PaKOÌA: MAX) SPÌiC.CMÌO
DUE COMMEDIE PATETICHE
DEL CINQUECENTO
Il Pellegrino di Girolamo Parabosco
I Fidi Amanti di Francesco Podiani
a cura di
Antonella Lommi
EDIZIONI UNICOPLI
DIPARTIMENTO DI ITALIANISTICA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA
Parole aUo specchio /Studi e testi
20
PUBBLICAZIONI DEL DIPARTIMENTO DI ITALIANISTICA
Parole allo specchio / Studi e testi (Prima serie):
1 . NX'iUiam Spaggiari, U eremita degli Appennini, leopardi e altri studi di primo Ottocento
2. La Morì Aymeri de Narbonne. Edi:^one critica con note e glossario, a cura di Paolo Rinoldi
3. llinaldo llinaldi, La montagna scritta. Piccole storie del paesaggio alpino
4. Luigi Vignali, // "Peregrino" di Jacopo Caviceo e il lessico del Quattrocento
5. Rinaldo Rinaldi, L'indescrimbile arsenale. Ricerche intomo alle fonti della "Cognit^one del dolore"
6. Annamaria Cavalli, Oltre la soglia. Fantastico, sogno e femminile nella letteratura italiana e dintorni
7. Il Volto. Ritratti di parole (Atti del convegno), a cura di Rinaldo Rinaldi
8. Alberto Cadioli, Il silen::jo della parola. Scritti di poetica del Novecento
9. Rinaldo Rinaldi, Specchio di Calliope. Breve repertorio del poema
1 0. Domizia TroUi, // lessico deWlnamoramento de Orlando " di Matteo Maria Boiardo
1 1 . Pomponio Torelli, 'Il Tancredi". Modello edevolu:^one nella tragedia del Cinquecento, a cura di Sabrina Morini
12. Lorenzo Venier, La Puttana errante, a cura di Nicola Catelli
Seconda serie:
1 3. Rinaldo Rinaldi, Un violino e sospeso in aria. Generi di prosa e altro
1 4. Anna Maria Salvadè, Imitar gli antichi. Appunti sul Castiglione
1 5. Alessandro Bianchi, Alterità ed equivalenza. Modelli femminili nella tragedia italiana del Cinquecento
16. Francesca Fedi, Un programma per Melpomene. Il concorso parmigiano di poesia drammatica e la scrittura
tragica in Italia (1770-1786)
17. Paolo YyWvn'd,, Novità per il volgarir^mento della "Disciplina clericalis"
18. Paolo Briganti, Tra inquiete Muse. L'Ungaretti ^i?//'Allegria
19. Andrea Baiardi, Rime, a cura di Domizia Trolli
A tre voci:
1. Ch. Bec, S. Carrai, L Paccagnella, Scarpe grosse (contadini e letteratura)
2. Cj. GigUozzi, R. Mordenti, A. Zampolli, La bella e la bestia (italiani stica e informatica)
3. G.M. Cazzaniga, G. Tocchini, R. Turchi, L^ Af/yj^ in log^a (massoneria e letteratura nel Settecento)
4. G. Baffetti, A. Battistini, P. Rossi, Alambicco e calamaio (scient^a e letteratura fra Seicento e Ottocento)
5. C. Segre, C. Ossola, D. Budor, Frammenti (le scritture dell'incotnpleto)
6. G.L. Beccaria, A. Stella, U. VignuzzL, La linguistica in cucina (i notni dei piatti tipici)
7. G. Barberi Squarotti, N. Lorenzini, S. Giovanardi, (Im)pure tracce (caratteri della poesia italiana del
Novecento)
8. Cj. Palumbo, A. Tissoni Benvenuti, M. Villoresi, 'Tre volte suona l'olifante. . . " (la tradi^^one rolandiana
in Italia fra Medioevo e Rinascimento)
Cenone. Incroci danteschi:
1 . M. M. Donato, L. Battaglia Ricci, M. Picone, G. Z. Zanichelli, Dante e le arti visive
2. D. Saglia, G. Silvani - V. Strukelj, G. F'ranci, L. Manini, Dante e la cultura anglosassone
3. R. Greci, R. Bordone, G. Cherubini, S. Bordini, Dante e la storia medioevale
Maratone:
1 . Maratona Pasolini, a cura di Rinaldo Rinaldi
DUE COMMEDIE PATETICHE
DEL CINQUECENTO
Il Pellegrino di Girolamo Parabosco
I Fidi Amanti di Francesco Podiani
A cura di
Antonella Lommi
EDIZIONI UNICOPLI
Questo volume esce con il contributo del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della
Ricerca Scientifica e Tecnologica
Prima edizione: marzo 2008
Copyright © 2008 by Edizioni Unicopli,
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scun volume dietro pagamento alla Siae del compenso previsto dall'art. 68, comma 4, della
legge 22 aprile 1941, n. 633, ovvero dall'accordo stipulato fra Siae, Aie, Sns e Cna, Confar-
rigianato. Casa, Claai, Confcommercio, Confesercenti il 18 dicembre 2000.
INDICE
7 INTRODUZIONE
7 Lagrime e mestizie suUe scene del secondo Cinquecento:
la Commedia "Patetica"
11 7/ P^//(?§^7>?o di Girolamo Parabosco
24 J Fidi Amanti di Francesco Podiani
EDIZIONI CRITICHE
51 II Pellegrino. Comedl\ Nova di M. Girolamo Pail\bosco
53 Nota al testo
59 AUo Illustrissimo et EcceUenrissimo Signor Duca di Somma
61 Persone della Comedia
62 Atto Primo
86 Atto Secondo
105 Atto Terzo
118 Atto Quarto
132 Atto Quinto
1 47 I Fidi Amanti. Comedia del Signor Fr.\ncesco P( )diani
149 Nota al testo
152 AU'Illustrissimo.... Signor Marchese della Corgna
154 Quelli che parlano nella Comedia
155 Atto Primo
180 Atto Secondo
201 Atto Terzo
227 Atto Quarto
251 Atto Quinto
281 Bibliografia
INTRODUZIONE
Lagrime e mestizie sulle scene del secondo Cinquecento:
la Commedia "Patetica"
"Esaminare delle opere letterarie nella prospettiva di un genere è
un'impresa del tutto particolare. Nelle nostre inten^oni, significa
scoprire non ciò che ogni testo ha di specifico, ma una regola che
funt^oni attraverso diversi testi (■■.)"^-
L'autunno del Rinascimento a poco a poco vede precisarsi nei confronti
di forme drammaturgiche "ibride" un sempre più vivo interesse, sovente
accompagnato da una chiara consapevolezza teorica che intravede in un
terzo genere il mezzo ideale con cui appagare ed istruire una società ormai
apparentemente sazia della commedia regolare" e, alla luce della Controri-
forma, tendente a condannare le efferate crudeltà della tragedia.
I termini della querelle sono piuttosto noti: a fronte dei fautori dei generi
teatrali classici, varie voci di intellettuali, da Sforza Oddi all'Ingegneri, nel
solco degli anteriori studi giraldiani, porgono la loro ricerca come unica so-
luzione atta a rivitalizzare un teatro letterario dibattuto in un duplice stato
' Tzvetan Todorov, ha letteratura fantastica, Milano, Garzanti, 1995, p. 7.
2 Come sappiamo infatti tutta la seconda metà del Cinquecento è interessata da una
copiosa produzione comica, in parte perseverante anche nel secolo successivo. A dispetto
del cospicuo numero di opere (catalogate almeno parzialmente da Achille Mango, l^ com-
media in lingua del Cinquecento: bibliografia critica, Firenze, Lerici Editori, 1966) mancano gene-
ralmente spunti originali e, m ogni caso, la fase di codificazione e sperimentalismo può dir-
si veramente conclusa entro il primo trentennio del XVI secolo. Sull'argomento cfr. R. A-
longe, L^ riscoperta rinascimentale del teatro, in ^Aj\.VV., Storia del teatro moderno e contemporaneo,
ha nascita del teatro moderno, Torino, Einaudi, 2000, voi. 1, in particolare pp. 87-88.
8 A. LOMMI
di crisi, ed ormai inevitabilmente minacciato dalla briosa Commedia
deU'Arte'.
Proprio la lucidità critica emergente, ad esempio, dal Compendio della poe-
sia tragicomica, con il quale Giovan Battista Guarini inaugura il nuovo seco-
lo'*, rischia tuttavia di restringere la questione ai soli dibattiti teorici e di ri-
condurla in modo eccessivamente univoco alla scoperta degli amoeni loci del-
la favola pastorale.
Resterebbero in tal modo confinate nell'ombra diverse opere che, silen-
ziosamente ed autonomamente, attraverso le loro caratteristiche linguisti-
che, stilistiche e tematiche, avevano concretizzato l'incontro della Comme-
dia e della Tragedia su di un piano intermedio: le commedie "patetiche".
Tale espressione, originalmente coniata dal Ferroni^ si riferisce ad una
particolare tipologia di piece a lieto fine che, conservando e sfruttando gli
espedienti più tipici della commedia (burle, agnizioni e movimentate peri-
pezie in primis), tradiscono al contempo un'intima aspirazione al registro
tragico o paratragico, conseguendo un evidente innalzamento di tono per il
genere cui appartengono.
Se la prima condizione fondamentale per individuare taH opere sembre-
rebbe dunque consistere nella presenza in esse del pathos, suggerito ad e-
sempio dai vari leitmotiv inerenti all'accenno del passato tormentato dei pro-
^ La teorizzazione ed il dibattito articolato attorno alla commistione dei generi teatrali
avevano occupato tutta la seconda metà del XVI secolo. Si ricordi almeno la posizione del
Giraldi Cinzio, espressa nel Discorso sopra il comporre le satire atte alla scena (1554) ed, ancor
prima, nel prologo à.^ Aitile (1543), dove sanciva la piena legittimità della tragedia a lieto
fine, in piena armonia con il gusto del pubblico e la morale coeva, come sarà confermato
pure nel Discorso intorno al comporre delle commedie e delle tragedie. Verso la fme del secolo il pe-
rugino Sforza Oddi, nel prologo della sua Prigione d'Amore (1576), arriva a far disputare di-
rettamente suUa scena la Commedia e la Tragedia, tentando di ndefimme i reciproci com-
piti, mentre Angelo Ingegneri nel suo trattato Della poesia rappresentativa e del modo di rappre-
sentare le favole sceniche (1598) decreta il tramonto della commedia sotto i colpi degli "istrioni
mercenari" e la scarsa appetibilità della tragedia, nvolgendo il proprio consenso alle pasto-
rali in quanto unici componimenti utilmente rappresentabili. Per una visione d'insieme si
veda L. Allegri, Teoria e poetica del teatro moderno, in A^A-.W., Storia del teatro moderno e contempo-
raneo, op. cit., pp. 1200-1205 e Storia della letteratura italiana, diretta da E. Malato, Salerno
Editrice, 1997, voi V, pp. 153 e segg.
"* Com'è noto, il trattato fu composto nel 1599 e venne pubblicato nel 1601.
^ G. Ferroni, Edonismo e moralismo cortigiano nelle commedie di R. Borghini, in "Muta::^one" e
"riscontro" nel teatro di Machiavelli, Roma, Bulzoni, 1972, pp. 231-75, a p. 256.
Introdutn^one
tagonisti o dai loro stessi lamenti, in realtà non dobbiamo pensare agH ele-
menti patetici come ad invenzioni originali degli scrittori del secondo Cin-
quecento, dal momento che già le commedie del pieno Rinascimento, suUa
scia di quelle classiche^', ne contenevano a profusione. Si pensi ad esempio
alla forte influenza esercitata dal mondo ottomano sulla drammaturgia del
XVI secolo attraverso il motivo dei turchi rapitori , di fatto già sfruttato
nelle commedie greche e romane, dalle quali peraltro era stato assorbito
sotto forma di tema favolistico dalla letteratura europea , nonché ad altre
fonti di imprevisti, costituite dalle vicende belliche contemporanee o appar-
tenenti ad un passato ancora vivo nel ricordo del pubblico .
'' Non dobbiamo dimenticare infatti che pure nelle commedie di Plauto erano presenti
degli antefatti 'patetici': nei Captivi (commedia che, notonamente, si distingue nella produ-
zione dell'autore proprio per la smorzatura dei toni comici e gU spunti di umanità malin-
conica) un vecchio ha perduto due figli, poiché uno gli era stato rapito in tenera età, men-
tre l'altro è fatto prigioniero in guerra dagU Elei, e si arriverà a scoprire che uno dei pngio-
nieri nemici in sua mano altri non è che il figUo scomparso; nei Menaechmi i due gemeUi
protagonisti sono stati separati fin dalla nascita; nella Rudens è una tempesta a scaricare sul-
la spiaggia il lenone Labrace, che porta indebitamente con sé una fanciulla di Uberi natali,
che potrà in tal modo riabbracciare il padre e il suo innamorato.
^ Basti pensare all'antefatto de I Suppositi e a quello della Calandria ove, entro i consueti
scambi di matrice plautina e gli stratagemmi boccacciani, vengono stemperati espedienti
patetici incentrati soprattutto suUe turcherie. Nella commedia ariostesca infatti Cleandro
era scappato "in giubbone" da un'Otranto invasa dai turchi e, pur trovando rifugio a Pa-
dova, aveva perso il figlioletto di quasi sei anni, puntualmente rapito dagU stessi saraceni e
poi comprato come servo da Filogono (Cfr. Ariosto, 1 Suppositi, in Opere Minori, a cura di C.
Segre, Milano NapoH, Ricciardi, 1954, p. 303). Analogamente i due gemelli Lidio e Sandlla
erano rimasti orfani all'età di sei anni mentre la città natale veniva messa a ferro e fuoco
dai turchi, e la loro nutrice si era resa responsabile, dopo la presunta morte di Lidio, del
tempestivo travestimento maschile della sorella, appena prima della generale cattura e del
conseguente trasporto a Costantinopoli, dove i prigionieri erano stati infine riscattati dal
mercante fiorentino Penilo (Cfr. Bibbiena, lui Calandria, Torino, Einaudi, 1967, p. 21). Al-
tri esempi di rapimenti e turcherie possono essere rinvenuti anche nelle opere del Parabo-
sco, in quelle Giancarli, da Im Capraria (\''enezia, 1544) a L^ Cingana (Mantova, 1545), così
come nel Travaglia àoS. Calmo (\^enezia, 1556).
** Per approfondimenti su questo tema si veda N. Bavarese, Teatro e spettacolo tra Oriente e
Occidente, Roma-Bari, Laterza, 1992, pp. XVIII-XXX e 3-79; S. Mamone, X'iag^i teatrali in
Europa, in Storia del teatro moderno e contemporaneo, Torino, Einaudi, 2000, voi. 1, pp. 1261-1266.
'^ È il caso, ne Ta Mandragola, delle guerre di Carlo Vili che funestano l'Italia costrin-
gendo l'orfano Callimaco (secondo il racconto fornito a Siro nella scena d'apertura) a ripa-
rare a Parigi e a rimanervi per più di un ventennio (Cfr. Machiavelli, Lm Mandragola. Belfagor.
Lettere, a cura di M. Bonfantini, Milano, Oscar Mondadori, 1991, p. 9). Analogamente, ne //
10 A. LOMMI
Il catalogo sarebbe ovviamente molto lungo ma, in questa sede, è impor-
tante sottolineare come, malgrado la presenza di accenni lacrimosi e ante-
fatti tribolati (siano essi costellati di mrcherie, tempeste o finte morti), non
sia possibile attribuire a tutti i testi teatrali contenenti solo siffatti elementi
la qualità di commedia 'patetica' ^'\ Questo perché nelle rappresentazioni
sceniche della prima metà del Cinquecento il baricentro è spostato altrove,
nel turbinio dei travestimenti, degli scambi di identità, dei raggiri e delle bat-
tute salaci, ed il patetico, quando è presente, sa rispettare i limiti imposti
dalla tradizione, manifestandosi nei retroscena o tutt'al più nelle voci queru-
le degli innamorati, e dunque incluso entro la caratterizzazione di tali per-
sonaggi.
Per essere accolta nel genere, la commedia deve soddisfare molti altri
requisiti, a partire dal rilievo assunto dalla commozione e dalla peripezia
all'interno della trama stessa. Il congegno narrativo, infatti, progressivamen-
te si complica, innestando sullo schema di base della beffa e dell'equivoco,
molti risvolti noveUistici originali, nei quali assumono un'importanza cre-
scente le figure femminili. Contemporaneamente si assiste ad una progres-
siva estromissione degli elementi comici e burleschi, declassati a compo-
nenti secondarie.
L'Italia centrale e, in particolar modo, Siena possono a buon diritto costitui-
re il punto di partenza della commedia 'patetica' ' anche se, ovviamente, il
Negromante, l'occupazione veneziana di Cremona impone a Massimo la fuga in Calabria e
l'assunzione di una falsa identità, così come la sconfitta della Serenissima ad opera della
Lega di Cambrai, ne stimola il ritomo, generando lo smembramento del nucleo familiare
appena costituito (Cfr. Ariosto, Il Negromante, in Opere Minori, op. cit., pp. 484-485).
'" Come osserv^a giustamente Anna Mana Cabrini in riferimento alla produzione comi-
ca di Niccolò Secchi, confutando l'interpretazione di A. Greco che invece percepiva ne
^'Interesse una certa tendenza al moralismo. Cfr. A. M. Cabrini, Il teatro di Niccolò Secchi, in
Studi di lingua e letteratura lombarda offerti a Maurilio Vitale, I, Pisa, Giardini, 1 983, nota a p. 372.
" Al commediografi senesi infatti, già secondo Borsellino, spetterebbe il primato di a-
ver sviluppato una robusta inclinazione al sentimento e alla peripezia, destinata, in un bre-
ve volger d'anni, ad influenzare gli scrittori attivi in altre zone della penisola (Cfr. N. Bor-
sellino, Introduzione a Commedie del Cinquecento, Milano, Feltrinelli, 1962, voi. 1, p. XXXI).
E in tale àmbito che nel 1536 apparve \Amor Costante di Alessandro Piccolomini, comme-
dia precocemente segnata da una spiccata complessità romanzesca neU'intngo e da una se-
rietà inconsueta per il genere, ancorché abbinata al gioco del plurilinguismo e della carica-
tura.
Introduzione 11
processo non è immediato e spesso si fatica a seguire una linea evolutiva in
grado di stringere i vari drammi appartenenti al filone, ciascuno dotato di
una propria individuale tipologia di patetico e spesso supportato da specifi-
che esigenze o motivazioni.
La stessa analisi delle opere funzionali al discorso si rivelerebbe vastis-
sima, annoverando, oltre agli autori più noti, molti altri scrittori, attivi in di-
verse zone della penisola in un arco di tempo compreso tra la metà del XVI
secolo e il Seicento, ove infine la commedia 'patetica' si dissolve all'ombra
di altri generi ibridi dotati di più ingente fortuna, quali la pastorale e la tra-
gedia a lieto fine di impronta barocca '2.
Data l'impossibilità di richiamare la totalità di tali lavori, mi limiterò
all'indagine delle opere qui edite, tra le più incisive ed appartenenti a distin-
te aree geografiche e culturali: // Pellegrino di Girolamo Parabosco e / Fidi
A.manti di Francesco Podiani.
Il Pellegrino di Girolamo Parabosco
Il Pellegrino, pubblicato a Venezia nel 1552, costituisce l'ultima e più coe-
rente espressione di quel ciclo drammaturgico che Girolamo Parabosco
(Piacenza 1524 — Venezia 1557) aveva inaugurato cinque anni prima con //
Vilirppo^^, e che sarà abbandonato nelle ultime due commedie, // L^dro
(1555) e ha Fantesca (1557), per le quali verrà recuperata una tradizione
'- Com'è noto, pastorale e tragedia a lieto fine, tragicommedia e melodramma sono tut-
ti prodotti giocati sulla mistione dei caratteri che risponde alle esigenze controriformistiche
dosando catarsi, evocazione della morte e Ueto fme. Cfr. F. Angelini, Barocco italiano, in Sto-
ria del teatro moderno e contemporaneo, op. cit., pp. 231-236. In particolare per la differenza tra
tragicommedia (esibente fin dall'inizio inclinazioni fortemente composite, sottolineate ad
esempio dalla presenza di servi e buffoni) e la tragedia a lieto fme (i cui personaggi sono
tutti appartenenti alle classi sociali più alte e l'unico scarto rispetto la tragedia vera e pro-
pria si registra nella rinuncia al finale luttuoso) cfr. A.M. Razzoli Roio, Introduzione a Giu-
seppe Artale, Guerra tra vivi e morti. Tragedia di lieto fine. Università degU Studi di Parma- Ar-
chivio Barocco, 1990, voi. 1, p. 7.
'-* In realtà la prima incursione del Parabosco nel mondo della scrittura scenica era av-
venuta nel 1546 con la commedia La Notte, che tuttavia presenta una trama ancora piutto-
sto labile ed episodica, molto prossima alla nascente Commedia dell'Arte, pur contenendo
nell'antefatto il rapimento da parte dei turchi dello sfortunato protagonista.
12 A. LOMMI
comica anteriore'"*. Tutti i testi composti in tale spazio temporale possono
essere annoverati a pieno diritto entro l'orizzonte delle commedie pateti-
che, poiché il risalto assunto nelle diverse vicende dalla tensione emotiva e
dalla peripezia appare subito come uno degli elementi caratterizzanti, eppu-
re solo nel dramma in oggetto, sia per la scelta del verso (vero e proprio n-
nicum nella produzione comica paraboschiana), sia per la marcata letterarie-
tà, l'elemento patetico riesce ad imporsi, offuscando gli ingredienti di tradi-
zione comica.
Nel 1552, quando il Parabosco compone e pubblica II Pellegrino, negli
ambienti veneziani circolano già da qualche anno il primo ed il secondo li-
bro delle sue Lettere Amorose, la Prima parte delle Rime, le novelle dei Diporti e
ben cinque commedie, ed anche la sua carriera musicale d'organista nella
cappella di San Marco è ormai consolidata . Il giovane autore, per la co-
struzione del dramma, sceglie di assecondare il gusto di quegli anni, a\'^'^a-
lendosi di una spiccata mistura di elementi eterogenei: da un lato le sima-
zioni farsesche ruotanti attorno alla figura del vecchio e del suo serv^o,
dall'altro i lamenti, le fughe ed i travestimenti degli innamorati.
La storia celata dal titolo ruota attorno al tema amoroso, vissuto nelle
sue diverse sfumature e possibilità: se per Giberto, il protagonista de]l2. pièce,
è n tormento recato da un sentimento radicale ed assoluto, non corrisposto,
'"* Si rimanda, per approfondimenti, all'introdu2Ìone da me curata per l'edizione critica
de Girolamo Parabosco, La Fantesca, Parma, Battei Università, 2005, pp. 11 -47.
'^ La vita culturale dell'autore, morto nel 1557 a soli trentatre anni, si svolge quasi inte-
ramente a \"enezia, dove si era trasferito nel 1541, distinguendosi immediatamente nei sa-
lotti mondani della città in qualità di orgamsta, ma anche di madngaUsta e scrittore. Il suo
esordio in àmbito letterario è segnato dalla pubblicazione del Primo Libro delle Lettere Amoro-
se nel 1546, seguito, nel medesimo anno, dalla prima parte delle Rime e dalla commedia La
Notte. L'intensa attivata perdura negli anm seguenti, consolidando una produzione ncca e
costellata di successi, non affievolita neppure dopo la nomina a primo organista della Basi-
lica di San Marco nel 1551, ma stroncata da una morte prematura il 21 aprile 1557. La sua
fama, ancora piuttosto viva nel X\TI secolo, andrà spegnendosi progressivamente nel cor-
so del Settecento. La biografia del Parabosco, legata per anm agli studi di Giuseppe Bian-
chim, Girolamo Parabosco scrittore e organista del secolo XVI, in Miscellanea di storia veneta edita
dalla Deputazione Veneta di Storia Patria, tomo lY (1899), pp. 208-487 e di Francesco
Bussi, Umanità e arte di G. Parabosco, Madrigalista, Organista e Poligrafo (Piaceni^a 1 524 e- V'ene-
i:^a 1 557), Edizioni del Liceo Musicale "G. NicoHni", Piacenza, 1961, è oggi arncchita dalla
Nota biografica di Donato Pirovano e Gherardo Borgognoni in Girolamo Parabosco, Dipor-
ti, a cura di Donato Pirovano, Roma, Salerno ed., 2005, pp. 34-40.
Introduzione 1 3
che lo porta ad esiliarsi volontariamente dalla sua terra (fingendosi morto),
per poi ritornarvi dopo qualche anno e vendicarsi della crudeltà di Clitia,
per Mutio (fratello della dura fanciulla, innamorato a sua volta di Lavinia,
sorella dello stesso Giberto), è piuttosto la passione espressa secondo i più
comuni canoni letterari, e costretta a scontrarsi con il clima di antagonismo
dominante tra le due famiglie; per Clitia e Lavinia, infine, è l'ardore in grado
di sbaragliare, seppur con modalità ed intenti differenti, il loro antico pudo-
re e di spingerle a prendersi "licenze" quantomai ardite.
La fonte principale della commedia è rappresentata dalla corrispondente
novella de / Diporti (II, 12), di cui il dramma costituisce proprio la rielabo-
razione scenica ^^, mantenendone in molti punti espressioni ed intere battu-
te; ciò tuttavia non preclude la possibilità di rintracciare numerose altre di-
pendenze. Ad esempio una palese affinità si rileva nel raffronto con la no-
vella boccacciana di Tedaldo (III, 7) che, come il nostro Pellegrino, si allon-
tana da Firenze a causa di un amore non corrisposto e, trascorsi sette anni,
incapace di liberarsi da quell'ossessivo pensiero, finisce col ritornare sui
suoi passi, camuffato da viandante, per poter finalmente appurare i senti-
menti della donna. Se le somiglianze con la novella del Decameron terminano
qui, poiché Pellegrino è tutt'altro che ben disposto nei confronti di Clitia e,
ritrovatala innamorata di un altro giovane, progetta subito di vendicarsi,
l'altra storia, quella di Mutio e Lavinia, è modellata sulla vicenda di Romeo
e Giulietta, circolante grazie alle Novelle del Bandello (li, 9) o alla Storia di
due nobili amanti di Luigi da Porto, ed evocata pure da altre opere teatraU del
periodo^''. Nella commedia paraboschiana l'astio scoppiato tra le famiglie di
"■ «Giberto, disperato per la durezza d'una sua Donna, la patria abbandona, et doppo
l'esilio di cinque anni, più che mai acceso, a quella, in habito di Romito, ritorna, et trovata
la giovane più che mai dura, et crudele, avvelenarla tenta; et discopertosi il fatto, prigione
ne rimane; et da uno Spitiaro aitato, dalla morte campa, et poscia con grandissima sodisfat-
tione di ciascuno, la detta giovane per moglie prende» (cfr. G. Parabosco, / Diporti di M.
Girolamo Parabosco, novamente ristampati et diligentissimamente revisti, in Vinegia, appresso Do-
menico Giglio, 1558, p. 63).
'^ 7 Fidi Amanti del Podiani e L^ donna costante del Borghmi non sono che due dei pos-
sibili esempi. Come suggeritomi dal Prof. Gabriele Frasca, è interessante verificare la cu-
riosa corrispondenza tra la storia del nostro Pellegrino, sulla quale aleggia il ricordo dei ce-
lebri amanti veronesi, e la finzione narrativa della novella bandelliana, ove si immagina che
un capitano di ventura della compagnia di Cesare Fregoso, certo Alessandro Peregnno,
abbia riferito la "pietosa istoria" accaduta a Verona, sulle orme di quanto già Luigi da Por-
14 A. LOMMI
appartenenza'** osteggia l'ardente amore dei due giovani, e si giunge a sfio-
rare il finale tragico quando Mutio assume erroneamente l'intruglio letale
destinato alla sorella, perdendo i sensi davanti alla soglia dell'agognata Lavi-
nia. Solo nell'ultima scena la catastrofe viene scongiurata grazie
all'intervento dello speziale che, provvidenzialmente, aveva sventato
l'omicidio consegnando a Pellegrino un potente sonnifero al posto del pre-
teso veleno .
Nettamente distinti dal piano più raffinato e patetico dei protagonisti,
senza peraltro assumere una particolare importanza nell'economia del testo,
si muovono poi i personaggi comici, desunti dall'abituale campionario di
plautina memoria, già abbondantemente collaudato dai pionieri della com-
media cinquecentesca come dallo stesso Parabosco, e destinato a nuova
consacrazione con le maschere dei comici dell'Arte.
Nello svolgimento del dramma, fatta eccezione per le vicissitudini
dell'anziano ed avaro Eugenio che, assillato dal desiderio per una cortigiana,
si presta ingenuamente alle insidie del servo Finocchio e della ruffiana Ho-
nesta, il susseguirsi delle altre figure marginali, dal bravo Spavento alle cor-
tigiane Naffissa e Lauretta, alla servetta Fiore, rimane una caleidoscopica
sfilata di topoi obbligati, non privi di specifiche valenze ma comunque ina-
datti ad emergere efficacemente sulla patina lacrimevole della commedia, ed
ancora distanti dal gustoso realismo che riusciranno ad incarnare ne 1m
to aveva ideato, facendo raccontare la sua vicenda da un arciere veronese di nome Peregri-
no. Le ricerche tese ad appurare l'eventuale esistenza di questo personaggio non hanno,
purtroppo, ad oggi prodotto risultati degni di attenzione.
'* Nel nostro caso provocato proprio dall'improvvisa scomparsa di Giberto, di cui si
supponeva l'uccisione da parte di Mutio.
''-' Esattamente come ne ì^'Amor costante del Piccolomini, a nguardo del quale il Borsel-
lino ricorda come "il tema del veleno che si scopre come liquore non mortale deriva pro-
babilmente dalla farsa senese di Mariano Manescalco, Pietà d'Amore (1518) antecedente alla
produzione dei Rozzi" (cfr. N. Borsellino, Commedie del Cinquecento, op. cit., p. 417 n.).
2" jVIì riferisco in modo particolare alla figura di Spavento, il bravo che personifica il
soldato fanfarone e smargiasso, sul filo della lunga tradizione che dal miles gloriosus di Plauto
approda nella maschera del Capitano nella Commedia all'improvviso: nella pièce in oggetto
porta avanti un ruolo convenzionale, appena ravvivato da una pennellata di gergo, assolu-
tamente estraneo all'aggressiva \nolenza verbale del suo 'collega' Arsemco (cfr. mia Intro-
duzione a 1m Fantesca, op. cit., pp. 25-27).
Introduzione 15
1/ tema amoroso
I veri fili conduttori della trama sono dunque l'amore e la vendetta. Per
ciò che riguarda il primo, possiamo subito notare come, in questo intreccio
di nobili affetti in grado di suscitare la commozione di un pubblico selezio-
nato e sempre meno incline alla risata spicciola della commedia, non esiste
neppure un vero e proprio risvolto erotico: il motivo amoroso (almeno per
i personaggi dei giovani) si sviluppa sopratmtto sul versante spirituale, ri-
manendo decisamente ancorato ai più consueti moduli petrarcheschi e ne-
oplatonici. Fin dalla scena esordiale, infatti, il dialogo tra Mutio e il suo ser-
vo Ribecca, oltre ad assolvere la funzione canonica di introdurre alcuni dei
nodi principali della vicenda (data la mancanza, consueta per l'autore, del
Prologo e del relativo Argomento), ci restituisce una prima, significativa ce-
lebrazione della bellezza della donna amata, condotta secondo i canoni del-
la descriptio mulieris, i cui dettagli si ancorano saldamente all'iconografia della
lirica amorosa, dallo Stilnovo al Cinquecento, e alle descrizioni femminili
dei poemi rinascimentali, dalle Stantie del Poliziano, al Furioso e alla Gerusa-
lemme Uherata. La figura di Lavinia, nelle parole di Mutio, è quanto mai vi-
vida: di lei ravvisiamo la pelle candida, gli occhi neri e lucenti, i capelli
d'oro, l'armonia delle forme e la decenza dei comportamenti. Con tali pre-
messe, la dedizione del giovane non può essere se non travolgente e totale.
A tale proposito inizia ad occhieggiare nel dialogo la componente tratta-
tistica sul tema dell'Amore, discendendo da tipologie testuali solitamente
estranee alla commedia"\ L'antecedente più significativo per una tale con-
taminazione di generi letterari all'interno di un'opera comica è sicuramente
costituito à2^Agnella di Carlo Turco, del resto composta nei medesimi an-
ni", per la quale Noemi Messora rileva una struttura novellistica voluta-
-' Le questioni d'amore infatti, dopo il Filocolo del Boccaccio, avevano goduto di ampia
fortuna nel corso del XV secolo, giungendo, ad esempio, a costituire l'ossatura del roman-
zo Il Peregrino di Iacopo Caviceo (si veda al proposito l'Introduzione di Luigi \'ignali a Ia-
copo Caviceo, Il Peregrino, Roma, La Fenice Ediziom, 1993, pp. XN'^I-XXI).
22 La redazione manoscritta di questa commedia dovrebbe risalire al 1550 e si ha noti-
zia di una prima pubblicazione nel 1558, non giunta però fino a noi. L'edizione critica, cu-
rata da N. Messora e contenuta nel volume Commedie bresciane del '500. Il teatro lombardo sotto
la Kepubblica Veneta, Bergamo, Monumenta Longobardica, 1978, si basa sull'unica edizione
attualmente esistente, che risale al 1585.
16 A. LOMMI
mente ignara della tradizione comica italiana, proponendosi di "intrattenere
e far divertire il pubblico scelto con dei ragionamenti d'amore" , avvici-
nando in tal modo il dramma piuttosto alle commedie nordiche.
Nel caso dell'opera paraboschiana è sicuramente eccessivo parlare di
"commedia cortese" o di una diversa tipologia di vis comica a cui l'autore
avrebbe risposto, non solo alla luce degli evidenti legami con la cultura ve-
neta (siano essi semplici spunti ai quali il Parabosco non sembra disposto a
rinunciare, o espressioni Linguistiche innegabilmente radicate nel territorio
veneziano) ma soprattutto perché non si giunge ad una trattazione analitica
dell'argomento amoroso. L'autore piacentino si limita a ricordare la potenza
e gli effetti dell'Amore ed il ruolo della bellezza, mediatrice tra l'uomo e il
Cielo (I, 1), ai quali si aggiungeranno il tema dell'ingratitudine (II, 6), quello
della beatitudine del perfetto amante (III, 3) e, in conclusione dell'opera, il
piacere e l'invidia in amore (V, 1), senza arrivare mai ad estese discussioni
su taH assunti.
Del resto il Parabosco aveva già forgiato "un ricettario d'amore" entro
cui miscelare "tutte le diverse gradazioni del sentimento"*' realizzando i
primi due Hbri delle lettere Amorose''', ai quali sarebbero presto seguiti il ter-
zo ed il quarto^^ Nella realizzazione di questo vasto corpus di epistole, gene-
ralmente fittizie, attingendo da numerose fonti spazianti dalla trattatistica
alla lirica^^, il Parabosco aveva esposto i medesimi aspetti, anticipando di
-^ Il ndotto interesse dell'opera verso i più sfruttati morivi plautini-terenziani e la spe-
rimentazione comica del primo Cinquecento, pone la fisionomia di questa commedia
semmai in stretta affinità con "i gusri cortesi" dei "ristretri circoli letterari che si formavano
intorno a corri quali Urbino, a mecenari come ad x'\solo, ad accademie come a Siena" che
analogamente respingevano "temi, spunri, o espressiom Unguisriche appartenenti all'humus
locale" e si caratterizzavano strutturalmente per un andamento più vicino ad un testo nar-
rativo che ad un'opera drammatica (cfr. N. Messora, op. cit., pp. 230-236).
2^ Ivi, p. 229.
2^ Cfr. G. Bianchini, Girolamo Parabosco. Scrittore e organista del secolo Xll, op. cit., p. 421.
'^^ Editi rispettivamente nel 1545 e 1548.
2^ Il Ter^o libro delle Lettere amorose sarà pubblicato nel 1553, A Quarto libro l'anno succes-
sivo.
-* Guido Sassi e Daniela Dragorti menzionano il Convito e il Fedro di Platone, il De Amo-
re di Andrea Cappellano, Sopra lo Amore del Ficino, la Dei/ira di Leon Battista Alberti, gli
Asolani del Bembo, Il Cortegiano del Castiglione, il Dialogo dAmore dello Speroni, oltre alla
lirica stilnovista, l'immancabile Petrarca, Dante delle Rime, e numerosi lirici del Quattro-
Cmquecento. Mi attengo agli studi di Sassi e Dragoni anche per le tematiche delle Lettere
Introduf^one 1 7
pochi anni i concetti qui introdotti dal giovane Mutio. Anche nelle lettere
infatti si apprende l'importanza della vista durante l'innamoramento^'^ ed il
conseguente piacere provato dall'amante quando può ammirare l'oggetto
del suo sentimento^*^, la nobilitazione spirituale operata sull'uomo dall'amore^',
la correlazione tra bellezza fisica ed integrità morale^". Inoltre, data la corri-
spondenza tematica, non si può non riscontrare pure una certa affinità stili-
stica, direttamente responsabile dell'innalzamento del genere comico.
Colpisce ne // Pellegrino, e contribuisce ad isolarlo dal corpus delle altre
commedie dell'autore, non tanto la dimensione elegiaca delle parole di Mu-
tio, quanto quella tragica permeante i dialoghi di Giberto. Già dalla seconda
scena del primo atto, egli si presenta come un personaggio palesemente 'e-
roico' poiché, spossato dall'inestinguibile ardore per la crudele Clitia, rievo-
cando i "tanti travagli, e tanti affanni / in miUe parti sostenuti e sofferà"
durante gli anni di volontario e doloroso esilio causato da Amore, chiarisce
immediatamente il saldo proposito ormai intrapreso: quello di uccidersi
stoicamente davanti alla giovane se, ancora una volta, ella lo respingerà.
L'arrivo di Fiore, la serva di Clitia, mette in moto il vero congegno della vi-
cenda: attraverso di lei Pellegrino apprende come l'amata, a dispetto della
consueta ritrosia, si sia innamorata di un altro giovane e quanto sia deside-
rosa di avere una profezia sull'avvenire; la frustrazione e la collera esplodo-
no non appena il protagonista torna ad essere solo e caratterizzano Ìl suo
lungo monologo dove, accanto agli accenni topici della "cruda sorte" e del-
la passione che incredibilmente continua ad ardere, si staglia una copiosa
Amorose, rinviando ad essi per indicazioni più complete (cfr. Il Primo Ubro delle Lettere Amo-
rose di Girolamo Parabosco, tesi di laurea di Guido Sassi, Università degli Studi di Parma,
a.a. 1999-2000, relatore: Prof.ssa A. M. Razzoli Roio; Il Secondo e il Ten^o Libro delle Lettere
Amorose di Girolamo Parabosco, tesi di laurea di Daniela Dragoni, Università degli Studi di
Parma, a.a. 2001-2002, relatore: Prof.ssa A. M. RazzoU Roio).
29 Cfr. ad esempio Parabosco, Secondo Ubro, XI, XVI, XVII, XX, XXIV....; Tert^p Ubro,
I, IX, XXIII...
^" Parabosco, Secondo Ubro, XXXV; Tert:io Ubro, Vili, IX. Tema collegato a questo a-
spetto è quello della costante presenza dell'immagine dell'amata nel cuore dell'amante (Se-
condo Ubro, XX; Terreo Ubro, XIII), qui ribadita da Pellegrino, incapace di cancellare il ri-
cordo di Clitia a dispetto della lontananza.
^' Ad esempio Tervp Ubro, XII.
32 Secondo Ubro, l, X, XVIII, XX...; Ter^o Ubro, V, IX, XII...
18 A. LOMMI
aggettivazione imperniata sulla "ferezza" della donna e sull'ingratitudine
amorosa: Clitia è definita dura e proterva (v. 224), ingrata donna (v. 228), ingrata,
crudel,fera (v. 242), e ancora crudele (v. 255), a sottolinearne l'atteggiamento
del tutto difforme d^Wa. fm'amors di tradizione cortese e provenzale, tornato
di gran voga nel Rinascimento attraverso il neoplatonismo ed i precetti dei
trattatisti. Il sentimento lacrimevole, in Pellegrino, è sostituito dalla pulsio-
ne perversa dell'odio e della vendetta, che tiene a bada remore ed incertez-
ze, e spinge il protagonista a compiere la sua missione con l'ausilio di un
giusto sdegno^'* (v. 737). Non siamo dunque distanti dalla dimensione pro-
priamente tragica, in cui (prendendo a prestito le parole usate da Spera per
descrivere Tullia) il personaggio vinto "sfoga a parole la rabbia" e "non re-
cede dal desiderio di vendetta", in quanto Pellegrino, seppur "sconfitto sul
piano degli eventi, si dichiara pronto a immolarsi come testimone di un'idea
e quindi a ergersi quale esempio di fronte alla propria comunità"^^
L'autore, smaliziato artefice dei meccanismi narrativi, interrompe a que-
sto punto il pathos della vicenda trasportando gli astanti nell'altra dimensio-
ne del suo dramma, presentando il tema amoroso da ben diverse angola-
zioni. Cupido infatti, mentre si occupa degli aristocratici sentimenti di Mu-
tio e Giberto, pare volersi sollazzare governando il vecchio avvocato Euge-
nio, ormai esposto al pubblico ludibrio a causa delle sue tardive pazzie e,
non pago, intralcia la 'professione' di Lauretta, infatuata di giovani pretendenti
e perciò sprezzante i sostanziosi introiti dei clienti più attempati, fomentan-
do rimbrotti e ammonimenti da parte della vecchia collega Naffissa^^.
■^^ La "ferezza" è per di più il tema conduttore di molte tragedie, come la Tullia del
Martelli (per cui si rimanda all'Introduzione di Francesco Spera a Ludovico Martelli, Tullia,
Tonno, Edizioni Res, 1998, p. XVII).
^^ Ricordiamo che, senza giungere alla caccia infernale della novella decameroniana di
Nastagio (Boccaccio, Decameron, V, 8) e relative fonti (dalle prediche di Jacopo Passavanti,
al XIII canto dell 'Inferno di Dante, aUo Speculum fjistoriale di \^incenzo di Beauvais) la giusta
punizione per l'eccessiva crudeltà della donna nei confronti di chi la ama e serve fedelmen-
te è presente anche nella trattatistica amorosa (ad es. Ficino, Sopra lo Amore, VI, 10). Già
nelle lettere Amorose il Parabosco aveva trattato la questione dell'infelicità causata da un
amore non corrisposto e la successiva possibilità di vendetta contro l'amata crudele {Primo
Ubro, XII e LXATI; Secondo Ubro, XXXIII, XXXIV, XLIII; Terreo Ubro, VIII).
3^ F. Spera, introduzione a Ludovico Martelli, Tullia, op. cit., p. XXIV.
^^ Secondo il motivo della 'lezione' tra la cortigiana e la figlia, magistralmente portato
alla nbalta nella nostra letteratura dai Ragionamenti dell'Aretino ma, in generale, ricorrente
Introdu:(ione 19
Il monologo del vecchio giurista dovrebbe proporre al pubblico una fi-
gura ormai nota, un locus communis precocemente sdgmatizzato dal genere
comico: il vecchio incauto ed avaro, innamorato di una prostituta e prestan-
te facilmente il fianco ad una serie di beffe e raggiri da parte del serv^o scal-
tro. La sua apparizione contiene tuttavia elementi particolari, a partire dal
linguaggio debitore del generale innalzamento stilistico di cui la commedia è
pervasa, accogliendo palpabili atmosfere petrarchesche. In questa scena
Eugenio pare quasi presentarsi come un personaggio per certi aspetti tragi-
co, completamente soggiogato da un sentimento tirannico che lo manovra
a dispetto della sua età ormai tarda e della professione esercitata; egH è per-
fettamente conscio del suo comportamento inopportuno ma Amore gli
preclude ogni possibilità di riscatto. Nelle scene successive il giurista sarà
riassorbito entro una caratterizzazione più tipica, sottoHneata dalle rimo-
stranze mosse al servo Finocchio per le spese esose e, soprattutto dalla lun-
ga 'tirata' di gustoso sapore parodico, indirizzata non alla 'Diva' nascosta
dietro le imposte, ma alla sua gatta: resta comunque interessante quel primo
spiraglio verso una connotazione differente per il personaggio del vecchio,
a quest'altezza cronologica decisamente inconsueta.
Con n ritorno alla ribalta del protagonista Giberto, giungiamo finalmen-
te ad uno dei dialoghi più paradigmatici: quello dell'incontro con l'oggetto
dei suoi tormenti (II, ó)^"^. La scena è inizialmente alquanto lenta, scandita
nella letteratura burlesca e nelle commedie coeve (cfr. ad es. N. Secchi, Gl'inganni, II, 3; IV,
8 e, al proposito, A.M. Cabrini, Il teatro di Niccolò Secchi, op. cit., pp. 380-381; cfr. inoltre
Fernando de Rojas, Lm Celestina, VII, 2).
'^ Il colloquio si presenta affine, per certi aspetti, a quello equivalente (posto quasi nella
medesima posizione) de La Pellegrina di Girolamo Bargagli (II, 7) nel quale Lucrezio e Dru-
silla si scambiano un linguaggio tipicamente cortese, intriso di animi nobili e benignità.
Un'ulteriore consonanza si ritroverà poco più avanti quando Pellegrino nvolge un duro
monito agli uomini troppo fiduciosi della costanza femminile, analogamente a quanto fatto
dalla giovane Pellegrina, indotta a scorgere in Lucrezio un ideatore di loschi inganni (IV,
1): tra i vari lamenti della fanciulla si configura in particolare proprio l'esortazione, in que-
sto caso nvolta alle donne, incapaci di diffidare dei pianti e giuramenti fasulli esibiti dagli
innamorati. A differenza del personaggio del commediografo piacentino tuttavia l'eroina
del Bargagli non reclamerà rivincite e si contenterà di invocare per sé la morte, ponendo
fine ai propri tormenti; del resto, in pieno clima controriformistico, occorreva ormai
un'infinita cautela nel manipolare il tema della vendetta, decisamente poco conforme allo
spinto cristiano.
20 A. LOMMI
dalle lunghe battute dei due protagonisti, nelle quali trapela subito una sorta
di sdoppiamento d'intenti. Clitia si rivolge al forestiero con un linguaggio
tipico della tradizione cortese, attraverso una vera e propria captatio henevolen-
tie in cui, non a caso, spicca il termine pietà seguito, in chiusura del verso,
dal punto cardine del suo discorso: l'essere stata incauta. In altre parole, è
come se la giovane non solo chiedesse indulgenza per il proprio compor-
tamento, ma lo facesse alla luce della sua natura nobile e raffinata, caduta
vittima del sentimento amoroso che l'ha gettata in perdizione, spronandola
a prendersi licenze inopportune e a deporre l'abituale onestà. La risposta di
Pellegrino è dapprima contenuta, modulata in lunghi periodi costellati di
parallelismi e bisticci di parole^^, nei quali riprende in modo quasi speculare
i termini usati dall'interlocutrice {fiamma, scusa, prova'^ per stigmatizzarne
l'atteggiamento in realtà anticortese e in netto contrasto con l'immagine di
fragilità comunicata. L'accusa rivolta alla giovane è la peggiore per una
donna che si proclama innamorata: Clitia è rea di essere ingrata ed incapace
dipietate, e perciò destinata ad imminenti castighi.
Il tema dell'ingratitudine viene, da questo istante, assunto a vero e pro-
prio leitmotiv per il resto del dialogo e traccia un solco netto tra la fanciulla,
condannata per contrappasso ad adorare un amante irriconoscente invo-
cando inutilmente pietà, e Giberto, stanco di sterili lamenti e quanto mai
determinato a farsi rendere le lacrime ed i sospiri versati. I modi garbati e
cerimoniosi, nel frattempo, vengono gradualmente deposti lasciando spazio
alla disperazione della giovane (smaniosa di ottenere un poco di quella pol-
vere miracolosa che dovrebbe porre fine alle sue tribolazioni) e, soprattut-
to, all'impazienza di Pellegrino, che irrompe con tutto il suo sdegno, to-
gliendo quasi alla rivale la possibilità di interloquire . Tutto questo secondo
momento è dunque assorbito dalla lunga tirata contro l'ingratitudine delle
donne, chiaramente debitrice verso il noto episodio del canto XXXIV del
Furioso. Il personaggio di Giberto, ancora una volta, si palesa in tutta la sua
dimensione tragica: in attesa di ferire corporalmente Clitia ed il suo amato
^* Si vedano, ad esempio, le riprese insistenti di uno stesso termine mfaranno-faralla (w.
11 Q'IIV); porto- portato- portar {v. 116 e 778) e il bisticcio emanda- amando (822).
^^ Così come, più avanti, cortese ( v. 787 e v. 19A), premiar (y. 811) —premio (v. 812).
■*" Le battute di CUtia si riducono quantitativamente, arrivando a coprire anche un solo
verso (es. v. 824).
Introdu:<^one 21
con la mistura letale, egli vibra l'arma della parola, con un tono sempre più
impetuoso e frenetico, sottolineato dai frequenti enjambement, culminante
nella domanda dei w. 875-888. L'immutabile ritrosia della fanciulla spinge
il giovane ad interrompere bruscamente il discorso per correre, come pro-
gettato, verso l'attuazione della vendetta, non prima però di aver sfogato in
solitudine l'amarezza accumulata. Lo ritroveremo sul finale del quarto atto,
impegnato a zittire il rimorso interno per l'azione compiuta, ed infine
nell'ottava scena del quinto atto, dove finalmente depone la falsa identità e
si proclama con fierezza autore del delitto, giusto in tempo per scoprire la
verità e potersi cosi riconciliare con la famiglia.
Ungua e stile
Come già precisato nell'Introduzione a Lm Fantesca da me curata"", il Pa-
rabosco sceglie di adottare, nella sua unica commedia versificata, un metro
libero composto in prevalenza da endecasillabi (con l'aggiunta di tre sette-
nari, due dei quali vòlti a riprendere un proverbio ai w. 353-54); proprio
l'utilizzo del verso pare sottolineare la letterarietà che perv^ade in generale la
piece. In tal modo, pure nelle situazioni più colloquiali, malgrado l'utiHzzo di
frequenti enjambement, non si riscontra alcuna volontà di riprodurre la natu-
ralezza del parlato, che viene anzi accuratamente elusa grazie aUe espressio-
ni cristallizzate, costellate di inversioni e dittologie, distribuite tra tutti i per-
sonaggi ben oltre lo stretto retaggio degli innamorati. A questi ultimi e, in
particolare al protagonista, spetta sicuramente il primato nell'impiego di
lunghi monologhi alla maniera tragica, con invocazione alla morte ed ampH-
ficazioni retoriche, quantitativamente sviluppate in un buon numero di ver-
si e qualitativamente attente a raggiungere lo stile grave della tragedia, ricor-
rendo alle fonti poetiche più auliche a disposizione, Petrarca in primis.
Per quanto riguarda il registro linguistico della commedia esso è, come
nel resto della produzione drammaturgica paraboschiana, essenzialmente
una lingua di koinè settentrionale entro cui sono accolti moduli letterari to-
scani e componenti popolati e gergali, utilizzate come elementi di caratterizza-
zione di determinati personaggi. A differenza delle altre opere drammatiche
■♦' Cfr. G. Parabosco, Ltf R7/;/fj-ffl, Parma, Battei, 2005, p. 18.
22 A. LOMMI
tuttavia, i fattori estranei alla lingua letteraria non solo sono molto meno
accentuati, ma sono generalmente localizzabili nell'uso linguistico dei per-
sonaggi appartenenti aUe classi sociali inferiori. La motivazione, com'è faci-
le comprendere, va cercata nell'influsso operato sui dialoghi dalla lirica e
daUa trattatistica che, grazie ai precetti del Bembo e alle correzioni dei tipo-
grafi, lasciavano ormai scarso spazio all'eccentricità.
Sul versante fonetico, e precisamente sul piano del vocalismo, la nota
oscillazione tra monottonghi e dittonghi iel e, mio in posizione tonica è
mtt'altro che regolarizzata ". Prevale l'anafonesi in punto e punti, lingua, dun-
que e adunque, anche se non vcvànz^. f ameglio.
Settentrionale è pure la conservazione della e in protonia {reuscire) cui
fanno però riscontro le chiusure in / in dinar e ricitar, di influenza veneziana
o genericamente settentrionale sia la / di intrar e intramo, che l'esito di- (con-
tro il toscano do-) in dimanda {dimandarvi, dimandiate, dimandi ma domandate v.
1187).
Per ciò che concerne il consonantismo si registra naturalmente
l'alternanza tra consonanti intervocaliche scempie e geminate, con i relativi
fenomeni di ipercorrezione [labri, derata, avocato, ubidir,... contro creppo, pal-
la^, profumi..). Ipercorretto è altresì il mantenimento della sorda in scuto,
accanto all'esito anche veneziano di secreti ( e secretamente) e al cultismo loco.
Costituisce un problema grafico oltre che fonetico la presenza
dell'affricata dentale sorda"*^ al posto dell'affricata palatale'*'^ del toscano in
calt<^, mentre l'influenza del pavano è più riconoscibile nel suffisso dispegia-
tivo —afif^o (ad es. volga^, animalaf^^oY^ .
"*- Troviamo infatti yèra v. 242 ma znche^ fiera w. 819, 1806;yò^-(9 w. 359, 793 e. fuoco w.
90, 94, 163, 234; moia v. 390 e muoia v. 1540. Decisamente predominante la forma non dit-
tongata nel caso òì prova v. 209, 751, 772, 1567, 1836 (contro l'unica occorrenza ài. pruova v.
273), come in queUo di w/ w. 48, 441, 639, 661, 684, 1204, 1309, 1375, 1579 {vuoiw. 360),
cui tuttavia si contrappone vuol w. 637, 691, 1709 o vuole w. 145, 185, 251, 401, 580 {vói
solo al V. 1585). Compare unicamente dittongato /)n>§^/ w. 374, 830 mentre sono sempre
privi del dittongo còce v. 1729; mover \. 38 e moversi v. 582; nova w. 142, 160, 1091, 1439,
1550, 1754 e novev. 101; sèu, w. 390, 400, 428, 721, 1333, 1595; tòiw. 971, 993, 1018.
"*^ Altrove resa graficamente da //' come nei casi di gratia, disgratia, ringratio, Galitia, Clìtia,
spetiale, giustitia, mercati tia, inco stantia. . .
"^ Per la quale, come per 1m Fantesca., compare la grafia di probabile derivazione tosca-
na in basciole (lett. dedicatoria), bascio (v. 1069), basciami (1218).
■*^ A se stante, com'è noto, impa:^ di origine provenzale (Cfr. DELI, da empachar).
Introdun^one 23
Estraneo al fiorentino letterario è pure il mantenimento di —ar- atono in
hostaria^ maraviglia^ mattara^^o e sono riconoscibili quali forme genericamente
settentrionali ^/i?a:?'o (ghiaccio), simia, guan:(a, crudei, smenticato, danari:^,...
Lessicalmente è probabile l'influenza dialettale \nf0Tv2ent0, più incerta in-
vece nel caso di stropiata, appartenente anche alla tradizione letteraria.
Morfologicamente permangono forme anomale quali dui, traditora, labri,
come una certa alternanza tra voci apocopate e i rispettivi cultismi (es. merce
I mercede).
Il verbo stesso presenta una discreta quantità di forme quali potressimo
(potremmo), avesti (aveste), devresti (dovreste), mane^iarete, mandare, andarai,
parlarai, disse (dissi), intramo (entriamo), concludi (concluda, con l'uscita in -/ al
congiuntivo presente di un verbo di II coniugazione rifatto analogicamente
sui verbi di I), sii (sia t\ji),fusse (in cui convergono fiorentino quattrocente-
sco e influsso settentrionale).
La vera e propria caratterizzazione dei personaggi popolari è mttavia af-
fidata all'uso cospicuo, caro al Parabosco e in generale aUa tradizione comi-
ca, di frasi proverbiali e paragoni popolari. Il catalogo è piuttosto ampio e
l'autore passa con disinvoltura dai più inconsueti {l'amor non s'ha caro / Col
qualsifa lo Avaro; essere peggio che ilfien bagnato; essere come dente e gengiva; occhi di
civetta..) a quelli ormai consolidati {un fior solo non fa Primavera; odorare di latte;
partir col naso in mano; portare polli; empire il fuso; giocar di borsa..), focalizzando
l'attenzione soprattutto suUe locuzioni mutuate dalla letteratura di stampo
burlesco, a cominciare dal Morgante {aver sul calendario; voler la berta; non stimare
un fico, ...).
Da segnalare invece una riduzione, rispetto alle altre commedie del pia-
centino, nella menzione di luoghi veneziani (qui condensati nell'accenno a
S. Marta, S. Apostolo e S. Trovaso, e nei nomi delle osterie) e nell'utilizzo
del gergo furfantesco, invece esuberante ne J^a Fantesca . Il furbesco entra
nel dramma in oggetto attraverso un paio di pennellate rapidissime, facil-
mente assorbite nella compagine dell'opera, Limitate quasi sempre alla figura
del bravo (che le sfoggia nelle scene quinta e nona del quarto atto); sono
oltre tutto vocaboli non estranei alla letteratura e ampiamente attestati nei
repertori gergali, trattandosi dei lampanti (denari), trucca (scappa, corri) e
^^ Cfr. G. Parabosco, La Fantesca, op. cit., pp. 39-40.
24 A. LOMMI
calcosa (strada), ai quali va aggiunto j?/^ (ha paura), esibito però dal servo Fi-
nocchio .
Del resto anche questi aspetti denunciano chiaramente la volontà da
parte del nostro autore di comporre una commedia nuova, in grado di di-
stinguersi tematicamente e stilisticamente dalla tradizione del genere, com-
piacendo in tal modo un pubblico raffinato ed esigente, ormai orientato
verso una drammaturgia ibrida.
/ ¥ idi Amanti di Francesco Podiani
Incentrata sul tema della fedeltà d'amore, così caro alla letteratura del se-
condo Cinquecento da figurare in numerose titolature di poemi e di opere
teatrali"*^, la commedia 7 Vidi Amanti rappresenta probabilmente il debutto
del Podiani sul fronte delle opere sceniche .
Composto forse qualche anno prima, il testo venne pubblicato nel 1 599
grazie all'interessamento dell'amico Orazio PerineUi, mentre il suo schivo
"^^ Per approfondimenti di carattere teorico inerenti al furfantesco si rimanda ad A. Pra-
ti, Voci di gerganti, vagabondi e malviventi studiate nell'origine e nella storia^ Pisa, Giardini editori e
stampatori, 1978 (nuova edizione accresciuta rispetto la prima del 1940), e alle indagini lin-
guistiche dell'Ageno {A proposito del «Nuovo Modo de intendere la lingua ^erga», "GSLI", 135,
1958, pp. 370-391; Un saggio di furbesco del Cinquecento, "SFI", 17, 1959, pp. llX-lòl; Ancora
per la conoscent^a del furbesco antico, "SFI", 18, 1960, pp. 79-100; Tre studi quattrocenteschi, "SPI",
20, 1962, pp. 75-98; Studi lessicali, a cura di Paolo Bongrani, Franca Magnani, Domizia
Trolli, Bologna, Clueb, 2000).
■*^ Basti pensare al poema di Curtio Gonzaga, IlFidamante, Mantova, 1582 (edizione cri-
tica a cura di E. Varini e I. Rocchi con Prefazione di A. M. Razzoli Roio, Roma, Verso
lArte, 2000), o a commedie quali: Alessandro Piccolomini, L'Amor costante, Venezia, 1536;
Raffaello Borghini, La donna costante, Firenze, 1578; Luigi Pasqualigo, // Fedele, \'^enezia,
1576; Tomaso Canati, L'amor fedele, Vicenza, 1608; o, ancora, al PastorFido del Guarini, Ve-
nezia, 1590.
■♦'^ Questo per ciò che concerne le opere di sicura attnbuzione giunte sino a noi, poiché
pare che già nel 1582 il giovane Francesco avesse composto una commedia. La catena, rap-
presentata a casa di Guido della Corgna; tutta\ia non solo del testo non esiste più traccia
ma Anodante Fabretti nelle Cronache della città di Perugia lo attnbuisce a Mano Podiani (cfr.
Francesco Ugolini, Il perugino Mario Podiani e la sua commedia <d Megliacci», Perugia, Presso
l'Istituto di Filologia Romanza, 1974, pp. 110-111).
Introdutrione 25
•V
autore solo successivamente si sarebbe dedicato alla stesura di altre due
commedie, Gli schiavi d'amore (1606) e Malia d'Amore (1618).
Francesco Podiani, nipote del ben più famoso e irruento Mario ", era na-
to a Perugia nel 1551.
La sua vita, appartata, probabilmente circoscritta entro la città natale,
non offre spazio a molte informazioni biografiche^' e la difficoltà di repe-
rirne corrisponde, del resto, alla scarsezza di componimenti per\^enutici: le
sole opere certe sono proprio le tre commedie e anch'esse, a dispetto del
successo riscosso durante le loro rappresentazioni, sono attualmente cadute
in totale obHo.
La commedia esordiale dimostra di essere perfettamente consonante al
gusto affermatosi in quei decenni in àmbito comico e destinato, di lì a po-
co, a trovare la sua espressione più esauriente nella pastorale e nella teoria
tragicomica del Guarini. Come nelle opere del conterraneo Sforza Oddi,
anche / Fidi Amanti, nello spazio degH ormai canonici cinque atti e nel ri-
spetto delle unità aristoteliche, amalgamano "elementi tratti propriamente
dal repertorio buffonesco dei pedanti, degli spacconi, dei servi e delle ruf-
fiane, con elementi di ispirazione romanzesca e patetica che mettono in
primo piano la moralità dei sentimenti e degli affetti" ".
Il giovane Erminio Salidori, secondo il racconto personalmente rivolto
all'amico e servitore Valerio in apertura dell'opera, è nato da una famiglia
5" Mario Podiani, autore della commedia IMegliacà (1530), fu protagonista della cosid-
detta 'Guerra del Sale', l'aspra contesa scoppiata tra Paolo III Farnese e la città di Perugia
(di cui Mario era cancelliere), attorno a un nuovo balzello sul sale, tra il 1539-1540; essa
costò al Podiani l'esilio dalla città natale.
5' Figlio primogenito di Giovan Paolo Podiani, fratello di Mario, seguendo l'esempio
paterno entrò a far parte dell'Accademia degli Insensati (Accademia perugina, risalente
com'è noto al 1546 o '61, e comunque già estinta nel 1725. Di essa mi pare interessante
ricordare il motto scelto dagli affiliati: "\'el cum pondere", accompagnato dall'impresa raf-
figurante uno stormo di gru volanti sopra il mare, aventi ciuscuna un sasso legato alla
zampa, a sottolineare la volontà di ergersi nella contemplazione delle cose celesti nono-
stante il peso dei desideri terreni: cfr. Michele Maylender, Storia delle Accademie dltalia, Bo-
logna, Arnaldo Forni Editore, 1926-30, voi. III). Si sposò poi con una non meglio precisa-
ta Piccarda e ricoprì diversi uffici, da Direttore del Comune a Saxno preposto allo studio.
Morì a Perugia il 21 gennaio 1621.
52 Cfr. F. Tateo, La letteratura della ControriforT»a, in AA.V^'., Storia della Letteratura Italia-
na, diretta da E. Malato, Roma, Salerno Editnce, 1996 (edizione 2005), voi. IX, p. 156.
26 A. LOMMI
nobile ma povera e, dopo essere rimasto precocemente orfano di entrambi
i genitori, capitando a Genova si innamora perdutamente di Olinda. Tro-
vandosi ricambiato, decide di domandarne la mano al padre, dal quale però
sarà respinto a causa deUe sue origini forestiere; nel frattempo Erminio, a-
vendo trasgredito alle leggi genovesi per aver duellato contro un nobile,
viene condannato dapprima a morte, poi viene legato su di una barchetta
ed abbandonato in balia delle onde. Alla sventurata Olinda, per scampare
alle nozze orchestrate dal padre, non resta che fuggire dalla città e tentare il
suicidio in mare, sventato provvidenzialmente dal fido servo Valerio che
decide di approdare a Salerno per rispedire la fanciulla alla famiglia. Proprio
alla corte salernitana i due sfortunati amanti finiscono per incontrarsi, poi-
ché anche Erminio era lì approdato ed era stato accolto dal Principe, dive-
nendone in poco tempo un uomo di fiducia.
Se le avversità dell'antefatto sembrano finalmente appianate, una nuova
preoccupazione si profila all'orizzonte ed allunga la sua ombra sulle sorti
della coppia: il Principe in persona si invaghisce di Olinda, ed Erminio ini-
zia ad essere tormentato da atroci dubbi sui sentimenti che lo legano alla
promessa sposa ma, al contempo, anche al suo signore attraverso un vinco-
lo di riconoscenza e lealtà. Concordi nel celare il loro segreto, i due giovani
si trovano in tal modo impigliati entro una rete di complicati rapporti, ordi-
ta dai numerosi personaggi secondari, a partire dalla cortigiana Aknira che,
in parte allettata dallo stesso Erminio, non sa rassegnarsi a perderlo e pro-
clama vendetta, o dal cortigiano Lelio, infatuato di Olinda al punto di pro-
gettarne il rapimento. Nella fabula già piuttosto intricata si inseriscono inol-
tre i raggiri del servo Farina, le velleità amorose del procuratore Pancrado e
le grullerie del suo cliente Sambuco. L'azione sembra precipitare sotto i
colpi di diversi accidenti, culminanti nell'arresto di Erminio, e solo l'arrivo
inaspettato di Alidoro (il padre di Olinda) permetterà all'irato Principe di
apprendere la verità; mosso a compassione, egli consentirà finalmente alle
nozze dei protagonisti.
Nonostante la trama offra non pochi episodi faceti, edificati sugli stilemi
più frequenti del genere comico (le beffe e gli equivoci verbali) ciò che ca-
ratterizza I Fidi cimanti è dunque la vena aw^enturosa e patetica insinuatasi
nell'intrigo, sorretta da un tono grave e denso di echi letterari. Archiviati i
Introdut(ione "2.1
più abituali pretesti romanzeschi, di cui gli antefatti di numerose commedie
rinascimentali erano affollati, l'autore dilata il pathos moltiplicando le situa-
zioni e gli intrighi, sogguardando, come molti suoi colleghi, a "fonti nuove
e vive, meno consunte dall'uso scenico tradizionale" ^\ Per plasmare la sua
opera il Podiani attinge a piene mani dai repertori più svariati: dalla novelli-
stica, ai cantari, da commedie e tragedie, ai poemi dell'Ariosto e del Tasso.
In generale non è comunque agevole riuscire ad accertare la fonte precisa di
ogni motivo, data la vasta diffusione delle tematiche nelle opere teatrali co-
eve, molto spesso di difficile datazione a causa di una circolazione scenica o
manoscritta che precede la pubblicazione vera e propria, e tutte dunque re-
ciprocamente contaminate.
Ciò premesso, possiamo sicuramente parlare di una stretta familiarità
con la seconda novella della quinta giornata del Decameron, costituente per la
commedia in oggetto l'antecedente più significativo, a partire dall'intreccio
romanzesco, dominato dalla forza di Amore che sa tener testa alle avversità
della fortuna e alle insidie umane. Così, come nella vicenda di Martuccio e
Gostanza, analogamente ostacolati dalla disuguaglianza economica, i prota-
gonisti de / Fidi Amanti troveranno nella frenetica successione degli a^^^e-
nimenti un sostegno determinante per la legittimazione del loro affetto. Il
Podiani opera tuttavia un capovolgimento della novella del certaldese e,
prolungandone gli accidenti, pone nella barchetta priva di vele o timone,
non l'eroica fanciulla ma Erminio, reo, come abbiamo anticipato, di aver
combattuto in duello contro un nobile e di averlo ferito. Sarà poi la tenacia
stessa del sentimento amoroso a spingere OHnda, novella Gostanza, a cer-
care la morte tra le onde per seguire la cattiva sorte dell'adorato che crede
perduto^"*.
Sulla fonte boccacciana il Podiani ha in realtà innestato degH elementi
eterogenei, cominciando dagli influssi appartenenti ad una tradizione novel-
listica più recente, che dovevano risultare ben più accattivanti e quindi con-
geniali al pubblico del tempo. Dalla storia di Romeo e Giulietta, ad esem-
^^ Cfr. G. Ferroni, Edonismo e moralismo cortigiano nelle commedie delBorghini, op. cit., p. 259.
^^ Un'eroina paraboschiana, la Cornelia del Viluppo, respinta da \'alerio, aveva invece
finto di essere annegata per poter poi travestirsi da maschio e, sotto la nuova identità di
Brvmetto, porsi al servizio dell'amato (cfr. Parabosco, // Viluppo, atto 1, scena 7).
28 A. LOMMI
pio, sia essa tratta dalle Novelle del Bandello (II, 9) o dalle fonti della stes-
sa", il nostro autore ricava i leitmotiv dell'esilio del protagonista accusato di
aver ucciso (nel nostro caso, come abbiamo detto, solo ferito) un suo con-
cittadino, e le nuove nozze a cui i genitori vorrebbero piegare la fanciulla.
Allo stesso modo, nel corso della commedia, il ricordo degli amanti resi ce-
lebri da Shakespeare riaffiora nell'episodio della "morte apparente" di O-
linda, accasciatasi al suolo priva di sensi per la dolorosa sorpresa di essere
fuggita con l'amante sbagliato, e lungamente pianta da Erminio.
Il tribolato passato del protagonista invece può procedere da memorie
anteriori, addirittura dalle avventure di Giuseppe narrate nella Bibbia ':
Erminio possiede saggezza e capacità sufficienti a consentirgli di acquisire
in breve tempo un posto importante a corte, come era accaduto all'eroe e-
braico che, dopo essere stato venduto dai fratelli invidiosi, schiavizzato ed
incarcerato, giunge ad essere viceré d'Egitto. L'abbandono nelle acque, in-
fine, è rintracciabile sia in un altro episodio bibHco, quello di Mosè , sia nel
cantare de ha legenda di Vergogna^^ come nel romanzo cavalleresco
às^Amadis de Gaulà''\ e in numerosi poemi, da-WEneide^'^ 'àl^ Innamoramento
^^ Il Bandelle a sua volta, com'è noto, l'aveva mutuata dalla Storia di due nobili amanti del
vicentino Luigi da Porto, ma fonti ancora anterion possono essere rintracciate nella Novella
di Vannino e Montanina di Gentile Sermini e in quella di Mariotto e Gianna:;^ di Masuccio.
Per approfondimenti a riguardo si rimanda a Letterio Di Francia, Novellistica, Milano, V-A-
lardi, 1925, voi. II, p. 44.
'^^ Bibbia, Genesi, 37-50, in particolare 4L
^^ Bibbia, Esodo, 2, 2-10.
'^'^ Cfr. Cantari novellistici dal Trecento al Cinquecento, a cura di E Benucci R. Manetti F. Za-
bagli, Roma, Salerno, 2002, p. 217: "la novella narra, in 92 ottave suddivise in due cantari,
di un ricco barone di Aragona che, rimasto vedovo, seduce sotto l'influsso del demonio la
figlia rendendola madre di un figlio maschio, battezzato con l'eloquente nome di \^ergogna
(...). Per liberarsi della scomoda presenza, i due protagonisti, dopo aver adagiato il fanciullo
in una na\'icella ed avergU legato al collo la scritta denunziante il nome e la nobile origine,
10 affidano alle acque".
^'^ Come, naturalmente, nel relativo poema Amadigi dd Bernardo Tasso (\^enezia 1560).
11 protagonista, figlio di Perion, leggendario re di Gaula, e della bella Elisena, è abbandona-
to alla nascita su di una barca. Allevato dal cavaliere Gandales, una volta cresciuto inizierà
ad indagare sulle sue origini, affrontando svariate imprese ed avventure.
'''^ Ovviamente per il personaggio di Camilla (cfr. Virgilio, /Eneis, XI, w. 551-580).
Introdut^one 29
de Orlando^', al ¥idamanté'' del Gonzaga. Anche se nel nostro caso si tratta di
un adulto e non di un neonato, può servire a richiamarne le origini nobili.
Passando dall'antefatto all'azione scenica vera e propria, un certo paral-
lelismo può essere individuato con la storia à^WErofilomachia di Sforza Od-
di, composta nel 1572: il genovese Leandro vive un angosciante conflitto
fra amore ed amicizia, per i conterranei Erminio ed OKnda spostato sul ter-
reno della lealtà al Principe anfitrione, ma analogamente tradotto in un rap-
porto conflittuale con il potere assoluto verso il quale avvertono un marca-
to asservimento psicologico che H spinge più volte alla rinuncia del loro
stesso legame. Come nell'epilogo deWErq/ìIomachia, anche ne / Fidi Amanti
"prevale alla fine la liberalità del Signore, obbligato - secondo i moduli più
in voga della trattatistica politica - a distinguere la sua figura da quella del
tiranno e quindi mostrare ai propri sudditi la sua magnanimità proprio allo
scopo di conservare il potere" .
Per concludere, pure il rapimento di Olinda concertato da Lelio, attra-
verso il particolare della scala di corda utilizzata dal cortigiano per scalare il
muro fino alla stanza della fanciulla, è un topos sfruttatissimo, già presente
nel cantare di Ippolito e Diadora .
Dalla tradizione letteraria, il Podiani non ricava solo un generico inven-
tario di episodi da ricucire per ottenere un trama originale ma, soprattutto,
sa estrarre dei motivi poetici i quali, con le loro diverse sfumature, saranno i
primi responsabili della trasformazione del registro comico.
^' Galaciella, figlia illegittima di re Agolante, convertita al cristianesimo per amore di
Ruggiero II di Risa, dopo che il marito è stato ucciso durante l'assalto della città (causata
da Beltramo, fratello dello stesso Ruggiero e suo traditore), viene fatta pngioniera e, incin-
ta, è messa in mare su una fragile barca; lasciata alla deriva, approderà in Libia, dove mori-
rà di parto dando alla luce due gemelli: Ruggiero e Marfisa (cfr. Boiardo, hiamoramento de
Orlando, II, I, ott. 70-73; III, V, ott. 33-34).
