Pio 
VI  dagli  empii  era  tenuto  per  I'  ultimo; 
ma  la  stessa  romana  Sede  nella  sua  spi- 
rituale e  temporale  immobilità  fu  e  sa- 
rà sempredalladivinaonnipotenzae  man- 
tenuta e  difesa.  —  Napoleone  Bonaparte 
i.°  console  della  repubblica  francese,  a - 
vendo  per  poco  rispettato  il  suo  trattato 
di  Campoformio,  già  accennai  l'accesa 
nuova  guerra  contro  l'Austria,  laonde 
molte  battaglie  eransi  combattute  in  Ita- 
lia, la  più  clamorosa  delle  quali  fu  quel- 
la da  lui  vinta  a  Marengo  presso  il  Ta- 
naro  a'i4  giugno  1800,  contro  il  mare- 
sciallo Melas,  il  quale  fu  costretto  ad  ab- 
bandonare l'Italia,  e  perciò  fu  decisa  im' 
altra  volta  a  favore  de'  francesi  la  sorte 
della  Lombardia.  Queste  guerre  tra  le  al- 
tre conseguenze  produssero  due  funeste 
epidemie,  negli  auimali  l'epizoozia,  negli 
uomini  il  tifo,  che  sviluppatosi  in  Padova 
penetrò  in  Venezia;  e  predominando  pu- 
re i  morbilli  e  il  vaiuolo,  la  strage  fu  nu- 
merosa. La  fortuna  delle  armi  pose  Na- 
poleone in  grado  di  dettare  le  condizio- 
ni di  pace,  con  trattato  sottoscritto  a  Lu- 
neville  a'g  febbraio  1801,  in  cui  si  con- 
fermò quello  di  Campoformio,  circa  alla 
cessione  de'Paesi  Bassi  alla  Francia,  ed  il 
possesso  de'dominii  veneti  a  favore  del- 
l'Austria. Nel  1802  bramò  che  il  gran  Ca- 
nova facesse  il  suo  ritratto,  per  cui  fu  in- 
caricato il  ministro  Cacault  presso  la  s. 


V  E  N 

Sedead  invitai  lo,viaggio  pagalo  e  120,000 
fianchi  prezzo  della  statua.  Ma  per  quan- 
ti sforzi  facesse  il  ministro,  Canova  che 
teneva  per  fermo  essere  le  aiti  libere  co- 
me il  pensiero,  stentava  a  decidersi  e  di- 
ceva. »  E'  quel  Bonaparte,  che  ha  distrut- 
to i!  governo  del  mio  paese,  e  quindi  l'ha 
ceduto  all'Austria.  Ho  qui  mille  lavori; 
io  non  sono  un  uomo  politico,  nulla  do- 
mando al  potere:  e  inoltre  siamo  prossi- 
mi alla  stagione  d' inverno;  io  andrei  a 
morire  fra  le  nevi  di  Parigi  !  "  Jl  Cacault 
i  ispondevagli.  »  La  natura  produce  di 
tempo  in  tempo  uomini  grandi  in  tutti 
generi:  e  questi  glandi  uomini,  quando 
appartengono  al  medesimo  secolo,  deb- 
l*onsi  fra  loro  appoggio,  affetto  e  concor- 
so. Il  grand'uomo  di  guerra  della  Fran- 
cia ha  fatto  peli.0  il  suo  dovere,  egli  ha 
chiamalo  con  modi  veramente  principe- 
schi, il  grand'uomo  delle  arti  dell'Italia. 
Questi  non  può  rifiutarsi  ad  un  invito ch'e- 
ragli  dovuto.  Mancherebbe  alla  sua  vo- 
cazione, alla  sua  stella,  al  suo  destino,  se 
ad  esso  mancasse.  Io  beri  apprezzo  il  de- 
li ilo  privato  di  Venezia.  Ah  !  se  così  ora 
si  fosse  trattalo  colla  mia  Bretagna  !  e 
tutto  insieme  ben  concepisco  e  valuto  gli 
scrupoli  e  la  indignazione  del  figlio  del- 
le gondole.  Ma  Canova  in  Roma  non  è 
più  veneziano.  Bonaparte  serve  e  difen- 
de Roma  novella  patria  di  Canova  (per- 
chè allora  erasi  concluso  il  Concordato, 
che  ristorò  la  religione  in  Francia).  Il 
compianto  prodigalizzato  all'  autorità  di 
quel  governo  si  antico,  che  del  resto  fu 
dalla  guerra  divorato,  quella  tenerez- 
za che  un  asolano  (allusione  alla  città 
prossima  al  luogo  di  nascita  di  Canova) 
conserva  per  le  sue  montagne,  tutto  va 
benissimo,  sono  effetti  d'una  bell'anima, 
ti'  un  culto  di  patria  casto  e  puro  :  ma 
lutlociò  non  forma  che  una  circostanza 
di  second'ordine  in  una  carriera  vasta  ed 
immortale.Non  vuol dunqueCanova  com- 
piere tutta  intiera  la  missione  per  la  qua- 
le è  stato  crealo?  "  E  Canova  resisteva  an- 
cora, ma  con  una  dolce  fermezza  che  uou 


YEN  27 

{scoraggiala  Cacault.  Il  Papa,  vivamente 
lo  pregò  ad  annuire;  e  il  cardinal  Coti- 
salvi  energicamente  gli  fece  conoscere  la 
conseguenza  della  ripulsa,  pel  risentimen- 
to di  Napoleone  contro  Roma,  dov'egli 
era  ospite,  figlio  e  concittadiuo.  Canova 
soggiungeva.'»  Ma,  vi  prego,  abbiatequal- 
che  pietà  di  me:  io  sono  gelato:  io  darò 
dunque  la  mia  mano,  la  mia  mano  sola- 
mente; non  vi  può  essere  in  me  ne  calo- 
re, ne  entusiasmo:  io  sono  ferito,  il  mio 
cuore  sarà  freddo".  Cacault  istruito  di 
queste  difficoltà,  visitò  per  una  2.a  volta 
Canova,  non  gli  disse  altro  che  gentilez- 
ze, si  diffuse  sull'argomento  della  scon- 
tentezza politica,  dell'artista  senza  ispira- 
zione (come  gli  scrittori);  lodò  il  candore 
della  rispostaci  modo  cortese  con  cui  si 
accompagnava  il  rifiuto,  le  forme  sotto  le 
quali  uu  ministro  francese  amava  con- 
getturare nell'artista  qualche  rincresci- 
mento di  non  potere  acconsentire,  e  tut- 
to ad  un  trailo  troncò  il  discorso,  aggiun- 
gendo solamente,  che  per  un  riguardo  do- 
vuto al  primo  console,  il  suo  ambasciato- 
re differirebbe  qualche  tempo  ad  inviare 
la  risposta.  La  sera  Cacault  chiamò  il  suo 
i.°  segretario  d'ambasciala,  eh' erasi  tro- 
vato presente  al  colloquio,  cioè  il  ca  v.  Ar- 
taud  (dalla  cui  Storia  di  Pio  VII,  t.  r, 
cap.  23  ecap.  27,  io  ritraggo  questo  rac- 
conto :  egli  nel  cap.  xiu  narra  1'  andata 
nel  precedente  1 80 1  a  Venezia  di  Cacault, 
con  Carolina  Bonaparte  sorella  di  Napo- 
leone e  moglie  di  Murat,  per  averne  gran 
voglia,  sotto  il  nome  di  sua  figlia  j  q  lo 
scalpore  che  fece  il  governo  austriaco  per 
questo  viaggiare  occulti,  ponendosi  in  gra- 
vi apprensioni,  giacché  il  marito  coman- 
dava 3o,ooo  uomini  a  Firenze),  e  gli  co- 
municò le  sue  istruzioni  per  vincere  Ca- 
nova nel  rifiuto."  Questo  rifiuto,  appog- 
giato principalmente  a  si  buone  ragioni, 
diventerà  un  gran  dramma.  Io  vi  vedo 
una  dichiarazione  di  guerra  di  una  sin- 
golare natura,  e  in  questa  lolla  ove  si  tro- 
verebbero gli  alleati  di  Canova?  Egli  at- 
tirerebbe la  folgore  sulla  citlà  in  cui  sog- 


28  VEN 

giorni  ...  Egli  non  ha  acconsentito  a  fare 
il  ri! ratto  del  gra miei. "console dell aFran- 
eia  ,  è  verissimo;  e  disse  al  vincitore  ili 
tutta  Italia:  Io  non  mi  curo  di  voi j  sia- 
te Varbiiro  e  il  padrone  delle  leggi  di 
tutta  la  penisola i  il  mio  scalpello  rima- 
ne libero j  il  mio  solo  scalpello  ...  Chie- 
dete a  Canova,  ch'è  mio  buon  amico,  un 
ultimo  rifiuto  ...  Ditegli  tutto  quanto  vi 
ho  detto:  quel  buon  galantuomo,  l'uomo 
delicato  che  io  ben  conosco,  il  Fidia  or- 
goglioso quanto  dehh'essere  a  tutta  ragio- 
ne, è  già  al  presente  assai  più  vinto  da* 
suoi  propri  rimproveri ,  che  dalle  mie 
sollecitazioni...  E  come  Ilo  ho  potuto 
spingere  a  Parigi  il  primo  ministro  del 
Successore  degli  Apostoli  (cioè  del  Prin- 
cipe di  essi;  il  cardinal  Consalvi),  non  a- 
vrò,  o  signore,  spirito  bastante  per  fare 
accettare  120,000  franchi,  un'eccellente 
carrozza,  tutti  i  compagni  che  vorrà,  e  o- 
nori  e  gloria  a  nembi,  ad  un  uomo,  ch'è 
certamente,  nessuno  il  contrasta,  il  prin- 
cipe delle  arti,  ma  che  deve  diversamen- 
te rispondere  innanzi  ad  Alessandro  in 
riposo,  che  Io  chiama  a 'suoi  quartieri  d'in- 
verno per  onorarlo  :  io  non  persuaderei 
un  uomo  religioso  che  può  essere  utile  a 
Roma;  un  vèneto,  il  quale  dovrebbe  non 
ignorareche  quello  ch'è  slato  fatto  in  un 
senso,  potrebbe  essere  disfatto  con  un  vol- 
gere di  mano  (allude  nuovamente  al  con- 
cordato con  Francia)  1  "  L'  amabile  Ar- 
taud,  emulo  di  Cacault  nell'amore  a  Ro- 
ma, riferito  1'  animato  discorso  del  suo 
ambasciatore,  a  Canova,  questi  non  op- 
pose più  difficoltà  ,  e  si  commosse  sensi- 
bilmente, allorché  nel  corso  della  conver- 
sazione ,  il  facondo  Artaud  gli  rammen- 
tò un  detto  di  Napoleone  alla  vista  d'u- 
na statua  colossale  scoperta  in  Egitto  in- 
nanzi alla  sua  presenza:  Ahi  s'io  nonfos- 
si conquistatore^  vorrei  essere  scultore. 
L'agente  austriaco  in  Roma,  accordò  al 
Canova,  allora  suddito  del  suo  imperato- 
re, una  specie  di  consenso,  presso  a  poco 
simile  a  quello  ch'era  stato  dato  per  la 
nomina   de'  cardinali  francesi.    Cauova 


VEN 
giunto  a  Parigi,  fu  ben  ricevuto  da  Na- 
poleone. Durante  il  la-voro  di  sua  statua, 
Napoleone  leggeva  o  diverti  vali  a  ce- 
liare colla  moglie  Giuseppina,  o  parlava 
di  cose  politiche  co! l'artista.  In  uno  di  que- 
sti colloqui  cadile  il  discorsosul  rapimen- 
to de'Cavalli  di  bronzo,  che  ornavano  la 
facciata  di  s.  Marco,  e  sfuggirono  di  boc- 
ca a  Canova  tali  parole:  *>  La  distruzio- 
ne di  questa  repubblica  m'affliggerà  per 
tutto  il  tempo  della  mia  vita".  11  primo 
console  non  mostrò  di  aver  fatta  attenzio- 
ne al  lamento  del  veneziano;  ma  ordinò 
che  fosse  trattato  colla  maggiore  cordia- 
lità. Gli  artisti  e  gli  scienziati  lo  festeggia- 
rono. Canova  poi  parti  da  Parigi,  con  l'i- 
struzione di  fare  la  statua  nelle  propor- 
zioni dell'Ercole  Farnese,  cioè  aitai  o  pal- 
mi. L'eseguì  in  forme  colossali,  prima  io 
marmo,  indi  in  bronzo,  e  giuoco  dell'  in- 
costante fortuna,  il  i.°  passò  poi  a  Lon- 
dra, il  2.0  a  Milano.  Provarono  i  fatti,  che 
in  quella  statua  egli  non  comparisce  il  Ca- 
nova di  Rezzonico  e  di  Ganganelli  ;  è  il 
Canova  di  Ronaparte, distruttore  della  re- 
pubblica veneta!  E'  il  pensiero,  che  ani- 
ma il  genio  e  V  immaginazione,  e  fa  su- 
blimila penna,  il  pennello,  lo  scalpello!  — ■ 
PioVlI  nel  concistoro  de'  1 7gennaio  1 8o3, 
dichiarò  «'cardinali  nell'allocuzione. «Per 
quello  poi  risguarda  i  veneziani, affinchè 
nelP  aumentare  il  numero  de'  cardinali 
dell'estere  nazioni  venga  l'onor  loro  con- 
siderato, e  al  vostro  numero  venga  ag- 
gregato un  veneto  patrizio,]che  appella- 
no tiglio  di  s.  Marco,  il  cui  onore  hanno 
avuto  sempre  in  considerazione  nelle  lo- 
ro promozioni  i  Pontefici  nostri  prede- 
cessori, a  motivo  degli  antichi  meriti  de* 
veneziani  verso  quest'apostolica  Sede,  voi 
ben  comprendete,  venerabili  fratelli,  che 
con  molto  più  di  ragione  lo  stesso  dee 
farsi  da  Noi,  che  tra  le  altre  cose  da  Noi 
considerate  nell'attenerci  a  questa  costu- 
manza de' nostri  predecessori,  abbiamo 
ancora  questa  di  particolare,  che  Noi  nel- 
la nostra  comune  dispersione  ne'più  sca- 
brosi tempi  della  Chiesa,  per  benefizio 


VEN 
dcll'augustoCesare siamo slatiaccolti  nel- 
la nobile  città  di  Venezia,  come  in  un  si- 
curissimo porto,  affinchè  provvedessimo 
al  gregge  cristiano  privo  del  suo  Pasto- 
re; che  ivi  a  questa  sublimità  di  onore, 
benché  immeritevoli,  siamo  stati  innal* 
zati  co'vostri  suffragi,  e  che  ivi  abbiamo 
ricevuto  da'veneziani  tanti  pegni  d'amo- 
re, di  ossequio  e  di  riverenza,  che  il  ram- 
mentare que'  tempi  sarà  sempre  cosa  gio- 
condissima e  per  Noi  e  per  voi.  Tanto 
più  volontieri  adunque  in  testimonianza 
della  nostra  gratitudine  abbiamo  decre- 
tato di  ascrivere  al  vostro  collegio  l'otti- 
mo prelato  Pietro  Antonio  Zorzì  (nato 
nel  castello  di  Novegradi  diocesi  di  Zara) 
dell'ordine  de'chi elici  regolari  della  con- 
gregazione somasca,  arcivescovo  d'Udine, 
che  Noi  abbiamo  giudicato  degnissimo  di 
essere  sublimato  a  questo  grado  di  ono- 
re".—  Narra  il  Coppi  a  detto  anno  1 8o3, 
cheil  Veneziano  ricevette  dal  governo  au- 
striaco alcuni  regolamenti.  Esso  fu  divi, 
so  in  7  provincie  di  cui  furono  città  ca- 
pitali: Venezia,  Udine,  Treviso  (ove  mo- 
rì il  duca  di  Modena  Ercole  III),  Pado- 
va, Vicenza,  Verona  e  Bassano;  e  fu  sta- 
bilito che  ognuna  di  esse  avesse  un  capo 
col  titolo  di  regio  capitano  generale,  e  col- 
le attribuzioni  d' invigilare  all'  ammini- 
strazione ed  alla  polizia.  Furono  simil- 
mente ordinali  tribunali  temporanei,  fin- 
tantoché nou  fosse  compiuto  il  nuovo  co- 
dice civile  e  criminale,  che  si  era  divisato 
di  compilare  pegli  stati  austriaci  eredita- 
ri. A'  20  aprile  1804  giunto  in  Venezia 
l'arciduca  Gio.  Battista,  fratello  dell'im- 
peratore ,  impiegò  più  giorni  ad  ammi- 
rare quanto  di  raro,  di  straordinario  e  di 
bello  la  città  racchiude  ;  festeggiato  con 
mascherate  danze  al  teatro  della  Fenice, 
con  uno  splendido  corso  di  barche  nel  Ca- 
nal grande  ,  e  coli'  addobbamento  delle 
Mercerie  da'ciltadi ni;  e  dal  commissario 
plenipotenziario  conte  di  Bissingen,  con 
una  cantata  posta  in  musica  da  Pavesi. 
Visitò  poi  le  provincie,  ricevendo  da  per 
tutto  dimostrazioui  di  venerazione,  e  di 


VEN  29 

divozione  all'  austriaco  reggimento.  Na- 
poleone Bonapaile  intanto  proclamato 
imperatore  ereditario  de' francesi,  col  no- 
me di  Napoleone  I(giàccn  essodi  preferen- 
za lo  chiamai,  in  confronto  del  cognome 
Bonaparte.  Tale  nome  battesimale  fu  a 
lui  imposto  in  memoria  dello  zio  di  Car- 
lo suo  padre.  Quanto  all'ortografia  del 
cognome  è  noto,  che  non  pochi  scrittori 
sostennero  doversi  scrivere  anche  colla 
u  :  Buonapar  le. Dappoiché  fino  dal  1 792 
il  nome  patronimico  di  tal  famiglia  tro- 
vasi sempre  colla  U,  e  l'atto  di  nascita  di 
Napoleone  è  errato  dal  curato  per  leg- 
gersi Bonaparte,  come  si  pronunzia  in 
Corsica,  dove  generalmente  si  dice  bona 
per  buona.  Il  fratello  maggiore  Giuseppe, 
nel  1 793  commissario  di  guerra,ancorasi 
sottoscriveva  Buonapartc),  a' 18  maggio 
1804,  la  moglie  Giuseppina  Tascher  de  la 
Pagerie,vedovf.  del  general  Alessandro  vi- 
scontediBeauharnais(decapitatonel  1 793 
dalla  stessa  rivoluzione  di  Francia  per  la 
quale  avea  riportato  vittorie,  essendo  al- 
lora deputato  della  Convenzione),  fu  sa- 
lutata imperatrice.  Così  alla  repubblica 
successe  l'impero.  Luigi  XVIII  a'6  giu- 
gno protestò  in  Varsavia  contro  1'  usur- 
pazione a  preservazione  de' suoi  diritti. 
Non  ostante,  la  maggior  parte  delle  po- 
tenze d'Europa  riconobbero  subito  Na- 
poleone 1  imperatore  de'francesi.  L'im- 
peratore Francesco  11  rimase  alquanto  so- 
speso, ma  in  fine  lo  riconobbe  anch'  es- 
so; ma  volendo  provvedere  al  decoro  di 
sua  famiglia  coli'  aggiungere  la  dignità 
imperiale  ereditaria  a  quella  elettiva  di 
cui  era  personalmente  insignito,  per  rap- 
porto agli  stati  ereditari  austriaci  indi- 
pendenti, V  1 1  agosto  dello  stesso  1804 
prese  il  titolo  di  Francesco  1  imperatore 
ereditario  d'  Austria.  Aveva  Napoleone, 
mentre  era  i.°  console  e  presidente  della 
repubblica  Cisalpina,  da  lui  fatta  ricono- 
scere nel  trattato  di  Luneville,  a'sG  gen- 
naio 1802  cambiato  il  di  lei  nome  chia- 
mandola Italiana,  anco  per  esser  egli  ita- 
liano d'origine;  ma  divenuto  imperato- 


3o  V  li  N 

re,  da'depntati  italiani,  seguendogli  stes- 
si principii  checostituivano  il  governo  del* 
l'in» pero  francese,  n'i5  marzo  i8o5  fece 
dichiarerei! govei  nodtlla  repubblica  ita- 
liana monarchico  ereditario;  e  l' impe- 
ratore Napoleone  1  fondatore  della  re- 
pubblica, essere  proclamato  re  d'  haliti 
(/  .),  ma  la  corona  non  poter  essere  uni- 
ta a  quella  di  Francia  se  non  che  nel- 
la sua  persona;  pregandolo  di  recarsi  a 
Milano  per  assumervi  la  Corona  difer- 
ro  degli  antichi  re  longobardi.  A' 18  Na- 
poleone I  accettò  la  corona  ,  a  cui  erasi 
fatto  nominare,  per  dirugginarla  e  con- 
solidarla, e  per  trasmetterla  ad  uno  de' 
suoi  figli  legittimi,  naturali  o  adottivi;  in- 
di si  recò  a  prenderla  ui6  aprile  nella 
metropolitana  di  Milano,  ma  con  rito  in 
parte  nuovo.  Poiché  invece  d'attendere 
l'arcivescovo  cardinal  Capraia,  acciò 
gl'imponesse  la  corona  sul  capo,  egli  al- 
l'opposto, accostosi  all'altare,  la  prese  di 
propria  mano,  emettendosela  in  testa  dis- 
se :  Iddio  me  V  ha  data}  guai  a  chi  la. 
(occherà!  Altrettanto  avea  fatto  brusca- 
mente nella  funzione  in  cui  nella  metro- 
politana di  Parigi,  dopo  che  Pio  VII  l'a- 
lee unto  imperatore,  ed  al  quale  spetta- 
va eseguire  la  Coronazione  dell'Impera' 
torej  anzi  in  quel  punto  ancora  avea  col- 
le stesse  sue  mani  coronalo  l'imperatrice. 
Con  questo  operare,  volle  Napoleone  1  in- 
dica re,  che  dal  solo  Dio  riceveva  la  pode- 
stà sovrana,  e  che  niun  diritto  o  pretesto 
voleva  somministrare  alle  questioni  più 
volte  agitate  tra  il  Sacerdozio  e  VIwjc- 
ro.  Già  fino  da' 2 8  marzo  avea  stabilito, 
che  i  grandi  ufllziali  del  regno  fossero:  il 
cancelliere  guarda-sigilli  della  corona ,  i 
ministri  durante  l'esercizio  delle  loro  fun- 
zioni, gli  arcivescovi  di  Milano,  Ravenna, 
Bologna  e  Ferrara  (giacché  in  conseguen- 
za dell'anteriore  riunione  della  repubbli- 
ca Cispadana  alla  Cisalpina,  anche  le  3 
ultime  provincie  omonime  erano  divenu- 
te parte  del  regno  Italico,  avendole  Napo- 
leone stesso  ritolte  agli  austriaci  e  rico- 
nosciuto il  trattalo  di  Tolentino  da  lui 


v  e  n 

dettato),  /{  marescialli  da  nominarsi,  e  G 
ha' principali  possidenti.  In  seguito  pre- 
scrisse la  compilazione  del  codice  penale 
e  di  procedura  criminale,  per  avervi  già 
promulgato  il  codice  civile  francese;  isti- 
tuì l'ordine  della  Corona  ferrea  (V.)j  q 
con  decreto  de'7  giugno  nominò  suo  vi- 
ceré d'  Italia  il  principe  Eugenio  beau- 
harnais  suo  figliastro,  come  figlio  dell'im- 
peratrice Giuseppina  (nato  a  Parigi  nel 
1  78  1 ,  non  avea  compito  il  1 4.°anno  quan • 
do  la  scure  della  rivoluzione  troncò  i  gior- 
ni del  padre  suo,  e  poi  si  dedicò  alla  car- 
riera militare  sotto  il  generale  fioche. 
Avendo  poi  la  madre  1*8  marzo  179^ 
sposato  civilmente  Napoleone,  questi  po- 
scia lo  nominò  suo  aiutante  di  campo, e 
recatosi  in  Italia,  giunse  al  quartiere  ge- 
nerale mentre  si  stipulavano  i  prelimina- 
ri di  Leoben.  Quando  pel  trattato  di  Cam  - 
poformio,  l'isole  Jonie  passarono  sotto  la 
protezione  di  Francia,  vi  fu  spedilo  a  ve- 
gliare l'esecuzione  del  trattato,  e  dare  al- 
l'isole un'istituzione  francese.  Reduce  di 
tal  missione,  nel  1797  fu  di  passaggio  per 
Roma,  ove  Giuseppe  Ronaparte,  fratello 
del  suo  padrigno  Napoleone,  era  aad)a- 
sciatore.  Stando  presso  di  lui  la  notte  de' 
28  dicembre ,  nel  Palazzo  Corsini,  pel 
tafferuglio  avvenuto  per  opera  de'faziosi, 
corse  pericolo  di  vita  quando  presso  di 
lui  restò  ucciso  il  general  Duphot,  mo- 
strando però  sangue  freddo  e  coraggio; 
e  partì  subito  nel  dì  seguente,  coli'atnba- 
sciatore  e  gli  altri  francesi  per  Firenze. 
Questo  fatto  sciagurato  die'  pretesto  al- 
l'occupazione di  Roma  e  detronizzazione 
di  Pio  VI.  Raggiunto  Napoleone,  il  se- 
guì nella  spedizione  d'Egitto,  e  lo  zelo  e 
coraggio  da  lui  dimostrato  lo  resero  sem- 
pre più  caro  al  suo  padrigno.  Questo  di- 
venuto 1 ,°  console,  lo  fece  capitano  de'cac- 
ciatori  a  cavallo  della  guardia  consolare, 
e  si  segnalò  nella  battaglia  di  Marengo, 
onde  sulcampo  fu  da  lui  fatto  capo-squa- 
drone: di  più  Io  promosse  successivamen- 
te, nel  1804  a  general  di  brigata  e  colon- 
nello generale  de'cacciatori,  nell'anuivcr- 


VE?l 


V  E  W 


3i 


sai-in  ili  Ma rengo  lo  dichiarò  principe,  il  che  comandava  l'ala  sinistra^  ottenne  se- 
gnalati vantaggi  alla  posizione  di  Chiavi- 
ca ilei  Cristo.  Massena  pubblicò  ne'suoi 
rapporti  d'aver  in  quella  giornata  tolto  a- 
gli  austriaci  5,5oo  prigionieri,  oltre  un 
gran  numero  d'uccisi,  meni r'esso  non  ne 
perde  che  2,000.  All'opposto  l'arciduca 
Carlo,  confessando  d'aver  perduto  in  tut- 
to 0,672  uomini,  fece  ascendere  ad  8,000 
la  perdita  de'francesi.  Costretto  esso  non- 
dimeno a  retrocedere,  attesa  la  marcia 
di  Napoleone  I  in  Baviera  ,  cominciò  la 
sua  ritirata  la  notte  precedente  a'  2    no- 


i.°  febbraio  i8o5  grande  ammiraglio  e 
nel  dì  seguente  grande  ufiìziale  della  le- 
gione d'onore).  Avendo  cosi  Napoleone  I 
riunito  due  sovranità,  dato  a  Elisa  sua 
sorella  il  principato  di  Piombino  e  di  Lue* 
cay  ed  annessa  Genova  all'impero,  gli  ae- 
rimi de'potentati  temerono  nuovi  sovver- 
timenti, si  allearono  l'Inghilterra  e  laRus- 
ila,  e  ad  esse  si  uni  l' imperatore  d'  Au- 
stria. Questi  lagnatosi  dell'ambizione  di 
Napoleone  I,  fece  occupare  la  Baviera  e 
collocare  un  esercito  sull'Iller.  Dall'altro 
canto  1'  imperatore  de'francesi  pubblicò 
le  sue  lagnanze  e  fece  armamenti  straor- 
dinari. Rotta  guerra,  battè  in  diversi  pun- 
ti gli  austriaci,  circondò  e  fece  prigionie- 
ro il  general  Mack  in  Ulma,  e  spinse  le 
sue  truppe  in  Austria  e  nel  Tirolo.  Pre- 
se Vienna,  e  passato  il  Danubio  penetrò 
in  Moravia.  A  questi  grandi  avvenimen- 
ti di  Germania  corrisposero  i  movimenti 
dell'armate  francesi  in  Italia,  il  cui  fiori- 
to esercito  era  comandato  dal  marescial- 
lo Massena.  Nell'ottobre  i8o5  radunate 
le  sue  truppe,  di  circa  52, 000  uomini, 
ne'dinlorni  di  Zevio  ,  quindi  cominciate 
con  prospero  successo  le  ostilità,  le  con- 
dusse poi  ne'campi  di  Caldiero  poche  mi- 
glia lungi  da  Verona  ,  tentando  passar 
l'Adige.  Egli  fu  respinto:  nondimeno  per- 
venne a  risarcire  un  ponte  che  gli  au- 
striaci aveano  in  parte  rotto,  ed  a  forti- 
ficarne la  lesta  sulla  sponda  sinistra.  In- 
formato poi  de' vantaggi  riportati  da'fran- 
cesi  ad  Ulma,  rinnovò  l'attacco  a'2Q  ot- 
tobre. Diresse  una  divisione  sulla  destra 
sopra  Alberedo,  sulla  sinistra  un'altra  a 
Ponte  Polo,  ed  esso  colle  altre  varcò  il 
fiume  presso  Verona.  Gli  austriaci  oppo- 
sero una  vigorosa  resistenza  a  s.  Miche* 
le  ed  a  s.  Martino  ,  e  quindi  retrocedet- 
tero alle  forti  posizioni  di  Caldiero.  L'ar- 
ciduca Carlo  schierò  quivi  le  sue  truppe 
in  battaglia,  e  attese  l' inimico.  Massena 
avanzossi  ad  attaccarlo  a' 3o ,  ma  fu  re- 
spinto e  dovè  retrocedere  sull'Adige,  e  nel 
dì  seguente  il  general  austriaco  Bellegard, 


vembre.  Il  generale  Hillinger  rimasto  in- 
dietro, per  ordine  o  per  errore,  con  una 
colonna  di  5,ooo  uomini,  fu  circondato 
da'francesi  e  costretto  a  deporre  l'armi  a 
Casa  Albert  ini  in  detto  giorno;  ma  intan- 
to gli  austriaci  diressero  le  loro  bagaglie 
e  artiglierie  verso  la  Brenta.  Massena  giun- 
se a'3  a  Montebello,e  nel  seguente  gior- 
no entrò  in  Vicenza  a  forza,  avendo  la  re- 
troguardia austriaca  opposta  qualche  re- 
sistenza. Raggiunto  frattanto  sulla  destra 
dal  general  Saint-Cyr  con  8,000  uomini, 
a'5  passò  la  Brenta,  mandò  il  general  Ver- 
dier  a  occupar  Padova,  e  nel  dì  seguen- 
te fece  occupar  Bassano  dal  general  Se- 
ras.  L'arciduca  lasciò  un  presidio  in  Ve- 
nezia ,  abbandonò  la  Piave  e  si  ritirò  al 
Tagliamento.  Opposta  quivi  qualche  re- 
sistenza, a' 12  novembre  continuò  dipoi 
a  retrocedere;  abbandonò  Palmanova,  le 
sponde  dell'Isonzo,  e  a'27  giunse  a  Cilly 
sulle  frontiere  dell'Ungheria  e  della  Croa- 
zia. Il  general  Saint-Cyr  frattanto  bloc- 
cò Venezia,  e  Massena  giunto  a  Gorizia 
a'20,  spedì  Seras  a  occupar  Trieste.  In- 
tanto l'arciduca  Giovanni  minaccialo  nel 
Tirolo  da  forze  superiori,  raggiunse  l'ar- 
mata d'Italia  a  Cilly.  Nel  ritirarsi  egli  a- 
vea  richiamaloJellachich  e  Rohan  deSou- 
bise  (principe  comandante  gli  emigrati 
francesi),  che  con  due  corpi  occupavano 
il  Vorarlberg.  Ma  i  francesi  e  i  bavaresi  li 
prevennero  alle  spalle  e  li  circondarono. 
Jellachich  si  arrese  ad  Augerau  con  4,5oo 
uomini,  Rohau  con  un  numero  di  trup- 


32  YEN 

|>e  quasi  eguale  scese  per  la  valle  dulia 
Brenta  ,  e  tentò  u"  attraversare  la  linea 
francese  per  penetrare  a  Venezia  o  rag- 
giungere 1'  armata  dell'  arciduca  Carlo. 
Giunto  di  fatti  a'  22  novembre  a  Bassa- 
no ,  fece  prigioniera  quella  guarnigione 
francese,  e  proseguì  la  sua  marcia  per  Ca- 
stel Franco.  Ma  presto  Ma  ssena  retroce- 
dette da  Gorizia  con  forti  colonne  sulla 
Piave;  Saint-Cyr  fece  avanzare  altre  trup- 
pe dal  blocco  di  Venezia  verso  Campo  s. 
Pietro;  e  allora  Rohan  circondato  da  for- 
fè superiori  per  ogni  parte,  a'24  si  rese 
prigioniere.  Intanto  idue  arciduchi  colle 
truppe  d'Italia  e  del  Tirolo  avevano  for- 
mato un  esercito  di  80,000  combattenti; 
ma  la  loro  marcia  fu  poi  subito  sospesa  per 
gli  avvenimenti  di  Moravia.  Eransi  colà 
1  iunitiGo, 000  russi, a'qualipureeransi  ac- 
coppiati 20,000  austriaci, e  il  maresciallo 
russo  Kulusow  stabilì  di  venire  a  batta- 
glia campale  che  decidesse  la  sorte  della 
guerra.  Erano  presenti  all'armata  gl'im- 
peratori Francesco  I  imperatore  d'  Au- 
stria ed  Alessandro  1  imperatore  di  Rus- 
sia. L' imperatore  Napoleone  I ,  anche 
esso  in  quel  luogo,  con  circa  80,000  si 
dispose  eziandio  alla  pugna.  Questa  fu 
combattuta  a*2  dicembre  ad  Austerlitzj 
e  per  lo  sbaglio  di  Kulusow, che  indebo- 
lì la  sua  linea  con  prolungarla  onde  as> 
salir  l'ala  destra  del  nemico,  Napoleone 
1  profittò  dell'errore,  e  invece  d'attende- 
re l'assalto,  marciò  egli  stesso  all'attacco; 
penetrò  fra  il  centro  e  le  ale  dell'eserci- 
to austro-russo,  e  lo  sconfisse,  coadiuvato 
da  Beruadotte,  Soult ,  Lannes  e  Murat. 
Confessarono  i  russi  aver  perduto  1 2,000 
uomini,  dicendo  però  che  18,000  era 
stata  la  perdita  de'  francesi.  AH'  opposto 
Napoleone  I  pubblicò  aver  perduto  sol- 
tanto 3,900  uomini  e  preso  20,000  pri- 
gionieri. Abbattuto  Francesco  I  da  sì  fa- 
tale giornata,  detta  de'  tre  imperatori, 
dalla  loro  presenza,  e  giornata  del' 
V  anniversario ,  per  ricorrere  quello 
della  coronazione  imperiale  di  Napoleo- 
ne I,  nel  seguente  giorno  domandò  ar- 


VEN 
mfsftzfo  e  pace,  ed  a'  /[  si  recò  egli  stesso 
ad  abboccarsi  col  vincitore  a  Sarosehntz, 
e  concertarono  le  basi  della  sospensione 
dell'  ostilità  e  d'un  prossimo  pacifica- 
mento. Infatti  a'6  dicembre  1  8o5fu  sot- 
toscritto in  Austerlitz  un  armistizio,  in 
cui  si  convenne  tra  le  altre  cose,  che  i 
francesi  dovessero  occupare  gli  stati  del- 
l'antica repubblica  di  Venezia  con  que- 
sta città.  Napoleone  I  dettò  la  pace  a  suo 
piacimento,  ad  onta  che  la  sua  situazio- 
ne non  era  esente  da  pericoli,  perchè  egli 
era  sempre  pronto ,  audace  e  sagace  in 
politica,  quanto  nell*  armi.  Bisognò  ac- 
cettare le  sue  condizioni,  fra  le  quali  l' A  u- 
stria  perdette  i  domimi  veneti. 

2.  I  plenipotenziari  pel  trattato  di  pa- 
ce, in  conseguenza  della  memorabile 
giornata  d' Austerlitz  e  susseguente  armi- 
stizio, si  adunarono  subito  a  Nicolsburg, 
ma  poi  il  congresso  fu  trasferito  aPre- 
sburgo.  V  intervennero  per  l'Austria  il 
principe  Giovanni  di  Lichtenstein  e  il  con- 
te Giulay,  eTalleyrand  per  la  Francia, 
e  sottoscrissero  il  trattato  a'26  dicembre 
i8o5.  Tra  le  stipulazioni,  l' imperatore 
d'Austria  rinunziò  alla  partedegli  stati  ve- 
neti che  gli  era  stata  ceduta  co'trattati  di 
Campoformio  e  di  Luneville,  e  convenne 
che  questa  fosse  riunita  al  regno  Italico, 
riconoscendo  il  titolo  di  re  che  aveano 
preso  gli  elettori  di  Baviera  e  di  Wur- 
temberg.  Che  Venezia  fosse  rimessa  ai 
francesi  nello  spazio  di  i5  giorni  dopo 
il  cambio  delle  ratificazioni.  Queste  fu- 
rono cambiate  in  Vienna  il  i.°  gennaio 
1806.  Con  questo  trattato  l'Austria  per- 
de 2,785,000  abitanti,  e  1 3,6 10,000  fio- 
rini di  rendita;  la  comunicazione  milita- 
re coll'Italia  e  colla  Svizzera,  e  l'influenza 
nella  Germania.  Più,  dovè  pagare  l' im- 
posta di  100  milioni  di  fiorini.  Unite 
dunque  leprovincie  venete  al  regno  d'I- 
talia, la  celeberrima  Venezia,  che  dal  La- 
rio  a*  Dardanelli  avea  per  mare  e  per 
terra  signoreggiato,  divenne  il  capoluo- 
go del  dipartimento  dell'Adriatico;  bensì 
partecipò  poi  de' vantaggi  procuratigli  a 


V  E  N 
quell'epoca  dall'impero  francese,  e  fu  il 
ceolro  dell'Italica  marina.  Venezia  dun- 
que fu  consegnata  dagli  austriaci  a'  com- 
missari dell'armata  francese  e  poi  a  quelli 
del  regno.  Il  principe  Eugenio  Beauhar- 
nais  viceré  d'Italia,  iti  Monaco  era  stato 
da  Napoleone  I,  nello  stesso  gennaio,  a- 
dottato  per  figlio,  chiamandolo  alla  suc- 
cessione del  regno  d'Italia  in  mancanza 
di  figli  propri,  ed  a'i3  del  medesimo  me- 
se aveagli  fatto  sposare  la  principessa  Au- 
gusta Amalia  figlia  del  nuovo  re  di   Ba- 
viera Massimiliano   I.    Il  quale  principe 
Eugenio  portatosi  poi  a  Verona,  pertan- 
to Venezia  si  affrettò  di  spedirgli  in  de- 
putazione solenne    i  nobili  veneti  Nicolò 
Corner,  Francesco  Pisani,  Tommaso  So- 
rauzo,  AlviseQuirini,e  Antonio  Revedin 
mercante,  per  rendergli  omaggio  e  con- 
gratularsi. Il  principe  benignamente  ac- 
colse gl'inviati,  rispondendo  loro:  veder 
con  piacere  la  premura  de'  veneziani   di 
recarsi  a  lui;  pronto  essere  d'occuparsi 
de'mezzi  tutti  capaci   a  restituire  al  suo 
primiero  splendore  Venezia,  ed  avere  in 
animo  di    quanto    prima    condursi  egli 
stesso  colla  reale  sua  sposa.  Questo  propo- 
nimento del  principe,  Dauiele  Renier, al- 
lora presidente  del  governo  provvisorio  di 
Venezia,  a'28  gennaio  lo  annunziò  a'suoi 
concittadini;  quindi  l'ampio  palazzo  Pi- 
sani a  s.  Stefauo  si  allestì  magnificameute 
per  la  principesca  coppia,  ed  a  corteggio 
del    viceré  pel  suo  soggiorno  in  Venezia 
si  formò  una  guardia  d'onore,  composta 
di  giovani  gentiluomini,  di  cittadini  e  di 
mercanti,  vestiti  di  uniformi  bianche  con 
trine  d'argento  e  cappello  ornato  di  piu- 
me :  capitano  fu  dichiarato  il  conte  Lo- 
dovico Widman.  Non  tardò  il  principe  la 
sua  venuta:  ricevuto  a  Mestre  da  splen- 
dide barche,  circondato  e  seguito  da  ma- 
gnifico accompagnamento  di  altre,  adat- 
tandosi tutti  alle  circostanze,  giunse  in  Ve- 
nezia a'  3  febbraio,  tra  le  dimostrazioni 
d'uso.  Promise  molle  cose,  nominò  il  Re- 
nier capo  del  municipio  della  ciltà,  e  ne 
partì  dopo  5  giorni  di  permanenza.   Do- 
vol.  xeni. 


V  E  N  33 

pò  la  riunione  delle  provincie  venete  al 
regno  d'Italia,  le  leggi  di  questo  diven- 
nero fondamentali  di  quelle.  Ma  da'  ve- 
neziani si  tenne  per  avvilimento,  l'aver 
prescelto  Milano  a  Venezia  per  capita- 
le del  regno  Italico  (malcontento  rinno- 
vatosi all'istituzione  del  regno  Lombar- 
do-Veneto). Eglino  ci  videro  manifesta- 
mente l'oppressione  d'una  metropoli  glo- 
riosa per  XIV  secoli  d'esistenza  e  di  ver- 
ginità, al  confronto  di   Milano,   tratto 
tratto  invasa  da'  vandali,  da' goti,  dagli 
ostrogoti,  da'  longobardi,  dagl'  impera- 
tori :  disputata   poi  dagli  altri  stranie- 
ri spagnuoli,  francesi,  tedeschi,  e  persi- 
no ora  da  uno  e  ora  dall'  altro  domi- 
natore italiano.   Alla  fine  di  marzo  Na- 
poleone 1   imperatore  de'  francesi  e  re 
d'Italia,  in  Parigi,  dopo  aver  già  dichia- 
rato al  corpo    legislativo,  aver   unito  al 
suo  sistema  federativo  Venezia  e  Napo- 
li, annunziò  al  senato  i  suoi  decreti,  fra' 
quali  :   Gli  .Stati  Veneti  ceduti   dall'  im- 
peratore di  Germania  (  titolo  e  dignità 
che  Francesco  I  abdicò  poi  a'  6  agosto  , 
sciogliendosi  V  Impero  romano   d' Occi- 
dente, e  il  collegio  degli  Elettori  del  me- 
desimo) col  trattato  di  Presburgo,  essere 
uniti  al  regno  d'Italia.  11  codice  Napoleo- 
ne, il  sistema  monetario  dell'impero,  e  il 
Concordato  tra  Pio  Vile  la  repubbli- 
ca Italiana  (V.),  fin  dal  i8o3  concluso 
colla  s.  Sede,  fossero  leggi  fondamentali  e 
irrevocabili  dello  stato.  Istituire  (con  de- 
creto de'3o  marzo)  in  ducali  e  grandi  feudi 
dell'impero  le  seguenti  provincie;  Dalma- 
zia, Istria,  Friuli,  Cadore,  Belluno,  Cone- 
gliano,  Treviso,  Fellre,  Bassano,  Vicen- 
za, Padova  e  Rovigo.  Riservarsi  di  dame 
l'investitura,  per  essere  trasmessi  con  or- 
dine di  primogenitura  a'  discendenti  di 
coloro  in  favore  de'quali  ne  avrebbe  di- 
sposto^ in  caso  di  estinzione  di  loro  discen- 
denza fossero  riversibili  alla  sua  corona  (i 
superstiti  di  quelli  poscia  investiti, tutto- 
ra ne  conservano  il  titolo).  Intendere  che 
fosse  annesso  a  questi  feudi  il  quindicesi- 
mo della  rendita  che  il  regno  d' Italia 
3 


34  VEN 

traeva  dalle  sopraddette  provi  ncie}  per  es- 
sere posseduto  da  coloro  che  ne  avrebbe 
investito.  L'erede  presuntivo  del  regno  di 
Italia  portasse  il  titolo  di  Principe  di  Ve- 
nezia. Dipoi  stabilì  Napoleone  I  a*26apri- 
le:  Che  essendo  necessario  di  determinare 
i  diritti  e  le  prerogative  de'grandi  feuda- 
tari nelle  provincie  venete,  in  modo  che 
restasse  pienamente  libero  l'esercizio  del 
governo  e  dell'amministrazione  economi- 
ca del  regno  d'Italia  ,  decretava  che  in 
luogo  della  quindicesima  parte  dello  ren- 
dita, i  grandi  feudatari  ricevessero  dal 
pubblico  tesoro  del  regno  un' annua  in- 
variabile corrisposta  di  100,000  franchi 
per  la  Dalmazia,  altrettanto  per  l'Istria, 
e  di  60,000  per  ciascuno  degli  altri  io 
feudi.  I  grandi  feudatari  non  avessero 
sulla  provincia  di  cui  sarebbero  investiti 
altea  prerogativa  che  il  titolo  di  duca. 
Posteriormente  Napoleone  I  conferì  que- 
lli feudi  a  marescialli  e  ministri  francesi. 
Diede  la  Dalmazia  a  Soult,  l'Istria  a  Bes- 
siers,  il  Friuli  aDuroc,  il  Cadore  a  Chain- 
pagny,  e  Belluno  a  Victor.  Assegnò  Co- 
negliano  a  Moncey,  Treviso  a  Mortier  , 
Feltre  a  Clarke,  Bassano  a  Maret,  Vicen- 
za a  Coulincourt,  Padova  ad  Arrighi,  e 
Rovigo  a  Savary.  E  questi  e  altri  sono  i 
vincoli  co'  quali  Napoleone  I  unì  al  suo 
grande  impero  l'Italia.  Non  solo  poi  sta- 
bilì con  decreto  de*2o  dicembre  1807  , 
che  il  viceré  Eugenio  portasse  il  titolo  di 
principe  di  Venezia,  ma  natagli  nello 
stesso  1 807  Giuseppina  Massimiliana  (ora 
regina  regnante  di  Svezia  e  Norvegia)t 
le  conferì  il  titolo  di  principessa  di  Bolo- 
gna. Con  decreto  di  Napoleone  I  de'  icj 
aprile,  riferibile  al  comparto  del  regno 
d'Italia,  la  provincia  di  Venezia  prese  il 
nome  di  dipartimento  dell*  Adriatico , 
quella  di  Verona  dell'  Adige,  quella  di 
Padova  del  Brenta,  quella  di  Vicenza  del 
Bacchiglione,  quella  di  Belluno  del  Pia- 
ve, quella  del  Friuli  del  Passerianot  nul- 
la dicendosi  della  provincia  di  Rovigo 
perchè  già  molto  prima  nel  dipartimento 
del  Basso  Po  immedesimala.  Tale  unio- 


V  E  N 
ne  fu  festeggiata  in  Venezia  il  i.n  mag- 
gio. I  distretti  assegnati  a  ciascun  dipar- 
timento si  leggono  negli  Annali  delle 
Provincie  Venete  del  cav.  Mulinelli.  Delle 
principali  disposizioni  e  leggi  vicereali,  0 
emanated'ordine espresso  dell'imperato* 
re-re,  a  suo  luogo  ne'precedenli  §§  ne  ho 
parlato,dilfusamente  ragionandone ilMu- 
tinelli.  Diròin  breve  col  cav.  Coppi,  e  eoa 
altre  mie  particolari  notizie. In  primo  luo- 
go Napoleone  I  stabilì  una  linea  militare 
nel  confinante  Tirolo  italiano,  vietando 
al  re  di  Baviera  di  costruirvi  sino  alla 
medesima  alcuna  fortificazione  o  farvi 
qualunque  appareechioguen  esco.  A  M'op- 
posto ordinò  la  costruzione  di  due  nuove 
strade  per  facilitare  le  comunicazioni  fra 
il  Veneziano  e  quella  montuosa  provin- 
cia. Restrinse  il  numero  de'  religiosi  e 
delle  religiose,  e  poi  soppresse  queste  e 
quelli,  oltre  le  confraternite  e  i  luoghi 
pii,al  modo  compianto  in  diversi  §§.  So- 
lo la  scuola  grande  di  s.  Rocco,  perduti 
però  gli  argenti  ed  i  fondi,  rimase  a  ine- 
rito dell'  inallora  viceiè  Eugenio,  sicco- 
me ho  detto  nel  §  XIII,  11.  5,  e  il  decre- 
to 18  luglioi  806,  inserito  nel  Bolletti- 
no delle  leggi,  assegnava  pel  suo  man- 
tenimento lire  5oo  mensili  di  Milano. 
Stabilì  ne'  dipartimenti  addiacenti  alle 
coste  dell'Adriatico  P  iscrizione  maritti- 
ma per  far  le  levate  di  uomini  necessari 
alla  marina  militare.  Riconobbe  come 
debiti  dello  stato  quelli  che  avea  la  repub- 
blica di  Venezia  verso  la  zecca  ed  il  Ban- 
co Giro,  sebbene  l'Austria  avesse  prece- 
dentemente ricusato  di  riconoscerli,  e 
prima  di  essa  gli  aveano  annullati  i  re- 
pubblicani francesi,  con  desolazione  e 
rovina  di  migliaia  di  famiglie.  Essi  a* 
scendevano  a  circa  cento  milioni  di  lire, 
e  dispose  che  la  quarta  parte  ne  fosse 
pagata  in  beni  demaniali,ed  il  restante 
fosse  iscritto  sul  Monte  Napoleone  di  Mi- 
lano. Conservò  l'università  di  Padova  e 
stabilì  che  fosse  pareggiata  a  quelle  di 
Bologna  e  di  Pavia.  Quanto  poi  fu  gra- 
dita agli  antichi  sudditi  del  regno  Italico 


VEN 

l'unione  delle  provincie  Tenete  (contie- 
ne una  popolazione  d'un  milione  e  set- 
tecento mila  abitanti,  secondo  lo  stesso 
Coppi),  altrettanto  dispiacquero  ad  essi 
i  gran  feudi  ed  i  tributi  co'quali  furono 
le  medesime  vincolate  alla  Francia.  Ma 
il  viceré  procurò  di  giustificare  per  quan- 
to potè  la  disposizione  imperiale,  dimo- 
strando: essere  le  medesime  convenienti 
per  gratitudine  verso  coloro  che  avevano 
contribuito  col  loro  valore  a  stabilire  il 
nuovo  regno,  e  necessarie  per  sostenerlo 
contro  gli  esterni  assalti.  Fu  destinata  l'i- 
sola di  s.GiorgioMaggiore  a  deposito  fran- 
co di  mercanzie  forestiere,  e  l'altra  isola 
della  Giudecca  pe'frumenti,  altri  siti  per 
gli  olii  e  per  il  sale,  si  dichiararono  at- 
tinenze di  detto  deposito  franco.  Fu  isti- 
tuito un  monte  di  prestiti  senza  interes- 
se, ma  che  non  dovessero  eccedere  la 
somma  di  lire  i5italiane.  Si  formò  una 
giunta  de'più  rinomati  idraulici  pe*  la- 
vori delle  acque  de'paesi  veneti.  Si  rico- 
struirono e  migliorarono  diverse  strade. 
La  riconcentrazione  di  molte  religiose 
corporazioni  d'ambo  i  sessi  produsse  as 
sai  lagnanze  ;  cosi  a'nobili  l'onere  del 
servigio  gravoso  delle  armi  a'ioro  figli , 
sotto  il  titolo  di  guardie  d*  onore.  Dissi 
nel  §  I,  n.  3,  che  nella  i.a  dominazione 
austriaca  cessò  del  tutto  l'indecoroso  co- 
stume di  giuocare  presso  le  monumen- 
tali colonne  della  Piazzetta;  forse  quel 
governo  erasi  proposto  di  assolutamente 
proibirlo,  ma  propriamente  il  morale  di- 
vieto si  deve  riconoscere  da  un  decreto 
vicereale  sotto  il  governo  Italico.  Fu  in- 
viata a  Parigi  una  deputazione  di  nota- 
bili persone  de'dipartimenti,  per  giurare 
ubbidienza  all'  imperatore  re  d'Italia  : 
rappresentanti  di  Venezia  furono  Fran- 
cesco (lo  chiama  il  cav.  Mulinelli,  ed  Er- 
molao I  Alvise  Io  denomina  il  conte  Dan- 
dolo) Pisani, LeonardoGiusliniani  e  An- 
tonio Revedin.  Ricevuti  a  s.  Cloud,  il  Pi- 
sani fece  il  discorso.«R.avvivata  l'agricol- 
tura, domati  e  diretti  i  fiumi,  rinvigori- 
ta l'istruzione,  e  richiamala  Venezia  al- 


V  E  IV  35 

l'antica  sua  gloria  commerciale  e  guer- 
riera, saremo,  o  Sire  ,  I'  opera  vostra  ; 
gusteremo  per  voi  di  quella  nuova  for 
tunata  esistenza  che  sarà  per  offrirvi  un 
oggetto  al  vostro  cuore  non  discaro  ogni 
volta  che  discender  vogliate  a  felicitare 
)e  nostre  contrade  coli'  onore  sospirato 
della  vostra  augusta  presenza". I  deputati 
provinciali  si  recarono  pure  a  ossequiare 
l'imperatrice  Giuseppina,  madre  del  vi- 
cerè.E  ripatriando,  trovarono  già  in  par- 
teesauditi  i  voti  da  loro  espressi.  Fu  per- 
ciò istituita  l'accademia  di  belle  arti,  fon- 
dati licei  e  alcuni  con  convitto,  emanate 
norme  per  V  uniforme  insegnamento  , 
tutte  provvidenze  già  discorse  a'  loro 
luoghi.  Ma  però  intendevasi  a  guastare 
l'aurea  lingua  italiana,  ad  arte  in  Vene- 
zia e  nelle  provincie  disseminandosi  com- 
pagnie comiche  francesi.  Assonnati  così 
gli  uomini,  e  per  eccellenza  d'  adulare 
disposti,  opportunissimo  momento  era 
quello  per  la  calata  di  Napoleone  I  alle 
Lagune  dell'antica  Venezia.  Arrivò  a'29 
novembre  1807000  un  pomposo  segui- 
to di  re  e  di  principi,  tra'  quali  primeg- 
giavano il  di  lui  fratello  Giuseppe  re  di 
Napoli,  Massimiliano  I  re  di  Baviera  colla 
regina  sua  moglie,  la  principessa  di  Luc- 
ca Elisa  sorella  dell'  imperatore,  il  gran- 
duca di  Cleves  e  Berg  Murat  cognato  del 
medesimo, il  principe  di  Neufchalel  Ber- 
thier,  oltre  Eugenio  viceré.  *  Infuriava 
in  quel  dì  la  tempesta,  e  così  pertinace 
da  dirsi  quasi  che  il  genio  della  città  , 
stata  già  per  secoli  ricovero  famoso  di 
libertà,  mal  sofferendo  che  per  primo  in 
lei,  siccome  suo  signore,  Napoleone  po- 
nesse il  piede,  aizzato  avesse  i  venti  a 
scor;  volgere  il  mare  sì  ch'egli  ogni  perso- 
na in  se  annegasse  ".  Il  cav.  Renier  po- 
destà, col  consiglio  municipale  de' savi  , 
l' incontrò  a  Lizza-Fusina  con  grande 
pompa  e  barche  adornatissime,  e  molle 
d'  acqua  complimentava  I'  imperatore 
con  dignitosa  allocuzione,  fra  il  sibilo  de' 
venti  e  lo  strepito  de'  marosi,  e  per  mez- 
zo di  due  mori  gli  rassegnò  due  chiavi  a 


36  V  E  N 

l'ima  d'oro,  l'altra  d'argento, simbolo  ili 
fedele  sudditanza,  tosto  a  lui  rimesse  (nel- 
l'Arsenale  si  conserva  il  bacile  d'argen- 
to colle  due  chiavi  dello  stesso   metallo 
dorate,  che  servirono  come  omaggio  pre- 
sentato quando  visitò  l'Arsenale  stesso). 
Entrato  I'  imperatore   in    superbissima 
peota,  cognominati  .sovrani  e  principi,  vi 
ammise  il  podestà.  Poi  salutato  dall'ar- 
tiglierie de'ridolti  sparsi  per  la  Laguna, 
e  da  quelle  delle  molte  navi  da  guerra  , 
salutato  dal  popolo  nelle  barche,  sopra 
i  margini  delle  vie  e  alle  finestre  affol- 
lato, percorrendo  il  Canal  grande,  al  cui 
principio  erasi  eretto  con  molta  maestria 
e  magnificenza  un  grande  arco  trionfa- 
le, avente  a'Iati  due  colonne  rostrate  so- 
vrastate dall'aquila,  disegno  di  Giannau- 
Ionio  Selva,  i  cui  ornati  eseguirono  i  va- 
lenti artisti  Borsato,Bosa,Zaudomeneghi 
e  Ferrari.  Giunse  Napoleone  l  iu  Vene- 
zia sul  vespero,  e  si  recò  ad  alloggiare 
nell'edilìzio  dello  Scamozzi  sulla  piazza 
di  s.  Marco  in  reali  stanze;  anzi  lo  tro- 
vo denominato  palazzo  reale  ,  sebbene 
le  Procurale  uuove,  ora  palazzo   reale, 
cominciate  dallo  Scamozzi  fino   al  io.° 
arco,  fu  quindi  compiuta  l'opera  a  più. 
riprese  in  tempi  diversi  e  da  vari  archi- 
tetti, e  la  nuova  ala  nel  1 8 1 o  demolila  la 
chiesa  di  s.  Geminiano,  bensì  già  il  giar- 
dino erasi  formato  nel  1808  coli' atter- 
ramento degli  antichi  granai. Datosi  ne' 
giorni  appresso  ad  informarsi  con  accon- 
cie  interrogazioni   sull'andamento   de' 
pubblici  affari,  istruitosi  de'bisogni  della 
città,  e  fattosi  a  visitarla  diligentemente, 
in  uno  a'iuoghi  principali  della  Laguna, 
era  intanto  aperta  ad  adunanze  splendi- 
dissime e  a  concerti  melodiosi  la  reggia, 
celebrandosi  in  pari  tempo  da'veneziani 
il  grande  avvenimento  cou  una  cantata  e 
con  un  festino  nel  teatro  della  Fenice, 
oltremisura  magnifici,  coll'usato  e  anti- 
chissimo nazionale  spettacolo  della  rega- 
ta, oltre  quello  popolare  di  più.  vetusta  o- 
rigine  del  giuoco  delle  forze  nel  canale 
dell'Arsenale  ,  e   con  quello  non  meno 


V  E  PI 

meraviglioso  dell'  illuminazione  a  cer 
della  piazza  di  s.  Marco.  Nel  visitare  la 
basilica  di  tal  nome,  fu  ricevuto  dal   pa- 
triarca mg.r  Gamboni  e  dal  clero,  can- 
tando i  musici  della  cappella:  Domino 
salvimi  fac  Ini  pera  torem  et  Rcgem  no- 
strum Napoleonem.  Invocazione  scritta 
pure  nell'  esterno  sulla  porta   maggiore. 
Cosi  trascorsi  ben  io  giorni,  1'  8  dicem- 
bre abbandonava  Napoleone  1  Venezia  , 
dopo  aver  emanato  diversi  provvedimen- 
ti. Accrebbe  il  territorio  del  dipartititeli- 
lo  dell'  Adriatico ,  comprendendovi  an- 
che la  famosa  Aquileia,  Giulia  Concor- 
dia e  Adria.  Elesse  capo  del  gelosissimo 
magistrato  sanitario  il  podestà,  lasciando 
pressoché  intatti  i  diritti  e  le  sapientis- 
sime leggi  già  stabilite  dalla  repubblica 
veneta  .  Assegnò  annue  lire  100,000  per 
le  riparazioni  del  porto  di  Malamocco  , 
per  l'esca vazione  de'grandi  canali,  per  la 
conservazione  di   quelle  scogliere    e   di 
quelle  mura  ammirabili  esistenti  lungo 
il  Lido  di  Peleslrina  e  di  Chioggia,  delti 
Murazzi;  altre  annue  600,000  lire  per 
l'escavazione  d'  un  canale  di  comunica- 
zione diretta  fra  l'  Arsenale   e   il    detto 
porto  di  Malamacco,  e  per  rendere  que- 
sto capace  al  passaggio    di  vascelli  da 
7  4  cannoni.  Pose  a  disposizione  del  mu- 
nicipio l'isola  di  s.  Cristoforo  della  Pace 
per  la  formazione  del  pubblico  generale 
cimiterio  della  città,  ordinò  diesi  faces- 
sero i  pubblici  giardini ,    rinvigorì   con 
ricche  dotazioni  le  rendile  del   comune 
e  degli  istituti  di  beneficenza,  donò  alla 
biblioteca,  pur  da  lui  visitata,  23,ooo  li* 
re  per  acquisto  di  libri;»  e  Morelli  bi- 
bliotecario ,  da   bibliografo   chiarissimo 
fattosi  servile  e  non   leggiadro    istorico 
delle  feste  anzidette,  vedeasi    gratificato 
con  una  vitalizia  pensione  di  2000  lire, 
e  coli'  ordine  della  corona  di  ferro  ".  Il 
Mulinelli,  che  così  parla,  tra  le  note  il- 
lustrative, ne  riporta  l'  estratto.  Io  pos- 
seggo il  libro,  dedicato  all'altezza  impe- 
riale della   viceregina   d'Italia   Augusta 
Amalia  di  Baviera  (per  supplirealla  sveu- 


. 


VEN 
loca  toccata  a' veneziani  nella  mancanza 
sua  alle  feste  da  loro  celebrate  in  omag- 
gio di  esultazione  per  la  venuta  faustis- 
sima), di  magnifica  edizione  con  elegan- 
ti disegni  maestrevolmente  incisi  e  acqua- 
rellati. Descrizione  delle  feste  celebra- 
te in  Venezia  per  la  venuta  eli  S.  M.  I. 
R.  Napoleone  il  Massimo  imperatore 
de'  Francesi ,  re  d' Italia  e  protettore 
della  confederazione  del  Reno,  data  al 
pubblico  dal  cav.    ab.   Morelli  regio 
bibliotecario.  In  Venezia  nella  tipogra- 
fìa Ricotti  1808.  Rappresentano  le  5  ta- 
vole :  la  i.a  il  prospetto  dell'arco  trion- 
fale eretto   all'  imboccatura   del  Canal 
grande,  pure  coli'  imponente  veduta  di 
questo  e  delle    magnifiche  e    splendide 
barche  che  dirò,  stupendamente   deli- 
neato dal  Borsaio  ed  inciso  dal  Maina;  la 
2.ail  prospetto  del  medesimoarco sorgen- 
te dall'acque  marine, inciso  da  Albertol- 
Ii;3/la  peota  e  la  bissona  a  servizio  del- 
l' imperatore  re,  invenzione  di  Puzzi, di- 
segno del  Corsalo, incisione  dell'  Alber- 
elli ;   4"  la  peota  a  servizio  del  viceré, 
e  la  bissona  fatta  eseguire  dal  podestà, 
invenzione  e  disegno  di  Borsato,  incisio- 
ne dell'Albertolli;  5.a  il  prospetto  della 
macchina  per  la  regata,  invenzione  e  in- 
cisione de'due  lodati  egregi  artisti. Impe- 
rocché la  regata,  una  fra  le  più  brillanti 
feste  veneziane,  di  cui  il  Canal  grande  è 
nobile  e  decoroso  teatro,  spettacolo  pro- 
prio di  Venezia,  soltanto  dal  i3oo  circa. 
la  quale  nel  1  3  1 5  decretò  regate  annua- 
li a'  25  gennaio  con  galee  (il    vocabolo 
vuoisi  derivato  da  riga,  che  vale  linea, 
perchè  precisamente  in  riga  e  in  linea  si 
mettono  le  barchette  che  corrono  il  pre- 
mio; altri  lo  pretendono  da  rcmicatai  e 
meno  assai  da  auriga:  la  i.a  istituzione 
ebbe  a  scopo  l'esercizio  delia  gioveutù 
marineresca  al  maneggio  del  remo  sulle 
galee  e  altre  barche  guerriere;  ne  parlai 
nel  §  XVI,  n.  5);  spettacolo  sempre  più 
sorprendente  che  veder  si  possa    per  la 
maguificentissima  pompa  del  singolare 
suo  complesso;  e  siccome  fra  il  palaz- 


V  EN  37 

zo  Foscari  e  quello  de'  Balbi  erigevasi  la 
meta,  a  cui  pervenivano  le  gareggian- 
ti barchette  per  cogliere  il  premio,  la 
macchina  fa  appunto  costruita  presso 
al  palazzo  Balbi.  In  questo  poi  e  in  una 
magnifica  loggia,  costrutta  per  domina- 
recoraodamente  la  veduta  delle  duebrac- 
cia  del  Canale,  si  recò  a  goderla  l'impe- 
ratore colia  regia  comitiva,  e  partita  la 
3.a  regata,  nel  suo  maestoso  caicco,  co' 
sovrani  e  principi,  girò  acclamato  pel  Ca- 
nal grande,  indi  al  palazzo  reale  fece  ri- 
torno. Lasciata  Napoleone  I  la  signora 
antica  de'mari,  per  Treviso,  ben  accolto, 
si  recò  a  visitare  pure  Palmanova  e  le 
fortificazioni  d'Osopo,  indi  festeggialo  a 
Udine,  retrocedendo  fu  al  regio  palazzo 
di  Stra,  e  per  Mantova  fece  ritorno  a 
Mtlano,  senza  intrattenersi  un  istante  a 
Padova.  Questa  dolente  e  confusa,  gl'in- 
vio un'ambasciata  con  a  capo  il  virile  in- 
gegno del  concittadino  Melchiorre  Ce- 
sarotti, allora  ammirato  principe  della 
letteratura  (poeta  stimato,  scrittore  vi- 
vace, acuto  filosofo,  critico  erudito,  sin- 
golareggiandosi nella  poesia  e  prosa  con 
parole  e  frasi  francesi,  come  osservano  : 
Moschi  ni,  Della  letteratura  Veneziana 
del  secolo  XVIII  fino  a  nostri  giorni  ; 
Gamba,  Galleria  de'  letterati  ed  arti- 
sti illustri  delle  provincie  Venete  del 
secolo  XVIII)  ;  la  potenza  della  cui  e- 
loquenza,  ne  vinse  Io  sdegno,  l'  amicò 
con  Padova,  ed  all'  oratore  procurò  vi- 
talizia pensione  di  4>ooo  lire  e  il  gra- 
do di  commendatore  della  corona  fer- 
rea, che  divenuto  maggiormente  entu- 
siasta, anco  alla  poesia  estese  le  lodi  pro- 
fuse nella  prosa, col  poema  Pronea.  Nel- 
la Storia  di  Pio  VII,  dell'Artaud,  t.  2, 
p.9D,è  una  lettera  scritta  daChampagny 
all'  ambasciatore  francese  Alquier,  a'  7 
dicembre  da  Venezia, celebrando  l'acco- 
glienza futa  a  Napaleoue  I,  colla  mira 
»  d'incoraggiare  coloro  che  sostenevano 
essere  conveniente  che  il  Papa  cedesse 
alle  pretensioni  d'un  sì  grande  vincito- 
re, il  quale  a  suo  talento  disponeva  au- 


38  YEN 

che  degli  stati  dell'antica  e  possente  repub- 
blica veneta".  —  Intanto  fra  le  angustie 
enormi  che  Napoleone I  incessantemente 
recava  a  Pio  VII,  altra  amara  questione 
addolorava  l'ottimo  Papa,  per  1'  esten- 
sione alle  proviucie  venete  del  summen- 
tovato  concordato  del  regno  Italico.  L'ac- 
cennai nella  sua  biografìa, e  qui  come  luo- 
go suo  col  Coppi  meglio  ne  riparlerò. 
Sino  dal  settembre  1806  il  ministro  del 
culto  del  regno  Italico  avea  trasmesso  a 
Roma  le  nomine  a  diversi  vescovati  tan- 
to dell'antiche  diocesi  della  repubblica 
italiana,  quanto  di  alcune  esistenti  uel 
territorio  veneto  unito  al  regno  dopo  la 
pace  di  Presburgo.  11  Papa  però  rispose  : 
»  Certamente  uiunopiù  di  lui  desiderai  e 
che  si  provvedessero  le  chiese  de'ioro  pa- 
stori. Far  però  osservare  che  dal  gover- 
no Italico  le  nomine  si  erano  fatte  in 
forza  del  concordalo;  ma  questo  da  Na- 
poleone essersi  violato  nella  stessa  sua 
promulgazione;  dalla  s.  Sede  non  essersi 
perciò  pubblicalo  :  quiudi  non  potersi  in 
forza  del  medesimo  nominare.  Doversi 
inoltre  considerare  che  il  privilegio  di 
queste  nomine  accordate  per  il  regno  I- 
lalico  non  si  poteva  estendere  a'dominii 
veneti  che  posteriormente  vi  erano  slati 
uniti.  Di  più  essersi  dal  governo  Italico 
nominalo  ad  alcune  diocesi  venete,  alle 
quali  per  lo  innanzi  aveva  sempre  prov- 
veduto  direttamente  la  s.  Sede.  In  tale 
stato  di  cose  pertanto,  doversi  prima  ac- 
comodare le  questioni  insorte  sul  concor- 
dalo Italico,  e  doversene  concludere  un 
altro  pe' veneti  dominii  prima  di  provve- 
dere de'ioro  vescovi  le  diocesi  indicate". 
A  questi  principii  d'ecclesiastica  discipli- 
na il  viceré  Eugenio  osservava:  »  Che  sa- 
rebbe opportuno  il  differire  ad  altra  e- 
poca  la  discussione  de'reclami  relativi  al 
concordato.  Nelle  circostanze  in  cui  era 
allora  l'Europa, e  specialmente  il  più  po- 
tente fra' monarchi  cattolici, doversi  piut- 
tosto prescindere  da  ogni  al  tra  cosa  e  prov- 
vedere le  Chiese  de'  loro  pastori  ".  Del 
resto,  egli  comunicòil  tutto  a  Napoleone 


V  EN 

I,  il  quale  rispose  sul  fine  di  luglio  1807. 
»  Il  Papa  meditare  interdetti  e  scomuni- 
che, e  cercare  cou  un  tal  mezzo  di  susci- 
tare guerre  e  rivolte.  In  tale  stalo  di  co- 
se dover  esso  provvedere  alla  tranquilli- 
tà de'suoi  popoli,  e  separarsi  co'medesimi 
dalla  Sede  romana!  Tutta  la  colpa  ne  sa- 
rebbe stata  del  Papa, il  quale  era  guidalo 
da  interessi  temporali  a  preferenza  de'di- 
vini!  Del  rimanente  se  questi  voleva  com- 
porre tutte  le  questioni  pendenti,  incari- 
casse un  plenipotenziario  a  trattare  a  l'a- 
rici. Partecipasse  tultociò  a  Roma".  Co- 
si fece  il  viceré,  e  Pio  VII  replicò  tran- 
quillamente a  tanta  improntitudine  I'  1  1 
agosto.  **  Non  aver  potuto  leggere  senza 
ribrezzo  le  proposizioni  contenute  nella 
lettera  di  Napoleone  ;  ma  esse  non  aver 
bisogno  di  confutazione,  essendo  di  già 
state  confutate  le  tante  volte.  Esse  nou 
aver  nemmeno  potuto  turbare  1'  animo 
suo  per  le  conseguenze  minacciale  riguar- 
do alla  separazione  dalla  s.  Sede  di  tanta 
parte  d'Europa.  In  tal  ca60  egli  ne  avreb- 
be pianto,  ma  ninna  colpa  sicuramente 
se  ne  sarebbe  potuta  rifondere  in  lui.  Del 
resto  con  tutto  il  piacere  prestarsi  alla  pro- 
posta trattativa  in  Parigi  per  comporre 
tulte  le  vertenze".  Nominò  di  fatti  il  car- 
dinal Litta  milanese  per  portarsi  colà  a 
negoziare,  ma  Napoleone  lo  rifiutò;  fece 
lo  stesso  di  un  altro  eh'  era  stalo  surro- 
gato, cioè  il  cardinal  Pacca,  e  finalmente 
manifestò,  che  avrebbe  ricusalo  qualun- 
que cardinale,  tranne  \\  francese  Latici' 
de  Bay  amie,  del  tutto  sordo!  Nel  tempo 
stesso  Champagny,  nuovo  ministro  degli 
affari  esteri  di  Francia,  dichiarò  al  cardi- 
nal Capraia  legato  in  Parigi,  Pio  VII  a- 
ver  buone  intenzioni  ma  cattivi  consi- 
glieri :  scegliesse,  o  la  perdita  delle  Mar- 
che, 0  il  cambiamento  della  sua  politica; 
più  esigere  l'imperatore,  che  si  trattasse 
anche  in  Parigi  uu  concordato  per  la  con- 
federazione Renana  di  Germania,  e  ciò 
co'cardinali  Capraia  o  Latierde  Bayan- 
ne,  o  col  nunzio  dimorante  in  quella  re- 
gione mg/  della  Genga  (poi  LeoueXIf). 


V  E  » 
A  tante  insolenze  e  invettive,  corrispose 
il  mansueto  Pio  VII  con  compiacete  an- 
che in  questo  il  prepotente  Napoleone  I. 
Questi  però,  benché  mg.r  della  Genga 
già  fosse  giunto  iu  Parigi,  e  il  cardinal 
Latier  de  Bayanne  viaggiasse  a  quella 
volta,  eseguì  tirannicamente  le  minacce, 
facendo  colle  truppe  di  Lemarois  occu- 
parle provincied'Ancona, Macerata,  Fer- 
mo e.  Urbino,  riunendo  queste  Marche 
a! regno  Italico.  Tutlociò  succedeva  men- 
tre Champagny  avea  notificato  a'  pleni- 
potenziari pontifìcii:  dovere  ilPapa  adot- 
tare il  sistema  federativo  e  far  causa  co- 
mune coll'imperatore  in  tutte  le  guerre; 
riconoscere  i  sovrani  fatti  da  lui,  inclu- 
si vameute  a'fratelli  Luigi  e  Girolamo,  re 
d'Olanda  il  i.°,edi  Weslfaiia  il  2.0;  ri- 
nunziare a'principati  di  Benevento  e  Pou- 
tecorvo,  da  lui  dati  a  Talleyrand  e  Ber- 
nadette, senza  nemmeno  parteciparlo  al 
la  signora  di  essi,  la  s.  Sede;  portare  il 
numero  de'cardinali  francesi  a!3.°di  quel- 
lo del  sagro  collegio:  finalmente,  il  con- 
cordato stabilito  pel  regno  d'Italia,  rice- 
vesse eziandio  la  sua  esecuzione  nell'an- 
tico stalo  veneto,  in  tutti  i  paesi  del  re- 
gno annessi,  ed  in  quelli  di  Lucca  e  Piom- 
bino; e  che  n;un  vescovo  del  regno  d'I- 
talia fosse  obbligato  di  portarsi  a  Roma 
per  esservi  consagrato.  Riservarsi  fare  al- 
tre domande,  specialmente  per  tardanza 
di  risposta.  Non  potendo  Pi  VII  accon- 
sentire all'  accennate  e  altre  esorbitanze, 
lini  con  perdere  il  resto  dello  stato  e  con 
essere  strascinato  prigione  a  Savona  !  La 
gerarchia  ecclesiastica  perseguitata  e  di- 
spersa, manomesso  ogni  ordine  di  cose. 
Frattanto  iu  Venezia  si  sopprimevano  con- 
venti e  monasteri,  riuuendo  in  altri  ac- 
calcati  religiosi  e  monache,  alcuni  di  tali 
edifizi  colle  chiese  si  demolivano,  e  così 
sparivano  monumenti  antichi  e  nobilissi- 
mi per  meravigliose  pitture,  di  pietà  pa- 
tria e  di  religione,  rovinando  sotto  vene- 
ziani picconi,  e  per  essi  violati  e  distrutti 
i  cittadini  sepolcri,  che  contenevano  illu- 
stri ceneri  di  benemerentissimi  veneti. 


V  E  N  39 

Successivamente  il  genio  malefico  distrut- 
tore, in  breve  giganteggiò  in  Venezia,  nel 
modo  tante  volte  lagrimato  cou  isdegno. 
11  domiuio  francese  in  Italia,  ormai  avea 
suscitato  contro  di  se  lo  spirito  pubblico, 
essendo  per  lo  più  i  conquistatori  dete- 
stati da'popoli  vinti.  L'Austria  vieppiù 
divenuta  gelosa  della  crescente  colossale 
potenza  di  Napoleone  I,  die  avea  dato  il 
regno  di  Spagna  ai  fratello  Giuseppe,  e 
quello  di  Napoli  al  cognato  Murai,  si  ar- 
mò poderosamente  nel  1808,  onde  Na- 
poleone I  se  ne  lagnò  acremente  e  fece 
marciare  truppe  in  Germania,  benché 
l'imperatore  Francesco  1  pel  suo  amba- 
sciatore Mettermeli  avesse  dichiarato  a 
Parigi  nell'agosto  non  volersi  che  difen- 
dere; ma  poi  nel  seguenteanno  1809  pub- 
blicò un  manifesto  contro  le  operazioni 
della  Francia,  e  fece  maneggi  per  sot- 
trarre dal  suo  dominio  la  Germania  set- 
tentrionale, l'Olanda  e  l' Italia.  Indi  gli 
austriaci  si  avanzarono  a' 9  aprile  sulle 
offese,  con  invadere,  l'arciduca  Carlo,  la 
Baviera  ;  ma  Napoleone  I  vinse  gli  au- 
striaci a  Landsut,ad  Eekmùhl  ed  a  Ra- 
tisbona,  e  prese  Vienna;  ma  passato  il 
Danubio  dall'arciduca  Carlo,  Io  vinse  a 
Esling  o  Gross-Aspern.  Nel  detto  giorno 
9  aprile  l'arciduca  Gio.  Battista  passato 
l'Isonzo  si  avanzò  nel  Friuli,  con  nume- 
rosi corpi  di  cavalleria, ponendo  l'assedio 
a  Palmanova  ed  Osopo.  Il  viceré  Euge- 
nio trovavasi  iu  Udine,  senz'avere  adu- 
nata la  sua  armata, onde  si  ritirò  per  con- 
centrarla sostenendo  vari  combattimen- 
ti, a  Pordenone  il  i5  perdendo  un  di- 
staccamento francese  fatto  prigioniero. 
Intanto  colle  sue  divisioni  unite  credette 
poter  presentare  battaglia  agli  austriaci 
e  tentare  di  arrestare  t  movimenti  offen- 
sivi, mentre  era  di  già  pervenuto  a  pren- 
dere posizione  sulla  Voncel.  Adunque 
nella  mattina  de' 16  schierò  presso  Sa- 
cile  le  divisioni  di  Grenier  e  di  Barbou 
nel  centro,  Seras  e  Severoli  all'ala  destra, 
Broussier  alla  sinistra,  e  tenue  in  riserva 
la  cavalleria  diSahuc  con  qualche  squa- 


4o  VEN 

drodC  della  guardia  italiana.  Si  combat- 
le  per  6  ore  con  eguale  coraggio  e  fortu- 
na, nelle  pianure  di  Fontanafredda  fra 
Pordenone  e  Sacile,  grave  e  sanguinosa 
pugna;  ma  in  fine  gli  austriaci  superiori 
in  numero  e  specialmente  in  cavalleria, 
minacciarono  ài  circondare  l'ala  sinistra 
del  viceré,  ed  allora  questi  dovette  cede- 
re, e  alle  3  pomeridiane  ordinò   la  riti* 
rata  su  Sacile.  La  cavalleria  di  Salme  fu 
disfatta  ;  e  Broussier  sostenne  con  diffi- 
coltà la  ritirata.  La  sola  notte  mise  fine 
alla  battaglia,  che  fu  disastrosa  pe' fran- 
cesi e  italiani,  avendovi  essi  perduto  più 
di  2,000  uomini:  tra' feriti    vi  furono  i 
generali  francesi  Garresi!  e  Teste.  Dopo 
questo  disastro  il  viceré,  obbligato  s  pie- 
gare e  a  ritirarsi,  mandò  il  general  Bar- 
bou  con  sufficiente  presidio  a  Venezia,  e 
ritirossi  a  Caldiero  sull'Adige,  dove  giun- 
se a'22  aprile.  Radunòquivi  tutlele trup- 
pe disponibili  del  regno  Italico,  e  fu  raf- 
forzalo dalle  divisioni  francesi  di  Rusca 
e  Durutte. Napoleone  I  gli  spedì  per  ap- 
poggio o  consiglieri  Macdonaid  e  Luigi 
Baraguay  d'Hilliers  generali  d'antica  ri- 
putazione. Allora  egli  die'un  nuovo  ordi- 
namento all'armata  ;  e  mentredava  que- 
ste disposizioni  sull'Adige, avendo  gli  au- 
si riaci  invasoli  Veneziano,cioè  ilTrevigia- 
no.il  Padovanoe  parte  del  Vicentino,suc- 
cedevano  diversi  combattimenti  sotto  le 
piazzeassediate,especialmente  presso  Ve- 
nezia, dove  da  qualche  tempo  il  governo 
attendeva  a  fortificare  le  Lagune  con  8 
forti  e  97  fortini.  A'23  aprile  l'arciduca 
Giovanni  assaltò  con  molte  truppe  uno 
di  questi  forti  costrutto  a  Malghcra,e  ne 
ftt  respinto  con  perdila  di  diverse  centi- 
naia d'uomini.  Intanto  occupò    Padova 
e  Vicenza,  e  poi  si  recò  sull'Alpoue  pres- 
so Caldiero.  Nel  tempo  stessoattesero  gli 
austriaci  a  spargere  proclami  per  indur- 
re gl'italiani  a  rivolgersi  contro  i  france- 
si,ma  non  produssero  molto  effetto.  Dap- 
poiché attesa  la  disfatta  della  principale 
armata  austriaca  in  Germania, l'arcidu- 
ca Giovanni  ebbe  ordine  di  retrocedere, 


VEN 
percuia'28  aprile  sospese  i  suoi  movi 
menti  offensivi.  Il  viceré  che  ili  ciò  si  ac- 
corse, nel  dì  seguente  volici  fare  una  ri- 
cognizione generale  su  tutta  la  linea,  e 
ne  seguirono  diversi  combattimenti  ;  ri- 
chiamò poi  l'armata  a'suoi  postinolo  la- 
sciando un  forte  distaccamento  a  Baslia. 
A'  3o  aprile  V  attaccarono  e  presero  gli 
austriaci,  e  nella  seguente  notte  comin- 
ciarono la  ritirata;  ripassato  il  Brenta  a' 
3  maggio,  a'6  furono  sulla  riva  sinistra 
della  Piave.  Il  viceré  li  persegui  e  accad- 
dero diversi  combattimenti,  specialmen- 
te a  Montebello,  Olmo,  Vicenza,  Bana- 
no e  Treviso.  Sulla  Piave  però  gli  au- 
striaci mostrarono  di  volersi  fermare  al- 
quanto, massime  presso  il   ponte  della 
Priula  che  distrussero,  e  a  Rocca  di  Stra- 
da sulla  via  di  Collegllano.  Il  viceré  pas- 
sato subito  il  fiume  a  guado  presso  Lo- 
vadina  e  s.  Michele  l'  8  maggio  comin- 
ciò a  far  passare  le  sue  truppe  senz'im- 
pedimento,  assaltando  il  nemico,  e  tosto 
l'azione  divenne  fiera  e  generale.  Gli  au- 
striaci opposero  vigorosa  resistenza,  ma 
poi  retrocederono  si!  tutti  i  punti,  riti- 
randosi a  Conegliano.  I  francesi  calcola- 
rono la  loro  perdita  a  2,5oo  uomini,  e 
quella  degli  austriaci  a  10,000.  L'arci- 
duca continuò  a  ritirarsi  verso  la  Stiria 
e  l'Ungheria,  inseguito  dal  viceré  che  lo 
danneggiò  a  s.  Daniele,  occupando  diver- 
se città  e  luoghi.  A'  i4  g,ugno>  benché 
con  forze  inferiori,  presso  la  città  di  Ruab 
o  Già  varino,  assaltò  con  36, 000  uomi- 
ni l'arciduca,  e  dopo  4  °,e  di  combatti- 
mento senza  che  alcuna  delle  parti  ce- 
desse, gli  austriaci  si  ritirarono   verso  il 
Danubio.  I  francesi  annunziarono  d'aver 
perduto  2,5oo  uomini,  e  d'averne  fatti 
perdere  agli  austriaci  7,000.  Dipoi  il  vi- 
ceré pubblicò,  che  nell'i  «seguire  l'arma  - 
la  austriaca  dall'  Adige  al  Danubio,    le 
toUe  37,000  prigionieri  con  197  canno- 
ni. Precaria  dunque  fu  la   dominazione 
austriaca  ne'  luoghi  occupali  e  tosto    le 
loro  disposizioni  furono  annullate,   alle- 
viandosi i  danni  risentili  da'ciltadiui  de' 


V  E  N 
dipartimenti  dell' Adriatico,  del  Bacchi- 
glioiie,  del  Brenta,  del  Piave,  del  'raglia- 
mento e  del  Passeriano,  con  proroga  di 
pagamento  alle  pubbliche  gravezze.  La 
vittoria  riportata  a  Wagram  a'6  luglio 
da  Napoleone  I,  indusse  Francesco  I  nel- 
la seguente  notte  all'armistizio  di  Zua  ti m, 
e  alla  rovinosa  pace  diSehonbrunn. —  Il 
decreto  fatale  de'2 3  aprile  18  io  per  Ve- 
nezia e  pe'  paesi  veneti  ordinò  la  genera- 
le soppressione  delle  corporazioni  reli- 
giose de'  due  sessi,  delle  confraternite  e 
di  altri  stabilimenti  pii.  Nel  18  10  creato 
in  Milano  un  istituto  di  scienze,  lettere 
ed  arti,  una  sezione  fu  stabilita  in  Vene- 
zia (di  recente  si  è  pubblicato:  Atti  del- 
Vi.  r.  Istituto  Veneto  di  scienze,  lettere 
ed  arti  dal  novembre  1  858  all'ottobre 
1859.  Tòmo  4°>  serie  3. \  dispensa  !.", 
Venezia  tipografia  Antonelli  1859),  che 
poi  nel  1812  vide  fondato  l'Ateneo  ve- 
neto, e  1'  Arsenale  divenne  operosissi- 
mo per  navali  costruzioni,  da  non  cede- 
re all'attività  spiegata  in  pari  tempo  da 
que'  di  Tolone,  Brest,  Anversa  ed  Olan- 
da. A'  i5  agosto  del  181  1  s'inaugurò 
in  Venezia  la  statua  colossale  di  Napo- 
leone 1,  lavorata  da  Domenico  Bariti,  ed 
eretta  sulla  Piazzetta  di  s.  Marco  alla  me- 
dieta  della  facciata  del  palazzo  ducale  ; 
tolta  poi  a' 19  aprile  18  i4>  e  distrutta,  il 
modello  originale  fu  collocato  nel  mu- 
seo di  A.  Sanquirico,ora  alienato  sta  per 
passare  in  Francia.  Frattanto,  avendo 
Napoleone  1,  in  mezzo  a  tanta  formi- 
dabile potenza  e  gloria,  perduto  la  spe- 
ranza d'avere  successione  di  figli  nel  gran- 
de impero  dall'imperatrice  Giuseppina, 
senza  badare  all'indissolubilità  del  matri- 
monio, la  ripudiò  nel  declinar  del  1809, 
e  nell'aprile  del  18  io  si  congiunse  in  ma- 
trimonio coll'arciduchessa  d'Austria  Ma- 
ria Luigia,  figlia  dell'  imperatore  Fran- 
cesco 1,  argomenti  abbastanza  parlati  a' 
propri  luoghi.  —  Poco  dopo  Napoleone 
I  volle  che  Canova  facesse  il  ritratto  del- 
la novella  imperatrice  sua  consorte,  sol- 
lecitandolo a  ritornare  a  Parigi,e  questo 


VEN  ii 

secondo  viaggio  fornisce  incidenti ,che  per 
una  gloria  veneta  non  si  debbono  intra- 
lasciare, ricavandoli  dall'accuratissimo 
e  autorevole  cav.  Artaud,  t.  2,  cap.  62. 
Genova  giunse  inParigi  1'  1  1  ottobre  18  i  o, 
e  fu  presentato  a' 1  2  all'imperatore  e  al- 
l'imperatrice, mentre  facevano  colazione. 
Canova  disse,  ch'era  venuto  a  fare  il  ri- 
tratto all'imperatrice,  per  soddisfare  Sua 
Maestà,  e  tornare  al  più  presto  a  Roma 
per  riprendervi  i  suoi  lavori.  >->  Ma,  ri- 
spose l'imperatore,  Parigi  è  al  presente 
la  capitale,  bisogna  che  restiate  qui,  e  lo 
farete  bene. —  Voi,  Sire,  siete  il  padrone 
della  mia  vita,  ma  se  piace  all'impera- 
tore che  sia  questa  impiegata  e  spesa  a 
suo  servizio,  bisogna  che  mi  conceda  di 
tornare  a  Pioma  tosto  che  avrò  compiu- 
to i  lavori  pe'qoali  sono  qui  venuto.  Mi 
è  stato  parlato  di  fare  il  ritratto  dell'im- 
peratrice :  io  la  rappresenterò  sotto  la  fi- 
gura della  Concordia  ".  L' imperatore 
cortesemente  sorrise  e  replicò.  «  Il  cen- 
tro è  qui,  qui  si  trovano  tutti  i  capolavo- 
ri antichi.  Manca  solo  l'Ercole  Farnese 
ch'èa  Napoli. Me  lo  sono  riservato  per  me. 
1 —  Lasci,  riprese  Canova,  ah  lasci  alme- 
no qualche  cosa  all'Italia;  i  monumenti 
antichi  formano  collezione  e  catena  con 
un'infinità  d'altri  che  non  si  ponno  tra- 
sportare né  da  Roma,  nèda  Napoli".  Bel- 
lo sarebbe  il  riportare  i  diversi  dialoghi, 
fra  wn  Napoleone  I  ed  un  Canova,  ma 
appeua  mie  dato  riprodurne  alcuni.  Dis- 
se Napoleone  I,  che  a  riparare  le  perdite 
d'Italia,  avrebbe  ordinato  scavi  a  Roma; 
ma  Canova  rispose,  su  di  essi  averne  un 
sagro  diritto  i  romani,  né  potendoli  ven- 
dere e  mandar  fuori,  qual  retaggio  del 
popolo  re  e  ricompensa  data  dalla  vitto- 
ria a'ioro  antichi  padri.  Parlandosi  del- 
la già  discorsa  statua  colossale  in  piedi 
dell'imperatore,  questi  mostrò  dispiacere 
sapendo  eseguirla  ignuda,  onde  disse  al 
Canova.  »  Ma  perchè  non  fate  voi  nuda 
anche  la  mia  statua  colossale  a  cavallo? 
—  Questa  deve  avere  il  costume  eroico  : 
i  vecchi  re  di  Francia,  e  il  vostro  Giù» 


4*  V  EN 

seppe  II  iti  Vienna,  o  Madama,  sono  così 
dligiali,  perchè  sono  a  cavallo".  Canova 
francamente,  per  l'amore  ohe  aveaal  Pa- 
pa ed  a  Roma,  piti  volte  affettuosamente 
deplorò  la  condizione  dell'uno  e  dall'al- 
ti a,  perchè  separali.»*  Ma  noi,  soggiunse 
Napoleone  I,  faremo  Roma  capitale  d'I- 
i  dia,  e  vi  aggiungeremo  Napoli.  Che  ne 
dite?  ne  sareste  contento?  —  Le  arti  po- 
trebbero ricondurvi  la  prosperità.  La  Re- 
ligione favorisce  le  arti,  e  questa,  o  Sire, 
questa  sola  le  ha  sostenute  presso  gli  egi- 
si,  i  greci  ed  i  romani.    I  lavori  de'  ro- 
mani portano  tutti  l'impronta  della  Re- 
ligione. Questa  salutare  influenza    sulle 
fi  iti  le  ha  salvate  ancora  in  parte  dalla 
rovina  de'  barbari.  Tutte  le  religioni  so- 
no benefattrici  delle  arti;  e  quella  eh'  è 
più.  particolarmente  e  più  splendidamen- 
te la  loro  protettrice  e  la  loro  madre,  è 
la  vera  Religione,  la  nostra    Religione 
cattolica  romana.  I  protestanti,  Sire,  si 
contentano  d'  una  semplice   Cappella  e 
d1  una  Croce,  e  non  porgono  occasione 
d'eseguire  pregevoli  capolavori   d'  arte. 
Gli  edifìzi  eli  essi  possedono furono  fab- 
bricati da  altri  ".   L'imperatore  voi  tosi 
a  Maria  Luigia,  interrompendo  Canova, 
esclamò:*»  Egli  ha  ragione,  niente  hanno 
«li  bello  i  protestanti".  In  un'altra  sedu- 
ta, non  mostrando  fare  attenzione  che  a* 
tratti  dell'imperatrice  ea'lineamenti  dol- 
ci e  delicati  del  suo  viso,  e  dando  ase  stes- 
so un'intrepida  missione  innanzi  al  Gio- 
ve Italico  (sic),  Canova  parlò  ad  un  tratto 
«li  Pio  VII.  »»  Le  prime  parole  che  sfug- 
girono al  veneziano  furono  si  forti,  che 
temetteperun  momento  d'aver  commes- 
sa una  imperdonabile  imprudenza,   ma 
il  sopracciglio  di  Napoleone  l  non  avea 
annunziatola  burrasca  ;  ascoltava  egli  at- 
tentamente questi  rimproveri,  che   per 
quanto  fossero  forti  e  tendessero  eviden- 
temente ad  un  diretto  fine,  erano  però 
articolati  con  un  accento  gentile,  rispet- 
toso, con  quel  noti  so  che  del  carezze- 
vole veneziano  che  tanto  allctta,  in  una 
lingua  dove  la  parola  propria  uon  arri. 


V  EN 

vava  sempre  a  punto,  senza  però  che  il 
pensiero  nulla  perdesse  del   suo  valore 
e  di  certa  quale  irresistibile  incisione. 
L'imperatrice  guardava  Canova  con  me- 
raviglia mista  con  una  contegnosa  sod- 
«lisfazione  ".   Allora  Canova  incoraggia- 
to maggiormente,  continuava  il  suo  te- 
ma: persuaso  che  l'animo  dell'impera  • 
lore  non  fosse  tirannico,   ma  solo  gua- 
sto dagli  adulatori  che  gli  nascondevano 
la  verità.  Pareva  che  Canova  avesse  Ti  a 
sua  libera  disposizione,  e  per  se  solo,  il 
Napoleone  credente.Dopo  uno  di  que'mo- 
vimenti  d'artista,  che  pareva  a  null'altro 
intento  che  a  più  profondamente  studia- 
re  il  suo  modello,  siccome  poi  confidò 
al  grazioso  eloquente  storico,  continuò. 
»  Ma,  Sire,  perchè  Vostra  Maestà  non  si 
riconcilia  in  qualche  modo  col  Papa?  — 
Perchè  i  preti,  signore,  vogliono  coman- 
dare dappertutto,  ed  esser  padroni  di  tut- 
to (pretendeva  di  credere  Napoleone),  co- 
me Gregorio  FII(F.).  —  Mi  pare  però, 
Sire,  che  ciò  non  si  possa  temere  oggidì, 
poiché  Vostra  Maestà  è  padrone  di  tutto 
in  Italia.  —  I  Papi  hanno  sempre  tenuta 
repressa  la  nazione  italiana,  quando  \\ov\ 
erano  neppure  signori  in  Roma  (qui  Na- 
poleone si  mostra  ignaro  della  storia),  in 
grazia  delle  fazioni  de'  Colonna  e  degli 
Orsini  (altri  errori  storici  di  Napoleone). 
—  Certamente,  o  Sire,  se  i  Papi  avessero 
avuto  l'ardire  di  Vostra  Maestà,  ebbero 
bei  momenti  per  diventare  i  padroni  di 
tutta  Italia!  —  Questa  ci  vuole,  mio  si- 
guore,l'interruppe  Napoleone  I,  toccando 
l'eLa  della  sua  spada,  la  spada  ci  vuole 
(ma  Napoleone,  come  pur  leggo  nell'Ai*- 
taud,  avea  detto  a'suoi  ministri:  trattale 
col  Papa  come  potenza  che  disponga  di 
2oo,ooobaionetle  prontejeduuo  de'suoi 
più  illuminati  ministri, Cacault,  scriveva 
a'27  ottobre  1802  a  Napoleone:  Il  Pa- 
pa è  affezionalo  alla  Francia,  ma  dev'es- 
sere rispettato  e  ubbidito  come  un  sovra- 
no che  avesse  cinquecento  mila  uomini 
a'suoi  comandi.  Lievissimo  paragone  del- 
l'un  a»  e  usa  forza  morale  de'Papi,a  cui  per 


V  EN 

lo  meno  piegano  li  ginocchio,  nelle  cin- 
que parti  del  mondo,  duecento  milioni 
d'individui  !).  —  Non  la  Spadn(Pr.)  sola, 
con  essa   il  liuto  (bastone  ricurvo  usato 
dagli  auguri;  ma  il  Canova,  poiché  tutti 
i  grandi  artisti  hanno  privilegiato  inge- 
gno, dono  di  Dio,  e  sono  eruditi,  intese 
alludere  al  Pastorale).  Ma  finalmente, 
Sire,  giacche  voisietegiuntoa  tanta  gran- 
dezza colla  vostra  spada,  non  permettete 
che  i  nostri  mali  si  accrescano,  lo  ve  lo 
dico  ingenuamente,  se  non  sostenete  Ro- 
//jtf,essa  diviene  quella  ch'era  allora  quan- 
do i  Papi  trova vansi stanziati  in  Avigno- 
ne". L'i  muratore  parve  vivamente  com- 
mosso e  colpito  da  questo  fatto;  disse  con 
forza.  >*  Ma  mi  fauno  resistenza?  E  che? 
non  sono  io  forse  il  padrone  della  Fran- 
cia, di  tutta  Italia,  di  tre  grau  parli  del- 
la Germania?  non  sono  il  successore  di 
Carlo  Magno  l  Se  i  P»pi  d'oggidì  fos- 
sero stati  come  i  Papi  d'una  volta,  il  tut- 
to sarebbe  assestato  (opinione  privata  di 
Napoleone:  del  resto  m'appello  alla  Sto- 
ria).  E  i  vostri  veneziani,  sì,  essi  pure, 
non  ebbero  brighe  co'Papi  ?  —  Non  sino 
al  punto  ove  si  è  portata  Vostra  Maestà. 
—  Ma  iu  Italia  il  Papa  è  tutto  tedesco'*. 
E  iti  così  dire,  Napoleone  I  guardò  l'im- 
peratrice. >»   Posso  accertare,  l' impera- 
trice rispose,  che  quando  io  era  in  Ger- 
mania, vi  si  diceva  che  il  Papa  era  tutto 
francese".  Napoleone  I  continuò:  »  E- 
gli  non  ha  voluto  (Pio  VII)  cacciare  ne 
i  russi,  ne  gl'inglesi,  ne  gli  svedesi,  né  i 
sardi  da'  suoi  stali".  Il  5  novembre  l'im- 
peratore, prima  di   congedare  Canova, 
volle  dargli  un'idea  della  sua    potenza, 
per  mostrargli  il  perchè  non  dovea  mai 
dare  addietro.*  Signor  sì,  ho  sessanta  mi- 
lioni di  sudditi,  da  otto  a  novecento  mi- 
la soldati,  centomila  cavalli.  Gli  stessi  an- 
tichi romani  non  ebbero  mai  forza  pari 
olla  mia.  Ilo  dato  quaranta  battaglie:  in 
quella  di  Wagiam  ho  sparato  centomila 
colpi  di  cannone,  e  questa   signora,  ag- 
giunse volgendosi  all'un  pelatrice,  sì,  que- 
sta signora,  che  allora  era  arciduchessa 


YEN  43 

d'  Austria,  voleva  la  mia  morte  ".  —  E 
vero,  riprese  Maria  Luigia.  —  Canova, 
co'suoi  magnanimi  sensi  avea  detto  tut- 
to quello  che  poteva  dire  un  cristiano  co- 
raggioso, e  ripartì  per  Roma,  da  lui  a- 
mata  quanto  Venezia,  ricusando  la  digni- 
tà di  membro  del  senato  di  Parigi.  Egli 
dunque  procedette  avanti  quello  che  fa- 
ceva tremare  lutti,  da  cattolico  e  da  ita- 
liano (Canova  ritornò  poi  una  3.a  volta 
a  Parigi  da  Luigi  XVUI,  per  commis- 
sione di  Pio  VII,  per  ricuperare  a  Roma 
i  capi  d'opera  di  scultura  e   pittura,  ol- 
tre gli  arazzi  ivi  trasportati:  ne  ragionai 
nella  biografia  del   Papa  e  altrove.  Vi 
si  recò  col  fido  e  colto  Acate,  il  fratello 
uterino  mg.r  Sartori-Canova.   A  tanto 
nome,  mi  piace  qui  aggiungere,  agli  o- 
nori  funebri   resi  all'  illustre  prelato  e 
dichiarati  nel  voi.  XCI,  p.   276,  quelli 
annunciati  dalla  Civiltà  Cattolica  de'  io 
febbraio!  8  5g  a  p.  479.  Giuseppe  da  Col, 
Discorso  funebre  per  Mg.r  111°  e  Rev.° 
Vescovo  di  Mindo  Giambattista  Sar- 
tori-Canova, letto  nelle  solenni  esequie 
fatte  nel  tempio  diPossagno  dalla  con- 
gregazione delle  scuole  di  Carità  nel  26 
luglio  1 858,  Castel  Franco  tipografia  di 
Gaetano  Lougo  1 858.  Neil'  esequie  di 
Monsignor  Giambattista  Sartori- Ca- 
nova vescovo  di  Mindo,  celebrate  in  Cre- 
spano il  3  agosto  1  858.  Orazione  del- 
Vab.  Giuseppe  Jacopo  prof  Ferrazzi} 
Bassano  tipografia  di  A.  Roberti  1 858). 
—  Per  le  vicende  politiche,  l'imperato- 
re Francesco  I,  dipoi  nel  181 2  si  collegò 
col  genero;  indi  avvicinandosi  il  tramon- 
to della  fbrluua  Napoleonica,  altra  av- 
ventura, catnbiatrice di  destini, sovrasta- 
va intanto  all'Italia.  Narrai  in  tanti  ar- 
ticoli, che  Napoleone  I  nel  181 1  si  pre- 
parò alla  strepitosa  guerra  controia  Rus- 
sia, alleata  dell'Inghilterra,  e  nel  18 12 
marciò  ad  invaderla;  ma  non  ostante  i 
progressi  fatti,  tentò    inutilmente  paci- 
ficarsi coll'imperatore  Alessandro  I,  si  ri- 
tirò da  Mosca  e  perde  il  fioritissimo  eser- 
cite, nel  quale  erano  tanti  valorosi  ita- 


W  VEN 

liani,  eneli8i3  ville  l'i  m  perai  ore  Fran- 
cesco I  suo  suocero  collegarsi  contro  di 
lui  colla  Russia,  l'Inghilterra  e  la  Prus- 
sia,  cui  poi  si  unirono  altri  sovrani  e  la 
Baviera,  per  ripristinare  l'equilibrio  eu- 
ropeo, onde  da  essi  gli  fu   dichiarata  la 
guerra.   Nella  Sassonia  e  ne' campi  di 
Lipsia  a' i  8  ottobre,  colla  famosa  disfat- 
ta di  Napoleone  l,si  vendicarono  i  collega- 
ti delle  lunghe  ingiurie  sofferte.  Raccon- 
tano il  cav.  Mulinelli  e  il  cav.  Coppi,con- 
sequenza  degli  strepitosi  guerreschi  av- 
venimenti, i   paesi    veneti   si    trovarono 
esposti  alle  armi  austriache,  comandate 
dal  principe  Enrico  XV  di  Reuss-Plauen, 
prima  a  mezzo  del  generale  in  capotili- 
lei*  facendo  cominciare  le  olfese  nel  fine 
di  settembre;  prese  Trieste,  e  spedì  trup- 
pe sufficienti  per  ricuperare  la  Croazia, 
l'Istria  e  la  Dalmazia.  Laonde  il  viceré 
Eugenio  a  tempo  avea  ordinato  le  cose 
necessarie  alla  guerra  imminente.  Aven- 
do egli  da  70,000   uomini,   con    molta 
prudenza  li  divise  in  3  principali  corpi  ; 
il  1. "comandato  da  Grenier  pose  campo 
sulle  rive  dell'Isonzo  e  del  Tagliamenlo; 
il  i.°  diretto  da  Verdier  si  stabilì  a  Vi- 
cenza, a  Castelfranco,  a  Bassanoea  Fel- 
tre;  il  3.° governato  da  Fino,  a    Padova 
e  a   Verona  alloggiava.  Ma  forti  gli  au- 
striaci di  buone  ragioni,  ed  avendo i  po- 
poli amici,  il  viceré  li    combatté  inutil- 
mente, benché  da  condottiero   valoroso 
ed  esperto,  facesse  onorale  fazioni  sull'I- 
sonzo, sul  Piave,  ed  a  Rosa  presso  Bas- 
sano  ;  ed  eziandio  ad  onta  di  altri  sforzi, 
e  che  barbaramente  ordinasse  il  brucia- 
mento del  ponte  sul  Brenta  a   Bassano, 
famosa  opera  di  Bartolomeo  Ferracinu. 
Obbligato  quindi  V  esercito  di  Eugenio 
a  ritirarsi,  fissò  a  Verona  i  suoi  alloggia- 
menti nel  principio  di  novembre,  sicco- 
me posizione  strategica  e   munita,  dopo 
aver  perduto  ne' diversi  combattimenti 
circa  6,000  uomini,  e  quasi   altrettanti 
gli  austriaci.  Le  perdite  fatte,   aggiunte 
alle  diserzioni  de'soldati  appartenenti  al- 
le pro\incie  sgombrate,  che  andavano 


VEN 
conquistando  gli  austriaci,  ed  a'  presidii 
lisciati  a  Venezia,  Palmanova,  Osopo  e 
altrove,  ridussero  la  sua  armata  a  32, 000 
combattenti;  nondimeno  la  posizione  gli 
permetteva  sostenersi  contro  le  forze  su- 
periori austriache,  anzi  di  respingerle  si- 
no a  Pilcante,  facendo  il  simile  Gifllen- 
ga  in  valle  Trompia.  Intanto  Hitler  a' > 
novembre  lasciò  Marschal  condue  briga- 
te sotto  Venezia,  già  da'3  ottobre  bloc- 
cata anche  per  mare  dagl'  inglesi,  che  da 
più.  anni  ne  dominavano  il  mare;  a'.i5 
fu  respinto  dal  viceré  a  Caldiero  e  Colo- 
gnola,  sino  alla  riva  sinistra  dell'  Alpo- 
ne;  ma  però,  avanzatosi  a' 19  Hiller  con 
molte  truppe,  ad  assalire  il   posto  di  s. 
Michele,  difeso  da  circa  4>°oo  francesi, 
dopo  resistenza  gli  obbligò  a  ritirarsi  in 
Verona.  Nel  tempo  stesso  il  general  Nu- 
gent,  essendosi  imbarcato  a   Trieste  so- 
pra bastimenti  inglesi  con  3,ooo  soldati 
di  diverse  nazioni,  a'  i5  novembre    per 
operare  nelle  Legazioni  pontificie,  passa- 
to il  Po  e  l'Adige,  «barcò  nell'imbocca- 
tura del  canale  di  Mesola,  es'inipadrouì 
delle  rive  del  Po  a  Goro  ed  a  Volano,  e 
poi  si  mise  in  comunicazione  con  Hiller 
e  il  forte  dell'esercito  austriaco,  a'2  i  no- 
vembre nel  Padovano.  In  tal  giorno,  già 
occupati  da'  vincitori  tutti  i  passi,  tutti  i 
canali  che  conducono  alleLagune  di  Ve- 
nezia, questa  perde  l'  unica    via  che    le 
rimaneva  ancor  libera    dalla    parte    di 
Chioggia  e  di  Brondolo,e  restò  perfetta- 
mente bloccata  e  con  essa  Chioggia  e  le 
isole  tutte  delle  Lagune.  Venezia  intera- 
mente imprigionata,  conteneva  una  po- 
polazione di  160,000  persone  compresa 
quella  delle  isole  (le  donne  eccedendo  di 
10,000   sugli  uomini),  oltre  il  presidio 
che  sommava  a  circa  1 1,000  soldati.  Il 
veneto  cav.   Mulinelli  ci  dà  P  esatto  sta- 
to della  città    di  Venezia  e  delle    isole, 
uelTattualità  del  blocco  generale;  quel- 
lo de'diversi  corpi  della  guarnigione  ita- 
liani e  francesi,  delle  occorrenti  razioni 
1 5,ooo  quotidiane;  la  disposizione  della 
forza  marittima  composta  in   tutto  di 


VÉN 

4,5ooinoncompresaneidetio  numero  (^c' 

presidio,  l'enumerazione  della  squadra, 
della  riserva,  della  flottiglia  ripartita  nel- 
le località  con  7  divisioni.  Ricorda  il  Gior- 
nale che  contiene  quanto  è  accaduto  di 
militare  e  politico  in  Venezia  e  circon- 
dario durante  l'assedio  cominciato  col 
giorno  3  ottobre  i  8 1  3  e  terminato  nel  20 
aprileiSì^,  Venezia  1 8 1 4s  dalla  fonde- 
ria e  stamperia  di  Giovanni  Parolari.  Ri- 
porta  pure  lo  stato  della  qualità  e  quan- 
tità de'diversi  articoli  di  vitluaria  perve- 
nuti in  città  dalla  parte  di  mare  duran- 
te il  blocco,  senza  pagamento  di  dazio,  e 
perciò  preciso;  non  compresi  molti  altri 
generi  portati  in  Venezia  dalla  terrafer- 
ma, e  non  denunciati  ad  alcun  uffizio.  11 
general  Seras  militarmente  e  con  solda- 
tesca licenza  governava  Venezia,  mentre 
con  molto  accorgimento  e  amore  la  reg- 
geva qual  podestà  il  conte  Bartolomeo 
Gradenigo  ,  illustre  patrizio  veneto  che 
avea  sostenuto  luminosi  uffizi  per  la  sua 
repubblica,  e  con  molta  lode  ambascia- 
te. Dichiarata  dal  viceré  Eugenio  la  cit- 
tà in  istato  d'  assedio  dal  precedente  ot- 
tobre, e  sospese  per  i5  giorni  le  gabelle 
sulle  grasce,  si  era  giovato  il  podestà  per 
invitare  i  cittadini  a  provvedersi  ciascu- 
no di  vettovaglie,  almeno  per  6  mesi,  e 
per  ordinare  a  lutti  i  venditori  delle  co- 
se necessarie  al  vitto  e  alle  bevande,  di 
provvedere  copiosamente  i  loro  fondachi; 
una  commissione  annonaria  poi,  com- 
posta de'  personaggi  integerrimi  JNicolò 
Bianchini,  Francesco  Banchieri,  Giusep- 
pe Giovanelli,  Angelo  Zusto  e  Vincenzo 
Dario  Paolucci,  fu  deputata  a  impedire  i 
monopoli!  de'venditori,  e  di  vegliare  sui 
giusti  pesi  e  misure.  Per  questi  saggi  prov- 
vedimenti, e  per  una  gran  latitudine  di 
acque  e  di  valli,  che  abbondevolmente 
somministravano  saporito  e  delicato  pe- 
sce, e  per  la  destrezza  de'barcaiuoli  nel- 
l'introduzione delle  vettovaglie,  evitando 
ì  legni  inglesi  e  le  vedette  austriache,  e 
profittando  de'porti  e  degl'innumerevoli 
rivoletti  delle  maremme,  Venezia  noD  pa- 


V  E  N  4-5 

ti  penuria  del  necessario  al  sostentamen- 
to, tranne  gPiufortunii  che  deplorerò.  E- 
sauslo  l'erario  e  fatto  ancor  più  povero 
dal  viceré  pel  ritiro  di  160,000  lite,  che 
disse  di  sua  ragione,  intendeva  Seras  a 
ristorarlo  coll'imporre  un  prestito  di  óv.e 
milioni  di  lire,  nel  termine  di  24  ore,  e 
da  ripartirsi  sopra  nicchi  mercanti  e  pos- 
sidenti, guarentendolo  però  con  altret- 
tanto valore  di  argento  vivo  di  regia  ap- 
partenenza. Poi,  affinchè  i  cannoni  della 
fortezza  di  Lido  potessero  liberamente 
giuocare,  ordinò  la  distruzione  de'  molti 
vigneti  e  delle  case  che  fino  a  Malamoc- 
co  facevano  ricca  e  deliziosa  quella  ma- 
rina; volle  pure  che  rimpetto  alle  popo- 
lose vie  di  Castello,  della  Piazzetta  e  del- 
le Zattere  gettassero  le  ancore  il  Rigene- 
ratore, il  s.  Bernardo  e  il  Castiglione, 
vascelli  da  64  cannoni,  affinchè  la  miglior 
parte  di  Venezia  potesse  provare  il  terri- 
bile efletto  di  quelle  molte  artiglierie;  or- 
dinava in  fine,  che  ninno,  passata  mez- 
zanotte, girasse  per  la  città  senza  lume, 
ordine  tramutalo  in  vero  trastullo,  la  le- 
tizia non  essendo  mai  mancata,  finché  >l 
tifo  divenuto  generale  contagio  fece  stra- 
ge. IVloltiplicaronsi  gli  accattoni  nel  chie- 
der per  le  vie  l'elemosina,  già  vietali,  ma 
le  conseguenze  del  blocco  e  del  malore 
aveano  diffuso  il  bisogno  anche  nelle  classi 
agiate  e  nel  clero,  quindi  si  dovè  lasciar 
libero  il  freno  alla  questua,  vedendosi  poi 
intere  famiglie  limosinare  lungo  il  Pon- 
te di  Rialto  e  la  Merceria.  Ma  la  carità 
veneziana,  con  esempio  meritevole  di  pas- 
sare ricordato  alla  più  tarda  posterità, 
come  esclama  il  conte  Priuli ,  Discorso 
sugli  Asili  infantili^  p.  53,  seppe  in  quel- 
la terribile  e  stringente  circostanza  sosti- 
tuire oro  all'oro,  che  il  male  interpreta- 
to italico  decreto de'25aprilei 806  d'av- 
vocazione  allo  stato  de'  beni  delle  sedi- 
centi mani  morte,  sinonimo  delle  bene- 
fiche comunità  religiose,  avea  rapito  aile 
parrocchiali  fraterne  de'  poveri  (poi  in 
gran  parte  rivendicato  nel  1 826  dalla  vir- 
tù di  Francesco  1).  In  queste  strettezze, 


4f>  V  E  N 

%Seras  tempestava  con  una  2."  tassa  di  ni- 
tro milione,  senza  che,  tentili  i  giorni  di 
carnevale,  s'intralasciassero  le  maschere, 
i  teatri,  le  musiche,  le  danze.  In  così  stra- 
no contrasto  di  lutto  e  di  feste,  di  mise- 
rie e  di  gozzoviglie, sopraggiunse  un  fred- 
do insolito  da  accrescere  le  sciagure,  to- 
gliendo in  gran  parte  agli  assediati  vene- 
7Ì;mi  il  cibo  fin  allora  goduto  in  abbondan- 
za e  a  vii  prezzo;  imperocché  pel  gelo  del- 
le acque  perì  infinita  quantità  di  pesce 
nelle  valli,  ne'canali  e  ne'vivai.  Nel  me- 
desimo tempo  mostra  varisi  asciutte  le  ci- 
sterne, maggiormente  scemò  il  vino  ,  si 
difellòil  pane,e  i  poveri  ascesero  a44. 1 67. 
E  pure,  un  altro  milione  e  mezzo  s' im- 
poneva, e  tale  fu  il  pubblico  malconten- 
to che  Seras  si  mise  sulle  difese  a  s.  Ste- 
fano ove  abitava.  Venne  la  s.  Pasqua,  e 
riuscì  affliggente  per  la  carezza  de'vive- 
ri,  vendendosi  molta  carne  di  cavallo  per 
vacca,  e  i  gatti  per  lepri  ed  a  caro  prez- 
zo. Finalmente,  mosso  Dio  a  misericordia 
de'popoli,  e  de'roali  de'veneziani  già  pros- 
simi a  patire  i  casi  estremi,  opportuna- 
mente fece  cambiare  i  destini  d'Europa. 
Vinto  Napoleone  I  da'collegati,  a'3  1  mar- 
zoi8i4  entrati  essi  trionfalmente  in  Pa- 
rigi, a' 2  aprile  il  senato  lo  dichiarò  de- 
caduto dal  trono,  ed  a'6  Luigi  XVIII  fu 
riconosciutole  di  Francia.  Costretto  Na- 
poleone l*  1  1  aprile  ad  abdicare  le  sue  di- 
gnità per  se,  e  pel  figlio  Napoleone  II  (il 
quale  partì  per  Vienna  colla  madre,  poi 
duchessa  di  Parma,  Piacenza  e  Gua- 
stalla. Questa  principessa,  dopo  la  mor- 
te di  Napoleone,  prese  in  consorte  il  con- 
te Alberto  Adamo  di  Neipperg  tenente 
maresciallo  nelle  truppe  austriache  e 
suo  cavaliere  d'onore,  che  poi  morì  nel 
1829.  Da  questo  ebbe  figli,  de'quali  al- 
la sua  morte  erano  viventi  A  Ibertina  mo- 
glie del  conte  Luigi  Sanvitale,  ed  Alber- 
to che  volgendo  in  italiano  il  cognome 
di  Neipperg  fu  denominato  il  conte  di 
Montenuovo,  ed  era  allora  nell'esercito 
austriaco  col  grado  di  maggiore.  Si  cre- 
dette generalmente,  che  dopo  la  morte 


V  E  N 

del  Neipperg,  l'arciduchessa  avesse  spo- 
sato il  conte  Carlo  di  llom  belle*  ausimi - 
co,suo  maggiordomo  e  presidente  ilei  con- 
siglio), a'20  partì  egli  per  l'isola  dell'El- 
ba di  Toscana  (V.)>*  lui  assegnata.  Do- 
po la  deposizione  di  Napoleone,  i  confe- 
derati parteciparono  al  savoiardo  conte 
Bellegarde  maresciallo  austriaco,  già  sor- 
rogito  ad  Hiller  comandante  in  capo  del- 
l'armala d'Italia,  perevitare  inutile  spar- 
gimento di  sangue, di  procurare  di  con- 
cludere un  armistizio  col  viceré  Eugenio, 
ch'erasi  ridotto  colcampoa  Mantova,  fi- 
gli vi  acconsentì  facilmente,  essendo  per- 
suaso dell'inutilità  d'ogni  ulteriore  guer- 
ra, e  d'altronde  volendo  tentare  se  pote- 
va in  quelle  circostanze  conservare  gli  a- 
vanzi  del  reg««o  Italico.  Quindi  radunati- 
si nel  castello  di  Schiarino-Iiizzino  pres- 
so Mantova,  il  conte  e  luogotenente  ma- 
resciallo Neipperg  austriaco,  il  generale 
comandante  il  genio  d'Italia  Dode  de  la 
Brunnerie  francese,  e  il  general  Zuccbi 
italiano  governatore  di  Mantova,  a' 16  a- 
prile  sottoscrissero  la  convenzione  mili- 
tare, che  riporta  il  Mutinelli  ,  ratificata 
dal  Bellegarde  e  dal  viceré  Eugenio,  che 
il  Coppi  così  compendia.  »   Fosse  armi- 
stizio fra  le  truppe  comandate  dal  conte 
Bellegarde,  dal  re  di  Napoli  Murai  (ch'e- 
rasi collegato  con  l'imperatore  d'Austria 
contro  il  cognato  Napoleone),  e  da  lord 
Bentinck,  e  quelle  capitanate  dal  viceré 
Eugenio.  Le  truppe  francesi,  facenti  par- 
te dell'armala  del  viceré,  rientrassero  nel- 
le frontiere  dell'  antica  Francia  al  di  là 
delle  Alpi,  e  incominciassero  il  movimen- 
to dopo  due  giorni  se  non  ricevevano  pri- 
ma ordine  dal  loro  governo.  Le  italiane 
continuassero  ad  occupare  tutta  la  par- 
te del  regno  d'  Italia,  e  quelle  piazze  che 
non  erano   state  ancora   prese  dai  col- 
legati. Le  austriache  potessero  attraver- 
sare il  regno  d' Italia  per  le  strade  di 
Cremona  e  di  Brescia.  Una  deputazione 
del  medesimo  regno  avesse  la  libertà  di 
portarsi  al  grande  quartiere  generale  de' 
collegati,  e  nel  caso  che  la  risposta  non 


V  E  N 
fos^p  tale  da  conciliare  il  tuffo,  U  ostili* 
tà  fra 'collegati  e  gl'italiani  non  dovesse- 
ro incominciare  chef  5  giorni  dopo  rice- 
vnte  le  determinazioni  dell'alte  potenze 
collegate.  Le  piazze  di  Osopo,  di  Palma- 
nova,  di  Legnago  e  di  Venezia,  ed  i  forti 
dipendenti,  fossero  rime«se  nell'attuale  lo- 
ro stato  agli  austriaci  nel  giorno  20  apri- 
le; le  cui  guarnigioni  ne  sortiranno  cogli 
(inori  militari,  armi  e  bagagli,  essendo  in 
libertà  di  seguirle  le  autorità  civili,  am- 
ministrative e  giudiziarie,  lasciando  alle 
autorità  austriache  le  carte  e  gli  archivi". 
Si  ha  di  Federico  Coraccinì,  Storia  del- 
l' amministrazione  del  regno  dJ  Italia  du- 
rante il  dominio  francese)  Lugano  1  823. 
Saggio  storico  dell'amministrazione  fi- 
nanziera del  regno  d'Italia  da  li  802  al 
1 8  1  4  di  Giuseppe  Pecchio,  Milano  1  826. 
Storia  del  regno  dJ Italia  divisa  in  4  #• 
bri  di  Fabio  Mulinelli,  Venezia  tipo- 
grafìa Cecchini  1848,  libro  che  merite- 
rebbe ed  amplia  rione  e  ristampa,  cose 
agevoli  all'  illustre  e  operosissimo  scrit- 
tore. 

3.  Venezia  liberata  dal  blocco,con  gran- 
de esultanza  accoglieva  a' 19  aprile  i  pri- 
mi soldati  austriaci  (il  conte  Brillìi  dice 
a'20),  accorrendo  il  popolo,  tumultuan- 
do, a  svillaneggiale  e  minacciar  rovina  al 
marmoreo  simulacro  di  Napoleone,  men- 
ti e  Duperé, contrammiraglio  francese,  o- 
sanandosi  a  non  volere  ri  conoscere  altra 
autorità  che  quella  di  Napoleone  I,  non 
la  convenzione  di  Schiarino-' Rizzino, e  di- 
chiarando di  non  voler  cedere  i  suoi  va- 
scelli a  qualsivoglia  sovrano,  stava  già 
colle  miccie  accese  presso  i  cannoni  per 
ridurre  nell'ira  sua  in  un  mucchio  di  sas- 
si l'emporio  di  meraviglie  dell'innocente 
città,  già  metropoli  di  quella  repubbli- 
ca, dal  celebre  veronese  marchese  MatTei 
nella  sua  Verona  illustrata,  chiamata 
nella  dedica  che  le  fece  di  tale  dottissima 
opera, all'inclita  repubblica  Veneta  uni- 
ca discendenza  della  Romana,  dicen- 
dola pure  Repubblica  eterna,  come  non 
senza  fondamento  si  lusingava  che  tale  ne 


V  E  N  47 

fosse  la  durata.  Toltasi  di  notte  tempo  la 
statua  di  Napoleone,  per  ovviare  ad  altri 
oltraggi,  scomparse  tutte  le  memorie  del 
suo  regno,nomi, immagini, insegne;  per- 
suasosi finalmenteDuperé,e  divenuta  Ve- 
nezia nuovamente  austriaca,  i  veneziani 
abbandona  vansi  a  inaspettata  gioia/esteg- 
giando  con  luminarie,  con  tripudi,  e  con 
processioni  solennissime  delle  parrocchie 
alla  basilica  di  s.  Marco  (sulla  cui  porta 
fu  collocato  il  ritratto  del  gloriosoPio  VI  I, 
che  a'  24  maggio  rientrò  trionfalmente 
nella  sua  Roma),  di  ringraziamento  alla 
B.  Vergine  sotto  i  cui  possenti  auspicii  fu 
fondata  la  città,  per  la  cui  intercessione 
DioTavea  preservata  nella  decorsa  dolo- 
rosa epoca,  da  que'flagelli  co'quali  la  di- 
vina giustizia  avea  punito  le  colpe  di  al- 
tre nazioni  (come  si  esprime  I*  invito  del 
podestà,  riprodotto  dal  Mulinelli  colla  de- 
scrizione delle  processioni);  ed  insieme  so- 
lennizzando il  felice  avvenimento,  invia- 
rono in  deputazione  a  Vienna  all'  impe- 
ratore Francesco  1  il  podestà  Gradenigo, 
Daniele  Renier  suo  predecessore,  e  Gar- 
zoni, per  tributargli  il  loro  ossequio.  Se- 
guì poi  a'23  aprile  ima  convenzione  fra 
Eugenio  viceré  e  Bellegarde,  in  forza  del- 
la quale  gli  austriaci  occuparono  tutto  il 
regno  Italico  colle  fortezze,  a  tenore  del 
trattato  di  Fontainebleau  degli  1  i,  fra  le 
potenze  alleate  e  Napoleone,  per  aver  que- 
sti rinunziato  per  se  e  suoi  discendenti,  co- 
me pure  per  ciascuno  de'membri  di  sua 
famiglia,  a  qualunque  diritto  di  sovrani- 
tà e  di  dominio  sul  regno  d'Italia.  Dice 
di  Eugenio  il  Coppi:  Fece  tentativi  per 
avere  il  regno  d'Italia,  della  di  cui  divi- 
sione avea  trattatocon  Murat,  quandori- 
voltato  contro  Napoleone  lo  combatteva. 
Che  dopo  la  caduta  di  Napoleone,  il  re- 
gno Italico  restò  abbandonato  alle  pro- 
prie forze,  bensì  ragguardevoli,  ma  in- 
sufficienti a  sostenerlo;  ed  Eugenio,il  qua- 
le da  principio  con  modi  graziosi  uniti 
alla  fama  militare  e  alla  civile  prudenza, 
erasi  procacciato  l'alletto  di  molti,  dive- 
nuto poi  burbero,  parziale  de' francesi  da' 


4«  V  EN 

quali  era  circondato,  e  disprezzato! e  de- 
gl'italiani,  si  era  infine  concitata  un'av- 
versione quasi  generale.  Che  Napoleone, 
nel  ricordato  trattato  colle  potenze  ,  a- 
veva  pattuito  ridursi  a  un  milione  I'  as- 
segnamento all' imperatrice  Giuseppina, 
morta  poi  a'29  del  seguente  maggio,  ed 
al  figlio  di  lei  Eugenio  fosse  dato  un  con- 
veniente stabilimento  fuori  di  Francia;  il 
quale  poi  fu  risoluto  in  cinque  milioni 
di  franchi,  che  gli  pagò  il  re  delle  due  Si- 
cilie, e  nella  conservazione  dell'appannag- 
gio statuito  precedentemente  neliBio  da 
Napoleone  d'una  rendita  d'un  milione  di 
lire,  per  la  maggior  parte  formato  co'be- 
ui  ecclesiastici  delle  Marche,  per  cui  con- 
venne a  Pio  VII  darglieli  in  enfiteusi,  con 
]audemio  e  annuo  canone  ,  però  riser- 
vandosi redimerli,  il  che  fu  gloria  di  Gre- 
gorio XVI.  Del  resto,  il  principe  Euge- 
nio si  ritirò  in  Baviera  presso  il  suocero 
Massimiliano  1,  il  quale  nel  18  17  gli  con- 
ferì i  titoli  di  duca  di  Leuchtenberg,  di 
principe  d'Eichstadt,  e  di  altezza  reale  : 
dichiarò  la  sua  casa,  la  prima  della  mo- 
narchia bavarese,  e  il  rango  immediato 
presso  i  principi  della  famiglia  reale.  11 
principe  Eugenio,  dicesi  ch'ebbe  una  ren- 
dita di  sei  milioni ,  fu  magnifico  ed  e- 
conomo,  e  morì  a  Munich  a' 21  o  26 
febbraio  (altri  vogliono  24  settembre) 
1824.  1  suoi  figli  s'imparentarono  col- 
le corti  di  Svezia  ,  Russia  ,  Portogallo , 
Brasile  ec,  ne'quali  articoli  ne  parlai.  Fu 
erede  di  sua  madre;  e  dalla  sua  sorella 
Ortensia  regina  d'  Olanda,  e  moglie  di 
Luigi  fratello  di  Napoleone,  nacque  il  re- 
gnante imperatore  de'francesi  Napoleone 
111.  Eurico  XV  principe  di  Reuss-Plauen, 
continuò  per  l'Austria  a  governare  prov- 
visoriamente Venezia  eie  provincie  ve* 
liete,  colle  leggi  e  colle  forme  italiche.  In- 
tanto, adunatosi  il  famoso  congresso  di 
T  ienna  (V.),  per  ristabilire  le  auliche  so- 
vranità e  regolare  1'  equilibrio  politico 
d'Europa,  oltre  altri  affari,  si  riconobbe 
dovere  1'  Austria  essere  forte  e  in  istato 
di  poter  facilmente  soccorrere  i  suoi  sia- 


V  EN 
bilimenti  d'Italia,  per  opporsi  da  questa 
porte  all'eventuale  ambizione  della  Fran- 
cia, onde  fra  le  altre  cose  si  con  venne:  Che 
ricuperasse  tutta  le  provincie  chea  vea  ce- 
duto co'trattati  di  Carnpoformio,  di  Lu- 
nedile, di  Presburgo,  di  Fontainebleau 
e  di  Schònbiunn.  Perciò  in  Italia  aves- 
se nuovamente  Milano,  Mantova,  e  tut- 
ti gli  stati  veneti  di  Terraferma.  Possedes- 
se inoltreqnalunque  altro  territorio  com- 
preso fra  il  Ticino,  il  Po  e  il  mare  Adria- 
tico. Ebbein  tal  guisa  alcuni  distretti  sul- 
la riva  sinistra  del  Po,  che  anticamente 
appartenevano  a  Panna  e  al  Ferrarese; 
ed  inoltre  le  valli  di  Valtellina,  di  Bor- 
mio e  di  Chiavenna  ,  ed  i  territori!  che 
una  volta  formavano  la  repubblica  di  Ra- 
gusi.  Già  l'imperatore  Francesco  I  sino 
da'7  aprile  1  8  i5avea  pubblicato  una  leg- 
ge fondamentale  con  cui  in  sostanza  di- 
spose. »  In  conseguenza  de'  trattati  con- 
clusi restare  in  perpetuo  incorporate  al- 
l'Impero Austriaco  le  provincie  Lombar- 
de e  Venete,  come  anche  la  Valtellina, 
eie  contee  di  Chiavenna  e  di  Bormio.  Per 
consolidare  poi  i  vincoli  al  suo  impero,  e- 
rigere  queste  provincie  in  Regno  col  ti- 
tolo di  Lombardo-Veneto.  Si  conservas- 
se l'antica  Corona  di  ferro  come  corona 
di  questo  regno;  ed  i  suoi  successori  do- 
vessero colla  medesima  essere  coronati 
al  loro  avvenimento  al  trono.  L'  ordine 
della  Corona  di  ferro,  regolato  con  nuo- 
vo statuto  ,  essere  ammesso  fra  gli  altri 
ordini  equestri  della  Casa  imperiale.  Si 
sarebbe  in  questo  nuovo  regno  fatto  rap- 
presentare da  un  viceré.  Per  agevolarne 
poi  l'amministrazione,  il  medesimo  fosse 
diviso  in  due  governi  separati  dal  Min- 
cio. Ogni  governo  fosse  diviso  in  provin- 
cie, e  queste  suddivise  in  distretti  e  comu- 
ni. Per  conoscere  poi  i  desiderii  e  i  biso- 
gni degli  abitanti ,  e  per  mettere  a  pio- 
fìtto  uella  pubblica  amministrazione  i  lu- 
mi ed  i  consigli  che  i  loro  rappresentanti 
potessero  somministrare  a  vantaggio  del- 
la patria,  aver  determinato  d'erigere  col- 
legi permanenti,  composti  di  varie  classi 


V  E  M 

d'individui  nazionali. Per taleeifetto  sareb- 
bero istituite  tluc  congregazioni  centra 
li,  in  Milano  (capitale  delle  provinole  lom- 
barde), ed  in  Venezia  (capitale  delle  pro- 
vincie  venete),  ed  in  ogni  provincia  sa- 
rebbe creata  una  congregazione  provin- 
ciale cbe  risiedesse  nel  capoluogo  ".  Nel 
dì  seguente  8  aprile,  avendo  l'imperato- 
re ordinato ,  clie  non  fosse  prorogato  il 
solenne  omaggio  di  fedeltà  e  di  sudditan- 
za da  prestargli  dagli  abitanti  del  nuo- 
vo regno,  a  questo  effetto  mandò  subito 
in  Italia  il  fratello  arciduca  Giovanni,  co- 
me suo  commissario  plenipotenziario. 
Non  era  intempestiva  quella  sollecitudi- 
ne,  poiché  pubblicata  dal  redi  Napoli 
Murat  l'ambiziosa  voglia  d'impadronirsi 
d'Italia  e  di  farsi  grandissimo,  sotto  colo- 
re di  proclamare  l'unione  e  l'indipenden- 
za d'Italia  quale  uazione,  dichiarata  guer- 
ra all'Austria, marciò  con  4o>ooo  uomi- 
ni e  60  cannoni  verso  i  paesi  veneti,  e  in 
brevissimo  tempo  giunse  al  Po, investen- 
do a'7  aprile  il  ponte  d'Occhiobello,  ma 
ripetutamente  respinto,  ne'primidi  mag- 
gio restò  sconfitto  dagli  austriaci  presso 
Macerata  e  Tolentino.  Ciò  accadeva  men- 
tre a'3  maggio  in  Venezia  si  giurava  so- 
lennemente ubbidienza  e  fede  all'impe- 
ratore Francesco  1  ,  nelle  mani  dell'  ar- 
ciduca Giovanni,  circondato  dall'aureola 
de'  suoi  fasti  militari ,  da  tutti  i  rappre- 
sentanti de'paesi  veneti,  essendo  allora 
governatore  di  Venezia  il  conte  Pietro 
di  Goess.  L'omaggio  più  formalmente  si 
celebrò  nella  basilica  di  s.  Marco  a'7,  al 
modo  narrato  dal  Mutinelli,  con  allocu- 
zioni e  discorsi  della  circostanza,  termi- 
nandosi col  Te  Deuni,  e  cou  largo  getti- 
to fatto  dall'arciduca  dall'esterna  loggia 
del  palazzo  de' dogi  alla  moltitudine,  di 
monete  argentee  appositamente  coniate 
del  valore  d'una  lira  italiana;  indi  nel- 
l'antica sala  de  banchetti  dogali,  convitò 
tutti  i  rappresentanti  delle  provincie  ,  e 
la  pubblica  allegrezza  si  compì  con  altri 
festeggiamenti.  L'imperatore  poi,  in  con- 
formità delle  promesse  fatte  dall'areidu- 
vol.  xeni. 


VEN  49 

ca  fratello,  reduce  dall'aver  co'suui  allea- 
ti vinto  l'ultimo  tentativo  fatto  da  Napo- 
leone a  Vaterloo,  per  la  1.*  volta  onoiò 
di  sua  presenza  il  veneto  territorio,  giun- 
gendo a  Bassano  la  sera  de'  29  ottobre 
i8i5coirimperatriceMaria  Luigia  d'E- 
ste,  fra  le  festevoli  dimostrazioni  di  quel- 
l'ameno paese,  saggio  delle  maggiori  con 
cui  Venezia  l'onorò.  Penetrata  questa  dal 
più  vivo  entusiasmo,  esultante  l'incon- 
trò a'3  i  ottobre  a  Lizza-Fusina,e  per  la 
Laguna  con  treno  di  splendidissime  pen- 
te e  bissone,  seguito  dagli  arciduchi  Fer- 
dinando III  granduca  di  Toscana  e  Fran- 
cesco IV  duca  di  Modena,  e  Ferdinando 
e  Massimiliano  suoi  fratelli,  come  pure 
dal  celebre  e  benemerito  principe  Cle- 
mente Lotario  di  Mettermeli,  oltre  altri 
eminenti  personaggi.  L'augusto  volle  co- 
noscere i  bisogni  tutti  de'  nuovi  sudditi, 
visitò  gli  edilizi  più  cospicui,  e  tra'festeg- 
giamenti  de'giubilauti  veneziani, ricorde- 
rò la  cuccagna  sulla  piazza  di  s.  Marco, 
il  notturno  corso  di  barche  nel  Canal 
grande,  la  regata,  ed  un  magnifico  ballo 
mascherato  nel  teatro  della  Fenice  (nel 
quale  l'imperatore  e  l'imperatrice  volen- 
do onorare  l'antico  uso  veneziano  di  ma- 
scherarsi, presentavasi  ih.°  in  tabarro  e 
bauta,  la  2."  in  vesta  e  zendà).  Per  la  i  .a 
volta  s'illuminò  a  disegno, seguendo  l'or- 
dinearchitettonico  delle  meravigliose  fab- 
briche ,  la  piazza  di  s.  Marco  ;  si  addob- 
barono sontuosamente  le  botteghe  della 
Merceria;  altro  festino  fu  ripetuto  nella 
sala  de'banchetli  del  palazzo  ducale;  si 
vararono  il  Cesare  e  \>AugustaJ  vascel- 
lo il  i.°  di  74  cannoni,  fregata  la  2/  A- 
vendo  1*  imperatore  ricuperato  i  tesori 
d'arte  e  di  scienze  involati  da'  repubbli- 
cani francesi,  volle  che  alla  sua  presen- 
za si  restituissero  i  4  famosi  cavalli  di 
bronzo  al  sito  loro,  nel  dì  anniversario 
del  rapimento  a'i3  dicembre,  con  gran- 
dissima festa  e  grida  di  pubblica  gioia. 
Partì  5  giorni  appresso  per  Padova,  ac- 
coltovi in  trionfo,  e  dalle  venete  provin- 
cie si  condusse  alle  lombarde  per  Le- 
4 


So  V  E  JN 

gnago.  Nel  1816  le  città  ili  Venetia,  Ve- 
rona, Viceirza,  Padova,  Uiline  e  Treviso 
fiimno  ciascuna  decorate  evi  titolo  di  AY- 
giet  col  diritto  d'aver  ognuna  un  rappre- 
setitante  presso  il  collegio  centrale  da  isti- 
Idi  ni  a  Venezia,  ed  uu  altro  da  stabilirsi 
in  ogni  città  principale  di  provincia ,  in 
conseguenza  della  surriferita  disposizio- 
ne. Nello  stesso  tempo  abolita  l'italica  de- 
nominazione di  dipartimenti,  si  riassun- 
se da'paesi  veneti  1'  antica  di  provincie, 
ripartite  nelle  seguenti  8:  Venezia,  Pa- 
dova, Polesine,  Verona,  Vicenza,  Trevi- 
so, Belluno,  Friuli.  Regie  pur  si  dissero 
le  città  di  Rovigo,  di  Deiluno,  di  Bassa- 
nò.  Ogni  provincia  fu  divisa  in  distretti 
e  quella  di  Venezia  in  8,  cioè  Venezia, 
Mestre,  Dolo,  Chioggia,  Loreo,  Ariano, 
s.  Dona,  Portogruaro.  In  altra  forma  si 
ordinarono  i  municipii ,  retto  quello  di 
Venezia  da  un  podestà  con  6  assessori. 
Fatto  il  novero  degli  abitanti  delle  pro- 
vincie venete  sommarono  ad  1,870,706. 
Si  accrebbero  notabilmeute  in  progresso 
a  seguo,  che  nel  §  XVI,  n.  1,  parlando  del- 
le statistiche,  potei  registrare  2,321,52.5 
abitanti,  llche  mostra  floridezza  e  benes- 
sere, non  ostante  i  rapili  dal  terribile  mor- 
bo cholera.  Mantenute  finalmente  o  mo- 
dificate le  leggi  relative  ai  pubblico  in- 
segnamento, erano  conservate  quelle  che 
miravano  allo  studio  delle  belle  arti.  In 
questa  guisa  dopo  20  anni  di  sovverti- 
menti e  di  guerre  continue,  si  giudicò  op- 
portuno di  promuovere  efficacemente, ol- 
tre le  belle  arti,  anche  le  necessarie  con 
incoraggiamenti  e  premi.  L'imperatore 
tornato  nelle  provincie  venete,  restò  af- 
flitto in  Verona  pei  la  pianta  perdita  del- 
l'imperatrice Maria  Luigia  d'Este,  avve- 
nuta a'7  aprilei  8 16,  oude  senza  pompa 
riparava  in  Venezia  accompaguato  dalla 
figlia  Maria  Luigia  moglie  dì  Napoleone 
rilegalo  a  s.  Elena  (di  cui  nel  voi.  XXXV, 
p.  120),  e  ristrettosi  in  Dio  piamente  as- 
sistè in  s.  Marco  alle  commoventi  cere- 
wonie  della  settimana  santa.  Finite  le  fe- 
ste di  Pasqua  e  rinfrancatosi  alquanto  l'a- 


VE  N 
nimo,  lo  rivolse  a  beneficar  Venezia,  e 
volle  tosto  rialzato  sulla  Piazzetta  il  Leo 
ne  alato,  ritornato  da  Parigi,  ed  a  bear- 
si nel  veder  reintegrata  la  città  de'capo- 
lavori  del  veueto  pennello,  e  de'  preziosi 
libri  ecodici;  quiudi  paiù,e  dovettero  an- 
che gli  altri  luoghi  rispettare  il  lutto,  con 
astenersi  da  allegre  dimostrazioni.  Nelle 
provincie  già  componenti  la  repubblica 
di  Venezia  le  cose  ecclesiastiche  erauo  ri- 
maste sconcertate  perchè  Napoleone,  co- 
me narrai,  avrebbe  voluto  estendere  al- 
le medesime  il  concordato  del  regno  Ita- 
lico, e  per  conseguenza  nominare  a' ve- 
scovati, alcuni  de' quali  erano  riservati 
alla  s.  Sede.  All'opposto  Pio  VII  era  fer- 
mo nel  principio  che  la  giurisdizione  ec- 
clesiastica non  cambia  secondo  le  vicen- 
de politiche.  Uniti  que'dominii  all'impe- 
ro d'Austria,  si  concertò  la  cosa  che  l'im- 
peratore Francesco  I  chiedesse  il  privile- 
gio di  nominare  alle  chiese  patriarcali, 
arcivescovili  e  vescovili  tanto  delle  pro- 
vincie venete  che  di  Piagusi ,  ed  il  Papa 
difatti  lo  concesse  tantoa  Francesco  Iche 
a'suoi  successori  cattolici.  Fu  bensì  sog- 
giunto che  »  la  nomina  si  facesse  nel  tem- 
po stabilito  dal  diritto  canonico,  ed  i  no- 
minali per  ottenere  l'istituzione  canoni- 
ca dovessero  adempire  a  tutte  quelle  co- 
se alle  quali  per  legge  e  consuetudine  e- 
rano  obbligali.  La  bolla  d'indulto  diret- 
ta all'imperatore  Francesco  1,  Niìdl  Ro- 
mani Pontifìces,  de'3o  settembre  1817, 
si  legge  nel  Bull.  Rom.  cont.  t.  14,  p. 
389.  Addolorata  Veuezia  per  l'anteriori 
pioggie  e  patito  contagio  del  tifo  (nel  1 8 1 8 
co'tipi  dell'  Andreola  pubblicò  il  profes- 
sore Federigo:  Le  costituzioni  de  tifi,  che 
predominarono  in  Venezia  negli  anni 
1 80 1,1806,181 3, 1814  e  181 7),  a'6  ot- 
tobre dello  stesso  1 8 1 7  un  Basilio  Caievich 
vi  portava  la  peste,  da  Cavalla  città  della 
Romelia;  ma  per  merito  delle  sanitarie 
provvidissime  precauzioni,  dopo  alcune 
vittime,  rimase  vinta  nell'isola  del  Laz- 
zaretto vecchio  ov'  erasi  sviluppata,  ces- 
sando l'allarme  della  città,  e  ne  ragiona 


V  EN 

il  Federigo  nella  Topografìa  fisico-me- 
dica della  città  di  Venezia.  A  sì  tristi  av- 
venimenti,nel  1 8 1 8  successero!  lietissimi, 
della  nomina  a  viceré  del  regno  Lombar- 
do-Veneto dell'inclito  e  umanissimo  ar- 
ciduca Giuseppe  Ranieri;  e  del  nuovo  ma- 
ritaggio dell'imperatore  Francesco  I  con 
Carolina  Augusta  figlia  di  Massimiliano 
I  re  di  Baviera,  a  cui  le  proviucie  vene- 
te fecero  quell'artistico  e  nobile  dono  spo- 
sereccio,  che  descrive  il  cav.  Mulinelli  e 
l'opuscolo:  Omaggio  delle  Provincie  Tre- 
nete  alla  Maestà  di  Carolina  Augusta 
imperatrice  d'Austria,  Venezia  tipogra- 
fia  Alvisopoli  1 8 1 8.  Indi  gì'  imperiali 
coniugi  onorarono  Venezia  di  loro  presen- 
za da' 17  a'27  febbraio  1819,  seguiti  da 
splendida  corte,  sotto  il  modesto  titolo  di 
duca  e  di  duchessa  di  Mantova,  e  ricrea- 
tisi per  alquanti  dì  nelle  giovialità  del 
carnevale,  sempre  in  Venezia  brillante, 
proseguirono  il  viaggio  per  Toscana,  Ro- 
ma (che  spese  circa  400,000  scudi, dice 
il  Coppi),  e  Napoli,  e  riuscì  una  continua 
festa  trionfale:  per  Perugia,  Firenze  e  il 
Veneziano  ritornarono  in  Germania.  Sul 
principio  del  1819  la  polizia  del  regno 
Lombardo- Veneto  scoprì  che  nella  pro- 
vincia del  Polesine  sin  dal  18  1 7  si  era  in- 
trodotta la  Setta  de'  Carbonari.  Ne  arre- 
stò alcuni  soci,  e  dall'apposita  commissio- 
ne stabilita  nell'isola  di  s.  Michele  di  Mu- 
rano, nel  1821  de'rei  d'alto  tradimento 
i3  furono  condannati  alla  pena  di  mor- 
te, che  però  dall'imperatore  fu  commu- 
tata in  quella  del  carcere,  altri  a  prigio- 
nia temporanea.  Osserva  il  Mutinelli  ch'e- 
rano tutte  persone  di  verun  nome,  e  ap- 
partenenti a  que'paesi  di  Rovigo  dal  con- 
gresso di  Vienna  tolti  al  Ferrarese,  non 
ostante  le  proteste  di  Pio  VII.  Frattanto 
nell'Italia  si  tornò  a  vagheggiare  l'indi- 
pendenza nazionale;  dopo  i  voti  d'indi- 
pendenza venivano  quelli  dell'unità,  al- 
cuni però  bramando  uno  stato  solo,  al- 
tri una  confederazione.  L'antico  spirito 
repubblicano  non  erasi  punto  estinto  col- 
la distruzione  delle  repubbliche  di  Ve- 


VEN  5i 

nezia,  di  Genova  e  di  Lucca,  e  molti  gio- 
vani studenti  concepirono  ammirazione 
per  l'antica  repubblica  romana,  e  brama 
di  vederne  il  ristabilimento  in  alcuna  del- 
le rivoluzioni  che  potessero  accadere.  Al- 
tri più  moderati  restringevano  i  deside- 
ri'! a  governi  misti,  denominati  comune- 
mente costituzionali.  Fra  tante  idee,  in- 
sorsero alcuni  audaci  che  azzardavano 
cospirare,  ed  altri  turbolenti  che  si  uni- 
vano in  società  di   Sette  segrete  e  pro- 
scritte, per  ottenere  colle  trame  quello 
che  non  potevano  conseguire  in  altri  mo- 
di. E  questi  ultimi  declamando,  invei- 
vano non  solo  contro  i  governi  assolu- 
ti, ma  eziandio  contro  il  clero,  massime 
regolare.  Da  tultociò  seguirono  grandi 
rivolgimenti  politici  nel  1820  nel  regno 
delle  due  Sicilie,  e  nel  seguente  anno  iu 
quello  di  Sardegna,  che  raffrenati  po- 
scia si  rinnovarono  dopo  quasi  un  decen- 
nio in  altri  slati.  Celebratosi  perciò  in 
Verona  il  congresso  con  diversi  sovra- 
ni nel  1822,  Francesco  I  termiuato  che 
fu  ambì  di  mostrare  egli  stesso  la  più 
bella  gemma  della  sua  corona,  Venezia, 
ad  Alessandro  I  imperatore  delle  Russie, 
ed  a  Ferdinando  1  re  delle  due  Sicilie, 
e  vi  si  trattennero  da'  1 2  al  26  dicembre. 
Neli824  considerando  l'imperatore  che 
dalla  diversità  del  calcolo  delle  varie  mo- 
nete che  circolavano  nelle  provincie, deri- 
vavano sensibili  pregiudizi  al   pubblico 
traffico,  e  conosciuta  la  necessità  d'un  si- 
stema monetario  uniforme  a  quello  degli 
altri  paesi  della  monarchia  austriaca, con 
decreto  de' 6  febbraio  venne  introdotto 
anche  fra' veneti,  col  cominciare  ad  aver 
corso  l'argentea  moneta  denominata  lira 
austriaca  e  divisa  ini 00  parti  chiamate 
centesimi.  Nel  1825  Francesco  1  volle  ri- 
vedere l'Italia  con  l'imperatrice,  e  farla 
ammirare  anche  agli  eccelsi  genitori  del 
Sire  che  ora  regna, cioè  il  suo  secondoge- 
nito arciduca  Francesco  Carlo  colla  di  lui 
moglie  l'arciduchessa  Sofia  Doroteo,essa 
pure  figlia  di  Massimiliano  I  re  di  Bavie- 
ra; indi  preceduto  dalla  duchessa  di  Par- 


52  V  L  N 

ma,  a'  o.C)  luglio  rivide  Venezia,  ove  lo 
raggiunsero  il  granduca  e  la  granduches- 
sa  eli  Toscana,  e  il  duca  di  Modena.  Ve- 
nezia fece  i  rallegramenti  consueti,  la  re- 
gata ,  la  distribuzione  di  60  doti  di  lire 
5oo  ciascuna,  ad  altrettante  povere  ed  o- 
neste  veneziane.  La  corporazione  de'mer- 
canti  poi  a'  28  luglio  volle  celebrare  in 
più  giulivo  e  vago  modo  [a  patria  festa 
detta  Sagra  di  s.  Alarla,  descritta  dal 
31  u tinelli.  Gli  augusti  j H  rsonaggi  lietissi- 
mi partirono  da  Venezia  a'9  agosto;  in» 
Docenti  gioie  muta  te  presto  in  amaro  com- 
pianto per  terribili  alluvioni,  e  violenta 
tempesta  de'9  dicembre.  Rallegrossi  pe- 
rò Venezia  con  vedere  esteso  a  tutta  la 
città  il  porlofranco  il  i.°  febbraio  i83o 
dalla  benignità  di  Francesco  l;e  nell'an- 
no seguente  per  l'esaltazione  alla  veneran- 
da cattedra  di  s.  Pietro  del  nobile  bellu- 
nese Gregorio  XVI,  che  per  lunghi  anni 
avendolo  ammirato  monaco  e  abbate  ca- 
maldolese del  monastero  di  s.  Michele  di 
Murano  in  isola,  e  conscia  dell'affetto  che 
le  portava,  loconsiderava  quale  cittadino, 
ed  egli  riguardava  Venezia  come  altra 
sua  patria,come  meglio  dirò  nel  seguente  e 
ultimo§  a  tale  epoca.  Delle  pubbliche  di- 
mostrazioni reciproche  del  Papa  e  de've- 
neziani,  abbastanza  ne  ho  parlalo  a'Ioro 
luoghi, principalmente  Gregorio  XVI  o- 
norandola  basilica  dis.  Marco,  il  patriar- 
ca e  il  podeslàjedandosegni  solenni  di  pa- 
terna predilezione  a  parecchi  veneziani, 
tutti  poi  riguardando  con  singolare  beni- 
gnità e  benevolenza.  Cose  tutte  celebrate 
anche  dall'annalista  orba no cav. Mulinelli 
degnamente.  Nel  1  83  1  scoppiò  la  rivolu- 
zione nel  ducalo  di  Modena  e  nello  Sta- 
lo pontifichi  per  i  precedenti  accennati 
fermenti  politici,  repressa  dalle  truppe 
austriache,  e  di  ciò  anco  in  questo  articolo 
tornai  a  parlarne, cioè  nel  voi.  XCI,p.  54-5 
e  548. Nel  regno  Lombardo-  Veneto  il  go- 
verno austriaco  attendeva  a'  pubblici  la- 
bori, e  specialmente  al  la  costruzione  orni- 
glioramento  di  strade  e  argini, e  di  canali 
di  navigazione.  Infausto  poi  riuscì  per  Ve- 


V  E  W 


netta  e  le  provinole  venete  il  1 835. Dappri- 
ma con  generale  compianto  moriva  l'a- 
mato e  venerato  imperatore  Francesco  I 
a*2  marzo,  il  quale  testando  lasciava  a' 
sudditi  il  suoamore,  all'esercito  isuoi  rin- 
graziamenti; luttuoso  avvenimento  che  fu 
profondamente  sentito  da  Venezia,  e  so- 
lennissimi  furono  i  funerali  a  lui  celebra- 
ti, ed  in  s.  Marco  il  cardinal  Menico  pa- 
triarca con  assai  commovente  orazione  ne 
disse  le  lodi.  Il  primogenito  Ferdinando 
1  gli  successe,  a  cui  Venezia  recò  a  piedi 
dell'imperiai  trono,  colle  condoglianze 
della  fatta  perdita,  l'omaggio  d'esultan- 
za del  suo  avvenimento  alla  corona  ,  in- 
sieme a'deputati  delle  venete  provinole. 
Ed  ecco  apparire  a  mezzo  settembre  per 
la  1.*  volta  nelle  provinole  venete,  e  per 
la1!."  in  quella  precisamente  di  Venezia 
la  desolante  e  micidiale  Pestilenza  del 
cholera,  che  già  avea  riempito  di  spaven- 
to e  di  stragi  altre  parti  d'Italia.  Penetrò 
l'orrendo  miasma  in  Ariano,  ed  a' 9  ot- 
tobre nella  stessa  Venezia,  e  nella  assai 
popolosa  contrada  di  s.  Pietro  di  Castel- 
lo, ed  immantinente  fu  sollecito  il  muni- 
cipio della  città,  dietro  le  istruzioni  avu- 
te dal  governo,  a  prendere  gli  opportu- 
ni provvedimenti,  riferiti  dal  Mulinelli. 
Egli  osserva,  Venezia  che,  per  la  topo- 
grafica sua  posizione  e  per  la  miseria  di 
molti  suoi  abitatori,  sembrava  favorevol- 
mente disposta  ad  offrire  doloroso  pasco- 
lo alla  terribile  malattia,  Venezia  in  con- 
fronto di  altre  men  popolate  città,  e  che 
si  trovavano  solto  ogni  aspetto  in  eccel- 
lenti condizioni,  non  ne  fu  che  mediocre- 
mente afflitta;  in  grazia  dell'implorato  di- 
vino aiuto,della  possente  intercessione  del- 
la B.  Vergine  della  Salute,  e  per  tutte  le 
provvidenze  e  lodevoli  azioni  di  benefi- 
cenza, zelo  edificante  del  clero  e  de'pre- 
posti  al  pubblico  soccorso.  Il  flagello  non 
ebbe  propriamente  fine  che  a'3  ottobre 
1837,  senza  che  però  nell'ultimo  perio- 
do, tanto  a  Venezia  quanto  nelle  provin- 
ole, vestisse  il  carattere  epidemico,  scio- 
gliendosi da  ultimo  con  alcuni  di  que'ca- 


YEN 

ài  delti  sporadici.  Dice  Io  stesso  patrio  sto- 
rico. Popolate  le  8  provincie  venete  da 
3,075,970  abitanti,  43?4^2  ne  ammala- 
rono, 23,357  si  salvarono,  20, 1 2  3  ne  mo- 
rirono (il  cav.  Coppi,  dice  che  Venezia 
nel  i835  ebbe  359  v*tume).  Come  ebbe 
termine  il  malore  crudelissimo,  per  rico- 
noscenza a  Dio,  il  Comune  di  Venezia  de- 
cretò un  solenne  triduo  nel  tempio  di  s. 
Maria  della  Salute,  a'  1 8,  !  9  e  20  novem  • 
brei836,  e  il  dono  ad  esso  d'una  gran- 
de lampada  o  lumiera  d'argento,  mera- 
viglioso lavoro  del  veneziano  orefice  Fa- 
nro  dello  Burri,  sul  disegno  del  prof.  Giu- 
seppe Borsato.  In  tale  anno  per  altra 
sventura  a'  1  2  giugno  si  fece  sentire  il  ter- 
remoto con  forte  scossa,  allre  minori  ri- 
petendosi a'21  giugno  ed  a' i  5  luglio,  più 
gagliarda  essendo  l'ultima  del  20  :  però 
senza  ninna  disgrazia,  dalle  quali  non 
andarono  esenti  diversi  infelici  luoghi  del- 
le provincie.  Da  lugubri  memorie  pas- 
sando alle  gioconde,  dirò  che  a'  io  set- 
tembre 1 838  l'imperatore  Ferdinando  I 
nel  duomo  di  Milano  fu  unto  re  del  re- 
gno Lombardo-Veneto,  e  coronato  colla 
corona  di  ferro,  Coronazione  di  Re,  con 
solenne  Convito,  che  descrissi  colle  loro 
particolarità  in  quegli  articoli,  insiemea- 
gli  ullìzi  esercitati  dal  patriarca  di  Vene- 
zia. Imperocché  narra  il  d.r  Gio.  France- 
sco Del  Bue,  Dell'origine  dell'Araldica, 
nobiltà,  titoli,  predicati  <V onore,  digni- 
tà e  cariche  di  corte  inslituite  nel  regno 
Lombardo -Feneto,  Lodi  1846,  pel  Wil- 
mant  (splendida  edizione),  allorché  l'im- 
peratore Francesco  I  eresse  tale  regno, 
pensò  altres'i  a  destinare  con  patente  de 
1  o  ottobre  1 8  1 5  de'grandi  uffiziali  per  l'i. 
r.  Corte  Lombardo-Veneta,  stabilendo  le 
dignità  d'un  gran  maggiordomo  maggiore, 
di  due  cappellani  della  corona,  d'un  gran 
ciambellano,  d'un  grande  scudiere,  d'un 
grande  siniscalco  peonie  accennai  ne'  voi. 
LXH.p. 9 1  ,LX1  II,  p.  25).Nell'art.  4  viene 
dello  che  le  funzioni  e  serifai  che  dovran- 
no prestare,  saranno  quelli  indicati  dalla 
ji>pelliva  carica  verso  il  sovrano,  allorché 


V  E  N  53 

comparisce  qua  1  redi  Lombardia  e  di  Ve- 
nezia,equesti  servizi  dovranuoessere  pre- 
stati nelle  proprie  mani  del  sovrano;  ma 
nella  patente  non  si  disse  della  qualità 
speciale  de'servizi  di  questi  dignitari,  che 
però  devono  giurare.  In  occasione  però 
della  coronazione  di  Ferdinando  I  in  re 
d'Italia  (sic),  furono  a  ciascun  dignitario 
assegnate  lerispettive  incumbenze  secon- 
do la  circostanza,  che  il  d.r  Del  Bue  de- 
scrive. Parlando  de'due  cappellani  della 
corona,  i  servigi  che  debbono  essi  pre- 
slare  sono  bastantemente  indicati  dalla 
slessa  loro  dignità.  L'arcivescovo  di  Mi- 
lano e  il  patriarca  di  Venezia  protempo- 
re  sono  i  cappellani,  e  la  loro  carica  è  vi- 
talizia, ed  inerente  ad  un'altra  dignità  ec- 
clesiastica, mentre  le  allre  cariche  non 
sono  che  meramente  personali.  Come  in 
seguito  Francesco  I  creò  altra  eminente 
oarica ,  col  titolo  di  gran  maestro  delle 
ceremonie,  cosi  Ferdinando  1  dipoi  nel 
1 84  '  aggiunse  quella  di  gran  dignitario 
del  regno  Lombardo- Veneto,  pel  tenen- 
temarescialloDeBartoletti,  capitano  del- 
la guardia  nobile  Lombardo  Veneta,  re- 
sideule  presso  la  cesarea  corte,  essendo 
tale  dignità  senza  denominazione  e  con- 
ferita come  inerente  alla  qualità  della 
rappresentanza.  Quel  corpo  fu  istituito 
colla  residenza  in  Vienna  nel  1840  dal 
medesimo  Ferdinando  I.  Le  succennate 
grandi  cariche  di  corte  diconsi  interne,  a 
differenza  delle  altre  minori  dette  ester- 
ne, che  sono  quelle  di  coppiere,  scalco  e 
scudiere,  per  le  quali  però  si  addomanda 
il  grado  nobile.  Ora  dunque,  Ferdinan- 
do I  volendo  religiosamente  tenere  la  pa- 
rola data  a'deputati  veneziani  di  recarsi 
dopo  que'riti  nelle  loro  provincie,  vi  giun- 
geva a'27  settembre  1 838,cioè  pochi  gior- 
ni dopo  l'incoronazione,  in  compagnia  del- 
l'imperatrice Maria  Anna(donata  daGre- 
gorio  XVI  r  lei  la  Rosa  d'oro  benedetta), 
prima  a  Verona ,  donde  per  Vicenza  e 
Padova,  da  per  lutto  festeggiato,  a'5  ot- 
tobre si  recava  per  Lizza-Fusina  a  Ve- 
nezia, con  quell'illustre  accompagnameli- 


S.{  VEN 

to  che  descrive  il  cav.  Mulinelli,  direnilo 
persino  dove  ciascuno  alloggiò.  Esso  si 
compose  degli  arciduchi  Francesco  Car- 
lo suo  fratello,  Giovanni,  Luigi,  Ranieri 
viceré  coll'arciduchessa  vice-regina  Ma- 
ria Elisabetta  di  Sardegna,  dell'  arcuiti- 
chessa  e  imperatrice  M.a  Luigia  duchessa 
di  Parma,  degli  arciduchi  Ferdinando  e 
Massimiliano d'Este, di  Francesco  IV  du- 
ca di  Modena,  del  principe  di  Mettermeli 
cancelliere  della  casa  imperiale,  della  cor- 
te e  dello  sthto  (oracolo  e  nestore  della 
diplomazia  europea  e  conservatore  della 
pace,  al  quale  in  testimonianza  di  grato 
animo  pel  suo  attaccamento  alla  s.  Sede, 
Gregorio  XVI  inviò  in  dono,  con  breve 
pieno  di  benevole  e  onorevolissime  espres- 
sioni, per  le  sue  grandi  benemerenze,  un 
sontuosoaltare,  composto  di  preziosi  mar- 
mi, adornodi  metalli  di  squisito  lavoro  ro- 
mano, ed  arricchito  di  molte  insigni  reli- 
quie; allarechedal  principedi  Mettermeli 
fu  collocato  in  una  magnifica  chiesa  dalla 
sua  pietà  edificata.  Morto  il  Papa,  il  prin- 
cipe per  divozione  mi  fece  domandare  li- 
na di  lui  Scarpa;  ed  io  con  mia  iscrizio- 
ne gli  mandai  una  di  quelle  indossate  da 
Gregorio  XVI  nel  duplice  abboccamen- 
to con  Nicolò  I  imperatore  delle  Russie; 
quindi  a  lode  eterna  del  Papa  e  del  prin- 
cipe, lutto  dichiarai  ne'due  ricordati  ar- 
ticoli), del  conte  di  K.ollowratLiebstein- 
sky  ministro  di  stato,  del  conte  Clam- 
Martinilz  aiutante  generale  dell'impera- 
tore, del  consigliere  aulico  Gerway,  del 
corpo  diplomatico  con  alla  testa  mg.r  Lo- 
dovico Altieri  arcivescovo  d'Efeso  nunzio 
apostolico  (che  il  cav.  Giuseppe  Battag- 
gia  console  pontificio  decorosamente  al- 
loggiò nella  casa  di  sua  proprietà  adia- 
cente alla  sua  tipografia  Emiliana  ),  in- 
clusivamente  all'  inviato  straordinario  e 
ministro  plenipotenziario  dell'ordine  so- 
vrano Gerosolimitano  conte  di  Kheveu- 
huller-Metsch,  ed  all'ambasciatore  di 
Turchia  Rifaat  bey.  Inoltre  il  cav.  Mu- 
linelli compilò  e  scrisse  a  parte,  e  grazio- 
samente mi  donò:  Dell'  avvenimento  di 


VEN 
S.  RI  I.  R.  A.  Ferdinando  hV  Austria  in 
Venezia,  e  delle  civiche  solennità  d'al- 
lora; narrazione  di  Fabio  Midinetti, 
disegni  di  Giovanni  Pividor,  Venezia  co' 
tipi  del  Gondoliere  1 838.  L'elegante  e- 
dizione  diiooo  esemplari,  con  bellissime 
litografie,  si  eseguì  a  spese  del  podestà 
conte  Correr,  gratuitamente  operò  il  cav. 
Mulinelli ,  ed  il  baron  Pascotini  presi- 
de della  commissione  dirigente  gli  asili 
per  l'infanzia,  consigliò  a  volgerne  il  lu- 
cro a  vantaggio  di  quella  pia  istituzione. 
All'  annunzio  dell'arrivo  dell'imperatore 
dimenticandosi  Venezia  de'secoli  passati 
e  delle  patite  sciagure ,  faceasi  a  festeg- 
giare l'avventuroso  avvenimento  in  tut- 
ta la  possibile  pompa  e  de'  migliori  suoi 
vestimenti  abbigliata,  che  per  la  memo- 
ria delie  abitudini  antiche,  ben  sapeva 
Venezia  in  qual  foggia  dovesse  apparire. 
Quindi  appariva  all'  imperiale  cospetto 
tutta  ornata  e  decorosa  ,  quasi  matrona 
rispettabile  »  che  sebben  oppressa  da  an- 
ni, ed  afflitta  da  sventure,  non  ricusa  di 
lasciare  per  alcun  tratto  l'abituale  ritiro 
qualora  grande  ed  illustre  fatto  lo  esiga. 
Innalzato  a  Lizza-Fusina  dalla  tesoreria, 
al  margine  della  Laguna,  un  assai  gran- 
de e  ricco  padiglione  per  il  momentaneo 
ricevimento  delle  auguste  persone,  appre- 
stato ad  uso  loro  dal  popolo  un  naviglio, 
il  quale  più  che  naviglio  era  un  ritondo 
tempio  galleggiante^  magnifico  ad  un  tem- 
po e  gentile,  circondato  da  bissone  e  da 
peote  ornate  di  varie  guise  di  oro  e  di 
seta,  di  fiori,  di  piume  e  di  arzigoghi  (os- 
sia con  invenzioni  fantastiche  ),  seguito 
da  grandi  lancie,  da  gondole,  da  battelli 
e  da  liuti  abbelliti  di  pennoncelli,  di  ban- 
diere, di  rami  di  ulivo,  di  mortella  e  di 
alloro,  fu  assai  solenne  e  pressoché  trion- 
fale l'ingresso  di  Ferdinando  I  in  Venezia 
(il  ceremoniale  dell'  ingresso  solenne,  il 
Mulinelli  lo  riporta  negli  Annali  Urba- 
ni3  ove  leggo  che  in  s.  Marco  il  cardinal 
Monico  patriarca  di  Venezia  presentò  al- 
l'imperatore e  all'imperatrice  l'acquasan- 
ta, da  cui  e  dal  clero,  dopo  il  Te  Deum, 


V  EN 

furono  accompagnati  sino  alla  porta -.se- 
gue il  prospetto  delle  feste,  ceremonieec, 
ch'ebbero  luogo  uè*  giorni  della  dimora 
degl'imperiali  coniugi),  non  meno  poi  so- 
lenni essendo  stati  gli  spettacoli  offertigli 
a  riprese  dal  popolo, e  di  una  cantata  nel 
teatro  della  Fenice,  e  di  una  regata  nel 
Canal  grande ,  e  di  una  tombola  nella 
piazza  di  s.  Marco,  e  di  una  luminaria  a 
disegno  delle  fabbriche  tutte  della  piazza 
slessa,  e  di  un  cittadinesco  baccanale  so- 
pra la  spiaggia  del  Lido".  Segui  poi  l'in- 
augurazione e  reposizione  solenne  della 
l«*  pietra  della  costruzione  della  diga  a 
vantaggio  del  porlo  di  Malamocco ,  di* 
scorsa  nella  descrizione  di  quell'isola.  Nel 
dì  seguente! 4  ottobre  si  tenne  nel  palaz- 
zo ducale  ili.°  solenne  capitolo  del  nuo- 
vo cavalleresco  ordine  austriaco  della  Co- 
rona di  ferro,  e  una  nuova  ordinazione 
di  cavalieri.  L'imperatore  essendo  vesti- 
to da  gran  maestro  dell'ordine,  sedeva 
in  trono,  lateralmente  al  quale  in  tribu- 
ne presero  luogo  le  auguste  persone,  il 
corpo  diplomatico,  i  grandi  della  corte,  i 
nobili  e  altri  ragguardevoli  personaggi. 
Era  l'imperatore  circondato  da'ca valle- 
li  del  medesimo  ordine  vestiti  colie  pro- 
prie vesti  nobili.  Prestato  da  quest'ulti- 
mi il  giuramento  di  uso,  ricevevano  dal- 
le mani  imperiali  i  cavalieri  di  i  .a  e  2.a 
classe,colla  piattonata  e  coll'accollata,l'in- 
segne  dell'ordine.  In  quell'istante  Venezia 
e  le  veneziane  provincie  vedevano  creati 
cavalieri  i  personaggi  riferiti  dalMutinelli: 
io  mi  contenterò  di  solamente  registrare: 
di  i  .*  classe,il  cardinal  Monico  patriarca  di 
Venezia,  e  Giovambattista  conte  di  Spaur 
governatore;  di  2.a  classe  Francesco  baro- 
ne di  Galvagna  presidente  del  magistrato 
camerale;  di  3. 'classe  il  conte  Correr  pò- 
deslà  di  Venezia  e  il  vice-delegato  baron 
Pascotini,  il  nobile  Diedo  segretario  del- 
l'accademia delle  belle  arti,  e  l'ab.  Betlio 
bibliotecario  della  Marciana.  Terminato 
il  solenne  rito,  preceduto  da  numeroso 
corteggio,  l'imperatore  passava  nell'ali t*a 
amplissima  sala  detta  del  Maggior  Con- 


VEN  $5 

siglio  (in  quella  stessa  cioè,  ov'era  «tato 
trattato  a  pubblicoconvito Enrico  IH  nel 
i  564; edove  mancandoli  governo  al  pò- 
polo,  a' 12  maggio  1797  erasi  dichiarata 
cessata  la  repubblica  di  Venezia  ,  dopo 
XIV  secoli  di  gloriosa  esistenza;  per  cui 
in  quel  punto  scorsero  per  la  mente  di 
alcuno  fauste  e  tristi  memorie),  per  ivi 
regiamente  banchettare,  al  suono  di  lie- 
tissime sinfonie,  i  cavalieri,  compiacen- 
dosi il  Sire  di  sedere   a  separata  mensa 
sotto  aureo  baldacchino.  I   graziosissimi 
disegni  litografici  delle  feste  civiche  date 
da' veneziani  in  questo  lietissimo  avveni- 
mento ali'  imperatore  e  all'imperatrice, 
rappresentano  egregiamente:  il  magnifi- 
co padiglione  inualzato  a  Fusina  al  mar- 
gine della  Laguna  pel  ricevimento  e  im- 
barco dell'imperiali  maestà,  invenzione  di 
Giambattista  Meduna;  il  navìglio  galleg- 
giante elegantissimo  in  forma  di  rotondo 
tempio,  invenzione  del  prof.   Giuseppe 
Borsaio;  quattro  nobilissime  bissone,  cia- 
scuna con  8  rematori,  del  municipio,  e- 
sprimenli  l'impero  Austriaco,  ed  i  regni 
d'Ungheria,  di  Boemia,  e  del  Lombardo- 
Veneto,  vestendone  i  remiganti  le  foggie 
(due  altre  bissone  parimenti  nobilissime 
erano  del  conte  Correr  podestà,  e  de'fra- 
telli  conti  Andrea  e  Pietro  Giovanelli,  la 
1  .a  come  le  precedenti  invenzione  del  prof. 
Borsato,  la  2.a  del  prof.  Francesco  Wuco- 
vich   Lazzari  ;  di   più,  altre   magnifiche 
bissone  apprestarono  il  conte  Giovanni 
Papadopoli,  ed  i  nobili  fratelli  Jacopo  e 
Isacco  Treves,  pure  invenzione  del  valen- 
te Borsato;  per  non  dire  de'maestosi  sca- 
lè, e  delle  grandi  e  adornatissime  peote 
del  cleroede'magistrati,  non  che  del  cor- 
po rappresentante  le  provincie  e  le  città 
venete,e  de'mercanti);  la  imponente  e  ma- 
gica regata  ,  colla  veduta  magnifica  del 
Caual  grande;  il  mirabile  e  singolare  ar- 
co eretto  da  Murano  all'imboccatura  del 
canale  de' Vetrai  di  Murano,  meraviglio- 
so pe'suoi  ornamenti  dicauuuccie  di  fra- 
gilissimo vetro,  invenzione  del  muranese 
Giuseppe  Zanetti;  la  funzione  per  la  coi- 


$8  VEN 

locazione  della  i.*  pietra  nella  diga  di  Ma- 
lamoeco;  la  sorprendente  notturna  illu- 
minazione a  disegno  delle  superbe  fab- 
briche dell'istorica  piazza  di  s.  Marco;  la 
festa  popolare  d*  un  lunedì  di  settembre 
al  Lido,  con  padiglione  a  pagode  foggia- 
to per  godere  gl'imperiali  coniugi  e  le  al- 
„  Ire  auguste  persone  i  sollazzi  del  plau- 
dente popolo.  Posseggo  ancora  :  Feste 
celebrale  in  occasione  del  soggiorno 
Mie  LL.  SS.  IL  RR.  A  A.  MM.  in  Ve- 
nezia, Giuseppe  Deve  litografo  editore 
e  proprietario  in  Venezia.  Consistono  i 
disegni  eleganti  di  questa  premiata  li- 
tografia, oltre  la  vignetta  del  frontespi- 
zio esprimente  la  galleggiante,  in  quel- 
li che  rappresentano  V Ingresso  dell'im- 
periai coppia  in  Venezia  dalla  parte  del- 
la Piazzetta  sotto  baldacchino  ;  la  Rega- 
ta sul  Canal  grande;  la  Festa  di  ballo 
alla  Fenice  in  maschera,  con  l'interno 
illuminato  del  teatro  ;  1'  Illuminazione 
della  piazza  di  s.  Marco.  Sono  i  bei  di- 
segni di  Tommaso  Viola,  Giovanni  Ri- 
vidor,  e  Gaetano  Nap.  Valei  j.  La  par- 
te illustrativa,  di  egregia  penna,  contie- 
ne la  prefazione,  e  le  belle  descrizioni 
dell'ingresso,  della  regata,  del  ballo  ma- 
scherato (cavalchina)  nel  gran  teatro  del- 
la Penice,  dell'illuminazione  della  piaz- 
za ili  s.Marco,della  fondazione  della  diga 
di  Malamocco.  AbbandonataVenezia  dal- 
l'imperatore e  dall'imperatrice,  e  dagli 
altri  eccelsi  personaggi,  nel  mattino  de'  1 8 
ottobre,  per  Treviso  e  Udine,  per  la  via 
di  Pontebba  ritornarono  alle  terre  ger- 
maniche. Questo  fausto  avvenimento  co- 
sto  alle  provincie  venete  lire  3,o3o,yi6, 
comprese  le  somme  destinale  sia  in  ma- 
nifestazione di  pubblica  esultanza,  sia  per 
alti  transitori'!  di  beneficenza,  sia  per  isti- 
tuti da  attivarsi  o  da  sovvenirsi.  La  sola 
Venezia,  Chioggin  e  le  Comuni  foresi  spe- 
sero lirei,3cp,4fic).  Non  contenti  di  tut- 
tociò  i  veneziani  mnnicipii  ,  unitamente 
a'Icmhaidi,  din  «ero  e  ottennero  di  po~ 
U\  iustiluire  una  guardia  nobile,  forma - 
di  giovani  delle  più  delti  l uiiiglic  del- 


VEN 

le  provincie,  da  mantenersi  dalle  prò  fin* 
eie  stesse  perennemente  a  Vienna  per  la 
custodia  della  persona  dell'imperatore,  e 
per  quella  dell'imperiai  famiglia.  L'  im- 
peratore retribuii  tante  affettuose  e  so- 
lenni dimostrazioni  d'  esultanza  e  di  di- 
vozione, con  dichiarare  la  più  benigna  e 
grata  soddisfazione,  e  col  fondare  in  Ve- 
nezia l'Istituto  di  scienze,  lettere  ed  arti, 
e  coli' ordinare  che  due  delle  reali  inse- 
gne che  aveano  servito  all'incoronazione 
di  lui  qual  re  del  regno  Lombardo-Ve- 
neto, lo  scettro  e  il  globo  fornito  di  bril- 
lanti sceltissimi,  di  lavoro  viennese,  ve- 
nissero depositate  nel  tesoro  della  basili- 
ca di  s.  Marco, come  già  notai  parlando- 
ne, per  esservi  in  perpetuocustodite  a  cu- 
ra del  patriarca  e  di  quel  capitolo.  Innal- 
zò pure  l'imperatore  molti  cittadini  a  no- 
biltà, e  molti  nobili  a'piìi  elevati  gradi 
di  consiglieri  intimi  e  ciambellani;  distri- 
buì finalmente,  ad  uomini  del  popolo  per 
lettere,  per  arti,  per  carità  verso  il  pros- 
simo, per  commerci  e  per  industrie  assai 
chiari  e  benemeriti,  medaglie  d'oro  gran- 
di, medie  e  piccole,  con  catena  o  con  na- 
stro parecchie. A  tantegiocondità  del  i  838 
successero  nel  i83q  orrendi  disastri  per 
alluvioni,  e  la  provincia  di  Venezia  li  pro- 
vò gravissimi  e  memorandi  la  notte  del 
5  al  6  dicembre,  la  città  restando  inon- 
dala in  diverse  contrade,  danni  ficaia  nel- 
le merci,  contaminata  nelle  cisterne,  più 
terribilmente solFrendonegli  arianesi.Ora 
mi  cessa  la  per  me  utilissima  guida  del- 
l'annalista cav.  Mulinelli,  nulla  registran- 
do eli  Venezia  il  cav. Coppi.  Nel  1 84 i  rin - 
Dovala  In  festa  della  regata,  fu  sospesa  do- 
po ih  847, Pei'  le  lagrimevoli  politiche  vi- 
cende che  più  sotto  vado  in  breve  a  nar- 
rare. —  Avanti  il  i843, narrai  a  suo  luo- 
go, s'incominciò  ad  illuminare  la  città  a 
gaz.  Intanto  i  letterati  favorivano  gene- 
ralmente le  cose  rtuove,  riflettendo  che 
molte  del  secolo  precedente  non  erano  più 
convenienti  al  presente.  Fra  essi  desiò  en- 
tusiasmo nel  i843  il  sacerdote  Vincenzo 
Gioberti  con  l'opera  sul  Primato  mora- 


V  E  iN 
le  e  civile  de^F  italiani  (della  quale  nel 
1 846  feci  cenno  nel  voi.  XXXVI,  p.  1 7 1 , 
e  dipoi  nel  voi.  XCJ,  p.  55* ,  indicai  il 
cauto  giudizio  che  ne  die*  l'acuto  inge- 
gno di  Gregorio  XVI,  e  nei  voi.  LXX  V 1 1, 
p.  236,  come  nell'odierno  pontificato  fu- 
rono proibite  e  condannate  tutte  le  sue 
opere;oltre  l'averne  riparlato  in  altri  luo- 
ghi), trattando  in  questa  del  modo  di  mi- 
gliorare e  riordinare  l'Italia.  Premise,  o- 
gni  riforma  scientifica  essere  inutile  ,  se 
non  faceva  capo  dalla  religione,  ed  ogni 
disegno  di  risorgimento  italiano  essere 
inutile,  se  non  avea  per  base  la  pietra  an- 
golare del  Pontificato  Romano. Essere  il 
caltolicismo  destinato  ad  incivilire  tutto 
il  mondo  barbaro,  e  ad  unificare  tutto  il 
mondo  civile.  Roma,  capitale  religiosa  de' 
popoli  cattolici,  essere  pure  civile  e  mo- 
rale metropoli  della  civiltà  universale  del 
genere  umano.  La  storia  d'Italia  essere 
quella  del  Papato,  e  la  storia  del  Papa- 
to immedesimarsi  con  quella  del  mondo 
civile  e  cristiano,  ed  essere  insomma  una 
storia  cosmopolita.  L'unione  dell'  Italia 
in  uno  stalo,  essere  impossibile;  bensì  pos- 
sibilissima e  facilissima  ['■  unione  di  essa 
per  mezzo  d'  una  eonfederazione,  della 
quale  il  Papa  fosse  cupo  civile  e  presi- 
dente; come  Roma  è  il  seggio  privilegia- 
to della  cristiana  sapienza  ,  il  Piemonte 
essere  a'dì  nostri  la  stanza  principale  del- 
la milizia  italiana.  Da  Roma  e  da  Tori- 
no unanimi  dipendere  i  fati  d' Italia.  Le 
riforme  essere  le  sole  vie  efficaci  per  e- 
vitare  le  rivoluzioni.  Quest'opera,  allora 
non  proibita  dalla  s.  Sede,  si  diffuse  im- 
mensamente; divenne  in  poco  tempo  po- 
polare, e  servì  potentemente  ad  aumen- 
tare in  molti  il  desiderio  di  confederazio- 
ne e  di  riforme.  Molti  per  altro  osserva- 
rono, che  Gioberti  discorrendo  di  confe- 
derazione avea  orn messo  di  riflettere  ad 
un  ostacolo  essenziale,deiivante dalla  do- 
minazione straniera  alla  quale  era  sog- 
getta una  parte  ragguardevole  della  pe- 
nisola. Su  questo  articolo  scrissealtroita- 
liauo.  Il  coute  Cesare  Balbo,  appena  let- 


V  E  H  57 

to  il  libro  del  Primato,  ne  scrisse  un  al- 
tro che  intitolò,  Speranze  (V  Italia,  col 
quale  dimostrò  la  confederazione  essere 
impossibile,  finche  una  parte  d'  Italia  è 
provincia  straniera.  Soggiunse  poi  essere 
certa,  anzi  prossima  la  caduta  dell'impe- 
ro di  Turchia,  e  certo  il  movimento  del- 
la civiltà  cristiana  verso  l'Oriente.  Esse- 
re interesse  speciale  dell'Austria  di  esten- 
dere il  suo  impero  verso  lo  sbocco  dei 
Danubio  (come  avea  di  già  dimostrato 
Talleyrand  a  Napoleone  I),  e  perciò  di  ce- 
dere i  suoi  dominii  d'Italia.  Tale  politi- 
ca essere  nel  tempo  stesso  conveniente  al- 
la Germania,  alla  Francia,  all'Inghilter- 
ra ed  alla  stessa  Russia;  e  questa  eventua- 
lità essere  appunto  la  più  probabile  iti 
cui  l'Italia  possa  ottenere  la  totale  indi- 
pendenza. Aggiunse  in  fine  un'appendi- 
ce, nella  quale  esaminò,se  e  come  sia  spe- 
rabile una  lega  doganale  italiana.  Anche 
questo  libro  divenne  in  tempo  brevissimo 
popolare,  scosse  immensamente  gli  ani- 
mi degl'italiani  e  ne  ravvivò  i  desiderii  e 
le  speranze  d'indipendenza  nazionale. — 
Fino  dal  1 835  una  società  di  azionisti  i- 
deò  una  strada  ferrata  da  Milano  a  Co- 
mo, e  nel  1841  ne  cominciò  i  lavori.  Nel- 
lo stesso  anno  si  aprì  quella  principiata 
neh  838  da  Milano  a  Monza.  Nel  1837 
fu  istituita  la  società  per  la  costruzione 
della  ferrovia  da  Venezia  a  Mdano.  E 
qui  debbo  notare,  che  già  il  doge  Marco 
Foscarini  (dotto  autore  della  Letterata" 
ra  Veneziana  ed  altri  scrittori  intorno 
ad  essa,  che  impressa  nuovamente  dalla 
Gattei  l'intitolò  al  letteratissimo  princi- 
pe Andrea  Giovanelli,  di  che  feci  cenno 
nel  voi.  XCII,p.  5go),  nel  suo  breve  prin- 
cipato di  io  mesi,!  762-63,  avea  vagheg- 
giato un  punto  che  unisse  l' isolata  Ve- 
nezia alla  Terraferma.  Nel  1840  s'inco- 
minciò altra  ferrovia  da  Milano  per  Ve- 
rona, Vicenza  e  Padova,  da  terminarsi 
a  Venezia.  Si  disputò  lungamente,  se  do- 
vesse passare  per  Bergamo,  e  più  diret- 
tamente per  Treviglio.  I  veneziani  patro- 
cinati specialmente  dall'avv.  Dauiele  Ma- 


58  YEN 

nin,  sostennero  quest'ultimo  punto,  l'ot- 
tennero, e  fu  denominata  Ferdi nautica, 
«lai  nome  dell'imperatore  allora  regnan- 
te. Pertanto  nello  stesso  1 84o  s'in  tra  pre- 
sero i  latori  presso  Venezia  coll'intendi- 
mento  di  protrarla  sino  all'interno  della 
città,  sebbene  divisa  dal  continente  dal- 
la vastaLaguna. Quindi a'25  aprile  1  8 . ]  1 , 
giorno  sagro  a  s.  Marco,  si  collocò  solen- 
nemente lai."  pietra  pel  grandioso  pon- 
te, e  iti  sul  fine  dell'ottobre  1 84-5  l'ope- 
ra fu  compiuta,  congiungendosi  la  stra- 
da a  Venezia,  col  magnifico  ponte  che 
ne  fa  parte,  costruito  sopra  la  Laguna. 
Segui  la  imi  corsa  di  prova  a' 4  gennaio 
1846,  e  l'inaugurazione  agli  1 1  del  me- 
d esimo»  unitamente  al  tronco  della  fer- 
rovia prolungata  a  Vicenza.  Principia  il 
meraviglioso  ponte  a  Venezia  nel  luogo 
detto  Sacca  di  s.  Lucia,  e  con  direzione 
verso  ponente  termina  alla  Terraferma 
presso  la  fortezza  di  Malgliera.  Le  sue  5 
piazze  ponno  convertirsi  in  fortini;  e  col- 
le 48  camerette  da  mine,  de'piloni,  in  ca- 
so di  bisogno  si  può  distruggere  il  ponte 
inparte  e  anche  in  tutto.  La  speranza  che 
la  chiesa  di  s.  Lucia, di  cui  nel  vol.XCI,p. 
39,  ultima  opera  Palladiana,  potesse  esse- 
re conservato,  è  quasi  perduta.  Ne'primi 
del  corrente  1859  è  stata  decretata  la  de- 
molizione di  questo  insigne  edilìzio,  per 
ritenute  necessità  di  spazio  elocali  ad  uso 
della  stazione  della  strada  ferrata.  Il  sagro 
corpo  della  Santa  titolare  sarà  forse  tra- 
sportalo alla  chiesa  parrocchiale  di  i. Ge- 
remia. Noterò,  che  fin  dal  1842  erasi  a- 
perto  il  i.°  tronco  della  ferrovia  da  Me- 
stre a  Padova,  e  nel  gennaio  del  1 846  ven- 
ne esteso  a  Vicenza,  e  nel  seguente  feb- 
braio si  aprì  quella  da  Milano  a  Trevi- 
glio.  Nel  precedente  mese  mori  France- 
sco IV  duca  di  Modena,  in  benedizione 
de' buoni  e  in  riprovazione  de'  rivoltosi, 
perchè  avversava  lo  spirito  del  secolo. 
Gli  successe  il  figlio  regnante  France- 
sco V.  —  Nell'aprile  1846  insorse- 
ro dissapori  tra  le  corti  di  Vienna  e  di 
Torino.  Conviene  sapere,  che  nel  ij5i 


V  E  PC 
erasi  tra  loro  convenuto,  fosse  permesso 
al  re  di  Sardegna  di  far  transitare  pegli 
stati  della  Lombardia-Austriaca,  quella 
quantità  di  sali  procedenti  da  Venezia  che 
occorresse  peglt  stati  sardi.  In  correspetti- 
vo  di  tale  concessione  il  re  cedesse  e  ri- 
nunziasse  a  favore  della  camera  di  Mila- 
no all'intiero  commercio  attivo  di  sali  co' 
cantoni  svizzeri  e  baliaggi  da  essi  dipen- 
denti in  Italia.  Queste  convenzioni  furo- 
no confermate  nel  181  5  al  congresso  di 
Vienna.  Essendosi  però  allora  unito  il 
porto  di  Genova  agli  stati  di  Terrafer- 
ma del  re  di  Sardegna,  questi  tralascia- 
rono di  provvedersi  di  sali  dal  Venezia- 
no. I  ticinesi  lagna vansi  che  il  governo  di 
Lombardia  non  somministrasse  loro  una 
quantità  di  sale suflìcientea'bisogni,  e  per- 
ciò talvolta  ne  chiesero  al  re  di  Sardegna, 
e  nel  i843  per  contratto  il  re  si  obbligò 
per  4  anni  somministrarne  loro  una  de- 
terminata quantità;  ma  l'Austria  noi  ra- 
tificò. Allora  i  ticinesi  comprarono  sali 
per  conto  proprio,  e  chiesero  il  transito 
pegli  stati  sardi.  I  ministri  regi»  giudicaro- 
no che  ciò  non  fosse  vietato  dalla  conven- 
zione e  lo  permisero;  ma  gli  austriaci  opi- 
nando diversamente ,  chiesero  la  revoca 
di  tale  licenza,  negoziandosi  inutilmente 
per  3  anni.  In  fine  il  governo  austriaco 
si  appigliò  a  rappresaglie,  e  con  notifica- 
zione de'20  aprile  1846  aumentò  il  dazio 
sui  vini  che  dagli  stati  sardi  s'introduce- 
vano  nella  Lombardia,  in  modo  equiva- 
lente a  totale  esclusione,  con  gravissimo 
pregiudizio  de' proprietari  piemontesi. 
Narra  il  Memorandum  storico -politico, 
del  conte  Solaro  della  Margherita,  mini- 
stro er.°  segretario  di  stato  per  gli  alfari 
esteri  del  re  di  Sardegna  Carlo  Alberto, 
che  il  governo  di  questi,  per  far  conosce- 
re che  non  avea  trascurato  gì'  interessi 
de'suoi  sudditi, fece  pubblicare  dalla  Gaz' 
zetta  Piemontese  il  motivo  che  avea  da- 
to luogo  a  tale  misura.  Quest'  annunzio 
d'  una  questione  sostenuta  contro  I'  Au- 
stria, procacciò  a  Carlo  Alberto  uno  spe- 
ciale favore  in  tutta  Italia,  e  specialmen- 


YEN 
te  in  Torino. Quivi  i  fautori  dell'indipen- 
denza e  dell'unità  nazionale,  sulla  propo- 
sizione del  cav.  Massimo  Tapparelli  d'A- 
zeglio, deliberarono  di  procacciargli  dal 
popolo  una  dimostrazione  giuliva  ed  ita- 
lica, mentre  nella  mattina  de' 7  maggio 
sarebbe  andato,  secondo  il  solito,  a  co- 
mandare gli  esercizi  militari  uel  Campo 
di  Marte.  Infatti  di  buon  mattinola  piaz- 
za del  Castello  e  la  contrada  Nuova,  per 
lequali  dovea  passare,  erano  piene  di  po- 
polo; alle  finestre  ed  a'balconi  eranvi  da- 
me disposte  a  gettare  fiori  ,  e  nella  fol- 
la erano  persone  pronte  a  gridare,  Vi- 
va il  re  d'Italia.  Carlo  Alberto  informa- 
to della  cosa ,  e  vedendo  la  moltitudine 
assembrata,  dopo  titubanza  risolse  di  non 
uscire,  e  contramandò  gli  esercizi.  Vi  an- 
dò bensì  nella  mattina  de'g  e  fu  accolto 
dalle  truppe  con  insoliti  evviva.  Fu  ezian- 
dio applaudito  in  vari  luoghi  della  città, 
nel  ritornare  al  palazzo;  applausi  che  si 
fecero  ancora  la  sera  dell'i  1  alla  regina 
neltealroCarignano.  Frattanto  nel  Lom- 
bardo Veneto  la  prosperità  privata,  de- 
rivata da  32  anni  di  pace,  e  l'utilità  de' 
molti  pubblici  lavori,  non  erano  stati  suf- 
ficienti a  togliere  la  contrarietà  alla  do- 
minazione straniera.  Poiché  fra'  nobili, 
letterati,  professori  e  giovani  eranvene 
sempre  molti  che  vagheggiavano  le  no- 
vità politiche  e  T  unità  nazionale  d'I- 
talia. E  queste  idee  erano  assiduamente 
incoraggiate  dagli  emigrati  italiani,  e  da' 
comitati  direttori  di  rivolgimenti  stabili- 
ti in  Londra  e  in  Parigi.  In  queste  criti- 
che circostanze  in  Roma{V.)  venne  a  mor- 
te ili.°  giugno  il  Sommo  Pontefice  Gre- 
gorio XVI,  gravissimo  inaspettato  avve- 
nimento che  destò  per  lutto  il  mondo  do- 
lore a 'savi  ed  a'buoni,  piacere  e  speran- 
ze a'ti  isti  edagli  amanti  delle  novità.  To- 
sto gli  successe  il  Papa  regnante  Pio  IX 
(V.),  che  nel  seguente  luglio  accordata 
amnistia  a'rei  politici, questo  e  diverse  ri- 
forme destarono  eccessiva  esultanza  e  cla- 
morose acclamazioui  da  per  tutto;  strepi- 
tose dimostrazioni  che  fecero  concepire 


VEW  59 

serie  apprensioni  dovunque,  per  reputar- 
si da'saggi  pericolose,  con  prognostici  si- 
nistri di  funeste  conseguenze,  ed  inutil- 
mente in  Roma  e  negli  altri  luoghi  si  pò- 
terono  raffrenare  da'governi.  Imperocché 
frammiste  a'  Viva,  con  imponenti  movi- 
menti popolari,  si  cominciò  con  impron- 
titudine a  far  domande,  in  principio  al- 
quanto discrete,  e  rapidamente  esorbitan- 
ti, politiche  e  sediziose.  Nel  congresso  de- 
gli scienziati  tenuto  in  Genova  nel  set- 
tembre, si  trattarono  è  vero  le  cose  scien- 
tifiche, ma  nelle  private  conversazioni  e 
ne'convili,  ormai  apertamente  si  discorse 
con  ardore  del  risorgimento  italiano  e  sul 
modo  di  rendere  la  nazione  indipendente, 
unita  e  libera. Lo  spirito  liberale  che  agita- 
va l'Italia  veementemente,  non  divenne 
minore  iu  altre  regioni  al  di  là  dalle  Alpi, 
nella  Svizzera,  nella  Francia  e  a  Pari- 
gi, l'audacia  popolare  per  ogni  dove  gi- 
ganteggiando. Le  idee  di  libertà  si  comu- 
nicarono pure  nella  Germania,  ne\[' Un- 
gheria, ed  in  altre  regioni  ,  persino  ne' 
ducati  di  Schleswig  ed  Holstein  della 
monarchia  danese.  Di  tale  spirito  pub- 
blico, nello  stesso  1846,  si  ebbe  un  picco- 
lo saggio  in  Venezia,  dove  non  ostante  il 
presidio  austriaco,  nella  sera  de'4  ottobre 
vari  giovani  ardirono  di  cantare  per  di- 
verse strade  e  per  molto  tempo  canzoni, 
alternando  grida:  Abbasso  V  Austria,  Vi- 
va Pio  IX,  Viva  V Italia!  Altro  saggio 
più.  allarmante  vi  fu  sul  fine  dell'anno  in 
Milano,  per  ledimostrazioni  politiche  fat- 
te in  occasione  de'funerali  al  conte  Fede- 
rico Confalonieri,  famoso  per  ordita  con- 
giura contro  l'Austria  nel  1821,  per  cui 
era  stato  condannato  ed  esiliato. Divenu- 
to generale  in  Italia  lo  spirito  delle  ri- 
forme, nel  gennaio  1847  anche  la  Tosca- 
na bramò  averle,  alcuni  vagheggiando, 
come  altrove,  la  distruzione  della  monar- 
chia e  il  ristabilimento  della  repubblica. 
11  granduca  Leopoldo  II  informò  la  cor- 
te di  Vienna  dello  stato  in  cui  erasi  esal- 
tato lo  spirito  pubblico;  ed  il  principe  di 
Metternich  i.°  ministro  della  medesima. 


<>o  YEN 

sul  principio  d'aprile  giudicò  opportuno 
di  scrivergli  una  lettera,  nella  quale  io 
sostanza  osservava:  L'Italia  essere  agita- 
ta da  l!lKTa!i<in<»  e  d.i  radicalismo.  Il  i.° 
essendo  inetto,  in  fine  avrebbe  prevalso 
il  a.°  1  gran  vocaboli  Unione  e  Nazio- 
nalità, non  essere  die  la  divisa  apparen- 
te del  gran  progetto  di  porre  tutto  il  pae- 
se in  rivoluzione.  L'unità  in  Italia  non 
essere  fattibile ,  poicbè  nessun  sovrano 
poteva  riunirla  sotto  il  suo  scettro ,  e 
quello  cbe  lo  tentasse  incontrerebbe  nel- 
le potenze  d'Europa  ostacoli  insupera  - 
bili.  L'odio  all'  Austria  derivare  princi- 
palmente, perchè  la  sua  possanza  in  Ita- 
lia rendeva  vani  i  progetti  de' rivoluzio- 
nari control  principi:  tolta  questa  forza, 
sarebbe  più  facile  il  volgere  contro  di  lo- 
ro la  cospirazione. Riflettesse  pertanto,  che 
essendo  egli  arciduca  d'Austria,comeFer* 
dinando  II  re  delle  due  Sicilie  èva  della 
famiglia  de'Borboni,  ne  l'uno,  uè  l'altro 
sarebbero  considerati  come  italiani  da  chi 
voleva  scacciare  tutti  gii  stranieri  dalla 
penisola,  onde  la  nazione  avesse  governi 
meramente  italiani.  Queste  osservazioni 
non  distolsero  punto  il  granduca  nella  po- 
litica che  avea  adottala,  quindi  venne  al- 
le concessioni,  succedute  dalle  dimostra- 
zioni tumultuarie,  divenute  generali,  per 
l'indipendenza  italiana,  laonde  la  forza 
de!  governo  passò  in  mano  deliberali.  Nel 
commovimento  universale  della  peniso- 
la, principiato  in  Roma  e  propagato  alle 
altre  regioni,  sorse  un  desiderio  univer- 
sale di  approfittare  della  circostanza  per 
procurare  lo  stabilimento  d'una  confede- 
razione italiana,  facendosi  evviva  anco  a 
Leopoldo  li,  ed  a  Carlo  Alberto,  nelle  di- 
mostrazioni popolari  alle  bandiere  pone- 
vansi  coccarde  pontificie.  Intanto  s'inco- 
minciò a  stabilire  una  lega  doganale  fra 
Roma,  Sardegna  e  Toscana, alla  quale  si 
fi/lutarono  Ferdinando  1 1  re  delle  due  Si- 
cilie e  Francesco  V  duca  di  Modena.  In 
Torino,  come  in  tutte  le  allre  parti  d'I- 
talia, ebbero  presto  luogo  gli  applausi  ed 
j  Fiva  Pio  JXt  inui  e  cauti  diretti  ad  ili- 


V  &« 

fianimare  la  moltitudine.  Prospere  era- 
no allora  le  cose  degli  stati  sardi.  Le  ren- 
dite ordinarie  ascendevano  ad  87  milio- 
ni di  lire,  e  le  spese  a  soli  84  milioni.  II 
debito  pubblico  ascendeva  a  q  milioni 
579,000  lire  all'anno,  tcuuivsiino  in  pa- 
ragone di  quello  dagli  altri  stati.  Ma  le 
idee  d'unione  e  d'indipendenza  naziona- 
le erano  maggiori  in  Piemonte,  che  nel- 
le altre  parti  d'Italia,  appoggiate  princi- 
palmente all'esercito,  che  nelf  evento  si 
reputava  il  principale  strumento  di  tanta 
impresa.  Non  ostante  queste  prosperità 
s'invocavano  riforme  e  miglioramenti.  Il 
re  di  ciò  cornpiacevasi,  fomentato  da  al- 
enili de'primnri  liberali.  Per  cui,  quando 
il  conte  Ruol-Schavenstein,  allora  mini- 
stro austriaco  in  Torin  o,  comunicò  al  con  - 
te  Solaro  della  Margherita,  come  questi 
riporta  nel  Memorandum,  la  lettera  del 
principe  di  Mettermeli  a  Leopoldo  II,  Car- 
lo Alberto  sene  offese  altamente,  ritenen- 
do insultata  la  sua  indipendenza.  Osser- 
vando l'Austria  attentamente  il  fermen- 
to che  cresceva  a  dismisura  nello  stato 
pontificio,  nella  metà  di  luglio  avea  raf- 
forzato imponentemente  il  suo  presidio 
di  Ferrara;  e  per  insulti  fatti  a  un  ca- 
pitano, il  comandante  di  tal  fortezza  te- 
nente maresciallo  Auersperg,  ordinò  pat- 
tuglie in  alcuni  luoghi  della  città,  ov'e- 
rano  caserme  ed  alloggi  de'suoi  militari. 
Il  legato  cardinal  Ciacchi  emise  protesta; 
ed  il  feld-maresciallo  conte  Radetzky,  co- 
mandante in  capodell'armata  d'Italia,  in- 
vece impose  di  occupare  la  gran  guardia 
e  le  4  porle  di  Ferrara,  onde  il  cardina- 
le pubblicò  altra  protesta,  approvata  in 
uno  alia  1  .a  dal  Papa.  Ne  furono  conse- 
guenza, incremento  immenso  in  Italia  di 
agitazione  degli  animi  contro  gli  austria- 
ci; e  Carlo  Alberto  mise  a  disposizione  del 
Papa  tutte  le  forze  che  avea  in  suo  pote- 
re, il  che  gli  accrebbe  indicibilmente  il 
favore  deliberali  italiani,  e  quindi  il  re 
giudicò  opportuno  d'  appigliarsi  alle  ri- 
forme. Queste  promulgate  nel  novembre 
aumentarono  il  fermento  nella  Lombar- 


VE  V 
dia,  e  il  desiderio  di  molti,  specialmente 
fra'principali  possidenti,  di  passare  dallo 
scettro  austriaco  a   quello  della  casa   di 
Savoia.  In  Milano  la  i  .a  dimostrazione  ita- 
lica si  fecenel  principio  di  settembre,  pren- 
dendosi occasione  del  nuovo  arcivescovo 
mg/  Bartolomeo  Romilli  italiano,  e  pel 
trambusto  che  seguì,  sempre  più  si  au* 
mento  il  mal  umore  in  Milano  e  in  tut- 
ta la  Lombardia.  L'agitazione  liberale  si 
propagò  ancora  nel  regno  delle  due  Sici- 
lie, ma  la  rivoluzione  cominciala  a  mani* 
festarsi,  per  allora  fu  in  breve  repressa. 
Riforme  e  guardia  civica  dovette  accor- 
dare eziandio  Carlo  di  Borbone  duca  di 
Lucca,  ed  entrar  nella  via  del  progresso 
nel  settembre.  Indi  voleva  abdicare  a  fa- 
vore del  principe  Ferdinando  suo  figlio, 
tuttavolta  nel   seguente  ottobre  cede  lo 
stato  al  granduca  di   Toscana^  al  quale 
dovea  passare  soltanto  dopo  la  morte  del- 
l'arciduchessa  Maria  Luisa  duchessa  di 
Parma  e  Piacenza,  che  infermicela  da  al- 
cun tempo  faceva  prevedere  vicina.   In- 
tanto il  duca  Carlo,  finche  non  fosse  en- 
trato in  possesso  degli  aviti  ducali,  ebbe 
dalla  Toscana  perappannaggiocjooo  fran- 
cesconi  al  mese.  In  conseguenza  di  che, 
Francesco  V  duca  di  Modena,  nel  dicem- 
bre 1847  ebbe  ingranditi  i  suoi  dominii 
con  Fivizzano  e  altri  luoghi,  e  poi  nel  se- 
guente mese  ottenne  il  ducato  di  Gua- 
stalla. Questo  principe  benché  avesse  a- 
dottato  principii  moderati,  non  potè  im- 
pedire che  anco  ne'suoi  dominii  seguisse- 
ro alcune  dimostrazioni  liberali  e  tumul- 
tuose colle  consuete  grida  e  Viva,  nella 
stessa  capitale  Modena.  Eziandio  in  Par- 
ina  avvennero  sconcerti,  con  malconten- 
to dell'arciduchessa  Maria  Luisa,  che  mo- 
ri a' 18  dicembre.  Divenuto  perciò  l'ex 
duca  di  Lucca  Carlo  di  Borbone   sovra- 
no di  Parma  e  Piacenza  ,  mentre  trova- 
vasi  in  Genova,  il  comune  di  Parma  pre- 
tese assumere  le  redini  del  governo,  e 
chiedere  al  nuovo  principe  varie  riforme; 
ma  invece  il  consiglio  de'ministri  assun- 
se la  reggenza  dello  stalo,  e  tosto  a'26  di- 


VEN  61 

cembre  fu  confermato  dal  duca  con  pro- 
clama, nel  quale  indirettamente  confutò 
l' indirizzo  di  riforma  che  volevano  do- 
mandare i  parmigiani;  per  cui  il  suo  in- 
gresso, effettuato  nelr.°  del  seguente  an- 
no, non  fu  giulivo.  Annunziando  il  duca 
di  Parma  e  Piacenza  a'sovrani  d'Europa 
l'avvenimento  al  trono  degli  avi  suoi,  il 
Papa  Pio  IX  fece  rispondere  :  Che  rin- 
graziava della  partecipazione,  se  necou- 
gratulava,  ma  intendeva  di  conservare  il- 
lesi i  sovrani  diritti  della  s.  Setle  sopra  i 
ducati  di  Parma  e  di  Piacenza;  dovendo 
in  tale  circostanza  rinnovare  le  sue  pro- 
teste,rammentandoformalmente  cheque' 
ducati  appartenevano  al  principato  tem- 
porale della  Chiesa  Romana.  Tanto  è  ve- 
ro, quanto  dichiarai  di  sopra, cioè  nel  pie- 
cedente  voi.  XCII,  a  p.  4^0,  contro  chi 
pretese  impugnare  tale  alto  dominio  pon- 
tificio. —  Prima  di  lasciare  il  1 847,  devo 
dire  del  IX  congresso  degli  scienziati  te- 
nuto in  Venezia,  di  cui  feci  parola  su- 
periormente in  più  luoghi.  Fu  aperto  a' 
i3  e  chiuso  a*  28  settembre.  IN'ebbe  la 
presidenza  il  principe  Andrea  Giovanel- 
li.  Vi  si  recò  Carlo  Bonaparte  principe  di 
Canino,  col  suo  segretario  Luigi  Masi,  in 
divisa  di  semplice  soldato  della  guardia 
civica  di  Roma.  Passando  per  la  Tosca- 
na furono  ambedue  applaudili  strepito- 
samente da'libernli  esaltali  di  Livorno,  di 
Pisa  e  di  Firenze.  Giunti   sul   territorio 
ansti  iaco,a  Rovigo  tennero  pubblicamen- 
te discorsi  diretti  a  suscitare  gli  animi  con- 
tro quel  governo,  per  cui  a'i5  settembre 
ambedue  furono  espulsi  da  Venezia  e  ri- 
mandati sul  territorio  pontificio.  Del  resto 
le  sessioni  si  tennero  nell'ampia  e  magnifi- 
ca sala  delMaggioi  Consiglio  dell'antica  re- 
pubblica veneta,  e  fra  gli  oratori  fu  spe- 
ci a  Imente  applaudi  tol'avv.DanieleManin 
pe'  sensi  italici  'francamente  manifestati 
trattandodirnaterierelative  alla  pubblica 
economia,  laonde  fu  poi  messo  sotlo  la  sor- 
veglianza della  polizia.  11  cav.  Cesare  Can- 
lù  discorrendo  delle  strade  ferrate,  inau- 
gurò l'orazione  col  nome  del  Papa,  esal- 


Ga  V  E  N 

taudolo  quale  eroe  di  bontà  e  ili  riconci- 
liazione, clte  avea  posto  la  Croce  olla  te- 
sta ilei  progresso.  Accennò  le  linee  ili  co- 
municazione che  avea  ideato  ila  Uoma, 
tanto  verso  Napoli,  che  verso  l'Italia  set- 
tentrionale e  le  Alpi,  barriera  creata  al- 
l'Italia dalla  natura,  ma  inutilmente.  Con- 
eluse  con  l'osservare,  che  i  veneziani  do- 
vevano unire  i  loro  interessi  a  quelli  de' 
vicini  fratelli  italiani,  dov'era  seguito  un 
tale  movimento  e  sfolgorava  ormai  tanta 
luce,  che  il  non  risentirsene  dovrebbe  a- 
scriversi  ad  inerzia  od  a  viltà.  Fece  voti 
per  la  libertà  e  la  prosperità  maggiore 
ed  ormai  vicina  dell'Italia,  divisa  in  die- 
ci diversi  domimi,  sebbene  vi  si  parli  una 
sola  lingua.  Questo  discorso  pronunzia- 
to in  una  sala  che  rammentava  tante  glo- 
rie patrie,  fu  accolto  con  applausi  strepi- 
tosissimi dagli  uditori  che  vi  erano  in  nu- 
mero di  circa  tremila,  ed  il  modo  col  qua- 
le fu  applaudilo,  servi  a  dimostrare  che 
i  veneti  erano  disposti  ad  uuirsi  al  movi- 
mento italiano.  In  memoria  di  questo  con- 
gresso, fu  coniata  una  medaglia  bellissi- 
ma del  valente  veneto  incisore  Francesco 
Stime.  Rappresenta  Dante, enei  rovescio 
l'Arsenale  di  Venezia,  secondo  la  descri- 
zione di  quel  divino  poeta.  Ha  per  motto 
il  noto  verso  del  medesimo.Ne  furono  bat- 
tuti pochissimi  esemplari  inargento  e  po- 
chi in  rame.  Ma  dopo  tale  congresso,  si 
sparsero  in  Veuezia  le  prime  scintille  di 
quell'incendio  che  dovea  poi  dilatarsi. 

4.  Negli  articoli  di  questa  mia  opera, 
impressi  dopo  l'infausta  ultima  epoca  del- 
la grande  rivoluzione  di  molti  stati  d'Eu- 
ropa e  di  tutta  Italia,  alcuni  de'  quali 
rammentai  nelle  precedenti  analoghe  no- 
tizie, e  tornerò  a  ricordare  in  corsivo,  nou 
mancai  laconicamente  di  descriverne, 
colle  principali  vicende,  lo  spirito  po- 
litico, che  principalmente  fu  di  natu- 
ra democratico,  demagogico,  Socialista 
e  irreligioso,  il  quale  fa  guerra  ad  ogni 
autorità  (come  deploro  anche  a  Verona), 
che  la  produsse.  Qui  per  Venezia  procede- 
rò precipuamente,  però  con  alcune  giunte 


V  E  W 

di  schiarimento  ,  massime  fra  parentesi, 
coli'  opuscolo  stampato  in  Venezia  stes- 
sa nel  1  85o  col  titolo:  La  Repubblica  i  c- 
neta  de  iQi  giorni  nel  1  8/f8  come  ap- 
pendice a  tutte  le  Storie  di  Venezia  fi- 
nora pubblicale.  Lo  preferisco,  per  far- 
ue  liberamente  un  sunto  o  quasi  ripro- 
duzione, pel  suo  punto   di  vista  e  com- 
plesso, tutto  essendo  interessante  senza 
superfluità  di  parole,  e  come  più  adallo 
al  mio  sistema  compendioso,  inoltre  pro- 
fitterò de'due  seguenti  opuscoli  che  pur 
posseggo. Nuovo  Memoriale  Veneto  del- 
la rivoluzione  delle  Provincie  Venete  ne- 
gli A/mù -848-49  di  P-  C,  Venezia  1 85o, 
tipografia  Grimaldo.  Venezia  negli  an- 
tri 1  848  a  1 849  di  Aless.  le  Musson,  au- 
tore diCustozae  di  Novara,  Venezia  co' 
tipi  di  Gio.  Cecchini  1 85 1.  Vi  e  pure  la 
collezione  degli  Alti,  D cere  ti,  ec.,di  quel- 
l'epoca, che  potino  essere  materiali  inte- 
ressanti e  positi  vi, pei  chi  vorrà  intrapren- 
derne la  storia.  L'  autore  dunque  N.  T. 
dell'opuscolo  d'86  pagine,  La  Repubbli- 
ca Veneta  de'  1  02  giorni,  lo  divide  assai 
opportunamente  in  IX  capi,  e  dichiara 
nella  prefazione. Dopo  gli  avvenimenti  del 
1848  la.  storia  della  repubblica   veneta 
non  si  arresta  più  al  1797,  ma  vi  aggiun- 
ge un'altra  pagina,  poiché  trascorsi   5o 
anni  dalla  sua  caduta,  risorse  quella  re- 
pubblica, od  almeno  il  suo  nome.  »  Pro- 
ponendoci di  riempire  il  vuoto  della  sto- 
ria a  questo  riguardo,  ci  protestiamo  sem- 
plici sposi  tori  di  falli,  lasciando  a'  politici 
l'incarico  di  commentarli".  Capoi.  Fon- 
dazione e  caduta  dell'antica  repubblica 
Veneta.  L'autore  N.  T.  volle  far  prece- 
dere il  suo  proponimento  di  parlare  del- 
la nuova  repubblica  veneta,  come  oppor- 
tuno, da  un  cenno  dell'antica,  per  riguar- 
dar quella   appendice  di   questa.  Detto 
dell'origine  di  Venezia,  per  emigrazione 
degli  abitanti  del  continente  vicino  alle 
sue  isolette,  de'governanti  tribuni  di  que- 
ste, dell'elezione  del  doge  preside  a  tut- 
to il  corpo  della  nazione  ,  degli  abusi  e 
restrizione  di  sua  autorità,  dei  freno  al- 


V  E  N 

)a  popolare  licenza  e  dell'istituzione  del- 
la repubblica  aristocratica;  chiama  que- 
sta, a  confessione  degli  stranieri,  la  piti 
bella  d'Europa  nel  suo  genere,  copia  fe- 
dele dell'antiche  repubbliche  della  Gre- 
cia e  come  il  complesso  delle  migliori  lo- 
ro leggi:  l'esistenza  essere  stata  gloriosa  e 
durata  XIV  secoli,  cioè  più  lunga  d'ogni 
altra  anteriore  e  celebre.  Poiché  quella  di 
Spai  ta  visse  700  anni;  e  quella  dilioma,  la 
più  illustre  di  tutte,  ne  contò  appena  5oo. 

»  Ragiona  poi  della  dilatazione  progressi- 
va del  dominio,  ottenuto  più  per  la  for- 
za morale  che  per  la  materiale.  Consi- 
derata dopo  il  conquisto  di  Costantino* 
poli,  per  una  delle  maggiori  potenze,  e- 
sercilò  influenza  sull'altre.  Indi  l'ulterio- 
re imnandimeutode'  veneziani  derivò  dal- 

o 

la  bontà  del  loro  sapiente  reggimento,  ac- 
coppiato al  valore  guerriero,  che  rese  la 
repubblica  temuta  e  forte.  In  appresso  die' 
un  crollo  al  suo  potere,  il  progresso  nel- 
la navigazione  delle  altre  nazioni ,  che 
scuoprirono  la  nuova  via  all'Indie  orien- 
tali. Nondimeno  essendo  ancor  grande  la 
sua  influenza  politica  ,  questa  fiaccò  la 
lega  di  Cambrayjperòconlinuòa  riscuo- 
tere l'universale  ammirazione,  la  rego- 
larità del  suo  governo,  la  saggezza  di  sue 
leggi,  il  mirabil  ordine  de'suoi  consigli  e 
l'equità  de'suoi  tribunali,  la  moderazio- 
ne, la  protezione  delle  scienze  e  delle  ar- 
ti, restandole  ancora  provincie  floride  e 
fertilissime.  Percorso  lo  stadio  di  poten- 
za e  di  gloria,  cominciata  a  dar  segui  di 
decrepitezza,  quasi  esausto  1'  erario  per 
l'ultima  guerra  lurchesca  e  le  3  neutra- 
lità armate;  i  uobili  di  Terraferma  sof- 
frendo a  malincuore  l'esclusione  dall'am- 
ministrazione pubblica,  il  popolo  corrot- 
to dalla  mollezza,  la  sua  difesa  era  ormai 
solo  affidata  agli  schiavoni.  Nello  scorcio 
del  secolo  passato,  l'ambasciatore  veneto 
a  Parigi  Quirini,  fatto  accorto  del  peri- 
colo cui  correva  Venezia,  l'eccitò  ad  ar- 
marsi; quindi  la  rivoluzione  le  staccava 
Bergamo  e  Como,  e  le  stragi  di  Verona 
furono  il  guanto  di  disfida  colla  repub- 


YEN  63 

blica  francese.  Troppo  tardi,  aprirono  fi- 
nalmente gli  occhi  i  veneziani.  Quel  Na- 
poleone che  aveale  olferto  aiuto  per  re- 
primere i  ribelli,  a'2  maggio  le  intimò 
guerra,  e  fece  occupar  l'Estuario  circon- 
dante la  Laguna.  Da  dove  ,  il  debolissi- 
mo doge  Manin,  sentendo  tuonar  il  can- 
none,esclamò  nell'assemblea:  Questa  not- 
te non  siamo  sicuri  nemmeno  sul  nostro 
letto.  Napoleone  fece  quindi  diverse  inti- 
mazioni. L'atterrito  governo  non  seppe 
resistere:  perciò  licenziò  gli  schiavoni,  di- 
sarmò la  Laguna;  ed  a' \i  maggio  1797 
adunato  il  maggior  consiglio  ,  tremante 
il  doge,  molti  patrizi  ingannati  o  ingan- 
natori avversando  il  vecchio  sistema,  po- 
chi i  coraggiosi,  moltissimi  i  deboli,  il  po- 
polo diviso  in  partiti,  Villetard  corse  co' 
partigiani  tra  la  folla  a  diffonder  le  loro 
idee  e  cercar  seguaci.  Spaventatoli  deli- 
berante consiglio  da  alcune  scariche  de- 
gli schiavoni  che  partivano,  abdicò  al  po- 
tere. Seguirono  giorni  d'  anarchia  ,  da' 
due  partiti  si  sparse  sangue  cittadino,  ed 
ar'16  i francesi  entravano  io  Venezia  con- 
dotti dal  loro  Villetard,  che  prometteva 
tibertàt  eguaglianza  ,  fratellanza.  Così 
cadde  la  gloriosa  repubblica,  vittima  del- 
la ricchezza,  della  corruzione, dell'ingan- 
no. Poi  pel  trattato  diCampoformio,  de' 
17  ottobre,  Venezia  passò  sotto  il  domi- 
nio dell'Austria;  in  appresso  fece  parte 
del  regno  d'Italia,  0  finalmente  nel  1 8 14 
ritornò  sotto  lo  scettro  dell' Austria  e  rima- 
se tranquilla  33  anni.  Capo  2.0  Procla- 
mazione della  nuova  Repubblica.  E  no- 
ta l'agitazioue  generale  in  cui  trovavasi 
l'Italia  verso  il  1848  (sull'esempio  dato 
e  di  sopra  tratteggiato  genericamente, 
per  la  migliore  intelligenza  della  mia  bre- 
ve narrazione,  cioè  da  Roma  e  da  altri 
governi  italiani  di  Sardegna,  di  Par- 
ma%  di  Toscana,  delle  due  Sicilie,  che 
operarono  delle  modificazioni,  anche  i 
popoli  del  regno  Lombardo- Veneto  le 
attendevano,  le  speravano,  ma  uon  le 
ottenevano),  agitazione  che  prese  forza 
maggiore  dalla  rivoluzione  francese  av- 


r>; 


VEN 


Tenuta  a  Parigi  «'primi  irti  qncll*cinno  (;/ 
22  febbraio  l'imperatoie  Ferdinando  1, 
in  considerazione  dello  stato  in  cui  Uo- 
va vasi  il  regno  Lombardo- Veneto,  e  nel- 
Ja  mira  di  assicurare  la  dovuta  ubbidien- 
za alle  leggi,  fece  promulgare  per  lutto 
il  regno  la  norma  di  procedura  abbrevia- 
ta, da  lui  sancita  «'24  novembre  1847, 
pe'casi  d'alto  tradimento  e  per  altri  casi 
ili  perturbata  tranquillità.  Sovrana  riso- 
luzione cbe  leggo  a  p.i  3o  della  Gazzet- 
ta di  Roma  del  1848.  Ivi  è  pure  la  noti- 
ficazione dello  stesso  giorno,  dell'i,  r.  go- 
verno, in  cui  è  detto:  Nel  proclama  im- 
periale de'9  gennaio,  essersi  manifestato 
Ja  dolorosa  sensazione  prodotta  a  Ferdi- 
nando 1  dall'agitazione  in  cui  trovasi  il 
suo  regno  Lombardo-Veneto,  per  opera 
d'irrequieti  individui,  cbe  istigati  dall'e- 
stero e  mossi  da  mire  interessate,  ten- 
tano sconvolgere  il  presente  ordine  le- 
gale delle  cose:  dichiaVando  in  pari  tem- 
po essere  sua  ferma  volontà  di  tutelale 
la  sicurezza  e  quiete  interna  ed  esterna 
del  detto  suo  regno  con  tutti  que'tmezzi 
cbe  la  Provvidenza  gli  ha  dato,  memore 
de'suoi  doveri  di  sovrano,  fra'quali  èi.° 
il  vegliare  al  bene  dello  stato  e  alla  tu- 
tela de' fedeli  suoi  sudditi.  Ora  renden- 
dosi necessario  cbe  tanto  il  potere  giudi- 
ziario, quanto  le  autorità  di  polizia,  sie- 
no  munite  di  quella  maggior  forza,  che 
ì  bisogni  del  momenti  e  l'importanza  del- 
l'uffizio loro  richiedono,  l'imperatore  ha 
ordinato,  che  per  tutte  quelle  azioni  che 
turbano  la  pubblica  tranquillità,  e  sono 
punitedelle  vigenti  leggi,  abbia  luogo  una 
procedura  sommaria,  secondo  le  norme 
che  si  pubblicano  contemporaneamente 
alla  presente  con  altra  notificazione.  Se- 
guono le  norme  ec).  Due  cittadini,  l'avv. 
Daniele  Manin  veneziano  e  Nicolò  Tom- 
maseo, avevano  già  domandato  all'Au- 
stria (con  ardite  rimostranze)  in  nome 
della  popolazione  di  Venezia,  nuovi  or- 
dinamenti amministrativi  e  nuove  fran- 
chigie (per  quanto  Le  Masson  nella  sua 
Venezia,  a  p.  33,  ed  in  altri  luoghi  fa  os- 


V  E  N 
servare),  ma  le  loro  domande  vennero 
respinte  ed  essi  medesimi  carcerati  (a' 1  8 
gennaio  1848).  Ma  io  qui  debbo  di  ciò 
dare  un   cenno.  G.  B.  Nazzari    membro 
della  congregazione  centrale   Lombarda 
per  la  provincia  di  Bergamo,  nel  dì  8  di- 
cembre 1847  parlò  in  quel  consesso  del 
malcontento  e  dell'inquietudine  della  pò- 
polazioue,quindi  propose  di  nomina  re  una 
commissione  di  deputati  delle  provinole 
lombarde,  per  in  vesti  game  le  cause  e  far- 
ne rapporto.  Questo  il  conte  di  Spaur go- 
vernatore della  Lombardia  partecipato  al- 
l'arciduca Ranieri   viceré,  d'  ordine  suo 
significò  alla  detta  congregazione,  che  ap- 
punto stavasi  occupando  de'già  noti  de- 
siderii  delle  provincie  lombarde,onde  pre- 
sentarli al  trono.  Dipoi  le  congregazioni 
provinciali  di  Milano,di  Pavia  e  di  Como 
inviarono  alla  centrale  di  Milano  le  loro 
particolari  petizioni  riguardanti  i  dicaste- 
ri, l'abbreviazione  del  servizio  militare, 
le  misure  di  polizia  ,  la  dignità  effettiva 
del  regno  Lombardo- Veneto,  le  imposte, 
i  tribunali,  l'abolizione  del  giuoco  del  lot- 
to. Nella  metà  di  dicembre  l'avv.  Manin 
ebbe  una  copia  della  proposizione  del  Naz- 
zari alla  congregazione  centrale  Lombar- 
da, e  immediatamente  ne  fece  trascrive- 
re e  spargere  molti  esemplari,  quindi  pro- 
curò d*  indurre  qualche   membro  della 
congregazione  centrale  Veneta  ad  imitar- 
ne l'esempio. Non  essendogli  riuscito, coni* 
pilo  egli  stesso  una  domanda  a  quel  con- 
sesso, della  stessa  natura.  Quindi  a  mez- 
zo dell'amico  Francesco  degli  Antoui  ne 
sparse  molte  copie  per  la  città  di  Vene- 
zia, e  ne  mandò  altre  a  Milano  ed  a  Bre- 
scia. I  progressisti  veueti  corsero  in  fol- 
la a  congratularsi  col  concittadino ,  pel 
coraggio  mostralo;  ed  i  milanesi  spediro- 
no Serbelloni  per  rallegrarsi.  Ad  esem- 
pio del  Manin,  a'  28  dicembre  Gio.  Cal- 
lista Morosiui  deputato  della  congrega- 
zione provinciale  di  Venezia,  ad  essa  pro- 
pose di  presentare  un  rapporto  alla  con- 
gregazione centrale  Veueta,si  mi  le  a  quel- 
lo della  Lombarda,  affinchè  nominasse 


V  E  N 
una  commissione  per  istudiare  i  bisogni 
del  paese  e  ne  suggerisse  i  rimedi.  INel 
dì  seguente  5  consiglieri  comunali  pro- 
posero al  municipio  di  Venezia  ,  di  pre- 
gare la  congregazione  centrale  delle  pro- 
vincie venete.,  di  porsi  in  relazione  colla 
Lombarda,  per  convenire  sulle  doman- 
de da  rassegnarsi  all'imperatore  a  van- 
taggio del  regno.  Alle  rappresentanze  le- 
gali si  unirono  le  dimostrazioni  popola- 
ri. Nella  sera  precedente  de'26,  già  al  tea- 
tro erano  state  accolte  con  fragorosissimi 
applausi  le  parole  del  coro  del  Macbetb, 
colle  quali  s'invitavano  i  fratelli  a  sorge- 
re ed  a  salvare  la  patria  tradita;  parole 
die  cantarono  gli  spettatori,  e  ripetero- 
no per  varie  sere  seguenti,  siccome  allu- 
denti alle  circostanze  di  Venezia.  A'  3o 
dicembre  Nicolò  Tommaseo  lesse  nell'A- 
teneo Veneto  un  discorso  sullo  stalo  at- 
tuale delia  letteratura  in  Italia,  e  vi  trat- 
tò della  censura  preventiva  negli  stati  au- 
striaci; rilevando  non  essere  osservata  la 
legge,  e  doversi  ricorrere  al  sovrano,  pro- 
ponendo una  petizione,  cbe  subito  fu  co- 
perta di  firme,  ancbe  de'semplici  udito- 
li. Poscia  la  spedì  nelle  provincie  per  al- 
tre sottoscrizioni,  e  indi  il  Tommaseo  la 
consegnò  al  governo  perchè  fosse  inviata 
a  Vienna.  Per  tali  motivi  Manin  e  Tom- 
maseo furono  imprigionati.  Intanto  l'Au- 
stria, mentre  partecipava  olle  altre  grandi 
potenze  quali  fossero  le  sue  idee  relati- 
vamente all'Italia, ad  istanza  del  feld-ma- 
resciallo  Radet?ky  avea  rafforzato  il  suo 
esercito  in  Lombardia,  a'36,ooo  cbe  ne 
comandava,  con  altri  25, 000  uomini,  e 
stabili  aumentaili  sino  a  8o,ooo.  Ma  lo 
spirito  italiano  erasi  comunicato  a'tede- 
scbi,  e  nella  stessa  Vienna  nacquero  im- 
ponenti dimostrazioni,  con  ispargimen- 
to  di  sangue.  —  Caduto  il  ministero  di 
Vienna  pe'fatti  avvenuti  in  quella  città, 
e  giunta  in  Venezia  a' 17  marzo  la  noti- 
zia della  soppressione  della  censura  (del- 
la stampa)  e  della  convocazione  degli  sta- 
ti delle  provincie  tedescbe  e  slave,  non- 
che  delle  congregazioni  centrali  del  re- 
vol.  xeni. 


VE  N  65 

gno  Lombardo-Veneto,  il  popolazzo  pre- 
se ardimento  ed  in  folla  accorse  nella 
piazza  di  s.  Marco  per  domandare  la 
scarcerazione  de' sunnominati  due  citla- 
dini,ed  esitando  il  governatore(ci  vile  con- 
te Luigi  di  Palfify,  essendo  il  governato- 
re militare  comandante  la  città  e  fortez- 
za il  conte  Zichy  tenente  maresciallo,  am- 
bo ungaresi)  a  concederla,  irrompe  nelle 
carceri,  li  libera  e  li  porta  a  spalle  d'uo- 
mini in  piazza.  Questo  tumulto,  insolito 
nella  tranquilla  popolazione  di  Venezia, 
incute  gravi  timori  ne'  due  governatori, 
militare  e  civile,  i  quali  fanno  schierare 
in  piazza  numerosa  truppa.  Questa  ol- 
traggiata dalle  grida  del  popolo  e  da  qual- 
che colpo  di  pietra  che  le  veniva  sca- 
gliato, rotta  la  militaredisciplina,  investe 
colla  baionetta  il  popolo,  che  si  disperde, 
rimanendo  alcuni  feriti  e  uno  soffocato 
nella  calca.  Durante  tutto  quel  giorno 
avvenne  qualche  scontro  tra'militari  e  il 
popolo,  ma  non  però  di  grave  conseguen- 
za (Insorse  Venezia  in  questo  giorno  17 
marzo,  o  meglio  que'che  rappresentaro- 
no la  rivoluzione,  che  si  compì  con  5  gior- 
nate, che  i  democratici  chiamarono  glo- 
riose, e  si  emanciparono  dal  governo  au- 
striaco ,  durando  lo  stato  rivoluzionario 
1  7  mesi,  compresi  i  102  giorni  di  repub- 
blica). Nel  dì  seguente  parlavasi  dagl'in- 
sorti di  volere  ulteriori  concessioni,  anzi 
di  una  Costituzione,  l'ufficiai  notizia  del- 
le quali  il  governatore  civile,  in  suo  ma- 
nifesto, diceva  attendere  con  una  staffet- 
ta. Il  popolo  ammutinato,  entrato  in  dif- 
fidenza e  in  sospetto,  si  porta  a  torme  in 
piazza  s.  Marco  in  aspetto  minaccioso, 
colla  coccarda  tricolore  al  petto,  ed  ap- 
picca le  bandiere  nazionali.  La  truppa 
nuovamente  crede  d'essere  oltraggiata  ; 
molti  arditi  cittadini  svelgono  con  I'  un- 
ghie  i  macigni  del  selciato,  e  fatti  a  pez- 
zi, gli  scagliano  contro  la  truppa:  questa 
fa  fuoco;  5  cittadini  cadono  morti  e  mol- 
ti altri  restano  feriti.  Il  popolo  fugge  chie- 
dendo armi,  ed  alcuni  le  tolgono  già  a* 
soldati.  In  vista  della  gravità  delle  circo- 
5 


G<>  VEil 

stanze,  (In  dalla  matlinn  alquanti  filladi, 
ni  raccoltisi  nella  casa  dell'avv.  Manin,  e 
con  esso  alla  testa  si  erano  condotti  al 
municipio  per  domandare  l'istituzione  di 
ima  guardia  cittadina  temporanea.  Il  nu- 
mero de*  richiedenti  si  fece  in  breve  ora 
grandissimo,  e  il  pericolo  divenendo  «em- 
pie più  imminente,  il  podestà  (conte  Cor- 
rer) s'indusse  a  recare,  seguito  da' suoi 
assessori,  quella  petizione  al  governato- 
re civile.  Questi,  d'accordo  col  governa- 
tore militare,  vi  acconsente,  ed  in  poclie 
ore  si  vede  girar  la  citlà  una  numerosis- 
sima guardia  cittadina  (nello  stesso  gior- 
noi8  marzo  alla  pure  insorta  Milano  fu 
concessa  la  guardia  civica:  la  bandiera  na- 
zionale tosto  fu  piantata  sul  duomo,  on- 
de poterono  le  campane  sonar  pur  esse  a 
stormo,  con  tutte  l'altre  d'ogni  chiesa, 
che  dal  giorno  19  al  23  non  cessarono  un 
istante  d'avvisare  i  dintorni  del  pericolo 
grave,  dell'eccidio  generale  che  sovrasta- 
vano. Fu  sparso  molto  sangue  ne' com- 
battimenti fra  il  popolo  e  la  truppa,  cui 
successero  le  bombe  e  i  cannoni  del  Ca- 
stello, ov'erasi  ritirato  il  feld-maresciallo 
conte  Radet/ky  comandante  militare  ge- 
nerale del  regno  Lombardo-Veneto  con 
residenza  ordinaria  a  Verona ,  che  pro- 
dussero altre  stragi  ed  incendi.  Fu  una  ri- 
voluzione sanguinosa).  Nella  sera  giunse 
la  notizia  da  Trieste  che  colà  era  stata 
promulgata  la  costituzione.  L'  alto  ufli- 
ciale  venne  tosto  letto  al  popolo  dal  go- 
vernatore civile.  Sparsosi  per  la  citlà  ta- 
le annunzio,incontanente  la  piazza  si  riem- 
pì di  popolo,  il  quale  prolungò  le  sue  ma- 
nifestazioni di  giubilo  fino  a  notte  avan- 
zata.Ne'due  successivi  giorni,  1  gè  20  mar- 
zo, ebbero  luogo  alcuni  scontri  fra  il  po- 
polo e  i  soldati  austriaci,  i  quali  si  tene- 
vano sempre  come  beffati  ed  offesi.  Nel 
giorno  21  però  si  ammutinarono  gli  o- 
perai  dell'Arsenale,  i  quali  già  da  molto 
tempo  lagna  varisi  della  severità  del  co- 
lonnello Marinoviche  pubblicamente  di- 
chiararono volerne  la  vita.  Le  guardie  ci- 
viche riuscirono  a  sottrarre  «jtielf'tifficia- 


VEPI 
le  dal  popolare  furore,  ma  crebbe  oltre- 
modo il  fermento  nella  notte  per  la  voce 
sparsa  che  «li  razzi  alla  Congrìve  avesse 
egli  armate  alcune  navi  e  piroghe  per  in- 
cendiar la  città.  Ad  onta  però  de'consigli 
in  contrario  ricevuti,  egli  volle  nella  mat- 
tina de'22  recarli  all'Alienale,  ma  gli  o- 
perai  miseramente  e  crudelmente  l'ucci- 
sero, facendo  orrendo  sfratto  del  di  lui 
corpo.  La  notizia  della  barbara  morte 
dell'infelice  Marinovich  si  diffuse  tosto 
per  tutta  la  città.  Allora  l'aw.  Manin  si 
pose  alla  testa  d'un  numero  di  guardie 
civiche  e  s'impadronì  de'piti  importanti 
ponti  dell'  Arsenale.  Uscendo  egli  di  là 
annunziò  che  l'  Arsenale  era  in  suo  po- 
tere, alla  quale  notizia  i  soldati  del  mag- 
giore Wimpffen  e  quelli  della  marina, 
gittate  le  insegne  austriache  (pomponi), 
vi  sostituirono  la  coccarda  tricolore.  Do- 
po ciò  la  veneta  marina  disponeva  legni, 
armi  e  munizioni  a  tutela  della  Laguna, 
decanati  e  de' folti.  Frattanto  il  munici- 
pio delegò  una  deputazione  onde  dichia- 
rasse francamente  al  governatore  civile, 
che  la  città  non  sarebbe  stata  tranquilla 
finche  tutti  i  mezzi  d'  offesa  e  di  difesa 
non  fossero  posti  in  mano  de' cittadini. 
Questo  governatore  depose  il  potere  nel- 
le mani  del  governatore  militare,  il  qua- 
le fu  obbligato,  nellostesso  giorno  22  mar- 
20,  a  stipulare  colla  delta  deputazione  la 
seguente  capitolazione.»  Cessare  il  gover- 
no civile  e  militare;  le  truppe  austriache 
abbandonare  la  città  e  tutti  i  forti,  e  par- 
tire per  via  di  mare,  restando  a  Venezia 
le  truppe  italiane;  il  materiale  da  guerra 
e  tutte  le  casse;  il  nuovo  governo  dover 
provvedere  al  trasporto  delle  truppe,  al- 
le quali  sarà  data  la  paga  per  3  mesi;  a 
garanzia  del  trattato  il  governatore  mi- 
litare dover  rimanere  l'ultimo  in  Ve- 
nezia ".  Il  governo  venne  assunto  da 
deputati.  Alle  ore  due  pomeridiane  con- 
vennero sulla  piazza  2,000  uomini  del- 
la guardia  civica  (essendone  comandan- 
te in  capo  l'aw.  Angelo  Mengaldo)  per 
assistere  alla  benedizione  della  bandiera 


VE  N 
ustionale  tricolore.  In  questo  frattempo 
In  presa  dell'Arsenale  viene  avvertita  dal- 
le ^rida  :  Viva  la  Repubblica  !  Viva  s. 
Marco!  Era  Manin  alla  testa  de'suoi  re- 
duce dall'Arsenale.  Egli  arringò  il  popo- 
la e  propose  la  forma  di  governo  repub- 
blicano.! contraenti  della  detta  deputazio- 
ne deposero  il  potere  nelle  mani  del  co- 
mandante la  guardia  civica,  affinchè  co- 
stituisse un  governo  provvisorio.  Egli  fe- 
ce defilare  sulla  piazza  i  battaglioni  della 
guardia  civica,  e  dopo  ricevuta  dal  pa- 
triarca cardinal  Monico  la  benedizione 
della  bandiera,  propose  all'approvazione 
del  popolo  e  della  guardia  stessa  i  nomi 
de'ineuihri  ebe  comporrebbero  il  gover- 
no provvisorio,  proposte  ebe  vennero  tut- 
te confermate.  Le  funzioni  governative 
vennero  nel  seguente  modo  distribuite: 
Daniele  Manin,  ministro  degli  affari  ester- 
ni con  presidenza;  Nicolò  Tommaseo,  cul- 
to ed  istruzione;  Jacopo  Castelli,  giusti- 
zia; Francesco  Camerata,  finanze;  Fran- 
cesco Solerà  ,  guerra;  Antonio  Paolucci 
marina;  Pietro  Paleocapa,  interno  e  co- 
struzioni; Leone  Pincherle,  commercio; 
Angelo  TofFoli  artiere,  senza  portafoglio 
(Jacopo  Zcnnari  segretario).  In  appresso, 
per  rinunzia  di  Solerà,  il  portafoglio  del- 
la guerra  venne  affidato  al  ministro  del- 
la marina  Paolucci.  Fin  dàlia  sera  de' 
22  la  guardia  civica  di  Mestre  con  un 
colpo  di  mano  s'  impadronì  de'  forti  di 
Margbera,  ed  a'o,3  que' di  Chioggia  oc- 
cuparono il  castello  di  s.  Felice.  Quasi 
contemporaneamente  le  truppe  austria- 
che sgombrarono  lutti  gli  altri  ebe  mu- 
niscono la  Laguna.  Divulgatasi  poi  la  no- 
tizia degli  avvenimenti  di  Venezia  nel- 
l'altre provincie  venete,  queste  seguiro- 
no tosto  l'esempio  della  loro  capitale  e  si 
costituirono  in  governi  provvisori'!; i  qua- 
li tutti  furono  più  o  meno  pronti  ad  ade- 
rire al  governo  della  repubblica. —  Capo 
3.  Primi  atti  del  Governo  provvisorio. 
Manin  ,  nell'atto  di  proporre  al  popolo 
lo  slato  repubblicano  disse;  «  Essere  que- 
sta, a  sua  opinione,  la  miglior  forma  di 


fcN 


*1 

governo:  il  nome  di  repubblica  ridestare 
negli  animi  de' veneziani  gloriose  memo- 
rie; molti  difetti  avere  avuto  l'antico  go- 
verno di  s.  Marco,  ma  ebe  questi  si  cor- 
reggerebbero da'nuovi  governanti".  Isti- 
tuito poi  il  nuovo  governo  nello  stesso 
23  marzo,  questo  proclamò,  ebe  il  nome 
di  Repubblica  Veneta  non  poteva  por- 
tare ormai  alcuna  idea  ambiziosa  o  mu- 
nicipale, che  le  provincie,  le  quali  si  so- 
no dimostrate  tanto  coraggiosamente  u 
rianimi  alla  comune  dignità,  le  provincie 
ebe  a  questa  forma  di  governo  aderisco- 
no ,  faranno  insieme  una  sola  famiglia 
senza  veruna  disparità  di  vantaggi  e  di 
diritti  ,  poiché  eguali  a  tutti  saranno  i 
doveri,  ed  incomincieranno  dall' inviare 
in  giusta  proporzione  i  loro  deputati  cia- 
scuna a  formare  il  proprio  statuto;  che 
aiutarsi  fraternamente  a  vicenda,  rispet 
tarei  diritti  altrui,  difendere  i  propri,  tal 
era  il  fermo  proponimento  del  governo; 
che  l'esempio  ch'esso  dee  porgere  si  è 
quello  principalmente  delle  riforme  so- 
ciali e  morali,  che  importano  più  delle 
politiche  assai,  l'esempio  della  non  sov- 
vertitrice, ma  giusta  e  religiosamente  e- 
sercitata  eguaglianza.  Dalle  dichiarazio« 
ni  di  Manin  e  dal  successivo  proclama 
governativo,  v'era  tutta  la  ragione  per 
presumere  che  il  nuovo  governo  repub- 
blicano avrebbe  toccato  Peccellenza,quel- 
la  per  altro  a  cui  può  pervenire  un  go- 
verno di  questo  genere.  Ma  esso  fu  tale 
in  effetto?  Soggiunge  l'autore:  Noisetti- 
pièci  spositori  di  fatti,  risponderemo  col- 
la sposizione  di  fatti.  Dovevasi  con  un 
dispaccio  richiamar  la  flotta,  che  allora 
trovavasi  stanziata  a  Pola;  un  piroscafo 
trasportava  a  Trieste  il  governatore  ci- 
vile austriaco  e  parecchi  altri  individui 
del  cessato  governo;  il  governo  veneto  af- 
fidava al  capitano  di  quel  piroscafo  il  di- 
spaccio di  richiamo,e  ciò  costò  nientemeno 
che  la  perdita  della  flotta, per  cui  a  Venezia 
non  restò  altra  forza  marittima  che  una 
squadra  navale.  Erano  restate  in  Venezia 
le  truppe  italiane  in  forza  della  capitola- 


68  V  EN 

lione,  truppe  sufficienti  a  formare  il  nu- 
cleo d'un  nuovo  esercito,  aia  tutte  si  ri- 
mandarono alle  case  loro.  Riguardo  poi 
alle  riforme  morali  e  sociali  di  cui  parla 
il  proclama  del  nuovo  governo,  sono  l'in- 
dicale nel  seguente  capo  (tutto  quanto 
l'operato  nel  22  e  nel  23  marzo,  riferì 
Ih  Gazzella  di  Venezia ,  e  riprodusse 
quella  di  Roma,  massime  I'  articolo  :  Il 
Ventìduc  Marzo  !  Vi  è  pure   un  ma- 
nifesto di  Mengaldo  del  23,  che  dice  a- 
vere  il  cardinal  patriarca  annuito  a   ri- 
conoscere il  seguito  rivolgimento  politi- 
co; e  che  a  mezzodì  dovea  intuonare  il 
solenne  Te  Dcum  in  s.  Marco«  in  rendi- 
mento di  grazie  al  Signore  per  la  nostra 
liberazione  dalla  servitù,  dello  stranie- 
ro ".  L'adesione  delle  provincie  co'nomi 
de'deputati  delle  medesime  che  la  fecero; 
ed  il  proclama  del  Governo  provvisorio 
della  Repubblica  Veneta,  di  ringrazia- 
mento al  popolo  veneziano,  perchè  a  un 
tratto  sorgendosi  mostròdeguodel  suo  no- 
me).— Ca  po4«  Ordinamento  civile  epoli- 
lieo.  La  bandiera  della  repubblica  veneta 
■venne  stabilita  di  3  colori,  verde,  bianco 
e  rosso j  il  verde  al  bastone,  il  bianco  nel 
mezzo,  il  rosso  pendente;  in  alto,  in  cam- 
po bianco  fasciato  da'3  colori,  il  Leone 
giallo.  Co'3  colori  comuni  a  tutte  le  ban- 
diere d'Italia  si  voleva  professare  l'unio- 
ne italiana,  il  Leone  poi  era   il  simbolo 
speciale  di  una  delle  italiane  famiglie.  La 
coccarda  nazionale  si  compose  de'3  colo- 
ri, cioè  il  verde  nel  centro,  il  rosso  al  di 
fuori,  e  il  bianco  nel  mezzo  de'due.  Il  go- 
\erno  delle  provincie  venete    assunse  il 
titolo  di  Magistrato  politico ,  conservan- 
do esso  e  gli  altri  uffizi  esistenti  le  abi- 
tuali attribuzioni.  S'institui  poi  un  Co- 
mitato di  difesa  composto  di  antichi  mi- 
litari per  assistere  il  ministero  e  il  go- 
verno nelle  sue  deliberazioni  relative  al- 
l'ordinamento delle  forze  militari  e  alla 
difesa  del  paese.  Posteriormente  gli  fu  so- 
stituito il  Comitato  di  guerra.  I  tribu- 
nali d'appello,  di  1/  istanza,  di  commer- 
cio, il  criminale  e  le  preture  conserva- 


V  EN 
reno  le  loro  attribuzioni.   La  direzione 
generale  di  polizia  cambiò  il  nome  in 
quello  di  Prefettura  centrale  di  ordine 
pubblico,  colle  stesse  attribuzioni  di  pri- 
ma. Dipoi,  in  sussidio  a  questa  venne 
istituito  un  Comitato  di  pubblica  sorve- 
glianza.  Questo,  di  concerto  colla  prelet- 
tura centrale  di  ordine  pubblico,  doveva 
occuparsi  dello  scoprimento  degli  occulti 
nemici  dello  stato,  perchè  fosse  proceduto 
in  loro  confronto  secondo  la  legge.  Così 
pure, di  concerto  colla  prefettura,  doveva 
prendere  l'opportune  disposizioui  contro 
le  persone  pericolose  e  sospette  affinchè 
fosse  tolta  ad  esse  la    possibilità  di  nuo- 
cere. Ne'casi  istantanei,  vale  a  dire,  quan- 
do il  concerto  colla  prefettura    portasse 
una  perdita  di  tempo  congiunta  a  peri- 
colo, il  comitato  dovea  prendere  le  dispo- 
sizioni opportune  riferendole   tosto  alla 
prefettura.  A  raggiungere  lo  scopo  il  co- 
mitato, oltre  a'  mezzi  ch'esso  stesso  sa- 
pesse procacciarsi,  doveva  ricevere  le  si- 
gnificazioni che  ognuno  credesse  poter 
fargli.  Le  significazioni  dovevano  conte- 
nere descrizioni  di  fatti  e  di  particolari 
circostanze,  essere  iu  iscritto  e    firmate 
dalla  persona  che  le  insinuava,  ed  indi- 
care il  luogo  preciso  ov'  essa  dimorava. 
Venne  istituita  una  Commissione  lem- 
poraria  per  tutte  le  cause  civili  e  cri- 
minali, i  cui  atti  non  erano  già  stati 
inoltrati  a  Verona  a' 22   marzo    184B. 
Questa  commissione  avea  perle  provin- 
cie unite  della  repubblica  tutte  l'attribu- 
zioni proprie  del  tribunale  revisionale  in 
Verona;  corrispondeva  col  governo  prov- 
visorio,come  prima  corrispondeva  co'di- 
casteri  governativi.  Si  soppresse  l'ufficio 
denominato    dipartimento   governativo 
del  genio.  Alla  direzione  delle  poste  ven- 
ne sostituito  un   Consiglio  delle   Poste. 
I  codici  civile,  penale,   di  procedura,  di 
commercio,  leleggi  amministraliveetut- 
te  le  altre  emanate  dal  governo  austria- 
co furono  conservati  in  vigore.  Riguar- 
do a'diritti  civili  e  allo  stato  civile,  fu 
statuito  che  tutt'i  cittadini  delle  provin- 


V  E  N 

eie  unite  della  repubblica  veneta,  qua- 
lunque sieuo  le  loro  confessioni  religio- 
se, niuna  eccettuata,  debbano  godere  di 
perfetta  eguaglianza  di  diritti  civili  e  po- 
litici, toglteudo  tutte  le  prescrizioni  di 
leggi  contrarie  a  questo  principio;  e  che 
l'età  maggiore  fosse  a'2  i  anni  compili. 
Rispetto  a'  militari,  si  abolì  il  loro  fo- 
ro privilegiato,  e  la  pena  delle  verghe  e 
del  bastone.  Nella  procedura  si  fecero  di- 
verse innovazioni,  massime  sulla  difesa  e 
i  tribunali  giudicanti.  In  quanto  alle 
pubbliche  gravezze  e  al  commercio,  si 
abolì  il  giuoco  del  lotto,  si  soppressela 
tassa  personale  e  si  tolse  il  bollo  de'gior- 
nali.  Il  prezzo  del  sale  venue  ribassato  di 
un  3.°,  si  abolì  la  coutrolleria  sul  cotone, 
sulle  sue  manifatture  e  sui  filati,  e  si 
esentarono  le  barche  armate  alla  pesca 
dal  diritto  di  porto,  da'diritti  sanitari  e 
da  qualsiasi  diritto  e  tassa.  Riguardo  alle 
leggi  civili  ingenere,si  richiamò  in  osser- 
vanza il  decreto  italico  9  agosto  1 8  1 1  ne' 
suoi  titoli  1 .°,  6.°  e  8.°  relativi  all'avvoca- 
tura ;  si  statuì  che  l'annotazioni  fatte  sui 
libri  censuari  per  mera  ingiunzione  go- 
vernativa e  camerale  del  governo  austria- 
co si  cancellassero  a  istanza  delle  parti- 
In  quanto  alla  libera  stampa,  si  statuì  a 
sua  guarentigia  che  l'autore  o  1'  editore 
debba  apporre  il  suo  nome;  che  la  liber- 
tà della  stampa  non  toglie  1'  obbligo  di 
presentare  3  esemplari  di  ciascuno  scrit- 
to che  si  stampi,  fosse  anche  d'un  foglio 
volante,  e  che  questi  3  esemplari  debba- 
no esser  deposti,  uno  alla  biblioteca  Mar- 
ciana, altro  a  quella  di  Padova,  il  3.°  a 
quella  di  Milano.  Per  l'istruzione  pub- 
blica fu  prescritto  che  gli  uomini  di  noto 
valore  siano  chiamati  ad  insegnare  an- 
che senza  prova  di  esami  ;  si  raccomandò 
rammaestramento  con  più  predilezione 
sulla  storia  italiana  segnatamente  nelle 
relazioni  colla  veneta,  finche  sia  istituita 
una  cattedra  di  storia  patria  ;  s'istituì  un 
Consiglio  di  reggenza  presso  l'università 
di  Padova  per  proporre  riforme  nell'uni- 
versità e  nelle  scuole  ;  raccomandandosi 


V  E  N  69 

a'professori,  segnatamente  di  scienze  re- 
ligiose, morali  e  civili,  d'animare  il  loro 
insegnamento  d'uno  spirito  tutto  italia- 
no; si  provvide  a  migliorare  il  liceo  di  s. 
Caterina.  Riguardo  alle  rappresentanze 
delle  provincie  della  repubblica, ciascuna 
delle  provincie  che  aderirono  alla  repub- 
blica veneta,  e  per  essa  il  rispettivo  co- 
mitato provvisorio  dipartimentale,  ven- 
nero invitate  ad  eleggere  e  inviare  a  Ve- 
nezia 3  consultori,  così  le  altre  che  ade- 
rissero poi  ;  stabilendosi  che  altrettan- 
ti ne  fossero  eletti  per  la  provincia  di 
Venezia  dal  governo  provvisorio.  Si  con- 
venne che  la  Consulta  s'adunasse  in  Ve- 
nezia a' io  aprile,  per  nominare  il  presi- 
dente e  statuire  l'ordine  delle  discussioni. 
La  Consulta  dovere  risiedere  nel  palaz- 
zo ducale,  e  corrispondere  direttamente 
col  governo  provvisorio.  Riuscendo  in* 
compatibile  col  nuovo  ordine  di  cose  la 
Congregazione  centrale ,  pel  io  aprile  si 
volle  cessata.  La  Guardia  civica  pel  mo- 
mento si  costituì  di  3  legioni,  ciascuna 
composta  di  3  battaglioni,  e  ognuno  di 
questi  diviso  in  3  compagnie  di  100  uo- 
mini. Ogni  legione  si  fece  comandare  da 
un  colonnello,  da  un  tenente-colonnello 
e  da  altri  uffiziali  nominali  dal  governo, 
i  minori  nominandoli  le  proprie  com- 
pagnie. Si  chiamarono  ad  iscriversi  a  ta- 
le guardia  tutti  i  cittadini  idonei  da'  18 
a'55  anni,  gli  esteri  domiciliati  nel  ter- 
ritorio della  repubblica  che  lo  bramasse- 
ro, e  si  dispensarono  gli  ecclesiastici,  ed  i 
militari  inattualità  d'esercizio,  i  capi  del- 
le magistrature  requirenti  la  forza  pub- 
blica, gli  agènti  subalterni  di  giustizia  e 
di  polizia,  gli  esercenti  mestieri  abbietti, 
i  domestici,  i  braccianti,  i  giornalieri  ed 
i  coloni,  ma  poter  far  parte  de' corpi  di 
riserv».  Fu  commesso  alla  guardia  civica 
il  servizio  interno  ed  esterno  della  città, 
il  presidio  della  piazza,  i  pubblici  stabi- 
limenti, le  residenze  del  governo,  del  mu- 
nicipio,de'tribunali,  delle  casse  ec.e  par- 
ticolarmente la  tutela  della  tranquillità 
pubblica.  L'i  1  aprile  s'aprì  il  suo  armo- 


7o  VEK 

lamento  regolare,  a'20  maggio  fu  istituì- 
lo  il  corpo  di  riserva, con  norme  e  rego- 
lamento organico. — Capo  5.  Annaiiivn 
li.  Le  condizioni  di  Venezia,  come  for- 
tezza, sono  piuttosto  uniche  che  singola- 
ri (è  questo  il  punto  più  strategico  di  tut- 
ta l'Italia).  Essa  non  è  propriamente  a 
dire  una  piazza  di  guerra,  ma  una  spe- 
rie  di  provincia  fui  liticata,  una  catena 
di  opere  diverse  slese  sopra  una  linea  di 
circa  70  miglia  d'estensione.  Uipartesi 
imlilarmeule  in  3  circondari.  11  i.°de' 
quali,  dalla  ciltà  movendo  a  Fusina,  gi- 
ia  per  Marghera,  anivo  alle  Porte  grau- 
di  del  Sile,  ripiegasi  a'Treporli,  termina 
a  s.  Erasmo:  lungo  ^1  miglia  e  munito 
di  ii)  furti  ed  opere  fortificate.  II  2.0  è 
fumalo  dalla  linea  de'  Lidi,  che  dalla 
punta  di  s.INicolò  per Malamocco  ed  Al- 
beloni  si  protendono  fino  alla  estremila 
de' Murazzi  di  Pelestrina,  sopra  una  li- 
nea di  olire  20  miglia  e  con  i3  fortifi- 
cazioni.Il  3.°comprendeledifesediChiog- 
già  e  di  Ciondolo,  sino  alla  foce  del  Bren- 
ta e  racchiude  6  forti.  Tulli  questi  punii 
vennero  provveduti  d'artiglieri  e  di  qne' 
lauti  presidii  de'quali  mancavano.  Ed  al- 
l'armo de'legni  e  de'forti  si  aggiunse  pu- 
re il  chiudere  ed  assicurare,  con  affon- 
dare bastimenti  e  costruire  barricate  di 
legname,  gl'ingressi  de' porti  e  de'  tanti 
eanali  che  mettono  nella  veneta  Laguna 
interna  e  1'  attraversano  in  ogni  parte. 
Per  tali  lavori  si  aggiunsero  800  operai 
u'noo  che  lavoravano  ordinariamente 
nell'Arsenale.  Si  fabbricarono  e  si  ripa- 
rarono armi  e  munizioni,  e  si  distribui- 
rono non  solamente  alia  città,  a'Iegui,  a' 
forti,  ma  anche  alle  provinole  fiuilime 
ed  a'vari  comuni,  oltre  1 5  migliaia  di  fu- 
cili, un  centinaio  di  cannoni,  2,600  scia- 
bole, 60,000  funti  di  polvere,  i,5o>o  ca- 
riche di  cannone,  un  milione  di  cartoc- 
ci da  fucile,  racchette,  palle,  capsule  e  al- 
tri oggetti  di  artiglieria,  oltre  due  can- 
noni somministrati  al  vapore  sardo  il 
Ma  {fatano  e  10  spediti  in  Ancona.  E 
frattanto  i  veneti  carpentieri  aiutavano 


VEN 
a'Iavori  di  barricate  nelle  città  vicine,  i 
pompieri  si  occuparono  a  spegnere  gl'in- 
cendi prodotti  dal  bombarli, uuenlo,  i 
pontonieii  erano  a  disposizione  del  ge- 
neral Durando,  al  quale  la  marina  vene- 
ta somministrava  pressoché  tulle  le  mu- 
niz  ioni  per  l'esercito.  Ne'primi  giorni  del- 
la rivoluzione  77  legni  armali  presidia- 
vano i  3  circondari  di  difesa  con  327 
bocche  da  fuoco.  In  seguito  si  allestì  la 
corvetta  la  Civica  e  poi  il  brick  a  vapo- 
re il  Crocialo;  a'7  maggio  usci  1'  altro 
s.  Marco,  e  5  giorni  dopo  ledue  corvet- 
te di  1 /Vango  la  Lombardia  el'  Indi- 
pendenza. A' 22  marzo  rimanevano  in 
Venezia  uu  battaglione  di  granatieri  ed 
un  altrodel  reggimentoWimplTen^.ooo 
uomini  in  tutti,  ed  un  3.°composto  nella 
maggior  parte  d'italiani,  il  qoale  faceva 
il  servizio  di  sanità  ed  era  ripartito  a  Ve- 
nezia, Chioggia  e  Mestre,  ma  queste  trup- 
pe, come  già  si  disse,  furono  dal  governo 
rimandate  alle  case  loro.  A' 27  marzo 
si  aprì  l'  iscrizione  per  io  battaglioni  di 
volontari,  ciascuno  de'quali  composto  di 
6  compagnie,  ed  ogu  una  di  queste  di  1  00 
uomini:  s'istituì  la  guardia  civica  mobi- 
le, ed  a'28  marzo  i  gendarmi,  di  cui  si 
formarouo  4  compagnie,  in  lutti  600. 
A'3  1  del  dello  mese  s'aprì  un  arruola- 
mento pegli  artiglieri,  e  il  loro  numero 
aumentò  poi  ogni  giorno.  A'3  aprile  si 
decretò  uu  corpo  di  200  soldati  di  ca- 
valleria regolare.  Parecchi  cittadini  pro- 
posero la  formazione  d'un  corpo  di  volon- 
tari che  gratuilamenle  servissero  nella  cit- 
tà e  De'forti,  ed  a'26  aprile  si  assegnaro- 
no 4  uflìziali  a  dirigere  le  istruzioni  di 
tal  corpo  formato  di  200  uomini,  com- 
presi vari  sotto-ufììciali  di  marina  ;  que- 
sti istruiti  nel  maneggio  del  fucile  e  del 
cannone,  parte  furono  inviati  a  presidia- 
re il  forte  Alberoui,  parte  in  altri  sili. 
Guardie  civiche  mobilizzate,  squadre  di 
veneli  crociali  e  volontari,  frazioni  di  cor- 
pi disfatti  o  distrutti,  pellegrini,  avven- 
turieri d'ogni  parte  giunsero  a  Venezia. 
lu  breve,  le  forze  propriamente  venete 


V  EN 
delle Zf  ainii , faittet ia, cavalleria,  artiglie 
ria  e  genio,  formavano  negli  ultimi  tem- 
pi del  governo  repubblicano  un  com- 
plesso di  1 3,ooo  uomini,  ed  i  sussidiari 
circa  6,ooo,  per  cui  il  presidio  di  Vene- 
zia e  dell'Estuario,  Cuor  delle  truppe  ma- 
rittime e  dell'Arsenale,  ossia  l'esercito  di 
cui  si  disponeva  ne'forli  verso  la  Terra- 
ferma, era  di  circa  1 9,000  uomini.  — Ca- 
po 6.  Finanze.  Le  provincie  di  Terra- 
ferma, a  mano  a  mano  che  conseguirono 
la  loro  liberazione,  istituirono  de'goverui 
provvisori!,  che  dopo  le  adesioni  delle 
provincie  stesse  al  governo  della  repub- 
blica, si  tramutarono  in  comitali  dipar- 
timentali. Essi  disposero  delle  rendite  del- 
le rispettive  provincie  e  delle  casse  di  fi- 
nanza, senza  mandare  alcun  avanzo  alla 
centrale  com'era  di  costume  sotto  la  do- 
minazione austriaca.  A'^3  marzo  il  go- 
verno trovò  che  tra  denaro  e  note  di  ban- 
co esisteva  la  somma  di  5,66o,i43  di  li* 
re  presso  le  due  casse  centrale  e  provin- 
ciale di  Venezia,  e  fu  con  quelfoudo  che 
cominciò  a  sostenere  i  dispendi.  Dell'im- 
poste dirette  la  sola  rata  di  marzo  della 
provincia  di  Venezia,  in  lire  467,297:60 
affluì  uella  cassa  centrale;  avrebbe  dovu- 
to entrarvi  anche  quella  dell'altra  pro- 
vincia di  Padova  del  mese  successivo,  in 
lire  683,5o7,  ma  la  somma  ritornò  in- 
tegralmente colà,  come  si  dirà  insegui- 
to. Riguardo  poi  al  contributo  arti  e  com- 
mercio, durante  il  governo  della  repub- 
blica non  è  avvenuta  l'abituale  sua  sca- 
denza. Il  prodottodell'indiretta  nella  pro- 
vincia di  Veneziasi  limitò  a  lire 993,620. 
"Dalla  cassa  del  lotto,  che  venne  abolito, 
si  ritirarono  gli  avanzi  dell'estrazioni  an- 
teriori nella  somma  di  lire  4^,000.  Nella 
cassa  della  posta  a'2  3  marzo  si  trovaro- 
no 40,000  lire  costituite  in  parte  in  no- 
te di  banco;  ma  quest'azienda  riuscì  to- 
talmente passiva  e  dovettesovvenirsi  dal- 
la cassa  centrale,  mentre  la  posta  fu  in- 
caricala di  slraordiuari  servigi  militari  e 
diplomatiche  per  mantenere  la  corrispou- 
deuza  fu  costretta  ad  attuare  mezzi  Uso* 


YEN  7 1 

liti  e  per  stradali  indiretti  con  gravissimi 
dispendi.  Nella  zecca  a'23  marzo  si  tro- 
vò uu  fondo  di  lire  708, 1 98  tra  monete 
coniate  e  paste  d'oro  e  d'argeuto  da  mo- 
netarsi. La  zecca  del  governo  austriaco 
era  mantenuta  in  via  affatto  interinale 
per  soddisfare  a'bisogni  del  veneto  com- 
mercio, specialmente  per  la  monetazione 
de'talleri  pel  Levante,  e  la  somma  di  so- 
pra indicata  avrebbe  dovuto  considerarsi 
piuttosto  come  dotazioue  dello  stabili- 
mento :  nondimeno  le  si  fecero  versare  in 
cassa  centrale  lire  246,41 5  onde  aumen- 
tare i  fondi  disponibili.  La  zecca  si  pre- 
stò a  coniare  anche  nuova  moneta  (a'29 
giugno  1848  fu  stabilito:  Nella  zecca  ve- 
neta si  corneranno  de'pezzi  d'argeuto  da 
lire  5  italiane.  Nel  diritto  avranno  la  leg- 
genda :  Repubblica  Pineta  22  marzo 
1848,  ed  in  mezzo  il  Leone;  nel  rovescio 
UnioneItaliana,e dentro  uua  coroua  for- 
mala da  due  rami  Lire  5 ;  al  di  sotto  la 
lettera  F.  À*7  giugno  il  governo  veneto 
proibì  l'estrazione  di  oro,  argento,  rame 
per  qualuuque  porto  austriaco;  ed  a'16 
agosto  in  termine  di  48  ore  volle  la  con- 
segna al  la  zecca  degli  ori  e  degli  argenti  per 
uu  prestilo,  o  iu  vece  denaro,  olire  l'aver 
decretato  ritenzioni  sugli  stipendi  e  pen- 
sioni. E  qui  noterò,  che  lungo  sarebbe 
il  dovere  registrare  lutti  i  prestiti  imposti 
né'  1 7  mesi,fra'qualiquellodella  carta  mo- 
netato delta  patriottica  di  5  milioni  con 
garanzia  del  consiglio  comunale  di  Ve- 
nezia. Imperocché  mi  è  impossibile  il  ri- 
cordare quanto  energicamente  si  operò, 
e  quante  offerte  si  prodigarono.  D'altron- 
de, forse  niuua  nazione,  quauto  la  vene- 
ziana, avea  titolo  per  aspirare  al  pos- 
sibile ricupero  di  sua  libertà,  per  tale  un 
complesso  di  cose,  che  non  mi  sem- 
bra azzardata  la  proposizione,  in  un'e- 
poca in  cui  gì'  italiani  erano  infiamma- 
ti del  prevalente  spirito  di  apparente 
indipendenza,  dopo  quattordici  secoli  di 
reggimento  repubblicauo  aristu-demo- 
cratico).  S'ingiunse  al  comitato  della  fer- 
rovia il  versamento  de'foudi  che  si  tro« 


72  VEN 

vavauo  giacenti  nella  sua  casta,  e  si  ebbe 
così  uu  fondo  di  3,000,000  di  lire,  la 
inaggiorpartein  cambiali. L'offerte  spon- 
tanee de'citladini  al  governo  ascesero  al- 
la somma  di  lire  25o,ooo.  A'i4  '"aggio 
il  governo  decretò  uu  prestito  forzoso  di 
j  0,000,000  di  lire  coll'interesse  del  5  per 
100.  Il  prestito  fu  garantito  dalla  unzio- 
ne con  pegno  di  tante  azioni  della  socie* 
tà  della  strada  ferrata,  e  dovea  essere  ri- 
fuso in  6  anni  da)  1849  in  poi,  ripartito 
nelle  provincie  non  rioccupale  dagli  au- 
striaci. Il  prestito  non  si  potè  realizzare 
nella  provincia  di  Treviso  per  la  totale 
sua  nuova  occupazione,  e  Io  si  realizzò  in 
parte  in  quella  di  Vicenza,  Padova  e  Ro- 
vigo, che  successivamente  furono  pure 
occupale.  Nella  sola  città  di  Venezia  e  in 
alcuni  distretti  di  sua  provincia  si  pote- 
rono ultimare  le  operazioni  per  riparli- 
mento  individuale  nella  somma  di  lire 
4,5oo,ooo  alla  provincia  stessa  attri- 
buita. In  seguito  poi  il  governo  aggiunse 
per  questa  provincia  altre  lire  i,5oo,ooo 
al  detto  quoto  fissato  sopra  questo  pre- 
stito nazionale  di  io  milioni  che  non  ha 
potuto  effettuare  nelle  provincie  rioccu- 
pale dall'Austria.  Da'  depositi  giudiziali 
pressoi!  tribunale  civile  di  Venezia  il  go- 
verno prelevò  la  somma  di  circa  100,000 
lire  :  l'erario  se  ne  costituì  depositario  as- 
sicurando le  parli,  alle  quali  que'depositi 
appartenevano,collestessegaranzieche  fu- 
rono date  a'sovveulori  del  prestito  forza- 
to. Io  complesso  durante  il  governo  della 
repubblica,  entrarono  in  cassa  erariale 
1 3,665,584 :3o  di  Ih  e,  e  se  ne  spesero 
1 2, 1 22,263  :  3o,  sicché  a*2  3  giugno  ri- 
manevano in  cassa  i,433,228:8p  di  lire 
tra  denaro,  uote  di  banco  e  cambiali.  Ve- 
nezia circoscritta  alle  sue  Lagune  e  nello 
stato  d'isolamento  in  cui  trovavasi  allo- 
ra, non  dava  un  reddito  maggiore  di  men- 
sili lire  1 90, 000, mentre  le  spese  si  faceva- 
no ascendere  a  2,5oo,ooo  mensili. — Ca- 
po 7.  Condizioni  politiche  e  relazioni  e- 
j/e/'e.Coslit  uito  il  governo  provvisorio  del- 
la repubblica,  ne  fu  data  notizia  a  tulli  3IÌ 


VEN 
stati  che  in  Venezia  aveano  rappresen- 
tanza consolare.  Il  nuovo  governo  ven- 
ne tosto  riconosciuto  con  dichiarazione 
verbale  dal  console  degli  Stati- Uniti  d" A.» 
melica,  ad  esempio  di  quanto  avea  fatto 
recentemente  in  caso  simile  l'ambascia- 
tore di  quella  potenza  in  Parigi.  Fu  inol- 
tre riconosciuto  in  iscritto  dal  direttorio 
federale  svizzero,  e  col  fatto  delle  ufficia- 
li relazioni  diplomatiche  dal  governo  del 
re  di  Sardegna  Carlo  Alberto  e  dal  go- 
verno provvisorio  dell'insorta  Lombar- 
dia. La  repubblica  veneta  ebbe  altri  ri- 
conoscimenti impliciti  da' vari  governi 
d'Italia.  Vennero  e  rimasero  in  Venezia 
inviali  del  re  Sardo, che  per  stabilirvi  in- 
time relazioni  a' 12  aprile  vi  spedì  Lazza- 
ro Rebizzo  incaricato  provvisorio;  non 
che  del  governo  provvisorio  di  Lombar- 
dia. Il  governo  della  repubblica  mandò 
inviati  suoi  al  campo  di  detto  re,  a  Mila- 
no, a  Roma,  a  Parigi.  Quando  gli  aiuti 
mandati  dal  governo  delle  due  Sicilie, 
che  già  si  trovavano  presso  il  Po  e  do- 
vevano varcarlo  per  operare  nel  Veneto 
unitamente  alle  milizie  venuteda  Roma; 
e  intanto  che  l'esercito  piemontese  ope- 
rava nel  territorio  Lombardo,  mancaro- 
no a*  veneziani  pegli  ordini  che  le  truppe 
ricevettero  di  retrocedere,  e  soltanto  po- 
chi con  Pepe  loro  generale  giunsero  a  Ve- 
nezia ;  quando  Vicenza  e  poi  Treviso 
dovettero  capitolare,  e  beo  12,000  sol- 
dati italiani  fra  pontificii  e  veneti  vennero 
per  3  mesi  posti  fuori  di  combattimento; 
e  quando  tutto  il  Veneto  fu  rioccupato 
dagli  austriaci  (comandati  dal  general 
Victor  fin  da'3  1  marzo  aveano  formato 
un  cordone  sull'Isonzo,  dove  si  raccolsero 
anche  le  truppe  partite  da  Venezia;  ed 
il  governo  di  questa  sequestrò  lutti  i  be- 
ni mobili  e  immobili  posseduti  nel  terri- 
torio veneto  dal  viceré  arciduca  Ranieri, 
e  da  Francesco  Vduca  di  Modena,  però 
a  favore  di  questa),  restando  libera  la  so- 
la Venezia,  e  anch'essa  da'medesimi  vi- 
vamente minacciata;  allora  i  veneziani 
fecero  molte  istanze  al  governo,  coperte 


V  E  N 
d'un  numero  grandissimo  di  sottoscrizio- 
ni, colte  quali  si  voleva  dimostrare  la  ne- 
cessità di  chiedere  il  soccorso  della  Fran- 
cia, ed  insistevasi  perchè  fosse  chiesto.  Il 
governo  interpellò  prima  i  governi  d'I- 
talia, affinchè  dicessero  se  veramente  le 
forze  italiane  potevano  bastare  all'indi- 
pendenza italiana,  e  quando  no,  concor- 
ressero a  chiedere  in  nome  comune  del- 
la nazione  italiana  l'alleanza  della  nazio- 
ne francese.  Il  governo  di  Toscana  e  quel- 
lo di  Roma  nella  risposta  a  quesl'inter- 
pellazione,  promisero  d'  inviare  nuovi 
soccorsi  secondo  le  proprie  forze,  ma  si 
dichiararono  avversi  all'intervento  fran- 
cese.— CapoS.  Movimenti  militari  e  fatti 
<7V//7/z/.lldì8aprileg!i  austriaci  aMonte- 
bello  si  scontrarono  con  un  corpo  di  cro- 
ciati pado vani, tri vigiani,  vicentini  e  lom- 
bardi,studenti  in  gran  parte,  che  nel  gior- 
no antecedente  si  batterono  senza  cede- 
re; ma  in  tale  mattina  nuovi  drappelli  au- 
striaci sopraggiunti  girarono  il  poggio  di 
Sorio,  alle  cui  falde  combattevano  i  cro- 
ciati, e  ne  acquistarono  la  sommità.  I  cro- 
ciati si  trovarono  tra  due  fuochi,  e  sban- 
daroosi  in  parte  alla  volta  di  Vicenza  e 
in  parte  sopra  Arzignano.  Di  essi  furono 
trovati  morti  5i  sul  luogo  e  altri  3o  cir- 
ca rimasero  sotto  le  macerie  delle  case 
incendiale.  In  questo  stesso  giorno  suc- 
cesse una  gran  battaglia  tra  gli  austriaci 
e  i  piemontesi  in  prossimità  di  Peschiera. 
Giunse  in  aiuto  diPalmanova  un  corpo  di 
crociati  veneziani,  unitamente  a  circa  3oo 
uomini  di  truppa  proveniente  da  Udine, 
ed  a  iio  artiglieri  piemontesi.  A'  i  7  i 
crociati  fecero  una  sortita  e  si  spinsero  sin 
sotto  a  Visco,  ma  gli  austriaci  li  obbli- 
garono a  battere  la  ritirata  ;  però  2  3  cro- 
ciali caddero  prigionieri.  Udine  a'  22  si 
arrese  agli  austriaci  per  capitolazione,  e 
vi  entrarono  capitanati  dal  general  Nu- 
gent.  A'  28  giunse  in  Padova  il  general 
Durando  con  6,000  uomini  e  12  canno* 
ni  dirigendosi  a  Treviso.  Ed  a'3o  a  Caor- 
le  sbarcò  un  corpo  di  crociati.  Da  Trie- 
ste a'3  maggio  si  pubblicò  il  blocco  di 


VEN  73 

Venezia  per  mare.  Verso  le  coste  di  Chiog- 
gia  si  diresse,  imbrogliate  le  vele,  una 
fregata  austriaca  rimurchiata  da  un  va- 
pore,direttaa  Porto  Levante.  Il  vice-am- 
miraglio veneto  pose  i  legni  che  guarda- 
vano il  porto  in  istato  di  combattimen- 
to, discese  poi  a  terra  e  fece  battere  la 
generale  :  la  popolazione  di  Chioggia  e 
di  Pelestrina  corse  tutta  alle  armi.  Bel- 
luno, dopo  aver  resistilo  per  3  giorni,  as- 
salita di  fronte  e  alle  spalle,  a' 4  cadde 
in  mano  degli  austriaci  senza  capitola- 
zione. Carlo  Alberto  a'  6  spintosi  fino  a 
s.  Lucia  e  Croce  Bianca,  ordina  il  ritor- 
no al  quartiere  di  Somma  Campagna,  ri- 
portando grave  danno.  Agli  8  avvenne  la 
battaglia  di  Cornuda  fra  gli  austriaci  e  i 
pontificii,  con  danno  di  quest'ultimi,  che 
invano  attesero  il  rinforzo  del  general 
Durando  (la  cui  condotta  incomincia  a 
destar  sospetti).  Gli  austriaci  a* io  per  5 
ore  bombardarono  Palmanova  inutil- 
menle.  Agli  11  pel  fatto  d'armi  alle  Cà- 
Strette,  le  truppe  pontifìcie  comandate 
dal  general  Ferrari  si  ritirarono  a  Tre- 
viso. Inoltre  gli  austriaci  a'  1 2  attaccaro- 
no quella  città,  gl'italiani  fecero  3  sorti- 
te. In  questo  giorno  il  general  Giacomo 
Antonini,  comandante  la  legione  italiana 
organizzata  a  Parigi,  fu  nominato  co- 
mandante della  città  e  fortezza  di  Vene- 
zia. Ivi  a'  i3  giunse  un  corpo  di  volon- 
tari siciliani  capitanati  dal  colonnelloGiu- 
seppe  La  Masa;  e  gli  austriaci  rinnovaro- 
no l'assalto  su  Palmanova  (a'  i/\.  il  co- 
mando della  divisioue  navale  veneta  è  af- 
fidato al  general  contrammiraglio  Gior- 
gio Bua).  A' 16  arrivò  la  flotta  napoleta- 
na nel  porto  di  Venezia  tra  il  tuonar  del 
cannone,  il  suono  delle  campane  e  della 
banda  civica:  era  composta  di  5  fregate 
a  vapore,  2  fregate  a  vela  e  un  brick.  Il 
popolo  veneto  voleva  accorrere  alla  di- 
fesa di  Treviso,  ma  non  l'ascoltò  il  go- 
verno. A'rq  si  seppe  la  dedizione  di  Mi- 
lano a  Carlo  Alberto.  In  tal  giorno  gli 
austriaci  abbandonarono  Treviso,  e  mar- 
ciarono verso  Catnisano.  A'21  poi  assa- 


74  VEN 

Jirono  Vicenza,  ove  giunse  final niente 
colle  sue  truppe  il  general  Durando;  e 
Manin  e  Tommaseo  vi  si  recarono  con  un 
migliaio  ili  militi,  tra  cui  la  legione  An- 
tciuiui.  La  flotta  iarda  a'  22  maggio  fu 
«Ila  vista  di  Venezia  e  si  unì  agli  altri  le- 
gni italiani  per  avviarsi  aTrieste  (che  mi- 
nacciò, limitandosi  al  blocco  della  divisio- 
ne austriaca  e  a  impedirle  le  ostilità  con- 
tro Venezia  :  la  flotta  sarda  couiponevasi 
«li  17  legni,  con  circa  4>ooo  d'equipag- 
gio, comandata  dall'ammiraglio  Albini). 
La  flotta  austriaca,  meno  forte,  si  ritirò 
dietro  il  molo  della  Lanterna. Gli  austria- 
ci a'  23  (in  tal  giorno  il  proclama  di  re 
Carlo  Alberto, ai  popoli  della  Venezia,  gli 
assicurava  non  aver  altro  scopo  che  la 
liberazione  della  propria  patria  dallo 
straniero)  ritornati  su  Vicenza,  l'assali- 
rono a'24  con  razzi  e  2,000  bombe,  ri- 
tirandosi a  3  miglia  dopo  un  combatti- 
mento di  i5  ore.  Una  compagnia  di  cro- 
ciati assaltata  in  Cittadella  una  caserma 
d'austriaci,  fece  molli  prigionieri  e  li  con- 
dusse a  Vicenza.  A' 26  il  Cadore  venne 
minacciato  in  4  punti  dagli  austriaci,  ed 
a'  28  i  cadorini  li  lasciarono  entrare  in 
ima  gola  per  3  miglia  circa  e  poi  diedero 
fuoco  alle  mine.  A'28  entrarono  in  Bar- 
dolino 800  austriaci,  dopo  inutile  resi- 
stenza, e  poi  si  diressero  a  Caprino.  Car- 
lo Alberto  fece  trasferire  il  suo  quartie- 
re generale  da  SommaCampagua  a  Val- 
leggio.  L'esercito  austriaco,  mosso  verso 
Cintatone,  sbaragliò  i  toscani.  Il  general 
Antonini  a'3o  spedì  4^0  uomini  di  sua 
legione  à  difesa  di  Treviso.  Successe  gran 
battaglia  a  Goito  con  vantaggio  de'  pie- 
montesi. Per  la  fame  si  rese  Peschiera  a' 
3i  per  capitolazione,  ed  usciti  gli  austria- 
ci con  onori  militari,  vi  entrarono  i  pie- 
montesi (Già  il  i.° giugno  gli  assennati 
conoscevano  le  somme  difficoltà  per  l'a- 
nità  italiana y  massime  per  lo  scoglio  di 
fissare  la  capitale.  Milano  si  accomodò  a- 
gevolmenle  alla  fusione  nella  speranza 
eli  divenire  la  capitale  dell'  ideato  regno 
dell'alta  Italia:  Venezia  non  ci  vide  il 


V  lì  N 
suo  conto.  Intanto  persone  pagate,  unir 
si  sa  da  chi,  scrivono  e  gridano  :  Viva 
Carlo  Alberto  !  La  Spada  d'Italia!).  A' 
4  ginguo  Bassano  venne  occupata  dagli 
austriaci,  a'qnali  cede  il  Cadore.  A'9  ar- 
rivò in  Rovigo  il  geueral  Pepe,  portan- 
do in  aiuto  a  Venezia  4  mortai,  2  obizzi, 
6  cannoni,  piò  di  20  carri  di  munizioni 
e  attrezzi,  ed  in  complesso  i5oo  uomini: 
il  resto  dell'esercito  napoletano ub&dien- 
teal  proprio  re  tornò  indietro. Il  feld-ma- 
resciallo  Radet/ky  coli'  esercito  attaccò 
tutta  all'intorno  Vicenza.  Dopo  12  ore 
di  fuoco  vivissimo, il  general  Durando  so- 
stituiva la  bandiera  di  tregua  a  quella 
di  guerra,  ma  il  popolo  la  crivellava  di 
moschettate.  Per  altre  Gore  durò  la  stra- 
ge, e  quando  gli  austriaci  voltarono i  can- 
noni contro  la  città,  s'inalberò  la  bandie- 
ra bianca  e  si  capitolò.  11  lladetzky  dis- 
se: Non  potersi  negare  una  capitolazione 
a  chi  si  era  difeso  così  eroicamente.  La 
caduta  di  Vicenza  aggravò  molto  i  so- 
spetti concepiti  sul  Durando.  Dietro  or- 
dine di  Ferdinando  lire  delle  due  Sici- 
lie, la  suddetta  flotta  napoletana,  ch'erasi 
unita  alla  divisione  della  flotta  sarda  e 
veneta,  agli  1  1  partì  tra  gli  urli  ed  i  fi- 
schi de'sardi  e  de' veneti.  A' 12  un  corpo 
austriaco  di  Vicenza  interruppe  la  ferro- 
via a  Poiana.  Il  comitato  centrale  della 
guerra  in  Venezia,  dietro  il  fatto  di  Vi- 
cenza, risolse  di  concentrare  le  proprie 
forze  di  Padova  e  di  Treviso  a  difesa  del- 
le fortificazioni  di  Venezia.  Treviso  non 
volle  ubbidire,  e  quindi  il  bombarda* 
mentoseguì  la  mattina  de'  i4i  pochi  dan- 
ni contava  la  città,  ma  gli  abitanti  insi- 
sterono per  una  capitolazione.  Questa 
venne  nella  sera  proposta  al  general  au- 
striaco, il  quale  accordar  voleva  le  armi 
egli  onori  militari  a'soli  granatieri  pon- 
tificii. 1  corpi  franchi  non  volevano  ce- 
dere le  armi;  il  generale  austriaco  persi- 
ste nella  sua  deliberazione  ;  i  comandanti 
italiani  decidono  d'aprirsi  colle  armi  la 
via  per  Venezia, a vviandovisi  com2  can- 
nimi; allora  il  general  austriaco,  dietro 


V  E  N 
rimostranze,  accordò  la  capitolazione  ne' 

modi  proposti.  A'i5  successe  una  fazio- 
ne sotto  Caorle:  una  cannonata  fa  scop- 
piare !a  veneta  penici) e  Furiosa^  sulla 
quale  restò  illeso  solo  il  comandante,  e 
gli  i  i  che  stavano  a  bordo  rimasero  par- 
te morti  e  parte  feriti.  Giunse  in  Venezia 
il  genend  Pepe  colla  fra  zio  uè  dell'eserci- 
to napoletano  disubbidiente  al  suo  re,  e 
venne  tosto  nominato  generale  in  capo 
delle  truppe  di  terra  che  si  trovavano  nel 
Veneto. Gli  austriaci  a'i8  occupano  Me- 
stre, e  Venezia  viene  bloccata  per  la  via 
di  terra.  1  bastimenti  veneti  ilei  la  linea 
diFusina  vengono  attaccali  sull'albeggiar 
del  ?.3  da  una  batteria  austriaca.  La  ca- 
pitolazione di  Pai  mano  va  è  conclusa  a' 
^giugno fra  il  colonnello  auslriacoKor- 
paii  ed  il  presidente  Putelli  luogotenen- 
te del  generale  Zucchi.  Ecconeil  tenore: 
n  Garantita  la  vita,  la  libertà  e  le  proprie- 
tà de'civili  e  de'roilitari  e  della  guardia 
civica;  le  truppe  regolari  delle  provincia 
del  Friuli,  di  Belluno  e  di  Treviso,  non 
the  i  crociati  di  Venezia  ripatrieranno 
disarmati;  gli  artiglieri  piemontesi  ritor- 
neranno alla  patria  colie  armi  e  gli  onori 
militari".  Così  assoggettavasi  la  città  ri- 
conoscendo di  »»  essere  coro  promessa, ben- 
ché fornita  di  sussistenze  e  mezzi  di  di- 
fesa"(A*28  s'istituiscono  telegrafi  in  vari 
putiti  di  Venezia  e  formasi  uu  corpo  di 
telegrafisti). I  lquartier  generale  del  re  sar- 
do a'29  si  trasportò  da  Valieggioa  Ro- 
verbello.I  napoletani  partono  dal  campo 
per  ordini  pressantissimi  avuti  da  Napo- 
li.A'3  luglioaPiranosucces^e  uno  scontro 
tra  legui  austriaci  e  veneti  che  cannoneg- 
giarono il  fortino  delle  Rose.  — Capo  g. 
Partito  repubblicano  e  realista ,  e  cadu- 
ta dellaRepubblica.ì  proclami  del  reCar- 
lo  Alberto  »  che  senza  prestabilire  alcun 
patto  prometteva  la  liberazione  dell'in- 
tiera penisola"  cominciarono  ad  alienare 
gli  animi  degli  abitanti  delle  provincia  ve- 
nete di  terraferma  dal  governo  della  re- 
pubblica. La  maggior  parte  del  popolo  ve- 
uelo  ripete  va  in  tutti  i  modi» piuttosto  che 


V  E  N  75 

i  piemontesi,  gli  austriaci".  GPiniproperii 
scaglia  ti  contro  il  Piemonte  è  in  utile  il  dir- 
li, come  ripetuti  da  lutti  i  giornali, dagli 
atti  e  dalle  parole  de'go  vernanti  d'allora. 
Pervenuta  la  notizia  della  fusione  di  Mi- 
lano col  Piemonte,  alcuni  temettero  che 
l'esempioinfluisse  nelVenetoe  venne  pro- 
dotto un  indirizzo  al  governo  affinchè 
pubblicasse  seuza  indugio  una  legge  e- 
lellorale  e  convocasse  entro  un  mese 
1'  Assemblea  Costituente  per  Venezia  e 
per  quelle  provincie  che  non  si  fossero 
ancora  date  definitivamente  al  Piemon- 
te. 11  comitato  provvisorio  di  Padova  , 
per  parte  sua  e  de'comitali  di  Treviso  , 
Rovigo,  Vicenza,  nel  3  1  maggio  1848 
intima  al  governo  di  Venezia  di  dichia- 
rarsi entro  3  giorni  per  la  fusione  del 
Piemonte  in  un  solo  Stato  ,  intendendo 
essi,  in  caso  diverso,  di  staccarsi  dalla  re- 
pubblica veneta.  Questa  notizia  sparge  il 
malumore  tra'veneti.Si  diffondono  scritti 
prò  e  contro  e  si  dà  origine  a  due  par- 
titi, il  Repubblicano  ed  il  Realista^  che, 
più  debole  e  formato  per  la  maggior 
parte  di  forestieri,  profonde  denaro  per 
acquistarsi  fautori.  Questi  parliti  danno 
origine  a  diverse  manifestazioni  popola- 
ri. Fra  le  altre,  una  settantina  di  pesca- 
tori armati  di  lunghe  fioccine(o  fiocine, 
pettinelle,  islromenti  di  ferro  a  guisa  di 
tridente, con  007  denti,  o  lunghe  pun- 
te d'acciaio  lavorato  a  foggia  d'amo,  che 
si  adattano  ad  una  lunga  asta  di  legno  per 
colpire  e  prendere  i  pesci:  tal  ciurma  fu 
detta  la  processione  delle  fiocine)  ferrate 
andavano  un  giorno  gridando  Viva  la 
Repubblica^  forzavano  gli  altri  a  secon- 
darli. Così  pure  un  corpo  di  ci  ria  1,200 
guardie  civiche  invitato  nel  campo  di 
Marte  per  una  rivista  fa  una  dimostra- 
zione nel  senso  della  fusione  di  Venezia 
col  Piemonte.  Quest'atto  imprudente 
cagionò  clamori  ed  assembramenti  pe- 
ricolosi nella  sera  iu  piazza  di  s.  Marco, 
ove  s'  intese  gridare:  Morte  a  Manin  e 
a  Tommaseo!  11  governo  provvisorio  di 
Venezia,  dietro  la  fatta  dichiarazioue 


?8  V  lì  N 

«Ielle  venete  provincie,  a'  3  giugno  con- 
voca (pel  giorno  1 8,  poi  sospesa  a'  i  5,  ed 
n*2i  inlimata  pe*  3  luglio)  un'assemblea 
di  deputati  eletti  fra    gli  abitanti  della 
provincia  in  ragione  di  uno  sopra  2000, 
«ode:  i.°  deliberi  se  la  questione  relati- 
va alla  presente  condizione  politica  deb- 
ba essere  decisa  subito  od  a  guerra  fini- 
ta; i.°  determini,  nel  caso  che  fosse  deli- 
berata per  la  decisione  istantanea,  se  il 
territorio  di    Venezia  debba   fare    uno 
slato  da  se,  od  associarsi   al   Piemonte; 
3.°  sostituisca  o  confermi  i  membri  del 
governo  provvisorio.  A*  3   luglio  1848 
propriamente  seguì  V  apertura  solenne 
dell'  assemblea  nazionale  (  nella  sala  del 
maggior  Consiglio  con    1 33  deputati  de' 
193  eletti).  Nel  dì  seguente  Tommaseo 
dissuase  la  immediata    fusione   col  Pie- 
>nonte,dimostraudo  necessario  e  decoro- 
so astenersi  per  ora  da  un  passo  che  non 
potrebbe  sembrare  né  libero,  né  utile,  né 
onorevole.  Paleocapa  gli  rispose  ch'era 
cosa  giusta,  prudente  e  diplomatica  di 
ricorrere  alla  fusione,  e  lo  sostenne  chia- 
mandosi uomo  pratico  e  positivo.  Dopo  i 
loro  discorsi  Manin  sale   la   bigoncia   e 
dice:  I discorsi  de  due  valenti  oratori 
che  mi  precedettero  ,   dimostrano  che 
non  vi  è  opinione  ministeriale  j  che  noi 
parliamo  qui,  non  come  ministri,  ma 
come  semplici  deputati^  e  come  sempli- 
ce deputato  parlo  anche  io  parole  di 
concordiaedi  amore.  Inoggi  ho  la  stessa 
opinione  che  aveva  nel  11  marzo  quan- 
do dinanzi  la  porta  dell'Arsenale  pro- 
clamai la  Repubblica.    Ora    tutti  non 
l'hanno  (agitazione).  Parlo  parole  di 
concordia  e  di  amore  e  prego  di  non  es- 
sere interrotto.  E  un  fatto  che  tutti  oggi 
non  l'hanno.  E  pure  un  fatto  che  il  ne- 
mico  sta  alle  nostre  porte,  che  il  nemico 
attende  e  desidera  una  discordia  in 
questo  paese,  inespugnabile  finche  sia- 
mo d'  accordo,  espugnabilissimo  se  qui 
entra  la  guerra  civile.  Io,  astraendo  da 
ogni  discussione  sulle  opinioni  mie  e 
sulle  opinioni  altruit  domandq  oggi  as- 


V  E  N 
sistema,  domando  oggi  un  grande  sa- 
g  ri/ìzio,  (.'  lo  domando  al  partito  mio,  al 
generoso  partito  repubblicano.  All'ini- 
mico sulle  nostre  porle ,che  aspettasse  la 
nostra  discordia,  diamo  oggi  una   so- 
lenne mentita. Dimentichiamo  oggi  tutù 
i  partiti  j  mostriamo  che  oggi  dimen- 
tichiamo di  essere  realisti  o   repubbli- 
cani, ma  che  oggi  siamo  lutti  italiani.  Ai 
repubblicani  dico  :  Nostro  e  l'avvenire. 
Tutto  quello  che  si  e  fatto  e  che  si  fa, 
e  provvisorio.  Deciderà  la  Dieta  italia- 
na a  Roiiitl  Vive  e  prolungate  accla- 
mazioni susseguono  a   questo    discorso. 
Tornato  Manin  al  suo  posto,  l'avv.  Ca- 
stelli e  molti  altri  deputati  vanno  ad  ab- 
bracciarlo con  grande  effusione  di  ani- 
mo. L'aw.  Castelli  sale  in  bigoncia  e  col- 
le braccia  alzate  esclama:  La  patria  e 
salvai  Viva  Manin!  Si  venne  finalmen- 
te a'  voti.  Al  i.°  tema,  se  la  condizione 
politica  di  Venezia  debba  decidersi  su- 
bito o  no,  voti  affermativi  i3o,  negati- 
vi 3;  al  2.°iema,  dell'  immediata  fusio- 
ne di  Venezia  negli  Stati  Sardi   colla 
Lombardia,  voti  affermativi  127,  nega- 
tivi 6;  il  3.°  teina   delle   sostituzioni  e 
forme  de'  ministri  fu  riservato  al  dì  se- 
guente. In  questa  tornata  Manin  venne 
eletto  membro  del    nuovo    ministero  a 
grande  maggioranza  di  voti, e  probabil- 
mente sarebbe  stato  rieletto  a  presidente, 
ma  egli  rispose:  Lo  ringrazio  vivamente  V 
assemblea  di  questo  nuovo  contrassegno 
di  fiducia  e  di  affetto  sma  debbo  pregar- 
la di  dispensarmi.  Io  non  ho  dissimula- 
to che  fui,  sono  e  resto  repubblicano.  In 
uno  stato  monarchico  io  non  posso  esser 
niente^ posso  essere  della  opposizione  , 
ma  non  posso  essere  del  governo.  Prego 
i  mìei  concittadini  a  non  co  stringermi  a 
far  cosa  contraria  alle  mie  idee.  Poi  io 
sono  stanco  e  sono  affranto  dalle  lun- 
gi te  dolcezze  di  questi  tre  mesi  :  fisica- 
mente non  ne  posso  più,  credetemelo.  La 
mia  testa  non  reggerebbe  e  non  potrei 
fare  certamente  che  male.  Prego  viva- 
mente ad  essere  dispensalo.  Dichiaro 


V  E  N 
eziandio  che,  essendo  dello,  non  accet- 
terei. Si  venne  quindi  alla  nomina  ile' 
nuovi  membri  del  governo  provvisorio,  e 
fu  eletto  a  presidente  l'avv.  Jacopo  Ca- 
stelli, il  quale  dopo  la  votazione  montò 
in  tribuna  e  disse:  Accettiamo  il  grave 
incarico  che  la  patria  e  impone.  Lo  ac- 
cettiamo senza  guardare  alle  nostre 
forze,  ma  con  potenti  conforti,  che  sono 
la  nostra  coscienza  e  la  confidenza  vo' 
stra,la  gitale  sarà  sempre  la  nostra 
inestimabile  ricompensa.  Termina  N.  T. 
il  suo  libro  colle  seguenti  parole.  »  Cosi 
cadde  la  veneta  repubblica  democrati- 
ca proclamata  a'  22  marzo. Il  nuovo  go- 
verno provvisorio  (composto  del  Ca- 
stelli, Camerata,  Paulucci,  Martinengo, 
Cavedalis,  B.eali,  fu  tacciato  di  odorare 
d'  assolutismo  )  a'  7  agosto  1848  solen- 
nemente dimise  e  cesse  in  perpetuo  a  S. 
M.  Carlo  Alberto  il  possesso,  dominio  e 
sovranità  della  città  e  provincia  di  Ve- 
nezia; l'esercizio  del  governo  venne  quin- 
di assunto  da  3  commissari  in  nomedel  re, 
(general  Colli,  cav.  Ci  br a  rie, avv.  Castel- 
li veneto,  il  proclama  de'  quali  commis- 
sari straordinari  dello  stesso  7  agosto  , 
lo  leggo  a  p.  646  della  Gazzetta  dì  Ro- 
ma;  termina  coli' acclamazione:  Viva  s. 
Marco!  Piva  Carlo  A  IL  erto!  Viva  l'I- 
talia!).  Agli  11  agosto,  pervenuta  in 
Venezia  la  notizia  della  capitolazione  Sa- 
lasco  (riferita  nell'articolo  Sabdegna 
Stati  e  altrove),il  popolosi  ammutina, 
si  scacciano  i  commissari  regi  ,  ed  un 
nuovo  governoprovvisorio  veneto  si  for- 
ma colla  presidenza  dell'avv. Manin.  Ve- 
nezia in  tal  modo  si  sostenne  fino  al  22 
agosto  del  successivo  anno  1849, m  cul 
da  lungo  tempo  bloccata  per  terra  e  per 
mare,  sprovvista  di  vettovaglie,  desolata 
dal  cholera  e  bombardata,  si  soltomise 
all'austriaco  governo". —  Per  la  brevità 
dell'ultimo  periodo,  occorre  riempirne  la 
lacuna  con  un  rapidissimo  cenno,  traen- 
dolo  in  buona  parte  dall'opuscolo:  Nuovo 
Memoriale  Veneto  di  P.  C.  I  commis- 
sari regi  con  proclama  del  9  agosto  di- 


VEN  77 

chiararono.  ■  Venezia  è  in  una  condizio- 
ne unica  al  mondo  :  la  sua  posizione  a- 
iutata  dal  valor  cittadino,  la  renile  ine- 
spugnabile. La  nostra  flotta  le  assicura 
la  via  del  mare.  Qui  è  il  vero  propugna- 
colo della  libertà  italiana,  qui  donde 
mosse  il  i.°  esempio  del  viver  libero, 
della  grandezza  cittadina  ".  L'austriaco 
general  supremoWelden  fin  dal  2  7  luglio 
1 848  da  Padova  avea  domandato  al  go- 
verno la  resadiVenezia,epoil'i  1  agosto 
comunicò  a'eommissari  regi  la  capito- 
lazione Salasco,  per  la  quale  era  stipula- 
to :  evacuazione  di  Venezia,  de'forti  e  de' 
porti  delle  truppe  sarde  e  della  flotta  sar- 
da. Fu  allora  die  il  popolo  infuriato  pro- 
ruppe: Abbasso  il  governo  regio!  Ab~ 
basso  i  commissari!  Viva  Manin!  Que- 
sti calmò  il  popolo,  assumendo  col  suo 
assenso  il  governo  per  4§  ore,  finché 
1'  assemblea  nominasse  il  nuovo,  dichia- 
rando a'militi  italiani  ,  che  difendendo 
Venezia  avevano  salvato  l'indipendenza 
d'Italia.  Subito  partirono  per  Parigi 
Tommaseo  e  Toffoli,  sperando  ottenere 
V  intervento  della  repubblica  francese. 
A  memoria  dell'i  1  agosto  si  decretò  poi 
la  coniazione  d'  una  moneta  d'argento. 
Raccolta  l'assemblea  a*  i3,  stabilì  nomi- 
nare un  governo  dittatoriale  di  3  fino 
alla  durala  del  pericolo  patrio,  e  si  di- 
chiarò permanente.  Si  decise  poi,  che 
de'3  uno  dovesse  appai  tenere  all'armata 
di  mare  ed  uno  a  quella  di  terra,  onde 
elesse  Manin,  Graziani  e  Cavedalis.  Il 
Mengaldo  rinunziò  il  comando  della 
guardia  civica  ,  per  andare  a  Parigi  in 
missione,  e  lo  successe  il  contrammira- 
glio G.  Marsich.  Continuandosi  dagli  au- 
striaci le  fazioni  contro  la  bloccata  Vene- 
zia, al  comitato  di  guerra  successe  il  Con- 
siglio di  difesa  ;  e  ad  impedire  le  comu- 
nicazioni fra  l'interno  e  l'esterno,  gli  au- 
striaci circondarono  la  città  con  un  cor- 
done di  barche  armate  a'  18  agosto.  Si 
apri  un  prestito  di  io  milioni  di  lire  ita- 
liane a' 3i  ,  garantito  dalle  provincie 
Lombardo- Venite,  con  cauzione  ipote- 


7«  V  E  N 

cario  del  pnÌ072o  ducale  e  delle  Procuro- 
tie  nuove,  a'  1 2  settembre  il  cardinal  pa- 
triarca ordinò  alle  chiese  preci  quotidia- 
ne per  le  necessità  di  Venezia.  Nonman- 
carono  funerali  a'morti  perl'indipenden- 
7.0  d'Italia,  e  Te  1) rum  per  vantaggi  ri- 
portali ne'combaltimenti.  L'  i  i  ottobre 
furono  confermati  i  dittatori  triumviri 
do  i  18  voti  contro  i3.  Osopo  si  arrese 
agli  austriaci,  a'quali  poi  i  veneti  tolsero 
nel.paese  del  Cavallino?. cannoni  e  molti 
commestibili.  Altri  cannoni  e  prigionieri 
furono  presi  nelle  fazioni  di  Fusina  e 
Mestre  a' 27;  ma  le  concepite  speranze 
della  mediazione  anglo- francese  vieppiù 
si  andavano  illanguidendo.  A'  23  no- 
vembre nella  piazza  di  s.  Marco  venne 
bruciato  il  n.° 42  del  giornale  Y Impar- 
ziale, e  ciò  per  un  articolo,  nel  quale  si 
predicava  la  candidatura  a  re  del  regno 
Lombardo-Venetodelduca  di Leuehfen- 
bergMassimiliano,  figlio  del  principe  Eu- 
genio. Frattanto,  come  notai  negli  arti- 
coli Pio  IX.  Ungheria  ed  altrove  ,  in 
Olmiitz  P  imperatore  d'  Austria  Ferdi- 
nando I,  a*2  dicembre  1848  rinunziò  al 
trono  in  favore  del  suo  nipote  Francesco 
Giuseppe  I, imperatore  regnante, dichia- 
rato maggiore  nel  dì  precedente;  e  ciò 
in  conseguenza  che  il  di  lui  fratello  ar- 
ciduca Francesco  Cai  lo,  nello  stesso  gior- 
no avea  rinunziato  di  succedergli,  con 
abdicazione  parimenti  in  favore  del  suo 
primogenito  il  nominato  augusto.  Indi 
l'i  m  pera  loreFerdinandoI, col  l'imperatri- 
ce Maria  Anna,  stabilì  l'ordinaria  sua 
residenza  a  Praga.  Il  comune  di  Vene- 
zia, verso  il  fine  di  novembre,  emise  car- 
ta monetata  denominandola  Moneta  del 
Comune  dì  Venezia;  quindi  il  governo 
considerata  la  scarsezza  della  moneta 
metallica,  istituì  ne'  primi  di  dicembre 
una  commissione  per  fissare  ogni  dome- 
nica il  corso  cambiario  delle  monete  ef- 
fettive e  nominali  di  sopra  indicate;  e 
decretò  la  coniazione  d'una  moneta  del 
valore  di  1  5  centesimi  di  lira  cori  ente.  A' 
17  di  detto inese,in  conseguenza  della  ri- 


V  lì  IV 
votazione  di  Roma,  per  cui  il  governo  n« 
vea  ordinato  a?/),ooo  pontifìcii  militanti 
in  Venezia  di  tornare  nelle  loro  provili- 
cie,  il  circolo  italiano  donò  una  bandiera, 
in  segno  di  fratellanza,  colla  preghiera 
fosse  recata  sul  Campidoglio  a  nome  del 
popolo  veneziano:  portava  scritto  nel 
bianco:  Italia  libera  ed  una.  E  nelle  cra- 
vatte: A  Roma  e  Fenezia.Mn  Roma  era 
divenuto  il  ricovero  della  demagogia  eu- 
ropea e  de'nemici  accaniti  dell'  ordine 
sociale.  Viene  iniziato  il  i.°  gennaio  i84<) 
col  divieto  delle  maschere,  per  le  condi- 
zioni eccezionali  del  paese.  Indi  il  cardi- 
nal patriarca  esortò  a  celebrare  cou  i- 
straordinaria  solennità  la  festa  de*  due 
gran  cittadini  una  volta  di  Venezia  e  ora 
del  cielo,  il  patriarca  s.  Lorenzo  Giusti- 
niani e  il  doge  s.  Pietro  Orseolo, affinchè 
eglino  colla  santa  loro  intercessione  im- 
petrino dal  Padre  della  luce  savi  e  sa- 
lutevoli consigli  per  il  bene  della  patria 
a'suoi  rappresentanti.  A'  1 4  il  governo  de- 
cretò coniarsi  una  moneta  d'oro  da2o  lire 
italiane;  e  nel  dì  seguente,  per  facilitare 
le  minute  contrattazioni, ordinò  la  conia- 
zione di  moneta  di  rame  del  valore  no- 
minale di  centesimi  5,  3  e  1  ;  indi  a'  16 
il  municipio  annunciò  la  creazione  della 
carta  moneta  da  mezza  lira  ,  reclamata 
dal  bisogno  di  moneta  spiccia  per  la  cir- 
colazione. Il  governo  inviò  Valentino  Pa- 
sini pe'  suoi  alfari  a  Parigi,  richiamando 
il  Tommaseo,  onde  appagare  le  reiterate 
brame  di  questi  ,  che  giunse  a  Venezia 
il  i.° febbraio.  A' 1  5  convocata  l'assem- 
blea Costituente  nel  palazzo  ducale, per 
decidere  la  sorte  del  paese,  essa  aJi7  con- 
ferì il  potere  esecutivo  a'rappresentanti 
Manin,  Oraziani  e  Cavedalis,  con  poteri 
straordinari  per  quanto  riguarda  la  di- 
fesa dello  stato,  esclusa  la  facoltà  di  pro- 
rogare e  sciogliere  l'assemblea.  A  questa 
epoca  Carlo  Alberto  riguardava  Vene- 
zia »  essere  il  forte  inespugnabile  che  de- 
cide dell'esito  della  causa  generale  ".  Ma 
Venezia  avea  una  spesa  di  tre  milioni  al 
mese!  e  le  sue  rendile  ordinarie  a  stento 


VEN 
giungevano  a  duecento  mila!  Però  i  pre- 
siili  volontari  e  forzali,  la  creazione  della 
caria  patriottica,  le  sovvenzioni  del  mu- 
nicipio, il  riscatto  dell'argenterie  dona- 
te da  privati  ,  le  trattenute  sui  salari!  e 
sulle  pensioni,  le  questue  nelle  chiese  del- 
la città,  i  fondi  della  zecca,  i  depositi  de* 
privati  e  le  offerte  delle  città  italiane 
(  poca  cosa  !  ),  aveano  bastato  a  sostenere 
le  ingenti  spese  dello  scorso  anno,  e  far 
poco  fondo  eli  cassa  pel  nuovo  anno.  Ài 
7  marzo  l'assemblea  costituente  decretò 
con  108  voli  de'i  io  volanli:  la  nomina 
d'un  capo  del. potere  esecutivo  con  titolo 
di  presidente  nella  persona  di  Daniele 
Manin, con  ampli  poteri  per  la  difesa  in- 
terna ed  esterna  del  paese,  d'aggiornare 
l'assemblea  per  giusti  motivi  ,  dovendo 
riconvocarla  dopo  i  5 giorni.  A' 19  marzo 
il  general  Pepe  trasportò  il  suo  quartie- 
re generale  a  Cbioggia.  Uditasi  nel  de- 
clinar di  marzo  la  notizia  della  disfatta 
di  Carlo  Alberto,  operata  dal  conte  Ra- 
delzky,  e  di  sua  abdicazione  e  fuga  in  Por- 
togallo, in  Venezia  gli  animi  cominciaro- 
no a  costernarsi.  Imperocché  si  legge  nel- 
la Civiltà  Co ttolica,  serie  /\.\  t.  2.  p.  9. 
»  Non  erano  ancora  rammarginate  le  pia- 
ghe, riè  cancellate  le  vergogne  della  1.* 
campagna  dell' inr^pendenza,  combattu- 
ta dall'Italia  e  capitanata  dal  Piemonte 
nella  state  del  1848;  ed  ecco,  passati  ap- 
pena 6  mesi,  quando  ne  si  era  assestato 
l'erario  dallo  sperpero,  né  rifatto  l'eser- 
cito dallo  sgomento,  ne  provveduti  duci 
abili,  né  studialo  il  terrenoconoscinto  dal 
nemico  a  palmo  a  palmo;  ed  ecco  quella 
fazione  fanatica  sospingere  a  furia  d'urli, 
eli  fremiti  e  di  minacce  il  re  sventurato, 
il  paese  renitente,  l'esercito  impreparato 
e  lostalosconvoltoalla  memorabile  e  cer- 
ta sconfitta  che  l'aspettava  a  Novara  il 
marzo  del  1 849*  •  .  •  Quindi  il  re  obbligato 
ad  abdicare,  per  poscia  finire  di  crepacuo- 
re nella  mestaOporto  (o  Porto);  70  milioni 
di  contribuzione  di  guerra ,e  l'aver  dovuto 
alla  moderazione  del  vincitore, chequeslo 
non  marciasse  sull'indifesa  Torino  e  l'oc- 


V  E  IV  7C} 

cupnsse". Tu  Venezia  tutta  volta  l'assemblea 
costituente  a'  2  aprile  decretò  in  comita- 
to secreto.  »  Venezia  resisterà  all'  au- 
siriaco  ad  ogni  costo.  A  tale  scopo  il  pre- 
sidente Manin  è  investito  di  poteri  illi- 
mitati ".  Deliberazione  acclamata  eoa 
grande  entusiasmo.  Nel  dì  seguente  il 
general  Pepe,  per  limitarsi  alla  difesa  del- 
la Laguna,  riprese  il  comando  della  città 
e  fortezza.  Si  comincia  da  alcuni  a  co- 
noscere, essere  una  stoltezza  1'  ostinarsi 
nello  stalu  quo.  Seguono  nuovi  prestiti 
e  nuove  tasse, e  l'armamento  volontario 
della  marina  per  difendere  Venezia  dal 
blocco.  Nel  giorno  della  festa  di  s.  Mar- 
co, Manin  arringò  il  popolo, comincian- 
do colle  parole:  Cittadini!  chi  dura  vin- 
ce, e  noi  dureremo  evinceremo.  Viva  s. 
MarcolA'4  maggio  gli  austriaci  comincia- 
rono con  Sbatterie  a  fulminare  con  razzi 
e  bombe  l' importantissima  fortezza  di 
Margheraj  difesa  da  Pepe;  ed  il  feldma- 
resciallo Radetzky  intimò  la  resa  di  Ve- 
nezia, promettendo  il  perdona.  Manin  in 
risposta  gli  mandò  il  riferito  decreto  2 
aprile  ,  ed  essere  il  governo  in  istanza 
presso  le  potenze  mediatrici.  A'6  rispose 
Badetzky:  l'imperatore  non  ammettere 
mediazioni  di  potenze  estere  fra  lui  e  i 
suoi  sudditi  ribelli,  ogni  tale  speranza  del 
governo  rivoluzionario  di  Venezia  è  illu- 
soria, vana  e  fatta  per  ingannare  i  poveri 
abitanti  :  cessare  ogni  carteggio,  e  deplo- 
rare che  Venezia  abbia  a  subire  le  sorti 
della  guerra.  A5  19  i  sudditi  esteri  ven- 
nero avvertiti  da' consoli  d'allontanarsi 
prima  del  giorno  20  da  Venezia,  onde 
evitare  la  miseria  del  blocco  (forse  più 
stretto).  Dopo  lunga  e  valorosa  difesa,  il 
governo  decretò  lo  sgombro  diMarghe- 
ra,  divenuta  mucchio  di  rovine  pel  mi- 
cidiale fuoco;  e  la  ritirata  seguì  sen- 
za perdita,  dopo  essersi  del  pari  evacuato 
il  forte  s.  Giuliano.  A'27  si  cominciò  ala- 
cremente a  demolire  parte  del  ponte  del- 
la Laguna,  convertendosi  il  gran  piazzale 
in  fortezza,  come  dissi  nel  §  XV11,  n.  4; 
ed  a'3 1  si  confermò  il  decreto  di  resistei!- 


8o  V  EN 

za  de'a  aprile,  mentre  Venezia  eia  anne- 
rata da  ogni  lalo!  E  rispondendo  l'ai» 
semblea  all'interpellanza  del  ministro  De 
Bruck,  che  trovavosi  a  Mestre,  quali  sa- 
rebbero le  condizioni  per  la  pacificazio- 
ne :  l'indipendenza  assoluta  del  leni- 
torio  Lombardo-Veneto!  Il  ministro  a- 
vendo  richiesto  persona  per  trattare,  si 
modificarono  le  pretensioni  :  l' indipen- 
denza della  città  di  Venezia,con  un  raggio 
di  territorio  che  rendesse  economica- 
mente possibile  la  di  lei  esistenza.  11  mi- 
nistro rispose,  aver  F  Austria  deciso  di 
riconquistare  Venezia,  solo  potersi  discu- 
tere sul  suo  governamenlo.  Dopo  diver- 
se fazioni,  gli  austriaci  a'  i3  giugno  fa- 
cendo fuoco  da  5  differenti  batterie,  alcu- 
ni proiettili  giunsero  a  colpire  nell'estre- 
ma parte  della  città, cosa  senza  esempio 
nella  storia  di  Venezia  che  non  era  stata 
mai  bombardata  :  la  i.*  palla  infuocata 
cadde  a  s.  Giobbe  alle  Penitenti.  Il  po- 
polo non  si  spaventò,  e  solo  alcune  fa- 
miglie cominciarono  a  sgomberare  dalle 
parti  di  Cannaregio.  A'  16  si  cominciò 
a  mescere  la  segala  alla  farina  pel  pane 
misto,  e  si  fece  una  riquisizione  di  polve- 
re sulfurea  con  pagamento,  indi  esplose 
la  polveriera  dell'isola  la  Grazia.  A'  29 
comincia  il  malcontento  del  popolo  per 
la  qualità  del  pane; indi  si  rigetta  \  Ul- 
timatum dell'Austria  a'3o  giugno.  Con- 
tinuano fazioni  e  cannoneggiamenti, lan- 
ciandosi pure  palloni  incendiarli»  Alla 
metà  di  luglio  cresce  il  mormorio  del  po- 
polo per  la  penuria  delle  farine,  ed  il  go- 
verno procura  mitigarlo  con  provvedi- 
menti. Finalmente,  alle  ore  11  pomeri- 
diane de'29  lug''°>a"a  distanza  di  me- 
tri 5235,  gli  austriaci  cominciarono  il 
bombardamento  generale  di  Venezia,  le 
palle  piombando  nell'interno  della  città 
col  solo  peso  naturale  sui  tetti  e  sulle 
muraglie ,  facevano  un  buco  e  si  spro- 
fondavano. 1  punti  più  bersagliati,  oltre 
Cannaregio,  furono  s.  Samuele  e  s.  Bar- 
naba, rifugiandosi  gli  abitanti  in  luoghi 
lontani:  uno  solo  ne  fu  colpito.  In  piazza 


V  ElN 
a  s.  Marco,  sulla  riva  degli Schia toni  e  a 
Castello  moltissimi  si  rifugiarono  :  fu  a- 
perto  il  palazzo  ducale,  e  si  die'  pure  ri- 
covero sugli  anditi  e  sulle  scale.  Cornino- 
ventissirno  spettacolo!  Imperocché*  allu 
penuria  del  pane,  che  ugni  dì  si  rendeva 
più  spaventevole,  e  alle  distruzioni, si  ag- 
giunse, che  sviluppatosi  il  cholera,  pro- 
grediva orribilmente.  Eppure  in  mezzo 
a  tante  desolanti  miserie,  guai  a  chi  par- 
lava di  capitolazione.  Il  popolo  in  gene- 
rale era  pertinace  nella  difesa,  ma  i  ca- 
pi ormai  mancavano  d'  energia.  Due 
palle  caddero  tra  il  3o  e  3  1  luglio  nella 
chiesa  di  s.  Apollinare,  e  rimangono  le 
vestigia  sul  pavimento  in  que'due  circoli 
di  marmo  nero  che  visi  posero  a  memoria. 
I  militi  veneti  non  mancarono  di  fare 
rappresaglie.  A'3  agosto  accadde  spiace- 
volissimo avvenimento.  Il  palazzo  del 
pio  e  rispettabile  cardinal  patriarca  fu 
aggredito  da  una  turba  di  fanatici,  che 
atterrale  le  porle,  fra  minacce  violenti». 
sime, entrarono  a  furia,  cercarono  da  per 
tutto  il  prelato,  che  per  buona  sorte  era 
riuscito  a  sottrarsi,  e  tutto  fracassando  , 
gettarono  nel  vicino  canale  molte  sup- 
pellettili preziose,  con  danno  significan- 
te. Accorsi  i  gendarmi,  li  dispersero.  Ciò 
avvenne, per  essere  stata  dagT  ignoranti 
male  interpretata  un'istanza,  in  cui  fra 
parecchi  era  sottoscritto  il  patriarca  ,  e 
colla  quale  chiedevasi  al  governo  che 
palesasse  i  motivi  che  potevano  indurlo 
alla  resistenza  ad  ogni  costo,  in  onta  al- 
le sopravvenute  nuove  calamità  del  pae- 
se, tempestato  di  palle,  mancante  di  vi- 
veri, e  anche  flagellato  dal  cholera;  istan- 
za ragionata  e  semplice,  dettata  da  un 
beninteso  amor  di  patria.  Ma  alcuni  per- 
turbatori la  fecero  credere  una  ricerca 
di  capitolare,  e  provocarono  questo  di- 
sordine^ quest'insulto  verso  una  perso- 
na di  cosi  eminente  dignità  sagra  e  be- 
nemerita. A'  5  si  aumentò  la  pioggia  di 
fuoco,  su  tre  quarti  della  città,  e  qualche 
volta  i  proiettili  su  d'alcun  infelice;  il 
cholera  progrediva,  il  pane  si  petiiii'iava 


V  E  i\ 
spesso  sino  a  sera,  disagio  di  abitazioni, 
spavento,  erano  il  corollario  a  tanti  dan- 
ni iNel  dì  seguente  l'assemblea  concentrò 
nel  presidente  Manin  ogni  potere,  acciò 
provveda  pel  meglio  dell'onore  e  salvez- 
za di  Venezia,  riservandosi  la  ratifica.  Il 
popolo  schiamazzando  voleva  uscire  in 
massa  e  battersi. Manin  gli  disse  fatelo,  ma 
che  finora  le  parole  non  corrisposero  a' 
fatti.  L?8  salpò  la  flotta  veneta  composta 
di  2  corvette  di  i  .°rango,  2  corvettedi  2.0, 
una  goletta,  3  britk,  un  piroscafo,  10 
trabaccoli  e  3  piroghe  da  rimurchio.La 
flotta  austriaca  prese  subito  il  largo: es- 
sa componevasi  di  3  fregate,  2  corvette, 
5  brick,  4  battelli  a  vapore,  de'  quali 
uno  solo  da  gnerra,ed  alcuni  trasporti. 
Nella  sera  de* io  la  flotta  veneta  rientrò, 
restando  delusa  la  viva  speranza  di  Ve- 
nezia per  un  fortunato  combattimento. 
La  grandine  de'proieltili  continuava  in- 
cessante, facendo  danni  e  incendi ,  che 
i  pompieri  tra'  più  gravi  pericoli  taira* 
bilmenle  estinguevano.  A' 1  2  la  flotta  ri- 
prese il  mare,  e  il  governo  d'accordo  col 
consiglio  comunale  ordinò  un'  ulteriore 
gravezza  colla  sovrimposta  di  sei  milio- 
ni a  carico  di  tutti  gì'  immobili ,  da  pa- 
garsi mediante  un'addizionale  di  ^cen- 
tesimi per  ogni  lira  di  estimo,  divisa  in 
rate  trimestrali  (ciò  fece  ascendere  a  33 
milioni  l'ammontare  della  carta  mone- 
tala, ed  a  60  milioni  il  totale  delle  spe- 
se dell'epoca  dell' insurrezione).  A'  i5 
fu  il  maxunum  de'casi  del  cholera  ;  di 
4o2,ne  morirono  270.  A' 18  Manin  par- 
lò per  l'ultima  volta  al  popolo,  all'oliato 
sulla  piazza,  e  mostrando  assai  viva  agi- 
tazione. Gli  disse:  Le  condizioni  essere 
gravi,  ne  averlo  taciuto  all'assemblea, 
non  però  disperate.  Per  negoziare  occor- 
rere calma  e  dignità,  com'  egli  procede- 
va :  il  volersi  da  lui  una  viltà,  sarebbe 
sagrifìzio  che  non  farebbe  mai,  nemme- 
no a  Venezia.  La  flotta  non  potè  esser 
mai  attaccata  dall'austriaca, ed  essere  an- 
ch'essa afflitta  dal  cholera,  pel  quale  e 
pel  tempo  fortunoso  era  rientrato,  pron- 
voi.  xcur. 


VEN  #i 

la  0  miglior  occasione  a  uscir  di  nuovo 
(nondimeno  il  suo  contegno  fece  forma- 
re sospetti,  non  essendosi  arrischiata  a 
nulla  per  la  salvezza  di  Venezia,  benché 
di  essa  la  marina  è  antica  gloria).  Ne'  3 
seguenti  giorni  le  speranze  d'aiuto  sva- 
nirono pe' veneziani.  Manin  avea  perdu- 
to la  popolarità,  non  rimanevano  forine 
che  per  qualche  giorno,  la  popolazione 
in  tanto  desolante  situazione  era  unani- 
me nel  domandare  che  si  capitolasse;  il 
partito  della  resistenza  non  riducendosi 
più  che  a  poche  teste  esaltate  ,  antichi 
uffizi» li  al  servizio  dell'Austria,  magistra- 
ti e  altre  persone  maggiormente  com- 
promesse. A'  22  una  commissione  ve- 
neta, durando  ancora  il  bombardamen- 
to, e  composta  di  3  membri  del  muni- 
cipio, di  uno  dell'  ormata  e  di  uno  del 
commercio,  si  recò  al  quartiere  genera- 
le austriaco  in  Marocco  (villaggio  del  di- 
stretto di  Mestre)  ad  offrire  la  sommis- 
sione de' veneziani,  e  stipularne  la  capi- 
tolazione. Ecco  le  condizioni.  Sommissio- 
ne assoluta;  reddizione  della  città,  forti 
ec,  per  occuparsi  dal  25  al  3  r  agosto  ; 
consegna  di  tutte  le  armi  appartenenti 
allo  slato  ed  a'  privati.  Dover  lasciare 
Venezia  tutti  gl'impiegati  imperiali  regi 
che  volsero  le  armi  contro  il  loro  sovra- 
no, tutti  i  militi  esteri,  e  tutte  le  persone 
civili  nominate  nell'elenco  che  sarà  con- 
segnato a'deputati  veneti  (si  riporta  dal 
Nuovo  Memoriale  :  è  di  39  o  4o  indivi- 
dui esiliati,  fra 'quali  Manin,  Tommaseo, 
Mengaldo  ec.,e  gli  estensori  de'giornali, 
Libero  Italiano  e  Sior  Antonio  Rioba. 
Del  Pasquino  di  Venezia, così  chiamato, 
parlai  a  suo  luogo).  La  carta  monetata  co- 
munale, ridotta  alla  metà  del  valore  fino 
al  suo  ritiro  e  soslituzione.  L'ammortizza- 
zione di  tale  nuova  carta  dover  seguire 
a  tutto  peso  della  città  di  Venezia  e  del- 
l'Estuario mediante  la  detta  sovrimpo- 
sta ceduta  già  alComune  per  altrettanta 
nuova  carta  moneta,  perciò  non  furono 
inflitte  multe  di  guerra.  Oltre  il  riti- 
ro dello  carta  patriottica,  poi  su  di  essa 
6 


82  V  EN 

si  prenderebbero  altre  determ inazioni. 
Quindi  Venezia  restò  immersa  nel  si- 
lenzio e  nell'abbattimento;  non  più  si  u- 
d'i  il  fiero  rimbombo  dell'artiglierie  lau- 
cianli  bombe,  granate,  raccbelte.  Il  po- 
polo atterrilo  dalla  continua  pioggia  di 
ferro  ebe  durò  con  poche  interruzioni 
per  24  giorni,  oppresso  da  lunghi  pati- 
menti, minacciato  pur  sempre  dal  cho- 
leia,si  mostrò  rassegnato.  La  guardia  ci- 
nica continuò  a  prestarsi  cou  patrio  ze- 
lo per  l'ordine  interno,  e  con  essa  Ma- 
nin represse  i  querelanti  diCannaregio, 
i  quali  con  audacia,  alle  minacce  aggiun- 
sero contro  di  lui  Io  scarico  di  qualche 
moschetto.  Quindi  il  governo  provviso- 
rio di  Venezia,  con  dichiarazione  del  Ma- 
nin, cessò  dalle  sue  funzioni,  trasfonden- 
dole nel  municipio  a'  24  agosto.  Nello 
stesso  giorno  la  congregazione  municipa- 
le e  il  podestà  conte  Correr ,  assunto  il 
nome  di  commissione  governativa, pub- 
blicò i  finali  risullamenti  delle  pratiche 
instituite  col  generale  di  cavalleria  cav. 
de  Gorzkowski  comandante  in  capo  della 
4.*  divisione  del  2.0  corpo  d'armata  di 
riserva  relativamente  all'occupazione  di 
Venezia  e  dell'annesso  territorio  dal  Ia- 
to dell'  armate  dell'  imperatore  France- 
sco Giuseppe  I  ;  in  un  all'  elenco  degli 
individui  del  ceto  civile, che  doveano  al- 
lontanarsi da  Venezia  e  da  tutti  gli  stati 
austriaci,  che  riprodusse  anco  il  Gior- 
nale di  Roma  del  1849,  a  P*  2I^*  ^s" 
serva  LeMasson.  >*  Ne'24  giorni  che  du- 
rò il  bombardamento,  furono  lanciati  in 
Venezia  23  mila  proiettili,  quasi  mille  al 
giorno.  Con  tutto  ciò  non  vi  furono  che 
tre  persone  uccise,  e  una  trentina  di  fe- 
rite. I  proiettili  perdevano  della  loro  vio- 
lenza  cadendo  sulla  città;  quelli  che  col- 
pivano i  muri  non  vi  lasciavano  che  lie- 
vi tracce,  e  quelli  che  cadevano  sui  tetti 
trapassavano  rare  volte  più.  di  due  pia- 
ni. Gl'incendi  erauG  piuttosto  frequenti, 
ma  facilmente  estinti,  poiché  il  fuoco  ap- 
piccato a  quel  modo  si  sviluppa  lenta- 
mente. Una  casa  e  un  oratorio  soltanto 


VEN 

furono  preda  delle  fìumme.  Tulli  i  pr 
lazzi,  tulli  i  monumeuli,  capi  d'opera 
architettura,  ripieni  di  capi  d'opera 
pittura  e  scultura,  sfuggirono  alla  distro- 
zinne  e  alla  devastazione  senza  soffrire 
quasi  alcun  danno In  quanto  all'as- 
sedio in  se  slesso,  nulla  ha  offerto  di  ri- 
marchevole, fuori  della  coslanza  e  della 
divozione  delle  truppe  austriache,  che 
per  4  mesi  continui  dovettero  sopporta- 
re fatiche  e  patimenti  inauditi  ....  Lo 
spirito  d'unione  dell'  esercito  austriaco 
salvò  l'impero.  Gl'italiani,  combattendo 
per  la  loro  indipendenza,  che  reclamano 
cosi  altamente,  hanno  mostrato  assai  mi- 
nor unione  fra  loro  che  i  soldati  dell'Au- 
stria per  conservare  al  loro  imperatore 
le  provincie  d'Italia  ....  Le  perdite  ca- 
gionate furono  poco  considerevoli ,  per 
un  assedio  di  4  niesi ,  e  per  l'  effettivo 
delle  truppe  e  la  quantità  de'colpi  tirati 
da  ambe  le  parti.  1  veneziani  non  ebbe- 
ro che  900  uomini  fuori  di  combatti- 
mento, gli  austriaci  1,200.1  primi  han- 
no scagliato  80,000  proiettili  circa  ,  i 
secondi  120,000.  Le  perdite  cagionate 
dalle  malattie  furono  immense  ;  le  fati- 
che, il  caldo,  le  febbri,  il  cholera,  hanno 
mietuto  7  a  8000  austriaci,  e  resi  inabili 
al  servizio  altrettanti  almeno. . . .  Vene- 
zia, che  non  era  ormai  stimata  che  per  le 
sue  meraviglie  artistiche,  ha  provato  che 
il  regime  di  soggezione  sotto  il  quale 
trovavasi  dopo  il  18 15  non  valse  ad  e- 
slinguereiu  essa  il  sentimento  d'indipen- 
denza, ne  a  farle  dimenticare  le  sue  tra- 
dizioni e  la  grandezza  del  suo  passato. 
Essa  diede  una  mentita  alla  sua  fama  di 
città  molle,  anneghittita  ne' divertimen- 
ti. Venezia  non  ha  imitato  né  la  folle 
presunzione  di  Milano, né  la  sfrontatez- 
za demagogica  di  Roma ,  ne  l'apatia  di 
Firenze;  sarebbesi  detto  che  la  saggezza 
dell'  Italia  si  fosse,  come  nel  medio  evo, 
circoscritta  nel  recinto  delle  Lagune.  Ve- 
nezia ha  saputo  governarsi  in  mezzo  ad 
una  rivoluzione  come  in  mezzo  alia  guer- 
ra. Essa  ha  provato  che  non  aveva  in- 


VEN 
teranientc  perduto  le  sue  (l'adizioni,  e 
che  com prendeva  il  pregio  dell'indipen- 
denza e  ciò  che  faceva  d'  uopo   operare 
per  riconquistarla  .  ...  La  guerra  fu  pe- 
lò mal  condotta,  gli  approvigionameuli 
Irascaratissimi,  non  si  pensò  abbastanza 
all'  armamento  marittimo,  per  cui  per- 
dette tutti  i  vantaggi  della  più  bella  po- 
sizione militare.  Col  mare  libero,  Venezia 
può  opporre  una  resistenza  indetermina- 
ta... Venezia  ha  resistito  per  se  stessa,  e 
soccombette  perl'imperizia  degli  uomini 
che  l'opinione  pubblica  (non  però  gene- 
rale) avea  chiamali  al  potere.  Questi  uo- 
mini non  ebbero  il  talento  di  mettersi 
all'altezza  della  situazione,  afferrarne  i 
vantaggi,  diminuirne  i  pericoli;  e  cos'i 
una  causa  eh'  era  facile  a  guadagnarsi, 
fu  perduta  nelle  loro  mani.  Manin  non 
ebbe  altro  merito  fuorché  quello  di  far 
fronte  agli   esaltali,  i  quali  avrebbero 
governato  molto  più  male  di  lui  ;  in 
quanto  a  Pepe,  tutte  le  sue  azioni  por- 
tano P  impronta  d'uu  talento  assai  me- 
diocre, e  d'  una  volontà  senza  efficacia. 
Tutti  e  due  avevano  del  disinteresse  e 
del  patriottismo,  ma  la  loro  intelligenza 

non  era  all'altezza  del  loro  cuore 

In  Venezia,  come  in  Piemonte,  mancò 
un  uomo  che  fosse  ad  un  tempo  ed  abile 
politico  ed  esperto  generale  ....  La  lot- 
ta ch'essa  ha  sostenuta  non  ebbe  tutto 
quel  clamore  che  doveva  avere,  perchè 
P  Europa  era  occupata  in  avvenimenti 
d'un  interesse  più  generale;  ma  non  lasciò 
pertanto  di  essere  stato  uno  degli  episodii 
più  interessanti  de'deploi  abili  aouii848 
e  1 849>che  furono  per  l'Europa  un  tem- 
po di  crisi  suprema....".  Le  giornate  de' 
23  e  24  agosto  furono  contraddistinte  da 
disordini  alquanto  gravi.  Vari  assembra- 
menti tumultuosi  ebbero  luogo  sulla  piaz- 
za di  s.  Marco.Una  parte  delle  truppe  mal- 
contente dell'indennità  loro  assegnala, 
si  ammutinarono,  reclamando  3  mesi 
di  paga.  Quelle  delle  batterie  al  ponte 
giunsero  per  fino  ad  appuntare  i  cannoni 
contro  la  città  e  minacciale  cP  assalto  il 


VEN  83 

palazzo  del  governo  se  non  faceva  giu- 
stizia alle  loro  ragioni.  Manin  e  le  auto- 
rità militari  le  fecero  tornare  al  dovere. 
La  capitolazione  cominciò  ad  effettuarsi 
nel  dì   seguente,  e  contiuuò   ne'  giorni 
successivi  senza  disordine  e  seuza  diffi- 
coltà ;  ed  a'26  si  presero  disposizioni  sul 
decrescente  cholera.I  bastimenti  francesi 
e  inglesi  accolsero  al  loro  bordo  tutte  le 
4o  persone  proscritte  e  altre  che  volle- 
ro allontanarsi.  Pepe,  Tommaseo  e  Ma- 
nin s'imbarcarono  il  27  (la  Civillà  Ca- 
tolìcci,  serie  3.a,  t.  8,  p.  25o,  e  il  Giorno.' 
le  di  Roma  del  1857  a  p.  869  annun- 
ziarono: Manin,  uno  de'eapi  dell'  ulti- 
ma rivoluzione  italiana  a  Venezia,  a'23 
settembre  18^7  d'una  malattia  di  cuo- 
re morì  a  Parigi,  pretendono  certi  gior- 
nali, seuza  chiedere  i  sagramenti.  Il  go- 
verno poi,  temendo  che  i   democratici 
parigini  volessero  profittare  dell'  occasio- 
ne de'suoi  funerali  per  far  le  loro  solite 
dimostrazioni,  vietò  a'giornali  di  pubbli- 
care il  domicilio  del  defunto  e  P  ora  di 
sua  sepoltura;  la  quale  fu  fatta  con  poco 
accompagnamento  e  senz'  alcun  discorso 
sopra  la  tomba.  Disse  di  Manin  la  Revue 
des  deux  Mondes:  »   S' ingannava  nei 
suoi  disegui  e  ne' suoi  voti, perchè  face- 
va dipendere    l'avvenire  dell'  Italia  da 
combinazioni  chimeriche".  Abbiamo  di 
un  anonimo,  Hisloire  de  la  republique 
de  Fenise  som  Manin.  Manin  et  l'Italiei 
Parisi  858).  Mi  è  noto  che  sulla  rivoluzio- 
ne del  1848-49  ha  scritto  un  Commen- 
tario il  laborioso  cav.  Mutiuelli,  ricchis- 
simo di  documenti,  che  la  sola  sua  posi- 
zione particolare  poteva  conoscere,  che 
però  non  trovò  prudente  pubblicare. 

5.  Venezia  tornata  in  dominio  dell'Au- 
s-tria,  tosto  a'27  agosto  con  proclama  del 
general  Dierkes,  comandante  austriaco 
della  città  di  Venezia,  fu  in  questa  per- 
messa l'entrata  per  via  di  terra  e  di  ma- 
re a  ogni  genere  di  vitluaria,  senz'  alcun 
dazio  consumojonde  approvigionare  ab- 
bondantemente la  città;  ma  tempora- 
neamente fu  limitato  il  porto  franco  al 


ft4  VEN 

suo  antico  confine  ilell'isoln  ili  s.  Gior- 
gio; si  abolì  la  lassa  personale,  e  (issò  il 
prezzo  del  sale.  A'  28  il  general  Gorz- 
kowski  governatore  civile  e  militare  di 
Venezia,  annunziò  il  suo  ingresso  nella 
città  alla  testa  delle  truppe  dell'impera- 
tore Francesco  Giuseppe  I,  per  recarvi 
)e  consolazioni  della  pace  ,  ricomporre 
l'ordine  pubblico  e  rimarginare  possibil- 
mente le  profonde  ferite,  causate  da  una 
resistenza  temeraria  e  pazzamente  pro- 
lungata ,  da  cui  non  poteva  risultarne 
cbe  slrazii  inutili  e  la  rovina  d'una  cit- 
tà monumentale.  Nel  passare  però  dallo 
stato  di  esaltamento  all'ordine  legale  e 
al  quieto  vivere,  a  garanzia  della  pub- 
blica tranquillità,  per  ora  dichiarava  in 
ìstato  d'assedio  Venezia,  Chioggia  e  i 
luoghi  compresi  nell'  Estuario,  per  cui 
tutti  i  poteri  si  riconcentravano  nella  sua 
persona  ;  emanando  altre  disposizioni 
analoghe,  il  giudizio  statario  per  le  de- 
linquenze, e  soggettando  la  stampa  alla 
censura  preventiva.  Nello  stesso  giorno 
28  il  general  Gorzkowski  prese  legale 
possesso  della  città  di  Venezia  quale  go- 
vernatore civile  e  militare,  colle  truppe, 
facendola  presidiare  da  esse  in  uno  a'forti 
dell'Estuario.  A'  3o  vi  fece  il  solenne  in- 
gresso il  conte  Radetzky,  con  lieto  vol- 
to, proveniente  da  Milano,  con  brillan- 
te stato  maggiore,  col  suo  capo  baione 
Hess, accolto  dalla  popolazione  festevol- 
mente, tra  le  salve  dell'artiglierie  ,  e  il 
suouo  delle  campane  di  s.  Marco,  e  del- 
le bande  militari,  accompagnato  dall'ar- 
ciduca Sigismondo  che  poi  partì  per  re- 
care all'imperatore  le  chiavi  ,  simbolo 
del  ritorno  all'ubbidienza  di  Venezia,  e 
cie'voti  cordiali  di  tanti  sudditi  fedeli  e 
sventurati,  che  al  pari  di  tanti  altri  po- 
poli italiani  non  ebbero  che  pene  e  tor- 
menti senza  gioie  e  senza  colpa,  come 
dice  la  Gazzetta  di  Venezia.  Il  feldma- 
resciallo Radelzky  entrato  in  detta  basi- 
lica, vi  udì  la  messa  e  fu  cantato  il  Te 
Deum  in  rendimento  di  grazie  a  Dio  per 
la  riacquistata  illustre  e  bella  città.  Dopo 


t E  • 

che  la  T»  digiune  ave»  compita  e  corona- 
ta la  politica  e  militare  oeremotìia,  se- 
guì il  decoroso  banchetto,  ove  si  convi- 
tarono tutte  le  autorità  ecclesiastiche  , 
militari,  civili  e  municipali  ;  e  nella  sera 
l'illuminazione  rese  splendente  la  magi- 
ca piazza  di  s.  Marco  ,  tra  le  melodie 
della  banda  militare  e  gli  evviva  sonori 
e  replicati  al  valoroso  conte  Radetzky  , 
dell'affollata  popolazione.»»  Il  popolo  ve- 
neziano ,  riferisce  la  citata  Gazzetta  , 
non  diede  forse  mai  prove  del  suo  senno 
e  del  suo  buon  cuore  ,  come  in  questa 
occasione  ".  Quindi  il  governo  imperiale 
successivamente,  e  come  dì  sopra  a'  loro 
luoghi  rilevai,  andò  riparando  le  conse- 
guenze de'politici  sconvolgimenti,  princi- 
piando a  ristabilire  la  parte  atterrata  del 
ponte  sulla  Laguna,  onde  nel  novembre 
1849  tornò  nella  sua  attività.  Dipoi  a'3i 
dicembre  i85o  con  l'ordinanza  im  pe- 
nale di  cui  feci  cenno  nel  voi.  XC1  ,  p. 
464,  si  stabilirono  i  principi!  fondamen- 
tali sull'organizzazione  dell'autorità  poli- 
tico-amministrative nel  regno  Lombar- 
do-Veneto, mentre  dell'odierna  di  Vene- 
zia ne  parlai  nel  voi.  XG,  p.  208  (dove 
sarebbe  da  aggiungere  la  Commissione 
alle  Monture,  che  dà  tanto  e  continuo 
lavoro  alle  famiglie  povere  ).  Piccatosi 
l'imperatore  a  Venezia  il  27  marzo  1 85  1 , 
immediatamente  emanò  il  decreto  della 
ripristinazione  del  porto  franco  per  il  20 
del  successivo  luglio;  e  poco  dopo  nuova  - 
mente  volle  rallegrarla  di  sua  presenza, 
avendo  fatto  altrettanto  a  Milano,  in  cui 
sparse  le  sue  beneficenze  sui  poveri,  ed  al- 
l'istituto de'ciechi. Riferisce  la  Gazzetta  di 
Venezia ,presso  il  Giornale  di  Roma  a  p. 
914,  in  data  de'3o  settembre  1 85 1.  »  Il 
suono  di  tutte  lecampane  verso  la  mezza- 
notte di  ieri  annunzia  va  l'arrivo  dell'impe- 
ratore e  re  nostro,alla  stazione  di  s.  Lucia. 
Gran  copia  di  torchi  a  vento  e  di  fuochi 
bengalici  la  rischiaravano  nell'interno,  e 
migliaia  di  lampe  artificiali  co'più  vaghi 
accidenti  di  luce  ne  illuminavano  tutto  il 
di  fuori.  L'accoglienza  che  fecero  i  veue- 


YEN 
7iaui  ier  sera  al  loro  monarca-,  il  quale, 
anticipando  di  due  giorni  la  sua  venuta, 
si  presentò  inaspettato  al  suo  popolo,  noti 
aveva  il  carattere  della  solennità  regola- 
re, consueta  in  somiglianti  occasioni.  Al 
buon  volere  de'veneziani  mancava  il  be- 
nefizio del  tempo  ,  nella  cui  ristrettezza 
improvvisarono  alla  Maestà  del  Sovrano 
un  ricevimento,  che  gli  tornò  più  gradi- 
to, perdio  ,  disadorno  di  tutte  le  medi- 
tate raffinatezze  dell'arte,  serbava  il  can- 
dore di  quella  semplicità  estemporanea, 
cui  non  è  dato  di  assumete  fallaci  appa- 
renze d'affetto,  ma  che,  interprete  genui- 
na del  cuore,  ne  spiega  le  veraci  impres- 
sioni, i  veneziani  ier  sera  accolsero  il  lo- 
ro monarca,  non  già  colla  pompa  sfog- 
giata de'riti  politici,  col  ceremoniale  pre- 
scritto dalle  diverse  ragioni  del  gover- 
natile e  de'  governati,  ma  colla  sponta- 
nea naturalezza  de' cittadini ,  che,  quasi 
tìgli,  sopraggiuuti  dall'inaspettata,  an- 
corché sempre  cara,  presenza  del  padre, 
gli  esprimono  i  sensi  della  grata  loro  sor- 
presa, gli  sono  dattorno,  e  fanno  a  chi  più 
festeggiarlo,  a  chi  più  benedirlo.  L'ospi- 
te augusto  ebbe  ier  sera  il  commovente 
spettacolo  d'una  scena,  per  cosi  dire,  do- 
mestica. Erano  ad  incontrarlo  l'eccellen- 
za del  nostro  governatore,  il  nostro  luo- 
gotenente, il  podestà,  il  delegato,  il  ve- 
nerabile clero,  e  le  autorità  primarie  e 
ci  vili. Migliaia  e  migliaia  di  gondole,  quan- 
tunque a  mezza  la  notte,  circondavano 
quella,  dov'era  il  pegno  prezioso,  a  cui 
tutti  volgevano  avidamente  lo  sguardo, 
per  cui  tutti  i  cuori  in  quel  punto  batte- 
vano, e  traducevano  in  alto  la  comunan- 
za del  lor  sentimento  col  fremito  degli 
evviva  e  col  suon  delle  mani.  Al  giubilo 
universale  del  popolo  veneziano  parteci- 
pavano pure  altri  popoli,  rappresentati 
dai  loro  consoli,  intervenutivi.  Una  ban- 
da cittadina  salutava  coli'  inno  dell'  im- 
pero il  monarca,  mentre  egli  saliva  sul 
proprio  legno.  Si  udiano,  per  bocca  di  di- 
lettanti artigiani,  cantate  alcune  delle 
nostre  arie  più  belle,  e  gì  oziosissimi  eori 


VEN  85 

dì  moderni  maestri  ;  tutte  le  vie  lunghes- 
so il  Canal  grande  all'oliate  di  spettatori 
plaudenti  ;  buon  numero  di  palagi  illu- 
minati al  di  dentro  offrivano  esterior- 
mente più  vago  l'incanto  dell'architetto- 
nico lor  magistero  ;  i  davanzali  delle  fi- 
nestre, i  poggiuoli  addobbati  ad  arazzi,  e 
molti  e  molti  gremiti  di  gente  d'ogni  età, 
d'ogni  sesso  ;  leggiadre  spose  e  fanciulle 
agitanti  i  bianchi  lor  lini  al  passaggio  del 
Sire;  le  alternate  melodie  d'istrumenli  e 
di  canti  accaloravano  gli  animi  all'entu- 
siasmo, che  ruppe  in  un  impeto  di  accla- 
mazioni e  d'applausi  davanti  le  innume- 
revoli faci,  onde  splendevano,  con  mira- 
bile ordiue  di  screziali  colori,  i  balaustri 
e  gli  archi  del  ponte  di  Rialto.  La  moria 
lettera  è  inadeguata  a  descrivere  il  ma- 
gico elfetto  di  quella  viva  realtà.  Era  des- 
sa  un'emblema  parlante  dell'ossequio  de' 
veneziani  verso  il  loro  monarca  :  riflet- 
teva in  immagine  I'  ardore,  che  gli  all'i- 
ma a  riverite  la  Maestà  dell'imperatore, 
guarentigia  suprema  d'ogni  lor  sicurezza 
presente  e  d'ogni  ben  avvenire,  inespu- 
gnabile rocca  che  sola  può  rendere  vani 
gli  sforzi  della  cospirante  anarchia,  sola 
munire  la  crescente  prosperità  di  Vene- 
zia. La  M.  S.  discese,  fra  le  ovazioni  del 
popolo,  a' giardini  del  palazzo  di  corte. 
La  piazza  di  s.  Marco,  illuminata  a  gior- 
no, nonostante  una  pioggia  sottile,  era 
zeppa  d'ogni  classe  di  cittadini  ;  un  bat- 
tere universale  di  mani,  ripetuto  più  vol- 
te, esprimeva  vivissimo  il  desiderio  del 
pubblico  di  contemplare  l'aspetto  del  suo 
Monarca.  Differendo  a  miglior  tempo  i 
particolari  delle  affettuose  dimostrazioni 
fattegli  anche  da'vicentini  e  da'  padova- 
ni, trascorsivamente  diremo  come  sì  gli 
uni,  sì  gli  altri  gareggiassero  in  prove 
della  più  divota  osservanza.  Se  la  prima 
venuta  dell'imperatore  a  Venezia  inau- 
gurò, come  allora  scrivemmo, un'era  nuo- 
va di  conciliazione  e  d'amore  tra  il  prin- 
cipe e  il  popolo,  suggello  indissolubile  di 
un  nuovo  patto  di  più  stretta  alleanza  fra 
loro,  questa  seconda  apparizione  del  Sire 


86  YEN 

ci  lega  più  inlr'msecaroenle  all'animo  suo, 
ci  unisce  alla  sagra  persona  col  nodo  più 
arcano  e  più  santo,  che  unisce  il  padre 
a'suoi  figli".  Quindi  la  medesima  Gaz- 
zetta di  Venezia  descrive  le  poche  ore 
passate  in  Venezia  dall'imperatore  Fran- 
cesco Giuseppe  I,  la  sua  visita  al  campo 
di  Marte,  ove  comandò  gli  esercizi  ;  quel- 
la del  posto  militare  di  s.  Giorgio  ;  quel- 
la all'Arsenale  e  alle  sue  ofuciue,  non  che 
alla  casa  delle  Zitelle,  al  tempio  del  Re- 
dentore,aU'ora  torio  maschile  de'Gesuati, 
al  femminile  delle  Terese,  alla  scuola  di 
s.  Rocco,alla  chiesa  de'Frari,ammirando 
e  lodando  il  monumento  di  Tiziano;  e  la 
sua  partenza  pel  porto  di  Malamocco  fra 
incessanti  applausi  il  i .°  d'ottobre.  —  In 
Venezia  fu  ranno  1 855  comincialo  con 
dimostrazioni  di  tenera  divozione  per  la 
nuova  gloria  della  Regina  del  Cielo,  pro- 
gredito e  quasi  terminato  col  flagello 
colerico.  Nel  voi.  LXXIII,  p.  42  e  seg. 
narrai  quanto  precedette,  accompagnò  e 
seguì  la  definizione  dogmatica,  in  Vati- 
cano  promulgata  dal  regnante  Papa  Pio 
IX;  ed  a  p.g4  accennai  come  fu  festeggia- 
ta in  Venezia  nella  basilica  di  s.  Marco 
l'8,  il  9  e  il  io  febbraio.  V  importante  , 
bella  e  edificante  descrizione  della  Gaz- 
zetta diVenezia)  riprodusse  il  n.  42  del 
Giornale  di  Roma  i855.  Qui  poi  ag- 
giungo, che  tra  le  altre  chiese  che  solen- 
ruzzarono  il  memorabile  avvenimento  in 
Venezia,  vanno  ricordale:  s.  Michele  di 
Murano  in  isola,  in  cui  ne'giorni  20,  2 1 
e  22  aprile,  da'  minori  osservanti  rifor- 
mali fu  celebralo  solenuissimo  triduo,  e 
n'è  a  stampa  la  descrizione,  colla  Lette- 
ra al  conte  Tullio  Dandolo,  del  cav. 
Filippo  Scolarì,\ enezià  tipografia  An- 
tonelli  i855;  e  l'altro  tempio  francesca- 
no del  ss.  Redentore,  nel  quale,  i  minori 
cappuccini, parimenti  celebrarono  un  tri- 
duo solenne  1'  1 1 , 1 2  e  1 3  maggio,che  pure 
meritò  la  religiosa  descrizione  colla  Let- 
tera al  conte  Francesco  M* Torricelli, 
del  cav.  Filippo  Scolari,  Venezia  i855 
tipografia  Perini.  Si  legge  nella  Civiltà 


VEN 

Cattolica,  serie  2.*,  1. 12,  p.  107.  »  La 
festa  solennissima  fatta  in  Venezia,  cit- 
tà nobilissima  e  per  munificenza  d'illu- 
stre e  ricco  municipio  ordinata,  fu  diret- 
ta da'  rr.  pp.  cappuccini  dell'isola  della 
Giudecca,  operosi,  zelanti  e  industriosi , 
e  pel  concorso  aiutata  di  cittadini  cal- 
dissimi veneratori  di  Maria  ss.,  riuscì 
certamente  una  delle  più  belle  solenniz- 
zatesi in  Italia.  Il  superbo  tempio  eretto 
dal  Palladio,  fu  con  tanta  profusione  di 
preziosi  drappi  ornato,  che  del  solo  da- 
masco in  seta  tremila  braccia,  e  del  vel- 
luto e  dell'  altre  stoffe  più  di  ottomila 
vi  abbisognarono  a  fregiarlo.  Fra  tor- 
cliioni,  ceri  e  candele  onde  componevasi 
la  splendida  illuminazione  del  tempio, 
furono  in  tre  dì  consumale  fino  a  nove- 
mila libbre  di  cera.  Molti  gli  ordini  de* 
cittadini  che  si  recarono  in  ischiere  a  ve- 
nerare la  ss.  Vergine  uel  tempio:  nume- 
rosissima la  processione  che  aprì  la  so- 
lennità :  parecchi  i  vescovi  e  i  prelati  di 
vario  ordine  secolare  e  regolare  che  de- 
corarono la  festa  :  innumerabili  i  sacer- 
doti che  offersero  in  questo  triduo  a  Dio 
benedetto  l'Ostia  di  pace  nello  splendi- 
do tempio  :  elegantissimi  i  Ire  discorsi 
recitati  da  tre  de'più  distinti  oratori  d'f- 
talia  :  folte  di  sceltissimi  sonatori  e  can- 
tori le  quattro  orchestre  innalzate  nella 
chiesa  :  molte  le  pubbliche  testimonian- 
ze di  sagro  tripudio  date  da  tutta  la  cit- 
tà con  luminarie,  archi,  festoni  d'arazzi, 
fuochi  d'allegrezza,  poesie  stampate,  con- 
certi di  musica  :  insomma  ne'giorni  1  r, 
12  e  i3  maggio,  Venezia  volle  apparire 
maggiore  di  se  per  offrire  allaVergine  Im- 
macolata onorevole  e  degno  ossequio  dì 
filiale  pielà".Riporlò  poi  la  stessa  Civiltà 
Cattolica,  3.a  serie,  t.  1,  p.  588.  »  Con 
due  brevi  spediti  l'uno  al  ven.  patriarca 
di  Venezia,e  l'altro  agli  arcipreti, presidi, 
sindaci  maggiori  e  componenti  le  IX  con- 
gregazioni del  clero  di  quella  città,  il  Sau- 
to Padre  esprime  la  sua  letizia  per  la  divo- 
tissima  festa  con  che  i  detti  illustri  per- 
sonaggi solennizzarono  in  s.  Maria  For- 


VEN 
mosa  la  dogmatica  definizione  cieli*  Ira- 
mncolata.Si  rallegra  inoltre  del  di  voto  af- 
fetto che  sa  nutrire  essi  verso  la  supre- 
ma Sedia  di  Pietro,  confortandoli  a  cal- 
deggiar la  gloria  di  Dio  e  la  salute  del- 
l'anime; rende  loro  grazie  d'un  elegante 
volumetto  di  poesie  che  a  sfogo  di  di- 
vozione verso  la  Madre  di  Dio  diedero 
alla  luce  in  quell'occasione  e  di  cui  pre- 
sentarono copia  allo  stesso  Santo  Padre". 
Poco  prima  erasi  manifestato  il  mici- 
diale morbo,  che  con  diverse  fasi,  senza 
grandi  siragi,  accompagnò  il  resto  del- 
l'anno. Verso  la  fine  del  1 856  l'imperato- 
re Francesco  Giuseppe  I,  con  nobile  fi- 
ducia volle  tornare  a  visitare  il  suo  regno 
Lombardo- Veneto,  accompagnato  dalle 
graziedelladiletta  moglie  l'imperatriceE- 
lisabetta  Amalia  di Baviera,preceduti  dal- 
l'incinte arciduchessaSofia  loro  primoge- 
nita, di  nuovo  manifestando  apertamente 
la  benigna  intenzione  d'obbliareil  passa- 
to, auimare  i  popoli  alla  speranza  e  alla 
fede  nel  loro  monarca,  di  consolare  un 
gran  numero  di  famiglie,  di  avvalorare  i 
fedeli  sudditi,  di  affezionarsi  i  titubanti, 
di  vincere  colla  più.  franca  generosità 
gli  avversi.  L'imperatore  e  l'imperatrice 
<{uindi,  trovaronsi  quasi  ad  una  festa  di 
famiglia;  e  veramente  furono  accolli 
dalle  popolazioni  del  Veneto  e  del  Lom- 
bardo con  affetto  filiale  e  superiore  al- 
l'espettativa.  Venezia  diede  I'  esempio  , 
Chioggia,  Padova,  Piovigo,  Vicenza,  Ve- 
rona, Crescia,  Bergamo,  Milano,  fecero  a 
gara  per  accogliere  degnamente  il  caval- 
leresco Sire  e  la  graziosa  Sovrana.  Alle 
tante  grazie  concesse  coll'imperiale  per- 
messo dal  conte  Radetzky,  moltissime  ne 
aggiunse  la  magnanimità  e  clemenza  del- 
l'augusto monarca,  ed  inoltre  volleesse- 
re  istruito  in  ogni  parte  dell'amministra- 
zione pubblica.  La  Civiltà  Cattolica,  se- 
rie 3.',t.  4»  P-  7^4»  °e  riferisce  i  partico- 
lari, che  in  quanto  a  Venezia  ora  ripro- 
duco. A'  20  novembre  1 856  l'impera- 
tore e  l'imperatrice  giunsero  in  Trieste  , 
aecolli  con  dimostrazioni  d'esultanza   e 


VEN 


87 


di  onore,  e  partirono  per  Venezia  la 
mattina  de'2  t>,  che  alle  3  pomeridiane  ne 
festeggiò  l'arrivo  nel  modo  più  splendido. 
Dopo  i  ricevimenti  ufficiali,  r.°  pensiero 
del  Sire,  fu  quello  di  provare  co'fatti  come 
egli  venisse  portatore  di  larghezze  e  di 
grazie.  Perciò  a' 28  fu  dato  un  decreto 
pel  quale  »  nell*  intento  di  alleviare  le 
conseguenze  de'luttuosi  avvenimenti  de- 
gli anni  1 848  e  1  849,  e  porre  le  comuni 
di  Venezia,  Borano,  Malamocco  ,  Mu- 
rauo,  Chioggia  e  Pelestrina  in  situazione 
di  poter  regolare  la  loro  economia  in- 
terna, dissestata  per  quegli  avvenimen- 
ti "  condona  vasi  alle  medesime,  Venezia 
e  a'comuni  dell'Estuario  «  in  via  di  gra- 
zia la  somma  tuttora  residua  di  austria- 
che lire  1 3,052,800:29,  del  debito  (fatto 
nell'ultima  repubblica  e  già  discorso)  di 
austriache  lire  13,230,021:91,  da  esse 
contratto,  onde  cambiare  la  carta  comu- 
nale in  viglietti  del  tesoro  ".  Quindi  a*2 
dicembre,  anniversario  del  suo  avveni- 
mento al  trono  ,  il  giovane  imperatore 
volle  cancellare  ogni  reliquia  delle  deplo- 
rate vicende  de'precedenti  anni,  e  perciò 
con  decreto  si  degnò  »  condonare,  per  at- 
to di  grazia,  interamente  la  pena  a  70 
condannali  per  alto  tradimento  o  per  al- 
tre azioni  criminose  contro  l'ordine  pub- 
blico". Con  altro  decreto  levò  i  sequestri 
de'profughi  politici  del  regno  Lombar- 
do-Veneto, sulle  loro  sostauze  imposti 
a'i3  febbraio  1 853;  autorizzando  il  feld- 
maresciallo Radetzky  »  anche  per  1*  av- 
venire, a  decidere  sulle  istanze  de'profu- 
ghi politici  per  impune  ripatrio  e  per 
riammissione  alla  cittadinanza  austriaca, 
in  quanto  l'avessero  perduta,  e  ad  ac- 
cordar loro  l'implorata  grazia,  qualora  i 
supplicanti  promettano,  mediante  una 
reversale,  di  comportarsi  ognora  da  sud- 
diti leali  e  fedeli  ".  Il  3.°  decreto  poi 
contiene  un  atto  di  munificenza  ad  un 
tempo  e  di  cristiana  pietà  verso  la  basilica 
di  s.  Marco,  che  ne  abbisognava.  Per  sop- 
perire dunque  alla  necessità  di  maggiori 
lavori,  che  mostra vansi  indispensabili  pel 


88  V  E  N 

ristami»  del  patriarcale  tempio,  accordò 
un  imporlo  annuo  di  fiorini  ventimila. 
E  qualora,  nel  corso  degli  anni,  tale  som 
ina  cessasse  di  essere  per  intero  o  in 
parie  a  ciò  necessaria,  ordmò  che  l'intero 
imporlo  o  il  sopravanzo  fòsse  capitaliz- 
zato in  aumento  dell'ut  tuale sostanza  del- 
la medesima  basilica  Marciana,  e  che  do- 
vranno gl'interessi  relativi  essere  impie- 
gati sempre  per  la  manutenzione  del  fab- 
bricalo clella  chiesa  slessa. Così  la  conces- 
sione annua  de' 20,000  fiorini  divenne 
perpetua.  La  Gazzetta  dì  Venezia^  ri- 
prodotta óa\Giornale  di  Roma  del  1  856 
a  p.  1  i'r>.,fa  l'elegantissima  narrazione 
del  grandioso  spettacolo  popolarti  e  pro- 
prio solo  di  Venezia,  della  Regata  olfer- 
ta  a'7  dicembre  dalla  città  agli  augusti 
sovrani,  per  tributare  al  generoso  largi- 
toredi  lauti  beuefizi  il  pubblico  omaggio 
della  sua  riconoscenza.  Quindi  si  ammi- 
rarono nel  Canal  grande  le  peote  e  bisso- 
ne che  fecero  splendido  corteggio  agl'im- 
periali coniugi  nel  loro  ingresso,  ricom- 
parendo le  peote  Giovanelli,  Papadopo- 
li,  e  quelle  dell'arie  Vetraria  e  del  Com- 
mercio, lo  bissona  Treves  d'una  ricchezza 
ed  eleganza  squisita,  la  tipografia  natau- 
le  dell'Anlouelli  e  le  barche  de'Napoleta- 
in  e  dei  Chiozzolti  che  Ira'  canti  e  i  suo- 
ni lanciavano  prodigalmente  e  confettu- 
re ed  aranci  a'più  vicini  ed  a'lontani,e  le 
altre  tutte  che  si  avevano  in  quell'incou- 
Ilio  ammirate:  ed  a  queste  altre  se  ne  ag- 
giunsero, sfarzosamente  e  con  buon  gu- 
.slo  fornite,  tra  le  quali  una  margarota, 
graziosa  barchetta  vogala  da  6  remato- 
ri abbigliati  bizzarramente  alla  spagno- 
la. «  Intanto  il  Canal  grande,  questa  via 
unica,  cominciava  a  presentare  uuo  spet- 
tacolo sorprendente,  indescrivibile.  Le  fi- 
nestre, i  pogginoli,  le  rive  degli  stupendi 
edifizi  che  lo  fiancheggiano,  e  che  formar 
no  l'ammirazione  dello  straniero,  il  qua- 
le, dopo  aver  compito  il  giro  d'  Europa  , 
dee  confessare  di  non  aver  mai  veduto 
nulla  di  simile,  perchè,  come  dice  u\\  for- 
bito scrittore,  J'euezia  non  somiglia  che 


ve  r» 

a  se  stesiti,  ornati  esternamente  di  va- 
ghe e  ricche  tappezzerie,  si  riempivano 
di  una  moltitudine  infinita,  quale  assai 
pochi  ricordano  l'eguale.  All'ora  istessa  le 
LL.  MM.  avevano  la  degnazione  di  con- 
dursi nella  regia  loro  gondola  al  palaz- 
zo della  nobile  famiglia  Balbi,  scella  al- 
l'alto  onore  di  ospitarle, affinchè  dal  pog- 
ginolo, ch'era  stato  a  tal  uopo  pomposa- 
mente addobbato,  potessero  riguardar 
comodamente  ambi  due  le  braccia  del 
grande  Canale,  e  godere  così  in  ogni  sua 
parie  la  patria  festa.  Al  loro  affacciarsi  le 
musiche  bande  suonarono  l'inno  impe- 
riale, e  l'esultante  popolo  le  salutò  con 
ripetuti  clamorosissimi  evviva,  onde  fu 
lietamente  e  sotto  sovrani  faustissimi  au- 
spicii  inauguratala  singoiar  lotta  che  a- 
nimosamente,ma  pacificamente  altresì, 
andava  sotto i  loro  sguardia  combatterti. 
Se  il  tempo  e  lo  spazio  ce  lo  consentisse- 
ro vorremmo  seguire  passo  posso  la  voga 
affannala  de'rivali  gondolieri;  vorremmo 
descrivere  questi  novelli  giuochi  Olimpi- 
ci, i  di  cui  giostratori  hanno  per  arena  il 
mare,  e  per  anfiteatro  una  città  magnifi- 
ca,piantata  quasi  per  prodigio  sull'acqua; 
vorremmo  diffusamente  narrare  come  al 
dato  segnale  le  leggerissime  e  a  poca  di- 
stanza appena  visibili  barchette  si  slan- 
ciassero alla  nobile  gara,  gara  della  for- 
za e  delia  destrezza  insieme  congiunte, 
ma  gara  innocente  che  non  ha  pericoli  , 
peroni  debbano  sempre  trepidare  gli  spet- 
tatori, e  che  dona  pura  e  incruenta  la 
vittoria. . .  Se  non  che,  lasciando  ad  altri, 
e  specialmente  a'poeti,  il  cantare  le  glo- 
rie de' vincitori,  noi  compiendo  ii  grave 
e  onorevole  uffizio  di  scrivere  la  storia, 
tenteremo, se  l'ingegno  e  le  parole  ci  ba- 
steranno, di  descrivere  un  nuovo  spetta- 
colo, quello  delle  clamorose  incessanti  o- 
vazioni  che  il  popolo  entusiastato  e  com- 
mosso consagrò  agli  augusti  so  via  ni, qua  ri- 
do finita  la  lotta  si  degnarono  di  scende- 
re nella  galleggiante  municipale,  ove  fu- 
rono ossequiosamente  accolti  dal  podestà 
co.  Correr,  ch'ebbe  l'onore  di  accampa- 


v  e  n 

guarii  nella  corsa,  che,  porta  li  quasi  a  di- 
re in  trionfo  fecero  da  un  capo  all'  altro 
ilei  gran  Canale.  Non  v'era  fondamenta, 
non  riva,  non  il  più  piccolo  spazio  che 
non  fosse  occupato  e  gremilodi  genti  avi- 
de di  contemplare  i  beuignissimi  princi- 
pi, i  quali  sul  dinanzi  della  prora  ricam- 
biavano di  graziosi  saluti  le  grida  di 
plauso  che  mille  e  mille  voci  ad  ogni  i- 
stante  ripetevano.  E  il  sesso  gentile,  che 
numeroso  e  leggiadro  occupava  in  mag- 
gior parte  le  finestre  e  pogginoli  delle  ca- 
se e  dei  palagi  che  prospettano  il  gran 
Canale, coll'mcessante  agitar  de'fazzoletti 
accompagnava  i  plausi  che  la  sottoposta 
folla  tributava  all' eccelsa  coppia  impe- 
riale. Era  una  scena,  la  cui  sublimità  può 
essere  sentita  e  compresa  ,  ma  non  con 
adeguale  parole  descritta.  Sul  ponte  di 
Uialto.chegigaute  torreggia  attraverso  il 
Canale, sulleampie  fondamenta  o  riveche 
gli  sono  di  fianco, la  calca  era  si  fìtta  che 
ii  muoversi  era  quasi  impossibile;  e  fu 
qui  dove  la  popolare  esultanza  non  ebbe 
freno  a  disfogarsi  in  fragorose  e  prolun- 
gate acclamazioni.  Da  per  lutto  era  lo 
s(esso  tripudio,  da  per  tutto  la  gente  era 
accorsa  a  festeggiare  gii  augusti  sovrani, 
ella  vi  era  accalcala  sino  «'punti  estremi 
del  gran  Canale  presso  alla  stazione  del- 
ia strada  ferrata,  ove  la  società  concessio- 
naria fece  con  lauto  spendio  innalzare  un 
magnifico  padiglione  di  stile  moresco  li- 
bero, del  quale  avremo  motivo  di  tenere 
ad  altra  occasione  più  lungo  discorso.  E 
come  il  principio  tale  fu  il  termine  del 
corso  succeduto  alla  Regata,  mentre  le 
ovazioni  non  ebbero  tregua  se  non  quan- 
do, verso  il  tramonto,  la  galleggiante  ri- 
condusse  le  LL.  MM.  alla  residenza  im- 
periale ".  Descrissero  questo  trionfale 
viaggio:  Fior  cV  Absburgo  in  Italia ,os- 
sja  completa  relazione  del  viaggio  del- 
le Loro  Maestà  apostoliche  l' impera- 
tore Francesco  Giuseppe  I,  e  l'impera- 
trice Elisabetta  Amalia  ne' loro  dominii 
Italiani,  negli  anni  1806-1857.  Tipo- 
grafia editrice  fratelli  Centenari,  Milano 


V  E  |  89 

1837.  Soggiorno  delle  IL.  MM.  I.  li. 
A.  Francesco  Giuseppe  I,  ed  Elisabet- 
ta Amalia  nelle  provinole  Venete,  ed  O- 
maggio  delle  scuole  Reali,  inferiori  ed 
elementari.  Tip.  editrice  Anlonelli, Vene- 
zia 1807.  A  p.  1  09 delGiomale  di  Roma 
del  18J7  si  riporta  l'onorevolissima  let- 
tera scriitaa'28 febbraio  1807  in  Milano 
dall'imperatore,  al  fe!d-marescial!o  l\a- 
delzky,  colla  quale  ricolmandolo  di  alte 
lodi,  esaudisce  le  sue  istanze,  per  essere 
esonerato  nella  tarda  sua  età  dal  governo 
del  regno  Lombardo-Veneto,  ponendo  a 
sua  disposizione  il  palazzo  di  Strà  ,  ed 
altri  palazzi  imperiali;  non  che  la  lettera 
nello  stesso  giorno  indirizzala  all'arcidu- 
ca fratello  Ferdinando  Massimiliano,  co- 
mandante supremo  della  marina,  nomi- 
nandolo governatore  generale  del  regno 
Lombardo-Veneto,  per  dare  a' sudditi 
una  prova  particolare  dell'assidua  sol- 
lecitudine pel  benessere  loro,  confidando 
nella  distinta  avvedutezza  da  lui  ognora 
spiegata  »..  .di  munirla  come  mio  rappre- 
sentatile uV necessairi  poteri,  alfinchèsia 
in  grado  di  condegnamente  adempiere 
tale  mandato  in  questo  regno,  di  vegliare 
efficacemente  al  regolare  e  giusto  anda- 
mento, non  che  alla  pronta  pertrattazio- 
ne  degli  all'ari  in  ogni  ramo  della  pub- 
blica amministrazione,  di  rilevare  i  biso- 
gni in  lulto  ciò  che  concerne  lo  svilup- 
po intellettuale  e  materiale  del  paese,  e 
prendere  a  tempo  debito  ed  energica- 
mente l'iniziativa  rispetto  a  quelle  mi- 
snreed  istituzioni  atte  a  soddisfarli.  Ella 
risiederà  alternativamente  a  Milano  e 
Venezia  ....  la  cui  prosperità  mi  è  tanto 
a  cuore  ".  Inoltre  e  contemporaneamente 
l'imperatore  nominò  il  generale  d'  arti- 
glieria Francesco  co.  Gyulai,  comandante 
della  2.*  armata,  e  generale  comandante 
nel  regno  Lombardo- Veneto,  nella  Ca- 
rinzia,  Carinola  e  nel  Litorale.  Pel  con- 
seguente allontanamento  dell'  arciduca 
Ferdinando  Massimiliano  dalla  sede  uffi- 
ciale del  cornando  supremo  della  mari- 
na Trieste,  rimanendo  in  questa  lo  stes- 


90  VEN 

so  comando  sotto  la  direzione  del  vice- 
ammiraglio barone  deBujacovich  ad  Ut- 
tus  del  comandante  supremo,  dispose 
l'imperatore  la  sfera  d'azione  del  mede- 
simo arciduca  fratello.  11  n.  83  del  Gior- 
nale di  Roma  dell'aprile  1857,  contiene 
i  poteri  e  le  attribuzioni  del  nuovo  go- 
vernatore generale.  Recatosi  a  Vene- 
zia dopo  la  metà  di  ottobre,  l' arci* 
duca  con  P  arciduchessa  sua  sposa,  si 
pubblicò:  Altamente  lieta  questa  città 
per  il  fausto  arrivo  degli  augustissimi 
sposi  S.  A.  I.  R.  l'arciduca  Ferdinando 
Massimiliano  e  l'arciduchessa  Carlot- 
ta, festosamente  dettava  questi  carmi} 
edin  segno  di  umilissima  devozione  Mel- 
clu'orc  Fontana  tipografo  e  litografo  al- 
le LL.  A  A.  IL  RR.  li  consagra.  Tipo- 
grafia Fontana,  Venezia  1857.  Di  sopra 
in  diversi  luoghi  celebrai  gli  augusti  con- 
iugi, enei  voi.  LXXXV1,  p.  85,  narrai, 
come  prima  di  recarsi  l'arciduca  a  Brus- 
selles  a  sposare  la  reale  principessa,  da 
Milano  si  portò  a'3o  giugno  a  Pesaro  a 
visitare  il  Papa  che  regna  e  ricevete  le 
sue  benedizioni  ,  inaugurando  così  uno 
de'più  solenni  momenti  di  sua  vita;  par- 
tendo quindi  il  Pontefice  per  Bologna  , 
ove  giunto  ricevè  eziandio  gli  omaggi 
del  conte  di  Bissingen  luogotenente  delle 
provincie  venete, inviato  ad  hoc  dall'im- 
peratore d'Austria,  del  sullodato  conte 
Gyulai,  e  de'consoli  francese  e  pontificio 
di  Venezia,  come  notificò  il  Giornale  di 
Roma,  "Dei  resto,  sull'arrivo  nel  regno 
Lombardo- Veneto  dell'arciduca  Ferdi . 
nandoMassimiiiano  e  della  sua  sposa  l'ar- 
ciduchessa Carlotta  Amalia  principessa 
del  Belgio, anche  nella  Civiltà  Cattolica 
de'  3i  ottobre  1857  se  ne  descrivono  le 
solenni  accoglienze  fatte  agli  augusti  prin  • 
ci  pi  da'municipii  e  dalle  popolazioni,  sin» 
cera  espressione  del  sentimento  comune. 
A  Trieste,  a  Venezia, a  Verona,  a  Milano 
eguali  furono  le  testimonianze  dell'amo- 
re e  della  riverenza  de' popoli,  e  della 
piena  soddisfcizionede'giovani  eccelsi  spo- 
si. »  Que'forestieri  che  s'accertano  de'fat- 


V  E  81 

ti  cogli  occhi  propri  ,  confessano  candi- 
damente essere  tanto  mutato  tra  noi  (di- 
ce il  corrispondente  del  Lombardo- Ve- 
neto a  detta  Civiltà) lo  spirito  pubblico, 
che  non  rimane  più.  se  non  che  (polche 
rara  ed  impotente  favilla  dell'incendio 
del  1848.  L'opera  del  rinsavimcnto  non 
è  certo  pienamente  compita,  ma  va  ogni 
giorno  perfezionandosi.  Clemenza  e  per- 
donogenerale,assoluta  dimenticanza  del 
passato,  saggia  amministrazione,  provvi- 
de leggi,  rispetto  alle  legittime  tradizio- 
ni della  nazionale  grandezza,  tendenza  a 
riunire  nel  bene  tutte  le  classi  sociali  al- 
l'ombra del  principato,  tutte  le  carriere 
aperte  all' ingegno  accompagnalo  dalla 
lealtà  del  carattere  e  dalla  eminenza  del 
merito,  libertà  amplissima  e  buon  mer- 
cato di  comunicazioni  nell'interno  e  col- 
l'esterno,  sono  benefizi  che  i  popoli  ap- 
prezzano e  riconoscono.  Aggiungete  nel- 
l'arciduca una  mente  perspicace  e  vo- 
gliosa del  bene,  una  volontà  determina- 
ta, un  cuore  veramente  benefico,  ed  in- 
tenderete il  perchè  del  nuovo  indirizzo 
dell'opinione  pubblica.  Alcuni  giornali 
nostri  e  forestieri  indirettamente  o  diret- 
tamente censurano  il  governatore  arci- 
duca per  avere  introdotto  nella  sua  corte 
un  lusso  cb'essi  dicono  eccessivo.  Ma  è  da 
notare,  anzi  tutto,  che  egli  ha  dallo  sta- 
to la  somma  d'  un  milione  duecento  mi- 
la lire  all'anno  da  spendere:  inoltre  egli  è 
assai  ricco  del  proprio,  e  può  quindi,  sen* 
za  inconvenienti,  mantenere  la  sua  corte 
in  un  lustro  veramente  reale.  La  sua  ge- 
nerosità poi  e  la  sua  splendidezza  non 
possono  che  giovare  alle  arti  ed  all'indu- 
stria nazionale,  sia  direttamente,  sia  col- 
l'eccilamentocomunicalo  da  quell'esem- 
pio alla  classe  nobile  e  signorile.  I  dan- 
ni cagionati  tra  noi  dalla  rivoluzione  alle 
arti  ed  alle  lettere  sono  incredibili  .... 
Dopo  10  lunghi  annidi  miserie  e  di  sten- 
ti, le  arti  e  le  lettere  hanno  d'uopo  d'u- 
na mano  forte  e  generosa  che  le  sollevi 
e  le  rianimi.  La  strada  ferrata  da  Milano 
a  Venezia,  dopo  11  anni,  è  finalmente 


V  E  N 

compita,  essendo  stata  aperta  sin  dal  i  2 
ottobre.  L'arciduca  è  partito  da  parecchi 
dì  per  Venezia  in  compagnia  dell'  arci- 
duchessa sua  sposa. Egli  vuole  acquistar- 
si V  amore  de'suoi  amministrali,  per  ot- 
tenere il  quale  intento  non  lascia  sfuggi- 
re veruna  occasione  favorevole".  Infatti, 
tosto  se  ne  giovò.  Imperocché  recatosi 
l'arciduca  governatore  nel  1 858  a  Vien- 
na, ne'3  mesi  del  suo  soggiorno  presso 
l'imperatore  fratello,  a  seconda  della  sua 
ingiunzione  allorché  gli  affidò  il  governo 
del  regno  Lombardo- Veneto, di  ricono- 
scere i  bisogni  del  paese  in  luttociò  che 
ne  concerne  il  progresso  intellettuale  e 
materiale,  e  di  prendere  a  tempo  valida- 
mente 1*  iniziativa  rispetto  a'  provvedi- 
menti alti  a  soddisfarvi,  espose  gli  studi 
fatti  ed  i  bisogni.  Avendo  l'arciduca  con- 
sultato le  congregazioni  del  regno  ,  esa- 
minò poi  egli  stesso  lo  stato  dell'ammini- 
strazione, scoperse  abusi,  conobbe  biso- 
gni, pensò  a  riforme,  e  dopo  un  anno  di 
ponderazione,  recò  egli  stesso  al  monarca 
le  sue  proposte  per  il  bene  del  suo  popolo. 
Indi,  dopo  esame,  l'imperatore  a'  16  lu- 
glio 1 858  ordinò  quelle  molte  importan- 
ti disposizioni  e  miglioramenti  ammini- 
strativi, che  raccontai  superiormente  ai 
propri  luoghi,  sia  sulla  giusta  proporzio- 
ne di  perequazione  sull'imposta  prediale 
nel  regno  Lombardo-Veneto,  sia  per  la 
riforma  dell'accademie,  per  dare  un  più 
sicuro  indirizzo  e  una  piti  vigorosa  vita- 
lità alle  arti  del  disegno, fulgidissima  glo- 
ria d'Italia,  sia  in  vantaggio  de*  medici 
condotti,  sia  per  facilitazioni  negli  obbli- 
ghi di  coscrizione,  sia  per  animare  l'ope- 
re grandiose  in  corso, compimento  della 
rete  di  ferrovia,  la  copia  d'acqua  pota- 
bile in  Venezia, e  quanto  altro  contiene 
l'ammirabile  circolare  dell'arciduca  go- 
vernatore del  regno,  precipuamente  a 
vantaggio  delle  due  capitali  Milano  e  Ve- 
nezia, la  i.a  ricco  centro  di  un'operosità 
intellettuale  e  pratica,  la  2.a  bella  di  ar- 
ti e  monumenti,  come  città  commerciale 
e  marittima,  onde  prosperino  vieppiù  nel 


V  E  H  91 

ripreso  moto  d'  un  crescente  e  florido 
progredimento.  A'2  1  agosto  i858  la  na- 
scita a  Laxenburg  ,  presso  Vienna,  del 
principe  ereditario  Rodolfo  Francesco,  fu 
cagione  di  lieto  e  vero  giubilo,  come  in 
tutta  la  monarchia,  così  pure  nel  Lom- 
bardo- Veneto,dove  interpreti  de' voti  del 
popolo,  le  congregazioni  centrali,  provin- 
ciali e  municipali  deposero  a'piedi  del  tro- 
no gli  omaggi  e  le  congratulazioni  del  pae- 
se; festeggiandosi  V  avvenimento  anche 
con  molte  opere  di  carità,  da'municipii  e 
da'  privati.  Iu  Venezia  a'  22,  anniversa- 
rio g.°  memorabile  della  cessazione  del 
suo  stato  penoso,  a  ringraziare  Dio  del- 
l'esaudito fervido  voto  del  paterno  cuo- 
re dell'imperatore  Francesco  Giuseppe  I, 
le  cariche  di  corte,  tutte  le  autorità  civi- 
li, militari,  ecclesiastiche,  le  pubbliche 
rappresentanze,  si  adunarono  nella  regia 
basilica  patriarcale  di  s.  Marco,  pel  solen- 
ne canto  del  Te  Dcum,  e  quindi  il  conte 
di  Bissingen  luogotenente,  ricevè  ne'suoi 
appartamenti  gli  omaggi  della  generale 
esultanza.  Nel  medesimo  i858  fu  pub- 
blicato dalla  tipografia  Antonelli:  Rego- 
lamento  organico  della  società  di  mu- 
tuo soccorso  de  'maestri  e  delle  maestre 
elementari  della  provincia  di  Venezia 
sotto  la  protezione  di  s.  Giuseppe  Cala- 
Sanzio.  Questa  istituzione  è  già  sistemata. 
Di  quella  di  Milano, copiosamente  ragio- 
na la  Cronaca  di  Milano  del  cav.  Igna- 
zio Cantù,  il  quale  n'  è  benemerito  pre- 
sidente e  promotore.  Delle  anteriori  cou- 
dizioni di  simili  maestri,  si  legge  cidi  eh. 
encomiato  scrittore  un  commovente  ar- 
ticolo: //  Maestro  di  campagna,  nella 
dispensa  2/  dell'anno  V  della  Cronaca. 
Inoltre  nel  i858  si  pubblióò:  Quattro 
Jiori  di  Matrone  veneziane,  Polissena 
Contarini,  Damala  Moccnigo,  Elisa- 
bella  Michiel  Marlinengo,  Maria  Bon- 
fadini  Porlo }  Margarita  de  Susani  Re* 
vedili)  presentali  alle  faustissime  nozze 
Marcello  Zon,  da  Lazzari  Giuseppe. 
Dalla  Costanza  di  Riese,  nell'ottobre  del 
1 858.  Egli  èquesto  l'auspicatissimo  ma- 


9i  V  EN 

(rimonto  celebrato  dal  nobilissimo  e  de- 
gnissimo Alessandro  Marcello  attuale  pò- 
desta  di  Venezia,  e  nel  ricordare  l'  ele- 
gante libro  cbe  lo  solennizzò,  lietamente 
intendo  unirmi  alle  piti  affettuose  e  rive- 
renti felicitazioni,  rassegnale  al  rispetta- 
bile ed  egregio  primo  magistrato  civico 
d'una  Venezia,  la  quale  non  deve  mai 
nominarsi  senza  lode.  La  Gazzetta  di 
Venezia  de'4  marzo  del  corrente  i85g, 
riferita  dal  Giornale  di  Roman  p.  222, 
c'istruisce  del  gas  portatile  recato  a  Ve- 
nezia, non  senza  aversi  motivo  di  cre- 
dere, che  l'illuminazione  del  gas  porta- 
tde  stia  per  essere  in  breve  introdotta 
nelle  provincie  venete,  ed  in  particolare 
a  Venezia,  e  che  l'impresa  trovi  ormai 
favorevole  accoglienza  presso  gran  nu- 
mero de'consumalori.  Il  gas  portatile  è 
un  estratto  di  schisto  bituminoso,  detto 
Boghead,  che  trovasi  uella  Scozia,  ed 
ha  ia  proprietà  di  fornire  un  gas  d'  un 
potere  illuminante  circa  tre  volte  supe- 
riore a  quello  del  carbon  fossile.  Com- 
presso poi  entro  adatti  recipienti,  pub 
rappresentare  un  volume  molte  volte 
maggiore  di  gas  ordinario;  per  il  che  è 
reso  possibile  e  f  icileil  trasportarle  con- 
servarlo nelle  abitazioni  private,  cou  ri- 
sparmio dell'ingente  spesa  di  canalizza- 
zione sotterranea. Considerevole  n'è  futi- 
lilànelle  vie  poco  popolate  ©distanti  dal- 
l' officina  di  fabbricazione,  nelle  piccole 
borgate,  negli  stabilimenti  isolati,  ovun- 
que in  somma  lo  stabilire,  mantenere,  ed 
alimentare  un  sistema  di  canalizzazione 
importi  una  spesa  non  proporzionata. 
—  In  quest'  articolo,  consagrato  a  Ve- 
nezia, essendo  una  delle  due  metropoli 
civili  ed  ecclesiastiche  del  regno  Lombar- 
do- Veneto,  per  ragioni  di  storia  e  di  rap- 
porti, v'  intrecciai  non  poche  notizie  ri- 
guardanti la  metropoli  Milano  eia  Lom- 
bardia, come  nel  voi.  XCU,  p.  422-  lvi 
ho  riferito  la  nomina  di  due  prelati  U- 
ditori  di  Rota,  mg.r  Luigi  Flir  di  Lan- 
deck  nel  Tirolo  diocesi  di  Bressannone, 
e  mg.1  Francesco  Nardi  di  Vazzola  dio- 


V  EN 

cesi  di  Ceneda.  Quanto  al  preciso  loro 
titolo  nazionale,  presso  il  romano  sagro 
Tribunale,  mi  diressi  ad  autorevole  per- 
sonaggio, ch'era  in  grado  di  siperlo  ;  ma 
uomo,  fu  inesatto,  e  tale  perciò  vi  coni 
parisco  io,  nel  citato  luogo,  anche  per 
altro.  Imperocché  dissi  mg."  Flir  udito- 
re per  Venezia, e  mg.r  Nardi  uditore  per 
Melano.  L'emenda  vado  a  riferirla.  In- 
tanto comincio  dal  correggere,  l'aver  ivi 
detto  mg.r  Serafini  passato  perla  2.*  di 
tali  nomine  dall'  uditorato  Milanese  al 
Ferrarese,  mentre  venne  trattalo  al  va- 
cante uditorato  d'Aragona,  col  consen- 
so della  corte  di  Spagna.  Ciò  premesso, 
e  dovendosi  tener  presente  l'articolo  U- 
ditori  di  Nota,  primamente  rammen- 
to che  l'  uditore  per  la  Germania  du- 
rò sino  a!  6  agosto  1806  in  cui  si  sciol- 
se l' Impero  Romano-Germanico;  1' w- 
ditore  di  Venezia,  durò  sino  alla  cadu- 
ta dell'  antica  e  gloriosa  repubbblica. 
Però  i  due  prelati  che  erano  investiti  del- 
l'uditorato nazionale,  continuarono  a  se- 
dere nel  sagro  tribunale  della  romana 
Rota  finché  vissero  o  fino  all'occupazio- 
ne francese  di  Roma  del  1809.  Altret- 
tanto avvenne  all'  uditore  per  Milano. 
Ricomposte  le  cose  politiche,  ricuperati 
dall'imperatore  d'Austria  i  suoi  stati  d'I- 
talia, egli  nel  181 5  rinunziò  al  privile- 
gio di  nominare  e  presentare  alla  s.  Sede 
V udito  re  per  Venezia,  e  nominò  per  Vu- 
di  lo  rato  dell'  Impero  d*  Austria  mg.r 
Carlo  Odescalchi,  il  quale  tutta  volta,  in 
uno  a'di  lui  successori,  eziandio  vennero 
quasi  riguardati  uditori  veneti-milanes  i. 
Mi  veramente  per  Milano,  prò  Longo- 
bardo (perchè  come  notai  nel  citato  ar- 
ticolo, coll'eruditbsimo  milanese  Piazza, 
l'uditore  nazionale  era  per  tutta  la  Lom- 
bardia), i  Papi  d'allora  in  poi  nomina- 
rono un  prelato  romano  o  di  altro  luogo 
del  proprio  stato.  Non  riuscirà  poi  super- 
fluo, che  ancor  qui  meglio  ricordi  come 
a  proposizione  fatta  nel  i56o  in  conci- 
storo dal  celebre  milanese  cardinal  Mo- 
roui,  il  Papa  Pio  IV  (e  non  V,  come  per 


VEN 

fallo  tipografico  si  legge  ap.  142  nel  t.  1, 
delia  bellissima  opera,  Milano  e  il  suo 
Territorio,  ivi  impresso  nel  1&44)  Per 
amore  alla  comune  patria  Milano,  e  per 
essere  già   appartenuto  a   quell'  insigne 
collegio  di  dottori  o  nobili  giureconsulti, 
a  questo  concesse  il  privilegio  della  du- 
plice nomina  e  pi  espilazione  di  tre  dot» 
tori,  sia  per  l'uditorato  di  Rota  nazionale, 
sia  per  l'avvocato  concistoriale  nazionale 
(oltre  il  doversi  scegliere  dal  suo  seno  an- 
co il  patrio  arcivescovo:  di  più  Pio  IV 
ordinò  1'edifizio  pel  collegio  in  piaz7a  de' 
Mercanti. Dal  ceto  medesimo,  il  sovrano  o 
governatore  di  Milano,  nominava  un  re- 
gio luogotenente,  che  finito  Tanno  pas- 
sava vicario  di  provvisione,  cioè  prefetto 
o  podestà  di  Milano.  Inoltre  fra' dottori 
del  collegio  si  sceglievano  le  principali 
cariche;  per  l'amministrazione  della  giu- 
stizia, un  capitano    generale,  un  vicario 
civile  e  un  criminale,  un  fiscale  e  consoli 
giudiziari).    Intanto  al  venerando  Ode- 
scalchi  (V .)  successero  oWudìlorato  del- 
l'Impero d'Austria  i  prelati  Buspoli,  poi 
uditore  della  camera,  e  de  Silvestri  di 
Rovigo.  Questi  elevalo  alla  dignità  car- 
dinalizia, il  regnante  imperatore  Fran- 
cesco Giuseppe  1,  nominò  e  presentò  alla 
s.  Sede,  uditori  dell'  Impero  d'Austria 
(coll'assegno  annuo  pei  ciascunodi4ooo 
fiorini  pari   a  scudi    1900),  mg.r  Flir  e 
mg.r  Nardi.  Nella  pontificia  elezione  di 
mg. r  Flir,  non  vi  è  detto  prò  Austria, 
uè  prò  Germania,  ma  soltanto  uditore 
di  Rota  surrogalo  al  cardinal  de  Silve- 
stri. Forse  cosi  venne  praticato,  per  evi- 
tare  osservazioni,  quanto  al  titolo.  Nel 
motuproprio  pontifìcio  per  mg.r  Nardi, 
è  detto  uditore  di  R.ota  pro-Longobar- 
do. Nondimeno  i  ministri  imperiali  quali- 
ficarono i  due  prelati,  Uditori  di  Bota 
per  l'Impero  d'Austria,  Riportano  i  n. 
55  e  67  del  Giornale  di  Roma  del  1 85g, 
che  mg/  Flir  morì  a'8  marzo  fra' con- 
forti della  religione  (dovendo  io  ciò  noti- 
ficare in  questo  articolo,  per  quantoavea 
riferito  nel  voi.  XC1I,  mentre  la  stampa 


ve  ri 


93 


di  esso  progrediva  a)  suo  termine,  m'in- 
sorse dubbio  :  se  realmente  mg.f  Flirei  a 
uditore  per  Venezia,  ed  in  conseguenza, 
se  era  stato  ripristinato  l'uditorato  na- 
zionale veneziano  j  e  le  mie  pazienti  ri- 
cerche, produssero  le  narrate  indispensa- 
bili rettificazioni).  m  Nella  chiesa  di  s. 
Maria  dell'  Anima,  furono  fatti  solenni 
funerali,  per  il  defunto  mg.r  Flir  udi- 
tore di  Rota  per  V Impero  d'Austria,  Gli 
Em.i  signori  cardinali  Rauscher  arcive- 
scovo di  Vienna,  e  Reisach.  S.  E.  il  sig/ 
ambasciatore  di  S.  M.  l'Imperatore  d'Au- 
stria, e  S.  E.  il  sig. r  ministro  di  S.  M.  il 
Re  di  Baviera,  alcuni  uditori  di  Rota, 
e  altri  prelati  assistettero  alla  mesta  ce- 
remonia,  la  quale  ebbe  termine  colPora- 
zione  funebre  detta  da  mg/  Nardi^  eletto 
uditore  della  sagra  Rota,  che  porse  un 
degno  tributo  di  lode  al  compianto  pre- 
lato ".  Meritò  nitidissima  stampa,  sicco- 
me eloquente  e  dotta,  filosofica  e  religio- 
sa, affettuosa  e  commovente,  col  titolo: 
Elogio  funebre  di  mg.'  Luigi  Flir  udi- 
tore eletto  di  sagra  Bota,  recitato  il  16 
marzo  1 85g  nella  chiesa  di  s.  Maria 
dell'Anima  di  Boni  a,  da  mg*  Fra  ne  e- 
sco  Nardi  uditore  eletto  della  sagra 
Boia. — Nello  stesso  mese,  il  tenente  ma- 
resciallo Guglielmo  barone  d'Alemann, 
comandante  del  X  corpo  d'armala,  dal- 
l'imperatore venne  nominato  a  coman- 
dante della  città  e  fortezza  di  Venezia, 
in  luogo  del  barone  Lederei'.  Di  più  l'im- 
peratore,avuto  riguardo  all'attuale  stato 
delle  divisioni  di  flottiglia  in  Italia,  ap- 
provò la  riunione  delle  medesime  colla 
denominazione,  Comando  delle  flotti- 
glie delle  Lagune  e  de' Laghi  Meditcr- 
ranei^nìiwgoàeU'ailwòìComandodellc 
flottiglie  delle  Lagune  e  del  Lago  Mag- 
giore. Il  n.  69  del  Giornale  di  Boma  de' 
28  marzo  1859,  riprodusse  il  seguente 
ragguaglio  della  Gazzetta   Austriaca, 
sulla  organizzazione  del  regno  Lombar- 
do-Veneto. »  L'Austria  ha  ristabilito  in 
questi  paesi  l'antica  organizzazione  mu- 
nicipale ed  ha  lasciato  sussistere  i  pei  fé- 


94  VEN 

Ilota  unenti  introdottovi   nella   forma  e 
che  vi  stabilivano  maggiore   regolarità. 
Questa  organizzazione  comunale  creata 
ila  Maria  Teresa  sussiste  oggi  nelle  sue 
parti  principali.  Garantisce  al  paese  Un 
tal  governa  mento  che  non  solo  le  altre 
provincie  austriache,  ma  molti  slati  d'Eu- 
ropa potrebbero  invidiare  al  regno  Lom- 
bardo-Veneto. Le  leggi  generali  dell' Au- 
stria so. io  in  vigore  in  Lombardia, ma  noti 
hanno  mai  pregiudicato  alla  nazionalità  e 
all'esistenza  individuale  del  paese.  Non  so- 
lo nella  pubblica  istruzione  e  nel  Tarn  mini* 
strazione  si  è  rispettata  la  lingua  e  gli  usi 
del  paese  ;  ma  il  governo  non  è  di  razza 
tedesca.  Nel  supremo  tribunale,  di  tede- 
schi non  vi  sono  che  due  consiglieri  e  il 
procuratore  generale.  Nella  prefettura 
delle  finanze  vi  è  un  solo  consigliere  te- 
desco, e  nella  procura  delle  finanze  ues- 
sun  tedesco.  Se  consideriamo  inoltre  che 
moltissimi  italiani  sono  impiegati  nell'al- 
tre provincie  austriache,  vedremo  che  per 
gl'italiani  la  loro  unione coll'Austria  non 
ha  fatto  che  aumentare  la  possibilità  di 
distinguersi  ne'posti  importanti.  Bastano 
questecifre  per  rispondere  al  rimprovero 
che  si  tolga  la  nazionalità.  Se  viene  con- 
siderato inoltre  il  generale  organismo  del 
paese,  vedrassi  che  una  gran  parte  degli 
affari  correnti  è  trattala  da  organi  elet- 
tivi. L'amministrazione  si  è  trovata  sem- 
pre e  ancora  si  trova  in  mano  degl'ita- 
liani. Il  numero  degl'impiegati  del  regno 
è  in  tutto  di  7273,  di  cui  554  oss,a  il  7 
e  mezzo  per  100  sono  tedeschi,  se  dob- 
biamo giudicare  dal  loro  nome.  Su  que- 
sta cifra,  gl'impiegati  in  Lombardia  sono 
338o,  di  cui  343  tedeschi:  nella  Vene- 
zia sono  3g53,  di   cui  211   tedeschi.  E 
questo  rapporto  è  lo  stesso  su  tutti  i gradi 
della  scala  amministrativa.  Nella  provin- 
cia di  Venezia,  i  soli  funzionari  tedeschi 
sono,  nel  governo  stesso,  il  governatore, 
il  vice-presidente,  un  consigliere  e  un  vi- 
ce-segrelatio  :  nel  tribunale  superiore  il 
presidente  e  sei  consiglieri:  nella  procura 


V  EN 

delle  finanze,  il  procuratore.  In  Lombar- 
dia, nel  governo,  il  governatore,  il  vice- 
presidente, tre  segretari  e  un  vice-segre- 
tario. I  governatori  stabilitine!  paese  han- 
no non  solo  la  più  parte  delle  attribuzio- 
ni amministrative,  ma  ricevono  il   loro 
ordine  dal  governo  generale,   alla  testa 
del  quale  si  trova  l'arciduca  Massimilia- 
no, fratello  dell'imperatore.  Il  governa- 
tore generale  riunisce  in  sue  mani  tutte 
le  attribuzioni  d'un  ministro  particolare 
della  corona  per  questo  paese:  decide  di 
tutti  gli  affari,  nomina  e  destina  gì'  im- 
piegati, ha   sì  vaste   attribuzioni,  quan- 
tunque pochi  affari   siano   sottoposti  a' 
ministri  a  Vienna, che  le  sole  disposizioni 
riguardanti  tutto  l'impero,emanano  per 
il  regno  Lombardo-Veneto  dall'ammini- 
strazione centrale.  La  slessa   situazione 
del  principe  governatore,  come  fratello 
di  S.  M.,  gli  permette  di  agire  più  libe- 
ramente nel  paese  che  amministra,  di 
quello  che  possati  farlo  gli  altri    gover- 
natori ".  Quanto  all'attuale  grave  que- 
stione italiana,  inorpellata  co'  pomposi  e 
splendidi  paroloni  di  Nazionalità  e  lif 
dipendenza  ;  a'timori  d'uua  guerra  rui- 
nosa  ed  europea,  con  pericolo  all'  Italia 
di  soggiacere  alla  balia  delle  sette  od  a 
stranieri  padroni,  che  presto  le  farebbe- 
ro desiderare  i  presenti,  poiché  lo  stesso 
Gioberti  temeva  più  l'intervento  francese, 
che  non  il  dominio  tedesco,  qualora  non 
seguisse  una  probabile  sconfitta;  in  fine 
alle  speranze  della  pace  fondata  nel  con- 
gresso europeo  che  va  ad  adunarsi,  se- 
condo i  generali  desideri i  ;  ampiamente 
ne  ragiona  la  Civiltà  Cattolica^  serie  4«,> 
t.  1,  p.  609:  La  Questione  Italiana  nel 
1859,  colla  confutazione  degli  opuscoli 
che  ne  trattano,  e  l'appendice  sull'Orga- 
nismo governativo  degli  Stati  pontificii. 
Più  a  p.  657  :  V  opinione  Italiana  in- 
torno alla  guerra  d*  indipendenza.  E 
nel  t.  2,  p.  5:  La  sconfitta  e  la  vittoria 
nella  terza  riscossa  Italiana. 


VEN 

§  XXI.  Serie  de  vescovi  di  Olivolo  e  di 

Castello,  e  de' patria  re  hi  dì  Venezia. 

i.  La  s.  Chiesa  di  Venezia,  dichiara  il 
sullodato  suo  dolto  figlio  e  benemerito 
storico  d.  Giuseppe  Cappelletti  prete  ve- 
neto >*  in  ordine  ad  ecclesiastica  gerar- 
chia, quanto  al  suo  titolo  patriarcale, è 
la  prima  chiesa  dell'  Italia  t  subito  dopo 
la  suprema vSW/e pontificale  diRomajbew- 
che  non  lo  sia  in  ordine  a  preminenza  ne 
ad  antichità;  sotto  il  quale  aspetto,  la  fi- 
glia primogenita  dell'apostolica  Sede,  la 
prima  dopo  la  Chiesa  Piomana,  è  l'arci- 
vescovile di  Ravenna  (V.).  -Né  solamen- 
te la  prerogativa  di  patriarcale  adorna 
la  Veneziana  sopra  le  altre  chiese  me- 
tropolitane d'Italia,  ma  l'illustra  altresì 
l'onore,  ridotto  presentemente  ad  un  sem- 
plice nome,  ùxprimaziale  sopra  le  chie- 
se della  Dalmazia,  Queste  due  lumino- 
se qualità,  sino  a  mezzo  il  secolo  XV,  ap- 
partenevano alla  chiesa  di  Grado:  Ve- 
nezia allora  non  era  che  un  semplice  ve- 
scovato, ristretto  entro  il  giro  della  città; 
anzi  neppur  tutta  la  città  entrava  a  for- 
marne la  diocesi,  essendoché  su  alcune 
pievi  di  essa  aveva  giurisdizione  libera  ed 
assoluta  il  gradese  patriarca;  edanzi  nep- 
pur col  nome  di  Venezia  denominavasi. 
Olivolo  diceasi  da  prima  e  poscia  Castel- 
lo.Ma  soppresse  aitine  dal  Pontefice  Ni- 
colò V  nel  i45 r,  entrambe  le  diocesi,  la 
vescovile  di  Castello  e  la  patriarcale  di 
Grado,  sorse  dall'unione  di  esse  la  nuo- 
va diocesi  patriarcale,  metropolitana,  pri- 
maziale  di  Venezia.  A  questa  nuova  dio- 
cesi derivarono  tutte  le  prerogative  ,  le 
giurisdizioni,  i  privilegi  dell'una  e  dell'al- 
tra: quindi  essa  diventò  patriarcale,  per- 
chè lo  era  la  chiesa  di  Grado  ;  metropoli- 
tana, perchè  le  furono  aggregale  le  me- 
desime sufhaganee  di  Torcello,  di  Chiog- 
gia,  di  Caorle,  di  Gesolo  ossia  Equilio,  che 
dipendevano  allora  dalla  metropolitica 
giurisdizione  di  Grado;  primaziale  final- 
mente, perchè  la  primazia,  cui  la  patriar- 
cale di  Grado  godeva  sulla  chiesa  della 


VEN 


9* 


Dalmazia  e  persino  sull'arcivescovile  me- 
tropolitana di  Zara,  fu  in  lei  conseguen- 
temente trasfusa.  Ilqual  l\lo\o ài  patriar- 
ca, attribuito  a'sagri  pastori  della  chie- 
sa di  Grado,  derivato  perciò  a  quelli  al- 
tresì di  Venezia,  non  è  di  così  antica  de- 
rivazione siccome  lo  era  negli  aquileiesi 
pastori.  Esso  anzi  dalla  residenza,  che  fa- 
cevano questi  nel  castello  di  Grado;  dal- 
li doppia  serie  de'medesimi  allorché  col 
titolo  di  Aquileia  dimoravano  gli  uni 
nell'una  e  gli  altri  nell'altra  città,  passò 
come  in  consuetudine,  sicché  lo  portaro- 
no entrambi  indistintamente  ...  Il  titolo 
di  patriarca  derivò  a' pastori  gradesi  a 
poco  a  poco  ed  in  tempi  posteriori  a  quel- 
li, in  cui  lo  usavano  i  patriarchi  di  Aqui- 
leia. Quanto  al  giro  della  diocesi  di  Ve- 
nezia, esso  non  comprendeva  in  sulle  pri- 
me, che  il  territorio  delle  due  diocesi  di 
Castello  e  di  Grado;  poi  crebbe  alcun  po- 
co nel  1466,  allorché  le  fu  aggregata  Ir 
soppressa  diocesi  diGesolo;e  vieppiù  creb- 
be nel  1 8 1 8,  allorché  per  la  soppressione 
delle  due  diocesi  di  Torcello  e  di  Caorle, 
derivolle  quasi  tutto  il  territorio  di  en- 
trambe. Ed  in  quell'anno  medesimo  fu 
dilatata  di  molto  anche  la  metropolitica 
sua  gii  risdizione;  perchè  ridotta  a  sempli- 
ce vescovato  la  chiesa  arcivescovile  me- 
tropolitana di  Udine  (V.)f  e  questa  e  tutte 
le  diocesi,  ch'erano  suffraganee  di  questa 
medesima,  vennero  assegnate  a  suffraga- 
needi  lei.  Le  quali  diocesi, oltre  all'udine- 
se, furono  Adria,  che  per  l'addietro  di- 
pendeva dall'arci  vescovo  diRavenna,  Ve- 
rona, Vicenza,  Padova,Treviso,Feltree 
Belluno  aeque  prmeipaiiter  unite,  Cene- 
da,Concordia,Emonia ossia  Città  Nova 
nell'Istria,  Giustinopoli  ossia  Capo  aV  I- 
stria,  Pola  e  Parenzo:  tuttociò  in  vigo- 
re della  bolla  del  r^ootefice  Pio  VII  ,  la 
quale  incomincia:  De  salute  dominici gre- 
gis,  deli.0  maggioi8i8.  Bensì  le  ultime 
quattro  chiese  summentovate  di  Paren- 
zo, di  Pola,  di  Capo  d' Istria  e  di  Emo- 
nia soppressa  ed  immedesimata  colla 
diocesi  di   Trieste  (V.),  le  furono  tolte 


06  VE  N 

|)f>t  lii  anni  dòpo,  per  assorellarle  all'ar- 
ci vescovo  ili  Gorizia  (f  .).  Parimente  /  - 
dine  le  fu  tolta  nel  1847,  perchè  venne 
ristabilita  nella  sua  pristina  dignità  ar- 
civescovile metropolitica.  Quindi  è  che 
nello  stato  odierno  la  nostra  s.  Chiesa  di 
Venezia  continua  ad  essere  patriarcale  e 
metropolitana  nel  proprio  MMO  ecclesia- 
stico; continua  a  portate  il  titolo  di  pri- 
maziale  della  Dalmazia  ,  a  cagione  del- 
l' antico  diritto,  che  su  quelle  diocesi  e- 
sercitava.  Lesue  sulfraganee  adunque  og- 
gidì sono  Adria  (della  quale  per  fare  il 
vescovo  l'ordinaria  sua  resideuza  in  Ro- 
vigo ,  in  tale  articolo  meglio  ne  ragio- 
nai), Ceneda,  Cliioggìa,  Concordia  (con 
residenza  in  Poi  togruaro),  Belluno  eFel- 
tre,  Padova,  Treviso  (che  comprende  la 
soppressa  Asolo, e  tra'suoi  confini  è  l'al- 
tra pure  antica  sede  A' Eraclea),  P  ero- 
na,  Vicenza  (V.)  ".  Noterò,  che  narrai 
nell'  articolo  Spalatro,  che  la  sua  sede 
vescovile  successe  nella  dignità  a  quella 
di  Salona,  metropoli  di  tutta  V  Illiria, 
poi  gli  arcivescovi,  con  approvazione  de' 
Papi, s'intitolarono  dal  1  i55 primati  del- 
la Dalmaziat'ìiuM  anche  della  Croazia j 
ma  perchè  la  chiesa  di  Zara,  distaccata 
dalla  metropolitana  di  Spalatro,  fu  essa 
dichiarala  metropoli  e  attribuita  colle 
sue  chiese  su  (fraga  nee  al  patriarca  di  Gra- 
do, così  quest'ultimo  fu  costituito  loro 
primate,  grado  e  dignità  che  col  patriar- 
cato passò  al  vescovo  di  Venezia,  per  a- 
vere  soggette  il  patriarca  ie  chiese  della 
parte  occidentale  inferiore  della  Dalma- 
zia; che  però  rimase  al  prelato  della  chie- 
sa di  Spalatro  l'antica  denominazione  di 
primate  della  Dalmazia  e  della  Croazia, 
per  la  giurisdizione  che  gli  restò  sulla 
Croazia  esopra  parte  della  Dalmazia, giu- 
risdizione e  grado  che  gli  tolse  LeoneXU 
nella  nuova  circoscrizione  delle  diocesi 
della  Dalmazia,  ad  istanza  dell'  Austria, 
dichiarando  Spalatro  semplice  sede  ve- 
scovile, unendole  quella  di  Macarska,  e 
facendola  sùffraganea  di  Zara  capitale 
della  Dalmazia.  La  serie  de' vescovi  d'O* 


v  l  n 

li  volo  e  di  Castello,  e  de'  patriarchi  di 
Venezia,  oltre  il  eh.  Cappelletti,  la  ri- 
portarono pinna  di  lui  i  seguenti.  Ughel 
li,  Italia  sacra,  t.  5,  p.i  169:  Palriarca- 
ius  Ventilatimi  Dalmatiac  Prfntas,  al 
cui  teli) pò,  nel  secolo  XVII,  erano  sol- 
tanto suoi  suffraganei  i  vescovati  di  Cani- 
le, Chioggia  e  Torcetto.  Corner,  Notizie 
storiche  delleChiese  di  J'cnczia  e  di  'Tor- 
ce Ilo,  p.  1  e  seg.  Cronologia  storica  dei 
vescoviOlivolensi detti  dappoi  Castella- 
ni, e  successivi  patriarchi  di  Venezia, 
di  Alessandro  Orsoni ,  Venezia  Picot- 
ti  1 828.  Strie  cronologica  de' vescovi  O- 
livolensi-  Castellani  e  patriarchi  di  Ve- 
nezia, aggiuntavi  la  descrizione  delle 
solenni  esequie  eseguite  nella  basilica 
di  s.  Marco  per  la  morte  di  Sua  Ec- 
cellenza Reverendissima  d.  Pietro  Ali' 
re  Ho  Mutti  patriarca  di  Venezia  ,  ivi 
1857,  tipografia  Grimaldo.  Stalo  per- 
sonale del  clero  della  città  e  diocesi  di 
Venezia:  Serie  de'  vescovi  e  patriarchi 
di  Venezia  (incominciando  da'vescovi  di 
Malamocco  fino  alla  istituzione  della  se- 
de Olivolense  in  Venezia),  e  di  quelli  a' 
quali  successero j  cioè  de' vescovi  di  Pa- 
dova, alla  cui  giurisdizione  le  isole  Reai- 
tine furono  soggette,  secondo  la  più  vol- 
gata opinione,  principiando  das.  Prosdo- 
cimo  greco,  discepolo  del  principe  degli 
Apostoli  s.  Pietro,e<:Z  Apostolo  della  Ve- 
nezia; e  de'vescovi  d'Aquileia,  che  fu  la 
prima  Chiesa  d'Italia,  cominciando  dal 
suo  fondatore  s.  Marco  Evangelista,  de' 
suoi  arcivescovi  a  di  quelli  d'Aquileia  in 
Grado,  de'patriarchi  d'Aquileia  in  Gra- 
do, de'patriarchi  di  Grado,  e  de'patriar- 
chi di  Grado  residenti  in  Venezia.  Inol- 
tre nello  Stalo  personale  vi  sono  regi- 
strati i  Vescovati  del  regno  Lombardo- 
Vene  lo ,  co' loro  odierni  pastori.  1  titoli 
che  usa  il  pastore  della  s.  Chiesa  Vene- 
ziana, sono:  Noi  NN.  per  divina  miseri  - 
cordia  Patriarca  di  pTenezia,  Primate 
della  Dalmazia,  Metropolita  delle  prò- 
vincie  Venete  e  dell'Istria,  Abbate  com- 
mendatario perpetuo  di  s.  Cipriano  dì 


VEN 
Murano  ,  gran  dignitario  ,  cappellano 
della  Corona  dì  Ferra  del  regno  Lom- 
bardo-Fenefo,  Consigliere  inlimo  attua- 
le  di  Stato  di  S.  31 1.  R.  A.  Se  il  patriar- 
ca appartiene  a  qualche  ordine  o  congre- 
gazione regolare,  lo  dice  subito  dopo  il 
cognome,  come  p.  e.  fece  da  ultimo  mg.r 
Multi  :  Jhbate  dell'  ordine  di  s.   Bene- 
detto della  congregazione  Cassi ne se. De' 
quali  titoli,  oltre  il  poc'anzi  detto,  resi 
già  ragione  ne'§§  precedenti.  Nel  §  VI, 
n.  3,  feci  avvertenza,  che  siccome  Udi- 
ne  fu  l'ultimo  luogo  residenziale  de'pa- 
triarchi  à'Aquileia,  di  tutto  quanto  ri- 
guarda f  illustre  chiesa  e  patriarcato  a- 
quileiese,  meglio  e  con  particolarità    ne 
trattai  neh.0  de'due  articoli,  altresì  con 
tullociò  che  di  piti  importante  spetta  alla 
sede  patriarcale  di  Grado, derivata  dal- 
l'Aquileiése,  e  dalla  quoleprovenne  la  tut- 
tora fiorente  di  Venezia,  le  cui  notizie  si 
rannodano  con  quelle,  onde  in  quest'  ar- 
ticolo è  indispensabile  il    doversi   tener 
sempre  presente  l'articolo  Udine,  e  quelli 
a 1 1 resi  d'  Aquileia  e  Grado.  Della  resi- 
denza   poi  e  giurisdizione  del   patriarca 
grad^se  in  Venezia  ,  ne  tenni   proposito 
nel  §  Vili»  n.  56,  e  negli  altri  relativi  di 
quest'articolo.  Inoltre  nel  citato  §  e  n.° 
parlai  del  particolare  Rito  Patriarchi/io, 
che  dalla  chiesa  aquileiese  passato  alla 
gradese,  s'introdusse  quindi  nella  vene- 
ziana, nella  quale  però  comincio  a  cessa- 
re verso  il  1 4. 1 8,  per  l'introduzione  o  ri- 
pristinazione  del  Rito  Romano;  quindi 
il  Rito  Patriarcliino  terminò  nel  i^56, 
restando  fino  al  1807  ne^a  s°la  chiesa  di 
s.    Marco.  Nel  descrivere  l'antichissimo 
rito,  d'accordo  coll'ab.  Cappelletti,  pro- 
cedei principalmente  col  Dizionario  sa- 
cro-liturgico diG.  Diclich  sacerdote  ve- 
neto, nel  cui  orticolo  Salterio  o  libro  de' 
Salmi,  riproducendo  i  testi  del  Salterio 
comune  e  del  Salterio  od  uso  della  basi- 
lica di  s.  Marco,  cioè  il  Gallicano  ossia 
la  versione  antica  di  s.  Girolamo,  diffe- 
rente da  quella  del  medesimo  s.  Dottore 
che  usa  la  Chiesa  Romana,  esseudo  l'al- 

VOL.   XCIII. 


V  E  N  97 

Ira  usata  pure  per  antichissimo  costume 
nel!'  Ufficiatura  Ambrosiana  e  à&UnMo- 
zarabìca,  avverte  che  anco  il  detto  an- 
tico Salterio  cessò  nella  basilica  di  s.  IVInr- 
codi  Venezia  nel  1  807  quando  il  patriar- 
ca Gamboni  la  dichiarò  cattedrale,  poi 
da  Pio  VII  eretta  in  tale  grado  canoni- 
camente, uniformandosi  al  comune  del- 
la Chiesa.  Di  più  nel  luogo  citato  o  voi. 
XC,  p.  309,  avendo  fatto  pur  cenno, col- 
1' encomiato  Diclich,  che  sino  al  1820 
nella  chiesa  di  s.  Cagiano  si  conservava 
un  Evangelario  del  secolo  XI,  simile  al- 
l'Aquileiese,  quonto  oll'epoca   della  sua 
dispersione,  avendone  fatto  poi  interpel- 
lare l'egregio  sacerdote  d.  Luigi  Caligo, 
ebbi  questa  cortese  risposta.  «  Nella  chie- 
sa parrocchiale,  allora  collegiata  di  s.Cas- 
siano,esisteva  un  codice  dell'8oo,  il  quale 
conteneva  solamente   i  quattro  Vangeli. 
Ora  dunque  conterebbe io58  anni. Quan- 
to fosse  stimatissimo  presso  gli  amatori 
dell'antichità,  prova  indubitata  è  la  se- 
guente.—  Ildolto  abbate  Canonici, gran- 
de raccoglitore  di  sagre  scritture,  pres- 
soché in  tutti  gli  svariati  linguaggi,  mosso 
dal  suo  solito  genio,  esibì  al  parroco  d. 
Vincenzo  Vaerini  (morto  circa  dopo  la 
distruzione  de'capitoli,  ossia  dopoil  ì  8 1  o), 
sotto  cui  ho  preso  la  sagra  veste,  non  so 
se  cento  ducati  correnti  o  d'argento,  non 
che  un  reliquiario  con  reliquia  0  sua  pie- 
nissima scelta.  A  que'  tempi   i  parrochi 
erano  semplicemente  capi  de' loro  reve- 
rendi capitoli.   Laonde  Vaerini  convocò 
il  suo,  composto  di  cinque  individui,  cioè 
di  primo,  secondo,  terzo  prete,  di  diaco- 
no e  suddiacono.   La  proposizione  del- 
l'ab.  Canonici  fu  rigettata  a  pieni  voti, 
perchè  cinque  ballotte  furono  verdi,  ed 
una  bianca.  I  componenti  il  capitolo  era- 
no manutentoride'dirittipiùomenodelle 
loro  chiese.  Che  cosa  sia  successo  in  ap- 
presso sull'esistenza  del  codice,  nientealtro 
posso  affermare".  Inoltre  nel  decorso  del 
presente  articolo,  col  mio  sistema  compen- 
dioso,non  solamente  hogià  riferito  le  prin- 
cipali e  più  interessanti  nozioni  riguardali- 


98  V  EN 

ti  la  s.  Chiesa  Veneziana,  ma  eziandio  de' 
suoi  vescovi  e  patriarchi,  mentre  quelle 
degli  insigniti  della  dignità  cardinalizia, 
nelle  loro  biografie  ne  trailo.  Adunque 
per  tutte  queste  avvertenze,  nel  riporta- 
re precipuamente  coll'ab.  Cappelletti,  J.t 
Chiese  d'Italia,  Venezia,  t.  9,  p.  io5  e 
seg.,  liberamente   la   serie  de'  vescovi  di 
Olivolo  e  Castello,  e  de'patriarchi  di  Ve- 
nezia 3  da  lui  corretta  e  rettificata  dagli 
errori  dell'Ughelli  e  di  altri  scrittori,  an- 
che patrii,  potendosi  riscontrare  nella  sua 
bell'opera  le  prove  di  quanto   narrerò, 
sarò  brevissimo  onde  non  riferire  super- 
flue ripetizioni,  e  ricordando  in  quali  §§ 
e  numeri  già  discorsi    le  cose  principa- 
li ,  in  prova  di  quanto    qui  asserisco   e 
per  essere  dispensato  da  ulteriormente 
ragionarne.  Delle  abbazie  della  chiesa  ve- 
neziana, tratta  il  p.  Lubin.  Abbaliarum 
Italiac,  p.  409  e  seg.  Nel  §  IX  ho  de- 
scritto le  3  chiese  esenti  di  Venezia,  cioè 
nel  n.i   l'abbaziale  priorale  di  s.  Maria 
della  Misericordia,  colla  serie  de'suoi  ab- 
bati mitrati,  loro  prerogative  vescovili  e 
giurisdizione;  nel  n.  2  la  chiesa  di  s. Biagio 
di  Castello,  parrocchia  dell'i,  r.  marina 
da  guerra  ;  nel  n.  3  la  chiesa  di  s.  Gio. 
Battista  del  gran  priorato  Gerosolimita- 
no del  regno  Lombardo-Veneto.  Fio  VII 
nel  1 8 1  7,  oltre  la  nomina  de'  vescovi  de' 
domimi  veneti  e diRagu*a.già  discorsa  nel 
§XX,n.  3, concessa  all'imperatore  d'Au- 
slria^ro  tempore,^  accorciò  pure  il  pri- 
vilegio di  nominare  a    tutte  le  abbazie 
non  patronali  esistenti  negli  stati  veneti. 

Vescovi  d'  Olivolo. 

2.  L'esistenza  della  presente  Venezia 
cominciò  nel  t^i  1  di  nostra  era,  per  tut- 
to quanto  il  più  volte  narrato,  e  nuova- 
mente nel  §  XIX,  n.  1  e  2.  La  formaro- 
no a  poco  a  poco  i  profughi  abitatori  del- 
la Terraferma  o  veneti  secondi,  inlimo- 
riti  dalle  diverse  fiere  irruzioni  de' barba- 
ri d'ollremoute,accorrendo  nelle  Marem- 
me dell'ultimo  seno  del  golfo  Adriatico 


VEN 

a  cercarvi  sicuro  asilo;  e  di  mano  in  ma- 
no che  vi  giunsero,  piantarono  sul  dorso 
delle  molte  isolette  della  Laguna  Veneta 
abituri  e. capanne:  la  Laguna  di  Torcel- 
lo  è  al  nord,  quella  di  Chioggia  a  mezzo- 
dì, quella  di  Venezia  nel  mezzo,  e  sino 
al  secolo  XIII  il  piano  di  Venezia  era  di 
molto  più  basso,  la  Laguna  più  estesa  e 
più  profonda.  La  più  numerosa  emigra- 
zione di  tali  genti  derivò  dallo  spavento 
anche  a  loro  incusso  dal  feroce  Attila  re 
degli  unni.  Fu  allora  che  si  ricovrarono 
nell'isolettei  cittadini  d'Aquileia,  di  Con- 
cordia, di  Padova,  di  Aitino,  di  Oderzo. 
L'accompagnarono  i  loro  vescovi,  e  cia- 
scuno piantò  nell'una  o  nell'altra  di  det- 
te isole  la  propria  sede  vescovile;  per  cui 
ne  derivarono  le  chiese  episcopali  di  Gra- 
do, di  Caorle,  di  Eraclea,  di  Equilio,  di 
Torcello,  di  Malamocco.  Così  tutte  que- 
ste città  nacquero  cristiane  e  ad  un  tem* 
pò  decorale  del  seggio  vescovile;  mentre 
Venezia  tale  onore  e  vantaggio  spirituale 
l'ebbe  tre  secoli  e  mezzo  dopo  la  sua  fon  - 
dazione.  Osserva  il  marchese  Maffei  nella 
Verona  illustrala,  in  cui  ragionò  pure 
dell'origine  di  Venezia,  che  le  colonie  ve- 
nete erano  illustri  sopra  tutte  le  altre,  e 
di  nobiltà  romana  distintamente  ripie- 
ne; e  come  dal  fiore  di  esse,  concorso  a 
rifugiarsi  in  questi  fortunati  riposi  del  ma- 
re, nuova  cillà  e  nuovo  governo  si  ven- 
ne poi  in  breve  tempo  a  comporre.  «  E 
la  città  però  e  la  popolazione  da'romani 
fondata  e  di  romani  composta  anche  uni- 
forme principio  con  Roma  ebbero  e  co' 
romani  perchè  nate  parimente  da  gen- 
te in   luogo  di  ricovero  adunata,  e  in 
sito  di  sicuro  asilo  raccolta.   Ma  vaglia 
il  vero,  quanto  più  pura  e  ragguarde- 
vole e  chiara  fu  mai  la  Veneta  origine 
della  Promana  ?  "  L'asilo  per  queste  iso- 
lette prestato,  da  famosissime  città  chia- 
mò principalmente  le  primarie  e  le  più 
scelte  famiglie,  cioè  a  dire  quelle  che  mo- 
do aver  potevano  e  sussidii  per  sottrar- 
si alia  ruinosa  procella  de'  barbari  eser- 
cire che  prezigse  cose  avevano  da  pone 


VEN 

in  salvo.  Intanto  i  pochi  o  molti  rifugia- 
ti nelle  varie  isolette  (le  più  grandi  di- 
cendosi Rialto,  Oli  volo,  Luprio,  Dorso- 
duro),  il  cui  groppo  formò  il  nucleo  sul 
quale  sorge  la  meravigliosa  e  famosis- 
sima Venezia,  aveano  compreso  il  biso- 
gno d'aver  alcun  sacerdote  per  la  spiri- 
tuale assistenza,  ed  un  tempio  per  adu- 
narsi a  pregare  Dio  e  celebrare  gli  uffizi 
divini.  Pertanto,  secondo  la  più.  comune 
credenza  (sulle  contrarie  opinioni  parlai 
ne' ricordati  luoghi),  fu  eretta  nell'  isola 
di  Rialto,  della  quale  anche  nel  §  XIV, 
n.  2,  una  chiesa  a  onore  di  Dio  e  sotto 
l'invocazione  di  s.  Giacomo  Maggiore  a- 
postolo,  ritenuta  la  primaria,  e  die'il  no- 
me per  sette  e  più  secoli  all'intera  città  : 
la  descrissi  nel  §  VI II,  n.  5g.  Altra  chie- 
sa, contemporaneamente  o  poco  dopo,  fu 
innalzata  nell'isola  d'Olivolo,  parimenti 
per  l'esercizio  del  culto  divino  e  coll'in- 
vocazione  de'ss.  Sergio  e  Bacco  martiri. 
Di  questa,  primitiva  cattedrale,  di  cui 
anche  nel  §  Vili,  n.  r,  una  delle  primis- 
sime erette  dalla  pietà  de'primitivi  pro- 
fughi di  Terraferma  o  Venezia  terrestre, 
solamente  si  conserva  divota  memoria; 
l'altra  esiste qualeoratoriosagramentale, 
non  più  dal  1 8  i  o  prima  parrocchia  e  col- 
legiata. Della  chiesa  di  s.  Giacomo  si  ce- 
lebra a'2,5  marzo  la  memoria  di  sua  con- 
sngrazione,  essendo  contrastato  che  se- 
guisse nel  detto  anno  4?-  ',  bensì  per  ma- 
no di  4  vescovi,  cioè  Severiano  di  Pado- 
va, Ambrogio  o  Ilario  d'Aitino,  Epodio 
d'Oderzo,  Giocondo  di  Treviso.  E'  igno- 
to a  quale  di  essi  appartenesse  la  giuris- 
dizione episcopale  sugli  abitanti  dell'i- 
sola di  Rialto,  allora  poco  abitata  ;  e  for- 
se a  Severiano,  il  i.°  nominato,  e  proba- 
bilmente come  a  più  vecchio  la  conces- 
sero i  circostanti  pastori,  e  pare  anzi  che 
egli  invitasse  gli  altri  alla  consagrazio- 
ne,  il  che  mostrerebbe  la  sua  giurisdizio- 
ne sopra  que'luoghi.  Vuoisi  che  a  1 .°  par- 
roco fosse  destinato  un  Felice;  altri  ne  du- 
bitano. Nelle  discrepanti  opinioni ,  am- 
messo che  prima  di  s.  Giacomo,  nell'iso- 


VEN  99 

lette  della  Laguna  già  esistessero  altre 
chiese,  si  opina  con  più  di  probabilità,  che 
almeno  sarà  stata  lai.3  a  ricevere  l'epi- 
scopale consagrazione,  che  succeduta  nel- 
la solennità  della  Annunziazione di  Ma- 
ria Vergine,  questa  sotto  il  titolo  di  tal 
mistero  fausto  fu  presa  a  primaria  pro- 
tettrice degli  abitanti  e  della  città.  Dal 
quale  avventurato  giorno  principiò  l'era 
veneziana,  nelP  antiche  carte  detta  con 
frase  latina  More  F" ertelo t  poi  trasferi- 
ta e  computata  col  1 .°  marzo.  Dice  il  Di- 
ci ich,  col  De  R.ubeis,  Mommi.  Aquil.  Ec- 
cles.y  cap.  20,  p.  1 88.  »  Ad  Aquileia  an- 
dò soggetta  Venezia,  sino  dall'anno  4  '  9, 
quando  cioè  i  suoi  vescovi  prestarono  giu- 
ramento ad  Agostino  vescovo  aquileiese, 
come  loro  metropolita,  perchè  ricusato 
aveano  di  sottoporsi  alla  lettera  Tralta- 
toria  di  s.  Zosimo  Papa  (417-18)".  Del 
posteriore  grave  affare  de'  Tre  Capitoli 
(V.)  riparlai  di  sopra,  per  conto  de' ve- 
scovi della  Venezia  marittima  e  terrestre, 
e  dellJIstria;  scisma  che  separò  gli  aqui- 
leiesi  pastori  da'Romani  Pontefici,  ossia 
che  la  loro  chiesa  si  divise  in  due  capi, 
uno  scismatico,  cioè  dJ  Aquileia,  l'  altro 
ortodosso  nell'isola  di  Grado.  Aggiunge 
il  Diclich,  che  Venezia  dopo  esser  stata 
suffraganea  d'Aquileia,  lo  divenne  del  pa- 
triarcato di  Grado,  la  cui  istituzione,  se- 
condo il  Gallicciolli,  risale  al  607,  in  che 
si  accorda  il  Corner.  Leggo  in  questi,  che 
in  Oli  volo  fu  eretta  la  chiesa  de'ss.  Ser- 
gio e  Bacco,  da'nobili  Tribuui  fuggiti  dal 
furore  d'Attila,  la  quale  divenne  giuris- 
dizione immediata  da'  patriarchi  grade- 
si,  insieme  con  tutte  le  altre  della  Vene- 
zia marittima,  finché  una  nuova  incur- 
sione di  barbari  die'occasione  di  fondar- 
si il  vescovato  d'Oli  volo.  Il  tutto  notai 
parlando  della  chiesa  di  s.  Pietro  di  Ca- 
stello, e  delle  sue  origini  e  tradizioni.  Se 
queste  opinioni  non  in  tutto  si  accordano 
col  da  me  riferito  altrove,  qui  non  sono 
che  semplice  riferente  di  esse.  Anzi  qui 
mi  piace  avvertire,  che  nel  voi.  LXIX, 
p.  I2Q,  riportai  un  canone  del  concilio 


ioo  VEN 

ili  Fernetta  del  465,  come  lo  chiama  il 
Dizionario  di'  Co neilil;  ma  devesi  in- 
tendere di  Cannes,  come  leggo  nel  Len- 
glet,  Tavolette  rro7io/o*f/V/ip,percliè Van- 
ne» fu  dettai  Cwitas  7~cnelenensis9  e  lo 
notai  anche  nel  voi.  XC,  p.  238.  Sull'isola 
ili  Malamoccotò\  cui  anche  nel  §  XVIII, 
n.  28,  come  ragguardevole  delle  Lagu- 
ne, surse  l'omonima  città  illustre  e  così 
considerevole  che  fu  per  alcun  tempo  la 
residenza  deJdogi  veneziani.  Ivi  pure  fu 
piantata  una  cattedra  vescovile  a  cui  e* 
rauo  soggette  tutte  l'isole  del  lato  meri- 
dionale della  Laguna,  incominciando  dal 
gruppo  di  quelle  che  formano  l'odierna 
Venezia,  e  proseguendo  al  di  là  delle  due 
Chioggie,  di  Brondolo,  e  di  Cavarzere  0 
Capodargine  sulla  riva  dell'  Adige  verso 
ileonfiue  Padovano.  L'origine  della  se- 
de, Tal).  Cappelletti  la  stabilisce  all'anno 
642,  uon  potendo  conveuire  pienamen- 
te alla  metà  del  V  secolo,  come  scrivono 
altri,  per  farla  derivare  dall'asilo  presovi 
col  suo  clero  dal  vescovo  di  Padova  Be- 
raulo  o  Bando,  ed  ivi  gli  successero  Gio- 
vanni e  Cipriano,  dopo  i  quali  Padova 
riacquistò  i  suoi  pastori  residenziali. Laon- 
de Malamocco,  che  non  avea  mai  avuto 
vescovi  per  l'addietro,  e  che  per  un  4o 
anui  avea  dato  ricetto  a'vescovi  padova- 
ni, sul  declinar  dello  stesso  secolo  V,  ri- 
mase come  prima  senza  vescovi  e  senza 
cattedra;  ne  in  tutto  il  secolo  VI  trovasi 
indizio  che  ne  abbia  avuto.  Stabilisce  poi 
a  i.°  vescovo  un  padovano  anonimo  nel 
642,  che  vi  rimase;  altri  invece  vi  rico- 
noscono Tricidio,  che  dalla  sua  sede  era- 
visi  rifugiato,  cui  successe  nel  647  Ber- 
guardo  o  Bergualdo,  che  poi  tornò  a  Pa- 
dova. Dopo  Tauonimo  del  642,  nel  774 
trovasi  altro  vescovo,  di  cui  pure  s'igno- 
ra il  nome;  mentre  nel  742  da  Eraclea 
in  Malamocco  fu  trasferita  la  sede  duca- 
le, dal  4^°  doge  Teodato  ivi  eletto.  Cre- 
sciuta iu  gran  numero  la  popolazione  del- 
l'isole Reaitine,  e  moltiplicatesi  anche  le 
chiese,  riusciva  difficile  al  vescovo  di  Ma- 
lamocco, sotto  la  cui  giurisdizione  quel* 


V  EW 
le  stavano,  V esercitarvi  le  pastorali  ii> 
ruitihenze.  E  più  difficile  ancora  lo  ren- 
deva la  distanza  considerevole,  che  corre 
tra  esse  e  Malamocco.  Queste  circostan- 
ze non  poterono  sfuggire  dall'occhio  del 
benemerito  7.0  doge  Maurizio  Galbaio, 
verso  cui  la  repubblica  andava  debitrice 
di  ogni  suo  migliore  prosperamento.  E- 
gli  adunque  per  provvedervi,  sapiente- 
mente decretò  da  prima  l'erezione  d'una 
particolare  sede  vescovile  in  Rialto,  con 
di  smembra  mento  dalla  diocesi  di  Mala- 
mocco; poi  ne  chiese  a  Papa  Adriano  I 
la  facoltà,  avendo  trattato  con  esso  della 
sede,  del  titolo  e  delle  rendite  della  nuo- 
va diocesi;  in  fine,  col  patriarca  di  Grado 
Giovanni  1,  convocata  la  generale  assem- 
blea e  un  sinodo  provinciale  in  Mala- 
mocco, coll'intervento  di  tutto  il  clero  del- 
la veueziana  consociazione,  si  stabilì  1'  e- 
rezione  d'un  vescovato  nell'isola  d'  Oli- 
volo,  una  delle  Reaitine,  poscia  Venezia, 
affatto  diverso  da  quello  di  Malamocco; 
e  si  elesse  il  pastore  che  pel  1 .°  ne  dovea 
assumere  il  governo,  nella  persona  di  O- 
helerio  o  Obelibato.  L'  estensione  della 
diocesi  fu  circoscritta  alle  sole  isole  Reai- 
tine, già  della  diocesi  di  Malamocco,  os- 
sia alla  presente  città  di  Venezia;  eie  ren- 
dite delia  mensa  pel  suo  mantenimeuto 
furono  limitate  alle  decime  mortuarie  su 
tulle  le  famiglie  della  città.  La  fondazio- 
ne quindi  della  veneta  diocesi  e  l'elezio- 
ne del  suo  i.°  vescovo  si  deve  riconosce- 
re all'anno  775,  o  forse  al  776,  massi- 
me se  il  fatto  propriamente  s'abbia  a  ri- 
ferireaJmesidi  gennaio  o  febbraio  del  775 
move  veneto^  i  quali  secondo  il  calcolo  co- 
mune, rilevato  nel  §  XIX  ,  ri.  2,  appar- 
tengono veramente  al  776.  La  giurisdi- 
zione della  cattedrale  vescovile  d'Olivo- 
lo,  ristretta  allora  alle  sole  isole  Reaiti- 
ne, preparava  nella  città  di  Venezia  gli 
elementi  ad  assai  più  ampio  territorio. 
Era  l'isola  d'Olivolo  mollo  solida,  e  for- 
mava da  se  sola  una  distinta  comunità 
in  fra  le  altre,  che  componevano  1'  inte- 
ro corpo  della  città  }  distinta  da  Rialto, 


YEN 

e  indicata  altresì  col  nome  di  Castello; 
il  perchè  quelli  che  la  popolavano,  era- 
no nominati  Olivolenses  vel  habitatores 
Casini  Olwoli,  del  cui  vocabolo  feci  (li- 
verse  parole  nel  §  Vili,  ti.  i  e  altrove.  Si 
chiamava  poi  Castello  di  Olinolo,  ed  an- 
co semplicemente  Castello,  a  cagione  ap- 
punto del  castello  che  vi  avevano  fab- 
bricato i  veneziani,  a  difesa  delle  altre  iso- 
le Reaitine,  ed  a  guardia  del  vicino  por» 
to  di  s.  Nicolò;  il  quale  nome  di  Castel- 
lodi  Olìvolo,  odi  Castello,  derivò  a  tut- 
ta l'estensione  dell'isola,  prendendosene, 
come  suol  dirsi ,  una  parte  per  il  tutto. 
Rimanevano,  come  restano  ,  nel  sestiere 
di  Castello,  le  due  vicinissime  isole  Ge- 
mine, delle  quali  ora  non  trovasi  indizio 
di  separazione;  sebbene  si  conosca,  aver 
avuto  pur  esse  il  proprio  tribuno  parti- 
colare, da  cui  erano  governate:  pare  che 
comprendessero  il  tratto  aucora  occupa- 
to dalle  chiese  di  s.  Zaccaria,  di  s.  Gio- 
vanni iti  B t'agora  (che  nel  descriverla  nel 
§  Vili,  n.  4,  feci  pur  menzione  dell'isole 
Gemine),  e  dall' aree  ove  sursero  fino  a' 
uostri  giorni  le  chiese  di  s.  Procolo,  di  s. 
Severo,  de'ss.  Filippo  e  Giacomo  (discor- 
se nel  §  VI,  n.  2,  e  nel  §  Vili,  u.  1  2  e  ri. 
7  1  ).  Dissi  pure,  a  suo  luogo,  che  tale  isola 
primaria,  pare  ch'abbia  avuto  il  nome  di 
Olivolo,  perchè  sulla  piazza  dov'è  la  con- 
ca tk'diale,  e  già  patriarcale,  di  s.  Pietro 
di  Castello,  vegetava  un  albero  smisura- 
to ili  olivo,  o  con  più  di  ragione,  per- 
chè di  molti  oli  veti  era  sparsa  tutta  l' i- 
sola.  Si  credè  pure  derivato  il  nome  dal- 
ia forma  d'oliva  che  ha  l'isola,  o  a  pare- 
re del  Gallicciolli,  per  originare  dal  gre- 
co e  per  dirsi  nella  sua  primitiva  deno- 
minazione: Pago  Olivos,  ossia  Castellet- 
to ,  pari  ad  Oligolensìs.  Da  una  s\  gran- 
de ampiezza  dell'isola,  convenendosi  da- 
gli scrittori  l'erezione  in  essa  della  catte- 
drale, variarono  però  nel  determinarne 
il  preciso  sito.  Taluni  la  dissero  stabilita 
ove  elevasi  la  basilica  di  s.  Pietro,  già 
cattedrale  e  ora  concattedrale;  altri  ver- 
so la  punta  dell'isola  di  Quinavalle,  os- 


VEN  iot 

sia  del  luogo  detto  propriamente  Oli- 
volo  o  di  Castello  stesso,  ove  eretta  era 
la  chiesa  antichissima  de*  ss.  Sergio  e 
Racco,  la  quale  precede  P  esistenza  di 
quella  di  s.  Pietro,  che  a  quella  fu  sosti- 
tuita almeno  uell'anno  della  fondazione 
della  diocesi  Olivolese  (in  questo  caso 
la  chiesa  de'  ss.  Sergio  e  Bacco  sarebbe 
slata  fino  allora  propriamente  non  la 
cattedrale,  ma  piuttosto  la  chiesa  del  pa- 
triarca di  Grado,  o  riguardata  per  prin- 
cipale ,  o  meglio  perchè  fu  sostituita  da 
quella  di  s.  Pietro  che  divenne  cattedra- 
le, giacche  sino  all'erezione  di  questa,  tro- 
vo che  lai."  chiesa  parrocchiale  era  quel- 
la di  s.  Giacomo  di  Rialto;  ma  non  si 
deve  tacere  l'opinione,  che  da  principio 
la  cattedrale  fu  piantata  in  s.  Teodoro; 
lutto  però  più  sotto  chiarirò  col  patrio 
storico,  come  promisi,  descrivendo  l'ori- 
gine della  chiesa  di  s.  Pietro),  altri  nel- 
P  isola  di  s.  Elena,  la  quale  erronea- 
mente si  credette  da  taluno  che  fos- 
se unita  all'intero  corpo  della  città,  e  fu 
di  ragione  de'vescovi;  altri  persino  P  in- 
dicarono nel  Morso,  ossia  sull'estremità 
occidentale  dell'isola,  presso  fa  chiesa  di 
s.  Teodoro  antico  protettore  della  città, 
la  cui  fabbrica  si  attribuì  a  Narsete,  va- 
riamente chiamalo  anche  Nersete  ,  poi 
compresa  in  quella  della  basilica  Marcia- 
na. Ciò  potrebbe  essere,  poiché  il  io.  '  do- 
ge Agnello  Partecipazio,  appeua  trasfe- 
rita da  lui  oell'81 1  o  nell'8i3  da  Mala- 
mocco  in  Rialto  la  stabile  sede  ducale  e 
del  governo  della  repubblica  (avvenimen- 
to che  anco  qui  dirò  memorabile,  poiché 
die'  principio  alla  singoiar  città,  che  as- 
sai posteriormente  lasciato  il  nome  di 
Rialto  ,  assunse  quello  di  Venezia),  in- 
cominciò a  fabbricare  accanto  alla  chie- 
sa di  s.  Teodoro,  e  fu  il  i.°  germe  del 
palazzo  ducale,  invece  della  tribunizia  a- 
bitazione  a'ss.  Apostoli; e  più  tardi  cioè 
nell'827,  quando  sotto  il  dogado  del  di 
lui  figlio  e  successore  Giustiniano  Parte- 
cipazio, fu  portato  il  corpo  di  s.  Marco 
Evangelista,  tosto  proclamato  principale 


io2  VEN 

protettore,  fu  incominciato  l'edifizio  sa- 
gro in  suo  onore.  Ed  allora  il  vescovo,  per 
dar  luogo  tanto  all'erezione  di  quella  ba- 
silica, che  all'abitazione  del  doge,  si  tra- 
sferì forse  all'altra  estremità  dell'  isola, 
alla  punta  cioè  di  Castello.  Fra  le  diver- 
se analoghe  osservazioni  che  eruditamen- 
te fa  lab.  Cappelletti,  per  concordare  il 
riferito  dagli  scrittori,  notò  ancora:  »  che 
nel  giro  di  tanti  secoli  e  di  tante  vicen- 
de, la  cattedra  pastorale  della  nostra  cit- 
tà, rimasta  per  mille  anni  iu  s.  Pietro  di 
Castello,  ritornò  alla  fine  colà,  dove  ave- 
va avuto  la  sua  primitiva  stazione;  nel 
tempio  di  s.  Marco,  il  quale  fu  piantato 
sul  precedente  di  s.  Teodoro:  sempre  per 
altro  ella  stette  nella  medesima  isola  d'O- 
livolo.  Era  naturale,  che  piantata  la  cat- 
tedrale vescovile  in  Oli  volo,  il  vescovo 
dovesse  assumere  il  titolo  di  Olivolese. 
Ma  poiché  dal  nome  del  luogo,  su  cui  fu 
stabilita  la  sede,  derivò  anche  l'intitola- 
zione del  vescovo,  così  col  variare  di  quel- 
lo, variò  anche  il  titolo  vescovile.  Quan- 
do infatti,  nel  declinar  dell'Xl  secolo,  l'i- 
sola d'Oli  volo,  e  più  precisamente  il  sito 
dovestava  la  catledrale,incomiuciò  a  no- 
minarsi Castello^  a  cagione  del  castello 
ch'eravi  fabbricato,  anche  il  vescovo  co- 
minciò a  dirsi  Vescovo  Castellano.  Tal- 
volta però,  ma  ben  di  rado,  dal  nome 
dell'intera  città  si  chiamava  anco  Vesco- 
vo di  Rialto  ,  ovvero  Rivoaltese ,  e  così 
trovasi  nominato  in  una  carta  dell'8 1 9, 
e  in  altra  del  ioo5,  Rivoaltensis  Sedis 
Episcopis.  S\  nominava  altresì  Vescovo 
de  morti 3  per  due  cagioni: i.°  perchè  so- 
leva accompagnare  i  funerali  de'suoi  dio- 
cesani^.0 e  principalmente  perchè  il  suo 
primario  provvedimento  derivava  nelle 
decime  sulle  sostanze  de'morti  ".  —  Il  1 ,° 
vescovo  d'Oli  volo  Obelerio  del  775,  è  de- 
nominalo  con  varianti  di  lieve  momento, 
che  non  alterano  la  sostanza  del  nome. 
Era  figlio  d'Eneangelo,  chiamato  egli  pu- 
re con  alcuna  differenza  di  lettere,  e  dal 
Sansovino  col  nome  di  Massimo,  forse  co- 
gnome o  altro  nome  che  avea,  tribuno 


VEN 
di  Malamocco,  e  apparteneva  al  clero  di 
quella  città  e  di  quella  chiesa:  resse  oltre 
22  anni  la  chiesa  olivolese  e  morì  nel 
798.  —  In  questo  gli  successe  Cristoforo 
/greco  da  Damiata  o  della  famiglia  Da- 
miati,  secondo  la  Cronaca  Altinalc  con- 
sanguineo del  patrizio  Nersete  e  fratello 
di  Longino  prefetto  di  Ravenna.  Narrai 
nel  dogado  8.°,  nel  n.  4  del  §  XIX,  che 
Giovanni  I  venerabile  patriarca  di  Gra- 
do, si  ricusò  di  consagrarlo  per  non  ave- 
re l'età  canouica,  come  giovanissimo  di 
16  ovvero  22  anni.  Ciò  fece  montare  in 
furia  l'indegno  doge  Giovanni  Galbaio, 
il  quale  portatosi  a  Grado  col  figlio  Mau- 
rizio (non  si  deve  confondere  coli'  enco- 
miato doge  di  tal  nome  e  suo  avo),  cru- 
dele quanto  il  padre,  che  J'avea  associa- 
to al  principato,  e  con  sicari  io  trucida- 
rono, anche  per  averli  ammoniti  di  loro 
turpe  vita.  Al  magnanimo  prelato  suc- 
cesse nell'  8o3  nel  patriarcato  il  nipote 
Fortunato,  che  non  solo  si  rifiutò  ordi- 
nare Cristoforo  I,  ma  gli  riuscì  nell'8o4 
a  far  eleggere  doge  Obelerio  Antenoreo, 
per  cui  i  due  Galbai  furono  costretti  a 
fuggire  dalle  venete  Lagune,  in  uno  al- 
l'eletto Cristoforo  I.  Allora  i  veneziani  in- 
trusero uellJ8o4  nella  sua  sede  un  Gio- 
vanni diacono  (egli  è  diverso  da  quel  Gio- 
vanni che  alquauto  dopo  usurpò  la  sede 
di  Grado),  il  quale  esercitò  per  qualche 
tempo  il  pastorale  ministero.  Ma  caduto 
nelle  mani  di  Fortunato,  lo  fece  porre  in 
carcere  a  Mestre;  donde  essendo  fuggito 
tornò  a  Venezia.  Intanto  riuscì  a  Cristo- 
foro I  di  guadagnarsi  il  favore  del  pa- 
triarca Fortunato,  l'intruso  Giovanni  do- 
vette ritornare  alla  natia  oscurità  della 
casa  paterna,  e  Cristoforo  I  nell'  807  fu 
ristabilito  e  prese  il  possesso  della  sua  se- 
de. Però  non  andò  guari, ch'egli  non  fos- 
se di  nuovo  cacciato,  per  sospetti  di  for- 
mati concerti  co'  franchi,  presso  i  quali 
nel  suo  esilio  erasi  rifugiato.  Fu  condot- 
to a  Costantinopoli,  sotto  pretesto  di  far 
cosa  grata  all'  imperatore  Niceforo  ,  che 
ne  avea  procuralo  l'elezioue,  ma  ivi  ginn- 


V  E  W 

lo,  fu  da  lui  rilegato.  — Nell'8 1  o  ft>  no- 
minato il  3.°  vescovo  della  chiesa  d'Oli- 
volo,  Cristoforo  II  Tancredi  o  Tancre- 
dOyCome  lo  eh  ia  tua  no  alcuni,  greco  e  pie- 
vano di  s.  Moisè,  che  vuoisi  fratello  del 
generale  Nersele.  Egli  viene  accusato  di 
aver  ingannato  gli  elettori  nel  rappresen- 
tare vacante  la  cattedra  olivolese  e  per 
farsi  credere  degno  di  possederla;  certo 
è  che  tutti  lo  qualificano  ipocrita,  e  l'ab. 
Cappelletti,  pel  suo  operato,  opina  do- 
versi riputare  illegittimo  e  intruso,  ben- 
ché annoverato  tra  vescovi.  Per  altro  non 
durò  molto,  poiché  colpito  d'apoplessia 
o  da  epilessia,  mentre  pontificava  solen- 
nemente in  s.  Teodoro,  presente  il  doge, 
il  popolo  ignorante  lo  credè  agitato  dal 
deiuouio,  e  perciò  non  volle  più  ricono- 
scerlo per  pastore;  anche  per  averne  sco- 
perto l'indole  perversa,  che  avea  saputo 
celare.  Nell'8  i  3  nou  era  più  vescovo,  e 
tornato  pievano  di  s.  Moisè,  il  che  pare 
strano.  Dall'uniformità  poi  degli  scritto- 
li ,  in  affermare  accaduto  il  fatto  nella 
chiesa  di  s.  Teodoro,  uel  mentre  ch'egli 
solennemente  funzionava,  l'ab.  Cappel- 
letti trova  vieppiù  confermata  l'opinio- 
ne, che  là  fosse  stata  piantata  da  princi- 
pio la  cattedra  vescovile  (ma  il  Corner 
nuovamente  riparla  della  cattedralità 
della  chiesa  de'ss.  Sergio  e  Bacco,  dicendo 
del  3.°  vescovo  d'Olivolo  Cristoforo  li, 
che  a  suo  tempo  furono  trasportate  le  ossa 
di  que'santi  e  collocate  nella  loro  chiesa 
allora  cattedrale  dellacittà,  in  decente 
urna  di  marmo.  Indi  aggiunge  del  4-°  ve- 
scovo d'Olivolo  Orso,  che,  sollecito  del 
divin  culto,  volle  riedificare  con  migliore 
e  più  ampia  struttura  la  chiesa  di  s.  Pie- 
tro, la  costituì  cattedrale,  trasferendo  in 
essa  l'insigni  reliquie  de'ss.  Sergio  e  Bac- 
co. E  descrivendo  le  reliquie  che  si  ve- 
nerano in  s.  Pietro ,  di  nuovo  afferma, 
che  i  vescovi  d'Olivolo  risiederono  pri- 
ma nelf  antica  cattedrale  de'ss.  Sergio  e 
Bacco, poscia  nella  nuova  chiesa  di  s.  Pie- 
tro, ove  si  venerano  i  corpi  de'ss.  Sergio 
e  Bacco.  Lo  Stalo  pcrsonalet  dice  ciak  la 


VEN  io3 

chiesa  di  $.  Pietro  divenne  cattedrale  nel 
775,  ch'è  l'epoca  della  fondazione  del 
vescovato,  mentre  Orso  fio  ri  nell'827, 
come  vado  a  dire.  Ma  e  come  notai  nel 
§  Vili,  B.f,  riferendo  le  diverse  opinioni 
sull'origine  di  essa,  sembra  la  più  proba- 
bile quella  dell'ab.  Cappelletti,coucordan- 
do  a  un  tempo  quanto  riguarda  le  chie- 
se de'ss.  Sergio  e  Bacco  e  di  s.  Teodoro). 
Diversi  scrittori  delle  cose  veneziane  con- 
fusero il  vescovato  de'due  Cristofori  e  le 
cose  avvenute,  protraendo  quello  del  2.0 
erroneamente,  ed  il  Corner  facendo  mor- 
to Cristoforo  1  in  Costantinopoli.  Invece, 
deposto  Cristoforo  II,  almeno  nell'8i3, 
iu  questo  fu  richiamato  dall'esilio  in  Gre- 
cia Cristoforo  I,  e  nuovamente  per  la  3." 
volta  ristabilito  nella  sede,  com'è  pure 
registrato  nello  Stato  personale.  L'  ab. 
Cappelletti  lo  prova  con  critica  erudizio- 
ne, e  adduce  pure  il  riferito  dal  diligen- 
tissimo  ed  eruditissimo  archeologo  cav. 
Cicogna,  nelle  sue  Tavole  cronologiche 
della  storia  veneta^  le  quali  formano  par- 
te dell'opera  municipale  di  Venezia  e  le 
sue  Lagune.  Sembra  morto  oell'827  in 
cui  già  trovasi  eletto  il  4-°  vescovo — Orso 
I  Partecipazio^  che  alcuni  pretesero  fi- 
glio del  doge  Agnello  Partecipazio ,  ma 
non  è  sicuro.  Nell'anno  stesso  di  sua  pro- 
mozione avvenne  il  memorando  trasferi- 
mento del  corpo  di  s.  Marco  Evangelista 
da  Alessandria  a  Venezia ,  di  cui  parlai 
in  più  luoghi  del  presente  articolo,  iu  uno 
all'identità  incontrovertibile  del  s.  Cor- 
po, e  l'ab.  Cappelletti  ne  fa  diligente  rac- 
conto col  verace  cronista  Dandolo.  Il  do- 
ge Giustiniano  Partecipazio  lo  fece  depo- 
sitare nella  cappella  ducale,  e  decretò  che 
là  dove  sorgeva  il  tempio  di  s.  Teodoro, 
altro  sene  piantasse  magnifico  e  sorpren- 
dente, intitolato  a  s.  Marco,  e  ne  vide  il 
principio.  Orso  vescovo  ne  benedì  co'sa- 
gri  riti  lai.3  pietra,  e  la  collocò  nelle  fon- 
damenta. Questo celebreavvenimento  av- 
valorò l'antichissima  tradizione  che  il  s. 
Evangelista  vivente  visitò  le  Lagune,  al 
modo  che  uarrai  nel  §  X,  u .  27,  ed  attestò 


io4  VER 

«'veneti  una  rnauifesta  solenne  prolezio. 
ite  del  cielo  verso  la  città  e  la  repubbli- 
ca di  Venezia.  »  San  Marco  Tu  allora  pro- 
clamato da  tutte  le  voci  protettore  e  pa- 
trono di  questa  e  di  quella;  e  si,  che  il 
popolo,  nella  sua  fiducia  e  nell'  entusia- 
smo pei-  lui,  si  avvezzò  ad  alternate  ed 
immedesimare  eoll'idea  della  patria  stes- 
sa l'idea  del  suo  protettore;  e  il  grido  po- 
polare di  Viva  s.  Marco!  diventò  il  gri- 
do di  guerra  egualmente  che  l'espressio- 
ne d'un  sentimeulo'ciltadinesco,  che  fu 
sempre  il  segnale  di  riunione  M* pericoli, 
e  che  ne'giorni  della  sciagura  egualmen- 
te ciie  dell'allegrezza  trasse  sul  ciglio  di 
ogni  buon  patriota  lagrime  ili  tenerezza 
e  di  a  (lezione  sincera  ".  — Divido  colla 
massima  espansione  d'animo  tali  religiosi 
sentimenti,  cogli  egregi  e  rispettabili  ve- 
neziani tutti, e  vi  aggiungo  quello  di  pro- 
fonda e  inesprimibile  riconoscenza,  lui* 
perocché.,  neli83g  l'articolo  Venezia  lo 
scrissi  ini  58  grandi  pagine.  Dovendo  poi 
ridurlo  nelle  proporzioni  più  ampie,  a- 
dottate  nel  punto  di  stampare  questo  mio 
Dizionario  ,  per  quanto  dichiarai   inge» 
imamente  nel  voi.  XC,  p.  2i5,  dal  gior- 
no 3 1  marzo  1 858  in  cui  cominciai  a  sci  i- 
veie  questo  articolo,  fino  al  suo  compi- 
mento a'3i  dicembre  i858,che  compren- 
de i3oi  pagine,  parimente  da  me  scritte 
in  grandi  pagine,  quotidianamente  e  con 
fervore  più  volte  implorai  con  fiducia  il 
patrocinio  del  santo  Evangelista  (.anco 
durante  le  stampa  :   terminata,  non   lo 
dimenticherò),  siccome  abbagliato  e  tre- 
pidante  dell'  imponente  argomento.   E 
mentre  io  qui   iu  Roma  scriveva  1'  ar- 
ticolo  Venezia,  in  questa  si  comincia- 
va seuza  iuterruzione  la  stampa,  sulle 
cui  prove  feci  non  poche  aggiunte,  per- 
ciò non  comprese  nel  mio  mss.  Ilo  det- 
to tutto   per  gratitudine  a  Dio  e  all'in- 
vocato Patrono  de'veueziaui,  perciò:  Vi- 
va a.  Marco!  —  L'erezione  del  tempio 
di  s.  Marco,  portò  di   necessaria  conse- 
guenza la  demolizione  di  quello  di  s.  Teo- 
doro; «  perciò  anche  il  vescovo  Orso,  di- 


V  E  N 
chiara  l'nb.  Cappelletti,  il  quale  nvea  in 
s.  Teodoro  la  cattedra   pastorale,  si  tra- 
sferì ad  altro  luogo.  Non  già  a  s.  Pietro, 
perchè  quella  basilica  non  per  anco  esi- 
steva, ma  bensì  all'antichissima  de'ss.  Ser- 
gio e  Bacco;  donde  più  tardi  all'altra  di 
s.  Pietro  passò.  Dissi,  che  la  basilica  di  s. 
Pietro  non  per  anco  esisteva,  perchè  sap- 
piamo dal  Dandolo,  diedi  essa  pure  get- 
tò le  fondamenta  lo  slesso  Orso.  E  per- 
ciò probabilmente  si  accinse  a  fabbricar- 
la, perchè  la  troppa  strettezza  di  quella 
de'ss.  Sergio  e  Bacco  era  disdicevole  allo 
scopo,  a  cui  doveva  servile,  di  chiesa  cat- 
tedrale. E  con  molla  celerilà  la  condus- 
se al  suo  termine,  o  almeno  la  ridusse  in 
grado  da  poter  essere  ufficiata:  in  capo  ad 
otto  anni  soli,  dacché  ne  avea   posto   le 
fondamenta,  precisamente  nell'841»  essa 
era  condotta  a  tal  punto;  ed  in  essa  por- 
tava le  6agre  spoglie  de'  ss.  Martiri  sud- 
delti ,  le  quali  il  s.  vescovo  Magno  avea 
trasferito  da  Eraclea  alla  chiesa   suindi- 
cata, che  ne  portava  il  titolo.  E  le  ossa 
di  que'ss.  Martiri  tuttora  vi  riposano.  La 
consagrò  il  dì  3o  maggio".  Il  eh.  Zanot- 
to  nella  Nuovissima  Guida  di  Venezia, 
descrivendo  la  chiesa  di  s.  Pietro  di  Ca- 
stello, ecco  come  si  esprime.  «  Fondata, 
secondo  la  tradizione,  da  s.  Magno,  o  co- 
me altri  narrano,  da  Orso  Partecipazio 
vescovo,    per  rivelazione  di  detto  santo 
dall'832  all' 84 1  •••  L'antica  chiesa,  co- 
strutta al  modo  greco,  era  al  di  fuori  or- 
nata con  monumenti  e  depositi,  a  simi- 
litudine di  quella  de'ss.  Gio.  e  Paolo". 
Anche  la  chiesa  di  s.  Marco,  se  deve  cre- 
dersi alla  Cronaca  Alti  naie,  fu  condotta 
al  suo  compimento  sotto  il  vescovato  di 
Orso.  Jn  essa  egli  stesso  collocò  le  sagre 
spoglie  dell'evangelista  s.  Marco,  e  la  con- 
sagrò  con  solenne  rito.  Ma  ciò  dev'esse- 
re inleso  della  basilica  ridotta  soltanto  al- 
lo stato  di  poter  essere  ufììziata   e  nulla 
più,  avverte  lo  storico;  non  già  a  quella 
magnificenza,  a  cui  la  vediamo  oggidì,  la 
quale  fu  opera  de'secoli  successivi,  secon- 
do la  descrizione  che  uè  feci  nel  §  V,  o  voi. 