^'2 II protagonista, Austrio-Gonzago-Fido Amante, aggrappandosi alle vesti della madre
Sulpitia mentre questa si lascia cadere dall'alto di una torre, viene trascinato nelle acque del
Mincio e provvidenzialmente salvato dalle Ninfe (cfr. Gonzaga, Fidamante, VII, ott. 101-
103).
^^ Francesco Tateo, l^a letteratura della Controriforma, op. cit., p. 157.
''■* I due amanti, appartenenti a potenti famiglie fiorentine da tempo ostili, dopo varie
traversie, "concludono un patto matrimoniale, decidendo di consumare l'unione la notte
seguente (...) nella camera di Diadora, che Ippolito dovrà raggiungere arrampicandosi con
l'ausilio di una scala di corda" (Cfr. Cantari Novellistici, op. cit., p. 512).
30 A. LOMMI
Ecco allora che, per restituire allo spettatore tutta la passione amorosa
dei due sfortunati amanti anche nel colmo della disavventura, l'autore si ri-
volge al secondo canto della Gerusalemme Uberata, come Curzio Gonzaga
aveva fatto qualche anno prima per narrare la vicenda di Giulia e Arione
nel XXIX canto del suo Fidamante^^ Nella scena decima del quinto atto, in-
fatti, Olinda (che dal Tasso deriva finanche il nome, sia pure volto al fem-
minile^'^'), alle guardie impegnate ad arrestare l'amato, offre in cambio la sua
cattura, dando vita ad una gara di liberalità nella quale ciascuno dei due
contendenti vuole risparmare all'altro il dolore e la prigionia ' . Il ritmo della
scena è molto lento, essendo essa quasi del tutto priva di azione fino
all'intervento provvidenziale del bargello incaricato di rilasciare Erminio, e
dunque lontano dalla concitazione dell'episodio della Uherata e decisamente
più prossimo, sotto questo aspetto, all'atmosfera rarefatta del brano del ¥i-
damante; tuttavia le battute, nelle quali si accumulano le negazioni a sottoli-
neare l'estrema forza del loro sentimento {non ho altro che più mi prema; sent^a
voi non posso vivere; non mostrar segno d'estremo dolore; per non vedere; fosse mio lo
stratio, e non vostro...) e, soprattutto, la loro innocenza (non v'ha colpa; non sono
io homicida, né traditore (...) non ho io trattato contra la vita (...) non ho commesso ac-
cesso..), risentono marcatamente del tono grave ed elegiaco caratterizzante
Olindo nel poema tassiano, anche se, sul finire del XVI secolo, gli accenti
moUi e sensuali con i quali il Tasso intavolava il lamento amoroso del suo
''^ L'eroe Gonzago, giunto a Menfi, libera i due giovani destinati ad essere dati in pasto
al coccodrillo per superare l'incanto della Fede. Come i tassiani Olindo e Sofronia, en-
trambi sono disposti a sacrificarsi per risparmiare all'altro il supplizio (cfr. C. Gonzaga, //
Fidamante, XXIX, ott. 54-98). Sulle analogie e differenze, soprattutto stilistiche, riscontrabi-
li tra i due poemi, cfr. A.M. Razzoli Roio, Da Ariosto a Tasso: il Fido Amante di Cur^o Gontiia-
ga, in AA.VV., Curr^o Goni^aga fedele d'amore letterato e politico, Roma, Verso l'Arte, 2000, pp.
29-58.
^^ Come, del resto, la matrona Soffronia e lo stesso Erminio. Il nome di Almira è inve-
ce in assonanza con quello dell'Armida tassiana e deU'Alcina ariostesca, a conferma
dell'influenza esercitata dai poemi sulla commedia del Podiani.
^'^ Sul versante teatrale l'antecedente più significativo per tale situazione è da ricercarsi
neVCAmor Costante del Piccolomini, precisamente nella terza scena del quinto atto, quando il
racconto del confessore Fra Cherubino restituisce indirettamente al pubblico la sconcer-
tante gara di generosità a cui danno vita i protagonisti Ginevra e Ferrante, sorpresi da Gu-
gUelmo e perciò "condannati" all'avvelenamento (cfr. VìccoXomìm, Amor Costante, V, 3).
Intrvduf^ofie 31
protagonista^'**, cedono il posto all'importanza di "amare un solo, d'honesto
e santo amore"''^, destinato ad essere coronato dalle nozze.
Un altro celebre episodio della Gerusalemme aleggia tra le pagine de / ¥idi
Amanti: quello del canto XVI, recuperato attraverso i lamenti della cortigia-
na Almira, invaghita di Erminio e, dopo l'arrivo di Olinda a corte, definiti-
vamente da lui trascurata. Il topos dell'abbandono, presenza costante nei po-
emi e nelle tragedie del Rinascimento e destinato ad un massiccio sfrutta-
mento nei melodrammi dei secoli successivi, non viene qui trattato con uno
spessore psicologico paragonabile a quello del Tasso ed, anzi, si cerca quasi
di contenerne l'impatto mediante i commenti sarcastici della serva Concor-
dia; eppure il discorso con il quale la cortigiana per la prima volta accantona
la propria arte e mette a nudo l'anima, professandosi fedele e casta per a-
more, segue molto da vicino il pathos delle dichiarazioni rivolte da Armida a
Rinaldo. Ne condivide infatti gli accenti di sincera disperazione e la fragilità
della donna innamorata disposta a tutto pur di non perdere l'amato. Il vero
e proprio confronto tra Almira ed Erminio viene preparato fin dalla terza
scena del primo atto, dove la cortigiana confessa a Concordia di non riusci-
re né a dimenticare l'oggetto del suo amore né a seguire lo stile di vita con-
dotto prima di averlo conosciuto. Le battute di Almira contengono già mol-
ti indizi significativi, che la accomunano aUe diverse eroine protagoniste di
analoghi tradimenti ed abbandoni; a volte si tratta di una specifica allusione,
come nel caso di Olimpia ed Arianna, evocate dall'accenno ai "Bireno cru-
dele e Teseo traditore" ^^^, mentre in altri casi è il motivo di fondo a suscitare
il ricordo di Armida o, soprattutto qui, quello di Didone abbandonata
dall'ingrato amante cui si era completamente votata ("(•••) capitò qui in Sa-
lerno alla corte, smorto, sparuto, e forse allhora scampato di galera"; "(...)
subito l'accarezzai, l'honorai, lasciai ogn'altro, e gli feci offerta delle poche
^'^ Non a caso espunti, con tutto l'episodio, dalla Gerusalemme Conquistata.
(''^ Cfr. Podiani, I Fidi Amanti, atto 5, scena 10. Il clima della commedia si allontana sen-
sibilmente anche dal Fidamante poiché, se pure il Gonzaga era rimasto "più rigido, defilato
nspetto agli accenti morbidi, sensuali" del Tasso, qui manca completamente la dimensione
corale presente nel poema, come il motivo del doppio travestimento che "mo\amenta il
concatenarsi dei fatti" (cfr. A.M. Razzoli Roio, Da Ariosto a Tasso: il Fido Amante di Cur^o
Gont(aga, op. cit., p. 37).
■"' Cfr. Podiani, 7 Fidi Amanti, atto 1, scena 3 e relative note. Ricordiamo che la mede-
sima allusione è presente anche ne La Pellegrina del Bargagb, atto V, scena 4.
32 A. LOMMI
facoltà ch'io godeva, e di me stessa'"'). Quando si trova finalmente a fron-
teggiare lo sfuggente giovane, spese inutilmente le formule più consuete
dell'aspide sordo, della piaga mortale, del cuore degno della crudeltà di una
tigre, Almira cerca di trattenerlo afferrandogli la cappa e supplicandone la
pietà; come Armida si dichiara colpevole ed abietta, ma incapace di dimen-
ticarlo al punto di essere pronta a portare "volontieri tutti gli affanni, gli
stenti, e le miserie del mondo"'^^, e addiritmra si impegna a perseguire la
strada della castità e continenza pur di restargli accanto. Ad ulteriore con-
ferma della parentela con la Gerusalemme Uberata, tra le varie esortazioni in-
dirizzate ad Erminio, ecco spiccare ancora una volta la remimscenza tassia-
na in quel "tu sei l'idol mio" '^, che dal Petrarca procedeva nel poema. Dalla
celebre maga, come dalle tragedie del periodo, vengono recuperate pure le
invettive con le quali Almira finisce per schernire Erminio, e la volontà di
vendicarsi per placare lo sdegno divampatole nell'anima. Sottolinea dunque
il muro d'inimicizia ormai eretto tra loro {capitalissima nemica; ti son nemica io;
tu più che mai mi sarai inimico..}) e sfoga il furore accumulato in una intensa
enumerazione di epiteti negativi {perfido, iniquo., d'animo basso., brutto., plebeo e
poi ancora barbaro crudele, sen^ pietà e sent^afede). Infine, conformemente alla
consueta dicotomia della donna fedele e 'positiva' la quale, abbandonata, si
consuma nel dolore e giunge al suicidio ' , e di quella 'negativa' che reagisce
perseguendo la vendetta''^, la cortigiana propende per quest'ultima strada,
innescando a danno dei due protagonisti una vorticosa spirale di bugie, in-
seguimenti, denunce, sovente in procinto di ritorcersi su gli stessi artefici: a
^' Ibidem.
^2 Cfr. Podiani, 7 Fidi amanti, atto 3, scena 4.
^^ Ibidem.
^"' Ci si riferisce, ad esempio, alla figura di Didone (cfr. \^irgilio, JEneis, lY; Ludcxàco
Dolce, Didone. Tragedia di M. L. Dolce, Venezia, 1547, dispombile nell'edizione cntica curata
da S. Tomassmi, Ludovico Dolce, Didone. Tragedia, Parma, Edizioni Zara, 1996; Alessandro
Pazzi, Didone (1524 versione manoscritta) edita da A. Solerti, he tragedie metriche di Alessandro
Pas^:^ de' Medici, Bologna, Romagnoli-Dell'Acqua, 1887 (ristampa anastatica Bologna,
Commissione per i Testi in Lingua, 1969); Giovan Battista Giraldi, Didone (1541-42) pub-
blicata postuma a \'^enezia, Cagnacini, 1583; Cristopher Marlowe, Dido, Queen of Carthage,
1587); inoltre ci si riferisce alla figura di Sulpitia ne II Fido Amante di Curtio Gonzaga, Man-
tova, 1582, canto VII.
^^ Come appunto Armida nel canto X\'I della Gerusalemme Uberata o, ancor prima, AI-
cina nel canto \TI del Furioso (e nei Cinque canti).
Introdutnone 33
*v
questo proposito la sen^a Concordia è assillata dall'idea di "aver un piede
già nel trabocco" ^'^' ed il complice Farina teme di "incappare in qualche lac-
ciuolo"''.
Come si sarà intuito, l'intensità patetica degli episodi consiste dunque
proprio nell'intreccio di elementi eterogenei, la maggior parte dei quali è de-
sunta da generi estranei a quello comico 'tradizionale'. Se nei passi accenna-
ti è la forza drammatica e la suggestiva teatralità del Tasso ad offrire un
campionario di motivi con cui plasmare i dialoghi ed i monologhi ben oltre
lo stretto retaggio degli innamorati, altrove sono dei loci più propriamente
tragici a confluire nell'azione scenica. In questo processo l'innovazione
permea anche i personaggi secondari, mostranti chiaramente l'influsso della
trasformazione in atto. Nella prima scena, ad esempio, con l'entrata del
protagonista viene presentato al pubblico anche Valerio, servitore di Olinda
e fedele ad entrambi 'i fidi amanti': il suo ruolo, conforme a quello tradizio-
nale del consigliere della tragedia, è quello di raccogliere lo sfogo dell'eroe,
esortandolo a non abbandonare la speranza. Il servo infatti dimostra subito
di possedere una buona dose di prudenza e moderazione, indispensabile
per contenere il sentimento spesso privo di ragione di Erminio; così già nel
dialogo introduttivo, disposto attorno al tema dell'iniquità della fortuna
(riaffiorante ciclicamente in numerosi altri punti del dramma), Valerio inco-
raggia il giovane a non demordere e ad operare efficacemente per trionfare
sul destino avverso. Il suo intervento si rivelerà decisivo anche in altre si-
tuazioni, poiché gli sarà affidata la missiva contenente le istruzioni per la
fuga da corte e, soprattutto, nel momento in cui Olinda verrà trovata priva
di coscienza in strada, impedirà ad Erminio di compiere gesti esasperati
credendola morta, e di esporsi ad inutili pericoli .
Un ulteriore e significativo esempio è incarnato da Soffronia, evidente-
mente modellata sulla figura della nutrice della tragedia classica, filtrata
dall'esperienza degli scrittori del Cinquecento. Secondo il canone tragico, a
Soffronia il Podiani affida la funzione di controcanto nei confronti della
""^ Cfr. Podiani, 1 Vidi amanti, atto 3, scena 8.
^^ Cfr. Ivi, scena 9.
''*' Uno dei motivi abituali al più sublime dei generi, spesso mutuato anche nella com-
media per dare consistenza alle scene lagnmose degli innamorati.
''^ Cfr. Podiani, I Fidi Amanti, atto 4, scena 11.
34 A. LOMMI
protagonista ed il dialogo tra le due donne potrebbe costituire appieno la
scena d'apertura di una tragedia ^\ se non venisse rinviato all'inizio del se-
condo atto, quando lo spettatore già si è potuto avvalere del racconto di
Erminio per ricostruire il complicato antefatto. Non a caso anche in esso
ritroviamo numerose risonanze tragiche: l'abbandonarsi al racconto delle
proprie sventure per lenire il dolore, il legame materno a\^ertito da Olinda
per la sua interlocutrice, la "perfidia della sorte nemica", l'invocazione della
morte e il conseguente monito sulla viltà di voler porre fine alla vita anziché
combattere le forze ostili.
L'ultimo esempio di figura tragica lo incontriamo sul finale della com-
media^': si tratta del padre di Olinda, Alidoro, evocato in apertura
dell'opera con tratti dispotici e privi di compassione; il pubblico si trova in-
vece a fronteggiare un individuo anziano, probabilmente róso dal rimorso,
che a dispetto dell'età avanzata ha deciso di affrontare un lungo \'iaggio alla
ricerca della figlia; abissalmente lontano dal personaggio comico del vec-
chio, il suo monologo è infarcito di dolore, di pianto, di "soverchia pena" e
di invocazioni alla morte, quasi come debito castigo per il suo antico dinie-
go. Sarà proprio il suo inter\^ento, grazie anche all'aiuto del maggiordomo
Manfredo, a risultare decisivo per placare l'ira del Principe e procedere fi-
nalmente verso un epilogo favorevole.
Archiviati i personaggi e le fonti, restano da analizzare le tematiche at-
torno alle quali ruota la vicenda, anch'esse desunte da un campionario tra-
gico: il tema de\ìa.Jìdes (vivo soprattutto in Olinda, poiché Erminio pareva
inizialmente aver trovato un motivo di consolazione in Almira) e quello
della sottomissione politica e sociale alla volontà di un Principe, evocato so-
lo verbalmente ma consistente minaccia per i due protagonisti.
^" Secondo il modello che, da La Sophonisba del TrissLno, diventa "un vero e proprio lo-
cus communis di tanto teatro tragico cinquecentesco, fino agli esiti estremi del Torrismondo e
della Merope" (cfr. Teatro del Cinquecento, Lm tragedia, a cura di R. Cremante, ]Milano-NapoLi,
Ricciardi, 1997, p. 264). Per l'analoga posizione del dialogo con la nutrice, si prendano
come esempi VOrbecche giraldiana, che lo propone propno all'inizio del secondo atto, e la
Tullia del Martelli, che lo nn\na invece di qualche scena.
^' Podiani, 1 Fidi A.mantt, atto 5, scena 9.
In^rodus^one 35
Infedeltà d'amore
La commedia del Podiani, come abbiamo già più volte accennato, ruota
essenzialmente attorno al tema della fedeltà d'amore, che infiamma la pen-
na di numerosi scrittori del periodo, a partire da Curzio Gonzaga che alle
"virtù dell'amante fedele" e "alle durissime prove cui il protagonista si sot-
topone per dimostrare la sua «perfetta fedeltà»" " dedica un intero poema: //
Fidamante.
Il recupero della virtm muliebre di stampo umanistico, il binomio di casti-
tas e fides, un certo neoplatonismo (più che mai vitale in periodo controri-
formistico) sgominante l'eros edonistico rinascimentale, si avvertono già nel
colloquio d'apertura tra Erminio e Valerio. Apprendiamo infatti come
l'innamoramento del protagonista sia avvenuto seguendo i dettami più ri-
correnti della tradizione letteraria: gli "occhi vaghi" della fanciulla (che non
ci viene descritta in nessun altro particolare fisico, a differenza del dettaglia-
to ritratto costruito dal Parabosco per Lavinia), con un "fiero impetuoso
assalto" accendono la poderosa scintilla in grado di gelare e bruciare il cuo-
re del giovane; OHnda, di fronte a tanto sentimento, si trova costretta a ri-
cambiare e fra i due inizia a configurarsi il casto desiderio di unirsi in ma-
trimonio. Da tale istante l'elemento determinante del dialogo e dell'intera
opera è rappresentato proprio dalla "fede" scambiata tra i due all'insaputa
di tutti (persino del devoto Valerio) e che inizia ad essere assalita da una se-
quela di forze ostili.
Solitamente retaggio di una produzione narrativa, questo motivo con-
duttore dell'amore contrastato, costretto a dover superare diverse traversie
per dimostrare la sua reale forza, pare per prima cosa sottolineare una certa
divergenza tra l'antefatto, in cui le "prove" da superare sono pericoli tangi-
bili (la mancanza del consenso paterno, il duello e la condanna a morte,
l'approdo in una terra lontana e sconosciuta) e la commedia vera e propria,
dove l'azione lascia abbondatemente spazio all'eloquio e alla sfera della psi-
che (la decisione di vedere in Almira un felice, per quanto sfocato ripiego, i
^'^ Cfr. A.M. Razzoli Roio, Il 'Fido Gonr^ga. Un poema alla corte del Tasso, in "Philo
<:>logica", Anno I, n. 1, 1992, p. 70.
36 A. LOMMI
timori sulle intenzioni del Principe e sulle sue possibili reazioni,
l'opportunità di svelare il segreto all'intera corte...).
Soprattutto però si identifica una difformità di comportamento tra i due
giovani coinvolti. Se entrambi i racconti tracciati dai protagonisti suUe ri-
spettive avventure sembrano voler rimarcare proprio l'assolutezza del loro
sentimento, esibita con un radicalismo verbale che non conosce cedimenti,
è soprattutto Olinda a dimostrarsi veramente fedele: ella infatti è preoccu-
pata solo di salvaguardare la promessa fatta e, per non venirne meno suo
malgrado, arriva a tentare (inutilmente, come sappiamo) di togliersi la vita.
Ed è ancora la fanciulla, nella scena culminante del dramma (III, 3) nella
quale finalmente i due giovani si incontrano, a rammentare all'amato che un
ardore come il loro, "così radicato nelle più scerete parti del cuore", non
potrà "svellersi mai" ed ella si presta in qualità di prova vivente poiché la
sua fermezza non ha ceduto dinanzi a miUe tribolazioni. La solidità del suo
"honesto amore" la rende ardita ed imperturbabile di fronte a tutte le pos-
sibili minacce ed ingiurie, e brandisce il segreto della fede scambiata come
un'arma in grado di fendere anche l'eventuale accusa di ingratitudine da
parte del signore. Gli unici ostacoli sono per lei rappresentati dalle angosce
logoranti di Erminio, che finiscono per intaccare anche i suoi propositi e
gettarla nell'insicurezza ("Se vo, che gH ho da dire? Che vorrà sapere? Gli
ho da rispondere? Ho da negare, ho d'affermare? Come, dove?" si trova a
balbettare confusa nella seconda scena dell'atto IV) e da una possibile defe-
zione da parte dell'amato. Non c'è dunque da stupirsi se la stessa intrepida
fanciulla che non paventa di drogare la benevola Soffronia per poi calarsi
dalla finestra e prepararsi alla fuga da corte, trovandosi di fronte allo scono-
sciuto LeHo e credendosi tradita da Erminio, non riesce a reggere il dolore e
sviene (IV, 10).
I sentimenti di Erminio, invece, a dispetto della loro declamata drasticità
paiono molto più labili. Apprendere che il suo amore non conosce confini,
rispetti o timori e che non arretrerà nemmeno dopo la morte (III, 3), suona
infatti poco veritiero, poiché lo spettatore è (al contrario dell'ignara Olinda)
perfettamente a conoscenza della storia che il giovane aveva allacciato con
Almira e del contegno quanto meno stravagante esibito in più di
un'occasione. Un esempio interessante è fornito dal dialogo con Manfredo
Introdut<^one 37
(II, 5): anziché rendere noto il suo legame, Erminio preferisce dipingere la
fanciulla amata come "una donna ignobile, vile, di niun conto, forse poco
honesta, priva di virtù, di creanze, e d'ogni bella parte", nello sterile tentati-
vo di convincere il padrone di corte ad operare non a suo favore ma, para-
dossalmente, contro Olinda, allontanandola dalle possibili mire del Princi-
pe. Anche sull'incontro con la cortigiana, di cui si è già abbondantemente
parlato, vale la pena soffermarsi ancora qualche istante. Il Podiani, in questa
parte dell'opera, non sembra fornire al suo protagonista particolari menti: la
condotta rigida ed inclemente sfoggiata nei confronti di Almira dopo averla
lusingata, non ha valide attenuanti e risulta molto stridente verso
l'immagine del perfetto amante che la commedia dovrebbe restituire; più
che fedele, in questa scena, egli è ritratto come ingrato, preda dunque di un
"vitio infame" ^^ scampato addirittura da una cortigiana "*. Egli non ha nep-
pure il coraggio di affrontare la donna raccontandole la verità e, in un pri-
mo momento, pensa solo a schivare ogni possibile incontro, poi, messo alle
strette, cerca di sottrarsi al confronto schermandosi con battute brevissime
e crudeli in grado di colpire, oltre che per la loro discordanza verso le am-
pie lamentazioni solitamente accompagnanti il personaggio, per la velenosa
ironia con cui cerca di minimizzare i sentimenti di Almira. Proprio
l'insicurezza con cui egH procede finisce per smascherarlo poiché, tra le po-
che parole pronunciate, non sa evitare di menzionare il nome di Olmda,
appiccando nell'animo dell'avversaria il fuoco della vendetta. Per un bizzar-
ro gioco di specchi, se Erminio incarna in questa scena il ruolo
dell'opportunista privo di riconoscenza, è invece Almira a rappresentare
l'amante esemplare, rigenerata da una passione che le ha nobilitato i senti-
menti e modificato completamente lo stile di vita, tanto da accattivarle
l'indulgenza del pubblico. Nel corso della commedia i ruoli vengono gra-
dualmente ripristinati, così Almira, spronata dall'odio, è riassorbita entro un
*^ Cfr. Podiani, 1 Fidi Amanti, atto 1, scena 3.
**^ Del resto anche il Prencipe gli muoverà la stessa accusa (I\', 1). Ricordiamo che il
motivo dell'ingratitudine, assieme a quello della maldicenza, era un topos della tradizione
classica, ripreso dalla narrativa e dalla trattatistica, affiorato precocemente nel panorama
comico grazie a Machiavelli e al Prologo de La Mandragola (cfr. F. Fedi, «El premio che si òpe-
ra». Il Prologo della Mandragola e il motivo dell'Ingratitudine nell'opera di Machiavelli, in // Teatro di
Machiavelli, a cura di G. Barbarisi e A.M. Cabrini, Milano, Cisalpino, 2005, pp. 347-66).
38 A. LOMMI
alone negativo, mentre Erminio, ancora segnato da una certa viltà, che lo
induce a tacere l'evidenza dei fatti di fronte al signore ormai furente e a
scorgere in una partenza segreta e precipitosa da corte l'unica via di salvez-
za, si riabilita del tutto attraverso lo shock della morte presunta di OHnda
(IV, 11), che gli infonde un guizzo di coraggio. Infatti, dopo aver ribadito
l'essenza del suo amore, "l'ardentissimo desiderio di esseguire
l'honestissime voglie" dell'amata, pensa di dimostrarle la sua fedeltà to-
gliendosi la vita per poterle restare accanto. Una volta ristabilita la fanciulla,
egH, ancora sinceramente preoccupato delle sue condizioni, preferisce cor-
rere il rischio di essere scovato, intrattenendosi ancora a corte, piuttosto di
sottoporre la convalescente Olinda alle fatiche del viaggio.
// signore e la corte
Dal punto di vista tematico è interessante puntare velocemente
l'attenzione anche sul ritratto della corte, quale si evince dall'opera. Per ec-
cellenza universo di simulacri e di ipocrisia, essa affiora nei dialoghi tra i va-
ri personaggi, richiamando le note polemiche del tempo attorno alla vita
cortigiana e, in generale, al rapporto tra padrone e subalterno.
Fin dall'inizio il Principe si delinea come dispotico e capriccioso**^ ed il
mondo che gli ruota attorno, se abbaglia grazie al luccichio delle feste e del-
le residenze, agli ozi dei giochi e delle burle, si rivela vacuo ed arido agli oc-
chi di chi si trova afflitto da qualche preoccupazione (I, 3). In apertura del
secondo atto, attraverso il monito mosso ad Olinda da parte di Soffronia,
apprendiamo come la diffidenza non debba mai abbandonare chi vive in
corte, neppure quando il sovrano e il suo entourage si trovano altrove, poiché
anche il più piccolo dei mormorii, se fatto in camera, viene inevitabilmente
riferito (II, 1), ed il medesimo concetto è ribadito in seguito da Gasparo,
che esorta LeUo ad agire con prudenza poiché, ad un'eventuale trasgressio-
ne, in cento non attenderebbero un istante a "soffiar nelle orecchie del Pren-
"^ Nella prima scena del primo atto Valerio si stupisce di fronte alla possibilità che il
Principe possa essersi infatuato di OHnda, poiché potrebbe ottenere facilmente prede più
ambite e, ancora, Manfredo dichiara ad Erminio di non volere parlare al Signore poiché di
fronte alla sua indole non potrebbe azzardare il minimo ragionamento (II, 5).
Introduzione 39
cipe" (III, 6). Del resto, lo stesso Sambuco, per quanto folle, sa di doversi
guardare dagli uomini di palazzo, fanfaroni e particolarmente solerti a ten-
dere insidie agli sprovveduti.
In realtà il Podiani, attraverso tali incisi, dimostra di adottare toni piutto-
sto smorzati, assolutamente lontani dall'acredine sfogata, ad esempio, dal
Parabosco in numerose sue opere, sia nei confronti dei cortigiani ', che dei
signori'^^ sulla scia dei quadri poco lusinghieri tracciati fin dai tempi
dell'Ariosto ^'^ e poi completati dall'Aretino**^ e dal Tasso'^". Distante tempo-
ralmente e culturalmente dal modello del tutto positivo offerto da // Corti-
giano del Castiglione (dove la vita al servizio del signore si configurava come
la più compiuta realizzazione per l'esistenza umana), mentre il Gonzaga
nelle parole della poUastriera BertoHna de Gli Inganni "stigmatizza" il ruolo
^^ Attraverso le parole dei protagonisti, nelle commedie paraboschiane si materializza-
no di fronte al lettore personaggi famelici ed allampanati, mentre sfilano spettrali davanti al
padrone "con questa beretta in mano, con queste ginochia chine, et con questa lingua
sempre piena di adulatione, piena di bugie" {Il Marinaio, I, 6), mentre si accalcano "proson-
tuosi", e "vogliono raggionare d'ogni cosa et con auttorità grande", quando al contrario
"sono ignorantissimi, goffissimi, vilissimi et forfanti che stanno per la pagnota" (/ Contenti,
II, 1). Talvolta il quadro si tinge di particolari addirittura grotteschi, poiché "alcuni corti-
gianelli liquidi che avendo, a quattrino a quattrino (...) raccozzato insieme qualche ducarel-
lo, et avendone fatto un vestito (...), per timore di non li far sopra qualche machia, restano
il più delle volte di mangiare" {L^ Notte, II, 2).
^^ Cfr. Il Marinaio, I, 6: « (...) l'huomo s'abbatte tal'hora a servire certi signori che non
sariano degni, né per virtù né per senno né per gentilezza, di essere famegli di stalla di chi
streggia loro le mule».
**** Il riferimento è, ovviamente, ai canti del Furioso che espongono la satira
deU'ambiente deUa corte (\ail, 1; XXXIV, 77, 79 e 85; XXXV, 13 e 20-21; XLI, 1-3), ma
anche alla prima delle Satire (w. 170-175) e alla Cassaria. L'Ariosto nelle sue opere, median-
te l'invettiva e lo sberleffo alla poesia di quei luoghi entro i quali "mai senza fizion non si
favella", aveva svelato l'incrinatura del rapporto tra scrittore e committenza signorile in un
periodo piuttosto delicato come la prima metà del XVI secolo, nel momento in cui la
stampa aveva iniziato a profilare una destinazione inedita per la scrittura letteraria,
all'insegna di un pubblico più ampio e della professionalità commerciale. Si veda a questo
proposito Rinaldo Rinaldi, L^ imperfette imprese. Studi sul Rinascimento, Tirrenia Stampatori,
Tonno, 1997, pp. 84-87.
"'^ Aretino, Im Cortigiana, I, 22; III, 7: <(i signori vogliono fare a modo loro, essaltare chi
li piace e roinare che li piace. Qui bisogna votarsi alla buona Fortuna e pigliare el ineglio
che l'omo può»; V, 1; V, 15; Il Marescalco, III, 8; Ragionamento delle corti.
'^" Cfr. ovviamente Y Aminta, atto I, w. 572-607, ma anche II Malpiglio orerò de la corte e
Intrichi d'Amore.
40 A. LOiMMi
di cortigiano come "l'handicap più vistoso (...) e direttamente causa della
relativa povertà"'^', il nostro autore si limita ad insinuare un'atmosfera a
tratti opprimente, fatta di infinite cautele e timori, ma con ogni probabilità
forgiata più nel solco della tradizione letteraria che su di un'effettiva espe-
rienza personale, spesa come sappiamo all'ombra della municipalità perugi-
na. Il ritratto della corte come luogo di maldicenza ed invidia è offerto in
quanto topos, reso ancor più attuale dal tassiano "magazzino delle ciancie"
ma, accanto alle indispensabili doti della prudenza e della simulazione , e-
sibite ad esempio da Manfredo che non contraddice mai il signore e giudica
pertanto sconsiderato l'atteggiamento scopertamente ostile di Olinda, ri-
mane una sottile compiacimento nel sapersi vezzeggiati dal Principe e gode-
re dei suoi favori.
Lo stesso Signore, sempre solo evocato, mai realmente presente su di
una scena non confacente alla sua regalità (per ovvi limiti di genere) pare
incarnare tutte le prerogative raccomandate dal Machiavelli ne 7/ Principe:
egli riesce a tenere a freno i consigli non richiesti e, incrinato il vincolo
d'obbligo dall'ingratitudine di Erminio, sa servirsi della minaccia del castigo
per incutere timore ma, alla fine del dramma, ristabilisce l'aura di magmfi-
cenza e liberalità che lo deve ammantare, fugando il rischio di essere dichia-
rato "rapace et usurpatore della roba e delle donne de' sudditi" .
Il comico ne I Fidi Amanti
L'irruzione della comicità nel tessuto patetico dell'opera è essenzialmen-
te affidata ai personaggi minori, portavoce di un'esuberanza di formazione
plautina perfettamante incarnata nei tipi classici del servo, del giurista e del
folle, del resto presenti suUe scene dal teatro classico alle coeve Compagnie
deU'Arte.
^' Cfr. A.M. Razzoli Roio, Introduzione a C. Gonzaga, Gli Inganni, op. cit., p.l3.
^"^ Tasso, Aminta, v. 582 e relative fonti.
'^ Doti fortemente raccomandate anche ne // Malpiglio, in Tasso, Dialoghi, a cura di
Bruno Basile, Milano, Mursia, 1991, pp.l72 e segg.
'•'"* Secondo quanto prescritto dal Machiavelli, De Principatibus, XXIII.
95 ha, XIX.
Intrvdu^ofie 41
Seguendo un canone ormai consolidato, Farina, Pancratio e Sambuco
sono figure complementari, collaudate fonti di comicità prive di veri legami
con l'ambiente locale entro cui si muovono, soprattutto dal punto di vista
linguistico, rimanendo comunque interessanti per gli aspetti meno prevedi-
bili che riescono a sollevare.
Fra questi personaggi, il più riconoscibile è ovviamente quello di Farina,
il servo scaltro, "l'archivio delle forfantarie de la provincia" ', postosi a ser-
vizio del Procuratore per poterlo manipolare a suo vantaggio e cavarne lauti
introiti. Tuttavia, a parte "i cinque scudetti al mese" già mentalmente as-
saporati per l'affare in atto, questo abile intrigante non si presenta come un
parassita interessato unicamente a riempirsi il ventre o le tasche: i suoi dia-
loghi sono piuttosto sempre improntati dall'astuta messa in ridicolo del pa-
drone e della sua pretesa cultura, lasciando percepire una mente brillante,
penalizzata della condizione sociale subalterna, ma perfettamente in grado
di vincere "i quindici o vent'anni di studio"^** di Pancratio. Bastano del re-
sto poche battute per scoprire le regole del suo gioco: il professarsi incom-
petente ("noi altri ignoranti siamo come i topi del campo: loro senz'occhi,
noi senza giuditio"^^ non fa che ingigantire il sarcasmo con cui poi smonta
pezzo per pezzo la lettera composta dal padrone per la cortigiana; più avan-
ti (II, 7) si compiace apertamente di far sprecare al vecchio tante parole inu-
tili: "Voglio fingere di non l'intendere" mormora soddisfatto mentre l'altro,
sorpreso da tanta ignoranza ("Et ancor non la capisci?"), si dilunga in su-
perflue spiegazioni. Che la ricompensa a cui mira Farina sia costituita, oltre
che dal denaro, principalmente dalla riuscita dei piani ingegnosi infaticabil-
mente allestiti, lo si intuisce con evidenza sia nel momento in cui offre il
suo aiuto ad Aknira, accettando l'incarico in modo quasi avventato, sotto la
spinta di una certa solidarietà fra compagni di furfanterie (III, 8: "se io
manco a costei, chi sovverrà me nelle mie occasioni, che a tutte l'hore pos-
so incappare in qualche lacciuolo?"), sia quando attua l'inganno, dirigendo
^•^ Come lo definisce Concordia (Cfr. Podiani, I Fidi Amanti, atto 3, scena
'^^ Cfr. Podiani, I Fidi Amanti, atto 1, scena 5.
^^ Ivi, scena 4.
■•"^ Ibidem.
42 A. LOMMI
magistralmente tutte le azioni e battute di Pancratio e Sambuco (IV, 7), con
un ruolo non dissimile a quello del "tristo" Ligurio de I^a Mandragola .
Passando a Pancratio, si può immediatamente notare come nella sua fi-
gura, di ovvio completamento a quella di Farina, vengano a confluire diver-
si elementi; egli infatti incarna, per certi tratti, lo sciocco di calandriniana
memoria o\^^ero l'innamorato attempato ed avaro, atto ad essere raggirato
facilmente a dispetto dell'importanza che egli crede di rivestire all'interno
della società. Tuttavia Pancratio è anche esempio dell'uomo di legge e di
cultura"" in grado, nel suo campo d'azione, di farsi carico di una serie di
soprusi a danno delle persone culturalmente più deboli. Non a caso egH, fin
dalla sua entrata in scena, fa sfoggio del suo status ("son padrone, e di più
procuratore in capite, KomcE Professar) e, per intimidire meglio l'interlocutore,
non perde occasione di pavoneggiarsi per la sua vasta erudizione, sciori-
nando episodi mitologici e letterari o vicissitudini di natura giuridica, che la
controparte o\'^''iamente non dovrebbe conoscere e confutare. Con un cer-
to compiacimento, Pancratio ha intrapreso la missione di affinare
l'inserviente Farina, spazientendosi poi nel trovare migHoramenti limitati,
ma preoccupandosi di osservare rigidamente l'ordine costituito, ammonen-
do qualunque comportamento anomalo: 'Snaoi aver più giudicio tu, che sei
servitore, che non ho io, che son patrone (...)" (I, 4); "Parla del tuo mistiere,
e lascia i Hbri a chi gl'intende!" (II, 7). Sul fatto che Pancratio sia un uomo
di legge non rimangono dubbi: la professione di procuratore assorbe com-
pletamente le sue esperienze, ed emerge in continuazione nei termini di pa-
ragone o negli àmbiti meno appropriati, a cominciare dalle sgraziate dichia-
razioni d'amore destinate (nelle sue intenzioni) ad Aknira "". Quindi, per
mantenere intatta la sua reputazione di "huomo graduato" (II, 7) e gh
10(1 pgj |g valenze della figura di Liguno nel capolavoro del Machiavelli, e soprattutto
per il ruolo da "direttore di scena" che essa incarna, si veda il saggio di Ezio Raimondi,
Politica e commedia, Bologna, Il Mulino, 1972 (ediz. 1998), pp. 77-79.
"" Tale tipo era presente anche ne 7 Megliacci di Mario Podiani, attraverso la figura del
Procuratore Petruccio, di cui analogamente si mette a fijoco la pseudo-dottrina.
11)2 Valgano come esempi la letterina che egH declama soddisfatto al divertito Farina (I,
4), infarcita di termini giuridici {sottoposto; pietosa Giudicatrice; domando che H mio summus ius sia
ammesso nella vostra signatura; torto; livellano..) e la scena notturna della finestra (IV , 7) in cui,
preso alla sprovvista e vinto dall'emozione, recita un'accozzaglia di espressioni legaU [coram
iudice, iure naturali) e poetiche.
Introdut^ione 43
annessi privilegi (nella settima scena del quarto atto ad esempio si pavoneg-
gia della "patente" rilasciatagli dal Prencipe, che gli fornisce la possibilità di
girare armato), si trova a dover celare costantemente le sue manovre, ser-
vendosi di Farina e Sambuco. Intanto, mentre lo spettatore approfondisce
la conoscenza del personaggio, sotto la patina della compiaciuta terminolo-
gia tecnica, la cultura di Pancratio viene pian piano sconfessata, rivelandosi
piuttosto superficiale e confusa; egli giunge infatti a mescolare le leggenda-
rie caratteristiche della fenice e del cigno, ignora completamente la natura
del ciclope e compone le più strampalate frasi giustapponendo una serie di
termini leziosi o importanti, senza curarsi affatto del loro sigmficato. AUa
luce di tutto ciò risulta ancor più inquietante la forza legale detenuta nelle
vicende giuridiche dal vacuo formulario di Pancratio e, in generale, delle fi-
gure operanti nei tribunali del tempo dove le prevaricazioni proliferano
proprio grazie alle barriere d'incomprensione linguistica elevate tia i giuristi
e le illetterate parti in causa.
In questo melanconico quadro. Sambuco riveste appunto il ruolo del
clientolo, inesperto e sciocco, usato non di rado da Pancratio come manova-
lanza spicciola per quei traffici nei quali egH non vuole esporsi in prima per-
sona. Fin dal suo primo apparire, nelle scene iniziali del secondo atto, Sam-
buco, con il suo stiampalato contegno, sembra portare al pubblico una ven-
tata d'aria fresca, astutamente intrufolata neUa compagine manierata e la-
crimosa dell'opera. Egli lacera immediatamente la cortina di false apparenze
entro cui si ammantano gH altii, presentando tutte le sue principali caratte-
ristiche: la diffidenza verso i cortigiani e, in generale, nei confronti di chi
detiene il potere, paradossalmente contiapposta ad un'ingenuità quasi in-
fantile, tale da condurlo a dare credito a qualunque genere di bizzarra sto-
ria'"^ la limitata cultura che gli preclude la comumcazione con gli altri ma,
nel frattempo, corrobora pure i timori dei possibili soprusi; l'innato senso
di uguaglianza sociale, e la leggerezza con cui sa affrontare le questioni nelle
quali Pancratio invece si impaluda. La stessa vicenda giudiziaria entro cui è
implicato non può non far sorridere: la posizione della sua latiina ha finito
col danneggiare i dipinti della galleria del confinante Messer Honesto, il
'"^ Uno degli esempi più felici è costituito dal dialogo con Concordia (atto 2, scena 4),
nel quale dichiara essere non il vero Sambuco, ma il suo ritratto scappato da un arazzo.
44 A. LOMMI
quale è corso ai ripari impedendogliene l'uso; assistito da Pancratio, anziché
essere difeso nei suoi bisogni primari, si ritrova al centro dei maneggi
dell'astuto Farina, e ne diventa complice suo malgrado. Eppure, è proprio
nei dialoghi con Pancratio, giocati sul filo del rovesciamento carnevalesco e
dello scontro tra la follia e la cultura, che Sambuco, zimbello di una giusti-
zia guasta, dove i clienti meno abbienti si ritrovano a patire una serie di so-
prusi, riesce a conquistare la rivalsa. Riducendo all'impotenza il «latinorum»
del Procuratore ("Non più bis e tris!" gli intima nella quinta scena del terzo
atto), attraverso i suoi deliri verbali e mentali, questo "re del mondo alla ro-
vescia" ^ scatena per un attimo la sovversione dei ruoli e del potere, sugge-
rendo quasi un compiacimento per la sua stessa condizione, tale da consen-
tirgli di spazientire e deridere quanti gli capitano a tiro"^^
Aspetti linguistici e stilistici
Linguisticamente, come anticipato, non si riscontra nel tessuto
dell'opera alcun interesse del Podiani né verso il plurilinguismo, costituente
invece una delle tappe privilegiate della comicità del secondo Cinquecento,
né nei confronti della lingua municipale perugina, sapientemente adoperata
dallo zio paterno come efficace mezzo espressivo in grado di tener testa al
fiorentino anche sul piano letterario ' .
'""* Cfr. M. Bachtin, l^'opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradi-
i^one medievale e rinascimentale, trad. it., Torino, Einaudi, 1979, p. 407, citato da P. Camporesi,
Lm maschera di Bertoldo. 1^ metamorfosi del villano mostruoso e sapiente. A.spetti e forme del Carnevale
ai tempi di Giulio Cesare Croce, Garzanti, 1993, p. 24.
'"^ Del resto è lo stesso Pancratio (atto 3, scena 10) ad avvertire il lettore che Sambuco
dice e fa tutto al contrario, tanto da poter essere raffigurato capovolto. Ricordiamo che
analoghi personaggi folli/astuti sono rintracciabili in altre commedie del penodo, ad esem-
pio ne 1m Fantesca del Parabosco, con il nome di Ramoso (cfr. mia Introduzione, G. Para-
bosco, Ltì Fantesca, op. cit, p. 38) e ne Gli Inganni del Gonzaga, tramite il servo Roversio
(cfr. Curtio Gonzaga, Gli Inganni, a cura di Anna Maria Razzoli Roio, Roma, Aderse l'Arte
Ediziom, 2006, pp. 17 e 26-29).
""• Mario Podiani, infatti, "è un sostenitore del propno mezzo espressivo cittadino, in
quanto ritiene che concorrano nella lingua parlata di Perugia quegli elementi che hanno
costituito la fortuna della lingua parlata di Firenze. (...) / Al^^/Z^aV nascono da una posizione
polemica non verso il fiorentino, ma verso coloro che giudicano la favella di Firenze più
tersa e più limata", ritenendo che la pretesa superiorità del fiorentino consista invece solo
nella maggior cura che gli scrittori hanno sempre mostrato verso la loro Lingua, perfezio-
Introdut^one 45
Per ciò che concerne il primo aspetto, data l'assenza di parlate geografi-
camente eterogenee, alla lingua 'bembesca' sfoggiata dai personaggi 'seri' si
possono contrapporre solo le sciocchezze di Sambuco, le dotte sentenze
latine di Pancratio, o il compiaciuto impiego di proverbi e modi di dire po-
polari sfoggiato da Concordia, tutti idiomi parodistici comunque 'tiepidi',
incapaci di costituire un controcanto efficace al versante patetico.
Il linguaggio di Sambuco, fedele alla tradizione carnevalesca, attraverso
"l'associazione fonetica, l'analogia, il paralogismo..." investe le frasi
dell'interlocutore fino a ridurle all' "esatto contrario della loro significazio-
ne originaria" ^"^^ e si serve specificatamente del malinteso per generare la
comicità sul piano del significato. In tal modo, seguendo uno degli stilemi
più frequenti del genere "^ (il quiproquo, non a caso destinato a grande fortu-
na nell'imminente Commedia dell'Arte), il conflitto verbale dei dialoghi che
lo vedono come protagonista suscita una serie di curiosi fraintendimenti:
II, 3: VALERIO "Sì, sì, t'ho inteso. Va' fino al mare, che questa sera su le quindi-
ci hore arriva una sua fusta carca di vento, la quale amainando, viene da Valona in
poste: informane il Peota, che nella bossola ti mostrerà subito quel che cerchi."
SAMBUCO "Ascolta, o Valerio. Hai detto ch'io vada a Verona con una frusta
mangiando in poste, e che inforni una carota, e la bossola me lo dirà subito... Non
mi par che faccia a proposito a me, perché per mangiare, frustare, et infornare ca-
rote nelle bossole non bisogna gir' a Verona..."
II, 4: CONCORDIA "...se non trovo Farina, che gli cerchi qualche rimedio salu-
bre, son impacciata."
SAMBUCO "Oh, se il rimedio sta nel salume, non avrà male..."
nandola ed elevandola grazie al costante utilizzo. La sua opera è dunque realizzata in «suon
tosco perugino», ovvero in una lingua che "muovendo dal toscano, si colora di elementi
dialettali perugini attentamente discriminati" (cfr. F. Ugolini, Introduzione a / Megliacci, op.
cit. pp. XLV-XLVI).
'"^ Cfr. P. Camporesi, lui maschera di 'bertoldo, op. cit., pp. 180-18L
108 pgj. g^ espedienti linguistici più sfruttati nella scena comica cfr. C. Segre, Il teatro del
^nascimento e la semiotica, in // teatro italiano del ^nascimento, a cura di M. de Panizza Lorch,
Milano, Edizioni La comunità, 1980, pp. 384-403; M. L. Altien Biagi, Ym lingua in scena, Bo-
logna, Zanichelli, 1980. Sulla specificità del linguaggio comico si veda almeno il saggio di
N. Borsellino, Luì tradi^^one del comico, h'eros l'osceno e la beffa nella letteratura italiana da Dante a
Belli., Milano, Garzanti, 1989, p. 19.
46 A. LOMMI
spesso giocati su doppi sensi realizzati con il suo stesso nome:
II, 4: SAMBUCO "...il fegato è rosso de colore delle carotte, carotte e radice son
tutte una cosa. Vorreste tagliar la radice al sambuco e fargli seccar le pampane
oppure su balorde elucubrazioni tuttavia rivelatrici di una certa schietta sag-
gezza popolare, come nel caso dell'occhio del ciclope che il Procuratore gli
ha commissionato di rintracciare per poter poi comporre un intruglio magico:
II, 8: SAMBUCO "Ho menato Cacaduro medico tutta questa mattina, cercando
per questo benedetto animale" (...) Dice ch'egli non conosce animai niuno ch'abbi
un occhio solo: tutti n'hanno due" (...) Per questo ho poi discorso fra me stesso, e
dico che bisogna che sia un animale con la testa grande, e con gli occhi piccoli, e
due de i suoi occhi facciano per uno. Qual è quest'animale? E il porco. La testa, e
gli occhi di porco, non gli avete voi in casa?"
Addirittura di fronte alla sfacciata disonestà serpeggiante nei tribunaH e-
gH pare non a^^ilirsi, sostenendo che, per una causa condotta "alla muta e
alla sorda" la sentenza non potrà che essere cavata "a sorte" (II, 8). Ma è
proprio nel confronto con Pancratio che la visione mentale destabilizzante
di Sambuco dà il meglio di sé, poiché non si limita all'equivoco tra avogare /
vogare, sement^a / sentent^a, infusione /confusione (III, 5), ma finisce col generare
una sorta di sfida tra i mondi sociaH e culturaH da essi rappresentati. Come
nel capolavoro manzoniano, infatti, lo scarto tra il Procuratore ed i suoi as-
sistiti si concretizza nello scontro tra la tortuosità sintattica e mentale dei
detentori del potere, armati di un tecnicismo giuridico complicato da oscuri
formulari latini, e la parola degH umili, animata invece da semphcità ed im-
mediatezza, del mtto ignara degH artifici retorici, dai quali al soHto ne risulta
o\'\tiamente sopraffatta. Nel seguire la scena in oggetto si rimane sorpresi
nel riscontare come l'incolto Sambuco ha infine assimilato (a suo modo)
alcune locuzioni latine (finis, in scrìttibus, contra iurìhus, bis, tris) che gli consen-
tono di tenere testa a Pancratio e di sottrarsi alle consuete ingiustizie.
Se il linguaggio dottrinale ostentato dal procuratore Pancratio rappresen-
ta un altro conosciutissimo topos della tradizione comica, la dimestichezza di
Concordia nei confronti delle metafore e dei paragoni popolari, oltre a co-
Introduf^one 47
stituire una tappa obbligata del genere, in alcuni punti sembra caricarsi di
ulteriori significati. Nel suo frasario risiedono espressioni proverbiali (caccia-
te chiodo con chiodo), e vividi modi di dire, dai più consueti {tener su le carte, le
fumano le narici del naso,..) ai meno immediati {il coccodrillo d'Egitto per raffigu-
rare qualcosa d'insolito, aver bisogno del pesto per indicare uno stato di malat-
tia...), ma le frasi della serva, spesso a commento di quanto viene riferito
dalla padrona, si fanno soprattutto portavoce di una robusta mentalità pra-
tica, beffardamente opposta alle pretese raffinate della controparte . La
parentela con la parlata popolare si limita, del resto, a questi pochi elementi,
poiché il registro linguistico di Concordia non è affatto dimesso: special-
mente in presenza di altri personaggi (compresi i subalterni Sambuco e Fa-
rina) ella sfoggia con naturalezza un eloquio medio-alto, senza ignorare al-
cuni elementi letterari e mitologici (seppur usati con ironia, come gli strali
degli amorini e il mito di Narciso), in conformità con il tono generale
dell'opera.
Naturalmente la lingua caratterizzante i protagonisti, ma anche i loro
aiutanti (come Valerio e Soffronia), è generalmente raffinata, sia per la scel-
ta lessicale sostenuta e per il piano sintattico piuttosto complesso, ricco di
inversioni e posposizioni del verbo, sia in considerazione dei numerosi ri-
chiami denuncianti una certa affinità con formule care alla tradizione pe-
trarchesca, alla novellistica e alla trattatistica amorosa. Ciò vale in generale
pure per gli altri abitani della corte (dal maggiordomo Gasparo, al nobile
Lelio) e per la cortigiana ALmira.
Tutte queste parlate sono comunque svincolate da una marcata identità
perugina; l'autore si è infatti rivolto prevalentemente all'uso toscano, con
alcuni tratti dissimili dal fiorentino ma quantitativamente troppo Hmitati per
potersi efficacemente distinguere come modello linguistico alternativo. Tra
i fenomeni più significativi"" ricordiamo le prime persone plurali
^'"^ Ella ad esempio colloca in una luce ridicola la moda dell'astrologia e la mania dei
prodotti cosmetici ricavati dai più improbabili ingredienti, e ricorda sovente ad Almira i
rischi fisici e giuridici che potrebbero scaturire dalla sua smodata passione per Erminio.
"" Altri fenomeni, riscontrati anche dall'Ugolini ne I Megliacà (cfr. F. Ugolini, Il perugino
Mario Podiani, op. cit., II, pp. LI e segg.) possono essere riconosciuti nella preferenza di — /-
ad —e- letterario in protonia {gitto e gittata, dinari, intrato, mistiere, nimico, cjuistione, ristaurare) e
viceversa [depingere, leuto, remediare, fé nestre, secure), e la corrispondente affermazione di -o- su
48 A. LOMMI
dell'indicativo presente in -emo e —imo {potemo, volemo, venimo); A futuro dei
verbi di prima coniugazione in —arò {amaro, mandare, secare, vendicaro); l'uso
del congiuntivo con valore di condizionale (facessi 'farei') e, soprattutto, la
costruzione impersonale con avere, tipica dell'umbro, nella formula ha poco
più di due bore 'è da poco più di due ore' .
Antonella Ijommi
-u- , e di — «- su -0- {spognosa, romore, occide, polirà, calcu lato, /acuità); nelle vane forme di labilità
vocalica {presciutti, volontierì); nel passaggio di -er- atono ad —ar- sia in protonia {tappei^rìa,
maraviglia, profumarìa...) che in postonia [gàmbaro, ^ccaro); nella caduta di vocali e sUlabe ato-
ne [carca, forre, opra). Infine, se l'esito di -RJ- che dà -r- anziché -J- {calamaro, carbonaro, paro,
mortaro), e cossa (coscia) denunciano un'influenza esercitata dalle parlate centro meridionali,
per l'esito misier {mtsset) , la marcata oscillazione tra scempie e geminate, le imprecazioni di
stampo ruzantiano, si potrebbe anche supporre una patina settentrionale, imputabile ad un
fondo ormai comune della lingua comica del tempo.
'" F. Ugolini, Il perugino Mario Podiani, op. cit., II, p. 15 e relativa nota. III, p. 25.
EDIZIONI CRITICHE
IL PELLEGRINO
COMEDIA NOVA
DI M. GIROLAMO
PARABOSCO
Con Grada et Privileggio
In Vinegia Appresso Giovan Griffio
MDLII
NOTA AL TESTO
Edi;^om a stampa
Il testo de il Pellegrino, dopo la prima edizione, uscita a Venezia presso la
stamperia di Giovan Gnffio neU'anno 1552 (IL PELLEGRINO / CO-
MEDIA NOVA / DI M. GIROLAMO / PARABOSCO / Con Gratia et
privileggio/ [fregio con grifone che solleva una sfera alata e motto: Poco
vai la vertù / senza Fortuna] / IN \^NETIA Appresso Giovan Griffio /
MDLIl//. In 8°, e. 39. Esemplari a Piacenza, Torino e Milano), ha cono-
sciuto un'ulteriore pubblicazione nel 1560 per i tipi di GioHto de' Ferrari
(IL PELLEGRINO / COMEDIA DI / M. GIROLAMO / PARABO-
SCO / DI NUOVO RICORRETTA / E RISTAMPATA / [fregio gioHtino,
con fenice su anfora infuocata, sorretta da due satiri. Motti: De la mia mor-
te eterna vita io vivo. Semper eadem.] / IN VINEGIA APPRESSO GABRIEL /
GIOLITO DE' FERR.\RI / MDLX//. In 12°, e. 36. Esemplari a Milano, Pia-
cenza, Torino, Roma, Padova), inserita in un volume unitario che raccoglie
anche le cinque commedie paraboschiane composte negH anni precedenti.
Esistono altre due ristampe del XVI secolo, realizzate a Venezia rispetti-
vamente da Rubin nel 1586 (36 e. in 12°) e da Marc'Antonio Bonibelli nel
1596 (36 e. in 8°).
In tempi recenti si segnala, infine, l'uscita in anastatica dell'edizione gio-
Htina, curata da Marina Calore e Giuseppe Vecchi per la collezione "Teatro
italiano antico - La commedia del XVI secolo": G. Parabosco, l^ Notte / il
Viluppo, h'Hermafrodito / / Contenti; Il Marinaio / Il Pellegrino, Bologna, Forni,
1977, voU. 3.
54 EdÌ2Ìoni critiche
La presente edizione si basa sul testo del 1552, in quanto fu questa
l'unica pubblicazione che il Parabosco potè seguire in vita; in particolare,
l'esemplare utilizzato è conserv^ato alla Biblioteca "Passerini-Landi" di Pia-
cenza (674 Lascito PallastreUi).
Esso è stato tuttavia collazionato con la ristampa del 1560 (Biblioteca
"Passerini - Landi", E XII 32), posteriore alla morte dell'autore di soli tre
anni, a differenza delle altre due riproduzioni, esaminate, ma troppo succes-
sive per poter rispecchiare le intenzioni del Parabosco .
Dalla collazione emergono numerose varianti: le più frequenti riguarda-
no interventi puramente grafici, come l'uso diverso delle maiuscole, delle
abbreviazioni e, talvolta, l'adozione di una grafia più moderna (viene, ad e-
sempio, adottata la /in sostituzione nel nesso ph). Si riscontra nondimeno la
presenza di un buon numero di modifiche introdotte a correzione
dell'edizione precedente, sia a riguardo di alcune tra le più palesi sviste ti-
pografiche, sia nel senso di una generale regolarizzazione metrica e lingui-
stica (nell'uso dell'apocope, delle consonanti scempie e raddoppiate, dei dit-
tonghi...). Compaiono inoltre errori ed omissioni proprie della ristampa,
che ne fanno un testimone non del tutto affidabile. Si fornisce comunque
qui di seguito l'elenco completo delle divergenze riscontrate fra le due edi-
zioni.
Criteri di trascrittone
Nella trascrizione si è adottato un criterio conservativo, conforme alle
scelte da me già effettuate per l'edizione critica dell'ultima commedia para-
boschiana, Lm Fantesca, pubblicata dalla casa editrice Luigi Battei.
Si mantengono, perciò, distinte forme come de la, su la, poi che, per che ed è
stata conservata Vh etimologica e pseudo-etimologica (honore, hora, huomo,
airhora (nell'ora, nel momento), allhora, herba, homai..), fatta eccezione per le
forme del verbo avere, ricondotte alla norma d'uso odierno.
' In particolare l'esemplare della stampa del 1596 conserviate alla "Passenni - Landi"
(673 Lascito PallastreUi) è mutilo: dopo la carta 8, la commedia paraboschiana si interrom-
pe e lascia il posto a / Suppositi dell'Ariosto.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 55
Il criterio prevalente è stato quello di conservare anche tutte le grafie la-
tineggianti (ad es. i nessi -pt-, -et-, ti e ci per '"z", ph per "f ',...) in quanto ri-
conducibili a una precisa volontà dell'autore e all'uso linguistico del suo
tempo. L'unica eccezione riguarda la trascrizione di -ij in ii.
Sono state comunque sciolte le sigle & in ^/, B in ss, ~ nella nasale, M. in
Messer, ...; sono state distinte la ;/ e la i^, e si è normalizzato l'uso di q. Sono
inoltre state adottate le grafie moderne per i digrammi cb e gb seguiti da ve-
lari (ad es. laddove la stampa recava scioccho, ambo, arrechai, stomacbo^ anchora^
ricbami... la forma è stata corretta).
Negli esclamativi eb, ob, ab sono state integrate le b assenti, e sono stati
separati secondo l'uso vigente le congiunzioni grafiche del tipo fussio in
fuss'io. É stata eseguita anche la divisione di cbe & percbé, quando significano
"ch'e"' ("che egli /che ella") e "perch'e"', in aggiunta alle distinzione di chio
in "ch'io", ^//> in " 'gli è", come in "com'è"...
Ricordando che si tratta di un testo di koinè settentrionale, sono stati
ovviamente rispettati gli scempiamenti consonantici e i raddoppiamenti do-
vuti ad ipercorrezione, in quanto riflessi di una pronuncia specifica e reale,
così come sono state conservate le oscillazioni nella resa di una stessa paro-
la (specialmente se pronunciata da personaggi diversi), e l'uso irregolare del-
le maiuscole (tranne che per i nomi propri, nei quali sono state introdotte,
se mancanti).
Per ciò che concerne l'uso dell'apostrofo e dell'accento, essi sono stati
aggiornati (eliminando, ad esempio, l'apostrofo da espressioni come
un'bmmo, un'altro, ecc.), oppure introdotti con funzione diacritica per di-
stinguere cbe I cbé, ne / né, sta', a', de', séte, dei, ....
Dal punto di vista metrico sono state evidenziate le dieresi ed attuate al-
cune apocopi per regolarizzare i versi ipometri ed ipermetri.
Gli interventi di interpunzione sono stati eseguiti con discrezione, limi-
tandoli ai casi in cui essi apparivano indispensabili per ragioni di chiarezza.
Si segnala infine l'uso delle parentesi tonde "( )" per marcare gli incisi e
di quelle uncinate "< >" per racchiudere quanto ho integrato, presumendo
una caduta nella stampa.
Ogni altra eventuale correzione è stata evidenziata nelle note in calce al
testo.
56 Edizioni critiche
Differenf^ grafiche e formali tra le edit^oni
Per le differenze rilevate tra l'edizione Griffio (1552) e quella giolitina
(1560) si fornisce il seguente elenco, nel quale la lezione della stampa del
1552 è la prima:
ATTOl
v.l m'astringete — »• mi astringete; v.4 volintier -^ volentier; v.5 vorrebbon
-^ vorrebon; v.9 per ch'io -^ Perch'io; v. 23 che — >■ cho; v.45 pensier — *
peasier;
V. 69 dolce e chiara — > dolce è chiara; v. 71 d'Hebano -^ d'hebano;
V. 85 grav'è presto — ^ grav', e presto;
V. 88 che il giaccio -^ che el giaccio; v.l 00 reuscire — >• riuscire; v. 1 19 e i ge-
sti — ^ ei gesti; v.l 25 sofferti, et -^ sofferti e; v. 136 patria, acceso -^ patria
acceso; v. 139 coi — > co i; v. 141 e pervenuta — >• è pervenuta; v. 223 ond'io
— > onde;
V. 281 gran biasmo — >• gra biasmo; v.284 lasci i litigio — >> lascio i litigi;
V. 318 per essa — > per esser; v. 345 se il core a voi da —> se il core da a voi;
V. 362 resta — > resto; v. 378 centinaio — > centennaio; v. 383 Gelosia — > ge-
losia;
V. 386 raccontar le — >• raccontarle; v.415 ch'a voi -^ ch'a vai;
V. 471 iammazzarlo — > ammazzarlo.
ATTO 2
V. 522 o sottil, ch'ei ere' sii de' — > fila sottil, ch'ei crede che; v. 530 aspettare
— >■ aspettar tanto; v. 596 saria ch'io — > sappia ch'io; Invertiti w. 617-618; v.
625 udit'ho -^ udito ho; Naffissa -^ Naffisa; v. 637 chi teco lo vuol — >• chi
teco '1 vuol;
V. 656 n'avrai di nulla -^ n'avrai per te di nulla; v.117 Vespero — > Vespro;
V. 792 Diamante — » diamante; v. 793 Dardo — > dardo; v. 801 Reti — > reti;
Invertiti w.81 9-820; v. 941 vedessi -^ vedessi mai.
ATTO 3
V. 1010 possano -^ possan; v. 1074 Dona — > Mona; v. 1087 diva — ^ Diva;
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 57
V. 1165 riportiamo — >• ripportiamo; v. 1184 Pamphilo — ^ Panfilo; v.ll90
lascia — > lasci;
V.1191 è — )• e; V. 1202 Amor-^ amor; qua sono -^ quai son; v. 1212 Io fui
-^ Io vi fui;
V. 1239 lavato—)- lavan; v. 1247 gravezze -^ gravezza.
ATTO 4
V. 1293 ragionarti — > ragionarli; v.1358 ammartellato — > amartellatto;
V. 1365 riffonde -^ rinfonde; v. 1417 le guai — » de guai; v. 1435 detta — >
dotta;
V. 1446 venirsi -^ venirci; v.l480 milion -^ miUion; v. 1506 havria — ^ ha-
vrà;
V. 1521 de ^ di; v. 1541 ancor che — ^ ancora in me.
ATTO 5
V. 1552 ancor — ^ anco; v. 1607 alla ^ a la; v. 1612 fredo -^ freddo; v.1674
alciarem facilemente — > alciaremo facilmente; v.l687 agiungesse -^ aggiun-
gesse;
V. 1707 ahi lassa -^ ahi; v. 1757 Pellegrin -^ pellegrin; v. 1816 Creonte — ^
Creonte;
V. 1834 mirabil sonnifero -^ mirabil rimedio sonnifero.
Errori di sta?npa
Si fornisce l'elenco delle correzioni apportate al testo deUa stampa adottata,
ed esulanti da semplici variazioni grafiche:
LETTERA DEDICATORIA
LII -^ MDLII
ATTOl
Scena 1, v. 41: Averci — > Avrei; v. 105: aveva — > avca
58 Edizioni critiche
Scena 3, v. 214: porto — >• porta
Scena 6, v. 342: lavorieri — > lavorier
Scena 7, v. 373: spendere — ^ spender
ATTO 2
Scena 1, v. 534: Che si ch'ei viene... — > Sì ch'ei viene...
Scena 2, v. 567: Medici -^ medici; v. 572: cantare — > cantar;
V. 573: cagione — > cagion; v. 579: padrone — >• padron
ATTO 3
Scena 1, v.993: ardire — >• ardir
Scena 2, v.1032: io vado, ma tu — > io vado, tu
Scena 4, v. 1070: Quanti -^ Quante; 1097: sono -^ son; v. 1130: certo-
certa
Scena 6, v. 1238: portano — >^ portan
Scena 10, v. 1535: tutto — ^ tutta; raccolto -^ raccolta
ATTO 5
Scena 2, v. 1613: batter — >■ battere
Scena 4, v. 1740: darle — > dargli
Scena 9, v. 1849: vostro — > nostro.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 59
ALLO ILLUSTRISSIMO ET ECCELLENTISSIMO
SIGNOR DUCA DI SOMMA.
SOMMA è titol conforme al Duce, il quale
Di bontà somma, et somma gratia è impresso.
Et non che vinca altrui, vince se stesso
Di generosità fama, e reale .
L'alto cognome a lui si dee, che tale
È in ciascun magnanimo progresso,
Ch'ogni somma vertù lungi, et apresso
Lo registra in catalogo immortale.
Ben può dir nel mirarlo il divo HENRICO'
Ch'una sì somma, e trionfai presenza,
In molti Heroi, non vide il tempo antico.
Fortuna in somma sia di tua prudenza.
Se giuri, ancor ch'egli ti fia nemico,
Ch'è minor del cor suo, la tua potenza .
Essendo il prefatto soneto, fattura di quello Aretino mirabile, che ne'
suoi stupendi ritratti non usa altri colori, che i posteli da la verità nello stile,
è debito di ciascuno che tiene qualche virtù nella penna, ad imitatione di lui
che i buoni celebra et i rei vitupera, di riverire con lo ingegno in le carte, co-
loro che egli riverisce con lo spirto ne gli inchiostri; onde io, promosso da
lo esempio del divino huomo, intitolo alla Eccellenza del Signor Gian Ber-
2 Di generosità... reale: la fama di generosità e di valore, di virtù reali.
■^ il divo Henrico: Enrico II, re di Francia (1519-1559).
■♦ Fortuna... poten:^: 'O Fortuna, alla fine si manifesti la tua prudenza se giuri che, quan-
do egli ti sia nemico, la tua potenza è mferiore al suo valore'.
60 Edizioni critiche
nardino Illustrissimo la presente comedia inchinandomigli, che in vero (sì
come dice il gran Piero) alle imagini de i sand del cielo si accendano lampa-
de, et a' nomi de i personaggi del mondo, si dedicano opere , et perché non
luochi luminosi ma alle volontadi buone pongon mente i beati. Son sicuro
che senza dar cura alla mia compositione di poco valore, sarà da V.S. Illu-
striss. riguardato il mio core: i sinceri affetti del quale non provano consola-
tione che agiunga alla sincerità di lui, mentre lo acerrimo dimostratore de le
virtù et de i viti glorifica in lingua per sua natura libera, le qualità somme di
voi, affermando che séte lo inventor delle magnificentie, non pure lo esecu-
tor delle sue splendidezze magnifiche, risolvendola nella prudenza, et nel
valore che vi fa sì caro alla Cristianissima Maestà, et sì grato, che più non ne
sperareste di gratia et favori da voi stesso, sì che per essere qual sarete nella
mansuetudine et benignità tuttavia, non dubito che questa piccola offerta,
che <a> V. S. Illustriss. insieme con l'animo ch'io le tengo sen viene, non
le sia accetta et piaccia, per il che basciole la mano famosa nella liberalità, et
nelle armi. Di Vinegia alli nove Marzo del MDLII.
Di V.S. Illustriss.
et Eccellentiss.
Humile et devoto servitore
Girolamo Parabosco.
5 alle imagini... opere: cfr. ad esempio Aretino, ha Cortigiana (edizione 1534), lettera dedi-
catoria a Bernardo Cles, principe vescovo di Trento: «De i miracoU che fa la bontà d'Iddio
sono testimoni i voti che gli si porgono; di queUi che escono del valor de gU uomini fanno
fede le statue che gli si consacrano; e de lo amore che la cortesia de i principi porta a i
buoni mgegni siamo certi per le opre che gli si intitolano».
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
61
PERSONE DELLA COMEDIA
EUGENIO
MARSILIO
Vecchi
GIBERTO
Pellegrino giovane
MUTIO
Giovane
CLITIA
LAVINIA
Giovane
RIBECCA
FINOCCHIO
Servi
OLIVA
FIORE
Fantesche
SPAVENTO
Bravo
HONESTA
Ruffiana
LAURETTA
Cortegiana
NAFISSA
Madre
SPETIALE
62
EdÌ2Ìoni critiche
DEL PELLEGRINO DI M. GIROLAMO PARABOSCO
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Ribecca servo, et Mutio padrone.
RIBECCA
MUTIO
RIBECCA
MUTIO
RIBECCA
MUTIO
Io vi prego, padron, non m'astringete
A far questo, perché. . .
Perché? Dì suso!
Non son costor tutti gentili, e degni
Che tu lor facci voHntier ser\àgio?
Son degni sì, ma mi vorrebbon fare
Dir cosa, a dirvi il ver, ch'io non vuo' dire.
In fin^, padron mio car, questa comedia
Faran lor senza me, per ch'io non voglio. .
Che cosa? Dillo su!
Per ch'io non voglio
Dir delle donne mal, ch'io son lor troppo
Affettionato, e per lor morirei,
E spargerei il sangue, et le midoUe .
Tu hai ragion di non voler dir male:
Nella parte tua c'hanno costoro
Messo o introdotto, che con pace loro
Dir non si possa?
10
15
^ Ribecca: A nome del servo è in un certo senso "parlante" poiché evoca lo strumento
popolaresco delle stornellate e delle proclamazioni di storie divertenti e salaci.
^ costor. si riferisce con ogni probabilità alla compagnia di attori (oserei precisare "dilet-
tanti", visto che anche Ribecca è invitato a parteciparvi) destinati alla rappresentazione di
una commedia negli ambienti aristocratici della Venezia del tempo.
* In fin: per farla breve.
^ sangue, et le midolle: è coppia petrarchesca, cfr. Petrarca, R.V.F., CXCVIII, v. 5: «Non ò
medoUa in osso, o sangue in fibra».
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
63
RIBECCA Oh oh, che cosa àn?
r noi vuo' dir, basta' che la mia parte
Narrava il modo che si tien da tutte
In farsi belle, e l'arte ch'usan poi
Nel coprir lor diffetti", e ch'era cosa 20
Ch'a dirvi il ver sapea troppo di fumo .
MUTIO Come sarebbe? Su, di gratia, diUo!
RIBECCA Non lo dirò, per Dio, che ci hanno posto
Fin come fan le zoppe a parer dritte
Co i zoccoH ineguali, e come ancora 25
Nascondono le gobbe, e come fanno
Co i veli, et altre astutie, il coUo lungo
Fuor di misura, apparer giusto e bello;
De' sughi de gl'impiastri, e de gH unguenti'^,
De gH ogli bianchi, e grassi d'animali''* 30
Non ve ne parlo, che ce n'è migliaia
Chi per capegU, e chi per macchie d'occhi,
'" basta: ti basti sapere.
" l'arte... difetti: il dialogo tra Mutio e Ribecca si presta in questo punto al topos
sull'esagerata cosmesi femminile che caratterizza le opere di ambito realistico giocoso, ma
consueto anche per il Parabosco (ad es. cfr. / Contenti, atto 2, scena 2 e Lm Fantesca, atto 3,
scena 1). Ricordiamo che il tema era già presente nella Cassaria dell'Ariosto, atto 3, scena 5
(cfr. Ariosto, L^ commedie, a cura di Michele Catelano, ZanicheUi Editore, Bologna, 1933,
voi. 1, p. 74) e, ancor prima, nella Cant(one distesa di Franco Sacchetti contro a la portane de le
donne fiorentine (cfr. Franco Sacchetti, // libro delle Rime, a cura di Alberto Chiari, Bari, Later-
za, 1936, CLIII), per poi riaffacciarsi sulle scene ad esempio in Calmo, Il Saltut^^, atto 3,
scena 2, p. 103. Sull'argomento si veda inoltre Franca Ageno, Cosmetica femminile in un sonetto
dell'Angiolieri, articolo recentemente ristampato in Studi lessicali, a cura di Paolo Bongrani,
Franca Magnam, Domizia Trolh, Bologna, Clueb, 2000, pp. 173-177.
'^ Sapea troppo di fumo: 'aveva un sapore troppo aspro e sgradevole' è il significato con-
creto riportato da GDU, VI s.v. fumo. Nel nostro contesto però il valore della locuzione
dovrebbe essere simile piuttosto a vender fumo, 'far apparire qualcosa per un'altra' o a non
voler sentir fumo di qualcosa 'non volerne sentir parlare'.
'^ sughi, impiastri, unguenti: varie sostanze cosmetiche. In particolare il sugo è da inten-
dersi come il liquido estratto in vari modi da organismi vegetah; l'impiastro era un prodot-
to curativo molle, ottenuto da sostanze bollite e ridotte in pasta, o da pomate mescolate a
farine; l'unguento, infine, era una sostanza untuosa, contenente dei medicamenti, oppure
semplicemente utilizzata per cospargere il corpo di essenze profumate.
'■• ogli bianchi, grassi d'animali: si tratta ancora di tipologie di unguenti.
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Edizioni critiche
MUTIO
RIBECCA
MUTIO
RIBECCA
MUTIO
Chi per levar lentigioi del volto.
Si parla anco de i ferri e vetri ch'elle
Adopran per pelarsi e scorticarsi;
Ragionano costor infin de l'arte
Ch'usano in caminar, in star pensose,
In guatar da lascive, in mover riso,
In formar paroline, e i miUe modi
Che san trovar per allacciar gH Amanti
Avrei sol detto al fin, ch'elle non pensano
Né studiano alle lacrime, e a gl'inganni
Né a l'usar frodi.