V  E  W 
XC.  p.  247.  Il  vescovo  Orso  visse  lunga- 
mente at>  ovvero  3o  anni  nel  seggio  pa- 
storale,altri  accorciandone  il  tempo, per- 
ché sono  incerti  l'anno  e  il  giorno  di  sua 
morte.  Usuo  testamento  è  de'i3  febbraio 
853  more  veneto,  cioè  854,  ed   in  cui 
splende  la  sua  pietà  e  generosità.  Con  esso 
donò  la  chiesa  di  s.  Lorenzo  colle  sue  ap- 
partenzealla  sorella,acciò  nel  fondato  mo- 
nastero attendesse  alle  divine  lodi,  ordi- 
nando che  la  chiesa  di  s.  Severo  vi  fosse 
unita,  il  tutto  avendo  narrato  nel  §  X, 
n.  4-  Lasciò  3oo  libbre  d'  argento  alla 
chiesa  di  s.  Pietro  da  lui  fabbricata,  ed 
il  resto  di  sue  possessioni  volle  divise  in  3 
parti,  una  per  redimere  gli  schiavi,  l'al- 
tra a  sovvenimento  de'sacerdoti  e  de'po- 
veri,  la  3.a  pel  l'istauro  di  chiese  e  mona- 
steri. — -  Il  5.°  vescovo  Maurizio  o  Mau- 
ro Dusìniaco  o  Busnadego  lo  divenne 
nell'854  o  più.  tardi,  non  essendo  certo 
che  in  tale  anno  morisse  il  predecessore; 
e   non  è  vero  che  gli  succedesse  Zacca- 
rìaCandianojch'vtìmnìo  pmeZuanne  Sa- 
nudo,  moderno  cognome  de'Candiani,  co- 
me pretesero  alcuni,  altri  anticipando  il 
supposto  suo  vescovato  all'  81  1.  Mauri- 
zio già  pievano  della  chiesa  di  s.  Marghe- 
rita, edificata  dal  padre  suo  Giovanni  o 
Gcnanio,  come  lo  chiamai  col  Corner  nel 
§  Vili,  n.  G3,  la  cousagiò.  11  Cappelletti 
corregge  taluno  che  narrò  nel  suo  vesco- 
vato il  rapimento  delle  spose  veneziane, 
di  cui  nel  detto  §,  11.  7,  e  POrsoni,  che 
lo  raccontò  sotto  il  predecessore,  copian- 
done le  paroledal  Filiasi,  Cronologia  sto* 
r'tcade'vescoviOlivolesi^c.  Maurizio  vis- 
se io  anni. —  Domenico  ITradonico6.° 
vescovo  gli  successe  nell'  864,  che  Coleti 
e  Ughelli  ritardano,  veneziano  e  figlio  di 
Giovanni  Apolo,  onde  si  potrebbe  chia- 
mar con  tal  cognome,   eletto  a  insinua- 
zione del  parente  doge  PietroTradonico:  è 
pure  denominato  Patrizio  (ma  sembra  er- 
rore e  doversi  dire  Partecipa/io).  Gli  scris- 
se nell'877  Papa  Giovanni  Vili,  insieme 
a  Leone  vescovo  di  Caorle,  incaricandoli 
a  iuduire  i  vescovi  Felice  di  Malamocco 


VEN  io5 

e  Pietro  d'Equiliò  a  recarsi  in  Roma  per 
l'affare  dell'eunuco  Domenico  Caloprino 
eletto  vescovo  di  Torcello,  protetto  dal 
doge  Orso  I  Partecipazio  pel  riferito  nel 
§  XIX,  n.  5,  dogadoi4.°  Per  detta  data 
devesi  escludere  nella  serie  de'  vescovi 
Crasso  Fazio  o  Zago,  che  alcuno  inserì, 
come  l'Ughelli.  —  iNell'877  Giovanni! 
Sanudo  oCandiano  7.°vescovo,e  non  più 
tardi:  il  Cappelletti  esclude  dalla  crono- 
logia Giovanni  Avventurato,  benché  ri- 
portalo dall'Ughelli,  e  sebbene  la  sua  ef- 
fìgie, sulla  fede  del  Sansovino,  fu  dipinta 
nella  sala  del  palazzo  patriarcale  in  s.  Pie- 
tro di  Castello.  —  Invece  Lorenzo  I  Ti- 
mens  Deum  o  Tcmidìo,  nell'8 80  fu  l'8.° 
vescovo  veneto;  abitava  in  Malamocco, 
e  figlio  eli  Barba  Taurello,i  cui  parenti  di- 
moravano a  Torino.  Sostenne  nell'883  o- 
norevole  legazione  pel  dogeGiovanni  Par- 
tecipazio 11,  all'imperatore  Carlo  Hi  il 
Grosso,  da  cui  ottenne  a  favore  de'  ve- 
neziani un  diploma,  e  morì  nel  maggio 
909.  Alcuno  lo  disse  ucciso  dal  popolo, 
perchè  violentemente  portavasi  qua  e  là 
ad  esigere  le  decime  mortuarie,  di  che 
non  lasciarono  memoria  gli  antichi  scrit- 
tori. La  stessa  cosa  altri  invece  narrano 
del  vescovo  Uamperto  Polo,  morto  ver- 
so il  i3oq.  —  Vescovo  9.0  nel  909  fu 
Domenico  II  Pitonico  (meglio  Villoni- 
co),  di  cui  scrisse  l'Altinate  col  suo  bar- 
baro e  scorretto  stile,  qui  fitti  nacio- 
ne  suorum  pareti  tum  de  veda  Verce- 
linsi  civita te }  habitatores  in  Mata- 
mauco  et  in  Rivo  allo  sfilili*  Barbe  Ro- 
manus  Vilinicus  in  ecclesìa  s.  Mauri 
martiri s  erat  resìdens.  Egli  fu  promos- 
so dal  popolo  col  consenso  del  patriarca 
di  Grado  e  del  clero,  ma  contro  la  vo- 
lontà del  doge,  ne  perciò  ebbe  da  questo 
l'investitura,  ma  prese  da  per  se  il  basto- 
ne pastorale  dall'altare  di  s.  Marco, in  no- 
me del  quale  si  dava  (di  queste  investi- 
ture ecclesiastiche  parlai  nel  §  VI,  n.  2, 
e  nel  §  XIX  ,  n.  3).  Morì  nel  dicembre 
9 1  o,  o  al  più  nel  gennaio  911.  — -Ilio.0 
vescovo  Domenico  III  David  Qrcia- 


io6  VEN 

no,  figlio  di  Pietro  Orciano,  nel  gii 
fu  sollevato  anch'egli  alla  dignità  per  e- 
lezione  del  popolo,  che  a  tutta  forza 
lo  volle  benché  avesse  moglie  e  figli, 
mi  onta  che  a  tutto  suo  potere  vi  si  op- 
ponesse. Ne  venerava  il  popolo  la  pu- 
rezza e  santità  di  costumi,  e  perciò  sì  vi- 
vamente insistette  nel  volerlo  a  pastore, 
che  alla  fine  si  trovò  costretto  a  cedere 
alle  comuni  istanze.  Ricevuta  l'episcopa- 
le consagrazione,  tenne  tuttavia  nel  suo 
palazzo  presso  di  se  la  moglie  ed  i  figli; 
dicono  per  altro  gli  antichi  storici,  ch'e- 
gli vivesse  con  la  moglie  in  perfetta  con- 
tinenza. »»  Ciò  attesterebbe,  in  quella  età 
non  essere  stata  per  anco  tra' veneti,  for- 
se per  la  frequente  loro  comunicazione 
cogli  orientali,  così  stretta  ed  immutabi- 
le la  legge  del  celibato,  come  lo  è  presen- 
temente alla  Chiesa  latina;  perchè,  egli  è 
certo,  dice  il  Gallicciolli,  Meni.  veri,  anti- 
che, che  se  la  disciplina  di  que'tempi  in 
Venezia  avesse  escluso  assolutamente  da- 
gli ordini  clericali  gli  ammogliati,  clero  e 
popolo  non  avrebbero  immaginato  di  e- 
leggere  un  tal  uomo  vescovo,  né  i  prela- 
ti l'avrebbero  ordinato".  Altro  punto  di 
ecclesiastica  disciplina  viene  attestato  dal- 
le cronache  antiche,  ed  è  che  il  clero  ve- 
neto non  portava  allora  la  barba,  o  al- 
meno non  l'usava  alla  foggia  de'secòlari; 
il  perchè  costretto  Orciano  ad  esser  ve- 
scovo, gli  raserò  la  barba  (di  questa  ri- 
parlai nel  §  XVI,  n.  2,  o  vol.XCI,  p.  365, 
e  di  quella  deMogi  nel  §  XIX,  n.  3).  Il 
Torrelli,  ne  Secoli  Agostiniani,  si  forzò 
a  dimostrare  questo  vescovo  pellegrinan- 
te avere  appartenuto  nella  giovinezza  a- 
gli  eremiti  agostiniani,  ma  i  suoi  argo- 
menti non  sono  che  di  probabilità;  inve- 
ce trovasi  notizia  del  suo  stato  coniuga- 
le e  della  sua  convivenza  colla  moglie  e 
co'figli  nell'episcopio;  ed  egualmente  che 
il  Torrelli ,  errò  quindi  chi  nella  ,ala 
dell'antico  patriarchio  a  s.  Pietro  di  Ca- 
stello lo  avea  fatto  dipingere  vestito  in 
abito  di  eremita  agostiniano.  La  cronaca 
Zolfina  ne  cambiò  il  nome  in  Anasta- 


VEN 
fio  III  romano,  confondendolo  col  Pa- 
pa che  allora  regnava.  Visse  9  anni  e  non 
di  più.  —  Nel  920  trovasi  l'i  i.°  vesco- 
vo Giovanni  II,  e  governò  almeno  sino 
al  929.  —  In  taleannogli  successe  ili  2. ° 
Pietro  I  Tribuno  o  Tron,  figlio  del  de- 
funto doge  omonimo,  che  alla  chiesa  di 
6.  Maria  Formosa  fece  quanto  notai  nel 
descriverla  nel  §  Vili,  n.  7,  morendo  nel 
cader  del  937,0  nel  principio  del  938. — 
In  questo  comparisce  ili 3.°  vescovo  Or- 
so II  Magadisoo  I\lagadisìo  veneto,  già 
vicario  di  s.  Cassiano,  lodato  per  bontà 
di  vita  e  sapienza.  Fu  a  suo  tempo,  alla 
sua  presenza  e  mentre  celebrava  pontifi- 
calmente nella  cattedrale  d'Olivolo,  a'3i 
gennaio  930  circa,  ovvero  nel  932,  che 
i  triestini  approdati  furtivamente  nel  tem- 
pio audacemente  rapirono  le  spose  vene- 
ziane, ratto  che  altri  ritardano  al  935  e  al 
944»  'e  quali,  giusta  il  costume,  il  vesco- 
vo co'sagri  riti  nuziali  dopo  la  messa  do- 
vea  benedire.  Avverte  l'ab.  Cappelletti, 
che  tale  funzionerei ta  \a  festa  delle  Ma- 
rie, facevasi  sempre  a'3i  gennaio,  e  non 
ili.°  febbraio  o  vigilia  della  Pnrificazio- 
ne,come  altri  scrissero. —  Immediato  suc- 
cessore e  1 4°  vescovo  nel  945  fu  Dome- 
nico IF  T aionico  o  Tradonico  veneto, 
cappellano  di  s.  Marco  e  cancelliere  del 
doge  Pietro  Candiano  III,  che  pose  le  re- 
liquie di  k.  Gio.  Battista  nella  chiesa  di 
s.  Gio.  Battista  in  Bragora ,  come  notai 
parlandone  nel  §  Vili,  n.4;  e  siccome  ivi 
riposa  il  corpo  di  s.  Giovanni  Elemosina- 
rio,  sospetta  l'ab.  Cappelletti  che  fosse  col- 
locato,invecedi  dette  reliquie,dal  vescovo, 
il  quale  terminò  di  vivere  nel  9>5.  — In 
quello  ne  fu  successore  il  1  5.°  vescovo  Pie- 
tro II  Marturio  veneto  da  Quintavalle, 
ossia  nato  nell'estremità  orientale  dell'i- 
sola d'Olivolo,  il  quale  col  padre  e  altri 
parenti  fondò  la  chiesa  di  s.  Agostino  par- 
rocchiale ,  e  con  testamento  la  soggettò 
in  perpetuo  a'vescovi  suoi  successori,  il 
che  non  mancai  accennare  nel  n.  53  del 
citato  §.  Nel  960  fu  radunato  in  Rialto 
il  sinodo  provinciale,  a  cui  Pietro  II,  col 


V  E  N 
patriarca  diGrado  Buono  Blancanico,tro- 
vossi  presente  con  altri  vescovi  e  ne  sotto- 
scrisse gli  atti,  che  ilCappellelti  dice  ripor- 
tare nella  Storia  della  Chiesa  di  Vene- 
sia, non  per  anco  compiuta.  Forse  è  que- 
sto quel  sinodo,  in  cui  furono  decretate  se- 
verissime pene  contro  que'veneziani  che 
portavansi  ne'porti  di  Soria  e  dell'Egit- 
to, che  le  leggi  civili  punivano  di  morte, 
perchè  lemevasi  che  facessero  co'sarace- 
ni  traffico  di  legname  o  di  ferro  o  altri  re- 
lativi articoli,  o  somministrassero  loro  fa- 
cilità d'aver  armi  per  la  guerra,  che  coro- 
battevasi  dalla  repuhhlica  veneta  colle- 
gala co'greci.  E  qui  dirò  coll'ab.  Cappel- 
letti, che  anteriormente,  non  ostante  il 
ci  vii  divieto,  approdarono  in  Alessan- 
dria, Buono  tribuno  di  Malamocco  e  R.u- 
stico  cittadino  di  Torcello,  come  lo  qua- 
lifica, i  quali  poterono  acquistare  il  teso- 
lo delle  spoglie  di  s.  Marco.  O  feti jc  cul- 
pa! Certamente  nel  sinodo  del  960  s'im- 
posero severe  pene  ecclesiastiche  contro 
il  riprovevole  traffico  degli  schiavi  cri- 
stiani, clw  i  veneti  solevano  fare  ,  come 
raccontai  in  fine  del  n.  4  del  §  XVI.  Ap- 
prendo dagli  Annali  Urbani  di  Vene.ziai 
del  cav.  Mulinelli,  all'anno  960,  che  il  si- 
nodo, cui  pure  intervenne  il  vescovo  di 
Torcello  Pietro  IV,  fu  tenulo  nella  cap- 
pella ducale  di  s.  Marco,  ilche  prova  l'am- 
piezza eziandio  della  primitiva  chiesa,  fi- 
gli pure  narra,  chea  niuno  garbava  il  ne- 
goziato infamissimo  di  schiavi  che  i  libe- 
ri veneziani  facevano,  i  quali  non  sola- 
mente continuavano  ad  adoperarli  ne'bi- 
sogni  loro,  ma  eziandio  li  vendevano  a- 
gli  africani  (!)  e  ad  altri  popoli;  per  nien- 
te poi  garbava  a'  veneziani ,  che  lettere 
dall'Italia  e  dalla  Germania  a'greci  e  al 
greco  imperatore  si  recassero.  Potendo 
adunque  da  quel  traffico  tanto  scanda- 
loso e  da  quel  clandestino  trasporto  di 
lettere  venirne  forse  pessime  conseguen- 
ze, opportunamente  si  volle  impedire  i 
due  inconvenienti,  col  mezzo  allora  più 
di  qualsivoglia  altra  pena  temuto.  Perciò 
si  fulminò  l'anatema  e  si  tolse  la  parie- 


VEN  io? 

cipazione  del  Corpo  e  del  Sangue  del  si- 
gnore, a' trafficanti  di  schiavi,  ed  a  que' 
che  private  lettere  portavano  a  Costanti- 
nopoli. Erano  questi  i  secoli  barbari  !  ?  11 
Mulinelli  di  più  offre  il  testo  de'  5  cano- 
ni decretati  dal  sinodo.  Morì  Pietro  II 
nel  964-  —  Nello  stesso  gli  fu  sostituito 
il  1 6.°pastore  Gregorio  di  Giorgio  o  Zor- 
ziy  la  cui  famiglia  ancora  sussiste,  e  per 
nomarsi  il  padre  Andrea,  tribuno  d'  E- 
quilio ,  alcuno  lo  disse  Andreadi  quasi 
fosse  cognome,  ovvero  per  questo  i  copi- 
sti presero  il  nome  paterno.  — ■  Al  bre- 
vissimo suo  governo  soltentrò  il  17.°  ve- 
scovo Marino  Crtss/Vz/i/co,  che  sedette  più 
di  20  anni,  encomiato  per  virtù  e  pietà. 
Nel  97  1  si  adunò  in  Rialto  un  sinodo,  in 
cui  nuovamente  fu  vietata  qualunque  co- 
municazione co'saraceni.  Morì  nel  986  o 
al  più  tardi  nel  987. — Dopo  probabile  se- 
de vacante  nel  992  fu  18.0  vescovo  Do- 
menico V  Gradonico  veneto,  dell'odier- 
na famiglia  Gradenigo,  consagrato  da  Vi- 
tale IV  Candiano  patriarca  di  Grado, alla 
presenza  del  doge  Pietro  II  Orseolo,  che 
lo  avea  eletto,  e  dal  quale  poi  fu  investi- 
lo e  intronizzato.  Raccontai  nel  n.i3  del 
§  XVI11,  che  dal  benedire  solennemente 
nella  cattedrale  di  s.  Pietro  d'Oli  volo  que- 
sto vescovo  nella  festa  dell'  AscensioneggS 
la  bandiera  della  repubblica,  e  consegnar- 
la al  dello  doge  nell'intraprendere  la  fa- 
mosa spedizione  contro  gli  slavi,  di  cui 
fu  vincitore  pel  conquisto  della  Dalma- 
zia e  della  Croazia,  ebbe  origine  la  ma- 
gnifica solennità,  che  poi  si  fece  in  quel- 
la dell'  Ascensione,  e  la  consuetudine  di 
ricevere  in  essa  il  vescovo  a  s.  Nicolò  di 
Lido  il  doge,  quando  ivi  dalla  cattedra- 
le d' Olivolo  fu  trasferita  la  cerernonia; 
funzione  che  divenne  più  splendida,  do- 
poché nel  11 77  Papa  Alessandro  III  do- 
nò al  doge  Ziani  l'anello  d'oro  per  spo- 
sare il  mare,  onde  il  rito  fu  detto  benedi- 
zione del  mare  e  volgarmente  sposalizio 
del  mare.  Domenico  V,  decorsi  33  anni  e 
6  mesi  di  vescovato ,  dopo  aver  veduto 
arricchire  Venezia  del  corpo  di  s.  Barba- 


io8  YEN 

ra  di  Nicomedia,  di  die  nel  $  XVIII,  n. 

?.3,  e  di  (jtiello  di  s.  Tarasio  ,  di  cut  nel 

voi.  XCI,  ».  io4,  terminò  la  suo  carrie- 
ra mortale  nel  1 026. — Subito  ne  occupò 
la  cattedra  il  figlio  del  fratello,  Domeni- 
co 1y I  Gradoìiico%  1  c).°  vescovo  oli volese, 
ai  cui  tempo  e  nel  1  o  jo  fu  celebralo  un 
sinodo  provinciale  in  Rialto  nella  basilica 
di  s.  Marco  (per  singoiar  coincidenza,  iu 
tale  anno  anche  in  Vannes  fu  tenuto  un 
concilio,  egualmente  sulla  disciplina  ec- 
clesiastica :  per  l'avvertito  quasi  in  princi- 
piodi  questo  §,forse  non  sarà  inopportuna 
la  nota  clie  <jui  scrivo),  col  suo  intervento 
e  in  presidenza  d'Orso  Orseolo  patriarca 
di  Grado  :  già  ne  discorsi  nel  §  XI X,  n.  6, 
dogado  29. °,  e  si  trattò  di  vari  punti  di 
disciplina  ecclesiastica  alla  presenza  del 
doge.  Nel  seguente  anno  tra  il  vescovo  e 
il  detto  patriarca  si  fece  transazione  sul- 
lo gravissima  controversia  per  la  giuris- 
dizione della  chiesa  de'ss.  Gervasioe  Pro» 
tiisiojcheaccennai  nel  §  Vili,  n.66,e  l'nb. 
Cappelletti  ne  produce  il  documento.  Nel 
vescovato  di  Domenico  VI ,  oltre  la  no- 
minata chiesa,  furono  edificate  quelle  di 
s.  Apollinare,  e  di  s.  Secondo  neh'  isola 
del  suo  nome.  S'ignora  l'epoca  precisa  di 
sua  morte  e  sembra  iho44- — 'Contem- 
poranea pare  l'elezione  del  20.0  vescovo 
Domenico  P II  Conta  ri  ni.  Appartiene  al 
suo  tempo  la  fondazione  fatta  dal  fratel- 
lo doge  Domenico  Contarmi,  del  mona- 
stero di  s.Nicolò  di  Lido,  essendo  patriar- 
ca gradeseDomenico  IN  Marengo;  così  vi 
concorsero  3  Domenici  ,  come  si  ha  dal 
documento,  in  cui  Domenico  VII  s'  inti- 
tola: Domimeli*  miseratione  Divina  E- 
piscopus  Olivolensisje  fra'testimoni  d'un 
altro  documento  si  legge:  Hermacora  ar- 
ci ri  presby  ter  Olivolensis  Ecclesiae  testis. 
Al  medesimo  vescovo,  Papa  s.  Leone  IX 
diresse  la  bolla  Olivolensis  Ecclesia  e ,del 
io53,  presso  l'Ughelli,  p.  1217,  di  con- 
ferma a'  vescovi  d' Olivolo  di  tutti  i  di- 
ritti e  privilegi  ad  essi  e  alla  loro  chiesa 
concessi,  forse  in  occasione  che  si  recò  a 
Venezia.  Inoltre  s.  Leone  IX,  come  già 


V  H  N 
notai  nel  §  XIX,  n.  6,  dogado  3o.°,  rico« 
nobbe  il  patriarca  di  Grido,  e  l'annali- 
sta Rinaldi  diceche  talvolta  fu  detto  pu- 
re di  Trinegiai  ne  confermò  il  patriarci- 
Io,  gli  concesse  il  pallio  e  diversi  privile- 
gi. I  veneziani  riconoscenti  alle  sue  pon- 
tificie beneficenze,  gf  intitolarono  la  chie- 
sa di  s.  Caterina.  La  più  antica  investi- 
tura di  chiesa  veneta  che  si  ricordi,  è  del 
io6q  fatta  dal  patriarca  di  Grado  Dome- 
nico III  Marengo,  afavore del  Plebaniun 
et  Priorcm  della  basilica  di  s.  Silvestro, 
come  dissi  nel  descriverla  nel  §  Vili,  n. 
56,  presso  la  quale  era  il  loro  patriarchio 
(però  la  stabile  e  legittima  residenza  de' 
patriarchi  gradesijn  Rialto  cominciò  nel 
1  1  3  1  ).  Il  vescovo  Contarmi  chiuse  in  pa- 
ce i  suoi  giorni  circa  il  1074*  —  1°  ess0 
sedeva  il  nipote  e  figlio  del  defunto  do- 
ge, Enrico  Contarmi  1 1 .°  vescovo  oli  vo- 
lese. Essendo  patriarca  di  Grado  Dome- 
nico IV  Cervoni  oCerbono,  la  somma  po- 
vertà a  cui  era  ridotto  il  patrimonio  pa- 
triarcale, mosse  Papa  s.  Gregorio  VII  a 
scrivere  una  lettera  di  rimprovero  al  do- 
ge Domenico  Selvo  ,  e  alla  comunità  e 
popolo  di  Venezia,  perchè  si  pensasse  ad 
accrescerlo  decentemente  e  in  proporzio- 
ne dell'onorevole  sua  dignità,  e  del  deco- 
ro del  loro  patriarchatus.  Per  tanto  nar- 
rai nel  §  XIX,  n.  6,  dogado  3  r .°,  che  per 
tale  esortazione  il  doge  prima  che  morisse 
il  vescovo  Domenico  VII  ne  avea  tenu- 
to proposito  con  lui,  e  quindi  nel'settem- 
brei074  tenuto  un  concilio  o  radunan- 
za di  vescovi,  fra'quali  Enrico  Contarmi, 
di  abbati  e  di  magistrati,  ne  accrebbe  al- 
quanto le  rendile,  coll'imporre  a  ciascu- 
na chiesa  suffraganea,  ed  a' prima  ri  mo- 
nasteri della  provincia  ecclesiastica,un  an- 
nuo tributo  in  generi  e  in  denaro.  Fu  se- 
gnalato il  vescovato  d'Enrico  pel  faustis- 
simo ritrovamento  del  corpo  di  s.MarcoE- 
vangelista,che  celebrai  a  suo  luogo;  poiché 
da  un  secolo  i  veneziani  deploravano  non 
sapere  in  quale luogodella  basilica  ducale 
fosse  stato  nascosto,  ovvero  se  fosse  stato 
involato,  mentre  il  segreto   comunicato- 


VE  N 

si  progressivamente  fra  le  primarie  digni- 
tà erasi  venuto  a  perder  del  lutto.  Preoc* 
cupati  gli  animi  di  tristezza,  fu  stabilito 
farne  diligente  ricerca.  Intimalo  un  di- 
giuno generale  di  3  giorni,  fatta  una  so- 
lennissima  processione, alla  quale  concor- 
se con  fervore  il  popolo,  anche  di  tutte 
l'isole  e  delle  città  dello  stalo,  Dio  esau- 
dì le  comuni  preci,  facendo  cadere,  alla 
presenza  della  moltitudine, da  una  colon- 
na o  pilastro  della  basilica, alcune  pietre 
che  lasciarono  scuoprire  la  cassa  marmo- 
rea in  cui  era  chiuso  il  sospirato  s.  Cor* 
pò  che  si  cercava,  fra  la  gioia  e  le  lagri- 
me di  tutti.  Ciò  avvenne  a' 25  giugno 
1  094,  e  se  ne  festeggia  tuttora  l'anniver- 
sario di  questa  apparizione,come  la  chia- 
ma J'ulEziatura.  Narra  la  tradizione,  che 
il  Santo  per  indicare  ove  riposava^  mostrò 
dal  pilastro  un  braccio.  Certo  è,  che  a- 
vanti  ad  un  musaico  esprimente  la  Cro- 
ce, sopra  il  pilastro  dell  altare  di  s.  Già» 
corno,è  sempre  accesa  una  lampada  avan- 
ti. Miracoloso  sicuramente  fu  il  discopri- 
inento  della  cassa,  la  quale  si  tenne  espo- 
sta 3  giorni,  e  poi  l'8  ottobre  in  occasio- 
ne della  consagrazione  (ma  nel  io85  la 
dice  avvenuta  lo  Stato  personale) ,  che 
l'ab.  Cappelletti  afferma  celebrata  nello 
stesso  j  og4,  fu  collocata  sotto  la  mensa 
dell'altare  maggiore,  ove  si  trovò  nell'ul- 
timo scuoprimento,  che  dirò  alla  sua  vol- 
ta. Tre  anni  dopo  le  Lagune  furono  ar- 
ricchite anche  del  corpo  o  almeno  di 
buona  parte  delle  ossa  di  s.  Nicolò  ve- 
scovo di  Mira,  di  cui  tenni  ragione  nel 
citalo  n.  i3  del  §  XVIII. 

Fé  scovi  di  Castello. 

3.  11  vescovo  Enrico  Contarini  fu  il 
i.°a  cambiare  il  titolo  della  sua  sede 
Olivolese,  e  a  dirla  invece  Castellana , 
probabilmente  perchè  a'suoi  giorni  era 
andato  in  disuso  il  nome  di  Olivolo  e 
col  solo  di  Castello  se  ne  nominava  tut- 
to il  sestiere.  Questo  cambiamento  di  ti- 
tolo si  comincia  a  trovare  neh 091,  inti- 
tolandosi il  prelato  appunto   Benrióus 


VEN  109 

CoritarcnoGa$tcllanusIipiscopiis,(]i\at\r 
do  sottoscrisse  nel  1107  al  diploma  del 
doge  Ordelafo  Falier,  che  donava  al  pa- 
triarca di  Grado  la  chiesa  di  s.    A  l'elu- 
dano in  Costantinopoli.  Ma  leggo  nel  de- 
creto pel  miglioramento  delle  rendite  pa- 
triarcali diGrado,piesso  lostesso eh. Cap- 
pelletti., Le  Chiese  tV Italia,  t.  9,  p.  53 
e  seg.,  del  settembre  1074»  discorso  più 
sopra,  dopo  la  sottoscrizione  :  tj>  Ego  Do- 
minicus  Sylvius  Dei  gratta  Dux  consen- 
si3etm.  ni.  ss.j  quella  immediata:  +|+  F- 
go  Henricus  Dei '  grati  a  Castellanus  E- 
piscopus  subscripsi.  Seguono   le  sotto- 
scrizioni degli  altri  4  vescovi,  degli  abba- 
ti e  degli  altri  che  intervennero  al  sinodo 
o  radunanza,  per  migliorare  la  mensa  del 
prelato  gradese.  Dunque  da  sì  solenne  at- 
to si  ricava,  che  già  il  vescovo  d'Olivolo 
avea  assunto  nel  1074  il  titolo  di  Castel- 
lo. Morì  Enrico  a*  i5  novembre  11 08. 
—  Pochi  giorni  dopo  fu  eletto  22.0  ve- 
scovo Pitale  I  Michel  veneziano  e  vi- 
cario della  chiesa  di  s.  Paolo.  Ormai  tra- 
lascio di  registrare  le  cose  più.  comuni  già 
discorse  a'loro§§  riguardanti  le  fondazio- 
ni di  chiese  e  monasteri,  e  il  trasferimento 
in  Venezia  di  ss.  Reliquie,  altrimenti  suc- 
cederebbe  una  monotonia  di  continua- 
le citazioni,  pel  numero  grandissimo  del- 
le fondazioni  e  de'sagri  tesori  da  cui  fu 
arricchita  Venezia,così  pure  di  consagra- 
zione di  chiese  e  altari,  e  per  accorciare 
il  mio  dire; il  tutto  avendo  riferito,  prin- 
cipalmente col  Corner,  a'  luoghi  loro, 
laonde  sarebbero  troppe  ripetizioni.  Vi- 
tale 1  lasciò  vedova  la  sua  chiesa  di  Ca- 
stello nel  dicembre  1 1 20,  e  mentre  a'  1 6 
gli  si  celebravano  i  solenni  funerali  in  s. 
Pietro  di  Castello,  la  troppa  quantità  di 
lumi  o  la  trascuranza   de'chierici,   pro- 
dusse tale  incendio  che  distrusse  la  catte- 
drale, e  con  essa  perirono  altresì  tutte  le 
contigue  fabbriche  e  abitazioni.  —  Nel  dì 
seguente  17  dicembre  fu  consagrato  sa- 
cerdote il  23.°vescovo  fr.  Bonifacio  Fa- 
lier eremitano  agostiniano,   acclamato 
dal  clero  e  dal  popolo  successore  al  de- 


no  VEN 

imito,  e  nella  susseguente  domenica  ri- 
cevè l'episcopale  consagrasione, ossia  nel 
dì  seguente  1 8  dicembre.  Nobile  di  stir- 
pe, più  nobile  per  le  virtù,  contro  sua 
voglia  ricevè  la  dignità,  tra  V  esultanza 
del  popolo.  Morì  nel  i  i  33,  impugnando 
Cappelletti  il  Gallicciolli,  che  sulla  fede 
d'  una  cronaca  anonima  lo  disse  ucciso 
nel  i  i  3 1  dal  popolo.  —  JNello  stesso  an- 
no, 24.°vescovo  fu  Giovanni  III  Poloni) 
figlio  del  vivente  doge  e  pievano  di  s.  Bar- 
tolomeo.  Ebbe  lite  col  fondatore  Bonfilio 
Zusto  de'canonici  regolari  della  canonica 
del  ss.  Salvatore,  per  avervi  acconsentito 
il  patriarca  di  Grado,  mentre  la  chiesa 
apparteneva  alla  stia  giurisdizione;  ma 
Papa  Innocenzo  II  la  troncò  prendendo- 
la sotto  la  protezione  della  s.  Sede. Tut- 
to narrai  nel  §VIII,n.  28, insieme  all'as- 
sassinio del  Zusto,  che  Dio  fece  risplen- 
dei e  per  miracoli.  Il  vescovo  regolò  la 
suddetta  festa  delle  Marie,  protratta  a 
8  giorni,  nella  quale  i  vescovi  di  Castel- 
lo, e  poi  i  patriarchi  di  Venezia,  finche 
durò  la  veneta  repubblica,  ricevevano 
que'donativi  descritti  nel  luogo  di  sopra 
citato.  Però  la  festa  popolare,  in  princi- 
pio virtuosa  e  innocente,  divenuta  cla- 
morosa e  depravatasi  gravemente,  dopo 
severe  leggi  promulgate  dal  governo  per 
frenarne  gli  abusi  e  gli  sconcerti,  terminò 
coll'esser  abolita  nel  1 379  ;  riducendosi 
alla  visita  annua  del  doge  alla  chiesa  di 
s.  Maria  Formosa,  e  nel  vespero  e  mes- 
sa solenne  che  vi  celebravano  i  vescovi  e 
i  patriarchi.  In  quella  circostanza  il  doge 
benediva  le  Marie  e  l'accompagna  va, be- 
nedizione, cui  prò  dignhate  palalii  im- 
partiva pure  al  popolo.  Tra  le  preroga- 
tive ducali,  eravi  quella  di  benedire  in  al- 
cuni giorni  solenni  il  popolo;  quasiché 
fosse  il  padre  che  benedicesse  i  suoi  figli. 
Di  questo  trattai  in  fine  del  n.  3  del  §  VI 
e  alti  ove,ove  pur  dissi  che  benediva  ezian- 
dio le  monache.  Nel  regolamento  fatto 
dal  vescovo  Polani  per  porre  un  freno  a* 
disordini  in  feste  cosi  popolari,  nella  sot- 
toscrizione del  decreto  del  1 i43>  non  so- 


V  E  IV 
lo  leggo  dopo  il  suo  nome,  Dei  gratin 
Castellanti*  Episcopus,  ma  quello  pure 
del  Castellami!;  Archidiaconus.  Lo  tro- 
vo anche  nell' Ughelli,  il  quale  riporta 
purea  p.  1 9.4.1  la  bolla  del  1  1 44  '*'  '>a* 
pa  Lucio  11,  Aequum  etrationabile  est  ; 
cominciando  col  saluto:  Generabili  fra- 
tri  Jo.  Olivolensis  seu  Castellanae  Ec- 
clesiae  Episcopo.  Con  essa  ornò  di  molli 
privilegi  e  diritti  il  vescovato  Castellano: 
il  quale  privilegio  rinnovò  Adriano  IV 
a*25 gennaio  1  i56  in  Benevento,  ov'era- 
si  portato  nel  precedente  ottobre.  Morì 
Giovanni  HI  in  epoca  sconosciuta,  non 
rimanendo  notizia  di  lui  dopo  il  1  1 57, 
benché  alcuni  dicono  verso  il  1 164.  — 
In  questo  era  già  2  5.°vescovo  Pietro  III 
G randa liconi,  non  conosciuto  che  dal- 
l'ab.  Cappelletti,  che  ritiene  aver  princi- 
piato qualche  anno  avanti  il  suo  pasto- 
rale governo,  mentre  il  ir  64  fu  l'ultimo 
di  sua  vita  e  il  1  ."del  suo  successore.  Di  lui 
si  ha  memoria,  dalla  sua  sottoscrizione 
ad  una  sentenza  pronunziata  nel  giugno 
1  [64  in  Rialto,  dal  cardinal  Ildebrando 
Grassi,  legato  del  Papa  Alessandro  III,  a 
favore  di  Marco  priore  d'Iàpide,  contro 
Geltrude  badessa  di  s.  Zaccaria  di  Vene- 
zia. Avverte  l'ah.  Cappelletti,  che  non  si 
deve  confondere  co'due  altri  Pietri,  che 
per  strana  combinazione  erano  allora  ve- 
scovi di  Civita  Castellana  e  di  Città  di 
Castello  (de'  loro  antichi  vocaboli  latini 
riparlai  ne' voi.  LXX I X,  p.  3,  e  LXXXV, 
p.  3 io),  che  come  il  veneto  intitolavan- 
si  :  Petrus  Castellanae  Episcopus  (ora 
però  ambedue  usano  preporre  avanti  la 
parola  Civitatis  o  Civitas,  anzi  quello  di 
Città  di  Castello  anche  Tiphernwn  Ti- 
berinum,  e  Civitatis  Castelli).  Il  Gallic- 
ciolli, sulla  testimonianza  d'un  cronista, 
disse  il  Grandaliconi  vescovo  d' Olivolo 
nel  1 146,  per  isbaglio  di  stampa,  doven- 
do dire  1 1 64.  —  Successore  di  lui  in  tale 
anno  e  26.0  vescovo  fu  Vitale  II  Mi- 
chel, nel  dogado  di  Vitale  II  Michel,  per 
sine-olar  coincidenza.  Non  dice  lo  storico 
che  fossero  parenti.  Egli  era  pievano  di 


V  E  V 

s.  Paolo.  Nel  i  170  fondò  un  ospedale  nel- 
l'isola di  s.  Elena,  di  cui  feci  ricordo  nel 
descriverla,  nel  n.  16  del§XVHI,  riser- 
vando a  se  ed  a'successori  l'elezione  del 
priore.  IN'el  tempo  del  suo  governo  si  re- 
cò in  Venezia  Papa  Alessandro  III,  nel 
1  177,  al  modo  ampiamente  narrato  nel  § 
XIX,  n.  8,dogado  39.0  di  Sebastiano  Zia- 
ni,  ma  non  mai  incognito  e  occultamen- 
te, come  provai  anco  con  autorità  venete, 
non  mancando  di  riferire  l'opinione  con- 
traria. Nel  memorabile  soggiorno  fatto 
dal  Papa  in  Venezia,  celebrò  nella  basi- 
lica Marciana  quel  concilio  che  descrissi 
in  detto  luogo  (i  cui  atti  mancando  nel 
Labbé  e  nel  Mansi,  dice  l'ab.  Cappelletti 
averli  pubblicati  nella  sua  Storia  della 
Chiesa  di  Venezia,  t.  6,  p.  1 00  eseg.)  con- 
sagrò varie  chiese,  ornò  di  molte  prero- 
gative la  città  e  il  doge,  concesse  la  per- 
petua indulgenza  plenaria  alla  basilica  di 
s.  Marco  per  la  solennità  dell'Ascensione 
e  sua  8.*,  confermando  il  giudizio  pro- 
nunziato da'vescovi  di  Torcello  e  Jesolo, 
contro  l'abbate  ed  i  monaci  di  s.  Nicolò 
del  Lido,che  negavano  al  vescovo  di  Ca- 
stello l'onore  dovutogli  in  tal  giorno  del- 
la benedizione  e  sposalizio  del  mare,  nel- 
la loro  chiesa,  colla  bolla,  Ea,  auae  jn- 
dirio  staluunluri  presso  I'  Ughelli,  p. 
1 245.  Dice  il  saluto:  Venerabili  fratri 
V.  Castellano  Episcopo  saluterà;  e  la 
data:  Dat.  Venetiaruw  in  Rivo  Allo  hai. 
junii  (il  eh.  p.  Bresciani,  nel  1. 1 2,  p.  69  1 
della  Civiltà  Cattolica,  serie  3.a,  nell'elo- 
quente ai ticolo,S<7/rtc//tf, tratta:  LaPa- 
cedi  Venezia).  Inoltre  l'Ughelli  riporta  la 
bolla  di  conferma  d'Urbano  III  data  in 
Verona.Morì  il  vescovoVitale  II  nel  1  1 8 1 . 
—  Nello  stesso  fu  eletto  il  27.0  vescovo 
Filippo  Casiolo  ,che  visse  appena  pochi 
mesi.  —  Nel  novembre  1  1 8 1  già  sedeva 
il  2 8.  "vescovo  Ma  reo  I  Nicolai,  detto  an- 
che Nicola  o  di  Nicola,  pievano  di  s. 
Silvestro  assai  stimato,  narrando  di  lui 
il  Dandolo, che  muniva  le  sue  bolle  col 
sigillo  di  piombo,  mentre  niuno  de'pie- 
decessori  e  successori  l'usò. Papa  Clemen- 


V  E  N  1  1  r 

mente  III  spedì  un  diploma  di  protezio- 
ne de'diritti  alle  decime  dovute  al  vesco- 
vo di  Castello  in  Costantinopoli,  poiché 
tanto  esso,  quanto  il  patriarca  di  Gra- 
do, aveano  diritto  di  decimare  sopra  al- 
cuni luoghi  dell'impero  d'oriente,  come 
in  s.  Giovanni  d'  Acri  oAccon.  Avverte 
l'ab.  Cappelletti,  che  sbagliò  il  Nerini 
nell'opera,  De  tempio  ss.  Bonifacii  et  A- 
lexii,  nel  dire  che  Marco  fu  nel  i2o3in 
Pioma  alla  consagrazione  di  esso,  celebra- 
ta da  Papa  Onorio  HI  (epoca  errata 
nella  stampa,  sì  per  essere  slato  eletto 
quel  Papa  nel  12  16,  e  sì  perchè  leggo 
nel  Nerini  eseguita  la  cousagrazione  nel 
1 2  1  7  domenica  delle  Palme,specialmen- 
te  nominandosi  nell'atto  cum  Veneto 
Archiepiscopo,  che  il  Nerini  dichiarò  es- 
sere Marco),  per  aver  trovato,  che  v'in- 
tervenne il  veneto  arcivescovo,  quale  non 
poteva  essere  che  il  patriarca  di  Grado 
Angelo  Barozzi  allora  in  Roma,  n  Ed 
inoltre  si  noti,  che  allora  la  nostra  città, 
non  si  nominava  per  anco  /  enezia,wa, 
Rialto,  e  che  il  vescovo  si  diceva  Castel' 
latto  e  non  Veneto  ".  In  fatti  osservo 
nell'Ughelli,  nel  documento  col  quale  il 
vescovo  Marco, col  suo  capitolo,  concesse 
nel  1  199  al  sacerdote  Domenico  Franco, 
già  religioso  nel  monastero  di  s.  Andrea 
d'Amroiano,  due  isolette,  dagli  antichi 
\eneti  dette  tombe  (nelle  Lagune  vi  era- 
no Valli  e  Palale,  Veline,  Cavane  eBa- 
rene.  A  queste  si  aggiungevano  Ghehhi 
e  Pallido,  Dossi  e  Conche.  Il  pallido  è 
sito  più  alto  della  barena.  Il  ghebbo  fu 
anche  misura,  prima  d'un  piede  e  poi  di 
un  piede  e  mezzo.  I  Dossi 'maggiori sul- 
l'acque della  Laguna,  si  dissero  Tombe, 
come  rilevai  altrove  ),  acciò  su  di  esse 
piantasse  una  chiesa  (essa  è  l'isola  della 
Certosa,  di  cui  nel  §  XVIII, n.  i5)  all'a- 
postolo s.  Andrea;  non  solamente  la  da- 
ta di  Rivoalti,  e  la  sottoscrizione  del  ve- 
scovo Dei  grada  Castellanum  Episco- 
pio, ma  quelle  pure  di  Pietro  Vitturi  di- 
vina gratìa  Castelli  Archid.,  di  Leonar- 
do Castell.  Primiccrius)  di  Gio.  Bosso 


ìi2  VEJN 

preb.  Cotteli.  Eecltsiae  oc  canonirus, 
di  Matteo  Jorzani  diaconus  Castali.  Ec- 
(/.,  ili  JacopodiaconusCastelLErcl.es.. 
di  Marco  subdiac.  Castell.  Eccl. ,  di 
Balduini  presb.  Cast.  Erri.  Ca/i.,  etc. 
Queste  sottoscrizioni,  con  più.  ordine  ge- 
rarebico  e  più  usato  vocabolo  di  canoni 
co,egualmente  neirUghelli,Io  vedo  nel  di- 
ploma, col  quale  nel  1220  il  vescovo  fe- 
ce donativi  al  priore  e  monaci  di  s.  Da- 
niele. 11  Cappelletti  riporta  un  erudito 
documento,  d'una  ceremonia  particolare, 
non  trovata  da  lui  ancora  in  altro  luogo 
d'Italia.  Benedetta  vedova  Gradenigo  , 
raccomandò  al  tribuno  Da  rozzi  l'esazio- 
ne di  sue  rendite  a  Costantinopoli  e  nel- 
la Romania,  con  (Strumento  di  procura. 
Era  questa  ceremonia  l' indossamento 
della  veste  vedovile,  la  quale  ricevè  Be- 
nedetta dalle  mani  del  vescovo  Marco. 
Nel  vescovato  di  questo,  pel  conquisto  di 
Costantinopoli,  furono  trasferite  a  Vene- 
zia molte  insigni  ss. Reliquie,  che  registrai 
ne'rispeltivi  siti,  e  il  simile  feci  colle  pro- 
digiose ss.  Immagini,  pervenute  in  essa  in 
diversi  tempi.  Non  voglio  qui  tacere,  die 
r\c\X  Aliante  Mariano  del  p.  Gumppem- 
berg  gesuita,  con  giunte  del  sacerdote 
veronese  Agostino  Zanella,  trovatisi  de- 
scritti altri  sagri  tesori  di  Venezia  :  le 
ss.  Immagini  di  Maria  miracolose.  In- 
vecchiato il  benemerito  vescovo,  otten- 
ne nell'anno  1225  da  Onorio  IH  un 
coadiutore,  e  raccomandata  la  scelta 
al  patriarca  di  Grado  e  al  vescovo  di 
Torcello;  ma  nel  mentre  che  essi  lo  cer- 
cavano, morì  nell'anno  stesso  Marco  e  fu 
sepolto  nella  cattedrale. —  Marco  II  Mi- 
cliel  divenne  nel  1225  vescovo  29.0,  e 
giurò  fedeltà  e  ubbidienzaal  patriarca  di 
Grado,  come  a  suo  metropolitano  a'6  a- 
prile  1229;  ritardo  che  non  dee  recar 
meraviglia,  trovandosi  pure  in  altri  ve- 
scovi di  questa,  egualmente  che  di  altre 
chiese  suifraganee.  Iu  tale  anno  a'29  a- 
prile  convocò  il  sinodo  diocesano,  per  con- 
sultare il  suo  clero  circa  una  quarta  par- 
te della  decima  de'morli,  per  sovvenire 


V  EN 

con  questa  alle  necessità  de' poveri, delle 

vedove,  degli  orfani  e  di  qualunque  clas- 
se di  bisognosi  della  diocesi.  Narra  il  eh. 
Cappelletti,  sull'interessante  e  curioso  ar- 
gomento delle  decime  mortuarie,  per  le 
quali  il  prelato  castellano  si  nominò  tal- 
volta vescovo  de'morli.  »  Tutti  gli  altri 
/  escavi  e  Benefizi  ecclesiastici  percepi- 
vano annualmente,  e  ciò  per  diritto  di- 
vino,sino  dalla  loro  originaria  fondazione, 
la  Decima  (Jr>)  parte  de'frutti  delle  cam- 
pagne, e  questa  formava  la  rendita  del 
Vescovo  e  del  Clero, sicché  potessero  a- 
ver  i  sagri  ministri  un  congruo  sostenta- 
mento proporzionalo  al  grado  loro.  Ciò 
non  poteva  farsi  in  Venezia, ove  non  es- 
sendo campagne,  tutto  il  popolo  viveva 
della  pescagione  e  del  traffico.  Era  stato 
invece  stabilito, sinodal  tempo  della  fon- 
dazione della  sua  cattedra  vescovile,  che 
ogni  veneziano  in  morte  lasciasse  al  ve- 
scovo per  testamento  la  decima  sulla  fa- 
coltà che  possedeva.  Della  quale  il  vesco- 
vo poi  doveva  far  quattro  parti,  una  per 
se,  un'altra  pel  clero,  la  3.a  per  la  fab- 
brica, ossia  per  lo  mantenimento  delle 
fabbriche  sagre  e  per  le  spese  del  culto 
ecclesiasticoja  4-a  pe'povet  ((precisamen- 
te secondo  l'antica  disciplina  sulla  divi- 
sione e  uso  i\e\\aRendita  ecclesiastica).\\ 
vescovo  percepiva  intiera  sempre  la  sua 
porzione:  le  altre,  del  clero,  delle  fabbri- 
che e  de' poveri,  spettavano  alla  contra- 
da, a  cui  apparteneva  il  defunto;  ed  ivi  il 
clero,  la  chiesa,  i  poveri  ne  godevano  la 
quota  rispetti  va.  Dà  questa  ultima  parte 
poi  estraevasi  una4-a  parte,  la  quale  no- 
mina vasi  quarta  della  quartale  la  si  di- 
stribuiva a'  poveri  di  tutta  la  diocesi  ". 
Cosi  fu  praticato  regolarmente  sino  ai 
tempi  del  vescovo  Marco  II  Michel.  Egli 
poi,  vedendo  forse  mal  provveduto  a 
questa  divisione,  o  forse  mal  distribui- 
ta a'poveri  tal  quarta  della  quarta,  ra- 
dunò nel  suindicato  anno  1229  il  suo 
clero,  e  proposegli,  che  questa  quarta  di 
quarta  si  consegnase  al  vescovo,  perchè 
meglio  l'impiegasse  all'uopo  stabilitone  : 


VEN 
cJ  il  sinodo  dichiarò,  che  estendo  il  ve- 
scovo in  is pedalila  il  padre  e  il  benefat- 
tore de'povcri,  pupilli  ed  orfani  e  delle 
vedove  del  suo  vescovato,  meglio  da  lui, 
che  non  da  altri,  ne  sarebbero  distribui- 
ta sussidi. JLbbeW  vescovo  Marco  li  lun- 
ghe e  difficili  controversie  col  suddetto 
patriarca  gradese  Barozzi  ;  e  queste  per 
sostenere  e  difendere  i  diritti  della  pro- 
pria chiesa.  Una  lunga  serie  di  siifatti 
diritti,  i  quali  gli  erano  contrastati  dal 
prelato  di  Grado,  onde  ne  pativa  consi- 
derabile discapito  lo  stalo  delle  rendite 
vescovili,  ci  è  conservata  nel  documento 
di  sentenza  pronunziata  a'  6  dicembre 
I2t3i  da'giudici  arbitri  i  priori  di  s.  Be- 
nedetto di  Padova  e  di  s.  Giovanni  di 
]VJonselice,a  ciò  deputati  da  Papa  Grego- 
rio IX.  La  sentenza  fu  pronunziata  quasi 
su  di  ogni  articoloin  favore  del  vescovo; 
si  ebbe  tutto  al  più  un  qualche  riguardo 
alle  5  chiese  parrocchiali  appartenen- 
ti al  patriarca,  che  come  dissi  ripetuta- 
mente aloro  luoghi,  erano  quelle  di  s. 
Silvestro,  s.  Giacomo  dall'Orio,  s.  Mat- 
teo, s.  Militino  e  s.  Canziano.  Quindi  il 
Papa  sanzionò  colla  bolla  Longinquitate 
saepefit  tempori»,  riportata  dall'Ughelli 
a  p.  1258, il  giudizio  de'deputati  aposto- 
lici nel  febbraio  i23a,  e  v'iuseiì  per  in- 
tero la  loro  sentenza.  Una  lite  anche  più 
grave  ebbe  poi  Marco  11  a  sostenere  con- 
tro il  governo,  il  quale  pretendeva  ,  che 


VEN 


iì3 


jli  ecclesiastici  avessero  ad  essere  chia- 
mati in  ogni  e  qualunque  causa,  tranne 
le  civili  e  le  meramente  spirituali,  dinan- 
zi a 'giudici  secolari,  il  che  deplorai  più 
volte  nel  §  XIX,  anche  perle  funeste  con- 
seguenze e  vertenze  gravi  colla's.  Sede, 
vindice  della  libertà  ecclesiastica  contro 
le  usurpazioni  laicali  ;  ed  in  esse  il  go- 
verno veneto  si   acquistò   non   lodevole 
fama,  afìlisse  diversi  Papi,  e  fu  fomite  di 
perniciosi  esempi   ad  altri  stati,  che  fatal- 
mente l'imitarono,  poiché  sempre  il  ma- 
le più  facilmente  si  segue  che  il   bene. 
Alle  quali  pretensioni   oppose  il  vescovo 
Marco  li, con  petto  sacerdotale,  mirabile 
vol.  xeni 


e  vigorosissima  resistenza;  ed  ottenne  al- 
meno,per  decreto  del  doge  JacopoTiepolo 
(che  fu  il  i  .°a  porre  in  ordine  le  leggi  vene- 
te col  suo  Statuto,  del  quale  dice  il  Cap- 
pelletti averne  parlato  nella  sua  Storiti 
della  Repubblica  di  Venezia),  che  la  giu- 
dicatura de'  soli  beni  immobili  dovesse 
appartenere  alla  curia  secolare  ,  per  di- 
mostrare il  dominio  supremo;   tutto   il 
resto  poi  fosse  soggetto  alla  podestà  epi- 
scopale. Inoltre,  tentò  Marco  II,  sempre 
zelatore  di  conservare  e  ingrandire  al- 
tresì i  suoi  poteri,  di  assoggettare  a  se  la 
basilica  ducale  di  s.  Marco  ;  ma   in  que- 
sto fu  deciso,  ch'ella  avesse  a  rimanere 
nella  primitiva  sua  indipendenza,  padro- 
nato del  doge  e  nella   giurisdizione  del 
primicerio  di  s.  Marco,  nullius  diocesi*, 
capitolo  e  cappellani,  di  che  trattai  nel  § 
VI,  n.  2;  mentre  de'procuratori  di  s. 
Marco,  cui  spettava  la  cura  del  tempio  e 
l'amministrazione  de'suoi  beni,  originali 
nell'829,  stabiliti  neh  18  r,  primarie  di- 
gnità della  repubblica,  dopo  quella  del 
doge,  e  vitalizia  come  quella  di  cavaliere 
della  stola  d'oro  (eletti  dal  senato,  la  cui 
primitiva  istituzione   vuoisi  risalire  al- 
I899),  ne  parlai  nel  fine  del  §  V  e  altro- 
ve. Mori  Marco  li  nel  marzo  1235  e  fu 
sepolto  nella  cattedrale  con  epigrafe  non 
più  esistente,  poiché  quando  fu  rifabbri- 
cato il  tempio,  tutte  le  ossa  de'vescovi 
ivi  deposte  furono  unite  in  un  luogo  so- 
lo, presso  la  porta  maggiore,  e  le  iscrizio- 
ni andarono  per  la  maggior  parte  per- 
dute.—  Pietro  IP  Pino  arcidiacono  del- 
la cattedrale  nello  stesso  1235  fu  eletto 
3o.°  pastcre,dovendosi  ommettere  Mar- 
co Morosini  registrato  dall'Ughelli,  ed 
escluso  con  buone  ragioni  dal  patrio  sto- 
rico Cappelletti.  A  Pietro   IV  diressero 
lettere  i  Papi  Gregorio  IX  e  Innocenzo 
IV,  il  i.°  per  accogliere  sotto  la  prote- 
zione della  s.  Sede  l'inclita  città  di  Ve- 
nezia,  e    per  invitarlo  a  riassumere  il 
pastorale  governo  della  s.  Chiesa  Castel- 
lana, da  cui  erasi  sciolto  per  grave  infer- 
ite, miraDiie     rnità.e  cjò  a  calde  istanze  de'prelatì  e  eie- 


V 


RtóWW^W&o  "fc 


i.4  VEN 

io  dello  diocesi  estimatori  di  lue  virtù. 
Dalle  fondamenta  rifabbricò  il   palazzo 
vescovile,  ove  per  memoria  si  pose  l'epi- 
grafe: Pina  Domiti  Petro  fulget  insi- 
gni* alttmno —  TTrbs  Venelumhoc  gau- 
desPraesule  dar  a  pio.  Terminò  sua  vita 
nel  i254a'3o  dicembre, e  pare  fallo  tipo- 
grafico il  12  55. — In  esso  bensì  l'8  febbra- 
io susseguente  gli  fu  surrogato  fi*.  Gualtie- 
ro JgnusDci  venezianodomenicano  e3i.° 
vescovo,  traslato  dalla  sede  diTreviso  da 
Alessandro  IV,  ad  istanza   del  capitolo 
de'canonici,  ma  breve  visse  nella  nuova 
cattedra,  che  restò  vedova  verso  il  giu- 
gno 1^57 ,  e  fu  tumulato  in  ss.  Gio.  e 
Paolo  del  suo  ordine.  — Nel  1207  fu  32. 
vescovo  Tommaso  I  Orimonclo  cappel- 
lano della  basilica  ducale,  di  cui  altro  non 
si  conosce  che  il  suo  decesso  nel  1261. — 
In  questo  l'arcidiacono  di  Castello,  Tom- 
maso 11  Franco  Ju  promosso  a  suo  33.° 
pastore,e  probabilmente  moiìa'5 agosto 
1267.  —  Restò  vacante  il  vescovato  si- 
no al  1274,  perchè  i  canonici,  discordi 
nell'opinione, litigarono  lungamente  per 
la  scelta  del  proprio  pastore.  A  por  fine 
a  tanto  danno  si  ricorse  a  Gregorio  X, 
che  a'5aprile  nominò  34-°  vescovo  Bar- 
lolomeo  1 Quirinì ',  già  pievano  di  s.  Mar- 
tino e  di  s.  Maria  Formosa,  e  allora  ca- 
nonico di  s.  Pietro;  lodato  per  pietà  e 
per  beneficenza  verso  i  monasteri   e  le 
chiese  ,  fondò  1'  ospedale  di  s.  Bartolo- 
meo a  Castello,  di  cui  nel  §X,  n.  64;  ac- 
crebbe di  altri  8  canonici  il  suo  capito- 
lo, colle  corrispondenti  prebende,  difese 
i  diritti  e  le  proprietà  della  cattedrale. 
Morì  il  i.°  marzo  1291. —  Nello  stes- 
so fu  35.°  vescovo  patrio  Simeone  Mo- 
ro primicerio  di  s.  Marco,  onde  già  par- 
lai di  lui  nella  serie  di  essi,  stato  vicario 
generale  di  Tommaso  II   e  capitolare 
nella  detta  lunga  sede  vacante.  L'opera 
che  scrisse,  Caeremoniale  ducalis  basili- 
vae  s.  Marci,  fu  base  e  fondamento  di 
altre  di  simil  genere  che  scrissero  altri. 
Cessò  di  vivere  nel  dicembre   1292.  — 
Ne  fu  successore  e  36,°vescovo  l'altro  ve- 


VEN 

neto  Bartolomeo  II  Qutrini,  pure  pri- 
micerio di  s.  Marco,  e  giurò  fedeltà  e  ub- 
bidienza a  Lorenzo  111  patriarca  di  Gra- 
do, il  cui  successore  Egidio  celebrando 
nella  festa  de' ss.  Ermagora  e  Fortunato 
del  1297  il  concilio  provinciale,  v*  inter- 
venne con  altri  vescovi.  Poi  a'20  febbraio 
i3o3  fu  traslocato  alla  sede  di  Novara, 
d'onde  passò  a  quella  di  Trento. —  Nello 
stesso  giorno  di  tal  traslazione  venne  e- 
letto  37.°vescovofr.  Ramperto  Polo  do- 
menicano bolognese,chiamato  nmeLam- 
berlo  ed  Alberto  de*  Primadisi,  premu- 
rosissimo del  buon  ordine  e  della  osser- 
vanza dell'  ecclesiastica  disciplina,  e  ze- 
lante conservatore  de*  diritti  del  suo  ve- 
scovato, formò  un  catalogo  di  tutte  le 
sue  rendite,e  delle  costumanze  vigenti, 
perchè  si  avessero  a  mantenere  nell'av- 
venire; ed  è  la  raccolta  chiamata:  Ca» 
tastico  del  vescovo  Ramperto.  Egli  è  Io- 
dato dagli  annalisti  domenicani  qual  va- 
lente scrittore,  e  sono  riputate  opere  di 
lui  un  Apologelìcum  ed  uno  Speculimi. 
S'ignora  l'epoca  precisa  della  morte  del 
prelato.AIcuni  scrittori,  non  antichi,  rac- 
contano, che  un  vescovo  Castellano,  di  cui 
tacciono  il  nome,  donò  alcune  decime 
mortuarie  alla  parrocchia  di  s.Pantaleo- 
ne  (se  ciò  è  vero,  potrebbe  essere  stato  il 
vescovo  Moro),  di  cui  era  stalo  pievano; 
che  il  vescovo  Ramperto  non  volle  rico- 
noscere la  concessione,  perchè  offendeva 
le  ragioni  de' successori,  e  portatosi  in 
occasione  d'un  funerale  ad  esigere  le  de- 
cime a  lui  dovute,  nel  furore  popolare  vi 
rimase,  ucciso, cioè  perì  miseramente  op- 
presso dalla  furia  del  popolo  tumultuan- 
te, nel  sito  detto  Malcanton,óa\  funesto 
caso.  Altri  anche  soggiungono,  che  molti 
abitanti  di  Castello  siano  furiosamente 
corsi  as.Pantaleone  per  vendicare  l'ucciso 
prelato,  e  che  il  popolo  della  parrocchia, 
assistito  da  quello  di  s.  Nicolò  de'iVIen<Ji- 
coli,  abbia  loro  opposto  valida  resistenza; 
che  gli  uni  e  gli  altri  azzufFaronsi  rabbio- 
samente, entrambi  ingrossati  da'  popoli 
delle  circostanti  parrocchie,  e  che  da  que- 


VEN 
sto  abbiano  avuto  origine  i  due  notissimi 
partiti  de' Castellani  e  de' IVicolotti  (al- 
tra origine  di  tali  fazioni,  e  più  probabi- 
le, la  narrai  nel  vol.XCI,p.  368  e  altro- 
ve), ne'  quali  poi  si  divisela  popolazio- 
ne bassa  di  Venezia.  Il  Corner  ancora  , 
reputa  favola  tal  volgar  tradizione,  ta- 
ciuta da'più  sinceri  e  accreditati  scrittori 
delle  cose  venete,  tanto  più  che  da  alcu- 
no di  poco  credito  viene  lo  stesso  riferito 
deH'8.°  vescovo  Lorenzo  delP88o,come 
già  dissi.  Pare  morto  fr.  Rai»  per  to  nel 
i  3o8,  poiché  si  ha  documento  che  la  se» 
de  era  già  vacante  a' i4  febbraio  i3og, 
per  esserne  vicario  capitolare  Francesco 
da  Barberino  ;  mentre  nel  seguente  1 3  i  o 
lo  era  Jacopo  pievano  di  s.  Fantino  ,  il 
quale  condannò  all'  esilio  del  placitum 
futuri  episcopi  Castellani ,  alcuni  cano- 
nici, pievani  e  chierici,  per  avere  preso 
parte  alla  famosa  congiura  di  Baiamonte 
Tiepolo,  che  narrai  nel  §  XIX,  n.  12.  — 
Nel  3i  maggio  1 3 1 1  venne  eletto  38.° 
vescovo  Galasso  de*  conti  Alberimi  da 
Prato,  nipote  del  famoso  cardinale  Nicolò 
di  Prato,  da  Clemente  V  di  cui  era  sud* 
diacono,  grato  allo  zio  da  cui  principal- 
mente dovea  riconoscere  il  papato,  e  di- 
cesi apertamente,  benché  italiano,  colla 
deplorabile  condizione  di  stabilire  in 
Francia  la  residenza  pontifìcia;  per  cui 
Filippo  IV  il  Bello,  già  scomunicato  da 
Bonifacio  Vili  e  da  Benedetto  XI,  im- 
mediati predecessori  di  Clemente  V,  per 
vincere  il  partito  a  di  lui  favore  profuse 
molto  oro.  Quanto  a  Galasso,  trovandosi 
in  Avignone  presso  il  Papa,  ivi  mori  nel 
seguente  giugno,  senz'essere  stato  consa- 
grato. Laonde  Clemente  V,  nello  stesso 
mese  gli  sostituì  per  3g.°  vescovo  di  Ca- 
stello, il  fratello  Jacopo  Alber tini  da  Pra- 
to, parroco  del  borgo  di  s.  Lorenzo,  cospi- 
cua terra  della  diocesi  fiorentina,  la  cui 
ordinazione  si  protrasse  al  marzo  i3i6 
o  nel  principio  del  i3iy,  e  finalmente  si 
recò  alla  sua  chiesa  nell'ottobre  i3i8,a- 
Vendola  fatta  governare  da'  suoi  vicari 
nella  sua  assenza,incoutrato  sino  a  Me- 


VEN  n5 

stre  dal  clero  «ecolare  e  regolare.  À  suo 
tempo  insorsero  questioni  sul  quarto  di 
quarta  parte,  il  quale  per  l'addietro  so- 
leva darsi  al  vescovo,  per  le  fabbriche  e 
riparazioni  della  cattedrale  di  s.  Pietro; 
e  sembra  che  fossero  rilevanti, per  l'in- 
tervento del  governo,  per  cui  nel  consi- 
glio de'Pregadi  si  decretò,  chequel  quar- 
to in  avvenire  si  consegnasse  a'  procu- 
ratori di  delta  chiesa,  peri  suoi  ristami 
ed  ornati ,  col  consenso  del  vescovo. 
Quanto  poi  al  quarto  di  quarta  parte  , 
di  cui  aveva  disposto  il  sinodo  1 229,  per- 
chè fosse  consegnato  al  vescovo  per  di- 
stribuirlo a  poveri,  il  Pregadi  l'abolì,  or- 
dinando che  tutta  intera  la  quarta  par- 
te appartenente  a'poveri  andasse  distri- 
buita nella  contrada  rispettiva.  Esisto- 
no molte  memorie  della  residenza  del 
vescovo  in  Venezia  sino  e  inclusive  al 
1327  ;  indi  partì  per  Roma,ove  si  die  al 
partilo  ghibellino  dello  scismatico  Lodo- 
vico V  il  Bavaro,  scomunicato  da  Gio- 
vanni XXII  per  aver  assunto  l'impero, 
senza  l' assenso  della  santa  Sede,  men- 
tre altri  elettori  dell'  impero  aveano 
nominato  Federico  il  Bello  duca  d'Au- 
stria, e  poscia  si  recò  a  Milano  ad  a- 
speltare  il  principe.  Il  Bavaro  dopo  ave- 
re ricevuto  da  lui  e  da  altri  vescovi  la  co- 
rona di  ferro  in  MiIano,portatosi  in  Roma 
nel  i328  per  essere  coronato  imperato- 
re, vi  trovò  l'interdetto  fulminato  in  Avi- 
gnone dal  Papa, e  nondimeno  favorito  da' 
ghibellini, acclamato  re  de'romani  e  sena- 
tore di  R.oma,  indi  a'  1 7  gennaio  nella  ba- 
silica Vaticana  si  fece  consagrare  dal  ve- 
scovo Albertini,  e  da  Gherardo  Orlaudini 
vescovo  d'Aleria  io  Corsica,  imponendo- 
gli la  corona  Sciarra  Colonna  capitano 
del  popolo  romano,  a  nome  di  questo, 
assistito  da  4  sindaci  a  ciò  deputali.  Già, 
saputasi  da  Giovanni  XXII  in  Avigno- 
ne la  coronazione  di  Milano,  avea  sco- 
municato e  deposto  dal  vescovato  l' Al- 
bertini nel  novembre  1 327,  sentenza  che 
fu  letta  solennemente  nella  cattedrale  di 
Castello  a'6  dicembre.  Quindi  il  Bava- 


i.O  VEN 

io,  nel  di  dell'Ascensione  a' 12  maggio, 
creò  antipapa  l'eretico  ammogliato  e  (Va- 
te apostata  Nicolò  V  ;  e  tosto  Nicolò  da 
Fabriano  recitò  uu  sermone,dopo  il  qua- 
le il  vescovo  di  Castello  Albertini  (the 
molti  storici  dicono  di  Vinegia),  doman- 
dò 3  volte  al  popolo  romano  se  accetta- 
va per  Papa  l'eletto  dall'imperatore,  e 
rispondendo  tulli  di  sì,  fu  fatto  il  decre- 
to dell'elezione.  Allora  l'antipapa  colle 
sue  mani  coronò  di  nuovo  Lodovico  V, 
creò  alcuni  anticardinali,  fra'quali  l'Al- 
bertini  (l'Ughelli  aggiunge,  et  in  Germa- 
nia legatus  missus,  misere  vilam  li- 
quii),  e  tutti  poi  presi  a  sassate  da'  ro- 
mani, fuggirono  a  Todi,  a  Pisa,  e  si  spar- 
pagliarono. —  Restata  vacaute  la  sede 
castellana,  Giovanni  XXI I  a'  1 5  gennaio 
1 329  elesse  4o.°  vescovo  il  canonico  del- 
la cattedrale  angelo  I Delfino,  che  nello 
stesso  anno  tenne  il  sinodo,  vi  fece  utili 
discipline,  massime  dirette  a  regolare  il 
disordine  de'beuefìciati,  che  non  risiede- 
vano nelle  rispettive  case  e  non  interve- 
nivano a' divini  uffizi.  Noterò,  che  nelle 
chiese  di  Venezia,  oltre  le  frequenti  pre- 
diche, eran vi  anche  i  semplici  lettori  de'li- 
bri sagri  e  de'Padri, delti  Paterici.  In  det- 
to anno  l'arcivescovo  di  Ravenna,  per  de- 
legazione apostolica, ridusse  a  dodici  i  ca- 
nonici della  cattedrale  di  s.  Pietro,  com- 
prese le  3  dignità  diarcidiacono,  arciprete 
e  primicerio.  Nel  seguente  1 33o,  Angelo, 
cogli  altri  vescovi  suffraganei,  assistè  al  si- 
nodo provinciale  radunato  da  Domeni- 
co V  patriarca  di  Grado.  Nel  1  332  con- 
cesse a' suoi  canonici  la  metà  delia  por- 
zione di  decima,  a  lui  appartenente,  di 
tutti  coloro  che  fossero  morti  fuori  di 
città.  Mori  a'  19  agosto  1 336.  — •  A'  27 
agosto  stesso,  a  pieni  voti  dal  senato  fu 
eletto  4*-°  vescovo  Nicolo  I  Morosìni, 
veneto.  Neil 338  Benedetto  Xll  da  Avi- 
gnone l'incaricò  a  recarsi  in  Padova,  ed 
assolverla  dall'interdetto,  a  cui  era  stata 
sottoposta  nella  signoria  degli  Scaligeri. 
Fra*  suoi  vicari  generali,  eh'  ebbe  nelle 
assenze,  vi  fu  Jacopo  vescovo  d'Avello- 


VEN 
na  o  Aulona,  e  Stefano  vescovo  di  Tiro. 
Da  alcuni  anni  erano  tornale  in  campo 
l'antiche  questioni  sulle  decune  mortua- 
rie, e  queste  con  tanto  più  di  calore  si 
riaccesero,  perchè  molto  danno  ne  avea 
soflerto  il  clero,  per  la  Gerissi  ma*,  peste 
che  nel  declinar  del  1  347  e  neh  348  a- 
vea  desolato  Venezia.  I  preti  si  mostra- 
rono di  soverchio  interessati,  non  ostan- 
te la  pubblica  calamità,  con  malconten- 
to de'  fedeli,  poiché  in  parecchie  fami- 
glie erano  periti  padre,  figli  e  nipoti,  per 
cui  in  breve  tempo  in  ciascuna  di  esse  si 
conseguirono  sino  a  3  decime.  Per  tutto 
questo,  il  governo  s' intromise  in  difesa 
de'citladini,  non  essendo  riuscito  ad  altri 
mediatori  di  ricomporre  la  turbata  ar- 
monia Ira  clero  e  popolo.  Neil 348  erasi 
falla  una  composizione,  approvata  dal 
Papa  Clemente  VI,  cioè  che  la  repub- 
blica darebbe  a  tulio  il  clero  1  2,000  du- 
cati d'  oro  pel  tempo  passalo,  e  7,000 
all'anno  per  l'avvenire.  Ma  dopo  qual- 
che mese,  il  vescovo  e  il  clero,  fatto  cal- 
colo della  quantità  di  persone  morte  di 
peste,  si  reputarono  di  troppo  defrauda- 
ti ne'  loro  diritti  della  decima  ;  perciò 
rinnovate  le  loro  querele  al  senato  e  al 
Papa,  ottennero  1'  annullamento  della 
composizione,  e  che  ne  fosse  falta  altra, 
e  lo  fu  a'2  3  agosto  1 35o  ;  che  in  sostan- 
za accordò  il  compenso  di  28,000  ducati 
d'oro  a  tutto  il  29  giugno  1349,  dopo  ^ 
qual  giorno  rientrassero  ne' loro  diritti, 
con  far  l'antica  divisione.  Ciò  non  tron- 
cò le  questioni  che  insorgevano  alla  mor- 
te de'citladini,  nell'esigere  il  clero  1*  in- 
ventario, onde  trarsi  la  decima  che  gli 
competeva,  il  che  alterava  la  pubblica 
tranquillità.  Di  queste  questioni,  e  del- 
la parte  presane  dal  governo,  ne  ragiona 
pure  il  prof.  Romanin,  nella  Storia  do- 
cumentata di  Venezia,  t.  3,p.  1 6 1  e  seg., 
sino  al  componimento  della  controver- 
sia, non  senza  osservare:  »  Già  abbiamo 
notato  come  il  sentimento  religioso,  on- 
d'erano  fin  da  principio  animati  i  fug- 
giaschi all'Isole,  iu  que'tempi  di  sciagu- 


V  E  N 

ve  divenire  poi   ereditario  e  tradiziona- 
le fra'  veneziani,  onde  quell'  ardore  che 
metteva  ciascuna  famiglia  e  ciascuna  con- 
trada nell'erigere  chiese.cappelle, altari  al 
proprioSanto;  e  quelle  pieconfraternite,e 
le  processioni,  e  le  pompe  tuttedelculto,e 
il  gran  numero  de'conventi, e  l'accoglien- 
za che  in  Venezia  trovarono  tutti  gli  or- 
dini monastici.  Però  il  governo,  uel  tem- 
po stesso  che  largheggiava  nelle  dimo- 
strazioni di  pietà,  volle  riservarsi  il  dirit- 
to di  regolare  le  cose  del  clero  aventi  re- 
lazione collo  stato,  specialmente  in  quan- 
to concernevano  la  possessione  d'immo- 
bili e  di  tutelare  gl'interessi  de'cittadini  ... 
Mei  libro  Spiritus,  leggesi  il  decreto  de' 
21   maggio 1 347,  che  riferendosi  ad  altro 
piìi  antico,  col  quale  si  vietava  di  lascia- 
re i  beni  immobili  per  suffragio  dell'ani- 
ma o  per  cause  pie  per  oltre  un  decennio, 
solo  concedendo  che  si  fabbricassero  chie- 
se e  ospedali;  or  notava  essersi  questi  più, 
ilei  bisogno  aumentati,  e  siccome  per  la 
smania  di  costruirne  di  nuovi,  si  trascu- 
ravano i  vecchi,  ordinava  non  si  potesse- 
ro erigere  altri  spedali  e  monasteri  ,  se 
non  con  licenza  de'6  consiglieri,  de'3  capi 
della  Quarantia,  di  35  di  questa  e  3  par- 
ti del  maggior  consiglio".  Neil 35 1  Cle- 
mente VI  commise  al  vescovo  Morosiui 
di  trattar  la  pace  tra  le  repubbliche  di 
Venezia  e  di  Genova,  colla  lettera  Ama- 
ra nobis  est  discordia gravis,  presso l'U- 
ghelli,  p.1279.  Indi  nel  1 354  ottenne  da 
lunocenzo  VI  la  conferma  del  diritto  sul- 
le decime,  colla  bolla  Exhibìta  nobis>  e- 
gualcente  riferita  a  p.  1280  dall'Ughel- 
li.  Neh  355  il  vescovo  fu  incolpato  reo  di 
gravi  scandali,  e  il  senato  castigò  i  com- 
plici col  carcere.  Di  che  adontatosi  Moro- 
siui, neh  356  si  recò  in  Avignone  ad  ac- 
cusare ad  Innocenzo  VI  il  governo,  d'a- 
ver violala  l'immunità  ecclesiastica.  Ma 
il  doge  Giovanni  Delfiuo  scrisse  al  Papa, 
informandolo  minutamente  delia  condot  • 
ta  del  colpevole  vescovo,  e  del  contegno 
del  senato;  le  quali  informazioni  indusse- 
ro Innocenzo  VI  a  tenerlo  lontano  dalla 


VEN  117 

sita  sede  per  ben  io  anni;  ed  intanto  la 
diocesi  fu  amministrata  da'vicari  genera- 
li, l'ultimo  de*  quali  fu  Luca  vescovo  di 
Cardica.  Ritornò  il  Morosini  a  Venezia 
neh  366,  e  fu  incontrato  dal  clero;  mo- 
rendo nel  seguente  1 367  a'  1  7  febbraio. — ■ 
I)  consiglio  de' Pregadi  poste  a  scrutinio 
le  nomine  degli  8  concorrenti  che  aspi- 
vano  al  vescovato  (  !  ) ,  senz'essere  can- 
didato, da  quello  di  Corone  vi  fu  traslato 
il  veneto  Paolo  Foscari ,  42-°  pastore, 
che  a'7  maggio  1367  ne  prese  possesso. 
Egli  con  più  vigore  ed  invincibile  ostina- 
zione ridestò  e  sostenne  le  questioni  per 
le  decime  mortuarie,  dichiarando  ripetu- 
tamente aver  giurato  difendere  e  conser- 
vare intatti  i  diritti  della  chiesa  e  del  cle- 
ro, avendo  ottenuto  la  conferma  della  bol- 
la d'Innocenzo  VI,  che  ne  assicurava  il 
diritto,  da  Urbano  V.  Pertanto  intraprese 
tali  atti  giurisdizionali,  che  riuscirono  mo- 
lestissimi al  doge  e  al  governo.  Sono  nar- 
rati dilfusamente  dall'ab.  Cappelletti,  ma 
io  mi  limiterò  solo  ad  accennarli.  Veden- 
do il  governo  irremovibile  il  vesco vo, de- 
cretò a'29agostoi  368:  proibizione  a  tut- 
ti, con  minaccia  di  pene,  di  pagare  in  de- 
naro o  elfetti  la  decima  al  clero,  qualora 
non  fosse  stala  dichiarata  nel  testamento 
dal  defunto,  o  non  ne  avesse  dato  licenza 
il  senato;  e  dichiarazione  di  surrettizia  la 
2.a  riduzione  ottenuta  dalla  s.  Sede.  Il 
perchè  a'3  settembre  foggi  il  vescovo  iti 
Avignone  per  sottrarsi  al  potere  del  go- 
verno e  ricorrere  al  Papa  (ma  allora  Ur* 
bano  /zera  fino  dal  giugno  1367  uel  suo 
stato  pontificio  d'Italia,  e  non  tornò  in 
Avignone  che  a'24  settembre  1370,  ove 
morì  a'  1 9  dicembre,  e  dopo  1  o  giorni  gli 
successe  Gregorio  XI.  Si  deve  tenere  pu- 
re presente,  che  il  doge  Cornaro,  sotto  il 
quale  s'inasprì  la  controversia,  morì  a' 
i3  gennaio  1  368).  Il  senato  subito  spedì 
in  Avignone  per  istruir  bene  il  Papa,  gli 
ambasciatori  Zaccaria  Contarmi  e  Daniel 
Corner,  anche  collo  scopo  della  traslazio- 
ne ad  altra  sede  del  Foscari,  e  delia  ri- 
vocazioue  della  bolla  2  3  agosto  1 35o.Tut- 


n8  YEN 

li  i  loro  sforzi  riuscirono  vani,  e  non  po- 
terono impedire  die  la  lite  fosse  portala 
avanti  al  tribunale  della  s.  Rota,  onde  il 
senato  li  richiamò  e  colmò  di  rimprove- 
ri. D'altronde  il  Papa  era  irritalissicuo  pel 
decreto  29  agosto  i368,  lesivo  enorme- 
mente l'immunità  ecclesiastica.  Pungeva 
alia  signoria  il  sapere,  che  il  vescovo,  sem  • 
pre  acerrimo,  instava  presso  il  Papa,  on- 
de si  citasse  con  pubblico  editto,  poiché 
la  citazione  per  cursore  non  poteva  effet- 
tuarsi, il  doge  Coutarini  a  comparire  in 
Avignone  dinanzi  il  tribunale  ecclesiasti- 
co,pei  cui  a  tutto  suo  potere  tentava  d'im- 
pedirlo; ed  a  tale  effetto  mandò  per  non 
zi  veneti  in  Avignone  Tommaso  Bonin- 
contro  e  Napoleone,  per  frenare  eziandio 
la  temerità  del  vescovo;  anzi  per  ottener- 
ne riulenlo  più  prontamente,  fece  par- 
tire per  Avignone  il  di  lui  padre  Giovan- 
ni Foscari,  ma  tutto  inutilmente.  Intan- 
to la  causa  fu  affidata  al  cardinal  Guido 
de  Boulogne  già  legalo  d'Italia  e  allora 
vicario  di  essa  per  l'imperatore  Carlo  IV, 
ed  egli  accordò  la  citazione  per  editto 
contro  il  doge  e  la  signoria,  il  che  riuscì 
d'inesprimibile  molestia  a  tutta  la  città. 
Perciò  il  doge  si  lagnò  direttamente  col 
Papa,  ricordandogli  i  meriti  della  repub- 
blica colla  s.  Chiesa;  supplicandolo  a  de- 
sistere dal  procedere  sì  acerbamente  cou- 
tro  di  essa,  rivocaudo  V  editto  così  gra- 
voso e  insultante  all'onore  del  nome  vene* 
ziauo.  Altrettanto  scrisse  al  cardinal  de 
Boulogne,  specialmente  contro  l'editto  di 
tanta  infamia  per  la  repubblica.  Ma  tut- 
to senza  risultati  favorevoli ,  ne  miglior 
esito  ebbe  il  carteggio  e  il  nuovo  nunzio 
veneto  Pietro  Polani  inviato  a  trattare  col 
cardinale ,  il  quale  si  lagnò  dell'asilo  da* 
lo  in  Chioggia  a  Francesco  Ordelaffo  con- 
tumace di  s.  Chiesa,  cacciato  dalle  mili- 
zie papali  da  Forlì  e  Cesena.  Al  che  fu 
risposto,  contenersi  egli  tranquillo,  ed  es- 
ser noto  a  tutto  il  mondo  la  libertà  d'a- 
silo in  Venezia.  Il  cardinale  quindi  pro- 
pose: accordasse  la  signoria  per  ragione 
delle  decime  6,000  ducati  annui  al  eie- 


V  EN 

10  di  Venezia,  e  ch'egli  avrebbe  ridotto 
il  vescovo  all'accomodamento.  Invece  il 
senato  sostenne,  non  doversi  pagar  le  de» 
cime,  se  uon  quando  e  nella  misura  che 
fossero  ordiuate  nel  testamento;  e  poi  of- 
frì 4,5oo  ducati,  frutto  di  capitale  che  a- 
vrebbe  perciò  assegnato.  Nulla  si  conclu- 
se, ed  il  Polani  tornò  a  Venezia  ,  il  go- 
verno sempre  più  inasprendosi  nel  con- 
siderare, che  pel  privilegio  delle  decime 
Venezia  era  posta  in  perpetua  servitù,  e 
tutti  i  beni  de'cittadini  venivano  ad  esse- 
re obbligati  al  clero  e  alle  chiese;  poteu- 
do  per  esso  la  città  veuir  scomunicata. 
Fu  quindi  intimato  al  padre  del  Fosca- 
ri, di  persuaderei!  figlio  a  cedere,  altri- 
menti egli  co'  figli  sarebbe  in  perpetuo 
bandito  da  Venezia  e  suo  distretto,  con 
confisca  de'beni  a  favore  del  co mu uè. Tan- 
to era  a  cuore  del  senato  il  fine  di  sì  de- 
licatissimo e  importante  affare,  per  evi- 
tare il  disonore  della  giudicatura  della 
corte  papale.  Ma  neppure  giovò  l'autori- 
tà paterna,  violentata  dalle  minacce  di 
severe  e  non  meritate  peue,  a  danno  di 
tutta  la  famiglia.  Riuscì  pure  inutile  l'in- 
vio al  Papa  dell'altro  ambasciatore  Do- 
menico Mot  osini ,  colla  detta  offerta  di 
4, 5ooducati, poiché  6e  ne  volevano  6,000. 
Frattanto  verso  il  declinar  deli  376,  par- 
tito Gregorio  XI  d'Avignone,  per  rista- 
bilire la  dimora  papale  in  Roma,  la  re- 
pubblica gl'invio  a  complimentarlo  3  am- 
basciatori, Andrea  Graden igo,  Giovanni 
Bembo  e  Zaccaria  Coutarini,  con  l'istru- 
zione a  quest'ultimo  di  rimanere  in  Ro- 
ma per  ultimare  il  doloroso  affare  delle 
decime.  L'ostinazione  però  del  vescovo 
Paolo  Foscari  facendosi  più  tenace,  mi- 
nacciò scomunicar  tutti  quelli  che  uon 
pagassero  le  decime,  e  già  l'avea  intima- 
ta per  tutte  le  parrocchie,  se  non  si  fos- 
sero pagate  pel  s.  Natale,  con  proibizione 
a'pievani  d'  amministrare  i  sagramenti, 
neppure  in  punto  di  morte,  a'morosi.  Iu 
tal  modo  s'irritava  vieppiù  il  governo,  e 
si  comprometteva  la  pubblica  libertà.  Fi- 
nalmente il  vescovo,  a  vendo  seguito  Gre- 


VEH 

goi io  XI  in  Roma,  ivi  morì nel  1376 (for- 
se more  veneto ,  giacche  è  positivo  che 
Gregorio XI  fece  il  suo  ingresso  in  Roma 
a'17  gennaioi377),  e  fu  tolto  ogni  osta- 
colo alla  riconciliazione  della  repubblica 
colla  Chiesa,  e  composte  le  differenze. — 
Nello  stesso  auno  (11131377)  fu  43.°  ve* 
scovo  Giovanni  IV  Piacentini  parmigia- 
no, già  vescovo  di  Cervia,  di  Padova  e  di 
Orvieto.  Egli  tosto  dichiarò  non  voler 
punto  sostenere  la  pendente  spinosa  lite, 
e  affidarsi  alla  discrezione  del  governo. 
Fu  allora  dunque  decretato,  di  stabilire 
5,5oo  ducati  annui  da  dividersi  a  tenore 
delle  costituzioni  ecclesiastiche  venete,  tra 
il  vescovo,  il  clero  delle  parrocchie,  la 
fabbrica  delle  chiese  ed  i  poveri;  al  qual 
componimento  Gregorio  XI  di  buou  gra- 
do aderì,  eziandio  che  il  vescovo  ritiras- 
se la  quota  spettante  al  predecessore.  Co- 
sì terminò  la  lunga  e  acerba  controver- 
sia, che  tenne  per  tanti  anni  agitati  gli 
animi,  non  interrotta  neppure  dalla  stre- 
pitosa guerra  contro  Genova,  descritta 
in  detti  e  successivi  anui  nel  §XlX(e  sic- 
come ne  fu  pure  cagione  la  primazia  sul 
mare  Adriatico,  mi  sia  lecito  qui  aggiun- 
gere sugli  stamponi,  la  notizia  d'uu'opera 
relativa,  annunciata  dalla  Civiltà  Catto- 
lica de' 2  aprile  1859,  Del  diritto  de'  ve- 
neziani e  della  loro  giurisdizione  sul  ma- 
re Adriatico;  opera  del  giureconsulto  di 
Mar  ostie  a  e  Vicenza  Angelo  Matteazzi, 
1 .  professore  di  Pandette  nell'universi- 
tà Patavina  nel  secolo  XVI j  ripubbli- 
cata, voltata  in  italiano  e  commentata 
da  Leonardo  Dudreville,  dottore  e  mae- 
stro in  ambo  le  leggi  ed  avvocato  del  foro 
veneto, Venezia  tip.  dellaGazzetta  ufficiale 
1 8  58);  e  si  ristabilì  la  tranquillità  e  la  con- 
cordia tra  il  clero  e  il  governo.  Gregorio 
XI  morì  a'28  marzo  1 378,6  dopo  1 1  gior- 
ni gli  successe  Urbano  VI,  contro  il  quale 
insorse  l'antipapa  Clemeule  VII  a'20  set- 
lembre,che  recatosi  in  Avignone,  vi  stabi- 
lì una  pestilente  cattedra  e  fu  cagione  del 
grande,  lungo  e  funestissimo  Scisma  di 
Occidente,  nel  quale  vescovi  e  fedeli  §i  di- 


VEN  119 

visero  nella  vera  Ubbidienza  di  Roma  e 
nella  falsa  d'Avignone.  Questa  2."  fatal- 
mente abbracciò  il  vescovo  Piacentini  nel- 
lo stesso  13780  partì  da  Venezia,  proba- 
bilmente cacciatovi.  Nondimeno  conser- 
vò qualche  relazione  colla  chiesa  castel- 
lana, o  almeno  continuò  a  percepire  an- 
che neh  379  le  sue  rendite.  Del  che  fau- 
no prova  le  parole  della  carta  circa  il  ri- 
cevimento della  decima  pagatagli  da'pro- 
curatori  di  s.  Marco,  che  per  l'accordo 
ne  aveano  assunto  l'incarico:  Rev.  P.  D. 
Joannem  Deielapostolicae  Sedis  grati  a 
episcopum  Caste l lamini  etc.  Egli  in  que- 
sto tempo  era  stato  spogliato  del  vesco- 
vato per  sentenza  d'Urbauo  VI,  la  cui  e- 
secuzioue  intimata  dal  priore  de'ss.  Gio- 
vanni e  Paolo,  fr.  Nicolò  da  s.  Giuliano 
domenicano,  qual  commissario  apostoli- 
co, pe'3o  dicembre  1378,  pare  che  avesse 
esecuzione  nel  seguente  anno.  L'antipapa 
nel  1 385,  benché  absensa  Curia,  lo  creò 
auticardinale  prete  di  s.C\i'iaco,voluitque 
appellari  Cardinalis  Venetiarum,  leg- 
go nell'Ughelli,  denominato  anche  Loia- 
bardus.  Alla  morte  dell*  antipapa  ,  nel 
1394  entrò  nel  pseudo  conclave  d'  Avi- 
gnone per  l'elezione  dell'antipapa  Bene- 
detto XI  li,  nella  cui  falsa  ubbidienza  mo- 
rì. Avendone  parlato  nel  voi.  Ili,  p.  214» 
chiamandolo  francese,  vescovo  castella- 
nense  nel  Belgio,  vanno  soppresse  quel- 
l'erronee parole,  che  ricavai  dall'  opera 
classica  del  p.  Ciaecouio,  Vitae  Cardina* 
lium,  t.  2,  p.  682,  ove  si  legge:  natione 
gallimi,  Episcopus  Castellami,  Castel* 
lum  urbs  est  Galliae  Belgicae,vita  mi' 
gravit  die  9  maii  anno  i^o^  Nota  l'ab. 
Cappelletti,  che  in  alcuni  rass.si  trova  re- 
gistrato il  vescovo  Giovanni  Amadeo,  in 
luogo  di  Giovanni  Piacentini,  e  lo  si  di- 
ce veneziano.  Quindi  egli  esser  d'avviso, 
sebbene  vi  sia  errore  quanto  al  dirlo  ve- 
neziano, non  abbiasi  a  crederlo  diverso 
dal  Piacentini,  il  quale  forse  portava  il 
2.0  nome  di  Amadeo.  Nou  mi  dispiace  la 
spiegazione,  e  forse  mi  farebbe  venire  il 
sospetto  che  fosse  quel  cardiual  Amadeo 


no  VEN 

veneziano,  riportato  dagli  scrittori  de'car- 
dinali,  e  che  invece  io  trovai  essere,  l'at- 
tribuito a  lui,  in  buona  parie  proprio  di 
Giovanni  Crisolini  d'Amelia,  come  notai 
nel  voi.  LXXXVI,  p.  28,  e  ricordai  in 
quest'articolo  nel  voi.  XCI,  p.  391.  Quel 
dirlo  l'Ughelli,  voliti /gite  appellati  Car~ 
dina  li$  Venetiantm,  potrebbe  compen- 
sare al  difetto  della  patria  ,  essendo  egli 
parmigiano.  Il  p.  Affò ,  Memorie  degli 
scrittori  e  letterali  Parmigiani,  t.  2,  p. 
G5,  ragionando  di  Bartolomeo  Piacenti- 
ni, fa  pur  cenno  del  nostro  Giovanni,  de 
suoi  vescovati  e  anlieardinalato,  e  cita  va* 
ri  scrittori  che  ne  parlarono.  Meglio  im- 
paro dal  Colle,  Storia  dello  studio  di  Pa- 
dova, t.  2,  p.  1 47,che  il  vescovo  Giovan- 
ni era  fratello  del  celebre  professore  Bar- 
tolomeo, e  stato  anche  canonico  e  poi  ar- 
ciprete di  Padova,  e  quando  fu  rimosso 
dal  vescovato  patavino  fu  nominato  arci- 
vescovo di  Patrasso,  e  quindi  veneto  ve- 
scovo di  Castello,  cacciato  e  anticardi- 
nale. Ma  l'ommissione  del  passaggio  dal 
titolo  di  Patrasso  alla  sede  d'Orvieto,  la 
leggo  corretta  nel  p.  Valle,  Storia  del 
duomo  d'Orvieto,  p.  4°-  l  riferiti  scrit- 
tori semplicemente  lo  chiamano  Giovan- 
ni. D'altronde  ilCiacconio  nella  sua  dot- 
ta opera,  prima  dell' anticardinale  Gio- 
vanni Piacentini,  già  a  vea  parlato  del  car- 
dinal Giovanni  arcivescovo  di  Corfù,che 
Cardella,  Novaes  e  altri  cognominarono 
Amadeo  e  dissero  veneziano.-^Poco  do- 
po la  deposizione  del  Piacentini,  44«°ve"" 
scovo  fu  nel  1 379  il  veneto  Nicolo II  Mo- 
rosini  arcidiacono  della  cattedrale  e  pro- 
fondano apostolico,  ma  nello  stesso  an- 
no mori  a'24  novembre.  — Pochi  giorni 
dopoeneli379divennevescovo45.°della 
patria  il  celebre  Angelo  II Corraroo  Cor- 
rer, il  quale  tardò  a  venire  alla  sua  sede 
per  trovarsi  allora  occupato  nella  lega- 
zione apostolica  del  Piceno  (non  lo  no- 
mina il  Leopardi,  nella  Series  Reclores 
Alarchiae,  se  non  nel  i4o5-o6  Vicarius 
Vonlificis  e  cardinale  di  s.  Marco),  e  pa- 
re che  facesse  il  suo  ingresso  0  ne  preu- 


VEN 
desse  possesso  a'22  novembre i38o.  To- 
sto tenne  il  sinodo  diocesano,  da' fram- 
menti del  quale  rilevasi  la  costituzinne,che 
vieta  di  celebrare  due  messe  in  un  gior- 
no a  chiunque,  e  quella  che  condanna  al- 
le carceri   il  chierico  e  la  monaca   ince- 
stuosi. Governò  poco  più  d'un  decennio 
la  chiesa  castellana,  poi  fu   trasferito  al 
patriarcato  di   Costantinopoli  ,  nel  qual 
tempo  ebbe  in  commenda  il  vescovato  di 
Calcide  e  anche  la  sede  arcivescovile  di 
Corone,  nel  i4o5  fu  creato  cardinale  e 
nel  seguente  Papa  col  nome  di  Gregorio 
XII,  laonde  molto  ne  ragionai,  anche  in 
quest'articolo  nel  §  XIX  alla  sua  memo- 
rabile epoca  di  scisma  e  di  turbolenze.  — 
Trasferito  appena  il  Correr  al  detto  pa- 
triarcato,nel  1  390  i  canonici  diCastello  do- 
mandarono per  46."  pastore  il  venetoG  zo- 
vanni  V  Loredan,  primicerio  di  s.  Mar- 
co, e  l'  ottennero  per  pochi  mesi,  poiché 
a'2  1  novembre  fu  traslocato  alla  sede  di 
Capodistria.  Intanto  per  Venezia  fu  de- 
stinalo amministratore  il  cardinal  Cosi- 
moMigliorati(<\\  Sulmona,  e  poi  nel  i4o4 
Papa  Innocenzo  VII ' ),  il  quale  ebbe  a 
suo  vicario  Antonio  de'  Belanciui  pievano 
di  s.  Toma,  o  forse  fu  amministratore  nel- 
la vacanza  della  sede  dell'uno  o  dell'  al- 
tro de' due  vescovi  successori  del  Lore- 
dan.— Neh  391  da  Modone  passò  a  que- 
sta sede  il  veneto  Francesco  IFalier  47.° 
vescovo,  e  vi  giunse  a'  3  luglio,  morendo 
poi  a'2 7  marzo  1392.  —  Un  mese  dopo, 
a'29  aprile,  48.0  vescovo  fu  eletto  Leo- 
nardo Delfino  veneziano,  già  canonico 
cantore  di  Modone,  e  successivamente  de- 
stinalo al  vescovato  di  Jesolo,  quindi  nel 
i385  vescovo  d'Eraclea  e  nel  1387  arci- 
vescovo di  Creta.  Convocò  nel   maggio 
1396  il  sinodo  diocesano,  di  cui  se  ne  sa 
solo  la  notizia.  Per  la  coronazione  del  do- 
ge Steno,  pronunziò  orazione  gratulato- 
ria, e  dal  medesimo  fu    tosto  invitato  a 
ricevere  col  consueto  ceremoniale  l'inve- 
stitura del  vescovato.  Ma  siccome  erano 
passati  9  anni  senza  essersi  mai  soggetta- 
to a  lai  cereuiouia,  e  continuando  a  ricu- 


VEN 
sorsi,  il  doge  e  il  senato  ottennero  la  sua 
remozioiie  da  Bonifacio  IX,  il  quale  a'q 
giugno  j4oi  lo  trasferì  al  titolo  di  patriar- 
ca d'Alessandria,  finche  nel  i  4o8  fu  rista- 
bilito nell'arcivescovato  di  Creta  o  Can- 
dia,  sino  allora  avendo  dimorato  in  Ve- 
nezia, probabilmente  nella  casa  pater- 
na.—  A'27  luglio  1 4o  i  Bonifacio  IX,  a 
istanza  del  doge  e  del  senato,  dichiarò 
49. °  vescovo  patrio  Francesco  II Bem- 
bo ,  e  perchè  non  si  rinnovasse  V  abuso 
del  suo  antecessore,  il  doge  non  tardò  a 
dargli  la  temporale  investitura  del  vesco- 
vato, la  formalità  rilevandosi  dal  seguen- 
te documento.»  i4oi  i4  septembris.  In- 
diclione  X.  Reverendus  Pater  Dominus 
Franciscus  Bembo,  Dei  et  apostolicaeSe- 
dis  gratia  Episcopus  Casteìlanus  persona  - 
liter  ad  ecclesia  ni  s.  Marci  se  contulit,  et 
fuit  in  missis  cum  illustrissimo  Domino 
Domino  Michaele  Steno  Dei  gratia  inclito 
Duce  Venetiarumetc.  et  completo  Credo 
in  unum  Deum  accessit  idem  d.  Episcopus 
cum  venerabile  viro  Joanne  Lauretano 
primicerio,  et  aliquibus  ex  capellanis  di- 
claeecclesiaeseu  capellae  s.  Marci  ad  alta- 
re s.  Marci, et  ibi  stante  genuflexodictod. 
Episcopo,  idem  d.  primicerius,  dixit  ali- 
qua  verba  quae  in  elleclu  fuerunt,  et  ipse 
primicerius  nomine  et  prò  parte  praefa- 
ti  d.  Ducis  acceplabat  ipsum  d.  Episco- 
pum  ad  episcopatum  Castellanum  ,  et 
deinde  cantato  Te  Deum  laudamus  per 
ipsos  d.  Episcopum,  primicerium  et  ca- 
pellanos,  et  dieta  piallone  Spirilus  Sancii 
per  primicerium  suprascriptum,  idem  d. 
Episcopum  cum  praedictis  primicerio  et 
capellanis  accessit  ad  praesentiarn  prae- 
fati  d.  Ducis  ,  qui  cum  uno  annido  liga- 
to  cum  una  cordula  rubra  serici,  prae- 
senlibus  ex  nobilibus  Venetiarum  in  nu- 
mero copioso,  investiva  ipsum  d.  Episco- 
pum de  bonis  temporalibus  existeulibus 
in  ducalu  Veneliaruiu  praefato  Episco- 
po et  episcopatui  suo  spedanti  bus  et  per- 
tinentibus,prout  est  in  siroilibus  fieri  con- 
suetuin,  quibus  sic  solemniter  peractis  ad 
fiuem  missae  processimi  est  ".  11  largo  e 


VEN  121 

gioviale  vivere  de'veneziani,  che  qua  e  là 
ha  appena  toccato,  del  molto  che  ho  letto 
ne'  loro  storici  antichi  e  odierni,  portò  di 
conseguenza,  che  talvolta  non  pochi  del 
clero,  in  mezzo  a  tanti  fomiti,  si  abban- 
donarono a  riprovevoli  disordini,  e  cosi, 
diversi  de' molti  monasteri  di  monache, 
come  rilevai  uel  §  X  e  altrove,  principal- 
mente nella  lagninata  epoca  del  perni- 
cioso, ostinato  e  lungo  scisma,  che  da  per 
tutta  rallentò  la  disciplina  ecclesiastica  e 
la  osservanza  religiosa.  Quindi  nou  è  da 
meravigliare,  se  lo  storico  ab.  Cappellet- 
ti racconta,  come  in  que'deplorabili  tem- 
pi taluni  ecclesiastici  travestiti  in  abito 
secolare  si  abbandonarono  ad  ogni  gene- 
re di  misfatti,  e  poi  colti  dalla  civile  giu- 
stiziacela vano  di  sottraisene coll'accam- 
pare  il  privilegio  dell'immunità  ecclesia- 
stica; e  come  vi  pose  freno  il  già  loro  ve- 
scovo e  concittadino  Gregorio  XII ,  eoa 
lettera  de' 18  maggio  1407,  di  cui  ripor- 
ta il  seguente  brano.  «  Quod  si  quis  cle- 
ricus  deinceps  infra  ordinem  subdiaco- 
natus  consistens  tempore  crimiuis  non  de- 
ferebat  habitum  et  tonsurarti  per  men- 
seni  ante  immediate  crimen  commissum, 
si  ve  deprehensusfueritsine  habitu  et  ton- 
sura clericali,  ipso  facto,  et  quod  post 
crimen  commissum  ,  fecerit  se  insiguiri 
prima  tonsura,  et  ex  tunc  non  portaverit 
continuo  habitum  et  tonsurarti,  ita  quod 
non  appareat  clericus,  sint  onini  privilegio 
clericali  privaloet  forosaecularisubjecti". 
Terminò  i  suoi  giorni  il  vescovoBemboa'G 
settembre  1 4 1 6,  lasciando  onorevole  me- 
moria di  somma  pietà  e  di  molto  sapere.— 
Gli  sconcerti  della  Chiesa  romana,  per  Io 
scisma  avignonese  e  per  le  sue  sciagurate 
conseguenze,  che  l'agitavano,  raccontate 
in  breve  ne'n  ,i  1 6,  1  7  e  1 8  del  §  XIX,  teu- 
nero  lungamente  vedova  di  pastore  la  se- 
de castellana,  finche  Papa  Martino  V,  e« 
letto  l'u  novembre  i4!7>  tosto  appro- 
vò il  candidato  dal  senato  stabilito  sin 
dal  gennaio  dello  stesso  anuo,  per  5o.° 
vescovo,nel  nobile  veneto  Marco IIILa ri- 
do, la  cui  memoria  è  nella  cappella  d'O* 


122  VEN 

guissanti  della  basilica  di  s.  Pietro,  l'uni* 
ca  superstite  dell'aulica  cattedrale,  e  da 
lui  edificala.  Verso  la  medesima  chiesa 
fu  generoso  d'  altre  munificenze  pel  re- 
staurato tetto,  fondazione  di  due  cappel 
Ionie,  donativi  d'arredi  sagri  ec.  Premu- 
roso della  disciplina  ecclesiastica  e  della 
riforma  de'coslumi  del  clero ,  celebrò  il 
sinodo,  in  cui  decretò  utilissime  costitu- 
zioni ,  e  celebralo  per  altre  virtù  morì 
prima  de'26  gennaio  1^16.  —  Verso  il 
luglio  cessò  la  sede  vacante  colla  trasla- 
zione dall'arcivescovato  di  Creta,  del  ve- 
neziano Pietro  IV  Donalo  5 1  »°  vescovo, 
mentre  era  governatore  di  Perugia,  ove 
restò  a  comporre  i  dissidii  dell'Umbria  ; 
laonde,  e  per  essere  stato  trasferito  a  Pa- 
dova circa  il  luglio  1428,  non  venne  mai 
alla  sua  residenza.  —  A  52.°  vescovo  fu 
promosso  a' 16  luglio  1428  fir.  Francesco 
III  Malipiero,  già  abbate  di  s.  Cipriano 
di  Murano,  e  allora  arcivescovo  di  Spa- 
latro,  indi  l'i  1  maggio  1 43  3  passò  al  ve- 
scovato di  Vicenza  a  istanza  di  quel  ca- 
pitolo.—  In  tal  mese  Eugenio  IV  veneto 
dichiarò  53.°  vescovo  di  Castello,  e  fu  l'ul- 
timo, il  concittadino  s.  Lorenzo  II Già- 
stinianit  delle  cui  splendide  virtù  e  san- 
tità di  vita,  parlai  nella  biografìa,  in  va- 
ri luoghi  del  presente  articolo ,  e  nel  u. 
25,  §  XVIII,  siccome  zelante  ed  esem- 
plare priore de'canonici  regolari  di  S.Gior- 
gio in  Alga  da  altri  e  può  dirsi  anche  da 
lui  fondati,  per  l'incremento  ch'egli  die' 
alla  congregazione.  L'encomiate  doli  e  la 
sua  dottrinagli  meritarono  la  patria  cat- 
tedra, ch'egli  fece  di  tutto  per  ricusare, 
anzi  vi  oppose  resistenza  la  stessa  sua  fa- 
miglia claustrale;  ma  nulla  valse  a  disto- 
gliere il  Papa,  che  vi  avea  appartenuto, 
dalla  sua  deliberazione.  N'è  luminosa  te- 
stimonianza il  carteggio  eh'  ebbe  luogo 
su  tale  argomento  tra  Eugenio  IV,  il  san- 
to ed  i  canonici  d'Alga,  riportato  dall'U- 
ghelli  e  più  intero  dali'ab.  Cappelletti.  Il 
quale  dice  :  di  quanto  encomio  fossero 
queste  lettere  alle  virtù  e  al  merito  del 
piissimo  candidato,  si  palesano  da  se;  di 


VEN 

quanta  forza  per  costringerlo  ad  ubbidi- 
re, lo  mostrò  ben  tosto  l'elicilo.    Impe- 
rocché non  polendo  il  sauto  più  a  lungo 
resistervi,  vi  si  assoggettò  finalmente  a' 
5  settembre,  dice  il  Novaes.  Ne'quali  o- 
norevoli  e  dolci  coutrasti  s'impiegarono 
4  mesi  circa.  Il  clero  recossi  a  fargli  omag- 
gio a' 18  settembre  1 433.  Lungo  sareb- 
be il  dire  le  somme  virlù,  i  portenti  me- 
ravigliosi, la  celeste  prudenza,  di  cui  fu 
impreziosito  il  suo  pastorale  ministero,  di 
cui  distesamente  parlarono  gli  scrittori  di 
sua  vita,  che  poi  noterò,  siccome  modello 
de'  vescovi.  Bensì  va  ricordato  il  sinodo 
diocesano  da  lui  radunato,  appena  assun- 
to il  governo  di  sua  chiesa,  in  cui  molte 
cose  circa  l'ecclesiastica  disciplina  stabilì, 
e  particolarmente  le  promozioni  de'tito- 
lati  delle  chiese;  il  diritto  di  convenire 
con  patti  sulla  mercede  de'fuuerali  e  del- 
la sepoltura  de'morti,  in  luogo  delle  de- 
cime, su  cui  altre  novità  erauo  state  in- 
trodotte. Regolò  altresì  l'elezioni  de'pie- 
vani  e  molti  altri  punti  rilevantissimi.  Fe- 
ce pure  saggi  regolamenti,  di  cui  poi  ot- 
tenne la  pontificia  sanzione, sul  ministe- 
ro corale  della  cattedrale,  sulla  fondazio- 
ne del  seminario  per  1'  educazione  de' 
chierici,  sulle  promozioni  e  istituzioni  de' 
titolati  per  le  varie  chiese,  e  su  altri  pun- 
ti di  disciplina  ecclesiastica.  In  vigore  de' 
quali  regolamenti  stabili  vasi,  che  i  cano- 
nici della  cattedrale  dovessero  osservare 
la  legge  della  residenza,  e  per  facilitarne 
l'osservanza  concedeva  usi  loro  alcuni  ac- 
crescimenti nelle  rendite;  che  al  capitolo 
de'canonici  fossero  aggiunti  6  sotto  cano- 
nici, per  servire  alle  sagre  ufUziature,  3 
nell'uffizio  di  diaconi  e  3  di  suddiaconi; 
che  i  canonici  nou  avessero  a  conseguire 
e  tenere  nel  medesimo  tempo  ver  un  al- 
tro beneficio ,  legato  ad  obbligo  di  resi- 
denza, come  cure  parrocchiali  o  canoni- 
cati nella  basilica  di  s.  Marco;  che  i  ve- 
scovi di  Castello  fossero  obbligati  ad  as- 
sistere personalmente  in  cattedrale   alla 
messa  solenne  in  ogni  domenica  eiu  tut- 
te le  festività  della  B.  Vergine  e  de'ss.  A- 


VEK 
postoli;  ohe  fosse  fondato  un  collegio  ili  1 2 
chierici  poveri,  con  due  maestri  per  edu- 
carli nella  grammatica  e  nel  canto  eccle- 
siastico; che  l'elezioue  de'canomci,  decot- 
to Canonici,  de'cbierici  e  de'  maestri  ap- 
partenga, per  questa  1."  volta,  all'attuale 
vescovo  Lorenzo  11,  ed  in  seguito  al  ca- 
pitolo stesso,  il  quale  per  altro  sia  in  ob- 
bligo poi  di  presentare  al  vescovo  il  can- 
didato per  ottenere  la  dovuta  couferma; 
che  al  uiauleniuaeuto  sì  de'  chierici,  che 
de'maeslri,  sieno  stabilite  le  reudite  del 
pievanato  dis.  Gio.  Elemosinano  di  Rial- 
to e  de'3  primi  titoli  presbiterali,  che  in 
tal  chiesa  fossero  rimasti  vacanti,  e  le  ren- 
dite altresì  del  distrullo  monastero  di  s. 
Marco  in  Boccalama,  e  della  chiesa  di  s. 
Giacomo  di  Rialto,  le  quali  complessiva* 
*  mente  formavano  un  annuo  introito  di 
circa  go  ducati  d'oro.  Eugenio  IV  tutto 
confermò  colla  bolla  Injunctuni  nobis,  de' 
29  dicembre  1 44'»  presso  il  Cappelletti, 
il  quale  riporta  pure  la  bolla  Ut  igilur, 
de'  1  o  ottobre  1 442> co--a  quale  affidò  l'e- 
secuzione dell'altra  a'vescovi  di  Padova 
e  di  Treviso.  Esibisce  ancora  le  note  che 
il  s.  vescovo  nel  i45i  registrò  di  suo  pu- 
gno nel  Calastico  del  Vescovato,  che  fan» 
no  fede  della  sua  paterna  sollecitudine  e 
cura  per  le  rendite  della  sede  di  Castel* 
lo.  Ma  ormai  siamo  giunti  ad  un'  epoca 
d'iucremento  di  decoro  e  di  lustro  per  la 
s.  Chiesa  di  Venezia,  l'istituzione  del  suo 
patriarcato. 

Patriarchi  di  Venezia. 

4.  Nel  i45i  essendo  morto  Domeni- 
co VI  Michel  patriarca  62.0dfGrado,  la 
povertà  di  sua  mensa  non  comportava 
più  oltre  il  mantenimento  d'un  nuovo  pa- 
triarca, ed  il  suo  pastore  non  poteva  mai 
o  quasi  mai  recarsi  in  Grado  a  sedere 
nella  sua  cattedra,  essendo  costretto  a  di- 
morare costantemente  nell'altrui  diocesi, 
cioè  in  quella  di  Castello,  ove  sulle  10 
parrocchie  che  possedeva  in  Veuezia  eser- 
citava la  sua  giurisdizioue,  ed  anche  que- 


VEN  123 

sta  non  di  rado  contrastatogli,  mentre  in 
quella  de'  ss.  Gervasio  e  Protasio  i  pa- 
triarchi l'  esercitavano  promiscuamente 
co' vescovi  di  Castello.  Non  era  poi  lieve 
sconcio,  che  in  una  stessa  città  sedessero 
due  pastori,  ed  avessero  in  tutti  gli  angoli 
e  contrade  di  essa,  frammischiate  qua  e 
là,  le  chiese  a  se  soggette;  e  tutte,  com- 
prese le  appartenenti  al  patriarcato  grade- 
se  e  chene  formavanola  diocesi, s'intitolas- 
sero indistintamente  Castellatine  Dioe- 
cesis.  Pertanto,  considerando  tutto  que- 
sto il  glorioso  Papa  Nicolò  V,  dietro  l'i- 
stanze fattegli  dal  senato  della  repubbli- 
ca veneta  (dunque  non  è  vero,  che  il  se- 
nato temendo  che  la  dignità  patriarcale 
aggiunta  al  loro  vescovo  fosse  per  recare 
alcun  pregiudizio  al  comune,  ond'erano 
da  principio  di  ciò  malcontenti,  e  solo  si 
consolarono  quaudo  uè  videro  s.  Loren- 
zo investito,  come  narra  il  Rinaldi,  An- 
nali ecclesiastici)  an.  i45o,  u.  ig),  sop- 
presse il  vescovato  di  Castello  e  il  pa- 
triarcato di  Grado,  ne  incorporò  i  beni, 
ne  soppresse  i  titoli;  eresse  un  nuovo  pa- 
triarcato col  titolo  di  Patriarcato  di  Ve- 
nezia. Il  tutto  eseguì  colla  bolla  Regis 
aeterni)  ac  Pastori  scegli  8  ottobre  1 45 1 , 
Si  riporta dall'ab.  Cappelletti,dall'Ughel- 
li,  a  p.  1 292,  e  dal  Bull.  Rota.  t.  3,  par. 
3,  p.  68.  Quindi  Nicolò  V  ne  istituì  pri- 
mo patriarca  il  già  vescovo  di  Castello 
S.Lorenzo  I  Giustiniani.  Vedasi  Giusep- 
pe Motta,  De  Metropolitico  jure,  §184. 
Decorato  così  il  santo  prelato  del  titolo  di 
patriarca  di  Venezia  sua  patria,  intrapre- 
se il  governo  della  nuova  diocesi  patriar- 
cale, ben  di  molto  più  vasta  di  quello  che 
lo  fosse  il  primitivo  suo  vescovato.  Una 
delle  sue  prime  cure  fu  di  radunare  il  si- 
nodo provinciale,  di  cui  non  resta  che  Li- 
na lettera  di  Maffeo  Valaresso  arcivesco- 
vo di  Zara,  de'2D  aprile  i455,  nel  cui  ti- 
tolo si  legge:  Miser adone  Divina  Pa- 
triarchae  Venetiarum.  Il  quale  arcive- 
scovo, siccome  in  addietro  era  sottoposto 
al  patriarca  di  Grado,  in  quantochè  era 
questi  primate  della  Dalmazia,   così  per 


ii4  VEN 

la  slessa  ragione  dovea  dipendere  adesso 
dal  patriarca  di  Venezia,  ehe  nella  digni- 
tà priniaziale  era  succeduto  a  quello  per 
L\  recente  istituzione.  Era  stato  intimato 
il  sinodo  per  la  4-"  Setti  malia  dopo  Pa- 
tulla del  i4j5,  e  la  lettera  offre  la  dotta 
data,  e  dichiara  la  sua  impotenza  d'  in- 
terveuirvi,e  la  sua  prontezza  in  accettare 
ed  eseguire  quanto  vi  fosse  decretato.Un' 
altra  delle  cure  del  fervido  zelo  di  s.  Lo- 
renzo, pel  bene  della  sua  nuova  diocesi, 
fu  l'invocare  da  Papa  Calisto  III  la  con- 
forma di  tutto  ciò  che  Eugenio  IV  avea 
concesso  a  favore  della  cattedrale  di  s. 
Pietro,  ora  divenuta  patriarcale  e  metro- 
politana, e  de' canonici  e  sotto-canonici, 
acciocché  il  suo  nuovo  grado  non  avesse 
a  produrle  alterazione  veruna.  E  Cahsto 
111  l'esaudì  con  bolla  de'26  giugno  i455. 
Da  un'altra  bolla  dello  slesso  Papa  de' 
19  luglio, diretta  al  prolo-palriarea,  ci  è 
latto  noto  un  abuso,  contro  cui  essa  è  di- 
letta. Avveniva  in  Venezia  non  di  rado, 
che  coloro  i  quali  trovavansi  aggravati 
da  debili,  uè  aveano  il  modo  o  la  volontà 
di  pagarli,  si  ascrivevano  al  clero,  per  sot- 
trarsi quindi  dal  comparire  dinanzi  a'tri- 
buttali  civili;  la  qual  cosa  eziandio  ci  di* 
mostra  quanto  allora  fosse  religiosamen- 
te osservala  in  Venezia  la  legge  dell'im- 
munità ecclesiastica.  Ma  perchè  le  leggi 
della  Chiesa  non  devono  mai  concorrere 
a  patrocinio  della  frode,  uè  ad  ingiusto 
danno  di  altrui,  perciò  Calisto  Ili,  onde 
impedire  e  sradicare  così  enorme  disor- 
dine, comandò  al  patriarca  di  costringe- 
re ciò  non  ostante  al  pagamento  di  tulli  i 
debiti,  chiunque  per  non  pagarli  si  fosse 
arresalo  fraudolentemente  alla  milizia 
ecclesiastica.  Carico  di  meriti  e  di  virtù, 
ammirato  e  amato  da  tutli,  e  da  tulli 
pianto  e  desiderato,  cessò  di  vivere  il  s. 
Patriarca  1*8  genuaio  i456;  nel  che  gio- 
va notare, che  chi  lo  disse  morto  uel  i45»5, 
come  il  Buller  e  il  iXovaes  che  seguo,  non 
«'avvidero  doversi  calcolare  l'auno  ad 
uso  veneto,  il  quale  perciò  diventa  il 
1  \i6.  11  suo  bealo  trausito,  accompa- 


VEN 

guato  da  celesti  prodigi,  segnò  il  princi- 
pio del  culto,  che  a  lui  tributarono  i  ve- 
neziani, come  a  loro  celeste  patrono.  Im- 
perocché insorta  gravissima  dispula,  cir- 
ca il  luogo  della  sua  sepoltura,  rimase 
insepolto  per  ben  4o  giorni,  senza  dare 
indizio  di  corruzione,  anai  spirando  soa- 
vissimo odore.  Alla  quale  lite  avea  dalo 
molivoegli  stesso,  ordinando  che  il  suo 
corpo  fosse  trasferito  nell'isola  di  s.  Gior- 
gio io  Alga,  ove  avea  professato  la  clau- 
strale osservanza.  Ma  i  canonici  della  cat- 
tedrale vi  si  opposero,ed  ottennero  che  fos- 
se deposto  nella  loro  chiesa,  ove  tuttora 
si  venera  nella  cappella  maggiore,  nel- 
l'urna ove  fu  riposto  a'4  gennaio  1666. 
La  sorreggono  8  Angeli,  e  sopra  di  essa 
è  la  statua  del  Santo  in  allodi  pregare  per 
la  patria, circondato  dalle  4  statue  in  mar-  * 
mo  de'ss.  Pietro,  Paolo,  Giovanni  e  Mar- 
co. Sisto  IV  nel  1 4-7^  l'onorò  del  titolo 
di  Bealo,  16  anni  dopo  la  sua  morte, 
ordinando  il  processo  per  la  canonizza- 
tone, che  fecero  proseguire  Leone  X  e 
Adriano  VI;  e  benché  non  compito  Cle- 
mente VII  concesse  l'uffizio  e  la  messa  di 
beato  confessore,  da  celebrarsi  in  tutte  le 
chiese  del  dominio  veneto,  non  che  per- 
mise che  le  sue  immagini  si  potessero  col- 
locare nelle  chiese  di  Venezia,  purché  fos- 
sero dipinte  co'soli  raggi  e  senza  diade- 
ma, come  si  legge  nel  suo  breve,  presso 
Daniele  Rosa,  CoLlect.  leslimonior.  de  s* 
Laurentii  Justiniani)  p.  7  ;  per  cui  il 
Novaes  lo  disse  allora  propriamente  bea- 
tificato. Sisto  V concesse  indulgenza  ple- 
naria nella  sua  festa,  a  chi  visitasse  la 
chiesa  ove  si  venera  il  corpo,  e  Clemente 
VIII  nel  1598  l'estese  a  tutte  le  chiese 
della  congregazione  di  s.  Giorgio  in  Al- 
ga, e  ne  approvò  l'uffizio  proprio  di  rito 
doppio  con  8.' Nel  161 3  la  repubblica 
fece  istanza  alla  s.  Sede  perchè  si  riassu- 
messe il  processo  per  la  canouizzazione. 
Liberala  Palermo  dalla  peste  per  l'inter- 
cessione del  b.  Lorenzo,  Urbano  VIII 
glielo  concesse  per  protettore  con  l'ufli- 
fciodcl  rilo  corri  spo  udente,  $ul  breve  Ex* 


VEN 

jìoni  nobis,  de'28  febbraio  1628,  presso 
il  Cornalo,  De  Eccles.  Fcnct.}  e  il  Guer- 
ra, Epitom.  Bull.  Rom.  t.  1,  p.  82  ;  ed 
a'21  agosto  permise  il  Papa  che  il  ven. 
corpo  si  potesse  collocare  in    una  delle 
cappelle  erette  nella   metropolitana  dal 
patriarca  Antonio  1  Contarmi.  Nel  i63o 
afflitta  Venezia  dalla  peste,  ad  esempio 
de'palermitani,  ne  implorò  il  patrocinio, 
proponendosi  sollecitare  la  sua  ascrizione 
al  catalogo  de'santi,  che  la  sua  festa  fos- 
se annoverata  fra  quelle  di  palazzo,  e  in 
essa  ne  venerassero  le  sagre  ceneri  il  dogee 
il  senato, e  sulla  parete  a  destra  della  sud- 
detta cappella  Antonio  Bellucci   ne  di- 
pinse il  voto.  Finalmente  il  veneto  Ales- 
sandro Vili  a'  16  ottobre  1690  solenne- 
mente lo  canonizzò   nel  Vaticano,  indi 
Benedetto  XIII  ne  pubblicò  la  bolla  Ra- 
tioni  congruità  de'  12  gennaio  17  24,  Bull. 
Rom.t.  11,  par.   2,  p.  392.  Innocenzo 
XII  l'i  1  agosto  1691  assegnò  il  giorno  5 
settembre  per  celebramela  festa  con  rito 
semidoppio  ad  libitum,  per  essere  quel 
gioì  no  in  cui  fu  esaltato  alla  dignità  ve- 
scovile di  Castello;  ma  la  s.  congregazio- 
ne de*  riti  con  decreto  11  gennaioi752 
concesse  al  clero  secolare  e  regolare  di 
Venezia  l'ufficio  proprio  del  Santo,  asse- 
gnandone la  festa  al  giorno  8  gennaio. 
Benedetto  XIV   nello  stesso  17^2  con- 
cesse l'odierno  uffizio,  tutto  proprio,  con 
inni,  antifone,  lezioni,  responsorii  ec, 
e  messa.  Il  veneto  Clemente  XIII   con 
decreto  12  settembre  1759,  ordinò  che 
in  tutta  la  Chiesa  se  ne  celebrasse  a'  5 
settembre  l'  uffìzio  e  messa  di  precetto 
col  rito  semidoppio.  La  Vita  del  b.  Lo- 
renzo Giustiniani,  scritta  in  latino  dal  ni- 
pote* Bernardo  Giustiniani   procuratore 
di  s.  Marco,  fu  stampata  in  Venezia  nel 
i475,  ed  è  riportata  dal  Surio  agli  8  gen- 
naio; (ìa'BoUatidisiìiAct.ss.Januar.,  1. 1, 
p.  55?  ;  da  Daniele  Piosa,  Sillog.  Sum- 
nior.  Sanctissimorumaue  Ponti/,   illu- 
diti ior.  Fenetor.y  Venetiis  1614,  e  pre- 
messa ancora  alle  dotte  Opere  dello  stes- 
so santo.  Questa  vita  medesima,  di  cui  si 


VEN  125 

vede  un  compendio  nel  Bzovio  all'anno 
i453,  n.  44)  ni  tradotta  in  italiano  dal 
camaldolese  p.  d.  Nicolò  Minerbio  e  pub- 
blicata a  Venezia  nel  171 2.  In  Roma  nel 
1703  fu  impressa  :  Vita  di  s.  Lorenzo 
Giustiniano  patrizio  e  proto-patriarca 
di  Venezia.  Le  opere  del  santo,  che  dal 
p.Labbé  si  descrivono  nel  t.  i,De  Script. 
Eccles.  faro  no  stani  pale  insieme  aBasilea 
nel  i56o,  a  Lione  nel  1 586  e  nel  1628, 
a  Venezia  nel  1 606,  a  Colonia  nel  161 2 
e  nel  1675,  ed  a  Venezia  anche  neh  75 5, 
t.  2  in  fol.  per  cura  di  mg.r  Nicolò  Giu- 
stiniani benedettino  e  vescovo  di  Verona. 
Prima  che  s.  Lorenzo  lasciasse  questa  vi- 
ta, riferisce  l'ab.  Cappelletti,  che  la  re- 
pubblica di  Venezia  avea  pregato  Nicolò 
V,  prò  singulari  grafia  elcomplacenlia 
nostri  domimi.  .  ..sicut  certi  sumus  Ve- 
stram   Sanclitalem  prò  sua  singulari 
erga  nos  clementia  desiderare,  che  non 
si  riservasse  l'elezione  del  successore,  con 
istanza  del  consiglio  de'  Dieci,  che  pro- 
duce, e  ne   loda  la  sagacità  e  prudenza 
«nel  conservare  intatto  il  suo  diritto,  per 
tanti  secoli  usato,  di  eleggere  i  sagri  pa- 
stori allo  spirituale  governo  delle  diocesi 
dello  stato,  e  di  conservare  in  pari  tempo 
la  venerazione  dovuta  alla  s.  Sede  apo- 
stolica".— Maffìo  Io  Matteo  Contarmi 
II  patriarca.  Già  canonico  di  s.  Giorgio 
in  Alga  e  discepolo  del  santo  predecesso- 
re, venne  eletto  a  pieni  voti  dal  senato 
a'2  3  gennaio  i456,  indi  si  adoperò  per 
abolire  affatto  nella  sua  chiesa  l'antichis- 
simo rito  gvndesetàello patriarchino fCin 
unitamente  alla  diguità  patriarcale  e  tut- 
te le  altreprerogativedellachiesa  di  Gra- 
do era  derivato  alla  veneziana  »  seppur 
non  abbiasi  a  dire,  che  prima  ancora  di 
ciò  vi  si  osservasse  un  rito  differente  dal 
romano:  checche  ne  sia,  egli  volle  intro- 
durvi, o  forse  ripristinarvi  il  romano  ". 
Questo  rito  patria/ chino ,  lo  stesso  che 
l'aquileiese,  già  cominciato  nel  i25o  ad 
alterare  dal  vescovo  Pino,   rimosso  del 
lutto  dalla  patriarcale,le  parrocchie  de  Ila 
città  non  vi  si  adattarono  che  a  poco  a 


1*6  YEN 

poco.  Nel  suo  patriarcato  s'introduce  in 
vece  in  Venezia  il  rito  greco,  dalla  colo- 
nia greca  ivi  rifugiatasi  nel  l44^»  'topo 
l'eccidio  dell'impero  greco.  Furono  am- 
messi a  celebrare  la  messa  col  proprio 
rito  cattolico,  e  perciò  venne  loro  asse- 
gnata la  cappella  di  s.  Orsola,  presso  la 
chiesa  de'ss.  Gio.  e  Paolo  ;  e  poi  nel  1 470 
fu  ordinato  dal  consiglio  de'Dieci,  clie  ce- 
lebrassero i  sagri  riti  nella  sola  chiesa  la- 
tina di  s.  Biagio,  acciò  i  latini  potessero 
sempre  invigilare  che  i  greci  fossero  e  si 
conservassero  veramente  cattolici  ed  uniti 
alla  romana  Chiesa.  Riguardanti  questi 
greci  esistono  più  bolle -pontificie,  e  de- 
creti di  detto  consiglio  de' Dieci.  Di  so- 
pra parlai  di  loro  ne' voi.  XCl,p.  io,  290 
e  366,  XCII,  p.  219,  590,  598,  ed  in 
questo  voi.  nel  §  XX,  n.  1.  Ne  dirò  al- 
tre parole  nel  X  Datriarcato.  Mori  il  pa- 
triarca Malììo  I  a*  26  marzo  1460,  e  fu 
sepolto  nella  chiesa  di  s.  Giorgio  in  Al- 
ga, come  aveva  ordinato.  —  Andrea 
Bondimerio  o  Bondimero  o  Bundumie- 
ro  IH  patriarca.  Nel  n.  5  del  §  XVIII 
lo  celebrai  fondatore  de'  canonici  rego- 
lari di  s.  Spirito  in  isola.  A  pieni  voli  Io 
elesse  il  senato  a'7  aprile  14.60,  e  Papa 
Pio  II  ne  approvò  la  scelta  con  iscrivere 
all'eletto,  quia  tum  dignitas  haec  pa- 
triarchalisest  magnaci  qui  eam  accipit 
recognoscere  Seder»  aposlolicam  debet 
et  ab  illa  cognoscij  contentaniur  (i  voli 
del  doge  ede'cittadini),e£  in  virtutesan- 
cine  obedientiae  tibimandamustut  sinc 
mora  adnos  venias,  neque  in  hoc  excu- 
sationem  ullam  praetendas.  Ma  il  vir- 
tuoso Andrea  ricusando  la  dignità,  il  se- 
nato deliberò  di  chiamarlo  a  se  per  co- 
stringerlo ad  accettarla,  e  Pioli  gli  scris- 
se perciò  un'esortatoria  derogando  al  vo- 
to da  lui  fatto  di  restare  nel  monastero, 
ingiungendogli  d'assumere  la  cura  delle 
anime  a  lui  commesse.  A' 16  maggio  il 
consiglio  de'  Pregaci i  decretò  di  eflicace- 
mente  esortare  e  invitare  il  prelato  ad 
accettare  il  patriarcato  che  aveano  rac- 
comandalo alla  s.  Sede,  ed  il  Papa,  ad 


V  E  N 

prece*  et  supplì cationcs  nostra*  clcmen- 
ter  ad  iptam  dignitalcrn  promovit.  Co- 
stretto adunque  di  sì  forti  istanze,  ricevè 
finalmente  Andrea  la  dignità,  che  am- 
ministrò santamente.  Pubblicò  utili  co- 
sliluzioni  per  l'osservanza  della  discipli- 
na ecclesiastica,  massime  la  residenza  per- 
sonale de'beneficiati, introdusse  nell'urli- 
ziatura  la  particolare  commemorazione 
de'ss.  Ermagora  e  Fortunato,  decretò  che 
si  accendessero  lumi  sull'altare  nella  ce- 
lebrazione del  divino  sagrifizio  della  s. 
messa  (!),  ed  uno  sempre  ardesse  dinan- 
zi il  ss.  Sigramento  ec.  Per  migliorare 
lo  stato  delle  rendite  patriarcali  ottenne 
licenza  dal  Papa  di  vendere  il  palazzo  del 
patriarca  di  Grado,  adiacente  a  s.  Silve- 
stro, e  la  contigua  cappella  d'Ognissan- 
ti, per  impiegare  un  3.°  del  ricavato  a 
riparare  le  altre  case  di  ragione  del  pa- 
triarcato, e  cogli  altri  due  terzi  acquista- 
re nuovi  fondi  per  aumentarne  i  proven- 
ti; la  qual  cosa  non  ebbe  effetto,  perchè 
il  suo  successore  die'  in  vece  il  palazzo  in 
enfiteusi  alla  scuola  di  s.  Rocco.  Mentre 
era  comune  uso  di  far  incidere  nel  si- 
gillo lo  stemma  della  propria  famiglia,  il 
pio  patriarca  vi  fece  esprimere  1*  effigie 
di  s.  Andrea  e  V  iscrizione  intorno  :  Si- 
gillimi Andreae  Bondimerio  Patriar* 
chae  Venet.  Morto  a'6  agosto  1 464,  il 
cadavere  fu  trasferito  nel  monastero  di 
s.  Spirito  da  lui  fondato,  e  meritò  che 
nel  catalogo  de'Santi  e  Beati,  raccolto  dal 
patriarca  Tiepolo  un  secolo  e  mezzo  do- 
po, fosse  onorato  col  titolo  di  Beato.  — 
Gregorio  Correr  IV  patriarca.  Tre 
giorni  dopo  il  decesso  del  predecessore 
fu  scelto  con  pieni  voti  del  senato  a  suc- 
cederlo. Era  egli  pronipote  di  Grego- 
rio XII,  abbate  commendatario  di  s.  Ze- 
no di  Verona  e  protonotario  apostoli- 
co, la  cui  elezioue  il  veneto  e  paren- 
te Paolo  II  tardò  ad  approvare,  volen- 
do in  vece  che  fosse  patriarca  il  proprio 
nipote  Giovanni  Barozzi.  Al  senato  di 
già  Io  aveva  raccomandato  caldamen- 
te il  moribondo  s.  Lorenzo,  non  che  gli 


VEN 
altri  due  predecessori  Ma  (fio  e  Andrea, 
anzi  questo  avea  chiesto  che  a  lui  si  pre- 
ferisse, ma  allora  nou   volle  accettare. 
Tel  suo  merito  e  letteratura,  per  le  bei- 
le speranze  di  lui  concepite,  riuscì  ama- 
ra la  sollecita  sua  perdita  a'  ig  novem- 
bre. Fu  condotto  al  sepolcro  con  ma- 
gnifica pompa,  decorata  dall'intervento 
del  doge  e  della  signoria,  nella  chiesa  di 
s.  Giorgio  in  Alga,  nella  sontuosa  cap- 
pella da  lui  eretta,  con  epigrafe  onore- 
vole. —  Giovatimi  B  arozzi  F patriar- 
ca. Avendo  il  senato  eletto  Marco  Bar» 
bo  nipote  di  Paolo  II,  e  non  volendo  e- 
gli  accettare  la  patria  suprema  dignità 
ecclesiastica,  per  non  distaccarsi  dallo  zio, 
che  poi  lo  creò  cardinale,  nominò  in  ve- 
ce l'altro  nipote  del  Papa,  Barozzi  allora 
vescovo  di  Bergamo.  Questi  zelante  a- 
matore  della   giustizia  e  geloso  custode 
delle    leggi   ecclesiastiche,  promosse  la 
cristiana  pietà  e  P  osservanza  de*  sagri 
riti.  Concepì  il  progetto  di  trasferire  la 
cattedra  patriarcale  da  s.  Pietro  di  Ca- 
stello alla  chiesa  de'ss.  Gio.  e  Paolo,  ri- 
putandola situata  in  luogo  più.  acconcio 
e  di  magnificenza  più.  propria  all'altez- 
za di  sua  dignità  ;  ma  non  vi  riuscì,  colto 
da  morte  repentina  nel  mercoledì  santo 
1466.  —  Mqffìo  Ho  Matteo  o  Maffeo 
Gerardo  o  Girardi  FI  patriarca  e  car- 
dinaie.  Fu  eletto  nell'aprile  )466,  ab- 
bate benemerito  camaldolese  di  s.  Mi- 
chele di  Murano  e  di  maturo  consiglio. 
Questa  scelta  del  senato  presentata   per 
la  conferma  al  concittadino  Paolo  1 1,  egli 
la  disapprovò  e  in  vece  esibì  alla  signo- 
ria altri  4  prelati  nobili  veneti,  da'quali 
destinasse  il  patriarca.  Ma  il  senato  non 
costumando  rimuoversi  dalle  sue  deter- 
minazioni, si  rifiutò  d'accettare  i  propo- 
sti, laonde  le  trattative  andarono  in  lun- 
go per  vari  mesi.  Penalmente  a'3o  otto- 
bre,  per  far  cessare  i  mali  derivati  dalla 
notabile  sede  vacante,  il  senato  ingiunse 
a  Giovanni  Soranzo  e  Pietro  Morosini, 
ambasciatori  in  Roma,  di  presentarsi  al 
Papa  e  d'instare  con  efficacissime  e  gra- 


VEN  127 

vi  parole t  acciocché  fosse  appi  ovata  la 
nomina  del  Girardi,  dichiarando  che  i 
voti  di  tutta  la  città  e  dello  stesso  sena- 
to volevano  lui  a  pastore,  per  la  singo- 
lare opinione  e  per  la  grande  stima  che 
se  ne  aveva  della  virtù  e  bontà.  Le  istan- 
ze degli  oratori  sortirono  il  loro  effetto, 
poiché  il  Papa  finalmente  ne  approvò 
l'elezione  e  lo  stabilì  nella  sede  patriar- 
cale vacante.  Appena  giuntovi,  portò  su 
di  essa  quelle  virtù,  che  lo  avevano  di- 
stinto nel  monastero;  e  prima  di  ogni  al- 
tra cosa  si  accinse  a  riformare  i  costumi 
guasti  del  clero.  Al  qual  proposito,  per 
esporre  il  quadro  lagrimevolede'vizi  d'o- 
gni genere,  che  contaminavano  gli  eccle- 
siastici veneziani  di  quell'età,  il  veneto 
storico  ab.  Cappelletti  trascrive  e  offre  5 
lettere  pontificie;  due  di  Paolo  IT,  due  di 
Sisto  IV  e  una  d'Innocenzo  Vili,  scritte 
dal i468al  1487, nel  tempo  del  pastorale 
governo  di  Maffio  II,  contro  la  funesta  de- 
pravazione. La  1/  lettera  di  Paolo  II  non 
bastò  a  troncare  il  male  dalla  radice,  sog- 
gettando cioè  al  braccio  secolare  gli  ec- 
clesiastici, che  per  abbandonarsi  più  fran- 
camente a*  loro  eccessi,  si  fossero  sciolti 
dal  freno  dell'abito  loro  comandato  da' 
sagri  canoni.  Alcuni  anzi  aveano  trova- 
to il  modo  di  sottrarsi  dall'  ubbidienza 
dovuta  al  patriarca  ed  a'rispettivi  vesco- 
vi, ottenendo  da  Roma,  per  vie  indiret- 
te, esenzioni,  titoli  e  privilegi  ;  e  tanto 
s'era  inoltrato  anche  su  ciò  il  disordine, 
che  il  governo  si  trovò  costretto  a  pren- 
dervi parte  e  cercare  il  modo  di  distrug- 
gere P  abuso,  con  domandare  al  Papa 
l'autorizzazione  di  punire  i  delinquenti, 
e  Pottenue colla  2."  lettera.  Neppur  tutto 
questo  bastando,  Sisto  IV  scrisse  le  dette 
lettere  al  patriarca  sullo  stesso  argomen- 
to, e  in  vigore  di  esse,  il  suo  vicario  ge- 
nerale ebbe  facoltà  d'assistere  agli  esa- 
mi d'inquisizione  contro  gli  ecclesiastici 
accusati  d'alto  tradimento  e  di  falsifica- 
zione di  monete,  rifiutandosi  però  d'in- 
tervenire a' processi  d'altri  misfatti;  il 
perchè  reclamando  il  governo  ad  Inno- 


128 


VEN 


censo  Vili,  questi  scrisse  allo  slesso  vi- 
cario. Anche  i  religiosi  d'alcuni  conven- 
ti e  monasteri,  sotto  pretesto  di  non  sog- 
giacere alla  dipendenza  ordinaria  del 
patriarca,  tenevano  aperta  la  vi;»  a  com- 
mettere impunemente  qualunque  ecces- 
so, per  cui  il  senato  fece  due  decreti,  pu- 
re dal  Cappelletti  riferiti  cogli  altri  ri- 
cordati, acciò  se  ne  rendesse  consapevo- 
le il  Papa,  per  porvi  rimedio  e  togliere 
il  disordine.  Il  patriarca  pensò  ancora 
all'erezione  del  campanile  a  decoro  della 
basilica  patriarcale,  al  temporale  prov- 
vedimento del  clero,  pregiudicato  nelle 
decime  mortuarie  e  in  altro,  e  spesso  da' 
privilegi  de'  regolari  ;  ed  ottenne  pel  se- 
minario la  sostituzione  delle  rendite, alle 
cessate  del  ripristinato  pievano  di  s.  Gio. 
Elemosinano.  —  Nel  principio  del  pa- 
triarcato di  Ma  ilio  li,  sembra  potersi  re- 
gistrare l'unione  ad  esso  del  vescovato  di 
fu/ ni  Ha  o  Equi  Ho,  Gesolo  o  Jesolo  in 
dialetto  veneziano,  secondo  Corner.  Dissi 
alcune  parole  al  primo  di  tali  nomi,  e 
qui  ne  darò  un  cenno  col  Cappelletti.  Es- 
si sono  derivati  da'primitivi  suoi  abitari- 
ti,profughi  dalle  persecuzioni  de'barbari, 
e  nel  luogo  di  mano  in  mano  ricovrati- 
si.  Il  più  di  essi  essendo  pastori  e  guar- 
diani di  razze  di  cavalli,  dimoranti  già 
nell'agro  di  Oderzo  e  nel  basso  Friuli  ; 
ed  ecco  quindi  l'etimologia  di  Equilia  e 
di  Equilio,  e  Jesolo,  finché  in  volgare  fu 
detto  Lido  Cavallino,  col  qual  nome 
chiamasi  il  Lido,  ch'è  tra  il  porto  di  Pia- 
ve e  il  porto  di  Treporti.  Gesolo  poi  si 
nomina  la  palude  più  interna  nella  Lagu- 
na. Per  questa  doppia  denominazione  di 
Equi Ho  e  di  Jesolo  o  Gesolo,  alcuui  e  TU- 
girelli  fra  gli  altri,  riputarono  Gesolo  ed 
Equilio  due  diverse  città.  Essa  fu  consi- 
derevole e  rinomala  presso  i  veneziani, 
florida  e  forte  sino  a  poter  cozzare  per 
ben  90  anni  colla  vicina  Eraclea  o  Cit- 
tà Nova3  come  raccontai  nel  §  XIX  ne' 
primi  numeri.  Sorgeva  presso  l'antica 
foce  del  Piave  sopra  terreno  sano  e  a- 
sciutto,  divenuto  oggi  paludoso  e  deser- 


VEN 

to.  Ebbe  4.2  belle  chiese,  ricche  di  pre- 
ziosi marmi, e  selciate  n  musaico  soli.»  l'or- 
gia della  basilica  Marciana  ;  ma  verso  la 
metà  del  secolo  XV  la  città  era  all'atto 
diroccatale  mini  ta  a  frumento,  con  gros- 
se piante  di  uoci  e  di  alti  olmi.  Pochi  an- 
ni dopo  i  muri  erano  coperti  d'edere  e 
spine.  La  cattedrale  eli  s.  Maria  era  uffi- 
ciata darò  canonici,  oltre  le  dignità  del- 
l'arcidiacono e  dell'arciprete:  ricca  era 
la  mensa,  nobile  l'episcopio.  Aveva  l'o- 
spedale, il  convento  degli  agostiniani  di 
s.  Vito,  il  monastero  delle  monache  di 
s.  Giovanni,  il  celebre  monastero  bene- 
dettino di  s.  Giorgio  di  Pineto  de'  pa- 
triarchi gradesi.  L'origine  del  vescovato 
è  contemporanea  a  quella  della  città,  per- 
chè i  profughi  che  l'edificarono  vi  con- 
dussero il  clero  e  le  sagre  cose,  costrui- 
rono chiese  e  fondarono  la  cattedra  epi- 
scopale. Il  i.°  vescovo  che  si  conosca  fu 
Pietro  dell'  876,  a  cui  Papa  Giovanni 
Vili  interdisse  l'esercizio  del  sagro  mi- 
nistero per  aver  negato  il  dovuto  osse- 
quio al  patriarca  di  Grado  suo  metropo- 
litano. Poi  trovasi  Buono,  che  nel  c)5 5 
divenne  patriarca  gradese  ;  era  veneziar 
no,  come  lo  fu  Leone.  Bembo  del  io  io 
circa.  Ricorderò  r  piti  degni  di  rimarco. 
Giovanni  Gradenigo  del  1097,  poi  pa- 
triarca di  Grado.  Pasquale  neli  172  fu 
spedito  ambasciatore  a  Costantinopoli 
per  la  pace.  Felice  intervenne  neh  177 
al  sinodo  tenuto  da  Papa  Alessandro  III 
in  Venezia,  il  quale  poi  neh  180  gli  die' 
a  successore  Liviano  Fioravanle.  Mat- 
teo //nel  1220  fu  trasferito  alla  sede  di 
Costantinopoli.  Guglielmo  governò  dal 
1276  al  i3o5,  e  più  cose  si  trovano  di 
lui.  Pietro  III  Talonico  fu  vescovo  dal 
r324  al  i343,  e  fu  sepolto  in  s.  Pater- 
niano  di  Venezia,  già  sua  pievania.  Il 
successore  Marco  Bianco  veneziano, già 
notaro,  esercitò  poi  talvolta  l'antico  uf- 
fìzio, ed  Innocenzo  VI  l'elesse  giudice  in 
una  causa  tra  il  vescovo  di  Castello  e  il 
patriarca  di  Grado.  Pietro  IV  de  Na- 
tali suo  successore  nel  1 370,  già  pievano 


V  E  N 
di  ss.  Apostoli  di  Venezia,  fu  volente  rac- 
itore  di  memorie  di  santi,  che  nel  de- 
corso dell'anno  si  onorano  di  culto,  stam- 
pate a  Lione  neh  "42.  Furono  ultimi  ve- 
scovi d'Equilio  oGesolo  :  Guglielmo  IT 
del  IZJ25,  mentre  la  città  si  trovava  in 
istato  rovinoso,  Antonio  Boti  del  i442 
delegato  apostolico  di  Nicolò  V  in  Ve- 
nezia, e  Andrea  IT  Buono  o  Don  abba- 
te di  s.  Gregorio  di   Venezia,  e  vicario 
generale  del  vescovo  di  Castello  s.  Loren- 
zo Giustiniani, 3  i.°e  ultimo  vescovo. Mor- 
to nel  settembre  del  1466  non  ebbe  suc- 
cessore, benché  il  senato  avesse  nomina- 
to Alessandro  Contarmi  protonotario  a- 
postolico.  Imperocché  avendo  decretato 
Papa  Paolo  II,  per  più  ragioni  e  princi- 
palmente per  la  povertà  della  mensa,  e 
per  l;i  totale  distruzione  della  città  e  chie- 
sa d'  Equilio,  d'  unire  questo   vescovato 
alla  chiesa  patriarcale  di  Venezia,  il  se- 
nato allora  propose  il  Contarmi  al    ve- 
scovato di  llelimo.  Ciò  si  apprende  da' 
decreti  de*  1 6  settembre  e  3  ottobre  1 4^6. 
E  poco  dopo  il  Papa,  con  apposita  bol- 
la, effettuò  la  soppressione  del  vescovato 
d'Equilio  o  Jesolo,  e  I'  unione  all' arci- 
diocesi  di  Venezia. Siccome  il  vescovo  An- 
drea II  non  immaginò  che  la  sua  sede  do- 
vesse far  parte  del  patriarcato  veneto,  con 
testamento  avea  lasciato  il  pastorale,  la 
mitra  e  altri  indumenti  pontificali,  per 
uso  del  successore^ro  tempore;  de'qua- 
li  non  abbisognandone  il  patriarcato  ve- 
neto a  cui  spettavano,  Paolo  II  ordinò  a' 
12  dicembre  1466,  che  fosse  il  tutto  con- 
segnato alla  chiesa  d'  Emonia  o  Città 
Nova  nell'Istria,  e  ne  commise  l'esecu- 
zione con  suo  breve  a  d.  Bartolomeo  Pa- 
rtita abbate  di  s.  Giorgio  Maggiore.  Nel 
n.  23,  §  XVIII,  descrivendo  il  vicariato 
foraneo  di  Torcello,  dissi  della  chiesa  di 
s.  Maria  ad  Nives,  anticamente  celebre 
basilica  e  detta  Litus Equilinum  j  della 
chiesa  di  s.  Gio.  Battista  di  Cava  Zuccari- 
na,  avanzo  d'Equilio o  Jesulo;  della  chie- 
sa di  s.  Maria  del  Cavallino,  Exquilia- 
num.  Tornando  al  patriarca  camaldo- 
vol.  xeni. 


VEN  119 

lese,  informalo  Innocenzo  VIH,  detoni- 
mi meriti  di  Gerardo  (V.)} segretamente 
lo  creò  cardinale  nel  1489,  dandone  pe- 
rò parte  alla  repubblica, e  n'ebbe  ringra- 
ziamenti. Nel  1492,  alla  morte  del  Papa, 
mal  volentieri  si  recò  al  conclave,  e  ne  fu 
i.ivitato  dal   sagro  collegio,  ed  esortato 
dal  senato,  soltanto  conducendo  seco  il  ce- 
lebre Pietro  Delfino  abbate  generale  de' 
camaldolesi.  Però  nel  ripatriare,  mentre 
già  il  senato  a' losettembre  1492  avea  or- 
dinato l'incontro  solennne  del  doge  e  del- 
la signoria  col  bucintoro,  onde  onorarne 
le  virtù,  morì  in  Terni,  ed  il  cadavere 
trasportato  nella  sua    patriarcale,  sulla 
tomba  si  pose  l'iscrizione  riprodotta  dal- 
l' abbate  Cappelletti,  che   giustamente 
confuta  il  calunnioso  e  favoloso  raccon- 
to del   Ciacconio  e  del   Gariberti,  con 
documenti  e  critica.  —  Fr.    Tomma- 
so Dona  VII  patriarca.  Benemerito 
priore  de'  domenicani  di  s.  Antonio,  to- 
sto il  senato  Io  sostituì  al  defunto  ili. ot- 
tobre, ed  a'3o  l'approvò  Alessandro  VI, 
dal  quale  ottenne  di  potersi  celebrare  la 
i."  messa  del  Natale  nelle  prime  ore  not- 
turne, anziché  a  mezza  notte,  nella  pa- 
triarcale, come  per  privilegio  si  faceva  in 
s.  Marco  e  in  s.  Francesco  della  Vigna. 
Inoltre  a  lui  commise,  con  bolla  riportata 
dal  Cappelletti,  la  processola  e  punizione 
d'un  penitenziere  pontifìcio,  reo    d'alto 
tradimento,  che  il  consiglio  de'Dieci  avea 
rimesso  al  di  lui  arbitrio,  facoltizzando- 
lo  a  procedere  in  simili  casi   anche  cou 
altri  ecclesiastici.  Nel  §  VI,n.  sparlan- 
do del  capitolo  patriarcale,  dissi  quan- 
to per  esso  ottenne  dal- Papa  in  ampliar- 
lo, e  che  circa   l'elezione  de' canonici, 
confermò  l'indulto  d'Eugenio  IV  e  Ca- 
listo III.   Arricchì  la  cattedrale  di  arre- 
di sagri,  l'abbellì  e  restaurò,  e  da'  fon- 
damenti a  suo  decoro,  e  per  uso  e  como- 
do de  patriarchi, eresse  il  contiguo  orato- 
rio o  bat.islerio  di  s.  Giovanni  Battista. 
A  vantaggio  del  patriarchio  vi  fece  più 
grandiose  le  scale,  e  cinse  di  muro  il  va- 
sto  orto;  ed  acquistò  presso  Mirano  un 
0 


1 3o  y  e  n 

palazzo  di  campagna.  Onoralo  e  stimato, 
morì  l'ri  novembre  i5o4,  e  fu  deposto 
nell'oratorio  da  lui  edificato.  — Antonio 
J  Soriano  VJJI patriarca.  Priore  della 
Certosa  <li  Padova,  egià  di  quella  di  Vene- 
ria,  dal  senato  fu  eletto  a  pieni  voti  8*27 
novembre  i5o4,  o  alcun  dì  prima.  Con- 
tinuò a  vivere  da  t:<onaco,  e  fu  viva  luce 
di  santità  e  virtù,  componendo  pure  al- 
cune opere  ascetiche.  Finì  i  suoi  giorni 
nel  maggio   i5o8,  ed  ebbe  tomba  in  s. 
Andrea  della  Certosa.  —  Alvise  I  Con- 
tari ni  IX  patriarca.  Era  priore  di  s. 
Ala  ria  dell'  Orto  de*  canonici  regolari  di 
».  Giorgio  in  Alga,   quando  il  senato  ai 
if)  di  detto  maggio  lo  destinò  alla  pa- 
tria sede,  confermandolo  Giulio  li  a'  7 
giugno,  il  quale  poi  gli  scrisse  di  negare 
l'asilo  ecclesiastico  a' sicari,  ribelli  e  si- 
mili delinquenti,  e  se  allora  nelle  chiese 
e  monasteri  vi    fossero   rifugiati   li  cac- 
ciasse. Indi  la  morte  lo  rapì  a' 16  novem- 
bre dello  stesso  1 5o8,  e  fu  sepolto  in  det- 
ta chiesa.  Gli  si  attribuiscono  alcune  o- 
perette.  —  Antonio  li  Contarini  X pa- 
triarca. Priore  de' canonici  regolari  «li 
s.  Salvatore,  i4  giorni  dopo  successe  al 
defunto.  A  lui  Giulio  II  nel  i5i2  con- 
fermò tutte  le  giurisdizioni  eprivilegi  del 
patriarcato.  Permise  l'erezione  del  tem- 
pio di  s.  Giorgio  a' greci  cattolici  e  l'uf- 
ficiatura nel  rito  loro,  di  che  discorsi  nel 
§  XIII,  iì.  9;  ma  al  presente  è  ufliziato 
«la  greci  scismatici.  Li  presiede  un  arcive- 
scovo scismatico,  che  pretende  tenersi  e 
qualificarsi  Ortodosso!  Nella   seiie   4«* 
della  Civiltà  Cattolica,  t.  2,  p.  92,  si  an- 
nuncia e  si  dà  contezza  della  seguente  o- 
pera:  »  Eri  ori  delle  Chiese  Eoziane fi 're- 
ca, Rutena  ed  Ellenica,  e  defezione  del- 
la colonia  orientale  di  Venezia ,  di  Leo- 
nardo d.r  Dudreville3avvocalo  del  foro 
veneto  e  docente  di  diritto  ecclesiastico  e 
civile,  Venezia  premiata    tipografìa    di 
Giovanni  Cecchini  1  S5q.  Esiste  in  Ve- 
nezia una  colonia  orientale  di  rito  greco, 
cominciata  verso  il  i44^  d°l)0  'a  <:a(!uta. 
di  Costantinopoli,  la  quale  dopo  aver  e- 


VEK 
serri  tato  il  suo  rito  in  varie  chiese,  ti  «fc 
be  una,  costrutta  appositamente  per  tal 
fine,  e  intitolata  a  Cristo  Salvatore  ed 
al  martire  s.  Giorgio,  dedicata  nel  1 564- 
Questa  colonia  fu  cattolica,  senza  verun 
dubbio  del  contrario,  sino  al  termine  del 
secolo  decimosettimo:  da  quell'epoca  sino 
alla  caduta  del  governo  veneto  fu  sospet- 
tata di  non  intemerata  fede;  dal  ponti- 
ficato di  Pio  VII  in  appresso  fu   aperta- 
mente scismatica.  Ora  a  fin  di  tentare 
una  riconciliazione  di   questi  traviati,  il 
dottoezelanteautore  diquesto  libro  com- 
pendia nella   1."  parte  la  storia  dello  sci- 
sma Foziano,  recando  alcuni  de'molti  te- 
stimoni che  vi  sono  dell'autorità  del  Ro- 
mano Pontefice  riconosciuto  da'  G reci, 
da' Ruteni  e  dagli  Ellenici j  nella  2.a  par- 
te spone  le  eresie,  onde  le  chiese  scisma- 
tiche sono  infette  ;  nell*  ultima   tesse  la 
storia  della  colonia  orientale  in  Venezia. 
Per  uno  scritto  brevissimo,  e  per  una  co- 
Ionia  sì  di  fresco  passata  allo  scisma,  v'è 
quanto  basta  a  farli  accorti  dell'errore  in 
che  vivono,  e  provocarli  al  ravvedimen- 
to". Ed  io  fervorosamente  prego  Dio  e  s« 
Marco,  a  benedire  le  edificanti  intenzio- 
ni dell'egregio  autore,  a  gloria  della  Re- 
ligione cattolica, di  Venezia,  d'Italia,  con 
felice  e  prospero  successo  illuminando  i 
greci  Eterodossi  di  Venezia,  con  far  loro 
conoscere  la  vera  e  terribile  sentenza,  die 
fuori  della  Chiesa  Cattolica  non  vi  è  la 
salute  eterna; sentenza  che  per  amor  fra- 
terno non  mi  stancherò  e  sazierò  mai  di 
ricordare,  come  da  ultimo  feci  in  quest'ai- 
ticolo  nel  voi.  XCI,  p.  241  e  seg.  E  qui, 
collo  stesso  affettuoso  scopo,  godo  po- 
tere riportare  un  sunto  d'  una   disserta- 
zione recitata  nella  mia  accademia  di  Re- 
ligione cattolica  di  Roma,  a  cui  indegna- 
mente appartengo,  che  ricavo  dalla  Ci- 
viltà Cattolica,  serie  2.8,  t.  12,  p.  109, 
»  Nella  tornata  de'2  agosto  1 855  il  Rni* 
p.  ab.  Teobaldo  Cesari,  procu»  atore ge- 
nerale de'cisteicicnsi,  prese  a  dimostiare 
che  la  massima  fuori  ile  Ila  Chiesa  Cat- 
tolica non  ve  salute,  è  fondata  nella  Et* 


VEN 
de  e  nella  s.  Scrittura,  ed  è  con  Torme  alla 
retta  ragione.  S'aprì  Ja  via  alla  dimostra- 
zione col  dichiarare  che  la  sola  Chiesa 
Romana  può  e  deve  dirsi  Cattolica.  Ciò 
f^llo,  entrò  nell'argomento,  e  in  primo 
luogo  dichiarò  che  quella  massima  è  fon- 
data nella  fede  con  lungo  e  sapiente  ra- 
gionamento, il  coi  nerbo  crediamo  possa 
ridursi  a  questo  entimema.  Nel  fondare 
la  Chiesa  il  divin  Redentore  die'la  mis- 
sione agli  Apostoli  di  promettere  la  salute 
a  chi  credessealla  loropredicazione.Dun- 
que  non  vi  può  essere  salute  che  solo  in 
quella  Chiesa,  nella  quale  si  conserva  la 
successione  e  la  predicazione  apostolica» 
qual  è  solamente  la  Romana.  In  secondo 
luogo  così  dimostrò  il  fondamento  che 
dà  la  Scrittura  alla  medesima  verità.  Nel 
Nuovo  Testamento  Gesù  nostro  divino 
maestro  chiamò  gli  Apostoli  e  io  loro  i 
successori  degli  Apostoli,  luce  del  mon- 
do, sale  della  terra ',  e  tralci  della  vite 
um ti  al  tronco  :  dunque  chi  è  fuori  della 
Chiesa  Romana,  ove  solo  la  successione 
apostolica  si  conserva,  non  sarà  preser- 
vato dalle  tenebre,  dalla  corruzione,  dal- 
l'aridità. E  ciò  dimostrano  eziandio  le 
figure  dell'Antico  Testamento  che  pre- 
sentano la  Chiesa  di  Gesù  Cristo,  sicco- 
me la  città  dove  giorno  e  notte  assicu- 
rasi la  salvezza  a  chi  vi  si  rifugia,  sicco- 
me la  pietra  fondamentale  sopra  la  quale 
si  fonda  l'edificio  che  unisce  la  terrena 
ulla  celeste  Gerusalemme,  e  contro  cui  o- 
gni  cozzo  nemico  urta  in  vano.  La  quale 
doppia  figura  non  può,  se  guardasi  alla 
storia  della  Chiesa,  applicarsi  che  alla  sola 
Chiesa  Romana.  Nell'ultima  parte  il  ra- 
gionamento un  po'più,  disteso  a  provare 
la  convenevolezza  della  ragione  con  que- 
sta dottrina,  può  ridursi  a  questo  punto. 
Nella  sola  Chiesa  Romana  trovansi  que- 
gli evidenti  motivi  di  credibilità  esterna 
che  rendono  ragionevole  l'ossequio  della 
nostra  \m\e}  e  que'mezzi  intrinseci  di  sal- 
vezza che  sono  i  Sacramenti,  i  quali  aiu- 
tano sostanzialmente  la  nostra  fragilità 
al  compimento  de'cristiani  doveri  j  quau- 


VEN  i3t 

do  fuori  d'essa  irragionevole  è  ogni  cre- 
denza, perduto  ogni  vero'  uso  di  sagra- 
menti.  Chiudendo  1'  autore  la  sua  dotta 
orazione,  manifesta  con  accese  parole  il 
voto  del  cuor  suo  che  la  Chiesa  Cattolica 
trionfi  in  tutto  il  móndo,  e  la  speranza 
che  questo  trionfo  sia  affrettato  dall'osse- 
quio che  la  Chiesa  Cattolica  rende  a  Ma- 
ria ss.  Immacolata".  Ma  si  riprenda  l'in- 
terrotta narrativa.  Nella  cattedrale  di 
s.  Pietro,  il  patriarca  Antonio  li  eresse 
nel  i  5 1 6  le  cappelle  del  ss.  Sagramenlo, 
e  di  s.  Croce  in  Gerusalemme  e  già  di 
s.  Martino,  alla  quale  Col  consenso  del 
capitolo,  unì  le  rendite  di  s.  Martino  di 
Bibiano  nel  territorio  di  Sacile,  e  dipen- 
dente dal  patriarcato.  Quasi  rifabbricò 
da' fondamenti  il  palazzo  patriarcale,  e 
nella  sala  massima  vi  fece  dipingere  la 
serie  de'vescovi  di  Olivolo  e  di  Castello, 
e  de' patriarchi  di  Venezia,  però  inesat- 
ta per  la  necrologia  storica.  Ora  non  più 
esiste,  essendo  il  palazzo  quasi  da  mezzo 
secolo  mutato  in  caserma  militare.  Quan- 
to fu  benemerito  della  riforma  de' rilas- 
sati monasteri  delle  religiose,  lo  narrai 
nel  §  X.  Terminò  sua  vita  a'  *j  ottobre 
i  5^4,  e  fu  deposto  nel  sepolcro  da  lui 
costruito  uella  cappella  di  s.  Croce.  Be- 
nemerito pastore,  le  sue  virtù  lo  resero 
meritevole  che  si  avesse  in  concetto  di 
santità,  e  perciò  onorato  del  titolo  di 
Beato  nel  catalogo  de'  Santi  veneziani 
del  patriarca  Tiepolo.  —  Fr*  Girala* 
mo  Quirini  XI patriarca.  Da  priore  do- 
menicano a*  1 1  ottobre  1324  fu  prefe- 
rito dal  senato  ad  altri  "òj  concorrenti  (!), 
che  vi  si  erano  fatti  inscrivere,  al  patrio 
patriarcato.  Clemente  VII  non  solo  l'ap- 
provò  a' io  febbraio  i3*5,  ma  gli  con- 
cesse di  poter  disporre  delle  rendite  del 
patriarcato  per  uu  biennio,  ancorché  ili 
esso  morisse.  In  quest'anno  insorse  grave 
differenza  sull'elezione  del  vicario  per- 
petuo di  s.  Bartolomeo,  pretesa  da'  par- 
rocchiani e  favorita  dal  governo,  a 'quali 
convenne  cedere  al  giudizio  della  s.Sede< 
Durante  la  lite,  e  per  lai  caso,  il  governa 


i32  VEN 

implorò  dal  Papa  la  bolla  Ad  sacram 
b.  Pelvi  Salem ,  ile'  7  febbraio  1  foG, 
presso  il  Cappelli-Ili  colle  altre  die  ac- 
cennerò, colla  quale  confermò  il  padro* 
nato  ile' parrocchiani  nell'elezione  ilei 
carati  della  città,  provvedendo  pure  al- 
l'istituzione  de' titolati  e  de' titoli  bene- 
ficiali. 11  patriarca  avea  proibita  la  ce- 
lebrazione della  messa  negli  oratoria  do- 
mestici, non  ostante  gì'  indulti  aposto- 
lici, per  cui  i  sacerdoti  regolari  a  lui  non 
soggetti  porlandovisi  a  celebrare  pregiu- 
dicavano notabilmente  il  clero  secolare. 
A  Ile  lagnanze  corrispose  Clemente  VII  con 
lettera  1  r  dicembre  1  529,  autorizzando 
i  parrochi  e  sacerdoti  di  Venezia  a  ce- 
lebrare in  tali  oratorii  al  bisogno.  Il  pa- 
triarca, tenace  osservatore  de' sagri  ca- 
noni, per  1'  asprezza  de' modi  co' quali 
n'esigeva  l'esecuzione,  incontrò  il  male 
umore  di  molti  e  dello  stesso  governo, 
per  cui  il  Papa  con  lettera  degli  8  gen- 
naio i53i  l'esortò  alla  dolcezza  e  alla 
mansuetudine.  Ciò  non  bastò  a  modera* 
re  l' indole  dura  del  prelato,  anzi  cupido 
di  dilatare  i  diritti  della  sua  sede,  spesso 
negava  a' patroni  l'esercizio  de' loro  di- 
ritti  nelle  nomine  de'  benefizi.  Per  le 
frequenti  discordie  e  disturbi  che  ne  con- 
seguirono, il  governo  ricorse  a  Clemen- 
te  VII,  e  questi  vi  rimediò  colla  bolla 
Exponi  nobisy  de'  3o  maggio  i532,  in 
cui  riconfermate  l'antiche  consuetudini 
diocesane,  ordinò  che  se  il  patriarca  si  fos- 
se ricusato  concedere  le  licenze  per  l'e- 
lezione de' pievani  e  de' titolati,  o  di  con- 
fermare gli  eletti,  supplisse  il  nunzio  a- 
poslolico  residente  in  Venezia,  e  in  sua 
assenza  il  primicerio  di  s.  Marco,  a  cui 
intanto  commise  l'esecuzione  della  bol- 
la. Ria  tutte  queste  determinazioni  pon- 
tificie, anziché  promuovere  la  desiderata 
concordia,  furono  occasione  di  altre  con- 
trarietà, e  non  più  tra  il  patriarca  e  il 
clero,  bensì  tra  il  prelato  e  il  nunzio  a- 
postolico,  perchè  questi  il  più  delle  vol- 
te per  apostolica  autorità  annullava  ciò 
che  il  patriarca  di  suo  diritto  ordinario 


VEN 
avea  stabilito.  Per  sottrarsi  dalle  disgu- 
stose molestie,  che  colla  sua  ostinazione 
s'era  d'ogni  parte  suscitale,  il  patriarca 
si  risolse  a  volontario  esilio,  allontanan- 
dosi dalla  città  con  grave  scandalo  e  di- 
sonore di  essa,  come  pure  della  dignità 
pontificia  ,  il  cui  nunzio  doveva  lottare 
spesso  contro  l'ordinario.  Parti  fr.  Gi- 
rolamo nel  1 54 1  >  ma  già  altre  volle  per 
simile  cagioue  avea  abbandonalo  la  sua 
residenza,  come  nel  1 533,  e  allora  il  se- 
nato gli  avea  sospeso  le  rendite,  solo  ri- 
tornandovi verso  il  i54o,  dopo  aver  di- 
moralo in  Ronzano  presso  Bologna  e  in 
Bologna  stessa.  Per  questa  1.'  suaassenza, 
Paolo  III  con  breve  de' 27  febbraio  i5/J2 
incaricò  il  suo  nunzio  e  il  primicerio  di 
s.  Marco,  a  vegliare  perchè  durante  la 
sua  lontananza  .non  avessero  a  patire 
discapito  le  chiese  parrocchiali.  Trovo 
nel  prof.  Romanin,  l.  6,  p.  i4>  che  Cle- 
mente VII  a  togliere  gli  abusi  introdot- 
ti nella  collezione  de' benefizi  e  nell'e- 
lezione de' pievani  emanò  nel  i5i  5  (do- 
vrà dire  nel  i525)  la  bolla  detta  Cle- 
mentina, sebbene  pubblicata  a' 14  di- 
cembre i53o,  della  quale  il  governo  si 
mostrò  tanto  geloso,  che  nominò  appo- 
sito dottore  laico,  versato  nel  gius  cano- 
nico, affinchè  col  titolo  di  Conservatore 
della  bolla  Clementina  avesse  a  veglia- 
re alla  sua  puntuale  esecuzione.  Il  Cosmi 
ne  scrisse  la  Storia,  eh 'è  nella  Marciana 
mss.  Il  patriarca  benché  lontano  si  prese 
cura  del  clero,  e  specialmente  dell'edu- 
cazione de' chierici,  pe' quali  institi»  un 
fondo  pe'maeslri  che  dovessero  istruirli, 
e  decente  abitazione  presso  la  cattedrale. 
Fr.  Girolamo  passò  gli  ultimi  anni  del 
viver  suo,  presso  Vicenza  sul  colle  di  s. 
Sebastiano,  ove  mori  a'  19  agosto  1 554, 
e  trasferito  il  cadavere  in  Venezia  fu  de- 
posto nel  capitolo  del  suo  antico  con- 
vento di  s.  Domenico,  nel  sepolcro  che 
erasi  preparato,  con  onorifico  epitaffio; 
ma  a'  nostri  giorni  demolito  il  convento, 
le  sue  ossa  furono  trasportate  in  s.  Pietro 
di  Castello.  Grande  fu  la  sua  carità  verso 


VER 
i  poveri  di  quel  sestiere,  mirabile  l'amor 
patrio,  per  cui  aiutò  la  repubblica  con 
denari  e  con  effetti  preziosi  nelle  sue  ur- 
genze. Le  sue  maniere  strane  e  l'ecces- 
siva rigidezza  provocarono  il  senato  a 
proporsi  quasi  per  legge,  di  non  isceglie- 
re  mai  più  alla  patriarcal  dignità  ve- 
ron  claustrale,  ina  quindi  innanzi  di  pro- 
muovervi un  seuatore.  —  Pier  France- 
sco Conlari  ni  XII  patriarca.  Senatore 
e  censore,  uno  de'  più  delicati  e  onore- 
voli uilici  della  repubblica,  dallo  stato  se- 
colaresco, fu  innalzato  al  grado  supre- 
mo dell'  ecclesiastica  gerarchia  veneta  ai 
21  agosto  i  554»  però  visse  soli  16  mesi, 
morendo  nella  uotte  di  Natale  i555,  lo- 
dalo per  molte  virtù  e  6omtna  dottri- 
na, forse  autore  d'un  commento  sui  li- 
bri d'Aristotile  De  physico  auditu.  — 
Rincalzo  Diedo  XIII  patriarca.  Po« 
desta  ili  Padova  e  senatore,  fuelettoa'ci5 
gennaio  1  556.  Ricordevole  Paolo  lVde' 
dissapori  tra  la  nunziatura  di  Venezia  e 
il  patriarca  Quirint,  raccomandò  al  suo 
nun?io  caldamente  la  buona  <  elazioue 
col  nuovo  patriarca.  Questi  fu  vigilan- 
tissimo e  premurosissimo  dell'osservan- 
za e  del  decoro  dell'  ecclesiastica  disci- 
plina, perciò  ebbe  a  incontrare  molte  op- 
posizioni col  clero  cui  riusciva  gravoso 
il  suo  zelo.  Ma  il  saggio  prelato  invocò 
l'approvazione  pontifìcia,e  tutelòall'om- 
Lra  di  osa  le  ilabilite  regole.  Alche  si 
riferisce  la  lettera  di  Paolo  IV  de'2  mar- 
zo i5j7  sull'idoneità  completa  degli  a- 
ipiranti  ad  ogni  benefìcio.  11  patriarca 
tesiamo  la  cattedrale  ed  i  propinqui  e- 
dilizi,  e  rnoiì  l'8  dicembre  i55g,  se- 
polto dinanzi  la  porta  maggiore  di  tal 
tempio.  ; — ■  Giovanni  lì  Trevisan  XI F 
patriarca.  Abbate  6o.°  benedettino  di  s. 
Cipriano  di  Murano,  fu  eletto  ne'  primi 
di  gennaio  i56o,  a  cui  nel  confermarlo 
a'iG  lebbraio  Pio  IV,  gli  accordò  rite- 
nere iti  commenda  l'abbazia  per  tutta  la 
vita,  .  nel  1. "marzo  concesse  per  indul- 
to pontificio  l'uso  del  Rocchetto s  come 
notai  iu  quell'articolo,  ed  altre  insegne 


VEN  i33 

de'prelati  secolari.  Egli  fu  assai  beneme- 
rito della  s.  Chiesa  veneziana,  che  tut- 
tora ne  tiene  in  onore  il  nome.  Premu- 
rosissimo dell'osservanza  delle  clericali 
discipline  e  del  buon  ordine  nella  chiesa, 
fu  perciò  autore  di  molte  analoghe  lo- 
devoli provvidenze,  che  fece  confermare 
dall'autorità  pontificia  nel  1 56o  e  1 56 1  ; 
laonde  fu  proibito  a  lutti,  analogamente 
all'ordinato  da  Paolo  IV,  nelle  promo- 
zioni o  concorrenze  de'  benefizi ,  l'ap- 
pellazione alla  s.  Sede  o  al  nunzio  di  Ve- 
nezia, de'  ripulsati  dal  patriarca  come 
non  idonei;  e  si  rinnovarono  alla  chiesa 
veneta  tutti  i  privilegi  e  diritti  sino  ad 
Eugeuio  IV  concessi  da'  Papi,  tanto  alla 
chiesa  patriarcale  di  Grado,  quanto  alla 
chiesa  di  Castello,  e  lutti  Pio  IV  li  con- 
centrò nella  sola  chiesa  metropolitaua  di 
Venezia.  Figurò  Giovauni  tra' padri  del 
concilio  di  Trento,  e  ritornato  alla  sua 
chiesa  si  die'ogni  premura  per  adattarne 
in  ogni  parte  la  disciplina,  alle  regole 
stabilite  in  quel  sagrosanlo  ecumenico 
sinodo.  Vi  piantò  pertanto  il  seminario 
de' chierici  presso  la  chiesa  di  s.  Gere- 
mia, donde  iu  seguito  lo  trasferì  iu  s.  Ci- 
priano di  Murauo,  di  cui  ragionai  nel 
voi.  XC,  p.  3oo,  e  nel  §  XVIII,  u.  ig, 
stabilendone  le  rendite;  tutto  poi  appio- 
vando  Sisto  V,  il  quale  concesse  iu  per- 
petuo l'abbazia  di  s.Cipriano,quali  abbati 
commendatari,  a' patriarchi  di  Venezia, 
al  modo  riferito  nel  voi.  XCI,  p.  56j. 
Rad  imo  3  volte  il  sinodo  diocesano  e  per 
ultimo  nel  1  ^78,  e  raccolte  insieme  le 
migliori  leggi  disciplinari  de'  vescovi  di 
Castello  e  de'patriarchi  di  Grado  ne  for- 
mò il  corpo  delle  Constitutiones  et  pri' 
vilegia  Patriarchatus  et  Cleri  Fenetia- 
runìy  e  le  pubblicò  colle  stampe,  l'ab. 
Cappelletti  riproducendole  nel  t.  6  della 
Storia  della  Chiesa  di  Venezia,  insie- 
me a' delti  sinodi.  Della  visita  eseguila 
in  Venezia,  da  due  visitatori  apostolici 
deputati  da  Gregorio  XIII,  e  delle  loro 
disposizioni  e  ricordi  pel  clero  secolare 
e  regolare,  parlai  nel  §  XIX,  u.  3o,  do- 


j34  vbm 

gado  87.0  Inoltre  Giovanni  II  ottenne 
da  Sisto  V,  colla  bolla  Romanum  ì\>n- 
tificem,  de'  3o  dicembre  1^90,  presso 
i)  Cappelletti,  die  i  chierici  della  chiesa 
veneta  continuassero  ad  essere  ammessi 
agli  ordini  sagri  (per  disposizioni  di  Leo- 
ne X  e  di  Clemente  VII  nel  15^5,  co- 
me toccai  altrove,  e  nel  voi.  XCI,  p.  10, 
correggendo  la  data  3o  dicembre  ),  a 
titolo  dì  servitìi  di  chiesa,  ossia  sen- 
z  aver  titolo  di  beneficio  o  di  patròno* 
nio  (richiesto  dal  concilio  di  Trento) 
ecclesiastico,  col  solo  appoggio  del  ser- 
vizio prestalo  e  da  prestarsi  ad  una  chie- 
sa, nel  cui  clero  avrebbero  poscia  otte- 
nuto alla  loro  volta  il  titolo  ossia  il  be- 
neficio, entrando  a  formar  parte  del  ca- 
pitolo rispettivo.  Sapientissima  determi- 
nazione, che  assicurava  alle  chiese  di  Ve- 
nezia un  servizio  stabile  e  decoroso  si 
nelle  ufìiziature  sagre, che  nella  cura  del- 
l'anime. Mori  il  benefico  prelato  a*  3 
agosto  iSpo,  prima  che  fosse  spedita  sì 
interessantissima  bolla  per  la  diocesi  ve- 
neta, e  f„  deposto  nel  sepolcro  prepara- 
tosi ava„ti  l'altare  da  lui  eretto,  dotato 
e  conSag|.alo<  c|j  s-  Giovanni  Evangelista 
Jt:,la  patriarcale.  11  senato  nello  scegliei" 
*°  alla  patria  sede,  avea  derogato  dal' 
'  adollato  sistema,  die  escludeva  un  ec 
c'esiastico  regolare,  ma  tosto  tomo  a  se- 
guirlo. -—  Lorenzo  U  Prudi  XV  pa- 
tr'arca  e  cardinale.  Settatore  di  spec- 
chiata vii  lu,  di  somma  prudenza,  di  pro- 
fonda dottrina,  già  savio  agli  ordini, 
ambasciatore  in  Toscana,  a  Madrid,  a 
Parigi,  dal  1 584  in  poi  presso  Gregorio 
XIII  e  Sisto  Vi  allora  era  podestà  di 
Brescia,  quaudo  fu  eletto  nel  gennaio 
1  #9 1 .  Subito  si  mostrò  espertissimo  del- 
l'ecclesiastica disciplina,  e  1,"  sua  cura  fu 
la  riforma  de*  costumi  del  clero  e  di  re- 
golarli fittila  norma  delle  leggi  canoni- 
die,  al  che  prestò  mano  Clemeute  Vili 
con  bolla  de'»5  aprile  i5ga,  laccomau- 
dandogli  perciò  anche  la  visita  delle  cine 
se  de' regolar».  E  poiché  colla  bolla  l'e- 
sortava pure  alla  couvocMione  d'uu  si* 


IfiN 

nodo  o  diocesano  o  metropolitano,  a  pia. 
cere  e  pel  meglio,  e^li  non  lardò  a  ra- 
dunarlo diocesano.  Lo  tenne  a' 9,  10  e 
1  1  settembre  di  detto  anno.  Fra  le  alti 
cose,  furono  ripetute  le  proibizioni  di 
far  nelle  chiese  rappresentazioni  di  coso 
sagre  accompagnate  da  predica.  Fu  stam- 
palo, e  iu  seguito  gli  furono  aggiunte  le 
costituzioni  e  le  esortazioni  de'  suddetti 
visitatori  apostolici.  Ne  radunò  altro  ai 
1 5,  1 6  e  1 7  novembre  1 5i)%,  i  cui  canoni 
furono  similmente  stampatile  riuscì  come 
un  perfezionamento  del  primo. Notai  a  suo 
luogo,  che  nuove  premure  del  patriarca, 
per  accrescere  le  rendite  al  seminario, 
ottennero  aiuti  da  Clemente  Vili,  e  op- 
portuna stazione  presso  le  chiese  e  nelle 
fabbriche  del  priorato  della  ss.  Trinità 
de' cavalieri  Teutonici,  ivi  appunto  ove 
poi  sorse  il  magnifico  tempio  della  Sa- 
lute, e  dove  ai  nostri  giorni  vi  tornò  e 
fiorisce.  Clemente  Vi  1 1,  a'  5  giuguo  1  596 
premiò  il  Priuli  (/'.)  col  cardinalato. 
Sostenne  lunga  lite  pe' di  ritti  d'alcune 
reudite,  nella  villa  di  Torre  di  Mosto, 
della  diocesi  di  Ceueda,  e  curò  l' estin- 
zione d'  un  debito  che  gravava  la  mensa, 
con  indulto  apostolico  de'  24  dicembre 
1^96,  ov'egli  è  chiamato  cardinale  dal 
tìtolo  di  s.  Maria  in  Trasponimi  ed 
amministratore  della  chiesa  palriar* 
cale.  Queste  parole  destarono  sospetto 
all'ab.  Cappelletti,  che  divenuto  cardi- 
nale, avesse  rinunziato  il  patriarcato,  e 
ne  fosse  divenuto  amministratore,  di  che 
nulla  potè  trovare  di  schiarimento.  Nel- 
lo stesso  anno  si  accinse  alla  grandiosa 
impresa  di  rifabbricare  la  cattedrale,  ca- 
duta in  deperimento,  per  la  quale  due 
anni  iunanzi  avea  posta  la  1/  pietrai  la 
facciata  terminandosi  in  detto  auuo,e  nel- 
l' iscrizione  si  legge;  Palrìarchae  Vene* 
tìarum,  lo  tale  occasione  il  corpo  di  s, 
Lorenzo  proto- patriarca,  dalla  cappella 
di  8.  Michele,  fu  trasportalo  nell'altare 
maggiore.  Lasciò  poi  il  cardinali  l'inca- 
rico al  uipote  Marco,  di  erigere  nella 
nuova  chiesa  i' altare  del  mai  litio  di  s. 


VEN 
Giovanni  apostolo,  e  riuscì  uno  dei  più 
belli  della  medesima.  Il  cardinale  non 
potè  veder  compito  il  tempio,  perchè 
morì  a' 26  gennaio  1600,  e  fu  sepolto 
a  pie  de' gradini  di  detto  altare,  senza 
memoria,  bensì  essa  è  in  due  lapidi  la- 
terali all'altare,  collocate  nel  1640.  Il 
suo  cadavere  24  anni  dopo  Iti  trovato 
intatto  e  incorrotto,  quando  il  patriarca 
Tiepolo  fece  demolire  il  vecchio  tem- 
pio, per  continuare  l'erezione  del  nuovo, 
e  dal  rogito  die  ne  fu  fatto  è  chiamato 
Patrìarchae  Fé  net.  —  Matteo  Zane 
XP I patriarca.  Successa  due  giorni  dopo 
al  defunto,  essendo  consigliere  ducale  e 
senatore.  Avea  sostenuto  altri  onorevoli 
tifiti  a  prò  della  patria,  ne' quali  die' 
lumiuose  prove  di  prudenza,  probità  e 
sapere,  come  nell'ambascerie  a' duchi 
d'Urbino  e  Savoia,  a' re  di  Portogallo 
e  di  Spagna,  all'  imperatore  Rodolfo  II  e 
al  sultano  Animai  III.  Leggo  nella  Vita 
di  Clemente  FUI,  del  veneto  Giovanni 
Stringa,  che  il  prelato  neh  601  si  trasferì 
in  Roma  (non  già  per  sottoporlo  all^vi- 
mc,  che  il  Papa  avea  ingiunto  a  tutti  i  ve- 
scovi d'Italia,al  che  la  repubblica  oppone- 
vasi  in  base  de'suoi  privilegi),  o v'era  con 
gran  desiderio  atteso  dal  Papa,il quale  per 
le  rare  sue  qualità,  volle  con  segnalato  e 
straordinario  favore  di  propria  mano  or- 
dinarlo e  consagrarlo;  edopo  avergli  dato 
segni  di  paterno  affetto,  anche  verso  la  re- 
pubblica, gli  die'licenza  di  tornare  a  Veue- 
zia,  come  fece  nel  dicembre,  dove  giun- 
to, a'  3  i  dello  stesso  dicembre  prese  pos- 
sesso solenne  del  patriarcato.  Breve  fu 
il  suo  pastorale  governo,  moreudoa'2^ 
luglio  i6o5,  e  fu  sepolto  nella  basilica 
metropolitana.  —  Francesco  Fé/idra- 
mino  XF li  patriarca  e  cardinale.  Già 
ambasciatore  a  Torino, a  Madrid, a  Vien- 
na, a  Parigi,  a  Clemente  Vili,  a  Paolo 
V  in  Roma  straordinario,  mentre  ivi  si 
trovava,  ornato  pure  della  toga  senato- 
ria, a' 26  luglio  i6o5  fu  eletto  patriar- 
ca, cioè  dopo  due  giorni  di  sede  vacati- 
le, ma  non  ottenne  la  pontificia  confa*  • 


VEN  i35 

ma  se  non  a*  22  maggio  1608,  a  cagio 
ne  delle  famosi  controversie  insorte  ap- 
punto nell'anno  di  sua  promozione,  tra 
la  repubblica  e  Paolo  V  che  lanciò  la 
pena  canonica  dell'  interdetto  a  Venezia, 
il  tutto  deplorato  ne'  n.  32  e  33  del  § 
XIX.  La  controversia  riguardante  la  sua 
elezione,  derivò  dall'esigere  Paolo  V  che 
si  recasse  in  Roma  all'esame  imposto  a* 
vescovi  eletti.  Il  senato  si  oppose,  dichia- 
rando,che  ad  un  esame  non  avrebbe  giam- 
mai acconsentito,  solo  permettendo  nu- 
dasse il  nuovo  patriarca  a  Roma  per  ba- 
ciare il  piede  a  Sua  Santità,  se  questa  di 
tal  rispettosa  dimostrazione  si  contentas- 
se; e  questo  servì  ancora  ad  inasprire  i 
disgusti  insorti  fra  il  senato  e  Paolo  V, 
che  poi  degenerarono  in  aperta  rottura, 
che  produsse  l'interdetto.  Il  seuato  avea 
dato  commissiouea'4auibasciatori  invia- 
ti a  Paolo  V  per  le  congralulazioui  della 
sua  assunzione  al  pontificato,  di  pregarlo 
a  impartire  al  patriarca  Vendramino  la 
benedizione  senza  l'esame,e  di  sbrigare  il 
negozio  diCeneda,  parlato  nel  §  XIX,do- 
gado7g.°,per  togliere  gl'incouveuienti  che 
ne  derivavano.  Il  patriarca  non  esseudo 
confermatodal  Papa, continuò  il  governo 
della  diocesi  patriarcale  il  vicario  capito- 
lare, ed  a  questo  il  seuato  vietò  la  pubbli- 
cazione della  pontificia  scomunica.  Se- 
guila poi  la  riconciliazione  della  repub- 
blica colla  s.  Sedet  il  Papa  toruaudo  sul- 
l'affare dell'esame  del  prelato,  dichiaran- 
do il  desiderio  suo  di  compiacere  il  senato, 
se  gli  fosse  permesso  dal  suo  sublime  mi- 
nistero, non  lasciò  tuttavia  d'insistere  per- 
chè avesse  effetto,  con  l'ambasciatore  ve- 
ueto  Contai  ini,  il  quale  però  rimise  iu 
campo,  come  al  solito, i  privilegi  antichi 
della  repubblica  e  le  sue  consuetudi  ui,  di 
cui  era  gelosa  conservatrice.  Iu  fiue  fu 
pur  uopo  venire  auojie  iu  questo  ad  un 
accordo,  e  la  repubblica  permise  per  que- 
sta sola  volta  l'andata  a  Roma  del  pa- 
triarca, ottenendo  la  promessa  che  per 
l'avvenire  più  non  se  ne  parlerebbe.  In 
fatti,  aY)  geuuaio  1609  il  cardiual  Cor- 


1 36  V  E  N 

ghese,  nipolc  ili  Paolo  V,  scrisse  al  nun- 
zio apostolico  eli  Venezia.  »  Quando  la 
serenissima  repubblica  di  Venezia  rimova 
l'impedimento  del  sig.r  Francesco  Ven- 
dramino eletto  e  nominalo  da  lei  al  pa- 
triarcato di  quella  città,  per  sottoporsi 
al  solito  esame  innanzi  a  Nostro  Signore, 
e  venga  per  questo  effetto  a  Roma,  si  con- 
tenta Sua  Santità  che  V.  S.  possa  pro- 
mettere insuo  nome,  comeelTeltivamente 
prometterà  e  come  promette  la  Santità 
Sua  medesima,  che  pei*  qualunque  caso 
si  eleggessero  e  si  presentassero  nuovi  pa- 
triarchi, da  qui  innanzi  non  saranno  più 
tenuti  ad  esaminarsi,  perchè  la  Santità 
Sua  in  gratificazione  della  suddetta  sere- 
nissima repubblica  gii  dichiara  esenti  da 
adesso,  et  come  tali  vuole  che  sieno  asso- 
lutamente trattati".  Scrisse  poi  l'amba- 
sciatore al  senato,  che  giunto  a  Roma  il 
prelato,  gli  fu  fatto  un  leggerissimo  esa- 
me,  solo  per  la  forma.  Governò  il  pa- 
triarca Vendramino  sapientemente  e  san- 
tamente la  sua  chiesa,  sino  dalla  sua  ele- 
zione. Nella  metropolitana,  cogli  argenti 
vecchi  della  sagrestia,  e  colla  somma  da 
lui  spesa,  fece  7  candellieri  di  tal  me- 
tallo pe' pontificali,  e  fabbricò  l'organo; 
indi  per  la  sua  pietà  verso  la  R.  Vergine 
del  Carmelo,  ivi  le  eresse  sontuosa  cap- 
pella, e  formò  la  sua  sepoltura  senza  i- 
scrizione,  ma  con  isculture  laterali  a  sua 
lode  e  con  epigramma  che  lo  celebra. 
Restaurò  ed  abbellì  il  patriarchio  dal 
lato  della  vigna.  Estimatore  Paolo  V  del 
Vendramino  (F.). a'2  dicembre  1 6 1  5  lo 
creò  cardinale,  morendo  l'8  ottobre  1619. 
Il  suo  testamento  edifica,  per  la  pietà  e 
la  munificenza  verso  i  poveri  e  la  sua  chie- 
sa. —  Giovanni  III  Tiepolo  XV III  pa- 
triarca. Declinando  il  senato  dallo  sce- 
gliere uno  del  suo  corpo,  nominò  il  pri- 
micerio di  s.  Marcoa'2onovembrei6i9. 
Uno  de'suoi  primi  pensieri  fu  d'istituire 
nella  metropolitana  la  prebenda  del  teo- 
logo, e  fondò  un  nuovo  canonicato,  pel. 
riferito  uel  §  VI,  n.  1.  Condusse  a  com- 
pimeulo,  con  grandissiuio  suo  dispeudio, 


/ 


VEN 
la  maestosa  fabbrica  della  basilica  pa- 
triarcale, e  di  lui  anche  parlai  nel  voi.  XC, 
p.  289,  pel  suo  Trattato  delle  ss.  lieti- 
quic.  della  basilica  Marciana.  Morì  a'  7 
maggio  i63i,e  fu  sepolto  nella  metro- 
politana, colle  sigle  D.  D.  D.  D.  che  co- 
munemente si  spiegano:  Dilexi  Decora, 
Domits  Domini.  Però  in  uno  de'  pilastr 
del  tempio  è  scolpito  il  suo  elogio.  Egli  è 
molto  encomiato  qual  sagro  scrittore  ,  e 
sotto  il  suo  nome  si  conoscono  diverse  o- 
pere,  oltre  all'  inedita  e  assai  pregievole 
che  si  conserva  nella  biblioteca  Marciana 
e  in  quella  del  cav.  Cicogna  ,  Catalogo 
de Santi \Bealie  Venerabili veneziani. — - 
Federico  cardinalCornaro  XfXpatriar- 
ca.  Nel  settembre .i63  1  il  cardinal  Cor- 
nare (V.)  dalla  sede  di  Padova  fu  in  que- 
sta trasferito.   Quando  fu   innalzato  alla 


romana  porpora,  qual  ugno  del  vivente 


,1  fiali 


doge  Giovanni,  insorse  quel  grave  disgu- 
sto fra  il  senato  e  il  padre,  eh'  ebbe  ter- 
mine quando  il  doge  si  mostrò  pronto  a 
rinunziare,  onde  non  pregiudicare  il  fi- 
glio, che  contro  i  divieti  avea  accettalo 
l'eminente  dignità:  il  che  raccontai  nel  § 
XIX,  n.  34>  dogado  96. °  All'epoca  della 
nomina  a!  patriarcato,  tuttavia  la  peste 
desolando  Venezia,  tardò  il  cardinale  la 
partenza  da  Padova,  e  solo  prese  posses- 
so a'27  giugno  1 632  con  veneziana  ma- 
gnificenza. Indi  a'2  settembre 1 64*2,  col- 
l' assistenza  de'  vescovi  sul'fraganei  di 
Chiodaia  e  Caorle,  solennemente  colisa» 

OD  * 

grò  la  nuova  metropolitana,  e  sulla  por- 
ta che  conduceva  al  patriarchio  vi  fece 
collocare  l'esistente  memoria.  In  essa  si 
ricorda  pure  la  cappella  di  s.  Giusto  mar- 
tire, del  palazzo  contiguo,  da  lui  restau- 
rata, altra  avendone  eretta  nel  chiostro  a 
s.  Ivo.  E"  commendevole  altresì  la  sua  be- 
nignità pastorale  a  comodo  del  suo  greg- 
ge, poiché  considerando  la  grande  distan- 
za del  palazzo  patriarcale  dal  centro  del- 
la città,  statuì  che  in  due  giorni  della  set- 
timana si  sarebbe  recato  nel  palazzo  di 
sua  famiglia  a  udire  chi  bramasse  parlar- 
gli, ed  ivi  pazientemente  tulli  riceveva. 