E ciò non si può dir?
Ma soggiunge l'autor che in cotai cose
Sono senza pensier troppo eccellenti.
Per ch'è natura lor l'esser perverse .
Tu hai ragion, se ci son dentro queste
Cose, di non voler quel che non vói,
Ma s'io potessi far che si levassero.
Non saresti poi tu contento ancora
Di ricitar con lor?
Forse il farei,
r vogHo in ogni modo che si levino:
Che non hanno ragion contra le donne,
r dico contra a tutte, che per una
Che se ne trovi che di biasmo sia
Degna, se ne ritrovan miUe poi.
Che merito han d'esser portate in cielo,
E celebrate ne i più degni scritti.
Né tutte hanno i difetti, onde convegna
Lor per coprirli usare arte od ingegno.
Ahimè, che cosa opporre alla mia Dea
Si può, Ribecca? E qual è cosa in lei.
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^5 in cotai cose... perverse: non piangono studiatamente, né devono sforzarsi di elaborare
frodi ed inganni, perché tutto ciò risulta loro molto spontaneo.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 65
Che in lei senza arte non appaia sempre
Degna d'essere scritta per miracolo?
Ha il volto, come sai, di pura neve, 65
Sparso di rose' , e di cinabbro ^ fino;
Gli occhi poi, neri lunghi e si lucenti,
Che fan parer il Sol picciola stella ,
La voce dolce è chiara, i capei d'oro ,
Picciola bocca"', et de rubini i labri, 70
Di perle i denti", e d'hebano le ciglia,
"^ Da questo punto il dialogo si trasforma nella celebrazione della bellezza della donna
amata, condotta secondo i canoni della descriptio mulieris. Il brano è sicuramente esemplifi-
cativo della maggiore letterarietà di cui Parabosco scegUe di fare sfoggio nella sua unica
commedia in versi: a parte i singoli dettagU fisici, che ricalcano la figura della Laura petrar-
chesca e in generale di tutte le donne cantate dalla poesia amorosa, dallo Stilnovo fino alla
fine del Cinquecento, per il ritratto nel suo insieme, l'antecedente più importante nella let-
teratura italiana è costituito dalla presentazione di Alcina nel VII° canto dell'Or/^Wo Furio-
so; altri legami si rintracciano con la Gerusalemme Uberata del Tasso e con le Stantie (I, 43-44)
del Poliziano (per il ritratto di Simonetta). Non si dimentichi tuttavia che l'encomio della
bellezza dell'amata compare anche nella seconda scena del primo atto de 1^ Celestina di
Fernando de Rojas, ovvero in una commedia che, con il suo finale tragico, scardinava pre-
cocemente la distinzione dei generi teatrali classici. Per l'edizione italiana cfr. Fernando de
Rojas, L^ Celestina, a cura di Corrado Alvaro, Milano, Bompiani, 1980 (prima edizione
1943), controllata suUa prima traduzione italiana, di Alfonso Ordognes, Tragicomedia di Cali-
sto e Melibea traducta da Alphoso Hordognes [...], Mediolani, Officina Libraria Minutana, 1515 e
sull'edizione veneziana del 1541, Celestina. Tragicomedia di Calisto et Melibea nuovamente tradotta
de lingua Castigliana in Italiano idioma [...], Venezia, Giovann'Antonio e Pietro di NicoUm da
Sabio, 1541.
'^ Ha il volto... rose: motivo consueto del candore del volto, che contrasta con le guance
rosee. Cfr. Ariosto, O.F., VII, 11, w. 5-6: «spargeasi per la guancia delicata / misto color di
rose e di Hgustri»; e ancora Tasso, G.L., IV, 30, w. 5-6: «dolce color di rose in quel bel vol-
to / fra l'avorio si sparge e si confonde».
'^ cinabbro: tipo di minerale di colore rosso; anche questo è riferimento consueto, so-
prattutto nella poesia arcadica; si veda inoltre Ariosto, O.F., VII, 13, v. 2: «la bocca sparsa
di natio cinabro».
^'^ gli occhi ... stella: Anosto, O.F., \TI, 12, v. 2: «son duo negn occhi, anzi duo chian soli».
^^ capei d'oro: Ariosto, O.F., VII, 11, v. 3: «con bionda chioma lunga ed annodata», ov-
viamente sulla scia del Petrarca, K.V.F., XI, v. 9; XII, v. 5; XC, v. 1...; cfr. anche De Rojas,
Lm Celestina, atto 1, scena 2, p. 61: «Hai mai visto le matasse d'oro filato che fanno in Ara-
bia? Sono più belli e non splendono meno».
2' picciola bocca: cfr. De Rojas, La Celestina, ivi: «la bocca piccolina».
22 di perle i denti: Ariosto, O.F., VII, 13, v. 3: «quivi due filze son di perle elette».
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Edizioni critiche
RIBECCA
MUTIO
D'avorio il collo, che disteso e dritto
Esce da le rotonde e larghe spalle,
Il petto rilevato e senza macchia.
Quei dolci, acerbi pomi , anzi il tesoro
Tutto d'Amor, quelle mammelle dico
Rotonde rilevate, e in spazio giusto
Fra sé divise e separate, e quelle
Braccia dritte e distese, e quella mano
Morbida, lunga, candida e gentile:
Mano che annodar suol quelle catene
Ch'eternamente fan prigion altrui;
Il corpo delicato et di misura
Giusta composto, i fianchi rilevati,
Picciol il piede , grav' e presto attempo'
Che dirò poi de i guardi, e che de i risi,
Delle parole poi accorte e saggie
C'hanno forza di far che il giaccio prenda
Humano senso per farlo arder poscia
E liquefarsi d'amoroso fuoco ?
Maraviglia non è s'avete preso
A dif fender le Donne, che la Vostra
Cagion n'è sola, che vi tiene al fianco
D'Amor lo spiedo, e al cor vi tiene il fuoco.
Anzi l'anima tiemmi in paradiso:
Chi si volge a contemplar di lei
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2^ dolci, acerbi pomi: Ariosto, O.F., YW, 14, v. 3: «due pome acerbe e pur d'avorio fatte»;
Tasso, G.L,., IV, 31, v. 3: «parte appar de le mamme acerbe e crude».
2^ mano ... candida: cfr. Ariosto, O.F., 15, w. 2-3: «e la candida man spesso si vede / lun-
ghetta alquanto e di larghezza angusta»; Parabosco, lettere, II, XXR'^; III, XI, rr. 22-23.
2^ picciol il piede: a conclusione della descrizione fisica, vale ancora il confronto con
l'Alcina dell' O.F., 15, v. 6: «il breve, asciutto e ritondetto piede».
^^a-ttempo: nello stesso tempo.
2^ parole... fuoco: per l'ardore amoroso suscitato dalle parole dell'amata, cfr. Petrarca,
K.V.F., LXXIII, 14-15: «anzi mi struggo al suon de le parole, / pur com'io fusse un huom
di ghiaccio al sole»; Boiardo, Inamoramento de Orlando, II, XA'^II, 56, v. 8: «Di lui s'accese in
amoroso fòco».
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
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RIBECCA
MUTIO
RIBECCA
MUTIO
RIBECCA
MUTIO
RIBECCA
MUTIO
La gratia, la beltà, la leggiadria
Sta sempre in ciel" .
Ben, che v'ha detto donna
Honesta? Farà ella in buona forma
L'officio? Dalli il cor di reuscire? 100
Venne come tu sai con buone nove,
E sta mane mi disse che sperava
In modo far, che questa sera forse
Le parlerei, che così motteggiato
Gli avea Lavinia.
Oh voi più che beato! 105
Se tanto vivo, sì.
Vi promettete
Ben poca vita, se per manco d'hoggi...
Io dubbito che il Sol si faccia immobile,
O invidioso di sì raro bene
Sia così lento a far l'usato corso, 110
Che passino cento anni, anzi che giunga
Questa mia desiata e lieta sera.
Voltiam padron di qua, che facilmente
Potressimo incontrar Marco Barbona^°.
Oh buono aspetto ha questo Pellegrino! 115
2^ An:^... ciel: quasi superfluo sottolineare il legame tra questi versi e la concezione stil-
novista (in particolare dantesca) della donna come fonte di salvezza, in grado di elevare
l'uomo che la ama al regno dei cieli, già presente nella lirica siciliana e che rimane come
elemento costante della produzione di carattere amoroso ancora per secoli. Si veda ad es.
Iacopo da Lentini, / m'alio posto in core a Dio servire, v. 14; Dante, Par., XV, v\'. 34-36; Pe-
trarca, RVF, CCXCCII, vv. 5-7; Poliziano, Rime, CVI, w. 1-2...
2^ motte^iato: 'accennato'.
^" Marco Barbona: probabilmente è una variante di Marco Pepe, Marco Sfila che, rifacendo-
si alla figura del brigante Marco Sciarra (per cui si rimanda al Podiani, Fidi Amanti, atto 4,
scena 4), indicano gli smargiassi, i bravi (cfr. Dit^onario dei modi di dire, a cura di Ottavno Lu-
rati, Milano, Garzanti, 2001, p. 520).
68 EdÌ2Ìoni critiche
SCENA SECONDA
Pellegrino solo/^
PELLEGRINO Qual finissimo marmo, o qual Diamante ^^,
Od altra pietra che maggior durezza
Ritenghi in sé, potria tenir giamai
Così sicuramente il nome e i gesti,
La bellezza, i costumi et le parole 120
Di bella donna, dentro a sé scolpito.
Come il cor tien d'un ben acceso Amante^^?
Ahimè che tante passioni e tanti
Travagli e tanti affanni in miUe parti
Sostenuti e sofferti^"*, et appresso tante 125
Da beUissime donne, et gentilissime
Cortesie usate, mai non ebbon forza
Di levarmi dal cor pur un momento
La memoria ch'io tengo della gratia.
De la beltà de la mia donna ingrata^^! 130
^^ Per il topos dell'inutilità del pellegrinaggio per rimarginare le ferite amorose, il riferi-
mento è a Petrarca, R.V.F., LXIX e a Boccaccio, Decameron, III, 7.
^^ Qual.... Diamante: tali elementi, proverbiali per la loro durezza, sono presenze canoni-
che nelle lamentazioni amorose, a partire da Ovidio; si veda ad esempio Petrarca, K.V.F.,
CLXXI, w. 10-11; Poliziano, Orfeo, w. 66-67; Rime, XXXIV, v. 6 e CVI, v. 12; Calmo, //
Saltut^a, atto 2, scena 6, p. 92: «È possibile che non si rompi la durezza di questo adaman-
te?». Per la formula invece l'eco è di matrice ariostesca, cfr. O.F., XLII, 1, w. 1-2: «Qual
duro freno, o qual ferrigno nodo, / qual, s'esser può, catena di diamante (...)».
^^ ben acceso Amante: cfr. Ariosto, O.F., XXXII, 74, v. 1: «Come s'allegra un bene acceso
amante» ma anche Parabosco, Hermafrodito, atto 3, scena 5: «Oh vita troppo miserabile, che
è quella d'un ben acceso amante».
^^ Ahimè... sofferti: cfr. Parabosco, / Diporti, In Vinegia, Appresso Domenico Giglio,
1558, Giornata II, Novella XII, p. 64: «per li disagi sofferti in questo, et in quell'altro pae-
se, et per la passione amorosa (...)».
^^ Si noti, nei monologhi del protagonista, la serie di aggettivi riferiti alla donna o al suo
cuore: ingrata, duro cor, fredda e dura, nella scena 4: dura e proterva, ingrata, crudel, fera, crudele;
atto 2, scena 6: crudel, ingrata, cruda, fiera e spietata, crudeltà, crudelissima, crudel, donne crudeli, cru-
da, empie et ingrate donne, donna ingrata, crudele, crudel, scena 7: crudele, crudeltà, ingrata, femina cru-
dele, tigre crudele, che la rendono prossima ad un tiranno della tragedia; ad esempio gh agget-
tivi crudele ^ fiero sono utilizzati con insistenza dal Giraldi Cinzio per dipingere la figura di
Sulmone nella sua Orbecche (atto II, scena III, in // teatro del Cinquecento. L^ tragedia, a cura di
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 69
C'ha potuto valermi il gir tanti anni
Per lo mondo disperso, et con speranza
Di poter, poi ch'a lei non era io caro.
Porre in oblio per ciò la sua beltate?
C'ha potuto giovarmi (ahi lasso) dico, 135
Se più che mai, ne la mia patria acceso
De l'amor di costei tornato sono?
So ben che da i parenti e da gli amici
Col pianto e co i sospir le funerali
Esequie ho avuto, se pur com'io spero 140
A l'orecchie di loro è pervenuta
La nova, ch'io indrizzai de la mia morte:
Solamente costei, sola cagione
Del lungo esilio mio, non avrà pianto.
Ma poi fiero destin consente e vuole 145
Che più cresca ad ogn'hor quanto devria
Scemarsi^^ più questa mia fiamma immensa;
Veder vo' se costei con qualche modo
Pel lungo mio pellegrinaggio, oppure
Per la finta novella di mia morte, 150
Ha punto il duro cor rotto o smagliato ,
Che incontro a la pietà sì forte siede.
L'habito lungo, et la cresciuta barba
Ch'io porto al viso mi potrà giovare
Renzo Cremante, Milano-Napoli, Ricciardi editore, 1997, pp. 334 e segg.)- Il tema della
crudeltà della donna amata è del resto presente anche nel primo libro delle lettere Amorose,
I, lettera XII.
^'^ Che più cresca... scemarsi: cfr. / Diporti, op. cit., p. 64: «non potendo homai più soppor-
tare l'amoroso fòco, che non solamente per lunga lontananza scemato non era, ma sì bene
cresciuto assai, et di forza maggiore divenuto sempre». Cfr. anche un certo nchiamo in
Gonzaga, Fido Amante, VII, 34.
" rotto 0 smagliato: 'profondamente turbato' (cfr. GDLI, XIX s.v. smagliato); l'espressione,
comunque, conserva un'impronta epico-cavalleresca, essendo generalmente riferita alle
armi e significando letteralmente 'scalfito, spezzato' (cfr. Petrarca, IV, 2, 105; Aretino, Dui
primi canti d Angelica, in Poemi cavallereschi, a cura di D. Romei, Roma, Salerno Editore, 1995,
ott. 10: «l'arme smagliate e fieramente rotte»).
"•^ cresciuta barba: cfr. 7 Diporti, op. cit., p. 64: «la barba folta, et lunga cresciuta».
70 Edizioni critiche
Tanto, ch'io non sarò riconosciuto; 155
Ben saprò io, se il ciel m'aita e presta
Favor, che occasion mi s'appresenti
Parlarle in cotal forma, e in tal maniera,
Che facile mi sia sottragger^^ s'eUa
Udì la nova di mia morte, e s'ella 160
Ne sentì passione, et se giamai
Quel suo core di ghiaccio e di Diamante ^
Scaldò fuoco d'amore, o punse strale,
Per lo indegno pietoso esilio mio;
Et s'avien poi che com'io credo i' trovi, 165
Ch'ella più che mai fredda e dura sia.
Con questa destra in sua presenza vogHo
Aprirmi il petto, e lei paga e contenta
Render del sangue, et dello spirto mio .
Ma chi è costei che vien tacita e sola"*^? 170
SCENA TERZA
OHva et Pellegrino.
OLIVA Ecco quel Pellegrin ch'io vado apunto
Di qua e di là tutta mattina indarno
^^ sottra^er: 'carpire, riuscire a sapere' (cfr. GDU, XIX s.v. sottrarre).
■*" Diamante: Il paragonare il cuore ad un sasso o al diamante è un topos frequentatissimo
nella lirica amosa (cfr. Petrarca, RKF, CLXXI, 10: «del bel diamante ond'ell'ha il cor sì du-
ro»; Poliziano, Orfeo, w. 66-67: «la bella ninfa che di sasso ha '1 core, / anzi di ferro, anzi
l'ha di diamante»).
"*' fredda e dura: gli aggettivi portano avanti l'immagine del cuore di ghiaccio e di diaman-
te espresso nei versi precedenti. Per l'aggettivo dura si riscontra una certa ripresa del Pe-
trarca, KVT, LXXI, 44.
•*2 Et s'avvien... spirto mio: cfr. / Diporti, op. cit., p. 64: «(...) avendo prima fra sé stesso de-
liberato, se all'usato dura, et crudele la ritrovava, di volersi a uno stesso tempo, et palesarsi,
et in sua presenza ferirsi d'un coltello nel petto, et morire». Sulla crudeltà della donna si
veda anche lettere A.morose, I, XII, rr. 44-47.
■*■'* tacita e sola: cfr. Dante, Inj., XXIII, 1: «Taciti, soli, sanza compagnia»; Petrarca, Trium-
phus Mortis, V. 122: «tacita, e sola lieta si sedea».
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
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PELLEGRINO
OLIVA
PELLEGRINO
OLIVA
PELLEGRINO
OLIVA
PELLEGRINO
OLIVA
PELLEGRINO
OLIVA
PELLEGRINO
Cercando. Iddio con voi sia, huomo santo!
Santo sarei se per cagion d'Amore
Il sopportar martìr facesse huom tale. 175
Non v'ho inteso, messer.
r dico ch'io
Ho per amor di Dio sofferti tanti
Tormenti, fra i viaggi e tante pene
Che quasi mi potrei così chiamare.
Di voi tutta mattina indarno cerco. 180
A che son buon per voi?
DiroUo adesso.
Una giovane quale è la mia padrona
Inteso ha come voi per cosa certa
Sapete indovinar per santitate
Ciò che vi si dimanda, e però vuole 185
Parlar con voi, e dimandarvi forse
Cose importanti, pertinenti a lei,
Ned esser può che non ne riportiate
Da lei miUe presenti'* et elemosine.
Come ha nome costei?
CHtia si chiama. 190
Ha padre? Ha madre? E maritata, o putta?
Ha padre, e madre, et è pulzella in casa.
Ma si tramano ben le nozze, et ella
Ne sta di mala vogHa, et ne sospira,
Perché vorrebbe il padre a un giovin brutto 195
Maritarla a ogni modo, et ella è morta
D'un forastier, d'un certo giovanetto
Ch'alloggia a l'hostaria della Santina'*^,
Bello quanto si può veder con gli occhi.
Ma il più crudo garzon che veda il cielo. 200
Come si fa chiamar per nome il padre?
■^presenti: doni (cfr. GDU, XIV s.v. presente; Boerio 533....).
^^ hostaria della Santina: si tratta chiaramente di un toponimo veneziano.
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Edizioni critiche
OLIVA
PELLEGRINO
OLIVA
PELLEGRINO
OLIVA
PELLEGRINO
OLIVA
Messer Marsilio è detto.
Ha più figliuoli?
Un altro maschio che è chiamato Mutio,
Il quale anch'esso è innamorato, e morto"**^
D'una figliuola d'un messer Eugenio, 205
Et si sarebbon già fatte le nozze,
Ma perché già un figliuol del detto Eugenio
Fu ucciso, et se ne die' senza altro colpa
(Ancor che senza prova) al detto Mutio,
Non può seguir innanti il sponsaHtio. 210
Insegnatemi voi la casa, ch'io
Da quell'hora verrò che voi vorrete.
Di qui la casa vi potrò insegnare:
Vedete quella porta ch'ha quel gatto
Depinto sopra? Quella è nostra casa. 215
Venir potrete come sona Vespro,
Che da quell'hora non è il vecchio in casa,
E la madre si trova in villa ancora.
Itene, ch'io verrò senza alcun fallo.
Restate in pace. Iddio resti con voi. 220
SCENA QUARTA
Pellegrino solo.
Ahi cruda sorte"*^ mia, so che non hai
Tardato un momento a procacciarmi
Occasione, onde conoscili espresso
Costei esser ancor dura e proterva'**.
"'^' innamorato e morto: dittologia consueta con valore superlativo; sarà ripresa, con mini-
ma variazione, anche al v. 1287.
•*^ cruda sorte: cfr. Petrarca, KVF, CCX\ai, v. 1 1.
^^ proterva: arrogante, sfrontata. L'espressione è dantesca, usata in Purg. XXX, 70, e poi
mutuata dal Poliziano {Stanile, II, 28: «tutta nel volto rigida e proterva») e dall'Ariosto
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 73
Sì che ne segua poi la morte, ch'io 225
Deliberato al tutto ho di donarmi!
Ma come potrò io celarmi a questa
Ingrata donna, o come mai soffrire
Potran questi occhi miei mirarla, i quali
Tante volte gioir veduta l'hanno 230
De' miei tanti dolor, delle mie tante
Così acerbe e pietose passioni?
O come potrà mai soffrire il centro
Del suo fuoco il mio cor così d'appresso.
Se così lungi, ahimè, non n'ha potuto 235
Sopportar parte lungamente in pace?
Come potran queste misere orecchie
Sopportar quella voce, che già tante
Volte a gran torto minacciommi morte?
Come potrà questa mia lingua poi 240
Formar parola mai ch'altro risuoni
Che ingrata, che crudel, che fera donna?
Horsù quel n'avverrà ch'avvenir deve;
10 me n'andrò, poi che mi tengon santo
In questa terra, et n'è cagion l'ostessa 245
Che empiuto ha il mondo ch'io predissi a lei
Del parto doppio suo, et fu ventura
Benché il nome n'acquisti di profeta,
11 che mi torna ben, per ch'è cagione
Ch'io da costei così son ricercato, 250
Che ci va'*'^ che costei parlar mi vuole
{O.F., X\^, 3, V. 3: «sotto cui si nasconda un cor protervo»); in particolare, per la coppia
qui impiegata, cfr. O.F., X, 8, v. 2: «che vi mostrate lor dure e proterve».
^'^ Che ci va. la stessa espressione, evidentemente in uso, è presente anche ne La Fantesca
(atto 1, scena 3, p. 73: «Che ci va che io ve insegnare il modo di reuscire anco in questo, se
mi crederete») nonostante non sia riportata nei dizionari. Non mi pare invece appropriata
al contesto l'interpretazione data da L. D'Onghia al passo de Lm Fantescu appena ricordato:
«Che ci va?» 'che ci vuole?' (cfr. L. D'Onghia, Sulla «Fantesca» di Parabosco: a proposito di una
recente edit<^one, in «Giornale storico della letteratura italiana», voi. CLXXXIV, fase. 205,
2007, p. 123).
74 Edizioni critiche
Di questo Amante suo che ne fa stratio!
Ahimè, potrò io mai raffrenar l'ira
Sì che a dar morte a lei spinto non sia,
All'hora ch'io vedrò questa crudele 255
Languire, e sospirar per cui l'ancide ,
Ramentandomi poi la crudeltate
Ch'ella usò sempre a me che l'adorai?
Ma forse adesso ciò consente il cielo,
Ond'io le possa con l'essempio istesso 260
Far conoscere la forza del martire,
Ch'amando lei più che la vita stessa
Ho sopportato, ahimè, sì lungo tempo.
Senza averne altro mai per guidardone
Che sdegnosi atti, che turbati sguardi, 265
Che parole superbe, et minacciose.
Sì come hor forse, per vendetta mia
Consente il ciel, che di perfetto amore
Similmente d'altrui essa riporti.
Io mi voglio partir che l'hora è tarda. 270
5" per cui l'ancide: per colui il quale l'uccide.
^' perfetto amore: l'espressione (ripresa, con qualche variante anche più avanti, atto 2,
scena 7 e atto 3, scena 3) richiama \\ fin' amor ^ tradizione cortese e provenzale, e compare
anche nel primo libro delle 'Lettere Amorose, XV, r. 1 : «Veramente colui che ama di perfetto
amore (...)», come, ad esempio, nella più tarda commedia del Tasso (cfr. Intrichi d'Amore,
III, 10: «(...) e a chi v'ama con perfetto amore»).
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 75
SCENA QUINTA
Eugenio vecchio innamorato solo.
In effetto egli è ver c'Amor può il tutto ,
né può cosa fra noi centra di lui:
in me ne pòn veder pruova le genti,
c'hoggi mai vecchio, e con la chioma bianca ,
in tale stato poi, e in cotal morte 275
c'ogni picciol error mortai peccato
mi sarà sempre, e pur non ho possanza
co'l periglio, con gli anni, e col sapere
di schermirmi da lui, ch'a voglia sua
quinci e quindi mi gira, e mi raffrena , 280
con mio gran biasmo, ch'io ben già m'aweggio
che molti hoggimai san la mia pazzia ':
perché più non attendo a' miei clienti,
anzi lascio i litigi andar sossopra,
e Bartolo ^^ m'ho fatto, anzi il mio Dio, 285
una vii feminuzza, e a lei convienimi
ubidir sempre..., ma Finocchio viene.
52 Amor può il tutto: chiara ripresa della sentenza virgiliana «Omnia vincit amor, et nos
cedemus amori» (\%gilio, Bucoliche, X, 69), che il Parabosco utilizzerà anche ne II Ladro, 16:
«In effetto omnia vincit amor», e comunque tutt'altro che infrequente nelle commedie del
tempo (cfr. ad es. Calmo, IlSaltu:^, atto 5, scena 5; Gonzaga, Gli Inganni, atto 2, scena 4).
'"'^ vecchio... chioma bianca: cfr. Petrarca, RKF., XVI, v. 1. Si noti come anche il linguaggio
dell'anziano Eugenio, risenta del generale innalzamento di tono che pervade tutta la commedia.
5"' morte: stato mortale dell'anima.
55 quinci... raffrena: evidente eco petrarchesco (cfr. Petrarca, K.V.¥., CDLXXVIII, v. 1:
<o\mor mi sprona in un tempo et raffrena»).
5'' con mio gran biasmo... pa^a: anche il topos dell'innamorato divenuto oggetto ed argo-
mento di derisioni e commenti malevoli, è ripreso dal Petrarca (RI'.F., I, w. 9-11: «Ma
ben veggio or sì come al popol tutto / favola fui gran tempo, onde sovente / di me mede-
smo meco mi vergogno»).
^'^ Bartolo: 'una vile donnicciola ho eletto come mio Bartolo' (fonte del diritto o figura
esemplare nel quale rispecchiarsi) 'anzi come mia divinità'. L'allusione è ovviamente a Bar-
tolo da Sassoferrato (1314 - Perugia, 1357), famoso giurecolsulto italiano che commentò
tutte le parti del Digesto e compose numerosi trattari di diritto pubbUco.
76
Edizioni critiche
SCENA SESTA
Finocchio sen'-o ed Eugenio padrone.
FINOCCHIO Ben vi diss'io, padron, ch'era un solenne
Poltron costui, e che tosto che voi
Dello amor vostro il facevate accorto, 290
Che questa puttanella in braccio posta
AUa virginitate avrebbe, e poi
Cercato farvi star de molti scuti:
Quanto era megHo che il consiglio mio
Voi fatto avesti, e far prima alla vecchia 295
Che n'ha la cura, per persona accorta
Parlare, et offerir qualche presente:
Ch'avresti infin adhor l'intento vostro
Forse ottenuto, e per miglior derata^^.
Perdonatemi voi, in questi casi 300
Ci vogliono altre astutie, et altri punti
Che quei ch'usate voi sopra i pallazzi
Mentre lambicar fate in tanti scuti
I cor di quei meschin che liti fanno .
EUGENIO C'hai di novo? Che cosa? Che? Ragiona! 305
FINOCCHIO Ho parlato gran pezzo con Caverna,
E pienamente l'utile e il favore
Che gH è per trar da voi, gH ho posto innanzi,
S'egH consente che per qualche tempo
Costei sia vostra.
EUGENIO Et ei che t'ha risposto? 310
FINOCCHIO Oh, oh! Che noi faria per cento nulla
E più ducati, e che gli è huom da bene
^^ fam star, 'di pnvarvi'.
^^ miglior derata: 'con miglior profitto'.
''" Ci vogliono... liti fanno: consueta, per il Parabosco, la tirata contro gli awocati, qui ri-
tratti non solo come abili manipolaton della parola (cfr. Lm Fantesca, op. cit., p. 103), ma
anche come veri e propri truffatori che spremono {lambicar) economicamente i malcapitati
clienti (cfr. GDLI, Vili s.v. lambiccare 'spremere, spillare denaro').
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
77
EUGENIO
FINOCCHIO
EUGENIO
FINOCCHIO
E che vive su l'amii, e ch'è soldato,
E che se non temesse la giustitia
Di quel sacro santo et Illustrissimo 315
Senato^', che faria pentirvi forse
Di tanto vostro ardire, et che voleva
A me, per esser messagier, et vostro
Servitor, perdonar per questa volta,
Con promessa però che se più mai 320
Gli capitavo con tai ciancie innanzi,
Di farmene partir col naso in mano^^.
È si bravo costui? La cosa adunque
Del tutto è disperata?
Sì, per questa
Via, ma mi dà cuor, se voi volete 325
Giocar di borsa*^^, di far sì che voi
Sta notte avrete il vostro desiderio.
Di lui malgrado, e de le sue minaccie.
Noi sappiam già che de l'arte è costei ,
Et io conosco chi potria far farla 330
(Quando vogliate poi esser cortese)
Ciò che vorrete voi.
E chi è costei?
Una che non è viva^^, e non ha l'esser
Chi non sa chi ella è '; questa è una vecchia
'*' Se non... Senato: vistoso elemento propagandistico alla Serenissima presentata, secon-
do consuetudine per l'autore, come regno di giustizia ed ordine (cfr. lui Fantesca, atto 1,
scena 6 e atto 2, scena 9).
''^ Di farmene... naso in mano: 'di farmi allontanare dopo essere stato duramente percosso'
(cfr. GDLJ, XI s.v. naso, dove il passo in oggetto viene citato come unico esempio di tale
locuzione). Ricordiamo che anche Caverna è un bravo, quindi tale minaccia iperbolica è
usuale per la sua figura, poiché ne sottolinea la spavalderia e lo concretizza al lettore senza
di fatto portarlo mai in scena.
^^ Giocarci borsa: spendere generosamente.
^'^ Noi sappiam... costei: 'sappiamo che Lauretta è del mestiere'.
^^ che non è viva: probabilmente nel senso di 'vecchia decrepita, col piede ormai nella fos-
sa' anche se non ho sinora trovato altn riscontri.
78
Edizioni critiche
EUGENIO
FINOCCHIO
EUGENIO
FINOCCHIO
Che è maestra di Usci, et di belletti, 335
Di rÌ22Ì, di proffumi, et de bionde '^^;
Fa eletuari*^** per la madre, e incanta
I vermi a i mamohni , e suol portare
Attorno lavorier ' sempre, e ricami,
E questo fa per più sicuramente 340
Poter a suo piacer ne l'altrui case
Entrar e uscir, che sempre trova scusa
Di portar lavorier, e porta poUi '.
Ti dà cuor " che costei mi serva bene?
Sì, se il core a voi dà di spender meglio. 345
Spenderò quant'ho al mondo!
Et io di manco
Pur assai mi contento.
''^' non ha l'esser... ella è: 'non esiste chi non la conosce'. La seguente descrizione della
vecchia ruffiana richiama immediatamente l'immagine della Celestina dell'omonima com-
media di Fernando de Rojas (non a caso evocata esplicitamente al v. 464), atto 1, scena 6,
p. 67: «Qui teneva una mezza dozzina di mestieri, vale a dire: lavandaia, profumiera, mae-
stra in far belletti e rifare verginità, mezzana e un poco strega. II primo mestiere serviva a
coprire gli altri (...)»).
^^ bionde: lavanda per rendere biondi i capeUi (cfr. ad esempio GiancarH, Zingano, "021:
«Non studia in altro se non lambicar acque da viso, bionde da capeUi, fogge di colari (...)»).
^^ ektuari: preparati farmaceutici composti da un miscuglio di molti medicamenti in
polvere, impastati con sciroppo e miele. Era usato comunemente per curare molti disturbi.
^^ mamolini: bambini piccoli.
^^ lavorier. lavori, manifatture (cfr. F. de Rojas, L^ Celestina, atto 3, scena 2, p. 90: «Ho
qui un po' di filo in questa mia saccoccia, con altre coserelle che porto sempre con me, per
aver modo di entrare la prima volta dove non sono conosciuta: ecco gorgenne, veli, fran-
ge, collane, àlcole, liscio, sublimato; e aghi e spilU. Una cosa c'è e una si chiede. E mtanto
io attacco discorso, mi preparo a gettare la mia esca, o a lanciarla alla prima avvisaglia»).
^' polli: la \oz\xz\one. portare polli significa proprio 'favorire una relazione amorosa, fare il
mezzano' e le mezzane stesse venivano spesso definite 'pollastriere' (cfr. GDLI, XIII s.v.
polli; Modi di dire proverbiali e motti popolari spiegati e commentati da Pico Ljiri di l^assano, Roma,
Tipografia Tiberina, 1875, p. 40).
^2 Ti dà cuor: 'sei sicuro che' (cfr. Calmo, Il Saltu:^, atto 1, scena 2, p. 54: «(...) ch'el me
dà el cuore» interpretato come 'mi sento sicuro che' da D'Onghia, che riporta passi analo-
ghi de La Capraria del GiancarH).
^^ se il core a voi dà. 'se voi ardirete' (cfr.GDL/, III s.v. cuore). L'edizione giolitma del 1560
reca j"^ il core dà a voi, ma è preferibile la prima lezione, oltretutto giocata sul chiasmo.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
79
EUGENIO
FINOCCHIO
EUGENIO
FINOCCHIO
EUGENIO
FINOCCHIO
EUGENIO
FINOCCHIO
Horsù, non perdere
Tempo a tanto bisogno!
E voi, padrone,
Non perdete più tempo a darmi un paio
Di scuti per costei.
Tu chiedi troppo. 350
Voi cominciate già. Devresti pure
Sapere homai quel che il proverbio dice,
Che l'amor non s'ha caro
Col qual si fa lo Avaro!
Se mai più ve ne parlo, i' vuo' che voi 355
Mi tràte un occhio de la testa fuora!
Non tanta furia, no! Tu peggio sei
- A dirti il vero assai - che il fien bagnato.
Che prima fumo fa, che il foco l'arda!
Piglia ciò che tu vuoi, e servi e taci 360
E sii, come tu dèi, fidele e cauto.
De la mia fedeltà voi non dovete
Aver dubio nessun, nel resto poi
Preghiamo il ciel che ce la mandi buona!
Va pure, e fa' ch'a ritrovar mi vegna 365
Questa tua amica, che beata lei
Se per tuo mezo avrò l'intento mio.
Vado, padrone, et ho buona speranza
Che la debbano far questi dui occhi
Di civetta^^ più assai vostra che sua. 370
^"' l'Amor... avaro: i due versi citano probabilmente una canzoncina o strofetta popolare
di CUI, tuttavia, non ho trovato alcun riferimento preciso. Lo stesso dicasi per il paragone
esposto nella battuta seguente.
^^ occhi di civetta: 'rotondi e giallo chiari' per l'accezione fornita dal GDLJ, KV s.v. occhi,
ma qui ipotizzerei piuttosto U significato di 'abituati a vedere chiaramente anche ciò che
per lo più non si scorge' o semplicemente 'strega' se il riferimento è da intendersi nvolto
ad Honesta. Da non escludere neppure il significato furbesco di occhi di civetta 'ducati' che
compare già sia nel Nuovo modo de intendere la lingua ^erga, sia nel furbesco milanese con la
valenza più genenca di 'oro' (cfr. in 11 libro dei vagabondi, a cura di Pietro Camporesi, Tonno,
Emaudi, 1980, pp. 230 e 275).
80 Edizioni critiche
SCENA SETTIMA
Eugenio solo.
EUGENIO La tua amicizia, Amor, mi costa cara!
Quanti n'ho spesi già? Quanti ne sono
Per spender per costei? Questi sono altri
Che sospiri, che lagrime, che prieghi.
Son i scudi altro che martelli o chiodi, 375
Altro che "o passi sparsi"^*", altro che dire
"I son dell'aspettare homai sì vinto"!
Mai potrò dire averne buon mercato ^^
S'io non arrivo a un centinaio almeno.
Ecco com'io mi son così pian piano 380
Condotto sotto de le sue finestre,
E veggio non so chi che guata e ascolta
Per entro i buchi de la gelosia^^,
Et altri esser non può, se non colei
Ch'adoro in terra; salutarla voglio 385
Et hor che non appar per questa strada
Persona viva, raccontarle parte
De le mie gravi et aspre passioni,
«Dio vi dia pace, cuor del corpo mio!
Séte in opinion ch'io moia, o pure 390
Di darmi aita avete ancor pensato?
Non ve accorgete homai per tante prove
Che il mio amor è infinito? Ahi, chi più certa
Ve ne potrebbe far, che il tanto andare
^'' passi sparsi: si tratta ov\àamente àtW'indpit del sonetto CLXI del Petrarca «O passi
sparsi, o pensier vaghi et pronti!». Anche il verso sottostante presenta un'altra citazione dal
R.V.F., più precisamente l'incipit del sonetto XCVI. I richiami sono chiaramente in funzio-
ne di satira antipetrarchesca.
^^ averne buon mercato: 'di aver fatto un affare'.
''^ gelosia: si tratta della persiana, ovvero l'imposta della finestra realizzata con stecche
inclinate o incrociate, che permette di guardare fuori senza essere visto (per la medesima
espressione cfr. Aretino, Ragionamento della Nanna e della Antonia, II, p. 265).
// Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 81
Di qua e de là per vostro amor, e senza 395
Aver riguardo a l'honor mio, e a l'utile
Ch'io perdo ogn'hor, perdendo il tempo, ahi lasso!
Che per voi più non dormo, e sempre stommi
Col pensier dritto a voi, e voi più cruda
Séte ad ogn'hor, né vai che vi scusiate 400
Sopra Caverna, e dir ch'esso non vuole.
Che se voleste voi, vorrebbe anch'egli.
Che senza voi non può, voi sì senz'esso.
Eh, Vita mia, homai qualche scintilla
Di pietate ver' me! Siate contenta 405
Di ricevere il mio, anzi pur vostro
Core, ch'io vel donai la prima volta
Ch'io viddi quel bel viso in cui natura
Tutto il suo bello e '1 suo artificio vede ' .
Beata voi se contentate ch'io 410
Sia vostro servitor, ch'io farò in guisa
Che beata chiamar ben vi potrete:
Maneggiarete il mio, voi tutta sola
Ne sarete padrona, e in vostra mano
L'avrete sempre, e ne potrete fare 415
Ciò ch'a voi piacerà; la chiave avrete
Di tutti i miei dinar, delle mie gioie.
Che volete voi darvi in preda a qualche
Tenero Garzonel, che al fin vi pianta
Un grosso porro**', allhor c'avrà da voi 420
Avuto il suo voler, nella scarsella ,
^' pur. anche.
*' Tutto... vede: eco di stampo barocco in questa mescolanza di natura e artificio.
**' porro: la \oc\iz\one: piantare il porro con il significato di 'raggirare una persona e piantar-
la in asso' è abbastanza frequente nei testi comici del '500 (cfr. ad es. Gonzaga, Gli inganni,
atto 3, scena 1: «gli ricacciai il porro»; Bruno, Candelaio, atto 5, scena 2: «Io non dubito che
lui e tu mi avete piantato il porro dietro»; ecc.).
"2 scarsella: borsa di cuoio usata per contencr\T i denan, portata appesa al collo o alla
cintura, qui nel senso metaforico di 'quando vi avrà posseduta'.
Edizioni critiche
Et se ne vanti ancor per ogni loco?
Ahimè ch'io moio, ahimè ch'io son ferito!»
SCENA OTTAVA
Finocchio et Donna Honesta.
FINOCCHIO Ha ha ha ha ha ha! Oimè ch'io creppo!
DCNNAP^CNESIA Ha ha ha ha ha ha! Io creppo anch'io! 425
FINOCCHIO Oimè ch'io creppo, i' scoppio daUe risa!
Vecchietta mia, sia benedetta l'hora^^
Che mi séte venuta hoggi fra' piedi.
Ch'esser più a-ttempo non potea, che oltra
Che bisognava ch'io venissi infino 430
A santa Marta^'^ per trovarvi: avete
Goduto meco anche il piacer che il mio
Padron ci ha dato col contar i suoi
Tormenti ad una gatta che credeva
Che fosse la sua Diva. E avete visto 435
Come al saltar deUo animale in terra
Esso pensossi d'essere assaltato
E ito se n'è via più che di volo?
DQSNAHGNESIA Per quanto non vorrei essere stata
D'avere avuto così gran piacere! 440
Horsù ragiona ciò che vói, che tanto
In fretta mi cercavi!
FINOCCHIO r sarò breve
Nel mio parlar, per che veduto avete
*' sia benedetta l'hora: ovvio richiamo al sonetto LXI del Petrarca, qui accennato però in
chiave parodica data la situazione ed il tenore della conversazione tra i due furfanti.
"'' Santa Marta: nella Venezia odierna corrisponde alla stazione ferroviaria marittima.
Un tempo vi sorgevano il monastero e la chiesa di Santa Marta; si trattava di un quartiere
povero, abitato da pescatori, meta una volta all'anno, in occasione della festa patronale, di
una caratteristica festa notturna con barche illuminate, a cui partecipavano popolam, patnzi e
cittadmi (cfr. Lorenzetti, Venera e ti suo estuario, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1956).
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 83
In questo effetto sol, di quel gran parte
Che senza questo conveniva dirsi. 445
Come compreso avete il mio padrone,
Che è riputato pure in questa terra
E dotto, e saggio, e scaltrito avocato,
E di costei, ch'aver dovete voi
Sul vostro calendario'*^ innamorato. 450
DQsNAPOSIESIA Io la conosco, et ha Caverna il padre.
Per segno, nome '.
FINOCCHIO È quella apunto, et io
Ho tenuto fin hor su le bacchette ^^
Il mio padrone, et bollo fatto stare
Con lei d'accordo già di molti scuti: 455
Lei sempre bora in speranza, et bora in tema,
Com'era mio voler, tenuto l'have.
Hora per mezo tuo, non satio ancora
D'assassinar costui, ch'è ladro publico ,
Vorrei veder di trarli fuor di nuovo 460
De la borsa i lampanti , e partir teco
Fin una stringa il tutto ^\ et già gli ho detto
E dipinto di te cose impossibili:
E che sai l'arte più che Celestina"",
E che sei con costei dente e gengiva "... 465
*^ ch'aver... calendario: 'che voi conoscete o ricordate bene'. È un'espressione proverbiale
citata anche nel Morgante, XVIII, 139, 4 con il significato di 'ricordare proprio tutti': «e tutti
appvinto gli ho in sul calendario».
^^ ha Caverna... nome: 'il padre è soprannominato Caverna'.
"^ tenuto sulle bacchette: 'tenuto in ballo' (cfr. G. Polena, Vocabolario del venec^ano di Carlo
Goldoni, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana Treccani, 1993, p. 43).
^^ ladro publico: poiché si tratta di un avvocato.
^^ lampanti: in gergo furbesco i 'denari'.
'^" Partir teco. ..il tutto: 'dividere con te tutto il guadagno, fino alle cose di infuno valore'
(come la stringa).
'^' Celestina: la vecchia mezzana dell'omonima commedia attribuita a Fernando De Rojas
è qui citata proprio come personificazione dell'astuzia e della stregoneria.
84 Edizioni critiche
DQSNAHQSESIA Hor sia lodato il ciel, che buon incontro
Contro ogni creder mio stamane ho fatto!
Meglio sarà per noi che a qualche modo,
Per qualche giorno ancor, lo intrateniamo
Su le speranze, e poi farem quel meglio 470
Che ci parrà che ci consigli il tempo.
FINOCCHIO Anzi, vorrei che di ammazzarlo presto
Fusse il nostro pensier, ch'io temo ch'egli,
Che per sola cagion d'Amore è pazzo,
Non si risenta, et o per sdegno o d'altro 475
Si chiarisca del tutto, e ponga fine
Al spendere e aUo amor tutto in un punto.
Bisogna studiar per questa sera
Ordirgli qualche trapola, e che sia
Con qualche utile nostro: i' gH ho promesso 480
Che tu farai che questa stessa sera,
EgH averà la sua signora in braccio^^.
E di due scuti già gli ho fatto affronto
Per volerti donar, et perché adesso
Non gH aveva, di farmeli prestare 485
Voler gH disse a un mio caro amico,
et questo fèi perché non si potesse
pentir di darti questa prima mancia;
Sì che s'a sorte ei ti dicesse s'io
Ti ho i scuti dato, tu potrai rispondere 490
Ch'avutogH hai, perch'egH questa sera
Me H darà perch'io H possa rendere
A cui dirò che creditor ne sia.
DONNAFiONESTA Lavora fideHnente, e lascia fare
L'arte a chi sa, ch'io ti prometto e giuro 495
Che passerà per noi la cosa bene.
^2 dente e gengiva, 'una coppia inseparabile'. L'espressione è presente anche ne 1m Fante-
sca, atto 1, scena 2, op. cit., p. 65 e mi pare affine a quella de 1m Celestina, atto 3, scena 1, p.
88: «Sua madre e io eravamo unghia e carne».
'•^^ la sua signora in braccio: si noti l'espressione ironicamente cortese.
'^■* s'a sorte: 'se per caso'.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 85
FINOCCHIO Entriamo in casa, ch'ei non starà molto
A venire ancor lui palido e smorto
Per la paura. I' farò sì che CHtia
Crederà che voi siate una vecchietta 500
Che ricerchi da lui qualche consiglio.
DQSNAHCNESIA Sì sì, mettami pure a parlamento
Con la fanciulla, ch'io saprò ben io
Di ben fatte bugie empirle il fuso .
FINOCCHIO Intriamo adunque.
DCNNAHCNESm Qui sempre sia pace! 505
SCENA NONA
Eugenio solo.
Questo Caverna ne fa tante a fede,
Che sarà forza al fin ch'io faccia dargli
De quel ch'ei va cercando: egli deve essere
Stato c'ha tratto giù daUa finestra
Quel sasso certo per spezzarmi il capo! 510
Non starà molto anch'io ch'averò dietro
Un huomo tal che ti farà tremare
Dal capo ai pie, che ordinato hor hora
Ho che mi venga un paladino a casa;
Lo menarò così da lungi dietro , 515
Che non s'accorgeran le genti ch'egH
Sia meco in compagnia, et così poi
Potrò sicuro andar pei fatti miei.
r voglio in casa intrar, né mi partire
Prima o che lui, o che Finocchio venga. 520
'^ Empirle il fuso: 'farle girare la testa a furia di chiacchiere' (cfr. CDLI, VI s.v./uso).
"^^ paladino: si tratta chiaramente di un'espressione iperbolica che anticipa i caratteri della
scena seguente.
^^ lo menarò... dietro: mi farò seguire da lontano, per passare inosservato.
86 Edizioni critiche
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Finocchio solo.
Io creppo delle risa! Il vecchio fila
Fila sottil^ , ch'ei crede che Caverna
(Quando giù dal balcon saltò la gatta)
Fusse, che gli traesse, per ucciderlo,
Un sasso giuso, et hor perciò m'invia 525
A casa d'un suo amico, a cui ha imposto
Et lasciato ordine et commissione
Di ritrovar un bravo che gH vadi
Dietro con la Fusberta^^, et gli lo mandi
A casa, né può anco aspettare tanto 530
Ch'ei se ne venga, che mi spinge adesso
A dar pressa allo amico. Ma per Dio,
Che costui che ne viene apunto è un bravo
(Più solenne poltron non porta spada)
Sì ch'ei viene a lui! Voglio nascondermi 535
Ch'ei vien parlando fra se stesso, il pazzo!
^** Fila sottili nonostante la mancanza di riscontri per la locuzione precisa, si ricordi che
fillare in furbesco significa 'aver paura', come precocemente attestato dal Nuovo modo (cfr. P.
Camporesi, Il libro dei vagabondi, op. cit. pp. 219 e 222).
^^ Fusberta: la spada (attraverso il consueto richiamo ai personaggi dei poemi cavallere-
schi poiché, come noto, Fusberta è il brando di Rinaldo).
'"" A dar pressa: a sollecitare, a far pressioni.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 87
SCENA SECONDA
Spavento"" bravo, et Finocchio ascoso.
SPAVENTO Oh Giove, perché a te non piacque darmi,
quanto ho core et ardire, fortezza ^'', ch'io
forse spesso farei maggior fracasso
con questo braccio, fulminando i monti 540
ne le città *' , che le maggior bombarde""*
ch'abbia signor del mondo? Oh mano, quanti
n'hai uccisi a' tuoi di?
FINOCCHIO (Sì, de i pidocchi!)
SPAVENTO Quante volte fin hor, posto in prigione
io stato sono, oh oh: trovane il conto! 545
FINOCCHIO (Questo fu per denar ch'ei'"^ doveva avere.)
SPAVENTO E quante volte io solo ho fatto correre
quattro compagni o sei?
FINOCCHIO (Sì, ma fiiggendo!)
SPAVENTO Quanto m'è uscito sangue da la vena?
FINOCCHIO (Del pohnone'°' ben sai!)
SPAVENTO Io posso pure 550
andar per tutto il mondo...
FINOCCHIO (mascarato!)
SPAVENTO Io ho pur fatto le stupende prove
a' miei giorni.
"" Il nome del bravo è chiaramente "parlante", perfettamente consono alla millanteria
del personaggio.
'"- forte:(p^a: prestanza .
^^^^ fulminando i monti ne le città: l'espressione non è molto chiara ma si potrebbe attribuire
alla locuzione un significato iperboUco affine a quello di spaccare i monti 'fare il gradasso,
braveggiare'.
"*■' bombarde: le più antiche bocche da fuoco usate in guerra o, anteriormente, le mac-
chine per lanciare pietre (cfr. Pulci, Marcante, II, 16, v. 5).
'"^ ei: il creditore.
""■ del polmone: potrebbe riferirsi alla malattia della tisi, l'affezione tubercolare dei pol-
moni caratterizzata da sbocchi di sangue, già conosciuta nel Rinascimento, ma poco fre-
quente nei testi coevi oppure, più semplicemente, ai colpi ricevuti nella schiena mentre il
bravo si dava alla fuga.
EdÌ2Ìoni critiche
FINOCCHIO
SPAVENTO
FINOCCHIO
SPAVENTO
FINOCCHIO
SPAVENTO
FINOCCHIO
SPA\^NTO
FINOCCHIO
SPAVENTO
FINOCCHIO
SPAVENTO
FINOCCHIO
(Ben sai, contra il boccale.)
Che diresti di me, spada, parlando?
(Che non uscì mai fuor de la guaina! 555
Horsù, mi viao' scoprire.) A Dio, Spavento,
ove ne vai?
Oh, il mio Finocchio! I' vengo
a ritrovare a punto il tuo padrone:
è in casa?
Sì, fratel. Cangiati il nome
di gratia, per ch'io tremo a nominarti! 560
Ben potresti tremar se si potessero
Le cose che non han corpo vedere.
Per che tremar?
Per che con esso meco
Sempre ne \àen la morte, ch'è sicura
Di sempre aver da questa Durindana^"^ 565
Facende assai.
In ogni altro paese
Gran riputation deono i medici
Aver, e i preti far magri guadagni
Debbono ancor.
E perché di' tu questo?
Se la morte vien teco, in altra parte 570
Morir non dee nessuno, onde ogni medico
Esser de' uno Esculapio'"*^, e i preti poi
Non han per cui cantar ridendo il requiern^^'^ .
Questa cagion mi va. Ma dimmi, il tuo
Padron con cui ha inimicitia presa? 575
Con un certo Caverna, un asinaccio.
Un poltron come tu, che fa l'Orlando'''^:
'"^ Durindana, la celebre spada di Orlando.
'"* Esculapio: nella mitologia romana era il dio della Medicina.
""^ requiem: preghiera di suffragio. Il fatto che i preti ndano è forse una critica alla su-
perficialità con cui officiavano i riti, oppure vale come nferimento alle cospicue elemosime
che essi potevano raccogliere in tali circostanze.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
89
SPAVENTO
FINOCCHIO
SPAVENTO
FINOCCHIO
SPAVENTO
FINOCCHIO
SPAVENTO
FINOCCHIO
SPAVENTO
FINOCCHIO
Come te dico suol vantarsi anch'egli,
Ma non ha poi de l'opre il privilegio.
Che vuole il tuo padron? Vói forse ch'io 580
Lo faccia in quarti'", o pur ch'io glielo lassi
Così stropiato che non possa moversi?
Storpiar lo potrei con un sol guardo.
Di quei dinanzi ai quai fm'a le nubi
Fuggon per l'aria, senza aita alcuna 585
Di vento o d'altro, et s'ei vorrà, con uno
Di questi sguardi che paura fanno
A l'ardimento, gli porrò nel core
Tanto timor, ch'ei tremolando poscia.
Per tutto il mondo se n'andrà ballando! 590
Tu dunque senza suon pòi far la festa.
Poi che coi guardi fai ballar le genti!
Ma s'ei volesse che di qualche membro
tu lo storpiasse?
Basta un mezzo pugno.
Come l'occideresti?
r starei in dubbio 595
D'accettar questa impresa, e saria ch'io "^
Ho questa spada ancor vergine e pura
Di sangue di poltron.
Ma non di mano.
Che parli tu di mano?
Il torno a dire
Ch'ogniun tremar devria della tua mano. 600
Chi m'è nemico trema, e chi m'è amico
Può star per me sicur da quattro campi .
Si sa, per Dio, quanto sei valoroso!
"" che fa l'Orlando: 'che si atteggia ad eroe'.
'" in (Quarti: in macelleria sono i pezzi dei bovini ed ovini uccisi.
"2 stropiato: variante dialettale e scherzosa di storpiato.
"■* saria ch'io: 'sarebbe perché io'.
""• ^i3 quattro campi: 'da quattro lati' ovvero 'ovunque, da tutte le parti'.
90 EdÌ2Ìoni critiche
SPAVENTO In tre mille anni i' non potrei narrar
Le prove mie. Quanti huomini ho mandato 605
A' miei giorni ' a l'inferno? E quanti poi
N'ho storpiati e feriti? Quanti visi,
Quanti nasi ho schiacciati, et occhi chiusi?
Quante barbe pelate? Oh, io ti giuro
Che il letto dove io dormo è fatto tutto 610
De' peli de la barba di coloro
C'hanno avuto tal'hor la mia disgratia!
Sei tu stato a Loreto? Io volea dirti
S'hai veduto ivi appeso in depintura
I voti di color che sono usciti 615
Vivi da le mie man, che sono stati
Almeno un rrùlion, per dirti poco!
E chi è gito oltra il mare"*^, e chi in Galitia"'^,
E chi a Loreto, come ho detto ancora.
Et hanno sol per me fatto tai voti, 620
Che altro è aver nemico un huomo tale.
Che ritrovarsi in mar con debil legno
Senza vela o timon, quanto più al cielo
S'alzino l'onde'''.
"^ tre mille anni: numero iperbolico.
'"" ^ ' miei giorni: 'in vita mia'.
"^ voti: vale forse la pena ricordare al proposito quanto scritto su Loreto da Montaigne
tra il 1580 e il 1581 (cfr. Montaigne, Viaggio in Italia, Bari, Laterza, 1972, pp. 228-29): «Il
santuario è una misera vecchissima casetta di mattoni, più lunga che larga. Nella parte an-
teriore hanno fatto un tramezzo, con due porte di ferro ai lati e una cancellata al centro.
(...) La cancellata che sta tra le due porte lascia vedere la parte estrema della stanzetta, e
questa parte chiusa (...) è il luogo della principal devozione. Lì, in alto sul muro, si vede
l'immagine di Nostra Signora fatto — dicono - di legno: tutto il resto è così ornato di ricchi
ex voto provenienti da tanti luoghi e da tanti principi, che fino a terra non c'è pollice vuoto
e non rivestito da qualche lamina d'oro e d'argento (...)».
''^ oltra il mare: a Gerusalemme, al monastero di S. Caterina sul Monte Sinai, oppure a
Cipro, presso il santuario di Nicosia (cfr. Pulci, Morgante, XX, 38, w. 3-6: «il Veglio e Ric-
ciardetto s'è votato / che se scampar potran sì crudel sorte / ognun presto al sepolcro ne
sia andato»; Ariosto, O.F., XIX, 48, wy. 1-4).
"'-' Galitia: regione della Spagna in cui sorge il santuario di Santiago de Compostela, una
delle più celebri mete di pellegrinaggio del Medioevo.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
91
FINOCCHIO
SPAVENTO
FINOCCHIO
SPAVENTO
FINOCCHIO
SPAVENTO
r so che sei valente
E udit' ho dir che tu sei stato in campo'"'. 625
Di tutto un campo guardian son stato!
Di che? Campo di fava o di formento'^?
Che fava? Che formento? E' par ben, sciocco.
Che non abbia esperienza d'armi?
Entriamo in casa che '1 padron ci aspetta: 630
Contar potrai a lui le tue prodezze.
Entriamo tosto, che costui tal'hora
Che vien di qua mirando il volto mio
Così feroce non pigliasse spasmo!
SCENA TERZA
Lauretta et Naffissa Vecchia.
LAURETTA Hor suso, mo'!
NAFFISSA T'ho detto tante volte 635
Che tu intratenghi ogn'uno, e che tu lasci
Che chi teco '1 vuol far, faccial l'amore,
C'homai, per questa fé', stanca ne sono,
E tu pur vói a le tue bagateUe'^^
Gir sempre dietro, e aver più caro un giovane, 640
Che ti consumi il tuo, che farti amante
Un huom matur che t'arricchisca, e diati
Un tempo da ingrassare una formica ;
'2<* Ritrovarsi... l'onde: secondo il topos del fortunale (cfr. Ariosto, O.F., XIII, 15, v. 4: «e
turbò il mare, e al ciel gli levò l'onda»; XLI, 15, w. 3-4: «Veggon talvolta il mar venir
tant'alto / che par ch'arrivi insin al ciel superno»; Boiardo, Inamoramento de Orlando., II, 6,
12, v. 7: «Qua par che l'unda al ciel vada di sopra»), qui tuttavia utilizzato per impostare un
paragone comico.
'^' Sei stato in campo: hai combattuto direttamente in battaglia.
^^^ formento: frumento. Equivocando volutamente sulle accezioni di "campo", Finocchio
finisce per definire il bravo come uno spaventapasseri (il 'guardiano' dei campi di grano).
'^^ bagatelle: sciocchezze.
92 EdÌ2Ìoni critiche
Ch'averai fatto poi, vorrei saperlo,
Quando padron sarà di casa tua 645
Un di questi garzon di prima piuma '^^?
Che credi tu avanzar con essi, quando
Eglino per tuo amore avran rubato
Al padre un sacco di cottone, o quattro
Pezze di panno? O qualche stocco ' fatto? 650
Oltra che questi tai non han da spendere
(Che importa il tutto), ancor sono bizzarri,
Fastidiosi, et incostanti, e quello
Poco che posson spender (ch'è pochissimo)
Lo dividon al fine in tante parti, 655
Che poco più n'avrai per te di nulla ,
Perché vogUon vestir, voglion giocare
E con qualche altra ancor tal'hor cacciarsi
Il martello del capo , sì che, figHa,
Prendi il consiglio mio: lasciali stare, 660
O se amar vói costoro, ama anco gH altri,
Che se tu sempre viverai con uno,
Noi sempre patirem disagio e stenti " .
124
Un tempo... formica: 'ti dia la possibilità di perdere tempo senza aver nulla da fare' (cfr.
GDLI, VI s.v. formica, che offre questo passo come unica attestazione).
^'^^ prima piuma: quasi imberbe. Oggi diremmo "di primo pelo".
'^'' stocco: si ricordi che, oltre all'accezione più comune, stocco può indicare anche l'usura;
vivere a stocchi, ad esempio, vale specificatamente 'vivere a prestiti ottenuti a usura' ed è
forma presente in molti dialetti altoitaliani (cfr. D. Trolli, ha lingua delle lettere di Niccolò da
Correggio, Napoli, Loffredo Editore, 1997, gloss. pp. 260-61, ove si riportano attestazioni
dal Cherubini, Boerio...; cfr. inoltre, ad esempio, Aretino, L<? Ipocrita, atto 1, scena 3: «Il
gentiluomo che ha poca entrata, è berzaglio de i debiti; onde stoccheggia là e contratta
qua»).
^2^ L'edizione Gràffio ovatiie. per te ottenendo un verso vistosamente ipometro.
^^^ cacciarsi... capo: 'trastullarsi' oppure 'provare passione' (cfr. Pico Luri, op. cit., p. 91;
per martello come 'male d'amore' cfr. anche Calmo, Rime pescatone, st. XXII, 8 e son. comm.
1, [4]). L'espressione è simile a quella del v. 1358.
'^^L'affermazione e le locuzioni proverbiali dei versi seguenti sono decisamente pros-
sime a quelle del dialogo tra Celestina ed Areusa nella commedia di Rojas, impermato pro-
prio sulle ammonizioni rivolte alla giovane cortigiana, restia a concedersi a più pretendenti,
da parte dell'esperta ruffiana. Cfr. Rojas, Lm Celestina, atto 7, scena 2, p. 136.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
93
LAURETTA
NAFFISSA
LAURETTA
NAFFISSA
LAURETTA
NAFFISSA
LAURETTA
Non sai che si suol dir che Primavera
Non fa un fior sol' ' ? Non sai che molti pochi 665
Fanno uno assai? E che un mantel si logora
Tosto a colui che non ha da mutarsene ?
Vivi pur certa che quel pescatore
C'ha in acqua un hamo sol mai sempre piglia
Poco pesce, figliuola, sì che quello 670
Ch'io ti dico considera et esamina.
Non posso voler bene a quel vecchiaccio!
r so ben io ciò che volete dire,
Piace un giovane a me.
Pazza che sei!
Quanto è migHor assai scuto di vecchio 675
Che di Giovane bacio, oltra che mai
Non ti dicon di no di cosa alcuna...
Anzi i giovani son che son pieghevoli
A le richieste altrui! Voi v'ingannate
Ch'amorevole più si trovi un vecchio! 680
Pagano i vecchi doppiamente, pazza!
Tenete voi quella moneta ch'egHno
Altrui dan doppiamente!
Eh, pazzerella.
Tu vói la berta '^^, ma ten pentirai!
Che volete ch'io faccia? Voi mi fate 685
Entrar tal'hor nel capo il trenta para'^^!
'^^ Primavera.. .fior solo: un fiore solo non fa ghirlanda (o primavera); cfr. Giusti, Proverbi
toscani, op. cit., p. 339 e Orlando Pescetti, Proverbi italiani raccolti per Orlando Pescetti, Verona,
presso Girolamo Discepolo, 1598 (ristampa anastatica Casa editrice D'Anna, Messina-
Firenze, s. d.), p. 34.
'^' un mantel.. mutarsene: cfr. Rojas, 1m Celestina, atto 7, scena 2, p. 136: «(...) una rondine
non fa primavera, un testimonio non dà affidamento, chi non ha che una veste la logora
presto».
'^2 tu vói la berta: letteralmente 'tu vuoi scherzare' (per l'uso della locuzione, frequente
nei testi comici burleschi, si veda ad esempio Pulci, Morgante, XMII, 122).
1J3 trenta para: ant. diavolo, derivato forse dalla credenza popolare secondo cui il demo-
nio era dotato di trenta paia di corna. Per la medesima espressione cfr. // Viluppo, atto 1,
94 Edizioni critiche
NAFFISSA Queste son delle tue! Non tanta stizza!
Parlar non si può teco...
LAURETTA E che volete
Ch'io faccia? Su ditelo homai, che cosa?
NAFFISSA Vorrei c'hora ch'abbiam sotto quel vecchio, 690
Che è ricco e ti vuol ben, che a spennacchiarlo
Pensassimo ad ogn'hora, e a trargli il cuore
Fuor de la borsa, che queste venture
Non vengon sempre e però mena, figHa,
mena le mani!
LAURETTA F son da tante prediche 695
Vinta e confusa homai: i' son contenta
Far il vostro voler, ma sallo il cielo
Se non mi pare ogn'hor ch'io veggia l'orco'^"*.
Ch'io veggio lui c'homai non si può reggere
Sopra le gambe!
Volta carta^^^ figHa! 700
Egli ha dinari assai: n'averai parte,
T'impirà la cassetta.
Oh, foss'io certa
De la metà. Ma intramo in casa tosto
Che vien gente di qua!
Non anzi, voglio
Che ferma stì, ma fingi che ti sia 705
Uscito un zoccol fuor del piedi, e resta
Apunto fin che sien passati: intendi?
LAURETTA Questo non farò già, perché ho sì grande
Il zoccol che potrian considerare
Ch'io restassi, senza essi, un mezzo gombito^^''. 710
NAFFISSA
LAURETTA
NAFFISSA
scena 8; Aretino, Sei giornate, 86: «fece tanto che con il trenta-paia ci entrò una notte»; An-
nibal Caro, Gli Straccioni, atto 3, scena 5: «Li trenta para si son scatenati oggi per noi».
^^"' l'orco: la morte (dalla divinità sovrana dell'aldilà secondo la mitologia romana).
'-^^ Volta carta: Volta pagina, guarda la cosa da un altro punto di \asta'. Cfr. Dieci tavole,
1711 (ma senza spiegazione).
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
95
NAFFISSA Sì, per mia fé', che gli huomini non sanno
C'hoggidì non è donna in questa terra
Che non abbia per zoccol una scala''''!
Non vengon più, sì pure intramo, figlia.
Che questo è un pellegrin, s'io ben discerno.
715
SCENA QUARTA
Pellegrino solo.
Non credo che starà troppo a sonare
Vespero, e forse ancor sarà sonato.
Meglio è ch'io batta, et se verrà qualch'uno
Che non sia quel ch'io voglio, i' dirò ch'io
Cerco per Dio''**, che l'abito il consente!
720
SCENA QUINTA
Oliva et Pellegrino.
OLIVA Chi batte, olà? Oh, sete voi? Hor hora
CHtia verrà, che il padre e suo fratello
Con il fameglio loro adesso a punto
Entrati in barca"' sono, et vanno in piazza.
Aspettate là giù, se v'è in piacere.
PELLEGRINO Così farò. Voi, occhi miei dolenti"'
Da gli occhi di costei, c'hor pietosi
Per far pietosi me del suo dolore
725
^^^' gombito: gomito, antica unità di misura di lunghezza, corrispondente alla distanza tra
il gomito e l'estremità del dito medio.
'^^ L'affermazione completa quanto già detto sulle donne ed i loro trucchi nella pnma
scena del primo atto.
'^'^ Cerco per Dio: 'chiedo l'elemosina' (la questua).
'^^ in barca, felice puntualizzazione dell'autore sull'ambientazione nelle acque della laguna.
'^" occhi dolenti: ovvio rimando a Petrarca, KW, XIV.
96
Edizioni critiche
Vedrete, ahi lasso me, non vi lasciate
Tanto indolcir, che in noi poscia l'amaro
Di tanto nostro torto non sia assai
A spingermi a pigliarne hoggi vendetta.
A voi non parlo, a voi non dico, orecchie,
Che ben sicuro son c'hoggi udirete
Cosa così senza ragione, e contra
Ogni dover, che la sentenza vostra
In favore sarà del giusto sdegno.
730
735
SCENA SESTA
Oliva, Clitia et Pellegrino.
OLIVA
CLITIA
Buon giorno vi dia Dio! Ecco la giovane,
Messere, che parlar vosco desidera:
Ragionate con lei, ch'io sopra il colmo
Della casa n'andrò, per tutto intorno
Guardando se venisse oltra persona
Che a coglier vi potesse in parlamento.
So ben ch'a voi parrà cosa inhonesta ,
Che giovane com'io si pigli tanta
Licenza, ch'a persona come voi,
D'altro paese, e non da lei veduta
Più mai, parli e consigli quelle cose
Ch'esser devriano a i più congiunti ascose.
740
745
'^' colmo: sul tetto o comunque nel punto più alto della casa.
'^■^ So ben ch'a voi.....: l'intera battuta di CUtia è tratta, con minime variazioni, dalla novel-
la XII della seconda giornata de 7 Diporti (op. cit., p. 64: «et \\ parrà forse strana, et appres-
so maraxagliosa cosa, padre venerando, che si pigli una pulzella tanta licenza, che senza sa-
puta d'alcun de' suoi abbia ardimento chiedere a parlamento persone non conosciute, ma
se mai per parole altrui (che per propia pruova non credo che esser possa) vi fu manifesto
di quanta forza fieno le fiamme d'Amore, (...) io spero che non solamente potrò hora appo
VOI ntrovar scusa, ma vi verrà pietà di me, infelice fanciulla, in preda data al più crudo gio-
vane che viva.»).
'■^^ consigli: in senso assoluto 'discuta, rifletta prima di prendere una decisione'.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 97
Ma se per detto altrui vi fu mai chiaro 750
(Che per prova ''^'^ cred'io che noi sappiate)
Quanto posson d'amor le fiamme e i dardi
Ne i petti de' mortali, io credo ancora
Appo di voi trovar, non pur iscusa,
Ma certissima son, ch'a voi venire 755
Deggia pietà di me fanciulla incauta
Al più crudele giovine che mai
Nascesse, et al più bello , in preda data.
Et ho richiesto voi sol per sapere
Da voi, a cui non è il futur nascosto , 760
Ciò ch'averrà di me: se questi mai
Cangierà quella voglia (ahimè) sì cruda,
O s'io pur deggio ogn'hor pregare in vano?
Perché^'**' vi prego a non celarmi cosa
Che voi sappiate '"* , ch'io terrowene obligo 765
Eterno, e un tanto don meriterowi
Se non in tutto in qualche parte almeno.
PELLEGRINO Bella fanciulla, l'esser stato anch'io
A le fiamme bersaglio, e a le saette
D'amor un tempo, appo di me faranno 770
Del vostro ardir la scusa, e a pien faralla.
Che ben so io per prova, ahi lasso, quanto
''*^ per prova: cfr. Petrarca, RKF, I, v. 7: «ove sia chi per prova intenda amore»; Poliziano,
Stanr^e, I, 22, 8: <o\mor, che costui creda almen per pruova»; Pulci, Morgante, XVI, 56, w. 7-
8: «ma priego Amor che qualche ingegno truovi, / acciò che tu mi creda, che tu '1 pruovi».
'■'^ Ma se... incauta: cfr. Parabosco, Lettere Amorose, libro primo, II, rr. 1-5 : «Se \\S. provò
giamai di che tempre siano gh strali d'Amore, et come le sue fiamme cocenti, io non dubi-
to punto che non solamente mi sarà facile il trovar perdono del mio errore (...) ma son cer-
to che questo a presso V.S. m'acquisterà pietà grandissima (...)».
'^'' crudele... bello: si tratta ancora di una coppia tipicamente petrarchesca, cfr. RKF,
XXIII, 149: «(...) e quella fera bella e cruda».
'■'^ a cui... nascosto: pioché, secondo quanto spiegato ai w. lAA-lAÒ, Pellegrino è ritenuto
un profeta.
'"♦s Perché: per la qual cosa, perciò.
'"*'^ vi prego. ..sappiate: cfr. / Diporti, op. cit., p. 65: «perché vi priego a non celarmi cosa ve-
runa della verità».
98
Edizioni critiche
Sia manco assai ch'uno sdegnoso sguardo
O parola nemica, il tòsco amaro ' .
E vi posso giurar, giurando il vero'^',
Che l'abito ch'io porto, e c'ho portato
Tanti anni per diversi e stran paesi,
Me l'ha fatto portar donna crudele,
Ma ben porlo giù sper, tosto ch'io sia
Giunto a la patria mia, dove anco spero
Farmi malgrado suo, con una polvere
Ch'arrecata ho di Libia '^", la mia donna
Amica sì, che poi sarà in mio arbitrio
Far sì che questa ingrata, che giamai
Per me non tinse il viso di pietate'",
Mi renderà le lagrime e i sospiri^ ^^.
CLITIA Deh, s'adempiate ogni vostro desio
Siate cortese a me tanto d'un poco
Di questa polver virtuosa, e appresso
Insegnatemi il modo d'adoprarla.
Sì che resti per lei vinto hoggimai
Questo core di ghiaccio, et di diamante.
Che né foco d'Amor prezza, né dardo.
PELLEGRINO Ve ne sarò cortese ogn'hor che voi
D'adoprarla per voi mi promettiate.
Che per altra persona io certo dubito
La dimandiate, e questo dico ch'io
Vi conosco nel viso per sì cruda
Fanciulla, quanto mai qua giù nascesse,
775
780
785
790
795
'^'^ Che ben.. .tòsco amaro: cfr. / Diporti, op. cit., p. 65: «per pruova so quanto sia meno a-
maro il tòsco che una nemica parola di chi s'ama, et quanto sia più crudele uno sdegnoso
sguardo (...)»; tòsco sta awiamente per 'veleno'.
'^' giurar... vero: ibidem: «Et io, giurando il vero, giurar vi posso (...)».
^^^ polve... Libia: ibidem: <c\ vendo ritrovato nelle parti della Libia una herba, della quale
n'ho fatto polvere».
^^^ Per me... pietade: eco del Petrarca, RVF, XLIV, 9: «Ma voi che mai pietà non discolora».
'5"* lagrime e i sospiri: cfr. Dante, Purg., XXX'^, v. 104: «quindi facciam le lagrime e 'sospiri»;
XXXI, V. 20: «fuori sgorgando lagrime e sospiri».
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
99
Onde al credere poi difficil sono 800
Che v'abbia colta Amor nelle sue reti'".
CLITIA Sì non fus s'egli, ahimè, che dite voi!
Io ardo sì per questo ingrato Amante,
Che maraviglia è, com'io non sono
In cenere ridutta'^^, e appresso giurovi, 805
Poi che volete ch'io lo vi giuri.
Che sol per me, per me chieggio rimedio,
E torno a dir, ch'io m'apparecchio avervene
Obligo eterno, e a darvene mercede
In parte, poi che non fora possibile 810
In tutto premiar cosa sì degna.
PELLEGRINO Riserbate, fanciulla, il premio ad altro,
Che tutto insieme radunato l'oro
Del mondo, non farian ch'avesti mai
Da me tal cosa, ma contento sono, 815
Per sola cortesia, farvene dono
Ancora ch'io conosca di far male.
Per che saria ragion che voi, che foste
Per altro tempo già fiera e spietata
A chi v'amò più che la vita stessa'^**, 820
Di tanta crudeltà faceste in parte
Emenda, amando e sospirando invano '^^.
Dite: è menzogna o ver quel ch'io ragiono?
'^^ Ve ne sarò cortese... reti: ancora un'intera battuta mutuata, con poche varianti, da / Di-
porti, op. cit., p. 65: «Madonna, io ne sarò cortese volentieri a voi, quando voi mi facciate
con giuramento sicuro, che per voi la chiediate. Perché io non posso credere che voi siate
presa per huomo veruno, nella amorosa rete, et questo dico perché alla fisionomia dimo-
strate essere, et essere stata, la più cruda, et ritrosa fanciulla che mai nascesse».
'^'' Sì nonfuss'egli... voi: 'magari non fosse come dite'.
'^^ lo ardo... ridutta: ibidem: «(...) sì fieramente della bellezza d'un giovane accesa sono
che la maggior maraviglia del mondo è che io non sia homai ridutta in cenere»; Seconda parte
delle Rime, 1555, e. 59 r, presente anche nella lettere Amorose, III, XXXIX, v. 7: «Onde il
miser in cener si ridusse».
'^•^ L'edizione gioii tina opera un'inversione tra i w. 819 e 820.
'^^ sospirando invano: nella medesima posizione compare nc)\'Inamoramento de Orlando,
II,X, 53, V. 5: «Sempre piangendo e sospirando invano».
100
Edizioni critiche
CLITIA Crudelissima fui quanto voi dite.
PELLEGRINO Gran fallo il vostro fu, degno che a punto 825
Voi per altrui piangiate, e tutto giorno
Voi crudel tutte comettete errori
Sì fatti, ch'io non so come '1 sopporti
Il ciel, che non vi bastano i sospiri,
I prieghi, i pianti, et una etate intiera 830
D'uno Amante fedel ad honor vostro
Spesa, et in servir voi, ch'anco volete
E la vita e lo spirto. Deh, volesse
II cielo, che tal'hor vi rivolgeste
A pensare, a pensar donne crudeli, 835
Che voi vi siate, et a che effetto nate.
Che non sareste poi cosi superbe ^^''^'.
CLITIA S'al giovane fui cruda, esser mi fece
Quella honestate, c'hor forza d'Amore
Mi toghe '^\ ahimè!
PELLEGRINO Empie et ingrate donne, 840
Posto nome honestate avete adunque
A uno ardente desir de l'altrui morte?
O sciocchi, o infelici, e incauti Amanti,
Lasciate poi ch'acquisti sopra voi
Tanto impero uno sguardo di costoro, 845
Che vi possono ogn'hor dar vita e morte '^'^!
Fatele eterne con i scritti vostri,
Lor chiamando fedel, pietose, e saggie.
Credete a sue promesse, e dite ch'elleno
""" Gran fallo... superbe: chiaro il riferimento all'episodio delle donne ingrate del canto
XXXIV del Furioso, ott. 7-43, che prosegue pure nella 'tirata' seguente.
'''' S'al giovane... toglie: cfr. / Diporti, op. cit., p. 66: «(...) s'io fui crudele al giovane, che me
più che la propria vita amava, cagione ne fii quella honestà, che hora mi toglie forza
d'amore».
"'2 Empie... morte: ibidem: <c\h donne crudeli! (...) voi avete posto nome honestà, ad un
vano et ostinato desiderio dell'altrui morte. Oh sciocchi et incauti Amanti! Lasciate poi ac-
quistare tanto imperio sopra di voi a queste, che un solo sguardo, o cortese, o sdegnoso, vi
possa dar vita, et morte (...)».
IlPellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 101
Sono cortese, per che tal'hor v'abbiano 850
Fatto qualch'atto che cortese sia!
Ahimè, che tosto le vedrete poscia
Pensose a qualche sorte aspra e crudele
Di vostra morte, o se tal'hor n'avrete
Di grande servitù qualche mercede, 855
Per poco tempo vi sarà concessa.
Ch'elleno, obietto ver de la incostantia,
Manco tempo in pensier che giusto sia
Si ferman, che la Luna in uno stato^*^^.
Tosto gli occhi, che già sereni e chiari''^'* 860
Vi promessero vita, vederete
Nubilosi e turbati minacciarvi,
anzi attenervi"'^ tormentata morte '''^:
Questo il merto sarà di quelle lodi
Che contra ogni dovere avrete voi 865
Lor dato, incauti et infelici Amanti,
Questo il merto sarà del servir vostro!
Di quel ch'io dico voi, bella fanciulla,
Non prendete nessuna meraviglia,
Che per mai non veder donna nissuna 870
Devrei fuor gH occhi della testa trarmi!
Tante son state sì penose e gravi
Le passioni, che per donna ingrata
Ho sofferto a' miei giorni ingiustamente.
Ma per venire al caso, hora conviemmi 875
"^■^ Ch'elleno... morte: ibidem: «Perciò ch'elleno obietto vero della incostantia, manco si
fermano in un pensiero, che la Luna in uno stato. Tosto vedrete quegli occhi, che già si
chiari, et sì sereni vedeste promettervi vita, nubilosi et turbati minacciarvi morte, anzi sepe-
Urvi vivi». Questa immagine della luna è proverbiale (cfr. Pescetti, op. cit., p. 50; D tea tavole,
1250: «No creder a femana alcuna, che la si volta come fa la luna»).
'^'^ chiari: eco Petrarca, RPT", CCCLII, 2: «volgei quelli occhi, più chiari che '1 sole».
"•^ attenervi: 'mantenere la promessa a voi fatta, ricompensarvi'.
!'">'■' Vi promessero... morte: per il potere che la donna ha, come il basihsco, di donare morte
o vita con il solo sguardo si veda ad es. Poliziano, Rime, CVI, w. 24-25: «ma qualunque
costei cogli occhi uccide, / lo risuscita poi guardandol fiso».
102
EdÌ2Ìoni critiche
Da voi saper se il vostro Amante vivo
Tornasse (ch'io ben so che morto giace),
Se H sareste, come già, crudele,
E questo vo' sapere, non perché sia
Possibile ch'ei mai ritorni al mondo.
Ma perché quando voi d'animo foste
Vèr lui spietato, ancor converria fare
Sacrificio ad Amor, c'hora consente,
Per si fiero voler, che cui amate
Vi si mostri così rigido e duro.
Però ditemi voi senza rispetto.
Se fosse a' vostri pie' l'Amante vostro.
Se pietosa o crudel sareste a lui.
CLITIA Poi ch'a voi occultar non si de' nulla.
Che sapete voi ancor ciò ch'è possibile ,
S'io deggio dir il ver, dirrovi ch'io
Non potrei, più che mai fatto m'avessi,
Né d'amar più, né aver caro Giberto
(Che così nome avea l'Amante morto).
PELLEGRINO Altro da voi saper non mi bisogna.
Lasciate a me la cura d'ogni cosa,
E sta sera la fante a l'osteria
Della Simia mandate, ch'ivi albergo;
Io per lei poi vi mandarò la polvere,
La quale adoprarete in quella guisa
Ch'ella al ritorno suo vi saprà dire.
CLITIA Io vi ringratio, e mandarowi anch'io
Cosa che forse non vi sia discara.
In segno sol de l'obligo insolubile
Ch'io m'apparecchio di tenirvi sempre.
PELLEGRINO Fate pur che senz'altro se ne venga
La fante vostra, ch'averete il tutto.
CLITIA Così farò. Io mi vi raccomando.
880
885
890
895
900
905
"•^ possibile: Così nella stampa, anche se la logica vorrebbe che il 'profeta' riuscisse a
carpire non il possibile ma V impossibile.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 103
SCENA SETTIMA
Pellegrino solo.
Chi udì mai cosa sì crudele? Ahi lasso,
In qual Scithia giamai, in quale Hircania''^**, 910
Fra quai Antropofaghi'^'^, o Lestrigoni' ",
Si trovò cuore, ahimè, giamai sì pieno
Di crudeltà? Né lunga servitù,
Né amarissime lagrime, né cocenti
Sospiri, né leal né fido amore , 915
Né disperato esilio, né la morte
Posso dire, han pomto appo di questa
Ingrata (oh, cor di serpe!) acquistar tanto
Che mi sia stata almen di un sol sospiro
Liberale e pietosa. Oh orecchie, voi 920
Voi voi voi pure udito avete
Che non gH calse mai del nostro duolo !
168 }-Jircania: regione caspica adiacente al Caucaso, ricoperta di foreste e nota per la fe-
rocia delle sue tigri. È un topos sfruttatissimo fin dall'antichità; si veda ad esempio ^^irgiUo,
Aetteis, IV, w. 366-367: «perfide, sed duris genuit te cautibus horrens / Caucasus Hyrcana-
eque admorunt ubera tigres»; Ovidio, MeL, Vili 120-121. Per la letteratura rinascimentale
si rimanda ai noti passi della Gerusalemme Liberata, XVI, 57, w. 1-4; e ancora Poliziano,
Stantie, I, 39; Giraldi, Orbecche, atto IV, scena 1, v. 265; Gonzaga, Fido Amante, VII, 26-21 ...
""^ Antropofaghi: mitica popolazione di selvaggi giganti, dotati di proverbiale crudeltà,
cfr. Ariosto, Orlando Furioso, XXX\^I, 9; Dolce, Bidone, w. 193-194: «Il più ingrato e crudele
/ che mai produsse Antropofago, o Scitha».
'^" Lestrigoni: popolo di antropofaghi descritti in Omero, Odissea, X e citati dal Boiardo
neWInamoramento de Orlando, II, XVIII, ott. 34 e segg.
'^' leal né fido amante: torna con insistenza nelle parole di Pellegrino il motivo delle fedel-
tà amorosa, topos della lirica cortese, del resto presente anche in certa poesia amorosa rina-
scimentale (cfr. ad es. Gaspara Stampa, ^me, LXXXVI, w.13-14), nonché nei titoli stessi
di poemi (si pensi al Fido Amante del Gonzaga) e commedie (7 Fidi Amanti del Podiani non
sono che un esempio).
'^2 Che mi sia stata.. .sospiro: eco delle lamentazioni di Armida (cfr. Tasso, G.L., YN\, 57,
V. 8: «Bagnò almeno gli occhi o sparse un sospir solo?»). La stessa espressione era stata u-
sata dall'autore anche nella sua unica tragedia, cfr. La Progne, op. cit., p. 12: «ch'una lagrima
sol, ch'un sol sospiro».
'^■^ Oh orecchie. ..duolo: cfr. 7 Diporti, op. cit., p. 67: «Oh misere orecchie, voi pure udito
avete dalla propia sua bocca, che giamai non le calse del nostro tormento!».
104 Edizioni critiche
Ah femina crudel, ringratio il cielo
Che dovend'io per tua sola cagione
Morir sì disperato, almen mi porge 925
Occasione, ond'io potrò te insieme
Con colui cui tanto ami, trar di vita.
Dogliomi sol che d'una sola e breve
Morte morrai, ond'io tante e sì lunghe
Da te n'ho avute '^'^ (ahi lasso), et duolmi ancora 930
Che innanzi che tu mòia non vedrai
La morte di colui che t'è più caro
Che la tua vita stessa, come sforzi
A veder me la tua, cui amo ancora
Malgrado mio, più che la vita mia. 935
La polvere sarà crudel veleno
Di quel più fin che ritrovar potrassi.
Per che mi giova che repente sia
De la tua vita al fin'^^, per che non sia
Chi con rimedio alcun ti porga aita, 940
Ch'io non vorrei che tu vedessi mai
Le lacrime, c'ancor m'usciran fuora
Di queste luci per la morte tua.
Che '1 morir ti saria soave e dolce.
Se tu vedesti la mia scontentezza, 945
Così ti piacque ogn' hor (tigre crudele )
Ch'io sempre fussi d'ogni pace in bando .
'^"^ Dogliomi sol... avute: ibidem: «Mi doglio solo, che una sola et brieve morte da me ave-
rai, ove io da te tante, sì lunghe, et sì penose n'ho avute». La medesima lamentazione torna
nell'atto 4, scena 10.
'^5 De la tua... fin: ancora eco petrarchesca (cfr. RKF, XXIII, v. 31: «La vita el fin, e '1
dì loda la sera»). Per ciò che concerne la forma al fin si può supporre un guasto, dato che
l'articolo costituirebbe un'unica occorrenza.
•^^' crudele: anche l'insistenza su tale epiteto è una ripresa petrarcheggiante, diffusissima
nei poemi e nelle tragedie del periodo (si veda, ad esempio, il lamento di Olimpia abban-
donata da Bireno nel X° canto dell'0r/<3«^o Furioso, ott. 23-25).
^^^ Se tu vedessi... in bando: cfr. Boiardo, Inamoramento de Orlando, 1, XII, 20, w. 1-2: «Così
farò contenta quella altiera / A cui la vita mia tanto dispiace».
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 105
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Marsilio vecchio solo .
In quale altra città sariasi usata
Tanta giustitia, come usata han questi
Sapienti signori, in farmi avere 950
I miei denar ch'hoggi (la sua mercede)
Avuto ho pur, che da così potente
Ladro com'è costui, m'erano stati
Truffati, assassinati con inganno
Così sottile? In quale altra cittade 955
Non sarebbe a costui giovato assai
L'aver dinar, e l'amicitie grande,
E l'altre forze a ritenermi il mio,
C'hor giustamente e con suo grave scorno
M'ha ritornato? Ch'ei se n'è pur gito, 960
Come un ladro in esilio, e pria renduto
M'ha tutto ciò ch'ei mi fé' trar di casa.
Oh beato, felice, e santo albergo
Di fé', di pace, di pietate! Oh nido
Di giustitia! O Vinegia intatta, e pura 965
Fortunata Regina, e madre altiera
Di quei veri vivaci e chiari soH,
Da cui non pur riceve Italia il lume.
^''^ Tutto il lungo monologo di Marsilio si dispiega attorno alla celebrazione della Sere-
nissima, uno dei motivi ricorrenti nelle commedie paraboschiane. Sul topos delle lodi a Yt-
nezia, Camporesi ricorda che «la Serenissima si avvolse per secoli di una dorata e preziosa
cortina mitologica ricamata da letterati, stonci, cronisti, geografi, poligrafi che, nbadendo-
ne la eccezionalità, attesero alla diffusione del mito della città unica, della "saggia e santa
republica" (Parabosco), perfetta anche nelle sue istituzioni politiche, utopia realizzata, sogno
tnnitano del bello, del buono e dell'utile fattosi realtà» (cfr. P. Camporesi, Camminare il mondo.
Vita e avventure di Leonardo Fioravanti medico del Cinquecento, Milano, Garzanti, 1997, p. 145).
106 Edizioni critiche
Et lo spendor, ma seco il mondo tutto!
Che di tanto valor, di bontà tale 970
Son i toi parti '^'^, che famosa andrai
Trionphando ad ogn'hor d'ogni memoria
Sin che d'ogni mortai trionphi il tempo.
Perché non è questa mia lingua degna
Di ragionar di te, felice terra? 975
Ma che, sarebbe ardito intrar nel mare
De le tue lodi? Qual nocchiero sì accorto
Potria sperar solcarlo? E qual sarebbe
Così ben fabricato e saldo legno
Che non vi s'affondasse'^'^? Adunque meglio 980
È ch'io taccia di te, poi ch'io conosco
C'huomo non può se non scemar gran parte
Del tuo valor, mentre parlarne tenta.
Ma degg'io poscia vivere e morire,
Con desiderio estremo d'honorarati 985
Giusta mia possa? Certamente i' voglio
Più tosto nel gran mar de le tue lodi
Affogarmi, e mostrar la riverenza
E l'amor ch'io ti porto, inclita terra.
Che ingrato dimostrarmi al tuo gran merto, 990
Ch'è ch'ogni voce et ogni humana lingua.
La virtute, il valor, et la bontate.
La fortezza, e l'ardir de tutti i toi
In ogni parte ogn'hor gridi et ragioni.
Oh Vinegia, oh Vinegia, che nel core 995
Con ogni honor, con ogni riverenza
Mi starà sempre sì honorato nome,
Io voglio ancor, per viver più sicuro
'"''-' toi parti: 'i tuoi figli'.
18" Ma chi sarebbe.. .affondasse: l'autore ricorre alla metafora tradizionale dell'opera poetica
raffigurata come navigazione, nella quale la nave {legno) indica, notoriamente, l'ingegno del
poeta o la poesia stessa. Si ricordi almeno Dante, Purg., I, w. 2-3; Par, II, 1-18; Pulci, Mor-
gante, I, 4; III, 1, v. 7; Ariosto, O.F., XLVI, 1.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
107
Che in te sepolte sian queste ossa mie'^\
Poscia ch'avrò la figlia accompagnata *■, 1000
Maritar anco il figlio, e i miei dinari
Tutti in possessioni e tutti in case
Spender! Ma ecco apunto il mio figliuolo
Mutio che vien di qua: voglio aspettarlo.
Mutio, figliuol, ritrovasti l'amico? 1005
SCENA SECONDA
Mutio et Marsilio.
MUTIO Egli era pur aU'hor di casa uscito,
Ma senza nessun fai sta sera tardi
Lo trovar ò.
MARSILIO Vorrei che ti scaldasti
Assai più che non fai di questa cosa!
Questo è un partito de' migUor che possano 1010
Comparere per noi e (non ci pensi?)
Questo è un giovane ricco, e solo, e saggio!
Di gratia, non andar perdendo il tempo:
Il beneficio è pur di tua sorella!
MUTIO Io non manco, per Dio, ma volete anco 1015
Ch'io sia tanto importun, che paia quasi
Che siam da manco d'essi.
MARSILIO Eh, figho, queste
Sono apunto ragion da pari toi
Giovani incauti, che di fumo han pieno
Il capo ogn'hora: i' dico che bisogna 1020
Far bene i fatti soi, e non guardare
"" in te... ossa mie: per l'analogo desiderio di sepoltura a Venezia cfr. Calmo, Kime pescato-
rie, pese. VI, w. 64-67: «che chi te gusta un certo tempesello / i no se può partir da ste la-
gune / lassando al fin la vita, i soldi e l'anema /e le osse, sepelie in le to giese».
'**2 accompagnata: maritata.
108
Edizioni critiche
MUTIO
MARSILIO
Sì sottilmente, intendi?
Hor su, sta sera
Per ogni modo parlare a Barbante,
E vederò che si concludi il tutto.
Ma voi non vi scordate andar hor hora
In piazza al campanil, che vi c'aspetta
Vostro compare il Flavio, e credo certo
Che vi voglia parlar di questo anch'egli.
Che me n'ha motteggiato , et ha voluto
Ch'io mandi per trovarvi a Santo Apostolo' ^
Ribecca.
r ci vogl'ir adesso adesso
Che importa assai. Horsù, io vado, tu
Non rimaner però di non far opera
Di parlar a Barbante in ogni modo.
1025
SCENA TERZA
Mutio solo.
A tal'hora venire a darci impazzo 1035
Possano gli inimici, che per me
Fatto saran queste furfante nozze,
Che un furfante è costui, ben ch'abbia assai
Oro et argento, che non ha quel forza
Far nobil un, se da le fascie seco 1040
Non porta nobiltà, ben che il volgazzo
Adori spesso questi asini d'oro.
Ho altra impresa per le man sta sera
Che procacciar marito a mia sorella
^^' motte^iato: qui vale genericamente per 'parlato'.
"*"* Santo Apostolo: il campo SS. Apostoli, con la chiesa omonima, si trova di fronte a Pa-
lazzo Corner e corrisponde alla località dove sorse, secondo la tradizione, uno dei pnmi
centri ad opera dei fuggiaschi di terraferma.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 109
(Ancor che mi piacesse il parentato)! 1045
Spero sta sera, col favor del cielo,
Parlare a quella ch'a un suo sguardo solo
M'invola le parole, il cor, e l'alma.
Oh felicissimo stato de gli amanti^''^
Che veramente ben felici sono 1 050
Quei ch'amano di cor, ch'ancor che piangano,
Che sospirino sempre, e sempre in stenti
Vivan la vita lor, beati ancora
Chiamar si puon^^*", considerando il risco
Che portan d'esser sì perfettamente 1055
Beati come all'hor colui si trova
Ch'aspetta, com'hor io, d'esser guidato
Innanzi a l'Idol suo, alla sua vita!
Qual è beata vita hoggi ch'agguaglia
La mia, ancor che in dubbio del mio stato 1060
Et del mio ben spesso sospiri? Ahi quanto
Errò colui che nei soi versi disse
"Mille piacer non vagliono un tormento"'**^.
Anzi mille tormenti a un sol piacere
Agguagliar non si puon. E qual saria 1065
Colui che amasse di perfetto core '^,
Che per un guardo sol Heto e soave
Della sua Diva, non togliesse al giorno
Mille ferite , e per un bascio poi,
'*'^ Il verso è ipermetro.
'^'' Oh felicissimo stato... puon: lo stesso concetto è presente anche nelle ottave d'apertura
del XXXI canto del Furioso (cfr. in particolare XXXI, 1, w. 1-4: «Che dolce più, che più
giocondo stato / sana di quel d'un amoroso core? / che viver più fehce e più beato, / che
ritrovarsi in servitù d'Amore?»).
'"^ Mille piacer... tormento: celebre verso del Petrarca, RIT", CCXXXI, 4, divenuto ormai
proverbiale (cfr. Giusti, Proverbi toscani, op. cit., 68; Boggione-Massobrio, Dit:^onano dei pro-
verbi l proverbi italiani organi^^ti per temi, Torino, U.T.E.T, 2004, X.2.3.18).
^'^^ perfetto core: per lo stilema di matrice provenzale cfr. atto 1, scena 4.
^^' Che per un guardo... ferite: concetto analogo a quello espresso da Pellegrino, atto 2,
scena 6.
110
Edizioni critiche
Quante morti crudeli? E per il resto
Quanti inferni? Costei ch'esce di casa
Della mia Dea, per Dio, mi pare Honesta!
Oh ventura grande: ella è sì dessa!
Mona^^*^ Honesta, per voi venivo dritto
A casa vostra, et hor vi trovo in loco!
1070
1075
SCENA QUARTA
Honesta e Mutio.
HONESTA
MUTIO
HONESTA
MUTIO
HONESTA
MUTIO
HONESTA
MUTIO
HONESTA
Oh, figlio, taci che maggior sventura
Non ci poteva avvenir!
Ohimè ch'io moio!
Che cosa c'è di novo?
Oh figlio, taci!
Non c'è rimedio più: siam rovinati!
Oh sorte mia crudele, oh vita amara! 1080
Amara vita degH Amanti, in quante
Passioni sei posta, in quanti...
Oh, taci
Che sei beato, a fé' di questa croce!
Eh, lasciatemi in preda al mio dolore
Né mi porgete più speranza alcuna! 1085
Taci pur, pazzarel, che sei felice.
Tale ordine ho post'io con la tua diva...
Ma voglio prima ch'io ti dica nulla
Aver la buona man .
Voi mi burlate!
Dammi la buona man, ch'io ti prometto 1090
Darti la miglior nova che tu possi
Aver in questa impresa.
^5" Mona: nell'edizione del 1560 il testo presenta Dona.
'^' buona man: 'la ricompensa che mi spetta' (cfr. Lm Fantesca, atto 3, scena 10).
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
111
MUTIO
HONESTA
MUTIO
HONESTA
A me fia poco
Per sì buona novella darvi il core!
Di questo vostro cor, voi altri Amanti,
Ne fate a mille al dì, mille presenti!
A me fian più grati un par di scuti,
Ch'io non son sparavier !
Eccone quattro:
Prendete, madre, e non badate a dirmi
Quanto avete operato!
Ho fatto in guisa
Che sta sera andarai in questa casa,
E parlarai con la tua diva, ch'ella
Se ne contenta, e c'è tornato commodo
Che il padre ha detto non voler cenare
In casa: tu v'andrai a un'hora a punto
E fischiarai, che da la fante sua
Ti sarà aperto l'uscio; il resto poi
Fa' tu , figHuol, ch'ancor ch'io teco fossi.
Altro aiuto donar non ti potrei.
Adopra ben la lingua, e fa' sì ch'ella
Tocchi con mano e espressamente veda
Il tuo duro martir quanto egH è grande:
EUa è giovane dolce, e facilmente
La farai teco lagrimare insieme.
Fa' lei capace''^^ pur del tuo martire,
Che per pietate al fin le donne poi
Si voltano a gli Amanti, e ogni durezza
Scaccian da lor, quand'è lor stato fatto
Dolcemente saper quanto huom patisce
1095
1100
1105
Ilio
1115
''^^ Ch'io... sparvier. come già ricordato nell'edizione de L^ dantesca da me curata, tale af-
fermazione pare essere un vistoso nbaltamento della lirica cortese (cfr. Pobziano, R/>w, V,
6; IX; XXIII; XXXII; CX; 1m Fantesca, atto 1, scena 2: <(Le donne non son sparvieri né fal-
coni che si cibano di cuori» e atto 3, scena 10: «Tenetelo pur per voi, ch'io non sono né
falcone né sparviero, ch'io mi nutrisca né di core»).
'^■' capace: consapevole, partecipe.
112
EdÌ2Ìoni critiche
MUTIO
HONESTA
MUTIO
HONESTA
MUTIO
Per Amor loro.
Oh madre, questo è vero?
Deh, per fé' vostra, fate un sagramento, 1120
Si ch'io ne sia sicur.
Giuro, per quella
Honestate ch'io tengo, e giuro ancora
Per quella coscienza inviolabile
Ch'avuta ho sempre, che quel ch'io t'ho detto
È tutto vero, et ne vedrai l'effetto''^"*. 1125
Horsù madre mia cara, i' voglio andare.
Diman senza alcun fai verrò a trovarvi;
Pregate Amor per me, che voi ancora
Avrete la mercè de' miei piaceri.
Io son certa, figHuol, vatti con Dio 1130
E lasciati veder senza alcun fallo.
Così farò. Mi raccomando a Dio,
Son tutto vostro! F me ne vado in casa.
SCENA QUINTA
Honesta sola.
Questa è un'arte divina, in fé' di Dio:
In quanto poco tempo ho guadagnato
De molti soldi! Oh come m'è venuto
A taglio '^^ che sto vecchio innamorato''^''
Di servir si vogHa in questo Amore,
Ch'oltra ch'io n'ho da lui buscati molti
Danari, ho avuto ancor commodo e tempo
Di parlare alla figUa per questo altro.
1135
1140
"'"* Giuro... effetto: la ruffiana, per suggellare ancor meglio il suo giuramento, dopo aver
rimarcato l'etimologia del suo nome, fa uso dell'unica rima baciata presente nel testo.
'^^ a taglio: a proposito.
'''^ vecchio innamorato: si riferisce ov\^amente ad Eugenio.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 113
Che in altra guisa bisognava usare
Mille arti, mille inganni, e con periglio
Di non andar a pie' fin a Legnago .
Mi resta bora di ordire a questo vecchio, 1145
Insieme con Caverna e *1 servo suo,
Qualche trappola beUa, et che con nostro
Utile sia, et ordirolla certo.
Questa è un'arte mirabile, in effetto
Chi con gratia la fa con qualche sorte. 1150
Oh donne mie^'^**, di quanta utilitate!
E lo sa forse ancor di voi qualc'una
Ch'alle par mie fa buona ciera , e spesso
Dona presenti, ma oltra il guadagno
Che ne caviamo noi, quai son le genti 1155
Che ponno comandar, dove son quelli
Ch'ottengono ogni cosa et hanno sempre
Ogni favore? Noi siam quelle desse,
E credo ancor che fin in cielo i Dei
Ci amino sopra gli altri, s'allor piace 1160
Così la pace come qui si crede.
Perché noi sole siam compositrice
Di pace sempre, e d'amorevolezze.
Sempre cerchiamo accordo, e sempre buone
Parole ripportiamo, e non cartelli^''" 1165
Da combatter con armi vellenose.
^'^'' Legnalo: si tratta probabilmente dell'espediente, piuttosto sfruttato dai comici, di in-
serire nomi locali che si prestano a giochi linguistici o etimologie popolari; in questo caso
si rimanda alla 'legnata' e la locuzione 'mandare a Icgnaja qualcuno' è citata in questo senso
sia dalla Altieri Biagi (il riferimento è, nello specifico, a Nelli, Serve al forno, li, 2; cfr. Altieri
Biagi, La lingua in scena, Bologna, Zanichelli, 1980, p. 103) che dal TB s.v. mandare a legnaia
'bastonare'.
''^'' Oh donne mie: l'esclamazione è rivolta alle donne del pubblico cui la ruffiana si rivol-
ge direttamente come anche più avanti, ai v\'. 1173-79, quando offnrà il suo indirizzo
promuovendo la sua arte.
'^'^ buona ciera: accoglie e riceve cordialmente (cfr. L^ Fantesca, atto 2, scena 1).
2"" cartelli: biglietti o annunci di sfida.
114
Edizioni critiche
Et s'altrui pur tal'hor dentro a un steccato
Conduciamo a morir, la mort'è tale
Che senz'essa sarìa morte la vita,
Né inganniamo nessun ch'entra in dùeUo, 1170
Che di quai armi dee ferire, in prima
L'avisiamo, e con quai parar i colpi:
Sì che, donne mie car, chi c'odiasse
Il torto avrebbe; a voi mi resta dire
Che s'alcuna di me bisogno avesse, 1175
Mandi per me, ch'io stancio^'^" a San Trovaso " ,
Ch'io verrò volontieri, et vi prometto
De far per voi quel che non farà mai
Donna del mondo. A voi sta il comandare.
Ma chi è costei che vien fuor de la casa 1180
Di messer Mutio? Iddio ti faccia salva
Bella fanciulla! Mi sapreste dire
Dove stancia qui intomo un Genovese
C'ha nome messer Pamphilo dal Gatto?
SCENA SESTA
Oliva et Honesta.
OLIVA Mai più non udii dir sì fatto nome.
HONESTA Sei tu di questa terra, figHa dolce?
OLIVA Sì, madre, sì: perché mi domandate?
HONESTA Perché non n'hai la lingua.
OLIVA Anco altri detto
1185
2"' dentro a un steccato: l'immagine della discesa del cavaliere nel campo assegnatogli du-
rante la giostra medievale è chiaramente usata con valore metaforico per indicare l'impresa
amorosa (cfr. La Fantesca, atto 1, scena 3).
2(^2 stando: 'dimoro, abito'.
^^ San Trovaso: si riferisce al campo di S. Trovaso (corruzione dialettale di SS. Gerv^asio
e Protasio) e della relativa chiesa, risalente aU'XI secolo e poi distrutta da un incendio.
Quella odierna venne riedificata nel 1584.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
115
Me l'hanno già.
HONESTA Come sei bella, Iddio!
Ti lascia goder la tua gioventù, 1 190
Ch'ai fin chi non la gode è pazza, e sempre
Sente crudel dolor di pentimento.
OLIVA r me la godo per ch'io sono in casa
Di persone gentil, che non mi manca
Né pan né vin, né vestimenti, quanti 1195
Ne so desiderare.
HONESTA E' par ben, figUa,
Ch'ancor ti odora di latte la bocca ,
Poi che non sai che il piacer del mangiare,
Del bere, e del vestir è il manco manco
Che noi possiamo avere in questo mondo. 1200
Quai son dunque i piacer ch'avanzan questi?
I piacer de l'Amor.
E quai son questi^°^?
In uno anno contar non li potrei,
Ma gustato qualch'un ne hai ben, se vói
Contare il vero.
A fé', madre, vi giuro 1205
Ch'OHva n'è digiuna.
Hai tu tal nome?
Madonna sì.
Tu mi fai ricordare
D'una mia amica ch'una figlia aveva
Di questo nome, e come si chiamava
Tua madre, figlia?
OLIVA Saporosa.
HONESTA Oh Dio. 1210
OLIVA
HONESTA
OLIVA
HONESTA
OLIVA
HONESTA
OLIVA
HONESTA
2"'* odora di latte la bocca: 'sei ingenua ed inesperta come un lattante' (cfr. Pescetti, op. cit.,
P-72)_-
2"^ Il testo presenta 'e qua' sono? ma si è ritenuto di seguire la lezione dei 1560 che eli-
mina l'ipometria del verso.
116
Edizioni critiche
Tu dunque sei di Saporosa figlia?
OLIVA Io fui, ch'ella è già morta.
HONESTA Io so, figHuola,
Che non è maraviglia che d'avermi
Veduta mai non ti ricorda, ch'io
Essendo ancora tu quasi da latte^"'',
Andai ad habbitare in Padovana;
Hor fa tuo conto che tua madre sia
Tornata viva: basciarm quest'altra
Guanza, figliuola mia!
OLIVA Oh madre cara.
Poi che voi foste di mia madre morta
Sì grande amica, Dio vi dia ogni bene!
HONESTA Hor sì ch'io voglio far ogni fatica
Per trarti fuor di servitù, né voglio
Che tu per nulla sia d'altrui massara,
Che son ben io come al tempo d'adesso
Son le massare mal trattate^*^^, et anco
So che non son per altro nome mai
Chiamate, che per nome di puttane,
Et oltra ciò so che se manca in casa
O robba di valore, o da mangiare,
Ch'elle son le ladre, et le golose.
1215
1220
1225
1230
2'"' da latte: appena nata.
20^ massare mal trattate: il fosco spaccato che Honesta offre sulla condizione delle ser\'e
sembra ricalcare le affermazioni di Areusa ne L^ Celestina, atto 9, scena 2, p. 157: «È pro-
pno vero: quelle che servono le signore non hanno piaceri (...). Continuamente insultate,
maltrattate, continuamente in soggezione, non osano aprir bocca davanti ad esse. E quan-
do viene il tempo che dovrebbero accasarle, fanno un gran zufolare rimbrottandole di far-
sela col servo o col figlio, fanno le gelose del marito, o che portano uomini in casa, o che
hanno rubato la tazza o perduto l'anello; gli danno cento sferzate e le buttano fuori della
porta, con le gonne in capo dicendo: fuon, ladra, puttana! (...) Così, aspettando ricompen-
se, asciugano rimproveri, sperando di vedersene accasate, e se ne vanno disonorate (...)».
Una visione opposta, assolutamente positiva, è invece tratteggiata da Galeazzo dagli Orzi
ne L^ massera da bé (cfr. edizione a cura di G. Tonna, Brescia, Grafo edizioni, 1978) nella
quale la protagonista. Fiore da Collebeato, è ansiosa di porre la sua abilità domestica a servizio
della Signora, essendo scampata alle guerre e alle carestie che funestavano la campagna.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 117
Et oltra i pugni, i calzi, i mostazzoni^"^,
Et le legnate c'han, le meschinelle
Pagano il tutto ancor del suo salario,
Né mai di riposo han un sol momento. 1235
Hor lavan le scutelle, hor fan cucina,
Hor vestono i figliuoli, hora i padroni,
Hor fanno i letti, hor portan legne, hor acqua
Hor fan bucato, hor lavan le pitture
Fatte a punto di luna^"^, et poi son poste 1240
Fra le tenaglie, che il padron lor stimola
Che consentino a lui, da l'altro lato
Delle padrone son che le fan fare
Le ruffiane, et con suo pericolo.
Et se non voglion, son poi quelle sempre 1245
Che fanno ogni fatica, e c'hanno sopra
Le spalle ogni gravezze, et son le peggio
Pagate sempre, et le peggio vestite .
Et se tal'hor gli vien la fede data
Di maritarle, come giunto è '1 tempo 1250
De l'obligation, dicono ch'elleno
Hanno avuto da far con il famiglio ,
O veramente che ne han fuor di casa
Data la robba^'^, e con simile macchia
Le scaccian vergognate, scalze, e nude, 1255
Dove aspettavon con ragion le misere
2""* mosta:^m: colpi inferii sul viso a mano aperta, ceffoni.
2"' pitture... luna: è forse da intendersi come 'le macchie di sangue doxoite al mestruo';
sono infatti incongruenti rispetto al contesto le accezioni attestate con il sigmficato di 'ra-
ramente' (cfr. Bargagli, lui Pellegrina, II, 3) e 'parlare m punta di forchetta' (Aretino, L<3 Cor-
tisana, I, 7).
^^^ peggio vestite: cfr. Roias, lu3 Celestina, atto 9, scena 2, p. 157: «(...) e con una veste rotta
dei loro scarti, ti pagano il servizio per dieci anni».
2" famiglio: chi svolge i lavori domestici subalterni.
^^'^ fuor... robba. 'hanno trafugato gli oggetti preziosi della casa'. L'affermazione si riallac-
cia all'accusa di furto di cui spesso le serve sarebbero state incolpate, anticipata ai w. 1229-
31 (e ripresa anche più avanti al v. 1379) e, come abbiamo visto, già presente ne La Celestina.
118 Edizioni critiche
In guidardon di tante sue fatiche
Uscirne ben vestite, e maritate.
Andiamo, figHa mia, che caminando
Ragionaremo sopra i casi nostri. 1260
ATTO QUARTO
SCENA PRIMA
Oliva sola.
Oh che strega rubalda, oh che finissima
Ruffiana è sta vecchia traditora!
Come in quattro parole il paradiso
Depinto m'ha, che s'ha nell'esser donna
Che con poca honestà viva nel mondo. 1265
Ma potea ben menar la lingua un anno^'^.
Che non m'avrebbe convertita mai
A intrar in schiera di quelle meschine:
Ch'ai fin per una che diventi ricca
Mille ne son (e più) che muoion poi 1270
A l'hospitale^'^ e sopra un ponte, e sotto
2'^ menar la lingua un anno: OUva fa riferimento al lungo tentativo di persuasione operato
nei suoi confonti da Honesta nella scena conclusiva dell'atto precedente.
^'^ Ch'ai fin... hospitale: la cattiva sorte delle meretrici nelle parole di Oliva potrebbe co-
stituire un rimando al Luimento della cortigiana ferrarese, opera attribuita (con cautela) al fioren-
tino Giovan Battista Verini (per il cui testo cfr. Graf, Una cortigiana, p. 359; cfr. Aretino, La
Cortigiana, Torino, Einaudi, 1970, p. 141): «Foglie di cavol sono el bel trinzale / le perle son le
bolle, gomme, doglie / e vado mendicando a lo spedale». In particolare per l'accenno
all'ospedale inteso come luogo insalubre ed affollato, cui venivano destinati gU indigenti,
cfr. Gonzaga, Gli Inganni, atto 1 , scena 1 : «Ch'io vi vedrò ancora nel marcio spedale, fur-
baccie!»; Frotola d'un vilan dal Bonden che se voleva far cittadin in Ferrara, v. 93, in M. Milani, An-
tiche rime venete, Padova, Esedra editrice, 1997, p. 206: «e sì andarem / al marzo hospeale»;
Calmo, // Saltui^, atto 4, scena 5: «(...) e mi, poverom, s'a' foesse strupiò a' sconverave
anar de fatto aU'ospeale», e relativa p. 129 cui si rimanda per ulterion approfondimenti.
II Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 119
Hanno un marzo storuol per mattarazzo^'^
Horsù, vadi in mal bora questa veccbia!
Questa è l'acqua"' ' cb'io porto a mia madonna,
Che dato mi ba quel Pellegrino, et dice 1275
Che alle vintitre bor, ch'esser dèn quasi,
Ber ne debba essa la mettate, e l'altra
Riserbar per l'Amante, e far in guisa
Ch'anch'ei ne gusta, et ne vedrà miracoli
Uscir di questa cosa, et hammi dato 1280
Questa scrittura, dove è il modo ch'ella
Dee tener per far che l'acqua sia
Incantata e perfetta; i' voglio entrare
Ch'io veggio l'uscio aperto. Amor consenta
Che questa poveretta abbia il suo intento. 1285
SCENA SECONDA
Honesta et Naffissa.
HONESTA Io ti dico sorella, che egli è cotto,
E morto e spanto di Lauretta tua,
2'^ Storuol per mattarat^: 'una piccola stuoia per materasso'. Per sturiol 'stoino' (ant. dim.
di stuorà) cfr. GDU, XX s.v. storuolo (dove è riportato il passo in oggetto oltre a Citolini,
411); Dieci Tavole, 693. L'immagine delle prostitute ridotte a lavorare su una misera stuoia
verrà recuperata dal Parabosco ne Ì-M Fantesca, atto 2, scena 1 1 . Analoghe scene di miseria
sono riprodotte anche nel Pronostico alla villotta sopra le putane, in M Milani, Antiche rime vene-
te, op. cit., p. 475, in particolare w. 80-91: «El disc che su i ponti / le starà su un storolo /
co<n> una ghirlanda al colo / de piatole e peocchi / e intorno dei zenocchi /scantie de
boletini / e con quei bagatini / che qualcun gli darà, /con quei le viverà /così miseramente
/ e così con gran stente / passerà sua vita» e nelle Rime pescatone del Calmo, pese. W, w.
37-39: «Che diascazze fa '1 ciel che no t'arsirà, / azò che in cima i ponti, sul storuol, / te
veda le persone che ti agabi», così interpretati dal Belloni: 'che diavolo fa il cielo che non ti
deforma, perché in cima ai ponti sulla stuoia ti vedano le persone che inganni'.
2"' l'acqua: la pozione amorosa.
2'^ morto, e spanto: il participio passato di spandere (letteralmente 'essere disteso, riverso')
è utilizzato nella locuzione specifica essere morto e spanto con il significato di 'innamorato da
morire' (cfr. ad esempio G. Polena, Vocabolario del venerano di Carlo Goldoni, op. cit., p. 565
s.v. spanto 'appassionato o innamorato morto'); tale formula sarà riutilizzata dal nostro au-
120
Edizioni critiche
NAFFISSA
HONESTA
NAFFISSA
HONESTA
NAFFISSA
HONESTA
E se con meco ti consigUarai,
Tai avisi darotti, che ben presto
Il sangue gli trarai della scarsella" .
Io gli ho promesso far opera teco,
Che questa sera ei potrà in casa tua
Venire a ragionarti un pezzo, e sia
Ben fatto questo, che commodamente
Gli potrai dire il fatto mo, e fargli
Crescer la voglia della mercantia" .
Honesta, per mia fé', c'hoggi non posso,
Che questa sera in casa nostra cena
Un gentil huomo Fiorentino, e dorme.
Come farem ch'io gli ho promesso certo
Di far che tu vorrai ch'ei parli teco
Sta sera senza fallo?
r farò farH,
Tosto ch'a casa ei mi s'appressa, e sia
Ben fatto, una scagaita ' così grande
Da un bravo, ch'ei n'andrà più che di volo.
Io non vorrei che poi, posto in paura.
Di questa impresa ei si togliesse giuso.
Non farà no, ch'ei ha buona capezza" .
Horsù, fa' come vói, ch'ordine poi
1290
1295
1300
1305
tore anche ne L<3 Fantesca, atto 1, scena 2: «finger il morto, et lo spanto». Cfr. inoltre, con
una leggera variazione, Dialogo di duoi villani padovani, w. l'b-15 in M. Milani, Antiche rime
venete, op. cit., p. 428: «che Gasparuolo in la Tomia / è tutto quanto inamorò / e <per ela>
spanto e consumò».
2'* scarsella: borsa di cuoio appesa alla cintura per portare oggetti e denaro, qui per 'gli
succhierai tutto ciò che ha'.
-" mercantia: dell'affare, da intendersi chiaramente come rapporto erotico.
22U scagaita: spavento (cfr. GDLI, X\'^II s.v. sgagaita, dove viene proposta questa sola at-
testazione; Il dialogo di Rocco degli Ariminesi, w. 13-7 4 in M. Islihnì, Antiche rime venete, op. cit.,
p. 465: «Deh, Cristo de la Mare, cento vesse / el me muzé da scagaita che havea»; Galeaz-
zo dagU Orzi, Maitinada, lY, v. 6 in L^ massera da bé, op. cit., p. 259: «caso de mia schigaita,
pena e lagn» dove la schigaita è spiegata dal Tonna come 'tremore amoroso degradato a ca-
garola per la paura').
22' capet!^. cavezza 'vincolo' (che lo trattiene).
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
121
Metterem se vorrai per altro giorno!
NAFFISSA Andiamo a casa già che siamo appresso,
Che vedrai Lauretta, c'hoggi apunto
Ho menato a veder la sinagoga
De li hebrei^^, et diraUi insieme meco
Ch'ella osser\à i miei detti e i miei consigli,
Ch'io le predico ogn'hor di questo vecchio
E d'altri ancor, e lei se ne fa beffe.
HONESTA Verrò, di gratia: andiamo adunque.
NAFFISSA Andiamo.
1310
1315
SCENA TERZA
Finocchio solo.
Gongola il vecchio, e non può stare in stroppa^^
Perché di fare gli ha promesso Honesta 1320
In modo ch'ei sta sera avrà udienza.
Senza alcun fallo, in casa de la Diva.
Ma, per mia fé', ch'anch'io sta sera voglio
Trovarmi a cena con la putta, poi
Ch'ei starà tardi fuor di casa, et voglio 1325
Irmene a punto a comperare adesso
Qualche cosa di buon, che in ogni modo
Pagarà il vecchio, se il cantar non mente.
Oh poveri padroni, in fé' de Dio,
Che la cosa del par (come si dice) 1 330
222 Ho menato... hebrei: in assenza di riscontri certi mi limito a ncavare per la locuzione
un senso prossimo a i'ho messa in confusione' (dato il significato più noto di sinagoga 'con-
fusione rumorosa') oppure 'l'ho incitata ad agire con astuzia' o, ancora, 'l'ho edotta'.
225 Gongola... stroppa: 'non riesce più a contenersi' (cfr. GDLI, XX s.v. stroppa)-, oggi di-
remmo 'non sta più nella pelle'). Si ricorda che stroppa nei dialetti settentrionah indica il
'vimine', dunque qualcosa che serve per legare (dal latino struppum, 'correggia'). La mede-
sima espressione è presente anche nel testo de La Fantesca, atto 4, scena 1 1: «Io non posso
stare in stroppa».
122
Edizioni critiche
Ne va, che se noi miseri infelici
Servendo sempre voi, sempre stentiamo,
E voi da genti tal serviti séte,
Che se venisse loro occasione
Di farvi mille inganni, e mille l'hora
Tradimenti crudei, un dito indietro
Non si trarian giamai" ; né so per Dio
Se io volessi più tosto o quel patire,
O con periglio star di questo male.
Ma io sento aprir l'uscio: i' vo' nettarmi'^^
1335
1340
SCENA QUARTA
Eugenio et Spavento.
EUGENIO II tutto avete inteso.
SPAVENTO r v'assicuro
Ch'ei tremarà di voi da mezzo luglio !
Per tutto hoggi starò per quinci intorno.
Et se verrà nessuno, i' vi prometto
Di non lasciarli intrar in quella casa.
EUGENIO Sì di gratia, fratello.
SPAVENTO r vado hor hora
A vestirmi il mio giacco"^^, che sta saldo
1345
^2"* L'intero passo, oltre a costituire un elogio alla scaltrezza del servo, rappresenta un
motivo consueto per il Parabosco, che ama tratteggiare nei suoi lavori la realtà a lui con-
temporanea con tinte piuttosto fosche (cfr. Introduzione a Lm Fantesca, op. cit., pp. 32-33),
anche se nella commedia in oggetto le critiche rivolte agli aw^ocati, alle donne, ai servi so-
no piuttosto di maniera.
22^ nettarmi: 'andarmene in tutta fretta per evitare inconvenienti'.
^^'' tremarà... luglio: l'espressione è ricorrente nella produzione comica paraboschiana e
sempre riferita al personaggio del bullo (cfr. Lm Fantesca, atto 3, scena 2: «Non dite questo,
che quando io voglio, con i guardi fieri non pure io faccio palide le genti, ma io faccio tre-
mare li Giugno, il Luglio, e l'Agosto!»).
^^^ giacca: cotta di magha d'acciaio usata a protezione del torace (cfr. DELI, II, s.v. giaco,
con esempi dal Sacchetti e dal Randello).
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
123
EUGENIO
SPAVENTO
EUGENIO
A colpo di moschetto, et vado a torre
La mia crocetta da le otto punte^*^,
Et se venisse Orlando, e Feraguto, 1350
Come ho queste arme, lor non stimo un fico^^^!
Andate, ch'io voglio uscir per hora
Fuora di casa, e siate certo ch'io
Farò tal cosa, che contento andrete.
Son vostro, padro mio.
Mi raccomando. 1355
SCENA QUINTA
Spavento solo.
Ho buscato i lampanti^^*^', in fé' di Dio!
Oh cancaro^"^\ sto vecchio di Susana^^^
E pur ammarteUato^^^! EgH è pur cotto!
Ventura, a fé', che per un soldo solo
Da la prigion non mi potea riscotere!
Questa sera farò correr qualch'uno
1360
228 crocetta da le otto punte: si tratta probabilmente di una sorta di mazza ferrata dotata di
otto spuntoni, anche se non ho riscontrato nulla di certo in proposito.
22^ non stimo un fico: 'non li considero per nulla'. L'espressione, viva ancora oggi, è già
presente nel Mollante, XII, 51, v. 2: «che in ogni modo non lo stimo un fico».
23" ho buscato i lampanti: 'mi sono procacciato i soldi con abilità'.
2'i cancaro: imprecazione tipica del veneziano e pavano, consacrata nella commedia so-
prattutto da Ruzante.
232 vecchio di Susana: la locuzione fa riferimento all'episodio della Bibbia, narrato nel libro
di Daniele, 13, che registrò grande fortuna nella pittura nel Cinquecento e Seicento (si ri-
cordino almeno i celebri dipinti del Tintoretto, Susanna e i Vecchioni, conser\'ati al Kunsthi-
storisches Museum di \'^ienna ed al Louvre, ed il quadro, forse ancor più famoso, del Ve-
ronese); l'espressione, registrata ad esempio nelle Dieci tavole, 1734: «Vecchio di Susanna
(D'un vecchio luxurioso)», comparirà anche ne La Fantesca (cfr. atto 2, scena 10: «Che fate
sotto queste finestre, o vecchi di Susana?»).
233 ammartellato: in senso figurato 'travagliato da un'aspra e violenta passione' (cfr. Are-
tino, Sei giornate, 119, 201, 299; Calmo, Il Saltu:;^^, atto 2, scena 3, pp. 84-85: «Eh, so che si'
do gran amartelo»; Calmo, Rime pescatorie, st. XVI, 1: «Che ziova conseiar un martelào»;
Giancarii, Im Capraria, p. 125: «amartelata di lui»). L'espressione è simile a quella del v. 659.
124 Edizioni critiche
Per quinci oltre, et dirò d'aver ferito,
O morto un huomo per rispetto suo:
Così farò sonare il vecchio pazzo,
Con dir ogn'hor, s'ei non riffonde^^"*, ch'io
1365
Dirò al ferito chi l'ha fatto fare.
Io sento aprir la porta: i' vado, i' vado.
SCENA SESTA
Fiore fantesca sola.
In fé' di Dio, è pure una gran cosa
Che vogHon sempre questi huomini pazzi
Saper tutti i secreti delle donne. 1370
Quante è che la padrona mi voleva
Mandare a dare aviso a messer Mutio
De l'ordin fermo per sta sera posto,
E non c'è stato mai quasi rimedio!
Il vecchio dice: "Ove mandar la vói? 1375
Lasciala in casa, e farai ben, che sempre
Ste puttanelle van per via facendo
La civetta, et si fan miUe bertoni^^^,
A i quai poi dan la robba^^^, e con i quali
Si fuggono alla fine, onde ne vengono 1380
De le famiglie le vergogne, e il danno!"
Ma dove trovarò questo capestro^^^
Di Ribecca, per dirgli, e dargli l'ordine
Fermo per questa sera, come posto
L'ha la padrona mia con Donna Honesta? 1385
^^■* riffonde: 'paga di nuovo'. Spavento progetta dunque di ricattare Eugenio.
2^^ bertoni: uomini dissoluti.
2-"' la robba: più che in senso osceno è da intendersi ancora col significato di beni e og-
getti di valore, esattamente come al v. 1254.
2-^^ capestro: scellerato.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
125
Ma eccol, per mia fé': la cosa certo
Non può passar se non per bona via,
Che nel maggior bisogno egli mi viene
Fra i piedi! A Dio, Ribecca, a Dio!
SCENA SETTIMA
Ribecca et Fiore.
238
1390
240
1395
RIBECCA Oh Fior mio d'ogni mese^^", tu ci sei!
Ove ne vai?
FIORE Per ritrovarti sono
Uscita fuor di casa.
RIBECCA Eccomi pronto
Ad ogni tuo piacer.
FIORE Sì, si carotte"'!
RIBECCA D'altro che di parole a te vorreile
Cacciar. Ove ne vai con questo cesto?
Cesto essere vorrei, che pure il manico
Hora mi toccaresti.
FIORE E all'hor vorrei
Che fosser le mie mani ambe rasoi.
RIBECCA Se questo fosse, tu mi toccaresti
Forse più leggiermente che non pensi.
FIORE Perché?
RIBECCA Perché soffrir mai non potresti
Offender quella parte.
FIORE Taci, taci.
RIBECCA Ah rubalda! I' vorrei sì ben sapere
Menar la lingua, che gli affanni miei
2-^*' Fior... mese: cfr. Dialogo di duoi villani padoani, 5, v. 36 in M. Milani, Antiòe rime venete,
op. cit, p. 443: «batassuosola, fior d'ogni mese».
2^^ carotte: frottole, panzane (cfr. GDU, II, s.v. carota), immediatamente interpretate in
senso equivoco da Farina.
2"*" manico: ovvio il doppio senso osceno, che prosegue anche nei versi seguenti.
1400
126
Edizioni critiche
FIORE
RIBECCA
FIORE
RIBECCA
FIORE
RIBECCA
FIORE
Ti fosser manifesti, e ch'io potessi 1405
Farti toccare con mano il mio martire,
Che, ancora che sii del pianto altrui bramosa,
Forse ti caleria vederlo in me,
Così è egli grande e duro.
Oh queste sono
Delle tue ciancie!
Ohimè, tu sei pur bella! 1410
Egli è passato il tempo, che giurare
L'avrei potuto, non che dame fede
AUe parole altrui, ma adesso, adesso
So ben io ch'io non son bella, né posso
Esser ch'io non mi sento, a fede, bene. 1415
Hai tu forse la febre ch'ogni mese
Viene aUe donne?
Sì, io ho de' guai
Che venghino a te sol, tristo che sei!
Ma lasciamo le burle! Il tuo padrone
Ha parlato, se sai, con Donna Honesta 1420
Hoggi doppo mangiar?
Non ti so dire
Che desinato ho fuor di casa, e un pezzo
E ch'io non l'ho veduto, ma perché
Mi dimandi tu questo?
Donna Honesta
Hoggi doppo mangiare, è stata sola 1425
Un pezzo a parlamento con la giovane,
Et ha finto voler per certe liti
Consiglio dal padron, il quale in casa
Non si trovava aU'hor, ond'ella ha a\Tato
Commodo di parlar in lungo, in lungo, 1430
Et ha ottenuto al fin che il tuo padrone
Se ne venghi sta sera a parlamento
2"*' caleria. importerebbe.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
127
FIORE
Con la padrona mia, la qual mi manda
Hora di casa fuor per darti aviso
Del tutto, caso che la detta Honesta 1435
Non l'avesse hoggi ritrovar potuto.
RIBECCA É questo ver?
FIORE Non d direi bugia
In simil caso!
RIBECCA r non potrei portare
La migHor nova al mio padrone, ancora
Ch'io gli portassi d'uno Imperio il scettro. 1440
Adunque certo è ch'ei potrà venire
Sta sera a casa vostra, e potrà ancora
Con la padrona tua secretamente
E in casa ragionar?
Questo t'accerto,
Che '1 vecchio s'ha lasciato uscir di bocca 1445
Di non cenare in casa , e non venirsi
Sin a le otto, o a le nove hore almeno.
DiUi puoi tu ch'ei se ne venga, e faccia
Il solito fischiar, ch'io starò attenta
Et aprirollo et metterollo dentro... 1450
Ma il tutto intenderà da Donna Honesta
S'ei la ritrovarà.
Io corro adesso
A casa, ch'io ben so che mi ci aspetta;
Del tutto avisaroUo.
Et io ritorno
Indietro, e farò vista col padrone 1455
Avermi smenticato alcune cose
Ch'io doveva portar con esso meco.
RIBECCA Vanne e vogliami ben, ladra assassina!
Qual cosa non può amore? Ove son questi
Che dicon che si può con la ragione 1460
Por freno ad ogni cosa? Oh pazzi, oh stolti!
RIBECCA
FIORE
128 Edizioni critiche
Come farete a far diamante, e giaccio
Un cor contra la face et le saette,
Si ch'ei non v'arda e non v'impiaghi sempre?
Qual se ne può veder maggior esempio 1465
Di quel c'hora si vede in questa giovane?
Che non ostante che perigHo porta
D'esser dal padre ritrovata in fallo.
Et il perigHo della lingua ancora
Di ruffiana et di massara, ancora 1470
(Che è più) s'è posto amar un che si dice,
E per certo si tien, che stato sia
Homicida crudel d'un suo fratello.
Horsù, io voglio intrar ch'io credo certo
Che il mio padron m'aspetta, e a\'isaraUo 1475
Del tutto, se per sorte ei non avesse
Parlato con la Ruffiana. I' entro.
SCENA OTTAVA
Eugenio solo.
M'è stato detto che di rasa vanno
Questi bravi tal'hor, et che promettono
Un milion di cose, et che non fanno 1480
Poi nulla, e però vogHo hora chiarirmi.
M'ho posto intorno questa cappa, et anco
^■*2 di rasa vanno: 'agiscono astutamente, ricorrendo ad inganni e raggiri' (cfr. GDLJ, XV
s.v. ragia 'inganno, beffa'; Aretino, La Cortigiana (edizione 1534) in Pietro Aretino, Teatro, a
cura di G. Petrocchi, Milano, Mondadori, 1971, p. 106: «Io intendo la ragia»; cfr. anche
Introduzione a II libro dei vagabondi, a cura di Pietro Camporesi, Torino, Einaudi, 1980, p.
XXXI n. 1: «(...) la volpe trionfa sul lupo, la rasa sulla forza» e relativa nota dove si attesta
la precoce comparsa di rasa 'frode, inganno, astuzia' nel furbesco antico come formazione
metaforica dal bresciano e dai dialetti veneti nei quali il termine significa letteralmente 'vi-
schio, resina').
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
129
Questa berretta^'*^, che portar non soglio,
E voglio passeggiare hora ch'è tardi,
Che quasi conosciuto esser non posso,
Per quinci oltre, e veder se il bravo osserv^a
Ciò che promesso m'ha. Certo che Amor
Mi fa pur cose far troppo da pazzo!
Altro non posso: i' son legato stretto
Né mi posso crollar, non che slegarmi.
1485
1490
SCENA NONA
Spavento bravo et Eugenio.
1495
SPAVENTO Trucca per la calcosa^'*'*, animalazzo!
EUGENIO Non far, non far, ohimè, ch'io son Eugenio!
SPAVENTO Compra il porco^"*^ poltron, che in doi cavezzi ^
Ti gitto a terra, se più indugi!
EUGENIO Oh Dio!
SPAVENTO Te ne do un'altra se non ti satisfa
Questa!
EUGENIO Non più, non più che morto sono!
2^"* M'ho posto.. .berretta: nell'indossare il mantello ed il berretto, il vecchio Eugenio non fa
altro che attenersi ad uno dei momenti canonici del genere comico: il travestimento. Come
ricorda R. Alonge, questi indumenti erano i più adatti alla stagione invernale del Carnevale
(il tempo consacrato agh spettacoli teatrali, cfr. ha riscoperta rinascimentale del teatro, in
AA.W., Storia del teatro moderno e contemporaneo, voi. 1, Einaudi, Torino, 2000, p. 21).
2^^ Trucca per la calcosa: 'dàttela a gambe'. Conformente allo stile paraboschiano, il perso-
naggio del bravo si esprime ricorrendo al gergo furfantesco, per quanto qui sia ridotto a
poche locuzioni ampiamente attestate nei repertori dedicati a questo linguaggio. Molto più
ricco e meno convenzionale sarà il gergo sfoggiato dal bravo ne L^ Fantesca (cfr. op. cit.,
atto 2, scene 10-11; introduzione pp. 27 e 39-40).
2"*^ Compra il porco: 'fuggi'; comprare il porco è ancora una locuzione furbesca avente il si-
gnificato di 'fuggire' (cfr. F. Ageno, Un saggio sul furbesco del Cinquecento, m " Studi di Filolo-
gia Italiana", 17, 1959, p. 229). La medesima espressione è presente ne Ilm Fantesca, atto 2,
scena 10, p. 105: «Che non altro, comprate il porco, vecchi rantacosi?».
2^'^' doi caver^: 'in due parti' (cfr. Boiardo, Inamoramento de Orlando, I, III, 3, w. 7-8: «O
de gettarlo morto in sul sabbione, / o trarlo in duo cavezzi de l'arcione»; I, V, 5, v. 8:
«Cadde il gigante in dui cavezzi in terra»).
130 Edizioni critiche
SPAVENTO Correr non vo', che '1 vento perderia
Il palio con costui "* . Ah, Ah! Quanta n'ha egli"^**
Della paura poi ch'egli entra vivo
In quella sepoltura che è sul campo 1500
Della sua chiesa! Horsù, posso sicuro
Star, ch'ei si chiamarà da me servito!
Ben lo conobbi io tosto al ragionare
Ch'egli fra sé facea, et ho piacere
Ch'ei m'abbi dato questa occasione, 1505
Che forse ei non avria creduto poscia
Ch'io avessi fatto il debitoribùs^"*^!
So che n'ha avute due di buona tempra^^'',
E l'ossa gH dorran per qualche giorno.
Suo danno! Ei dovea creder le promesse 1510
Ch'io gH avea fatto, e non voler incognito
Cercarne la certezza. F giocarci
La testa, ch'ei starà sepolto almeno
Due hore ancora, ma a sua posta i' vogHo
Quinci partirmi, poi ch'io so che certo 1515
Egli è ch'io son qui stato a far la spia.
SCENA DECIMA
Giberto Pellegrino solo.
Oh miseri color che preda sono
Di questa furia che si chiama Amore,
Che vera furia è dello inferno certo!
Miseri lor che sempre a temer hanno 1520
2^^ non vo'... costui: per la medesima metafora sulla corsa contro il vento cfr. Lm Fantesca,
atto 5, scena 9, p. 157: «so c'avete preso il corso a garra con il vento».
2^* Il verso è ipermetro.
^■*^ Fatto il debitoribus: 'compiuto la mia missione'.
2^" due di buona tempra: Spavento si riferisce sarcasticamente ai due colpi che gli ha affib-
biato.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco 131
Di morte, di vergogna, et de ruina!
A che condotto m'hai, furia crudele?
Ahimè, deggio pentirmi avere occisa
Colei, che al nascer suo portò dal centro
Infernale ogni asprezza, ogni durezza? 1 525
Non già, non già! Ma vuo' pentirmi bene
Di non averle procacciato morte
Più lunga, più penosa, e più crudele,
Che il veleno che lei trarà di vita
Sarà poca vendetta a tanta offesa! 1530
Mi pare un'hora più d'uno anno lunga
Ch'io senta che dal mondo sia partita
Quanta egli^^^ in sé di crudeltate avea.
Che tutta in un raccolta era in costei.
Ahimè, che non può tanto anco lo sdegno 1535
Che giustamente ho contra lei concetto.
Che mi basti, sì ch'io prima di lei
Non senti il suo morir, ma la giustitia
Non mi lascia pentir, che giusto è ch'ella
Muoia una volta per cagion di quello 1540
A cui ella ne die già più di mille"^^^!
E giusto è ancora che in me pietà s'adopra
A ciò che il mio dolor non abbia fine
Nella vendetta ch'io ne prendo, poi
Che fallo fèi di troppo grave pena 1 545
Degno, adorando una mortai figura.
Anzi una tigre, un velenoso serpe.
Horsù, partir mi vo', né starò molto
25' egli: il mondo.
252 Muoia una volta... mille: ritoma, con una formula appena variata, lo stesso concetto
espresso dal protagonista nell'atto 2, scena 7, presente anche nelle lettere Amorose, III, \'III,
rr. Id-ll: «Et morte dirò, non essendo da voi mancato il darlami in mille modi». Per le
fonti, cfr. Petrarca, RKF, XLIV, v. 12: «mi vedrete straziare a mille morti»; Pulci, Morgante,
VII, 72; Ariosto, O.F., X, 29, 8, w. 7-8: «darmi una morte, so, lor parrà assai; / e tu di mil-
le, ohimè, morir mi fai».
132
EclÌ2Ìoni critiche
A far ritorno, con speme d'udire,
Da pianti e gridi di sua morte nova.
1550
ATTO QUINTO
SCENA PRIMA
Mudo et Ribecca.
MUTIO Esser può bene un'hora, è sì Ribecca?
RIBECCA Credo che passi ancor.
MUTIO Tutti i piaceri
Del mondo veramente dir si ponno
Aspri tormenti, appo il piacer che dona
Amor a' soi fedeH, et hora il prov'io.
Credi tu c'hora se mi fosse in capo
Posto d'un Regno una corona, e un scettro
Dato in man d'uno Imperio, ch'io sentissi
Tanta gioia nel cor, tanto piacere,
Com'io sento pensando esser fra poco
Dananzi al mio bel sol ?
RIBECCA Amor, padrone,
Il paradiso fa provare in terra.
MUTIO Tu parli il ver, né si poteva esprimere
Con altra cosa quel contento estremo
Ch'amando proviam noi, mentre benigna,
E pietosa madonna il cor ci lega...
1555
1560
1565
255 Credi tu... sol: cfr. Parabosco, 'Lettere Amorose, ITI, X\n[II, rr. 3-5: «i\mante nessuno
non cangiaria un momento solo della vista della cosa amata con nessun imperio» e relative
fonti (Platone, Fedro, XXXII; Andrea Cappellano, De Amore, III, XXXIII; Castiglione, //
Cortegiam, IV, LXXIV...).
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
133
RIBECCA II paradiso, torno a dir, che prova
Colui che con ventura amando vive.
MUTIO Dir voglioti anco più, che Amor dispensa
I gradi del piacer con la virtute
Che Li comparte^^'* in ciel Giove superno^",
Che così come in ciel non s'hanno invidia
Que' spiriti da lui fatti beati,
Ancor ch'un sia maggior de l'altro assai ^^^',
Così non è qua giù tra noi mortali
Huomo ch'amando, con altrui cangiasse
L'obietto del suo Amor, ben che ci fosse
Di grandezza e beltà disparitate
Estrema.
RIBECCA Questo è ver.
MUTIO Vói tu vedere
La perfettion d'Amor? Vedila in questo:
Che quante sono qua giù cose create
Tutte si puon scambiar l'una con l'altra,
E a diverse mercedi son suggette.
Salvo l'Amor, che sol d'Amore anch'esso
Vòle il suo premio, et ogn'altra mercede
Odia e rifiuta, e sol d'Amor si pasce ^".
RIBECCA Negar non vi si può, padrone, e giurovi
Ch'io piuttosto vorrei ch'una fanciulla
Di questa terra a me volesse bene.
Per ch'io ne voglio a lei, che tutto l'oro
Del mondo insieme!
1570
1575
1580
1585
1590
25-* comparte: cfr. Dante, Inf., XIX, v. 12: «o quanto giusto mia virtù comparte».
255 Giove Superno: cfr. Parabosco, La Progne, In Vinegia a San Luca della Cognitione,
1548, p. 5: «Superno Giove, te preghiamo solo (...)».
'^^^' Amor dispensa... assai: chiaro rimando al celebre passo dantesco in cm Piccarda Dona-
ti spiega al poeta fiorentino come i beati gioiscano nell'adeguarsi all'ordine universale volu-
to da Dio, senza provare alcun desiderio di stare in un cielo più alto di quello che è stato
loro assegnato (cfr. Dante, Par, III, w. 57-87).
25^ si pasce: cfr. Dante, Inf., XVI, v. 102: «Di quel si pasce, e più oltre non chiede».
134 Edizioni critiche
MUTIO Horsù, vatti con Dio!
Alle cinque hore fa' che sii là dove
T'ho detto, e non mancar!
RIBECCA Senza alcun fallo
Mi vi ritrovarete. Andate pure,
Ch'amor sia vosco! I' vi so dir che séte 1595
Aspettato e bramato estremamente.
Per quanto detto m'ha la sua fantesca.
SCENA SECONDA
Mutio solo.
Io conosco in effetto che gli è vero
Che morir l'huomo può di troppa gioia:
Quasi mi sento della vita uscire, 1600
A pena il capo reggo, a pena gH occhi
Posso aperti tenere, e credo certo
Che in me cagioni questo svenimento
Solamente il piacer, quella allegrezza
Che da sta mane in qua m'è giunta al core 1605
Con la novella di dover sta sera
Parlare alla mia Dea, et ho tutto hoggi
Avuto sete così ardente, ch'io
Sforzato stato son levarmi in coUo
Una caraffa d'acqua, che mi venne 1610
In mano in casa et me ne sento il corpo
Et lo stomaco fredo, e mal desposto.
Horsù battere voglio, anzi fischiare.
Ch'esser potrebbe ancora il vecchio in casa.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
135
SCENA TERZA
Lavinia giovane, Mutio et Fiore.
LAVINIA
MUTIO
FIORE
MUTIO
LAVINIA
FIORE
LAVINIA
FIORE
LAVINIA
FIORE
LAVINIA
FIORE
LAVINIA
FIORE
Dio vi dia pace, Signor mio!
La pace 1615
Adesso ho io. Signora mia dolcissima.
La qual mi può venir solo da quella
Grada c'hor tengo, e che più assai estimo
Che l'Imperio del mondo... Ahimè Signora...
Meglio sarebbe forse intrare in casa. 1620
Ahimè ch'io muoio! Ahimè, Signora! Ahi! Ahi!
Sostienlo ch'ei non cada! Oh Signor mio,
Ch'avete voi?
Oh Dio, che sarà questo?
Oh sventurata me, com'egH è freddo
Fatto in un punto. Signor Mutio...
Oh Dio! 1625
Rispondete a colei ch'assai più v'ama
Che la stessa sua vita! Oh Signor Mutio!
Misere noi! Mo' che sventura è questa?
EgH non batte più polso, né vena" .
Che sarà questo?
Esser potria, padrona, 1630
Ch'ei fosse uscito fuor di vita, forse
Per l'allegrezza di vedersi innanti
A voi, ch'egli amò più che sé medesmo,
E inteso ho dir di simili sventure
Più volte intravenute ad altre Donne. 1635
Posianlo giù per terra, e tu di sopra
Corri, et arreca teco aceto od altro
Che sovenghi li spirti.
r vado.
258 polso, né vena: ancora un rimando letterario (cfr. Dante, /«/.', I, v. 90: «ch'ella mi fa
tremar le vene e i polsi»; Pulci, Morgante, X^^II, 190, v. 5: «e non batte poi più senso né polso»).
136 Edizioni critiche
LAVINIA Ahi, lassa!
O cor del corpo mio, o mio signore.
Perché non respondete al vostro bene? 1640
E possibile, ahimè, che quello immenso
Amor che, mercè vostra, ogn'hor portato
M'avete, ahimè, non avrà forza adesso
Di ritornarvi l'anima nel corpo
Per rispondermi almen^^^, se pure è vero 1645
Ch'ella del tutto n'abbia tolto bando?
Rispondi, anima mia, o almen fa' segno
Che tu non sia di questo corpo uscita!
Ahi misera et infelice, ahi, più d'ogni altra
Sventurata fanciulla, che ben sei 1650
D'ogni altra più infelice e sventurata.
Poi che nel dar remedio al tuo Signore
Contra il morir, gli hai procacciato morte!
Anima valorosa, akna gentile
Ov'hora sei? Per che non mi soccorri? 1655
Se tu odi, ahimè, queste parole meste
Per che non mi consoH? Ahi, forse sei
Sdegnata contra me, vedendo ch'io
Viva rimango pur doppo la tua
Partita, e in ciò di poco amor mi noti^*^*^? 1660
Me ne vergogno ben, ma noi consente
Il ciel mrbato, onde non abbia fine
L'estremo mio martir, fin ch'ei non abbia
Nel petto mio la tua vendetta a pieno
Fatta, che pur son io sola cagione 1665
2^^ Non avrà for^a... almen: sia pur attenuate, le lamentazioni di Lavinia richiamano quelle
dell'Orbecche giraldiana (cfr. Giraldi Cinzio, Orbecche, atto 5, w. 2940-44: «(...) perché al-
men non puoi, / Marito mio, impetrar tanto di spirto, / Ch'a la dolente tua moglie infelice,
/ Che con sì amara voce ora ti chiama, / Risponder possi almeno una parola?»).
2''" vedendo... noti: sottile richiamo all'affermazione fatta a Iroldo da Tisbina nel poema
boiardesco, del resto sfruttata anche nelle tragedie del Cinquecento (cfr. Boiardo, Inamora-
mento, I, XII, 54, w. 5-6; Trissino, Sophonisba, w. 1779-80).
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
137
FIORE
LAVINIA
FIORE
LAVINIA
FIORE
LAVINIA
Del tuo morir.
Padrona, ecco l'aceto!
Questo non giova. Oh Dio, più freddo assai
Che giaccio egH è, né si ritrova in lui
Segno di vita!
Ohimè che farem noi?
Che consiglio sia il nostro? Che partito? 1670
Padrona, i' vi dirò ciò c'ho pensato:
Sopra del campo della chiesa nostra
E un sepolcro vecchissimo, e cred'io
Che il coperchio alciarem facilemente.
Qui poner lo potremmo, e lasciar poi 1675
La sepoltura aperta, a occasione
Ch'ei possa fuor uscir, s'a caso ei fosse
Da uno accidente a tal passo condotto.
Avengane ' il miglior, noi non potiamo
Prender partito che più sano sia. 1680
Ahi che duro partito! Adunque deggio
Così honorato e valoroso giovane,
E da me più che la mia vita amato.
Come un cane gittare in puzzolente
Fossa? Horsù, poi che il cielo e avversa sorte 1685
A ciò mi sforza, non perdiamo tempo
Che mio padre taU'hor non agiungesse!
Prendete i piedi; i' prenderò la testa.
Ah dolce Signor mio, perdon ti chieggio
S'aUe tue membra sì gran torto faccio! 1690
Ben hora esser vorrei tigre o leone
In una parte per poterti dare
Albergo nel mio corpo e non potendo.
Che natura lo vieta, iscusa questa
Sconsolata fanciulla, e sconsigliata, 1695
2''i Avengane: l'edizione del 1552 reca avengano, ma si è ritenuto di dover seguire la corre-
zione apportata dalla stampa del 1560.