V  E  K 
Compiute  le  parli  di  zelante  e  saggio  pa- 
store, sentendosi  diminuir  le  forze,  rinun- 
ziò il  patriarcato  a'2  aprile  1644»  e  Sl  lia" 
iferì  a  Roma  quasi  a  riposo  del  resto  di 
Mie  vita.  Dolente  il  clero  per  tanta  per- 
dita, a  perenue  testimonianza  di  sue  vir- 
tù e  zelo,  non  meno  che  della  propria  af- 
flinone di  non  più  averlo  a  pastore,  nella 
cattedrale  pose  marmorea  epigrafe,  la 
quale,  tuttora  esistente,  è  riportata  dal- 
l'accuratissimo ab.  Cappelletti ,  colle  al- 
tre die  ricordo  e  non  rammento  per  scru- 
polosa brevità.  Ju  Roma,  a  merito  suo, 
Innocenzo  X  reintegrò  nella  sala  regia  del 
Valicano,  l'iscrizione  onorevolissima  per 
Venezia  e  tolta  da  Urbano  Vili,  pel  rife- 
rito nel  §  XIX,  n.  8,  verso  il  fine.  Morì  in 
Roma  il  5  giugno  1 653  e  fu  deposto  nella 
nubilecappella  di  s.  Teresa  da  lui  edificata 
nella  chiesa  di  s.  Maria  della  Vittoria,  per 
la  quale  eragli  stata  coniata  una  meda- 
glia, ed  in  essa  egli  avea  fatto  scolpirei  ri- 
tratti di  6  cardinali  di  sua  famiglia  e  del 
doge  padre.  —  Gian-Francesco  Moro- 
sinl  XX patriarca.  Fa  eletto  nel  dì  se- 
guente alla  rinunzia  del  predecessore,  3 
aprile  1 644-  Zelatore  della  buona  disci- 
plina nel  clero,  perciò  raccolse  due  volte 
il  sinodo  diocesano:  neh 653,  a'  17, 18  e 
1  9  giugno;  nel  1 667,  a'  1  8, 1 9  e  20  apri- 
le, pubblicati  colle  stampe.  Avendo  il  se- 
nato per  le  gravissime  vicende  della  di- 
sastrosa guerra  di  Candì  a  eretto  nella  ba- 
silica metropolitana  il  grandioso  altare  di 
marmo  in  onore  del  celeste  patrono  di 
Venezia  s.  Lorenzo  Giustiniani,  invocan- 
done il  patrocinio,  il  suo  s.  Corpo  vi  fu 
con  solenne  pompa  riposto  dal  patriarca 
a'4  gennaio  1666,  come  già  dissi.  Morì 
ii  Morosini  a'5  agostoi678  e  fu  tumula- 
to in  magnifico  sepolcro  in  s.  Nicola  di 
Tolentino.  —  Alvise  II  Sagredo  XXI 
patriarca.  Già  ambasciatore  al  duca  di 
Savoia,  non  esercitò  altro  pubblico  inca- 
rico, perchè  il  suo  fratello  Nicolò  venne 
inualzaloalla dignità  ducale,  essendo  vie- 
tato dalla  legge,  come  ripetutamente  no- 
tai nelle  biografie  de'dogi,  ed  era  morto 


VEN  i37 

di  recente  nel  1 676;beusì  a'  1 8  aprile  1678 
venne  destinato  all'  onorevole  uffizio  di 
bailo  a  Costantinopoli,  ma  mentre  si  di- 
sponeva alla  partenza  ,  1'  1  1  del  susse- 
guente agosto  fu  eletto  patriarca.  Radu- 
nò il  sinodo  diocesano  ne'giorni  6,  7  e  8 
maggio  1686.  Dopo  un  decennio  di  pa- 
triarcato, morì  nel  1 688,  a'  1  3  settembre, 
dice  lo  Stalo  personale.  Fu  sepolto  nel 
presbiterio  di  s.  Pietro,  con  semplice  epi- 
grafe. Non  avendo  eredi  per  lasciare  le 
sue  pingui  facoltà,  ne  istituì  erede  con  te- 
stamento la  repubblica;  e  il  senato  per 
riconoscenza  onorevole  dipoi  gli  eresse 
nella  slessa  metropolitana  un  monumen- 
to col  suo  busto  marmoreo  e  iscrizione 
nel  1742.  Un  altro  monumento,  nel  se- 
guente anno,  gl'innalzò  il  nipote  Gerar- 
do Sagredo,  procuratore  di  s.  Marco,  nel- 
la cappella  gentilizia  di  S.Gerardo  Sagre- 
do, in  s.  Francesco  della  Vigna,  parimen- 
te adorno  con  onorevole  lapide.—  Gian- 
Alberto  BadoaroXXII patriarca  e  car- 
dinale. Promosse  ben  presto  il  senato  al- 
la vacante  chiesa   patria  tal  soggetto  a' 
16  maggio  (settembre,  leggo  nello  Stato 
personale)  1688,  essendo  primicerio  di 
s.  Marco.  Era  stato  arcidiacono  di  Crema 
presso  lo  zio  vescovo,  e  canonico  di  Pa- 
dova. La  sua  pastorale  sollecitudine  spic- 
cò tosto  luminosamente,  aprendo  la  s.  vi- 
sita di  tutte  le  chiese  della  diocesi,  del  se- 
minario, de'monasteri  di  monache;  da  per 
tutto  estirpando  abusi,  correggendo  di- 
sordini, raddrizzando  traviati;  stabilì  e 
regolò  le  scuole  della  dottrina  cristiana; 
ebbe  somma  diligenza  nella  scelta  de'sa- 
cei  doti,  che  poneva  alla  cura  delle  anime; 
ornò  di  valenti  e  saggi  precettori  il  semi- 
nario de'chierici;  ed  egli  slesso  non  di  ra- 
do catechizzava  i  rozzi  e  i  fanciulli  pub- 
blicamente nelle  chiese;  e  per  coltura  del 
clero  stabilì  nel  patriarchio  due  erudite 
accademie,  l'ima  chiamò  de1 'Trattenuti, 
l'altra  denom  i  no  Congregazione  di  s.  Car- 
lo. Piantò  una  casa  per  le  donne  peniten- 
ti, per  toglierle  dal  mal  fare;  promosse  e 
ampliò  il  culto  del  predecessore  s.  Loreu- 


i3S  VEN 

zo,  volendo  che  nella  cattedrale  si  onoras- 
sero le  8  domeniche  susseguenti  alla  fe- 
sta; profuse  gli  averi  a  sollievo  de'pove» 
li;  visitò  gl'infermi  quando  era  invitato; 
insomma  nulla  risparmiò  per  lo  spirituale 
vantaggio  del  suo  gregge.  A'  17  maggio 
i  706  Clemente  XI  lo  trasferì  alla  sede 
di  Brescia  e  creò  cardinale:  come  tale  col 
(lardella  nella  biografia  lo  chiamo  Jìa- 
duaro  (V.).  Nella  nuova  cattedra  si  di- 
stinse nello  zelo  in  reprimere  gli  errori 
de'quietisti,  di  cui  Beccarello  avea  infet- 
tato la  città, ove  carico  di  meriti  e  virtù  mo- 
rì nel  1 7 1 4. —  Pietro  Barbarico  XX III 
patriarca.  Da  canonico  di  Padova,  fatto 
primicerio  di  s.  Marco,  si  narra  che  men- 
tre il  senato  stava  per  eleggere  il  succes- 
soie  al  cardinale,  entrò  nella  sala  una  co- 
lomba, e  svolazzando  in  giro  andò  a  fer- 
marsi sulla  spalla  del  senatore  Girolamo 
Dai  barigo  padre  di  Pietro,  e  che  di  questi 
ne  affrettasse  la  scelta  a*25  giuguoi7o6. 
Certo  è,  che  nella  sala  del  palazzo  di  sua 
famiglia  a'ss.  Vito  e  Modesto,  fu  posta 
un'epigrafe,  la  quale  ricordando  la  pom- 
pa, colla  quale  \\  doge  e  la  signoria  era- 
no andati  a  pigliarlo  per  condurlo  a  sf 
Pietro  di  Castello  al  possesso  di  sua  di- 
gnità, ricorda  altresì  l'avvenimento  del- 
la colomba;  è  riferita  ancor  questa  dal  eh, 
Cappelletti.  Ogni  cura  egli  subito  pose 
per  la  buona  disciplina  del  clero,  e  co- 
minciò col  far  noto  con  un  editto,  che 
ninno  sarebbe  promosso  agli  ordini  sa- 
gri, qualora  non  se  ne  fosse  reso  merite- 
vole per  l'esercizio  d'una  specchiata  vir- 
tù e  d'una  singolare  morigeratezza  di  co- 
stumi. Intraprese  la  visita  pastorale  del- 
la diocesi,  e  poscia  ne  adunò  il  sinodo  a' 
28,  29  e  3o  maggio  17  i4:  Synoclus  Ve- 
iietììs  a  patrìarcha  Venetianun  Barba» 
dicii,anno  1 7  1 4>  Venetiis.  Morì  il  1  .°mag- 
g'101725  e  volle  esser  sepolto  nella  chie- 
sa de'ss.  Vito  e  Modesto  ov'era  stato  bat- 
tezzato. —  Marco  Gradenigo  XXIV pa- 
triarca.G'ik  coadiutore  del  patriarca  d'A« 
quileia  e  vescovo  di  Filippopoli,  era  ve- 
scovo di  Verona  quando  a'5  moggio  r  725 


VEN 

il  senato  l'elesse  alla  patria  cattedra.  Mo< 
ri  il  buon  patriarca  a'i4  novembre  1  7  3.{, 
e  fu  deporto  nell'arca  de'canouici,  co'qna- 
li  volle  per  espresso  comando  aver  comu- 
ne la  sepoltura,  il  che  fu  ricordato  sulla 
pietra  marmorea  con  esemplare  epigra- 
fe. — -  Fr.  Francesco  Antonio  Correr 
XXV  patriarca,  Avea  da  5  anni  ab- 
bracciato l'istituto  de'cappuccini,  «pian- 
do il  senato  l'elesse  a'  1 8  novembre  1  y3  {, 
avendo  già  onoratamente  percorso  le  pri- 
me dignità  della  carriera  militare  marit- 
tima, ed  erasi  distinto  nella  guerra  di  Mo- 
rea.  Si  applicò  con  tutta  premura  a  re- 
golare la  disciplina  ecclesiastica,  ed  a  ri- 
formare i  costumi.  Perciò  nell'aprile  1 74 1 
a' 18,  19  e  20  celebrò  il  sinodo  diocesa- 
no, importantissimo  anco  per  essere  l'ul- 
timo deTin  qui  adunati,  ed  è  tuttora  iti 
vigore.  Fu  stampato,  ed  è  assai  raro;  co- 
nosco questo  titolo:  Corrario,  De  Syiio- 
dus  Veneta ,  Venetiis  1 74 1  •  La  morte  sua 
fu  repentina  a'  1  7  maggio  1 74 1 ,  poco  do- 
po il  sinodo,  e  fu  attribuita  a  veleno;  av- 
venne in  una  villa  presso  il  castello  di 
Montagnana  ,  e  trasferito  il  cadavere  a 
Venezia,  ebbe  sepoltura  nella  patriarca- 
le.— Alvise  III  F ascari  XXVI palriar  - 
ca.  Canonico  di  Padova,  fu  eletto  7  gior  • 
ni  dopo,  confermandolo  Benedetto  XIV 
a' 3  luglio  1 74  ij  notando  nel  la  bolla:»  non 
esser  stato  sino  allora  derogato  mai  al- 
l'antichissima consuetudine  della  repub- 
blica, circa  l'elezione  del  patriarca  e  de' 
vescovi  dello  stato  veneziano  ".  Morì  a' 
28  ottobre  1 758  di  79  anni,  e  fu  sepolto 
nella  cattedrale. -—-Giovanni  IV Braga- 
dino  XXVII patriarca.  Era  vescovo  di 
Verona  allorché  venne  nominato  patriar- 
ca a'27  novembre £758.  A  suo  tempo  ac- 
caddero quelle  novità  sull'immunità  ec- 
clesiastica,che  tanto  afflissero  il  venetoCIe- 
menleXIII,e  deplorai  nel  §  XIX,  n.40.  Il 
patriarca  cessò  di  vivere  a'  24  dicembre 
I775,efu  tumulato  uellachiesa  del  s.  Se- 
polcro,ora  demolita. — Federico  Maria 
Giov  anelli  XXVIII patriarca.  Gover- 
nava la  chiesa  vescovile  di  Chioggia,quan« 


V  E  N 

tloilsenatoa'5gennaio  i  776  l'elesseal  pa- 
trio patriarcato, e  fu  l'ultima  elezione  die 
fece.  Le  virtù  esimie  die  adornavano  il 
prelato,  lo  resero  caro  al  suo  gregge,  cui 
toll'umillà  singolarmente  e  colla  pietà  e- 
tiificò  ne'a  3  anni  del  suo  pastorale  gover- 
no.  Visse  nel  tempo  delle  più  dure  vicende 
politiche  di  Venezia  e  dell'Europa;  e  vide 
nel  1797  crollare  I'  enorme  colosso  della 
repubblica,  invaso  lo  stalo  e  la  città  da' 
repubblicani  francesi,  promulgare  l' in- 
gannatrice sedicente  libertà,opprimerele 
glorie  venete  di  XIV  secoli,  e  passar  Ve- 
nezia e  il  suo  dominio  sotto  lo  scettro  del- 
l'Austria. L'imperatore  Francesco  II,  a 
cui  erano  palesi  la  eminente  dottrina  e 
la  somma  pietà  del  prelato,  con  diplo- 
ma .de'28  genuaio  1  798,  lo  dichiarò  suo 
consigliere  intimo,  titolo  che  in  seguito 
fu  concesso  anche  agli  altri  patriarchi, 
che  ressero  progressivamente  la  s.  Chie- 
da veneziana,  sotto  l'impero  austriaco, 
IVe'primi  armi  del  suo  patriarcato  visitò 
parecchie  chiese  della  sua  diocesi,  e  4  »>e 
corisagrò,  fra  le  quali  s.  Basso  poi  cam- 
biata in  usi  profani,  e  s.  Margherita  sop- 
pressa. Indefesso  nell'  adempiere  le  in- 
combenze patriarcali,  non  se  ne  astenne 
giammai,  beuchè  negli  ultimi  anni  di  sua 
vita  colpito  da  penosissima  cecità,  ch'e- 
gli virtuosamente  riputava  una  grazia  del 
cielo.  Finche  visse  la  madre  Giulia  Cai- 
bo, quando  l'andava  a  trovare,  quella  pia 
dama  faceva  mettere  nella  gondola  del 
figlio  sacchetti  di  denari,  acciò  avesse  più 
mezzi  per  aiutare  i  poveri.  Quando  Pio 
VI  nel  17821  soggiornò  io  Veuezia,  il  che 
ho  descritto  nel  §  XIX,  u,  4*  »  Pe^  P3' 
triarca  furono  giorni  di  consolazione,  E 
quando  quel  glorioso  Papa  fu  strappalo 
dalVaticauo  e  condotto  iu  Frauda  prigio' 
ne  ,  stabili  mg.r  Giovanelli  suo  delegato 
apostolico  in  queste  regioni,  acciocché 
gì'  interessi  della  religione  uou  avessero 
a  soffrii detrimento  0 ritardo.Morto  quel- 
l'ammirabile supremo  Gerarca  in  Valen- 
za a*2Q  agosto  1 799,  la  mano  di  Dio  coti 
tUtatet  Veuesiai  dispersi  cardinali  pei- 


VEiN  i39 

che  gli  dassero  un  successore  ;  e  l'impe- 
ratore acconsentì  che  vi  celebrassero  il 
conclave,  come  in  pacifico  e  sicuro  asilo. 
Ma  quanto  precedette,  accompaguò  e  se- 
guì il  memorabile  avvenimento,  inclusi- 
vamente  all'elezione  e  dimora  di  Pio  VII 
in  Venezia,  l'ho  descritto  nel  §  XX,  n.i. 
Ivi  pur  narrai  la  santa  gioia  del  patriar- 
ca Giovanelli,  in  vedere  riunito  nella  sua 
Veuezia  il  sagro  collegio,  manifestata  con 
dotta  e  fervorosa  pastorale,  per  eccitare 
i  diocesani  alla  preghiera,  perchè  lo  Spi- 
ri toSanto illuminasse  i  principi  dellaGhie- 
sa  a  sollecitamente  eleggere  il  Pastore  su- 
premo. Che  non  ebbe  il  couforto  di  ve- 
nerare il  uuovo  Papa  ,  e  raddoppiare  il 
suo  giubilo  per  l'onore  che  accrescevasi 
alia  sua  patria,  perchè  iudefesso  nel  pre- 
stare amorevole  e  riverente  assistenza  a* 
cardinali,  e  uell' intervenire  con  fervore 
alle  pubbliche  preci  da  lui  ordinate,  esi- 
le di  corpo,  abbattuto  dalle  fatiche,  ca- 
duto infermo,  morìa'  io  gennaio!  800,  iu 
età  di  73  auui  :  e  certamente  se  fosse  so^ 
pravvissuto,  Pio  VII  l'avrebbe  anno- 
verato al  senato  apostolico.  Che  la  sua 
morte  fu  pianta  da  tutti,  particolarmen- 
te da'poveri,  che  videro  rapirsi  il  padre; 
ed  il  sagro  collegio,  addolorato,  gli  fece  ce- 
lebrare solenni  e  onorifici,  funerali,  per 
pubblica  dimostrazione  di  grato  animo  e 
di  estimazione.  La  venerazione  verso  il 
prelato  era  tauta,  che  ognuno  fece  a  ga- 
ra per  ottenere  qualche  porzione  o  delle 
sue  vesti  q  de'suoi  capelli.  Ebbe  sepoltu- 
ra uella  basilica  patriarcale,  dinanzi  al- 
la porta  che  conduceva  al  palazzo,  eoa 
epigrafe  marmorea,  postagli  da'couli  fra- 
telli Giuseppe  e  Antouio  Giovanelli.  Ol- 
tre lab.  Cappelletti,  lo  celebrò  l'ab.  Bel- 
lo tu  0 ,  Co  n  tiu  uazio  ne  de  Ila  Storia  de  l  Cri- 
stianesìmo,  t,i,  p.i3;  ed  il  cav.  Mutiuel- 
li  negli  Annali  delle  Province  Fenete, 
L'eletto  Pio  VII,giunto  iu  Roma,  perai» 
testare  la  sua  riconoscenza  al  clero  vene- 
to concessealcapitolo  metropolitano  quel- 
l'iusegue  corali  di  cui  parlai  uel§  VI,  u.i. 
—  Siccome  sotto  V  imperatole  Giuwp» 


)_jo  VEJN 

pe  II  furono  folte  innovazioni  nella  (lisci- 
I .lina  ecclesiastica  in  tolto  l'impero  iYAu- 
stria,  sì  negli  slati  {\\(tcrmam'(i}c\\e  nella 
Lombardia  Austriaca,  che  ricordai  pure 
nel  voi.  XCII,  p.  593  e  609  ;  facendo  poi 
parte  degli  slati  d'Italia  di  detto  impero 
le  pioviucie  di  Crema,  Bergamo  e  Bre- 
scia, già  appartenenti  alla  repubblica  di 
Venezia,  in  uno  a  tutte  le  provincie  ve- 
neziane, anche  esse  furono  sottoposte  alle 
medesime  discipline,  e  continuarono  ad 
» sserlo  sino  a'noslri  giorni,  io  debbo  ri- 
portarle. Narrai  uegli  indicati  articoli  e 
«(«plorai  le  molte  novità  introdotte  nelle 
difese  de'  suoi  domimi  da  Giuseppe  U, 
continuate  poco  più,  poco  meno,  anche 
dopo  la  morte  di  lui  ;  ed  avendo  in  molte 
cose  legato  e  stravolto  le  canoniche  leggi, 
perciò  il  Papa  Pio  /  /intraprese  il  viag- 
gio di  Vienna,  e,  malgrado  le  sue  limo- 
si ranze  personali,  Giuseppe  II  rimase  fer- 
mo nelle  sue  idee,  e  inviò  al  governatore  e 
ui  pi  te  ho  generale  della  Lombardia  Au- 
si naca  il  seguente  editto, che  in  sostanza 
restrinse  vieppiù  il    potere  ecclesiastico, 
ed  applicò  a  se  non  pochi  diritti  episco- 
pali e  pontificii.  Esso  diceva:  »  Dopo  gli 
scambievoli  schiarimenti,  che  in  occasio- 
ne della  dimora  del   Papa  nella    nostra 
corte  sono  seguili  Ira  noi,  circa    diversi 
oggetti  ecclesiastici,  compresi  ne'  regola* 
n.enti da  noi  finora  prescritti  pel  vantag- 
gio della  Religione  e  dello  Stato,  abbiamo 
trovato  necessario  spiegarelesegueuli  no- 
stre determinazioni  per  intelligenza  e  di- 
ri zione  de'rispellivi  governi de'nostri  do- 
mimi, e  perchè  questi  ne   procurino  la 
piena  esecuzione  ed  osservanza.    i.°  Re- 
meranno ferme  e  perciò  si  dovranno  os- 
servare pienamente  le  nostre   delibera- 
zioni già  pubblicate  sulla  tolleranza  cri- 
stiana in   materia  di    Religione.  i.°  Le 
stampe,  opere,  libri  che  uscirannoalla  lu- 
ce, dovranno  essere  rivedute    da'  nostri 
regi  censori;  ma  ciò  non  impedirà,  che 
i  vescovi  possano  fare,  come  iti  addietro, 
le  loro  rappresentanze  al  governo  circa 
1  libri  che  fossero  veramente  nocivi  alla 


V  E  N 
nostra  s.  Religione,  e  si  dorranno  preti» 

dere  in  considerazione    tali  rimostranze 
per  la  soppressione  o  proibizione  dell'o- 
pera, rendendocene  prima    avvisali.   3.° 
Dovrà  mantenersi  in    vigore  V  esercizio 
del  regio  diritto  d'ispezioue  sopra  i  semi- 
narli vescovili  ed  altri  collegi    di  educa- 
zione del  clero,  tanto  in  ordine  alla  disci- 
plina, (pianto  alle  dottrine  che  vi  s'inse- 
gnano. 4-°  Dovrà  intimarsi  a' vescovi  l'e- 
spressa nostra  proibizione,   che  nessuno 
de' loro  preti  diocesani  si  faccia  lecito  in 
avvenire  di  promuovere  dispute  o  que- 
stioni sia  in  voce,  sia  in  iscritto,  a  favore 
o  contro  la  bolla  Unigenilus,  edovrà  pu- 
re farsi  sapere  a'teologi,  che  debbono  li- 
mitarsi a  dare  a'Ioro  discepoli  le   neces- 
sarie nozioni  intorno  la  esistenza,  i  moti- 
vi, il  contenuto  di  questa  bolla,  senza  poi 
proporvi  sopra  ne  lesi,  uè  argomenti  di 
controversia  e  disputa,  in    veruna  occa- 
sione e  mollo  meno  nelle  pubbliche  le- 
zioni, negli  esami  e   negli   esperimenti. 
5.°  Restando  sempre  nell'intiero  suo  vi- 
gore ed  esercizio  il  supremo   diritto  del 
Hcgio  cxeqnaturt tutte  le  bolle,  che  trat- 
tano di  materie  dommatiche,  non  saran- 
no sottoposte  a  venni  esame  o  censura, 
tostochè  verranno  riconosciute  per  tali. 
6.°  L'arcivescovo  di  Milano  e  i  vescovi 
della  nostra  Lombardia  saranno  obbligati 
in  avvenire,  al  pari  di  tutti  quelli   degli 
altri  nostri  stati, a  prestare,  prima  ch'en- 
trino in  possesso  della  rispettiva  loro  chie- 
sa, uno  speciale  giuramento  a  noi,  come 
legittimo  loro  sovrano,  secondo  la  for- 
mula che  sarà  annessa,  ed  il  governatore 
della  Lombardia  Austriaca   dovrà   rice- 
verlo in  nome  nostro  da  quelli  che  in 
avvenire  saranno  nominati  ed  eletti.  7.0 
Resta  fermo  similmente  il  disposto,  che 
nessuno  de'nostri  sudditti  possa  ricorrere 
direttamente  da  se  a  Roma  per  dispense 
intornogl'iaipedimenti  matrimoniali  ne' 
gradi  proibiti  di  consanguineità  ed  afli- 
nità.  I  vescovi  useranno  in  ciò  liberamen- 
te del  loro  originario  diritto;  ma  quelli 
tra  essi,  che  faruuao  difficoltà  ed  avrau- 


V  EN 

no  scrupolo  di  procedere  fare  proprio, 
non  saranno  in  vernn  modo  impediti  dal 
farsi  munire  dal  Santo  Padre  delle  facol- 
tà, ch'eglino  stimeranno  opportune  e  ne- 
cessarie, purché  quelle  vengano  accorda- 
te loro  vita  durante  e  per  ogni  genere  di 
persone  rispetto  alle  dispense  de'gradi  re- 
moti, cioè  terzo  e  quarto.  E  siccome  ne* 
gradi  più  prossimi  non  dee  concedersi  la 
dispensa  a  norma  delle  disposizioni  del 
concilio  di  Trento,  se  non  rare  volte  e 
Ira  principi  grandi  o  per  motivo  gravis- 
simo o  di  pubblica  causa,  sarà  in  tali  casi 
lasciato  aperto  a'vescovi  diocesani  l'adito 
di  ricorrere  a  Roma,  previa  sempre  la 
nostra  permissione,  la  quale  non  verrà 
concessa  che  dietro  i  termini  prescritti. 
Dovrà  pertanto  la  domanda  presentarsi 
al  governo,  esponendo  i  motivi;  e  se  que- 
sti saranno  frivoli  o  insufficienti,  saranno 
rigettati,  se  gì  ust  i  e  qualificati,  il  gover- 
no potrà  permettere,  che  se  ne  faccia  l'i- 
stanza per  la  dispensa  pontificia.  8.°  Le 
disposizioni  già  da  noi  emanale  per  la 
soppressione  de'monasteri  di  alcuni  reli- 
giosi dovranno  avere  il  loro  pieno  effet- 
to, e  similmente  quelle  che  riguardano 
la  separazione  de'  monasteri  sussistenti, 
da' genera  li  e  congregazioni  de'  loro  or- 
dini, residenti  fuori  degli  stati  austriaci, 
e  la  loro  perfetta  subordinazione  alla  po- 
testà ordinaria  de' vescovi.  Soltanto  vo- 
gliamo permettere,  che  i  provinciali  oca- 
pi  delle  congregazion»  nazionali,  che  sa* 
ranno  nuovamente  eletti,  possano  notifi- 
care la  loro  elezione  al  generale  del  ri- 
spettivo istituto,  con  semplice  lettera  di 
avviso,  e  a  sigillo  velante,  la  quale  si  do- 
vrà presentare  al  governo, e  se  sarà  nelle 
forme  prescritte  s'invieràal  nostro  mini- 
stro residente  in  Roma,  e  per  lo  slesso  ca- 
nale ritornerà  la  risposta  del  generale; 
e  qualora  da  tullociò  risulti  un  qualche 
incidente  ocaso  nuovo, il  governo  ne  darà 
parte  al  nostro  cancelliere  di  corte  e  di  sta- 
to".Ed  in  aggiunta  a  queste  determinazio- 
ni, mandava  l'imperatore  Giuseppe  li  al- 
tri due  articoli  relativi  al  Co  ricordato  fra 


VEN  i4r 

Pio  Vie  l'imperatore  Giuseppe  II (  V \ 
circa  i  vescovati  della  Lombardia.  In  essi 
dicevasi  che:  »  Le  cattedrali  della  Lom- 
bardia Austriaca,  come  l'arcivescovato  di 
Milano,  il  vescovato  di  Mantova,  ed  i  4 
vescovati  del  Milanese,  Pavia,  Cremona, 
Lodi  e  Como,  dovranno  dipendere  dal- 
l'immediata nomina  del  governo.  Quanto 
a  questi  4  ultimi  si  avrà  particolare  ri- 
guardo per  i  soggetti  raccomandati  dal 
Papa  ;  e  perciò  nella  vacanza  d'  uno  di 
essi  il  governo  ne  farà  consapevole  imme- 
diatamente il  ministro  imperiale  di  Ro- 
ma, acciocché  ne  dia  avviso  al  Santo  Pa- 
dre;e  nel  tempo  stesso  si  dovrà  farne  sape- 
re a  Vienna  l'avvenuta  moite,  unendovi 
le  informazioni  opportune. Nel  caso  poi  di 
vacanza  della  sede  arcivescovile  di  Mda- 
no,  la  città  potrà  usare  del  suo  diritto  e 
supplicale  per  la  elezione  di  uno  de'suoi 
patrizi".  Saggio  consiglio  poi  fu  della  reli- 
giosa pietà  dell'ini  peratoi  e  regnanteFran- 
cesco  Giuseppe  I,di  ridonare  alla  Chiesa, 
se  non  in  tutto  certo  in  grande  parte,  le 
primitive  sue  libertà.  Concluse  pertanto 
in  Vienna  (V.)  un  concordato  colla  s. 
Sede,  riguardante  pure  le  chiese  Austro- 
Italiane  nel  i855,  che  l'ab.  Cappelletti 
pubblicò  nel  1. 1  i ,  p.  i  i ,  Le  Chiese  d 'Ita- 
lia, ed  io  ne  ragionerò  nel  citato  orticolo. 
—  Lodovico  cardinal  Flangini  XXIX 
patriarca.  Nato  in  Venezia  da  una  Gio- 
vanelli,  percorsa  la  carriera  delle  magi- 
strature, sposò  una  Donato  e  n'ebbe  una 
figlia,  indi  rimase  vedovo.  Dopo  essere 
slato  di  Quarantia,  avogadore,  senatore, 
consigliere,  abbracciò  la  carriera  ecclesia- 
stica, fatto  uditor  di  Rota  veneziano,  pei* 
nomina  del  senato,  e  nel  1 789  creato  car- 
dinale^.FLANGWi).  Intervenneal  patrio 
conclave,  e  fu  lietissimo  di  vedere  nella 
sua  Venezia  elecsersi  il  Sommo  Pontefì- 
ce,  dimostrandolo  anche  con  illuminare 
a  torcie  di  cera,  per  3  sere  consecutive, 
il  suo  gentilizio  palazzo.  Pertanto  erano 
rivolti  sopra  di  lui  lutti  gli  sguardi  della 
veneta  Chiesa,  che  lo  presagiva  siccome 
degno  successore  del  piissimo  suo  pastore 


141  tll 

che  aven  cìi  recente  perduto.  Infatti  ,  il 
nuovoPapa  Pio  VH,n'i4novembrei8o  i 
lo  preconizzò  patriarca  di  Venezia,  con- 
sagrato  in  Homa  dal  cardinal  Minazzi,  e 
decoralo  dall'imperatore  della  gran  cro- 
ce di  s.  Stefano  d'Ungheria.  Si  recò  alla 
patria  sede  a'24  marzo i8o3,  lodato  dal 
Ijcllomo  per  le  vaste  sue  cognizioni  nel- 
la letteratura  (e  per  over  fatto  chiudere 
il  lììdotto ,  quando  era  magistrato  della 
repubblica,  doveeon  gran  danno  del  pub* 
blico  costume  V  intere  famiglie  durante 
il  carnevale  esponevano  in  un  colpo  a* 
ciechi  e  volubili  rischi  del  giuoco  tutte 
le  loro  sostanze)  e  per  altro,  lievissima 
però  fu  la  durata  del  suo  pastorale  go- 
verno,  poiché  il  29  febbraio  1804,  fu  l'ul- 
timo del  viver  suo.  Ebbe  tomba  nella  ba- 
silica patriarcale  di  s.  Pietro  di  Castello, 
ove  gli  fu  scolpita  I'  epigrafe  riprodotta 
dal  eh.  Cappelletti,  ed  erettagli  dalla  fi- 
glia e  dalla  sorella.  Osserva  quel  patrio 
scrittore.»  Cessato  il  sapientissimo  gover- 
no della  repubblica  veneziana,  era  cessa- 
ta altresì  la  sollecitudine  e  la  prontezza 
di  dare  alle  chiese  dello  stato,  e  princi- 
palmente alla  chiesa  di  Venezia,  il  sagro 
pastore,  toslochè  ne  fosse  avvenuta  la  ve- 
dovanza. Non  più  dunque  per  pochissimi 
giorni  la  nostra  sede  ne  rimase  vacante; 
ma  per  mesi  talvolta,  e  talvolta  per  anni 
ebbe  a  rimanervi  dipoi.  Dopo  la  morte 
infatti  del  Giovanelli,  corsero  quasi  due 
«imi  prima  che  le  fosse  eletto  il  Piangi- 
lo; e  dopo  la  morte  del  Flangini  Decor- 
sero quasi  tre.  Ed  in  questo  fra  mezzo  la 
città  nostra  aveva  cangiato  padrone.  Non 
era  più  dell'imperatore  d'Austria:  uè  a- 
veva  conseguito  il  dominio  Napoleone,  e 
formava  parte  del  nuovo  regno  d'Ita- 
lia". —  Nicola  Saverio  Gamboni XXX 
patriarca.  Milanese,  già  vescovo  di  Ca- 
pri, e  nel  i8o5  di  Vigevano,  l'i  1  gen- 
naio 1807,  fu  dato  patriarca  a  Venezia. 
Da  lui,  come  narrai  e  lagrimai  in  più 
luoghi,  cominciarono  gli  sconvolgimenti 
e  i  disordini  delle  cose  ecclesiastiche  in 
Venezia,  prevalendo  le  politiche  detenni- 


V  E  IV 
nazioni  alle  leggi  ed  a'eanoni,  ed  llilfrt* 
d  ucettdov4«i  eantaguen temente  mille  icon 

ci  e  irregolarità.  Egli  infatti,  perchè  Eu- 
genio  viceré  d'Italia  a' 19  ottobre  1807 
avea  dichiarato  cattedrale  la  basilica  di 
s.  Marco,  7  giorni  dopo  arbitrariamente 
vi  trasferì  la  cattedra  patriarcale  da  s. 
Pietro  di  Castello,  frammischiando  i  ca- 
nonici delle  due  chiese  e  formandone  un 
solo  capitolo,  senza  curarsi  di  far  appro- 
vare il  suo  operato  da  Pio  VII,  dal  qua- 
le bensì  per  esso  ottenne  altri  ornamen- 
ti corali  indicati  nel  citato  luogo.  A  delta 
irregolarità, seguì  l'altra  della  concentra- 
zione e  riduzione  delle  parrocchie  urba- 
ne, descritta  nel  §  Vili,  n.  73;  fu  aboli- 
to il  privilegio  delle  sagre  ordinazioni  a 
titolo  di  servitù  di  chiesa, e  fu  imposto  a 
tutti  la  condizione  del  patrimonio  ecclesia- 
stico. Un  avvenimento,  parimente  già  di- 
scorso altrove,  interessantissimo  e  lieto 
per  Venezia,  sotto  il  patriarcato  del  Gam- 
boni, fu  il  ritrovamento  del  prezioso  cor- 
po di  s.  Marco  Evangelista,  essendosi  per- 
duta ogni  traccia  del  sito  ov'era  stalo  de- 
posto. Or  avvenne,  per  divina  disposi- 
zione, che  dovendosi  ingrandire  il  pre- 
sbiterio pegli  stalli  de'due  capitoli  riuni- 
ti, nel  togliersi  alcune  colonnette  che  ser- 
ravano l'altare  all'intorno,  onde  riuscis- 
se più  aperto,  rimossa  a' 12  maggio  1808 
la  mensa  dell'altare,  si  trovò  un  gran  cas- 
sone sorretto  da  4  colonne  della  sotto-con- 
fessione, ma  in  essa  non  si  potè  penetra- 
re per  l'acqua  slagnante  che  l'ingombra- 
va a  considerevole  altezza.  Il  patriarca 
che  avea  concepito  speranze  di  ritrovare 
il  s.  Corpo,  restando  deluso,  tralasciò  al- 
tre indagini,  e  partilo  poi  per  Milano  sua 
patria,  ivi  morì  a'20  ottobre  ili  detto  ari- 
uo.  Rimase  non  curata  l'impresa  sino  al 
gennaio  181  i,  nel  qual  tempo  rinato  il 
divoto  desiderio  di  nuove  investigazioni 
per  tentare  T  accesso  al  sotterraneo,  per 
le  zelanti  e  benemerite  insistenze  del  pre- 
te Agostino  Correr  sotto-sagrista  della  ba- 
silica, alfine  a'3o  gennaio  si  pervenne  a 
ritrovare  il  s-  Corpo,  mentre  suonava»! 


V  E  F 

il  vr spero  per  la  traslazione  del  medesi- 
mo ,  con  generale  gioia  ed  entusiasmo. 
Qneslopoi  fu  immenso,  quando  a'6  mag- 
gio si  esitasse  la  cassa,  trovandosi  den- 
tro la  lamina  ehe  indicava  Y  anno  1094 
e  1*8  ottobre  giorno  della  consagrazione 
della  basilica  e  della  deposizione  del  glo- 
rioso patrono  di  Venezia,  leggendosi  scol- 
pite le  sigle  indicanti  s.  Marcus,  ed  an- 
cbe  una  Croce  di  bronzo  piena  di  ss.  Re- 
liquie, collocatavi  dal  vescovo  di  Castello 
Enrico  Con  Urini.  La  cassa  di  legno  cbe 
racchiudeva  il  sagro  pegno,  fu  estratta  e 
riconosciuta  con  rogito  nella  stanza  del 
Itsoro,  la  ricognizione  delle  ss.  Ossa  se- 
guendo a'9.  Esisteva  il  capo  co'  denti,  le 
ossa  principali  dello  scheIetro,affattoscar- 
nate  e  disseccate,  oltre  molti  pezzetti  già 
polverizzati  e  molta  cenere.  Indetta  cas- 
sa si  rinvenne  pure  un  vasetto  ligneo  pie- 
no di  materia  odorosa,  e  una  simile  sca- 
tola con  alcune  ss.  Reliquie;  probabilmen- 
te di  s.  Antonio  anacoreta  dell'Egitto,  ol- 
tie  parecchie  monete  d'argento.  Tramu- 
tato il  s.  Corpo  in  altra  cassa  di  legno 
nuovo  a'  3o  settembre,  vi  fu  posta  me- 
moria plumbea,  e  si  collocò  sotto  l'altare 
maggiore.  - — Stefano  Bonsigiiore,  intru- 
so. Mentre  la  s.  Chiesa  veneziana  esulta- 
va per  sì  felice  ritrovamento,  gemeva  af- 
flitta dalla  sciagura  d'  una  sacrilega  in- 
tiusione  sulla  sua  cattedra  patriarcale, 
per  cui  profonde  piaghe  contaminarono 
la  tristezza  della  sua  vedovanza.L'ab.Cap- 
pel  letti  la  disse  intrusione,  perchè  sebbe- 
ne si  qualificasse  del  titolo  semplicemen- 
te di  eletto,  tuttavia  vi  fece  la  figura  stes- 
sa, che  facevano  il  caidinal  Maury  (F.), 
vescovo  di  Monte  Fiascone  e  Cornelo, 
trasferito  da  Napoleone  1  a  Parigi  capi- 
tale della  F  rancia  j  e  di  Antonio  Eusta- 
chio di  Osinomi  vescovo  di  Nancy,  pro- 
mosso dallo  stesso  all'ai  ci  vescovato  di  Fi- 
renze capitale  di  Toscana j  ed  in  onta  de' 
s.  canoni  e  dell'ecclesiastiche  costituzio- 
ni entrati  nell'amministrazioni  delle  dio- 
cesi, a  cui  l'imperatore  di  sua  autorità  e 
senza  l'adesione  di  Pio  VII  gli  avea  de- 


V  E  W  i43 

slinoti.  Stefano  Bomignore  di  Busto  Ar- 
sizio  arcidiocesi  di  Milano,  vescovo  di 
Faenza  (F.),  era  stato  nominato  al  pa- 
triarcato di  Venezia  a'9  febbraio  1 8 1  1  (e 
amministratore  della  diocesi  di  Torcello), 
ed  ivi  giunse  a'4  del  susseguente  aprile, 
col  caiattere  d'amministratore  capitola- 
re della  diocesi.  Cercò  di  difendere  o  al- 
meno di  mitigare  la  sconsigliata  accet- 
tazione di  questa  dignità  il  dotto  can.  An- 
dieaStrocchijillustre  patrio  scrittore  faen- 
tino nella  sua  Serie  cronologica  storico- 
critica  de'vescoviFaeniini compilata  ec, 
a  p.  249  e  seg.,  ch'era  allora  suo  vicario 
generale;  e  disse  che  il  Bonsignore  non 
fece  mai  uso  del  irono  patriarcale.  In- 
vece afferma  l'ab.  Cappelletti,  che  tale  no- 
tizia si  smentisce  da  chi  ne  fu  testimonio 
più  volte.  L'arcidiacono  vicario  capitola- 
re Nicolò  Bortolatti,  che  nella  vacanza 
della  sede  ne  reggeva  la  diocesi,  fu  co- 
stretto a  cedere  il  titolo  al  patriarca  elet- 
to ,  ed  assumere  il  caiattere  di  speciale 
deputato  all'interna  direzione  della  dio- 
cesi, finche,  venuto  egli  slesso,  disimpe- 
gno tutte  le  funzioni  di  ordinario  dioce- 
sano, per  un  triennio  e  più.  Intanto  mo- 
rì il  vicario  capitolate  Bortolatti,  ed  i  ca- 
nonici elessero  il  collega  Luciano  Lucia- 
ni, eh'  era  canonico  teologo.  A  mitigare 
però  la  reità  del  patriarca  eletto,  in  tut- 
te le  funzioni  episcopali  esercitate  da  lui, 
n'  era  autorizzato  dal  vicario  capitolare, 
per  cui  sebbene  apparisse  ch'egli  se  ne  in- 
gerisse di  propria  autorità,  segretamente 
agiva  per  delegazione  del  vero  e  legitti- 
mo amministratore  della  diocesi.  Colma- 
to di  onori  da  Napoleone  I,  fu  suo  amba- 
sciatore a  Pio  FU,  che  l'imperatore  a- 
vea  rilegato  a  Savona,  e  nuovamente  pel 
famoso  concilio  di  Parigi,  ed  a  Fontaine- 
bleau  per  l'imperatore.  Finalmente  a'9 
maggio  1 8 14,  già  cessato  il  regno  d'Italia 
e  l'impero  di  Napoleone,  pai  ti  da  Vene- 
zia.Furono  assoggettati  a  penitenza  quan- 
ti da  lui  erano  stati  ordinali  ,  i  chierici 
promossi  agli  ordini  minori  a  3  giorni  d'e- 
sercizi spirituali,  ed  8  gli  ordinati  a'mag- 


i44  VEN 

gioii.  Tornato  il  prelato  in  Faenza ,  si 
condusse  a'piedi  di  Pio  VII  onde  purgar- 
si di  ogni  malcauta  sua  asserzione  in 
una  circolare  relativa  al  contratto  civile 
del  matrimonio,  e  massimamente  eli  aver 
accettato  l'amministrazione  del  patriar- 
cato di  Venezia  prima  d'ottenerne  la  ca- 
nonica istituzione,  e  dell'essersi  ingerito 
negli  affari  della  diocesi, come  vicario  del 
capitolo  del  patriarcato;  di  tutto  fu  be- 
nignamente assolto  dall'indulgenza  pon- 
tifìcia. Non  pero  cessò  allora  la  vedovan- 
za della  veneta  sede.  Si  legge  nel  t.  i,  p. 
1 18  delle  I)  uhi  orazioni  e  Ili  li  attrizioni 
degl'Indirizzi  stampati  in  Milano  nel 
181  i,  umiliale  a  Papa  Pio  FU,  dagli 
arcivescovi  e  vescovi,  e  da'  capitoli  d'I- 
talia, del  capitolo  metropolitano  di  Ve- 
nezia, n  Beatissimo  Padre.  Se  ne'passati 
turbolenti  tempi  di  violenza  e  di  coster- 
nazione,!! capitolo  della  metropolitana  di 
Venezia,  e  col  suo  così  detto  Indirizzo, 
e  colla  successiva  accettazione  di  mg.' 
■vescovo  di  Faenza  in  vicario  capitolare, 
mostrò  di  troppo  sentire  la  forza  della  ten- 
tazione violenta,  protesta  però  altamente, 
ebequesto  momentaneo  effetto  di  trasfuso 
timore,  coll'oggetto  forse  di  schivare  una 
più  grave  procella,  non  alterò  punto  la 
costanza  de'suoicattolici  sentimenti,  e  del 
suo  rispettoso  figliale  attaccamento  alla 
Sede  Apostolica,  edal  Capo  supremo  del- 
la Chiesa,  Maestro  e  Pastore  universale 
di  tutta  la  greggia  di  Cristo,  e  de'mede- 
simi  Pastori  con  divina  indeficiente  au- 
torità. E  ne  diede  una  prova  evidente, 
allorché,  cessata  appellala  violenza,  con 
atto  capitolare  del  giorno  4  maggio  spen- 
tamente intimò  al  vescovo  di  Faenza  di 
deporre  il  carattere  sino  allora  sostenu- 
to; ed  ora  pervenutagli  la  cognizione,  che 
i  vescovi  e  i  capitoli  del  già  Italico  regno 
si  affrettano  ad  umiliare  a'piedi  del  Vi- 
cario di  Cristo  le  loro  Ritrattazioni,  si 
fa  un  dovere  di  seguirne  l'esempio, con- 
fessando primieramente  l'incompetenza 
dell'atto  emesso  da  lui  contale  Indirizzo, 
poiché  nou  poteva  egli  interloquire,  spe- 


VEN 
cialmente  in  quelle  circostanze,  in  mate- 
rie gravissime  di  dottrina  e  di  disciplina, 
e  di  altri  oggetti  sagri,  che  si  agitavano 
allora  tra  il  Capo  della  Chiesa,  e  il  po- 
tente Regnante  di  que'tempi;  per  il  che 
esso  capitolo,  rivoca,  annulla  e  ritratta  in 
quel  suo  preteso  Indirizzo  tutto  ciò  che 
(non  ostante  la  purezza  delle  sue  inten- 
zioni) mostra  adesione  all'  Indirizzo  del 
capitolo  di  Parigi  6  gennaio  181  1,  e  tut- 
to ciò  che  in  esso  rigetta  la  Santità  Vo- 
stra, protestando  solennemente,  che  rap- 
porto alla  dichiarazione  del  clero  Galli- 
cano del  1682  è  sempre  stato,  e  saia 
sempre  sottomesso  alle  bolle  e  brevi  d'In- 
nocenzo XI,  di  Alessandro  Vili,  e  di  Pio 
VI  nella  bolla  Auclorem  Fida, E  quan- 
to secondariamente  alla  deputazione  in 
vicari  capitolari  o  amministratori  delle 
sedi  vacanti  delle  persone  nominale  dalla 
potestà  secolare,  si  attiene  Io  stesso  capi- 
tolo perfettamente  al  breve  di  Vostra 
Santità  diretto  al  vicario  capitolare  di 
Firenze  arcidiacono  Corboli  dà  Savona 
li  1  dicembre  18  io,  dichiarando  e  pro- 
testando finalmente,  nella  più  ampia  e 
e  solenne  forma,  di  non  voler  mai  né  in- 
segnare, né  ammettere,  né  riconoscere 
altre  dottrine,  se  non  quelle,  che  sono 
approvate  dalla  Sede  di  Pietro,  nella  di 
cui  dipendenza  ogni  individuo  del  capi- 
tolo di  questa  Metropolitana,  sempre  in- 
tatta nella  sua  fede,  si  fa  una  gloria  di 
voler  vivere  e  morire,  esclamando  col 
massimo  dottore  s.  Girolamo:  Si  auis 
Catìiedrae  Pelrijungilur  meus  est.  Ve- 
nezia 8  febbraioi8l6.  Luciano  Luciani 
arcidiacono  Sicario  delegalo".  Seguo- 
no le  sottoscrizioni  de'i4  canonici  e  del 
cancelliere  capitolare  Pier  Gio.  Maria 
Schianta.  E'  egli  questo  un  monumento 
glorioso  del  capitolo  metropolitano  della 
s.  Chiesa  Veneziana. —  Francesco  Ma- 
ria Milesi  XXXI patriarca.  La  caduta 
di  Napoleone  I, avendo  fatto  ritornare  Ve- 
nezia nel  domiuio  dell'Austria,  T  impera- 
tore Francesco  I  l'8  dicembre  j  8  r  5  no- 
minò il  veueziauo  Milesi,  già  successiva- 


V  E  K 

mente  pievano  di  s.  Silvestro,  canonico 
onorario  della  cattedrale,  esaminatole 
pro-sinodale,  arciprete  della  congregazio- 
ne di  s.  Silvestro,  promotore  fiscale  della 
nunziatura  apostolica  di  Venezia,  udito- 
re generale  della  metropolitana  d'Udine, 
vicario  generale  del  vescovo  di  Torcello, 
pro-vicario  del  cardinal  Flangini,  ed  al- 
lora vescovo  di  Vigevano  ,  da  dove  Pio 
"VII  lo  traslalò  alla  patria  sede  a'23  set- 
tembre i  816,  come  ricavo  dal  Diario  di 
lìoma  e  dalle  Notizia  di  Roma.  Nota  l'ab. 
Cappelletti,  che  il  possesso  preso  dal  pro- 
curatore, ebbe  luogo  in  s.  Pietro  di  Ca- 
stello, ancora  vera  e  legittima  cattedra- 
le, ed  in  s.  Marco  ov'era  stata  arbitraria- 
niente  trasferita  hi  sede;  egli  poi  fece  nel- 
la 2.a  il  suo  solenne  ingresso  a' 2  marzo 
1817,  e. fu  il  i.°  patriarca  che  fece  resi- 
denza presso  la  basilica  Marciana,  men- 
tre il  Gamhoni  avea  alloggiato  in  un  pa- 
lazzo a  s.  Maurizio,  e  l'imperatore  Fran- 
cesco I  stabili  per  patriarchio  la  porzione 
settentrionale  del  già  palazzo  ducale,  al  di 
dietro  di  detta  basilica.  Tre  cose  furono 
sommamente  a  cuore  al  Milesi,  l'assisten- 
za de'  poveri,  la  cristiana  istruzione  de* 
fanciulli,  e  I'  educazione  de'chierici.  Per 
provvedere  regolai  mente  alla  1 .', istituì  la 
commissione  generale  di  pubblica  bene- 
ficenza, e  nedichiarò  presidenti  sé  e  i  sue- 
cessorijcon  opportune  leggi  regolò  le  scuo- 
le della  dottrina  cristiana  io  tutte  le  chie- 
se della  città,  per  l'insegnamento  di  essa 
a'fanciulliealle  fanciulle  d'ogni  età  e  con- 
dizione, che  per  l'anteriori  vicende  era 
trascurato;  ed  essendo  il  seminario  la  pu- 
pilla dell'occhio  suo,  per  l'incomoda  lon- 
tananza a  s.  Cipriano  di  Murano,  otten- 
ne la  casa  de'somaschi  alla  Salute  e  ivi 
lo  trasportò  nuovamente.  Tutte  cose  che 
descrissi  ne'  rispettivi  luoghi.  Cos^i  pure 
del  nuovo  lustro  col  quale  nel  1818  da 
Pio  VII  fu  decorato  il  patriarcato  con  più 
estesa  giurisdizione,  sia  colla  soppressio- 
ne de'vescovati  di  Caorle  e  2orcello,e 
ambedue  aggregati  al  patriarcato,  sia  per 
l'accresciute  chiese  suflìaganee,  del  sop- 
voi.  xeni. 


VEN  i4j 

presso  arcivescovato  d'Udine,  il  quale  al- 
lora ridotto  a  vescovato,  fu  pure  com- 
preso tra  le  suffraganee;  inoltre  fra  que- 
ste e  temporaneamente  si  annoverarono, 
ad  beneplacilum  s.  Scdis,  anche  quelle  di 
Cittanova  o  Emonia,  di  Capodistria,  in- 
di unita  a  Trieste,  di  Parenzo  e  Vola, 
indi  tutte  sufhaganee  di  Gorizia  e  Gra- 
disca, e  tutte  discorse  a' loro  e  in  altri  ar- 
ticoli. La  bolla  De  salute  dominici  gre* 
gis,  del  i.°  maggio  18  18,  si  può  leggere 
anche  nel  Bull.  Rem.  cont.  t.  i5,  p.  36. 
Quanto  alle  unite  chiese,  di  Torcello  ali- 
bastanza  ne  riparlai  nel  §  XVIII,  n.  2  3, 
e  quanto  a  Caorle  [V.)  duo  qui  alcune 
altre  parole,  come  feci  di  sopra,  in  que- 
sto stesso  numero,  per  Equilio  o  Jesolo, 
dovendo  qui  pur  far  cenno  del  suo  vica- 
rialo foraneo,  come  promisi. —  Nell'emi- 
grazione de'popoli  fuggenti  dall'irruzione 
de'barbari,  e  che  formarono  la  venezia- 
na consociazione,  fu  Caorle  una  delle  iso- 
le che  loro  porsero  asilo  circa  il  4°7«  Q11' 
vennero  a  ricovrarsi  parlicolarmenteque' 
di  Concordia  e  delle  contigue  terre  del 
Trevigiano,  e  vi  si  fermarono  finché  par- 
ve loro  cessala  la  devastatrice  procella; 
ma  ben  presto  nel  4^2,  a'  comparir  del 
feroce  Attila,  dovettero  i  concordiesi  ri- 
parar di  nuovo  al  precedente  asilo.  Ila 
quest'isola  il  nome  di  Caorle,  quasi  cor- 
ruzione dell'antico  e  primitivo,  a  quanto 
sembra  derivatole,  o  dall'abbondanza  del- 
le capre,  che  vi  si  moltiplicavano,  o  dal- 
Tesser  stata  asilo  di  fuggiaschi  pastori.  Oli 
antichi  nomi  sono:  Sylva  Caprulana,Ca- 
pritana,  Caprcnsis.  Insula  Capriae,  Ca- 
prulae,  Caprai  ia,  Capritanaj anche  Ve- 
Ironia,  che  però  il  Bottani  nel  Saggio  di 
storia  della  città  di  Caorle,  dice  non  a- 
ver  buon  fondamento  tal  denominazione, 
se  pure  non  derivi  dalla  via  Emilia  che 
accostavasi  alla  Sylva  Caprulana,  e  con- 
tinuava sino  ad  Aquileia,  la  quale  fu  co- 
struita dal  console  Emilio,  alla  di  cui  fa- 
miglia appartenne  Petronio  Didio  Seve- 
ro, padre  di  Didjo  Giuliano  imperatore 
romano  nel  192,  Una  tradizione  costan- 

io 


i4C>  VEN 

le  le  dà  l'epiteto  ili  Bella.  L*  isola  ne' 
primi  (empi  ebbe  il  suo  tribuno,  il  quale 
insieme  agli  altri,  concorreva  a  formare 
il  primo  nucleo  della  veneta  repubblica; 
ma  quando  cominciò  il  governo  de'dogi, 
vi  risiedeva  un  gaslaldo  ducale,  e  poi  un 
podestà,  recandovisi  ogni  anno  il  doge  ad 
amministrar  la  giustizia.  Tra'  vescovati 
delle  venete  Lagune,  quello  di  Caorle  è 
reputato  il  più  antico,  poiché  comincia- 
to nel  5g8.  E  dice  il  Corner,  questo  ve- 
scovato sutnaganeo  del  patriarca  di  Ve- 
nezia, per  la  sua  antichità  il  più,  ragguar- 
devole della  yenezia  marittima,  però  per 
gli  angusti  confini  di  sua  diocesi,  e  per  la 
ristrettezza  di  sue  rendite,  era  considera- 
to come  inferiore  a  tutti.  Inoltre  Caorle 
ebbe  rinomanza,  anco  perchè  qui  furono 
raggiunti  i  triestini,  che  aveano  rapito  le 
spose  veneziane,  avvenimento  di  sopra 
ancora  in  questo  §  rammentato;  da  ciò 
anzi  uno  de'6uoi  porti  prese*  il  nome  di 
Porto  delle  Donzelle.  Caorle,  come  tut- 
te le  altre  città  e  isole  dell'Estuario  ve- 
neto, nacque  cristiana  ed  ebbe  illustre  se- 
de vescovile;  dappoiché  popolata  moltis- 
simo, sino  dal  5g8,  sembra  che  ili.°  suo 
pastore  sia  stato  lo  stesso  vescovo  di  Con- 
cordia, il  quale  fuggito  dalle  distruzioni 
di  Attila,  vi  abbia  fissata  la  sua  dimora. 
Egli  era  Giovanni, untavo  d'origine,  e  più 
che  per  le  incursioni  de'barbari,  per  sot- 
trarsi allo  scisma  famoso  de  Tre  Capito- 
li, venne  a  cercarsi  asilo  in  quest'  isola, 
dal  castello  delle  Nove  o  Nova,  forse  lun- 
gi 8  miglia  prossima  al  Tagliamento  e 
su'lidi  Caprulani,chepoi  a  Caorle  fa  qua- 
si per  dioecesìm  conjuncla.  Ma  gli  sci- 
smatici abitatoli  del  castello  delle  Nove 
vollero  che  Giovanni  tornasse  fra  loro, ed 
egli  andatovi  ne  abbracciò  lo  scisma.  Per- 
ciò i  caprulani  nel  5gg  chiesero  a  Papa 
s.  Gregorio  I  un  nuovo  pastore,  di  cui 
non  rimase  memoria.  Esiste  però  la  let- 
tera pontifìcia  di  congratulazione,  e  ono- 
revole pe'caprulaui,  lodali  per  la  loro  fe- 
deltà alla  cattolica  dottrina.  Il  Bollarti 
crede  che  il  Papa  riconfermasse  Giovan- 


V  EN 

ni  nel  vescovato  di  Caorle,  forse  avendo 
rinunziato  allo  scisma,  ed  il  Cappelletti 
ne  dubita.  Cerio  è,  che  dopo  tal  i.°  ve- 
scovo di  Caorle,  sino  all' 875  non  si  co- 
nosce altro  pastore,  e  in  quell'anno  se- 
deva il  vescovo  Leone,  contro  del  quale 
Papa  Giovanni  sentenziò  la  scomunica, 
in  pena  di  non  esser  intervenuto  al  con- 
cilio di  Ravenna,  a  cui  avealo  invitato, 
indi  presto  fu  assolto  a  istanza  del  doge 
Orso  Partecipazio  I.  Nel  io53  n'era  ve- 
scovo Giovanni  II,  e  nel  1074  Buono. 
De'suoi  62  vescovi,  ne  ricorderò  alcuni. 
Pietro  nel  1 1 27  fu  al  sinodo  di  Torcello. 
Domenico  II ,  forse  della  caprulana  fa- 
miglia Tomba,  nel  1172  era  anche  dele- 
gato apostolico.  Rinaldo  nel  1  247  consa- 
grò l'altare  maggiore  della  sua  cattedra- 
le ,  intitolata  a  s.  Stefano  protomartire, 
come  dissi  nel  suoarticolo  citato.  A  Buo- 
no //del  1262,  sepolto  nell'atrio  della 
cattedrale,  fu  scolpita  nel  gradino  della 
porta  maggiore  iscrizione  che  lo  censura: 
Non  Bonus  hic  Bonus  ...  Pastor  crai  di- 
ctu,sed  Mercenarius actu  etc.  I  canoni- 
ci di  Caorle  eleggevano  il  proprio  vesco- 
vo, ed  esercitarono  per  1'  ultima  volta  il 
diritto  nel  1  3^8  col  francescano^.  Ge- 
rardo, poi  rimosso  nel  1 35o;  elezioue  che 
cagionò  dissapore  colla  s.  Sede,  per  aver- 
sene riservato  la  nomina  Clemente  VI,  e 
nondimeno  i  canonici  procederono  all'e- 
lezione. Anzi  il  cardinal  Guidode  Coulo- 
gne  legato  a  latere  in  Italia  l'avea  con- 
fermata, e  il  patriarca  di  Grado  Andrea 
Dolio  lo  avea  pure  consagrato.  Appena 
il  Papa  n'ebbe  notizia  annullò  l'elezione, 
dichiarando  nel  i35o  vescovo  di  Caorle 
Bartolomeo  o  Bartolino.  Successo  a  det- 
to Papa  Innocenzo  VI,  nel  i353  provvi- 
de fr.  Gerardo  colla  sede  di  Civita  (forse 
Città  Nova  in  Istria).  Neil 368  Domeni- 
co /Fd'Albauia,  poi  arcivescovo  di  Za- 
ra. Nicolo  II  del  i3g4,  fu  poi  deposto 
verso  il'4i  1  io  pena  d'aver  abbandona- 
to per  4  anni  i'  affidatogli  gregge.  Il  ve- 
neto Pietro  II Carli  del  i473  &  ^ene- 
merito  per  aver  rifabbricalo  da'  fonda- 


VEN 
menti  l'episcopio,  e  cinto  di  muro  in  uno 
all'orto,  e  visse  sino  al  1 5 1 3.  Egidio  Fal- 
cetto, o  Falconetti  di  Cingoli,  deli 542, 
intervenne  onorevolmente  al  concilio  di 
Trento, perchè  lodato  dal  Pallavicino  co- 
me pio  e  dotto;  indi  nel  i563  trasferito 
0  Bertinoro.  11  successore  fr.  Giulio  Su- 
perchio  carmelitano  consagrò  in  Venezia 
4  chiese.  Neli5g3yr.  Angelo  III  Casa- 
nno  domenicano  di  Treviso,  morì  in  pa- 
tria  nel  1 600  e  fu  sepolto  iti  s.  Nicolò  del 
suo  ordine,  con  lapide  che  comincia  colle 
sigle:  31.  31.  31.  31.  31.  Vengono  spiega ' 
te:  Ulortalis  3Ionumenta  Moncnt  31en- 
tem  3Ioriendum,  Chiudono  l'epigrafe  le 
sigle:  S.  S.  S.  S.  S.  Sì  spiegano:  Suo 
Sumpto  Scpulchrum  Statuendum  Stu- 
diai. \\  successore  fr.  Lodovico  de  Gri- 
gis  francescano  riformato,  fu  encomiato 
per  la  sua  fermezza  Dell'estirpare  gli  a- 
busi  e  nel  promuovere  l'osservanza  del- 
la disciplina  ecclesiastica. Nel  i656fr. Pie- 
tro 31  ar tire  Busca  conventuale,  profes- 
sore di  teologia  e  vicario  dell'inquisizio- 
ne a  Padova  ,  ed  inquisitore  in  Adria: 
visse  sino  ali674enel  giro  di  tanto  tem- 
po vide  radicalmente  ristorata  la  catte- 
drale, la  quale  rifabbricata  neho38era 
ridotta  al  massimo  deperimento,  e  la  con- 
sagrò  al  s.  Titolare  a'3o  agosto  1 665.  In 
essa  eresse  un  altare  a  s.  Antonio  di  Pa- 
dova, e  v'istituì  una  mansioneria  quoti- 
diana^ due  messe  cantate  ogni  mese. Nel 
1698  il  somasco  Francesco  Strada  mo- 
vi poco  dopo  la  notizia  di  sua  promozio- 
ne, e  nel  1 699  il  successore  Giuseppe  Sca- 
rella  padovano  morì  prima  d'esser  con- 
sagrato, per  cui  erasi  recato  a  Roma.  Nel 
1700  Francesco  Andrea  Grassi  chiog- 
giotto, si  rese  benemerito  per  V  amplia- 
zione  dell'episcopio,  e  per  aver  miglio- 
rato i  redditi  della  mensa,  al  che  gene- 
rosamente concorse  il  doge  Alvise  li  Mo- 
cenigo  e  la  città  di  Caorle.  Nel  17 18  da 
Zante  vi  fu  trasferito  fr.  Gian-Vincen- 
zo de  Filippi  servita, encomiato  per  pie- 
tà, dottrina  e  pastorale  vigilanza;  depo- 
sto nel  sepolcro  preparatosi  nel  mezzo 


VEN  147 

del  presbiterio  della  cattedrale,  con  cu- 
riosa iscrizione.  Gli  successe  nel  1738 
Francesco  III  de  marchesi  Trevisau 
Suarezy  traslato  da  Pietimo,  e  ne'3o  e  più 
anni  del  suo  governo  meritò  molta  lode 
e  venerazione  per  le  sue  belle  qualità.  Col 
suo  e  colle  limosine  de' fedeli  rifabbricò 
la  chiesa  dis.  Maria  dell'Angelo,  e  vi  vol- 
le esser  sepolto  benché  morto  in  Vene- 
zia. Nel  1 776^.  Stefano  Domenico  Sce- 
rima/i  domenicano,  poi  nel  1793  trasfe- 
rito a  Chioggia,  ov'era  passato  il  vesco- 
vo di  Caorle  predecessore  Benedetto  fila- 
ria Cwran:  ricostruì  in  Caorle  alcuni  al- 
tari della  cattedrale  e  rinnovò  i  sagri  ar- 
redi. Nel  dettoi795  fu  l'ultimo  vescovo 
Giuseppe  31aria  IlPeruzzi  veneto,chie- 
rico  regolare  del  ss.  Salvatore  e  vicario 
perpetuo  di  s.  Andrea  di  Pontelongo,  nel 
1 807  traslato  a  Chioggia  come  i  due  pre- 
decessori. Nella  sede  vacante  amministrò 
la  diocesi  un  vicario  capitolare,  finche  nel 
1818  soppressa  la  sede  fu  aggregata  al- 
la veneta.  Sì  componeva  il  capitolo  di  1 2 
canonici,  de'quali  era  capo  il  decano,  u- 
sando  l'aimuzia,  ed  uno  era  parroco  del- 
l'unica cura  che  comprendeva  la  città:  6 
di  essi  nel  181  [aderirono  alle  massime  del 
capitolo  metropolitano  di  Parigi  sul  pro- 
posito del  famoso  summentovato  indiriz- 
zo a  Napoleone  I,  sulle  4  proposizioni  del 
clero  gallicano.  La  diocesi  avea  un'  altra 
sola  parrocchia  intitolata  alla  ss.Piisurre- 
zione,padrouato  de'Cottoni,per  cui  si  dice 
di  Cà  Cottoni.  Non  eranvi  seminario,  con- 
venti, monasteri;  un  solo  ospizio  vi  avea- 
no  i  cappuccini ,  eretto  dal  comune  nel 
1666.  11  vicariato  foraneo  di  Caorle  si 
forma  come  segue,  e  lo  ricavo  dallo  Sta- 
to personale  del  i858.  Comuue  appar- 
tenente al  distretto  di  Portogruaro,  pro- 
vincia di  Venezia.  S.  Stefano  protomar- 
tire, già  cattedrale,  parrocchia  di  padro- 
nato de'capi  di  famiglia  del  comune.  A- 
ni me  1258.  Vi  è  l'arciprete  e  vicario  fo- 
raneo ,  con  un  cooperatore.  Chiesa  sog- 
getta al  vicariato:  ss.  Risurrezione  di  Cà- 
Cottoni.  Fondata  nei  1720  da'nebili  fra- 


i48  vi:n 

felli  Domenico  e  Nicola  Col  toni,  fu  bene- 
detta a'i 3  novembre i  721  dal  vescovo  fr. 
GJan- Vincenzo  de  Filippi.  Curazia  (\\\n\- 
clronatodella  famigliaSantello,  edi  Fran- 
cesco  Viamin.  Anime  507.  E'  una  fra- 
rione  del  comune  di  Caorle  distretto  di 
Porlogruaro,  ed  ha  l'economo  spirituale. 
Oratoi  ii  pubblici  esistenti  nella  curazia.: 
S.  Maria  Elisabetta  dèi  Brian,  con  ret- 
tore. S.  Gaetano  de'  Giacomelli, prima 
di  Cà- Manuzi,  con  cappellano.  —  Ri- 
tornando al  benemerito  e  infaticabile  pa- 
triarca Miiesi,  egli  morì  a' 18  settembre 
18 19,  ed  ebbe  tomba  nell'oratorio  della 
ss.  Trinità,  contiguo  eappartenente  al  se- 
minario, con  epigrafe  che  lo  dice:  Semi- 
narli fundatoris.  La  sua  memoria  è  tut- 
tora in  benedizione  e  lo  sarà  lungamen- 
te. Noterò  che  in  detto  anno  Pio  VII  ema- 
nò la  bolla  Paterna?,  charitatis  studio, 
de'  1 6  febbraio,  Bull.  Botti,  coni.  1. 1 5,  p. 
1  76  :  Jmmutatio  Sedium  Episcopalium 
in  regno  Longobardo  Veneto.  — Giovan- 
ni Ladislao  Pjrker  XXXII patriarca. 
Nobile  ungherese  di  Felsò  Eòr,  di  Langh 
nel  comitato  d'Alba  Reale,  già  priore  ci- 
sterciense  e  parroco  di  Turnitz  nell'illu- 
stre badia  di  Lilienfeld  nell'  Austria  su- 
periore, la  cui  chiesa,  monastero,  biblio- 
teca e  adiacenze  essendo  state  distrutte  da 
furiosissimo  incendio,  egli  colla  sua  atti- 
vità e  generosità  ne  fece  risorgere  in  bre- 
vissimo tempo  la  fabbrica,  assistilo  da' 
suoi  monaci  e  colleghi.  Divenutone  ab- 
bate nel  1812,  indi  fu  promosso  a  vesco- 
vo di  Scepusio,  e  poi  l'imperatore  Fran- 
cesco I  lo  nominò  al  patriarcato  veneto, 
e  Pio  VII  lo  preconizzò  a'2  ottobre  1820, 
il  cui  ingresso  fece  a'  1 5  aprile  182  1.  Nel 
successivo  settembre  il  Papa  colla  celebre 
bolla  Ecelesias  quae,  corresse  l'arbitra- 
ria traslazione  della  sede  e  del  capitolo 
patriarcale  della  chiesa  di  s.  Pietro  di  Ca- 
stello alla  basilica  di  s.  Marco,  tutto  re- 
golando canonicamente,  al  modo  riferito 
nel  §  VI,  e  dichiarando  la  i.a  basilica  mi- 
nore e  concattedrale  della  2/  Il  patriar- 
ca tosto  aprì  la  s.  visita  della  diocesi  pa- 


V  EN 

Inarcale,  occupandosi  con  zelo  al  buon 
ordine  e  al  decoro  del  culto  divino  e  al 
perfezionamento  dell'ecclesiastiche  disci- 
pline. Le  scuole  della  dottrina  cristiana, 
la  commissione  della  pubblica  beneficen- 
za, l'educazione  de'chierici  del  seminario 
ricevettero  da  lui  nuovo  impulso  a  pro- 
gredire felicemente  nella  via,  a  cui  ave- 
vaie  incamminate  il  loro  benemerito  isti- 
tutore Miiesi;  curando  particolarmente 
che  i  chierici  d'ogni  condizione  nel  semi- 
narioattendessero  almeno  allo  studio  teo- 
logico, con  gratuito  mantenimento,  per 
imperiai  concessione,  poi  modificata  con 
restrizioni  dopo  la  sua  partenza  dalla  se- 
de. Leone  XII  col  breve  Exponi  nobis, 
de'9  dicembre  1823,  Bull,  cit.,  t.  16,  p. 
i4j  od  istanza  del  patriarca,  concesse  la 
facoltà  di  celebrarsi  la  messa  aule  me- 
diani noe  temiti  Nativi  tale  D.N.J.  Cli  ri- 
sii prò  Ecclesiapatrìarchali  Seminarti. 
Si  guadagnò  la  benevolenza  del  clero,  011  - 
de  riuscì  a  moltissimi  gravosa  e  amara 
(non  a  tutti  per  l'accennato  parlandodel- 
le  Nove  Congregazioni  del  Clero  nel  § 
VII)  la  sua  traslazione  all'arcivescovato 
ò'Erlau  o  Agria,  conservando  il  titolo 
di  patriarca,  operata  da  Leone  XII  a'  9 
aprile  1827.  Il  prelato  partì  da  Venezia 
a' 26  di  tal  mese,  accommiatandosi  dal 
clero  e  dal  popolo  con  pastorale,  in  cui 
manifestò  lutti  i  nobili  sentimenti  del  suo 
bell'animo,  nell'attestare  la  più  viva  gra- 
titudine a  quanti  aveano  secondato  le  sue 
premure  e  intenzioni  nell'amministrazio- 
ne del  gregge,  e  nella  prosperità  anche 
temporale  di  questo.  Carico  di  anni  edi 
meriti  morì  in  Erlau  o  meglio  in  Vien- 
na, come  leggo  nel  n.ioo  del  Diario  di 
Boma  deli  84.7. a'2  dicembre  di  quell'an- 
no. «  Egli  era  il  celebre  cantore  della  Tu- 
nisìadc,(\e\  Bodolfo  dJ ' Ilabsburgo ,e  del- 
le Perle  della  s.  Antichità".  Aggiunge- 
rò cogli  A  nnali  delle  scienze  religiose  del 
prof.  Arrighi,  t. 5, p.  3  1  o,  che  ne  dà  con- 
tezza :  77  Parroco  delle  Alpi,  versi  tra- 
dotti dal  celebre  cav.  Angelo  M."  Micci  e 
Stampali  in  Roma  nel  (847.  Fu  »1  cardi- 


VEN 
naie  suo  successore»»  che  rivestendo  le  sa- 
gre divise  ile' Vida,  de'Bembo,  de'Sado- 
\ttlo  e  de'Casa,  sembra  averne  ereditata 
I,i  facondia  e  l'ingegno"  e  volendo  far 
dono  all'Italia  d'un  nuovo  geueredi  poe- 
sia morale,  quasi  evangelica,  rifiorente 
dalle  avene  pastorali  de'profeti,  ne  comin- 
ciò la  versioued'alcuni  componimenti  del- 
l'alemanno Titiro  cristiano  j  ma  le  pa- 
storali cure  della  s.  Chiesa  veneziana  sul* 
le  rive  e  sulle  prodigiose  Lagune,  impe- 
dirono al  porporato  pastore  di  trattener- 
si sulle  vette  dell'Alpi  e  sotto  gli  alberi 
dell'amico  vate,  e  per  tal  modo  era  ri- 
masto sulle  prime  linee  l'incominciato  la- 
voro felicemente  compilo  dal  eh.  Ricci, 
anco  traduttoredel  Rodolfo  cV Absburgo. 
La  coltura  letteraria  del  Pyrker  lo  distin- 
se Ira'dotti  ,  e  lo  rese  ornamento  dell'a- 
lemanna letteratura.  La  sua  eleganza  nel 
verseggiare  lo  collocò  tra'sotnmi  poeti  del- 
la Germania;  le  sue  poesie,  che  gli  acqui- 
starono tante  lodi  ,  non  sempre  furono 
bene  tradotte  in  italiano.  —  Jacopo  Afo- 
nico XXXIII patriarca  e  cardinale.  Di 
Illese  diocesi  di  Treviso,  già  maestro  di 
rettorica  in  quel  seminario  vescovile,  par- 
roco di  s.  Vito  d'Asolo  e  allora  vescovo 
di  Ceneda,  degnamente  da  Leone  XII  fu 
trasferito  al  patriarcato  di  Venezia,  uel- 
lostesso giorno  del  traslocamene  del  pre- 
decessore, e  ne  prese  possesso  per  procu- 
ra a'i3  agosto  1827  e  solennemente  T  8 
del  segueute  settembre.  Intimò  la  visita 
pastorale  a'6  luglio  1829  e  l'intraprese 
nell'anno  dopo,  rinnovandola  neh  838  e 
nel  1842.  Con  affettuosa  pastorale  de'3i 
marzo  1 83 1  al  clero  e  popolo  di  Venezia, 
per  un  complesso  di  circostanze  conside- 
rò un   benefizio  straordinario   del  cielo 
1'  esaltazione  al  soglio  pontificio  di  Gre- 
gorio XVIa'2del  precedente  mese,  e  l'in- 
vitò a  festeggiarla  co'piu  vivi  sentimenti 
della  cristiana  letizia,  anche  per  aver  la 
divina  Provvidenza  preparato  in  lui  una 
lncedissipalrice  delle  tenebre  funeste  che 
ingombravano  fatalmente  tanta  partedel 
inondo.  E  quindi  colla  mirabile  sua  elo- 


V  E  N  149 

quenza,  che  tante  volte  celebrai,  descrif 
te  con  isplendido  elogio  le  virtù,  la  dot- 
trina, l'operato  lodatissimo  e  le  grandi 
benemerenze  del  cardinale  camaldolese 
sublimato  alla  cattedra  di  s.  Pietro,  che 
meritamente  gli  aveano  acquistalo  l'uni- 
yersale  stima  e  rispetto,  anche  da  penne 
straniere;  lo  commendò  eziandio  per  la 
somma  pietà,  la  fermezza,  la  semplicità, 
e  la  purezza  di  vita  da  lui  costantemen- 
te mostrata;  osservando,  che  se  queste 
ragioni  erano  argomento  d'universale  e- 
sultauza,  altre  ve  n'erano  peculiari  e  tut- 
te proprie  de' veneziani,  per  cui  doveva- 
no di  preferenza  a  tutti  rallegrarsene;  poi- 
ché*» nato  nella  vicina  Belluno, aperse  gli 
occhi,  egualmente  che  noi,  alla  pura  lu- 
ce di  questo  veneto  cielo,  e  veneziano  poi 
perfettamente  divenne,  allorquando  si  e- 
lesse,  com'egli  sperava,  a  perpetuo  sog- 
giorno la  prossima  isola  di  s.  Michele  di 
Murano  (e  lo  celebrai  nel  descriverla  nel 
§  XVIII,  u.18),  ove  ravvolto  nelle  can- 
dide lane,  e  dello  spirito  imbevuto  del 
gran  patriarca  Benedetto,  si  educò  fiu  d'al- 
lora, senza  immaginarselo,  all'  alto  uffi- 
zio, a  cui  serbavalo  il  cielo,  e  diede  ben 
presto  a  conoscere  che  troppo  angusto  era 
il  chiostro  all'ampiezza  del  suo  cuore  e 
della  sua  niente.  Nostro  dunque  dobbia- 
mo riputarlo,  perchè  sortì  con  noi  comu- 
ne la  nazione  e  la  patria  ;  nostro  perchè 
divise  per  molti  anni  con  parecchi  de'no- 
stri  il  convitto,  la  scuola  e  gli  uffizi  della 
vita  religiosa  e  civile;  nostro  in  fine,  per- 
chè quantunque  assente  da  noi,  e  salito 
a  sublimi  dignità,  ed  attorniato  da  innu- 
inerabili  e  gravissime  cure,  conservò  sem- 
pre per  noi,  e  per  la  nostra  città,  e  per 
tutte  le  cose  nostre  ima  speciale  affettuo- 
sa memoria.  Eccitati  pertanto  da  sì  giu- 
sti e  forti  motivi  a  promuovere  una  pub- 
blica  manifestazione  del  nostro  giubilo, 
ed  insieme  alla  nostra  gratitudine  verso 
Dio,  che  fece  alla  sua  Chiesa  il  prezioso 
dono  di  tanto  Pontefice"  ordinò  3  gior- 
ni di  festive  dimostrazioni,  di   preci,  di 
ringraziamenti,  e  per  impetrare  lunga 


i5o  VEN 

conservazione  e  superno  aiuto  al  comu- 
ne amorosissimo  Patire.  Questi  poi  a  di- 
re una  solenne  dimostrazione  di  patti- 
no alleilo  alla  s.  Chiesa  veneziana  nel 
suo  degnissimo  pastore,  a'29  luglio  1 833 
lo  creò  cardinale,  gli  rimise  la  Berretta 
cardinalizia  per  mezzo  dell'illustre  vene- 
to prelato  Traversi,  di  cui  nel  §  X,  n.  9 
(ed  il  quale  dal  Papa  si  chiamava,  il  più 
grande  amico  che  io  abbia  al  mondo  ; 
il  che  ripetè  pure  in  presenza  del  cardi- 
nal Ostini,  e  dell'illustre  veneto  commen- 
daloreTaddeoScarella^di  cui  nel  vol.XCI, 
p.  95.  Degli  splendidi  elogi  fatti  a  mg.' 
Traversi  da  Gregorio  XVI,  si  ponno  ve- 
dere le  Proposizioni  concistoriali,  colle 
quali  egli  lo  dichiarò  arcivescovo  di  JVa- 
zianzo  e  poi  patriarca  ò'xCostantinopoli), 
e  conservo  l'originale  allocuzione  che  e- 
gli  ablegato  apostolico  pronunziò  in  quel- 
la lieta  occasione,  che  fece  esultare  Ve- 
nezia; e  poi  l'accolse  in  Roma  con  parti- 
colari onorifiche  e  amorevoli  dimostra- 
zioni, gl'i  in  pose  il  cappello  cardinalizio  e 
per  Titolo  gli  conferì  la  chiesa  dei  ss.  Ne- 
reo ed  Achilleo,  che  Alessandro  VI  avea 
pur  dato  all'altro  patriarca  camaldolese 
Gerardo;  e  fra 'doni  gli  die'  il  prospetto 
e  piazzale  di  quella  chiesa,  eseguito  in  e- 
legante  musaico.  Proponendomi,  come 
cardinale,  nelle  addizioni  di  scriverne 
la  biografia,  perchè  alla  sua  morte  la  let- 
tera M  era  già  stampata,  e  pel  non  poco 
già  detto  diluì  in  quest'articolo,  mi  limi- 
terò ad  accennare,  intralasciando  di  me- 
morare quanto  feceGregorio  XVI  pel  ca- 
pitolo patriarcale,  per  la  basilica  nel  do- 
no della  Rosa  d'oro,  e  altro,  come  già 
detto  superiormente,alcun  che  del  mollo 
fatto  dal  cardinal  Monico.  Nel  1 834  ^u 
rinnovato  l'altare  maggiore  nella  basilica 
metropolitana  e  patriarcale  di  s.  Marco, 
e  allora  fu  visitato  di  bel  nuovo  il  s.  Cor- 
po, e  più  decentemente  e  più.  onorevol- 
meuse  riposto  nel  seguente  anno  quando 
il  patriarca  ne  consagrò  l'altare.  Allora  fu 
collocala  nella  cassetta  che  lo  contiene,  la 
lamina  di  piombo  con  incise  le  parole  ri- 


V  EN 

ferite  tlall'ab.  Cappelletti,  tempore  Gre- 
gorii  Papae  XVI  in  nova  capsa  cor- 
pus d.  Marci  Evangelistae.  Più,  fu  po- 
sta entro  due  tubi  di  vetro  l'epigrafe  ri- 
portata dal  medesimo  scrittore,  che  atte- 
sta il  suo  ritrovamento  e  traslazione  po- 
steriore. Nel  parapetto  della  parte  poste- 
riore dell'altare  fu  incastrata  con  lettere 
di  metallo,  quest'epigrafe:  Corpus  Divi 
Marci  Evangelistae.  La  consagrazione 
successe  a' 6  settembre  1 835,  nel  qual 
giorno  mi  scrisse  amorevolmeute  1'  i.  r. 
censore  della  stampa  in  Venezia,  l'egre- 
gio Francesco  Brembilla  defunto.  «Que- 
sta mattina  la  cospicua  nostra  basilica  di 
s.  Marco  era  ridondante  di  scelta  udienza 
all'  omelia  declamata  col  solito  valore 
dal  nostro  veneratissimo  Cardinal  Pa- 
triarca nella  circostanza  di  aver  ricollo- 
cali li  ss. Ossi  e  Ceneri  dell'  Evangelista 
s.  Marco  nell'altar  maggiore  della  basili- 
ca stessa  or  ora  t'istaurato,  e  con  santa 
pompa  consagrato.  L'omelia  fu  un  capo 
d'opera  di  logica  e  di  eloquenza,  avendo 
luminosamente  dimostrate  le  prove  del- 
l'esistenza in  quelle  Ossa  e  Ceneri  santis- 
sime del  Corpo  dell'Evangelista  memo- 
rato, e  nell'aver  colta  l'occasione  per  in- 
fiammare i  petti  de' veneziani  alla  vene- 
razione di  essi,  non  meno  che  a  sempre 
più  dimostrarsi  caldi  della  Religione  san- 
tissima. Le  accerto  che  le  lagrime-di  com- 
mozione sgorgarono  dagli  occhi  della  mol- 
titudine, in  sì  gran  copia  riunita  nel  sa- 
gro tempio.  Io  ne  sono  sortito  veramente 
penetrato, e  tosto  ho  dato  mano  alla  pen- 
na per  farlequesta  dolce narrazione,e  per 
ripetermi  ben  di  cuore.  Tutta  cosa  sua". 
Di  già  a  suo  luogo  notai,  che  il  conte  Leo- 
nardo Manin  ci  diede  le  pregevolissime 
Memorie  storico-critiche  intorno  la  Vi' 
ta3  Traslazione  e  Invenzioni  di  s.  Mar- 
co Evangelista,  col  discorso  letto  dal 
cardinal  Monico  a'6  settembre  1 835.  II 
cardinale  consagrò  in  Venezia  5  chiese, 
e  sotto  di  lui  furono  inaugurate  più  pie 
e  benefiche  istituzioni, uon  che  ristabiliti 
diversi  ordini  regolari  e  monasteri  di  mo- 


V  E  W 
nache:  di  tutto  e  di  altro  ragionai  a  suo 
luogo.  Del  molto  cheavreida  dire  del  vir- 
tuoso cardinale,  ornamento  del  s.  colle- 
gio e  uno  de'più  eloquenti  scrittori  italia- 
ni (tanto  in  prosa  che  in_  verso  massime 
nei  sonetti)  di  volo  accennerò.  Sanno  i 
veneziani,  quanto  egli  deplorò  la  morte 
ili  Gregorio  XVI,  qual  mondiale  sciagu- 
ra, e  tal  fu  !  Sanno  quanto  l'encomiò  an- 
che defunto  e  onorò  con  solenni  funerali. 
Venuto  in  Roma  al  conclave  trovò  eletto 
il  Sommo  Pontefice  regnante,  e  n'ebbe 
distinta  accoglienza,  seco  conducendolo 
in  carrozza  nel  dì  della  sua  coronazione, 
ed  io  ebbi  l'onore  d'incedere  in  quella 
nobile  del  porporato.  L'encomiato  prof. 
Arrighi  trasse  dall'  Amico  Cattolico  e 
pubblicò  nel  t.  9,  p.  i3i  Aq' suoi  Annali  : 
Un  fatto  illustre  del  cardinal  Patriar- 
ca di  Venezia  nell'anno  iSfò.  »  Ne'me* 
si  in  cui  Venezia  si  resse  ultimamente  da 
se,  non  mancò,  come  in  verun  altro  pae- 
se, il  demone  della  stampa  sfrenata  di 
farvi  i  suoi  tentativi  eie  sue  vittime.  Il 
giornaletto  Sior  Antonio  Rioba  era  un 
vero  maestro  d'irreligione,  di  cinismo  ed 
anche  di  comunismo;  ma  la  sua  satira  fa- 
cile e  continua,  il  suo  formato  assai  po- 
polare, l'allettamento  di  sue  dottrine  gli 
avevano  presto  trovato  assai  copioso  nu- 
mero di  associali  fra  quella  gente  del  re- 
sto sì  buona  di  cuore  e  sinceramente 
cattolica.  Il  degno  cardinal  patriarca  di 
Venezia  sentì  il  suo  dovere,  e  non  esitò 
in  faccia  a'  pericoli,  a  cui  in  que'  tem- 
pi sì  difficili  andava  incontro  per  adem- 
pirlo; egli  pubblicò  il  seguente  decreto 
a  condanna  di  esso  giornale,  decreto  che 
rimarrà  perpetuo  monumento  del  suo 
pastorale  coraggio  ".  Segue  il  testo  del 
decreto,  postridie  kal.  decembris  anni 
1 848.  Questa  condanna  fu  letta  in  tutte  le 
parrocchie  in  latino  e  italiano  all'ultima 
messa  delle  feste,  ricordando  pure  le  pe- 
ne ecclesiastiche  comminate  dalla  Chiesa 
contro  chi  osasse  stampare,  ritenere  o  leg- 
gere il  detto  giornale.  »  Ma  ciò  che  tor- 
ua  pure  ad  onore  della  veneziana  popo- 


VEN  i5i 

lazione,  si  è  che  appena  la  condanua  ven- 
ne pubblicata  per  tutti  i  pergami  di  Ve- 
nezia, il  giornale,  la  cui  vendila  si  tace- 
va giornalmente,  non  ebbe  più  si  può 
dire  alla  lettera,  un  solo  acquirente,  e 
dovette  cessare  ".  Dopo  la  partenza  del 
patriarca  Pyrker  erasi  progettato  un 
grandioso  restauro  al  palazzo  di  residen- 
za patriarcale,  ponendo  mano  a'iavori  in- 
terni, e  ornandone  l'esterno  di  grandiosa 
facciata,  a  cui  tutto  l'interno  rimanesse 
adattato;  o  piuttosto, cui  si  volle  adatta- 
re l'esterno.  Ma  de' vari  disegni  prevalse 
l'inferiore  in  arte,  e  su  di  esso  si  terminò  al- 
la meglio  la  fabbrica. Questo  palazzo  servì 
successivamente  dal  1847  in  poi  a  molti 
e  differenti  usi  profani:  aliatine,  nel  18  5o 
potè  il  cardinal  patriarca  trasferirvisi  a 
stabile  dimora.  Ivi  morì  l'anno  seguente 
la  sera  de'25  aprile.  Il  cardinal  Monico 
fu  dotto  e  facondo  autore  di  molte  pro- 
duzioni in  verso  e  in  prosa:  innumere- 
voli sono  le  sue  omelie  e  lettere  pasto- 
rali recitate  o  pubblicate  in  diverse  oc- 
casioni,e  di  queste  ultime  ne  possedo  uon 
poche.  Si  incominciò  a  stampamela  rac- 
colta, spero  che  sarà  compiuta.  —  Pie- 
tro Aurelio  Matti  XXXI F  patriarca. 
bergamasco,  già  abbate  benedettino  di  s. 
Maria  di  Fraglia,  essendo  vescovo  di  Ve- 
rona, fu  nominato  patriarca  dal  regnante 
imperatore  a'18  luglio  i85i,e  fattosi  il 
consueto  formale  processo  dalla  s.  Sede, 
sullo  stato  della  s.  Chiesa  di  Venezia,  eb- 
bi l'onore  di  giurare  meritare  essa  e  l'il- 
lustre città  il  seggio  patriarcale  e  trovarsi 
in  florida  condizione,  con  legale  testi mo- 
nianza,il  che  mi  piacque  dire  nel  voi.  LV, 
p.  3o6,  e  qui  con  maggiore  piacere  e  con- 
vinzione ripeto.  Compilato  il  processo  an- 
che pel  prelato,  il  Papa  Pio  IX  lo  preco- 
nizzò nel  concistoro  de'i5  marzo  1822, 
facendo  il  solenne  ingresso  nella  metro- 
politana a'3o  dello  stesso  mese.  Intimò  la 
visita  pastorale  di  sua  diocesi  patriarcale 
a' 17 settembre,  e  nel  seguente  mese  la  co- 
minciò. Ne'precedenti  §§  più  volte  ragio- 
nai di  lui.  Trovo  nella  Civiltà  Cattolica, 


i52  VBN 

3."  serie,  t.  2,p.  45»7,  che  per  la  sua  tarda 
età  e  cagionevole  salute,  non  potè  andare 
*  Piemia  pel  (già  ricordato)  Concordato, 
il  quale  poi  concluso  che  fu  »  in  Venezia 
può  dirsi  sostanzialmente  in  alti  vita  anche 
pendente  il  sinodo  di  Vienna.  Quel  luogo- 
tenente novello  contedi  Bissingen,  reli- 
giosissima persona,  cuoreinformato  a  tut- 
te le  virtù,strinse  col  patriarca  Multi  una 
relazione  la  più  affettuosa  ;  e  non  che  si 
opponesse  menomameli  tea'primi  provve- 
dimenti presi  dal  patriarca  stesso  dopo  la 
pubblicazione  del  santo  patto,  gli  fece  in- 
nanzi intendere  come  tutti  gli  avrebbe  so- 
stenuti secondo  la  lettera  e  lo  spirilo  del 
medesimo.  Ripeto,  a  Venezia  il  Concor» 
dato  esercita  già  la  sua  benefica  influen- 
za". Leggo  nel  n.82  del  Giornale  di 
Roma  del  1807,  che  l'ottimo  prelato  mo- 
rì a'g  aprile  in  Venezia.  Ivi  e  nello  stesso 
anno  pubblicò  la  tipografia  editrice  Peri- 
ni: Alla  santa  memoria  di  Sua  Eccel- 
lenza R.ma  Pietro  Aurelio  Mutti  pa- 
triarca di  Venezia  ec.  Tributo  di  G.  B. 
Contarini.  All'altra  stampa  che  ne  de- 
scrisse l'esequie,  nominata  superiormen- 
te, aggiungerò  questa:  Nei  Funerali  so- 
lenni di  S.  E.  Illm*  e  Rev.*  Pietro  Au- 
relio Mutti  abbate  dell'ordine  Benedet- 
tino in  Pr agita,  Patriarca  di  Venezia, 
ec.  Orazione  letta  il  {^maggio  1857 
nella  basilica  di  s.  Giorgio  Maggiore, 
dal  Re\>.°  p.  abbate  titolare  d.  Placido 
Talia  della  congregazione  Cassinese, 
Venezia  i85»7  tipografia  di  G.  B.  Mer- 
lo. Nel  medesimo  anno,  in  Venezia,  la 
tipografia  editrice  Naratovich,  annun- 
ciò la  2.'1  ristampa  delle  Opere  sagre 
e  filoso  fiche  dell'encomiato  prelato,  col 
suo  ritratto  e  biografìa, per  associazione, 
che  col  più.  favorevole  effetto  è  giunta 
pressoché  al  suo  termine.  —  Angelo  Ra- 
mazzoltì  XXXV  e  attuale  patriarca. 
Milanese,  della  congregazione  de'missio- 
nari  oblatidi  Milano,  dottore  in  teologia, 
e  nel  gius  civile  e  canonico,  meritò  dal- 
l'imperatore Francesco  Giuseppe  I  la  no- 
mina alla  insigne  sede  veseoviledi  Pavia, 


V  EN 

ed  il  Papa  Pio  IX  Io  preconizzò  nel  con- 
cistoro de'20  maggio i85o,  dichiarando 
nella  Proporzione  Concistoriale,  che 
nella  congregazione  delle  ss.  Missioni, 
detta  degli  oblali,  »  vitae  ratione  pre- 
clara charitatis  specimina  exhibuit,  ver- 
bnm  Dei  uhiqùe  Iocorum  tum  Medio- 
lanen,  tura  alienae  Dioeceseos predican- 
do. Moderator  deinde  Collegii  ss.  Missio- 
nuinelectus,etconfratribus  suis  acceptis- 
simus,  egregie  munere  ilio functus  est.Or- 
phanotrophium  deinde  duodecimi  j  un  ab 
bine  annis  proprio  aere  extrux.it,  in  quo 
plusquam  vigiliti  adolescentuli  a  puerili  a 
usquead  vigesimusaetatisannuin  squallo- 
ri etigna  viaeerepti,  ad  pietatem  et  ad  artes 
mechanicas  informantur,  et  suo  quoque 
sumptu  aluntur.  Virgravitate,pi  udentia, 
doclrina,  morum  prohitate,  rerumque  ' 
experientia  praeditus,  et  in  ecclesiastici» 
functionibus  versatus,  dignus  propterea, 
qui  dictae  Ecclesiae  Papiensi  iu  Episco- 
puin  praeficialur  ".  Indi  il  Papa  gli  con- 
cesse il  s. pallio,  privilegio  di  quella  chie- 
sa. Vacato  il  patriarcato  di  Venezia, il  me- 
desimo Sire  lo  nominò  ad  occuparlo,  a' 
5  febbraio  i858,ed  il  Papa  Pio  IX  nel 
concistoro  de'i5  del  seguente  marzo,  ad 
esso  lo  trasferì,  proclamandolo  con  que- 
st'altro elogio, nella  proposizione  concisto- 
riale :»>...  Papiensi  Ecclesiae  praefectus 
fuit.  Qui  suscepto  consecralionis  munere 
ad  suarn  Ecclesiarn  illieo  accessit, inibì  re- 
sedit,  eamrjue  simu!  ac  dioecesim  sedulo 
visitavit,  sacrasexegit  ordina  tiones, pori  ti - 
ficaliasolemniler  celebravit,conciones  ad 
populum  habuit,  caeteraque  pastoralia 
ninnerà  tara  laudabiliter  obivit,  ut  di- 
gnus propterea  censendus  sit,  qui  ad  di- 
eta tu  Patriarci!  a  lem  Ecclesiarn  promo- 
vealur".  E  dopo  il  concistoro  gli  accordò 
altro  pallio  proprio  di  sua  chiesa.  Dice 
la  detta  proposizione:  »  (ogni  nuovo  pa- 
triarca) Fructus  taxati  in  librii  Gamerae 
ad  florenos  1280,  ascendunt  ad  novetn 
circiter  mille  sentala  romana  (la  mensa, 
che  il  JNTovaes,uello  scorcio  del  secolo  pas- 
sato, disse  rendeva  12,000  ducali).  Pu- 


YEN 
Iriarchatus  ambitus  ad  quinquaginta- 
qoinque  fere  millia  passimi»  ad  septen- 
iriouetn  cxtendilurtet  nonnulla  sub  se 
loca  compierli  tur....  Novemadpraesens 
Episcopi  snlfraganlur  ".  Apprendo  dal 
Giornale  di  Roma  del  1 858,  p.  458,  che 
sabato  i5  maggio  verso  il  meriggio  al 
suono  delle  campane  di  tutta  la  ciltà,giun- 
se  in  Venezia  da  Pavia  l'atteso  mg.r  pa- 
triarca, h  Gli  mossero  incontro,  alla  sta- 
zione di  s.  Lucia,  il  municipio  e  il  clero, 
a  capode'quali  scorgevasi  il  podestà,  no- 
bile cavaliere  Alessandro  Marcello,  ed  il 
vicario  generale  (stato  capitolare)  mg.' 
can.  e  cavaliere  Vincenzo  Moro  (proto- 
notano  apostolico  e  arcidiacono  del  ca- 
pitolo metropolitano).  Il  seguente  giorno 
faceva  il  suo  solenne  ingresso  nella  catte- 
drale basilica".  Già  propagatasi  anche 
in  Venezia  sino  ÒA  i  856  la  pia  Società 
di  s.  Vincenzo  de' Paoli,  il  novello  pa- 
triarca apriva  le  sue  medesime  stanze 
alla  prima  generale  adunanza,  che  essa 
tenne  a' 19  luglio  nel  palazzo  patriarca- 
le, dove  il  prof.  ab.  Giacomo  Zanella  les- 
se un  ben  appropriato  Discorso  tc\\e  ven- 
ne stampato  da  G.  B.  Merlo.  Quest'  o- 
pera  di  carità  cristiani»,  istituita  a  Pari- 
gi e  meglio  ivi  stabilita  con  particolare 
regolamento  del  dicembre  1 835,  conta 
ora  in  Venezia  6  Conferenze  o  sezioni, 
una  per  sestiere,  con  un  consiglio  supe- 
riore che  dirige  tutte  le  conferenze  del 
Veneto.  Non  avendone  parlato  nel  de- 
scrivere i  pii  istituti  di  Venezia,  nel  § 
XII,  ne  farò  qui  un  brevissimo  cenno. 
Lo  scopo  delle  conferenze  è  di  mante- 
nere i  propri  membri  nella  pratica  di 
una  vita  cristiana  per  mezzo  di  esempi  e 
di  vicendevoli  consigli  ;  di  visitare  i  po- 
veri nelle  loro  abitazioni  e  di  recar  loro 
de' soccorsi  in  generi,  e  al  tempo  stesso 
religiose  consolazioni  ;  di  adoprarsi,  per 
quanto  possono,  all'istruzione  elemen- 
tare e  cristiana  de'  poveri  fanciulli  ;  di 
spargere  libri  morali  e  religiosi  ;  di  pre- 
starsi ad  ogni  sorta  di  opere  caritatevoli 
proporzionale  a'  propri   mezzi,  che  non 


VEN  i53 

si  oppongano  allo  scopo  principale  della 
società,  e  per  le  quali  essa  medesima  in- 
vochi l'aiuto  delle  singole  conferenze, 
dietro  la  proposta  de'suoi  direttori.  Nel- 
l'anno corrente  1859  fu  stampala  nella 
tipografia  Merlo  in  Venezia  la  7." edizio- 
ne italiana  del  Regolamento  della  So- 
cietà di  s.  Vincenzo  de' Paoli.  In  essa  si 
leggono:  il  breve  d'indulgenze  di  Gre- 
gorio XVI,  R01  nanuni  decet  Pontifi* 
ceni,  de  1  o  gennaio  1 845,  diretto  al  con- 
siglio "enerale  della  società  :  altro  breve 

Do  ' 

del  medesimo  Papa,  Quum  Societatemt 
de' 12  agosto  dell'anno  stesso  ;  il  breve 
di  encomio  del  regnante  Pio  IX,  Gratae 
nobist  dell'8  marzo  i852  ;  e  finalmente 
le  parole  di  conforto,  dette  da  questo 
Pontefice  nella  straordinaria  seduta  ge- 
nerale tenuta  il  5  gennaio  1 855  al  Vati- 
cano sotto  la  sua  augusta  presidenza. — 
Il  nobile  Jacopo  Avogadro  veneziano, 
priore  della  pia  casa  de'  Catecumeni,  e 
perciò  encomialo  nel  §  XII,  n.  7,  con- 
cepì il  caritatevole  pensiero  d*  istituire 
in  Venezia  un  Patronato  pe'fanciulli  va- 
gabondi e  viziosi,e  venne  validamente  so- 
stenuto dalla  benedizione  e  approvazio- 
ne del  cardinal  Monico,  e  del  suo  suc- 
cessore. Scopo  precipuo  del  santo  istitu- 
to, è  la  requisizione  de'ragazzi  abbando- 
nati, vagabondi  e  viziosi,  in  Venezia  ei- 
sole  circonvicine,  e  quindi  V  incaricarsi 
della  religiosa  e  civileeducazione,non  che 
dell'avviamento  all'esercizio  della  profes- 
sione più  conveniente  alle  differenti  atti- 
tudini. Mg.1  Ramazzotti  patriarca,avendo 
incessantemente  a  cuore  l'attuazione  del 
Patronato,  al  modo  celebrato  da  E.  T. 
P.  A.  nel  n.  199  della  Gazzetta  di  Vene- 
ziaì  del  i.°  settembre  1 858, con  tenera  e 
faconda  pastorale,  diretta  al  venerabile 
clero  e  diletto  popolo,de' 10  ottobre  1 858, 
l'eccitò  ad  effettuare  questo  nuovo  monu- 
mento della  mulliformee  saggia  carità  ve- 
neziana,  rilevandone  l'immenso  bene  che 
ne  deriverà,  e  raccomandandolo  colla  vo- 
ce del  padre  amante  de'suoi  figli  e  l'auto- 
rità soave  del  provvido  pastore,  annuii- 


i54  VEK 

ciando  l' imminente  pubblicazione  delle 
norme.  Per  ultimo  benedì  con  affetto  spe- 
ciale coloroche  inqualunque  modo  l'han 
no  promosso  e  promuoveranno.  Esse  lo 
furono  col  Regolamento  del  Patronato 
pei  ragazzi  vagabondi  e  viziosi,  Vene- 
zia 1 858,  A.  Cordella  tipografo  patriar- 
cale. Si  confermò  a'21  settembre,  anclie 
per  memoria  della  nascita  auspicatissima 
del  principe  imperiale.  Cosi  in  Venezia 
progredisce  la  pubblica  beneficenza,  con 
edificante  gara  di  rispettabili  e  beneme- 
riti personaggi,  poiché  la  pietà  e  la  carità 
sono  virtù  proprie  e  domestiche  de'  vene- 
ziani. E  quanto  essa  anche  in  ciò  fiorisce, 
ora  si  apprenderà  viemmeglio  dal  libro 
pubblicato  nel  1  8  m)  dalla  tipografia  edi- 
trice Naratovich  :  Delle  Istituzioni  di  Be- 
neficenza nella  città  e  provincia  di  Ve- 
nezia, studi  storico-economico-statistici 
del  conte  Pier  Luigi  Bembo.  Ammirando- 
ne il  magnifico  programma  d'associazio- 
ne, del  eh.  P.  Cecchetti,  mi  reputai  pregio 
1'  associarmi,  ma  ancora  non  venne  in 
mio  potere, sebbene  ne  lessi  l'importanza 
eziandio  nella  Cronaca  di  Milano  de'28 
febbraio  1859  a  p.  244*  E  per  essa,  nel- 
J 'annuncia re  l'opera,  la  Civiltà  Cattolica, 
de'  19  febbraio  1859,  dichiarò  proporsi 
di  farne  un  esame  con  (pie! l'ampiezza  che 
richiede  e  la  gravità  del  lavoro  eia  pe- 
rizia e  l'accuratezza  che  il  nobile  autore 
ha  recato  nel  compilarla.  Del  resto  il  po- 
polo e  i  poveri  di  Venezia  hanno  risorse 
di  vitto  economico  e  saporoso,  di  varie 
specie,  di  lievissimo  e  pochissimo  costo, 
che  forse  non  si  trova  in  altra  città  del 
mondo.  Giova  che  io  produca  un  gra- 
ve e  morale  articolo  pubblicato  nel  pre- 
cedente mesedalla  Gazzetta  uffiziale  di 
Venezia,  ricavandolo  dal  Giornale  di 
Roma  de*  27  gennaio  1859.  Comincia 
dal  riconoscere  il  pauperismo,  per  una 
fra  le  più  funeste  piaghe  sociali  dell'età 
in  cui  viviamo.  L'aspetto  deplorabile  e 
talora  spaventoso,  che  nelle  primarie  ca- 
pitalid'Europa,ne'graudi  centri  delcom- 
mercio,  dell'industria  e  del  lusso,  presenta 


V  EiN 
la  classe  povera  del  popolo,  ha  destato 
al  più  alto  grado  l'attenzione  de' filosofi 
e  de'governanti.  »  La  città  specialmente, 
che,  per  la  magnificenza  de'  suoi  monu- 
menti, per  la  memoria  della  sua  antica 
potenza,  per  la  singolare,  anzi  unica,  sua 
forma,  per  la  proverbiale  gentilezza  de' 
suoi  svegliati  abitatori,  visitata  giornal- 
mente da  ricchi  e  curiosi  viaggiatori  del 
vecchio  e  nuovo  mondo,  o(Fre  incessante- 
mente il  tema  doloroso  di  elegiache  de- 
clamazioni, è  la  nostra  Venezia  (  ninna 
sorpresa,  lo  è  pure  una  Roma,  ma  pe* 
maligni  ed  ingiusti  calunniatori  ignoran- 
ti, che  si  contentano  di  superficiali  osser- 
vazioni e  si  fidano  d'insulse  relazioni  d'u- 
na classe  ciarliera  e  quasi  idiota).  I  gior- 
nalisti, i  romanzieri,  gli  eterni  detrattori 
del  presente,  mescendo  a  qualche  vero 
moltissimo  falso,  esagerarono  enorme- 
mente  la  povertà  di  Venezia,checon  ironi- 
ca pompa  chiamarono  la  grande  mendica. 
E  quel  che  più  singolare  si  è,  che  le  esa- 
gerazioni e  falsità,  ben  facilmente  con- 
donabili alla  leggerezza  e  vacuità  di  al- 
cuni giornali  ed  alla  sbrigliata  fantasia 
de'  romanzieri,  si  ripeterono  da  scrit- 
tori profondi  in  opere  importanti  e  di 
lunga  lena.  Quanto  siavi  di  vero,  noi 
veneziani  non  lo  diremo:  noi  lascere- 
mo invece, che  sorridendo  lo  dicano  que' 
mille  e  mille  stranieri,  i  quali  vengo- 
no a  respirare  le  dolci  nostre  aure,  e 
che  distesi  su'  soffici  cuscini  delle  agili 
nostre  gondolette,  passano  estatici  nel 
Gran  canale  tra  le  meraviglie  dell'arte  e 
dell'avita  grandezza.  Lasceremo  a  loro  la 
cura  di  combattere  le  menzogne  e  le  ca- 
lunnie, che  farebbero  quasi  la  metà  de- 
gli abitanti  di  Venezia  altrettanti  accat- 
toni; noi  diciamo  e  sosteniamo,  che  anco 
il  nostro  buon  popolo  ama  il  lavoro,  col- 
tiva l'industria  ed  esercita  le  arti  mecca- 
niche con  assiduità  ed  amore  :  diciamo  e 
sosteniamo,  che  per  la  generosità  citta- 
dina e  per  le  premure  del  governo,  non 
manca  in  Venezia  alcuna  di  quelle  pie 
istituzioni,  il  cui  santo  scopo  è  di  provve- 


V  E  R 

dere  a'bisogni  delle  classi  povere  e  sof- 
ferenti. Che  a  Venezia  ci  siano  poveri, 
che  il  benessere  fisico  e  morale  di  alcune 
classi  della  nostra  popolazione  addooian- 
di  speciali  provvedimenti,  che  le  antiche 
e  le  nuove  istituzioni  di  beneficenza  re- 
clamino in  tutto  od  in  parte  utili  e  savie 
riforme,  non  solo  noi  non  vorremo  ne- 
garlo, ma  lo  affermeremo  anzi  cou  inti-* 
ma  persuasione.  £  quanto  più  siamo  di 
ciò  persuasi  e  convinti,  tanto  più  ci  gode 
l'animo  dipoterannunciare  che  un  cuore 
eminentemente  religioso  e  benefico,  una 
volontà  ferma  ed  illuminata  rivolsero  cu- 
re pietose  ed  assidue  a'poveri  di  Venezia, 
ed  a'suoi  stabilimenti  di  pubblica  bene- 
ficenza. Per  essere  compresi,  noi  non  ab- 
biamo d'uopo  di  pronunciare  l'augusto 
nome- di  S.  A.  I.  II.  il  serenissimo  arci- 
duca Ferdinando  Massimiliano, governa* 
tore  generale  di  questo  regno.  Iniziatore 
e  promotore  sapiente  di  tutto,  che  può 
tornar  buono  e  profittevole  a'popoli,  che 
furono  al  suo  mite  governo  commessi, 
Tumanissimo^principe  volle  conoscere  a 
fondo  la  condizione  materiale,  morale  ed 
economica  de'suoi  pii  istituti,  nonché  lo 
stato  e  l'andamento  della  loro  ammini- 
strazione, nell'intendimento  di  applicarvi 
poi  que'salutari  rimedi  che  fossero  richie- 
sti da'bisogni  reali  del  primo  e  dalla  pos- 
sibile prosperità  de'secondi.  Coscienziosa- 
mente attinte  senza  pregiudizi  od  ingan- 
nevoli preoccupazioni  alle  più  pure  sor- 
genti, pervennero  all'A.  S.  1.  le  notizie  ed 
informazioni  dettagliate  e  positive,  che 
nella  vasta  ed  importante  materia  Ella 
potesse  desiderare.  Se  per  queste  veridi- 
che relazioni  potè  da  un  lato  V  augusto 
principe  confermarsi  nel  convincimento, 
che  un  calcolo  totalmente  fallace  ha  fat- 
to ascendere  il  catalogo  de'nostri  poveri 
ad  una  cifra  superiore  ad  ogni  immagi- 
nabile realtà,  pur  ebbe  dall'altro  a  rico- 
noscere che  la  condizione  de'poveri  stessi 
può  essere  suscettibile  di  miglioramento; 
che  la  mendicità  questuante  per  le  strade, 
causa  bene  spesso  o  conseguenza  del  vizio, 


VEN  i55 

deve  cessare  ;  che  il  numero  de'  poveri 
può  gradatamente  diminuirsi,  e  devesi 
poi  con  ogni  mezzo  impedire  che  si  au- 
menti; che  riforme  consentanee  all'esi- 
genza del  tempo  e  dell'odierna  civiltà  so- 
no reclamate  da  vari  degli  istituti  pii,  i 
quali  fanno  testimonianza  dell'antica  re- 
ligione e  della  tuttor  viva  carità  de' vene- 
ziani; che  infine  la  distribuzione  de'soc- 
corsi  della  pubblica  beneficenza, e  l'ammi- 
nistrazione delle  sue  rendite  deggiono  es- 
sere sistemate  e  regolate  in  modo,  che 
la  prima  corrisponda  veramente  al  fine 
santissimo,  cui  è  destinata,  e  la  seconda 
abbia  per  risultato  la  conservazione  inte- 
grale e  il  ragionevole  incremento  del  sa- 
gro patrimonio  del  povero.  Sopra  questi 
interessantissimi  oggetti,  per  quanto  ci 
fu  dato  di  poter  da  buona  fonte  rilevare, 
l'amato  nostro  principe  governatore  ge- 
nerale, che  di  tuttociò  che  ci  riguarda 
personalmente  si  occupa  e  s'informa, sta 
per  emanare  efficaci  provvedimenti. Noi 
ci  proponiamo  d'intrattenerne  in  una  se- 
rie di  successivi  articoli  i  nostri  lettori: 
e  ci  studieremo  di  farnechiaramenteco- 
noscere  lo  scopo  e  l'importanza, ad  istru- 
zione e  conforto  non  solo  delle  classi  bi- 
sognose, ma  della  città  tutta,  la  quale  a- 
vrà  in  ciò  una  prova  novella  dell'affetto 
e  della  bontà  del  principe  eccelso,  che 
fece  ogni  studio  particolare  e  profondo 
sull'argomento  della  pubblica  beneficen- 
za in  questa  a  lui  cara  Venezia".  Infatti, 
avendo  il  lodato  conte  Berobocompilata 
la  sua  bell'opera  per  procurare  la  mino- 
razione e  insieme  la  ben  regolata  assi- 
stenza de'poveri,  ne  precedeva  di  poco 
la  sua  pubblicazione  il  beneficentissimo 
decreto  e  le  sapienti  istruzioni  de' ^gen- 
naio i85g,  dell'ottimo  arciduca  gover- 
natore, il  quale  provvide  paternamente 
a  ciò  che  tutte  le  ampie  e  varie  risorse 
della  pubblica  beneficenza  in  Venezia, sia- 
no dirette  ad  uno  scopo  di  provvedimento 
a  tutto,  che  sia  dedotto  dalle  massime 
fondamentali,  che  vennero  dal  medesimo 
principe  tracciatele  demandate  per  la  più 


i5'i  YEN 

calcolata  e  pronta  attuazione  ad  un'appo  • 
Mta  Direzione  Centrale,  da  cui  iuimedia- 
tamente  dipendano  tutti  gl'istituti  di  be- 
neficenza in  Venezia.  —  Terminerò  que- 
st'articolo lietamente, con  riferire,  che  re- 
stata vacante  la  sede  vescovile  d1 Adria, 
con  residenza  del  vescovo  a  Rovigo  3  per 
morte  del  pastore  in  tale2.°articolo  nomi- 
nato, nel  concistorodeS  7  settembre  1 858 
il  Papa  Pio  IX  ne  preconizzò  nuovo  ve- 
scovo, il  nobile  veneto  mg.r  Camillo  de* 
conti  Benzon  canonico  teologo  del  capi* 
tolo  patriarcale  di  Venezia,  e  nella  me- 
desima città  consigliere  del  tribunale  ma- 
trimoniale e  della  pia  società  della  s.  In- 
fanzia, direttore  dell'oratorio  della  B.  Ver- 
gine Addolorata  de'figli  della  Carità,  su- 
periore  della  pia  casa  de'ealecumeni  nel 
riparto  femminile,  e  professore  nel  semi- 
nario patriarcale  di  lingua  ebraica,  ar- 
cheologia biblica,  esegesi  sul  vecchio  e 
nuovo  Testamento,  lingua  greca,  erme- 
neutica e  pedagogia;  nella  proposizione 
concistoriale  encomiandolo  il  Pontefice 
per  doctrinatgravilatet  prude  litici)  ino- 
rimi honeslale,  rerumcjue  uso  praedilus 
ce  Dispensato  dal  recarsi  in  Roma,  il  suo 
metropolitano  mg.r  Ramazzotti  patriar- 
ca di  Venezia  a'2  4  febbraio  i85g  gli  con- 
ferì l'episcopale  consagrazione  nel  lem- 
pio  di  s.  Maria  della  Salute;  funzione  che 
riuscì  con  tanto  maggior  pompa  e  lustro, 
quanto  più  era  letizia  comune  che  l'onor 
della  mitra  e  del  pastorale  tornasse  a  co- 
ronare e  fregiare  nel  consagrato  il  decoro 
del  veneto  patriziato,  cui  egli  appartie- 
ne, e  che  da  circa  mezzo  secolo  era  rima- 
sto privo  di  questa  cospicua  onorificenza, 
che  un  tempo  dalle  case  patrizie  venete 
era  raggiunta  assai  di  frequente,come  nar- 
rai superiormente  e  nelle  serie  de' vescovi 
degli  antichi  domimi  veneti. — Per  ultimo 
mi  resta  e  dire,  collo  Stato  personale , 
la  Curia  patriarcale  formarsi  del  vica- 
rio generale;  del  referente  tutti  gli  affa- 
ri di  giurisdizione  onoraria  e  contenziosa, 
ed  è  incaricato  nelle  cause  sì  della  dioce- 
si, che  portate  in  appello  dalle  proviucie, 


VEN 
n  redigere  gl'i  alti  preparatorii  delle  sen- 
tenze; del  promotor  fiscale;  del  cancel- 
liere j  dell'aggiunto  al  referente  e  pro- 
motor fiscale;  dello  scrittore.  Apparten- 
gono alle  parti  integrali  della  Curia. i.°H 
venerando  tribunale  matrimoniale  ;  i.° 
la  direzione  della  censura  ecclesiastica; 
3.°  i  reverendissimi  esaminatori  pro-si- 
nodali; 4-°  la  presidenza  generale  del- 
le congregazioni  de'  casi  di  coscienza  ; 
5.°  la  presidenza  generale  delle  scuole 
della  dottrina  cristiana.  Vi  è  la  cancel- 
leria, col  direttore,  il  vice-cancelliere, 
i  notai,  il  cursore  giurato.  Appartiene 
ad  essa,  come  altrove  notai,  il  consiglio 
di  direzione  della  pia  società  della  s.  In- 
fanzia. 

VENEZUELA  o  CENEZUELA  (s. 
Jacobide  Benecuelat  sive  de  Caraccas). 
Città  con  residenza  arcivescovile  dell'A- 
merica Meridionale,  denominata  Vene- 
tiolafcìoè  piccola  Venezia,  dall'omonimo 
dipartimento  di  Colombia  o  Columbia, 
che  comprende  le  provinole  di  Caracca 
o  Caraccas  e  di  Calabozo,  con  Caracca  o 
Venezuela  o  Venezuela  per  capoluogo,  la 
quale  è  anche  capitale  delia  repubblica 
di  Venezuela.  Fu  il  dipartimento  di  Vene- 
zuela cosìchiamato  dagli  spagnuoli,stante 
la  somiglianza  ch'essi  trovarono  fra  la 
situazione  di  parecchie  città  indiane  oc- 
cidentali intorno  al  lago  di  Maracaybo  o 
Maracaibo  e  quella  della  celeberrima  Ve- 
nezia decoro  e  ornamento  d'Italia.  Il  la- 
go di  Maracaybo,  sulla  costa  settentrio- 
nale della  Colombia,  nel  dipartimento 
della  Sulia, è  di  forma  quasi  circolare,  ed 
ha  4o  leghe  dal  nord  al  sud  sopra  35 
dall'est  all'ovest.  Riceve  un  gran  nume- 
ro di  riviere,  delle  quali  le  principali  so- 
no il  Motatan  all'est,  la  Sulia  al  sud,  la 
Perija  e  il  rio  di  Palmas  all'ovest,  e  scor- 
re al  nord  davanti  Maracaybo,  mediante 
un  canale  largo  3  leghe,  nel  golfo  di  Ma- 
racaybo, formato  dal  mare  dell'  A  mille. 
La  marea  vi  si  fa  sentire  più  forte  che  nel- 
le coste  vicine,  e  la  navigazione  vi  è  faci- 
le,anchecou grandi  navigli;  ma  i  frequeu- 


V  R  N 

ti  venti  marini  per  la  loro  violenza  som- 
mergono grosse  barche.  Al  nordest  ilei 
lago  è  Mena ,  luogo  che  possiede  inesausta 
miniera  di  eccellente  pece    minerale,  i 
cui  vapori  bituminosi  si  libi  ano  sul  lago 
e  infiammandosi,  massime  ne'gran  calo- 
ri, durante  la  notte  formano  fuochi  che 
servono  di  guida  a'marinari,ed  e  perciò 
che  loro  si  die' il  nome  di  Lanterna  di 
Maracaybo.  Le  riviere  del  lago  sono  in 
genere  cos'i  sterili  e  malsane,  che  gl'in- 
diani preferiscono  di  costruire  le  loro  a- 
bitazioni  sulle  stesse  acque  del  lago,  col 
mezzo  di  solide  palafitte.  Pesci  e  uccelli 
acquatici  formano  la  loro  principale  sus- 
sistenza ;  essendo    i  pesci  di  grande  va- 
rietà siccome  portativi  dalle  diverse  ri- 
viere che  sboccano  nel  lago.  Dopo  l'in- 
surrezione della  Nuova  Granata  e  del  Ca- 
racca contro  la  Spagna, fu  dato  il  nome 
di  Venezuela  al  governo  molto  più  con- 
siderabile dell'  accennato  dipartimento, 
eh' erasi  formato  nel  1819,  nella  repub- 
blica di  Colombia.  Della  città  di  Vene- 
zuela o  Caracca  o  Bcnczuela,  in  questo 
articolo  avendone  parlato   brevemente  , 
per  la  sua  repubblica,  ed  anche  pel  suo 
seggio  metropolitico  e  pe'suoi  pastori  oc- 
correvano le  nozioni  che  vado  a  riferire. 
Caraccas  già  sede  d'una  capitaneria  ge- 
nerale della  Spagna,  giace  in  una  valle 
formata  dalla  lunga  catena  di  montagne, 
che  corre  paralellamerite  alle  coste   del 
mare  da  Coro  sino   al   golfo  di  Paria, 
ed  al  piede  del  picco  della  Siila,  che  si  e- 
)eva  a  1  333  tese  sopra  il  livello  del  mare. 
Coro  è  una  città  con  porto,  stata  sede 
del  governo  della  provincia  del  suo  no- 
me, una  delle  7  della  capitaneria  gene- 
rale di  Caraccas,  nel  dipartimento  di  Su- 
lia  della  repubblica  di  Columbia.  Trovasi 
Coro  a  70  leghe  da  Caracca,  ed  a  4o  da 
Maracaibo,  sulla  parte  del  golfo  di  que- 
sto nome  chiamata    el  Golfeto  ,  in  una 
pianura  sabbionosa  e  arida  a  circa  una 
lega  dal  mare  dell'Antille.Tuttociò  si  de- 
ve notare,  perchè  Coro  fu  un  tempo  ric- 
chissima e  residenza  pure  del  vescovo,  la 


VEN  i$V 

quale  insieme  a  quella  del  governo,  per 
aver  perduto  assai  dell'antico  splendore, 
dopo  il  1 636  fu  trasferita  a  Caracca  ch'è 
molto  ben  fabbricata  a  45>4  tese,  pulitis- 
sima e  in  aria  salubre.  Il  paese  declina 
gradatamente  sino  alla  Guayra,  piccolo 
fiume  che  riceve  que'de' quali  dirò,  e  si 
può  guadare,  non  però  dopo  copiose  piog- 
gie.  All'est  un  altro  declivio  conduce  sino 
ad  Anauco,  sul  quale  fu  costruito  un  bel- 
lissimo ponte.  L'altro  fiume Caroata, che 
pure  si  attraversa  sopra  un  bel  ponte  di 
pietra,  divide  Caracca  propriamente  det- 
ta, dal  quartiere  s.  Giovanni.   Presso  al 
centro  scorre  il  Catucho,  le  cui  acque  a- 
limentano  le  fontane  pubbliche,  e  quelle 
assai    numerose   delle  case  particolari. 
Questi  4  fiumi  in  seguitosi  riuniscono/ir- 
rigano la  fertile  valle  di  Cacao  e  si  con- 
giungono alTuy.  La  valle  di  Cacaoèas- 
sai  celebre  per  le  piante   omonime  che 
produce,  Theobroma  Cacao,  le  cui  man- 
dorle, più  grosse  delle  comuni, diconsi  Ca- 
cao-Caracca, mollo  nutritive  e  di  pia- 
cevolissimo sapore,  che  servono  a  com- 
porre, con  diversi  ingredienti,  la  gradi- 
tissima  e  corroborante    bevanda   della 
cioccolata,  di  tanto  comune  e  vantaggioso 
uso,  per  cui  ne  ragionai  altrove,  in  uno 
a' suoi  scrittori.  Si  attribuisce  al  fiorenti- 
no Francesco  Carletli  che  portasse  in  Eu- 
ropa e  in  Italia  specialmente   le   notizie 
del  frutto  cacao   e  del   cioccolate ,  che 
presto  si  ricercarono  pel  soave  sapore  e 
per  alcune  proprietà  salutari.  Si  vuole  da 
altri,  che  il  cacao  fu  recato  dal  Messico  in 
Europa  nel  1 520,  e  che  in  Francia  pel 
i.°  fece  uso  di  questo  nutrimento  il  car- 
dinal Alfonso  Richelieu   arcivescovo  di 
Lione  ,  per  moderare  i   vapori  che  gli 
montavano  al  capo.  Per  le  sue  proprie- 
tà, la  cioccolata  fu  detta  cibo  degli  Dei. 
Da'  semi  stessi  o  mandorle  del  cacao,  si 
ottiene  l'olio  che  condensalo  dicesi  bu- 
tirro di  cacao.  Del  resto  la  città  di  Ca- 
racca o  Venezuela  possiede  grandissimo 
numero  di  case  con  tetti  piatti  ,  molte 
non  avendo  che  un  pian  terreno  e  altre 


1 58  V  E  N 

un  solo  piano.  In  generale,  larghissime, 
bene  allineate  e  ben  selciale  sono  le  stra- 
de, le  quali  dividono  la  città  in  porzioni 
quadrate,  che  diconsi  quadra*,  e  di  cui 
molte  fot  mano  piazze  poco  rimarchevo- 
li, tranne  la  gran  piazza  delMercato,  ch'è 
uno  degli  edifizi  principali  di  Caracca , 
essendo  adorna  nel  centro  da  una  fonta- 
na e  la  cui  parte  orientale  è  occupata  dal' 
la  cattedrale.  Non  manca  di  teatro,  di  sta- 
bilimenti scientifici  e  benefìci, di  vastissi- 
ma caserma  militare,  né  di  uomini  illu- 
stri che  vi  fiorirono,  fra'quali  primeggia- 
vano il  general  Miranda  nativo  di  Carac- 
ca s,  e  Bolivar.  Miranda  nel  1806  radu- 
nò milizie  a  s.  Domingo  ,  ed  a  Nuova- 
York,  proponendosi  di  conquistare  la  pa- 
tria indipendenza.  Ma  le  forze  non  ba- 
starono allo  scopojgli  spagnuoli  resistero- 
no, e  fecero  molti  prigioni,  che  sebbene 
volontariamente  arresi,  punirono  di  mor- 
te: così  quel  i.°  movimento  fu  represso. 
Bensì  nel  181  o,  quando  i  francesi  occu- 
parono la  Spagna,  si  tornò  a  parlare  del- 
la riforma  di  governo,  si  radunarono  a 
Caraccas  deputati  di  tutte  le  piovincie  , 
tranne  Maracaibo,  s' incominciarono  gli 
atti  in  nome  di  Feidinando  VII;  ma  po- 
co dopo,  imprigionato  il  capitano  gene- 
lale  co'  membri  d'  udienza,  s'installò  la 
Confederazione  di  Venezuela.  La  rea- 
zione della  reggenza  e  delle  Cortes  di 
Spagna  fu  impolitica  e  decise  il  congresso 
a'5  luglio  181 1  di  proclamare  la  totale 
emancipazione  dall'Europa.  Il  capitano 
generale  spagnuolo  Monteverde  fomentò 
le  idee  superstiziose  de'popoli,  e  coli'  ap- 
poggio di  queste  assalì  Caraccas,  debellò 
Miranda,  ed  assoggettò  di  nuovo  il  paese 
alla  corona.  Più  celebre  fu  Simeone  Do- 
livar-y-Ponte,  nato  in  Caraccas  da  una 
famiglia  spagnuola  diMantuanas,che  tro- 
vandosi presente  alle  due  coronazioni  di 
Napoleone  I,  colpito  dalla  rapida  onni- 
potenza a  cui  era  pervenuto,  coìl'esempio 
di  Washington, concepì  l'ardito  disegno 
di  liberare  la  patria  d'America  dalla  do* 
turnazione  spaguuola;e  recatosi  a  Peonia, 


YEN 
dicesi  che  lo  giurasse  sul  monte  sagro. 
Egli  cominciò  ad  attuare  il  suo  proponi- 
mento, con  profittare  de'diversi  partiti  in 
cui  erano  divise  le  popolazioni,  seguaci 
di  Carlo  IV, di  suo  figlio  Ferdinando  VII, 
di  Napoleone  I  e  di  Giuseppe  di  lui  fra- 
tello, quando  a'Borboni  tolse  il  trono  di 
Spagna,  cioè  dopo  la  dichiarazione  d'in- 
dipendenza fatta  dal  congresso  di  Vene- 
zuela e  la  dittatura  di  Miranda,  e  Mon- 
teverde. Ritiratosi  da  questi  a  Cartagena, 
che  al  pari  di  tutta  la  Nuova  Granata 
formava  colla  provincia  di  s.  Marta  una 
repubblica  separata,  ivi  riunì  3oo  vene- 
zueli  per  formare  un  corpo  di  truppe  per 
rivendicare  gl'indipendenti  su  Montever- 
de e  i  disatri  politici  di  Venezuela, pren- 
dendovi parte  i  granatini  ed  i  caraguini. 
Nel  gennaio  181 3  lasciò  Cartagena  col 
suo  piccolo  esercito,  comandato  in  secon- 
do dal  cugino  Manuel  Castillo;  ma  l'am- 
bizione del  comando,  presto  li  divise, re- 
stando unito  a  Bolivar  l'altro  cugino  Fe- 
lice Ribas.  Animato  da'consigli  di  questo, 
marciò  co'  3oo  venezueli  per  liberare  la 
capitaneria  generale  di  Caraccas,  e  nuo- 
vamente Venezuela,  aumentando  le  for- 
ze in  progresso  de'suoi  successi  ;  laonde 
giunto  sui  confini  della  Nuova  Granata 
e  di  Venezuela,  più.  migliaia  di  venezueli 
corsero  a  unirsi  a'suoi  vessilli:  s'impadro- 
nì di  Merida  e  suo  distretto  e  delle  pro- 
vinole di  Varinas.  Intanto  Marino  stabi- 
lito a  Maturin,  vinti  e  fugali  gli  spagnuoli 
e  Monteverde,  rimasto  padrone  delle  pio- 
vincie di  Cumana  e  Barcellona,  quel  ge- 
nerale assunse  il  titolo  di  generale  in  ca- 
po e  dittatore  delle  provincie  orientali 
di  Venezuela.  Dall'  altro  canto  Bolivar 
alla  testa  degl'  indipendenti  ,  dopo  vari 
combattimenti,  a'4  agosto  181 3  entrò  so- 
lennemente in  Carracas  a  modo  trion- 
fale, salutalo  liberatore  e  1'  armata  ap- 
plaudita liberatrice;  indi  prese  i  titoli  di 
generale  in  capo  e  dittatore  delle  pro- 
vincie occidentali  di  Veoezuela,cioè  quasi 
la  metà  della  capitaneria  generale.  Fu  al- 
lora che  dando  sfogo  alla  vanità  de'suoi 


VEN 

seguaci,  Bolivar  creò  V  ordine  del  Libe- 
ratore poi  detto  de'Liberatori,  e  quindi 
organizzò  il  governo.  Ma  i  popoli,  special- 
mente i  repubblicani,  si  accorsero  in  bre- 
ve del  suo  assolutismo  e  di  voler  rap- 
presentare il  Napoleone  dell'  /enterica 
o  del  Nuovo  Mondo.  Nel  1814  «  reali- 
sti spagnuoli,  comandati  dal  general  Bo- 
ves,  sconfissero  Bolivar  e  Marino;  che 
perciò  questi  due  emuli,  unite  le  reliquie 
de'loro  eserciti,  raddoppiando  i  tentativi, 
riuscirono  a  respingerli.  Non  andò  guari 
ch'essi  lo  furono  da'realisti,  quando  nel 
capitanato  generale  successe  Gagigal  al 
Monteverde.  Caduto  così  d'ogni  speran- 
za sul  trionfo  dell'indipendenza,  il  vinto 
Bolivar  abbandonò  momentaneamente 
l'impresa, ritirossi  a Cartagena, poi  a  Tuiir 
ja,  dove  gli  riuscì  unire  le  discordi  prò- 
vincie  in  lega  con  Bogota,  colla  condizio- 
ne che  in  quest'ultima  città  risiederebbe 
il  congresso,  e  fu  nominato  capitano  ge- 
nerale della  Nuova  Granata  e  di  Vene- 
zuela. Ritiratosi  a  Cariogena  ,  come  al- 
leato, vi  fu  assediato  dal  generale  realista 
Morillo,  che  lo  costrinse  ad  arrendersi  ai 
6  di  dicembre  1 8  1 5,  e  partì  per  la  Giani- 
maica  e  s.  Domingo.  Ivi  fu  di  nuovo  e- 
letto  capitano  generale  di  Venezuela  e 
Nuova  Granala,  per  non  trovarsi  che  lui 
capace  d'unire  alla  causa  dell'indipenden- 
za tutte  le  7  provincie  Venezuele,  e  pro- 
mulgò gli  schiavi  negri  liberi  da  ogni  gio- 
go. Lopo  essere  stato  battuto  dal  reali- 
sta Moralismi  generali  indipendenti  lo  ri- 
conobbero per  capo  supremo,  a  condizio- 
ne di  convocare  un  congresso,  e  che  la 
sua  autorità  sarebbe  stata  puramente  mi- 
litare, senza  ingerirsi  nell'amministrazio- 
ne civile.  Giunto  in  Barcellona  a*  3  i  di- 
cembre 1816,  couvocòil  congresso,  pro- 
clamò il  governo  provvisorio,  e  lui  capo 
col  titolo  di  presidente  della  repubblica 
di  Venezuela,  riunendo  in  se  i  tre  pote- 
ri :  fece  pubblicare  la  legge  marziale,  e  iu- 
corpoi  òalle  sue  truppe  gli  schiavi  che  con- 
coirevanoa  lui.  Ma  la  battaglia  de'9  gen- 
naio 1817  gli  fece  nuovamente  perdere 


VEN  i5g 

la  provincia  di  Barcellona,  tranne  la  ca- 
pitale. L' r  r  febbraio  1 8  1 8  restò  vinto  il 
realista  Morillo  dinanzi  Calabozo,  ma 
senza  sapersene  trarre  vantaggio,  per  cut 
quel  generale  potè  ripetutamente  scon- 
figgere Mona  gas,  e  Calabozo  tornò  in  po- 
tere de*  regii.  Tuttavolta  non  si  smar- 
rì Bolivar  e  comparve  grande  :  vinto  si 
spesso,  egli  si  riaveva  come  per  incan- 
to con  forze  inaspettate,  con  nuove  chia- 
mate al  patriottismo  americano,  per  la 
sua  popolarità,  malgrado  i  sofferti  disa- 
stri. Morillo  tornò  a  disfarlo,  e  fu  supe- 
riore ing  zuffe  parziali.  Laonde  gì'  indi- 
pendenti proposero  di  spogliare  Bolivar 
della  presidenza  e  rivestirne  Paez.  Le  due 
fazioni  disputautisi  il  potere  si  compone- 
vano di  unitari  e  di  federalisti ,  i  quali 
assumevano  i  caratteri  di  quasi  monar- 
chici e  di  repubblicani. Bolivar  prevalse, 
ma  per  un  tempo  dovè  dividere  il  potere 
assoluto  in  t\uc  sezioni  politica  e  milita- 
re, ed  accreditò  agenti  a  Washington  ed 
a  Londra.  11  congressoapertosi  in  s.  Tom- 
maso d'Angostura  nel  febbraio  1819, 
Bolivar  fu  acclamato  presidente  della  re- 
pubblica sino  al  compimento  della  costi- 
tuzione; ed  egli  non  tardò  a  presentare 
il  piano  per  la  divisione  della  legislatu- 
ra, in  due  camere,  con  senato  e  camera 
di  pari  ereditaria,  ed  una  camera  di  de- 
putati. Nel  congresso  si  modificarono  le 
sue  mire,  si  presero  alcuni  saggi  prowe-  \ 
dimenìi,  si  approvò  l'ordine  de' Libera- 
tori. In  conseguenza  di  vari  combatti- 
menti, Bolivar  entrò  trionfante  in  Bogo- 
ta capitale  della  Nuova  Granata, abban- 
donata dal  viceré  Samana,  a'  12  agosto 
1 8 ig,  e  vi  organizzò  un  congresso  di  cui 
fu  presidente:  la  Venezuela  fu  nuova- 
mente perduta  per  la  Spagna.  A' 17  no- 
vembre dello  stesso  anno,  con  solenne  de- 
liberazione del  congresso,  fu  proclamata 
la  riunione  delle  due  repubbliche  di  Ve- 
nezuela e  dellaNuovaGranata  in  una  sola 
federazione  col  nome  di  Repubblica  di 
Colombia,  e  questa  divisa  in  3  grandi 
dipartimenti,  Fcnezuclai  Quito,  Con- 


i6o  VEN 

tlinamarcat  con  norme  apposite. E  colla 
capitaneria  generale  di  Cai  accas  si  com- 
posero i  4  dipartimenti  di  Zulia  ,  del- 
l' Orenoeo,  di  Maturiti  e  di  Fermitela* 
Va  notato,  che  quella  parte  del  Venezue- 
la, che  dalla  foce  dell'Orcnooo  si  estende 
sino  all'isola  della  Margherita,  fu  veduta 
da  Colombo  nel  suo3.°  viaggio  nel  1 498, 
e  ne  venne  conosciuta  la  costa  fino  alla 
penisola  d'Araya.  Secondo  alcuni  geogra- 
fi Americo  Vespucci  nel  precedente  anno 
«•vea  toccato  la  costa  di  Paria,  e  di  qua 
ebbe  origine  il  fortunato  incidente,  che 
eternò  col  nome  d'America  il  suo.  ludi 
a  onore  del  1 .°  scuopritore  del  Muovo 
IMondo,  si  diede  il  nome  di  regione  Co- 
lumbiana  o  Colombiana  a  tutti  i  luoghi, 
che  componevano  sotto  il  dominio  degli 
spagnuoli  la  Nuova  Andalusia, la  Castiglia 
d'Oro,  la  Terra-ferma,  e  di  poi  il  vice- 
reame  della  Nuova  Granala,  nel  quale  si 
comprendeva  una  parte  dell'antico  Perù; 
i  quali  luoghi  si  fusero  dopo  l'è  ma  nei  pa- 
ltone a  formare  la  nuova  Repubblica  di 
Columbia,  ma  dopo  pochi  anni  i  gover- 
ni variarono  forma  e  tornarono  a  sud- 
dividersi, formando  le  3  repubbliche  di 
Venezuelani  Nuova  Granata  e  dell'/i- 
quatore,  tutte  tre  indipendenti,  ma  con- 
giunte in  amichevole  nodo  d'alleanza  di- 
fensiva e  olfensiva,  con  trattati  commer- 
ciali: il  sistema  divisorio  de'dipartimenti 
fu  abolito  e  ritornarono  leprovincie  rette 
da  governatori  sottogli  ordini  del  potere 
esecutivo  nazionale,  onde  le  12  provili* 
eie  della  Repubblica  di  Venezuela  sono 
le  seguenti  :  Caraccas,  Calabozo,  Clima- 
na,  Barcellona,  Margherita,  Coro,  Tru- 
xillo,  Merida,  Maracaibo,  Varinas,  Apu- 
re  e  Guayana.  Poco  dopo  la  formazione 
della  repubblica  di  Colombia,  ai5  no- 
vembre 1820,  ebbe  luogo  un  armistizio 
con  Morillo ,  ma  senza  riconoscersi  da 
quel  realista  il  nuovo  stato.  Tenuta  per 
fallo  tale  tregua,  Bolivar  a  ripararlo,  nel 
182  1  ne  annunziò  il  termine,  ed  a'24 
giugno  marciò  contro  i  generali  realisti 
La  Torre  e  Morales,  ambo  stabili  ti  a  Cala- 


YEN 
boxo, e  fu  l'ultimo  giorno  della  dominai 
itone  spaglinola  in  queste  contrade.  Boli- 
var vittorioso,  la  liélMg  sera  entrò  in  Va- 
lenza; Caraccas  e  la  Guaita  tornarono  in 
potere  degl'  indipendenti  per  non  più  u 
scirne,nel  luglio  1  824  facendo  altrettanto 
Porto  Gabello,  runica  città  della  Vene- 
zuela restata  a 'rea  listi.  La  costituzione  di 
Cucuta  fu  pubblicata  a'3o  agosto  1821. 
Entrato  Bolivar  vincitore  io  Qui  lo  e  in 
Guayaquil  l'i  1  luglio  1822,  quelle  con- 
trade furono  incorporate  alla  Colombia, 
ed  a'3  settembre  1823  fece  il  suo  trion- 
fale ingresso  in  Lima  (in  memoria  di  che, 
in  essa  di  recente  fu  eretta  la  di  lui  co- 
lossale statua  equestre  in  bronzo,  il  cui 
modello  magnifico  eseguì  in  Roma  il  eh. 
prof.  Adamo  Tadolini,  che  meritò  an- 
dasse a  vederlo  nel  di  lui  studio  il  Pa- 
pa Pio  IX,  del  quale  segnalato  onore 
l'esimio  scultore  pose  nelle  pareti  la- 
pide monumentale).  Il  congresso  del 
Perù  gli  decretò  la  dittatura  a' io  feb- 
braio 1824,  e  la  presidenza  nel  182J. 
Nel  precedente  anno  essendosi  conquista- 
te 7  provincie  già  dipendenti  dal  gover- 
no di  Buenos- Ayrés  e  poi  del  vice-rea- 
me del  Perù,  Bolivar  ne  proclamò  l'indi- 
pendenza, imponendo  loro  il  nome  di  Bo- 
livia ed  un  codice  che  denominò  Boli- 
viano. Ma  insorte  collisioni,  nel  1  826  si 
tramò  contro  la  sua  vita.  Tuttavolta  re- 
stando nel  Perù,  fu  in  Lima  eletto  presi- 
dente a  vita,  e  venne  adottalo  il  codice 
Boliviano.  L'apogeo  di  sua  gloria  fu  nei 
tre  anni  dal  1822  al  1826.  In  quest'  ul- 
timo si  ribellarono  a  lui  Paez  federalista 
e  Marino,  con  alcune  provincie,  trovan- 
dosi la  costituzione  di  Cucata  non  con- 
venire ad  alcuno.  Bolivar  lasciato  il  Pe- 
rù ,  mediante  nocevoli  concessioni  nel 
1827  nella  repubblica  di  Colombia  si 
ristabilì  un'apparente  calma.  Bolivar  vo- 
leva lo  scettro,  ma  non  ebbe  senno  ab- 
bastanza da  saperlo  afferrare.  Successi- 
vamente scoppiarono  nel  Perù  e  nella 
Bolivia  insurrezioni, ed  i  peruviani  inva- 
sero la  Bolivia  per  francarla   dal  giogo 


VEN 
del  liberatore, crollando  così  il  gigantesco 
edilizio  dell'alleanza  de*  popoli,  rappre- 
sentanti le  due  Americhe,  che  Bolivar  a- 
vea  voluto  innalzare.  Il  Perù  e  la  Boli- 
via gli  sfuggivano;  la  Colombia  si  dibat- 
teva tra  le  sue  mani,  nondimeno  la  con- 
servava. Vedendo  però  che  la  sua  stella 
andava  mancaudo,  volle  finirla,  ormai 
scorgendo  la  necessità  di  diventare  il  pa- 
drone o  di  andarsene  in  esilio.  Nel  de- 
clinar del  1829  tentò  un  estremo  sforzo 
a  Caraccas,  nell'assemblea  de'24  dicem- 
bre presieduta  dal  general  Paez,  per  la 
separazione  del  governo  di  Bogota  e  di  Ve- 
nezuela,che  doveano  nondimeno  conser- 
vare il  nome  comune  di  Colombia  ;  quin- 
di di  nuovo  Bolivar  fu  esposto  a'pugnali 
degli  amici  della  libertà,  e  per  miracolo 
n'era  rimasto  salvo  a'25  settembre  1829. 
Adunque  per  la  5.a  volta  risolse  dimetter- 
si dal  potere  e  l'eiFeltuò  con  messaggio  al 
congresso  de'  20  gennaio  i83o,  dopo  a- 
vere  respinto  l'imputazione  che  aspirava 
alla  corona.  Nominato  però  presidente  di 
Colombia  a'22  gennaio  il  general  Sucre, 
dichiarò  non  potersi  accettare  la  dimis- 
sione di  Bolivar;  il  quale  decise  non  o- 
stante  di  abbandonar  Bogota,  e  non  ces- 
sando le  contrarietà  volle  definitivamen- 
te abdicare  la  sua  presidenza  a'  27  a- 
prile.il  congresso  di  Bogota  a'3o  ne  ac- 
cettò la  rinunzia.  Indi  a'4  maggio  la  Co- 
lombia adottò  la  nuova  costituzione  sot- 
to la  presidenza  di  Mosquava;  a*  6  si  a- 
prì  il  congresso  costituente  per  Venezuela 
a  Valenza,  eletto  presidente  Yanes;  a' 9 
il  congresso  di  Bogota  decretò  ringra- 
ziamenti a  Bolivar  e  1' annua  pensione 
di  1 5o,ooo  franchi,  ed  egli  partì  da  Bo- 
gota nel  dì  seguente,  a*  1 4  ponendosi  Paez 
alla  testa  del  governo  di  Venezuela.  Ri- 
tiratosi Bolivar  inCartagena, andava  tem- 
poreggiando il  suo  imbarco,  quando  in 
s.  Pietro  presso  s.  Marta  cadde  infermo, 
forse  di  veleno,  e  morìa'17  dicembre  di 
48  anni  non  compiti,  semplice  partico- 
lare dopo  18  anni  di  grandezza.  Così  fi- 
nì il  fondatore  della  repubblica  di  Co- 
vol.  xcin. 


VEN  161 

lombia,  che  sorta  per  lui  parve  trovare 
sul  sepolcro  del  liberatore  de'  germi  di 
morte.  Imperocché,  come  dissi,  al  princi- 
pio dello  stesso  i83o,  il  Venezuela  stac- 
cossi  dal  resto  della  Colombia,  si  eresse 
con  altri  stati  in  repubblica,  percorse  va- 
rie vicende  politiche,  e  l'odierna  sua  con- 
dizione è  la  seguente,  che  trovo  nella  Ci- 
viltà Cattolica  de' 16  ottobre  i858.»La 
Eepubblica  di  Venezuela  fu  per  un  istan- 
te in  un  momento  di  guerra  colla  Fran- 
cia e  coll'Inghilterra,  appunto  come  po- 
co fa  l'imperatore  della  Cina.  La  repub- 
blica di  Venezuela  ebbe  dal  18 19  fino 
ad  ora  non  si  sa  quante  costituzioni  e  ri- 
voluzioni ;  di  cui  l'ultima  e  freschissima 
atterrò,  pochi  mesi  sono,  il  presidente 
Giuseppe  Taddeo  Monàgas,  ch'era  stato 
eletto  la  2.a  volta  il  20  aprile  del  1857, 
e  fu  cacciato  dal  general  Castro.  Ma  il 
Monàgas  appena  vedutala  mala  parata, 
abdicò  nelle  mani  del  congresso  e  subito 
ricorse  alla  legazione  francese,  ponendosi 
sotto  la  sua  protezione.  Alcuni  de'  suoi 
partigiani  ricorsero  dal  loro  lato  alla  le- 
gazione inglese.  11  nuovo  presidente  con- 
cluse allora,  per  mezzo  d'un  segretario  di 
stato,  co'ministri  forestieri  una  specie  di 
trattato,  che  concedeva  al  Monàgas  ed  a- 
gli  altri  la  licenza  di  uscire  dal  territo- 
rio. Ma  poco  dopo  destituì  il  suo  pleni- 
potenziario e  sconobbe  il  trattato,  chie- 
dendo a'ministri  che  l'ex  presidente  e  i 
suoi  gli  fossero  lasciati  nelle  mani  per 
essere  giudicali  da'tribunali.  I  ministri 
non  avendo  modo  di  resistere,  dovettero 
cedere,  ma  ne  scrissero  a'ioro  governi.  I 
quali  tosto  inviarono  colà  alcune  navi  da 
guerra,  chiedendo  che  subito  fossero  re- 
stituiti i  prigionieri  alle  legazioni  a  cui 
aveano  fatto  ricorso.  Ne  avendo  il  gover- 
no voluto  a  ciò  acconsentire,  alcune  na- 
vi da  guerra  francesi  e  inglesi  dichiararo- 
no in  istato  di  blocco  i  due  porti  di  La- 
guayra  e  di  Porto  Caballo,  e  confiscaro- 
no le  navi  di  commercio  che  vi  si  tro- 
vavano. Giunse  intanto  a  Caraccas  il  si- 
gnor Deveton  Orme,  incaricato  inglese  , 
1 1 


1G2  VEN 

cou  cui  uou  tardò  il  nuovo  governo  ad 
acconciare  le  cose,  dando  passaporti  al- 
l'ex presidente  ed  a'suoi  partigiani, e  pro- 
mettendo un'indennità  (di  cui  uon  si  dee 
mai  tacere  quando  si  ha  da  fare  con  un 
incaricato  inglese),  la  cui  somma  precisa 
sarà  eoo  più  comodo  determinala".  Al 
presente  continua  ad  essere  presidente 
provvisorio  il  general  Castro,  intimo  a- 
uiico  del  general  Paez,  i  principi!  politi- 
ci de'quali  sono  identici.  11  tesoro  pub- 
blico e  l'industria  prosperano,ed  il  gover- 
no incoraggia  l'imniigruzioue.  Nel  1 85y 
il  senato  e  la  camera  abolirono  negli  stali 
della  repubblica  la  schiavitù,  riconoscen- 
do come  debito  nazionale  il  valoredegli 
schiavi  emancipati ,  da  rimborsarsi  cou 
certi  modi  e  termini. 

La  sede  vescovile  di  Venezuela  o  Be- 
necuela o  Caraccas,ebbe  origine  nei  pri- 
mi anni  del  secolo  XVI.  Della  parte 
del  Venezuela  scoperta  dal  Colombo, 
nel  seguente  1 499  Alfouso  d' Ojeda  ne 
prosegui  I'  esplorazione,  cioè  della  co- 
sta da  Maracapana  sino  al  Capo  della 
Vela.  Nel  i5oo  vi  giunsero  Rodrigo  de 
lasBa&tidas  e  Giovanni  della  Cosa.  Nel 
i5i2  da  s.  Domingo  sbarcarono  sulla 
costa  del  Venezuela  i  due  domenicani 
Francesco  de  Cordova  e  Giovanni  Garces 
per  esercitarvi  l'evangelico  ministero  nel 
paese  di  Casco;  iudi  nel  i5i8  parecchi 
frati  domenicani  e  minori  osservanti  nel- 
le coste  della  provincia  di  Cumana  vi  e- 
ressero  due  conventi.  Ma  penetrato  nel 
paese  di  Casco  un  pirata  spagnuolo,  che 
radunava  gl'indiani  sulla  costa  e  ne  face- 
va preda  per  rivenderli  a'proprietari  di 
miniere,  con  apparente  amicizia  lusinga- 
to il  principe  indigeno  di  Casco  a  recarsi 
colla  moglie  e  i5  figli  al  suo  bordo,  ivi 
li  pose  barbaramente  in  ceppi  e  seco  li 
strascinò.  Allora  i  selvaggi  per  vendetta 
massacrarono  gì'  innocenti  missionari,  e 
bruciarono  i  conventi  con  entro  i  frati 
slessi.  Altri  3  domenicani  daCabagua  re 
calisi  uel  Venezuela  per  diffondervi  il 
criftlianeaimo,  fondarono  chiese  e  cou- 


V  EN 

venti,  ma  gli  avidi  mercanti  di  carne  u- 
manu  tornando  a  esercitare  le  turpi  ra- 
pine, provocarono  un  eccidio  generale  di 
tutti  gli  europei.  Nondimeno  ti  andaro- 
no fondando  colonie, e  nel  x^i'j  Giovan- 
ni Ampuez,  ben  accolto  dal  principe  di 
Manora  ,  fondò  la  ci  Ila  di  Coro,  sulla 
sponda  orientale  del  golfo  di  Maracaybo, 
che  divenne  poi  sede  del  governo  perla 
sua  importanza  e  opulenza,  la  quale  però 
nel  1 636  fu  trasferita  a  Benecuela  o  Ca- 
raccas,  attuale  capitale  della  repubblica 
di  Venezuela  ,  però  città  fondata  nel 
1567.  Perciò  quando  Clemente  VII  nel 
i53o  o  nel  1 532, come  vuole  Comman- 
ville,  che  chiama  la  città  Venezuela,  Ve* 
netìola)  vi  fondò  la  cattedra  vescovile  e 
sullraganea  dell'arcivescovo  di  s.  Domin- 
gOjVeramenle  pare  che  fosse  in  Coro,e solo- 
più  tardi  fu  traslatata  iu  Benecuela.  Che 
in  Coro  venne  istituita  la  primitiva  sede 
vescovile,  lo  apprendo  pure  dal  dotto  car- 
dinal Baluffì.  L'America  un  tempo  spa- 
glinola riguardala  sotto  V aspetto  reli' 
gioso,  e  la  chiama  prima  chiesa  Venezo- 
lana, che  prese  nome  da  Coro  ove  sorse, 
con  assegno  delle  decime,  che  registra  a 
scudi  3 16,21 5,  come  arcivescovato,  pe- 
rò neh'  epoca  anteriore  e  prossima  alla 
rivoluzione;  non  senza  giustamente  av- 
vertire, che  le  decime  concesse  nel  1 5 1  1 
da  Giulio  II  alle  nuove  chiese  d'Ameri- 
ca,al  cui  esempio  fecero  il  simile  i  succes- 
sori, non  sono  in  opposizione  alla  bolla  E- 
ximiae  del  predecessore  Alessandro  VI , 
colla  quale  accordò  a're  di  Spagna,  che 
assegnata  da  essi  sopra  i  beni  reali  una 
dote  sufficiente  a  tutte  le  chiese,  potesse- 
ro percepire  le  decime  dell'  Indie  occi- 
dentali; poiché  la  nuova  concessione  di 
Giulio  II  segui  pel  preventivo  accordo  coi 
re  di  Spagua,i  quali  volevano  sgravarsi 
degli asseguameuti, restituendo  alla  chie- 
sa le  decime,  come  le  godevano  i  vescovi 
di  Castiglia^  effettuato  colla  Concordia 
di  Burgos  tlell'8  maggio  1  5i 2,  stipulata 
fra  Ferdinando  Ve  la  regina  Giovanna, 
co'vescovi  di  s.Domingo,  della  Concezio- 


V  E  N 

ne,  e  s.  Giovanni  di  Porto  Rico,  a!  quale 
ultimo  fu  assegnata  per  diocesi  l'isola  del 
suo  nome  e  quella  della  Margherita, col- 
le provincie  di  Cumana  e  di  Guayana. Ma 
il  cardinal  Baluffi,  da  fedele  storico,  en- 
comiando le  virtù,  lo  zelo  e  le  beneficenze 
de' venerandi  primi  vescovi  d'America, 
nou  tace  che  Rodrigo  de  IasBastidas,sun- 
nominato  o  suo  nipote,  primo  vescovo  di 
Coro  «avendo  assunto  interinalmente  il 
temporale  governo  della  venezolana  pro- 
vincia,posposta  la  verga  pastorale  al  ba- 
stone della  tirannia,  fe'tnercato  delle  vite 
degl'indigeni,  lordando  sua  mitra  d'inno- 
cente saugue,  quanti  altri  furono  di  quei 
primitivi,  nessuno  oltraggiò  la  diguità  del 
grado, tutti  onorarono  il  miuislero.  Ma 
se  gì'  indiani  di  Coro  ebbero  che  inorri- 
dirsi di  lui,  ben  ebbero  da  congratularsi 
di  que'che  gli  succedettero.  Saranno  sem- 
pre care  le  memorie  di  Àgreda  e  di  Man- 
zaniilo  messaggeri  al  popolo  di  eterna  sa- 
lute, messaggeri  di  terrestre  prosperità". 
1  primi  successori  di  Rodrigo,  che  sem- 
bra fatto  vescovo  di  Coro  nel  i535  e 
morto  nel  i54^,  furono:  nel  1 543  Mi- 
chele Girolamo  Ballesteros;  nel  i558 
l'encomiato  fr.  Pietro  d'Agreda  domeni- 
cano, morto  nel  1 58o  ;  nel  1 582  fu  con- 
sagrato il  pur  lodato  fr.  Giovanni  Man- 
zaniilo  domenicano^  morto  nel  i593;nel 
1600  fr.  Diego  di  Salinas  domenica- 
no, morto  nello  stesso  anno;  nel  1601 
fr.  Pietro  Martire  domenicano  ;  fr.  Pie- 
tro Ogna  domenicano,  nominato  ezian- 
dio nel  1601,  ma  non  ne  prese  possesso, 
essendo  stato  trasferito  a  Gaeta;  Antonio 
d'Alsega,  morto  nel  1609  ec.  Le  Notizie 
di  Roma  registrano  i  seguenti:  1742  Gio. 
Garzia  Abbadiauo  di  Segovia;  1749  B- 
manuele  Machado-y-Luna  ,  di  CuzerevS 
diocesi  di  Coria;  1752  Francesco  Julian, 
di  Zevico  diocesi  di  Palencia_,  traslato  da 
Porto  Rico;  1756  Diego  Antonio  Diez 
Madroueio,diTalarubbiasdiocesi  di  To- 
ledo; 1770  Mariauo  Marti,  di  Brassia 
diocesi  di  Tarragona,  trasferito  da  Porlo 
Paco;  1792  fr.  Gio.  Antonio  della  Ver- 


VEN  i63 

S'ine  Maria,  di  Langrau  diocesi  di  Cala- 
horra.  Pio  VI  a' 24  febbraio  1798  tra- 
slatò  da  Guayana  o  s.  Tommaso ,  sede 
da  lui  istituita,  il  i.°veseovo  della  mede- 
sima Francesco  de  Ybarra,  di  Guaca- 
ta  diocesi  diBenezuela.  A  suo  tempo  Pio 
VII  ad  istanza  di  Carlo IV re  di  Spagna, 
colla  bolla  In  wiiversalis  Ecclesiae,  de' 
24  novembre  i8o3,  Bull.  Rom.cont.  t. 
12,  p.  97,  eresse  in  arcivescovati  le  sedi 
vescovili  di  s.  Giacomo  di  Cuba,  e  di  Be- 
tiecuela  vulgo  Caraccas.  Quanto  a  Be- 
necuela,  dichiarò  suffraga  nei  dell'arcive- 
scovo, che  per  i.°  dichiarò  Francescode 
Ybarra,  i  vescovati  di  Menda  di  Mara- 
caibo^ di  Guayana  os.  Tommaso  d'Aa- 
goslura,  già  suffragane'!,  questo  di  s.  Do- 
mingo, quello  di  s.  Fede  di  Bogota.L'  1 1 
gennaio  1808  Pio  VII  nominò  2. °  arci- 
vescovo diBenezuela  Narciso  Coll-y  Prat, 
di  s.  Pietro  di  Cornetta  diocesi  di  Giro- 
na,  poscia  traslalo  adEcclesianiPalentin. 
Nel  1827  Papa  Leone  XII  preconizzò  in 
3.°  arcivescovo  Raimondo  Ignazio  Men- 
dez  dottore  ulriuscjiiejurist  lodatissimo  e 
idoneo  ecclesiastico,  non  dicendosi  la  pa- 
tria neppure  dalla  proposizione  concisto- 
riale. Nel  1 84 1  a'  1 5  luglio  Gregorio  XVI 
preconizzò  Gio.  Autòaio  Ignazio  Fer- 
naudez  Pegna  di  Menda,  canouico  deca- 
no di  quella  catledrale,  dottore  in  s.  teo- 
logia, già  parroco,  vicario  foraneo,  pro- 
fessore di  s.  Scrittura  nel  seminario,  pre- 
dicatore e  ornato  di  virtù.  Il  regnante 
Pio  IX  nel  concistoro  de'27  settembre 
i852  promulgò  l'odierno  arcivescovo 
mg.r  Silvestro  Guevara  ,  di  Barcellona 
diocesi  di  Guayana,  già  parroco  in  patria 
e  canonico  di  detta  cattedrale,  nou  che 
vicario  generale  della  sua  diocesi,  dotto, 
probo  e  degno  dell'arcivescovile  dignità, 
come  trovo  nella  proposizione  concisto- 
riale che  mi  sta  davanti,  in  cui  pur  leg- 
go, cani  resero 'adone  facilita tis  novani 
ineundi  ipsius  Archidioeceseos  circuiti- 
scriptiouem  quovis  tempore  faciendam 
arbitrio  Sanctitatis  Suaet  et  Apostoli- 
cae  s.  Sedis.  Inoltre  si  dice  nella  medesi- 


164  VE» 

ma,  la  città  di  s.  Giacomo  de  Caracas, 
sive  de  Benecuela  ad  montium  declive 
aedificala  conspicitur,  quac  in  ampio 
suo  circuitu  octomillc  circiter  domos,  et 
a  quinquaginta  millibus  inhabitalur  ci- 
vibus.  La  cattedrale  metropolitana, de- 
cente e  vasto  edificio  sotto  l'invocazione 
di  s.  Anna  madre  della  B.  Vergine,  ha  il 
capitolo  composto  del  decano  e  di  altra 
dignità,  di  5  canonici  colle  due  prebende 
del  teologo  e  del  penitenziere,  di  3  por- 
zionari,  d'  8  cappellani  o  beneficiati,  e  di 
altri  preti  e  chierici  addetti  al  servizio 
divino.  Nella  medesima  è  il  fonte  bat- 
tesimale, e  la  cura  delle  anime  ammini- 
strata da  due  parrochi:  l'arci-episcopio, 
buono  edificio  ,  le  è  prossimo.  Nella  cit- 
tà vi  sono  altre  6  chiese  parrocchiali  co' 
battisteri,  un  ospizio  di  preti  per  le  mis- 
sioni, 3  monasteri  di  religiose,  diversi  so- 
dalizi, due  spedali,  il  monte  di  pietà  e  il 
seminario  con  alunni.  Nel  1857  il  gover- 
no separòdall'universilà  centrale  le  scuo- 
le del  seminario, e  questo  fece  consegna- 
re all'arcivescovo,  rimanendovi  stabilite 
le  cattedre  delle  scienze  ecclesiastiche. 
Archidioecescos  ambitus  satis  late  paté  t, 
pluresque  sub  se  complectitur  civitates 
etoppida.  Ogni  nuovo  arcivescovo  è  tas- 
sato ne*  libri  della  camera  apostolica  in 
fiorini  33  e  mezzo,  ascendendo  le  rendi- 
te della  mensa  a  circa  5,ooo  scudi  ro- 
mani. 

VENI  CREATOR  SPIRITUS.  Inno 
in  onore  dello  Spirito  Santo  (V.),  ter- 
za persona  della  ss.  Trinità  {V).  Non  si 
incomincia  Elezione  (V.),  grande  e  no- 
tabile azione,  e  qualunque  cosa  impor- 
tante senza  l'invocazione  del  divin  Para- 
cielo consolatore,  mediante  i  bellissimi  e 
fervorosi,  inno  Veni  Creator  Spiritus,e 
Sequenza  o  Prosa  (  V.) ,  Veni  Sancte 
Spirilus  (V.),  che  si  cantano  o  recitano 
con  divozione  e  fiducia;  ambo  affettuose 
e  riverenti  invocazioni  per  implorare  dal 
Padre  de'  lumi  la  sua  grazia  e  aiuto  a  fi- 
ne d'ispirare  e  di  muovere  al  bene  la  vo- 
lontà, d'illuminare  santamente  l'intellet- 


VEN 
to,  i  sensi,  il  cuore,  ed  insieme  per  accen- 
derci e  infiammarci  del  fuoco  del  suo  san- 
to amore,  unica  nostia  consolazione,  e  di 
santificarci.  Questo  Inno  (V.)  da  alcu- 
ni si  attribuisce  a  Roberto  li  redi  Fran- 
cia, morto  nel  io3r  ;  o  al  b.  Erman- 
no, detto  Contralto  dell'aver  le  mem- 
bra contratte,  monaco  di  Richenou, mor- 
to nel  io54,  °  a'  h*  Nolkero  o  Notche- 
ro  monaco  di  s.  Gallo,  detto  il  Balbo  a 
cagione  dell'impedimento  di  sua  lingua, 
morto  nel  912;  o  finalmente  a  Papa  7»* 
nocenzo  III  del  1198.  Queste  opinioni 
le  riferisce  Cancellieri,  Descrizione  del- 
le cappelle  pontificie,  \>.  2  53:  io  però  te- 
mo che  siano  stati  amalgamati  i  creduti 
autori  della  sequenza  Peni  Sancte  Spi- 
rilus. In  numerabili  versioni  e  parafrasi 
furono  fatte  dell'  inno  Veni  Creator 
Spiritus,  ricorderò  solo  l'elegante  volga- 
rizzamento di  Samuele  Biava,  Melodìe 
sacre  o  Inni  popolari  della  Chiesa ,  p. 
i3:  comincia  con  questi  versi.  O  Crea- 
tor Spirito,  -  Vieni ',  le  menti  avviva- De' 
figli  tuoi,  che  implorano -Il  sempiterno 
amori  II  Papa  Pio  VI,coosiderando  che 
la  profezia  del  real  salmista  David:  Man- 
da lo  Spirilo  tuo  e  saranno  creati,  e  rin- 
novellerai  la  faccia  della  terra,  salmo 
io3,  v.  3o,  ed  anche  TJf.  Emille  Spiri- 
timi e  R>.  Et  renovabis,  adempita  nel  sa- 
gro giorno  di  Pentecoste  (V.),  può  rin- 
novarsi di  continuo,  se  i  cristiani  col  cuo- 
re contrito  imploreranno  l'aiuto  del  me- 
desimo Divino  Spirito;  e  desiderando  che 
i  fedeli  lo  preghino  vivamente,  affinchè 
spanda  sopra  la  faccia  della  terra  lo  spi- 
rito di  Sapienza  ed  Intelletto,  lo  spirito 
di  Consiglio  e  di  Fortezza,  lo  spirito  di 
Scienza,  di  Pietà  e  del  Timor  di  Dio;  on- 
de in  virtù  di  questo  Settiforme  dono  di- 
vino (il  vescovo  Sarnelli,  Lettere  eccl.  t. 
4,  leti.  22  :  Qual  sia  il  senso  letterale  di 
quelle  parole  della  Sapienza,  e.  1  :  et  hoc, 
quod  continel  omnia;  spiegaudo  le  7  lin- 
gue e  i  7  doni,  ingegnosamente  l'applica 
alle  lingue  ebrea,  latina,  greca,  spagnuo- 
la,  italiana,  francese,  germana,  di  cui  ne 


VEN 

iileva  i  pregi)  si  dilatino  i  cuori  di  tulli, 
ecorriuo  con  alacrità  nella  via  de' Comari- 
damenti  del  Signore j  perciò  con  breve 
uuiversalee  perpetuode'26  maggio  1 796 
concede  a'fedeli  tutti,  che  una  o  più.  vol- 
te al  giorno  invocheranno  il  s.  Divino  Spi- 
rito colla  recita  dell'inno  freni  Creator 
Spiritus,  o  sequenza  Veni  Sancte  Spiri- 
tus, in  latino  o  in  qualunque  altro  idio- 
ma, intendendo  anche  di  pregare  per  la 
concordia  tra'princi pi  cristiani  ec,  confes- 
sati e  comunicati  V  indulgenza  plenaria 
una  volta  al  mese  in  un  giorno  ad  arbi- 
trio; a  quelli  poi,  che  contriti  reciteranno 
detto  inno  o  sequenza,  nella  domenica  di 
Pentecoste  esuaottava,concedeogni  vol- 
ta 3oo  giorni  d'indulgenza,  e  giorni  100 
in  tulli  gli  altri  giorni  dell'anno  per  ogni 
volta,  quali  indulgenze  ponno  tutte  ap- 
plicarsi anche  a'fedeli  defunti.  Tutto  que- 
sto si  riporta  nel  tesoro  spirituale,  qual  è 
il  libro  intitolalo:  Raccolta  di  orazioni  e 
pie  opere  per  le  quali  sono  state  conce- 
dute da'  Sommi  Pontefici  le  s.  Indulgen- 
ze. In  esso  si  trovano  pure  non  solamen- 
te l'inno  e  la  sequenza,  ma  anco  tradot- 
ti  e  parafrasati  egregiamente. 

VENI  SANCTE  SPIR1TUS.  Una  del- 
le quattro  principali  Sequenze  o  Prose , 
che  ammette  la  Chiesa  romana.  Questa 
sequenza,  come  l'inno  Veni  Creator  Spi- 
rilus,  è  in  onore  dello  Spirito  Santo,  per 
quanto  ho  detto  in  tale  articolo,  le  cui 
nozioni  si  compenetrano  con  questo,  per 
la  cui  recita  divota  sono  concesse  l'indul- 
genze descritte  nel  medesimo  articolo, in- 
cominciaudo  il  suo  volgarizzamento  col- 
le parole  in  versi:  Santo  Divino  Spirito- 
Dal  vostro  trono  altissimo  -  Venite  e  a 
noi  vibrate  -  Un  raggio  di  splendor.  An- 
che questa  sequenza  e  tenerissima  invo- 
cazione dello  Spirito  Santo,  si  premette 
nell'incominciamento  dell'azioni  (si  reci- 
ta pure  la  preghiera:  Adsumus  Domine^ 
pel  notato  nel  voi.  XVI,  p. i5i,  e  in  al- 
ili luoghi),  o  si  recita  per  implorarne  la 
portentosa  assistenza ,  in  questa  valle  di 
miserie  e  di  tribolazioni.  Perciò  viene  ce- 


VEN  i65 

lebrato  padre  di  luce  e  de'poveri,  santo  a* 
more,  in  tutto  consolatore  ottimo,  con- 
forto nelle  afflizioni,  lume  beatissimo,  di- 
speusatore  di  grazie,  datore  di  prosperità 
temporali  e  del  gaudio  perpetuo  in  cie- 
lo. Il  cardinal  Lambertini  poi  Benedetto 
XIV,  Della  s.  Messa,  attribuisce  la  com- 
posizione della  sequenza  al  b.  Ermanno 
Contratto;  opinione  che  con  altri  riportai 
nel  voi.  XXXV,  p.  216,  insieme  a  quel- 
le che  ne  fanno  autore  Roberto  II  re  di 
Francia,  o  Papa  Innocenzo  III,  il  che  ri- 
pelei nel  voi.  LV,  p.  307,  notando  che 
Platina  crede  composizione  del  re  l'ora- 
zione: Sancti  Spiritus  adsit  nobis  gra- 
tta. Rilevai  poi  nel  voi.  LII,  p.  88,  che 
almenolnnocenzolll  fu  ih.0  a  introdurre 
la  sequenza  VeniSancteSpiritus  in  uso  nel 
canto  ecclesiastico.  Il  pio  e  dotto  Butler, 
Delle  feste  mobilitai.  9,  Della  Penteco- 
ste, e.  6,  n.  xv,  Orazione  a  Ilo  Spi  rito  Sa  fi- 
lovie scrisse  una  mirabile  per  unzione,  fer- 
vore, fede  viva;  poi  notifica,  che  Surin, 
Avrillon  e  altri  scrittori  ascetici  compo- 
sero eccellenti  preghiere  per  ciascuna  bea- 
titudine, come  anco  per  ciascun  dono  e 
frutto  dello  Spirito  Sauto,  ed  alcuni  so- 
pra ciascuna  virtù  morale,  con  delle  me- 
ditazioni acconce.  Quindi  aggiunge  :  La 
sequenza  Veni  Sancte  Spiritus  si  può  re- 
citare tutti  i  giorni  per  stabilire  il  regno 
perfetto  dello  Spirito  Santo,  spirito  d'a- 
more nelle  nostre  anime.  Se  ne  trova  una 
bella  esposizione  o  parafrasi  nel  t.  4  del- 
le opere  del  p.  Valois.  Il  suo  eruditissi- 
mo annotatore  dichiara,  che  questa  pro- 
sa o  sequenza  è  da  alcuni  autori  attribui- 
ta al  dotto  b.  Notkero  ,  ma  1'  Ekkard  il 
Giovane  nell'esatta  vita  di  quel  religioso 
di  s.  Gallo,  lo  fa  autore  soltanto  d'un'al- 
tra  prosa  che  comincia  colle  parole:  San- 
cti Spiritus  adsit  nobis  grada;  e  attribui- 
sce la  sequenza  Veni  Sancte  Spiritus  a 
Papa  Innocenzo  III,  e  potersi  vedere  la 
Storia  letteraria  di  Francia,  secolo  X, 
p.  139,  e  Ceillier,  1. 19,  p.  5o4-  Conviene 
che  Notkero  scrisse  diverse  di  tali  prose, 
stampate  nelle  sue  opere;  ed  opiua  che 


i6G  VEN 

Roberto  II  re  di  Francia  compose  anch'e 
gli  molte  di  simili  prose,  e  tra  le  altre  sul- 
l'Ascensione, che  cominci»:  Rex  omnipo- 
tcìis  die  hodierna,  che  Clittoveo  pubbli- 
cò con  un  commentario.  Lo  stesso  edito- 
re, con  Guglielmo  di  Malmesbury  e  al- 
tri, lo  dice  autore  della  prosa  dello  stes- 
so Spirito  Santo:  Sancii  Spiritus  adsit 
nobis  grafia,  che  anco  Baillet  riferisce  a 
Notkero. Durando, Tri ttemio,  il  cardinal 
Bona  e  alcuni  altri  l'hanno  forse  confusa 
colla  bella  prosa:  Veni  Sane  te  Spiritus, 
quando  hanno  attribuito  questa  a  Rober- 
to II.  Dice  pure,  che  v'ha  ancora  chi  ne 
fa  autore  Ermanno  Contratto,  ma  Papa 
Innocenzo  III  è  generalmente  riconosciu- 
to pel  suo  vero  autore,  come  lo  prova  il 
Merati  in  Gavanto,  par.  2,  t.i,  p.  12 16. 
Benedetto  XIV  assicura  la  stessa  cosa,  nel 
che  sono  concordi  i  Ma  uri  ni.,  nella  citata 
Storia,  e  Mabillon,  Àcta  ss.  Bened.  t.  7, 
p.  19. 

VENOSA  ( Vernisi») .  Città  con  resi- 
denza vescovile  del  regno  delle  due  Sici- 
lie,  della  provincia  di  Basilicata,  nell'an- 
ticaLucania,distante  circa  4  leghe  da  Mel- 
fi, di  cui  è  distretto,  capoluogo  di  canto- 
ne. Giace  sul  rialto  d'una  collina,  in  fer- 
tile e  amena  pianura  circoscritta  dagli  A- 
pennini,  alla  sinistra  del  Dauno,  uno  de* 
gl'influenti  dell'Ofanto.E'  assai  bene  fab- 
bricata, parte  in  monte  e  parte  in  piano, 
quae  in  suo  cjuatuor  circiter  milliarium 
ambila quingentas  domos3  et  7000  coni- 
pleclitur  incolas,  come  leggo  nell'ultima 
proposizione  concistoriale.  Ha  una  bella 
piazza  ,  parecchie  vaghe  case  particola- 
ri. La  cattedrale,  magnifico  e  antico  edi- 
lìzio, a/r^M/z/ft  exposcit  reparalionem,  al 
tempo  di  detta  proposizione  o  1 848.  E' 
sagra  a  Dio,  sotto  l'invocazione  di  s.  An- 
drea apostolo,  patrono  della  città,  di  cui 
possiede  un'insigne  reliquia,  oltre  la  sta- 
tua d'argento,  almeno  quando  n'era  ve- 
scovo il  Corsignani -,  ed  altre  pure  ivi  si 
venerano.  L*  Ughelli,  Italia  sacra,  t.  7, 
p.  1 66:  VenusiniEpiscopi,\e descrive:  Del 
legno  della  ss.  Croce,  due  ss.  Spine  della 


VEN 
Corona  del  Redentore,  parte  della  costa 
di  Papa  1.  Gregorio  1  Magno,  un  dito  in- 
dice del  titolare  s.  Andrea  ec.  Non  è  par- 
rocchia, ma  vi  è  l'unico  fonte  battesima- 
le della  città,  per  cui  i  6  rettori  o  curati 
delle  chiese  parrocchiali  della  medesima, 
in  essa  prendono  i  sagramenti^ro  infir- 
mis.  Il  capitolo  si  compone  di  4  dignità, 
la  maggiore  essendo  l'arcidiacono,  le  al- 
tre l'arciprete,  il  cantore,  il  primicerio; 
di  20  canonici,  comprese  le  prebende  del 
teologo  e  del  penitenziere,  di  12  mansio- 
nari, e  di  altri  preti  e  chierici  inservien- 
ti all'uiTrziatura  divina.  L'episcopio  pros- 
simo alla  cattedrale,  com'essa  era  la  sua 
condizione  nell'accennato  tempo.  Nella 
città,  oltre  le  parrocchiali,  vi  sono  altre 
chiese,  il  monastero  de'monaci  benedet- 
tini, due  monasteri  di  monache,  un  con- 
servatorio, alcuni  sodalizi,  l'ospedale,  il 
monte  di  pietà,  et  nondum  expleliun  se- 
minarium.  Vi  è  ancora  una  casa  di  com- 
mercio, le  rovine  di  diversi  monumenti 
romani,  ed  un  acquedotto  mirabile  ali- 
menta le  fonti  della  città.  De'framrnen- 
ti  di  calendario  rinvenuti  negli  scavi  del- 
l'agro di  Venosa,  di  cui  i  suoi  fasti  for- 
mano parte  integrante ,  sebbene  si  dice- 
vano volgarmente  Fasti  Campani,  si  può 
vedere  quanto  neh 853  con  chiarezza  e 
critica  di  erudizione  archeologo-epigra- 
fico latina  ne  scrisse  il  dotto  cav.  Gio.  Bat- 
tista De  Rossi,  e  pubblicò  nel  Giornale 
arcadico  di  Roma,  1. 1 33,  p.  92  : 1 Fa- 
sti di  Venosa  restituiti  alla  sincera  le' 
zione.  Venosa  vanta  moltissimi  uomini 
illustri,  celebrati  nelle  sue  storie  e  in  quel- 
la di  mg.r  Corsignani.  Valga  per  tutti  il 
qui  ricordare  due  celebrità,  una  antica, 
l'altra  meno.  Questa  è  del  cardinal  Gio. 
Battista  De  Luca  (V.),  luminare  di  giu- 
risprudenza che  celebrai,  in  tanti  luoghi 
per  le  sue  dottissime  opere.  L'antica  è  di 
Quinto  Orazio  Fiacco,  sommo  lirico  Iali- 
no, nato  a  Venosa  66  anni  avanti  la  no- 
stra felice  era,  da  un  ricco  liberto,  che  lo 
fece  educare  eccellentemeute  a  Roma  e 
ad  Ateue.  Insorta  la  guerra  civile  prese 


YEN 
le  parti  della  repubblica  e  fu  tribuno  a  Fi- 
lippi sotto  Bruto  e  Cassio  :  rimase  quasi 
povero  dopo  la  caduta  della  libertà  ro- 
mana, e  comprò  una  carica  di  segretario 
del  tesoro.  Per  mezzo  de'suoi  amici  Vir- 
gilio e  Variooltenne  la  familiarità  di  Me- 
cenate, il  quale  gli  donò  un  bel  podere  o 
villa  presso  Tivoli  (V.J,  per  lui  divenu- 
ta famosa.  In  seguito  ebbe  V  amicizia  di 
Agrippa,  Pollione  e  Tibullo;  e  finalmen- 
te entrò  nelle  parti  d'Augusto:  ma  rifiu- 
tò la  carica  di  segretario  intimo  che  quel- 
l'imperatore gli  offerse,  e  visse  ritirato  al- 
le muse,  all'agiatezza,  al  piacere,  sdegno- 
so di  servire  alla  nuova  autorità,  sebbe- 
ne ammirasse  le  belle  gesle  de'suoi  tem- 
pi, e  sopraltuttoquelle  d'Augusto, moren- 
do circa  9  anni  avanti  la  detta  era.  Le 
sue  opere  sono:  Quattro  libri  di  Odi;  un 
iibro  di  Epodi;  il  Poema  secolare;  due 
libri  di  Satire  ;  due  libri  di  Epistole  o 
Sermoni;  V  Arte  Poetica.  Orazio  lascia 
d'  assai  dietro  a  se  gli  altri  poeti  latini, 
né  soffre  paragone  che  con  Virgilio,  ossia 
sta  a  paro  con  lui  solo  :  gli  Epodi  sono 
la  meri  buona  delle  sue  opere;  le  Episto- 
le sono  forse  la  migliore,  tutto  conside- 
rato; X Arte  Poetica  è  il  codice  eterno  del 
raziocinioedel  buon  gusto  in  poesia.  Nul- 
la di  quanto  egli  scrisse  andò  perduto:  i 
suoi  versi  sommano  a  10,000.  L'edizioni 
delle  sue  Poesie  saranno  forse  più  d'8oo. 
Posseggo  quella  nitidissima,  elegantissi- 
ma e  assai  singolare  pel  minutissimo  e 
chiarissimo  carattere,  ogni  pagina  essen- 
do larga  poco  più  d'un  pollice,  e  lunga 
due  buoni  pollici.  Compreso  l'indice  so- 
no 229  pagine.  E  un  gioiello  tipografi- 
co, ma  senzn  buoni  occhiali  difficilmen- 
te può  leggersi.  Eccone  il  titolo  :  Quinti 
1 Toratii  F  lacci,  Opera  omnia,  recensuit 
Filon  in  regio  Ludovici  Magni  Collegio 
professor,  Parisiis  1828.  A.  Mesnier  Bi- 
bliopolam.Cum  litterarum  typisabHen- 
rico  Didot  sculptis  et  propria  arte  po- 
lyamatyma  fusis.  Excudebat  Didot  na- 
tu  minor.  Vi  è  pure  la  vita  del  poeta, 
scritta  da  A*  C.  Svetouio.  Il  più  saga- 


VEN  i67 

ce  commentatore  d'Orazio  si  crede  Wie- 
land.  —  Vcnusium,  seti  Vernina  ve- 
tustissima, ita  a  priscis  vide  tur  ap- 
pellata, vel  quod  a  Generis  nobilissi- 
mo ibi  condito  tempio,  ejus  nomini  eam 
consecrassent,  vel  ab  aquarum  scaturì' 
ginibus,  quas  venas  appellante  vela  w« 
nis,quibusabundat  Venusiani  appella*- 
sent.  Hujus  suis  in  scripti  s  meminerunt 
Tolomeo,  Plinio,  Livio,  Appiano,  Plutar- 
co, Catone,  Orazio  e  altri.  Constant  ta- 
men  ante  annum  ab  Urbe  condita  463 
Rempublicam  fuisse  ;  visuntur  enim  in 
eadem  civitate plures  inscriptiones,  Ve- 
nusinorum  Reipublica  testes  insignes,  a- 
liaque  vetusta  monumenta  temporum  in- 
juriapene  corrupta,  etlabcfactata,  ha- 
ctenusque  publico  civitatis  signo  his  ver. 
bis  Respublica  Venusina.  Attesta  Var- 
rone  che  fu  un  tempo  capo  della  Puglia, 
ed  apparteneva  a'sanniti,  a'qualii  roma- 
ni la  tolsero  fin  da'primi  tempi  della  re- 
pubblica. Livio  commendò  i  venosini  nel- 
la guerra  punica,  restando  fedelissimi  al- 
la repubblica  romana,  perciò  altamente 
lodati  in  pubblico  senato.  E'  pure  memo- 
randa Venosa  per  avervi  riparato  Var- 
rone  con  5o  eletti  cavalieri  dopo  la  fa- 
mosa sconfitta  di  Canne,  ricevuti  umana- 
mente con  nobile  ospizio  e  rivestendoli. 
Al  perito  M.  Marcello,  il  senato  sosti- 
tuì Claudio  Nerone,  ardito  duce,  il  quale 
attaccando  Annibale  sotto  Venosa  insie- 
me co'marsi,  ebbe  qualche  vittoria.  I  ve- 
nosini spesso  furono  confederati  e  in  lega 
co'marsicani,  così  nella  guerra  sociale.  Do- 
po la  battaglia  di  Canne,  scribunt  ad  sup- 
plendo? Colonos  Velusinorum,aliarum- 
que  coloniarum  post  secundum  belluni 
Punicum  anno  ab  Urbe  condita  554, 
quatuor  summos  viros  electos  fuisse  C, 
Terentium  Varronem,T.Quintium Fla- 
minium,  P.  Cornelium  Gneum,  Fabium  - 
que  Scipionem.  Romanorum  itaque  co- 
lonia effecta  ,  eorum  fortunam  tandiu 
scenata  est,  quandiu Respublica  illapo- 
tuitdignitatemsuam  Uteri; cum  cjusdem 
aulem  ruinai  in  aliorum  potestalemces- 


168  YEN 

sit.  Il  Saroelli  afferma,  che  Venosa  fu  co- 
lonia e  sede  proconsolare,  il  proconsole 
presiedendo  alle  due  provincie  di  Luca- 
nia e  Puglia,  tra'confini  delle  quali  è  po- 
sta la  città.  I  primi  ad  occuparla  furono 
i  goti,  poi  successivamente  soggiacque  al* 
la  dominazione  de'vandali,  de'greci,  de' 
longobardi,  de' saraceni,  finché  cacciati 
questi  da'normanni,  nella  divisione  delle 
città  di  Puglia  da  loro  conquistate,  nel 
i  o.|2  Venosa  fu  data  al  normanno  con* 
le  Drogone.  Dopo  i  normanni,  seguendo 
le  sorti  del  reame  di  Napoli,  venne  in  po- 
tere de'principi  svevi,  indide'francesi,  poi 
degli  aragonesi  e  de'redi  Spagna,  i  qua- 
li l'  eressero  in  principato  feudale.  La  si- 
guoreggiarono  i  Del  Balzo  principi  d'AI- 
tamura,  e  Pirro  luogotenente  regio  de' 
Marsi  needifìcò  la  presente  cattedrale  con 
colonne  marmoree.  Pervenuta  in  signo- 
ria de'Gesualdi,  Isabella  erede  di  questa 
famiglia  sposandosi  col  nipote  di  Grego- 
rio XV,  Nicolò  Ludovisi,  in  questi  passò 
il  principato.  Dopo  diverse  politiche  vi- 
cende, conseguenze  di  quelle  del  regno, 
patì  gravi  disastri  pel  tremendo  terremo- 
to che  a'i4  agosto  i85i  afflisse  diverse 
provincie,  fra  le  quali  quella  di  Basilica- 
ta, in  cui  oltre  Venosa,  Lavello  e  luoghi 
circostanti,  furono  esposte  a  danni  deplo- 
rabili, Melfi  riducendola  a  un  mucchio  di 
rovine,  quindi  Rapolla,  Matera.  con  al- 
tre città  e  adiacenze;  centro  del  massimo 
flagello  fu  il  Vulture,  ch'ebbe  tra  la  ge- 
nerale rovina  a  piangere  molte  vittime 
umane.  In  Venosa  soffrirono  assai  gli  e- 
ciifìzi  del  sale,  del  monte  frumentario,del 
regio  giudicato,  dell'archivio  comunale, 
precipuamente  il  convento  e  la  chiesa  di 
s.  Domenico  la  cui  cupola  e  campanile 
caddero:  gravissimi  danni  toccarono  alle 
altre  chiese  ed  al  seminario.  Il  magna- 
nimo re  Ferdinando  II,  non  contento  il 
suo  paterno  cuore  de'pronti  soccorsi  pro- 
digali d'ogni  maniera  da  per  tutto,  altri 
innumerabili  volle  porgerne  di  persona, 
visitando  i  luoghi  contristati  da  tanta  e- 
norme  sciagura,  onde  misurarne  l'esten- 


VEN 

sione  e  provvedervi  co'  mezzi  più  idonei 
e  benefici,  per  sollevare  le  popolazioni. 
Non  solo  il  re  fu  accompagnato  dal  re- 
gio fratello  Francesco  di  Paola  conte  di 
Trapani  e  dal  ministro  de'  lavori  pub- 
blici, ma  dal  suo  primogenito  France- 
sco principe  ereditario  e  duca  di  Cala- 
bria (in  quest'anno  1859  sposato  alla 
principessa  Maria  Sofia  di  Baviera,  sorel- 
la della  regnante  imperatrice  d'Austria, 
a'  3  febbraio  in  Bari),  per  fargli  senti- 
re come  la  carità  e  la  beneficenza  legano 
saldamente  i  cuori  de'  sudditi  al  trono,  e 
come  sanno  innalzare  voti  veraci  a  Dio, 
che  ascolla  sempre  quelli  delle  popolazio- 
ni grate  e  riconoscenti.  Queste  accolsero 
il  munifico  sovrano  con  divoto  entusia- 
smo. Fu  in  Melfi,  Rapolla,  ed  a'  tg  set- 
tembre il  re  col  suo  corteggio  mosse  per 
Venosa,  accompagnato  dalle  benedizioni 
de'popoli.  La  chiesa  della  ss.  Trinità,  la 
cominciata  chiesa  de'monaci  benedettini 
lo  accolsero  fra  le  loro  rovine;  non  è  a 
dirsi  cosa  fecero  i  venosini  per  esprime- 
re la  loro  gioia  riconoscente,  li  re  tratte- 
nutosi alquanto  presso  le  claustrali  dis. 
Maria  della  Scala,  prese  la  volta  di  Asco- 
li di  Capitanata  e  vi  giunse  nel  dì  seguen- 
te a  dispensarvi  le  sue  incessanti  benefi- 
cenze ec.  Dipoi  nella  notte  de'  16  al  17 
dicembre  18^7  il  terremoto  nuovamente 
afflisse  il  reame  di  Napoli,  massime  nelle 
provincie  del  Principato  Citeriore  e  di 
Basilicata.  In  questa  2.anel  suo  capoluogo 
Potenza  quasi  niun  edifizio  restò  illeso, 
inclusivamente  alle  chiese  e  specialmen- 
te la  cattedrale ,  ed  al  reale  collegio  de' 
gesuiti;  furono  distrutti  diversi  comuni, 
massime  Polla  con  circa  2,600  morti;  ed 
in  Venosa  cadde  la  volta  della  chiesa  di 
s.  Francesco  e  una  torretta  del  castello. 
Del  resto  strazianti  sono  i  dolorosi  parti- 
colari delle  calamità  accadute  nelle  due 
provincie  ove  si  concentrò  la  violenza  del 
traballamento  della  terra. Mentre  Liger  de 
Leisessart dimostrava  come  tutte  le  con- 
trade del  globo  terracqueo  potevano  fra 
loro  unirsi  con  una  non  interrotta  liuca 


VEN 
telegrafica,  annodanlesi  alle  già  stabilite; 
il  regno  delle  due  Sicilie,  che  fu  tra'primi 
a  fruire  i  vantaggi  di  sì  alto  beneficio, 
come  lo  fu  pure  in  tutta  l'italiana  peni- 
sola a  godere  i  vantaggi  meravigliosi  de* 
ponti  di  ferro,  delle  ferrovie,  dell'illumi- 
nazione a  gas  e  di  altri  grandi  trovati  del- 
le scienze  e  dell'arti  moderne,  e  segnata- 
mente  della  chimica  e  della  meccanica,  e 
delle  loro  molteplici  applicazioni.  La  te- 
legrafia elettrica  fu  nel  regno,  sin  dal  suo 
primo  nascimento,  rivolta  dal  provvido 
Ferdinando  II  al  piti  grande  ed  utile  de' 
suoi  fini,  qual  è  quello  di  mettere  la  ca- 
pitale in  immediata  relazione  tanto  col 
resto  d'Europa,  quanto  colle  parti  rima- 
nenti del  regno.  Imperocché  appena  ven- 
ne compita  lai."  linea  da  Napoli  a  Gae- 
ta, dal  1 85i  al  i852,  ne'due  anni  susse- 
guenti si  compì  quella  che  mena  a'  con- 
fini dello  stato  pontifìcio,  la  cui  lunghez- 
za d'olire  80  miglia  napoletane  contai  2 
stazioni.  Proseguendo  senza  interruzione 
il  lavoro,nel  1 856  il  filo  elettricosi  estende- 
va verso  il  sud-est  per  una  linea  di  4oo 
miglia,  cioè  quanti  ne  passano  fra  la  ca- 
pitale e  Reggio,  con  26  stazioni.  E  nel 
gennaio  1 858  era  in  pochi  istanti  felice- 
mente immerso  nell'acque  del  Faro,  ol- 
tre il  quale  si  rannodò  immediatamente 
alla  rete  delle  lineeche  si  estendono  e  di- 
ramano per  la  Sicilia  per  oltre  600  mi- 
glia con  25  stazioni.  Quindi  s'intraprese 
una  2.a  linea  fra  Napoli  e  Reggio,  ed  ol- 
tre a  ciò  procede  la  diramazione  della  li- 
nea della  Basilicata  perMatera  e  Veno- 
sa nella  lunghezza  d'8g  miglia  con  3  sta- 
zioni, continuando  al  tempo  stesso  quel- 
la del  contado  di  Molise  su  100  miglia 
con  3  stazioni,  quella  delle  Puglie  a  due 
fili  su  4 1  1  migliacon  25  stazioni,  e  quel- 
la degli  Abruzzi  su  260  miglia  con  18  sta- 
zioni. La  qual  rete  offrendo  un   insieme 
d'oltre  2,100  miglia,  stringerà  viemuiag- 
giormente  l'unità  dell'avventurosa  fami- 
glia del  regno,  che  già  tanto  incremento 
riconosce  delia  sua  civiltà  in  questo  no- 
vello sfoggio  della  real  munificenza.  Nel 


VEN  169 

voi.  XCI,  p.  44°\  dichiarai:  Il  regno  del- 
le due  Sicilie  è  il  1 .°  paese  in  Europa,  do- 
po l'Inghilterra,  che  abbia  pensato  di  co- 
struire i  fili  elettrici  sottomarini. 

La  fede  cristiana  fu  predicata  in  Veno- 
sa ne'primordii  della  Chiesa,  narrando  la 
tradizione  che  fu  una  delle  prime  città  di 
Puglia  a  ricevere  la  luce  del  Vangelo,  per 
opera  di  s.  Pietro  principe  degli  Aposto- 
li, al  cui  onore  i  venosini  edificarono  la 
chiesa  di  s.  Pietro  di  Oli  veto.  Tosto  i  ve- 
nosiui  innafiìàrono  col  sangue  de'martiri 
la  loro  chiesa,  12  fratelli  de' quali  sotto 
l'impero  di  Massimiano  del  286  in  diver- 
si luoghi  di  Puglia  riportarono  la  corona 
del  martirio,  da  dove  il  principe  Arechio 
dipoi  ne  trasportò  i  ss.  Corpi  in  Venosa. 
Quivi  riceverono  la  palma  del  martirio, 
nella  persecuzione  di  Diocleziano,  l'africa- 
no s.  Felice  vescovo  di  Tibara  nel  3o3, 
co'ss.  Adauto  e  Gennaro  preti,  Fortuna- 
to e  Settimio  lettori,   africani  anch'essi, 
per  avere  coraggiosamente  negato  a'  pa- 
gani la  consegna  delledivine Scritture  per 
essere  bruciate.  L'uffizio  proprio  ss.  Fe- 
licis  Episcop.  et  Sociorum  Martyr.  lo  fe- 
ce stampare  il  vescovo  Corsignani.  Lai." 
cattedrale  di  Venosa  fu  la  detta  chiesa  di 
s.  Pietro,  la  quale  rovinata  dalle  vicende 
guerresche,  altra  ne  fu  eretta,  già  tempio 
pagano,  e  consagrata  in  onore  della  ss. 
Trinità  sotloPapa  Nicolò  II.  Indi  questa  di- 
venne celebre  abbazia  benedettina  quan- 
do Roberto  Guiscardo  duca  di  Puglia  e 
di  Calabria,  vi  fece  edificare  il  contiguo 
magnifico  monastero;  la  bella  chiesa  pos- 
sedendo insigni  ss.  Reliquie,  e  vari  ma- 
gnifici sepolcri  di  marmo,  tra  gli  altri  quel- 
li di  Guglielmo  l  Braccio  di  Ferro  e  d'al- 
tri principi  normanni;  la  badia  fu  poscia 
dichiarata  commenda  dell'ordine  Geroso- 
limitano daBonifacioVIH  nel  1297. Laon- 
de poco  distante  fu  fabbricata  altra  cat- 
tedrale, la  quale  dopo  vari  secoli  essendo 
stato  ristretto  il   circuito  della  città   con 
mura,  rimasta  di  fuori  e  suburbana,e  poi 
dovendosi  nella  sua  area  costruire  la  for- 
tezza a  difesa  di  Venosa,  per  essere  au- 


i7o  VEN 

ette  ili  venula  diruta,  fu  abbattuta.  Ed  è 
perciò  die  il  nominato  Pirro  tliDalzo  du- 
ca di  Venosa  edificò  a  sue  spese  l'odier- 
na dentro  la  città  in  sito  comodo,  quindi 
consagrata  a'  1 2  marzo  1 53 1 .  La  sede  ve- 
scovile iliVenosa  fu  istituita ne'ptimi  tem- 
pi del  cristianesimo,  e  nel  secolo  XI  da 
Alessandro  11  fu  fatta  suffragaoea  di  A- 
rcre/iza,  e  confermata  da   Pio  VII   nel 
J  8 1 8  quando  ad  Acerenza  unì  Blatera. 
Il  i.°  vescovo  die  si  conosca,  secondo  TU- 
ghelli,  che  ne  riporta  la  serie,  è  Filippo 
«  onsagrato  vescovo  di  Venosa  da  Papa  s. 
Fabiano  circa  il  238.  S'ignorano  i  nomi 
cle'successoi  i  fino  a  Giovanni  che  ne  oc- 
cupava la  sede  verso  il  44^,  de!  quale  si 
narra  ,  che  movendo  col  feroce  esercito 
Attila  re  degli  unni  per  distruggere  Ve- 
nosa, il  vescovo  vestilo  degli  abili  ponti- 
ficali col  clero  preceduto  dalla  croce  vol- 
le incontrarlo  per  muoverlo  a  pietà:  qui 
viso.  Deiparae    Virginis  imagine  ,  qua 
eidem,  totique  exercitui  apparivi,  re  in- 
feda  reees.sit.ìn  memoria  del  prodigio, 
nel  luogo  subuibano  ove  avvenne,  si  fab- 
bricò una  chiesa,  a  cui  poi  si  aggiunse  un 
convento  di   minori  osservanti.   Austero 
l'enusinus  Episcopus,  fiorì  nel  49^,  Gli* 
labile  pastore,  il  quale  con   Piiccardo  di 
Andria,  Giovanni  di  Ruvo  e  Sabino  di 
Canossa  santissimi  vescovi,  intervenne  al- 
la consagrazione  dell'altare  della  chiesa 
di  s.  Michele  Arcangelo  in  Monte  Garga- 
no. Si  legge  negli  atti  di  s.  Sabino:  Ve- 
nusinae  diplycae  produnthunc  s.  Episco- 
punì  coronatimi  fui s se  mar  ly  rio  in  ipso, 
Venusina  civilatej  lamen  indiani  de  hac 
re  mentioneni  inveni  in  Martyrologiis. 
Stefano  resse  questa  chiesa  nel  49$>  e  di 
lui  è  dello  nel  cap.  2,  dist.  96  circa  me- 
dium, ubi  de  rebus  Ecclesiae  disponen» 
dis  nullamf acullate  m  laicis  a  llribui  con- 
sii  tutu  m  fui  L  Intervenne  a'eonciiii  tenuti 
da  Papa  s.  Simmaco  in  Roma  negli  anni 
5oi,  5o2,  5o3  e  5o4«  Lunga  lacuna  ta- 
ce i  successori  sino  a  s.  Pietro  delioi4> 
che  con  altri  vescovi  intervenne  alla  con- 
fi igrazioue  della  chiesa  di  s.  Maria  di  Fo- 


V  E  H 

resta  nella  città  di  Lavello.  Giaquinto  ve- 
scovo di  Venosa  deho53,  fu  presente  a 
quella  di  s.  Michele  Arcangelo  di  Monte 
Vullurno,  poi  chiamato  Monte  Acuto;  nel 
quale  anno  fece  nobile  donazione  a  Gau- 
frido  abbate  della  ss.  Trinità  di  Venosa, 
Drogone  divina  providentia  dux  et  ma- 
mister  Italiae,  comesque  Normannorum, 
totius dpuliae}atque  Calalniae...  oh  re- 
medio  animaemeaefralrisque  mei  Gnil- 
Limi  /(dello  Braccio  di  Ferro\.n  conte 
di  Puglia  e  morto  nel  1  o46),  Unfredi,  Ro- 
berti, caeterorumque  fratrum,  scu  pa- 
rentum  meorumt  in  eodeni  ninnaste  rio 
missae  et  orationes}  atque  vigiliacafra- 
tribus  agantur.  In  questo  bel  documen- 
to, nelle  sottoscrizioni  dopo  la  +{+  Crux 
Drogonis  supranominatis  Imperiali»  vi- 
ri,  è  sottoscritto  un  BalduinusEpiscopus, 
ch'era  di  Melfi.  Inoltre  Drogone  restau- 
rò la  detta  chiesa.  Muisardo  de  Villargo 
Fenusinus,  nel  io58  col  consenso  di  Pa- 
pa Nicolò  II  e  del  duca  Roberto  Guiscar- 
do, Ecclesiam  ss.  Trini tatis  Ciliberto  ab' 
bati  benedictìno  tradidit,  et  cum  per  a- 
liquot  annos  bene  rexisset,  mortalìtaleni 
explevit.  Il  duca  Roberto  indi  nel   io63 
donò  a  detto  monastero  la  cluesa  dis.  Gio- 
vanni di  Sala,  situata  tra  Ascoli  e  Carne- 
to.  Ruggero  Episcopus   Venusinus  nel 
1069,  con  Risantio  vescovo  di  Lavello,  e 
quelli  di  Melfi  e  Troia,  fu  testimonio  di 
altra  donazionedi  Roberto  alla  chiesa  della 
ss.  Trinità,  nella  quale,  ossa  fratrum  suo- 
nivi Normannorum  pie  ubique  per  qui' 
sita  nobili  in  tumulo  recondidit,  cou  iscri- 
zione riferita  da  Ughelli,  insieme  a  quel- 
la del  sepolcro  di  Abereda  moglie  di  Ro- 
berto. Costantino  o  Costanzo  vescovo  nel 
1071  intervenne  alla  consagrazione  del- 
la basilica  di  Monte  Cassino  fatta  da  A- 
lessandro  II;  e  nei  1074  alla  donazione 
che  il  duca   R.oberto  fece  al   monastero 
della  ss. Trinità  de  medietatccivitatisFe- 
nusinaeta\la  quale  fecero  da  testimoni  al- 
tri vescovi  e  Arnaldo  arcivescovo  d'Ace- 
renza.  Altre  donazioni  fece  al  medesimo 
il  duca  Roberto,  eoo  documenti  prodot- 


VEW 
ti  da  Ughelli,  in  cui  è  uotniuato  il  vesco- 
vi Costantino,  le  cui  notizie  arrivano  al 
1093.  Nota  rtJghelIi,che  la  chiesa  della 
ss.  Trinità,  ornata  di  tanti  privilegi,  ar- 
ricchita da  tanti  doni,  lo  fu  pure  co 'corpi 
de'ss.  martiri  Vittore,  Cassandro  e  Sena- 
tore fratelli,couNomanzia  loro  madre, qui 
a  pud  T'enusium  ad  colli mnam  alligali, 
quae  adirne visilurtpro  fide  e  a  pitis  ab  scis- 
sione tnartyrlumsubjeruntj  non  che  del 
corpo  di  s.  Atanasio  abbate  di  Nota,  tro- 
vato nel  io63  sotto  l'altare  maggiore;  que- 
sto e  quelli  chiusi  in  urne  o  pile  di  ter- 
ra cotta, come  apprendo  dal  vescovo  Cor- 
signani,  che  li  riconobbe  e  autenticò  nel 
j  735.ll  vescovo  Roberto  fioritoceli  io5, 
giù  canonico  della  cattedrale,  per  alquan- 
ti anni  governò  felicemente.  Non  si  tro- 
vano altri  sino  a  Pietro,  che  neh  177  al- 
la badessa  e  monache  benedettine  di  s. 
AI  aria  di  Monte  Albo  concesse  diversi  be- 
ri, antichissimo  monastero  e  illustre  per 
l'osservanza  regolare,  posto  nel  suburba- 
no  di  Venosa;  e  nel  1  179  intervenne  al 
conciliogeneraledi  LateranoIII.Nel  111Z 
Jj.mo,  al  cui  tempo  fu  edificato  il  conven- 
to di  s.  Francesco,  designato  dallo  slesso 
santo.Giacomo  sedeva  nel  pontificato  d'A- 
lessandro IV  del  1254.  Guido  del  1299, 
viveva  ancora  nel i3o2.  Pietro  del  1 33  1, 
nel  luglio  1  334  fu  traslato  in  Àcerenza, 
ed  a'5agosto  l'avea  succeduto  fr.  Agosti- 
no domenicano. Sedeva  nel  1 36o  allroPie- 
tro.  Indi  nel  1 363  Gaufìido  o  Goffredo, 
che  fece  la  maggiore  campana  alla  catte- 
drale, al  quale  fu  sostituito  a'  14  giugno 
Tommaso  arciprete  d' Àcerenza  da  Urba- 
no V,  e  nel  1367  intervenne  alla  consa- 
grazione  della  chiesa  di  s.  Audeno  di  Bi- 
sceglia.  Neh  383  è  ricordato  Lorenzo  E- 
gidi  di  Firenze.  Neh  385  o  nel  seguente 
inori  in  Roma  il  vescovo  Giovanni.  Cer- 
to è  che  Urbano  VI  neh  386  gli  surro- 
gò Francesco  deVeneranieri  romano. Gio- 
vanni del  1 395,  Bonifacio  IX  lo  trasferì  a 
Grosseto  nel  1 4oo,  ed  in  suo  luogo  da  Pi- 
vello sua  patria  trasportò  in  questa  sede 
il  nobile  Andrea  de  Fusco,  che  morì  nel 


VEN  171 

1 4 1 9.  A'  1 3  novembre  Martino  V  gli  die' 
in  successore  fr.  Dionisio  di  Monte  Leo- 
ne domenicano,  illustre  dottore  in  teolo- 
gia. Eugenio  IV  neh  43  1  elevò  alla  chie- 
sa di  Venosa  l'arciprete  della  cattedrale 
Roberto  de  Procopio.  Neh457  il  nobile 
di  Salerno  Nicola  Solimele,  celebre  dot- 
tore del  juscivilee  canonico.  Per  sua  mor- 
te neh 459  Nicola  Girolamo  Porfido,  che 
fece  la  campana  di  s.  Maria  della  Pace  e 
visse  lungamente.  Nel  1  49^  ebbe  a  suc- 
cessore il  nobile  napoletano  Sigismondo 
Pappacoda  {1T))  chiaro  per  virtù  e  sa- 
pere, neh  499  traslalo  a  Tropea:  creato 
cardinale  da  Clemente  VII,  nou  accettò 
la  dignità.  Nello  stesso  i499  A-lessa,KU'° 
VI  nominò  vescovo  Antonio  Ci  Valeria  ra- 
goncnsis,  e  nunzio  apostolico  di  Napoli, 
nel  1 5oo  vicario  di  Roma, morto  uel  1 5o  1 . 
In  questo  AlessandroVI  elesse  il  suo  Me- 
ilìco  (f.)  Bernardo  o  Berardo  o  Bernar- 
dino Buongiovanui  nobile  recanatese,  a 
cui  era  carissimo  e  continuò  ad  assistere, 
per  l'iusigne  dottrina  in  diesi  distingue- 
va. Nel  suo  governo,  Veuosa  fu  invasa  da 
terribile  pestilenza,  ed  egli  molto  operò 
da  sollecito  pastore,  cessando  il  malore  per 
aver  egli  col  popolo  fatto  voto  a  Dio  d'in- 
nalzare una  chiesa  a  s.  Sebastiano  ed  a 
s.  Fiocco,  alla  cui  intercessione  ottennero 
grazia:  la  chiesa  poi  fu  data  a'eappucci- 
ni,quaudopropinquofu  fabbricato  il  con- 
vento. Il  vescovomortoinRomaneh5io, 
Tanno  slesso  Giulio  II  vi  trasferì  da  Ven- 
ce  Lamberto  Arbaud  di  Antibo,  che  in- 
tervenne nel  concilio  generale  di  Latera- 
no  V,  e  fece  nella  cattedrale  i  sedili  del 
coro  in  marmo,  e  ne  ornò  la  porta  po- 
nendovi il  suo  stemma.  Finì  sua  vita  nel 
1  527,  e  Clemente  VII  in  tale  anno  gli 
sostituì  il  proprio  consanguineo  Guido  de 
Medici  canonico  di  Fireuze  e  prefetto  di 
Castel  s.  Angelo(P/.)) quindi  a'2  gennaio 
1 528  trasferì  a  Chieti.  Il  Papa  a*23  mar- 
zo da  Asti  vi  traslatò  Ferdinando  Sero- 
ne  spaguuolo,  ordita*  s.  Angus  ti  ni,  che 
poi  consagrò  solennemente  la  nuova  cat- 
tedrale a' 12  marzo  i53i,  soggiungendo 


i7a  VE  W 

PUghelli:  etpostquam  qualuor  et  decern 
anno*  Ulani  rexisset,  co  onere  sed  libe- 
re exolvit,  anno  i 54 2,  Paulo  III  seden- 
te, de  quo  vide  Astensium  Episcoporum 
nostrani  serìem.  Non  so  poi  come  il  eh. 
cnn.  Bima  della  cattedrale  d'Asti,  nella 
serie  cronologica  dique'vescovi,  nella  sua 
bella  opera,  Serie  Cronologica  de* vesco- 
vi degli  stati  del  re  di  Sardegna,  possa 
scrivere:  che  «  Ferdinando  Serone  morì 
o*23  marzo  1 528,  avendo  già  le  bolle  di 
*ua  traslazione  alla  chiesa  di  Venosa".  A' 
22  maggio  i5$2  divenne  vescovo  Alva- 
ro della  Quadra  nobile  napoletano,  spa« 
gnuolo  d'origine,  nato  da  Anna  Serone, 
perciò  probabiluieute  parente  del  prede- 
cessore, chiaro  per  prudenza  e  virtù,  ed 
abbate  secolare  di  s.  Antonio  di  Napoli  : 
nel  1  55 1  rinunziò  Ih  sede  e  dopo  due  an- 
ni passò  a  quella  d'Aquila  per  volere  di 
Carlo  V  Giulio  III  3*27 aprile  1 55 1  prov- 
vide la  chiesa  di  Venosa  con  Simone  Gat- 
loia  nobile  di  Gaeta,  primicerio  della  me- 
tropolitana di  Napoli,  ove  morì  nel  1  566 
e  fu  sepolto  nel  tempio  della  ss.  Annun- 
ziata, nel  sepolcro  ch'erasi  preparato  con 
epitaflìo  riprodotto  dall'Ughelli,  ordinan- 
do la  fondazione  dell'ospedale.  A'2  1  ago- 
sto 1 566  Francesco  Rusticucci  di  Fano, 
ove  fu  trasferito a'3i  gennaio  1567.  A'21 
marzo  di  tale  anuo  gli  successe  fr.  Paolo 
Oberti  bergamasco,  domenicano  d'incol- 
pata vita  e  di  esimia  dottrina,  ma  a*  i3 
settembre  morì  e  fu  tumulato  nella  tom- 
ba de'canonici,  ut  in  testamento  caverai. 
Il  12  dicembre  cessò  la  sede  vacante  eoa 
l'elezione  di  Gio.  Antonio  Locatelli  bolo- 
gnese, probo  ed  encomiato  pastore,  che 
dopo  3  anni  pianse  morto  la  sua  chiesa 
nel  1  57  1 .  A'6  febbraio  di  questo,  Baldas- 
sare  Giustiniani  genovese  oriundo  dell'i- 
sola di  Scio,  egregio  letterato  e  già  gover- 
natore di  Terni;  lodato  per  pietà  e  zelo 
pastorale,  rapì  immaturo  la  morte  nel 
1 584  a'  i3  marzo.  Gio.  Tommaso  San- 
felice  nobilissimo  napoletano,  vescovo  di 
Cava  per  3j  anni  e  rinunziò  nel  i55o, do- 
po essere  stalo  uuuzio  in  Germania  per 


VEN 

la  convocazione  del  concilio  ecumenico, 
poi  fu  preside  dell'Umbria,  beneficando 
Perugia,  e  pro-legato  dell'Emilia.  Qua! 
commissario  pontificio  fu  al  sinodo  di 
Trento,  in  quo  curii  ipsc  concilio  exor- 
sis  quibusdam  simultatibus  cum  graeco 
episcopo  pervicacius  contendissettRomae 
carcerem  sustinuit.  Già  dissi  nella  bio- 
grafia di  Pio  IV ',  che  lo  liberò,  trovati 
falsi  i  sospetti  formati  su  di  lui  in  mate- 
ria di  fede,  trattandone  il  Pallavicino  nel- 
la Storia  del  concilio  di  Trento,  lib.  8, 
cap.  4 e  6.  Lodato  per  dottrina  e  probi- 
tà, da  s.  Pio  V  fu  impiegato  in  affari  gra- 
vi; Gregorio  XIII  lo  deputò  a  pacificare 
i  principi  d'Italia,  indi  a'4  maggio  i583 
(ma  allora  viveva  il  predecessore)  lo  di- 
chiarò vescovo  di  Venosa;  morì  a'6  mar- 
zo i585  ottuagenario, e  fu  sepolto  nel- 
la cattedrale.  A'20  di  detto  mese  gli  suc- 
cesse Gio.  Girolamo  Mareri  aquilano,  ar- 
ciprete di  Trilitii.  Nel  1587  Sisto  V  no- 
minò fr.  Pietro  Ridolfi  di  Tossignano  mi- 
nore conventuale,  a  lui  caro,  dotto  teo- 
logo, insigne  storico  e  autore  della  Storia 
Serafica,  consultore  del  s.  Uffizio.  Ornò 
la  cattedrale  ,  la  custodia  delle  ss.  Reli- 
quie e  il  battisterio;  celebrò  il  sinodo,  che 
fu  stampato  neli58o„  e  neli5gi  fu  tra- 
sferito a  Sinigaglia.  Nello  slesso  giorno, 
a' 18  febbraio,  gli  successe  fr.  Vincenzo 
Calceo  di  Soncino  domenicano  ,  insigne 
dottore  in  teologia,  ex  provinciale  di  Ter- 
ra Santa;  restaurò  l'episcopio,  e  fece  tut- 
te le  parti  d'eccellente  pastore,  morendo 
nel  1598.  In  questo  a'  17  agosto  Sigismon- 
do Donati  di  Correggio,  poi  nel  i6o5  da 
Clemente  Vili  fu  traslato  ad  Ascoli  del 
Piceno.  Il  3  agosto  la  sede  Venosina  fu 
provveduta  con  Mario  Mauri  di  Melfi, che 
morto  nel  16 10,  nel  seguente  anno  Pao- 
lo V  gli  sostituì  Andrea  Pierbenedetti  di 
Camerino.  Avea  esercitato  vari  uffizi  per 
la  s.  Sede,  e  stato  vicario  generale  in  più 
diocesi,  massime  del  cardinal  Federico 
Borromeo  arcivescovo  di  Milano,  per  cui 
nella  cattedrale  eresse  un  altare  a  s.  Car- 
lo Borromeo  e  vi  pose  molti  ss.  Reliquie. 


VEN 

Compi  la  torre  campanaria,  celebrò  il  si- 
Dodo  e  ne  pubblicò  le  costituzioni.  Essen- 
do in  grande  estimazione  d'Urbano  Vili, 
Jo  deputò  visitatore  apostolico  del  regno 
di  Napoli,  die  con  ogni  diligenza  e  decoro 
eseguì,  cessando  di  vivere  affaticalo  nel 
i634  di  67  anni.  Nel  i635  Bartolomeo 
Frigeri  ferrarese  ,  beneficiato  Vaticano, 
autore  del  libro:  V Economo  prudente. 
Dopo  circa  1  4  mesi  di  vescovato  passò  tra* 
più.  A'3  dicembre  1 640  Urbano  VI  li  dal- 
l'arci vescovato  di  Conza  vi  trasfeii  Salu- 
stio  Peculi  di  Terni,  già  uditore  del  nun- 
zio nel  Belgio.  Adunò  il  sinodo  e  lo  pub- 
blicò colle  stampe,  essendo  encomiate  le 
sue  costituzioni.  Abbellì  l'aula  dell'  epi- 
scopio, e  dopo  8  anni  rinunziò  il  vesco- 
vato, lasciando  di  se  fama  di  erudito 
ed  amatore  della  veneranda  antichità.  Nel 
1648  a' 18  maggio  fr.  Antonio  Pavonel- 
li  di  Civitella  del  Tronto ,  minore  con- 
ventuale: morì  a'^3  settembrei653.NeI 
seguente  anno  fr.  Giacinto  Tarugi  nobi- 
le d'Orvieto  oriundo  di  Monte  Pulciano, 
virtuoso  e  dotto  domenicano,  compagno 
del  p.  maestro  del  s.  Palazzo,  consagrato 
in  s.  Maria  sopra  Minerva  dal  cardinal 
Odescalchi,  poi  Innocenzo  XI.  Fu  salu- 
tare esempio  al  suo  popolo,  che  istruì  col- 
le sue  frequenti  prediche.  Scrisse  e  pub- 
blicò la  vita  di  s.  Onofrio,  e  lasciò  mss. 
quella  del  b.  Alberto  Magno,  e  le  osser- 
vazioni sull'epistole  di  s.  Caterina  da  Sie- 
na, ed  altro. Clemente  Xa'7  maggio  1674 
gli  die'a  successore  Gio.  Battista  Desìi  na- 
poletano, tesoriere  della  metropolitana, 
versato  nelle  sagre  e  profane  lettere,  che 
morìneli677.  Innocenzo  Xlnelseguen- 
te  1678  da  Massa  Lubrense  vi  trasferì 
Francesco  Maria  Neri  tiburtino,  già  ca- 
nonico di  Napoli,  morto  neh  685.  A*  i4 
maggio  il  detto  Papa  dichiarò  vescovo 
Gio.  Francesco  de  Laurenzi  di  Ripatran- 
sone,  della  patria  cattedrale  arcidiacono, 
vicario  generale  diPesaro,morto  nel  1 698 
con  lode.  Dall'arcivescovato  di  Ragusi nel 
,1 699  qua  fu  traslato  Placido  Scoppa.  Nel 
17  i3  Gio.  Michele  Terroni  di  Livorno, 


VEN  173 

già  preposito  de'barnabiti  di  s.  Carlo  a' 
Catenari  di  Roma  e  procuratore  genera- 
le di  sua  congregazione.  Con  questi  ter- 
mina la  serie  de' vescovi  V  Italia  sacra, 
e  la  compirò  colle  Notizie  di  Roma.  Nel 
1726  Pietro  Antonio  Corsignani  di  Ce- 
lano diocesi  di  Marsi,  dotto  e  zelante  pa- 
store, autore  d'opere,  fra  le  quali  la  Reg* 
già  Marsicana,  stampala  in  Napoli  nel 
1738,  ed  ove  s'intitola  vescovo  di  Ve- 
nosa. Già  avendo  celebrato  il  sinodo  nel 
1728,  lo  pubblicò  colla  sua  Istoriale- 
nosina.  Fra  le  sue  benemerenze  ricorde- 
rò, che  in  Forenza  riedificò  e  nobilitò  l'a- 
bitazione della  villeggiatura  de'  vescovi. 
Nel  1738  Francesco  Antonio  Salamoile  ili 
Termoli.  Neh  743  Giuseppe  Giustiniani 
di  Bitritto  diocesi  di  Bari.  Nel  1764  Ga- 
spare Barletta  di  Gioiosa  diocesi  di  Gè- 
race. Nel  1779,  traslato  da  Minervino  Pie- 
tro Silvio  di  Gennaro,della  terra  di  s.  Pie- 
tro diocesi  di  Capua.  Neh  792  Salvatore 
Gonnelli  di  Turi  diocesi  di  Conversano. 
Neh8i8  a'26  giugno  Nicola  Caldora  di 
Napoli,  preconizzato  da  Pio  VII.  Questo 
Papa  colla  bolla  De  utiliori  dominicae, 
de'28  di  detto  mese,  Ball.  Rom.  cont.  t. 
n5,  p.  56,  soppresse  la  sede  vescovile  di 
Lavello  {V.) ,  ed  in  perpetuo  la  unì  a 
questa  ili  Venosa.  Leone  XII  per  dimis- 
sione del  precedente,  nel  concistoro  de'9 
aprile  1827  preconizzò  vescovo  di  Veno- 
sa Luigi  Maria  Paiisio  napoletano,  dot- 
tore nel  jus  civile  e  canonico,  zelante  per 
pie  opere,  dotto  e  di  ottime  qualità  for- 
nito, dichiarate  nella  proposizione  conci- 
storiale col  pontificio  elogio;  indi  a'  25 
del  susseguente  giugno  lo  traslalò  a  Gaeta, 
di  cui  poi  divenne  il  i.°  arcivescovo,  pel 
riferito  nel  voi.  LUI,  p.  206.  Dopo  sede 
vacante,  Io  stesso  Leone  XII  a'  23  giu- 
gno 1 828  dichiarò  vescovo  Federico  Gita- 
lini  benedettino  cassinese,  già  vescovo  in 
partibus  di  Nissa,  preposito  e  arciprete  di 
s.  Maria  di  Mina  d'Altamura  nella  pro- 
vincia di  Bari,  nullius  dioecesis,  che  per- 
ciò divenne  vacante.  Per  sua  morte,  Gre- 
gorio XVI  nel  concistoro  de'  2  ottobre 


«74 


N 


1837  preconizzò  vescovo  Michele  de  Gat- 
ti* ili  Uogliauo  arcidiocesi  ili  Cosenza,  giù 
canonico  dell'insigne  patria  collegiata,  ze- 
lantissimo ministrodel  Signore,  ed  orna- 
to di  quelle  doti  proprie  ad  un  idoneo  pa- 
store. Vacata  la  chiesa  pel  suo  decesso,  il 
regnante  Papa  Pio  IX,  nel  concistoro  di 
Gaeta  de'22  dicembrei 848,  la  provvide 
coll'attuale  vescovo  mg.1  Antonio  Miche- 
le Vaglio  di  Galatona  diocesi  di  Nardo, 
già  nella  patria  collegiata  dignitario  ca- 
nonico priore  arciprete,  perciò  curato  per 
18  anni  zelante,  pio,  caritatevole  e  pru- 
dente; encomiato  ancora  nella  proposizio- 
neconcistorialeper  gravità,  dottrina,  soa- 
vità di  costume,  esperienza  e  diligenza. 
Ogni  nuovo  vescovo  di  Venosa  è  tassato 
ne'libri  della  camera  apostolica  in  fìori- 
niioo,  le  rendite  della  mensa  ascenden- 
do a  circa  3,ooo  ducati.  La  diocesi  si  e- 
stende  per  circa  3o  miglia  di  territorio, 
con» prendendo  4  luoghi. 

VENTAGLIO,  Flabellum.  Arnese  col 
cjuale  si  fa  vento,  a  cagione  propriamen- 
te di  seutir  fresco  nella  stagione  calda 
principalmente,  e  moltissimo  usato  dalle 
donne  anche  per  lusso.  Il  vocabolo  sem- 
bra derivato  da  Ven  ta  re,  solila  re  o  tirar 
vento,  in  latino  /lare,  spirare j  per  pro- 
durre veuto.  Inolile  chiamasi  Rosta  lo 
strumento  da  farsi  vento,  fatto  in  varie 
foggie  e  di  varie  materie,  ed  usandosi  an- 
cora, come  il  ventaglio,  per  cacciare  le 
mosche  ed  i  mosconi ,  detto  eaccia-mo- 
schcj  ed  anch'esso  in  latino  dicesi  Fla* 
bellum,  Ventulum,  Muscarium.ha  rosta 
si  disse  pure  Veniamola  o  Ventarola, 
vocabolo  comune  alla  banderuola,  ven- 
lorum  index.  Dichiara  il  Felici,  Onorila* 
sticumRomanum^W'ailìcoìo  Ventaglio: 
Flabellum  est,  quo  ventilalio  sit  per  de- 
statene, ad ie f ri ger  anelimi  corpus j  hoc  et 
Muscarimn  dici(uria  mitscìs  abigendis. 
Antichissimo  è  l'uso  del  ventaglio;  la  sua 
origine  è  oscura  quanto  rimola.  Gii  uni 
pretendono  che  la  bella  Ransi,  figlia  di 
un  mandarino  cinese,  avendo  contratto 
l'abitudine  di  teuere  la  maschera  in  ma- 


VEN 

no  e  di  agitarla  per  rinfrescarsi,  i  suoi  in- 
gegnosi contemporanei  vi  trovassero  I'  i- 
dea  madre  del  ventaglio.  Altri  attribuì- 
scono  tale  invenzione  agli  egizi.  Certo  è 
che  se  ne  trovano  tracce  fino  dalla  più 
remota  antichità  in  Asia,  in  Grecia  ,  in 
Italia.  Erano  allora  grandi  strumenti  (at- 
ti per  la  più  parte  con  fasci  di  penne  e 
piume  di  pavone  e  di  struzzo,  i  quali  ve- 
nivano agitati  dagli  schiavi,  siccome  an- 
cora si  usa  in  alcune  colonie  ov'essi  sus- 
sistono. L'uso  del  ventaglio  diffuso  in  Eu- 
ropa, pare  che  abbia  preso  il  nome  che  por- 
ta verso  la  metà  del  secolo  XVII,  poiché 
taluno  osservò,  che  alcuni  profumieri  ita- 
liani formanti  il  seguito  di  Maria  de  Me- 
dici ne'primordii  di  tal  secolo,  introdus- 
sero in  Francia  il  Ve/itolo.  Formato  in 
principio  con  dette  piume  e  penne,  fer- 
mate in  manico  d'argento  o  d'avorio,  di- 
cesi  perfezionato  da  un  fiorentino  noma- 
to Flatore  ,  e  giunse  ben  presto  agli  ul- 
timi confini  del  lusso  e  dell'eleganza.  Al- 
cuni sono  di  valore  e  costosi,  imperocché 
d'avorio  o  di  tartaruga  leggiadramente 
lavorati,  di  madreperla,  dorati  e  dipinti, 
con  intagli  d'una  finitezza  mirabile.  Al- 
tri colla  ventola  di  seta  portante  pietre 
preziose,  con  fili  d'oro  e  d'argento,  ed  al- 
tri di  carte  figurate  o  con  emblemi  e  mi- 
niature.  Si  rimarca  se  le  galanti  donne 
l'usano  con  grazia  o  goffa  mente.  E  la  dot- 
ta Cristina,  già  regina  di  Svezia,  recatasi 
a  Parigi  nel  i656,  interpellata  in  argo- 
mento da  alcune  dame  per  udire  la  sua 
opinione,  severa  mente  rispose."  A  che  m  ii 
il  ventaglio?  in  fede  mia,  voi  siete  abba- 
stanza avventate  anche  senza  di  lui!" 
E' contrastato,  se  i  veutagli  passarono  dal- 
l'uso  sagro  al  profano,  o  viceversa.  Per 
altre  erudizioni  si  può  vedere  V Album  di 
Roma,  t.  9,  p.  36:  Delle  ombrelle  e  de 
ventagli;  l.  21,  p.  263  :  //  ventaglio. 
Nella  Cina  si  fanno  elegantissimi  venta- 
gli di  penne  miniate  con  vivacissimi  co- 
lori. Quell'  imperatore,  poiché  qui  parlo 
delle penuedistruzzo  edipavoue,le u»adi- 
verse  secondo  le  materie,anzi  con  una  pea-1 


VEN 
na  di  struzzo  vergine  scrive  le  preghiere 
indirizzate  a  Dio,  e  le  lettere  asovrani  con 
cjuelledi  pavone;  negli  editti  ponendo  an- 
che l'ora  in  cui  l'emana,  come  Augusto. 
]l  Dizionario  delle  origini,  ragiona  del 
ventaglio  quale  arnese  per  far  vento,  sen- 
tir fresco  nella  stagione  calda ,  e  cacciar 
mosche,  antichissimo  in  Italia,  ove  preslo 
se  ne  fecero  de'  bellissimi.  Riporterò  in 
compendio  il  più  interessante.  Colla  vo- 
ce italiana  di  ventaglio  e  latina  ò'xfla- 
htllum  ,  riferisce  indicarsi  propriamente 
un  istrumenloin  forma  di  foglie,  che  spes- 
so vedesi  nelle  mani  di  molte  figure  sui 
monumenti  antichi.  Ateneo  e  Nonnio  nel- 
le Dionisiache  ne  fanno  menzione.  Nel- 
1'  Eunuco  di  Terenzio,  Cherqa  racconta 
di  avere  con  ventaglio  agitato  l'aria  du- 
rante il  sonno  di  Panfìla.  Ovidio  parla 
del  gradimento  delle  donne  nell'essere 
rinfrescate  col  ventaglio,  del  quale  ragio- 
narono pure  Plauto,  Marziale,  Properzio 
e  Claudiano.  De'rami  di  mirto,  d'acacia 
e  soprattutto  di  platano  orientale,  servi- 
vanocertaraentedi  ventaglione'tempi  piti 
antichi.  Il  Buonarroti,  ne' Aledaglioni^Vi- 
ce  che  si  formavano  i  flabelli,  per  caccia- 
re le  mosche,  con  grandi  fiondi  d'ellera, 
ed  opina  che  forse  nelle  terme  si  saran- 
no adoperali.  In  breve  si  cercò  d'imitare 
la  forma  di  quelle  foglie,  e  si  fabbricaro- 
no ventagli  di  materia  più  solida,  ma  che 
al  tutto  avevano  la  forma  slessa  di  quelle 
foglici  nabab indiani  e  i  primari  bramini 
servivansi  in  luogo  di  ventaglio  di  una  co- 
da di  bue  di  color  bianco,  guernita  all'e- 
stremità di  unacioccadi  crini(forse  meglio 
per  cacciar  mosche  o  altri  insetti  fastidio- 
si). Sui  monumenti  antichi  si  vedono  so- 
vente ventagli  in  forma  di  foglie,  e  figure 
di  ermafroditi  egeniiche  agitano  il  vento 
con  un  flabello  somiglievole,  suscitando 
l'aria  d'intorno  a  qualche  douna  celebre. 
Tosto  che  i  greci  conobbero  i  pavoni,  cir- 
ca 5oo  anni  avanti  l'era  presente,  impie- 
garono le  bellissime  piume  di  quel!'  uc- 
cello alla  formazione  dementagli.  Nell'O- 
rbe d'Euripide  uu  eunuco  frigio,  secon- 


V  E  N  17^ 

do  l'uso  del  suo  paese,  agita  il  vento  cori 
un  ventaglio  di  penne  sulle  guancie  e  sui 
capelli  di  Elena  durante  il  di  lei  sonno. 
Tutte  le  volte  che  nell'opere  posteriori 
de'greci  e  de'  romani  parlasi  del  lusso  e 
della  toeletta  delle  donne,  si  accennano 
sempre  que'  ventagli  di  penne  di  pavo- 
ne. Ve  n'erano  di  due  specie:  gli  uni  ser- 
vivano a  cacciar  le  mosche,  e  chiamali 
da'greci  Myosobet  da'romani  Muscaria 
pavoninaj  gli  altri  servivano  per  farsi 
vento,  e  denominati  Rhiphis  o  Psygma. 
Il  Buonarroti  ne'  Vetri  antichi^  parlan- 
do de'  Dittici  sagrit  ragiona  de'  Flabel- 
li  usati  da'greci,  che  gli  chiamavano  Ri- 
pida, e  da'  latini  ancora  che  con  essi  or- 
navano nelle  solennità  le  chiese:  meglio 
ciò  dissi  nel  ricordato  articolo,  in  cui  ri- 
portai diversi  scrittori  sui  ventagli.  A  que- 
st'uso impiegavansi  di  preferenza  bellis- 
simi giovani  schiavi  ch'erano  da'romani 
indicati  col  uome  dijlabarii.Mà  siccome 
le  penne  di  pavone  erano  troppo  pieghe- 
voli, s'immaginò  di  applicare  a'ventagli 
Ira  le  penne  dell'assicelle  sottilissime  di 
legno,  che  furono  chiamate  tabellae;  pa- 
rola che  da'poeti  erotici  de'romani  è  sta- 
ta sovente  impiegata  per  indicare  il  ven- 
taglio medesimo.  Sembra  dunque  che 
presso  le  donne  dell'  antichità,  l'impero 
della  moda  non  sia  stato  meno  possente 
a  riguardo  de'ventagli  come  lo  è  oggidì. 
Le  donne  degli  antichi  pejò  impiegava- 
no quasi  sempre  per  rinfrescarsi  delle  gio- 
vani donzelle  schiave,  che  sono  indicate 
da  Plauto  colla  voce  flabelli 'feraci  va- 
si pubblicati  dal  Passeri  e  dal  Tischbein 
ne  somministrano  molti  esempi:  da  que- 
ste stesse  pitture  si  vede  altresì,  ch'eran- 
vi  talvolta  de'cesti  particolari, in  cui  por- 
lavansi  ventagli,  quando  non  si  faceva 
uso  di  essi.  Di  tutte  le  specie  di  ventagli 
di  penne  di  pavoni ,  quelli  che  avevano 
la  forma  di  un  mazzo  o  le  cui  penne  for- 
mavano un  semicerchio,  sembrano  esse- 
re stali  più  frequentemente  e  più  lungo 
tempo  in  uso.  Durante  tutloil  medio  evo 
e  ancora  sino  al  XVII  secolo,  le  donne 


i76  VEN 

poi  lavano  in  Italia,  in  Francia  e  in  In- 
ghilterra di  simigliatiti  mazzi  ili  penne, 
sia  per  ornamento ,  sia  per  la  comodità 
loro.  Venezia,  massime,  e  le  altre  repub- 
bliche traHicanti  dell'Italia  somministra* 
•vano  in  quell'età  a  tutta  l'Europa  le  pen- 
ne di  struzzo,  che  s'impiegavano  di  pre- 
ferenza per  formare  questi  mazzi  o  que- 
sti ventagli.  Nel  secolo  XI,  precipuamen- 
te nella  Lombardia,  l'italiane  usavano  i 
■ventagli  in  forma  di  mazzi,  sovente  di  as- 
sai bizzarra  composizione.  Ilmazzodi  pen- 
ne era  ordinariamente  fissato  all'estremi- 
tà d'un  manico  d'avorio,  ornato  spesso 
d'oro  e  di  pietre  preziose.  Oltre  le  pen- 
ne di  struzzo  s'impiegavano  allora,  al  pa- 
ri degli  antichi,  penne  di  pavone,  di  pap- 
pagallo, di  corvo  dell'Indie  e  di  altri  uc- 
celli aventi  speciose  penne.  Fra  le  altre 
cose,  dalle  catene  d'oro,  usate  a  quell'e- 
poca dalle  donne,  pendeva  ancora  il  ven- 
taglio. Sotto  Elisabetta  regina  d'Inghil- 
terra, i  manichi  diventagli  erano  per  lo 
più  di  argento  di  grandissimo  valore,  il 
che  rendevali  oggetto  di  smodato  desi- 
derio a'  ladri  :  talvolta  costavano  sino  a 
4o  lire  sterline;  e  la  regina  ne  ricevè 
uno  in  dono,  riccamente  guarnito  in  dia- 
manti. Soggiunge  ileitato  Dizionario  ,che 
disse  con  molto  garbo  un  nostro  scritto- 
re, f»  1  ventagli  ponno  definirsi  telegrafi 
d'amori  o  di  sdegni,  o  una  gelosia  per 
traguardare  senza  che  le  donne  sieno  ve- 
dute, o  finalmente  un  mezzodì  eclissare 
i  movimenti  dell'occhio".  Notai  nel  voi. 
LXXXI,p.  iyG.cheavendopercosso  pub- 
blicamente il  bey  tV Algeri  con  un  venta- 
glio il  console  di  Francia, questa  ne  pre- 
se motivo  per  detronizzarlo  e  occupare  la 
regione. —  Quanto  all'uso  sagro  demen- 
tagli, di  quelli  usati  ne'sagrifìzi  dagli  an- 
tichi per  cacciare  le  mosche,  ne  ragiona 
il  p.  Menochio  nelle  *S7uore,  centuria  i.°, 
cap.  80:  Del  flagello  delle  mosche  ^  con 
il  quale  furono  afflitti  gli  egiziani  al 
tempo  di  Faraone.  Con  ragione  il  sagro 
testo  chiama  le  mosche  flagello  gravissi- 
mo, perchè  sono  in  gran  maniera  mole 


VEN 

ste  e  importune;  le  mosche  canine  o  ca- 
valline poi,  feriscouo  con  punture  che  ca- 
vano il  sangue.DeH'importunitàdelle  mo- 
sche, oltre  la  comune  esperienza  ,  parlò 
anche  Omero  nel  lib.17  dell'  Iliade^  di- 
cendo: Atque  UH  muscae  vim  intra  prac- 
cordia  misit  -  Quae  quamvis  de  pelle 
viri  saepe  repulsaf  -  Assultat  morsura 
tamen.  La  mosca,  sorta  di  piccolo  inset- 
to volatile  molto  importuno  e  noioso,  e 
mollo  comune  nella  calda  stagione,  per 
non  avere  reminiscenza  del  passalo,  tor- 
na subito  donde  è  scacciata;  per  cui  ne 
segue,  riferisce  il  Menochio,  che  non  si 
ricordi  né  del  bene,  né  del  male,  laonde 
sebbene  percossa  lorna  di  nuovo  con  mo- 
lestissima importunità.  Gli  antichi  abi- 
tanti de'paesi  caldi  per  discacciare  le  mo- 
sche ond'  erano  tormentati,  invocavano 
l'aiuto  degli  Dei,  e  con  Superstizione  fa- 
cevano anche  uso  di  amuleti.  I  greci  a- 
veano  a  Dio  particolare  contro  le  mosche 
Miiagro,  nome  derivante  e  composto  del- 
le parole  greche  mosca  e  cattura.  A  que- 
sto genio  immaginario  attribuivano  la 
virtù,  di  cacciare  le  mosche  durante  il  sa- 
grifizio.  Gli  arcadi  sacrificavangli  sempre 
innanzi  d'onorare  Minerva  incerta  loro 
festa  solenne:  gli  elei  incensavano  costan- 
temente le  are  di  esso  perchè  allontanas- 
se quegl'insetti  al  finir  della  slate.  Anche 
i  romani  sagrificavano  a  tale  divinità  fa- 
volosa, che  chiamavano  M//W6j.Ne'giuo- 
chi  olimpici  qualche  volta  prima  d'inco- 
minciarli facevasi  tale  sagrifìzio  perchè 
gli  spettatori  non  fossero  molestati,  oude 
disse  Eliano  che  le  mosche  si  ritiravano 
da  tali  feste;  mentre  nel  tempio  d'Apol- 
lo Azziaco  immolavasi  loro  un  bove,  ed 
esse  attaccavansi  al  sangue  della  vittima, 
da  cui  ritraevansi  poi  satolle.  Questo  nu- 
me ebbe  altri  nomi  :  Miiacerot  Miagro, 
ApomiO)  ed  in  Africa  Acort  ch'è  lo  stes- 
so che  Belzebut.  Adoravano  le  mosche 
gli  abitanti  di  Accarona  e  dell'Acaruania. 
In  Roma  nel  tempio  aV Ercole  Vincitore^ 
non  entravano  mai  mosche.Eppuresi  pre- 
tende da'mitologi,  che  mentre  Ercole  sa- 


VEN 

grificava  non  potè  mai  cacciar  le  mosche, 
e  neanco  Giove  ne  avea  il  potere.  Le  mo- 
sche accorrevano  in  gran  moltitudine  a' 
sagrifizi  di  Moloc,  di  Astarot  e  degli  al- 
tri idoli  de'  pagani.  Gli  ebrei  tenevano 
qual  felice  augurio  il  non  aver  mai  visto 
una  mosca  nel  tempio  di  Salomone.  Ma 
mentre  gli  antichi  invocavano  l'aiuto  de' 
numi  contro  le  mosche,  ad  un  tempo  ser- 
vi vansi  de'mezzi  fisici  e  principalmente  di 
ventagli  cacciamosene,  detti  anche  miìa- 
gri,  i  romani  usando  un  ramo  di  mirto 
(l'imperaloreDomiziano impiegava  un'o- 
ra per  giorno  a  infilzar  mosche  nel  suo 
gabiuetto,elo  notai  nel  vol.LVIII,p.2i6), 
e  gl'indiani  tuttora  adoperano  una  coda 
di  cavallo  con  manico  per  lo  più  d'avo- 
rio, ornato  pure  di  pietre  preziose.  Dio 
ha  creato  tutte  le  cose  con  somma  sa- 
pienza e  con  ottimo  fine,  inclusivaroen- 
te  alle  moleste  e  importune  mosche,  per 
punirci  e  ricordarci  la  nostra  nullità,  fra 
tanto  orgoglio  e  potenza  bastando  una 
pulce  e  una  mosca  per  infastidirci;  e  per 
rimedio  contro  la  loro  ostinatezza  fu  in- 
trodotto l'uso  de' ventagli,  ed  anche  nel- 
l'antichità si  facevano  di  penne;  osservan- 
do il  p.  Menochio,  che  il  ven.  cardinal 
Bellarmino  erasi  talmente  avvezzato  al- 
la pazienza  e  alla  mortificazione,  che  non 
cacciava  le  mosche  neppur  dal  viso,  seb- 
bene gli  dassero  noia  ;  anzi  di  ciò  mera- 
vigliandosi altri,  dolcemente  rispondeva 
non  doversi  far  male  a  tali  animaletti,  per 
non  avere  altro  godimento  chela  libertà 
di  volare  e  stare  a  piacere  sulle  cose.  Ste- 
fano Durando,  De  rilibus  ecclesiasticis, 
lib.  i,  cap.io,  tratta  dell'uso  dementagli 
in  Chiesa  e  del  morale  significato  cava- 
to da'  ss.  Padri.  Dalle  Costituzioni  apo- 
stoliche^ attribuite  a  Papa  s.  Clemente  I 
del  93,  già  trovasi  prescritto,  checelebran- 
do  il  vescovo,  assistessero  a'due  lati  del- 
l'altare due  diaconi  con  ventagli  di  pen- 
ne di  pavone,  di  membrane  o  di  lino,  per 
impedire  che  le  mosche  e  altri  insetti  ca- 
dessero nel  calice  consagrato.  S.  Girola* 
mo  scrivendo  a  Marcella  1'  Epist.  20,  fa 

VOL.   XCllI. 


VEN  177 

menzione  di  simili  ventagli  ;  e  quanto 
ne  scrisse  s.  Idelberto  vescovo  di  Le  Mans, 
lo  riporta  il  Menochio,  che  termina  col 
narrare  come  s.  Bernardo,  senza  venta- 
glio si  liberò  dalle  mosche  che  lo  mole- 
stavano nel  consagrare  un  oratorio  nel 
territorio  di  Laon,  cioè  collo  scomunicar- 
le (sarà  meglio  dire  colla  Maledizione,  o 
meglio  ancora  colla  Benedizione  coutro 
tali  insetti),  e  ne  morirono  in  tanto  nu- 
mero, che  bisognò  portarle  fuori  con  pa- 
le. Il  vescovo  Sarnelli,  Lettere  ecclesiast. 
1. 1  o,  lett.  43:  Del  ventaglio,  che  il  vesco- 
vo greco  dà  all'ordinalo  diaconoj  an- 
ch' esso  dichiara  V  introduzione  del  suo 
uso  nelle  sagre  liturgie,  per  rimedio  con- 
tro l'importunità  delle  mosche  e  la  schi- 
fosità di  esse;  rilevando  che  Ateneo  scris- 
se avere  i  persi  pe'primi  usato  i  ventagli 
alle  mense  per  cacciar  dalle  vivande  si- 
mili animaletti,  attestando  Marziale  che 
si  facevano  con  penne  di  pavone.  Che  ì 
cinesi  adoperano  i  ventagli  non  solo  nel- 
l'estate per  cacciar  le  mosche  e  refrige* 
rarsi,ma  nell'inverno  per  ornamento,  co- 
me i  guanti  tra  noi  nell'estate.  L'adotta- 
rono le  donne  imbellettate  ,  per  rinfre- 
scare il  belletto,  acciò  scorrendo  il  sudo- 
re dalla  fronte  non  lo  facesse  decompor- 
re. Usarsi  le  penne  della  coda  di  pavone 
per  cacciamosene,  perchè  diversi  anima- 
li colla  coda  le  discacciano;  e  siccome  l'è 
lefante  1'  ha  piccola,  le  uccide  con  istrin- 
ger  le  rughe  della  pelle.  Della  molestia 
che  recano  agli  scrittori,  l'espresse  un  poe- 
ta sdegnato  di  loro  noia,  co'versi  riferiti 
dal  Sarnelli.  »  Questi  animaletti,  dice  il 
Comestore,  sono  stati  da  Dio  creati  per 
punizione,  correzione  e  istruzione.  Per- 
ciò che  è  punito  l'uomo,  quando  è  offeso 
da  loro;  è  corretto  quando  sa  essergli 
ciò  avvenuto  per  lo  peccato;è  istruito  am- 
mirando l'opere  di  Dio,  che  si  dimostra 
più  stupendo  nelle  minutissime  sue  crea- 
ture, colle  quali  solamente  pose  in  fuga 
gli  eserciti  1  "  Nella  Puglia  un  poeta  chia- 
mò la  mosca,  per  esservi  abbondanti  efa- 
stidiose :  Pugliese  mostro,'  Sanguisuga 
12 


i78  VEN 

volanti',  alata  Arpia.  Quindi  i!  Sarnelli 
riflette,  che  se  per  la  cu  tu  u  uè  aie  risa  si 
formarono  ventagli  per  cacciare  le  ino- 
sche,maggiormeutedoveasi  praticare  nel 
la  sagra  inensa,sì  perchè  non  molestino  chi 
sagrifica,esì  perchè  non cadino  nel  calice, 
giacché  sebhene  coperto  col  la/ v/////,  facil- 
mente nello  scuoprirlo  vi  s'immergono. 
Perciò  uè'  sagri  templi  originò  l'uso  del 
Flabello  (f .),  denominato  pure  l 'enti- 
labrum  Ministcriorum,  dovendosi  muo- 
vere dal  diacono  per  impedire  alle  mo- 
sche di  molestare  il  sacerdote  et  abigere 
sacrificium.  Ed  è  perciò,  che  essendo  uf- 
fizio del  diacono  impedirlo  alle  mosche, 
nell'ordinario  il  vescovo  gli  consegnava 
il  flabello  ventaglio,  nel  quale  erano  di- 
pinti due  Serafini.  Quindi  il  Sarnelli  ri- 
porta alcune  delle  nozioni  che  io  già  de- 
scrissi a  Flabello.  Questo  ventaglio  o  pa- 
ramosche,  formato  di  penne  di  struzzo  o 
di  pavone,  ora  si  usa  soltanto  dal  Papa 
per  que'motivi  e  simbolici  significati  che 
nell'articolo  dichiarai,  massime  quando 
incede  in  sedia  Gestatoria  (F.)  e  nella 
macchina  o  talamo  per  la  Processione  del 
Corpus  Domini  (Z7.).  A  pochi  altri  il  fla- 
bello fu  concesso  per  privilegio,  cioè  a' 
nominati  nell'articolo,  dove  pure  trattai 
dell'uso  e  delle  diverse  forme  de'flabelli 
nella  Chiesa  Ialina  e  nella  Chiesa  orienta* 
le,  gli  usati  dal  Papa  denominandosi  an- 
cora Flabelli s  pontificiis  seu  Muscariis 
pavonicis,  e  gran  pennacchi.  Inoltre  i  Pa- 
pi usarono  nelle  solenni  funzioni  di  far- 
si precedere  da  due  preziose  insegnechia- 
mate  Cherubini,  ed  aventi  qualche  rela- 
zione co'flabelli  orientali.  Meglio  ne  trat- 
tai nel  voi.  LXX1V,  p.  270  e  271.  Fi- 
nalmente flabelli,  banderuole  e  ventaro- 
le si  chiamano  quegli  arnesi  che  ne' Fune- 
rali (F.) quattro  Palafrenieri (V.)  0  altri 
inservienti,  agitano  intorno  al  feretro  de' 
cadaveri  de'  cardinali,  e  due  intorno  a 
quello  degli  ambasciatori,  ed  a  quello  de' 
principi,  decorate  degli  slemmi  gentilizi 
(nel  17G7  nell'esequie  del  conte  Isolani 
ambasciatore  di  Bologna  inPioma,duesuoi 


VEN 
aiutanti  di  camera  in  abito  da  citta,  agi- 
tarono leggermente  le  banderuole,  col- 
l'armi  gentilizie  del  defunto  e  della  città; 
uso  introdotto  per  decoro  della  funzio- 
ne, perciò  in  esse  souo  effigiati  gli  stem- 
mi; e  decenza  per  cacciar  le  mosche  da' 
volti  e  dalle  mani  de'cadaveri,  usandosi 
anche  quando  non  vi  souo,  poiché  que- 
gì*  insetti  non  ponno  recare  fastidio  a' 
morti,  come  rileva  il  Cancellieri,  Notizie 
de'ss.  Giovanni  e  Petronio  de'bologncsi 
di  Roma,  p.  96). 

VENTIM1GLIA  (Fentimilien.  Pro- 
vinciae  Janucn.).  Città  con  residenza  ve- 
scovile degli  stati  sardi,  nel  Genovesalo 
o  Liguria,  antica  e  illustre,  divisione  di 
Nizza,  provincia  di  Sanremo,  capoluogo 
di  mandamento,  alla  foce  della  Roja, l'an- 
tica Rutuba,  nel  Mediterraneo  o  mare 
Ligustico:  lungo  l'alveo  della  Roja  diri- 
gevasi  la  romana  via  militare  per  lo  tra- 
gitto dell'Alpi.  Piccolo  e  sicuro  n'è  il  por- 
to, e  dal  quale  si  estraggono  le  indigene 
produzioni.  E  città  dell'  Alpi  marittime 
atlinente  all'Italia,  distante  6  leghe  e  mez- 
za all'esl-sud-est  di  Nizza,  alla  cui  contea 
ora  appartiene,  due  leghe  e  mezza  all'o- 
vest-sud-ovest  di  Sanremo,  e  28  al  sud- 
ovest  da  Genova.  L'ultima  proposizione 
concistoriale  la  qualifica:  Urbs  Liguriae 
adclivuni montis  aedificatain  suo  unius 
circiter  milliari  ambita  200  domos,  el 
20,000  circiter  continetincolas  (deve  es- 
servi errore,  poiché  leggo  nella  preceden- 
te proposizione,  1600  circiter  habitato- 
rcs.  In  vece  il  Dizionario  geografico  u- 
nh'ersale  gliene  dà  5,ooo,  ed  il  Castella- 
no 5,2oo,  ed  io  credo  circa  6,000).  Chia- 
ma la  cattedrale,  di  moderna  architet- 
tura, dedicataall'Assunzione  della  B.  Ver- 
gine, sed  boni  aedi  fidi  nulla  exigentis 
reparationemj  ma  il  zelantissimo  vesco- 
vo attuale,  nel  1842  vedendo  che  il  tem- 
pio minacciava  rovina,  trasportò  la  sua 
cattedra  ed  il  suo  capitolo  nel!'  antichis 
sima  chiesa  di  s.  Michele  Arcangelo,  fin- 
ché si  possa  rifabbricarla,  o  almeno  ope- 
rarvi un  solido  restauro.  Da  uua  grande 


VEN 

lapide  incastrata  uel  vestibolo  della  cat- 
tedrale, e  die  serve  per  parte  di  scalino 
della  porta  principale,  si  argomenta  che 
àulicamente  era  un  tempio  dedicato  a 
Giunone.  Ed  è  tradizione,  che  la  chiesa 
di  s.  Michele  fu  già  tempio  di  Castore 
e  Polluce,  come  apprendo  dalla  classica 
opeva, Monumenta  historiae  palriae,l.  4, 
che  contiene  la  Storia  delle  Alpi  Ma- 
rittime  di  Pietro  Gioffredo,  insieme  a 
molte  notizie  della  città  di  Ventimiglia, 
del  suo  comune  e  contado,  e  perciò  de' 
suoi  consoli,  vicari,  capitaui,  rettori,  con- 
testabili, conti  e  signori  diversi,  non  che 
del  suo  vescovato.  Veramente  corrispon- 
de a  quanto  dichiarò  il  eh.  prete  Gio.  Bat- 
tista Semeria,  nella  Storia  ecclesiastica 
di  Genova  e  della  Liguria^do?  tempi  apo- 
stolici sino  all'anno  1 838,  cioè  nel  cap. 
6  :  Vescovi  di  dentimi  glia,  abbondare 
le  civili  e  politiche  notizie  della  città  di 
Ventimiglia,  invece  scarseggiare,  in  pro- 
porzione, le  memorie  ecclesiastiche.  Non 
mancherò  giovarmi  delle  dueopere,  edel- 
le  altre  che  poi  dirò,  ma  sempre  nelle  cir- 
coscritte dimensioni,  combinabili  colla 
natura  di  questa  mia  opera,  divenuta  or- 
mai tanto  voluminosa,  però  toccando  il 
sospirato  fine.  Del  benemerito  Semeria, 
mi  è  noto  aver  pure  scritto  e  pubblicato 
con  bella  edizione  :  Secoli  cristiani  del- 
la Liguria,  ossia  Storia  della  metropo- 
litana di  Genova,  delle  diocesi  di  Sar- 
zana,  di  Brugnato,  Savona,  Noli,  Al- 
henga  e  Ventimiglia,  Torino  i843.  In- 
tanto si  ritorni  alla  ricordata  proposizio- 
ne concistoriale,  dichiarante  lo  stato  del- 
la chiesa  di  Ventimiglia  nel  1837. Nella 
cattedrale  esercitava  la  cura  d'anime  la 
I."  dignità  del  preposto  aiutato  da  un 
prete,  ed  ivi  era  il  s.  fonte.  Fra  le  ss.  re- 
liquie, con  somma  divozione  si  venerava 
il  capo  di  s.  Secondo  martire,  patrono  del- 
la città.  Il  capitolo  si  compone  delle  3  di- 
gnità del  preposto,  dell'  arcidiacono  e 
del  cantore;  di  otto  canonici,  comprese 
le  prebende  del  teologo  e  del  penitenzie- 
re; di  due  beneficiati,  e  di  altri  preti  e 


VEN  179 

chierici  addetti all'uffiziatura  divina.  L'e- 
piscopio, parimi  distai  a  caihcdrali, 
et  cum  sit  boni  aedìfìcii  nulla  indiget 
reparatione,  e  l'encomiato  prelato  l'  ha 
restaurato.  Sebbene  nella  città  vi  sono 
altre  chiese,  niuna  però  è  parrocchiale  o 
collegiata.  L'hanno  i  minori  osservanti 
con  convento,  e  le  canonichesse  Late- 
ranensi  con  monastero  eretto  sui  fonda- 
menti dell'antichissimo  castello  de'conti 
già  signori  della  città.  Vi  sono  alcuni  so- 
dalizi, l'ospedale,  non  il  monte  di  pietà. 
Seminario  auteni  non  saiis  apio  ad 
excipiendos  illius  dioecesis  clericos  a- 
lumnos,  alterimi  subslituendiun  est  in 
civitates.  Remi  ejusdem  dioecesis.  Il  lo- 
dato pastore  però  ne  promuove  l'amplia- 
zione  e  il  fioriraento.  Possiede  ancora  un 
collegio  comunale,  ed  il  castello  o  forte 
munito  di  s.  Paolo:  vi  sono  alcune  anti- 
che iscrizioni.  I  dintorni  vanno  ricchi  di 
vino,  olio  e  frutti  squisiti,  per  la  fertilità 
del  territorio,  il  quale  in  amenità  egua- 
glia quello  di  s.Remo.  Quivi  V Itinerario 
d'Antonino  segna  il  confine  deWaLiguria, 
sebbene  altri  lo  avanzino  al  Varo  e  altri 
a  Marsiglia.  Ma  ora  conviene  dire  alcuna 
cosa  dell'antichità  di  Ventimiglia. In  data 
di  Ventimiglia  20  febbraio  1 852  pubblicò 
l'eccellente  periodico  V Armonia  di  To- 
rino, e  riprodusse  il  n.  66  del  Giornale 
di  Roma.  I  coloni  d'una  villa  dell'episco- 
pato, pochi  passi  a  pouente  della  Nervia, 
cercando  pietre  e  tasteggiando  sotterra 
con  un  palo  di  ferro,  nel  precedente  gen- 
naio videro  un  non  so  che  di  pittoresco 
e  di  solido,  che  parve  loro  cosa  insolita 
da  non  trascurarsi.  Recatane  la  notizia 
a  mg.r  vescovo,  die'  ordine  che  si  sgom- 
brasse cautamente  il  terreno  soprastante, 
e  tosto  comparve  un  pavimento  in  mu- 
saico, lungo  metri  4  e  quasi  due  deci- 
metri e  largo  4;  di  forma  quadrata,  ben 
conservato,  e  circondato  di  mura  non  più. 
alle  d'un  metro  circa,  poiché  il  resto  era 
già  stato  demolilo.  Da'  3  lati  di  queste 
mura  si  scorgevano  3  porticelle,  che  ve- 
rosimilmente introducevano  in  pari  nu- 


180  VEN 

mero  di  gabinetti  o  di  camere.  Il  laro- 
io  è  delicatissimo,  d'una  semplicità  ele- 
gantissima, di  gusto  greco.  Subito  il  pre- 
lato ne  fece  prendere  a  penna  un  colo- 
rito modello.  Si  vedono  i  busti  delle  4 
Stagioni  dell'anno  in  altrettanti  quadri 
simmetricamente  disposti,  due  in  alto  e 
due  al  basso,  vicino  al  centro  del  pavi- 
mento, e  di  tinte  molto  leggiadre.  La 
Primavera  coronata  di  fiori;  la  State  cin- 
ta il  crine  di  bionde  spiche;  l'Autunno 
coronato  di  pampini  edi  grappoli  di  uva; 
e  l'Inverno  imbacuccato  la  testa,  con  u- 
na  canna  presso  la  spalla,  e  colle  sue  lun- 
ghe foglie  pendenti  sormontate  dall'uni- 
co ,  mesto  e  verticale  lor  fiore.  Il  vago 
musaico  fu  riconosciuto  per  un  lavoro 
de'tempi  più  belli  della  dominazione  ro- 
mana, ossia  de'primi  tempi  dell'era  cri- 
stiana, ne'quali  fiorivano  le  scienze ,  e 
specialmente  la  scultura  e  la  pittura. 
Strabone  geografo,  fiorito  presso  a  poco 
a  quell'epoca,  appella  Ventimiglia  Urbs 
magna.  Questa  grande  città  metropoli 
de'  liguri  InlimelM,  non  poteva  esistere 
dove  esiste  l'attuale  Ventimiglia.  I  mar- 
mi lavorati,  gli  avanzi  eli  capitelli,  di 
cornicioni,  i  portici,  le  gradi  nate,  le  porte, 
le  piccole  figurine  di  bronzo,  tanti  altri 
ruderi,  le  monete  romane  scoperte  o  ve- 
nute alla  luce  in  quel  vasto  piano ,  che 
giace  vicino  alla  Nervia, sono  prove  indu- 
bitate, che  colà  esisteva  l'antico  Intìme- 
lio  de'  romani;  dunque  il  fabbricato,  in 
cui  venne  scoperto  il  decantato  pavimen- 
to, faceva  parte  della  città  antica,  oppu- 
re un  casino  di  campagna  poco  distante 
da  essa.  E  chi  sa  che  non  appartenesse  a 
quella  Giulia  Procilla,  madre  di  Agrico- 
la, la  quale  fu  dagli  Ottomani  colà  tru- 
cidata iniquamente  in  suispraediis,  co- 
me scrisse  Tacito  nella  vita  di  suo  suo- 
cero Agricola?  O  non  fosse  piuttosto  il 
palazzo,  ossia  l'abitazione  di  quel  Domi- 
zio,  il  quale  albergò  Giulio  Cesare,  e  che 
venne  strozzato  da  quel  Bellieuo  che  si 
lasciò  indurre  a  quel  misfatto  dall'oro  del- 
la fazione  contraria,  come  risulta  dali'e- 


f  EH 

pistola  di  Marco  Celio,  scrìtta  di  colà  rt 
Cicerone  ?  Il  descrittore  dell'articolo  pre- 
vide un'  obbiezione  desunta  dalla  natura 
delle  già  dette  mura,  che  circondano  il 
pavimento,  le  quali  non  presentano  i  ca- 
ratteri delle  antiche  costruzioni  romane, 
ma  piuttosto  quelli  delle  fabbriche  anti- 
che. »  E  che?  E'  forse  provato  e  dimo- 
strato, che  a'tempi  della  dominazione  ro- 
mana le  costruzioni  e  le  mura  si  fabbri- 
cassero in  tutta  l'Italia  all'uso  romano? 
Non  già,  e  noi  stessi,  allorché  nel  1889 
e  nel  1840  si  esegui  una  tal  quale  an  - 
pliazione  e  rettificazione  della  strada  pro- 
vinciale al  capo  s.  Siro  ,  volgarmente  il 
Don,  territorio  di  Tabiai  or  Taggia,  noi 
stessi  abbiamo  osservato,  che  l'antiche 
costruzioni  ivi  scoperte,  e  che  facevano 
parte  della  tanto  ricercata  Costa  Balene 
della  tavola  Peutingeriana  e  dell'Itinera- 
rio d'Antonino,  quelle  vetuste  costruzio- 
ni non  somigliavano  punto  alle  costruzio- 
ni de'i  omani,  ma  erano  presso  a  poco  con- 
formi alle  nostre  liguri.  Non  può  cadere 
alcun  dubbio  tuli'  antichità  di  quelle  co- 
struzioni ,  essendosi  scoperte  molte  mo- 
nete romane  da  Augusto  sino  a  Giuliano 
inclusivamente  (benché  con  molle  inter- 
polazioni, ed  oltre  una  moneta  romana 
de'tempi  della  repubblica),  parecchi  sche- 
letri sepolti  in  un  terreno  cretoso  e  com- 
patto con  evidenti  contrassegni  di  genti- 
lesimo, cioè  lumi  sepolcrali  ,  ed  olle  a* 
fianchi;  un  frammento  di  una  tabella  vo- 
tiva, dicente:  P.  CoepUiì  (si  sottintende 
prò  salute,  ovxevoprorediUi,proincolu- 
mitate  ec);  oltre  un  elegantissimo  pavi- 
mento in  musaico,  ed  altri  ruderi  di  ri- 
mota antichità.  Dalla  natura  adunque 
delle  testé  scoperte  mura  ventimigliesi 
non  si  può  desumere  veruna  obbiezione 
contro  l'antichità  romana  del  musaico. 
Queste  mura  saranno  state  lavoro  di  un 
muratore  indigeno,  e  quanto  al  musaico 
sarà  stato  condotto  da  un  artefice  idoneo 
di  altre  parti".  Lo  scrittore  opina  che  ta- 
li rovineavvenneronel  61  1  circa  per  par- 
te di  Kotari  re  de  longobardi ,  il  quale 


YEN 
saccheggiò,  devastò  e  stilati tellò  da  Luni 
sino  a'confini  del  regno  di  Francia  tut- 
te Je  città  de'rornani,  siccome  risoluto  a 
non  conservarne  il  dominio.  Tanto  atte- 
stano, Muratori  negli  Annali  d' Italia, 
Girolamo  Serra  nella  Storiadella  Ligu- 
ria e  di  Genova,  e  Gi  offre  do  nella  Storia 
dell'Alpi  Marittime,  Torino  1 839.  Qua- 
lora poi  non  si  volesse  concedere  tanta 
antichità  al  musaico,  in  tale  ipotesi  po- 
tersene attribuire  il  lavoro  a'conti  anti- 
chi di  Provenza  o  di  Ventimiglia,  i  quali 
ne  furono  i  signori,  e  specialmente  a'La- 
scaris.  Il  che  forse  ebbe  luogo  quando 
Guglielmo  Pietro  conte  di  Ventimiglia, 
nel  1261  sposò  Eudossia  figlia  di  Teodo- 
ro II  Lascaris  greco  imperatore  in  Nicea 
(onde  i  figli  che  nacquero  da  tale  matri- 
monio assunsero  il  cognome  di  Lascaris, 
inquartando  le  armi  paterne  de'conti  di 
Ventimiglia  con  quelle  dell'impero  gre- 
co), il  quale  ammirati  i  magnifici  edifìzi 
di  Grecia,  ed  i  litostrali  o  pavimenti  di 
musaico,  abbia  di  colà  fatto  venire  arte- 
fici per  ornare  di  simili  lavori  il  suo  pa- 
lazzo  o  casino  di  Ventimiglia,  per  fare  co- 
sa piacevole  alla  sposa.  Opinione  proba- 
bile, dal  sapersi  come  già  artefici  di  Co- 
stantinopoli nel  1070  lavorarono  i  mu- 
saici della  nuova  basilica  di  Monte  Cassi- 
no, effigiandovi  animali,  fiori  e  verzura 
con  tanta  perfezione  da  sembrare  veri.  Se 
si  ammette  la  narrata  ipotesi,  l'eccidio  dei 
fabbricato  in  discorso  pare  potersi  attri- 
buire all'incursioni  e  devastazioni  deli- 
rali barbareschi;  dappoiché,  venuta  me- 
no nel  secolo  XV  la  potenza  marittima, 
tanto  già  rzV/oftatade'genovesi,come  l'ap- 
pellano il  Villani  e  il  Biondo,  i  legni  bar- 
bareschi trascorrevano  impunemente  il 
mare  Ligustico ,  depredando  i  navigli  e 
riducendo  in  ischiavilù  le  persone,  non 
che  saccheggiando  e  talora  anche  incen- 
diando le  terre  prossime  al  mare.  Suona 
tuttora  terribile  il  nome  di  Ali  Dragut, 
e  quello  pure  di  Ariadeno  detto  Barba- 
rossa  crudele  e  feroce,  che  incussero  tan- 
to tenore  à'Iiguri,  e  tante  devastazioni  e 


VEN  181 

danni  operarono  in  queste  contrade  ma- 
rittime. Inoltre  il  Giornale  di  Roma  del 
1 853  a  p.  904,  ricavòdal  Bollettino  del-* 
le  scienze  il  seguente  articolo,  che  fa  se- 
guito al  riferito.  Le  recenti  scoperte  fat- 
tesi a  levante  della  citlà  di  Ventimiglia, 
nella  pianura  prossima  alla  foce  del  tor- 
rente Nervia,  hanno  gettato  gran  lucesul- 
l'essere  dell'antica  ìùnl\me\ìo,J  IbiumEn.* 
temelium,  illustre  capitale  de'liguri  di  tal 
nome  ,  indi  municipio  romano.  Benché 
detta  da  Strabone  città  grande,  ora  chi 
la  visita  distesa  sul  declivio  di  una  colli- 
na, signoreggiata  dal  forte  s.  Paolo,  non 
la  trova  che  una  modesta  e  piccola  città. 
La  sua  cattedrale  eretta  sulle  rovine  d'un 
tempio  sagro  a  Giunone,  la  chiesa  di  s. 
Michele  già  delubro  sagro  a  Castore  e  Pol- 
luce, ed  il  castello  d'Appio  prezioso  mo- 
numento d'architettura  romana, non  ba- 
stano per  dire,  qui  era  una  città  grande. 
Non  vedendosi  altri  considerevoli  avanzi 
di  pubblici  o  privati  edifìzi, anzi  mancan- 
do l'area  per  fabbricarli,  nasce  naturale 
il  desiderio  di  sapersi  dove  potesse  buo- 
na parte  di  essa  trovarsi.  Rispondono  pe- 
rò chiaro  i  monumenti  da  poco  tempo 
venuti  in  luce,  e  le  memorie  di  alcuni  rin- 
venuti negli  scorsi  secoli.  L'architettura, 
la  scultura,  il  disegno,  la  glittica,  l'epi- 
grafia e  la  numismatica,  vi  trovano  cia- 
scuna per  se  preziosi  oggetti,  e  quella  pia- 
nura coperta  d' arena  trascinatavi  dal- 
l'alluvioni della  Nervia,  o  da'venti,  e  dal- 
la quale  non  sorgono  più  che  pochi  ru- 
deri, è  divenuta  importantissima  per  l'ar- 
cheologo e  per  l'amante  di  patrie  storie. 
Parlasi  pel  i.°  d'un  acquedotto  formato 
da  un  doppio  arco  di  pietre  quadrate  re- 
golari attaccate  con  pochissimo  cemento. 
Esso  ha  principio  in  una  regione  del  co- 
mune di  Camporosso  detto  seborrinoj  e 
comunquedistrutto  in  piùluoghi  da  igno- 
ranti villici,  vedesi  ch'egli  avea  un  lieve 
pendio  verso  mezzogiorno.  La  città  ve- 
niva in  tal  modo  provvista  d'acque  po- 
tabili. Si  vuole  lavoro  romano  certissimo, 
per  sapersi  essere  stati  primi  i  romani  a 


182  VEN 

modificare  l'arco  forse  scoperto  dagli  e- 
(ruschi ,  adoperando  materiali  piccoli  e 
leggeri,  e  riunendoli  con  duro  cemento, 
come  nel  caso  in  argomento.  Quanto  al- 
le mura  che  cingevano  la  città,  di  cui  si 
rinvennero  tracce,  non  è  mollo,  nelle  ter- 
re della  mensa  episcopale,  considerevol- 
mente robuste,  erano  costrutte  di  grosse 
pietre  irregolari  quasi  senza  cemento,  il 
qual  modo  di  costruire  era  proprio  de* 
più  antichi  popoli  d'Italia.  Le  molte  ca- 
se scopertesi  pare  fossero  d'un  solo  pia- 
no, aventi  un  pavimento  durissimo,  ed 
alcuni  altri  di  musaico,  tra 'quali  è  rimar- 
chevole il  suddescritto,  nuovamente  en- 
comiato per  lavoro  peregrino,  pe*  colori 
vivacissimi  e  per  esecuzione  la  più  accu- 
rata, che  l'ab.  Gazzerra  disse  appartenu- 
to ad  una  sala  da  bagni.  Ma  cosi  prezio- 
so capo  d'arte,  per  iucuria  venne  guasto 
e  rotto:  questa  barbarie  e  peggio  si  com- 
mise nel  secolo  XIX!  Imperocché  la  sco- 
perta del  leggiadro  musaico  avendo  trat- 
to sul  luogo  gran  turba  di  popolo  delle 
ville  adiacenti  ,  specialmente  nelle  feste 
deli.0  e  2.0 febbraio 1 852,  ed  essendo  es- 
so situato  in  campagna  aperta,  il  vesco- 
vo avea  fatto  circondar  di  siepi  il  recin- 
to; uondiuieuoque'villici  non  paghi  di  ve- 
dere e  osservare  a  lor  piacere  il  pavimen- 
to, discesero  nello  scavo  e  ne  staccarono 
anche  de'  piccoli  pezzi,  affine  di  recarne 
un  saggio  alle  loro  case, con  deplorando 
vandalismo.  Nelle  dette  case  molti  pre- 
ziosi oggetti  si  conservarono,  a'tempi  del 
p.  Angelico  Aprosio,  il  Nervia  ne  scuo- 
priva  due  fornite  di  tutto  punto:  s'unii  co- 
sa succedeva  di  recente  all'egregio  Gae- 
tano Fenoglio  nello  scavare  le  fonda- 
menta d'una  villeggiatura,  il  quale  a  mol- 
ti utensili  domestici,  unisce  una  preziosa 
raccolta  di  vasi  di  terra  cotta  semplici  e 
in  bassorilievo.  Vi  si  scorgono  anfore,  a- 
mule,cadi,  lenticule,  ed  olle  tutte  in  buo- 
nissimo stato.  Non  è  molto,per  cura  del 
can.  Stefano  Aprosio,  vedeva  la  luce  lo 
zoccolo  d'un  grandioso  edilìzio,  formato 
da  grossissimi  massi  quadrilateri  di  cai- 


VE  N 
bonato  calcare  bianco,  con  accanto  pro- 
porzionati cornicioni  della  stessa  pietra  ; 
vi  si  rinvennero  monete  degl'imperatori 
Treboniano  e  Volusiano;  e  quel  che  più 
monta,  un  frammento  di  bassorilievo  in 
terra  cotta,  rappresentante  Adone  e  Ve- 
nere. Le  proporzioni  naturali ,  i  profili 
delicati  in  una  prominenza  assai  piccola, 
ci  sono  testimoni  del  felice  stato  dell'arti 
belle  a  que'  tempi.  Pochi  passi  distante 
nel  novembre 1 852  si  scuoprì  un  2.°  pa- 
vimento a  musaico  di  maggior' graudez- 
za  deli.0,  non  però  di  tanta  finezza  :  vi 
campeggia  nel  mezzo  Arione  seduto  so- 
pra un  delfino,  e  gli  sono  attorno  infiniti 
altri  pesci  che  guizzano.  Dalle  rovine  an- 
cora aderenti,  da  un  frammento  d'iscri- 
zione onoraria  e  da  vari  canaletti  sotter- 
ranei, si  potè  qualificare  un  Sciceli  uni. 
Si  trovarono  pure  un  bassorilievo  di  mar- 
mo ad  arabeschi,  una  colonna  e  altre  co- 
se comuni  della  località.  Sotto  i  vescovi 
venlimigliesi  Galbiato  e  Nicolò  Spinola 
si  rinvennero  pezzi  di  marmo  di  divinità 
pagane  andate  perdute;  sotto  mg.r  Pro- 
montorio una  preziosa  gemma  incisa;mg.r 
Clavaiini  estraeva  egli  stesso  un  lungo 
tubo  metallico  di  ragguardevole  prezzo; 
e  T  attuale  vescovo  mg.r  Biale  rinvenne 
una  testa  di  bronzo  di  tipo  greco  affatto, 
avente  il  capograudee  piatto,  fronte  bas- 
sa e  spaziosa,  faccia  larga  e  quadrata,  col- 
io corto  e  grosso.  Lungo  sarebbe  il  ricor- 
dare le  tante  medaglie  e  monete  roma- 
ne, e  spesso  greche,  scavate  iti  quel  luo- 
go; basti  Udire, che  nel  secolo  scorso  qua- 
si tutte  le  famiglie  nobili  venlimigliesi  ne 
avevanoconsiderevoli  raccolte,  ed  alcune 
di  esse  forse  adornauo  presentemente  pri- 
vati e  pubblici  musei.  Nel  1857  si  comin- 
ciò a  pubblicare  dalla  tipografìa  econo- 
mica editrice  di  Torino:  Storia  della  cit- 
tà di  Peritimi  glia  dalle  sue  origini  a' no- 
stri tempi,  scritta  da  Girolamo  Rossi.  A* 
pregi  distinti  di  quest'antica  citlà,  si  ag- 
giungono le  illustri  prerogative  del  pure 
antico  suo  contado,  che  quantunque  di 
non  grande  estensione,  abbonda  di  terre 


V  E  N 
insigni,  le  quali,  come  la  città,  in  ogni 
tempo  diedero  personaggi  di  valore,  dot- 
trina e  probità,  sì  alla  Chiesa  e  si  allotta- 
to. Il  g>an  padre  de'monaci  e  popolato- 
re de'deserti,  che  tante  anime  col  suo  e- 
sempio  guidava  al  cielo,  s.  Antonio  ab- 
bate,  sebbene  si  scrive  essere  stato  di  na 
zione  egizio,  ed  aver  avuto  per padreBeal- 
basso  cittadino  d'Alessandria,si  tiene  non- 
dimeno aver  avuta  per  madre  Guitta, 
Gietta  oGhitta,  ossia  Margherita,  matro- 
na nobile  di  Ventimiglia,  non  già  figlia 
d'un  conte  di  Ventimiglia,  allora  essen- 
do la  città  dominata  da'romani.  Di  Ven- 
timiglia si  vuole  anche  Publio  Elvio  Per- 
tinace salutato  imperatore  romano  dopo 
l'uccisione  di  Comodo,  ma  non  regnò  che 
87  giorni,  ne'quali  fece  moltissimi  prov- 
vedimenti salutari;  volendo  riformare  gli 
abusi  nelT  ormai  generale  corruttela  ,  i 
pretoriani  lo  trafissero  di  1 00  colpi  a'  1 8 
marzo  1  g3.A  Itri  lo  dissero  d'Alba  diMon- 
ferrato, e  l'Ughelli  nato  libertino  patre, 
in  agro  Lolii  Gradarti  non  longe  ab  In- 
timino municipium  romanorum.  —  Fu- 
rono i  principali  luoghi  del  contado:  So- 
spello,  Sospitellum,  piccola  città  ducale, 
situata  in  profonda  valle,  che  il  fìumicel- 
lo  Deverà,  influente  del  Roja,  divide  in 
due  parti  alle  falde  del  colle  di  Braus,  già 
capoluogo  d'una  delle  vicarie  della  con- 
tea di  Nizza:  mirabile  è  l'artificiosa  col- 
tura a  grano,  vigne,  oli  veto  e  prato.  E' 
patria  del  gesuita  Teofilo  Raynaud.  — 
Tenda,  rinomato  borgo  ch'ebbe  già  il  ti- 
tolo di  contea,  posto  in  altura  sulla  valle 
bagnata  dalRoja,edàil  nomea  quel  pas- 
so della  catena  delle  Alpi  Marittime  che 
mena  dal  Piemonte  a  Nizza,  detto  il  Col- 
le  di  Tenda ,  a  11  e  cui  falde  giace  il  borgo. 
Lo  possedette  la  famiglia  de  Lascaris,  che 
regnò  uell'  impero  di  Nicea  ,  e  die'  altri 
personaggi  insigni.  Il  conte  Gio.  Antonio 
Lascaris  cominciò  la  fabbrica  della  chie- 
sa di  s.  Maria,  compita  poi  da  Renato  di 
Savoia,  detto  il  gran  bastardo,  governa- 
tore di  Nizza:  essa  è  la  più  vasta  e  mae- 
stosa chiesa  de'dinloi  ni . —  Saorgio,  boi- 


VEN  iS3 

go  e  importante  fortezza  posta  su  diru- 
pato scoglio,  chedouaina  la  valle  del  Roja, 
alla  sinistra  del  fiume  di  tal  nome,  e  do- 
ve la  valle  stessa  è  più  angusta,  che  me- 
glio direbbesi  antro,  giacché  le  cime  de' 
duemontidannoscarsoadito  alla  luce.  — > 
Briga,  borgo  situato  sulla  riva  sinistra  del- 
la Livenza,  con  castello  e  chiesa  collegia- 
ta. Questi  quattro  luoghi  furono  compre- 
si poi  nel  contado  di  Nizza,  sebbene  talu- 
no di  essi  sia  decaduto  dal  suo  lustro  e 
stato  primiero. 

Ventimiglia,  viene  indicata  dagli  scrit- 
tori latini  con  vari  nomi.  Plinio  la  disse, 
Album  Inleineliiun ;  Varrone  ,  Inteme- 
liiimj  Stratone,  Intemelium,  Album  In- 
lemeliiim ,  ed  Entimelium,  Albinteme- 
liiirUyEntimellum,  Eantimeliwn,  Albium 
Intimelinm  la  denominarono  altri,  f  suoi 
abitatoti  voglionsi  originati  dagl'Inganni, 
popoli  liguri  antichi  alpini  soggiogati  da' 
romani,  alleati  di  Magone  figlio  d'Amil- 
care,vinti  da'consoli  Appio  Claudio  i!Z?e/- 
lo  e  da  Lucio  Emilio  Paolo  :  dierono  il 
nome  ad  Albingauna  o  Albenga,  che  di  ♦ 
venne  loro  capitale.  Perciò  gì' Internelii 
chiamarono  la  loro  città  capitale  Albin- 
temilia  o  Albintimilio 3  e  corrottamente 
Ventimilia,  Vintimiliam ,  Figintimi- 
liam  0  Ventimiglia.  Non  è  vero ,  come 
pretende  il  Zazzera,  che  pe'siciliani  conti 
di  Ventimiglia  signori  di  essa,  l'etimolo- 
gia diVentimiglia  derivi  da  ventimila  mo- 
ri posti  in  fuga  vicino  a  Messina  da  uno 
di  tale  casa,  che  con  poco  numero  di  si- 
ciliani era  venuto  con  esso  loro  a  batta- 
glia. Il  coguome  di  Lascaris  a'  conti  di 
Ventimiglia  derivò  loro  per  viadi  donne, 
ossia  del  matrimonio  con  Eudossia,  come 
già  dissi;  laonde  non  sembra  affatto  che  da 
essi'sieno  derivati  gl'imperatori  di  Nicea, 
come  pretese  alcuno  erroneamente.  Pare 
chea'tempi  di  Strabone,  kìbegaa,  Albium 
Ingaunum,  fosse  di  minor  nome  che  Al- 
bium Intcmelium  o  Ventimiglia,  per  a- 
verla  qualificata  cou  titolo  di  grande  cit- 
tà, l'altra  indicandola  colla  sola  voce  re- 
strittiva d'  Oppidum  ,  sebbene  poi  non 


,84  VEN 

mancò  di  tendersi  in  più  modi  cospicua 
e  segnalata.  Dalle  lettere  familiari  di  Ci- 
cerone, lib.  8,  Epist.iSySi  apprende  che 
i  liguri  inttmtlii  o  ventimigliesi  ,  erano 
gente  industre,  laboriosa,  guerriera.  Giof - 
iredo  disse  quelli  di  Sospello  e  del  con- 
tado di  Vintimiglia,  belli  ingegni,  armi- 
geri e  animosi,  ma  ricordevoli  delle  offe- 
se, e  perciò  mantenitori  di  risse  e  fazio- 
ni, che  con  la  morte  di  molti  talvolta  in 
que'contoi  ni  durano  immortali.  La  città 
soggiacque  alle  molte  vicende  comuni  al- 
la Liguria  e  a  tutto  il  resto  d'Italia,  nel- 
la romana  dominazione,  finché  nell'anno 
69  di  nostra  era,  dopo  la  morte  di  Ne- 
rone, rotta  guerra  tra  gli  aderenti  di  Ot- 
tone e  di  Vitellio,  aspiranti  all'  impero, 
tutta  la  Liguria  ne  fu  il  teatro,  perchè  Ot- 
tone per  meglio  stabilirsi  nell'impero  vol- 
le tirare  dalla  sua  l'Alpi  Marittime  e  la 
Provenza  ,  mentre  ubbidito  dalla  mag- 
gior parte  d'Italia,  vedeva  però  l'Alpi  Co- 
zie  e  Pennine  inclinate  alla  fazione  del 
competitore  Vitellio.  Più  d'ogni  altra  cit- 
tà ne  soffri  Ventimiglia,  seguace  di  Vi- 
tellio. Nel  sacco  datole  dagli  Ottomani, 
fu  allora  che  peri  la  summentovata  Giu- 
lia Procilla  madre  del  celebre  capitano 
Giulio  Agricola  di  Frejus.  Si  rese  in  que- 
st'occasione rinomata  presso  i  posteri  una 
ventimigliese,  la  quale  avendo  nascosto  il 
figlio  per  dubbio  che  da'soldati  non  fos- 
se ucciso,  credendo  quelli  che  insieme  col 
i.°  e  più  caro  tesoro  avesse  occultato  il 
2.0,  cioè  le  gioie  ed  i  denari,  e  perciò  sti- 
molandola con  tormenti  a  manifestarlo, 
essa  quasi  burlandosi  della  morte,  rispose 
loro  mostrandogli  il  ventre,  ch'ivi  suo  fi- 
glio si  stava  ascoso  ,  né  per  quanto  eoa 
varie  sorta  di  strazi  e  di  torture  s' inge- 
gnassero di  farle  palesare  il  nascondiglio, 
ottennero  da  quella  donna  d'animo  viri- 
le e  valorosa  altra  risposta,  sinché  stimo- 
lati dallo  sdegno  e  dall'avarizia,  barba- 
ramente la  privarono  di  vita.  Nella  de- 
cadenza dell'impero  romano, Ventimiglia 
successivamente  fu  invasa  da'goti  e  altri 
barbari,  indi  da'Iongobardi,  i  quali  con- 


VEN 
dotti  dal  loro  re  ariano  Rotali,  vinto  l'e- 
sarca Teodoro  presso  il  fiume  Scultenna 
vicino  a  Modena,  nel  639  occupata  la  Li- 
guria, quasi  del  tutto  manomisero  e  in- 
cendiarono Ventimiglia.  Intanto  i  sarace- 
ni dopo  aver  dato  il  guasto  e  danneggia- 
to le  Alpi  Marittime,  occupato  nell'879 
Frassineto,  visi  annidarono  e  quindi  de- 
vastarono tutti  i  dintorni,  finché  furono 
cacciati  da  Guglielmo  I  conte  di  Proven- 
za nel  968.  Indi  nel  999  circa  si  stabiPi 
nell'Alpi  Marittime  la  nobilissima  fami- 
glia de'conti  di  Ventimiglia,  la  di  cui  di- 
scendenza durava  ancora  nel  contado  di 
Nizza  in  Provenza,  ed  in  Sicilia,  sebbe- 
ne diminuita  di  stato  e  signorie,  cioè  al 
tempo  dello  storico  Gioffredo,  che  con- 
dusse la  sua  bella  storia  oltre  l'annoi  652 
e  morì  nel  1692.  II  documento  più  anti- 
co in  riguardo  a  questi  conti  è  la  conven- 
zione tra  Arduino,  marchese  probabil- 
mente d' Ivrea  poi  re  d'Italia,  e  gli  abi- 
tanti di  Tenda,  Saorgio  e  Briga,  luoghi 
dell'antico  contado  di  Ventimiglia,  sot- 
toscritta da  Ottone  I  e  Conrado  I  conti 
di  Ventimiglia,  originati  verosimilmen- 
te da  Oddone  uno  de'figli  del  famoso  A- 
leramo,  marchese  investito  dall'impera- 
tore Ottone  I  dì  nuove  terre,  marito  di 
Gerberga  figlia  del  re  Berengario  II,  cre- 
duto stipite  de'  marchesi  di  Monferrato, 
Vasto,  Saluzzo,  Savona, Ceva  ec.  La  suc- 
cessione d'Ottone  I  e  di  Conrado  I  conti 
di  Veutimiglia,  quella  de'conti  di  Ven- 
timiglia signori  di  Lezinasco,  e  quella  de- 
gli altri  rami  de'signori  di  Tenda,  signo- 
ri della  Briga,  signori  di  Castellaro,  si- 
gnori di  s.  Albano  e  del  Poggetto,  sono 
riportati  colle  notizie  storiche  nel  citato 
t.  4,  Monumenta  historiae  patriac.  Ver- 
so il  1 1 3o  avendo  i genovesi  costretto  cou 
violenza  il  conte  di  Ventimiglia  e  gli  a- 
bitanti  di  alcune  terre  a  quello  soggette 
a  giurare  omaggio  al  loro  comune,  O- 
berto  uno  de'conti  non  potendosi  dar  pa- 
ce, che  i  genovesi  senza  alcun  giusto  ti- 
tolo volessero  obbligar  egli  e  i  suoi  sud- 
diti ad  un  ingiusto  vassallaggio  e  soggeziq- 


VEN 
ne,  ricusò  di  continuare  a  prestare  il  det- 
to omaggio  ed  a  riconoscere  i  suoi  feudi 
da  quel  comune.  Per  cui  i  genovesi  vo- 
lendocontro  di  lui  armareper  maree  per 
terra,  tolsero  in  loro  compagnia  i  figli  di 
Bonifacio  marchese  del  Vasto  e  di  Savo- 
na, al  quale  promisero  la  metà  di  tutto- 
ciò  che  nel  contado  di  Ventimiglia  si  fos- 
seconquistato,  ogniqualvolta  checonioo 
cavalli  e  r  ooo  fanti  fossero  concorsi  a  quel- 
l'impresa. L'esito  di  questa  mossa  fu,  che 
neh  140  la  città  di  Ventimiglia  costret- 
ta a  cedere  alla  forza,  non  potè  di  meno 
da  non  giurare  la  fedeltà  a'  vincitori  ,  i 
quali  a  far  lo  stesso  costrinsero  tutte  le 
terre  di  quel  contado,  se  è  vero  ciò  che 
scrive  il  Caffaro,  il  più  antico  fra  gli  sto- 
rici genovesi.  Neil  i  57  i  genovesi  procu- 
rarono di  stabilirsi  con  apparenza  di  nuo- 
ve ragioni  e  titoli  nel  possesso  del  conta- 
do di  Ventimiglia;  il  che  fecero  dando  la 
cittadinanza  a  Guidone  Guerra,  uno  di 
que'conti,  il  quale  in  contraccambio  giu- 
rò fedeltà  al  comune  di  Genova,  con  do- 
nargli nel  tempo  stesso  tutte  le  sue  ca- 
stella, di  cui  ricevè  da'consoli  con  inse- 
gna rossa  rinvestitura.  Ma  ben  presto  i 
suoi  sudditi  fecero  conoscere  quantoaves- 
sero  in  odio  la  soggezione  genovese;  per 
cui  appena  nel  r  i58  l'imperatore  Fede- 
rico I,  vinti  i  milanesi, mandò  i  suoi  mes- 
si a  Savona  e  nel  restante  della  riviera  di 
ponente  per  esigere  i  diritti  imperiali,  i 
ventiraigliesi  gettate  a  terra  l'insegne  de* 
genovesi,  e  impadronitisi  del  castello  che 
per  tenerli  in  fedeaveano  fabbricato,  a- 
nimati  a  ciò  fare  da  detti  messi,  l'atter- 
rarono interamente.  I  genovesi  si  quere- 
larono con  l'imperatore,  domandando  la 
ristorazione  del  castello  e  il  risarei  men- 
to de'danni.  Non  pare  che  Federicol  das- 
se  soddisfazione  a  Genova,  e  questa  per 
timore  si  quietò.  L'ultimo  d'agosto  1  1  76 
si  giurò  solenne  tregua  in  Italia,  che  get- 
tò i  fondamenti  della  pace  conclusa  nel 
seguente  anno  iu  Venezia  (V.),  tra  le  cit- 
tà aderenti  alla  Chiesa  e  al  Papa  Ales- 
sandro IU,  e  quelle  che  si  tenevano  per 


VEN  i8ì 

lo  scismatico  e  scomunicato  imperatore 
Federicol,  il  quale,  tra  le  altre  città,  a vea 
dalla  sua  quelle  d'Asti,  Genova,  Savona, 
Albenga  e  Ventimiglia,  che  perciò  furo- 
no nominatamente  comprese  nell'  istro- 
mentodi  tale  tregua,  insieme  co'marche- 
si  di  Monferrato,  del  Vasto  e  del  Bosco, 
parimenti  aderenti  a  Cesare.  Mentre  le 
cose  erauo  intorbidate  in  Provenza,  non 
erano  totalmente  tranquille  nella  Ligu- 
ria per  le  dissensioni  nate  tra  la  città  e  i 
conti  di  Ventimiglia  per  cagione  dell'im- 
munità pretese  da  quella,  e  dal  dominio 
che  i  conti  in  essa  pensavano  continuare, 
non  ostante  gl'impedimenti  che  in  vari 
tempi  vi  a  vea  no  frapposto  i  genovesi.  Fi- 
nalmente avendo  ambe  le  parti  eletta  la 
via  amichevole,  fecero  Ottone  conte  di 
Ventimiglia  da  un  canto,  e  Gandolfo  Ca- 
sollo  console  di  Ventimiglia  dall'altro  l'S 
o  il  9  settembre  1 185  in  Genova  avanti 
i  consoli  di  quel  comune  certi  patti,  pe* 
quali  Ottone  conte  di  Ventimiglia  con- 
fermò a'ventiinigliesi  tuttociò  che  già  era 
stato  loro  concesso  e  accordatodal  fu  Gui- 
done Guerra  conte  di  Ventimiglia  suo 
fratello,  e  ciò  ch'egli  medesimo  avea  pat- 
tuito in  presenza  dell'imperatore  Fede- 
rico I.  Promise  che  non  impedirebbe  il 
libero  passaggio  ad  alcun  abitante  delle 
terre  di  detto  fu  suo  fratello,  il  quale  ve- 
nisse con  sale  e  altre  mercanzie  partico- 
lari, anzi  lo  difenderebbe  a  suo  potere, 
fuorché  ciò  facesse  per  fraudare  o  dimi- 
nuire il  diritto  che  gli  spettava.  Restitui- 
va la  pace  a  nome  suo  e  de'  suoi  figli  a 
quelli  di  Ventimiglia,  il  quale  promette- 
va di  conservar  illibata.  Venendo  a  na- 
scere qualche  discordia  tra  le  parti,  quel- 
la si  terminerebbe  amichevolmente  fra 
4o  giorni  per  mezzo  di  due  uomini  dab- 
bene da  eleggersi  quinci  e  quindi,  a'qua- 
li,  non  potendosi  concordare,  s'aggiunge- 
rebbe un  causidico  a  spese  comuni.  L'os- 
servanza di  tutto  questo  giurerebbe  egli, 
i  suoi  figli  eroo  de'suoi  sudditi,  ad  ele- 
zione de'cittadini  di  Ventimiglia.  Il  tut- 
to salva  la  fedeltà  e  divieti  di  Federico  I 


i86  V  E  N 

imperatore  e  de'  consoli  di  Genova.  Dal- 
l'altro canto  Gandolfo  console  di  Venti- 
miglia  promise  a  nome  del  suo  comune 
al  conte  Ottone,  che  non  avrebbe  aggre- 
gato fra'cittadini  di  Ventimiglia  alcuno 
degli  abitanti  in  5  luoghi  particolari,  cioè 
nel  Zerbio,  Gorbio,  Pigna,  Roccabruna 
e  Dolceacqua,  né  altro  de'  di  lui  sudditi 
che  avesse  commesso  contro  di  lui,  ov- 
vero de'suoi  figli  delitto  di  fellonia.  I  ven- 
timigliesi non  darebberoimpedimento  ad 
alcun  suddito  di  esso  conte  abitante  m 
Ventimiglia  ,  il  quale  volesse  ripatriare. 
Non  fomenterebbero  o  spalleggierebbero 
alcuno,  il  quale  avesse  animo  di  togliere 
le  sue  terre  o  diritti  ad  esso  conte,  anzi 
a  loro  potere  al  medesimo  conte  dareb- 
bero aiuto  e  man  forte  contro  chi  lo  vo- 
lesse offendere  ne'beni  o  nella  persona. 
Finalmente  che  si  rappacificavano  seco, 
con  la  di  lui  moglie  e  figli,  promettendo 
di  far  giurare  l'adempimento  di  quanto 
sopra  a'consoli  di  Ventimiglia  d'anno  in 
anno,  ed  a  100  de'più  cospicui  cittadini 
che  più  fossero  in  grado  di  detto  conte. 
Nel  i  198  fu  guerra  nella  Liguria  occi- 
dentale tra'genovesi  e  i  ventimigliesi,  i 
quali  non  potendo  dimenticare  d'essere 
stati  con  violenza  necessitati  a  riconosce- 
re il  comune  di  Genova,  dopo  la  depres- 
sione de'loro  conti,  spalleggiati  com'è  da 
credere  da'provenzali,che  in  questo  tem- 
po non  s'intendevano  bene  con  quella  re- 
pubblica, se  le  ribellarono  contro  aper- 
tamente. I  genovesi,  cui  premeva  ridurli 
ad  ubbidienza,  mandato  alla  volta  di  que- 
sta città  gran  numero  di  gente,  la  tenne- 
ro assediata  per  mare  e  per  terra  da'26 
luglio  sin  dopo  il  principio  di  settembre, 
combattendola  con  diverse  macchine  e 
dando  il  guasto  alla  campagna.  Ma  per 
mancanza  d'unione,  i  ventimigliesi  tor- 
narono soggetti  a  Genova;  la  quale  a'icj 
didetto  mesefecegiuraread  Albengal'an- 
tiche  convenzioni ,  e  promettere  di  far 
guerra  a  Ventimiglia,  perchè  dubitava  di 
sua  fede.  Intanto  nuove  rotture  avven- 
nero fra'genovesi  e  Ventimiglia,  raostran  • 


V  EN 

dosi  questa  ferma  contro  le  loro  minac- 
ce. Volendola  perciò  Genova  di   nuovo 
soggiogare,  nel  1200  inviò  alla  sua  volta 
il  podestà  Rolandino  lucchesecon  alquan- 
te galeree  buon  numero  di  soldati.  Sbar- 
carono di  primo  tratto  a  s.  Remo,  quin- 
di gettate  le  ancore  e  piantati  i  padiglio- 
ni a  s.  Ampeglio,  ivi  fermatisi  molti  gior- 
ni attesero  a  dare  il  guasto  a  tutta  quel- 
la valle,  ch'era  del  distretto  di  Ventimi- 
glia sino  al  fiume  Nervia  ,  tagliando  le 
biade  e  gli  alberi,  e  spiantando  le  vigne; 
ma  non  per  questo  risolvendosi  i  venti- 
migliesi d'arrendersi,  suonossila  ritirata. 
Nel  seguente  1201,  i  ventimigliesi  veden- 
dosi da  3  anni  attaccati  da'genovesi  e  per- 
seguitati in  mare  nelle  loro  galere,  cre- 
derono meglio  cedere  al  tempo,  che  ti- 
rarsi addosso  una  totale  rovina  e  distru- 
zione. Per  cui  si  recarono  a  Genova  a  pie- 
di scalzi  e  colle  croci  in  mano,  ed  ivi  pro- 
stratisi avanti  a'  consoli,  promisero  con 
giuramento  fedeltà  e  ubbidienza.  Ma  non 
contenti,  la  sottomissione  non  fu  since- 
ra, e  nel  12  i5  i  genovesi  intercettarono 
una  lettera  de'ventiraigliesi  diretta  a'pi- 
sani  per  accostarsi  a  loro,  coli'  intenzio- 
ne di  scuotere  il  giogo  di  Genova.  Avve- 
dutisi i  ventimigliesi  che  si   dubitava  di 
loro  fedeltà,  mandarono  in  quella  città 
a  giurarla  senza  limiti,  i  loro  deputati  o 
consoli  nel  1 2  1  8;  ma  il  podestà  volle  che 
altrettanto  facessero  tutti  i  capi  di  casa 
in  Ventimiglia:  tuttavolta  non  tardaro- 
no a  romperla.  Imperocché  dubitando- 
ne sempre  i  genovesi,  nel  12  19  inviaro- 
no alla  città  il  podestà  Rambertino  Gui- 
dono  bolognese  con  4  galere  della  repub- 
blica armate,  affinchè  i  cittadini  confer- 
masseroil  giuramento  pubblica  mente  nel- 
la cattedrale  di  s.  Maria  e  nelle  mani  de' 
commissari  deputati.  Ma  i  ventimigliesi 
ricusarono  di  corroborare  col  sigillo  del 
comune  a  quanto  eransi  obbligati   con 
istromento,  non  ostante  l'ammonizioni 
del  podestà.  Allora  questi  assediò  la  città 
per  mare  e  per  terra,  con  numeroso  e- 
sercito  a  piedi  e  5oo  cavalli,  e  gli  aiuti 


VEN 
di  diversi  aderenti  alla  repubblica.  Co- 
iiìinciato  l'assedio  a*  io  maggio,  dato  il 
guasto  alla  campagna  e  preso  un  bel  va- 
scello carico  di  grano,  il  podestà  tornò  a 
Genova,  lasciando  all'assedio  3  galere  e 
altrettanti  legni  armati.  Non  oziando  i 
ventimigliesi,  armala  una  saettia  e  invia- 
tala in  Sicilia  in  corso,  presero  ivi  due  na- 
vi de'genovesi.  Venendo  poi  in  Sardegna 
fecero  l'islessa  preda  d'un  vascello  geno- 
vese uscito  dal  porlo  di  Cagliari,  e  mag- 
giori progressi  avrebbero  fatti ,  se  non 
dava  alla  caccia  de'ventimigliesi  uua  ga- 
lea armata  genovese,  obbligandoli  a  la- 
sciar il  vascello,  la  notte  avendo  favori- 
to la  fuga,  dopo  combattimento  e  feriti 
d'ambe  le  parti.  Di  questo  non  contenti, 
dopo  pochi  giorni  i  ventimigliesi  andati 
con  uua  galera  armata  nel  porto  di  Tu- 
nisi, ivi  s' impadronirono  d' altra  nave 
nemica,  chiamala  Benvenuta,  cogli  uo- 
mini e  le  mercanzie.  Per  rifarsi  di  que- 
sto danno,  la  repubblica  fece  armare  due 
galerecomandate  da  Zaccaria  Castello,  il 
quale  raggiunse  la  saellia  presso  l'isola 
d'Hyeres,  la  quale  colla  Benvenuta,  che  i 
ventimigliesi  aveano  armata,  incalzava- 
no la  nave  genovese  s.  Leonardo.  Allora 
questa  incoraggiata  dal  veder  le  due  ga- 
lere patrie,  in  unione  di  queste  assaliro- 
no la  galea  ventimigliese,  ed  obbligata- 
la a  lasciar  libera  la  Benvenuta,  non  po- 
terono prenderla  per  esser  fuggita  in  al- 
to mare  col  favor  delle  tenebre;  e  poi  av- 
vicinatasi alla  città  potè  da  questa  esser 
soccorsale  liberarsi  da  M'esser  presa,  ben- 
ché avendo  dato  tra  due  scogli  sotto  Roc- 
cabruna  restò  infranta.  Continuandosi»!- 
tanto  l'assedio  di  Ventimiglia,  il  podestà 
di  Genova  Rambertino,  a  sollecitarne  l'e- 
spugnazione, tirò  dalla  sua  Manuele  con- 
te di  Ventimiglia,  facendo  seco  a  nome 
del  comune  di  Genova  nuovi  accordi,  pe' 
quali  il  conte  s'obbligò  d'assistere  duran- 
te quell'assedio  a'genovesi,  colle  sue  for- 
ze, castella  e  sudditi;  d'offendere  a  tutto 
suo  potere  quelli  di  Ventimiglia,  di  rom- 
pere la  strada  che  da  essa  per  la  Penna 


VEN  187 

conduceva  a  s.  Dalmazzo;  di  fare  il  pos- 
sibile per  ricuperare  il  castello  di  detta 
Penna,  che  tenevasi  da'ventimigliesi;  di 
non  far  con  questi  durante  tal  guerra  tre- 
gua o  pace  senza  il  consenso  de'genove- 
si, e  di  rimetter  loro  i  prigioni  che  aves- 
se fatto  e  mediante  riscatto.  Invece  il  po- 
destà promise,  pagare  a  lui  e  all'assente 
fratello  conte  Guglielmo, i5o  lire  al  me- 
se finche  durasse  l'assedio.  SdegHati  i  ven- 
timigliesi dell'accordo,  piombarono  sulle 
terre  de' conti,  ma  4  5  rimasero  prigioni, 
cheMan  uele  conseguo  al  podestà  per  1 5oo 
lire.  Dispiacenti  i  ventimigliesi  della  pri- 
gionia de' concittadini,  per  liberarli  fìn- 
sero di  tornar  all'ubbidienza  della  repub- 
blica, onde  fu  loro  imposto  mandar  a  Ge- 
nova 29  cittadini  de'più  cospicui  per  o- 
staggi,  affinchè  servissero  ad  assicurare 
quanto  promettevano.  Giunti  che  furo- 
no, dubitandosi  di  qualche  inganno,  il  pò* 
desta  mentre  n'esigeva  maggior  numero, 
alcuni  fuggirono  e  gli  altri  furono  arre- 
stati con  Giacomo  di  Caraglio  podestà  di 
Ventimiglia.  L'assedio  si  strinse  con  mag- 
gior vigore  anche  dalla  parte  di  s.Remo, 
e  la  guerra  si  riprese  con  più  forza  nel 
1 22 1  dal  nuovo  podestà  di  Genova  Lot- 
terengo  Martinengo  bresciano,  con  nuo- 
vo esercito  di  fanti  e  3oo  cavalli  recan- 
dosi a  far  piazza  d'armi  a  s.  Remo,  per 
poter  più  da  vicino  venir  a  fine  di  quel- 
1'  impresa.  Ma  quando  si  accingeva  con 
tutte  le  armi  a  portarsi  sotto  le  mura  di 
Ventimiglia,  seppe  cheRaimondoBeren- 
gario  VI  conte  di  Provenza,  accompagna- 
to da  molta  nobiltà,  era  venuto  in  soc- 
corso degli  assediali.  Il  podestà  udito  il 
consiglio,  fu  risoluto  trattenersi  in  s.  Re- 
mo, temporeggiando  fino  alla  partenza 
del  conte,  che  non  dovea  tardare  per  la 
scarsezza  delle  vettovaglie  e  foraggi  insuf- 
ficienti a  tanta  gente  e  cavalli,  siccome  av- 
venne, lasciando  in  Ventimiglia  suo  luo- 
gotenente e  comandante  dell'armi  Gu- 
glielmo 0  Guigone  di  Cottignaccon  alcu- 
ni ufficiali  e  soldati,  i  quali  pure  non  tar- 
darono a  tornar  in  Provenza.  Vedendo 


tSK  VEN 

il  podestà  Martinengo  tolto  tale  ostacolo» 
s'avvicinò  alla  piazza,  disponendo  le  sue 
genti  per  terra  e  per  mare  a  simultaneo 
attacco.  Questo  cominciato  con  impeto, 
gli  assediati  lo  respinsero  con  tanto  co- 
raggio, che  molli  ferirono  a  morte  e  1 1 
uccisero,  a  niuno  dando  quartiere.  L'e- 
sercito ne  restò  tanto  commosso  e  indi- 
spettito, che  voleva  ammazzare  i  prigio- 
nieri che  il  podestà  avea  seco  nel  campo. 
Egli  però  quietato  il  tumulto,  li  fece  por- 
tare legati  a  vista  delia  città,  giurando  che 
gli  avrebhe  fatti  accecare  se  fra  lo  spa- 
zio  d'8  giorni  non  si  rendeva.  Intimoriti 
dalla  minaccia  i  difensori,  mandarono  a 
trattar  d'accordo,  promettendo  con  giu- 
ramento di  3oo  cittadini,  d'  ubbidire  a 
quanto  il  Mai  tinengo  avesse  imposto.  Ac- 
cettando egli  questa  dedizione,  volle  pri- 
mieramente le  chiavi  della  città  e  l'ebbe. 
Avendo  poi  comandato  che  consegnasse- 
ro il  castello  d'Appio,  onde  farlo  presi- 
diare da'suoi  soldati,  nel  mandare  i  de- 
putati a  riceverlo,  non  solo  si  ricusaro* 
no,  ma  cercarono  d'imprigionarli;  il  che 
avendo  sommamente  irritato  il  podestà 
Martinengo ,  fece  subito  cavar  gli  ocelli 
ali  prigionieri  ventimigliesi.  Per  istrin- 
gerepoi  maggiormente  l'assedio,  fece  ca- 
vare un  alveo  molto  largo  e  lungo  quasi 
due  miglia,  dove  introdusse  buona  par- 
te del  fiume  Rutuba,  privando  di  quel- 
)'  acque  la  città,  contro  la  quale  inoltre 
fece  alzare  due  manganelli  e  due  trabuc- 
chi, per  tirare  grossissime  pietre  a  dan- 
no delle  case,  con  terribile  riuscita;  per 
chiudere  poi  l'entrata  della  foce  di  Ven- 
timiglia, dove  talvolta  solevano  stanzia- 
re i  vascelli ,  vi  sommerse  un  coppano, 
specie  di  naviglio  riempito  di  sassi  e  cal- 
cinaccio. Vi  aggiunse  una  lunga  siepe  di 
grosse  pietre,  facendovi  per  molti  giorni 
incessantemente  lavorare  con  pontoni  a- 
vuli  da  Genova.  Di  questo  non  contento, 
fabbricò  nel  vicino  monte  di  s.  Cristofo- 
ro due  castelli,  e  al  di  sotto  vicino  al  ma- 
re un  recinto  a  modo  d'una  nuova  città 
circondata  di  forti  mura,  alla  fabbrica  del* 


VEN 
le  quali  essendosi  unitamente  accinti  no- 
bili e  plebei,  così  presto  restarono  termi- 
nate, che  fu  cosa  di  stupore.  Alla  guar- 
dia di  queste  pose  2,000  valenti  soldati 
comandati  da  »Serleone  Pepe  con  sì  buon 
ordine,  che  restandone  que'di  dentro  in- 
comodati soprammodo,  da  quel  tempo  in 
poi  non  poterono  più  uscire  a  coltivare  i 
campi,  e  se  gli  riusciva  era  con  pericolo 
di  vita  e  della  libertà.  Non  tardò  a  farsi 
sentire  in  Ventimiglia  la  penuria  delle 
vettovaglie,  quindi  molti  per  non  perire 
di  fame,  ne  partirono  a  invocar  perdono 
da'  genovesi  e  abitare  la  nuova  città  da 
dove  di  frequente  offendevano  i  concitta- 
dini, e  tra  quelli  i  principali  furono  i  no- 
bili della  famiglia  De'  Giudici ,  beneme- 
rita più.  d'ogni  altra  della  repubblica  per 
la  fedeltà  dimostrata  in  varie  occasioni. 
Queste  cose  in  tal  guisa  ordinate,  il  po- 
destà Martinengo  seguito  da  lutto  l'eser- 
cito tornò  a  Genova,  lasciando  la  guar- 
dia delle  galere  per  impedire  a  Ventimi- 
glia soccorsi  dalia  parte  del  mare.  Gli  a* 
bitanti  di  s.  Remo  non  furono  in  queste 
contingenze  senza  fastidi ,  poiché  da  un 
lato  riceveano  ordine  dal  Martinengo  per 
gli  alloggi  e  spese  per  la  soldatesca,  dal- 
l'altro gli  vietava  l'ubbidire  Ottone  ar- 
civescovo di  Genova,  essendo  il  luogo  sog- 
getto nel  temporale  alla  sua  mensa,  rice- 
vuto in  dono  sino  da' tempi  di  s.  Siro  e 
poi  confermato  da'eonti  di  Ventimiglia, 
esigeva  non  doversi  contro  i  sudditi  della 
Chiesa  far  alcun  aggravio  o  imposta.  La 
cosa  giunse  al  punto,  che  pollatosi  l'ar- 
ci vescovo  a  s.  Remo,  ed  atterriti  colle  cen- 
sure gli  esecutori,  adirato  per  questo  pro- 
cedere il  podestà  di  Genova,  non  poten- 
do dare  il  guasto  a'beni  de'sanremaschi 
pe'suoi  capitani  Aimerico  e  Rubaldo,  con- 
dannò questi  all'uscir  dell'  ufficio  a  5oo 
lire,  e  all'arcivescovo  non  permise  ripa- 
triare,  occupando  l'entrate  di  sua  men- 
sa. Quest'azione  pare  non  tosse  approva- 
ta da  Dio,  poiché  poco  dopo  permise  che 
una  delle  galere  lasciate  di  guardia  a  Ven- 
timiglia, fosse  nottetempo  presa  da'ven* 


v  e  n 

limigliesi;  e  che  il  conte  di  Ventimiglia 
Guglielmo  contro  il  convenuto  dal  fra- 
tello Manuele,  lasciato  il  partito  di  Ge- 
nova, si  voltasse  a  quello  di  Ventimiglia, 
accettando  in  questa  l'uffizio  di  podestà 
e  cosi  facendosi  capo  de'combattenti  con- 
tro la  repubblica.  Vedendo  le  terre  cir- 
convicine, che  questa  guerra  di  cosi  lun- 
ga durata,  dopo  la  città  poteva  incomo- 
dare tutto  il  suo  contado,  ed  essere  attac- 
cate, verso  il  fine  del  1221  si  collegaro- 
no specialmente  Tenda,  Briga,  Saorgio  e 
Breglio,  per  reciprocamente  difendersi  e 
aiutarsi  contro  tutti,  fuorché  contro  il  con- 
te di  Ventimiglia,  e  di  non  permettere 
l'erezione  d'alcun  forte  ne'  loro  confini. 
Finalmente  nel  1222  terminò  l'impresa 
di  Ventimiglia,  composte  prima  le  discor- 
die tra  il  podestà  e  l'arcivescovo  di  Ge- 
nova, che  tornò  alla  sua  sede,  coll'inter- 
vento  di  Papa  Onorio  111.  Avendo  i  ge- 
novesi preso  una  saettia,  colla  quale  cor- 
seggiavano ne'circoslanti  mari  i  ventimi- 
gliesi,  insieme  colla  miglior  parte  di  lo- 
ro, e  temendosi  che  perissero  con  l'ulti- 
mo supplizio  ,  questo  fu  causa  che  i  cit- 
tadini di  Ventimiglia,  che  indarno  si  sfor- 
zavano di  resistere  a'più  potenti,  diman- 
darono con  grande  istanza  la  pace,  offe- 
rendosi di  stare  a  quelle  condizioni  che 
loro  fossero  state  prescritte  da'  vincitori. 
Queste  poi  furono  in  ristretto:  Che  salve 
le  persone,  cose  e  beni,  la  repubblica  di 
Genova  avesse  sui  ventimigliesi  giurisdi- 
zione e  dominio,  con  facoltà  di  destinare 
il  podestà,  e  prendere  tutti  i  redditi  del 
comune,  e  di  fabbricare  sì  dentro  che  fuo- 
ri della  città  castelli  e  luoghi  forti.  Con- 
venute cos'i  le  cose,  il  podestà  di  Geno- 
va Spino  da  Soresina  si  recò  in  Ventimi- 
glia nel  dì  dell'  Assunzione  a  prenderne 
il  possesso,  ordinò  che  si  fabbricassero  due 
forti,  uno  nel  colle  d'Appio,  l'altro  nella 
parte  superiore  della  città,  il  sito  de'qua- 
li  insieme  colle  case  attorno  che  bisognò 
atterrare  si  comprarono  a  spese  della  re- 
pubblica; fabbriche  cominciale  tosto  e 
compite  nel  1223.  Si  posero  comandanti 


VE»  189 

e  presidio  d'armati  ne'forli  interno  ed  e- 
slerno:  si  spianò  il  suddetto  nuovo  recin- 
to fatto  per  l'espugnazione,  e  vi  fu  costi- 
tuito podestà  Serleone  Pepe,   in  nome 
della  repubblica  ponendosi  le  gabelle  ed 
entrate  della  repubblica  a  pubblico  in- 
canto. Nel  1288  sollevatasi  quasi  tutta  la 
riviera  di  ponente  conilo  il  dominio  de' 
genovesi, altrettanto  fecero  i  ventimiglie- 
si, a'quali  però  non  fu  dato  d'  impadro- 
nirsi delle  fortezze  come  era  riuscito  agli 
altri,  poiché  ritiratosi  a  tempo  nella  roc- 
ca Bonifacio  Embriacco,  che  comandava 
nella  città  per  la  repubblica,  colla  fami- 
glia e  gli  uffiziali ,  subito  domandò  soc- 
corso a  Genova.  Armate  tosto  1 4  galere 
i  genovesi,  le  spedirono  a  Ventimiglia, 
dove  venendo  da'  cittadini,  fortificatisi 
dalla  parte  del  mare,  con  incessanti  tiri 
d'archi,  balestre  e  altre  macchine  impe- 
dito lo  sbarco,  ebbero  per  molti  giorni 
assai  che  fare,  sinché  salito  a  forza  uno 
stretto  sentiero,  rampicati  con  una  ban- 
diera per  quegli  scogli ,  arrivarono  alla 
sommità  della  rocca.  Datisi  nello  stesso 
tempo  alla  fuga  que' che  difendevano  lo 
sbarco,  parecchi  di  essi  fatti  prigioni  fu- 
rono condotti  a  Genova  nel  dì  della  Pen- 
tecoste, ove  videro  impiccalo  il  savonese 
autore  e  capo  della  rivolta.  Posle  in  sicu- 
ro le  cose  di  Ventimiglia,  le  galere  fecero 
vela  verso  l'isola  d'Albenga. 

Papa  Innocenzo  IV  essendosi  recato  a 
celebrare  il  concilio  generale  di  Lione  II, 
ne  parli  a'29  aprile,  accompagnato  da' 
cardinali  e  da  Filippo  di  Savoia.  Volen 
dosi  portare  a  Genova  sua  patria,  subito 
i  genovesi  fecero  a  gran  costo  racconcia- 
re le  strade  e  ricostruire  i  ponti,  e  viag- 
giò per  tutta  la  Liguria  occidentale  sem- 
pre in  lettiga,  ricevendo  da  per  tutto  so- 
lenni dimostrazioni  d'onore  e  di  venera- 
zione, principalmente  in  Ventimiglia,  e 
giunto  in  Genova  vi  si  trattenne  sino  a* 
22  giugno.  Per  l'accennata  separazione  di 
Guglielmo  conte  di  Ventimiglia  dal  par- 
tito de'genovesi,  legò  dopo  la  di  lui  mor- 
te il  conte  Guglielmiao  suo  figlio  a  quello 


»9° 


YEN 


di  Carlo  d'Angle  e  Beatrice  conti  di  Pro- 
venza per  mezzo  di  convenzione  de'  19 
gennaio  1257;  in  virtù  della  quale  Gu- 
glielmino  promise  per  se,  suoi  (ìgli  e  fra- 
telli, che  rimetterebbe  a  Carlo  tutte  le  ter- 
re pervenute  a  lui  dall'eredità  paterna, 
specialmente  i  luoghi  di  s.  Chiamilo,  di 
Colps  o  Gorbio,  Tenda,  Briga,  Castella- 
lo, la  Dieta  di  s.  Agnese  e  di  Castiglione; 
non  che  ciò  che  possedeva  nella  valle  di 
Lantosca,  salve  le  ragioni  del  vescovo  di 
ÌNizza,  e  le  pretensioni  che  avea  sul  con- 
tado  di  Venlimiglia,  massime  sopra  Roc- 
cabruna,  Monaco,  s.  Remo  e  Ceriana.  la 
contraccambio  Carlo  d'Angiò  s'obbligò 
per  se  e  successori  dargli  altrettante  ter- 
re in  Provenza  ,  che  fruttassero  annui 
5,ooo  soldi  tornesi,  con  intera  giurisdi- 
zione, salva  la  sovranità  e  l'obbligo  del- 
le cavalcate  in  certi  casi,  oltre  altre  con- 
venzioni. Acquistate  il  conte  di  Proven- 
za le  sopra  specificate  terre  del  conte  di 
Venlimiglia  ,  pare  che  le  tornasse  a  in- 
feudare al  medesimo  conte  Guglielmino, 
avendo  continuato  nel  pacifico  possesso 
di  quelle,  massime  di  Tenda,  che  poco 
dopo  die' principio  ad  una  nobile  signo- 
ria detta  poi  contado,  della  Briga,  Gor- 
bio e  Castellalo,  i  di  lui  successori  della 
slessa  stirpe  de'conti  di  Venlimiglia.  Per 
le  ragioni  acquistate  sul  contado  di  Ven- 
limiglia, Carlo  d'Angiò  ne  prese  possesso 
nello  stesso  1257,  facendosi  giurare  fedel- 
tà dagli  abitanti  de'luoghi  in  quello  com- 
presi, e  concedendo  diverse  franchigie  a 
Sospello,  Saorgio  ec.  In  tal  modo  la  cit- 
tà di  Ventimiglia  e  il  suo  contado  furo- 
no aggiunti  al  contado  di  Provenza,  per 
cui  d'allora  in  poi  si  considerarono  parte 
dell'alta  sovranità  de'conti  e  contesse  di 
Provenza.  Nel  1260  si  stabilirono  alcuni 
de'conti  di  Venlimiglia  nel  regno  di  Sici- 
lia, dove  postisi  a  servire  l'occupatore  di 
esso  re  Manfredi,  v'acquistarono  signorie 
principali,  trasmesse  a'ioro  posteri  e  di- 
scendenti, come  Gerace,  Iscla  maggiore 
ec.  Oltre  l'innestamento  che  in  questo 
tempo  i  couli  di  Venlimiglia  fecero  io  Si- 


VEN 
cilia,  il  conte  Guglielmo  Pietro,  uno  di 
essi,  essendo  passato  da  Genova,  dove  do- 
po la  morte  del  conte  Pietro  Balbo  si- 
gnore di  Tenda  suo  padre  crasi  ritirato, 
neh  261  iuCostautinopolia  recare  soccor- 
si alla  corte  colle  galere  di  Genova,  s'im- 
parentò con  una  figlia  di  Teodoro  li  La- 
scaris  imperatore  de'greci  residente  a  Ni- 
cea  ,  per  il  qual  matrimonio  i  conti  di 
Ventimiglia  hanno  poi,  come  già  notai, 
assunto  il  cognome  di  Lasca  ri s  e  inquar- 
tate le  armi  dell'impero  greco,  cioè  l'a- 
quila nera  di  due  teste  in  campo  d'oro, 
a  quelle  di  Ventimiglia,  ch'erano  d'oro 
al  campo  di  sangue.  Il  GiofTredo  a  cor- 
reggere i  racconti  incerti  e  favolosi,  che 
de'personaggi  di  sì  nobilissima  famiglia 
produssero  Zazzera  e  Del  Pozzo,  esibisce 
la  tavola  genealogica  de'conti  di  Venti- 
miglia. Ed  il  Semeria  nota,  che  famiglia 
sì  antica,  illustre  e  nobilissima  diramala 
in  diversi  tempi  nella  Francia,  nella  Spa- 
gna e  nella  Sicilia,  si  rappresentava  dal- 
l'unico superstite  marchese  Agostino  La- 
scaris,  presidente  della  reale  accademia 
delle  scienze  di  Toriuo,  nel  qual  perso- 
naggio la  linea  maschile  si  estingueva. 
Frattanto  nel  1265  Papa  Clemente  IV 
investì  del  regno  di  Sicilia  Carlo  I  d'An- 
giò conte  di  Provenza,  che  riportò  vit- 
toria contro  l'usurpatore  Manfredi  e  con- 
tro il  pretendente  Corredino.  Mentre  Ge- 
nova nel  1269  era  agitata  dalle  fazioni, 
e  le  vie  d'ambe  le  riviere  infestavano  mal- 
viventi, in  tale  sconvolgimento  di  cose, 
avendo  molti  per  loro  fini  particolari 
preteso  alla  podesteria  della  città  di  Ven- 
timiglia, LuchettoGrimaldo  gentiluomo 
genovese,  a  dispetto  degli  altri  competi- 
tori, l'ottenne.  Ricusando  i  Curii,  nobili 
ventimigliesi,  di  riconoscerlo,  usciti  fuo- 
ri della  città,  tirarono  dalla  loro  diversi 
nobili  di  Genova,  Chiavari  e  Rapallo, 
che  prese  le  armi  s'incamminarono  ver- 
so Ventimiglia,  affine  di  cacciarne  il  Gri- 
maldo,  e  rimettervi  con  riputazione  i  Cur- 
ii molto  potenti  e  ricchi.  Ma  il  Grimaldo 
recatosi  eoa  forze  maggiori  a  incontrar- 


VEN 

li,  li  sconfisse  e  molti  fece  prigioni.  Ciò 
produsse  zuffa  e  rivoluzione  in  Genova, 
ottenendo  il  governo  della  repubblica  O- 
berto  Spinola  e  Oberto  Doria.  Questi  ca 
pitani  ordinarono  a  Grimaldo  di  libera- 
re i  prigioni,  e  gli  fecero  giurare  in  Ge- 
nova d'essere  per  l'avvenire  ubbidiente, 
onde  le  cose  si  tranquillarono  tanto  in 
Genova  che  nel  resto  del  dominio.  Re- 
stavano solamente  in  Ventimiglia  alcu- 
ni cittadini  malcontenti,  che  parevano 
disposti  a  suscitare  nuove  dissensioni. 
Laonde  i  capitani,  inviato  con  soldate- 
sche Ballano  Doria  vicario  della  riviera, 
li  rimise  ne'termini  del  dovere.  Nel  1271 
il  re  Carlo  I  d'  Àngiò,  dando  ordine  al 
governo  de'suoi  stati,  ricevette  gli  amba- 
sciatori e  deputati  di  diverse  città  e  luo- 
ghi, massime  di  Saorgio  nel  contado  di 
Ventimiglia,  cui  approvò  e  confermò  gli 
statuti  municipali.  E  due  altre  principa- 
li terre  dello  stesso  contado,  Tenda  e  Bri- 
ga ,  fecero  non  molto  dopo  particolari 
convenzioni  di  traffichi  e  scambievole  di- 
fesa ,  in  presenza  del  loro  signore  Gio- 
vanni Lascaris  Comes  Fintimilii.  Anche 
la  Liguria  fu  afflitta  dalle  fazioni  san- 
guinose de'  Guelfi  e  Ghibellini ,  e  nel 
1 3 1 7  seguirono  altre  guerre  tra  loro; 
Ventimiglia  essendo  di  parte  ghibellina, 
venne  in  potere  de'guelfi.  Neil 3  19  Ro- 
berto re  di  Sicilia  e  conte  di  Provenza, 
gran  fautore  de'guelfi,  mandò  ad  assali- 
re la  città  e  il  castello  d'  Appio,  dove  i 
signori  di  Dolceacqua  di  casa  Doria  e 
altri  ghibellini  s'erano  fatti  forti  dopo  a- 
verne  cacciali  i  guelfi;  ed  accomodate  le 
faccende  di  Genova,  vi  lasciò  suo  vicario, 
con  potere  estensivo  a  Ventimiglia,  Ric- 
cardo di  Gambatesa  cavaliere  abruzze- 
se, con  buou  presidio  di  soldati  a  piedi 
ed  a  cavallo,  e  con  molte  galere  in  ma- 
re; ordinando  ad  Amelio  de  Fossis  ca- 
valiere bailo  del  contado  di  Ventimiglia 
e  valle  di  Lantosca,che  facesse  nelle  ter- 
re di  sua  giurisdizione  osservare  certi  par- 
ticolari statuti,  che  pel  buon  governo  di 
quelle  avea  di  suo  ordiue  dettato  il  sini- 


VEN  191 

scalco  di  Provenza,  ed  il  bailo  li  pubbli- 
cò in'  Sospello.  Le  guerre  per  mare  e  per 
terra  de'guelfi  e  ghibellini,  dopo  la  par- 
tenza del  re  Roberto  da  Genova  per  la 
Provenza,  ripresero  I'  ardore  fazionario; 
il  Papa  Giovanni  XXII  volendo  unire 
contro  i  ghibellini  le  armi  temporali  al- 
le spirituali,  nel  i320  mandò  in  Lom- 
bardia vicario  di  s.  Chiesa  con  grosse  for- 
ze ,  Filippo  di  Valois  nipote  del  re  di 
Francia,  e  per  legato  apostolico  il  cardi- 
nal Bertrando  o  Bernardo  Poggetto  de* 
conti  di  Ventimiglia,  signori  di  s.  Alba- 
no e  del  Poggetto.  Dopo  varie  vicende, 
seguì  la  pace  in  vari  luoghi  nel  1  327,  pre- 
cipuamente nel  contado  di  Ventimiglia, 
Tenda,  Briga,  Limone,  Vernante,  Saor- 
gio ,  Breglio,  Sospello  ,  Pigna  e  Peglia. 
Nate  nuove  differenze  e  zuffe ,  la  parte 
prevalente  occupò  pure  Ventimiglia  nel 
1 345,  finche  la  ricuperò  con  altri  luoghi 
il  podestà  di  Genova  Guiscardo  de  Lan- 
ci bergamasco.  Per  soccorrerla  e  mante- 
nerla  nella  divozione  della  regina  Gio- 
vanna 1  contessa  di  Provenza,  il  siniscal- 
co di  questa  v'inviò  le  milizie  del  conta- 
do. Durante  il  dominio  temporale  di  Gio- 
vanna I  sopra  Ventimiglia  e  suo  conta- 
do, essa  nel  1 349  vi  deputò  in  giudice  Si- 
mone Girona  celebre  giureconsulto  niz- 
zardo. Narrai  nell'articolo  Sicilia  l'atro- 
ce assassinio  di  Andrea  d'Ungheria  ma- 
rito di  Giovanna  I,  le  seconde  nozze  di 
questa  con  Luigi  di  Taranto,  ch'ebbe  il 
titolo  di  re ,  il  furore  di  Lodovico  1  re 
d'Ungheria  fratello  dell'assassinato,  per 
vendicarlo,  e  perciò  coll'esercito  calò  ia 
Italia,  conquistandoli  regno  di  Giovan- 
na I  fuggita  in  Provenza.  La  peste  cac- 
ciò il  re  ungherese,  ma  nel  1 35o  tornò  nel 
reame  napoletano.  I  genovesi  aspirando 
con  inganno  a  ricuperare  Ventimiglia, 
dal  dominio  de' signori  di  Provenza,  si 
mostrarono  premurosi  di  aiutare  il  re 
Luigi  di  Taranto  e  Giovanna  I,  contro 
il  re  ungherese,  inviando  a  Napoli  1 2  ga- 
lere, onde  profittare  de'trambusti  e  del- 
la condizione  in  cui  ti'ovayansi  i  reali  con- 


192  VEN 

jugi.  Incaricarono  il  capitauo,  dire  alla 
regina:  la  repubblica  offrirle  aiuto,  se  le 
avesse  restituito  la  città  di  Ventimiglia  ; 
altrimenti  si  darebbe  al  re  d'  Ungheria, 
a' suoi  danni.  Giovanna  I  e  suo  marito, 
vedendosi  assediati  per  terra  dalla  nu- 
merosa cavalleria  degli  ungheri  padroni 
della  campagna,  massime  di  tutta  la  Ter- 
ra  di  Lavoro,  e  non  a  ./endo  galera  alcu- 
na pel  cui  mezzo  potersi  assicurare  dal- 
la parte  di  mare  le  vettovaglie,  ed  anco 
per  non  inimicarsi  del  lutto  i  genovesi, 
stretti  dalla  necessità  acconsentirono  al- 
la richiesta,  onde  coll'aiulo  di  quelle  for- 
ze marittime  migliorare  la  loro  condi- 
zione. A  vendo  per  tanto  incontanente  com- 
messo a'Ioro  ufiiziali  di  rimettere  Venti- 
miglia a' deputati  della  repubblica,  non 
volevansi  le  galere  muovere  dal  porto  di 
Napoli,  ne  far  cosa  alcuna  sinché  dal  lo- 
ro doge  non  avessero  avviso  dell' effet- 
tuata consegna;  ma  appena  ricevutane  la 
notizia,  poco  curandosi  d'  osservar  la  fe- 
de e  la  promessa  ,  partitisi  subitamente 
da  Napoli,  presero  altro  viaggio.  Ripro- 
vando diversistorici  l'operato  da'genove- 
si,  narrano  cose  che  lo  rendono  più  bia- 
simevole, come  1'  aver  essi,  non  ostante 
P  anteriori  convenzioni  co'  conti  di  Pro- 
venza, sollecitato  Guglielmo  Pietro  La- 
scaris  conte  di  Ventimiglia  ,  siguor  di 
Briga,  Tenda,  Limone,  Vernante,  Roc- 
cabruna  e  altri  luoghi,  a  negar  l'omag- 
gio alla  regina  Giovanna  1  e  al  re  Luigi 
di  Taranto,  il  che  fu  causa  d'una  molto 
aspra  guerra  tra'di  lui  sudditi  ed  i  pro- 
venzali, la  quale  durò  4  anni,  e  per  ter- 
minarla fu  necessaria  l'autorevole  inter- 
posizione del  Papa.  Indi  Ventimiglia  fu 
signoreggiata  da'Grirnaldi  nobili  genove- 
si; ma  rieletto  doge  di  Genova  Simo- 
ne Boccanera,  tosto  applicossi  a  ridurre 
alla  divozione  sua  e  del  popolo  tutte  le 
terre  delle  due  riviere,  e  felicemente  gli 
riuscì  al  cominciar  deli 357,  tranne  Sa- 
vona, Ventimiglia  e  il  forte  di  Monaco. 
Però  uel  luglio  s'accinse  alla  ricupera  di 
Ventimiglia,  la  quale  si  teneva  pe'figli  e 


VEN 
consorti  di  Carlo  de'Grimalcli  comigno- 
re  di  Mentone.  Per  fare  più  celatamenie 
V  impresa,  sparse  voce  di  voler  armare 
contro  a'catalaui.  A  questo  fine  fornì  da 
tutto  punto  20  galee,  che  costeggiando 
al  coperto  del  terreno  la  riviera,  arriva- 
te che  furono  al  capo  della  Bordighiera, 
sbarcarono  in  terra  un  capitano  accom- 
pagnalo da  balestrieri  e  altre  soldatesche, 
le  quali  copertamente  condusse  verso  la 
città  in  parte  men  guardata  e  custodita, 
conforme  aveauo  consiglialo  alcuni  di 
dentro,  co'quali  il  doge  avea  anticipata- 
mente trattato.  Intanto  le  galere  voltan- 
do dalla  parte  di  mezzogiorno  verso  un 
piccolo  seno,  dove  slava  uua  galera  ar- 
mata di  que?  di  Monaco  affine  d' impa- 
dronirsene, gli  abitanti  desiderosi  di  di- 
fenderla tutti  accorsero  alla  marina.  Que- 
sto die'agio  a'geuovesi,  che  stavano  in  a- 
guato  verso  terra,d'avvicinarsi  alla  porta 
della  città,  entrarvi  dentro  senza  contra- 
sto, prendere  i  posti  alti  alla  difesa,  e  dare 
il  cenno  concertato  alle  galere,  le  quali 
subito  strettesi  alla  città,  non  ebbero  pe- 
na di  totalmente  ridurla  all'ossequio  del- 
la repubblica.  A'^  Grimaldi  fu  permesso 
di  ritirarsi  a  Monaco,  e  le  galere  rivol- 
tarono le  prore  a  Genova.  11  già  nomi- 
nato Guglielmo  Pietro  Laccarti  de'con- 
ti  di  Ventimiglia,  signore  di  Tenda  e  al- 
tri luoghi,  resosi  famoso  per  valorose  im- 
prese, colpito  da  grave  male  nel  castello 
ili  Tenda,  ivi  mori  neh  358,  eleggendo- 
si a  sepoltura  la  chiesa  di  s.  Maria  di  Ten- 
da. Nel  dividersi  i  figli  le  signorie  pater- 
ne, ebbero  origine  le  famiglie  de'conti  di 
Tenda  e  de'signori  di  Briga,  la  i.a  delle 
quali  si  estinse  nel  secolo  XVI  in  Anna 
Lascaris,  e  nel  seguente  la  seconda.  Do- 
po ostinate  guerre,  nel  1 368  deposero  le 
armi  i  conti  di  Ventimiglia,  signori  di 
Tenda  e  altri  luoghi,  sostenute  per  rifiu- 
tare l'omaggio  preteso  dalla  regina  Gio- 
vanna I;  convenendosi,  che  posposta  ogni 
pretensione,  avrebbero  alla  regina  tribu- 
tato il  dovere  del  vassallaggio  nelle  ma- 
ni del  deputato  da  lei,  e  lo  prestarono 


V  E  N 

nel  1369  al  cav.  Onorato  eli  Cena  luo- 
gotenente del  siniscalco  d'Agoult,  per  le 
tene  del  contado  di  Ventimi  glia  e  della 
valle  di  Lantosca.  Neh  385  cominciaro- 
no alcuni  popoli  dell'  Alpi   marittime  a 
riconoscere  il  dominio  della  casa  di  Sa- 
voia. Tra'  primi  furono  gli  abitanti  di 
Tornos  e  del  Castellalo.  Nel  1  3g4  En- 
rico de' conti  di  Ventimiglia  signore  del 
Castellato,  fece  testamento  e  istituì  Gui- 
done suo  primogenito  erede  universale. 
j\Teli4oo  Pielrou  di  Tonon  era  vicario  e 
capitano  del  contado  di  Ventimiglia,  il 
quale  più.  volte  ebbe  vicari,  capitani  e 
rettori  per  quelli  che  lo  signoreggiarono. 
La  Francia  avendo  nel  i3g6  imposto  ii 
giogo  a  Genova  ed  a    molli  luoghi  del 
suo  dominio,  come  a  Ventimiglia;  nel 
14.09  i  genovesi  cacciati  i  francesi  si  sot» 
torniselo  al  marchese  di  Monferrato  Teo- 
doro II,  ma  Ventimiglia  si  ostinò  uella 
divozione  a  Carlo  VI  re  di  Francia.  II 
marchese  co'genovesi  volendo  conquista- 
re i  luoghi  restati  fedeli  a'francesi,  si  ser- 
virono di  5  galere  lolle  a  Lodovico  II 
d' Angiò  conte  di  Provenza,  e  di  quelle 
dell'alleato  Ladislao  re  di  Sicilia  di  qua 
dal  Faro.  Con  esse  e  con  altre  6  galee 
genovesi,  nel  1410  Otlobone  Giustinia- 
no s'inviò  alla  volta  di  Ventimiglia:  men- 
tre temporeggiava  per  aspeltar  la  gente 
che  per  terra  si  conduceva  da'  capitani 
Domenico  e  Bartolomeo  Doria,  vedendo 
riuscire  infrultuosamentealcune  pratiche 
d'accordo  da  lui  proposte  per  impadro- 
nirsene senza  sangue,  avendo  determina- 
to di  venir  quanto  prima  a  fine  di  quel- 
l'impresa, ancorché  Domenico  non  fosse 
ancor  giunto,  dopo  aver  promesso  a'sol- 
dati  il  sacco  della  città,  a' 9  giugno  da- 
tole all'aurora  l'assalto  dalla  parie  supe- 
riore  ,  si  vigorosamente  la  strinse,  che 
quantunque  si  trovasse  gagliarda  la  resi- 
stenza, entratovi  per  forza,  tutta  la  mise 
a  sacco;  trovandovi  i  soldati  di  che  satol- 
lare la  loro  rapacità,  per  non  aver  volu- 
to i  ventimigliesi,  troppo  creduli  all'opi- 
nione delle  proprie  forze,  mettere  in  sai- 
vol   xeni. 


VEN  i93 

vo  le  loro  robe.  L'onestà  delle  donne  a- 
vrebbe  corso  la  slessa  sventura,  se  per  0- 
pera  di  Otlobone,  e  de'due  capitani  Do- 
ria arrivati  in  quel  mentre,  nou  si  fosse- 
ro per  conservarla  dato  gli  ordini  op- 
portuni. 11  castello,  sebbene  facesse  mo- 
stra di  tener  forte,  pure  si  rese  anch'es- 
so dopo  8  giorni,  prendendone  Domeni- 
co Doria  il  possesso,e  collocandovi  il  pre- 
sidio al  nome  del  marchese  di  Monfer- 
rato; mentre  Otlobone  avviossi  colle  ga- 
lere alla  conquista  di  Porto  Venere,  che 
parimenti  pei  francesi  ancor  si  teneva. 
Nel  1 4 1 7  successe  l'infausta  morte  di  Dea- 
trice  Lascaris  della  casa  di  Tenda ,  che 
ha  dato  diversamente  a  parlare  agli  scrit- 
tori d'  ogni  specie  ,  perciò  famoso  n'è  il 
nome  e  il  tragico  fine.  Era  questa  stata 
congiunta  in  matrimonio  primieramen- 
te a  Facino  Cane  di  nazione  monferrino, 
di  patria  casalasco,  de'fatli  del  quale  so- 
no piene  tutte  le  storie,  conle  di  Gian- 
date,  signore  d'Alessandria,  di  Tortona, 
Novara,  Pavia  e  Como,  e  di  molte  altre 
terre  di  Lombardia,  ed  un  tempo  diret- 
tore delle  cose  pubbliche  in  Milano,  ca- 
pitano de'più  famosi  e  accreditali  del  suo 
tempo,  che  essendo  morto  nel  i4I2>  ed 
avendo  lasciato  gran  tesoro  alla  moglie 
da  lui  teneramente  amata  (dicesi  anco 
che  poteva  disporre  d'uno  splendido  e- 
sercito  e  delle  guarnigioni  eli  parecchie 
città),  ciò  fu  cagione  che  Filippo  Maria 
Visconti  duca  di  Milano,  divenuto  più. 
innamorato  del  valsente  di  lei,  che  solo 
in  contante   ascendeva   alla  somma  di 
4oo,ooo  scudi,  non  comune  in  que'tem- 
pi,  che  della  bellezza  del  di  lei  volto  or- 
mai tendente  alla  vecchiezza,  per  aver  20 
anni  più  di  lui,  ossia  circa  41  anni,  la  to- 
gliesse per  sua  moglie  il  medesimo  anno 
che  restò  vedova  ,  così  avendo  disposto 
eziandio  Facino  i.°  di  lei  marito  (anzi  si 
vuole,  che  distribuito  a'soldali  il  denaro 
di  Beatrice,  ricevè  da  loro  il  giuramento 
di  fedeltà,  e  li  condusse  immediatamen- 
te a  Milano  per  impossessarsi  dell'eredi- 
tà dell'ucciso  suo  fratello  Giovanni  Ma- 
i3 


j  g4  VEK 

ria).  Ma  essendogli  poi,  com'è  per  lo  piìi 
il  consueto  di  situili  matrimoni  fatti  per 
solo  motivo  d'interesse,  massime  per  no- 
tabile disparità  di  età,  bentosto  divenu- 
ta in  odio,  stimolalo  dall'avarizia,  prese 
quel  crudele  duca  motivo  di  esercitare 
contro  della  innocente  quella  fierezza,  a 
cui  era  per  malvagio  istinto  inclinato. 
Perchè  sotto  pretesto  ,  che  dal  musico 
Michele  Orombello,  si  fosse  lasciata  amo- 
reggiare ,  argomentandolo  dalla  calun- 
niosa confessione  di  due  sue  damigelle, 
clie  deposero  averla  veduta  con  esso  lui 
suonare  il  liuto  assisa  sopra  d'un  letto, 
avendola  fatta  prendere  prigione  in  Mi- 
lano a'23  agosto,  e  mandatala  a  Binasco, 
dopo  averle  fatto  fare  il  processo  perGa- 
sperino  de  Grassi  giureconsulto,  le  fu  per 
sentenza  di  quello  ,  la  notte  seguente  a' 
i  3  settembre,  siccome  al  suddetto  musi- 
co e  due  damigelle,  quasiché  tale  ami- 
cizia in  tempo  non  avessero  rivelato,  op- 
pur  gli  avessero  tenuto  mano ,  tagliala 
la  testa.  Ma  dell'innocenza  di  questa  mal 
avventurata  duchessa  restò  imi  verbal- 
mente persuaso  il  mondo,  non  tanto  per- 
chè non  si  potè  giammai,  quantunque, 
come  narra  il  Corio,  le  fossero  dati  24 
tratti  di  corda,  indurre  a  confessare  fuo- 
ri de'  tormenti  ciò  che  nella  tortura  vio- 
lentala dal  dolore  avea  detto;  ma  perchè 
di  lei  fanno  onorata  menzione  scrittori 
coulemporanei,  nominandola  donna  non 
meno  dotata  d'alto  spirito,  e  di  pratica 
degli  affari  di  stato,  che  d'onestà  e  mo- 
destia di  costume,  quantunque  il  Giovio 
si  sia  fatto  lecito  d'intaccare  senza  causa 
il  di  lei  nome.  Dopo  la  morte  di  Beatri- 
ce, il  duca  sposò  Maria  di  Savoia  figlia  del 
duca  Amedeo  Vili,  che  la  città  di  Ver- 
celli  (F.)  dal  genero  ebbe  iu  dono.  Nel 
1427  pare  che  Venlimiglia  fosse  perve- 
nuta in  dominio  dello  slesso  duca  di  Mi- 
lano Filippo,  dopoché  Genova  erasi  da- 
ta a  lui  fin  dal  ì^i5'f  poiché  l'impresti- 
to  al  duca  fatto  dal  cav.  Carlo  Lomelii- 
110  genovese,  di  3, 000  ducati  d'oro,  gli 
fu  mezzo  di  rendersi  per  qualche  tempo 


VEW 
padrone  della  città  e  castello  di  Verilhnl- 
glia,  assegnatagli  dal  duca  a  godere  per 
lo  spazio  di  io  anni.  Il  che  di  non  buon 
occhio  fu  veduto  da'genovesi,  che  tan- 
to nelle  riviere,  quanto  altrove  si  vedeva- 
no alla  giornata  andar  smembrando  le 
terre  al  dominio  loro  appartenenti.  In 
detto  anno  fece  testamento  Guglielmo 
de'conti  di  Venlimiglia,  signore  del  Ma- 
ro, di  Carpasio  e  Pielralala,  e  volendo 
provvedere  alla  successione,  dichiarò  che 
morendo  senza  prole,  gli  succedesse  il  ni- 
pote Francesco  figlio  il' Antonio  degli  stes- 
si conti,  abitante  in  Sicilia.  Neh 433  A.- 
medeo  Vili  duca  di  Savoia  ricevendo 
continue  doglianze controgl'insulti  e  dan- 
ni che  facevano  a' suoi  sudditi  que' del 
forte  di  Monaco,  domandò  al  suo  gene- 
ro duca  di  Milano  e  signore  di  Genova 
che  si  demolisse  o  smantellasse.  11  Vi- 
sconti se  ne  scusò  ,  per  essere  il  castello 
di  Monaco  nella  diocesi  di  Venlimiglia, 
come  posto  ne'confiui  alla  conservazione 
dello  stalo  di  Genova  necessario,  promet- 
tendo di  mettervi  un  castellano  a  soddi- 
sfazione del  duca  di  Savoia.  Nello  stesso 
tempo  si  pensò  a  rifabbricare  il  Castel  - 
laro,  luogo  d'indi  non  più.  di  alcune  po- 
che miglia  lontano,  e  sino  da' vecchi  tem- 
pi posseduto  da'signori  Lascaris  di  Ven- 
limiglia, riuscendo  incomodo  abitare  nel 
Castellalo  vecchio  posto  in  sito  più  emi- 
nente. L'ultimo  di  settembre  i435  se- 
guì accordo  tra  Lodovico  ed  Enricone  La- 
scaris signori  di  Gorbio  e  del  Castellalo 
vecchio,  in  virtù  del  quale,  avendo  que* 
signori  permesso  di  fabbricarlo  in  un  al- 
tro sito  più  opportuno  detto  il  Colletto 
di  s.  Sebastiano,  si  obbligarono  di  edifi- 
carvi fra  lo  spazio  di  5  anni  29  case  d'e- 
guale altezza  e  larghezza,  incastellate  e 
ridotte  in  fortezza  da  muraglie  sufficien- 
ti estrinsecamente,  il  tutto  a  sue  spese,  e 
d'abitarvi  con  le  famiglie,  come  loro  fe- 
deli uomini  e  soggetti.  Intanto  Genova 
nel  i435  ricuperò  la  sua  libertà,  rieleg- 
gendo il  doge.  Nel  i447  circa,  mentre  lo 
era  Giovanni  Fregoso,  ebbe  ubbidienti  i 


VEN 
luoghituttideldistrettodiGenova,tranne 
Ventimiglia  eFinale.Quella,esseudo  mor- 
to Lomellioo,  comechè  posta  ne'coufiui, 
non  si  potè  così  facilmente  nelle  varie  mu- 
tazioni di  dogi  tener  in  freno  sotto  l'ade- 
renza del  duca  di  Milano  Filippo M.a  Vi- 
sconti, ricusando  di  riconoscere  il  doge  e 
il  comune  di  Genova",  se  ne  audò  cogli 
aiuti  della  parte  guelfa  governando  da 
per  se  stessa,  sinché  il  signore  di  Mona- 
co la  tenne  per  qualche  tempo.  Dappoi- 
ché avendo  Luigi  XI  re  di  Francia  ce* 
cìnto  a  Francesco  I  Sforza  duca  di  Mila- 
no, Savona  elesuerogioni  su  tutto  quan- 
to il  Genovesato,  quindi  il  duca  nel  pria* 
cipio  di  febbraio  1464  avendo  mandato 
uella  riviera  Corrado  Fogliano  con  trup- 
pe, fu  messo  in  possesso  non  solo  di  Sa- 
vona, ma  auche  delle  3  fortezze  ,  eh'  e- 
rangli  all'  intorno.  Avendo  dipoi  tirati 
dalla  sua  Giovanni  de'marchesi  del  Car- 
retto e  di  Finale,  e  Lamberto  de'  Gri- 
maldi signor  di  Monaco,  per  opera  loro, 
primieramente  di  Albenga,  poi  del  resto 
tutto  della  riviera  di  ponente  rimase  pa- 
drone. Per  il  quale  sei-vizio,  il  duca  die* 
a  Lamberto  il  dominio  o  il  governo  di 
Ventimiglia,  e  quindi  il  duca  s'insignorì 
anche  di  Genova.  In  seguito  la  città,  ol- 
tre i  Grimaldi,  la  dominarono  i  Doria 
ed  i  Fregosi.  Avea  Antonio  Lascaris  de' 
conti  di  Ventimiglia,  anche  a  nome  del 
fratello  Bartolomeo,  nel  1  Zf 53  offerto  a 
Luigi  duca  di  Savoia  il  riscatto  del  luo- 
go di  s.  Agnes,  che  sebbene  eragli  stato 
infeudato,  per  le  opposizioni  della  vica- 
ria di  Sospello  non  aveano  potuto  pren- 
derne possesso;  mediaute  1200  fiorini, 
insieme  col  Castellalo,  il  quale  però  do- 
vea  restare  presso  di  essi  per  esser  loro 
stato  donato  in  feudo,  rifacendogli  le  spe- 
se occorse  nella  riparazione  di  quel  ca- 
stello.Quindi,  dopo  tale  omaggio  del  Ca- 
stellalo, sul  quale  uou  aveano  mai  cono- 
sciuto altro  supremo  signore,  i  medesimi 
fratelli  nel  1 4^68  in  Carignauo  rinnova- 
rono Tatto  col  duca  Amedeo  IX,  a  pat- 
to e  condizione  che  gli  abitanti  di  Castel- 


VEN  i95 

laro  non  fossero  tenuti  di  concorrere  ne' 
carichi  e  imposizioni ,  se  non  nel  modo 
che  quelli  della  baronia  di  Doglio,  ine- 
rendo a'privilegi  già  ottenuti  dalla  regi* 
na  Giovanna  I.  Cosi  il  Castellalo  passò 
sotto  il  dominio  del  duca  di  Savoia.  Ca- 
lato nel  i494  llì  *tal«a  Carlo  Vili  re  di 
Francia,  molti  luoghi  della  riviera  si  di- 
chiararono per  lui,  in  uno  a  Ventimiglia, 
quando  i  Grimaldi,  Paolo  Battista  Fre- 
goso  e  Luca  Doria  genovesi,  in  nome  del 
re  occuparono  la  città  ed  altri  luoghi  del- 
la ri  vierajeon  galere  armate  al  soldo  fran- 
cese. Ma  neh495  voltandosi  la  fortuna 
a  Carlo  Vili,  si  sollevarono  Ventimiglia 
e  molli  luoghi  della  riviera,  e  si  ridusse- 
ro all'ubbidienza  de'genovesi,  e  di  Lodo- 
vico Sforza  il  Moro  duca  di  Milano,  per 
signore  da'genovesi  riconosciuto.  Parteg- 
giando pel  re  di  Francia  il  cardinal  del- 
la Rovere,  poi  Giulio  II,  ordinò  a  Pao- 
lo Battista  Fregoso,  che  con  6  galere  in- 
vestisse la  riviera  di  ponente  nel  1497;  e 
nel  tempo  stesso  il  cardinale  con  200 
lancie  e  3, 000  fanti  accostossi  a  Venti- 
miglia, e  la  prese,  peusando  di  fare  il  me- 
desimo di  Savona  sua  patria,  e  non  riu- 
scendogli, andò  a  unirsi  con  Gian  Jaco- 
po Trivulzi  luogotenente  del  re  in  Ita- 
lia, guerreggiando  il  duca  di  Milano,  e 
nel  i499  nuovamente  Genova  cadde  in 
potere  di  Francia,  che  la  dominò  sino  al 
i5o6.  Mentre  Francesco  I  re  di  Francia, 
rotta  guerra  a  Carlo  III  duca  di  Savoia, 
neh  534  ne  faceva  occupare  gli  stati,  fu- 
rono sopite  le  vecchie  discordie  che  re- 
gnavano da  una  parte  tra  gli  abitanti  di 
Ventimiglia,  e  dall'  altra  tra  quelli  del 
contado,  valle  di  Lantosca,  di  Tenda  e 
di  Briga,  per  essersi  accresciuto  il  paga- 
mento di  certe  gabelle  e  pedaggi.  L'ac- 
cordo scambievole  tra  le  parti  si  stipulò 
a'25  gennaio  nell'episcopio  di  Ventimi- 
glia, per  opera  del  vescovo  Filippo  de  Ma- 
ri, il  quale  pare  che  in  quel  tempo  fosse 
pure  amministratore  del  vescovato  diNiz- 
za. Frattanto  insorse  la  questione  della 
Valtellina,  perchè  sottrattasi  da'grigioni, 


i96  VEN 

dalla  Spagna  voleva  tinnirsi  al  suo  du- 
calo di  Milano.  Il  duca  di  Savoia,  Fran- 
cia e  la  repubblica  di  Venezia  seguirono 
le  parti  de'grigioni;  e  poiché  Genova  e- 
rasi  unita  a  Spagna,  il  duca  ne  assalì  lo 
stato.  Quindi  Vittorio  Amedeo  ^essen- 
do principe  del  Piemonte,  regnando  il  pa- 
dre Carlo  Emanuele  I  duca  di  Savoia, 
guerreggiando  nella  riviera  di  ponente, 
avendo  occupato  s.  Remo,  Taggia  e  al- 
tri luoghi, nel  1625  non  restandola  pren- 
dere nella  costa  che   Ventimiglia,  città 
eh'  era  assai  forte  e  difesa  da  buon  ca- 
stello, il  principe  inviò  un  trombetta  a* 
cittadini  a  intimar  loro  la  resa  prima  che 
si  avvicinasse  l'esercito;  ed  essi  risposero, 
volersi  difendere  sino  alla  morte:  per  il 
che  avendo  cominciato  a  mandare  innan- 
zi all'armata  la  vanguardia, ch'era  già 
giunta  iu  s.  Lorenzo,  il  principe  partì  a' 
19  marzo  da  Porlo  Maurizio,  venne  a  s. 
Stefano  o  vogliam  dire  al  piano  della  fo- 
ce, di  là  alla  riva  diTaggia,dipoi  a  Taggia 
stessa, continuando  il  viaggio  senza  entra- 
re dentro  in  alcun  luogo  sino  a  s.  Remo, 
luogo  grosso  e  delizioso,  e  numeroso  d'a- 
bitanti, che  mandarono  innanzi  all'  ar- 
mata un  rinfrescamento,  e  coprirono  tut- 
te le  strade  di  qua  e  di  là  per  un  4«°  di 
lega  di  cedri,  aranci  e  limoni  in  tanta  ab- 
bondanza, che  essendosene  caricati  i  sol- 
dati, ne  rimase  ancora  gran  quantità  so- 
pra la  terra  e  sopra  l'acqua;  il  che  fece- 
ro per  divertire  i  soldati,  avidi  di  simili 
frutti,  dal  guasto  de'loro  belli  giardini, 
da'quali  anche  tolsero  gran  quantità  di 
rami  odoriferi,  di  fiori  di  celioni,  che  in 
quella  stagione  si  vedevano  da  per  tutto, 
per  tappezzare  le  strade,  per  dove  passò, 
ed  il  palazzo  dove  alloggiò  il  principe;  e 
ricevuti  gli;  stessi  onori  fattigli  a  Porto 
Maurizio,  udita  la  messa,  ricevuta  la  fe- 
deltà de'sanremaschi  e  desinalo,  partì  per 
la  Bordigliela,  terra  che  si  poteva  difen- 
dere, e  pure  ne  trovò  le  porte  aperte,  la 
maggior  parte  delle  case  abbandonate  e 
partitone  il  commissario  della  repubbli- 
ca. Sentendo  quelli  di  Ventimiglia  avvi- 


VEK 
cinarsi  il  principe  coli'  armata,  cambia- 
rono di  linguaggio,  inviandogli  due  reli- 
giosi agostiniani  a  pregarlo  di  volergli 
dar  tempo  sino  all'indomani  per  potere 
capitolare.  Rispose  il  principe,  che  non 
rimetteva  mai  all'indomani  ciò  che  pote- 
va far  oggi;  che  se  aspettavano  il  giorno, 
non  li  voleva  piti  udire;  il  che  riportalo 
in   consiglio,  risolvettero  d'arrendersi 
quella  stessa  notte,  mondando  deputati, 
i  quali  usarono  sì  buona  diligenza  ,  che 
giunti  dal  principe  avanti  giorno,  accor- 
darono seco  d'arrendere  la  città,  non  es- 
sendo in  loro  balia  il  castello,  sotto  il  do- 
minio di  Savoia;la  vita,  onore  e  beni  sal- 
vi; che  i  soldati  uscirebbero  senz'armi,  le 
quali  resterebbero  al   principe   insieme 
colle  munizioni,  insegne  e  artiglierie,  la- 
sciata nondimeno  la  spada  agli  uflìziali; 
che  i  loro  privilegi  sarebbero  conferma- 
ti; non  si  farebbero  imposizioni  straordi- 
narie. I  soldati  non  alloggerebbero  nel- 
le case  de'particolari,  ma  negli  alloggia- 
menti, che  lor  verrebbero  assegnati, dove 
sarebbero  provvisti  da'eittadinidi  mobili 
e  utensili;  finalmente,  che  per  aver  volu- 
to veder  l'armata,  e  per  dare  qualche  sod- 
disfazione a'soldati,  ed  evitare  disordini, 
la  città  pagherebbe  prontamente  in  con- 
tanti 6,000  doppie.  Queste  cose  pattui- 
te, il  principe  entrò  a'20  maggio  1625, 
colla  sua  corte  in  Ventimiglia,  dove  ri- 
conosciuta la  piazza  e  dati  gli  ordini  op- 
portuni perla  di  lei  conservazione, si  pen- 
sò ad  assediar  il  castello  ,  inespugnabile 
per  altro  alle  forze  di  mano,  ed  assicu- 
rato in  gran  parte  dal  cannone,  essendo 
innalzato  in  forma  bislunga  sul  dorso  di 
una  montagna,  che  domina  la  città,  cir- 
condato da  4  buoni  baluardi,  co'fossi  pro- 
fondi da  3  parti,  e  da  una  banda  dal  ma- 
re, dove  gli  scogli  discendono  in  precipi- 
zio; e  sebbene  da  tramontana  era  spalleg- 
giato dalla  montagna,  pure  innalzavan- 
visi  alcuni  monticelli,  che  alquanto  il  do- 
minavano; che  se  era  provvisto  con  due 
baloardi  e  sue  cortine  più  rilevati  che  gli 
altri,  con  forti  e  grossi  parapetti,  che  co- 


V  EN 
privano  gli  alloggiamenti  di  dentro,  tal- 
mente che  non  poteva  essere  offeso  per 
l'altezza  della  montagna,  però  mancava 
solo  in  questo,  che  per  non  essere  abba- 
stanza grande,  non  avea  la  capacità  re- 
quisita per  un*  intera  difesa.  Lo  stesso 
giorno  della  resa  di  Ventimiglia  compar- 
ve la  flotta  di  Francia,  ed  entrò  nel  por- 
to di  Villafranca,  per  essersi  arresa  tut- 
ta la  riviera  e  per  attendere  le  galere  di 
Provenza  per  andare  sopra  Savona  e  Ge- 
nova; ma  la  conquista  di  Genova  andò 
fallita  a'francesi.  Alloggiate  le  truppe  a' 
loro  posti,  il  principe  fece  cominciare  le 
operazioni  di  espugnazione,  e  piantate 
mirabilmente  le  batterie, dopo  poche  sca- 
ramucce, a'26  maggio  cominciatosi  a  bat- 
tere il  castello,  portate  via  le  garitte  del 
baloardo  e  le  cannoniere,  in  poco  tempo 
restò  senza  difesa,  e  le  controbatterie  ral- 
lentando sempre,  domandarono  que'  del 
castello  finalmente  a  parlamentare  e  se- 
guale capitoli;  in  virtù  de'qnali  Giuseppe 
Cazero  commissario  per  la  repubblica, ve- 
dendo che  non  più  si  poteva  tenere,  per- 
chè in  due  luoghi  erano  state  tolte  vie  le 
difese,  ed  in  altri  due  le  mine  erano  in 
procinto  di  giuocare  colla  rovina  del  tut- 
to, convenne  di  uscire  insieme  con  Aga- 
pito Negrone,  il  colonnello  Giacomo  Cat- 
taneo, tutti  gli  ufliziali  e  soldati,  rimet- 
tendosi alla  discrezione  e  alla  generosità 
del  principe,  che  non  si  volle  obbligare  di 
lasciar  loro  altroché  la  vita; così  quel  gior- 
110  medesimo  quel  castello  si  arrese,  re- 
stando alla  divozione  di  Savoia  lutto  il 
ttallo  marittimodella  riviera,  che  da  Fi- 
nale a  Monaco  per  lo  spazio  di  70  miglia 
si  stende,  sebbene  infra  terra  vi  fossero 
ancora  alcuni  luoghi  forti,  che  si  teneva- 
no pe'genovesi,  molto  difficili  per  essere 
espugnati.  Fin  qui  la  fortuna  si  era  mo- 
strata propizia  a  Savoia,  ma  non  tardò 
a  riguardar  di  buon  occhio  i  genovesi,  me- 
diante i  poderosi  aiuti  degli  spaguuoli, 
poiché  non  potendo  difeuder  la  riviera 
rateano  lasciala  prendere,  per  concen- 
trare le  forze  a  salvamento  di  Genova. 


YEN  197 

Gli  spagnuoli  avendo  ricuperato  a'geno- 
vesi  Gavi  e  Novi,  minacciando  Asti,  qua- 
si tutti  i  luoghi  occupati  dal  principe  del 
Piemonte  in  poco  tempo  si  rimisero  nel- 
l'antica ubbidienza  di  Genova,  ed  al  prin- 
cipe convenne  pensare  a  difendere  il  Pie- 
monte. Applicatisi  poi  i  genovesi  alla  ri- 
cupera delle  terre  della  riviera  ,  fecero 
partire  a' io  luglio  da  Savona  il  marche- 
se Santa  Croce,  comandatitela  flotta  spa- 
glinola, accompagnato  da'scnatnri  Giam- 
battista Saluzzo  e  Agostino  Centurione, 
con  8,000  fanti  e  due  compagnie  di  ca- 
valli, tutti  spesati  dalla  repubblica.  Oc- 
cupata Albenga,  benché  a  soccorrerla  e- 
rano  andate  4compnguie  di  nizzardi,  del- 
la guarnigione  di  Ventimiglia,  morendo- 
vi uno  de'icapitani  e  altro  restando  fe- 
rito, Albenga  si  rese  a  patti.  Ne  segui- 
rono l'esempio  tutte  l'altre  terre  della  ri- 
viera sino  ad  Oneglia,  che  pure  cede.  E- 
spugnato  Porto  Maurizio,  e  fattevi  nuo- 
ve fortificazioni,  i  genovesi  riebbero  tut- 
ti i  luoghi  marittimi ,  tranne  Ventimi- 
glia. Assediata  Pigna,  terra  considerabi- 
le del  duca  di  Savoia,  alla  quale  il  mar- 
chese Santa  Croce,  anuoiato  dagli  estivi 
caldi  soprassiedendo  all'impresa  di  Ven- 
timiglia e  facendo  intanto  riordinar  le 
soldatesche  per  intraprenderla  appena  mi- 
tigala la  stagione,  mandò  intanto  il  ba- 
rone di  Vateville,  con  circa  3,ooo  fatiti, 
premendoa'genovesi  grandemente  di  con- 
quistar Pigua,  perchè  era  in  vicinanza  di 
Ventimiglia  e  perchè  eranvisi  ritirati  mol- 
ti soldati  usciti  d*  Albenga  e  dalle  terre 
circonvicine,  che  potevano  non  poco  in- 
comodare la  ricupera  di  Ventimiglia.  Vol- 
tatisi dunque  a  quest'  assedio,  dopo  aver 
preso  Castelfranco,  batterono  lungamen- 
te nelle  trincee,  le  quali  unite  alle  case 
servivano  di  muro  e  di  riparo,  si  fecero 
quindi  scaramucce,  e  fu  non  meno  osti- 
nata 1'  olfesa  che  la  difesa;  vicino  all'  as- 
salto, Pigua  si  rese  a' 1 3  agosto,  allegrez- 
za a'genovesi  amareggiata  per  l'esplosioue 
della  munizione  che  recò  loro  gravissimi 
danni.  ludi  subito,  rinfrescata  la  stagio- 


198  VIìN 

ne  e  accresciute  le  truppe  con  3,ooo  fon- 
ti tedeschi  levati  da  Filippo  Spinola,  p0r- 
taronsi  con  tutte  le  forze  all'espugnazio- 
ne di  Ventimiglia,  la  quale  dopo  alcuni 
colpi  d'artiglieria, abbandonata  dal  pie- 
sidio,  per  essersi  ristretto  alla  difesa  del 
castello,  non  tardò  di  venire  in  mano  de- 
gli oppugnatori.  Ebbero  però  da  fare  al- 
quanti giorni  contro  il  castello  ,  conti- 
nuando da  3  parti  la  batteria,  finche  es- 
sendosi gli  oppugnatori  avvicinati  sin 
sotto  la  controscarpa,  e  dubitando  que' 
di  dentro  d'una  mina,  che  vedevano  co- 
minciarsi, patteggiarono  anch'essi  la  de- 
dizione a'21  settembre,  accordata  a  con- 
dizione ,  che  solamente  gli  uflìziali  por- 
tassero seco  le  armi  e  il  bagaglio ,  ed  i 
soldati  uscissero  disarmati,  come  fecero, 
arrivando  poi  a  Nizza  il  27  assai  mal  in 
ordine. Così  i  genovesi  ricuperarono  Ven- 
timiglia, e  qui  per  essa  termina  la  storia 
civile  di  Giomedo.  Poco  dopo  rotta  nuo- 
va guerra  tra  il  duca  di  Savoia  e  la  re- 
pubblica, il  vescovo  Gaudolfì  impedì  il 
saccheggio  di  Ventimiglia,  e  poi  contri- 
buì alla  tregua,  che  si  segnò  tra  le  par- 
ti, comeripeterò  alia  sua  volta.  Neh 636 
fu  eletto  gran  maestro  del  sovrano  ordi- 
ne Gerosolimitano  fr.  Gio.  Paolo  Lasca- 
ris  de'signori  del  Castellalo  e  de'conti  di 
Ventimiglia  della  lingua  di  Provenza:  il 
suo  nipote  Gio.  Battista  nel  1646  diven- 
ne luogotenente  governatore  di  Nizza  pel 
principe  Maurizio  di  Savoia.  Ventimi- 
glia  poi  seguì  i  destini  di  Genova,  che  la 
ritenne  sino  all'intera  cessione  di  tutti 
gli  stati  della  repubblica  alla  sovranità 
della  casa  di  Savoia,  il  che  avvenne  sot- 
to il  re  di  Sardegna  Vittorio  Emanuele 
1  neli8i4. 

La  religione  cristiana  fu  predicata  in 
Ventimiglia  ne'  primi  tempi  della  Chie- 
sa. L'Ughelli,  Italia  sacra,  t.  4>  P-  3o  i, 
Albintimilienses  Episcopi,  dice  che  in  es- 
sa disseminò  il  vangelo  s.  Barnaba  apo- 
stolo, Nazarius  et  Celsus  invidi  Chri- 
sti  martyres,  ut  in  actis  eorunuleia  le- 
gitur,  sed  corruptepro  Jntimilia,  Te- 


VEN 
merum  scriptum,  et  Molta  prò  Cemclìa 
(Cemele  o  Cemenelc  0  Cimella,  vesco- 
vato del  secolo  111,  nell' Vili  unito  a  Niz- 
za), tpcod  oppidum  ca  tempestato  fuil 
JJguriae.  in  Alpìbus  leslc  Vtolomaeo, 
cufus  Episcopus  legitur  Valeriawis  cir- 
ca anno  Domini  4^o  ejusdcmquc  cliam 
Cemiliensis  Ecclesiae  Episcopi  alìqui 
recenscntur  in  gallicani»  conciliis.  A- 
pud.  liane  urhcm  s.  Secundus  ex  legione 
theba/wrum,  unus  cohortium  tribunus, 
in  Diocleliana  persecutione  sub  Agre- 
sto Liguriae  praefecto  palmam  tumpsit 
martyrii,  a  s.  Mauri tio  earumdem  le- 
gionum  duce  sy  adone  mundo  involti tus 
in  agonis  loco  sepultus,  cujus  deinde 
caput  in  calhedrali,  caetera  vero  lipsa- 
na  sacra  Taurinum  relata,  magna  ve- 
neralione  coluntur  :  cujus  festum  Al- 
bintiniilii  tanquam  praecipui  patroni 
habetur  16  augusti.  Episcopali*  digni- 
tas  forte  ab  ipso  apostolo  Barnaba 
suum  liabuit  inilium,  tametsi  de  illis 
priscis  Episcopis  nulla  reperialur  men- 
sio,  sino  a  Giovanni  del  680.  Il  eh.  Se- 
nseria pure  dice  non  sapersi  il  tempo,  in 
cui  la  cristiana  religione  sia  stata  annun- 
ziata inVeulimiglia,ede'pritiii  vescovi  in- 
temeliensinon  trovasi  veruna  menzione, 
oscurità  comune  a  moltissime  altre  chie- 
se antichissime.  Aggiunge,  un  moderno 
avere  scritto,  che  Lattanzio  vescovo  di 
Ventimiglia  intervenueal  concilio  di  Cai- 
cedonia  del  ^5i,  ma  non  averlo  trova- 
to nel  Labbc  e  nell'Arduino  ;  laonde  con- 
viene con  Ughelli  in  riconoscervi  per  i.° 
di  sicura  notizia  Giovanili  mentovalo. 
Riferisce  insigne  apostolo  della  Liguria 
nel  secolo  II  s.  Calimero  vescovo  di  Mi- 
lano, e  nel  principio  del  IV  approdati 
dall'Africa  alle  spiagge  de'Cemelii  o  di 
Nizza  i  ss.  Marcellino,  poi  vescovo  d'Em- 
brun,  Vincenzo  e  Donnino,  per  divino 
impulso,  infiammati  di  zelo  diffusero  la 
dottrina  evangelica,  con  predicazione  av- 
valorata da  stupendi  miracoli,  onde  pre- 
sto gli  alpigiani  professarono  la  fede  cri- 
stiana, cioè  gì'  intemelii  e  gl'ingauni,  gli 


VEN 
abitanti  delle  montagne  di  Lantosca  e 
di  Sospello,  fra  il  Varo  e  Rutuba,  oggi 
Roia,  i  montimi  di  Trioria  e  della  pieve 
di  Teico  fra  il  Roja  e  il  Centa,  sino  a* 
gioghi  che  sovrastano  a  Vado  Sabazia, 
chiamati  alpigiani  marittimi  da  Seme- 
ria.  Il  can.  Dima  ancora  è  incerto  sul  r.° 
introduttore  del  cristianesimo  in  Venti- 
miglia,  se  lo  fu  da  da  s.  Barnaba  apo- 
stolo, come  la  tradizione  di  questa  chie- 
sa  accenna,  o  da  s.  Nazario,  ovvero  da  s. 
Calimero  vescovo  di  Milano;  è  però  cer- 
to che  tale  tradizione  attribuisce  a  s.  Bar* 
tiaba  la  predicazioue  nella  Liguria,  uni- 
ta a  quella  di  tante  altre  chiese  cospicue 
e  ragguardevoli,  e  la  tiene  per  assai  ve- 
nerabile. Riconosce  le  dispute  tra  gli  eru- 
diti, mancandosi  di  documenti  e  di  noti- 
zie, suIi.°vescovo  di  Ventimiglia,  quin- 
di non  potersene  fissare  l'esistenza  prima 
del  680,  auno  in  cui  trovasi  al  concilio 
celebrato  in  Pioma  da  Papa  s.  Agatone, 
il  suddetto  Giovanni  vescovo  Attintimi' 
liensis.  Stringe  il  suo  dire  il  can.  Bima, 
sebbene  epoca  certa  non  s\\  possa  preci- 
sare prima  del  680  ,  tuttavia  riporta  il 
nomede'segueutiricavati  da  un  antichis- 
simo mss.,  avendogli  somministrato  noti- 
zie e  documenti  sui  pastori  di  questa  chie- 
sa, il  can.  Domenico  Navone  d'Albenga, 
ed  il  can.  teologo  Taglietti  pro-vicario 
generale  di  Ventimiglia.  Cleto  dell'anno 
7 5  si  crede  il  i.°  vescovo  e  discepolo  di 
s.  Barnaba,  qui  lasciato  a  pastore  avanti 
di  partire  per  Milano.  Nel  137  R.udrigo 
I;  nel  189  Frodonico;  nel  241  Fabiano, 
si  legge  in  una  lettera  del  Papa  omoni- 
mo fiorito  in  tale  epoca;  Eilegio  o  Eu- 
lolio,  si  dice  aver  nel  292  soccorso  s.  Caio 
Papa;  nel  352  Eutiche  ;  al  vescovo  Dio- 
nisio nel  396  scrisse  Papa  s.  Silicio;  nel 
43o  Felice;  nel  4^o  Lattanzio,  e  inter- 
venne nel  4^  *  al  concilio  di  Calcedouia; 
nel  577Menigio,  consagrò  ne'confini  d'A- 

Ìti  una  cappella  a' ss.  Apostoli;  nel  593 
ludrigo  If;  nel  5og  Anastasio;  nel  53i 
rranco;  nel  559  Mistrale;  nel  5qi  Mo- 
ono;  nel  62  3  Pastore.  Nel  65o  Giovan- 


VEN  ,99 

ni  I  si  crede  quello  stesso  che  assistè  al 
ricordato  concilio  romano,  altri  però  pre- 
tendono fosse  un  altro  Giovanni:  nel  ca- 
so affermativo  sarebbe  quel  Giovanni  da 
cui  principia  l'CJghelli  la  serie,  sottoscri- 
vendosi a  detto  sinodo  Joannes  humilis 
episcopus  s.  Ecclesiae  T^inctiniiliensis  in 
liane  suggestionem,  quam  prò  apostoli- 
ca nostra  fide  unanimiter  construjcimus, 
simili  ter  subscripsi.  Anche  Gioffredo  at- 
testa che  intervenne  al  concilio  Giovanni 
di  Ventimiglia,  e  che  si  sottoscrisse  con 
altri  due  vescovi  dell'  Alpi  Ligustiche, 
cioè  Bono  d'Albenga  e  Benedetto  di  Sa- 
vona. L'Ughelli  lasciò  una  lacuna  di  5oo 
anni,  nella  quale  uno  solo  conobbe  il  suo 
annotatore  Coleti.  Il  mss.  però  comuni- 
cato al  Bima  riempie  tale  spazio  co'no- 
mi  di  diversi  pastori.  Nel  687  Lucio,  con- 
sagrò nel  700  la  piccola  chiesa  di  s.  Laz- 
zaro fuori  del  borgo  di  Tenda,  che  visi- 
tata dal  can.  Bima  nel  1837  la  trovò  sen- 
za tetto.  Nel  704  Eustachio;nel  728  Eu- 
genio; nel  7^7  Giocondo  I;  nel  789  A- 
rnerio  consagrò  un  altare  in  Noli  della 
pievania;  nell'8o3  Langio;  nell'83i  Gio- 
vanni U;nell'863  Giocondo  Ii;nell'89[ 
Amatore;  nel  905  Amato.  Nel  937  Mil- 
done  o  Mildo,  che  nel  9^0  si  sottoscrisse 
T'igintiniiliensis  Episcopus,  verso  il  940 
dice  il  Coleti,  in  un  istromento  d'Attorie 
vescovo  di  Vercelli.  Gioioso  fu  presente 
in  Roma  alla  coronazione  fatta  da  Papa 
Giovanni  XII  dell'imperatore  Ottone  I 
a'i3  febbraio  962,  insieme  ad  altri  ve- 
scovi di  Lombardia  e  del  loro  metropo- 
litano di  Milano.  Nel  976  Penteio  legato 
apostolico  in  Piemonte,  forse  quel  vesco- 
vo che  il  Semeria  dice  pure  legato  apo- 
stolico nel  Piemonte,  il  quale  recatosi  a 
Susa  coosagrò  alcuni  altari  nella  ristora- 
ta chiesa  monastica  di  Novalesa  nel  900; 
nella  quale  legazione,  egli  aggiunge,  eb- 
be da'detti  monaci  in  dono  il  capo  del 
martire  s.  Secondo,  e  lo  riportò  (sic)  nel- 
la sua  cattedrale  ove  d' allora  in  poi  si 
venerò  solennemente.  Il  Semeria  inoltre 
rettifica  le  notizie  del  santo,  diverso  da 


aoo  VEN 

quello  venerato  io  Asti ,  quale  uffizialc 
«Iella  legione  Tebea ,  che  patì  glorioso 
martirio  propriamente  non  in  Agatino, 
oggi  Martignac  alle  sorgenti  del  Roda- 
no, ove  altri  colleglli  furono  martoriati, 
ma  nel  castello  di  /  ictiimulo,  al  presen- 
te Salussola, denominazione  confusa  col- 
la ligure  Ventimiglia  allora  chiamata  Al- 
bum Intcmeliuni  e  Albìntemelium,  per- 
chè il  castello  venne  appellato  eziandio 
fctimulum  e  Tctoniulumted  ancora  Vi- 
co Victumuliarum  o  P'ictirniliarttm,  nel- 
la diocesi  di  Vercelli  e  ora  di  Biella.  Da 
Viclunudo  le  reliquie  del  corpo  di  s.  Se- 
condo furono  portate  nel  non  lontano  mo- 
nastero di  Novalesa,  e  nel  principio  del 
secolo  X  o  anno  904  nella  cattedrale  di 
Torino,  quando  i  monaci  di  Novalesa  6Ì 
rifugiarono  in  quella  città  per  je  corre- 
rie de'saraceni  devastatori  del  monaste- 
ro, ritenendosi  il  capo  che  poi  donarono 
al  detto  legato  vescovo  di   Ventimiglia. 
Dunque  s.  Secondo  non  sostenne  il  mar- 
tirio presso  Ventimiglia  coraescrisse  l'U- 
ghelli  e  ho  riferito  di  sopra,  e  ripeterono 
altri,  come  il  Paganetti  nelP Istoria  del- 
la Liguria.  Nel  102 1  trovasi  vescovo  di 
Ventimiglia  Bartolomeo,  che  a'28  otto- 
bre consagrò  la  chiesa  di  s.  Lazzaro  in 
Tenda,  o  nel  suburbio.  Nelio4*  Tom- 
maso, cede  poi  nel  1064  un  fondo  al 
monastero  di  Lerino,  o  meglio  come  leg- 
go in  Gioffredo  ,  Rainaldo  de*  conti  di 
Ventimiglia  co'figli  donò  a'monaci  leri- 
nesi  un  fondo  del  Carnolese  nel   monte 
di  s.  Martino,  e  quanto  avea  acquistato 
dal  vescovo  Tommaso  nella  valle  Car- 
nolese vicino  a  Mentone;  e  pare  quel  con- 
te da  cui  tolse  il  nome  il  luogo  di  Peri- 
naldo,  Podium  Rainaldi,  nel  marchesa- 
to di  Dolceacqua,  le  quali  terre  faceva- 
no parte  dell'attuale  diocesi  e  dell'anti- 
co contado  di  Ventimiglia. Nel  1 08 1  Mar- 
tino, il  quale  poi  nel  1092  cede  a'mona- 
ci di  Lerino  la  chiesa  di  s.  Maria  del  Pog- 
gio di  Saorgio,  diocesi  di  Ventimiglia  e 
nel  i09t  dice  Gioffredo,  e  ciò  per  aver 
il  vescovo  appartenuto  alla  loro  celebre 


VEN 
congregazione;  indi  nel  r  109  gli  dono  la 
chiesa  dì  s.  Maria  di  Verga  o  de  Fìrgii 
nel  distretto  di  Sospello,  in  presenza  de* 
cardinali  Corrado  e  Conti,  e  di  Giovano! 
suddiacono,  di  passaggio  per  Ventimi- 
glia, forse  legati  dì  Pasquale  li  in  I'Yan- 
eia,  Spagna  e  Inghilterra  contro  Enrico 
V  imperatore.  Neil  120  sedeva  Aleccio, 
facendone  memoria  Papa  Ondrio  II.  Nel 
ii43  Cornelio,  menzionato  da  un  di- 
ploma di  Papa  Eugenio  IH  de*  1 3  mag- 
gior 146,  per  la  lite  co'suoi  canonici  so- 
stenuta contro  i  monaci  di  s.  Michele,  a' 
quali   apparteneva    il   monastero    colla 
chiesa  di  tal  nome,  già  tempio  di^  Casto- 
re e  Polluce,  accennata  in  principio  di 
quest'articolo.  Stefano  del  r  1 7 5,  anzi  del 
1 169  perchè  trovo  in  Gioffredo  che  a* 
23  marzo  di  tale  anno  pronunciò  sen- 
tenza arbitrale  nel  suo  palazzo  di  Ven- 
timiglia, per  pacificare  gli  uomini  di  Ten- 
da e  di  Saorgio  discordi  pe'confiui,  pre- 
senti i  consoli  della  città;  altrettanto  poi 
fece  per  pacificare  gli  stessi  di  Tenda  coti 
que'  di  Briga.  Questo  è  il  2.0  vescovo  co- 
nosciuto dall'Ughelli,  intervenuto  al  con- 
cilio di  Laterano  III  nel  1 1 79.  Erano  ve- 
scovi, nel  1 2  1  o  Guidone,  e  nel  (  22  [  Gu- 
glielmo I.  Nel  1232  vuole  il  Bima,enel 
io34  TUghelli,  Gioffredo  e  il  Semeria, 
Nicolò  Larcari  già  canonico  preposto  di 
s.  Maria  delle  Vigne  in  Genova,  famoso 
pe'suoi  demeriti.  Eletto, secondo  la  disci- 
plina allora  in  vigore,  da  una  parte  del 
capitolo  cattedrale,  l'altra  nominò  F.  de 
Derivo,  onde  il  podestà  e  consiglio  della 
città  commisero  la  cura  de' redditi  tem- 
porali a  3  uomini  dabbene  e  ad  un  cano- 
nico; e  la  controversia  fu  portata  al  me- 
tropolita arcivescovo  di   Milano,  che  ri- 
gettò l'elezione  di  Larcari  come  invali- 
da. Egli  allora  si  appellò  a  Papa  Grego. 
rio  IX,  il  quale  colla  bolla  Significala' 
must  dell'i  1  luglio,  appresso  l'Ughelli, 
ne  affidò  la  cognizione  in  uno  all'ammi- 
nistrazione della  mensa  al  vescovo  e  pre- 
postod'Albenga,ed  all'abbate  di  Tigret- 
to, onde  pronunziarne  sentenza.  Ne  rii 


V  E  M 

sultb,  che  il  Papa  approvò  l'elezione  di 
Laicali,  annullando  la  sentenza  dell'  ar- 
civescovo di  Milano.  Ma  poi  accusato  il 
vescovo  alla  s.  Sede  d'essersi  con  simo- 
nia intruso  nel  vescovato;  di  permettere 
con  pubblico  scandalo,  con  denari  l'im- 
punità di  qualsivoglia  quantunque  enor- 
me delitto;  contro  le  disposizioni  de's.  ca- 
noni di  lasciar  contrarre  matrimoni   il- 
legittimi e  di  sciogliere  senza  causa  i  le- 
gittimamente contratti;  di  aggravare  gli 
ecclesiastici  d'indebite  estorsioni,  esigen- 
do da'medesimi  le  usure;  di  ammettere 
a'  sagri  ordini  persone  irregolari  senza 
l'autorità  delia  s.  Sede;edi  assolvere  dal- 
le censure  ad  essa  riservate;  di  proferire 
proposizioni  ereticali;edi  celebrare  quan- 
tunque per  più  altri  capi  scomunicato, 
per  censure  incorse  manifestamente.  So- 
pra tante  accuse,  Gregorio  IX  delegò  il 
vescovo  di  Sabina  e  l'abbate  di  Tigliet- 
to,  ad  assumere  giuste  e  sicure  informa- 
zioni, le  quali  si  trovarono  verissime,  e 
perciò  ne  diedero  avviso  al  Papa,  ed  al 
vescovo  perchè  si  giustificasse.  Dopo  un 
anno  e  mezzo  il  vescovo  Laicati  non  es- 
sendosi discolpato,  anzi   fattosi  reo  di 
maggiori  delitti,  il  medesimo  Papa  colla 
bolla  Olim  intelleximus,  de'27  giugno 
12/f!  ,  diretta  al  vescovo  di  Nizza  e  ri- 
portata dall' Uglielli,  gli  commise  di  so- 
spenderlo da  ogni  uffizio  pastorale,  e  d'in- 
timargli che  fra  3  mesi  si  presentasse  ab 
la  s.  Sede,  dichiarando  in  caso  di   con- 
travvenzione i  di  lui  diocesani  disobbli- 
gati dal  prestargli  ubbidienza.  Ma  Gre- 
gorio IX  morendo  poco  dopo  a'2  1  ago- 
sto, ed  il  successore  Celestiuo  IV  viven- 
do appena  17  giorni,  per  le  persecuzio- 
ni dell'  imperatore  Federico  II,  vacò  la 
s.  Sede  20  mesi  ei7  giorni,  finche  a'24 
giugno  1243  fu  eletto  Innocenzo  IV  già 
vescovo  d'  Albenga.  Per  tutte  queste  vi- 
cende ,  1'  indegno  vescovo   rimase  tran- 
quillo nel  suo  vescovato.  Il  nuovo  Papa 
genovese  istruito  pienamente  di  tutto,  e 
continuando  il  vescovo  Larcari  nella  sua 
mauiera  di  viverescaudjlosa,nò  essendosi 


VEN  sor 

presentato  in  Roma,  ne  discolpato  del- 
le gravissime  accuse, colla  bolla  Ea  quae 
per  Sedem,  de' 18  marzoi244>  indiriz- 
zata al  capitolo  di  Ventimiglia,  e  riferi- 
ta dall'  Uglielli,  dichiarò  deposto  il  ve- 
scovo Nicolò  Larcari,  sciogliendo  i  cano- 
nici da  ogni  ubbidienza.  Con  altra  bolla 
dello  stesso  giorno  Assumpti  quamvis  ini* 
merilis,  parimenti  riprodotta  dall' Ughel- 
li, notificò  al  medesimo  capitolo  di  aver 
eletto  a  loro  pastore  fr.  Giacomo  I,  e  non 
Angelo  come  scrive  Gioffredo,  domeni- 
cano di  Castel   Àrquato  diocesi  di  Pia- 
cenza. Indi  Innocenzo  IV  al  nuovo  pa- 
store scrisse  la  lettera  Ut  Ecclesia   Vi» 
ginliniiliensi,  presso  l'Ughelli,  per  impar- 
tirgli la  facoltà  di  prosciogliere  dalle  cen- 
sure ecclesiastiche  i  chierici  promossi  a- 
gli  ordini  sagri  dal  sospeso  e  scomunica- 
to predecessore.  Nel  seguente  anno  aven- 
do il  capitolo  formato  i  suoi  nuovi  sta- 
tuti, e  per  le  ristrette  rendite  soppressa 
la  dignità  dell'arcidiacono,  limitando  il 
numero  de' capitolari  a  soli  7   canouici, 
compreso  il  preposto,  Innocenzo  IV  gli 
approvò  colla  bolla  Cunctìs  pctentium, 
de'2  gennaio  1246,  diretta  al  preposto  e 
capitolo,  che  si  legge  nell' Uglielli.  Però 
poco  dopo  la  dignità  arcidiaconale  fu  ri- 
stabilita, ed  il  deposto  vescovo  Larcari, 
pentenilosi  del  suo  riprovevole  operato, 
umilmente  implorando  perdonodal  Pa- 
pa, ottenne  l'assoluzione  dalle  censure,  e 
per  clemenza  singolare  il  risarcimentodel- 
la  sua  fama,  riabilitato  a  conseguire  be- 
nefizi ecclesiastici,  all'esercizio  del  sacer- 
dozio ,  non  alla  dignità  episcopale;  me- 
diante la  bolla  che  gli  diresse,  Nicolao 
quondam  Vigintiiniliensi  Episcopo  -  Qui 
delinque ules,  de'  1  3  luglio  1  246, riporta- 
ta dall'Ugnelli.  Nel  12Ì1  divenne  vesco- 
vo Azone  Visconti,  per  morte  dell'ante- 
cessore, il  quale  non  essendo  stato  con- 
sagrato, il  Papa  colla  lettera  Electo  Vi- 
gintimiliensi  -  Personam  Inani ,  de'  17 
gennaio,  presso  l'Ughelli,  lo  facoltizzòad 
usare  anello  e  mitra,  e  di  dare  al  popolo 
la  soleune  benedizione.  Nel  1262  fu  ve- 


»oa  V  E  N 

scovo  Norganilo.  Neh  265  Giovanni  IH 
di  Alzate.  Nel  medesimo  anno,  o  nel  1 266 
come  registra  il  can.  Dima,  Oberto  o  li- 
berto Visconti,  in  grazia  del  fratello  ar- 
civescovo di  Milano  Ottone.  Nel  1270 
Giacomo  11  Gorgouio  di  Piacenza.  Indi 
nel  1282  Guglielmo  lì,  ma  Gioffredo  ne 
anticipa  il  vescovato,  poiché  diceche  nel 
1276  è  nominato  nell'aggiustamento  per 
la  chiesa  di  s.  Nicolò  di  Sospello,  fatto 
all'abbate  di  s.  Ponzio  di  Nizza.  AI  suo 
tempo  e  nel  1285  il  capitolo  generale 
dell'ordina  di  s.  Antonio  di  Vienna  am- 
mise i  cittadini  di  Venlimiglia  alla  par- 
tecipazione dell'opere  buone  del  medesi- 
mo, iu  ossequio  alla  ventimigliese  madre 
di  s.  Antonio  abbate.  Particolare  divo- 
zione ebbero  a  tal  santo  non  solo  i  citta- 
dini, ma  i  cotiti  di  Venlimiglia,  i  quali 
digiunavano  la  vigilia  di  sua  festa  e  im- 
posero spesso  il  suo  nome  appropri  figli. 
Alle  di  lui  reliquie,  che  si  venerano  in 
Vienna  del  Delfinato,  quasi  lutti  i  conti 
di  Venlimiglia  fecero  frequenti  pellegri- 
naggi. La  città  d'Arles  si  gloria  di  vene- 
rare la  lesta  di  sì  gran  santo,  e  dice  Giof- 
fredo, che  in  memoria  della  di  lui  madre 
si  dava  la  prelazione  a'cittadini  di  Ven- 
timiglia, se  trovavansi  in  quella  città,  di 
portare  le  aste  del  baldacchino ,  nel  so- 
lennizzarsi la  sua  festa  con  processione. 
]1  vescovo  Guglielmo  II  nel  1287  inter- 
venne al  sinodo  provinciale  di  Milano,  e 
mori  nel  I2g3.  In  questo  Giovanni  IV, 
che  terminò  di  vivere  nel  i3o4.  Nello  stes- 
so, eletto  dal  capitolo  e  confermato  da  Be- 
nedetto XI  2  kal.  februarii,  Ottone  I  de* 
conti  di  Ventimiglia,  secondogenito  del 
conte  Guglielmo  Pietro  e  dell'  infanta 
Eudossia  (dal  Gregora  e  altri  chiamata 
Irene)  Lascaris  di  Grecia  ,  già  canonico 
della  cattedrale;  mandò  il  suo  procura- 
tore al  sinodo  provinciale  adunato  nel 
1 3 1 1  dall'arcivescovo  di  Milano  in  Ber- 
gamo, e  morì  neh  3  19.  Questo  vescovo 
fu  l'ultimo  eletto  da'canonici  della  cat- 
tedrale, ed  i  suoi  successoli  vennero  im- 
mediatamente promossi  da'Papi.  Infatti 


VEN 

avendo  il  capitolo  eletto  Giacomo  III 
Missino  o  di  Massimino  della  diocesi  d'Ai  • 
ha,  Giovanni  XKU  cheavea  riservalo  a 
se  e  successori  anche  l'elezioni  de'  vesco- 
vi della  provincia  ecclesiastica  di  Mila- 
no, onde  provvedere  alle  dissensioni  che 
vi  nascevano,  ne  disapprovò  l'elezione. 
Tultavia  I'  intruso  esercitò  la  dignità  un 
anno.  Il  Papa  con  leltera  de'26  novem- 
bre i320,  01  32  1  secondo  Gioffredo  che 
la  riporta,  nominò  fr.  Raimondo  france- 
scano penitenziere  apostolico,  neh  328  a' 
G  settembre  traslato  a  Veuza  o  Vence  e 
poi  a  Nizza.  Nello  stesso  giorno  Giovan  - 
ni  XXII  gli  sostituì  fr.  Pietro  I  Marcel- 
lo genovese  domenicano,  morto  nel  gen» 
naio  i345.  A'3i  di  tal  mese  fr.  Bonifa- 
cio canonico  regolare  del  monastero  di 
Crueys  nella  diocesi  di  Sistemo ,  morto 
di  peste  nel  i348.  A' 16  novembre,  se- 
condo il  Bima,  o  a'2  1  dicernbrei348  al 
dire  di  GiolTiedo,  Angelo  arcidiacono  di 
Reggio,  suddito  come  il  precedente  del- 
la regina  Giovanna  I,  sotto  di  cui  si  con- 
tinuava il  dominio  di  Venlimiglia  e  suo 
contado,  che  perciò  la  medesima  in  tale 
anno  vi  deputò  giudice  Simone  Girona 
celebre  giureconsulto  nizzardo,  neh  35  o 
trasferito  a  Tricarico  e  nel  1 364  a  Pa  ~ 
Irasso.  A'22  novembrei  35o  fr.  Pietro  li 
Gesione  o  Giso  o  Pino  domenicano,  tra- 
slato alla  sede  arcivescovile  di  Brindisine! 
1 3 52. In  questo,o  nel  1 354 al  riferir*  d'U- 
ghelli,RustiriooR.uslico,  morto  neh  362. 
Già  gli  era  successo  Ruffino  a'2  giugno, 
e  neh  369  intervenne  alla  pace  conclusa 
a  Terrizzo,  territorio  di  Saorgio, tramon- 
ti di  Ventimiglia  e  altre  persone  qualifì  - 
cale,  cogli  uffizioli  di  Giovanna  I  pel  vas- 
sallaggio a  lei  dovuto.  Nel  1370  Giaco- 
mo IV  Fieschi  de' conti  di  Lavagna,  nel 
1 382  arcivescovo  della  patria  Genova.  Il 
Dima  noi  conobbe,  ed  invece  riporta  nel 
1375  Giambattista,  e  nel  1379  ''  Pseu" 
do  Bertrando  eletto  dall'antipapa  Cle- 
mente VII,  che  l'Ughelli  dice  nominato 
neh38o;  nel  qual  anno  il  Bima  registra 
Roberto,  che  governò  pochi  mesi ,  altro 


VEN 
intruso.  Tale  fu  pure  Pietro  III  dal  Di- 
ma segnato  al  i38i,  e  dall'Uglielli  nel 
i  3qo,  trasferito  nel  1409  da  Alessandro 
V  a  Famagosta,  dice  Gioffredo  e  Io  qua- 
lifica fr.;  anzi  neli3go  nomina  fi*.  Gio- 
vanni Abraardi  che  trovossiall'adunauza 
degli  stati  d'Aix.  In  que'lempi  turbolen- 
ti pel  grau  scisma  d'occidente  sostenuto 
dagli  antipapi  d'Avignone,  la  serie  de've- 
scoviè  alterala.  Imperocché,  il  Dima  suc- 
cessivamente notati  382  Benedetto  IBoc- 
canegra,  eletto  da  Papa  Urbano  VI,  nel 
i4oo  morto;  1 4o  1  Tommaso  II  Degna, 
Écismaticoiulruso,  nel 4 4^3  morto; i4o3 
Benedetto  II;i4o8  Pietro  IV  de  Marin- 
Iiaco;i4»o  Benedetto  III  Bottamgia,  as- 
siatelte  al  concilio  di  Pisa ,  ma  esso  era 
stato  celebrato  nel  precedenteanno;  1 4 1 5 
Bartolomeo  II  morto  nel  i4'7«  L'Ughel- 
li  riferisce:  Benedetto  del  1407  tesoriere 
di  s.  Chiesa  sotto  Papa  Innocenzo  VII, 
nel  i4°9  fu  a'  concilio  Pisano;  Bartolo- 
meo morto  nel  1 4 1  7-  Gioffredo  parla  de* 
seguenti!  Benedetto  Boccanegradeli4°3 
ebbe  a  vicario  generale  il  benedettinoBar- 
tolomeo  di  Coniglia,  ed  al  suo  tempo  le 
Alpi  marittime  ricevettero  le  benedizio- 
ni divine,  per  le  continuate  predicazioni 
di  s.  Vinceuzo  Ferreri  domenicano;  se- 
guiva l'antipapa  Benedetto  XIII,  e  si  re* 
co  ad  ossequiarlo  a  Nizza  nel  i4o6,  e  pa- 
re anche  quando  diversi  popoli  si  sottrae- 
vano dall'ubbidienza  del  falso  Benedet- 
to XIII,  perchè  que'di  Sospelloa'3i  ot- 
tobre^* 1  ottennero  da  lui  di  non  esser 
molestali,  per  tutto  il  tempo  che  dura- 
va l'incertezza  del  vero  Papa,  e  di  quan- 
to avessero  fatto.  Bartolomeo  morto  nel 
i4i8.  In  tanta  confusione  di  legittimi  e 
di  pseudi  pastori,  sembra  la  successione 
de'primi  doversi  riconoscere  ne'soli  Fie- 
scbi  e  Boccanegra.  Terminato  lo  scisma 
aetl4E7  coll'elezione  di  Martino  V,  que- 
sti elesse  nell'aprile  14*801419  Tomma- 
so 1 1 1  Piivato  oRiccato  de'Berengari  d'A- 
melia, canonico  di  s.  Paolo  di  Liegi  e  u- 
ditore  di  Rota, morto  in  Roma  a'27  gen- 
naio 1422  e  sepolto  uella  basilica  Libe- 


VEN  ao3 

liana,  con  epitaffio  esibito  da  Ughelli  e 
Gioffredo.  A'  1 8  febbraio  gli  successe  Ot- 
tobono  Belloni,  notando  Giolfredo  aver- 
lo fatto  vivere  sino  al  1 45>2,  sebbene  Gia- 
cinto Cambi,  nell' Istoria  dell'ordine  dì 
s.  Domenico,  sotto  l'anno  1426  annove- 
ra per  vescovo  di  Ventimiglia  fi».  Giaco- 
mo Piacentino  domenicano,  e  quantun- 
que egli  trova  mentovato  Ottobono  in 
una  scrittura  deli 435,  in  cui  sono  pure 
nominati  Giuliano  de  Giudici  preposto 
della  cattedrale  e  suo  vicario  generale,  e 
d.  Giorgio  de'conti  di  Ventimiglia  bene- 
dettino priore  di  s.  Michele  della  stessa 
città.  Riporta  poi  Ollone  II,  non  cono- 
sciuto da  Ughelli  e  da  Bima,  come  pro- 
vasi da  certe  lettere  date  in  Ventimiglia 
n'5  marzo  i445,  nelle  quali  fa  meuzione 
del  palazzo  vescovile  di  Sospello  luogo 
principale  di  sua  diocesi.  Nel  14^2  Gia- 
como V  Feo  di  Savona  o  milanese,  chie- 
rico di  camera,  dotto  e  di  sommi  meri- 
ti, Io  dice  il  Samaria,  per  le  commissio- 
ni apostoliche  affidategli  da  Papa  Pio  II, 
in  Perugia  a  riscuotere  le  decime  eccle- 
siastiche, ordinate  perle  spese  del  la  guer- 
ra contro  i  turchi,  e  dovette  percorrere 
anche  tutta  la  Romagna,  usando  pruden- 
za per  non  rendersi  odioso,  ed  energia  per 
non  mancare  all'ufficio  impostogli.  Nel 
suo  testamento  del  1467  legò  la  sua  bi- 
blioteca al  monastero  della  basilica  di  s. 
Paolo  di  Roma.  L'Ughelli  disse,  che  nel 
i463  per  la  s.  Sedefracnaviù  Unibriam. 
Morì  nel  1468,  e  fiori  a  suo  tempo  fr. 
Francesco  di  Ventimiglia  insigne  teolo- 
go francescano.  Nell'istesso  anno  Stefano 
li  de  Robii,  al  cui  tempo  Ottobono  O- 
rengo  giudice  di  Pigna,  fondò  in  Venti- 
miglia il  convento  de'minori  osservanti; 
traslato  dopo  un  anno  ad  altra  sede:  l'i- 
gnorarono Ughelli  e  Gioffredo.  Nel  1469 
fr.  Gio.  Battista  de  Giudici  di  Finale  do- 
menicano, virtuoso  e  dottissimo,  massi- 
me in  teologia.  Tutto  il  tempo  che  gli 
rimaneva  sìdalle  religiose  osservanze  che 
dalle  cure  vescovili,  iudefesso  1'  applica- 
va allo  studio,  perciò  scrisse  opere  loda- 


2o4  VER 

tissime,  come  i  commentali  soprai  quat- 
tro Evangeli,  un  dialogo  sui  discepoli 
andati  in  Emmaus,  un  commentario  sui 
4  libri  delle  Sentenze,  ed  un  bellissimo 
li  ialogo  de  contvmplu  mundi,  impresso 
nel  1 49^  in  Venezia.  Usò  vigilanza  con- 
tro certi  eretici  introdottisi  in  Sospello  e 
altri  luoghi  della  diocesi,  de'quali  alcu- 
ni furono  fatti  abbruciare  da  Claudio  Bo- 
nardi  vice-governatore.  Fece  Y  orazione 
funebre  a  Roberto  Malatesta  signore  di 
lumini,  al  solenne  funerale  che  alla  sua 
presenza  gli  fece  celebrare  Sisto  IV,  nel- 
la basilica  Vaticana  a'25settembre  1482. 
Sisto  IV  nel  i  483  lo  trasferì  all'arcive- 
scovato d'A  malfide  nel  i484aquellodiPa- 
trasso,  morto  in  tale  anno  in  Roma  e  se- 
polto in  s.  Maria  sopra  Minerva,  con  iscri- 
zione postagli  dall'amico  cardinal  della 
Rovere,  poi  Giulio  II,  riportata  dall' U- 
ghelli,  da  GiofFredo  e  dal  Semeria,  sen- 
za farsi  menzione  dell'arcivescovato  d'A- 
malfi. Dice  il  Bima,  nel  i483  fu  vescovo 
Guglielmo  III,  già  arcivescovo  d'Amalfi, 
che  morto  dopo  3  mesi,  la  sede  passò  di 
nuovo  sotto  1'  amministrazione  del  pre- 
decessore, e  col  titolo  di  Patrasso  aggiun- 
ge l'Ughelli.  Pare  che  ciò  sospetti  anche 
GiofFiedo,ammettendoGuglieImoW,ma 
ne  esclude  Gio.  Battista  Lascarisde'conti 
di  Ventimiglia,  voluto  da  mg.r  Chiesa  e 
quel  ch'è  peggio  nel  1 4^74-  L'Ughelli  nel- 
la serie  degli  a  rei  vescovi  d'Amalfi  non  ri- 
porta Guglielmo,  e  quanto  al  de  Giudici 
tlisseche  per  pochi  mesi  tennel'arcivesco- 
vato,  coque  dimìsso  ad  prima  m  sponsam 
rediit.  Nel  1484  Sisto  IV  (che  morì  a'  1 3 
agosto)  fece  vescovo  Antoniotto  Palla- 
vicino(y.)  genovese,  poi  cardinale:  Giof- 
(redo  ritarda  il  vescovato  al  i485,  e  che 
loera  uuovamenle,quan<lo  morì  nel  1 507 
iu  Roma,  ma  non  pare.  Nel  i486  Solcet- 
to  Fieschi,  riportato  dal  solo  Bima,  mor- 
to nelli487.  In  questo  Alessandro  Fre- 
goso  figlio  del  cardinal  Paolo  arcivesco- 
vo e  doge  di  Genova,  dicendo  GiofFredo 
avvezzi  l'uno  e  l'altro  piuttosto  a  maneg- 
giare la  spada,  che  il  pastorale,  e  più  a 


VEN 
reggere  la  celata,  che  a  portare  la  mitra 
in  capo;  fu  pure  vicario  generale  di  Cri- 
stoforo de  Latuo  vescovo  di  Glandeve, 
assente  dalla  diocesi.  Avendo  tramato  di 
uccidere  il  governatore  di  Genova  pel  re 
di  Francia,  e  di  fare  insorgere  il  popolo, 
scoperta  la  congiura  fuggì.  Inseguito  e 
preso,  fu  mandato  prigione  a  Milano.  Per 
sua  dimissione  nel i5oi, da  Noli  vi  fu  tra- 
slato nel  i5o2  Domenico  Vaccari  o  Va- 
cillerò di  Sospello.  Nel  1 5i  1  Alessandro 
Fregoso  nuovamente,  senza  essersi  mi- 
gliorato, perchè  ottenne  la  sede  con  bro- 
glio, e  poi  si  die'  alle  armi  rinunziando- 
la  di  nuovo.  Neli5i8  cardinale  Innocen- 
eo  Cibo  (F.)  amministratore.  Nel  1 5 19 
Filippo  de  Mari  genovese,  e  sembra  an- 
che amministratore  di  Nizza.  Fu  pure 
nel  1 544  sufFraganeo  e  luogotenente  del 
cardinale  nella  chiesa  di  Torino,  ove  ri- 
siedeva. Nondimeno  si  rese  benemerito 
della  sua  diocesi,  con  rimuoverne  i  di- 
sordini introdotti  per  la  condotta  del  suo 
indegno  predecessore;  compose  le  discor- 
die ch'erano  fra  Ventimiglia  e  di  verse  co- 
muni del  contado;  lasciando  certe  me- 
morie di  sua  dottrina  e  pastorali  virtù. 
Dovendo  stare  a  Torino,  nel  dettoi544 
ne  fece  rinunzia  al  nipote  Gio.  Battista 
III  de  Mari,  morto  nel  1 56 1.  In  questo 
Carlo  Visconti  (V.)  milanese,  che  inter- 
venne al  concilio  di  Trento,  ove  fece  co- 
noscere la  sua  molta  dottrina  e  la  rara 
sua  prudenza. Da'cardinali  presidenti  del 
concilio  fu  mandato  a  Roma  adattare 
con  Pio  IV  di  gravi  questioni, e  nella  ses- 
sione 11. a  recitò  «m'applaudita  orazione. 
Le  sue  virtù  gli  meritarono  il  cardinala- 
to ne\i565,  ed  a'6  luglio  l'amministra- 
zione di  Monte  Feltro:  morì  in  R.oma  a' 
i3  novembre  dell'istesso anno.  Nello  stes- 
so 6  luglioPio  I V  da  Anagni  trasferì  a  que- 
sta chiesa  il  cardinal  Benedetto  IV  Lo- 
tnellino  (V.),  ed  a'7  settembre  lo  trafit- 
to a  Luni  eSarzana.  Agli  8  dicembre  1 565 
vi  passò  da  Savona,  e  già  era  stato  con  e- 
stimazione  di  tutti  al  concilio  di  Trento, 
Carlo  li  Grimaldi  Cebà  genovese.  A  suo 


V  E  W 
tempo,  narra  GiofFredo,  introdottesi  per- 
niciose eresie  nella  diocesi,  massime  in 
Sospello,  Tenda  e  in  altri  luoghi,  ener- 
gicamente vi  provvide  :  nel  1672  fu  tras» 
Jato  ad  Albenga.  k'i  gennaio  i5y3  gli 
successe  FrancescoGalbiati  diPonlremo- 
Ji,  che  nel  1576  intervenne  al  4*°  conci- 
lio provinciale  di  Milano,  adunato  da  s. 
Carlo  Borromeo,  morto  nella  gran  pe- 
stilenza che  afflisse  la  Provenza  e  molti 
luoghi  del  contado  di  Nizza  nel  i58o,  di- 
ce GiofFredo,eneli58i  Bima.  A*2i  mag- 
gio Giulio  Cesare  Ricordi  o  Ricordato, 
morto  nel  1602.  A'  1 5  aprile  Clemente 
Vili  elesse  e  poi  consagrò  Stefano  IH 
Spinola  genovese,lodalo  pastore  visitò  la 
diocesi,  e  nel  1608  celebrò  il  sinodo,  mo- 
rendo nel  161  3.  In  questo, secondo  Bima, 
o  neh6i4  al  dire  d'Ughelli  €  di  Seme- 
ria,  Girolamo  Curio  di  Taggia,  già  udi- 
tore di  mg.r  Costa  nunzio  di  Torino,  e 
per  sua  morte  uel  161 3  internunzio  ef- 
fettivo, con  aggradimento  universale  del- 
la corte.  Poco  dopo  Paolo  V  lo  destinò 
visitatore  e  commissario  apostolico  di 
tutto  il  regno  di  Corsica,  con  pieno  con- 
senso della  repubblica  di  Genova.  Era- 
no insorti  in  quell'isola  forti  tumulti  po- 
polari control  vescovi  del  reame,  per  lo 
più  genovesi, e  contro  i  governatori  e  gius- 
dicenti, che  vi  mandava  la  repubblica, 
riuscì  al  Curio  colle  dolci  sue  maniere  di 
sedare  i  tumulti,  e  di  ridurre  i  ribelli  al- 
l'ubbidienza. Mentre  stava  aspettando  da 
Roma  e  dalla  repubblica  gli  ordini  pel 
suo  ritorno,  occnpavasi  con  diligente  e 
giudiziosa  sollecitudine  della  riforma  del 
clero  e  del  popolo;  già  avea  ricevuto  dal 
cardinal  Borghese  nipote  del  Papa  lette- 
re di  sua  prossima  promozione,  quando 
assalito  da  dolori  di  visceri,  e  non  senza 
sospetto  di  veleno,  se  ne  mori  in  Bastia  a' 
1  3  novembre  1 6 1 6. 1  di  lui  precordi,  per 
sua  disposizione,furono  deposti  nella  chie- 
sa de'gesuiti,  e  il  di  lui  cadavere  trospor- 
tatoa  Taggia  sua  patria  d'ordine  del  fra- 
tello Giovanni,  fu  sepolto  in  un  marmo- 
reo monumento  nella  chiesa  di  s.  Dome- 


V  E  N  2o5 

nico,  con  busto  in  marmo,  e  con  prolis- 
sa e  splendida  iscrizione,  riportata  dal- 
l'ab.  Semeria.  A'3o  gennaioi6i7  Nico- 
lò li  Spinola  genovese,  teatino  insigne, 
dotto  nella  teologia,  morto  nel  162 2.  In 
questo  Gio.  Francesco  Gandolfodi  Por- 
to Maurizio,  abbreviatole  del  parco  mag- 
giore e  lodato  dal  Ciampini.  Per  la  sua 
grande  prudenza  e  rare  doli  ,  divenuto 
molto  caro  alla  casa  di  Savoia,  quantun- 
que di  patria slraniero,a'  1  o gennaio  1 633 
fu  traslato  ad  Alba,  ed  a  contemplazio- 
ne  di  lui  e  del  patito  da'fratelli  nella  guer- 
ra con  Genova,  il  duca  di  Savoia  confe- 
rì a 'suoi  il  contado  di  Riccardone  e  Me- 
lazzo.  Imperocché  il  prelato  essendosi  in- 
terposto col  principe  del  Piemonte,  per 
impedire  il  saccheggio  di  Ventimigliaja 
repubblica  reputandolo  partigiano  di  Sa- 
voia, ne  fece  imprigionare  i  fratelli;  co- 
nosciutasi poi  l'innocenza  del  vescovo,  la 
repubblica  si  servì  del  prelato  per  con- 
cludere tregua  con  Carlo  Emanuele  I,e 
fece  annoverare  alla  nobiltà  di  Genova 
i  Gandolfì;  ed  il  duca  di  Savoia  gli  ono- 
rò con  detta  contea,  mentre  il  suo  figlio 
Vittorio  Amedeo  1  ottenne  che  il  vesco- 
vo fosse  promosso  ad  un  vescovato  de' 
suoi  stati.  JNel  1 633  Lorenzo  Gavolli  di 
Savona,  già  prepositode'leatini  dis.  An- 
drea della  Valle  di  Roma,  rinunziò  poi 
nel  1  654  Per  varie  differenze  avute  nella 
diocesi,  indi  fallo  canonico  Liberiano.  A' 
22  agosto  gli  successe  Mauro  Promonto- 
rio genovese,  monaco cassinese,  morto  lo- 
dato a'4  gennaio  i685.  A* io  settembre 
Gio.  Girolamo  Naselli  nobile  di  Savona 
e  preposto  di  quella  cattedrale,  introdus- 
se in  Venlimiglia  resistenti  canoniches- 
se,  contribuendovi  generosamente  la  fa- 
miglia Orengo.  Traslato  a  Luni  e  Sarta- 
na  a'7  febbraio  169D,  a'2  maggio  gli  fu 
surrogalo  Gio.  Slelano  Pastore  di  Geno- 
va, in  patria  vicario  generale,  giudice  si- 
nodale e  consultore  del  s.  OfTìzio,  morto 
in  Fano  riOmiiliiseu  s.  Remigli,  ossia  s. 
Remo,a'2g  maggio  1700,  e  sepolto  nella 
collegiata  di  s.  Suo.  Nel  1 70 1  Ambrogio 


aoG  YEN 

Spinola  nobile  genovese,  dopo  avere  e- 
sercitalo  le  primarie  cariche  nella  sua  con- 
gregazione de'barnabiti,  traslato  a  Limi 
e  Sarzana  a*  i  o  marzo  r  7  1  o.  Con  esso  le 
Notizie  di  Roma  cominciano  a  registra- 
re i  vescovi  di  Ventimiglia,  ma  l'ultima 
data  erroneamente  la  riferiscono  per  pro- 
mozione a  questo  vescovato. 

A*  7  aprile  di  detto  anno  Carlo  Maria 
Mascardi  nobile  sarzanese  (  nel   voi.  LI, 
p.  1 5 r,  nel  riferire  le  gravi  differenze  fra 
la  s.  Sede  e  Vittorio  Amedeo  11,  col  No- 
vaes,  Storia  di  Clemente  Xt >  t.    12,  p. 
27,  chiamai  questo  vescovo  Carlo  Ru- 
bioli:  riscontrato  il  breve,  è  nominalo  Car- 
lo Maria,  dunque  è  lo  stesso  che  il  Ma- 
scardi),dopo  aver  egregiamente  esaurito 
varie  prepositure  nella  sua  congregazio- 
ne di  s.  Paolo  de'  barnabiti  ,  morto  nel 
1 73 1.  Indi  nel  xn^i  Antonio  Maria  Ba- 
cigalnpi  genovese,  della  congregazione 
della  Madre  di  Dio:  mentre  voleva  ridur- 
re l'episcopio  a   seminario  ,  e  disponeva 
altra  migliore  residenza  vescovile,  termi- 
nò di  vivere  a'  1 5  luglio  1740.  A'  ca- 
prile del  seguente  vi  fu  traslato  da  Sago- 
na  d.  Pietro  Maria  Giustiniani  genovese, 
nato  a  Scio,  benemerito  e  iodatissimo  pa- 
store. Però  alquanto  aspro,  si  disgustò  col 
principe  di  Monaco,  il  cui  principato  es- 
sendo nella  diocesi  di  Ventimiglia,  do- 
mandò alla  s.  Sade  di  separarlo  dalla  dio- 
cesi, ed  invece  ottenne  un  vicario  genera- 
le residente  in  Monaco,  esente  del  tutto 
do  Ila  vescovile  giurisdizione.  I  canonici  ne 
restarono  molto  disgustati, in  unoa'nohi- 
li  della  città,  i  quali  nella  più  parte  atlii- 
buivano  al  vescovo  tal  separazione.— Del 
principato  di  Monaco,  situato  in  questa 
stessa  provincia  di  Nizza,  riparlai,  per  le 
ultime  vicende  principalmente,   nel  voi. 
LXI,  p.  i43,  e  del  ducato  di  Valentinois 
donato  al  principe  di  Mouaco  a  Vaiejv- 
ea  di  Francia   nel   descriverlo;  quindi 
è  opportuno  che  io  qui  riproduca  il   ri- 
ferilo  dal  corrispondente  della    Civil- 
tà Cattolica  de'  ig  giugno  i858.  «  La 
vertenza  del  Piemonte  col  principe  di 


V  EN 
Monaco,  da   quanto  pare,  è  presso  nd  a< 
vere  un  qualche  scioglimento,  essendosi 
recalo  perciò  a  Parigi  il  conte  Pallieri  , 
come  rappresentante  del  governo  sardo, 
per  entrare  in  negoziati  sopra  questo  ar- 
gomento. Non  sarà  inutile  ch'io  ricordi 
a'  vostri   lettori  lo  stato  della  questione. 
Nel  1848  Menloue  e  Roccabruna   si  ri- 
bellarono al  loro  principe  e  si  diedero  al 
Piemonte,  che  in  forza  detrattati,  ha  di- 
ritto di  protezione  sopra  il  principato.  Il 
governo  piemontese  nel  1849  propose  al 
parlamento  un  disegno  di  legge  per  in- 
corporareallo  stato  i  due  comuni  di  Meo- 
Ione  e  di  Roccabruna.   Questo   disegno 
vinse  il  partito  nella  camera  de'deputati; 
ma  presentato  in  senato,  la  diploma/.ia 
si  oppose  alla  sua  discussione,  e   non   se 
ne  parlò  più.  Da  quel  punto  la  lite  passò 
dal  campo  parlamentare  al  campo  diplo- 
matico, e  nel  i85o  il  nostro  governo  sar- 
do faceva  pubblicare   una  Me  moire  Jii- 
storiquesitr  Monaco,  Mentoli  etRocque- 
brune,  redige  di  apres    Ics  documenta 
origìnaux,  existants  à  Turiti  dans  Ics 
arc/iivcs  du  Royaume.  Autore  di  questa 
scrittura  era  il  sig.r  Leone  Menabrea,  il 
quale  sostenne  che  sin  dal  1  448  Giovan- 
ni Grimaldi  donò  mezzo  Mentone  e  tut- 
ta Roccabruna  a  Luigi  duca  di  Savoia; 
e  nel  1 477  ■  duchi  di  Savoia  acquistaro- 
no allo  stesso  titolo  cinque  sesti  dell'al- 
tra metà  di  Mentone eRoccabruna,  laon- 
de resterebbe  in  questione  oggidì  un  solo 
dodicesimo  di  Mentone.  Pare  però  che  il 
ministero  non  riputasse  abbastanza    di- 
fesa la  sua  causa  davanti  la  diplomazia, 
giacche  nel  1837  die'  incarico  al  prof. 
Melegari  di   scrivere  un'altra  operetta  , 
per  sostenere  sottosopra  la  tesi  del  Me- 
nabrea. Ora  che  il  processo  si  giudica 
suilicieutemente  istrutto,  si  sta  maturan- 
do la  senteuza.  Si  disse  che  il  principe  di 
Monaco  sarebbe  disposto  a  cedere  Men- 
tone e  Roccabruna  mediante  un  milione 
in  denaro,  eduna  rendita  annua  di  fran- 
chi 5o,ooo;  ma   un  giornale  di  Mona- 
co smeulisce  la  notizia  e  dichiara  che  il 


VE& 
principe  non  vuole  sapere  di  aggiusta- 
mento, ed  esige  1'  integrità  del  suo  prin- 
cipato ".  Di  recente  il  principe  Carlo  III 
seguante,  nel  voler  conservare  tale  inte- 
grità pubblicò  la  seguente  protesta,  alla 
quale,  devo  premettere,  che  die'motivo  il 
gran  parlare,  i  clamori,  le  apprensioni 
del  mondo  politico,  dal  settembre  i858 
in  poi,  per  la  cessione  temporanea  diVilla- 
franca  per  if\.  anni  a  pigione,  come  si  vuo- 
le, fatta  dal  governo  sardo  alla  Russia  , 
ossia  apparisce  concessa  ad  una  compa- 
gnia mercantile  russa  di  navigazione  a 
vapore,  per  farvi  un  deposito  di  viveri  e 
di  combustibili,  le  cui  navi  vanno  diretta- 
mente da  Odessa  al  Mediterraneo.  Spiegò 
V  Invalido  Russo ,  consistere  la  cessione 
in  un  pezzo  di  terra  sulla  spiaggia  orien- 
tale della  baia  di  Villafranca,  per  stabi- 
lirvi deposili  e  officine. Bensì  un'articolo 
ne'  regolamenti  della  compagnia  ricono- 
sce il  diritto  delle  navi  russe  da  guerra 
d'entrare  ne'porti,  dove  la  compagnia  a- 
vesse  stabilimento  di  questo  genere,  per 
quelle  riparazioni  che  loro  occorressero. 
Molti  peròcredono  che  diverrà  una  stazio- 
ne militare  russa  nel  porlo  di  Villafìan- 
ca, insieme  ad  uno  stabilimento  mercan- 
tile russo.  E  nella  vicina  Nizza  a'i4  di- 
cembre i858  fu  stabilita  e  inaugurala 
una  chiesa  greco-russa,  nel  quartiere  di 
Longs-Camps,  e  lo  imparo  della  Civiltà 
Catto  licci,  serie  4-a>  t.i,o  quaderno  212 
a  p.234,  ove  tra  le  altre  leggo  le  seguen- 
ti gravi  e  significanti  parole.  »  Nizza  é 
una  vera  Babele,  dove  si  parlano  tutte 
le  lingue,  e  a  poco  a  poco  s'introdurran- 
no tutti  i  culti . .  .  .Mentre  i  russi  fabbri- 
cano nuove  chiese  in  Piemonte,  i  poveri 
cattolici  perdono  in  Polonia  le  loro,  che 
sono  date  al  culto  scismatico  ".  11  Gior- 
nale di  Roma  de' 3  dicembre  i858 
riferisce  il  seguente  sunto  della  dichiara- 
zione del  principe  di  Monaco  Carlo  III,  di 
cui  il  Constilutionnel  garantisce  l'auten- 
ticità. «  Non  è  la  prima  volta  che  si  spar- 
ge ne'  giornali  la  voce  della  cessione  del 
principato  di  Monaco  ad  una  qualche  pò- 


VÈN  207 

tenza,  ora  al  Piemonte,  ora  all'Inghilter- 
ra, ora  agli  Stati  Uniti  d'America. Non  è  a 
meravigliarsi  che  nelle  circostanze  pre- 
senti, allorquando  l'attenzione  dell'  Eu- 
ropa è  attirata  su  questa  parte  del  Me- 
diterraneo, da  un  lato,  la  vicinanza  di 
Villafranca,  la  natura  e  lo  scopo  suppo- 
sto degli  stabilimenti  che  vuol  fondarvi 
la  Russia;  dall'  altro,  la  posizione  tanto 
notevole  della  città  di  Monaco  come  po- 
sto d'osservazione,  l'importanza  della  sua 
fortezza,  l'estensione  delle  baie  che  domi- 
na e  la  sicurezza  del  suo  porto,  abbiano 
provocato  in  vari  fogli  francesi  il  ripe- 
tersi di  queste  voci  di  cessione  dando  lo- 
ro qualche  apparente  valore.  Noi  coglia- 
mo questa  occasione  per  dire  tutto  quan- 
to il  nostro  pensiero  a  questo  riguardo. 
Non  ignoriamo  che  in  questi  ultimi  tem- 
pi lepiù  splendide  proposizioni, a  venti  per 
iscopo  l'acquisto  del  principato  ,  furono 
fatte  al  suo  sovrano;  ma  i  nobili  senti- 
menti del  principe  Carlo  III  attualmente 
regnante,  la  sua  lunga  resistenza  come 
quella  del  suo  augusto  predeces>ore  al- 
l' abbandono  di  due  delle  sue  città  in  fa- 
vore d'uno  stato  vicino,  non  permettono 
punto  di  ammettere  possa  essere  più  ve- 
ro che  la  questione  della  cessione  sia 
stata  seriamente  trattata  ,  di  quello  che 
sia  esatto  l'asserire  il  fallo  di  vendite  an- 
teriori totali  o  parziali  contro  denari 
sonanti.  Il  principato  di  Monaco  conser- 
va nobilmente  un  attaccamento  irremo- 
vibile all'antica  nobiltà  della  sua  origi- 
ne. Costituito,  or  son  più  di  nove  secoli  , 
dall'  imperatore  in  sovranità  libera  da 
ogni  sottomissione  o  tributo,  esso  visse 
indipendente  in  mezzo  a  convulsioni  di 
ogni  genere,  governato  senza  interruzio- 
ne dall'antica  dinastia  de'  Grimaldi.  Il 
protettorato  sempre  leale  della  Francia 
l'aiutò,  durante  vari  secoli  ,  a  difendere 
i  suoi  diritti, e  la  rimembranza  di  questo 
passato  si  associa  troppo  bene  nel  prin- 
cipe attuale  al  sentimento  della  propria 
dignità,  perchè  possa  avere  il  pensiero  di 
allontanarsi,  per  un  iuleresse  personale, 


2o8  V  E  N 

dalla  linea  di  condotta  eli'  egli  si  è  trac- 
ciato. Aggiungiamo  che  le  istituzioni,  di 
cui  il  principe  dotò  il  paese,  sono  quello 
della  Francia;  ciò  dice  abbastanza,  che, 
oltre  i  suoi  sentimenti  d'alfetto  perii  so- 
prano, il  principato  gli  deve  delle  idee  di 
saggia  liberili, d'ordine  e  di  progresso,che 
mettono  in  salvo  la  sua  debolezza  e  riget- 
tano ben  lungi  ogni  desiderio  d'  un'an- 
nessione a  non  importa  quale  (forse  do- 
vrà dire,  e  non  importa  dire  a  quale  ) 
potenza  estera.  La  posizione  anormale 
delle  città  di  Mentoue  e  Roccabruna  , 
generalmente  dimenticata  dalla  dq»loma* 
zia  europea,  e  che  l'opinione  pubblica  si 
meraviglia  non  pertanto  di  vedersi  prò* 
lungare  indefiuitivamente,  diede  a  que- 
sta voce  di  cessione  uu  alimento  indiret- 
to chebasta  a  mantenerlo.  Speriamo  che 
le  grandi  potenze,  le  quali  hanno  potuto 
metter  io  salvo  l'indipendenza  del  Mon- 
tenegro, regoleranno  altresì  in  un  pros- 
simo avveuire  una  questione  non  meuo 
degna  d'interesse  dal  punto  di  vista  dei 
trattati  e  del  rispetto  alle  nazionalità". 
—  Tornando  al  vescovo  Giustiniani,  ze- 
Jaute  della  disciplina  del  clero,  e  del  de- 
coro della  casa  di  Dio,  restaurò  la  catte- 
drale. Cede  l'antico  episcopio  a  favore 
del  seminario,  che  dotò;  fabbricando,  cou 
l'acquisto  di  varie  case,  il  nuovo  palazzo 
vescovile.  Tenne  il  suo  sinodo,  e  lasciò  in 
testamento a'vescovi successori  scudi  200 
annui,  coli'obbligo  di  visitare  a  loro  spe- 
se, senza  alcun  aggravio  altrui,  la  diocesi 
ogni  due  anni;  e  dovei  vescovi  non  fos- 
sero  in  caso  di  godere  del  legato, ordinò 
che  detta  rendita  sia  impiegata  nel  dota- 
re povere  zitelle  diocesane.  Abitava  or- 
dinariamente a  Bordighera,  e  morì  a*  5 
ottobre  1^65.  Gii  successe  nello  slesso 
anno  Nicolò  Pasquale  de  Franchi  ,  ma 
non  fu  consagrato  per  insorte  questioni 
fra  la  s.  Sede  e  la  repubblica  di  Genova, 
come  riferisce  il  Bima,  uon  registrato  dal- 
le Notizie  diRoma,  forse  perchè  fu  sem- 
plice nomina.  A'20  settembre  1767  Cle- 
mente XIII  preconizzò  d.  Angelo  Luigi 


V  EJN 
Giovo  cassmese ,  che  ristabilì  la  buona 
armonia  alterata  dal  carattere  igneo  del 
d'altronde  ottimo  predecessore,  e  si  pro- 
cacciò il  favore  del  principe  di  Monaco, 
laonde  bentosto  ricuperò  interamente  la 
giurisdizione  episcopale  di  quel  principa- 
to, morendo  a'  16  aprile  1774*  A*  12,  o 
i3  marzo  1775  fr.  Domenico  M.a  Cla va- 
nni domenicano  genovese,  di  cui  lunga- 
mente parla  il  Semeria.  Nel  suo  istituto 
erasi  distinto  per  esattissima  osservanza 
religiosa  e  per  somma  dolliina,ed  accet- 
tò il  vescovato  ripugnante  per  ubbidien- 
za. Consultò  di  presenza  s.  Alfonso  M.a  de 
Liguori  intorno  alla  condotta  pastorale, 
e  si  propose  di  eseguire  gli  ottimi  avvisi 
che  ne  avea  ricevuto  e  gli  esempi  che  a- 
vea  veduto.  Cominciò  il  suo  governo  eol- 
Pevangelica  predicazione,  col  fervido  suo 
zelo,  collo  studio  di  formare  buoni  pasto- 
ri, di  migliorare  i  viziosi,  e  col  costante 
esercizio  di  tutte  l'episcopali  virtù.  Cou 
estremo  dolore  trovò  la  fabbrica  del  se- 
minario così  mal  concia,  che  neppur  4 
chierici  poteva  alloggiare;  pareva  un  ca- 
sone svaligiato  da'soldali.  Primamente  ri- 
storò e  ingrandì  l'edificio,  e  sin  dal  1  .°an- 
uo  potè  collocarvi  7  seminaristi.  Affida- 
to alla  provvidenza,  continuò  i  lavori,  e 
nel  novembre  1777  la  fabbrica  già  era  ca- 
pace accogliere  3o  chierici,  oltre  ad  un  nu- 
mero proporzionato  d'ordinandi  pe'spi- 
riluali  esercizi.  Perquesta  nuova  costru- 
zione, oltre  alle  oblazioni  de'  beneficiali 
e   de'  benefattori ,  vi  spese   del  proprio 
1  1,000  lire,  somma  rilevante  per  un  ve- 
scovo che  avea  pochissimo  dalla  mensa,  la 
quale  è  tuttora  scarsissima.  Cercò  buoni 
maestri,  ed  ollimo  lettole  di  teologia  era 
egli  stesso:  compose  i  suoi  giovaui  alla 
modestia   e   alla  virtù  ,  onde  fornire  di 
buoni  sacerdoti  le  parrocchie.  Ma    il  ze- 
lantissimo pastore   ebbe  a  tollerare  cri- 
tiche e  amare  contraddizioni  ,  massime 
da  que'che  dovevano  più  di  tutti   secon- 
dare le  sue  cure  apostoliche;  e  queste  a- 
m  a  rezze  di  più  1'  angosciarono  estrema- 
mente  pochi  mesi  prima  di  morire.  Scop- 


VEN 
piata  in  Genova  nel  1797  la  rivoluzione, 
piantato  l'albero  della  libertà,  gli  spiriti 
immorali  e  irreligiosi  applaudicela  per 
tutto  meuavano  trionfo  di  tutti  gli  one- 
sti, e  singolarmente  sopra  i  virtuosi  pa- 
stori,   che  per  disprezzo  venivano  delti 
aristocratici.  A  Venti  miglia  venne  depu- 
tato dal  governo  provvisorio  a  commis- 
sario organizzatore  un   certo   Biagino , 
strano  e  acceso  al  pari  di  un  vulcano,  il 
quale  non  era  mai  sì  contento,  che  quan- 
do empiamente  poteva  umiliare  il  clero 
e  il  monachismo.  Prese  di  particolare  mi- 
ra l'egregio  vescovo  Clavarini,  pose  alla 
porta  dell'  episcopio  le  guardie  temendo 
che  fuggisse,  e  divisava  di  farlo  condurre 
a  Genova  come  una  preda  aristocratica, 
meritevole  di   prigionia   o  di   morte.   11 
buon  prelato  infermiccio  per  natura, già 
aiìranto  dagli  anni  e  dalle  fatiche,  dovet- 
te soccombere  al  peso  enorme  degli  af- 
fronti e  de'  disgusti.  Celebrò  la  messa  il 
i.°  ottobre,  festa  del  ss.  Rosario,  di  cui 
era  divolissimo,  vi  comunicò  i  suoi  do- 
mestici, e  nella  sera  recitando  con  essi  la 
corona,  die'  loro  gli  ultimi  salutari  ricor- 
di. Nel  dì  seguente,  stanco  di  vedersi  più 
in  terra  e  desideroso  del  cielo  ,  andò  a 
ricevere  il  premio  di  sue  virtù  e  de'suoi 
patimenti.  Non  passò  molto  tempo,  che 
il  suo  persecutore  Biagino  fu  ucciso.  Os- 
serva il  Semeria,  dovere  recare  sorpre- 
sa, come  una  diocesi  sì  antica  e  sì  rag- 
guardevole non  ebbe  mai  un  seminario 
vasto,  ricco  e  ben  ordinato;»  che  i  vescovi 
antecessori  a  mg.r  Clavarini  ,  o  la  città 
medesima  non  abbiano  mai  dato  su  di 
questo  particolare  un  provvedimento  no- 
bile e  grandioso;  che  neppure  al  giorno 
d'oggi  (pubblicò  la  sua  Storia  nel  i838) 
trovisi  un  liberale  benefattore,  il  quale 
abbia  assegnato  uu  pingue  fondo  per  la 
pensione  de'poveri  cherici,edi  quelli  che 
nella  scienza  e  nella  pietà  si  distinguono. 
Eppure  certissima  cosa  è  che  inVentimi- 
glia  vi  furono  sempre  molte  famiglie  no- 
bilissime e  doviziosissime,  che  molli  dei 
suoi  cittadini  furouo  fondatori   di  pii  le- 
vol.  xeni. 


VEN  209 

gali  e  benefattori  di  conventi  e  mona- 
steri. E  come  duuque  sì  poche  provvi- 
denze al  seminario  vescovile?  Forse  che 
que'prelati  non  ebbero  zelo?  Anzi  n'ebbe- 
ro grandissimo;  ma  devesi  riflettere  che 
in  se   il  vescovato  era  povero,  e  le  pro- 
prie sostanze  de' vescovi  sovente  scarseg- 
giavano. Il  peggio  era  che  le  sante  loro  in- 
tenzioni, in  vece  di  trovare  cooperazione 
e  soccorsi,  incontravano  degli  ostacoli;  on- 
de il  seminario  restava  sempre  misero  e 
negletto.  Al  giorno  d'oggi  però  si  ripara 
al  passato  disordine,  fabbricandosi   un 
edificio  che  per  la  forma  e  per  l'ampiez- 
za corrisponderà  certamente  al  bisogno 
della  diocesi,  al  decoro  della  città,  e  al 
massimo  vantaggio  del  clero  (il  beneme- 
rito storico  allude  all'operato  dell'attua- 
le zelantissimo  pastore  mg.1  Diale,  che  ha 
pure  restaurato  l'episcopio  e  curato  il  de- 
coro dell'uffiziatura  divina).  Per  la  mor- 
te di  mg.r  Clavarini  restò  vacante  la  se- 
de vescovile  7  anni  meno  8  giorni, ed  in 
questo  tempo  avvennero  variazioni  im- 
portanti. Racconta  il  medesimo  Semeria, 
che  la  diocesi  cessò  per  sempre  d'  essere 
suffraganea  di  Milano,  ed  era  rimasta  la 
sola  e  unica  di  tutta  la  Liguria,  che  dalla 
sua  origine  sino  a  quel  tempo  non  avea 
mai  cambiato  di  chiesa   metropolitana 
(leggo  però  nella  bolla  Expoùtum  cum 
Nobis  ,  de'  9  aprile  1806  ,  Bull.  Rom. 
cont.U  i3,  p.  17,  che  Pio  VII  sottrasse 
dalla  dipendenza  della  metropoli  di  Mi- 
lano il  vescovato  di  Ventimiglia,  e  lo  di- 
chiarò suffraganeo  di  quella  d'Aix).  Di 
più,  che  la  diocesi  di  Ventimiglia  è  com- 
posta di    36  parrocchie,  due  delle  quali 
Mentone  e  Roccabruna  nel  principato  di 
Monaco,  ed  altra  in  questa  città,  que- 
gli antichi  stati  della  real  casa  di  Savoia, 
e  14  nel  Genovesato.  Ora  nel    1802   il 
cardinal  Caprara  legato  a  Intere  in  Frau- 
da presso  il    i.°  console   Napoleone  Bo- 
naparte  ,  scrisse  al  capitolo  di  Ventimi- 
glia, che  volesse  rinunziare  a  tutte  le  par- 
rocchie ch'erano  fuori  delGenovesato  ca- 
dute in  potete  dellaFrancia,  ed  i  capito- 

*4 


2,o  YEN 

lari  ili  Venlimiglia  sponte  oc  libere  ad 
consenandam  Eeclesiae paeem  et  imita- 
tem3  par te m  Ulani  Ecelcsiarum  paro- 
chialium  dìoecesis  J'intimiliensis  in  tem- 
porali subìeclam  reip.  Gallicanaedomi- 
nationi  (erano  queste  le  accennate  due 
del  principato  di  Monaco,  quella  di  tale 
città,  e  le  19  degli  antichi  stati  Sardi  ) , 
curamque  earuindem  regiminis,  cui  sili 
melius  libuerit committtiidi  in  manibus 
Sanclitatis  Suae  u  nani  ini  ter  dimiserunt 
ac  resignarunt.  Essendo  pertanto  ridot- 
ta la  diocesi  a  sole  14  piccolissime  par* 
rocchie,  si  dubitava  che  la  diocesi  venisse 
soppressa  -3  tuttavolta  nel  1802  fu  propo- 
sto dal  governo  della  repubblica  ligure 
per  la  vacante  chiesa  di  Ventimiglia  il  p. 
Paolo  Girolamo  Orengo  patrizio  inleme- 
liese  e  nato  nella  stessa  città,  provinciale 
de*  chierici  regolari  poveri  della  Madre 
di  Dio  delle  scuole  pie,  e  Pio  VII  lo  pre- 
conizzò vescovo  nel  concistoro  de'24 set- 
tembre 1804, come  ricavo  dalle  Notizie 
di  Roma  e  dagli  atti  del  concistoro  pub- 
blicali dal  n.  77  del  Diario  di  Roma  del 
i8o4*  In  base  di  sì  certa  data  ho  slabili  lo 
di  sopra  l'epoca  della  sede  vacante,  che 
il  Semeria  disse  vacante  per  circa  un  lu- 
stro, ed  il  Bima  provveduta  a'3o  settem- 
bre. Deplorabili  vieppiù  si  fecero  i  tem- 
pi politici,  anche  per  la  Liguria,  onde  il 
buon  vescovo  afflitto  e  grave  per  1*  età, 
moiì  a'  3o  maggio  1812,  lasciando  lun- 
gamente vedova  la  sua  chiesa.  Ricompo- 
sto l'ordine  pubblico,  il  Genovesato  dato 
al  re  di  Sardegna,  ad  istanza  del  re  Vit- 
torio Emauuele  I,  il  Papa  Pio  VII,  tolse 
Ventimi  glia  alla  metropolitana  di  Aix,e 
la  fece  suiìraganea  di  quella  di  Genova  , 
colla  bolla  Solleciludo  omnium  Eccle- 
siarum,  de'3o  maggio  J  8 1 8,  e  lo  è  tut- 
tora. Lo  stesso  Papa  a*  2  otlobre  di- 
chiarò vescovo  Felice  Levi  ero  di  Ge- 
nova ,  già  vigilantissimo  parroco  di  s. 
Marco  di  quella  città,  esemplare  e  di- 
ligente pastore,  ampliò  eresia  uro  l'epi- 
scopio, morendo  a'  5  marzo  1  824.  Restò 
■vacante  la  sede,  finche  Gregorio  XVI  nel 


VE» 

suo  i.°  concistoro  de'  28  febbraio  1 83 f 
preconizzò  Gio.  Battista  de  Albertis  di 
Genova,  dottore  in  s.  teologia,  della  con- 
gregazione delle  missioni  apostoliche  di 
s.  Carlo,  professore  di  lingua  ebraica  e 
greca  uella  patria  università,  prudente, 
dotto  e  ornato  d'altri  pregi  riferiti  uella 
proposizione  concistoriale.  Leggo  in  que- 
sta, che  allora  la  diocesi  si  componeva  di 
1  j  parrocchie,  e  rendeva  la  mensa  annui 
scudi  600,  estendendosi  iu  25  miglia  di 
territorio.  Il  suo  vescovato  sarà  sempre 
memorabile  per  l'ampliazione  della  dio- 
cesi. Dappoiché  Gregorio XVI  colla  bol- 
la Ex  injuncto  Nobis  coeliius,  de'  20 
giugno  1 83 1 ,  Bull.  Rom.  coni.  t.  1 9,  p. 
28,  di  consenso  del  vescovo  di  Nizza  e 
del  capitolo  d'  Albeuga,  essendo  allora  la 
sede  vacante,  l'ampliò  con  33  parrocchie, 
in  compeuso  delle  22  che  avea  perduto 
nel  1802.  Pertanto  la  diocesi  ricuperò  le 
8  parrocchie  che  le  appartenevano,  nel- 
l'aulico marchesato  di  Dolce  Acqua,  ag- 
gregate a  quella  di  Nizza,  cioè  Dolce  Ac- 
qua, La  Rocchetta,  Seborga,  Pennaldo  , 
Apricale,  Isola  Buona,  Pigna  e  Bugio.  Le 
altre  26  smembrate  dal  vescovato  d'Al- 
benga,  delle  quali  5  sono  collegiate,  ven- 
gouo  denominate:  Audagna,  Badalucco, 
Boscomare,  Busana,  Carpasio,  Castella- 
lo, Ceriana,  Cipressa,  Colla,  Corte,  Costa 
Raniera,  Longuaglietta,  s.  Lorenzo,  Mo- 
liui  diTriora,  Montalto,  Poggio,  Pompe* 
jana,  s.  Remo  (illustre  città  e  porto,  con 
feracissimo  territorio  produttivo  iu  ab- 
bondanza d'olio  e  agrumi.  Posto  alle  fal- 
de d'una  collina,  è  capoluogo  di  provin- 
cia, con  collegiata  e  insigne  capitolo,aven- 
te  monasteri  delle  salesiane  e  delle  tur- 
chine,e  convento  di  cappuccini,  noveran- 
do più  di  10,000  abitanti,  tra'quali  fio- 
rirono uomini  illustri,  e  per  ultimo  il  pre- 
lato Stefano  Rossi, il  cui  distiuto  ingegno 
e  vasta  dottrina  celebrai  in  più  luoghi, 
e  da  ultimo  a  Verona  per  avere  in  Ra- 
venna, mentre  n'  era  delegato  apostoli- 
co, eretto  un  nobile  monumento  sepol- 
crale al  celebre  veronese p.Autoaio  Cesa- 


VEN 
ri),  Biva,  s.  Stefano,  Taggia  (Tabia,  già 
considerevole  borgo,  ed  ora  città,  situata 
sulle  sponde  d'un  fiumicello  che  bagna  il 
fertilissimo  territorio.  La  chiesa  matrice 
ha  titolo  di  prepositura,  ed  ha  conventi 
di  domenicani  e  di  cappuccini,  e  mona- 
stero di  domenicane.  E  abitato  da  circa 
4,ooo  individui,  che  vantano  alcuni  il- 
lustri. Squisiti  sono  i  suoi  vini  moscatel- 
li), Tesoro,  Triora,  Torre  Papponi  e 
Yerezzo.  11  Papa  commise  1'  esecuzione 
della  bolla  a  mg.rAirenti  arcivescovo  di 
Genova,  il  quale  la  partecipò  al  capitolo 
d'  Albenga,  indi  al  vescovo  di  Nizza,  ed 
a '2 2  agosto  al  vescovo  e  capitolo  di  Yen- 
limiglia  ;  e  cosi  la  nuova  ampliazione  fu 
canonicamente  stabilita.  Il  vescovo  de  Al- 
bertis  nel  1837  rinunziò  la  sede,  e  sta- 
bilitosi in  Pvoma,GregorioXVI  nel  1840 
gli  conferì  il  titolo  arcivescovile  di  Na* 
zianzo,  come  notai  in  quell'articolo.  Lo 
stesso  Papa  nel  consistoro  de'19  maggio 
1837  dichiarò  l'odierno  vescovo  mg.r  Lo- 
renzo Giovanni  Battista  Diale  di  Genova, 
dottore  nel  gius  canonico,  e  poi  preposto 
della  patria  chiesa  metropolitana  e  vica- 
rio generale  della  medesima,  protonota  - 
rio  apostolico;  encomiandolo  pel  suo  vasto 
sapere,  squisita  prudenza,  felice  esperien- 
za e  sacerdotali  virtù,  benemerentissimo 
pastore,  anche  per  quanto  accennai  di  so- 
pra. Nel  i844  tenne  il  sinodo  e  lo  pub- 
blicò colle  stampe:  Synodus  Dioecesana 
Vinlimiliensis  anno  1 844*  &  Rornuli. 
Inoltre  il  suo  vescovato  veuue  segnalato 
da  due  solenni  coronazioni  della  B.  Ver- 
gine, celebrate  nella  diocesi  che  vado  a 
descrivere,  della  1. "avendolo  promesso 
nel  voi.  LXIX,  p.  i  1 9.  —  Si  apprende  da' 
Cenni  istorici  della  miracolosa  immagi- 
ne di  Maria  SS.  detta  di  Lampedosa. 
che  sarà  solennemente  coronata  in  Ca- 
stellare) di  Liguria  nel  settembre  1 845. 
>•  In  Castellaro  di  Liguria  si  venera  cer- 
ta portentosa  effigie  di  Nostra  Signora,  la 
quale  stringe  nelle  braccia  in  atteggia- 
mento assai  tenero  il  Divin  Figliuolo,  e 
a  destra  gli  sta  in  piedi  s.  Cateiiua  ver- 


VEN  211 

gine  e  martire:  viene  questa  detta  di 
Lampendosa,  l'origine  del  quale  nome 
venne  dall'isola,  donde  codesta  Immagi- 
ne fu  a  Castellaro  nel  seguente  modo 
trasferita.  Corre  il  3.°  secolo,  che  fu  dai 
turchi  tratto  in  ischiavitù  Andrea  An- 
fossi  ligure  all'isola  di  Lampedosa.  Ebbe 
egli  quivi  veduto  appena  la  suddetta  Im- 
magine ,  che  fece  voto  d' innalzarle  uu 
tempio  in  un  suo  podere,  se  libero  dalla 
schiavitù  fosse  felicemente  a  Castellaro 
sua  patria  ritornato.  Si  tolse  pertanto , 
occultaudosi  nell'isola  alle  ricerche  dei 
turchi,  i  quali  alfine  di  colà  si  partirono 
per  qualche  ora.  Incavato  allora  rozza- 
mente un  ceppo  informe,  ingolfassi  An- 
drea su  di  quello  in  mare,  servendosi  a 
vela  della  stessa  Immagine  di  Maria.  Né 
fu  fraudata  la  fede  ,  ch'ebbe  in  questa 
benedetta,  poiché  sano  e  salvo,  avvegna- 
ché colle  galere  da'  turchi  indarno  inse- 
guito ,  approdò  in  brevissimo  tempo  su 
di  quel  ceppo  alle  spiaggie  natie,  dove, 
per  gratitudine  dell'  ottenuto  benefizio, 
volle  metterla  al  pubblico,  perchè  fosse 
dal  popolo  venerata.  Non  sì  tosto  V  of- 
ferse allo  sguardo  del  divoto  popolo  in 
gran  folla  accorso,  che  volle  la  Divina 
Madre,  con  isciogliere  la  lingua  ad  una 
muta,  far  conto  al  popolo  di  Castellaro 
qual  tesoro  egli  avesse  pel  suo  servo 
Andrea  acquistato.  Ne  quivi  ebbero  fine 
le  meraviglie, che  anzi  una  maggiore  non 
molto  tempo  appresso  ne  avvenue.  Con- 
ciossiachè  fatto  consapevole  il  popolo 
del  volo  di  Anfossi  volle  generosamente 
adempirlo.  Ma  siccome  il  podere,  dov'e- 
ra d'uopo  innalzare,  giusta  la  promessa  , 
il  tempio,  sarebbe  stato  per  la  sua  lonta- 
nanza di  non  poco  incomodo  al  popolo, 
cosi  determinarono  di  erigerle  più  vici- 
no, forte  ripugnando  Andrea,  una  cap- 
pella ,  dove  fu  esposta  la  sagra  effigie. 
Venne  il  giorno  appresso, ne  più  trovos- 
si  nella  cappella  la  prodigiosa  Immagi- 
ne, ma  bensì  in  un  rovaio  nel  podere  di 
Andrea  a  lei  promesso.  Accorse  ad  un  tal 
portento  frettoloso  il  popolo,  e  con  più 


aia  V  h .  H 

venerazione  che  mai  nuovamente  recollu 
nella  destiuata  cappella:  il  lutto  però  fu 
inutile,  che  per  ben  due  volte  riunovossi 
Io  stesso  prodigio.  Conosciuto  pertanto 
il  volere  della  buona  Madie  ,  un  gaio 
tempio,  non  ostante  le  difficoltà  del  silo, 
le  si  eresse  nello  stesso  luogo  nel  quale 
si  era  da  se  tanto  prodigiosamente  por- 
tata, donde  mai  più  dipartissi ,  e  dove 
con  le  grazie  e  gli  stupendi  miracoli. che 
frequentissimi  opera  a  prò  de'  suoi  fi- 
gli, mai  è  che  la  espilazione  de' vicini 
e  remoti  popoli,  i  quali  mai  sempre  ga- 
reggiarono in  tributarle  omaggi,  per  im- 
petrarne favori,  di  che  abbisognassero, 
venga  fraudata.  Si  è  dunque  per  accie* 
scere  vieppiù  il  fervore  della  divozione, 
e  per  gratitudine  degli  ottenuti  benefizi, 
che  il  sacerdote  mg.'  Gio.  Battista  Ar- 
naldi ligure  (nato  in  Castellato),  per  sola 
clemenza  e  degnazione  di  Sua  Santità 
Papa  Gregorio XVI  felicemente  regnan- 
te, prelato  domestico  e  votante  di  segna- 
gnatura  (ora  degnissimo  arcivescovo  di 
Spoleto ,  per  quanto  riportai  in  quell'ar- 
ticolo), fece  istanza  al  Rm.°  Capitolo 
Vaticano  di  potere  incoronare  questa  im- 
magine miracolosa  ,  e  previo  il  benigno 
assenso  di  Sua  Santità  ottenne  il  favo- 
revole decreto:  aggiunse  poi  a  maggior 
lustro  di  tanta  solennità  una  medaglia 
di  conio  reale,  insieme  ad  altra  di  conio 
più  piccolo,  che  servissero  ad  appagare 
la  divozione  e  fissare  l'epoca  di  si  fausto 
avvenimento  (con  l'epigrafe  intorno:/?. 
Mariae  a  Lampedusa  Aurea  Corona 
Donatae.Soiio  la  ss.  Immagine  è  l'iscri- 
zione: Joan.  Bapt.  Arnaldi  Alitisi.  Urb. 
i845.  Nel  rovescio  vi  è  la  sigla  del  no- 
me di  Maria,  sovrastato  dalla  Croce  rag- 
giante, e  sotto  due  cuori,  l'uuo  circondalo 
da  corona  di  spine  ,  1'  altro  trafìtto  da 
spada.  In  giro  si  legge  :  Maria  Mater 
Dei  sis  mihi  propitia.  11  munifico  prela- 
to ne  fece  coniare  in  metallo. in  argento 
e  in  oro),  esprimendone  ancora  in  rame 
la  stessa  effigie  (  divota  e  maestosa  ,  in 
più  dimensioni,  anche  in  nobile  minia- 


V  E  W 
tura,  e  con  l'iscrizione:  Imagi nem  Ma- 
riae D.  N.  a  Lampedusa  in  ora  Ligu- 
riaet  Decreto  Collegi  Canonicontm  Ba» 
silicaeValicanae  aureo  diademate  redi- 
mitala anno  1 845.  Gregorio  XVI.  P.  M. 
DivinaeMatris  cultori  pienti s si mo.  Jo. 
B.  Arnaldi  AntistcsUrbanus D.  D.  D.)} 
che  con  corona  d'oro  deve  essere  a'd'i  8 
settembre  184$,  solennemente  corona- 
ta ".  Riferisce  il  n.  72  del  Diario  di  Ro- 
ma del  i845,  l'invito  sagro  di  iug.r  fiiale 
vescovo  di  Ventimiglia  pubblicato  dalla 
Gazzetta  di  Genova,  ed  inviato  dal 
zelante  pastore  a  tutte  le  parrocchie  del- 
ia sua  diocesi  ed  altre  limitrofe,  per  in- 
vitarle a  prendere  parte  alla  solenne  co- 
ronazione dell'effigie  miracolosa  di  Ma- 
ria Vergine,  sotto  il  titolo  di  Lampedu- 
sa, che  si  venera  in  Castellalo,  e  per  la 
quale  tanto  si  è  adoperato  l'illustre  pie- 
lato  mg.r  Arnaldi,  e  che  per  esserne  il 
benemerito  e  generoso  promotore  si  era 
portatoespressameute  in  Castellato  a  que- 
sto solo  oggetto.  11  vescovo  eccitò  con  fa- 
conde e  religiose  parole  le  popolazioni 
a  concorrere  a  questa  di  vola  funzione,  on- 
de vieppiù  glorificare  la  ss.  Vergine,  e  po- 
ter lucrare  l'iudulgenze  concesse  da  Pa- 
pa Gregorio  XVI  a  tutti  quelli  che  visi- 
teranno in  questa  solennità  la  miracolosa 
Immagine;  e  in  modo  particolare  invitò 
le  confraternite, acciò  processionalmenle 
si  portassero  a  visitarla  ne'giorui  che  sa- 
rebbe solennemente  esposta.  Disse  anco- 
ra, che  alla  funzione  interverranno  4  ve- 
scovi, oltre  mg.r  Arnaldi;  che  comincia- 
va a'  7  settembre  col  solenne  trasporlo 
dell'effigie  della  ss.  Vergine  dal  suo  san- 
tuario nella  chiesa  parroccbiaIe,e  durava 
finoa'i4>in  cui  sarebbe  riportata  al  pro- 
prio santuario.  La  coronazione  dover  suc- 
cedere l'8  settembre,  e  che  in  tulli  i  gior- 
ni successivi  vi  sarebbero  pontificali  con 
analoga  orazione  panegirica  ,  pubbliche 
illuminazioni,  accademia  di  poesia  e  di 
musica  in  onore  della  B.  Vergine,  scelli 
fuochi  d'  arliiìzio,  slegante  apparato  in 
chiesa  e  processioni;  acciocché  tulio  con- 


VEN 
corresse  ail  aumentare  Io  splendore  di  que- 
sto incoronamento.  Tutto  quanto  ebbe 
luogo  decorosamente, con  edificazione  di 
divoto  entusiasmo  econ  immenso  concor- 
so di  fedeli,  anche  de'circostanti  e  lontnni 
luoghi,  con  pubblica  letizia.  L'incremen- 
to di  gloria  procurato  in  patria  alla  ss. 
Vergine  dal  venerando  prelato  che  reg- 
ge la  s.  Chiesa  Spolelana,  resterà  per  lui 
lustro  e  benemerenza  imperitura. —  L'al- 
tra solenne  coronazione  della  Deipara,  av- 
venuta nella  diocesi  di  Ventimiglia  nel 
vescovato  del  lodato  mg/  Diale,  la  descri- 
ve la  Civiltà  Cattolica  de'2  agosto  1 856, 
colle  seguenti  parole.  «Nella  chiesa  par- 
rocchiale ed  insigne  collegiata  della  città 
di  Taggia  nella  diocesi  di  Ventimiglia  fu 
il  d'i  i.°  giugno  i856  solennemente  in- 
coronata una  statua  di  Maria  ss.  del  Sa- 
gro Cuore.  Gli  apparecchi  splendidissimi 
che  vi  furono  fatti  per  addobbare  ricca- 
mente la  chiesa,  gli  archi  trionfali  e  le 
cappelle  innalzate  nelle  vie  della  divota 
città  per  le  quali  dovea  passare  la  bella 
processione,  le  luminarie,  i  fuochi  artifi- 
ciali, gli  spari  de'moschetti  in  segno  di  e- 
sultanza  sono  poca  cosa  rimpetto  al  con- 
corso di  circa  3o  mila  forestieri  venuti 
«li  lontano  per  assistere  a  quest'  onore 
fitto  a  Maria, ed  alla  divozione  colla  qua- 
le i  più  de'cittadini  s'accostarono  alla  sa- 
gra mensa  Eucaristica.  Il  vescovo  di  Ven- 
timiglia mg.r  Biale,  incaricato  dal  S.  Pa- 
dre Pio  IX  di  compiere  quel  rito  solen- 
ne, fu  assistito  da'  vescovi  d'Albenga,  di 
Savona  e  di  Novara,  i  quali  vollero  in 
omaggio  a  Maria  ss.  condecorare  di  loro 
presenza  quella  pia  solennità.  La  cagio- 
ne di  quest'ossequio,  consueto  a  farsi  alle 
immagini(P\)  di  Maria  ss.  più  venerate, 
è  indicata  dal  S.  Padre  medesimo  nel  bre- 
ve indirizzato  a  mg.r  vescovo.  Eccone  la 
parte  più  importante  la  quale  copiammo 
com'  essa  è  tradotta  nella  Relazione  del 
prodigioso  movimento  degli  occhi  ec. 
stampata  teste  in  Genova.  =  Mentre  si 
solennizzava,  come  ci  narri,  per  8  giorni 
nella  medesima  chiesa  rimmacolataCon- 


VE  If 


a  1  3 


cezione  della  Vergine  con  somma  esul- 
tanza di  tutto  il  clero  e  del  popolo  fedele,  e 
con  ispecialepompae  divozione,cominciò 
essaStatua  a  muovere  maravigliosamente 
gli  occhi.  E  perchè  un  tal  prodigio, come 
tu  affermi  nella  stessa  tua  lettera  ,  ebbe 
principio  il  giorno  1 1  del  passato  mar- 
zo, e  sino  a  quest'ora  è  durevole ,  per  ciò 
stesso  moltissime  persone  d'ogni  ordi- 
ne e  condizione  sì  da'vicini  comeda'lon- 
tani  paesi  colà  si  portarono  a  calca  per 
venerare  la  B.  Vergine  in  quell'immagi- 
ne. Con  ottimo  senno  hai  giudicato  di 
rivolgere  tutta  la  diligente  tua  cura  per 
comporre,  come  era  d'uopo  ,  un  adegua- 
to processo  sopra  un  prodigio  di  questa 
fatta, cui  avesti  sollecitudine  trasmetterci 
colla  tua  lettera  ,  e  che  Noi  ricevemmo 
con  tutto  il  piacere.  Ma  poiché  ci  sup- 
plicasti ad  accordarti  la  facoltà  d'impor- 
re a  Nostro  nome  una  corona  d'  oro  a 
quel  Simulacro,  Noi  condiscendiamo  ben 
tosto  a  (juesto  tuo  piissimo  desiderio  con 
un  gaudio  non  lieve  certo  dell'  animo 
Nostro,  ss  Ora  dal  processo  inviato  al 
Beatissimo  Padre  si  deduce  che  il  movi- 
mento degli  occhi  fu  osservato  da  migliaia 
e  migliaia  di  persone ,  delle  quali  sole 
120  furono  esaminate  giuridicamente 
scegliendole  di  grado,  di  età  ,  di  patria 
differente  tutte  attestarono  \\  fatto  che 
fu  veduto  da  ogni  canto,  ad  ogni  distan- 
za, ad  ore  differentissime;  non  variò  o 
o  fosse  la  Statua  ornata  de'  molti  ori  che 
avea,  o  ne  fosse  spogliata;  o  venisse  il- 
luminata da  poche  o  da  molte  candele  , 
dal  sole  diretto  o  dalla  luce  sparpagliata; 
o  stesse  collocata  in  alto  o  fosse  posta  al 
basso.  Oltre  i  giudizi  de'periti,  l'autore 
medesimo  della  Statua,  il  bravo  scultore 
Revelli  che  ha  lo  studio  in  Roma,  ed  as- 
sistette alla  coronazione, attestò  dell'  im- 
possibilità d'un  artifizio  qualsivoglia  per 
produrre  tanta  varietà  di  posizioni  che 
prendevano  le  pupille  e  il  bianco  di  que- 
gli occhi.  In  uno  stato  dove  la  miscre- 
denza fa  ogni  sforzo  per  distruggere  la 
fede  de'popoli  sembra  che  la  Vergine  ss. 