138
Edizioni critiche
FIORE
LAVINIA
Ch'altro non può, che vii sepolcro darti,
Né d'altre esequie che d'amaro pianto
Fare al tuo funeral dovuto honore.
Posianlo in terra, et ambe due vediamo
D'aprir questo sepolcro. Io sola l'apro.
Ohimè che n'esce un morto! Ohimè padrona!
Oh Dio del cielo! Ohimè che cosa veggio!
1700
SCENA QUARTA
Eueenio, Fiore et Lavinia.
EUGENIO Lavinia, ove ne fuggi? E perché quivi
A quest'hora ti veggio?
FIORE Noi siam morte:
Questi è '1 vecchio padron, Messer Eugenio! 1705
EUGENIO Fiore aspetta, non fuggir Lavinia
Ch'io son Eugenio!
FIORE Olà padrona!
LAVINIA Ahi lassa,
Com'io men vo' d'una ruvina in l'altra!
EUGENIO Che ruvina, figliuola? Che vuol dire
Costui che morto qui disteso veggio? 1710
S'io ben discerno, questi è il scelerato
Che già homicida fu di tuo fratello.
Ma come giace morto?
LAVINIA Oh padre, oh padre....
EUGENIO Lascia il pianto, figliuola, e fammi homai
Consapevol di caso così grande, 1715
Ch'esser non può altrimenti, e prima accertami
Se questi è quel che die' la morte al tuo
Fratello, o non.
LAVINIA Ch'ei trahesse di vita
Il fratel mio non so, né creder voglio,
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
139
Ma egli è bene o già fii, per parlar meglio,
Mudo di cui volete intender voi.
EUGENIO Com'è morto egli? E tu perché ne piangi
Rubalda, e perché meco bora lo scusi
Della morte ch'ei diede al mio figliuolo?
Chi l'ha occiso? Ragiona!
LAVINIA Occiso hoU'io
Credendomi però dargH salute.
EUGENIO E com'è ciò stato?
LAVINIA r vel dirò. Se mai,
Padre, provasti come acute sono
Le saette d'amore, e come còce
La face sua, spero trovar perdono
Appo di voi d'ogni mio fallo, e spero
Farvi anco lagrimar del mio dolore.
Sappiate che l'Amor, credo incredibile.
Che lungamente a me ha portato Mutio,
C'hor vedete disteso in terra morto,
Ha meritato ch'io non lasci cosa
Né per honor, né per timor di morte,
Ch'io non facci per lui, et hammi indutta,
Fra tante, e tante ch'ei me n'ha richieste,
A dargli al fine una sol sera udienza.
Là dove il miser non sì tosto m'ebbe
Salutata e veduta, ch'a Dio rese
L'anima, né altro so della sua morte.
Noi per men nostro mal pensammo poi
Porlo in questo sepolcro, e a Dio lasciarne
La cura poi.
EUGENIO Ahi, rubalda figliuola!
1720
1725
1730
1735
1740
1745
140
Edizioni critiche
SCENA QUINTA
Oliva fantesca.
Oh padrona mia dolce, oh mio conforto,
Oh infelice fanciulla! Ahimè vicini,
La mia padrona è morta, ohimè meschina!
SCENA SESTA
Marsilio aggiunto.
NLARSILIO Che gridi son? Ohimè, mi pare Oliva 1750
Costei che piagne! Oliva? OHva?
OLIVA Ahi, lassa
Misera me, chi mi consola?
MARSILIO OHva?
OLIVA Ah padron mio car, madonna CHtia
Giace morta di sopra!
MARSILIO Ohimè che nova
Cruda mi dai! Per qual cagion?
OLIVA Per dirvi 1755
Il vero d'ogni cosa, hoggi mandommi
A ritrovar quel Pellegrin, che dicono
Ch'ogni cosa indovina, e seco un pezzo
Ha parlato, e indi a poco a l'hosteria
Dove egH alberga, mi mandò di volo. 1760
Io n'arrecai una caraffa d'acqua.
Della quale ne gustò questa infelice,
Che intestato ^^^ gli avea quel huom malvaggio
Che si farebbe amar dalle persone,
Quella bevendo, et ne morì la misera, 1765
Sì ch'io mi credo che composta sia
Quell'acqua d'acutissimo veleno.
2^2 intestato: 'le aveva messo in testa, l'aveva persuasa'.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
141
MARSILIO
E peggio c'è che messer Mutio anch'egU,
Credendo ch'ella fosse acqua di pozzo,
Gustato anch'esso n'ha, che al suo partire 1770
Se ne siamo avedute, né altro sowi
Di lui più dire.
Oh infelice vecchio!
D'ogni aita, e conforto in tutto privo
Nel tuo maggior bisogno, ahimè, che Mutio
Sarà morto anco lui! 1775
SCENA SETTIMA
Eugenio, Marsilio.
EUGENIO
MARSILIO
EUGENIO
MARSILIO
EUGENIO
OLIVA
Messer Marsilio!
Chi mi chiama?
Avanti
Trahetevi, e mirate se per caso
Riconoscete mai costui, che morto
Giace costì.
Figliuolo? Ah figHo dolce
Chi mi t'ha morto?
Eh saria lungo troppo
A raccontar il tutto! Basta ch'egli,
Non ancor satio farmi oltraggio, venne
Per vergognarmi la figliuola, e Dio
Volle ch'ei ne morisse, et fu miracolo
Che da nessun non gli fu fatto offesa.
Padrone, ecco il malvaggio, il Pellegrino
Che è solo d'ogni male empia cagione!
1780
1785
142
Edizioni critiche
SCENA OTTAVA
Marsilio, Pellegrin, Eugenio et Oliva.
MARSILIO
PELLEGRINO
EUGENIO
PELLEGRINO
EUGENIO
Ahi malvaggio, crudele et empio mostro!
Perché m'hai dato morte a' miei figUuoU?
Allo estremo mi dòl ch'ancora voi
Non siate giunto a simil passo, ond'io
Mi potesse vantar d'aver estinto
Il più crudo, il più empio, e '1 più protervo
Seme del mondo! Io non son colui
Che vi pensate: i' son Giberto, figlio
Qui di messer Eugenio, et son colui
Che per cagion della figliuola vostra
Ito son già tanti anni errando, e al fine
Tornato son, pur per veder se in lei
Era intrato scintilla di pietate^^^,
O per la nova di mia morte, overo
Pel lungo mio pellegrinaggio et aspro.
E il ciel m'ha dato occasione ond'io
L'ho potuto veder, et ho veduto
Cosa in lei cosi fuor d'humanitate,
Che come fiera più che serpe cruda
L'ho giudicata d'ogni morte degna:
Et gli l'ho data, con proposto fermo
Di non voler anch'io più stare al mondo.
Ah figlio mio da me sì lungamente
Pianto! Hora ti conosco, hora t'abbraccio!
Non m'abbracciate, padre, che dovendomi
Perder sì tosto, non m'aver trovato
Potete dir!
Si trovarà rimedio
AUo error tuo, figliuolo.
1790
1795
1800
1805
1810
2^' scintilla di pietate: cfr. L^ Progne, op. cit., p. 11: «(...) e se scintilla alberga / di pietà in
voi, da voi istessi il farete».
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
143
PELLEGRINO Odio et rifiuto
Ogni aita per me.
MARSILIO Fero Creonte''',
Adunque l'honestà di mia figliuola
Meritava la morte?
PELLEGRINO Non è cosa
Honesta, ch'ella sì penosamente
Morir lasciasse un huom che l'adorava?
1815
1820
SCENA NONA
Spedale, Marsilio, Oliva, Eugenio, Mutio, Pellegrino et Lavinia.
SPETIALE Che fanno tante genti in strada adesso?
Oh per mia fé', che c'è quel Pellegrino
C'hoggi venne da me con tanta instantia
Per il veUeno! Ecci Messer Marsilio.
Honorando padron messer Marsilio,
Che fate qui così turbato?
MARSILIO Ahi lasso!
Costui che qui rassembra un Pellegrino,
E un mostro pien di crudeltate, et hammi
Ambi i miei figH avellenati, e morti!
SPETIALE State di buona voglia, e rasciugate
Il pianto, che il veUeno hoggi ha comprato
Da me che, certo et di gran mal presago.
In cambio d'un vellen gli ho dato un forte
E mirabil sonnifero"' , c'ha forza
Di far dormir così profondamente,
1825
1830
1835
2^"' Creonte: re di Tebe, protagonista àé\' Antigone di Sofocle. Il dispotico tiranno fa sep-
pellire viva Antigone, colpevole di aver dato sepoltura al fratello Polinice.
2''^ Per l'intervento dello speziale, cfr. / Diporti, op. cit., p. 68: «Lo speciale, che si avvisò
che costui così lo volesse per sé stesso adoperare, (...) pensò di rimediare a qualche malva-
gia operatione, et d'una polvere d'uno sonnifero, che fatto aveva mirabilissimo, qualche
ducato rimborsarsi».
144
EdÌ2Ìoni critiche
OLIVA
EUGENIO
OLIVA
SPETIALE
MUTIO
MARSILIO
EUGENIO
Che morto sembra chi ne face prova.
Ma il sugo poi d'una narranza""' basta.
Per farlo risvegliar subito subito.
Oh ventura mia grande! F vado in casa
A pigHame volando una narranza,
E per megHo veder portare un torchio^''^.
Messer Marsilio, già confesso avere
Avuto torto a non avervi mai
Sin hor parlato, poi che vivo veggio
L'unico mio fìgliuol che già credetti
Un tempo che da Mutio figliol vostro
Avesse morte ricevuto, e prego vi
A perdonarmi, poi che vivo è ancora
Il figHo nostro, e vo' se v'è in piacere.
Poi ch'è in piacer al ciel, c'hor ce lo mostra
Con miracol sì grande, che fra noi
Seguiti un doppio parentato, e vogHo
Che qui Giberto vostra figHa prenda
Per moglie" , se vi piace, et che Lavinia
Si prenda Mutio, et che viviamo poscia
In una casa, et in un sol volere.
Eccovi la narranza.
Hor vederete
Miracolo di questa.
Oh, dove sono?
Oh padre mio, dove vi veggio?
Oh figUo
Abbracciami, che morto hora t'ho pianto!
E tu, Giberto, similmente abbraccia
Il padre tuo, che così lungo tempo
1840
1845
1850
1855
1860
■^^'^ narrant::^. arancia .
^''^ torchio: necessario per spremere l'arancia.
■^^^ Giberto... moglie: lo scioglimento della vicenda è fin troppo sommario poiché, para-
dossalmente, CUtia continua ad essere innamorata di un altro.
Il Pellegrino. Comedia Nova di M. Girolamo Parabosco
145
PELLEGRINO
MARSILIO
EUGENIO
LAVINIA
MARSILIO
È gito senza par nel suo dolore
Per la creduta morte!
Oh padre dolce!
Messer Eugenio, mio fratel carissimo, 1865
Poi ch'io veggio che Iddio di sua man propia
Ha fatto queste nozze, i' son contento
Che seguiti tra noi quanto vi piace.
Mutio, figliuolo, qui Lavinia abbraccia
Come tua sposa cara.
E tu, Lavinia, 1870
Abbraccia vivo quel c'hai pianto morto!
Con Ucenza di voi l'abbraccio, padre.
Andiamo in casa, e risvegliamo l'altra
Che come sì trovammo, anco di lei
Vo' che si faccian questa sera a punto 1875
Le nozze ad ogni modo, et ch'ogni oltraggio
E ricevuto e fatto hoggi s'oblii.
Valete spettatori^'^^
IL FINE
2'"'^ Valete spettatori: tradizionale chiusa della commedia con consueta formula di conge-
do degli spettatori.
I FIDI AMANTI
COMEDIA
Del Signor Francesco
Podiani.
All'Illustrissimo, et Eccellentissimo Signor
Marchese deUa Corgna.
Con Privilegio
IN VENETIA,
Appresso Nicolò Polo. MDXCIX
Con licentia de' Superiori.
NOTA AL TESTO
Edif^oni a stampa e criteri di trascrittone.
Il testo de / Fidi A.manti ha conosciuto un'unica impressione, quella ve-
neziana del 1599, pervenutaci in due esemplari, conservati rispettivamente
alla Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Torino e
alla Braidense di Milano:
I FIDI AMANTI / COMEDIA / Del Signor Francesco / Podiani. /
All'IUustrissimo, & Eccellentiss. Sig. / Marchese della Corgna. / CON
PRIVILEGIO. / IN VENETIA, / Appresso Nicolò Polo MDXCIX. /
Con Hcentia de' Superiori. // in 8°, ce. 73.
La pubblicazione è preceduta da una lettera dedicatoria al Marchese del-
la Corgna da parte di Horatio Perinelli, amico dell'autore, che accenna
all'avvenuta rappresentazione deUa commedia, senza peraltro fornire indi-
cazioni precise.
La presente edizione si basa sull'esemplare torinese, al quale sono stati
apportati i basilari ammodernamenti grafici (tenuti presenti anche per
l'edizione della commedia paraboschiana), rispettosi della patina cinquecen-
tesca del testo, mentre la divisione in atti e scene era già presente nella
stampa.
Nello specifico si è proceduto distiguendo u o. v; adottando le norme
correnti per i digrammi eh e gh seguiti da velari (correggendo ad esempio
forme quah scioccho e stomacho); regolarizzando gli apostrofi e gli accenti;
sciogliendo le abbreviazioni; intervenendo nell'interpunzione per facilitare
lo sviluppo di alcuni periodi o migliorarne l'efficacia espressiva. In generale
sono state mantenute le oscillazioni tra scempie e geminate (ad eccezione
150 Edizioni critiche
delle lezioni isolate, come nel caso di letera ricondotta alla forma prevalen-
te), monottongo e dittongo, così come le grafie latineggianri (ad eccezione
di-^' trascritta in ì e di /^ soppressa nelle forme del verbo 'avere') in quanto
riconducibili ad una precisa volontà dell'autore nonché all'uso linguisrico
del tempo.
Negli esclamativi eh, oh, ah sono state integrate le h assenti, e sono stati
separati secondo l'uso vigente le congiunzioni grafiche del tipo egli "e gli".
Ricordo l'uso delle parentesi tonde "( )" per marcare gli incisi e di quelle
uncinate "< >" per racchiudere quanto ho integrato, presumendo una ca-
duta nella stampa.
Le correzioni più importanti sono comunque segnalate nelle note in calce al
testo.
Errori di stampa
Si fornisce l'elenco delle correzioni apportate al testo della stampa adottata,
ed esulanti da semplici variazioni grafiche:
ATTO 1
Scena 5: So che la Signora -^ Sol che la Signora.
ATTO 2
Scena 1: potreste — >• poteste; isteso -^ istesso;
Scena 3: quando più cresce — > quanto più cresce;
Scena 2: eh' gli è ^ che gli è;
Scena 7: vuoi la — > vuoila;
Scena 8: mandacum — > mandatum.
ATTO 3
Scena 1 : secrarò — > secarò;
Scena 2: fosse — > forse; E — > È;
Scena 8: aspettami -->• aspettatemi;
Scena 1 1 : Vitta — >■ vita.
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 151
ATTO 4
Scena 1 : coprirti — >• scoprirti;
Scena 4: Si — > Signor;
Scena 6: on -^ non;
Scena 7: setima — > settima; ohimè -^ oimè; guata -^ guatar;
Scena 10: conosce -^ conosco;
Scena 11: quasto — > questo.
ATTO 5
Scena 1: è ^ e;
Scena 6: e — > è;
Scena 10: lasciasse — » lasciassi;
Scena 11: testante -^ restante.
152 Edizioni critiche
ALL'ILLUSTRISSIMO
ET ECCELLENTISSIMO SIGNOR
E Patron mio colendissimo,
IL SIGNOR MARCHESE
DELLA CORONA'.
La virtù ne gH animi nostri, Illustrissimo, et Eccellentissimo Signore, ha
questa natura, che tirandoli a se con dolce violenza, e rapina, e con una cer-
ta ammirarione e riverenza, di sé medesima in un punto gli invaghisce, et
innamora. Onde non è maraviglia se la presente Comedia del Signor Fran-
cesco Podiani comparendo in Scena, fu ricevuta con applauso, lode, e gusto
universale, da chi le fece vaga et honorata contrascena, e se io, che mi tro-
vai tra gH altri spettatore di essa, ne restai talmente invaghito, che non ho
avuto d'aUhora in qua pensiero più fisso nel cuore che di procurare di farla
uscire in luce persuadendomi che, sì come avea sodisfattto inrieramente in
scena, così dovesse non meno risguardevole farsi vedere nelle stampe. E
come awien sempre, che più si desiderano quelle cose che più sono negate,
tanto maggior desiderio se n'accese in me, quanto maggior ripugnanza tro-
vai sempre intorno a ciò dalla banda del detto Francesco, perché mentr'egli
mi diceva gH occhi esser più severi giudici che l'orecchie non sono, io
aU'incontro considerava che passando questo suo componimento tuttavia
di penna in penna in diverse copie, poteva facilmente a poco a poco venir
perdendo la sua forma natia. E da questa e da altre mie ragioni persuaso,
presi consigHo di esseguire quello ch'egH per modestia, e per un certo nobil
disprezzo di se medesimo ricusava, fatto ardito daU'amicitia strettissima che
è tra noi, le leggi di cui vogHono che io per honor proprio pigH cura
' Marchese della Corgna: appartenente ad una delle più antiche famiglie perugine, impa-
rentate anche con papa Giulio III, poteva vantare tra i suoi predecessori il celebre capitano
di ventura e maestro d'armi Ascanio della Corgna, morto nel 1571 dopo aver combattuto
contro i Turchi a Lepanto.
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 153
dell'honor di lui. E dovendo hora pur farla vedere al mondo, ho voluto per
suo principal ornamento porle in fronte il nome di Vostra Eccellenza, la
quale co' i raggi delle virtù, e dell'armi che son passate in lei come heredita-
rie da gli avi paterni e materni, potrà far apparire meno oscure le imperfet-
tioni, e diffetti di essa, non altrimenti che ben locate ombre in leggiadris si-
ma pittura, e saprà non meno difenderla con l'auttorità, che gradirla con
l'affetto, ricordandole che anco Cesare trapassando le Alpi, gradì, et accettò
con animo regio le povere vivande di che gli ingombrò la mensa
quell'hospite che in povero albergo l'avea raccolto. Povero hospite son io,
che nella sterilità dell'ingegno proprio non ho altro da porle avanti che i
primi frutti dell'ingegno d'un caro amico, ma è ricco il desiderio del quale si
appagano gli animi grandi come il suo.
E qui resto, facendole per fine hurmlissima riverenza, e dedicandole in-
sieme con la Comedia anco la divotione, e servitù del detto Francesco, e
mia.
Di Perugia à 24 Febraro 1599.
Di V. EcceU.
Humilissimo e devotissimo Servitore Horatio Perinelli^.
2 Di Orazio Perinelli, letterato amico del Podiani, non si è rintracciata alcuna notizia.
154
EdÌ2Ìoni critiche
QUELLI CHE PARLANO NELLA COMEDIA
ERMINIO
VALERIO
MANFREDO
LELIO
ALMIRA
CONCORDIA
PANCRATIO
FARINA
OLINDA
SOFFRONIA
SAMBUCO
ALESSANDRO
GASPARO
ALIDORO
BARIGELLO
Innamorato di Olinda
Servitor d'Olinda
Mastro di casa del Prencipe
Innamorato di Olinda
Cortigiana innamorata di Erminio
Serva di Almira
Procuratore sciocco innamorato d'Almira
Servitore di Pancratio
Innamorata di Erminio
Matrona
Clientolo sciocco di Pancratio
Amico di LeHo
Servitore di Lelio
Padre di Olinda
Con due sbirri.
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
155
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Erminio, Valerio.
ERMINIO Vedi come spesso i pensieri riescono fallaci , et i discorsi
n'ingannano: dove tu pensasti, con l'avermi condotta a ca-
so Olinda mia in questa corte'*, d'avermi insieme restituita
la vita, per essere io fuor di speranza di poterla più mai ri-
vedere, ecco che hora più che mai sarò vivo essempio
d'infinita miseria. Oimè, non fu aUhora così grande il con-
tento nel vedermi comparire innanzi l'unico mio bene, che
non sia hora maggiore il dolore ch'io ho di vedermelo tórre
a viva forza! Udisti mai, Valerio, caso simil al mio, e più
degno di compassione?
VALERIO Per certo. Signor Erminio, che gran ragione avreste di do-
lervi amaramente, se questo sospetto ch'avete, che '1 Pren-
cipe vostro Signore vi sia rivale, fosse vero, ma se v'ho da
dire alla libera quello che ne credo, dubito (e perdo-
na<te>mi) che questa sia una vostra immaginazione, una
chimera^, che vi adombri il vero, e vi colori il falso: a me
par quasi impossibile che un Prencipe, che può cavarsi mil-
le capricci, et ottener soggetti degni di lui, possa amar (per
dir così) una donniciuola che come minima serva sta in
questa corte.
ERMINIO Tanto più ho cagione di dolermi dell'iniquità de la formna,
quanto che a danno mio opera cose insolite et incredibili;
non dovrebbe il Prencipe per molte ragioni potentissime
^ pensieri... fallaà: cfr. Ariosto, O.F., XLI, 23, 1: «Oh fallace degli uomini credenza!»;
Tasso, intrichi d'Amore, III, 12: «Oh, come falliscono al spesso li giudizii nostri!» e I\', 12:
«Or ecco come i giudizii umani sono al spesso fallaci!».
•♦ corte: si tratta della residenza del Principe di Salerno, come verrà specificato nelle bat-
tute seguenti.
^ chimera, sogno, invenzione fantastica.
156
Edizioni critiche
poter cadere in un error tale, e pur egli stesso tuttavia mi
conferisce che le maniere et i modi d'Olinda sono rari, che
la bellezza, e gratia sua è infinita, che a poco a poco si sen-
te accendere di lei, e ch'ella homai è lo spirito suo, l'anima
sua.
VALERIO Gran cosa mi dite, et io non volendo, avrò alterate le vo-
stre passioni, e postovi di nuovo in un mar d'affanni. Oh
quanta compassione ch'io v'ho, Signore, e quando penso a'
casi vostri, e d'Olinda insieme, resto insensato, e fuori di
me stesso , e prima come voi poteste fuggir la morte in
quel gran pericolo ove foste posto, e come io abbia potuto
campar la vita ad Olinda, che disperata era partita di Ge-
nova per affogarsi in mare per voi, e come avend'io sco-
perto l'inganno , e la sua fiera resolutione, la conducessi
qui a Salerno, dove pensando di raccomandarla a questo
Prencipe, per aspettar poi occasione di restituirla al padre,
voi qui vivo ritrovammo.
ERMINIO Oh quanto megHo sarebbe stato per me di disprezzar quel
bene, c'hora è mal sicuro! Così sempre fin da le fascie fui
da la speranza allettato con dolcissime lusinghe, e poi con-
^ mi conferisce: 'mi confida, mi mette al corrente' (solitamente riferito a notizie di una cer-
ta riserv^atezza); la voce è frequentissima nell'opera.
' insensato... fuor di me stesso: vaga eco della poesia stilnovista (ad esempio cfr. Cavalcanti,
Tu m'hai sì piena di dolor la mente, v. 9: « F vo come colui ch'è fuor di vita»), che perdura fino
al Tasso.
* inganno: Olinda, determinata a morire, aveva ovviamente celato a \^alerio il vero scopo
del suo viaggio (come ella stessa spiegherà nella prima scena del secondo atto).
^ fin da le fascie: la lamentazione è topica del personaggio dell'innamorato (cfr. Bibbiena,
L^ Calandria, atto 2, scena 8: «Deh! Me avesse Dio dato per luce tenebre, per vita morte e
per cuna sepoltura allor che io del materno ventre uscii; da che, in quel punto che io nac-
qui, morir dovea la ventura mia»; Parabosco, h'Hermafrodito, atto 1, scena 5: «Misero me
che ben infelicemente nacqui, poi che non appena nato cominciai a sentir le percosse di
questo mondo») ed è mutuata, ov^amente, dal registro tragico (cfr. ad es. Giraldi, Orbecche,
atto III, \"v. 1941-2: «Che trastullo son stato a longo / A la fortuna e lungo tempo un giuo-
co»). Infine per l'accenno ■ìSì.c fasce, seppur con qualche variante, cfr. Trissimo, Sophonisba,
v. 308: «Deh, foss'io morta in fasce!»; Rucellai, Rosmunda, v. 141: «Ma più felice è quel che
mòre in fasce»; Tasso, Torrismondo, atto 5, scena 6, v. 3226: «Oh, foss'io morta in fasce»;
Martelli, Tullia, w. 384-387...
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
157
VALERIO
ERMINIO
VALERIO
ERMINIO
VALERIO
ERMINIO
dotto a termini estremi d'infelicità; senti: nascer di nobil
famiglia in povere facilità ' , e nell'età puerile mancarmi pa-
dre e madre, esser alzato a qualche speranza di bene, cader
poi in disdetta , e quasi fuggendo l'iniquità della mia sorte,
capitar in Genova, segno e bersaglio a i colpi mortali di
fortuna.
Signore, lasciam le cose antiche, che più volte ve l'ho senti-
te ricordare. Ditemi di gratia quel che successe in Genova,
che se bene sono informato in qualche cosa, non so però
come passasse il tutto minutamente.
Che occorre andar di nuovo premendo le piaghe, et accre-
scermi il dolore, se tu sai che fiero impetuoso assalto mi
fecero gH occhi vaghi d'OHnda, che non fui così presto a
mirarli, quanto al sentir corrermi al cuore un ghiaccio, e
quasi in un istesso tempo infiammarmi, et arder tutto della
loro bellezza?
Fu vero.
Se fu facile ottener la gratia sua, chi lo sa meglio di te, che
tante volte mi dicesti che l'amore, e l'ardore d'ambe due
era pari et infinito?
Era, et è hoggi più che mai.
Onde avampando ne i nostri cuori questo gran desiderio
d'esserne marito e moglie (datane fra noi la fede) io mi ri-
solvei, et anco a' tuoi preghi, di farla domandare al padre, il
quale negando di darmela (per esser io forestiero) accon-
sentiva di farmi morire miUe volte l'hora'^.
^^ /acuità: beni, mezzi economici.
" disdetta: sfortvina.
'2^// occhi vaghi belle:^a: si tratta ancora di un forte richiamo alla teoria amorosa di stam-
po cortese e stilnovista, che passa attraverso Dante e Petrarca e rimane consueta nella poe-
sia e trattatistica rinascimentale (cfr. ad esempio Platone, Fedro, p. 61; Guinizzelli, Rime, ho
vostro bel saluto e gentil sguardo, w. 12-13; Cavalcanti, Rime, XII, w. 1-8; Dante, V'ita Nova,
XIX, w. 51-54; Petrarca, KVF, III, w. 9-11; Ficino, Sopra lo Amore, VI, Vili; Bembo, Aso-
lani, II, XXII).
'^ morir mille volte l'hora: cfr. Petrarca, KVF, XliV, v. 12: «mi vedrete straziare a mille
morti».
158 Edizioni critiche
VALERIO Oh, e voi mi diceste che n'avevate avuto buone parole, e
che presto speravate di venire alle nozze!
ERMINIO Io non volsi scoprirti questo, dubitando che tu poi non mi
mancassi d'affetione e d'aiuto, parendomi esser sicuro
ch'eUa non potesse esser d'altri che mia, ma Roberto Alon-
so, troppo accorto rivale, avvedutosi del nostro amore, et
ardendo di sdegno, e di rabbia, senza cagione alcuna, volse
venir meco a quistione, e perché chi s'appiglia al torto rade
volte vince, toccò a lui di restar ferito, et a me prigione.
VALERIO Male a l'uno, e peggio a l'altro!
ERMINIO E perché in Genova (come sai) è pena della vita metter
mano all'arme contra un nobile, poco dopo fui condannato
a morte.
VALERIO Ecco dove conduce precipitosa risolutione!
ERMINIO Finalmente a' preghi d'alcuni fu ottenuto che mi fosse
commutata la pena, e fu questa: mi legarono le mani e i
piedi, e ponendomi in una barchetta in tempo di fortuna^'*
in alto mare, mi lasciarono in preda dell'onde crudeli, e de i
rabbiosi venti .
VALERIO Non mi ricorderò mai di quel giorno, che non mi vengano
le lagrime a gli occhi.
^"* fortuna: ovviamente in accezione di tempesta. Si ricordi che il fortunale è uno degli
accidenti topici più sfruttati sia negli antefatti delle commedie, sia, in generale, nelle opere
narrative della tradizione (ad es. cfr. Boccaccio, Decameron, II, 4 e 7; Filocolo, IV, 6-9; Boiar-
do, Inamoramento de Orlando, II, IV, ott. 1-15 e 28-35; Pulci, Margarite, XX, 30-44; Ariosto,
0.¥., II, 28-31; XIII, 14-18; XVIII, 141-145 e XIX, 43-53; XLI, 8-24).
^5 La situazione presenta un evidente legame con la novella decameroniana di Gostan-
za e Martuccio Gomito (cfr. Boccaccio, Decameron, V, 2): come Martuccio infatti il prota-
gonista della piece del Podiani si vede negare la mano della fanciulla vagheggiata per colpa
delle sue origini ed è creduto morto durante una tempesta; tuttavia nella novella del Boc-
caccio è la sola Gostanza a salire in una barca per poter annegare in baUa delle onde, a dif-
ferenza della nostra storia dove Erminio si trova condannato alla medesima condizione ed
Ohnda si ripromette la stessa fine. Per gli accenni agli elementi tipici del fortunale, ripresi
anche più avanti, cfr. in particolare Ariosto, 0.¥., II, 28, v. 7: «sollevò il mar intomo, e con
tal rabbia»; XLI, 12, v. 1: «Da la rabbia del vento che si fende»; 15, w. 1-2: «Muove crudele
e tempestoso assalto / da tutti i lati il tempestoso verno».
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
159
ERMINIO
VALERIO
ERMINIO
VALERIO
ERMINIO
VALERIO
ERMINIO
Con qual impeto, e con qual furore fosse il legno traspor-
tato, io lo so, ch'ogn'hora, ogni momento aspettava, e ve-
deva la morte; al fine (come a Dio piacque'^) così agitato, si
condusse in questa spiaggia di Salerno, dove essendo tro-
vato in quella guisa, poco men che morto, fui preso per
compassione, e condotto innanzi a questo Prencipe, il qua-
le fattomi ristaurare , volse saper da me ch'io fossi, e per-
ché posto in quel legno così legato.
E voi glie lo diceste?
Sì, gli dissi ch'io era Erminio Salidori, povero, e sfortunato
giovane, e che fui destinato a tanta crudeltà per aver in
Genova del pari^'^' ferito un nobile.
Senza dirli niente dell'amor vostro?
Niente, ma gliel'avessi io detto! Basta, mostrò d'aver pietà
di questo caso il Prencipe, e commandommi ch'io mi fer-
massi in corte, dove non so se mai mi fossi contenuto non
mostrar segno di furore o di disperatione, se non che, ve-
dendo comparirmi quest'Aknira cortigiana, e parendomi in
quell'incontro non so che simiglianza d'Olinda, pensai di
farmela amica, e contentarmi di quell'ombra, di
quell'apparenza sola, poiché la vera vita, et anima mia, avea
lasciata a Genova.
Addolorata come voi. Seguite.
Così fermatomi in corte, e forse per peggior mia sorte in
sì poco tempo venuto innanzi, son hora tale con sua
Eccellentia, che poche cose dispone, che meco non le con-
"^ impeto... furore: cfr. Ariosto, O.F., XLI, 13, w. 1-2: «Ecco stridendo l'orribil procella /
che '1 repentin furor di borea spinge».
'^ come a Dio piacque: cfr. Boccaccio, Decameron, II, 4: «Il di seguente appresso, o piacer
di Dio o forza di vento che '1 facesse (...), pervenne al lito dell'isola di Gurfo (...)».
"* si condusse: il soggetto è ovviamente 'il legno', la barca.
'^ ristaurare: ristorare, rimettere in forze.
^" del pari: 'in un duello tra pari' ovvero tra persone appartenenti alla stessa condizione
nobiliare (alla luce di quanto appena specificato da Erminio sulle sue origini e, soprattutto, dei
significati affini che l'espressione assume nel corso della commedia, ad es. pp. 167, 209, 218).
160
Edizioni critiche
VALERIO
ERMINIO
VALERIO
ferisca . Ma mentre andava così soffrendo, e temprando
l'ardore delle mie passioni, che il tempo non avea potuto
ancora mitigarle, ecco (oh che maraviglia!) tu menasti pian-
gendo innanti al Prencipe Olinda mia, e dicesti che navi-
gando il padre con la famiglia in Sicilia, per esercitare alcune
mercantie, la fortuna vi ruppe il legno, e tutti morirono,
eccetto voi due, che a gran pena vi salvaste.
Così pensai di dire, per non scoprire il fatto, percioché
(come vi ho detto) l'animo mio era di condurla a questo
Prencipe, e poi scrivere al padre la cagione della nostra par-
tita di Genova, e che avendomi ella ingannato^^, venisse
qua a ripigliarla, ma ritrovando qui voi, subito mutai pro-
posito, e mi servì di quella scusa del naufragio, com'io poi
vi dissi in secreto, narrandovi il fatto, com'era passato.
Dolcissima vista, felicissimo arrivo per me in quel punto,
ma (oimè) spatio troppo breve durò la mia gioia e '1 mio
contento! Pensai aUhora esser nel colmo della mia felicità,
et avere in poter mio quel che tanto avea desiderato, ma al-
tramente (infelice ch'io sono!) emmi avvenuto, che hora
più che mai son nelle miserie immerso, e privo d'aiuto, e di
soccorso, poiché questo Prencipe vorrà togliermi il ben
mio, e lasciarmi in preda alla disperatione, alla morte!
Signore, ne i travagli^^, e nelle avversità bisogna voltar la
fronte alla fortuna, e coraggiosamenente difendersi, e col
pensare, e col discorrere, fuggire il male che s'antivede^'*. E
mi sowien hora che forse non fareste errore a scoprire al
Prencipe Uberamente l'amore, e la fede data fra voi, et O-
^' Così. ..conferisca: ancora un'affinità con la tragedia giraldiana, precisamente con la storia
di Oronte (cfr. Giraldi, Orbecche, atto III, w. 1965-6: «Che 'n tanto pregio crebbi appresso
lui / Che mi propose a quanti egli avea in corte»).
■^' avendomi ella ingannato: 'avendomi celato le sue reali intenzioni' (cfr. n. 8 p. 156).
2^ travagli: 'sventure, calamità' (cfr. GDU, XXI, s.v. travaglia) .
2^ ne i travagli... antivede: vaga ripresa del celebre brano sulla fortuna di Machiavelli (cfr.
De Principatibus, XXV), presente anche nella Tullia del MarteUi, w. 302-305: «I casi avversi
sono / Quei che palesi fan gli stolti e i saggi. / Ne le cose felici / Non si può mai fallir, che
'1 fato insegna».
/ Fidi A.manù. Comedia del Signor Francesco Podiani
161
linda in Genova (piano, non vi turbate!) perché s'egli vi
ama di core, come se ne vedono gli effetti, è facil cosa che
(essend'egli nel capriccio che voi dite) faccia forza a se
stesso, e se ne rimanga solo per compiacervi.
ERMINIO Questo non farò io, per non affrettarmi al precipitio, per-
ché, oltre ch'io mostrarei aver diffidato di lui, quel che è
peggio, non essendomi scoperto prima ch'egH si confidasse
meco, parrebbe che con questo tratto lo volessi tradire, e
gli accenderei nell'animo tanto sdegno et odio, che subito
perderei il Prencipe et Ohnda insieme. Non no! Avessel'io
fatto, dolente, subito che vi vidi in questa corte!
VALERIO Oh, perché non lo faceste?
ERMINIO AUhora non volsi contradire alla scusa che pigliaste seco
del naufragio, doppo dubitai che discoprendo il vero al
Prencipe, e dispiacendoli forse il troppo ardire d'Ohnda,
non l'avesse rimandata al padre a Genova.
VALERIO II caso è degno di consideratione: voi séte in un mare non
solo turbato, ma tutto sotto sopra; bisogna navigare accor-
tamente, per non dar in qualche scogHo^^. Non correte a
furia a disperarvi, e voler morire, attendete a quello che ne
segue e, secondo l'occasioni, pigliate il partito.
ERMINIO Chi può celar la piaga, che non apparisca il male, o non è
piaga, o non è mortale. Non so quanto potrò durare, di
non far restare il Prencipe di me mal soddisfatto. Tu, se mi
ami più, come solevi, aiutami dove bisognerà, e sopra 1
tutto non dir mai d'avermi conosciuto a Genova.
VALERIO Signor Erminio, quel che Valerio è stato una volta per voi,
queU'istesso sarà sempre. Quello che a me preme è che,
apunto in questi giorni che arrivammo qua, m'incontrai in
un mercante Genovese che tornava di Messina, il quale a-
vendomi veduto e conosciuto, dubito che, nel ritornare a
25 voi séte... scoglio: viene proposta la metafora convenzionale della tempesta, anch'essa
presente nel racconto di Oronte (cfr. Giraldi, Orbecche, atto III, w. 1970-2005).
162
Edizioni critiche
Genova, l'abbia detto ad Alidoro padre d'Olinda, e che un
giorno capiti qui in Salerno all'improviso.
ERMINIO Volesse il cielo, e venisse presto! Meglio sarebbe questo,
che apparecchiarmi a maggior stratio!
VALERIO Ma ho speranza che quando ALidoro saprà com'è passato il
fatto, si quietarà; solo potrà dolersi di me, che più mi è
premuto l'amor vostro e d'Olinda, che lo sdegno suo, ma
mtto è stato perch'io credeva che la cosa riuscisse felice-
mente: ma chi sa? Intanto il Prencipe ha dato Olinda sotto
bona cura di matrona, et ha creduto la perdita de' suoi in
mare, qualche cosa sarà poi.
ERMINIO Questa cura a me non giova, ma nuoce! Qui non è più
tempo da trattenersi: qualch'uno potrebbe osservare il no-
stro ragionamento. Andiamo fino a porta deUa marina, che
hora c'ho tempo potremo ancor per un poco discorrere in-
sieme, ma oimè a che potrà giovare? Voltiam di qua.
SCENA SECONDA
Manfredo, LeUo.
MANFREDO Le cerimonie con me, Signor Lelio mio, sono superflue:
non occorre che io faccia altra prova della magnanimità del
bell'animo vostro; prestatemi fede, che hora non ho cosa
che più mi prema, che di poter trovar modo di adempire il
desiderio vostro, e darvi mtte le satisfattioni che voi mede-
simo poteste desiderare.
LELIO Vi confesso, Signor Manfredo, in questo negotio esser
troppo importuno"'^, ma per gratia compatitemi, perché
dove è maggior difficultà, ivi spesse volte l'animo s'accende.
Il soverchio amore ch'io porto ad Olinda, et il conoscere
ch'io procuro cosa difficile, fa ch'io passi ogni termine di
creanza, con molestarvi, et inquietarvi continuamente, che
^'' importuno: molesto.
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
163
essendo voi maggiordomo, e patrone di questa corte, vo-
gliate operarvi a favor mio.
MANFREDO Oh come questa gran voglia ch'avete vi offusca talmente
l'intelletto, che non vi lascia capire quel che mille volte
v'ho detto! Piacesse a Dio che l'opra e l'aiuto che da me
potesse nascere, potesse operare in questo particolare
qualche profitto, che vedreste con qual vivo affetto io
spendessi per voi le fatiche, e le forze, per ben servirvi, ma
dove non possono giovar né parole, né prieghi, né inven-
tioni" , a che voler perder tempo e gittar via tutta l'opera?
Accettate, di gratia, questo consiglio da chi vi ama di cuore:
mettete l'animo in pace, e non cercate d'Olinda per moglie,
perché non otterrete il desiderio vostro.
LELIO Non ha luoco il consiglio, dove l'animo è risoluto. Signore,
non credete che s'io potessi liberami da quel ch'io non e-
lessi, non lo facessi" volontieri! Vi giuro che il primo gior-
no che Valerio la condusse a questa corte (che homai sono
otto mesi) e ch'io mirai quella rara bellezza, che a gli occhi
miei non ha pari, mi destò nel cuore così vorace fiamma,
che subito arsi di desiderio di poterla ottenere per mia mo-
gUe.
MANFREDO II desiderar queUe cose che non si possono avere è vanità,
et imprudenza espressa; non niego che i meriti vostri non
siano bastanti a vincere, et a superare molte difficultà, ma
questa no, perché so ch'è difficil troppo, e (per dirla me-
glio) anco impossibile.
LELIO Perché impossibile?
MANFREDO Perché quando voi vi scopriste meco, e mi pregaste ch'io
dovessi aiutarvi con queUe maggior forze ch'io potessi, mi
2^ maggiordomo e patrone: chi sorveglia e dirige il personale di servizio nella corte, occu-
pandosi allo stesso tempo delle spese di normale amministrazione; Manfredo \^ene infatti
definito "Maestro di casa del Prencipe" già nella presentazione dei personaggi.
^* inventioni: espedienti, idee sempre nuove per conquistare la persona amata.
2^ s'io potessi... non lo facessi si noti il periodo ipotetico con imperfetto congiuntivo usato
anche nell'apodosi, al posto del condizionale.
164 Edizioni critiche
parve, prima che altro si avesse a trattare, dover scoprire
destramente l'animo della giovane, onde trovandola io alte-
rata^^', e confusa, quasi che altro avesse che le premesse,
giudicai che il trattarle di voi era opra gittata, e tempo
perduto.
LELIO Altro intendimento " ci dev'essere. Ecco quanto si pregiu-
dica^' chi trascura i fatti propri! Se io avessi usato a tempo
quella diligenza, che ricercava questo negotio, forse forse
che mi trovarci anch'io in uno stato di contentezza.
MANFREDO Voi non l'intendete. Assicuratevi pure che questa sia una
donna lontana non solo da pensiero o voglia di marito, ma
da tutti i sollazzi, e piaceri del mondo, perché allhora è so-
disfatta, allhora gode, quando può ritirarsi sola, et immer-
gersi in certi suoi profondi pensieri, tra l'allegrezza, e la
malinconia, onde Sua Eccellenza (che molto se ne maravi-
glia) le domanda spesso quel ch'ella vorrebbe per sodisfarsi
e star contenta a pieno: "esser sicura" le risponde "che non
si tolga dalla vostra cura l'honor mio".
LELIO Sentite risposta accorta? Notate voi dove tira quel colpo
lontanissimo dalla vostra mira? Vuol costei che '1 Signor
Prencipe tenga cura deU'honor suo, per far fede a cui sarà
data in sorte, della grandezza, e sincerità del bell'animo
suo, volendo forse allocarsi'^ qui, per non tornare alla pa-
tria, priva de' suoi, involta in miUe travagli, et intrighi, e
questo è lo star suo alterata (come voi dite). Volete dun-
que. Signor Manfredo, ch'io perda sì bell'occasione? Volete
ch'io lasci di seguire quel che può darmi la vita, e farmi vi-
vere sempre contento?
MANFREDO Volete, di gratia, ch'io vi dica due parole alla libera?
LELIO Dite, Signore.
^** alterata: turbata.
^' trattarle: 'parlarle'.
^- intendimento: spiegazione, interpretazione.
^^ pregiudica: compromette.
^•* allocarsi: sistemarsi, vàv'ere.
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
165
MANFREDO Voi poco conto tenete delle vostre attioni, antiponendo
all'honore brevissima voglia amorosa, che non sì tosto è
giunta, che fugge; oimè, pensate a questo: voler per moglie
una donna, e non saper chi sia. Chi v'assicura che quanto
ella racconta della disgratia sua in mare sia la verità? Che
certezza avete voi della nascita, della nobiltà, e della vita
sua? Deh, Signor Lelio, ricordatevi che chi corre senza fre-
no, trabocca nel precipitio .
LELIO Sentite, non crederò io mai, che s'ella non fosse di honesta
e nobil famiglia, e di vita e di costumi gentilissimi, il Signor
Prencipe ne avesse presa quella cura, che voi sapete; s'egli
è poi vero (com'io tengo che sia) ch'ella abbia perduti i
suoi parenti in mare, non sarà restata herede di bonissime
ricchezze? O che meglio? In somma, io son sodisfatto della
mia risolutione, per che la possa conseguire.
MANFREDO Si sì, io v'intendo, molto bene avete discorso, ma male vi
potrà riuscire perché né anco di robba avete certezza alcu-
na; fate pure come vi pare; io ho voluto dirvi Liberamente
quel che ne sento per debito d'amicitia, perché soffrendo
l'errore nell'amico tacendo, lo farei mio '. Ho da spedire
alcuni negotì^^, inanzi che sua Eccellenza vada al giardi-
no^^: se in altro non ho da servirvi, con buona gratia vo-
stra, salirò in palazzo.
'^'^ chi corre... precipitio: la stessa frase proverbiale verrà citata poco più avanti, con qualche
variazione, anche da Almira (atto 1, scena 3).
^'' soffrendo... lo farei mio: anche questa è una sentenza di sapore proverbiale.
^^ spedire alcuni negotr. sbrigare, risolvere alcuni affari.
■''' giardino: è da intendersi come la dimora signorile di campagna (secondo quanto viene
esplicitato nella scena seguente, quando Almira parla di villa); com'è noto, già con il pnmo
Rinascimento, in Toscana, la villa e l'annesso giardino tornarono ad essere una delle com-
ponenti del linguaggio architettonico al centro dell'interesse di trattatisti ed artisti, per poi
conoscere una vera e propria fioritura nel corso del Seicento e Settecento nel resto della
penisola e in tutta l'Europa. In questo caso il luogo esterno e lontano è sfruttato soprattut-
to come espediente per allontanare il Principe e dare quindi spazio di manovra ai protago-
nisti.
166
Edizioni critiche
LELIO Fatemi gratia ch'io vi parli un'altra volta con più commodi-
tà; questa sera, se non vi do fastidio, verrò a rivedervi.
MANFREDO Venite, ma per trattar di questo, non pigHate incommodo.
Oh che ostinatione, oh che pensiero sciocco, oh che pazzia
sarebbe la mia a darli più orecchia! Se io conosco che di
costei già se ne compiace il Prencipe, ho da cercar io di le-
varglila di casa? Altro mezzo gli bisogna.
SCENA TERZA
Almira, Concordia.
ALMIRA Tutto è tempo perduto. Concordia! Andiam pur girando, e
vaneggiando per queste strade quanto vogliamo, che non
siam mai per trovarlo: ha trama nuova alle mani^'' (ti dico):
lo conosco, lo vedo, lo so certo, e non posso aiutarmene.
CONCORDIA Io ve lo torno a dir. Signora. Il vermicello è nella piaga, e
lavora dentro aUo scuro; finché non ha fatto il corso suo,
non séte mai per cavarlo, e l'ardor della piaga non si potrà
smorzare.
ALMIRA Che rimedio dunque ci sarà? Che poss'io far più per libe-
rarmi da questa frenesia*', che mi tormenta? Quanti modi,
quante inventioni'*\ e soffisticherie"*^ ho tentato e provate
per lasciarlo, e per averlo in odio? Oh maledetto quel gior-
no che ti mostrasti a gli occhi miei, Bireno crudele, Teseo
traditore^^!
^' ha trama... mani: 'sta macchinando qualcosa' cioè, fuor di metafora, 'ha un'altra don-
na' (la nuova Dea della pagina seguente).
'^'•^ frenesia: smania amorosa.
■*' inventioni: cfr. n. 28p. 163.
''^ soffisticherie: stratagemmi, astuti accorgimenti (cfr. GDLI, XIX, s.v. sofisticheria dove il
passo citato costituisce la prima attestazione).
^' Bireno crudele, Teseo traditore: Bireno è il protagonista della cupa stona dell'abbandono
di Olimpia narrata ntViOrlando Furioso, canti IX-X (lo stesso aggettivo crudele è l'epiteto
maggiormente utilizzato dall'Ariosto per dipingere il suo personaggio); altrettanto famosa è
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 167
CONCORDIA Eccoci alle lamentationi! Da poco in qua, Signora mia, ave-
te la natura corrotta, e di qui nasce la indispositione; al
primo incontro di questo Erminio (come s'egli fosse stato
il coccodrillo d'Egitto'^"*) avete perduta la virtù, e gridato
pietà. Non no: con certi cervellazzi (come questo) bisogna
star su la sua, giocar largo, e tener su le carte ', e quando fi-
schiano, girano, e battono alla porta, fargli dir che alla Si-
gnora non si può dar fastidio, che si riposa tra la vigilia e '1
sonno.
ALMIRA È necessario che le nostre pari'*^ a qualche tempo purghino
i loro errori. Io non credetti mai esser sottoposta a castigo
tale, perché la profession mia fu sempre d'esser nemica ca-
pitale dell'ingratitudine (vitio infame), e tu sai, Concordia,
che natura è la mia, che senza aspettare o corteggi^ , o pre-
senti, mi bastava sentir cantar la notte una villanella sul
leuto, che subito divenendo come il ghiaccio al sole ' , quasi
disfacendomi per dolcezza, mi rendeva presa e vinta; così
pensando ch'altri dovesse esser meco, d'animo, e di cuor
gentile^', me ne son corsa scioccamente al precipitio, e così
avviene a chi a chiusi occhi cammina .
la storia di Ananna lasciata da Teseo (Ovidio, Ars Amatoria, I). Per un simile nchiamo cfr.
Bargagli, La Pellegrina, V, 4: «Che Teseo? Che Bireno? Questi sono gl'assassinamenti. (...)».
■*"* coccodrillo d'Egitto: ironicamente, per indicare qualcosa di esotico e fuori dall'ordinario.
Lurati ricorda come il coccodrillo sia visto durante tutto il Medioevo come un "animale
strano e misterioso, perché privo, tra l'altro, della lingua» (cfr. Ottavio Lurati, Di:;7onario dei
modi di dire, Milano, Garzanti, 2001, p. 175).
^^ cervella:^: persone di grande ingegno, furbacchioni.
^^' giocar largo, tener su le carte: non avvicinarsi (equivalente all'odierno stare alla larga) e te-
nere celata la propria intenzione (cfr. GDLJ, rispettivamente VI s.v. giocare e II s.v. carta).
^^ le nostre pari: le cortigiane, come appunto Almira.
■*^ corteg^: corteggiamenti.
■♦^ villanella, antica canzone a ballo originata a Napoli nel XVI secolo e diffusasi rapida-
mente in Italia.
5" divenendo... sole: cfr. Petrarca, KVF, LXXIII, w. 14-15: «anzi mi struggo al suon de le
parole / pur com'io fiisse un huom di ghiaccio al sole».
^' cuor gentile: ancora eco cortese e stilnovista (cfr. Guinizzelli, Al cor gentile tempaira sem-
pre Amore).
^2 me ne son corsa... cammina: cfr. n. 35 p. 165.
168 EdÌ2Ìoni critiche
CONCORDIA In tutte le cose, a mio giuditio, séte degna di compassione,
eccetto in una nella quale faceste grand'errore. Noi altre
donne siamo inclinate alle cadute, abbiamo i calcagni debo-
li, non ci possono sostenere. Era così gran fatto, in quel
giorno che v'innamoraste di costui, far studiare a mastro
Arrigo il suo astrolabio^\ per vedere (come dice che vuol
essere) se '1 Grancio per Linea perpendicolare batteva giu-
sto nella Luna?
ALMIRA Tu burli. Concordia, et io smanio, e non trovo luogo, e pur tu
che mi vuoi bene, dovresti cercarmi qualche rimedio, e poi-
ché altro non mi giova, almeno con l'aiuto di Farina veder di
conoscere questa sua nuova Dea, che allhora senz'altro potrà
tanto in me lo sdegno, che subito l'abandonerò, lo lasciare, lo
fuggirò, e me li dichiarerò capitaHssima nemica . ,
CONCORDIA Tutte baie^''! Questo vostro sdegno non opera nulla: trop-
po séte sdegnata, e non vi fa giovamento alcuno, anzi a
quel che si vede v'accresce tal alteration nella vista, che da
poco in qua parete il ritratto della confusione, e guardatevi
che l'humore^^ non v'infiammi i luochi humidi della vita,
che trista voi! Io vorrei scamparvi dalle cattive indisposi-
tioni, ma voi né il mio consiglio né quel di Farina stimate
punto, et io non posso divenir Erminio né voi trasformar
in edera^^, e lui in tronco.
ALMIRA Secco è il tronco, e più l'edera non vi s'appiglia. Sfortunata,
che è avenuto a me come a colui c'ha mirato fisso il sole.
^^ astrolabio: propriamente era lo strumento usato dai naviganti per determinare l'altezza
del sole o degli astri sull'orizzonte al fine di determinare la rotta da seguire.
^^ Grancio: il segno del Cancro. È il primo di una serie di riferimenti astronomici che ri-
tornano con una certa frequenza nel corso di tutta la commedia (ad es. atto 1, scena 4; atto
2, scena 7).
^^ potrà tanto... nemica: nell'agitazione di Almira e nel crescendo dei suoi progetti di ven-
detta si intravede la figura di Armida nella Gerusalemme Uberata (cfr. X\^, 64).
^'' baie: schiocchezze.
'^''humore: nella fisiologia antica era il fluido o l'insieme di fluidi superflui o corrotti che
provocano alterazioni patologiche e malattie.
^** edera, notoriamente simbolo di fedeltà.
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 169
che quello che di poi vede, per chiaro e bello che sia, gli
pare oscuro, e brutto; e che sia vero, non mi diletta più
quella conversatione d'amici che a gara correvano per
compiacermi, e per acquistar la gratia mia, menandomi
hora in villa, hor secretamente a una festa, hor travestita a
una comedia, né meno in casa, in camera, a trebbio ^^, a ta-
vola, né sentir raccontar una burla, gittar un bel motto, e
far un gioco. Non no! Che son disgustata, et ogni allegrez-
za è convertita in odio, et in dispetto.
CONCORDIA Humore che corre al vivo!
ALMIRA E cagion di tanto male n'è solo questo Gano traditore^'".
Ricordati^'' Concordia, in quei primi giorni che capitò qui
in Salerno alla corte, smorto, sparuto '", e forse allhora
scampato di galera, quanto s'affaticò per diventarmi amico?
CONCORDIA E con che bella invention poi diceva a Nanne mio, che voi
simigliavate una certa sua fanfaluca ' , di non so dove, e vo-
leva che nel dormire gH andaste intorno alle orecchie, so-
nando la trombetta^"*.
ALMIRA Ah! Che in apparenza fingeva, e mostrava humiltà, e poi
nel cuore aveva la perfidia per affascinarmi, et io sciocca,
in cambio di conoscerlo, e di fuggirlo come nemico della
mia quiete, subito l'accarezzai, l'honorai, lasciai ogn'altro, e
^'^ trebbio: 'per la strada' (letteralmente 'a un incrocio di strade').
^*^Gano traditore: Gano da Pontieri, della casa di Maganza, è nella Chanson de Roland il tra-
ditore per eccellenza; ricordiamo che Dante lo pone tra il ghiaccio di Cocito (cfr. Inf,
XXXII). Con U medesimo epiteto è presentano nei vari poemi cavallereschi (es. Pulci, Mor-
gante, I, 8, v. 3: «Gan traditor lo condusse alla morte»).
'•' Ricordati: 'ti ricordi'.
''2 smorto, sparuto: pallido e smagrito.
^^ fanfaluca: fantasticheria o capriccio.
^'"' sonando la trombetta: probabilmente il significato della locuzione è da intendersi come
'elogiandolo, facendogli mille moine'. Si ritiene infatti poco pertinente il significato che
trombetta assume generalmente in gergo, indicando la puttana (cfr. Franca Brambilla Ageno,
S tudi lessicali, op. cit., p. 184).
170 Edizioni critiche
gli feci offerta delle poche facoltà ch'io godeva, e di me
65
Stessa .
CONCORDIA E quel che fu peggio, non passarono due giorni che mon-
taste in capriccio di far spese straordinarie, ambasciatrici di
questa disgratia, con mandare a Napoli, a Roma, per bellet-
ti, soUmati'''^, e lisci di tante sorti, che cominciaste con quel
benedetto succo di gramigna, incorporato con l'orina ver-
gine, e quante volte m'ha bisognato andar a torno con
l'orinai sotto, gravando^'^ il fanciullo di monna Pippa, e
quando non riusciva il liscio a modo vostro, gridavate con
me che l'orina non era vergine.
ALMIRA Hai ragione. Orme, che dove da principio credevo che egli
fosse tutto mio, a poco a poco il perfido (riuscitoli il dise-
gno) cominciò a ritirarsi, che di rado mi veniva a vedere, et
hora da pochi giorni in qua, non più tosto è intrato in quel-
la casa, che par che gli cada il tetto su la testa, s'ammutisce,
sta pensoso, sbattuto, e non può quietarsi finché non met-
te il piede fuor di quella porta.
CONCORDIA Che segni! Ma volete, di gratia, fare a modo di consigliera
fedele? Or cacciate chiodo con chiodo , accarezzate un
poco il Signor Procurator Pancratio, che se bene è un poco
sempliciotto, e non molto giovane, è ricco che supphsce
''^ Il forestiero accolto ed onorato dalla donna che verrà poi abbandonata è ovviamente
tratto dalla storia di Didone ed Enea (cfr. Virgilio, Eneide, IV); in particolare si vedano i
versi del Dolce, Didone, atto 3, scena 7, w. 1145-48: «Voi me fuggite, me; che dato in dono
/ V'ho quanto al mondo avea di bello e caro/ L'honestà, la città, la propria vita». Lo stesso
motivo è presente anche nel poema di Curzio Gonzaga, Il Fido Amante, VII, ott. 59 e 78.
''^ solimati: solimato (o sulimato) di mercurio. L'invettiva contro i trucchi utilizzati in
maniera esagerata da parte delle donne è un motivo topico del teatro rinascimentale, dalla
Cassaria dell'Ariosto alle opere del Parabosco (cfr. Il 'Pellegrino, atto 1, scena 1 e 7 Contenti,
atto 2, scena 2: «Che volete che gli huomini cerchino di che sapore è la biacca? Il suHmato?
Il verzino? Il bianco de l'ovo? Il bianco de' pignuoli? Il talco calcinato? L'argento vivo
congeliate? L'orina? Il solphore? L'acqua di vite? Et altre mille cose che lambicate, abbru-
sciate, distilate, et sotterrate, per imascararvi (...) »).
^^'^ gravando: importunando.
''^ cacciate... chiodo: secondo il notissivo proverbio chiodo leva chiodo (cfr. Giusti, Proverbi To-
scani, op.cit., p. 335).
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 171
ad ogni mancamento, e benché mostri essere avaretto
alquanto, quando li mostrerete l'occhio ridente, lo farete
spendere e spandere a decine.
ALMIRA Di gratia, non mi trattar d'altri che di Erminio perché, oltre
che perdi il tempo, mi fai anco dispiacere. Gittato è il dado.
Concordia, e zara ' è fatta.
CONCORDIA E perduto è il resto™, buona notte! Signora, dicovelo?
Questo Erminio vi toglie il conoscimento, e se starete ad
istantia sua, la bottega si serrerà, et i lavoranti n'andran fal-
liti in perditione!
ALMIRA Cosi vuol chi può , ma s'Africa piange, Italia non ne ride-
rà "! Lascia ch'io possa scoprir qualche cosa: vedrai il risen-
timento^^ ch'io son per farne.
CONCORDIA Orsù, siamo sull'arme su, il nimico non si trova, il trattato^"*
non si scopre, e non si fa risentimento: che abbiamo a fare?
ALMIRA Qualche risolutione si pigUerà. Andiamo verso casa che \'i
potrebbe capitar Farina, et io ho da parlargli. Camina pure.
''''' ^^ra." nel gioco dei dadi indica uno dei due punti più bassi che possono venire. Si ri-
cordi che l'espressione è presente nel Margarite, XVIII, 138, 6; « (...) zara a chi tocca! ».
''^^ perduto è il resto: 'vi siete giocata, perdendo, il tutto per tutto'. In questo caso infatti re-
sto è un modo di dire proprio del gioco, avente il valore di 'posta, per lo più finale, nella
quale il giocatore puntava tutto in una volta il denaro che gli restava' (cfr. D. Trolh, Parole
del 'Boiardo sul lessico e il testo deWlnamoramento de Orlando, in AA.W., Studi di storia della lingua
italiana offerti a Ghino Chinassi, a cura di P. Bongrani, A. Dardi, M. Fanfani, R. Tesi, Firenze,
Casa Editrice Le Lettere, 2001, p. 144, cui si rimanda per le attestazioni su GDLI e TB di
locuzioni simili, come andare il resto, fare del resto, valere del resto).
^' così... può: nonostante la formula appaia molto sempUficata, non pare azzardato
l'accostamento con i celebri versi danteschi di Inf, III, 95-96; V, 22-24: «vuoisi così colà
dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare».
^2 Africa.. .riderà: 'troverò il modo di pareggiare i conti'. Il modo di dire, già presente nel
Trionfo d'amore del Petrarca, è usato per indicare che delle due parti in lotta, una non è mi-
nore dell'altra, nel bene come nel male (cfr. Pico Luri di Vassano, Modi di dire proverbiali e
motti popolari italiani spiegati e commentati da Pico Luh di Vassano, Roma, Tipografia Tiberina,
1875, p. 283).
^^ risentimento: vendetta. Letteralmente, secondo il rituale cavalleresco, era la ritorsione
di un'offesa o la riparazione ed ammenda ad un'affermazione calunniosa e infondata.
^^ trattato: ant. 'congiura, cospirazione'.
172
Edizioni critiche
CONCORDIA Piano Signora, non tanta furia! Uh, che Amore vi è intrato
fra le gambe!
SCENA QUARTA
Pancratio, Farina.
PANCRATIO Non può far tutto il mondo. Farina, che tu non sii nato
sotto il segno del gambaro, perché ogni cosa fai alla roversa, e
vuoi aver più giudicio tu, che sei senatore, che non ho io, che
son patrone, e di più procuratore in capite, ^ma professus' .
FARINA Oh, e chi lo nega?
PANCRATIO Io ti dissi hiersera nello studio, che tu portassi la lettera aUa
Signora Abnira questa mattina su le sedici hore, sedici mi-
nuti, e un sesto, perché secondo un mio capriccio, queUa è
un'hora, et un punto che muove gH intestini del corpo al-
la concupiscentia, ma tu vuoi fare a tuo modo, et a queUo
che tu dici non gHel'hai portata.
FARINA Ecco che sempre vi dolete di me senza ragione! Voi vorreste
che altri in ogni cosa avesse il giudicio ch'avete voi, e non è
possibile: bisognerebbe aver studiato quindici o vent'anni
come avete fatto voi, et allhora vi dorreste a ragione, se
non v'intendessi a cenni! È vero che hiersera mi deste la
commissione deUa lettera, ma io non intesi quel
ch'importasse appresentarla più a queU'hora che a l'altre.
PANCRATIO Se la Somma papiense^^ ti fosse sorella carnale, tu non im-
pareresti mai più che tanto! Io m'affatico, io sudo, mi
^5 ^Procuratore... professus: si potrebbe tradurre, non letteralmente, 'un affermato procura-
tore, noto a Roma'. Al di là del significato, infatti, a Pancratio interessa impressionare il
servo con titoli altisonanti.
'"' Quella... punto: o\^io il richiamo al sonetto LXI del Petrarca, v. 2: «et la stagione, e '1
tempo, et l'ora, e '1 punto», ripreso in tono parodico. Tutta la battuta rappresenta un rife-
rimento astrologico burlesco.
^^ Somma papiense: raccolta delle fonti di diritto longobardo-franco redatta probabilmen-
te a Pavia nel sec. X. Qui vale il senso genenco di 'opera dottissima e poderosa' (cfr.
GDU, XII s.v. papiense dove si registra questa unica attestazione).
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
173
rompo il capo, ogni dì ti faccio una dozzena d'interrogatori
per affinarti, et ogni volta ne sai manco! Vien qua che te lo
dirò meglio. Quella è l'hora istessa nella quale, dicono, che
Vulcano colse la moglie con Marte , e perché Vulcano era
forse medico eccellente, s'è raccolto che quel punto è in-
clinato alla libidine; io che lo so me ne voglio servire, se
posso: hàila intesa hora?
FARINA Sì sì, e per questo voi mi diceste che Vulcano fé' poi la leg-
ge, che le donne non fossero buone testimonie.
PANCRATIO Vulpiano '"^ t'ho detto io, non Vulcano, balordo! È vero, ma
ad altro proposito, ma noi procuratori abbiam poi corretta
la legge in favore del sesso feminino, cioè che per testimo-
nianza due donne bastino per un huomo, e in altri casi poi,
quattr'huomini non bastino per una donna.
FARINA Avete ragione ma perdonatemi, che noi altri ignoranti sia-
mo come i topi del campo : loro senz'occhi, noi senza
giuditio. Se me la dichiaravate hiersera, a quest'hora io vi
avea servito! Domattina la fo netta : ecco qui la lettera.
PANCRATIO L'importanza è, che io non posso aspettar più: sto male, et
perìculum est in mora ", e se questa lettera non la fa risolver
presto, io corro pericolo di far la morte che fece Lucretia
Romana per Tarquinio^'.
''^ Vulcano... Marte: il riferimento è all'episodio mitologico narrato nell'VIII libro
àtXL' Odissea omerica.
^'^ Vulpiano: Domizio Ulpiano, celebre giurista romano morto nel 228, autore di una va-
sta produzione spaziante dal diritto privato a quello processuale, oltre che di commenti a
singole leggi.
"" topi del campo: le talpe, proverbiali per la loro cecità.
^' lafo netta: 'porto a buon fine l'impresa'.
"2 Periculum...mora: 'c'è pericolo a tardare' (cfr. Raineri, ^4/////^, V, 1).
*^ Lucrerà.. .Tarquinio: 'finirò con l'uccidermi, come fece Lucrezia a causa di Tarquinio'.
L'episodio della matrona romana e della violenza esercitatale da parte del principe etrusco
Tarquinio, è narrata da Livio e da Ovidio; Lucrezia, secondo il racconto, dopo l'accaduto
decise di uccidersi alla presenza del padre e del manto, pur di non sopra\^avere al disono-
re. Ricordiamo che nei secoli XV e XVI la storia di Tarquino e Lucrezia ispirò numerosi
artisti, da Tiziano, che dedicò al soggetto ben tre dipinti (Tarquino e Lucre::;ra, Cambridge,
FitzwilUam Museum, Bordeaux, Musée de Beaux-Arts e Vienna, Gemàldegalerie), al \'^ero-
174
Edizioni critiche
FARINA A tal pericolo stesse lei, che per le virtù vostre, e per la gra-
tia che le avete, arde, smania, e mòre per voi, ma questi
cortigiani vostri rivali la tengono troppo al segno**^, che
s'ella potesse, vi vorrebbe sempre fra' denti, come la torta
il ghiotto.
PANCRATIO Sì, eh? Oh dentini miei d'avorio, e d'osso finissimo di
Francia*^^, se Amore vi desse tanta discretione, che
m'andaste ragunando tutto tutto, oh che sudore si senti-
rebbe d'Alessandro Magno !
FARINA Non ve ne fidate, che sarebb'impossibile che non vi desse
qualche morso per tenerezza.
PANCRATIO Anzi, se ne potessi aver uno , lo vorrei hor hora far legare
in oro, e portarmelo in dito come gioia pretiosissima di le-
vante.
FARINA Signor no, sarebbe megHo che ve ne serviste per unghia de
la granbestia , perché se mai il Prencipe vi facesse suo su-
stituto nella cura dello stato, sedendo prò tribunali ' , non vi
pigHarebbe il granco .
PANCRATIO Mi pigHarebb 'altro che saria peggio! Non vogHo carico con
questa frenesia adosso, et accioché tu intenda, perché pensi
tu che '1 muto e *1 cieco, e '1 guercio non possino far testa-
mento?
FARINA Perché non vedono lume.
nese (Vìtnm, Kunsthistoriches Museum), a Botticelli {Storie di Lucrezia, Boston, Isabella
Stewart Gardner Museum), al Dùrer {Il suicidio di Lucrerà, Monaco, Alte Pinakothek).
*■* Ungono troppo a/ segno: 'le impediscono di fare ciò che ella vorrebbe'.
^'^ osso finissimo di Francia: si riferisce probabilmente aUa lavorazione artistica dell'osso, in
uso fin dall'antichità come surrogato dell'avorio (a cui l'accenno alla regione francese sem-
brerebbe rimandare poiché dal Medioevo la Francia era conosciuta per i pregiati prodotti
in avo no o selce).
^^ ragunando: accumulando.
"^ sudore... Alessandro magno: imprese, fatiche degne di Alessandro Magno.
*** Ant^... uno: con ogni probabilità si riferisce ad uno dei "dentini" di Almira.
^'^ unghia de la granbestia: unghia dell'alce, usata un tempo come amuleto oppure, raschia-
ta, come supposto rimedio a certe malattie (cfr. GDLJ, VI s.v. granbestia) .
^" sedendo prò tribunali: svolgendo la funzione di giudice.
^' non vi... granco: 'non foste colpito da un malanno' (cfr. GDLJ, VI s.v. granco).
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
175
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
T'inganni: perché non son notati. Il notano dunque, tam-
quam homo sapiens^^ può fare il testamento, ergo se '1 notano
fosse pazzo, non lo potrebbe fare, adunque ne segue che '1
procuratore, ch'è persona prudente, e dotta, non possa far
pure un codiciUo'^^ quando Amore gli va saltando da un li-
bro all'altro, per urinare su la rubrica .
Ah ah, bisognerebbe frustarlo! Ma, di gratia, fatemi un fa-
vore: leggetemi questa lettera amorosissima , che muoio
d'ambitione, se non la sento.
Hai ragione, dàlia qua, e mi risolvo che glie la porti hoggi,
senza aspettare domattina.
Eccola, ma per cortesia leggete adagio, se desiderate ch'io
la gusti.
"Giocondissima et altera mia Regina, salutem e celerà '."
Oh, bel titolo!
"Nel tempo antico deUa bella età dell'oro, quando l'huomo
e la donna nascevano ignudi, aUhora arei volut'io (speranza
mia) esser al mondo, solo per potere con quella semplicis-
sima purità andar lisciando la guancia altrui, e senza offe-
sa''^, a dispetto del Mutio'^**, dar qualche guanciatella alla
^2 tamquam homo sapiens: 'in qualità di uomo assennato, intelligente'.
'^"^ codicillo: propriamente è la clausola aggiunta a testamenti o documenti legali per mo-
dificare o integrarne le disposizioni, ma qui può assumere il significato più generico di 'do-
cumento, atto giuridico'.
^^ rubrica: legge, regola (com'è noto, letteralmente era il titolo delle leggi, scritto in rosso
nei codici).
'^^ lettera amorosissima: la lettura della missiva, piena di iperboli bislacche e concetti
strampalati, è un tòpos della commedia 'regolare' (cfr. ad es. Aretino, ]-m Cortigiana, atto 2,
scena 1 1). Nel caso del procuratore Pancratio tutto è visto, comicamente, sub specie iuridica.
'-"^ e cetera: clausola tipica degU atti notarili.
'^'' Nel tempo antico... offesa: il motivo dell'Età dell'Oro, caro già a numerosi poefi classici
(da Virgilio, a Tibullo, a Ovidio) sembra qui essere recuperato, anche se in chiave parodica,
attraverso la poesia del Tasso. Il Podiani infatti, più che soffermarsi sulla Natura mite e
benigna o sull'abbondanza che risparmia all'uomo la fatica, enfatizza il trionfo della sen-
sualità senza costrizioni o divieti, secondo quanto affermato nel notissimo coro del primo
atto deW Aminta (in particolare w. 656-694).
176
EdÌ2Ìoni critiche
gota. Oh che sorte, se così avessi potuto andar contem-
plando le bellezze vostre, e poi come Fenice mirar fisso
nella Luna de i bei vostri occhi, e battendo l'ali morir can-
tando../"""
FARINA Oh beUa ritrovata""!
PANCRATIO "Ma poiché hora altro statuto "^^ succede, et Amore con lo
strale sottomette questa a quello, e quella a questo, io
povero sottoposto vengo innanzi a voi, pietosa Giudicatri-
ce, e piangendo domando che '1 mio summus ius sia ammes-
so nella vostra signatura''^"*, e mi ternate ragione, accioché
per la grossezza dell'ingegno mio, non ne riceva il torto,
onde poi doglioso languendo, mi si aggiunga spese, danno,
et interesse."
FARINA Povero bisognoso!
PANCRATIO "Così resterà vivo, non prò forma {i-d diàtut)^^^^ servitor di lei,
ma fedelissimo schiavo, e perpetuo livellarlo ' di V. S. e con
^^ a dispetto del Mutio: allude a Girolamo Muzio (Padova 1496-ViIIa della Paneretta
1572), autore di alcuni trattati tra cui II duello (1550), considerato il codice cavalleresco del
Cinquecento, e 11 Gentiluomo (1564).
'^'^ guandatella: 'schiaffetto, pizzicotto' (diminutivo àx guanciata).
100 Yenice... morir cantando: si tratta di una commistione tra la figura leggendaria della Fe-
nice, che muore per rinascere dalle propne ceneri (cfr. Dante, Inf., XXIV, w. 106-7; Pulci,
Morgante, XIV, ott. 47-48, soprattutto per la relativa nota con la bibUografia delle fonti clas-
siche curata dall' Ageno), e quella del cigno che, secondo gli antichi, avrebbe emesso un
canto dolcissimo prima di morire (cfr. per es. Ovidio, Heroides, V\\, 3-4; Pulci, Morgante,
XIV, 56, w. 4-6).
'"^ ritrovata: espediente, trovata.
'"^ statuto: nel Linguaggio giuridico è il complesso di norme che regolano la posizione
delle persone appartenenti ad un gruppo sociale, specificandone i loro diritti, doveri e fun-
zioni. Pancratio ricade dunque nel suo lessico di leguleio.
'"^ Amor con lo strale: l'amore, non essendo più naturale ed istintivo, deve essere provo-
cato artificiosamente (cfr. 'X^^^o, Aminta, v. 685: «gli Amoretti senz'archi e senza faci»).
'""* summus ius... signatura: 'il mio sommo diritto sia accolto'. Signatura (che secondo il
GDLJ indicherebbe proprio l'accettazione di una profferta amorosa, cfr. XIX s.v. signatura
ove si cita l'intero passo), qui è soprattutto un termine giuridico indebitamente portato da
Pancratio nell'ambito amoroso.