2.4  VEW 

aiuto  de  cristiani t  abbia  voluto  con  sì  e- 
vidente  segno  animarla  e  rafforzarla". — 
Ogni  nuovo  vescovo  di  Ventimiglia  è 
tassato  ne*  libri  della  camera  apostolica 
in  fiorini  io?., ascendendo  le  rendite  del- 
la mensa  a  2,5ooscudi.  L'ampiezza  della 
diocesi  già  la  descrissi,  giacché  1'  ultima 
proposizione  concistoriale, forse  in  questo 
copiando  la  precedente,  la  dice  i5  mi- 
glia dì  territorio  con  i4p&n'0cchie,  men- 
tre ad  esse  ne  furono  aggiunte  altre  33, 
per  cui  il  territorio  è  assai  più  vasto. 

VENUSTIANI.  Eretici  del  IV  secolo 
della  setta  de'  Pater  ninni  (V.)t  die   a- 
veanoper  capo  Venustio, forse  discepolo  o 
seguace  di  Paterno  di  Patagonia  capo-set- 
ta de'pateroiani  il  quale  credeva  che  ['Uo- 
mo (F.)  fosse  opera  del  Demonio.  Len 
glet  nelle  Tavolette  cronologiche  ,  dice 
che  Paterno  vivea  nel  4^o.  11  Bernino  , 
//istoria  di  tutte  V  heresie  ,   citando  s. 
Agostino, Haer.  72  e  85, riferisce  i  pater- 
niani  nel  pontificalo  di  s.  Liberio,  che  go- 
vernò la  Chiesa  dal  352  al  367;  errando 
nel  sostenere  le  parti  pudende  del  corpo 
umano,  fattura  e  opera  del  demonio  ,  e 
quindi  inferivano  lecita  ogni  loro  dilet- 
tazione; mentre  i  Patriziani  [V.)  o  pa- 
triciani,  seguaci  del  marcionita  loro  ca- 
po, precettore  di  Simmaco,  al  contrario, 
per  nou  recare  affronto  al  demonio, mol 
ti  di  essi  volontariamente  si  uccidevano, 
per  vendicarsi  ne'  loro  corpi  del  nemico 
comune.  II  Bergier,  Dizionario  enciclo- 
pcdico}  all'  articolo  Paierniani,  dice  con 
s.  Agostino,  nel  suo  libro  dell'  Eresie,  n. 
86  ,  che  i  palei  niani  da  alcuni  chiamati 
Venusliani)  insegnarono  che  la  carne  è 
opera  del  demonio  ;  per  questo  non  era- 
no più.  mortificati,  ne  più  casti;  anzi  si 
immergevano  in  ogni   sorta   di  voluttà. 
Dicesi  che  comparvero  nel  IV  secolo,  e 
che  fossero  discepoli  di  Simmaco  il  Sa- 
maritano. Sembra  che  tale  setta ,  sog- 
giunge il  Bergier,  non  sia  stata  molto  nu- 
merosa, ne  moltoconosciuta  dagli  scritto- 
ri ecclesiastici,  il  che  ho  sperimentato  an- 
ch' io.  Quanto  a  Simmaco  Samaritano, 


V  EH 

scrittore  del  II  secolo,  conosciuto  per  una 
versione  in  greco  da  lui  fatta  della  Bib- 
bia, si  fece  ebreo,  poscia  cristiano,  <•  cad- 
de in  seguilo  negli  errori  degli  EbionkiN'x 
furono  degli  eretici  nominati  simmachia- 
ni,  i  quali  negavano  il  giudizio  finale,  os- 
sia  la  2."  Venuta  del  Messia  (V),  e  si 
abbandonavano  ad  ogni  sorta  di  vizi;  ma 
non  pare  che  Simmaco  ne  sia  stato  il  ca- 
po. Filastrio,  De  T/aeres. 

VENUTA  DEL  MESSIA.  Si  dislin- 
guono  due  sorte  di  venute   del   Messici 
(V.)j   una   adempiuta   quando  il   Ver- 
bo (P.)di  Dio  si  è  incarnato,  e  compar- 
ve  tra  gli  uomini  vestito  di  carne  mor- 
tale ;  l'altra  futura,  nella  consumazio- 
ne de' secoli,   quando   discenderà    visi- 
bilmente dal   cielo   nella    sua  gloria  e 
maestà,  accompagnato  dagli  Angeli  suoi, 
per  giudicare  tutti  gli  uomini  vivi  e  mor- 
ti, riuniti  in  un  medesimo  luogo.  Per  vi- 
vi s'intendono  i  giusti  o  eletti;  per  mor- 
ti i  peccatori  o  reprobi,  i  quali,  quanlo 
alla  vita  naturale  ,  pur  troppo  saranno 
vivi  essi  ancora,  per  non  morire  mai  più. 
Per  vivi,  dice  la  Dichiarazione  più  co- 
piosa della  Dottrina  Cristiana  ,  Ptoma 
i838,  si  ponno  intendere  i  buoni,  che  vi- 
vono colla  vita  spirituale  della  grazia, e  per 
morti  i  tristi chesono  morti  spiritualmente 
perii  peccato.  Ma  è  vero  ancora,  soggi  un- 
ge, che  verrà  Cristo  a  giudicare  i  vivi  ed  i 
morti,  quanto  al  corpo;  perchè  in  quei 
giorni  molti  saranno  già  morti  e  molli  si 
troveranno  vivi;  i  quali  sebbene  saranno 
vivi  in   quell'ultimo  giorno,  ed  alcuni 
saranno  anche  giovanetti  e  fanciulli,  non- 
dimeno tutti  in  un  punto  moriranno,  e 
subito  risorgeranno, acciocché  paghino  il 
debito  della  morte.  I   giudei  sono   sem- 
pre in  espetlazione  della    i.a  venuta   del 
Messia,  e  i  cristiani  della  2.ache  precede- 
rà il  giudizio  universale  nella  fine  del  mon- 
do, il  quale  sarà  interamente  distrutto  col 
fuoco.  Quantunque  gli  Uomini  (V.)  tutti 
sono  giudicati  in  particolare  al  momento 
della  loro  Morte  (  uno  de' 4  Novissimi , 
cioè  delle  cose  estreme  che  accadono  al- 


V  E  N 

I*  «omo  ;  essa  è  il  i .°  Novìssimo,  il  i."  il 
Giudìzio  universale,  il  3°  V  Inferno,  il 
4.0  il  Paradiso.  Considerando  bene  i  4 
Novissimi  ci  fanno  astenere  da'  peccati , 
poiché  dice  il  Savio  neWEccles.  7:  Ricor- 
dati delle  cose  ulti  me  ,e  mai  non  pecche- 
rai. Sì  dicono  i  Novissimi  ultime  quattro 
cose,  perchè  la  Morte  è  il  fiue  della  vita, 
e  T  ultima  cosa  che  ci  ha  da  occorrere 
in  questo  mondo.  Il  Giudìzio  finale  è 
Y  ultimo  di  tutti  i  giudizi,  che  si  hanno 
da  fare  ;  e  però  da  quello  non  vi  è  ap- 
pellazione veruna.  L' Inferno  è  l'ultimo 
male,  che  hanno  d'avere  i  malfattori , 
ed  in  quello  stato  hanno  da  stare  sem- 
pre, senza  poterlo  mai  mutare.  Il  Para- 
diso è  l'ultimo  bene,  che  hanno  da  avere 
i  buoni,  e  non  l'hanno  mai  da  perdere. 
Tanto  insegna  la  Dottrina  Cristiana  ), 
è  necessario  che  lo  siano  altresì  tutti  in- 
sieme al  cospetto  dell'universo,  da  Gesù 
Cristo,  per  5  ragioni  principali:  i.°Pec 
giustificare  la  condotta  di  Dio  in  faccia 
a  tutti  gli  uomini,  e  far  trionfare  la  sua 
provvidenza,controla  quale  gli  empii  be- 
stemmiano.2.°Per  separare  pubblicamen- 
te i  buoni da'reprobi.  3.°Per  ricompensa- 
re, o  per  punire  gli  uomini  ne'loro  cor- 
pi, come  nelle  loro  anime,  ratificando  il 
giudizio  particolare.  4«°  Per  aumentare 
la  gloria  de'santi,  de'perseguitati  e  stra- 
ziati, ed  il  supplizio  de'  reprobi,  in  pro- 
porzione di  ciò  che  gli  uni  e  gli  altri  a- 
vranno  meritato,  nel  vedersi  da  tutti  la 
gloria  e  la  punizione.  5.°  Per  la  gloria  di 
Gesù  Cristo,  ingiustamente  da  molti  non 
conosciuto,  né  onorato  come  conveniva, 
per  confusione  dei  superbi  nemici  di  Dio. 
Era  di  ragione  che  venisse  un  giorno  in 
cui  tutto  il  mondo  riunito  lo  conoscesse 
e  l'onorasse  per  forza  o  per  amore,  vero 
Re  e  Signore  dell'Universo.  Dice  con  più 
estesa  dichiarazione  il  dotto  vocovoBron- 
zuoli  nelle  Istituzioni  Cattoliche:  11  giu- 
dizio universale  è  stabilito  principalmen- 
te: i.°  Per  la  gloria  di  Dio,  nel  trionfo 
de' suoi  attributi,  i  quali  resteranno  giu- 
stificati dinanzi  all'universo,  mediante  la 


VEN  2i5 

manifestazione  de'misteri  di  provvidenza 
nell'ordine  delle  cose  naturali  e  sopran- 
naturali. 2.0  Per  la  esaltazione  di  Gesù 
Cristo  dinanzi  a  tutti  gli  uomini  ;  perchè 
Egli  farà  conoscere  a  tutti  coloro  che 
non  Io  hanno  voluto  confessare,  né  han 
profittato  della  sua  Redenzione,  la  sua 
Divinità,  la  sua  Sapienza  e  Potenza  di- 
vina; e  consolerà  gli  eletti  con  l'amabi- 
lità di  sua  persona  e  di  sua  parola,  e  col 
mostrar  loro  il  segno  di  quella  Croce  , 
che  seco  recherà  nel  luogo  del  giudizio, 
per  la  quale  essi  hanno  avuto  grazia  e 
gloria.  3.°  Per  l'onore  e  trioufo  degli  e- 
letti,  i  quali  sa  rati  pubblicamente  e  solen- 
nemente dichiarati  i  possessori  della  ere- 
dità del  celeste  Padre  ,  e  ammessi  nella 
gloria  del  paradiso  in  compagnia  del  Co- 
ro degli  Angeli ,  alia  presenza  dei  re- 
probi, de' quali  hanno  dovuto  sostenere 
nel  mondo  gl'insulti  e  gli  obbrobri.  Nel 
mondo  e  mentre  viviamo,  molti  vedendo 
i  tristi  in  prosperità, ed  i  buoni  in  afflizio- 
ne, vanno  pensando»  che  Dio  non  gover- 
ni il  mondo  bene;  ma  nel  giudizio  uni- 
versale di  tutto  il  moudo,  si  vedrà  chia- 
ro, come  Dio  ha  veduto  e  notato  tutte  le 
cose, e  come  con  giustizia  ha  dato  a'tristi 
qualche  prosperità  temporale  per  rimu- 
nerarli d'alcuue  loro  opere  buone  di  po- 
co momento, dovendo  dar  loro  l'eterna 
pena  pe'  loro  peccati  mortali.  E  per  il 
contrario  ha  dato  ai  buoni  temporali 
afflizioni  per  punirli  di  qualche  peccato 
veniale,  e  per  dare  loro  materia  di  peni- 
tenza ;  dovendo  poi  arricchirli  d'un  teso- 
ro infinito  di  gloria  per  le  loro  buone  o- 
pere.  Quanto  alla  sentenza  che  pronun- 
zierà  il  di  viti  Giudice,  essa  non  sarà  che 
una  ratifica  solenne  di  quella  già  pro- 
nunziata nel  giudizio  particolare,  che  av- 
viene alla  morte  di  ciascun  uomo  ,  e  di 
cui  allora  le  anime  ne  avranno  già  pro- 
vato le  conseguenze  (  nel  momento  che 
l'anima  si  separa  dal  suo  corpo  è  già 
giudicata  ,  col  giudizio  particolare.  La 
Potenza,  la  Sapienza  e  Giustizia  divina, 
rende  questo  giudizio  sollecito,  profondo, 


aiG  YEN 

inappellabile.  È  ili  fede  die  subito  dopo 
morte,  e  compito  il  giudizio,  l'anima  va 
al  luogo  che  le  vieti  destinato  dalla  di- 
vina sentenza.  Questo  luogo  è,o  il  Pur- 
ga torio,  qY  Inferno,  o  il  Paradiso).  Ma 
la  sentenza  del  giudizio  finale  sarà  pel 
corpo  e  per  l'anima,  acciò  insieme  l'a- 
vessero di  gloria  o  di  pena.  Tutti  gli  uo- 
mini dunque  compariranno  in  corpo  e 
anima  alla  fine  del  mondo  davanti  al  tri- 
bunale di  Gesù  Cristo.  Gli  Angeli  sepa- 
reranno gli  «letti  da'  reprobi,  come  un 
pastore  separa  le  ugnelle  da*  capri. Col- 
locheranno gli  eletti  alla  destra  ed  i  re- 
probi alla  sinistra  di  Gesù  Cristo,il  qua- 
le pronunzierà  agli  uni  e  agli  altri  la  lo- 
ro sentenza  eterna.  Dirà  agli  eletti  :  Ve- 
nite, benedetti  da  mìo  Padre,  possedete 
il  regno  che  vi  e  preparato  fino  dal  priw 
cipio  del  mondo.  Dirà  a'  reprobi:  Anda- 
te,  maledetti,  nel  fuoco  eterno,  che  è  pre- 
parato al  demonio  ed  a*  suoi  angeli.  In 
allora  i  reprobi  onderanno  uell'  inferno 
a  soffrire  in  corpo  ed  in  anima  i  supplizi 
eterni  ;  e  gli  eletti  auderanno  in  corpo 
ed  in  anima  a  godere  in  cielo  della  eter- 
na felicità.  Quando  sia  per  essere  il  giu- 
dizio finale,  non  volle  Gesù  Cristo  ma- 
nifestarlo neppur  agli  Apostoli,  che  glie- 
lo aveano  espressamente  richiesto.  Si  li- 
mitò a  indicare  diversi  segni  che  lo  a- 
vrebbero  preceduto  ,  giudicando  salute- 
vole per  noi  l'ignoranza  di  questo  punto. 
Gesù  Cristo  ha  voluto  pure  lasciarci  nel- 
l'ignoranza del  giorno  e  dell'ora  di  nostra 
morte,  affinchè  in  ogni  giorno  e  in  ogni 
momento  egli  ci  trovi  disposti  ad  incon- 
trarla con  coscienza  tranquilla.  In  più 
luoghi  notai,  come  in  diversi  tempi  si 
credette  prossima  la  fine  del  mondo.  II 
vescovo  Sarnelli,  Lettere  ecclesiastiche, 
t.  5,  riporta  1'  8.':  Essere  occulto  il  dì 
dell'  universale  giudiziose  quanto  sia 
dannevole  la  curiosità.  Tratta  poi  nella 
32.':  Che  vogliano  dire  nel  Simbolo  de- 
gli Apostoli  quelle  parole  :  Inde  venta- 
rus  est  judicare  vivos  et  mortuos.  Quan- 
to lai."  discesa  del  Figlio  di  Dio,  secou- 


V  EN 
do  le  divine  Scritture,  è  piacevole  e  con- 
solante, altrettanto  terribile  e  spavento- 
sa si  presentala  '2." Spiegando  mg.'  Bron- 
zuoli  l'XI  articolo  del  Simbolo,  regola  e 
compendio  degli  articoli  della  Fede,  dice 
che  con  esso  Dio  per  mezzo  de'ss.  Apo- 
stoli ci  fa  sicuri  della  generale  risurrezio- 
ne de'morti.  Il  dogma  della  generale  re- 
surrezione è  stabilito  e  confermato  nelle 
ss.  Scritture,  sì  dell'antico,  come  del  nuo- 
vo Testamento,  con  termini  i  più  assolu- 
ti, i  più  chiari;  e  tanto  sotto  la  legge  Mo- 
saico, quanto  sotto  l'Evangelica  legge,  è 
stata  tenuta  sempre  come  uua  verità  in- 
contrastabile di  lède.  I  primitivi  cristia- 
ni, per  testificare  la  loro  fede  nella  resur- 
rezione, aveano  gran  cura  della  Sepoltu- 
ra (V.),  e  vi  facevano  delle  spese  in  pro- 
porzione delle  loro  sostanze.  Anche  ne' 
Funerali  (V.)  esprimevano  tale  speran- 
za. Decretò  nel  589  il  «oncilio  di  Tole- 
do: a'sotterramenli  de'  cristiani  si  devo- 
uo  cantare  solamente  Salmi,  per  deno- 
tare la  speranza  della  resurrezione.  Aven- 
do i  cristiani  ferma  speranza  nel  dì  estre- 
mo del  mondo  di  risuscitare  co'loro  cor- 
pi glorificati,  non  vollero  bruciare  i  Ca- 
daveri, anzi  procurarono  mantenerli  il 
più  possibile  con  balsami.  Pregavano,  e 
seppellivano  t  morti  co'  piedi  verso  1'  o- 
riente,  donde  spunta  il  sole,  simbolo  del- 
la resurrezione,  per  poterlo  vedere  nel- 
l'ultimo giorno.  Come  il  corpo  è  stato  lo 
strumento  all'anima  per  il  vizio  e  per  la 
virtù,  è  giusto  che  il  corpo  sia  parimen- 
te partecipe  della  pene  o  del  premio,  per 
giustizia  di  Dio;  e  quanto  specialmente 
al  corpo  de'giusti,  la  bontà  di  Dio  non 
permetterebbe  che  fosse  soggetto  a  eter- 
na distruzione,  dopo  essere  stato  il  suo 
tempio,  la  sua  vittima,  l'arca  de'suoi  ce- 
lesti favori.  Non  a  caso  i  ss.  Apostoli  han- 
no detto  la  resurrezione  della  carne ,  e 
non  la  resurrezione  degli  uomini.  Ciò  è 
a  significare  che  l'anima  umana  è  im- 
mortale, e  non  muore  col  corpo;  ne  ha 
bisogno  per  conseguenza  di  essere  richia- 
mata a  vita,  ma  il  corpo  solo  che  è  cor* 


1 


VEN 
i unibile  e  mortale.  La  resurrezione  de' 
corpi  si  opererà  dall'onnipotenza  di  Dio. 
Questo  solo  basta  a  togliere  tutte  le  dif- 
ficoltà che  incontra  l'umana  ragione,  e  a 
rispondere  a  qualunque  obbietto  che  pos- 
sa farsi  intorno  a  questo  dogma.  A  Dio, 
che  dal  nulla  con  un  alto  solo  di  sua  vo- 
lontà ha  create  tutte  le  cose,  non  sarà  men 
facile  il  riprodurre  l'  uomo  siccome  era 
prima,  da  alcunché  che  resterà  di  lui.  Il 
granello  del  frumento,  la  crisalide,  sono 
esempi  in  natura  di  questo  mistero.  E 
certo  checiascun'anima  riprenderà  il  pro- 
prio suo  corpo,  (juel  medesimo  che  a-vrà 
informatoin  questo  mondo,  traimele  im- 
perfezioni che  lo  deformarono.  Questo 
avverrà  alla  fine  del  inondo,  dopo  che, 
secondo  l'opinione  più  comune  ,  anche 
l'ultiniodegli  uomini  sarà  andato  sogget- 
to  alla  legge  della  morte.  Allora  con  so- 
miglianza all'attoonnipotente  della  Crea- 
zione, in  un  batter  d'occhio,  dices.  Pao- 
lo, allo  squillo  dell'ultima  tromba,  sim- 
bolo della  voce  del  Figlio  di  Dio,  tutti  i 
morti  risorgeranno.  E'  certo  inoltre  che 
lutti  risorgeranno,  tanto  i  giusti,  quan- 
to i  peccatori:  ma  infinitamente  diversa 
sarà  la  condizione  degli  uni  e  degli  altri. 
Alla  fine  de' secoli,  perpetua  sarà  la  re- 
surrezione de' giusti,  immortale.  La  re- 
surrezione de'  reprobi  sarà  piuttosto  una 
2/  morte,  che  una  novella  vita.  Impe- 
rocché i  corpi  gloriosi  de'giusti  saranno 
impassibili,  chiari,  diversi  nel  grado,  se- 
condo la  di  versila  de'meriti;  agili,  sotti- 
li, penetranti  quasi  come  lo  spirito.  I  cor- 
pi de'morti  in  peccato  mortale,  e  ne'qua- 
li  ^Dio  non  troverà  somiglianza  col  Fi- 
glio suo  Unigenito,  risusciteranno  pure 
incorruttibili  e  immortali;  ma  saranno 
ignominiosi,  e  soggetti  come  le  anime  a 
miserie  e  spasimi  incomprensibili;  e  l'in- 
corruttibilità e  immortalità  non  servirà 
che  a  rendere  eterno  il  loro  supplizio,  e 
irreparabile  la  loro  disgrazia.  La  resur- 
rezione della  carne,  dalla  Dottrina  cri- 
stiana, viene  chiamata  il  2.°de'beni  prin- 
cipali della  s.  Chiesa;  cioè  che  nell'ulti- 


VEN  217 

mo  giorno  tutti  quelli  che  saranno  ri- 
trovati con  la  remissione  de'peccati  tor- 
neranno n  vivere.  Quanto  agli  altri,  che 
sono  fuori  della   Chiesa  (perciò  soggetti 
alla  sentenza  levv\h\\e:  fetori  del  materno 
grembo  della  Chiesa  cattolica  non  vie 
l'eterna  salute!  che  ricordai  ancora  una 
volta,  per  amore  al  prossimo  ,  nel   voi. 
XCI  ,  p.  i^\  e  1^1 ,  con  alcune  parole 
su  tale  vocabolo,  alquanto  ora  in  disuso 
giacché  sostituito  dal  parolone  filantro- 
pia)^ non  hanno  avuta  la  remissione  de* 
peccali,  torneranno  tutti  a  vivere  la  vita 
nnturale,  cosi  buoni  come  tristi;  ma  non- 
dimeno, perchè  la  resurrezione  de' tristi 
sarà  onde  siano  tormentati  sempre,  e  non 
per  avere  alcun  bene;  però  quella   loro 
vita  si  chiama  piuttosto  una  morte  con- 
tinua, che  vera  vita;  e  così  la  vera  resur- 
rezione, cioè  la  vita  desiderabile,  non  sa- 
rà se  non  de'buoni,  i  quali  saranno  tor- 
nati senza  peccato.  Questi  stessi  corpi  ri- 
sorgeranno, perchè  altrimenti  non  sareb- 
be vera  resurrezione,  se  non  risorgesse 
quello  ch'è  caduto,  e  non  ritornasse  a  vi- 
vere quello  islesso  eh'  è  morto;  e  poi  la 
resurrezione  si  fa  acciocché  il  corpo  sia 
partecipe  del  premio  e  della  pena,  sicco- 
me è  stato  partecipe  delle  buone  opere  e 
de'peccati.  Gli  uomini  torneranno  ad  es- 
sere uomini,  e  le  donne  saranno  donne, 
acciò  ognuno  goda  il  premio  delle  pro- 
prie viriti  o  la  pena  delle  proprie  colpe, 
che  nel  sesso  suo  avrà  esercitate.  Dice  per 
ultimo  la  Dottrina  cristiana.  »  Tutti  ri- 
susciteranno in  quella  statura  ed  in  quel  - 
l'essere,  che  avranno  avuto  (s.  Agostino, 
De  Civilate  Dei,  I.12,  e.  5),  o  erano  per 
avere  nell'età  di  33  anni,  nella  quale  ri- 
suscitò Nostro  Signore.  Sicché  i  fanciulli 
risusciteranno  tanto  grandi, quanto  avea- 
no  da  essere,  se  fossero  arrivati  a  33  an- 
ni, ed  i  vecchi  risusciteranno  in  quel  fior 
d'età  ch'ebbero,  quando  furono  di  33  an- 
ni. E  se  qualcuno  in  questa  vita  sarà  sta- 
to cieco,  o  zoppo,  o  nano,  o  con  altra  de- 
formità, risusciterà  intiero,  sano,  e  con  o- 
gni  perfezione,  perchè  Dio  fa  le  opere  per- 


2.8  VEN 

fette  (Daniele  5i):  e  cosi  nella  resurre- 
7Ìone,  che  sarà  opera  proprio  sua  ,  cor- 
reggerà gli  errori  ed  i  difetti  della  natu- 
ra". Non  solamente  ciascuno  comparirà 
al  giudizio  universale  nel  proprio  suo  col- 
po, ma  è  certo  ancora  che  tutti,  per  l'on- 
nipotenza di  Dio,si  aduneranno  in  un  me- 
desimo luogo  dinanzi  al  divin  Giudice, 
senza  distinzione  alcuna  fra  loro,  tranne 
quella  di  eletti  e  di  reprobi.  Il  vescovo 
Sarnelli,  Lettere  ecclesiastiche,  t.  9,  lett. 
34,  colMicrologo  dice,  che  ideinomi  niu- 
na  cosa  più  temono,  che  il  ricordar  loro 
il  giudizio  finale,  poiché  sebbene  furono 
dannati  dal  principio  del  mondo  appena 
peccarono,  e  sono  continuamente  crucia- 
li dal  fuoco  infernale,  che  per  l'onnipo- 
tenza di  Dio  sentono  anche  assenti  dal- 
l'inferno; imperocché  come  strumentoso- 
prannaturale  di  Dio,  può  agire  in  qua- 
lunque luogo  distantissimo;  nondimeno 
nel  giorno  del  finale  giudizio  saranno  da 
Ci  istodinuovocoartati  e  carcerati  insem> 
piterno  neiriuferno.  Nel  t.  io,  lett.  64*. 
Come  Davide  disse  con  veri  tàfT'ihi  soli 
peccavi:  e  se  i  peccati  de' gius  tip  e  ali  sa- 
ranno  palesati 'nel  dì  del  g/W/z/o. Quan- 
to a'delittide'giustificati,  osserva  il  Sar- 
nelli, che  tutti  i  teologi  con  s.  Tommaso, 
tengono  che  saranno  palesati.  Dappoiché 
de'santi  giustamente  premiati,  non  basta 
che  si  mostrino  i  meriti,  ma  anche  i  pec- 
cali, de'quali  fecero  penitenza  e  si  emen- 
darono. Ne  riporterei  rossore  a'  santi  la 
pubblicazione  delle  colpe  loro,  come  non 
la  porla  a  David,  a  s.  Pietro,  a  s.  Maria 
Maddalena,  i  quali  sanno  che  i  peccati  lo- 
ro sono  continuamente  pubblicati  nella 
Chiesa.  E  la  ragione  è,  che  i  beati  non 
sono  più  soggetti  a  queste  passioni,  anzi 
godono  della  gloria  che  ne  risulta  a  Dio, 
per  la  cui  misericordia  sono  stati  liberati 
da  quelle  colpe.  Nel  voi.  XXX,  p.  3i  e 
4^,  descrivendo  la  famosa  Valledi  Gio- 
safat, presso  Gerusalemme  e  il  monte  de- 
gli Olivi,  Getsemani  e  il  torrente  di  Ce- 
dron, e  poi  ne  riparlai  altrove,  riportai 
la  profezia  di  Gioele  o  Joele,  al  popolo 


! 


VEN 

ebreo,  del  giudizio  universale,  che  quin- 
di sembra  accennare  ivi  sarebbe  reso;  non 
meno  della  difficoltà,  per  la  sua  angusta 
estensione,  a  contenere  tutto  quanto  il 
genere  umano,  il  che  succederà,  qualora 
abbia  Dio  veramente  designato  la  detta 
Valle,  luogo  per  tenervi  il  finale  giudizio, 
supplendovi  colla  sua  onnipotenza,  e  d 
ciò  qualche  spiegazione  dissi  in  altro  luo 
go.  Diversi  interpreti  riferiscono  con  que- 
ste parole  il  vaticinio:  Adunerò  tutte  le 
genti  e  le  condurrò  nella  Traile  di  Gio- 
safat, ed  ivi  disputerò  con  esse  riguar- 
do al  mio  popolo  e  riguardo  ad  Israele 
mia  eredità,  cui  elleno  han  disperso  in 
questa  ed  in  (ptella  regione,  avendosi 
spartita  tra  loro  lamia  terra  ...  Muo- 
vansi  le  genti  e  vengano  alla  Falle  di 
Giosafat;  perocché  ivi  io  sarì  assiso  per 
giudicare  le  genti,  che  verranno  da  tut- 
te le  parli.  Alcuni  commentatori  di  Gioe- 
le sono  d'avviso,  che  il  profeta  non  par- 
la del  luogo,  ma  bensì  del  modo  con  cui 
verrà  per  la  2."  volta  il  Messia,  giacché 
la  Valle  di  Giosafat  é  troppo  piccola  per 
contenere  tutte  le  genti.  Altri  poi  sosten- 
gono, che  gli  antichi  ebrei,  non  avendo 
conosciuto  alcun  luogo  distinto  sotto  il 
nome  di  Valle  di  Giosafat,  il  profeta  vo- 
lessesotto  di  esso  dinolarequel  luogo  qua- 
lunque egli  sia  per  essere,  dove  il  Signo- 
re farà  giudizio  di  tutte  le  genti,  signifi- 
cando Josafat  in  ebreo  giudizio  di  Dio. 
E  quest'ultima  opinione  ha  fallo  sì,  che 
alcune  persone  semplici  cercando  un  luo- 
go cui  potessero  applicare  un  tal  nome, 
lo  diedero  dopo  il  fatto  ad  una  valle,  che 
il  Salvatore  del  mondo  attraversò  nel  por- 
tar che  fece  la  Croce.  Questo  contrasse- 
gno della  maggior  umiliazione  e  gloria 
nel  Giudice,  e  la  vista  di  un  luogo  dov'è- 
gli  tanto  pi  fi  a  prò  degli  uomini,  e  di- 
verse altre  considerazioni  poterono  ren- 
dere verosimile  una  taleopinione,la  qua- 
le eternandosi  pure  colla  tradizione  di  tut- 
ti i  pellegrini  ,  che  dicono  lo  stesso,  di- 
venne una  specie  di  verità  storica.  Il  li- 
bro intitolalo,  La  Terra  Santa  edi  luo- 


V  E  IV 
chi  illustrati  dagli  A 'postoli ',  vedute  pit- 
toresche ec,  Torino  i  837,  descrive  il  suo 
aspetto  fisico,  i  sentimenti  ili  tristezza  e 
di  tenore  ch'ella  ispira,  le  tombe  eli  Gio* 
safat  re  di  Giudea,  da  cui  prese  il  nome, 
del  sommo  sacerdote  Zaccaria,  e  di  i\s- 
salonne  erettagli  da  Davide  suo  pndre. 
IV  eli  a  Scrittura  sagra  pero  si  leggr,  che 
Assalonne  avea  fatto  innalzare  per  se  un 
monumento  nella  Valle  di  Giosafat,  det- 
ta ivi  Falle  del  Re,  nome  che  già  avea, 
e  non  per  essersi  fatto  gridate  tale  in  E- 
hron  ribellandosi  al  genitore;  ma  non  già 
che  vi  sia  stato  sepolto.  Morì  infatti  molto 
lungi  di  là  nella  foresta  d'Ephraim,  dopo 
esservi  stato  sconfitto,  restando  nella  ftiga 
appeso  ad  un  albero  per  la  sua  bella,  lun- 
ga e  assai  folta  chioma, e  trafìtto  da  Gioab; 
e  quindi,  come  scrive  il  p.  Calmet,  La 
Storia  dell' 'antico  e  nuovo  Testamento, 
deposto  dentro  una  fossa  del  bosco,  adu- 
nandovisi  sopra  un  mucchiodi  sassi,  come 
per  servirgli  di  mausoleo.  Ben<ì,  aggiun- 
ge il  p.  Calmet,  vivente  avea  fatto  innal- 
zare una  colonna  di  marmo  nella  Falle 
del  7?e,  per  fare  rivivere  il  suo  nome,  e 
chiamò  la  Mano  di  Assalonne j  e  per 
conseguenza  molto  diversa  dal  preteso  se- 
polcro d'Assalonne,che  scavato  dallo  scar* 
pello  si  mostra  nella  valle  di  Giosafat  al- 
ì'orientediGerusalemme.Inoltreilp. Cal- 
met narra  che  Gesù  Cristo  descrivendo 
colla  maggior  energia  le  disavventure  e 
la  rovina  di  Gerusalemme,  d'ordinario 
s'intendono  del  fine  del  mondo  e  del  giu- 
dizio universale.  »  Allora,  disse,  il  sole 
sarà  oscurato,  e  la  luna  più  non  diffon- 
derà il  suo  lume;  le  stelle  caderanno,  e 
tutti  i  popoli  saranno  in  tale  scompiglio, 
che  inaridiranno  per  lo  spavento,  nell'ai 
spettazione  delle  disavventure,  onde  tut- 
to l'universo  sarà  minacciato.!  n  quel  tem- 
po apparirà  il  segno  del  Figliuolo  del- 
l'Uomo, e  si  vedrà  venire  nella  sua  mae- 
stà sopra  le  nuvole,  circondato  di  gloria 
e  di  possanza.  Manderà  i  suoi  Angeli  col 
suonodella  tromba, ed  aduneranno  i  suoi 
eletti  dalle  quattro  parti  del  mondo  (beu- 


VEN  219 

che  r Oceania  o  Mondo  marittimo,  si  ri- 
guardi come  una  quinta  parte  del  mon- 
do, altri  la  chiamano  Isole  del  mare  Pa- 
cifico e  la  più  considerabile  Nuovo  Cori' 
Unente).  Allorché  vedrete  seguire  tutto- 
ciò,  alzate  il  capo,  perchè  è  vicina  la  vo- 
stra redenzione".  La  seconda  venuta  del 
Messia  sarà  preceduta  dall'Anticristo, che 
muoverà  guerra  a  lui  ed  a'suoi  santi,  che 
si  farà  adorare  in  sua  vece,  e  che  riunirà, 
in  se  solo  i  caratteri  di  malizia,  di  crudel- 
tà, d'empietà  che  si  osservarono  separa- 
tamente ne'Nabuccodonosor,  ne'Neroni 
e  generalmente  in  tutti  i  più  rinomati 
scellerati  che  furono  le  figure  e  i  precur- 
sori dell'Anticristo.  Questo  uomo  di  pec- 
cati sarà  dunqueun  pastore  insensato,  un 
bestemmiatore,  il  quale  si  ribellerà  a  Dio, 
sederà  nel  suo  tempio  e  sopra  il  suo  so- 
glio, abolirà  l'eterno  suo  sagrifizio,  cer- 
cando di  far  credere  Dio  se  stesso  con  una 
infinità  di  segni, di  meraviglie,  di  presti- 
gi, che,  se  fosse  possibile,  sedurrebbero  gli 
stessi  eletti.  Egli  imporrà  a  tutte  le  genti 
di  portare  impressi  i  caratteri  del  suo 
nome  sulla  mano  destra  e  sulla  fronte, 
dannando  a  morte  tutti  quelli  che  vi  si 
rifiuteranno; e  farà  pure  morirei  due  te- 
stimoni di  Gesù  Cristo,  Enoch  ed  Elia, 
de'quali  riparlai  nel  vol.LXXXV,p.  227, 
a  quel  che  credesi;  infine  dopo  aver  o  se- 
dotta o  trucidata  una  moltitudine  innu- 
merevole di  persone,  sarà  egli  stesso  vin- 
to ed  ucciso. E  tutto  questo  è  appena  qual- 
che tinta  de'colori,  co'quali  la  s.  Scrittu- 
ra dipinge  in  più  luoghi  l'Anticristo.  11 
tempo  di  sua  venuta  è  affatto  ignoto,  e 
molti  grandi  ed  anche  santi  personaggi 
che  hanno  voluto  determinarlo  s'ingan- 
narono nelle  loro  predizioni,  come  il  fat- 
to mostrò.  Ignoti  souo  pure  i  parenti  del- 
l'Anticristo, il  luogo  de' suoi  natali,  |'e+ 
stensione  del  suo  impero,  il  segno  o  il  ca- 
rattere che  farà  portare  a'suoi  settatori, 
non  che  il  vero  suo  nome,  che  s.  Giovan- 
ni ne\V  Apocalisse,  e.  i3,  v.18,  dinota  iu 
questi  termini:  Chi  ha  intelligenza,  cal- 
coli il  numero  della  bestia,  atteso  che  è 


210  VER 

numero  (Vuomoj  ed  il  suo  numero  e  sei- 
cenlosessantasei.  Anticamente  in  diverse 
chiese,  colla  combustione  della  Stoppa 
(^\),  si  figurava  la  (ine  del  mondo.  Il 
Cancellieri,checchè  volledirneiliViebuhr, 
cioè  contenere  le  sue  opere  alcune  cose 
importanti,  molte  cose  utili,  ed  ogni  co- 
sa superflua;  sul  giudizio  universale  e  li- 
mile, e  sue  pitture  e  presagi;  sulla  resur- 
rezione de'morti  in  qual  colore,  età  e  sta- 
tura, indicata  nel  simbolo  della  fenice; 
sulla  valle  di  Giosafat,  posti  ivi  presi  pel 
giudizio  estremo^,  delle  frequenti  citazio' 
ni  e  appellazioni  ad  esso,  in  detta  valle 
in  die  censoria  j  sulla  venuta  e  quanto 
nitro  riguarda  l'Anticristo;  innumerabili 
erudizioni  bibliografiche  riporta  in  quel- 
la miniera  di  esse  ,  che  sono  le  sue  Dis- 
sertazioni epistolari  bibliografiche  so- 
praCristoforo Colomboe  GiovawriGer' 
sen.  Come  gli  antichi  cristiani  si  faceva- 
no seppellire  colla  speranza  certa  della 
resurrezione,  lo  notai  nel  voi.  XXVH, 
p.  2  58. 

VERA  Giovanni,  Cardi nale.Ebbe  per 
patria  Arcilla  castello  della  diocesi  di  Va- 
lenza in  Ispagna,  e  fino  dalla  puerizia  si 
die' allo  studio  delle  scienze,  e  singolar- 
mente alle  leggi,  nelle  quali  ottenne  d'es- 
sere laureato.  Accompagnò  il  suo  sapere 
con  tali  ottime  parti,  massime  d'integri- 
tà e  continenza,  che  il  contemporaneo 
Volterrano  diflidando  di  poterlo  lodare 
come  convengasi,  scrive  dover  bastare 
per  suo  elogio,  che  ne'critici  tempi  d'A- 
lessandro VI,  niuno  fu  più  accetto  di  lui 
a  quel  Papa  e  al  duca  Valentino  suo  fi- 
glio; siccome,  all'incontro,  ninno  usò  il 
favore  della  fortuna  più  moderatamente 
di  lui,  imperocché  quanto  più  era  porta- 
to innanzi  da  quella  e  da'meriti  propri, 
tanto  più  se  ne  tirava  addietro  per  la  sua 
modestia,  col  mezzo  della  quale  si  avanzò 
talmente  nella  grazia  del  Papa,  che  do- 
po avergli  affidata  la  cura  e  educazione 
del  duca  Valentino  Cesare  Borgia,  nel 
i5oo  prima  lo  promosse  all'arcivesco- 
vato di  Salerno,  e  poi  a'28  settembre  lo 


VER 
creò  cardinale  prete  di  s.  Sabina.  Venne 
in  appresso  occupato  nella  legazione  di 
Francia  e  Inghilterra,  pei-  eccitare  que' 
sovrani  a  prestare  aiuto  perla  guerra  di 
Terra  Santa,  e  poi  in  quella  della  Mar- 
ca e  Romagna  contro  i  vicari  temporali, 
nella  più  parte  tirannetti  usurpatori  pre- 
potenti delle  terre  delle  Chiesa  romana. 
Dopo  essere  intervenuto  a'conelavi  di  Pio 
1 1 1  eGiulio  Iljchiuse  una  vita  edificante  ed 
esemplare,con  pia  e  santa  morte  in  Roma 
nel  i5o7,  di  54  anni  non  compiti,  e  fu 
sepolto  nella  chiesa  di  s.  Agostino,  nella 
cappella  di  s.  Monica  con  magnifico  epi- 
taffio. 

VERA,  Veren.  Sede  vescovile  d'Afri- 
ca, di  cui  non  mi  riuscì  trovare  notizie. 
E'  però  un  titolo  vescovile  in  parlibus> 
sotto  l'arcivescovato  simile  di  Cartagine, 
che  conferisce  la  s.  Sede.  Pio  VII  fece 
coadiutore  del  vescovo  di  Kerry,  e  ve- 
scovo inpartibusd'ì  Vera  l'irlandese  Cor- 
nelio Egan,  il  quale  divenne  vescovo  di 
detta  diocesi  nei  1824  e  morì  nel  i856. 
Nel  voi.  XLVI,  p.  28,  registrai,  che  Gre- 
gorio XVI  nel  i843  nominò  vicario  apo- 
stolico di  Moldavia  e  vescovo  di  Vera  iti 
parlibus,  fr.  Paolo  Sardi  minore  conven- 
tuale. Inoltre  come  titolo  in  partibusi 
Vera  la  trovo  pure  registrata  nelie  No- 
tizie di  Roma  del  1859,  che  per  la  1.* 
volta,  con  utile  e  lodevole  scopo,  ha  pub- 
blicato l'elenco  delle  Chiese  arciv esco ' 
vili  e  vescovili  in  partibus  infìdelium  che 
sogliono  conferirsi  dalla  s.  Sede. 

VERA  CROCE,  f.  Croce  Vera. 

VERA  CROCE,  f.  Croce  (ordine 

DELLA  VERA). 

VEIAA  CRUXf^me  Crucis).  Città 
con  residenza  vescovile  e  principale  por- 
to del  Messico  nell'America  settentriona- 
le, capoluogo  dello  stato  del  suo  nome, 
in  riva  e  sul  golfo  del  Messico,  distante 
72  leghedalla  città  omonima,  67  da  Pue- 
bla,eio4daTabasco.E'  costruita  in  una 
arida  pianura,  cinta  di  colline  o  elevati 
banchi  di  mobile  sabbia,  e  presso  palu- 
di i  cui  miasmi  pestiferi,  aggiunti  all'ec- 


VER 
cessi  vo  calore  prodotto  dal  riflesso  de* 
raggi  solari,  rendono  il  suo  clima  uno  de' 
più  malsani  che  si  conoscano.  Il  gran  nu- 
mero d' isolette  e  di  scogliere  da  cui  va 
circondato  il  suo  porto,  ne  rende  diffici- 
le 1'  accesso,  e  ni  n  essendo  ne  vasto  ne 
profondo,  i  vaselli  non  trovano  riparo 
da'veuli  settentrionali  che  vi  solììano  con 
gran  violenza;  le  più  notabili  di  quell'i- 
sole essendo  quella  del  Sacrificios,  e  l'al- 
tra su  cui  si  è  eretto  il  forte  di  s.  Juan 
de  Ulua  o  Ulloa,  cittadella  la  cui  rego- 
lare costruzione  dicesi  costata  l'enorme 
somma  di  3oo  milioni  di  franchie  che  do- 
mina la  città, protegge  con  200  bocche  da 
fuoco  il  porto,  alla  cui  difesa  sono  pure 
due  ridotti  cou  alcuni  cannoni,  ed  è  la 
migliore  e  più  importante  piazza  della 
confederazione.  Il  magnifico  faro,  il  qua- 
le è  un'altissima  torre  posta  all'estremi- 
tà di  detto  castello,  insieme  colla  lanter- 
na costò  circa  600,000  franchi.  Cinge 
la  città  un  muro  di  poca  altezza,  e  la  di- 
fendono inoltre  alcuni  ridotti.  Il  porlo  è 
poco  comodo,  ne  buono  l'ancoraggio, 
nondimeno  essendo  stabilita  in  esso  la 
più  preziosa  fonte  di  rendita  commercia- 
le della  capitale,  è  considerala  lai. 'piaz- 
za del  Messico,  ed  una  fra  le  più  com- 
mercianti dell'  America  ;  onde  da  ul- 
timo fu  minacciata  dagli  spaguuoli  nel 
rifiutare  il  Messico  le  soddisfazioni  do- 
mandate dalla  Spagna,  per  gli  ultimi  at- 
tentali coti)  messi  contro  gli  spagnuoli  nel- 
la vita  e  nelle  sostanze.  Vera  Crux  fu  da 
secoli  e  tuttora  è  una  fra  le  più  commer- 
cianti piazze  dell'America,  malgrado  le 
sue  infelici  condizioni,  e  la  1."  del  Mes- 
sico. Vera  Crux  è  beila  ed  assai  regolar- 
mente edificata,  e  molto  acquistò  da  al- 
cuni anni  in  poi,  per  quanto  riguarda  al- 
la polizia  interna.  Del  reslo  1'  aspetto  è 
piacevole  del  suo  interno  per  1'  ampiez- 
za, le  vie  ne  sono  diritte  e  spaziose,  con 
tutti  gli  edifizi  fabbricati  di  pietra  e  ma- 
teriali tratti  dal  fondo  del  mare,  poiché 
nella  pianura  circostante  alla  città  non 
m  trova  pietra.  Scavando  la  terra  alla  prò- 


VER  221 

fondita  di  9  imo  piedi,  si  trova  l'acquo, 
ina  è  un'acqua  di  cattiva  qualità, esi  pre- 
ferisce l'acqua  di  pioggia  raccolta  in  un 
fosso,  oppure  quella  del  ruscello  di  Te- 
noya.  Le  persone  agiate  hanno  cisterne 
generalmente  costruite  con  cattivo  dise- 
gno. Couvien  dire  che  vi  sia  stata  allac- 
ciata della  buon'acqua  ,  poiché  leggo  in 
un  bell'articolo,  pubblicato  colla  vedu- 
ta di  Vera  Crux  dal  d.r  B.  Chimenz,  nel- 
V Album  di  Romani*  2  0,p.  io5,che  l'ac- 
quidotto  importò  la  spesa  di  più  milio- 
ni di  franchi.  L' avv.  Castellano  scrisse, 
che  l'acquidollo  sebbene  cominciato  fin 
clali  763  per  condurvi  l'acque  dello  Xa- 
mapa,  non  era  ancor  terminalo.  L'espor- 
tazione che  si  fa  da  Vera  Crux  consiste 
in  oro  e  argento  in  verghe  o  monetalo, 
vasellame  d'argento,  cotone,  ed  è  celebre 
per  bianchezza  e  bellezza  quello  della  co- 
sta di  là  da  Vera  Crux,  cocciniglia,  zuc- 
chero, farina,  indaco,  carne  salala,  legu- 
mi secchi  e  alili  commestibili,  cuoi  inci- 
si, lo  smilace  la  cui  radice  è  la  vera  salsa- 
pariglia e  cresce  ne'burroni  umidi  ed  om- 
brosi della  Cordigliela,  vaniglia  la  mi- 
gliore del  mondo  esi  trae  da'boschi  sem- 
pre verdi  della  Cordigliela,  il  cacao  d'A- 
cayucan  è  ollirno,  sapone,  legno  di  cam- 
peggio, pepe  di  Tabasco,  e  la  celebre  ra- 
dica purgativa  che  si  raccoglie  ne'  din- 
torni di  Xalapa  che  ne  trae  in  Europa  il 
nome  di  sciarappa  e  volgarmente  scia- 
lappa.  Vi  sono  vasti  campi  di  eccellente 
tabacco,  il  cui  prodotto  basta  alla  con- 
sumazione di  tutto  il  Messico,  fruttando 
al  governo  da  28  a  3o  milioni  di  fran- 
chi. Il  prodotto  totale  del  commercio  di 
questa  citlà,  dal  1795  al  1820  sali  fino  a 
circa  due  miliardi  e  700  milioni  di  fran- 
chi. Al  tempo  del  dommio della  Spagna, 
la  città  era  pure  l'emporio  e  la  sola  a  cui 
si  portavano  l' immense  derrate  di  que- 
sto ricchissimo  paese  per  esservi  scambia- 
te con  quelle  di  Europa,  che  vi  giunge- 
vano dall'Avana;  il  commercio  che  vi  si 
faceva  da  Acapulco  nell'Oceano  Pacifico 
colle  regioni  dell'Asia,  uou  devesi  repu- 


aii  VliK 

lare  che  come  piccola  frazione  del  tota- 
le commercio  del  Messico.  Poco  grato  sog- 
giorno è  Vera  Crux;  tutto  vi  è  molto  ca- 
ro; gli  avoltoi  si  contrastano  la  preda  in 
mezzo  alle  pubbliche  vie.  La  formidabi- 
le febbre  gialla  vi  esercita  le  sue  stragi 
dal  mese  di  giugno,  sino  al  principio  di 
dicembre,  ed  è  qui  più  micidiale  che  in 
verun  altro  luogo  dell'Orbe;  sembra  che 
il  principio  della  malattia  risieda  nell'a- 
ria, ed  il  mezzo  di  guarigione  piti  effica- 
ce si  è  quello  di  allontanarsi  dal  focola- 
re dell'infezione,  essendo  la  febbre  gial- 
la 4  leghe  più  io  là  e  seguaudo  il  limi- 
te inferiore  della  quercia  messicana  la 
linea  ove  arrestasi  il  suo  influsso.  Tale  è 
quauto  ne  scrivono  i  geografi.  Invece  il 
d.r  Chimenz  avverte,  che  il  tremeudofla- 
gello  non  comparisce  regolarmente ,  se 
non  sopra  pochi  punti  del  golfo  del  Mes- 
sico, e  massime  a  Vera  Crux,  all'  Avana 
e  alla  Nuova  Orleans.  Fuori  di  questi 
brevi  confini,  questa  malattia  non  si  mo- 
strò finora  che  sopra  alcuni  punti  della 
costa  degli  stati  meridionali  della  Cotife- 
derazioue  Anglo-Americana  alla  Cajeu- 
na,  e  in  alcuni  porti  sull'Atlantico,  uel- 
l'emisferio  orientale  di  Senegal,  a  Cadice 
e  in  alcuni  punti  delle  coste  del  Medi- 
terraneo, ma  sempre  ad  epoche  remote. 
Vera  Crux  non  manca  di  chiese  e  di  sta- 
bilimenti: la  cattedrale  è  dedicata  alla  B. 
Vergine  Maria,  tale  dichiarata  da  Gre- 
gorio XVI  quando  istituì  il  vescovato  di 
Vera  Crux,  colla  bolla  Quod  olim  pro- 
pheia  gravissime  lamentai  atiu\  de'  i 
gennaio  i845,  facendolo suffraganeo  del- 
la metropolitana  di  Messico.  Ma  ancora 
non  è  stato  provveduto  di  vescovo.  La 
diocesi  si  cominciò  a  registrare  nelle  No- 
tiziediRoma  del  1 85i.lNonoslaute  leper- 
dite  prodotte  dalle  guerre  e  vicende  poli- 
tiche,e  dalla  febbre  gialla  che  secondo  al- 
tri vi  è  endemica, la  popolazione èancora 
dii5,ooo  anime.  Nel  1826  pubblicavausi 
a  Vera  Crux  due  giornali,  oggidì  si  souo 
aumentati  in  più  idiomi.  Poche  regioni 
vi  sono  nel  Nuovo  Mondo,  io  cui  il  via£- 


VER 

gialore  sia  più  meraviglialo  del  ravvici- 
namento de'conlrarissimi  climi.  Tutta  la 
parte  orientale  dello  stato  di  Vera  Crux 
occupa  il  pendio  delle  Cordigliere  d' A na- 
liuac.  Nello  spazio  d'  un  giorno  gli  abi- 
tanti vi  discendono  dulia  zona  delle  nevi 
eterne  a  quelle  pianure  vicine  al  mare, 
dove  regnano  soffocanti  calori.  In  nessu- 
na regione  si  ricouosce  meglio  1'  ordine 
ammirabile  con  cui  le  varie  tribù  de've- 
getabili  si  succedono  come  per  islrati  gli 
uni  soprapposti  agli  altri,  che  salendo  dal 
porto  di  Vera  Crux  verso  l'acrocoro  di 
Perote.  Quivi  ad  ogni  passo  vedesi  cam- 
biata la  fisionomia  del  paese,  l'aspetto  del 
cielo,  la  forma  delle  piante,  la  figura  de- 
gli animali,  i  costumi  degli  abitanti,  e  il 
geuere  di  coltivazione  a  cui  attendono.  I 
ricolti  del  paese  rimangono  lontaui  da 
quello  che  sarebbero  se  più  operosa  fos- 
se l'industria.  Vi  è  grande  abbondanza 
di  bestie  cornute  verso  la  foce  dell'Hua- 
sacualco,  dell'Alvarado  e  del  Tampico. 
Alcune  parli  di  questo  stalo  furono  scos- 
se da'terremoli,  e  nel  1793  fece  una  ter- 
ribile esplosione  il  vulcano  di  Taxtla  o 
Juxtla,  spaventevoli  essendone  le  vora- 
gini. La  strada  che  da  Vera  Crux  con- 
duce a  Perole,  costò  più  di  58o,ooo  frau- 
chi  per  lega.  1  dintorni  della  città  sono 
sterili  e  deserti,  e  le  accennale  immense 
savane  paludose  appestano  l'aria.  Nella 
stagione  della  siccità  non  si  vede  veruna 
specie  di  vegetazione.  Vera  Crux  la  Vieja, 
borgo  posto  alla  foce  di  piccol  fiume  sul 
golfo  di  Messico,  in  mezzo  a  pestifere  ma- 
remme, non  è  ragguardevole  che  per  es- 
sere il  luogo  ove  Cortes  sbarcò  colla  sua 
armata  nell'anno  i5i8,  evi  piantò  la 
Croce  con  animo  di  stabilirvi  la  sua  co- 
lonia. Ora  è  il  soggiorno  di  enormi  Al- 
ligatori (forse  coccodrilli)  che  infestano 
quelle  acque.  A  Iva  rado,  frazione  appo- 
diata  a  Vera  Crux,  era  tristo  e  meschi- 
no villaggio,  in  cui  a  tempo  della  rivo- 
luzione e  durante  l'assedio  lungo  e  san- 
guinoso della  cittadella  di  s.  Juan  de  U- 
Ina  erasi  concentralo  il  più  del  commei- 


veh 

ciò  di  Vera  Crux:  nel  1826  avea  piti  di 
3,ooo  abitanti,  e  dopo]  o  anni  pervenne 
ii  4,000.  Papantla,  villaggio  indiano^  no- 
tabile per  l'aulica  piramide  piantala  in 
mezzo  ad  una  folta  foresta,  e  perciò  vie- 
ne visitalo  dagli  archeologi.  Questo  mo- 
numento, come  lutti  i  teocalli  o  templi 
americani,  si  compone  di  più  piani,  ma  in 
luogodi  mattoni  o  argilla  mista  di  ciottoli, 
non  s'impiegarono  chesruisuratepietre  ta- 
gliale, poi  luetiche,  la  cui  pulitezza  e  rego- 
larità del  taglio  sono  degne  di  osservazio- 
ne. Essa  è  una  piramide  quadrata  di  a5 
metri  di  lunghezza,  e  da  20  a  3o  di  al- 
tezza. Una  grande  scalèa  conduce  alla  ci- 
ma tronca  del  teocalli.  Il  recinto  de'pia- 
ni  è  ornato  di  geroglifici,  ne*  quali  si  ri- 
conoscono serpenti  e  coccodrilli  scolpiti 
in  rilievo,  e  ciascun  piano  offre  gran  nu- 
meio  di  nicchie  quadrate  e  simmetrica- 
mente distribuite:  se  ne  fa  il  numero  to- 
tale di  478.  Xalapa,  città  posta  in  una 
deliziosa  posizione  cinta  di  giardini  e  fer- 
tili campagne,ove  crescono  gli  alberi  frut- 
tiferi dell'antico  e  del  nuovo  eontineti» 
te;  ne'suoi  dintorni  abbonda  la  ricordala 
pianta  medicinale  sciarappa,  e  qui  forma 
il  soggiorno  di  diporto  de' più  ricchi  mer- 
canti di  Vera  Crux,  nella  cabla  stagione. 
Fra'pubblici  stabilimenti  si  nota  il  pub- 
blico spedale,  ed  i  religiosi  francescani 
hanno  convento  su  elevata  e  deliziosa 
collina.  Lungi  alcune  miglia  trovasi  nel- 
la strada  di  Las  Vagas  una  cascata  d'ac- 
qua meravigliosa,  che  ritiensi  la  più  al- 
la che  esista  al  mondo,  e  sulla  via  di  Ve- 
ra Crux  si  passa  il  Pueute  del  Bey  co- 
struito sulla  riviera  Antigua  in  una  gola 
profouda:  è  questo  uno  de'più  importan- 
ti passaggi,  ed  è  famoso  negli  annali  del- 
la gueri  a  della  rivoluzione.  INe'lempi  pas- 
sati distinguevasi  qual  ricco  emporio  di 
merci  europee,  e  la  gran  fiera  che  vi  si 
teneva  era  la  più  frequentata  del  Messico, 

[presente  divenuta  senza  importanza, 
izaba  fiorente  cillà  è  annessa  a  Vera 
ux;  dessa  fa  parie  della  Confederazio- 
,  è  notabile  per  le  sue  immense  piau* 


VER  123 

tagioni  di  preziosi  tabacchi,  e  per  la  vi- 
cinanza del  monte  di  Citlaltepll,  ove  è  il 
suo  vulcano.  La  chiesa  matrice  è  un  san- 
tuario per  la  portentosa  immagine  della 
B.  Vergine  che  i  pellegrini  accorrono  a 
venerare.  Ferole,  importante  borgo  per 
la  sua  cittadella  di  s.  Carolos,  per  la  scuo- 
la militare  che  vi  fu  stabilita  da  Napo- 
leone I,  quando  era  generale  in  capo  del- 
l'armata francese,  e  per  l'altissima  mon- 
tagna nominata  Coffre  de  Perole,  che  e- 
levasi  a  2,097  lese,  e  credesi  uu  antico 
vulcano.  Passando  per  Guazacualco  ,  è 
da  ammirarsi  la  riviera  che  ne  porta  il 
nome:  evvi  un  porto  riputato  il  miglio- 
re che  offrono  le  riviere,  le  quali  sbocca- 
no nel  golfo  del  Messico,  seuza  eccettua- 
re il  Mississipi,  e  per  la  celebrità  che  gli 
acquistò  l'infelice  esperimento  di  coloniz- 
zazione fatto  in  questi  ullicui  anni  dal  go- 
verno messicano,  per  l'insalubre  clima, 
trasportando  sulle  sue  rive  coloni  tede- 
schi, svizzeri,  olandesi  e  francesi.  —  L'o- 
rigine e  le  vieeude  di  Vera  Crux  sono 
quelle  del  Messico,  de'cui  primitivi  abi- 
tanti, derivati  da'  fenici  o  popoli  dell'A- 
sia anteriore,  secondo  i  recenti  studi  del 
dotto  gesuita  p.  Antonio  Bresciani,  e  ri- 
feriti nel  n.  f\.i  del  Giornale  di  Roma 
deli85g.  Posti  questi  fondamenti  storici, 
egli  confrontò  colle  fattezze  de'fenici  i  ti- 
pi de'selvaggi  del  Mississipi,  i  cui  ritratti 
al  naturale,  cioè  de' capi  di  varie  tribù 
dell'America  Settentrionale,  furono  effi- 
giati in  istatue,  busti  e  bassorilievi  dal 
eh.  scultore  cav.  Ferdinando  Pettricb,  e 
da  lui  esposti  e  collocati  nella  sala  del 
concilio  del  palazzo  Laterauense  in  Ro- 
ma. Inoltre  il  p.  Bresciani  fece  una  gra- 
fica descrizione  di  questa  nuova  e  singo- 
lare galleria,  analizzando  i  volti  e  la  for- 
mazione delle  teste  de'selvaggi  Sacs  e  Fo- 
xes,de'Sioux,de'Winnesagoes,de'Crecks, 
e  degli  Yacton  Sioux,  paragonandoli  col- 
le fattezze  degli  egiziani  Ixos,  de'fenici  e 
de'pelasgo-tirreni.  Meglio  è  leggere  :  La 
Galleria  de  'ritraiti  de' Selvaggi  in  La- 
leranoy  presso  la  Civiltà  Cattolica,  sene 


a*4  VER 

4-",  C.  1  »  p-  54o.  11  territorio  messicano 
fu  scoperto,  secondo  recenti  notizie,  nel 
i5i5  ila  Francesco  Fernandez  di  Cordo- 
va e  Giovanni  di  Grialba,  e  venne  con- 
quistato nel  1 5 18  O  1019  da  Emano  o 
Ferdinando  Cortes,  con  piantare  la  sud- 
detta Croce  a  Vera  Crux  la  Vieja,  a  6  le- 
ghe nord  ovest  da  Vera  Crux.  Da  quel 
momento  appartenne  alla  corona  di  Ca- 
stiglia.  Il  Nuovo  Messico  fu  conosciuto 
circa  il  1 583.  Fabbricata  Vera  Crux,  i  fi- 
libustieri se  ne  impadronirono  poi  nel 
iG83.  Nel  1808  scoppiò  contro  la  Spa- 
gna una  rivolta,  nella  quale  furono  sacri- 
ficati migliaia  di  spagnuoli;  ma  il  capo 
di  essa  fu  disfatto  neh 8 io  alla  battaglia 
di  Acapulco,  e  fatto  prigione  nel  181 1 
venne  fucilato.Neli8j2  ebbe  luogo  altra 
insurrezione,  nel  seguente  tentandosi  di 
proclamare  l'indipendenza.  Anche  il  ca- 
po di  questa  fu  preso  dalle  truppe  spa- 
gouole  e  passalo  per  le  armi.  Nel  1822 
llurbidogiunse  a  farsi  proclamare  impe- 
ratore del  Messico  col  nome  di  Agostino 
1,  e  poi  abdicò  e  morì  fucilato.  Nella  for- 
tezza di  s.  Giovanni  d'Ulloa  si  ridusse  la 
dominazione  di  Spagna,  durante  i  men- 
tovali periodi  della  rivoluzione  messica- 
na, ed  ivi  i  realisti  resistettero  a  tutti  gli 
assalti;  ma  fìualmente  nel  1823  le  arti- 
glierie messicane  della  città  aprirono  la 
breccia,  e  sebbene  impeluosameute  dal 
forte  si  lanciassero  le  bombe  a  devastar* 
la,  dovettero  i  resti  dell'armala  spagnuo* 
la  venire  a  palli  per  avere  salva  la  vita, 
abbandonando  del  lutto  il  messicano  ter- 
ritorio. Nel  1824  il  Messico  stabilì  la  re- 
pubblica e  fece  presidente  Guadalupa  Vit- 
toria. Da  quel  momento  il  Messico  fu  sem- 
pre fatale  teatro  d'anarchia,  vittima  del- 
le discordie  degli  amici  della  repubblica 
unitaria  e  di  quelli  della  federale,  villi- 
ma  delle  ambizioui.  Anche  nel  i832  il 
general  Santanna,  opponendosi  alle  mire 
del  governo  di  Bustamante  per  sostene- 
re la  causa  del  federalismo,  si  fece  scudo 
di  questa  fortificata  città  per  le  sue  mi- 
litari operazioni,che  lo  portarono  alla  pie- 


V  E  R 

sidenza.  Neil  836  fu  dichiarato  indipen- 
dente il  territorio  del  Texas,  e  nel.845 
incorporato  m^Iì  Stati  Uniti  d'America. 
Questa  nassa  di  dttgftttie,  e  lo  sviluppa- 
molilo  dell'industria  nazionale  in  molti 
altri  punii  più  favorevoli,  menomò  no- 
tabilmente la  popolazione  di  Vera  Crux. 
Le  ultime  notizie  sono  le  seguenti. E'  ora 
Vera  Crux  difesa  da  5,ooo  uomini  di 
truppe  regolari,  da  2,000  volontari  e  da 
200  cannoni:  ma  tali  truppe  sono  poco 
disciplinate  e  poco  esercitale,  mancando 
alla  città,  nelle  correnti  circostanze  poli- 
tiche della  regione,  munizioni  necessarie 
a  fare  una  seria  resistenza,  a  più  di  G.000 
armati  comandati  da  un  capo  di  speri- 
mentalo valore.  Juarez  ha  concentrato  io 
Vera  Crux  tutte  le  sue  forze,  lasciando 
gli  altri  porti  senza  difesa.  Si  teme  dun- 
que, che  se  questa  piazza  cade  in  potere 
di  Miramon,  il  partito  liberale  avrà  una 
sconfitta  da  cui  non  potrà  presto  riaver- 
si. Mentre  Miramon  assedia  Vera  Crux, 
il  generale  costituzionale  Degollado  sem- 
bra voler  marciare  su  Messico.  Dalla  fo- 
ga di  Comonfort,  il  partito  liberale  non 
si  è  trovato  mai  in  una  posizione  così  cri- 
tica. Se  prevalerà,  come  si  crede,  Mira- 
mon, si  hanno  speranze  che  potrà  forse 
operare  la  generale  pacificazione  dello 
sventurato  paese,  desiderata  da  4°  anni; 
i  n  caso  contrario,  lo  si  vedrà  come  il  Te- 
xas e  la  California,  cadere  alla  fin  fine 
fra  le  mani  degl'insaziabili  Stati  Uniti. 
VERALLl  Girolamo,  Cardinale.  Ni- 
pote del  cardinal  Jacovazzi,  per  la  sorel- 
la Giulia,  romano  e  d'  antica  e  nobile 
famiglia  di  Cori,  ove  nacque,  come  e- 
ziandio  prova  il  Ricchi  nel  Teatro  degli 
uomini  illustri  de'volsci,  a  p.  1  1  7  e  seg., 
riportando  quelli  che  in  essa  fiorirono, 
fìa'quali  Gio.  Battista  eccellente  Medico 
d'  Eugenio  IV  (nel  quale  articolo  con 
Marini  dissi  incerta  tale  archialria),  che 
più  volte  in  Cori  ospitò  nella  sua  casa  il 
vescovo  diocesauo  d'Ostia  e  Velletri  car- 
dinal Farnese  decano  del  s.  collegio  e  poi 
Paolo  111,  come  narrai  nel  vol.LXXXlX, 


VER 

p.  199,  ragionando  della  famiglia.  Es- 
sendosi a  quello  reso  famigliare,  il  Pa- 
pa stabilì  in  Pioma  la  di  lui  famiglia, 
colla  quale  ivi  visse.  Ma  osserverò,  che 
essendo  morto  Eugenio  IV  nel  i447>ed 
eletto  Paolo  III  nel  1 534  mi  sembra  dif- 
fìcile che  Gio.  Battista  ancor  vivesse  nel- 
l'epoca dell'esaltazione  al  pontificato  del 
Farnese.  Nondimeno  trovo  in  altre  me- 
morie, che  Giovanni  Battista  nel  i52i 
era  i.° conservatore  di  Roma, enei  i5s»4 
consigliere  municipale,  anzi  nel  luogo 
citato  potei  dire  che  non  fu  medico  di 
tal  Papa,  e  così  non  hanno  più  luogo 
dubbiezze.  Dice  il  Ricchi,  che  Girola- 
mo nell'anno  i5i3  conseguì  il  rettorato 
di  s.  Michele  Arcangelo  e  il  benefìcio  di 
s.  Salvatore  di  Cori, cura  e  beneficio,  che 
con  regresso  rinunziò  quando  Paolo  III 
Io  fece  arcivescovo  di  Rossano,  e  poscia 
riassunse.  Narra  Cardella,  nelle  Memorie 
sloriche  de'  Cardinali  t  non  però  esatta- 
mente, per  l'avvertito  di  sopra, che  Giro- 
lamo ebbe  per  patria  Pioma,  dove  otten- 
ne in  premio  dell'eccellente  sua  perizia  nel- 
le leggi,  da  Paolo  111  neh  54o  il  vescovato 
di  Bertinoro,  come  rimarcai  riportando- 
ne la  serie  a  Sarsina,  dal  quale  dopo  un 
anno  fu  trasferito  a  quello  di  Caserta.  In- 
di meritò  d'essere  avanzato  a  luogotenen- 
te civile  dell'uditore  della  camera,  udito- 
re di  Rota  nel^Sg^oH'amuiinistrazione 
della  chiesa  di  Rossano  nel  1 544-  Gli  fu 
quindi  affidata  la  nunziatura  del  senato 
"veneto,  e  in  quell'occasione  pretendono 
Ciacconioe  Flemy,che  conferisse  gli  ordi- 
ni sagri  a'ss.  Ignazio  Lojola  e  Francesco 
Saverio,  non  che  agli  altri  compagni  del 
i.°,  confutati  da  Cardella,  il  quale  asseri- 
sce col  p.  Maffei  ei  Bollandisti,  che  la  sa- 
gra ordinazione  la  riceverono  dal  vesco- 
vo (d'Albe)  Vincenzo  Negusanli  di  Fa- 
no, il  giorno  di  s.  Gio.  Ballista  deli 537, 
e  lo  rilevai  nel  voi.  LXXXVI,  p.  i63. 
Aggiunge,  che  il  nunzio  Veralli,  solo  di- 
fese s.  Ignazio  e  i  suoi  compagni  dal- 
le calunniose  accuse  portale  al  suo  tri- 
bunale ,  e  con  formale  sentenza  li  di- 
vol.  xeni. 


VER  225 

chiaro  Innocenti.  Altrettanto  dissi  io  al- 
l'articolo Gesuiti,  e  che  il  nunzio  ricevè 
i  loro  voti  di  castità  e  povertà.  Anche  il 
Ricchi  rimarca  che  tra'memorabili  suc- 
cessi di  sua  nunziatura,  fu  quello  di  rico- 
noscere l'innocenza  e  sana  dottrina  di  s. 
Ignazio  uniforme  alle  verità  evangeliche 
che  predicava  co'suoi  compagni.  Meglio 
ne  tratta  il  Viola  nelle  Memorie  istori' 
che  dì  Cori,  presso  il  Giornale  arcadi- 
co di  Roma,  t.  22,  p.  280  eseg.  Nozio- 
ni analoghe  ho  pure  riferito  nel  voi.  XCI, 
p.  49^»  il  quale  luogo  nel  citarlo  a  p.  2 1 3 
i  tipografi  impressero  n.°  1  in  vece  di  io. 
II  prelato  fu  quindi  promosso  alla  nunzia- 
tura di  Vienna,  dove  sostenne  con  intre- 
pidezza e  valore  gl'interessi  della  cattoli- 
ca religione  presso  Ferdinando  I,  e  poi 
col  fratello  Carlo  V.  In  premio  di  sue  glo- 
riose fatiche  e  apostolico  zelo,  Paolo  III 
l'8  aprile  i549  ^°  c,eo  cai'dinale  pre- 
te de'  ss.  Silvestro  e  Martino  ai  Mon- 
ti, e  gli  conferì  l'amministrazione  del- 
la chiesa  di  Capaccio,  la  quale  dopo  un 
anno  rinunziò  a  favore  di  suo  fratello 
Paolo  Emilio.  Da  Giulio  III  fu  spedito 
legato  a  latere  in  Parigi  per  indurre  il 
re  Enrico  II  alla  pace,  ed  a  por  fine  alla 
guerra  di  Parma  e  della  Mirandolajnella 
quale  legazione  gli  fu  assegnato  per  data- 
rio il  parente  o  nipote  Giambattista  Ca- 
stagna, poi  Urbano  VII.  Compiuta  la  le- 
gazione, fu  destinato  prefetto  di  segnatu- 
ra, e  dopo  essere  intervenuto  a' conclavi 
di  Giulio  III,  Marcello  II  e  Paolo  IV, 
consumò  la  carriera  de'suoi  giorni  in  Ro- 
ma nel  1 555  d'anni  55te  fu  sepolto  nel- 
la chiesa  di  s.  Agostino,  dove  al  pilastro 
sinistro  della  cappella  della  b.  Chiara  da 
Monte  Falco,  fu  eretto  alla  sua  memoria 
un  elegante  avello  col  suo  busto  marmo- 
reo espresso  al  vivo,  con  magnifico  elo- 
gio, in  cui  però  si  tace  l'età  del  cardina- 
le, difetto  di  moltissime  antiche  iscrizio- 
ni. Ma  nell'  iscrizione  riferita  dal  Ciac- 
conio  e  riprodotta  dal  Viola,  trovasi 
l'età:  Aelatis  suae  LV,  Nel  voi.  LX, 
p.  192,  parlai  del  moto- proprio  di  Pao- 
i5 


aaG  VER 

lo  IV  a  favore  degli  eredi  del  cardina- 
le, sugli  Spogli  e  altre  esenzioni.  Il  Ric- 
chi riporta  uno  splendido  elogio  del  car- 
dinale, ed  un  componimento  poetico  al* 
losivo  alle  rose  del  suo  stemma  genti- 
lizio. Altamente  è  pur  celebralo  dal  Viola 
e  da  altri.  La  sua  morte  fu  deplorata  pure 
dal  municipio  di  Cori,  il  quale  inviò  in 
Roma  due  cittadini  oratori  per  gli  uffici  di 
condoglianza  verso  i  di  lui  parenti,  preci- 
puamente co'  fratelli  Paolo  Emilio  (che 
Ughelli  non  bene  dice  nipote)  a  cui  avea 
rassegnato  l'arcivescovato  di  Rossano,  e 
Matteo  sposato  a  Giulia  Astnlli  dama 
romana,  colla  dote  del  castello  di  s.  Pie- 
tro in  Sabina.  Però  leggo  in  altre  notizie 
certe,  che  Giulia  era  della  famiglia  Mo- 
naldeschi  della  Cervara. 

VERALLl  Fabrizio,  Cardinale. .Ro- 
mano e  congiunto  di  sangue  con  Urbano 
Vlljosuo  cùginoo  nipote, comefu  paren- 
te del  precedente  cardinal Girolam o, sicco- 
me nato  dal  suo  fratello  Matteo  e  da  Giu- 
lia Monaldeschi,e  perciò  di  nobil  famiglia 
originaria  di  Cori.  Fornito  dalla  natura  di 
straordinari  talenti,  conseguita  la  laurea 
dottorale  nell'università  di  Perugia,  fu 
nominato  da  lui  canonico  Vaticauo,  ed 
avrebbe  potuto  ricevere  maggiori  onori, 
se  la  morte  in  breve  non  avesse  troncato  il 
suo  pontificato. Clemente  Vili  lo  fece  pie- 
Iato  e  referendario  di  segnatura,  indi  l'in- 
viò inquisitore  a  Malia,  e  nel  1606  Pao- 
lo V  lo  promosse  al  vescovato  di  s.  Seve- 
ro, iodi  spedì  nunzio  agli  svizzeri,  ed  in 
ricompensa  della  nunziatura  da  lui  so- 
stenuta con  sommo  decoro,  ad  insinua- 
zione del  cardinal  Milliui,  a'24  novem- 
bre 1608  lo  stesso  Paolo  V  lo  creò  car- 
dinale prete  di  s.  Agostino,  e  proiettore 
presso  la  s.  Sede  del  regno  d'I  rlauda,  de' 
serviti  e  de'  minori  osservanti.  Ascritto 
olle  congregazioni  del  s.  Oftìzio,  de'  ve- 
scovi e  regolari,  e  de'riti,ad  oggetto  di 
tutto  prestarsi  al  servigio  della  Chiesa  u- 
lii  versale,  rinunziò  liberamente  nel  161 5 
la  sua  di  s.  Severo.  Con  generosa  magnili- 
cenza,nel  1620  lestaui  ola  chiesa  e  il  mo- 


VER 
nastero  di  s.  Agnese  fuori  le  mura,  di  cui 
era  abbate  commendatario  ;  adornò  di 
pitture  la  nave  maggiore  e  la  tribuna,  e 
volle  che  ardessero  perpetuamente  8 
lampade  avanti  il  corpo  della  santa.  Fi- 
nalmente caro  e  amato  da' Papi,  e  com- 
mendabile per  la  sua  probità  e  dottrina, 
e  di  cui  1'  unico  difetto  fu  la  propen- 
sione all'ira,  dopo  essere  intervenuto  ai 
conclavi  di  Gregorio  XV  e  Urbano  Vili, 
Roma  dovette  piangere  la  morte  d'  un 
suo  degno  figlio  nel  1624,  in  età  di  58 
anni,  o  meglio  54» secondo  l'epitaffio  che 
leggo  nel  Ciacconio  e  nel  Viola.  Ebbe 
sepoltura  nella  sua  titolare  di  s.  Agosti- 
no, nella  cappella  di  sua  famiglia,  do- 
ve nel  pilastro  prossimo  alla  medesima 
si  vede  alla  sua  memoria  un  assai  elegan- 
te e  ben  inleso  avello,  col  busto  del  car- 
dinale scolpito  in  fino  marmo  ,  sotto  di 
cui  leggesi  un  magnifico  elogio,  Urbani 
VII  consanguinei  sui. 

VERA  NO  (s.),  vescovo  di  Vence.  Fi- 
glio di  s.  Eucheno  arcivescovo  di  Lione, 
la  sua  educazione,  del  pari  che  quejla  di 
s.Salonio  suo  fratello, fu  affidata  a  maestri 
pii  ed  esperti  nelle  scienze  ecclesiastiche. 
Passato  alcun  tempo  nel  mouastero  di 
Lerino,  si  posero  sotto  la  condotta  del  ce- 
lebre Sai  viario,  prete  di  Marsiglia,  e  il 
loro  padre  non  cessò  mai  di  dare  ad  ea»i 
le  più  salutari  lezioni,  come  testifica  lo 
stesso  Salviano.  Furono  entrambi  inual* 
,  zati  all'episcopato;  ma  non  si  sa  di  qual 
sede  fosse  vescovo  Salonio, alcuni  dicen- 
dolo di  Ginevra,  altri  di  Glandeve.  Ce- 
lebre però  è  il  suo  nome  per  gli  elogi  che 
ne  fecero  i  grandi  uomini  del  suo  secolo. 
Verano  fu  posto  sulla  sede  della  città  di 
Vence  o  lenza  (V.),  nella  Provenza. 
Non  si  hanno  sicure  notizie  delle  azioni 
di  questo  sauto  vescovo,  se  non  che  fu 
uno  di  quelli  che  Papa  s.  llaro,  il  quale 
sedette  sulla  cattedra  di  *.  Pietro  dal  46 1 
al  4^7»  adoperò  nei  diversi  affari  chea- 
vevano  per  oggetto  i  diritti  della  metro- 
poli di  Arles.  Sembra  perciò  che  sia  mor- 
to dopo  la  metà  del  V  secolo.  Fu  sepolto 


VER 

nella  sua  cattedrale,  e  il  suo  corpo  venne 
disotterrato  nel  1^5.  La  sua  festa  si  ce- 
lebra a'9  di  settembre.  Si  attribuisce  a 
lui  la  lettera  diretta  a  s.  Leone  I  Papa 
dai  vescovi  Cerezio,  Salonio  e  Verano, 
per  congratularsi  seco  del  suo  zelo  con- 
tro l'eutichianismo  e  contro  l'eresie  che 
tendevano  a  corrompere  la  purità  della 
fede  nelle  Gallie. 

VERANO  (s.),  vescovo  di  Cavaillon. 
Originario  di  Gevaudan.  Fino  dalla  sua 
fanciullezza  diede  a  conoscere  che  Dio 
aveva  delle  mire  particolari  sopra  di  lui. 
Avendo  speciale  divozione  a  s.  Privato 
mari  ire,  passò  in  orazione  la  notte  pre- 
cedente la  di  lui  festa  nella  chiesa  di  Ja- 
voux,  e  giunto  il  mattino  andò  a  gettar- 
si a'  piedi  del  vescovo  per  chiedergli  la 
tonsura  chericale.  Ricevutala,  abbaodo» 
DÒ  il  suo  paese,  e  andò  a  nascondersi  pres- 
so a  Cavaillon,  dove  la  sua  santità  e  i 
miracoli  presto  lo  fecero  conoscere.  Pas- 
lò  in  Italia  col  disegno  di  visitare  i  se- 
polcri de'  principi  degli  Apostoli,  e  ne 
tornò  dopo  qualche  tempo.  Rimasta  va- 
cante la  sede  di  Cavaillon  per  la  morte 
di  Prelestato,  il  re  Sigeberto  vi  fece  por- 
re s.  Verano,  di  cui  avea  conosciuto  la 
virtù.  Intervenne  al  concilio  di  Màcou 
del  585,  ed  ebbe  molla  parte  ai  regola- 
menti che  vi  si  fecero  sulla  disciplina.  Fu 


uno  dei  vescovi  mandati  a  Parigi 


per 


la- 


girarsi  a  Clotario  11  dell'assassinio  di  s. 
Prelestato  vescovo  di  Rouen.  Childeber- 
to  II,  tenendolo  in  gran  pregio,  lo  volle 
a  padriuo  di  suo  figlio  Teodorico.  Morì 
\erso  il  principio  del  VI  secolo,  agli  i  I 
di  novembre,  nel  qual  giorno  è  segnala 
la  sua  festa.  Fu  sepolto  nella  cappella 
della  ss.  Vergine,  che  avea  fatto  fabbri- 
care presso  alla  foutana  di  Sorga  ;  indi 
il  suo  corpo  fu  trasportato  a  Cavaillon, 
poi  a  Gergeau  nella  diocesi  di  Orleans, 
donde  venne  recata  la  porzione  di  sue 
reliquie  che  si  conserva  nella  chiesa  che 
porta  il  suo  nome  nella  diocesi  di  Parigi. 
VERAPAZ  oCORAN,remP^.C»t- 
là  vescovile  di  Gualimala,  nell'America 


VER  217 

Centrale,  capoluogo  di  dipartimento  del 
suo  nome,  che  occupa  tutta  la  parte  o- 
rientale  dello  stato  di  Gualimal  >  fra  l'Ju- 
catan  e  l'Honduras,  in  riva  al  Cohabon, 
distante  4o  leghe  da  Guatimela.  La  con- 
trada si  chiamò  dagli  spagnuoli  Tierrct 
de  Guerra  per  l'ostinata  resistenza  degli 
abitanti,  ma  quando  i  religiosi  domeni- 
cani vi  sparsero  la  luce  del  cristianesimo, 
le  dierono  per  antitesi  il  nome  di  Vera- 
paz.  Tuttora  i  domenicani  vi  hanno  il 
convento,  vi  sono chiese,stabilimenti, fab- 
briche di  tele.  Contiene  più  di  12,000  a* 
bitanti,  nella  maggior  parte  d'origine  in- 
diana, e  dediti  con  profitto  a  detta  ma- 
nifattura. Gli  spagnuoli  di  Cuba  scelse- 
ro questo  punto  per  irrompere  sulla  re- 
pubblica Guatimalese,  ma  furono  obbli- 
gati a  precipitosa  fuga.  La  sede  vescovi- 
le l'eresse  Paolo  IV  ne\i556,e  la  dichia- 
ròsuffraganea  della  metropolitana  diMes- 
sico; dipoi  Paolo  V  unì  il  vescovato  nel 
1607  a  quello  di  Gualimala  (/''.). 

VER13ERIA  o  VERBER1E,  Ferini- 
bria.  Borgo  di  Francia,  o  antica  città, co- 
me la  qualifica  il  Castellano, dipartimen- 
to dell'Oise,  circondario  e  3  leghe  e  mez- 
za al  nord-est  di  Senlis,  ed  a  3  leghe  sud 
da  Compiègne  ,  cantone  di  Pont  s.  Me- 
xence.K  situata  sulla  sponda  sinistra  del- 
l'Oise, in  deliziosa  posizione,  appiè  d'una 
montagna.  Vi  sono  alcune  case  eleganti, 
una  sorgente  ferruginea,  a  cui  non  pochi 
accorrono,  presso  la  casa  detta  di  s.  Cor- 
nelio, così  chiamata  perchè  apparteneva 
all'abbazia  di  s.  Cornelio  di  Compiègne. 
Ha  fabbriche  di  prodotti  chimici  e  di  te- 
gole. La  pietra  detta  di  s.  Leu  è  oggetto 
di  suo  traffico.  Grande  è  il  commercio  di 
canepa  e  cipolle  che  fanno  con  Parigi  i 
suoi  1600  abitanti  circa,  i  quali  pur  ten- 
gono due  fiere  annue.  Era  vi  un  tempo 
un  castello  che  i  redi  Francia  della  j." 
stirpe  abitarono,  e  nel  quale  si  sono  te- 
nuti i  seguenti  concilii, detti  Verimbrien- 
si  o  Vernicriensii  nella  diocesi  di  Sois- 
sons,  decaduta  dal  suo  antico  splendore. 
Ili.°conciIionel  7520753  fu  fatto  radu- 


228  VER 

naie  da  Pipino  re  de'franchi,  o  propria- 
mente  fu  l'assemblea  della  unzione.  Vi 
si  fecero  per  quanto  credesi  21  canoni, 
la  maggior  parte  riguardanti  i  mairi. no- 
ni. Vi  si  elice  clieil  matrimonio  in  3.°gra- 
do  di  parentela  è  nullo,  in  guisa  che  do- 
po la  penitenza  fatta,  le  parti  hanno  li- 
bertà di  maritarsi  con  altri.  Nel  4«°  g,,f*' 
doimponevasi  loro  la  penitenza  senza  se- 
pararli. In  una  parola,  una  parte  della 
penitenza  per  incesto  colla  cognata,  col- 
la matrigna,  era  di  escludere  dal  matri- 
monio per  sempre.  Il  2.0  fu  tenuto  nel- 
1'  agosto  853.  Quattro  metropolitani  e 
molli  vescovi  vi  approvarono  gli  articoli 
che  il  re  Carlo  I  il  Calvo  avea  pubblica- 
ti nel  concilio  di  Soissons.  Il  3.°  concilio 
a'25  ottobre  860  o  863.  Il  de^to  Carlo 

I  vi  permise  a  Rotado  di  andata  a  Ro- 
ma, giusta  gli  ordini  del  Papas.  Nicolò  I. 

II  4-°  concilio  nell'863,  per  alcune  diffe- 
renze tra  il  vescovo  di  Le  Mans  ed  al- 
cuni religiosi.  Il  5.°a'24aPl^e869,  com- 
posto di  29  vescovi, alla  presenza  di  Car- 
lo I.  Incmarodi  Laon  vi  fu  accusato,  e 
vedendosi  pressato  si  appellò  al  Papa  A- 
driano  II,  e  domandando  il  permesso  di 
recarsi  a  Roma  gli  fu  negato,  ma  venne 
sospesa  la  procedura.  Il  6.°  concilio  nel- 
1*870.  Regia,  1. 1 7  e  22;  Labbé,  t.  6  e  8; 
Harduino, t.  3  e  5;  Galliachr.t  t.  4;  Con- 
dì., t.  8;  Pagi  all'anno  870. 

VERBO,  Verbum.  Verbo óìDìoo Di- 
vino è  quel  termine  consagrato  nellaScrit- 
tura  sagra  e  tra'teologi  per  significare  la 
Sapienza  eterna,  il  Figliuolo  di  Dio  (F.) 
unigenito  Gesù  Cristo  (F.)t  Dio  e  Uo> 
mo  (F.)  insieme,  la  seconda  persona  del- 
la ss.  Trinità  (fz.) ,  eguale  e  consostan- 
ziale al  Padre  eterno,  il  nostro  Signore, 
Salvatore,  Maestro  e  legislatore.  Il  Ver- 
bo di  Dio,  dice  ['Ecclesiastico,  1,5,  è  la 
sorgentedella  sapienza;  è  il  nome  che  con- 
viene a  Gesù  Cristo,  siccome  effetto  del- 
la parola  e  della  volontà  di  Dio:  questo 
Verbo  si  è  fatto  carne,  cioè  ha  preso  un 
corpo  umano,  come  leggesi  chiaramente 
in  s.  Giovanni,  e.  1,  v.i  a  1  £.  Ferbo  o  pn- 


VER 

rola  significa  altresì  il  Comandameli  tn 
di  Dio.  Inoltre  si  mette  sovente  nella 
Scrittura  sagra  per  marcare  una  cosa;  per 
esempio,  il  Signore  farà  domani  questa 
parola,  per  dire  questa  cosa.  Verbo  dice- 
si finalmente  la  parola  di  Dio,  Verbunx 
Domini^  e  si  prende  o  per  la  parola  inte- 
riore che  Dio  faceva  a'suoi  Profeti,  o  per 
la  parola  che  faceva  loro  intendere  este- 
riormente, come  a  IMosì-  sul  monte  Sinai; 
oppure  per  la  parola  a' ministri  di  Dio, 
tanto  nell'antico  quanto  nel  nuovo  Testa- 
mento j  ovvero  per  la  parola  di  Dio  nz'Li- 
bri  sagri  ;  e  finalmente  per  la  parola  di  Dio 
giunta  fino  a  noi  pel  canale  d'una  Tra- 
dizione costante.  I  teologi  doverono  for- 
mare il  loro  linguaggio,  per  quanto  era 
possibile,  su  quello  della  Scrittura  sagra, 
dopo  averne  confrontato  i  passi.  Perciò 
dicono:  Dio  conose.endo  se  stesso  necessa- 
riamente ed  ab  eterno,  produsse  un  ter- 
mine od  un  oggetto  di  questa  cognizio- 
ne, un  Ente  eguale  a  se  stesso,  sussisten- 
te ed  infinito  come  esso,  perchè  un  atto 
necessario,  continuo  e  coeterno  alla  Di- 
vinità non  può  essere  simile  ad  un  atto 
passeggiero  e  limitato,  né  sterile  come  i 
nostri.  Perciò  quest'  oggetto  della  cogni- 
zione di  Dio  Padre,  è  chiamato  nelIaScrit- 
tura  sagra  suo  Verbo,  sua  Sapienza,  suo 
Figlio,  Immagine  della  sua  sostanza. 
Splendore  della  sua  gloriale.  Gli  scrit- 
tori sagri  attribuiscono  a  lui  le  operazio- 
ni della  Divinità;  ne  parlano  come  d'u- 
na persona  distinta  dal  Padre,  lo  chia- 
mano Dio  come  il  Padre  ec.  I  teologi 
chiamano  generazione  quest'atto  del- 
l'intelletto divino,  per  cui  Dio  produsse 
il  suo  Verbo,  perchè  questa  è  la  parola 
consagrata  nella  Scrittura  sagra  ad  espri- 
merlo.L'Incarnazione  del  Verbo  non  può 
dimostrarsi  colla  umana  ragione,  perchè 
è  un  mistero  nascosto  io  Dio,  fondato  sul- 
la fede,  che  è  oscuro,  e  che  non  ha  con- 
nessione necessaria  cogli  effetti  della  na- 
tura. 1  buoni  angeli  hanno  conosciuto  il 
mistero  dell' Incarnazione,  giacché  essi 
ba  mio  adorato  eannunciato  Gesùnascen- 


u 


VER 

le,  come  c'insegnano  s.  Luca,  a.  Matteo 
e  s.  Paolo.  Ma  quanto  a'caltivi  angeli  es- 
si non  l'hanno  conosciuto  con  una  iute* 
ìa  certezza;  ma  lo  hanno  soltanto  conget- 
turato. Adamo,  i  patriarchi, i  profeti  e  gli 
altri  giusti  dell'antica  legge  hanno  cono- 
sciuto per  rivelazione  il  mistero  dell'In- 
carnazione, poiché  la  fede  nella  Venuta 
del  Messia  (V.)  era  loro  necessaria  per 
salvarsi.  Fu  pure  conosciuto  da  qualche 
gentile,  come  Giobbe,  Balaam  ec.  Il  3.° 
orticolo  del  Simbolo  dice:  II  anale  fa 
concepito  di  Spirilo  Santo.  Gesù  Cristo 
come  Dio  non  ha  Madre;  ha  solo  il  Padre 
celeste  che  lo  ha  generato  fin  dalla  eter- 
nità. ComeUomo  ebbe  soltanto  Madre  in 
Maria  di  Nazareth,  immacolatamente 
concetta,  sempre  Vergine  (F.)  avanti  il 
parto,  nel  parto  e  dopo  il  parto.  Giusep- 
pe fu  vero  sposo  di  Maria;  di  Gesù  fu  cre- 
duto padre,  ma  null'altro  era  veramen- 
te, che  nutricatole  e  custode,  padre  pu- 
tativo. Maria  si  chiama  ed  è  veramente 
Madre  di  Dio,  perchè  da  lei  è  nato  Gè-, 
su  Cristo,  che  in  unità  di  persona  è  Dio 
e  Uomo  insieme.  Ella  lo  concepì  nell'im- 
macolato suo  seno  della  propria  sostan- 
za, non  per  la  via  ordinaria ,  ma  per  la 
operazione  miracolosa  della  virtù  dell'Al- 
tissimo. L'anima  di  Gesù  Cristo  è  slata 
creata  da  Dio,  come  la  nostra  ,  al  mo- 
mento della  sua  uuione  col  corpo;  e  fino 
dal  primo  istante  di  vita  godè  della  mag- 
gior pienezza  delle  grazie  e  de' doni  ce- 
lesti. Questo  mistero,  dello  il  mistero  del- 
la ss.  Incarnazione,  consiste  neh'  essersi 
Iddio  della  gloria  abbassalo  sino  a  farsi 
uomo,  preudendo  un  corpo  ed  un'  ani- 
ma, e  faceudosi  (tranne  il  peccato)  in  tut- 
to simile  a  noi,  passibile,  mortale,  e  quel 
che  è  sommamente  rimarcabile,  per  noi 
e  per  la  nostra  salute  eterna.  Nel  farsi 
uomo  Egli  ha  unito  la  sua  natura  all'u- 
mana così  intimamente,  che  senza  me- 
scolanza ,  senza  confusione  ambedue  le 
nature  distinte,  insieme  uuile,  non  sussi- 
stono che  nella  soia  Persona  divina  ,  iu 
uu  sol  Gesù  Cristo.  Di  questa  uuioue  per- 


VER  229 

rettissima  che  si  chiama  rpostatica}i\edh- 
biarao  una  similitudine,  sebbene  imper- 
fetta, nell'unione  dell'anima  e  del  corpo 
umano  in  un  solo  individuo.  Non  dob< 
biamo  stupire  che  questo  mistero  tanto 
superiore  alla  intelligenza  umana,  che 
non  si  può  concepire  né  spiegare  con  al- 
cun paragone,  sia  stato  combattuto  da 
tanti  eretici,  come  descrissi  a'ioro  artico- 
li. Anco  al  tempo  di  s.  Giovanni,  che  co- 
me dissi  avea  scritto:  Il  Verbo  si  è  fatto 
carne,  cioè  ha  preso  un  corpo  umano;  i 
Cerintiani,  gli  Ebioniti  3  poi  i  Gnostici 
divisi  in  varie  sette,  i  Carpocrazìani ,  i 
Basilidianiy  i  Menandrianit  seguaci  di 
Menandro  discepolo  di  Simone  Mago 
(principe  e  autore  degli  eretici,  primoge- 
nito di  Satana))  \  Prasseanitì  Noezia- 
niy  i  Sabelliani,  i  Samosatensiy  i  quali 
tutti  lasciarono  de'discepoli,  infine  gli  A- 
rianie'ì  loro  discendenti  attaccarono  em- 
piamente il  mistero  dell'Incarnazione  del 
Verbo  in  diverse  maniere.  Gli  uni  osa- 
rono impugnare  la  divinità  di  Gesù  Cri- 
sio,  altri  stranamente  la  sua  umanità,  al- 
tri l'unione  della  divinila  e  dell'umani- 
tà. Alcuni  ardirono  dire  che  Gesù  Cristo 
non  era  che  un  puro  uomo,  altri  auda- 
cemente non  gli  attribuivano  che  una 
carne  fantastica  ed  apparente;  per  Io  con- 
trario altri  gli  attribuivano  una  carne  ve- 
ra, ma  formata  di  elementi  e  non  del  san- 
gue di  Maria  Vergine.  Gli  Ariani,  gli  A- 
pollinaristi  lo  spogliavano  dell  auiraa  u- 
inana  ,  negando  il  Figlio  consostanziale 
al  Padre,  per  un  falso  fondamento.  I  Mo- 
noteliti  non  gli  davano  che  uua  volontà 
ed  operazione.  Gli  Eutichiani  non  am- 
mettevano in  lui  che  una  natura  dopo 
P  unione  ,  e  i  Nestoriani  non  vi  ricono- 
scevano che  due  persone.  I  monaci  del- 
la Scizia  furono  condannati  per  l'erro- 
re contro  le  due  ipostasi  in  Gesù  Cristo. 
Felice  ed  Elipando,  vescovi  di  Spagna, 
dicevano  che  Gesù  Cristo  non  era  Figlio 
naturale  di  Dio,  ma  soltanto  adottivo  e 
per  grazia.  Ne'due  ultimi  secoli  i  Socinia- 
ni  e  i  loro  seguaci  fecero  ogni  sforzo  per 


a3o  VER 

annichilire  il  mistero  del  Verbo  di  Dio, 
dogma  essenziale  efondamentale  del  Cri- 
stianesimo. Tulta  questa  colluvie  d'er* 
tori  stravaganti  ed  ereticali,  condanna- 
rono i  Papi,  i  concilii,  i  ss.  Padri  con  o- 
pere  dottissime  ,  oltre  altri  benemeriti 
scrittori  ecclesiastici,  il  tutto  avendo  di- 
scorso a' loro  luoghi,  e  negli  articoli  in 
questo  citati  o  ricordati.  Il  Buonarroti 
nelle  Osservazioni  sui  vasi  antichi  di  ve- 
tro, rileva  che  gli  antichi  cristiani  espres- 
sero su  di  essi  e  sopra  altri  monumenti, 
Gesù. Cristo  assistito  da  due  angeli  oche- 
rubini,  per  fare  apprendere  e  dimostra* 
re  al  popolo  la  diviuità  e  cousustanzia- 
lità  del  Verbo  contro  gli  errori  degli  a- 
ria  ni.  L'  Evangelio  della  Messa  (tz.): 
m  In  principio  era  il  Verbo,  questo  Ver- 
bo era  in  Dio  (o  con  Dio) ed  era  Dio:  que- 
sto è  ciò  che  era  con  Dio  e  nel  principio... 
il  Verbo  si  fece  carne  e  dimorò  tra  noi, 
e  noi  vedemmo  la  sua  gloria ,  la  gloria 
propria  dell'Unigenito  Figlio  del  Padre, 
pieno  di  grazia  e  verità".  Sino  dall'anti- 
chità fu  tanto  venerato  il  mistero  del- 
l'Incarnazione, che  l'Evangelio  di  s.  Gio- 
vanni si  pose  indosso  a  "fanciulli  conilo  le 
Superstizioni  (P.). Insegna  dunquechia- 
lameute  tal  Vangelo  questa  verità,  cioè 
che  il  Verbo  divino  è  una  persona  sus- 
sistente, e  non  uua  semplice  denomina- 
zione. 1  più  antichi  Padri  della  Chiesa  in- 
segnarono con  chiarezza  e  costantemen- 
te la  Divinità  del  Verbo.  E>si  nou  pre- 
sero ne  da  Platone,  uè  da'nuovi  Platoni- 
ci, né  da  veruu'  altra  scuola  di  filosofia, 
ma  nella  Scrittura  sagra,  ciò  che  dissero 
del  Verbo  Divino.  Si  pouno  vedere,  Ber- 
gier,  tradotto,  corretto  e  accresciuto  dal 
camaldolese  p.  ab.  Biagi,  Dizionario  en- 
ciclopedico ,x\e\  l'articolo:  Verbo  Divino j 
e  lebelle  Istituzioni  cattoliche  del  vesco- 
vo Bronzuoli.  11  vescovo  Sarnelli,  Lette- 
re ecclesiastiche  %  lett.  3o:  Del  segno  del- 
la Salutazione  Angelica ,  il  quale  suol 
darsi  3  volte  il  giorno,  la  tratta  come  a- 
dotazione  del  mistero  della  ss.  Incarna- 
zione iueffabile  del  Verbo  Divino,  e  del 


VER 

genuflettere  alla  Salutazione  A  ngelica  sia 
tempo  Pasquale  o  no,  in  riverenza  del 
mistero,  come  si  genuflette  alle  paiole  : 
Et  incarnatus  est,  del  Simbolo  (V.);  Et 
T'erbum  Caro  factum  e  sl^ùeW*  stessa  iSrt- 
lutazione  Angelica  (T'\)j  Te  ergo  quae- 
sumus  lui  famuli»  snhverutquos  pretioso 
sanguine  redrmisli\dt\V 'inno  Te  Deum 
laudamus  (V.),  ed  i  cantori  che  canta- 
no tali  versetti  fanno  la  genuflessione  do- 
po averli  cantati,  cioè  il  i .°  e  V  ultimo. 
Dalla  forinola  della  preghiera  Salutazio- 
ne Angelica,  si  vede  che  qualunque  ne 
sia  stata  1'  istituzione  per  orare  contro  i 
nemici  di  s. Chiesa,  nondimeno  Papa  Ca- 
listo III  dicendo, che genuaflectaut,  in- 
tenda che  sia  adorazione,  e  come  tale  si 
ha  ora  per  tutta  la  Chiesa,  la  quale  la 
tiene  per  adorazione  del  mistero  dell'In- 
carnazione; or  questa  in  quale  ora  del 
giorno  sia  avvenuta  ,  non  si  sa;  però  in 
una  delle  3  ore,  che  sono  le  più  verosi- 
mili, si  dice  l'orazione  dell'Angelus  Z?o- 
;wW,  dall'adorazione  accompagnata.  Im- 
perocché altri  tengono  che  avvenisse  al- 
l'aurora, o  sia  uascita  del  sole.  Così  il  b. 
Alberto  Magno  e  s.  Antonio,  dicendo  s. 
Dionisio  Aieopagita  ,  che  le  circostanze 
dell'Aununciante  debbono  essere  le  pro- 
prietà dell'Annunciato:  quindi  l'Angelo 
Gabriele  annunciando T Incarnazione  col- 
lesue  proprietà,  e  quella  essendo  il  na- 
scimento del  vero  sole  sopra  la  terra,  che 
illumina  ogni  vivente,  e  questo  tempo  è 
il  principio  del  giorno;  onde  si  deve  cre- 
dere che  allora  fosse  fatta  l'annunziazio- 
ne.  E  però  il  Signore  risuscitò  dilucido, 
cioè  sull'aurora.  E  così  siccome  il  sole  è 
fonte  di  luce  e  principio  del  giorno,  l'an- 
nunziazione  parimente  fu  principio  di  no- 
stra salute,  e  diffusione  del  lume  divino. 
Altri  vogliouo  che  avvenisse  di  mezzo- 
giorno, nel  quale  gli  Angeli  apparvero 
ad  A  bramo,  annunciandogli  il  concepi- 
mento d'Isacco,  il  quale  fu  figura  di  Cri- 
sto. E  similmente  perchè  nella  medesi- 
ma ora  patì  Cristo,  per  la  cui  Passione  sia- 
mo stali  illuminati,  ed  allora  il  sole  stari- 


VER 

do  uel  sommo  cielo  genera  grandissimo 
calore  sopra  la  terra.  Altri  dicono  ch'^  av- 
venisse nella  mezzanotte,  secondo  quel- 
l'autorità dellaSapienza,i  8,  indimi  me- 
dium tilenlium  te  neve  ut  omnia,  et  nox 
in  suo  cuvsu  medium  iter  liaberet,  omni' 
potai*  sermo  tuus  Domine  (idest  filius) 
a  vegalìbus  sedi  bus  venit.  E  però  dalla 
Campana  si  suona  Y  Ave  Maria  la  sera 
per  esser  principio  della  notte;  mentre  sul 
numero  de'tocchi  delle  campane  per  la 
recita  della  Salutazione  Angelica,  ripar- 
lai uel  voi.  XC,  p.  190.  Non  sapendosi  a- 
dnuque  quale  sia  veramente  V  ora  del* 
l'Incarnazione  sagrosanta  del  Verbo  Di- 
vino, iu  tulli  e  3  1  tempi  si  adora  sì  gran 
mistero;  e  però  da  chi  non  è  impedito  de- 
ve dirsi  ^ginocchioni  l'orazione,  che  ciò 
esprime,  contenendo  in  se  l'adorazione: 
2£t  verbiim  Caro  factum  estj  benché  ab 
antico  fosse  solamente  orazione,dicendo- 
si  3  Ave  Maria  per  impetrare  aiuto  alla 
Chiesa  ed  a' cristiani.  Molle  indulgenze 
concessero  i  Papi  a'fedeli,  quando  al  suo- 
no delle  campane,  per  ricordo  a'crisliaui, 
recitassero  Y  Angelus  Domini,  per  vene- 
rare il  mistero  dell'Incarnazione  del  Fi- 
glio di  Dio  uel  seno  purissimo  di  Maria 
Vergine  per  opera  dello  Spirito  Santo 
(V.);  anzi  le  accordarono  più  volte  al  gior- 
no per  implorare  il  patrocinio  della  B. 
Vergine  e  venerare  il  ss.  Mistero.  Acqui- 
standosi le  medesime  indulgenze  da'reli- 
giosi  de' due  sessi  terminati  gli  esercizi 
presentii  dalle  loro  tegole;  ed  i  fedeli 
che  trovandosi  in  luoghi  ove  non  sono 
campane  nelle  ore  corrispondenti  recite- 
ranno P  Angelus  Domini.  E  siccome  Be- 
nedetto XIV,  che  fiorì  dopo  il  Sarnelli, 
confermò  l'indulgenze  ,  e  dichiarò  che 
V Angelus  Domini  si  dicesse  in  piedi  tut- 
te le  domeniche  dell'anno,  cominciando 
dalla  sera  del  sabato,  e  che  nel  tempo  Pa- 
squale in  suo  luogo  si  dicesse  sempre  in 
piedi  l'autifona  Regina  Coeli  laetare,  al- 
Ic.luja  (V.).  La  solennità  con  cui  la  Chie- 
sa volle  a'25  marzo  celebrata  la  festa  del- 
YAfuiuuzìazioiw(rr.)èaulidi\iòiiuatL[nii' 


VER  a3 1 

mata  Concezione  di  Cristo  e  Principio 
della  Redenzione,  onde  diverse  nazioni 
cristiane  da  tal  giorno  cominciarono  YAiv 
ìio(F.),  eYEra  Cristiana,  di  Gesù  Cri- 
sto, ovvero  dell' Incarnazione  od  Era  vol- 
gare (V.),  e  così  la  s.  Sede  fa  colla  data 
delle  Bolle  apostoliche,  ossia  dal  miste- 
ro della  ss.  Incarnazione.  Il  Rinaldi  nel- 
l'Apparato agli  Annali  Ecclesiastici,  n. 
76,  dice  che  l'Incarnazione  del  Verbo  se- 
guì nello  stesso  giorno  ,  che  fa  formato 
Adamo.  I  Papi  poi  per  tal  festa  e  sua  no- 
vena elargirono  molte  indulgenze.  Per  o- 
norare  il  mistero  fu  istituito  l'ordine  del- 
le religiose  del  Verbo  Incarnato  (V.)t 
ed  in  Roma  il  monastero  delle  Carme- 
litane (  V.)  della  ss.Incar nazione  del  Ver- 
bo, del  quale  riparlai  altrove,  e  così  d'al- 
tri pii  istituti. 

VERBO  INCARNATO.  Ordine  delle 
religiose,  istituite  principalmente  per  o- 
norare  il  mistero  dell'  Incarnazione  del 
Divin  Verbo  (V.),  dalla  madre  Giovan- 
na Maria  Chezard  de  Metal,  nata  in  Ro- 
vanne  nel  territorio  Forese.  Nel  162$  ne 
incominciò  la  fondazione, ritirandosi  cou 
due  compagne  in  una  casa  che  le  reli- 
giose Orsoline  di  Parigi  aveauo  abban- 
donata. Si  portò  a  Lione  per  comunica- 
re il  suo  disegno  all'arcivescovo  Carlo  Mi- 
rosfti  quale  approvò  la  fondazione  della 
congregazione,  desiderando  anzi  che  se 
ne  cominciasse  l'istituzione  in  Lione  stes- 
so. Quivi  infatti  ella  si  stabilì  colle  sue 
compagne,  ma  la  malattia  contagiosa  che 
desolò  quella  città  poco  tempo  dopo  fu 
un  grave  ostacolo,  il  quale  impedì  che  la 
sua  congregazione  facesse  da  principio  un 
gran  progresso.  Trovò  essa  altresì  forti 
opposizioni  per  parte  de'prelati  e  delle 
persone,  che  potevano  contribuire  a  quel- 
lo stabilimento;  nondimeno  potè  ottene- 
re la  bolla  d'erezione  da  Urbauo  VIII  a* 
12  giugno! 633.  Il  cardiual  Alfonso  Ri- 
chelieu  ,  divenuto  arcivescovo  di  Lione, 
però  fece  ostacoli  al  ricevimento  della 
bolla  e  si  oppose  al  nuovo  istitutori  quale 
tuttavia  andaTaoguora  crescendo  in  mei- 


23*  VER 

20  a  tutte  le  difficoltà.  Le  religiose  era- 
no al  numero  di  3o,  quando  alcune  di 
esse  si  ritirarono  a  motivo  dell'incertez- 
za dello  stabilimento;  ma  le  altre  perse- 
verarono costati  temente  e  si  unirono  sem- 
pre più.  alla  madre  de  Matel.  La  loro 
perseveranza  fece  sì,  che  trova  rotisi  del- 
le occasioni  favorevoli,  la  i.a  delle  quali 
fu  lo  stabilimento,  che  presentossi  ad  A- 
vignone,e  che  si  fece  a'  1 3  novembre  1 63g 
coll'appoggio  di  mg.r  de  Cohon  vescovo 
di  Nimes,  il  quale  avea  sempre  favorito 
i  disegni  della  pia  fondatrice,  e  die'  l'a- 
bito alle  prime  5  religiose  dell'ordine.  La 
fondatrice  dopo  aver  dato  il  governo  di 
quel  monastero  alla  madre  Margherita 
di  Gesù,  de  Villars  Gibalin,  parli  da  A- 
vignone  per  ritornare  a  Lione,  dove  si 
fermò  sino  al  principio  di  gennaio  1 643, 
nel  qual  mese  dovette  andare  a  Greno- 
ble a  stabilire  un  2.°monaslero  dell'ordi- 
ne, otleneuclo  per  quello  stabilimento  let- 
tere patenti  da  Luigi  XIII  re  di  Francia, 
di  cui  suo  padre  signore  di  Matel  era 
gentiluomo  di  camera  e  capitano  de'ca- 
valleggieri.  Appena  la  nuova  casa  di  Gre- 
noble fu  orga  ti  izza  ta,  che  la  madre  de  Ma  • 
tei  ricevè  lettere  dalla  reggente  Auna 
d'Austria  vedova  di  detto  re,  colle  quali 
quella  regina  l'invitava  a  recarsi  in  Pari- 
gi per  fondarvi  un  monastero  del  suo  or- 
dine. Ella  vi  andò  e  stabilì  un  3.°  mona- 
stero, di  cui  prese  possesso  ili. "novembre 
i644*  Indi  morto  il  cardinal  Richelieu, 
il  successore  Camillo  di  Neuville  le  per- 
mise la  fondazione  del  monastero  di  Lio- 
ne, che  si  effettuò  neh  655,  già  Papa  In- 
nocenzo X  avendo  approvato  le  costitu- 
zioni dell'ordine.  Soffrì  la  madre  de  Matel 
varie  molestie  e  persecuzioni,  dopo  lo  sta- 
bilimento del  monastero  di  Parigi;  tal- 
ché rinunziate  le  poche  sostanze  che  avea, 
cadde  malata  e  morì  1'  1 1  settembre  1 670, 
nella  sua  casa  di  Parigi,  vestita  coll'abi- 
to  dell'ordine,  dopo  aver  sostenuto  vir- 
tuosamente le  contrarietà  di  cui  fu  segno. 
Il  suo  cuore  fu  portato  al  monastero  di 
Lione.  Poco  tempo  dopo  l'ordine  perde 


VER 
il  monastero  di  Parigi,  non  avendo  le  re- 
ligiose fatto  registrare  al  parlamento  di 
Parigi  le  regie  lettere  patenti  pel  loro  sta- 
bilimento, né  più  vi  poterono  rientrare. 
Bensì  fondarono  i  monasteri  di  Roque- 
mont  e  di  Andusa. L'abito  delle  religio- 
se consisteva  in  una  veste  bianca,  un  man 
lo,  e  in  uno  scapolare  rosso:  la  veste  era 
fermata  da  una  cintura  di  lana  rossa,  e 
sopra  Io  scapolare  dentro  una  corona  di 
spine  era  il  ss.  Nome  di  Gesù, e  sotto  un 
cuore  sormontato  da  3  chiodi,  col  molto 
Amor  mcusj  il  tutto  ricamato  con  seta 
turchina.  Il  gesuita  p.  Antonio  Boissieu 
scrisse  la  Vita  della  ven.  madre  Giovan- 
na Maria  Chezard  de  Matel.  Il  p.  lie- 
lyot  nella  Storia  degli  ordini  religiosi  ci 
ha  dato  nel  t.  4>  p-  4  '  5,  c-  5°  :  Delle  re- 
ligiose  dell'ordine  del  Verbo  Incarnato, 
colla  vitadella  ven.madrcMariaGiovan* 
na  Chezard.  de  Matel  loro  fondatrice. 
VERCELLI  (Fercellen).Cìith  con  re- 
sideuza  arcivescovile  degli  stati  del  regno 
di  Sardegna,  assai  antica  e  illustre,  ca- 
poluogo della  divisione  e  della  provincia 
del  suo  nome,  sulla  sponda  destra  del  Se- 
sia al  confluente  del  Cervo,  ed  al  canale 
manufatto  che  viene  da  Ivrea,  sulla  Do- 
ra-Baltea.  E  situata  in  una  bella  pianu- 
ra sullo  stradale  che  da  Torino  tende  a 
Milano,  quasi  a  mezzo  corso,  così  è  di- 
stante da  quelle  due  cospicue  metropoli 
circa  1 5  leghe  di  Piemonte.  Triiun  circi' 
ter  mUliarum  ambitus,  in  qua  iSoocir-* 
cilerfocularia1  et  fere  1 3, 000  numerati' 
tur  incolae  :  così  I'  ultima  proposizione 
concistoriale.  Intorno  alla  città  vi  sono 
ameni  passeggi,  cui  contribuiscono  ad  ac- 
crescer vaghezza  i  frequenti  e  grandiosi 
giardini,  la  verzura  delle  circostanti  cam- 
pagne, ed  il  lontano  aspetto  dell'orrida 
cima  gelata  del  Monte  Uosa.  I  due  moli- 
ti più  alti  di  gran  lunga  fra  quanti  si  ve- 
dono non  solamente  nelle  Alpi,  ma  in 
tutta  l'Europa,  sono  il  Monte  Uosa  e  il 
Monte  Bianco,  ed  ili.0  forse  al  2.0  supe- 
riore in  elevazione,da  una  delle  sue  ghiac- 
ciaie derivando  la  Sesia.  Il  uome  sembra 


VER 

derivargli  dalla  tinta  rosea  onde  le  «uè 
nevi  perpetue  vedonsi  rispondere  al  i.° 
albore,  o  quando  già  più  non  ricevono 
che  gli  ultimi  raggi  dei  sole  tramontato. 
E' residenza  dell'intendenza  generale  del- 
la divisione  amministrativa,  e  delle  cor* 
rispondenti  magistrature  regie,  tribuna- 
li,giudicature  e  dell'amministrazione  del- 
le miniere.  Spaziosa  e  beo  ornata  è  la 
piazza  del  mercato;  ed  il  municipale  pa- 
lazzo, quello  del  governo,  il  rinomato  o- 
spedale  maggiore  bello  ed  egregiamen- 
te tenuto  (la  cui  istituzione  risale  al  car- 
dinal Guala  Bicchieri)  ed  uuo  de'miglio- 
ri  del  Piemonte,  il  teatro,  sono  i  pubbli- 
ci edilizi  che  incoronano  i  palazzi  e  le 
molte  abitazioni  de'privati  per  eleganza 
notabili.  Magnifico  e  ottimo  edilizio,  di 
moderna  e  sontuosa  architettura ,  è  la 
chiesa  metropolitana,  per  la  sua  maesto- 
sa architettura  e  per  le  marmoree  colon- 
ne ond'è  la  sua  mole  sostenuta;  sagra  a 
Dio  sotto  l'invocazione  del  celebre s.  Eu- 
sebio vescovo  e  patrono  principale  della 
città.  Anticamente  era  un  tempio  dedi- 
cato alle  false  divinità,  serviva  all'empie- 
tà e  al  delitto,  mentre  quasi  tutta  la  cit- 
tà codi  abitanti  andava  ravvolta  in  un 

o 

mucchio  di  miserande  rovine,  quando  i 
barbari  dopo  il  34o  penetrarono  in  Ita- 
lia, ed  a  più  riprese  la  manomisero.  S. 
Eusebio  sollevò  il  tempio  dalle  rovine, 
intitolandolo  al  predecessore  s.  Teoneslo 
nobile  vercellese,  che  il  p.  Gumppenberg 
pretese  non  ultimo  della  legione  Tebea. 
JI  tempio  fu  nuova  mente  distrutto, equiu- 
di  dal  vescovo  s.  Albino  fu  restauralo  e 
intitolato  al  medesimo  s.  Eusebio.  Papa 
Gregorio  XVI  col  breve  Ad  summuni 
Catholicae  Ecclesiae  pontificatimi,  de* 
26  agosto  i834>  Bull.  Rom.  cont.  1. 19, 
p.  657,  eresse  questa  chiesa  cattedrale  al 
grado  di  basilica  minore,  con  tutti  i  di- 
ritti, privilegi,  preminenze  ed  esenzioni 
inerenti,  e  ciò  ad  istanza  del  zelantissimo 
odierno  arcivescovo,  ed  in  considerazio- 
ne del  lustro  della  medesima,  imperoc- 
ché dice;  Equidem  V  ercellensis  melro-x 


VER  a33 

polilana  Ecclesia  in  Gallia  Cisalpina 
hìstoriafastis  insignis,  multis  sane  no- 
minibus  emicat^alque  refulget.  Namque 
originis  vetustate,  et  catholicae  relìgio- 
nis  fama  summopere  pracstans ,  atque 
huic  Pelri  cathedrae  vel  maxime  addi- 
età,  amplissimis  summorum  principimi 
honoribus  aucta,  plures  pastores  sacra 
purpura  donatus ,  et  sanctitatis  gloriae 
coelitum  ordini  adscriptos  habuisseglo- 
riatur.  Acceditetiam  r.athedrale  ejus- 
dem  templum  magnifico  opere  extru- 
ctum,  ac  rebus  omnibus  divino  cultuiac- 
comodalis  splendidissime  ornatimi ,  et 
praeclarum  illius  templi  Canonicoruni 
collegio  iis ecclesiasticisviriinstruclum, 
qui  pietatis,  religionis ,  et  virtutis  laude 
speciali,  magnopere  diligentes  decorali 
domus  Dei,  ornai  cura  et  diligentia  sa~ 
gri  ministerii  partes  ri  te  obeuntes  virtù- 
tem  ornatili  enitescere  curant.  In  questa 
basilica  con  altre  belle   cappelle  si  am- 
mira quella  col  venerando  deposito  del 
b.  Amedeo  IX  duca  di  Savoia  (J7.),  pro- 
tettore delle  partorienti,  morto  in  Ver- 
celli neli472,  il  cui  culto  immemorabi- 
le approvò  Innocenzo  XI  nel  1677.  So- 
novi  pure  in  grande  venerazione  i  corpi 
del  glorioso  s.  Eusebio  vescovo  di   Ver- 
celli, e  della  b.  Emilia  di  Vercelli.  Bene- 
detto XIV  confermò  l'indulgenza  plena- 
ria che  si  lucrava  in  forma  di  giubileo  per 
3  giorni,  cioè  l'8,  il  9  e  1  o  agosto,  nell'S/ 
della  festa  di  s.  Eusebio.  Tra  le  altre  nu- 
merose reliquie  insigni  che  possiede,  ri- 
corderò iuoltree  soltanto  del  legno  della 
ss.  Croce,  cLie  ss.  Spine  ,  una  gamba  di 
s.  Daniele  profeta  ,  ed  un  braccio  di  s. 
Giacomo  Maggiore   apostolo.  Vi  si  con- 
servano eziandio  gli  Evangeli  di  s.  Matteo 
e  di  s.  Marco  scritti  dalla  mano  di  s.  Eu- 
sebio e  ricchi  di  preziosi  ornamenti,  che 
donò  Berengario  II  imperatore  e  re  d'  I- 
talia  or  sono  9  secoli.  Si  legge   neli'  A* 
tlante  Mariano  ossia  origine  deli*  Im- 
magini miracolose  dellaB.  Fy  ergine  Ma- 
nia venerale  in  tutte  le  parti  del  mori' 
do,  redatto  dal  gesuita  p.  Gumppcn» 


*3|  VER 

lag.  Europa,  t.  5,  p.127,  dell'edizione 
di  \  erotta  i84^:  Immagine  miracolasti 
(Itila  B.  l'ergine  Maria,  la  Madonna 
della  schiaffo  nella  cattedrale  di  Ver- 
celli. Neh  189  Anna  gentildonna  di  Pal- 
ina, delle  più  ricche,  ossessa  dal  demo- 
nio, restandone  poi  liberata  per  interces- 
sione di  s.  Eusebio,  ^er  gratitudine  ver- 
so il  celeste  benefattore,  volle  lutto  il  re- 
sto di  sua  vita  abitare  in  una  casa  vici- 
no al  suo  tempio,  senza  mai  partirne,  e- 
scrcitnndosi  nel  digiuno  e  nell'orazione, 
e  moti  di  43  anni.  Se  tutti  gli  altri  mo- 
numenti andarono  perduti,  pure  un  so- 
lo ne  resta,  che  ottimamente  di  quella 
matrona  attesta  la  divola  pietà.  E'  que- 
sto un  portico  sagro  della  cattedrale,  sot- 
tocui  in  candidissimo  marmo  scolpito  ve- 
desi  l'avvenimento  rappresentato  da  pic- 
cole statue.  Fra  queste  è  la  Madonna  col 
divin  Figlio,  che  protendendo  la  destra 
è  in  atto  di  benedire.  Ora  nello  scorso  se- 
colo (deve  dire  almeno  XVII)  un  colai 
aulico,  giuocatore  non  plebeo  della  setta 
di  Calvino,  adiratosi  per  la  mala  sorte 
avuta  nel  giuoco,  entrò  furioso  nel  tem- 
pio, ed  a  quell'effigie  marmorea  della  B. 
"Vergine  con  ira  scagliò  uno  schialfo  sul- 
la guancia  sinistra.  Con  portentoso  pro- 
digio, dal  marmo  spruzzò  sangue,  e  tut- 
tora si  vedono  nel  venerando  simulacro, 
oltre  il  vermiglio  del  sangue,  i  segui  im- 
pressi della  sacrilega  mano.  Costui,  alte- 
ralo nella  mente,  non  sapendo  più  tro- 
var l'uscita  di  quel  luogo,  andava  vagan- 
do pe'chiostri  del  propinquo  episcopio, 
tutlo  fuori  di  se;  e  siccome  o  fu  veduto 

0  egli  stesso  narrò  1'  iniquo  fallo,  ciò  fu 

1  iterilo  a  Carlo  duca  di  Savoia,  che  pre- 
cisamente allora  trova  vasi  in  detto  palaz- 
zo. 11  reo,  senza  riguardo  alla  sua  nobile 
condizione,  uè  all'aula  ove  a  vea  tutto  con- 
fessato, fu  processalo;  per  cui  il  duca  or- 
dinò che  nel  pubblico  foro  fosse  dal  boia 
appeso  al  palinolo.  Il  giudice  lesse  al  po- 
polo il  delitto  cagione  del  supplizio;  e  già 
il  ribaldo,  non  avendo  che  apporre,  sa- 
liva gli  ultimi  gradini  della  scala  e  al- 


VER 

tendeva  la  morte.  Il  sacrilegio  destò  tan- 
to orrore,  che  ninno  lo  scusò  o  domandi) 
più  mite  punizione;  perciò  spinto  giù  dal- 
ia scala  rimase  sospeso,  e  perì  di  morte 
ignominiosa,  degna  d'un  giuocatore  ere- 
tico. Lo  storico  ebbe  il  procoso  scritto 
dal  decano  del  capitolo  della  cattedrale 
Gio.  Callista  Modena.  La  rosseggiante 
macchia  ,  che  tuttora  si  vede  ,  fu  dagli 
scultori  artistica  mente  esaminata,  e  tutti 
concordi  a  (ferma  tono  non  esservi  stata  di- 
pinta, uè  essere  inerente  al  marmo,  poi- 
ché niuoo  artefice  avrebbe  lavorato  un 
sasso  con  tale  imperfezione,  precipuamen- 
te venendo  quella  bruttura  a  riuscire  sul 
volto.  La  sagra  statua  tolta  da  quel  por- 
tico fu  posta  al  pubblico  culto  sopra  uu 
aliare,  ed  i  vercellesi  cominciarono  a  ve- 
nerarla, pe'miracoli  che  invocata  da'eit- 
ladini  faceva.  Nel  i63o  terribile  pesti- 
lenza flagellava  Vercelli,  gli  abitanti  com- 
presi di  tenore  si  rifugiarono  nel  tem- 
pio a  cercare  salute,  con  segui  di  peni- 
tenza, invocando  il  patrocinio  della  ss. 
Immagine  peressere  liberati  dal  tremen- 
do malore.  La  B.  Vergine  gli  esaudì,  e 
tosto  cessò  la  pestilenza,  il  che  risulta  da 
atti  giuridici,  aumentandosi  così  la  divo- 
zione ai  prodigioso  simulacro.  In  questa 
cattedrale  vi  è  il  battistero  e  la  cura  d  'a- 
nime  affidala  alla  dignità  dell'arciprete. 
Il  capitolo  si  compone  di  4  diguità,  lai/ 
delle  quali  è  l'arcidiacono,  la  2,a  l'arcipre- 
te, le  altre  sono  il  preposto  e  il  cantore 
maggiore.  L'arcidiacono  gode  il  privile- 
gio dell'uso  dovunque  della  mitra,  com- 
presa la  preziosa,  però  assente  dal  coro 
il  vescovo  prima  e  poi  l'arcivescovo;  ma 
l'attuale  arcivescovo  benignamente  per- 
mette che  la  usi  anche  alla  sua  presenza. 
Di  18  canonici, comprese  le  prebende  del 
teologo  e  del  peniteuziere,  e  di  1 2  sacer- 
doti cappellani  coristi,  oltre  altri  preti  e 
chierici  addetti  alla  divina  uffiziatura.  A. 
tempo  dell'  Cghelli  il  capitolo  era  assai 
più  numeroso,  e  già  i  canonici  usavano 
la  cappa  paonazza  e  il  rocchetto  prò  tem- 
poriun  ratio  ne  utentes.  Le  diguità  però  e- 


VER 

r.ino  le  3  prime  nominate,  non  eravi  il 
cantore;  24  canonici,  16  beneficiati  colle- 
giali, 3o  cappellani  titolari,   il    maestro 
delle  ceremonie,  1  sagristi,  3  custodi  e  1 
chierici.  Parlando  del  rito  e  deW  Uffìzio 
Eu$ebìano,ò\s&\  ch'era  proprio  della  chie- 
sa di  Vercelli,  istituito  e  insegnato  da  s. 
Eusebio,  indi  dismesso  quando  il  succes- 
sore Bonomo  del  1  5ji  vJintrodusse  il  ro- 
mano. Si  convenne  però,  che  alcune  co- 
se del  rito  Eusebiano  si  dovessero  conti- 
nuare, specialmente  alcune  feste  di  san- 
ti ,  massime  d'alcuni  vescovi    vercellesi. 
Nel  j  57 5  cominciandosi  il  rito  e  l'uffizi** 
tura  romana  ad  attuare,  si  conservaro- 
no le  seguenti  particolarità  tuttora  in  vi* 
gore.  Nell'Avvento  e  nella  Quaresima  Va- 
bodtilla  piane  la  all'orientale,  cioè  lacapsu- 
la,  che  adoperano  il  diacono  e  il  suddia- 
cono; il  cuoprire  le  Croci  fio  dal  1. "gior- 
no di  quaresima  ,  e  scuoprendole  nella 
domeuicadellePalmein  tempo  della  pio- 
cessione,  tornandosi  poi  a  cuoprire.  Se- 
condo s.  Ambrogio  e  altri,  s.  Eusebio  fu 
il  1 .°  ad  introdurre  nell'Occidente  la  di- 
sciplina monastica  Iva  Chierici,  ossia  ad 
istituirvi  la  Fila  connine  (F.),  nelle  ca- 
se adiacenti  alle  chiese,  denomina  te  ca- 
noniche, ove  abitavauo  col  proprio  pa- 
store gli  ecclesiastici  addetti  al  Se/vizio 
divino  delle  cattedrali,  acciò  fossero  più. 
pronti  alle  sagre  Lffìzialure  diurne  e  not- 
turne, i  quali  in  seguito  furono  detti  Ca- 
nonici (J7.),  con  osservare  una  ingoia, 
donde  ebbero  origiue  i  Canonici  regola- 
ri. 11  palazzo  arcivescovile  è  prossimo  al- 
la metropolitana,  ed  è  comoda  e  conve- 
niente abitazione  dell'arcivescovo.  Anti- 
camente Vercelli  avea  due  cattedrali,  la 
descritta  e  quella  non  più  esistente  di  s. 
Maria  Maggiore,  di  cui  parlerò  all'epoca 
di  sua  fondazione,  in  uno  ad  altre  nozio- 
ni sulla  discorsa.  Oltre  la  cattedrale   vi 
sono  iu  Vercelli  altre  9  cinese   parroc- 
chiali, delle  quali  due  sono  munite  del  s. 
fonte;  vi  è  un  monastero  di  clansse,  due 
spedali,  il  monte  di  pietà,   il  seminano 
proporzionato  all'ampiezza  dell' arcidio- 


VER  *35 

cesie  ben  provveduto  di  maestri.  Vi  han- 
no, almeno  sino  agli  ultimi  tempi,  i  col- 
legi de'barnabiti  e  de*  somaschi.  Il  reale 
collegio  si  estende  a  tulle  le  principali 
scienze,  e  possiede  un  museo  di  storia  na- 
turale, una  gran  parte  del  quale  è  consa- 
grato alla  botanica.  Vi  sono  altresì  au- 
torizzati diversi  convitti.  Presso  la  chiesa 
di  s.  Andrea  il  convitto  ecclesiastico  è  per 
l'educazione  de'chierici,  diretto  dalla  con- 
gregazione degli  obiati  di  s.  Carlo.  La 
chiesa  di  s.  Andrea,  grandiosa  e  bellissi- 
ma, col  contiguo  celebre  monastero,  fu 
costruita  nel  1 1 1 9  sopra  un  modello  d'In- 
ghilterra a  spese  del  benefico  vercellese 
cardinal  Guala  Bicchieri  (F.),  legalo  d'i 
quel  regno  presso  Enrico  III,  che  vi  con- 
tribuì, e  nella  quale  fu  sepolto,  secondo 
l'Ughelli  e  le  Memorie  s loriche  de'  Car~ 
dina  li  del   Cardella;  altri  dicono  igno- 
rarsi ove  sia  seppellito,  facendolo  morto 
non  in  Vercelli,  ma  in  Inghilterra,  il  che 
non  pare.  Il  cardinale  nella  chiesa  collo- 
cò il  pugnale  che  trucidò  s.  Tommaso  di 
Canlorbery,  protomartire  dell'  Inanimi- 
la ecclesiastica  soiio  Enrico  II  re  d'In- 
ghilterra.Dal  testamento  del  cardinal  Bic- 
chieri, pubblicato  dall'Ughelli,  Italia  sa- 
era,  t.  4>  p-  784.  si  trae  quanto  egli  fa 
generoso  e  benefico  verso  le  chiese,  i  mo- 
nasteri e  gli  spedali  della  diocesi  di  Ver- 
celli. La  chiesa  di  s.  Andrea  per  più  se- 
coli fu  umziata  da'eanonici  regolari,  pri- 
ma di  s.  Vittore,  poi  da'Lateranensi;  ab- 
bandonata quindi  10  tempo  delle  guerre 
ue'primordii  del  corrente  secolo,  venne 
cou  ottimo  pensiero  restaurata  e  conse- 
gnata nel  1824  a'detti  obiati.  Quale  ora 
si  trova, essa  è  certamente  più  vaga  assai 
e  di  uno  side  più  leggiadro  del  duomq 
d'Asti,  ne  altra  vi  è  in  Piemonte  da  pa- 
ragonarsele ,  poiché  sono  queste  le  sole 
due  chiese  notevoli  di  gotica  architettu- 
ra, ossia  sassone  o  tedesca,  la  quale  si  os- 
serva nelle  chiese  più  antiche  del  medio 
evo. Quella  poicolantoavveuente  per  va- 
ghezza d'archi,  sveltezza  di  colonne  e  leg- 
giadria d'intagli  da  aver  invogliato  j|  se. 


236  VER 

col  nostro  d'imitarla  in  ogui  maniera  di 
edilìzi  e  d'ornamenli,  è  molto  più  mo- 
derna, d'origine  orientale  e  recata  da'sa- 
i aceni  in  Ispagna,  come  da'  crociali  nel 
rimanente  d'Europa  dove  fiorì  ne'secoli 
XIII,  XIV  e  XV.  Apprendo  dalla  Civil- 
tà Cattolica  aver  pubblicato  d.  Pao- 
lo Guatino,  Brevi  cenni  storici  sulla  ba- 
sìlica ed  abbazia  di  s.  Andrea  apostolo 
in  Vercelli^  dal  1 200  ali  85j.'  colla  no- 
ta delle  sagre  funzioni  e  indulgenze  e 
compagnie,  che  presentemente  ivi  hanno 
luogo ,  Vercelli  tipografìa  Guglielmoni 
1857.  La  chiesa  di  s.  Cristoforo  è  assai 
visitata  da'viaggiatori  a  cagione  de' bei 
dipinti  a  fresco  di  Gaudenzio  Ferrari  di 
Valduggia  di  Valsesia,  i  quali  benché  in 
parte  restaurali  destano  ancora  una  viva 
ammirazione  per  quel  pennello  insigne. 
il  11. 1 9 1  del  Giornale  di  Roma  del  1 857 
scrisse  di  lui.  Pittore  di  altissimo  meri- 
to, che  negli  aiuti  prestati  in  gioventù  a 
Raffaello  in  Valicano  e  in  altre  opere  in 
Roma,  fu  quegli  che  piùavvicinossi  a  Pie- 
lino  del  Vaga  ed  a  Giulio  Romano.  No- 
vara ,  Vercelli  e  Varallo  sono  i  luoghi, 
ove  specialmente  ammiransi  le  pitture  di 
questo  grande  artista  (anche  Valesia  sua 
patria  con  gran  copia  di  lavori,  i  quali 
tuttora  si  ammirano),  che  educato  dap- 
prima dal  Luini  (dopo  il  quale  divenne 
caposcuola  de'pittori  milanesi), sotto  la  di* 
lezione  del  sommo  Urbinate  imparò  una 
maniera  più  grande  di  disegno  e  più  va- 
ga di  colorito.  Egli  si  tenne  sempre  a  sog- 
getti sagri,  e  parve  unico  nell'esprimere 
ia  maestà  dell'Essere  Divino,  i  misteri 
della  religione,  gli  affetti  della  pietà,  di 
cui  fu  lodevole  seguace,  detto  exim ie pius 
in  unsinododi  Novara.  Alle  Grazie  in  Mi- 
lano fu  competitore  con  Tiziano,  e  la  Ca- 
duta di  s.  Paolo  a  Vercelli  è  un'  opera 
stupenda,  che  se  nella  grazia  e  nella  bel- 
lezza non  eguaglia  Pialfaello,  non  è  però 
che  non  tenga  molto  di  quel  carattere  co- 
me a  s.  Cristoforo  di  Vercelli,  ove  ha  di- 
pinto varie  storie  di  Gesù  Cristo,  e  alcu- 
ne altre  di  s.  Maria  Maddalena.  Io  que- 


V  ER 

sta  grande  opera  spiegò  carattere  di  pit- 
tore vago,  più  forse  che  in  altra,  inseren- 
dovi teste  bellissime  e  angelelti  quanto 
gai  nella  forma,  altrettanto  spiritosi  nel- 
le azioni.  11  busto  marmoreo  di  sì  cele- 
bre pittore  era  ben  degno  di  stare  nella 
ProtomotecaCapitolina,di  cui  riparlai  nel 
voi.  LXXXV,  p.  2o5  e  seg.,  ed  il  mar- 
chese Francesco  Arborio  di  Gattinara  ne 
afiìdò  l'esecuzione  all'egregio  scultore  An- 
tonio Bisetti,  e  nell'agosto  di  detto  anno 
con  superiore  approvazione  fu  collocato 
nei  luogo  illustre,  in  solenne  tributo  di 
ammirazione  edi onoranza  al  valente  ar- 
tista. Della  chiesa  e  celebre  monastero 
benedettino  di  s.  Stefano  di  Vercelli,  fu 
abbate  d.  Giovanni  Gersen  (V.)(\\  Ca- 
vaglià,  creduto  da  molti  autore  dell'au- 
reo libro,  lJ  Imitazione  di  Gesù  Cristo, 
onde  il  Cancellieri  nelle  Dissertazioni  e- 
pistolari  riporta  erudite  notizie  del  mo- 
nastero, ragionando  di  chi  propriamen- 
te Io  scrisse.  Vanta  Vercelli  molti  uomi- 
ni illustri,  in  santità  di  vita,  nelle  digni- 
tà ecclesiastiche,  nelle  scienze,  nelle  armi 
e  nelle  arti.  S.  Teonesto  vescovo  e  mar- 
tire. S.  Massimo  11  vescovo  di  Torino, 
secondo  alcuni.  S.  Orico  degli  umiliati, 
ordine  che  fiorì  nella  città.  S.  Guglielmo 
di  Vercelli  (V.}  fondatore  della  congre- 
gazione di  Monte  Vergine  (V.).  B.  An- 
tonio francescano  della  stretta  osservan- 
za. B.  Ardizio  Lignani  de'minori.B.  Mar- 
tino agostiniano.  La  b.  Bruna  dell'ordi- 
ne delle  umiliate,  la  b.  Ugolina  domeni- 
cana, e  la  b.  Emilia  Bicchieri  pure  do- 
menicana, di  cui  si  fa  l'uffizio  e  messa  a' 
1 7  agosto,  ed  altri  servi  di  Dio.  Le  no- 
tizie de'  seguenti  6  cardinali  vercellesi  si 
ponno  vedere  alle  biografie.  Jacopo  Gua- 
Ja  Bicchieri  del  i  2o5.  Gio.  Stefano  Fer* 
reti  del  1 5oo.BonifàcioFerrer/ del  1 5i  7, 
fratello  del  precedente. Filiberto  Ferrcri 
del  1 549,  nipote  de'nominati.  Pier  Fran- 
cesco Ferreri  del  1 56 1,  fratello  dell'an- 
tecedente,  e  com'esso  de'siguori  di  Casal 
Vallone  de'marchesi  di  Romagnano,  na- 
to io  Biella  feudo  di  sua  casa,  allora  dio- 


VER 

cesi  di  Vercelli.  Guido  Ferreri  del  1 565» 
nipote  di  Pier  Francesco,  e  pronipote  di 
Pio  IV  perchè  nato  da  Maddalena  Bor- 
romeo sorella  di  s.  Carlo,  dal  quale  ri- 
cevè in  Milano  l'insegne  cardinalizie.  Al- 
tri vercellesi  furono  elevati  alla  dignità 
episcopale;  e  l'Ughelli  registra  per  tali  s. 
Eusebio  nel  449  circa  vescovo  di  Mila- 
no, che  altri  vogliono  milanese,  ed  il  ce- 
lebre s.  Fortunato  Venanzio  vescovo  di 
Poitiers,  da  altri  detto  da  Valdobbiade- 
ne  di  Treviso.  Illustri  vercellesi  furono 
ancora  Martino  Serrata  ,  Adriano  Ber- 
retti, Giovanni  Demostene  ,  e  Candido 
Ronzo.  Ebbe  santi  e  dotti  tra' religiosi, 
precipuamentedomenicaui,come  fr.  Gio- 
vanni 6.°  maestro  generale  dell'ordine, 
fr.  Bernabè  uno  de'  suoi  successori ,  fr. 
Giorgio,  fr.  Girolamo  Ticcioni.  Tra'giu- 
reconsultisono  precipuamente  lodatiBar- 
tolomeo  Saliceto,  e  Signorolo  degli  O- 
modei.  Fra  gli  artisti  ricorderò,  Gio.  An- 
tonio Razzi,  che  fiori  in  Siena  ove  lasciò 
fra  le  altre  un'opera  mirabile  rappresen- 
tante lo  svenimento  dis.  Caterina  da  Sie- 
na, dipinta  a  fresco  in  una  cappella  di  s. 
Domenico,  morto  nel 1 554;  e  Bernardi- 
no Lanini,  scolaro  del  sullodato  Gauden- 
zio, dipinse  con  felice  successo  in  patria, 
in  Novara  e  particolarmente  in  Milano, 
morto  nel  i5y8  circa.  Sono  7  anni  che 
in  Vercelli  dalla  tipografia  Guglielmotti 
si  stampa,  LJ Educatore  Israelita ,  gior- 
nale mensile  per  la  storia  e  lo  spirito 
del  giudaismo.  Ne*  secoli  di  mezzo  Ver- 
celli ebbe  la  propria  zecca.  Narra  V Os- 
servatore Romano  del  1 852  a  p.  73 1 ,  che 
il  cav.  Proni is  scuoprì  una  moneta  del  co- 
mune di  Vercelli.wCon  quell'erudizione 
che  gli  è  tanto  comune  il  cav.  Promis  nel- 
la illustrazione  cheneha  pubblicato,com- 
pendiò  la  storia  de'mulamenti  di  signo- 
ria del  medio  evo  di  questa  città;  quin- 
di viene  a  discorrere  della  sua  zecca,  del- 
la quale  avea  già  dato  il  documento  di 
fondazione  il  Durandi.  Ma  mancava  una 
prova  di  fatto,  e  questa  veniva  scoperta 
nel  1 85 1  io  Biella  in  una  moneta  d'ar- 


VEIl  a37 

gento  avente  da  un  lato  una  croce  con 
attorno  Vercelle,  e  dall'  altro  lato  an- 
che una  croce  con  questa  parola  Fbe- 
dric,  e  nel  centro  1.  P.  per  Imperatoti 
Tutto  induce  a  credere  che  essa  sia  un 
denaro  grosso,  e  che  al  totale  suo  carat- 
tere appartenga  al  secolo  XIII,  simile  a 
quello  d'Asti  pesando  grammi  1,020  e 
dalla  pietra  di  paragone  approssimando- 
si a  goo  millesimi  di  fine.  Ove  si  consi- 
deri che  la  convenzione  di  batter  moneta 
fatta  dal  comune  il  23  giugno  1 255  con 
Nicolò  Ampollario  e  Simone  Gambolati 
di  Pavia,  recava  che  si  potesse  lavorare 
grossi  da  otto  piccoli  o  mezzani  al  peso 
e  lega  di  quelli  di  Pavia,  Piacenza,  Cre- 
mona, Tortona,  Bergamo,  Como  ed  Asti, 
si  comprende  facilmente  come  gli  zec- 
chieri, che  avevano  parte  negli  utili,  pre- 
ferissero d'imitare  i  grossi  astesi  che  era- 
no in  gran  credito.  Dall'essersi  finora  tro- 
vata una  sola  moneta  vercellese  ,  e  non 
rinvenendosi  atti  notarili  e  del  comune 
che  menzionino  i  denari  del  paese,  il 
chiarissimo  autore  è  indotto  a  credere 
che  molto  breve  sia  stata  l'esistenza  del- 
la zecca  in  Vercelli,  non  dovendosi  qui 
tener  conto  della  moneta  ossidionale  bat- 
tutasi in  occasione  dell'assedio  sostenuto 
da  Vercelli  nel  161 7.  E  la  poca  durata 
della  zecca  era  una  conseguenza  necessa- 
ria del  gran  credito  che  godevano  quelle 
di  Milano,  Pavia,  Asti,  Genova  e  Susa, 
al  quale  era  impossibile  che  città  secon- 
darie potessero  fare  concorrenza.  Il  cav. 
Promis  riproduceva  poi  ne'documenti  la 
citala  convenzione  del  comunedi  Vercel- 
li con  alcuni  zecchieri,  ti aendola  dall'o- 
riginale esistente  ne' regi  archivi  di  cor- 
te". A  niuua  altra  città  piemontese  può 
Vercelli  dirsi  seconda  per  l' importanza 
del  suo  commercio,  che  consiste  princi- 
palmente in  riso,  e  poi  vino,  grano,  ca- 
nape, lino;  con  Torino  dà  biancheria  da 
tavola  la  più  ben  lavorata,  non  che  lavo- 
ri di  ebanista  e  minuterie.  Le  sue  forti- 
ficazioni furono  in  Italia  per  lungo  tem- 
po famose,  e  vi  si  contavano  1 4  regolari 


*38  VER 

bastioni  colle  corrispondenti  opere  di  mi  - 
lilare  architettura;  ma  nel  1704  vennero 
da'francesi  affatto  demolite.  Nella  pianu- 
ra vicina,  dicono  alcuni  contraddetti  da 
nitri,  che  secondo  la  più  fondata  opinio- 
ne, si  riconoscono  i  campi  Ratidii,  ove  il 
famoso  console  romano  Caio  Mario  die- 
de a 'cimbri,  che  scendevanodall'AlpiNo- 
riche  nel  652  di  Roma,  la  micidiale  bat- 
taglia colla  uccisione  di  120,000,  e  colla 
prigionia  di  60,000  di  que'barbari.  Le 
loro  donne  custodite  nelle  trincee  del 
campo,  gettaronsi  col  furore  della  dispe- 
lazioue  sull'inimico,  e  venderono  cara  la 
Vita,  rimanendo  così  in  un  sol  colpo  tut- 
ta quella  tremenda  moltitudine  annien- 
tata. Ma  il  dotto  marchese  Maffei,  Ve- 
rona illustrata,  p.  101,  prova  il  contra- 
lio. Caio  Mario  si  accampò  sul  Rodano 
per  impedire  l'entrata   in  Italia  a'  teu- 
toni, ed  agli  ambroni,  alleati  de' cimbri, 
e  in  due  combattimenti  li  sconfisse,  fa- 
cendone grandissima  strage.  Saputo  poi 
che  i  cimbri   erano  penetrati  in  Italia, 
non  avendo  potuto  il  collega  LutazioCa- 
tulo  né  respingerli  ne  trattenerli,   corse 
a  raggiungerlo  nel   Veronese,  ov*  eraei 
«ccanjpato  presso  l'Adige,  non  lungi  da 
Rivole  e  Canale.  Giunto  al  campo,  Caio 
Mario,  si  accordò  con  Beorix  re  de'ci ru- 
bri di  combattere  a'3o  luglio.  «  Per  luo- 
go stabilirono,  se  crediamo  alle  stampe 
di  Plutarco,  la  pianura  presso  Vercelli. 
Questo  passo   ha   fatto  credere  a  molli 
che  seguisse  quella  battaglia   nel   Vero- 
nese, e  non  è  mancato  che  in   favor  di 
tal  sentenza  con  calore  abbia  scritto;  ma 
avvertirono  già  il  Panvinio  e  il  Sigonio, 
errore  de'  copisti  essere  in  quel  luogo  di 
Plutarco,  e  doversi  leggere  presso   Ve- 
rona (V.).  Il  complesso  delle  autorità  e 
de'  fatti,  e  il  contesto  di  Plutarco  stesso, 
rendono  tal  emendazione  quasi    indi- 
sputabile ....  Plutarco,  poco  avanti   il 
suddetto  passo,  fa  menzione  dell'Adige, 
da' cimbri  valicato  ;  e  di  volete  in  vece 
dell'Adige  intender  la  Tosa,  con  ragione 
si  rise  il  Ciuverio".  Aggiunge  il  vero- 


VE  R 

nese  MaflVì,  il  paese  nostro  fu  il  teatro 
di  quella  famosa  guerra,  ed   un  avanzo 
di  cimbri  rimase  per  sempre  nel   Vero- 
nese, nel  Vicentino  e  nel  Trentino.  L'i- 
stessa  lingua  continua  quasi  in  lutto   il 
territorio  de'  Sette  Comuni  del  Vicenti- 
no.  I   veronesi   chiamano  cimbri   que' 
paesani,  e  l'antica  tradizione  di   tal  no- 
me  appare  da   più  scrittori  del  i3oo, 
tra' quali  è  il  Marzagaglia  veronese,  e  il 
Ferretti  vicentino;   perla  stessa   tradì 
zione,  gli  scrittori  della   menzionata   e- 
poca,   chiamano    paese   Cimhrico  que' 
monti,  e  bizzarramente  dicono  Cimhria 
la  città  di  Vicenza.  Irrefragabili   prove 
anche  da  questo  si  irae  di  tal  punto  di 
antica  storia,  e  della  sconfìtta  de'cimbri 
nel  Veronese.  Così  il  Maffei,  per  non  dir 
altro  del  molto  che  riferisce  in   propo- 
sito. Il  territorio  è  assai  fertile  e  produt- 
tivo, massime  di  frumento,  vino  e  copio- 
si frutti.  Il  circondario  contiene  le  Pro- 
vincie di  Vercelli,  Biella  eCasale.  La  pro- 
vincia di  Vercelli  è  limitata  da  quelle  di 
Novara,  Lomellina  ,  Valsesia,  Torino  e 
Alessandria.  Estendesi  1  5  leghe  dal  nord 
al  sud,i  1  nella  massima  larghezza,  e  4^ 
leghe  quadrale  in  superficie.  Il  nord  del- 
la provincia  va  coperto  da  alcune  rami- 
ficazioni delle  Alpi;  il  resto  è  piano  e  on- 
dato. In  generale  l'aspetto  del  paese  è  a- 
meno  e  svariato.  La  Sesia  forma  il  limi- 
te orientale,  il  Po  una  parte  del  confine 
meridionale;  nell'interno  scorrono  il  Cer- 
vo e  l'Elvo.  Un  canale  che  viene  dalla 
Dora  Baltea  percorre  il  paese,  passando 
per  Santià  ,  per  congiungersi  alla  Sesia. 
Le  risaie,  Tacque  troppo  abbondanti  ren- 
dono l'aria  della  provincia  alquanto  in- 
salubre. La  coltivazione  del  riso  è  più  e- 
stesa    che  altrove   nella  Lomellina  ,  nel 
basso  Novarese  e  nel  Vercellese;  essa  può 
considerarsi  come  una  particolarità  ben 
notevole  del  Piemonte,  il  quale  trae  non 
tenne  lucro  dall' esportazione  quasi  con- 
tinua di  siffatta  utile  derrata.  Due  specie 
di  riso  sogliono  coltivarsi  nel  Piemonte, 
cioè  il  riso  della  Cina  ,  ossia  dell'  India, 


V  E  R 
dello  ora  nostrano,  e  quello  della  Caro* 
lina,  ossia  delle  regioni  calde  d'America 
e  dell'Egitto,  che  dicesi  volgarmente  ber- 
tone. Oltre  al  riso,  dà  grano,  avena,  ca- 
mpa, vino  e  molta  seta.  La  proviucia  di 
Vercelli  ha  per  capoluogo  la  città  e  divi- 
desi  ini  3  mandamenti:  Ai  borio,  Ciglia- 
no, Crescenti  no,Crevacuore,Dezana,Gat- 
tinaia,  s.  Germano,  Livorno,  Masserano, 
Sanlià,  Stroppiana,  Trino,  Vercelli.  Pri- 
ma che  Vercelli  per  le  regie  patenti  de' 
20  ottobrei847  divenisse  divisione,  ap- 
parteneva la  proviucia  alla  divisione  di 
Novara. 

Vercelli,  Vercellae,  siccome  antichis- 
sima e  ragguardev  ole  città, sog»iacquean- 
ch'essa  a  favolose  narrazioni  the  ne  fece- 
ro derivare  l'origine  da'numi  o  dagli  eroi 
dell'antichità,  come  sci  isseioSicar  do  Cre- 
monese e  Giovanni  Annio,  ma  la  deve  a* 
libici  ovvero  e  certamente  a  Salii  o  Sal- 
Invìi  o  Salluij,  conoscendosi  salii  monta- 
ni e  salii  capillali.  Quali  fossero  i  popoli 
salii,  e  quali  i  confini  del  paese  da  essi  a- 
li  italo,  l'abbiamo  apertamente  da  Stra- 
bone,  il  quale,  dopo  aver  parlalo  del  por- 
lo di  Monaco,  inde  jam,  segue  a  dire,  ad 
JlJassiliam  usque,  atquenon  nìliil  ulle- 
rius  Salyes  habilant  orae  tnaritimae 
imminente  t  Alpes  ,  parlewque  littoris 
permixti  Graecisj  ed  altrove:  regionem} 
cjiiaeinter  Alpes  et  Rhodanum  estusque 
ad  D  nienti  a  m  Jluvium  Salyes  incolunt 
ad  IC  stadia.  Furono  anche  chiamati 
salii  liguri  da  Plinio:  Ligurum  celeber- 
rimi ultra  Alpes  Salii,  Salvii;  da  L.  Flo- 
ro, da  Àmmiano  e  da' Fasti  Capitolini, 
dalle  quali  autorità  appare  evidentemen- 
te aver  essi  posseduto  da  oriente  io  oc- 
cidente non  solo  una  principal  porzione 
delle  Alpi  marittime,  ma  quasi  tutta  la 
Provenza  d'oggidì  sino  a' fiumi  Piodano 
e  Durenza,  in  ispecie  la  diocesi  e  conta- 
do di  Nizza, come  tra'più  moderni  lo  am- 
mettono il  Biondo,  Fdippo  da  Bergamo, 
Leandro  Alberti,  ed  Antonio  du  Pinet, 
i  quali  sopra  quelle  parole  di  Plinio:  Ver- 
cellae  Libìciorum  ex Saliis  orlae^  dicono 


VER  239 

che  i  salii  fondatori  di  Vercelli  furono  i 
montanari  abitanti  sopra  diNizza,  da'qua- 
li  vogliono  ancora  che  fosse  il  nomea'po- 
poli  salassi  ed  alla  città  di  Saluzzo  par- 
tecipato. Salii  montani  si  dissero  i  popo- 
li alpini,  >alii  capillali  gl'innlpini,  Ligu- 
res  capillali,  così  del  li  perchè  pollava- 
no lunghi  e  lasciavano  crescete  a  dismi- 
sura i  loro  capelli,  forse  abbonendola-! 
gliorli  in  segno  di  libertà  ,  e  la  regione 
da  loro  abitata  si  disse  Galline  Coma- 
tae.  I  Saliio  Salluvii  o  Salini j  liguri, 
erano  popoli  celtici  venuti  dalle  Gallieia 
Italia.  Presso  gli  antichi  scrittori  trovasi 
ricoidata  questa  città  col  nome  di  Per- 
calli e  di  Pergelli,  e  pare  ch'esso  sia  de- 
rivato dal  vocabolo  celtico  wergen,  che 
significa  allontanare ,  forse  perchè  gli 
antichi  salii,  in  qualche  impresa  guerre- 
sca, abbiano  allontanato  o  respinto  al- 
cuna nazione  nemica  dal  luogo,  ove  po- 
scia incoio  indossi  a  fondate  la  città  di 
Vercelli  o  Vergelli;  quasiché  con  esso  ab- 
biasi voluto  perpetuare  la  memoria  del- 
l'ottenuto allontanamento.  Laonde  non 
sembra,  come  pteteseSicardo,  che  la  fon- 
datrice Venere  nobilissima  troiana  la 
chiamasse  P  e  ree  Ile t  comedi  Venere  Cel- 
la. Secondo  una  cronaca  di  Milano, rife- 
rita da  Leandro  Alberti,  prima  fu  deno- 
minata Maropola,  e  poi  essendosi  accre- 
sciuta ,  Beloveso  primo  re  di  Milano  la 
chiamò  Vercelli.  Marziale  scrivendo  a 
Domiziano  disse:  Aemiliae  gentcs,et  A- 
pollineas  Vercellas-  EtPhaetontei,qui 
petit  arva  Padì.  1  montani  Alpini  sono 
inoltre  da  Plinio  numerati  Irt'uopoH/V 
quali  i  romani  comunicarono  i  privilegi 
delle  citlà  latine  :  sunl praeterea  Latto 
donati  tic.  Ligures  et  qui  montani  io- 
canlur.  Capillalorumque  plura  genera: 
adconfìniuni  Ligustici  maris.  Dice  TU- 
ghelli  :  Percellae,  Episcopalis  civìtas, 
de  non  minus  nobilis,  quarti  antiqua,  in 
Transpadana  Jnsubria  supra  Jluvium 
Sessiamsita,  in  XJ  regione  Italia  e.  Con- 
stai  antiquìssimam  civilalcm  esse,  in  u- 
herctamocnoaue  territorio  silain}  cujus, 


*4o  VER 

practercilatosjmininerunlPtolomacus, 
Sitili*,  Martialisy  Tacilus,  Plutarc!ius% 
JìJarcellinus ,  aliique  plurcs  an tic] lussi- 
mi scriptores ,  de  qua  D.  Hieronymus 
epist.  49  haec  habet.  z=z  Verccllae  Li- 
gurum  cwitas,  haud procul  a  radicibus 
Alpium  sita,  olimpotens,  mine  raro  ha- 
bitalore  semiruta*  =  De  aurei s  f od  ini 
vercellensibus  memorai  idemPliniiiSyOb 
quas ,  legem  censoriam  lulere  romani, 
appc  II  armi  tque  Vercellenses  m  un  icipes9 
quoti  illìus  provi  nciae  caput  per  id  teni- 
pusexistcrent.  Dappoiché  Vercelli  fu  co- 
Jouia  romana,  aggregata  alla  tribù  A  men- 
se, e  poi  verso  l'anno  di  Roma  706,  fu 
onorata  del  grado  di  municipio,  e  tutto 
è  provato  colle  antiche  lapidi.   Figurò 
assai  nelle  varie  vicende  ,  cui  andò  sog- 
getta l'Italia  ne'successivi  secoli  della  ro- 
mana dominazione.  Ad  esempio  delle  cit- 
tà circonvicine,  Vercelli  ne'primi  anni  del 
IV  secolo  dell'era  cristiana,  mandò  de- 
putati al  vittorioso  imperatore  Costanti- 
no I  il  Grandeì  il  quale  vi  eresse  dalle 
fondamenta  la  basilica  di  s.  Maria  Mag- 
giore, o  piuttosto  dedicò  alla  B.  Vergine 
il  tempio  ove  i  pagani  sagrifìcavanoalla 
dea  Venere.  Eguale  attaccamento  la  cit- 
tà avea  mostrato  al  padre  Costanzo  Clo- 
ro, la  cui  moglie  s.  Elena  donò  alla  Co- 
stantiniana basilica  del  figlio,  un  quadro 
in  seta  da  lei  lavorato,  secondo  la  tradi- 
zione, ombreggiato  la  maggior  parte  con 
ricami  e  dipinto  variamente  a  oro,   poi 
trasferito  nella  chiesa  della  ss.  Trinità, 
dopo  la  deplorata  demolizione  della  chie- 
sa, che  contava  XIV  secoli  d'esistenza. 
Rappresenta  Maria  Vergine,  che  tiene  in 
grembo  il  divin  fanciullo  Gesù,  ambo  ve- 
stiti nel  modo  descritto  dal  vercellese  Gio, 
Antouio  Ranza  professore  d'eloquenza, 
direttore  della  patria  tipografia, nel  libro: 
Delle  antichità  della  chiesa  maggiore 
di  s.  Maria  di  Vercelli,  dissertazione 
sul  quadro  di  s.  Elena,  Vercelli  1784. 
Raccoglitore  e  illustratore  delle  patrie  an- 
tichità, lo  pubblicò  in  occasione  che  ven- 
ne in  Vercelli  a  venerare  le  ceneri  del  b. 


VER 

Amedeo  IX,  la  discendente  principes^ 
M.*  Felicita  di  Savoia  sorella  del  re  Vit- 
torio Amedeo  111,  a'qoali  l'offrì.  Cosi  nel- 
la circostanza  che  Gustavo  III  re  di  Sve- 
zia visitò  la  real  corte,  die'  alla  luce:  Del- 
le antichità  della  chiesa  maggiore  di  s. 
Maria  di  Vercelli^  disseriazione  sopra 
un  musaico  d'una  monomachia ,  Torino 
1 784.  Esprime  il  musaico,  che  serviva  di 
pavimento  alla  delta  chiesa,  un  combat- 
timento di  duello,  ch'era  in  uso  nel  Pie- 
monte nel  secolo  X,  dopoché  l' impera- 
tore Ottone  il  l'autorizzò  nel  983  nella 
dieta  di  Verona,  per  terminare  le  liti  col- 
la spada;  barbarie  contro  la  quale  portò 
le  sue  doglianze  il  vescovo  Attone,  che  a 
quell'epoca  governava  la  chiesa  Vercel- 
lese. Già  il  Ranza  pel  pubblico  ingresso 
del  vescovo  cardinal  di  Martiniana  avea 
impresso  cogli  eleganti  tipi  patrii:  Dis- 
ser  tazione  patriottica  j  il  primo  ingresso 
de' vescovi  di  Vercelli.  Dalla  tipografia 
patria  1  779.  Con  l'erudito  libro  presentò 
egli  un  antico  ceremoniale  inedito  del  ve- 
scovo s.  Alberto  del  1 185,  in  cui  per  se 
e  successori  prescrisse  il  tenore  deli,   in- 
gresso nella  chiesa  di  Vercelli.  Consiste- 
va la  funzione  nella  cavalcata,  colle  sta- 
zioni a  s.  Giuliano,suburbana  innanzi  che 
si  ampliasse  il  circuito  delle  mura,  la  pro- 
cessione, la  stazione  a  s.  Maria  Maggio- 
re, e  l'altra  a  s.  Eusebio,  intervenendo 
nella  cavalcata  i  vassalli   del  vescovato. 
Determinate  famiglie  nobili ,  ab  antico, 
sostenevano  l'aste  del  baldacchino, e  l'e- 
numera. I/autore  nel  descrivere  la  sta- 
zione a  s.  Maria,  eccitò  il  suo  patrio  ze- 
lo a  condannarne  la  demolizione,  dopo 
che  per  tanti  secoli  avea  resistilo  all'in- 
giurie del  tempo,  ed  era  in  islato  di  re- 
sistere anche  per  molti  altri;  quindi  de- 
scrisse i  principali  pregi  della  medesima, 
colTautorità  del  mentovato  vescovo  At- 
tone. La  stabili  di  fondazione  Costanti- 
niana, benché  mg.r  Ciampini  non  ne  fac- 
cia menzione  nell'opera,  De  sacris  aedi- 
ficiis  a  Constantino  Magno  construciis. 
Dislingue  l'antico  dal  moderno,  la  fissa 


VER 
per  prima  sede  vescovile,  parla  del  fatto 
avvenuto  a  s.  Eusebio  contro  gli  ariani, 
accenna  le  dignità  e  i  canonici  della  me- 
desima ,  e  per  fine  espone  il  possesso  di 
cattedra  e  di  sede,  la  quale  era  marmo- 
rea ed esistevaanco  nel i5j 5,  che  si  pren- 
deva dal  nuovo  vescovo  in  questa  chie- 
sa.  Termina  il  commentario  con  ragio- 
nare brevemente  della  stazione  di  s.  Eu- 
sebio, ch'era  un'altra  chiesa  con  canoni- 
ci ,  ed  ove  pure  prendevasi  possesso  dal 
nuovo  vescovo  della  loro  sede  vescovile. 
Parla  inoltre  del  ceremoniale  moderno, 
simile  al  praticato  ioo  e  più  anni  addie- 
tro, riproducendo  quello  eseguito  a'28  lu- 
glio 1666  da  mg.r  Girolamo  della  Piove- 
re, e  quello  praticato  a'4  novembre  1 743 
da  mg.r  Gio.  Pietro  Solaio.  Questi  cen- 
ni l'ho  ricavati  dal  ragguaglio  che  de'3 
libri  si  leggono  nell' Effemeridi  dì  Roma 
del  1780  e  del  1784.  Che  Vercelli  avea 
due  cattedrali,  lo  conferma  il  citato  U- 
ghelli,  Italia  sacra,  t.  4>  P*  744:  Vcrccl- 
lenses  Epìscopi.  Egli  dice:  Duas  habet 
Calhedrales,  s.  Eusebii,  et  s.  Mariae 
Majoris,quae  inter  se  de  primalu  con- 
tenduntjilla  quod  numero  canonicorum, 
Sanclorumque  lipsanis  antecellat,  et  E- 
piscoporum  litulus,ct  sedes  sii:  haec  oh 
antiquilalem,  nempe  Constantini  Magni 
imperatoris  jus  su, glorio  sae  Vìrgini  Dei' 
parac  dicala  fuerit,  et  consecrala  ab 
Eugenio  III  Ponti/ice  ex  Gal  Ha  redeun- 
te  anno  1  1 48,  romanis  Cardinalibus,  ac 
s.Bernardo  Claraevallensi  abbate  prae- 
scnlibus.    Utraque  venerabilis  et  insi- 
gnisci prima  quam  Euscbianam  basili* 
cani  vocanl,  s.  Theonesti  martyris  ver- 
cellensis  nomine  ab  ipso  s.  Eusebio  ae- 
dificala fidi ,   et  ejus  fores  ab  arianis 
clausae,  ipsi  d.  Eusebio  oranti  divinilus 
paluertml.  Consecratio  edam  divinilus 
facta  memoraturj  nani  cum  s.  Albinus, 
sextus  ab  Eusebio  (dovrò  dirlo  8/) ,  s. 
Germanum    Allisiodorensem  praesu- 
lem,  illac  Ravennani  versus  iter  haben- 
icm,  orasse t,  ut  eam  Ecclesiam  conse- 
craret)  alque  ille  postulata  scfacturum 
vol   xeni. 


VER  24t 

pollìcilus ,  Ravennae  obiisset  3  factum 
est,  ut  ejusdem  Germani  corpore  Ver- 
cellis  appropinquante,  certae  faces  per 
ecclesiae parietes  dispositae,q\uie  ante 
eum  diem  accendi numquam  potuerant, 
sua  sponle  accender  entur, sic  que  intelle- 
ctum  est,  sanctum  virumpolliciti  memo- 
rem  mortuum  praeslitisse.  Sic  s.Albinus 
populo  f eslum  consecrationis  diem  in- 
dixit  ;  fiat  aulem  hoc  a  partii  Virginis 
anno  435.  Nunc  ìpsius  s.  Eusebii  nomi- 
ne basilica  nuncupaturj  posila  est  prò- 
pc ,  et  extra  moenia  civitatis  antiqua 
slructura,  choro  recens  eleganter  f ab  ri- 
calo, atqucornato,et  vicinumhabel  Coe- 
meterium ,  Episcopium  ,  et  Claustrum 
Canonicorum.  Hic  asservatur  corpus  s. 
Eusebii hujus  Ecclesiae fundatoris,  na- 
per  in  hujus  basilicae  instauratone  in- 
ventimi, cum  epilaphio  inscriplo  carmi- 
nibus  acrosticis,  quorum primae  lillerae 
inter  se  connexae  Epìscopum  etMarty- 
rem  sonanl.  Hic  etiam  est  corpus s.  Ae- 
miliani epìscopi,  nec  non  s.  Aure  Hi  ar- 
meni episcopi  Rodicinorum ,  qui  anno 
Domini  383  Medio lani  migravit  con- 
fessor, quod  Noltingus  episcopus  Ver- 
cellas  transtulit ...  Secunda  Ecclesia  s. 
Mariae  Majorisin  civitate  est  antiqua, 
et  insignis  Collegiata  est.  Calhcdralis  o- 
limfuit,  et  nunc  etiam  Calhedralis  ap- 
pellalur  ,  habens  dignitalem  Majora- 
lus  nuncupatam,  de  qua  loquitur  Gros. 
in  cap.  Volumus  89  disk  et  Canonicos 
septem  cappis  et  rocchetto  ulentes,  qui 
licet  per  se  capiliilum  separatum  fa- 
ciant,  in  solemnitatibus  lumen,  et  sup- 
plicationibus  in  unum  corpus  Cathedra- 
li  capilulo  coalescunt,  et  quartam  ejus 
parlem  constituunt.  Presso  Vercelli  fu 
superato  Castino  capitano  di  Giovanni  li- 
ranno  nel  3g5,da  Ardaburo  governato- 
re dell'Oriente,  capitano  di  Valerio  3.° 
figlio  dell'imperatore  Costanzo,  oValeu- 
tiniano  III.  Verso  tale  epoca  ,  come  già 
indicai,  Vercelli  già  potente,  era  ridotta 
a  pochi  abitanti  e  mezzo  diroccata;  la 
quale  desolazione  forse  derivò  dal  furo- 
16 


a4»  VER 

re  ilcir  «ulti iore  tiranno  Massimo  nel 
387  ,  allorché  di  comune  accordo  con 
oltre  molte  città  traspadane  e  altre  ita- 
liane ricusò  di   riconoscerlo.  Soggiacque 
quindi  all'  invasioni  barbariche,  princi- 
palmente òegoti  e  de' longobardi.  Popò 
Giovanili  Vili  trovandosi  in  Ravenna, 
avendo  saputo  che  finalmente  alle  di  lui 
preghiere  calava  in  Italia  Carlo  il  Cal- 
vo, da  lui  coronato  imperatore,  con  mol- 
te truppe  a  cavallo,  circa  1*877   volò  a 
Vercelli  per  incontrarlo ,  ed  abboccarsi 
con  lui,  indi  insieme  passarono  a  Pavia. 
Narra  il  Rinaldi  negli  Annali ecclesiasti- 
ci, anno  999,  n.17,  che  mentre  l'impe- 
ratore Oltoue  111  dimorava  in  tale  anno 
iu  Roma  ,  si  mostrò  a  richiesta  di  Papa 
Silvestro  II  libéralissimo  verso  la  chiesa 
di   Vercelli,  dandole  la  stessa  città  col 
contado,  e  con  quello  di  s.  Agata;  il  cui 
istrumento  si  conserva  nell'archivio  del- 
la chiesa  medesima.  Infatti  trovo  ueW'Hi- 
storiae  Patriae  Monumenta  edita  jussu 
Regis  Caroli  Alberti,  l.i,  p.  324  e  Zi5, 
la  copia  sincrona  di  tal  documento  cavato 
dall'archivio  della  cattedrale; cioè  che  Ot- 
tone 111  imperatore  conferma  alla  chiesa 
Vercellese  le  donazioni  de'suoi  predeces- 
sori, e  fra  le  altre  cose  il  coulado  Ver- 
l        cellese,  e  quel  di  Santià,  ossia  s.  Agata; 
colla  confermazione  di  Papa  Silvestro  li 
in  quanto  a  quesl'  ultimo  contado.  Ivi  si 
legge  :  concessimus  Leoni  nostro  episco- 
po suaeque  s.  VercellensiEcclesiae  ubi  s. 
Eusebius  requiescit,totam  civitatem  Ver- 
celle  nsem  in  integrimi  cum  omni  publi- 
ca  potestà  te  in  perpetuum  more  prae- 
cessorum  afa  uè  praedecessorum  nostro- 
rum  . . .  Liberalitas  nostri  imperii  prò 
Dei  et  s.  Eusebii  amore  donavit  prae- 
dicto  Leoni  episcopo  omnibusque  sue- 
cessoribus  suis  in  perpetuimi  lolum  Co- 
mitatum  Vercellensem  in  integrimi  cum 
omnibus  publicis  pertinentiis  et   totum 
Comitatum  que  dicunt  s.  Jgathae  in 
perpetuum  cum  omnibus  castellis,  vii- 
lis ,  piscationibus,  venationibus,  silvis, 
pratis,  pascuis,  aquis,  aquarumvc  decur- 


VE  II 
silut  et  cum  omnibus  publicis  pertinen- 
ti is,  cum  mcrcatisyCum omnibus  teloneis, 
et  cum  omnibus  ut  remota  omnium  ho- 
mimmi  omni  contrarietatc etc.,con  pode- 
stà al  vescovo  di  tener  placiti,  di  far  leg- 
gi, qualunque  azione,  niuno  dovendo  in- 
quietarlo, molestarlo.  Qui  autem  fuerit 
transgressor  ss.  Trinìtas  eum  maledicet 
et  inter  haereticos  damnabit.  (Queste  e 
altre  più  terribili  formole  A'  imprecazio- 
ni si  trovano  spesso  anco  ne'  diplomi  im- 
periali e  regi.  Riferisce  il   Giornale  di 
Roma  del  1859  a  p.  55.  La  regina  di 
Spagna  Isabella  li  per  la  festa  de' ss.  Re 
Magi,  con  solennità  religiosa  fece  i  solili 
presenti,  che  descrissi  e  con  un  cenno  in 
argomento  nel  voi.  LXV111,  p.  35,  e  le 
sue  vesti  per  tal  circostanza  spettano  al 
duca  di  Hijar.  Tale  privilegio  fu  conce- 
duto alla  sua  famiglia  nel  i44°  "*a  *''°" 
vanni  li  re  di  Castiglia  e  di  Leon,  in  ri- 
compensa d*  un  servigio  segnalato  reso- 
gli in  tal  giorno  da  un  individuo  della 
medesima.  11  re  dovea  esser  assassinalo 
da'  partigiani  dell'  infante  d.  Enrico  nel 
momento  che  sarebbe  entrato  in  Tole- 
do, quando  d.  Rodrigo  di  Villandrando, 
lasciate  le  sue  terre  e  castella  ,   si  recò 
sui  luoghi  alla  testa  di  una  schiera  d'uo- 
mini d'arme  per  difendere  il  suo  signo- 
re. Tre  giorni  dopo  Giovanni  li  firmava 
il  detto  privilegio,  in  virtù,  del  quale  il 
suo  salvatore  e  tutti  i  suoi  discendenti  po- 
tevano sedere  alla  mensa  de'  sovrani  di 
Castiglia,  e  avrebbero  ricevuto  tutte  le 
vestimenta   portate   Io  slesso  giorno  da 
que'sovrani.  Il  documento  che  consagra 
questo  privilegio  termina  con  quesle  pa- 
role. Se,  ciò  che  a  Dio  non  piaccia  !  si 
trovasse  un  re  il  quale  non  rispettasse  il 
diritto  che  oggi  li  concedo,  sia  maledet- 
to da  Dio  e  dalla  sua  B.  Madre  la 
Vergine  Maria,  non  abbia  eredi  alla 
corona  e  sìa  disgraziato  per  avere  sprez- 
zato gli  ordini  del  padre  suo  ,  e  l'ani- 
ma di  lui  bruci  nell'inferno  in  compa- 
gnia del  traditore  Giuda),  Ma  del  do- 
minio temporale  de'  vescovi  di  Vercelli, 


VER 

con  altre  notizie  riguardanti  la  città,  ra- 
gioneròdescrivendonela  loro  serie. Quan- 
to alla  classica  opera,  Hisloriae  Patriae 
Monumenta,  la  brevità  che  debbo  osser- 
vare ni'  impedisce  giovarmene  ,  tranne 
diverse  eccezioni.  In  essa  sonovi  notizie, 
massime  nel  t.  i,  e  quel  che  più  monta 
con  copia  d'  interessanti  documenti ,  ri- 
guardanti la  città  e  contado  di  Vercel- 
li; il  comune,  suoi  privilegi,  possessioni, 
magistrati,  podestà,  vicari,  consoli  di  giù- 
stizia, ambasciatori, cittadini  ascritti, con- 
troversie con  diversi  popoli,  alleanze  e 
confederazioni,  guerre,  tregue,  paci  e  con- 
cordati ;  la  chiesa  e  i  vescovi  di  Vercelli, 
i  suoi  privilegi,  le  ricevute  donazioni;  ed 
anche  il  capitolo  e  le  3  sue  antiche  digiti- 
la. Papa  s.  Leoue  IX  nel  io5o,  dopo 
avere  nella  basilica  Lateranense  in  un 
concilio  condannato  gli  errori  di  Beren> 
gario  arcidiacono  d'  Arles,caposelta  de- 
gli eretici  Bercngarìani  (/^.),  detti  pure 
Sagramentari(F '.),  si  recò  a  Vercelli,  in 
occasione  che  andava  a  Tulle.  In  Ver- 
celli tenne  e  presiedette  un  concilio  nel 
settembre,  altri  vogliono  nel  settembre 
io52,  e  vi  si  trovarono  un  gran  numero 
di  vescovi  di  diverse  nazioni.  Berengario 
non  e'  intervenne,  quantunque  vi  fosse 
stato  citato: si  confermò  la  condanna  dei 
suoi  errori.  Fu  letto  e  condannato  il  li- 
bro di  Giovanni  Scoto,  sopra  la  ss.  Eu- 
caristia, e  fu  bruciato.  Si  condannò  pure 
Erigeue  (ma  questo  è  lo  slesso  di  Gio- 
vanni Scolo,  diverso  dal  celebre  Duns  ). 
Lanfrauco  ,  De  Corpore  Domini>  e.  l\. 
Vercelli  nel  secolo  seguente  fu  onorata 
dalla  presenza  d'un  altro  Papa,  Eugeuio 
HI  già  ricordato  con  Ughelli.  Perseguita- 
to dagli  eretici  arnaldisti,  essendosi  recato 
in  Francia,  ritornando  nel  1 148  i»  Ita- 
lia, da  Laugres  e  Cistello,  giunse  in  Ver- 
celli nel  giugno,  e  come  dissi,  vi  consa- 
grò la  chiesa  di  s.  Maria  Maggiore  con 
gran  pompa  ecclesiastica.  Essendosi  Ver- 
celli collegata  con  Milano  contro  l' im- 
peratore Federico  I,  nel  1 i 70  tra  le  due 
città  si  stipularono  i  patti.  In  pari  tempo 


VER  243 

fece  un  accordo  il  comune,  col  conte  Ot- 
tone di  Riandrà  o  Blandrato, questi  giu- 
rando poi  nel  1  182  di  non  alienare  ciò 
che  teneva  da  esso  in  Arborio.iNello  stes- 
so anno,  e  dovrò  riparlarne,  seguì  un  ac- 
cordo tra  i  marchesi  di  Monferrato  ,  ed 
il  comune  di  Vercelli. Questo  essendo  sta- 
to ammesso  nella  famosa  lega  o  società 
di  Lombardia,  indi  nel  1  i83  aderì  alla 
pace  di  Costanza,  conclusa  tra  l'impera- 
tore Federico  I  e  le  cittadella  lega  Lom- 
barda. I  privilegi  accordati  da  Federico 
I  a'vercellesi,  nel  1220  furono  conferma- 
ti dal  nipote  imperatore  Federico  II. La 
guerra  sanguinosa  scoppiata  nel  1225 
tra' genovesi  e  alessandrini,  interessò  in 
uno  de'due  partiti  quasi  tutti  i  vicini  po- 
poli, e  molti  signorotti  feudatari,  castel- 
lani, baroni  e  capitani  di  nome.  Essen- 
do cogli  alessandrini  collegati  i  vercellesi, 
albesani  e  tortonesi,  ed  avendo  essi  ostil- 
mente assalito  il  luogo  diCamerana  nel- 
le Langhe  spettante  agli  astigiani  amici 
de'genovesi,  questi  volendo  accorrere  con 
tutte  le  forze  a  divertire  i  progressi  de- 
gli avversari,  non  solo  mandarono  attor- 
no un  bando  per  la  città  di  Genova  e 
ad  ambe  le  riviere,  che  ogni  soldato,  ar- 
derò e  balestriere)  dovesse  iodilatamente 
seguire  il  podestà  Braucaleone  da  Bolo- 
gna a  quell'impresa  ,  ma  vi  attirarono 
aucora  Tommaso  conte  di  Savoia  ,  che 
per  due  mesi  vi  mandò  200  cavalieri  sa- 
voiardi ,  essendo  egli  impedito  da  so- 
praggiunta indisposizione.  La  guerra  vie- 
ne descritta  da  Gioffredo,  nella  Storia, 
dell"  Alpi  Marittime.  Nel  1 227  i  vercel- 
lesi nuovamente  aderirouo  alla  confede- 
razione delle  città  di  Lombardia, contro 
le  prepotenze  dell'imperatore  Federico 
li  ;  onde  poi  i'  imperatore  nel  1 2  38  con 
diploma  rimise  loro  le  pene  incorse  per 
le  passate  rivolte  e  ribellione,  e  loro  con- 
fermò i  privilegi  e  l'eseuzioni.  In  quell'e- 
poca inVercelli  eravi  lo  studio  generale, 
ed  atfercna  il  Marchesi  ueW&Gallcriadcl» 
l'onore, che  questa  università  fiorì  nella 
giurisprudenza,  e  fu  illustrata  da  insigui 


a4+  VER 

precettori  giureconsulti.  Quando  la  re- 
pubblica di  Genova  nel  i  ■>.  j  i  si  collegò 
col  conte  di  Provenza  contro  Federico  11, 
in  favore  di  questoparteggiarono  e  com- 
batterono i  vercellesi,  in  uno  a'pavesi,  a- 
lessandrmi,  lortonesi  e  altri,  tutti  coman- 
dati da  Marino  d'Evoli  vicario  imperia* 
le  in  Lombardia.  Ma  indebolitosi  il  par- 
tito imperiale,  per  ormai  procedere  Pa- 
pa Innocenzo  IV  alla  deposizione  dello 
scomunicato  Federico  II  persecutore  del- 
la Chiesa,  a  favore  di  questa  nel  124-3  si 
ingagliardì  il  partito  guelfo,  per  la  pace 
conclusa  tra  Bonifacio  IV  marchese  di 
Monferrato,  ed  i  marchesi  del  Carretto  e 
di  Ceva,i  quali  tutti  ghibellini  seguivano 
prima  le  parti  imperiali,  da  una  parte,  ed 
i  genovesi,  milanesi  e  piacentini ,  che  si 
tenevano  per  la  Chiesa, dall'altra.  II  mar- 
chese di  Monferrato  trattò,  ridusse  e 
concluse,  che  i  vercellesi  e  novaresi,  ab- 
bandonalo Federico  li,  si  ponessero  al 
seguilo  della  Chiesa.  Scrivono  alcuni, che 
Vercelli  per  un  tempo  fu  signoreggiato 
da'marchesi  di  Monferrato,  anzi  da  Bo- 
nifacio HI,  al  dire  di  Alberti  e  Marchesi. 
Essi  forse  alluderanno  al  documento  che 
di  sopra  citai,  riportato  dall'  Historiae 
Patriac,  1. 1,  p.  910,  de'patti  d'accordo 
fermato  tra'  marchesi  di  Monferrato  e  il 
comune  di  Vercelli  l'8  agosto  1 182,  pei 
danni  da'primi  fatti  al  territorio  Vercel- 
lese, in  cui  i  marchesi  promisero  salvare 
et  guardare  homines  de  Fercellis,  et  eo- 
rum  rcs  per  totani  eorum  poderium^ì 
non  usar  la  forza,  di  non  costruire  castelli 
senza  licenza  de'  vercellesi ,  di  aiutarli 
nelle  guerre  e  difenderli  da  ogni  ingiu- 
riale di  fare  giustizia  agli  uomini  del  co- 
mune e  del  vescovato;  corrispondenti 
promesse  fecero  i  vercellesi,  e  ambedue  le 
parti  dichiararono,  salva  la  fede  all'im- 
peratore. Non  mi  pare  trovarvi  espressio- 
ni equivalenti  a  dominazione,  per  parte 
de'  marchesi  di  Monferrato,  piuttosto  una 
specie  di  protezione.  Le  tremende  fazioni 
de' Guelfi  e  Ghibellini  desolarono  anche 
Vercelli  :  la  città  fu  lacerata  da  frequenti 


VE  n 

guerre  intestine  e  poco  meno  die  distrut' 
ta  da'propri  cittadini,  divisi  nelle  ostina- 
te  fazioni  de'potenti  Avogadri  o  Avvocati 
e  de'Tiziani  o  Ticcioni  ;  i  primi  de' quali 
prevalendo  in  potenza,  pigliarono  il  prin- 
cipato della  patria  nel  1 3 1  o.  Ma  non  tar- 
dò la  città  e  il  contado  a  cadere  nella 
signoria  di  Matteo  I  Visconti  signore  di 
Milano,  alla  cui  morte  nel  1 322  passò  iti 
Galeazzo  I  Visconti.  Questi  la  domina- 
rono fino  al  duca  Filippo  Maria  Viscon- 
ti, il  quale  dopo  aver  fatto  crudelmente 
morire  sua  moglie  ,  Beatrice  di  Tenda 
de'  conti  di  Fentimiglia  (F.) ,  e  vedova 
di  Facino  Cane,  sposò  nel  1 4-  ■  8  Maria  di 
Savoia,  figlia  d'Amedeo  Vili  di  Savoia, 
poi  antipapa  Felice V,al  quale  nel  i4'9 
donò  la  città  di  Vercelli  col  suo  conta- 
do e  territorio.  Quindi  errarono  quelli 
che  scrissero,  avere  Amedeo  Vili  ricevu- 
to Vercelli  nel  i429  Pei'  dote  di  Maria  fi- 
glia del  Visconti,  ed  a  lui  sposata.  Fu  in 
vece  un  dono  che  il  genero  offrì  al  suo- 
cero, ed  eziandio  pel  riferito  nell'  Histo- 
riae Patriae,  t.  3,  p.  6 1 4>  7^6  e  990. 
Ivi  si  legge,  che  morto  nel  1402  Gian 
Galeazzo  Visconti  r.°duca  di  Milano, gli 
successe  il  figlio  Giovanni  Maria, al  fra- 
tello Filippo  Maria  avendo  assegnato  il 
padre  la  contea  di  Pavia,  colle  città  di 
Alessandria, Tortona,  Vercelli  e  altri  luo- 
ghi. Ma  Filippo  Maria  trovandosi  nel  ca- 
stello di  Pavia,  si  vide  ben  presto  poco 
men  che  oppresso  dal  nominato  Facino 
Cane,  che  capitano  dell'esercito  del  duca 
morto,  sotto  pretesto  di  volergli  conser- 
vare Pavia  col  suo  castello,  vi  pose  guar- 
nigione e  interamente  la  governava;  a- 
vendo  sotto  tal  colore  già  ridotto  alla 
sua  ubbidienza  anco  le  città  d'Alessan- 
dria, Tortona  e  Vercelli,  ed  altri  luoghi. 
Fu  ventura  di  Filippo  Maria,  che  mo- 
rendo nel  14 1  2  il  duca  fratello,  moti  pu- 
re Facino  Cane  nel  castello  di  Pavia, ove 
erasi  recato  per  mutar  aria  a  cagione  d'u- 
na sua  infermità.  Laonde  Filippo  Maria 
ebbe  agio  di  tirare  a  se  i  capitani  di  Fa- 
cino e  del  duca  suo  fratello,  col  consiglio 


VER 

de'quali  ne  sposò  la  detta  vedova  Bea- 
1 1  ice  di  Tenda,  dalla  quale  ricevendo  buo- 
na somma  di  denari,  ricuperò  le  usurpa* 
te  tene  ,  e  facendo  generale  il  famoso 
Francesco  Carmagnola  s' impadronì  di 
Milanojdove  erasi  fatto  gridar  duca  Etto* 
re  Visconti  figlio  di  Bernabò,  il  quale  rin- 
serrò in  Monza  ove  mori.  Dipoi  Filippo 
Maria  per  divertire  dalla  confederazione 
con  Venezia  (V.)  Amedeo  Vili,  al  ser- 
vizio  della  qual  repubblica  eia  passatoli 
Carmagnola,  diede  al  duca  di  Savoia  Ver- 
celli e  ne  sposò  la  figlia  Maria,  dopo  aver 
fallo  ingratamente  morire Beatrice.Quin- 
lii  Vercelli  seguì  le  vicende  de*  duchi  di 
Savoia  (V.),  poi  re  di  Sardegna%  che  vi 
posero governalori,  e  s'intitolano  Signori 
di  Vcrcelli.Dopo  la  morte  di  Filippo  Ma- 
ria, succendendolo  nel  ducato  il  genero 
Francesco  1  Sforza,  co' milanesi  noi»  poco 
travagliò  Vercelli.  11  b.  Amedeo  IX  duca 
di  Savoia,  e  nipote  di  Amedeo  Vili,  do- 
po lunghe  iufermità,  recatosi  in  Vercelli, 
santamente  vi  morì  a'  3o  marzo  i472» 
le  cui  venerande  spoglie  mortali  ven- 
nero deposte  nella  cattedrale.  Duran- 
te la  guerra  tra  Enrico  II  re  di  Francia, e 
Carlo  IH  duca  di  Savoia,  questi  ammalò 
di  pena  e  morì  a  Vercelli.  Gli  successe  il 
fìllio  Emanuele  Filiberto,  che  militava 
nelle  Fiandre  per  Carlo  V  imperatore  , 
ma  trovò  assai  ristretta  la  paterna  ere- 
dità, per  avere  i  francesi  occupato  la  Sa- 
voia e  altri  domimi.  Quindi  essi  nel  no- 
vembre 1 553,  comandati  dal  marescial- 
lo di  Bri  sa  eco ,  per  precedenti  concerti 
presi  co'  fratelli  Biraghi  in  Vercelli  ,  in 
buou  numero  vi  penetrarono  nottetem- 
po. Avendo  il  castellano,  con  poco  suo  o- 
nore,  subito  reso  il  castello,  saccheggia- 
rono tutte  le  cose  più  preziose  che  il  duca 
vi  avesse,  tra  le  altre  un  carbonchio  d'in- 
estimabile valore,  ed  un  corno  d'alicorno 
il  più  grande  e  bello  che  si  fosse  visto  in 
Europa,  che  fu  mandalo  al  re  di  Francia. 
Ma  Emanuele  Filiberto  non  tardò  a  ven- 
dicarsene, guadagnando  sui  francesi  nel 
.557  la  famosa  battaglia  di  s.    Quenlin 


VER  245 

(V>).  Seguì  la  pace,  il  duca  ricuperò  i 
suoi  stati,  soltanto  gli  spa^nuoli  suoi  al- 
leati restando  alla  difesa  di  Vercelli  e  Asti. 
Dell'assedio  patito  da  Vercelli  nel  161  7, 
già  feci  parola.  Esso  e  la  sua  presa  fu  la 
più  importante  fazione  della  guerra  so- 
stenuta per  la  successione  del  Monferra- 
to, insieme  alla  Spagna  ed  a  Venezia,  dal 
dina  Carlo  Emanuele ,  che  si  può  dire 
fondatore  della  grandezza  de'reali  di  Sa- 
voia, secondo  il  prof.  Mazio,  che  nel  Sag- 
giatore Romanot  X,  4,  p.  129, pubblicò  la 
Brevissima  relazione  delle  cose  più  no- 
tabili successe  nelV  assedio  di  Vercelli 
del  161  7,  tratto  dall'archivio  Caetani  di 
Roma.  Il  re  di  Spagna  Filippo  III  ve- 
dendo progredire  la  guerra  del  Piemon- 
te, per  l'alleanza  del  duca  colla  Francia, 
vi  mandò  il  prode  d.  Girolamo  Cara  fa 
marchese  di  Montenero,che  fu  fatto  mae- 
stro generale  di  campo  dell'esercito.  Que- 
sti dopo  aver  impedito  l'espugnazione  di 
s.  Germano,  vedendogli  eserciti  francese 
e  savoiardo  in  cattivo  stato  ridotti  ,  pel 
sofferto  nell'inverno,  bramò  che  tosto  si 
attaccasse  Vercelli,  piazza  di  grande  sti- 
ma e  tenuta  allora  la  più  importante  degli 
stati  del  duca  di  Savoia  e  la  chiave  di  Mila- 
no. Però  a  d.  Pietro  di  Toledo  marchese  di 
Villafranca  e  governatore  di  Milano,sem- 
brò  impresa  grande  e  troppo  difficile,  non 
essendo  ancora  arrivati  i  soccorsi  di  Na- 
poli e  di  Fiandra.  Tuttavolta  ilMonlene- 
l*o  stette  fermo  nella  sua  opinione,  segui- 
to da  d.  Giovanni  Bravo,  considerando 
ormai  il  nemico  debole  e  disfatto;  onde 
fu  determinato  l'assedio  di  Vercelli  ai 
if\  maggio.  L'  esercito  si  componeva  di 
1  i,5oo  fanti  e  3. 000  cavalli,  oltre  l'ar- 
tiglierie, e  d.  Giovanni  Doriani  vi  con- 
dusse altri  5oo  fanti.  Il  i.°  giugno  si 
cominciarono  a  battere  le  trincee  delle 
porte  s.  Andrea  e  di  Torino.  Dopo  di- 
verse fazioni,»' 19  giugno  agli  assediatiti 
giunsero  pure  5;ooo  fauli  valloui,ei  ,000 
corazze,  condotti  dal  maestro  di  campo 
Verdugo  e  da  Monsar  di  Coen.  Poscia 
a'26  d.  Pietro  d'Avila,  altro  maestro  di 


a4G  VER 

campo  della  fanteria  spagnuola,  porlo 
1,200  uomini,  e  vi  giunsero  ancora  in  a- 
iuto dell'esercito  espugnatore,  d.  Vincen- 
zo Gonzaga  fratello  del  duca  di  Manto- 
va, e  1,000  alemanni  del  conte  di  Say. 
Era  Vercelli  difeso  dal  conte  Cianflone, 
uomo  valoroso  e  peritissimo  nelle  fortifi- 
cazioni, le  quali  con  sommo  studio  avea 
munito  di  fuori.  La  città  si  batteva  da 
4  parti,  succedendo  varie  scara m uccie  , 
colla  perdita  d'alcuni  capitani  spagnuoli, 
oltre  i  feriti,  per  essere  animatissima  In 
resistenza  della  piazza.  Il  duca  di  Savoia 
per  aiutare  Vercelli ,  pose  campo  presso 
la  Sesia, e  potè  soccorrerla  per  la  porta  di 
Milano,  con  gioia  de'  vercellesi. Dipoi  il 
nemico  die'un  grande  assalto,  senza  riu- 
scita. Finalmente  avendo  per  altro  tutto 
destramente  ben  disposto  il  marchese  Ca- 
ra fa,  nondimeno  a'16  luglio,  giorno  di  s. 
Anna  favorevole  agli  spagouoli,seguirono 
accordi  pacifici  di  cessione  della  città,  per 
cui  dopo  63  giorni  d'assedio,  potè  ilTo- 
ledo  entrare  in  Vercelli  con  umanità  e 
cortesia,  con  3,ooo  fanti  e  3oo  cavalli , 
visitando  particolarmente  i  luoghi  sagri 
e  riparandoli  con  somma  cura.  À'26  ago- 
sto poi,  la  città  e  il  Vercellese  giurarono 
nelle  mani  del  Toledo,  vassallaggio  e  fe- 
deltà al  re  di  Spagna;  ed  il  governo  di 
Vercelli  fu  affidato  a  un  Barbo,  forse  ve- 
neziano, e  vi  rimase  sino  alla  pace.  In- 
tanto guerreggiando  il  duca  Vittorio  A- 
medeo  I  coll'Austria,  indottovi  da' fran- 
cesi, fu  colpito  da  gravissimo  malore  ,  e 
morì  in  Vercelli  a' 7  ottobre  1637.  In 
appresso  per  nuove  guerre  contro  la  Spa- 
gna, questa  nuovamente  occupò  Vercelli. 
E  poi  nel  i65g  per  la  pace  de'  Pirenei, 
Vercelli  fu  restituito  al  duca  di  Savoia 
Carlo  Emanuele  II.  Il  duca  Vittorio  A- 
medeo  II,  poi  i.°  re  di  Sardegna  ,  con 
grandi  spese  avea  reso  Vercelli  una  delle 
piazze  più  forti  e  considerevoli  del  Pie- 
monte; ma  nella  guerra  della  successione 
di  Spagna,  fu  da'francesi  strettamente  as- 
sediata, e  dopo  aver  fatto  valida  resi- 
stenza colla  perdila  di  5jOoo  valorosi  sol- 


VER 
dati,  cadde  in  potere  di  Luigi  XIV,  il  qua- 
le colle  mine  fece  saltarne  in  aria  le  for- 
tificazioni e  lasciò  la  città  smantellata. 
Vercelli  continuò  a  seguire  i  destini  dei 
suoi  sovrani.  A  supplire  al  mio  laconismo, 
serviranno  le  seguenti  opere.  Lauro  Da- 
vidico, De  Celine  Verae  Veneris  lati- 
elibus,  Patavii  i568.  Giacomo  Durandi, 
Dell*  antica  condizione  del  Vercellese, 
Torino  1766.  Amedeo  Bellini,  Antichità 
di  Vercelli.  Lettera  intorno  al  vescovato 
dì  s.  Teoneslo.  Nuova  raccolta  di  Opu- 
scoli del  p.  Calogerà,  t.8,  p.  3 1 1.  Fran- 
cesco Innocenzo  Fileppo,  Antiquitas  ac 
dìgnìtas  Ecclesiae  Vercellensis  vind ira- 
ta, Lucae  1754.  Giuseppe  Giacinto Tri- 
xev\o,Ad  eumdem  ani madver  sione  s,Ye- 
netiis  1755.  Gli  rispose  Fileppo  rigoro- 
samente con  autorevoli  documenti.  Il 
Triverio  gli  oppose  una  Storico-criti- 
ca dissertazione.  Gio.  Battista  Passeri, 
Scoperta  de1  due  Vercelli  già  esistenti 
dentro  la  regione  Padana,  diversi  dal 
Vercelli  del  Piemonte.  Nuova  raccolta 
d'Opuscoli  delp.  Calogerà,  1. 11,  p.  24. 
L'agostiniano  eremitano  fr.  Aurelio  Cor- 
bellini, Del  Vescovi  di  Vercelli.  Il  Gre- 
gori  scrisse  della  vercellese  letteratura. 

La  fede  cristiana  fu  promulgata  in 
Vercelli  dall'apostolo  s.  Barnaba,  secon- 
do la  tradizione  del  paese.  Scrive  I'  U- 
ghelli:  Haud  satis  constai ,  quis  ibi  E- 
vangelium  divulgaverit:  non  autem  vai- 
de  aberraverit,  si  quis  haud  absurda 
conjeclura  ductus  ,asserat  ab  alumnis  s. 
Barnabae  apostoli  Evangelicam  luceni 
accepisse ,  qui  in  ea  provincia  fidem 
Christi  plantavit,  laluisseque  Vercellis 
christianae  pielatis  studium  sub  bar- 
barorum  Caesarum  per secutionibus  us- 
que  ad  Magni  Conslantini  tempora , 
deinde  rejloruisse,  subque  proprio  pa- 
store crivisse  in  sanclimoniae  palmìles. 
Il  eh.  ab.Cappelletti,£e  Chiese  d'Italia, 
t.  14,  p-  353,  Vercelli,  dichiara,  che 
senza  entrare  nella  questione,  circa  il  i.° 
seminatore  della  fede  evangelica  in  que- 
sta città  e  nel  suo  territorio,  mentre  con- 


VER 
viene  che  risole  alla  più  rimota  antichi- 
tà, come  delle  circonvicine  diocesi, esclu- 
de P  opinione  dell'  immaginario  aposto- 
lato di  s.  Barnaba  in  queste  parti,  e  in 
vece  ne  attribuisce  la  derivazione  alle  fa- 
tiche evangeliche  di  s.  Anatalone  i.°  ve- 
scovo di  Milano  nell'anno  53,  odi  altro 
de'sagri  pastori  di  que'  primi  tempi  apo- 
stolici; per  cui  fino  a'  nostri  giorni  la  s. 
Chiesa  di  Vercelli  formò  parte  della  va- 
stissima provincia  ecclesiastica  di  Mila  - 
no.  Dice  inoltre,  comunemente  suol  dirsi 
i.°  vescovo  di  Vercelli  il  martire  s.  Eu- 
sebio, che  visse  nel  IV  secolo;  benché  non 
si  dubiti,  che  anco  prima  di  lui  n'esistesse 
la  sede  vescovile,  ed  abbia  avuto  i  suoi 
vescovi,de*quali  si  perderono  colle  memo- 
rie persino  i  nomi;  se  ciò  fosse,  conver- 
rebbe dirsi  s.  Eusebio  il  i.°  vescovo  che 
si  conosca,  non  già  assolutamente  il  i.°  ve- 
scovo che  ne  abbia  posseduto  la  cattedra. 
Quindi  egli,  sull' appoggio  d'autorevoli 
testimonianze  e  della  critica,  riconosce  i 
seguenti  3  vescovi  più  antichi  di  s.  Euse- 
bio. In  onta  a  quanto  di  contrario  ne 
scrisse  il  domenicano  Triverio,  contro  il 
canonico  teologo  Fileppo,  alle  cui  ragio- 
ni di  preferenza  si  attiene,  circa  P  anti- 
chità della  chiesa  di  Vercelli,  ne  reputa 
fondatore  e  i."  vescovo  s.  Sabiniano,  il 
quale  circa  Panno  4o  di  nostra  era  y  vi 
predicò  la  fede  cristiana.  E  infatti  lo  mo- 
strano i.°vescovo  di  Vercelli  e  gli  antichi 
riti  della  basilica  Eusebiana,  ove  fu  sem- 
pre onorato  qual  vescovo  di  questa  chie- 
sa, e  gli  antichissimi  calendari  e  messali 
e  breviari  di  essa,  ne'quali  è  qualificato 
espressamente  come  vescovo  di  Vercelli, 
e  in  un  codice  vetustissimo  della  cattedra- 
le, scritto  avanti  PVIII  secolo, è  notato  ai 
19  ottobre  s.  Sabuiiani  martyris  Epi- 
scopi Fercellensis.  Di  più  da  un  vec- 
chio lezi onia rio  vercellese  sono  in  breve 
descritte  le  sue  azioni.  Conligit  dispo- 
silione  Dei  et  affalibus  summi  Aposlo- 
lorum  Petri  martyris  Christi,  Savinia- 
num3  Pontianum  et  Albinum  Italiani 
ve  loci  ter  percolare ,  sicque  ad  ultimimi 


VER  247 

popuhsae  gentis  Gallìarum /Ines  expe- 
tivere ,  qui  per  tantae  inquietitudinis 
viam  q  uos darti  perfidiae  viros  sacri  e w 
spide  eloquii  et  divina  eruditione  pieni- 
ter  educaverunt,  et  ab  instrumento  dia- 
bolicae  actionis  commodius  subtrahen- 
tes  legibus  vivifìcis  supposuerunt ,  Ver- 
cellis  autemjìdei  Christianae  quosdam 
viros  cum  pauci s  mulieribus  in  itineris 
cursu  baptizaverunt  et  documentis  spi- 
ritualibus  pleniter  instruxerunt.  Enim 
vero  colle  properato  cum  ìiis  et  aliis  com- 
pluribus  comitibus  beatus  Savinianus  no- 
ster  Pontifex  prinius  indefessus  urbis 
Senonum firma  peragrat  moeniaì  etsuis 
spiritualibus  machìnis  aggreditur.  Quan- 
do neh  5j 5  fu  introdotto  in  questa  chie- 
sa il  rito  romano,  venne  statuito  che  al- 
cune cose  del  discorso  rito  Eusebiano  si 
avessero  a  continuare  ,  specialmente  le 
feste  d'alcuni  santi,  precipuamente  dei 
santi  suoi  vescovi.  Perciò  la  festa  de'  ss. 
Sabiniano  e  Marziale,che  perconsuetudi- 
ne  antichissima  vi  si  celebra  va,  fu  ritenuta 
nel  caIendariodiVercelIi,invirtùdi  attica- 
pitolari  e  per  decreto  del  vescovoBonomo. 
E  sebbene  tal  cosa  trovasse  per  lungo 
tempo  opposizione  e  contrasti,  nondime- 
no nel  1 740  con  efficacia  si  adoprò  il  ve- 
scovocardinalCarloVincenzo  Maria  Fer- 
reri,  presso  la  s.  congregazione  de'  riti  , 
quindi  ottenuta  l'approvazione,  nel  r  74  * 
intimò  l'obbligo  della  messa  e  uffizio,  in 
tutta  la  diocesi,  de'ss.  Sabiniano  e  Mar- 
ziale vescovi  di  Vercelli.  Laonde  il  Cap- 
pelletti dichiara  incontrastabilmente  di- 
mostrato l'apostolato  di  s.  Sabiniano  nel- 
la città  e  territorio  vercellese,  e  la  fonda- 
zione per  lui  avvenuta  di  questa  catte- 
dra vescovile.  Dopo  di  averla  piantata  , 
proseguì  s.  Sabiniano  il  suo  cammino 
nella  Francia,  ove  piantò  la  chiesa  di  Sens 
(nel  quale  articolo  lo  chiamai  Saviniano, 
anche  col  Buller,  ne  celebrai  le  sante  a- 
zioni,  qual  i.°  vescovo  di  Sens  e  apostolo 
di  quelle  regioni:  eziandio  la  Gallia  Chri- 
stiana, t.  1,  p.  64»  lo  dice  i.°  vescovo  di 
Sens  e  promulgatola  del  Vangelo,  col 


a48  VER 

nome  di  s.  Savinianus)tei\  ivi  sostenne 
per  la  fede  il  martirio  nell'  anno  46  (io 
dissi  nell'anno  74  col  Clienti,  Archiepi- 
scoporum  et  Episcoporum  Galliate  pi 
i85  ).  Sull'autorità  del  ricordato  codice 
dell' VI  II  secolo,  dice  l'encomiato  ab.  Cap- 
pelletti, si  ha  che  poscia  divenne  vescovo 
di  Vercelli  il  già  nominato  s.  Marziale 
(/'.),  non  solo  apostolo  di  questa  chiesa, 
ina  fondatore  altresì  di  quella  di  Limo- 
gcs  (  tale  lo  dissi  in  quell'  articolo  ,  ma 
col  Boiler,  e  col  Com  man  ville,  Histoire 
de  tous  les  Archeveschez  et  Eveschez  , 
scrissi  fiorito  circa  la  metà  del  HI  secolo: 
però  hGallia  Christiana,  t.  2,  p.  36o, Io 
chiama,  uno  ex  di sci pulì s Chris ti  opinio- 
ne vulgari  credi  tur  ),  di  Annecy  (il  can. 
Bima,  Serie  cronologica  degli  Arcive- 
scovi e  Vescovi  di  tutti  gli  stati  di  Sar- 
degna,  non  ne  parla),  e  di  altre  sedi  an- 
cora. Fu  brevissimo  il  suo  pastorale  mi- 
nistero in  Vercelli,  circa  l'anno  6a;  tut- 
ta volta,  come  si  è  detto,  la  chiesa  vercel- 
lese lo  conosce  e  venera  per  suo  pastore, 
leggendosi  nel  summentovato  codice  :  s. 
Marlialis  Apostoli  episcopi  fercellen- 
sis. Se  ne  segna  comunemente  la  beata 
morte  nell'anno  73.  Dopo  s.  Marziale  , 
segnò  il  Fileppo  un  vescovo  Giustiniano, 
e  poscia  Teonesto.  Ma  Giustiniano,  dice  il 
Cappelletti,  va  escluso  qui  perchè  visse 
più  tardi  (in  fatti  nelle  serie  dell'  Ughelli 
e  del  Bima,  che  non  conobbero  i  3  ve- 
scovi, di  cui  parla  il  Cappelletti,  lo  regi 
strano  7."  vescovo  );  forse  4  secoli  dopo; 
e  Teonesto  di  cui  è  tradizione  riposarne 
le  sagre  ossa  nella  cattedrale,  fu  confu- 
so da  alcuni  inesattamente  col  martire  s. 
Teonisto,  vescovo  d'  Aitino,  martirizzato 
dagli  ariani  in  sul  declinar  del  III  secolo 
(anzi, come  rilevai  di  sopra, altri  lo  prete- 
sero della  legioneTebea),edi  cui  riposano 
le  sagre  spoglie  nella  cattedrale  di  Tre- 
viso (  V.)  Ma  il  vercellese  s.  Teonesto  sof- 
frì il  martirio  sotto  Diocleziano,  e  la  chie- 
sa di  Vercelli  ne' suoi  antichi  monumen- 
ti lo  attesta  suo  vescovo.  Aggiunge  1'  ab. 
Cappelletti,  che  esistono  monete  coniale 


VER 

in  Vercelli, che  l'esprimono  in  abito  pon* 
tilìcale  ,  in  qualità  di  protettore  di  essa. 
E  nell'antica  basilica  Eusebiana  se  ne  ve- 
deva dipinta  I'  effigie,  insieme  con  altri 
vescovi  vercellesi  :  finalmente  gli  antichi 
calendari  e  martirologi  di  questa  chiesa, 
lo  commemorano  martire  e  vescovo  di 
Vercelli.  Fiorì  probabilmente  circa  l'an- 
no 290.  Ora  procederò  alla  serie  de' suc- 
cessori coll'Ughelli  e  col  Rima,  tenendo 
presente  l'ab.  Cappelletti  e  le  Notizie  di 
Roma.  Co'  due  primi  scrittori,  come  di 
altri  e  del  Butler,  s.  Eusebio  lo  dissi  nella 
biografìa  i.°  vescovo  di  Vercelli,  che  pel 
riferito  diviene  il  4-°  Pel  narrato  di  lui  in 
quell'articolo,  in  altri  e  di  sopra,  sarò 
breve,  l'Ughelli  avendone  pubblicato  la 
vita  a  p.  747»  Passio  vel  vita  s-  Eusebii 
Fercellensis  episcopi,  tratta  da  un  an- 
tico mss.  della  badia  di  Nonantola,  e  su 
di  essa  fece  alcune  importanti  osservazio- 
ni il  Coleti,  che  col  tesoro  della  continua- 
zione e  correzione  dell'  Ughelli  possiede 
in  Venezia  la  Marciana,  da  dove  il  ve- 
neto Cappelletti  ricavò  un  interessante 
brano,  per  fissare  approssimativamente  il 
tempo  di  sua  promozione  all'episcopato 
vercellese, eh  'è  l'anno  34o.  In  questo  pure 
l'Ughelli  l'avea  detto  consagrato, e  regi- 
strato in  tale  anno  altresì  il  can.  Bima, 
tutti  in  ciò  essendo  concordi. Molti  scrisse- 
ro la  vita  del  celebratissimos.  Eusebio,  e 
vuoisi  la  più  esatta  quella  del  successore 
Gio.  Francesco  Bonomo,  pubblicata  più 
tardi  dall'  aldo  vescovo  Gio.  Giuseppe 
Orsini.  Abbiamo  pure  del  vescovo  di 
Vercelli  Gio.  Stefano  Ferrari,  Vitaeet 
res  gestae  s.  Eusebii  Fercellensis  Epi- 
scopi et  marlyris ,  et  ejus  Successorum 
ad  Clementem  Vili,  R  omae  1602. San- 
cùEusebii  Fercellensis  Episcopi  et  mar- 
tyris,  Vita  et  res  gestae,  Vercellis  apud 
Hieronymum  A) lamini  1609.  Nacque  s. 
Eusebio  in  Sardegna  nella  città  di  Ca- 
gliari, e  portato  in  Roma  dalla  madre 
Restituta,  fu  istruito  nella  fede  e  battez- 
zato da  Papa  s.  Eusebio,  che  gl'ini  pose  il 
proprio  nome.  Papa  s.  Melchiade  1'  aia- 


VER 
mise  nel  dero,  Papa  s.  Silvestro  I  l'ordi- 
nò lettore, e  prete  il  successore  s.  Marco. 
iVel seguente  pontificato  di  S.Giulio  lan- 
dò a  Vercelli,  ove  il  popolo  ad  una  voce 
col  clero  lo  elesse  vescovo,  e  l'Ughelli  lo 
dice  consagrato  dall'ultimo  di  detti  Pa- 
pi. Secondo  s.  Ambrogio  è  il  i.°  che  ab- 
bia unito  e  congiunto  in  Occidente  la 
vita  monastica  alla  cbericale  :  rinchiuso 
nella  città  col  suo  clero,  praticava  gli 
stessi  esercizi  de'  monaci  d'  Oriente.  Al- 
tri dicono,  s.  Atanasio  fu  il  i.°in  Orien- 
te che  con  Monaci  diede  sacerdoti  al  suo 
clero;  il  cui  esempio  pel  i.°  eseguì  iu 
Occidente  s.  Eusebio.  Il  Rodotà,  Dell'o' 
ridine  del  rito  greco  in  Iialiatì.  i}  p.  3o, 
riferisce  che  s.  Eusebio  fu  il  i.°  iu  Occi- 
dente a  formare  de'  suoi  chierici  e  dei 
ministri  delta  sua  chiesa  di  Vercelli  un 
monastero;  avendo  introdotto  1'  istitu- 
to monastico  in  Milano  s.  Martino  di 
Tours,ed  in  Roma  S.Atanasio,  prima  an- 
cora che  Rullino  in  Italia  vi  portasse  la 
regola  di  s.  Basilio,  il  che  avvenne  nel 
4oi.  I  chierici  abitavano  la  stessa  casa 
del  loro  pastore,  si  applicavano  dì  e  not- 
te a  combattere  i  nemici  della  salute, 
loro  continua  occupazione  era  il  salmeg- 
gio per  lodare  Dio,  né  aveano  altro  de- 
siderio che  di  rendersi  il  cielo  propizio 
col  fervore  delle  loro  orazioni.  Aggiunge- 
vano a  questi  esercizi  la  lettura  o  il  la- 
voro delle  mani.  »  Che  di  più  mirabile 
di  questa  vita?  esclama  s.  Ambrogio. 
Nulla  vi  ha  da  temere;  tutto  vi  è  degno 
d' imitazione;  I*  austerità  de'  digiuni  vi 
è  ricompensata  colla  pace  e  tranquillità 
dell'anima:  l'esempio  vi  serve  di  sosten- 
tamento; ciò  che  costa  più  alla  natura 
diviene  facile  per  l'abitudine;  vi  si  gu- 
stano delle  ineffabili  dolcezze  nella  pra- 
tica delle  virtù;  non  vi  si  prova  turba- 
mento per  l'imbarazzo  degli  affari,  né 
distrazioni  pel  tumulto  del  mondo  ,  ne 
importunità  per  visite  inutili,  ne  divaga- 
mento pel  commercio  del  mondo  ".  Lo 
$eopo  che  si  proponeva  il  s.  vescovo,  era 
di  formare   de'  degni  ministri  di  Gesù 


VER  349 

Cristo;  e  Li  sua  condotta  si  giustificava 
dall'  esito  felice.  Parecchie  chiese  volle- 
ro essere  governate  da' suoi  discepoli;  e 
si  vide  uscir  dal  suo  clero  un  gran  nu- 
mero di  santi  prelati,  non  meno  com- 
mendabili per  virtù  che  per  dottrina. 
Questa  è  una  bella  gloria  della  s.  Chiesa 
di  Vercelli.  Egli  nulla  trascurava  di  tut- 
tociò  che  poteva  contribuire  all' istru- 
zione di  sua  gregge,  e  procurava  d'ispi- 
rare a  tutti  l'amore  delle  sante  massime 
del  Vangelo.  Molti  mossi  dalle  sue  esor- 
tazioni, si  consagrarono  a  Dio  nello  sta- 
to del  celibato,  in  breve  tempo  tutta  la 
città  di  Vercelli  parve  avvampare  di 
quel  sagro  fuoco  che  Gesù  Cristo  è  ve- 
nuto ad  accendere  sopra  la  terra.  I  pec- 
catori, convinti  dalla  forza  della  verità  , 
che  il  s.  vescovo  annunziava,  persuasi  dal- 
la dolcezza  e  dalla  carità  di  cui  tutta  la 
sua  condotta  portava  l'impronta,  e  ani- 
mali soprattutto  da' suoi  esempi,  erano 
premurosi  di  lasciare  i  loro  disordini,  e  si 
eccitavano  1'  un  l'altro  a!  fervore  nel 
servigio  di  Dio.  Ma  la  sua  santità  sareb- 
be rimasta  imperfetta,  se  non  fosse  stata 
provata  colle  persecuzioni.  Gli  eretici 
ariani, sostenuti  dall'imperatore  Costan- 
zo, usavano  da  per  tutto  le  più  grandi 
violenze.  Nel  354  s*  Eusebio  di  Vercelli 
e  Lucifero  di  Cagliari  furono  mandati 
da  Papa  s.  Liberio  in  deputazione  all'au- 
gusto in  Arles,  per  domandargli  la  con- 
vocazione d'un  concilio  in  cui  si  potesse 
trattare  liberamente.  Costanzo  sembrò 
acconsentire,  e  la  celebrazione  del  conci- 
lio di  Milano  fu  indicata  nel  355,  dove 
eia  allora  l' imperatore.  Eusebio,  cono- 
scendo che  tutto  sarebbe  fatto  con  vio- 
lenza, e  che  gli  ariani  sarebbero  stati  i 
preponderanti,  quantunque  i  vescovi  cat- 
tolici fossero  più  numerosi,  ricusò  d' in- 
tervenirvi: ma  Papa  s.  Liberio,  come  i 
suoi  legati  Lucifero  di  Cagliari,  Pancra- 
zio ed  Ilario,  l'eccitarono  a  recarvisi  ap- 
punto per  resistere  agli  ariani ,  come  s. 
Pietro  erasi  opposto  a  Simon  Mago. 
Giunto  a  Milano,  gli  ariani  che  lo  teme- 


*5o  VER 

\ano,gl'impedirono  per  io  giorni  di  com- 
parire a)  concilio.  Ammessovi,  presentò 
il  Simbolo  di  Nice.a  ,  e  domandò  che 
filili  i  vescovi  Io  sottoscrivessero  qnal 
norma  di  fede,  prima  d'incominciar  l'af- 
fare di  s. Atanasio  d'Alessandria,  illu- 
stre difensore  della  fede.  Ma  avendo  gli 
eretici  aprincipal  fiuedi  condannarequel 
propugnatore  delle  verità  cattoliche,men- 
tres.  Dionisio  di  Milano  si  credette  in  do- 
vere di  sottoscriverlo,  Valente  vescovo 
di  Min  da,  il  più  furioso  degli  ariani,  gli 
strappò  la  penna  dalle  mani  e  lacerò  la 
carta.  Quindi  gli  eretici ,  per  impedire 
che  la  proposizione  di  s.  Eusebio  fosse 
approvata  ,  trasferirono  il  concilio  nel 
palazzo  dell'  imperatore.  Ivi  non  si  par- 
lò più  della  sottoscrizione  delSimbolo  Ni- 
ceno, sì  temuta  dagli  ariani,  e  si  attese  u- 
nicamenle  all'  alFare  di  s.  Atanasio.  Pa- 
recchi cattolici  deboli,  guadagnati  dagli 
ariani,  o  intimoriti  dalle  minacce  di  Co- 
stanzo, sottoscrissero  la  sentenza  pronun- 
ciata contro  questo  santo  vescovo  ;  s.  Dio- 
nisio di  Milano  firmò  la  condanna  di  s. 
Atanasio,  a  condizione  che  gli  ariani  do- 
vessero approvare  la  fet\e  di  Nicea.  S. 
Eusebio  scuoprì  I'  insidia  con  mirabile 
accortezza. Quando  gli  venne  proposto 
di  sottoscriversi,  egli  fece  un'obbiezione, 
dicendo  che  non  poteva  farlo  dopo  s. 
Dionisio,  il  quale  era  più  giovane  di  se 
e  quasi  suo  figlio,  per  averlo  consagrato. 
Gli  ariani  acconsentirono  che  si  cancel- 
lasse il  nome  di  s.  Dionisio,  per  togliere 
la  difficoltà  ;  ma  rimasero  attoniti, quan- 
do videro  e  s.  Eusebio  e  s.  Dionisio  ri- 
cusare costantemente  la  loro  firma.  L'im- 
peratore li  fece  venire  ambedue  avanti  di 
se,  con  Lucifero  di  Cagliari,  e  gli  eccitò 
a  condannare  Atanasio.  Essigli  mostra- 
rono questo  vescovo  essere  innocente,  e 
non  potersi  condannare  senza  ascoltarlo. 
»  Io  sono  il  suo  accusatore,  disse  il  pre- 
potente e  fanatico  Costanzo,  e  voi  dove- 
te credere  alla  mia  parola  ".  Gli  rispose- 
ro. »  Qui  non  si  tratta  d'un  affare  civile, 
alla  cui  decisione  deve  concorrere  il  pa- 


VER 
rere  dell'  imperatore  ".  Egli  però  «og- 
giunse:  »»  La  mia  volontà  deve  passare 
per  regola,  ed  essa  piace  a  vescovi  di  Si- 
ria :  ubbidite,  o  sarete  esiliati  ".  Nel  dir- 
gli i  vescovi,  che  un  giorno  avrebbe  do- 
vuto render  conto  dell'uso  che  faceva  del 
suo  potere,  Costanzo  montò  in  furia  e 
voleva  condannarli  a  morte.  Contentan- 
dosi d'esiliarli ,  comandò  ad  alcuni  uflì- 
ziali  d'entrare  nel  santuario,  e  di  strap- 
parli dall'altare,  per  condurli  ne'diversi 
luoghi  da  lui  stabiliti  per  esilio.  S.  Dio- 
nisio fu  mandato  nella  Cappadocia,  dove 
morì,  ed  è  nominato  a'  i5  maggio  nel 
Martirologio  romano. Lucifero  diCagliari 
fu  condotto  a  Germanicia  nella  Siria,  che 
avea  per vescovoEudossiofimoso  ariano. 
S.  Eusebio  fu  esilialo  a  Scitopoli  nella  Pa- 
lestina, dove  l'ariano  vescovo  Patrofilo 
ebbe  autorità  di  trattarlo  come  lo  avesse 
giudicato  conveniente.  Le  catene  ed  i  pa- 
timenti non  chiusero  la  bocca  a'confesso- 
ri,i  quali  servirono  laChiesa  confonden  do 
gli  eretici.  Papa  s.  Liberio  scrisse  loro 
per  congratularsi  con  essi  dell'onore  che 
aveano  di  patire  per  Gesù  Cristo,  e  con- 
fortarli a  tenere  costantemente  la  fede. 
Eusebio  alloggiò  prima  in  casa  del  con- 
te Giuseppe,che  lo  trattò  con  ogni  carità, 
e  dove  fu  visitato  das.  Epifanio  e  da  al- 
tri pii  cattolici.  Quivi  ricevette  i  depu- 
tati di  Vercelli  ,  i  quali  affettuosamente 
gli  portarono  de'soccorsi  per  vivere.  Non 
potè  ritenere  le  sue  lagrime  udendo  che 
la  sua  gregge  detestava  l'eresia, e  che  era 
docile  alle  istruzioni  de'  sacerdoti  ch'egli 
avea  nominato  per  governare  la  sua  dio- 
cesi nella  sua  assenza.  Donò  parte  di  ciò 
che  gli  era  stato  portato  a'poveri  ed  a 
quelli  che  soffrivano  con  lui  per  la  difesa 
della  fede.  Ma  egli  era  riserbato  a  più 
grandi  prove.  Morto  il  conte  Giuseppe, 
gli  ariani  e  gli  uffiziali  dell'  imperatore, 
ricolmarono  di  oltraggi  il  santo  ,  e  Io 
strascinarono  per  terra;  indi  rinchiusolo 
in  una  piccola  cameretta  gli  fecero  sof- 
frire per  4  dì  i  più  crudeli  trattamenti, 
con  intenzione  di  stancare  la  sua  pazien- 


VER 
za.  Eglino  proibirono  a'suoi  diaconi  e 
ad  ogni  allra  persona  di  visitarlo.  Ma  il 
s.  vescovo  non  fece  il  più  minimo  lamen- 
to, e  quando  videsi  abbandonato  e  privo 
di  ogni  consolazione,  scrisse  a  Petrofita 
una  lettera  colla  soprascritta.  «  Eugenio, 
servo  di  Dio,  e  gli  altri  servi  di  Dio  che 
soffrono  con  me  per  la  fede,  a  Pa trafilo, 
carceriere,  e  a'  suoi  uffìziali".  Dopo  ave- 
re riferito,in  poche  parole,  ciò  che  avea 
sofferto,  domandava  che  si  permettesse 
almeno  a' suoi  diaconi  e  chierici  di  ve- 
nirlo a  visitare,  e  da  essi  o  da  altri  cat- 
tolici potersi  alimentare.  Gli  ariani  gli 
accordarono  finalmente  la  libertà  di  ri- 
tornare nella  sua  abitazione.  Egli  non 
avea  mangiato  da  4  giorni,  ricusando  i 
cibi  e  le  bevande  offerte  a  lui  dagli  a- 
rianijOtide  non  si  vantassero  aver  con  tal 
mezzo  comunicato  con  esso.  Circa  un 
mese  dopo,  gli  ariani  ritornarono  armati 
di  bastoni,  ruppero  una  muraglia  della 
sua  casa,  e  lo  condussero  in  un'oscura 
prigione,  col  prete  Tegrino.  Non  conlenti 
di  essersi  impadroniti  di  luttociò  ch'egli 
aveva,  fecero  ancora  rinchiudere  nelle 
pubbliche  carceri  i  preti,  i  monaci  e  le 
religiose  che  pensavano  come  il  s.  confes- 
sore. Egli  scrisse  dalla  prigione  a'  vercel- 
lesi, narrando  loro  i  suoi  patimenti  e  il 
libello  inviato  al  crudele  Patrofilo.  Ven- 
ne quindi  strascinato  più  volte  per  una 
scala  dagli  ariani,  per  costringerlo  a  co- 
municar con  loro;  il  che  egli  sempre  in- 
trepidamente ricusò  di  fare.  Allora  gli 
eretici  per  farlo  più  soffrire,  daScitopoli 
lo  confinarono  nella  Cappadocia;  e  poco 
dopo  fu  condotto  nell'alta  Tebaide  in  E- 
gitto.  Di  là  scrisse  una  lettera  a  Grego- 
rio vescovo  d'Elvira,  in  cui  l'esorta  ad 
opporsi  coraggiosamente  ad  Osio  vescovo 
di  Cordova,  il  quale  era  disgraziatamen- 
te caduto  nell'errore,  come  pure  a  tutti 
quelli  che  aveano  abbandonato  la  fede 
della  Chiesa,  e  a  non  temere  la  possanza 
de*  principi  ;  dicendogli  inoltra,  avere 
gran  desiderio  di  finire  la  sua  vita  ne'pa- 
timenti,  per  meritare  d'essere  glorificato 


VER  2?r 

nel  resino  di  Dio.  In  tal  modo  Eusebio 

o 

accoppiava  lo  zelo  d'un  santo  pastore  , 
alla  fermezza  d'  un  martire.  Morto  Co- 
stanzo in  sullo  scorcio  del  36  i,  Giuliano 
l'Apostata,  che  il  successe,  permise  a've- 
scovi  esiliati  di  tornare  alle  proprie  dio- 
cesi, non  avendo  ancora  manifestato  la 
sua  empietà.  Eusebio  quindi  lasciatala 
Tebaide  si  recò  in  Alessandria,  per  con- 
certare con  s.  Atanasio  i  mezzi  di  rime- 
diare a'  mali  che  affliggevano  la  Chiesa. 
Egli  sottoscrisse,  dopo  s.  Atanasio,  al  con- 
cilio tenuto  in  quella  città  nel  362,  e 
nel  quale  fu  deciso  che  i  vescovi  ch'erano 
stati  ingannati  nel  concilio  di  Rimini , 
nel  2.°  periodo  divenuto  conciliabolo,  e 
che  erano  pentiti  del  loro  fallo,  conserve- 
rebbero la  loro  dignità.  Da  Alessandria, 
quale  legato  di  Oriente  di  Papa  s.  Libe- 
rio, passò  in  Antiochia  per  estinguere  lo 
scisma,  che  turbava  la  chiesa  di  questa 
città,  e  che  Lucifero  di  Cagliari  avea  di 
recente  accresciuto,  ordinando  vescovo 
Paolino,  quale  legato  apostolico.  Egli  ri- 
cusò di  comunicare  con  quest'ultimo,  e 
si  affrettò  ad  uscire  d'  Antiochia.  Luci- 
fero suo  collega,  credendosi  offeso  dalla 
condotta  di  lui,  ricusò  di  comunicare  con 
Eusebio  e  con  tutti  quelli  che  nell'ulti- 
mo concilio  d'Alessandria  aveano  ricevu- 
to i  vescovi  precedentemente  ingannati 
dagli  ariani,  e  come  pentiti  gli  aveano  la- 
sciati nelle  loro  sedi. Tale  fu  l'origine  del- 
la caduta  e  dello  scisma  di  Lucifero  ,  il 
quale  perdette  col  suo  orgoglio  il  frutto 
di  tutto  ciò  che  avea  fatto  e  sofferto  per 
la  causa  di  Gesù  Cristo:  mori  ostinato 
nello  scisma,  e  quelli  che  vi  aderirono  si 
dissero  Lucifirianì  (F".).  S.  Eusebio,  do- 
po avere  ridotte  moltissime  chiese  orien- 
tali al  caltolicismo,  ritornando  d'Orien- 
te, passò  per  l'Illiria,  ove  confermò  nella 
fede  i  vacillanti,  e  gli  sviati  ricondusse 
nella  sana  dottrina.  Al  suo  ritorno,  I'  [- 
talia  lasciò  i  suoi  abiti  di  lutto,  secondo 
l'espressione  di  s.  Girolamo  ,  poiché  vi 
fu  ricevuto  con  gran  gioia,  e  per  lui  i  ve- 
scovi ingannati  dagli  ariani,  furono  solle- 


ili  VER 

vali  e  raccolti  nella  Chiesa  cattolica.  Scri- 
ve l'Ughelli  :  Cum  in  Italiani  rcdiisset, 
sa  lutato  Liberio  Ponti fice,  Vercellapro- 
fectusest,  exceplusque  tanta  populorum 
gratulatone,  ut  sui  humeris  ad  sedem 
illuni  deportare  velie  viderentur.  Egli 
si  uni  in  islretta  amicizia  con  s.  Ilario  di 
IViliers,  e  ambedue  combatterono  l'a- 
rianesimo ,  dirigendo  principalmente  gli 
sforzi  del  loro  zelo  contro  Aussenzio  di 
Milano;  il  quale  eretico  ariano,  e  suo 
persecutore,  trovò  modo  di  accattarsi  la 
grazia  di  Valentiniano  I, e  sostenersi  col- 
In  sua  protezione.  Il  santo  sino  dal  358, 
con  s.  Emiliano  vescovo  di  Valenza,  avea 
consagrato  i.°vescovo  d'Ambrun  S.Mar- 
cellino; e  in  diversi  tempi  ne  consagrò 
pure  altri  delle  vicine  città  ,  come  si 
h'gge  nella  riprodotta  vita  nelP  Ughelli. 
Eusebio  morì  il  i.°  agosto  del  370  circa 
o  nel  37  id'88  anni.  Fu  deposto  nel  tem- 
pio ch'egli  avea  eretto  o  intitolato  al 
predecessore  s.  Teonesto,  che  probabil- 
mente gli  servì  di  cattedrale,  e  poi  prese 
il  suo  nome  nel  restaurarlo  s.  Albino. Nel 
rifabbricarsi,  fu  trovato  il  venerando  suo 
corpo  in  urna  di  marmo,  con  lungo  epi- 
taffio  in  versi  acrostici  riferito  dall'  U- 
ghelli,  con  sommo  gaudio  de' vercellesi,  i 
quali  tuttora  affettuosamente  si  vantano 
chiamarsi  divotissimi  e  fervorosi  figli  di 
s.  Eusebio,  come  con  edificazione  appresi 
da  un  illustre  di  essi,  il  piissimo  marche- 
se Giuseppe  Berzetli  di  Mura  zza  no.  Egli 
è  veneralo  a'i5  dicembre  nel  Breviario 
romano,  forsea  cagione  della  traslazione 
di  sue  reliquie  fatta  in  questo  giorno , 
mentre  negli  antichi  calendari  è  regi- 
strato nel  i.°  agosto,  per  la  festa  che  in 
tal  giorno  ne  celebrò  la  gloriosa  rimem- 
branza la  Chiesa  occidentale  e  orientale. 
Quanto  poi  fosse  dopo  morto  illustrato 
da  Dio  con  miracoli,  cacciando  i  demo- 
mi  da'corpi  umani,  ancora  coll'olio  delle 
lampade  che  ardevano  nella  sua  chiesa  , 
ne  fa  certa  fedes.  Gregorio  di  Tours,  De 
glor.  Confess.  e.  3.  Impugnatole  acer- 
rimo dell'  arianesimo,  che  miseramente 


VER 

infestava  la  Chiesa,  e  gran  difensore  di  «. 
A  tanasio,  è  celebrato  confessore  di  Cristo, 
dal  medesimo  s.  Gregorio  di  Tours  e  da  s. 
Adone  di  Vienna.  E  poi  giustamente  an- 
che detto  martire  ne'due  panegirici  com- 
posti in  suo  onore  da  s.  Ambrogio,  e  nel 
Martirologio  romano,  per  I'  accennate 
gravissime  tribolazioni  patite  per  la  pu- 
rezza della  fede  cattolica,  onde  ne  avea  a- 
vuto  il  merito.  Egli  era  dotto,  ed  eccel- 
lentissimo nelle  lettere  greche  e  latine,  di 
nobilissimo  ingegno,  massimo  nell'elo- 
quenza; e  non  si  dubita  che  abbia  com- 
posto molte  opere,  come  avea  tradotto  in 
latino  i  commentari  d'  Eusebio  di  Cesa- 
rea bui  salmi,  ed  espurgato  dagli  errori 
i  commentari  d'  Origene  ;  ma  non  ci  ri- 
mane di  lui,  che  le  lettere  scritte  al  clero 
e  popolo  di  Vercelli  e  delle  circostanti 
città,  ed  al  vescovo  d'Elvira,  oltre  un  bi- 
glietto all'imperatore  Costanzo.  La  pri- 
ma di  dette  lettere  è  indirizzata:  Dile- 
clìssimis  fratribus,  et  satis  desìderatis- 
simis  presbyteris,  diaconibus ,  et  omni 
clero,  sed  et  sanctis  in  fide  consistenti' 
bus,  plebibus  Vercellensi,  Novariensi  3 
Hypporegyensì,  Augustan  is,  Tndustrien  - 
gibus  etAgaminis  ad  Palatium,  nec  non 
Testonensibus.  L'  ab.  Semeria  che  ciò 
riporta  nella  Storia  della  Chiesa  di  To- 
rino* p.  1 5, osserva  che  avendo  il  san- 
to scritta  la  lettera  a' principali  suoi  dio- 
cesani, e  per  Testonensibus  dovendosi 
riconoscere  la  pievania  di  Testona  fra 
quelle  del  clero  di  sua  diocesi  «  ne  viene 
in  conseguenza  che  i  popoli  adiacenti  a 
Torino  (V.)  appartenevano  alla  sua  se- 
de, né  avevano  fino  allora  altro  vescovo. 
Né  deve  perciò  temersi  che  la  chiesa  di 
Torino  perda  del  suo  lustro,  quando  di- 
cesi che  ne'  più  rimoti  tempi  apparten- 
ne alla  sede  di  Vercelli.  Non  sarà  dunque 
abbastanza  antica  e  luminosa ,  quando 
tengasi  che  dal  principio  del  secolo  V 
cominciò  ad  aver  la  sede  episcopale,  e 
dal  grande  s.  Massimo  I  si  cominci  a  ri- 
petere la  serie  de'suoi  pastori?  . .  Infatti 
s.  Massimo  I  ragionando  delle  lodi  di 


VER 

s.  Eusebio  di  Vercelli,  lo  chiama  padre  e 
pastore  che  rigenerò  a  Cristo  i  torinesi... 
Come  avrebbe  potuto  qualificare  i  suoi 
uditori  pev  figliuoli  di  s.  Eusebio,  se 
questo  santo  martire  non  fosse  giammai 
stato  proprio  loro  pastore?  Si  dirà  forse 
che  si  espresse  così  s.  Massimo  I  in  un 
lato  significato,  per  essere  stato  s.  Euse- 
bio la  colonna  della  feóe  cattolica  nel- 
l'Occidente, siccome  s.  Atanasio  lo  era 
stato  in  tutto  1'  Oriente?  Benissimo  un 
tale  confronto;  ma  qual  soda  ragione  di 
interpretare  le  espressioni  di  s.  Massimo 
I  in  senso  esagerato,  quando  meglio  si 
possono  intendere  in  giusta  significazio- 
ne di  termini?  Qual  ripugnanza  a  crede- 
re che  l'Episcopato  Vercellese  si  esten- 
desse anche  a  Torino,  mentre,  giusta  il 
Tillemont  (Notes  surs.  Eusebe  de  Ver- 
ce/7,  nota  1 1,  t.  7,  p.  7  7  2),  estende  vasi  a 
Novara,  ad  Ivrea,  e  forse  anco  sino  a 
Tortona  ?  "  Anche  in  altri  scrittori  delle 
cose  piemontesi  ho  letto,  che  Vercelli  è 
una  delle  sedi  vescovili  più  antiche  del 
Piemonte,  ed  al  tempo  di  s.  Eusebio, che 
tanto  la  illustrò  colla  sua  dottrina  e  col* 
le  sue  virtù,  la  diocesi  comprendeva  qua- 
si tutto  il  Piemonte  settentrionale.  Non 
debbo  tacere  quanto  nota  il  eh.  ab.  Cap- 
pelletti a  p.  349*  E'  antichissima  chiesa 
di  Vercelli,  sino  da'più  limoli  secoli  go- 
deva per  la  sua  vetusta  origine  e  cospi- 
cuità ,  una  preminenza  d'onore  sopra 
tutte  le  altre  chiese  vescovili  della  prò* 
vincia;  non  però  una  preminenza  me- 
tropolitica,  come  vorrebbero  taluni  sfor- 
zarsi di  dimostrare.  E  vero,che  s.  Euse- 
bio, nel  IV  secolo,  esercitava  parecchi 
uffìzi,  che  appartengono  ora  alla  giuris- 
dizione metropolitica  ;  è  vero,  che  negli 
atti  del  concilio  di  Milano  del  355  egli 
è  qualificato  col  titolo  di  Metropolita  di 
Italiaj  è  vero,  che  il  clero  e  il  popolo 
di  Milano  mandarono  solenne  legazione, 
e  ch'egli  consagrò  vescovi  delle  vicine 
città;  ma  non  per  questo  si  può  dire, 
eh'  egli  o  la  sua  chiesa  godesse  una  pre- 
rogativa metropolitica, nel  senso  ecclesia- 


VER  253 

stico  ordinario  odierno,  mentre  allora  iti 
Italia  non  era  stata  per  anco  stabilita 
quella  dignità.  La  preminenza  goduta 
da  s.  Eusebio  tra  gli  altri  vescovi  dell». 
provincia  derivò  specialmente  dalla  sua 
anzianità. Egli  avea  consagrato  quasi  tutti 
gli  altri  vescovi  e  persino  lo  stesso  s.  Dio- 
nisio vescovo  di  Milano;  egli  avea  eret- 
to parecchie  chiese ,  ed  avea  portato  la 
fede  a  parecchie  città.  E  perciò  soltanto 
scrisse  l'autore  della  sua  vita  ,  che  la  s. 
Chiesa  Vercellese  godeva  a  buon  diritto 
sopra  le  altre  una  dignità  di  premi  nen- 
ia. Tunc  enim  rite  sub  tanto  Pastore 
sua  civitas  primatum  tenebat}  quae  se 
et  alias  circunicirca  vicìnas  urbes  verbo 
salutis  etunilis fide pascebat.N elle  quali 
parole,  l'espressione  sub  tanto  Pastore 
determina  e  stringe  in  S.Eusebio  la  qua- 
lità del  primato,  che  distinguevala  fra  le 
altre.  E  per  ciò  appunto  nel  suindicato 
sinodo  di  Milano,  s.  Eusebio,  i.°di  tutti 
i  vescovi  radunati,  per  tutti  rispose,  di- 
resse il  concilio,  ne  prescrisse  l'ordine  da 
osservarsi,  e  1.*  di  tutti  si  sottoscrisse 
(cioè  non  sottoscrisse,  e  si  rifiutò,  come 
dissi  e  trovo  nel  p.Labbé,  Sacrosancla 
Concilia  ad  Regi  a  ni  editionem  exacta, 
t.  2,  p.  771  :  Concilium  Mediolanense 
universale,  ac  reprobatimi.  Dovrà  in- 
tendersi, l'esercizio  di  preminenza  eserci- 
tata nel  far  cassai  e  la  firma  di  s.  Dionisio, 
per  apporvi  la  propria,  ma  in  vece,  sub- 
scribere  recusanles).  Ed  in  questo  me- 
desimo senso  vanno  intese  anche  le  altre 
parole,  con  cui  lo  scrittore  egualmente 
della  sua  vita  determina  in  seguito  la 
qualità  della  preminenza, che  in  s.  Eu- 
sebio suo  vescovo  godeva  la  chiesa  di 
Vercelli,  dicendo  ,  che  Vercellis  civitas 
Liguriarum  Primatum  inler  caeteras 
urbes  obiinebattcjuam  postea  Primatum 
Mediolanum  obtinuit:  cioè,  non  più  per 
ragione  d'anzianità  del  vescovo,  ma  per 
la  nuova  dignità,  che  l'imperatore  Teo- 
dosio I  conferì  al  vescovo  s.  Ambrogio, 
Milano ottennequella  prerogativa  di  pre- 
minenza. E  questa  nuova  dignità  fu  eoa- 


a54  VER 

ferita  alla  s.  Chiesa  Milanese,  non  perchè 
foss'  ella  ili  una  maggiore  antichità  e  di- 
gnità della  Vercellese;  ma  perchè  la  san- 
tità, la  dottrina  e  l'autorità  di  s.  Ambro- 
gio avevano  trasferito  iu  essa  quella  pre- 
minenza, che  poc'anzi  per  le  virtù  e  per 
la  sapieuza  di  s.Eusebio  aveva  goduto  la 
chiesa  di  Vercelli,  e  gliela  trasferì  in  uu 
tempo,  in  cui  cominciavasi  nelle  Chiese 
dell'Italia  a  stabilirvela  permanente. Così 
lo  storico  di  esse,  benemerito  Cappellet- 
ti. Già  avea  scritto  l'Ughelli,  padre  della 
medesima  storia:  Ecclesìa  Vercellensis 
dignità  te,  ac  privile  giis  Regimi ,  et  Im- 
peratorum  ,  aiitiquitale  praeterea  ,  et 
Praesulum  sanctilate,ac  praestanlia  in 
Gallio.  Cisalpina,  si  qua  alia,  clarissi- 
ma  est.  Etenim,  quemadnioduni  ex  Ec- 
clesiae  hujus  tabularlo  constai,  anno 
Domini  1 3 1 1  occasione  coronalionis 
He  urici  VII  Rornanorum  Regis  in  ci- 
vitate  Mediolanensi  contentione  oborta 
inter  Episcopo s  Brixiensem,  et  Vercel- 
lensem,  cimi  compertum  esset  ipsum 
V crccllensem  inConciliis,  parlamentis , 
ac  Convenùbus  solemnibus  tamquam 
praecellentem,  et  honorabiliorem  suf- 
fraganeorum  Longobardiae  sedere  so- 
litimi post  Me  tropo  litania  n,  juxta  Re- 
geni  Rornanorum, Imperaloremq uè  con- 
sliluendum,  propinquiorem  sedem  coro- 
ìialioni  illius,  et  in  solemnitate  diadema- 
tis,  ac  coronae  regalis  capiti  propinquius 
ministrare  ad  latus  dextrum  serenità' 
tis  regalis ,decrevil  Rex  idemetiam  lune 
et  in  posterum  fieri,  atque  ita  ipse  Ver- 
cellensis Episcopus  a  dextris  Mediola- 
nensis  Archiepiscopi  stetit,  sedit,  legit- 
que  primam  orationem  ante  omnes  Epi- 
scopos,  item  recepit  de  manu  cjusdem 
ensem,  quo  Imperatorem  accinxit ,  et 
sceptrum  regale,  et  virgam ,  pomumque 
aureum  Regi  porrexit,insuper  coronata 
ferream  ab  ipso  Archiepiscopo  benedi- 
etani  una  cimi  ipso  capiti  ipsius  Regis 
imposuit  3  et  ad  latus  Regis  dexterum 
sedil,  atque  ila  decretum  est,  ut  Vercel- 
Icnsis  Episcopus  minisCrarel  incorona- 


VE  li 
tione  Regis,  Brixicnsis  in  coronatione 
Reginae.  Erant  etiam  Vercellenses  E- 
piscopi  Regni  Italiae  Archìcancellarii, 
antequam  a  Gregorio  V  Ponti  fece  in  Ro- 
mani  Imperli ordinatione  Coloniensibus 
Archiepiscopìs  id  niunus  demandarelur. 
Primus  omnium  Luiduardus  Vercellen- 
sis  Episcopus  a  Carolo  II  (o  Carlo  III 
il  Grosso)   Imperatore  Archicancella- 
riusfactus  est  anno  Domini  890  (circa, 
e  lo  fu  pure  il  vescovo  Gregorio  del  1  o44)> 
eoque  timi  munere  reliqui  deinceps  Ver- 
cellenses Episcopi  diu  perfunctij  po- 
stremo, principis  Imperli  ùlulo  conde- 
corati sunt  ab  He  urico  VI  Imperatore, 
qui  suo  diplomate,  anno  1 1 9 1  Medio- 
lani  dalo,Alberlum  dilectum,  etfidelem 
Principali  suum  vocavit,  quo  deinde  ti- 
tillo, ac  dignilate  reliqui  ad  eo  Vercel- 
lenses Episcopi    usi  sunt.    Episcopus 
Ver  cellensis  j ani  inde  ab  incunabulis 
Archiepiscopo  Mediolanensi  subjectus 
fidi.  Ritenuto  il  vescovo  di  Vercelli  per 
i.°  vescovo  d'Italia,  dopo  quello  di  Mi- 
lano, è  tradizione  patria,  che  anticamen- 
te godesse  l'ornamento  del  s.  pallio,  per 
averlo  concesso  Papa   Anastasio  HI  nel 
9 1 2  al  vescovo  Rengeberto,  e  Papa  Gio  - 
vanni  XIX  detto  XX  al  vescovo  Pietio 
circa  il  1024,  il  che  spiacendo  al  cardi- 
nal s.   Carlo   Borromeo  arcivescovo  di 
Milano,  si  dice  che  ottenne  a'vescovi  prò 
tempore  di  Vercelli,  invece  del  pallio,  l'u- 
so delle  vesti  purpuree,  cioè  la  cappa  e 
gli  abiti  cardinalizi  di  colore  rosso,  tran- 
ne il  cappello,  la  berretta  e  il  berrettino 
rossi, che  propriamente  sono  iusegne  del- 
la dignità  cardinalizia.  Tali  vesti  rosse  i 
pastori  di  Vercelli  tuttora  l'usano  in  tut- 
te le  feste  di    i.a  classe,  sebbene  sieno 
divenuti  arcivescovi  e  fregiati  del  pallio, 
come  narrerò  a  suo  luogo.  Non  debbo 
tacere  ,  che  prima  1'  eruditissimo  Dima  , 
Serie  cronologica,  p.  1 52,  e  poi  il  dotto 
Cappelletti,  Le  Chiese  d'Italia,  t.i4>  P- 
394,  scrissero.  Il  vescovo  di  Vercelli  bea- 
to Alberto  Avogadro  del  1 184  o  1 185  : 
»  Ottenne  per  se  e  per  li  suoi  successori 


VER 
l'uso  della  porpora  in  alcune  solennità 
dell'anno '\ Ma  lo  stabilimento  dellaPor- 
pora  (V.)t  che  concessa  daTapi  a' Car- 
dinali,  e  poi  da'medesimi  per  privilegio 
si  accordò  ad  alcuui  Vescovi  e  Canonici, 
mediante  le  Vesti  Cardinalizie  (V.)y 
sembra  piti  tardi  avvenuto. 