'"^ non prò forma (ut dicitur): 'non in apparenza, come si dice'.
""'' livellario: debitore, servitore, tributario (per lo più a causa di vincoh di riconoscenza).
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 177
dolcezza lasciandola, la bacio in fronte, le gitto il nettare in
bocca, e le caccio il naso in un odorifero vaso di muschio."
FARINA Uh, uh, uh, possa io morir profumiero, se non ne sento
l'odore!
PANCRATIO Senti la sottoscrittione in rima:
"Quel che nel miser petto alloggia e crea
Sospiri, angoscie, assentio, ruta, e scamonea ".
FARINA Oh vita amara! Orsù, con un recipe'"" ch'io v'apparecchio,
v'adolcisco lo stomaco, e v'accomando il gusto. Voglio o-
perarmi tanto con la Signora, che a dispetto de i rivali
v'abbiate a ritrovare in camera con lei.
PANCRATIO Se tal cosa ti riesce. Farina, io ho fatt'una delle più belle ri-
solutioni, che si possa fare in materia amorosa.
FARINA Da vero?
PANCRATIO Io ho il secreto del balsamo, che adoperava la Regina Gio-
vanna di Napoli'"'^ per ringiovenire, il quale m'insegnò un
Alchimista, perché io gH difendessi una Lite, ch'egU avea in
Roma col carbonaro'"'; apunto hieri mi solvei di volerlo
compor hoggi di mia mano, et imbalsemarmi usque ad pe-
des^^\ e perché nella distillatione (fra molte cose che
c'entrano) ci bisogna un occhio d'un ciclope (che non so
che animai si sia), detti commissione hiersera a Sambuco,
'"^ assentio, ruta e scamonea: piante dal sapore amaro, che recano quindi amarezza nel
"misero petto" di Pancratio. Ricordiamo, nello specifico, che la ruta fu usata fin
dall'antichità come rimedio medicinale e componente per liquori, ma anche come talisma-
no o ingrediente per i filtri magici. Il succo della scamonea, ottenuto per spremitura, aveva
invece energiche proprietà lassative.
'"" recipe: ricetta; si gioca volutamente sull'ambiguità del termine inteso come 'prescri-
zione medica' o 'ricetta gastronomica'.
'"^ Giovanna di Napoli: Giovanna I d'Angiò (1326-1382) o Giovanna II d'Angiò Duraz-
zo (1371-1435), entrambe regine del regno di Napoli.
"" carbonaro: venditore di carbone e legna da ardere, indispensabile per il funzionamen-
to degli alambicchi dell'alchimista.
"' usque adpedes: 'fino ai piedi'.
"2 occhio d'un ciclope: probabilmente è da intendersi soltanto come ingrediente favoloso e
perciò impossibile da reperire.
178 Edizioni critiche
nostro clientolo , che lo trovasse, e me lo portasse hoggi
a casa. Subito che comparisce con esso, voglio entrar in
opera, e superar la natura, l'arte, il tempo, la conditione, e '1
sesso, se bisogna!
FARINA E quando il lambicco non operasse, pigHaremo una pietra
spognosa e con essa vi sfregarete tanto il viso, fin che
viene del color del cremisino ^'^, basta? Riuscirete"^ di co-
lore, di peso, e di misura.
PANCRATIO Orsù, non tratteniam più: io andrò dal notario, che ha in
mano la causa di Sambuco, tu porta la lettera adesso a la
Signora Almira, e poi vientene là, che t'aspetto, e se trovi
Sambuco venite insieme.
FARINA Cosi farò, andate pure.
PANCRATIO Ascolta, se alcuno ti dimandasse di me, dilli che per hoggi
ho da serrarmi in camera col Prencipe, per comporre un
editto contra l'otio e l'ignoranza. Hai inteso?
FARINA Signor sì, lo dirò.
SCENA QUINTA
Farina.
Ah, ah! Chi non ridesse di sì pazzo humore? Hai sentito che bel trovato?
Ha da serrarsi in camera col Prencipe per dar bando aU'otio, e all'ignoranza!
Oh ignoranza, che dottrina gli hai cacciato in capo? Oh Amore, tu gH in-
fondi i bei concetti: che lettera amorosa che gli hai dettata! Sol che la Signo-
ra avesse il gusto ordinario, e che tu non travagliassi ancor lei, ci sarebbe da
ridere per un pezzo! Ma oh sono stato il solenne bufalo a non fargli con la
lettera accompagnar qualche presente, e poi d'accordo partirlo con lei... ci
"' clientolo: cliente.
"^""^ pietra spognosa: pietra di calcare coerente, particolarmente porosa e cavernosa.
"=■ cremisino: di colore rosso acceso (cfr. ad es. Calmo, 'Pàme pescatone, st. XII, 2: «con
lengua sutile, cremisina» e mad. XI, 1: «quei lavri rossi, cusì cremisini»).
'"■ Riuscirete: 'diventerete, sarete'.
"^ ridesse: riderebbe.
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 179
sarà tempo! (Piano). Questo è un amor, vecchio mio, che t'ha da scorrer
per l'ossa qualche giorno; hai da pensare che fra '1 dare e '1 pigHare, Farina
vuol di salario. Quanti? Cinque scudetti il mese. Oh chi sta meglio di me?
Oh benedetto quel dì ch'io venni a star con te! Oh arcibenedetto quell'altro
che t'innamorasti! Orsù, prima ch'io vada dalla Signora Almira, vo' dare
una voltetta"** in piazza.
IL FINE DEL PRIMO ATTO
"" voltetta: diminutivo di dare una volta, 'fare un giro' o, come diremmo oggi, 'fare un salto'.
180
EdÌ2Ìoni critiche
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Soffroma, Olinda'^'''.
SOFFRONIA Olinda, figliola mia, il poter conferire i fatti suoi, e sfogarsi
nel dolore è giovamento d'un animo travagliato "' : lascia, di
grada, un poco il sospirare e '1 tanto piangere, e poi che il
Signor Prencipe è andato al giardino " , e più fuora siamo
secure di non esser sentite, segui di raccontarmi questo ca-
so, che nel sentir m'hai tutta intenerita.
OLINDA Madonna Soffronia, madre cara , che così vi posso chia-
mare, poiché m'amate da figliuola, sappiate che prima che
hora, harei conferito con voi la disgrafia mia, ma perché ho
sempre dubitato che discoprendosi non fosse cagione di
maggior male, son stata ritrosa di parlarne; ma hora poi
c'ho incominciato, mossa da i vostri preghi, e m'avete
promesso di tacere, vogHo seguire, e sentirete la cagione
'^'^ Il dialogo contiene significative risonanze tragiche, a partire dal ruolo di Soffroma,
non dissimile a quello della nutrice della tragedia classica, ripresa dai tragici del '500 (Tris-
sino in primis). La conversazione ricalca dunque il modello della scena d'apertura di tante
tragedie del periodo, assumendone una certa solennità reverenziale, oltre a costituire il pre-
testo per esporre l'antefatto (in questo caso, relativo alle sole \4cende della protagonista).
Per ciò che concerne i nomi delle due donne, non pare azzardato il nchiamo all'episodio di
Olindo e Sofronia narrato dal Tasso nel secondo canto della Gerusalemme Liberata, del quale
torna una citazione precisa nell'atto 5, scena 10.
'2" il poter... travagliato: la volontà stessa del parlare per sfogare il dolore è un tema topi-
co, che procede dal Petrarca (es. L, v. 57: «Et perché un poco nel parlar mi sfogo»; XXIII,
v. 4: «perché, cantando, il duol si disacerba»...) e giunge alle scene tragiche (cfr. ad es. Tas-
sino, Sophonisba, w. 4-5: «E come posso disfogare alquanto / Questo grave dolor che '1
cuor m'ingombra» e w. 20-21: «Né starò di ndir cosa che sai, / Perché si sfuoga ragionan-
do il cuore.»; Giraldi, Orbecche, w. 420-21: «Ma perche il cuore pur respira alquanto / Ne
l'isfogar le gravi angoscie interne»; Martelli, Tullia, w. 373-375: <d>assa, i pianti, i sospin e le
parole / Son comune soccorso a chi si dole, /Nel disfogarsi appieno»...).
'2' giardino: cfr. atto 1, scena 2.
'2^ madre cara: cfr. RuceUai, Rosmunda, v. 9: «Cara Nutrice mia, nutrice e madre».
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
181
perché sono così ardenti i miei sospiri, e così spesso il
pianto.
SOFFRONIA Se col pianto si rimediasse al male, t'aiuterei a piangere et a
gridare anch'io. Segui pure, e non dubitare di secretezza.
Tu m'hai detto come in Genova da sì grand'amore nacque
fra te, et Erminio la fede " di matrimonio, e com'egli fu
poi dato a quella fortuna di mare; che avvenne poi?
OLINDA Pensate voi come a quella sua partita restasse consolata chi
l'amava più che la vita propria, più che l'anima istessa, e
tanto più, quanto che passati pochi dì presentì che vicino a
Napoli quel legno al fin si ruppe, et Erminio finì misera-
mente i giorni suoi!
SOFFRONIA Le nuove, o vere o false, presto arrivano.
OLINDA Non bastò questo alla perfidia de la sorte nemica, percio-
ché, mentre io così viveva nel dolore, il quale ancor faceva
in me rigoroso risentimento, non potendo quietare il cuore
dall'affanno, né stagnar questi occhi dalle lagrime, sento
che mio padre (sapendo forse la cagione del mio male) era
risoluto di far altre nozze, e darmi a nuovo sposo. Io non
potendo soffrir d'aver a romper mai quella fede destinata a
quella dolcissim'anima, mi risolvei di non più vivere, e di
far ristessa morte, e nell'istesso luogo, che fatta aveva Er-
minio mio.
SOFFRONIA Sciocca risolutione! Amor finalmente può tanto in noi,
quanto noi istessi gli acconsentiamo.
OLINDA E chiamato Valerio servitore di casa, che è qui meco in
corte, e fu mezano del nostro poco a\^enturato amore, gH
dissi, per venire al desiderio mio, che Erminio non era
morto, ma viveva sano e Ubero neUa città di Napoli, e però
per quell'amore che porta ad ambi due, e per quella fede
che dopo morte ancora viverà costante, voglia condurmi
a Napoli a rivedere Erminio mio; furono così caldi, et
^'^'^fede: promessa.
182
EdÌ2Ìoni critiche
affettuosi questi preghi , ch'ebbero forza di farlo accon-
sentire, e metter in ordine una barchetta, deUa quale lui so-
lea aver cura, e la mattina suU'alba, ne mettemmo a solcar il
mare.
SOFFRONIA Che non può far un animo risoluto?
OLINDA Dopo molto viaggio, vicino al luogo dove intesi che Ermi-
nio era affogato, risoluta ancor io di morire, me ne fuggo
suUa sponda del legno per precipitarmi nell'onde, quando
Valerio (non so come potess'essere) di ciò avvedutosi, mi
ritenne presto, e vietommi il salto nel mare.
SOFFRONIA Oh come a tempo proveduta!
OLINDA "Deh Valerio" gU dissi "non impedire quest'honorata mia
voglia! Erminio non è in NapoH (come t'ho detto): è morto
Erminio! E qui oltre è morto. Lo voglio seguire, e qui vo'
morire ancor io." Servo in quel punto poco fedele a ne-
garmi sì gran contentezza, e non volere che finissero allho-
ra le sventure mie!
SOFFRONIA Figliuola, il ricorrere alla morte nelle avversità è d'animo
vile. Debbiamo pensare che non dura sempre uno stato, e
le voglie nostre si mutano spesso ''^^.
OLINDA Le mie non già mai, ma per essermi mancata la speranza di
poterle più adempire, volea superarle con la morte, ma egH,
per impedirmi il mio dissegno, e con animo di restituirmi a
mio padre, poi ch'io l'aveva ingannato, con destro modo
mi condusse in Salerno a questo Prencipe, ma non più to-
sto in corte arrivati, quando la vogUa di morire si mantene-
va in me più viva che mai, ecco che Erminio, il quale io
piangea morto, mi s'appresenta innanzi.
SOFFRONIA Oh che caso!
12-* caldi, et affettuosi... preghi: ricalca, con una variazione minima, la formula presente nella
Sophonisba del Trissino, v. 519: «A vostri ardenti e graziosi prieghi».
'2^ non dura... spesso: vago richiamo al famoso capitolo machiavelliano sulla fortuna e la
natura umana (cfr. Machiavelli, De Principatibus, XXV, op. cit. pp. 91-94).
'2'' destro modo: in modo corretto, appropriato (ma anche scaltro).
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 183
OLINDA Non so come a tal improviso accidente, a quella gran novi-
tà, io non venissi meno, et esalassi l'anima; pure restò in
me tanto vigore, e spirito, ch'ebbi forza di far animo a me
stessa, coprire quel gran motivo , e restar viva.
SOFFRONIA Per troppo allegrezza ancor si muore. Uh, gran pericoli
c'hai corsi!
OLINDA Ma quand'io credeva che con la vista dell'amato mio bene
fossero terminati gli affanni miei, e quietata la tempesta
della continua interna passione, infelice, hora più che mai
mi vedo travagliata e combattuta, con pericolo forse di
manifesto naufragio " . Dubito, madonna mia, ch'el Signor
Prencipe, al quale son tenuta d'obedire (in cose però hono-
rate) pensi d'avere a trattar meco con poca honestà, e
manco rispetto.
SOFFRONIA Questo non creder mai, perché in animo generoso non può
cadere pensier sinistro. Ma del Signor Erminio che n'è?
OLINDA L'esser suo dal mio, e l'esser mio dipende dal suo, ma per-
ché non so che sia per esser di me, non posso saper di lui,
e per questo sto confusa in mille pensieri, et infiniti sospet-
ti, e timori di continuo mi si girano per la mente.
SOFFRONIA Certamente ho pietà de' casi tuoi, e vorrei poter giovarti a
qualche cosa. Per adesso ritiriamoci pur dentro, che siamo
state fuori un pezzo, et io vedo non so chi venir di qua.
Avem ben tempo di ragionar più volte.
OLINDA In camera vi dirò più oltre.
SOFFRONIA Non trattare di bisbigliare in camera: ogni cosa vien poi
all'orecchie del Principe, so ben io " !
OLINDA Oimè, questo no!
SOFFRONIA Passa innanzi.
'-^ motivo: 'emozione, moto dell'anima'.
'-** quietata... naufragio: continua lo sfruttamento della metafora della tempesta (cfr. atto
1, scena 1).
'29 JVo« trattare... ben io: l'accenno al clima chiuso e sospettoso della corte e delle sue spie
è perfettamente conforme alla cultura del periodo, e ricorda da vicino i versi del Tasso,
anteriori di pochi anni (cfr. Tasso, Aminta, atto 1, scena 2, w. 591-603).
184 Edizioni critiche
SCENA SECONDA
Valerio.
Oh come fuggono presto queste nostre allegrezze, et in baleno spariscono
via! Chi era al mondo più contento? Chi nuotava in un mar di gioia altri che
Erminio quando a l'improviso vide comparirsi avanti Ohnda sua, che solo
per vederla si sarebbe esposto a mille rischi, et a miUe morti? Ma hora poi,
come in un subito ogni allegrezza se gli è convertita in affanno, et in pas-
sione; è avvenuto al misero come a quel povero infermo che da potente, e
continuo male assalito, quando il beneficio del tempo gli andava mitigando
la doglia, ecco che per nuovo accidente nell'istesso male fa più grave, e più
pericolosa ricaduta. E chi avesse ^^"^ mai creduto aver qui trovato Er-
mi<nio> et io dover esserli cagione d'ogni male? E così grande la frenesia,
che gH è intrata in capo, ch'<e'> non quieta, non riposa, e continuamante
s'affligge, e l'infelice ha ragione, poiché si vede in manifesto pericolo che '1
Prencipe non gli tolga OHnda sua. Mi manda hora a dire al Signor Manfre-
do che voglia aspettarlo in palazzo, che ha da negotiar seco cosa che molto
importa, né d'altro può trattare, che del Prencipe e di Olinda. Dio l'aiuti!
Che poi nel fine non ne nasca romore, voglio andare.
SCENA TERZA
Sambuco, Valerio.
SAMBUCO Per trovarlo, lo farò depingere meser sì, Vrocuratorìhus a
banditus, tun, tara, tun, tara'^', o suona suona. Oh quel
'■^" avesse: avrebbe.
'3' lo farò... tum tara: Sambuco intende far pubblicare un bando per ritrovare il procura-
tore (l'espressione latina è probabilmente lo storpiamento della formula A procuratoribus
banditus) e quello che segue è l'imitazione delle trombe dei banditori (ad es. cfr. Aretino,
Ragionamento della Nanna e della Antonia, I, p. 93). L'accenno al depingere si spiega in particola-
re con "la rappresentazione dell'immagine dell'uomo fatte per vie di colori (...) su per le
mura di qualche edifìzio pubblico, per fama o per infamia" come accadeva anche a Fi-
renze dove si dipingevano "su per le mura del palazzo del Podestà i cessanti e i fuggitivi,
con sotto di lettere grosse il nome del reo e l'arte" (cfr. Rezasco, p. 91 s.v. bando e p. 806
s.v. pittura).
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
185
VALERIO
SAMBUCO
VALERIO
SAMBUCO
VALERIO
SAMBUCO
VALERIO
SAMBUCO
VALERIO
SAMBUCO
VALERIO
SAMBUCO
huom da bene, se <non> ti rincresce, per cortesia ferma
un poco!
(Quest'è Sambuco, non so se chiama me!)
Perdonami, che non ho tempo da far cerimonie: ho facen-
de che importano; mi saperesti dire se '1 Procuratore è là su
in palazzo ^^^?
Qual procuratore cerchi tu? Mancano procuratori !
Quel che litiga a credenza'^'*, et ha tolto in affitto i aiim ,
e questa settimana esce del fitto '.
Per questo hai fretta, eh? Che c'è di tanta importanza?
Oh troppo c'è! Conosci l'hore quando è nuvolo tu ?
Che hanno da far le hore co '1 nuvolo? La Hte come va?
Non vo' che tu mi cacci di bocca qualche interrogatorio
contra'^**: sei huomo di palazzo tu, e secondo me hai la
penna sotto '^^, e la vien temperando, cu, cu!
Sottile avvertimento! Tu non ti fidi de gli amici.
Me ne fido, ma il cane non è amico fedele?
Fedelissimo.
Oh prova un poco a pestargli la coda, o acciaccargli i so-
1- 14(ii
nagli !
VALERIO Tu non sei un cane, et io ho discretione.
'"^^ in pala^: qui vale come 'corte di giustizia' (cfr. ad es. Aretino, Sei giornate^ 172)
'"^"^ Mancano procuratori: in senso chiaramente antifrastico.
'■^^ litiga a credenti locuzione probabilmente affine a bravare a credenr^, ovvero 'non esse-
re in grado di mantenere quello che si promette o minaccia'(cfr GDU, III s.v. credent^a; A-
retino, L^ carte parlanti, 36: «lo assaliva con due bravate a credenza).
'^^ ha tolto... cuius: interpreterei come 'si avvale consuetamente del latino e di tutti i suoi
cavilli' (cfr. Aretino, Ragionamento della Nanna e della Antonia, II, p.l68 e nota p. 208); per
altri eventuali significati di cuio 'persona sciocca che vorrebbe passare per colta' e cuiusso
'parola o frase latina inserita in un discorso per pedantesco sfoggio di erudizione' cfr.
GDU, III).
'^^' esce del fitto: forse 'si comporta in modo strano', cioè fuori dalla consuetudine.
'^^ Conosci l'hore.. .tu: 'sai determinare l'orario anche in assenza del sole' (quando cioè
non si vedono né le ombre, né le meridiane o l'altezza del sole stesso suU'onzzonte).
'^'' mi cacci.. .cantra: 'non vorrei che tu rm strappassi qualche dichiarazione che potrebbe
poi essere usata contro di me'.
'■^'^ la penna sotto: 'hai già pronta la penna per scrivere, falsando ciò che dico'.
'■*" acciaccargli i sonagli: schiacciargli i testicoli.
186
Edizioni critiche
SAMBUCO Ascolta su, ma tiemmi secreto. M'è stato detto che '1 Pro-
curatore mi va cercando più di due hore prima che io non
pensava e non so quel che fuor di tempo possa voler da
me. Di gratia, fratello, non ti scappi di bocca!
VALERIO Sì, sì, t'ho inteso. Va' fino al mare, che questa sera su le
quindici hore arriva una sua fusta carca di vento, la quale
amainando '"^^j viene da Valona in poste''*^ informane il peo-
ta''*'*, che nella bossola'"*^ ti mostrerà subito quel che cerchi.
SAMBUCO Ascolta, o Valerio. Hai detto ch'io vada a Verona con una
frusta mangiando in poste, e che inforni una carota, e la
bossola me lo dirà subito... Non mi par che faccia a propo-
sito a me, perché per mangiare, frustare, et infornare carote
nelle bossole non bisogna gir' a Verona. Oh belle dicerie
da cortigiani! Se cerco il Procuratore, mi vogliono mandar
a Verona a trovarlo; se gli domando quando è tempo di fa-
vellare al Giudice, mi rispondono ch'io lo veda sul lunario;
se '1 notarlo vuole scrivere le mie ragioni nella Lite, gli fan
cadere il calamaro, e i cani alzano la cossa ', e ci mettono
l'inchiostro.
Ma chi è costei che vien di qua? E l'amica di Farina col
passeggio del gallo d'India . Oh perché non è giudicessa
ella? Voglio vedere quel che vuol fare.
^^^ fusta: piccola galea veloce usata nei secoli XIV-XVII soprattutto come nave corsara;
ad un solo albero, dotato di vela latina, aveva dai diciotto ai ventidue remi per lato ed era
equipaggiata con due o tre pezzi d'artiglieria (cfr. GDLI, VI s.v. fusta; Calmo, Rime pescatone,
pese. VI, V. 47 ma anche i vari poemi cavallereschi, ad es. Boiardo, Inamoramento de Orlando,
II, 20, 39; Folengo, "èaldus, XIII, 168).
'■*^ amainando: abbassando le vele.
1"*^ in poste: sostando in attesa della salita e discesa dei passeggeri, e del deposito e pre-
lievo della corrispondenza.
"^^^ peata: letteralmente chi guida una peota (barca veneziana da diporto o da regata), ma
qui vale il senso più generico di 'pilota dell'imbarcazione'.
'■*^ bossola: difficile stabilire se si riferisca al contenitore (scatoletta, vasetto) o al piccolo
locale ricavato entro un altro attraverso delle assi di legno disposte a paravento.
^■*^ cossa: la coscia, la zampa (ovviamente per urinare).
^^'^ gallo d'India: 'tacchino' (cfr. GDLI, VI, s.v. gallo; DEI, 1755; Calmo, Il Saltu::^a, atto
5, scena 9). Petrolini al proposito, specificando che la denominazione _^a//<? d'India è un me-
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 187
SCENA QUARTA
Concordia, Sambuco.
CONCORDIA Mastro Amore, medico eccellente, ha dato l'antimonio''**^
alla mia Signora. Oh che purga! Due volte già mi manda cer-
cando Farina, e con che fretta poi! Frenesia d'innamorati,
eh? Mi pensai trovarlo in piazza, dove monna Pura mia
commare mi disse averlo incontrato, e non è stato possibile.
Vedrò se fosse tornato a casa. Sì apunto, la porta è serrata.
SAMBUCO Olà, che volete in quella casa? Il Procuratore non c'è.
CONCORDIA Oh, un Amorino che va scherzando per la contrada! Ditemi
per cortesia, servitor de i cuori, dove tenete nascosti gH strali?
SAMBUCO Non ho nascosti stivali, ma so ben dove è la vacchetta per
farne un paro.
CONCORDIA Vi dirò: se voi foste Amore, per placare l'ira vostra, e risa-
nare la piaga alla mia Signora, vorrei offerirvi un fegato ,
e per trofeo appendervelo al coUo.
SAMBUCO Eh, Concordia, v'intendo ben sì: il fegato è rosso de colore
deUe carotte, carotte e radice son tutte una cosa. Vorreste
tagliar la radice al sambuco'^" e fargU seccar le pampane voi!
CONCORDIA Oh Sambuco perdonatemi, che vi avea tolto in cambio'^'!
Non séte qui voi di casa?
ridionalismo {contro pillo, pito, e simili dell'area settentrionale), ricorda che questi "pittore-
schi gallinacei da poco importati dalle Indie occidentali" erano nel Cinquecento "ancora
carichi del fascino della novità esotica" e la cucina delle loro carni decisamente poco prati-
cata (cfr. Giovanni Petrolini, Dia/elio a banchetto. La lingua della cucina famesiana, Parma, Bat-
tei, 2005, pp. 167-68 s.v. pitto e p. 173 s.v. gallo d'India).
'^^ antimonio: qui probabilmente in senso di 'medicamento'.
'^'^ offerirvi un fegato: com'è noto, nelle religioni antiche il fegato aveva spesso un alto va-
lore apotropaico e, in certi riri, vi si potevano trarre aruspici.
'^" radice del sambuco: ovvio, oltre il gioco basato sul proprio nome, un doppio senso ma-
lizioso.
'^' vi avea tolto in cambio: 'vi avevo scambiato per un altro' o, più semplicemente, 'non xi
avevo riconosciuto'.
188 EdÌ2Ìoni critiche
SAMBUCO Son della casa, son del Procuratore, de' notarì, de' curso-
ri'", e di quanta gente da mal fare si trova al mondo, per-
ché litigo.
CONCORDIA II servitore del Procuratore è in casa?
SAMBUCO E non posso provare d'esser figliuolo di mio padre, perché
dicono ch'egli una volta mi prestò a Lucca per farmi ritrar-
re su un panno d'arazzo: Sambuco si perde, et io son il ri-
tratto scappato del panno.
CONCORDIA Tappezzaria d'appiccare al muro. Orsù, io ho lasciato in
casa un Infermo che vaneggia: se non trovo Farina, che gH
cerchi qualche rimedio salubre, son impacciata.
SAMBUCO Oh, se il rimedio sta nel salume, non avrà male: due pre-
sciutti, e un salsicciotto lo guariscono, ma io che Litigo, con
un porco intero non mi guarirei mai.
CONCORDIA A Dio, non ho tempo da trattenermi.
SAMBUCO Sentite, prima, Hte crudele che io ho.
CONCORDIA Oimè, in che torso '^' ho dato di capo!
SAMBUCO Messer Honesto del PoHto del Vago m'ha sigillato il co-
perchio deUa segetta'^"* perché il muro (dove è posta) è tan-
to sottile, che quando tuona per piovere, e grandinare ", i
tuoni gli battono neUa galleria '^^', che ha fatta dipingere , e
perché la battuta è malinconica e fuor di tempo, il quadro
delle muse si \naol andar con Dio; dice poi il Procuratore,
che è informato di questa materia, che Messer Honesto
m'ha sconturbato'^^ il commertio, e bisognerà ch'egli, e le
muse cantino a quella battuta, e non altramente.
'52 cursori: ufficiali aventi il compito di notificare gli atti pubblici.
'^^ torso: 'sciocco, babbeo'.
'5^ segetta: seggetta, sedile per lo più a forma di cassetta che contenev'a il vaso da notte
(scarterei l'accezione più generica di 'latrina' poiché si parla di un coperchio sigillato).
'55 quando tuona... grandinare: U valore dell'espressione è rozzamente metaforico.
'5^ galleria: ovviamente intesa come la lunga sala o corridoio di coUegamento tra le di-
verse ah di un edificio che nei palazzi rmascimentaU mizia ad essere decorata sfarzosamen-
te ed arncchita di opere d'arte.
'^^ dipingere: affrescare.
'^'^ sconturbato: alterato, sconvolto.
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 189
CONCORX)IA Oh che canto sconcertato! Orsù, siamo sul far della Luna,
al mio Infermo deve crescere il parosismo : di gratia, in-
segnatemi Farina!
SAMBUCO Molto volontieri. Dianzi ancor io cercava il Procuratore, e
mi fu insegnato. Andate in Padova in posta frustando, e
mangiando, infornate una carota, e bella cotta, caciatela
nella bossola'^*^. Baso la mano.
CONCORDIA II mal'anno, che ti possa venire, mammalucco del Vaivò-
da'^^! Se io avessi qualche cosa in mano, ti vorrei dare le
carote, e le bossole, sì che ho tempo da perdere! Meglio è
che io vada fin qui da mastro Strappa sarto, se me ne sa
dar nuova, ma vorrebbe ch'io gli infilassi l'ago . Voltarò
di qua.
SCENA QUINTA
Erminio, Manfredo.
ERMINIO Ma per gratia. Signore, dopo che v'avrò conferito il secreto
(se però è secreto) vediamo di trattar in modo, per honore
del Prencipe, che questa gelosia che ha chi ama, e teme, ne
riporti quel premio che merita. In somma voglio che a voi
^'^'^ parosismo: spasimo dell'agonia.
"'" frustando... nella bossolo:, ovvia l'allusione all'atto sessuale, pur continuata sul solito
stravolgimento lessicale intrapreso da Sambuco nella scena precedente.
"■' mammalucco del Vaivòda: il senso della locuzione è, semplicemente, 'sciocco, balordo';
propriamente il mammalucco (lett. Mamelucco) era il membro delle soldatesche turche e cir-
casse, formate in origine da schiavi, ma con un potere crescente dal secolo XIll (fino alla
loro sconfitta ad opera di Napoleone). Per ciò che concerne il Vaivòda (dallo slavo voy-na
'guerra' e woda 'capo' ) era il titolo che si dava ai sovrani e ai governatori nella Moldavia,
Valachia, Transilvania e paesi limitrofi.
'^2 infilassi l'ago: ovviamente la metafora rievoca l'organo maschile ed è consueta anche
nelle commedie paraboschiane (cfr. ad es. // Viluppo, atto 4, scena 4: «CORONA Et le mie
aghe? COLOMBINA Tò, figliuola mia. COR. Oh, le son larghe di buco! COL. Io non vidi
mai che le donne guardassero alla larghezza del buco, ma sì ben alla bontà, et fortezza della
punta»; La Fantesca, atto 2, scena 12: «Mo' tettami dove se impira l'Aco»).
190 EdÌ2Ìoni critiche
tocchi, Signor Manfredo, d'obhgarvi sua Eccellenza (si può
dire) nella vita.
NL\NFREDO Gran cosa sarà.
ERMINIO (Oh s'io potessi disporlo a mio interesse!) Ama il nostro
Prencipe questa donna genovese, e forse sino ad hora in tal
maniera, ch'è forzato d'antiporre al suo, il contento di lei.
Io che so, che non può terminar qui la vogHa e '1 desiderio
suo, e conosco, perché son fuor d'interesse, a che rischio il
porta la fortuna, vorrei scamparlo da pericolo mortale, né
altro modo ho pensato migHore, che '1 mezzo vostro. Si-
gnor Manfredo, che essendoli servitore fedele di molt'anni,
vogliate mostrargli il mancamento che è in un Prencipe,
d'animo generoso, darsi in preda a donna ignobile, vile, di
niun conto, forse poco honesta, priva di virtù, di creanze, e
d'ogni bella parte che possa far degna lei dell'amor suo, et
egH scusabile d'un error tale.
MANFREDO Non si può negare che l'amore che portate al vostro Pren-
cipe non sia grande, e la gelosia ch'avete di lui non sia
maggiore. E vero, per dirla col Signor Erminio, che ancor
io da poco in qua ho conosciuto nel Prencipe non so che
d'affetione particolar che porta a questa giovine, ma come
capriccio soHto di Signori non è stato da me quasi osserva-
to, e poco conto n'ho tenuto veramente.
ERMINIO Pare a voi, Signore, che questo sia capriccio da non tenerne
conto? Non sapete quanto importa aver l'animo ingombra-
to d'importuna e perversa frenesia? SòUo io (se bene non
provai mai pur minimo colpo d'amore) quanto è dannoso
a chi da principio non si ripara. Non no. Signor mio: al ri-
medio, al rimedio, e non si perda tempo!
MANFREDO Dove ho creduto col mio debile consiglio poter giovare o
poco o molto al Signor Prencipe, mi son sempre operato, e
mi operarò volontieri per l'aw^enire, ben che da poche for-
ze poco aiuto possa venire, e circa il particolare che voi di-
te (se sia vero ch'egli sia acceso di questa donna) credete
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 191
pure che né a parole, né a consigli sia mai per dar'orecchia,
percioché questa voglia amorosa troppo c'inebria, e ci con-
fonde, et io che vedo il genio ' , e la natura sua (per dir li-
beramente) non ardirei mai di tentare minimo ragionamen-
to.
ERMINIO Ah che l'interesse proprio vi lascia mal discorrere! Se voi
sapeste di quanto giovamento potete esser solo con i vostri
ricordi^'''^ e quanto danno potete causare per tacere, forse
forse che porreste da banda i sospetti, et i rispetti, et aiuta-
reste chi dovete per debito vostro.
MANFREDO Non prendete, di gratia, per me tanta cura, e se amate l'util
mio (come dite) lasciate conoscere a me stesso quel che è
di pregiudicio o no al Signor Prencipe, e tocchi a me di ri-
mediare, se vogHo.
ERMINIO Dunque volete inferire^'^^ che questo non pregiudichi a Sua
Eccellenza?
MANFREDO E che pregiudicio può essere, d'amare una donna?
ERMINIO Amare eh? Un amor lascivo mille volte a mill'huomini ha
tolto l'honore, e la vita. Quel ch'è fondato sopra pensiero
malvagio, il suo fine non può essere se non dannoso. Io vi
protesto, che di quello che potesse avvenir mai al Signor
Prencipe per questo effetto, io sarò fuor di colpa; non so
se potrete dir così voi.
MANFREDO Non può cader in colpa chi con fraude non erra. Quel che
conoscerò io, ch'appartenga a me di fare, lo farò sempre,
né mancarò mai del debito mio.
ERMINIO Debito vostro è di remediare all'errore, che si vede sicuro,
se sete quel servitor che dite, e ne fate anco professione.
MANFREDO Voi v'affaticate troppo, e le vostre persuasioni in ogni altra
cosa mi potrebbono muovere, eccetto che in questa. Dite,
e se il Prencipe (per supposto che sia invaghito di costei) si
^^'^ genio: indole, carattere.
'''"' ricordi: insegnamenti.
"■^ inferire: dedurre, argomentare.
192
EdÌ2Ìoni critiche
ERMINIO
MANFREDO
ERMINIO
MANFREDO
ERMINIO
risolvesse di tenerla per sua diva, e privar altri anco d'un
sguardo, perderebbe egli l'honore?
Ah, Signor Manfredo, che adulatione è questa? Che parole
indegne di voi vi escono di bocca? Non no, a voi non
preme l'honore di sua Eccellenza perché altramente paria-
reste.
Grande affettion è la vostra, per non dir passione! Voglio
credere che abbiate dentro quel che non mostrate fuori.
L'affetto e la passion ch'io ne mostro vien da soverchio
amor che porto; tal non portass'io, che non direst'hora
ch'io fingessi, ma sia che vuole, troppo mi preme; se vedrò
il Prencipe risoluto a quest'errore, farò quanto potrò mai,
che non abbia effetto il desiderio suo, e quando mi man-
cheranno le forze, e più non potrò, vedrà egH istesso
l'ingratitudine ch'usa a chi non deve, e che gran pena sop-
porta chi ama veramente di cuore.
Che meglio? Voi prendete questa cura, e sarà vostra la lode
che ne riporterete. Dell'offerta che ne fate a me, vi ringra-
tio. Oh che favori!
(Altro rimedio, altro riparo ci vuole! Cerca pur nuova in-
ventione, Erminio, che questa non giova. Ecco che già
Manfredo se n'è avveduto ancor egU, e forse il Prencipe i-
stesso gli ha conferito, e non '1 vuol dire. Senti: vuol che
prenda io questa cura, egH non lo vuol dissuadere, non gli
pare che faccia errore alcuno... ahi, è certo che '1 Prencipe è
risoluto d'usurparsi per sé ogni mio bene, ma sarà mai pos-
sibile, misero me, ch'io possa veder con questi occhi, o
sentire con queste orecchie, che OHnda mia sia d'altri che
di Erminio? No, più presto perdasi la servitù, perdasi la
gratia, perdasi la vita!)
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 193
SCENA SESTA
Lelio, Alessandro.
LELIO Dunque tu credi, Alessandro, che lo scoprirmi con Valerio
possa nuocermi?
ALESSANDRO Io lo tengo per certo.
LELIO Perché, di gratia?
ALESSANDRO Perché le cose che importano non si conferiscono a chi
non siam più che sicuri di fedeltà, e d'amore; potrebbe co-
stui, per essere o servitore, o amico d'OHnda, non solo di-
saiutarvi, ma esser anco cagione che per altra strada tu non
potessi venire al desiderio tuo.
LELIO Io so che per dinari molti talvolta si corrompono. Se con-
ferisco con costui l'amore mio verso OUnda, e gH mostro il
desiderio che ho di prenderla per moglie, comprando
l'aiuto suo quasi a contanti, mi par quasi impossibile che
potesse mancarmi.
ALESSANDRO Si, quando tu t'assicurassi che non ci fosse interesse suo
particolare, ma chi lo può sapere? Che sai tu chi sia costui,
e quel che trattino fra loro?
LELIO Poco importa mutar consiglio: con perdita eguale, posso
venire a maggior termine di quello ch'io mi sia? Se forse io
non prendessi un altro partito, che hora mi soviene, buo-
nissimo certo...
ALESSANDRO (Sarà come il primo!)
LELIO ...cioè di conferirlo col Signor Erminio, e pregarlo d'aiuto,
e di consiglio, perché essend'egli spirito gentilissimo, et
ambitioso di gratificarsi l'amico, son sicuro che volentieri
mi farà favore.
ALESSANDRO Oh questo meglio, perché essend'egli innamorato (come
dice la Signora Almira) è forza che sia nel medesimo desi-
derio, e forse nell'istesse passioni che tu sei, e chi meglio
può aiutar di colui che prova l'istesso male?
194 Edizioni critiche
LELIO E chi mai con più rara diligcntia, con maggior fede e svi-
scerato affetto, ch'el Signor Erminio? Anzi, se questa mia
voglia dipendesse solo dalla risolution sua, e ch'egH (per dir
così) mi potesse mettere nella braccia d'OKnda, son sicuro
che lo farebbe di buonissima voglia.
ALESSANDRO Oh buono, oh buono! E <per> più riscaldarlo, lo faremo
anco pregare dalla Signora Aknira, che ne può disporre.
LELIO Che Signora Almira? Fra loro è nato non so che sdegno.
Voglio io istesso ricercarlo, e m'assicuro che per me sia per
fare ogni cosa, senza adoperarci altri mezzani.
ALESSANDRO Così cred'io, ma quando la gratia si fa a più persone, più
volentieri altri s'affatica.
LELIO Scommettiamo, Alessandro, che non più presto gli ho do-
mandato il favore, che s'è messo in opra per farlo; hoggi,
di qui a poco, adesso adesso mi serve?
ALESSANDRO Orsù dunque, non è tempo da perdere. La risolutione non
potrebb'essere migliore. Che abbiamo a fare?
LELIO Mi risolvo che andiamo insieme a domandargli il servitio, e
se in qualche cosa io mancassi, tu potrai supplire.
ALESSANDRO SagHamo in palazzo dunque: credo che a quest'hora lo tro-
varemo in camera.
SCENA SETTIMA
Pancratio, Farina.
PANCRATIO Tien di fuora quelle scritture, metti sopra quello statuto "^^'.
Oh gran patientia è la mia! Son certo che, se io volessi che
non si vedessero, tu le vorresti mostrare... oh, tienle così!
FARINA Me le farete cader di mano, e squinterneremo'^'^ lo statuto,
e si viverà senza leggi.
"■^ statuto: cfr. atto 1, scena 4.
'^^ squinterneremo: 'scompagineremo le pagine del libro o del fascicolo'.
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
195
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
FARINA
Credi tu che se bisognasse rifarn'uno di nuovo, e forse con
più bell'ordine, mi mancasse la scientia?
Credo di no io, ma non è questo lo statuto de i mal condi-
tionati''"'^, calculato al meridiano di casa nostra?
Messer sì, è un pronostico : sai molto quel che ti ciarli tu!
Parla del tuo mistiere, e lascia i Hbri a chi gl'intende'"'!
Sta ben, su, ma qui siamo vicini a casa: che importa se si
vede o no?
A l'altra'''', figHuol mio! La discretione non ha il maggior
nimico di te; s'ella non si fa dar le sicurtà de' non offen-
dendo' , tu l'assassini un di sotto la parola! Non sai tu che
qui riescono spesso questi cortigiani? Non dici tu che pra-
ticano in casa de la Signora Aknira?
(Voglio tingere di non l'intendere.)
Et ancor non la capisci? Perché voglio esser tenuto appres-
so di loro per huomo graduato (come sono) accioché
nelle occasioni m'abbiano a portar rispetto; \'Tiòila più chia-
ra? Oh, fammi lodar me stesso!
Eh, per altro avete collera voi! Non potete patire che la Si-
gnora m'abbia fatto così gran ribuffo , dite il vero!
^^^ mal conditionati: persone ridotte in pessime condizioni, allo stremo delle forze.
"•' pronostico: previsione congetturale di eventi futuri. Si ricordi che la caricatura
dell'astrologia giudiziaria era un motivo frequente sia nelle opere coeve, sia in una vera e
propria produzione di "almanacchi satirico burleschi disseminati dalla tradizione parodistica
antiastrologica" (cfr. P. Camporesi, l^ maschera di Bertoldo, Garzanti, 1993, pp. 219 e segg.).
'^" lascia... intende: secondo il noto proverbio lascia fare il mestiero a chi lo sa fare (cfr. Pe-
scetti, op. cit., p.l03). La battuta è decisamente prossima a quella del procuratore Petruccio
de / Megliacci, atto 2, scena 7: «A che far t'empacci di quel, che non sai se sei vivo? Maneg-
gia la zappa et lassa le lettere a noi che le sapemo» (cfr. F. Ugolini, Il perugino Mario Podiani,
op. cit., II, p. 62).
'^' A l'altra: nonostante non ci siano attestazioni sicure dai loci paralleli (es. pp. 215,
245, 259) si ricava un significato prossimo a 'questa è bella'. Per un'espressione simile cfr.
Mario Podiani, I Megliacci, atto 1, scena 4, in F. Ugolini, Il perugino Mario Podiani, op. cit., II,
p. 38: «Ecco l'altra: diresti mai una parola con garbo?».
'^2 le sicurtà de' non offendendo: 'la promessa formale di non ricevere offesa', dove sicurtà
mantiene l'originario significato giundico di 'garanzia'.
^''^ graduato: importante, onorevole.
'^^ ribuffo: rabbuffo, rimprovero molto aspro e minaccioso.
196 EdÌ2Ìoni critiche
PANCRATIO Non ha a\aito il torto, Farina?
FARINA Oimè, grandissimo!
PANCRATIO Dimmi, di gratia, un'altra volta com'eUa ti disse de verbo ad
verburn'''^ .
FARINA Io vi dico che subito ch'ebbe letta la lettera, dove io crede-
va che la baciasse e ribaciasse miUe volte, la stracciò in mil-
le pezzi, i quaU mi gittò in faccia con la maggior rabbia
ch'io mai abbia veduto a femina, e se non ch'io fui presto a
saltar le scale, mi voleva metter le mani adosso.
PANCRATIO Domani per disperatione vo' far cento in digmtà'^^', voglio
informare al contrario, far gli atti aUa riversa, licentiar mtti i
cHentoli, e poi dichiararmi cursore per dispetto del colle-
gio de i procuratori.
FARINA E se non fosse vero quel che v'ho detto, che pagareste?
PANCRATIO Oimè, un notano, due procuratori, quattro testimoni, et un
processo.
FARINA Et io vi dico che voi séte più patrone di lei, che della vostra
dottrina. Insomma, è innamorata, impazzita, crepa, spasi-
ma e mòre per voi.
PANCRATIO Dici da vero. Farina?
FARINA Subito che vide la lettera, e che io gH dissi che gliela man-
davate voi, entrò per un pezzo a succhiarla, a stringerla, a
dimenarla, e poi si discinse la vesta, e se la cacciò in seno
da la banda del cuore, e pian piano (col maggior gusto del
mondo) se la fé cadere sul pie manco.
PANCRATIO Oh, se io studiava astrologia si poteva far il bel tratto '^^!
FARINA Come a dire?
'^^ de verbum ad verhum: parola per parola.
''''^' far cento in dignità: in mancanza di riscontri più precisi, mi limito a ricordare che, in
generale, il numero cento indicava già la latrina; in altre parole Pancratio intende calpesta-
re, disprezzare completamente la dignità facendone sterco.
'^^ cursore: cfr. atto 2, scena 4.
^''^ fare il bel tratto: fare un bel colpo, un bel tiro (la voce proviene dal lancio dei dadi o di
piccoli oggetti per la divinazione, cfr. GDU, XXI s.v. tratto).
1 Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
197
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
Trasformarme io in quella lettera, e nel calar giù, fermarmi
per strada, e servirle per pezzetta allo stomaco.
Oh, bell'occasione ch'avete perduto!
Piano, ne farem un'altra che piacerà a te ancora.
Quale?
Io vo' dormir con la patrona, tu con la serva, e Sambuco
con la lavandara, tutti tre in un tempo, e in un'hora.
Oh povera famiglia, che '1 montone gli darà di cozzo , et
ecco apunto Sambuco.
Con l'occhio del Ciclope ^*^", che va nel balsamo, o sorte, o
ventura, o Re Filippo'**', se tu mi donassi hora la... la... la...
uno spagnolo'**^, non l'accetterei! Che hai fatto, Sambuco?
SCENA OTTAVA
Sambuco, Farina, Pancratio.
SAMBUCO
PANCRATIO
SAMBUCO
PANCRATIO
SAMBUCO
Ho menato Cacaduro medico tutta questa mattina, cercan-
do per questo benedetto animale.
L'avete trovato, eh?
Signor sì. Dice ch'egli non conosce animai niuno ch'abbi
un occhio solo: tutti n'hanno due.
E per questo?
Per questo ho poi discorso fra me stesso, e dico che biso-
gna che sia un animale con la testa grande, e con gh occhi
piccoli, e due de i suoi occhi facciano per uno. Qual è
'^'^ il montone... cor^: il significato dell'espressione resta oscura anche se ricordiamo che
dare di co:^ significa 'venire a contrasto'.
18» occhio del Ciclope: l'ingrediente della portentosa ricetta di bellezza (cfr. atto 1, scena 4).
"" R^ Filippo: Filippo II di Spagna (morto nel settembre del 1598) o il suo successore
Filippo III; qui ha probabilmente un senso generico (vale cioè per 'Oh Filippo, re di Spa-
gna, se tu mi donassi tutte le tue ricchezze non le accetterei!').
'''^ spagnolo: Pancratio, dopo aver cercato un dono munifico, degno del sovrano di Spa-
gna (notoriamente ricchissimo in virtù dei giacimenti del Nuovo Mondo), non riuscendo
ad espnmerlo, si limita a citare una non meglio precisata moneta (forse circolante solo in
determinate zone con quel nome, o nemmeno mai esistita).
198
EdÌ2Ìoni critiche
FARINA
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
FARINA
SAMBUCO
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
SAMBUCO
PANCRATIO
quest'animale? È il porco. La testa, e gli occhi di porco,
non gU avete voi in casa?
SottiUssima consideratione! Insomma le liti ti fanno specu-
lativo. Sambuco!
Giusta, l'hai trovata apunto tu, l'espositor del Burchiello'** .
Dicono che fuor del mare, nelle caverne, si trova un ani-
male...
Un grancio.
...chiamato Ciclope, con un occhio solo, ma con giudicio
grande. E quanti porci hai veduti tu ch'abbiano giudicio?
Non ho visto mai se non voi io, ch'abbia giudicio grande.
E pur tu vuoi che sia un porco io!
Lasciate andar il Ciclope per adesso, e componete il secre-
to senza un occhio.
Sarà meglio per voi.
Tanto abbi fiato tu. Farina, ascolta da banda: va tu in casa,
accendi il fuoco, e metti in ordine una scuteUa, due pignat-
te, e una padella, poi vedi nello studio, sotto il letto, in uno
stivale antico, dov'è questa ricetta; cavala fuori, et aspetta-
mi, che adesso vengo su a metterla in ordine, quanto ch'io
mandi via Sambuco.
Adesso, adesso la trovo.
Ascolta, cercala con diligentia: l'ho cacciata quivi a posta
che non mi sia ritrovata.
V'ho inteso, sbrigatevi da Sambuco.
Orsù, Sambuco, in casa tua che si fa?
In casa mia niente, perché è serrata: ecco la chiave.
Dico, se ra\'versario ha citato ancora ad sententiam^^^ , per-
ché dubito che infra triduum, vel quadruplum relaxahitur manda-
'**^ l'espositor del Burchiello: commentatore del Burchiello (Domenico di Giovanni, 1404-
1449), autore di sonetti caudati di tipo burlesco, qui citato per il suo linguaggio fitto di nes-
si insoliti ed incongrui, svincolati dai reali rapporti tra le cose.
'*"* il secreto: la pozione.
'*^ ad sententiam: per la sentenza.
I Fidi A.manti. Comedia del Signor Francesco Podiani
199
tum cum amplissimo capiatur in personam rei^'^^, e forse cum fusti-
catione spallarum.
SAMBUCO Come (diavolo) la frustatone de le spalle! L'avemo a far
poi a gli altri, o gli altri la faranno a noi?
PANCRATIO Ti sarà fatta a te, se non fai meglio! Quanto è che non sei
stato dal notarlo?
SAMBUCO Ci son stato quasi ogni dì.
PANCRATIO EparlatoU?
SAMBUCO Sempre.
PANCRATIO Che t'ha detto?
SAMBUCO Non l'ho mai inteso, perché quando gH favello io, sempre
siamo a tre o quattro a dir insieme, e non posso considera-
re a chi si risponda di noi.
PANCRATIO E poi che gH dici allhora?
SAMBUCO Sto cheto.
PANCRATIO EtegU?
SAMBUCO Et egH resta.
PANCRATIO E tu?
SAMBUCO Et io mi parto.
PANCRATIO Con che risposta?
SAMBUCO Che non l'ho inteso.
PANCRATIO Buona, intanto che avemo a fare?
SAMBUCO Non lo sapete voi che séte procuratore?
PANCRATIO II procuratore é fatto dal clientolo, se tu mi ricordassi alle
volte qualche punto sottile, o qualche bistratto'"^, o qual-
che lacciuolo, da far incappar l'avversario, la lite sarebbe
finita hora.
186 ifjjra... rei: 'entro lo spazio di tre o quattro giorni sarà sciolto il mandato, con enorme
offesa per la parte in causa e forse con flagellazione delle spalle'. Si tratta, ancora una volta,
di un latino maccheronico, usato appositamente da Pancratio per stuzzicare Sambuco ed
impressionarlo con ancor più efficacia.
'"^ bistratto: 'doppio senso' o, semplicemente, 'imbroglio, raggiro'. Ne I Megliacà <ì\ Ma-
rio Podiani, l'Ugolini interpreta la parola bistratti come deverbale da bistrattare 'bistrattamen-
ti' (cfr. F. Ugolini, Il perugino Mario Podiani e la sua commedia '7 Megliacct" (1 530), In Perugia,
presso l'Istituto di Filologia Romanza, 1974, voi. II, p. 12, r. 16: « le astutie, i mezzi, i tratti,
i bistratti, le parolette (...)» e relativa nota voi III, p. 16).
200 Edizioni critiche
SAMBUCO Non vo' tendere qualche lacciuolo, che poi saltasse sul col-
lo a me.
PANCRATIO Ma costoro vogliono Litigare alla furbesca , e non essere
intesi; io ancora farò il medesimo col giudice, che non sa-
prà mai dove io vogHa riuscire: hanno a far con messer
Pancratio. Va' hor dal notario, e dilli che hahemus testes exa-
minandos sine nomine, et volumus admitti'^'^ .
SAMBUCO Non m'intenderà mai.
PANCRATIO Suo danno, e poi soggiungeli si nihil innovatum ab actore, peti-
mus assignari tempus saltem per quinquennium, et tempus interim
190
non currere .
SAMBUCO Non correrò, Signor no. Voltete che io gli dica altro?
PANCRATIO Non altro, dilli cotesto, e senti bene quel che risponde.
SAMBUCO Sì sì, e voi sentirete poi me.
(\''olesse Dio che io n'avessi inteso una parola, pensa se il
notario mi risponderà a proposito! Importa poco, la lite gi-
ra alla muta e alla sorda, e la sententia si caverà a sorte.)
IL FINE DEL SECONDO ATTO.
"^^ /ifigarr alla furbesca: condurre la causa con intesa maliziosa (cfr. GDU, VI s.v. furbesca).
"''^ habemus... admitti: 'abbiamo testimoni anonimi da esaminare e vogliamo essere rice\aiti'.
'■"' J7 nihil... non currere: 'se nulla è rinnovato dal curatore (o a\^'ocato), chiediamo che sia
assegnato tempo almeno per un quinquennio, e che il tempo intanto non corra' (cioè non
inizi ad essere conteggiato subito). In altre parole Pancratio vuole ottenere una proroga
che non parta da quel momento, in modo da dilatare ancor più i tempi.
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 201
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Lelio, Alessandro.
LELIO L'animo, Alessandro, mi fu sempre presago del male. Ti
giuro che non fui saUto più presto le scale di quel palazzo,
che subito diffidai che questo mezo fosse più buono al mio
dissegno.
ALESSANDRO Passasti da estremo a estremo. Insomma, dove pare che
sicuro si corra, ivi spesso s'inciampa. Oh che discorsi erano
i nostri! Mille volte t'ho detto che altri che LeHo attendeva
con OHnda, e tu sempre ostinato a non volermi credere .
LELIO Hor ecco che tu stesso hai sentito (se però non fingi)
ch'Erminio piange e si tormenta per OLinda.
ALESSANDRO Fingere eh? Io ti dico che mentre tu ragionavi con lo scal-
co''^^ di Sua Eccellenza, io m'era accostato alle stanze di
Erminio per aspettarti, e stando così sopra pensiero, sentì
dentro una voce lamentarsi amaramente, e curioso di veder
chi fosse, mirai per la fessura dell'uscio, e vidi Erminio,
quasi immobile con gli occhi a terra, e con le braccia chiuse
al petto piangere dirottissimamente.
LELIO Oh!
ALESSANDRO E se bene le parole non si potevano tutte intendere, per li
singulti che le interrompevano, tuttavia sentì dirli: "Olinda
mia, potrà mai essere che tu non sì più mia? Olinda, spirito
''^' Mille... credere: nella stampa la battuta è attribuita a Lelio, insieme a quella immedia-
tamente successiva, ma ho ritenuto di dover apportare questa correzione poiché la frase in
oggetto è incompatibile al personaggio, che si è già presentato allo spettatore come un tipo
caparbio e, soprattutto, sprezzante dei consigli e delle remore che gli vengono poste.
'^2 scalco: nelle corti servitore addetto a trinciare le carni cucinate e a servirle ai conN^tati;
spesso, durante i banchetti, ciò avveniva attraverso vere e proprie esibizioni. Era dunque
una mansione molto onorevole nella società del Medioevo e del Rinascimento (cfr. almeno
Ariosto, Satire, I, w. 142-150 e II, v. 262).
202 Edizioni critiche
del cuor mio, sarà mai possibile che sinistro alcuno mi ti
tolga? Vita della mia vita, mi lascerai tu mai? Io te non già;
e se bene mancarà questa voce, questo spirito, e secarò
questi occhi, eternamente voglio esser tuo, et hora farò
quanto potrò, ch'altri non t'abbia, sia che \aiole, seguane
ogni male, perdasi la vita..." e simili altre parole. Basta, che
volea inferire '^^ che dubita che qualcheduno non gliela tolga.
LELIO Dunque ne segue che già sia sua. Ma non potrebbe egli di-
re di qualch'altra OHnda? Non può essere che in Salerno ce
ne sia più d'una?
ALESSANDRO Può essere, ma credi pure che d'altra non \aiol inferire, che
di OLinda di corte.
LELIO Per questo non mi vo' perder d'animo. Andiamo a conferirlo
con la Signora Almira, che qualche cosa ne potrebbe sapere.
ALESSANDRO Andiamo, ma sarà quel che io t'ho detto.
SCENA SECONDA
Manfredo, Valerio.
MANFREDO Non si deve abusare la cortesia del Signor Prencipe: è poca
creanza d'Olinda non voler andare sino al giardino a dipor-
to, quando Sua Eccellenza la fa chiamare. Io non credo già
che sia per sentirsi indisposta, com'eUa dice.
VALERIO Et io, Signore, credo potervi assicurare ch'ella non sia re-
stata per altro, che per non potere: ella è di natura malin-
conica, e perciò spesso cade inferma d'una passion
d'animo che la occide.
IMANFREDO Ancor che questo fosse, poteva sforzarsi d'andare, per dare
soddisfattione al Signor Prencipe, il quale è per pigliarne
ammiratione , e forse non potrà credere il suo male.
''-'^ inferire: significare, far capire.
^'■* è per pigliarne ammiratione: 'si meraviglierà'.
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
203
perch'egli vede che quanto più cresce l'affettion di lui, tan-
to più manca la diffidenza di lei. O poco accorta!
VALERIO E gran cosa, Signore, esser stata sempre sotto la cura di
padre e madre, et hora vedersene priva, e star nelle mani di
chi non ha più visto né conosciuto.
MANFREDO Vattene hora al giardino, e fa intendere a Sua Eccellenza la
sua indispositione, e che per ciò non è potuta venire. Io di
qui a poco sarò là. Sollecita!
VALERIO Ecco che vo'.
MANFREDO Erminio, tu per mostrare grand'affetione al Prencipe^'^'^, e
per levarlo dal suo proponimento, procuri l'alterezza
d'OLinda: guardati, ch'è troppo! Ogni estremo è dannoso!
SCENA TERZA
Erminio, Olinda.
ERMINIO Nessun si vede: venite pur sicura. La scusa ch'abbiam pen-
sata, voi di cercar Valerio, et io d'avervi qui trovata a caso,
è bonissima se alcuno ci vedesse. Oh Soffronia, pietosa
delle nostre disaventure, forse sei tu che ci dai hora questa
commodità di poter stare insieme breve momento!
OLINDA Non so, Erminio mio, se queste lacrime, e la gran novità
che mi fa hora la presentia vostra, mi lasceran respirar tan-
to, ch'io possa formar parola, e dir brevissima parte di quel
che vorrei.
ERMINIO Gran sorte è questa mia (poi che sta sera il Prencipe, e la
corte non torna a palazzo, et il Signor Manfredo è occupa-
to altrove) di poter sfogare quest'animo appassionato, et
aiutar lo spirito che langue, che sento io com'hora la
'^^ manca la diffiden:(cr. probabilmente si tratta di un errore di logica da parte dell'autore,
spiegabile solo come guasto polare. In realtà la frase dovrebbe essere: "tanto più cresce la
diffidenza" oppure "tanto più manca la confidenza".
^'^^' per mostrare... Prencipe: cfr. atto 2, scena 5.
204
Edizioni critiche
presentia vostra lo soccorre, e lo ra\^àva. Ditemi, Olinda,
come séte qui condotta? Che animo risoluto, che cuor in-
trepido è stato il vostro, donna e giovinetta, di lasciar la pa-
tria et i parenti, e così lontana e sola, venire a confondermi
di maraviglia, e di mestissima allegrezza!
OLINDA E voi che error faceste, e che error feci io, che foste dato
in preda al mare, per fare il corpo vostro, et il cuor mio in-
sieme cibo de' pesci? Ma fu possibile che il legno mille volte
non si sommergesse, e voi non precipitaste? Che maraviglia,
che stupore, come vivo qui capitaste? Forse per dar fine alle
miserie nostre, e goder insieme quell'honesto amore, e quella
cara libertà, che con tanto desiderio abbiamo aspettata?
ERIVIINIO Voglia chi può, che finiscano homai le nostre disavventure,
et i meriti di tanta fede non siano almeno defraudati, ma
perché sempre la fortuna al ben minaccia, e nelle maggiori
dolcezze nasconde il veleno, perciò la speranza non può tan-
to lusingarmi, che nel mezo di quella non mi turbi, e spaventi
un importuno sospetto che, ancor non satia, la fortuna voglia
sfogar l'ira sua e lasciarne essempio d'infinita miseria.
OLINDA Deh, non vogHam noi stessi augurarci il male, che pur
troppo ne abbiam sofferto! Questo caso sì grande non può
dar segno d'infelice successo: ecco dove io tenea voi per
morto, e voi me per perduta, m un istesso tempo, in un
medesimo luogo, io ritrovo voi vivo, e voi me racquistate.
Oh che allegrezza suprema sarebb'hora la mia, se dopo
tante angustie, e miU'altre ancora che ne potessi soffrire,
fossi sicura che una volta poi aveste ad esser mio!
ERMINIO Et io fortunato che sarei, se le miserie mie fossero maggio-
ri, ma terminasse quel gran timore che ho di vedervd in po-
ter d'altrui! Ho dubitato spesso che l'aere, che l'ombra mi
vi togHano: era vano il sospetto, e pur mi tormentava, ma
hora che altro che ombre, e vanità mi spaventano, che sta-
to può essere il mio? Sia stato (se può) anco peggiore, che
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
205
felice sarei se potessi assicurarmi di non vi avere finalmen-
te a perdere!
OLINDA E sì fondata, e ferma in me questa risolutione, c'ho
d'essere di voi solo, che non avete a dubitare che mai per
accidente, o sinistro alcuno, vi manchi quel possesso di me
che una volta vi obligai; non preghi, non minacele, non in-
giurie saranno potenti mai a levarmivi dal cuore: per voi
son nata, per voi son vissa , e per voi viverò sempre, fin
che gli ultimi sospiri mi serreran questi occhi.
ERMINIO Et io, che ogn'altra cosa dopo voi tengo vile, e di niuno
conto, e tanto ho spirito e vita quanto penso di contentar-
vi, non quietare mai fin che o non s'attenghi il desiderio
nostro, o non finisca la vita. L'amor mio passa ogni termi-
ne: non sospetti, non rispetti, non timori aranno mai forza
di potermi da voi disunire (col cuore al certo, se sarà impe-
dita la vita). Ma oimè, quel che hora mi fa sentire dolore
estremo, è che hora vedo per voi ' apparecchiarsi l'ultima
mina mia.
OLINDA E chi sarà così insensato, e privo di giudicio, che creda che
un amore, et un ardore radicato nelle più scerete parti del
cuore, possa svellersi mai, o mutarsi per fortuna alcuna?
Voi che a miUe prove avete veduta la costanza, e la fer-
mezza mia, voi che sapete quante lacrime ho sparse, quanti
sospiri ho essalati, e quante disperationi, e voglie di morire
per voi ho sentite, potete bene assicurarvi che d'altri che di
Erminio non sarà mai Olinda.
ERMINIO Non no, Olinda, son sicurissim'io della vostra fede, e son
certo che quello che può dipendere dall'animo vostro, sia il
mio volere istesso, ma non basta: altro mi preme, ahi, che
più presto lascerò questa corte, e questo Prencipe, e
''^^ vissa. vissuta. Ricordiamo che il participio passato visso, modellato sul remoto, era
stato condannato dal Bembo come forma che "della lingua non è", e tollerato unicamente
in poesia grazie all'autontà del Petrarca (cfr. Pietro Bembo, Prose della volpar lingua. III, 32).
'^^ per voi: 'per causa vostra'.
206
Edizioni critiche
mancherò all'obligo mio, che io sia per patir mai di veder-
mi far torto alcuno. So ben io quello che dico, e voi
m'intendete.
OLINDA L'obligo ch'avete col Precipe è grandissimo per molte gra-
tie che n'avete ricevute, ma s'egU voless'hora impedire i
nostri disegni per interesse proprio, séte in obligo di risen-
tir\à, e non sarete tenuto ingrato (quando si sapranno i se-
creti nostri) se '1 Prencipe resterà di voi mal sodisfatto. Ma
che? Non bastarò io sola a romperli in questa parte ogni
pensiero?
ERMINIO Oimè, ecco il colpo che mi passa l'anima! Siamo nelle sue
mani, e dove è forza, non vai difesa , e questo sarà cagio-
ne che poca stima io farò del mio Signore. Oimè, vederlo-
mi rivale, et esser Prencipe!
OLINDA Signora eccomi, hora vengo a voi. Soffronia mi chiama, vo'
Erminio, ma che dirò?
ERMINIO Andate, e ditele che séte qui fuora per cercar Valerio. Ma
troppo presto mi lasciate!
OLINDA Col cuore non mai, ma consolatevi, che una volta ogni co-
sa ara fine.
ERMINIO Non mai le miserie mie.
OLINDA A Dio ben mio!
ERMINIO A Dio mio cuore!
SCENA QUARTA
Erminio, Almira, Concordia.
ERMINIO Mio cuore a Dio! Oimè, come mi lasci! Perduto, confuso, e
nelle tenebre sepolto, quest'aere, questo contorno c'hor
hora era sì chiaro, e sì bello, come presto alla partita di
'^■^ dove... difesa: secondo il noto proverbio 'contro la forza non si può andar' (cfr. Bog-
gione-Mas sobrio, Di:^onano dei proverbi. I proverbi italiani organi^^ti per temi. Tonno, UTET,
2004, IX.8.9.15).
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
207
ALMIRA
CONCORDIA
ERMINIO
ALMIRA
ERMINIO
ALMIRA
ERMINIO
ALMIRA
CONCORDIA
ERMINIO
ALMIRA
quelle vaghissime luci, è diventato torbido, et oscuro! E
pur viverei contento senza di te (o mio bel sole) pur ch'io
fossi securo che ad altri tu non splendessi. Mura, porte,
ferri, che dentro a voi lo tenete, et a me ne fate sì breve
mostra, quanta invidia vi port'io per non poter con voi (fe-
lici che siete!) cangiar sorte, e formna.
È pur esso! Fermati qui Concordia.
Ah, ah, ci starai alla fé'!
Hor ecco chi vien per consolarmi. Oh che affanno insop-
portabile!
Ben trovato, Signor Erminio! Non vi turbate, ch'io non
vengo per incommodarvi.
Aknira, se volete niente da me, ditelo presto: non voglio
esser veduto qui in strada trattar con voi, per buon rispetto.
Ah Erminio, non occorre far il ritroso, no. Io conosco che
di me fai hora queUa stima, che di cosa vile, et abominevo-
le, ma ho ben speranza che...
Vi dico che non ho tempo adesso a sentire i vostri lamenti:
serbateli per un'altra volta! Se non volete altro da me, a
Dio!
Tu non ti partirai, traditor, no!
Uh, come le fumano le narici del naso!
È che avete troppo dell'importuna! Non convien sempre
in ogni tempo e in ogni luogo farsi da capo con queste vo-
stre cantafavole^"", e sono homai tanto satio, che non le
posso più sentire! Insomma, che volete da me?
Ah crudele così meco, eh? Stratiarmi, consumarmi, ucci-
dermi, senza ragione, innocentissimamente. Ah che gentil-
huomo d'animo generoso! A cavalier d'honore si disdice
trattar così una povera donna, che non ha chi mostre le sue
ragioni, e la difenda.
cantafavole: racconti lunghi ed inverosimili, ciancie (cfr. GDLJ, II e DELI, I s.v. cantare).
208 Edizioni critiche
CONCORDIA Oh se fosse sicuro il campo, grand'assalto a stocco e targa " .
ERMINIO Avete altro da dire?
ALMIRA Se tu volessi ascoltarmi, e lasciarti penetrare al cuore il
suono de i miei giustissimi lamenti"' ", e non com'aspe "
serrar l'orecchie per star nella tua impietà, senticesti nuova
crudeltà che m'usi, poiché a torto tu mi lasci, e senza pietà
m'abandoni, Erminio crudele!
ERMINIO Lascia la cappa^""*, Almira: conosc'io che farem correr la
gente! Mi voglio partire.
CONCORDIA Tienlo, Patrona, che ti fugge!
ALMIRA Oimè, se m'hai ferito, voltati almeno per vedere la piaga
c'hai fatta, e se non è mortale, dura nella tua alterezza, che
mi contento! Orsù, fammi gratia, su, che altro non ti chiedo,
ascoltami due parole sole sole, questo mi basta. Ti conten-
ti, Erminio?
CONCORDIA Sì, dillo, sì.
ERMINIO Orsù, finiamola di gratia! Parla che ascolto, su!
ALMIRA Senti come l'ha detto!
ERiMINIO Orsù, a Dio.
ALMIRA E possibile, Erminio, che tu abbi il cuore d'una tigre ^ , che
a questa misera che t'adora tu sii così crudele? Perché non
pensi una volta sola al gran torto che mi fai
d'abandonarmi? Che t'ho fatto io, Erminio, che t'ho fatto?
2"^ stocco e targar, rispettivamente arma bianca a lama lunga e dritta, a sezione triangolare,
con punta molto acuta e piccolo scudo di legno rettangolare o ovale, rivestito di cuoio o
tessuti, usato nei tornei del tardo Medioevo e del Rinascimento.
^^^^ giustissimi lamenti: sottile eco dei giusti prieghi di matrice dantesca e petrarchesca (cfr.
Dante, Par., X\\ 7; Petrarca, RIT, CCLXXXM, 10; Tnssino, La Sophonisba, v. 422).
2'^^ com'aspe: come l'aspide, il serpente che, secondo i bestiari medievali, poggia un orec-
chio a terra e si tura l'altro con la coda per non udire l'incantatore (cfr. Bibbia, Salmi, L\"II,
5-7). In poesia è un elemento tipico delle lamentazioni amorose che mirino ad accentuare
la crudeltà dell'amante (cfr. Poliziano, Rime, IV, v. 4: «un ba\alischio, anz'un aspido sor-
do!»; CMII, V. 27: «Quella bella aspida sorda»; Pulci, Morgante, XIV, 83, v. 5: «l'aspido sor-
do, freddo più che lastra»).
-"^ Lascia la cappa: Almira tenta di trattenere Ermimo afferrandone il mantello.
2**^ il cuore d'una tigre: per la lunga tradizione precedente cfr. Parabosco, Il Pellegrino, atto
2, scena 7 e relativa nota.
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
209
Dillo pure, che se in qualche modo t'avrò offeso, mi farai
conoscer l'error mio, e ne patirò la pena volentieri.
ERMINIO La mia sì ch'è pena!
ALMIRA Confesso che le tue gratiose honeste maniere, i tuoi dolcis-
simi costumi, il girar solo di quelle vaghissime luci, ti fa-
rebbono meritevole che una Regina, una Imperatrice
t'amasse, ma io che povera, vile, e minima sono, con la mia
ignoranza, col mio poco sapere, non l'ho debitamente ho-
norate: ne son colpevole, ne merito castigo, ma oimè, il
privarmi della tua gratia è troppo duro, e troppo insopor-
tabile! Portarò per te volentieri tutti gli affanni, gli stenti, e
le miserie del mondo, ma il lasciar d'amarti, non mai, e
d'honorarti per unico Signore de la vita mia perché non es-
sendo questo in mio potere, non posso a ciò dispormi, e
quando anco potessi, prima ch'io imparassi a fuggire la tua
bellezza, imparerei (fuggendo me stessa) d'esser crudele nel
sangue mio. Deh cangia, cangia per pietà quell'indurata vo-
glia d'abandonarmi^^"', altrimenti presto ti perderai " questa
tua fedelissima serva, vassalla, tributaria, e schiava, che
t'ama, t'osserva, ti riverisce, e t'adora.
CONCORDIA Possa io morire, se non si dirizzasse un colosso caduto! Il
cucco tien l'aH basse"' !
ALMIRA Tu sai bene che lo sviscerato amore ch'io ti porto non è
nato in me né per lascivia, né per interesse alcun particola-
re (come suole nelle nostre pari avvenire) ma solo per i
meriti tuoi, i quali, poiché per la bassezza de la mia fortuna
non ho potuto con altro, almeno gli ho compensati col
2'"' indurata voglia d'abandonarmi: cfr. Dolce, Didone, atto 3, scena 7, w. 1158-59: « (...) e
questa fera voglia / da l'indurato cor fugga e diparta».
2"^ ti perderai: probabilmente nel senso di 'vedrai morire'.
2i'8 // cucco... basse: 'il beniamino è fiacco, privo di slancio'. Concordia equivoca voluta-
mente tra i due significati di cucco, 'persona prediletta' (cfr. Machiavelli, Mandragola, prologo:
«un parassito di malizia el cucco»; Pulci, Morganie, XIX, 141, v. 6: « che tu se' il cucco mio
per certo e '1 drudo»; XXIV, 103, v. 6 ecc.; Poliziano, Rime, CXII, 5: « Già credetti essere il
cucco») e 'babbeo', anche se è facile supporre un doppio senso malizioso.
210
Edizioni critiche
ERMINIO
ALMIRA
ERMINIO
ALMIRA
ERMINIO
CONCORDIA
ALMIRA
mantenermi casta dal giorno in qua che ti conobbi, solo
per esser meno indegna d'amarti e per adherirmi a l'honor
tuo, che meco ti mostrasti sempre un essempio di castità, e
continenza.
Oh!
E quante volte, nel sentirti dolcemente discorrere, con quel
gratiosissimo sorriso, mi ti sono accostata per darti un
mendico bacio^^'', e poi per dubio di non dispiacerti me ne
son contenuta, e son certa, non potendo aUhora adempiere
quella gran voglia, che mille immagini mi s'imprimevano
nel cuore della tua bella effigie, immagini che ancor vive in
esso conservo. Vorrai dunque lasciarmi morire, e senza
pietà te uccider te stesso nel cuor mio? Rispondi, Erminio!
Lo farò, OHnda, e lo vedrai!
OHnda, eh? Ah, Erminio, guardati dal vitio dell'ingratitudine,
fuggi l'ira del Cielo, e pensa sol questo: tu sei l'idol mio" ",
a te ho donato i pensieri, le vogHe, l'anima e '1 core, per ri-
compensa m'odi, mi discacci, o m'abandoni: puossi sentir
peggio? Deh non Erminio mio, lascia tanta durezza, fuggi
l'ostinatione, consolami con un dolce sguardo, et un gra-
tioso sorriso, e poi dimmi: "Vanne gratiata Almira, che de-
pongo il rigore, e son più mo che mai". Dillo, Erminio!