Successe  a  s.  Eusebio  nel  371  o  372 
il  di  lui  discepolo  s.  Limenio  greco ,  il 
quale  fu  amicissimo  di  s,  Ambrogio  e  fu 
con  esso  al  concilio  d'Aquileia  nel  38 1 . 
Morto  verso  il  3go,  restò  vacante  la  se- 
de per  le  civili  discordie  de'  vercellesi, 
indi  per  le  saggie  esortazioni  di  san- 
t'Ambrogio, avendoli  con  affettuosa  let- 
tera esortati  ad  eleggere  in  pastore  il 
più  degno,  nel  397  scelsero  il  patrizio 
concittadino  s.  Onorato,  discepolo  di  s. 
Eusebio  e  degno  imitatore  di  sue  vir- 
tù; laonde,  principalmente,  maulenne 
illibata  la  sua  chiesa  dall'eresia,  non  ve- 
rilus  tormenta,  non  carceres,  quae  curii 
magislro  Paulo  ante  voraverat  alacri- 
tate  mirabili.  Avvisato  per  divina  rive- 
lazione dell'imminente  morte  di  s.  Am- 
brogio, di  cui  eia  intimo, nel  397  stesso 
si  recò  a  Milano,gli  amministrò  il  s.  Via- 
tico e  gli  altri  aiuti  spirituali.  Morì  s.  O- 
norato  a'28  ottobre  4*  5,  e  se  ne  celebra 
la  festa  nel  dì  seguente.  Fu  sepolto  nella 
chiesa  di  s.  Eusebio,  ove  presso  la  porta 
del  tempio  fu  posta  una  pietra  con  elo- 
gio scolpito  iu  versi,  il  quale  pubblicato 
dall' Ughelli,  riprodusse  corretto  il  Cap- 
pelletti. Siccome  dal  suo  tenore  egli  è 
detto  3.°  vescovo  di  Vercelli,  ed  in  con- 
seguenza non  dovrebbonsi  contare  i  3 
premessi  dallo  stesso  Cappelletti,  questo 
si  conferma  nell'ammetlerli  sì  perchè  vi 
esercitarono  almeno  per  qualche  tempo 
l'episcopale  ministero,  e  sì  perchè  la  chie- 
sa di  Vercelli  li  venerò  sempre  per  suoi. 
Nel  4*5  divenne  vescovo  s.  Celio  o  Du- 
scelio,  il  cui  nome  è  inserito  collo  stesso 
ordine  nelle  litanie  di  questa  chiesa:  mo- 
rì nel  43o.  In  questo  s.  Diego,  a  tempo 
della  regina  Teodelinda,  riferito  dal  Cor- 
bellini, riportato  daH'Ughelli  e  dal  Lima, 


VER  255 

ed  a  tale  epoca  escluso  dui  Cappelletti, 
per  non  esisterne  memoria  uè'  monu- 
menti diVercelli.  Giustamente  il  Cappel- 
letti lo  registra  nel  594,  poiché  allora  fiori 
Teodelinda  figlia  di  Garibaldo  duca  di 
Baviera,  vedova d'Autari  re  de'longobar- 
di,  e  moglie  in  seconde  nozze  d'Agilulfo 
duca  di  Torino,  che  perciò  divenne  re  dei 
longobardi.  Questa  celebre,  pia  e  saggia 
regina  contribuì  con  s.  Colombano  alla 
fondazione  del  monastero  insigne  di  Bob- 
bio, che  poi  divenne  ed  è  città  vescovile. 
Circa  il  435  s.  Albino  spagnuolo  mona- 
co, che  restaurata  la  cattedrale,  intitola- 
ta a  s.  Teonesto,  e  volendola  consagrare 
col  titolo  di  s.  Eusebio,  narrai  superior- 
mente che  pregò  di  fu  ine  la  cerimonia 
s.  Germano  vescovo  d'Auxerre,  ch'erasi 
portato  a  Vercelli:  il  santo  gli  promise 
effettuarla  nel  ritorno  da  Ravenna,  ove 
però  morì  verso  il  44^  °  4^°J  per  cui 
9.  Albino  egli  stesso  ne  eseguì  la  consa- 
grazione,  presente  il  cadavere  di  s.  Ger- 
mano, perchè  portandosi  da  Ravenna  in 
Francia,  s.  Albino  volle  recarsi  incontro 
alla  sagra  spoglia  nelle  vicinanze  di  Ver- 
celli, e  col  clero  con  di  vota  pompa  la  con- 
dusse alla  cattedrale.Ciòavvenne  non  sen- 
za duplice  prodigio,  imperocché  s.  Albi- 
no procedendo  alla  consagrazione,  jani- 
gue  candelabra  imperabat  ardere  j  sed 
illa  pertinaciler  contempserunt  conci- 
pere  Jlammam,  quamobrem  miraculo 
terrìtus  Albinus^cam  dedicationem  di- 
stulit  in  alium  diem.  Ma  appena  porta- 
tovi il  corpo  di  s.  Germano,  cum  sponte 
candelabra  lumine  conceptofulsere.  Me- 
mi ni  t  ergoAlbinus  promissionis  sibifa- 
ctae  a  SanctOj  intellexitque  consecra- 
tioni  illivelmorluum  interesse  voltasse, 
qui  quod  pollicitus fuerat  vivus  non  po- 
tuisset praestare.  Morto  s.  Albino  il  i.° 
marzo  del45o  circa,  fu  sepolto  nella  ba- 
silica Eusebiaua,  e  dipoi  ne  rinvenne  le 
s.  ossa  il  vescovo  cardinal  Guido  Ferre- 
ri.  11  vescovo  s.  Giustiniano  nel  4^2  aS* 
sislè  al  concilio  di  Milano  adunato  con- 
tro l'eresiarca  Eutiche.  Nel  470  s.  Sina- 


*56  VER 

plicio  morto  irei  475. Nei  seguente  s.  Mas- 
simiano, che  terminò  di  vivere  nel  4 So. 
In  questo  s.  Lanfranco  di  Vercelli, gover- 
nò 9  anni.  Nel  .}S\)  s.  Emiliano  nato  in 
Castro  Cesai iano, ossia  in  Celione  borgo 
della  diocesi,  dalla  famiglia  Avogadro: 
assistè  a'concilii  romani  del  /j<)6,  5oi  e 
504IC  mori  l'i  1  settembre  520  di  100 
auui.  L'  uflìzio  e  festa  a  suo  onore  ,  nel 
1 192  fu  ordinato  dal  vescovo  §.  Alberto 
Avogadro.  Nello  stesso  J20  s.  Eusebio II 
\  ia lardi,  morto  a'i5  marzo  53o.  In  tuie 
anno  s.  Costanzo  dell'antica  famigliu  ver- 
cellese Costanzi,  consagrò  a  Dio  due  so- 
relle, governò  9  anni,  predisse  l'elezione 
del  successore  e  morì  nel  539.  L*  anno 
seguente  l'altro  vercellese  s.  Flaviano, 
convertì  le  rendite  di  sua  mensa  nella 
restaurazione  de'sagri  templi  ,  saccheg- 
giati da  Alarico  re  de'goli  ;  rifabbricò  il 
coro  della  cattedrale,  e  ricevette  in  sua 
casa  s.  Mauro  abbate,  inviato  da  s.  Bene- 
detto in  Francia  a  propagare  l'ordine 
monastico,  da  cui  ebbe  in  dono  un  pezzo 
della  ss.  Croce,  e  mori  a'5  uovembre  54^: 
fu  sepolto  in  cattedrale  con  epitaffio  in 
versi,  che  offre  Ughelli.  Circa  il  553  s. 
Vedasto,  sotto  il  cui  governo  Vercelli  fu 
saccheggiato  d'ordine  di  Cacamo  re  dei 
bavari:  moiì  a'7  febbraio  577,  nel  quale 
giorno  se  ne  celebra  la  festa.  In  quest'an- 
no Tiberio,  che  Bima  anticipa, ed  Ughelli 
ritarda  dopoil  61  J.Berardo  oBeraldo  nel 
583.  Nel  594  sarà  bene  riportare  il  sud- 
detto s.  Diego.  Nel  599  s.  Filosofo,  visse  in 
tempi  difficilissimi,  e  fu  costretto  ritirarsi 
nel  monte Catinariojcioènel castello  dis. 
Lorenzo  presso  Gattinara,  da  dove  prov- 
vedeva a'bisogni  di  sua  chiesa,  costretto- 
vi dalla  persecuzione  degli  ariani  longo- 
bardi e  da  Riperto  ariano  da  loro  intru- 
so nella  sua  sede,  a  cui  nel  610  diedero 
successore  l'altro  ariano  intruso  Borioso. 
Morì  s.  Filosofo  celebre  per  miracoli  ai 
j  9  novembre  618  in  detto  luogo,  e  nel 
ii45  dal  vescovo  Ghisolfo Avogadro  fu 
fatta  la  solenne  traslazione  del  suo  sagro 
corpo  e  ordinato  l' uflìzio.  Nel  621  Cinl- 


V  ER 

10,  nel  633  Damiano,  nel  653  Emiliano 

11,  per  le  cui  egregie  doti  ottenne  prote- 
zione e  privile»!  da  Ariperto  1  re  de'lon- 
gobardi.  Nel  65S  o  nel  663  Celso,  sepol- 
to nella  cattedrale  con  lapide  di  versi 
acrostici  prodotta  da  Ughelli.  Nel  665  o 
nel  678  Teodoro  di  Milano  ,  assistè  al 
patrio  concilio  del  679,  contro  i  djoiio- 
telili  adunalo  dall'arcivescovo  Mansue- 
to. Nel  687  o  690  Magnesio  o  Magne- 
sio, sotto  il  cui  vescovato  fu  fondata  l'ab- 
bazia di  s.  Michele  di  Lucedio  nel  712, 
al  dire  dell' Ughelli,  ma  già  lo  era,  come 
dirò.  Nel  697  Attone.  Nel  704  Emilia* 
no  III,  a  cui  Ariperto  II  rede'longobardi 
con  diploma  de'9  ottobre  707,  che  si  leg- 
ge nel Vllistoriae  Patriae,  t.  1,  p.  i3, 
confermò  quanto  egli  già  possedeva  ,  e 
pose  sotto  la  sua  podestà  la  badia  di  Lu- 
cedio testé  fondala  daGautari  ex  soldato 
longobardo, che  ne  divenne  1. "abbate. Nel 
760  Rodolfo,  intervenne  al  concilio  ros- 
olano del  761,  il  che  nega  l'ab.  Cappel- 
letti, avvertendo  alterata  la  serie  de've- 
scovi  (pianto  a'tempi.  Nel  765  Sinfredo 
patrizio  vercellese,  dal  Papa  s.  Paolo  I 
consagralo.  Nel  770  Anselberto,  poi  tu- 
mulato nella  chiesa  di  s.  Eusebio.  Nel 
776  Crisanto  o  Grisanzio  francese.  Nel 
780  o  783  Baringo  monaco  benedettino, 
tumulato  in  cattedrale.  Nel  788  o  790 
Giso  o  Gisone  francese,  al  quale  il  prete 
Bebo  trascrisse  l'istoria  d'Eusebio  di  Ce- 
sarea. Nel  795  Cuniberto,  non  morto 
nell'  8 1 8  a*  1 9  aprile.  Imperochè  il  Cap- 
pelletti registra  uell'800  s.  Albino  II,  alle 
cui  istanze  Carlo  Magno  ,  libéralissimo 
verso  la  sede  di  Vercelli,  fabbricò  in  Sei- 
vabella,  oggi  Mortara  ,  due  chiese,  una 
intitolata  all'apostolo  s.  Pietro.,  l'altra  a 
s. Eusebio; ed  in  esse  Albino  li  introdusse 
ad  uffiziare  i  canonici  regolari  ,  i  quali 
conservarono  il  rito  Eusebiano  sino  al 
1575.  Inoltre  il  s.  vescovo  ottenne  dal 
medesimo  imperatore  ampio  diploma 
confermativo  de'  possedimenti  e  privile- 
gi di  sua  chiesa.  Ammalatosi  in  Mortara> 
ivi  finì  di  vivere  circa  1*826  e  fu  seno!- 


VER 
lo  in  quella  chiesa  di  s.  Eusebio,  alla 
quale  perciò  in  seguito  fu  cambialo  il  no- 
me con  quello  di  questo  s.  Albino.  Adun- 
que Antero  o  Àutcrio  o  Aulerico,  die 
Ughelli  e  Dima  dicono  intervenuto  1*8.24 
al  concilio  diMantova  ,coH'ab. Cappelletti 
lo  registrerò  all'826,  e  bensì  fu  a  quel  si- 
nodo che  fu  però  celebrato  l'826o  1*827, 
per  la  controversia  tra'  patriarchi  d'  A- 
quileia  e  di  Grado.  Nell'83o  Nottingo  di 
Germania  figlio  del  conte  ErIafrido,già 
famigliare  di  Carlo  Magno,  egregio  per 
l'erudizione  e  la  dottrina,  fondatore  in 
Germania  del  rinomato  monastero  d'IIi- 
saugia.  L'imperatore  Carlo  il  Calvo  gli 
donò  un  ponte  in  premio  di  sua  agilità 
nel  cavalcare,  che  poi  prese  il  suo  nome, 
col  quale  ponlem  No  tìngimi  è  ricordato 
in  più  diplomi  imperiali.  In  seguito  il 
ponte  si  disse  Cerviolo  dal  nome  della 
vicina  terra.  Nell'84i  Luviduardo,  alle 
cui  preghiere  l'imperatore  Lotario  I  do- 
nò al  monastero  di  s.  Michele  di  Luce- 
dio  il  corpo  di  s.  Gennaro  martire.  Nel- 
l'844  Nortardo  o  Norguado  francese,  che 
intervenne  in  Roma  alla  coronazione  di 
Lodovico  II  figlio  di  Lotario  I ,  e  pare 
che  fu  regolatore  del  capitolo  canonica- 
le^ fors'anco  delle  dignità  capitolari  da 
lui  istituite.  Giuseppe  dell'870,  traslalo 
ad  Asti  nell'88  1  ;  ma  il  Cappelletti  lo  di- 
ce intruso  nell'879,  e  perciò  scomunica- 
to dall'arcivescovo  di  Milano  Ansperto, 
bensì  conviene  alla  traslazione.  Nell'864 
Adalgaudo  o  Aldagardo  francese  sotto- 
scrisse il  concilio  di  Milano,  e  nell'  876 
firmò  il  giuramento  prestato  da'principi  e 
\escovi  d'Italia  a  Carlo  il  Calvo:  nel  se- 
guente 877  fu  presente  al  concilio  di 
Ravenna,  e  nell'agosto  accolse  in  Vercel- 
li il  detto  imperatore  e  Papa  Giovanni 
Vili,  morendo  nell'879.  I"  questo  per 
molti  e  luughi  contrasti  s'intruse  il  ricor- 
dalo Giuseppe,  e  fu  eletto  vescovo  Con- 
spetto,  che  vi  durò  pochi  mesi.  Di  tali 
differenze  rUghelli  riporta  3  lettere  scrit- 
te da  Giovanni  Vili  a  Carlomanno  re 
d'Italia,  a  Carlo  III  il  Grosso  imperato- 
voi.  xeni. 


VER  257 

re,  ed  al  clero  e  popolo  di  Vercelli.  Nel- 
l'88o  Liutardo  o  Luiduardo  o  Lottar- 
ci o  ,  a  cui  scrisse  in  tale  anno  Giovanni 
VIII.  L'Ughelli  riferisce  il  diploma  di 
Carlo  III  il  Grosso,  d'i  cui  era  arcican- 
celliere,  col  quale  nell'882  donò  e  confer- 
mò alla  chiesa  di  Vercelli  varie  corti  , 
specialmente  Biella,  Foglisso,  Romagna- 
no,  la  valle  di  Cly,  la  selva  Roasenda  e  al- 
tri beni,  11  diploma  più  esatto  si  legge 
ve\\' Historiae  Patriae,  t.  1,  p.  64.  Egli 
fu  al  sinodo  romano  dell'885,  ed  a  quel- 
lo di  Magonza  dell'888.  Gli  fu  tolto  l'ar- 
cicancellieralo,  ed  espulso  dalla  corte,  per 
sospetto  d'amorosa  tresca  coll'imperalri- 
ce  Ricarda,  e  per  avere  rapilo  dal  mo- 
nastero di  s.  Giulia  di  Brescia  una  ver- 
gine figlia  del  conte  Wnoco  parente  del- 
l'imperatore,  coli' intenzione  di  volerla 
sposare  ad  un  suo  nipote.  Il  vescovo  Se- 
bastiano è  nominato  in  un  piacilo  di  Pa- 
via, riprodotto  óaN'Historiae  Patriae, 
t.  r,  p.  97,  nel  quale  lodasi  la  donazio- 
ne fatta  nel  90  idei  monastero  di  Luce- 
dio,  dal  re  Berengario  I  alla  chiesa  di 
Vercelli.  Qui  il  Cappelletti  esclude  Die- 
go li  e  Norgando, attribuiti  a  questa  chie- 
sa, dall'Ughelli  nel  923  e  nel  925,  dal 
Bima  nel  910  e  nel  920.  Dappoiché  nel 
904  n'era  al  governo  il  vescovo  Renge- 
btrto  (conosciuto  dal  Coleti  nell' Adden- 
da el  Corrigenda  all'Ughelli,  Italia  sa- 
cra, t.  io,  p.  355),  e  nel  91 2 gli  scrisse 
Papa  Anastasio  IH, circa  l'uso  del  pallio, 
cui  per  distintissimo  privilegio  gli  con- 
cesse, altri  avendone  accordati  al  vesco- 
vo di  Pavia.  La  qual  concessione,  tanto 
onorifica  alla  chiesa  di  Vercellesi  appren- 
de dal  lesto  della  bella  lettera  pontifìcia 
riprodotta  dalPab.  Cappelletti,  diebus vi- 
ta* suae  tantummodo,  prescrivendogli  le 
feste  in  cui  dovea  usarlo,  inter  Mìssarum 
solemnia.  Si  conferma  1'  esclusione  dei 
due  nominati  vescovi,  dall'essere  occu- 
pata là  sede  sino  a' 12  marzo924  dal  ve- 
scovo Rangeberto,  e  dallo  stesso  9243! 
961  da  Alto  oAtlonelI.  Nel  t.  i,p.i55 
dell' Tlistoriae  Patriae  è  il  documento  col 

l7 


25$  V  E  II 

quale  Attone  II  vescovo  di  Vercelli  nel 
c)45  concede  alla  canonica  di  Vercelli,  in 
uumentodi  dole,la  piccola  coite  di  Mon- 
tanaro, in  cui  si  dice  essere  l'anno  2  idei 
suo  vescovato,  onde  si  comprova  che  lo 
cominciò  nel  9^4-  Di  più  il  documento 
testifica  la  pastorale  sollecitudine  di  Al- 
to Il  pel  decoro  del  sagro  tempio  e  pel 
provvedimento  de'suoi  canonici.  In  altri 
è  mostrato  impegnalissimo  a  promuove- 
re in  ogni  guisa  il  bene  del  suo  popolo; 
e  nel  voi.  LXX1,  p.  63,  dissi  quanto  in- 
veì contro  la  peste  della  Superstizione. 
Nello  stesso  g4^,o  secondo  altri  nel  g4i  > 
ovvero  nel  94°>  f'1  al  concilio  di  Milano; 
ed  anche  in  altre  pubbliche  radunanze 
o  placiti  figurò  sino  al  960  o  forse  al 
principio  del  961,  in  cui  (luì  la  sua  vita. 
Una  solenne  testimonianza  dell'  affetto 
suo  verso  la  chiesa  metropolitana  di  Mi- 
lano si  ricavadal  testamento  del  948,  ed 
esibito  dall'accuratissimo  Cappelletti.  In 
sostanza  lascia  i  propri  beni  o  valli  di  Bel- 
linica  o  Blegno  o  Bellania,edi  Lebenti- 
na  o  Le  veti  lina,  prò  mercede  et  reme- 
dio  animae  meae,  et  aliquantis  rebus  et 
familiismeis,  alle  dignità  e  canonici,  pre- 
ti e  diaconi  della  metropolitana,  non  che 
a'decumani,de'quali  eziandio  riparlai  ne' 
voi.  XXIV,  p.  199,  LXXX1I,  p.  3oo, 
LXXXVI1I,  p.  258.  L'Ughelli  dice  Alto 
Il ,  figlio  di  Aldegario  Visconti,  dottissimo 
teologo  e  preclaro  canonista,  parla  di  sue 
opere,  e  riporta  il  diploma  di  Ugo  e 
Lotario  re  d'Italia  a  favore  della  chiesa  e 
canonici  di  Vercelli,  con  doni  e  privilegi. 
Si  conosce  l'opera  intitolata:  Sancii  At- 
tonis  Sanctae  Vercellarum  Ecclesiae  E- 
piscopi.  Opera,  curante  Carolo  Buron- 
tio  del  Signore.  Vercellis  1  768 due  tomi 
in  foglio.  U  Saggiatore  Romano,  t.  3,p. 
9,  riporta  il  Testamento  di  Attone  di  Ver' 
celli  del  94$ confermato  nel  948,  colle 
considerazioni  dell'  illustre  letterato  da 
ultimo  defunto,  Carlo  Trova.  Ed  a  p.69 
del  medesimo  il  Discorso  intorno  adE- 
ver  ardo  figliuolo  del  re  Desiderio ,  ed 
al  vescovo  Attorie  di  Vercelli,  Lo  dice 


VER 

dotto  e  ricco,  già  arcidiacono  della  me- 
tropolitana di  Milano,  nato  d'alio  lignag- 
gio longobardo,  il  quale  credeva*  proce- 
dere dal  trisavolo  Everardo  figlio  di  Desi- 
derio re  de'  longobardi,  come  il  vescovo 
afferma  nel  testamento  de*  |5  maggio 
945,  essendo  egli  nato  da  Aldigerio,o  Er- 
menculfo  ch'è  il  nome  del  padre  di  Desi- 
derio. In  questo  allo  di  i.a  donazione  al 
capitolo  di  Vercelli,  Aitone  11  piegandosi 
a'desiderii  de'  3o  canonici  della  sua  chie- 
sa di  s.Eusebio  Vercellese, i  quali  lo  sup- 
plicarono di  soccorrerli  o  di  scemarne  il 
numero,  egli  allora  die'  al  capitolo  una 
sua  Corticella  ,  situala  nel  luogo  del 
DJoutanario  e  spettante  ad  una  corte  più 
ampia  donatagli  da're  Ugo  e  Lotario,  che 
è  il  documento  ricordato  di  sopra;  vo- 
lendo che  da' frulli  di  quella  terra  si  pre- 
parasse un  annuo  desinare  a*  canonici , 
nella  domenica  delle  Palme,  ed  il  rima- 
nente de'f rutti  si  dividesse  fra  loro  nel- 
l'8.a  di  Pentecoste.  Alla  chiesa  di  s.Eu- 
sebio di  Vercelli  assegnò  l'usufrutto  di  4 
casali  nella  valled'Aosla,e  alili  2  in  Ver- 
dezze Seguono  le  disposizioni  in  favore 
dell'arcivescovo,  del  capitolo  metropoli- 
tano e  dell'abate  d'un  monastero  di  Mi- 
lano.Questo  testamento  lesse  e  fece  ap- 
provare dal  sinodo  di  Milano.  Si  ragiona 
quindi  del  2.0  testamento  o  codicillo  del 
948,  e  degli  effetti  che  seguirono  alle  do- 
na/ioni. Da'diplomi  imperiali, quanto  al- 
le donazioni  vercellesi, si  fa  sempre  paro- 
la degl'  invasori,  ed  anche  de'ladroni  che 
occuparono  il  patrimonio  di  s.  Eusebio, 
e  delle  inique  alienazioni  e  permute  fat- 
tene e  annullate  dagl'imperatori,  massi- 
me quelle  del  vescovo  di  Vercelli  Ansel- 
mo. Seguono  altre  eruditissime  conside- 
razioni Sili  Une  testamenti,  non  che  i  dub- 
bii  sul  contenuto  de'medesimi,  fra'  quali 
se  l'Eberardo  Visconti,  che  pel  i.°il  coli- 
le Lilla  registrò  nel  io3y,  procedesse  o 
no  dalla  famiglia  d'Attone  vercellese,  ra- 
gionandosi per  ultimo  della  discendenza 
di  re  Desiderio.  Per  finirla  con  Attorie  11, 
dirò  che  lui  morto,   ben  tosto  gli  fu  so- 


VER 

stituito  nel  961  Ingone,  tam  parenti, 
(inani  filio  Otlionibus  Caesavibus  diari, 
sotto  del  quale  e  nell'agosto  eli  detto  anno 
seguì  la  fondazione  dell'abbazia  di  s.  Ma- 
ria^ de'ss.  Pietro  e  Cristina  di  Glassa- 
no, luogo  della  diocesi  di  Vercelli,  per  o- 
pera  benefica  di  Alerame  marchese  del 
Monferrato  e  di  sua  moglie  Gilberta, figlia 
del  re  Berengario  l,e  l'Uglielli  ne  pro- 
duce il  documento:  prese  poi  il  nome 
de'ss.  Vittore  eCorona,indipassòin  coni 
menda,  e  per  ultimo  restò  soppressa.  Nel 
964  radunò  il  sinodo,  un  frammento  del 
quale  è  nell'archivio  della  chiesa  di  Ver- 
celli. Fu  biasimato  qual  dilapidatore  dei 
beni  di  sua  chiesa,  per  cui  ne  rivendicò  i 
diritti  un  suo  successore  per  la  prolezio- 
ne d'Ottone  111  imperatore:  ciò  avvenne 
nel  1000,  e  Dell' His  forine  Patriaet  t. 1, 
p.  338,  è  il  diploma  di  quell'augusto  col 
quale  concede  alla  chiesa  di  Vercelli  vari 
privilegi  e  tutte  le  tene  possedute  dal 
marchese  Ardoino  e  da  Ardicino  suo  fi- 
glio. Morto  Ingone  nel977,non  pare  che 
gli  sia  succeduto  Adelberto,  bensì  Pietro 
nel  978,  eh 'è  pure  nominato  in  un  pla- 
cito del  996  de'messi  imperiali,  riferito 
dall'  Historiae  Patriae,  t.  1,  p.  3oo,  in 
cui  si  loda  una  donazione  fatta  dall'im- 
peratrice Adelaide  alla  chiesa  di  Vercel- 
li. Mentre  a  p.  3o5  si  legge  la  donazione 
fatta  in  detto  anno  al  vescovato  di  Ver- 
celli, dal  marchese  Ugo,  del  castello  e  cor- 
te di  Caresana  colle  appartenenze.  Os- 
serva ilCappelletti  che s.  Pietro  II  vercel- 
lese, l'Uglielli  lo  registrò  più  tardi  dopo 
Leone,  mentre  i  duri  avvenimenti  che 
narra  di  lui  spettano  al  discorso  Pietro, 
trucidato  nel  997  e  il  cui  corpo  fu  tro- 
vato nella  cattedrale  nel  1076.  Il  can. 
Bima  pure  dopo  Leone  scrive:  »  1021  s. 
Pietro  lì,  cittadino  di  Vercelli,  appena 
eletto  vescovo  intraprese  il  viaggio  di 
Terra  Santa,  e  questo  suo  pellegrinaggio 
gli  fu  copioso  di  tribolazioni:  fatto  pri- 
gionieroe  schiavo,  venne  carico  di  catene 
condotto  in  Babilonia  d'Egitto;  tutto  sop- 
portò con  pazienza,  finché  ottenuta  la  li- 


V  E  R  2$9 

berta  a  intercessione  del  santo  anacoreta 
Bononio,  si  restituì  alla  sua  sede,  ove 
giunto  ottenne  dal  Papa  Giovanni  XIX 
detto  XX  (  eletto  nel  1 024  ) ,  I*  uso  del 
pallio,  e  morì  a'i3  febbraio  1026".  Nel 
settembre  997  Ottone  111  spedì  un  di- 
ploma al  vescovo  Pietro  io  favore  della 
chiesa  vercellese;  ed  altro  simile  nel  suc- 
cessivo dicembre  al  vescovo  Reginfredo, 
che  il  Bima  dice  già  arcidiacono  della  cat- 
tedrale. A  questi  successe  nel  999  il  men- 
zionato Leone  monaco,  a  cui  Ottone  III 
col  diploma  discorso  piti  sopra  del  999,  e 
con  altro  poc'  anzi  ricordato  del  1000, 
confermò  il  possesso  di  tutti  i  beni  e  pre- 
rogative di  sua  chiesa  ,  e  con  accresci- 
mento gli  donò  il  contado  di  Vercelli  e 
di  s.  Agata,  con  giurisdizione,  insieme  al- 
le ragioni  sulle  miniere  d'oro,  ed  eziandio 
sull'oro  che  si  trovasse  nella  diocesi  e  nel 
contado  Vercellese  e  nella  contea  di  s.  A- 
gala.  In  fine  di  questo  diploma  l'impe- 
ratore dichiarò  ,  per  tutelare  le  conces- 
sioni fatte  alla  chiesa  vescovile  di  s.  Eu- 
sebio, ed  a' suoi  pastori.  Si  aids  miteni 
noslrisaut  futuris  temporibus  diabolico 
duclus  spirita  s.  Ecclesiani  Vercellen- 
sein,Leonem  episcopum  aut  suos succes- 
sores  in  ali  quo  ingenio  disvestire  aut 
alla  racione  inquietare  vel  faticare  a- 
liquando  presumpserit  componat  mille 
libras  auri  medietalem  nostraecamerae 
et  Vercellensi  Ecclesiae  alteraìnì  et 
praeceptum  firmnm  permaneal.  Tali  di- 
plomi meno  esatti  li  pubblicò  pure  I'  U- 
ghelli.  Al  tempo  del  vescovo  Leone  Ver- 
celli soffrì  gravissime  molestie  da  Ardoino 
marchese  d'Ivrea  e  re  d'Italia,  poiché  i 
vercellesi  preferirono  al  suo  partito  di 
seguir  quello  dell'  imperatore  s.  Enrico 
li.  Il  perchè  Ardoino  s'impadronì  di 
Vercelli  nel  1  o  1  4>  e  tra'molti  danni  che 
vi  recò,  distrusse  la  cattedrale  di  s.  Eu- 
sebio. Però  s.Enrico  li  nell'istesso  anno, 
a  premiare  la  fedeltà  de'  vercellesi,  fa- 
vorì la  loro  chiesa  di  amplissimo  privi- 
legio e  col  dono  di  moltissimi  possedi- 
menti, già  di  alcuni  aderenti  del  re  Ar- 


2f.o  VER 

doino,  oltre  la  restituzione  di  vari  altri , 
tutti  enumerati  nel  diploma  esistente  nel- 
l'archivio capitolare  di  Vercelli,  e  pub- 
blicato nel  t.  i,  p.  4°6  ,  dell'  Historiae 
Patriae  Monumenta,  colla  penale  a'tra 
'sgressori.  Quicumque  autem  s.  Verrei- 
lenseni  Ecclesiam  de  his  omnibus  disve 
stiverit  vel  inquietaveritcomponat  Ka- 
merae  nostrae  mille  libras  auri  et  s. Eu- 
sebio alteravi.  Visse  il  vescovo  Leone 
molti  altri  anni,  e  nel  1024  si  eollegò  coi 
lombardi  che  volevano  scuotere  la  domi- 
nazione de'principi  di  Germania  in  Italia, 
onde  fu  costretto  fuggire  di  Vercelli  e  ri- 
coverarsi in  Francia,  ove  morì  dopo  due 
anni,  avendo  indarno  fatto  tentativi  per 
ricuperare  il  suo  seggio.  Subito  gli  fu  sur- 
rogato Ardeiico  0  Alderico  di  regia  stir- 
pe, il  quale  intervenne  in  Roma  alla  co- 
ronazione che  Papa  Giovanni  XIX  detto 
XX  fece  dell'imperatore  Corrado  li  a'26 
marzo  1027,  cui  proprio  obsequio  ad- 
minìstraturus,  loco  archiepiscopi  Me- 
diolanensis,  adliaesit,  quem  abesse  con- 
tigerat,  ut  de  regno  Italiae  refert  Sigo- 
gonius.  In  grazia  del  Papa,  l'imperatore 
a'  7  del  seguente  aprile  con  diploma  e- 
sibito  nel  t.  i,p.  ^5  ^àe\V  Historiae  Pa- 
triae ,  con  fermò  le  donazioni  fatte  da'suoi 
predecessori  alla  chiesa  vescovile  di  Ver- 
celli, e  specialmente  le  confermò  il  pos- 
sesso del  contado  e  della  città  di  Ver- 
celli, e  del  contado  di  Santià  o  s.  Agata  , 
ad  essa  donali  da  Ottone  I II  in  tempo  del 
vescovo  Leone,  egualmente,  cum  univcr- 
sis  publicis  funcionibus  totani  Civitatem 
cum  omnipublica  polestate  in  integrimi , 
et  cum  omnibus  publicis  pertinenciisCo- 
mitatus  etCivitatis  et  totum  Comitatum 
quaedicunts.  Agathac  in  perpetuimi  funi 
omnibus  castellisi  villis3  piscacionibus, 
venacionibus,  silvis,  pralis)  pascuis,  a- 
quis,  aquarumve  decursibus  et  omnibus 
publicis  pertinenciis,  mercalis,  theloneis 
et  cum  omnibus  publicis  funcionibus  in 
Civitate  V ercellensi  intus  et  foris  in  lo- 
to Comitatu  V ercellensi  et  in  toto  Co- 
mitatu  s,  Agalhae  intus  et  foris,  et  in  o- 


V  ER 

mnibus  ennirn  pertinenciis,  et  ut  in  ca- 
stella s,  A galline  et  in  burgo  ejus  aut  per 
quinque.mìlinria  in  circuita  nulliis  nuni- 
quani  placilam  leneat  aut  fodrum  colli- 
gal  auf  albergarias  faciat  publicas  aut 
publicam  exaclìonem  exigat,  nisi  Ver- 
cellensis  Episcopus  aut  ejus  niissus  in  to- 
ta Campania nullus  theloneum  accipiat, 
nullus  mercalum  habeal  publicum  in 
V ercellensi  Ecclesia  theloneum  et  dì- 
slrictum  suarum  plebium  etc.  Si  quis 
autem  etc.  Soggiunge  PUghelli:  Eodem 
anno  cum  Homobonus  miraculis  incly- 
tus excessissete  vivi. 9,  Ardericus  Romani 
profectus,  a  Ponti fice  impetrava,  ut  pie 
defuncto ponere  aram  sibi  liceret,quam 
magno  Ver  cellensis  populi  plausu  detti- 
que  dedicavi t.  È  però  diverso  da  s.  O- 
mobono  di  Cremona  volato  al  cielo  nel 
1 .197,  che  Innocenzo  III  canonizzò  nel 
seguente  anno.  Ma  il  vescovo  Arderico 
nel  1037  fu  cacciato  in  esilio,  in  uno  ai 
vescovi  di  Cremona  e  di  Piacenza  ,  co 
quod apud  Imperalorem  accusali  sunt, 
regnando  ancora  Corrado  II,  di  parteg- 
giare co'lombardijOnde  eliminare  dall'I- 
talia la  dominazione  alemanna. Non  mol- 
lo dopo  e  nelio4ofu  restituito  alla  sua 
sede,  e  morì  a'4  magg10  circa  il  lodi- 
lo questuerà  già  vescovo  Gregorio  Fon- 
tana piacentino,  come  si  trae  dall'  Hi- 
storine  Patriae,  t.  1,  p.  555,  per  la  car- 
ta d'Enrico  vescovo  d'Ivrea,  colla  quale 
stabilì  dote  conveniente  al  monastero  di 
s.  Stefano  da  lui  fondato,  al  quale  atto 
Gregorio  si  trovò  presente.  Nel  1046  in- 
tervenne al  concilio  di  Pavia,  e  neh  o5o 
accolse  in  Vercelli  Papa  s.  Leone  IX,  ed 
assistè  al  già  discorso  concilio  ivi  da  quel 
Papa  celebrato.  Ma  tornato  il  Papa  in 
Roma,  nel  concilio  che  adunò  dopo  Pa- 
squa vi  scomunicò  e  depose  dalla  sede 
di  Vercelli  Gregorio  assente,  quale  adul- 
tero e  spergiuro, e  fece  un  nuovo  decreto 
sulla  continenza  de'chierici, allora  fatal- 
mente inosservata,  pel  pubblico  e  scan- 
daloso concubinato  del  clero^  onde  con 
dolore  leggo  nelle  vecchie  carte  pubbli- 


VER 
che,  nominati  apertamente  i  figli  de've- 
scovi,  de'preli,  de'diaconi.  Dell'anatema 
di  Gregorio,  parlano  Novaes  nella  Storia 
ili  s.  Leone  IX;  Fellone,  De*  viaggi  dei 
Pontefici,  e  l'Ughelli.  11  Dizionario  dei 
Concila,  dice  che  Gregorio  avendo  poi 
promesso  di  dare  soddisfazione,  fu  rimes- 
so uelle  sue  funzioni.  Trovo  ueWHisto- 
riae  Palriae,  1. 1,  p.  58  a,  il  diploma  del- 
l'imperatore Eurico  HI  del  io54>incui 
chiama  Gregorio  dilecto  Episcopo,  e 
conferma  alla  chiesa  di  Vercelli  i  conta- 
di di  Vercelli  e  di  s.  Agata,  e  le  altre 
concessioni  fatte  alla  medesima  da' suoi 
predecessori,  inclusivamente  totani  Ci- 
vitatem  Vercellensem  in  integrimi  cura 
anni publica  potestate  in  integrimi  in 
perpetuimi.  JNelio59  trovossi  al  concilio 
di  Roma  di  Nicolò  11,  in  cui  Berengario 
per  la  3.a  volta  fu  obbligato  ad  abiurare 
i  suoi  errori,  e  si  condannarono  i  Nico- 
lai ti  (f.).  Poscia  seguendo  le  parti  dello 
scismatico  persecutore  della  Chiesa  En- 
rico IV,  di  cui  diveune  cancelliere  nel 
regno  d'  Italia,  si  recòal  conciliabolo  te- 
milo nella  diocesi  di  Novara  da  Goto- 
fredo  intruso  pastore  di  Milano  ,  sco- 
municalo co'suoi  fautori  da  Papa  Ales- 
sandro 11,  contro  il  quale  Enrico  IV  lo 
n  pristino  nella  cattedra.  Sempre  più  im- 
perversando Gregorio,  riconobbe  l'auti- 
papa  Onorio  II  eletto  dalla  fazione  im- 
periale, e  da  Enrico  IV  fu  dichiarato  an- 
che legato  regio  in  Italia.  Il  perfido  a- 
vendo  simulato  pentimento,  fu  assolto  e 
reintegrato  della  sede  da  Papa  s.  Grego- 
rio VII,  ma  ricaduto  nello  scisma  fece 
parte  della  riprovevole  radunanza  di 
Roncaglia,  che  pretendeva  deporre  un  s. 
|  Gregorio  VII, ed  infelicemente  moti  nel- 
lo scisma,  non  mai  pieno  di  ineriti,  come 
scrisse  il  cau.  D'una,  uelioyB.  Tosto  gli 
successe  l'altro  scismatico  Wennerico 
scolastico  di  Tre  veri,  a  cui  falsamente  fu 
attribuito  lo  scismatico  libro,  De  Unita- 
te  Ecclesiae.  Poco  dopo  la  sua  morte  , 
Enrico  IV  con  diploma  de'4  luglio  1080, 
presso  ì'IIisloiiac  l\itria<  ,  t.  i,p.  6G6, 


VER  261 

avendo  donato  alla  chiesa  di  Vercelli  i 
castelli  di  Miribello  e  diBeceto  ad  istan- 
za del  vescovo  Regennerio,  mi  fa  sospet- 
tare  che  questi  ne  seguisse  le  parti;  cer- 
to è  che  fu  scomunicato  da  Vittore  IH  e 
da  Urbano  II,  ma  colla  protezione  de'suoi 
aderenti  si  sostenne  nella  sede  oltre  i  i 
anni.  L'  UghelJi  e  il  Binia  lo  chiamano 
Rainerio  o  Reiuerio  Avogadro,  e  lo  dico- 
no morto  nel  io()4-H  apriporta  un  di- 
ploma di  t?apa  Innocenzo  11  del  a  i4o  , 
dal  quale  si  ricava  avere  il  vescovo  fon- 
dato l'abbazia  benedellina  di  s.  Salvatore 
della  Bessa.  Dopo  la  sua  morte,  Eurico 
IV  v'intruse  Butano  canonico  di  Goslar 
in  Germania,  che  però  si  astenne  dal  re- 
carvisi e  dall'esercitate  l'uffizio  pastorale. 
Nel  i  108  trovasi  Gisulfo,  da  taluno  cre- 
duto altro  intruso  ,  il  cui  nome  si  legge 
sottoscritto  nella  carta  che  offre  l'Ughelli, 
uni  la  mente  allo  scismatico  vescovo  di  No- 
vara Anselmo,  riguardante  la  pieve  di  s. 
Vittorino  di  tal  diocesi.  Il  Corbellini  ri- 
ferisce quindi  un  Gregorio  intruso  da 
Enrico  V,  che  seguiva  le  pedate  d'Enri- 
co 1 V  suo  padre  nel  perseguitare  la  Chie- 
sa. Sigifredo  o  Zeifredo  del  a  aio  è  ri- 
putato scismatico,  perchè  intruso  daEu- 
ricoV,  traslato  da  Coirà,  beuchè  non  ap- 
parisce tale  nella  serie  di  que'  pastori. 
Nel  i  i  1 1  si  trovò  presente  in  Intra  alla 
cessiooe  fatta  da  Eurico  V  della  strada 
delta  Romana  alla  città  di  Torino, ed  è 
nominato  in  altri  diplomi  imperiali  sino 
ali  i  17.  Successero  coufusameute,quau- 
to  all'epoche,  gl'intrusi  Luitpraiido  figlio 
d'Alberto  conte  di  Blandiate;  Baldeno, 
ambizioso,  per  poco  tempo;  Gregorio  de 
Veruca  nobile;  e  dopo  pochi  mesi  E  ve- 
laccio, tutti  scismatici  e  seguaci  di  Euri- 
co  V  ,  il  quale  soltanto  si  pacificò  colla 
Chiesa  nel  1 122  per  la  Pace  Callistina. 
Regetn  berlo  legittimo  uel  a  i3o,  erudito 
e  illustre  per  vii  tu.  Nel  a  i32  Anselmo 
ex  Advocata  genie,  ossia  Avogadro.  Da 
Acqui  neh  1 35  fu v  vi  trasferito  Azzo  o  Az- 
zone,  motto  nel  1  i3n.  Invece  l'ab.  Gap- 
pellet  ti  scrive  che  Azzoue  nel  1 1 35  fu 


262  VER 

traslato  ad  Acqui,  ed  iti  questo  gli  fu  so- 
stituito Gisolfo  11  menzionato  in  un  do- 
cumento de'g  marzo  di  tale  anno  pub- 
blicato ueWlf istorine  Patriaeì  t.    i,  p. 
77  i.  Estratto  dall'archivio  del  marchese 
Ai  borio  Gallinaio  di  Vercelli,  ma   non 
è  detto  di  qual  chiesa  fosse  vescovo.  U- 
ghelli  e  Bima  registrano:  i  i  37  Ardizzo 
o  Ardizzone  Bolgaro  nobile  di  Vercelli, 
morto  il  1  ."ottobre  non  ancor  consagra- 
to, dopo  aver  commutalo  coli' impera- 
tore Corrado  III  il  Castrimi  Messurani 
sai  Alessorianum,  probabilmente  Mas- 
semno  poi  dominio  della  s.Sede.  Indi  ri- 
portano  uel  11 38    il   detto  Ghisolfo  o 
Gisulfo  1 1  Avogadro  di  Valdengo  di  Biel- 
la, cultore  esimio  della  disciplina   eccle- 
siastica, insigne  specialmente  pe'  benefi- 
cii  falli  alla  sua  chiesa,  erigendo  a  sue 
spese  il  dormitorio  pe'canonici  della  cat- 
tedrale, per  più:  decente  dimora  ,  ed  il 
Papa  Innocenzo  II  con  bolla  del  1  1  [\i , 
riportata  dall'  Ughelli ,    ricevè  sotto  la 
protezione  di  s.  Pietro  e  sua  l'  arciprete 
e  canonici  maggiori,  e  loro  successori  in 
perpetuo.  E'  sottoscritta  dal  Papa  e  da 
21  cardinali.  Termina  colle  parole    mi- 
naccevoli  :   Si  quis  contro,  linee  temere 
venire  tentavcrit^polestatis  honorisque 
sui dignitate  enrent  et  sacratissimoCor- 
pore  et  Sanguine  D.N.Jesu  Christi  a- 
lienisjìat  et  in  extremo  judìcio  ultioni 
subjaceat.  Amen.  Amen.  Egual  favore 
il  vescovo  trovò   nel  Papa  Eugenio  III 
nel  1  146,  e  poscia  nel  1  1 4^  otlenne  che 
consagrasse  la  chiesa  di  s.  Maria   Mag- 
giore io  Vercelli,  come  già  raccontai;  se 
non  che  il  Bima  crede  che  la  venuta  del 
Papa  in  Vercelli  fu   nel  1 1 4^  »  mentre 
anche  1'  Ughelli   scrive  nel  1  148.   Morì 
Ghisolfo  II  a'3o  maggio  1 1 49*  Neil  i5o 
Uguccio  o  Uguzzo  di  Bergamo  arcidia- 
cono, chiamalo    Lincio    nell'  Hi storia e 
Patriae.  Essendo  carissimo  a  Federico  I 
imperatore,  ottenne  amplissimo  diploma 
nel  1  i52  in  favore  della  chiesa  di  Ver- 
celli, ed  annullando  parecchi  atti  d'in  ve- 
stiture concesse  dugli  anteriori  vescovi 


VER 

intrusi,  ed  eziandio  dal  predecessore  Gi- 
solfo  11,  per  non  essere  interamente  con- 
sentanee alle  prescrizioni  de'sagri  canoni. 
Il  diploma  si  legge  nell' Ughelli,  e  me- 
glio neWIJisioriac  Patriae.  Alle  giuris- 
dizioni accordale  in  esso  al  vescovo  ver- 
cellese, opposero  resistenza  gli  abilauti  di 
Trillino,  i  quali  sostenuti  dal  marchese 
Wilelmo  (probabilmente  di  Monferrato, 
cioè  un  Guglielmo),  ricusarono  di  sotto- 
mettersi alla  signoria  del  vescovo  Uguc- 
cio. Ma  egli  nel  principio  deli  1 53  colle 
armi  gli  assoggetlò,  e  per  dominarli  eres- 
se un  castello  su  allo  colle.  Nondimeno, 
pacificali  gli  animi,  nel  1  1 55,  a  nome  di 
sua  chiesa  il  vescovo  concesse  a  Wilelmo 
ogni  diritto  sul  castello  e  territorio  di  Tri- 
llino. Nello  slesso  anno  Uguccio  donò  ai 
canonici  della  cattedrale  alcuni  beni  e 
decime;  e  dicesi  che  nel  1 160  trasferì 
gli  abitanti  di  Biella  dalla  valle  in  cui 
stavano,  al  monte  Palazzo.  Nel  seguente 
1  1  56  I' Ughelli  riproduce  il  documento 
delle  concessioni  fatte,  nel  vescovato  d'U- 
guccio,alla  summentovata  badia  di  Glas- 
sano, dal  marchese  di  Monferrato  Gu- 
glielmo e  dalla  moglie  Giuditta  d'Au- 
stria. Pare  che  a  suo  tempo  e  nel  1  1 65 
s'intrudesse  un  Aimone,forse  nello  scisma 
sostenuto  dall'imperatore  Federico  I  con- 
tro Papa  Alessandro  111;  anzi  Ferreri  e 
Corbellini,  dopo  Uguccio  registrano  un 
Lamberto  o  Oberto  o  Uberto  Crivelli 
milanese,  e  secondo  il  Ciacconio  niente- 
meno quello  che  creato  cardinale  nel 
1  1  7  1 ,  nel  1  1  85  divenne  Papa  Urbano 
IUÌ  come  nella  biografia  notai,  ma  im- 
pugnalo dall'Ughelli  e  da  altri.  Uguccio 
mori neli  1690  meglio  neh  iyoa'28  no- 
vembre. Immediatamente  il  successeGua- 
laBondanooBondonio  nobile  vercellese  e 
preposto  della  cattedrale,  consagrato  dal 
suo  metropolitano  s.  Galdino  Valvassi  o 
Sala.  Il  Bondano,  dal  Bima  si  confonde 
col  cardinal  Guala  Bicchieri t  gloria  ver- 
cellese che  celebrai  superiormente,  ma 
l'Ughelli  ben  distrugge  l'errore  su  i  due 
personaggi,  i  quali  non  ebbero  comune 


VER 

se  non  il  nome  e  la  pallia.  II  nuovo  ve- 
scovo subito  costituì  il  fratello  Giacomo, 
in  capitano  e  avvocato  difensore  del  ve- 
scovato e  chiesa  di  Vercelli,  e  concesse  a 
lui  e  successori  oppido  Ronsechi  e  uni 
juribus  et  pertinentìis  suis.  Donò  a  Gu- 
glielmo priore  di  s.  Orso  d'  Aosta  ,  nel 
i  173  la  chiesa  di  s.  Paolo  presso  il  fiu- 
me Sesia,  col  propinquo  spedale,  terre, 
beni  e  diritti  annessi.  Con  atto  del  1  174, 
riferito  dall'Ughelli,  e  da  lui  sottoscritto 
minister  lictt  indigniiSy  insieme  al  pre- 
posto e  canonici  della  cattedrale,  dispose 
che  il  preposto  della  cougregazione  di  s. 
Bartolomeo  fuori  delle  mura  di  Ver- 
celli, e  con  esso  i  suoi  religiosi  menassero 
vita  in  comune  sulle  mirabili  forme  stabi- 
lite da  s.  Eusebio,  e  ispirate  a  lui  dalla 
divina  misericordia.  Nel  11 77  alla  pre- 
senza del  cardinal  Guglielmo  Matengo, 
legato  della  s.  Sede  ,  il  vescovo  sedò  le 
discordie  ,  Vercellis  utriusque  Eccle- 
si  ae  e  Capitala  diuturniorem  li  lem  tran- 
segeritnt.  Pacificò  pure  i  vercellesi  con 
Guglielmo  marchese  di  Monferrato.  Nel 
1  181  ritrovò  le  sagre  spoglie  del  prede- 
cessore s.  Emiliano  I,  e  le  collocò  onora- 
tamente nell'altare  per  esse  edificato.  Ad 
esempio  de*  suoi  antecessori  implorò  ed 
ottenne,  che  Papa  Lucio  HI  uel  1  182 
ricevesse  sotto  la  sua  protezione  e  della 
Sede  apostolica  la  s.  Chiesa  e  capitolo  di 
Vercelli.  Nel  1  184,  al  dire  di  alcuni,  per 
sentenza d' A Igisio  arcivescovo  di  Milano, 
Guala  Bendano  fu  deposto  e  allontana- 
to da  questa  sede,  come  dilapidatore  di 
sue  rendite.  Meglio  è  ritenere,  con  Bima, 
Cappelletti  e  altri,  che  indotto  a  rinun- 
ziare si  trasferì  a  Roma,  ove  sostenne  ca- 
riche onorifiche,  e  ivi  mori  nel  1 2 3o.  Per 
successore,  nel  1  1 84  stesso  o  nel  1  1 85  gli 
fu  dato  il  beato  (altri  lo  qualificano  sau- 
to) Alberto  (/'.).  Avogadro,  nato  in  Ca- 
stel Gualterio  feudo  di  sua  casa  nel  ter- 
ritorio  di  Parma,  allora  vescovo  di  Bob- 
bio, profondo  nella  cognizione  del  diritto 
canonico.  L'umiltà  e  le  altre  sue  virtù  gli 
procacciarono   tosto  la    venerazione  dei 


VER  a63 

suoi  diocesani,  i  quali  fecero  a  gara  d' i" 
mitarne  gli  esempi.  Resse  la  sua  chiesa 
con  paterna  carità,  apostolico  zelo  e  sa- 
pere. Per  lui  Papa  Urbano  III  prese  in 
prolezione  la  sua  chiesa.  Neil'  8."  di  s. 
Eusebio,  cogli  esorcismi  liberava  gli  os- 
sessi. Fu  caro  non  meno  all'imperatore 
Federico  l,che  al  l'augusto  Enrico  VI  suo 
figlio,  il  quale  con  diploma  del  iiqi  , 
presso  l'Ughelli  e  V  Historiae  Patriae, 
t.  1,  p.  976  ,  confermò  i  privilegi  e  le 
possessioni  della  chiesa  vescovile  di  Ver- 
celli.Dopo  la  Pentecoste  del  1192  cele- 
brò il  sinodo  diocesano, in  cui  promulgò 
sagge  e  utili  costituzioni.  Dice  l'Ughelli, 
che  Papa  Celestino  III  ,  plurimus  eum 
decoravit  beneficiis.Yid  il  Bima  col  Cap- 
pelletti, come  già  notai,  ritengono  ch'egli 
ottenne,  senza  esprimere  da  chi,  l'uso 
della  porpora  in  alcune  solennità,  per  sé 
e  successori.  Istituì  la  prebenda  teologa- 
le, e  vi  assegnò  i  redditi.  Ordinò  la  ce- 
lebrazione della  festa  di  s.  Emiliano  I  suo 
predecessore.  Papa  Innocenzo  III  lo  de- 
stinò legato  in  Lombardia  nel  1  1 99,  cioè 
in  Parma  e  Piacenza.  E  nel  1201  fu  de- 
legato conPietro  abbate  di  Lucedio,  nelle 
vertenze  insorte  tra  V  abbate  di  s.  Am- 
brogio, ed  i  canonici  della  basilicali  cui 
documento  abbiamo  dall'  Ughelli.  Nel 
1204  restala  vacante  la  chiesa  patriar- 
cale di  Gerusalemme  ,  per  la  fama  che 
da  per  tutto  godeva  il  b.  Alberto, lo  no- 
minarono patriarca;  Innocenzo  HI  noti 
solo  fece  applauso  alla  scelta,  per  trovar- 
si quella  chiesa  nelle  più  critiche  circo- 
stanze, ma  Io  fece  venire  in  Roma  e  gli 
impose  il  pallio.  Parti  per  la  Siria  e  nel 
1206  fissò  la  sua  resideuza  in  Acri,  ove 
diede  una  regola  a*  Carmelitani  (?.), 
che  lo  venerano  legislatore  dell'  ordine. 
Indi  fu  fatto  legalo  apostolico  di  Soria. 
Morì  martire  a'  1 4  settembre  1 2  1 4,  per- 
ciò impedito  di  recarsi  al  concilio  gene- 
rale di  Laterano  IV.  La  sua  festa  si  ce- 
lebra l'8  aprile. Di  sue  gioì  tose  gesle  con- 
serva un  monumento  la  chiesa  vercelle- 
se ,  riprodotto  dall'  Ughelli.  Intanto  in 


a64  VER 

questa  nel  i2o5  eragli  succeduto  il  cre- 
monese Lotario  Rosario,  che  Innocen- 
zo III  deputò  visitatore  della  diocesi  di 
Albenga,  e  nel  1208  traslatò  a  Pisa,  da 
dove  nel  1216  passò  al  patriarcato  di 
Gerusalemme,  nuovamente  successore 
al  b.  Alberto. 

Nel  1208  divenne  vescovo  di  Vercelli 
Alipraudo  canonico  di  Milano;  accompa* 
gnò  a  Roma  l'imperatore  Ottone  IV,  e 
poi  inviato  dal  Papa  legato  a  Milano  per 
pacificare  le  differenze  insorte  per  l'ele- 
zione dell'arcivescovo,  meritò  d'esserne 
egli  scelto,  ma  morì  a'26  settembre  12  i3. 
Guglielmo,  che  tosto  gli  successe,  cessò  di 
vivere  pochi  giorni  dopo  nell'istesso  an- 
no. Gli  fu  sostituito  nel  12  14  Ugo  o  Ci- 
golino Sessa  di  Reggio,  preposto  di  Bor- 
go s.  Donnino.  Compose  le  differenze  col 
marchese  di  Monferrato  pel  feudo  di  Tri- 
ditto;  nel  12  16  ottenne  da  Papa  Onorio 
111  la  conferma  de'privilegi  di  sua  chie- 
sa; e  nel  12  18  rinnovò  gli  statuti  del  ca- 
pitolo de'suoi  canonici  utilmente.  Coin 
pose  le  discordie  tra' canonici  delle  due 
chiese;  e  neli225  Onorio  HI  gli  commi- 
se di  rimuovere  i  benedettini  da  s.  Pielro 
in  Coelo  aureo  di  Pavia,  e  d'introdurvi 
i  canonici  regolari  di  Mortara.  Morì  a'4 
novembre  1235,  e  sepolto  in  cattedrale 
con  onorifico  epitaffio  in  versi,  che  si  leg- 
ge nell'Ughelli.  Neil'  istesso  anno  il  ver- 
cellese Giacomo  Caruerio,  uato  in  Tridi- 
110,  già  canonico  di  s.  Maria  e  preposto  di 
s.  Eusebio, uomo  di  grande  esperienza  pe' 
viaggi  fatti  nelle  legazioni  del  cardinal 
Leone  Brancaleoni,  di  cui  era  uditore,  ed 
in  quelle  del  cardinal  Bicchieri  che  lo  fe- 
ce esecutore  del  testamento.  Zelante  pa- 
store, propugnò  la  difesa  dell'immunità 
ecclesiastica,  ed  impedì  nel  12  38  che  i 
vercellesi  seguissero  le  parti  dell'impera- 
tore Federico  II  persecutore  della  Chie- 
sa. L'Ughelli  dice  che  introdusse  i  dome- 
nicani in  Vercelli,  ma  il  Cappelletti  as- 
sicura che  già  vi  esistevano.  Sostenitore 
de'dirilli  di  sua  chiesa  contro  gli  usurpa- 
tori, ricupetòil castello  di  Masseraoo,  ma 


VER 

poi  fu  costretto  di  fuggire  da  Vercelli, 
quando  nella  città  prevalendo  i  ghibelli- 
ni si  die'  a  Federico  II,  e  andò  co'  suoi 
guelfi  a  ricoverarsi  nel  fortissimo  Castel* 
lo  di  s.  Agata;  ma  giunto  al  monastero 
di  Lucedio,  ivi  morì  a'  1  5  febbraio  1241, 
e  fu  tumulalo  nella  chiesa  abbaziale.  In- 
signe per  pietà  e  per  isplendida  benefi- 
cenza verso  la  chiesa  vercellese  ,  anche 
prima  d'esserne  paslore,  per  la  testamen- 
taria disposizione  peli."  pubblicata  dal- 
l'ai). Cappelletti.  Nel  1  243  cessò  la  vedo- 
vanza della  chiesa  vercellese  con  Martino 
Avogadro  de'signori  di  Quaregna,  nel  se- 
guente anno  celebrò  il  sinodo,  e  nel  r  24  > 
fu  a  quello  generale  di  Lione  I  per  la  depo- 
sizione delio  scomunicato  Federico  II.  A 
suo  tempo  e  nel  12 56  si  stabilirono  in 
Vercelli  gli  eremiti  agostiniani.  Lodato 
per  prudenza,  tuttavia  fu  assolto  da  Cle- 
mente IV  dall'irregolarità  e  censure  ca- 
noniche incorse  per  molestie  recate  al- 
l'arcivescovo di  Tarantasia  e  ad  altri  ec- 
clesiastici. Morì  nel  1268  e  fu  deposto 
nella  cattedrale  con  iscrizione  in  versi  ri- 
ferita dall'  Ughelli.  JNello  stesso  gli  suc- 
cesse Aimone  Visconti  de  Chantal,  nato 
in  Aosta  di  cui  era  vescovo,  quindi  sem- 
bra inesatto  il  racconto  deU'Ughelli  che 
a  lui  ritarda  al  1272  la  sede  vercellese, 
per  contrasti  tra'canonici  elettori,  gli  uni 
volendo  il  collega  Jacopo  di  Tonego,  gli 
altri  Beniero  Avvocali.  Nel  1274  inter- 
venne al  concilio  generale  di  Lione  II,  e 
nel  1  287  a  quello  provinciale  di  Milano, 
in  cui  insorse  grave  controversia  tra  Ini 
e  il  vescovo  di  Brescia  per  la  preminen- 
za del  posto.  Pare  che  il  concilio  si  pro- 
nunziò a  favore  del  competitore  ,  onde 
Aimone  si  appellò  al  Papa  e  partì.  Nel 
1288  radunò  il  sinodo  diocesano,  ed  in- 
trodusse i  carmelitani  in  Vercelli.  E 
qui  col  p.  Gumppenberg,  Atlante  Maria- 
no,  t.  5,tt.  123,  dirò  'dell'Immagine  /w#- 
raeolosa  della  Madonna  del  Carmine. 
di  Vercelli:  Nell'ultimo  assedio  di  Ver- 
celli due  soldati  grigioni,  per  sottrarsi  al 
pericolo  di  morire,  vilmente  fuggironojma. 


VER 

onestati  da  un  feroce  capitano  eretico  e- 
rano  condotti  alla  forca,  quando  il  mar- 
chese Cusani  per  liberarli,  si  offrì  man- 
tenere due  soldati  sino  al  termine  della 
guerra.  La  condizione  fu  accettala,  ma 
cambiato  di  parere  il  capitano  esigeva 
che  morisse  quello  che  gitlasse  a'dadi  un 
numero  minore.  Quello  a  cui  toccò  pel 
i.°gittarli,  fervorosamente  si  raccoman- 
dò a  detta  ss.  Immagine,  ma  lanciati  che 
gli  ebbe  ambedue  presentarono  l'unità, 
onde  fu  compreso  di  terrore  per  la  certa 
morte.  L'altro,  sicuro  di  sua  sorte, con 
gioia  gettò  i  dadi,  i  quali  per  singoiar  ca- 
so uno  si  sovrappose  all'altro,  presentan- 
do il  minimo  numero  uno,  che  lo  con- 
dannò al  supplizio.  Quest'  avvenimento 
accrebbe  moltissimo  la  venerazione  alla 
Madonna  del  Carmine.  Il  Cappelletti  e- 
nbisee  un  documento  della  chiesa  d'Ao- 
sta, che  mostra  la  beneficenza  verso  di 
essa  del  vescovo  Aimone,  per  un  pio  le- 
gato d'annua  rendita  di  dieci  lire  seu  li- 
bras  viennesi,  ed  in  cui  s'intitola:  Nos 
Aymo  miseratione  divina  Episcopus 
J  crccllensis  et  Comes.  Dunque  i  vesco- 
vi di  Vercelli  aveano  anche  il  titolo  di 
Conte.  Moiì  Aimone  a'ig  giugno  i3o3. 
1  canonici  elessero  il  loro  arcidiacono  Ra- 
niero Avogadro  o  Avvocati  di  Vercelli, 
già  cantore  e  preposto,  forse  quello  che 
secoudo  T  Ughelli  nel  1272  avea  scello 
inia  parte  del  capitolo;  e  benché  Bonifa- 
cio Vili  avea  riservato  a  se  la  nomina  del 
vescovo  di  Vercelli,  a'ò  agosto  ad  istan- 
za del  capitolo  confermò  la  loro.  Propa- 
gandosi la  setta  eretica  de'  Dulcinisli 
(Z7.),  Reniero  gli  affrontò,  e  colle  armi 
distrusse  e  sconfìsse  a'2 3  marzo  1 307,  ve- 
nendo bruciato  inVercelli  l'eresiarcnDo!- 
cino  con  diversi  suoi  seguaci.  Papa  Cle- 
mente V  a  premiare  il  zelo  del  vescovo 
contro  l'eretica  pravità  e  per  la  difesa  della 
purità  cattolica,  con  3  distinte  bolle  da* 
te  in  Poitiers,  e  riferite  dall'Ughelli,  gli 
concesse  facoltà  d' esigere  determinata 
somma  di  denaro  in  occasioue  delle  sagre 
visiti»,  l'esentò  da  qualunque  tassa  verso 


VER  2<>5 

la  curia  romana,  e  gli  die' giurisdizione 
di  conferire  l'investitura  de'canonicati  e 
degli  altri  benefizi  semplici  nelle  chiese 
cattedrali,  collegiate  e  parrocchiali  delle 
diocesi  di  Vercelli,  Novara,  Asti,  Ivrea  e 
Torino,  e  della  collegiata  di  s.  Giovanni 
di  Monza.  Mori  Reniero  a' 19  novembre 
1 3  1  o,  e  fu  sepolto  in  cattedrale,  ove  nel 
i55o  fu  trovalo  ancora  inlatto  il  cada- 
vere. Nel  medesimo  anno  gli  fu  surroga- 
to il  vercellese  Uberto  Avogadro  di  Co- 
lobiauo,  la  cui  consagrazione  fu  ritarda- 
ta per  le  civili  e  gravi  discordie  tra  le  pri- 
marie famiglie  degli  Avogadri  e  de'Ti- 
ziani,  da  altri  chiamati  Avvocati  e  Ticcio- 
ni,  ch'egli  mirabilmente  riconciliò  e  per- 
ciò benemerito  della  patria.  Nel  1 3 1 1  in- 
tervenne in  Milano  alla  coronazione  di 
Enrico  VII,  in  uno  agli  altri  suffragane^ 
della  provincia.  In  questa  circostanza  si 
rinnovò  tra'  vescovi  di  Vercelli  e  Brescia 
la  disputa  di  preminenza  del  posto,  alla 
quale  controversia  pose  fine  l'imperato- 
re, decretando  quanto  già  riportai  più. 
sopra,  col  diploma  de'6  gennaioi3i  1,  in 
favore  del  vescovo  di  Vercelli,  che  pro- 
duce l'Ughelli,  il  quale  aggiunge  :  Caele- 
rum  Ubertus  dedit  manus,  ut  Philippi- 
nus  Comes  de  Languatco  Fercellensem 
civilatem  exactis  Tizonibus praepo lenti- 
bus  viris  sibi  subjaceret  imperio  ari. 
i3i2  mense  majo.  Sulle  vicende  civili  e 
militari  di  questo  vescovo,  e  sulla  sua  pri- 
gionia, fuga  ed  assedio  nel  castello  di 
Biella ,  ne  tratta  la  Cron.  Asten.  presso 
il  Muratori,  Rer.  hai.  Script,  t.i  i.Nel 
1 3  1 8  confermò  gli  antichi  statuii  del  ca- 
pitolo di  s.  Eusebio,  e  rinnovò  quelli  di 
s.  Stefano  di  Biella.  Inoltre  riferisce  l'U- 
ghelli. Anno  veroiZio  cum  inter  Joan- 
nem  XXII  Pontificali  thac  MaUhaeum 
VicecomitemMediolaniDominumexar- 
sisset  contentio,  sequerelurque  Ubertus 
ponti ficias  pariesì  Malihaeus  valido  e- 
xercitu,  captaque  arce,  venil  Ubertus  in 
polestatem  vieto r ìs  ,  diuque  mulctatus 
carcere,  indeque  postea  exiens,  pristini 
propositi  tenax,  Raymundo  Cardonio 


266  VER 

cadmiano  pontificii  exerciius  impigro  iti 
Insubri*  duci  adhaesittJoannique  Pon- 
tifici imperanti  magno  ustiifuit.  Morto 
Uberto  nel  i 328,  a'  1 6  dicembre  di  elet- 
to Lombardino  della  Torre  milauese,  già. 
canonico  d'Aquileia  edi  Ci  vidale,  in  gran- 
de estimazione  di  Giovanni  XXII,  e  cir- 
ca ili  329 s'iutruse  nella  sede fr.  Teodoro 
da  Berghen  nominato  dall'antipapa  Ni- 
colò V  e  sostenuto  da' fautori  dello  sci- 
smatico Lodovico  V  il  Bavaro,  preten- 
dente all'impero,  i  quali  costrinsero  Lom- 
bardino  a  fuggire  da  Vercelli.  Neh  339 
confermò  gli  antichi  statuti  del  capitolo 
di  Vercelli,  ed  altri  ve  ne  aggiunse.  Mo- 
rì in  Biella  a'9  aprile  1 343,  e  fu  sepolto 
in  s.  Stefano  con  epitaffio  in  versi  riferì* 
lo  dali'Ughelli.  AJ25  giugno  gli  fu  sur- 
rogato il  nobile  genovese  Emanuele  Fie- 
sebi  canonico  d' Evora,  adoperato  in  di- 
versi affari  da  Clemente  VI  e  collettore 
degli  spogli  ecclesiastici  nell'  Insubria, 
morto  nel  i347«  Nel  seguente  a' 12  gen- 
naio I'  altro  genovese  Giovanni  Fiaschi 
(P.)  cappellano  pontifìcio,  nelle  guerre 
parteggiando  pe' Visconti  signori  di  Mi- 
lano, gli  fu  vietato  da  Innocenzo  VI  in 
uno  a'diocesani,  ed  Urbano  V  gli  proibì 
guerreggiare  il  marchese  di  Monferrato. 
Difese  colle  armi  i  diritti  di  sua  chiesa 
contro  Galeazzo  II  Visconti,  e  riportò 
vittoria  de'nemici  della  Chiesa  a  s.  Ger- 
mano, per  cui  ebbegratulazioni  nel  1  374 
da  Gregorio  XI.  Sempre  bellicoso,  riu- 
scì a'suoi  nemici  di  Vercelli  d'arrestarlo 
in  Biella  e  di  tenerlo  prigione  un  anno 
nel  1377,  e  solo  liberato  per  l'istanze  del 
Papa  che  appositamente  spedì  un  nun- 
zio. Insorto  l'antipapa  Clemente  VII,  che 
fissò  la  sua  residenza  in  Avignone  e  die' 
principio  al  grande  scisma  d'Occidente, 
fedele  il  vescovo  al  vero  Papa  Urbano 
VI,  fu  da  questi  nel  1379  creato  cardi- 
nale ,  colla  ritenzione  dei  vescovato  in 
amministrazione.  Lo  scisma  lacerò  anche 
la  chiesa  di  Vercelli,  per  avervi  l'antipa- 
pa in  detto  anno  destinato  a  falso  pasto- 
re Ottone  Brusato.  intruso  che  il  cardi- 


VER 

naie  seppe  raffrenare;  ma  tosto  I'  antipa- 
pa gli  sostituì  nello  stesso  1379  ''  sn0  ^" 
migliare  Giacomo  de  Castellis  o  de  Ca- 
valli cremonese,  che  lungamente  infestò 
il  vescovato,  finché  Giovanni  XXIII  nel 
l4i2  Io  provvide  del  Sewrincnscm  E- 
phcopalum.  Però  non  lo  trovo  né  fra'pa- 
stori  di  s.  Scverina  ,  uè  fra  quelli  di  s. 
Severo.  Bensì  nella  1." sede  trovo  un  Gia- 
como fatto  da  Urbano  VI  vescovo  di  s. 
Leone,  e  da  Bonifacio  IX  trasferito  nel 
i4oo  a  s.  Severiua,  morto  nel  1 4- 1  3  ,  e 
probabilmente  sarà  desso.  Il  cardinale  le 
gittimo  pastore  morto  neh  384,  Urbano 
VI  lo  fece  succedere  subito  da  Lodovico 
Fieschi  (F.)  genovese  de'conti  di  Lava- 
gna, e  nel  dicembre  lo  creò  cardinale,  ri- 
lasciandogli la  sua  chiesa  a  beneplacito 
apostolico,  e  poi  contribuì  a  liberare  Ur- 
bano VI  assediato  in  Noccra  de  Paga- 
ni. Da  Bonifacio  IX  fatto  nel  1399  lega- 
to di  Marittima  e  Campagna,  ricuperò 
Anagni  dagli  scismatici;  e  indi  da  Inno- 
cenzo VII  spedito  legato  alla  repubblica 
di  Genova  la  confermò  nell'  ubbidienza 
pontificia.  Però  mentre  si  trovava  in  ta- 
le città,  ad  insinuazione  degli  ambascia- 
tori dei  re  di  Francia  Carlo  VI,  che  se- 
guiva l'antipapa  BeuedettoXIII,  con  pes- 
simo esempio  aderì  allo  scisma  co'  suoi 
concittadini  neh 406.  Indignato  il  Papa 
di  tanta  ribellione,  lo  privò  della  chiesa 
di  Vercelli,  depose  dal  cardinalato  e  sco- 
municò; ed  egli  recatosi  in  Avignone  fu 
fatto  anlicardinale  dal  falso  Benedetto 
XIII.  Nel  i.°  aprile  di  detto  anno^  Inno- 
cenzo VII  indirizzò  la  lettera  riportata 
dali'Ughelli,  a  Matteo  Gisalberti,  ple.ba- 
niae  Monlis  Calvi praefectus,  seu  pleba» 
niitf  frercellensis  dioecesis,  eleggendolo 
a  vescovo  di  Vercelli.  Non  tardò  anch'e- 
gli  a  ribellarsi  a'suoi  giuramenti,  ed  a  se- 
guire il  deplorabile  scisma,  per  cui  Gio- 
vanni XXI lì  neh4i2  lo  spogliò  del  ve- 
scovato, laonde  visse  privato  nell'umilia- 
zione, finché  a'28  aprile-i 4^3  per  com- 
passione Martino  V  lo  provvide  del  ve- 
scovato di  Acqui.  Inoltre  Giovanni  XX 1 1 1 


V  E  R 

con  lettera  de*26  agosto  1 4 12,  presso  l'U- 
ghelli,  dichiarò  vescovo  lbletoFieschi  ge- 
lìovesejngenti pepalo  gralulalione^juip- 
pe  quibus  contigissetsub  legi  timo  pasto- 
re degere  usque  ad  annitrii  i4^7>  m  cul 
mori.  Al  suo  tempo  Vercelli  era  passa- 
ta nel  dominio  del  duca  di  Savoia;  e  leg- 
go in  GioiFredo,  Storia  dell'Alpi  marit- 
time, all'anno  1437,  Giovanni  Fiesco  de' 
conti  di  lavagna  eletto  vescovo  di  Ver- 
celli. Invece  V  Ughelli  e  gli  altri  compi- 
latori della  serie  de'vescovi  di  Vercelli, 
dicono  traviato  dalla  sede  di  Belley  a'18 
dicembre  Guglielmo  Diderio.  Interven- 
ne al  concilio  di  Basilea-,  cujus  Palres 
illi  cani  aliis  theologìs demandarunt}  ut 
Constanliensis  Concilio  acta  uno  vola- 
mine  complccleretur.  Divenuto  concilia- 
bolo, prese  parte  allo  scisma  che  pretese 
deporre  il  Papa  Eugenio  IV  3  e  fu  uno 
degli  8  elettori  della  nazione  italica,  che 
elessero  V  antipapa  Felice  Vt  già  Ame- 
deo Vili  duca  di  Savoia  (V.)je  non  co- 
me dice  il  Himat  fu  il  solo  fra  gli  eletto- 
ri che  abbia  nel  concilio  di  Basilea  con- 
tro  Eugenio  IV  votalo  per  Felice  V.  1  na  - 
perocché  il  Ciacconio,  Fitae  Pontificum, 
l.  2,  p.  93o,  enumera  gli  8  elettori  na- 
tionis  Italiane,  cioè  il  francese  Diderio 
vescovo  di  Vercelli,  i  vescovi  d'Aosta,  di 
Ivrea  e  di  Torino;  gli  abbati  di  Fluttua- 
rla e  di  Segusia;  ed  i  dottori  fr.  Giovan- 
ni e  Ir.  Bartolomeo.  Cosi  Vercelli  e  lutti 
i  domimi  del  duca  di  Savoia  dal  14^9  se- 
guirono lo  scisma,  finché  il  pseudo  Fe- 
lice V  nel  concilio  di  Losanna  a'9  apri- 
le 1 449  depuse  l'antipontificato.  Nel  1 452 
Diderio  rinunziò  il  vescovato, e  Papa  Ni- 
colò Va'i3  ottobre  elesse  il  nobile  sa- 
voiardo Giovanni  Giliaco  chierico  di  ca- 
mera, e  nunzio  in  Savoia,  morto  in  Ro- 
ma a'26  maggio i456,  e  sepolto  in  s.  A- 
gostino  con  lapide  prodotta  da  Ughelli, 
in  cui  leggo  Episcopus  Vérccllensis  et 
Comes.  A'3  1  di  dello  mese  gli  successe  il 
fratello  Giorgio  Giliaco  arcidiacono  del- 
la cattedrale,  morto  nel  1 458.  A'20  mag- 
gio Amedeo  Nari  nobile  di  Cipro:  ebbe  a 


VER  267 

suffragane!  Enrico  Aliberti  vescovo  di 
Ancona  amministratore,  e  Gabriele  Ab- 
biali vescovo  Bericense  vicario  generale, 
che  governarono  per  lui  la  diocesi, essen- 
do egli  qual  consigliere  del  duca  Lodovi- 
co occupalo  io  gravi  affari.  Morto  nel 
1469,  a'4  maggio  gli  fu  sostituito  Urba- 
no Bonivardo  abbate  cassinese  di  t.  Ma- 
ria di  Pinerolo,  e  commendatario  del 
priorato  di  s.  Vittore  di  Genova,  il  (pia- 
le rinunziato,  ritenne  il  monastero.  A  suo 
tempo  Sisto  IV,  nel  1472  aggiunse  alla 
mensa  la  preposilura  di  s.  Bartolomeo 
degli  agostiniani,  e  nel  1 474-  dismembrò 
dalla  diocesi  Casale  e  V  eresse  in  vesco- 
vato; in  compenso,  alla  mensa  di  Vercel- 
li fu  data  la  prepositura  vercellese  di  s. 
Graziano.  Consigliere  ducale,  pio  e  gene- 
roso, eresse  un  collegio  per  6  poveri  chie- 
rici presso  s.  Maria  di  Pinerolo,  e  rilira- 
tosi  in  quel  monastero  da  lui  beneficato, 
vi  morì  a' 16  luglio  1499  e  venne  sepol- 
to nella  chiesa  coll'iscrizione  riferita  dal- 
I1  Ughelli  (Nota  il  can.  Bima,  che  in  Moti- 
temagno  diocesi  di  Casale,  nella  piccola 
chiesa  di  s.  Maria  della  Cava,  padrona- 
to de'  Pullara,  trovasi  l'iscrizione  semi- 
gotica :  S.  Grad.  Ep.  Vere.  C.  Cons. 
1 491  die  29  "idrtiij  da  cui  sembra  esse- 
re stata  consagrata.  Ma  non  esiste  a  tal 
epoca  un  s.  Grado  vescovo  di  Vercelli, 
se  pine  non  fu  uu  vercellese  vescovo,  ma 
non  della  patria).  Tosto  gli  successe  il 
coadiutore,  che  già  dal  1 49^  governava 
la  diocesi,  Gio.  Stefano  Ferreri  (V.)  na- 
to in  Biella  diocesi  di  Vercelli,  prolono- 
tario  apostolico  e  uditore  di  Rota, nel  qua- 
le anno  celebrò  il  sinodo  con  vantaggia 
della  disciplina  ecclesiastica:  creato  car- 
dinale nel  1  5oo  e  pubblicato  nel  r5o2,ed 
a'  28  luglio  passò  alla  sede  di  Bologna, 
dopo  aver  amministrato  perqualche  tem- 
po il  vescovato  di  Nizza.  Il  cardinal  Giu- 
liano della  Rovere  vescovo  di  Bologna, 
mal  soffrendola  tirannia diGiovauniBen- 
li  voglio,  d'accordo  col  cardinal  Ferreri 
fece  la  permuta  di  tal  chiesa  colla  ver- 
cellese, la  fece  amministrale  dal  vescovo 


a68  VER 

d'Albenga  Leonardo  Marchese,  ed  il  i .° 
novembre  i5o3  divenne  il  gran  Giulio 
If^y.).  Allora  il  cardinal  Ferreri  ripre- 
se il  governo  del  vescovato  di  Vercelli,  ri- 
servandosi alcuni  benefizi  ecclesiastici  di 
quello  di  Bologna  che  lasciò,  e  lo  conti- 
nuò sino  a'5  novembre  1509.  Nel  qual 
giorno  Io  commutò  colla  sede  d'I  vrea,  che 
possedeva  il  fratello  Bonifacio  Ferreri 
(/^.),  che  perciò  fu  fatto  vescovo  di  Ver- 
celli.Ma  morto  i filloma  a'  1  3ottobre  1 5  io 
il  cardinal  Gio.  Stefano  (e  non  nelr52o, 
com'è  detto  nella  biografìa),  Bonifacio  a* 
5  del  seguente  novembre  volle  ritornare 
alla  vacata  sede  d'Ivrea  (e  nel  1 5 1  7  fu 
crealocardinale),  cedendo  la  vercellese  al- 
l'altro fratello  Agostino  Ferreri,  già  ca- 
meriere di  Giulio  II,  ed  allora  vescovo  di 
Nizza  e  abbate  di  s.  Salvatore  di  Casale, 
il  quale  vi  fu  nominato  a'  16  settembre 
imi,  rinunziando  Nizza  a  Girolamo  Ar- 
sago  milanese.  Con  autorità  di  Leone  X, 
neli5i6  dismembrò  dalla  mensa  la  pre- 
positura suburbana  di  s.  Bartolomeo,  e 
la  concesse  olla  congregazione  de'gesua- 
ti.  Neli5i7  il  Papa  gli  permise  d'istitui- 
re un  collegio  d'  8  coristi,  colle  rendite 
della  parrocchia  di  s.  Stefano  di  Gregio. 
Ampliò  l'episcopio,  e  donò  alla  cattedra- 
le la  Croce,  il  pastorale,  ed  il  Crocefisso 
d'argento  per  baciarsi  nel  venerdì  santo. 
Emulatore  delle  virtù  de'suoi  maggiori, 
morì  nel  1 536.  Secondo  l'ab.  Cappellet- 
ti, allora  per  la  riserva  del  diritto  di  re- 
gresso, il  cardinal  Bonifacio  riprese  il  ve- 
scovato di  Vercelli,  ma  nell'anno  stesso 
lo rinunziòa favore  del  nipote  Pier  Fran- 
cesco Ferreri  (f.).  L' Ughelli  e  il  Bima 
però,  soltanto  dicono,  che  Pier  France- 
sco, commendatario  di  s.  Stefano  di  Ver- 
celli e  referendario  apostolico,  a' 20  di- 
cembre 1 536  fu  dichiaralo  vescovo  di 
Vercelli  da  Paolo  III.  Fu  assistente  del- 
la cappella  pontificia  ,  vicelegato  di  Bo- 
logna, nella  legazione  di  detto  zio;  e  sen- 
va  ripetere  lutto  il  riferito  nella  biogra- 
fa, e  le  singolari  benemerenze  con  Ver- 
celli, mi  limiterò  a  dire,  che  fu  al  cenci 


VER 

l'iodi  Trento, accompagnò  il  cardinal  Ca- 
rola nella  legazioneal  Belgio,  nunzio  pres- 
so la  repubblica  di  Venezia, e  Pio  IV  nel 

1  56 1  lo  creò  cardinale  di  s.Cesario, poi  eb- 
be i  titoli  di  s.Agnese  e  di  s.  Anastasia.  A' 

2  marzoi562  rinunziò  la  sede  al  nipo- 
te Guido  Ferreri  (V.)  abbate  commen- 
datario di  s.  Stefano  in  Cittadella,  di  s. 
Michele  della  Chiusa  e  di  s.  Stefano  d'I- 
vrea ,  referendario  delle  due  legnature. 
Indi  nel  1  564  fu  nunzio  di  Venezia  e  nel 
seguente  creato  cardinale.  Intervenne  al 
i."  sinodo  provinciale  di  Milano  celebra- 
lo dallo  zios.  Carlo.  Continuò  e  compì  la 
fabbrica  del  seminario, cominciata  nelle 
fondamenta  dallo  zio  predecessore,  e  per- 
la città  e  diocesi  fecequanto raccontai  nel- 
la biografia,  comprensivamente  a' due 
collegi  da  lui  fondati,  l'uno  peri  6  bene- 
ficiali addetti  alla  chiesa  di  s.  Eusebio, 
l'altro  pe'gesuiti,  ed  alla  celebrazione  del 
sinodo,  in  cui  correggendo  gli  abusi,  ri- 
pristinò la  disciplina  ecclesiastica  a  nor- 
ma del  concilio  Tridentino.  Rinunziato 
nel  1572  il  vescovato  di  Vercelli,  non  ri- 
nunziò all'alletto  per  esso  e  alle  splendi- 
de beneficenze  che  gli  continuò.  A' 1  7  ot- 
tobre gli  successe  Gio.  Francesco  Bono- 
mo nobile  cremonese,  virtuoso,  dotto,  e- 
rudito,  eloquente  in  prosa  e  in  versi,  ri- 
nunziando l'abbazia  di  Nonanlola,  che 
fu  couferita  al  predecessore.  Già  familia- 
re del  metropolitano  s.  Carlo,  fu  da  lui 
consagrato  nel  duomo  di  Milano.  Sebbe- 
ne in  servigio  della  s.  Sede  assente,  dili- 
gentissimo  e  vigilante  pastore  fece  cele- 
brare r  1  sinodi,  ed  intervenne  al  ^.° e  5.° 
provinciale  di  Milano  adunati  dallo  stes- 
so s.  Carlo,  al  6.°  inviandovi  un  suo  pro- 
curatore. Già  dissi,  che  nel  1  5jo  soppres- 
so l'antichissimo  rito  Eusebiano,  intro- 
dusse in  Vercelli  e  diocesi  il  romano;  nel 
quale  anno  accolti  i  barnabiti,  commise 
ad  essi  la  cura  del  semiuario,autnentaudo- 
ne  i  redditi  col  priorato  di  s.  Maria  di 
Vezzolauo.  Ottenne  dal  Papa,  che  il  ve- 
scovo di  Vercelli  usasse  il  sigillo  coll'im- 
magine  di  s.  Eusebio*  e  nella  città  fondò 


VER 

il  monte  di  pielà,  che  poi  dichiarò  suo  e- 
rede.  Terminò  nella  cattedrale  i sedili  del 
coro  che  con  elegantissimo  artificio  uvea 
cominciati  il  predecessore  a  ornamento 
del  presbiterio;  e  con  essa  fu  largo  di  sa- 
gre suppellettili  e  di  arredi  d'  argento. 
Fu  a  suo  tempo  che  i  gesuiti  vennero 
ammessi  in  Vercelli  nel  collegio,  ed  an- 
cor lui  contribuì  allo  stabilimento  di  sue 
rendite.  Visitò  per  pontificia  deputazio- 
ne le  diocesi  di  Como  e  di  Novara;  ven- 
ne inviato  nunzio  nella  Svizzera,  per  in- 
trodurvi le  prescrizioni  del  concilio  di 
Trento,  massime  ad  utilità  del  clero,  e  fu 
lui  che  introdusse  in  Friburgo  i  gesuiti, 
editi  Al  tdorf  i  cappuccini. Gregorio  XI 11, 
per  l'apostasia  dell'elettore  arcivescovo  di 
ColoniaTruclises,nel  i  58  i  lo  mandò  nun- 
zio all'imperatore  Rodolfo  li,  quindi  nel 
i  583  lo  costituì  i .°  nunzio  di  Colonia  per 
l'esecuzione  della  scomunica  e  deposizio- 
ne dell'infelice  prelato  prevaricatore;  e 
poi  neh  584,  pure  col  carattere  di  nun- 
zio, passò  nel  Belgio  a  presentare  al  du- 
ca di  Parma  Alessandro  Farnese  lo  Stoc- 
co e  berrettone  ducale  benedetti,  restan- 
do nella  regione  per  gravi  affari  d'ordi- 
ne di  Sisto  V,  e  morendo  in  Liegi  a*  i5 
o  26  febbraio  1  587.  Trasportato  il  cada- 
vere nella  cattedrale  dell'amata  Vercel- 
li, il  gran  prelato  fu  deposto  nel  sepolcro 
che  avea  edificato  per  se  e  pe'suoi  suc- 
cessori, come  si  legge  nell'epitaffio  scolpi- 
tovi, ed  esibito  dall'Uglielli.  Sisto  V  a'6 
aprile  tosto  gli  die'a  successore  il  proprio 
correligioso  e  familiarissimo  fr.  Costanzo 
Boccafuoco  (V.)  di  Sarnano  de'conven- 
Inali,  che  a' 17  dicembre  creò  cardinale: 
rinunziò  dopo  due  anni.  Ili  ."agosto  1 589 
gli  successe  Corrado  Asinari  nobile  d'A- 
sli,  già  governatore  di  Faenza,  Imola  e 
Forlì,  non  che  d'Ascoli  e  Spoleto,  Peru- 
gia e  Umbria,  nunzio  a'sovrani  di  Savoia 
e  di  Toscana,  referendario  delle  due  se- 
gnature, abbate  commendatario  di  s.  Al- 
berto di  Tortona.  Prese  possesso  solenne 
ih. "agosto  1590,  ed  in  questo  morì  in 
Asti  e  vi  restò  sepolto.  Convien  dire  pò- 


VER  2% 

chi  giorni  dopo,  poiché  a'  1  3  agosto  1  090 
trovo  il  successore  Marc'  Antonio  Vista, 
altro  nobile  d'Asti,  arciprete  della  catte- 
drale e  priore  Scensine:  nel  1 599  rinun- 
ziò, e  ritiratosi  a  Torino,  in  morte  fu  de- 
posto nella  chiesa  di  s.  Maria  della  Piaz- 
za, varinntis  fortunae  exemplar  fttln- 
rus.  A' 29  maggio  gli  venne  surrogato 
Gio.  Stefano  Ferreri  di  Biella,  come  isuoi 
antenati ,  benché  considerati  vercellesi, 
referendario  delle  due  segnature,  consa- 
grato in  Pioma  dal  metropolitano  cardi- 
nal Federico  Borromeo.  Neh  600  tenne 
il  sinodo,  visitò  la  diocesi  e  la  divise  per 
vicarie.  Per  le  sue  virtù  amato  da  Cle- 
mente Vili,  indi  fu  nunzio  all'impera- 
tore di  Paolo  V.  Intervenne  al  7.0  sino- 
do provinciale  di  Milano,  scrisse  la  vita 
di  s.  Eusebio,  e  quella  degl'illustri  suoi 
predecessori,e  morendo  in  Biella  nel  1 6 1  t 
fu  sepolto  nella  chiesa  di  s.  Sebastiano 
nella  tomba  de'suoi maggiori.  A'17  ago- 
sto Giacomo  Goria  di  Viliafranca  d'A- 
sti, la  qual  terra  fu  da  lui  beneficata  col- 
la fondazione  della  casa  degli  oblati  di  s. 
Elena,  i  quali  negli  ultimi  tempi  furono 
trasferiti  all'educazione  del  seminario 
d'Asti.  Lodatissimo  pastore  per  37  anni, 
il  Corbellini  gli  dedicò  il  commentario  de' 
suoi  antecessori,  e  morendo  nel  1 648  be- 
nefico ne  fu  il  testamento  a  favore  di  va- 
rie chiese  della  diocesi.  S'ignora  perchè 
la  sede  restò  vacante  12  anni,  finché  fa 
provveduta  a'5  maggio  1660  col  vercel- 
lese Girolamo  della  Rovere,  abbate  com- 
mendatario di  s.  Maria  della  Pulcheria 
diocesi  di  Torino,  e  di  s.  Gennaro  di  quel- 
la di  Vercelli:  scienziato  insigne,  nunzio 
del  duca  di  Savoia  al  re  di  Francia  e  con- 
sigliere di  stato,  finì  presto  stia  vita  nel 
1 662.  A'3o  luglio  1 663MicheIangeloBro- 
glia  nobile  torinese  e  abbate  di  s.  Maria 
di  Pinerolo,  morto  nel  1679.  In  questo 
gli  successe  Vittorio  Agostino  Ripa  nobi- 
le torinese,  già  referendario  delle  due  se- 
gnature, e  governatore  di  Jesi,  Beneven- 
to e  Fermo.  Pagò  l'umano  tributo  in  Ro- 
ma a'3  novembre  1691,  e  fu  tumulato  a 


27o  VER 

s.  Maria  in  Vallicella,  con  {splendido  e- 
Jogio  prodotto  dal  Cappelletti.  A'?-!  mar- 
zo 1692  Gio.  Giuseppe  M."  Orsini  nobi- 
le torinese,  abbate,  visitatore  e  procura- 
loie  generale  de'canonici  regolari  Late- 
ranensi,  ma  cessò  di  vivere  nell'  agosto 
i6f)4«  Dopo  f>e(\e  vacante  notabile  a*  3 
giugno  1697  il  nobile  vercellese  Giusep- 
pe Antonio  Berlodano,  preposto  dell'in- 
signe collegiata  di  s.  Stefano  tli  Biella,  e 
abbate  commendatario  di  Bessa  e  di  Frut- 
tuaria,  elemosiniere  del  duca  Vittorio  A- 
medeo  II;  morto  d'apoplessia  a'4  maggio 
1700.  Per  le  differenze  tra  la  s.  Sede  e 
lo  stato,  p'rù  di  27  anni  restò  vedovi  la 
cbiesa  di  Vercelli,  ed  alfine  a' 3o  luglio 
1727  fu  preconizzato  da  Benedetto  XIII, 
Girolamo  Francesco  Malpassnti  de'inar- 
chesi  di  Monliglio  ,  nato  in  quel  feudo 
diocesi  diCasale,  epreposto  di  quella  col- 
legiata. Ma  colpito  da  repentina  morte, 
u'q  agosto  1728  ritornò  a  vacar  la  sede. 
A' 1  3  dicembre  1729  il  cardinal  fr.  Car- 
lo Vincenzo  Maria  Ferreri  (/z.)  di  Nizza 
domenicano,  traslato  da  Alessandria, ab- 
bai e  commendatario  di  s.  Maria  di  Ca- 
vour e  di  s.  Mauro  di  Torino,  morto  in 
Vercelli  a'9  dicembre  f  74?->  sepolto  nel- 
la cattedrale.  A'i5  luglioi  743  Gio.  Pie- 
tro de'conti  òolaro,  di  Villanova  Solaio 
l'elido  di  sua  casa  e  diocesi  di  Torino. 
L'  1  1  settembre  1  769  Vittorio  Maria  Bal- 
dassare  Gaetano  Costa  (Fy.)  di  Augna- 
no, di  nobilissima  e  virtuosissima  lami- 
glia  di  Torino:  dottore  d'ambe  le  leggi, 
aggregato  al  collegio  delle  belle  arti,  in- 
di rettore  della  reale  università,  e  sem- 
pre studiosissimo  della  storia  e  dell'ame- 
na letteratura.  Compilò  il  catalogo  di  1  00 
e  più  codici  di  sagre  antichità  apparte- 
nenti alla  sua  cbiesa;  fece  la  pastorale  vi- 
sita di  tutta  la  vasta  diocesi,  prima  die 
Clemente  XIV  ili. °  giugno  1772  vi  di- 
smembrasse Biella  e  l'erigesse  in  vesco- 
vato; nella  qual  circostanza  distrusse  la 
zizzania  die  la  discoi  dia  seminava  nella 
vigna  del  Signore,  e  riconciliò  gli  animi 
inaspriti,  chiudendo  l'antico  e  famoso 


VER 

tempio  di  s.  Maria  Maggiore,  per  toglie- 
re le  gare  fra  il  suo  capitolo  e  quello  del- 
la cattedrale.  Stimato  per  dottrina  ,  su* 
perirne  a  tutti  gli  nitri  vescovi  del  Pie- 
monte, di  santissimi  costumi,  Pio  VI  nel 
1778  lo  trasferì  all'arcivescovato  di  To- 
rino (J7.).  A*  12  luglio  1779,  da  s.  Gio- 
vanni di  Mani  ienne  o  Moriana,  lo  stesso 
Papa  trasferì  a  questa  sede  il  cardinal 
Carlo  Giuseppe  Filippo  di  Mtir umana 
(F.)  nobile  torinese:  beneficenlissimo,  ze- 
lante ed  esemplare  pastore,  morì  nel 
1802  in  Vercelli  e  fu  deposto  nella  cat- 
tedrale. 111.0  febbraio  i8o5  da  Biella  vi 
fu  traslato  Gio.  Battista  Canaveri  di  Bor- 
go Maro  ,  dell'oratorio  di  s.  Filippo.  A 
suo  tempo  per  le  violenze  della  repubbli- 
ca francese,  ad  istanza  del  piissimo  re  Car- 
lo Emanuele  IV,  nel  1  798  Pio  VI  prov- 
vide sapientemente  a'bisogni  che  dovea- 
no  deriVore  dall'imminenti  sciagure,  es- 
sendo impedito  ormai  a'vescovi  il  ricor- 
rere alla  s.  Sede;  con  concedere  provvi- 
soriamente le  facoltà  in  alcuni  impedi- 
menti matrimoniali,  circa  alcuni  casi  e 
censure,  la  cui  assoluzione  era  riservata 
al  Papa,  circa  la  dispensa  dalle  irregola- 
rità per  potere  ricevere  gli  ordini  sagri, 
ed  in  altri  più  interessanti  punti  di  eccle- 
siastica disciplina.  Invasi  gli  stati  del  re 
di  Sardegna  da' francesi  in  Italia,  un  im- 
periai decreto  di  Napoleone  I,a  cui  Pio 
VII  ,  per  evitare  maggiori  mali  stimò 
prudente  il  dare  pontificio  assenso,  ridus- 
se le  17  diocesi  del  Piemonte  ad  8  sol- 
tanto^ 9  ne  soppresse  a*23  gennaio,  cioè 
Alba,  F ossario  t  Alessandria,  Pinerolo, 
Sitsa,  Aosta,  Bobbio,  Tortona  e  Biella 
che  fu  ricongiunta  alla  diocesi  di  Vercel- 
li. Si  stabilirono  soggette  alla  metropoli* 
tana  di  Torino  le  suffraga nee  Vercelli, 
Ivrea,  Acqui,  Asti,  Mondovi,  Casale  e 
Saluzzo.  Morì  il  vescovo  Canaveri  l'i  1 
gennaio!  81  1,  e  Napoleone  1  nominò  ve- 
scovo di  Vercelli  il  torinese  Carlo  Tardi, 
il  quale  non  fu  mai  consagrato  e  appro- 
vato da  Pio  V  lì  deportato  a  Savona.  Ces- 
sata alfine  la  funesta  procella,  il  capito- 


VER 

lo  di  Vercelli  fece  la  dichiarazione  a  Pio 
VII  de'i4  febbraio  i8i5,  riportata  nel 
t.  »,  |).  1 22,  delle  Dichia razioni  e  Ritrat- 
tazioni umiliale  a  Pio  VII.  In  essa  si  di- 
ce, che  **  Durante  la  vacanza  della  sede 
vescovile  di  Vercelli  ,  essendosi  sotto  il 
passato  governo  del  Piemonte  verificato 
il  caso  di  un  designalo  al  vescovato  me- 
desimo, il  capitolo  cattedrale  di  detta 
chiesa,  dietro  la  rinunzia  dei  suo  i .°  vi- 
cario, la  di  cui  nomina  non  fi\  certamen- 
te da  niun  patto  viziata,  accolse  e  nomi- 
nò in  suo  2.0  vicario  il  vescovo  designa- 
to. Mise  egli  cosi  in  pratica  la  massima, 
la  quale  (avvegnaché  con  termini  di  ri- 
spettosa venerazione  verso  la  Selle  apo- 
stolica) fu  da  esso  inserita  nel  suo  indi- 
rizzo de*25  febbraio  181  x,  non  già  per 
ignoranza  de'  sagri  canoni,  non  per  di- 
sprezzo de'  medesimi,  non  per  deferenza 
verso  i  nemici  della  s.  Sede,  non  finalmen- 
te per  genio  d'innovar  la  disciplina,  ma 
soltanto  per  un  filale  concorso  d'imperio- 
se circostanze,  in  forza  delle  quali  fra  l'at 
trattativa  di  molteplici  preceduti  esempi 
di  vescovi  e  capitoli,  a'sagri  canoni,  ed 
alla  s.  RomanaSede  ossequiosissimi^  qua  • 
li  non  si  credettero  per  le  prese  misure 
involti  nel  caso  di  disprezzo  dell'autorità 
della  pontifìcia  Set\e ,  a  cui  giustamente 
tutto  si  sarebbe  dovuto  sacrificare,  rimet- 
tendo  a  Dio  la  causa  della  Religione  e 
della  sua  Chiesa,  ignorando  da  un  canto 
le  disposizioni  contenute  nella  lettera  di 
Vostra  Santilà  de'2  dicembreiBio  al  ca- 
pitolo di  Firenze,  per  esser  questa  stata 
dall'autorità  politica  d'allora  gelosamen- 
te e  severissimamente  soppressa;  e  priva- 
to altronde  di  ogui  ricorso  a'bramati  lu- 
mi della  Cattedra  apostolica,  Maestra  di 
verilà,  si  persuase,  che  una  ferma  resi- 
slenza  in  favore  della  rigorosa  osservan- 
ze! de'canoni  disciplinari,  senza  un  prodi- 
gio dell'Altissimo,  avrebbe  provocata  una 
furiosa  tempesta  d'inevitabili  disastri  con 
danno  gravissimo  di  questa  chiesa  nel- 
l'ordine temporale  e  politico  non  solo,  ma 
ben  anche  e  molto  più.  nello  spirituale. 


VER  271 

Ora  penetrato  da  gravissimo  cordoglio  il 
rapitolo  medesimo, che  un  tal  suo  proce- 
dere, benché  da  esso  col  cambiarsi  delle 
circostanze  immediatamente  rivocalo, ab- 
bia incontrato  la  disapprovazione  di  Vo- 
stra Santità,  il  capitolo  straordinariamen- 
te quest'oggi  radunatosi,  previo  verbale 
avviso  del  eanonicoarcidiaconoGiambat- 
tista  Ma  la  bai  la  dato  a  ciascuno  de'cano- 
nici  a  quest'oggetto,  d'  unanime  e  pieno 
consentimento,  per  quest'atto  medesimo, 
con  inalterabile  profondissimo  ossequio, e 
filiale  ubbidienza  pienamente  se  stesso,  ed 
ogni  passata  sua  condotta  le  sottomette, 
disapprovando  tutlociò  che  meriti  e  pos- 
sa meritare  la  di  Lei  disapprovazione. 
Prostrato  quindi  a'piedi  di  Vostra  San- 
tità, mentre  ha  l'onore  d'offrirle  il  since- 
ro tributo  del  più  doveroso  rispetto  a'sa- 
gri canoni  e  della  perfettissima  sua  ade- 
sione a'vcneratissimi  oracoli  e  disposizio- 
ni pontificie,  dalla  sovrana  paterna  bon- 
tà di  Vostra  Beatitudine  invocando  so- 
pra di  se  e  de' membri  sottoscritti  (24 
comprese  le  dignità)  un  consolante  sguar- 
do di  clemenza,  umilissimamente  implo- 
ra l'apostolica  benedizione".  Già  ancor* 
ritornato  nel  1 8  1 4  il  re  Vittorio  Emanue- 
le I  alla  sua  reggia,  fu  nominato  ammi- 
nistratore di  Vercelli  il  vescovo  d'Ivrea 
Giuseppe  M.  '  Grimaldi  di  Moncalieri  dio- 
cesi di  Torino,  finche  nuova  epoca  più. 
felice  sorse  per  essa.  Infatti  ad  istanza  del 
religiosissimo  Vittorio  Emanuele  I,  il  Pa- 
pa Pio  VII  determinò  la  giurisdizione  del- 
le rimanenti  diocesi,  ristabilì  le  soppres- 
se, vi  aggiunse  la  nuova  di  Cuneo,  eres- 
se in  arcivescovato  la  cospicua  chiesa  di 
Vercelli,  aggregò  all'arcidiocesi  di  Geno- 
va l'isola  di  Capraia,  dismembrandola  dal 
vescovato  d'Aiaccio,  e  ristabilì  nel  Pie- 
monte le  due  celebri  badie  di  s.  Miche- 
le della  Chiusa  e  di  s.  Benigno  di  Fruii* 
tuaria.  In  conseguenza  pertanto  del  Con- 
cordalo tra  Pio  Vile  Vittorio  Emanue- 
le Iredi  Sardegna  (V.)3  il  Papa  colla 
bolla  Beali  Jpostoloruiu  principia,  de' 
1 7  luglio  1817,  Bull.  Rom.  coni.  1. 1 4>  p« 


27' 


v  i  a 


344» ^'^•'^c  1  o  seili  vescovili  nella  profili- 
eia  cJel  Piemonte,  ed  ordinò  la  circoscri- 
zione delle  diocesi.  A  p.  35 1  si  legge  lo 
scioglimento  della  dipendenza,  che  uvea 
la  chieda  di  Vercelli,  come  divenuta  suf- 
fraganea  della  metropolitana  di  Torino, 
e  fu  eretta  in  chiesa  arcivescovile  metro- 
politana, con  tutti  i  diritti  e  prerogative, 
componendola  ci i  1  1  3  luoghi  soggetti.  Le 
assegnò  per  sufhaganee  le  chiese  vesco- 
vili di  Alessandria,  di  Biella  e  di  Casale, 
le  due  prime  ripristinate;  e  dichiarò  di 
riservarsi  in  altro  tempo  di  dilatarne,  col- 
l'aggiunta  di  altre  sulfraganee,  la  metro- 
politica giurisdizione.  Nella  bolla  s.  Eu- 
sebio è  detto  primi  illius  Sedis  Episco- 
pi et  martyris.  Inoltre  Pio  VII  compar- 
tì al  cardinal  Paolo  Giuseppe  Solaio,  già 
vescovo  d'Aosta,  le  relative  facoltà  di  par- 
ticolare delegato  apostolico,  per  l'esalta 
esecuzione  della  bolla  in  ogni  sua  parte, 
e  l'organizzazione  delle  diocesi  del  Pie- 
monte. Voleva  Pio  VII  aggiungere  alla 
nuova  metropolitana  di  Vercelli  le  chie- 
se vescovili  di  Novara  e  di  Vigevano,  le 
quali  erano  sempre  state  soggette  alla 
metropolitica  giurisdizione  dell'arcive- 
scovo di  Milano.  Morto  intanto  l'arcive- 
scovo cardinal  Gio.  Ballista  Caprara,  po- 
tè quindi  ricevere  l'adesione  dal  capito- 
lo milanese.  Perciò  inviò  al  delegato  a- 
postolico  cardinal  Solaio,  colle  analoghe 
facoltà,  il  breve  Cani  per  Nostra  lileras, 
de'26  settembre  1  8  1  7,  Bull,  cit.,  p.  387, 
per  dismembrale  dalla giurisd'zione  me- 
tropolitica dell'  arcivescovo  di  Milano  le 
chiese  di  Novara  e  di  Vigevano,  e  per  sot- 
toporle alla  soggezione  della  nuova  me- 
tropolitana di  Vercelli.  Questa  tuttora  ha 
per  suffragane'!  i  vescovati  di  Alessan- 
dria, Biella,  Casale,  Novara,  Vigeva- 
no. Quindi  peri.0  arci  vescovo  di  Vercel- 
li, Pio  VII  preconizzò  il  i.°  ottobre  181 7, 

Giuseppe  M/Grimaldi,chesinodali8i 4 
n'era  amministratore  apostolico,  trasfe- 
rendolo dalla  sede  d' Ivrea  che  governa- 
va dali8o5,  allorché  vi  fu  trasferito  da 
Pineiolo.  Egli  resse  degnamente  la  chie- 


VER 
si  vercellese  sino  al  i.°  gennaio  i83o  in 
cui  morì.  Gregorio  XVI  nel  concistoro 
de'^4  febbraio  1 83?.,  vi  traslatò  da  Ales- 
sandria, che  leggeva  dal  1818,  l'odierno 
rispettabile  pastore,  mg.r  arcivescovo  A- 
lessandro  Vincenzo  Luigi  de'  marchesi 
d'Angennes  di  Torino,  prelato  domesti- 
co ,  assistente  al  soglio  pontificio,  cav. 
grancroce,  decorato  del  gran  cordone  del- 
l'ordine de'ss.  Maurizio  e  Lazzaro,  e  cav. 
dell'ordine  supremo  della  ss.  Annunzia- 
ta, e  gli  conferì  il  pallio.  Ritenne  1'  am- 
ministrazione della  chiesa  d'Alessandria, 
finche  fu  provvista  d'altro  pastore  a' 1  5 
aprile  1  83  3.  Egli  è  caro  al  suo  popolo  pel- 
le doti  virtuose  che  lo  fregiano,  e  per  la 
sua  pastorale  carità  verso  tulli  indistin- 
tamente i  suoi  figli.  Ora  a'  3o  gennaio 
i85gil  venerando  arcivescovo  ha  bene- 
detto iu  Torino  nella  cappella  reale  il 
matrimonio  celebrato  fra  il  principe  Na- 
poleone, cugiuo  di  Napoleone  III  impe- 
ratore de'francesi,  e  la  principessa  Clo- 
tilde di  Sa  voia, primogenita  del  re  di  Sar- 
degna Vittorio  Emanuele  II:  a  tale  be- 
nedizione nuziale  assisterono  i  reveren- 
dissimi vescovi  delle  diocesi  di  Casale,  di 
Pinerolo,  di  Savona  e  di  Biella.  La  po- 
polazione di  Torino  non  poteva  associar- 
si con  maggiore  slancio  e  con  maggiore 
effusione  alla  gioia  domestica  del  re,  in 
una  congiuntura  sì  memorabile  e  sì  cara 
al  suo  cuore.  Ogni  nuovo  arcivescovo  è 
tassato  ne'libi  i  della  camera  apostolica  e 
del  sagro  collegio  in  fiorini  1,266,  essen- 
do le  rendite  della  mensa  circa  7,000  scu- 
di, gravate  di  pensione  antica  e  perpetua 
librar rnn  antiquarum  56oc  monetaepe- 
demonlanae.  L'arcidiocesi,  già  assai  va- 
sta, fu  ristretta  nel  dismembrarle  200 
parrocchie  per  formare  le  diocesi  di  Ca- 
sale e  di  Biella.  Al  presente  contienei  33 
parrocchie,  delle  quali  io  nella  città.  Tra 
le  parrocchie  esterne  sono  da  ricordarsi 
le  3  insigni  collegiate  di  Santià,  s.  Aga- 
thae  Faiium,  ufliziata  da  un  preposto  e 
da  7  canonici,  piccola  città  sulle  sponde 
del  Sesia  a  5  leghe  ovest  da  Vercelli;  s. 


VER 
Bartolomeo  di  Trino,  Triditium^  a  cui 
servono  un  preposto  e  9  canonici ,  città 
principale  del  basso  Monferrato,  già  de' 
duchi  di  Mantova,  cinta  e  innailiata  da 
due  torrenti  che  si  gettano  nel  vicino  Po, 
a  4  leghe  sud-nord  da  Vercelli;  e  di  Mas- 
serano,  3Jasseraniwt,  che  ha  un  prepo- 
sto, 8  canonici  ordinari  e  6  canonici  be- 
neficiati festivi,  città  capitale  un  lempo 
del  principato  del  suo  nome,  ai6  leghe 
al  nord  ovest  da  Vercelli.  Di  Masserano 
(V.)  e  altri  feudi  della  s.  Sede  nel  Pie- 
monte, riparlai  nel  voi.  LXXX,  p.  188 
e  1  97,  per  essersi  dal  1  85  1  tralasciata  la 
somministrazione  dell'annuo  tributo,  do- 
vuto alla  medesima  dal  redi  Sardegna, 
per  la  vicaria  temporale  di  cui  è  investi- 
to per  pontificia  concessione. 

\  ERDA  (s.),  martire.  V.  Daniele  (s.), 
prete  e  martire. 

VEPvDALA  Ugo,  CardinaleWalo  no- 
bilmente nel  castello  di  Loubens  diocesi 
d'Àuch  nella  Guascogna,  fin  dalla  giovi- 
nezza si  consagrò  all'01  dine  Gerosolimi- 
tano (^.),  che  fu  testimonio  del  suo  co- 
raggio e  valore  nell'età  freschissima  di  1 9 
anni. Si  trovò  all'assedio  dell'isola  di  Zara, 
che  Paolo  Leone  Strozzi  priore  di  Capua 
fu  costretto  a  levare,  e  dove  il  Verdala 
salvò  a  nuoto  lo  stendardo  della  religione 
con  gran  rischio  della  propria  vita.  Alla 
prodezza  avendo  congiunta  la  prudenza, 
in  breve  fu  stimato  capace  di  molti  im- 
pieghi e  splendide  cariche,  e  tra  le  altre 
ottenne  il  priorato  di  Tolosa  e  il  grado 
di  generale  d'artiglieria;  indi  fu  destina- 
to ambasciatore  di  sua  religione  in  Ro- 
ma a  Gregorio  XIII,  di  cui  si  conciliò  tal- 
mente la  stima,  che  conosciuta  la  capaci- 
tà e  le  altre  sue  belle  doti,  gli  procurò 
la  commenda  di  Pezenas.  Nel  1 582  elet- 
to gran  maestro  dell'ordine  gerosolimi- 
tano, ridusse  in  breve  gli  affari  del  me- 
desimo in  ottimo  sistema,  e  riconciliò  gli 
animi  de'cavalieri  fra  loro  alquanto  alie- 
ni e  discordi.  Chiamato  a  Roma  da  Si- 
sto V,  che  voleva  comunicargli  la  presa 
risoluzione  di  muover  guerra  a' lui  chi,  e 

VOL.  XCI1I. 


VER  273 

per  sedare  completamente  la   sedizione 
che  perseverava  nell'ordine,  e  per  impor- 
re il  silenzio  a'sollevati,  fece  il  viaggio  ac- 
compagnato da  8  grancroci   e  da   000 
cavalieri,  e  V Ingresso  solenne  itiPwi)i(t) 
colle  onorificenze  e  pompa  praticate  d'or- 
dine del  Papa,  e  descritte  in  tale  artico- 
lo. Quindi  a'  18  dicembre  i5#7  Sisto  V 
Io  creò  cardinale  diacono  di  s.  Maria  in 
Portico,  e  prefetto  delle  galere  della  Ma- 
rina pontificia  (J7.\  di  cui  il  Papa  fu  be- 
nemerito restauratore,  come  lo  celebrai 
in  tanti  luoghi.  Il  cardinale  dopo  avere 
fortificato  l'isola  di  A/tf/tó, principale  re 
sidenza  dell'  ordine,  col  castello  di  Bos- 
quet, v'introdusse  i  cappuccini  a'quali fab- 
bricò un  magnifico  convento,  e  in  miglior 
forma   ridusse  gli  statuti   della   religio- 
ne gerosolimitana,  di  cui  fece  scrivere   la 
storia  in  italiano  dal  celebre  Bosio, e  pa- 
gò 200,000  scudi  di  debili,  de'quali  era 
aggravata.  Ad  onta  però  degl'immensi 
vantaggi  ad  essa  da  lui  procurati,  pure 
si  trovò  chi  Io  accusò  a  Clemente   Vili 
come  dilapidatore  del  suo  erario  ,  onde 
per  purgarsi  da  tal  nera  calunnia  fu  ob- 
bligato mandare  in  Roma  il  proprio  ni- 
pote. Dopo  tante  illustri  imprese  e  ma- 
gnifiche opere,  segnala  tissimo  nelle  a  1  lidi 
pace  e  di  guerra,  e  formidabile  a'nemici 
del  nome  cristiano,  passò  pieno  di  gloria 
all'immortale  vita  in  Valletta  nell'isola 
di  Malta  nel  i595  d'anni  64,  e  fu  ono- 
revolmente sepolto  nella  chiesa  di  s.  Gio. 
Battista  in  un  magnifico  avello,  in  cui  si 
legge  nobile  elogio.  Errò  il  Fleury  nel- 
la Storia  ecclesiastica  ,   riferendo  che 
il  cardinale  grau  maestro,  annoialo  dai 
clamori  degl'  irritati  cavalieri  per  la  ri- 
forma degli  statuti,  abbandonala  l'isola, 
si  recò  in  Roma,  ove  morì  di  74  anni,  e 
tultociò  contro  lo  scolpilo  nell'epitaffio. 
VERDENoFEKDEN,  Vercla,  Wer- 
da.  Città  vescovile  del  regno  d'Annover, 
nel  governo  di  Stade>  capoluogo  del  prin- 
cipato e  del  baliaggio  del  suo  nome,  sul- 
la sponda  destra  dell'Allei*,  che  ivi  si  var- 
ca sopra  un  ponte,  a  7  leghe  da  Brema. 
18 


a74  ver 

Cinta  di  mura  con  3  porle,  vi  è  un'an- 
tica cattedrale,  un  ospedale,  fabbriche  di 
tabacco,  di  bina  e  d'acqnavila,  contan- 
do più  di  4,000  abitanti.  11  principato  o 
ducalo  di  Verden,  di  cui  fu  capitale,  oc- 
cupa la  parte  più  meridionale  del  gover- 
no, e  dividasi  ne'due  baliaggi,  di  Verden 
che  comprende  più  di  26,000  abitanti; 
ediRotemburgoo  Rothemburgo,  il  qua- 
le ne  conta  più  di  17,000,  di  cui  circa 
1,000  appartengono  alla  città  omonima 
che  giace  sulla  sinistra  riva  del  Wum- 
me,  e  vi  riceve  la  Rodati.  Tanto  la  città 
che  il  principato  o  ducato  di  Verden,  i 
geografi  comunemente  pongono  nella 
Germania,  nella  Baxsa  Sassonia  o  Sasso- 
nia inferiore.  Successivamente  furono  do- 
minati dal  proprio  vescovo,  dalla  Dani- 
marca, dalla  Svezia  che  l'ottenne  in  ces 
sione  dal  re  danese  Federico  III  nella  pace 
diMiinster,allora  sopprimendosi  la  sovra- 
nità del  vescovo  ed  erigendosi  in  ducato; 
finalmente  passarono  in  potere  dell' An- 
nover,  cui  però  nel  1810  furono  tolti 
da  Napoleone  I,  e  vide  la  città  e  il  duca- 
to far  parte  del  nuovo  regno  di  Westfa- 
lia,  ed  ambedue  presto  ricuperò  nel  1 8 1 4 
pel  congresso  di  Vienna.  La  sede  vesco- 
vile di  Verden  fu  eretta  da  Papa  s.  Leo- 
ne III  verso  I'  807,  ad  istanza  di  Carlo 
Magno  j  e  fatta  suffraganea  dell'  arcive- 
scovo di  Magonza;  e  vi  si  trasferì  la  sede 
vescovile  di  Barduic,  Bardovicum,  nello 
stesso  secolo.  Quest'antica  cittadella  Sas- 
sonia,vicina  a  Luneburgo,  abbattuta  nel 
1  189  da  Enrico  Leone,  fu  cagione  del- 
l'ingrandimento di  Luneburgo.  Ne  fu  1 . 
vescovo  s.  Swidberto  il  Giovane,  ingle- 
se, il  cui  corpo  fu  levato  di  sotterra  nel 
i63o  con  quelli  di  7  altri  vescovi  suoi 
successori,  ed  è  nominato  in  alcuni  mar- 
tirologi a'3o  aprile.  Non  va  confuso  con 
s.  Swidberto  il  Secchio  apostolo  de'fri- 
gioni,  de'batavi,  de'sassoni  e  altri  germa- 
nici; né  con  s.  Swidberto  abbate  nel  Cum- 
berland.  Parlando  della  1."  Canonizza- 
zione (Ar.),  secondo  alcuni  dissi  essere 
stata  attribuita  a  s.  Leone  III,  per  s. 


VER 
Swidberlo,  ecelebrata  con  Carlo  Magno 
nell' 804  in  Verden,  ina  notai  che  non 
l'ammettono  i  critici.  Secondo  quelli  che 
la  riferiscono,  sembra  che  il  servo  di  Dio 
canonizzato  fosse  il  vescovo  di  Verden, 
ed  in  tal  caso  converrebbe  anticipare  l'i- 
stituzione del  vescovato,  che  con  Com- 
manville  dissi  nell'807;  mentre  l'abbate 
di  Cumberland  fiorì  prima  di  lui,  par- 
landone Beila  nella  sua  Hist.  eccl.,  t.  4> 
e.  32;  e  l'apostolo  d/grigioni  egualmen- 
te era  anteriore,  poiché  morì  nel  7  1  3.  Po- 
teva avere  il  Papa  canonizzato  in  Ver- 
den uno  de'due  ultimi  nominati  e  poi  isti- 
tuita la  sede  vescovile,  provvedendola  di 
un  pastore  dello  stesso  nome.  Il  dotto  Ma- 
rangoni, Delle  cose  gentilesche  traspor- 
tate ad  uso  delle  chiese,  a  p.  1  r8,  sostie- 
ne che  la  r  .*  solenne  canonizzazione,  tro- 
va negli  Annali  ecclesiastici,  che  fo  quel- 
la dis.  Swidberto  vescovo  di  Werda  nel- 
la Germania,  celebrata  in  quella  città  da 
s.  Leone  III  a'4  settembre  8o3.  Aggiun- 
ge, che  già  Papa  Stefano  II,  recatosi  in 
Francia  nel  753,  fu  supplicato  da  Pipino 
re  de'franchi  di  canonizzare  s.  Swidber- 
to (dunque  non  era  il  vescovo  di  Verden, 
ma  l'apostolo  de'gi  igioni),  ed  il  Papa  ne 
commise  l'esame  e  le  sue  veci  a' vescovi 
di  Colonia,  Treveri,  Magonza  e  Liegi,  i 
quali  mentre  ordinavano  le  cose  furono 
impediti  dall'incursioni  de'sassoni.  Ces- 
sate le  quali,  l'arcivescovo  di  Colonia  col- 
locò il  corpo  del  santo  in  onorevole  avel- 
lo, il  che  fu  preceduto  da  una  sua  mira- 
colosa apparizione;  però  la  dice  Beatifi- 
cazione ,  e  non  canonizzazione  solenne. 
Che  finalmente  s.LeonelII  recatosi  inGer- 
manianeU'8o3,con  molti  cardinali  e  pre- 
lati, per  le  suppliche  dell'imperatore  Car- 
lo Magno,  trasferitosi  con  esso  in  Wer- 
da, e  recatosi  nella  chiesa,  mentre  si  can- 
tava la  messa  fu  letta  la  vita  del  santo  e 
la  relazionede'suoi  miracoli,  Papa  s. Leo, 
de  assensu  par iter,  et  consensu  suorurn 
Cardinalium,  caeterorumqut  Praclato- 
rum  illic  corani  aslantìum,  Catalogo 
Sanctorum  Confessorum  illium  adscri- 


v  eh 

psil.  Già  e  più  brevemente  ciò  narrai  nel- 
la biografìa  di  s.  Swidberto  il  Vecchio. 
Il  Baroniocon  più  diffusione  ne  tratta  al- 
l'anno 8o4,  dicendo  che  s.  Leone  III  per 
l'istanze  dell'imperatore  e  di  Felice  Hil- 
tlebaldo  arci  vescovo  di  Colonia,  sopra  un 
naviglio  si  condusse  a  Verda,  incontrato 
processionalmenle  da'monaci  di  s.  Swid- 
berto fino  al  Reno,  cogli  abitanti  di  Ver- 
da, e  l'introdussero  con  Carlo  Magno  nel- 
la chiesa  del  santo,  ove  poi  nel  suddetto 
giorno  cantò  la  messa  Hildebaldo  e  seguì 
la  canonizzazione  ,  col  suono  delle  cam- 
pane e  il  canto  del  Te  Deurn  laudamusì 
uscendo  dalle  sagre  ossa  del  santo  cele- 
ste fragranza  di  soave  odore  che  ricreò 
tutti.  Inoltre  il  Papa  determinò,  diesi  ce- 
lebrasse da'verdesi  ogni  anno  la  festa  an- 
niversaria della  canonizzazione,conceden- 
do  indulgenze  per  l'istessa  chiesa  a  tutti 
i  fedeli  che  fossero  accorsi  a'divini  uffizi. 
Donò  il  Papa  alla  chiesa  una  piccola  Cro- 
ce d'oro  con  dentro  del  legno  della  Vera 
Croce;  Carlo  Magno  le  offrì  due  calici  e 
due  ampolle  d'oro,  e  altri  ricchi  doui;  e 
per  simil  modo  tulli  gli  altri,  dal  mag- 
giore fino  al  minore,  fecero  le  loro  obla- 
zioni,  per  fare  una  preziosa  cassetta  on- 
de riporvi  le  ossa  del  santo.  Propagatasi 
per  tutta  la  provincia  la  venuta  in  Ver- 
da del  Papa  e  dell'  imperatore  ,  vi  con- 
corsero molti  popoli  de'due  sessi  per  ri- 
cevere da  s.  Leone  III  la  remissione  de' 
peccati,  la  benedizione  apostolica,  e  ve- 
dere sì  gran  solennità.  Vi  si  recò  pure 
Irrogatele  sorella  dell'arcivescovo  Hilde- 
baldo, col  primogenito  Gocellino  fanciul- 
lo, il  «piale  nello  sbarco  annegò  nel  Pie- 
no. Inconsolabile  la  madre  ricorse  con  fer- 
vore a  s.  Swidberto,  e  ottenne  che  lo  re- 
suscitasse ,  onde  col  suo  nome  lo  consa- 
grò nel  monastero  al  servigio  del  santo. 
Ma  ad  onta  di  tali  e  piùcircostanziali  rac- 
conti, il  Rinaldi  dubita  sull'epoca  del- 
l'andata in  Germania  di  s.  Leone  III,  e 
crede  doversi  anticipare;  ed  il  Novaes  più 
moderno  nega  la  narrata  canonizzazione, 
falsamente  basata  sopra  uua  lettera,  che 


VER  275 

si  pretese  attribuire  a  s.  Ludgero  vesco- 
vo di  Miinster.  Fu  vescovo  di  Verden  il 
cardinal  Brunone  sassone  figlio  d'  Otto- 
neduca  della  Francia-Renana  e  della  Ca- 
ri ntia,  cugino  dell'imperatore  Ottone  III, 
innalzatoa  tali  dignità  da  Giovanni  XVI, 
come  insigne  erudito  nell'  umane  lette- 
re, in  que'miseri  tempi,  di  molta  pietà 
fervorosa  e  assai  limosiniero,  benché  in 
giovanile  età,  per  cui  meritò  di  i/\.  anni 
succederlo  nel  pontificalo  a'  3o  maggio 
gg6  col  nome  di  Gregorio  V (V.).  Po- 
scia il  vescovo  divenne  signore  della  cit- 
tà e  suo  territorio,  e  principe  dell'impe- 
ro. Neh  568  infelicemente  apostatò  l'in- 
degno vescovo ,  ed  abbracciò  la  pretesa 
riforma  protestante.  Quando  Uibano 
Vili  ne  fece  vescovo  Francesco  Gugliel- 
mo lraUetnbei  gli  (/r.)  de'  duchi  di  Ba- 
viera, trovò  in  deplorabilissimo  slato  la 
religione  e  culto  cattolico,  descritto  nel- 
la biografia,  e  delle  miracolose  Ostie  rin- 
venute anche  in  questo,  in  uno  alle  splen- 
dide benemerenze  ,  fondandovi  due  se- 
minari, la  casa  de'gesuiti,  il  convento  de' 
francescani,  e  ripristinando  l'università, 
la  quale  vuoisi  istituzione  di  Carlo  Ma- 
gno, a  vantaggio  delle  missioni  apostoli- 
che di  Sassoniaj  per  qui  non  dire  altro, 
vi  celebrò  anche  due  sinodi.  In  premio 
dell'  immenso  bene  fatto,  anco  in  altre 
circostanti  diocesi,  nel  1 660  fu  creato  car- 
dinale. In  seguito  cessò  Verden  d'essere 
vescovato,  ed  i  cattolici  furono  sottoposti 
al  vicario  apostolico  delle  missioni  set- 
tentiiouali  di  Germania,  amministratore 
d'Osnabruck  nella  Westfalia. 

VERDUN  (Ferdumn).  Citta  con-re- 
sidenza  vescovile,  antica,  considerabile  e 
forte  di  Francia,  nella  Lorena,  diparti- 
mento della  Mosa,  già  capitale  del  Ver- 
dunois,  ed  attualmente  capoluogo  di  cir- 
condario e  di  cantone,  distante  \i  leghe 
da  Metz  e  circa  70  da  Parigi;  oplimo  sub 
coelo,  ac  in  monlis  cacumine  aedificala 
conspicitur,  conlinetque  decem  circiler 
ìncolarum  millia,  quiomnes,  nonmdlis 
exceplis  hebraeìs  ,  catholicam  re  ligio- 


276  VER 

Rem  profìtenlur.  Così  l'ultima  proposi- 
zione concistoriale.  Vi  dimorano  le  auto- 
rità governative,  e  il  tribunale  di  i  .a  islan • 
za,  quello  del  commercio,  l'ulìì/.in  della 
posta.  Situata  in  riva  al  Mosa,  questo  la 
di  vide  in  5  parti,  la  piìi  considerabile  del- 
le quali  viene  chiamata  città  Alta.  Altri 
dicono  che  dividevasi  in  3  parti,  cioè  la 
città  Alta,  la  Bassa  e  la  Nuova.  Cinta  di 
mura  guei nile  di  bastioni  e  mezzelune,  il 
tracciato  delle  fortificazioni  è  irregolare. 
Desse,  e  la  ben  munita  cittadella,  rico- 
nosciuta chiave  della  Sciampagna,  sono 
opere  del  cav.  de  Ville  e  del  maresciallo 
Vauban.  Le  diverse  braccia  della  Mosa 
sono  nella  città  traversale  da  vari  pon- 
ti. La  cattedrale,  sufficiente  ampia  e  de- 
cente, è  un  edilizio  d'ottima  struttura  e 
di  architettura  mista,  e  trovasi  in  buono 
stato.  E'  sotto  l'invocazione  di  Maria  sem- 
pre Vergine  o  Nostra  Donna,  in  cui  am- 
mirasi l'altare  maggiore.  Tra  le  ss.  Re- 
liquie è  in  gran  venerazione  il  corpo  di 
s.  Santino i.°  vescovo  di  Verdun.  Vi  è  il 
battisterioe  la  cura  d'anime  amministra- 
ta dal  parroco.  Il  capitolo  si  compone  d'8 
canonici  titolari  e  di  diversi  onorari,  e 
nelle  feste  intervengono  all'uflìziatura  gli 
alunni  del  gran  seminario.  L'antico  ca- 
pitolo formavasi  di  7  dignità,  fra  le  quali 
l'arcidiacono,  il  primicerio,  il  tesoriere,  il 
cantore  ec,  e  di  /\i  canonici.  Il  cardinal 
Ugo  Guglielmo  di  Scagno  (V.)  di  Ver- 
dun ,  ottenne  da  Papa  Nicolò  V  per  la 
chiesa  patria,  fra  l'altre  cose,  la  conferma 
degli  statuti  del  capitolo,  pe'quali  i  nuo- 
vi canonici  dovevano  giurare  d'esser  nati 
di  legittimo  matrimonio  e  di  libera  con- 
dizione. L'episcopio  è  vasto  e  convenien- 
te, trovasi  pressoché  annesso  alla  catte- 
drale: questi  due  edilìzi,  e  la  sala  degli 
spettacoli,  sono  le  fabbriche  più  notabili 
della  città.  Vi  sono  altre  chiese,  due  del- 
le quali  parrocchiali  e  munite  del  s.  fon- 
te, diverse  case  religiose  di  donne,  com- 
prese le  sorelle  della  Carità,  due  ospedali 
uno  militare  e  l'altro  civile,  grande  e  pic- 
colo seoiiuario,  il  collegio  comunale,  uu 


VER 
tèmpio  protestante,  la  sinagoga  degli  e- 
brei.  Prima,  dopo  la  cattedrale  figuravi 
per  principale  chiesa,  quella  dell'antica  0 
celebre  badia  di  s.  Vitoneo Vittore  o  Van- 
ne*, perciò  delta  di  s.  Vanues  ,  situata 
nella  cittadella,  poi  Unita  alta  mensa  ve- 
scovile, dove  aveva  avuto  origine  nel  de- 
clinar del  secolo  XVI  la  riforma  de'mo* 
naci  benedettini  del  monastero,  e  quindi 
la  rinomata  congregazione  di  Lorena  o 
di  s.  VatimS)  articolo  che  rannodasi  col 
presente.  Insomma  da  essa  derivò  la  re- 
staurazione della  disciplina  monastica  in 
Francia  e  in  Lorena  ,  e  fece  rivivere  lo 
spirilo  di  s.  Benedetto;  e  quindi  ne  deri- 
vò ancora  la  celebre  congregazione  di  s. 
Mauro  (Z7.).  Ertavi  altresì  in  Verdun 
le  abbazie  di  s.  Agerico  e  di  s.  Paolo,  le 
monachedis.  Mauro;  e  nella  diocesi  le  ab- 
bazie di  Beaulieu,  di  s.  Michele  e  di  Cha- 
stillon.  Di  piti  fiorì  in  Verdun  la  colle- 
giata di  s.  Maddalena,  che  avea  3  digni- 
tà e  20  prebende,  un  collegio  di  gesui- 
ti, e  molle  altre  case  religiose.  11  vesco- 
vo qualificavasi  conte  di  Verdun  e  prin- 
cipe del  s.  Impero  romano.  Verdun  van- 
ta diversi  illustri,  il  vescovo  d'Agen  Clau- 
dio Joly,  il  bravo  Francesco  di  Clievert 
ec.  Ha  molte  fucine,  concie  di  cuoi,  ve- 
triere  ,  cartiere  e  gualchiere.  Fabbrica 
tele,  bambagine,  panni  comuni,  flanelle 
d'Inghilterra,  saie  incrociate  dette  di  Ver- 
dun, confetture  e  liquori,  i  suoi  confetti 
essendo  rinomati.  11  suo  traffico  è  molto 
esleso,  e  consiste  in  vino,  panni,  olii,  dro- 
ghe, ferro,  legna,  Bromati,  colori  e  pelli. 
Le  due  fiere  del  2  5  maggio,  e  del  1 2  no- 
vembre durano  3 giorni.  Ne  dipendono i 
cantoni  di  Varennes,  Soulli,  Cliarni,  E- 
tain,Clermont, e  Fresne-en-Vaevre,  con 
i5o  comuni.  Nella  piccola  città  di  Va- 
rennes, a  7  leghe  da  Verdun,  fu  arresta- 
to il  virtuoso  e  sventurato  Luigi  XVI  ar 
22  giugno  1791,  mentre  muovea  perla 
frontiera  Belgica. 

Era  Verdun  già  cousiderabile  quando 
i  romani  fecero  la  conquista  della  Gallia 
Belgica,  a  cui  apparteneva;  la  sua  situa- 


VER 

zione  vantaggiosa  indusse  Giulio  Cesare 
ad  impadronirsene,  per  farne  il  deposilo 
e  il  magazzino  de'suoi  eserciti  che  armeg- 
giavano sulla  medesima  frontiera.  I/lli- 
nerario  d'Antonino  è  il  più  antico  docu- 
mento in  cui  sia  fatta  menzione  di  Ver- 
dun. In  latino  fu  denominata  con  diver- 
se lezioni:  Firedieniim)T7iredunumi  Vi' 
ridunum,  Virdumim,  e  più  comunemen- 
te Vcrodunum  o  Pirodiinum,  anche  Ve> 
redima.  Pumasta  sotto  il  dominio  de' ro- 
mani sino  al  VI  secolo,  allorché  i  fran- 
chi fecero  il  conquisto  delle  Gallie,  Ver- 
dun colla  provincia  della  i."  Belgica, alla 
quale  apparteneva,  fu  attribuita  al  regno 
d'Australia,  e  divenne  famosa  pel  tratta- 
to detto  di  Verdun,  perchè  ivi  concluso 
nell'843,e  riferito  dal  conte  Gatti  nel  Ri- 
stretto de' principali  trattati  di  pace.  Ec- 
cone un  cenno.  L'imperatore  Lodovico  I 
il  Pio,  figlio  di  Carlo  Magno,  dopo  aver 
mandato  aLotario  I  suo  primogenito  l'in- 
segne della  podestà  imperiale,  e  di  aver- 
gli raccomandato  proteggere  l'ancor  gio- 
vane Carlo  I  il  Calvo  re  de' franchi,  al- 
tro suo  figlio,  morì  in  Ingelheim,  a' 20 
giugno  840.  Lotario  I,  che  allora  era  in 
ltalia,spedì  subito  segreti  messaggi  a  mol- 
ti signori,  specialmente  di  Francia,  per 
farsi  riconoscere  solo  signore,  e  passate 
l'Alpi  si  recò  in  Borgogna.  I  due  suoi  fra- 
telli Lodovico  re  di  Baviera  e  Carlo  ì  re 
de'franchi,  che  per  la  divisione  paterna 
erano  a  parte  di  porzione  dell'impero,  in- 
vano procurarono  rappresentare  l'ingiu- 
sto suo  procedere,  Lotario  I  esigendo, 
come  imperatore,  che  fossero  a  lui  sog- 
getti. Si  venne  alle  armi,  seguirono  fazio- 
ni guerresche,  tregue,  accordi,  divisioni 
di  domimi:  tutto  inutilmente  per  l'ecces- 
sive esigenze  di  Lotario  I.  1  fratelli  quin- 
di appellarono  a  Dio  e  alle  loro  spade  : 
a'25  giugno  841  essi  riportarono  a  Fon- 
tenay  la  memorabile  vittoria,  ove  dicesi 
perirono  1  00,000  combattenti,  e  Lotario 
1  si  ritirò  in  Aquisgrana,  usando  anche 
mezzi  illeciti  per  soverchiare  Lodovico  e 
Carlo  1,  i  quali  in  Strasburgo  giurarono 


VER  277 

a'22  febbraio  842  alleanza  perpetua,  e 
quindi  inviarono  ambasciatori  a  Lotario 
1  offrendogli  pace.  Invano:  si  ripresero  le 
armi,  e  Lotario  I  fuggì  a  Lione.  I  suoi 
fratelli  portatisi  in  Aquisgrana,  fecero  di- 
chiarare l'imperatore,  perla  guerra  in- 
giusta che  loro  faceva,  spergiuro  e  deca- 
duto da'suoi  diritti  sui  regni  di  Francia 
e  di  Germania,  de'quali  essi  n'erano  di- 
venuti legittimi  possessori.!»)  seguito  Car- 
lo I  e  Lodovico  si  divisero  i  domimi  :  a 
ciò  che  apparteneva  al  re  di  Baviera,  si 
aggiunse  la  Frisia,  la  Germania,  e  tut- 
lociò  che  è  tra  la  Mosa  e  il  Reno;  Carlo 
I  ebbe  il  resto.  Non  ostante  si  venne  a  trat- 
tative con  Lodovico  I,  che  ancora  avea 
forze  bastanti  per  farsi  temere,conseguen- 
za  delle  quali  fu  la  convenuta  riunione 
de'3  fratelli  in  Verdun  nell'agosto  843, 
per  dividersi  la  vasta  monarchia  de'fran- 
chi. All'imperatore  rimase  tutto  il  paese 
tra  il  Reno,  la  Mosa  e  l'Oceano,  la  Pro- 
venza, la  Savoia  e  la  Svizzera,  i  Grigio- 
ni,  col  regno  d'Italia;  ed  allora  il  paese 
della  Lorena  ebbe  questo  nome  dal  far 
parte  del  regno  di  Lotario.  Lodovico  eb- 
be la  Baviera,  parte  della  Fannonia,  la 
Sassonia  e  tutte  le  provincie  della  Germa- 
nia di  là  dal  Reno,  co'  vescovati  di  Ma- 
gouza,  Spira  e  Worms.  Dice  il  Gatti:  al- 
lora la  Germania  cominciò  a  formare  un 
regno  da  se  sola.  A  Carlo  I  poi  rimase  la 
parte  occidentale  della  Francia,  cioè  dal- 
l'Oceano fino  alla  Mosa  e  alla  Schelda, 
e  sino  al  Rodano,  alla  Saona  eda'Pire- 
nei.  Lotario  I  con  tal  divisione  perdette 
molte  provincie  dal  padre  lasciategli  nel- 
la Germania.  Altra  conseguenza  del  fa- 
moso trattato  di  Verdun,  fu  la  riunione 
de'3  fratelli  aMarsne  sullaMosa  nell'847, 
dove  stabilirono  con  altro  patto:  Che  vi 
sarebbe  pace  e  concordia  fra  di  essi.  Che 
si  adoprerebbero  per  difendere  la  Chie- 
sa di  Dio  da'suoi  nemici  (allora  i  princi- 
pali erauo  gì' 'iconoclasti  ed  i  saraceni). 
Che  i  loro  figli  erediterebbero  la  corona 
de'padri  aveudo  pe'zii  il  dovuto  rispetto. 
Che  i  vassalli  non  sarebbero  d'ora  in  a- 


278  VER 

vanti  tenuti  a  militare  pel  re,  a  meno  che 
ne'casi  di  guerre  generali  e  d*  invasioni 
straniere.  Convennero  inoltre  che  ogni 
uomo  libero  potrebbe  scegliere  il  suo  si 
guore  tra  il  re  e  i  suoi  vassalli.  Adunque 
dal  IX  secolo  Verdun  fece  parie  del  re- 
gno di  Lotario  1  e  passò  nel  dominio  del 
suo  figlio  Lotario  ,  col  nome  di  Lorena 
(/'.),  a  cui  rimase  sempre  addetto.  In  se- 
guito Verdun  e  tutta  la  Lorena  fu  con- 
quistata da  Ottone  I  re  di  Germania,  il 
quale  verso  l'anno  g5o  die' un  conte  a 
Verdun,  e  nel  gSg  la  Loiena  cominciò 
ad  avere  un  duca  particolare  in  Federi- 
co I,  cognato  d'Ugo  Capeto  poi  capo-sti- 
pite de'Capeli  re  di  Francia.  Avendo  Ot- 
tone I  dato  il  ducato  di  Lorena  a  suo  fra- 
tello Brunone  arci  vescovo  diColonia,  que- 
sto hi  divise  in  due  provincie,  lai."  del- 
le quali  si  disse  Alta  Lorena  o  Mosci- 
lana,  perchè  attraversata  dalla  Mosa  o 
Mosella,  l'altra  della  Bassa  Lorena,  e 
comprendeva  il  Brabante,  il  Cambresis, 
il  vescovato  di  Liegi  e  la  Gueldria.  Il  con- 
te di  Verdun  creato  da  Ottone  I,  fu  Gof- 
fredo il  Vecchio  figlio  di  Gozilon  e  di  Vo- 
da  ,  e  nipote  per  parte  di  suo  padre  di 
Wigeric  conte  di  palazzo  sotto  il  regno 
di  Catlo  111  il  Semplice  re  di  Francia,  e 
ceppo  della  casa  d"  Ardennes  :  approvò 
colla  sua  firma  ,  in  qualità  di  conte  di 
Verdun,  l'atto  di  fondazione  del  mona- 
sfero  di  s.  Vannes,  fatta  dal  vescovo  di 
Verdun  Berengario.  Questo  è  il  più  an- 
tico documento  del  potere  esercitato  dal 
conte  di  Verdun.  Nel  973,  dopo  la  mor- 
te di  Garoier  e  di  Rinaldo  couti  d'Hai- 
naut,  fu  nominalo  Goffredo  con  Arnol- 
do, dall'imperatore  Ottone  II,  per  sosti- 
tuirli; ma  nel  977  vennero  destituiti  da 
Carlo  di  Francia  duca  della  bassa  Lore- 
na. Non  avendo  Goffredo  potuto  ottene- 
re giustizia  di  simile  procedura  da  Ot- 
tone II,  si  ritirò  nella  sua  contea  di  Ver- 
dun, senza  però  rimanere  meno  addetto 
a  quel  principe.  Nel  978  egli  f accompa- 
gno nella  sua  spedizione  di  Francia  per 
vendicarsi  di  Lotario,  che  gli  avea  tolto 


VER 

per  sorpresa  Aquisgrana,  mentre  stava 
per  porsi  a  tavola  e  postolo  a  pericolo  di 
esser  fatto  prigione.  Fu  egli  che  reduce 
dall'esercito  imperiale,  sulla  fine  di  no- 
vembre consigliò  l'imperatore  a  passare 
il  fiume  di  Aisne,  risparmiando  così  una 
grande  effusione  di  sangue  che  avrebbe 
occasionato  dall'una  e  l'  altra  parte  una 
battaglia  colle  truppe  di  Lotario  che  com- 
parvero il  giorno  seguente.  Poco  dopo 
Goffredo  unito  al  conte  Arnoldo  distrus- 
se in  un  mattino  un  castello  che  Ottone 
figlio  d'Alberto  conte  di  Vermandois  fa- 
ceta erigere  a  Vinchi  nel  Cambresis,  a 
malgrado diBothard  veseovodiCambray, 
colla  mira  di  nuocergli.  Dopo  la  morte 
d'Ottone  li,  accaduta  nel  983,  il  re  di 
Francia  Lotario  voleva  giovarsi  delle  tur- 
bolenze per  riavere  la  Lorena  ,  occasio- 
nale nell'impero  dalla  minorità  di  suo  fi- 
glio Ottone  III.  Con  tale  divisameuto  eu- 
trò  tosto  in  quel  paese  nel  984  col  pre- 
testo di  punire  alcuni  signori  delle  rapi- 
ne da  essi  praticate  alle  frontiere  di  Fran- 
cia. Presentatosi  davanti  Verdun,  lo  strin- 
se d'assedio,  ma  fu  dal  valore  di  Goffre- 
do costretto  a  levarlo.  Lotario  per  riva- 
lersi di  questo  rovescio  diede  il  guasto  al 
paese.  Lo  inseguì  Goffredo  accompagna- 
to da  Sifredo  suo  zio  conte  di  Luxem- 
burgo.  Raggiunta  l'armata  francese  le 
die'  battaglia,  ma  rimase  vinto  e  fatto  pri- 
gione collo  zio  e  altri  personaggi  distinti. 
La  città  di  Verdun  compresa  di  spaven- 
to deputò  al  vincitore  certo  Gober  per 
presentargli  le  chiavi,  sperando  con  que- 
sta sottomissione  gli  restituisse  i  suoi  cit- 
tadini prigionieri.  Lotario  entrò  in  fatti 
in  città  e  ne  mandò  liberi  alcuni,  ma  trat- 
tenne Goffredo  e  Sigefredo,  spedendoli 
entrambi  in  un  castello  sulla  Marne  per 
esservi  rinchiusi  sotto  custodia  di  Ottone 
conte  di  Borgogna  e  di  Ei  berlo  conte  di 
Troyes.  Durante  la  prigionia  Golfredo 
soffrì  uno  de'piìi  pungenti  rammarichi 
per  la  proibizione  fatta  da  Lotario  alla 
città  di  Verdun  di  ricevere  Adalberon  fi- 
glio di  esso  conte,  dalla  medesima  eletto 


VER 
per  vescovo  sul  finir  di  quell'anno  o  al 
principio  del  seguente.  Inoltre  il  re  sfogò 
il  proprio  risentimento  sopra  Adalberon 
o  Adalberto  arcivescovo  di  Reims, fratel- 
lo del  conte  e  zio  del  prelato  eletto,  per 
avergli  conferitogli  ordini  sagri  e  man- 
dalo all'imperatore  a  chiedere  la  confer- 
ma di  sua  elezione.  Non  avendo  potuto 
indurlo  a  scomunicar  suo  nipote,  Lota- 
rio di  prepotenza  Io  fece  arrestare  e  por- 
re in  prigione,  minacciandolo  della  vita. 
Frattanto  il  giovaue  imperatore  Ottone 
111,  sollecitato  da'congiuuti  di  Goffredo, 
Uligava  il  monarca  francese  a  restituir- 
gli Verdun  e  mettere  in  libertà  il  conte. 
Vi  acconsenti  Lotario,  ma  a  3  durissime 
condizioni:  i.°  che  Goffredo  restituisse  la 
città  di  Mons  al  conte  Rainiero,  colle  al- 
tre piazze  che  riteneva  dell'Hainaul;  2.° 
che  obbligasse  suo  figlio  a  rinunciare  al 
vescovato  di  Verdun,  ed  egli  stesso  si  spo- 
gliassedella  contea  di  questa  città;  3.°  che 
gli  facesse  omaggio  dell'altre  terre  cui 
possedeva  nell'Ardenue  parte  dellaSciam- 
pagna.  Goffredo,  eh'  era  di  alti  sentimen- 
ti, non  volle  a  condizioni  sì  umilianti  ri- 
cevere la  propria  libertà,  e  indusse  anche 
il  celebre  Gerberlo  (probabilmente  l'  a- 
inico  dell'arcivescovo  Adalberto,  quel- 
lo che  fu  poi  Papa  Silvestro  II)  a  scrive- 
re alla  conlessa  Matilde  sua  moglie,  per 
esortarla  a  non  abbandonarsi  alla  tri- 
stezza per  amore  di  lui,  a  conservarsi  fe- 
dele all'imperatrice  Teofania  madre  e  tu- 
trice  di  Ottone  III,  a  non  istringere  alcun 
trattato  colla  Francia,  uè  sotto  pretesto 
di  procurargli  la  libertà,  uè  colla  spe- 
ranza di  garantir  dalla  morte  lui  ed  il  fì- 
glio,e  a  ben  custodire  le  sue  fortezze.  Tan- 
to adempì  Gei  beilo  cou  lettera  de'  22 
marzo  980;  ed  iu  altra  accenna  aH'incir- 
ca  le  slesse  cose  aligli  di  Goffredo  e  Sì- 
gefredo  per  ordine  del  loro  padre.  Tra  le 
piazze  cui  raccomanda  loro  custodire  cou 
maggior  cura,  notniuaScarpoune,  oggidì 
villaggio  di  Charpàigne  sulla  Mosella,  ed 
altro  luogo  nominato  Haidon-Chalel. 
Gei  bei  lo  gli  esorta  ad  assoldar  truppe,  a 


VER  279 

combattere  per  la  patria,  e  dt*re  a  vede- 
re a'nemici  che  dopo  essersi  impadroniti 
della  persona  di  Gollredo,  non  lo  aveano 
altrimenti  tulio  intero  in  loro  potere.  Fi- 
nalmente li  consiglia  ad  affezionarsi  ad 
Ugo  Capelo  duca  di  Fraucia,  assicuran- 
doli che  mercè  la  protezione  di  quel  prin- 
cipe uulla  hanno  a  temere  per  parte  de- 
gli altri  principi  francesi.  Fu  certo  per  la 
mediazione  di  questo  duca  posto  in  li- 
bertà Sigefredo  prima  de'  1 9  maggio  985, 
non  si  sa  sotto  quali  condizioni;  laddove 
Goffredo  rimase  prigione  sino  alla  mor- 
te di  Lotario  accaduta  a'  2  marzo  986. 
Allora  il  nuovo  re  Luigi  V  il  IVullqfecc, 
si  mostrò  più.  trattabile  sulla  liberazione 
del  conte,  che  uscì  di  prigione  a'  1 7  del 
successivo  maggio,  dopo  aver  dovuto  ri- 
nunziare ad  alcune  piazze  del  vescovato 
di  Verduu,  col  consenso  del  vescovo  suo 
figlio.  L'arcivescovo  di  Reims  suo  fratel- 
lo si  richiamò  da  quei  trattalo  con  lette- 
ra all'imperatrice  Teofania,  per  indurla 
a  non  permettere  che  avesse  luogo,  sic- 
come tendente  alla  rovina  delle  chiese  e 
a'dauni  della  famiglia  imperiale.  Ignora- 
si l'effetto  di  tali  rimostranze,  ma  fu  fat- 
ta la  pace  tra  l'impero  e  la  Francia  a'  1  7 
giugno  986.  Verduu  venne  restituita  al- 
l'impero, come  testifica  Gerberlo,  ch'eb- 
be grau  parte  a  quell'opera.  Goffredo  ri- 
messo iu  libertà  e  al  possesso  di  sua  cou- 
tea,ue  die'qualche  tempo  dopo  la  sua  di- 
missione a  favore  di  Federico  suoZf-0  fi- 
glio, conservando  l'amministrazione  de- 
gli altri  suoi  domimi.  Nel  1004  <-'g!i  edi- 
ficò il  castello  di  Einham  presso  Onde- 
nard  sull'Escaut.  Era  esso  il  retaggio  di 
sua  moglie  Matilde.  Sino  allora  quel  luo- 
go era  di  poca  cousiderazione,  ma  ne  ac- 
quistò molla  perle  cure  di  Goffredo  e  del- 
la moglie  nel  farvi  fiorire  il  commercio 
collo  stabilimento  del  porto,  fiere  e  una 
abbazia  presso  la  sua  cinta.  Morto  Gof- 
fredo a'4  settembre,  ignorandosi  l'auno, 
col  titolo  di  duca,  gli  fu  posto  un  epitaf- 
fio nella  chiesa  di  s.  Pietro  di  Gand,  da 
Flavigni  lodato:  Viv  probilaie,  gratiat 


280  V  K  R 

(ìiviliis  et  honovibus  inter  magnates  no- 
mìnatissimut.  Sua  moglie  Malizie  mor- 
ta dopo  a'^4  luglio  1009,  fu  sepolta  nel- 
la badia  di  s.  Vannes  eli  Verdun;  era  fi- 
glia di  Ermanno  Billing  duca  di  Sasso- 
nia, ed  in  prime  nozze  avea  sposato  Bal- 
dovino 111  conte  di  Fiandra.  Da  Goffre- 
do ebbe  5  figli,  i  due  primi  de'quali  Gof 
freclo  e  Gozelm  o  Gothelm,  furono  l'u- 
no dopo  l'altro  i  duchi  della  bassa  Lore- 
na, e  credo  di  non  andar  lungi  dal  vero, 
con  sospettare  che  un  figlio  dell'uno  o  del- 
l'altro sposò  la  celeberrima  Matilde  mar- 
chesana di  Toscana  (V.);  Adalberon,  il 
3.°,  fu  il  detto  vescovo  di  Verdun,  mor- 
to a*  1 8  aprile  988  nel  ritornar  da  Saler- 
no, ov' erasi  recato  per  consultare  sulla 
malferma  sua  salute  i  dottori  di  quella 
famosa  scuola  di  medicina;  Federico  che 
segue,  ed  Ermanno  che  succederà,  furo- 
no i  due  ultimi.  Federico  divenne  conte 
di  Verdun  nel  988  circa,  e  amministrò 
la  contea  con  molla  saggezza  e  pietà. Nel 
997  iulraprese  un  pellegrinaggio  a  Ge- 
rusalemme. Al  suo  ritorno  volendo  ri- 
nunziare al  mondo,  fece  donazione  della 
contea  di  Verdun  al  vescovo  Ileimon  o 
Haymo,  ed  a'suoi  successori  nella  chiesa 
di  Verdun:  donazione  ratificata  da  un  di- 
ploma d'Ottone  111  imperatore.  11  conte 
Federico  si  ritiiòpoi  nella  badia  di  s.  Van- 
nes, ove  passò  santamente  il  rimanente 
de'suoi  giorni,  cui  terminò  nel  i  022.  Er- 
manno ,  detto  anche  Llezelon  o  Eurico, 
fratello  di  Federico,  fu  nominato  viscon- 
te di  Verdun  dal  vescovo  Heimon,  allor- 
ché questo  prelato  fu  posto  al  possesso 
della  contea  della  città.  Ebbe  però  sem- 
pre il  titolo  di  conte,  aitesi  i  suoi  natali. 
Egli  era  uno  de'  più  facoltosi  signori  di 
Lorena,  e  oltre  i  domini!  legatigli  dal  pa- 
dre, godeva  della  terra  d'Einham  reca- 
tagli in  dote  da  Matilde  sua  sposa,  figlia 
di  Luigi  conte  di  Dagsbourg.  Andavano 
in  lui  del  pari  colla  ricchezza  la  prudeu- 
za  e  il  valore.  Professava  anche  divozio- 
ne., e  il  inouasleio  di  s.  Laurent  di  Liegi 
lo  riguardava  per  uno  de'suoi  principali 


V  É:l 

fondatori.  Egli  difese  Goffredo  suo  fra- 
tello duca  della  bassa  Lorena. controLnm- 
bert  conte  di  Lovanio  ed  Alberto  conle 
di  Namurche  gli  contrastavano  quel  du- 
cato.Nelf  oi3  egli  marciò  in  aiuto  di  Bai- 
dric  vescovo  di  Liegi,  attaccato  da  Lam- 
bert in  occasione  che  avea  eretto  il  ca- 
stello di  Ilugarde,  colla  mira  di  favorire 
il  partito  di  Goffredo.  A'  io  ottobre  si 
die'  battaglia  presso Florenes,  in  cui  i  lie- 
gesi  rimasero  sconfìtti.  II  conte  Erman- 
no fece  neir  azione  prodigi  di  valore,  e 
dopo  la  rotta  de'liegesi,  fattosi  forte  en- 
tro una  chiesa,  vi  si  difese  con  una  ma- 
no di  gente,  finche  sopraffallo  dal  nume- 
ro dovette  arrendersi.  Ma  la  contessa  Er- 
mengarda,  madre  del  conte  di  Nauiur, 
alla  cui  custodia  Lambert  avea  affidato 
quel  prigioniero,  procurò  riconciliare  suo 
figlio  coll'imperatore  s.  Enrico  II,  tulio 
di  voto  alla  casa  di  Ardennes,  prometten- 
do a  questa  condizione  di  lasciar  in  liber- 
tà Ermanno,  all'insaputa  del  conte  di  Lo- 
vanio. Vi  acconsentì  l'imperatore  mercè 
la  mediazione  de'  vescovi  di  Liegi  e  di 
Cambray,che  ne  lo  aveano  pregato  a  Co- 
blenlz.  Ritornato  in  libertà  Ermanno, 
non  trascinò  gl'interessi  di  suo  fratello, 
e  morì  nel  1028,  secondo  il  moderno  sto- 
rico della  chiesa  di  Verdun;  però  il  Mar- 
lene prova  che  ancor  vivea  a'3  novem- 
bre io34-  Pretende  Meier,  ch'egli  abbia 
finito  i  suoi  giorni  nella  badia  di  s.  Van- 
nes ov' erasi  ritirato.  Dal  suo  matrimo- 
nio ebbe  parecchi  figli,  la  più  parie  de' 
quali  morirono  nell'infanzia,  e  ninno  gli 
sopravvisse.  Due  di  loro,  mossa  rissa  in- 
sieme, si  uccisero  a  vicenda  a  furia  di  col- 
pi di  spiedo  nella  cucina  del  loro  padre. 
Odda  primogenita  d'Ermanno  fu  bades- 
sa di  s.  Odila  nell'Alsazia;  Matilde  la  2.* 
si  rnarilò  a  Rannero  IV  conle  d'Hainaut; 
Derida  la  3/  morì  prima  dell'età  pube- 
re. Nel  1028  GozelonoGolhelon  I,  figlio 
di  Goffredo  il  Vecchio  educa  della  bas- 
sa Lorena,  fu  il  successore  di  Ermanno 
suo  fratello  nella  viscontea  di  Verdun. 
Ma  non  contento  di  questo  titolo,  volte 


VER 
richiamarsi  contro  la  clonazione  fatta  da 
Federico  suo  fratello  alla  chiesa  di  Ver- 
dun, e  ricorse  al  consiglio  imperiale  per 
farla  cassare.  Non  essendogli  stato  favo- 
revole il  giudicato  di  quel  tribunale,  im- 
piegò la  via  delle  armi  per  porsi  al  pos- 
sesso della  contea  di  Verdun,  uccise  pro- 
ditoriamente sulla  montagna  di  s.  Van- 
nes  Luigi  di  Chini,  di  fresco  nominato  dal 
vescovo  a  suo  visconte,  e  diede  alle  fiam- 
me 1'  episcopio.  Lo  storico  moderno  di 
Verdun  dice  che  l'imperatore  Corrado 
11  il  Salico,  per  consiglio  dell'arcivesco- 
vo Ermenfredi,  definì  quella  controver- 
sia con  dare  a  Gothelou  I  il  ducato  del- 
l'alta Lorena;  ma  l'antica  storia  compen- 
diata de'vescovi  di  Verdun,  nulla  dice  in 
tale  proposito.  E'  certo  però  che  Gothe- 
lou I  non  pervenne  al  ducato  dell'alta 
Lorena  se  non  nel  io34  circa,  e  non  è 
men  certo  ch'egli  continuò  ad  esercitare 
il  suo  potere  in  Verdun,  sia  col  titolo  di 
conte,  sia  con  quello  dì  visconte,  sino  al- 
la sua  morte  avvenuta  nelio43.  Tale  fu 
l'origine  della  casa  di  Ardennes.casa  illu- 
stre  che  deve  la  sua  denominazione  non 
ad  una  contea  d'Ardennes  propriamen- 
te detta,  che  non  ha  mai  esistito,  ma  a' 
gran  dominii  da  essa  colà  posseduti. E  da 
notarsi,  che  dopo  la  divisione  delle  due 
Lorene,  sul  principio  tutti  i  piccoli  sta* 
ti  o  contee  che  le  componevano,  dipen- 
devano immediatamente  dall'impero,  il 
che  non  toglieva  che  il  rispettivo  duca 
non  possedesse  qualche  superiorità  sui  si- 
gnori particolari.  Era  specialmente  debi- 
to di  questi  di  porsi  sotto  le  sue  insegne  o- 
gniqualvolta  venivano  convocati  pel  ser- 
vigio dell'imperatore.  Nelle  città  vescovili 
gl'imperatori  conservarono  lungamente 
delle  contee,  anche  dopo  che  i  vescovi  co- 
minciarono a  godere  superiorità  e  signo- 
ria territoriale  sotto  certi  riguardi.  Ed  è 
pure  da  osservare  che  i  ter  ri  lori  i  di  Ti  e  ve- 
ri, Metz,  Toul  e  Verdun  vennero  nella 
divisione  della  Loiena  smembrati,  né  più 
riconobbero  nell'ordine  fendale  altro  su- 
periore, Uanue  il  capo  dell'impero, quiu- 


VER  28! 

di  i  vescovi  principi  dell'impero,  come 
questo  di  Verdun.  A  Golhelone  I,  duca 
dell'alta  e  bassa  Lorena,  nelio43  l'im- 
peratore Enrico  III  nominò  duca  e  suc- 
cessore dell'alta  Lorena  il  di  lui  secondo- 
genito Gotheloue  li  il  Neghino  so,  a  mal- 
grado di  Goffredo  il  Barbuto  suo  fratel- 
lo maggiore  duca  della  bassa,  che  preten- 
deva all'intera  successione  paterna.  Mor- 
to Gothelone  1 1  nel  1  0^.6  senza  lasciar  po- 
sterità, Enrico  HI  creò  duca  dell'alta  Lo- 
rena Alberto  o  Adalberto  d'Alsazia,  per 
cui  adirato  nuovamente  Goffredo  il  Bar- 
Z>«/o,co!legatosi  co'conli  di  Fiandra  e  d'O- 
landa, scorse  tutta  la  Lorena  con  in  ma- 
no il  ferro  e  le  faci,  nel  r  048  prese  anche 
Verdun,  ed  uccise  nella  pugna  Alberto, 
al  quale  successe  il  fratello  cadetto,  altri 
Io  dissero  nipote,  Gerardo  d'Alsazia,  cep- 
po dell'augusta  casa  d'Austria. Enrico  UE 
fece  imprigionare  Goffredo  il  Barbuto, 
che  ricuperata  la  libertà,  riprese  le  armi, 
bruciò  il  magnifico  tempiodella  D.  Ver- 
gine di  Verdun,  e  poi  pentito  Io  fece  rie- 
dificare più  sontuoso,  facendo  per  peni- 
tenza  egli   slesso    I*  ufficio  di   manuale. 
Nello  stesso  1048  il  cugino  di  Gherardo 
d'Alsazia,  divenne  Papa  s.  Leone  //Y,che 
ritenendo  il  suo  vescovato  di  Toul,  nel 
visitarlo  da  Papa,  in  uno  a  diverse  parti 
della  Lorena  onorò  di  sua  presenza  an- 
che Verdun.  Questa  città  nella  signoria 
del  suo  vescovo  si  conservò  libera  e  im- 
periale, nel  5.°  circolo  dell'impero,  fino  al 
1 552  in  cui  l'occupò  insieme  alla  Lorena 
Enrico  II  re  di  Francia,  gli  abitanti  es- 
sendosi posti  sotto  la  sua  protezione;  e 
poi  nel  1648,  pel  trattato  di  M  mister,  la 
città  colla  contea  di  Verdun  furono  de- 
finitivamente riunite  alla  Francia.  Nel 
settembre!  792  Verdun  fu  bombardala 
e  presa  da'prussianijma  a'20  dello  stesso 
mese,  il  general  Rellerman  riporlo  sui 
medesimi  tal  segnalata  vittoria,  ne'campi 
di  Valmy  nel  dipartimento  della  Marna, 
che  non  solo  ricuperò  Verdun,  ma  liberò 
il  territorio  francese  da' prussiani;  onde 
poi  il  suo  cuore  fu  deposto  nel  campo  del 


282  VER 

suo   trionfo  con   monumento  onorario. 

Nell'impero  di  Napoleone  I  vi  si   formò 

un  deposito  di   prigionieri  di  guerra  in 

glesi. 

La  sede  vescovile  fa  eretta  nel  IV  se 
colo  sulfraganea  della  metropoli  diTre- 
veri,la  quale  cessando  du  tal  grado,  Pio 
VII  la  sottomise  a  quella  di  BesauQm,  e 
Io  è  tuttora.  Il  Chenu,  Episcoporum 
Callide  Chronologica  Bistorta ,  nella 
Serie*  Episcoporum  Firdune.nsis  Ec- 
clesiac,  ne  registra  i .°  vescovo  s.  Santino 
(  /  '.),  s.  Dionysii  di  sci  palassi  Mcldensis 
epìscopi**,  obiti  i  1 8.  La  Galli  a  Christia- 
na, t.  4>  p-  '  i  <5 1 ,  firdunenses  Episcopi ', 
soltanto  lo  dice  ì .°  vescovo;  ed  a  p.  6g4 
Meldenses  Episcopi,  fuisse  docent  vul- 
gati omnes  datai >«/.  Nella  biografìa  dissi 
col  Boiler,  essere  molto  oscura  la  sua 
storia,  e  che  s'è  vero  abbia  occupato  la 
sedediVerdun  avanti  a  quella  di  Meaux, 
sarebbe  vissuto  nel  IV  secolo,  ne  sareb- 
be stalo  discepolo  di  s.  Dionisio  dì  Pa- 
rigi: egli  è  ricordato  negli  antichi  mar- 
tirologi a'  22  settembre  ,  sebbene  se  ne 
faccia  la  festa  l'i  i  ottobre  a  Verdun, ed 
a  Meaux  (/^.).  Nei  due  ultimi  ricordai» 
articoli  parlai  della  questione,  se*.  Dio- 
nisio di '  Ptfr/gi,  l'apostolo  di  Francia  nel 
245  circa, sia  diverso  da  s.  Dionisio  VA- 
reopagila)  che  l'anno  5i  promulgò  l'È- 
■vangelo in  Atene.  Forse  il  Chenu  creden- 
dolo discepolo  di  qoest'  ultimo  ,  benché 
molti  scrittori  sostengano  che  fosse  uno 
solo,  disse  morto  s.  Santino  nel  118.  Il 
inaurino  Du  Plessis,  che  scrisse  la  Storia 
della  chiesadi  Meaux,* tendo  detto  che 
le  reliquie  di  s.  Sputino  furono  vendute 
nel  secolo  XI  ad  alcuni  mercanti  di  Ver- 
dun, dagli  abitanti  di  Meaux  ,  determi- 
natisi a  questo  sacrilego  euor.ne  delitto 
a  motivo  d'una  forte  carestia,  Thouiè 
canonico  di  Meaux  volle  provare  che  la 
storia  della  vendita  delle  reliquie  di  s. 
Santino  doveva  essere  considerata  come 
una  favola;  e  che  se  le  traslazioni  di  s. 
Santino,  che  diconsi  essere  state  fatte  in 
diverse  occasioni  a  s.  Vannes  di  Verdun, 


VER 
sono  vere,  vi  sono  due  santi  dello  slesso 
nome,  uno  vescovo  di  Meaux.  e  1'  altro 
di  Verdun.  Questa  è  pure  l'opinione  di 
Baillet,  Philippeaux,Ledieu  ed  altri.  Du 
Plessis  rispose  a  Tliomó  con  uua  lettera 
molto  conveniente,  nella  quale  confessò 
che  le  di  lui  ragioni  gli  aveano  resa  la 
traslazione  pretesa  delle  reliquie  discan- 
tino sempre  più  dubbiosa.  La  città  di 
Verdun  vuole  per  se  lo  stesso  santo,  e 
lo  pone  nel  IV  secolo;  in  vece  quella  di 
Meaux  lo  ritiene  vissuto  nel  III,  ed  am- 
bedue ne  celebrano  la  festa  in  uuo  stesso 
giorno,  nel  quale  il  Martirologio  di  Fran- 
cia parla  di  lui,  come  se  fosse  stato  prima 
vescovo  di  Verdun, poscia  di  Meaux;  men- 
tre che  a'22  settembre  soltanto  celebrasi 
uo  semplice  martire,  il  quale  lavorava 
sempre  sotto  s.  Dionisio,  e  morto  a  Pari  - 
gi  con  s.  Antonio  a'  3  ottobre.  Quanto 
allereliquiedis. Santino, nell'ultima  pro- 
posizione concistoriale  di  Meaux  non  se 
ne  fa  menzione,  mentre  in  quella  di  Ver- 
dun, espressamente  si  dichiara  venerar- 
sene il  corpo  nella  cattedrale,  come  notai 
in  principio.  E  siccome  vuoisi  che  s. San- 
tino intervenisse  al i.° concilio  di  Colonia 
nel  346,  per  deporre  Eufrate  vescovo 
della  città,  il  quale  negava  la  divinità  di 
Gesù.  Cristo;  e  perchè  s.  Dionisio  di  Pa- 
rigi, di  cui  fu  discepolo,  piantola  sede  ve- 
scovile "m  quella  città  circa  il  25o,  sembra 
che  s.  Santino  facesse  altrettanto  io  Ver- 
dun ne'primordi  del  seguente.  Ne  furo- 
no successori  :  s.  Mjuro  morto  V  8  no- 
vembre (del  1  do,  dice  CUeuu);  s.  Salvi- 
no (del  222,  al  dire  di  Chenu);  s.  Arato- 
re, post  quem  reperitur  interpoliti  fi  cium 
2 00  fere  annorum,  nota  la  Gallia  Chri- 
stiana, perciò  sembra  ritenere  s.  Santino 
fiorilo  avanti  il  IV  secolo.  S.  Pulcrono  di- 
scepolo di  s.  Lupo  vescovo  di  Troyes,  fu 
eletto  nel  4^4  »  basferi  la  cattedra  ve- 
scovile dalla  chiesa  suburbaua  de'ss.  Pie- 
tro e  Paolo  ,  in  quella  di  s.  Maria  nella 
citlà,  da  lui  fabbricata,  ed  in  cui  fece  di- 
pingerne l'immagine  in  allo  di  calpestare 
col  piede  il  serpente,  simbolo  dell'eresia, 


V  E  R 
perchè  nel  concilio  di  Calcedouia  si  lodò 
la  Madre  di  Dio,  Gamìe  Maria  T'irlo 
cunetta  haereses  etc.  Ciò  narra  il  Che- 
nu, ed  aggiunge  che  il  vescovo  intervenne 
al  concilio,  di  3  anni  anticipando  la  sua 
epoca  ,  per  essersi  celebralo  nel  /±5i;  e 
mori  nel  47°- 1"  fjnesto  venne  scelto  s. 
Possessore,  morto  nel  486  e  sepolto  nella 
basilica  di  detti  ss.  Apostoli,  antica  catte- 
drale. Nel486s.  Firmino,  morto  uel5oo 
in  tempo  che  Verdun  si  die'a  Clodoveo  I 
re  de'  franchi.  S.  Filone  (V.)  detto  vol- 
garmente s.  Vannes  e  s.  Videno,  il  Buller 
anticipa  l'elezione  al  498  e  lo  dice  morto 
intorno  il  525,citando  aucheCalmet,67o- 
ri a  della  Lorena,  e  Le  Conile,  Armai. 
Francor.ad  an.  498  e  525.  Al  contra- 
rioChenu  lo  registra  nel  5o2,eche  in- 
tervenne nel  5 1  1  al  concilio  d'Orleans  a- 
dunatò  da  Clodoveo  I.  Insigne  per  mi- 
racoli, già  dissi  della  celebre  badia  sotto 
il  suo  titolo  fondata  iti  Verdun  nella  ba- 
silica de'  ss.  Pietro  e  Paolo,  che  i  succes- 
sori considerandolo  come  un  luogo  pri- 
vilegiato, ivi  ordinariamente  si  fecero  sep- 
pellire, e  dalla  riforma  del  monastero  de- 
rivò la  congregazione  di  s.  Vannes,  che 
si  propagò  nella  Lorena  e  provi ncie  vi- 
ciue.Vedesi  ancora  nel  giardino  dell'ab- 
bazia una  gran  tomba,  sotto  di  cui  stanno 
sepolti  8  de'più  antichi  vescovi  di  Ver- 
dun. S.  Desiderio  o  Desiderato  nobile 
alemanno,  fu  segno  all'ingiurie  di  Tier- 
rico  I  re  di  Metz,  che  lo  spogliò  di  tutti  i 
suoi  beni,  riducendo  pure  gli  abitanti  di 
Verdun  a  somma  inopia;  ma  il  re  Teo- 
deberto  I,  che  gli  successe,  per  la  fama  di 
sua  santità,  gì'  imprestò  7,000  monete 
d'oro,  che  il  santo  erogò  a  vantaggio  dei 
cittadini.  Nel  529  intervenne  al  concilio 
Àrvernense,o  di  Clermonl  nel  535.  Mori 
nel  552, e  pel  i.°  fu  tumulato  nella  catte- 
drale di  s.  Maria.  Gli  successe  s.  A  gerir 
ro(^.),  detto  pure Àrioo Agi o,e  l'abbazia 
fondata  in  Verdun  sotto  il  suo  nome  si 
disse  s.^/ry.Nato  nella  città  o  nella  dio- 
cesi di  Verdun,  per  le  sue  virtù  fu  ordi- 
nato pel  servigio  della  chiesa  da  s.   Be- 


V  E  R  283 

siderio,  e  divenne  modello  de' pastori. 
Scoprì  le  operazioni  del  demonio  in 
una  donna,  la  quale  seduceva  il  popolo 
con  pretesi  oracoli,  e  la  fece  cacciare  non 
solo  dalla  diocesi,  ma  da  tutte  le  terre  del 
regno  d'Austrasia.  Era  padrino  di  batte- 
simo del  re  Childeberto  I  ,  perciò  ebbe 
molto  potere  sul  suo  cuore.  Ottenne  gra- 
zia pel  general  Gontrano  Bosone  ,  che 
avea  mancato  di  rispetto  al  re  e  alla  re- 
gina Brunechilde,  ma  poi  per  altri  falli 
non  potè  sottrarlo  a'culpi  della  giustizia. 
Egli  vide  pure  trucidare  nella  sua  pro- 
pria cappella  Bertefredo  ch'erasi  ribel- 
lato. Ma  ciò  che  lo  commosse  soprattut- 
to in  quest'ultimo  avvenimento, fu  la  pro- 
f-inazione del  luogo  sagro. Morì  nel  588 
e  fu  sepolto  nella  cappella  di  s.  Martino 
da  lui  edificata,  alla  quale  si  unì  poi  un 
monasteroe  formossi  la  detta  badia.  To- 
sto fu  surrogato  Calimero  o  Cannerò  , 
già  referendario  del  re  Cariberto  Ijmorì 
nel  609  e  giace  nella  cattedrale.  Gli  suc- 
cesse Errnenfredo  monaco  di  Luxeul  nel- 
la Borgogna,  che  cessò  di  vivere  nel  62  r. 
Codone  trovossi  nel  63o  al  concilio  di 
Reims.  Indi  s.  Paolo  (V.),  fratello  o  ni- 
pote di  s.  Germano  vescovo  di  Parigi  , 
già  virtuoso  abbate  di  Tholey,  ammirato 
da'sovrani  e  du'santi  vescovi  che  allora 
vantava  la  Francia.  Morì  circa  il  63  r  , 
altri  vogliono  nel  649, e  fu  deposto  nella 
chiesa  di  s.  Saturnino,  da  lui  eretta  in 
Verdun,  e  poi  ne  prese  il  nome  e  diven- 
ne collegiata.  Gisloaldo  benedettino  di 
Tholey  dotò  la  chiesa  di  s.  Saturnino,  vi 
pose  un  capitolo  d'ecclesiastici, che  segui- 
rono poi  la  regola  di  s.  Benedetto  nel 
975,  e  quella  de'premostrateusi  nel  1  1  3 7, 
ed  allora  la  badia  cambiò  il  nome  con 
quello  di  s.  Paolo.  Morto  Gisloaldo  nel 
665,  in  questo  fu  eletto  Gereberto  abbate 
di  Tholey,  e  resistette  alle  tirannie  che 
fece  alla  chiesa  Ebroi no  ,  morendo  nel 
689.  Armonio  successore  era  abbate  di 
Tholey  e  consanguineo  di  Pipino  duca 
del  Brabante  ;  morì  nel  701.  Subito  fu 
eletto  il  nipote  Agreberto  arcidiacono  di 


à*4  VER 

Verdun,  morto  nel  7o8.BerloIamio  mo- 
naco benedettino  in  tnle  anno.  Quindi 
Abbo  nel  7  1  5  cenobita. Mei  716  Pepo, 
zelante  pastore  che  ricuperò  al  la  sua  chie- 
sa molti  beni,  e  mori  nel  722.  In  esso 
Volchisio  alemanno,  morto  nel  729.  Il 
successe  Agronio  canonico  della  cattedra- 
le, che  finì  sua  vita  nel  73*2.  Nel  735  s. 
JMaddaleno  egregio  e  piissimo  pastore  , 
chiaro  per  miracoli.  Amalberto  sedeva 
nel  762.  Nel  774  Pietro  italiano,  morto 
nel  799.  In  questo  Austranno,  deposto 
in  s.  Vannes  nell'8o5.  Nel  seguente  Eri- 
lando,  pure  tumulato  in  delta  chiesa.  Nel- 
1*835  llduino,  ch'ebbe  a  successore  Atto 
monaco  di  s.  Germano  d'Auxerre,  in- 
tervenuto nell'859  al  concilio  di  Tool  e 
nell'860  a  quello  d'  Aquisgrana,  indi  le- 
gato a  Papa  s.Nicolò  I  conTeurgaudo  ar- 
civescovo di  Treveri  :  ricuperò  molte 
possidenze  ch'erano  state  alienale  alla  sua 
chiesa  ,  e  morendo  11  e 1 1 '  870  fu  sepolto 
nella  basilica  di  s.  Vannes.  Berardo  no- 
bile d'Austrasia,neir876  fu  al  concilio  di 
Pont-Yon.  Il  suo  nipote  Dado  gli  successe 
educato  in  s.  Vannes,  al  cui  tempo  fu 
divisa  la  mensa  vescovile  dalla  capitola- 
re. Intervenne  «'concili  i  di  Metz  nell'888, 
e  di  Tribur  neir8g5  ;  zelante  e  benefico 
pastore  ottenne  molti  vantaggi  alla  sua 
chiesa  da'monarchi,  e  pose  nella  basilica 
di  s.  Pietro  ossia  dis.  Vannes  8  canonici 
con  dotazione,  morendo  nel  923.  In  que- 
sto fu  consagrato  Ugo  I,e  morì  dopo  3 
anni.  Bernuiuo  nipote  di  Dado,  morto 
nel  939.  Berengario  sassone  nel  940  , 
dolo  il  monastero  di  s.  Vannes,  in  eoaue 
ììionacos  prò  clericis  collocavi t.  Sotto 
di  lui  nel  947  fu  celebrato  un  concilio  in 
Verdun,  nel  quale  7  vescovi  confermaro- 
no ad  Artaudo  il  possesso  della  sede  di 
Reims,  contesogli  da  Ugo.  Regia  t.  25, 
Labbé  t.  9,  Arduino  t.  6.  Inoltre  per  Ar- 
taudo nel  94S  si  tenne  il  concilio  d'In- 
gelbeim  a  cui  si  recò  Berengario.  Nel  97 5 
Vicfrido  norico  de*  principi  di  Baviera  , 
cancellici  e  dell'impero,  aumentò  le  ren- 
dile della  badia  di  s.  Vannes  0  Vilone, 


VER 

aggiunse  il  monastero  alla  chiesa  di  s. 
Saturnino,  e  presso  V  oliar  maggiore  di 
esso  ebbe  tomba.  Nel  q84  Ugo  II  d'illu- 
stre prosapia  per  favore  dell'imperatore 
Ottone  III. Rinunziò  tosto  la  sede,  e  gli 
fu  sostituito  Adalberon  I  di  Lorena  fi- 
glio di  Federico  I  duca  della  Mosci  In  o 
Lorena  superiore  e  di  Beatrice  sorella  del 
re  Ugo  Capeto,  lodalo  per  scienza  e  tra- 
sferito a  Metz,  morto  nel  ioo5.  Narrai 
già  che  nel  984  fu  eletto  vescovo  Adal- 
beron II  figlio  di  Gollredo  il  freccino 
conte  di  Verdun, contrarialo  da  Lotario 
re  di  Lorena,  e  lo  dissi  morto  nel  988  ri- 
tornando da  Salerno,  e  e] ni  aggiungo  col- 
la Gallici  Christiana  :  decessi t  Salerni 
in  Italia  corpus  retatimi  Virduni  sepe- 
lietur.  Egli  era  zio  di  Federico  Giuntano 
di  Lorena,  poi  cardinale  e  Papa  Stefano 
IX  detto  X.  Nello  stesso  988  fleimon  o 
Hayuio  alemanno,  consigliere  del  duca 
Enrico  di  Baviera,  fece  il  suo  ingresso  in 
Verdun  con  solenne  pompa.  Restaurò  la 
cattedrale  di  Nostra  Signora,  la  chiesa  di 
s.  Vilone,  e  costruì  il  monastero  di  s. 
Maddalena,  oltre  altre  beneficenze.  Fe- 
derico pio  conte  di  Verdun,  donò  a  lui 
e  vescovi  successori  la  contea  di  Verdun; 
donazione  convalidata  da  un  diploma  di 
Ottone  III,  come  più  sopra  narrai.  Mor- 
to nel  1024  e  sepolto  in  s.  Mauro,  gli 
successe  Ra  ini  berlo  che  nel  io3o  fu  al 
concilio  di  Tribur  ,  e  di  ritorno  da  Ge- 
rusalemme cessò  di  vivere  in  Belgrado 
nelio38,  poi  trasportato  nel  monastero 
di  s.  Agerico.  L'imperatore  Enrico  III  gli 
surrogò  Riccardo  Iabbate,figlio  del  conte 
Ildrado  ,  virtuoso  e  umile  ,  deposto  nella 
cattedrale.  Nel  1 047  Teodorico  Magno 
teutonico,  figlio  del  conte  Gozelone,  nel 
1049  kenedì  il  tempio  di  s.  Maria,  già 
incendiato  e  distrutto  dal  suddetto  Gof- 
freddo  il  Barbuto.  Di  più  iti  tale  anno  si 
recò  al  concilio  di  Reims  presieduto  dal 
Papa  1,  Leone  IX,  ed  alla  dedicazione 
della  chiesa  di  s.  Arnolfo  di  Metz.  Nel 
io5o  il  Papa  reduce  da  Reims,  si  recò  a 
Verdun  accollo  con  tulle  le  dimostra- 


VER 

zioni  di  ossequio  e  di  onore,  ed  a'  9  ot- 
tobre per  le  suppliche  dell'arcidiacono 
Ermenfredo  consagrò  la  chiesa  di  s.  Mad- 
dalena. Visse  Teodorico  fino  al  1  090,  nel 
quale  il  successe  Richero  de  Brie  decano 
di  Metz,  morto  nel  1  107  e  sepolto  nella 
basilica  di  s.  Vitone  avanti  l'altare  di  s. 
Lorenzo.  Neh  1  08  Riccardo  il  de  Grand- 
pré*  de'conti  del  suo  nome  ,  arcidiacono 
della  cattedrale,  pel  favore  d'Enrico  V 
imperatore  nemico  della  s.  Sede,  onde 
per  7  anni  ne  seguì  lo  scisma,  scomuni- 
calo in  uno  ad  Enrico  V  nel  1  1  r5  dal 
legato  apostolico  Conone,  nel  concilio  di 
Reims,  in  nome  di  Papa  Pasquale  II,  e 
ritiratosi  iu  Monte  Cassino  ivi  mori  con 
gran  pentimento:  nel  suo  vescovato  o- 
però  cose  notabili.  Vacò  la  sede  4  anni  > 
e  nel  1  1  18  l'ebbe  Enrico  1  de*  conti  di 
Blois,  nato  da  Adele  sorella  d'  Enrico  I 
re  d'Inghilterra, già  abbate  Glasloniense 
e  vescovo  di  Winchester  ,  confermato 
dal  concilio  di  Reims  presieduto  da  Pa- 
pa Calisto  II,  seda  Virduncnsibus  non 
recipitur  j  Me  ad  graliam  cornili s  Rai- 
naldise  injlexit,  et  cimi  eo  urbem  caepit 
violenterà  comes  ad  suum  votum  cives 
caepit,  et  ad  redemptioneni  pecuniarum 
coegit.  Nel  concilio  di  Chalons  ,  tenuto 
a' 2  febbraio  1129,  il  legato  cardinal 
Matteo  vescovo  d'  Albano  lo  depose  dal 
vescovato,  ed  Enrico  I  a  consiglio  di  s. 
Bernardo  si  sottomise  e  rinunziò  la  sede, 
e  per  due  anni  fu  fallo  abbale  di  s. Re- 
migio di  Reims.  In  vece  da  questa  badia 
passò  al  vescovato  Orso,  ma  essendo  da 
poco,  abdicò  nel  1  i3o  e  fece  ritorno  al 
suo  monastero.  Neil  1 3  1  il  b.  Albero  de 
Chiny,  fratello  del  conte  Ottone,  poscia 
consagrato  nella  Pasqua  1  1 36  da  Papa 
Innocenzo  il.  Rimosse  nella  chiesa  sub- 
urbana di  s.  Paolo  i  benedettini  ,  e  vi 
introdusse  i  premoslratensi,fra'quali ca- 
nonici regolari  entrò  nel  11 56,  rinun- 
ziando il  vescovato  ,  ed  ivi  santamen- 
te morì  nel  11 58.  Celebrando  per  la 
sua  anima  la  messa  s.  Bernardo,  in  vece 
della  colletta  de'  defunti ,  disse  0  cauto 


VER  aS5 

quella  de' ss.  Confessori.  Nel  11 56  Al- 
berto de  Marcy  primicerio  della  catte- 
drale, impetrò  e  ottenne  diploma  dall'im- 
peratore Federico  I,  di  conferma  della 
contea  di  Verdun  in  signoria  de'suoi  ve- 
scovi. Abdicata  la  dignità,  si  fece  monaco 
di  s.  Vannes,ed  ivi  nel  n  62  morì  e  fu 
deposto  innanzi  l'altare  di  s.  Lorenzo. 
Riccardo  III  de  Crissa  arcidiacono  di  Laon 
nobilissimo,  morto  nella  crociata  di  Ge- 
rusalemme nel  1171.  In  esso  Arnolfo  de 
Chiny  tesoriere  della  cattedrale,  lodato 
pastore,  fu  pianto  perchè  ucciso  a' 1 4 ago- 
sto 1 181  presso  s.Manechilde  nell'espu- 
gnazione del  castello,  combattendo  con- 
tro Alberto  Pichot:  con  onorifico  epitaf- 
fio fu  deposto  in  mezzo  al  coro  di  s.  Ma- 
ria. Nel  1  181  Enrico  II  de  Caslro  arci- 
diacono di  Liegi  e  consigliere  di  Fede- 
rico I,  morto  iu  quella  citlà  nel  1  1 87  , 
dopo  essersi  ritirato  dalla  diguilà,efu  tu- 
mulato in  s.  Lamberto.  Alberto  li  dellir- 
gis,  nipote  dell'infelice  Arnolfo, anch'egli 
tesoriere  della  cattedrale  ,  postulato  da 
parte  del  capitolo  per  la  sua  probità,  al- 
tri però  eleggendo  Roberto  dinasta  de 
Grandiprato,  perciò  parente  di  Riccardo 
III,  per  cui  grave  contrasto  si  fece  dinan- 
zi le  curie  imperiale  e  pontifìcia;  ma  poi 
per  deplorabili  e  scandalose  discordie  in- 
sorte tra' chierici  e  i  laici,  il  vescovo  fu 
trucidato  nel  1208,  e  sepolto  nell'antico 
coro  della  basilica, con  epitaffio  encomia- 
stico ornato  di  musaici. Gli  fu  surrogato 
il  primicerio  della  cattedrale  Roberto  I 
de  Grandpré",  già  educato  nella  corte  di 
Ottone  IV,  dopo  lunga  e  grave  altera- 
zione col  pretendente  Alberico  toparca  di 
Grandiprato,  morto  nel  1 2  1 7  reduce  da 
Roma.  Giovanni  I  de' baroni  d' Aspre- 
mont  di  Lorena,  canonico  di  Verdun  e 
di  Metz,  virtuoso  e  perciò  da  Onorio  HI 
dispensato  dall'età;  nel  1224  traslato  a 
Metz.  Gli  successe  il  cugino  Rodolfo  de 
Torote  precentore  di  Laon,  unì  al  capi- 
tolo l'uiììzio  della  tesoreria  di  Verdun, e 
morì  nel  1245;  nel  funerale  in  s.  Maria, 
il  fratello  Roberto  vescovo  di  Liegi  istituì 


a86  VER 

uno  cappellata  in  di  lui  suffragio.  Gui- 
do 1  de  Trainel  de' nobili  de  Triangulo 
in  Campanìay  dicin  clausit  poslretimni 
apud  fior  tali  ti  um  Hathonis  castrisanno 
1 245  cum  ingrossimi  pararci  in  cathe- 
tirali, ubicarnis sarcinam  deposuit.Giù- 
do  11  de  Mello  deìoparchi  di  Melloto  in 
Borgogna,  decano  d'Auxerre,  nominato 
in  detto  anno  da  Innocenzo  IV:  ebbe  gra- 
ve contestazione  co*  cittadini  di  Verdun 
per  la  sua  giurisdizione  vescovile, e  venne 
trasferito  ad  Auxerre.  Nel  1  247  Giovanni 
li  d'Aix  di  Aquisgrana,  canonico  e  pri- 
micerio di  Verdun,  eletto  da'  suffragi  del 
capitolo:  si  pacificò  co'cittadini  con  pub- 
blico istrumeuto ,  e  nel  1248  ordinò  la 
fondazione  obituarium  smini  in  cathe- 
drali,  ove  fu  deposto  nel  1  252.  In  questo 
Jacopo  I  Pantaleoue  da  Troyes  dottore 
nel  jus  canonico,  teologo  di  Parigi,  lega- 
to apostolico  d'Innocenzo  IV  e  da  lui  e- 
levato  a  questa  sede,  da  dove  Alessandro 
IV  nel  declinar  del  1  254  lo  promosse  al 
patriarcato  di  Gerusalemme,  o  nel  1  255». 
Benché  non  insignito  della  dignità  car- 
dinalizia, col  nome  d'  Urbano  fF(F.)  , 
fu  crealo  Papa  in  Viterbo  a'  29  agosto 
1261,  da  dove  a'  24  settembre  scrisse  a 
Verdun  la  lettera  che  principia  colle  pa- 
role :  Episcopo  et  dilectisjiliis  de  Capi- 
tulo  Firduncnsi  salutoni.  Pro  gratta  di- 
lectionis  et  graliae  veslram  prosegui  de- 
lectamur  Ecclesiam,  quia  et  ipsa  in  ho- 
norem gloriosae  Mariac  Firginis  con- 
s trucia  esse  dinoscilur.  Et  nost  qui  olim 
pastorali  officio  fungebamur ibidem  de 
ipsa  pi  imo  ad palriarchalus  Jerosoly- 
mitanicuraniy  etsubsequenter  licei  ini- 
meriti,  ad  Aposlolicae  dignitatis  fasti- 
gium,  proni  pielali  divinae  placidi,  fui- 
mus.  Alessandro  IV  nel  vescovato  di  Ver- 
dun nel  i25yaveagli  dato  a  successore 
Roberto  11  da  Milano, perciò  lombardo, 
morto  in  Pioma  nel  1271  e  deposto  in 
s.  Martino  con  iscrizione.  Ulrico  de  Sai- 
nay  canonico  della  cattedrale  e  preposto 
di  s.  Maria  Maddalena  di  Verdun, nello 
stesso  anno.  Egregio  e  benemerito  pa- 


V  E  R 

store,  fece  utili  decreti  pel  clero,  finì  sua 
vita  nel  127 3,  istituì  un  anniversario  per 
l'anima  sua, e  fu  sepolto ì a  s.  Martino,  con 
i  splendi  da  epigrafe  in  versi  celebrante  le 
sue  virtuose  doti.  Nel  1277  Gerardo  de 
Grandson dinasta  diGrandisono, preposto 
della  maggiore  chiesa  di  Verdun;  gli  suc- 
cesse il  fratello  Eurico  III  nel  1278,  mor- 
to nell'abbazia  cisterciense  di  Chastillou 
nella  diocesi,  sepolto  presso  il  fratello  coti 
epitaffio  in  versi.  Nel  1292  Jacopo  II  de 
Revigny  del  ducato  di  Bar,  dopo  4  anni 
di  sede  vacante,  già  uditore  della  roma- 
na Piota,  e  peritissimo  nel  jus  civile  e  ca- 
nonico, i  cui  scritti  lodò  il  celebre  giure- 
consulto Bartolo:  morì  in  Firenze  nel 
recarsi  a  Pioma  nel  1296,  per  le  grandi 
controversie  che  avea  co'  verdunesi.  In 
tale  anno  occupò  la  sede  Giovanni  III  de 
Richericourt  d'Aspromonte,  già  canonico 
di  Verdun,  legò  alcuni  beni  alla  chiesa 
maggiore  per  un  anniversario,  e  nel  1  3o2 
fu  sepolto  nella  cappella  di  s.Pietro  con 
epitaffio  in  versi.  Tommaso  de' conti  di 
Blamont  lorenese,  primicerio  di  Verdun, 
personaggio  di  grande  autorità,  nel  1  3o  [ 
fu  tumulato  in  s.  Martino.  Nello  stesso 
Nicolò  de  Nenfville,  toparca  di  Villano- 
va,  eresse  il  convento  degli  agostiniani 
in  Verdun,  ma  per  le  liti  co' verdu- 
nesi ,  rinunziò  nel  i3i2  al  seguente 
col  consenso  del  clero.  Enrico  IV  de'to- 
paKilii  d'Asprcmont,  confestim  cives  in- 
terpellat  prò  restituendo  Ficecoinila- 
lu}  quem  in  gravameli  Ecclesiae  deli- 
nebant,  quod postea  complures  rixas 
excitavit,  tandem  ad  concordiam  dis- 
se nsio  revocatiti",  elegit  Philippum  Fa- 
lesinili  successoresque  reges  Erancia  e 
in  prolectores  ac  dofensores  Ecclesiae , 
ac  civilatis  Firdunensis,publico  instru- 
mento regìi  carlophilacii  Parisiensis. 