Va, disgratiata Almira, che il rigore non depongo, per tuo
non son stato, né sarò mai. Lasciami!
Oimè, la Patrona ha bisogno del pesto^"!
Ah perfido, iniquo, d'animo basso, brutto, e plebeo, non
so com'hor mi tengo di non andar gridando per questa
corte che tu mi tradisci e m'assassini! E che vorresti,
2"^ mendico bado: 'sporadico (letteralmente 'scarso, povero') ed implorante bacio'.
-'" l'idol mio: cfr. Petrarca, RKF, XXX, v. 27: «L'idol mio scolpito m vivo lauro» e Tas-
so, G.L., XVI, 47, w. 7-8: «fedele / sono a te solo, idolo mio crudele». Si noti come, in
generale, tutta la battuta risente dell'episodio del canto X\T[ della Gerusalemme Liberata.
^" del pesto: vivanda composta di carne tritata (spesso di pollo) stemperata nel brodo e
somministrata ai malati per l'alto valore nutritivo e la digeribilità (cfr. anche Aretino, L^
Cortigiana, atto 2, scena 11: <tMaco sta per voi a pollo pesto»; Il Marescalco, atto 1, scena 5).
1 Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
211
crudele? Vedermi morir qui hora, come tua capitalissima
nemica? Ma perché ti son nemica io, Erminio mio? Perché
troppo t'amo? Perché senza te non so vivere? Vincerò io
questa pugna, t'amarò più che mai, e tu più che mai mi sa-
rai inimico, e col privarmi di te, m'ucciderai, su, e che sarà
poi? Che prova arai fatta? Su, uccidemi adesso, uccidemi:
eccoti il petto"'", contentati, sàtiati, barbaro crudele , sen-
za pietà e senza fede!
ERMINIO Oh pazzo ch'io sarei, a non finirla mai: ho altro in capo
che i fatti tuoi!
ALMIRA Lo credo, scelerato traditore, ma va', che poco ti vanterai
d'avermi così trattata! E pur vero, sfortunata, quel che Le-
lio mi ha detto di questa Olinda; hor hora me ne voglio
andare dal Prencipe, e farlo consapevole della trama secre-
ta che è fra te e costei, scelerata ancor essa. Concordia, do-
ve sei?
CONCORDIA Eccomi, non mi vedete? E ben, c'avete concluso? Verrà
questa sera a casa, eh?
ALMIRA Così non vi fosse mai venuto. Vienne, c'hor hora gli vo'
fare quel ch'egli merita, furbo !
CONCORDIA Furbo di razza nobile, merita il marchio .
212 eccoti il petto: cfr. Gonzaga, Fido Afflante, VII, 58: «Stendi il ferro, crudele (...) eccoti il
seno / e '1 nudo fianco per morir costante».
2'5 sàtiati, barbaro crudele: cfr. Boiardo, Inafftoraffiento de Orlando, I, XII, 79, v. 4: «\'^ien, sà-
tiati, crudel, del mio dolore!».
'^^^ furbo: 'visto che si ritiene cosi supenore e scaltro'.
2'^ ffìerita il ffiarchio: 'merita un distintivo' (precisamente il bollo a fuoco che veniva im-
presso su di una parte del corpo di alcune persone per esibire pubblicamente la loro con-
dizione di ladro, schiavo, ruffiano, prostituta...). Si ncordi comunque che il TB registra y«r-
bo bollato con il significato di 'uomo accortissimo'.
212
Edizioni critiche
SCENA QUINTA
Sambuco, Pancratio, Farina.
SAMBUCO
PANCRATIO
FARINA
SAMBUCO
PANCRATIO
FARINA
Hòllo sempre detto in secreto io, che questa Hte assassina
mi mandarà un dì in galera '! Oimè, che me n'ho veduta la
capia^'^ cento volte innanzi! Oh rovinato me, oh povere
spalle, oh disgratiate braccia, oh remo cornuto"'^ che mi
verrai per le mani! Or Htiga, Sambuco, or fidati de' Procu-
ratori! Hai sentita la sententia tu? "Sambuco ha ragione, e
gH facciam ragione, e rendemo il suo possesso, ma fira
un'hora vada in galera per tre anni senza repHca^'^ ninna,
per dar soddisfattione a la parte". Oimè il notario (che me
l'ha detto) dice che se '1 procuratore non s'appella, non c'è
più rimedio... credo che voglia dire ch'egH si pela, ma il
traditore non si vorrà pelare! Oimè che la porta è serrata, e
sua Signoria non ci sarà. Vo' battere almeno. Tic, toc, tic.
E chissà che non ci abbia da venire ancor egH, e si sia ser-
rato dentro per non esser ritrovato! Può essere, perché
siamo stati tutti due a litigare. Tic, toc, tic, toc. Se mi ri-
sponderà ci sarà, una volta^^*^.
Oh Farina?
Oh Signore.
(Che t'ho detto io?)
Non senti che si batte a la porta?
Signor sì. Volete che io risponda?
'^^'' galera: nave a remi e vela, con scafo lungo e stretto, da trasporto e da guerra, usata
dal tempo dei Greci al Settecento. Vi si impiegavano come rematori i criminali condannati
ai lavori forzati (di qui l'accezione di 'luogo di pena' usata oggi).
2'^ capta: dial. di cappio.
^'^ remo cornuto: 'maledetto remo'.
2'^ replica: giuridicamente è lo scritto difensivo con il quale l'attore nsponde agli argo-
menti avanzati dal convenuto.
22" Se... una volta: 'Se mi risponderà vorrà dire che è in casa, una buona volta'.
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 213
221
SAMBUCO Son io, son io, amico, e compagno per terra e per acqua
Tic, toc.
PANCRATIO Oh oh Farina?
FARINA Oh oh Signore.
PANCRATIO Colui non ha discretione con quella porta.
FARINA Che volete ch'io gli faccia?
PANCRATIO DiUi ch'io son riserrato nello studio, perché domani si ha
15 222
d avocare .
SAMBUCO (Oimé, senti s'è vero: domani s'ha da vogare, e s'è riserrato
nello studio per paura!) È Sambuco, è Sambuco, o misier "
Pancratio apritemi, che ho fretta!
PANCRATIO Sbrigati, porta giù la pignata, e la mescola, che stia m infu-
sione quella semenza, che di qui a un'hora ne bisogna ca-
224
var acqua .
SAMBUCO (Vòila più chiara? Dice che la sententia sta in confusione, e
di qui a un'hora, bisogna rappar l'acqua ! Oh disgratiato!
Un'hora mi posso dar bel tempo, e. finis per tre anni!)
FARINA Volete una pignatta c'ha rotta la bocca?
PANCRATIO Rompiti il coUo e vien giù prestamente.
SAMBUCO (Sollecita che bisogna pelarsi innanzi che passi l'hora!) Tic,
toc, tic, toc.
PANCRATIO Farina, mi farai dire qualche pazzia! Caccia via colui da
quella porta!
FARINA È Sambuco che vi vuol parlare.
22' compagno per terra e per acqua: vale a dire 'compagno di sventura', con allusione alla
possibile condanna alle galere.
222 avocare: avvocare, perorare una causa in tnbunale.
22'* misier. messer.
22-* Sbrigati... acqua. Pancratio sta seguendo scrupolosamente tutti i prcparafixà necessari
alla realizzazione dell'elisir che dovrebbe renderlo attraente (cfr. atto 1, scena 4), dando
però modo a Sambuco di portare avanti il suo gioco degli equivoci incardinato sullo stor-
piamento di appellare in pelare.
225 rappar l'acqua: increspare la superficie dell'acqua col remo (cfr. GDLl, XV s.v. rappa-
re, da rappa 'ruga, grinza').
214
EdÌ2Ìoni critiche
PANCRATIO
SAMBUCO
FARINA
SAMBUCO
FARINA
SAMBUCO
PANCRATIO
E Sambuco si sia, se ci venisse mio padre, non vò badar
con lui; se vengo su a cotesta fenestra, gH vo' tirar con un
mortaro'^'' sul capo.
(S'è armato di sasso, et ha carcato le fenestre co i mortari!)
Olà, non date fuoco, non sparate ancora! Oh Farina?
Chi è la giù? Corpo del mondo, Sambuco, hai rotto ancora
quella porta? Fra '1 battere e '1 gridare hai cacciato dello
studio il Signor Procuratore!
La necessità me '1 fa fare! Di gratia, fratello, da parte de ste
povere spalle, che non s'hanno ancor faticato più, vieni ad
aprirmi la porta!
La porta ha serrato i denti; se non si sganassa^^, il padrone
non \Tiole che s'apra.
(Oimè che ogni cosa mi par acqua, remi, biscotto"^^^, e ba-
stone; mi pare di vagheggiarmi^'^ a i piedi quella collana
d'oro falso '^!) Oh Signor Procuratore, Signore! Sì apunto,
vorrà che ci vada io solo, e non è giusto! Oh, eccol fuora!
Potta , che l'ho avuto a dir^^^, Sambuco: tu sei più impor-
tuno che quattro soHcitatori insieme. T'è stato pur detto
che ho faccende, e se non t'è stato detto te lo dico io: ho
faccende, non posso badar con te, scrivo, studio, fo peg-
gio, non lo vedi? Non vogHo esser visto in casa, non vogHo
esser trovato in casa; se mi vuoi, cercami fuora.
226 mortaro: Pancratio si riferisce al recipiente usato in cucina o farmacia per frantumare
le sostanze, mentre Sambuco nella battuta seguente intende l'arma a canna corta e larga
usata per tiri a traiettorie molte curve.
227 sganassa. rompe, sganghera (letteralmente 'non si rompe le mandibole, le ganasce').
228 biscotto: pane sottoposto a duplice cottura per eliminare completamente l'umidità e
renderlo conservabile più a lungo, detto anche 'galletta'; com'è noto era il pane dei marinai
e dei galeotti.
22'^ mi pare di vagheggiarmi: 'mi immagino, mi pare di vedere'.
23" oro falso: di materiale che nel colore e nella lucentezza richiama il prezioso metallo.
Dunque Sambuco si vede già incatenato.
23' 'Potta: ingiuria frequentissima in Ruzante e, in generale, nei testi comici.
232 Fho avuto a dir. 'avevo ragione io a dire'.
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 215
SAMBUCO Sarem trovati dentro insieme qui a un'hora, se non vi gio-
verà far il cuoco con la padella, e con le pignatte sulle ma-
ni: bisogna pelarsi.
PANCRATIO Mi vo' pelare, mi voglio imbalsimare; che xiioi dir per questo?
SAMBUCO Mi piace. Che ci avete nelle pignatte? Orpimento"^"* eh?
PANCRATIO Vi ho il mal anno che Dio ti dia! Che vuoi saper tu se nel
secreto ci va l'orpimento? Chi te l'ha detto?
SAMBUCO Me l'ha detto il notarlo, e che non può giovar altro che pe-
larsi. Io ho poi trovato mastro Inchioda marescalco, e m'ha
detto che per farlo senza dolore, ci vuol l'acqua bollita, e
l'orpimento infocato, che ci poHrà, e monderà tutto da ca-
po a piedi: parrà che nasceste hieri.
PANCRATIO Oh sto fresco io! Che se vo' gire a ca', l'ho avuto a dire,
l'abbiano a sapere i marescalchi! E al notarlo chi gH l'ha
detto?
SAMBUCO II Giudice, e gH l'ha data in scrittibus, et egH l'ha letta a me in
presentia mia.
PANCRATIO Come te la può aver letta, se l'ho io qua su che la metto in
opra?
SAMBUCO Se vi mettete in opra, vi ci metterete così solo?
PANCRATIO Chi ti ci chiama te?
SAMBUCO II giudice e '1 barigello^'*'*, c'homai lo deve saper ancor egH.
PANCRATIO A l'altra"^^, ne sei cagion tu, che sempre mi vai anasando
per tutto, né mi ti posso mai levar d'intorno. Vatti con
Dio, lèvamiti dinanzi!
SAMBUCO Sì sì, vorreste fare il male in compagnia, e ne fosse castigato un
solo, e voi uscirne. Oh belle ragioni! Si saprà bene che vi
séte vestito da poltroncion , sì!
2^^ Orpimento: trisolfuro di arsenico naturale; era usato come sostanza depilatoria in
conceria o cosmetica.
2'^ barigello: magistrato che nel comune medievale aveva funzioni di polizia.
235^/'^//ra:cfr. n. 171 p. 195.
23<* anasando: fiutando, curiosando. E voce dialettale.
2'*'^ poltroncion: furfante.
216
Edizioni critiche
PANCRATIO
SAMBUCO
PANCRATIO
SAMBUCO
PANCRATIO
SAMBUCO
PANCRATIO
SAMBUCO
PANCRATIO
SAMBUCO
PANCRATIO
Che poltroncione? Posso far quel che voglio in casa mia, e
sei piedi lontan dalla porta, de iure^^^ messer sì.
Messer, no, contra iuribus , o avemo a esser castigati tutti
due insieme, o non l'ha da scampare né l'uno né l'altro. Oh
disgratiato, che ho sentito quel maladetto fischio"*'!
Orsù, in nome del diavolo, le pignatte son rotte, e sparso
ogni cosa! Raccogli quella padella, che tu sia amazzato!
M'hai spaurato con quel grido.
Ve lo credo: è mala cosa pensare di stare in galera.
Chi in galera?
Per tre anni la Signoria vostra, e la mia. Non sapete la sen-
tentia?
Che sententia? l>iego, reprobo~ , appello, bis, tris, centum millies,
■ 242
tottes cuoties , e cetera.
Non più tris e bis, che con quella favella diabolica"'*^ ci al-
longheranno il tempo di tre anni, e saran sei.
Mettiti in ordine, che vo' che tu compariscili hor hora co-
rani indice, et appresentando meam vicem^'^ tu difenda Sambuco,
e dichiari la sententia nulla tamquam non citata parte' .
Non ci vo' comparir io: più presto mi manderebbon via,
che mi pigUassero""**^.
Va sopra di me" , che ti fo mio sostituto, e se te n'awien
mal nesuno, dì che son stat'io.
2^** de iure: 'a buon diritto' (dal linguaggio giuridico romano, per indicare un'azione
compiuta in base a un diritto legittimo e riconosciuto dalle norme).
2^^ contra iuribus: 'senza riguardo ai diritti' (e alle regole grammaticali del latino, ovvia-
mente ignorate da Sambuco).
-^" maladetto fischio: Sambuco teme che questo fischio (di provenienza non precisata) an-
nunci l'imminente arrivo delle guardie incaricate di catturarlo.
^"*' reprobo: 'ricorro'.
2-*2 toties... cuoties: storpiamento della formula latina classica totiens... quotiens 'tutte le volte che'.
-■*^ quella favella diabolica: il latino. Sambuco inizia ad essere irntato dall'uso che il Procu-
ratore fa di una lingua per lui incomprensibile e misteriosa, di cui intuisce però tutto il potere
oppressivo a scapito dei più deboli. Inoltre vuole dire la sua anche a proposito del latino.
2"*"* coram iudice, et appresentando meam vicem: 'davanti al giudice, e dichiarandoti mio vice'.
^■*^ nulla tamquam non citata parte: 'nulla in quanto la parte non è stata convocata'.
~'^^' più presto... pigliassero: 'mi manderebbero alle galere prima ancora di prendermi'.
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
217
SAMBUCO È meglio che ci andiate voi, e se bisogna anco in galera,
perché voi ci sarete rispettato, et io non mai.
PANCRATIO Vien dentro, che vo' che ci andiamo insieme adesso ades-
so, quanto ch'io mi rivesta. Tien ben quella padella: due o
tre volte me l'ho vista attaccata sul mostaccio" .
SAMBUCO Importeria poco, e saria forse meglio che ne tingessimo ^'''^
amendue, per non esser conosciuti. Di gratia, usciamo per
la stalla: non ho altra paura che di Sambuco io.
SCENA SESTA
Lelio, Gasparo.
LELIO Non vo' più consigli, né tuoi, né d'Alessandro. Non mi dir
altro che: "Perdi tempo!"
GASPARO Io non vi chiedo altro se non che vogliate trattenervi un
giorno solo, e poi fare quel che vi pare: è sì gran tempo
questo?
LELIO Alla risolutione sempre nocque l'indugio. Fa' quel ch'io
t'ho detto e non cercar altro.
GASPARO Avvertite Signor Lelio, che quando la cosa è fatta non gio-
va più il pentirsi, e le cose ben pensate sempre riescono a
buon fine; io come servitore (che vi sono) son obUgato a
ricordarvelo. Vogliatemene male, che io non ci penso.
LELIO Oimè! Ascolta Gasparo: dimmi di gratia, che ragione ti
muove a non farmi buona questa risolutione?
GASPARO Perché la conosco pericolosa, pericolosissima; vi vedo in
un precipitio, il maggior del mondo.
LELIO E come?
GASPARO Come, mi dite? Perché qui c'è l'interesse del Prencipe: non
vedete la protettion c'ha presa di costei? Questa non è mica
2'''' Va sopra di me: 'fidati di me'.
^■** mostaccio: muso.
^■''^ tingessimo: 'ci camuffassimo'.
218
Edizioni critiche
una cura ordinaria, onde è segno che gli preme. Se per ma-
la sorte si scopre che voi gli siate entrato la notte per le fe-
nestre, e per forza in camera, che risentimento credete che
ne faccia?
LELIO Oh, "per forza"; non dico così io. La prima cosa presup-
pongo che non si possa risapere, perché vi andarò questa
notte a tal hora che non sarò veduto, e salito che sarò con
una scala di corda su la fenestra, prima farò motto a Ma-
donna Soffronia che ad Olinda, la quale per esser stata a-
micissima di mia madre (come tu sai) vedendomi in quel
pericolo son sicuro che tacerà, anzi mi darà commodità
che io parli ad Olinda, et intenda da lei l'animo suo; e
quando si scoprisse pur (che non lo credo) chi non sa" '
che '1 Prencipe lo considererà come fallo amoroso, facile
ad esser commesso da un mio pari? E me n'ara compassio-
ne, e me lo perdonarà. E presupposto che non mi volesse
perdonare, che peggio potrà farmi che farmela prender per
moglie? E questo non sarà appunto quello ch'io desidero?
GASPARO Un discorso fallacissimo, un castello in aria! Credetemi, Si-
gnore, che sete in errore troppo grande: voi presupponete
che la cosa non s'abbia a risapere, et io vi dico che non sa-
rete voi così presto a farla, come saranno cento a soffiar
nelle orecchie al Prencipe, e dirgli che séte stato voi, perché
sapendosi che ne séte innamorato, e non l'avendo potuta
ottenere altramente, subito si farà giudicio che con questo
mezo siate voluto venire al desiderio vostro. Se poi credete
che '1 Prencipe reputi questo un scherzo, e non ne faccia
risentimento, lo lascio pensar a voi, anzi vi dico che in voi
se lo terrà a grandissimo affronto, perché gli fate il servitore
attorno, cercate la gratia sua, e fate (si può dir) professione
di dipender da lui; se poi su la meza notte, con una scala di
corda entrate in camera a una gio\'inetta di corte, e quel
ch'è peggio, sua cara cosa, pensate voi che sdegno, che
2^° chi non scr. chissà.
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
219
LELIO
GASPARO
LELIO
GASPARO
LELIO
GASPARO
LELIO
GASPARO
LELIO
rabbia sarà la sua centra di voi, e se per castigarvi vorrà
darvela per moglie! Pensatela e ripensatela, e poi risolvetevi
a non ne far niente!
Eh, di gratia, non parlar più, ch'io l'ho pensata tanto che
basta. Potremmo forse trattar in modo, Ohnda et io, che
bisognarebbe che ne restasse anco sodisfatto il Prencipe...
insomma bisogna aiutarsi dove preme l'utile, e la sodisfat-
tione.
Il male è che in questa materia di robba, dove è il vostro
principal fondamento, vi potreste ingannare.
Vo' tentar questa fortuna. Non più parole!
Io son con voi. Eccomi a far tutto quello che mi comanda-
rete; a me basta per scarico mio, che non vi potrete doler
di me, che non ve l'abbia detto!
T'ho inteso, non più.
Non dico altro.
Guardati di non ne mostrar segno con huomo nato, massi-
me con Alessandro che so che ancor egli vorrebbe far delle
me. Andiamo verso casa, e sia tua cura di trovar secretamente
per questa notte una scala di corda, e poi lascia fare a me.
Questa abbiatela per trovata.
Tanto meglio! Andiamo.
SCENA SETTIMA
Valerio.
Hor ecco il Prencipe entrato in sospetto di Erminio e d'Olinda. Oh male-
detta cortigiana, che tu nei sarai stata cagione, che per martello ch'hai di
Erminio arai scoperto qualche cosa, e detto al Prencipe, e la colpa sarà stata
anco di Olinda, per non aver voluto andar hoggi da lui quando la fece
251 per martello: 'a causa dell'aspra e violenta passione' (cfr. Il Pellegrino, atto 4, scena 6).
Per il significato di martello 'passione amorosa' e martellato 'innamorato tormentato dalla
passione' cfr. anche F. Ugolini, Il perugino Mario Podiani, op. cit.. Ili, p. 107).
220 Edizioni critiche
chiamare, perché questo farmi dire con tanta fretta ch'io cerchi Erminio, e
che '1 Prencipe lo domanda in furia, e prima averne veduto uscir la Corti-
giana ch'ancor fumava dalla collera, non vogliono inferir altro, et il povero
Erminio, che già gUel'ho detto, se l'ha subito imaginato, che smorto, e tre-
mante s'è inviato alla volta del giardino, et a pena ha potuto dirmi: "Fa' che
Olinda sappia". Oh sfortunato! Voglio andar (se potrò) a farlane consapevole.
SCENA OTTAVA
ALmira, Concordia, Farina.
ALMIRA Va', e batti alla porta.
CONCORDIA La porta s'apre.
ALMIRA Presto ch'è egli: fagli motto.
CONCORDIA Ci ha vedute. Signora, che eccolo che viene a noi.
ALMIRA Manco male che lo trovo a tempo.
FARINA Baciovi la mano. Signora, dove n'andate? S'è lecito, mi pa-
rete tutta travagliata.
ALMIRA Non sei in errore. Ho bisogno dell'opra tua.
FARINA Qualche intrico alle mani, eh?
CONCORDIA DogHa vecchia!
FARINA Sì sì, t'ho inteso.
ALMIRA Vengo a te per consiglio, e per aiuto, e quando me lo ne-
gassi, mi negaresti anco la vita, perché si tratta cosa troppo
importante.
FARINA Oh, sì gran pericolo? D'una cosa sola bisogna guardarsi: di
non capitar male tutti tre in un istesso tempo, accioché
l'uno possa soccorrer l'altro; al restante si provederà.
CONCORDIA Salviamo la concordia^^^, se non volemo disunirci.
ALMIRA Ascolta. Tu sai che da qualche giorno in qua son stata
sempre in sospetto che quel traditor d'Erminio con qualche
trama m'avesse ingannata; hoggi (come la sorte ha voluto)
o per maggior mio male, o per suo castigo, ho scoperto per
2^2 concordia: facile gioco di parole con il suo nome propno.
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
221
FARINA
ALMIRA
FARINA
ALMIRA
mezo di due amici miei ch'egli è innamorato di
quell'OHnda che aUi mesi passati capitò in corte. Io, non
potendo soffrire di esser così a torto tradita, me ne son
corsa al Prencipe, e gH ho detto ch'egH ama dishonesta-
mente questa giovine.
Oh, che gU deve importare questo al Prencipe?
Piano! Poi gli ho soggiunto che ogni notte che Sua Eccel-
lenza resta al giardino, costoro con poco rispetto, e con
maraviglia di molti che se ne possono esser avveduti, si
trovano a parlamento insieme alle fenestre, e poi conclu-
dono l'hora d'avere a ritrovarsi in camera.
Sì, eh? Oh questo non arei creduto del Signor Erminio!
Oh qui sta il punto: io non t'ho detto questo, ch'io sappia
che sia la verità, ma perché essendone il Prencipe (si può
dir) depositario^", gli dovesse premere sul vivo, e lo mo-
vesse a collera, come è avvenuto, che s'alterò in tal maniera
che subito die ordine che s'avesse a certificar la cosa. Hora
quello ch'io vorrei da te, è che tu pensassi qualche modo
per salvar questa bugia.
Così, Signora: parlate Uberamente.
Oh questo sì che mi dà da pensare, e dubito che ne met-
tiamo in viaggio per traboccare in qualche rompicollo" .
CONCORDIA Et io dubito d'aver già un piede nel trabocco"". Da che
cominciaste. Signora, a farneticare sopra questo Erminio,
m'è intrata una pazzia per la vita che non trovo luogo.
Ahimè, che credete che sia trattar sempre una medesima
cosa?
CONCORDIA
FARINA
2" depositario: custode, tutore.
2^"* traboccare... rompicollo: 'precipitare in qualche grosso guaio'.
255 trabocco: trabocchetto, il tratto di terreno appositamente predisposto affinché chi vi
passa precipiti nel vano sottostante e quindi, fuor di metafora, 'temo di essere sul punto di
perdere la vita'. Ricordiamo però che trabocchetto, con diverso significato, compare nelle
Rime di Cecco Angiolieri (cfr. Poeti giocosi del tempo di Dante, a cura di M. Marti, Milano, Riz-
zoli, 1956, son. 59, p. 177, w. 12-13: «E la mia donna, secondo ch'i' odo / in ora in ora sta
sul trabocchetto») dove esso viene spiegato come uno strumento di legno atto a falsificare
la moneta.
222
EdÌ2Ìoni critiche
ALMIRA Pensa un poco, Farina, che a te non mancano inventioni.
Aiuta chi è degna di compassione, che io quanto a me, ho
perduto il discorso ', e son per far peggio tuttavia di quel
c'ho fatto.
FARINA In somma, così all'improviso ci trovo difficoltà. Séte voi
certa che questa notte s'abbia a scoprir la cosa?
ALMIRA Subito ch'io l'ebbi detto al Prencipe, infuriato mandò per il
mastro di casa, e venuto lo chiamò da banda, et io l'intesi
che gli disse: "Manfredo, questa sera noi restaremo al giardi-
no: vi do ordine espresso che questa notte facciate star uno
ascoso nel cortile, e guatar bene se sotto le fenestre d'OHnda
vi comparisce Erminio a parlar con lei, e subito subito me
n'avisiate". Hor vedi se abbiamo tempo da perdere!
CONCORDIA Senti pericolo!
Appunto quella fenestra là, risponde alle stanze di lei, e quanto
al fingere di parlarle, ci sarebbe modo, ma queU'intrarle poi
in camera non so come lo potessimo adattare!
Cred'io che questo importarebbe poco, pur che si facesse
una comparsa lì sotto la fenestra, e mostrar di non poter
intrare per qualche impedimento, e tu saresti a proposito
per imitare Erminio nel modo ch'a te paresse.
FARINA Non trattiam di me, se volem sano il nostro coUegio^^^, ma
consolatevi che ho pensato meglio: il Procuratore ci sov-
verrà nel bisogno, perché essendo appassionato di voi
(come sapete) gli darò ad intendere tutto quello che vorrò
per adoperarlo al nostro proposito - detta^^** -. Voi non vi
trattenete più qui, perch'egU non può stare a comparire,
che é già un pezzetto che uscirono per la stalla egli, e Sam-
buco, per andare in palazzo. Di qui a poco verrò a dirvi il
modo che arò ritrovato.
FARINA
ALMIRA
256 discorso: senno.
25^ collegio: gruppo (unito da comuni interessi).
2^* detta: forse nel senso di 'prendi nota' (ammesso che non si tratti di un refuso dello
stampatore).
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 223
ALMIRA Orsù dunque, ne lascio la cura a te e t'assicuro che non
t'affaticherai in damo. Mi ti raccomando, Farina, sai?
FARINA Non occorre dir altro. Aspettatemi a casa.
CONCORDIA Credete che gH manchino modi? L'archivio delle forfanta-
rie de la provincia!
SCENA NONA
Farina.
Oh io son corrivo^^^ al promettere! Se costei mi caccia in qualche intrico,
me lo merito! Il passo è malagevole e ci potrebbe restar la bestia . Sento
non so chi dirmi all'orecchia: "Tu t'arrischi troppo, Farina! Pensa bene a'
casi tuoi, ricordati di quel proverbio antico: peccato vecchio, e penitentia
nuova^^''!". È vero, ma se io manco a costei, chi sovverrà me nelle mie oc-
casioni, che a tutte l'hore posso incappare in qualche lacciuolo a sua po-
sta^^'^? Avvenga quel che vuole, qui bisogna speditione^", perché il tempo è
breve. Oh, ecco appunto il Procuratore! Oh, come è a tempo!
SCENA DECIMA
Pancratio, Farina.
PANCRATIO Chi vuol dipingere la dapocaggine in viso, in carne, e in os-
sa, faccia ritrar Sambuco col capo di sotto, e i piedi di
sopra, e con un motto che dica: "Io e tutte le cose mie
2^^ corrivo: precipitoso.
2'»" ci potrebbe restar la bestia: 'ci potrebbe cader l'asino' (oppure, con senso malizioso, 'si
corre il rischio di rimaner castrati').
2'ii peccato vecchio, e penitentia nuova:, 'prima o poi i peccati si pagano' (poiché pare poco
contestualizzabile il significato più diffuso 'per elimmare i vizi radicati, è necessario un
nuovo tipo di espiazione' per cui cfr. Orlando Pescetti, Proverbi italiani. Verona, Discepolo,
1598, p. 270, ristampa anastatica a cura della Casa editrice G. D'Anna, Messina-Firenze,
s.d., e GDLI, XII s.v. peccato).
2^^ a sua posta: 'a sua volontà'.
2''' speditione: 'fare il fretta'.
224
Edizioni critiche
FARINA
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
cosi"^'''*. Per un poco di ridere che s'è fatto lì dal notario
nel rivocar la sententia, mi s'è perduto in quel punto, che
non l'ho visto mai più, e bisogna ch'io vada solo. Oh crepi!
Oh, ecco Farina!
Signor patrone, buona sera, e buona nuova a Vostra Signoria!
Nuove de la Signora, eh?
Signor sì, appunto adesso torno da lei. Il vostro Farina af-
fettionato s'è adoperato tanto per voi, che questa notte sa-
rete nel colmo della felicità.
Non t'intendo. Farina mio.
Dico che voi questa notte v'avete a trovare con la vostra
diva a solo, a solo.
Burli tu, Farinuccia?
Se burlo, ch'io possa perder la gratia vostra!
Non no, anzi, se dici da vero te ne vo' fare un presente
dopo morte de la Signora Almira.
L'accetto. Sentite: subito che voi usciste di casa con Sam-
buco, mi venne in pensiero di lasciare la compositione del
balsamo, et andarmene alla volta de la Signora, e la trovai
appunto com'io la voleva, sola e soletta, e dopo molti aggira-
menti di parole, con bel modo la tirai a dir di voi, e poi a pre-
garla che, avendovi a condurre in serraglio '^'^, si sollecitasse,
e trovandola in buona dispositione, mi disse di non restar
per altro che per non aver commodità, per la cura che ten-
gono di lei questi altri suoi innamorati, ma ritrovandosi
modo sicuro, eUa da la banda sua, non mancherebbe d'ogni
diligentia.
Oh, cuor mio!
^''^ Chi vuol dipìngere... le cose mie così: emblematico il ritratto che Pancratio traccia di Sam-
buco, lo stolto che interpreta tutto al rovescio e che dimostra di appartenere "al mondo
della sovversione e della provocazione carnevalesca" (cfr. Pietro Camporesi, Lm maschera di
Bertoldo, Garzanti, 1993, p. 23).
-^'^ in serraglio: analoga all'espressione condurre in steccato, in allusione alla discesa del cava-
liere nel campo assegnatogli nelle giostre medievali, divenuta una sfruttatissima metafora
amorosa (cfr. Parabosco, Il Pellegrino, atto 3, scena 5).
I Fidi A.manti. Comedia del Signor Francesco Podiani 225
FARINA In somma, concludemmo che questa notte...
PANCRATIO Mi distruggo, e rido'''!
FARINA ...su le cinque o sei hore, io vada da lei, e la conduca qui in
una di queste stanze di palazzo (ch'ella n'ha la chiave) dove
spesso si rivede con questi cortigiani, et appunto questa
notte tutti alloggiano col Prencipe al giardino. Basta, che
senza pericolo (vestendovi così da mezo cortigiano per
manco sospetto di chi vi potesse incontrar per strada) po-
trete per un pezzo darvi piacere, e bel tempo.
PANCRATIO Figlia mia bella, dolce, d'oro e d'argento di settanta leghe ///
solidum^^^\ Presto, Farina, va a dire al Eretto stufaruolo"'**
che metta in ordine acqua nanfa, muschio, zibetto, stora-
ce , e oUo di camomilla... una prò fumaria intera, se si può!
FARINA L'ombra vostra le profumerà la stanza! Più presto fatele un
presentino d'un par di manigH" ", o d'una collana, che glie
la farò accettare...
PANCRATIO Non vo' far cerimonie, che l'avrebbe a male. Dentro poi
non ci sarà pericolo di sciagura nessuna, eh?
FARINA Come? Anzi, questo si è eletto per il più sicuro, e commo-
do luogo che sia, non pensate in altro.
PANCRATIO E vero, ma il portar adosso un'arma, che ritenga i colpi di-
samorosi, non sarà se non bene!
FARINA Orsù dunque, se ben non bisogna, vo' che ci andiate arma-
to, e Sambuco, et io vi farem la guardia da fuora, che i so-
2^^ distru^o e rido: è una sorta di coppia lirica, che anticipa l'imminente "trasfigurazione
amorosa" di Pancratio.
2''^ in solidum: massiccio (letteralmente 'completamente, del tutto').
2'''' stufaruolo: l'addetto al servizio dei bagni caldi e alla preparazione dei profumi che ivi
SI usavano.
2'''^ accjua nanfa, muschio, :Qbetto, storace: la prima è un'essenza odorosa distillata dai fion
d'arancio (chiamanta anche acqua lanfà); il muschio e lo zibetto sono sostanze estrattc dalle
ghiandole di alcuni mammiferi ed usate in profumena; lo storace è una resina ricavata dalla
corteccia bollita e spremuta di una particolare pianta, la liquidamba: solitamente era usata
in medicina per curare alcune malattie della pelle e come antiparassitano per scabbia e pi-
docchi ma, evidentemente, poteva valere anche come profumo.
^^" manigli: braccialetti.
226 Edizioni critiche
spiri de gli altri innamorati non potranno entrar dentro.
Credete che più di quattro ne restino su l'uscio?
PANCRATIO Ah, ah! Questo ho a caro io. Presto, va' a trovar Sambuco,
e dilli che venga da me adesso adesso, che lo vo' mandare
dal mio compare Menfido, che mi presti tutte l'armi
ch'erano di suo padre, che fu imbrunitore^^^ del commune.
FARINA Vi andrebbe troppo tempo: trovarò io Sambuco, e lo man-
dare dal compare con l'ambasciata, poi andrò a far motto
alla Signora, e la inviare aUa stanza, e quando Sambuco sa-
rà venuto con l'armi, mettetevi in ordine, che subito sarò
da voi. Bisogna solecitare, che ormai è notte!
PANCRATIO Sollecito e secreto, solo, pensoso^''^, e chéto, romperò il di-
vieto ! Oh come m'è intrata presto la forza in tutti, i nervi!
Se io sentissi un chitarrino spagnuolo , vorrei fare una fu-
saina ' da impazzire! Trai nà ina nà, trai nai nà nà. Bocchin
mio dolce saporito, di mèle, di zuccaro, di manna puglie-
se , nato et allevato nell'odorifera Arabia, e cacato in car-
ne e in ossa da la Fenice su i monti Sabei!
2''' imbrunitore: brunitore di metalli (cfr. GDLJ, s.v. imbrunitore dove l'unica attestazione
riportata è costituita dal passo in oggetto).
2^2 solo, pensoso: quasi superfluo ricordare che viene evocato il celebre incipit del sonetto
XXX\^ del Petrarca.
2^^ Sollecito... divieto: si noti come la frase sia in realtà composta da tre settenari con rima
in -eto. Pancratio dunque, nobilitato dall'amore, inizia a fare versi e, m una sorta di climax,
arriverà addirittura a cantare, salvo poi rivelare la sua vera natura ricadendo nella corporali-
tà più rozza {cacato).
^''■* chitarrino Spagnuolo: probabilmente si riferisce al chillador, uno strumento a forma di
piccola chitarra a dieci, dodici o quattordici corde in pari o triple. Più semplicemente, po-
trebbe però anche alludere all'odierno strumento che, nel secolo X\' inizia ad essere chia-
mato chitarra spagnola, in distinzione alla chitarra moresca (o mandorla), e a possedere un
numero fisso di corde (dapprima cinque).
^''^ fusaina: senza escludere un doppio senso osceno, potrebbe trattarsi del diminutivo di
fusa (figura di nota medievale e rinascimentale, valente la metà o un terzo della semimim-
ma), in genenca allusione alla musica.
2^^ manna pugliese: secrezione zuccherina di gradevole sapore, solubile in acqua, formata
per indurimento del succo che sgorga da incisioni trasversali praticate ad alcuni alberi, so-
prattutto all'orniello (spontaneo nell'Italia Mendionale).
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 227
ATTO QUARTO
SCENA PRIMA
Erminio.
Hor ecco, fortuna iniqua^''^, che sarai pur satia una volta di tormentarmi!
Ecco a che ultimo stratio tu m'hai condotto! Ti dovea pur bastare, insatiabi-
le, dopo tante, e sì diverse persecutioni avermi dato in preda a mille passio-
ni mortali, senza destinarmi hora di nuovo a vedere sì duro spettacolo! Et
io sentirò questo dolore estremo, e potrò vivere? Olinda, anima mia, per te
sopporto questo affanno eccessivo, intollerabile! Il dubbio solo, che tu mi
sì tolta, e capiti in poter altrui, mi prepara certissima morte. Ahi, che più to-
sto il Prencipe aprì le labbra per parlarmi, ch'io vidi formate neUa sua bocca
parole per me piene d'assentio! "Erminio" mi disse "ho saputo che tu ardi
d'OUnda, né di ciò mi dorrei se non perché m sei cagione ch'ella m'usi il ri-
gore che tu sai, né potea immaginarmi ch'ella da se stessa mi fosse sì con-
traria, se non perché tu, essendone acceso, hai operato che così mi tratti; e
di questo" soggiungea "son stato cagione io stesso, che per scoprirti i secre-
ti miei, troppo audace, et arrogante t'ho fatto, e così avviene a chi d'ingrato
si fida, ma ti dico che se tu non farai sì ch'io sia disingannato, e che il con-
trario apparisca, te ne darò quel castigo che meriti. Va' da Ohnda e fa' in
tutti i modi che venga qua hora alla presentia mia". Misero Erminio, come
restasti aUhora! Come fu possibile che l'odioso suono di quell'ultime parole
non m'infettassero in tal modo l'aere d'intorno, che fra mille e mille sospiri
respirando, io non gli sorbissi il veleno, e gH cadessi morto innanzi? Eccomi
vivo, e qua condotto, ma che farò? Se procuro ch'ella vada, non vengo da
me stesso a scoprirmi per colpevole, mostrando di poter dispor di lei? S'ella
non va, a che rischio corr'io? Se poi la prego che voglia obedire al Prencipe,
non procuro a me un'evidentissima morte? Non fo a quella fede sincera
grandissimo torto? Se da questo la dissuado, non son io ingrato al mio Si-
'^'^'^ fortuna iniqua: cfr. Boiardo, Inamoramento de Orlando, I, XXI, 46, v. 1: «Fortuna dispie-
tata, iniqua e strana», ma si tratta di un tòpos molto frequentato anche nella commedia.
228
Edizioni critiche
gnore, a cui tant'obligo tengo? Non ne sarò io crudelmente punito? E quel-
lo ch'è peggio, sfortunato, non son sicurissimo di perder lei?
SCENA SECONDA
Soffronia, Erminio, Olinda.
SOFFRONIA
ERMINIO
OLINDA
ERMINIO
SOFFRONIA
OLINDA
SOFFRONIA
ERMINIO
OLINDA
ERMINIO
OLINDA
Aspettami, figliuola! Che pensiero è il tuo, voler a
quest'hora andare al giardino?
Oimè, ecco Olinda! Che sarà?
VogHo andare per sapere quel ch'è di Erminio mio. Oimè,
se '1 Prencipe ha scoperto quel che Valerio ha detto, come
credete che lo tratti?
Mira amore, mira passione^''^!
L'andar tuo, figliuola, credimi, o non bisogna, o non basta.
Per mio consiglio, resta fino a domattina, et hora manda
Valerio a sapere qualche cosa.
Non, cara madre: se io non vedo Erminio, o non son certa
ch'egU sia libero, domattina non son viva!
Tu cerchi mover collera a Sua Eccellenza e che cada poi
sopra di Erminio. Saliamo in camera, e lasciati governar da
me, che ho maggior compassione, che tu forse non hai do-
lore.
10 son qua, Olinda, e vengo per trovarvi, ma non nuntio
d'allegrezza!
Oimè, in un punto mi date la vita, e la morte!
11 Prencipe mi manda a voi, ch'io faccia in mtti i modi che
hora siate alla presenza sua, se no s'arma contra di me di sì
potente sdegno, che il minor male ch'egli pensa di farmi è
di privarmi di voi, e così togliermi la \dta.
A che tanto sdegno? A che tanta furia? Andrò, su, e che
sera poi?
2^* Mira... passione: straordinario amore, sconfinata passione.
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
229
SOFFRONIA
OLINDA
ERMINIO
SOFFRONIA Séte troppo sospettosi: ogni cosa vi fa ombra! E che potrà
mai voler da te Sua Eccellenza, Olinda? Vorrà forse sapere
s'egli è vero che fra voi vi amiate: questa non è occasione
da scoprirle tutta l'historia? Voi reputate danno quel che
potrebbe essere vostra ventura!
ERMINIO Di due gran mali, quello è il men cattivo dove può nascere
qualche speranza di salute. Chi sa che appresentandovi in-
nanzi a lui, mostrando di dubitare, e piangendo, voi non
moviate quell'animo, forse risoluto, a compassione?
Non tante provisioni, che non occorrono! Andiamo, su,
che vo' venire anch'io; hora fo portare il lume. Aspettami,
che vengo a basso.
Se m'appresento al Prencipe nella maniera che voi dite, po-
trei darli maggior indicio d'inteUigentia fra noi, et alterar-
lo a qualche sdegno precipitoso.
Vero, e meglio sarà di non andare, perché avendomi data
rigorosa commissione ch'io ve gli mandi, e non l'avendo
esseguita, potrà pensare ch'io non abbia potuto disporre di
voi nel maggior bisogno mio,
OLINDA Ah, che chi ha l'animo infettato dal sospetto, dura
nell'ostinata imaginatione che si ha presa! Vorrà credere il
Prencipe che se io non vo hora da lui, voi solo ne siate sta-
to cagione.
ERMINIO Andate dunque, e quando vi trovarete innanzi a lui, o gridi,
o comandi, o minacci... ma che dico? Che fareste voi per
questo? Non è meglio starH lontana, e poi... ma che? S'egli
vi vorrà nelle mani, chi gli vietarà? Che di voi, orme se re-
state, se andate, sarà: bene o male?
OLINDA Se vo, che gli ho da dire? Che vorrà sapere? Che gli ho da
rispondere? Ho da negare, ho d'affermare? Come, dove?
ERMINIO Non so. Ah, che vaneggio se penso in sì poc'hora, in sì
gran confusione, in tanto pericolo, trovar sorte alcuna di
^^■^ intelligentia: accordo, relazione.
230
Edizioni critiche
scampo, se non prendessimo partito di fuggirne insieme da
questa corte!
OLINDA Che meglio? Perché non partiamo adesso?
ERMINIO Tornate su in camera, innanzi che Soffronia venga a basso
e ditele che, per essere hora di notte, avete risoluto di non
andare fino a domattina, intanto io andrò presentendo
come l'intenda il Prencipe contro di me, per non esser voi
a quest'hora andata da lui, e se vedrò che vogHa persevera-
re in questa ostinatione, o contro di noi far qualche risen-
timento, allhora subito risolveremo di partire questa notte
insieme, e per" Valerio \'i farò sapere ch'arete da fare,
perché egH ancora sarà con esso noi.
OLINDA Di qui a poco le nostre porte saranno serrate, e Valerio non
potrà parlarmi, ma peggio: come ingannaremo Soffronia?
ERMINIO Non mancaranno modi: scriverò una polizza" ", e la farò
metter da Valerio nell'anticamera vostra per la fessura
dell'uscio; voi state avvertita di prenderla, e far tutto quello
che in essa vi dirò.
OLINDA Orsù dunque, torno su, e starò aspettando.
ERMINIO Questa sarà la miglior resolutione che si possa fare. Voglio
andar di qua.
SCENA TERZA
Manfredo, Alessandro.
MANFREDO Bastavi saper questo, che Sua Eccellenza ha saputo di Er-
minio e di Olinda ogni cosa, e ne sta in tanta collera, che
mi manda hora a posta per scoprirli in fatto.
ALESSANDRO Oh, perché in sì gran collera? Che pregiudica al Signor
Prencipe se costoro s'amano insieme?
■^^^^ presentendo: in senso generico di 'cercherò di sapere'.
2^' per. mediante.
'^^'^ polir^: lettera, biglietto.
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 231
MANFREDO Non vi posso dir più innanzi. Insomma, spesso ad una vo-
glia ingorda ottenuta, succede il pentimento. Gran fallo è
stato quel di Erminio a voler coprirsi con chi non dovea!
Forse che se altramente avesse fatto, non sarebb'hora in sì
gran pericolo.
ALESSANDRO Signore, credete pure che chi si trova oppresso d'amorosa
frenesia, non dà luogo a consiglio, e non stima pericolo.
MANFREDO Io lo scuso pur troppo, e duolmi che sia data a me questa
cura di farlo guatare, perché subito devo farlo sapere a sua
Eccellenza. Ma voi tacete, e non ne fate segno con huomo
che viva.
ALESSANDRO Di me non dubitate; attendete pure a' fatti vostri.
MANFREDO Orsù, vi lascio, c'ho negoti.
ALESSANDRO Poca sorte è la tua, Erminio, et io ho pietà de' casi tuoi
perché so quanto possa esser grande il tuo dolore, e la tua
passione! Che dirà Lelio quando saprà questo fatto?
SCENA QUARTA
Gasparo con la scala di corda. Sambuco con l'armi .
GASPARO (Chi - corpo di me! - può esser costui, che m'è venuto die-
tro un pezzo? Più lo guardo, manco so discernere s'egli è
bestia, o huomo carco di robba...: è huomo certo, perché
se io mi fermo, egli si ferma, se io camino, egli mi segue...
Non vorrei da dovero che questa scala c'ho sotto mi man-
dasse in una galera: potrebbe costui avermela v^eduta in
qualche modo, e vien così travestito per guatarmi! Gusta
principio^"'', voglio fermarmi là su in quel canto, e lasciarlo
passare.)
2**^ armi: si tratta delle armi che Pancratio gli aveva ordinato di recuperare dal compare
Menfido (cfr. atto 3, scena 10).
2**^ Gusta principio: il senso dell'espressione, forse proverbiale, resta incomprensibile.
232 Edizioni critiche
SAMBUCO (Bisogna che sia una spia —dico- perché camina innanzi co'
i piedi, e '1 capo, e gli occhi tien volti verso me. Ah, ti co-
nosco ben sì, mal herba spinace ! Se bene il Procuratore
m'ha detto che vo sicuro per tutto, ad ogni modo ho paura
di qualche tradimento. Oh, almeno si pensasse che io fossi
un capo de' banditi che volesse far homicidio, et avesse
paura ch'io ramazzassi!)
GASPARO (Eccolo fermato un'altra volta! Questa sì ch'è bella! Se io
avessi un pezzo d'arme in mano, vorrei chiarirmi un tratto
chi è cosmi!)
SAMBUCO (Se non ha paura egli, l'ho io, ch'è tutt'uno. Penso ch'egli
sia qualche bandito, et io vorrei dar a gambe, ma ho questi
imbrogli adosso, e non posso correr con essi.)
GASPARO (Da l'altra banda non vorrei che fosse qualche sciagurato,
che con questa inventione mi volesse far rompere il collo.)
SAMBUCO (Non è per partirsi in tutta questa notte: s'è attaccato su
quel canto com'un bando^^"^... ah ah, non ti verrò a legger,
no! Ma come entrare in casa, che Farina mi deve aspettare?
Oimè, peggio, il sereno m'inumidisce quest'armi, che ogni
volta pesano più.)
GASPARO (Sia chi vuol, lo vo' conoscere! Se posso, pigliarò due sassi,
poiché non ho altro: un huom da bene non può essere...)
SAMBUCO (Orsù eccolo che viene per assaltarmi forse! Dicono che lo
stamto non vuole ch'un armato dia fastidio a un disar-
mato... Oh, m'è passato dinanzi: è un travestito con la
fronte posticcia. Se posso vo' far buon animo per un poco,
e non mi lasciar conoscere. Oh, eccolo che torna!)
GASPARO (Che ho detto io? Un canco di robba!) Chi è là? Chi è là, dic'io?
SAMBUCO Son io, e non ti vo' rispondere, su.
GASPARO Chi sei tu?
2*5 spinace: gergale per 'traditore, spia' (cfr. GDLI, XIX s.v. spinace dove l'unica attesta-
zione riportata è quella del Podiani).
'^^^ bando: in questo caso allude al manifesto che conteneva il bando.
2*^ statuto: qui in senso generico di 'legge'.
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
233
SAMBUCO Un nipote di Marco Sciarra^*'^ per dirtela.
GASPARO (Qualche ladro, sta a vedere!) Dove porti quell'armi?
SAMBUCO Son huom da bene, io!
GASPARO Fermati! Che vai facendo?
SAMBUCO Se tu sei uno sbirro dillo, che ti portare rispetto, altrimente
guardati da qualche palla ramata !
GASPARO Che birro? Che paUe ramate? Volta qua!
SAMBUCO Ci correrà qualche mentita ^^'", fratello! Di gratia, non ne
diam fastidio l'un l'altro!
GASPARO Io mi scopro il viso e mi vo' far conoscere, e vo' conoscer
ancor te: mostra qua.
SAMBUCO Signor Gasparo, séte diventato essecutor"'^', eh?
GASPARO Sambuco, sei tu esso? Ah, Ah! L'asino nella pelle del leone!
Oh, che sì frustato, se voglio!
SAMBUCO Oh alla prima sul frustare, non tei diss'io? Ti sei dato in un
bello essercitio!
GASPARO Guarda, anzi, son qua per aiutarti: con chi l'hai?
SAMBUCO Sei sicuro tu, ma per dirtela, hai campato^'^" una gran furia:
se adesso n'eravamo nemici, era finita per te!
GASPARO Forza del mondo! Tant'arme a quest'hora? Che romor c'è?
SAMBUCO Conosci le balene tu?
GASPARO Sì, perché?
288 Marco Sciarra: è considerato uno dei primi briganti dell'epoca moderna. Di origine
abruzzese, intraprese la sua attività nel 1584 e fin da subito si pose a capo si una banda
composta da un migliaio di uomini con cui, dall'Abruzzo, sconfinava di frequente nel terri-
torio dello Stato Pontificio, diventando famosissimo per la sua innafferrabilità e per le va-
rie imprese compiute. Dopo essere passato al servizio della Repubblica di Venezia, scate-
nando l'ira di Clemente Vili che ne intimava la consegna, finì per essere ucciso a tradi-
mento nel 1593, nei pressi di Ascoli, da uno dei suoi compagni.
^^'^ palla ramata: proiettile sferico di metallo usato in artiglieria.
2'^" mentita: atto con il quale si accusava formalmente qualcuno di mendacio o slealtà, al
quale atto di solito, secondo il codice cavalleresco, doveva seguire un duello.
--" essecutor. esecutore di giustizia (cfr. Rezasco, p. 392, s.v. esecutorlV).
2^2 campato: 'scampato'.
234
SAMBUCO
GASPARO
SAMBUCO
GASPARO
SAMBUCO
GASPARO
SAMBUCO
GASPARO
Edizioni critiche
M'ha detto Farina ch'io porti quest'arme al Procuratore,
perché si vuol armare per gir questa notte a pescare delle
balene a lume di luna.
Bella pesca, per mia vita! Son arme antiche queste, ma la
ruggine l'ha assassinate .
Bisogna d'ungerle prima, e poi mettersele.
Volta in là l'archibugio, che non sparasse a caso!
Non no: dice colui che me l'ha dato che non può sparare
se non tira sirocco o tramontana, perché è carico a ven-
to ^^'*. Orsù, vuoi altro tu da me?
C'è fretta, eh?
Sento caldo. Ne rivederemo al fresco. Buona notte, senza
295
peso
A rivederci, Sambuco! Ah, ah, ah! A chi non passasse
l'humore? Come si sono bene accompagnati costoro: il
Procuratore sciocco, e '1 clientolo matto! Qualche trama
hanno alle mani... s'io fossi senza pensieri vorrei vedere
quel che vogliono fare! Ma vedo venir gente col lume: me-
glio è ch'io vada, che '1 Signor Lelio mi deve aspettare.
SCENA, QUINTA
Farina Concordia.
FARINA Orsù, Concordia, non mi far più lume. A rivederci.
CONCORDIA Ascolta Farina! Farina vedi, se non te ne fo pentire mi si
secchi la vena del pozzo di casa!
2^^ assassinate: guastate.
^^■* carico a vento: qui è probabilmente da intendersi come 'inutilmente cancato' o addirit-
tura 'non caricato', ma ricordiamo che il TB registra un archibuso a vento (arma che compare
anche nel GDLJ, I, s.v. archibugio con attestazione da Pietro della Valle, Viaggio in levante,
44).
2^^ Buona notte, sent^a peso: in mancanza di attestazioni precise mi Hmito ad interpretare
'buona notte (scherzosamente per indicare la conclusione risolutiva della faccenda), senza
provare rimorsi o preoccupazioni'.
I Fidi A.manti. Comedia del Signor Francesco Podiani 235
FARINA Che dici? Non posso trattenermi , ti dico!
CONCORDIA M'hai stuzzicata la lanterna, e '1 lucignolo non arde^^^', vedi.
FARINA Smorzala e torna a casa: io non ti posso far compagnia, che
ho fretta.
CONCORDIA E però bisogna riposarsi un poco, per non alterar tanto i
polsi: senti il mio come batte confuso!
FARINA Batta come vuole, bisogna ch'io vada a vedere s'è venuto
Sambuco.
CONCORDIA E se non fosse venuto?
FARINA Bisognerà ch'io vada a trovarlo.
CONCORDIA Non sarebbe megHo aspettarlo là giù nella tua camera, et
intanto discorrere un poco quel che s'ha da fare? Per dirte-
la: son tanto gelosa della tua salute, che par che l'aere mi ti
tolga.
FARINA Non mi togUerà l'aere, se potrò.
CONCORDIA Deh andiam, Farinuccia fina, pasta di Genova"^^, che io col
mio comprensivo, e tu con la tua introduttiva verremo a
buona conclusione^'^.
FARINA Non c'è tempo, dico! Devon esser più di quattr'hore, et
homai bisogna d'esser in ordine^'^'^
CONCORDIA Che importa che ci andiate armati?
FARINA Non hai sentito che l'ho discorso con la Signora? Perché
altrimente il Procuratore non ci avrebbe forse acconsenti-
to, per la paura che ha de i rivali.
CONCORDIA E se per mala sorte v'affrontaste nella corte?
296 M'hai stu::^cata... arde: allusione maliziosa.
^^^ pasta di Genova: dal Duecento Genova si era imposta nella penisola come uno dei
principali centri di produzione ed esportazione di paste alimentari. La pasta genovese,
prodotta con semola, in formati generalmente lunghi e confezionata in matasse, nel Cin-
quecento è molto apprezzata anche dagli spagnoli ed arriva alle tavole di Parigi, dove si
mangiano potages di pasta di Genova.
2'^" comprensivo... conclusione: il senso è ovviamente allusivo al rapporto sessuale e, data la
mancanza di riferimenti precisi, si può ritenere che il Podiani stesso abbia inventato il h-
cenzioso riecheggiamento.
^^^ essere in ordine: 'debitamente armati', come viene immediatamente precisato da Con-
cordia.
236 Edizioni critiche
FARINA Per questo ho mandato Sambuco per quell'arme vecchie,
perché se niente n'a\^enisse, quei giudici che conoscono il
Procuratore per sciocco, se n'abbiano a ridere, e così con-
tento il Procuratore, sodisfò la tua padrona et io gioco sul
sicuro, perché sempre arò questa coperta ' d'aver voluto
far una burla al Procuratore.
CONCORDIA Tutti contenti e sodisfatti, eccetto questa poverella, che sul
suo frangente, non può aver gratia che tu l'ascolti due pa-
role sole sole!
FARINA Orsù, hai il lume in mano: torna, che la padrona non pensi
che tu gli sia stata rubbata!
CONCORDIA E che farò io se per mala sorte m'urtasi^'" in qualche trup-
pa di sgavezzadonne ^ ?
FARINA Non dubitare, che ti darà il passo, e '1 tributo ancora'"'!
CONCORDIA II passo sì, ma no 1 tributo"^'*! Orsù patientia! Domattina
ne rivereremo, eh?
FARINA Sì, dico, buonanotte.
CONCORDIA Uh come mi lascia! Che ruina ch'io minaccio: mi par sentir
venir dietro non so chi. Uhimè, andrò di qua, ch'è più co-
perta!
SCENA SESTA
Erminio, Valerio.
ERMINIO Orsù, dunque ancor vive qualche speranza: non manchiam
noi dalla banda nostra.
VALERIO Sudo tutto da capo a piedi: se vi risolvevate da hoggi in
qua, non occorreva tanta fretta.
'"" coperta, 'scusa'.
'"' m'urtasi: 'm'imbattessi'.
^"2 sgaver^donne: insidiatori delle donne.
^"^ Passo... ancora: dovrebbe trattarsi di un'altra allusione con doppio senso osceno.
^°'* tributo: in questo caso ha il significato di 'mestruazione' (cfr. Dit^onario del lessico amo-
roso, op. cit., p. 593).
7 Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
237
ERMINIO
VALERIO
ERMINIO
VALERIO
ERMINIO
VALERIO
ERMINIO
Parla piano, che qualche uno non sentisse qui attorno; tan-
to faremo a tempo, se OHnda sarà diligente a dar la bevan-
da a Soffronia.
M'ha detto che l'occasione è in pronto, ma è ben stata ven-
tura poter parlarle a quest'hora, e più a darle l'acqua ' !
Appunto quando io andai per mettere la poHzza dove mi
diceste, trovai ch'ella aspettava dentro, e tanto agitai e
spinsi quell'uscio, che bastò per metter dentro l'ampolla e
darle la lettera.
Lesse ella la lettera?
Signor si, perché dentro avea un lumicino, e poi mi disse
che subito che Soffronia sarà addormentata, pigHarà la
chiave di quella stanza che riesce qui nella strada, e ci starà
aspettando alla fenestra, per sapere la risolutione che pi-
gHeremo, senza aver da entrare, e uscir tante volte di palaz-
zo, e credo che non indugierà molto a venire, perché a
quest'hora deve aver data l'acqua a Soffronia, e secondo
che '1 simpHcista"^""' m'ha detto in un'hora e meza fa
l'operatione di far dormire, e quattr'hore sicure tien il son-
no: intanto potrem fare quel che volemo, senza che Sof-
fronia si risenta.
Le cose sin qui stanno bene; io ho voluto far questo per
abbondare in cautela, perché ho presentito che '1 Signor
Manfredo mi cerca per ordine di Sua Eccellenza e dubito
di qualche rigorosa commissione contra di me: non vorrei
poi non aver tempo di poter andar via.
La cosa è pericolosa, perché se il Signor Prencipe vi co-
mandò che mandaste Olinda da lui, e non l'avete obedito,
bisogna che ne stia in collera.
Quando m'incontrarò nel Signor Manfredo, saprò quel
c'ho da fare.
^''5 l'acqua: la pozione soporifera destinata a Soffronia.
^'"' simpliàsta: farmacista (letteralmente 'raccoglitore di erbe medicinali, i semplici, e cono-
scitore delle loro virtù terapeutiche).
238
Edizioni critiche
VALERIO A quest'hora egli deve esser in letto.
ERMINIO Più presto deve aspettare per parlarmi, perché non suole
andare a letto se non passata meza notte. Andiamo di qua,
su, che io entrerò per la porta grande, e tu andrai dove t'ho
detto che m'aspetti.
VALERIO E forse che non bisogneranno tante provisioni'"^?
SCENA SETTIMA
Pancratio, Sambuco, Farina.
PANCRATIO
SAMBUCO
FARINA
PANCRATIO
FARINA
SAMBUCO
PANCRATIO
SAMBUCO
M'hai inteso, Sambuco? Stirati, storciti, e grattati adesso
quanto tu puoi, e sai, ma finiscila, perché quando siam per
strada non vo' pur che tu respiri!
Per un bisogno posso respirar di sotto, e star chéto di sopra?
Piano un poco! Oh, voi avete la gran fretta: vi par
mill'anni^'^^ d'essere alle strette con la Signora, eh?
Dubito ch'ella s'addormenti, perché la stella Diana é vicina
alla coda d'AppoUo^'^^ un palmo, e son poc'hore di notte
verso l'alba.
Non vi bastano due hore di star con lei?
E se noi che farem la sentinella di fuora con l'arme, sco-
vassimo il barigello?
Non t'ho detto io mille volte la patente^^" che m'ha fatta a
bocca^" il Prencipe?
Sì sì, me ne ricordo: che possiate portar sì di giorno come
di notte ogni sorte di grancia^'^, offensiva e diffensiva.
^"^ provisioni: decisioni oppure rimedi, precauzioni.
^^^ vi par mill'anni: 'non vedete l'ora' (cfr. ad esempio Pulci, Margarite, II, 11, v. 5: «Farmi
mill'anni or d'essere al berzaglio»; IX, 57, v. 7: «Farmi mill'armi riveder il conte»...).
'"'^ la stella Diana... Appallo: la prima è Venere, la stella mattutina situata ad oriente, e tó-
pos della poesia amorosa (cfr. Guinizzelli, Vedut'ho la lucente stella Diana, w. 1-2). Per coda
d'Apollo si riferisce probabilmente ai primi albori, ai primi raggi del Sole.
^^''^ patente: permesso.
^" a bocca: verbalmente.
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 239
FARINA Taci un poco Sambuco! Orsù, avete inteso: ha bisognato
imitar nel vestire un cortigiano, perché se qualcuno vi ve-
dese, si creda che siate huomo di corte.
PANCRATIO Dubito che mi conosceranno alla presenza^'\ perché ad
ogni passo par che mi scappi un coram vobis .
FARINA Sequestrateli^'^ che non escano fuor de i confini, e la pre-
senza cacciatela sotto il corsaletto^"^, e nessuno dirà mai fra
l'armi e '1 vestire che voi siate Misier Pancratio.
SAMBUCO Se ci pensavamo, ne potevamo rader le barbe per questa
notte!
FARINA Sopra '1 tutto av\^ertite, quando parlate alla fenestra a la Si-
gnora di non chiamarla mai per ALmira, né voi per Misier
Pancratio; in camera poi trattate come volete.
PANCRATIO T'ho inteso: séte restati d'accordo ch'io chiami lei per O-
linda, et io mi nomini per Erminio, non me lo dir più!
FARINA Insomma, trovarete ch'ella vi aspetterà dentro aUa fenestra,
e se non sarà impedita, vi farà motto ch'entriate, ma se sarà
impedita, non vi potrà rispondere, ma sentirà tutto quello
che direte.
PANCRATIO Mi sentirà fare a queUa fenestra una oratione supplicativa^'^
da stupire. Orsù, siamo vicini. Sambuco, camina piano!
SAMBUCO Non ci vedo lume: ho paura di non vi cadere adosso.
PANCRATIO Bada bene dove fermi i piedi.
SAMBUCO Mi par di sentire un gran remore a me!
^^^ granda: sta per granchio, che letteralmente è lo strumento di ferro ricurvo e dentato,
conficcato nel bastone del falegname, che se ne serve per tener fermi gli oggetti da piallare.
Qui sta per 'arnese militare'.
^^^ present^a: aspetto fisico, atteggiamento.
''•* coram vobis: il sintagma, tratto dal latino evangelico (Le, 23 b 14) può assumere sva-
riati significati; qui la locuzione serve a ricordare che Pancratio non solo è una persona che
mastica il latmo, ma soprattutto che è pieno di boria e che ostenta, propno grazie ad esso,
importanza ed autorevolezza (cfr. GDU, III s.v. coramvobir. Dieci tavole, 262: «Che bel coram
vobishr, Mario Podiani, I Megliacci, op. cit., p. 43, r. 10: «Et vassene sul coram vobis»).
^'^ Sequestrateli: riferito ai coram vobis, ovvero alle parole in latino, che smaschererebbero
facilmente il procuratore.
^'^' corsaletto: corazza che protegge il torace.
^'^ oratione supplicativa: una perorazione, un'arringa giudiziaria.
240 Edizioni critiche
PANCRATIO Oimè!
FARINA Dove?
SAMBUCO Verso casa vostra.
PANCRATIO Senti un poco, Farina.
FARINA Non sento niente io!
SAMBUCO Fan questione^'**: non sentite che s'amazzano?
PANCRATIO Di grada, cacciamoci in qualche luogo!
FARINA Ah ah ah! Una battaglia amorosa di cani!
SAMBUCO E se poi, in quella rabbia, venissero aUa volta nostra?
PANCRATIO Chi è dotto non è sciocco. Di gratia, abbiate l'orecchie, e le
bocche per tutto.
FARINA Non passiam più innanzi: Sambuco, fermati qui, e guarda in
capo a quella strada, e se qualcuno comparisce, fa' motto.
SAMBUCO Era meglio aver portato quattro torce da vento ^'^.
FARINA E voi accostatevi sotto la fenestra, e prima salutatela, e poi
ditele il fatto vostro.
PANCRATIO Per dirtela, mi sono scordato d'ogni cosa. Era meglio averlo
messo in scrìptis ^•. dirò qualche cosa che non avrà garbo!
FARINA Dite, via, a l'improviso, e chiamatela per OUnda!
SAMBUCO Mi par di sentir quei cani: se mi vengono a musare^^' son
spedito! Conosceran che si fa l'amore, e non aran discre-
tione che non si tocca la lor cagna... sederò sul cantone: mi
pisceranno adosso e basterà.
PANCRATIO OHnda, Signora, cuor mio! Io... il mio servitore, et io, fi-
gliuoli di un semplice montone, lasciato l'ovile, e nostro
padre (che il misero va belando disperato), venimo per vestir-
ne della fina e bella lana vostra, morbidissima capra nostra!
FARINA Oibò! Non fa a proposito: ditele che séte Erminio!
^'^ Fan questione: discutono, litigano.
^'' torce da vento: impregnate di sostanze che producono una fiamma resistente al vento.
^2" in scriptis: per iscritto.
^2' musare: alzare il muso per guardare o percepire un odore.
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 241
PANCRATIO Son Erminio! Erminio che peto copiam di quella faccia che
coram indice compete con la luna iure naturali . Faccia gio-
conda, pigliate quei sospiri che m'escono dalle scerete, e
basse parti di questa vita! Pigliateli, anima mia, e nasconde-
teli in seno e acciocché nessuno ve li tocca, cavate al mon-
do un braccio secolare ^^^.
FARINA Seguite, che vi sente!
PANCRATIO Non ha tante stelle il mare, né pesci il Cielo, quant'io piango
e sospiro per voi: pianto crudele, che una notte pioverai tan-
to, ch'innonderai il mio studio, affogherai me, gli scritti, la
toga, gl'occhiali, e '1 lume! Apritemi la porta, ch'io entri in
camera, che ne vedrete la metamorfosi c'ha fatto Cupido: la
sapientia è armata di petto a botta ""*, la dottrina di morio-
ne^^^, la procura di spadone, e un gambaruolo "^' per prote-
. 327
Sto .
SAMBUCO (Scongiura l'armi, che gli vadano ad aprire la porta:
dev'esser di ferro.)
FARINA Non vi dovevate mai dichiarare per armato: se siete stato
sentito, siamo in un fatto d'arme! Oh che errore!
PANCRATIO Me lo dovevate dir prima! Ècci pericolo?
FARINA Così non ci fosse! Sentite calpestio?
^22 peto copiam... iure naturali, 'chiedo la possibilità di vedere quel viso che in giudÌ2Ìo
contende con la luna per diritto naturale'.
^2' acciocché... secolare: l'espressione, piuttosto complessa, potrebbe semplicemente signi-
ficare 'affinché nessuno ve Li tocchi prendetevi una difesa, una guardia' (per braccio secolare
come 'forza materiale degli eserciti' cfr. Rezasco, p. 118). Potrebbe però anche essere un
calembuor, una freddura: 'affinché nessuno ve li tocchi (in seno), tagliate al mondo un brac-
cio secolare', cioè Almira deve tagliare ogni mano e braccio che si ax^àcini al suo petto per
rubarle i sospiri; solo che per Pancrado il braccio diviene automaticamente secolare, per de-
formazione professionale.
'^^ petto a botta: elemento metallico che protegge il petto, a prova di botta (ov'A-ero di
colpi d'arma bianca, di stoccate).
^2^ morione: elmo leggero con cresta alta e tesa che termina con due alte punte sul da-
vanti e sul dietro, usato specialmente dagli archibugieri nel XVI e XVII secolo (e oggi visi-
bile, in certe occasioni, sulle Guardie Svizzere del Vaticano).
■'Zf) un gambamolo: parte dell'armatura a difesa della gamba.
^2'' protesto: letteralmente sarebbe la minaccia di muovere guerra, ma in questo caso può
valere come generico documento giuridico.
242
Edizioni critiche
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
FARINA
SAMBUCO
FARINA
Saran forse le pianelle^^^ de la Signora che vien a chiamarmi.
Altro che pianelle, sento romor d'arme, io!
Oimè, che vogliam fare?
Dar a gambe (se sarem a tempo)! Che v'ho detto io? Ecco
gente a basso con archibugi aUa volta nostra. Siam morti!
Via, via, con destrezza se si può! Presto presto. Sambuco,
fuga storta, fuga a biscia^^^, che non appostino di mira^^'^, a
salti, a lanci... Scampa, salva!
Oimè che son caduto, e m'amazzeranno in terra, e morirò
senza lume! Oimè, un pagHericcio, e un tizzone almanco!
Piano, non dubitare, via via!
(Ah Ah! Crepo se non rido! Che urtone, che cascate c'han
fatto! Il Procuratore ha lasciato lo spadone, e '1 morione.
Sambuco l'archibugio, e lo scudo... lasciameli raccòrre, so
che devono correre. La cosa sarà passata bene, se quei di
dentro saranno stati all'erta per guatar Erminio. Col Procu-
ratore poi, in qualche modo la coprirò. Lasciami partir di
qui: rientrerò in casa a repor quest'arme.)
SCENA OTTAVA
Erminio.
Non so che di romore m'è paruto sentir vicino, ma qui non è nessuno ch'io
veda, se forse questo mio star sospeso non mi manda il cervello in poste"'!
Io non trovo Manfredo, e la porta grande del palazzo è serrata, né si sente
o vede alcuno, perché ogn'un dorme, e se bene potrei entrar da questa
banda, e andar a battere aUe stanze di Manfredo, il voler parlargli a
quest'hora par ch'abbia dell'affettato ", e che da me stesso mi scopra per
^'^'^ pianelle: calzature da casa a suola piatta e flessibile.
^~'-' fuga... biscia: 'scappiamo a zigzag, serpeggiando'.
^'" appostino di mira: 'non ci prendano di mira (con i loro archibugi)'.
^^' non mi manda il cervello in poste: 'non mi fa impazzire' (cfr. GDLJ, XIII s.v. posta in cui
si attestano, oltre al passo in oggetto, esempi dall'Aretino e dal Doni).
^^2 affettato: studiato, ricercato.
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 243
interessato, et aspettare fino a domattina è troppo lungo tempo, e forse mi
potrebbe avvenir cosa, che non potrei aiutarmi. Che farò? Il tempo passa,
l'indugio nuoce, et io sempre più resto confuso, e smarrito. Oh Olinda mia,
e pur per te ogni passione m'è cara, ma finalmente che sarà di noi? Tanta
fede, tanto amore, avrà premio o castigo? Ma perché castigo? Meritano es-
ser puniti gl'ingrati, i finti, i disleali, ma non I FIDI AMANTI"^ essempio
di costanza, e di fermezza!
SCENA NONA
Manfredo con servitor che tace, Erminio.
MANFREDO Fermati qui su la porta: se m dici c'hai sentito nominare
Erminio, non può essere altri che egli. Ecco che, chi si sia,
non è ancor partito: hora me ne chiarirò.
ERMINIO (Mi pare aver sentito la voce di Manfredo... oh sarà questo,
oh buono!) Signor Manfredo!
MANFREDO Chi è qua?
ERMINIO Son io. E voi, dove andate a quest'hora?
MANFREDO E voi che fate qui attorno a queste mura? Deh poverino,
come amico che vi sono, ho da dolermi della vostra cattiva
sorte...
ERMINIO (Oimè, male nuove!)
MANFREDO ... che con tanto ardimento, senza guardare al dishonore
del Prencipe, vi mettete a quest'hora a parlar con Olinda
alla fenestra, et a pregarla, che v'apra la porta. Se voi...
ERMINIO Piano un poco: io non v'intendo! Chi ha parlato con OUn-
da alla fenestra?
MANFREDO Voi medesimo in persona.
ERMINIO Dove? Quando?
MANFREDO Qui, adesso.
ERMINIO Io ho parlato adesso con Olinda? Io l'ho pregata che
m'apra la porta?
333 Così nella stampa.
244
Edizioni critiche
MANFREDO Eh, Signor Erminio, lo star con esso me su la negativa""*,
poco vi può giovare! Séte stato sentito adesso qui in strada
parlar con OHnda su la fenestra. Domattina Sua Eccellenza
ha saputo ogni cosa.
ERMINIO Ah, Signor Manfredo, che modi, che inventioni son que-
ste? Non occorre trattar così meco: venite, venite alla Ube-
ra, e scopritevi apertamente, senza trovare altre girande^^^!