Morì  nel i349  e  *u  tumulto  ne^a  caP* 
pella  de'  ss.  Apostoli  della  cattedrale. 
Il  capitolo  postulò  per  successore  En- 
rico de  Germiny  nobile  lorenese  e  arci- 
diacono di  Verdun,  ma  il  Papa  lo  riget- 
tò. In  sua  vece  lo  fu  Ottone  di  Poilieis 


V  E  R 

deVonti  di  Valentinois,  di'  loparchi  di 
Monlèsmeyrani  ,  obliate  di  s.  Pietro  di 
Clinlons  e  uditore  di  Rota  ;  ma  nel  se- 
guente i35o  si  dimise  e  quindi  gli  fu 
sostituito  Ugo  III  di  Bar  de%ignori  di 
Pietrami  te,  che  ottenne  dall'  imperatore 
Carlo  IV  nel  i  35»7,  diploma  conferma- 
tivo di  quello  di  Federico  I.  Chiaro  per 
le  doti  dell'animo,  morì  nel  pellegrinag- 
gio di  Gerusalemme  al  monte  Sinai.  Nel 
i362  il  capitolo  elesse  Giovanni  IV  de 
Bourbon  decano  Eduense,  per  favore  di 
Beatrice  de  Bourbon  regina  di  Boemia; 
propter  inopi am  sui  Episcopatus  quae- 
clatn  dominia  divendil:  morì  nel  i  37  1  - 
In  questo  Giovanni  Vde  Dampierre  dei 
signori  di  s.  Desiderio  nella  diocesi  di 
Chalons,  parente  dell'antecessore  Euri- 
co IV.  Morto  nel  1 37 5,  nel  seguente 
Gregorio  XI  nominò  Guido  li  de  Roye 
canonico  di  Noyou  ,  consagrato  nella 
cappella  del  cardinal  di  Ginevra  poi  Cle- 
mente VII  antipapa,  Iraslalo  a  Reims. 
Neil  878  Leobaldo  de  Cusan  nobile  bor- 
gognone eletto  da'  canonici,  ed  ebbe  a 
competitore  Roliuo  de  Rodernachi  con- 
sanguineo di  Venceslao  re  de'  romani  : 
seguì  lo  scismadel  pseudoClemenle  VII, 
redense  diverse  terre  di  sua  chiesa  ,  e 
morì  nel  i4o3.  In  esso  Giovanni  VI  de 
Sa  re  uriche,  poi  di  Chalons.  Nel  1 4  '  9  o 
1420  il  cardinal  Lodovico  I  de  Barry 
(/.)  o  Bar  francese,  già  anticardinale 
dell'  antipapa  Benedetto  XIII,  e  perciò 
ne  riportai  nel  voi.  Ili,  p.  225;  fondò  un 
convento  di  francescani,  e  spese  grandi 
somme  per  la  riedificazione  e  ornamen- 
to della calledrale,ove  giacque  ueh43o. 
In  esso  Lodovico  II  de  Ilaraucour  cava- 
liere lorenese, canonico  ecantore  di  Ver- 
dun: Renato  d'Angiò  duca  di  Lorena  e 
pretendente  al  regno  delle  due  Sicilie  , 
Io  dichiarò  viceré  di  Lorena  ,  trasferito 
a  Tcul  nel  1 437.  Gli  sucesse  Guglielmo  l 
Fillatre  abbate  di  s.  Teodorico  di  Reims, 
poi  vescovo  di  Toul  e  di  Tournay.  Nel 
j  445  °  nel  1 449  c'a  Toul  vi  ritoi  nò  Lo- 
dovico li, morto  nel  i456  e  sepolto  nel 


VER  287 

mezzo  della  nave  di  sua  cattedrale.  Gli 
fu  sostituito  il  nipote  Guglielmo  II  de 
Haraucour,  de'toparchi  d'  Haraucuria  , 
canonico  e  pi  eposto  Monti  sfalcoiàs  in 
Eeclesiae  Firdunensis  ,  eletto  in  con- 
correnza del  canonico  della  stessa  basili- 
ca Olrico  de  Blammont,  sostenuto  da 
parte  del  capitolo  e  poi  vescovo  di  Toul: 
fu  primario  ministro  di  Giovanni  II  d'An- 
giò duca  di  Lorena  e  di  Calabria.  Ven- 
ne imprigionalo  col  famoso  cardinal 
Balve,  d'ordine  di  Luigi  XI,  e  morì  vec- 
chissimo nel  i5oo,  lilimatur  in  tempio 
d.  Mauri  Hathonis  castri,  cujus  loci 
canonicatus  auxcral. Probabilmente  nel 
tempodelsuo  infortunio  fu  fatto  ammi- 
nistratore del  vescovato  il  cardinal  Giu- 
lio della  Rovere,  poi  Papa  Giulio  II, im- 
perocché Ciacconio  ,  Vilat  Rom.  Pont, 
et  Cardinali um\l.  3,  p. 46;  il  Cardella, 
Memorie  storiche  de'  Cardinali,  t.  3, 
p.  18  1  ;  ed  il  Novaes,  Storia  de'  Ponte- 
liei,  in  quella  di  Giulio  li,  lo  dicono  ve- 
scovo di  Verdun,  e  pare  fatto  dallo  zio 
Sisto  IV  prima  del  1476.  Varino  de 
Dompmartin  nubile  lorenese  e  di  Bar, 
già  monaco  ed  abbate  di  Gorze,  nello  stes- 
so i5oo  fu  nominato  per  favore  di  Re- 
nato Il  duca  ili  Lorena  e  di  Bar  ,  num- 
quani  consecratus  s  morto  nel  i5o8  e 
tumulato  in  detta  badia. Gli  successe  Lo- 
dovico III  di  Lorena  figlio  del  duca  Re- 
nato II,  designato  dal  capitolo  anche  ve- 
scovo di  Metz,  vescovati  che  rassegnò  al 
fratello  che  segue;  fatto  conte  di  Vaude- 
mont,  morì  neh  528  nella  spedizione  di 
Napoli,  e  fu  sepolto  in  s.  Chiara.  Nel  1  523 
il  vescovo  di  Toul  cardinal  Giovanni  VII 
di  Lorena  (Z7.),  poi  arcivescovo  di  Nar- 
bona,  R.eims  e  Lione.  Per  di  lui  abdica- 
zione con  regresso  nel  1  544  Nicola  II  di 
Lorena  figlio  del  duca  Antonio  e  di  Pie- 
naia  Bourbon,  abbate  di  Gorze  e  di  s. 
Vitone;  non  si  ordinò,  e  rinunziò  per  la 
contea  di  Vaudemont.  Nel  1 548  Nicola 
111  Psaulme  abbate  pi  emostiatense  di  s. 
Paolo  diVerdun  dottissimo,perrassegna- 
zione  del  cardinal  di  Lorena:  zelantissi- 


288  VER 

mo  pastore  intervenne  al  concilio  genera- 
le di  Trento,  ed  a  quello  provinciale  di 
Treveri.  Nel  i 565  fabbricò  il  collegio  a' 
gesuiti.  Eodem  sedcntcm  tnonaslcriuni 
s.Pauli  suburbanumintra  moenia  tran- 
sferlur,  Carolo  Lotharingo  abbate.Scri- 
psit  Gallìce  vcrani  imagineni  Ecclesiaey 
morì  nel  i5y5  e  fu  sepolto  nella  tomba 
da  lui  fabbricata  nella  cappella  del  ss.  Sa- 
gramento  nella  maggior  basilica  ,  dove 
il  dolente  clero  pose  onorevole  epitallìo; 
lasciando  il  suo  cuore  a  quella  de'gesui- 
ti,  per  l'affetto  che  avea  per  le  loro  virtù. 
Nicolò  IV  Bousmard  canonico  ed  arci- 
diacono Argonae  in  Ecclesiale  f'irdi- 
ìiunensì,  praeposìlo  Mori  ti  sfa  leoni?  ac 
decano  collegialae  s.  Magdalenae.  Mori 
nel  1 584  e  venne  deposto  nella  chiesa  dei 
minimi  che  lasciò  erede,  con  epitallìo 
splendido  riferito  dal  padre  Lanovio  nel 
suo  Chronico  genera UOrdinis Minorimi , 
oltre iSammartani,  i  quali  riportano  pu- 
re que'che  sono  andato  accennando.  Gli 
successe  il  cardinal  Carlo  I  di  Guisa  Lo- 
rena (/'.)  conte  di  Vaudemont ,  morto 
nel  1587.  Non  si  deve  confondere  col 
cardinal  Carlo  di  Guisa  Lorena  (/^.)  il 
giuniore,  da  Clemente  Vili  dichiaralo 
legato  a  lalere  de' vescovati  di  Verdun, 
di  Toul  e  di  Metz,  e  de'ducali  di  Lorena 
e  di  Bar.  Indi  Nicola  V  Boucher  canonico 
di  Beimsjche  finì  i  suoi  giorni  neli593. 
Enrico  di  Lorena  de'conli  diVaudemout 
ne  fu  successore,  indi  cede  il  vescovato  al 
seguente  nipote  nel  16 io.  Carlo  di  Lo- 
rena, figlio  di  Enrico  conte  diChaligny, 
il  cui  ingresso  a  Verdun  seguì  nel  161 3, 
e  la  consagrazione  nel  1617  in  s.  Giorgio 
di  Nancy,  falla  dallo  zio  antecessore,  al- 
lora vescovo  di  Tripoli  e  suffraganeo  di 
Strasburgo.  Lodato  per  pietà,  somma  no- 
biltà d'  animo,  predicatore  della  parola 
di  Dio,  e  altre  egregie  qualità,  per  mena- 
re vita  tranquilla  e  tutto  dedicarsi  a  Dio, 
col  consenso  di  Gregorio  XV  rinunziò  il 
vescovato  nel  1623,  ed  entrato  nella  com- 
pagnia diGesù  ne  professò  la  regola,  mor- 
to in  Tolosa  nel i63 1 .  Divenne  vescovo 


VER 
e  conle  di  Verdun  il  (rateilo  Francesco 
di  Lorena,  preposto  maggiore  e  decano 
diColonia  e  Strasburgo,  abbate  commen- 
datario di  Belliloco  e  di  Argona.  In  con- 
seguenza del  trattato  di  l\l  mister  e  della 
pace  di  Westf.dia  del  1  G 48,  rese  omag- 
gio a  Luigi  XIV  re  di  Francia  ,  per  la 
sovranità  temporale  di  Verdun  e  sua  con- 
tea. Per  la  continuazione  della  serie  dei 
vescovi  e  conti  di  Verdun,  si  può  vedere 
la  nuova  edizione  della  Gallia  Christia- 
na. Clemente  IX  Papa  nel  i668conees- 
se  al  detto  re  la  facoltà  di  nominare  le 
chiese,  monasteri  e  altri  benefizi  eccle- 
siastici della  Lorena  riunita  alla  Francia, 
ine!  usi  vomente  a  Verdun  ed  agli  al- 
tri vescovati,  questo  allora  possedendo 
60,000  lire  di  annua  rendita.  E  Papa  A- 
lessandro  Vili  al  medesimo  Luigi  XIV, 
concesse  l'indulto  di  nominare  5  vesco- 
vati non  compresi  nel  concordato  di  Leo- 
ne X  e  Francesco  I,  unitamente  a  Ver- 
dun.L'annuali  Notizie  di  Roma  registra- 
no i  seguenti  vescovi  e  conti  di  Verdun» 
Nel  1754  Aimando  Cristiano  France- 
sco Michele  de  Nicolay  di  Parigi.  Nel 
1770  Lodovico  Enrico  Renato  DesNos 
della  diocesi  di  Le  Mans,  traslato  da  Ben- 
nes,  e  fu  l'ultimo  conte  di  Verdun.  Re- 
stata vacante  nel  1794»  ?{ì  soppressa  la 
sede  pel  concordato  del  1801  da  Pio  VII. 
Questo  Papa  in  conseguenza  del  concor- 
dalo del  1817  con  Luigi  X Vili  re  di 
Francia,  e  della  bolla  Commissa  divini- 
tust  de'  27  luglio  per  la  nuova  circoscri- 
zione delle  diocesi  di  Francia,  ripristinò 
il  vescovato  di  Verdun.  Quindi  il  Papa 
nel  concistoro  del  1 .°  ottobre  1817  ne 
preconizzò  vescovo  Guglielmo  Albino  de 
Villele  dell'arcidiocesi  di  Tolosa.  A'  16 
maggio  1823  gli  die' per  successore  Ste- 
fano Maria  Bruitone  d'  Arbou  ,  di  Gi- 
inont  arcidiocesi  di  Tolosa.  Nel  1827  ri- 
nunziò il  vescovato  a  Leone  XII,  poscia 
nel  i83o  Pio  Vili  lo  dichiarò  vescovo 
di  Bajona,  dalla  quale  si  dimise  neh  836, 
ritirandosi  nella  casa  di  Carità  della  par- 
rocchia di  s.  Nicola  diTolosa,  ove  dopo 


V  E  R 
lunga  e  penosa  malattia  morì  ne*  primi 
di  settembre  i  8  58,  dopo  aver  beneficato 
vui  istituii  religiosi  e  caritatevoli  di 
quella  ci  Ita.  Leone  XII  nel  concistoro 
tte'"9  aprile  1827  preconizzò  successore 
delI'Arbou  nella  sede  di  Verdun  Fran- 
cesco Giuseppe  di  Villeneuve  d'Esclapon 
di  Grasse,  canonico  teologo  e  vicario  ge- 
nerale della  sua  diocesi  diFrejus,  lodan- 
dolo per  dottrina,  prudenza  ed  esperien- 
za. Per  sua  morte,  Gregorio  XVI  a'  17 
dicembre  1832  dichiarò  successore  Pla- 
cido Brunone  Valayer,  di  Grillon  arci- 
diocesi  d'Avignone,  parroco  e  vicario  ge- 
nerale di  Parigi,  canonico  di  quella  me- 
tropolitana, encomiandolo  per  gravità  , 
piena  cognizione  degli  affari  ecclesiasti- 
ci, ed  integrità  di  costumi.  Per  di  lui  ri- 
nunzia fatta  nel  1  837,  il  medesimo  Papa 
nel  concistoro  de'  19  maggio  gli  sostituì 
Agostino  Giovanni  Le  Tourneur  di  Pa- 
rigi, benemerito  vicariogeuerale  e  parro- 
co di  s. Tommaso  d'Aquino  di  quella  me- 
tropoli, indi  vicario  generale  di  Soissons, 
rilevandone  la  dottrina,  la  perizia,  l'in- 
nocenza de'eostuon,  non  disgiunta  da  e- 
sperienza.  Conosco  di  lui  due  opere:  Le 
ì/ois  de  la  s.  Enfance  ,  Paris  et  Lyon 
i83o:  Le  Mois  de  Marie ,  Paris  et 
Lyon  1 83  1 .  Pel  suo  decesso,  Gregorio 
XVI  nel  concistoro  de'17  giugno  1 844 
preconizzò  l'attuale  vescovo  mg. Lodo- 
vico ftossat  di  Lione,  trasferendolo  da 
Gap,alla  qual  diocesi  l'avea  preposto  a' 
i4  dicembre  «84o,dopo  essere  stato  vi- 
cario in  due  parrocchie  di  sua  arcidio- 
cesi,  canonico  penitenziere  della  metro- 
politana e  della  medesima  per  12  anni 
parroco,  lodandolo  ottimo  per  dottrina, 
prudenza, carità, pietà  e  zelo,  colle  quali 
doti  egregiamente  avea  governato  il  ve- 
scovato di  Gap.  Ogni  nuovo  vescovo  è 
tassato  ne'  libri  della  camera  apostolica 
in  fiorini  370.  La  diocesi  comprende  tut- 
to il  dipartimento  o  provincia  della  Mosa, 
e  si  estende  per  3o  leghe  in  lunghezza  e 
20  in  larghezza,  conlenendo  più  luoghi, 
con  28  parrocchie, 3g2  sussidiarie  e  35 
vol.  xeni. 


VER  289 

decanati.  Dividevasi  prima  in  35o  par- 
rocchie e  chiese  sussidiarie,  divise  in  9 
decanati. 

VERGA,  Virga.  Bacchetta,  baston- 
cello sottile.  Nella  s.  Scrittura  questa  pa- 
rola ha  diversi  significati.  Un  ramo  di  al- 
bero; Giacobbe  mette  le  verghe  ne'canali 
delle  acque;  il  bastone  del  viaggiatore  e 
del  pastore;  gl'istromenti  di  cui  si  serve 
Dio  per  castigare  gli  uomini;  lo  scettro, 
che  è  simbolo  di  autorità;  l'ultimo  ram- 
pollo d'una  famiglia;  gli  avanzi  o  gli  ul- 
timi discendenti  d'una  nazione.  Le  cir- 
costanze nella  quale  viene  usato  questo 
vocabolo,  ne  spiegano  facilmente  il  vero 
significato.  La  verga  di  Mose  (/"'.),  è  il 
bastone  che  Dio  ordinò  a  Mosè  di  pren- 
dere seco  lui  per  operare  i  miracoli  che 
dovea  fare  davanti  il  Faraone  e  davanti 
al  popolo.  La  s. Scrittura  non  fa  più  men- 
zione di  questa  verga,  talché  ignorasi  che 
ne  sia  avvenuto  di  essa  dopo  la  morte  del 
legislatore  d'Israele.  I  rabbini  la  fanno 
venire  per  successione  óa  Adamo  fino  a 
Giuseppe  patriarca.  Dicono  poi  che  fu  ru- 
bata al  re  d'Egitto,  al  quale  Giuseppe 
l'avea  lasciata  come  pegno  della  sua  ri- 
conoscenza; aggiungono  che  tal  furto  ven- 
ne fatto  da  JetrOjChe  la  piantò  in  un 
giardino,  dove  gettò  radice  così  profonde 
che  il  solo  Mosè  suo  genero  per  una  spe- 
cie eli  miracolo  potè  svellere  dal  terreno; 
finalmente  dicono,  che  il  nome  di  Dio  era 
scritto  sulla  verga,  come  riporta  il  p.  Cai- 
met.  Il  Baldeschi  e  il  Crescimbeni,  Stai- 
ti) della  s.  Cìiiesa  papale  Lateranense 
/?d/i723jriferisconoa  p.  1  23, che  nel  San- 
tuario del  portico  Leoniano  della  mede- 
sima, dalla  parte  dell'altare  del  ss.  Sa- 
gramelo, sono  riposte  alcune  venerabili 
reliquie  »  cioè  1'  Arca  del  vecchio  Testa- 
mento, il  Pastorale  d'Aronne,  la  Verga 
di  Mosè,  e  la  Tavola  in  cui  Cristo  S.  N. 
nell'ultima  cena  co'discepoli  istituì  la  s«. 
Eucaristia;  e  queste  si  mostrano  il  giove- 
dì santo  e  il  dì  festivo  di  s.  Tommaso  a- 
postolo;  e  innanzi  ad  esse  ardono  conti* 
imamente  3  Iampadedotale  dal  cardinal 
'9 


ago  VER 

Cesare  Raspolli".  Rammento,  che  l'Arca 
del  vecchio  Testamento  venne  occulta- 
ta dopo  che  i  babilonesi  abbatterono  il 
Tempio  (/\),  nò  più  si  seppe  ove  fu  tra- 
sferita. Questa  è  la  comune  opinione. 
Scrissero  sulla  verga  di  Mosè:  J.G.  Bittel- 
mayer,  De  Bacillo A/oy.«s,Vitlembergae 
1675.  J.  H.  Willemer,Dr 'Bacillo  May- 
siiì  Vittembergaei68o.  J.  Gaillard,  De 
J'ìrga  HJoysis,  Lugd.  Bat.  1687.  Questa 
verga  fu  espressa  ne'monumenti  per  Sim 
bolo  (/'.)  cristiano.  La  verga  d'Aronne, 
si  chiama  il  bastone  di  cui  servivasi  or- 
dinariamente il  Sommo  Sacerdote  (V.) 
degli  ebrei.  Iddio,  nella  congiura  di  Co- 
re, Dalan  ed  Abiron,  ordinò  a  Mosè  di 
farsi  dare  da  ciascuna  delle  XII  Tribù 
(  f.)  d'Israele  una  verga  e  di  aggiunger- 
vi quella  d'Aronne,  e  di  riporle  nel  Ta- 
bernacolo (^.).  Nel  dì  seguente  Dio  fe- 
ce conoscere  la  sua  volontà  di  conferma- 
re il  Sacerdozio  ad  Aronne  e  alla  sua  po- 
sterità, col  far  trovare  che  la  verga  d'  A- 
ronneera  fiorita,  e  gittati  i  bottoni  n'era- 
no usciti  i  (lori  ed  aperte  le  foglie  si  forma- 
vano le  mandorle;  e  ciò  senza  diesi  potes- 
se dire  che  fossero  state  cambiate  le  ver- 
ghe, su  ciascuna  delle  quali  era  scritto  il 
nome  della  tribù  che  l'avea  presentata. 
Sembra,  secondo  s.  Paolo,  ueWEpist.  a- 
gli  ebrei,  che  la  verga  d'Aronne  sia  sla- 
ta posta  uell'Arca  dell'Alleanza.  Ma  seb- 
bene non  vi  sia  alcun  inconveniente  nel 
supporre  un  tal  fallo ,  pure  è  cerio  che 
Dio  ordinò,  nel  libro  de'  Numeri ,  sem- 
plicemente che  fosse  posta  nel  Taberna- 
colo delTestimonio, leggendosi  invece  nel 
libro  3  de'/ìc,  che  nell'Arca  dell'Allean- 
za non  eranvi  che  le  Tavole  della  Legge, 
e  che  in  seguilo  siavi  slata  riposta  anche 
la  verga  d'Aronne.  Così  il  p.  Calmel.  Si 
raccontano  poi  molle  storie  sulla  verga 
di  s.  Giuseppe  (/ .),  sposo  dell'immaco- 
lata Maria  sempre  Vergine,  le  quali  sen- 
za dubbio  hanno  dato  occasione  a'pitto- 
li  e  altri  artisti  di  rappresentare  quel  s. 
patriarca  e  padre  putativo  di  Gesù  Cri- 
sto, con  un  bastone  fiorito  nell'estremi- 


VER 
tà  in  mano;  le  sorbenti  però  dalle  quali 
sono  ricavate  siffatte  storie  non  avendo 
alcuna  autorità  nella  Chiesa  ,  vanno  ri- 
gettate come  avvertì  s.  Girolamo  e  ripe- 
tei nella  citata  biografìa.  Però  non  tac- 
qui il  riferito  da  altri,  che  de'pretenden- 
ti  alla  mano  della  ss.  Vergine  fiorì  sol- 
tanto la  verga  di  s.  Giuseppe,  segnale  di 
virginità.  Tale  credenza  seguì  il  celebre 
Pietro  Perugino  nel  dipingere  un  quadro 
(le  cui  somiglianze  trovatisi  in  quello  del- 
la Podestà  delle  chiavi  data  da  Cristo  a  s. 
Pietro,  dal  medesimo  eseguito  a  fresco 
nella  Cappella  Sistina  del  Vaticano)  e- 
sprimente  lo  Sposalizio  della B.  l'ergi- 
ne 31aria(r.)ì  descritto  dal  eh.  prof.  An- 
tonio Mezzanotte,  Della  vita,  e  delle  ope- 
re di  Pietro  Ganniteci  da  Castello  del- 
la Pieve  cognominato  il  Perugino,  p.  66, 
involato  nel  1797  e  trasportato  in  Fran- 
cia, ed  ora  dicesi  essere  in  Nimes  ovvero 
in  Grenoble.  Nel  dipinto  »  è  notabile  la 
figura  di  un  giovine  che  preso  da  un  sen- 
timento di  sdegno,  moderalo  però  e  di- 
gnitoso ,  spezza  sulla  coscia  la  sua  ver- 
ga non  fiorita  al  pari  di  quella  del  fortu- 
nato Giuseppe,  con  movenza  naturalis- 
sima: un  altro  indietro  altra  ne  rompe 
premendola  con  un  ginocchio,  e  volgen- 
dosi al  suo  vicino  mostra  di  lagnarsi  se- 
co lui  del  caso  avvenuto.  Di  questo  qua- 
dro, nel  i5o4  fece  Raffaello  da  Urbino 
suo  discepolo  piena  imitazione  nel  suo 
dello  stesso  sagro  tema,  ed  è  lo  Sposali- 
zio  lavorato  da  lui  già  adulto  nell'  arte 
per  la  chiesa  di  s.  Francesco  in  Città  di 
Castello  (vengo  assicurato  che  poi  fu  tra- 
sportato nella  pinacoteca  di  Milano)  ". 
Quest'ultimo  nel  1 83  1  magistralmente 
incise  in  Roma  il  eh.  Pietro  Folo,  ed  ora 
è  nella  calcografìa  camerale.  Nel  Sacer- 
dozio (F.)  degli  idolatri,  massime  etru- 
schi e  romani,  si  comprendevano  tra'mi- 
nislri  i  collegi  degli  auguri  e  degli  aru- 
spici, che  usavano  una  specie  di  bastone 
augurale  curvo,  o  verga,  detto  lituus,  che 
portavano  nella  mano  destra.  Romolo  do- 
po la  fondazione  di  Roma  formò  il  cor- 


VER 
pò  armato  di  12  littori,  i  quali  portava- 
no sempre  dinanzi  a  Ini  fasci  di  verghe 
o  bacchette  legate  insieme,  con  in  mezzo 
la  scure,  per  fare  eseguire  le  leggi  da  lui 
tutte,  e  per  battere  o  uccidere  chi  vole- 
va il  re.  Benché  ne  parlai  in  più  luoghi, 
ne  dirò  altre  parole.  Ad  eseguire  gli  or- 
dini de'primari  magistrati  della  repub- 
blica romana,  erano  preceduti  da'littori, 
in  maggiore  o  minor  numero  secondo  il 
grado,  onde  far  che  il  popolo  desse  luo- 
go, servendosi  dell'invito:  Si  vobis  vide- 
tur,  discedite  Quiritcs.  Vegliavano  per- 
chè fosse  loro  fatto  il  dovuto  onore;  e 
battevano  ,  o  decapitavano  i  rei  che  e- 
rano  stali  condannati  da'magistrati,  co- 
mandali colla  formola:  Lictor,addevir- 
ga  reo,  et  in  enni  lege  agc.  Dicevansi  Li- 
ctores  a  ligando ,  perchè  legavano  le  ma- 
ni ed  i  piedi  a'delinquenti  prima  di  giu- 
stiziarli, ovvero  a  ferendis  fascibus  vir- 
gannii  ligatis,  pe'fasci  di  verghe  legate 
insieme  che  portavano.  Pare  che  usasse- 
ro la  verga  anche  i  censori  di  Roma,  poi- 
ché Quintiliano  nel  lib. i,cap.  5,  discor- 
re della  Virga  Censoria.  Grande  era  la 
loro  dignità,  e  quanto  all'onore  mag- 
giore de'consoli,  poiché  tranne  i  littori, 
erano  loro  comuni  gli  ornamenti  e  le  di- 
stinzioni. Qualificò  Cicerone  la  censura: 
Magìstrapudoris  et  modestia.  Principa  - 
le  loro  uffizio  era  la  stima  delle  facoltà 
de  cittadini,  e  il  giudizio  de'loro  costumi; 
gli  uni  e  gli  altri  punivano  anche  colle 
verghe»  I  romani  adoperarono  le  verghe 
nel  battere  i  liberi,  ed  i  Flagelli  [V.)  nel 
flagellare  gli  Schiavi  (F).  I  ministri  del- 
la giustizia  de'romani,  o  littori,  nell'an- 
dare alla  casa  d'alcuno,  percuotevano  le 
porte  con  una  verga.  I  riscuotilori  de' 
tributi,  nominali  benéficiarii  dall'andare 
esenti  da'pesi  della  plebe,  facendo  Pulii- 
ciò  di  littori,  percuotevano  le  porte  con 
una  verga,  chiamala  pedibulum,  da  pe- 
do bastone  de'paslori.  I  Podestà  (  F.)  per 
insegna  d'autorilà  aveano  l'uso  della  bac- 
chetta, Firga,  e  lo  apprendo  anche  da' 
documenti  pubblicati  du'mai  diesi  Vin- 


VER  291 

cenzo  Benigni  Ghislieri  e  fr.  Alessandro 
Ghislieri  ball  gerosolimitano,  nell'opu- 
scolo, Dono  di  nozze,  Narni  1 85g.  Da  es- 
si si  ricava,  che  quando  messere  Piersi- 
mone  Ysiliero  o  Ghislieri  di  Jesi ,  nel 
1492  pigliò  la  bacchetta  qual  podestà  di 
Firenze,  e  quando  nel  i4<)3  la  restituì, 
pronunziò  due  analoghe  orazioni,  che  si 
riportano.  Questi  documenti  furono  trat- 
ti dal  domestico  archivio.  Il  Sarnelli  nel- 
le Lettere  eccl.,  t.  9,  lett.  9,  della  Mazza 
d'argento,  riporta  quantodi  analogo  dis- 
si in  tale  articolo.  Parlando  io  dell'ori- 
gine dello  Scettro  (F.)}  bacchetta  o  ver- 
ga reale,  seguo  d'autorità  e  di  dominio, 
dichiarai  come  si  formò  e  poi  come  si  ri- 
dusse, e  da  chi  fu  usato.  Che  la  Ferula 
{F.),  sinonimo  di  verga,  fu  detta  scettro 
pontificio;  ed  il  Pastorale  (V.)  o  Baco- 
Io  (F.)}  fu  chiamato  verga  e  scettro  de' 
vescovi.  In  greco  si  disse  Narthex  la  fe- 
rula o  scettro,  pel  descritto  nell'articolo 
in  discorso.  Sotto  la  i.'  dinastia  de* re  di 
Francia,  lo  scettro  o  bastone  reale  era  una 
verga  d'oro  alta  quanto  la  persona,  e  nel 
l'estremità  ricurva  come  il  pastorale.  Col 
ministero  d'una  verga  gl'incantatori  e  i 
maghi  esercita  vano  la  Magia  (F.),\\  Ma- 
lefìcio (F.)  o  Sortilegio;  così  la  Strega 
(F.)  o  pitonessa  con  incantesimi  e  Divi- 
nazioni (V.)y  invocava  l'opera  e  l'aiu- 
to del  Demonio  (V.),  il  quale  però  non 
può  far  nulla  senza  la  permissione  del- 
l'onnipotente Dio;  e,  lo  dichiarai  ezian- 
dio tenendo  proposito  della  Superstizio* 
ne  (F.J}  nel  combatterla  e  riprovarla.  Gli 
uni  e  le  altre  tuttociò  eseguivano  colla 
Bacchetta  Divinatoria  (V.),  e  ne  ripar- 
lai nel  voi.  LXX,  p.  193.  Verga  magica 
dicesi  quella  verga  con  cui  si  fanno  i  cer- 
chi o  circoli  per  le  magiche  operazioni. 
Con  superstizione  si  trae  dal  nocciolo,  e 
con  sacrileghe  preci  si  rende  tale.  Il  me- 
todo della  divinazione  si  dice  anco  rabdo- 
manzìa; è  assai  antico,  e  ne'tempi  mo- 
derni fu  eseguito  con  bacchette,  mazze  o 
bastoncelli ,  e  poi  quel  nome  s'  applicò 
all'arte  vana  di  cercar  acque,  miniere  e 


a9a  V  E  11 

tesori  sol  lena  nei  con  bocchetta  divinato» 
ria.  Quel  vocabolo  deriva  dal  greco  che 
significa  Racchetta,  e  da  altro  che  sì^ni- 
ika  Predizione  o  Divinazione.  Ciò  fu  in 
uso  presso  gli  ebrei  e  altri  antichi  popo- 
li, ma  si  praticò  in  diverse  maniere,  con 
un  cumulo  di  superstizioni  :  arte  vana, 
ch'ebbe  piti  o  meno  sempre  deplorabili 
fautori,  pure  dotti;  impostura  però  che 
fu  ripetutamente  smascherata,  ha  Ferit- 
iti è  insegna  d'autorità  e  giurisdizione, 
ed  è  tuttora  usata  in  alcune  sagre  fun- 
zioni dal  Priore  (V.)  escardinali  diaco- 
ni. Venne  ancora  detta  Bastone  ,  bac- 
chetta e  baculetto.  L'usarono  il  priore  ba- 
silicario  di  s.  Lorenzo  ad  Sane  la  Sancto- 
rum,  ora  santuario  della  Scala  Santa 
(/%),  nelle  funzioni  che  facevansi  auche 
nel  Triclinio  (F.).  Fu  altresì  la  Ferula 
propria  del  Primicerio  (F.)  della  scuola 
de'cantori  pontificii,  e  di  altri  primiceri 
o  capi  di  diversi  ordini  o  dignitari,  come 
nella  chiesa  di  Milanoov'era  distintivo  de' 
i  oo  decumani,  de'quali  riparlai  nel  voi. 
LXXII,p.3oo ed  aVERCELLi,appe!lati  per- 
ciò cento  verghe. Dice  il  Magri  nella  Noti- 
zia de' vocaboli  ecclesiastici,  verbo  Tir- 
garius,  the  con  tal  nome  chiama  vasi  il 
Cantore  della  chiesa,  perchè  portava  in 
mano  una  verga  ;  onde  vicino  alla  basilica 
Vaticana  era  una  chiesa  intitolata  s.  Ma- 
riae  Firgariorum^eWa  quales.Gregorio 
Jajvea  istituito  un  collegio  o  Scuola  di  can- 
tori, denominata  Scuola  Virgariorum. 
Essi  a  veano  cura  d'apparecchiare  il  Letto 
(T-'.Jsopra  del  qualedovea  riposare  il  Papa 
quando  camminava  processionalmente, 
prima  di  pararsi  per  celebrar  la  messa  in 
quella  chiesa  ove  terminava  la  processio- 
ne, sia  per  festa,  sia  per  Stazione  sagra. 
iNe  derivò  l'attuale  Camera  de' paramen- 
ti (F.).  Anticamente  la  Ferula  apostoli- 
ca si  usava  da'PapijZ/z  signum  regiminis 
(della  Sovranità  temporale  ),  et  corre- 
ctionis,  allorché  dopo  l'elezione  si  pone- 
vano a  sedere  nelle  Sedie  (F.)  Latera- 
nensi  prendendo  possesso  del  Patriarchio 
(t  .)  e  della  prole-basilica  di   Laterano, 


V  Eli 
Qual  simbolo  poi  d'illimitata  autorità  u- 
la  tono  ed  usuilo  l'astata  Croce  Pontifi- 
cia (/  .),  e  ne  riparlai  nel  voi.  LXXIII, 
p.  373,  mentre  nel  voi.  LXXX,p.  2  t  5, 
tornai  a  impugnare  e  confutare  il  capric- 
cio degli  artisti  nel  rappresentare  i  l'api 
tenendo  la  Croce  doppia  greca  con  due  o 
tre  traverse  o  sbarre.  I  Papi  non  usaro- 
no il  batolo,  perchè  è  seguo  di  limitata 
giurisdizione,  e  perchè  pu testa tem  a  so- 
lo De.o  recipiat.  Colla  verga  o  Ferula  i 
sovrani  e  signori  laici  dierono  V investitu- 
re Ecclesiastiche  (F.)  di  vescovati  e  ab- 
bazie ,  e  ciò  talvolta  praticarono   pure  i 


P 


ipi. 


Feci  distinzione  tra  esse  e  la  Ri 


galia,  in  quest'articolo,  eziandio  per  la 
Rendita  ecclesiastica  (F*),  La  verga  pe- 
nitenziale venne  usata  per  V Assoluzione 
(  F.)  delle  Censure oPcne canonicltef I7,), 
per  la  dovula  Penitenza [V.).  Se  ne  con- 
serva la  memoria  nella  bacchetta  usata 
da'  Penitenzieri  (F.),  oltre  il  detto  nel 
voi.  LI1,  p.  61,  nelle  patriarcali  di  Ro- 
ma e  in  quelle  insigni  chiese  cui  fu  con- 
cesso per  privilegio,  però  con  l'eccezio- 
ne notata  nel  voi.  Lll,  p.  71.  Della  bac- 
chetta o  verga  o  ferula  penitenziale,  tor- 
nai a  parlarne  nel  voi.  LX1I  ,  p.  120, 
e  altrove,  rimarcando  che  Giulio  II  nel- 
l'assolvei  e  i  veneziani  L\a\VInterdello[F.) 
e  dalla  Scomunica  (F.J,  non  volle  usa- 
re le  consuete  verghe. \\ Penitenziere  mag- 
giore (F.)  adopera  la  bacchetta  peniten- 
ziale dorata.  L'uso  delle  verghe  adope- 
rate co'delinquenti  da'giudici  ecclesiasti- 
ci è  anlichissioìo:  il  Baronio  ne  parla  ne- 
gli Annali  ecclesiastici,  all'anno  5g2,  11. 
28.  Il  Buonarroti,  Osservazioni  sui  vasi 
antichi  di  vetro,  p.  28  e  5i,  dice  che  gli 
antichi  cristiani  rappresentarono  in  essi 
il  Pastor  buono  colla  verga  in  mano,  poi- 
ché a  veano  i  pastori  in  uso  non  solo  il  ba- 
stone, ma  anco  la  verga,  e  come  nota  il 
JVazianzeno,  si  servivano  di  quello  per 
reggere,  e  per  ridurre  in  istrada  il  greg 
gè,  e  perciò  si  suol  vedere  colla  cima  ri- 
torta, edicevasi/;e<ioo  bastoneda  pastore, 
da  cui  derivò  ne'vescovi;e  altri  per  privi- 


VER 

legio,il  pastorale;adoperavanopoila  ver- 
ga  per  percuotere,  e  soggiunge  lo  stesso 
s.  Padre,  che  i  sagri  pastori,  a  somiglian- 
za cìolla  mansuetudine  ilei  Pastoreevan- 
gelico,si  devono  più  del  bastone  pastora- 
le servire,  che della  verga.  Negli  stessi  mo- 
numenti, continua  il  Buonarroti,  è  rap- 
presentatoGesù  Cristo  colla  verga  in  allo 
di  far  miracoli.  »  E  notabile  la  verga  in 
mano  del  Salvatore,  segno  del  regno,  del 
sacerdozio  e  della    dottrina  del    Messia; 
pare  però  a  me,  vedendola  in  mano  a  Cri- 
sto, qui  e  altrove,  in  occasione  di  far  mi* 
racoli,  ch'ella  significhi  l'assoluta  sua  po- 
destà sopra  la   natura  concedutagli  dal 
Padre  '".  I    fiorentini  rappresentarono  il 
loro  patrono  s.  Gio.  Ballista,  ne' fiorini 
d'oro,  tenendo  nella  sinistra  una  verga  o 
scettro,  come  riscontrasi  nel  Vettori,  // 
fiorino  d'oro  antico  illustrato.  Il  Borgia, 
Memorie  storiche  di  Benevento,  nel  t.i, 
p.  64,  parla  della  verga  colla  quale  fu» 
rono  espressi  gli  Angeli,  e  del  suo  signi- 
ficato, come  nella  moneta  che  descrive 
del  principe  di  Benevento  Sicone,  nel  cui 
rovescio  è  l'effìgie  dell'arcangelo  s.  Mi- 
chele, che  tiene  nella  destra  una   verga 
ossia  una  canna,  e  colla  sinistra  una  Cro- 
ce, dopo  avere  riferito  col  Ciampini,  Ve- 
ter.  Alonirn.,  par.  1 ,  cap.  1 5,  quanto  dice 
sulle  immagini  del  Salvatore  e  degli  An- 
geli espressi  con  canne  in  mano,  riporta 
lo  scritto  da  s.  Dionisio  l'Areopagita,  De 
Codesti  Ilier  ardua,  in  Bibliotli.  PP.  I. 
2,  p.  1 87.  »  V ir  gas  Angelorum  designa- 
re lìegiam,  et  Duca  lem  diguilatem,  re- 
ctaincjuc  rei  um  divinarum  ordinatio- 
nem  hastas(s\  haslas  vocale liceat)  et  se* 
cures,  vini  dissimilia  dividendi,  virtu- 
Uuncjue  discernere  va  lenti  um  acumen,  et 
aclivitatcm,  atque  efficacia  ni",  11  cordi* 
nal  Garampi,  Illustrazione  del  sigillo 
della  Garfagnana,  p. io3,  tratta  della 
verga  usata  nell'investiture,  che  soleva- 
no darsi  per  virgam,  e  impossessi  in  si- 
gnumregiiniuis  etcorrectionìs.  Antichis- 
simo è  nella  famiglia  pontifìcia  il  colle- 
gio de'  Maestri  Ostiari  (/'.)  de  1  irga 


VER  293 

ruhca  (F.),  custodi  della  Croce  Ponti- 
ficia nette  funzioni  papali,  cosi  delti,  per- 
chè custodivano  le  porte  della  camera  de' 
paramenti,  e  portavano  una  verga  o  ba- 
stone lungo  due  palmi  circa,  coperto  di 
velluto  rosso  con  ornati  d'argento.  In  In- 
ghilterra (A7.),  usciere  della  verga  ne- 
ra si  chiama  il  primario  gentiluomo  u- 
sciere  del  re,  eh' è  detto  nel  libro  nero 
lutar  Firgae  nigrae  et  hostiariusi  ed  al- 
trove Virgibajulus.  11  suo  incarico  è  di 
portare  la  verga  avanti  al  re  nella  festa 
di  s.  Giorgio  a  Windsor.  Ha  pure  la  cu- 
stodia della  casa  in  cui  tiensi  il  capitolo 
dell'ordine  della  Giarrettiera  (Z7.).  Du- 
rante il  parlamento  serve  alla  camera  de* 
lord.  La  sua  insegna  è  una  verga  nera 
con  un  leone  d'oro  in  cima. 

VERGINE  (SS.).  V,  Vergine. 

VERGINE  (SS.).  Ordine  equestre  in 
Italia.  Nel  1618  i  fratelli  Pietro,  Gio.  Bat- 
tista e  Bernardo  Petrigna,  gentiluomini 
di  Spello  nello  stalo  pontificio,  fondaro- 
no l'ordine  militare  della  ss.  Vergine.  Il 
Papa  Paolo  V  ne  approvò  gli  statuti,  se- 
condo i  quali  i  cavalieri  s' impegnavano 
di  difendere  la  religione  cristiana,  di  far 
la  guerra  a'  turchi,  e  di  travagliare  per 
l'esaltazione  della  s.  Chiesa.  11  palazzo  di 
S.Giovanni  in  Laterano  fu  assegnato  per 
convento  e  abitazione  de' cavalieri.  Essi 
portavano  per  insegna  cavalleresca  una 
Croce  di  raso  celeste  ricamata  d'argento, 
colle  estremità  gigliate,  per  essere  l'ordi- 
ne istituito  sotto  P  invocazione  della  ss. 
Vergine,  Giglio  delle  con  valli,  cioè  para- 
gonata a'gigli  per  la  sua  umiltà  e  cando- 
re. Ciascuna  estremila  era  adorna  d'una 
stella  arricciata  ossia  circondata  di  rag- 
gi, per  significare  i  4  Evangelisti:  nel  mez- 
zo vi  era  un  tondo  che  conteneva  la  ci- 
fra M.  S.  unita  e  corona  con  ghirlanda 
di  stelle  d'oro,  significando  la  cifra  San- 
ta Diaria.  Intorno  leggevasi  l'epigrafe: 
In  hoc  sitino  v'incanì.  La  conformità  di 
tutte  queste  cose,  con  ciò  che  dice  Elia 
Ashmole  della  Milizia  Cristiana,  o  del- 
l'ordine della  Concezione  della  ss.  Vergi- 


a94  VER 

ne,  potrebbe  far  credere,  ebesieno  stali 
confusi  questi  due  ordini  nella  descrizio- 
ne de'loro  ornamenti.  Così  il  Dizionario 
portatile  degli  ordini  religiosi  e  milita- 
ri, Venezia  1790,  ma  non  pare,  come  si 
può  vedere  in  quegli  articoli;  anzi  sol- 
tanto tale  opera  parla  dell'ordine  della  ss. 
l'ergine,  almeno  con  questa  semplice  de- 
nominazione; e  se  realmente  fu  istituito, 
convien  credere  che  avesse  breve  dura- 
ta, non  avendone  trovato  uotizia  inaltre 
analoghe  opere. 

VERGINE,  Virgo.  Uomo  e  donna, 
maschio  e  femmina,  die  non  si  congiun- 
sero carnalmente,  ma  più.  propriamente 
di  femmina  che  non  esercitò  la  copula. 
Vergine  dicesi  di  qualunque  cosa  non  a- 
doperata.  Vergini  inoltre  chiamansi  le 
donne  che  non  sono  mai  state  maritate; 
così  pure  quelle  che  hanno  fatto  voto 
di  verginità  in  un  Chiostro  (V.),  deno- 
minale sagre  vergini;  ovvero  quelle 
che  vivono  nelle  comunità  o  società  re- 
golari di  ordine  religioso,  e  che  non  fan- 
no i  Voti  (V.)  di  religione,  fra' quali  il 
l.°  è  l'osservanza  della  castità  ossia  Ce- 
libato (V.).  Assolutamente  Vergine,  di- 
cesi per  eccellenza  Maria  Vergine  (V.), 
la  ss.  Verginemadre  di  Gesù  Cristo,  Vir- 
go Deipara,  sempre  vergine  benché  ce- 
lebrò lo  Sposalizio  (V.)  con  s.  Giusep- 
pe che  parimente  rimase  sempre  vergi- 
ne. La  B.  Vergine  Maria  restò  vergine  a- 
vanti  il  parto,  nel  parto  e  dopo  il  parto. 
E'  la  vergine  di  cui  disse  il  profeta  Isaia: 
»  Una  Vergine  concepirà  e  partorirà  un 
Figliuolo,  ed  il  nome  di  lui  sarà  detto 
Emanuele".  Con  questa  profezia  Isaia 
annunziò  al  re  Achaz  la  nascita  ei,'  Ve- 
nuta del  Messia  ( F\)t  e  fu  com pi  u ta  i n  Gè • 
su  Cristo,  che  riunì  in  se  stesso  le  due  na- 
ture divina  ed  umana,  ed  in  questo  sen- 
so è  veramente  Emanuel,  vale  a  dire,  Dio 
con  noi ,  così  suonando  quel  nome  tra- 
dotto dall'ebraico.  Nelle  Litanie  de  San- 
ti l'invochiamo:  Sanata  Virgo  Virginum, 
in  cui  pure  lo  sono:  Omnes  Sanctae  Vir- 
gines  et  Viduae,  orate  pio  nobis.  L'in- 


VER 
vochiamo  ancora  nelle  Litanie  Laun  la- 
ne: Sancta  Virgo  Virginum; Mater  pu- 
rissima, castissima,  inviolata  ,  interne- 
rataj  Virgo  prudenlissima,  veneranda, 
praedicanda,  polensìtclcmens,  fidelis; 
Regina  Virginum,  Regina  si  ne  labe,  o- 
riginali  concepta.  11  p.  Calogerà ,  Rac- 
colta d*  Opuscoli,  t.  43,  riporta  del  ve- 
scovo s.  Antipalro,  Serrilo  de  B.  Virgi- 
ne,  colle  annotazioni  del  p.  ab.Trombel- 
li.Ils.  vescovo  chiama  laI3.  Vergine,  Spo ri- 
sa indespo usata j ed  il  p.  Trombetti  l'an- 
nota :  Indesponsala  propterea  dicitur, 
autquia  nondum  nupta,sed  tantum  so- 
lemni promissione  obstrictaJosepho,  au  t 
quia  Virgo  mariti  nescia.  Maria  Vergi- 
ne fu  la  prima  che  alzò  lo  stendardo  del- 
la Verginità,  per  quanto  poi  aggiungerò 
col  Rinaldi.  Ad  esempio  suo  si  formaro- 
no tante  vergini,  le  quali  si  consagraro- 
no e  si  consagrano  al  Signore  collo  Spo- 
salizio spirituale,  quindi  è  innumerabile 
il  coro  delle  ss.  Vergini.  Il  Comune  delle 
ss.  Vergini  e  non  Vergini,dice  il  Diclich  , 
nel  Dizionario  sacro-li torg7*co,quantun  - 
que  serva  anche  per  le  Vergini  e  Marti ri , 
e  per  le  Martiri  e  non  Vergini, pure  vi  so- 
no in  esso  molte  cose  proprie.  E'  da  no- 
tarsi per  questo  uflizio,  che  se  sono  più 
ss.  Vergini, oltre  la  orazione  vi  è  propria 
anche  l'antifona  in  ambedue  i  vesperi,e 
nelle  laudi,  cioè  Prudentes  Virgìrws,elc. 
Nel  concorso  poi  di  due  ss.  Vergini,  si  po- 
tranno dire  le  due  orazioni:  Deus,  qui  in- 
ter  caetera  potentiae,  ed  Indulgentiain, 
taciuti  i  l'itoli  Virginis  et  Martyris.  Ga- 
vanto  in  Rubr.  Brev.  Roni.,  §  8,  cap.  4- 
La  virginità  delle  ss.  Martiri  fu  da  Dio 
protetta  mirabilmente,e  miracolosamen- 
te coperta  la  nudità.  Abbiamo  di  Paolo 
Enrico  Tdemanno  ,  Disputano  de  jure 
circa  nnditatem,  ubi  de  nuditate  capi- 
lis,  pecloris,  et  pedum,  Fra  ncof  urli  et 
Lipsiaei728ei753.  Quantunque  sia  de- 
bole e  inferiore  «Ila  viritela  condizione 
delle  donne,  pure  l'ellicace  e  meraviglio- 
sa grazia  di  Gesù  Cristo  l'ha  fatta  trion- 
fare. E  perciò  fors'auche  più  gloriose  so 


V  ER 

no  comparse  le  loro  vittorie,  e  più  belle 
e  brillanti  le  loro  corone.  Poiché  sopra 
di  esse  con  un  sorprendente  splendore  lia 
campeggiato  V  onnipotenza  divina,  che 
secondo  la  giusta  riflessione  di  s.  Gio.  Cri- 
sostomo, vincer  volle  e  conquidere,  per 
mezzo  del  sesso  imbelle,  quell'  infernale 
serpente,  il  quale  per  opera  della  \? Don- 
na da  lui  sedotta,  avea  abbattuto  il  ses- 
so più  forte  deli.0  Uomo.  Narra  s.  Am- 
brogio,^ Horlat.ad  Firgines  83  » ,  che 
s.  Sotei e  vergine  e  martire,  nella  perse- 
cuzione di  Diocleziano,  fu  condotta  in- 
nanzi al  giudice,  il  quale  vedendola  co- 
si;; ute  nella  Catìe,  ordinò  a'miuistri  che  le 
dessero  delle  guanciale;  e  che  essa  a  tal 
comando  scopri  intrepidamente  il  volto, 
fin  allora  tenuto  coperto,  per  mostrare 
di  non  temerle.  Lo  slesso  s.  Dottore  nel- 
YEpist.  27  ad  Simpliciam,  n.  34>  fa  il 
più  vittorioso  confronto  della  meraviglio- 
sa costanza  delle  imbelli  donzelle  cristia- 
ne, e  lo  pone  al  di  sopra  di  quella  affet- 
tata da'più  celebri  gentili  filosofi,  in  fac- 
cia alla  morte.  Similmente  la  loroforlez- 
fa  fu  dimostrata  assai  maggiore  di  quel- 
la de'decantali  eroi  degl'infedeli,  eziandio 
dal  Crisostomo  neU'IIomil.  1  8  in  Episf. 
ad  Corinth.,  e  da  s.  Agostino,  I.  1,  De 
morib.  Feci.  cat1iol.t  e.  22.  Anche  Ori- 
gene stupefallo  de'lrionfì  riportati  dalle 
più  tenere  verginelle  sul  furore  de'tiran- 
tii,  per  esserne  sialo  fortunatissimo  testi- 
monio, ne  fa  il  più  splendido  elogio  nel- 
YHom.  e),  n.  1:  In  oculis  noslris  saepe 
v\din\u$  Mulieres  et  Firgines ,  primac 
adiate  aelatis,  prò  marlyrio  tirannico , 
pcvlulissc  tormenta,  quìLns  ad  infirmi- 
talem  sexns  nonnullae  adirne  vilae  fra- 
gili tas  addehatur.  E  neWIIom.  4  inHie- 
remia  ,  n.  3  :  Tunc  enim  verofideles) 
quando  Mar fy rum  victimae  ferìehan- 
tur.  Omnis  erat  multitudo  lugentium, 
quando calccliumeni  in  prima  statini  fi- 
de proferendo  mar  ly  rio  ducebantur  j 
quando  mulierculae,  et  infirmus  sexus 
usque  ad  morlem  manehat  intiepidite. 
Quest'argomento  fu  trattato  in  una  Dis- 


VER  295 

sertalio  citata  ne'  Commentarli  de  vi- 
ta, etscriptis  Jo.  Dom.  Mansi 3  Venetiis 
1622  :  De  Catholicorum  et  II aer elico- 
rum  Martyribus,  oc  Marlyrio  ,  nella 
quale,  notas  quibus  ChrisliMartyresdi- 
stinguuntur,  elcganler,  et  nitide  afferf, 
et  locultnler  Haerelicorum ,  quos  ipsi 
jaclant,  Marlyres^  cxìàsloria adducis , 
et  quantum  a  vera  Marlyrii  laude  ab- 
sintf  demonstrat.  Deve  poi  recar  la  più 
gran  meraviglia  la  protezione  amorosa, 
colla  quale  il  Signore  si  é  degnato  di  pre- 
servare le  dilette  sue  spose  da  ogni  ben- 
ché minimo  insulto,  disonorante  il  can- 
doie  dell'odoroso  giglio  della  loro  santa 
verginità,  ad  onta  di  qualunque  reo  dia- 
bolico attentato  de'suoi  nemici.  Poiché  gli 
Atti  sinceri  de' primi  Martiri  della  Chie- 
sa Cattolica  raccolti  dal p.  Ruinart,  ci 
presentano  i  mirabili  medi,  co'quali  Id- 
dio ha  fallo  riuscir  vani  gli  sforzi  degli 
empii,  onde  non  fosse  recata  ingiuria  al- 
la pudicizia  delle  caste  vergini,  per  aver 
concorso  con  la  sua  onnipotenza  a  pro- 
teggerle ed  a  preservarle,  sottraendo  agli 
sguardi  licenziosi  de'carnefici  e  del  volgo 
le  loro  svestite  membra.  Una  nuvola  d'o- 
ro tutta  ricoperse  la  vergine  s.  Barbara, 
tratta  nuda  dal  suo  barbaro  padre  al  sup- 
plizio. Esposta  nuda  la  valorosa  veigine 
s.  Agnese  alla  pubblica  vista,  in  un  pun- 
to le  crebbero  i  capelli,  che  tutta  la  co- 
prirono. Ad  altre  ss.  Vergini  Dio  fece  il 
miracolo  di  non  sentire  vergogna  dell'i- 
gnominiosa loro  nudità.  E  chi  non  com- 
prende,che  senza  comparazioue  altrimen- 
ti sarebbe  loro  doluta  assai  più  qualun- 
que menoma  offesa  del  loro  pudore  e  del- 
ia loro  verecondia  ,  che  tutti  i  possibili 
strazii  e  tormenti?  Di  fatti  nella  persecu- 
zione de'vandali,  s.  Dionisia  nobilissima 
matrona  africana  disse  a'suoi  persecuto- 
ri, che  la  straziassero  pure  a  lor  talento, 
ma  che  non  ardissero  di  offendere  la  sua 
pudicizia. Eranogià  persuasi  i  tiranniche 
il  massimo  degli  spasimi  delle  ss.  Vergi- 
ni sarebbe  stata  la  nudità  delle  loro  per- 
sone. E  perciò  ne' tormenti  loro  minac- 


a96  VER 

ciati,  quasi  sempre  leggonsi  emanali  or- 
clini  così  iniqui,  che  ciò  non  ostante  fu 
rono  sempre  delusi  dalia  special  piovvi 
(lenza  del  Signore.  Poiché  o  per  prodigio 
veniva  difesa  la  modestia  delle  ss.  limi- 
ne, oalle  loro  preghiere  aderivano  i  ti- 
ranni a  cambiare  l'iniquissima  sentenza. 
In  Alessandria,  durante  la  persecuzione 
di  Severo,  il  giudice  Aquila,  dopo  aver 
fatto  straziare  co'più  crudeli  tormenti  in 
tutto  il  corpo  s.  Potamiena,  avendo  ve- 
duto riuscir  vane  le  sue  minacele  di  met- 
terla in  braccio  a  più  gladiatori,  per  far- 
la violare,  comandò,  che  spogliata  ignu- 
da ,  fosse  gittata  entro  una  caldaia   bol- 
lente. Ciò  inteso  dalla  modestissima  ver- 
gine, scongiurò  il  presidente,  che  non  la 
facesse  spogliare;  ma  che  così  ,  com'era 
vestita,  fosse  a  poco  a  poco,  per  suo  mag- 
gior tormento,  ivi  sommersa.  Alle  fervo- 
rose pre^  nere  di  Potamiena  ,  fece  Dio 
cambiare  al  giudice  l'empia  sua  risolu- 
zione, avendo  permesso  che  la  s.  Vergi- 
ne' fosse  con  più  lungo  e  penoso  martirio 
fatta  calare  vestila  nella  cocente  caldaia, 
in  cui  dopo  lo  spazio  di  3  ore,  allorché 
la  pece  arrivò  insino  al  collo  ,  rendè  il 
suo  spirito  a  Dio,  unitamente  a  s.  Basi- 
lide,  che  ne  difese  la  verginità  dalla  pe- 
tulanza degPirnpudici.  Pare  certamente 
che  altrettanto  avveuisse  a  s.  Veneranda, 
condannata  due  volte  a  subir  la  pena  del- 
la denudazione,  il  più  terribile  di  tutti  i 
supplizi  al  cuore  verginale  d'una  femmi- 
na pudica.  Si  rammenta  da  Tacito  nel 
lib.  5,  la  legge  de' romani  (commentata 
da  Gip.  Fid.  Pfeiffero,  Dissertationes  de 
curai7  ir  ginum  apudveteres,  llegiomon- 
Iiii5y2;eda  Bartolomeo  LeoneSchwen- 
dendoi  fiero  ,  Dìssertatio  de  privilegiis 
//7>g/m///iJLipsiae  1 676)^116 nessuna  ver- 
gine potesse  essere  condannata  a  morte; 
e  che  perciò,  se  a  caso  per  qualche  delit- 
to qualcuna  se  la  fosse  meritata,  prima 
dell'ultimo  supplizio  dovesse  dal  mani- 
goldo, o  da  qualche  infamissimo  malfat- 
tore, deflorarsi  con  lo  stupro.  Ma  per  trat- 
to mirabile  della  Provvidenza,  nou  si  sa 


VER 
die  mai  sia  stata  eseguita  legge  sì  burba. 
ra  ed  iniqua  a  danno  e  confusione   deb 
l'illibate  ss.  Vergini  martirizzate.  La  co- 
stanza e  1'  intrepidezza   di  que'  valorosi 
campioni  di  ogni  età  3  di  ogni  sesso  ,  di 
ogni  condizione,  i  quali  nel  mezzo  a'piìi 
duri  e  più  atroci  tormenti,  e  in  faccia  al- 
le morti   più  ignominiose  e  crudeli,  so- 
stennero coraggiosamente,  e  confessaro- 
no col  loro  sangue  la  fede  di  Gesù  Cri- 
sto, si  celebrò  anche  da'segueuti  scritto- 
ri. Gottofredo  Gleitsmauno,  Dissertali o 
de  heroica  primorum  Martyrum  con- 
stantiayi68y.  Urbano  Godefredo  Siberi, 
Dìssertatio  de  Martyribus   Divinitàtìs 
Ckrisli  testi  bus  ,  Lipsiae  1714-  Goltleb 
Federico  Gudi,  Commentano  de  Mar- 
lyrìbus Divini lalis  Spiritili  Saneti  testi- 
bus,  Lipsiaei726.  Gio.  Gaspare  Iieucli- 
ni,  Dìssertatio  de  studio  Martyrum-  in 
Ecclesia 'primitiva  ,Jenae  1  727.Gio.Giu- 
seppe  Paulo vich  Lucidi,  Sopra  il  modo 
di  risentire  i  tormenti ,  in  occasione  del 
martirio  di' 'cristiani,  e  della  cagione 
dell'insensibilità  osservata  ne' maggiori 
supplizi  de*  ss.  Martiri,  Macarskai  793. 
Diiò  più  sotto  del  grau  numero  di  sa- 
gre vergini,  che  popolarono  tanti  mona- 
steri, ed  in  aggiunta  al  riferito  delle  ss. 
Vergini  e  Martiri  ,  ora  col  dotto   Paoli, 
Notizie  del  corpo  di  s.  Felici  a  no  mar- 
tire,  Roma   «796,   pel   Baldassari  ,  scri- 
verò alquante  parole  per  rischiarare  la 
controversia    dibattuta  intorno  alle  un- 
dici mila  V 'ergini ,  che  si  dicono  com- 
pagne e  seguaci  della  fortunata  s.  Or- 
sola (P .)  vergine  e  martire,  sotto  i  cui 
auspicii  si  fondarono  moltissimi  stabili- 
menti di  educazione  per  le  donzelle,  col 
nome  di  Orso  li  ne  (f7.)-  E'  ben   nota  la 
difficoltà  ,  che  sempre  hanno  avuta  gli 
scrittori  in  ammettere  una  così  numero- 
sa moltitudine  di  ss.    Vergini  ,  condotte 
come  seguaci  d'una  sola  verginella,  e  tru- 
cidate barbaramente  dalla  pagana  cru- 
deltà (degli  unni  e  seppellite  a  Colonia). 
11  detto  numero,  come  esagerato  e  incre- 
dibile, ha  prodotto  l'insolente  disprezzo, 


VER 
cui  quale  molti  poco  cui  unti  del  culto  do* 
vulo  a  Servi  dì  Dio  (^.),  o  per  mancan- 
za di  religione,  o  per  corruttela  di  mas- 
sima e  di  co-lume,  hanno  riguardato  le 
memorie  antiche  della  Chiesa,  come  se 
fossero  un  lavoro  di  secoli  ingannati  e  o- 
seuri.  Per  modificare  1'  espressione  del 
grandissimo  numero,  taluno  pensò  savia- 
mente, che  la  sola  cattiva  iutel[igenza  del  - 
le  lettere  romane,  apposte  a' numeri  e 
trovate  tie'codici  (che  se  sono  gemme  di 
erudizione  manoscritta,  nello  stesso  tem- 
po e  per  quanto  dissi  parlando  di  uno  nel 
voi.  XCll,p.  47 7, vanno  cautamente  pon- 
derati colla  saua  critica  per  giudiziosa- 
mente apprezzarne  l'idoneità,  I' autenti- 
cità e  il  valore  che  propriamente  gli  si 
debbe  attribuire,  per  evitare  la  respon- 
sabilità di  eccezioni  a  cui  ponno  essere 
segno,  nel  compromettere  gravi  e  delica- 
ti argomenti),  abbia  fatto  crescere  a  mi- 
gliaia quelle,  ch'erano  di  quantità  assai 
limitata.  Quindi  nel  veder  posta  la  me- 
moria loro  nella  seguente  maniera:  XI. 
M.  F.  invece  di  leggere  Undici  Alar  Uri 
e  Pergini,  abbia  letto  e  poi  trascritto  Un- 
dici Mila  Vergini.  Questa  spiegazione 
potrà  a  prima  vista  togliere  l'incredibi- 
le, ma  non  potrà  distruggere  quella  cer- 
tezza, che  del  sicuro  e  determinato  nu- 
mero loro  abbiamo  dalla  storia.  I  più  an- 
tichi Martirologi,  quello  di  Floro,  il  più 
ristretto  di  Adoue, quello  di  Vandelber- 
lo,  e  del  Grevenio,  non  riferironoil  trion- 
fo di  queste  coraggiose  eroine  segnando 
il  numero,  o  la  qualità  loro  con  sole  let- 
tere iniziali,  ma  ne  specificarono  la  mol- 
titudine in  caratteri,  e  riportando  di  al- 
cune anche  i  nomi  ,  sono  queste  più  di 
undici.  Non  può  duuquea  versi  ricorso  al- 
la cattiva  intelligenza  de'codici^  come  da 
taluno  si  pensò  per  restringere  la  quanti- 
tà sorprendente  di  tante  vergini  unite  as- 
sieme; ina  couverrà  piuttosto  spiegare  il 
fatto  in  altra  maniera,  e  servirà  a  con- 
fermare I'  immemorabile  tradizione  ,  e 
quelle  prov  e  che  la  chiesa  di  Colonia  con- 
vol.  xeni. 


VER  297 

serva  per  giustificare  la  certezza  di  questo 
tatto.  Il  Paoli  distingue  la  festa  di  migliaia 
di  ss.  Vergini, dalla  circostanza  che  (ossero 
tutte  sotto  la  direzione  d'una  sola.  Quau- 
to  ali."  punto,  che  le  nominate  autore- 
voli prove  siano  innegabili,  crede  che  la- 
li  compariranno  allorché  la  continuazio- 
ne dell'insigne  opera  del  Bollando  (sospe- 
sa nel  1794;  venne  riassunta  la  classica 
e  preziosissima  compilazione  nel  1837, 
per   quanto  uotai  nel  voi.  LXI,  p.  75), 
arriverà  a'2 1  ottobre  giorno  festivo  di  s. 
Orsola.  Tanto  ne  persuade  la  frase  ri- 
soluta e  decisiva,  colla  quale  pai  landò  di 
questa  festività  si  esprime  il  p.  Sollerio, 
uno  degli  scrittori  Bollandisli,  nelle  no- 
te ad  Usuardo  ad  dieni  2  1  octobris,  p. 
6 1  5,  in  toni.  Bolland.  7  Junii,  laddove 
di  passaggio  nomina  questa  santa,  dopo 
aver  citato  i  suddetti  Martirologi  e  altri. 
u  Convien  che  abbia  un'ostinazione  più 
dura  del  ferro  colui  che  a  queste  auto- 
rità, appoggiate  all'antica  tradizione  de' 
Coloniensi ,  continuerà  nella    negativa. 
Bliilia  et  millenas  fuisse  illustrissimas 
Virgìneslam  indulilatum  putamus".  Il 
giudizio  di  questo  scrittore,  specialmen- 
te in  riguardo  di  questo  ramo  di  lettera- 
tura concernente  la  Fila  de  Santi  (Z7.), 
sarà  sempre  rispettabile;  ma  come  poi 
fissare,  osserva  il  Paoli,  per  condotterà 
di  sì  copioso  numero  di  ss.  Vergini  una 
santa,  e  come  persuadersi  che  quésta  gio- 
vine Zitella  (V.)  potesse  1  adunare  undi- 
cimila compagne,  qualunque  fosse  l'im- 
presa che  voleva  tentare?  Come  capire, 
che  un  numero  tale  di  vergini  intrapren- 
desse un  pellegrinaggio  siuo  a  Roma,  ed 
incontrandosi  negli  unni  fossero  trucida- 
te, come  vari  storici  narrano ,  presso  il 
Raronio  nelle  note  al  Martyrol.  Rom. 
diei  1  octobris?  Questa  ed  ogni  altra  nar- 
rativa, delle  varie  che  si  leggono  ne'loro 
atti,  non  ponno  giustificarsi  dalla  taccia 
di  favolose,o  almeno  esagerate.  Ilp.  Pao- 
li porta  opinione,  che  la  festa  anticamen- 
te stabilita  a'2 1  ottobre,  avesse  per  og- 
20 


a98  V  E  R 

«•etto  la  commemorazione  di  tutte  le  ss. 
Vergini  e  Martiri,  che  aveano  patito  in 
tli verse  parti  della  cristianità,  e  nella  suc- 
cessione di  più  anni,  poste  sotto  un  nu- 
mero ili  supposizione  e  arbitrario  cioè 
undicimila ,  ed  alle  quali,venisse,e  ben  do- 
verosamente, unita  s.  Orsola,  come  quel- 
la che  senza  dubbio  fu  nel  martirio  suo 
accompagnata  da  una  quantità  conside* 
labile  di  vergini  seguaci  sue.  N u Ila  per 
avventura  potea  essere  più  conveniente 
alla  pietà  de'fedeli,  veneratori  de' Santi, 
quanto  una  solennità  destinata  special- 
mente per  questa  schiera  delle  ss.  Vergi- 
ni, che  seppero  intrecciare  la  palma  a'gi- 
gli,  e  con  doppio  merito  presentarsi  al  ce- 
leste sposo  loro.  La  debolezza  del  sesso, 
la  timidità  del  naturale  ,  la  delicatezza 
delle  membra  ,  unite  quanto  a' comodi 
dell'educazione,quanto  all'immatura  età, 
sempre  ad  una  modestia  e  verecondia  pro- 
pria loro,  e  tutlociò  posto  al  eoo  Tronto 
delle  brutali  scostumalezze,  degli  strazii, 
delle  carnificine,  colle  quali  furono  mal- 
trattate, fu  ne'tempi  delle  Persecuzioni 
della  Chiesa^  lo  sarà  perpetuamente,  un 
oggetto  di  meraviglia  ne'fasti  di  nostra  s. 
Religione,  ed  un  trionfo  singolare  della 
Chiesa  cattolica.  A  confermare  l'esposta 
opinione,  dice  il  Paoli,  gioveranno  que*~ 
monumenti  stessi,  che  ci  assicurano  d'u- 
na festività  così  celebre  come- quella  eli 
s.  Orsola,  e  di  altre  undicimila  vergini. 
Tardi  ne'Mai  litologi  si  fa  memoria  del- 
la santa  ,  che  per  essere  slata  martiriz- 
zata nel  secolo  IV,  o  come  altri  vogliono 
nel  V,  non  fu  per  avventura  registrata 
nella  collezione  de'santi  se  non  dopo  qual- 
che tempo.  Assicura  il  p.  Sollerio  di  non 
averne  trovata  memoria in  tanti  antichi 
monumenti  da  lui  consultati.  Ma  non  co- 
sì della  festa  di  molte  ss.  Vergini,  delle 
quali,  senza  nominar  s.  Orsola,  se  ne  ve- 
de cominciata  nella  Chiesa  la  solennità 
e  specialmente  in  Colonia.  Floro  nel  se- 
colo ÌX  riporta  questa  festa  colle  parole: 
InColonia  la  passione  di  undicimila  J'cr- 


VER 

gini.  Nelle  quali  non  è  nominata  «.  Orso- 
la, ne  le  altre.  In  termini  più  generali  si 
espresse  il  contemporaneo  Vandelberto, 
senza  determinare  il  numero,  contentan- 
dosi dell'espressione  generica  di  piti  mi- 
gliaia. Soltanto  vi  aggiunse  una  partico- 
larità, che  il  p.  Paoli  crede  mostrare  ad 
evidenza,  quanto  intende  provare,  colle 
parole  guidate  da  varie  Sante  condottie- 
re  loro.  Non  era  dunque  una  sola  alla 
testa  d'un  numero  così  grandioso  di  ss. 
Vergini,  ma  intendevasi  far  la  gloriosa 
memoria  di  tutte  quelle  che  in  vari  luo- 
ghie  tempi  in  unione  con  delle  coraggio- 
se loro  compagne  avevano  so lferto  il  mar- 
tirio. Grevenio  parimenti  fece  menzione 
di  migliaia  di  Sante  festeggiate  in  un 
giorno,  ma  senza  indicare  il  nome.  Ado- 
ne nel  suo  più  ristretto  catalogo  de'san- 
ti, confrontando  con  Vandelberto,  espo- 
se più  chiaramente  questo  fatto:  riferisce 
.  la  festa  di  undicimila  Vergini,  riportan- 
do il  nome  di  1 3  perchè  furono  come  le 
condottieri  di  varie  squadre  dell'innomi- 
nate, che  in  diverse  parti  del  mondo  se- 
gnalarono l'invincibile  costanza  loro  nel 
professar  la  fede,  e  conservare  la  vergi- 
nità. Pose  però  e  meritamente  per  lai.8 
s.  Orsola,  non  potendosi  dubitare  che  nel- 
l'essere sagrificata  dalla  barbarie  al  suo 
sposo  celeste  ebbe  un  gran  numero  di 
compagne.  Sopravvenne  il  Martirologio 
Romano,  quello  cioè  pubblicato  avanti  le 
revisioni  posteriori,  ed  usò  la  prudente 
cautela  di  nominare  in  genere  la  festa 
delle  sante  senza  far  menzione  d'alcuna; 
e  finalmente  in  quello  che  al  presente  è 
in  uso  nella  Chiesa  romana  ,  con  altra 
saggia  economia  si  riporta  s.  Orsola  col- 
le sue  compagne  senza  indicare  il  nume- 
ro. Né  per  questo  restarono  senza  culto 
le  rimanenti,  giacché  di  esse  si  trova  fe- 
steggiato il  nome  loro  in  altri  giorni ,  e 
questo  potrà  confermare  che  la  solennità 
fissata  per  un  numero  così  grande  di  ss. 
Vergini  comprendeva  quelle  ancora  che 
non  apparteuevauo  alla  sequela  di  s.  Or- 


V  Eli 

fola.  E  che  in  questo  senso  debba  real- 
mente intendersi  la  controversa  festività 
di  s.  Orsola  con  undicimila  compagne, 
continua  il  Paoli,  si  prova  ad  evidenza 
dal  confronto  che  può  farsi  de' nomi  di 
queste  sante  riportate  da  Adone,  co'nomi 
delle  medesime  ripetute  in  altri  giorni  e 
riconosciute  come  coudottiere  di  nume- 
rose schiere  di  vergini,  secondo  l'espres- 
sione di  Vandelberto.  Saula,  e  Mardia  o 
Marta  secondo  la  diversa  lezione  de' co- 
dici.si  trovano  nel  martirologio  di  Usuar- 
do,  dove  di  s.  Orsola  non  si  fli  comme- 
morazione, e  le  dette  due  eroine  si  dico- 
no unite  a  molte  vergini  :  non  era  dun- 
que questa  schiera  di  sante  unite  alla  det- 
ta s.  Orsola,  ma  dal  giorno  proprio  loro, 
cioè  20  ottobre,  erano  state  trasferite  e 
unite  alla  festa  delle  ss.  Vergini  in  gene- 
rale. Lo  stesso  deve  dirsi  di  s.  Saturnina, 
la  festa  della  quale  in  unione  con  altre 
vergini  si  vede  notata   nel  martirologio 
Veissemburghese  o  Blumanio,  a'2  e  i3 
dicembre.  Così  ancora  di  s.  Cordala,  una 
delle  eroine  che  appartengono  alla  festa 
generale  delle  ss.  Vergini,  come  si  ha  dal 
Combrack,  e  sotto  il  giorno  22  ottobre 
se  ne  celebra  la  festa  notata  in  diversi 
martirologi.  Nel  sostenere  il  p.  Paoli  la 
sua  opinione  ,  dichiarasi  ben  lontano  di 
recare  il  minimo  pregiudizio  né  alla  ce- 
lebrità della  gloriosa  s.  Orsola,  ne  al  cul- 
to che  pieno  di   ossequiosa   venerazione 
le  presta  I'  inclita  città  di  Colonia,  poi- 
ché anzi  crede  d'illustrare  maggiormen- 
te e  l'una  e  l'altro,  e  liberare  nel  tempo 
stesso  gli  atti  della  medesima  dalla  criti- 
ca di  alcuni  scrittori  e  dagl'insulti  de'mi- 
scredenti.  Non  può  dubitarsi  che  l'invit- 
ta s.  Orsola  alla  testa  d'un  numero  con- 
siderabile di  verginelle,  piena  di  straordi- 
nario coraggio,  ed  animando  le  compa- 
gne, sostenesse  intrepida  il  martirio.  Che 
se  nella  storia  di  questo  fatto,  riportato  da 
vari  autori,  si  scorge  qualcbe  diflìcollà 
per  gli    anacronismi  che  vi  sono  ,  o  per 
qualche  incongruenza  di  nomi,  si  dovrau- 
no  mettere  in  non  curanza  simili  negli- 


V  E  R  299 

genze  ed  inutili  episodii ,  giacché  la  so- 
stanza e  fondamento  del  racconto,nel  qua 

10  convengono  tutti  gli  scrittori,  non  po- 
trà essere  controverso,  e  resterà  innega- 
bile nella  storia,  e  la  sua  invincibile  co- 
stanza e  la  doppia  corona,  che  tanto  es- 
se quanto  le  numerose  seguaci  sue  meri- 
tarono in  cielo.  Che  inoltre  se  fossero  sta- 
te le  ss.  Orsoline  in  unione  con  altre  mol- 
te da  tutta  la  cristianità  solennemente  ce- 
lebrate, potevanocomprendere  quelle  an- 
cora che  al  narrar  di  Niceforo,  neWHist. 
Eccles.t  lib.  7,  cap.  6,  chiuse  ne'sagri  ri- 
tiri, ove  gelosamente  custodivano  la  lo- 
ro pudicizia,  e  la  singolare  divozione  lo- 
ro, furono  nella  persecuzione  di  Diocle- 
ziano  in  molte  migliaia  trucidate.  Il  che 
ammettendosi,  avremo  una  festività  so- 
lenne, e  che  faceva  onore  alle  sante  ad 
essa  unite,  né  poteva  in  cosa  alcuna  re- 
car pregiudizioalla  celebres.Orsola,quan 
do  era  di  tutte  riconosciuta  come  prin- 
cipale. Di  simili  commemorazioni  di  va- 
ri santi,  fatte  collettivamente,  se  ne  vede 
anche  al  presente  nelle  chiese  Reroense, 
Silvanettense  e  Cabilonense,  come  ripor- 
ta Guy  et,  De  festis  proprìis  Ecclesiast. 

11  vescovo  Sarnelli  nette  Lettere  ecclesia- 
stiche, tratta  nella  lett.  23  del  t.  7:  Del- 
l'istoria di  s.  Orsola  e  delle  undicimila 
Vergini  sue  Compagne.  Riconosce  l'esi- 
stenza di  varie  leggende  dubbie  e  apo- 
crife sulle  medesime,  e  intende  narrarne 
la  vera  storia,  che  in  breve  è  questa.  Nel 
383  Massimo  fattosi  proclamare  impera- 
tore contro  Graziano,  passato  nelle  Gal- 
lie  co'  bretoni  di  cui  era  duce,  cacciati 
dalle  loro  sedi  gli  armorici,  die'a 'solda- 
ti quel  fertile  paese,  ma  senza  abitatori. 
Laonde  Massimo  domandò  al  re  di  Cor- 
nubia  nella  Brettagna  undicimila  vergi- 
ni per  maritarle  co'soldali  bretoni  della 
nuova  colonia  ,  e  fu  esaudito,  in  uno  a 
s.Orsola  di  lui  figlia  per  isposare  Conna- 
no duce  de'medesimi.  Partite  le  vergini 
da  Londra  per  maritarsi  co'loro  conna- 
stionali,connaviglis'indirizzaronoaU'Ar- 
morica,  ma  una  tempesta  li  portò  ne'li- 


3oo  VER 

ili  di  Germania  e  nel  fiume  Reno.  Era 
allora  infestato  il  mate  Germanico  dai 
corsari  Melgade'pitti  e  Gauno  degli  un- 
ni, in  favore  dell'imperatore  Graziano,  i 
quali  assalite  le  vergini  volevano  abusar- 
ne. Esse  però,  ad  esortazione  di  s.  Orso- 
la, preferirono  la  morte  alla  perdita  del- 
la purità,  onde  furiosamente  furono  ta- 
gliate a  pezzi, martiri  della  verginità.  Es- 
sendosi nascosta  Cotdula,  mossa  dall'  e 
roico  esempio  delle  compagne,  intrepida 
si  scuoprì  e  fu  uccisa.  1  loro  corpi,  por- 
tati in  Colonia,  furono  sepolti  in  una 
chiesa  fabbricata  con  monastero  di  mo- 
nache a  loro  onore,  e  venerati  col  culto 
di  ss.  Martiri.  Si  chiamavano  le  princi- 
pali, oltre  s.Orsola  e  s.  Guida,  loro  mag- 
giori, Seuzia,  Gregorio,  Pianola,  Mai-dia, 
Saula,  Saturnina, Saturnia, Rabazia,  Pai- 
ladia,Clemenzia,Graziae  Cernitila.  Si  di- 
ce, che  s.  Orsola  e  le  ss.  Vergini  compa- 
gne favoriscono  i  loro  divoti  in  punto  di 
morte.  Di  più  il  Sarnelli  riferisce  nel  t. 
io,  lett.  33,  che  LeoueX  colla  bolla  Cimi 
sìcutyiìe'5  maggio  1 5 1 5, concesse  alla  ba- 
dessa e  monache  di  s.  Chiara  di  Parigi, 
di  Albiano  e  di  tutto  1'  ordine,  di  poter 
celebrare  in  perpetuo  con  rito  doppio  la 
festa  Undecim  milliumFirginum.UVìaz- 
za  ne\V  Emerologio  di  Roma  a'n  otto- 
bre,  festa  di  s.  Orsola  con  undicimila  com- 
pagne vergini  e  martiri,  senza  nominar- 
lo, segue  il  racconto  del  Sarnelli,  e  che 
cadute  in  potere  degli  unni  nemici  de' 
cristiani,  questi  attentando  alla  loro  ver- 
ginità e  fede,  animate  dalla  generosa  s. 
Orsola,  preferirono  perdere  la  vita  con 
magnanimo  accordo, anzi  che  perdere  due 
sì  gran  gioie,  per  trionfar  con  esse  in  cielo. 
Anch'egli  segue  la  credenza,  che  Dio  ab* 
bia  concesso  a 'di  veti  di  s.Orsola  e  delle  ss. 
Vergini  compagne,  la  grazia  della  loro 
benefica  assistenza  nel  puuto  di  morte. 
Aggiunge  la  tradizione,  d'essersi  prima 
recate  a  piedi  a  Roma  per  visitarne  i  san- 
tuari ed  i  sagri  cimiteri,  nel  474  gover- 
nandola Chiesa  s.  Simplicio.  Per  ultimo, 
il  Piazza,  enumera  le  chiese  di  Roma  in 


VER 

cui  celebrasi  la  festa  con  indulgenza  ple- 
naria ,  per  venerarsi  in  diverse  di  esse 
parte  della  testa  di  s.  Orsola,  le  teste  del- 
le ss.  Seconda,  diurna,  Candida,  Vitto- 
ria, e  di  altre  sue  compagne,  oltre  il  cor- 
po di  una  e  le  reliquie  di  altre.  Il  dotto 
annotatore  del  celebreBuller./V/r  de  Pa- 
dri, de  Martiri  e  degli  altri  principali 
Santi,  a'2 1  ottobre  riporta  una  specie  di 
dissertazione,  eruditissima  e  critica,  inti- 
tolata :  Considerazione  istorico-critica 
sopra  il  numero  ed  i  nomi  delle  ss.  Ver- 
gini, che  hanno  sofferto  il  martirio  con 
s.  Orsola  in  Colonia.  Con  ragione  dice 
essere  volgarmente  noto  quale  tortura  sia 
stata  pegli  storici  e  critici  eruditi  la  storia 
di  s.  Orsola  e  della  numerosa  sua  com- 
pagnia. Alcuni  rigettano  tutta   la  storia 
intorno  al  martirio  di  s.  Orsola  e  delle 
sue  compagne,  come  invenzione  dell'età 
posteriore;  altri  ammettono  il  fatto  e  ne 
disapprovano  le  circostanze.  Lo  scrittoi  e, 
per  tutto  quanto  l' interessantissimo  da 
lui  ragionato,  crede  aver  giovato  alcuu 
poco  a  dilucidare  una  storia  cosi  oscura 
e  ritrattata  tante  volte;  ma  agevolmen- 
te non  parrà  a  molti  sufficiente  a  chiari- 
re e  decidere  le  questioni,  precipuamen- 
te quella  eh' è  la  maggiore  tra*  critici   e 
^l'istorici,  per  riferire  alcuni  essere  elle- 
no state  undicimila  illustri  e  nobili  Ver- 
gini, e  sessantamila  Vergi  ni  della  minu- 
ta gente,  sicché  tutta  la  società  fu  di  set- 
tantunmiladonzeUe  !  Il  Cancellieri  nell'e- 
ruditissima Dissertazione  delle  ss.  Sim- 
plicia  ed  Orsa,  riferisce  gli  autori   che 
hanno  trattato  prò  e  contra  di  s.  Orsola 
e  delle  ss.  Vergini  sue  compagne. 

Sono  divisigli  stati  e  le  professioni,  nel 
nubile  o  verginale  o  libero  ,  se  non  ob- 
bligato a  voti,  nel  matrimoniale,  nel  ve- 
dovile, nel  chiericaleo  ecclesiastico,  e  nel 
regolare  d'ambo  i  sessi  con  voti  di  celi- 
bato. Da  s.  Paolo  neìi'Epist.  i."  a'eorintii 
è  fatta  menzione  de'3  stati  matrimonia- 
le, verginale  e  vedovile,  e  seuza  difficol- 
tà antepone  i  due  ultimi  al  i.°  Dice  il 
Buonarroti,  Osservazioni  sui  vasi  ariti- 


VER 
chi  dì  vetro,  p.  90,  parlando  d'una  me- 
daglia di  s.  Agnese  col  numero  60,  for- 
se poter  significare  quello  del  frutto  di 
merito  consagrato  alle  vergini,  e  denota- 
re il  grado  del  merito  della  verginità  con- 
giunto in  questa  santa  col  martirio;  men- 
tre i  Padri  antichi  hanno  attribuito  il  mi- 
stero di  questo  numero  sessagesimo  alle 
vergini ,  come  testifica  s.  Girolamo  nel- 
V Apologia  de'suoi  libri  contro  Giovinia- 
no;  e  pare  che  il  medesimo  santo  fosse  il 
t.°,  che  applicasse  loro  il  frutto  centesi- 
mo, per  dar  luogo,  com'egli  dice,  nel 
frutto  sessagesimo  alle  vedove,  ed  in  quel- 
lo del  trigesimo  alle  maritate.  Il  Piazza, 
Cherosilogio  o  discorso  dello  stato  vedo- 
vile, p.  142,  riferisce,  da'teologi  rappre- 
sentarsi tre  sorti  di  castità  raffigurate  nel- 
l'evangelica semente  pure  di  3  sorti;  par- 
te di  cui  rende  il  frutto  trigesimo,  eh' è 
appunto  la  castità  matrimoniale,  di  cui 
tanto  cautamente  parla  l'Apostolo  al  suo 
Timoteo;  il  sessagesimo,  ch'è  lo  stato  ve- 
dovile, innalzato  a  maggior  grado  di  es- 
so; ed  il  3.°  è  il  centesimo,  paragonalo  al 
solo  centesimo,  cioè  al  verginale  il  più 
perfetto  di  tutti,  essendo  solito  dire  un 
gran  maestro  di  spirito,  che  il  matrimo- 
nio riempiva  la  terra,  ma  che  la  vergini- 
tà riempiva  il  cielo.  Celebra  il  citato  p. 
lluinart  la  somma  verecondia  delle  ver- 
gini cristiane,  la  loro  vita  austera,  con- 
sagrando  al  Signore  i  loro  capelli  col  vo- 
to di  verginità  perpetua.  Sino  da'  primi 
tempi  della  Chiesa  le  vergini  che  si  cou- 
sagravano  a  Dio  con  tal  voto  facevano 
1'  atto  generoso  del  taglio  de'  capelli  in 
pubblico  nella  chiesa;  ed  i  vescovi  consi- 
derarono sempre  quest'alto  con  qualche 
formalità, e  particolarmente  le  vergini  of- 
ferivano a  Dio  i  loro  capelli,  siccome  or- 
namento assai  considerabile  e  pregevole 
del  capo.  Nell'oriente  le  vergini  olleri va- 
no a  Dio  i  loro  capelli  tosandoli,  e  poi  li 
custodivano  intatti  in  segno  e  memoria 
della  generosa  oblazione  di  loro  slesse  : 
nell'occidente  per  lo  più  li  conservavano, 
aggiustandoli  con  modestia  decente  in 


VER  3oi 

modo  simile  alle  spose  terrene,  ma  però 
che  apparisse  a  tutti,  almeno  nell'adu- 
nanze de'fedeli,  che  elle  erano  spose  di 
Gesù  Cristo.  Quindi  a'tempi  di  s.  Giro- 
lamo, anche  le  vedove  si  tagliavano  i  ca- 
pelli nel  dedicarsi  a  Dio,  e  poi  altrettan- 
to fecero  le  vergini  ricevendo  il  sagro  ve- 
lo, nel  professare  qualche  istituto  religio- 
so. Dunque  i  diversi  stati  dell'uomo  e  del- 
la donna,  sono  il  Sacerdozio  con  tutti  i 
suoi  gradi,  il  Religioso,  \\  Matrimonio  nel- 
lo stato  di  Laici.  In  quello  del  matrimo- 
nio l'uomo  e  la  donna  divengono  Mari- 
to e  Moglie,  Padre  e  Madre,  Vedovo 
e  Vedova,  i  figli  de'quali  restano  Orfa- 
ni, tutti  contraendo  diversi  gradi  di  Pa- 
rente. E  siccome  dicendosi  Uomo  (V.), 
vale  tutti,  comprese  anche  le  Donne,  è 
analogo  che  io  qui  ricordi  per  le  voca- 
zioni, l'opera  di  Giacomo  Mazzoni:  De 
triplici  hominum  vita ,  Activa  nempe. 
Contemplativa,  et  Religiosa,  methodi 
tres,  Caesenaei  576. — ■  Ora  premetto  al- 
cune indicazioni  essenziali  iu  quest'arti- 
colo, ragionate  in  quelli  che  ricorderò  in 
corsivo,  ad  evitare  ripetizioni  e  giovare 
alla  brevità.  Il  Celibato  è  lo  stato  di  chi 
non  è  congiunto  in  Matrimonio;  è  cosa 
grata  a  Dio,  ma  non  perciò  è  riprovato 
il  matrimonio  santificato  dal  Sagrameli- 
to,  da  s.  Paolo  qualificato  magnani,  fa- 
cendo comparazione  fra  l'unione  di  Gesù 
Cristo  e  la  Chiesa  sua  sposa.  Tuttavol- 
ta  la  verginità  fu  considerata  come  sagra 
anche  da'gentili. —  Il  Matrimonio  è  l'u- 
nione maritale  dell'  Uomoe  della  Donna: 
di  sua  natura  è  indissolubile,  e  serve  al- 
la propagazione  perpetua  del  genere  u- 
mauo.  Nondimeno  gli  sposi  che  si  obbli- 
gano alla  continenza  con  mutuo  consen- 
so, vivendo  come  Fratello  e  Sorella,  so- 
no veramente  maritali.  Tali  furono,  Tino - 
macola tamente  concetta  Maria  sempre 
vergine,  e  s.  Giuseppe  che  pure  si  con- 
servò sempre  vergine,  que'che  rammen- 
tai ne'vol.  XLllI,p.  275,LXIX,p.i5o, 
ed  in  più  altri  luoghi,  conservando  la  lo- 
ro verginità;  e  Benedetto  XIV  decretò 


3oi  VER 

alla  b.  Lucia  da  Narni  l'uffizio  del  comu- 
ne delle  Vergini.  Nel  i .°  degli  accennali 
articoli,  e  altrove,  dissi  ancora  di  quegli 
sposi  che  volendo  vivere  continenti  si  se* 
pararono,  abbracciando  il  marito  lo  sta* 
to  ecclesiastico,  e  la  moglie  il  monastico, 
o  vivendo  al  secolo  dedicati  al  Servizio 
di  Dio.  Molli  di  tali  mariti  divennero 
suddiaconi,  diaconi,  preti,  vescovi,  ed  an- 
che santi.  Quindi  le  mogli  in  detto  mo- 
do continente  restate  al  secolo  per  vive- 
re in  celibato,  a  seconda  del  grado  eccle- 
siastico del  marilo  venivano  onorate  del 
titolo  di  quella  dignità  a  cui  innalzatasi 
il  marito,  perciò  si  dissero  Suddiacones- 
se,  Diaconesse,  Presbileresse,  Episcopo 
o  Vescovesse,  senza  avere  però  un  posto 
nel  clero,  e  tra  loro  pure  fiorirono  san- 
te. Queste  non  potevano  rimaritarsi  con 
altri,  neppure  dopo  la  morte  de'Ioro spo- 
si. Tutta  la  prerogativa,  che  esse  aveva- 
no sopra  le  altre  donne  3  era  che  pote- 
vano essere  ordinale  vere  diaconesse,  il 
quale  onore  si  concedeva  loro  facilmente, 
quando  colla  gravità  de'  costumi  se  lo 
meritavano.  Fra  tali  persone  si  sceglieva- 
no le  più  virtuose  per  farle  diaconesse,  e 
si  ordinavano  pubblicamente  dinanzi  l'al- 
tare quasi  colle  stesse  ce»  emonie  de'dia- 
coni,  poiché  il  vescovo  imponeva  loro  le 
mani,  e  recitava  la  benedizione,  chiama- 
ta ordinazione;  non  era  pelò  vera  ordi- 
nazione sagiamenlale  ,  ma  ceremonia- 
Je.  —  LoSposalizio,  solennità  del  pigliar 
moglie  e  del  pigliar  marito,  è  un  alto  le- 
gittimo con  cui  si  (ormano  le  famiglie  pei 
progredimento  dell'umana  società, essen- 
do quello  cristiano  contratto  e  sagrameli- 
to,  è  tale  la  sua  grazia  che  vai  più  della  fe- 
condità, al  dire  di  s.  Agostino.  In  quasi 
tutte  le  nazioni  fu  accompagnato  da  re- 
ligiose ceremouie.  Anche  le  vergini  mo- 
nache si  chianfauo spose,  ma  di  Gesù  Cri- 
sto, e  nella  loro  Vestizione  e  Professio- 
ne con  tale  intendimento  procedono,  ri- 
cevendo l'anello  e  quanto  alito  dissi  nel 
voi.  LXI X,  p.  1 4o. — V 'Ordine  sa grò ,  ed 
i  l'oli  solenni,  sono  cause  legittime  a  scio- 


VER 

gliele  le  sponsalizie  o  promesse  matrimo- 
niali. Egualmente  l'impegno  di  voti  sem- 
plici di  castità  e  di  religione,  dà  luogo  al- 
lo scioglimento  degli  sponsali,  poiché  le 
promesse  di  matrimonio  contengono  sem- 
pre questa  condizione  tacila,  ch'esse  cioè 
non  sussisteranno  se  non  nel  caso  ,  che 
Dio  non  chiami  ad  uno  stato  più  santo  e 
più  perfetto.  Quelli  che  sono  da  tanto  da 
serbar  la  verginità,  in  onore  dell'umani- 
tà di  Gesù  Cristo,  non  ne  insuperbisca- 
no. Disse  Tertulliano,  De  Virginibusvc- 
landis,  la  verginità  affettata  è  la  sorgen- 
te di  tutti  i  delitti,  poiché  ne  derivarono 
molte  eresie,  che  deplorai  ne'loro  artico- 
li: si  può  vedere  il  voi.  LXI X,  p.i5o. — 
Il  Velo  fu  segno  di  verginità  per  inse- 
gnamento degli  Apostoli,  oude  prestole 
cinese  usarono  di  velare  le  loro  vergini. 
Il  Velo,  copertura  del  capo,  del  volto  e 
tal  volta  eziandio  della  parie  superiore  del 
corpo,  insegua  di  verginità,  quello  nu- 
ziale fu  usato  principalmente  dalle  ver- 
gini nello  sposarsi,  per  indicare  il  pudo- 
re che  doveano  sempre  conservare.  L'u- 
so del  velo  alle  donne  fu  imposto,  mas- 
sime nel  s.  Tempio.  11  velare  le  sagre  ver- 
gini si  tiene  per  tradizione  apostolica, 
ed  é  un  rito  simbolo  dello  sposalizio  spi- 
rituale della  vergine  coli' amalo  divino 
sposo  Gesù  Cristo;  ovvero  denota  la  ri- 
tiratezza e  verecondia  che  deve  avere  la 
vergine,  e  il  premio  futuro.  Nell'artico- 
lo in  discorso  parlai  de'veli  che  si  da  va- 
no, oltre  alle  religiose  e  all'abbadesse,  al- 
le Diaconesse  e  atìe  Vedove  tile\\e  loro  di- 
verse specie,  e  cereraonie  nel  conferirsi. 
Dicevasi  velare  il  cousagrare  tanto  le  ver- 
gini, che  le  vedove:  ora  dicesi  solo  delle 
prime  col  velo  verginale.  La  ceremonia 
della  vestizione  e  velazione  facevasi  an- 
che ne'primi  secoli  con  solennità,  la  qua- 
le si  chiamava  nozze  spirituali  fatte  con 
disio.  Il  perchè  s.Girolamo  appella  suo- 
cera di  Dio,  la  madre  d'una  vergine  con- 
sagrala a  Cristo.  Delle  diverse  specie  de' 
sagri  veli ,  riporterò  poi  altre  erudizio- 
nt.  —  La  Religiosa  è  la  vergine  o  vedo- 


VER 
va  consagrata  co'lre  voli  religiosi,  sem- 
plici o  solenni,  di  castità,  povertà  e  ub- 
bidienza, vivente  in  Monastero,  nel  Con- 
servatorio, presso  ['Ospedale,  sotto  de- 
terminata Regola  (nel  quale  articolo  ri- 
parlai delle  Doti  e  Livelli  per  le  religio- 
se, di  origine  antichissima,  e  di  quelle  ca- 
ritatevoli per  facilitare  uon  meno  la  vo- 
cazione monastica  ,  che  i  maritaggi  alle 
Zitelle,  argomento  che  discorro  pure  in 
questi  tre  articoli)  e  abito  uniforme,  con 
quelle  tante  denominazioni  che  ripetei 
nell'articolo  in  argomento,  ed  in  quelli 
parziali  di  ciascuna  istituzione;  molte  del* 
le  quali  benemerite  dell'educazione  mo- 
ralee  religiosa  delle  fanciulle,  e  della  lan- 
guente umanità,  denominate  quest'ulti- 
me anco  Suore,  Sorelle,  Figlie  della 
Carità.  Rammentai  pure  ,  nell'  articolo 
che  discorro,  quello  di  Monaca,  ove  di- 
chiarai cosa  sono  le  religiose,  della  loro 
origine  da'tempi  apostolici,  e  loro  diver- 
se nomenclature;  quanto  si  diffusero  iu 
Oriente  e  in  Occidente  meravigliosamen- 
te. Delle  loro  superiore,  molte  delle  qua- 
li per  la  Regalia  e  per  la  Rendita  eccle- 
siastica divennero  potenti  signore  di  do- 
minio temporale ,  oltre  V  uso  di  diverse 
insigni  prerogati  ve  con  giurisdizione,  an- 
co del  Pastorale:  de'pregi  del  celibato 
che  osservano,  della  Clausura  (questa  è 
antichissima  anche  in  Roma,  ove  sembra 
che  abbia  presa  una  forma  più  regolare  e 
stabile  per  opera  di  s.  Domenico  fonda- 
tore de? Predicatori,  d'ordiue  di  Onorio 
III,  nel  monastero  di  s.  Sisto  da  lui  fon- 
dato alle  sue  monache,  le  quali  poi  furo- 
no trasferite  nel  fiorente  monastero  de' 
ss.  Domenico  e  Sisto.  Notai  però  nel  voi. 
XIX,  p.  270,  che  neli'800  non  essendo 
ancora  le  sagre  vergini  astrette  a  clausu- 
ra, nel  ritorno  trionfante  di  s.  Leone  111 
in  Roma,  l'incontrarono  a  Ponte  Milvio 
ora  Molle.  E  che  nel  1 1 1 1 ,  Monachae 
quoque centum,  lampadibus  multis  cum 
claro  homine  sumptis,  furono  mandate 
incontro  all'imperatore  Enrico  V,nel  re- 
carsi a  Roma),  e  Professione  religiosa, 


VER.  3o3 

e  di  quanto  riguarda  le  vergini  regola- 
ri. Notando ,  che  le  religiose  consagrate 
a  Dio,  si  chiamano  Deo  devote,  e  che  le 
parole  dell'antifona, prò  devoto foemineo 
sexu,  si  devono  preci puameute  appro- 
priare alle  religiose  e  poi  alla  generalità 
del  sesso  medesimo.  —  La  Padova  e  il 
Fedovo,  souo  la  donna  e  l'uomo  cui  mo- 
ri il  coniuge.  Le  buone  vedove  amanti 
della  pudicizia  ,  furono  sempre  onorate 
da  tutte  le  nazioni.  Le  vedove  degli  an- 
tichi romani  erano  sepolte  con  grande  o- 
nore,  colla  corona  della  pudicizia  intes- 
suta di  fiori,  come  virtuosamente  trion^ 
fanti  della  concupiscenza.  Ne'primi  secoli 
cristiani  furono  onorate  conisplendidi  e- 
piteti,  ed  anco  con  quello  di  custodi  del- 
l'innocenza delle  vergini.  Dio  raccoman- 
dò sovente  di  aver  gran  cura  delle  vedo- 
ve e  di  sollevarle:  e  Gesù  Cristo  ouorò  lo 
stato  vedovile.  Tra  le  barbare  nazioni  non 
potendo  rimaritarsi,  si  uccidevano  o  bru- 
ciavano per  deporne  i  corpi  o  le  ceneri 
nella  Sepoltura  del  defunto  sposo,  mas 
simese  sovrane  e  principesse.  A  detto  luo- 
go deplorai  queste  barbarie,  presso  alcu- 
ni popoli  tuttora  vigenti.  Nel  medesimo 
articolo  pur  dissi,  che  gli  antichi  scozzesi 
sotterravano  vive  le  mogli  infedeli; e  che 
le  Pestali  vergini  gentili  de' romani,  se 
convinte  d'incesto,  subivano  la  stessa  ter- 
ribile punizione.  Quando  ne'  primi  seco- 
li venivano  le  sagre  vergini  accusate  di 
aver  peccato  contro  la  professata  vergi- 
nità, ovvero  questa  fosse  dubbiosa,  più 
volte  si  usò  il  ripiego,  di  cui  fanno  men- 
zione s.  Cipriano  e  s.  Agostino  tra  gli  al- 
tri, onde  venir  in  chiuro  della  verità,  di 
farle  visitare  dalle  Levatricij  il  che  non 
solamente  talvolta  riuscì  giudizio  falla- 
cissimo, ma  uon  si  poteva  porre  in  pra- 
tica senza  ingiuria  e  senza  sommo  dolo- 
re della  sagra  vergine,  come  avvenne  a 
Indicia  di  Verona  (Z^.),  che  appellò  al 
metropolitano  s.  Ambrogio,  il  quale  sco- 
pri la  falsità  della  calunnia  e  castigò  i  rei 
dell'  incolpazione,  rimproverando  quel 
vescovo  Siagrio  di  aver  proceduto  con 


3oi  v  B  * 

imprudenza.  Nolo  il  Muffci,  nella  T'e- 
rona  illustrala,  ove  ciò  nana,  che  allo- 
ra in  Verona  eravi  pure  un  monastero 
«li  donne  »»  di  die,  egli  dice,  sarà  diffi- 
cili trovare  più  antico  esempio  ".  Sic- 
come avvenne  il  fatto  al  tempo  di  san- 
t'  Ambrogio,  tutti  sanno  eh'  egli  gover- 
nò la  8.  Chiesa  di  Milano  dall'anno 
374  «l  397.  Anticamente  le  Meretrìci 
impenitenti  in  Roma  si  seppellivano  nel 
suburbano  Muro  torto,  per  ignominia. 
Dicendo  della  Sepoltura,  riprodussi  no- 
zioni su  quella  delle  educande  e  convit- 
trici,  e  delle  religiose  novizie  de' mona- 
steri, che  ponno  eleggersela  se  non  han- 
no professato.  Occorre  il  permesso  per 
essere  tumulato  nelle  chiese  delle  mona- 
che. Sui  cadaveri  delle  vergini  ponesi  la 
Corona  o  Ghirlanda  di  Fiori%  in  segno 
di  loro  verginità.  Nel  cristianesimo  le  ve- 
dove furono  sempre  rispettate,  aiutate  e 
anche  mantenute,  in  unoa'pupilli  orfa- 
ni del  padre.  Le  vedove  ne'  primi  secoli 
della  Chiesa  esercitarono  il  ragguardevo- 
le  ministero  di  Diaconesse,  nella  loro  pro- 
fessione facendo  voto  di  celibato  e  castità 
perpetua,  venendo  quasi  consagrate  colla 
imposizione  delle  mani,  e  da  una  specie 
di  benedizione,  accompagnala  da  messa 
propria,  da  preci  e  da  riti, fra'quali  l'im- 
posizione del  velo  di  continenza,  di  pu- 
dore e  di  onore;  cioè  alla  professione  e 
presente  il  sacerdote,  dicendo  il  Piazza  nel 
Cherosilogio,  che  la  vedova  pigliava  da 
se  medesima  il  velo  dall'altare  ,  mentre 
nella  professione  delle  vergini,  a  queste 
l'imponeva  sul  capo  il  vescovo.  Fra  le  ve- 
dove de'secoli  antichi  eranvi  anche  delle 
vergini  di  senno  e  almeno  di  4°  anni. 
Molti  furono  i  descritti  uffìzi  che  funse- 
ro nella  Chiesa,  molti  i  caritatevoli  pre- 
stati alla  società,  in  supplenza  de'suddia- 
coni  e  de'diaconi; perciò  resero  importan- 
ti servigi  al  clero  ed  a*  fedeli.  Inoltre  ve- 
gliavano sui  costumi  dell'altre  vedove,  e 
sulle  vergini  orfane.  Erano  in  parte  una 
specie  delle  decumane  della  chiesa  di  Mi  • 
lano:  di  esse  e  de' decumani  riparlai  ne' 


VER 
voi.  XXIV,  p,  a99  ,  LXXXII  ,  p.  3oo, 
LXXXVIII,  p.  258.  Copioso  è  il  nove- 
ro delle  sante  e  virtuose   vedove  ,  aven- 
done celebrate  le  principali:  s.  Paolo  ed 
i  ss.  Padri  vollero  che  le  vedove  fossero 
onorate  e  soccorse.  Lo  sposalizio  e  matri- 
monio in  seconde  nozze,  fu  detto  anche 
Bigamia, chiamandosi  bigamo  e  bigama 
quello  e  quella  che  riprendono  moglie  e 
marito:  ne  ragionai  non  poco  nell'artico- 
lo di  cui  fo  parola,  non  senza  dire  anco- 
ra della  poligamia,  matrimonio  d'uomo 
con  più  donne  ne!  medesimo  tempo.  Di- 
chiara Piazza  nel  Cherosilogio,  quantun- 
que lo  stato  vedovile  sia  libero,  nondi- 
meno per  virtù  cristiana  e  civile  diviene 
meritorio  conservandosi  nella  continenza 
e  pudicizia;  e  perciò  viene  riputata  la  vir- 
tuosa vedovanza  vicina  di  grado  alla  ver- 
ginità, e  più  eccellente  delle  seconde  noz- 
ze, ed  in  molti  uffizi  _,  secondo  il  parere 
dell'  Apostolo,  ad  essa  più  da  vicino  si 
stringe,  laonde  disse:  »  la  donna  non  ma- 
ritala e  vergine,  pensa  alle  cose  del  Si- 
gnore, acciò  cosi  sia  santa  di  corpo  e  di 
spirito".  E  sebbene  le  vedove  hanno  per- 
duto l'aureola  della  verginità  nelle  pri- 
me nozze,  sono  però  dotate  della  pudi- 
cizia, la  quale  quanto  cede  alla  vergina- 
le, tanto  precede  alla  matrimoniale,  on- 
de leggesi  nel  Levitico:  »  Era  lecito  alle 
figlie  vedove  def sacerdoti  il  mangiare,  co- 
me quando  erano  vergini,  le  sante  Obla- 
zioni, le  quali  vivendo  i  loro  mariti,  non 
solamente  non  potevano  mangiare,  ma 
neppur  toccare".  In  tanto  conto  pur  eb- 
bero i  gentili  le  vedove,  non   meno  che 
le  vergini,  che  mentre  in  Roma  fu  dato 
solamente  alle  vergini  vestali  la  cura  del 
fuoco  perpetuo  nel  Tempio  di  fes  la,  in 
onore  di  quella  dea;  cosi   in    Atene  era 
dalle  vedove  solamente  custodito  il  me- 
desimo fuoco  in  onore  di  Pilhia,  per  di- 
mostrare quella  città  de'savi,  ch'essi  tan- 
to apprezzavano  le  vedove,  (pianto  i  ro- 
mani in  Roma  le  vergini. 

L'iconologia  rappresenta  la  l'ergi  1/1  là 
colle  formed'una  giovane  avvenente  don- 


VER 
zella,  coronala  di  fiori.  Il  suo  sguardo  è 
modesto,  e  il  pallore  delle  sue  gote  an- 
nuncia la  privazione  <lef piaceri.  Simboli 
di  sua  purità  sono  il  giglio  e  l'agnello; 
bianco  è  il  di  lei  vestimento,  e  il  suo  cor- 
po è  stretto  da  una  cintura  di  lana  bian- 
ca, cui  solo  Imene  ha  il  diritto  di  scioglie- 
re, nume  che  presiedeva  allo  Sposalizio 
de'pagani.  La  dea  Verrinila  era  invoca- 
ta presso  i  romani  ne'maritaggi,  e  la  sua 
immagine  si  collocava  nella  stanza  nuzia- 
le de'uovelli  sposi.  Sotto  il  nome  di  Fer- 
gìne^W  ateniesi  adoravano  Minerva.  Gli 
egizi  consagrarono  ad  Iside  la  Vergine  6.° 
vegno  del  zodiaco.  Perginetu  epiteto  del- 
la Fortuna,  cui  erano  presentati  i  vesti- 
menti delle  donzelle.  In  Roma,  presso  il 
Tempio  della  Vittoria,  M.  Porcio  Cato- 
ne consagi  ò  un'edicola  alla  Vittoria  Ver- 
gr/zr.  {romani  adoravano  la  casta  dea  Ve- 
sta, alla  quale  dopo  disfatto  Saturno,  se- 
condo la  Mitologia,  Giove  offrì  tuttociò 
che  avesse  domandato,  per  cui  essa  chie- 
se di  rimanere  perpetuamente  vergine,  e 
che  gli  uomini  le  offrissero  le  primizie 
di  tutte  le  loro  oblazioni  e  di  tutti  i  loro 
sagrifizi;  da  ciò  provenne  che  non  potè 
avere  se  non  vergini  per  sacerdotesse,  le 
quali  dal  suo  nome  si  dissero  Vestali.  I 
cittadini  romani  aveano  sui  propri  figli 
il  jus  patriae  potesiatis.  Augusto,  ad  e- 
sernpio  de' più  saggi  legislatori,  altamen- 
te lodò,  propagò  i  matrimoni  con  leggi, 
onori  e  premi,  per  accrescere  la  popola- 
zione di  Roma,  emanando  pene  contro  i 
finti  celibi, massime  colla  leggePapia  Pop- 
pea;  quindi  maggiori  diritti  si  accorda- 
rono a'eittadini  padri  di  tre  figli.  Questi 
diritti  si  concessero  dagl'imperatori  suc- 
cessori. A' genitori  sterili,  perchè  non  si 
pentissero  del  matrimonio  contratto,  tal- 
volta si  compartì  loro,  sì  agli  uomini  e 
m alle  donne,  \\  jus  Iriuni  liherorum,  che 
portava  tutti  i  vantaggi  èeljus  coni  mime 
iiberorittu,  cioè  di  succedere  la  moglie  al- 
l'eredità del  marito.  Il  jus  de*  figli  con- 
sisteva,che  il  marito  e  la  moglie  che  non 
aveano  figli  comuni  si  potevano  succede- 


V  E  R  3oS 

re  scambievolmente  nell'eredità  in  vigo- 
re di  testamento,  però  questo  jus  fu  as- 
sai diminuito  dalla  legge  Papia  Pop- 
pea.  Questa  poi  fu  abolita  dagl'impera- 
tori cristiani  nel  33g  e  nel  4.00,  toglien- 
do le  pene  a' celibi  ,  ed  a  que'  eh'  erano 
privi  di  figliuolanza.  Tuttavia  i  romani 
gentili  nutrivano  tanto  rispetto  per  le  ver- 
gini o  nubili  donzelle,  e  cotanto  le  ono- 
ravano, che  al  cospetto  di  esse  era  proi- 
bito di  proferire  qualunque  disonesta  pa- 
rola ,  e  quando  le  incontravano  per  le 
strade,  cedevano  loro  sempre  il  passo,  il 
che  pratica  vasi  anco  da'magistrati.  Spin- 
gevano essi  l'urbanità  a  tale,  che  i  padri 
aveano  cura  di  non  abbracciare  giam- 
mai le  loro  spose  al  cospetto  delle  figlie. 
Non  si  ponevano  esse  a  mensa  co'  fore- 
stieri, per  timore  che  le  delicate  loroo- 
recchie  non  fossero  da  qualche  impudica 
parola  contaminate.  Allorquando  le  ver- 
gini romane  comparivano  in  pubblico,  a- 
veano  sempre  il  capo  velato;  uso  detta- 
to dalla  virtù,  ma  che  non  ebbe  vigore 
se  non  pel  tempo  in  cui  regnò  la  purità 
de'costumi.  Cessato  quel  tempo,  le  ver- 
gini comparvero  in  pubblico  a  viso  sco- 
perto, coprendosi  invece  il  viso  le  matro- 
ne. Tertullianobiasimò  con  ragione  que- 
sto costume,  e  sostenne  che  le  vergini  do- 
vevano esser  velate  piuttosto  che  le  don- 
ne maritate.  Non  solo  i  romani  ne' bei 
tempi  ebbero  in  grande  onore  la  vergi- 
nità, per  cui  offrivano  sagrifizi  alla  sorel- 
la e  moglie  di  Fauno,  di  cui  asserivano 
aver  tanto  spinto  il  pudore  che  non  avea 
mai  visto,  uè  era  stata  mai  vista  da  uo- 
mo alcuno,  tranne  Fauno  suo  marito,  ad 
onta  della  sua  eccessiva  inclinazioneal  vi- 
no,  che  rilevai  nel  voi.  LXIX,  p.  1 45.  Per 
rispetto  di  essa,  e  per  quanto  dissi  nel  voi. 
stesso,  p.  i4'»  »i  tutto  il  mése  di  mag- 
gio erano  proibite  le  nozze  alle  sole  ver- 
gini, mentre  le  vedove  potevano  sposar- 
si in  tal  mese  e  ne'g  giorni  reputati  in- 
fausti. Fauna  fu  chiamala  la  dea  Bona, 
alla  quale  era  sagro  ih.°di  maggio,gior- 
uo  solenne  per  la  dedicazione  del  suo 


3o6  VER 

tempio  sul  monte  A  ventino,nel  quale  era 
vietato  V  ingresso  agli  uomini,  ontle  Ci» 
cerone  con  un  fiume  di  sdegnosa  elo- 
quenza inveì  contro  Clodio,  per  esser- 
\isi  con  pravo  fine  introdotto,  essendo 
quel  tempio  dedicato  all'onestà  delle  ma- 
trone. —  Gli  ebrei  distinguevano  la  ver- 
gine colla  parola  halmah,  clie  signifi- 
ca persona  ritirala,  nascosta,  oppure  ve- 
lata, chiusa,  perchè  I'  uso  degli  orien- 
tali fu  sempre  di  tenere  le  vergini  zi- 
telle in  uu  appartamento  separato,  di 
non  mai  lasciarle  sortire  se  non  erano 
velate,  né  mai  comparire  a  viso  scoper- 
to se  non  che  davanti  a' loro  più  prossi- 
mi parenti.  Non  si  trova  presso  gli  ebrei 
alcun  esempio  della  professione  di  una 
verginità  perpetua,  secondo  alcuni.  Il  p. 
Menochio  nelle  Sluore,  centuria  i .",  cap. 
28:  Se  nella  legge  Mosaico,  fosse  proi- 
bita la  verginità  e  il  celibato,  dice  che 
pare  si  possa  provare,  che  realmente  non 
fosse  lecito  il  vivere  nel  celibato,  senza 
maritarsi,  per  stimare  i  giudei  obbrobrio 
e  disonore  il  morire  senza  lasciar  figli*  e 
per  contrario  essere  segno  di  benedizio- 
ne di  Dio  e  cosa  gloriosa  ,  il  generarne 
molti.  Si  dolevano  di  non  aver  prole,  an- 
che per  perder  la  speranza  che  da  loro 
discendesse  il  promesso  Messia.  Tutta- 
volta  che  fosse  lecito  di  vivere  nel  celi- 
bato si  prova  dall'  esempio  de'  ss.  Elia, 
Eliseo  e  Geremia  profeti  che  non  ebbe- 
ro moglie,  ed  ancora  di  s.  Giovanni  Bat- 
tista, e  simili  continenti  si  chiamavano 
col  nome  di  eunuchi  sebbene  propria- 
mente non  fossero  tali.  Il  medesimo  di- 
scorre nel  cap.  1 4:  Del  voto  di  Jefte  di  sa* 
grificare  il  i.°  che  incontrasse,  pel  voto 
fatto  se  riportava  vittoria  contro  gli  am- 
moniti j  e  se  fece  peccato  sagrificando 
la  propria  fi  glia,  che  fu  lai*  a  venirgli 
incontro.  Dichiara  che  non  peccò,  e  quan- 
to alla  figlia,  ottenne  la  dilazione  di  due 
mesi,  per  poter  piangere  la  sua  vergini- 
tà, dovendo  morire  senza  lasciar  figli.  Pe- 
rò alcuni  rabbini  sostengono  che  non  mo- 
risse, e  che  il  sagri fizio  fu  metaforico,  de* 


VER 
dicandola  al  servizio  di  Dio  con  voto  di 
verginità,  secondo  altri;  mentre  i  ss.  Pa- 
dri affermano  che  effettivamente  fu  ino- 
locausto  sagrificata  dal  padre  al  Signore. 
Trovo  poi  nell1 Apparato  agli  Annali  ec- 
clesiastici del  Rinaldi,  che  diverse  don- 
ne, ed  anche  vergini,  spregiando  le  de- 
lizie del  secolo,si  dedicavano  nel  Tempio 
di  Gerusalemme  al  di  vin  servigio,  in  con  • 
timia  orazione  e  vegliando  alla  porta  del 
Tabernacolo.  Una  di  tali  donne  fu  la  ve- 
dova Anna  profetessa.  Nel  libro  de' Mac- 
cabei si  fa  menzione  delle  vergini  rinchiu- 
se net  tempio,  le  quali  andavano  innan- 
zi ad  Ouia  sommo  sacerdote.  La  B.  Ver- 
gine, frutto  dell'orazione  de'santi  suoi  ge- 
nitori, data  loro  secondo  le  promesse  ce- 
lesti, di  3  anni  fu  presentata  al  tempio, 
secondo  il  voto  de'medesimisi^oi  genito- 
ri, ove  dimorò  1  1  anni,  convivendo  col- 
le donne  volate  a  Dio  per  servirlo,  le  qua- 
li perciò  nulla  pagavano  a 'sacerdoti  per 
redimersi,  e  quindi  giunte  in  età  adulta 
maritarsi,  essendo  vergogna  il  farlo  do- 
po, ciò  seguendocol  consiglio  de'sacerdo- 
ti,  appartenendo  ad  essi  il  disporre  delle 
cose  offerte  a  Dio.  Adunque  avendo  la 
ss.  Vergine  già  toccato  ili 5.°  anno  circa 
di  sua  età,  trattarono  i  sacerdoti  di  ma- 
ritarla, e  venne  eletto  a  sposo  s.  Giusep- 
pe uomo  giusto.  Fatte  le  sponsalizie,  os- 
sia le  promesse  del  connubio,  Maria  fu 
consegnata  a'parenti  perchè  la  conduces- 
sero a  casa,  e  preparassero  le  cose  neces- 
sarie per  le  nozze.  Seguiti  gli  sponsali, 
nel  6.°  mese  le  fu  mandato  da  Dio  l'An- 
gelo Gabriele,  annunziandole  l'incarna- 
zione delFrerbo(Pr.)elevno:  il  che  senten- 
do ella  gli  replicò:  Quo/nodo  fietistud  quo- 
niam  virum  non  cognosco?  Significan- 
do di  aver  fatto  voto  di  perpetua  vergini- 
tà, onde  giudicava  impossibile  il  conosce- 
re mai  uomo.  Quanto  al  tempo  che  la  ss. 
Vergine  fece  il  voto,  ordiuando  la  legge, 
che  mentre  le  donzelle  si  votavano  a  Dio 
prima  d'  essere  sposate,  o  dipoi  mentre 
stavano  in  casa  de'genitori  loro,  avendo- 
ne il  padre  notizia,  e  tacendo  fossero  ob- 


VER 

Migaledi  voto,  e  contraddicendo  i in mau- 
l  mente  esso,  elleno  libere  rimanessero,  e 
l'istesso  disponendo  la  medesima  legge 
lispeltoa'mariti,  mentre  esse  stavano  tut- 
tavia in  casa  de'  parenti,  pensa  Rinaldi 
che  non  si  scosterà  dal  vero  il  dire,  che 
la  ss.  Vergine  prima  d'essere  sposata  con 
s.  Giuseppe  facesse  il  voto,  ciò  sapendo, 
ne  contraddicendo  i  suoi  genitori,  i  qua- 
li avevano  somma  espeltazione  della  san- 
tità di  lei  concepito.  11  che  avvenne  pri- 
m a  della  morte  loro.  I  ss.  Padri  scrivo- 
no, che  per  consiglio  de'sacerdoti,  e  per 
volontà  divina  fu  dato  s.  Giuseppe  alla 
Vergine,  non  in  ordine  alla  prole,  ma  co- 
me custode  della  sua  vergini  là.  E'  senten- 
za di  s.  Tommaso,  seguito  da  molti  al- 
tri, che  dopo  lo  sposalizio,  Ella  esprimes- 
se con  parole  il  voto,  che  avea  molto  pri- 
ma concepito  nell'  animo  suo,  acconsen- 
teudo  lo  sposo  ch'era  al  paro  di  lei  ver- 
gine e  restò  tale.  E  come  non  doveva 
*.  Giuseppe  far  quello  che  osservavano 
allora  i  farisei  fino  a  certo  tempo,  e  gli 
esseni  in  perpetuo,  cioè  la  verginità?  Il 
p.  Menochio  nella  centuria  4-*j  riportan- 
do nel  cap.  i  la  genealogia  di  Gesù  Cri- 
sto, della  Beata  Vergine  e  di  s.  Giusep- 
pe, da  tale  albero  risulla  che  s.  Giusep- 
pe e  la  Beata  Vergine  erano  cugini.  Ra- 
giona il  p.  Menochio,  centuria  ^.'t  cap» 
46:  Se  la  B.  l'ergine  sia  stala  la  pri- 
ma ,  die  con  voto  abbia  dedicalo  a  Dio 
la  sua  verginità.  Risponde  affermativa- 
mente coll'autorità  de'  ss.  Padri,  che  di 
cu  ti)  un  consenso  le  concessero  il  prima- 
to e  la  corona  della  verginità.  Non  tace 
che  l'osservarono  Abele  figlio  di  Adamo, 
Melchisedecco ,  Giosuè,  Geremia,  Elia, 
Eliseo,  Daniele  co'suoi  compagni;  ed  an- 
che Maria  sorella  di  Mosè  come  voglio- 
no s.  Ambrogio  nel  lib.  i  De  Virgini- 
/;«j,es.  Gregorio  Nisseno  nel  lib.  De  Vir- 
giuiuiU'y  cap.  6;  ma  niuno  per  voto  co- 
me Mani»  Vergine,  lai. a  ad  aver  la  glo- 
ria di  tale  prerogativa,  professandola  nel 
più  sublime  modo.  Spiega  poi  il  p.  Me- 
nochio nella  detta  centuria, cap.  4 5:  Co 


VER  3o7 

me  s'intendono  quelle  parole  che  laChie- 
sa  dice  nell'uffizio  della  Beata  Vergine: 
Gaude  Maria  Virgo  cunctas  baerete» 
sola  intcr emisti  in  universo  mandò.  Tro- 
vatisi inoltre  tra  gli  ebrei,  dice  il  Rinal- 
di, esempi  della  continenza  delle  vedove 
dopo  la  morte  del  loro  marito,  che  ne  è 
perciò  fatto  loro  un  merito.  Giuditta  è 
lodata,' perchè  appena  era  rimasta  vedo- 
va di  Manasse,  in  Betulia  sua  patria  si 
era  fatta  nella  parte  superiore  della  ca- 
sa sua  una  stanza  appartata,  dove  se  ne 
stava  rinchiusi  colle  sue  ancelle,  e  por- 
tando a'suoi  fianchi  il  cilizio,  digiunava 
tutti  i  giorni  di  sua  vita,  tranne  i  saba- 
ti. Il  sacerdote  Ozia  e  gli  anziani  del  po- 
polo la  chiamano  donna  santa  e  che  te- 
me Dio.  Il  sommo  sacerdote Joacim,ch'e- 
rasi  portato  a  Betulia  con  tutti  gli  anzia- 
ni per  vedere  Giuditta,  le  disse:»»  Perchè 
tu  hai  amata  la  castità,  e  dopo  il  tuo  ma- 
rito non  hai  conosciuto  altro  uomo;  per 
questo  ancora  la  mano  del  Signore  ti  ha 
fitta  fotte,  e  per  questo  sarai  benedetta 
in  eterno".  Il  Vangelo  fa  presso  a  poco 
i  medesimi  elogi  della  suddetta  profetes- 
sa Anna,  nella  cui  giovinezza  perde  il  ma- 
rito, e  visse  vedova  assai  avanzata  in  età. 
Negli  Atti degli ì  A  pò  stolide™  e$\  che  Filip- 
po, uno  de'y  diaconi,  avea  4  figlie  vergini 
(nel  vo'.XC^p.sySjCon  Piami  trio  Corner 
dissi  essere  tre,  ma  più  comunemente  tro- 
vo che  furono  quattro),  le  quali  tutte  pro- 
fetizzavano; non  è  però  cerio  che  avesse- 
ro fatto  voto  a  Dio  della  verginità  loro. 
Il  Rinaldi  nondimeno  avverte  che  da  ta- 
li 4  donzelle  dopo  la  Passione  e  morte 
del  Signore,  al  riferire  di  s.  Girolamo,  si 
consagrarono  le  primizie  della  verginità; 
che  per  errore  furono  attribuite  figlie  di 
s.  Filippo  apostolo,  non  essendo  certo,  da 
s.  Pietro  in  fuori,  che  gli  apostoli  fossero 
ammogliati;  e  che  quanto  poi  dicesi  del- 
le nozze  di  queste  vergini,  essendo  fal- 
so, si  riprova  con  l'autorità  di  tutti  gli 
scrittori  che  di  loro  trattano:  Hermione, 
una  di  esse,  secondo  il  Meuologio  greco, 
consumò  il  martirio  sotto  Traiano.  Gesù 


3«8  VER 

Cristo  nel  nuovo  Testamento,  lia  racco- 
mandato la  verginità.  Anche  s.  Paolo  e- 
sorto  i  cristiani  a  conservarla.  Infiamma* 
li  difatti  i  cristiani  di  fervore,  la  vergini* 
tà  diventò  talmente  onorabile  per  essi, 
die  vi  si  obbligarono  presto  con  voto  pub* 
I-lieo;  e  nel  V  secolo  già  si  ponevano  in 
penitenza  quelle  persone  che  si  marita* 
vano  dopo  aver  fatto  il  voto  di  vergini- 
tà; ma  il  matrimonio  non  dichiara  vasi 
nullo.  Imperocché  nel  secolo  precedente 
i  padri  del  concilio  di  Gangres  (V.)  a* 
veano  condannato  que'che  biasimavano 
il  matrimonio,  e  che  credendolo  cattivo 
abbracciavano  lo  stato  di  verginità;  però 
dichiarando,  ammirare  la  verginità  e  la 
separazione  dal  mondo,  purché  la  mode- 
stia e  l'umiltà  non  ne  fossero  disgiunte; 
onorando  altresì  il  matrimonio.  E  senza 
che  io  ricordi  altri  canoni,  in  lode  della 
verginità,  basta  il  rammentare  quelli  del 
concilio  di  Trento, cioè  il  gè  ilio  di  dot- 
trina sul  sacramento  del  matrimonio.»  Se 
alcuno  dirà,  che  gli  ecclesiastici,  costitui- 
ti negli  ordini  sagri,  e  i  regolari,  che  han- 
no fatto  professione  solenne  di  castità, 
possono  contrarre  matrimonio,  echea- 
vendolo  contratto,  è  buono  e  valido,  non 
ostante  la  legge  ecclesiastica,  o  il  voto, 
che  hanno  fatto;  che  il  sostenere  il  con- 
trario, non  è  altro,  che  un  condannare  il 
matrimonio,  e  che  tutti  quelli  che  non 
sentono  di  aver  il  dono  di  castità,  quan- 
tunque l'abbia  no  votata, possono  contrar- 
re matrimonio,  sia  anatema;  poiché  Dio 
non  nega  questo  dono  a  coloro,  che  gliel 
dimandano  come  conviene  ,  e  non  per- 
mette che  siamo  tentati  sopra  le  nostre 
forze.  —  Se  alcuno  dirà,  che  lo  stato  del 
matrimonio  deve  essere  preferito  a  quel- 
lo della  verginità,  o  del  celibato;  e  che 
non  é  miglior  cosa,  né  più  felice  il  vive- 
re vergini  o  celibi,  del  maritarsi,  sia  a- 
natema".  Nel  II  secolo  della  Chiesa,  es- 
sa gloria  vasi  di  aver  molte  persone  d'am- 
bo i  sessi,  che  professavano  la  conlinen- 
zk  Anzi  nell'antecedente,  s.Evodio,  sue- 
e.-ssore  di  s.  Pietro  nella  chiesa  d'Anlio- 


VER 
chia,  icrìsse  a'filippensi  :  Stilato  Colle- 
gi tini  ì  'irgimtm.  Sono  considerate  le  ver- 
gini come  le  primizie  diDiv  e  dell' Agnel- 
lo; come  la  più  cara  parte  dell'eredità  del 
Signore;  e  si  legge  nell'  Apocalisse,  can- 
tano dinanzi  al  suo  trono  un  inno  novel- 
lo che  da  niun  altro  si  può  cantare,  ed 
hanno  il  privilegio  di  seguir  l'Agnello  o- 
vunque  egli  vada.  Intorno  a  che  esclama 
8.  Agostino,  lib.  De  sancta  f'ìrg.  cap. 
27,  t.  6,  n.  354-  "  In  qual  luogo  va  dun- 
que questo  Agnello,  poiché  va  dove  niun 
altro  che  voi,  né  osa,  né  può  seguirlo? 
Dove  va  quest'Agnello?  Quali  sono  que- 
sti boschi,  quali  sono  queste  praterie?  So- 
no que1  luoghi  dove  si  gustano  delizie 
troppo  superiori  alle  gioie  vane,  scipite 
ed  ingannevoli  del  secolo. Queste  non  so- 
no le  delizie  che  gusteranno  nel  regno  di 
Dio  coloro  che  non  sono  vergini,  ma  de- 
lizie al  tutto  indifferenti.  La  gioia  de' ver  • 
gini  sarà  di  godere  Gesù  Cristo  ed  in  Ge- 
sù Cristo:  sarà  di  una  forma  particolare 
e  nulla  avrà  di  comune  con  quella  degli 
altri  santi  non  vergini.  Abbiate  cura  (sog- 
giunge nel  cap.  29)  di  conservare  la  vo- 
stra verginità.  Questo  è  un  tesoro  ,  che 
non  può  più  trovarsi,  allorché  siasi  per- 
duto una  volta.  Gli  altri  santi,  i  quali  non 
potranno  come  voi  accompagnare  V  A- 
gnello,  si  vedranno  al  suo  seguito  senza 
sentire  però  il  minimo  morso  di  gelosia: 
ma  godranno  con  voi  della  vostra  felici- 
tà; e  con  questo  mezzo  possederanno  in 
voi  quello  che  non  poterono  avere  in  se 
stessi.  Per  vero  dire  essi  non  potranno 
cantare  quell'inno  novello  che  vi  appar- 
tiene; ma  potranno  pure  ascoltarlo  e  tro- 
veranno la  loro  gioia  nel  prezioso  privi- 
legio che  voi  godrete.  Riguardo  a  voi  che 
lo  canterete  e  l'udirete  ad  un  tempo,  sa- 
rete ricolmi  di  una  gioia  molto  maggio- 
re, ed  il  vostro  regno  sarà  di  gran  lunga 
più  beato".  Quanto  cara  fosse  a'primiti- 
vi  cristiani  la  continenza,  ne  rendono  am  • 
pia  e  imbibita  testimonianza  i  primi  apo- 
logisti della  nostra  s.  Religione,  facendo- 
lo rimarca  re  a 'pagani.  A  ttetfaMinuxioFe* 


VER 

lice,  plerique  inviolati  corporis  vii  gini* 
tate  perpetua,  fruuntur  potius ,  a  nani 
gloriantur.  Sì  esalta  ancora  io  questo  bel 
passo  di  s.  Zenone,  lib.  I,  traci.  4  de  Pu- 
dicitia.  Tìi  in  Firginibus  f<Hx,  in  Vi* 
duisfortis,  in  Conjugiis  fidelis,  in  Sa- 
cerdotibus  pura,  in  Marlyribus  glorio- 
sa, in  Angelis  clara,in  omnibus  verolìe- 
gina  ...  tu  tuiproposili  insolubili»  nodus 
aeternus,  indicando  cosi  il  foto  di  ver- 
ginità, a  cui  sin  d'  allora  si  obbligavano 
le  cristiane  donzelle.  Si  può  vedere  s.  Me- 
todio,  Convivami  X  Virginum,  sive  de 
Casti  tate,  t.  3,  Bibl.  /V/fr.  Scrisse  «.Giu- 
stino, Apol.  i,o.  i5.  »  Fra  di  noi,  un 
gran  numero  di  persone  di  ambedue  i  ses- 
si, in  età  di  6o  e  70  anni,  le  quali  furo- 
no dalla  prima  loro  età  istruite  nella  dot- 
trina di  Gesù  Cristo  ,  perseverano  nella 
castità,  ed  io  mi  obbligo  di  provare  col 
fatto  che  trovatisi  di  siffatte  persone  in 
tutte  le  classi  e  condizioni  della  società". 
Adunque  fedeli  di  60  anni,  al  tempo  di 
s.  Giustino,  e  ch'erano  stali  allevati  nel 
cristianesimo  siuodalla  loro  infanzia,  non 
potranno  essere  stati  istruiti  che  dagli  A  - 
postoli  o  da'loi  o  discepoli  immediati.  A- 
tenagora  che  scrisse  nel  medesimo  tem- 
po, si  esprime  egualmente,  Legat.  prò 
Clirist.,  0.  3.  »  Vi  sono  fra  di  noi  molli 
uomini  e  molte  donne  che  vivono  nel  ce- 
libato, nella  speiauzadi  essere  più  stret- 
tamente uniti  a  Dio  ...  Noi  usiamo,  od  a 
restare  come  siamo  nati,  oppure  ad  ac- 
contentarci di  un  solo  matrimonio".  Er- 
ma, più  antico  di  Atenagora,  dice  nel  suo 
Pastore,  lib.  2.  »  Colui  che  si  rimarita 
non  pecca;  ma  se  resta  solo,  acquista  mag- 
giore onore  in  faccia  a  Dio.  Custodite  la 
castità  e  il  pudore,  e  voi  vivrete  per  il  Si- 
gnore". Attestano  s.  Epifanio  e  s.  Giro- 
lamo, che  s.  Clemente  romano,  in  fine 
della  sua  2.'  lettera  insegnava  la  vergi- 
nità. Questa  grandemente  slimarono  s. 
Clemente  Alessandrino,  Tertulliano,  O- 
1  igeue,  s.  Cipriano  e  altri.  11  p.  Mania- 
chi,  De' costumi  de'primitivi  cristiani,  t. 
2,  p.  1 4  i>  dopo  aver  narralo  che  gli  stes- 


V  E  R  3o9 

si  gentili  erano  persuasi  della  continen- 
za de'cristiaoi,  racconta  quanto  fosse  ap- 
presso i   primitivi  cristiani  in  onore  la 
verginità.  Era  tanto,  egli  dice,  presso  i 
cristiani,  l'amor  della  purità  e  continen- 
za, che  molti  avendo  letto  ne'sagi osanti 
Vangeli,  esser  ella  più  lodevole  la  vita  di 
coloro,  i  quali  per  amor  del  regno  de'cie- 
li  da'  piaceri  anche  leciti  si  astenevano, 
offrivano  al  Signore  la  verginità  loro,  e 
rimanevano  celibi  sino  alla  morte.  E  per 
lasciar  a  parte  gli  esempi  che  sommini- 
strano gli  Atti  e  Y Epistole  de'  ss.  Apo- 
stoli, si  legge  in  s.  Giustino  martire,  che 
gl'idolatri,  i  quali  erano  dediti  alla  dis- 
solutezza, quando  erano  illuminali,  e  ab- 
bandonavano il  gentilesimo,  e  abbi  accia- 
vano  la  religione  cristiana,  con  sommo 
studio  procuravano  di  essere  casti;  e  che 
molti  di  loro,  sebbene  erano  giunti  all'e- 
tà di  60  e  di  70  anni,  rimanevano  con 
tutto  ciò  incorrotti.  Per  la  qual  cosa,  i 
fedeli  o  rimanevano  celibi  fino  alla  mor- 
te, o  se  pure  celebravano  le  nozze,  osser- 
vavano nel  matrimonio  una  continentis- 
sima  vita.  Lo  stesso  attesta  Atenagora  con 
dire:  »  Egli  è  facile  di  numerare  molti,  i 
quali  ti  a  noi  sono  invecchiati  celibi.  Che 
se  lo  stato  dellaverginilàcongiungemag- 
gioi  mente  l'uomo  a  Dio,  e  da  lui  non  so- 
lamente le  opinioni   malvagie,  ma  anco 
il  solo  pensiero  cattivo  ci   distoglie  e  ci 
allontana;  forza  è,  che  se  detestiamo  noi 
i  pensieri,  molto  più  dobbiamo  fuggire  le 
azioni  cattive".  Non  parla  altrimenti  Ta- 
ziano nell'orazione  contro  i  gentili.  An- 
che Teofilo  antiocheno  attesta   che  tra* 
cristiani  si  osservava  la  temperanza  e  la 
continenza,  si  celebravano  una  sola  vol- 
ta le  nozze,  e  si  custodiva  la  castità.  Ma 
più  distintamente  Tertulliano  i\z\\' Apo- 
logetico allei  ma,  che  alcuni  cristiani,  per 
vivere  con  maggior  sicurezza,  rimaneva- 
no vergini.  Somiglianti  cose  scrisse  ne'li- 
bi  i,  Del  velare  le  vergini,tDelle  prescri- 
zioni contro  gli  eretici.  In  quello  che  in- 
dirizzò alla  moglie,  l'esortò  a  non  pas- 
sale alle  seconde  uozze,dicendolt:  »  Imi- 


3io  VER 

ta  gli  esempi  ilelle  nostre  sorelle,  che  non 
curandosi  dell'avvenenza,  né  dell'eia  lo- 
ro, antepongono  a'mariti  la  santità  ilei- 
la  vita,  e  vogliono  piuttosto  sposarsi  con 
Dio,  e  apparir  belle  e  giovinette  nel  suo 
divin  cospetto,  che  a  qualunque  mot  ta- 
le. Conessovivono,  con  esso  parlano, con 
esso  trattano  di  giorno  e  di  notte,  e  oc- 
cupandosi nell'elei  nobene,  e  non  cercan- 
do di  maritarsi,  sono  enumerate  nella  fa* 
miglia  degli  Angeli".  Acconsente  Orige- 
ne, ne'libri  contro  Celso,  dove  parlando 
delle  vergini  de'suoi  tempi,  e  paragonati* 
dole  a  quelle,  che  presso  i  gentili  erano 
in  onore  e  custodite  con  incredibile  ge- 
losia, dice:  >»  Appresso  di  quelli  che  ap- 
pellatisi Dei  da' gentili,  sono  poche  ver- 
gini ,  le  quali  sieno  custodite  o  non  cu- 
stodite ...  procurino  di  conservare  intie- 
ra la  purità  del  loro  corpo  per  onorare 
il  finto  Nume:  ma  appressoi  cristiani,  non 
per  umano  rispetto  e  per  essere  onorate, 
non  per  essere  premia tecon  qualche  som- 
ma di  denaro,  non  per  vanagloria  si  man- 
tengono vergini;  ma  sapendo  che  a  Dio 
sono  svelate  e  manifeste  le  cose  tutte,  so- 
no da  Dio  medesimo  conservate,  talché 
ripiene  di  giustizia  e  di  bontà,  operano 
secondo  ciò  che  detta  il  dovere  e  la  ra- 
gione". Celebrando  s.  Cipriano  le  lodi 
della  Chiesa  cattolica,  in  una  delle  sue  e- 
pistole  racconta,  che  fioriva  iu  quel  feli- 
ce tempo  la  Chiesa  coronata  di  tanle  ver- 
gini, e  la  castità  conservava  il  tenor  del- 
la sua  gloria  col  mantenimento  della  pu- 
dicizia. Me  perchè  all'  adultero  si  facili- 
tava la  penitenza  e  il  perdono,  diminui- 
tasi punto  il  vigor  della  continenza.  Leg- 
go nel  canone  \  \  del  concilio  di  Elvira, 
celebralo  nel  111  secolo:  «  Le  figlie  che 
non  hanno  custodita  la  loro  verginità,  se 
sposano  quelli  che  le  hanno  corrotte,  sa- 
ranno riconciliale  dopo  un  anno  di  pe- 
nitenza; ma  se  hanno  conosciuto  degli  al- 
tri uomini,  faranno  penitenza  per  5  an- 
ni", riacconta  Rinaldi  all'anno  349,  che 
i  fratelli  imperatoti  Costanzo  e  Costante 
1,  fecero  una  legge  contro  i  rapitori  del- 


VER 
le  vergini;  ed  all'anno  529,  che  l'impe- 
ratore Giustiniano  1  decretò  la  pena  ca- 
pitale contro  i  rapitori  delle  vergini  edel- 
le  vedove.  Trovo  ne'  canoni  di  6.  Rasi- 
lio,  che  il  rapitore  prima  d'esser  ammes- 
so alla  penitenza,  dovea  restituire  la  per- 
sona rapita:  poteva  poi  sposarla  col  con- 
senso di  quelli  da  cui  dipendeva.  La  figlia 
poi  eh 'erasi  lasciata  sedurre,  avendo  ot- 
tenuto il  consenso  de'parenti,  dovea  fare 
3  anni  di  penitenza.  Quella  però  che  a- 
vea  patito  violenza  non  era  soggetta  a  ve- 
runa pena.  Il  concilio  di  Calcedonia  del 
45 1,  decretò  col  canone  27.  Quelli  che 
rapiscono  donne,  sotto  pretesto  di  ma- 
trimonio, i  loro  complici  e  i  loro  fauto- 
ri, saranno  deposti,  se  chierici,  e  anate- 
matizzati se  laici.  11  concilio  di  Parigi  del 
559  represse  colla  scomunica  quelli  che 
avessero  rapito  donne  con  intenzione  di 
sposarle,  vedova  o  zitella,  senza  la  volon- 
tà de'genitori.  Il  concilio  di  Trento,  sess. 
24,  Decr.  de  Refor.,  e.  6.  «  Non  può  far- 
si matrimonio  tra  il  rapitore  e  la  perso- 
na rapita,  finché  resti  ella  in  mano  di 
lui.  Che  se  essendo  separata,  e  messa  in 
luogo  sicuro  e  libero,  acconsente  d'aver- 
lo per  marito,  la  terrà  per  sua  moglie; 
ma  non  ostante  lo  stesso  rapitore,  e  lut- 
ti que'che  gli  avranno  prestato  consiglio 
o  aiuto,  ed  assistenza,  saranno  ipsojiwe 
scomunicati".  Ma  si  ritorni  a' primitivi 
cristiani  ed  al  p.  Mamachi.  Non  fu  già 
minore  nel  IV  secolo  della  Chiesa  lo  stu- 
dio di  molti  nel  mantenersi  illibati  e  ver- 
gini sino  alla  morte.  Narra  Eusebio  di  Ce- 
sarea nella  vita  dell'imperatore  Costan- 
tino I,  ch'eran  da  lui  massimamente  sti- 
mati, onorali  e  premiati  que'che  davan- 
si  allo  studio  della  divina  filosofia;  ed  iu 
modo  particolare  rispettava  que'  che  ■■ 
veano  promesso  perpetua  verginità  al  ve- 
ro Dio,  il  quale,  coni'  egli  pure  crede- 
va, abitava  nelle  loro  anime.  Non  altri- 
menti parla  delle  sagre  vergini  de'  suoi 
tempi  s.  Cirillo  gerosolimitano  fiorilo  nei 
IV  secolo.  A  veano  i  fedeli  in  ciò  preso  e- 
sempio  non  solamente  dallo  sposo  delle 


VER 
vergini  Gesù  Cristo  ,  e  dalla  sua  illiba- 
lissima  e  ss.  Madre,  ina  eziandio  da  s. 
Giovanni  Evangelista,  la  cui  verginità  è 
sovente  dagli  scrittori  ecclesiastici  enco- 
miata; e  dalle  ricordate  4  figlie  di  s.  Fi- 
lippo diacono,  delle  quali  fanno  onora- 
tissima  menzione,  precipuamente  s.  Lu- 
ca negli  Alti  Apostolici,  ed  Eusebio  nel- 
la Storia  ecclesiastica.  Non  è  dunque  a 
meravigliare,  osserva  pure  il  p.  Manìa- 
chi,  se  ne' calendari  e  negli  atti  de'santi 
leggiamo  che  molte  ss.  Vergini  soffriro- 
no con  incomparabile  intrepidezza  il  mar- 
tirio ,  e  acquistarono  la  corona  e  della 
continenza  e  della  fortezza  loro,  in  eie 
lo.  E'  difficile  impresa  il  tessere  un  esat- 
to catalogo  di  quelle  beate  anime  ,  che 
Con  tanta  gloria  loro  trionfarono  del 
mondo,  della  carne  e  del  demonio.  11  p. 
Mamachi  si  limita  a  celebrare  le  vergini 
s.  Apollonia  ,  a  cui  a  furia  di  percosse 
levarono  tutti  i  denti,  e  restò  incenerita 
quindi  dalle  fiamme;  s.  Teodosia,  che  di 
18  anni  fu  cruciata  con  01  tendi  tormenti 
e  indi  sommersa  nel  mare. Passa  poi  il  p. 
Mamachi  a  descrivere  l'edificante  e  sin- 
golare continenza  de' mai  itati  de' pi  imi 
secoli  cristiani,  la  loro  verecondia,  la  ca- 
stità de'loro  discorsi  e  pensieri,  tutto  in 
loro  spirando  purità,  la  diligenza  in  be- 
ne educar  la  prole,  non  passando  alle  se- 
conde nozze.  Anch'egli  racconta,  che  al* 
le  volte  gli  sposi  con  iscambievole  con- 
senso si  separavano  per  servire  con  mag- 
gior libertà  al  Signore,  conducendo  vita 
interamente  pudica  ed  esemplare.  Inol- 
tre i  primitivi  cristiani  erano  ben  per- 
suasi della  debolezza  e  miseria  della  na- 
tura umana,  onde  procuravano  di  schi- 
vare que'luoghi  e  quelle  circostanze,  che 
potevano  dar  loro  occasione  di  operare 
o  di  pensar  male;  quindi  è,  che  non  fre- 
quentavano gli  spettacoli,  né  le  licenzio- 
se conversazioni,  evitando  così  certi  pe- 
ricoli di  peccare  o  colle  opere  o  colle  pa- 
role. Tra'romani  gentili,  dite  il  Guasco, 
Delle  or  natrici  ,  le  vergini  portavano  i 
capelli  uniti  in  un  sol  volume,  le  marita 


VER  3n 

te  costumando  dividerli  sulla  fronte.  Il 
Buonarroti,  Osservazioni  sui  vasi  anti- 
chi di  *etrot  narra  che  le  vergini  cristia- 
ne portavano  i  capelli  annodati  in  cima 
della  testa  in  un  sol  nodo;  poi  raccoglie- 
vano i  capelli  parimenti  in  cima  del  ca- 
po, ma  il  gruppo  era  più  grande  e  ser- 
rato con  una  rete:  le  vergini  sagre  poi, 
portavano  intorno  alla  testa  una  fascia 
delta  mitra  o  mitella.  Secondo  il  Rinal- 
di, l'usa  vanoquelledA'frica,  ricevendo  ta- 
le ornamento  da'vescovi,  mentre  in  Ro- 
ma e  altrove  si  costumava  il  velo  sagro. 
Innumèrabili  poi  sono  le  beneficenze  in 
ogni  tempo  fatte  dalla  pietà  cristiana  a 
favore  delle  vergini ezitelle,massimequel- 
le  che  ponno  pericolare  e  Povere  (F.)t 
per  le  quali  furono  fondati  Conservatorii, 
Ospizi  e  Monasteri  (  F.). 

Le  sagre  vergini  a  Dio  consagrate  si 
trovano  dal  cominciamento  del  cristia- 
nesimo, con  Foto  eziandio  di  perpetua 
castità.  Dopo  gl'insegnamenti  di  s.  Pao- 
lo, cominciarono  subito  i  collegi  e  le  ca- 
se in  cui  convivevano  in  comunità,  più 
tardi  chiamate  Monasteri  (F.).  Egual- 
mente ne'  primi  tempi  della  Chiesa  co- 
minciarono gli  uomini  la  vita  di  Solita- 
ri, di  Anacoreti,  di  Cenohili}  di  Religio- 
si (F.),  osservando  il  celibato, e  poi  an- 
ch'essi ne  fecero  voto  e  si  raccolsero  in 
Monasteri  e  Conventi.  Nel  II  secolo  scris- 
se Tertulliano:  »  Quanti  sonovi  mai  Eu- 
mtchi  volontari  (ne  riparlai  nel  volume 
LXXXV,  p.  233),  e  vergini  dell'uno  e 
l'altro  sesso  l"Ne'primi  tempi  delia-Chie- 
sa si  dissero  Agapete  (F.)  alcune  vergi- 
ni, le  quali  conducevano  la  vita  in  comu- 
ne, e  si  dedicavano  al  servigio  caritate- 
vole degli  ecclesiastici.  Questi  le  chiama- 
rono sorelle  ejì glie  adottive,  vivendocon 
esse  come  fratelli  e  sorelle.  Le  qualifica- 
vano figlie  adottive  per  conservar  loro  la 
verginità  e  le  loro  sostanze,  sostituendo- 
le in  qualche  guisa  a  que'fìgli.che  avreb- 
bero potuto  avere  da  un  matrimonio  le- 
gittimo. Ma  tosto  tali  nomi  servirono  a 
ricoprire,  ed  a  pretendere  di  giustificare 


3i*  VE  11 

negli  ecclesiastici  una  condotta  riprensi- 
bile, mentre  uvea  l'apparenza  d'un'ami- 
cizia  cristiana,  sotto  lo  specioso  pretesto 
del  bisogno  che  aveano  della  loro  assi- 
stenza nelle  malattie,  o  nel  domestico  go- 
verno. Nati  gli  abusi,  con  false  ragioni  si 
fortificarono  e  non  poterono  a  bolirsi,  nep- 
pure nel  3i5  per  le  orti  inazioni  del  con- 
cilio Niceno,  il  quale  era  stato  alquanto 
indulgente  nel  permettere  a'  chierici  il 
coabitare  con  certe  donne  non  sospette; 
indulgenza  che  die'  ansa  agli  ecclesiastici 
incontinenti,  o  di  una  condotta  poco  re- 
golata, di  mantenere  con  tale  occasione 
delle  familiarità  indecenti  con  altre  per- 
sone del  sesso  femminile.  Da  Antiochia, 
ove  pare  che  siffatto  vivere  degli  ecclesia- 
stici ebbe  origine  ,  e  dove  Leonzio  spe- 
cialmente, che  fu  dipoi  vescovo  di  quel- 
la città,  si  fece  eunuco  per  poter  libera- 
mente abitare  con  una  giovane  da  lui  a- 
mata,  passò  nell'altre  chiese.  E  s.  Gio. 
Crisostomo,  che  l'atea  fortemente  com- 
battuto sin  da  quando  non  era  che  sem- 
plice sacerdote,  lo  trovò  stabilito  nella  ca- 
pitale dell'impero  d'Oriente,  quando  ne 
fu  fatto  vescovo.  Di  là  si  sparse  il  vizio- 
so costume  nell'Occidente,  dove  i  diver- 
si concilii  di  Francia,  di  Spagna,  d'Italia 
e  di  altre  regioni,  che  lo  proibirono,  e  gli 
scritti  di  s.  Girolamo  dimostrano,  eh'  e- 
rasi  deplorabilmente  introdotto  e  propa- 
gato in  tutta  la  Chiesa.  11  Crisostomo 
scrisse  in  Costantinopoli  due  libri  su  que- 
sta materia,  o  due  omelie  assai  lunghe., 
ed  impiegò  tutta  la  sua  virtuosa  eloquen- 
za per  distruggere  nel  suo  clero  un  tal 
disordine,  il  che  non  fu  l'ultimo  de' mo- 
livi che  sollevarono  gli  ecclesiastici  con- 
tro di  lui. Finalmente  l'autorità  dellaChie- 
sa  si  trovò  troppo  debole  contro  un  co- 
slume  sì  invecchiato  e  abbominevole,  e 
fu  costretta  a  ricorrere  al  bracciodegl'im- 
peratori,  tra'quali  Onorio  fece  una  legge 
nel  4 20  contro  a'  chierici  che  tenessero 
in  loro  casa  delle  femmine  straniere,  sot- 
to il  nome  di  sorelle,  o  con  altri  vocabo- 
li cohabUanleS)  contubernale s ,  adopii- 


V  EU 

vactext  rancar  jnulieres  subintróductai  , 
sorores  agapelas  ;  vocaboli  tulli  ,  che 
quantunque  non  abbiano  uno  stesso  suo- 
no, tengono  però  in  sostanza  a  dir  lo  stes- 
so. Il  vocabolo  di  Soti*  fntrodoiie\^  .(eb- 
be più  voga,  anch'esse  però  poi  proibite 
da' sagri  canoni.  Ne' primi  tempi  della 
Chiesa  eranvi  pure  delle  vergini  che  si 
consagravano  a  Dio  senza  ricevere  il  ve- 
lo, ma  portavano  un  abito  distinto,  il 
quale  era  modesto  e  di  color  nero  o  bi- 
gio. Però  s.  Ambrogio,  fra  gli  altri,  /{<■ 
hort.  advirg.,\)av\a  espressamente  di  ver- 
gini consagrate  a  Dio  col  ricevimento  di 
un  Pelo  ,  che  il  vescovo  benediva  alla 
messa.  In  Siriat  culla  di  nostra  s.  Reli- 
gione, le  religiose  propriamente  dette,  si 
chiamavano figliuole  dell'  alleanza,  sot- 
to la  quale  denominazione  comprende- 
vansi  quella  specie  di  vergini,  in  seguito 
dette  Diaconesse  e  Canonichesse,  cioè 
quelle  che  non  aveano  ancora  fallo  vo- 
to di  verginità,  ma  che  in  più  luoghi  as- 
sunsero la  cura  di  cantare  le  lodi  di  Dio 
in  chiesa,  come  si  ha  nella  vita  di  s.  E- 
freni.  In  questa  classe  si  pongono  molte 
vergini  che  soffrirono  il  martirio  in  Per- 
sia, come  s.  Varada,  le  due  ss.  Tede,  le 
tre  ss.  Maria,  s.  Danaca,  s.  Tolona,  s.  Ma- 
ina, s.  Muzachia,  s.  Anna  ,  s.  Abiata,  s. 
Ale,  s.  Mamlaca,  s.  Tata,s.  Ama,  s.  A- 
dana  e  s.  Maraca.  La  ragione  ne  è,  che 
i  siri  danno  loro  il  titolo  di  JBnalh-Kia- 
J7itf,ovverodi  figlie  dell'alleanza.  Le  suin- 
dicate vergini  di  tutte  le  classi,  vivevano 
in  case  particolari  innanzi  la  fondazione 
de'monasteri;  ma  non  vi  erano  uomini  in 
quelle  case,  comesi  ha  da  s.  Cipriano,  il 
quale  purdice,cheseuna  di  quelle  vergi- 
ni fosse  caduta  nella  incontinenza,  sareb- 
be stata  riguardata  come  incestuosa  ed 
adultera,  per  avere  mancalo  di  fedeltà  a 
Gesù  Cristo  suo  sposo  divino.  Si  dove- 
vano, giusta  Tertulliano,  trattare  da  sa- 
crileghe quelle  che  lasciavano  un  abito 
cousagrato  a  Dio.  Quelle  vergini  condu- 
cevano uua  vita  ritirala,  solitaria,  mor- 
tificata cou  rigorosi  digiuui,  e  pacavano 


V  E  lì 

il  loro  tempo  nell'orazione  e  nel  canto 
degl'inni  sagri.  Vi  furono  delle  vergini, 
chiamate  ecclesiastiche  (]a\Bev\eiH\\,/)el- 
le  oblazioni^  p.  44>  cne  dedicate  a  Dio  e 
professando  una  vera  castità,  con  abito 
religioso  e  vita  regolata,  abitavano  nelle 
proprie  case  a  somiglianza  degli  Asceti, 
i  quali  con  una  tal  forma  di  vivere  e- 
sem piare  e  mortificato  nel  secolo  si  di- 
stinguevano da'monaci  abitatori  de'chio* 
stri.  La  benedizione  delle  diaconesse  dif- 
feriva dalla  consagrazione  delle  vergini  ; 
ceremouia  che  proibirono  a'  preti  il  i.° 
concilio  di  Cartagine,  ed  il  6."  di  Parigi; 
anzi  s.  Leone  1  lo  vietò  a'corepiscopi,  nel- 
Y Epist.  88.  Altre  vergini  furono  imita- 
trici degli  Anacoreti ',  Eremiti  e  altri  So 
litari  (V.),  detti  pure  reclusi  e  rinchiu- 
si ,  che  vissero  Solitarie  (Z7.)  in  piccole 
Celle  ,  contigue  a  chiese  e  a  monasteri, 
donde  poscia  derivarono  i  monasteri  dop- 
pi di  religiosi  e  di  religiose,  i'u  processo 
di  tempo  vietati,  e  ne  riparlai  nel  voi. 
XCI,  p.  io5  eio8.  Altre  veigini  furono 
le  Stilile  (P.),  del  genere  delle  solitarie 
è  recluse.  Altre  di  quest'  ultime  furono 
quelle  diesi  rinchiusero  in  Romiloriian- 
gusti  contigui  agliatrii,  a'tetti  e  altre  par- 
ti de'sagri  templi,  delle  quali  dissi  altre 
parole  nel  citato  voi.  a  p.  2-?3.  Altret- 
tanto fecero  pie  vedove  e  le  Ternpeute 
( V .);  e  già  notai,  che  tra  le  Diaconesse. 
eranvi  vedove  e  vergini  attempate,  de- 
stinale ad  assistere  gli  ecclesiastici  al  bat- 
tesimo per  immersione  delle  donne  a- 
dulte,  ad  istruire  le  catecumene,  ad  aiu- 
tarli nelle  malattie,  a  procurare  i  neces- 
sari soccorsi  &'  Confessori  della  fede  per- 
ciò carcerati,  e  custodire  la  porta  e  quel- 
la parte  del  tempio  assegnala  alle  donne. 
Si  riguardarono  sempre  quasi  come  ver- 
gini quelle  vedove,  massime  giovani,  che 
invece  di  rimaritarsi  vollero  vivere  celi- 
bi per  amore  di  Gesù.  Cristo.  Equi  cre- 
do dovere  avvertire ,  che  negli  articoli 
che  vado  ricordando  ,  sono  rammentati 
altri  in  cui  ragionai  di  ulteriori  specie  di 
sagre  vergini,  senza  che  qui  tomi  a  no- 

VOL.  XC1II. 


VER  3.3 

minarle.  Il  p.  Helyot,  Storia  degli  ordi- 
ni monastici  e  religiosi,  tratta  nel  t.  i,§ 
8:  Che  s.  Sindetica  fondò  il  primo  mo- 
na stero  dì  donne,  della  quale  dissi  paro* 
le  nel  voi.  XLVI,  p.  4'*  ^on  è  però  o- 
pinione  comune  di  tutti  gli  scrittori,  che 
s.  Sindetica  alessandrina  sia  stata  pro- 
priamente lai.3  fondatrice  óe* Monaste- 
ri di  sagre  Vergini,  poiché  sebbene  da 
altri  si  tiene  per  tale,  alcuni  ne  dubita- 
no, né  manca  chi  lo  nega  assolutamen- 
te. Niceforo  Callisto  pel  r .°  l'attribuì  a  s. 
Atanasio,  sulla  fede  di  certi  mss.  che  por- 
tano in  fronte  il  di  lui  nome.  Tale  opi- 
nione, secondo  Herman  e  Tillemont,  fu 
abbracciata  per  sicura  nel  secoloXVII  da' 
più.  istruiti,  i  quali  riconobbero  s.  Sin- 
detica per  madre  delle  religiose  e  per  r.a 
fondatrice  de'monasteri  di  donne;  io  quel- 
la stessa  guisa  che  s.  Antonio  abbate  pa- 
triarca de'cenobiti  è  tentilo  per  t.°  fon- 
datore de'  monasteri  perfetti  de' solitari, 
e  fiori  al  tempo  di  s.  Paolo  t.°  eremita, 
il  più  celebre  fra  tutti  quelli  che  mena- 
rono vita  in  solitudine.  Gli  si  attribuisce 
l'istituzione  del  monachismo,  che  il  det- 
to s.  Antonio  abbate  ordinò  e  regolò.  A 
suo  onore  fu  istituito  assai  più  tarili  l'or- 
dine di  s.  Paolo  primo  eremita  {Tr.).  Si 
può  vedere  Ordine  religioso.  Alcuni  dis- 
sero s.  Sindetica  superiora  delle  mona- 
che del  s.  Sepolcro  fondato  in  Gerusa- 
lemme, da  s.  Eleoa  imperatrice  nel  337. 
Il  p.  Helyot  riporta  gli  autori  delle  dif- 
ferenti opinioni  sopra  s.  Sindetica,  non 
che  quelle  del  tempo  in  cui  fiorì  e  del- 
l'epoca di  sua  morte,  assegnata  dà  Her- 
man alla  fine  del  III  secolo,  dal  Baronie 
nel  3 io,  da  Culteau  nel  358,  da  Tille- 
mont nel  365.  Tutti  poi  convengono  che 
visse  circa  84  anni,  e  che  nella  sua  più 
fresca  giovinezza  si  ritirò  nella  solitudi- 
ne; ed  eziandio  che  visse  al  tempo  di  s. 
Antonio,  e  perciò  aver  potuto  fondare  i 
primi  monasteri  di  vergini,  come  s.  An- 
tonio fondò  i  primi  monasteri  perfetti  di 
solitari,  e  con  Regola  scritta.  Pretende 
Bulteau,  che  s.  Basilissa  sia  stata  la  fon- 
ai 


3i4  VER 

dati  ice  della  i.*  comunità  di  donne,  ma 
le  circostanze  della  vita  di  questa  santa, 
comparendo  apocrife,  non  perniiselo  al 
p.  Helyot  di  prestargli  fede.  Sono  le  cir- 
costanze, il  raccontarsi  dal  Bulicati,  che 
essendosi  suscitala  da  Diocleziano  una  fie- 
ra persecuzione  nella  Chiesa,  s.  Basilissa 
e  s.  Giuliauo  suo  marito  offrirono  fervo- 
rose pi  eghiere  a  Dio  per  la  salute  di  quel- 
li che  aveano  convertili:  che  Dio  esaudì 
s.  Basilissa  togliendola  dal  mondo,  dopo 
aver  concesso  la  stessa  grazia  quasi  a  mil- 
le religiose,  da  lei  rese  perfettamente  in- 
clinate alla  pratica  d'ogni  virtù.  Quanto 
a  s.  Giuliano  che  a  lei  sopravvisse,  spar- 
se il  sangue  per  la  fede  nella  medesima 
persecuzione,  essendo  padre  di  diecimila 
religiosi.  Dichiara  quindi  il  p.  Helyot,  es- 
sere troppo  inverosimile,  che  vi  fosse  un 
sì  gran  numero  di  religiosi  sotto  la  con- 
dotta di  s.  Giuliano,  prima  che  alla  Chie- 
sa si  rendesse  la  pace;  e  più  credibile  sa- 
rebbe stato,  ciò  che  concerne  s.  Basilis- 
sa, se  le  mille  vergini  o  religiose,  di  cui 
ella  era  superiora,  avessero  anzi  sofferto 
il  martirio,  che  morte  tutte  avanti  s.  Ba- 
silissa, e  quasi  nel  medesimo  tempo.  Cre- 
do d'avere  scritto  con  più  critica  de' ss. 
Giuliano  e  Basilissa,  che  nel  giorno  de* 
loro  sponsali  stabilirono  vivere  in  perpe- 
tua continenza,  nel  voi.  LXXXI V,  p.  64. 
Jl  p.  Chardon,  Storia  de 'Sa gr amenti ,  t. 
3,  lib.  1 ,  cap.  1 2,  parlando  dell'ordinazio- 
ne delle  Diaconesse,  riferisce  che  riceve- 
vano una  specie  di  ordinazione,  benché 
non  siano  mai  stale  considerate  come 
membri  dell'ecclesiastica  gerarchia;  e  che 
la  loro  istituzione  è  tanto  antica  quanto 
quella àt  Diaconi(V.).S.  Paolo  parlando 
diFeba  diaconessa  della  chiesa  diCorinto, 
dice  che  non  si  confidava  già  questo  mini- 
stero ad  ogni  sorta  di  persone,  ma  i  .ve- 
scovi le  sceglievano  prudentemente  fra  le 
vergini  consacrate  a  Dio  ovvero  fra  le  ve- 
dove che  avessero  avuto  un  solo  marito, 
e  poi  avessero  fatto  professione  di  pietà 
e  voto  di  castità.  Egli  riconosce  per  tali 
le  figlie  di  s,  Filippo  diacono,  S.  Paolo 


V  ER 

voleva  che  si  ammettessero  quelle  sole  di 
cui  si  poteva  essere  sicuri  che  vivessero 
come  conveniva  allo  stato  loro.  «  I  due 
stati  di  vergini  e  di  vedove,  erano  in  mol- 
ta stima  presso  gli  antichi,  ed  i  vescovi  ne 
avevano  una  cura  particolare.  Le  vergi- 
ni si  riputavano  come  la  più  illustre  por- 
zione del  gregge  di  Cristo.  Perciò  nella 
loro  consagrazione  il  vescovo  dava  loro 
colle  proprie  mani  il  velo  benedetto  da 
se;  laddove  le  vedove  Io  pigliavano  esse 
medesime  dall'altare.  Un  semplice  sacer- 
dote poteva  consagrare  le  vedove,  non  già 
le  vergini,  ove  per  consagrare  intendo  as- 
sistere, poiché  le  vedove  non  ricevevano 
benedizione,  ma  solo  professavano  casti- 
tà alla  presenza  di  un  sacerdote,  siccome 
insegna  s.  Gelasio  1  Papa".  Al  dichiara- 
to dal  p.  Chardon  sulle  Vedove,  sarà  be- 
ne leggere  quelP  articolo.  Il  sacerdote 
Francescanlonio  Mondelli  nelle  sue  Dis- 
sertazioni ecclesiastiche,  Dissert.  V  so- 
pra le  sagre  Vergini,  ri  ferisce  quanto  con 
breve  cenno  vado  a  riportare,  perciò  om- 
mettendo  le  critiche  prove  di  sue  asser- 
zioni, e  intrecciandovi  alcuni  schiarimene 
ti  ed  erudizioni.  Non  vi  è  cosa  al  mondo 
che  tanto  piaccia  a  Dio  ,  che  essendo  la 
stessa  candidezza  per  essenza  suole  abita- 
re fra' gigli  del  campo,  quanto  le  sagre 
vergini;  per  queste^  dice  s.  Tommaso,  ha 
riservato  una  corona  lucida  e  risplenden- 
te nel  reguo  eterno;  e  ragionando  di  lo- 
ro s.  Paolo  nelle  sue  Epistole,  lo  fece  con 
impeciale  compiacenza.  Di  queste,  più  che 
d'ogni  altro  altamente  si  pregia  e  si  ral- 
legra la  Chiesa,  come  quelle  che  del  suo 
divino  sposo  formano  le  più  amene  e  con- 
solanti notizie.  §  I.  Se  nella  Chiesa  ancor 
nascente  vi  fossero  sagre  vergini.  Esiste- 
vano fino  da'tempi  apostolici,  ne'quali  a 
comune  edificazione  de'fedeli,  e  a  grave 
confusione  de'fieri  persecutori  del  cristia- 
nesimo, miravansi  per  ogni  parte  in  ab- 
bondanza donzelle  che  virilmente  la  foro 
purezza  consagravano  con  perpetuo  voto 
aDiOjdandosiaduntenoredivilail  piùc- 
semplare  e  perfetto.  Lai  .aa  darne  fesem- 


VER 

pio  magnanimo  e  sorprendente  fu  la  gran 
Madre  dell'  Incarnata  Sapienza;  quindi 
condecorata  da  Lei  la  Chiesa  col  nome  e 
professione  di  T'ergine,  tostoaltredi  simi- 
le desiderio  accese,  coraggiosamente  ne 
seguirono  le  orme,  ricevendo  dopo  con- 
tinue fervorose  suppliche  la  consagrazio- 
ne  da' ss.  Apostoli.  Il  perchè  non  v'ha 
dubbio,  che  cominciassero  nella  Chiesa 
ad  esistere  vergini  quando  cominciò  a 
propagarsi  l'evangelica  dottrina.  Solen- 
nemente furono  consagrate  con  voto  di 
castità  al  Signore,  da'ss.  Pietro  e  Paolo, 
le  ss.  Petronilla  e  Tecla  ;  altrettanto  fe- 
cero s.  Matteo,  con  s.  Ifigenia,  le  quat- 
tro figlie  di  s.  Filippo  diacono,  e  Papa  s. 
Clemente  I  del  g3  con  s.  Flavia  Domi- 
ti Ila.  Erano  così  numerose  ne'primi  tem- 
pi della  Chiesa,  che  questa  nel  pontifica- 
to di  s.  Cornelio  del  254,  ne  manteneva 
i5oo  (aggiungerò,  comprese  le  vedove 
che  viveano  come  le  vergini),  rendendo 
servigi  alla  medesima  Chiesa,  perciò  chia- 
mate Canonìcliesse (avverte l'autore,  che 
esse  differivano  dalle  posteriori  canonì- 
cliesse di  Germania  godenti  prebende, 
senza  professare  il  religioso  istituto  e  sen- 
za rinunziare  a' propri  beni  paterni:  di 
nobili  famiglie  non  sono  astrette  da  voli, 
tranne  la  badessa,  e  ponno  maritarsi;  se 
noi  fanno  restano  nel  numero  dell'asce- 
tric  attendendo  alla  pietà  e  agli  uffizi  di- 
vini. Sono  una  diramazione  delle  clau- 
strali che  canonicamente  viveano,  e  me- 
ritano non  pertanto  I*  elogio  che  ne  fece 
il  cardinal  Vitrì)  ,  a  cui  era  proibito  il 
maritaggio  pel  volo  fatto  di  verginità; 
quelle  ch'eransi  separate  da'  mariti  e  le 
vedove,  diceudosi  Suddiaconesse,  Dia- 
conesse, Presbiteresse,  Vescovesse^  dal- 
l' uffizio  che  ad  esse  apparteneva  o  dal 
grado  in  cui  erano  ascesi  i  mariti  tra  il 
clero,  tali  di  solo  nome  e  senza  però  or- 
dine sagro;  e  Papa  s.  Solerò  del  i  j5,  nel 
vietare  con  decreto  alle  sagre  vergini  il 
toccare  i  Fasi  sagri,  le  palle  che  cuo- 
prono  il  Calice,  e  l' Incensazione  nelle 
chiese  (i   critici  attribuiscono  il  decreto 


VER  3i5 

a  Papa  s.  Gelasio  I  del  4-92)>  l'enumerò 
fra  le  persone  laiche.  I  coniugi  separati- 
si erano  sottoposti  alla  scomunica,  se  a- 
vessero  violato  la  promessa  castità,  e  ve- 
nivano deposti  i  mariti  dagli  uffizi  che- 
ri  cali.  §  lì.  Se  vivessero  le  vergini  ne' 
chiostri  racchiuse,  ovvero  nelle  private 
rispettive  abitazioni.  E  comune  opinio- 
ne che  alcune  di  esse  ne'primitivi  tempi 
della  Chiesa  vivessero  nelle  loro  rispet- 
tive abitazioni  segregate  da  ogni  virii  con- 
sorzio; altre  poi  spontaneamente  si  rac- 
chiudevano ne'sagri  Chiostri,  per  ivi  più 
di  proposito  attendere  alla  vita  regolare, 
e  ne  parla  s.  Girolamo  nella  lettera  scrit- 
ta ad  Eustochia  sopra  la  diligente  custo- 
dia della  santa  verginità,  altra  avendone 
indirizzata  a  Marcella.  Istitutrice  di  que- 
ste claustrali  si  celebra  la  sorella  di  s.  An- 
tonio abbate;  altri  la  sorella  di  s.  Paco- 
mio,  il  quale  avea  ad  essa  fabbricato  un 
monastero,  che  dal  proprio  veniva  divi- 
so dal  fiume  Nilo,  e  siccome  egli  presie- 
deva ai4oo  monaci  o  religiosi,  essa  era 
maestra  e  direttrice  di  4oo  donzelle.  S. 
Basilio  non  solo  da'fondamenti  eresse  ad 
alcune  vergini  i  chiostri,  ma  ancora  vi 
prescrisse  sante  leggi.  Nella  Tebaide  il  s. 
abbate  Elia  per  4°  anm  fa  premuroso 
fondatore  e  lodevolissimo  direttore  di  beu 
3oo  vergini.  In  Oxirinco  città  dell'Egit- 
to ritrovavansi  20,000  vergini  e  10,000 
monaci.  Anche  nell'Oriente  e  nell'Africa 
innumerevoli  vergini  si  consagravano  al 
Signore.  L'Oriente,  la  Palestina,  l'Egit- 
to, l'Asia,  il  Ponto,  la  Cilicia,  la  Meso- 
potamia  ,  I'  Europa  tutta  contenevano 
moltissimi  chiostri  di  sagre  vergini,  che 
colle  mani  lavoravano  e  con  assidui  canti 
lodavano  Dio.  S.  Paola  vergine  radunò 
molte  donzelle  di  diverse  città  e  proviti- 
eie,  dividendo  in  3  monasteri  le  nobili 
dalle  altre,  circa  i  lavori  manuali  e  l'or- 
dinario cibo,  ma  le  volle  congiunte  nel- 
la salmodia  e  nell'orazione.  Appena  in  Ro- 
ma s'introdussero  i  monasteri,  subito  le 
romane  donzelle  qualificate  uè  concepi- 
rono avversione,  stimando  di  vii  condì- 


3  .  <ì  VER 

iu  i.(  quelle  che  vestivano  l'abito  religio- 
so; ina  quando  Marcella  e  la  sua  figlia 
conobbero  la  dignità  e  vantaggi  della  vi- 
ta claustrale,  cpreuapdp  da  magnanime 
le  dicerie  elei  inondo,  intrepide  se  ne  ve- 
.sf  irono,  ed  in  breve  il  loro  esempio  fu 
imitato  in  modo,  che  tosto  si  moltiplica- 
rono il  numero  de*  sagri  chiostri  in  mo- 
do, che  copiosi  si  ammiravano  le  vergi- 
ni e  i  religiosi.  Attesta  Papa  s.  Gregorio 
I  del  590,  che  quando  Roma  da'longo- 
bardi  venne  fieramente  saccheggiata  (as- 
.tediata,  non  fu  espugnala;  bensì  devasta- 
ta la  campagna  e  i  dintorni),  ed  estrema* 
menlepenui  lavasi  di  viveri,  egli  manten- 
ne 3,o 00  vergini  di  vitto  e  vestito.  Don- 
de si  trae  il  numero  aumentato  de'mo- 
nasteri,  ed  in  essi  non  solo  dimoravano 
le  sagre  vergini,  ma  eziandio  alcune  no- 
bili donzelle,  per  1'  educazione  morale  e 
religiosa; costume  già  in  uso  a'tempi  di 
s.  Girolamo  nel  UV  secolo,  poiché  calda- 
mente esortò  la  vedova  Lela,  a  collocar 
Paola  sua  piccola  figlia  nel  monastero  di 
Betlemme,  sotto  la  gelosa  custodia  e  san- 
ta premura  di  quelle  vergini.  Con  eguale 
impegno  e  premura,  nello  stesso  secolo, 
s.  Basilio  raccomandò  ne'suoi  monasteri, 
di  basiliani  e  di  basiliane,  fossero  educati 
fanciulli  e  fanciulle,  che  si  volessero  con- 
sagrare  con  voto  perpetuo  di  castità  al 
Signore;  costume  che  fioriva  pure  nel- 
l'Egi  Ito.  Propriamente  l'origine  de'mona- 
steri  di  vergini  cominciò  quando  Costan- 
tino I  nel  3  1 3  stabilì  la  pace  alla  perse- 
guitala 1  eligione  cristiana,  iu  cui  la  sorel- 
la di  s.  Antonio  abbate  meritò  il  titolo 
di  monastica  fondatrice;  tuttavia  più  an- 
tica vuoisi  la  fondazione  de'  monasteri 
della  Siria  e  della  Mesopotamia  almeno, 
poiché. Tertulliano,  De  velandis  Virgi- 
nibus,  e  s.  Cipriano,  De  disciplina  Vir- 
ginum,  fioriti  nel  11  e  nel  111  secolo,  af- 
fermano che  a'  loro  tempi  già  esistevano 
tali  monasteri  di  sagre  vergini  ;  laonde  al 
più  tardi  negli  inizii  del  III  secolo  risale 
P  istituzione  de'sagri  chiostri,  il  che  con- 
ferma s.  Basilio,  oltre  s.  Efrein  siro,  che 


VER 
minutamente  a'tempi  di  Costantino  !  de- 
scrive la  monastica  vita  di  tante  vergini, 
ed  i  gloriosi  esempi  fa' Terapeuti  e  de* 
Ccnobiti,  proponendone  calorosamente 
1'  imitazione,  parlando  persino  degli  abi- 
ti de'monaci  e  delle  vergini,  come  di  co- 
se antiche.  S.  Febronia  vergine  patì  il 
martirio  nel  3o4,  ed  appartenne  al  mo- 
nastero di  Briene  nella  Siria.  §  III.  Se  le 
sagre  vergini  avessero  il  velo,  o  altra 
veste,  che  dalle  comuni  donne  le  distin- 
guessero. E'  incontrastabile  che  le  prime 
donzelle  consagrate  al  Signore,  deponen- 
do le  secolaresche  veslimenta,  di  altre  or- 
na vansi  di  lana  e  di  color  fosco, per  distin- 
guersi così  dall'altre  donne,  come  può  ve- 
dersi nel  Tamburini,  Sul  diritto  delle 
abradesse,  disp.  io,  quest.  2,  n.  r4;  nel 
Tornassi  ni,  De  velcri  et  nova  Ecclesiac 
disciplina,  part.  r,  lib.  3,  cap.  ^1  ;  nel 
Marlene,  De  anlìcjuis  Ecclesiae  rilibus, 
lib.  2,  cap.  6.  Ma  nou  solo  quelle  diesi 
racchiudevano  ue'chiostri,  dice  s.  Atana- 
sio nel  suo  libro  delle  Vergini,  in  sirnil 
guisa  vestivano,  ma  quelle  eziandio  le 
quali  per  libera  e  volontaria  istituzione 
allottavano  vita  domestica  e  ritirata.  A 
tali  vesti  era  unito  il  Velo,  col  quale  ri- 
coprivano il  capo.  A  meglio  ciò  compren- 
dere, conviene  distinguere  due  sorta  di 
consagrazione  :  una  dicevasi  solenne,  l'al- 
tra*soleunissima.  La  i.a  era  quella  nella 
quale  la  donzella  giunta  all'età  di  1 2  an- 
ni, in  cui  pel  diritto  romano  dicevansi 
nubili  (sull'  Età  dell'  Uomo  e  della  Don- 
na,  anche  per  la  Professione  religiosa, 
oltre  quegli  articoli,  ne  riparlai  ne'  voi. 
L V 1 1 ,  p.  9 1 ,  LXI X,  p.  1 3 1 ,  XC,  p.  1 1 4. 
Ultimamente  si  scuoprì  nelle  catacombe 
romane  un'iscrizione  che  conferma  l'as- 
serto dal  Tomassini,  Vetus  et  nova  Eccle- 
siae disciplina,  che  la  verginità  poteva 
essere  professata  nellaj  Chiesa  primitiva 
sin  dall'età  di  12  anni.  Tuttavia  quan- 
tunque questa  età  di  12  anni,  l'età  nu- 
bile secondo  le  leggi  romane,  fosse  quel- 
la in  cui  la  Chiesa  permetteva  di  lare  si- 
mile offerta  a  Dio,  ella  riservava  però  ad 


VER 
un'età  più  matura  la  consagi azione  so- 
lenne di  questo  voto  ili  astinenza.  E  tale 
ceremoniasi  faceva  nella  domenica  di  Pa- 
squa e  in  altre  solennità  dal  vescovo,  il 
quale  porgeva  colle  sue  mani  il  velo  alle 
vergini.  E'  probabile  che  all'alto  di  offer- 
ta si  limitasse  a  indossate  un  abito  nero 
e  senza  ornamenti,  che  i  genitori  della 
giovane  le  davano  dopo  ricevuta  la  pro- 
messa di  castità.  Ma  quando  qualche  pe- 
ricolo minacciava  la  Chiesa,  questa  per- 
metteva di  anticipare  di  alcuni  anni  il 
tempo  ordinario  della  consagrazione,  ed 
essa  fortificava  le  spose  di  Cristo  nel  lo- 
ro nobile  disegno  dando  ad  esse  la  sua  so- 
leune  benedizione,  come  riferisce  lo  stes- 
so Tomassini.  Il  concilio  di  Cartagine  del 
3g7  prescrisse  che  le  vergini  non  sareb- 
bero consagrale  che  di  25  anni;  e  che 
quelle  restate  seni-a  parenti,  fossero  col- 
locate dalla  sollecitudine  del  vescovo  in 
un  monastero  di  vergini,  o  in  compagnia 
di  alcune  donne  virtuose.  In  Oriente  la 
regola  di  s.  Basilio,  che  governava  tulle 
le  monache,  licenziava  le  vergini  a  pren- 
dere il  sagro  velo,  subito  dopo  l'annoi  6.° 
o  17.0  11  sinodo  Tulliano  accorciò  an- 
cora la  debita  età  all'anno  io.°;  decreto 
che  quella  gran  parte  di  mondo  osservò 
sino  al  XII  secolo.  In  alcune  chiese  d'Oc- 
cidente si  domandava  età  più  matura  nel- 
la vergine  a  fare  validamente  la  profes- 
sione religiosa.  Nelle  Gallie  il  concilio 
d'Agde  stabilì  l'anno  4°«°»  c'°è  '»  più  so- 
lenne,che  in  altre  chiese  faeevasi  a  25  an- 
ni, mentre  alla  privata  bastava  l'uso  libe- 
ro della  ragione)  o  da  per  se  o  da'ioro  pa- 
renti erano  con  abito  modesto  e  fosco  ve- 
stile nel  tempo  in  cui  si  consagra  va  no  con 
perpetuo  voto  di  castità  al  Signore.  Di 
questa  solenne  consagrazione  parla  s.  Gi- 
rolamo, nominando  tunica  fuscioru/n, 
cingulum  sed  laneum  et  tota  simplicita- 
te  purissimum  eie.  (ordiuò  il  concilio  di 
Cartagine  del  398:  La  vergine  deve  es- 
sere presentata  al  vescovo  per  essere  con- 
sagrata, nell'abito  di  sua  professione).  La 
2/  poi  si  faceva  dal  vescovo  imponendo 
voi.  xeni. 


VER  3 1 7 

loro  il  velo  e  solennemente  benedicendo- 
le, nelle  principali  feste  dell'anno,  come 
si  ha  da  s.  Ambrogio  e  da  s.  Gelasio  I.Ma 
nel  decorso  de'  secoli,  a  questa  solennità 
si  aggiunsero  tutte  le  domeniche  dell'an- 
no, le  feste  della  B.  Vergine  e  de'ss.  Mar- 
tiri. Nella  chiesa  d'Occidente  di  tal  con- 
sagrazione il  ministro  era  il  solo  vescovo, 
il  quale  pronunziava  analogo  sermone. 
Narra  I.  Ambrogio,  nel  suo  libro  delle 
Vergini^  cheanco  il  Som  tuo  Pontefice  tal- 
volta ne  faceva  la  funzione,  come  s.  Libe- 
rio eseguì  uella  basilica  Vaticana  con  Mar- 
cellina  sua  sorella,  imponendole  il  sagro 
velo  verginale  nel  dì  della  Nascita  del  Si- 
gnore: ne  riparlai  uel  voi.  XLVI,  p.  43. 
Era  anticamente  il  velo  di  color  porpori- 
no, il  cui  mistico  senso  spiega  s.  Girola- 
mo, nel  libro  Istituzione  delle  'Vergini: 
Succi ngant  sacrae  Vìrginis  crinem  mo- 
destiam,  sobrietas,  continentia,  et  virtù- 
tum  accincta  cornila  tu,  purpureo  Domi- 
nici Sanguinis  redimita  vclaminef  mor- 
lifìcationem  Domini  Jesu  in  sua  carne 
circumferat.  E  s.  Oliato  Milevitano  sog- 
giunse: Nec  ulla  sunt  praecepta  conjun- 
ctat  vel  de  qua  lana  Mitrella  fieret,  aiti 
ile  qua  purpura  pingeretur.  In  altri  luo- 
ghi,al  riferire  del  Catalani,  Commetti,  al 
Pontif.  Romano,  tit.  2,  ritrovasi  in  uso  il 
velo  nero. Ma  come  rilevasi  dalla  disserta- 
zione eruditissima  pubblicala  nel  1689 
dal  mainino  p.  Mege  sul  velo  sagro,  in 
seguito  molte  furono  le  qualità  ed  i  colo- 
ri. Dopo  aver  egli  con  sommi  eucomii  e>- 
sallata  la  verginità,  dimostrati  i  pregi  e 
I'utilirà,  in  due  elassi  divide  le  vergini, 
■  quelle  cioè  che  da  per  se  slesse  vesti- 
vansi,  come  Asella  a  cui  scrisse  s.  Girola- 
mo, e  in  quelle  che  dal  vescovo  venivano 
solennemente  velate,tra  le  quali  enumera 
Demetriade.  Indi  con  l'autorità  di  gravi 
scrittori  antichi, dichiara  i  sagri  veli  divi- 
si in  8  generi.  Il  1 /competeva  a  chi  lo  do- 
manda va,  e  si  chiamava  velo  di  prova.  II 
2.0  era  candido  per  le  novizie, e  d-icevasi 
velo  di  ricevimento.  Il  3.°  rosso,  e  da  vasi 
nel  giorno  della  professione^ondu  nepren- 


3i8  VER 

deva  il  nome.  Il  4° chianiavasi  di  colisa- 
grazione,  e  questo,  ch'era  dal  vescovo  be- 
nedetto, non  si  dava  che  alle  vergini.  Il 
5.°  si  diceva  velo  di  ordinazione,  perchè 
in  ricevendolo  le  vergini,  venivano  ordi- 
nate diaconesse.  Il  6.°era  il  velo  di  prela- 
tura3  che  concedevasi  alle  badesse  in  età 
non  minore  di  60  anni  (disse  il  cardi- 
nal De  Luca  :  per  essere  eletta  bades- 
sa occorrere  l'età  di  40  anni,  ed  8  di 
professione).  Il  7.0  di  continenza,  che 
comunemente  davasi  alle  vedove.  L'8.° 
di  penitenza,  con  cui  doveasi,  tutti  gli 
altri  deposti,  velare  quelle  claustrali  che 
in  alcuna  colpa  eran  cadute  (oltre  quan- 
to notai  di  sopra,  trovo  nel  can.  i3  del 
concilio  d'Elvira  del  III  secolo:  •  Le  ver- 
gini consagrate  a  Dio,  le  quali  avranno 
tradito  il  loro  voto,  e  saranno  vissute  nel- 
la  dissolutezza,  non  avranno  la  comunio- 
ne nemmeno  in  Une;  ma  se  non  sono  ca- 
dute più  di  una  volta,  per  seduzione  o  per 
debolezza, ed  hanno  fatto  penitenza  in  tut- 
ta la  vita,  si  darà  loro  la  comunione  in  fi- 
ne). Seguea  parlare  de' voti  religiosi,  della 
tonsura  de'  capelli,  della  consagrazione, 
e  de'inonasteri  delle  vergini  da  s.  Ambro- 
gio appellati  Sacrari  della  Verginità. 
Anticamente  in  alcuni  luoghi  non  si  ta- 
gliavano i  capelli,  come  segno  di  vergini- 
tà, ma  in  altri  era  inveterato  costume 
che  la  vergine  dovea  farsi  tosare  i  crini 
dalla  superiora  del  monastero.  Da  s.  Am- 
brogio, De  lapsu  Firginis  consecrat.  cap. 
8,  e  da  altri  riferiti  dal  Alartene,  appari- 
sce che  le  prime  claustrali  portavano  non 
tosati  sotto  il  velo  i  loro  capelli.  Ma  ne' 
chiostri  dell'  Egitto  e  della  Siria,  scrive 
s.  Girolamo  nella  Lettera  a  Sabiniano,  es- 
sere stato  costume,  che  le  vergini  e  le  ve- 
dove, le  quali  rinunziando  solennemente 
al  mondo,  si  consagravano  a  Dio,  dove- 
vano per  indispensabile  condizione  farsi 
radere  il  capo,aflìnchè  si  dicesse  aver  elle- 
no perfettamente  rinunziato  a  quanto  av« 
vi  nel  mondo  di  piacere  e  di  vanità.  Qui 
termina  ladissertaziouedel  Mondelli.  Ag- 
giungerò sull'età  prescritta  alla  professio» 


VER 

ne  religiosa,  in  confutazione  a'presenti  li- 
bertini ed  agli  antichi  eresiarchi,  Calvi- 
no che  la  pretendeva  agli  anni  60  !  e  Lu- 
tero che  la  dilungava  agli  Sol  s'  intende 
con  empia  ironia,  con  allegare  il  riferito 
dall'  illustre  dottore  della  Chiesa  s.  Am- 
brogio nel  libro  De  Virginitate,  p.  7. 
»  Io  non  mi  oppongo  alla  cautela  del  sa- 
cerdote, nel  velare  le  fanciulle.  Guar- 
di egli  pure,  guardi  l'eia,  ma  quella  del- 
la fede  e  del  pudore.  Guardi  la  matu- 
rità della  verecondia,  osservi  la  canizie 
della  gravità,  la  vecchiezza  de'  costumi, 
gli  anni  della  pudicizia,  la  robustezza 
della  castità;  se  in  fine  fedele  sia  sta- 
ta la  custodia  della  madre,  se  sana  la 
diligenza  delle  compagne.  Se  queste  co- 
se non  mancano,  neppure  mauca  la  vec- 
chia età  alle  vergini;  ma  se  queste  di- 
fettinoci tramandi  la  fanciulla  più  gio- 
vane di  costumi  che  di  anni.  Non  si  riget- 
ta l'età  più  verde,  ma  sene  disamina  l'a- 
nimo. E  che,  se  ogni  età  atta  al  servizio 
di  Dio  è  perfetta  alle  nozze  di  Cristo?  Non 
diciamo  che  la  virtù  è  appendice  dell'  e- 
tà,  ma  bensì  l'età  è  appendice  della  virtù . 
Ne  voler  ammirare  la  professione  ne'gio- 
vani,  mentre  leggi  la  passione  ne' fanciul- 
li... .  Non  vogliate  rigettare  le  adolescen- 
ti, delle  quali  sta  scritto  -.propterea  ado- 
lescenlulae  dilexerunl  te  ". 

Fra'motivi  che  determinarono  Antonio 
Ulrico  duca  di  Brunswich  e  di  Lunebui- 
go ,  ad  abbracciare  la  fede  romana  cat- 
tolica, pubblicati  dal  p.  Theiner,  a  p.  47 
della  Storia  del  ritorno  alla  Chiesa  cat- 
tolica delle  case  di  Brunswich  e  di  Sas- 
sonia, vi  fu  il  seguente.»  Non  meno  stu- 
pore mi  ha  recato  il  vedere  fra'cattolici 
tante  vergini  avvenentie  doviziose,  e  tan- 
ti giovani  di  splendidi  natali  abbandona 
re  il  mondo,  sprezzarne  le  vanità,  e  cor- 
rere gioiosi  a  racchiudersi  ne'chiostri  per 
menar  vitaausterissima  per  amordi  Dio, 
ed  in  vantaggio  della  eterna  loro  salute, 
senza  curar  tante  volte  il  disgusto,  che  con 
siffatte  risoluzioni  danno  a' parenti  e  a' 
genitori.  Ma  fra  que'delle  sette  (eretiche 


VER 

e  scismatiche)  appena  v'ha  alcuno  di  co- 
spicui natali  che  non  vergogni  l'enume- 
rarsi tra'predicauti;  il  che  noi  dico,  qua- 
siché Iddio  si  piacesse  di  aver  a  suoi  mi- 
nistri ragguardevoli  soggetti,  mentre  è 
noto  ch'egli  destinò  dapprima  a  sì  alto 
ministero  semplici  ed  abbietti  pescatori; 
ma  solo  il  dissi,  per  conchiudere,  che  ap- 
po i  cattolici  si  vede  operare  una  special 
grazia  di  Dio ,  e  che  la  loro  fede  sia  la 
salutare,  essendoché  Dio,  a  que' che  la 
professano,  concede  tante  grazie"  .Anco- 
ra un  altro  motivo.  «  Non  posso  mai  scor- 
darmi, come  essendo  io  giovine, due  pre- 
dicanti in  mia  presenza  ,  discorrendo  di 
un  certo  giovane  a  me  ben  noto,  un  di  loro 
ne  presagiva  da'suoi  ben  governali  costu- 
mi pudica  vita:  l'altro  soggiunse  essere 
pel  garzone  molta  buona  ventura  se  ciò 
addivenisse, essendoché  la  castità  derivar 
suole  da  singolare  grazia  che  Dio  conce- 
de. Io  allora  assai  giovine  e  luterano,  an- 
dava tra  me  pensando,  come  mai  i  no- 
stri pastori  non  possiedono  colai  grazia? 
Eppure  essi  chiamami  misuratori  della 
Chiesa,  e  si  arrogano  il  titolo  di  predi- 
catori del  puro  Evangelo!  e  dicono  che 
la  purità  é  una  grazia  speciale  che  Dio 
ci  concede!  Or  donde  avviene  che  niuno 
di  loro  viva  nel  celibato?  Al  contrario 
i  papisti  (cui  noi  riputiamo  idolatri)  go- 
dono questa  grazia  speciale; e  si  contan 
fra  loro  vergini  claustrali,  religiosi  e  sa- 
cerdoti secolari,  che  splendono  perla  loro 
vita  virtuosa  e  casta.  Convien  dunque  cre- 
dere, che  la  loro  fede  piaccia  a  Dio  più 
della  nostra,  mentre  elicaci  essi  concede 
tante  e  sì  segnalate  grazie. Queste  cose  me- 
desime ho  ponderato  poi  altre  volte  nella 
età  mia  più  matura  ;  e  mi  han  porto  un 
motivo  di  più,  onde  abbracciare  il  cat- 
lolicismo"  .  11  dotto  prelato  e  incessante 
illustre  scrittore  che  é  mg.r  Mario  Feli- 
ce Peraldi,  Considerazioni  politiche  sul 
governo  dello  Sialo  Pontifìcio  ,  Pesaro 
i832,  dopo  aver  trattato  nel  §  II  degli 
Ordini  Religiosi,  a  p.  4^  ragiona  nel  § 
III  delle  Monache.  Egli  dice,  Roma  col 


VER  3i9 

rimanente  dello  Stato  della  Chiesa  ab- 
bonda di  monasteri  di  monache  ,  di  ca- 
se di  ritiro,  e  di  altri  domicilii  religiosi 
per  le  persone  del  sesso.  Poi  soggiunge: 
Ma  che  sono  mai  cotesti  stabilimenti,  e 
quale  utilità  presentano  alla  economia 
e  alla  politica  dello  Stato?  Indi  rispon- 
de: Non  si  può  ripeterlo,  né  lodarlo  ab- 
bastanza. Imperocché  ,  tante  onorate  e 
civili  famiglie,  e  molle  ancora  di  nobile 
e  distinto  rango  mancherebbero,  e  ve- 
diam  mancare  di  risorse  per  apprestar 
doti  convenienti  alla  condizione  delle  loro 
nubili  figlie  (cioè  in  un  deplorabile  tem- 
po che  per  l'immoralità  non  molti  si  gon- 
giungono  in  matrimonio,  e  pel  rovinosis- 
simo lusso  si  esigono  doti  vistose  che  de- 
pauperano le  famiglie  e  fomentano  quel 
terribile  tarlo  della  società),quali  perciò 
impossibilitate  d'andare  a  nozze  per  man- 
canza di  collocamento  corrispondente  al- 
la loro  nascita  (anche  pel  vezzo  di  pre- 
ferire nella  scelta  della  sposa  un'inglese, 
una  polacca  e  via  dicendo, e  ciò  nel  tem- 
po degl'  italianissimi,  cotanto  amatori 
della  nazionalità,amore  giusto  se  coereti- 
te in  tutto  il  resto),  sarebbero  obbli- 
gate a  invecchiare  forzosamente  in  casa 
vergini  involontarie,  noiose  a  se  stesse  e 
di  aggravio  alla  famiglia.  All'opposto 
con  questi  utili  stabilimenti  ,  co*  mona- 
steri che  apre  la  religione,  un  padre  di 
numerosa  prole  ha  pronto  un  onestissi- 
mo mezzo,  onde  provvedere  alla  virtù  e 
alla  sorte  delle  figlie  chiamate  da  Dio  a 
queir  istituto  di  vita  perfetta.  Sono  in 
certo  modo  quasi  a  sua  disposizione  i  be- 
ni di  tali  stabilimenti ,  per  mantenere 
forse  una  porzione  della  sua  famiglia. 
Laonde  ben  considera  l'autore,i  medesimi 
beni  di  nome  proprietà  de'  monasteri,  dì 
fatto  goduti  da  migliaia  di  famiglie  dello 
stato,  le  quali  per  tale  risorsa  si  alleggeri- 
scono da  una  parte  de'  loro  pesi  ,  consa- 
grando in  quegli  asili  di  virtù  le  loi«o  ver- 
gini, che  rendono  felici  mediante  la  vo- 
cazione religiosa.  Oltre  le  riflessioni  di 
paterna  politica  economica,  ricorda  come? 


feò  VER 

gli  antichi  romani  onorarono  con  tante  dt- 
fttinzioni  Iìi  verginità  nelle  vestali,  benché 
pagani  e  tutto  bellicosi,  ad  onta  che  non 
si  può  fare  il  eonfroulo  tra  le  sacerdotes- 
se di  Vesta, e  le  sagre  vergini  del  cristia- 
nesimo. Annuirà  1'  illibata  e  perpetua 
verginità  delle  donzelle  cattoliche,  la  per- 
fètta rinunzia  delle  cose  del  mondo,  dal 
qualesono  segregate  per  sempre  nel  chio- 
stro. Quante  sublimi  virtù  in  questo  fio- 
riscono,superiori  alla  naturale  debolezza 
del  sesso;  quaute sapientissime  legislatri- 
ci ed  eroine  che  fecero  attonito  il  mon- 
do perla  perfezione  della  vita  e  la  Molila 
delle  opere.  1  monasteri  mentre  alimen- 
tano e  danno  santo  e  onesto  collocamen- 
to a  laute  migliaia  di  persone  del  fragile 
sesso,  le  strappano  io  pari  tempo  da'pe- 
ricoli  di  prevaricare,  e  uè  formano  uu 
modello  di  esemplare  costume  per  le  al- 
tre lìglie  della  patria.  Di  più,  nume- 
rosi istituti  di  monache  educano  giova- 
ni donzelle  ,  e  le  allevano  nelle  massi- 
me e  nelT  esercizio  sì  della  morale  che 
della  soda  pietà  ,  e  ad  ogni  beli'  ope- 
rare: di  buon'ora  le  avvezzano  alla  tol- 
leranza e  alle  solfereoze ,  ispirano  loto 
orrore  pel  mal  fare,  le  addestrano  ai  la- 
voro, e  insegnano  ad  esse  vari  ingegnosi 
ed  utili  esercizi ,  correggendo  insieme  i 
viziosi  germi  della  natura, se  in  que'  te- 
neri cuori  appariscono,  formandole  in- 
somma per  la  religione  e  per  la  società. 
Queste  poi  divenute  spose  e  madri  di 
famiglia  ,  piena  la  mente  e  1'  animo  di 
que'retti  principi!  istillali  loro  fio  da'più 
verdi  anni,  sanno  mantenere  illibata  l'in- 
violabile fede  coniugale,  e  adempiere  i 
molteplici  doveri  del  loro  slato  ;  si  occu- 
pano senza  fastidio  e  con  vigile  cura  nel- 
l'educazione della  prole  ,  cui  ispirano 
quelle  massime  virtuose  ch'esse  slesse  ap- 
presero e  praticarono;  e  quindi  sorgono 
e  si  moltiplicano  le  famiglie  probe,  pie  e 
onorate  ,  conforto  del  principato,  orna- 
mento della  società,  e  gloria  della  nazio- 
ne. »  E  sono  queste  utilissime  istituzioni 
dunque  che  i  (pretesi  )  lumi  del  secolo 


VE  ti 
vorrebbero  tolte  vie  dal  mondo,  e  contro 
cui  follemente  declamasi  tuoi' alto,  e  di- 
spregiane e  si  deridono?  Diciamolo  fran- 
camente: la  sensata  politica  non  vede  in 
esse  che  un  sosteguo  del  pubblico  costu- 
me, che  la  propagazione  de'sani  priucipii, 
una  sorgente  di  tranquillità,  l'allontana- 
nienlo  di  molti  delitti,  un  onorato  prov- 
vedimento a  innumerevoli  famiglie,  e  la 
più  avventurosa  sorte  per  migliaia  di 
persone  del  debole  sesso;  e  solo  le  mas- 
sime d'  uno  spirilo  corrotto  e  falso  pos- 
sono censurare  tanti  profìcui  stabilimen- 
ti, e  suggerirne  l'abolizione  (con  pessimo 
progresso),  onde  propagar  sempre  più 
nel  mondo  la  corruttela  e  la  perversità  , 
e  cou  esse  l' infelicità  e  la  disperazione 
nelle  famiglie,  e  inondar  gli  stali  di  de- 
litti e  di  sciagure".  Inoltre  mg/Peraldi, 
Sugli  istituti  ecclesiastici  e  loro  posse- 
dimenìi,  Iloma  i85o,  a  p.  1 3 1  torna  a 
ragionare  nel  capo  4*  De  vantaggi  eco- 
nomici e  movali  per  la  civile  società  de- 
gì*  istituti  di  monache.  Mi  limiterò  a  ri- 
produrne il  §  IV.  «Chiaro  è  dunque, che 
i  monastici  stabilimenti  dell'  uno  e  del- 
l' altro  sesso  concorrono  in  uno  stato  a 
sostenere  e  promuoverne  sotto  moltepli- 
ci rapporti  la  soda  prosperità ,  perchè 
provvedono  all'onorata  sussistenza  di  nu- 
merosi sudditi,  e  li  sottraggono  da'delitti 
della  miseria;  perchè  diffondono  la  veri- 
tà e  i  bei  costumi  tra' popoli;  si  fanno  un 
potente  argine  coutro  il  delitto  circoscri- 
vendolo di  una  sfera  più  ristretta.  E  quin- 
di concorrendo  a  conservar  meglio  l'ordi- 
ne morale  ,  politico  ed  ecouomico  della 
civile  società, assicurando  più  salda  quie- 
te allo  stato,  conciliando  verso  le  leggi  e 
i  governi  ubbidienza,  fiducia  e  amore  , 
rispetto  alle  costituite  autorità,  ragion  di 
stato  non  vuole,  1'  accorta  politica  non 
suggerisce,  i  più  sagri  doveri  del  princi- 
pato non  dettano  di  conservarli  e  proteg- 
gerli cotesti  tanto  benemeriti  istituti  ?  E 
d'uopo  convenire,  che  dove  vedete  ab- 
bondare così  utili  stabilimenti,  mostrasi 
colà  saggia  e  accorta  vigilanza,  e  una  bene 


VER 
inlesa  provvidenza  di  regime  ".  Quanto 
sono  benemerite  le  sagre  vergini  della 
ci  vile  e  cristiana  educazione  lo  celebrai  io 
tanti  loro  articoli  ,  massime  in  que'  re- 
centi e  benemeriti  istituti,  senza  clausu- 
ra, che  ammiriamo  tanto  propagati  nel 
mondo  a  pubblico  vantaggio,  per  le  loro 
multiformi  beneficenze  e  ingegnose  indù» 
strie  vivificate  dallo  spirito  di  carità, col- 
le varie  denominazioni  di  Sorelle  o  Suo- 
re (/'.)  o  Figlie  della  Carità  (V.)  ;  e  nel 
voi.  LXXXIX,  p.  46  riparlai  del  fioren- 
te novello  istituto  delle  Adoratrici  del 
Di  vin  Sangue,  delle  quali  molto  scrisse  il 
eh.  Michele  de  Matlhias,  Della  Pedago- 
gia necessaria  alle  donne,  a  p.  33  e 
seg.,  opera  che  ricordai  altrove.  Narra  il 
Giornale  di  Roma  dell'8  febbraio  1859, 
che  il  Papa  Pio  IX,  ne' passati  giorni  si 
degnò  fare  una  visita  improvvisa  all'  O- 
spizio  di  s.  Luigi  Gonzaga  (Z7.),  cioè  vi- 
cino  all'  Ospizio  di  s.  Galla  nella  par- 
rocchia di  s.  Nicola  in  Carcere  ,  dove  le 
religiose  del  Preziosissimo  Sangue  tengo- 
no pubblica  scuola  per  le  fanciulle.  Il 
Santo  Padre  si  degnò  visitare  in  ogni  sua 
parte  lo  stabilimento, che  tanto  deve  alla 
sua  sovrana  munificenza  ,  trattenendosi 
colle  povere  fanciulle,  interrogandole 
sulla  dottrina  cristiana.  E  nel  dipartirsi 
lasciò  pegni  di  sua  grande  beneficenza, e 
in  tutti  un  profondo  sentimento  di  gra- 
titudine, per  avere  colla  sua  presenza  o- 
norato  quel  locale  di  pubblica  istruzione. 
11  Santo  Padre  nel  collocare  in  detto  o- 
spizio  le  religiose  ne  adidò  loro  la  cura  , 
ed  in  esso  vi  ricevono  la  notte  le  povere 
donne  ,  ed  il  giorno  le  giovinette  a  cui 
fanno  da  maestre.  Terminerò  quest'arti- 
colo col  far  menzione  d'  un  altro  recen- 
tissimo istituto,  ricavandolo  dalla  Ch'il' 
làCaltoliea,  serie  3.:1,  p.  253,  de' 12  lu- 
glio 1  856,  »  In  Gerusalemme  sono  giù»- 
te  nuove  suore,  le  Figlie  di  Sion,  istituto 
fondato  da  due  zelanti  convertiti  (  dal- 
l'ebraismo) ed  ora  sacerdoti  fratelli  Ra- 
tisboune.  L'uno  di  essi,d.  Alfonso  Maria 
(di  cui  anche  nel  voi.  LXXlII,p.   4^  e 


VER  32i 

^2),  venuto  in  pellegrinaggio  in  Terra 
Santa,  vi  si  trattenne  lungamente  per 
cercar  via  di  mandare  ad  effetto  1'  antico 
suo  vivissimo  desiderio  di  collocare  pres- 
so il  Sepolcro  del  Divin  Redentore  que- 
ste vergini  d' Israello.  La  Divina  Provvi- 
denza ha  benedetto  i  suoi  voti;  e  il  gior- 
no  6  di  maggio  quattro  di  esse  giunge- 
vano in  Gerusalemme,  eprendevano  pos- 
sesso della  casa  già  loro  preparata.  Essa 
pregano  per  la  conversione  degli  ebrei, 
fanno  opere  di  carità  e  di  zelo  versogli 
ebrei, e  mantenendosi  del  proprio  non  ag- 
gravano per  nulla  la  non  ricca  cassa  co- 
mune di  Terra  Santa.  Sembra  che  il  Si- 
gnore voglia  servirsi  di  queste  suore  per 
frangere  la  durezza  de'  cuori  del  popolo 
maledetto;  e  per  opporre  un  ostacolo  ef- 
ficace alla  propaganda  protestante.  I  pro- 
testanti hanno  fra  noi  (scrive  il  corrispon- 
dente di  Gerusalemme) chiesa, vescovo,  a- 
sili  di  carità  e  denaro. I  loro  sforzi  coadiu- 
vati dall'opera  attuosa  del  console  inglese, 
ebreo  cangiato  in  protestante,  sono  rivolti 
a  far  proseliti  fra  gli  ebrei  :  ed  argomen- 
to efficace  per  dimostrar  loro  Ja  venuta 
del  Messia  sono  le  belle  lire  sterline  che 
fin  brillare  a'  loro  occhi,  e  correre  fra  le 
loro  mani.  In  sugli  esordii  la  felickà  di 
questi  nuovi  convertiti  è  al  sommo:  haa 
quattrini,  protezione,  carezze  quante  ne 
vogliono.  Lasciate  passare  un  po'di  tem- 
po; vengono  abbandonati,  e  ricadono 
nella  loro  miseria  e  avvilimento  non  più; 
ebrei, enè  manco  cristiani;  facile  ma  igno- 
bile preda  a  chi  nuovamente  li  compri. 
Le  Figlie  di  Sion  pregano  per  la  con- 
versione de'  loro  fratelli  e  cominciauo 
dall'  implorare  per  loro  la  grazia  divina; 
educano  i  lorofigliuoli, curano  i  loro  ma- 
lati, fan  del  bene  a  tutti:  e  senza  nulla 
comprare,  senza  vendere,  aspettano  che 
que'cuori  si  lascino  penetrare  da'raggi  che 
loSpiritoSanto  loro  infonde, e  ammolli- 
re dallo  spettacolo  consolante  della  carità 
cristiana  che  si  sagrifìea.Le  Figlie  di  Sion 
formano  il  2,° istituto  di  religiose  che  sia 
iu  Terra  Sauta.Or  son  due  anni  le  Dame 


32*  VER 

di  Nazaret  vi  allogarono  con  felici  au- 
gurii  sorpassati  di  molto  dall'ottimo  suc- 
cesso delle  loro  fatiche.  Hanno  chiesa  , 
scuola,  ospedale:  sono  amate  ed  ammira* 
te  da'musulroani,  da'  beduini  e  dagli  a* 
rabidel  deserto".  Sul  discorso  argomen- 
to si  ponno  consultare  le  seguenti  opere. 
Pietro  Abailardo  ,  Epistola  de  origine 
Sanctimonialium  in  ejus  Opp.  p.  g4,  Pa- 
risiis  i  (5 1  G.Valesio,  De  Firginibus adSo- 
zomeni yW\\,  2 3.  L.  A. Muratori,  Dissert. 
de  Monaster.  Monialium  in  t.  V  Ital. 
Medìi  Aevi,  p.  36.  Cancellieri,  De  Secre- 
tariis,ì.  1  ,p.  3 1 6.DcSacrarum  Firginuni 
Consecratìone  in  Sacrario  Majori;  e  p. 
48  De  Monialium  Salutaloriis.  Andrea 
Vittorelli,  De  origine  et  clausura  San- 
ctimonialium, Romae  1645.  Giuseppe 
Gi  beli  ini,  Disquisì tio  Canonica  de  Clau- 
sura regulari,  ex  veteri  et  novo  furcy 
Lugduni  1648.  Giovanni  Cabassuzio,Dfs- 
sertatio  de  sacris  Firginibus  ,  Lugduni 
1680,  e  nel  t.  2,  p.  66,  Disciplinae  Po- 
puli  Dei.  Samuele  Basnagio,  Dissertavo 
ile  Sacris  Firginibus.  In  ejus  Annoi,  pò- 
Ut.  eccles.i.  i,p.5io,  Roterodamiii 706. 
Liborio  Fassoni,  De  Puellarum  Mona- 
sleriis  Canon.  38  Epaonensis  Conc.  ce 
lebratis,  Romaei  757.  Antonio  Gallonio, 
Historia  delle  ss.  Fergini  romane  e  dei 
gloriosi  Martiri  Papia  e  Mauro  soldati 
romani,  Roma  1591.  M.  Raderio,  Fi- 
ridarium  Sanctorum  ex  Mcnaeis  Grae- 
corum,  Augustae  Vindel.  1604.  Ercola- 
ni,  Fifa  delle  più  illustri  romite  sagre , 
Venezia  1688.  M a ssi n i,  Fila  di  ss.  Don- 
ne, colla  vita  della  ss.  Porgine  Maria, 
Roma  1769.  Leggendario  delle  ss.  Fer- 
rini, Livorno  i852.  Leggendario  delle 
ss.  Fergini,  le  quali  vollero  morire  per 
Gesù  Cristo  ,  o  per  mantenere  la  sua 
santa  fede  e  la  verginità,  Milano  1 857. 
Benedetto  Dell'Uva,  Le  Fergini  pruden- 
ti, con  il  pensiero  della  morte,  Firenze 
i582.  Sono  6  poemetti,  de'cjuali  i  pri- 
mi 5  trattano  del  mai  tirio  di  altrettante 
sante,  tutti  assai  stimabili.  CaidinalGio. 
Battista  de  Luca,  //  Religioso  pratico 


VER 

dell'  uno  e  dell'altro  sesso,  Roma  1  ^79. 
Benedetto  Giovannini,  La  vita  religio- 
sa nello  stato  secolare  3  Urbino  1691, 
Pellizzari,  De  Monialibus,  Romae  1 755, 
edizione  corretta  a  senso  della  s.  Congre- 
gazione dell'Indice.  Zarrabini,  Della  no- 
biltà  civile  e  cristiana,  e  degli  stati  ver- 
ginale ,  maritale  e  vedovile ,  Venezia 
1 586.FiIogenio,  Discorso  della  eccellen- 
za delle  donne,  Fermo  1589. 

VERGINI  (ss.).  F.  Veegine. 

VERINOPOLI.r.BEitiNOFOLieURA- 

NOPOLI. 

VERISIENSE.  Sede  arcivescovile  di 
Macedonia  ovvero  di  Tracia,  Ferisiensis 
Ecclesia,  ne*  dintorni  di  Tessalonica  e  di 
Tebe,  eretta  in  metropoli  nel  secolo  XI 1 1, 
col  vescovato  Medense  per  suffiaganeo. 
Si  conoscono  due  de'suoi  arcivescovi  la- 
tini.  Guarino  nominato  nel  1206  o  nel 
1207,  indi  trasferito  all'arcivescovato  <Ji 
Tessalonica  nel  12 io.  N.  consagrato  nel 
121 1.  Forse  questo  è  il  medesimo  pre- 
lato a  cui  il  Papa  Innocenzo  III  scrisse 
nel  121 3,  affinchè  si  portasse  al  concilio 
generale  di  Laterano  V,  che  doveva  le- 
dersi nel  121 5.  Oriens  Chrisl.  t.  3 ,  p. 
1 102. 

VEKLAM-CASTER.  Luogo  d'  In- 
ghilterra, e  probabilmente  Io  stesso  che 
Sant'Albano  (F.).  Sì  conoscono  3  conci- 
lii  qui  tenuti.  Il  i.°  concilio  ivi  celebra- 
to nel  446  è  il  primo  concilio  d'Inghil- 
terra, come  si  ha  da  Wilkins,  e  fu  ce- 
lebrato contro  gli  errori  di  Pelagio.  Nel 
793  si  tenne  quello  per  la  sepoltura  di 
s.  Albano.  Nel  794per  fondare  l'abbazia 
di  s.  Albano.  Regia  t.  2o,Labbé  t.  7, Ar- 
duino t.  4» 

VERMAND.  Città  vescovile  di  Fran- 
cia, a  due  leghe  da  s.  Quentin  sulPOu- 
inignon,  già  capitale  del  Vermandois,  an- 
tico paesello  nella  Picardia  ,  di  cui  poi 
divenne  capoluogo  s.Quentin.  Ora  trova- 
si compreso  nel  dipartimento  dell'Aisne, 
ed  in  piccolissima  parte  in  quello  di  Som- 
ma. Traeva  il  nome  del  popolo  gallico 
de  Feromandiiidiel' dhilavaiiUfed  i  suoi 


VER 

conti  sotto  la  2."  stirpe  de'  re  de'  franchi 
erano  vassalli  potentissimi. Dipoi  il  Ver- 
mandese  fu  unito  alla  corona  di  Francia 
sotto  il  re  Filippo  II  Augusto  del  1 180» 
La  città  diYermandtJzrrmandtioruniCi- 
vilas,  Augusta  V ermanduorum%  appar- 
tenue  alla  provincia  2.adellaGalliaBelgi- 
ca,  e  vi  fu  eretta  la  sede  vescovile  nel  3 1 4 
circa,  poscia  suffraga nea  di  Reims,  ma 
essendo  slata  distrutta  nel  secolo  V  dagli 
unni,  e  verso  il  53odel  lutto  atterrata  da 
altri  barbari,  la  cattedra  vescovile  fu  tra- 
sferita a  Noyon  (F.),  non  restandovi  a 
Vermaud  che  un  sacerdote  per  aver  cu- 
ra de'superstiti  abitanti,  gli  altri  essendosi 
portati  altrove.  Nel  iogi  si  rifabbricò 
l'antica  chiesa  di  Vermand,  e  vi  furono 
messi  de'canonici  sotto  la  direzione  d'un 
preposto,  che  in  seguito  prese  il  titolo  di 
obbate.Però  nel  1 1/±2  la  chiesa, il  mona- 
stero e  gli  altri  edifizi  costruttivi, essendo 
stati  ridotti  da  un  incendio  in  cenere,  fu 
creduto  a  proposito,  per  ristabilire  la  ca- 
sa, di  farne  sortire  i  canonici  ch'erano  ca- 
duti nel  maggiore  rilassamento,  e  vi  fu- 
rono introdotti  i  canonici  regolari  premo- 
stratensi,  che  si  denominarono  da  Monte 
s.  Marliuo,e  così  divenne  un'abbazia  del- 
l' ordine,  che  si  conservò  sino  alla  rivolu- 
zione sul  finire  del  secolo  decorso. 

VERME  (Del)  Taddeo  Luigi,  Cardi- 
nale. D'illustre  e  antica  famiglia  di  Pia- 
cenza, fino  dalia  puerizia  mostrò  assai  ma- 
nifestamente i  contrassegni  di  quell'insi- 
gne pietà,  di  cui  poi  fatto  adul  to  die'le  più 
luminose  riprove.  In  età  di  9  anni  volle 
dal  suo  vescovo  per  mezzo  della  tonsura 
essere  iniziato  nell'ordine  clericale.  Tra- 
sferitosi nel  i665  a  Roma  di  24  anni, 
trovò  amorevole  accoglienza  e  valida  pro- 
tezione ne*  cardinali  Alberici  e  Girolamo 
Farnese  suoi  congiunti.  Il  i.°  innanzi  al 
cardinalato  lo  condusse  a  Vienna  per 
compagnia  nella  nunziatura  ,  nel  qual 
tempo  il  prelato  oltre  al  godere  della  soa- 
vissima conversazione  del  giovane,  ebbe 
agio  d'ammirarne  l'innocenza  della  v  ita  e 
il  candore  de'coàtumi;  ed  io  occasione  che 


V  E  II  323 

l'Alberici  fu  sorpreso  da  grave  malattia  > 
trovò  in  Taddeo  un  forte  sostegno,  che 
colla  sua  saviezza  e  prudenza   seppe  in 
quella  circostanza  ben  condurre  gli  affari 
più  ardui  della  nunziatura.  Rapiti  però 
in  breve  i  due  cardinali  dalla  morte, con 
l'assistenza  del  pio  Taddeo,  questi  restò 
privo  della  loro  protezione. Frattanto  es- 
sendogli stato  ucciso  alla  caccia  il  fratello 
maggiore  ,  e  succeduto  perciò  ne'diritli 
primogenitali,queslo  non  servì  che  a  farlo 
più  generoso  co'poveri;  lasciata  quindi  al 
fratello  minore  V  azienda  domestica  e  di 
proseguire  la  sua  casa,  egli  si  die' a  vita 
austera  e  penitente.  Ricusò  costantemen- 
te il  vescovato  di  Parma,  offertogli  cor- 
tesemente dal  duca,  e  il  medesimo  fece  in 
Roma  quando  gli  furono  proposte  siffat- 
te dignità.  Ma  non  potè  resistere  agli  e- 
spressi  comandi  d'Innocenzo  XI,  che  nel 
1688  l'obbligò  accettare  il  vescovato  ili 
Fano,  in  cui  ritenue  l'usato  tenore  di  vi- 
ta dapprima  intrapreso,  essendosi  propo- 
sto ad  esemplare  s.  Carlo  Borromeo.  Vi- 
sitava per  lo  più  a  piedi  la  sua  diocesi, 
nella  quale  introdusse  perfetta  e  costan- 
te riforma,  senza  strepito  di  castighi,  di 
carceri  e  di  censure;  ma  sibbene  con  da- 
re, a  imitazione  dell'eterno  SacerdoteGe- 
sù  Cristo, eroici  esempi  d'umiltà,  di  man- 
suetudine, di  carità  e  di  mortificazione. 
Convocò  il  sinodo  e  vi  promulgò  utilissi- 
me leggi,  adatte  al  governo  della  diocesi 
e  all'indole  de'diocesani.  Profuso  co'  bi- 
sognosi ,  distribuiva  loro  quanto  avea  ; 
rigido  contro  se  stesso,  passava  le  intere 
notti  in  fervente  orazione,  e  se  lo  sor- 
prendeva il  sonno,  si  coricava  sulla  nu- 
da terra  con  un  legno  sotto  il  capo,o  so- 
pra  una   sedia.   Sparsosi  dappertutto  il 
buon  odore  di  sue  sante  virtù,  Innocen- 
zo XII  s'intese  potentemente  ispirato  di 
promuoverlo  alla  porpora,  ed  a' 12  di- 
cembre 1695  lo  creò  cardinale  prete. 
Ricevutane  la   notizia ,  si  consigliò  col 
proprio  confessore   e  con  altri  uomini 
dotti  e  gravi,  se  poteva   lecitamente  ri- 
cusare la  dignità  cardinalizia  ;  ma  veuen- 


286055 


324  VER 

do  concordemente  persuaso  n  non  op- 
porsi a' voleri  pontifìcii,  si  quietò,  ed  eb- 
be in  titolo  la  chiesa  di  s.  Alessio,  e  Del 
i  (>()()  fu  trasferito  al  vescovato  d'Imola. 
Ivi  pure  die'al  suo  gregge,  e  singolar- 
mente al  clero,  illustri  esempi  delle  più 
sublimi  virtù.  L'assistenza  divota  e  fre- 
quente a'divini  uffizi  e  al  tribunale  di 
penitenza  per  ascollare  le  confessioni,  le 
disile  degl'  infermi,  l'udienze  prolungate 
a  più.  oie  con  invitta  pazienza,  erano  le 
sue  quotidiane  occupazioni.  Visitò  la  dio* 
cesi  in  due  anni  la  più  pai  te  a  piedi  ,  e 
riconosciute  con  somma  religione  le  os- 
sa e  le  reliquie  di  s.  Pier  Gì  isologo,  le 
collocò  in  luogo  più  decente  e  ornato,  e 
rinchiuse  parte  del  cranio  di  quel  sauto 
dottore  in  ricca  e  vaga  urna  d'argento  , 
d'elegante  struttura  e  adorna  con  figure 
di  metallo.  Nell'anno  santo  1700  per  sov- 
venire i  pellegrini  che  si  conducevano  a 
Roma,  vendè  le  carrozze  e  i  cavalli,  cam- 
minando a  piedi  per  la  città.  Ospitale 
co'  sacerdoti ,  gli  accolse  benignamente 
nel  suo  palazzo, ammise  alla  sua  mensa, 
che  quanto  era  pulita  altrettanto  era 
frugale;  indi  faceva  loro  celebrare  la 
messa  con  elemosina  a  chi  la  prendeva, 
e  raccomandandosi  alle  loro  orazioni  gen- 
tilmeule  li  licenziava.  Mentre  stava  in 
procinto  di  celebrare  in  Imola  il  sinodo, e 
già  avea  tenute  alcune  congregazioni,  fu 
da  Clemente  XI,  al  cui  conclave  inter- 
venne, trasferito  nel  1701  alla  sede  di 
Ferrara,  che  governò  16  anni  in  tempi 
in  cui  la  città  fu  travagliata  dalle  inon- 
dazioni di  fiumi  ,  dalla  peste  degli  ani- 
mali, e  dalle  scorrerie  degli  eserciti  belli- 
geranti. Il  zelante  porporato  vestito  del- 


VER 
l'abito  di  penitenza  intimò  pubbliche  prò 
cessioni  e  divote  preghiere  a  fine  di  pla- 
car l'ira  divina.  Celebrò  il  sinodo,  che  fu 
stampato:  Synodus  Ferra  rie  usi*  a  Card. 
T.  A.  De  l' enne  ^  anno  1711,  Ferra  ri  ac. 
Visitò  la  diocesi  e  si  accinse  con  intrepida 
magnanimità  a  rifabbricare  la  cattedrale 
che  minacciava  rovina,  in  cheaiutatoda 
Clemente  XI  impiegò  immense  somme  di 
denaro,  e  riuscì  opera  veramente  glorio- 
sa e  degna  d'un  santo  cardinale.  Non 
ebbe  però  la  consolazione  di  vederla  com- 
pita,mentre  nella  stessa  Ferrara  neh  7  1  7 
di  76  anni  con  una  morte  preziosa  nel 
cospetto  del  Signore,  da  questo  luogo  di 
miserie  passò  agli  eterni  riposi.  La  sua 
chiesa  ne  accolse  la  preziosa  spoglia  mor- 
tale^ e  sulla  di  lui  tomba  si  legge  breve 
iscrizione  spirante  profonda  umiltà. 

VERNERÒ  o  VERNERIO,  Cardi- 
nale. Venuto  a  luce  di  nobilissima  stir- 
pe nell'Alemagna,  chiaro  per  virtù  e  dot* 
trina,  consanguineo  di  s.  Ulderico,  e  ab- 
bate del  celebre  monastero  di  Fulda.  Be- 
nedetto VII  del  975  lo  creò  cardinale, 
e  fece  luminosa  comparsa  nel  suo  pontifi- 
cato. Accetto  all'imperatore  Ottone  li  è 
suo  intimo  consigliere,  lo  segui  come  nel- 
la favorevole  così  nell'avversa  fortuna,  e 
volle  trovarsi  con  lui  alla  guerra  di  Ca- 
labria contro  i  greci  scismatici,  dove  nel 
centro  delle  falangi  soccombè  da  prode 
e  valoroso  nel  983.  Si  dice  che  Benedet- 
to VII  gli  diede  la  legazione  d'Inghilter- 
ra, dove  si  crede  che  celebrasse  un  conci- 
lio in  Vinton, lo  che  però  è  assai  dubbio. 
L'  E»g»  nella  Porpora  dolla,  parla  mol- 
lo bene  di  questo  cardinale. 


FINE  DEL  VOLUME  NOVANTESIIHOTERZO. 


XC 


VL 


BX  841  .M67 

1840 

SMCR 

Moroni ,  Gaet 

ano. 

1802-1883. 

Di  z  ionar io  d 

i  erud 

iz  i  one 

stor ico-ecc 

les  i  as 

t  ica 

AFK-9455  (awsk)