Son ben io il vostro dissegno, e la vostra mira^^^, ma forse
andarà vano il colpo.
MANFREDO Più presto il vostro. Signor mio! Orsù, come a me rincre-
sce ogm vostro travaglio, così compatite voi la disgrafia
vostra. Quel c'ho detto io è l'istessa verità. Buona notte.
ERMINIO O patientia, tiemmi al segno! "È l'istessa verità", dice! Ah
Prencipe! Chi non sa che per togliermi Olinda, questa è la
tua propria inventione, nata da pensiero il più malvagio, il
più iniquo che viva in animo barbaro, in core spietato? Ah,
ma tu vorresti pagarti de l'obligo c'ho teco con troppo ca-
ro, e raro prezzo! Non lo posso patire: hora sì che son ri-
soluto!
SCENA DECIMA
LeUo, Gasparo, OUnda.
LELIO
GASPARO
LELIO
GASPARO
Dove è la scala?
Eccola qui sotto.
Hai accommodato bene il filetto^^^?
Signor sì, non avete se non a gittarlo dove la volete attaccare.
^^^ star... su la negativa: negare ogni cosa con decisione.
^^'^ girande: mistificazioni, raggiri.
^^^ la vostra mira: 'il vostro bersaglio'.
^^^ filetto: era la funicella che si legava all'estremità della fune principale per tenerla ben
tesa (cfr. Crusca, s.v. ragna).
I Fidi A.manti. Comedia del Signor Francesco Podiani
245
LELIO
GASPARO
LELIO
GASPARO
LELIO
GASPARO
LELIO
OLINDA
LELIO
OLINDA
LELIO
GASPARO
OLINDA
LELIO
OLINDA
LELIO
GASPARO
LELIO
Se t'ho da dir il vero, il corpo è qui, e la mente in mille par-
ti: se io avessi a trattar qual si voglia altra impresa, non mi
farebbe così gran mutatione^^^.
Ve lo credo! Ma ancor avete tempo a pentirvi.
Orsù, qui nessun si vede né sente. Risolutione e cuore! Da'
qua la scala.
Pigliate, ma dove l'attaccarete?
A quel ferro vicino a la fenestra, se ben lo vedo, quando
poi sarò dentro, potrò forse andar per tutto. Tu fermati là a
quella banda, e se qualcuno comparisce, fa cenno col fischio.
Gittate questo sassolino attaccato al filetto, e sopra '1 tutto
fermate ben la scala.
Non vedo ben il ferro: gitto il sasso, ma non arrivo.
Zi, zi, eccomi, appunto adesso son qui. Che abbiamo a fare?
Oh, Signora Olinda!
Piano, di gratia, che ho paura che queste mura non ci sco-
prano!
Oh infelice! Non dubitate, cuor mio, che ogni cosa passarà
secretissimamente.
Oh questa sì, che sarà l'altra^^'^
Io son in ordine, et ho la chiave da poter uscire: vengo a
basso?
Venite, ma non vorrei che incorressimo in qualche errore.
Non è pericolo, che Soffronia dorme profondamente. Ec-
comi a voi.
Ascoltate: almeno per più sicurezza contentatevi (vita mia)
prima che veniate meco, che sia stabilita la fede fra noi, io
d'esser sempre vostro, e voi, sì appunto. (Ella non vuol
sentir altro!).
Gran caso sarà questo, io stupisco, io rinasco!
Gasparo dove sei? Io non ti vedo.
^^'^ non mi farebbe... mutatione: 'non mi causerebbe una tale ansia, un simile sconvolgimen-
to nel cuore'.
"'^ sarà l'altra: 'sarà bella' (cfr. pp. 195, 215, 259).
246
EdÌ2Ìoni critiche
GASPARO Son qui, et ho sentito ogni cosa, ma avvertite'"*" che sia sta-
ta Olinda.
LELIO Come? Non conosco io Olinda fra mille donne? Oh felice
risolutione! Ma che faremo? La vogliam menar via, o no?
GASPARO Chiaritevi s'ella è essa: mi par impossibile una cosa tale,
dubito di qualche contramina '"*'.
LELIO Non occorre dubitare, perch'altri che tu, et io non è stato
consapevole.
GASPARO Et eUa, come lo sa?
LELIO Che so io? Piano che la sento, eccola a noi.
GASPARO Oh, come è volata!
OLINDA Dove séte? Non avete Valerio con voi?
LELIO Signora sì, Gasparo, mio servitore fedelissimo.
OLINDA Che è Gasparo? Chi séte voi?
LELIO Io, Signora!
OLINDA Erminio, oimé, Erminio!
GASPARO Che diss'io?
LELIO Io son LeHo, Signora, e non men di Erminio servo svisce-
ratissimo di Vostra Signoria.
OLINDA Tirati indietro! Ah Erminio, da te son tradita! Misera la vita
mia, Erminio crudele!
LELIO Signora Olinda! Gasparo, aiutami, che vien meno!
GASPARO Oimé, che sarà?
LELIO Che accidente, che caso sarà questo? Gasparo, costei si
mòre!
GASPARO Ah, che sarò stato presago di qualche gran male!
LELIO Oh infelice me, che vedo? Che provo? Ah fortuna, che
scherzo orribile m'appresenti!
^■♦o avvertite: 'assicuratevi'.
^■*' contramina: idea o progetto che si contrappone a quello d'altri per impedirne la rea-
lizzazione (sul precoce passaggio della voce, in origine militare, all'uso figurato, cfr. GDU,
III, s.v. contromina con esempi dal Caro, Bandello...).
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
247
GASPARO
LELIO
GASPARO
LELIO
GASPARO
LELIO
GASPARO
LELIO
GASPARO
Oh quanto era meglio d'appigHarsi al mio consiglio! Oimè,
mi par sentire venir non so chi a questa volta: Dio voglia
che non sia la corte. Se questo è, siamo spediti!
Olinda? Portianla via!
Oh questo no, andianne con Dio!
Oimè, vogliam dunque lasciarla così, e non l'aiutare?
E che aiuto le volete dare s'ella è spedita^"*^?
E vero ma..
Ma a vostra posta , eccoli che ci sono addosso. Trattar in
dishonore del Prencipe, eh? Presto, ritiriamoci in casa de la
Signora Almira!
Presto, sollecita i passi. Oh!
Il tutto ho previsto.
SCENA UNDICESIMA
Erminio, Valerio, Olinda.
ERMINIO
VALERIO
ERMINIO
VALERIO
ERMINIO
VALERIO
ERMINIO
E per quella strada andremo in poste ''*^ alla volta di Napoli,
e poi a Roma.
Ma come uscirem hora di Salerno, se le porte saran serrate?
Lascia la cura a me col portinaro; quel che più importa è
che i cavalli sieno hora in ordine.
Avete sentito se ho messo fretta al vetturino, ma vogliam
partir così, senza far altra provisione di dinari , e di panni?
Dinari non mancheranno, de i panni per hora farem con
questi.
Come vi pare. Orsù, io farò motto ad Olinda, che ci deve
aspettare. Ma chi è qui disteso in terra?
Qualc'uno che dorme, forse; non gli dar fastidio, che non
c'impedisse!
^"•^ spedita: spacciata (lett. 'prossima alla morte').
^■'3 a vostra posta: 'per colpa vostra'.
'^^ in poste: in fretta, speditamente.
248
Edizioni critiche
VALERIO
ERMINIO
VALERIO
ERMINIO
VALERIO
ERMINIO
VALERIO
ERMINIO
VALERIO
ERMINIO
VALERIO
ERMINIO
VALERIO
É una donna questa!
Come una donna?
Vedete un poco... Dio m'aiuti!
E una donna, certo... oimè! Oh, che è OHnda!
Piano, animo, Signore! Oh, quel ch'io vedo!
Olinda! OHnda, anima mia!
Oh doloroso caso sarà questo!
Luce de gli occhi miei, come ti trovo? Che spettacolo fiero
m'appresenti? Sventurato, che io solo sarò stato cagione di
sì gran male!
Oh sventura mia!
Io solo, per volerti levare dell'altrui rapaci mani, a
quest'estremo t'ho ridotta. Io dunque t'ho così trattato,
dolcissim'anima mia? Che per soccorrerti arei fatto scudo
di questa vita a mtti i colpi d'ogni tua sinistra fortuna, avrei
a tutte l'hore sparso da tutte queste vene il mio sangue,
dove bolliva di ardentissimo desiderio d'esseguire
l'honestissime voglie me. Ma ecco, sfortunata, come l'hai
adempite, ecco come hai ottenuto il desiderio mo, il mo
contento! Su su partiamo, Olinda, partiamo! Non no: re-
stiamo, Olinda, restiamo!
Non morirà, no: i polsi battono gagliardamente!
Spirito del cuor mio, questo, questo ristoro t'è dato a tanto
amore, a tanto ardore? Questo premio riceve sì candida e
rara fede? Mano crudele, mano infame (se mano t'ha offe-
sa), come avesti ardimento d'incrudelire contra l'amore,
contra la fede istessa? E voi, occhi miei più infelici, che ferì
quella mano, e quel cuore, perché mirando caso sì funesto,
non date il passo a un largo fiume di lagrime, che dia tribu-
to alla pena, al dolore? Io, che non so con che altro dar se-
gno deUa mia sì gran perdita, morirò qui teco, e poi che in
vita non avrò potuto esser tuo, ti seguirò in morte, anima
cara!
Non gridate, che non accresciam male sopra male!
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
249
ERMINIO Vo' gridar tanto fin che fo palese alla corte, al Prencipe i-
stesso, a tutto il mondo, l'error grande c'ho fatto, il misfat-
to crudele c'ho commesso, che merita crudel pena. Ahi, di-
scorso mal inteso! Ahi, risolutione troppo pessima! Ahi
fortuna adirata! Ecco a che termine l'una avete già ridotta,
e l'altro séte per ridurre hor hora.
VALERIO Di gratia, non levate il pianto! Non vedete che torna in sé?
ERMINIO Chi t'ha offeso? Chi t'ha offeso? Parla, rispondi! Io non
veggio già sangue, né percossa alcuna: che può esser stato
questo, Valerio?
VALERIO Qualche svenimento per la grand'allegrezza d'aver a tro-
varsi con voi, ma non è niente.
ERMINIO Ma perché qui in strada? Oimè, io non so imaginarlo.
VALERIO Drizzamola in piedi, e pigliam partito ^'*^
ERMINIO Pur ch'ella possa reggersi. Prendila per l'altro braccio, e so-
stienla da l'altro lato.
VALERIO Così, pian piano. Oh, non v'ho detto io che sarà stato un
accidente? Eccola Libera. Come suda!
ERMINIO Olinda, voltatevi a me, ben mio: non mi conoscete?
VALERIO Siam qui noi, non dubitate allegramente.
OLINDA Erminio? Oimè, dove son'io?
ERMINIO In luogo sicuro, in Libertà. Non vogHam partire?
OLINDA E come séte qui capitati? Dianzi io non vi vidi!
ERMINIO Non vi ricordate che dovevamo venir per voi? Ma che ac-
cidente è stato il vostro? Come séte qui fuora? Che vi è oc-
corso di nuovo? Io non lo so.
VALERIO Non é tempo adesso da far ragionamenti. Partiamoci di
qui, se potete, Olinda.
OLINDA Posso, andiamo.
ERMINIO Voi séte molto svenuta: non è possibile per un poco poter
mettersi in viaggio.
VALERIO Cattivo principio.
^*^ pigliam partito: 'prendiamo una decisione'.
250 Edizioni critiche
ERMINIO Hora che siamo in ballo, seguir bisogna. Andiamo per hora
in casa di mastro GiuHo orefice, dove ne tratteremo
secretamente per tutto domani, poi l'oscurar del giorno
montaremo a cavallo, e voi intanto riavrete le vostre forze.
VALERIO Di altri che di mastro Giulio, che vi è si caro amico, non
sarebbe da fidarsi in sì gran pericolo.
IL FINE DEL QUARTO ATTO.
^■*^ ne tratteremo: 'ci tratterremo'.
^^'' poi: dopo.
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 251
ATTO QUINTO
SCENA PRIMA
Aknira, Concordia, Manfredo.
ALMIRA Trovisi chi vuole, qui siam poco lontane da casa: vogHo
chiarirmi un tratto, s'egH è vero quel che Lelio e Gasparo
m'han detto.
CONCORDIA Séte troppo arrischiata: andar per la città a lume di luna eh?
Uh, vedete l'ombre de i camini, se non paiono huomini!
ALMIRA Qui non si vede OHnda né morta né viva. Vedrai, Concor-
dia, che io sarò stata indovina: costei avrà data la posta
ad Erminio, e si sarà ingannata in Lelio, et avrà finto
d'esser morta, fin tanto che LeHo si sarà partito, e poi subi-
to sarà andata a trovare Erminio.
CONCORDIA Lasciateli fare. Non vedete che par ch'abbiate sotto la mi-
1 i> • 349-,
mera de 1 argento vivo f
ALMIRA Taci, che vedo non so chi uscir del cortile! Ritiriamoci da
banda.
CONCORDIA Bel risvegliar di can che dorme!
MANFREDO Ah scelerata, pessima Olinda! Questa è la bontà, questo è
lo stare ritirata, questo è l'esser indisposta? Ah, malvagia
femina, che tutto hai fatto per poter meglio celar il mal
pensiero ch'avevi di fuggirtene via, ma troppo mal consi-
gliata fosti, et in mal punto ti sarai partita!
ALMIRA Che sarà?
CONCORDIA Sentite, che non parla di Erminio?
MANFREDO Perfido Erminio...
ALMIRA Oimè!
CONCORDIA Tenete fermo.
^^^ posta: appuntamento convenuto tra due innamorati.
^^'^ argento vivo: denominazione popolare del mercurio, simbolo di eccessiva \ivacità ed
irrequietezza.
252
Edizioni critiche
MANFREDO ...troppo ardire è stato il tuo, che solo per satiar la tua vo-
glia dishonesta, ingorda, hai offeso il Prencipe sul vivo! Ma
te stesso avrai offeso, meschino! Perché sopra chi lo fa
torna l'inganno. Questa è pur tua lettera, scritta di tua ma-
no ad Olinda: qui pur gl'insegni, accioché Soffronia non se
n'avveda, come la debba far dormire, se ben hora è sveglia-
ta, et apparecchiata per andare da Sua Eccellenza e raggua-
gliarla di questo caso, e di non so che altra inteUigentia
ch'era prima fra di loro.
ALMIRA Fatta è, o Erminio assassino!
CONCORDIA Oh, impacciatevi con cortigiani, che tante volte ve n'ho
avvertito!
MANFREDO Manigoldo Valerio, ancor tu d'accordo, eh? Hor hora, se
bene non è giorno, andrò anch'io a dirlo al Prencipe.
ALMIRA Perdonatemi, Signore, se son presontuosa: so che voi séte
il mastro di casa del Signor Prencipe.
MANFREDO Sono, perché?
ALMIRA Vi dirò: ho saputo hor hora da un gentilhuomo mio amico,
che passand'egli due hore sono per questa piazza per suoi
negocì, uscì di palazzo quella giovine Genovese, la quale si
pensò che costui fosse Erminio che l'aspettasse per fuggir-
sene insieme, ma visto che non era esso, o che dal dolore
cascasse tramortita, o pur fingesse, io non so. Basta, che
Erminio, povera me, ha in mano del mio un vezzo di
perle, e dubito che si sarà partito, e rubbatomelo, e però
son venuta per intendere s'è vero, accoché vogliate per
gran carità dirlo al Signor Prencipe, e farlo giugnere, se sarà
partito di Salerno.
MANFREDO Madonna, la partita di Erminio sarà certa, perché io ho tro-
vata questa poliza, scritta da lui, e mandata per Valerio a
quella giovine, che in qualche modo o a lei, o a lui debbe
esser cascata, e per mezo di questa ho scoperto che già se
ne sono fuggiti insieme.
''** vet(i^o: collana o braccialetto.
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
253
ALMIRA Col mio vezzo! Ah, ladro!
MANFREDO Circa a questo, io non so che dirmi. Ma il gentilhuomo che
voi dite, che s'è incontrato al fatto, sarà necessario che lo
dica.
ALMIRA Sono stata indovina io. Concordia?
CONCORDIA Sempre il papagallo vi canta nell'orto^^\
ALMIRA Oimè che il Prencipe non lo farà seguitare altramente, et
egli intanto sarà venuto alla sua, traditore!
CONCORDIA Signora, abbiate patientia! È perduto il modello de la con-
cupiscentia! Oh se questo ch'esce di casa fosse Farina! Se
vedo bene, è esso.
SCENA SECONDA
Farina, Almira, Concordia.
FARINA
ALMIRA
FARINA
ALMIRA
FARINA
ALMIRA
CONCORDIA
FARINA
Il Procuratore non torna: Dio voglia che da dovero non gH
sia occorsa qualche disgratia. Oh séte voi Signora! Non a-
vete potuto aspettarmi a casa, eh?
Oh Farina, che disgratia è la mia!
Che? La cosa è passata benissimo, il Procuratore vi ha ser-
vito d'amico, ma credo che ancora corra, per una paura
che egH ha avuta.
Questo non mi giova più; ci sono maHssime nuove: quel
perfido, scelerato, traditor di Erminio...
Su, ditelo: che ha fatto?
S'è andato con Dio"" con quella sua Olinda.
Il resto pensalo tu.
(Può far mia sorte'^'). E quando?
^^^ Sempre... orto: probabilmente nel senso di 'sapete sempre tutto' o 'c'è qualcuno che vi
dice sempre tutto', anche se mancano riferimenti precisi.
^=2 S'è andato con Dio: 'è andato in pace'.
^"^^ far mia sorte: 'può fare al caso mio, la mia fortuna'.
254
Edizioni critiche
ALMIRA
FARINA
ALMIRA
FARINA
CONCORDIA
ALMIRA
FARINA
ALMIRA
CONCORDIA
FARINA
Ha poco più di due hore , et adesso ho lasciato il Mastro
di casa, che credo che lo vada a dire a Sua Eccellenza. Che
ne credi tu, Farina, che ci sia più rimedio per me?
Che '1 Signor Prencipe gli faccia giugnere tenetelo per cer-
to, perché l'affronto l'hanno fatto a lui, ma mi dà ben
fastidio che '1 Procuratore non torni: dubito ch'egli vada
dicendo il seguito di questa notte, e perciò si creda che noi
abbiam dato aiuto a costoro con tal inventione. Se ciò fos-
se, guai a noi!
La partita di Erminio, Farina?
La trama di questa notte. Signora! Se '1 procuratore ci sco-
pre, siam cacciati tutti in prigione. Io, quanto a me, netto il
paese^" io!
E noi altre poi? Orsù, che me la sono imaginata! Deh buo-
na, e santa intentione, scampami dalle mani che stringono,
che appendo la scatolone da i lisci al tempio de la purità '!
Che possiam fare? Dove può esser hora il Procuratore?
Che ne so io? Tornate a casa, e farò in tutti i modi ch'egli
venga a parlarvi. Voi doletevi di non aver potuto questa
notte chiamarlo dentro in camera, e prometteteli per
un'altra volta, e poi pregatelo che non faccia parola di quel
ch'è passato fra voi, che so che v'obedirà, se faremo a
tempo.
E come si fiderà più di noi?
Oimè, Farina, ecco il furiero^^'' de la paura!
Per mia fé', ch'è il Procuratore! Fingiamo di non vederlo.
^^^ Ha... bore: 'è da poco più di due ore'. Per la costruzione impersonale con avere, tipica
dell'umbro cfr. Mario Podiani, / Megliacci, Prologo: «ha quasi un mese», in F. Ugolini, Il pe-
rugino Mario Podiani, op. cit., II, p. 15 e relativa nota. III, p. 25.
^^^ netto il paese: 'abbandono la città in fretta'.
'^^ Concordia, in altre parole, fa voto di abbandonare il mestiere di cortigiana, pur di
uscirne indenne.
^^^ furiero: messaggero (letteralmente 'cavaliere foraggiere' dal fr. ■à.nx.. Jourrier, il soldato
che precedeva l'esercito cercando foraggio ed annunciando in tal modo alla popolazione il
temuto passaggio delle truppe).
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
255
SCENA TERZA
Pancratio, Farina, Almira, Concordia.
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
ALMIRA
PANCRATIO
CONCORDIA
FARINA
PANCRATIO
ALMIRA
CONCORDIA
PANCRATIO
Oh Imperatoriam Maiestatem , se questa volta te salvo, mai
più donne non mi t'usurpano!
Signora, vi séte messa a gran rischio a venir in persona a
quest'hora per trovare il Signor Procuratore!
Donne con Farina... Almira non può essere, perché so do-
ve eU'é intrata.
Ditemi, di gratia, se sua Signoria Eccellentissima é in casa,
perché smanio se non le mostro il dolore ch'io sento di
non gU aver potuto questa notte aprir la porta, sfortunata
ALmira!
Un miracol vivo: costei per marteUo^^^ é saltata dalle fene-
stre e non s'è fatta male!
Sua astinenza deve studiare.
Signora Almira, quietatevi, che sua Signoria saprà che non
è stato per colpa vostra. Adesso non è in casa, e credo che
a quest'hora sarà cavalcata alla volta di Napoli, perché ha
lettere dal Prencipe dell'Oca, che '1 marchese del Bufalo è
prigione della vicaria ' , e che volendolo difendere, subito
vista la presente, monti a cavallo.
Oh servitor raro, sia benedett'io, che te tengo!
Se quest'è, son impacciata. Che faremo, Concordia?
Che so io? Troviam uno, che in questo bisogno ce cavalchi
fino a Napoli, a scusarvi con sua reverenda.
Figlia, che vogHo passarti la supplica gratis ' ! In somma,
m'ha detto il vero Farina!
^^* Imperatoriam Maiestatem: Maestà Imperiale.
^'^'^ per martello: per la preoccupazione, per l'ansia.
^60 vicaria: nel Regno di Napoli, era il tribunale cui spettava la giurisdizione in ambito
civile e penale, e l'edificio sede del tnbunale e delle carcen.
^''' Pancratio resta fedele alla sua natuta di leguleio ed avaro.
256
Edizioni critiche
ALMIRA
PANCRATIO
FARINA
PANCRATIO
ALMIRA
CONCORDIA
FARINA
PANCRATIO
Poi che la disgratia mia vuol ch'io perda ogni speranza di mai
più forse potermelo godere, almeno fateli fede voi, quanto
per cagion sua io resti malcontenta. Mi parto, a Dio.
Oimè, che costei non s'impiccasse!
Piano, Signora, che '1 soccorso è vicino: ecco Sua Signoria!
Comparvit coram vobis, o sexu mi iocundissime, prcefatus ille domi-
nus..?^'" scostati Farina, non vedi che mi calpesti l'ombra, e
guasti Paolo de Castro ' in giubbone?
Ben venga il mio Signore, ben venga l'Idolo mio! Oh virtù
di bella, e potente imagine, come al suo primo apparire ha
discacciato dal cuor mio ogni tristezza, et ogn' affanno
convertito in dolcissimo riposo!
Vedete vago fiore di Narciso. Uh, che '1 ciel vi tiri al fonte,
e al fondo^*^"*!
Gran ventura certo, poiché se Vostra Signoria non compari-
va, la Signora veniva meno. Ma del Marchese che nuova c'è?
Che Marchese, che Prencipe, o Imperatore? DaU'honore in
poi vada a sacco^^'^ ogi^ cosa, ho avuto a dir peggio: non
sai tu quel che fece Giove, che per star con la sua innamo-
rata, diventò quando un bue, e quando un'oca^^'*^?
^^^ Comparvit... dominur. 'È comparso davanti a voi, donna mia carissima, quello stesso
Signore invocato'.
^^^ Paolo da Castro: giureconsulto nato a Castro e vissuto tra il XIV e X\'' secolo. Autore
di commentari (tra i quali queUo al Corpus luris Civilis, impresso tra il 1544 e il 1548) e di
Consilia, fu uno dei più famosi giuristi della scuola del commento.
364 jsjardso... fondo: 'vi faccia annegare come Narciso che, innamoratosi della propria
immagine rispecchiata dall'acqua di una fonte, vi cadde dentro'. Il riferimento è al mito
narrato da Ovidio, Metamorfosi, III, 353-355.
^^^ vada a sacco: 'sia messo a repentaglio' (per essere in sacco 'trovarsi un gran pericolo', cfr.
TB s.v. sacco).
^^^ un bue... un'oca: Pancratio storpia a suo modo i notissimi episodi mitologici nei quali
Zeus, invaghito di donne mortali, si unì a loro sotto forma di animali. Il bue allude infatti
alle sembianze di toro che il re degli dei assunse per il ratto di Europa (cfr. Ovidio, Meta-
morfosi, II, 843-75; VI, 103-7) L'oca invece fa riferimento alla trasformazione in cigno as-
sunta per unirsi a Leda, moglie del re di Sparta Tindaro, dalla quale vennero generati i ge-
melli Castore e Polluce (cfr. Ovidio, Heroides, XVII, 55 e segg.). Per l'evocazione delle di-
verse sembianze assunte da Giove nelle sue imprese amorose cfr. anche Calmo, Il Saltu;^a,
atto 2, scena 7.
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 257
ALMIRA E perché vedo l'amor vostro non men ardente del suo,
vorrei poter esser Leda e, dolcemente ingannata, accoglier-
vi in seno, bellissimo cigno mio.
FARINA E quest'anco si potrà, pur che l'ingegno s'adopri, e le cose
passino secretamente.
PANCRATIO Proregina, e Principessa mia, lucono più gli occhi di Vostra
Signoria rara illustre, che non fa questo de la povera luna,
hora che splende in Ponente, e dubito che *1 contrasto loro
non faccia ecclisse, e che ogn'uno corra allo spavento de i
suoi raggi, per veder voi.
CONCORDIA Sentisti mai, Farina, più bella unione di spropositi?
FARINA Lasciam andare. Signor Patrone, séte voi stato veduto que-
sta notte andar a torno così vestito?
PANCRATIO Non so se quei due ch'erano poco fa qui con la Signora
Almira, per martello, m'avranno veduto.
ALMIRA Quando, ben mio?
PANCRATIO Dianzi, quand'io per un degno rispetto m'era nascosto sot-
to un uscio (m'intende il mio servitore), vidi venir Vostra
Signoria con due altri, e nell'intrare che faceste in casa di
mastro Giulio orefice, io conobbi il Signor Erminio, quan-
do vi disse: "Entra, cuor mio, che mi consumo!".
ALMIRA Che, il Signor Erminio SaHdori di corte?
PANCRATIO Quello Signora sì, non lo sa Vostra Signoria che
s'appoggiava a lui?
FARINA Come sta questa cosa, Signora Almira?
ALMIRA Va Erminio con la diva in casa di mastro Giulio, eh?
L'uccello ha dato nella rete'^''^! A rivederci. Farina. Vienni,
Concordia, presto!
CONCORDIA Uh poverina, che v'ha pizzicato, la tarantola?
FARINA Guarda caso, o povero Erminio, a gran pericolo sei.
PANCRATIO S'è partita costei, Farina!
FARINA Lasciatela andare, in nome di Dio, che va per castigare
Erminio vostro rivale.
'''^ ha dato nella rete: 'è caduto in trappola'.
258 Edizioni critiche
PANCRATIO Questi cortigiani mi vogliono far giocare^^^ i libri, e la pro-
fessione. Hor ora voglio andare a mettermi su l'uscio de la
Signora Almira, e cacciarci dentro il capo, a posta per con-
tendere con uno di loro. Seguita costei tu, ch'io vo a rive-
stirmi.
FARINA Di gratia, non andate più vacillando^''^ questa notte: sarete
veduto tante volte entrar, e uscire di casa, e pigliarete nome
di vagabondo.
PANCRATIO Uscirò per la stalla. Va' dove t'ho detto.
FARINA Io vo.
PANCRATIO Non voglio che su la mia dignità ci cachino pur le mosche.
SCENA QUARTA
Lelio, Alessandro.
LELIO Perdonami, Alessandro, non ho mai veduto a' dì miei un
huomo più cauto, e più sospettoso di te.
ALESSANDRO Vuoi la burla tu; si tratta con Prencipi qua, e che sorte di
trattati poi! Io ti dico che tu corri una delle maggior fortu-
ne che huomo possa immaginarsi.
LELIO Olinda non è morta, non è più dove la lasciammo!
ALESSANDRO Oh, non la potrebbono aver portata via morta dove era?
LELIO Oh Erminio, se questo caso ti riesce, voglio ben dire che 'l
mal operare non nuoce.
ALESSANDRO Oh m t'inganni, se pensi che non ne faccia risentimento ;
un cortigiano toglier su gli occhi al Prencipe una donna a
lui così cara? Oimè io tremo solo a pensarlo! Di gratia, non
stiamo più qui.
LELIO Perché?
ALESSANDRO Dubito di te.
^^^ far giocare: far rischiare.
^^^ non... vacillando: 'non muovetev'i più in continuazione'.
^™ Il soggetto è il Prencipe.
1 Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
259
LELIO Oh questa sarà l'altra "^^'l E che colpa n'ho io?
ALESSANDRO Se tu sei stato veduto questa notte con Olinda in strada,
come tu racconti, e pur sentito parlarle alla fenestra, sareb-
be gran cosa che tu non avessi a giustificarti con pericolo
della vita. Chi è questo che spunta di qua?
LELIO A l'habito, par forestiero.
SCENA QUINTA
Alidoro, Alessandro, Lelio.
ALIDORO Questo dev'essere il palazzo del Prencipe. Per un pezzo
non occorre pensare di poter avere audientia, né informa-
tione di cosa ch'io desideri. Avrò almeno imparata la stra-
da... Ma ecco qua gente.
ALESSANDRO Costui viene alla volta nostra.
LELIO Lascialo venire.
ALIDORO Dio vi salvi, gentilhuomini. Non è questo il palazzo dove
risiede il Signor Prencipe?
LELIO Questo è.
ALIDORO Io son forestiero e vengo a posta per trattar con sua Eccel-
lenza cosa a me molto importante. A che hora se li potrà
parlare?
LELIO NeU'hora della sua udientia solita, se ben credo che per
questo giorno che viene, avrete fatica di poterla avere.
ALIDORO Perché, s'è lecito?
LELIO Perché, oltre che non è a palazzo, credo anco che non sia...
ALESSANDRO Gentilhuomo, il Signor Prencipe è al suo giardino. Se avete
necessità di trattare con sua Eccellenza andate, che facil-
mente hoggi a qualche hora gli potrete parlare.
ALIDORO Signore, se la mia non è importunità, mi sapreste dire se in
questa corte si ritrova un Valerio genovese?
ALESSANDRO Perché ne domandate?
questa... l'altra: 'questa è bella' (cfr. pp. 195, 215, 245).
260
Edizioni critiche
ALIDORO
LELIO
ALIDORO
LELIO
ALIDORO
Per saperne nuova, perché ancor io son genovese.
Di un Valerio, huomo per quanto si vede, di bassa fortuna,
che non è molto che venne in questa corte, ve ne potremo
dar nuova particolare.
Appunto questo desidero. Quanto tempo è che venne in
corte, e a che officio serve?
Non molti mesi sono, e non so che serva a officio nessuno
particolare.
Egli venne solo o accompagnato?
ALESSANDRO (Che sarà?)
LELIO Dicono che menò seco una giovine che avea salvata da una
fortuna in mare.
ALIDORO Traditore! Come si chiama questa giovine?
LELIO Si chiamava Olinda.
ALIDORO Si chiamava, ma hora non si chiama più OHnda? Oimè!
LELIO Vi dirò: dubito che se questa notte notte non è morta, a
quest'hora sia a mal termine, per un caso che l'è occorso.
ALESSANDRO (Costui s'è molto turbato.)
ALIDORO (Oimè, che sento? Non mi voglio scoprir per padre...). Per
gratia, ditemi quel che l'è avvenuto, accioché se sarà possi-
bile, io possa rimediare.
ALESSANDRO Voi dovete esser venuto a posta di Genova in qua per in-
tendere d'OKnda, e forse ne siete parente...
ALIDORO Signor sì, e hiersera appunto al tardi arrivai qua, e questa
notte ch'io pensai quietarmi per esser giunto dove io vole-
va, potendo aver nuova di quello ch'io cercava, non ho mai
potuto chiuder occhi, che un non so che nell'animo ini ha
sempre travagliato, onde son stato forzato a quest'hora le-
varmi, et escire da l'hostaria, e venir così solo innanzi tem-
po dove mi vedete, ma forse non sarà stato indarno, che
voi Signori, per cortesia, mi potrete giovare a qualche cosa.
LELIO Noi non potemo se non consigliarvi che ve n'andiate in
corte, e come parente dimandiate d'Olinda, che n'arete in-
formatone.
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
261
ALIDORO Così avea pensato ancor io; ma dove ho da inviarmi, che
non so dove risieda il Signor Prencipe?
ALESSANDRO Venite, che io vi mostrare il luogo, ma per buon pezzo sa-
ranno serrate le porte.
ALIDORO Aspettare finché s'apriranno, e perdonatemi se v'incommodo.
ALESSANDRO Lelio, poi ch'io sarò tant'oltra, arrivarò fino a casa mia; di
qui a poco ne rivederemo.
LELIO Va' pure. Appunto questo povero gentilhuomo potrebbe
esser venuto a tempo per veder d'Olinda, e d'Erminio
qualche spettacolo!
SCENA SESTA
Sambuco, LeHo.
SAMBUCO
LELIO
SAMBUCO
LELIO
SAMBUCO
LELIO
SAMBUCO
LELIO
SAMBUCO
Ah traditori, senza calzoni, e senza cappa! Affrontar i po-
ver huomini con gH spiedi come gH asini salvatichi, eh?
(Chi grida qua?)
Oh Farina rompicollo! Oh Procurator ruffiano! Oh sieno
maledette quante femine si trovono fuor del mondo!
(Questo è Sambuco, se non erro. )
Non so più dove nascondermi per star sicuro: se mi caccio
in qualche buco oscuro, mi scarcherranno il muro sul capo,
se entro in una botte, vi attaccheranno fuoco...
(Che ha costui?)
Potessi almeno riavere i miei panni su in casa del Procura-
tore, che mi vorrei rivestire, e per compassione mettermi
sul nicchio^^^ d'un sepolcro, e pianger il vivo.
(Gran paura ha egU, e non so di che.)
Ah, che con l'occhio di dietro me li vedo venir addosso!
Fratelli, è vero che sono un asino, su, ma domestico: am-
mazzate il Procuratore che è salvatico! EgU m'ha fatto far
^^2 spiedo: arma medievale da punta.
"' nicchio: nicchia, teca.
262
Edizioni critiche
LELIO
SAMBUCO
LELIO
SAMBUCO
LELIO
SAMBUCO
LELIO
SAMBUCO
LELIO
SAMBUCO
LELIO
SAMBUCO
LELIO
SAMBUCO
LELIO
SAMBUCO
la sentinella; egli va con le donne di palazzo, e favella con
loro alle fenestre.
(Romore ci deve essere. Me ne voglio chiarire). Olà!
Oimè, eccone uno che m'ha trovato! Oh notte, sorella de-
gH uccellacci^^"*, fammi un gufo con l'ali!
Sambuco, sei tu esso?
Non son Sambuco: son un rògo, un sterpo , e peggio,
fratello, ne ho da morire per mano del boia. Di gratia, sbri-
gatevi voi prestamente!
Che c'è di nuovo?
Forfanterie del Procuratore.
Che ha fatto?
Ha voluto aprir la fenestra a una donna.
Per far che?
Per entrar dentro.
Con che? Con l'arme?
Con gli occhiali, e col naso.
Accostati.
Non mi fido, perché séte uno di quei di sta notte. Mi vole-
te metter le manette: vi conosco ben, io!
Chi son questi? Parla e non dubitare.
Son più dei formiconi: chi porta archibugio, chi alabarda, e
chi peggio, e gridano: "Presto a queUa casa, che non saran
partiti!". Il Prencipe se gli vuol mangiar vivi, et ho paura
che abbiano mangiato il Procuratore: infilzato e cotto in
quell'armi longhe , come un porchettone. E '1 vorrei tro-
vare, e domandargli i miei panni... orsù, ne fo un presente a
^'■* uccellacà: rapaci notturni.
^^'^ fammi: 'trasformami'.
^''^ Non... sterpo: come si è visto in precedenza Sambuco ama giocare col suo stesso no-
me ed ora, in quanto prossimo alla morte, si dichiara ndotto ad un rovo (rògo), ad una ra-
maglia secca.
^ ''^ armi bnghe: gli spie(U prima citati.
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
263
378
LELIO
voi di essi, accioché se avrete mai a litigare , siate nato ve-
stito^^'^, e con la sententia in favore, come ho avuta io.
Fuggi se sai! (Per quanto posso raccoglier da costui, questa
è la corte che va per pigHar costoro: vogHo andare per in-
tender qualche cosa.)
SCENA SETTIMA
Gasparo, LeHo.
GASPARO Fis, fis. Signor Lelio!
LELIO Chi è là? Oh, sei tu Gasparo? Che c'è di nuovo?
GASPARO MaHssime nuove per Erminio, e per Olinda.
LELIO Olinda è viva, eh?
GASPARO Mal [...] fuggito con essa^^*^", e si trattenevano in casa d'un
orefice, per partirsi forse la notte seguente.
LELIO E sono stati ritrovati?
GASPARO Che ne credete? Il Prencipe subito l'ha saputo e fategli pi-
gliare, e dicono che fa fuoco, e se n'aspetta qualche gran ri-
sentimento. Basta, io non vorrei essere nella camicia di
Erminio.
LELIO Come è passato il fatto?
GASPARO O il Signor Manfredo o madonna Soffronia hanno scoperto
la fuga, e subito dettolo al Prencipe, fu mandato per la cor-
te"*"', et inviata alle porte, ma soprarrivando infuriata la Si-
gnora ALmira (non so come se lo sapesse) mandò subito il
barigello alla casa di questo orefice, dove stavano nascosti.
In somma sono presi, et hora arrivano qua su prigioni.
^''^ a litigare: in una causa giudiziaria.
■^^'•' nato vestito: nato fortunato.
■""' Mal [:.] fuggito con essa, nella stampa la p. 63 termina anticipando, come consueto, la
prima parola della battuta della pagina seguente che, tuttaxaa a p. 64 non \^ene riportata,
lasciando facilmente presupporre la caduta di una porzione imprecisata di testo.
'^"' la corte: 'le guardie' (cfr. Rezasco, p. 314 s.v. corte LII 'bngata di birri').
264 Edizioni critiche
LELIO Ti giuro Gasparo, che sento già gran dolor d'Olinda, per-
ché credo che caderà in lei tutta la pena, e forse a torto.
GASPARO Et io ho maggior compassione ad Erminio, perché da lei
sarà stato condotto a questo passo. Oh balordo! Esser pa-
tron lui del Prencipe e della corte, e per una donniciuola
aver messo in abandono il favore, il Prencipe, e la vita!
Credete a Gasparo, che costei sarà stata cagione di tutto
l'errore. Le donne, ah!
LELIO Che dimostratione si crede che ne faccia sua Eccellenza?
GASPARO Grande dico, se non le giovasse che dianzi arrivò un vec-
chio genovese, parente de la donna, e forse per quanto di-
cono, il padre istesso.
LELIO Padre non le può essere, s'è vero ch'egH affogasse in mare.
GASPARO Chi lo sa questo?
LELIO Andiamo, e vediamone il fine.
GASPARO Sarebbe meglio che andassimo a' fatti nostri, et a chi tocca
se la stricasse.
SCENA OTTAVA
AHdoro, Manfredo.
ALIDORO Dunque hanno a esser serrate le porte della pietà?
MANFREDO Vi dico, gentiUiuomo, che gittate il tempo a trattar meco.
Andate, e trattenetevi fin tanto che sua Eccellenza ha finito
di ragionare di secreto con madonna Soffronia, e poi but-
tateveli a' piedi, e domandate aiuto, che se questo non gio-
va, altro rimedio non occorre tentare. Io adesso sarò là, e
dove potrò v'aiutarò volentieri.
ALIDORO E a che può giovare, se voi dite che '1 Prencipe gli vuol ho-
ra nelle mani, apparecchiate^**^ a sfocar l'ira? Come credete
(sventurato me) che gU tratti a quel primo affronto^**^?
3^2 apparecchiate: pronte, preparate.
^*^ a quel primo affronto: sulle prime, inizialmente.
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 265
MANFREDO II Signor Prencipe per hora \aiol Erminio, e non Olinda:
centra lui è tutto lo sdegno, anzi ho ordine di farla scarce-
rare, e che Ermitiio venghi hor hora.
SCENA NONA
Alidoro.
Oimè, che lo sdegno, e la rabbia si riverserà nella vita di Olinda mia, et io
con questi occhi, dolente, sarò venuto a tempo per veder di te, figliuola ca-
ra, sì misero fine! Questo sarà il premio che riporterò delle fatiche, e de i
disagi che nel viaggio, et in questa mia grave età ho sofferto per venire a
vederti? Questo sarà il disegno ch'avea fatto di ricondurti a Genova, e tro-
var modo d'aver emendare il tuo fallo? Ma meglio sarebbe stato che aUhora,
a quella partita, tu fossi morta, e che io una volta sola mi fosse doluto, co-
me feci, che ritrovarti hora viva, e di nuovo esser aggravato dal dolore, et
offeso dal pianto; o che pure in quella soverchia pena, io avessi chiusi gli
occhi per sempre, per non sentire né provare quel c'hora sento e provo, in-
felice, e mal contento vecchio! Ih, ih, ih! Oimè, che fo? Questi lamenti,
queste lacrime non mi giovano. Aspettato che questo Prencipe deponga la
furia, per gittarmeli poi a i piedi, e per muoverlo a compassione delle mie
sventure, quando sarà tardi la pietà ch'io potessi impetrar da lui, se già ha
mandato o per l'uno o per l'altro di loro, per ucciderli forse con le proprie
mani? Posso sperare aiuto alcuno, quando il Prencipe istesso non mi vuol
sentire, se i suoi mi fuggono, e se tutti mi scacciano? Oh impietà grande, e
non più sentita! Vedo a questi termini miserabili ridotta la svenmrata mia
figliuola, e non posso dir per lei una parola! Ahi, che altro mi resta a fare, se
non andarmene a quel palazzo, e con le grida, e muggiti, far rimbombar
d'ogni intorno quelle mura, e veder se con questa ultima prova, posso tro-
var pietà nel cuor ostinato de gli huomini?
266
Edizioni critiche
SCENA DECIMA
Olinda, Barigello con due Sbiri, Erminio.
OLINDA A torto prendete Erminio che non v'ha colpa! Io ho fatto
l'errore, io ho offeso il Prencipe. Eccomi, non mi lasciate,
prendetemi, menatemigH innanzi, che faccia vendetta di me
sola, che merito atroce castigo!
BARIGELLO Tornate indietro, madonna, che abbiam ordine di lasciar
voi, e menare il Signor Erminio da sua Eccellenza. Ma voi
sbirri fermatevi qui, che non so se devo condurr'anco quel
altro in prigione.
OLINDA Voi dunque prigione, Erminio? Voi alla presentia del Pren-
cipe adirato? Io libera? Io viva?
ERMINIO Deh, non più Olinda, che questo piangere esacerba troppo
le mie pene! In quest'ultima prova che fa hora di me la for-
tuna, non ho altro che più mi prema che '1 soverchio vo-
stro dolore, e se non fosse che a voi sola ho riguardo, ve-
dreste di quanta poca cura io tenessi di questa mia vita, che
per satiar la fortuna vorrei correr volontariamente a qual si
voglia precipitio, e così dar fine al mio male. Ma voi se de-
siderate che in questo sfortunato caso si sminuisca in gran
parte l'affanno mio, asciugate le lagrime, e mostratemivi
d'altra mamera nella qual hora vi vedo.
OLINDA Sarà mai possibile, Erminio, se voi séte di me quella parte
che mi mantiene in vita, se senza voi non posso vivere, ve-
dendovi in tanto pericolo, non mostrar segno d'estremo
dolore? Vorrei esser di pietra, senz'occhi, e senza cuore per
non vedere sì spietato avvenimento, sì precipitosa resolu-
tione! Deh, almeno potess'io entrar nel vostro luogo^^"*, e
presentarmi come rea innanzi al Prencipe, et in me vomi-
tasse il veleno della sua rabbia, e satiasse quell'ingordigia
c'ha di farmi morire! Son donna, è vero, ma ho cuore e
384 nel vostro luogo: 'al vostro posto'
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
267
petto anch'io , da poter soffrire gli ultimi strati, e tormen-
ti.
ERMINIO Non no, a me solo tocca la pena, perché io solo ho errato,
e son stato sempre cagione d'ogni vostro male, e prima in
Genova (pessimo punto) v'allettai a l'amor mio ', onde
accettandomi per vostro, v'obligai a recusar ogn'altro. Voi
per me avete abbandonata la patria, la casa, e le ricchezze;
per cagion mia vi séte condotta in questa città, et in questa
corte; per compiacer me avete disprezzato il Prencipe, e
provocatolo a tanto sdegno, donde mi nasce questo stra-
tio... dolente, e sfortunato ch'io sono !
OLINDA Deh, che fosse mio lo stratio, e non vostro; poiché errore é
stato fatto, io sola l'ho commesso, percioché dovea con
più savio consiglio preveder il vostro danno, e procurarvi
la salute, ma se a gH huomini, alle fiere, aUe piante è per-
messo godere la loro cara, et amata compagnia, perché do-
vea io pensare che a me fosse di pena Pamare un solo,
d'honesto e santo amore? Ah, che le nozze doveano esser
premio di tanto amore, ma in vece di nozze, mi consolerà
il pianto, il dolore, e la morte !
ERMINIO Non sarà mai così ostinato un cuore, che sentendo questo
caso dolente per compassione non s'intenerisca? Non son
io homicida, né traditore al Prencipe, non ho io trattato
contra la vita né contra Phonor suo, non ho commesso ac-
cesso o sceleranza tale che meriti pena di morte; ho prepo-
sto Pamor vostro a quel del Prencipe, ho cercato levarvi
^^'^ ho cuore e petto anch'io: eco delle parole di Annida (Cfr. Tasso, G.l^, XM, 49, v. 7: «A-
nimo ho bene, ho ben vigore che baste»).
'*"' v'allettai a l'amor mio: Tasso, G.L., XVI, ott. 46, v. 3: «t'ingannai, t'allettai nel nostro
amore».
'•^^ L'intera battuta conserva delle tracce evidenti delle parole di Olimpia nel canto X
del Furioso (cfr. Ariosto, O.F., X, ott. 31-32).
388 le no:(p;e... la morte: cfr. Tasso, G.F., II, ott. 33-34. Tutta la scena è comunque model-
lata sull'episodio di Olindo e Sofronia, del resto rievocata dallo stesso Tasso nella sua
commedia (cfr. Intrichi d'Amore, atto IV, scena 7).
38'^ trattato: 'tramato'.
268 Edizioni critiche
dalle sue mani, accioché non mi vi togliesse; fu destino, fu
volontà che per voi lasciassi ogn'altro, e per grand'amore
troppo ardissi, è vero, lo confesso, ma chi può in tal caso
porre il freno a se stesso? S'inganna chi presume in un a-
mor ardente non devenir cieco, e privo di ragione. Però se
errai, errai com'insensato, e fuori di me stesso, per questo
che merito...
OLINDA Indarno, Erminio, cercate consolarmi, percioché consola-
tione non può ricevere un animo disperato. So ben io,
sfortunata, che se hora da me vi partite, la partita sarà per
più non rivederne. Ah Prencipe altre volte humano, e pieto-
so, perché hora contra di me tanto furore, e tanto sdegno?
Non sai che solo l'animo villano dura, e persiste nell'ira? Se
tu sentisti una minima parte del dolore, e della passione
che sente il cuor mio, non so come potessi soffrir mai di
non placarti, di non soccorermi. Son pur io quella che po-
co fa tu amavi, e tenevi cara: patirai di vedermi in tal ma-
niera tormentata? Verrò alla presentia tua, e mostrerotti le
mie pene: sentirai come mi tormento, queste lacrime solo
saranno bastanti a fartene fede; forse un sospiro, un sguar-
do solo, avrà tanta forza che ti porterà al cuore così nuova
pietà, che se non sarai di duro marmo o nato di fiera in-
humana, ti sentirai tutto commosso, e intenerito. Ma, oimè,
che presumo? Se è vero che tu m'ami, e che in te possano
aver luogo i miei preghi, altri d'altra maniera sì, ma non
questi si moveranno già mai, anzi per esser solo in amarmi,
t'accresceran voglia di toglierti dinanzi questo povero tuo
rivale; ma se non m'ami, come penso io, che uno sguardo,
un sospiro, mille lacrime, infinito pianto, e dolor estremo ti
possano penetrar il cuore indurato, Prencipe crudele!
BARIGELLO Presto, slegate il Signor Erminio! Buone nuove. Signore:
Sua Eccellenza ha perdonato a l'uno e l'altro di voi, et anco
a Valerio; andate là insieme, che con gran desiderio séte
aspettati. Trovarete chi sarà venuto a tempo per mutar i
I Fidi Acanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
269
vostri travagli in allegrezze. Voi venite dentro, ch'io vo a
far relassar^^° Valerio.
ERMINIO Che novità è questa? Oh Olinda, io son fuor di me!
OLINDA Et io non so se sogno o se son desta. Che ha detto il Bari-
geUo? Non so se l'ho inteso bene.
ERMINIO A me è paruto ch'abbia detto di voler andare a Liberar Va-
lerio.
OLINDA Ma che ha voluto inferire, "l'esser venuto a tempo
d'allegrezza"? Qualche novità ci deve essere.
ERMINIO Andiamo da Sua Eccellenza, che certo ci deve aver fatto la
gratia.
OLINDA E come, se non ha quasi saputo il delitto? Dubito, e non so
di che.
ERMINIO Se avesse voluto castigarci, non ci avrebbe lasciati in libertà.
OLINDA Non potrebb'essere o capriccio o fintion del Prencipe, per
maggior nostro scherno?
ERMINIO Presto ne chiariremo. Vediamo quel ch'è di Valerio, e tutti
tre di qua su n'andremo da Sua Eccellenza: hoggi potreb-
bono aver fine tante miserie.
OLINDA Così piaccia a chi può, ma temo, fin ch'altro non si vede.
SCENA UNDICEMA
Alessandro, Pancratio, Farina, Sambuco.
ALESSANDRO Di gratia, vecchio mio, andate al fatto vostro, e non tentate
più la patienda.
PANCRATIO Che vecchio tuo? Tanto abbia fiato chi lo dice! Prima vor-
FARINA
rei essere un scabeUaccio d'un scrittore
un chentolo di questa razza!
Che ti dissi io? Eccoli in contrasto.
, per aver pure
^'^*' relassar, rilasciare.
^^' scabeUaccio: sgabellacelo.
'^2 scrittore: nel senso di 'scrivano'
270 Edizioni critiche
ALESSANDRO In somma, che volete da me?
PANCRATIO In somma, con che ragione voi altri cortigiani volete impe-
dire il commercio puttanesimo, se io so che quante leggi,
digesti o rubriche fèr mai Bartolo o Baldo , non lo impe-
discono loro.
FARINA (Non vorrei che qualche tempesta intorbidasse il mio bel
tempo).
ALESSANDRO Séte dunque innamorato, eh?
PANCRATIO Son innamorato, messer sì.
ALESSANDRO Avete altra faccia che questa che portate?
PANCRATIO N'ho un'altra, che somigHa aUa ma quando fai l'amore.
ALESSANDRO Oh bel drudo, oh vago amador lascivo, or qual sarebbe
quell'ingrata che vedendo lampeggiare quei begH occhi
ruggiadosi, non s'invaghisse di loro, e come farfalla non
ardesse in quelle fiamme vive?
FARINA (Ci vendicar© io''').
ALESSANDRO Deh, che vi dovreste vergognare: un huom canuto dell'età
vostra andar dietro a gli amori, et alle gelosie ! Oh quanto
fareste meglio attendere ad altro, che a dar sempre materia
alla gente, che s'abbia a ridere di voi^'^.
PANCR/\TIO Son Procuratore perché son capace della ragione, e se son
canuto, non é per vecchiezza, ma perché son simile alla
carta, per troppo smdiare, e se la gente ride di me, ride
perché... va', e domandagliene!
^^^ rubriche... Baldo: Bartolo da Sassoferrato (1314-Perugia, 1357) e Baldo degli Ubaldi
(Perugia 1320-Pavia 1400), entrambi notissimi giureconsulti, di fama proverbiale.
^"^^ Ci vendicarò io: 'ci penso io, interv^engo io' (ad appianare la disputa ed evitare fastidi).
^'^'^ Deh... gelosie: cfr. Parabosco, 1m dantesca, atto 1, scena 2: «(...) et se ne va dietro alli
amori et alle bagatelle come uno giovane di disciotto o venti anni».
'^'^^ Oh quanto. ..voi: cfr. Parabosco, La Fantesca, atto 2, scena 9: « DIONIGI Yoi fareste
bene a starv^ene a casa vostra, con vostra moglie, a leggere le lettioni a' vostri scolari. \^oi
non credete forse ch'io sapia che voi siate, non? TERENTIO E voi fareste meglio a dispu-
tare le cause sopra il palazzo, et procurare di mantare la vostra figliuola, che anch'io so che
séte voi.».
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani 271
FARINA Signor Alessandro, il Signor Lelio vi manda cercando per
tutto: ci son nuove grandi. Andate al giardino adesso, che
sentirete di Erminio, e di Olinda cose non mai pensate.
ALESSANDRO Questa tua allegrezza non vuol già dire che sieno morti.
FARINA Che morti! Vivono allegri e contenti quanto posson essere,
et hora vanno da Sua Eccellenza. Fate presto, che stupire-
te. Signor Pancratio, buona nuova: il Signor Erminio ha
preso moglie.
PANCRATIO Echi?
FARINA Una giovine Genovese, che sta in corte.
PANCRATIO Certo Farina?
FARINA Certissimo. Adesso la Signora Almira sarà mtta tutta per voi!
PANCRATIO Se quest'è, beato te: prima, inter vivos^'^'' , ti voglio accrescer
di salario mezo ducato l'anno, ti voglio rivestire de i miei
panni vecchi, ti voglio far credentiero, canavaro , cuoco,
e maggiordom di casa exclusive, e poi quel che sarà meglio,
ti voglio insegnare in un mese tutto quel che so io; post mor-
tem^^^ poi, ti voglio lasciar i miei Hbri, e le mie scritture, con
le mie pretensioni '" che io potessi avere dal collegio dei
savi.
FARINA Non tanto carico! A me basta solo che conosciate la mia
buona fede, del restante son contento d'ogni vostra ventu-
ra, come anco di quest'altra, che dicono che in queste noz-
ze si darà a voi la cura delle dame.
PANCRATIO Così sia, e che stia sotto la mia cura la mia Signora, ma che
n'è di lei?
FARINA L'ho lasciata adesso che aspettava il signor Erminio per far
partenza da lui, perché essend'hora ammogliato non vuol
più prattica sua.
PANCRATIO La vorrà egli di lei, che non gli basterà la moglie.
■^'^^ inter vivor. in vita (letteralmente 'tra i vivi').
''^* credentiero, canavaro: rispettivamente chi sopraintende alla dispensa, e il cantiniere.
^^'^ post mortem: dopo la morte.
^''^^ pretensioni: prerogative, diritti, previlegi.
272 EdÌ2Ìoni critiche
SAMBUCO Ah, due mogli per uno, due mogli per il Signor Erminio!
Allegrezza, allegrezza!
PANCIL'VTIO Oimè, senti s'è vero!
SAMBUCO Nozze, nozze! Oh ecco il mio padron vivo: n'ha detto il
vero colui!
FARINA Non vedete chi è? Ah, ah, che vai mettendo a bando"*'".
Sambuco?
SAMBUCO Non ci puoi offerir*^" tu. Farina, che sono stabilite.
PANCRATIO Che vai gridando tu di due mogli per il Signor Erminio?
SAMBUCO M'ha detto adesso Stracco stafflero che '1 Signor Erminio
ha preso per moglie una di corte.
PANCRATIO È vero.
SAMBUCO E un'altra fuor di corte ha preso per marito il Signor Er-
minio: quante mogli son queste?
PANCRATIO Non può star così.
FARINA E mi maraviglio di voi, io. Dove sei stato questa notte,
Sambuco, che non t'abbiam visto più?
SAMBUCO Non pratticarem più insieme di notte, no: di notte litica il
gufo con la civetta . Per adesso ho saputo che son libero
da la mala ventura.
FARINA Sei troppo pauroso. Quando sarai qui col nostro Signor
Patrone, sarai sempre libero da ogni bene.
SAMBUCO Non dico altramente io, ma della furia passata che te ne
pare? E della sententia? Se io non renuntiava il possesso ad
un altro, dove sarei adesso io?
PANCRATIO Lasciam andar le sententie per hora. Ho pensato meglio
per te. Sambuco.
SAMBUCO Che non sia peggio!
■*'" mettendo a bando: divulgando.
■*'^2 ÌSlon ci puoi offerir, 'tu non ti puoi intromettere'.
■*"^ di notte... civetta: 'durante la notte si contendono le prede i rapaci notturni' (gli uccelli
ven e propri, ritenuti anche del malaugurio, o, figurativamente, quelle persone che agisco-
no da predatori). Per la coppia j«/; e civette, cfr. Ariosto, Cinque Canti, II, CXXII, v. 5: «fug-
gono da' nidi lor guffi e civette»; Tassoni, ha Secchia rapita, IX, 57: «uscirono i gufi e le ci-
vette», ecc.
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
273
PANCRATIO Ti voglio mettere in corte...
SAMBUCO Oh!
PANCRATIO ...per paggio di Sua Eccellentia.
SAMBUCO Oh per merito della Signoria vostra!
FARINA Sì si, con l'occasione delle nozze. Ma voi sarete conduttie-
ro di dame, Sambuco paggio, et io che sarò?
PANCRATIO Non sei huomo da corte tu. Saliamo in palazzo a vedere se '1
Signor Prencipe è tornato, che daremo speditione a questi
offici, e poi andremo a dare una occhiatina alla Signora
Almira. Andiam, Farina.
FARINA Seguite, Signor paggio.
SAMBUCO Piano, che bisognerà mostrarmi prima al Signor Prencipe.
Il Signor Sambuco, paggio da carriola ^ di Sua Eccellenza
eccellentissima.
SCENA DUODECIMA
Alidoro, Valerio, Manfredo.
ALIDORO
VALERIO
ALIDORO
VALERIO
ALIDORO
Ringratiamo Dio, che le cose hanno avuto felicissimo fine.
Così è piacciuto alla mia buona sorte, e quando Vostra Si-
gnoria intenderà megHo come è seguito il fatto, credo che
non resterà di me male edificata .
Così sia per giugnere al colmo delle mie allegrezze, e non
passeranno due hore che mi racconterai ogni cosa minu-
tamente. Il mio Signor Manfredo dov'è?
Eccolo appunto.
Signore, l'obHgo che tengo a vostra Signoria e terrò sempre
mentre io viverò, è grandissimo, e cercherò nel rimanente
di mia vita aver occasione di poter mostrarle quest'animo
svisceratissimo delle molte cortesie, e infiniti meriti suoi.
■♦"^^tì^/o da carriola: forse nel senso di 'paggio destinato ai lavori più umili'.
■"'^ male edificata: 'impressionata negativamente' o, più semplicemente, 'scontenta'.
274
Edizioni critiche
MANFREDO
ALIDORO
VALERIO
ALIDORO
VALERIO
MANFREDO
ALIDORO
VALERIO
Signore, l'obUgo si deve tenere a sua Eccellenza per sì no-
bile e generosa risolutione, anzi di più, dopo che madonna
Soffronia le ha scoperto questo caso, ho conosciuto in
quell'animo generoso un non so che di tenerezza, e poco
meno ch'io ce l'ho veduta lagrimare; non so se voi l'avete
osservato.
E con che dolcezza poi, ha voluto che alla presentia sua si
abracciano, si baciano, e di nuovo si diano la fede di marito
e moglie. Insomma, dov'è la nobiltà è anco perdono, e l'ira
1 1 4CI6
in quei cuori suol esser sempre breve .
Signore, saliamo in palazzo, che ho lunga istoria da raccon-
tarvi, e grandissimo desiderio di spedirmi ' , per evacuar
l'animo mio d'ogni amarezza passata , e far in tutto luogo
alle presenti dolcezze.
Et io voglio godermi meglio la presenza di Olinda mia. Oh
figliuola cara!
Andiamo che '1 Signor Prencipe tornerà a palazzo, e vorrà
di nuovo parlare con Vostra Signoria et io non avrò poi
tempo.
Trattiam di nozze adesso, e non d'altro. Entriamo.
Come pare a Vostra Signoria.
Ha ragione il Signor Manfredo. A nozze, a nozze!
SCENA DECIMATERZA
Erminio, LeHo, Almira, Concordia.
ERMINIO Gioisco per certo, e resto tanto sodisfatto della sincerità
del bell'animo vostro, che questo è il compimento della
mia felicità, et assicuratevi pure che il simile avrei fatt'io
con LeHo, che Lelio fa hora con Erminio.
^"^ Cfr. Gonzaga, Fidamante, XXIX, 116.
"*"^ spedirmi: 'liberarmi'.
/ Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
275
LELIO
ERMINIO
LELIO
ERMINIO
ALMIRA
CONCORDIA
LELIO
ALMIRA
ERMINIO
ALMIRA
Non niego di non avere con qualche passione amato Olin-
da, solo per desiderio che mi fosse moglie, e questo per
non saper io che prima fosse vostra, ma hora che sono in-
formato del tutto, vorrei potere né pur col pensiero avervi
dato un minimo disgusto.
Non vi pentite d'esser stato cagion voi delle mie conten-
tezze, poiché dalle vostre operationi, per il fortunato acci-
dente occorso fra voi et OHnda, son venuto a questo Lieto
e desideratissimo fine; cosi ha detto il Signor Prencipe:
v'ha perdonato, et è soddisfatto.
Et io sodisfattissimo per voi, poiché tal fine meritava un
fido, e costante amore, né altro premio richiedeva che que-
sto ottenuto.
Non già per lo poco giudicio mio, che hora me n'avvedo,
et avrò sempre eterno pentimento di non aver mai voluto
scoprirmi al mio Signore, dal quale tante gratie ho ricevute:
ingrato, disamorevole ch'io son stato!
Eccolo appunto col Signor LeHo.
Fate come la gallina: passate da banda il gallo, se intrica
l'ala destra fra i piedi, abbiateci fede ' .
Grande escusatione d'ogni fallo portan seco le passioni
d'amore.
Signor Erminio, non vengo per disturbarvi, ma solo per
domandarvi in tante vostre felicità una minima gratia, della
quale, sì bene sono indegna, la molta humanità, e gentilez-
za vostra supereranno i pochi meriti miei.
Ancorché per il passato abbia dato qualche disgusto alla
Signora Alrrdra, tuttawia per l'avvenire non le mancherò
mai.
Questa sarà, che vi degniate, o hoggi o domani, di arrivare
fino a casa mia, che impetrato ch'avrò perdono della offesa
che ho pensato farvi questa notte, vi farò poi sapere che
408 Paté... fede: 'aggirate l'ostacolo, date retta a me'.
276
Edizioni critiche
CONCORDIA
ERMINIO
LELIO
ALMIRA
ERMINIO
LELIO
ERMINIO
LELIO
ERMINIO
quella è stata cagione delle vostre contentezze, onde per
voi ne resto ancor io contenta e sodisfatta.
Et io ve ne fo fede, ma rimuneratela d'un salvo condotto
fino all'anticamera, che questo gli basta.
Poca offesa può venire da chi ama di cuore, e se pur viene,
la segue presto il pentimento: come si sia vi perdono, e vi
riamo, et avrò caro d'intendere il successo , accioché
maggiormente io ve ne resti sempre obHgato.
A casa vi desidera la Signora Almira, perché più commo-
damente la possiate ascoltare.
Altro non gU domando, che del restante ho già posto
l'animo in pace. Bacio le mani delle Signorie vostre. Con-
cordia, andiamo.
Et io m'inchino a quella bella gratia, madre generativa della
vostra disgrada. Il ciel vi scampi l'uno e l'altro dal Polacco,
e dal Francese ^
Ah, ah, sentite saluti!
Buoni se s'ottenessero, ah, ah! Orsù, Signor LeHo, io salirò
in palazzo, che debbo esser aspettato. Venite ancor voi.
Se non vi ho da servire a qualche cosa, andrò a spedire un
mio negocio, poi verrò a rivedervi.
Andate, e tornate presto, e siate meco a partecipare delle
mie contentezze.
"'"'•' il successo: l'accaduto.
""" dal Polacco, e dal Francese: la sifilide, la malattia venerea più diffiisa all'epoca; nella no-
stra penisola venne denominata malfrancese in quanto se ne attribuì la comparsa alla discesa
dell'esercito di Carlo VII! nel 1495 ma, diffondendosi m tutta Europa, ogni terntono ne
imputò l'origine ai territori limitrofi (qumdi compare anche come morbo polacco, scita, oltre-
montano...).
I Fidi Amanti. Comedia del Signor Francesco Podiani
277
SCENA DECIMAQUARTA
Erminio, Soffronia, Olinda, Valerio, Sambuco.
ERMINIO
SOFFRONIA
OLINDA
ERMINIO
SOFFRONIA
ERMINIO
SOFFRONIA
OLINDA
SOFFRONIA
Ma perché non vo alla volta d'Olinda mia, che senza me
non vorrà forse venire? Chi me lo vieta hora? Oh eccola!
Oh felice giorno, oh dolci mie pene!
Tu hai pur il buon passo, figliuola! Piano, ch'arriverai a
tempo al tuo sposo. Uh che fede, ch'è ancor fra voi!
Eccolo, che ci aspetta. Signor Erminio, quanto è che vi
mando cercando?
Come? Poco è ch'io mi partì da voi per seguir vostro pa-
dre, e credo che sia dentro col Signor Manfredo e che
v'aspettino.
Signor Erminio, così si scherza eh? Aveva io forse perduto
il sonno, che m'avete dato il rimedio per dormire? Rubba-
tore che voi séte, che non ci voleva altra inventione per to-
gliermi così cara cosa!
Eccovi racquistato il vostro, e prigione volontario chi ve lo
tolse: che ne farete, su?
Ma con OHnda la voglio, che con sì bel modo aggiunse il
sonnifero neU'elettuario che soglio pigliar la sera per lo
stomaco. Uh poverina me, chi l'avesse mai pensato?
Che pensaste aUhora, che non mi trovaste né in letto, né in
camera? Dite, di gratia.
Che me l'avessi attaccata"*'^, come fu, e subito mi risolvei di
andare dal Signor Prencipe e dirH l'inganno, e scoprirli
l'amor vostro antico che voi, Olinda, mi conferiste, accio-
ché scusasse me, che essendo voi d'accordo, né io né miUe
altri se ne sarebbono potuti guardar mai, e che non aveva
avuto manco tempo d'avisarne Sua Eccelenza, la quale mi
^" elettuario: preparato farmaceutico semidenso, composto da un miscuglio di molti
medicamenti in polvere, impastati con miele e sciroppo.
■"^ me l'avessi attaccata: 'che mi avessi raggirata*.
278
Edizioni critiche
credette perché poco dopo sopravenne vostro padre e si
verificò il tutto.
ERIMINIO Era tempo ch'avessero fine le nostre persecutioni, ma se
troppo ardire è stato il nostro di così trattarvi, potete a vo-
stra posta darci castigo meritevole, perché dalle vostre
provisioni dependeranno le nostre contentezze.
SOFFRONIA Avete ragione, e questa sera mi contento di darle principio,
e poi seguirle di mano in mano.
VALERIO Senza dubbio o paggio o camerier sarai.
SAMBUCO Non accetto quel cameriero perché sarei o di dishonore, o
fiior delle mura; mi basta esser paggio e tirar la calzetta a
Sua Eccellenza.
VALERIO Questo non ti mancherà. Ecco il Signor Erminio, e la spo-
sa: dà loro il buon prò.
SAMBUCO Fammi luogo. Buonanotte quando sarà, buon dì, se non
sarà di notte, e buona sera, se fosse fi:a dì e notte. Maschio
voi, maschia la mamma, maschio un figliuolo, e maschio
un paggio! E quel paggio sarò io, per gratia de la Signoria
vostra, e qui de la Signora sposa.
ERMINIO Oh molto volontieri. Sambuco nostro: siamo amici, amici
vecchi fia noi.
VALERIO Signori, venite, che vostro padre vi aspetta e non può star
più senza voi. Oh che giubilo che sente! Venite c'hor hora
il Signor Prencipe torna a palazzo.
SAMBUCO Adesso venimo tutti, e volem ballare per allegrezza un ca-
nario su la stoppa.
""^ tirar la calt^etta: la caletta è la calza di seta, lana, feltro..., finemente lavorata ed elegan-
te. A Sambuco quindi basta essere paggio di Sua Eccellenza e servirlo nelle cose più mode-
ste. Scarterei infatti il significato veneziano della locuzione tirar su le calt^te 'fare la spia' o
'far confessare' (cfr. Lurati, op. cit., p. 113), come anche l'accezione più nota di tirar la calt^a
con il significato di 'morire' (cfr. anche Ageno, Studi Lessicali, op. cit., p. 432), non consoni
né al contesto né al personaggio.
■*'"* un canario: danza spagnola, originaria delle Canarie, molto in voga nel XM secolo, il
cui ntmo è simile a quello della giga.
I Fidi A.manti. Comedia del Signor Francesco Podiani
279
OLINDA Questo sì. Saliamo, che Sua Eccellenza non ci mandi cer-
cando.
SOFFRONIA Può indugiar poco a venire: appunto quando noi uscimmo
del giardino, egli era in ordine per tornare a palazzo, e vi so
dire che vorrà che si facciano con queste nozze feste
d'importanza.
SAMBUCO Di gratia, sbrighiamo il mio servitio. Oh Valerio, non ho io
da esser messo a partito ?
VALERIO Sì.
SAMBUCO Orsù dunque, qui il Signor Erminio e la Signora Olinda
metteranno per me nella bossola una fava bianca '.
ERMINIO Ah, ah, quanto parrà a Sambuco! Passate OHnda. Valerio,
saliamo, ma invita questi Signori alle nozze.
SAMBUCO Signor sì, e poi verremo a corteggiare. Oh Valerio, hai tu
mai veduto una statua d'uno che sta col coUo storto, e tie-
ne un candeHero sul naso?
VALERIO Sì, ma non me ne ricordo dove.
SAMBUCO Vedilo là'*'*^, che s'ha levato il candeliero, et è venuto alla
comedia: chiamalo, di gratia.
VALERIO Che ne vuoi fare?
SAMBUCO Lo mostraremo alla sposa e ce la farem ridere, e poi a ban-
chetto gli farem portare i piatti in tavola sul naso.
VALERIO Hai ragione. Va' che bora vengo.
Signori e Signore, di buona voglia v'accetteremo a queste
nozze, perché avendosi a fare in corte, quanti più sarete
tanto maggiore sarà il piacere che ne sentirà il Signor Pren-
cipe, e '1 favore che n'avranno i due sposi. Quando poi il
"*'^ messo a partito: 'messo ad eseguire il mio compito di paggio'.
■♦'^' metteranno... bianca: allusione agli antichi metodi di votazione nei quali, attraverso pal-
lottoline dipinte di bianco o di nero si espnmeva il proprio dissenso o consenso (e da pre-
cisare che, se generalmente la fava bianca indicava opposizione, qui vale forse il contrario).
"*'^ questi Signori: è riferito con ogni probabilità agli spettatori, coinvolti in prima persona
nel finale della rappresentazione
■*"* Vedilo là. si può ipotizzare che a questo punto uno degli attori (o una semplice
comparsa) apparisse effettivamente tra il pubblico e che tale atteggiamento assumesse un
significato preciso, oggi purtroppo enigmatico.
280 Edizioni critiche
Signor Alidoro avrà impetrato la remis sione "*^^ in Genova
per il Signor Erminio, e sarà per tornar con essi, lo saprete
ancora voi, accioché volendo venire, possiate trovarla a
duplicate nozze. Qui per hora non si farà altro; se la come-
dia vi è piaciuta, mostratene segno.
IL FINE.
■*'^ remissione: l'annullamento della condanna.
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RENEWALS
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Account
dalla Litografica Abbiatense snc
Abbiategrasso (Mi)
UNIVERSITY OF CALIFORNIA-LOS ANGELES
L 009 859 215 7
Parole allo Specchio. Studi e testi
Dipartimento di Italianistica
Università di Parma
Il lavoro approfondisce un particolare filone del teatro comico rinascimentale,
quello della Commedia patetica che, pur conservando e sfruttando gli aspetti topici
del genere, tradisce al contempo un'intima aspirazione al registro tragico, con il ri-
sultato di un sensibile innalzamento di tono, destinato a sfumare da lì a poco nella
Pastorale e nella Tragedia a lieto fine di impronta barocca. Le edizioni critiche de //
Pellegrino di Girolamo Parabosco (1552) e de / ¥ uh Amanti di Francesco Podiani
(1598) sono precedute da un'introduzione di natura teorico-descrittiva tesa a mo-
strare come i due testi, nonostante l'appartenenza ad aree culturali e geografiche di-
stinte (Venezia e Perugia), siano unificati dal comune denominatore del pathos tra-
gico e quindi proposti come modelli particolarmente significativi del patetico in
versi e in prosa. L'indagine delle due pièces, attraverso i riscontri con il consueto re-
pertorio comico e, soprattutto, mediante gli stretti legami con opere appartenenti a
generi diversi, viene dunque a costituire un ulteriore importante tassello nello stu-
dio della commedia rinascimentale.
Antonella Lonimi (Fiorenzuola d'Arda (Pc) 1978), laureata in Lettere Moderne
presso il Dipartimento di Italianistica dell'Università degli Studi di Parma con tesi
in Letteratura italiana del Rinascimento, ha conseguito presso il medesimo ateneo il
Dottorato di Ricerca in Studi Filosofici e Scienze della Letteratura nel marzo 2007.
Nell'ambito di studi sul teatro rinascimentale ha curato anche l'edizione critica de
ha dantesca di Girolamo Parabosco (Parma, Battei, 2005).
ISBN-978-88-400-1 256-8
€ 14,00
9 788840 "012568